Per sen de trobar: l'opera lirica di Daude de Pradas
 9782503568331, 2503568335

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Per sen de trobar l’opera lirica di Daude de Pradas

Publications de l’Association Internationale d’Études Occitanes XI

Directeur de Collection Rosa María Medina Granda

Per sen de trobar l’opera lirica di Daude de Pradas

Silvio Melani

H F

Realizzazione grafica a cura di Arun Maltese (www.bibliobear.com) Illustration de couverture: Daude de Pradas, ms. K (BNF. fr. 12473), f. 96v. © 2016 Brepols Publishers n.v., Turnhout, Belgium All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise without the prior permission of the publisher. D/2016/0095/154 ISBN 978-2-503-56833-1 Printed on acid-free paper.

A mia madre e alla memoria di mio padre.

Desidero qui esprimere la mia profonda gratitudine a tutti quanti, con la loro competenza e pazienza, mi sono stati prodighi di consigli e correzioni durante il mio lavoro editoriale. Mi piace ricordare qui i nomi di Luciana Borghi, Gerardo Larghi, Lucia Lazzerini, Roberta Manetti, Walter Meliga e Sergio Vatteroni. Tutti hanno contribuito in vario modo, anche col loro sostegno morale, a fare del mio lavoro qualcosa di meno cattivo di ciò che avrebbe potuto essere. È quasi superfluo dire che mi assumo la piena responsabilità di ogni eventuale errore o imperfezione rimasta.

Indice Introduzione 1. Coordinate e ipotesi biografiche 2. I senhals e la loro utilità per un’ipotesi cronologica 3. Linguaggio giuridico-feudale in Daude de Pradas 4. Caratteristiche della tradizione manoscritta 5. Osservazioni metriche

p.

9 9 23 33 45 48

Sigle dei testimoni

65

Tavola di concordanza tra le edizioni

67

Criteri di edizione

69

TESTI DI SICURA ATTRIBUZIONE I. Ab lo dous temps que renovela

73

II. Amors m’envida e·m somon

87

III. Anc mais hom tan ben non amet

107

IV. Ben deu esser Solatz marritz

123

V. Belha m’es la votz autana

131

VI. Ben ay’Amors quar anc me fe chauzir

139

VII. De lai [n’an] on son mei desir

149

VIII. Del bel desir que Jois Novels m’aduç

159

IX. El temps d’estei, qan s’alegro ill’aucel

171

X. El temps que·l rosignol s’esgau

183

XI. En un sonet gai e leugier

193

XII. Non cugei mai sens comjat far chanson

205

XIII. No·m puesc mudar que no·m ressit

215

XIV. Pos merces no·m val ni m’ajuda

221

XV. Pos Amors vol e comanda

235

XVI. Qui finamen sap consirar

245

8

Indice

XVII. Si per amar ni per servir

257

XVIII. Tant sent al cor un amoros desir

261

XIX. Trop be m’estera si·s tolgues

269

TESTI DI DUBBIA ATTRIBUZIONE XX. D’home fol ni desconoissen

279

Glossario

283

Senhals e nomi

321

Bibliografia

323

Introduzione 1. Coordinate e ipotesi biografiche

1.1. Tra i tanti trovatori-fantasma (ossia privi d’identità certa) della cui produzione lirica conservano ampia testimonianza i canzonieri medievali s’incontra talvolta qualche poeta che ha invece lasciato tracce ancor oggi ben visibili. È il caso di Daude de Pradas, delle cui vicende biografiche possediamo una documentazione abbastanza importante. Eppure, egli si ritrova oggi tra quei trovatori poco o affatto conosciuti a causa della difficoltà che si incontrano nell’interpretare informazioni abbondanti e al tempo stesso contraddittorie1. Oltre a mettere ordine in una spesso confusa massa di dati raccolta da precedenti studiosi, le ricerche condotte da Gerardo Larghi hanno contribuito a gettare luce sulle ampie zone di oscurità che fino ad oggi avvolgevano il profilo biografico d’un trovatore sulla cui arte sono stati emessi, anche in epoca moderna, giudizi poco benevoli2. La sua fu invece una certo non scialba personalità letteraria, e non solo di trovatore, ma di vero e proprio poligrafo3. 1.2. Vari studiosi, da Lyon a Schutz fino a Rostaing, «fondandosi su una serie di documenti a loro giudizio tutti riferibili al nostro artista, identificarono il trovatore con un canonico di Rodez attivo tra 1214 e 1282»4. Contrariamente la pensavano altri studiosi (tra i quali Jeanroy) ricordati da Larghi nel suo lavoro5. Molti anni dopo Stefano Asperti ha ipotizzato che il trovatore sia vissuto tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo6, ma in anni ancor più recenti

1 LARGHI 2011, p. 23. A questo studio faremo in genere riferimento per l’amplissima documentazione bibliografica raccolta dall’autore. 2 La vida, l’antica breve biografia occitana a lui dedicata, dice che egli compose poesie per sen de trobar [grazie alla sua abilità tecnica], ma che esse non nascevano da amore [no movian d’amor] e per questo non piacevano e non vennero cantate [ni foron cantadas]. Non è possibile dire con sicurezza se il giudizio negativo della vida ha influito in qualche modo su quello altrettanto negativo dei moderni. Fatto sta che probabilmente quest’ultimo va computato tra le cause principali del disinteresse degli studiosi per un autore che pure offre, a chi ben cerca, una quantità non disprezzabile di informazioni biografiche, ripartite tra documenti di archivio e riferimenti interni alle poesie. Il caso opposto a quello di Daude potrebbe essere quello di un Jaufre Rudel, considerato uno dei trovatori più interessanti ma di cui sappiamo ben poco. 3 Daude fu autore anche di un roman in versi sulle quattro virtù cardinali, volgarizzamento della pseudo- senechiana Formula Vitae Honestae dovuta alla penna di Martino di Braga e di un roman cinegetico, anch’esso in versi, il Roman dels auzels casssadors (per la bibliografia vedi LARGHI 2011, p. 23, nota 2). 4 LARGHI 2011, p. 24. 5 Se ne vedano le pagine 24-25 per le indicazioni bibliografiche. 6 ASPERTI 1995, p. 152, n. 57, e prima ASPERTI 1990, p. 50, n. 75.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Zinelli è tornato a collocare Daude de Pradas nella seconda metà del XIII secolo7. E addirittura Vallet ha pensato di corroborare la datazione più tarda in assoluto († 1284 o dopo) con un argomento legato alla struttura del senhal più tipico di Daude, Joi Novel (argomento sul quale tornerò nel capitolo dedicato ai senhals)8. I documenti prodotti da quanti accettano l’ipotesi di un’attività del trovatore inquadrabile tra i due termini del 1214 e del 1282, indicano, secondo le parole di Schutz, primo editore delle poesie del Nostro, «une succession de dignités parfaitement normale»9. Ma è davvero normale una simile carriera per un uomo di origini oscure come probabilmente fu Daude10? È normale che possa essere stato, nell’Occitania medievale già devastata dalla crociata antialbigese, prima canonico di Rodez, poi magister universitario, officialis, vicario generale, giudice sottodelegato del vescovo rouergate e infine operarius sempre della cattedrale di Rodez11? Anche se egli avesse ricoperto effettivamente tutte queste cariche, sarebbe senz’altro valsa la pena, prima di accettarle come un dato di fatto, accertare – se possibile – le ragioni di un tale successo, che di “normale”, per i tempi, aveva ben poco. Vedremo più avanti come Gerardo Larghi, riprendendo in mano i documenti prodotti come pezze d’appoggio per la loro ipotesi cronologica da Schutz e dagli altri studiosi con quello solidali, li abbia sottoposti a un severo vaglio critico. Questo l’ha portato a sua volta a ipotizzare – in modo convincente – che i documenti successivi a una certa epoca (inizio degli anni Quaranta del secolo XIII) siano riferibili a un familiare (per l’esattezza un nipote) del trovatore. Questo nipote, avendo goduto, finché lo zio canonico e magister fu in vita, del suo appoggio, poté assurgere dopo la morte del congiunto a cariche ancor più importanti, tra le quali quella ambitissima e lucrosa di operarius12. 1.3. La prima notizia che la vida di Daude ci offre è quella che egli «nacque a Pradas, un borgo distante quattro leghe da Rodez» (cioè venti chilometri circa da quel capoluogo). Tale precisissima indicazione rimanda senza ombra di dubbio all’attuale abitato di Prades-Salars, e, come osserva Larghi, questo è stato finora l’unico o uno dei pochissimi punti della biografia del Nostro su cui sono riusciti a concordare tutti gli storici e i filologi. Come ribadito anche di recente da Luciano Rossi, i brevi profili biografici delle vidas, spesso su altri dati ben poco

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ZINELLI 2007-2008, p. 173. Vd. LARGHI 2011, p. 25 e n.14 e VALLET 2003-2004/5 (2003), p. 152. 9 SCHUTZ 1934, p. XVII. 10 La sua biografia occitana tace su eventuali ascendenze nobili o almeno cavalleresche e questo in genere indica che tali ascendenze non vi erano. Anche LARGHI 2011 sembra propendere per attribuire al Nostro un’origine borghese, vedi p. 38. Va detto, comunque, che durante il Medioevo la Chiesa offriva una delle poche occasioni di carriera e di arricchimento anche a uomini di bassa condizione: CHASTANG 2008 ricostruisce il caso di Guilhem Rainard, canonico d’Agde (m. 1176) che, di origini umili se non addirittura servili, divenne molto ricco grazie alla disponibilità di denaro offertagli dalla sua posizione di canonico: quel denaro egli lo mise a frutto con una lucrosa attività di prestatore a interesse, sulla quale i suoi superiori non solo chiusero entrambi gli occhi, ma addirittura se ne servirono. 11 SCHUTZ 1934, p. XVII. 12 LARGHI 2011, p. 53. A mia volta avanzerò l’ipotesi che le liriche del Nostro siano state composte tra gli anni Ottanta / Novanta del secolo XII e i primissimi anni del XIII, anzi (almeno quelle amorose), non oltre il 1214. 8

Introduzione

11

affidabili, lo sono invece molto quando indicano le regioni di provenienza dei trovatori13. In più, proprio per la sua precisione, l’autore della vida del Nostro dimostra di possedere una certa familiarità col territorio rouergate14. Il che potrebbe forse deporre in favore di un’ipotesi che volesse attribuire tale biografia al caorsino Uc de Saint Circ. Quest’ultimo, come ricorda Larghi citando Saverio Guida, frequentò la potente famiglia dei Roquefeuil e fu ospite di Enrico I di Rodez prima del giugno del 1212, cioè in un’epoca in cui il nostro trovatore era non solo in vita, ma anche nel pieno della sua attività poetica15. 1.4. Ancora la vida afferma che Daude fo canorgue de Magalona, vicino a Montpellier. Su questa informazione tornerò più avanti. Prima occorre parlare della dignità di canonico della cattedrale di Rodez che Daude ricoprì nel corso della sua esistenza. Larghi, attraverso la lettura degli obituari della comunità capitolare rouergate16, dimostra la presenza – tra i secoli XII e XIII – di due canonici che portavano il nome di Deodatus de Pratis: uno, il cui obitus cadeva il 29 luglio, defunto in un anno imprecisato del Duecento, vide il suo ricordo affidato alla pietas dei confratelli ogni 13 agosto; l’altro morì invece al quarto giorno avanti le idi di dicembre ed era commemorato il 4 gennaio. Gli stessi obituari informano che il secondo Daude – operarius della cattedrale di Rodez – era nipote del più anziano, da lui definito affettuosamente pater et mater D. de Pratis operarii istius ecclesiae17. La vida si dimostra ben informata sul conto del trovatore anche quando dice che egli conobbe «la natura dels auzels prendedors», cioè la natura degli uccelli da preda. È evidente l’allusione al Roman dels auzels cassadors, opera che conobbe una certa fortuna all’epoca. Non corrisponde apparentemente al vero l’ultima notazione dell’antica biografia, che dice «fez cansos per sen de trobar, mas no movian d’amor, per que non avian sabor entre la gen, ni no foron cantadas» [compose canzoni grazie alla sua abilità tecnica, ma esse non nascevano da amore, per cui non piacevano alla gente, e non furono cantate]. Bastano il cospicuo corpus di testi che vanno sotto il suo nome nei vari canzonieri occitani, il numero considerevole di manoscritti che ci hanno trasmesso alcuni suoi componimenti, e soprattutto la non disprezzabile qualità di certe sue poesie, per far pensare che dietro queste affermazioni ci possa essere stata una strana disinformazione sulla sua fortuna letteraria. Oppure potrebbe esservi qualcos’altro, qualcosa che noi oggi non conosciamo ma che forse in futuro qualcuno riuscirà a intuire. 1.5. Cercherò ora di portare elementi a sostegno dell’ipotesi secondo la quale tutta l’opera lirica del Nostro sarebbe stata composta sul finire del periodo in cui fu attiva quella

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ROSSI 2009, pp. 98-101 (cit. in LARGHI 2011, p. 26). LARGHI 2011, p. 26. 15 GUIDA 1990 e LARGHI 2011, pp. 33-34. Il tono astioso e dispregiativo con cui il biografo parla della poesia di Daude non contrasterebbe con tale ipotesi, anzi, forse la corroborerebbe, perché è noto che il Caorsino dovette lasciare l’Occitania anche a causa della crociata antialbigese, crociata che invece, come vedremo dimostrato da Larghi, trovò tra i suoi apparentemente più ferventi sostenitori proprio Daude de Pradas. 16 LEMAITRE 1995, pp. 135-136, 174, 187, 243 e 279 (cit. in LARGHI 2011, p. 26, n. 19). 17 Vd. LARGHI 2011, pp. 26 e 27. 14

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

generazione trovadorica che viene chiamata “dei classici”: una generazione in cui Daude seppe non sfigurare, quanto a fortuna, a contatti letterari e ad appoggio di importanti mecenati. Nel tessuto delle solide relazioni artistiche che Daude pare aver costruito con alcuni dei più noti trovatori del tempo si mette in evidenza il solenne compianto (planh) per il trovatore suo conterraneo Uc Brunenc (BdT 124.4)18. A questo stesso autore, secondo il suo più recente editore, Paolo Gresti (che rimanda a un’ipotesi di Dietmar Rieger), potrebbe riferirsi anche il senhal della canzone Trop be m’estera si·s tolgues di Daude, Bel Sirventes (BdT 124.18)19. Uc Brunenc, benché definito dalla sua antica biografia un chierico colto che per dedicarsi all’arte si era ingiullarito, era forse, quanto a origine sociale, superiore a Daude. Le testimonianze del tempo ce lo presentano infatti come un ricco possidente, di quelli che gravitavano intorno alla corte comitale di Rodez e che erano chiamati a prestare testimonianza in documenti di transazioni e donazioni là prodotti. Inoltre, al conte Guilhem de Rodez e a un senher d’Anduza (membro di una famiglia illustre con la quale anche Daude fu in stretti rapporti), egli indirizzò la sua lirica Puois l’adrechs temps (BdT 450.7)20. Afferma Larghi che sulla base della cronologia ricostruita per Uc Brunenc «si può […] porre la composizione del planh di Daude genericamente oltre il limite cronologico del 1208, ma non a grande distanza da questo termine»21. Ciò farebbe del planh una delle liriche del nostro trovatore più sicuramente databili. Ma riguardo all’attività poetica di Uc Brunenc, Paolo Gresti si dimostra più cauto osservando che i dati ci permettono di collocarla grosso modo sul finire del 1100, più nella seconda metà del secolo XII che all’inizio del successivo22. 1.6. Un altro trovatore con il quale Daude ebbe rapporti di corrispondenza fu Gui d’Ussel. Gui apparteneva a una famiglia nobile, quella dei signori di Ussel-sur Sarzonne, nel Limosino, ma fu anche canonico nei capitoli alverniati di Brioude e Monferrand. Se accettiamo quanto ci dice la sua vida23, sembrerebbe che questo poeta avesse formato coi fratelli Ebles e Peire, e col cugino Elias, un vero e proprio gruppo poetico-musicale simile per certi riguardi a quello delle moderne bands, in cui ognuno coltivava una sua particolare specialità: «Gui trobava bonas cansos, e N’Elias bonas tensos, e N’Ebles las malas tensos, e·N Peire descantava tot quant li trei trobaven» [Gui componeva buone canzoni, e don Elias buone tenzoni, e don Ebles le tenzoni maldicenti, e don Peire ‘discantava’ tutto quello che gli altri compone-

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Edito, oltre che nel presente lavoro, in GRESTI 2001, pp. 123-129. Vedi oltre, il capitolo dedicato ai senhals dimostrabili o presunti di Daude. 20 Forse nel senher d’Anduza si può riconoscere Bernard VII d’Anduze, ma GRESTI 2001, p. XXX, ritiene non impossibile che si tratti del padre di costui, Bernard VI. 21 LARGHI 2011, p. 29, che rimanda a GUIDA 1988, pp. 381, n. 53, e 398. 22 GRESTI 2002, p. XXXIII. 23 BOUTIÈRE-SCHUTZ 1964, p. 202. 24 BOUTIÈRE-SCHUTZ 1964, p. 203 traducono malas tensos con ‘tensons mordantes’ e il verbo descantava con ‘composaient les mélodies’. È ben noto che RONCAGLIA 1975, p. 376, afferma al riguardo: «Personalmente, credo che abbia ragione chi ha interpretato descantava nel senso di ‘parodiava’, ossia ‘distorceva polemicamente ad opposta intenzione’: col che si rientrerebbe piuttosto nella fenomenologia dei contrafacta». In questo Roncaglia sembra concordare sostanzialmente con PERRIN 1963. Con tutte le cautele che m’impongono il caso e il livello delle mie conoscenze in fatto di storia della musica medievale, 19

Introduzione

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vano]24. «Due documenti ci consentono […] di situare più precisamente i legami fra Gui e Daude attorno al biennio 1195-1196, allorquando il poeta limosino potrebbe essersi recato nel Rouergue e aver presenziato a donazioni in favore della abbazia cistercense di Bonneval deliberate da Uc vescovo di Rodez»25. Si può supporre che intorno a questo periodo (o comunque non oltre il 1214)26 Daude abbia inviato due componimenti a Gui d’Ussel (BdT

avanzo qui l’ipotesi che Peire d’Ussel fosse stato istruito nella maggiore delle grandi novità musicali della seconda metà del secolo XII, il discantus o meglio il conductus. Il discantus, le cui forme embrionali si ritrovano già nella teoria e nella pratica di inizio XI secolo, nacque e si sviluppò pienamente (a partire dal secolo XII) per “amplificare” il servizio divino cantato. Esso prevedeva che alle note della melodia del canto gregoriano si sovrapponesse, quasi nota per nota, una voce superiore (nel senso musicale dell’aggettivo, cioè più acuta). Questo lo differenziava dal modo dell’organum, nel quale, sopra una melodia del canto gregoriano (le cui note erano tenute a lungo dalla voce più grave, che per questo era detta tenor), una seconda voce più acuta si estendeva in ampi melismi. Discantus e organum, nonostante la loro differenza, erano spesso usati nella stessa composizione (cfr. ad es. il Graduale per la messa di Natale Viderunt omnes conservato nel Ms. Pluteus 29.I della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze). Questa forma di polifonia richiedeva che il musicista conoscesse bene la teoria degli intervalli musicali, per evitare che tra le due voci, quella alta e quella bassa, si producessero accordi dissonanti o comunque sgradevoli. Talvolta il cantore della voce alta era talmente abile e istruito da poter improvvisare la sua parte. Alla fine del secolo XII poi, nacque un nuovo modo, che forse è quello che in senso proprio coltivava Peire d’Ussel, il conductus. Scrisse il trattatista Franco da Colonia: «Chi vuole comporre un conductus deve dapprima inventare un canto, il più bello possibile, e quindi utilizzarlo come tenor per costruirvi la polifonia». La tecnica del conductus spiegherebbe perché l’autore della vida dice prima che Gui, Elias e Ebles trobavan le loro composizioni (il verbo trobar nel lessico trovadorico implica la composizione sia del testo che della melodia) e poi che Peire le descantava: i primi tre artisti componevano testo e musica di un canto “il più bello possibile” e Peire, probabilmente musicista dagli studi musicali più profondi e aggiornati, rendeva questo canto ancora più bello e più “ampio”. Sulla terminologia e i concetti qui spiegati si veda GALLO 1977, pp. 15-22. Quanto alla mia ipotesi, essa incontrerebbe l’opposizione preventiva di PERRIN 1963, il quale, sulla base degli esempi da lui raccolti dell’uso del sostantivo descant e del verbo deschantar nei testi occitani (tra i quali la vida dei trovatori d’Ussel), ritiene che tali parole indichino sempre una forma di rovesciamento satirico del testo composto da un altro poeta. In effetti, a parte l’uso, a mio giudizio non così chiaro, che del verbo descantar viene fatto nella vida dei poeti di Ussel, un rapido spoglio condotto grazie alle COM2, parrebbe dimostrare l’esattezza dell’interpretazione dello studioso americano. Ma l’uso che ne fa per parte sua Daude nella canzone mariana Qui finamen sap consirar (BdT 124.15, dove si dice «Qui novel chan volra chantar / chant chan de Dieu ses deschantar, / q’el non vol autre chantador» [Chi vorrà cantare un canto nuovo / canti un canto di Dio senza cantare in discanto / perché egli non desidera altro cantore]), con la sua evidente allusione alla seconda voce del discantus (o del conductus), mostra che il verbo, presso i trovatori, poteva anche indicare una composizione polifonica (si veda la nota al v. 68 di BdT 124.15). Interessante è notare che la tecnica del conductus sopra testi latini risulta essere stata usata anche per la propaganda anticatara nel sud della Francia a partire dal primo ventennio del Duecento, si veda Anni favor jubilei, che termina con l’esortazione «Crucis vexillum erige / et Albigeos abige». 25 LARGHI 2011, pp. 29-31. Sui legami tra poesia trovadorica e ambienti ecclesiastici sempre Larghi (p. 35, nn. 49 e 50) fornisce un’aggiornata bibliografia di base. 26 «Mas lo legatz del papa li fetz jurar que mais non fezes cansos. E per lui laisset lo trobar e·l cantar » [Ma il legato del papa gli fece giurare che non componesse più canzoni. E a causa sua egli smise di comporre e di cantare]. BOUTIÈRE-SCHUTZ 1964, p. 204, oltre ad accettare l’identificazione fatta da

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

124.10 e BdT 124.11) nei quali si rileva l’uso di un senhal probabilmente reciproco, Fols Conselhs27. 1.7. Abbiamo visto come la carriera non solo artistica di Daude de Pradas si sviluppò in principio – forse com’era naturale che fosse – intorno alla corte di Rodez e ai legami che questa aveva con l’episcopato ruteno. Ma meglio tracciabili, se non più intensi, sembrano essere stati i rapporti con altri mecenati: una delle sue liriche (BdT 124.1, vv. 45-48) contiene l’elogio di due non meglio noti membri della famiglia Anduze-Roquefeuil, dei quali ci dice che erano fratelli. Sull’identità di questi personaggi già Schutz fece un’ipotesi oggi comunemente accettata. Per lui questi personaggi sarebbero Raymon II (ca. 1180 – 1227) e suo fratello minore Arnaut I (ca. 1185 – 1241). Importanti membri dell’aristocrazia rouergate, essi avevano legami familiari saldi coi signori di Montpellier. Questo poteva essere un fattore importante nella cooptazione di Daude all’interno nel corpo docente dell’Universitas Studiorum di Montpellier, argomento di cui si parlerà sotto28. Inoltre, un ramo degli Anduze-Roquefeuil signoreggiava su Salva (Sauve), una località del Gard, ed è a qualcuno dei membri di quel ramo che probabilmente viene indirizzato sia BdT 124.1 sia il planh (BdT 124.4) in memoria di Uc Brunenc, del quale si è parlato prima in questo stesso capitolo. Questo se si accetta – per il planh – la mia scelta della lezione Salva (v. 41, trasmessa dal ms. D; l’altro testimone della poesia, A, porta Salas, località non ricollegabile, per quanto ne sappiamo, agli Anduze-Roquefeuil). Si tratta di un’interpretazione diversa da quella vulgata29 e che riconosce la plausibilità e la pertinenza del toponimo Salve, legato – questo sì – alla storia della potente famiglia nobiliare. Il personaggio cui probabilmente sono indirizzati i due testi è Bernard VII d’Anduze, cugino di Raymon II e Arnaut I per parte di padre, che su Sauve signoreggiò dal 118130 al 1200, quando ne cedette la signoria al figlio Peire Bermon VII31. Bernard VII è più plausibile come destinatario dei testi di Daude, in quanto ben noto come mecenate o almeno amico di trovatori (basti vedere l’indice dei nomi dell’edizione Boutière-Schutz delle vidas trovadoriche, dove il

Audiau di questo legato papale con il celebre Peire de Castelnau, la cui uccisione nel 1208 costituì il casus belli per la crociata anticatara, osservano che comunque fu il concilio di Montpellier del 1214 a vietare ai chierici di frequentare «curias vel hospicia vel colloquia mulierum, quod dominare vulgariter appellatur» [le corti o le abitazioni o le occasioni di incontro con le donne, quanto cioè viene detto in volgare dompnejar = ‘servizio galante’]. Proprio perché la proibizione venne emanata ufficialmente, e per tutti i chierici, da un sinodo vescovile solo nel 1214, io ritengo che quella sia la data in cui a Gui d’Ussel venne ingiunto di non poetare più, e che il legato che impose tale divieto (a lui personalmente come agli altri chierici trovatori quali lo stesso Daude) fu Arnaut Amaury, l’uomo che guidò spiritualmente la crociata scatenata dall’assassinio di Peire de Castelnau. 27 Vedi oltre, il capitolo 2, dedicato ai senhals impiegati dal nostro poeta. 28 Fino all’ottobre 1200 almeno i due fratelli non ebbero probabilmente parte nel governo dei domini paterni. Dopo l’ottobre 1200 il padre, Raymon I, scompare dai documenti ufficiali, vedi, con l’indicazione delle pezze d’appoggio relative, http://fmg.ac/Projects/MedLands/TOULOUSE%20NOBILITY.htm#RaymondAnduzedied1200 29 Anche GRESTI 2001, il più recente editore di questo testo, p. 127, accoglie la lezione Salas del solo ms. A (cui si oppone quella di D, Salva, a mio parere quella originale). 30 Cfr. MALBOS 1977-1979, p. 213. 31 Les premiers sires d’Anduze in http://thierryhelene.bianco.free.fr/drupal/?q=node/36

Introduzione

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suo nome compare a questo proposito nelle biografie di Uc Brunenc, Pons de Chapteuil e Guilhem de Balaun). Il figlio Peire Bermond VII (forse padre della poetessa Clara d’Anduze) è invece ricordato per essere stato incluso dai giullari Faure e Falconnet nella tenzone da loro dedicata ai più vigliacchi (croy) tra i baroni di Provenza. Questo probabilmente a causa del fatto che egli, genero di Raimondo VI di Tolosa, all’inizio della crociata antialbigese si schierò (come Raymon II de Roquefeuil) al fianco del conte tolosano, ma nel 1211, facendo atto di sottomissione a Simon de Monfort, cambiò campo. E non solo. Nel 1212 richiese a papa Innocenzo di entrare in possesso dei beni dello stesso Raimondo VI, facendo certamente – agli occhi dei partigiani di quest’ultimo – la figura dell’impudente profittatore, oltre che del traditore. Del biasimo che lo colpì in ragione di un tale modo di agire evidentemente non gli importava nulla, perché nel 1215 si recò a Roma per ribadire la richiesta, proprio mentre suo cugino Raymon de Roquefeuil si stava impegnando (con altri signori occitani, conte di Tolosa compreso) per ottenere la restituzione dei domini paterni all’erede del visconte Trencavel, morto prigioniero di Simon de Monfort32. Se destinati a Bernard VII, come suppongo, i due testi inviati a Salva devono essere stati composti dopo il 1181 e non oltre il 1200, anno in cui egli trasmise al figlio Peire Bermond il potere su quella signoria33. Non si oppone a questa ipotesi – anzi, credo la confermi – quanto il poeta dice nella tornada di BdT 124.6 (vv. 49-52): Lai on son tug joi ajostat (-2) t’en vai, chanso, ves Anduza, de cors, e si·t vols far en bona cort grazir crida soven: «Caslutz e Rocafuelh!»34

Caslutz (Caylus) era un feudo avito della famiglia Roquefeuil, dipendente dal viscontado di Creyssel (alcuni Roquefeuil, come un Bernard che nel 1172 fece erigere in priorato la chiesa di Nôtre-Dame de l’Espinasse, portavano spesso negli atti pubblici solo il cognome di Creyssel)35. Dei due fratelli Raymon II e Arnaut I, colui che alla morte del padre ereditò sia Roquefeuil sia Creyssel fu Raymon. Questo farebbe pensare che fosse proprio Raymon il personaggio in nome del quale la poesia di Daude venne inviata ad Anduze, dove dal 1181 al 1223 governò, senza interruzione, Bernard VII, a noi già noto36. E probabilmente non il solo Daude de Pradas godette del mecenatismo di almeno uno dei rami della famiglia RoquefeuilAnduze: un signore di Anduze accolse Uc Brunenc (come mostra la canzone BdT 450.7) e forse Gaucelm Faidit (a sua volta in contatto con Dalfin d’Alvernhe e Elias d’Ussel, il poeta delle bonas tensos)37, così come Guilhem de Balaun, Pons de Chapteuil e infine Uc de Saint

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Les premiers sires d’Anduze, cit. MALBOS 1977-1978-1979, p. 218. 34 «Là dove tutte le gioie sono riunite vattene, canzone, verso Anduza, di corsa; e se vuoi farti gradire in buona corte grida spesso: “Caylus e Roquefeuil!”». 35 Cfr. BARRAU 1853-1860, pp. 276-278 e 674-676. «Les seigneurs de Roquefeuil avaient l’habitude de ne prendre que le nom de Creixel soit Creyssel pour se qualifier dans les textes. Ils omettaient ainsi de mentionner leur véritable identité à savoir de Roquefeuil» (GUILHOT 1995-1996 p. 20). 36 Vd. MALBOS 1977-1979, p. 218. 37 Vedremo, nel capitolo dedicato ai senhals usati dal trovatore rouergate, come forse tra alcuni 33

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Circ38. «È quasi certo […] che il futuro protetto di Alberico da Romano [Uc de Saint Circ], mentre era ospite degli Anduze, abbia raccolto una parte del materiale che in seguito avrebbe utilizzato per assemblare le vidas [tra le quali anche quella di Daude, col suo poco amichevole giudizio?]»39. Si delinea in ogni caso il quadro di un ambiente culturale tutt’altro che ristretto, periferico e cronologicamente tardo, sulla cui intuibile organicità di rapporti interpersonali e artistici e sul cui peso nell’ambito della cultura trovadorica del tempo varrebbe forse la pena di estendere in futuro le indagini. 1.8. Daude de Pradas fu canonico di Rodez, ma anche – stando a ciò che dice la vida – di Magalona. Commentando un documento del 1225 in cui figura come estensore un Deodatus canonicus Magalonis, Gerardo Larghi nega, anche contro l’autorità di Paul Meyer, che questo personaggio sia il nostro poeta40. Per lo studioso, infatti, l’asserzione della vida riguardo al canonicato magalonense di Daude dipenderebbe «da una lieve confusione del biografo il quale, informato del fatto che il trovatore era stato canonicus e che il lirico aveva anche assunto un ruolo nella accademia di Montpellier, combinò così le due circostanze»41. Tuttavia lo stesso Larghi ammette che gli ecclesiastici dell’epoca potevano accumulare le prebende, soprattutto se spalleggiati da famiglie potenti. Poteva essere questo il caso di Daude, il quale avrebbe certo trovato sostegno nella famiglia Anduze, la cui influenza si estendeva alla diocesi montepessulana42. O forse tra i patrocinatori di Daude de Pradas sarebbe potuta esserci una famiglia ancora più potente, quella dei signori di Provenza. Ritengo dunque che, per quanto sensata, l’ipotesi di Larghi riguardo una possibile confusione tra la dignità di canonico a Magalona e la carica di magister a Montpellier, vada considerata ancora sub judice. È vero infatti che l’antico biografo non fa mostra di sapere che Daude fu canonico di Rodez (e quindi sembra rivelarsi tutto sommato meno informato sulle dignità ecclesiastiche ricoperte dal Nostro di quanto lo

testi di Gaucelm Faidit e uno di Daude possa esserci stato un legame (rappresentato dalla ripresa da parte di Daude di un tipico senhal del collega limosino, cioè Bel Desir). 38 Che si sarebbe fatto devoto entendedor di Clara d’Anduze, cfr. GUIDA 1990, pp. 169-194. 39 LARGHI 2011, p. 34. 40 Un elemento importante, se non definitivo, per respingere l’identificazione è per Larghi l’assenza del patronimico: Deodatus canonicus Magalonis invece di Deodatus de Pratis [o de Pradas] canonicus Magalonis. Meyer si pronunciò sulla questione nella recensione al lavoro di GERMAIN 1869, in «Revue des sociétés savantes de la France et de l’étranger», 5 (1873), pp. 410-418, a p. 414. 41 LARGHI 2011, pp. 47-8. 42 Vedi a questo proposito quanto si sa di Bermond d’Anduze-Roquefeuil, fratello cadetto di Raymon I e Bernard VI, che sembra aver iniziato la sua carriera ecclesiastica proprio come canonico a Magalona e che presumibilmente conservò una notevole influenza in quel capitolo anche dopo essere diventato vescovo di Sisteron. Raymon de Roquefeuil, padre di uno dei protettori di Daude, aveva inoltre sposato Guillemette, sorella di Guillaume VIII signore di Montpellier, il che accrebbe il prestigio e il potere della famiglia in quella signoria, oltre a imparentarla in qualche modo con la casa regnante di Aragona (Maria, figlia di Guillaume VIII, sposò nel 1204, Pietro II di Aragona), cfr. http://thierryhelene.bianco.free.fr/drupal/?q=node/36. E informa GUILHOT 1995-1996, p. 28: «Il [Raymon II] fut substitué, de même que son frère Arnaut, à la seigneurie de Montpellier par le testament de Guillaume VIII, son oncle, le 4 novembre 1202. De la même manière, il figure dans les testaments de Marie, reine d’Aragon, sa cousine, en 1209 et 1211».

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sia invece su altri particolari della sua vita). Ma occorre dire che in tutte le altre affermazioni (giudizio sulla circolazione delle liriche di Daude a parte) egli appare degno di fede. Pertanto un’informazione come quella dell’appartenenza del poeta al capitolo della cattedrale di Magalona non può – credo – essere scartata a cuor leggero, sebbene al momento manchi di una conferma incontrovertibile43. 1.9. Quale che sia la verità rispetto alla presunta appartenenza di Daude al capitolo di Magalona, ciò che appare certo è il fatto che il nostro poeta ebbe un titolo magistrale, del quale si trova traccia nei documenti a partire dal 121944. I capitoli delle cattedrali occitane dei secoli XII-XIII erano vere fucine di sapere giuridico, tanto che nel secolo XII, su circa settanta esperti di diritto (romano) che svolsero la loro attività nel meridione circa la metà era composta di ecclesiastici45. «Allo stato attuale della documentazione non siamo in grado di sapere se il poeta e tonsurato abbia conseguito una licentia docendi presso qualche centro universitario, ovvero se Daude abbia frequentato la schola episcopale rouergate»46. Tuttavia è sicuro che Daude acquisì superiori competenze di natura retorica e teologica, le quali gli furono senz’altro utili per intraprendere il volgarizzamento (in versi) della Formula Vitae Honestae attribuita a Martino di Braga. Si trattava un testo largamente usato nelle scuole canonicali e universitarie e consacrato a un tema allora al centro delle speculazioni intellettuali, quello delle quattro virtù cardinali. L’opera è dedicata al vescovo di Puy-en-Velay, Esteve III de Chalençon, che sedette sulla cattedra podiense dal 1220 al 1231, e, per certe ragioni che spiegherò oltre, ritengo sia stata composta dopo il Roman dels auzels cassadors. Larghi sostiene che, seppure non disponiamo di documenti nei quali compaiano abbinati i nomi di Daude e di Esteve de Chalençon, sono invece bene attestati i rapporti tra le diocesi rouergate e podiense e che in tale cornice vada inquadrato l’incontro del vescovo col trovatore. In qualche modo Daude, con il suo titolo magistrale, appare comunque legato alla comunità magalonense: nel 1242 il suo nome si ritrova tra quelli dei magistri che sottoscrissero l’approvazione degli Statuti della Facoltà delle Arti di Montpellier da parte di Jean de Montlaur, vescovo di Magalona. Ora, noi sappiamo che la fondazione della Facoltà delle Arti rispondeva a un piano del vescovo per opporsi alla sempre maggiore autonomia dei corsi di Medicina e Giurisprudenza per i quali già allora andava famosa Montpellier. Questi erano ritenuti dal vescovo troppo legati ai poteri ‘laici’ cittadini47.

43 Che nel documento magalonense del 1225 (per cui cfr. GERMAIN 1869, p. 286) manchi il patronimico dopo il nome Deodatus può ma può anche non essere un discrimine, perché lo stesso Larghi (p. 46), con buoni argomenti, identifica il nostro Daude con il magister Deodatus Franciae, canonicus, uno dei personaggi che nel 1232, a Rodez redassero un documento di intesa tra il trovatore Daude de Caylus, signore di Séverac, suo figlio Gui e l’Ospedale di Albrac. Lo studioso spiega, a mio avviso in modo convincente, che Franciae in questo caso indica non la provenienza geografica ma il fatto che il personaggio era ormai considerato fervente partigiano dell’intervento francese anticataro in Occitania. 44 LARGHI 2011, p. 41. Addirittura, se si dovesse leggere (con Lyon) D[eodato] quel che Devic e Vaissète, Bonal e Bosc leggono P[etro] de Pradis magistro, la dignità magistrale del Nostro potrebbe risalire al 1214 almeno, vedi qui nota 54. 45 LARGHI 2011, pp. 34-5. 46 LARGHI 2011, p. 42. 47 Che Daude avesse uno spiccato gusto per la terminologia giuridico-feudale penso possa dimostrarlo il capitolo 3 di questa introduzione.

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1.10. «Concorre a confermare il soggiorno di Daude sulle rive del Mediterraneo anche il Roman dels auzels cassadors, la cui stesura potrebbe essere dipesa tanto da un interesse personale del trovatore quanto da un suo impegno magistrale […] Ulteriori indizi circa i legami stabiliti dal poeta rouergate con la regione linguadociana si rinvengono poi nella tradizione manoscritta di entrambi i trattati attribuiti alla penna di Deodatus. Il Roman dels auzels cassadors è tramandato infatti da tre testimoni: il codice lirico trobadorico b2, il ms. Paris BN n. a. f. 4506, ed infine il pergamenaceo conservato nella biblioteca del capitolo cattedrale di Vic […] il manoscritto conservato a Vic […] fu prodotto in Catalogna nel XIV secolo […] Abitualmente la critica ha associato alla regione barcellonese anche la sezione V3 del manufatto depositato alla Marciana, ove è trascritta l’altra opera di Daude, il Roman de vertus, ma tale convinzione è oggi oggetto di ripensamenti e revisioni»48. Un ulteriore indizio riguardo alla possibile circolazione catalana (o almeno nel Rossiglione, più vicino alla Linguadoca) sembrerebbe allora trovarsi nella strana forma che il patronimico del poeta assume nelle rubriche attributive di alcuni manoscritti che trasmettono le sue liriche: Daude de Prades49. La desinenza in -es parrebbe infatti a prima vista un tratto catalano. Ma i mss. che lo riportano non risultano congiunti da altri elementi i quali possano contribuire ad accreditare l’ipotesi che una parte almeno della tradizione sia discesa da una Daude de Pradas’-sammlung “catalana”. D’altronde, sembra che già in epoca medievale la forma Prades (con la e atona pronunciata localmente così stretta da confondersi con i) del toponimo fosse quella autoctona50. 1.11. Eppure, qualche sia pur quasi impercettibile traccia di rapporti con la Catalogna sembra spuntare da un’altra direzione. Mi è necessario affrontare l’argomento partendo da lontano. Dunque: secondo me è più che probabile un soggiorno di Daude de Pradas in “Puglia”. A questa ipotesi mi induce un passo finora trascurato dai ricercatori che si trova nel Roman de vertus: Cil devant a nom providenza, O savieza, o prudença. Savieza noms vulgars es Mais l’autre dui non o son ges E nostra lenga enaissi; Car trop retrazon al lati. Mais en Poilla et en Toscana Son vulgar e parola plana51.

Pare difficile negare che in questo caso Daude stia esponendo nozioni linguistiche apprese, per cosi dire, sul campo. Tanto più che nella poesia BdT 124.9 – finora ritenuta di dubbia

48 LARGHI 2011, pp. 50-51. Larghi (p. 54) ricorda opportunamente che il Roman dels auzels cassadors è l’esempio più antico, tra quelli occitani, di volgarizzamento del sapere tecnico. 49 I mss. che portano tale rubrica sono H, K (ma non I), M, N e il frammento Si. 50 Vd. CONSTANS 1880, p. 140. 51 Cit. da RICKETTS 2002, vv. 205-212. [«Quella prima ha nome provvidenza,/ o saggezza, o prudenza. / ‘Saggezza’ è una parola comune / ma le altre due non lo sono affatto/ nella nostra lingua, / perché rimandano troppo al latino. / Ma in Puglia e in Toscana / sono parola popolare e comune»].

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attribuzione, ma che spero di aver potuto assegnare in via definitiva, anche in base agli elementi qui discussi, al nostro poeta – si parla di un viaggio in Puglia (peraltro deludente per Daude, a sentir lui: vedi in questa edizione il v. 41). Ma cosa si intendeva per Puglia, tra il XII e il XIII secolo? Si intendeva sicuramente la parte continentale del regno di Sicilia in senso lato, ma presso gli stranieri anche, probabilmente, l’intero regno, parte insulare compresa52. Ciò detto, cosa poteva essere andato a fare Daude de Pradas in “Puglia”, e quando? Si potrebbe pensare che Daude de Pradas, la cui vita ci è documentata fino al 1242 e che fu autore del Roman dels auzels cassadors (opera di incerta datazione), sia andato nel meridione d’Italia per unirsi a quel celebre “centro di ricerche” sui rapaci raccolto intorno a sé da Federico II di Svevia circa negli anni Venti del secolo XIII. Tuttavia, essendo egli cooptato, già intorno alla fine degli anni Dieci di quel secolo, in una prestigiosa posizione nella gerarchia della Chiesa della sua terra natale, è probabile che si debba escludere l’ipotesi di un Daude recatosi alla corte del «terzo vento di Soave» per cercarvi fortuna. Potrebbe esservisi invece recato, per esempio (e forse neppure del tutto di suo buon grado, date le recriminazioni espresse in BdT 124.9) per una missione diplomatica, della quale tuttavia confesso di non aver trovato traccia nei documenti finora da me consultati. Ma insistendo su questa idea, si potrebbe inferire che tale missione – se mai ci fu – si sia svolta tra la fine del 1226 e la partenza di Federico II per la crociata, nel 1227. Nel novembre del 1226 infatti, Federico II, che era signore supremo di una parte non piccola dell’Occitania, protestò fermamente con papa Onorio III per ottenere la restituzione di quei feudi del conte di Tolosa (in particolare Narbona) che dipendevano dall’Impero. Questi, dopo essere stati sequestrati nel corso della crociata antialbigese al conte di Tolosa stesso, erano stati affidati in custodia ai vescovi del Midi53. Costoro potrebbero dunque aver inviato all’imperatore, in Italia, una ambasceria della quale faceva parte il Nostro, scelto proprio in quanto esperto di quell’arte cinegetica tanto cara al sovrano svevo, oltre che di diritto. La comunione di interessi tra i due uomini avrebbe allora contribuito, nelle intenzioni dei superiori di Daude, a rendere più disteso un clima di negoziati che si poteva supporre difficile. Tuttavia questa mia ipotesi è estremamente onerosa da sostenere: non solo si basa in grandissima parte su congetture prive di pezze d’appoggio, ma, se sono valide le mie supposizioni riguardo al fatto che il nostro trovatore abbia composto la maggior parte (se non tutte, vedi nota 54) delle sue poesie profane tra gli anni Ottanta del XII secolo e il 1214 circa, con queste supposizioni si urterebbe la necessità di datare comunque il testo BdT 124.9 a dopo il ritorno dal viaggio in Puglia, cioè intorno al 122754. Senza contare il fatto che dal 1214 in poi il clima po-

52 Vd. DE STEFANO [1951], per quanto riguarda l’equivalenza Puglia = intera Italia meridionale continentale. Per quello che “Puglia” poteva invece significare in ambito occitano si vedano Peire de Castelnou, BdT 336.1, v. 33, in cui si parla del rei Poile, e Pons de Capduoill, BdT 375.8 v. 35: e·l reis de Poill’e l’emperaire, se non anche Peire de la Caravana, BdT 334.1 v. 21: De Puilla·us sovegna, in cui sembra che si parli di un “regno di Puglia”. 53 Cfr. HUILLARD-BREHOLLES 1852-1861, vol. II, 2, (1859), pp. 693-694. 54 Daude smise probabilmente di comporre poesia profana intorno al 1214, anno in cui si ipotizza che egli (cfr. LARGHI 2011, p. 39) sia assurto alla dignità di canonico e sia divenuto soggetto alla disposizione emessa dal contemporaneo concilio di Montpellier contro l’usanza dei chierici di comporre un tale genere di lirica. Secondo Ernest Lyon (LYON 1928), nel luglio del 1214 egli parrebbe comparire nella convenzione tra il vescovo di Rodez e Simone di Montfort all’assedio di Casseneuil, durante la

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litico-religioso, lungi dal rasserenarsi era diventato sempre più contrario a simili iniziative da parte di un ministro della Chiesa. E allora? Quale evento poteva aver portato Daude nell’Italia meridionale tra il 1208 ca. (composizione del planh per Uc Brunenc, la più tarda, al momento, tra le poesie databili del Nostro) e il 1214 (data in cui egli è indicato tra i canonici di Rodez, e in cui, come l’amico e confratello Gui d’Ussel, aveva dovuto probabilmente dire addio alla poesia profana)? 1.12. L’unico grande avvenimento storico che collega la Provenza e la “Puglia” di Federico II in tale periodo è il matrimonio, nel 1209, dello Svevo con Costanza, sorella di re Pietro II d’Aragona e supremo signore della contea provenzale. Federico II fin da ragazzo si era appassionato alla caccia col falco, ma non aveva ancora completamente maturato l’idea né aveva, soprattutto, i mezzi per organizzare quella “accademia scientifica” che fu tra i suoi progetti intellettuali più riusciti55. Nel 1209 egli aveva invece un disperato bisogno di alleati potenti e di forze militari, minacciato com’era dall’allora regnante imperatore Ottone IV. Costanza, oltre alla sua esperienza e intelligenza (era di dieci anni maggiore del suo sposo, e già vedova di un re) gli portò gli uni e le altre: insieme con lei vennero il fratello Alfonso II conte di Provenza e cinquecento cavalieri aragonesi e provenzali. La maggior parte di costoro, e anche Alfonso, morirono nello stesso anno per una epidemia e i superstiti tornarono tristemente in patria. Non ci sarebbe però da stupirsi troppo se, potendo riandare a quell’epoca, al momento della partenza via mare da Barcellona, avessimo visto in loro compagnia un Daude de Pradas ancora abbastanza giovane e per il quale l’arte poetica non era ancora diventata inconciliabile con il suo status di ecclesiastico. Alfonso II di Provenza (1196-1209), figlio di Alfonso II d’Aragona e I di Provenza, non ebbe né il tempo né l’opportunità per diventare un grande mecenate di trovatori nella sua contea come era stato suo padre (il quale aveva accolto presso di sé molti poeti importanti noti a Daude se non di persona almeno per le loro opere: Peire Vidal, Uc Brunenc, Gui d’Ussel…). Il periodo della sua signoria fu speso in continue lotte contro Guglielmo IV di Forcalquier e i Sabran, parenti di quella Garsenda che dopo tante belliche peripezie divenne sua moglie. In questo periodo e fino al 1220 (anno in cui divenne maggiorenne il figlio di Alfonso, Raimondo Berengario V) la corte di Provenza conobbe una crisi profonda56. Tuttavia si può ricordare che qualche trovatore, come Gaucelm Faidit,

guerra contro gli albigesi. Infatti uno dei testimoni si chiama Deodatus de Pradas. Egli non ha titolo e viene come penultimo seguito solamente dal chierico del vescovo, André. Il 7 novembre dello stesso anno (vedi DEVIC- VAISSETE, vol. 8, col. 657 e BONAL 1885. p. 170) comparirebbe nell’omaggio reso a Simone di Montfort dal conte di Rodez: Daude è il quarto, qualificato come canonico di Rodez. E il 16 novembre, comparirebbe nell’omaggio del vescovo di Rodez a Simone di Montfort per alcuni castelli: «Actum in obsidione Severiaci, ad concilium et ammonitionem Thedisii, canonici Januensis, in presentia Clarini, cancellarii Ruthenensis». In realtà però, tanto nell’opera di Devic e Vaissète secondo l’ed. du Mège (vol. 5, 1842, p. 592)quanto nell’edizione ottocentesca a stampa dell’opera di Bonal il documento del 7 novembre risulta firmato da un P[etro] de Pradis magistro. E lo stesso documento è riportato anche in BOSC 18792, pp. 427-428, che legge anch’esso P[etro]. Resta da capire chi ha letto male l’iniziale puntata del nome, se gli antichi eruditi o Lyon. 55 Lo stesso Federico II racconta però di aver progettato il suo libro per circa trent’anni. 56 Vedi, per un panorama delle attività letterarie presso la corte di Provenza al tempo della dinastia catalano-aragonese, VATTERONI 2001, pp. 359- 373.

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gravitava intorno alla corte retta dal giovane Alfonso II. Se fra di loro c’era anche Daude de Pradas, costui avrebbe potuto anche seguirlo nell’avventura siciliana, come membro del corteggio – certo non composto solo da armigeri – che accompagnava sua sorella Costanza. Da questa potrebbe poi aver preso congedo forse non molto prima di aver trovato una conveniente sistemazione all’interno del capitolo di Rodez. E allora BdT 124.9, quella canzone nella quale esprime la sua delusione riguardo al viaggio in Puglia, potrebbe anche essere stata l’ultima poesia profana da lui composta. Nel 1214, come ho più volte ricordato, il concilio di Montpellier fece divieto ai chierici di comporre poesia profana e di corteggiare le dame, e da allora in poi l’atteggiamento di Daude nei confronti degli avvenimenti politico-religiosi della sua terra fu tale da dimostrare che egli prendeva ormai la sua nuova dignità molto sul serio. Ritornando al tempo in cui forse frequentò un giovanissimo Federico II, può darsi che egli abbia fatto conoscere al giovane sovrano il suo Roman dels auzels cassadors. Proprio con quest’opera il De arte venandi cum avibus, scritto molti anni dopo dallo Svevo, sembrerebbe aver contratto qualche debito (peraltro non confessato) nella descrizione anatomica dei rapaci. E così pure qualche occasione di polemica, come quella contro i metodi di richiamo dei falchi usati in «Yspania et regionibus eius vicinis occidentalibus» (III, 12). Ma per questo rimando al cappello premesso al testo BdT 124.957. Ricercando qualche documento che testimoniasse di una presenza di Daude alla corte di Alfonso II non ho trovato quelle conferme che speravo. Solo in un arbitrato del novembre 1202, fatto per porre fine a un conflitto tra Guglielmo IV conte di Forcalquier e i suoi vassalli, tra i testimoni (quasi tutti grandi signori, in primis lo stesso Alfonso, e alti e medi funzionari) si trova, in sessantunesima posizione, un Diode sacerdos58. Mancando il patrionimico non possiamo essere certi che costui fosse il nostro Daude. Ma è opportuno ricordare che in Provenza il nome Daude (o Diode) all’epoca doveva essere piuttosto raro, perché nell’index nominum della raccolta di Benoit questa è la sola occorrenza, a parte un Guillelmus Diaude che nel 1243 era consigliere a Marsiglia (e peraltro, in questo caso sembrerebbe trattarsi non di un nome di persona ma di un cognome)59. L’esame dei senhals usati dal nostro poeta60, lo studio della genealogia della famiglia Anduze-Roquefeuil, nonché dei rapporti certi che ebbe con trovatori come Uc Brunenc e Gui d’Ussel inducono a supporre che il grosso della sua produzione lirica amorosa sia stata composta tra gli anni Ottanta del secolo XII e il primo decennio circa del XIII. Resterebbe allora – e stranamente – fuori da questo ambito temporale solo la poesia  BdT 124.9, quella in cui si parla del viaggio in Puglia, se presumiamo che essa sia stata composta intorno all’epoca in cui il poeta dedicò il romanzo sulle quattro virtù cardinali al vescovo del Puy (ca. 1228). Ma non c’è una ragione plausibile che possa aver indotto Daude a recarsi presso Federico II tra il 1214 e il 1227 (quello che fu

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Si può supporre che le notizie sui metodi di richiamo degli Yspani Federico le abbia apprese per la prima volta da qualcuno del seguito della moglie catalana (dunque Yspana), e poiché proprio Daude de Pradas raccomanda il tipo di richiamo (con prede vive) che lo Svevo condanna, si può ipotizzare che il Nostro sia stato la fonte diretta di quest’ultimo. 58 BENOIT 1926, vol. I, doc. 18, pp. 17-20. 59 BENOIT 1926, vol. I, doc. 363 pp. 445-446. 60 Usati tuttavia anche da altri trovatori tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, i cui testi appaiono in parte legati tra loro, come dimostra Asperti nell’edizione di Raimon Jordan (ASPERTI 1990). Su tutto ciò si veda il capitolo 2. di questa introduzione, dedicato ai senhals.

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l’anno di partenza per la crociata dell’imperatore e della sua scomunica). Anche se in teoria Daude poteva essere attratto da un mecenate della cinegetica e delle scienze naturali qual era lo Svevo, non credo che dopo il 1214 egli volesse lasciare la sicurezza della sua posizione di canonico di Rodez (e forse, dal 1225 almeno, di Magalona), nonché di magister, per cercare una molto meno certa sistemazione in Puglia presso un personaggio che non sempre veniva considerato costante nei suoi favori. Inoltre, ci sarebbe uno iato troppo grande tra il nucleo databile della produzione di Daude (circoscrivibile tra gli anni Ottanta del XII secolo e i primi anni del secolo XIII) e un testo come BdT 124.9 di cui si ipotizzi la composizione intorno al 1228. Daude, divenuto canonico di Rodez intorno al 1214 e ormai attivo fautore della Crociata antialbigese, probabilmente smise in quell’anno di comporre poesia profana (forse un addio alla lirica lo dà con Qui finamen sap consirar, BdT 124.15, canzone mariana nella quale esorta a cantare solo di Dio e della Vergine e a abbandonare tutti i canti profani, che inevitabilmente «volgono in pianto», come dice il v. 70: «Tug autre chant tornon a plor»). Daude, ormai apertamente fautore dell’offensiva cattolica, certo non poteva e chissà, forse neppure voleva contravvenire alla disposizione in materia del contemporaneo concilio di Montpellier. 1.13. Questa che sono venuto esponendo è un’ipotesi sorretta da ben pochi elementi di prova. Credo comunque che proporla non sia un male, se non altro perché potrebbe servire da spunto a eventuali ricerche più fortunate delle mie. Mi si può certamente obiettare che il Diode citato nel documento del 1202 è forse un omonimo (manca anche della specificazione de Pradis), e che potrebbe essere un nativo della contea di Provenza. A questa obiezione l’unico argomento che posso contrapporre è che, anche se ciò è possibile in teoria, mi sembra non molto probabile: Daude (o qualsiasi altra sua forma) era un nome molto raro nella Provenza del tempo. Era invece diffusissimo nel Rouergue, probabilmente perché sostenuto dal ricordo di ben tre vescovi ruteni di venerata memoria (c’è inoltre quel sacerdos che può far pensare a un Daude nel 1202 non ancora canonico ma già sacerdote oltre che apprezzato e fecondo poeta)61. Da un rapido spoglio, Daude (o altra forma) risulta essere più diffuso nel Rouergue che in qualsiasi altra zona del Midi di allora62. Detto questo la mia ipotesi può certamente lasciare il tempo che trova. Comunque, ammettendo che Daude, all’epoca del matrimonio di Costanza con Federico II, fosse al seguito della principessa aragonese, perché parla della “Puglia”? Nel 1209 lo Svevo controllava a stento solo la Sicilia. E fu infatti in Sicilia che il corteo nuziale sbarcò e soggiornò. Ma si è già detto che a quel tempo, fuori d’Italia soprattutto, spesso si indicava con ‘Puglia’ l’intero regno del Sud, e lo stesso Federico II, prima di cingere la corona imperiale, era chiamato (non senza una punta di derisione) puer Apuliae. Se mai Daude si recò presso di lui nel 1209, tornò a casa a un certo momento, e deluso, come lascia capire il tono di BdT 124.9. Forse il trovatore al ritorno viaggiò per via di terra, perché accenna

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Il quale – pur non rompendo con la famiglia dei suoi precedenti protettori ma anzi contando sulla sua raccomandazione – avrebbe potuto cercare una sistemazione presso la corte comitale di Provenza. 62 Basta scorrere i cartolari rouergati dati alle stampe per trovarne attestazioni in abbondanza un po’ in tutte le epoche.

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anche alla lingua della Toscana. Per quanto riguarda i contatti tra la casa di Barcellona (il suo ramo iberico così come quello provenzale) e i primi e meglio conosciuti protettori di Daude, gli Anduze-Roquefeuil, erano quantomeno cordiali nei primissimi anni del secolo XIII: tra l’altro, il 17 giugno 1204 B[ernardus] de Anduza è testimone onoratissimo della solenne promessa che Pietro II d’Aragona fa di proteggere, guarda caso, proprio il vescovo di quella Magalona della cui cattedrale Daude divenne forse in seguito canonico63.

2. I senhals e la loro utilità per un’ipotesi cronologica 2.1. Otto sono forse i senhals usati da Daude de Pradas nelle sue liriche giunte fino a noi. Dico ‘forse’ perché non tutti sono sicuramente senhals, anzi, alcuni quasi con certezza non lo sono affatto, in quanto coincidono con espressioni tipiche del linguaggio amoroso trovadorico. Inoltre, anche quando una particolare espressione pare chiaramente usata come senhal in certi testi del nostro poeta, in altri non sembra avere tale funzione (vedi ad esempio, qui di seguito, la rubrica Bel Desir, usata in BdT 124.8 v. 1). Comunque sia, molti dei senhals impiegati da Daude de Pradas non sono suo esclusivo patrimonio, anzi, spesso sono l’invenzione di altri trovatori a lui più o meno vicini nel tempo e nel mestiere del poetare. Daude ne fa tuttavia un deliberato riuso, e questo sembrerebbe, insieme con altri elementi richiamati nei paragrafi che a questo seguono, tessere una suggestiva trama di rimandi, e disegnare il quadro di veri e propri circoli trovadorici ancora oggi mal conosciuti ma certamente di rilievo all’epoca. E se si vorrà ammettere – almeno in via ipotetica – che Daude, con alcuni dei suoi senhals, ha alluso agli stessi personaggi sottintesi con uguale formula da altri suoi confratelli, si dovrà ammettere anche che i testi in cui essi compaiono sono stati composti in un’epoca fino ad oggi impensabilmente alta, cioè tra la fine del XII secolo e i primissimi anni del XIII. 2.2. Amics a) (BdT 124.9a v. 47) tornada A mun Amic ves cui s’atrai Preç e Valor e tot can fai, cansons, ten ton primer viaje!

b) (BdT 124.13 v. 45) tornada 2 Amics, Nostre Senher vos guit, car en vos son bon aips complit, e vos mantenetç veramen Preç e Valor, Joi e Joven.

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E nel 1242 (vedi paragrafo seguente) Daude fu tra i fondatori della Facoltà delle arti della vicina Montpellier, città che fin dal 1204 era entrata a far parte dei domini della casa reale d’Aragona. Si riveda inoltre, qui, la nota 44.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

c) (BdT 124.17 v. 41) tornada A mon Amic que fai miells tot qant deja de nuill baron qez hom auja ni veja t’en vai, chanssos, e sias li membrans que maintas vetz val mais us jorns c’us ans.

Questo senhal fu inventato da Cercamon (vd. BdT 112.1, v. 50) ma Daude probabilmente si rivolge con esso al personaggio cui allude anche Peire Vidal (vedi BdT 364.9 vv. 1, 13, 22, e 364.2 v. 90; 46 v. 8). Secondo l’ipotesi accolta in AVALLE 1960, si tratterebbe di un senhal che indicava Eudossia Comnena di Montpellier, la quale fu ripudiata e allontanata dal marito Guglielmo VIII nel 1184 (1187, più probabilmente, secondo DEVIC-VAISSÈTE, vol. 5, p. 4)64. L’ipotesi trova il suo fondamento in una composizione (BdT 364.2) in cui il poeta, parlando di Drogoman (senhal per Guglielmo VIII)65 lo rimprovera per aver allontanato da sé «Amic: e·N Drogomans no m’au ni·m ve, / quar mon car Amic part de se». Il fatto che in BdT 124.17 Daude definisca il personaggio «colui che agisce meglio […] di qualsiasi altro signore di cui si senta parlare o che si veda» potrebbe far pensare che Amic si riferisca a un uomo, se non fosse che spesso alle dame dell’alta aristocrazia i poeti si rivolgevano come a domini feudali66. Poiché al fallimento dell’unione matrimoniale di Eudossia Comnena seguì, poco dopo, il suo ritiro in convento, possiamo pensare che i tre testi di Daude in cui Amic è menzionato (vedi sopra, le citazioni) non siano posteriori al 1184/1187. 2.3. Bel Desir a) (BdT 124.4 v. 45), tornada 2 Bels Desirs, on qu’ieu sia, a en mi seignoria per far e per dir qe·il plagues, et anc nol vi, mas el cor m’es.

b) (BdT 124.9a v. 31) strofa IV En greu pantais viu e estau, e res no m’aven de can voil, ni garir d’aiso don mi doil

64 Scrive però LOEB 1987, commentando un testo di Peire Vidal: «A qui est adressé l’éloge? Une première difficulté – première ambiguïté – est soulevée par l’emploi d’un senhal masculin, bels Amics cars. S’agit-il d’une dame? Les qualificatifs utilisés ne permettent pas de trancher la question, ils pourraient être appliqués indifféremment à l’un ou à l’autre sexe», p. 319. 65 Ma RIQUER 19922, p. 874, sostiene, secondo me con argomenti non decisivi, che almeno nel celebre Drogoman, senher (BdT 364.18) Drogoman starebbe a indicare Alfonso II d’Aragona. 66 Si veda oltre, il capitolo dedicato al linguaggio feudale in Daude de Pradas, e si veda MANCINI 1987.

Introduzione

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non pusc s’a Bel Desir no vau quere capten contra·l leon qui·s fisa tant en sa faison

c) (BdT 124.8 v. 1) strofa I Del bel dezir que Jois Novels m’aduç farai un vers qu’er loing e pres ausiç e per leials amadors ben graçiç, qe ja per altres non er entenduç

Usato anche da Peire Bremon Ricas Novas (fine secolo XIII-post 1245: Belh Dezir, Belh Dezirier, BdT 330.21 vv. 15, 41), ma ben prima da Gaucelm Faidit (…1172-1203…, BdT 167.51 v. 76), da Cadenet (1160 ca.- 1235 ca., forse attivo – ipotizza ASPERTI 1990 – già intorno alla fine del XII secolo)67 e da Raimon Jordan (ante 1198, BdT 404.11 v. 49). ASPERTI 1990, pp. 48-57, osserva che questo senhal, nei testi dei trovatori che lo utilizzano, pare riferirsi sempre a una donna, ma a volte sembra anche indicare un protettore. Questo però, secondo lo studioso, non esclude che il personaggio celato dal senhal sia ogni volta lo stesso, una dama altolocata, considerata ora in una veste, ora nell’altra68. Se è improbabile – per ragioni cronologiche – che il senhal, in Peire Bremon Ricas Novas, indichi lo stesso personaggio al quale si riferiscono gli altri trovatori (appartenenti a una generazione precedente), per questi ultimi l’identità è più che probabile. Infatti, osserva ancora Asperti, gli altri poeti ne fanno uso nel contesto di tre poesie molto simili tra loro da un punto di vista metrico e rimico (vedi Raimon Jordan BdT 411.11, FRANK 553: 6; Cadenet BdT 10.1 = Gaucelm Faidit BdT 167.6, FRANK 571.1; Daude de Pradas BdT 124.9, FRANK 589: 1)69. Anche questo mi fa pensare che il personaggio cui si riferiscono sia lo stesso (ma di chi si tratterà?)70 per tutti i sopra citati trovatori, i quali

67 Se si accetta di riconoscere come sua la poesia BdT 106.1, contesagli da Gaucelm Faidit (per il quale è registrata come BdT 167.6). 68 A parte va considerato il caso di Peire Bremon Ricas Novas, la cui opera databile non sembra risalire a prima del 1229, e quindi è presumibile che egli canti un altro personaggio. 69 ASPERTI 1990, pp. 50-53. 70 Se in BdT 124.4 Bel Desirs adombrasse una dama, non si potrebbe non rilevare l’originalità di una tornada di intonazione vagamente ‘cortese’ o galante posta a chiusura di un compianto funebre. Pochissimi sono i planh contenenti una tornada di carattere amoroso: si veda Sordello, BdT 437.24, Planher vuelh en Blacatz en aquest leugier so: «Belh Restaur, sol qu’ab vos puesca trovar merce, / a mon dan mot quascus que per amic no·m te» (BONI 1954, XXVI, p. 162, vv. 43-44), Bertran de Lamanon BdT 76.12 Mout m’es greu d’en Sordel, car l’es faillitz sos sens: «Bell’Esmenda plazens, sol que Dieus mi sal vos / Cui que plass’o que pes, tostemps viurai joios» (SALVERDA DE GRAVE 1902 XV e PERICOLI 2011 XII), vv. 43-44. Nel caso di Bertran bisogna però ricordare che tutto il planh ha un carattere spiccatamente galante: in contrapposizione all’idea di Sordello, che voleva spartire il cuore di Blacatz tra grandi signori sprovvisti secondo lui di senno e coraggio propone una divisione del cuore del grande personaggio tra le dame più nobili e cortesi. Guilhem Augier Novella chiama in causa, nella seconda tornada del suo planh Quascus plor’e planh son dampnatge (BdT 205.2), la donna adombrata sotto il senhal «papagais», ma solo per dire che l’amore non l’ha mai dominato più del dolore che ora lo affligge per la morte del visconte Raymon

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

sembrano aver composto più o meno di concerto un mini ciclo poetico71. Per quanto riguarda Daude appare dubbio che si tratti di un senhal in BdT 124.8 v. 1, dato il contesto nel quale l’espressione è in uso.

2.4. Bel Sirventes a) (BdT 124.18 v. 41) tornada Bel Sirventes, de vos mi platz que ma chanso premiers aujatz; e ja hom no·m deman per que: «Mas quar vos am aitan com me!»

Secondo RIEGER 1976 (la cui ipotesi sembrerebbe essere accolta da GRESTI 2001) il senhal si riferisce a Uc Brunenc († ca. 1208). Le ragioni di tale identificazione addotte da Rieger, se considerate singolarmente, sono tutte di scarso, se non di scarsissimo peso: 1) il contesto generale in cui viene usato il senhal esclude che esso alluda a una dama (anche perché dire, come fa Daude, che egli ama la sua donna come, e non più, di se stesso sarebbe stata – secondo lo studioso tedesco – un modo debole di esprimere amore); 2) si esclude che il poeta si rivolga a un protettore (o a una protettrice) di alto rango, poiché il concetto implicito di ‘servire’ presente nell’etimologia della parola ‘sirventese’ appare poco confacente per indicare un personaggio altolocato; 3) perché (e questo mi pare l’unico argomento che potrebbe contenere un po’ di sostanza) Uc Brunenc, tra le conoscenze personali di Daude oggi note, era forse l’unico che poteva essere definito apertamente un moralista, dato che almeno tre dei suoi sei componimenti superstiti, chiamati vers dal loro autore, rimandano per il loro contenuto al genere del sirventese morale72. Daude quindi, avrebbe attribuito al collega più anziano e a quel tempo, forse, più famoso l’epiteto ammirativo di Bel Sirventes, pensando al sottogenere del sirventese morale. Se l’ipotesi di Rieger, per quanto debole la si possa considerare, avesse un fondamento, ci indurrebbe a datare questa poesia non oltre il 1200 o il 1208 (periodo entro il quale dovrebbe collocarsi la data della morte di Uc Brunenc).

Trencavel di Béziers: «Bel papagais, anc tan vezat / no·m tenc amors, c’ar pus torbat/ no·m tenga el dan que ai pres / del melhor senhor qu’anc nasques». L’originalità di Daude apparirebbe ancora più grande se si prestasse attenzione a quel che il poeta dice di Bel Desirs, cioè che egli non l’ha mai visto, ma gli è nel cuore. I rimandi probabili e più diretti, nonché più antichi, per una simile affermazione sono contenuti nei versi di due testi, uno di Guglielmo IX, l’altro di Jaufré Rudel (vedi qui nota al v. 48 dell’edizione di BdT 124.4). 71 ASPERTI 1990, pp. 52-53, segnala anche «la notevole somiglianza fra la richiesta di intervento ed intercessione indirizzata a Mon Dezir in RmJord II [BdT 404.2] e DPrad [BdT 124.9a]». A p. 49 lo studioso definisce Daude de Pradas «trovatore di cronologia discussa generalmente assegnato al pieno XIII secolo, ma probabilmente anteriore». 72 D’altronde, dopo le prime due generazioni trovadoriche (presso le quali il termine indicava quasi ogni genere di componimento), vers comincia a essere sempre più riferito a testi di ispirazione morale.

Introduzione

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2.5. Bon Esper a) (BdT 124.9 v. 29) strofa IV Per dreich li es pres mi cors e mas raszos q’apres mainz mals jaucic d’un bon esper; e s’eiu tan vio q’aprosmar e sezer me posc’als pes, molt m’er rics guierdos de lei on prez poja a terz et a quart;

b) (BdT 124.10 vv. 6-7) strofa I Dezir ai qi·m ven de plazer, e·l plazers mou de bon esper, e·l bons espers de Joi Novel, e·l Jois Novels de tal castel q’ieu non vueill dir mas a rescos a cels cui Amors ten joios.

Questa espressione è stata usata come senhal (secondo alcuni studiosi) da Gaucelm Faidit (BdT 167.12 v. 61; BdT 167.55 v. 35; BdT 167.40 v. 8; BdT 167.33 v. 3), Guilhem de Berguedan (BdT 210.2a v. 6), Perdigon (BdT 370.9 vv. 39, 41, 43; BdT 370.14 v. 1; BdT 370.13 v. 46) e Raimon Jordan (BdT 404.2 v. 29). Vedi per questo VALLET 2003-2004/5 (2003), p. 142, il quale aggiunge a questo elenco anche l’attestazione in Raymon de Miravalh (BdT 406.35 v. 11), dove, in base al contesto, parrebbe non essere un senhal, vedi i vv. 9-12: «Quar ben conosc qu’ieu falhira, / Ges enqueras non a guaire, / Que mon bon esper mentira / Tant era fals e trichaire!». Quando non è usata come senhal essa è una delle espressioni della lirica trovadorica consacrate più di buon’ora (vedi CROPP 1975, p. 197). Secondo la disamina di ASPERTI 1990, pp. 34-44, «è improbabile che GcFaid e Perd da un lato, GlBerg dall’altro facciano riferimento a una stessa dama con il senhal Bon Esper» (p. 44). Inoltre, lo stesso studioso sembra propenso a escludere che Raimon Jordan usi l’espressione come senhal, così come sembra incline a riconoscere in essa un modello espressivo riconducibile a Bernart de Ventadorn, XV, v. 36, «Mout ai be mes mo bon esper / cant cela·m mostra bel semblant» (vedi p. 39). Sempre Asperti infine suggerisce che talvolta Bon Esper possa non essere un senhal né la semplice «buona / salda speranza» dell’innamorato, ma una personificazione, come nel troviero contemporaneo Gace Brulé (p. 39, n. 50). Ritengo personalmente che Bon Esper potrebbe forse voler alludere a qualcos’altro. L’espressione appare intanto come la traduzione letterale di Spes Bona, usata da Ovidio in Epist. XI, 61. Ma si veda soprattutto Venanzio Fortunato, autore che poteva piacere a Daude in virtù del suo esasperato gusto per le allitterazioni e le assonanze: Rex regionis apex et supra regna regimen, Qui caput es capitum, vir capitale bonum,  Ornamentorum ornatus, ornatius ornans, Qui decus atque decens cuncta decenter agis,  Primus et a primis, prior et primoribus ipsis, Qui potes ipse potens, quem juvat omnipotens, Dulcia delectans, dulcis, dilecta potestas,

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas Spes bona vel bonitas, de bonitate bonus, Digne nec indignans, dignos dignatio dignans, Florum flos florens, florea flore fluens, Childeberthe cluens: hæc Fortunatus amore Paupere de sensu pauper et ipse fero. Andulfum famulum commendo supplice voto, Me quoque: sic nobis hic domineris apex73.

Sarebbe a questo punto troppo azzardato avanzare l’ipotesi che essa sia (soprattutto nel caso di BdT 124.10 vv. 6-7) un modo per indicare (anche) Cristo? Si veda l’uso dell’espressione in Arnaut de Brantalon in BdT 26.1, vv. 11-14: «Qu’Elh (Cristo) es leos […] e bos espers e fes e veritatz». Si noti anche come essa si ritrovi in «Gloria in excelsis Deo, pax in terra, et spes bona hominibus» (HIMNÓGRAFO ANÓNIMO, Hymnus 10., vd. S. ALVAREZ CAMPOS (comp.), Corpus Marianum Patristicum, Burgos, Aldecoa, 1981, vol. V, p. 167).

2.6. Fol Conselg a) (BdT 124.10 v. 70) tornada 2 Vai t’en chansos, no·t cal temer fol agur de cat ni d’auzel tro sias lai a·n Gui d’Uisel e digas: «Si·m tramet a vos Fols Consiels, car es amoros».

b) (BdT 124.11 v. 46) tornada A Fol Conselg t’en vai ades, chansos, e digas li qu’ieu non trop sai merce ab Joi Novelh si mals aips no·m capte, a cui m’en torn pos tan gen mi gaçagna.

Nel primo dei passi in cui questo senhal compare esso designa chiaramente il poeta, che invia il suo testo al collega Gui d’Ussel. Costui, secondo la vida, avrebbe cessato di comporre per ordine del legato papale, cioè Arnaut Amaury nella mia ipotesi, dopo il sinodo episcopale di Montpellier del 1214. Nel secondo invece il senhal indica il destinatario del testo. Bisogna presumere dunque che Fols Consiels sia un senhal reciproco, riferito sia a Daude de Pradas sia a Gui d’Ussel.

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VENANTII FORTUNATI PICTAVIENSIS EPISCOPI Opera omnia, in Patrologia Latina, ed. J.-P. MIGNE, Parisiis 1862, vol. LXXXVIII, col. 334, caput IX.

Introduzione

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2.7 Gaugz Entiers. a) (BdT 124.3 v. 48) strofa V car hom enten per diaman, q’ es fors e ha vertut gran, Amors, e l’amans es aciers, e donna aurs; e Gaugz Entiers es l’aursfabre que·ls abconsen: de totz tres fai obra plazen.

È un altro senhal usato da Peire Vidal (va detto che AVALLE 1960 non lo considera tale, ma almeno l’uso dell’espressione in BdT 364.31 e in BdT 364.40 appare proprio quello tipico di un senhal)74. LEJEUNE 1943 ipotizza che sia un senhal che indica Na Vierna. Na Vierna fu identificata a suo tempo da Bartsch e da Appel con Azalais de Porcelet, dama di Roquemartine, nata intorno al 1155 e morta nel 1210. Prima sposa di Raymon Jaufré III detto Barral, dal 1170 visconte di Marsiglia e luogotenente del re d’Aragona, venne ripudiata nel 1192 dal marito perché era stata in grado di dargli solo una figlia, Barrala75. Schutz, come in seguito Avalle per Peire Vidal, non riconobbe nell’espressione usata da Daude un senhal. Nel caso però che avesse ragione Rita Lejeune, Gaugz entiers sarebbe il senhal con cui Peire Vidal indica la dama che spesso viene nominata esplicitamente come Vierna, cioè Vierna d’Anduze-Roquefueil, sorella dei due fratelli protettori di Daude e sposa di Raymon I de Pierre signore di Ganges. Ella fu, a quanto pare, la protagonista della cosiddetta “avventura del bacio rubato” che tanta disgrazia portò al poeta tolosano, facendogli perdere la benevolenza di Castiat, cioè Raimondo V di Tolosa, ingelositosi di lui al punto di mandarlo in esilio. Da una parte, il fatto che Vierna fosse la sorella dei due Anduze-Roquefeuil potrebbe spiegare il riuso da parte di Daude del senhal vidaliano Gaugz Entier per alludere a tale personaggio. Ammesso che questa “avventura” non sia un’invenzione dell’autore delle razos … In Daude, forse, come nel caso di Bel Dezir e di Joi Novel (vedi qui sotto), il senhal potrebbe strizzare l’occhio a espressioni in uso in contesto religioso. Si veda ad esempio l’espressione latina perfectum gaudium (= gaugz entiers in occitano) in questa epistola di San Bernardo (il quale intende con tale espressione la ‘gioia perfetta’ del Paradiso o della visione di Dio): 123 EPISTOLA CXIV. AD ALTERAM SANCTIMONIALEM. Quae sub habitu religioso animum gesserat mundo deditum, eam jam resipiscentem praedicat, et ne gratiam negligat, hortatur. Magnum est mihi gaudium, quod te ad verum et perfectum gaudium velle tendere comperi, quod non est de terra, sed de coelo; id est, non de hac convalle plorationis, sed

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Cfr. BdT 364.31: don morrai d’ira e de dolor / si gaugz entiers no m’en socor (vv. 23-24) e BdT 364.40 s’ap gaug entier no m’en fai acordansa (v. 42). 75 Barral di Marsiglia sposò nello stesso anno la dodicenne Maria di Montpellier, figlia di Guglielmo VIII di Montpellier e di Eudossia Commena (colei che probabilmente si cela sotto il senhal di Amic, vedi sopra), ma la lasciò vedova dopo pochi mesi, il 13 dicembre 1192. Vedi i siti http://thierryhelene.bianco. free.fr/drupal/sites/default/files/julia/pag20.html e http://a.decarne.free.fr/gtoile/pag827.htm#40

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas de illa quam fluminis impetus laetificat civitate Dei. Et revera illud verum et solum est gaudium, quod non de creatura, sed de Creatore concipitur; et quod cum possederis, nemo tollet a te: cui comparata omnis aliunde jucunditas, moeror est; omnis suavitas dolor est; omne dulce, amarum; omne decorum, foedum; omne postremo quodcunque aliud delectare possit, molestum. Denique tu mihi testis es in hac re: te ipsam interroga, quia tu tibi familiarius credes. Nunquid non hoc ipsum clamat in corde tuo Spiritus sanctus? An non tibi jam ab ipso, priusquam a me, hujus rei veritas persuasa est? Quando enim tu femina et juvencula, formosa et ingenua, sic fragilem et sexum vinceres  et aetatem; sic spectabilem et formam et generositatem contemneres, nisi cuncta quae corporis sensibus A subjacent, in illorum jam tibi comparatione vilescerent, quae te interius et confortant ut vincas et delectant ut praeferas76.

E prima ancora si legga Anselmo da Aosta, il quale nella Oratio ad Christum cum mens vult eius amore fervere invoca come fonte di “perfectum gaudium” la manifestazione del Cristo nella sua gloria. Ostende mihi faciem tuam, et salvus ero. Exhibe praesentiam tuam, et consecutus ero desiderium meum. Revela gloriam tuam, et erit perfectum gaudium meum. “Sitivit in te anima mea, quam multipliciter tibi caro mea”. “Sitivit anima mea ad deum fontem vivum. Quando veniam et parebo ante faciem dei mei?” Quando venies consolator meus quem expecto? O si quando videbo gaudium meum quod desidero! O si “satiabor cum apparuerit gloria tua” quam esurio! O si inebriabor “ab ubertate domus tuae” ad quam suspiro77!

E si consideri infine questo verso dedicato al Cristo del già citato trovatore Arnaut de Brantalon (BdT 26.1, v. 18): e joys entiers e franc’umilitatz

2.8. Joi Novel a) (BdT 124.1 v. 4) strofa I Ab lo dous temps que renovela voill faire novella chançon, c’amors novella m’en somon d’un novel joi que mi capdela.

b) (BdT 124.6 v. 45) strofa VI De Joy Novelh me tenc be per paguat, car no l’enguana de re·l miradors.

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S. BERNARDI Epistolae, in Patrologia Latina, ed. J.-P. MIGNE, vol. 182, 259-260. S. Anselmi Cantuariensis archiepiscopi opera omnia, ed. F. S. SCHMITT, vol. 3, Edimburgi MDCCCCXLVI, p. 9. 77

Introduzione

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Totztemps la vuelh onrar ez obedir e car tener; e qui·s vol s’en janguelh!

c) (BdT 124.8 v.1) strofa I Del bel dezir que Jois Novels m’aduç farai un vers qu’er loing e pres ausiç e per leials amadors ben graçiç, qe ja per altres non er entenduç, car ges no·s taing que bons chans ni gais moç,

d) (BdT 124.9a v. 19) strofa III De Joi Novel seguei l’esclau tro fui venguç a son capdueil; anç mi mostret tan gran orgoil con si tengues del mon la clau!

e) (BdT 124.10 vv. 7, 8) strofa I Dezir ai qi·m ven de plazer, e·l plazers mou de bon esper, e·l bons espers de Joi Novel, e·l Jois Novels de tal castel q’ieu non vueill dir mas a rescos

f) (BdT 124.11 v. 48) tornada A Fol Conselg t’en vai ades, chansos, e digas li qu’ieu non trop sai merce ab Joi Novelh si Mals Aips no·m capte, a cui m’en torn pos tan gen mi gaçagna.

g) (BdT 124.13 v. 41) tornada Bels Jois Novels, ja tant petit no·m preçares qu’ieu vos oblit! Ans vos amarai finamen, mas s’ie·us prec plus estrangol m’en!

È il senhal più tipico e usato di Daude, l’unico trovatore che lo impieghi, stando allo spoglio di VALLET 2003, il quale (p. 152) sembra considerare attendibile la vecchia ipotesi cronologica che voleva Daude morto intorno al 1282. Questo perché la struttura del senhal, Joi Novel (nome + aggettivo qualificativo, invece di quello ritenuto più comune, aggettivo qualificativo + nome), gli pare invenzione del tardo trovatore italiano Bertolomé Zorzi (…1266 – 1273…). Questa struttura fu secondo lui solo ripresa – e non anticipata, come si deve invece concludere alla luce dei più recenti studi – da Daude de Pradas. Va detto comunque che, nel caso di questo senhal, abbiamo nel nostro corpus lirico anche la forma che per Vallet sarebbe

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

più comune in epoca non tarda (Novel Joi), sebbene essa compaia in un contesto dubbio per un senhal. Anche in questo caso si potrebbe riconoscere l’influenza di un’espressione di ambito religioso, Novum Gaudium, che si ritrova ad esempio nell’inno Ecce, novum gaudium,  Ecce, novum mirum!  Virgo parit filium,  Quae non novit virum,  Sed ut pirus pirum,  Gleba fert papyrum,  Florens lilium.  Ecce, quod natura  Mutat sua iura!  Virgo parit pura  Dei filium.78

2.9. Mal Aip a) (BdT 124.7, v. 34) tornada 1 Non puosc mudar c’ades non tir la on mos mals abs me tira, car tot mon cor m’a fait partir de lai don ja no·l partira, s’ab seu esgart doucet e pur, qe·m fai cuidar q’il es pura me disses ab qe·m fos segur de leis, que no m’asegura.

b) (BdT 124.10 v. 61) tornada 2 De mon Mal Ayp conosc en ver c’a fer freg i bat e martel; folia faz, qar ja l’apel plus de s’amor mas que sieus fos, aussi com sueill, tot en perdos.

c) (BdT 124.11 v. 48) tornada A Fol Conselg t’en vai ades, chansos, e digas li qu’ieu non trop sai merce ab Joi Novelh si Mals Aips no·m capte, a cui m’en torn pos tan gen mi gaçagna.

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131.

Vd. G. M. DREVES – C. BLUME, Analecta Hymnica Medii Aevi, vol. 45b, Leipzig 1904, n° 162, p.

Introduzione

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Potrebbe non essere un senhal, in nessuna delle circostanze in cui esso compare. L’espressione sembra, sotto certi riguardi, indicare non una persona o una personificazione, ma più genericamente una cattiva inclinazione che danneggia il poeta. 2.10. Come abbiamo visto, Asperti ritiene possibile che il senhal Bon (Mon) Esper rimandi, in quei trovatori che ne fanno uso79, allo stesso personaggio, secondo lui presumibilmente una donna di alto rango, talvolta invocata anche come protettrice. Questo potrebbe far ritenere che tali testi siano stati composti intorno o prima del periodo 1194-1198, lasso di tempo in cui si perdono le tracce dell’esistenza di Raimon Jordan80. E se a qualcuno può apparire troppo alta questa cronologia, che dire allora delle poesie BdT 124.9a, BdT 124.13 e BdT 124.17, nelle quali Daude usa il senhal Amic che Peire Vidal impiegava per indicare Eudossia Comnena, moglie di Guglielmo VIII di Montpellier? Se ammettiamo che i due poeti81 si riferiscano allo stesso personaggio (per entrambi un protettore da riverire più che una dama da cantare) dobbiamo ammettere anche che i testi in cui essi lo adoperano non possono essere stati composti dopo il 1187. Intorno a quella data infatti Eudossia fu costretta dal marito a separarsi da lui e ad entrare in convento82. Le altre poesie nelle quali i senhals rivelano i rapporti più o meno certi di Daude con altri poeti, non offrono ipotesi di datazione più tarde del 1208 (quando probabilmente muore Uc Brunenc) o 1214 (data entro la quale si suppone che Gui d’Ussel, come del resto Daude, abbia smesso di comporre). Addirittura, in base alla compresenza di più di un senhal nello stesso testo si può ipotizzare che la lirica amorosa databile del Nostro (dunque, escludendo il planh per Uc Brunenc) sia stata composta quasi tutta entro la fine del secolo XII83.

3. Linguaggio giuridico-feudale in Daude de Pradas 3.1. Paul Ourliac (OURLIAC 1965), parlando dell’uso del linguaggio giuridico tra i trovatori, afferma che esso, almeno fino al tempo della crociata antialbigese, fu di fatto quasi inesistente. Ma questo perché lo studioso intende per ‘diritto’ solo il diritto romano. Quando il Midi si trovò a combattere per la sua indipendenza, sia politica sia culturale, il diritto riscoperto in Italia dalla scuola di Bologna nel XII secolo divenne agli occhi dei trovatori, così come di gran parte della società meridionale, uno strumento e un simbolo di oppressione importato

79 Con l’eccezione di Peire Bremon Ricas Novas, troppo tardo. Per quanto riguarda Daude, Asperti sembra sospendere il giudizio, pur ritenendo la sua cronologia poco chiara (rileva altresì alcune somiglianze non di poco conto tra il suo testo BdT 124.9 e BdT 404.11, BdT 167.6 = BdT 106.1). 80 Per la cronologia di Raimon Jordan si veda ASPERTI 1990, pp. 17-66. 81 I quali hanno forse in comune un altro senhal, Gaug Entier, vedi sopra. 82 Per questo fatto Peire Vidal coraggiosamente rimprovera Guglielmo VIII di Montpellier in BdT 364.2. 83 LARGHI 2011, p. 29, ipotizza che i legami tra Daude e Gui d’Ussel si situino «più precisamente […] intorno al biennio 1195-1196, allorquando il poeta limosino potrebbe essersi recato in Rouergue e aver presenziato a donazioni in favore della abbazia cistercense di Bonneval deliberate da Uc vescovo di Rodez».

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da avidi e feroci stranieri. Infatti la Chiesa di Roma, uno dei due poteri che avevano indetto la crociata (l’altro era la monarchia francese), era risoluta assertrice del diritto romano, perché esso maggiormente sosteneva la necessità e addirittura la sacralità del suo potere. Un potere da intendersi innanzitutto in senso temporale. Il diritto romano, agli occhi dei trovatori come della piccola nobiltà cavalleresca occitana, appariva dunque solo un mezzo per asservirli. Anche a livello del quadro di riferimento culturale e mentale degli abitanti del Midi esso provocava collera o almeno diffidenza. Si sa che i Catari si caratterizzavano per l’assoluto rifiuto del giuramento. Ma, in ambito occitano, dice Ourliac, soprattutto tra la piccola nobiltà e più in generale tra gli uomini liberi, il giuramento (serment) era quasi altrettanto aborrito. Nei rapporti vassallatici il legame tra il signore e i suoi uomini era sentimentale (la convenientia), perché si fondava sulla “fede” e sull’“amore”. Fede, perché quando il signore e i suoi uomini si scambiavano la promessa (plivensa) di reciproco sostegno e consiglio, l’uno e gli altri erano tenuti a credere alla parola della controparte: senso dell’onore, e perché no? una certa dose di paura per le conseguenze, sia pratiche sia di “immagine”, di una violazione della parola data dovevano bastare a garantirne il rispetto. Esigere pegni e giuramenti significava invece non credere a chi – fino a prova contraria – doveva essere considerato un uomo di parola. Non solo: si presupponeva che tra il signore e i suoi uomini si instaurasse un rapporto di reciproco amore, e questo si esprimeva concretamente nei gesti del bacio e dell’abbraccio84. E se i doveri degli uomini nei confronti del signore delineavano un rapporto di dipendenza e di subalternità, l’“amore” era ciò che correggeva questo rapporto e lo rendeva paritetico. Proprio pensando a ciò Jacques Le Goff sostiene che nella formazione del simbolismo feudo-vassallatico ha agito come modello di riferimento non la tradizione clientelare, bensì il sistema della parentela e della famiglia85. Giovanni Tabacco obietta che «già il linguaggio in genere della clientela, dove il signore nella tradizione latina era indicato appunto come patronus, richiamava il modello della famiglia»86. Ma – continua lo storico italiano – «della proposta di Le Goff deve essere accolta la constatazione che il rito da cui nasceva il rapporto fra senior e vassus poneva l’accento con vigore inusitato sul tipo di affettività proprio dei rapporti interni al gruppo familiare nel loro aspetto virilmente più forte. Ne derivò anzi un codice morale che privilegiava la devozione vassallatica di fronte a qualunque altro dovere verso le persone, anche rispetto ai legami fondati sulla consanguineità». 3.2. Occorre a questo punto correggere in parte e adattare meglio alla realtà dell’Occitania il quadro così ricostruito. Intanto, il ricorso al giuramento nei legami vassallatici e interpersonali (un «serment à multiples fonctions» non è poi del tutto aborrito, se descrivendo la situazione delle terre francesi meridionali della prima metà del secolo XII Gérard Giordanengo ritiene di dover annoverare tra i doveri dei feudatari «une fidelité, traduite par un serment dont les termes sont tous très proches, et parfois par un hommage»)87.

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Vd. sul rapporto di amore e fedeltà tra i conti di Tolosa e i loro uomini MACÉ 2000. LE GOFF 1976. 86 Tratto dalla voce Feudalesimo dell’Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani, disponibile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/feudalesimo_(Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali). 87 GIORDANENGO 1988, p. 53. Tuttavia, riferendosi al solo secolo XI, lo stesso autore afferma che esso «n’est ni feudal, ni allodial, il est familial et seigneurial», p. 25. 85

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3.3. Abbiamo visto come Paul Ourliac affermi che i trovatori non facciano uso di linguaggio giuridico nei loro testi, ma questo perché lo studioso intende per linguaggio giuridico solo quello che rimanda al diritto romano88. I trovatori fanno invece spessissimo uso del linguaggio feudale, e quello feudale per lui sembrerebbe essere però una cosa ben distinta dal vero diritto. Eppure Giovanni Tabacco considera giustamente una forma di diritto anche quello che sta alla base del linguaggio del contemporaneo feudalesimo e scrive che quest’ultimo «è di origine rigorosamente giuridica […]. Nella sfera genericamente giuridico-sociale l’elaborazione di una teoria della feudalità è avvenuta, nell’incontro fra giuristi e storici della società, intorno all’identificazione di un nucleo di atti simbolici, di cui vi è larga testimonianza nell’Occidente europeo dal secolo VIII a tutto il XVIII, e che esprimevano la fedeltà personale a un potente, su un piano di amicizia reciproca, con doveri di aiuto e consiglio da un lato e di protezione dall’altro, e con rimunerazione dei servizi prestati al potente per lo più mediante la concessione di beni in godimento»89. È vero che lo studioso italiano (come forse gli era reso obbligatorio dalla necessità di sintesi propria di una voce enciclopedica) non fa distinzioni né di ordine temporale, né, soprattutto, geografica, ma anche Martin Aurell sostiene, rimandando a Wechssler e a Riquer, che «L’utilisation du vocabulaire et, plus profondément, des rites et réalités juridiques de la vassalité nous semble l’élément le plus esssentiel, caractéristique et original de l’amour chanté par les troubadours»90. Per Daude penso si possa parlare di un linguaggio feudale fortemente connotato in senso giuridico91. Questo anche per la particolare attitudine da lui manifestata nell’uso che ne fa: alcune sue poesie hanno il tono di un vero e proprio plait, in cui argomenta per sostenere, come di fronte a una corte di tribunale, il proprio punto di vista92. La domna è in genere talmente lontana dal fare la volontà dell’amato che apparentemente non si può dire che tra loro vi sia quel sentimento d’‘amore’ grazie al quale può reggersi tanto il rapporto vassallatico quanto quello amoroso. E se non c’è amor non può esserci neppure fides: in BdT 124.13, quasi come un vassallo tradito dal suo signore, il poeta afferma che non potrà mai dimenticare midons (= meus dominus), e continuerà ad amarla ‘perfettamente’, ma che, essendo ella venuta meno alla convenentia, egli accetterà perfino di ve-

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GIORDANENGO 1988, pp. 111-151, dedica invece un intero capitolo al droit féodal savant, che tuttavia nel Midi francese sembra essersi sviluppato nella pratica degli atti solo a partire dal 1220 ca. (lo studioso ritiene quantomeno isolato un suo uso apparente in un documento di Blacasset (Blacaz) del 1195, p. 111). 89 Vd. il riferimento nella nota 84 di questo capitolo. GIORDANENGO 1988 p. 104 sottolinea il fatto che nella seconda metà del secolo XII si ha in Provenza un’accettazione generale della feudalità e che l’atto di omaggio, in ginocchio e a mani giunte, e l’accettazione del rapporto di dipendenza non sono più considerati umilianti (almeno negli ambienti meno conservatori), anche perché vengono inquadrati in una cornice cerimoniale solenne e fastosa. 90 AURELL 2006, p. 79. 91 Sebbene io creda che sia difficile distinguere tra i due: a tal punto il modello feudale appare un modello di diritto che regola perfino gli aspetti più minuti della convivenza sociale. 92 Non così la pensa OURLIAC 1965, p. 173, n. 109, dove egli afferma lapidariamente, di Daude, che «Ses poésies ne contiennent aucune allusion juridique», nonostante egli fosse istruito nel diritto romano.

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nire strangolato piuttosto che pregarla ancora (‘pregare’ ha qui il senso feudale di richiedere formalmente qualcosa al signore)93. 3.4. L’impiego esteso e vario di un linguaggio giuridico-feudale non è certamente proprio del solo Daude de Pradas, anzi, esso conosce un uso piuttosto ricco già in Bernart de Ventadorn. Scrive a questo proposito Glynnis Cropp: «Nous ne croyons pas que Bernart de Ventadour a pris l’initiative de tirer du vocabulaire féodal le langage métaphorique qui, dans ses chansons, parait déjà bien assimilé à la rhétorique courtoise, mais il l’a sans doute enrichi. Ce sont ensuite les troubadours Gaucelm Faidit, Guillem de Saint-Didier et Arnaut de Marueil qui en ont fait un emploi plus fréquent et plus délibéré, introduisant à leur tour de nouveaux termes transposés de la langue féodale dans celle de l’amour courtois»94. Nota Ariane Loeb che: «Il ne suffit pas de dire que la terminologie féodo-vassalique intervient dans la poésie courtoise, il serait plus juste de parler d’un véritable échange de valeurs entre vocabulaire courtois et vocabulaire féodal. […] Ces mots termes-clés parmi d’autres de la lyrique courtoise, drutz, amics, amor, senhor/servidor, tener, retener, servir/honrar…, relèvent autant du registre féodal que du registre amoureux»95. I poeti, dal canto loro, sono ben coscienti del fatto che certe parole come drutz possono assumere diversi valori (vassallo / amico / amante) e su questa ambiguità semantica giocano deliberatamente96. Ma ora, per una migliore conoscenza del retroterra culturale di Daude e della temperie nella quale visse, mi sembra opportuno riportare, più a titolo d’esempio che di spoglio esauriente, alcune parole di ambito giuridico-feudale da

93 Filippo da Novara, giurisperito italiano attivo nell’Oltremare franco nella prima metà del XIII secolo, diceva che bisogna trovare la forza di sopportare il male fatto dal signore, per tre motivi. Innanzitutto perché si rischia la sua vendetta; e poi perché a quello si deve tutto; e infine perché ribellarsi – anche se fosse stato il dominus a fare il male – significherebbe tradire quella fede sulla quale si fonda ogni rapporto vassallatico (cfr. FRÉVILLE 1881, p. 28). 94 CROPP 1975, p. 473. Dei trovatori menzionati nel testo Daude è anche sotto questo aspetto contemporaneo, sebbene probabilmente più giovane, e a quelli si può aggiungere l’altro grande poeta del tempo, Peire Vidal, cui è dedicato lo studio di LOEB 1987. 95 LOEB 1987, p. 305. E si legga quanto qui riportato dalla voce Provenza dell’edizione in linea dell’Enciclopedia Treccani (testo dell’edizione 1935, http://www.treccani.it/enciclopedia/provenza_(Enciclopedia_Italiana)/) «Resta, tuttavia, che i collegamenti più vivi e profondi nella poesia provenzale si trovano con le usanze feudali. Anche la lingua giuridica del feudalismo penetrò entro quella dei trovatori in una misura abbastanza larga, per es. dar per fieu col senso di “concedere”, de plan “subito, senza indugio” (derivato dalla locuzione sine strepitu et de plano); escondir “scusare”; arraisner, ecc. E con la lingua del giure s’incontrano espressioni che ci fanno quasi pensare a una forma di culto d’amore ispirato al misticismo del tempo. Bernart de Ventadorn, ad esempio, dice che per la sua donna “fai Deus vertutz”. E Peire Vidal scrive: “E quan respon ni apela – Sei dig an sabor de mel – Don sembla Saint Gabriel”. Questa lingua varia, multiforme, lega i trovatori al loro tempo, si inserisce nel processo storico e può essere esaminata storicamente, come lingua di un determinato periodo, di una determinata cultura, di una determinata società. Di questa lingua si può tracciare, insomma, un disegno storico, mentre della poesia come sentimento e ispirazione non è data storia. A seconda delle varie personalità dei trovatori, questa lingua assume diversi toni e colori e, trasfigurata, può farsi linguaggio poetico, cioè poesia diversa in ciascun autore».

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lui usate nei suoi testi. Esse sono qui ricondotte sotto una rubrica che ne definisce, in quello stesso ambito, il campo d’uso principale. Mi pare che, sia pure nella sua incompletezza, lo spoglio renda evidente l’importanza, anche quantitativa, dell’uso di tale linguaggio.

I Linguaggio giuridico a) Citazione in giudizio, dichiarazione, accusa [apellar]: BdT 124.1 v. 12, BdT 124.2 v. 5 (fr. apel/apeau, apelé, apeler, apelor = ‘invocare’ o anche ‘scegliere’, ‘domandare formalmente’)97; asaber: BdT 124.2 v. 2 (= ‘annunciare solennemente’); [clamar]: BdT 124.3 v. 52, BdT 124.6 v. 34 (= ‘denunciare [in tribunale], fare reclamo’), clamandiers: BdT 124.3 v. 68 (= ‘querelante’, ‘accusatore’), clamans: BdT 124.6 v. 41 (= ‘querelante’)98; [conjurar]: BdT 124.7 v. 29, BdT 124.7 v. 30, (fr. conjurer = ‘giurare solennemente’)99; crida: BdT 124.4 v. 11 (= ‘araldo’); encolpat: BdT 124.12 v. 44 (= ‘accusato’); [envidar]: BdT 124.2 v. 1 (= ‘ingiungere’); [rancurar]: BdT 124.7 v. 5 (= ‘querelarsi’), rancura (s.f.): BdT 124.7 v. 6 (‘querela’)100; [somonre]: somon BdT 124.1 v. 3; BdT 124.2 v. 1; BdT 124.11 v. 37  (fr. semondre, semonce = ‘convocare a corte, in giudizio’)101. b) Il processo  plag: BdT 124.2 v. 54 (plait = ‘processo’)102; tenzon / tensos: BdT 124.2 v. 54; BdT 124.10 v. 29. c) Giustizia, sentenza, punizione [adrechurar]: BdT 124.7, v. 31 ‘rendere giustizia’; dreitura: BdT 124.7 v. 32; dreita: BdT 124.7 v. 6; dreg / dret / dreich / dreit: BdT 124.6 v. 39, BdT 124.9 v. 10, v. 28, BdT 124.11 v. 37, BdT 124.12 v. 24, v. 27 (‘droit’, ‘droiture’)103; chauzimens / chauzimen: BdT 124.6 v. 5 e v. 38, BdT 124.14 v. 35, (chauzimen = ‘decisione’, ‘scelta’, ‘volontà’, ma anche, in senso favorevole al reo,

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LOEB 1987, p. 306. AURELL 2006, p. 79, citando F. CHEYETTE, Ermengard of Narbonne and the World of the Troubadours, Cornell (NY) 2001, p. 233, sostiene che la forma romanza della parola d’origine germanica drutz «désigne habituellement, dans les chansons des troubadours, l’amour physique». 97 EDBURY 2009, glossario dei termini giuridici, s.v. 98 EDBURY 2009, ibid. 99 EDBURY 2009, ibid; RODON BINUÉ 1957, p. 50. 100 RODON BINUÉ 1957, pp. 216-217. 101 EDBURY 2009, ibid. 102 EDBURY 2009, ibid., s.v.; RODON BINUÉ 1957, p. 129. 103 CROPP 1975, p. 478 (dreit); EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, p. 82. Quando allude al diritto giustinianeo, come in Marcabruno o in Uc de Saint Circ (vd. OURLIAC 1965, p. 169), il termine dreit sembra assumere una valenza negativa in quanto inserito in contesti e paragoni negativi o beffardi. Questo però non impedisce che in testi posteriori antifrancesi o addirittura di sentimento cataro, l’aggettivo droiturier e il termine droitura siano riferiti a Dio e alla sua giustizia, e che in Peire Cardenal si opponga il “buon diritto” al diritto puro, cfr. OURLIAC 1965, pp. 174 e 176.

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‘indulgenza’); colpable: BdT 124.12 v. 36 (‘accusato’); damnaje: BdT 124.9 v. 27 (‘danno’)104; [escarer] > eschai: BdT 124.3 v. 58, 9a v. 17 (escheir = ‘spettare’, ‘convenire’)105; [jujar] > jujat / jutgat: BdT 124.6 v. 39, BdT 124.12 v. 37 (‘giudicare’); jutgamen / jutjamen: BdT 124.9 v. 39, BdT 124.12 v. 38, (jugiament = ‘giudicare / giudizio’)106; men: BdT 124.14 v. 35 (= ‘decisione’, ‘scelta’, ‘volontà’); perdon / en perdos: BdT 124.10 v. 55, BdT 124.13 v. 34 (‘perdono’, ‘remissione’ ma anche ‘rinuncia a un diritto’ = en perdos)107; per rason: BdT 124.9a v. 15, (‘secondo il diritto’)108; preison / prison: BdT 124.9a v. 6, BdT 124.11 v. 13, BdT 124.13 v. 18 (prison = ‘prigione’)109. d) Giuramento, discolpa escondir (se): BdT 124.14 v. 14 (= ‘discolpa’)110; [jurar]: BdT 124.8 v. 19 (jurer = ‘giurare’)111; [mantener]: BdT 124.13 v. 47, BdT 124.14 v. 37 (mantener = ‘sostenere’,‘difendere’)112.

II Linguaggio feudale a) Omaggio, sottomissione feudale, patto e rottura della convenentia [abandonar (se)]: BdT 124.9 v. 22 (= ‘affidarsi completamente a un signore’); [acuelhir, acuillir]: BdT 124.14 v. 29, BdT 124.7 v. 19, BdT 124.1 v. 46, BdT 124.6 v. 2, BdT 124.9a v. 3; BdT 124.7 v. 20, BdT 124.17 v. 26, BdT 124.10 v. 31 (= ‘accogliere, accettare il servizio’); [apregar v., prec s.]: BdT 124.8 v. 33, BdT 124.4 v. 25, BdT 124.15 v. 28, BdT 124.13 v. 44, BdT 124.3 v. 52, BdT 124.7 v. 29, BdT 124.3 v. 56, BdT 124.6 v. 5, BdT 124.14 v. 16, BdT 124.18 v. 36, BdT 124.16 v. 24, BdT 124.14 v. 14 (fr. prier, priere/proiere)113; [asegurar]: BdT 124.7 v. 40 (= ‘garantire’)114; cuvenent: BdT 124.9a v. 23 (fr. covenans = ‘patto sulla parola’)115; endosmengiers: BdT 124.3 v. 57 (=dominicus, riferito sia a un ‘servo’ sia a un ‘vassallo’)116; [fes, portar bona fe, de bona fe]: BdT 124.9 v. 18, BdT 124.11 v. 8, BdT 124.16 v. 36, BdT 124.17 v. 34, BdT 124.18 v. 23 (fr. fei, porter bone fei = ‘fede’; ‘mantenere la parola, il patto’)117; fis: BdT 124.1 vv. 16, 31, BdT 124.7 v. 10, BdT 124.9 v. 18, (= ‘fido, fedele’); [gazanhar]: BdT 124.11, v. 49 = ‘conquistare’ (detto anche

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CROPP 1975, pp. 277-280. EDBURY 2009, ibid. 106 EDBURY 2009, ibid. 107 RODON BINUÉ 1957, pp. 191-192. 108 EDBURY 2009, ibid. 109 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, pp. 205-206. 110 RODON BINUÉ 1957, p. 105. 111 CROPP 1975, p. 476 (jurat); RODON BINUÉ 1957, p. 156. 112 CROPP 1975, p. 478. 113 EDBURY 2009 ibid. 114 RODON BINUÉ 1957, pp. 27-28. 115 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, pp. 66-67. 116 RODON BINUÉ 1957, p. 88 (la forma endosmengiers è un unicum nella letteratura in versi occitana, tanto lirica quanto narrativa). 117 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, pp. X e XVIII. (portare bonam fidem) 199. 105

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del corpo e dei sentimenti di una persona)118; guiren: BdT 124.15 v. 32 (‘protettore’, ‘garante’)119; hom/om: BdT 124.3 v. 57, BdT 124.17 v. 33 (fr. home = ‘uomo’, ‘vassallo’ ma anche ‘servo’)120; omenaje: BdT 124.9a v. 45 (fr. homage = ‘omaggio’)121; ops (a son … pres) BdT 124.4 v. 24 (= ‘preso al suo servizio’); [plevir]: BdT 124.17 v. 34 (plevir = ‘promettere’, ‘impegnare la propria parola’)122; [poder (tener em)]: BdT 124.2, v. 3 (= ‘tenere sotto la propria signoria’)123; render: BdT 124.8 v. 39, BdT 124.2, v. 34 (= ‘darsi, mettersi nelle mani di un signore’); [retener, tener]: BdT 124.8 v. 40, BdT 124.12 v. 46, BdT 124.9 v. 51, BdT 124.9 v. 26, BdT 124.9 v. 34, BdT 124.14 v. 30, BdT 124.12 v. 6, BdT 124.10 v. 10, BdT 124.10 v. 36, BdT 124.9a v. 48, BdT 124.15 v. 53, BdT 124.13 v. 18, BdT 124.17 v. 29, BdT 124.2 v. 3, BdT 124.1 v. 30, BdT 124.6 v. 45 (retener = ‘prendere al proprio servizio’)124. b) Concessione, ricompensa, dono [autrejar]: BdT 124.3, v. 61, BdT 124.17, v. 29 (fr. otroier = ‘concedere [da parte di un signore]’); [gazanhar]: BdT 124.11, v. 49 (= ‘rimeritare’, ‘ricompensare’); guizardon: BdT 124.2, v. 34, BdT 124.5, v. 13, BdT 124.9 v. 31 (= ‘ricompensa’). c) Il signore, la signoria, e il compagnonaggio baron: BdT 124.17, v. 42 (fr. baron = ‘signore’, con la sfumatura anche di ‘uomo prode, di valore’) 125; copagnon: BdT 124.13, v. 38 (fr. compagnon = ‘compagno di un signore’)126; druda: BdT 124.13 v. 35; drudaria: BdT 124.1 v. 25 (drutz = ‘compagno’, ‘amico intimo’)127; seignorage: BdT 124.9 v. 17 (fr. seignorie)128. d) Pietà e grazia signorile129 [merce, trobar merce, mercejar]: BdT 124.3 vv. 25, 55, BdT 124.6 v. 4, BdT 124.11 vv. 16, 43, 47, BdT 124.16 v. 3, BdT 124.17 v. 38, BdT 124.18 v. 9 (fr. merci; merce = ‘grazia’, ‘pietà’; mercejar = ‘concedere grazia’)130.

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LOEB 1999, p. 309: «gazanhar apartient au registre de la conquête». Cfr. CROPP 1975, p. 478 (garen) e RODON BINUÉ 1957, pp. 128-129 (guarentem, etc.). 120 EDBURY 2009, ibid.; CROPP 1975, pp. 104, 476 (hom), RODON BINUÉ 1957, pp. 86-88. 121 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, pp. 136-137, 172. 122 CROPP 1975, p. 476 (plevit); RODON BINUÉ 1957, p. 198. 123 CROPP 1975, pp. 394 n. 41, 476 (poder), RODON BINUÉ 1957, p. 198. 124 RODON BINUÉ 1957, pp. 226-227 e soprattutto, per il significato di dipendenza amorosa, LOEB 119

1999. 125

EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, pp. 38-39. EDBURY 2009, ibid. 127 CROPP 1975, pp. 59-60, 400-402, LOEB 1980, p. 306. 128 EDBURY 2009, ibid.; CROPP 1975, p. 476 (senhorar, senhoratge, senhoria); RODON BINUÉ 1957, p. 126

233. 129 130

Non vengono qui registrati i luoghi in cui merce è una personificazione. EDBURY 2009, ibid.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

e) Onore [honors, onrar]: BdT 124.1 v. 21, BdT 124.6 vv. 23, 24, 47, BdT 124.16 v. 1 (= ‘onore’, ‘onorare’)131. f) Disonore, tradimento, ‘orgoglio’ anta: BdT 124.13 v. 27 (fr. honte = ‘onta’, ‘disonore’)132; [faillit, far faillimen]: BdT 124.9 vv. 37, 38, 39, 40, 42, 43, BdT 124.13 v. 30 (faillir = ‘venir meno’, ‘tradire’); [erguelh, far orgoil]: BdT 124.1 v. 38, BdT 124.6 v. 20, BdT 124.9a v. 21, BdT 124.18 v. 11 (‘orgoglio’; ‘mostrare il proprio orgoglio’ ma anche ‘ribellarsi’, addirittura ‘tradire’)133. g) Il comandare, il guidare e l’obbedire [capduelh, capdelar, descapdelar]: BdT 124.1 v. 4, BdT 124.6 vv. 36, 43, BdT 124.9 v. 10, BdT 124.9a v. 20 (= ‘guida’, ‘guidare’; ‘smarrirsi’); [mandar, comandar]: BdT 124.14 vv. 1, 28 (= ‘comandare’)134; obedir: BdT 124.6 v. 47, BdT 124.17 v. 20 (fr. obeir = ‘obbedire’, talvolta anche ‘essere vassallo’)135; [servir v., servir inf. sost.]: BdT 124.3 v. 64, BdT 124.7 vv. 25, 26, BdT 124.11 v. 38, BdT 124.13 v. 26, BdT 124.14 v. 5¸ BdT 124.16 v. 1 (fr. servir = ‘servire’, ‘servizio’)136, [soplejar]: BdT 124.1 v. 7, BdT 124.17 v. 37, BdT 124.18 v. 14. h) Il ‘beneficium’ estaje: BdT 124.9a v. 9 (= ‘luogo concesso a un feudatario ma nel quale il signore si riserva il diritto di ricevere ospitalità e alloggio’)137; honor: BdT 124.6, vv. 23-24 (= ‘feudo’); teneçon: BdT 124.1 v. 10 (fr. teneure = ‘ciò che viene detenuto per concessione signorile’)138; captaliers: BdT 124.3 v. 18 (= ‘colui che è signore o gode l’usufrutto di un capdal < CAPITALIS, bene o complesso di beni mobili o immobili’, vd. nota al testo). i) La corte e la domna: nobiltà, prodezza e cortesia [cortes, cortezia, cort]: BdT 124.1 v. 48, BdT 124.2 v. 19, BdT 124.4 vv. 13, 31, BdT 124.6 vv. 10, 51, BdT 124.9a v. 25, BdT 124.10 v. 19, BdT 124.18 v. 20 (fr. cortois = ‘cortese’; ‘corte’)139; [ricor, enriquir]: BdT 124.6 vv. 35, 40, BdT 124.17 v. 9, BdT 124.18 v. 11 (= ‘nobiltà’; ‘nobili-

131

RODON BINUÉ 1957, pp. 141-142. EDBURY 2009, ibid. 133 Per le varie sfumature di significato del termine ‘erguelh’ si veda nel suo insieme la monografia di BABIN 1993. In particolare (p. 433) vi è detto che ‘erguelh’ può presentarsi come una indegnità morale, che si contrappone a ‘valor’ e agli altri ideali cortesi. Fa di fatto coppia con ‘feunia’, cioè ‘malvagità’, ‘slealtà’ nell’accezione feudale, oltre che morale, del termine, cfr. CROPP 1975, p. 135 e 479 (con rimandi bibliografici in nota). 134 EDBURY 2009, ibid. 135 EDBURY 2009, ibid. 136 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, p. 235 (servitium). 137 RODON BINUÉ 1957, pp. 239-242. 138 EDBURY 2009, ibid.; RODON BINUÉ 1957, p. 244. Ma vedi VATTERONI 2013, vol. 1 p. 312, dove la parola, secondo una glossa di Contini ripresa da F. Fabre, è intesa come un tecnicismo giuridico: ‘usucapione’. 139 RODON BINUÉ 1957, p. 65 (curia). 132

Introduzione

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tare’)140; paratge: (fr. parage = ‘famiglia nobile > ‘nobiltà’)141; [proeza, pros]: BdT 124. 4 v. 22, BdT 124.8 v. 9, BdT 124.10 v. 19, BdT 124.11 v. 23 (= ‘prode’; ‘prodezza’)142. l) L’economia [ces, pagar lo ces]: BdT 124.2 v. 30, BdT 124.18 v. 4 (= ‘censo’, ‘pagare il censo’)143; logiers: BdT 124.3 v. 58 (fr. loier = ‘ricompensa’)144. 3.4. Fra tutte le parole in qualche modo riconducibili al linguaggio giuridico-feudale quella che, in frequenza assoluta, ritorna più spesso nelle liriche di Daude de Pradas è merce con i suoi derivati. Sebbene si tratti di parola comune nei testi di quasi tutti i poeti “amorosi”, il Nostro ne fa comunque un uso che definirei, se mi si passa l’espressione, abnorme. C’è una poesia, la BdT 124.11, in cui la parola merce costituisce rima fissa al terzultimo verso di ognuna delle cinque strofe e della tornada che la compongono. Ma è in BdT 124.9 il luogo in cui si ha un uso a dir poco orgiastico del termine e dei suoi derivati145. Si veda per questo la strofa VI, che, oltre ad essere deffrenada è anche capfinida, in quanto nel suo primo verso è ripresa la parola con la quale si conclude l’ultimo verso della precedente: merce. Nel capitolo dedicato all’esegesi dei testi di Daude, avanzo l’ipotesi che essa possa sottintendere la Grazia in senso religioso. 3.5. Altro termine che ricorre spessissimo nella poesia di Daude è (re)tener /(re)tenir, soprattutto nel significato di ‘accogliere al proprio servizio’ il poeta, che per questo prega e scongiura la domna così come si farebbe per venire accolto al servizio di un signore. Un altro significato però, in un contesto diverso, è quello proprio dell’espressione gent retener, cioè ‘accogliere o ricevere con tutti i riguardi un ospite’ o ‘intrattenere nobilmente, con bel garbo’146. 3.6. Ho detto prima che Daude ritiene l’amore realizzato pienamente solo là dove la domna (così come il signore col vassallo) accetta di scendere dall’alto gradino di paratge, ricor e pretz che la separa dallo spasimante e ad accoglierlo su un piano di parità, almeno apparente. Il modo di (con)discendere al livello dell’innamorato è quello che le suggeriscono amor e merce.

140

LOEB 1987, pp. 309-310, riferendosi a questi termini e ad altri che rimandano a una condizione di potenza, di superiorità o di merito scrive: «Les qualificatifs autour desquels s’organise l’éloge adressé tant au seigneur-protecteur qu’à la dame, laquelle, selon le système courtois, ne peut être que de haute naissance, on peut remarquer qu’ils se fondent, dans une large mesure, sur des critères de nomination et de distinction» (p. 309). 141 EDBURY 2009, ibid.; CROPP 1975, pp. 149-150 (paratge). 142 CROPP 1975, pp. 88-93 (pro), 90-91, 430-431 (proeza). 143 RODON BINUÉ 1957, p. 5. 144 RODON BINUÉ 1957, pp. 164-165. 145 Testo che io considero di Daude anche per una sua caratteristica retorico-formale (uso virtuosistico e quasi asfissiante della cobla deffrenada). 146 Vd. per i due significati CROPP 1974 e LOEB 1999. Loeb studia soprattutto le numerose occorrenze del termine e di altri appartenenti allo stesso campo semantico delle parole che indicano un rapporto di dipendenza personale in Peire Vidal, autore cronologicamente vicino al Nostro (secondo la mia ipotesi) e da quello conosciuto.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Se il rapporto si mantiene invece su livelli asimmetrici, non è più amor (né in senso feudale né in quello amoroso) ma servatge. Secondo Ourliac, un senher che avesse preteso di far pesare la sua dominanza sarebbe stato quasi inconcepibile, o quantomeno molto raro e malvisto, nell’ambito della feudalità meridionale anteriore alla crociata antialbigese. E nella sua documentata tesi di dottorato Ariane Loeb insiste sull’amore che gli uomini di allora provavano e manifestavano per i loro signori, un amore espresso in forma d’arte dai trovatori: in tal modo costoro sarebbero quasi da considerarsi dei veri “intellettuali organici” a un feudalesimo fondato sull’amor147. Anche se questa ricostruzione sembrerebbe dar ragione alle numerose laudationes temporis acti di quei poeti che – insieme con i loro mecenati – si trovarono quasi di punto in bianco a vivere in un’epoca di orrori, il quadro non era probabilmente così roseo. Il feudalesimo poteva reggersi, almeno in parte, sull’amore, ma si reggeva anche – e forse soprattutto – sulla paura e sulla più rigida disciplina. Ramon Trencavel, lo sfortunato giovane signore di Béziers e Carcassonne, spossessato e poi ucciso dai crociati, viene prosciolto da Guilhem de Tudela dall’accusa di essere egli stesso un eretico, ma è dallo stesso scrittore accusato di culpa in vigilando: trattava troppo affabilmente i suoi vassalli, e non sapeva incutere loro paura. Per questo essi approfittarono della sua bontà e lo tradirono, riempiendo di eretici le sue terre e causando, da ultimo, la sua rovina. Del resto, un proverbio francese del tempo recitava «Privé seignor fait fole mesnie». Questo e altro si viene a sapere leggendo un interessante contributo pubblicato in rete da Céline Cheirizy, dove si nota come – nei primi tempi dell’Inquisizione, cioè intorno al 1233 – al di là dell’odio o della diffidenza nei confronti di inquisitori e uomini di chiesa, ciò che frenava soprattutto uomini e donne dal testimoniare contro il proprio signore e i suoi familiari e amici era una vera e propria atmosfera di terrore148. Gli atti degli interrogatori dell’inquisizione esaminati dalla studiosa francese ci mostrano testimoni apparentemente disposti a collaborare con gli inquisitori ma trattenuti da un timore fortissimo di rappresaglie (delle quali vengono citati alcuni casi). Ma forse trattenuti anche (e qui può tornare a imporsi il punto di vista di Ourliac, di Loeb e di Macé sull’importanza dell’amor nel rapporto personale col signore)149 da un sacro timore. Cioè il timore di assumersi il peso e la responsabilità di rompere quel vincolo di dipendenza assoluta che in un certo senso giustifica, agli occhi dei vassalli e anche dei servi, la loro stessa esistenza150. Si tratta di uomini e donne donati anima e corpo al loro dominus. 3.7. Un terrore simile è quello che manifesta (mutatis mutandis), o finge poeticamente di manifestare, Daude de Pradas nei confronti della sua domna, con l’immagine dello sparviero (l’innamorato) sorpreso dall’aquila, contro la quale non gli valgono né forza né intelligenza (BdT 124.3). Ecco dunque che l’innamorato è serf, hom endomensgiers, o addirittura ‘prigioniero’

147

LOEB 1992. CHEIRIZY 2009. Un terrore che non si poteva dire solo psicologico, dal momento che spesso chi rompeva l’omertà (parola che non a caso una delle possibili etimologie fa risalire a un’espressione il cui significato è «essere l’uomo – cioè il vassallo o il servo – di qualcuno») era oggetto di dure rappresaglie, anche e soprattutto fisiche. 149 OURLIAC 1965, LOEB 1983, 1987, 1992 e 1999, MACÉ 2000. 150 Si veda, per la condizione psicologica del vassallo (ma anche del trovatore) senza più dominus, LOEB 1999, p. 310. 148

Introduzione

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senza possibilità di riscatto151. Può sperare solo nella merce (mentre razo, da intendersi tanto come comune “buon senso” quanto come ratio giuridica, nega ogni speranza)152. La sua attitudine sottomessa non lo salva peraltro dal vedere infranto da parte della domna la convenentia, quell’accordo sulla parola a dire di Ourliac ancor più sacro di un giuramento nel contesto feudale del Midi pre-crociata. Per questo il nostro poeta, in altri versi, sembra volersi ribellare e dice: «ben pot saber: no m’aura mais / silh que no vol mon omenaje!» (BdT 124.9a, vv. 4445). 3.8. Lo spazio della “corte” (spazio terreno e concreto oppure, almeno in certi casi, allusione a qualcosa di superiore?) è quello in cui per natura si esprime l’amore trovadorico153. L’aggettivo cortes e il termine cortezia si riferiscono primariamente a ciò che è, da un punto di vista – diciamo – fisico, proprio di questo spazio e in un secondo momento passano a indicare gli ideali (più o meno realizzati e realizzabili) in tale ambiente. Questi ideali sono paratge (una parola che in origine designa una casata e che poi nella lingua dei trovatori indicherà la nobiltà nel suo senso più positivo e morale), proeza (valore, coraggio e nobiltà d’animo uniti insieme) e ricor (‘nobiltà’, dalla quale non sempre si può separare una sfumatura di altezzosità). Ma è anche il luogo in cui il senher (e molto più la domna) manifesta erguelh nei riguardi dei suoi subalterni. Costoro non vorrebbero altro che entrare in comunione di amor, e sono soggetti invece al comandar, al dovere di obezir e servir tot en perdos, come dice spesso Daude, cioè ‘senza

151

Si noti anche l’uso relativamente frequente che Daude fa della parola servir [verbo e infinito sostantivato] e di obedir. A questo uso non è estraneo Peire Vidal, che, pur esprimendo le relazioni cortesi in termini d’“amitié”, parla di se stesso anche in termini di servidor, servir, dimostrando anch’egli, nell’uso del linguaggio rivolto alla sua domna, quasi meno intimità e pariteticità che nei confronti dei suoi protettori, con i quali il rapporto è espresso in termini feudo-vassallatici fondati sull’amor e la convenentia (vd. esempi in LOEB 1987, e LOEB 1999). Per la condizione di “prigioniero” dell’amante si vedano invece i vv. 4-9 di BdT 124.9a: «no·m lais’Amors estar suau, / ans vol qu’eu chant, vola o non, / cel qui m’a tengut en preison / tan longamen c’apenas sai / si·n porai viure: s’en m’estrai, / que mais no torn en son estaje!» 152 Cfr. BdT 124.6, vv. 25-29 «S’Amors o vol e·m fai Merces secors / ieu serai tost gueritz de las dolors /e dels maltragz on ai lonc temps estat; / mas si·m destrenh Razos e·m fier e·m bat /que tot quan pes me torna d’autre fuelh», e vv. 33-36 e ibi «Ges de midons no·m pot Razos partir, / qu’ie·m clam per Dieu e per Humilitat; / e si Razos trai de lai sas ricors / ieu fauc de sai de Merce mon capduelh». 153 A proposito di una “professionalizzazione” dei poeti, interpreti di questo amore, osserva VATTERONI 2001, p. 362, che sul finire del XII secolo, quasi all’epoca in cui Daude comincia a comporre, «L’abbassamento del livello sociale della corte comporta una sorta di aggiustamento della mentalità: ne è un tratto la preminenza accordata al talento individuale indipendentemente dal rango sociale, come nel caso di Giraut de Bornelh, secondo la biografia uomo di bassa condizione ma “maestre dels trobadors”». E altrove (p. 368), riprendendo le conclusioni di Martin Aurell, nota che dopo il 1220 [epoca di poco posteriore alla presunta cessazione dell’attività di poeta profano da parte di Daude], in una corte come quella dei conti di Provenza «il tratto caratteristico è la professionalizzazione della funzione del trovatore, che sempre più si confonde con il personale subalterno di corte, con il gruppo di autori-esecutori stipendiati dal signore […] La produzione poetica a corte è abbondante, soprattutto sul versante dei componimenti di tono scherzoso e leggero». In seguito, ma non molto dopo, si assisterà all’«instaurarsi di un clima più cortigiano che cortese» (p. 370).

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

alcuna ricompensa’. Commentando la canzone Lo rossinholet salvatge di quel Gaucelm Faidit che io ipotizzo essere stato contemporaneo e corrispondente di Daude, Martin Aurell scrive della corte: «Elle y apparaît sous un jour plutôt negatif par l’évocation des lauzengiers, les flagorneurs et médisant qui la peuplent. À en croire les troubadours, l’intrigue et le ragot régnent en ce lieu, où le secret devient la règle première pour celui qui veut préserver son amour»154.  3.9. Dal signore, secondo Ourliac, il vassallo non pretendeva – in quella presunta età dell’oro che precedette la crociata antialbigese – altro che il ricambio dell’amor e l’occasione di potersi fare in qualche modo onore al suo servizio. D’altra parte, però, il signore per rendersi degno del suo rango e per mantenere e accrescere l’amor dei suoi uomini, doveva essere larcs, cioè generoso. Anche dalla domna i trovatori si aspettano una qualche manifestazione di largueza in cambio del loro amor e del servir, ma in genere costei – per un malinteso amore del suo “pregio” – vi si dimostra poco incline155. Questo, come ho detto, sembra valere particolarmente per la domna evocata da Daude de Pradas: in BdT 124.7, ad esempio, il dettato è tutto teso a dimostrare la durezza – se non l’ingiustizia – di lei. Tanto che l’unica speranza di una “ricompensa”(?) sembra venire da Mal Aips, senhal piuttosto misterioso che, come abbiamo visto, forse indica una domna la quale interpreta, a seconda della situazione, il ruolo di amata dal poeta (ma anche in questo caso senza successo) oppure di protettrice e consigliera: «A Fol Conselg t’en vai ades, chansos, / e digas li qu’ieu non trop sai merce / ab Joi Novelh si Mals Aips no·m capte, / a cui m’en torn pos tan gen mi gaçagna». La speranza è l’unica a offrire una contropartita all’amore del poeta: essa vale per quest’ultimo quanto una teneçon (una forma di beneficio assimilato spesso al franc fief)156, vedi BdT 124.1 «Tant mi par m’esperança bella / que be·m val una teneçon / e plus. Espers mi fai tal pron». 3.10. Lo stesso Amor poi (personificato e addirittura considerato un Dio come presso i poeti pagani), oltre che avaro è anche avido: in ben due testi si parla del ces (cens), l’imposta feudale che il detentore del feudo deve al signore e di cui Amore è esattore inesorabile ed esoso. Esattore non solo di canti e di forzata allegria (vedi BdT 124.18 vv. 1-5: «Trop be

154

AURELL 2006, p. 79. Lo stesso autore ricorda che quello degli adulatori è già un tema classico della letteratura latina curiale, nella quale i canes aulici sono coloro che spingono coi loro consigli il signore all’usare rigore contro chi non è loro simpatico e “abbaiano” per secondare sempre il signore stesso. La proposta di MONSON 1994, secondo la quale il significato della parola lauzengier non è tanto quello di “malparliere” più o meno interessato o di “pettegolo”, ma si riferisce invece al ‘consigliere di corte infedele’, mi sembra trovi in questo quadro una perfetta collocazione. 155 Salvo poi concedersi interamente a un uomo di minor valore solo perché costui è abbastanza sfrontato da stuzzicarne gli appetiti e da vincerne in modo poco onorevole le resistenze, vd. BdT 124.18, vv. 17-24: «Amors, de vos ai tant apres: / que·ill fals truan e·ill trichador /que non temon Dieu ni honor / e·is fenhon de non re cortes / an de vos lo baizar e·l bratz / e, per malaventura, jatz; / e vers amicx de bona fe / non aura ja ni so ni que». 156 Vd. GIORDANENGO 1988, pp. 113 e 133. Tale forma di beneficio era geograficamente delimitato al sud-est della Francia, al Lionese, al Forez, all’Alvernia e al Languedoc. Esso rispondeva alle condizioni della feudalità meridionale e rendeva più facile conquistare nuovi vassalli, i quali non si vedevano imporre se non servizi militari, e anche questi piuttosto leggeri.

Introduzione

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m’estera si·s tolgues /Amors de mi et ieu d’Amor,/ que ieu no·n ai re mas dolor, / et ill vol de me totz sos ses: / qu’ieu chant e·m deport e·m solatz»), ma anche di denaro, quello che, sempre nella famosa poesia BdT 124.2, serve per comprare i favori della giovanissima sodadeira, cioè prostituta: «Amors vol ben que per razon / […] / m’aicine tan que ab leis [con la sodadeira] jaia / un ser o dos de mes e mes / per pagar ad Amor lo ces». 3.11. Su questa nota scherzosa, ma anche molto malinconica, si chiude la mia rapida analisi dell’uso del lessico giuridico-feudale in Daude de Pradas. Concluderei affermando che, se gli studi dei moderni biografi del trovatore non avessero riportato alla luce il titolo di magister del quale si fregiò da un certo momento della sua vita, proprio la frequenza sia quantitativa sia qualitativa del lessico giuridico-feudale nelle sue poesie157 ci avrebbe probabilmente colpiti comunque, e forse ci avrebbe fatto sospettare che egli non fosse un semplice dilettante della materia. E rispetto ai poeti della sua epoca (ma un po’ più anziani) come Gaucelm Faidit e Peire Vidal – anch’essi abbondanti in quella terminologia – ci avrebbe colpito il tono spesso ironico o parodico che egli ne fa, quasi degno di certe poesie dei contemporanei Carmina Burana e di altre composizioni medio-latine opera di clerici colti, i quali giocano più o meno scopertamente con tale linguaggio.

4. Caratteristiche della tradizione manoscritta 4.1. La tabella che segue mostra l’ordine di successione dei componimenti di Daude de Pradas all’interno di quei canzonieri che ci trasmettono più di un suo testo: ogni sigla letterale è naturalmente quella che per convenzione serve ad indicare un testimone manoscritto della lirica provenzale; le cifre numeriche sottostanti sono quelle con le quali ogni componimento è registrato nella bibliografia di Pillet e Carstens158.

157

Se si ha la pazienza di cercare nel rimario (testo per testo) e nel glossario che accompagnano questa edizione, si vedrà non solo che l’uso dei termini giuridico-feudali è estremamente vario e abbondante, ma che lo si ritrova nei punti chiave delle singole poesie, là dove esso è evidenziato dalla rima oppure dove costituisce il termine qualificante di un concetto o di una riflessione. 158 I numeri scritti in corsivo sono quelli di poesie registrate come anonime nei canzonieri, quelli in neretto indicano poesie che i codici attribuiscono ad altri trovatori, quelli preceduti dalla siga BdT e da un numero sono poesie di altri trovatori (Bernat de Pradas) attribuite a Daude de Pradas. Non è compreso nella tabella il ms. L, il quale non è utile al nostro confronto poiché riporta solamente, adespoto, il componimento n° 9.

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A 1 3 9a 13 14 17 18 7 4 6 11 2 10

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

C 14 2 18 10 12 BdT 65.1 BdT 65.2 1 17 9a 11 6 BdT 65.3 9 8 16 5 3 7 13 15

D Da 1 6 3 11 9a 2 13 14

Dc 6 11 10 17

E 9a 14 13 17 18

G 6 11

H 1 3 9a 13 14

I 6 11 2 7 18

K 6 11 2 7 18

M 1 10 11 15 9a

N 15 1 3 9a 6

O 6 2 10 11

P 6 8

R 13 17 1 10 11

a 7 1 2

a1 8 11 10 13 14

17

7

17

17

17

6

10

15

17

18

2

9

3

3

3

11

9a

9a

7 4 15

1

18

10 8

10 8

14 13 17 8

13 14 17 8 18

6 14 3 7

18 7 2 15

Si 11 13 14 17 8

7 2 9

4.2. Qui mi propongo di fare alcune osservazioni sui rapporti intercorrenti tra i codici che ci trasmettono i componimenti sia a livello della varia lectio (al livello cioè di una critica interna ai testi) sia a quello dell’ordinamento delle varie poesie entro la sezione dedicata, nei codici stessi, al nostro autore (critica esterna). 4.3. Vediamo così che i manoscritti MR presentano sei componimenti trascritti nello stesso ordine: 1, 10, 11, 15, 9a, 6. Se leggiamo la discussione svolta nei cappelli di questi sei testi osserviamo che in cinque casi su sei i due testimoni risultano strettamente imparentati in base ad errori congiuntivi e che solo in un caso – quello del testo 10 – la loro parentela rimane presunta. MR sono manoscritti appartenenti a quella che Avalle chiama «costellazione y»159.

159

Comprendente i codici CGMQRTf e talvolta ac, derivanti da una raccolta di codici localizzabile tra Béziers e Narbona., vedi AVALLE 1993, pp. 89-98.

Introduzione

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4.4. Prendiamo il caso dei manoscritti ADH: essi presentano la successione 1, 3, 9a, 13, 14 e 17. H interrompe la serie al componimento 17 ma AD, continuando a trascrivere, hanno in comune un’altra successione identica di tre testi, 18, 7, 4. Se consideriamo la sezione Da del canzoniere D vediamo un’ulteriore corrispondenza di tre testi: 6, 11, 2. Consultiamo i risultati della discussione svolta nei cappelli e vediamo come i tre testimoni AD(Da)H risultano congiunti non solo da un ordine uguale di successione delle liriche ma anche da lezioni congiuntive comuni160. 4.5. Passiamo ai canzonieri NSi: l’intero corpus trasmesso dal frammento Si coincide, per l’ordine di successione, con una parte del corpus di N: 11, 13, 14, 17, 8. In due casi (13 e 14) i due manoscritti risultano congiunti da errori e lezioni caratteristiche; in due altri casi (11 e 17) il congiungimento non è dimostrabile per via puramente interna (in 17 però tutti i manoscritti risultano discendenti da un archetipo); nell’ultimo caso (8) il congiungimento è solo ipotizzabile in virtù di alcune varianti comuni. 4.6. Il manoscritto E e i manoscritti gemelli IK presentano un curioso fenomeno: quattro componimenti compaiono nel primo in un ordine che è quello degli altri due ma rovesciato: 17, 18, 7, 2 in E e 2, 7, 18, 17 in IK. In un solo caso, quello del componimento 7, i tre codici risultano congiunti al piano basso dello stemma, in due (componimenti 17 e 18) il collegamento è dimostrabile solo al piano dell’archetipo (e nel caso del 17 l’archetipo è incerto); nell’ultimo caso (componimento 2) la congiunzione avviene invece al livello dell’immediato subarchetipo (vedi). Non posso proporre un’ipotesi che spieghi in modo convincente le ragioni di tale specularità in questa parte degli ordini di successione di E ed IK161. 4.7. Serie più brevi di componimenti si ritrovano uguali o quasi in gruppi più vasti di manoscritti; vediamo ad esempio che la serie 1, 3, 9a è comune non solo ai manoscritti ADH, ma anche al manoscritto N. A livello stemmatico N si congiunge agli altri tre testimoni sicuramente nel caso del componimento 3 e anche nel caso del testo 1, mentre la congiunzione non è dimostrabile nel caso di 9a. N d’altra parte è uno di quei codici che come ADH appartiene al raggruppamento ε di Avalle. L’accordo AD (H solo parzialmente) ed N si ripropone anche in una serie 13, 14, 17, 8 (A manca), 18, 7, ma nel caso di questa serie N non appare strettamente congiunto, a livello di lezioni del testo, con gli altri tre canzonieri: nel caso del

160 Questi tre manoscritti appartengono al gruppo che Avalle chiama ε, «uno dei pochi punti fermi della tradizione trobadorica», AVALLE 1993, pp. 75-89. In questa fonte, nella quale sarebbero confluiti il «liber Alberici» (cioè Alberico da Romano, signore della Marca Trevigiana e cultore di lirica trovadorica) e altri testimoni, erano raccolti materiali poi rifluiti nei manoscritti ABDHIKNLT, nonché E. Quest’ultimo, sebbene sia un codice esemplato nella Francia meridionale (in Linguadoca) deriverebbe da un prodotto di ε riportato nella terra d’origine dei trovatori. ε sarebbe stato opera di un’officina scrittoria che Avalle localizza nel Veneto, più precisamente nel Veneto occidentale. 161 Un caso che si potrebbe definire identico si ritrova nella tradizione manoscritta di Peire Cardenal (vd. VATTERONI 2013, vol. 1, p. 50). Anche questo studioso dichiara di non poter fornire al momento una spiegazione plausibile del fenomeno.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

componimento 13 nessuna congiunzione è dimostrabile tra ADH ed N; in 14 nessuna congiunzione è ipotizzabile se non a livello di archetipo162. In 17 il raggruppamento ADHN appare abbastanza certo. In 8 (che manca ai manoscritti A ed H) N appare congiunto con DMa1; nel testo 18 DHN appartengono allo stesso ramo della tradizione ed A al ramo opposto, tuttavia l’intera tradizione deriva da un archetipo; in 7 infine AD ed N (H manca) appartengono allo stesso raggruppamento. Se torniamo ad osservare la tabella posta al principio di questo paragrafo vediamo che è ricostruibile in buona parte dei testimoni un ordinamento di sette testi: 13, 14, 17, 8, 18, 7, 2. È questo forse il caso in cui ε ed y di Avalle derivano da una fonte comune ordinata nella maniera sopra detta. In EMR avremmo avuto un rovesciamento dell’ordine per i primi due testi, 13 e 14, rovesciamento che io credo responsabile della variante introdotta nel primo verso di 13, amors al posto di merces, una specie di eco del primo verso di 14, che a causa della variazione d’ordine riscontrabile in EMR ora precede 13. Gli ordini 1, 3, 9a di ADHN e 6, 11, 2 di ADaIK + (solo 6 e 11) DcG sarebbero invece attribuibili ad una risistemazione di materiali operata forse da ε. A quest’ultima si rifà eccezionalmente anche G (vedi gli stemmi dei componimenti in questione), che secondo Avalle dipenderebbe invece dalla costellazione y. 4.8. La domanda che ci si può porre al punto in cui siamo arrivati è questa: una volta individuato lo stesso ordine di successione per alcuni componimenti in un gruppo dato di testimoni, è possibile postulare per tutti loro una parentela, sebbene solo per una parte di essi tale parentela risulti dimostrabile in virtù dei soli dati della critica interna? In altre parole, dato in un numero x di testimoni un particolare ordine di successione dei testi, ma accordi in lezioni errate solo tra alcuni di questi ultimi, è possibile sostenere l’ipotesi che tutti questi testi derivino da uno stesso antigrafo? Uno scrupolo di prudenza impedisce forse di giudicare senz’altro a favore di tale ipotesi; eppure, io ritengo che essa deve essere considerata attentamente, se non favorevolmente.

5. Osservazioni metriche 5.1. Tavola di concordanza con FRANK 5.1.1. Testi attribuibili a Daude de Pradas 1) 124.1 577: 234 2) 124.2 592: 37 3) 124.3 592: 24 4) 124.4 577: 245 5) 124.5 741: 2 6) 124.6 885: 1 7) 124.7 407: 17 8) 124.8 592: 2 9) 124.9 589: 1

162

In 17 ADHN si unisce a Si.

Introduzione

10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19)

49

124.9a 589: 8 124.10 592: 25 124.11 589: 9 (formula sillabica errata) 124.12 624: 52 124.13 382: 86 124.14 577: 257 124.15 142:1 124.16 168: 6 124.17 577: 99 124.18 577: 205

5.1.2. Testi di dubbia attribuzione 20) 461.86

577: 223

5.2. Schemi metrici e rimantia (1) 15 FRANK 142:1 strofa 8a 8a 8b 8b 8a 8b 8c 8c 8d 8c 8d tornada 8c 8d 8c 8d rime a) ar b) or c) en d) atz rimanti: a) consirar (1); pensar (2); fizar (5); afinar (12); desamar (13); amar (16); mostrar (23); celar (24); salvar (27); par (34); mar (35); prezar (38); montar (45); levar (46); lauzar (49); clar (56); enlumenar (57); regardar (60); chantar (67); deschantar (68); enchantar (71) b) Amor (3); sabor (4); dousor (6); desamor (14); odor (15); seignor (17); meillor (25); pejor (26); Salvador (28); Salvador (36); valor (37); honor (39); flor (47); lor (48); lausor (50); clairor (58); pechador (59); resplandor (61); chantador (69); plor (70); enchantador (72) c) perpren (7); comensamen (8); finamen (10); moren (18); sufren (19); enten (21); veraiamen (29); salvamen (30); guiren (32); onradamen (40); granmen (41); conten (43); empren (51); eissamen (52); leialmen (54); sen (62); cen (63); consent (65); alegramen (73); primeiramen (74); prezen (76); soven (78*); volen (80*) d) vertatz (9); amatz (11); desamatz (20); salvetatz (22); salvatz (33); onratz (42); montatz (44); lauzatz (53); alogatz (55); pechatz (64); clardatz (66); alegretatz (75); chantatz (77); bonauratz (79*); amatz (81*)

a

* = rima della prima tornada. ** = rima della seconda tornada.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

7 coblas unissonans di 11 vv. più una tornada di 4 vv. Questa poesia è in coblas deffrenadas163 e a dictios derivativas. Lo schema è un unicum.

(2) 16 FRANK 168:6 strofa 8a 8a 8b 8b 8’c 8’c 8d 8d tornada 8’c 8’c 8d 8d rime a) ir b) e c) igua d) ar rimanti: a) servir (1); grazir (2); venir (9); fugir (10); sospir (17); dezir (18); suffrir (25); dezir (26); maldir (33); azir (34) b) merce (3); cre (4); be (11); dese (12); ancse (19); te (20); que (27); me (28); me (35); fe (36) c) digua (5); amigua (6); dentarigua (13); desrazigua (14); destrigua (21); enigua (22); Antigua (29); gigua (30); pigua (37); mendigua (38); maldigua (41*); figua (42*) d) far (7); amar (8); anar (15); comensar (16); humiliar (23); escoutar (24) plorar; (31); joguar (32); trencar (39); baizar (40); estraguar (43*); blasmar (44*) 5 coblas unissonans di 8 vv. più una tornada di 4 vv. Non è possibile individuare con sicurezza un modello metrico per questa canzone. Tipologia di versi e schema delle rime (ma non le rime) sono condivisi solo con l’anonima cobla BdT 461.98.

(3) 13 FRANK 382:86 strofa 8’a 8b 8’a 8b 8c 8c 8d 8d tornadas 8c 8c 8d 8d rime a) uda b) on c) it d) en rimanti: a) ajuda (1); perduda (3); tenguda (9); muda (11); sabuda (17); resconduda (19); coneguda (25); venguda (27); volguda (33); druda (35 b) rason (2); son (4); pron (10); bon (12); prison (18); fon (20); giçardon (26); copagnon (28); perdon (34); non (36)

163

«Deffrenada es dicha aquella. cobla. que soen torna una meteyssha dictio. o motas. o diversas. oz una meteyssa oratio. o diversas. quo garda orde. lo comensamen e la fi. et aquesta no garda degun orde. perques apelada deffrenada coma cavals ques defrenatz que va lay on se pot et aytal mot retornat no devon esser continuat. ans deu esser al mens us autres motz en lo mieg», in GATIEN-ARNOULT 18411843, vol. 1, p. 292; cfr. anche ANGLADE 1919-1920, t. 2, p. 149.

Introduzione

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c) graçit (5); faidit (6); envit (13); cumplit (14); cobit (21); partit (22); trait (29); eissernit (30); guit (37); crit (38); petit (41*); oblit (42*); guit (45**); complit (46**) d) gen (7); eisamen (8); volven (15); pren (16); privadamen (23); pensamen (24); sen (31); talen (32); espaven (39); cuvinen (40); finamen (43*); en (44*); veramen (47**); Joven (48**) 5 coblas unissonans, più 2 tornadas di 4 vv. Lo schema delle rime è dei più comuni, ma la sua combinazione con questa tipologia di versi fa del testo un unicum.

(4) 7 FRANK 407:17 strofa 8a 7’b 8a 7’b 8c 7’d 8c 7’d rime (derivative) a) ir b) ira c) ur d) ura rimanti: a) desir (1); sospir (3); consir (9); vir (11); soffrir (17); acuillir (19); servir (25); languir (27);  tir (33); partir (36) b) desira (2); suspira (4); conssira (10); vira (12); sofrira (18); acuillira (20); servira (26); languira (28); tira (34); partira (36) c) rancur (5); cur (7); meillur (13); pejur (15); dur (21); atur (23); conjur (29); adreitur (31); pur (38); segur (39) d) rancura (6); cura (8); meillura (14); pejura (16); dura (22); atura (24); conjura (30); dreitura (32); pura (38); asegura (39) 5 coblas unissonans di 8 vv. ciascuna, con rime derivative 1/2, 3/4, 5/6, 7/8. Unico possibile antecedente metrico la canzone di Raimbaut d’Aurenga BdT 389.32 (No chant per auzel ni per flor) che però non presenta le rime derivative ed è costruita su rime differenti (or, ada, en, aire).

(5) 17 FRANK 577:99 strofa 10a 10b 10b 10a 10’c 10’c 10d 10d tornada 10’c 10’c 10d 10d rime a) ir b) is c) eja d) ans. rimanti: a) desir (1); tenir(4); enriquir (9); departir (12); afortir (17); obezir (20); aucir (25); ferir (28); dir (33); vir (36) b) assis (2); Paradis (3); enardis (10); sofris (11); conquis (18); afortis (19); acuillis(26); ris (27); plevis (34); ofris (35) c) enveja (5); deja (6); enveja (13); […] (14); gerreja (21); plaideja (22); autreja (29); dompneja (30); sopleja (37); merceja (38); deja (41*); veja (42*)

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

d) malanans (7); benestans (8); semblans (15); talans (16); afans (23); dans (24); denans; (31); baisans (32); chans (39); amans (40); membrans (43*); ans (44*) 5 coblas unissonans di 8 vv., più una tornada di 4 vv. Lo schema (risultato della combinazione rimica – la più usata in assoluto – con la tipologia di verso) conta nel repertorio di FRANK ben quarantotto realizzazioni, ma non si può identificare con sicurezza un evidente modello metrico per il testo di Daude, in quanto le rime sembrano non coincidere con quelle di nessun altro.

(6) 18 FRANK 577:205 strofa 8a 8b 8b 8a 8c 8c 8d 8d tornada 8c 8c 8d 8d rime a) es b) or c) atz d) e rimanti: a) tolgues (1); ses (4); merces (9); bes (12); apres (17); cortes (20); tres (25); res (28); avengues (33); fezes (36) b) Amor (2); dolor (3); dousor (10); ricor (11); trichador (18); honor (19); color (26); mirador (27); lor (34); amador (35)  c) solatz (5); platz (6); menasatz (13); soplejatz (14); bratz (21); jatz (22); sapiatz (29); malvatz (37); latz (38); platz (41 *); aujatz (42 *) d) me (7); be (8); te (15); ce (16); fe (23); que (24); ve (31); ple (32); se (39); se (40); que (43*); me (44*) 5 coblas unissonans di 8 vv., tornada di 4 vv. Schema delle rime e dei versi non raro, ma le rime non hanno riscontro perfetto negli altri testi.

(7) 1 FRANK 577:234 strofa 8’a 8b 8b 8’a 8c 8c 8d 8d rime I-II: a) ela b) on c) ais d) ei III-IV: a) ia b) ir c) ar d) ans V-VI: a) ana b) ics c) oil(l)/ueil d) er rimanti: I-II: a) renovela (1); capdela (4); bella (9); apella (12) b) chançon (2); somon (3); teneçon (10); pron (13) c) nais (5); mais (6); verais (13); gais (14) d) soplei (7); vei (8); esfrei (15); domney (16) III-IV: a) plaseria (17); vulria (20); drudaria (25); fadia (28) b) avenir (18); desir (19); chausir (26); suspir (27)

Introduzione

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c) honrar (21); apregar (22); fadeiar (27); demandar (28) d) talans (23); semblans (24); amans (31); demans (32) V-VI: a) ufana (33); apana (36); certana (41); vilana (44) b) amics (34); rics (35); trics (42); abrics (43) c) orgoill (37); voil (38); Roquefeuil (45); acueil (46) d) saber (39); plaser (40); tener (47); caber (48) 6 coblas doblas di 8 vv. ciascuna. Lo schema delle rime è il più comune, nella lirica trovadorica così come nel corpus del nostro poeta. L’interpretazione che quest’ultimo ne dà qui è invece particolare : è in coblas doblas, con rime che non sembrano rimandare (per quanto comuni) a un particolare modello, e la tipologia dei versi impiegata all’interno dello schema è propria solo di questo testo.

(8) 4 FRANK 577:245 strofa 8a 8’b 8’b 8a 6’c 6’c 8d 8d tornadas 6’c 6’c 8d 8d rime a) itz b) ida c) ia d) es rimanti: a) marritz (1); ditz (4); auzitz (9); esperitz (12); grazitz (17); esbahitz (20); guitz (25); garnitz (28); adormitz (33); partitz (36)  b) marrida (2); vida (3); complida (10); crida (11); issernida (18); complida (19); partida (26); establida (27); guida (34); oblida (35) c) valia (5); Cortesia (6); dizia (13); convenia (14); auzia (21); faillia (22); Maria (29); daria (30); paria (37); envia (38); via (41*); trametia (42*); sia (45**); seignoria (46**) d) Merces (7); es (8); non-res (15); plagues (16); conogues (23); pres (24); cortes (31); ges (32); ples (39*); pes (40*); sirventes (43**); Rodes (44**) 5 strofe unissonans di 8 vv. più 2 tornadas di 4 vv. Per quanto riguarda lo schema delle rime (577) vale ciò che è stato detto sopra: è il più comune. Singolare invece l’uso delle tipologie dei versi che lo riempiono. Così pure, le rime, per quanto molto comuni, non sembrano rimandare a un qualsiasi modello in cui compaiano nello stesso ordine.

(9) 14 FRANK 577:257 strofa 7’a 7’b 7’b 7’a 8c 8c 8d 8d rime a) anda b) aia c) ir d) en rimanti: a) comanda (1); espanda (4); blanda (9); demanda (12); abranda (17); Irlanda (20); guaranda (25); manda (28); randa (33); resplanda (36)

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

b) retraia (2); plaia (3); veraia (10); asaia (11); raia (18); apaia (19); gaia (26); aia (27); atraia (34); aia (35) c) servir (5); dezir (6); escondir (13); sospir (14); chauzir (21); departir (22); acuillir (29); retenir (30); mantenir (37); assir (38) d) enpren (7); finamen (8); gen (15); enten (16); sotilmen (23); sen (24); gen (31); coralmen (32); avinen (39); Joven (40) 5 coblas unissonans di 8 vv. Lo schema delle rime è quello che ritorna più frequentemente nei testi di Daude. I tipi di verso e la loro distribuzione all’interno della strofa si ritrovano anche in Guilhem Ademar (BdT 202.2) e in una cobla anonima (BdT 461.150), ma con nessuno di questi testi il nostro condivide le rime. Difficile dire quale tra i due poeti, Daude e Guilhem, possa vantarsi di aver disposto in tal modo quei tipi di versi all’interno dell’usatissimo schema rimico 577 la cronologia della loro produzione è infatti quasi perfettamente sovrapponibile (per Guilhem RIQUER 1992 fornisce gli estremi cronologici …1195-1217…).

(10) 9 FRANK 589:1 (indicazione errata della rima II c: ut invece del corretto art) strofa 10a 10b 10b 10a 10c 10c 10d 10d 10e rime I a) el b) or c) oil d) age e) es II a) os b) er c) art d) ut e) es III a) it b) en c) aill d) en e) es rimanti: I a) aucel (1); ramel (4); capdel (10); novel (13) b) amor (2); verdor (3); flor (11); major (12) c) voill (5); voill (6 E); duoill (14); duoill (15 E) d) alegrage (7); follatge (8); enrage (16); seignorage e) ples (9); fes (18)  II a) joios (19); amdos (22); raszos (28); guierdos (31) b) vezer (20); saber (21); esper (29); sezer (30) c) part (23); part (24 E); quart (32); qart (33) d) saubut (25); retengut(26); retengut (34 MT); cregut (35) e) pres (27); ges (36) III a) faillit (37); enardit (40); garnit (46); desguarnit (49) b) faillimen (38); jutjamen (39); aten (47); gen (48) c) faill (41); faill (42 E); vaill (50); va·ill (51 E) d) ubertamen (43); sen (44); queren (52); jausen (53) e) Merces (45); valgues (54). 6 coblas doblas di 9 vv.; coblas capfinidas; rima equivoca tra il quinto e il sesto verso di ogni strofa. La rima e) è la stessa da una strofa all’altra. Coblas deffrenadas (1-3, 5-6). Le rime III b) e d) sono uguali (en). Questo testo è un vero fuoco d’artificio metrico, realizzato peraltro in uno spirito che il Rinascimento avrebbe definito forse della “sprezzatura”. Rime e rimanti sono infatti tutti in apparenza molto “facili”, per cui rischia di sfuggire a una prima lettura (ma non all’ascolto) che il poeta utilizza sistematicamente alla sede c) di ogni strofa la rima equivoca e in sede e) sempre la stessa rima (in es). L’uso delle coblas deffrenadas e di quelle cap-

Introduzione

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finidas accresce la difficoltà di composizione. Ho parlato di “sprezzatura” in quanto il poeta usa, probabilmente a sommo studio, una rima difettosa ai vv. 26-34 (un mot tornat: reten), e rime uguali in III, in sede b) e d), quasi come se egli sacrificasse il suo virtuosismo metrico alle esigenze del dettato. Schema delle rime e tipi di verso di questo testo rimandano a quelli di Rigaut de Barbezilh, BdT 421.8, il quale però non usa la stessa imponente panoplia metrico-retorica dispiegata da Daude. E neppure le rime (tranne una) trovano corrispondenza nell’uno e nell’altro testo.

(11) 9a FRANK 589:8 strofa 8a 8b 8b 8a 8c 8c 8d 8d 8’e tornada 8d 8d 8’e rime a) au b) ueil(l)/oil c) on d) ai e) aje rimanti: a) esgau (1); suau (4); brau (10); blau (13); esclau (19); clau (22); estau (28); vau (31); nau (37); lau (40) b) fueil (2); acueil (3); sueil (11); mueill (12); capdueil (20); orgoil (21); voil (29); doil (30); oil (38); doil (39) c) non (5); preison (6); abandon (14); rason (15); tenson (23); pron (24); leon (32); faison (33); fon (41); son (42) d) sai (7); estrai (8); trai (16); eschai (17); gai (25); esmai (26); desfai (34); plai (35); ai (43); mai (44); atrai (47*); fai (48*) e) estaje (9); Paraje (18); damnaje (27); coraje(36); omenaje (45); viaje (49) 5 coblas unissonans di 9 vv.; 1 tornada di 3 vv. Daude riprende altre due volte questo schema delle rime, in BdT 124.9 e in BdT 124.11 (in quest’ultimo caso anche le tipologie di verso sono le stesse). Lo schema delle rime 589 non è stato usato moltissimo dai trovatori: solo dodici volte, con tipologie di verso differenti da un autore all’altro tranne in tre casi (1-2, 3-4, 8-9, cfr. FRANK).

(12) 11 FRANK 589:9 (formula sillabica errata) strofa 10a 10b 10b 10a 10c 10c 10d 10d 10’e tornada 10c 10d 10d 10’e rime a) on b) er c) os d) e e) aigna. rimanti: a) chanson (1); don (4); bon (10); preison (13); gaçardon (19); abandon (22); tençon (28); raison (31); somon (37); non (40) 

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b) parer (2); caber (3); caler (11); desesper (12); tener (20); saber (21); veçer (29); valer (30); retener (38); plaser (39) c) consiros (5); amoros (6); pezansos (14); saisos (15); pros (23); vos (24); joios (32); doptos (33); enoios (41); Rasos (42); chansos (46 *) d) Merce (7); fe (8); merce (16); te (17); Merce (25); be (26); Merce (34); mescre (35); merce (43); re (44); merce (47*); capte (48*) e) estragna (9); remagna (18); sofraigna (27); compagna (36); plaigna (45); gaçagna (49) 5 coblas unissonans di 9 vv., 1 tornada di 4 vv. Parola-rima merce al v. 7 di ogni strofe. FRANK fornisce uno schema sillabico errato: 8 8 8 8 8 8 8 8 8’. Questo schema di rime (che Daude utilizza anche in BdT 124.9 e in BdT 124.9a), si presenta come uno sviluppo (aggiunta di una coda con la quinta rima) di FRANK 577. Stesso schema e stessa tipologia di versi sono utilizzati anche da Perdigon (BdT 370.9) e da Guilhem de Montanhagol (BdT 225.8). Benché il testo del Rouergate non condivida le sue rime con nessuno degli altri due, un certo legame sembra esserci con il testo di Perdigon164, il quale, come BdT 124.11, presenta una rima fissa, ma costituita dalla locuzione bon esper (che è anche uno dei possibili senhals utilizzati da Daude de Pradas, vedi paragrafo 2.5).

(13) 8 FRANK 592:2 strofa 10a 10b 10b 10a 10c 10c 10d 10d 10e 10e rime a) uç b) iç c) oç d) èç e) aç. rimanti: a) aduç (1); entenduç (4); perduç (11); cornutç (14); lutç (21); venguç (24); vertuç (31); saluç (34) b) ausiç (2); graçiç (3); mariç (12); servitç (13); mariç (22); criç (23); gueriç (32); guiç (33) c) moç (5); trastoç (6); poç (15), cogoç (16); toç (25); desotç (26); croç (35); voç (36) d) pretç (7); fondetç (8); tolletç (17); detç (18); sofreç (27); sabeç (28); manteneç (37); voletç (38) e) beutatç (9); volontaç (10); juravaç (19); digaç (20); castiaç (29); lasaç (30); rendaç (39); plaç (40). 4 (in FRANK, erroneamente, 5) coblas unissonans di 10 vv. È un carme vocalico: ogni rima è costituita da una delle cinque vocali + l’affricata dentale /z/, anche se l’ordine delle rime è

164 Altro trovatore attivo all’epoca di Daude (tra il 1192 ca e il 1212 ca.). Si noti che anche questo autore, secondo la versione lunga della sua vida, sarebbe stato come il Nostro un fautore dell’intervento francese in Occitania, ma questa versione della vida viene considerata da Hoepfner priva di fondamento, e così pure da Riquer.

Introduzione

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(imperfettamente) inverso (UIOEA) rispetto a quello alfabetico (AEIOU). L’uso di questo tipo di rime maschili terminanti tutte con la consonante /z/ forse poteva risultare comico (oppure l’intento del poeta era altro?) sia per gli antichi ascoltatori sia per i semplici lettori silenziosi di allora e di oggi. Oltre a Daude, lo schema delle rime più il tipo di verso sono usati solo dal tardo Bertrand Carbonel BdT 82.14 (testo peraltro composto solo di una cobla e con rime diverse).

(14) 3 FRANK 592:24 strofa 8a 8b 8b 8a 8c 8c 8d 8d 8e 8e rime: a) et b) ier c) an d) iers e) en. rimanti: a) amet (1); giet (4); formet (11); estrenet (14); set (21); quet (24); montet (31); autet (34); trobet (41); penset (44); estet(51); vet (53); autrejet (61); forset (64) b) vertadier (2); dezirier (3); plazentier (12); parier (13); cossirier (22); messagier (23); fier (32); conqier (33); açier (42); requier (43); qier (52); castier (53); mestier (62); ofier (63) c) talan (5); semblan (6); garan (15); qan (16); claman (25); boban (26); tremblan (35); garan (36); diaman (45); gran (46); deman (55); chantan (56); aitan (65); dan (66) d) vertadiers (7); reprochiers (8); pleniers (17); captaliers (18); sobriers (27); esparviers (28); presentiers (37); volontiers (38); aciers (47); Entiers (48); endosmengiers (57); logiers (58); estiers (67); clamandiers (68) e) afortimen (9); gen (10); escien (19); meilluramen (20); sen (29); sobrepren (30); volen (39); volven (40); abconsen (49); plazen (50); disen (59); turmen (60); alegramen (69); langen 7 coblas unissonans di 10 vv. ciascuna. Lo schema delle rime combinato con la tipologia di verso è ripreso da Daude anche in BdT 124.10. Lo riprendono anche altri 13 testi di altri autori, tra i quali Aimeric de Belenoi (BdT 9.13) e Gaucelm Faidit (BdT 167.5), nonché due coblas anonime (BdT 461.149 e 237). Ma in nessun caso c’è corrispondenza di rime.

(15) 10 FRANK 592:25 strofa 8a 8b 8b 8a 8c 8c 8d 8d 8e 8e tornadas 8c 8d 8d 8e 8e rime a) ier b) en c) er d) el e) os

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

rimanti: a) leugier (1); dezirier (4);mestier (11);quier(14); lauzengier  (21); vertadier (24); plazentier (31); entier (34); guerrier (41); cossirier (44); parier (51); enquier (54) b) plazen (2); talen (3); gen (12); Joven (13); defen (22); parven (23); plazen (32); avinen (33); pensamen (42); jauzen (43); sen (52); finamen (53)  c) plazer (5); esper (6); poder (15); parer (16); dechazer (25); ser (26); voler (35); temer (36); valer (45); aver (46); ver (55); retener (56); ver (61*); temer (66**) d) Novel (7); castel (8); bel (17); chapel (18); descapdel (27); sembel (28); apel (37); mantel (38); sagel (37); anel (38); clavel (47); carel (58); martel (62*); apel (63*); auzel (67**); Uisel (68**) e) rescos (9); joios (10); pros (19); envios (20); tensos (29); los (30); sazos (39); gelos (40); dos (49); vos (49); guerizos (59); dos (60); fos (64*); perdos (65*); vos (69**); amoros (70**) 6 coblas unissonans di 10 vv., 2 tornadas di 5 vv. Le prime tre coblas sono capfinidas. Disposizione delle rime e tipologie dei versi impiegati sono condivisi da quattordici testi (FRANK 592:22-35), ma solo un testo di Raimbaut d’Aurenga può essere additato come modello: abbiamo infatti una quasi perfetta corrispondenza di rima tra BdT 388.1 (ier, ens, er, utz, os) e il nostro testo (ier, en, er, elh, os).

(16) 2 FRANK 592:37 strofa 8a 8b 8b 8a 8’c 8’c 8’d 8’d 8e 8e rime a) on b) er c) ella d) aia e) es rimanti: a) somon (1); non (4); son (11); entencion (14); razon (21); bon (24); pro (31); guizardon (34); sazon (41); maizon (44); pron (51); tenzon (54) b) asaber (2); poder (3); plazer (12); esper (13); valer (22); tener (23); aver (32); ver (33); parer(42); sezer (43); qerer (52); jazer (53) c) bella (15); piucella (16); cella (25); novella (26); cordella (35); Castella (36); maicella (45); mamella (46); gonella (55); viella (56) d) retraia (7); apaia (8); gaia (17); plaia (18); traia (27); jaia (28); veraia (37); baia (38); esglaia (47); atraia (48); estraia (57); atraia (58) e) mes (9); conqes (10); cortes (19); tres (20); mes (29); ces (30); Merces (39); ges (40); pres (49); deves (50); apres (59); feisses (50) 6 coblas unissonans di 10 vv. Per quanto riguarda la combinazione di schema delle rime e tipologie di verso usate, questo testo è un unicum, anche se lo schema delle rime in sé è uno dei più utilizzati.

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(17) 12 FRANK 624:52 strofa 8a 8b 8b 8a 8c 8d 8d 8c rime a) it~at; b) or~en c) at~it d) en~or rimanti: a) ressit (1); amarzit (4); aizit (13); replenit (16); acropit (17); abordit (20); marit (29); guerit (32); oblit (34); cauzit (36); gequit (45); guit (48) b) corr (2); amor (3); freydor (14); pascor (15); lauzenjador (18); guardador (19); amador (30); pecador (31); dompnejador (34); major (35); paor (46); alhor (47) c) plaissat (5); laissat (8); estat (9); comensat (12); baissat (21); venjat (24); enjanat (25); veziat (28); jutgat (37); trobat (40); voluntat (41); encolpat (44) d) doussamen (6); jauzen (7); gen (10); esbaudimen (11); dompneyamen (22); cen (23); talen (26); sufren (27); jutgamen (38); Guerimen (39); finamen (42); cossen (43)

6 strofe retrogradadas di 8 vv. La combinazione di questo schema di rime con questa tipologia di versi e con la retrogradatio è molto rara: l’unico altro esempio registrato in FRANK è una canzone di Peire Raimon de Tolosa (BdT 355.14), autore contemporaneo di Daude. Il modello per entrambi i poeti va forse identificato in una canzone di Bernart de Ventadorn (BdT 70.31), che però non utilizza lo schema della retrogradatio bensì quello delle coblas capcaudadas (a: an~en; b: or; c: en~an; d: es). Poiché tre rime su quattro della poesia di Bernart ritornano in Daude si può pensare al testo del Rouergate come a un quasi contrafactum.

(18) 5 FRANK 741:2 strofa 7’a 7b 8b 7’c 8d 8d 7’a rime: a) ana b) or c) anha d) ier rimanti: a) autana (1); sana (7); setmana (8); soana (14); probdana (15); Corrosana (21); aurana (22); vilana (23); certana (29); humana (35); trefana (36); assorizana (42) b) pascor (2); flor (3); languor (9); Amor (10); amador (16); trichador (17); doussor (23); valor (24); sabor (30); melhor (31); trobador (37); entendedor (38) c) sanha (4); estranha (11); guazanha (18); companha (25); Espanha (32); assanha (39) d) vergier (5); mestier (6); cossirier (12); entier (13); conquier (19); denier (20); guerrier (26); desturbier (27); ufanier (33); cavalher (34); volentier (40); dreiturier (41) 6 coblas unissonans di 7 vv. FRANK descrive in modo errato la formula sillabica. La combinazione dello schema metrico con la formula sillabica (corretta) 7’ 7 8 7’ 8 8 7’ è un unicum. Tuttavia non posso non concordare con CARAPEZZA 2012 che vede in BdT 112.3, FRANK

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741:1 di Cercamon, il modello del nostro testo, e nota come schemi analoghi si concentrino soprattutto tra gli autori delle prime due generazioni: Cercamon, Bernart Martì, Peire d’Alvernhe, Arnaut de Tintinhac, Bernart de Ventadorn e Raimbaut d’Aurenga. Però, a differenza di Carapezza, non mi sento di negare che questo nostro testo sia, almeno in via di ipotesi, attribuibile a Daude. È infatti a mio avviso possibile concepirlo come una sorta di pastiche arcaizzante in cui si sono cimentati il gusto e la cultura “antiquari” di Daude, il quale anche altrove si rifà scopertamente agli autori delle prime generazioni165.

(19) 6 FRANK 885:1 Strofa I 10a 10b 10b 10a 10c 10c 10d 10d II 10d 10d 10c 10c 10a 10b 10b 10a III 10b 10a 10a 10b 10d 10d 10c 10c IV 10c 10c 10d 10d 10b 10a 10a 10b V 10a 10d 10c 10b 10c 10b 10d 10a VI 10b 10a 10c 10d 10d 10c 10a 10b tornada 10d 10c 10a 10b rime: a) ir b) uelh c) ors d) at rimanti: a) chauzir (1); servir (4); vir (13); jauzir (16); suffrir (18); languir (19); dezir (30); avenir (31); partir (33); enriquir (40); aucir (42); obedir (47); grazir (51*) b) acuelh (2); vuelh (3); huelh (14); tuelh (15); duelh (17); erguelh (20); fuelh (29); suelh (32); capduelh (36); escuelh (38); despuelh (41); janguelh (48) Rocafuelh (52*) c) paors (5); plors (6); sors (11); alhors (12); honors (23); Amors (24); secors (25); dolors (26); ricors (35); lauzors (37); tors (43); miradors (46); cors (50*) d) acostumat (7); amat (8); beutat (9); agrat (10); trobat (21); donat (22); estat (27); bat (28); Humilitat (34); jujat (39); onrat (44); paguat (45); ajostat (49*)

6 strofe di 8 vv. (décasyllabes a uscita maschile) più una tornada di 4 vv. Le rime sono identiche di strofa in strofa ma con diversa disposizione. Le prime quattro strofe sono retogradadas de drech en drech a due a due; il principio strutturale delle strofe V-VI è invece oscuro. Poco funzionale la rappresentazione schematica delle rime utilizzata dal repertorio, che sigla con una lettera diversa per ogni strofa la stessa rima. FRANK colloca questa lirica tra le «Pièces à

165

Concordo comunque con Carapezza là dove dice che questa lirica è un testo poeticamente poco riuscito, anche se non posso non evidenziare in esso quelle qualità strettamente tecniche che si possono ritrovare un po’ in tutte le opere di Daude de Pradas.

Introduzione

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plusieurs formules dont la structure n’apparaît pas clairement au Répertoire». Si tratta in effetti di un hapax metrico, che testimonia quel certo sperimentalismo spesso ravvisabile nell’arte versificatoria solo apparentemente banale e monocorde di Daude. Per parte sua BILLY 1989, p. 153 giudica le ultime due strofe «partie aberrante» ma nota la «cohérence certaine» dello schema rimico della strofa VI, in funzione del quale è stata composta la tornada (e rimanda per questo a BdT 101.8)

(20) (BdT 461) 86 FRANK 577:223 Strofa 8a 8b 8b 8a 8b 8c 8c 8d 8d rime a) en b) or c) ar d) e rimanti: a) desconoissen (1); consen (4); valen (9); conoissen (12) b) amor (2); desonor (3); lauzor (10); onor (11) c) laudar (5); par (6); honrar (13); car (14) d) se (7); be (8); cove (15); be (16) cobla dobla di 8 vv. per singola strofa. FRANK registra questo componimento come composto da una sola cobla. Inoltre, la rima c) (ar) per lui esce, in base alla lezione della sua edizione di riferimento, in ars (vedi nella presente l’apparato al testo). Lo schema delle rime e la tipologia dei versi sono quelli preferiti da Daude, ma ciò non significa gran cosa ai fini di una possibile attribuzione al nostro autore proprio perché si tratta di caratteri molto comuni. PETROSSI 2009, p. 197, afferma che questo testo è un «Contrafactum della canzone di FqRom Chantar voill amorozamen (BdT 156.3), dalla quale riprende anche il rimante in chiusura di strofa (be)». Se però il testo fosse di Daude (autore la cui attività si colloca, secondo la mia ipotesi, qualche tempo prima di quella di Falquet) il rapporto dovrebbe essere invertito. Pur nella sua apparente rozzezza (ma potrebbe trattarsi di una scelta deliberata in favore di un dettato e di uno stile humiles, consonanti, secondo la retorica medievale, ai testi di carattere morale) le due coblas conoscono gli artifici delle rime derivative (lauzor, laudar; onor; honrar) e di quelle inclusive (desconoissen, conoissen; desonor, onor). Abbiamo una parola rima ai vv. 8, 16, dove il verso 8 termina con la clausola mal que be e il 16 col quasi uguale mal del be. Insomma, queste due coblas non avranno forse un grande valore poetico, ma dimostrano il possesso da parte dell’autore di una notevole competenza tecnica che contrasta con la loro apparenza dimessa. Proprio per questa mescolanza di apparente semplicità con una spesso mal dissimulata scaltrezza metrica potrebbe forse non essere da scartare l’ipotesi di una attribuzione a Daude de Pradas.

5.4. Osservazioni sulle scelte metriche di Daude de Pradas 5.4.1. Daude de Pradas accorda le sue preferenze a (relativamente) pochi schemi di rime e a un ancor minor numero di tipologie di versi. Tra gli schemi di rime privilegia FRANK 577,

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

sfruttato in cinque occasioni su diciannove, senza contare che è anche quello utilizzato per la prima strofa di BdT 124.6. E non solo: gli altri schemi da lui impiegati più volte appaiono come meri sviluppi (più precisamente estensioni) del 577. Si vedano al riguardo FRANK 589 (utilizzato in tre occasioni) e FRANK 592 (quattro volte). Questo significa che tre soli schemi, molto simili tra loro, coprono quasi i due terzi della produzione lirica conservatasi del nostro poeta. Tuttavia questo non vuol dire che Daude abbia rinunciato a sperimentare altre soluzioni. Mettendo momentaneamente da parte BdT 124.5, sulla cui paternità altri studiosi hanno manifestato e manifestano dubbi (tra questi il primo editore di tutte le liriche del nostro poeta, Schutz)166, si vedano gli schemi dei testi BdT 124.7, BdT 124.12, BdT 124.13, BdT 124.15 e BdT 124.16, oltre al caso ben più complicato da descrivere di BdT 124.6. Anche in alcuni degli schemi che non appaiono come un semplice sviluppo di FRANK 577, si può notare una certa “aria di famiglia”: BdT 124.12 presenta nella fronte la stessa disposizione di rime degli schemi FRANK 577, FRANK 589, FRANK 592, cioè quattro versi a rima incrociata (abba). Lo schema di BdT 124.12 prevede poi una sirma che ripete (con rime diverse) lo schema a rime incrociate della fronte. BdT 124.7 invece – anch’essa articolata su otto versi per strofa con quattro rime – fa seguire nella sirma quattro versi a rima alternata ai quattro a rima incrociata della fronte. BdT 124.13 presenta una fronte di quattro versi a rima alternata (abab) e una sirma di quattro versi a rima baciata (ccdd) come nei testi che seguono lo schema FRANK 577, e, in parte, in quelli che seguono gli schemi FRANK 589 e FRANK 592 (che hanno sirme più lunghe di uno e due versi rispettivamente). Su otto versi e quattro rime si organizza anche BdT 124.7, che presenta una fronte e una sirma con quattro versi ognuna, a rima alternata (ababcdcd). Come un unicum, invece, nel panorama della produzione di Daude, sia per la lunghezza delle strofe (undici versi per ciascuna) sia per la disposizione delle rime, si presenta BdT 124.15. BdT 124.5 è infine un testo metricamente particolare: è quello con le strofe più brevi (di sette versi, con un verso centrale la cui rima è irrelata all’interno della singola strofa e il primo verso che rima con l’ultimo, a ben sei posizioni di distanza). Dunque non senza ragione CARAPEZZA 2012 diffida, sulla base di elementi come questi, della attribuzione a Daude proposta dal ms. C. Tuttavia, si vedano le controdeduzioni che espongo nella parte del cappello introduttivo dedicata al problema della paternità di questo testo. 5.4.2. Il tipo di verso in assoluto preferito da Daude de Pradas è l’octosyllabe, soprattutto quello con uscita maschile. Esso ritorna (come unico tipo di verso o in combinazione con altri) in tredici dei testi a lui pacificamente attribuiti (quindici se si contano BdT 124.5, BdT 124.9 e anche BdT 461.86). Tre testi sono in soli décasyllabes (per lo più con uscita maschile): BdT 124.9, BdT 124.11, BdT 124.17. Versi che non compaiono mai da soli nei testi di Daude sono l’eptasyllabe, per lo più a uscita femminile (in tre casi: in uno, quello di BdT 124.5, è il tipo di verso maggioritario nella strofa, negli altri due, BdT 124.7 e BdT 124.14 è in percentuale pari all’altro tipo di verso, l’octosyllabe, quattro versi su otto che conta la strofa). Ultimo tipo di verso, impiegato una sola volta dal trovatore rouergate, è l’esasyllabe (usato da Daude insieme

166 Anche sulla paternità del testo BdT 124.9, che usa lo schema FRANK 577, si avanzano dubbi, a causa della discordanza tra le rubriche attributive, ma io credo di poterlo attribuire a Daude grazie ad alcuni riferimenti interni (vedine più avanti il cappello introduttivo).

Introduzione

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con l’octosyllabe e in percentuale ridotta rispetto a quest’ultimo, in BdT 124.4, in due versi su otto che conta la strofa). 5.4.3. Forse, per capire le scelte metriche del Daude lirico bisogna tener conto della sua vocazione di poeta non lirico, didattico e didascalico, autore di un’opera di letteratura pratica come il Romans dels auzels cassadors e di un volgarizzamento di un’opera di letteratura morale come il Romanzo delle quattro virtù cardinali. In queste opere egli usa, con notevole maestria, il distico narrativo di octosyllabes a rima baciata. Una formula metrica che applica integralmente nel testo – per lui metricamente un unicum – di BdT 124.16 (FRANK 168:6: aabbccdd) e parzialmente in molti dei testi costruiti sui suoi schemi di rime preferiti (il 577, il 589 e il 599, vedine le sirme a rima baciata), là dove insieme con essi usa come unica tipologia di verso l’octosyllabe. 5.4.4. Di un certo interesse può rivelarsi anche un sia pur sommario esame delle rime e dei rimanti usati da Daude. Le rime che usa in assoluta prevalenza sono tra quelle più comuni: le rime in en (usate in BdT 124.3, BdT 124.9, BdT 124.10, BdT 124.12, BdT 124.13, BdT 124.14, BdT 124.15, BdT 124.17), in ir (vedi BdT 124.1, BdT 124.5, BdT 124.6, BdT 124.7, BdT 124.14, BdT 124.16), in er (vedi BdT 124.1, BdT 124. 2, BdT 124.9, BdT 124.10, BdT 124.11), in on (BdT 124.2, BdT 124.7; BdT 124.9a, BdT 124.11, BdT 124.13), in ór (BdT 124.5, BdT 124.9, BdT 124.12, BdT 124.15, BdT 124.18). Tuttavia egli usa almeno una volta anche rime molto più rare. Come ad esempio la rima in -igua [-iga] di BdT 124.16, o quelle in oç, uç che unite a quelle più comuni in aç [atz], eç [etz] e iç [-itz] nella poesia BdT 124.8 contribuiscono a conferire un tono burlesco a questo testo che Schutz inseriva, direi a buon diritto, all’interno della sezione Poésies plaisantes et satyriques della sua edizione. Ma non è certo per le rime rare che l’opera lirica di Daude si distingue particolarmente (si rimanda comunque, per un migliore apprezzamento del fenomeno, a SANTINI 2010). Anche a questo riguardo, più che a una scelta di campo in favore di un trobar leu, rimanderei alla vocazione espositiva e ragionativa di un autore che ha composto più versi di opere didattiche e moraleggianti che non di testi lirici. Una vocazione che pare confermata dal fatto che il nostro poeta spesso sceglie dei rimanti che costituiscono degli hapax in assoluto, oppure che sono rari nella poesia lirica, ma assai meno nella produzione non lirica. A fianco di un amarzit (BdT 124.12 v. 4), che trova corrispondenza parziale solo nell’amarzir usato da Aimeric de Peguilhan (BdT 10.20 v. 8), o di desguarnit di BdT 124.9 v. 49167, abbiamo spesso riferimenti a oggetti di vario tipo o ad azioni di vita quotidiana. Così, in Daude abbiamo l’unica attestazione (e non solo in rima) della forma diaman (BdT 124.3, v. 45), oggetto certamente non sconosciuto ai trovatori, ma sempre denominato diversamente, aziman. Oppure la parola poç (‘pozzo’): caricata del significato primario (o di quello metaforico di ‘inferno’) è registrabile, nella lirica e in rima, solo in Daude (BdT 124.8 v. 15), in Matieu de Quercy (BdT 299.1) e, due volte, nel ben più tardo Guiraut Riquier (BdT 248.1 e BdT 248.76)168. O anche

167 Unico esempio offerto dalla lirica, se non vogliamo tener conto del desgarnitz usato da Olivier del Temple nella sua ben più tarda canzone di crociata, BdT 312.1 v. 5, ma presente con una certa frequenza nella letteratura non lirica in versi. 168 Un autore che frequentò la corte di Enrico II di Rodez e che sembra conoscere piuttosto bene

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

martel, in BdT 124.10, v. 62 (voce del verbo martelar), verbo in assoluto rarissimo nella lirica169 e ancor più raro in rima (cfr. Peire d’Alvernhe, BdT 323.9, che è il primo a usare una voce di questo verbo, martelha; Peire Bremon Ricas Novas, BdT 330.12, con la stessa voce, e Cerveri de Girona, BdT 434a.95, il quale riprende il verso di Daude quasi alla lettera). Uno strumento musicale come la gigua (BdT 124.16, v. 30) è nominato pochissimo nella letteratura occitana in versi: oltre che nel testo di Daude, compare solo (e non in rima) in Fadet Joglar (sotto la forma guiga) e nel romanzo Flamenca. E il verbo viellar (nella forma viella) è in assoluto attestato solo in un testo del Rouergate (BdT 124.2, v. 56). Altri esempi si potrebbero produrre di parole inconsuete o rare nella poesia lirica trovadorica usate dal nostro poeta170. Per ragioni di economia dell’edizione me ne astengo, rimandando a COM2 chi fosse interessato a ricercare tutte le occorrenze dei rimanti sopra registrati.

l’opera del nostro Daude. L’edizione Fratta di Peire d’Alvernhe respinge in apparato la lezione poç in rima di BdT 323.11 v. 80, sostenuta da una parte della tradizione. 169 Come del resto anche l’attrezzo martel. 170 Non perché si riferiscano a oggetti, azioni o idee particolarmente peregrini. Al contrario: come pure altre parole usate all’interno dei versi, esse rimandano spesso a una realtà umile, quotidiana, addirittura bassa, che in genere non trova grande spazio nell’atmosfera più o meno rarefatta della lirica amorosa.

Sigle dei testimoni A Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 5232 C (anche C2) Paris, B. N. F., fr. 856 D Modena, Biblioteca Universitaria Estense, α. r 4. 4, cc. 1-151 Da Modena, Biblioteca Universitaria Estense, α. r 4. 4, cc. 153-216 Db Modena, Biblioteca Universitaria Estense, α. r 4. 4, cc. 232r-243r Dc Modena, Biblioteca Universitaria Estense, α. r 4. 4, cc. 243-260 E Paris, B. N. F., fr. 1749 F Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L. IV. 106 G Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. 4 (gia R 71 sup.) H Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3207 I Paris, B. N. F., fr. 854 K Paris, B. N. F., fr. 12473 L Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3206 M Paris, B. N. F., fr. 12474 N New York, Pierpont Morgan Library, M 819 O Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3208 P Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XLI, 42 Q Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2909 R (anche R2) Paris, B. N. F., fr. 22543 Si Siena, Archivi di Stato, C 60 (int. 4) W Paris, B. N.F, fr. 844 a Firenze, Biblioteca Riccardiana 2814 a2 Modena, Biblioteca Universitaria Estense, Campori γ. N. 8. 4. 11, 12, 13 d Modena, Biblioteca Universitaria Estense, α. r 4. 4., parte cartacea f Paris, B. N. F., fr. 12472 Tradizione indiretta α citazioni nel Breviari d’Amor di Matfre Ermengaud

Tavola di concordanza tra le edizioni BdT

Questa ed.

Ed. Schutz

124.1 124.2 124.3 124.4 124.5 124.6 124.7 124.8 124.9 124.9a 124.10 124.11 124.12 124.13 124.14 124.15 124.16 124.17 124.18

I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX

I XIV II XVII — III IV XVI Attr. douteuse II X XI XII XV V VI XIII VII VIII IX

Testi di dubbia attibuzione 461.86 65.1 65.2 65.3

XX — — —

Attr. douteuse III — — Attr. douteuse I

Criteri di edizione L’edizione si fonda su una recensio completa della tradizione manoscritta. I dati della tradizione sono presentati nell’apparato, positivo, che registra tutte le varianti di sostanza (comprese le lectiones singulares e le varianti morfologiche non accolte a testo). Le varianti formali e grafiche vengono registrate per le parole in sede di rima e quando si è ritenuto interessante o necessario procedere alla loro registrazione. Ho scelto di volta in volta come manoscritto base per la grafia quello che richiedeva il minor numero di interventi correttori per quanto riguardava le lezioni di sostanza. La grafia del ms. base è rigorosamente rispettata (salvo rarissimi casi, segnalati e motivati in nota). Sono state sciolte le abbreviazioni e i nessi paleografici (senza darne notizia in apparato); ho distinto u da v e tra i e j1. Nel testo critico infine ho segnalato le integrazioni congetturali per mezzo delle parentesi quadre. Nelle citazioni, in nota e altrove, si fa riferimento, salvo dove altrimenti specificato, alle edizioni trovadoriche impiegate per l’allestimento di COM2, alla cui bibliografia si rimanda.

1

Si veda la nota al v. 18 del testo XV, e quella al v. 38 del testo II.

TESTI DI SICURA ATTRIBUZIONE

I BdT 124.1 Ab lo dous temps que renovela

Mss.: A 122r (viene dopo la vida); C 166r (Daude de pradas); D 56r (Deode de pradas); E 124 (Daude de pradas); H 7v (Deude de prades); M 167r (Deude de prades scritto in alto con grafia diversa da quella del testo, sopra un capolettera ornato sbiadito e con i primi versi illeggibili); N 129r (deu des d(e) prades); R 30v (Daud(e) prades); a 100 (bernat del ventador). Edizioni e antologie: RAINOUARD 1816-1821 vol. 3, p. 416; MAHN 1846-1886 vol. 3, p. 237; KOCH 1897, p. 8; APPEL 1915, p. 311; SCHUTZ 1933, p. 1; BILLET 1974, p. 280. Metro: sei coblas doblas di otto versi ciascuna: 8’a, 8b, 8b, 8’a, 8c, 8c, 8d, 8d. FRANK: 577:234. Rime: I: -ela; -on; -ais; -ei; II: -ia; -ir; -ar; -ans; III: -ama; -ics; -oil; -er.

a) Il raggruppamento ADEHMNR e i suoi sottogruppi Il v. 29 del testo è trasmesso soltanto dai mss. Ca e, come dice Appel, contro l’autenticità della lezione di questi due manoscritti non sembra esservi niente da obiettare1. Il gruppo ADEHMNR si ripropone poi, ma mai al completo, in altri tre casi. Questi si presentano ai vv. 11, 44 e 48. Al v. 11 i mss DEHMR sono ipometri di una sillaba: Puois (plus M)2 espers mi fai tal pro

DEHMR

I mss. ACNa offrono invece la stessa lezione, metricamente ineccepibile: e puois (plus N) espers mi fai tal pro

ACNa

Considerando ciò che vedremo in seguito relativamente alla posizione stemmatica dei mss. AN, si possono formulare tre differenti ipotesi: 1) C ed a conservano la lezione dell’originale; A ed N hanno invece corretto il testo per congettura;

1 «Ist die Lesung dieser Hdss. echt, und nichts schein mir dagegen zu sprechen», APPEL 1915, p. 311. Il testo è edito, come altri due di Daude, in appendice al corpus bernardiano per via della falsa attribuzione di a. L’errore dei mss. ADEHMNR è certamente separativo, ma in teoria non congiuntivo perché tra fadia del v. 28 e fad(e)ia(r) (con la -r espressa magari da un titulus increspato) può intervenire un saut du même au même. Tuttavia si noti come il ms. R aggiunga, dopo il v. 30, un verso chiaramente spurio per ripristinare l’integrità della strofe, evidentemente già compromessa nel suo modello. 2 Plus, in apparenza semplice variante e per di più minoritaria, potrebbe rappresentare una lectio difficilior, per cui, tentandone qui un’interpretazione, la metto a testo, vedi nota relativa al verso e la traduzione.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

2) tutti e quattro i manoscritti hanno corretto per congettura un errore d’archetipo; 3) A ed N hanno corretto per contaminazione da un testimone (o da due) che riportava (come C ed a) una lezione corretta almeno da un punto di vista metrico3.

Al v. 44 di nuovo i mss. ACNa (con AN che forse contaminano ancora da una o due fonti sconosciute) riportano la lezione corretta dal punto di vista metrico. Questo benché C, per parte sua, innovi molto rispetto a quanto complessivamente trasmesso dagli altri otto testimoni4: contra la folla gent vilana contra la falsa gent trefana

ANa C

I mss. DH sono invece portatori di una lezione ipermetra: encontra la folla gent vilana

DH

I mss. EMR che formano (vedi qui di seguito) un sotto-raggruppamento evitano l’ipermetria con la soppressione dell’articolo la, ma l’antigrafo del loro modello leggeva probabilmente come DH: *encontra la fo(l)la gen vilana È possibile del resto supporre che l’ipermetria risalga all’archetipo e che le lezioni di ACNa ed EMR, comunque si siano prodotte e distribuite nei testimoni conservati, rappresentino due tipi di correzione congetturale provviste di un ugual grado di plausibilità.

Per quanto riguarda il v. 48 i mss. DHM leggono erroneamente: sevals en bona cort caber vs. si vols en bona cort caber

DHM ACENRa

La correzione per congettura di un simile errore sembra molto facile a patto di prestare una minima attenzione al contesto. Non è possibile escludere la provenienza dell’errore stesso dall’archetipo (per il quale si veda oltre), come del resto non è del tutto da escluderne la poligenesi per ragioni grafiche. Facilmente dimostrabile il raggruppamento ADH. Ma cominciamo con una lezione

3 Questa lezione non proveniva però dal ramo di C o da quello di a, altrimenti sarebbe stato strano che AN non avessero corretto anche il guasto più evidente ed esteso, la caduta del v. 29. 4 Ma più dal punto di vista delle singole forme lessicali impiegate che del significato generale del passo.

I. Ab lo dous temps que renovela

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quantomeno deteriore, nella quale AD e H in parte si trovano su posizioni diverse (H appare più vicino a EMR. Siamo in presenza di una contaminazione?). Al v. 16 AD e H riportano infatti rispettivamente: vostre cor si eu aillors dompnei vostre fins cors si eu dompnei

AD H

contro le lezioni degli altri testimoni: vostre fins (gent M) cors del sieu dompnei vostre fins cors del mieu domnei

EMN CRa5

Al v. 17 ADH, questa volta concordi, leggono: Ar ai dich so que ill (queh D) plazera

ADH

dove non solo è errata la rima (errore in sé potenzialmente poligenetico, in quanto si tratta della sostituzione di una forma di condizionale con l’altra), ma anche il pronome personale ill, come si capisce facilmente dal contesto. La lezione giusta è quella sostenuta dai mss. CNa. Quanto a quella di EMR vedi oltre, il paragrafo dedicato al sottogruppo EMR di questo cappello introduttivo. Al v. 35 trics in ADH prende erroneamente il posto di rics. Al v. 5 la lezione c’autres (contre D, cautre H) appariva invece già ad Appel una semplice variante, non priva oltretutto di senso e di valore. Altri errori di ADH: al v. 36 sapona vs. il corretto s’apana, e al v. 39 bai e braz vs. bai e abraz di cett. In entrambi i casi A riporta la lezione giusta, ma questo, data l’ipotesi di una serie di correzioni per contaminazione da parte di A, non basta per individuare un sottogruppo DH: le due lezioni errate appartenevano sicuramente alla fonte diretta del raggruppamento ADH. Il gruppo ADH si articola però ulteriormente: la lezione al v. 42 daus Albi è un errore dei mss. AD (vedi i personaggi cui il testo è dedicato, i quali non ebbero mai niente a che fare con Albi). Tale errore non era sanabile per congettura, se non forse da chi avesse conosciuto molto bene gli Anduze-Roquefeuil e i loro domini. Di contro abbiamo la lezione giusta di EHMNRa ves Salve (C: ves Arle). AD sono anche portatori di una variante adiafora al v. 25, tant vs. cett. ren.

5

Sulla preferibilità di questa lezione vedere nota al verso.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

A un piano più alto della tradizione N si apparenta forse ad ADH per un errore al v. 18: salques nos saques nos saiques nos saque nos vs. sai que nos

A D H N CEMRa

Le lezioni di ADHN derivano probabilmente tutte da un errato sa que nos (conservato senza rimaneggiamenti da N). L’errore, per quanto minimo, è forse separativo perché il contesto non rende subito evidente a chi pur volesse correggerlo la lezione originale.

Il sottogruppo EMR è forse meno sicuro di quello ADH, ma lo ritengo ugualmente probabile. Al v. 4 la riduzione di que mi a quem in EMR rende il verso ipometro di una sillaba nei tre testimoni. Questo tipo di riduzione è potenzialmente poligenetico (ma forse anche separativo, perché, rimanendo intatto il significato del verso, era difficile individuare l’errore e ancora di più correggerlo con la giusta integrazione). Altro luogo in cui EMR si ritrovano in lezione ipometra è al v. 17 (vedi anche, sopra, ADH) quem plazia “ “ plairia “ “ play

E M R

La riduzione di plazeria (forma quadrisillaba con accento sulla penultima della forma del condizionale di plazer) è fenomeno anch’esso teoricamente poligenetico (tanto più che i tre mss. non offrono in alternativa la stessa desinenza verbale). Tuttavia il raggruppamento mi pare individuabile sulla base di due considerazioni: 1) la serialità degli accordi in errore non congiuntivo (ma talora separativo) o in variante caratteristica sia pur potenzialmente poligenetica (si riveda, sopra, anche il caso del v. 44, dove i tre mss. evitano in ugual caratteristico modo l’ipermetria)6; 2) il gruppo EMR si ripresenta, in genere, anche negli altri testi che tutti questi tre mss. trascrivono7.

6 R legge là e contra invece di encontra, senza segno di abbreviazione per la n e con l’interposizione di uno spazio, come se si trovasse in presenza di due parole: forse discende da un modello mancante del titulus la cui lezione egli ha cercato di interpretare? 7 Questi sono BdT 124.9a, dove il gruppo è certo; BdT 124.13, dove è molto probabile; BdT 124.14, dove è

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Appare invece sicuro il (sotto)gruppo MR: si veda la comune mancanza del v. 8 (R, accortosi della lacuna, inventa di sana pianta un verso sostitutivo: ves lo pays on quilh estey). Si veda inoltre la lezione dei due mss. al v. 10: tenso M, teso R vs. teneso cett.: la lezione è ipometra in M come in R. Sembrerebbe che un titulus sia stato sciolto in modo tale da causare ipometria in M, e che addirittura sia caduto in R, perché si può pensare che alla base del fraintendimento ci fosse un modello di MR in cui si leggeva tēso < te(ne)so con l’abbreviazione che in un caso è caduta e nell’altro è stata male compresa8. Sicuramente poligenetico l’accordo in errore di CR al v. 2, con faire ridotto a far (anche se R ereditava probabilmente quest’errore da un suo diretto modello, perché egli, accortosi dell’ipometria, integrò con una zeppa: far er). Poligenetico anche l’accordo in errore di H ed a al v. 6 e nei invece di e vei (estey R) di cett.

b) I caratteri dell’archetipo L’archetipo pare riconoscibile grazie a due lezioni ipometre e ad una ipermetra mantenute però solo da alcuni testimoni. La prima al v. 12: ben serai (cerai E, fay R) ricx si mapella

AEMR

Ipometria alla quale gli altri mss. rispondono con quella che mi pare una zeppa, forse poligenetica: ben serai ricx si ja mapella

CDHNa

È probabile che l’originale portasse una lezione dialefica: *ben serai rics se mi apella oppure: *ben serai rics se m’en apella dubbio ma possibile; BdT 124.17, l’unico dove, in base alle lezioni del testo a sé stante considerato, non è dimostrabile né sospettabile. 8 I mss MR confermano il loro stretto legame anche in altri testi non trasmessi da E: in BdT 124.3 il loro gruppo (più C) è certo; in BdT 124.6 gruppo certo (più FN); BdT 124.11 certo; BdT 124.15 gruppo certo (i mss. sono congiunti ad un piano più alto della tradizione con CD); BdT 124.10 probabile. I due testimoni formano un possibile sottogruppo (il gruppo più grande si allarga, come ho già detto, al ms. E) anche in BdT 124.9a. Si nota inoltre un caratteristico ordine di successione dei testi comune ai due mss.: BdT 124.1; BdT 124.10; BdT 124.11; BdT 124.15; BdT 124.9a; BdT 124.6; BdT 124.3; BdT 124.14 (BdT 124.14; BdT 124.3 R). Questo ordinamento prosegue coi testi BdT 124.13 e BdT 124.17 che concludono la sezione dedicata al poeta in M; in R invece costituiscono la prima sezione dedicata a Daude de Pradas (c. 22 r e v); la seconda, contenente tutti gli altri testi elencati, comincia a c. 30v. Sembrerebbe che il copista di R avesse deciso in un primo tempo di trascrivere (da una Daude’s sammlung organizzata in modo uguale a quella che ha fatto da modello a M) solo gli ultimi due testi. In seguito avrebbe avuto l’idea, o il permesso dal direttore dello scriptorium, di trascrivere anche il resto. M riporta un solo componimento in più rispetto al corpus comune con l’altro, BdT 124.8. Del resto R riporta, in più rispetto a M, BdT 124.7.

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sul modello di BdT 124.2, v. 5, dove abbiamo la stessa chiusura di verso. Al v. 24 la situazione è la seguente: mas ben val dir us bels semblans mas ben val dir us bos semblans mas be val dir lo belh (le belhs a) semblans mas ben val dir bos semblans (-1) mas ben val dir los semblans (talans R) (-1) mas ben val dir los bons semblans

A D Ca EH MR N

Si può supporre che l’archetipo proponesse la lezione oggi trasmessa da MR, che gli altri testimoni o i loro modelli hanno poi interpretato riuscendo più o meno bene a correggere l’ipometria9. Ritengo che nell’archetipo si sia verificata una crasi: lo bos> los. Una lezione come quella di N sembrerebbe una poco felice congettura, ma forse potrebbe non essere inammissibile se come motivo della inammissibilità si indicasse solo quello che il testimone propone un cas régime plur. là dove il contesto vorrebbe il cas sujet10. È piuttosto il fatto che si tratti della lezione di un unico manoscritto che mi induce a considerarla un’innovazione deteriore. La correzione sperimentata da Ca è, credo, in potenza poligenetica, e non basta a dimostrare in questo caso una loro parentela11. Per il problema dell’archetipo si riconsiderino anche i casi dei vv. 11, 44 e 48 visti all’inizio, dove gli errori sono probabilmente da attribuire al modello di ADEHMNR, ma non si può escludere la loro origine già nell’archetipo. Molto interessante il caso proposto dal v. 47: la maggioranza dei mss. legge: sapchaz a tos obs retener

CEMNRa

lezione in apparenza ineccepibile. Ma vediamo quelle di A e di DH: sapchas ab te ser ops tener sapchatz a ton ser ops retener (+ 1)

A DH

Sembrerebbe che ci trovassimo nuovamente in presenza di un’innovazione deteriore del gruppo ben stabilito ADH. Sennonché, accostando il ser apparentemente privo di senso a ops,

9 Era molto facile – per somiglianza grafica e ragioni di contesto – ridurre los a bos, magari duplicando, come fa N; o andare soltanto a senso, e correggere in us bels o lo belh. 10 «Fra i testi contenenti in rima anomalie flessive non sono pochi quelli non ‘marginali’ ma riconosciuti – o attribuibili – a trovatori autoctoni di buon livello e buona epoca», BORGHI CEDRINI 2008, p. 213. Cfr., ivi, i parr. 4.1.8.1 – 4.1.8.3 per gli esempi. 11 Si osservi come nel terzetto di poesie che il ms. a attribuisce a Bernart de Ventadorn (BdT 124.1; BdT 124.2; BdT 124.7) non ricorre mai – su pura base stemmatica – il raggruppamento Ca.

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otteniamo la parola serops ‘sciroppo’, ‘liquore dolce’ > lusinga (secondo una poi non così rara metafora)12, che pare, se non proprio una lectio difficilior, almeno una lezione più elegante e documentata in importanti precedenti letterari: la canzone, grazie alle sue lusinghe, deve mantenersi la benevolenza dei potenti fratelli Roquefeuil ai quali è inviata. Nell’archetipo l’allungamento di tener in retener ha provocato un’ipermetria alla quale la maggior parte dei mss. avrebbe reagito – credo in modo poligenetico – riducendo il probabilmente incompreso serops a un più banale ops.

c) Riscontri positivi (e negativi) Mi pare utile, a questo punto, il riscontro coi risultati della ricerca precedente sui rapporti tra i canzonieri a livello generale, soprattutto quella di AVALLE 1993, ma non solo. Intanto, dalla recensio di questa lirica appare chiaro che ADHN (p. 87) dipendono dal collettore siglato come ε da Avalle, così come accertato da quello studioso (che H, per questa poesia in particolare, dipenda da ε lo conferma anche CARERI 1990, p. 205)13. Il ms a non è sempre così vicino ad AB come spesso succede (vd. AVALLE 1993 p. 78): in esso, oltre a componimenti derivanti da ε se ne trovano altri provenienti – come nel nostro caso – da quella che è stata chiamata costellazione y (caratterizzata da frequente e intensa contaminazione, come ritengo avvenga anche nel caso di questa poesia). All’interno di questa costellazione si può forse ipotizzare un rapporto occasionale di parentela tra C e a. Ma l’ipotesi, nel nostro caso particolare, andrebbe presentata con gran cautela perché – se escludiamo i numerosi luoghi in cui i due manoscritti si accordano in lezione corretta rispetto al resto della tradizione – gli unici elementi di unione che sembrerebbero avere un minimo valore ecdotico sarebbero le lezioni ai vv. 11, 12, e 24, dove però zeppe e varianti caratteristiche non sembrano avere un carattere monogenetico. I mss. MR fanno capo presumibilmente al non più disponibile antigrafo θ, definito “parallelo di ε” (AVALLE 1993, pp. 90 e 102; θ ed ε rimonterebbero a loro volta a un codice π che dipende infine da quello che Avalle nomina per esteso «archetipo»). I risultati della nostra recensio sembrerebbero non combaciare alla lettera con quelli degli studi sopra citati nel caso del ms. E, del quale AVALLE 1993 dice che, pur gravitando prevalentemente nella tradizione di C, fa capo al collettore ε (p. 79). Nel nostro caso esso sembra unirsi – a un piano intermedio – con MR nel filone di θ. Il raggruppamento si riconosce, come abbiamo visto, nella recensio di alcuni altri testi di Daude de Pradas, e questo potrebbe significare semplicemente che – per poche liriche di pochi autori – E abbia attinto, oltre che dalle sue fonti già individuate, anche dal “parallelo di ε”

12 Non registrata, nei tre lessici antico-provenzali LR, SW e PD, altro che sotto la forma eisarop/issirop (senza altre varianti), ma vedi sirop in TdF, in FEW 19, 170 e nei dizionari di antico francese GODEFROY e TL sv. Non ne trovo traccia, salvo errore, neppure in COM2. In BATTAGLIA s. v. ‘sciroppo’ si registra la locuzione ‘Gettar via sciroppi’ nel senso di ‘sprecare lusinghe’. 13 E un singolare indizio che fa sospettare l’italianità almeno di un revisore-censore di A è suggerito da LAZZERINI 1993, p. 158, nota 14.

80

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas «Archetipo» vv. 12, 24 p vv. 11, 29, 44 (- AN) e

q

v. 18 4, 17, 44 vv. 16, 17, 35, 36, 39 (vv. 11, 12, 24) (?) C

vv. 16, 25, 42

a

A

D

8, 10 H

N

E

M

R

Grafia N

1 2 3 4 5 6 7 8

I Ab lo dous temps que renovela voill faire novella chançon, c’amors novella m’en somon, d’un Novel Joi que mi capdela. Et d’aquest Joi altre jois nais, et s’ieu non l’ai no·n porai mais, mas ades açor e soplei a leis cui am de cor e[n] nei.

I mss. ACDEHMNRa 1 verso illeggibile in M; Ab ACDEHNa] per R; renovela ENR] renovella ADHa, renovelha C 2 verso illeggibile M; faire ADEHNa] far C, far er R; chançon DNa] chanso ACER, chanson H 3 verso illeggibile M; amors ACDEHRa] amor N; somon DHNa] somo ACER 4 […] quim appella M; que mi (qui me a) ACDHNa] quem (quim M) EMR; capdela DENRa] chapdella AH, capdelha C, appella M 5 d’aquest ACDHRa] daisest E, dicell M, daicest N; altre CEMNRa] cautres A, contre D, cautre H; jois ACDEHMNa] ioy R 6 l’ai no·m ACDHMNRa] omesso E; porai ACDEMNR] potrai a 8 verso om. M; ves lo pays on quilh estey R; a CDEHNRa] om. A; e[n] nei Ha] envei A, e vei CDEN, estey R (vedi prima) I Col dolce tempo che si rinnova desidero fare una nuova canzone – poiché questo mi ingiunge amore rinnovato – riguardo a una «Gioia Novella» che mi domina. E da questa «Gioia» nasce un’altra gioia, e se io non l’ho non ne avrò colpa; dunque sempre adoro e supplico colei che amo con tutto il cuore in segreto.

I. Ab lo dous temps que renovela

9 10 11 12 13 14 15 16

81

II Tant mi par m’esperança bella que be·m val una teneçon e plus. Espers mi fai tal pron. Ben serai rics se mi apella ni·m diç: «Bels douç amics verais, ben voill que per me siaç gais, e ja no·s vir per nuil esfrei vostre fis cors del meu domney».

II Mss. ACDEHMNRa 9 Tant ACDHMNRa] Sant E; m’esperança ACDEHMNa] l’esperansa. R; bella ADHMNa] belha C, bela ER 10 que ACENa] qel DHMR; be·m ACNa] ben DEHM, bes R; teneçon ADHNa (in a la t è sovrascritta a una r)] tenezo CE, tenso M, teso R 11 e ACNa] omesso DEHMR; plus MN] puois (pueis a) ADHa, pus CR, pos E; pron Na] pro ACDEHMR 12 serai ACDMNa] cerai E, seria H, fay R; *mi apella] mapella AM, mapela ER, ja m’apelha (apella DHNa) CDHNa 13 amics ACDEHMRa] amic N 14 ben ACEMNRa] bem D, be H 15 esfrei ACDMNRa] esfre M 16 fis CEHNRa] omesso AD, gent M; del meu CRa] sieu aillors AD, sieu H, del sieu EMN II Tanto mi pare bella la mia speranza che di sicuro vale per me quanto un feudo e anche di più. Lo sperare mi offre un tale profitto. Di certo sarò ricco se sceglierà me e mi dirà «Caro e dolce amico sincero, voglio proprio che per merito mio siate lieto; e mai si distolga, per alcun timore, il vostro fido cuore dal servizio d’amore a me rivolto».

17 18 19 20 21 22 23 24

III Ar ai dig so que·m plaseria, e sai que no·s pot avenir, que domna non ditz son desir, ans cela plus so que vulria: de son amic se vol honrar, e fai·s ades plus apregar on plus la destreing sos talans, mas ben val dir lo bos semblans.

III Mss. ACDEHMNRa 17 Ar ai ADEHMNRa] ara C; dig ACDHMNRa] dig dreg E; que·m CEMNRa] queill AH, qeh D; plaseria CNa] plazera ADH, plazia E, plairia M, playa R 18 sai que CEMRa] salqes A, sa ques D, sai ques H, sa que N; no·s ACDEHNRa], no M 19 desir ACDHMNa] voler E, dezirs R 20 cela ACDEHMRa] cella N 22 plus ACDEHMNa] pus R 73 talans ACDENR] talanz Ha, talens M 24 mas ben val ACDEHMNa] mas que vol R; *lo bos] us bels A, lo belh C, us bos D, bos EH, los MNR, le bels a; semblans ACDEHMNa] talans R III Dunque ho svelato quel che mi piacerebbe, e so che non può avvenire, perché una domna non manifesta il suo desiderio, anzi nasconde di più ciò che vorrebbe: vuole ricavare onore dal proprio innamorato, e sempre

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si fa pregare tanto più quanto più la forza il desiderio; ma un aspetto benevolo di sicuro vale quanto il parlare.

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IV E qui ren sap de drudaria leu pot conoisser e chausir que·l bel semblan e·l dous suspir no son mesaje de fadia; mas talant a de fadeiar qui so que ten vol demandar. Per qu’ieu conseill als fis amans qu’en prenden fason lurs demans.

IV mss. ACDEHMNRa 25 ren CEHMNRa] tant AD 26 leu ACDEHMRa] leo N 27 que·l bel ACDEHMNR] qeis a; suspir ACDEHMNa] sospirs R 28 no] omesso H 29 verso omesso ADEHMNR 30 qui ACDEHMa] qe N, e ditz no de so que vol far aggiunto da R dopo 30 31 als ACEHMNRa] al D; amans ACDEHMNR] amantz a 32 qu’en CHa] que ADEMNR; prenden ACDEHMRa] preden N; lurs DHNR] lur ACEMa IV E chi conosce un po’ di galanteria può facilmente riconoscere e intuire che le espressioni benevole e i dolci sospiri non sono messaggi di rifiuto. Vuole invece sprecare tempo chi pensa di domandare ciò che già possiede. Per cui io consiglio ai veri innamorati di fare la loro domanda e al tempo stesso prendere [ciò che chiedono].

33 34 35 36 37 38 39 40

V Mout sai que·m tenran ad ufana car ieu ai dig que fis amics i fai mout que prous e que rics se, quant pot, de sidons s’apana. Mas no i·cuig far negun orgoill si la ren qu’eu plus am ni voil bai e abraç e voil saber si·l plaç qu’eu aia nuil plaser.

V mss. ACDEHMNRa 33 verso omesso a; Mout ACDEHMR] Moutz N; que· ACDEHNR] qen M; tenran ACDEHMR] teran N 35 pros CDEHMNa] pres R; rics CEMNRa] trics ADH 36 s’apana ACEMNa] sapona DH, lapana R 37 mas CDEHMNRa] e A; no·i EMNa] non ADHR, ieu non C; far negun ADEHMNRa] ges far C; orgoil N] orguoill ADH, orguelh C, ergueill E, ergueilh M, erguelh R, orgueil a 38 la ren (res R) CEMNRa] lamten A, la ten DH; voil DN] vuoill A, vuelh CR, vueill E, voill H, vueilh M, vueil a 39 abraç ACEMNRa] braz DH 40 plaç ACDMNa] plan E, om. H, vol R; aia ADEMNa] naia CR, ai H V So bene che mi considereranno un fanfarone perché ho affermato che il vero innamorato agisce veramente da uomo coraggioso e valente se, quando può, gode della sua domna. Ma io non credo di commettere alcun

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atto di orgoglio se dall’essere che io amo di più prendo baci e abbracci e desidero sapere se vuole che io abbia qualche piacere.

41 42 43 44 45 46 47 48

VI Lai on es proeza certana, vas Salve, t’en vai e no·t trics, chansons; que·l Seinner t’er abrics contra la fola gent vilana. E·ls dos fraires de Roquefeuil, en qui preç e jovenç s’acueil, sapchas ab tos serops tener se vols en bona cort caber.

VI mss. ACDEHMNRa 41 on es proeza ACDEHMRa] honnes proça N 42 vas Salve EHMNRa] daus albi AD, ves arle C; trics ACDEHMRa] trisc N; 43 chansons ADHNa] chanso CEMR 44 contra la ACNa] encontra la DH, encontra EM, e contra R; fola ADEHMNRa] falsa C; vilana ADEHNRa] trefana C, villana M 45 e·ls CENa] als A, el DHMR; Roquefeuil DN] rocafuoill AH, rocafuelh CR, Roquefeuill E, Roquefeuilh M, Roquefeuil a 46 en qui Ca] on fis ADEHMN, e cascus R; preç e jovenç ACDEHNa] e j. M, que saber R; s’acueil a] sacuoill AH, sacuelh C, sacuoil D, sacueill E, sacueilh M, acueilh NR 47 sapchas ACEMRa] sapchez D, sapzatz H, sapchaç N; tos CEMNRa] te A, ton DHN; serops ADH] ops CEMNRa; tener A] retener CDEHMNRa. 48 si vols ACENRa] sevals DHM; bona] bon N; cortACDEHMNa] cortz R; caberACDEHNRa] saber M VI Là dove si trova autentica prodezza, verso Sauve, vai e non tardare, o canzone; ché il Signore ti darà riparo contro la sciocca gente villana. E i due fratelli di Roquefeuil, nei quali si raccolgono pregio e gioventù, sappiteli tener cari con le tue dolci lusinghe, se vuoi farti accogliere in una buona corte.

NOTE vv. 1-2: Celebre è il giudizio sull’opera del trovatore Peire de Valeira, del quale la vida racconta che scrisse vers all’uso antico, su fiori, foglie e canti d’uccelli. Vers che (anche proprio a causa di questo) venivano considerati di poco valore. Al di là del fatto che simili esordi non si ritrovano nelle opere conservate di Peire, tale giudizio fa comunque capire che l’esordio primaverile era visto, all’epoca della composizione delle biografie e in un ambiente che definiremmo di “critica militante”, quasi un reperto archeologico, ormai non più proponibile. Nonostante ciò, bisogna ricordare, molti autori continuarono a servirsi dell’esordio primaverile fino al definitivo tramonto della lirica occitana. Sull’exorde printanier nel XIII secolo, almeno per quanto riguarda i trovieri, si veda questa nota di GROSSEL 2010, p. 14: «Pour Dragonetti, l’hymne au printemps relève d’un autre genre, les meilleurs trouvères, les “plus grands”, surtout ceux du XIIIe siècle, ont boudé cette thématique qui serait tout juste bonne à faire plaisir à des trouvères de vil étiage, autant dire des jongleurs. Peut-être; mais il faut alors oublier tout ce que la lecture des poetae suggère d’autre, ne pas conserver en mémoire la signification que

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la poésie religieuse – et notamment la chanson pieuse vernaculaire – a su elle aussi accorder à l’idée de renouveau, novitas, résurrection. Pour appuyer son dire, Dragonetti cite le fameux éxorde de la chanson IV de Thibaut de Champagne Fueille ne flor ne vaut riens en chantant Que por defaut, sanz plus, de rimoier Et pour fere solaz vilaine gent Qui mauves moz font souvent aboier. Je ne chant pas por aus esbanoier Més por mon cuer fere un pou plus joiant. (RS 324) Certes ! Mais il n’est pas prouvé qu’en cet unique exorde, Thibaut ait voulu écrire un manifeste ou donner les règles d’une Ars, lui qui, en d’autres de ses chansons, n’a pas hésité à user des motifs venus de ce que cette chanson particulière rejette, sans compter qu’il s’agit peut-être d’une impertinence à l’égard de son maistre en l’art de trouver, le grand Gace Brulé». Il nostro è un éxorde printanier  un po’ sui generis, piuttosto sbrigativo. Si limita a un accenno al rinnovarsi delle stagioni senza parlare delle piante, dei fiori e degli uccelli che col loro canto invitano all’amore. Su questo esordio topico si veda il classico lavoro di SCHELUDKO 1937, poi SCHULTZE BUSACKER 1978, GHIL 1986, e COMBES 2006, dalla quale (p. 126) traggo la seguente citazione «La perception individuelle du je / poète […] fait naître une émotion […] qui se transmute aussitôt en un désir, un besoin ou une obbligation. L’épanouissement sensoriel s’accompagne d’une exigence qu’exprime le verbe devoir, ou des expressions comme esta ben». In questo testo di Daude il poeta non deve ma vuole (voilh): e questo forse perché nella parte “ideologicamente forte” del testo stesso il poeta dimostra ed esalta un atteggiamento volitivo. Il primo verso di Daude parrebbe essere stato ripreso dal di lui più giovane Peire Bremon Ricas Novas, Pois lo bels temps renovella (BdT 330.12; cfr. DI LUCA 2008, p. 207); simile anche il Lanquan lo temps renovella della canzone attribuita a Grimoart Gausmar, autore che si suppone appartenere al secolo XII (BdT 190.1). Simile (per la presenza di renovelha al v. 2), infine l’esordio primaverile di Pois lo gais temps de pascor di Aimeric de Belenoi BdT 9.18. v. 4: PERUGI 1978, vol. I Prolegomeni, p. 28 (1.4) suggerisce come possibile lezione dell’originale que em chapdela. Novel Joi: consueto e peculiare senhal del Nostro, che ritorna più spesso sotto la forma Joi Novel(h), cfr. BdT 124.6, v. 45; BdT 124.8, v. 1; BdT 124.9a, v. 29; BdT 124.10, vv. 7-8; BdT 124.11, v. 48; BdT 124.13, v. 41. v. 5: «E da questa ‘Gioia’ nasce un’altra gioia», probabilmente da interpretare nel senso che da ‘Gioia Novella’ (chiunque si intenda con questo senhal) nasce la gioia che il poeta prova. v. 6 non l’ai no·n porai mais: l’oggetto è la domna. Per poder mais: cfr. SW, 6, p. 109 n° 5 «pois mais, ich kann nicht anders», ma preferibile l’interpretazione di FEW, 9, p. 232 n’en pouvoir mais n’être pas responsable de»!. v. 7 mas: cfr. SW, 5, p. 30, n° 7, «und». v. 8 e[n] nei: Afferma APPEL 1915 (p. 314, n. 8): «Am Schluss hat wohl e vei gestanden, das als el vei zu deuten ist. Ich habe der Klarheit wegen in Anlehnung an AH e ‘nvei geschrieben». Io devo però a Lucia Lazzerini il prezioso suggerimento di leggere, nelle due parole, un e[n] nei ‘in segreto, di nascosto’, molto più pertinente in questo contesto e anche, direi, nel

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contesto generale dell’opera di Daude (si veda al riguardo la lezione di A, che in qualche modo corrobora la congettura). Una possibile obiezione a questa ipotesi è che nei è variante ortografica di nec, una parola con [e̜ ] laddove la rima richiederebbe una [ẹ]. Ma questa difficoltà appare risolta da una congettura esposta in SANTINI 2010 pp. 30-31, con bibliografia. v. 10 teneçon: concessione condizionata di terre da parte di un signore, vd. l’introduzione, 3.4, I h. v. 11 et plus: si tratta di una lezione minoritaria. Ma essa appartiene a due manoscritti imparentati tra loro solo ai piani alti e sembra oltretutto difficilior rispetto all’altra puois / pus, se si accetta la punteggiatura che introduco. Pare infatti più facile, nel contesto dato, che la lezione plus sia stata banalizzata in pus dalla maggioranza dei testimoni piuttosto che due manoscritti imparentati tra loro sì, ma non ai piani bassi, abbiano innovato nello stesso modo caratteristico l’uno indipendentemente dall’altro. v. 12 mi apella: dialefe recuperata per congettura, vedi cappello introduttivo, la parte dedicata al problema dell’archetipo. Possibile anche una lezione originale *m’en apella sul tipo di BdT 124.2, v. 5, dove il verbo occupa la stessa posizione in clausola. v. 13 amics verais: stessa locuzione in Guiraut de Bornelh (BdT 242.36 v. 46 e verais amics, BdT 242.72 v. 44). Così pure in Raimbaut d’Aurenga (BdT 389.10, v. 62); in Gui d’Ussel (BdT 194.11, v. 35); in Guilhem de l’Olivier (BdT 246.28 v. 9); in Peire Bremon Ricas Novas (BdT 330.2 v. 21). v. 16 del meu domney: «dal servizio d’amore a me tributato» (del meu = genitivo oggettivo). Dice APPEL 1915, p. 314: «CRa haben del mieu d. “vom Dienst bei mir”. An sich ist beides gleich gut. Es ist aber weniger wahrscheinlich dass sieu für mieu, als dass mieu für sieu eingetreten ist». Metto a testo il possessivo mieu perché al contrario di Appel lo ritengo difficilior rispetto alla lezione concorrente. v. 24: Come elemento aggiunto alla discussione svolta nel cappello riguardo all’ipometria di questo verso (pur restando maggiormente convinto della mia ipotesi, che recupera almeno una possibile eziologia dell’errore) si legga questa osservazione di Appel: «In der gemeinsamen Quelle hat wohl gestanden: “Mas ben val dir bos semblans”. Die fehlende Silbe ist in verschiedener Art ergänzt. Am einfachsten ist es, dire zu lesen» (APPEL 1915, p. 314). SCHUTZ 1933, p. 4, traduce, non senza manifesto imbarazzo: «mais il vaut mieux esprimer des sentiments favorables (?)». Abbiamo invece qui l’anticipo del tema principale della strofe seguente: l’aspetto benevolo di “Gioia Novella” equivale ad una dichiarazione d’amore corrisposto (in questa poesia ogni stanza si presenta come la continuazione tematica della precedente o come lo sviluppo di un motivo in quella contenuto). v. 31 fis amans: Afferma CROPP 1975, p. 105, che: «L’interpretazion du sens de fin n’est… pas toujours facile», e che, nonostante un esempio da lei citato di Bernart Marti, «Il n’est pas pour autant permis de considérer le fin amador comme celui qui a assurément reçu les faveurs les plus précieuses de la dame, comme celui qui est amant agréé». Ma sulle diverse sfumature assunte dal concetto di fin’amors già nell’epoca di formazione del canone cortese si veda LAZZERINI 1993, passim. v. 36 s’apana: il verbo apanar (derivato da PANIS = ‘pane’, cfr FEW, 7, 547 b) sembra rimandare ad un’immagine piuttosto corposa, quella del pasto, del nutrimento. Per l’uso di tale immagine nella sfera del linguaggio amoroso si veda Bernart Marti, Bel m’es lai latz la fontana, (BdT 63.3), vv. 10-1 1: «Dona es vas drut trefana / de s’amor pos tres n’apana: / estra lei / n’i son trei» (BEGGIATO 1984, p. 83), e Bernart de Ventadorn, Ja mos chantar no m’er onors (BdT 70.

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22), vv. 29-30: «qu’eu vei que de nien m’apana/ cilh que no·m vol esser umana» (APPEL 1915, p. 128). Dagli esempi sopra ricordati si capisce che l’espressione è chiaramente una metafora del piacere carnale (cfr. LAZZERINI 1993, p. 173 nota 60). Tuttavia, si veda questa nota di VATTERONI 2013 (vol. I, p. 419): «Quando, come in questo caso [BdT 335.27 v. 317] soggetto di apanar è Dio, il v. vale ‘dare il pane quotidiano’ (e non il piu generico ‘soddisfare’), cfr. Lc 10, 3 “panem nostrum cotidianum da nobis cotidie”». Interessante, questa ambiguità semantica, tra il sacro e il profano, in considerazione di quanto si legge nel primo saggio di LAZZERINI 2010, dove si dimostra la possibilità che vari testi trovadorici, generalmente ritenuti ‘cortesi’, non cantino una dama in carne e ossa, ma un’entità superiore. v. 42 Salve: da identificare con Sauve, una località del dipartimento del Gard, arrondissement del Vigan, dove rimangono rovine di un castello. Era uno dei possessi principali della famiglia Anduze, imparentata coi Roquefeuil fin dal 1150 ca. Peire Bremon VII, ultimo signore di questa famiglia, fu spossessato nel 1242 in seguito agli eventi della crociata conto gli Albigesi (vedi SCHUTZ 1961, p. 123, MALBOS 1977-1979, pp. 216-217 e da ultimo LARGHI 2011, pp. 31-32). La forma Salve del nome appare a prima vista più oitanica che occitana (cfr. Salva, lezione del ms. D al testo IV della presente edizione, v. 41). Ma forse, come mi suggerisce Lucia Lazzerini, all’origine della lezione rappresentata nei manoscritti ce n’è una Salve gueritz – per caduta di un titulus – che l’inverso). Giunti a questo punto non ho argomenti razionali per scegliere tra le lezioni di C e di IK: scelgo quest’ultima quasi ad arbitrio. Al v. 18 gli otto mss. che conservano la strofe leggono rispettivamente: no mo faratz encreire seratz dez “ “ “ “ “ ø “ “ “ encrezen “ detz “ “ “ acreire “ “ nom fairaz creire seiratz detz no mo farias “ si siatz “

DN P C M IK a1

Rispetto a quella dei mss. CDMNP la lezione di IK, con creire, è ipometra3: in a1 si può evitare l’ipometria computando come trisillaba la lezione farias (solo di a1 e probabilmente un’innovazione), o siatz come bisillaba. Siamo di fronte allora alla riduzione indebita di un originale encreire/acreire a creire in un antenato comune di IKa1? Non è questa l’unica ipotesi formulabile per spiegare la situazione del v. 18: potrebbe essere anche il risultato di una altrettanto indebita lettura in sinalefe di si eratz nell’archetipo. Alla conseguente ipometria si sarebbero allora opposti due diversi tipi di intervento: da una parte – nel modello di DMN (vedi sotto) e in quello/i (se diverso/i) dei mss. C e P – l’introduzione (poligenetica?) della zeppa creire > encreire, dall’altra la sostituzione di faraz bisillabo col trisillabo farias nel ms. a1 o in un suo antenato.

Mi pare che la lezione sapchatz al v. 7 possa servire, forse meglio di altre, ad individuare un raggruppamento4: sapchatz (mss. DMNSi) non si accorda nel numero (e invece dovrebbe),

2 L’attenzione al contesto rendeva, secondo me, possibile individuare e comprendere la natura di un guasto come quello testimoniato in DMNSia1 e conseguentemente formulare tanto l’una che l’altra congettura; possiamo forse azzardarci a ipotizzare che una delle due recuperi anche nella forma il testo originale. 3 Essi perdono anche un’altra sillaba a causa della riduzione di no mo a nom. 4 Almeno ad un piano basso della tradizione.

VIII. Del bel desir que Jois Novels m’aduç

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col verbo seguente ama, lezione, questa, concorde di tutti i testimoni5. All’interno del raggruppamento DMNSi si potrebbe ipotizzare ancora un sottogruppo DM, benché gli indizi utili per sostenere questa ipotesi non siano dei più sicuri: nel v. 8 la lezione confondetz (confondens M) è chiaramente deteriore al confronto di que fondetz. Ma consideriamo la lezione di C quen fondetz perfettamente accettabile e in potenza addirittura originale (un’omissione – poligenetica? – del titulus potrebbe aver generato il que fondetz oggi leggibile in IKNSi): per una comune confusione grafica tra e ed o era facile che uno o più mss. passassero da una lezione (oggi testimoniata dal solo C) quen fondetz a un’altra quonfondetz/ confondetz. Al v. 19 i mss. DM concordano ancora una volta in lezione errata: e sobre totz (tot C) essems mo iuravatz “ “ “ “ no/mo miravatz e (es M) sobre cug ensems mo iuravatz e sobre cug totz ensems mo iuravatz e tug ensems sobre sans mi rasez

CN IK DM a1 P

Il passaggio da sobretot/totz a sobre cug per ragioni grafiche (scambio t/c) è potenzialmente poligenetico, supponendo la genesi, a un certo livello della tradizione, di una forma *sobretug, che poteva essere letta sobrecug6. Sempre poligenetico in potenza si può considerare l’accordo di IKN in errore al v. 9 (canc invece di *cant). Al v. 36, ma votz C (la votz M) non può essere considerata una variante deteriore rispetto a mos votz di cett.: votz femm.= ‘voce’ (da recuperare nel senso di ‘discorso’) offre un significato più che accettabile e dimostra anche una certa, suggestiva, prossimità di campo semantico col verbo precedente deman. Data la scarsità e l’incertezza degli elementi utili a una ricostruzione attendibile dei rapporti tra i testimoni perfino ai piani bassi della tradizione7; data la mancanza completa di elementi utili per ricostruire la situazione dei piani medi e alti della tradizione; dato che l’archetipo – vedi ancora il v. 7 e il v. 18 per la questione delle ipometrie – resta un’ipotesi che si affianca ad altre equipollenti, lo stemma codicum rimane aperto. Come base del testo critico scelgo il ms.

5 La lacuna presente dopo sapcha a1 / sapchatz DMNSi potrebbe discendere dall’archetipo, e la lezione di IK, qui messa a testo, nonché negus sapcha di C, potrebbe essere solo una buona congettura introdotta da quei manoscritti. 6 È strana tuttavia la lezione di a1, che contiene sia cug che totz: il copista di a1 ha cercato di annotare una sua incertezza di lettura oppure ha riprodotto ciò che leggeva in un collettore di varianti o in una nota a margine del suo antigrafo? 7 Si riconosce un unico raggruppamento plausibile – ma anch’esso insufficientemente delineato – quello dei mss. DMNSi, sospettabile per la lezione sapchatz del v. 7, alla quale si aggiunge quella di a1 per l’ipometria nello stesso verso.

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N, quello col minor numero di errori evidenti (al v. 7 correggo l’ipometria secondo la lezione proposta da IK, scelta che però non esclude la plausibilità di quella proposta da C). W (vv. 7, 18) (?) v. 7 vv. 8, 19 D

M

N

Si

a1

IK

C

P

Grafia N

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

I Del bel dezir que Jois Novels m’aduç farai un vers qu’er loing e pres ausiç e per leials amadors ben graçiç, qe ja per altres non er entenduç, car ges no·s taing que bons chans ni gais moç, tals con Amors los m’essena, trastoç, sapcha nuls homs, si non ama bon pretç. Non l’aprendatç, lausengiers, que fondetç can domna pros, en cui regna beutatç, vol far ni dir en ren sas volontaç.

I mss. CDIKMNSia1 1 Del DIKMSia1] Dun C, Pel M; desir CDKMNSia1] desirs I; que CDIKMNSia1] qel M; Jois Novels CDIKNSia1] joi novel M 2 loing CDIKMSia1] lonig N 3 leials CDMSia1] lial IKN, leial N; graçiç CDIKMNSa1] grasit Si 4 qe CDIKMSia1] omesso N; ja CIKMNSia1] omesso D; er DIKMNSia1] er ben C 5 no·s CIKNSi] non DMa1; chans CDMa1] chan IKNSi; gais CDMSia1] gai IKN 6 Amors CDMNSia1] amoros IK; trastoç DIKMNSia1] omesso C 7 sapcha nuls homs IK] negus sapcha C, sapchatz DMNSi, sapcha a1 8 non NSia1] no CDM, nom IK; que fondetz IKNSi] que·n fondetç C, confondetz D, confondens M, qi foudatz a1 9 verso omesso a1; can domna CSi] cadonna D, canc d. IKN, qadoncs na M 10 verso omesso D; en DIKMNSia1] ent C; sas DIKMNSia1] sa C I Sul bel desiderio che Gioia Novella mi arreca comporrò un vers che sarà ascoltato lungi e dappresso, e ben gradito dai leali amanti. Da altri non sarà inteso, poiché non si conviene che buone melodie e piacevoli parolequali sono tutte quante quelle che a me detta Amore – conosca chi non ama pregio vero. Non l’apprendete [dunque], cattivi consiglieri, che vi struggete quando una donna valente, in cui regna bellezza, vuol fare o esprimere in qualche circostanza i suoi voleri.

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II Non sab que·s fai foils gilos: es perduç

VIII. Del bel desir que Jois Novels m’aduç

12 13 14 15 16 17 18 19 20

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can si combat. No i a pron s’es mariç, e per honor de sa moiller servitç? Se plus enquier, per bon dret n’er cornutç; e valgra mais fos negatç en un poç que el meseus proes qu’era cogoç. Ans, s’om lo·i diç, deu dir: «D’aco·us tolletç! No m’o fairatç encreire s’eiratz detç e sobretotç ensems m’o juravaç! Que anc s’es vist! Jamais no m’o digaç!»

II Mss. CDIKMNPSia1 11 foils DIKNPSia1] fol CM 12 can si combat CDIKMNPSi] omesso a1, con queste parole termina il frammento Si; si CDIKMNa1] omesso P; pron s’es CDIKMNa1] prozes P; mariç CDIKNP] marritz Ma1 13 honor DIKMNPa1] amor C 14 enquier CIKNP] non quier D, nen qier M, ne qier a1; dreit CDNPa1] dreitz IKM; n’er CDIKMNP] nes a1 15 valgra DIKN] valgra·l CM, foral P, valgail a1; mais CDIKMNa1] miels P; poç CDIKNPa1] putz M 16 que el DIKMN] quezel Ca1, qe cel P; meseus CDIKMNa1] megeis P; cogoç CDIKNPa1] cogutz M 17 ans s’om CIKMNPa1] assom D; l·oi diç IKMNP] lo ditz C, li o ditz D, omesso a1; deu CDMPa1] omesso IK, del N; d’aco·us NP] daquo C, daq(ue)us D, diacaus IK, daquis Ma1 18 No m’o CDMNPa1] nom IK; fairatç CDIKMNP] farias a1; encreire DNP] encrezen C, creire IKa1, acreire M; s’eratz CIKM] seiraiz D, Seiratç N ceras P, si siaz a1, non è da escludere l’ipotesi di una lezione d’archetipo dialefica *si eratz; detç CDIKMNa1] omesso P 19 e tug ensems sobre sans ni rasez P; e CIKMNa1] es D; sobretotç (-tot C) CIKNP] sobrecuig DMa1; m’o juravaç CDMNa1] no (mo K) mi ravatz IK 20 que anc s’es IKNP] que acsetz C, que ac ses DMa1; vist CDIKMNa1] fuist P; digaç CDIMNa1] digat KP II Non sa quello che fa il geloso sciocco: ha perduto prima ancora di scendere in campo. Non gli basta l’essere lui il marito e l’essere servito in onore di sua moglie [oppure «onorevolmente da sua moglie»]? Se chiede di più, allora a giusta ragione sarà cornuto, e meglio sarebbe che venisse annegato in un pozzo piuttosto di dare egli stesso la prova di essere stato cornificato. Anzi, se la cosa gli viene riferita, deve dire: «Ma levatevi dai piedi! Non riuscireste a farmelo credere neppure se foste in dieci e se me lo giuraste tutti quanti! Oh, ma questa poi! Non venite a raccontarmela ancora!»

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III Ai fin’Amors, si ja trairai a lutç aisso don tan aurai estat mariç! Pauc preçera lausejers e lor criç, ans pogra dir que ben era venguç lo jorn e·l teps que·ls auja de toç. En vos m’en fi: encar seran desotç li malastruc enoios que sofreç que digon mal a cel de cui sabeç. Que ja per els non sera castiaç! Tan vos vei toç entrepres e lasaç!

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

III mss. CDIKMNa1 22 mariç DKN] marritz CIMa1 23 preçera CDIMNa1] prezerai K; lausejers (lausengiers CM a1) CMNa1] lausengier DIK; lor criç CDIKN a1] lors scritz M 24 ben CDMNa1] bon IK 25 teps N] temps, CDIKMa1 que·ls CDMa1] quel IKN; de toç CIKMN] de torz D, derraz a1 26 m’en CDMNa1] me IK; fi CIKMNa1] fin D; encar DMNa1] quenquers C, e car IK; seran CDMNa1] serai IK; desotç CDIKNa1] dosoutz M 27 malastruc CIKNa1] malastrucs DM 28 a…cui DIKMNa1] aselhs que vos C 29 per els CDIKNa1] pels M; sera DIKMNa1] serai C 30 tan…toç DIKMN] que totz los vey C, tant ses a1; lasaç DIKMNa1] liatz C III Ah, perfetto Amore, avessi mai il coraggio di palesare quello per cui tanto mi sono macerato! Poco conto farei allora dei cattivi consiglieri e dei loro mormorii, anzi potrei dire benvenuto il giorno e il momento che li sentissi [ripetere] da tutti. Io confido in voi [cioè in Amore]: saranno dunque umiliati i miserabili mettimale dai quali tollerate che sparlino al cospetto di chi voi sapete! Possa davvero non essere messo da loro sull’avviso! Vi vedo proprio inguaiati e in un impiccio, tutti quanti!

31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

IV E vos, Merces, que faç tan gran vertuç que sol a vos es toç amanç gueriç, menbre·us de me! E prec que·m siaç guiç cant a midons irai rendre saluç. De part mon cor qu’estai per leis en croç vos l’i deman, qu’en als non es mos voç, car ben conosc que cels que manteneç son fin de joi cal ora que·us voletç. A vos mi rent, c’a midons mi rendaç, et il amdos reteina nos, si·l plaç.

IV Mss. CDIKMNa1 31 E CDMNa1] omesso IK; tan CDIKNa1] tans M; gran DIKN] grans CMa1; vertuç CDIKMN] vertatz a1 32 que…vos DIKMNa1] quab vos sola C; amans DIKMNa1] amicx C; gueriç DIKMN] guarnitz Ca1; e DIKMNa1] eus C; que·m CIKMNa1] omesso D; guiç CDIKNa1] gitz M 35 qu’estai CIKNa1] questa D, qieu ai M, qistai a1 36 li DIKMNa1] hi C; qu’en CDIKMN] qe a1; es IKMNa1] ai C, as D; mos DIKa1] ma C, la M, moç N 37 que CDMNa1] ques IK 38 fin DIKMN] ferms C, si a1 38 voletç CIKMNa1] valetz D 39 rent CDIKMN] ten a1 40 ez a. nos r. C; amdos CDIKN] vilanos M, am a1; nos CDKMN] vos Ia1 IV E voi, Mercé, che operate miracoli così grandi da salvare da sola qualsiasi innamorato, ricordatevi di me! E vi prego, siatemi guida quando andrò a portare il saluto alla mia domna. Da parte del mio cuore messo in croce a causa sua io qui ve lo richiedo, perché ad altri non è rivolto il mio voto, dal momento che so bene che quanti voi sostenete hanno perfetta gioia in ogni momento voi vogliate. A voi mi rendo [oppure: mi consegno, mi arrendo], poiché mi rendiate alla mia domna ed ella accolga entrambi presso di sé, se ciò le piace.

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NOTE v. 2 farai un vers: la mossa – col verbo faire al futuro – è caratteristica di Guglielmo IX (I, Companho, farai un vers […] covinen, v. 1; IV, Farai un vers de dreit nien, v. 1; V, Farai un vers, pos mi sonelh, v. 1; XI, Pos de chantar m’es pres talenz / farai un vers don sui dolenz, vv. 1-2, vedi PASERO 1973 e EUSEBI 1984; in Bernart Marti, cfr. BEGGIATO 1984, VI, Farai un vers ab son novelh, v. 1, p. 119, abbiamo evidentemente una ripresa guglielmina. Intorno al primo ventennio circa del secolo XIII alcuni trovatori cominciarono un dibattito sulla possibilità di una distinzione tra vers e chanso: Aimeric de Peguilhan, in Mangtas vetz sui enqueritz (BdT 10.34), faceva notare non senza ironia che la prassi poetica non offriva alcuna caratteristica formale (e neppure melodico-musicale) per separare il genere vers da quello della chanso: ne concludeva che la scelta del nome era del tutto ad libitum: «Per qu’ieu vuelh si’apellatz – / E sia lur lo chausitz – / Chansos o vers aquest chans» (SHEPARD-CHAMBERS 1950) 34, vv. 3-6, p. 175). Peirol (M’entencio ai tot’en un vers mesa, BdT 366.20; ASTON 1953, p. 113 e ss.) e Elias Cairel (Freitz ni ven, BdT 133.4; vedi LACHIN 2004, p. 336 e ss., la parola vers al v. 37) sembrerebbero invece voler sostenere la tesi della necessità di un maggior impegno artistico per la composizione di un vers. Impegno che trovava però scarso conforto nel gradimento da parte del pubblico contemporaneo, poco competente e ormai incapace di intendere e apprezzare qualcosa di diverso dal genere più facile della chansoneta (termine che va probabilmente inteso come un diminutivo di chanso caricato di sfumature peggiorative). Fatto sta che, in un periodo compreso tra il 1220 ca. e la metà del secolo XIII, il termine vers sembra cadere in disuso. Tra i poeti attivi tra l’ultimo decennio del secolo XII e la prima metà del secolo XIII, solo pochi, oltre al nostro (ma forse il mio spoglio non è completo), danno il nome di vers ad alcune loro composizioni: il trovatore Uc Brunenc – per la cui morte Daude compose un planh – definisce vers il suo Lanquan son li rozier vermelh (BdT 450.5), v. 4 (cfr. GRESTI 2001, p. 110, v. 4); il Monaco di Montaudon chiama vers la sua galleria satirica di trovatori fatta – ma nel 1195 – a imitazione di Peire d’Alvernhe, Pos Peire d’Alvernh’a cantat (BdT 305.16), v. 94 (cfr. ROUTLEDGE 1977, p. 15); Peire Raimon de Tolosa, Lo dolz chans qu’aug de la calandra (BdT 356.8), v. 6, e Pos lo prims verchanz botona (BdT 356.12), v. 43 (cfr. CAVALIERE 1935, p. 45 e 70); il già citato Elias Cairel chiama vers anche i suoi Abril ni mai non aten de far vers (BdT 133.1) e Era non vei puoi ni comba (BdT 133.2; cfr. LACHIN 2004, pp. 220-235, e pp. 252-267); oltre a M’entencion ai tot’en un vers mesa Peirol, il più affezionato al genere, compone i vers Ben dei chantar puois Amors m’o enseigna (BdT 366.2), Tot mon engeing e mon saber (BdT 366.33), D’un bon vers vau pensan com lo fezes (BdT 366.13), Ab gran joi mou maintas vetz e comenssa (BdT 366.1), Mout m’entremis de chantar voluntiers (BdT 366.21), Si be·m sui loing et entre gent estraigna (BdT 366.31; cfr. ASTON 1950), pp. 39 e ss., 47 e ss., 73 e ss., 85 e ss., 93 e ss., 121 e ss. Aimeric de Peguilhan, a parte quanto afferma nel caso sopra citato del vers-chanso, dice Quan qe·m fezes vers ni chanso (BdT 10.44, v. 1), ma si tratta di una expression figée; Lanquan chanton li auzeil en primier (BdT 10.31), chiamata vers al v. 49, è considerata spuria da Shepard (il ms. D l’attribuisce a Guillem Rainolt d’At, attivo anche lui nel primo terzo del secolo XIII; vedi SHEPARD-CHAMBERS 1950, p. 208 e 165). Guiraut de Calanson, Si tot l’aura es amara, v. 4 (nei vv. 821 si lamenta che il pubblico ormai apprezzi solo canzoni e un poetare di risulta; cfr. ERNST 1930, p. 312). Guilhem Ademar scrive i vers Ben for’oimais sazos e locs (BdT 202.1), v. 2, S’ieu conogues que·m fos enans (BdT 202.12), v. 50 (cfr. ALMQVIST 1951, pp. 102, 158 e 164), e Comensamen comensarai (BdT 202.4), v. 3. Vers è chiamato da Falquet de Romans Ieu no mudaria (BdT 156.5),

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v. 2, cfr ARVEILLER-GOUIRAN 1987, p. 26. Il vers recupererà favore tra i poeti tardi, come genere di ispirazione moraleggiante: la pseudo-etimologia vers < VERUM – già implicitamente accreditata da Guilhem Ademar in Comensamen comensarai («Un vers vertadier verais», v. 3, ed. ALMQVIST 1951, p. 164) – passerà nella trattatistica poetica, vedi ad es. la Doctrina de compondre dictatz o le Leys d’Amors, redazione di Guilhem Molinier. Su questo si veda anche la nota ai vv. 7-8 di BdT 335.3 nell’edizione VATTERONI 2013, vol. 1 p. 170. Proclamare di voler scrivere un vers nella prima metà del secolo XIII significava probabilmente, come ipotizza MARSHALL 1965, esprimere il desiderio di mantenere un legame con l’origine della letteratura trovadorica (che da un lato poteva apparire sì superata, ma dall’altro rappresentava un prezioso lascito al quale era ancora profittevole rifarsi, magari nel disincantato o addirittura ironico distacco dell’allusione culta: si veda anche ciò che scrive ASPERTI 1999, p. 9, a proposito della ripresa di questo genere da parte di Guiraut Riquier, spesso definito “l’ultimo trovatore”). Inoltre, pesa certamente sulla scelta di Daude l’ammirazione per Marcabruno, che lo porta spesso a comporre quasi dei veri e propri pastiches (vedi altri testi di questa edizione). Sulla questione del vers si consultino ancora i contributi di RIEGER 1976, KÖHLER 1980, BEC 1982, GONFROY 1988. v. 6 tals…trastoç: affermazione della propria eccellenza poetica (il cui merito è peraltro attribuito ad Amore): tutti quanti (trastoç) i componimenti del nostro poeta hanno buona melodia e parole piacevoli. Schutz traduce «parce qu’il ne convient pas que les bons chants ni les paroles gaies, comme l’amour me les enseigne…». vv. 7-10: Schutz traduce: «Ne l’appréciez pas, losengiers qui ruinez (tout), quand une dame de mérite, en qui règne la beauté, veut, de quelque façon, dire ou faire à sa guise». A parte la scelta, forse non necessaria, di tradurre aprendatç con «appréciez» (si poteva benissimo mantenere il significato base ‘imparare’, l’unico registrato – insieme con pochi sinonimi – dai lessici), mi pare che l’interpretazione dello studioso americano difetti anche a proposito della lezione que fondetz, il cui senso dovrebbe essere «che vi struggete», cioè «vi macerate, vi consumate nella rabbia», con metafora di uso comune (vedere LAZZERINI 1990). Sarebbe forse da mettere a testo la lezione que·n f. – del ms. C ma sostenuta indirettamente anche da D ed M, vedi cappello introduttivo –, con l’avv. (e)n che è riferibile tanto alla volontaç della donna, con valore pronominale causale, quanto ai lausengiers, con valore pronominale riflessivo. Mi pare probabile che la sua eliminazione – in teoria poligenetica e di sicuro involontaria – sia dovuta alla banale caduta di titulus. Sul significato della parola lausengier vedi qui nota al v. 17 di No·m puesc mudar que no·m ressit (BdT 124.12) vv. 11-16: L’edizione Schutz adotta una lezione e un’interpretazione in buona parte differenti da quelle qui proposte: «Non sap que·s fai fols gelos esperdutz / quan se combat. No y a pro s’es maritz, / e per honor de sa moler servitz; / se plus enquier, per bon dreg n’er cornutz / e valgra mais fos neguatz en un potz; / que el proes qu’era cogotz». Cioè «Le fol jaloux, au désespoir, ne sait ce qu’il fait quand il se met en campagne. N’importe s’il est le mari et servi en tout honneur par sa femme; s’il se lance dans de nouvelles recherches, à bon droit en sera-t-il cornu et il eût mieux valu pour lui être noyé dans un puits, car c’est déjà bien assez d’avoir été cocu». Schutz (v. 11) mette dunque a testo esperduç, traducendo «au desespoir». Se ammettiamo questa lezione, essa potrebbe forse essere intesa anche nel senso morale e religioso di ‘dannato’, ‘maledetto’ (in dittologia con l’aggettivo fols che, com’è noto, assume spesso la connotazione etico-religiosa di ‘peccatore’, cfr. i lessici e AKEHURST 1978, pp. 19-28). Che il gelos –

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condannato dal mondo cortese per il suo comportamento considerato antisociale – venga chiamato peccatore non sarebbe affatto stupefacente. Per parte mia ritengo però più probabile che si debba intendere la lezione (sostenuta da tutti i mss.) come costituita da due parole distinte che formano un predicato nominale, es perdut (il quale può rimandare alla stessa sfera semantica – quella della guerra – alla quale appartiene anche il verbo successivo, combat). Il gelos allora è fols (‘pazzo’, ma anche ‘stupido’), perché si impegna in una battaglia perduta in partenza. Già Guglielmo IX (Companho, non puosc mudar qu’eo no m’effrei, BdT 183.4; cfr. PASERO 1973, pp. 45-46) se la prendeva contro certi gardadors che negavano alla domna ogni libertà. Il duca d’Aquitania ammoniva attraverso chiare metafore gli odiosi personaggi del pericolo che la domna – privata della possibilità di frequentare uomini di valore – ripieghi su sordidi intrighi con individui di assai minori qualità (vv. 13-21). Daude spiega la sua opinione in termini paragiuridici: il gelos diverrà cornutz «a norma di legge» (per bon dret, v. 14), dal momento che è proprio lui – manifestando la sua incontenibile gelosia – a far conoscere (proar = ‘dimostrare’) a tutti la propria vergogna («que el…proes qu’era cogoç»). Si osservi come nel romanzo occitano Flamenca il personaggio Archimbaut de Borbon, ormai posseduto da folle – e peraltro ancora immotivata – gelosia, conserva comunque sufficiente lucidità per emettere al proprio riguardo lo stesso giudizio: «Car veramen sui eu gelos/ plus de null ome ques anc fos;/ los autres n’ai eu vencutz totz/ e per bon dreg serai cogotz» (vv. 1111-1114, MANETTI 2008). Sul sentimento della gelosia, e su come esso escluda dalla società cortese, si vedano i seguenti lavori KÖHLER 1970, DE CALUWÉ 1978, LUCE-DUDEMAINE 1986, PERSSON 1988. Ma LAZZERINI 2005 dimostra come la gelosia possa diventare pretesto per alludere, in certe opere, a situazioni politiche. v. 12 No i a pron: su pron = ‘abbastanza, a sufficienza’ invece di ‘giovamento’, cfr. RAYNOUARD 1836-1844 IV p. 648, SW VI p. 564, PD p. 308 (primo lemma pro) e FEW 9 p. 418 (1, b). v. 15: cfr. Guilhem de Berguerdan (Talans m’es pres d’En Marques, BdT 210.18): «si mal si’en poz / o negatz qui no s’en ria» (vv. 62-3, RIQUER 1996, p. 110; ma l’editore pensa che in questo testo «poz ‘pozo’, puede estar en el sentido de infierno, puteum abyssi (Apocalipsis, 9, 1)», p. 111). L’immagine è ripresa da Enrico II di Rodez in una delle coblas da lui composte per un joc partit con Guiraut Riquier e Peire Pelet (Senher n’Enric, us reys, un ric avar, BdT 248. 76): E·l datz a Dieu volria en un potz/ Esser negatz… (vv. 50-1, cfr. ed. GUIDA 1983, testo V, p. 181). vv. 17-20: Alcuni grandi gelosi della letteratura narrativa medievale reagiscono dapprima – come suggerito da Daude – con incredulità alle denunce dei cattivi consiglieri. Così il re Artù non crede inizialmente alla rivelazione dell’amore di Ginevra con Lancillotto fattagli dal nipote Agravain: «Agravain, biaus niés, ne dites jamés tel parole, car ge ne vos en creroie pas. Car ge sei bien veraiement que Lancelos nel penseroit en nule maniere; et certes se il onques le pensa, force d’amors li fist fere, encontre qui sens ne reson ne puet avoir duree. – Comment, sire, fet Afravains, n’en feroiz vos plus? – Que voulez vos, fet-il, que g’en face? – Sire, fet Agravains, je volsisse que vos le feïssiez espïer tant que l’en les prist ensemble; et lors conneüssiez la verité, si m’en creüssiez mieuz une autre foiz. – Fetes en, fet li rois, ce que vos voudroiz; que ja par moi n’en seroiz destournez. […] Cele nuit pensa li roi Artus assez a ce que Agravains li avoit dit, mes ne le torna pas granment a son cuer, car il ne creüst pas legierement que ce fust voirs» (La mort le roi Artu, ed. FRAPPIER, Genève-Lille, 1954, p. 5). La risposta di Archimbaut de Borbon alla regina, che cerca di fargli condividere i suoi sospetti su una relazione amorosa tra il re e Flamenca è piena di moderazione: «“Dona, per Cel ques hom adora,/ non cug que·us fassa deissonor/ le reis si·s fen joios d’amor,/ quar miels ne fai so que·ill atain./

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Esser ne volgra sos compain,/ que per deveras pogue[s] far/ so qu’el fai per joia mostrar,/ qu’alres non es mais plas deportz.”/ “Don Archimbaut, aquest conortz/ cueig eu ben que sobre vos torn/ anz que siu passat ·XV· jorn.”/ “No i movas, domna, gelosia,/ que ja per ren non o seria”» (MANETTI 2008), vv. 870-882). Anche Anfos de Barbastre, nel Castia-gilos di Raimon Vidal, dice apertamente di non voler prestare fede ai cavalieri che denunciano le profferte del vassallo Bascol de Cotanda a sua moglie: «…Si Dieus mi valha,/ si no·m era a mal tengut,/ tug seriatz ars o pendut,/ car non es faitz c’om creire deya,/ e tug o dizetz per enveya,/ car sobre totas val e sap./ Mas ia Dieus no mi sal mon cap,/ si ia may negus mi retrai/ de res que na Alvira fai,/ s’ieu per la gola non lo pen,/ que ia no·n trobara guiren» (APPEL 1895, p. 28, vv. 78-88). Tutti questi personaggi finiscono poi col cedere, in tempi e modi diversi, al sospetto. Nelle due opere narrative occitane il ridicolo di cui si coprono agli occhi della gente i gelosi con i loro eccessi e le loro intemperanze appare ancor più grande e privo di senso dal momento che la gelosia è – all’inizio – del tutto infondata. Mentre nel romanzo arturiano si parla di un adulterio realmente commesso e un destino tragico o comunque di penitenza attende tutti i protagonisti, in Flamenca e nel Castia-gilos solo Archimbaut e Anfos rimangono alla fine col danno e la beffa: irragionevolmente ingelositisi, e per questo copertisi di ridicolo ancor prima di essere traditi, la gelosia scompare in loro proprio non appena le rispettive mogli hanno trasformato in realtà quello che in principio era solo una loro tetra fantasia o la voce maligna di qualche cattivo consigliere. Al di là dell’analisi acuta (soprattutto in Flamenca) della psicologia del geloso, che può indurre il pubblico ad una certa comprensione per quest’ultimo, le due opere in lingua d’oc ribadiscono la condanna della gelosia nei termini proposti da questa cobla di Daude de Pradas. v. 17 lo·i: «Where the two pronouns are used together in the written texts, the direct object may lean enclitically on a preceding word […]. As a result, lo li is often reduced to loi […]. It seems plausible that the use of the pronominal adverb i for li could have been furthered through the dissimilatory reduction of lo li to lo·i» (JENSEN 1968, paragrafo 315). v. 18 faraitç: forma certamente inconsueta, ma messa a testo nell’edizione del Roman dels auzels cassadors, v. 923. Notevole poi la forma s’eiratz del ms. N (confortata forse da seiraitz di D). Benché apparentemente un monstrum potrebbe trattarsi, nonostante tutto, di una forma ammissibile, di 2 pers. plur. dell’ind. impf. di eser. ZUFFEREY 1987, p. 173, riporta esempi simili, benché rari, di ei < e in sillaba atona iniziale (deisonor, eisien). Poiché tutto questo però è forse poco per dimostrare la liceità della nostra forma, preferiamo respingerla in apparato, pur segnalandola qui e nel glossario. v. 19 sobretoç: ‘en outre’, vedi cappello introduttivo. Ma si poteva dividere anche sobre toç, con sobre un avverbio che significa anche ‘en plus’ (cfr. PD, p. 345) e toç pronome riferito a ensems. vv. 21-25: il si del v. 21 ha, secondo me, valore più ottativo che non condizionale (per il quale cfr. DARDEL 1975, e JENSEN 1968, paragrafo 1036): questo valore è riconosciuto in contesti nei quali la congiunzione si/se è seguita da un verbo al modo congiuntivo; occorre tuttavia ricordare che anche il futuro dell’indicativo «à la première personne…peut traduire une nuance volitive» (MOIGNET 1973, p. 260). Diversamente ha inteso Schutz, che ha tradotto «Ah, parfait amour, (qu’arrivera-t-il) si jamais je fais savoir ce dont j’aurai été si faché!». I vv. 23-5 indicano nella prospettiva della mia ipotesi la conseguenza (vedi oltre, nota ai vv. 23-4) di ciò che il poeta vorrebbe poter fare: il giorno in cui egli potrà almeno palesare (per l’espresso consenso della domna?) quell’amore che ora segretamente lo macera senza trovare alcun sfogo, egli accetterà e sarà addirittura compiaciuto dei mormorii dei cattivi consiglieri.

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v. 22 mariç: part. pass. del v. marrir: «Quelquefois, on trouve r au lieu de rr» (GRAFSTRÖM 1958, p. 161: cita esempi tratti da documenti del Quercy, del Tolosano e da un documento dell’Albigese, tutte regioni confinanti e linguisticamente affini al Rouergue di Daude, ma nel nostro testo la r scempia potrebbe anche essere il risultato, poligenetico in potenza, della caduta di una nota di compendio). Con questa grafia (ma è solo un fatto grafico, oppure ci son dietro anche motivi fonetici? C’è incertezza sul valore fonetico di -rr-: anche RONCAGLIA 1965, pp. 59-60 cita la rima terra: era, che presuppone scempiamento fonetico e conservazione grafica della consonante -r) la parola appare in rima equivoca con mariç del v. 12. vv. 23-24 preçera…pogra: il condizionale II ha il valore di modo dell’impossibilità o dell’irrealtà, cfr. HENRICHSEN 1955, pp. 179-80 (confermato da HENRICHSEN 1971 e da BOELCKE 1971). Con la scelta di questa varietà del modo verbale il poeta dimostra quindi di considerare un’utopia la realizzazione dei suoi desideri. v. 23 lausejers: vedi la nota a v. 25 teps. Per il carattere di metafora feudale della parola lauzengier (il vassallo che mal consiglia il suo signore, cioè, entro metafora, i rivali del poeta che per ottenere i favori della domna le danno cattivi consigli e diffondono voci false e malevole) si veda MONSON 1994. v. 25 teps: il ms. N, qui scelto per la base grafica (e anche testuale, alle condizioni esposte nel cappello introduttivo) contiene quindici liriche di Daude de Pradas. Esse sono, secondo l’ordine della bibliografia della BdT le nni 1, 2, 3, 6, 7, 8, 9 (questa anonima e fuori dalla sezione dedicata al nostro poeta), 9a, 10, 11, 13, 14, 15, 17 e 18. In esse la parola «tempo» (nelle sue diverse accezioni di significato e nei composti) ricorre dodici volte. Sei volte si trova scritto temps (mai con la nasale annotata in compendio, benché l’abbreviazione con titulus non sia estranea – in altri casi – alla consuetudine del copista): BdT 124.1, v. 1; BdT 124.3, v. 54; BdT 124.6, vv. 15, 27; BdT 124.9a, v. 12 tenps; BdT 124.15, v. 75. Quattro volte abbiamo teps (BdT 124.8, v. 25; BdT 124.9a, v. 1; BdT 124.13, vv. 10, 33); leggiamo poi un tepms (BdT 124.6, v. 47) e un tems (BdT 124.9, v. 1). I quattro teps (come del resto lausejers del v. 23) sono dovuti forse ad omissione del compendio. Se l’omissione della p, un latinismo grafico privo ormai di ogni valore fonetico, è molto comune, non così quella della nasale, che nella nostra parola si mantiene stabile proprio a livello fonico: BRUNEL 1926-1952, 423, 12, spiega con la caduta del titulus l’unico esempio – a quanto risulta dai suoi indici – di teps da lui ritrovato nel gran numero di documenti escussi. Tuttavia la frequenza relativa del fenomeno (nel campione esiguo offerto dal codice N sul quale è stato condotto lo spoglio) appare stranamente alta e mi induce a rinunciare alle integrazioni: si veda anche BdT 124.13 v. 28, dove sempre N, insieme con altri tre testimoni, omette la nasale in copagnon. GRAFSTRÖM 1958, par. 53, trova nelle sue carte molte di queste forme senza nasale, e rimane in dubbio. Di alcune pensa si tratti di errori (caduta di un titulus), ma di altre ipotizza che possa trattarsi di grafie intenzionali (teguz, teg, egan, predia, ecc.). Nel dubbio, si conservano qui le forme senza nasale. vv. 27-29: Schutz adotta la lezione aicel e non usa alcun segno di punteggiatura dopo sabeç. Secondo me il v. 29 manifesta (con un verbo al futuro, tempo che può servire a esprimere il desiderio, vedi anche al v. 21) un augurio del poeta. Lo Schutz traduce i vv. 27-9 «…les facheux malotrux à qui vous permettez de dire du mal à celui qui, vous le savez, ne sera jamais conseillé par eux (c’est-à-dire le mari)». v. 27 malastruc: letteralmente ‘nato sotto una cattiva stella’ (ricorda MANETTI 2008, Glossario, che su malastre / malastruc è costituita la canzone BdT 389.14 di Raimbaut d’Aurenga).

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Nel nostro testo il significato è quello di ‘miserabile’, ‘disgraziato (in senso morale)’. v. 30: il poeta si rivolge direttamente agli enoios. v. 36 voç: ‘voto’, ‘auspicio’. Si tratta (salvo mio errore nella consultazione delle COM2) dell’unica attestazione di questa parola nella poesia lirica occitana. v. 40 reteina nos: cioè l’innamorato e il suo cuore.

IX BdT 124.9 El temps d’estei, qan s’alegro ill’aucel

Mss.: C 168r (Daude de Pradas); H 12r (Guilens de Bergeda(n); L 35r; N 207v. Edizioni: KELLER 1849, p. 17; MAHN 1856-1873, vol. 2, p. 203 e 204, nni 595 (incompleto) e 596; MILÁ Y FONTANALS 1861, p. 301; SCHUTZ 1933, p. 91; RIQUER 1971, vol. II, p. 269 (segue il testo Schutz senza traduzione); BILLET 1974, p. 313; RIQUER 1996, p. 395 (testo di Schutz, senza traduzione). Metro: sei coblas doblas di nove versi ciascuno; coblas capfinidas; rima equivoca tra il quinto e il sesto verso di ogni strofe: 10a, 10b, 10b, 10a, 10c, 10c, 10d, 10d, 10e (la rima e è uguale in tutte le strofe). Coblas deffrenadas (1-3, 5-6). FRANK: 589:1. Rime: I -el; -or; -oill; -age; -es; II -os; -er; -art; -ut; -es; III -it; -en; -aill; -en; -es.

a) Il nodo dell’attribuzione Tra i principali problemi che questa lirica propone all’editore vi è quello dell’attribuzione. Su quattro testimoni che la trasmettono, in due (L e N) essa risulta adespota, in uno (H) è attribuita a Guillem de Berguedan, e solo nell’ultimo (C) è attribuita a Daude de Pradas. Nella sua edizione del trovatore rouergate Schutz pare incline a negare l’attribuzione di questo testo tanto a Guillem de Berguedan quanto a Daude de Pradas. Contro l’attribuzione al primo ci sarebbe l’allusione ad un viaggio in Puglia (vedi il v. 41) che Schutz ritiene «extrémement douteux» per il trovatore catalano. Egli cita a questo proposito l’opinione di MILÁ Y FONTANALS 1861, p. 287, che suppone l’esistenza di un Guillem de Berguedan posteriore al trovatore meglio noto. L’attribuzione a Daude de Pradas è altrettanto difficoltosa secondo lo studioso americano, che rileva nel testo due aspetti della versificazione che non appartengono ai procedimenti ordinari del Nostro: l’uso di una cesura epica e la ripetizione in rima di parole identiche. RIQUER 1971 nota per parte sua parte che nulla del contenuto del testo serve per attribuirlo sicuramente al Guillem de Berguedan di cui ha curato l’edizione, e quanto all’esistenza di un trovatore più tardo con lo stesso nome si dimostra molto scettico. D’altro canto osserva che l’argomento addotto dallo Schutz per negare tale paternità è debole: noi non siamo informati anno per anno sulla biografia del trovatore catalano, per cui un suo viaggio in Italia e in Puglia «es tan dudoso como probable»1. Lo studioso aggiunge che il v. 13 di Chansson ai comensada di Guillem de Berguedan (Ja Deus noca·m don Poilla) potrebbe sovvertire l’argomento dello Schutz. Inoltre egli osserva ancora che il senhal del trovatore catalano Bon Esper potrebbe celarsi all’interno di El temps d’estei: Per dreiz l’es pres mos cors e mas raszos q’apres mainz mals jaucic d’un bon esper (vv. 28-9)

1

«Cançό d’atribuciό duptosa» la definisce anche RIQUER 1996, p. 395.

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Riquer conclude: «La atribución de E·l temps d’estiu a Guilhem de Berguedà no es segura ni, por ahora, demonstrable de manera convincente, pero tampoco existe ningún argumento poderoso para negársela»2. Va aggiunto allora che anche gli argomenti stilistici addotti da Schutz per negare al Rouergate la paternità del componimento sono poco consistenti: quella che Schutz chiama «ripetizione in rima delle stesse parole» (un vizio in cui, secondo l’editore, Daude non sarebbe mai caduto) non è altro che un legittimo, anzi all’epoca pregiato, uso delle rime equivoche. A meno che lo studioso americano non si riferisca alla parola che ricorre in rima ai versi 26 e 34, che sembra essere veramente un mot tornat, ma questo non mi pare – da solo – ragione sufficiente per negare a Daude (o a un altro trovatore pur rispettoso delle convenzioni metrico-rimiche) la paternità di un’opera3. Quanto al fatto che nel nostro testo si accenni a un viaggio in Puglia, potremmo forse domandarci se tale viaggio sia avvenuto nella realtà oppure se il poeta ha fatto ricorso a qualcosa come una via di mezzo tra una metafora e un’iperbole per alludere a un importante, anche se non duraturo, allontanamento sentimentale dalla propria donna. Ma se scorriamo i versi di un’altra opera di Daude de Pradas, questa volta di sicura attribuzione, vi troviamo una nuova allusione alla Puglia, meno generica di quella di Guilhem de Berguedan e anche di A·l temps d’estei. Nel Romanzo delle quattro virtù cardinali (opera il cui termine ante quem è il 1231)4 egli dice infatti: . Cil devant a nom providenza, O savieza, o prudença. Savieza noms vulgars es Mais l’autre dui non o son ges E nostra lenga enaissi; Car trop retrazon al lati. Mais en Poilla et en Toscana Son vulgar e parola plana5. Questo piccolo, curioso, ma esatto, sfoggio di conoscenza linguistica fa pensare che veramente l’autore del testo sia andato in Puglia6. Per un’ipotesi sull’epoca e sul motivo per cui Daude sarebbe venuto nell’Italia meridionale vedi l’Introduzione 1.1. Se consideriamo le per-

2 Riquer ricorda che il Tassoni, nelle sue Considerazioni sopra le rime del Petrarca, attribuisce A·l temps d’estei (per lui fonte del sonetto petrarchesco Zefiro torna e il bel tempo rimena) a Guillem de Berguedan, ma il Tassoni derivava evidentemente questa attribuzione dal canzoniere H, che fu tra quelli da lui maneggiati. 3 Lo stesso Schutz mette a testo un mot tornat in BdT 124.17 vv. 3-10 (accettando una lezione al v. 10 che ho invece rifiutato), e un non emendabile mot tornat si trova in BdT 124.9a vv. 30-39. Inoltre, per BdT 124.4, si veda, in questa nostra edizione, la nota al v. 19, in cui accogliamo un altro mot tornat, contro il parere di Schutz e, prima di lui, di Appel. 4 L’opera è dedicata a Stefano di Chalançon vescovo del Puy dal 1220 al 1231. LARGHI 2011, p. 46, ritiene possibile che Daude sia entrato in contatto con Stefano di Chalançon nel 1228, quando forse accompagnò il responsabile diocesano di Rodez, inviato dal Pontefice Gregorio IX a Le Puy-en-Velay per risolvere una lite tra i due vescovadi. 5 Cit. da RICKETTS 2002, vv. 205-212. 6 Questa sarebbe, tra l’altro, la prima attestazione di tali parole in un volgare italiano. Gli esempi portati da TOMMASEO-BELLINI (1861-1879) e dal Grande dizionario non risalgono infatti oltre Brunetto Latini e Dante. Tra le voci del TLIO messe in rete queste mancano ancora nel momento in cui scrivo.

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sonalità di Federico II e di Daude de Pradas, vediamo che tra esse c’è almeno un trait-d’union: un’interesse non solo venatorio, ma potremmo dire scientifico per gli uccelli da caccia. Ognuno dei due scrisse un trattato sulla materia, e queste opere sono in una certa misura complementari. L’imperatore, col suo De arte venandi cum avibus (1248 ca), diede al mondo il primo e più completo trattato di ornitologia dai tempi di Aristotele, dove la disamina dei migliori sistemi di allevamento e addestramento dei rapaci è intrecciata con nozioni sorprendentemente moderne di zoologia, anatomia aviaria ed etologia. Daude, col Romans dels auzells cassadors non fu all’altezza dell’opera del sovrano svevo, ma le sue osservazioni in campo veterinario (campo trascurato da Federico II) erano, per l’epoca, allo stato dell’arte, così come estremamente originali erano le sue osservazioni sulle differenze tra gli occhi e l’impennaggio delle famiglie di rapaci usati per la caccia. Fino ad oggi gli studiosi di cinegetica sono sempre stati inclini a escludere un debito del trattato federiciano con l’opera di Daude. Ma, a parte la conoscenza che sia Federico II sia Daude de Pradas dimostrano di avere di alcune identiche fonti di argomento venatorio di epoca precedente alle loro opere, vi sono certi punti del trattato federiciano che sembrano ispirarsi, per approvarle ma anche – spesso – per contestarle, ad alcune nozioni che ritroviamo nel Romans. Queste potrebbero essere o contributi originali del poeta rouergate o da quello mediate da fonti ancora oggi sconosciute7. Ad esempio, Daude de Pradas, ai vv. 1443-1446, distingue in questo modo l’aspetto della pupilla degli accipitridi da quello della pupilla dei falconi: «Ausel qu’en hueill a prunela, / son austor o d’aquel semblan; / sill que non an prunell’en hueill/ son falco o d’aquel escueill»8. L’unico altro testo occidentale dell’epoca in cui viene proposta tale distinzione è il trattato federiciano, che però è sicuramente posteriore: «< I, 135 >… et quidam [uccelli] sunt nigrorum oculorum penitus, ut modi falconum, set nigredo pupille in talibus intensior est nigredine albuginei humoris. Et quedam sunt oculorum glaucorum in circuitu pupille, que nigra est, ut genera accipitrum et nisorum […]». Ma poi l’imperatore aggiunge : «< I, 136> De accipitribus etiam et nisis visi sunt, qui habebant penitus oculos nigros ad modum falconum, sepius in duobus oculis et aliquando in uno tantum, set nunquam visi sunt falcones qui haberent in oculis collorem oculorum accipitrum, neque secundum unum oculum, neque secundum duos. Apparet etiam, quod nigredo pupile in accipitribus augeatur, quando infigunt aciem in aliquid, et minuatur, quando non. Sunt etiam de avibus quedam melius videntes aliis»9. Che Federico II sviluppi di più l’argomento “pupilla” non è certamente prova del fatto che egli non abbia tratto ispirazione dall’opera del rouergate: può far pensare invece che Federico II, uomo di scienza in anticipo sui tempi, abbia voluto investigare più profondamente il dato di quanto non avesse fatto la sua probabile fonte. Si vedano poi altri due esempi ancora:

7 I luoghi simili si ritrovano in quella parti del Romans che parlano delle varie specie di uccelli da preda, delle loro caratteristiche anatomiche e delle modalità del loro addestramento. Mancano le corrispondenze con la parte veterinaria del Romans perché l’opera di Federico II manca (e forse nemmeno prevedeva) di una sezione di medicina. Intendo portare a compimento uno studio che passi in rassegna luoghi comuni ai trattati di Daude e di Federico II, sia che si tratti di luoghi che sono documentati per la prima volta nell’opera del Rouergate, sia che siano stati ripresi da quest’ultimo in opere che presumibilmente l’imperatore non conosceva. 8 Questa e le successive citazioni dal Romans del auzels cassadors sono tratte da SCHUTZ 1945. 9 Questa e le successive citazioni del trattato di falconeria di Federico II sono tratte da TROMBETTI BUDRIESI 20097.

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due passi abbastanza simili presenti solo in Daude de Pradas e nell’opera del sovrano svevo. Il primo contiene il modo di valutare la salute dell’animale dall’osservazione delle feci: Romans: «S’esmeutis be desliuramen / aissi com deu naturalmen, / segon so que aura manjat, / blanc et negre non gen mesclat / ans pot be cascun triar / e no·i a sanc ni roïll clar, / peira ni verms ni mescladura / que sol venir per rompe dura, / ben pot hom dir d’aital auzel / sas es de cors e de budel» (vv. 149-156). De arte: «Et in egestione quam facient, illud nigrum durum, quod consuevit esse in ea, erit modicum < et > granulosum, et illud album molle, et egestio non erit fetida. […] non bene digesserunt, si nigrum in egestione multum fuerit et liquidum, mole vero fuerit fetidum valde et in quantitate minus quam in egestione digesta» (II, 21). L’altro riguarda le caratteristiche venatorie di uccelli da preda rapiti dal nido a pochi giorni dalla nascita e quelle degli uccelli catturati quando già avevano compiuto il primo volo: Romans: «De triansa d’ausel niaic e de ramenc. / Auzels nizaics non estara / ja tant selius com l’autre fa / ni no pren aisi gran sa preza,/ mas ben a mais de cobezesa» (vv. 333-336). De arte: «Differunt autem in eo quod plures nidiasiorum gentilium [falchi pellegrini di nido] intrant melius et avidius ad trahynam quam gentilium ramagiorum et citius pertrahynantur» (V, 175) In altri casi Federico II riporta (senza citare la fonte) affermazioni contenute già nel Romans, ma solo per confutarle, non senza un certo disprezzo. Se infatti nel Romans si consiglia di usare, per i falchi ormai ben addestrati al logoro, un richiamo costituito da una preda viva (vv. 855-862), nel De arte il sovrano svevo sembra disapprovare in ogni caso tale uso, sia durante l’addestramento al richiamo, sia dopo che l’addestramento è stato completato, perché – dice – non sempre sono disponibili prede vive. E conclude attribuendo questo “malcostume” venatorio alla Spagna e ad altri non meglio precisati paesi occidentali (il che comprenderebbe, da un punto di vista meramente geografico, anche l’Occitania). Messi insieme questi indizi non è azzardato ipotizzare un viaggio di Daude de Pradas alla corte di Federico II, forse già nel 1209, come ipotizzo in 1.1110. Ciò farebbe pendere dalla parte del nostro trovatore la bilancia dell’attribuzione di questo componimento e rende «más dudosa» l’ipotesi attributiva a Guillem de Berguedà. All’argomento geografico si deve aggiungere il fatto che il componimento appare nello stile di Daude de Pradas, essendo composto, come varie sue liriche, di coblas deffrenadas e capfinidas (oltre che con rima equivoca tra il quinto e il sesto verso di ogni strofa): una panoplia metrico-retorica padroneggiata con quell’ottima arte che anche l’autore della vida gli riconosceva.

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Si veda, su questi argomenti, MELANI 2013, pp. 99-109.

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b) Problemi ecdotici Nella tradizione manoscritta di questa lirica mancano veri e propri errori congiuntivi, a parte il caso del v. 43 (che individua un antenato comune a CH e un canale di contaminazione che porta da quello a L), e il caso del v. 37 (quaia tan C, qar aitan en H), dove i due manoscritti sembrano derivare la propria lezione da una ipometra rappresentata abbastanza fedelmente da C (H sana l’ipometria ma la sua lezione tradisce l’intervento anche in virtù di un significato non soddisfacente). Ci troviamo dunque nell’impossibilità di applicare nella sua purezza il metodo lachmanniano (come del resto in gran parte dei testi trovadorici), anche se si possono ipotizzare sia l’esistenza di un archetipo, sia quella di due gruppi di due manoscritti ciascuno.

c) L’archetipo Si può sospettare (anche se non individuare con certezza) l’archetipo in base a una lezione al v. 29, che recita: qu’apres mainhz mals jauzir d’un bon esper Manca il verbo reggente (vedi anche il verso precedente), per cui ritengo che jauzir debba essere corretto in jauzic (l’errore – forse già nell’archetipo ma potenzialmente poligenetico – sarebbe dovuto a un semplice scambio paleografico tra -c ed -r) La lezione jauzir è messa a testo da SCHUTZ 1933, che però è costretto ad una traduzione-interpretazione quasi libera11.

d) Il gruppo LN I mss. LN, che dovrebbero fare capo all’ascendente siglato λ in AVALLE 1993, presentano in effetti, da soli, quella che credo si possa considerare una variante deteriore al v. 15, com vueilh12 vs. so·m di H (C capduelh). Al v. 16, invece, si nota l’assenza della nasale nella parola in rima, eratge L / eirapge N vs. enrabge C / enrage H. Forse queste lezioni erronee o quantomeno deteriori possono essere considerate separative: la lezione del v. 15 appare a prima vista corretta, e solo il confronto con quella, migliore, di H può smascherarla. Anche la caduta della nasale alla parola in rima al v. 16 potrebbe essere un errore separativo: vediamo infatti che N, accorgendosi che qualcosa non andava in ciò che leggeva, ha tentato probabilmente una correzione, l’aggiunta di una i tra e ed r, ma senza riuscire a risolvere il problema.

11 «C’est à bon droit que mon coeur et mon esprit soit près d’elle et il est plus juste encore qu’après tant de peines je jouisse d’une bonne espérance». 12 La lezione iraz […]com duoill (‘triste […] con dolore’) pare contenere un elemento pleonastico che la rende inferiore rispetto alla sua concorrente (iraz […]ço·m duoill = ‘triste […] di ciò mi pento’). Inoltre, com può essersi generato per caduta della cediglia da un originale ço·m. Fa bene dunque, secondo me, SCHUTZ 1933 a mettere a testo ço·m e a tradurre «à mon grand regret».

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e) Il gruppo CH La lezione errata (v. 50) enans C/enais H (cui si contrappone la lezione di LN e vau / e e vau, garantita dal fatto che, insieme con altre parole del contesto, viene a formare un polisindeto allitterante, appropriato a questa poesia che gioca molto sulle figure retoriche di suono) è probabilmente dovuta a una cattiva lettura (e interpretazione) di e vau (letto enan>enans, deformato ulteriormente in enais dal ms. H). Delle lezioni ai vv. 37 e 43 abbiamo detto sopra (ma per 43 vedi oltre, così come per il caso del v. 36).

f) Contaminazione CH > L Al v. 43 un errore probabilmente congiuntivo unisce CH (è presente anche in L, per contaminazione proveniente da un antenato di CH): l’errore è cubertamen / cubertamens CHL (SCHUTZ 1993, che lo mette a testo, non è poi in grado di tradurlo o spiegarlo), mentre ubertamen in N pare essere la lezione originale.

g) Contaminazione C > N CN si accordano in alcune occasioni contro il resto dei testimoni, in errori evidenti o varianti, ma che non sono monogenetici. Al v. 40 CN riportano s’en ardic vs. variante (adiafora) m’enardic Al v. 41 leggono Poilla vey vs. Pulia anney (errore di lettura poligenetico in potenza). Il verso 42 manca infine in CN (ma anche in questo caso siamo di fronte a un potenzialmente poligenetico saut du même au même). Anche se in potenza poligenetici, questi tre accordi formano una piccola serie sulla quale non si può sorvolare attribuendo al caso la loro occorrenza in CN. Poiché gli accordi principali tra C e N (fatti salvi i casi di si vs. s’eu ai vv. 30 e 47) si concentrano nel breve giro di tre versi successivi l’uno all’altro, l’ipotesi che propongo è che N presentasse una lacuna tra i vv. 39-43 (originata probabilmente da omeoteleuto). Avrebbe dunque per questo integrato cambiando di fonte e tale nuova fonte sarebbe stata un prodotto di y affine a C, contenente la lacuna al v. 42, che dunque, faute de mieux, sarebbe rimasta in N nonostante l’attenzione e la buona volontà del suo copista.

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W v. 29 vv. 36, 37, 43, 50 C

H

vv. 15, 16 L

N

Grafia L13

1 2 3 4 5 6 7 8 9

I El temps d’estei, qan s’alegro ill aucel e d’alegrer notan dolz lais d’amor, e·ill prat s’allegro, qi·s vesto de verdor, e·s carga·l fuoillz e la flor el ramel, s’alegro cill qi han d’Amor lur voill; mas ieu no·n hai d’Amor, si ben lo·m voill, ni posc ni dei haver nul alegrage; q’alegreç’ai perdut per mo follatge, e s’anch fui gais era soi d’ira ples.

I mss. CHLN 1 El CN] Al L, [.]l H (il capolettera non è stato eseguito); 2 notan N] movon C, chanton H nota L; 3 prat CHN] pratz L; 4 e·s CLN] e H; fuoilz LN] fuelh C, fuoill H; e la flor CHL] el flors N; 5 s’alegro LN] salegre C, salegra H; lur voill HLN] lerguelh C; 6 ieu CHL] omesso N 8 c’alegreç’ai N] qualegrier ai C, qar ai H, q’alegranch’ai L I Nella stagione estiva, quando gli uccelli si rallegrano e per l’allegria cantano dolci canti d’amore, e i prati si rallegrano vestendosi di verzura, e sul ramo si caricano foglie e fiori, coloro che hanno da Amore ciò che desiderano si rallegrano; ma io da Amore non ho – benché la desideri – né posso né devo avere alcuna allegria; infatti ho perduto l’allegrezza per mia stupida colpa, e se già fui lieto ora sono pieno di tristezza.

10 11 12 13 14

II Ez ai grantz dreich q’ab ira me capdel e qe jamais no dezir fuoill ni flor, q’anc hom de carn no hac ira major, et creiss m’ades qan ven al temps novel, et es ben drez si m’ir e·m plaing e·m duoill

13 L è un manoscritto che contiene vari italianismi, ma nel caso di questa poesia è anche quello che richiede il minor numero di interventi correttori. L’ho pertanto scelto come manoscritto base, correggendolo quando necessario. Tra gli interventi che vi ho operato segnalo la sostituzione del crudo italianismo alegranch’ai del v. 8 con il più occitano alegreç’ai, in quanto tale lezione altererebbe troppo, a mio giudizio, la fisionomia linguistica del testo.

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15 16 17 18

pos la gensor iratz laissei, com duoill. Pogues vezer don per pauc non enrage! Mais no m’ir tan qu’ieu lais son seignorage, ni·s part de leis mos fis cor ni ma fes.

II mss. CHLN 13 creiss m’ades CLN] ades creis H; al temps HL] lo temps C, altres N; 14 si CHN] qe L; m’ir HLN] mazir C; e·m planh CLN] nim plaing H; e·m duoill CL] nim duoill H, est doill N; 15 pos la gensor HN] pus ala gensor C, pos lausengers L; laissei CHL] laisser N; com duoill LN] capduelh C, so·m duoill H; 16 Pogues CHN] auges L; vezer don HL] venir don C, vençedor N; enrage CH] eratge L, eirapge N; 17 no m’ir HL] non azir C, non ir N; qu’ieu CLN] que H; 18 part CLN] loing H; fis CLN] omesso H; cor L] cors CHN II E ho buona ragione per farmi dominare dalla tristezza e per non desiderare più foglia né fiore, perché mai uomo di carne provò maggiore tristezza, e questa mi cresce non appena giunge il tempo nuovo; e in verità è giusto che io sia triste e pianga e mi dolga, poiché triste lasciai la più nobile, e di questo mi pento. Potessi vedere ciò per cui quasi esco di senno! Ma io non arrivo ad intristirmi tanto da lasciare la sua signoria, né si allontanano da lei il mio fido cuore e la mia fedeltà.

19 20 21 22 23 24 25 26 27

III Qar sitot soi loing del sieu cors joios per ma foudat, que no posc lei vezer qe fai son prez plus loing d’autra saber, eu teing vas lei los oillz del cor amdos; car on om plus s’en luenha ni s’en part de loing se fai plus pres en tota part: tan luenh s’espan de midonz e es saubut lo sieu ric prez, q’a mo cor retengut, qe qan ill m’es plus loing meillz li sui pres.

III mss. CHLN 19 joios CLN] cortes H; 20 vezer CHL] venc N; 21 d’autra HLN] dautras C 22 eu (e H) teing vas lei los oillz del cor CNL] en tenh los del cor H; 23 car on (an N) om plus s’en luenha ni s’en part LN] quar on plus s’en l. ni s’en p. C, qar an om plus s’en loing ni sel part H; 24 verso omesso da C; 25 tan luenh CLN] taing H; e es CN] es H, e L; 27 meillz (meill H) HLN] ieu C III Perché sebbene io sia lontano dalla sua persona dispensatrice di gioia a causa della mia stoltezza – così che non posso vedere colei che fa conoscere il suo pregio più lungi di ogni altra – io tengo rivolti a lei entrambi gli occhi del cuore, perché quanto più ci si allontana e ci si separa da lei ella, ovunque, da lungi si fa più vicina; tanto lungi si spande ed è conosciuto il nobile pregio della mia domna – la quale ha trattenuto presso di sé il mio cuore – che quanto più ella mi è lontana tanto più le sono vicino.

28

IV Per dreich li es pres mos cors e mas raszos

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29 30 31 32 33 34 35 36

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q’apres mainz mals jaucic d’un bon esper; e s’eiu tan viu q’aprosmar e sezer me posc’als pes, molt m’er rics guierdos de lei on prez poja a terz et a quart; q’en tot lo mond non laissa ges lo qart ni sen ne laus, qe tot l’ha retengut; donc deu ill be lo seu aver cregut: sa ell’a tan q’a penas n’ha aillor ges.

IV Mss. CHLN 28 mos CHN] mi L; 29 mainz (maignz N) CHN] maint L; *jaucic] jaucir CHLN; bon CH] ben L, bos N; 30 s’ieu HL] si CN; aprosmar HL] aprusmar C, apresmar N; e CHN] ne L; 31 als CHN] al L; molt HLN] bem C; m’er rics (rich L) HL] ner datz C, mei rix N; 32 poja a LN] pueia de C, poia H; et a HN] a C, en L; 33 q’en (qeen H) HLN] queu C; laissa HLN] laisset C 34 ni sen ne laus qe tot l’ha HLN] que tot la absi la bella C; 35 lo seu aver CHN] aver lo sieu L; 36 sa ell’a tan N] sia ben ylh be C, sella tan fa ill H, sella nhi tan L; IV È giusto che le siano vicini il mio cuore e la mia mente, perché dopo molti mali godo di una buona speranza; e se io vivo tanto da potermi avvicinare e stare ai suoi piedi ciò sarà per me una ricca ricompensa da parte di colei nella quale il pregio cresce alla terza e alla quarta potenza, tanto che in tutto il mondo non lascia un quarto né di stima né di lode perché tutte le ha trattenute per sé; dunque ella deve certo avere accresciuto molto il suo pregio: qua ella [ne] possiede tanto che a mala pena ne rimane un poco altrove.

37 38 39 40 41 42 43 44 45

V E non per tan, qar ieu hai tan faillit qe si per so me vol far faillimen ben o pot far e a dreiz jutjamen, qe trop faillit mos cors qant m’enardit qu’en Poilla annei ne laissei, s’eu no faill, lei cui Jovenz, Prez ni Beltatz non faill. Laisei? No fi, ansz faill ubertamen, q’inanz perdrai la vida e·l cor e·l sen q’eu n’atenda si mi valra Merces.

V Mss. CHLN 37 E HLN] omesso C; qar ieu hai tan L] quaia tan C, qar aitan en H, car eu tan N; 38 si CLN] omesso H; so CHN] cho L; me CHL] mi N; 39 pot CHN] pod L; 40 qe CLN] qar H; qant (can N) LN] quar CH; m’enardit HL] senardic CN; 41 annei HL] vey CN; ne L] ni CHN; 42 verso omesso in CN; ni L] e H; 43 fi, ansz (anc N) LN] sieus C, sianz H; ubertamen N] cobertamen (cubertamentz L) CHL; 44 la vida e·l CH] larma del L, lavida N; cor e·l CHN] cors el senz L 45 q’eu CH] qe LN; si mi N] si iam C, sel mi H, si men L; valra CHN] valgra L V E tuttavia, poiché io ho mancato tanto, se per questo motivo ella mi vuole venir meno può ben farlo e a buon diritto, perché troppo mi ingannò il mio cuore quando mi diede l’ardire di andare in Puglia e lasciare (e non dico menzogna) colei nella quale Gioventù,Pregio e Bellezza non vengono meno. Lasciai? No, non lo feci,

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

anzi mento spudoratamente, perché prima perderò la vita e il cuore e il senno piuttosto che non attendere che Mercé mi dia aiuto.

46 47 48 49 50 51 52 53 54

VI Qe de merces ha midonz tan garnit son franch cor gai que s’eu merse n’aten ja mercejan non cuit del sieu cors gen me lais’aissi ses merce, desguarnit del sieu rich joi don viu e vau e vaill; e, s’ab merce·m reten, cor tost e va·ill dire, çanson, qe anc merce queren no fetz Merces mais home tan jausen com eu fora si Merces mi valgues.

VI mss. CHLN 46 garnit HLN] grazir C; 47 son HN] quon C, sos L; cor HN] cors CL; gai HLN] guays C; 48 mercejan CHN] merceiantz L; non HLN] omesso C; del CLN] qel H; sieu CLN] omesso H; 49 ses CHL] de N; desguarnit HLN] desguarnir C; 50 del sieu LN] sieu C, e del H; e vau N] enans C, enais H, e e vau L; 51 verso omesso in C; merce·m L] merce H, mercen N; cor tost e L] mon cor en H tor tost e N; 52 qe anc H] qui quan C, qez anc L, que çanc N; queren CLN] qi ren H 53 fetz HLN] fos C; mais CHN] anc L; 54 mi CHN] men L VI Perché la mia domna ha talmente munito di mercé il suo franco cuore gioioso che se io ne attendo mercé non credo certo che mi lasci così invocare mercé, senza [concedere] misericordia del suo nobile cuore, privo della sua ricca gioia per la quale vivo e progredisco e valgo. E se con mercé mi trattiene valle subito a dire, canzone, che mai Mercé rese qualcuno che chiede misericordia tanto lieto come lo sarei io se Mercé mi aiutasse.

NOTE v. 2 notan: la forma di 3 plur. pres. ind. in an(t) è più rara di quella in -on(t). Ma ZUFFEREY 1987 (pp. 56 e note, 63 nota 105, e 304) segnala l’oscillazione -an(t) [etimologica] l-on(t) in vari mss. ANche Schutz mette a testoo notan. v. 3: è questo, come nota SCHUTZ 1933, l’unico esempio di cesura epica rinvenibile nell’opera lirica di Daude de Pradas giunta fino a noi. Ciò non basta però, a parer mio, per negare l’attribuzione del testo al Rouergate, anche perché egli fa piuttosto raramente uso del décasyllabe, preferendo di gran lunga l’octosyllabe, per cui è difficile – causa la relativa scarsità di esempi – ricostruire come egli interpretasse la struttura metrica e ritmica di quel verso. v. 15 com (vedi in apparato): da cum latino = ‘con’, cfr. PD, com (2); preposizione, a quanto sembra, di uso raro in provenzale, il che può essere indizio di autenticità. v. 18 cor: questa parola è un vero leitmotiv. Al c.s.s. o al c.r.s. ritorna ai vv. 19, 22, 26, 28, 40 e 47. v. 19 joios: più che ‘gioioso’ direi, qui, ‘dispensatore di gioia’, cfr. PD, s.v. v. 22: il motivo degli occhi del cuore è di derivazione paolina (Eph. 1, 18). Fu ripreso da Origene (I Omelia su Ezechiele I: 8) e da Ambrogio, Exameron V 24, 86. Agostino lo impiega

IX. El temps d’estei, qan s’alegro ill’aucel

181

più volte (cfr. per es. il Sermo 21 sul Salmo 68 e il Sermo 78 su Mt. 17, 1-8, nonché l’Epistola CXVI del corpus delle epistole di Gerolamo) ed è utilizzato spesso dai teologi medievali (Cfr. SCHLEUSENER-EICHHOLZ 1985, sotto la voce dell’indice oculus cordis). Si ritrova anche (pure nella variante ‘vista del cuore’) nella lirica amorosa provenzale, per esempio in Bernart de Ventadorn, BdT 70.41, vv. 41-42, «Domna, si no·us vezon mei olh/ be sapchatz que mos cors vos ve», o in BdT 461.204 v. 34 «l’uelh del cor vos vezon tot dia», o in Gaucelm Faidit (BdT 167.4 v. 43). Per questo motivo nella lirica dei trovieri vedi LEE 1988, p. 67. v. 34 retengut: è un mot tornat, vedi v. 26. v. 41 en Poilla annei: vedi cappello introduttivo, il nodo dell’attribuzione. La lezione del ms. scelto come base postula il ricorso alla sinalefe. v. 49: ses CHN vs. de L. La scelta è difficile perché entrambe le lezioni sono accettabili. Scelgo la lezione stemmaticamente maggioritaria perche mi sembra testimoniare, in questo verso, una sintassi leggermente meno piana e ‘cantabile’ di quella offerta dalla lezione di L, e quindi per certi versi difficilior.

X BdT 124.9a El temps que·l rosignol s’esgau

Mss.: A 122v (daurde de pradas); C 167r (Daude de Pradas); D 56v (Deode pradas); E 121 (…de pradas, per ablazione di miniatura); H 8r (Deude de prades); M 169v (Deude de prades); N 130r; R 31r (Daurde de pradas); a1 490 (vaude de paradas). Edizioni: MAHN 1856-1873, vol. 3, p. 222, nni 1049 e 1050; KOLSEN 1916-1919, p. 9; SCHUTZ 1933, p. 44 («Je reproduis ce texte [Kolsen] avec quelques légeres changements et certaines rectifications dans les variantes»); BILLET 1974, p. 301. Metro: cinque coblas unissonans di nove versi ciascuna: 8a, 8b, 8b, 8a, 8c, 8c, 8d, 8d, 8’e; una tornada di tre versi 8d, 8d, 8’e. FRANK 589:8. Rime: -au, -ueil, -on, -ai, -aje. Il confronto tra i testimoni di questo componimento permette di raccogliere con relativa sicurezza soltanto alcuni di loro in due sparuti gruppetti.

a) Gruppo DH (+A?) È agevole il riconoscimento di un errore certo e congiuntivo comune alla lezione dei mss. DH. Al v. 47 i due codici trascrivono infatti: cansos (chanzol D) torn primier viatge vs. chanso (-s ENa1) ten (fai A) ton (vai M) primier viatge

DH ACEMNRa1

Il testo di DH è chiaramente alterato, e non solo a causa dell’ipometria di una sillaba. La lezione di A, «…fai ton etc…» sembra (e tale potrebbe essere) una semplice variante adiafora di quella, presumibilmente corretta, proposta dalla maggioranza numerica dei testimoni1. Ma essa potrebbe rappresentare anche un non infelice tentativo di sanare, per congettura, quella lacuna prodotta dalla caduta del verbo ten che è evidente in DH2. Il sospetto di un errore comune ai mss. ADH, poi abilmente racconciato da A, può sorgere in quanto il raggruppamento ADH (al quale si associano, talvolta, altri codici) si rivela in una serie lunga – e quasi costante – di casi proposti dalla tradizione manoscritta delle liriche di Daude de Pradas3. Ma qui, come

1

Che si raccomanda dal punto di vista retorico per l’uso della paronomasia ten ton, figura tra le preferite di

Daude. 2

ton trasformato in torn nei due mss. pare l’aborto di un tentativo di correzione. Cfr. le liriche 1, 3, 13, 14, 17 (secondo l’ordine della BdT). Fa eccezione la n° 18. In particolare, più stretti sembrano i rapporti (a livello di silloge complessiva) tra i mss. AD, che oltre a costituire sempre (come sembra) un sottogruppo nei tre testi ricordati, si accordano anche nei nni 6 e 7 (oltre che 4, trasmesso solo da AD), testi che 3

184

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

nel caso della lirica BdT 124.18 (dove non si trovano elementi che permettono di raggruppare ADH ad un livello più basso di quello del presunto archetipo) non è dimostrabile la loro unione: l’uso di una preposizione articolata al posto della preposizione semplice trascritta dagli altri testimoni (del covinen vs. de covinen) e l’assenza di un articolo in enclisi (contra vs. contral cett.) sono quanto di più indifferente si possa immaginare. L’opposizione tra le lezioni ostatge (ADH) e estaje (cett.) al v. 9 è in definitiva un’opposizione tra sinonimi (vedi la nota al verso): lo scambio della prima parola con l’altra e viceversa è agevolato anche da evidenti ragioni grafiche.

b) Gruppo EMR Al v 12 ER presentano una lezione superiore, come si può vedere se la si esamina nel suo contesto:

12

a tengut cel cui amar sueil aissi mon cor lonc tenps en mueill que l’oil m’en son tornat tot blau

Credo che la varia lectio (vedi apparato), più che a un super-raggruppamento ACDHMNa1, rimandi a un archetipo dove la lezione originale (quella di EMR) era difficile da leggere e interpretare correttamente, a un caso cioè di diffrazione in presenza. Gli occhi che «tengono in bagno il cuore» nelle lacrime (al punto che gli occhi stessi si fanno pesti) è un topos: si veda per questo BdT 213.1 (Guilhem de Cabestanh) vv. 9-13 «Ab dous esguart siey cortes huelh / m’an fait guai e fin amador, / et anc l’amors per qu’ieu me muelh / ab l’aigua del cor ma color / no fon per mi espandida», e soprattutto BdT 364.20 (Peire Vidal) vv. 40-44: «mas mi ten en tal lanha, / de que ploron soven mei huelh / si que la car’ e·l pieitz m’en muelh. / Gran mestier m’en agra socors / d’amics o de mantenedors». Al v. 21 si confrontano però queste lezioni: on mi mostret tan gran orguoill ans mi mostret tan gran orguoill enans mi mostret gran ergueill

ACa1 DHN EMR

Quella di ACa1, certo più scorrevole, è stata preferita da Kolsen e da Schutz. Tuttavia io ritengo che anche nella lezione di DHN si possa recuperare un senso, e un senso che rende oltretutto l’andamento discorsivo della cobla meno banale (vedi la nota al verso, di carattere interpretativo). Dal canto suo quella di EMR4 (che offre un senso tutto sommato accettabile da un

mancano nella raccolta di H. Si ricordi come, da AVALLE 1993, il raggruppamento ADH sia considerato un punto fermo della tradizione manoscritta trovadorica. 4 Il raggruppamento EMR si dimostra anche nel caso delle liriche BdT 124.1 e BdT 124.14, ma è sospettabile

X. El temps que·l rosignol s’esgau

185

punto di vista logico) è chiaramente derivata, attraverso un intervento di tipo glossematico operato dal copista del loro antigrafo, da quella oggi testimoniata dai mss. DHN, risalente che sia all’originale oppure all’archetipo. L’avverbio tan – comune tanto alla lezione di ACa1 quanto a quella di DHN – è stato soppresso per evitare l’ipermetria causata dalla dilatazione di ans in enans5 (oppure, e la cosa è forse più probabile, l’antigrafo di EMR leggeva un testo in cui tan era caduto). Il raggruppamento EMR si articola poi ai vv. 26 e 34, ma solo per due varianti. Al v. 26: vos ai donat joi et esmai vs. vos sai donar joi et esmai

MR ACDEHNa1

Entrambe le lezioni sono accettabili in teoria. Si può però dubitare di quella di MR: questi due testimoni appartengono al gruppo EMR (per quanto questo sia solo incertamente delineato). Il fatto è che in tale raggruppamento compare (attestata in E) anche la lezione sostenuta da tutti gli altri manoscritti, i quali non hanno altrimenti nessun tipo di accordo con EMR. Questo fa pensare che la lezione di MR sia quella innovativa. La genesi dell’innovazione è del resto facilmente ricostruibile: un’aplografia vossai > vosai e uno scambio -r>-t (donar > donat)6. Al v. 34: qe so que vol far ades fai que so que (queis A, qel H) vol fai e desfai que so que vol faire desfay que ço que vol faire e desfai

MR AEHNa1 C D

ades fai è lezione accettabile ma probabilmente derivata, come quelle di C e di D, da fai e desfai7: la -i di fai poteva facilmente essere scambiata da qualunque copista con una -r, con successiva trasformazione automatica far e > faire, come in CD. La lezione faire è priva di senso, e può aver indotto il presunto modello di MR ad un intervento di correzione8.

in quelli delle liriche BdT 124.13 e BdT 124.17. I mss. MR appaiono imparentati nelle liriche BdT 124.3, BdT 124.6, BdT 124.11 e BdT 124.15 (presumibile la parentela anche nella 10), testi non trascritti in E. 5 Il modello di EMR potrebbe averla introdotta per escludere i significati modali pertinenti alla varietà semantica dell’avverbio ans. 6 Teoricamente, però, ciascuno dei due fenomeni sopra ricordati è poligenetico, e l’ipotesi della poligenesi può essere forse sostenuta – all’interno di quella di una lettura per gruppetti di parole da parte dei copisti (vos sai / ai – donat / donar joi) – anche per la loro combinazione, come nel nostro caso. 7 L’espressione, impiegata per dire ‘agire con assoluta indipendenza, spadroneggiare, comandare’, è di uso antico, cfr gli esempi in BATTAGLIA, IV, s.v. Disfare, n° 29. 8 Sui legami particolari tra M ed R vedi anche nota 4.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Nessun altro indizio suffraga l’ipotesi di un raggruppamento ACa1, ipotesi formulabile in conseguenza di quella dell’originalità della lezione dei mss. DHN al v. 21 (vedi sopra). D’altra parte nulla vieta di supporre autentica la lezione di ACa1, salvo la presunzione di ritrovare in quella di EMR un valore in certo modo difficilior. Posso solo osservare, ed è cosa ovvia, che se quella di DHN non rappresenta la lezione d’autore, i mss. EDHMNR discendono tutti da un capostipite comune, poiché sarebbe troppo oneroso sostenere la poligenesi dell’innovazione on > anç (da cui poi verrebbe, attraverso il processo sopra illustrato, enans). Se invece consideriamo innovativa quella dei mss. ACa1, la monogenesi è meno sicura: di fronte alla difficoltà proposta dalla lezione anç più di un copista poteva forse pensare – favorito dal contesto generale – di ridurre quest’ultima ad un avverbio di luogo riferito al capdueil del verso precedente («… finché non giunsi al suo capdueil – cioè fortezza, dominio – dove ecc…»). Si può invocare la poligenesi (almeno come ipotesi) per spiegare l’opposizione tra porrai (mss. AMNRa1) e poiria (mss. CDH) nel v. 8. Il contesto è costituito infatti da un periodo ipotetico in cui – a seconda del modo di intenderne il senso complessivo – sono ammissibili entrambe le forme. Un caso particolare ci è presentato dalla varia lectio del v. 22: cum si tengues del mon la clau com (cho D) si tengues del mon lasclau con (co H) si tengues del mon lesclau

ACEMa1 DR HN

lesclau di HN e lasclau di DR sono errori evidenti ma facilmente sanabili in la clau da chiunque avesse prestato attenzione al contesto9. Le lezioni di HN e DR potrebbero testimoniare di un errore d’archetipo, o essersi prodotte in modo poligenetico nell’‘eco’ di lesclau del v. 19 (dove si deve notare la lezione lasclau di E). Oppure ancora esse rimandano ad un antenato comune dei mss. EDHMNR (vedi il caso del v. 21 e l’ipotesi che la lezione di ACa1 rappresenti quella originale).

c) Archetipo? L’ipotesi di un archetipo può trovare sostegno solo in base all’interpretazione in tal senso della varia lectio del v. 12 sopra discussa. Non essendo possibile definire in modo sicuro i rapporti tra i testimoni di questa lirica (soprattutto ai piani intermedi e alti della tradizione), non è possibile nemmeno costituire il testo scegliendo tra le varianti in base ad uno stemma. A fondamento del testo critico pongo pertanto la lezione del ms. N, quella che mi obbliga al minor numero di interventi correttori.

9

Mss. ACEMa1; sulla frequenza dell’uso della metafora nella lirica trovadorica vedi la nota al verso.

X. El temps que·l rosignol s’esgau

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Ms. base N 1 2 3 4 5 6 7 8 9

I El temps que·l rosignol s’esgau e fai sos lais soç lo vert fueil per sa parila, can l’acueil, no·m lais’Amors estar suau, ans vol qu’eu chant, vola o non, cill qui m’a tengut en preison tan longamen c’apenas sai si·n porai viure: s’en m’estrai, que mais no torn en son estaje!

I Mss. ACDEHMNRa1 1…quel rossi… (per ablazione di miniatura.) E; El ACDMNRa1] Al H; temps ACDHMRa1] teps N; rosignol CDNR] rossignols AEHMa1 s’esgau AN] sesiau CDEHMRa1 2 e fai…sotz lo…ill (per ablazione di miniatura) E; lais CDHMNRa1] vers A; fueil N] fuoill ADH, fuelh CMR, foeill a1 3 per…a quan… (per ablazione di miniatura) E; parila N] pareilla AHa1, parella C, parilla D, pareilha M, parelha R; acueil N] acuoill ADHM, acuelh CR, acueill a1 4 no·m (no CDH) ACDEHMRa1] no N; lai…estar su…(per ablazione di miniatura) E; lais’Amors CDHMNRa1] laissa amors A; suau DHMNRa1] soan A, suaus C 5…vol qu…nt vueil… (per ablazione di miniatura) E; vola ACDHMRa1] o vola N; non Na1] no ACDHMR 6…ill que ma… (per ablazione di miniatura) E; cill ACDHMRa1] cel N; qui DHMN] que ACERa1; preison ACDHMR] preiso Na1 7…capenas… (per ablazione di miniatura) E, verso omesso R; longamen ADHM] lonianent Ca1, logament N; apenas CDEMNa1] apena H 8…eu mestrai (per ablazione di miniatura) E; si·n N] si ACMRa1, sim DH; porai AMNRa1] poiria CDH; s’en m’estrai H] sim nestrai ACRa1, sim mestrai D, sieu nesta (cfr. la lezione mutila di E) M, ose mestrai N (R aggiunge il verso e sen say si poder nauray per compensare la caduta del v. 7) 9 que mais…en son estatge (per ablazione di miniatura) E; estaje CEMNRa1] ostage ADN I Al tempo in cui l’usignolo si rallegra e intona i suoi canti sotto il verde fogliame per la sua compagna, perché quella lo accoglie, Amore non mi lascia star tranquillo; anzi vuole che io canti, che mi piaccia o no, colei che mi ha tenuto in prigione da tanto tempo che quasi non so se potrò sopravvivere: se riesco ad uscirne, possa io non tornare mai più là dove ella ha potere [oppure: nella sua fortezza (nel senso di prigione)]!

10 11 12 13 14 15 16 17 18

II Ab bel semblan e ab cor brau a tengut cill cui amar sueil aissi mon cor lonc tenps en mueill que l’oil m’en son tornat tot blau. Toç hom qu’en amor s’abandon en trop ric luoc sap per rason qual angoissa ni cal mal trai qui ama so qui non l’eschai, si Merce no i força Paraje.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

II mss. ACDEHMNRa1 11 cill ACDEHMRa1] cel N cui ADEHMNa1] qeu C, que R; sueil N] suoill A, suelh CR, suoil D, sueill Ea1, soill H, sueilh M 12 a. l. t. mon cor etc. AR; en mueill (em ueilh M) EMR] en vuoill A, e mey huelh C, en voil DN, en voill H, 13 que l’oil ACDEHNa1] quellhueilh M, quels huelhs R; m’en ADEHMNa1] me CR; tot ACDEHMNa1] en E 14 qu’en ACDEHMNa1] cad R; Amor ADHMNR] amar CEa1; abandon DHNa1] abando ACEM, abanda R 15 entro conoys loc de razo R; en trop ACDEMNRa1] ettrop H; ric ACDEHNR] bon M, rit a1; rason DHNa1] razo ACEMR 17 non l’eschai CHMNR] noill e. AD, non lescai E, non e. a1 18 Merces ACDEHMR a1] amors N II Con sembiante benigno – ma con animo crudele – colei che io amo da tempo ha tenuto a lungo il mio cuore a bagno [nelle lacrime], così che gli occhi mi si son fatti tutti lividi. Chiunque si abbandona ad amare persona troppo nobile conosce, secondo ragione, quale angoscia e quale male sopporta chi ama ciò che non gli spetta, se Mercé non fa forza a Nobiltà.

19 20 21 22 23 24 25 26 27

III De Joi Novel seguei l’esclau tro fui venguç a son capdueil; anç mi mostret tan gran orgoil con si tengues del mon la clau! De cuvenent mi fes tenson, cais que dises: «E no i a pron s’ap pensamen cortes e gai vos sai donar joi et esmai e·us fas plaser vostre damnaje?»

III mss. ACDEHMNRa1 19 seguei ACEHNa1] segue D, sec ieu M, siguieu R 20 fui ACDEHMNR] sui a1; a ADEHMN] en Ca1, el R; capdueil N] capduoill ADH, capduelh CR, capdueill Ea1, capdueilh M 21 Anç DHN] on ACa1, enans EMR; tan ACDHNa1] omesso EMR; orgoil N] orguoill AD, orguelh C, ergueill Ea1, orgoill H, ergueilh M, erguelh R 22 la clau ACEMa1] lasclau DR, lesclau HN 23 De CEMNRa1] del ADH; tenson HN] tenso ACEMR, tezon D, renson a1 24 disses: «E ACDEHMNa1] volgues R; E no i a ACDEHMN] enoia me a1; pron Na1] pro ACDEHMR 25 s’ap pensamen ACDEHMNa1] soppassame R 26 sai donar ACDEHNa1] ai donat MR 27 e·us fas ACEHMNa1] eus foz D, fazen R; vostre ACDHMNRa1] omesso E III Ho seguito la traccia di Gioia Novella fino a che son venuto in suo potere; eppure ella mi dimostrò grandissimo orgoglio, quasi che tenesse la chiave del mondo. Mi aprì un contenzioso riguardo al patto, quasi dicendo: «E dunque non basta che io, con vaghi e cortesi pensieri, sappia darvi e gioia e inquietudine, e vi faccia provare piacere del vostro danno [oppure: della vostra condanna]?»

28 29 30

IV En greu pantais viu e estau, e res no m’aven de can voil, ni garir d’aiso don mi doil

X. El temps que·l rosignol s’esgau

31 32 33 34 35 36

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non pusc s’a Bel Desir no vau quere capten contra·l leon qui·s fisa tant en sa faison que so que vol fai e desfai; e trop l’ancse de pejor plai on plus li sui de franc coraje.

IV mss. ACDEHMNRa1 28 viu et ACDEHMNa1] uiue (et) R 29 voil N] vuoill A, vuelh CR, vueil D, vueill Ea1, voill H, vueilh M 30 d’aiso ADEHMNa1] de so CR; mi doil D] mi duoill AH, mi duolh C, mi dueill Ea1, mi dueilh M, madoil N, mi duelh R 31 s’a Bel Desir ACDEHMNa1] saber com R; no vau ACEHM] non au DNa1, venc ni vau R 32 quere ACDEHMNa1] querray R; contra·l CEMNRa1] contra ADH; leon a1N] leo ACDEHMR 33 faison DHNa1] saisso A, faisso CEMR 34 fai e desfai AEHNa1] faire desfay C, faire e desfai D, far ades fai MR 35 l’ancse ACDEHNRa1] lam se M 36 on ACDEHMNR] o lai on a1; sui ACEMNRa1] fai D, fui H IV In grave tormento vivo e mi trovo, e nulla mi accade di quanto desidero, né posso guarire di ciò di cui mi dolgo, se non vado da Bel Desiderio a cercar difesa contro quel leone che tanto si fida di sé da fare e disfare ciò che vuole; e io la trovo sempre più maldisposta quanto più le dimostro sinceri sentimenti.

37 38 39 40 41 42 43 44 45

V Ab tal agur entrei e nau lo jorn que·m mostreron mei oill una falsa re dom mi doil: que d’amor mor e si m’en lau! Anc mais om tan mariç non fon, c’altre no m’a ni meus no son. E pueis altre ni eu no m’ai, ben pot saber: no m’aura mai silh que no vol mon omenaje!

V mss. ACDEHMNRa1 37 tal ACDEHMNa1] bel R 38 oill DHN] huoill A, huelh CR, hueill E, hueilh M, oeill a1 39 una ACDEHMNR] ama a1; dom N] don ACDEMRa1, dun H; doil N] duoill AH, duelh C, dueill DE, dueilh M, tuelh R, dueil a1 40 e puey sab bel dezir no vau R (cfr. verso 31); amor ACDEHMa1] amors N; mor ACEHMNRa1] omesso D 41 hom anc mais D; mais ACDEHMNa1] omesso R; fon DHN] fo ACEMR, son a1 (prima fon biffato) 42 verso omesso a1; altre CN] autras A, autres DEHM, autra a1; no m’a CMNR] no mant A, no ma D, no man E, non am H; son DHN] so ACEMR 43 altre ACDEHMR] altra N, autres a1; eu ADHNRa1] me CEM; no m’ai ADHNa1] non ay CM, no ai ER 44 pot ACDEHMNa1] puesc R; no m’aura ACDEHNa1] no aurau M, no aura R 45 vol CMNR] volc ADEHa1 V Con questo destino mi imbarcai il giorno in cui i miei occhi mi mostrarono la creatura traditrice per la quale io piango: muoio d’amore e me ne compiaccio! Nessuno è più infelice di me, poiché altri non mi possiede

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

né sono mio. Ma se io non sono né mio né di altri [oppure: se altri non ho né me stesso], ben lo sappia [lei, la domna]: mai mi avrà chi rifiuta il mio omaggio!

46 47 48

VI A mun Amic ves cui s’atrai Preç e Valor e tot can fai, cansons, ten ton primer viaje!

VI mss. ACDEHMNRa1 46 ves ACDEHMNa1] en R; atrai ACDEHMRa1] altrai N (con l espunta); 47 e ton CDEHN] en tot AMRa1; 48 cansons AEHNa1] chanso CMR, chanzol D; ten ton CENRa1] fai ton A, torn DH, en vai M VI Al mio Amico, nel quale si concentrano pregio e valore in tutto ciò che opera, fai, canzone, il tuo primo viaggio.

NOTE v. 2 lais: Kolsen e Schutz mettono a testo vers, che sembra però una lezione singolare di A. Daude si riferisce con la parola lais al canto degli uccelli anche in BdT 124.9 v. 2 Per lais inteso come ‘verso (di uccello)’ cfr. i lessici antico-provenzali s.v. Si veda anche questo rinvio bibliografico di VATTERONI 2013, vol. 1, p. 283: «per le occorrenze trobadoriche del termine vd. BAUM, Les troubadours et les lais, in «Zeitschrift fur romanische Philologie», LXXXV (1969), pp. 1-44». v. 3 parila: per la grafia -l- indicante l palatale cfr. ZUFFEREY 1987, -LL>[l’] dell’indice, con i rimandi. can l’acueil: «perché quella lo riceve». Meglio, io credo, intendere can nel valore causale (cfr. SW, I, p. 195; PD, p. 62) che in quello temporale: si recupera la funzionalità dell’antitesi tra la situazione dell’usignolo – che canta di felicità perché è accettato dalla sua compagna – e quella del poeta, costretto anch’egli a cantare per la sua domna, ma senza ricompensa. KOLSEN 1916-1919 (p. 11) traduce invece «wenn es ihn bei sich aufnimmt». Per parte sua SCHUTZ 1933 (p. 47) – assai meno bene, poiché attribuisce fuori d’ogni verosimiglianza l’atto dell’accogliere all’usignolo maschio – traduce «quand il la reçoit». v. 5 vola o: la lezione presuppone una dialefe per rispettare la misura del verso. Il ms. N, l’unico con la lezione o vola o che necessita invece (per essere accettabile) dell’ipotesi di una sinalefe, probabilmente innova. v. 6 preison: già Chrétien de Troyes, (vedi HULT 1994, vv. 1992-1994) affermava: «Que sanz prison n’est nus amics / Por ce a droit qui prison le claime / Que bien est en prison qui aime». Ma anche Bernart de Ventadorn parla dell’innamorato come di un prigioniero (vd. BdT 70.1 v. 41 e BdT 70.9 v. 18), ed è forse non privo di significato che questo trovatore fosse in corrispondenza con il troviero e romanziere Chrétien. Lo stesso Daude ritorna sul tema in BdT 124.11 v. 13 e in BdT 124.13 v. 18. vv. 8-9: diversa rispetto a quella qui adottata la punteggiatura da Kolsen e da Schutz, che pongono una virgola dopo viure (v. 8) e solo un punto fermo alla fine del v. 9 (il loro testo

X. El temps que·l rosignol s’esgau

191

al v. 9 differisce inoltre leggermente, essendo quello del ms. A …si·m n’estrai). I due editori dissentono però tra loro nell’interpretazione del passo: Kolsen traduce infatti (pp. 11-2) «dass ich kaum weis, ob ich werde leben können, wenn sie mich daraus wegnimmt (aus ihrer Gefangenschaft entläst), ohne dass ich je in ihr Heim, zurückkeheen darf». Schutz invece (p. 47) «je sais à peine si je pourrai vivre, au cas où elle me donnerait la liberté, sans me remettre de nouveau en son pouvoir». Nel v. 9 la varia lectio propone l’alternativa ostatge ADH – estatge CEMNRa1. Le due parole sono quasi sinonime: anche estatge (che nel suo significato più generale si intende come ‘soggiorno’, ‘dimora’) sembra doversi precisare qui, come il concorrente ostatge, in senso negativo a causa della vicinanza di preison (v. 6). Gli scambi tra i due vocaboli sono naturalmente favoriti anche dalla somiglianza grafica. Per un analogo accostamento tra estatge ed un vocabolo che significa ‘prigionia’ cfr. Ses alegratge di Guilhem Augier Novela (BdT 205.5, vv. 6-9): «que anc plus salvatge/ reclus ni estatge/ del mieu senhoratge/ no ac nulhs hom pres». (CALZOLARI 1986, VII; cfr. testo, apparato – dove si registra anche la variante ostatge – e nota, p. 181). Per l’oscillazione nei mss. tra le forme ostatge ed estatge cfr., ad esempio, testi e apparati di SAKARI 1956 Estat aurai estas doas sazos, v. 28, p. 119; APPEL 1895, Ara·m nafron li sospir, BdT 450.2, v. 45, p. 66, e ASPERTI 1990, Vas vos soplei, domna, premeiramen, BdT 404.11, v. 16, p. 382 (di questa edizione vedi anche la ricca nota sulla parola ostage). v. 12 amar sueil: sueil è interpretabile anche come presente durativo: il presente durativo soler + inf. di un altro verbo «è nota particolarità sintattica dell’antico provenzale» (TOJA 1969, p. 78; cfr. anche JENSEN 1968, 692). v. 15: si vedano due versi di Bernart de Ventadorn con identico rimante: BdT 70.17, v. 11 («Qu’ela ne sap lo mal qu’eu trai») e BdT 70.25, v. 74 («e la pena qu’eu trai»). v. 21 anç: Kolsen e Schutz hanno preferito mettere a testo la lezione dei mss. ACa1 on (‘dove’). La lezione dei mss. DHN (dalla quale deriva per intervento glossematico quella dei mss. EMR) mi sembra che offra tuttavia l’opportunità di recuperare un significato meno banale. Ad anç credo si possa attribuire senza soverchie difficoltà un valore aggiuntivo-correttivo ‘ma (invece)’, ‘e per di più’, ‘e tuttavia’ documentato per la parola anzi in antico italiano (cfr. BATTAGLIA, I, s.v., e TLIO s.v.). v. 22: RONCAGLIA 1951, p. 38, nota al v. 19, rileva che l’espressione portar la clau (assimilabile al tener la clau del nostro Daude) ha precedenti scritturali: oltre che nel passo di Luca XI, 52 da lui citato, la chiave come simbolo del possesso di un potere compare in Is. 22, 22 e Mt. 16, 19. Si può inoltre ricordare (VIGOUROUX 1926, t. 2, p. 803) che: «La clef fut portée comme insigne de commandement, et Callimaque, Hymn. Cer., 45, représente Cérès comme ayant une clef…, “suspendue à l’épaule”» (si noti la congruenza con Is. 22, 22: «et dabo clavem domus David super umerum eius»). La metafora portar, tener, la clau è utilizzata spesso dai trovatori: oltre che da Marcabruno (tre volte, vedi anche GAUNT-HARVEY-PATERSON 2000, II, vv. 31-2, p. 7, e XIIbis, vv. 31-2, p. 50) e da Daude de Pradas, essa è ripresa, ad es., anche da Cercamon: BdT 112.2, v. 35, BdT 112.3a, v. 28, cfr. TORTORETO 1981, pp. 166 e 224 (il primo testo cit. è attribuito a Cercamon dall’editrice in base a ragioni stilistiche, ma poi lo relega comunque in appendice), da Aimeric de Peguilhan (BdT 310.31, v. 25; cfr. SHEPARD-CHAMBERS 1950, p. 165, per la contestazione dell’attribuzione) da Peire Bremon Ricas Novas (BdT 330.16, vv. 2, 13, 24 e 46; cfr. DI LUCA 2008, pp. 37-39), da Guilhem Fabre (BdT 216.2, vv. 13-4; cfr APPEL 1890), da Raimon de Tors (BdT 410.2, v. 41; cfr PARDUCCI 1910, p. 37), da Cerveri de Girona (BdT 434a.22, v. 44; cfr. COROMINES 1988, p. 264).

192

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

v. 23: di un patto tradito si parla anche in Pos Merces no·m val ni m’aiuda, vv. 38-40: «…car per un crit / vos dones tan gran espaven / que·m falises de cuvinen». v. 25 gai: ‘belli’, ‘vaghi’. Osserva GUIDA 1983, p. 247, nota 29, che lo spessore semantico di questo attributo «si ampliò e irrobustì col trascorrere del tempo e col variare delle congiunture, cosicché dall’iniziale valore di “gaio, lieto, spensierato”, per successivi e continui trapassi (una stazione importante è quella che vede l’investitura del senso “bello, leggiadro, vago”), si arrivò (conformemente a quanto è possibile registrare per l’italiano antico) a quello di “accogliente, amabile, piacevole”». v. 31 pusc: stando a COM2, la forma si ritrova soprattutto in autori o testi che in qualche modo hanno a che fare con regioni di lingua o dialetti catalani (Giraut de Roussilon, Guilhem de Bergueda, Cerveri de Girona). La si ritrova anche, seppure con solo tre attestazioni, in VLCM. Bel Desir: il senhal è usato da Daude anche in Ben deu esser Solatz marritz (BdT 124.4), v. 45 (assai dubbia la sua identificazione nel primo verso di Del bel desir que Joys Novels m’aduç). È difficile determinare la qualità del personaggio in esso adombrato: vedi l’Introduzione 2.3. v. 34 fai e desfai: vedi nota 8 del cappello introduttivo. v. 36 Ab tal agur entrei e nau: ‘con tale augurio mi imbarcai’, in senso metaforico ancora oggi in uso. Sui vari significati metaforici della parola nave nella letteratura italiana medievale si veda CECCOLI- BARBARULLI- BRANDI 2002. Vedi anche le indicazioni di VATTERONI 2013 (vol. 2 p. 730): «Per l’immagine della nave nella poesia dei trovatori vedi Caden XVIII (BdT 106.18a) v. 1 [ed. J. ZEMP, Les poésies du troubadour Cadenet. Edition critique avec introduction, traduction, notes et glossaire, Bern – Frankfurt am Main – Las Vegas 1978]e la nota; nelle comparazioni cfr. O. SCARPATI, Retorica del “trobar”. Le comparazioni nella lirica occitana, Roma 2008, p. 251». v. 39 don mi doil: lo stesso sintagma che conclude il v. 30 (e si noti dunque il mot tornat). vv. 43-44: da rilevare la rima equivoca m’ai: mai. v. 43 E pueis: forse con valore conclusivo più che causale, come talvolta in fr. mod. v. 46: a un non meglio specificato Amic (dalle lodi rivoltegli sembrerebbe più un mecenate che un altro trovatore) sono inviate anche le canzoni Pois Merces no·m val ni m’ayuda (v. 45) e Tant sent al cor un amoros desir (v. 41). v. 48: ten ton primer viaje: la stessa formula in Raimon de Miraval, BdT 406.21, v. 49.

XI BdT 124.10 En un sonet gai e leugier

Mss: A 56r (Albertetz); C 164v (Daude de pradas); Dc 256r (Deudes depradas); I 113r (Deude de pradas); K 98r (Deude de prades); M 167v (Deude de pradas); N 131r; O 14 (albertet); R 30v (Daude de pradas); a1 486 (Vaude de paradas); d 285r (Deude de prades); α (citazione della seconda strofe nel Breviari d’Amor: RICHTER 1976, p. 238). Edizioni: ROCHEGUDE 1819, p. 86; MAHN 1846-1886, p. 239; SCHUTZ 1933, p. 49; BILLET 1974, p. 278. Metro: sei coblas unissonans: 8a, 8b, 8b, 8a, 8c, 8c, 8d, 8d, 8e, 8e; due tornadas di cinque versi ciascuna (8c, 8d, 8d, 8e, 8e). Le prime tre coblas sono capfinidas. FRANK 592:25. Rime: -ier; -en; -er; -el; -os. Ordine delle strofe: I II III IV V VI VII VIII 1 2 3 4 5 6 7 8 a1 12 3 6 5 4 7 8 C 12 3 – 5 4 7 8 O 1 2 3 4 5 6 – 7 IKMRd 12 3 4 5 6 – – N 12 3 – – 4 – – A - – 1 – – 2 – – Dc -1 – – – – – – α

a) Ordine strofico Oltre al fatto che le prime tre strofe (nell’ordine di a1) sono unite dall’artificio delle coblas capfinidas, vi è in questo testo anche un collegamento di ordine logico, formato da una coerente articolazione di concetti. Nella strofe che inizia con Bels il poeta dichiara di sentirsi tranquillo di fronte alla minaccia rappresentata da quei gelos la cui opera deleteria trova un’illustrazione in Enuios son…. La cobla E pus non podo… chiarisce perché il poeta innamorato non ha di che temere: nessun nemico può privarlo della sua vera fonte di felicità, cioè il pensiero amoroso stesso. L’ordine strofico scelto da Schutz per la sua edizione, quello del ms. C (sostenuto anche dagli incompleti AO e Dc), è da ritenersi inaccettabile poiché trasgredisce al principio di ordinamento strofico assicurato dalle coblas capfinidas e perché compromette la concatenazione del ragionamento.

b) Il raggruppamento AOCDc Quella della parentela tra i quattro mss. ACODc (nonostante il forte argomento costi-

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

tuito dalla erronea alterazione dell’ordine strofico) resta un’ipotesi priva del sostegno di prove, o indizi, ulteriori: solo i mss. AO si mostrano infatti accomunati da qualche altro solido elemento: la falsa attribuzione della lirica al trovatore Albertet1, la lacuna prodottasi al v. 10 con la caduta della parola Amors (alla quale A reagisce trasformando il seguente verbo ten in sui) e l’errore mouraus al v. 28 (i due mss. condividono inoltre due varianti, peraltro assolutamente adiafore, ai vv. 9 aus, e 24 ab). Con tutto ciò – forse – si può pensare che a un piano alto della tradizione si sia prodotto uno sconvolgimento dell’ordine delle strofe in un manoscritto antenato di ACODc, sconvolgimento al quale reagirono mss. come A, e ancor più Dc (il cui copista venne indotto a tagliare le strofe che si succedevano ormai in modo incoerente dalla consegna, ricevuta o impostasi, di allestire non un vero e proprio canzoniere bensì un florilegio di coblas per estratto).

c) Raggruppamento IKMNR I mss. IK (notevoli due loro errori comuni ai vv. 8 e 25) concordano con M in una discreta serie di lezioni deteriori o sicuramente erronee: v. 5 (am / an); v. 16 (plazer); v. 33 (mon IK / motz MR); v. 43 (quil); v. 49 (caissi IKM); v. 60 (amdos – cil [cel M] an sol [IK] aisso IKMR). Il ms. d è un descriptus di K (condivide tutti gli errori dei gemelli IK più l’errore particolare di K quil on oenquier, v. 34)2. Si ipotizza, a un piano superiore della tradizione, la parentela di IKM con N (in base all’insidioso – perché difficile da individuare e, probabilmente, anche da sanare per congettura – errore am/an al v. 5; e vedi anche la variante deteriore corda vs. cordon al v. 48). Tuttavia, la maggior parte di quegli errori e di quelle lezioni deteriori che avrebbero potuto dimostrare l’unione di N a IKM sono stati probabilmente spazzati via da una attenta opera di contaminazione (vedi sotto il paragrafo Contaminazione AO > N). Anche R parrebbe unirsi a IKM (forse a un piano più alto di quello ipotizzabile per N); gli indizi non sono tuttavia numerosi, né sono dei più sicuri: si vedano il v. 40 (cil IK, cel M, sel R; l’errore è peraltro di debole valore congiuntivo) e soprattutto il v. 32 (damoros; M riporta in questo caso la lezione corretta, ma occorre dire che il correggere per congettura eliminando l’inopportuna preposizione era operazione abbastanza facile). Appare in contrasto con l’ipotesi di classificazione appena formulata un errore comune ai mss. OR nel v. 1, la mancanza della preposizione En, che rende il verso ipometro di una sillaba. Tuttavia le difficoltà che avremmo nel postulare una parentela tra questi due manoscritti o un loro rapporto di contaminazione3 mi fanno propendere per attribuire la presenza di tale errore nei due testimoni a cause che posso soltanto ipotizzare, genericamente, poligenetiche,

1 SCHUTZ 1933, p. 49, spiega questa attribuzione con la somiglianza dei primi due versi della nostra lirica a quelli di una canzone di Albertet «Ab son gai e leugier/ vuoill far gaia chansso», vedi SANGUINETI 2012, p. 60. 2 Il ms d condivide con a1 la mancanza del v. 68, ma si tratta di una lacuna prodottasi in modo poligenetico per il meccanismo del saut du même au même (d’auzel v. 68,…d’Uisel). 3 Nonostante D’AGOSTINO 2005 mostri in modo persuasivo la possibilità che, in certe particolari circostanze, una lacuna passi da un manoscritto a un altro per contaminazione, non mi pare opportuno né credibile ipotizzare,

XI. En un sonet gai e leugier

195

senza poterne fornire una migliore definizione4. Non è da escludere poi che la lacuna oggi testimoniata nei mss. OR sia discesa da un archetipo, la cui lezione guasta gli altri mss. avrebbero corretto (tutto sommato facilmente) per congettura. Si noti come al v. 35 CRa1 si accordino nella lezione errata fai (vs. fan di IKMN), che tuttavia ritengo possa considerarsi poligenetica.

d) Contaminazione AO > N Al v. 8 IK mancano delle parole e·l Jois Novels. La lacuna, la cui remota causa è stata quasi sicuramente l’omeoteleuto, viene sanata per congettura (risanamento imperfetto) da M (el joi mi ven) e da R (e plazens joi mou). N (che porta la stessa lezione – quella veramente corretta – del ramo di AOCDc) contamina. Lo stesso sembra accadere al v. 31 dove CN (e a1) mettono a testo l’unica lezione accettabile, dig (digz a1), e i mss IKMR sono portatori di una varia lectio nel complesso deteriore, indizio di una probabile lacuna che ogni testimone ha cercato di sanare per congettura. Al v. 33 infine mon IK/motz MR sono errori, mentre N condivide con Ca1 la giusta lezione; v. 60 amdos – cil (cel M) an sol (IK) aisso IKMR vs. sols ai sos AODca1 + N. Altri luoghi di contaminazione non sembrano determinabili. La citazione del Breviari d’Amor non presenta elementi utili a una sua classificazione stemmatica, così come non riesco a ritrovarne per a1, il cui testo, piuttosto buono, potrebbe risalire a una tradizione diversa da quella degli altri testimoni. La tornada che costituisce, nel testo da noi restituito, la strofe VII è stata considerata spuria da SCHUTZ 1933 (vedi il suo cappello introduttivo, p. 49). Non si rinvengono tuttavia motivi che ne possano mettere in dubbio l’autenticità5; anzi essa contiene – quasi a garanzia della paternità di Daude de Pradas – un senhal del nostro autore, Mal Ayp, presente anche nella canzone Non cugei mai ses comjat far chanson

nel nostro caso, la perdita dell’En iniziale in uno dei due testimoni a causa di una contaminazione. Mancano infatti ulteriori indizi che sostengano tale ipotesi limite. 4 Poiché tuttavia a En fa subito seguito l’articolo un mi domando se ciò non sia stato sufficiente a creare le condizioni per una sorta di errore per omeoteleuto. 5 Schutz stesso non ne espone.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas W v. 1 (?)

vv. 32, 40 ordine strofico alterato

vv. 5, 48

attribuzione errata; vv. 9, 10 A

O

vv. 5, 16, 33, 43 49, 60 C

Da

R

N IK

M

a2

Grafia di a1

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

I En un sonet gai e leugier comenz chanson gai’e plazen, qu’estiers non aus dir mon talen ni descobrir mon dezirier. Dezir ai qi·m ven de plazer, e·l plazers mou de bon esper, e·l bons espers de Joi Novel, e·l Jois Novels de tal castel q’ieu non vueill dir mas a rescos a cels cui Amors ten joios.

I mss. ACIKMNORa1d6 I En ACIKMNa1] omesso OR; gai ACIKMORa1] leu N; leugier ACIKRa1] laugier K, legier M, lezier O 2 comenz ACIKMORa1] cong das N; chanzon ACIKMOa1] chason N, can R; gai’e CNORa1] gaia e AIKM 3 qu’estiers AKMNRa1] questrier C, questriers I, caster O; talen ACIKMNOR] talent a1 4 descobrir ACIKNORa1] descrubrir M; dezirier ACIKR] dezirer MNOa1 5 Dezir ACIKMNOR] e d. a1; ai ACORa1] am IKM, an N; qi·m ACIKNORa1] qi M; ven CIKMNORa1] mou A 6 plazers ACIKMNRa1] plazer O 7 bons espers CIKOa1] mos e. A, bon esper M, bon e. N, esper mou R; de ACIKMNOa1] dun R; Novel AIKNORa1] novelh C, novell M 8 e·l Jois Novels AC] omesso IK, el ioi mi ven M, e iois novel Na1, el ioi novel O, el plazens ioi mou R; castel AIKMNORa1] castelh C 9 q’ieu AIKMOa1] que CNR; vueill CIKMNRa1] aus AO; dir] omesso M 10 a cels Ra1] acelliei A, aisselhs C, aicel IK, acell MN, enaices O; cui IKMNRa1] per cui A, qui C, qem O; Amors ten CIKMNRa1] sui A, ten O

6

Nell’apparato non si registrano le varianti del ms. d, descriptus di K.

XI. En un sonet gai e leugier

197

I Su un motivetto allegro e facile comincio una canzone allegra e gradevole, perché in altro modo non oso esprimere il mio sentimento né svelare l’oggetto del mio desiderio. Ho un desiderio che mi viene da piacere, e il piacere muove da buona speranza, e la buona speranza da Gioia Novella, e la Gioia Novella da un certo castello che io non voglio dire se non in segreto, a coloro che Amore mantiene nella gioia.

11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

II Joios son eu et ai mestier de far plazer a bona gen, d’onrar juglars, d’amar Joven, de dar enanz que hom no·m quier; e qant del tot no·n ai poder, sivals qe no faza parer, qant autr’o fai, qe·m sia bel? C’adoncs fau d’autrui flors chapel, e sui tengutz cortes pels pros et enemics dels envios.

II mss. ACDcIKMNORa1dα 11 ai ACDcIKMNOa1α] am R 12 plazer ACMNORa1α] placers DcIK 13 juglars ACIKMNORa1α] ioglar Dc; d’amar ACDcIKMNORa1] damor α 14 dar enanz ADcIKMNORa1α] donar mai C; no·m ACMOR] no Dc, mo IK, no N, non a1α 16 faza MNOa1] fassa ADc, fas a CR, fatz a IK, fauc a α; parer ACDcNORa1α] plazer IKM 17 qant ACDcIMNORa1α] qaiant K; autr’o Na1] autre CDc, autrel A, autrui IKMOR, autren Α; fai ACDcIKMNOa1α] sai R; qe·m ACDcIKMNOa1α] que R; bel ADcIKNORa1]belh C, bell MΑ 18 C’adoncs ACDcMNOa1α] a. IKR; flors ACDcIKMNα] flor ORa1; chapel a1] capel ADcIKOR, capelh C, capell Mα, cabel N 19 tengutz […] pels ACDcIKMN] tengut cortes pel O, cortes tengut pels R, tengut cortes e a1, amics de totz los α 20 enemics ACDcNORa1α] enemic IKM; dels ADcIKMNORa1α] pels C; envios CIKa1] enoios ADcMNO α, enveyos R II Sono pieno di gioia e sento il bisogno di offrire doni alla gente dabbene, di onorare i giullari, di amare Gioventù, di dare prima che mi si chieda; ma poiché questo non è nelle mie possibilità, perché non dovrei mostrare almeno che mi piace quando lo fa qualcun altro? Perché allora mi faccio una ghirlanda coi fiori altrui, e sono considerato cortese dagli uomini di valore e nemico degli invidiosi.

21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

III Envios son li lauzengier, e·l gelos, c’uns non s’en defen; car on plus vos faran parven qe·us amon de cor vertadier adoncs vos cujan dechazer, e poigniaran matin e ser con vostre jois si descapdel. S’als non podon, mouran sembel, e si·us volets, no·us faill tensos; mas suffres, e venceres los.

198

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

III mss. ACIKMNORa1d 22 e·l CIKNO] e il A, ells MR, e li a1; non s’en AIKMNOR] nossen C, non a1 23 on] on ill A; faran CIKMNORa1] fant A 24 de CIKMNRa1] ab AO 25 verso omesso IK; vos ACIKORa1] nos MN; cujan CIKMNORa1] pensson A 26 e poigniaran ACIKMNRa1] o pois naran O 27 jois ACNa1] ioi IKMOR; si ACMNORa1] ia IK; descapdel ACIKNORa1] descapdell M 28 non AMNRa1] nom C, no IK, mon O; mouran CIKMNRa1] mouraus AO; sembel AIKNORa1] sembelh C, senbell M 29 no·us faill AIKMNORa1] auretz C; tensos ACIKMNR] tenzosi O, tensons a1 III Sono invidiosi i falsi consiglieri e i gelosi, e nessuno può difendersene; perché quando più vi fanno mostra di amarvi con tutto il loro cuore è proprio allora che pensano di rovinarvi, e mattina e sera cercheranno il modo per cui la vostra gioia sia turbata. Se altro non possono fare, vi faranno guerra e, se lo volete, non vi mancherà la disputa; ma sopportate, e li vincerete.

31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

IV Bels acuillirs, dig plazentier, uoill amoros, esgart plazen, gais doneis ab nom d’avinen, fina beutatz ab pretz entier mi fan ma donna tan voler q’en ren non ten autrui temer, mas qui·s vol fegnedor m’apel, q’en pensan teing sotz mo mantel, aissi com vueill totas sazos, ma domna malgrat dels gelos.

IV mss.CIKMNR a1d 31 bels acuillirs NRa1] Belh aculhir CIKM; dig CN] e IKR, gai M, digz a1; plazentier CIKMNR] plazentiers a1 32 uoill IKMNR] ueils Ca1; amoros CMNa1] damoros IKR; esgart CIKMNR] esgartz a1; plazen IKMNR] rizen C, tien a1 33 gais doneis CNa1] gai domnei IKMR; nom CNa1] mon IK, motz MR; d’avinen IKMNRa1] a. C 34 beutatz CIKMN] beutat Ra1 35 fan IKMN] fai CRa1 36 q’en IKMNRa1] que C; ren non CNa1] renom IKM, reno R; ten IKMNRa1] tem C; autrui CNRa1] dautrui IKM; temer CIKMR] tener Na1 37 mas Ca1] ni IKM, e NR 38 pensan CIK] pes me M, pesans N, prezen R, pensam a1; mantel IKNRa1] mantelh C, mantell M 39 verso om. C 40 dels Ca1] del IKMNR; malgrat dels gelos IKMNRa1] ab plazer de mos companhos C IV Bella accoglienza, parole aggraziate, occhiate amorose, piacevoli sguardi, lieta galanteria unita a buona reputazione, perfetta bellezza con integro pregio mi fanno desiderare tanto la mia domna che non mi impaurisce il prossimo; e chi vuole mi chiami pure sognatore, poiché col pensiero tengo la mia domna sotto il mantello a mio piacere, in ogni momento, a dispetto dei gelosi.

41 42

V E pus non podo mei guerrier mermar ni tolre pensamen

XI. En un sonet gai e leugier

43 44 45 46 47 48 49 50

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qe·m ten mon cor aitan jauzen, non sai per qe·m leu cossirier. E midons sap aitan valer qe coras vol mi pot aver: ja no·m man letra ni sagel, ni·m done cordon ni anel, mas diga·m, e·l digs er mi dos: «Aissi com vos m’aves ai vos».

V mss. CIKMNORa1d 41 non MNa1] nom CIKO, nol R 42 tolre IKMNRa1] tolre·l CO 43 qe·m Na1] que C, quil IKM, quim O, e R; aitan jauzen IKMNORa1] guay e plazen C 44 sai CIKMNOR] sa a1; per CIKMNOa1] de R; qe·m CMNOa1] quen IK, que R; leu CIKNOR] des M, don a1 45 E IKMNO] que CR, car a1; midons CIKMNOR] ma domna a1; sap CIMNORa1] saup K; aitan CIKMNOR] tan a1 46 qe CIKMNR] qan O, cal a1; coras vol CIKMNO] cansevol R, c. val a1; aver IKNORa1] vezer C, valer M 47 nom CIKMNOa1] noy R; letra CMNOR] letras IKa1; sagel IKMNORa1] sagelh C 48 ni·m IKMNa1] ni nom C, nen O, nin R; done IKNOR] don Ca1, dona A; cordon CMORa1] corda IKN; anel IKMNORa1] anelh C 49 diga·m IKMNOa1] oiguam C, denhe R; e·l digs er mi dos O] el digz er mi bos C, aitan amics bons IK, ell dires mes dous M, el dig er midons Na1, me dir amicx dos R 50 aissi CNORa1] caissi IKM; com vos m’aves IKMNORa1] maves cum ieu C V E poiché i miei nemici non mi possono né scemare né sottrarre quel pensiero che tiene il mio cuore così lieto non so proprio perché dovrei preoccuparmi. E poi la mia domna sa valere tanto che può avermi quando vuole: che ella non mi mandi né lettera né sigillo, né mi doni nastro né anello, ma mi dica – e il detto mi sarà dolce: «Così come voi mi avete io ho voi».

51 52 53 54 55 56 57 58 59 60

VI De ben amar non ai parier, ni truep amador de mon sen, car qi plus ama finamen de sidons dis q’ill o enquier. Eu non l’ai ges mas il per ver a ben me sens tot retener; mas eu no·m dueill d’aital clavel, anz sent al cor un dos carel, don fin’Amors m’es guerizos, car sols ai so qe taing a dos.

VI mss. ACDcIKMNORa1d 51 De ACDcIKMNOR] en a1 54 q’ill o CM] cui el A, quil Dc, quil o IKN, qeol O, quilh so R, que li o a1 55 eu CDcIKMNORa1] qieu A; ver] us a1 57 no·m ACIKMNOR] nonz Dc, non a1; d’aital ACDcIKMNOa1] detal R; clavel ADcIKMNOR] clavelh C, om. a1 58 ans…dos ACDcIKMNOR] omesso a1; al ACDcIKNORa1] el M; dos ACDcMNORa1] tal IK 59 don fin’Amors ACDcIKMNOa1] de finamor R; guerizos ACDcIKMNOa1] gazardos R 60 car

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

ADcIKMNOR] quem C, ca a1; sols ai so (sso a1) ADcNOa1] donaysso C, cil an so IK, cel aisso M, sel ayso R; que ACDcIKMNO] ques Ra1; a dos ACDcNOa1] amdos IKM, ab dos R VI Nell’amar bene non ho chi mi stia al pari, né trovo innamorato che abbia la mia intelligenza, perché chi ama nel modo più perfetto, della sua domna dice che ella gli vuol bene. Io non l’ho affatto in mio potere, ma ella per certo ha me nel suo, senza riserve; ma io non me ne faccio un cruccio [lett.: non mi duole un tale chiodo], anzi sento nel cuore un dolce dardo da cui perfetto Amore mi risana, poiché da solo ho ciò che conviene a due.

61 62 63 64 65

VII De mon Mal Ayp conosc en ver c’a fer freg i bat e martel; folia faz, qar ja l’apel plus de s’amor mas que sieus fos, aussi com sueill, tot en perdos.

VII mss. COa1 61 Ayp C] aibs O, omesso a1 62 c’a Oa1] que C; i bat e O] bati e C, i bat i a1 63 faz Ca1] ai fac O; ja l’apel Oa1] hi apelh C 64 plus de s’amor Oa1] neguna res C 65 en O] em Ca1 VII Per [Da(?)] mio Malvezzo [Mia Disgrazia (?)] so per certo che batto e martello a ferro freddo. Faccio una sciocchezza, perché dal suo amore domando di più che di essere invano [oppure: del tutto (?)] suo, come sempre.

66 67 68 69 70

VIII Vai t’en chansos, no·t cal temer fol agur de cat ni d’auzel, tro sias lai a·n Gui d’Uisel e digas: «Si·m tramet a vos Fols Consiels, car es amoros».

VIII mss. CIKMNORa1d 66 cansos vai ten IK; chansos IKNOa1] canso AMR 67 cat R] cap CIKMNOa1; auzel IKNORa1] auzelh C, auzell M 68 verso omesso a1; sias CIKMNR] siatz O; lai a·n CIKM] lai a N, li o O, devan R; d’Uisel IKN] duysselh C, duixell M, doisel O, duysel R 69 e IKMNORa1] omesso C; digas: «Si·m IKMO] d. li nom C, d. si N, dil aysim R, d. qom a1 70 Fols IKMNORa1] fals C VIII Vattene, canzone, senza temere folle presagio di gatto o di uccello, finché tu non sia là presso don Guido di Uissel e tu dica: «Mi manda a voi Folle Consiglio, poiché è innamorato».

NOTE vv. 1-2: Per l’analogia di questo esordio con quello di una canzone del trovatore Albertet (che segue però un diverso sviluppo tematico) vedi cappello introduttivo, nota 1. Si noti anche

XI. En un sonet gai e leugier

201

la somiglianza con un esordio di Peire Guillem de Luzerna, «En aquest gai sonet leugier / me voill en chantan esbaudir», BdT 344.3. Delle circa quaranta attestazioni del sostantivo m. s. sonet = ‘melodia’ o ‘componimento’ reperibili nel corpus trovadorico grazie alle COM2 – a parte quelle (circa sessanta) che rimandano a una voce del verbo sonar – undici riferiscono a tale parola l’aggettivo gai e leu/leuger (o entrambi), quasi che la cantabilità e il tono allegro fossero caratteristiche della melodia così chiamata. Tuttavia si veda LACHIN 2004, testo IV v. 2, nota: «Sonet è la musica (SW, VII, pp. 817-818, nn. 1 e 2), che per sineddoche può indicare l’intero Lied (ib. n. 3): nuova musica per un sirventese; gai [nel caso del testo di Elias Cairel] è evidente sarcasmo». v. 6 bon esper: «locution consacrée» del linguaggio amoroso trovadorico, dove «l’epithète bon marque la confiance de celui qui aime et le plaisir qu’il éprouve en faisant la cour» (CROPP 1975, p. 198). Si vedano anche le attestazioni del sintagma reperibili in tutto il corpus trovadorico grazie alle COM2. v. 7 Joi Novel: consueto senhal di Daude de Pradas, vedere nota ai vv. 45-46 di Non cugei mai sens comjat far chanson (BdT 124.11). v. 10 cui: qui è oggetto diretto, in luogo del più comune que. Su cui oggetto diretto enfatico cfr. JENSEN 1986, par. 436. v. 12 far plazer: probabilmente qui, con l’espressione far plazer, si intende ‘fare donativi’, (vedi PD s.v. plazer). In questa strofa il poeta afferma che desidererebbe poter condurre uno stile di vita da aristocratico, cortese e improntato alla generosità verso chi se lo merita, ma di non poterlo fare, evidentemente perché le sue ricchezze non glielo consentono. v. 16 sivals que: circa il valore interrogativo di que vedere cappello introduttivo di XIII, Non cugei mai sens comjat far chanson, nota 4. v. 20 envios: preferisco questa lettura a quella di Schutz (enuios = ‘fastidiosi’), sebbene quest’ultima sia appoggiata dalla lezione enoios di gran parte dei mss. (in questo stesso testo, ma nel v. 21 domina incontrastata la forma di ambigua lettura enuios/envios). Envios mi pare recuperi un senso qualitativamente superiore in entrambi i versi: infatti i gelosi e i cattivi consiglieri agiscono male sostanzialmente perché mossi dall’invidia. Per l’unica altra attestazione di envios si veda COM2, secondo cui in BdT 461.31 v. 4, si legge «tan qu’ieu en semble envios’. (Si noti anche un’enviosa in Vida de Saint Honorat, v. 4376: «viyllesa e despoders la rendon enviosa») C’è da domandarsi quante volte gli editori, nei quindici casi di lettura enuios recuperabili grazie a COM2, hanno mal interpretato quello che probabilmente era un envios, ad es. in Arnaut Catalan, BdT 27.6 v. 34 «fals lausengier enuios» (luogo interessante anche perché simile al nostro) o in Bertran de Born BdT 80.24 v. 9 «q’autr’oms en seri’enuios». v. 21 lauzengiers: vedi la nota al v. 18 di BdT 124.12. v. 30 mas suffres, e venceres los: cfr. Guiraut de Bornelh (BdT, 242.3): Sias sufrens / Que totztems bos sofrire vens! (vv. 33-34 ed. KOLSEN 1910-1935, p. 8), ma SCHULZE-BUSACKER 1999, p. 202, n. 45, cita anche Thesaurus Proverbiorum Medii Aevi, t. II, p. 321-322, s. v. dulden, 1.7.1., «qui regroupe les nombreux exemples romans et germaniques sous la sentence médiolatine “Nobile vincendi genus est: ‘patientia vincit’”». vv. 31-35: SCHUTZ 1933 (p. 54) traduce al v. 33: «son gai service d’amour (la galanterie qui règne chez elle) renommé pour son charme». Io intendo tutti i sintagmi compresi tra i vv. 31-35 come complementi oggetto dipendenti dal sintagma verbale fai […] voler al v. 35 (il cui soggetto è ma domna). E quanto al v. 33 («gai domnei ab nom d’avinen»), ab nom d’avinen significa secondo me ‘con buona reputazione’. Si recupererebbe, con questa interpretazione, una

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

specie di elegante ossimoro: gai domnei = ‘lieta galanteria’ (tanto lieta, talvolta, da essere associabile a ‘leggerezza di costumi’) + ab nom d’avinen = ‘unita a buona fama’. v. 36 q’en ren non ten: cfr. SW VIII p. 150, «t(ener) en ren…mit Negation “für nichts achten, sich nichts machen aus”». autrui temer: naturalmente è il timore che altri (cioè i gelos e i lausengiers) incutono (genitivo oggettivo), non il timore che altri provano (genitivo soggettivo). Sul valore di genitivo oggettivo di autrui vedi JENSEN 1986, par. 506. v. 37 mas: tra i significati di questa congiunzione SW V p. 30, 7, registra «und», che mi pare più appropriato, nel caso presente, di quello avversativo. Mi confermano in questa idea le lezioni ni di IKM ed e di NR, sostituzioni intese a esprimere in modo meno equivocabile il significato che anche gli antichi copisti sentivano più pertinente al contesto. fenhedor: i lessici riportano, sotto questa voce, i seguenti significati: «hypocrite, dissimulé, amant timide» (LR III, p. 305; PD, p. 186, solo primo e terzo significato); «eigenbildet» (SW III, p. 438). Proprio questa occorrenza in Daude de Pradas LR la traduce con «dissimulé». Io penso però che in questo caso si possa recuperare un senso come quello espresso in una perifrasi del tipo ‘uomo di troppo fertile immaginazione’ (vedi in TLIO, fingere, significato 3.1, ‘Immaginare ciò che non è’). v. 38 sotz mo mantel: sui significati (erotici) del mantello nella lirica trovadorica si vedano le indicazioni raccolte in PASERO 1973, X, v. 24, nota, p. 263. Nel testo di Daude de Pradas l’immagine sembra rivestire significati assai meno arditi e concreti che in altri trovatori (per quanto non si possa forse escludere del tutto un riferimento, in chiave di complice allusione letteraria, anche ai componimenti guglielmini). v. 41 guerrier: qui nel significato di ‘nemici’, cfr. PD, p. 213 e CRESCINI 19262, Glossario, p. 402. Vedi anche, qui, BdT 124.5, v. 26, ugualmente in rima. v. 44 per qe·m leu cossirier: «perché debba darmi pensiero», cfr. SW IV levar, p. 387, 24: se levar consir «sich Gedanken machen». v. 48 ni·m done cordon ni anel: non comune ma accertata l’uscita in -e della terza persona sing. del cong. presente nei verbi della prima coniugazione: la -e è introdotta per associazione analogica coi casi in cui essa è richiesta come vocale di appoggio a nessi consonantici altrimenti impronunciabili, cfr CRESCINI 19262, p. 114; PELLEGRINI 1958, p. 72; MOK 1977, p. 34. Non si può escludere però una diversa suddivisione delle parole, ni·m do ne cordo, dove ne = ni (in questo caso si tratterebbe certo di una variazione eufonica per spezzare l’altrimenti troppo monotona serie ni…ni…ni). Tradizionali pegni amorosi nella poesia occitana, il cordon e l’anel ritornano in un altro testo di Daude de Pradas, Amors m’envida e·m somon, (BdT 124.2) dove si inseriscono – come qui – in un ironico gioco intertestuale. Da notare come anel chiuda qui una serie di parole usate anch’esse in rima da Guglielmo IX nel già citato testo (PASERO 1973, X): Novel (v.7); bel (v. 17), mantel (v. 38), sagel (v. 47). v. 54: Quella qui proposta va considerata una mera ipotesi di traduzione, così come un’ipotesi è quella che ha determinato la scelta della lezione messa a testo (si veda in apparato la ricca varia lectio in mezzo alla quale è stata scelta). Anche Schutz si dimostra perplesso di fronte a questo verso, che cerca così di interpretare (p. 54): «car celui qui aime plus parfaitement dit, au sujet de sa dame, qu’il lui demande cela (la réciprocité?)». Interpretazione che non mi lascia del tutto soddisfatto, per quanto non mi senta di escluderla.

XI. En un sonet gai e leugier

203

v. 62 a fer freg i bat e martel: metafora che esprime l’idea di un difficile lavoro (destinato perlopiù a ottenere poco frutto), di un impegno vano o di una vana aspirazione. La si ritrova anche in Qui no sap esser chantaire, poesia attribuita (ma oggi generalmente considerata apocrifa) a Jaufré Rudel: «si de mi no·l pren pitat,/ bat fer freg…», vedi CHIARINI 1985, VII, vv. 32-33, p. 123, ed è usata inoltre da Raimon Jordan, Vas vos soplei en cui ai mes m’entensa: «Non es tan greus ad obrar fregz acier/ Com lo seus cors durs tornar plazentiers», vv. 43-44, cfr. ASPERTI 1990, p. 437, e da Raimbaut de Vaqueiras (LINSKILL 1964, XIII, p. 167), Gerras ni plaich no·m son bo: «e cel fabrega fer freg/ q’en vol ses dan far son pro», vv. 3-4. I versi di Daude de Pradas e di Raimbaut sono citati in CNYRIM 1888, 524-525. v. 65 tot en perdos: «en perdon, en perdons: en vain; sans récompense; gratuitement; librement; pleinement» (PD, p. 289). Il poeta gioca sul filo della ambiguità semantica propria dell’espressione, che può significare ‘essere invano suo’ e ‘essere del tutto suo’. v. 67 fol agur de cat ni d’auzel: l’ornitomanzia passa, come noto, con tradizione ininterrotta dall’epoca classica al Medioevo (gli uccelli rivelavano il destino degli uomini per mezzo del loro volo e col loro canto; alcune specie inoltre, come i corvi e le cornacchie, erano generalmente ritenute infauste). L’espressione agur de cap, che lo Schutz definiva «très difficile à saisir» (p. 103), probabilmente è errore di archetipo: la lezione cat di R sembra un buon recupero congetturale. È nota la superstizione di origine medievale legata ai gatti neri, per cui si veda almeno DELORT 1984, pp. 432-436. v. 68 Gui d’Uisel: Vedere l’Introduzione 1.6. v. 70 Fols Consiels: su questo senhal vedi nota ai vv. 46-48 di BdT 124.11, Non cugei mai ses comjat far chanson e l’Introduzione 2.6.

XII BdT 124.11 Non cugei mai sens comjat far chanson

Mss: A 125r (daurde depradas); C 167r (Daude de p(radas); Da 168v; Dc 256r (Deudes depradas); G 88r (idem: formula di rinvio alla rubrica del testo che nel canzoniere precede questa lirica: Daude d(e) pradas); I 111v (Deude de Pradas); K 97r (Deude de prades); M 168r (Deude de prades); N 131v; O 70 (anonima); R 31r (Daude de pradas); Si; a1 485 (baude de pradas). Edizioni: MAHN1856-1873, vol. 3, pp. 215-6, nni 1038-9; SCHUTZ 1933, p. 56; BILLET 1974, p. 298. Metro: cinque coblas unissonans: 10a, 10b, 10b, 10a, 10c, 10c, 10d, 10d, 10’e; una tornada di quattro versi (10c, 10d, 10d, 10’e). Parola-rima merce al v. 7 di ogni strofa. FRANK 585:9 (ma il repertorio registra erroneamente una versificazione in octosyllabes 8 8 8 8 8 8 8 8 8’). Rime: -on; -er; -os; -e; -aigna. Ordine delle strofe: I II III IV V VI 1 2 3 4 5 6 (1 manca in Si per cause meccaniche) NSi 13 2 4 5 6 Ca1 12 3 4 5 – AIKOR 12 3 4 – – DaGM –1 – – – – Dc

a) Archetipo? Quella che a me pare (v. 18) una lezione banalizzante (midons ACDaDcGIKMOSia1) deriva da un’altra (d’archetipo? vedi la necessaria integrazione di -s- per recuperarne il senso) rappresentata in modo sincero solo in N (meditz) e R (me dis).

b) Il raggruppamento CMNRSia1 Per un elemento (al v. 19) che raggruppa a mio avviso i mss. CMNRSia1 si veda sotto. L’alterazione dell’ordine delle strofe (che spezza il legame logico individuabile tra la terza e la quarta cobla)1 e gli errori men pro C /mon pron a1 al v. 23 (alterazione della rima), a per

1 Nella terza strofa il poeta chiede infatti ad Amore di andare dalla domna, mentre nella quarta esprime il timore che ciò – lungi dal procurargli vantaggio – si risolva per lui in un danno.

206

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

al posto di per v. 35, que del…avetz C /anes a1 al v. 36 (facilissimo lo scambio paleografico v / n; entrambe le lezioni sono inaccettabili) raggruppano i mss. Ca1. I mss. MR sono congiunti dall’errore sius es M /si ets R al v. 36.

c) Il raggruppamento ADaGIKO Raggruppa i mss. ADaGIK la lezione errata plazer (v. 21, in rima). AIK poi si ritrovano in errore anche ai vv. 37 – vai (vas IK) na plasen (presen IK) en dreich lausor somo –, 38 deing er e 41 merce e so2. Sembra sfuggire al raggruppamento ADaGIK il ms. O, che pure si unisce (vedi sotto) con G in un errore probabilmente congiuntivo al v. 31. Questo gruppo è individuato anche dalla lezione del v. 19 A, fin (fina ADa) ab un pauc etc., cui si contrappone quella di CMNRSia1 tan / can a1. La soluzione da me accolta per questo verso è quella proposta da PERUGI 1978, vol. I, p. 156, Ai, fina amors, ab pauc guizardo, che recupera una dialefe, mezzo metrico frequentemente usato da Daude nei suoi componimenti e che forse è un ulteriore rimando a quei poeti delle origini da lui tanto amati e imitati così spesso. Altro elemento che mi pare rendere più plausibile la ricostruzione dello studioso italiano è rappresentato dal fatto che il décasyllabe risulta formato da due emistichi 5 + 5, un tipo di décasyllabe relativamente raro ma attestato (si veda almeno DI GIROLAMO 1979, pp. 24-26 con esempi da Peire Vidal e da Sordello). Le zeppe caratteristiche ab un e tan / can sono gli elementi che ci consentono di raggruppare tutti i mss. salvo Dc in uno stemma a due rami (se si ammette per dimostrata l’esistenza dell’archetipo in base all’elemento sopra illustrato). Il ms. Da e i gemelli mss. IK partecipano di un errore – cuia – al v. 28 (congiuntivo sì ma tutto sommato abbastanza facilmente sanabile per congettura nella corretta lezione cug/cuich). Al v. 31 i mss. G ed O condividono l’errore mes oures.

d) Contaminazione N > O? Si può supporre che i luoghi in cui il ms. O presenta una lezione corretta rispetto a quella – errata – sostenuta dagli altri testimoni del suo raggruppamento siano stati interessati da una contaminazione (vedi almeno al v. 21)3. Tale contaminazione è avvenuta apparentemente con un testimone di quel ramo della tradizione manoscritta oggi rappresentato dal ms. N (quest’ultima ipotesi si fonda essenzialmente sulla presenza in O di una lezione errata di N, donc al v. 40, lezione che tuttavia ha un debole valore congiuntivo).

2

Si tenga conto del fatto che i mss. Da e G non trascrivono la strofe V. Contaminazione operata probabilmente dal copista attento e competente di un antenato di O, visto che O presenta diverse lezioni singolari erronee che fanno pensare a un impegno poco costante da parte del suo amanuense, unito a una scarsa competenza della lingua provenzale. 3

XII. Non cugei mai sens comjat far chanson

207

e) Accordi fortuiti tra manoscritti appartenenti a raggruppamenti diversi Del tutto poligenetico si può considerare l’accordo in errore dei mss. AMNRSi al v. 22, tant (derivato da cant per un banalissimo scambio paleografico t < c). Poligenetico mi pare anche l’accordo di DaIKMR nella lezione d’aitan, v. 24: tanto i modelli di DaIK ed MR che il ms. A (o un suo modello) non hanno inteso il valore interrogativo (‘perché…?’) della congiunzione que4 (d’altronde il contesto può trarre in inganno), ma non potendo (giustamente) ammettere per ragioni di senso generale un valore ottativo hanno reagito modificando il testo: A ha sostituito que no con almeins, pigra duplicazione semantica del precedente avverbio sivals; gli antigrafi di DaIK e MR hanno rimpiazzato le stesse parole con d’aitan, suggerito dal verso precedente (e si d’aitan no voletz neis mos pros) venendo a instaurare con l’avverbio sivals una dittologia abbastanza comune nella letteratura occitana5 (si potrebbe osservare che la soluzione adottata dai due modelli è forse – almeno stilisticamente – un po’ dura proprio a causa della prossimità col d’aitan del v. 23, ma ai loro compilatori premeva soprattutto di ripristinare la coerenza del v. 24 coi successivi). Il frammento Dc non offre, nella sua brevità, elementi sufficienti per una sicura classificazione (si veda però la lezione e al v. 12, condivisa con il solo ms. A). W v. 18 (?) vv. 19, 21 v. 19

vv. 37, 38, 41

ordine strofico alterato; vv. 18, 36 vv. 18, 36 C

4

a1

M

R

v. 28 N

Si

Da

IK A

v. 31 G

O

Dc

Un altro luogo di Daude de Pradas che ci mostra quest’uso è nella canzone BdT 124.10, En un sonet gai e leugier: «sivals que non faza parer,/ qant’autr’o fai, que·m sia bel?», vv. 16-17. Altri esempi nella lirica provenzale in KOLSEN 1910-1935, 19 v. 35, 31 v. 30, 50 v. 73 (pp. 98, 176, 318) e in KOLSEN 1939, 3 v. 9, p. 21 e 24 (un testo di Cerveri de Gerona: diversamente intende però in quest’ultimo caso COROMINES 1988, pp. 102 e 103). 5 Vedi TORTORETO 1981, Per fin’amor m’esbaudira, II, v. 40, p. 96: «E sivals d’aitan m’enrequis»; DUMITRESCU 1935, Ja non crerai qu’afans ni cossirer, XVIII, v. 13, p. 140: «No·m val, sivals d’aitan, qe no m’azir»; BRANCIFORTI 1955, Ai, Dieus! S’a cor qe·m destreigna, IX, v. 11, p. 102: «sivals d’aitan, que n· m teingna»; SAKARI 1956, Estat aurai estas doas sazos, VIII, v. 47 (apparato), p. 121: «sivals – ma a testo si fatz – d’aitan c’autra non a poder», e Pois tant mi forss’Amors que m’a faich entremetre, XIII, v. 21, p. 156: (apparato) «mas savals d’aitan sa ley plaz mi manteigna» (lezione del ms. R ipometra).

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Grafia di N

1 2 3 4 5 6 7 8 9

I Non cugei mai sens comjat far chanson, mas ar m’aven, mal grat meu, far parer lo pensamen qu’el cor no·m pot caber, tan m’en a dat cil a cui ieu mi don. Per qu’ieu començ a lei de consiros; e si mos chanç non es mout amoros ja non rept’hom mas Amor e Merce, car si·m volgeson portar bona fe ja no si·m feira midons tan estragna.

I mss. ACDaGIKMNORa1, Dc solo il primo verso che funge da titolo; Si manca perché la strofe era trascritta in una carta oggi perduta. 1 cugei mai ACDaGIKMNOa1] cuiava R; comjat ACDaGIKMNOR] comnihat a1 2 grat meu ACDaIKa1] mon g. GMNR, g. men O 3 no·m CDaMRa1] non ANG, no IKO 6 chanç ACDaGIKMNRa1] chant O; mout ACDaGIKMNO] tan R, a lei m. a1 7 ja ACDaGIKMNOa1] omesso R; non ACDaGIKMNRa1] ne O; rept’hom ACKM] repton DaIO, reptoz G, repdan N, blasme R, retein a1; amor ACDaGIKNa1] amors MR 8 volgeson ACDaGIKMNOR] volguessim a1 9 no si·m MNOa1] nois A, nom CR, no si DaGIK; feira ACDaGIKMNOa1] fora R; midons CMNOa1] ma dompna ADaGIKR; estragna ACDaGIKMORa1] estranigna N I Mai pensai di fare canzone senza permesso, ma ora mi accade di dover manifestare, mio malgrado, il pensiero che non mi può restare chiuso nel cuore, tale me ne ha dato colei alla quale io mi dono. Per cui io esordisco da persona turbata, e se il mio canto non ha molto di amoroso altri non si devono accusare che Amore e Mercé, perché se essi mi volessero mantenere la parola data, certo la mia domna non mi si mostrerebbe tanto crudele.

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II A penas sai que·m sia mal ni bon tant son maritç e ples de non caler; car s’ieu del tot d’Amor mi desesper ges per aitan non iesc de sa preison. Que farai donc? Sufrirai pezansos, et atendrai tro que veigna saisos qe·l desamat sufren trobon merce. E non dirai: «S’autre pro noca·m te, a tot lo mein me[s]ditz que mi remagna!».

II mss. ACDaDcGIKMNORSia1 10 penas ACDcIKMNORSia1] pena DaG; que·m CDcGIKNORSia1] que ADaG 11 tant CMNORSia1] car ADaDcGIK 12 car CDaGIKMNORSi] e ADc, cai a1; del tot […] desesper ACDaDcGIKNSia1] damor del tot mi d. M, del tot mi desesper damor O; del tot mi d. R 13

XII. Non cugei mai sens comjat far chanson

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sa ACDaDcGIKMNOSia1] la R 14 que ACDaDcGIKMRa1] quen NOSi; farai ACDaGIKMNORSia1] fara Dc; pezansos ACDaDcGIKMORSia1] speranços N 15 atendrai ACDaDcIKMNORSia1] atendra G; tro ACDaDcGIKMNORSi] trut a1; veigna ACDaDcGIKNRa1] vegna·l MOSi 16 desamat ACIKMNRSi] desamaz DaDcGa1, desamar O; sufren ACDaDcGIKMNORSi] suffrenz a1; trobon ACIKMNORSi] troba DaDcGa1; merce ACDcGIKMNORSia1] merces Da 17 dirai CDaDcGIKRSia1] dira AMNO 18 tot ACDaDcGMNORSia1] totz IK; me[s]ditz] meditz N, me dis R, midons ACDaDcGIKMOSia1 II A malapena so cosa sia per me male oppure bene, tanto sono afflitto e pieno di indifferenza; infatti, sebbene io disperi del tutto d’Amore, purtuttavia non esco dalla sua prigione. Che farò dunque? Triste sopporterò, e aspetterò finché non venga il momento in cui i non amati pazienti trovano mercé. E non dirò: «Se proprio non ho altro, che almeno mi rimanga la maldicenza!»

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III A, fina Amors, abtan pauc gaçardon pograç mon cor en gran joia tener, sol que fesetç a leis cui am saber de quan bon grat mi meçeis l’abandon! E si d’aitan no voleç neis mos pros sirals que no mostraç li qui es vos? Mas no·i anneç que no·i meneç Merce, q’adonc seran ajustat tuig li be e sobrar l’an a cui que d’els sofraigna.

III mss. ACDaGIKMNORSia1 19 A ACDaGIKNORSia1] si M; fina ADNO] fin CDaGIKMRSia1; tan CMNRSi] un ADaGIK, omesso O, can a1; pauc ADaCGIKMNRSia1] p. de O 20 pograç ACDaGIKMNORSi] pogras a1; gran (gianz G)ACGIKMNORSia1] grat Da; joia tener ADaGIKMNORSi] ioy retener Ca1 21 cui ACDaGIKMNOSia1] quieu R; saber CMNORSia1] plazer ADaG, plazers IK 22 quan CDaGIK] tant AMNRSi, qen O, cam a1; mi meçeis ACDaIKMNORSia1] miteis G; l’abandon ACGNORSia1] li a. DaIK, lla. M 23 si ACDaGIKMNRSia1] sa O; volez; no ACDaGIKNORSia1] neis non IK, mostraz no M; mos ADaGIKMNORSi] men C, mon a1; pros AGIKMNORSi] pro C, pros con s espunta Da, pron a1 24 que no CGNOSia1] almeins A, daitan DaIKMR; li ACDaGIKMNORSi] leis a1 25 anneç ACDaGIKMNORSi] ames a1; no·i meneç ACGIKMR] non m. DaNOSi, noi i m. a1; merce ACDaGIMNORSia1] aggiunto in margine in K 26 ajustat ACDaGIKMNORSi] aiost a a1 27 sobrar l’an ACDaIKMNORSia1] sobra len G III Ahi, perfetto Amore, con così piccola ricompensa potreste mantenere il mio cuore in grande gioia: [basterebbe] solamente che faceste sapere a colei che amo quanto volentieri le abbandono me stesso! E se neppure in così poco [lett. di tanto] volete il mio bene, perché almeno non le mostrate chi siete voi? Ma non vi andate senza portarvi Mercé, perché allora saranno riuniti tutti i beni e saranno sovrabbondanti per chi di essi manca!

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IV De mon dan cuig, Amors, qu’e·us mueu tençon, on plus vos dic c’anetç midons veçer;

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c’ades la vei ses vos aitant valer que mais non cuig m’escoutes a raison pos aura faig son cor de re joios. Que sa beutaç mi fai aisi doptos c’Umilitat, Chausimen e Merce e vos mezeisa per pauc no mescre que·us des ergoil si·us vol e sa compagna.

IV mss. ACDaGIKMNORSia1 28 De mon dan ACDaGIKNORSia1] demandan M; cuig ACGMNORSia1] cuia DaIK; Amors ACDaIKNORSia1] qamors M, amor G; qu’eu·s ACDaIKNORSia1] qeu G, se M 29 on ADaGIKMNORSi] quon Ca1; c’anetç ACDaGIKMNRSia1] qan nerz O 30 ses ADaGIKMNORSia1] faitz C; valer ACDaGIKNORSia1] voler M 31 cuig ADaIKMNRSi] cre COa1, er G; m’escoutes MNRSia1] mescoute ADaIK, mescoutetz C, mes oures GO 32 aura…cor C a1] a. f. son cors AGIK, autra f.s. cors Da, aura f. sos, aurez f.s. cor MR, auraç N, auras frag O, aura[…] Si; re ACDaGIKMNRSiA1] ten O 33 beutaç (beutat M) mi fai ACDaGIKMNORa1] b[…] Si; 34 Umilitat (umilitatz CMR), Chausimen (chausimens CG) ACDaGIKMNORa1] um[…]men Si; 35 verso omesso in G; e ADaIKMNORSia1] omesso C; vos mezeisa (meçeis N, mezeissi O) per pauc ACDaGIKMNORa1] v[…]uc Si; per ADaGIKMNORSia1] a per Ca1 36 verso omesso in Da; que·us des (que del Cia1, que·us detz MR) ergoil ACGIKMNORa1] q[…] Si; si·us vol AGIKNOSi] avetz C, sius es M, sietz R, anes a1; e sa ADaGIKMNORSia1] eussa C; compagna ACDaGIKMORa1] copagna N, com[…] Si IV A mio danno credo, Amore, di disputare con voi, quando più insisto a dirvi di andare a vedere la mia domna; dal momento che [già] ora la vedo senza di voi valere tanto che mai, credo secondo ragione, mi ascolterebbe dopo aver anche solo di poco reso il suo cuore gioioso. Poiché la sua bellezza mi rende così pieno di timore che quasi sospetto che ella potrebbe insuperbire Umiltà, Indulgenza e Mercé e voi stesso se vi volesse in sua compagnia.

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V Mas non per tan en dreg vos la somon c’al sieu servir mi deignes retener; e s’a leis plaç qu’eu aia nul plaser membre li d’oc et oblit li de non; e s’ieu son fols no·m feses enoios. Renda·m Merce aco que·m tol Rasos, car s’ieu non puesc ab leis trobar merce, cui am e voil e desir mais que re, non sai a cui de ma dolor mi plaigna.

V mss. ACIKNORSia1 37 Mas non per tan CNa1] vai na plazen A, vas na presen IK, mas non per qan O, mas na per cen R, mas non p[…] Si; en dreg ACIKNO] a d. R, illeggibile Si, om. a1; vos la COa1] lauzor AIK, vos lan N, laus vos R illeggibile Si; somon ACIKNOR] so[…] Si, somoin a1 38 c’al sieu ACIKNORa1] illeggibile Si; deignes CNOa1] deing er AIK, denhe R illeggibile Si; retener

XII. Non cugei mai sens comjat far chanson

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ACNOR] retenir IKa1, r[…] Si 39 e s’a leis ACIKNORa1] illeggibile Si; aia CNOSia1] naia AR, m’aia IK; nul plaser ACIKNORa1] n[…] Si 40 membre ACIKRa1] […]bre Si; d’oc ACIKNORSia1] donc NO; oblit ACIKNRSia1] but O; de non ACIKNORa1] d[…] Si 41 e s’ieu son ACIKNORa1] illeggibile Si; fezes ACIKNOSia1] fezetz R; enuios CIKR envios CIKR] enoios ANOa1], eno[…] Si 42 Renda·m Merce ACIKNORa1] […]erces Si; aco CNORa1] eso AIK; Rasos ACIKNORa1] illeggibile Si 43 car s’ieu ACIKNORa1] illeggibile Si; s’ieu ACIKNOSia1] yeu R; ab leis non posc O; ab ACIKORSia1] al N; trobar merce ACIKNORia1] illeggibile Si 44 cui ACIKNOSia1] que R; desir… re (me N, ren a1) ACIKNORa1] de[…] Si; 45 de ma dolor a quim R; a AIKNORSia1] vas C; dolor mi plaigna (complanha CR) ACIKNORa1] d[…] Si; V E nondimeno io la convoco al vostro cospetto perché mi conceda l’onore di prendermi al suo servizio, e se a lei sta bene che io ne abbia alcun piacere, che si ricordi del sì e si dimentichi del no; e se io sono pazzo, non fatemi molesto. Che Mercé mi renda ciò che mi toglie Ragione perché se io non posso trovare mercé presso di lei – che amo e voglio e desidero più di ogni altra cosa – non so con chi lamentarmi del mio dolore.

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VI A Fol Conselg t’en vai ades, chansos, e digas li qu’ieu non trop sai merce ab Joi Novelh si Mals Aips no·m capte, a cui m’en torn pos tan gen mi gaçagna.

VI mss. ACNSia1 46 vai… chansos ACNa1] […]nzos Si 47 digas… non ACNa1] digat[…] Si 48 Joi Novels si Mals Aips noN] nizeus si M. A. no·m a1, J. N. si mielhs nossi C, i[…]als A. no·m Si 49 a… torn ANa1] illeggibile Si; cui ANa1] tu C; gaçagna ACNa1] gasa[…] Si VI A Folle Consiglio vattene subito, canzone, e digli che io qua non trovo mercé con Gioia Novella se Malvezzo non mi aiuta, al quale io mi rivolgo poiché tanto generosamente mi offre ricompensa. (?)

NOTE v. 1: L’esordio richiama quello di una canzone attribuita – ma apocrifa secondo l’editore – ad Elias de Barjols, «Mas comiat ai de far chanso / de midons cuy am e dezir», STRONŚKI 1906, XIV vv. 1-2; i manoscritti attribuiscono il testo anche a Falquet de Romans, a Aimeric de Belenoi, a Gaucelm Faidit, a Peire Raimon de Tolosa e a Pons de la Garda. La richiesta del comjat di cantare (la mia ricerca si è limitata all’uso di questo vocabolo nell’accezione specifica che ha in questo testo) si trova anche nella prima tornada del sirventese-canzone di Guiraut de Bornelh Los aplechs: «E pos enans no valh / Ni no sui aizimatz, / Bels-Senher, sofertatz / Qu’eu chan! Ab co sofratz, / Conosc be que·l comjatz / Porta plus de mil gratz» KOLSEN 1910-1935, 42, vv. 103-108, p. 252. vv.16-18: Schutz pone un punto e virgola dopo merce del v. 16 e traduce i vv. 16-17 «et je ne dirai pas: “À defaut d’autre bonheur, du moins que ma dame me reste”. Rimane – almeno per me – la difficoltà di capire questa interpretazione. Interpretando in maniera del tutto di-

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versa i dati della tradizione manoscritta, io propongo innanzitutto una diversa interpunzione. Sostituisco poi il per me banalizzante midons del v. 18 (che finisce col rendere anche meno comprensibile il senso del passo) con la lezione dei mss NR (meditz / medis = mesditz). Si recupera così un diverso, più chiaro e meglio sostenibile contenuto: il poeta vuol dire che i suoi confratelli d’arte, quando si vedono respingere dalla domna, si abbandonano alla maldicenza. Sappiamo infatti che spesso i poeti respinti o traditi si vendicavano satireggiando la domna fino ad allora amata, componendo malas cansos. Anche se in RIQUER [s.d.], p. 118 si dice al riguardo: «Las poéticas trovadorescas provenzales, las Razós de trobar o las Regles de trobar no consideraron la mala cansó entre los géneros poéticos, y ya hemos visto que en las Vidas y razós se las menciona escasas veces; tampoco aparece la expresión en las rúbricas de ningún cancionero. Por el contrario, cuando en el siglo XIV se redactan las tres versiones del tratado de poética conocido como Leys d’Amor en uno de sus apartados se comenta la modalidad poética que estamos ahora viendo y que recibe el nombre de mal dig especial. En el Torcimany de Avergó y en el Compendi de la coneixenga deis vicis en els dictáis del Gai Saber de Joan de Castellnou también se habla del maldit, y todas estas obras están de acuerdo en condenar el maldit como vicio poético inexcusable [Archer-Riquer, 1998: 61-67]». v. 17 noca: da NUMQUAM, cfr. FEW 7 p. 241, LR II p. 81, PD p. 261 (unico a registrare il significato, qui pertinente: ‘du tout’). v. 18 me[s]ditz: la parola è un hapax nella letteratura occitana in versi. Grazie alle COM2 ho potuto ritrovare solo la forma dell’infinito del verbo mesdire nel Breviari d’Amor: «mas nus ne doit seignor servize vendre / n’encontra li mesdire ne mainsprendre» (ed. RICKETTS 2011, vv. 28425-28426). Si veda però l’oitanico mesdit, ‘üble Nachrede’ (TL, s.v.). v. 20: joia = ‘gioia’, ‘gaudio’: secondo MEYER 1890, p. 107, joia è un francesismo. vv. 23-24: Sul valore interrogativo di que (v. 24) vedi cappello introduttivo. Nel testo stabilito da Schutz i due versi figurano tra parentesi tonde, con una virgola dopo pros (v. 23) e un punto fermo dopo vos. L’editore traduce «Vous ne désirez même pas mon avantage, puisque vous ne lui montrez pas qui vous êtes». La sua interpretazione urta irrimediabilmente col significato di E si d’aitan…neis e dell’avverbio sevals (per quest’ultimo i lessici generali – LR, SW e PD – registrano come unico possibile significato ‘almeno’, e così pure tutti i glossari di edizioni trovadoriche che ho potuto consultare). vv. 34-36: I quattro dativi Umilitat, Chauzimen, Merce e vos, dipendenti dal verbo des (v. 36; si noti la loro ampia prolessi), sono costruiti senza la preposizione a (per costruzioni di questo tipo cfr. JENSEN 1968, pp. 26-28 e 101-102). v. 35 mescre: mescreire ha in questo caso il senso di ‘sospettare’, ‘temere’, cfr. SW V p. 250 n° 1 ‘beargwöhnen’ e PD p. 246 ‘soupçonner’. vv. 37-38: Schutz – che nel testo da lui stabilito pone una virgola dopo somon – traduce i due versi «Mais, quand même, je la confronte avec vous, pour qu’elle daigne me retenir à son service». Il significato ‘davanti’, ‘al cospetto di’ per en dreg è attestato in SW II p. 474 ‘vor’ e in PD p. 145 ‘devant’. v. 41 feses: = fesetz. Sull’alternanza -s/-tz si vedano le indicazioni raccolte in LONGOBARDI 1982, III, n. al v. 51, p. 44, e si veda anche ZUFFEREY 1987, pp. 193, 199, 213, 239 nota 36 e 305. Ma soprattutto si veda oggi BORGHI CEDRINI 2008, pp. 238-244, dove è raccolta un’ampia bibliografia sulla riduzione, in molte zone del dominio occitano, di -tz a -s già in epoca antica (riduzione garantita dalla rima). Nel Rouergue moderno si riscontra quasi sempre tale riduzione. Si veda anche SANTINI 2010, pp. 24-25.

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enoios: ‘molesto’. In questo contesto mi sembra più pertinente questa lettura rispetto a quella envios = ‘invidioso’ (per la quale vedi BdT 124.10 vv. 20 e 21) suggerita (ma si tratta di lettura comunque non chiara) da alcuni manoscritti, vedi apparato. vv. 46-48: Per me è oscuro il senso di questi versi, che contengono ben tre senhals (o, almeno, due). Vedi qui sotto. Fol Conselg… Joi Novelh…Mals Aips: Joi Novelh è il senhal della domna cantata da Daude de Pradas, e ritorna più volte nelle sue composizioni (vedi BdT 124.1, Ab lo dous temps que renovela, v. 4; BdT 124.6, Ben ay’Amors quar anc me fe chauzir, v. 45; BdT 124.8, Del bel desir que Jois Novels m’aduç, v. 1; BdT 124.9a El temps que·l rosignol s’esgau, v. 19; BdT 124.10, En un sonet gai e leugier vv. 7-8; BdT 124.13, Pos Merces no·m val ni m’aiuda, v. 41). Nota giustamente Schutz che in En un sonet gai e leuger il senhal Fol Conselg si riferisce al mittente – cioè allo stesso Daude – mentre qui in Non cugei… si riferisce al destinatario: dopo aver osservato di passaggio che per nessuno dei trovatori di Ussel risulta impiegato altrove il senhal Fols Cosselhs lo studioso conclude: «Quelle est la solution de cette énigme? Je croirais volentiers que notre troubadour, pour qui la chanson était un exercice de scolastique amoureuse, a suivi un procédé qui lui était bien connu, et immaginé, d’après un modèle célèbre, un senhal réciproque» (p. XXIV; il celebre modello sarebbe Rassa, usato nei loro scambi di versi da Bertran de Born e Goffredo di Bretagna). Se così fosse si dimostrerebbe una volta di più il fatto che Daude era al corrente di tutte le principali novità della letteratura a lui contemporanea: Goffredo di Bretagna morì nel 1186, quando Daude era forse già attivo. Mals Aips: l’espressione ritorna nella prima tornada di En un sonet gai e leugier (considerata apocrifa da SCHUTZ 1933, vedi p. 49, e invece, probabilmente, autentica). Forse ritorna anche in BdT 124.7, De lai [part] on son mei desir. Questo senhal viene tradotto, non senza dubbi, da Schutz «Mauvais Destin». Ma secondo i lessici il termine aip possiede solo i significati di ‘qualità’ e ‘costume’ (PD p. 12, e anche REW 300; LR, II p. 38 aggiunge pure i significati ‘habitude, avantage’). La mia traduzione Malvezzo, benché fondata su una sicura accezione di mal aip, va intesa anch’essa come una proposta espressa con molti dubbi. Mals Aips = Malvezzo è probabilmente soprannome antifrastico.

XIII BdT 124.12 No·m puesc mudar que no·m ressit

Ms.: C 165r (Daude de pradas) Edizioni: APPEL 1980, p. 89; SCHUTZ 1933, p. 75, BILLET 1974, p. 311. Metro: sei strofe retrogradadas di otto versi ciascuna, 8a, 8b, 8b, 8a, 8c, 8d, 8d, 8c. FRANK 624:52. Rime: a: -it~at; b: or~en; c: at~it; d: en~or.

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I No·m puesc mudar que no·m ressit, pus l’aura freida venta e corr, alques de joy, e per amor e pel temps que vey amarzit, qu’auzelh[s] non chanta em plaissat ni·l bosc[s] non retin doussamen; mas ieu ai tan lo cor jauzen qu’aissi·l prenc ont ylh l’an laissat.

I Non posso impedire che un po’ di gioia mi risvegli, quando il vento freddo soffia e corre, sia a causa dell’amore sia a causa del tempo che vedo inasprirsi, tanto che l’uccello non canta nella siepe né il bosco risuona dolcemente; ma io ho il cuore tanto ricolmo di gioia che lo riprendo [il canto] là dove gli uccelli lo hanno lasciato.

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II E pus l’iverns nos tol l’estat e·l freg[s] encaussa lo temps gen ben dey aver esbaudimen ab lo gen chan qu’ai comensat, qu’atretan val, cuy es aizit, un petit de joy ab freydor cum longu’amistat em pascor, quan tug l’avol son replenit.

II E poiché l’inverno ci toglie l’estate e il freddo caccia via il bel tempo, io certo devo trovare gioia col bel canto che ho cominciato, perché altrettanto vale – a chi tocca – un po’ di gioia col freddo quanto un lungo amore in primavera, quando tutte le persone da poco ne hanno in abbondanza.

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III Totz temps viuran li acropit e·l fals becut lauzenjador que·s fan de donas guardador, per que·l effan son abordit: aquist an paratge baissat ab aquel lur dompneyamen;

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mas qui·n pendia mil o cen a dreg auria Dieus venjat.

III 18 e·l] els 20 que·l effan] quels effans III Sempre ci saranno i vili e i falsi linguacciuti e cattivi consiglieri, che si fanno guardiani delle domnas, per cui i figli sono imbastarditi; costoro hanno fatto decadere Nobiltà [ma anche: la stirpe] con codesto loro modo di corteggiare; anzi, se uno ne impiccasse mille o cento avrebbe a buon diritto vendicato Dio.

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IV Ben sai quals son li enjanat, qu’a per pauc non dic mon talen, qu’a dreg son coguos e sufren selh qui plus se fan veziat; que donas e drut e marit tug volon esser amador, si per aquo son pecador: pauc n’i a que sion guerit.

IV 27 sufren] sufrens 28 selh] selhs 29 drut] drutz 32 pauc] paucx IV Io conosco bene chi sono gli ingannati, così che per poco non rivelo il mio desiderio, perché giustamente sono cornuti contenti quelli che vogliono far credere di essere i più scaltri; perché domnas e amanti e mariti, tutti vogliono fare gli innamorati, e perciò sono peccatori: pochi ce ne sono che possano salvarsi.

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V Ja non crerai que Dieus oblit bon drut ni belh dompnejador si per autre pecat major per colpable non l’a cauzit; que·l mals e·l bes son tug jutgat e quascus ha son jutgamen: per tal seran al Guerimen li fals perdut e·l fin trobat.

V 37 que·l] quels; e·l]els V Io non crederò mai che Dio abbandoni un buon amante o un valente corteggiatore, se egli non l’ha giudicato colpevole di qualche altro peccato più grave; perché il bene e il male sono [entrambi] giudicati e ciascuno ha il suo giudizio; per cui al momento della Salvazione (?) i falsi saranno perduti e gli onesti ritrovati.

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VI Al cor ez a la voluntat conoys Dieus home finamen; e si·l voler no·s si cossen

XIII. No·m puesc mudar que no·m ressit

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totas e tug em encolpat, quar so que Dieus vol es gequit e·l sobreplus reten paor; si·l mal[s] talan[s] no vai alhor e·l bons no reman sai que·ns guit

VI Dio conosce perfettamente l’uomo nel cuore e nella volontà; e siccome il volere non si accorda [sc.: alla volontà di Dio] tutte e tutti siamo colpevoli, perché ciò che Dio vuole è trascurato e [solo] la paura tiene a freno i più; così [oppure: dal momento che] la cattiva volontà non se ne va e la buona non resta qui a guidarci.

NOTE v. 1: Cfr. Guglielmo IX, BdT 183.4, v. 1. Ma la formula No·m puesc mudar (in altre varianti grafiche) venne fatta propria da altri tre testi appartenenti a Marcabruno (BdT 293.12, BdT 293.12a, BdT 293.39). In particolare, due di questi – gli ultimi – si scagliano contro gli odiati moilleratz v. 2: Cfr. Marcabruno, BdT 293.36, v. 1, «Per l’aura freida que guida», (considerando il tono volutamente arcaizzante e ‘marcabruniano’ del componimento, osserva CONTINI 1970, p. 195: «C’est bien Marcabru qui a inventé le θόπος de l’aura freida ou de l’aura doussa», sebbene tale topos sia derivato da un Natureingang di Guglielmo IX in cui già figura l’aura, vedi PASERO 1973, Pos vezem de novel florir: «rius e fontanas esclarzir / auras e vens» p. 196, vv. 3-4). Cfr. anche Bernart de Ventadorn: Can la frej’aura venta, BdT 70.37 v. 1. v. 4: Cfr. Cercamon, BdT 112.4, v. 1 Quan l’aura doussa s’amarzis, TORTORETO 1981, p. 68. La scelta di questa forma verbale conferma ancora una volta la scelta arcaizzante del poeta. Ma si veda anche Arnaut Daniel, L’aur’amara (BdT 29.13, v. 1). v. 5 plaissat: parola usata per la prima volta da Marcabruno, BdT 293.39, v. 3, sia pure nella rappresentazione del momento stagionale opposto: «E·l dous temps floritz es vengutz / de moutas guisas pels plaissatz». v. 16 replenit: sott. «de doussor, de joi», come ad es. in Bernart de Ventadorn, 70, 40, v. 33: «de tal doussor sui replenitz» (ma prima ancora in Marcabruno, BdT 293.19). v. 17 acropit: letteralmente ‘accovacciati’, ma qui – come in Marcabruno, 293, 36, v. 17 – la parola è sinonimo di ‘malparlieri’, cfr. COCCO 1980, p. 38 (ma vedi MONSON 1994: lauzegiers non significa ‘malparlieri’, bensì ‘coloro che danno cattivi consigli’: qui, il participio sostantivato acropit può valere come lauzegiers nel senso che chi dà consigli fraudolenti, per non farsi udire da altri, si china sull’orecchio di colui, o colei, che vuole ingannare). Secondo Roncaglia poi «acropitz sono quei poltroni bellimbusti che s’occupano soltanto di mangiare e bere, crogiolarsi al fuoco e far vanterie, curare la propria eleganza ed insidiare le dame, come è detto a XXVI [in realtà XXXVI] 15-18: Lonc temps auran cossentida e·ls maritz lor desonor als acropitz lenguas-planas, torbadors d’amistat fina…

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

La generazione che cede a questi costumi è il bersaglio costante della polemica marcabruniana che la qualifica di bastarda» (RONCAGLIA 1957, p. 42). Acropit potrebbe stare a indicare inoltre l’attitudine in apparenza umile e dimessa del lauzengier (che nel v. seguente del nostro testo è qualificato con l’aggettivo fals ‘falso’, o anche ‘ipocrita’): LR, II, p. 521, registra per acropit il significato di ‘vil, avili’ e, citando proprio il nostro passo, traduce ‘laches’; ‘vil’ è anche l’interpretazione di PD, s.v. acropir. v. 18: l’associazione di bec (sinonimo di lengua) a lausengier si trova per la prima volta in Marcabruno, BdT 293.38, v. 22 (becutz), e ha goduto in seguito di larga fortuna (documentata da COCCO 1980, pp. 38-39). Fals sono qualificati per la prima volta i cattivi consiglieri (o malparlieri) da Raimbaut d’Aurenga, BdT 392.5, vv. 21-22: «dels fals, plus ponhens que gibres,/ envejos, parliers, mals tafurs»; per e·ls fals  = nominativo plurale maschile al quale è stata aggiunta l’-s segnacaso, vedi qui la nota al v. 47. Su un’interpretazione in chiave di metafora feudale della parola lausengier (si tratterebbe in origine di cattivi consiglieri del signore) si veda qui BdT 124.8 nota v. 23. Tuttavia, si noti anche la somiglianza tra cosa viene detto in genere dei lauzengier nella poesia amorosa (in parte anche in questa lirica, vd. il v. 19) e cosa viene detto dei «Farisei» nella preghiera catara Payre sant: «Farisieus enganadors, que estatz a la porta del Regne e vedaytz aquels que intrar i voldrian, e vos autres no y voletz!» (con precedenti scritturali in Lc. XI, 52 e Mt. XXIII, 13, cfr. NELLI 1977, pp. 38-39). vv. 19-20: quello del v. 19 è – secondo COCCO 1980, p. 246 – l’unico caso «in cui il lauzengier viene denominato guardador». Tuttavia l’equivalenza delle figure risulta in vari luoghi marcabruniani, come ad es. nel testo A l’alena del vent doussa (BdT 293.2). Sull’origine della figura del guardador nella lirica provenzale vedi la nota dell’ed. PASERO 1973, II, v. 3, p. 49, che riassume, con indicazioni bibliografiche, le tesi principali. Nel caso del nostro passo è ancora una volta Marcabruno che suggerisce la situazione, vedi BdT 293.39 (L’autrier, a l’issida d’abriu): D’autra manieira cogossos Hi a rics homes e baros Qui las enserron [le mogli] dins maios Qu’estrains non i posca intrar E tenon guirbautz als tisos Cui las comandan a gardar. E segon que ditz Salamos Non podon cill pejor lairos Acuillir d’aqels compaignos Qui fant la noirim cogular, Et aplanon los guirbaudos E cujon los fils piadar. (vv. 19-30) Per il tema del guardador in Marcabruno si veda anche il testo di A l’alena del vent doussa, BdT 293.2. v. 20 effans: < enfans (Schutz ripristina il caso regolare). Le forme con nf>ff si ritrovano, oltre che in questo, solo in testi non lirici, vedi COM2 (effan, effant, effans). CONSTANS 1880, p. 59 dice che -n- davanti a -f- (o -s-) cade regolarmente nel moderno rouergate (fa l’esempio

XIII. No·m puesc mudar que no·m ressit

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proprio di efant), ma nella lingua antica si trova una grande varietà di forme, con nf, f, e ff in concorrenza tra loro. v. 21 paratge: sull’evoluzione del significato del termine da ‘parentela’ a ‘nobiltà’ vedi MEYER, Chanson de la Croisade contre les Albigeois; Paris, 1875-9, Glossario. Nel senso di ‘nobiltà’ è già usato da Marcabruno in BdT 293.28 e BdT 293.30. v. 24 Dieus: come Schutz decido di mantenere a testo la forma con -s segnacaso (Dieus invece di Dieu), vedi qui nota al v. 47. v. 26 a per pauc: ‘quasi, per poco’; per questa forma vedi SW, VI, p. 150, n° 11. v. 27 sufrens: sinonimo di coguos, ‘marito tradito’; cfr. SW, VII, p. 754, n°24. La parola è stata usata per la prima volta in questo senso da Marcabruno, BdT 293, 11, v. 63 «e fai son seinhor sufren». v. 28 selhs: nominativo plurale maschile al quale è stata aggiunta l’-s segnacaso, vedi qui la nota al v. 47. veziat: ‘scaltri’, ‘astuti’: è parola relativamente rara, cfr. COM2 sotto grafie veziat / veziatz / vezias / vesiatz, ed è usata – come qui – in contesti moraleggianti. Daude la impiega, di nuovo, in rima, al v. 560 di RICKETTS 2002, (vesiatz). v. 29: Cfr Marcabruno, BdT 293, 8, v. 30: «Las moillers e·il drutz e·il marit». Drutz: nominativo plurale maschile al quale è stata aggiunta l’-s segnacaso, vedi qui la nota al v. 47. vv. 43-47: Schutz rinuncia a tradurre i vv. 42-46 e, come l’Appel, scioglie così il v. 43: «e si·l volers nos s’i cossen»; pone inoltre un punto e virgola dopo encolpat, una virgola dopo gequit, dopo paor e dopo alhor. no·s si cossen: «non si accorda così» (alla volontà di Dio). Le difficoltà principali alla totale comprensione del passo le pone il v. 46. Sobreplus è tradotto da tutti i lessici unicamente come surplus; io proporrei invece di intendere l’avverbio sobre come una specie di superlativo dell’avverbio sostantivato plus (come avviene quando è prefisso dei verbi, cfr. ADAMS 1913, pp. 456-8), quindi «la grande maggioranza»: il senso potrebbe essere quindi: «solo la paura [delle punizioni (?), e perciò non l’integrità morale] trattiene la grande maggioranza della gente [dall’agire male]». Non si può comunque escludere l’ipotesi che il luogo sia corrotto. Nel caso si accetti la lezione del ms., per la parola si bisogna supporre un significato ‘poiché, dal momento che’.

XIV BdT 124.13 Pos Merces no·m val ni m’ajuda

Mss.: A 123r (daurde de pradas); C 170r (Daude de pradas); D 56r (deode pradas); E 122; H 8v (Deude de prades); M 171v (Deude de prades); N 132v; R 22v; Si (Deude); a1 487 (baude de paradas); b 5r (Ia stanza duna Canso di Daude de Pradas). Edizioni: MAHN, 1856-1873, vol. 3, p. 219, nni 1043 e 1044; SCHUTZ 1933, p. 22; BILLET 1974, p. 295. Metro: cinque coblas unissonans: 8’a, 8b, 8’a, 8b, 8c, 8c, 8d, 8d; due tornadas di quattro versi ciascuna (8c, 8c, 8d, 8d). FRANK 382:86. Rime: -uda; -on; -it; -en. Ordine delle strofe: I II III IV V VI VII 12 3 4 5 6 – Aa1 12 3 4 5 6 7 CDEHNRSi 13 4 2 5 6 7 M 1– – – – – – b

a) Raggruppamento EMR? Una delle difficoltà principali che si propongono nell’esame critico della tradizione manoscritta di questa lirica è costituita dall’incertezza del raggruppamento dei codici EMR. Meglio cominciare dagli elementi che paiono più sicuri. I mss. ER si contrappongono a tutti gli altri nei vv. 7-81 e qui no·ls capten ab ditz (dir ACDHNa1b) gen son perdut e·l digz (sos ACDHNa1; son Mb) eisamen. L’infinito sostantivato dir proposto dai concorrenti di ER al v. 7, per il suo significato tecnico di ‘arte retorica, arte poetica’2, è evidentemente la lezione più appropriata al contesto. Il poeta ammette infatti di trovarsi, per mancanza di soddisfazioni amorose, a corto di materia per il canto (rason). Tuttavia egli invita a tenere in maggior pregio quell’artista che riesce, su un argomento debole o addirittura inconsistente, a comporre piacevoli versi e una melodia orecchiabile. Questo perché è solo grazie a una completa padronanza dell’arte poetica che

1

Il frammento senese Si risulta però illeggibile in questi luoghi. Per il quale si possono vedere almeno i vocabolari latini (es. LTL, II, s.v. dico) e romanzi (es. BATTAGLIA, IV, s.v. Dire2, n° 5). Schutz traduce più genericamente il termine con débit = ‘eloquio’. 2

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

l’artista può superare l’ostacolo rappresentato dall’assenza delle ragioni del canto. Abbiamo qui dunque una affermazione di maestria da parte del nostro poeta, di pieno possesso del mestiere letterario, che nella sua forma costituisce variazione di un tema presente nella poesia trovadorica fin dal primo poeta di cui ci siano restati i testi, Guglielmo IX. La lezione di ER si è probabilmente prodotta da un dir originario, a causa di una comune confusione paleografica tra -r e -t (alla quale ha fatto seguito l’aggiunta volontaria e regolarizzante del segnacaso dell’obliquo plurale, una volta che il copista del modello di ER ha ritenuto di potere accettare, quanto al senso, il dit erroneamente letto nel testimone da cui copiava). Anche per il ditz al v. 8 ipotizzo una reazione – per quanto assai più radicale – ad un equivoco che aveva alla base un fatto grafico, e precisamente un’omografia: al posto di sons (‘melodia’, al cas sujet sing. secondo norma) l’esemplatore del modello di ER leggeva probabilmente un son (vedi la lezione dei mss. Mb), da lui preso per una ripetizione errata di quel son (terza persona plur. del verbo estre) con il quale principia il verso. Ha tentato allora di sanare il presunto guasto sostituendo son col precedentemente ricostruito ditz, senza avvedersi peraltro del risultato illogico ottenuto con tale modifica. Parafrasando tutta l’argomentazione così rimaneggiata, ne viene fuori un ragionamento contorto. Cioè quei ditz (‘detti’?) che servono a sostenere i versi (mot) non ispirati da un’adeguata rason vanno incontro all’insuccesso insieme con quegli stessi versi che dovrebbero sostenere. Nella forma tràdita dal resto dei testimoni il verso 8 viene, al contrario, a completare in modo perfettamente sensato e coerente la teoria artistica espressa in questa prima cobla. L’enunciato di tale teoria sostiene che, seppure una buona composizione lirica risulti dal felice accordo dei versi con la melodia, quest’ultima da sola – per quanto bella e attraente – non basta a assicurare il buon livello dell’opera d’arte qualora i versi non siano a loro volta sorretti o dal pregio del motivo ispiratore o dalla maestria nell’uso degli artifici letterari3. Il sistema dell’errore rispecchiato nella lezione dei mss. ER, oltre che congiuntivo4 è da ritenersi separativo perché la versione offerta da tutti gli altri codici non avrebbe potuto essere recuperata per congettura da un copista che pure si fosse accorto delle parole incongrue che si trovava a copiare. L’incertezza di cui parlavo all’inizio consiste nella difficoltà di dimostrare la parentela – ad un piano più alto della tradizione – del ms. M coi sicuramente congiunti ER. Parentela solo sospettabile a causa di alcune lezioni in sé prive di valore congiuntivo, e che purtroppo non costituiscono neppure un fenomeno particolarmente rilevante dal punto di vista del numero. Esaminiamo gli unici due luoghi in cui EMR insieme si oppongono, in questa lirica, al resto della tradizione. Il v. 1 secondo la lezione dei nostri tre codici dice:

3 Si possono ricordare, a questo punto, i versi di Jaufre Rudel: «Non sap chantar qui so non di/ ni vers trobar qui motz no fa,/ ni conois de rima co·s va/ si razo non enten en si» (cfr. CHIARINI 1985, I, vv. 1-4, p. 57). Rispetto ad un principio di teoria artistica formulato in questi termini quello di Daude si distingue proprio per l’importanza accordata a quel sen de trobar di cui parla (peraltro in tono di condanna) anche la vida: il valore di un poeta si misura anche nella capacità di produrre opere artisticamente valide su «ragioni» poetiche di scarso pregio o addirittura assenti. 4 Proprio la sistematicità dovrebbe essere garanzia di monogenesi.

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

223

Pos Amors no·m val ni m’ajuda Il testo degli altri manoscritti è uguale in tutto, salvo che il sostantivo Amors è sostituito da Merce. Questo si presenta subito come un caso di variante perfettamente adiafora, anche se non sinonimica. Al v. 28 la lezione di EMR è poi addirittura un semplice sinonimo di quella sostenuta dal resto della tradizione: qui·us pliu fort (ACDHNSia1 trop) en fol compainho Potremmo forse osservare, in appoggio all’ancora debole ipotesi di un modello comune, un fatto di genere diverso da quelli più propriamente ecdotici. Tutti e dieci i mss. che tramandano questa lirica (salvo b, che ne contiene peraltro solo una citazione) trascrivono anche BdT 124.14 (trascritta pure da B) e BdT 124.17 (presente anche in IKP). In nove di questi dieci mss. (C, che presenta, per il corpus di Daude, un ordinamento tutto particolare, è escluso dalle nostre considerazioni) le tre poesie sono contigue. In sei di questi nove mss. (ADHSiNa1) il loro ordine di successione è BdT 124.13, BdT 124.14, BdT 124.17; negli altri tre l’ordinamento è in parte differente: in EM abbiamo infatti BdT 124.14, BdT 124.13, BdT 124.17, e questa successione apparteneva – si può supporre – anche al modello di R. Il ms. R divide le sue trascrizioni di poesie deodatiane in due momenti: il primo comprende solo i testi BdT 124.13, BdT 124.17 (l’immediata vicinanza di queste due poesie del terzetto potrebbe anche essere casuale, ma certo richiama la particolarità dell’ordine di EM). Dopo una lunga parentesi riempita da componimenti di autori diversi, tra le altre nove liriche del nostro poeta che R trascrive (in quello che sembra un ampliamento rispetto al piano originale di copia), c’è anche, recuperata, BdT 124.14. Detto questo si riveda quanto scritto nel paragrafo 4.8 dell’Introduzione: una volta individuato lo stesso ordine di successione per alcuni componimenti in un gruppo dato di testimoni, ritengo possibile ipotizzare per questi testimoni una parentela, anche quando solo per una parte di essi tale parentela risulta pienamente dimostrabile in virtù dei dati della critica interna. Ma questo solo se: a) errori certi (in particolare quelli congiuntivi e separativi) non distribuiscano, nel caso particolare, i codici del presunto raggruppamento tra famiglie diverse ben identificate. (Oppure non vi sia comunque un tale accumulo di errori meno certi, in potenza anche poligenetici, che faccia supporre plausibile tale differente distribuzione); b) l’antigrafo supposto in base a lezioni comuni e a ragioni di ordinamento codicologico è sostanzialmente confermato dai risultati delle indagini puramente ecdotiche condotte sui rimanenti testi della serie di successione individuata. In altri termini, che il presunto antigrafo sia individuato chiaramente nella maggioranza dei singoli testi della serie grazie ai risultati della critica interna, e che sia rispettata la condizione a). Ora, nel caso delle altre due poesie del nostro terzetto (BdT 124.14 e BdT 124.17), il modello presunto di EMR rimane purtroppo incerto, forse in virtù dell’esiguo numero di testi che formano la serie alla quale l’indagine può essere applicata: nello stemma che ho ritenuto di poter proporre per il testo BdT 124.17 ciascuno dei tre mss. EMR appare come il rappresentante unico di un diverso ramo della tradizione (nessuna lezione, salvo una – adiafora e poligenetica – al v. 40, contrappone questi tre mss. agli altri); nel caso della lirica BdT 124.14 EMR condividono un errore certo al v. 35 (che però ritengo almeno potenzialmente polige-

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

netico). In tutti i testi del nostro terzetto si rispetta la condizione a) su esposta, ma b) non si realizza perfettamente5. Il postulare un modello di EMR ordinato BdT 124.13, BdT 124.14 BdT 124.17 mi consentirebbe d’altra parte di formulare un’ipotesi, per spiegare la presenza della parola Amors al posto di Merce al v. 1 della nostra lirica BdT 124.13. Un’ipotesi alternativa a quella forse troppo generica e debole della sostituzione poligenetica. Credo che il testo BdT 124.14, divenuto primo della serie qui individuata, possa avere esercitato col suo esordio (Pos Amors vol e comanda) un ‘effetto d’eco’. Un effetto che potrebbe aver indotto il modello di EMR a modificare l’esordio del componimento BdT 124.14 (Pos Merce), in Pos Amors.

b) Il gruppo ADH Al v. 20 i mss. AD trascrivono: e dirai ben c’anc res no fo vs. e dirai queç anc (q’anc H) res no fo6

AD CEHMNRSia1b

È evidente che il ben dei nostri due mss. è la reazione ad una lettura sinalefica c’anc (vedi anche ms. H) che rende il verso ipometro. Al v. 38 i mss. DH trascrivono e de lausengier, dove la congiunzione e è priva di senso e rende il verso ipermetro (errore congiuntivo ma – direi – non separativo, perché sanabile per congettura da un copista attento al contesto e alla metrica). Al v. 44 ADH leggono en prec, con la preposizione en che è poco pertinente e rende il verso ipermetro in DH (A rimedia all’ipermetria sopprimendo mas all’inizio del verso, si riconsideri anche il caso appena visto del v. 38).

c) Il gruppo NSi I mss. NSi condividono un errore al verso 17: Ja mais per me non es (ACDEHMRa1b er) saubuda

NSi

Il tempo futuro è imposto dai vv. 19-20 e dal senso generale della poesia. Al v. 28 NSi leggono quius (in verità la lezione è solo supponibile in Si, molto danneggiato in quel punto, dove si legge solo un -us), al posto di quis. Quius, enclisi di qui vos, è lezione errata.

5 I tre mss. EMR si ritrovano ancora insieme a trasmettere i testi 1 e 9a, e in questi due casi il loro raggruppamento è certo. 6 L’apparato di Schutz, in questo luogo difettoso, assegna ai mss. CEHMR la lezione e dirai que res no fo.

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

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Ritengo opportuno affrontare in questo cappello introduttivo il caso di lezioni concorrenti dei mss. ai vv. 41-43: Bels Jois Novels, ja tant petit non pensaretz qu’ieu vos oblit; anz vos amarai finamen… Questa è la lezione messa a testo da Schutz, che la traduce «Belle Joie Nouvelle, vous ne croirez en aucune façon que je vous oublie; au contraire, je vous aimerai parfaitement…». Il verbo pensaretz del v. 42 è sostenuto da tre soli testimoni ACa1, mentre tutti gli altri (DEHMNRSi) trascrivono presaretz. EM riportano inoltre nom invece di non / no (D abbrevia col titulus la consonante dopo no-). Le lezioni non pensaretz e no·m presaretz sono, a parer mio, ugualmente accettabili nel contesto, pur presentando ognuna qualche difficoltà. Accettare la lezione preferita da Schutz mi pare comporti il dovere di riconoscere un valore avverbiale di ‘neppure’ (da intendere come rafforzativo della negazione del verso seguente) alle parole tant petit (v. 41). Questo valore non è registrato nei lessici provenzali e neppure in quelli di antico francese, ma non mi sembra assurdo supporre, in ambito occitano medievale, l’esistenza di un prodotto analogo nella formazione e equivalente nel significato al tampoco delle lingue iberiche7. Accogliendo questa lezione potremmo pertanto tradurre i vv. 41-42 «Bel Joi Novel, certo neppure penserete che io vi dimentichi!». Se propendiamo invece per la scelta della lezione no·m presaretz, la difficoltà in cui ci imbattiamo non è di ordine lessicale (come nel caso della mancanza di attestazione del presunto avverbio composto tant petit, comunque plausibile) ma sintattico. Dai vv. 41-42 possiamo ricavare un eccellente significato, ma occorre presumere (e nella nostra traduzione integrare) una ellissi: «Bel Joi Novel, certo non mi stimerete (cfr. ant. it. pregiarete) tanto poco (ma petit si potrebbe tradurre anche ‘meschino’, ‘pusillanime’) [da pensare che] io vi dimentichi!». Se, da una parte, ellissi spesso ardite non mancano nella letteratura trovadorica, dall’altra si può osservare come Daude sia un poeta dalla sintassi generalmente piana e ordinata (salvo rari casi di anacoluto o di periodi resi lunghi e complessi da un addensarsi di frasi coordinate e subordinate). Osservazioni di questo genere hanno tuttavia un valore relativo, poiché non si può escludere con sicurezza lo scarto occasionale rispetto a norme ricavate su mera base statistica. Se vogliamo considerare il significato di entrambe le lezioni, esso rimanda (nel caso della lezione no·m presaretz in modo meno banale) ad un luogo ben conosciuto del repertorio tematico trovadorico, quello dell’amante recrezen8. In questo topos l’amante esasperato minaccia a volte di allontanarsi da Amor o da midonz. Ma altre volte invece (è il caso del nostro testo) ribadisce con energia la sua intenzione di perseverare, aborrendo come prospettiva inaccettabile l’idea di un dileguo o di una trasformazione del sentimento amoroso9. Pro-

7 È da notare che TdF registra l’avverbio tampau (anche sotto altre forme, tapau, tapauc, tapoc; e suggerisce il confronto col cat. tampoc e con it. sp. tampoco). Dalla lettura della voce di TdF non si può tuttavia sapere se si tratta di un prestito tardo dalle lingue iberiche, come nel caso dell’italiano. 8 Per cui si può vedere CROPP 1975, pp. 226-9. 9 Nel caso della lezione tant petit/ no·m presaretz… parrebbe però evidenziato il rifiuto del poeta di fronte alla possibilità che la domna lo consideri un uomo da poco poiché incapace di costanza. Sul giudizio moralmente negativo che pesa sull’amante disamorato e incapace di perseverare vedi CROPP 1975, pp. 228-9.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

viamo ora a considerare alternativamente ciascuna delle due lezioni concorrenti come innovativa rispetto all’altra. Ammettendo che la lezione originale del v. 42 fosse non pensaretz la spinta principale all’innovazione sarebbe da ricercare nell’impulso automatico a ricostruire (in enjambement) il comune sintagma prezar petit. D’altro canto, possibilità di innovazione (poligenetica) si hanno forse anche a partire da una ipotetica lezione originale no·m presaretz. Spinte coordinate al cambiamento sarebbero state, in questo caso, la difficoltà sintattica rappresentata dall’ellissi e la possibilità, in tale situazione, di interpretare presaretz come errore per pensaretz (verbo che si inserisce in modo apparentemente più piano nel resto del verso, pur creando – forse – problemi di accordo con quanto precede). Conclusione secondo me necessaria di questa disamina è che nessuna delle due lezioni costituisce luogo stemmatico. Nessuna delle due presenta caratteristiche tali da poter essere considerata o decisamente superiore o decisamente deteriore, per cui non resta che mettere a testo la lezione del manoscritto scelto per la base grafica (anche se tale soluzione – che confessa un’impossibilità di razionalizzare – può lasciare insoddisfatti). Individuati grazie a prove più o meno solide tre raggruppamenti, non ritengo possibile proporre per questo testo uno stemma chiuso. Dei tre gruppi individuati si fornisce qui sotto una rappresentazione grafica con l’indicazione dei luoghi che li individuano con maggiore o minore certezza.

caratteristiche della trad. ms.; vv. 1, 28

v. 44

vv. 7-8

v. 20 A

D

H

E

R

vv. 17, 28 M

N

Si

Grafia N

1 2 3 4 5 6 7 8

I Pos Merces no·m val ni m’ajuda ges de chantar non ai rason, mas qui pot de rason perduda,  far moç plazens ab leugier son, asaç deu eser plus graçit, car mot ses rason son faidit, e qui no·ls capten ab dir gen son perdut, e·l sons eisamen.

I Mss. ACDEHMNRSia1b 1 Merces no·m ACDHNa1b] amors nom E, amor nom M, amors no(n)z R, merc[…] il resto illeggibile Si; val ACDEHNRSia1b] vol M; m’ajuda ACDEHMNRa1b] mai[…] il resto illeggibile Si 2 ges ACDEHMNRSib] qien (seguono i vv. 2-5 di 124.14, dalla parola «chantan» fino a

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

227

«vueill», cassati con un tratto di penna) ges a1 3 verso omesso in a1; mas qui ACDEHMNRa1b] illeggibile Si; pot ACDEHMNSia1b] vol R; perduda ACDEHMNRa1b] p[…] il resto illeggibile Si 4 per dir e far mos leugiers ab plazen son a1; far moç EMNRb] far mot ADH, far digz C, […]otz Si; leugier son DHN] leugier so AMRb, chonde so C, leugier E, illeggibile Si 5 assaç…plus ACDEHMNRa1b]…lus illeggibile ciò che precede in Si; plus ADEHMNRSia1b] omesso C; graçit ACD] grazitz EHMNRSia1b 6 car ACDEHMNRSib] cars a1; mot…son ACDEHMNRa1b] m[…]on Si; mot ACHM] moz DNRa1b, moltz E; ses ACDHMNRSia1b] si es per E; son ACEHMNRSib] omesso D, soi a1; faidit ACMNR] faidiz DEHSia1b; no·ls ADEHNSia1b] vol C, avols M, nol R; capten ab dir ACDEHMNRSia1b] illeggibile Si dir ACDHMNa1b] ditz ER; gen ACEHMNSib] e gen D, len R, gent a1 8 e·l sons (digz ER, son Mb) eisamen (eissamenz a1) ACDEHMNRa1b] […]ns Si I Poiché Mercé non mi soccorre né mi aiuta non ho proprio materia per cantare; ma se uno è capace di comporre, con un argomento inconsistente, piacevoli versi su una melodia orecchiabile, deve essere di gran lunga più tenuto in stima, poiché i versi non sostenuti dall’argomento sono alquanto miseri [oppure: disprezzati], e se uno non dà loro un tono con bell’arte poetica essi vanno sprecati, e con loro la melodia.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Anc de daç non poc far tenguda, ans giet totçtemps al altrui pron e ges per so mos cors no·s muda c’ades non joc, tan mi par bon, car de beutat mi fai envit e mostra de fin preç cumplit cil que vai en triga volven mon joc que, per par, ren no·i pren.

II Mss. ACDEHMNRSia1 9 Anc de ACDEHMNRa1] illeggibile Si; non ACEHMa1] no DR, nom NSi; poc ACDEHMRSia1] pot N; tenguda ACDEHMNRa1] […]da Si 10 temps al altrui ACDEHMNRa1] te[…]ltrui Si; temps ACDEHMRSia1] teps N; pron DHNSi] pro ACEMR, perda a1 11 e ges mos cors per so nos muda R; […]rs Si; so ADEHM] tan CNa1 12 ca[…]an Si; bon DHNSi] bo ACEMR, omesso a1 13 car de beutat (beutatz a1) ACDEHMNRa1] illeggibile Si; envit ACEHMNRSi]enviz Da1; cumplit ACDEHMNRSi] compliz a1 15 […]ga Si; que ADEN] quem Ca1, qui H, qim M, quieu R; vai ACDEHMN] ay R, val a1; en triga ACDEHM] en trigan N, em tricha R, em triga a1 16 mon ACDEHMRSia1] nuilh N; joc…ren ACDEHMNa1] joc per que res R, joc […]en Si II Mai mi è riuscito di astenermi dal lanciare i dadi, anzi [li] lancio sempre a vantaggio dell’avversario, e nonostante questo il mio cuore non perde il desiderio di giocare, tanto ciò mi piace, poiché colei che va trasformando ogni mia giocata in un punto a suo favore (così che, anche facendo dadi doppi, non guadagno niente) mi propone come posta la sua bellezza e come rilancio il suo pregio perfetto e compiuto.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

17 18 19 20 21 22 23 24

III Ja mais per me non er sabuda l’amors que·m ten en sa prison, anç la tenrai ben resconduda e dirai queç anc re no fon. E pos vei que no m’es cobit que si’astrux en joc partit, jugairai sols, privadamen, ab Amor et ab pensamen.

III Mss. ACDEHMNRSia1 17 Ja mais ACDEHMNRa1] illeggibile. Si; er ACDEHMRa1] es NSi, sabuda ACDEHMNRa1] sau[…] Si 18 ten ACEHMNRSia1] tem D; prison N] preiso AEM, preyo C, preson DHa1, preizon R, illeggibile Si 19 anç ACDEHMNRa1] [.]ns Si; resconduda ADEHMNRa1] esconduda C, re[…] Si 20 e ACDEHMNRa1] illeggibile Si; queç anc NSia1] ben canc AD, que anc CEMR, qanc H; fon DHR] fo ACEMN, illeggibile Si, son a1 21 E pos vei ACDEHMNRa1] […]i Si; no m’es ACDEHMNSia1] noz es R; cobit ACEHMNRSi] cubiz Da1 22 que si’astrux ACDEHMNRa1] illeggibile Si; joc ADEHMNRSi] jocs Da1; partit ACHMNRSi] partir DE, partitz a1 23 jugarai sols privadamen ACDEHMNRa1] juja[…]damen Si 24 Amor ACDHMR] amors ENSia1; et ab pensamen ACDEHMNRa1] […]en Si III Da me non sarà mai rivelato l’amore che mi tiene nella sua prigione, anzi lo terrò ben nascosto e dirò che mai ci fu realmente. E poiché mi rendo conto che non mi è dato d’aver fortuna in un gioco a due, giocherò da solo, di nascosto, insieme con Amore e con la fantasia.

25 26 27 28 29 30 31 32

IV Ben es paraulla coneguda que «trop servir tol giçardon»; e tost es grans anta venguda qui·s pliu trop en fol copagnon. Mos cors e mei oill m’an trait, car si feron tan eissernit que·m conseleron per non sen qu’ieu descobris tot mon talen!

IV Mss. ACDEHMNRSia1 25 ben es ACDEHMNRa1] illeggibile. Si; es ACDEHMNSia1] el R 26 que trop ACDEHMNRa1] […]op Si; servir CDEHNRSia1] servirs AM; giçardon DHNa1] guizerdo ACEMR, gizar[…] Si 27 e tost ACDEHMNRSia1] ripetuto M; anta ACDEHMRSia1] anota N; venguda ACDEHMNRa1] illeggibile Si 28 qui·s ACDEHMRa1] quius N, […]us Si; trop ACDHNSia1] fort EMR; copagnon DHNa1] compaigno ACEMR, illeggibile Si 29 per mon cor mos cors vei e mi oill que sui man traiz D; cors ACEHMRa1] cor NSi; m’an trait ACDEHMNRa1] illeggibile Si 30 car ACDEHMNa1] cant R, [.]as Si; feiron ACDEHMNSia1] foron R 31 que·m ACEMRSia1] que DHN; conseleron ACEHMNRSia1] me complet D 32 qu’ieu ACDEHMNRSi] qen a1

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

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IV È proverbio ben noto che «eccesso di servizio toglie la ricompensa»; e subito viene gran vergogna a chi troppo dà retta a uno stolto compagno. Il mio cuore e i miei occhi mi hanno tradito, perché sono stati così “furbi” da consigliarmi stupidamente di rivelare tutto il mio desiderio!

33 34 35 36 37 38 39 40

V Domna, lonc vos ai volguda, mas er vos quier – si·us plaç – perdon, car anc pensei que·m foses druda pois mi tornes vostr’oc en non. Ja mai per vos non querai guit de lausengier, car per un crit vos dones tan gran espaven que·m falises de cuvinen.

V Mss. ACDEHMNRSia1 34 perdon DHNSia1] perdo ACEMR 35 que·m ACDEHMNSia1] quenz R 36 tornes DEHMNRa1] tornez A, tornetz C, tornest Si 37 querai ACDEHMNRa1] qerat Si; guit ACDEHMNRSi] guiz a1 38 de ACEMNRSia1] e de DH; lausengier ADEHMNRSia1] lauzengiers C V Domna, a lungo vi ho desiderata, ma ora vi domando – se vi piace – perdono, perché mai mi illusi che sareste stata mia amante dopo che mi mutaste il vostro «si» in «no». Mai più cercherò – riguardo a voi – consiglio di cattivo consigliere, perché per una voce indiscreta vi prendeste tanto spavento che mi veniste meno ai patti.

41 42 43 44

VI Bels Jois Novels, ja tant petit no·m preçares qu’ieu vos oblit! Ans vos amarai finamen, mas s’ie·us prec plus estrangol m’en!

VI mss. ACDEHMNRSia1 41 Jois ACDEHMNSi] joy R, jorns a1; Novels ACDEHMNSi] novel R, noels a1 42 no·m EMR] non ACHNSia1, no D; preçares DEHMNRSi] pensaretz ACa1; qu’ieu ACDEHMRSia1] que us N 43 amarai ACDEHMRSia1] amaran N; finamen CDEHMNRSia1] altramen A 44 mas CDEHMNRSia1] omesso A; s’ie·us CHNRSia1] si us AEM, sieus eus D; prec CEMNRSi] eniprec ADH, par a1 VI Bella Gioia Novella, spero che non avrete così poca stima di me [da pensare] che io vi dimentichi! Anzi, vi amerò d’amore perfetto, ma se ancora vi rivolgo preghiera, che io possa per questo strangolarmi!

45 46 47 48

VII Amics, Nostre Senher vos guit, car en vos son bon aip complit, e vos mantenetç veramen Preç e Valor, Joi e Joven.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

VII Mss. CDEHMNRSi 45 Amics EHMNRSi] amic CD; Nostre CDEMNRSi] vostre H; Senher CEM] seinor DHNRSi 46 son…complit CDHMNRSi] manca, per ablazione di capolettera miniato, in E; aip CM]aips DEHNRSi; complit CDEHMNR] cumplitz Si 47 […] tenetz […] per ablazione di miniatura in E, mantenetz pretz ensenhamen R 48 il verso omesso in D, non leggibile in E per ablazione di miniatura; Preç e Valor CDEHMNSi] e v. e R VII Amico, che Nostro Signore vi guidi, perché in voi le buone qualità si trovano al loro più alto grado, e voi mantenete veramente Pregio e Valore, Gioia e Gioventù.

NOTE v. 3 rason perduda: l’aggettivo perdut è da intendere probabilmente nel senso registrato da SW VI p. 241, 9 ‘eitel, leer, nichtig’. Schutz traduce «sans motif (sur un motif qui n’existe plus)». v. 5 graçit: «Sur le neuf manuscrits, six donnent le nominatif grazitz. Mais grazit est exigé par la rime. Ce neutre s’acorde avec toute l’idée, de sorte que, littéralement il serait plus exact de traduire: “mais quand on peut faire, sans motif, une chanson agréable…, [cela] doit être plus apprécié”». (SCHUTZ 1933, p. 101). L’osservazione di Schutz non ha senso: grazit è il predicato nominale dell’infinito eser retto da deu: a norma di grammatica deve presentarsi all’obliquo sing. All’esigenza della rima si unisce, in favore di grazit, quella grammaticale. v. 7 e qui: Ha valore di si quis (‘se uno’). Su questo uso si veda JENSEN 1986, 458. vv. 9-16: Salvo mio errore nella consultazione di COM2, tenguda come sostantivo dovrebbe essere un hapax, almeno nella letteratura occitana in versi: il che rende ancor più arduo stabilire se significa ‘astenersi da qualcosa’ (come intendeva Schutz), oppure ‘ottenere un guadagno’, ‘vincere qualcosa [al gioco]’ (tener = obtener), oppure ancora ‘essere il primo a lanciare i dadi’, come ritengo più probabile sulla scorta di SEMRAU 1910, p. 105 («Den lauf der dinge bestimmen») e di DMF s.v. tenir, Tenir le dé, ‘Être le premier (comme est le premier à jouer qui tient le dé en main)’. Ammettendo come ipotesi quest’ultimo significato, passiamo all’esame di altre voci della terminologia tecnica usata da Daude de Pradas. Penso che l’envit corrisponda alla somma che si punta all’inizio di una partita, per acquisire il diritto di partecipare al gioco stesso, e che la mostra sia invece il grosso della posta, quella con cui si rilancia a gioco iniziato (vedi per questo A. ANGIOLINO – B SIDOTI, Dizionario dei giochi, Bologna 2010, s.v. invito). Col termine triga il poeta si riferisce probabilmente al gioco descritto da Alfonso X nel Libro del ajedrez dados et tablas. Conoscere le regole di questo gioco fa capire perché per il poeta sarebbe importante, nella metaforica partita a dadi amorosa, essere una volta tanto il primo a lanciare i dadi. La triga è infatti un gioco di quelli “impari”, in cui il primo giocatore gode di diversi vantaggi. Su questo si veda L. BORGHI CEDRINI, Schede per il joc grossier di Guglielmo IX (BdT 183.2 v. 45) e altri jocs provenzali, in Studi Testuali 4, Alessandria 1996, pp. 167-199, part. p. 182, benché la studiosa sembri avanzare, a p. 181, alcuni dubbi sul fatto che il gioco della triga fosse diffuso anche in area occitana, dal momento che gli indizi al riguardo sono costituiti soltanto dalle attestazioni del termine in Daude e nel romanzo Flamenca (vedi qui, oltre). Comunque sia, ammettendo – per pura ipotesi, come si è detto – che fosse conosciuto anche al di qua dei Pirenei, la triga si giocava con tre dadi da 6; colui che gettava per primo poteva subito con-

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

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quistare il punto (triga) se il suo lancio totalizzava un valore complessivo di 18, 17, 16 o 15 (i quattro valori piu alti che si possono totalizzare in un solo lancio), o di 3, 4, 5 o 6 (i quattro valori piu bassi, realizzabili sempre con un lancio). Oppure ancora, il primo giocatore vinceva se i tre dadi presentavano tutti – dopo il lancio – la stessa faccia ottenendo i punteggi complessivi di 12 o 9 (le combinazioni 4 x 3 = 12, 3 x 3 = 9). Nel caso in cui il primo giocatore non avesse realizzato nessuna di queste combinazioni vincenti, il gioco passava all’avversario, il quale doveva guardarsi bene da totalizzare (nemmeno con differenti combinazioni) il punteggio dei dadi realizzato dall’avversario col suo primo tiro perché, se ciò fosse accaduto, il punto (la triga) sarebbe stata ancora del primo giocatore. Se il secondo giocatore fosse riuscito invece a totalizzare un punteggio diverso da quello del primo, da quel momento in poi il gioco sarebbe andato avanti con un’altra regola ancora: ciascuno dei due giocatori avrebbe lanciato i dadi a turno e a oltranza finché uno non fosse riuscito a ottenere nuovamente il punteggio complessivo ottenuto col suo primo tiro. Nel passo di Daude un altro problema è quello di comprendere il significato esatto dell’espressione per par. Può essere, secondo me, intesa, almeno teoricamente, in tre modi, ma il terzo mi sembra il più probabile. Vi è innanzitutto per par, ‘ottenendo la stessa faccia per tutti i dadi lanciati, facendo dadi uguali’ (alla triga, questo risultato farebbe vincere subito, se realizzato dal primo giocatore; non avrebbe nessun esito, invece, se totalizzato dal secondo). Oppure, per par, ‘totalizzando un punteggio uguale al primo di quelli che il giocatore ha già realizzati’ (e questo farebbe vincere o l’uno o l’altro dei giocatori). Infine, quello secondo me più probabile: per par, ‘quando il secondo giocatore totalizza un punteggio pari a quello ottenuto dal primo giocatore nel primo lancio’ (in tal caso il secondo giocatore, che ha lanciato per par rispetto al primo, perde). Il modo in cui potrebbe essere inteso il passo mi pare dunque questo: ammettendo che il poeta sia il secondo giocatore (la domna non può che essere sempre la prima: ha lei il comando del gioco amoroso, e il poeta stesso dice che mai poté essere il primo a lanciare i dadi…), un lancio ‘pari’ [a quello dell’avversaria] lo farebbe perdere, se si gioca alla triga. Ed è in effetti quel che succede. Nella poesia il Nostro si lamenta che all’inizio la domna sembrava avergli concesso il suo favore (il primo lancio di lei non è stato un “lancio vincente”), ma poi ha trasformato – secondo le regole sbilanciate del gioco della triga – il lancio di risposta (per par) del poeta in un punto a suo vantaggio («vai en triga volven / mon joc»), (ovvero lo ha respinto? Cfr. v. 36). Si tratta comunque di una mera ipotesi, perché il passo rimane per tanti aspetti poco chiaro. Secondo me, comunque, la morale che Daude vuole esprimere con questa metafora ludica è quella per cui in amore è importante che amante e amata si ritrovino su un piano di parità: non può esserci un “vincitore”, cioè uno che impone tutte le decisioni in virtù della sua superiorità e che si colloca su un gradino più alto, perché questo distruggerebbe il rapporto ancor prima che si formasse o si consolidasse. Quindi il poeta non vorrebbe “vincere”, ma neppure perdere. Egli sembra sfruttare, per esprimere tutto questo, la polisemia dell’espressione cruciale (e difficile da interpretare) per par. Forse in qualche modo conforta questa mia interpretazione il passo di Flamenca, che presenta invece la situazione sentimentale perfetta (vv. 6512-6516): «Amors fai coma cortesa / quar non consent que·i aia triga, / quar tant era corals amiga / Flamenca, que non sap jugar / a son amic mais a joc par». Io tradurrei, in questo caso: ‘Amore agisce con cortesia, perché non permette che [uno dei due] segni un punto a suo vantaggio (cioè una triga), in quanto Flamenca è amica talmente leale che non sa giocare col suo amico se non impattando la partita’. In questo caso intenderei joc par non

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come un gioco senza handicap, un ‘gioco alla pari’, bensi come una partita senza né vinti né vincitori (ancora oggi con l’espressione ‘gioco pari’ si indica spesso la patta nel gioco degli scacchi, cfr. http://chess.granz.de/ch_vocab.html). Entrambi i giocatori in Flamenca ottengono – metaforicamentte – dei lanci che non fanno prevalere né l’uno né l’altro. Sarebbe questo, credo, il risultato che secondo Daude si dovrebbe ottenere quando giocano (al gioco d’amore) due persone in ugual misura innamorate: nessuna delle due deve ottenere la vittoria sull’altra, perché solo così, paradossalmente, si vince davvero: vincendo cioè entrambi. (Il concetto può forse essere ispirato, alla lontana, al principio ovidiano «Ad metam properate simul, tum plena voluptas, / cum pariter victi femina virque jacent» Ars amandi, II, vv. 727-728, anche se il poeta latino si riferisce in particolare alla consumazione dell’atto sessuale). Là dove la domna di Daude, che forse non ama o non ama abbastanza il poeta, gioca per imporre la supremazia, per ottenere quello che crede essere il suo interesse, Flamenca invece, amando perfettamente Guilhem, in un certo senso bara, ma per lo scopo contrario: fa in modo (con l’aiuto d’Amore) che nessuno dei due giocatori ottenga il punto vincente (la triga), che nessuno sopravanzi l’altro. v. 17: l’intero verso è una citazione quasi letterale da Bernart de Ventadorn, BdT 70.8, v. 47: «ja per me non er saubuda». v. 20 re no fon: SW, VIII, p. 224, 3 ‘Tatsache, Wirklichkeit’. v. 26 trop servir tol giçardon: l’espressione sentenziosa è usata anche – con qualche diversa sfumatura – da Folchetto di Marsiglia: «mas trop servirs ten dan maintas sazos» (Amors, merce!: no mueira tan soven! BdT 155.1, v. 10). Citando direttamente da Folchetto, la sentenza è ripresa da Raymon Vidal nella sua novella So fo al temps c’om era gais (testo in BARTSCH 1904, 246, 23). Cfr. CNYRIM 1888, 242, 251, 252. vv. 27-8: i due versi esprimono un principio di saggezza assai vulgato; se vogliamo riferirlo a un testo illustre e più di ogni altro fondamentale per la cultura del tempo si deve ricordare, dal Libro dei Libri, Prv. 13, 20: «Qui cum sapientibus graditur sapiens erit; / amicus stultorum similis efficietur», e Sir. 8, 20: «Cum fatuis consilium non habeas; / non enim poterunt diligere nisi quae eis placent». Significative alcune varianti che si ritrovano nella letteratura mediolatina: «Efficitur sapiens, qui congreditur sapienti:/ Stulto congrediens efficitur similis». «Qui stultis se associat,/ Hinc habet, quod stultus fiat,/ Et qui sagaci iungitur,/Jure sagax efficitur». «Qui stultum sequitur, damno de iure potitur» (registrati in WALTHER 19631986, nn. 6974, 24802, 24804); vedi anche CNYRIM 1888, 609, Fos qui en fol se fia. v. 29: si confronti questo verso con quello quasi uguale di Gaucelm Faidit, BdT 167.59, v. 19: «E pois mos cors e miei huoilh trahit m’an». cors: ‘cuore’; sulla questione della forma cor(s) < COR (con -s segnacaso al nom. sing., condannata nelle tarde Leys d’Amors perché conduce ad una collusione omofonica e omografica con cors < CORPUS, ma a quanto sembra maggioritaria nelle scritture di ogni tipo) si veda JENSEN 1974-1975. v. 28 copagnon: cfr. testo VIII, nota al v. 25. v. 30 eissernit: ‘sage, prudent, distingué’ (LR, III, p. 21, sv. eissernir, 8); ‘bestimmt, gefasst’ (SW, II, sv. Eisernir, pp. 337-8); ‘distingué; intelligent’ (PD, p. 135); ‘scernito, eletto, saggio’ (CRESCINI 19262, glossario, sv. essernit); cfr. anche FEW III p. 272 (sv. excernire). È detto chiaramente in senso ironico (cfr. v. 28 e il non sen del v. 31). v. 33 teps: cfr. testo VIII, nota al v. 25. vv. 37-8: «Jamais je ne chercherai chez vous protection contre les calomniateurs (?)»

XIV. Pos Merces no·m val ni m’ajuda

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(Schutz). Per il vocabolo guit i lessici propongono i significati di ‘guide, conduite, direction’, ma anche ‘sauvegarde, garantie, sauf-conduit’ (cfr. LR III p. 518; SW IV pp. 2178; PD p. 214). Schutz ha ragione di dubitare della sua traduzione: perché mai il poeta avrebbe dovuto cercare protezione (estensione – forse in sé non arbitraria – del significato riconosciuto dai lessici di ‘sauvegarde’, ‘garantie’, ‘sauf-conduit’) dai cattivi consiglieri (lausengier, vedi MONSON 1994) proprio presso la domna (cioè presso colei il cui pregio ha più da temere dalla calunnia)? Io ritengo che in questo caso si debba intendere il termine guit nel suo significato base di ‘guida, direttiva’ e che, così facendo, si possa recuperare per il passo un senso accettabile e coerente: il poeta, in un certo momento del corteggiamento, ha richiesto la guida o il consiglio di qualcuno che poi lo ha tradito. Le voci (il crit) che hanno cominciato a circolare hanno distrutto quell’intesa, quel patto (covinen), che cominciava a instaurarsi tra il poeta e la domna. v. 39: cfr. BdT 124.9a, El temps que·l rosignol s’esgau, v. 23. v. 44 estrangol m’en: Dal momento che egli mette a testo la lezione estrangol m’en (traducendola «que l’on m’étrangle!») mi risulta incomprensibile questa nota di Schutz (p. 101): «estrangolmen. Ce mot ne se trouve pas ailleurs. Levy lirait volontiers: estrangol m’en: “que je m’étrangle”. Mais tous les mss. s’acordent sur la graphie du mot, ce qui rend son hypothèse peu probable». Il congiuntivo (estrangol) assume qui una delle sue funzioni più comuni, quella (auto)esortativa, ben riconosciuta dal Levy. v. 46 bon aips: la -s è un’infrazione alle regole della declinazione bicasuale, ma si veda BORGHI CEDRINI 2008, pp. 205-206.

XV BdT 124.14 Pos Amors vol e comanda Mss: A 123r (daurde de pradas); B 110r (il componimento è preceduto dalla vida di Daude de Pradas); C 163v (Aissi dessus comenson las cansos den Daude de pradas); D 57r (Deode pradas); E 121 (Daude de pradas); H 8v (Deudes de pradas); M 171v (Deude de pradas); N 133r; R 31v (Deude de pradas); Si (Deude de Prades); a1 488 (baude de paradas); α (citazione della quarta strofe nel Breviari d’Amor: RICHTER 1976, p. 235). Edizioni: MAHN 1856-1873, vol. 3, p. 218, n° 1042; SCHUTZ 1933, p. 27; BILLET 1974, p. 297. Metro: cinque coblas unissonans di otto versi: 7’a, 7’b, 7’b, 7’a, 8c, 8c, 8d, 8d. FRANK 577:257. Rime: -anda, -aia, -ir, -en.

a) Il gruppo ABDH e le sue possibili articolazioni Al v. 15 Schutz mette a testo la lezione esforz [se] de be metre e gen, sostenuta – stando alle indicazioni del suo apparato – dai mss. CEM. Con tale scelta (ma rinunciando all’integrazione del pronome medio a vantaggio di una lettura dialefica di metre e) concorda PERUGI 1978, vol. I, p. 142, che utilizza l’apparato dell’editore americano. In realtà la lezione esforz de be (ma leggi ben) metre e gen appartiene al solo ms. M e appare banalizzante rispetto a esforz de ben e tener gen dei mss. CERSia1 (nel ms. N manca la congiunzione e). Esforz è a mio avviso da considerare, in questo caso, come sostantivo, e tener come infinito sostantivato: esforz de be sarebbe dunque una espressione traducibile all’incirca con «impegno nell’agire, nel comportarsi, bene». Tener gen è invece registrato in LR, V, p. 332, e tradotto «bien se tenir, se parer». L’esempio di LR (che si riferisce ad un personaggio femminile) proviene dal sirventese di Guilhem de Montanhagol, e COULET 1898 e RICKETTS 1964 traducono rispettivamente con «belle mise» (p. 180) e «toilette élégante» (p. 44). Nell’elenco di mute preghiere che – secondo Daude – l’innamorato deve rivolgere alla domna, quella espressa con la cura del proprio aspetto non sarebbe né strana né fuori luogo. La trattatistica didattico-cortese occitana (e non solo quella, si pensi al Roman de la Rose) anteriore e successiva al nostro poeta insiste infatti molto sulla necessità dell’eleganza – o quanto meno del decoro – per l’innamorato. Tuttavia il significato dell’espressione potrebbe anche essere un altro: gen (re)tener (vedi LOEB 1999, p. 305) significa più frequentemente ‘intrattenere, ospitare onorevolmente’, il che potrebbe essere quello che fa un trovatore col canto dei suoi versi e con piacevoli conversazioni (e può darsi che un significato non escluda l’altro: come altri poeti, soprattutto della sua generazione, Daude ama giocare con lo spettro semantico delle parole). La lezione di M, che ripropone il classico motivo della larguesa, è dunque – secondo me – interpretazione e rifacimento di un testo non compreso uguale o simile a quello trascritto nei mss. CE(N)RSia1: esforz è stato inteso come forma del verbo esforzar; metre (‘spendere’) pare invece volontaria correzione di tener, considerato come una sorta di errore polare (tener: ‘risparmiare, essere avaro’). La ristrutturazione esforz de tener e sia (sieu H) ben dei mss. ABDH è manifestamente erronea quanto al senso, se valutata nel

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

contesto1. L’errore è in questo caso tanto congiuntivo (quattro manoscritti non possono operare indipendentemente lo stesso rifacimento) quanto separativo (non pare verisimile che qualche copista abbia potuto restituire per congettura una lezione come quella, secondo me buona, dei mss. CERSia1). Il raggruppamento ABDH si ripropone solo in un’altra occasione, al v. 34, con una variante peraltro adiafora, retraia. Probabile la suddivisione di questo gruppo in due sottogruppi. Quasi certo (per la serialità degli indizi) quello costituito dai mss. AB, che hanno in comune un errore – venra – al v. 21 (ma la scelta di questa seconda forma di condizionale – errata poiché causa l’ipometria di una sillaba nell’octonaire – è potenzialmente poligenetica), un altro errore – di scarso valore congiuntivo – al v. 35 (per il quale vedi oltre), una variante caratteristica al v. 28 (que pretz vol e comanda, dove comanda è mot tornat, lezione non erronea ma banalizzante: cfr. v. 1) e una variante assolutamente indifferente al v. 18 (cal). Assai meno sicuro quello dei mss. D e H, che hanno in comune invece l’errore cautras al v. 5 (che certo non è congiuntivo, né separativo) e l’errore venrai al v. 21 (condiviso pure dal ms. N è anch’esso poligenetico in potenza poiché forte doveva essere per i copisti l’attrazione fonico-visiva della parola immediatamente precedente lai e di quella immediatamente successiva sai).

b) Il gruppo NSi I mss. N ed Si sono congiunti da due errori: plus lab al v. 10 (ipometria di una sillaba, plus, inaccettabile nel contesto) e entaillaç al v. 23 (forse anch’esso congiuntivo come il primo ma probabilmente pure sanabile per congettura).

c) Un possibile raggruppamento EMR Al v. 35 i testimoni offrono queste lezioni concorrenti: qe chausimen eu men aia qe chauzimen de men aia qe chauzimen e men aia que chauzimen e merce aia que chausimen merce maia e sis fa que merce maia qe chauzimen aia

AB C DHNSi E M R a1.

1 Quanto alla forma, ben, parola con -n caduca, si troverebbe qui a rimare con parole ad -n fissa, come già notava Schutz, ma quest’uso non è estraneo a tanti buoni trovatori, si veda BORGHI CEDRINI 2008, pp. 202-205, e neppure a Daude, cfr. qui la nota al v. 12 di BdT 124.2.

XV. Pos Amors vol e comanda

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Possiamo fare le seguenti osservazioni: 1) tutte le lezioni in concorrenza, pur quando in sé non errate, appaiono banalizzanti rispetto a quella dei mss. DHNSi (dove men significa ‘attenzione, udienza’, cfr. SW, V, p. 186 e PD, p. 242) e risultano pertanto condivisibili – a mio avviso – la scelta editoriale e l’interpretazione di Schutz, vedi pp. 29 e 31; 2) le banalizzazioni eu men dei mss. AB e merce aia / m’aia – comune ai mss. EMR – sembrano riflettere una diffrazione avvenuta a scapito di una parola abbastanza rara e inattesa come men (il rimaneggiamento di R occulta questi termini del processo di trivializzazione, ma essi appaiono evidenti nella lezione di EM); 3) gli aggiustamenti osservabili in M e in R – certo funzionali a una regolarizzazione della misura del verso, alterata dalla sostituzione di un monosillabo (men) con un bisillabo (merce) – potrebbero anche essere considerati indizi di qualche antigrafo che presentava una lezione ipermetra del tipo *que chauzimen e merce maia (soprattutto il massiccio intervento dimostrato dalla lezione di R induce ad una simile ipotesi), ma tale eventuale antigrafo – per quanto già detto in 2) – non sarebbe necessariamente lo stesso per entrambi i nostri testimoni. Mi pare opportuno, a questo punto, far osservare che i mss. EMR non sembrano presentare qui altri indizi di un’origine comune (vedi però il cappello di Pos Merces no·m val ni m’aiuda).

d) Unione C + α La quarta cobla è stata ripresa in α secondo un testo che pare approssimarsi a quello del ms. C, stando all’indizio (peraltro unico) della lezione del v. 25 En tant.

e) Archetipo? Una traccia rivelatrice dell’archetipo possiamo forse individuarla al v. 33, esaminando la seguente varia lectio: siaranda tia (et) amda sianda si (et) anda sieanda sieranda

AB C DHN ERSi M a1

La mia ipotesi è che l’archetipo trascrivesse la lezione sieranda, come a1; la somiglianza di -er- con et nella scrittura libraria del secolo XIII è probabilmente all’origine di lezioni come quelle di C, ERSi ed M (C si è però spinto oltre, fino al punto di estrapolare la coppia sinonimica tia et amda, lezione indubbiamente improponibile in questo contesto). sianda, dei mss. DHN, parrebbe conseguenza della caduta di un segno di abbreviazione col valore di er. I mss. AB (o il loro eventuale modello) sembrerebbero conservare o recuperare la lezione originale, si’a randa (o si a randa), plausibile almeno come motto, divisa o grido di guerra (un’invocazione ad agire in fretta e/o con energia? Cfr. TL e GODEFROY s.v. randon (a). Oppure a ‘rimanere in disparte’? Cfr. TL s.v rande (a), ‘bis zum Rand’). Ma probabilmente tutta la varia lectio ci propone un caso di diffrazione in praesentia.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Una rappresentazione grafica dei rapporti tra i manoscritti potrebbe apparire una forzatura, se si considerano l’incertezza del sottogruppo DH e l’evanescenza dell’archetipo. Mi limito a rappresentare le mie congetture come le ho sopra esposte, e rinuncio a chiudere lo stemma. W (vv. 24, 33) (?)2

vv. 15, 34 caratteristiche della vv. 21, 28, 35 vv. 5, 21 (+ N) trad. ms.; v. 35 (?) A

B

D

H

E

M

R

v. 25 (?) C

a

vv. 10, 23 N

Si

a1

Grafia di E

1 2 3 4 5 6 7 8

I Pos Amors vol e comanda q’en chantan mon cor retraia, ben dei far chanson que plaia als amans, on que s’espanda; c’autres non vueill de chan servir, quar non conoisso·l gai dezir que·l cor aflama et enpren de sel quez ama finamen.

I Mss. ABCDEHMNRSia1 1 Pos ADEHMNRSia1] uois B, manca in C per ablazione di un capolettera miniato; Amors ABCDEHMRa1] amor NSi; e comanda ABDEHMNRSia1] omanda per ablazione di miniatura C 2 q’en ABCDHMRSi] quieu EN, qi en a1; chantan ABDEHMNRSia1] antan per ablazione di miniatura C; cor retraia ABDEHMNRSia1] retraia per ablazione di miniatura C 3 ben dei far ABDEHMNRSia1] far per ablazione di miniatura C; chanson ABCEHMNRSia1] chan (et) on D; que ABDEHMNRSia1] e C 4 amans ABDEHMNRSia1] ans per ablazione di miniatura C; s’espanda ABDEHMNRSia1] panda per ablazione di miniatura C 5 c’autres…chan ABDEHMNRSia1] qua[…]n per ablazione di miniatura C; c’autres ABCEMNRSia1] cautras DH; non ABCDHMNRSia1] omesso E 6 gai ABCDEHMNSia1] bel R 7 aflama ABDEHMNRSia1] enflama C; et ABCDEMNRSia1] he H 8 verso omesso da a1; quez E] que (qi M) ABCDHMNRS1 I Poiché Amore vuole e comanda che io esprima il mio sentimento cantando, devo proprio comporre una

2

Vd. nota ai vv. 22-24.

XV. Pos Amors vol e comanda

239

canzone che piaccia agli innamorati, là dove essa si diffonda. Altri non voglio servire col mio canto, perché non conoscono il gaio desiderio che infiamma e accende il cuore di colui che ama perfettamente.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Qui ben ama petit blanda sidons, pus la sap veraia, que non er – si trop l’asaia ni del tot s’amor demanda – non ai’enueis a l escondir. Pregon per lui hueill et sospir, esfors de be e tener gen, que tals precx vol dona qu’enten.

II Mss. ABCDEHMNRSia1 10 pus la sap ABCDEHMRa1] plus lab (la Si) NSi 11 l’asaia ACDEHMNRSi] omesso B, lesaia a1 12 ni ABCDEHMRSia1] en N 13 enueis DEHNSi] enoi ABCMRa1 14 lui hueill et ABCDEHMNSia1] mi luelh el R 15 be e (e omesso N) tener (teners NSi) gen (gent a1) CENRSia1] de tener e sia (sieu H) ben ABDH, ben metre e gen M 16 que tals (tal Si) ABDEHNSi] quaitals CMRa1; precx ABCEMRSia1] prez DH, preç N; vol ABCDEHMNSia1] vay R; qu’enten ABCDEHMNSia1] que ren R II Chi ben ama poco corteggia la sua domna, una volta che l’ha conosciuta per sincera; cosicché non avverrà che egli provi i dispiaceri del rifiuto, se troppo la mette alla prova e pretende interamente il suo amore. Per lui preghino occhi e sospiri, l’impegno nel bene [nel fare il bene (nel senso di fare beneficenza?)] e nobile intrattenimento, poiché queste sono le preghiere che desidera una domna che sa intendere.

17 18 19 20 21 22 23 24

III Tan m’esclaira et m’abranda us dous rais qu’el cor mi raia c’ades vei so que m’apaia, e s’era neus en Irlanda de lai venria sai chauzir cela que sap, al departir, mon cor entaillar sotilmen en si[eu] mezeus, si qu’ieu lai sen.

III Mss. ABCDEHMNRSia1 17 m’esclaira ABCDEHMNSia1] mesliara R; e m’abranda ABCDEHMNRSi] enbranda a1; e ABCDEHMNSia1] que R 18 qu’el CEHMNRSia1] cal AB, que D; cor ABCDEHMNSia1] cors R 19 verso om. da C 20 e s’era ABCDEHMNSia1] sieu era R; en ABCEHMNRSia1] es D; Irlanda (yrlanda BCR) BCERa1] Islanda (eislanda M) ADHMNSi 21 venria CEMSia1] venra AB, venrai DH, verai N, veria R 22 que ABCDEHNRSi] qi M, qem a1; sap ABDEHMNRSi] saup Ca1 23 cor ABCDMNRa1] cors D HSi; entaillar ABCERa1] entalar D, entailar H, el talhar M, entailaç N, entaillatz Si; sotilmen ABCDEHMNRSi] sottilmen a1 24 lai ABDHMNSia1] nol C, la E, lo R

240

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

III Tanto mi rischiara e mi infiamma un dolce raggio che mi si irradia nel cuore che sempre vedo ciò che mi appaga, e se anche fossi in Irlanda [oppure: in Islanda] di là verrei quaggiù a vedere colei che, al momento della separazione, sa con arte intarsiare il mio cuore nel suo così che io risiedo in quello.

25 26 27 28 29 30 31 32

IV Qu’en tan com lo sels guaranda no nasquet dona tan gaia, tant valens ni que tant aia so que fin pretz vol e manda: gen sap parlar et acuillir e dompnejar e retenir ab bel semblan tota la gen, et amar un sol coralmen.

IV Mss. ABCDEHMNRSia1α 25 Qu’en ABDEHMNRSia1] En Cα; com (quom α) ABDEHNRα] quan CMSia1; lo sels ABENRSia1] lo cel CDH, soleills M, le cels α 27 verso omesso da H; valens ABDENSia1α] valen CMR; ni que ABCDEMNRSia1α] ne D 28 verso omesso da H; fin (fins NSi) CEMNRSi] omesso AB, franc D, fiz a1, fis α; manda CDEMNRSia1α] comanda AB 29 et ABCEHMNRSia1α] e cuilir D IV Perché in tutto lo spazio che il cielo abbraccia non nacque [altra] domna tanto gaia, tanto valente e che tanto possieda di ciò che perfetto pregio vuole e prescrive: lei sa nobilmente parlare ed accogliere, e praticare la cortesia, e accettare con benevolo sembiante il servizio di ognuno ma amare di cuore uno solo.

33 34 35 36 37 38 39 40

V Lai on hom ditz: «Si’a randa!» vueill que ma chanso s’atraia, que chauzimen e men aia: no conosc c’aillors resplanda. Lai pot hom bon pretz mantenir, quar Dieus hi volc tan gent assir un castel fort et avinen qu’es flors de Joi e de Joven.

V Mss. ABCDEHMNRSia1 33 on ABCDEMRa1] onc H, ont NSi; si’a randa AB] tia (et) amda C, sianda DHN, si (et) anda ERSi, sieanda M, sieranda a1 34 vueill ABCEHMNRSia1] omesso D; chanso EHMNRSi] chanssos ABCa1, chazo D; s’atraia (r satraya R) CEMRSia1] retraia ABDH, veraia N 35 que chauzimen ABCDEHNSia1] qe chausimens M, e sis fa que R; e men aia DHNSi] eu men aia AB, de men aia C, e merce aia E, merce maia MR, aia a1 36 No conosc ABCDEHMNSia1] mo cors R; c’aillors ABCDHMNSia1] camors E, e alhors R 37 mantenir ABCDHMNRSia1] mantener E 38 hi ABCDEHMNRSi] omesso a1; gent ABCDEHNRSia1] get M; assir ABCEMNSia1] aissir DH, ayzir R

XV. Pos Amors vol e comanda

241

V Là dove si dice «Che [ciò] sia in fretta!» [oppure: «Che rimanga al margine!»] io voglio che si rechi la mia canzone, perché trovi indulgenza e attenzione: non conosco altro luogo dove essa possa rifulgere [altrettanto]. Là si può mantenere buon pregio, perché Dio tanto graziosamente volle edificarvi un castello forte e bello che è fiore di Gioia e di Gioventù.

NOTE v. 11 si trop l’asaia: nel linguaggio amoroso dei trovatori dell’epoca classica il verbo asaiar e il sostantivo asag indicano una prova in senso generale imposta dall’amata, o – in particolare – quella inflitta dalle sofferenze amorose (vedi CROPP 1975, p. 356, nota 6), senza quella particolare connotazione di concubitus sine coitu che vi trova NELLI 1963, pp. 199-209. In questa poesia il soggetto non è la domna (come di solito avviene con questo verbo), che vuole mettere alla prova la sincerità o la costanza dello spasimante, ma è l’innamorato, che insiste con le sue preghiere presso di lei per ottenerne una esplicita confessione di corrispondenza sentimentale. v. 15 esfors de be: l’espressione non è registrata nei lessici antico-provenzali ma in Guiraut de Bornelh, BdT 242,68, Ses valer de pascor, troviamo al v. 102 «Esforz de desonor», che l’editore KOLSEN 1910-1935 traduce (p. 209) «schändiche Bemühung». L’esempio borneliano, seppur di significato opposto, mi pare che legittimi la nostra interpretazione di esforz de be. tener gen: “gent (re)tener” = «c’est à dire accueillir, recevoir avec tous les égards dus à un hôte de choix» (LOEB 1999, p. 305). Ma si vedano anche esempi di un altro possibile significato dell’espressione (diverso da quelli proposti nella traduzione): l’ensenhamen di Arnaut Guilhem de Marsan (fine secolo XII – inizi secolo XIII): «Si voletz esser drutz / siatz aperceubutz: / enquer aprendretz pus/ si d’amor segues l’us. / Vostre cors tenetz gen/ e d’azaut vestimen, / e sian vil o car, / faitz los gent arezar; / de pauc pretz o de gran, / tug sian benestan, / car tot pros cavayer / deu vestir a sobrier» (vv. 301-317, citt. da SANSONE 1977, p. 127). L’Ensenhamen de l’escudier di Amanieu de Sescars (1270-1291): «Mas si voletz honor / e vieur’ e·l segl’onratz / e voletz estr’amatz / per donas e grazitz, / larcx e francx et arditz / siatz e gen parlans,/ azaut e gent portans,/ e vostri vestimen/ sian azaut e gen, / faitz al vostre garan» (vv. 144-153, citt. da SANSONE 1977, p. 199; il Breviari d’Amor di Matfre Ermengaud: «e qui volra jauzir d’amor, / mantenen gaug, pretz e valor, / pesse de tener son corss gen / de causar e de vestimen/ e d’arnes seguon sa rictat» (vv. 31389-93, citt. secondo RICKETTS 2011). v. 18 raia: questa forma si ritrova solo otto volte nella letteratura occitana tanto lirica quanto narrativa in versi (nove con l’interpretazione della forma come raia da parte di Anglade nell’edizione de Las flors del gay saber) e quasi sempre (sette volte su nove) in rima. Compare due volte solo in Flamenca, romanzo di probabile produzione rouergate, e in due trovatori del Rouergue, Bernard de Venzac e Daude. Viene considerata forma verbale rouergate. MANETTI 2008 cita (nella nota alle rime dei vv. 2811-2812 di Flamenca) una considerazione di J. RONJAT, Grammaire Historique des Parlesr Provençaux modernes, Montpellier 1930-1941, 4 voll., I, p. 275, § 153, secondo la quale niente prova che veraia e altre parole non debbano mai interpretarsi come veraja, ecc… Per la fase moderna della lingua COSTANS 1880 afferma decisamente che la pronuncia è j (p. 21, con esempi proprio dal paradigma verbale cui appartiene la nostra forma). Ritiene si debba interpretare con j la i intervocalica di aia e di altre forme di epoca medievale (p. 195).

242

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

v. 20 Irlanda: la scelta tra le due lezioni concorrenti (Irlanda Ea1/ Yrlanda BCR e Islanda ADHNSi/ Eislanda M) era tra le più imbarazzanti, e alla fine – pur tra molti dubbi – mi sono deciso per il mantenimento della lezione del mio manoscritto di base, E. Secondo lo spoglio di CHAMBERS 1971 si ritrovano cinque menzioni dell’Irlanda nella lirica trovadorica: in ordine alfabetico, in Arnaut de Mareuil BdT 30.5 Aissi cum selh que tem qu’amors l’aucia, v. 31 (cfr. l’ed. JOHNSTON 1935, p. 9); in Bertolome Zorzi BdT 74.2 atressi cum lo camel, v. 53 (cfr. LEVY 1883, p. 44); in Bertran de Born BdT 80.13 D’un sirventes no·m chal far lonhor ganda, v. 18 (cfr. APPEL 1932), p. 33, e GOUIRAN 1985, p. 208); in Guilhem Uc d’Albi BdT 237.1 Quan lo brauz fregz iverns despoilla, v. 22 (cfr. APPEL 1890, p. 157) e in Peire Cardenal BdT 335.61 Tot farai una demanda, v. 8. Tutte queste attestazioni appaiono sicure, confermate come sono dall’unanimità dei testimoni o dal contesto o da entrambe le cose (nel caso della lirica di Bertran de Born tre mss. su nove, DIK, portano come lezione Islanda e un quarto, C, Landa – si veda l’apparato di GOUIRAN 1985 – ma il contesto conferma Irlanda senza ombra di dubbio). Quanto al toponimo Islanda CHAMBERS 1971 ne segnala solo due attestazioni, una in Guiraut de Calanso, BdT 243.7a Fadet joglar, v. 147, e una in questo testo di Daude de Pradas (SCHUTZ 1933, p. 28), ma – riconosce lo studioso americano – «both references are somewhat doubtful». Infatti nel caso del sirventese di Guiraut de Calanso i due mss. riportano le seguenti lezioni (vv. 145-7): ms. D a prim fadet lo laniolet con saup islanda conqerir

ms. R apren fadet de lansolet co saup gen landa conquerir

Il primo editore del testo, KELLER 1908 (che ha trascritto in sinossi il testo dei due mss.) rinuncia a risolvere il dubbio sollevato dal verso 147: apren, Fadet, de Lansolet com saup ? conquerir (p. 151). PIROT 1972, p. 572, mette a testo: Apren, Fadet, de Lansolet com saup Islanda conquerir traducendo «Apprends, Fadet, de Lancelot, comment il sût conquérir l’Islande». In un intervento citato da Pirot (p. 483), LEJEUNE 1959, p. 395, ha avanzato l’ipotesi che Islanda sia in questo caso un errore di scrittura per Irlanda, considerando che nei romanzi arturiani conosciuti Lancillotto affronta diverse avventure in quest’ultima isola. Del resto, casi di confusioni e incertezze tra Irlanda e Islanda si riscontrano anche nella letteratura del ciclo bretone ed arturiano, e forse non solo al livello della tradizione manoscritta, cfr. per questo BRUCE 19742, vol. II, pp. 229 e 252; FLUTRE 1962, sez. II Noms géographiques et ethniques, s.vv. Il(l)ande, Irlande, Iselande e Islande; WEST 1969, s. vv. Irlande, Islande; WEST 1978, s. vv. Irlande e Islande. Ho insistito su questa bibliografia poiché credo che la narrativa bretone e arturiana sia stata uno dei veicoli

XV. Pos Amors vol e comanda

243

principali di diffusione dei toponimi di Irlanda e Islanda tra i trovatori (e tra i loro copisti, benché l’Irlanda – vedi il sirventese di Bertran de Born – fosse certamente nota a molti anche per i tentativi della monarchia inglese, da Enrico II in poi, di assoggettarla al proprio dominio) con tutte le incertezze e le confusioni che questo poteva comportare. SCHUTZ 1933 (nota, p. 101) giustifica così la scelta della lezione Islanda: «nous croyons que le poète aura voulu dire que même dans un pays froid comme l’Islande, ce rayon peut le réchauffer». Nell’intera strofa che contiene il v. 20 non mi pare tuttavia questione tanto di temperature quanto di lontananza: è chiaro che il poeta usa il nome di un paese per lui favolosamente lontano (e quindi in un certo senso quasi irreale) per dare la misura dell’attrazione esercitata su di lui dalla donna. Sarebbe però privo di senso il cercare di determinare in base a considerazioni puramente chilometriche se tale paese era l’Irlanda o l’Islanda: entrambe sono accettabili, poiché non è possibile stabilire le conoscenze geografiche di Daude de Pradas. Su questo problema testuale si veda MELANI 2009. A quanto là discusso posso qui aggiungere l’osservazione, forse non priva di importanza, che Daude poteva conoscere l’Islanda grazie alla sua pratica della falconeria. L’Islanda era infatti la terra da cui venivano importati anche nell’Europa mediterranea gli esemplari più pregiati del girfalco, il falco preferito dall’imperatore Federico II (e sulla loro denominazione di origine si veda TROMBETTI BUDRIESI 20097, Indice dei nomi propri e dei luoghi). Ma su tutto questo si veda oggi MELANI 2013. vv. 22-24: Schutz traduce così questi versi: «celle qui, quand je me sépare d’elle, sait si bien entailler mon coeur dans le sien que (ce qui se passe dans son coeur) je le sens jusque làbas (?)». La sua traduzione deve – a mio parere – fare i conti con una difficoltà linguistica: non sembra accettabile l’equivalenza qui imposta tra si mezeus (di tutti i mss.) e *son mezeus. Si per son sembra attestato solo nell’onorifico sidons, coniato su midons, «expression figée» la cui origine è dibattuta (cfr. CRESCINI 19262, pp. 86-7). In mancanza di altre occorrenze dell’uso di si per son (pron. poss.) non resta che riferire si mezeus a mon cor (v. 23) e partendo da questo cercare di recuperare, nei limiti del possibile, il senso del passo. Si suppone pertanto che il poeta abbia inteso significare la capacità della domna di scolpire (cioè imprimere indelebilmente) nell’intimità del cuore dell’innamorato l’immagine della propria bellezza e delle proprie buone qualità, cosicché laggiù – negli intimi recessi del proprio cuore – l’innamorato prova tutti i suoi amorosi sentimenti. Intendere en si mezeus (alla lettera ‘in se stesso’) come ‘nell’intimo’ non mi sembra che debba comportare soverchie difficoltà semantiche. (Il SW, VII, p. 598, 7, riporta due esempi dalla Chanson de la Croisade albigeoise nei quali il verbo sentir è usato assolutamente, nel senso di ‘éprouver une impression, une douleur’; il FEW, 11, p. 470, 2, riporta: «[sentir] Empfinden (moralisch). Fr. sentir v. a. “recevoir une impression morale (de plaisir ou de déplaisir)”»). Ho potuto rinvenire, nella letteratura trovadorica, un solo esempio del verbo entaillar avente come oggetto il cor, nella canzone di Sordello Tant m’abellis lo terminis novels, vv. 70-76: «Dompna, al prim lans/ q’ieu vi·l gen cors de vos,/ vostras faissos/ m’entaillet per semblans/ al cor, trenchans,/ Amors…», cfr. BONI 1954, p. 62; in nota Boni riporta un’osservazione del De Lollis, precedente editore di Sordello: «il concetto, così espresso com’è in questi versi, con una tal quale artificiosa copia di particolari, non è comune tra i trovatori provenzali». Quella usata da Daude de Pradas e da Sordello è una variante del tema ben noto dell’innamorato che porta l’immagine della donna nel cuore, tema che passa dai provenzali ai siciliani, ai siculo-toscani e ai poeti dello Stil Nuovo (si vedano almeno PAGANI 1968, p. 167; SAVONA 1973, p. 305; CATENAZZI 1977, pp. 179-180; BRUNI 1988, part. pp. 91-5 e 111-4; e si veda soprattutto MANCINI 1988). È però, quella del cuore intagliato, una variazione che non

244

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

sembra essere stata ripresa da altri poeti medievali, provenzali e italiani (se non, forse, da Guittone, che nella ballata a san Francesco, XXXVIII 108, impiega il verbo analogo scolpire: «piaghe soie deggia in cor sculpire», vedi MANCINI 1988, p. 67). Essa però riaffiora, straordinariamente sviluppata, nell’Ariosto, ormai in pieno Cinquecento: «Non avete a temer ch’in forma nuova/ intagliare il mio cor mai più si possa:/ sì l’imagine vostra si ritrova/ sculpita in lui, ch’esser non può rimossa./ Che ‘l cor non ho di cera, è fatto prova;/ che gli diè cento, non ch’una percossa,/ Amor, prima che scaglia ne levasse,/ quando all’imagin vostra lo ritrasse». (Orlando furioso, XLIV, 65, cit. secondo il testo dell’ed. di S. DEBENEDETTI e C. SEGRE, Bologna, 1960). Si tratta di una parte del rifacimento in ottave del Capitolo XIII, vv. 34-49: «Sì ogni vostra maniera si ritrova/ sculpita nel mio cor, ch’indi rimossa/ esser non può per altra forma nova./ Di cera egli non è, che se ne possa/ formar quand’uno quand’altro suggello,/ né cede ad ogni minima percossa./ Amor lo sa, che, all’intagliar di quello/ ne l’idol vostro, no ne levò scaglia/ se non con cento colpi di martello./ D’avorio e marmo e d’altro che si intaglia/ difficilmente, fatto una figura,/ arte non è che tramutar più vaglia;/ e’l mio cor, di materia anco più dura,/ può temer chi l’uccida o chi’l disfaccia;/ ma non può già temer che sia scultura/ d’amor ch’in altra imagine lo faccia». (cit. secondo L. Ariosto, Opere minori, a cura di C. SEGRE, Milano-Napoli, 1954, p. 198). Lucia Lazzerini mi suggerisce anche un’altra interpretazione di tutto il difficile passo, interpretazione che accolgo: «colei che sa […] intarsiare con arte il mio cuore nel suo proprio così che io risiedo là», con proposta di correzione di si mezeus in sieu mezeus. Secondo questa ipotesi il verbo sent sarebbe la 1a persona sing. ind. pres. del verbo sentar = ‘risiedere’. È una ipotesi che presuppone un errore (o comunque una cattiva lettura) probabilmente d’archetipo, ma ha dalla sua il pregio di un significato estremamente limpido, nel quale si risolve la difficoltà proposta dal verbo sent. Essa offre un’immagine (quella del cuore dell’amante intarsiato in quello della dama) senz’altro non comune. v. 22 sap: quella tra sap e saup (mss. Ca1, lezione perfettamente ricevibile nel nostro contesto) rientra nella categoria delle più comuni e poligenetiche oscillazioni formali (vedi un altro esempio in Tant sent al cor un amoros desir, v. 9 e nota). v. 30 retenir: il verbo retener (del quale retenir è un allotropo) è un vocabolo tecnico appartenente alla lingua feudale: indica l’accettazione del servizio vassallatico da parte di un signore. Nella lirica erotica diventa metafora dell’accoglimento del servizio amoroso da parte della domna, cfr. BONI 1954, nota al v. 19 di En encontra·l temps de mai, p. 35, e CROPP. Si veda anche LOEB 1999, per una discussione sul suo originale significato feudale. Secondo Jeanroy cit. da PASERO 1973, p. 360, l’allotropo retenir sarebbe «emprunté a un dialecte septentrional quelconque; on sait qu’il s’est perpétué dans la langue des troubadours»; altra bibliografia nella nota di Pasero). Anche per MANETTI 2008, vd. Glossario, è forma francesizzante. In Daude l’inf. tenir e derivati sono spesso garantiti dalla rima. Vi sono però altri casi (sempre in in rima) incontrovertibili di tener e composti (vedi qui, nell’introduzione, i rimari dei singoli testi).

XVI BdT 124.15 Qui finamen sap consirar

Mss.: C 170v (Daude de pradas); D 58r (Deode pradas); M 168v (Deude de prades); N 128r (Deudes d(e) prades); R 31r (D. de prades); a1 493 (Vaude de paradas). Edizioni: MAHN 1856-1873, vol. 3, p. 217, nni 1040, 1041; SHEPARD 1927, pp. 405-411; SCHUTZ 1933, p. 62; OROZ ARIZCUREN 1972, p. 118 (tanto Schutz che Oroz Arizcuren si rifanno al testo di Shepard, Oroz Arizcuren con qualche differenza di punteggiatura); BILLET 1974, p. 282. Metro: sette coblas unissonans di undici versi ciascuna: 8a, 8a, 8b, 8b, 8a, 8b, 8c, 8c, 8d, 8c, 8d; una tornada di quattro: 8c, 8d, 8c, 8d. Questa poesia è in coblas deffrenadas1 e a dictios derivativas. FRANK 142:1. Rime: -ar, -or, -en, -atz.

a) Il gruppo CDMR e i suoi due sottogruppi Al v. 2 i mss. CD leggono soltanto lo dous pensar

CD

lo dous desir lo dous pensar

MNRa1

mentre il verso completo è:

La lacuna è potenzialmente poligenetica perché causata da un omeoteleuto dous-dous; tuttavia il sottogruppo CD si riconferma in altri casi meno dubbi. Al v. 61 i due testimoni mancano dell’esclamazione Deus, e C inserisce una zeppa per ripristinare il numero corretto di sillabe (D, pur restando ipometro, corregge all’interno del verso): aital clartat e resplandor cal clardtat da resplandor

C D

dieus cal clardat qual resplandor

MNRa1 2

Tutti gli altri leggono:

Al v. 73 l’avverbio lonjament appare una lezione deteriore rispetto ad alegramen dei mss. Na1 non solo (e non tanto) per il suo significato, quanto perché alegramen forma una figura di derivazione con alegretatz del v. 75, intonata con altre scelte stilistiche del testo.

1 «Deffrenada es dicha aquella. cobla. que soen torna una meteyssha dictio. o motas. o diversas. oz una meteyssa oratio. o diversas. quo garda orde. lo comensamen e la fi. et aquesta no garda degun orde. perques apelada deffrenada coma cavals ques defrenatz que va lay on se pot et aytal mot retornat no devon esser continuat. ans deu esser al mens us autres motz en lo mieg» Leys d’Amors, GATIEN-ARNOULT, 1841-1843, vol. 1, p. 292; cfr. anche l’ed. Anglade 1919-1920, p. 149. 2 Dieus qals clar ressplandor M.

246

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Anche i mss. MR, seguendo un andamento pressoché costante della tradizione manoscritta dell’opera poetica di Daude de Pradas, formano un sottogruppo. Al v. 69 quar de tot autre chantador qel novel autre chantado que (e R) sia (siam R) novel chantador que (qel a1) no vol autre chantador

C D MR Na1

a fronte della lezione corretta dei mss. Na1, MR si distinguono per un radicale rifacimento del verso sfigurato già nel più ampio gruppo CDMR (vedi sotto), dall’errore novel < no vol (anche C, che rimaneggia in modo ancor più radicale, è sospettabile di derivare da una copia con lezione analoga a quella che sta alla base di DMR). Il v. 73 è trasmesso correttamente solo da Na1: Qui qest (sest N) chan chant’alegramen

Na1

mentre MR riportano rispettivamente: qi qest chant chantera leialmen quist chan chantara lialmen

M (+ 1) R

Le ragioni contrarie all’ammissibilità di un avverbio diverso da alegramen in questo verso sono state esposte prima a proposito della lezione lonjament di CD: l’antigrafo di MR allungò chant’ in chantara; M è pertanto ipermetro di una sillaba mentre R risolve l’ipermetria contraendo qi qest in quist. CD e MR fanno parte di un raggruppamento più vasto: questo si rivela ai vv. 63, 65 e 69, nonché, incompleto, ai vv. 23 e 59. Al v. 63 abbiamo: so que sen l’us lautre non ten C sentir no sen us (u R) altre (eutre M) cen

DMR

sentir (centir N) no sent uns entre cen

Na1

vs. il corretto

La serie di passaggi entre > eutre > (autre) > altre è potenzialmente poligenetica, ma C leggeva sicuramente autre nel suo modello: non comprendendo tale lezione la rimaneggia radicalmente, pur conservando un vestigio di quanto leggeva, cioè lautre.

Al v. 65 i mss. CDMR leggono

XVI. Qui finamen sap consirar

si puey hi (si R) cossen malamen

247

CDMR

mentre Na 1 riportano: qui pecat sent pueis i consen

Na1

Benché a prezzo di commettere una parziale forzatura, si potrebbe recuperare un senso accettabile alla lezione di CDMR; ma la lezione di Na1 è superiore, non solo per la compatibilità semantica con quanto la circonda, ma anche per il gioco retorico che essa propone: sent – consen – no- sent, gioco perfettamente consono allo stile del componimento, dove domina l’allitterazione3. Il modello di CDMR lesse erroneamente, al v. 69, novel invece di no vol (vedi l’identificazione del sottogruppo MR). L’errore è potenzialmente poligenetico, ma i rifacimenti di C e MR fanno pensare che esso sia stato commesso proprio da un modello dei quattro testimoni. Al v. 23 i mss. CDR leggono Pus invece di Bos: all’origine dell’errore sta forse un capolettera non eseguito nell’antigrafo del modello di CDMR (il modello dei quattro testimoni ha poi infelicemente tentato di reintegrare il capolettera, stravolgendo la lezione del verso). Mentre C rimaneggia radicalmente il verso per adeguarlo alla lezione errata, M ottiene (forse per congettura) il recupero della lezione corretta. Al v. 59 i mss. DM presentano una lezione ipometra si com tu (tuit D) cor pecador (preiador D) (-1)

DM

aissi es cors de peccador e si co fay cor de peccador

C

mentre

R

sembrano tentativi di correzione. La lezione giusta è, anche in questo caso, quella dei mss. Na1 si com tu (tu·l a1) cor (del a1) peccador

Na1

b) Il gruppo Na1 Anche i mss. Na1 formano un gruppo che si contrappone a CDMR. Al v. 29 Na1 leggono veramen invece di veraiamen. N evita molto abilmente l’ipometria aggiungendo un pronome prima del verbo: el es cel…; a1 tuttavia manca di questo pronome come i mss. del gruppo CDMR, che leggono veraiamen, e svela così la seriorità della lezione di N.

3 La lezione CDNR ha un carattere separativo perché i mss. che la leggevano non potevano recuperare per congettura quella che io suppongo corretta.

248

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Più complicata la situazione della varia lectio del v. 43: C D (+ 1) M R Na1

apres lui avetz son conten apres lui e senes totz conten apres lui e ses tot conten apres si senes tot conten apres lui es ses (assens N) conten È probabile che l’originale leggesse *apres lui e senes conten4

Il modello di CDMR ha poi reso ipermetra la lezione con l’aggiunta di totz (all’ipermetria cercano rimedio in vario modo CMR; il modello di Na1 invece ha reso ipometra la lezione riducendo senes a ses. Esso ha inoltre probabilmente inteso la congiunzione e come verbo (es, vedi a1; N ha poi modificato es in un altro verbo, as, che meglio legava questo verso al seguente: «dopo di lui, senza dubbio, hai salito tutti i gradini d’onore…»). Al v. 62 CDMR leggono correttamente ricx es qui la ve e la sen mentre Na1 leggono ricx es qui l’a ni la sen ricx es qui lau e la sen

N a1

La caduta di una e in ve e è possibile per crasi, ma N interpreta un errore commesso dal suo modello, errore che equivale alla lezione di a1. Al v. 68 infine Na1 leggono: …sas deschantar (de chantar N)

Na1

invece del corretto … ses deschantar Due luoghi, al v. 17 e al v. 78, parrebbero contraddire in parte la nostra ricostruzione, ma vencutz sufren di CM è un poligenetico effetto d’eco del prec. vencutz d’amor e la riduzione chantera < chant chantera è da considerarsi anch’essa poligenetica perché dovuta a crasi. In base agli elementi raccolti non pare dimostrabile l’esistenza di un archetipo: si suppone pertanto che la tradizione rimonti direttamente all’originale. 4 La soluzione proposta da PERUGI 1978, p. 523, *apres si e ses si conten convince meno perché si fonda solo su una lezione di N che è scritta nell’interrigo da altra mano, es sins ses, lezione che doveva sostituire quella di copia assens.

XVI. Qui finamen sap consirar

249

O vv. 23, 59, 63, 65, 69 vv. 2, 61, 73 C

D

vv. 69, 73 M

R

vv. 29, 43, 62 N

a1

Grafia a1

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

I Qui finamen sap consirar lo douz dezir, lo douz pensar que finz cors a per fin’Amor finamen, ab fina sabor, en fin’Amor se deu fizar. Amors venz tot’autra dousor: cals Amors? Sil que tot perpren, ses fi e ses comensamen. Dieus es fin’Amors e vertatz, e qui Dieu ama finamen finamen es de Deu amatz.

I mss.CDMNRa1 2 lo douz dezir MNRa1] omesso CD; lo douz pensar CDMNa1] el d. p. R 3 fins cors a CDMNa1] am fis cor R 4 fina CDMNa1] bona R 5 en CMRa1] e DN; fizar CNa1] fiar DMR 7 perpren CDMRa1] por pen N 8 ses fi e CMNRa1] omesso D 9 es CDMNa1] omesso R 10 Dieu CDNa1] dieus MR 11 es de Dieu yssamen amatz C I Chi sa riflettere con animo puro sul dolce desiderio, sul dolce pensiero che un cuore puro ha grazie al puro Amore, con purezza, con gusto puro, si deve affidare al puro Amore. Amore vince ogni altra dolcezza. Quale amore? Quello che tutto abbraccia, senza fine e senza principio. Dio è Amore puro e verità, e chi ama Dio con purezza con purezza è amato da Dio.

12 13 14 15 16 17 18 19 20

II Totz hom que ben pot afinar son cor en Dieu e desamar so que Dieus te a desamor d’Amor sent aissi bon’odor qe nulha res non l’es amar. Amar deu om ben tal seignor qi nostra mort ausis moren: vencutz d’amor venquet sufren finamen amet desamatz.

250

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

21 22

El es qi ben d’Amor enten: Amors part totas amistatz.

II mss. CDMNRa1 12 hom CDMRa1] ço N; ben CDMNR] bem a1 13 desamar DMNa1] en amar C, en lassar R 14 so que deus CMNRa1] ripetuto in D; desamor DMNRa1] bonamor C 16 non l’es CDNRa1] nolles M 17 ben tal DMNRa1] aital C 18 nostra CDMNR] vostra a1 19 venquet DNRa1] vencutz CM 21 El es CDRa1] e cell MN; qi DMNRa1] qil l d’amor CDMNa1] damors R II Chiunque può ben purificare il suo cuore in Dio e togliere amore a ciò che Dio non ama sente d’Amore un così buon profumo che niente è amaro per lui. Si deve bene amare un tale signore che morendo uccise la nostra morte: vinto da Amore vinse soffrendo, con purezza amò non amato. Egli è colui che ben s’intende d’Amore: Amore separa tutti gli [altri] affetti [oppure: amore oltre ogni amicizia].

23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33

III Bos es, e vol sos bes mostrar, sos bes als bos no vol celar: del mal fai bon, del bon meillor; ben fai als bos, neis al pejor fai ben car totz los vol salvar. Qe ben vol prec lo Salvador, car es cel bes veraiamen que mena·ls bos a salvament. El es salutz e salvetatz, bes sobre bes: qui tal guiren aura, per lui sera salvatz.

III mss. CDMNRa1 23 Bos MNa1] Pus CDR; e vol sos MN] vol sos grans C, e vol D, e volc zo R, vos los a1 24 sos CDMNR] so a1; vol CDMNa1] volc R 25 del mal CNRa1] dels mals DM; bon CNRa1] bo e D, bos M; del CDNa1] dels M, de R; bon CDNRa1] bons M 26 ben sai a1; als bos DMNa1] al bo CR 27 fai CDMNR] omesso a1; los CMNRa1] lo D; vol CNa1] volc DMR 28 Qe CDa1] qi MN, cuy R; prec DMNa1] precx C, pretz R 29 es cel MRa1] elh es C, cel es D, el es cel N; veraiamen CDMR] verament Na1 30 que mena·ls bos CDMa1] camenal bos N, quels bos mena R; a CDMNR] al a1; salvamen CDMRa1] salvament N 32 bes sobre (sobrels a1) bes Na1] bel serapres CDM, e si a sers R; tal CDMNa1] segue amador espunto R; guiren CDMRa1] guirent N; lui DMNRa1] cuy C III Egli è buono e vuole mostrare i suoi beni, non vuol celare i suoi beni ai buoni: rende buoni i cattivi, i buoni migliori; fa del bene ai buoni, perfino al più cattivo fa del bene perché tutti li vuole salvare. Chi vuole il bene preghi il Salvatore perché è veramente quel bene che conduce i buoni alla salvezza. Egli è salute e salvezza, bene sopra i beni: chi avrà un tale protettore sarà, grazie a lui, salvo.

XVI. Qui finamen sap consirar

34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44

251

IV Dona, tu non aguist anc par en cel, en terra ni en mar. Verges, maire del Salvador, tos pretz val part tota valor apres cel q’om non pot prezar. Honrada sobre tot’honor, tal reis honratz onradamen, lo reis dels reis, c’aissi granmen per conort a nos totz onratz. Apres lui e senes conten tras totz los gratz d’onor montatz.

IV mss. CDMNRa1 34 tu CDMNa1] vos R; aguist CDMN1] agues R, aqist a1 35 en CDMR] e Na1 36 Salvador CDMNa1] redempto R 38 prezar CDMNa1] preiar R 39 sobre MNRa1] en C, sober D 40 tal MNRa1] tals CD; onratz onradamen DMNRa1] quon elh es veramen C 41 verso omesso C; dels reis CMNRa1] dels rais D 42 a nos CDMNR] avetz a1 43 lui CDMNa1] si R; e senes D] avetz C, e ses M, assens (poi di altra mano, in alto es sins ses) N; senes R, es ses a1; conten Na1] son conten C, totz conten DMR 44 tras CDNR] tres Ma1; los CDMNR] lo a1; montatz CDMNa1] montatatz R IV Domna, tu non hai mai avuto pari né in cielo né in terra né in mare. Vergine, Madre del Salvatore, il tuo pregio vale oltre ogni valore, dopo quello cui l’uomo non può attribuire un prezzo. Onorata sopra ogni onore, onorate onoratamente un tale re, il re dei re, che tanto grandemente per [nostro] conforto ci ha tutti onorati. Dopo di lui, e senza contrasti, voi salite oltre tutti i gradini dell’onore.

45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55

V Al tieu laus non pot laus montar: cal laus si pot al tieu levar, que de totz laus portas la flor? Lo tieus laus fai lauzar lo lor, de cels qu’an cor de te lauzar. Pel tieu laus au Dieus la lausor de cel q’en te lauzar s’empren. Lo tieu laus es sieus eissamen; del tieu laus si ten per lauzatz, e qi te lauzon leialmen ab Dieu es lur cors alogatz.

V mss. CDMNRa1 45 tieu CDMRa1] vostre N; pot CDMRa1] po N 46 cal DNRa1] quals CM; tieu CMRa1] seu DN 48 lo tieus CDMa1] le t. N, veray R; lauzar lo lor CMa1] lausor D, lauçor lo lors N, portar lauzor R 49 de CDMNa1] a R; qu’an CDM] qua N, qun a1; te CDMNR] re a1 50 pel

252

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

CNa1] per DMR; tieu CDMN] ton R, sieu a1; laus CDMNRa1] segue espunto es sieus eyssamen R; au Dieus CDMNa1] fas a Dieu R 51 D premette un verso in più de cel que tei laus laus lausor; q’en CMNRa1] que D; s’empren CDNRa1] se pren M 52 es (el NRa1) sieus eissamen DMNRa1] dona essenhamen C; 53 si CDMNa1] me R; per DMNRa1] segue, barrato, apaguatz C; qi CDMNa1] cug R; lauzon NRa1] lautza CDM 55 a CDMNa1] cap R; lur DNa1] sos CM, lurs R; aloguatz CDMNa1] alegratz R V Alla tua lode non può una lode innalzarsi: quale lode può innalzarsi alla tua, tu che di tutte le lodi porti il fiore? La tua lode fa lodare la loro, [cioè] di quelli che hanno cuore di lodarti. Per la tua lode Dio ascolta la lode di colui che s’impegna a lodarti. La tua lode è ugualmente sua, dalla tua lode si tiene per lodato, e il cuore di quelli che ti lodano sinceramente è posto presso Dio.

56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66

VI Lo soleils clars fai lo jorn clar, mas sa clartatz enlumenar non pot lo jorn per sa clairor si con tu cor de pechador qan ben lo degnias regardar. Dieus, cal clardat, cal resplandor: ricx es qi la ve e la sen! Sentir non sent uns entre cen. Per que? Car consent a pechatz! Qui pechatz sent, pois i consent, non sen Dieu ni ve sas clardatz.

VI mss. CDMNRa1 VI 56 soleils clars CDMNa1] bel solelh R 57 sa CDNR] la Ma1 58 sa CMNRa1] omesso D; clairor MN] clardor C, clar tor D, clarzor R, clamor a1 59 si com tu cors MN1] aissi es cors C; si DMNR] se a1; tu MN] tuit D, fai R, tul a1; de pechador CNR] preiador D, peccador M, del p. a1 60 verso omesso D degnias Ra1] denhatz CM, deias R; regardar DMNRa1] esguardar C 61 Dieus, cal MNRa1] aital C, cal D; qual resplandor MNRa1] e r. C, da r. D 62 la ve e CDMRa1] la ni N, lau e a1 63 Sentir non DMNRa1] so que C; uns DMNa1] lus C, u R; entre Na1] l’autre C, altre D, eutre M, autre R; a CDMNa1] si R 65 si puey hi (si R) consen malamen CDMN; pechatz CDMRa1] pecat N 66 sas CDMNR] sa a1 VI Il sole chiaro rende il giorno chiaro, ma la sua chiarezza non può, col proprio chiarore, illuminare il giorno come tu puoi [illuminare] un cuore di peccatore, quando ti degni di guardarlo. Dio, quale chiarezza, quale luce! Nobile è chi la vede e la sente! Sentire non la sente uno tra cento. Perché? Perché [anche quello] consente ai peccati. Chi gusta i peccati [e] poi vi consente, non sente Dio né vede il suo splendore.

67 68 69

VII Qui novel chan volra chantar chant chan de Dieu ses deschantar, q’el non vol autre chantador.

XVI. Qui finamen sap consirar

70 71 72 73 74 75 76 78

253

Tug autre chant tornon a plor: Dieus don que no·l puesc’enchantar enchanz de mal enchantador qi qest chan chant’alegramen. E qi·l chantet primeiramen totztems chant’el d’alegretatz; don en chantan mon chan prezen a vos, on que sia chantatz.

VII Mss. CDMNRa1 67 Qui DMNRa1] quil C; volra CDMNR] volia a1 68 chan (chans NR) de Dieu MNRa1] de dieu chan C, de dieu D; ses deschantar R] sobre chantar C, sons de chantar D, senes chantar M, sas de chantar (deschantar a1) Na1 69 q’el Da1] quar C, que MN, e R; non vol Na1] de tot C, novel D, sia novel N, siam novel R; autre CDNa1] omesso MR 70 tug DMNRa1] cug C 71 Dieus CDMNa1] de d. R; que no·l CDMN] que nos R, qieu non a1; puesc’ DMa1] presqu C, puscon N, puscam R; enchantar CDMNa1] chantar R 72 enchantz de mal CDMNa1] e chantan nul R 73 qui qest DMa1] qui sest CN, quist R; chant’alegramen Na1] chanta lonjamen CD, chantera leialmen MR 74 qi·l CDMa1] qui NR 75 el DMNRa1] chans C, segue sbarrato dalegratz a1; alegretatz CDMNR] alegratz a1 77 on CDMNR] ont a1 VII Chi vorrà cantare un canto nuovo canti un canto di Dio senza cantare in discanto, perché egli non desidera altro cantore. Tutti gli altri canti volgono in pianto. Dio conceda che colui che canta allegramente questo canto non lo possa incantare incantesimo di perfido incantatore. E chi lo cantò per la prima volta canti sempre con allegria; per cui cantando vi presento il mio canto, perché sia cantato.

79 80 81 82

VIII Qui cest chant chantara soven de Dieu sia bonauratz! Digatz «Amen» tuit ben volen, qe cel vos am cui vos amatz!

VIII mss. CDMNRa1 78 cest CDMNa1] est R; chant CMa1] omesso DNR 79 bonauratz CNa1] benauratz DMR 81 am CMNRa1] om D; cui CDMNa1] que R VIII Chi canterà spesso questo canto sia da Dio benedetto. Dite «Amen!» tutti voi che volete il bene, e possa amarvi Colui che voi amate!

NOTE v. 7 Sil que tot perpren: OROZ ARIZCUREN 1972 nota: «perprendre “llenar, abarcar”. Numquid non caelum et terram ego impleo? (Ier. 23, 24) o Pleni sunt caeli et terra gloria tua (Sanctus de la Misa) explican la idea». Per- è prefisso intensivo: ‘cio che prende tutto, interamente’. vv. 9-11: Cfr. la prima lettera di Giovanni 4, 8 e 4, 16 «Deus caritas est», «et qui manet

254

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

in caritate in Deo manet et Deus in eo»; cfr. inoltre il Vangelo di Giovanni 14, 6 «dicit ei Iesu: ego sum via, veritas et vita», e 15, 26 «Spiritum veritatis qui a Padre procedit». vv. 18-19: OROZ ARIZCUREN 1972 segnala la corrispondenza di questo ossimoro con «qui mortem nostram moriendo destruxit» del Prefazio pasquale e con «Qui in ligno vincebat in ligno quoque vinceretur» (Prefazio della Santa Croce). Si veda anche la nota, ricchissima di riferimenti a testi latini e occitani, prodotta per i vv 15-16 di BdT 335.15 («Crist mori en la cros per nos / e destruis nostra mort moren») da VATTERONI 2013, vol. 1, pp. 306-307. v. 21 ben d’Amor enten: per entendre de, vd. TL s.v. entendre, «sich verstehen auf etw. (d’a. r.) chel ewangile … que chil trueve lisant qui des letres entent Alex. H 207»; DCVB: s.v. entendre, «b) intr., amb el complement introduït per la preposició en (i devegades de o a). […] Tenir coneixença clara d’una cosa. No entendre de res: esser molt ignorant». Vedi anche lo stesso italiano intendersi di (qualcosa). v. 22: Con Shepard e Schutz intendo part come terza persona del verbo partir, ‘separare’. Invece, OROZ ARIZCUREN 1972 intende (credo meno bene) part nel senso di ‘oltre, sopra’: «amor sobre toda amistad». Preferisco l’interpretazione dei due studiosi americani perché forse in questo verso si possono ravvisare i riflessi di alcuni passi evangelici, ad es. Luca 12, 51-53 «Putatis quia pacem veni dare in terram? Non, dico vobis, sed separationem; erunt enim ex hoc quinque in domo una divisi, tres in duos et duo in tres dividentur: patrem in filium, et filius in patrem suum, mater in filiam, et filia in matrem, socrus in nurum suam et nurus in socrum suam», e anche Luca 14, 26 «Si quis venit ad me, et non odit patrem suum, et matrem, et uxorem, et filios, et fratres et sorores, adhuc autem et animam suam, non potest esse meus discipulus». v. 25: Si notino le corrispondenze con i vv. 14-15 di Ar ab lo coinde pascor di Guilhem de Montanhagol (BdT 225.2) «anz es vertutz que·ls malvatz/ fai bons, e·ll bo·n son meillor» (cfr. RICKETTS 1964). v. 28 Que: in questo caso è nominativo, soggetto. vv. 32-33: la lezione del gruppo CDM be·l ser’apres ecc. «chi avrà un tal garante bene sarà per lui…» dà un senso accettabile quanto quello della lezione concorrente messa a testo. v. 35: OROZ ARIZCUREN 1972 segnala corrispondenze con «Aquel Senner que fetz cel e terra [e] mar» del romanzo di Daurel e Beton, CIII, 1 e con «qi formet cel e terr’e mar prionda» di Arondeta, de ton chantar m’azir di Guilhem de Berguedan (BdT 210.2a v., 25, RIQUER 1971, n° 25, p. 214). Si può aggiungere almeno questo esempio oitanico del sintagma, da Gautier de Coinci: «Asseür est en air, en terre, en mer», KOENIG 1955-1970, vol. I 1955, t. I, ch. 4, v. 32, p. 30). vv. 37-38 e 43-44: Cfr. Analecta Himnica (A.H.) 20, p. 164, dove la Vergine è chiamata flos et fons honorum, e soprattutto A.H. 48, p. 32 (testo del secolo XI) «Te beatorum chorus angelorum, te prophetarum et apostolorum ordo praelatam sibi cernit unam post deitatem». v. 47 portas la flor: portar la flor, SW III, 509, 7 ‘den Preis davontragen’: l’espressione è usata già da Guglielmo IX in Ben vuelh que sapchon li pluzor (BdT 183.2, cfr. PASERO 1973, p. 165, v. 4). Forse nel nostro caso si tratta di un riferimento al topos tradizionale di Maria fiore di virtù. v. 48: OROZ ARIZCUREN 1972 segnala le analogie coi passi di altri due testi da lui antologizzati, Si quon la fuelh’el ramel di Folchetto di Lunel (BdT 154.6) vv. 16-18 «que rey et emperador/ penrian en lauzar honor/ son cors de totz mals piusselh», e Guiraut Riquier, Yeu cujava soven d’amor chantar (BdT 248.88) vv. 28-29 «Doncx ma lauzor de que lo pot honrar?/ Yeu prenc l’onor, quar no·n puosc dir mas ver» (cfr. MÖLK 1962, p. 118).

XVI. Qui finamen sap consirar

255

v. 55 alogatz: come osserva VATTERONI 2013 vol. 1, p. 502, il verbo è raro: «il lemma manca a SW, mentre LR registra alogar ‘loger, etablir, placer’ (IV 90 n. 12) e alogar ‘louer, prendre a gages, allouer, assigner’ (IV 93 n. 10)». Osserva ancora Vatteroni: «Il verso di T2 [“c’ab Dieu foran alluguatz”] ricorda DPrad XIII (BdT 124.15), v. 55 ab Dieu es lor cors aloguatz (alegratz R)». v. 65: Shepard e Schutz interpungono, e quindi intendono, diversamente: Sentir? Non! Sent ecc… «Sentir? Non, un sur cent sent cela». Anche Oroz Arizcuren adotta una diversa punteggiatura: Sentir? Non sent uns entre cen «¿Sentir? No siente uns entre cien». vv. 67-77: Cfr. l’analogo gioco retorico e gli analoghi significati in Gautier de Coinci, KOENIG 1955-1970, I, p. 24, Ch. 3: Amors qui seit bien enchanter as pluisors fait tel chant chanter Dont les ames deschantent. Je ne veil mais chanter tel chant mais per celi novel chant chant de cui li angle chantent. Chantez de li tuit chanteür si enchanterez l’enchanteür qui soven nos enchante. Se de la mere Dieu chantez, Tous enchantanz iert enchantez. Buer fu nez qui en chante. v. 67 Novel chan: come osserva OROZ ARIZCUREN 1972, è un’allusione alla formula frequente dei Salmi «Cantate Domino canticum novum» (32, 3; 39, 4; 95, 1 ecc…) e a «Cantabant canticum novum dicentes» (Apoc. 5, 9). v. 68 ses deschantar: Shepard traduce «sans se moquer», che è d’altronde la traduzione suggerita da SW, II, p. 118 ‘verspotten’. In nota Schutz esprime i suoi dubbi su questa traduzione, che gli pare inadeguata al contesto, e suggerisce deschantar ‘chanter faux’ che comprova con BOUCOIRAN 1898, s. v. (questo significato manca però in TdF). OROZ ARIZCUREN 1972 traduce «sin cesar de cantar» riportando in nota il dubbio di Schutz e dicendo «Ses descantar equivaldrá más bien a “cantar sin cesar” viniendo a ser sinonimo de totz temps chant del v. 75». Ritengo che il significato da dare in questo caso all’espressione sia quello tecnico della teoria e della prassi musicale ecclesiastiche dell’epoca di Daude: ‘cantare in discanto’, vale a dire quel modo di cantare a due voci su linee melodiche differenti, delle quali quella superiore (aggiunta per rendere più attraente e “piena” la musica) diventa principale rispetto alla sottostante, cioè una tradizionale melodia gregoriana. Questo procedimento fu una novità del secolo XI che si sviluppò in risultati piuttosto complessi tra la fine del secolo XII e gli inizi del XIII (vedi la nota 24 dell’Introduzione 1.6., Coordinate e ipotesi biografiche) e qui Daude sembra disapprovarla in nome di uno scrupolo religioso simile a quello che spinse secoli dopo Erasmo da Rotterdam a condannare l’allora imperante musica polifonica. I fedeli – diceva il grande umanista – ormai si recavano in chiesa solo per il diletto dell’orecchio e non badavano più a intendere il testo sacro. Deschantar dunque sarebbe una metafora che Daude usa qui per deplorare quanti si lasciano sedurre dagli aspetti più gradevoli dell’esistenza (la melodia alta, che per la

256

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

sua piacevolezza attira l’attenzione dell’ascoltatore) e trascurano il messaggio cristiano (la melodia gregoriana, che rimane come semplice sottofondo). Ma la metafora potrebbe essere ancora più sottile: come già all’inizio del secolo XI spiegava nel suo trattato Micrologus, spesso la seconda voce posta al di sopra della melodia gregoriana evolve con quest’ultima in movimento contrario: quando una delle due voci sale, l’altra scende. Descantar quindi può significare anche fare l’esatto contrario di quanto la Legge divina (simboleggiata dal canto gregoriano) prescrive. v. 82: qe cel vos am cui vos amatz!: si noti una certa qual somiglianza con una formula che si ritrova in una preghiera catara: et amar so que tu amas per il cui testo si veda NELLI 1977, pp. 38-39, che annota «Cette belle formule a été très populaire dans les milieux cathares, et même chez certains poètes ortodoxes».

XVII BdT 124.16 Si per amar ni per servir

Mss: C 169r (Daude de pradas); α (terza e quinta strofa: RICHTER, pp. 236-7). Edizioni: MAHN 1856-1873, I, p. 193; APPEL 1890, p. 91; SCHUTZ 1933, p. 31; BILLET 1974, p. 305. Metro: cinque coblas unissonans di otto versi ciascuna: 8a, 8a, 8b, 8b, 8’c, 8’c, 8d, 8d; una tornada di quattro versi: 8’c, 8’c, 8d, 8d. FRANK 168:6. Secondo le conclusioni di Gröber, confermate da AVALLE 1993, le citazioni del Breviari d’Amor (qui α), il florilegio compilato dal francescano Matfre Ermengau di Béziers all’inizio del XIV secolo, appare dipendente – come del resto C, l’unico testimone completo di questa lirica – dalla costellazione y (un insieme di manoscritti depositati presso un’officina scrittoria localizzabile tra Béziers e Narbona). O meglio: secondo RICHTER 1976, esso discenderebbe da una tradizione parallela di y, già contaminata (discendente a sua volta da un’editio variorum). Questo può spiegare sia il perfetto accordo tra i due testimoni nella lezione della strofa III (per una vicinanza stretta tra le loro fonti) sia le due varianti (equipollenti) della strofa V (ricorso, da parte di uno dei due testimoni, a una tradizione aperta a contributi esterni).

1 2 3 4 5 6 7 8

I Si per amar ni per servir ni per honrar ni per grazir trobes hom ab dona merce ieu la degra trobar, so cre; mas res no·n es (qui·s vol so digua): ja non aura coral amigua nulhs hom per re que puesca far s’ilh non a cor de luy amar.

I Se con l’amare, il servire, l’onorare e il rendere lode potesse un uomo trovare mercé presso una domna io dovrei, credo bene, trovarla; ma non è così, dica pure chi dire vuole: mai nessun uomo potrà avere un’innamorata sincera, qualunque cosa egli possa fare, se quella non ha volontà di amarlo.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Anc per anar ni per venir, ni per estar ni per fugir, de midons non puesc aver be mas un pauc que·s n’anet dese e no·m fetz mai la dentarigua; e jois qui tost si desrazigua fai piegz, quant hom lo·n ve anar, no fetz de be al comensar.

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

II Né con l’andare né col venire, né col rimanere né col fuggire ho potuto avere bene dalla mia domna, salvo un poco che subito svanì e non mi logorò per nulla i denti [cioè: l’amore non fu mai tanto da farsi “mangiare”, godere a sazietà]; e una gioia che presto si sradica fa più male, quando la si vede andare via, di quanto al principio non fece bene.

17 18 19 20 21 22 23 24

III Ai, quan badalh e quan sospir, quan pessamen e quan cossir ai per Amor sufert ancse, e neguna res pro no·m te ab lieys que se e me destrigua: hueymais ressemblara enigua si no·s vol tant humiliar que denhe mos precx escutar.

III Ohimè, quanto sospirare, quanto rimuginare e quanta preoccupazione ho sempre sopportato per amore, e nulla mi giova con colei che fa danno a se stessa e a me: a questo punto ella apparirà ingiusta se non vuole umiliarsi tanto da degnarsi di ascoltare le mie preghiere.

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IV Per forsa m’ave a suffrir lo cochos mal e·l lonc dezir que·m don’Amors no sai per que; e pus no·l cal coissi que·m me dirai li segon Ley Antigua qu’«en plor a tornada ma gigua», quar d’aisso·m fai aras plorar de que[·s] suelh rire e joguar.

IV Per forza mi tocca soffrire il cocente dolore e il lungo desiderio che Amore mi infligge non so perché; e dal momento che non gli importa che ella mi tratti così gli dirò, come nell’Antico Testamento, che «in pianto ha volto la mia giga», poiché ora mi fa piangere di ciò di cui si è soliti ridere e scherzare.

33 34 35 36 37 38 39 40

V Anc no cugei que per maldir de lauzengiers (cuy Dieus azir!) s’enuies ma dona de me; no·n dirai als, ma per ma fe no·y ha lengua vaira ni pigua d’aquesta gent falsa mendigua qu’ieu no volgues enans trencar que·l vas en que Dieus jac baizar.

V 35 s’enuies] si lonhes α 40 en…jac] on Dieus fo mes α

XVII. Si per amar ni per servir

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V Non avrei mai creduto che per la maldicenza dei cattivi consiglieri (che Dio li maledica!) la mia domna mi prendesse in uggia. Altro non dirò ma, in fede mia, non c’è lingua insincera [lett. «cangiante» o «bianca e nera»] di questa gente perfida che io non preferirei tagliare più che baciare il sepolcro nel quale Dio giacque.

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VI Fals lauzengiers, Dieus vos maldigua! Per mal de vos farai la figua als gilos, que faitz estraguar ez a tort las domnas blasmar.

VI Consiglieri falsi e malvagi, che Dio vi maledica! Per vostro dispetto io faro la fica ai gelosi, che fate agire in modo sconsiderato e parlar male a torto delle domnas.

NOTE v. 2 grazir: Schutz intende nel senso di ‘rendersi gradito’ (‘se rendre agréable’), però il verbo ha anche il significato di ‘elogiare’, che ben si comprende nella serie dei servizi che l’innamorato offre alla sua domna (cfr. SW, IV, p. 181, n°6 ‘preisen’, PD, s.v., ‘louer’). v. 11 puesc: probabilmente praesens historicus. be: come dese (v. 12), te (v. 20) e me (v. 28) si tratta di una parola con -n mobile, che qui viene fatta rimare con altre in cui la vocale non è nasalizzata. È un procedimento comune nelle rime del nostro poeta. v. 12 dese: vedi nota v. 11, be. Su questa parola, il suo valore e la sua genesi si veda la nota di COLON 1978. v. 20 pro no·m te: tener pro ‘aiutare, giovare’, cfr. LR, IV, p. 649 s.v. pro, pron; SW, IV, p. 565, n° 7; PD, s.v. pro. te: vedi nota v. 11, be. v. 21 se e me destrigua: SW, II, p. 180, n° 5, propone qui, dubbiosamente, il significato di ‘se faire tort’ proprio riferendosi a questo passo. Credo però che sia più opportuno il significato di ‘danneggiarsi’: il modo in cui la domna danneggia se stessa (procurandosi fama di persona ingiusta) è spiegato nei tre versi seguenti. v. 28 me: terza pers. sing. del verbo menar (il soggetto è la dama); per menar ‘trattare’ cfr. SW, V, p. 189, n° 3, e PD, s. v. Riguardo alla -n mobile vedi nota v. 11, be. v. 29 segon Ley Antigua: In questo caso ‘secondo l’Antico Testamento’ (vedi nota successiva). Poco avveduta la nota di SCHUTZ 1933 «Pourquoi segon ley antiga? Y a-t-il une allusion à une vieille histoire? Nous n’avons pas pu la retrouver, mais il semble bien s’agir d’une expression populaire courante». v. 30 «en plor a tornada ma gigua»: ‘giga’ è anche il nome di un’antica danza, di tempo allegro e vivace, ma che non sembra essere stata conosciuta all’epoca del nostro autore. In antico francese, in provenzale e in italiano antico la parola indicava solo uno strumento della famiglia degli strumenti ad arco. Secondo Monterosso non è possibile ipotizzare, per gli strumenti medievali, un modello fondamentale, vuoi per l’imprecisione terminologica dell’epoca al riguardo, vuoi per le modifiche spesso sostanziali che gli strumenti subivano in epoche e

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aree culturali diverse (cfr. voce giga dell’Enciclopedia Dantesca, III, p. 160). Sulla giga, che secondo Pierre Bec nei testi occitani compare relativamente tardi e per la prima volta proprio nel testo del Nostro, si veda BEC 1992, pp. 239-250. Grosso modo si può dire che la giga doveva avere una foggia piriforme, tondeggiante dalla parte della cassa e che si assottigliava verso il manico. L’intera espressione «en plor […] gigua» è l’attualizzazione di un versetto dell’Antico Testamento (vedi nota precedente), Job, XXX,31: «Versa est in luctum cithara mea», ripreso anche da un quasi contemporaneo di Daude de Pradas, il poeta mediolatino Gautier de Chatillon, le cui opere sono comprese nei Carmina Burana: «Versa est in luctum cithara Waltherii», 123, 1. v. 32 que[·s] suelh: ipotizzo un soggetto impersonale per il verbo suelh, che possa giustificare l’uso del presente indicativo (altrimenti dovremmo ammettere la seguente traduzione: «perché ora mi fa piangere di ciò di cui sono solito ridere e scherzare»). Con questa minima integrazione otteniamo un senso forse più perspicuo: «perché ora mi fa piangere di ciò di cui si è soliti ridere e scherzare». v. 34 e 41 lauzengiers: vedi nota a BdT 124.8 v. 23. v. 35: la lezione di α si lonhes «si allontanasse» è da considerarsi perfettamente equiprobabile a quella del ms. C messa a testo. v. 37 vaira ni pigua: gli aggettivi indicano due tipi di colorazione caratterizzati dalla mutevolezza del colore: quella cangiante (vaira) e quella bianca e nera (pigua). Con procedimento quasi sinestetico vengono accostati qui alla parola lengua, che accanto al suo significato proprio sostiene anche quello metaforico di ‘voce’, ‘discorso’. I due aggettivi indicano naturalmente la doppiezza e l’inaffidabilità dei discorsi dei malparlieri. La dittologia (senza la congiunzione ni) è usata per la prima volta in Marcabru, BdT 293.18b, Amors es tan vaira-pigua qu’ab semblant de ver noyrigua totz selhs que cuelh en sa higua. v. 38 mendigua: oltre al significato originale di ‘mendico’, ‘bisognoso’ la parola mendic ha anche quello di ‘perfido’, ‘ingannatore’ (registrato non solo in tutti i lessici di antico provenzale, ma anche – vedi voce mendicus – in LTL, vol. III, p. 218, con un esempio addirittura dall’Andria di Terenzio). v. 40: la lezione di α on Dieus fo mes «dove Dio fu posto» è, rispetto a quella del ms. C messa a testo, equiprobabile. v. 42 farai la figua: la ‘fica’ è il «Gesto osceno del porre il pollice tra l’indice e il medio, chiudendo la mano a pugno» (F. SALSANO, voce fica dell’Enciclopedia Dantesca). Tale gesto – connesso col nome popolare dell’organo genitale femminile – era noto addirittura ai greci, cfr. LEITE DE VASCONCELOS 1925, passim e part. pp. 13-14, 91-93. v. 44 ez: scioglimento della nota tironiana secondo la norma interna di C (ez davanti ad altra parola che inizia per vocale) individuata da MONFRIN 1955, p. 297.

XVIII BdT 124.17 Tant sent al cor un amoros desir Mss.: A 123v (daurde depradas); C 166v (Daude de pradas); D 57r (Deode pradas); Dc solo il primo verso e la tornada 256r (Deudes d(e) pradas); E la prima cobla e parte della seconda perdute per l’ablazione di una miniatura 132; H 9r; I 112v (Deude de pradas); K 97v (Deude de prades); M 172r (Deude de prades); N 133r; P 6v (Giraut de Bornelh); R 22v (D p(ra)das); Si; al 489 (Vaude de paradas). Edizioni: MAHN 1856-1873, p. 223, nni 1051 e 1052; KOLSEN 1925, p. 15 (senza traduzione); SCHUTZ 1933, p. 35; BILLET 1974, p. 307. Metro: cinque coblas unissonans: 10a, 10b, 10b, 10a, 10’c, 10’c, 10d, 10d; una tornada di quattro versi (10’c, 10’c, 10d, 10d). FRANK 577:99. Rime: -ir; -is; -eja; -ans.

a) Il raggruppamento ADHNSi I mss. A e D sono congiunti dalla mancanza del v. 31, al cui posto essi avanzano il v. 32, a sua volta rimpiazzato da un verso ricostruito (si cum dompnas recebont fins amans A / si com donnas prenden recep son fin amans D). A e D si riuniscono ancora al v. 38 in una lezione quantomeno caratteristica (so qem A / so com D). A un più alto livello della tradizione il ms. H è congiunto ad AD nella perdita del v. 31. Ad un piano ancora più alto si situa l’errore per amor (v. 18) dei mss. DNSi (i mss. AH hanno corretto per congettura o per contaminazione).

b) Il gruppo CPal I mss. Cal sono congiunti da un errore al v. 16 (mancanza delle parole cals es, con conseguente ipometria del verso). Il ms. P condivide con loro la lezione avenir al v. 4, in sé non manifestamente erronea ma di certo facilior rispetto a car tenir del resto dei codici (vedi anche cai venir di H); con gli stessi mss. condivide inoltre due varianti sostanzialmente adiafore ai vv 11 (quieu) e 41 (qar). L’ipotesi di un legame tra P e Cal è pertanto suggerita più dalla serialità delle coincidenze testuali che dal sicuro valore congiuntivo delle stesse.

c) I codici IK Nei codici (gemelli) IK si può raccogliere una buona serie di errori certi (vv. 6, 30 e 35) e una lezione che è da intendere almeno come variante deteriore (v. 8).

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

d) L’archetipo L’esistenza di un archetipo dal quale è discesa tutta la tradizione manoscritta conosciuta è dimostrata dalla mancanza del v. 14. Il frammento que la ho vol, leggibile soltanto in E, ha più l’aria di essere un tentativo abortito di restauro – non necessariamente del copista di E – che la riproduzione di quanto ancora leggibile nell’archetipo stesso. Sono propenso a far risalire all’archetipo anche la lezione cant (v. 6), felicemente letta come qaz nei mss. ACRal e, meno bene, qen nel ms. P. Forse poligenetico l’accordo in errore di C con P al v. 7 (caduta di mon per aplografia; tuttavia esso potrebbe essere anche l’errore del modello del gruppo CPal, e al potrebbe averlo corretto per congettura o per contaminazione).

e) La citazione di Dc Non è classificabile la citazione dei quattro versi della tornada in Dc.

f) Un gruppo EMR? Nessun elemento autorizza qui a raggruppare i mss. EMR, tuttavia le caratteristiche della tradizione fanno pensare che tale raggruppamento sia possibile, anche se non dimostrabile. A causa dell’incertezza ai piani medi e bassi della tradizione (nonostante la certezza dell’archetipo), rinuncio a proporre uno stemma chiuso. W (v. 14, (6?, 7?) (v. 18)- AH

v. 31

(vv. 4, 11, 41) (?)

(vv. 31, 32, v. 38) A

D

(caratteristiche della trad. ms.) (?)

v. 16 H

N

Si

1 2 3 4 5 6 7 8

I Tant sent al cor un amoros desir, qe i ant miei huoill novellamen assis, q’ieu non vuoil jes esser en Paradis per so que mais non pogues car tenir lai on Beutatz e Jovens seignoreja e tot aco q’az Amor plazer deja; q’el mon non es nuills hom tant malanans lai non tornes joios e benestans.

C

a1

P

IK

E

M

Grafia di A

R

XVIII. Tant sent al cor un amoros desir

263

I mss. ACDEHIKMNPRSia1 1 Ta[…] E; un amoros ACDHKMNPRSia1] mamoros I 2 […] mei h[…] E; qe i ACPRa1 (quey CR)] qui DHNSi (qi H), que (qe M) IKM; an miei huoill ACDHIKMNPSia1] ai mos uelhs R 3 […]vueil[…] E; q’ieu ACDHIKMNPSia1] que R; jes ACDHIKMNPRSi] igos a1; Paradis ACHIKMNPRSia1] para D 4 […]mais[…] E; so que CDHIKMNPRSia1] que ia A; non ACDHIMPRSia1] nom KN; car tenir D] car (scritto nell’interrigo superiore in K) tener AIKMNRSi, avenir CPa1, cai venir H 5 […]tatz e i[…] E; Beutatz ACDHIKPRa1] beutat MNSi; Jovens ACDHIKPRSia1] ioven M, valor N; seignoreja ACDHIKMNPRa1] seinoria Si 6 [… ]plazer[…] E; tot (totz H) aco ACDHNPRSia1] tot as IK, tot M; q’az ACRa1] cant DHIKMNSi, qen P; Amor ACDHIKPa1] amors MRSi, amoros N 7 […]tan m[…] E; q’el ADHIKMNPRSia1] que C; mon non ADHIKMNRSia1] non CP; nuills ADHMNPSi] manca C, nuill IKRa1; hom ACIKMNRSi] hons DHPa1; malanans ACDHKMNRSia1] manans I, malnatz P 8 […]benesta[…] E; joios ACDHMNPRSia1] cortes IK; benestans ACDEHIKMNPRSi] benistanz a1 I Tanto sento nel cuore – dove da poco i miei occhi l’hanno posto – un desiderio amoroso, che non vorrei affatto essere in Paradiso alla condizione di non rivolgere le mie attenzioni là dove signoreggiano Bellezza e Gioventù e tutto ciò che può dar piacere ad Amore; perché al mondo non c’è nessuno tanto infelice che là non torni ad essere felice e soddisfatto.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Be·m saup Amors honrar et enriquir, car anc deignet voler qu’eu m’enardis tant que penses que ma dompna·m sofris qu’eu l’esgardes dreitz huoills al departir. Ben sai que ja non aurai mas l’enveja [………………………………] e me conssen sos amoros semblans, be·il cuich mostrar cals es totz mos talans.

II mss ACDEHIKMNPRSia1 9 ben s[…] E; Be·m ACIKMRSia1] ben DEHNP; saup AIKNSia1] sap CDHMPR; Amors ACDHIKPa1] amor MNRSi 10 […]anc denhet voler[…] E 11 tant ACDHIKMNPRSia1] manca per taglio di miniatura in E; que ADEHIKMR] quieu CPa1, quem NSi; domna·m AIKMPSia1] dona CDEHR, domnan N; sufris ACDHIKMNPRSia1] suf[…] E 12 qu’eu ACDHIKMNRSia1] manca per taglio di miniatura in E; l’esgardes ACDEHIKMNRSi] les lesgardes P, manca a1; dreitz ADEHIKMNPRSi] dels C, dels d. a1; huoills ACDEIKMNSi] illz H, oil P, uelh R 13 que ja ACDEHIKMNPSia1] quieu R; aurai ACDEHIKMPRa1] laura N, laurai Si; mas ACDEHIKMNPSia1] mas cant R 14 que la ho vol E 15 e me ADHIKNRSi] quar mo C, e mo Ea1, e sem M, mais sim P; semblans ACDEHIKMNRSia1] senbans P 16 be·il ACDEHIKMPRSia1] ben N; cals es ADEHIKMNPRSi] manca Ca1; totz ACEHIKMNPRSia1] tors D II Ben mi ha saputo onorare e arricchire Amore, poiché una volta si è degnato volere che io prendessi ardimento

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

al punto di pensare che la mia domna tollerasse che io la guardassi dritto negli occhi al momento della separazione. Ben so che già non ne avrò che l’invidia [oppure: la voglia]…e mi conceda le sua espressioni amorose, ben credo mostrarle qual’è tutto il mio desiderio.

17 18 19 20 21 22 23 24

III Be·is fai a dir, so·m cuich, car afortir no·is deu hom ges, pus Amors l’a conquis; car plus vencutz es cel qui s’afortis que cel que sap humilmen obezir. Doncs ben es fols qui ab Amor gerreja, car saber pot – si Merces no·l plaideja a sofrir l’er sos mals e sos afans tant quan volra cill de cui es lo dans.

III mss. ACDEHIKMNPRSia1 17 Be·is ADHPSia1] bem CE, ben IKMNR; fai ACDEHIKMNPSia1] say R; so·m cuich ACDEHNSia1] so c. IKMR, chochuch P 18 no·is deu hom ACDEHIKMNRSia1] no den P; pus Amors (amor M) CEHIKMPRa1] de ioi qan A, per amor DNSi; conquis ADEHIKMNRSia1] conques corretto in conquis con un punto d’espunzione sotto la e e una i sovrascritta C, coqis P 19 plus ACDEHMNPSia1] pois I, puois K, pus R; qui AHMNSi] que CDEIKPRa1; afortis ACDEHIKMNPRSi] asortiz a1 20 que ACDEHIKNRa1] qui MPSi 22 si merces no·l ACDEHIKMNSia1] se merce non P, que samor non R 23 a ACDEHIKMNPRSi] ca a1; l’er ACEIKMNPRSia1] les DH; sos ACDEHIKMNRSia1] sols P 24 tant ACDEHKMNPRSia1] tant e I, omesso a1; quan CDEIKMNPRSia1] cum AH; volra ACDEIKNPSia1] volria corretto in volra H, valra M, laura R; lo dans CDEHIKNPRSi] comans A, lafans M, le danz a1 III È giusto dire, io credo, che nessuno deve fare resistenza dopo che Amore l’ha conquistato; perché è più vinto colui che resiste di colui che sa umilmente obbedire. Pertanto è davvero folle chi si oppone ad Amore, perché deve sapere che – se Mercé non l’aiuta – egli dovrà soffrire i suoi mali e i suoi affanni tanto quanto vorrà colui dal quale proviene il danno..

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IV Ja, si·m volgues midonz del tot aucir, non cuich tant gen m’onres ni m’acuillis, ni sos bels oils amoros ples de ris no m’aneron tant doussament ferir mon cor qe·is ten a lieis totz e s’autreja e parla ab lieis e solassa e dompneja tot autressi com s’ieu l’era denans e m’agues pres per amic en baisans.

IV mss. ACDEHIKMNPRSia1 25 Ja, si·m ADEHIKMNPRSia1] saissim C; aucir ACDMNSia1] ausir EH, auzir IKP, aussir R 26 non CDEHIKMNPRSia1] nom A 27 sos (sol a1) bels oils DEHMNSia1] siei beill huoill AP, bel(h)s uel(h)s CR, sos beil oil IK; ples CDEHMNPSia1] plen AIKR 28 no m’

XVIII. Tant sent al cor un amoros desir

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AEIKMPSia1] non CDHNR; aneron ACDEHIKMNPa1] vengron say R, aneren Si 29 ten ADHIKMR] ren CENPSia1; a lieis totz (torz D) e DEHIKMNPSia1] t. a l. e AR, a l. et. C 30 e parla ACDEHMNRSia1] p. IK, o p. P; e solassa e ACDEHMPRa1] e solazar IK, en pensan e N, e solatz e Si 31 omesso ADH; autressi ACDEHIKMNPRSia1] enaisi R; s’ieu l’era ACDEHIKNPRSia1] sillera M; denans ACDEHIKMNPSia1] denan R 32 AD aggiungono un verso si cum dompnas recebont fins amans A, si com donnas prenden recep son fin amans D; per ACDEHIKNPRSia1] p M; baisans ACDEHIKMNPSia1] baizan R IV Eppure, se la mia domna avesse voluto davvero annientarmi, non credo che tanto nobilmente mi avrebbe onorato ed accolto, né i suoi begli occhi amorosi pieni di sorriso sarebbero andati a colpire tanto dolcemente il mio cuore che dipende tutto da lei e tutto si concede a lei e con lei parla e sta in intimità e la corteggia proprio come se io le fossi dinnanzi ed ella mi avesse accettato per amante baciandomi.

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V Dompna, vostr’om sui per far e per dir: tot cant volretz per ma fe vos plevis; e si·m prendetz per tal cum ie·us m’ofris, ja Dieus no·m don poder c’aillor m’en vir! A, doussa res cui ador’e sopleja Pretz e Valors e tot quant es merceja, voillatz, si·us platz, que·us retraja mos chans cum ieu vos sui e serai fis amans.

V mss. ACDEHIKMNPRSia1 33 om ACDEHIKMNSi] oms PRa1; per far ACDEHIKPRSia1] far nell’interlinea M, eper far N; e per ACDEHIKNPRSia1] e p M 34 per ACDEHIKNPRSia1] p M; plevis ACDEHIKMNPSia1] plevisc R 35 tal ACDEHMNPRSia1] aital IK; ie·us ADEHIK] ieu CMNPRa1 36 m’en ADHNSi] me CEIKMPRa1 38 quant es CEIKMNPSiRa1] so qem (qom D) AD, qan H 39 que·us (qeus HSia1) ADNHSia1] quieus CKM, quius I, quieu (qeu P) EPR; retraja DEHIKMNPRSi] retraia e A, retraie Ca1 40 e ACDHIKNPSia1] eus EMR V Domna, io sono vostro vassallo in atti e in parole. Tutto quanto vorrete io, in fede mia, ve lo prometto; e se mi prendete così come io mi offro a voi, che Dio non mi dia la possibilità di indirizzarmi altrove. Ah, dolce creatura alla quale si volgono in atto di adorazione Pregio e Valore e a cui rende grazie tutto ciò che esiste, vogliate – se vi piace – che il mio canto vi dica come io vi sono e sarò fedele amante.

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VI A mon Amic, que fai miells tot qant deja de nuill baron qez hom auja ni veja, t’en vai, chanssos, e sias li membran que maintas vetz val mais us jorns c’us ans.

VI Mss. ACDDcEHIKMNPRSia1 41 que ADEHIKMNRSi] quar CPa1, qui DcM 42 nuill ACEHMPR] nuills DIKNSia1, mil Dc; baro ACDDcEHIKMNPRSi] baros a1; qez hom ADDcMNPSia1] qez ieu C, com E,

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

qez homs HIKR; auja] ACDDcEHMRa1] auias IKNSi, aia P; ni ACDDcEHIKMNRSia1] i P 43 chanssos ADDcHIKNPSia1] chanso CER, chanson M; sias ACD DcEHNPRSi] siatz IKa1, sies M 44 maintas ACDDcEHIKMPRSia1] mainta N; val ACDDcEHIKMNRSia1] vals P; us jorns ACDcEHMRa1] un jorn DIKNPSi VI Al mio Amico, che fa meglio di qualunque signore di cui si possa udire o vedere tutto quanto debba [fare], vattene, o canzone, e ricordagli che molte volte vale più un giorno di un anno.

NOTE v. 4 per so que: cfr. PD, sotto la voce so: ‘pourvu que’. car tenir: cfr SW VIII, p. 152 ‘liebhaben’. Negli esempi citati dal dizionario il verbo è sempre seguito da un complemento oggetto, la cui funzione è qui in parte mediata, da un punto di vista logico, dall’avverbio di luogo del verso seguente. Si vedano, per il significato di ‘accogliere, ricevere con tutti i riguardi qualcuno’, CROPP 1974 e LOEB 1999. v. 9 saup: d’accordo con i precedenti editori accolgo nel testo la lezione saup, che mi sembra ristabilire una consecuzione temporale migliore coi versi seguenti. v. 17 Be·is: la lezione messa a testo presenta afortir / no·is deu hom etc… come un’opinione comunemente espressa, mentre la lezione concorrente con ben la farebbe apparire come un’opinione soggettiva del poeta («Faccio bene a dire ecc.»). Ho preferito la lezione Be·is (scelta anche dai precedenti editori) perché credo che ben (e vedi anche bem di CE) possa essersi prodotto in modo poligenetico attraverso un surrettizio ma comprensibile tentativo di “regolarizzazione” della forma avverbiale (vale a dire: Be·is – probabilmente scritto bes come nei mss. DHPa1 – è stato inteso come un’errata applicazione della desinenza all’avverbio ben). Oppure la formula ben fai (col verbo considerato alla prima persona sing.) si è generata nell’eco dei precedenti Be·m saup, Ben sai, Be·il cuich, vv. 9, 13, 16. car: sull’equivalenza di car con que vedi CRESCINI 19262, 8, 21 e 24, 43, e BONI 1954, III 21, p. 16, e XI 2, p. 59 e relative note. vv. 19-21: Le due sentenze contenute in questi versi sono citate insieme, come espressioni proverbiali, da CNYRIM 1888, n° 49. Al n° 50 è citata un’espressione di Sail d’Escola analoga a «Doncs ben es fols qui ab Amor gerreia», ma quest’ultima costituisce anche l’incipit di una canzone di Aimeric de Peguilhan, «Cel qui s’irais ni guerreia ab Amor / Jes que savis non fai al mieu semblan», SHEPARD-CHAMBERS 1950, n° 15, p. 101, vv.1-2. v. 21 gerreja: vedi ZUFFEREY 1987, p. 44 (A usa spesso il solo grafema g- per indicare la /ġ/ velare anche davanti a vocale palatale). v. 27 sos bels oils amoros ples de ris: PERUGI 1978, vol. I, p. 495, propone la lezione sos bels oils amoros plens de ris, con la desinenza dell’obliquo plurale invece di quella del nominativo plurale. La sua ipotesi ha trovato recentemente un indiretto conforto nelle osservazioni di BORGHI CEDRINI 2008, p. 205 ss. v. 35 ie·us m’ofris: metto a testo la lezione col pronome atono di seconda persona plur. ·us (e così i precedenti editori) ritenendo tutto sommato necessaria, in questo contesto, l’espressione esplicita del complemento di termine. Per la combinazione di un pronome di seconda persona al dativo con uno di prima (riflessivo) all’accusativo, tipica del provenzale antico, cfr. JENSEN 1976, p. 105.

XVIII. Tant sent al cor un amoros desir

267

v. 39 que·us retraja mos chans: benché non sicura dal punto di vista della tradizione manoscritta la soluzione qui messa a testo ha il pregio della semplicità e anche – oserei dire – della eleganza. Apparentemente essa era già stata adottata da Schutz. Dico “apparentemente” perché quell’editore (che poneva una virgola dopo la parola chanz) la intendeva, stando alla sua traduzione, in tutt’altro modo da come io la intendo: «…que je vous répète ma chanson qui vous dit comment…». È una traduzione che per certi versi potrebbe richiamare il testo stabilito da Kolsen, il quale aveva pubblicato qu’ie·us retraia mos chans (la mancanza di una traduzione ci impedisce di sapere quale significato questo studioso attribuiva alla propria proposta). L’idea di dover chiedere alla domna il permesso di cantare i propri sentimenti nei suoi riguardi è già espressa nell’incipit della canzone Non cugei mai sens comjat far chanson. La tradizione manoscritta mi sembra suggerire, in alternativa a quella messa a testo, un’altra soluzione: qu’ie·us retraja e mos chans («…che io vi ripeta – o dica – nei miei canti…»). È vero: la e – che rappresenterebbe in questo caso la preposizione en davanti a consonante nasale – è una lezione nettamente minoritaria (si ritrova solo nei mss. ACa1). Ma che la lettura affrettata o male intesa di un retraie (ovvero retrai’e, con elisione della -a finale del verbo, come nei mss. Ca1) trascritto nell’archetipo e in almeno due sub-archetipi abbia potuto produrre (in modo poligenetico) la lezione retraja negli altri testimoni è un’ipotesi secondo me da non sottovalutare. v. 44: il detto ha un’origine biblica secondo SUCHIER 1875, p. 309, Salmo 84(83), 11: «Quia melior est dies una in atriis tuis super millia». Per altre attestazioni nella lirica trovadorica vedi CNYRIM 1888, 858-861. In MORAWSKI 1925 alcuni proverbi paiono collegati a quello ricordato qui da Daude, vedi 315: «Ç’avient en un jour que n’vient en cent ans»; 1468: «On fait plus en un jour que en un an»; 2452: «Un jur porte que tut l’an ne pot».

XIX BdT 124.18 Trop be m’estera si·s tolgues

Mss.: A 124r (Daude de Pradas); C 164r (Daude de Pradas); D 57v (Deode Pradas); E 123r (Daude de Pradas); H 40r (N’Augers); I 112v (Deude de Pradas); K 97v (Deude de Pradas); N 134v; a1 491 (Baude de pa). Edizioni: ROCHEGUDE 1817, p. 390; MAHN 1856-1873 vol. 1, p. 179, n°295; SCHUTZ 1933, p. 40; BILLET 1974, p 309. Metro: cinque coblas unissonans: 8a, 8b, 8b, 8a, 8c, 8c, 8d, 8d; tornada di quattro versi (8c, 8c, 8d, 8d). FRANK 577:1. Rime: -es; -or; -atz; -e (rima identica vv. 3:10, dolor). Ordine delle strofe: I II III IV V VI 1 2 3 4 5 6 ADEHIKNa1 12 3 5 4 6 C

a) Il raggruppamento CDEHNa1 e i suoi sottogruppi Al v. 19 si presenta questa situazione: que non temon dieu ni honor el malvat el enguanador don sui en ira et en iror omesso

AIK CNa1 D EH

Di fronte alla lezione dei mss. AIK, quelle dei mss. CNa1 e soprattutto quella di D appaiono decisamente deteriori, per quanto non manifestamente errate: i due aggettivi sostantivati malvat e enguanador di CNa1 formano una stanca e quasi sinonimica ripresa della coppia fals truan e trichador del verso precedente. Ancor più banale la dittologia ira … iror di D. Si può dunque pensare che CNa1 e D siano derivati, come, EH, da un modello che portava una lacuna al v. 19. Sicuramente è conseguenza della lacuna nel modello di questi manoscritti il tentativo di restauro all’inizio del v. 20, ques al posto di eis, tentativo evidentemente messo in opera dal modello stesso, resosi conto che qualcosa non andava nel testo da lui copiato, probabilmente già guasto. Il sottogruppo CNa1 si conferma poi in una lezione – peraltro adiafora – al v. 4, totz so ses. Esso sembra articolarsi in un ulteriore sottogruppo formato dai mss. Na1, che si accordano in un’altra lezione sostanzialmente adiafora al v. 44, can me (vs. cum me). Lo stretto legame che unisce tra loro i mss. IK è testimoniato, nel caso di questa lirica,

270

Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

da un buon numero, se non di errori certi, almeno di lezioni caratteristiche comuni: v. 18 fol; v. 25 a i; v. 27 lors beutatz; v. 29 ben legit; v. 42 aiatz.

b) L’archetipo e il gruppo AIK Sono propenso a far risalire all’archetipo i seguenti errori e le seguenti lezioni deteriori: 1) v. 3 quieu (e varianti grafiche, cfr. apparato), cioè l’obliterazione dello iato con conseguente ipometria alla quale hanno reagito AIK (sospettabile, per il tipo di reazione, un modello comune ai tre mss.) e C, integrando il verso, cfr. apparato (sull’obliterazione di questo iato cfr. PERUGI 1978, vol. I, p. 29); 2) v. 10 dolor (lezione messa a testo da Schutz, ma che è forse corruzione di dosor, apparentemente più appropriato a un contesto che parla di ciò da cui dovrebbe essere piegata la volontà di Amore: vedi il buon recupero di IK, dousor; dousor evita tra l’altro un mot tornat); 3) v. 36 piecx (conservata in questa forma solo da E, con varianti graficolinguistiche da A pieitz, D peig, H peich), da correggere facilmente in precx, come hanno fatto CIKNa1 o i loro più vicini modelli; 4) una deformazione della parola malvazas (o malvaizas) al v. 38, che ha dato origine alle forme malvazatz a1, malvaisatz N, malvaissatz D, malvezatz IK (anche in questo caso i testimoni che riportano la lezione giusta hanno probabilmente corretto per congettura; su precx e malvaizas vedere le note di commento). Propongo pertanto, con tutte le riserve imposte da una tradizione come questa, difficilmente razionalizzabile, il seguente stemma: W vv. 3, 10, 33, 36, 38 v. 19 vv. 4, 19

v. 3 A

v. 19 IK

C

N

a1

D

E

H

Grafia di E

1 2 3 4 5 6 7 8

I Trop be m’estera si·s tolgues Amors de mi et ieu d’Amor, que ieu no·n ai re mas dolor et ill vol de me totz sos ses: qu’ieu chant e·m deport e·m solatz, non per me mas quar a liei platz; et ill no faria per me neus mal, si·m cujava far be.

XIX. Trop be m’estera si·s tolgues

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I Mss. ACDEHIKNa1 1 Si-s ACEIKNa1] ses DH 2 ieu ACDEIKNa1] mi H 3 *Que ieu] qieu A, quieu CDEKN, qeu H, q(ue)u Ia1; re mas ADEHIKNa1] de lieys C; dolor CDEHNa1] la d. AIK 4 totz sos AEHIK] tot so CNa1 t. son D 8 mal ACDEHIKa1] mals N I Sarebbe per me un gran bene se Amore si allontanasse da me ed io da lui, perché non ne ricavo altro che dolore ed egli pretende da me tutti i suoi tributi: che io canti e mi diverta e stia lieto, non per me ma perché piace a lui; e non mi farebbe neppure male, se pensasse di farmi bene.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Amors, ab vos no·m val merces, ab franqueza ni ab dousor; quar vostr’ergueill, vostra ricor, no vens humelitatz ni bes. S’om vos blandis vos menasatz, qui·us menasa vos soplejatz; e qui·us ama nuill pro no·ill te, e qui·us vol mal gau s’en dece.

II Mss. ACDEHIKNa1 Amors ACDEIKNa1] mors (capolettera mai eseguito o sbiadito) H; no·m ACEHIKNa1] no(n) D 10 dousor IK] dolor ACDEHNa1 14 menasa ACEHIKNa1] menaz D 15 no·ill ACDEHIKa1] nom N 16 qui·us ACDEHIKa1] queus N; gau ACENa1] gaug DHIK II Amore, con voi non mi giova misericordia, insieme con nobiltà d’animo e dolcezza, perché né umiltà né bene vincono il vostro orgoglio, la vostra superbia. Se vi si blandisce voi minacciate, mentre chi vi minaccia voi lo supplicate; e chi vi ama non ne ricava alcun vantaggio, mentre chi vi vuole male velocemente prova gioia.

17 18 19 20 21 22 23 24

III Amors, de vos ai tant apres: que·ill fals truan e·ill trichador que non temon Dieu ni honor e·is fenhon de non re cortes an de vos lo baizar e·l bratz e, per malaventura, jatz; e vers amicx de bona fe non aura ja ni so ni que.

III Mss. ACDEHIKNa1 18 fals ACDEHNa1] fol IK 19 que non temon dieu ni honor AIK] omesso EH, el malvat el enguanador CNa1, dom sui en ira et en iror D 20 e·is AIK] que·s CDEHNa1 21 lo baizar e·l bratz ADEHIKNa1] los bays el abratz C; e·l CDEHIKNa1] els A 22 malaventura ADEHIKNa1] malaventural C; jatz CDEHIKNa1] aiatz A 23 vers ACDEIKNa1 us H; amics CEHIKN] amans A, amatz D, amic a1; de ACDEHINa1] e de K 24 aura ACEHIK] auran DNa1; so CDEHIKNa1] tant A

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

III Amore, da voi ho appreso questo: che i falsi mascalzoni e gli ingannatori che non temono Dio né onore, [e] che si fingono cortesi per ingannare, hanno da voi il bacio e l’abbraccio e, ohimé [lett.: per disgrazia], il giacere; e un vero innamorato, in tutto fedele, non avrà mai né tanto né poco.

25 26 27 28 29 30 31 32

IV De domnas hi ha mais de tres que quan remiron lur color e lur beutat el mirador no cujon que sia mais res. Pauc an legit, so sapiatz, com beutatz vai e faill viatz; qu’en pauc d’ora·il plus bela ve aquo sem que sol vezer ple.

IV Mss. ACDEHIKNa1 25 hi ha ACDEHN] ai IK, sai eu a1 27 lur beutat ACDEHNa1] lors beutatz IK 28 no CDEHIKNa1] nois A; mais sia A 29 legit ACDEHNa1] ben legit (leguit K) IK; sapiatz ACDNa1] sapchatz EHIK 30 com ACDEHNa1] que IK; faill e vai ACE 31 d’ora·il Aa1] dora CDHIKN, dorali E; bela ADEHIKN] belan C, bellas a1 32 sem ACa1] sen(n) D, sen EIK, som H, sera N; sol ACDEHKNa1] omesso I IV Di donne ce ne sono più di tre [cioè: ce ne sono tante] che quando osservano il loro colorito e la loro bellezza nello specchio non pensano che possano mai venir meno. Poco hanno letto, sappiatelo, di come la bellezza se ne va e presto viene meno; che in poco tempo la più bella vede scemare ciò che soleva vedere in abbondanza [lett.: vede vuoto ciò che soleva veder pieno].

33 34 35 36 37 38 39 40

V Un an volgra que s’avengues que s’acordesen entre lor sill que son leial amador, que ja negus precx non fezes; c’adons paregron li malvatz e las malvaizas a un latz, qu’an mort dompnei e joi ancse pels baratz que fan entre se.

V Mss. ACDEHIKNa1 33 Un an ADEHIKNa1] us ans C 34 lor ADEHIKNa1] 35 que ACEIKa1] qui DHN leial ACDEHIKa1] 36 negus ACEHIKNa1] negun D; precx CIKNa1] pieitz A, peig D, piecx E, peich H 37 li ADEHIKNa1] los C 38 il verso manca in H; las ACENa1] los DIK; malvaizas EAC] malvaissatz D, malvezatz IK, malvaisatz N, malvazatz a1 39 mort ACDEHIKa1] moç N V Vorrei che una volta avvenisse che si mettessero d’accordo tra loro quelli che sono gli innamorati sinceri, in

XIX. Trop be m’estera si·s tolgues

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modo che nessuno più facesse preghiere d’amore; perché allora si ritroverebbero isolati da una parte i disonesti e le disoneste, che hanno sempre ucciso il servizio d’amore e il joi con gli intrighi che fanno in combutta tra loro.

41 42 43 44

VI Bel Sirventes, de vos mi platz que ma chanso premiers aujatz; e ja hom no·m deman per que: «Mas quar vos am aitan com me!»

VI Mss. ACDEHIKNa1 41 Bel DENa1] bels ACIK, el (capolettera mai eseguito o sbiadito) H 42 premiers ACEHa1] primer DIKN; aujatz ACDEHNa1] aiatz IK 43 no·m ACH] non DIKa1, no EN 44 com EACDH] co IK, can Na1 VI Bel Sirventese, quanto a voi mi piace che ascoltiate per primo la mia canzone; e che nessuno mi domandi perché: «Ma perché vi amo quanto me!»

NOTE v. 5 chant, deport, solatz: congiuntivi, come già intendeva Schutz, cfr. la sua traduzione, p. 42. v. 10 franqueza: ‘nobiltà d’animo’, significato traslato di un termine che indicava in origine solo la nobiltà di sangue, cfr. CAPUSSO 1989, p. 46, nota o. v. 16 gau s’en: si accoglie lo scioglimento e l’interpretazione di Schutz corroborata dall’uso in questi esempi tratti da COM2: BdT 10.18 19 puois no m’en gau ab precs ni ab lauzor BdT 293.19 48 mouta fola cuida e·s gau BRV 409 ni·n gau neguna persona DIS2T 141 no s’en gau longament Un’altra possibilità sarebbe quella di leggere gau =s. m. ‘gaudio/gioia’ (forma piuttosto rara e a quanto pare estranea alla lirica) della quale si leggano le seguenti occorrenze in COM2: GND 606 an mais de gau de .i. peccador PAV3 005 Per gran gau e per gran plazer. Un’altra attestazione in Flamenca riportata dalle COM2 (FLA 6977 E qui s’alegre ni gau senta) è stata annullata nella più recente e attendibile edizione di questo romanzo: MANETTI 2008, pone infatti a testo (v. 6982 della sua edizione) E qui·[s]alegra ni gausenta/mais Flamenca, quant aus comtar?, lezione per la quale si veda la sua nota al verso. vv. 13-16: si confrontino questi versi con la prima strofa di Amors que m’a toulu a moi, canzone di Chrétien de Troyes, il quale dialoga a distanza, lui troviero, con due grandi trovatori suoi contemporanei, Raimbaut d’Aurenga e Bernart de Ventadorn (questo fatto dimostra, dice DI GIROLAMO 1989, p. 133, che tra Nord e Sud della Francia vi erano una «totale assenza di frontiere letterarie [e la] superabilità, nel Medioevo, delle stesse barriere linguistiche»):

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

Amors que m’a toulu a moi n’a soi ne me veut retenir, me plaing ensi, qu’adés otroi que de moi face son plesir. Et si ne me repuis tenir que ne m’en plaigne, et di por quoi: car ceus qui la traïssent voi souvent a lor joie venir et g’i fail par ma bone foi. [Di Amore, che mi ha tolto a me stesso e con sé non mi vuole tenere, io mi lamento, eppure permetto che di me faccia ciò che vuole. Non posso però trattenermi dal lamentarmene, e dico perché: perché vedo che coloro che lo tradiscono raggiungono spesso la loro gioia, mentre io non riesco in ciò con la mia fedeltà.] Continua Di Girolamo: «è difficile non rilevare [in questa poesia rispetto a quelle occitane] l’andamento in qualche modo più lento e ragionativo, e nello stesso tempo il nitore un po’ freddo di queste stanze; soprattutto si avverte una tendenza all’astrazione, alquanto rara nei trovatori del XII secolo e invece caratteristica di buona parte della lirica dei trovieri». Queste tendenze si manifestano invece spesso in Daude, un poeta che, se si accetta la mia ricostruzione cronologica, era attivo circa un ventennio dopo la composizione della poesia di Chrétien. E non si può dunque escludere – credo – che proprio da questo testo Daude abbia ripreso l’idea che Amore tratta male i suoi fedeli e favorisce coloro che lo disprezzano. In tal caso avremmo forse prova del fatto che già in un’epoca abbastanza antica gli scambi poetici tra Francia del Sud e Francia del Nord non procedevano in un’unica direzione. v. 29 sapiatz: trisillabo, cfr. APPEL 1930, p. XXXIVb e VATTERONI 1986, testo II, v. 81. CONSTANS 1880, p. 196, dice delle forme sapia e sapies che trova in due documenti del XIII secolo: «je ne sais s’il ne faudrait lire sapja». Sembrerebbe dubitare di questo GRAFSTRÖM 1958, § 69. Con valore sempre di trisillabo sapiatz si trova cinque volte nel ensenhamen-sirventes di Bertrand de Paris (cfr. COM2). È frequente nei testi non lirici ma non sempre come trisillabo. Si veda anche sapiats (trisillabo) in testi legati alla Catalogna (Las flors del gay saber e poesia religiosa anonima occitana o catalana). Anche sapiaz trisillabo in BdT 30.3, Arnaut de Maruelh. Vari casi di sapias trisillabo in MANETTI 2008 (vd. Glossario) e in altri testi non lirici (COM2). v. 36 precx: la lezione messa a testo si trova in cinque testimoni ed è probabilmente una felice e neppur troppo difficile congettura (la varia lectio degli altri mss. – che sembrerebbe rimandare ad una lezione d’archetipo piecs – non pare fornire un senso accettabile nel contesto). Altre poesie di Daude de Pradas ribadiscono, in un contesto più o meno serio, l’idea che gli innamorati autentici e fedeli devono astenersi da ogni preghiera ad alta voce rivolta all’oggetto del loro sentimento, cfr. Pos Merces no·m val ni m’ajuda, vv. 43-44 anz vos amarai finamen, / mas s’ie·us prec plus, estrangol m’en! e Pos Amors vol e comanda, vv. 9-16 Qui ben ama petit blanda / sidonz, pus la sap veraia, / que non er – si trop l’asaia / ni del tot s’amor demanda – / non ai’enueis a·l escondir. / Pregon per lui hueil e sospir, / esfors de be e tener gen, / que tals precx vol dona qu’enten. v. 38 malvaizas: la lezione è sostenuta solo da una minoranza di mss. (che probabilmente correggono in modo felice un errore d’archetipo) ma è l’unica accettabile nel contesto (si leggano i vv. seguenti). latz: Schutz (cfr. la sua nota a p. 102) intende latz < LAQUEUM («lien de corde qui sert à

XIX. Trop be m’estera si·s tolgues

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accoupler les chevaux qu’on mène au marché») piuttosto che latz < LATUM. La sua ipotesi non è inammissibile ma neppure necessaria: egli stesso finisce poi per tradurre l’espressione ‘a un latz’ con ‘d’un côté’ (p. 43). v. 43: cfr. ALMQVIST 1951, Non pot esser sofert ni atendut (BdT 202.9): e ja neguns no·m demandetz per que!, VII, v. 59, p. 134. v. 39 ancse: Schutz (p. 43) traduce ‘aussi’, senso non registrato dai lessici, che offrono invece (LR, PD) ‘toujours’, a mio parere perfettamente accettabile nel nostro contesto. v. 44 «Mas car vos am aitan con me!»: la congiunzione Mas ha qui un valore enfatico che Schutz, con la sua interpunzione del testo e la sua traduzione «c’est que je vous aime autant que moi-même», non sembra aver reso.

TESTI DI DUBBIA ATTRIBUZIONE

XX BdT 461, 86 D’home fol ni desconoissen

Mss.: G 129 v., J 13 r. (cc. 17-18), L v. 144, N v. 100 (126), P 61 v. (cc. 106-107, distinte nell’impaginazione), Q 107 v. (ex 265, entro una serie di testi, in genere estratti, non individuati come unità distinte, disposti a seguito di BdT 461.214 sotto la rubrica ‘Çirardus [Brunelus]’), f 36 v.(Deaude de Paradis), Breviari d’Amor vv. 30538-45, 30557-64. Edizioni: KOLSEN 1917, p. 274; SCHUTZ 1933, app. 3, p. 96. Metro: cobla dobla (estratto da una canzone morale o da un vers?) di otto versi per singola cobla: 8a, 8b, 8b, 8a, 8c, 8c, 8d, 8d. FRANK 577:223. Rime: -en, -or, -ar, -e.

a) Il problema dell’attribuzione Per ciò che riguarda la paternità del componimento, si rimane ancora nell’incertezza. Solo i mss. Q (Çirardus, si tratta di Guirant de Bornelh) e f (Deaude de Paradis) tentano l’attribuzione. Nel caso di f, va detto che questo manoscritto, tardo, non sbaglia nelle attribuzioni a Daude de Pradas di altri due componimenti che trascrive (BdT 124.2 e BdT 124.6), sebbene storpi in modo curioso il nome del nostro autore. Forse proprio questo può essere interpretato come indizio del fatto che f attinse a una tradizione antica e che già riuniva questo terzetto di poesie (il copista di f, per il quale Daude era un perfetto sconosciuto, lesse male le rubriche, ma diligentemente tentò di interpretarle copiandole). Detto questo, si aggiunga che lo schema metrico (abbaccdd) è quello che Daude preferisce, così come il tipo di verso (l’octosyllabe) è quello da lui usato di preferenza, e che, infine, un componimento moraleggiante come questo poteva benissimo essere nelle corde di Daude. Fosse suo, questo testo potrebbe essere anche successivo alla data (1214 ca) in cui presumo che egli abbia dovuto smettere di comporre poesie amorose.

b) I rapporti di parentela tra i testimoni La tradizione di questo testo parrebbe contrapporre il ms. L a tutte le altre testimonianze. GJPQf è un gruppo individuato dall’inversione delle rime e di gran parte dei materiali dei vv. 9-10. Il sottogruppo Jf è sospettabile a causa dell’errore nel rimante del v. 5 (lauzor invece del necessario lauzar). Si tratta tuttavia di un errore né congiuntivo (perché due o più mss. potevano commetterlo indipendentemente) né tanto meno separativo (bastava stare attenti alla rima richiesta dallo schema per sanarlo facilmente tramite congettura).

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

L’antigrafo di GPQ al v. 10 (peraltro viziato dall’inversione della rima rispetto al v. 9) leggeva probabilmente Cama ver (= C’am’aver), vedi G. In Q la lezione è fraintesa (Clamar ver). Nell’antigrafo di P, forse, Cam era scritto in notazione abbreviata, poi caduta per qualche accidente di copia. Per cui in P si legge solo aver. E C’am’a ver non può essere lezione originale poiché Jf leggono ni vol aver, con la stessa congiunzione ni all’inizio di verso proposta da L, che fa ramo a sé.

c) Archetipo? Si può forse individuare traccia dell’archetipo al v. 2, dove la forma deu del verbo deber provoca un’ipometria (vedi la lezione di J). A questa GLQF reagiscono con una evidente zeppa (ja: GQf no de ja; L no deu hom ja). P sembrerebbe invece aver recuperato, per congettura o per contaminazione con un ramo scomparso della tradizione, la probabile lezione originale, devi, abbastanza inconsueta da giustificare l’errore dell’archetipo.

d) La lezione di L La lezione sostenuta da L si contrappone talvolta in modo importante a quella del gruppo GJPQf. Tuttavia non si danno – credo – quelle condizioni che fanno ritenere di ritrovarci di fronte a una doppia redazione (questo perché la lezione del raggruppamento GJPQf è spesso nettamente deteriore rispetto a quella di L). Come base del testo scelgo – tranne quando irrimediabilmente guasta – la lezione di L.

Grafia di L W v. 2 (?) vv. 9-10 v. 10

v. 5 J

f

1 2 3 4 5 6 7 8

E

M

R

L

I D’home fol e desconoissen no devi hom voler s’amor. Que·l fol fai plus de desonor a celui qi plus lo consen, car seu blasmamen es laudar e sa lauçor grant blasmes par. E qui fa fol privat de se mas vol aprendre mal que be.

XX. D’home fol ni desconoissen

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I mss. GJLPQf 1 e JL] ni GPQf 2 devi hom P] deia om GQf, deu hom J, deu hom ia L 3 Quel GJLQ] Car lo P, que f; de desonor GJLf] desonor PQ 4 qi GQf] quel J, quon L, qe P 5 blasmamen GIQ] lauxamen L, blasmamens Pf; laudar GPQ] lauzor Jf, blasmars L 6 sa GJQf] sos L, seu P; lauçor EQf] lauzors J, blasmes L, laus P; grant GQf] grans J, es L, omesso P; blasmes G] blasmamens J, lauxars L, blasme PQf; par GJPQf] omesso L 7 e qui GJLQf] pero qi P; fa fol GJL] fa fols P, fal fol Q fol fa f 8 vol apprendre L] ama prendre GJPQf I Non si deve cercare l’amore di un uomo stolto e sconsiderato. Perché lo stolto tanto più disonora colui che è più disposto ad ascoltarlo, dal momento che il suo biasimo è lode e la sua lode appare come un grande biasimo. E chi si accompagna con uno stolto preferisce conoscere il male invece del bene.

9 10 11 12 13 14 15 16

II Mais qui vol haver pretz valen ni ama veraia lauzor no pot ges faire trop d’onor a home franch e conoissen que·l savis conois q’es honrar, per que deu esser tengutz car qui lauza tot cho que cove e say triar lo mal del be.

II mss. GJLPQf 9 Mais […] valen L] Mais qui vol entera lauzor GJQf, Cels qui vol entera lauzors P 10 ni ama […] lauzor L] C’am’aver bon pretz valen G, ni vol aver bon pretz valen Jf, aver e bon pretz valen P, Clamar ver bon pretz vaillen Q 11 no (ne G) pot ges GJLQf] jes non pod P; faire JF] far GLPQ; d’onor GJLQf] donors P 12 home GLf] hom JPQ; franch L] savis GPQ, savi Jf; e conoissen GJLQ] ni conoissenz P, conoissent f 13 savis GLPQ] savi Jf; *honrar] honrars L, laudar GJPQf 14 tengutz GJLPQ] tengut f; car GJPQf] cars L 15 qui […] cove L] e sap triar lo (los P) mal del (dal P, de Q) be (bes P) GJPQf 16 e say […] del be L] e conois aco (en zo P) qe·s (se P) conve (covei J, conves P) GJPQf

II Ma chi cerca il pregio che vale e ama autentica lode non può mai fare troppo onore a un uomo nobile e avveduto; perché il saggio sa cosa vuol dire fare onore, per cui deve essere tenuto caro chi loda tutto ciò che ne è degno e sa distinguere il male dal bene.

NOTE v. 4 devi: questa forma si ritrova (più volte) solo nella lingua dei Mystères provençaus du XIVe siècle pubblicati a Tolosa nel 1893 da Jeanroy e Teulié, e del Mystère de l’Ascension del XV secolo, pubblicato dagli stessi editori nel vol. 9 (1895) della «Revue de Philologie française et provençale» (pp. 81-115). vv. 5-6: cfr. Cadenet, BdT 106.13, vv. 13-16: «e si us fols li ditz mal per foillia / jes per aisso no·is tenga per blasmatz; / enanz s’en deu tener per ben lausatz / que blasmes es del fol al pro lausors».

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v. 5 blasmamen: la parola è usata per la prima volta da Raimbaut d’Aurenga (BdT 389.34 v. 16, e vedi nota al v. 6) e poi da Bertran Carbonel (BdT 82.17, v. 24) e da Raimon Vidal (BdT 411.1, v. 8, nell’Ensenhamen del giullare, v. 1272, e anche nel Judici d’Amor, v. 793). Inoltre la usa due volte Sordello nell’Ensenhamen d’Onor, v. 352 e 357. v. 6 e sa lauçor grant blasmes par: cfr. Raimbaut d’Aurenga, BdT 389.34 v. 16: aquel lausars es blasmamens. v. 15 cho: è un crudo italianismo, ma lo conservo perché il resto della tradizione non offre valide alternative.

Glossario1

a escl. ‘ah’ XII 19, XVIII 37, ai VIII 21, XVII 17 a prep. ‘a’ I 8, II 33, 53, III 19, 23, 25, 64, IV 24, 26, 27, V 16, 26, 34, 38, VI 18; VIII 21, 28, 32, 34, 39 (2); IX 32 (2), 36, 39, X 20, 31, 46, XI 9, 10, 12, 60, 62, XII 4, 5, 10, 19, 21, 27, 31, 39, 45, 46, 49, XIII 24, 26, 27, 41, XV 33, XVI 14, 30, 64, 70, 77, XVII 25, 44, XVIII 17, 23, 29, 41, XIX 6, 38, XX 4, 12, a. XV 33, ad I 33, II 20, 30; az XVIII 6; prep. art. ‘al’ al IX 1, 13, XII 38, XIII 39, 41, XIV 10, XV, 22, XVI 26, 45, 46, XVII 16, XVIII 1, 12; prep. art. ‘ai’ als I 31, VIII 36, IX 31, XI 28, XV 4, XVI 24, 26, XVII 36, 43 ab prep. ‘con’ I 1, 47, II 28, 52, III 42, 56 (3), V 20, 21, VII 16, 37, 39, IX 10, 51, X 10 (2), 37, XI 33, 34, XII 19, 43, 48, XIII 12, 14, 22, XV 31, XVI 4, XIV 4, 7, 24 (2), XVII 3, 21, XVIII 21, 30, XIX 9, 10 (2); ap II 25, X 25 [abandonar] v. ‘abbandonare’ 1 p. s. ind. pr. att. abandon XII 22; ‘abbandonarsi, consegnarsi a’ 3. p. s. ind. pres. rifl s’abandon (se) X 14. Vd. DOM abandonar 2 a [abcosentir] v. ‘accordare, mettere insieme’, 3 p. s. ind. pr. II 49 abconsen abordit agg. ‘imbastardito,’ c. s. masch. plur. XIII 20 [abrasar] v. ‘abbracciare’, abraç 1 p. s. ind. pr. att. I 39 [abrandar] v. ‘bruciare’, abranda 3. p. s. ind. pres. att. XIV 17 abrics sm. ‘rifugio, protezione’ qui in senso astratto, c. s. sing. I 43 [abrusit] agg. ‘triste, rattristato’, m. c. s. masch. sing. abrossiz V 9 acier sm. ‘acciaio’, c. s. sing III acier 47, c. r. sing. acier III v. 42 aco pron. dimostrativo ‘ciò, questo’, c. s. masch. sing. XVIII 6, c. r. masch. sing. XII 42; avv. di luogo ‘qui’ VIII 17 [acolhir] v. ‘accogliere, ricevere’ anche nel senso tecnico del linguaggio feudale; inf. pres. att. acuillir XV 29; 3. p. sing. ind. pres. att. acueil, acuelh VI 2, X 3, VII 19; 3 p. sing. ind. pres. medio ‘si raccoglie’ s’acueil I 46; 3 p. sing. cong. impf. acuillis XVIII 26; 1 p. sing. cond. pres. acuillira VII 20

1 Questo glossario è stato composto a partire da un formario elaborato grazie al programma “Gatto” generosamente messo a disposizione di tutti gli utenti della rete dall’Opera del Vocabolario Italiano di Firenze, all’indirizzo http://www.ovi.cnr.it/index.php?page=scaricare-gatto. Il glossario raccoglie a lemma tutte le forme elettronicamente spogliate, comprese le congiunzioni e le preposizioni. Ogni lemma [per la cui forma base mi rifaccio generalmente alla corrispondente voce di PD, posta tra parentesi quadre quando detta forma non sia esattamente attestata in questa edizione] riporta il significato (o i significati) della parola, e la categoria grammaticale. Nel caso dei verbi le coordinate grammaticali della coniugazione accompagnano l’occorrenza delle singole forme verbali. Abbreviazioni usate: avv. = avverbio; agg. = aggettivo; art. = articolo; escl. = esclamazione; inter. = interiezione; prep. = preposizione; prep. art. = preposizione articolata; pron. = pronome; sf. = sostantivo femminile; sm. = sostantivo maschile; c. s. = cas sujet; c. r. = cas régime; sing. = singolare, plur. = plurale; v. = verbo; inf. = infinito; ind. = indicativo; cong. = congiuntivo; imper. = imperativo; cond. = condizionale; ger. = gerundio; part. = participio; pres. = presente; impf. = imperfetto; fut. = futuro; fut. ant. = futuro anteriore; pass. pross. = passato prossimo; pass. rem = passato remoto; trap. pross. = trapassato prossimo; trap. rem. = trapassato remoto; att. = attivo; passv. = passivo; 1. p. = prima persona; 2. p. = seconda persona; 3. p. = terza persona; impers. = impersonale; masch. = maschile; femm. = femminile.

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[acordar (se)] v. ‘accordarsi’, 3. p. plur. cong. impf. medio acordesen (e) 3 XIX 34 acostumat agg. ‘estre a. que’ = ‘essere costume che’, VI 7 acropit agg. ‘vile, vigliacco’, c. s. masch. plur. acropit XIII 17 acuilhirs inf. sost. ‘accoglienza’ c. s. sing. XI 31 ades avv. ‘subito, ben presto’, I 7, 22, II 6, VI 14, VII v. 33, IX 13, XII 30, 46, XIV 12, XV 19 adonc avv. ‘allora, dunque, così’, XI v. 26; adoncs XI 18, 25; adons XIX 37 adonts IV 28 [adorar] v. ‘adorare’, açor 1 p. sing. ind. pr. att. I 7, 3 p. sing. ind. pres. att. ador’ XVII 37 adormitz agg. ‘addormentato’, c. s. sing. IV 33 [adorresanar(?)] v. ‘decadere (?)’, 3. p. sing. ind. pres. assorizana V 42 [adrechurar (se)] v. ‘rendere giustizia’, 3. p. sing. ind. pres. medio adreitur (se) VII 31 [aduire] v. ‘condurre, recare, indurre’, 3. p. sing. ind. pres. att. aduç VIII 1, adui VI v. 24, aduy VI 23 afans sm. ‘affanno, difficoltà’, c. r. plur XVIII 23, affans VII 17 afinar v. ‘purificare’, inf. pres. att. XVI 12 [aflamar] v. ‘infiammare’, 3. p. sing. ind. pres. att. aflama XV 7 afortimen sm. ‘incoraggiamento’, c. r. sing. III v. 9 afortir v. ‘opporre resistenza’, inf. pres. att. XVIII 17; 3. p. sing. ind. pres. medio afortis (se) XVIII 19 [agradar (se)] v. ‘compiacersi’, 3. p. sing., cong. impf. medio agrades (se) VII 25 agrat (bon) agg. ‘buon carattere’, c. r. sing. VI 10. Vd. DOM agrat b aigla sf. ‘aquila’, c. r. sing. III 30, c. s. sing. III 31 aips (bon): sm. ‘buona qualità’ c. s. plur. sigmatico XIV 46 aisi avv. ‘così, talmente’, XII 33; aissi III 54, VI 3, XI 39, IX 49, X 12, XIII 8, XVI 15, 41; aussi X 63 [aisinar] v. ‘apprestarsi’, 1. p. sing. cong. pres. medio. aicine (me) II 28 aiso avv. ‘così, in tal modo’, X 30; aisso VI 15, VIII 22, XVII 31 aissi vd. aisi aisso vd. aiso aital pron. ‘tale’, c. s. masch. sing. V 27, c. r. masch. sing. XI 57 aitan avv. ‘tanto’ III 65, XI 43, 45, XII 13, 23, XIX 44; aitant XII 30 aitant vd. aitan [aizir] v. ‘capitare, toccare a’, 3. p. sing. ind. pres. att. aizit XIII 13 [ajostar] v. ‘radunare, raccogliere’ 3. p. plur. ind. pres. passv. ajostat (son) VI 49; 3. p. plur. ind. fut. passv. ajustat (seran) XI 26 [ajudar] v. ‘aiutare’, 3. p. sing. ind. pres. att. ajuda XIV 1 alegramen avv. ‘allegramente’, III 69, XV 73 [alegrar (se)] v. ‘rallegrarsi’, 3. p. plur. ind. pres. medio alegro (se) IX 1, 5, allegro IX 3 [alegratge] sm. ‘allegria’, c. r. sing. alegrage IX 7 [alegretat] sf. ‘allegria’ c. r. sing. (?) alegretatz XVI v. 75 [alegreza] sf. ‘allegria’, c. r. sing. alegreç’ IX 8 [alegrier] sm. ‘allegria’ c. r. sing alegrer IX 2 [aleujar] v. ‘alleviare’, 1. p. sing. cong. pres. att. aleuge III 60 alhor/-ors avv. ‘altrove’, XIII 47, alhors VI 12, aillor IX 36, XVIII 36; aillors, VII 15, XV 36 [alogar] v. ‘porre’ 3. p. sing. ind. pres. passv. alogatz XVI 55

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alques pron. indf. ‘qualche, un po’ di’, XIII 3 als vd. autre altre vd. autre /autrui amador sm. ‘amante, innamorato’, c. s. sing. V 16, XI 50; c. s. plur. XIII v. 30, XIX v. 35; c. r. pl. amadors VIII 3 amans sm. ‘innamorato’, c. s. plur. VI 8; c. s sing. amanç, VIII 32, amans VII 10, XVIII 40; c. r. pl. amans I 31, III 47, XV 4 amar v. ‘amare’, inf. pres. att. III 65, X 11, XI 13, XV 32, XVI 17, XVII 8; inf. sost. XVII 1; 1. p. sing. ind. pres. att. am I 8, 38, II 22, 23 III 2, VI 19, XII 21, 44, XVI 81, XIX 44; 3. p. sing. ind. pres. att. ama VIII 7, XI 51, XX 10, 17, XV 8, 9, XVI 10 XX 15, aima II 15; 2. p. pl. ind. pres. att. amatz XVI 81; 3. p. pl. ind. pres. att. amon XI 24; 1. p. sin. ind. fut. att. amarai XIV 43; 3. p. sing. ind. pass. rem. amet III 1, XVI 20; 2. p. sing. ind pres. passv. amatz (soi) II 16; 3. p. sing. ind. pres. passv. amatz (es) XVI 11; 3. p. plur. cond. pres. passv. amat (fosson) VI 8 amar agg. ‘amaro’, c. s. femm. sing. XVI v. 16 [amarzir] v. ‘diventare amaro’, 3. p. sing. ind. pres. att. amarzit XII 4 amdos agg. num. ‘entrambi’ c. r. plur. VIII 40; IX 22 amen int. ‘amen, in verità’, XVI 80 amic sm. ‘amico’, ‘innamorato’, c. s. sing. amics I 13, 34, IV 27, XIV 45, amicx XIX 23; c. r. sing. amic I 21, III 24, VI 40, XVIII 32 [amiga] sf. ‘amica’, ‘amante’, c. s. sing. amigua XVII 6 amistat sf ‘amicizia’,’ affetto(?)’, c. r. sing. XII 15; c. r. pl. amistatz XVI 22 amor sf. ‘amore’ c. s. sing. amors I 3, II 1, 3, 21, 53, 58, III 65, IV 2, 11; V 16, VI 1, 16, 24, 25, 43, VII v. 16, VIII 6, 21, X v. 4, XI 10, 57, XII 19, 28, XIV 18, XV 1, XVI 6, 7, 9, 22, XVII 27, XVIII v. 9, 18, XIX 2, 9, 17, amor c. r. sing. II 20, 30, 37, V 10, VI 39, IX 2, 5, 6X 14, 40, XI 62, XII 7, 12, XIII 3, XIV 24, XV 12, XVI 3, 5, 15, 19, 21, XVII 19, XVIII 6, 21, XIX 2, XX 2; c. r. sing. amour II 11 amoros agg. ‘amoroso, pieno d’amore’, c. s. sing VI 10; c. r. sing. XVIII 1, 15; XII 6, c. s. pl. XI v. 32, XVIII 27 amour vd. amor an sm. ‘anno [ma qui ‘quantità indeterminata di tempo’, ‘una volta’]’, c. r. sing. XVIII 44, XIX 33 anar v. ‘andare, andare via’, inf. pres. att. XVII 9, 15; 1. p. sing. ind. pres. an [VII 1], vau V 23, IX 50, X 31, medio vau (me) VI 13, ‘progredisco’ VII 11; 3. p. sing. ind. pres. vai II 43, XIII 47, XIV 15, XIX 30; 1. p. sing. ind. pass. rem. annei IX 41; 3. p. plur. pass. rem. ind. aneron XVIII 28; 3. p. sing. ind. pass. rem. anet XVII 12; 2. p. plur. cong. pres. anetç XII 29; 2. p. sing. imp. pres. vai I 42, 50, XI 66, XIII 46, XVIII 43, va IX 51; 2. p. plur. imp. pres. att. anneç XII 25 anc avv. ‘mai, affatto’, III 13, 31, IV 17, 23, 48, V 34, VI 1, VIII 20, IX 12, 52, XIV 9, 20, 35, XVI 34, XVII; anch IX 9; col rafforzativo mais III 1, X 41 [ancar] avv. ‘dunque’, encar VIII 26 ancse avv. ‘sempre’, X 35, XVII 19, XIX 39 anel sm. ‘anello’, c. r. sing. II 35, XI 48 angoissa sf. ‘angoscia’, c. r. X 16 ans avv. ‘anzi, piuttosto’, I 20, III 21, 69, VI 42, VIII 17, 24, X 5, XIV 10, 43, XVIII 44; anz II 48, 56, XI 56; anç X 21, XIV 19; ansz; IX 43 anta sf. ‘onta, vergogna’, c. s. sing. XIV 27 [antic] agg. ‘antico’, (Lei Antigua = ‘Antico Testamento’) XVII 29 ap vd. ab [apagar] v. ‘appagare’ 3. p. sing. ind. pres. att. apaia II 8, XV 19

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[apanar] v. ‘nutrirsi (di pane) > servirsi’, 3. p. sing. ind. pres. att. apana I 36 [apellar] v. ‘chiamare (anche a deporre)’ 3. p. sing. ind. pres. att. apel XI 37; apella I 12, II 5; 3. p. sing. cong. pres. att. apel XI 61 apenas avv. ‘appena’, X 7 apregar v. ‘pregare’, inf. pres. att. I 22 aprendre v. ‘imparare, apprendere’ inf. pres. att. XX 8; 3. p. sing. cond. impf. att. apres (agues) II 59 2. p. pl. imp. pres. att. aprendatç VIII 8 apres prep. ‘dopo’, IX 29, XVI 38, 43, XIX 17 aprosmar v. ‘avvicirnarsi’ inf. pres. att. (con funzione di medio) IX 30 aquel agg. ‘quello’, c. r. masch. sing. XIII 22, c. s mas. plur. VII 9, aquilh c. s. mas. sing V 18 aquest agg. ‘questo’, c. r. masch. sing. I 5, IV 36, VII 27; c. r. femm. sing. aquesta V 19, XVII 38; c. s. masch. plur aquilh vedi aquel [aquistar] v. ‘conquistare’, inf. pass. att. aquist (aver) XIII 21 aquo pron. dim. ‘ciò’, c. r. masch. sing. XIX 32; loc. avv. (per) aquo ‘perciò’, XII 31 ar avv. ‘ora’, I 17, XII 2; ara II 12; aras XVII 31, er XIV 34, era X 9 ara vd. ar aras vd. ar asaber v. ‘rendere noto (ufficialmente)’ inf. pres. att. II 2 [asajar] v. ‘mettere alla prova’, 3. p. sing. ind. pres. att. asaja XIV 11 [asatz] avv. ‘abbastanza’ asaç XIII 5 asaç vd. asatz [asegurar] v. ‘rassicurare’, 3. p. sing. ind. pres. att. asegura VII 40 [asezer] v. ‘porre’, inf. pres. att. assir XV 38, 3. p. plur. pass. pross. att. (ant) assis XVIII 2 assanha sf. ‘bacca di cipresso (?)’, V 39 assorizana vd. [adorresanar] [astruc] agg. ‘fortunato’ c. s. masch. sing. astrux XIV 22 [atendre] v. ‘attendere, aspettare’ 1. p. sing. ind. pres. att. atend VII 13, IX 47; 1. p. sing. ind. fut. att. atendrai XII 15; 1. p. sing. cong. pres. att. atenda IX 45 [atraire] v. ‘tirare, attirare’ 3. p. sing. ind. pres. att. atrai X 46; 3. p. sing. cong. pres. att. II 58; 3. p. sing. cong. pres. medio ‘recarsi, avvicinarsi’ atraia (s’) XV 34, 48 atretan avv. ‘altrettanto’ XII 13 [aturar] v. ‘sforzarsi, tendere’ 1. p. sing. ind. pres. medio atur VII 23; 3. p. sing. ind. pres. medio atura VII 24 aucel sm. ‘uccello’, c. s. sing. auzelh XIII 5; c. s. pl. aucel IX 1; alt. c. r. sing. auzellet III 35 aucir, aucire v. ‘uccidere’, inf. pres. att. VI v. 42, XVIII 25; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. ausis XVI 18 aur sm. ‘oro’, c. s. sing aurs III 48, c. r. sing. aur III 42 [aür] sm. ‘augurio’, c. r. sing. agur X 37 aura sf. ‘aria’, c. s. sing. XIII 2 [auran] agg. ‘ folle, fuori di senno’, c. s. sing. femm. aurana V 22 aursfabre sm. ‘orefice’, c. s. sing III 49 aussi vd. aisi aut avv. ‘in alto’ III 31

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[autan] agg. ‘alto, forte (di suono)’ c. s. sing. femm. autana V 1 [autar] v. ‘gradire’ 3. p. sing. ind. pass. rem. att. autet III 34 [autre] agg. sost. ‘altro’ c. s. s sing. masch. autres XV 5 c. r. masch. sing, autr’ X 17, c. s. f. sing. autr’ VI 20; autra IX 21 [autre / autrui] pron. e agg.; pron. ‘altrui’, sing. altre, X 42, 43 altrui XIV 10; altres VIII 4 c. r. plur. als VIII 36, XVII 36; agg. ‘altro’, altre I 5 autre agg. ‘altro, diverso’ c. s. masch. sing. autres III 58; c. r. masch. sing. autre VI 29, XII 17, XIII 35, XVI 69; c. s. masch. plur. autre XVI 70, c. r. femm. sing. autra VI 13, VII 7, XVI 6 [autrejar] v. ‘concedere’, 3. p. sing. ind. pres. att. autreja XVII 29; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. autrejet III 61 autressi avv. ‘così’, XVIII 31 autrui agg. ‘altrui’, c. r. masch. sing. X 36, c. r. masch. plur. X 18 [auzar] v. ‘osare’, 1. pers. sing. ind. pres. att. aus III 5, 37, X 3 auzellet vd. aucel [auzir] v. ‘ascoltare, udire’, 3. p. sing. ind. pres. att. au XVI 50; 3. p. sing. ind. impf. auzia IV 21; att. 3. p. sing. ind. fut. pass. ausiç VIII 2, auzitz IV 9; 3. p. sing. cong. pres. att. auja VIII 25, XVIII 42 2, p. plur. cong. pres. att. aujatz XIX 42 avenir v. ‘accadere, capitare, avvenire’, inf. pres. att. I 18, VI 31; 3. p. sing. ind. pres. att. ave XVII 25, aven X 29, XI 2; 3. p. sing. cong. impf. avengues XIX 33 aver v. ‘avere’, inf. pres. II 32, XI 46, XIII 11, XVII 11, haver IX 7, XX 9; 1. p. sing. ind. pres. att. ai I 6, II 12, III 3, V 13, 19, IX 10, X 43, XI 5, 11, 15, 51, 55, 60, XIII 7, XIV 2, XVIII 3, hai IX 6; 3 p. sing. ind. pr. a I 29, II 57, III 29, IV 46, VII 8, VIII 12, IX 36, X 24, 42, XI 56, XVI 3, XVII 8, XVIIII, ha III 21, 46, IX 36, XIV 38, XVII 37; impers. ind. pres. a XIII 32, ha XIX 25; 3. p. plur. ind. pres. an XII 27, XVI 49, XIX 21, han IX 5; 1. p. sing. ind. fut. aurai XVIII 13; 3. p. sing. ind. fut. aura V 17, VII 32, X 44, XVI 33, XVII 6, XIX 24; 2. p. sing. ind. pass. rem. aguist XVI 34; 3. p. sing. ind. pass. rem. ac IV 18, hac IX 12; 1. p. sing. cong. pres I 40, XII 39; 3. p. sing. cong. pres. aia XV 27, 35 ai’ 13, ay’ VI 1, aya VI 22; 1. p. sing. cong. impf. agues V 29; 1. p. sing. cond. pres. auria V 6; 1. p. sing. cond. pres. agra VI 4, VII 21; 3. p. sing. cond. pres. agra III 20, V 30; 3. p. sing. imp. pres. aja II 35 [avilanar] v. ‘svilire’ 3. p. sing. ind. pres. att. avilana V 38 avinen agg. ‘bello’, c. r. masch. sing. XI v. 33, XIV 39 avol agg. sost. ‘vile, laido’, c. s. plur. XIII 16 avoleza sf. ‘bassezza d’animo’, c. r. sing. IV 34 [azautar (se)] v. ‘compiacersi, aver gioia da’, 2. p. plur. ind. pres. medio azautatz (vos) IV 31 [azirar] v. ‘maledire’, 3.p. s. ind. pres. att. azir XVII 34 badalh sm. ‘ sospiro’, c. s. pl. XVII 17 [baisar] v. ‘baciare’, inf. pres att. baizar II 45, XVII 40, XIX 21; inf. pres. sost. c. s. baizars II 49; 1. p. sing. ind. pres. att. I 39; 3. p. sing. ind. pres. att. baia II 38 (per la forma vd. nota al verso); part. pres. att. baisans XVIII 32 [baissar] v. ‘abbassare, avvilire’ 3. p. plur. ind. pass. pross. baissat (an) XII 21 [barat] sm. ‘imbroglio, inganno’, c. r. pl. baratz XIX 40 baron sm. ‘barone, signore’, c. r. sing. XVIII 42 [batre] v. ‘battere’, 1. p. sing. ind. pres. att. bat XI 62; 3. p. sing. ind. pres. att. bat VI 28 becut agg. ‘linguacciuto [alla lettera: ‘beccuto’]’ c. s. masch. plur. XII 18 bel agg ‘bello’, c. s m. sing. bels I 13, XIV 41 c. s. masch. plur. bels XVIII 27; c. r. masch. sing. bel I 27, II 42, VIII 1, X 10, XI 17, XV 31, belh XI 31, XII 34; c. s femm. sing. bela XIX 31, belha V 1, bella I 9, II 15 bela, belha, bella vd. bel

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[beltat / beutat] sf. ‘bellezza’, c. s. sing. beltatz IX 42, beutaç XII 33, beutat VI 9, XIV 13, XIX 27, beutatç VIII 9, beutatz XI 34, XVIII 5, XIX 30 ben sm. ‘bene’, c. s. sing. bes XIII 37, XVI 29, 32, XIX 12; c. r. sing. ben; IV 4, XVI 26, 27, 28, 80; c. r. sing. be XII 26, XV 15, XX 16; c. r. plur. bes II 11, III 14, XVI 23, 24, 32 ben avv. ‘bene’, I 12, 14, 24, II 7, 21, III 1, 17, 21, 59, IV 1, 28, 44 VI 1, 39, VII 28, VIII 3, 24, 37, IX 6, 14, 39, X 44, XI 54, XIII 11, 25, XIV 19, 25, XV 3, 9, XVI 12, 17, 21, 60, XVIII 13, 21; be I 10, V 13, VI 45, VII 11, IX 35, XVII 9, 11, 16, XVIII 16, 17, XIX 1, 8, XX 8 [benanansa] sf. ‘ricchezza’, c. r. sing. benanans’ V 20 benestans agg. ‘benestante’, c. s. masch. sing. XVIII 8 beutaç vd. beltat beutat vd. beltat beutatç vd. beltat beutatz vd. beltat [blanc] agg. ‘bianco’, c. s. femm. sing. blanca V 3 [blandir, blandre] v. ‘blandire, corteggiare’, 3. p. sing. ind. pres. att. blanda XIV 9, blandis XIX 13 blasmamen sm. ‘biasimo’, c. s. sing. XX 5 blasmar v. ‘biasimare’, inf. pres. att. XVII 44 [blasme] sm. ‘biasimo’, c. s. sing. blasmess XX 6 blau agg. ‘livido’ c. s. masch. plur. X 13 boban, sm. ‘orgoglio, presunzione’, III 26 bon sm. ‘bene’, c. r. sing. XII 24, XVI 25 (2) bon agg. sost. ‘buono’, c. s. masch. sing. bons XIII 48 bon agg. ‘buono’, c. r. masch. sing. II 10, VI 10, VIII 7, 14, IX 29, XI 6, XII 22, XIII 34, XIV 12, 46, XV 37 c. s. m. sing. VI 18; c. s. femm. sing. bon’ II 15; c. r. femm. sing. bon’ XVI 15; c. r. f. sing. bona I 48, VI 51, XI 12, XII 8, XIX 23; c. s. masch. sing. bons IV 9, XI 7; c. r. masch. pl. bons VIII 5 bos XVI v. 24, 26, 30; c. s. masch. sing. bos I 24, XVI 23 [bonaurat] agg. sost. ‘fortunato’ masch. c. r plur. bonauratz XVI 79 bosc sm. ‘bosco’, c. s. sing. XIII 6 bratz sm. ‘abbraccio’, c. r. sing. XIX 21 brau agg. ‘crudele’, c. r. masch. sing. X v. 10 caber v. ‘essere contenuto’, inf. pres. att. I 48, XI 3 cais avv. ‘quasi’, X 24 caitius agg. ‘meschino,spregevole’, c. s. masch. sing. IV 33 cal pron. e agg. indef. int. ‘quale’, cals c. s. masch. sing. XVI 7, XVIII 16; c. r. masch. sing. cal X 16, XVI 61; c. s. masch. sing. quals XII 25; c. s. femm. sing. XVI 46, 61; c. r. femm. sing. 61, qual X 16 caler v. ‘importare, essere importante’, inf. pres. att. XII 11; impers. ind. pres. att. cal II 27, VIII 38, XVII 28 [calque] pron. indef. ‘qualche’, c. s. masch. sing. qalqe II 12 camisa sf. ‘camicia, sottoveste’, c. r. sing. II 55 [can] agg. ‘quanto’, quant c. r. masch. sing. XII 22; c. r. masch. plur. XVII 17 (2), 18 (2) can avv. ‘quanto’, cant XVIII 34, qan III 16, IX 27, X 29, 47, qant XVIII 41, quan VI 29 XVIII 24, 38 can avv. ‘quando’, II, 17, 38, 44, VIII 9, 12, X 3, 47, cant II 26, 42 qan III 26, 30, IV 16, IV 21, IX 1, 13, XVI 60, qand IV 36, qant IX 40, XI 17, quan V 3, 24, 26 XIII 16, XIX 26, quant I 36, XVII 15

Glossario

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[can] cong. ‘poiché’ qant XI 15 canson sf. ‘canzone’ c. s. sing. IX 52, chanso VI 50, XV 34, cansons, X 48, chansons I 43, chansos XI 6, XII 46, chanssos XVII v. 43; c. r. sing. chançon I 2, chanso XIX 42, chanson IV 10, XI 2, XII 1, XV 3; c. r. pl. chanssos IV 43 cant vd. can [cant] sm. ‘canto’, c. s. sing. chans IV 7, V 42, VI 6, XVIII 39, chanç XII 6; c. r. sing. chan IV 21, XIII 12, XV 5, XVI 67, 68, 73, 76, chant XVI 70, 78; c. r. plur. chans VIII 5 [cantaire] sm. ‘cantore’, c. s. plur. chantador IV v. 15; c. r. sing. XVI 69 [cantan] sm. ‘canto’, c. r. sing. chantan III 56 [cantar] v. ‘cantare’, inf. pres. att. chantar XIV 2, XVI 67; 3. p. sing. ind. pres. att. chant’ XVI 73, chanta XIII 5; 3. p. plur. ind. pres. att. canton V 40; 3.p. sing. ind. fut. att. chantara XVI 78; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. chantet XVI 74; 1. p. sing. cong. pres. att. chant II 2, X 5, XIX 5; 3. p. cong. pres. pass. chantatz (sia) XV 77; 3. p. sing. imp. pres. att. chant XVI 68, chant’ XVI 75; part. pres. att. chantan XV 2; XVI 76, II 7 [capdel] sm. ‘guida’, ‘dominio’, c. s. sing. capdelhs VI 43; c. r. sing. capdueil X 20; capduelh VI 36 [capdelar] v. ‘lasciarsi dominare da’, 1. p. sing. ind. pres. medio capdel (me) IX 10; ‘guidare’ 3. p. sing. ind. pres. att. capdela I 4 [capel] sm. ‘ghirlanda’, c. r. sing. chapel XI 18 [captalier] sm. ‘arricchito’, c. s. sing. captaliers III v. 18 capten sm. ‘difesa’, X 32 [captener] v. ‘difendere, sostenere’, 3. p. sing. ind. pres. att. capte XII 48, capten XIV 7 car cong. causale ‘perché’, I 34, II v. 13, III v. 37, 45, IV 5, 35, 42, VI 46, VII 2, 27, 35, VIII 5, 37, XI 23, 51, 58, IX 23, XII 8, 12, 43, XIV 6, 13, 30, 35, 38, 46, XVI 27, 29, 64, XVIII 10, 17, 19, 22, XX 5, 14, qar III 14, IX 19, 37, XI 63, quar V 37, VI 1, 3, 19, 23, 30, XIII 45, XV 6, 38, XVII 31, XIX 6, 11, 44 car agg. ‘caro’, c. r. sing. VI 48, XVIII 4 carel sm. ‘quadrello’ c. r. sing. X 56 [cargar] v. ‘caricare’ 3. p. sing. ind. pres. att. IX 4 carn sf. ‘carne’, c. r. sing. IX 12 [cart] sm. ‘quarta potenza [in matematica] (?)’ qart IX 33; ‘un quarto’ c. r. sing. quart IX 32 [cascun] pron. ‘ciascuno’, quascus XII 38 castel sm. ‘castello’, c. r. sing. X 8, XV 39 [castiar] v. ‘mettere sull’avviso’, 3. p. sing. cong. pres. passv. castiaç (sia) VIII 29 castier sm. ‘punizione’, III 53 cat sm. ‘gatto’ c.r. sing. XI 67 [causimen] sm. ‘indulgenza’, c. s. sing. chauzimens VI 5, 38; c. r. sing. chausimen XII 34, chauzimen XV 35 [cauza] sf. ‘creatura’, c. r. sing. cauz’ V 22 [cauzir] v. ‘giudicare’, inf. pres. att. chausir I 26, chauzir VI 1, XV 21; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. cauzit (a) XII 36 cavalher sm. ‘cavaliere’, c. r. pl. V 34 cel pron. ‘quello’, c. r. masch. sing. II 57, IV 5, 44 cell III 41 XVI 29, 81, XVIII 19, 20, sel XV 8, celui VIII 28, XVI 38, 51, XX 4; c. s. masch. plur. selh XIII 28; c. r. masch. plur. cels VIII 37, X 10, XVI 49; c. r. femm. sing ‘colei’ cela XV; 22, cella III 4 cel agg. ‘quello’ c. s. masch. III 11 cel sm. ‘cielo’, c. s. sing. sels XV 25, c. r. sing. cel XVI 35 cela vd. cel pron

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celar v. ‘celare, nascondere’, inf. pres. att. XVI 24; 3. p. sing. ind. pres. att. cela I 20 celat agg. ‘segreto’, c. r. masch. sing. III 24 cella vd. sella celui vd. cel [cembel] sm. c. r. sing. (mouran) sembel = ‘faranno guerra’ XI 28 cen agg. sost. indecl. ‘cento’, XIII 23, XVI 63 [certan] agg. ‘certo, sicuro’, c. s. femm. sing. certana I 41; c. r. femm. sing. certana V 29 ces sm. ‘censo, tassa’, c. r. sing. II 30, ses XVIII 4 cest pron. ‘questo’, c. r. sing. III 53, XVI 78 cha- vd. cacil pron. dim. ‘quello’, c. s. sing. sil XVI 7; c. s. masch. plur. cill IX 58, sill XIX 35; c. s. femm. sing. ‘quella’ VII 2, silh X 45, XII 4, XIV 15, cill X 6, 11, XVIII 24 clairor sm. ‘chiarore’, c. r. sing. XVI 58 [clamandier] sm. ‘colui che si lamenta, querelante’ c. s. sing, clamandiers III 68 [clamant] part. pres. sost. ‘querelante’ c. s. sing. clamans VI 41 [clamar] v. ‘chiamare, invocare’, 1. p. sing. ind. pres. att. clam III 52, ‘appellarsi’ 1. p. sing. ind. pres. medio clam (ie·m) VI 34; part. pres. att. III 25 clar agg. ‘chiaro’, c. s. sing. clars XVI 56; c. r. sing. clar XVI 56 clardat sf. ‘chiarezza’, c. s. sing. XVI 61; c. r. sing. clartatz XVI 57, clardatz XVI 66 clau sf. ‘chiave’, c. r. sing. X 22 clavel sm. ‘chiodo [in senso figurato: ‘cruccio’]’, c. r. sing. XI 55 [cobir] v. ‘concedere’, 3. p. sing. ind pres. pass. cobit XIII 21 cochos agg. ‘ardente [in senso figurato: ‘intenso’]’ XVII v. 26 [cogos] sm. ‘cornuto, becco’, c. s. sing. cogoç VIII 16, coguos XIII 27 coinde agg. ‘grazioso’, c. r. femm. sing coind’ II 51 coissi vd. consi color sf. ‘colore’, c. r. sing. XIX 26 colpable agg. ‘colpevole’, c. r. masch. sing. XIII 36 com cong. ‘come’, IX 15, X 54, XI 39, 50, 65, cum V 22, VI 3, VII 20, XVIII 35 com prep. ‘con’, III 23 com avv. ‘come’, II 48, III 23, XV 25, XVIII 31, 40, XIX 30, 44, con III 2, 28, 33, 35, VIII 6, XI 27, XVI 59, cum VI 32, X 22, XIII 15, quo· V 41 [comandar] v. ‘comandare’, 3. p. sing. ind. pres.att. comanda XV 1 [combatre] v. ‘combattere’, 3. p. sing. ind. pres. medio combat (si) VIII 12 comensamen sm. ‘principio’, c. r. sing. XV v. 8 comensar v. ‘cominciare’, inf. pres. att. XVII; 1. p. sing. ind. pres. att. començ XII 5, comenz X 2; 1. pers. sing. ind. pass. pross. att. comensat (ai) XIII 12 comjat sm. ‘congedo’, c. r. sing. XII 1 compagna sf. ‘compagnia’, c. r. sing. XII 36, companha, V 25 [compagnon] sm. ‘compagno’, c. r. sing. copagnon XIII v. 28 complit agg. ‘compiuto, perfetto’, c. s. masch. sing. complitz VI, c. r. sing. complit VI 9, XVI 46, cumplit XIV 14; c. s. femm. sing. complida IV 19; c. r. sing. complida IV 10

Glossario

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con vd. com [conegut] agg. ‘consciuto’, c. s. femm. sing. coneguda XIII 25 [conjurar] v. ‘scongiurare’, 1. p. sing. ind pres. att. conjur VII 29, 3. p. sing. ind. pres. att. conjura VII 30 conoissen agg. ‘intenditore’, c. r. sing. XX 12 conoisser v. ‘conoscere’, inf. pres. att. I 26; 1. p. sing. ind. pres. att. conosc VIII 37, XI 59, XV 36; 3. p. sing. ind. pres. att. conois XX 13, conoys XIII 42; 3. p. plur. ind. pres. att. conoisso XV v. 6; 1. p. sing. cong impf. att conogues IV 23 conort sm. ‘conforto’ c. r. sing. XVI 42 [conortar] v. ‘confortare, esortare’, 3. p. sing. ind. pres. att. conorta II 8 [conquerer] v. ‘conquistare’, 1. p. sing. ind. pres. att. conquier V 19; 3. p. sing. ind. pres. conqier III 33; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. conqes (a) II 10, conquis (a) VI 12, XVIII 18; 1. p. sing. cond. pass. (agues) conquista V 32 [conseilhar] v. ‘consigliare’, 1. p. sing. ind. pres. att. conseill I v. 31; 3. p. plur. ind. pass. rem. att. conseleron XIV 31 [conselh] sm. ‘consiglio’, c. r. sing. consseill IV 30 [consentir] v. ‘consentire, essere accondiscendente’, 3. p. sing. ind. pres. att. consen XX 4, consent XVI 64, 65, conssen XVIII 15; 3. p. sing. ind. pres. medio cossen (si) XIII 43 consir sm. ‘preoccupazione’, c. s. plur. VII 9; c. r. sing. cossir XVII 18 consirar v. ‘essere preoccupato’, inf. pres. att. XV 1; 3. p. sing. ind. pres. att. conssira VII 10 [consi] avv. ‘così’, coissi XVII 28, cosi· II 8, cossi II 18, cossi· II 3 consiros agg. sost. ‘persona preoccupata’ c. r. masch. sing., XII 5 conten sf. ‘disputa’, c. r. sing. XV 43 contra prep. ‘contro’ I 44, X 32 [convenent] sm. ‘patto’, c. r. sing. cuvenent X 23, cuvinen XIV 40 [convenir] v. ‘convenire, essere adatto’, 3. p. sing. ind. pres. att. XX, 3. p. sing. ind. impf. att. convenia IV 14 cor sm. ‘cuore, animo’, c. s. sing. cors I 16, VII 12, IX 18, 28, 40, XIV 29, XV 11, XVI 3, 55; c. r. sing. cor, II 9, III 2, 40, IV 48, V 17, VI 14, VII 21, 35, VIII 35, X 24, 43, 56, IX 9, 22, 26, 44, 47, 51, X 10, 12, XII 3, 20, 32, XIII 7, 41, XV 2, 7, 18, 23, XVI 13, 49, 59, XVII 8, XVIII 1, 29 cor (de), loc. avv. ‘di cuore’, I 8 coraje sm. ‘sentimento’, c. r. sing. X 36 coral agg. ‘sincero’, c. r. masch. plur. corals III 4; c. r. femm. sing. coral XVII 6 coralmen avv. ‘sinceramente’, XV 32 coras avv. ‘ogni volta che’, XI 46 cordella sf. ‘nastro’, c. r. sing. II 35 cordon sm. ‘nastro’, c. r. sing. XI 48 [cornut] agg. ‘cornuto’, c. s. masch. sing. cornutç IX 14 [correr] v. ‘correre’, 3. p. sing. ind. pres. corr XIII 2 cors (de) loc. avv. ‘di corsa’, VI 50 cors sm. ‘corpo, persona’, c. s. sing. VI 9, c. r. sing II 34, III 12, IX 19, 48 cort sf. ‘corte’, c. r. sing. I 48; VI 51 cortes agg. ‘cortese’, c. s. masch. sing. II 19, VI 10, IV 13, 31, XI 19; c. s. masch. plur. XIX 20; c. r. masch. sing. X 25 cortesia sf. ‘cortesia’, c. s. sing. IV 6; c. r. sing. cortezia V 28, 44 cossirier sm. ‘pena interiore, tormento’, c. r. sing. III 22, V 12, X 44 [creire] v. ‘credere’, 1. p. sing. ind. pres. att. cre XVII 4; 1. p. sing. ind. fut. att. crerai XIII 33; inf. pass. att. cregut

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(aver) IX 35 [creiser] v. ‘crescere’, 3.p. sing. ind. pres. att. creiss IX 13 [cri] sm. ‘grido’, c. r. plur. criç VIII 23 crida sf. ‘araldo’, c. s. sing. IV 11 [cridar] v. ‘gridare’, 3. p. plur. ind. pres. att. cridon V 40, 2. p. sing. imp. pres. att. crida VI 52 crit sm. ‘voce indiscreta’, c. r. sing. XIV 38 crotz sf. ‘croce’, c. r. sing. III 51, croç VIII 35 cuidar v. ‘pensare, ritenere’, inf. pres. att. VII 38; 1. p. sing. ind. pres. att. cug V 26, cuich XVIII 16, 26, cuig I 37, XII 28, 31, cuit IX 48; 3. p. sing. ind. pres. att. cug II v. 36; 3. p. plur. ind. pres. att. cujan XI 25, cujon XIX 28; 3. p. sing. ind. impf. att. cujava XIX 8; 1. p. sing. pass. rem. att cugei XII 1, XVII 33; 1. p. sing. ind. pres. medio cuich (me) XVIII 17 cum vd. com [curar] v. ‘aver cura’, 1.p. sing. ind. pres. att. cur VII 7; 3. p. sing. ind. pres. att. cura VII 8 [dat] sm. ‘dado’, c. r. plur. datz XIV 9 damnaje sm. ‘danno’, c. r. sing. X 27 dan sm. ‘danno’, c. r. sing. III 66, XII 28, c. s. sing. dans XVIII 24 [danzar] v. ‘danzare’, 3. p. sing. imp. pres. att. danze II 56 dar v. ‘dare’, inf. pres. att. III 13, XII 14; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. dat (a) XII 4; 1. p. sing. cond. pres. att. daria IV 30, 3. p. sing. cond. pres. att. des XII 36 [daurar] v. ‘indorare’, 3. p. sing. ind. pres. att. VI 38 de prep. ‘di’ I 8, 21, 25, 28, 29, 36, 45, II 11, 25, 29, 31, 36, 41, 42, 43, 51, 52, 58, 60, III 2, 14, 17, 23, 50, 60, 63, 65, 68, IV 39, VI 4, 9, 10, 26, 33, 35, 36, 36, 44, 45, 46, 50, V 15, 20, 23, 24, 25, 35, VII 1, 5, 8, 13, 25, 26, 32, 36, 40, VIII 13, 25, 28, 33, 35, 38, IX 3, 12, 18, 25, 32, 46, X 5, 6, 7, 8, 12, 14, 24, 50, 52, 59, 62, XI 19, 23, 29, 35, 36, XII 5, 11, 13, 22, 28, 32, 40, 45, XIII 3, 14, 19, XIV 2, 3, 9, 13, 14, 38, 40, XV 5, 8, 15, 21, 40 (2), XVI 11, 47, 49 (2), 51, 59, 68, 72, 79, XVII 8, 11, 16, 32, 34, 35, 42, XVIII 24, 27, 42, XIX 2, 4, 17, 20, 21, 23, 25 (2), 41, XX 3, 7; d’ I 4, 5, II 16, 37, 55, III 24, 30, VII 7, 27, IV 31, 36, 40, VI 29, 39, 41, VIII 17, X 30, 40, IX 1, 2 (2), 5, 6, 9, 21, 29, XI 13 (2), 18, 33, 55, XII 12, 23, 27, 40, XVI 15, 19, 21, 44, 75, XVII 31, 38, XIX 2, 31, XX 1, 11 [decazer] v. ‘decadere’, inf. pres. att. dechazer XI 25 [defendre] v. ‘difendere’, 3. p. sing. ind. pres. medio defen (no·s) XI 22 del prep. art. ‘del’, I 16, II 32, 50, V 2, VIII 1, IX 19, 22, 48, 50, X 22, XI 15, XII 12, XV 12, XVI 25, 25, 36, 53, XVIII 25, XX 16 dels prep. art. ‘dei, degli’, VI 27, XI 20, 40, XVI 41 [deman] sm. ‘richiesta’, c. r. plur. demans I 32 demandar v. ‘chiedere, domandare’, I 30, 1. p. sing. ind. pres. att. deman VIII 36; 3. p. sing. ind. pres. att. demanda XV 12; 1. p. sing. cong. pres. att. deman III 55; 3. p. sing. cong. pres. att. deman XIX 43 denans avv. ‘davanti’, XVIII 31 [denhar] v. ‘degnare’, 2. p. sing. ind. pres. att. degnias XVI 60; 3. p. sing. ind. pres. att. denha VI 2, 42; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. degnet XVII 10; 3. p. sing. cong. pres. att. denhe XVII 24; 3. p. sing. cond. pres. att. deignes XII 38, deines VII 19 denier sm. ‘denaro, soldo’ V 20 dentarigua sf. ‘fastidio ai denti’ c. r. sing. XVII 13 departir inf. sost. ‘partenza’, c. r. sing. XV 22, XVIII 12 [deport] sm. ‘divertimento’, c. s. sing. deportz IV 7 [deportar] v. ‘divertirsi’, 1. p. sing. ind. pres. att. deporte II 18, 1. p. sing. cong. pres. att. XIX 5

Glossario

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desamar v. ‘non amare’, inf. pres. att. XVII 13 desamat sm. ‘non amato’, c. s. plur. XII 16 desamat agg. ‘non amato’, c. s. sing. desamatz XVI 20 desamor sm. ‘disamore’, c. r. sing. XVI 14 [descapdelar (se)] v. ‘guastarsi’, 3. p. sing. cong. pres. medio descapdel (se) XI 27 deschantar v. ‘cantare in discanto’, inf. pres. att. XVI 68 descobrir v. ‘rivelare’, inf. pres. att. X 4; 1. p. sing. cong. impf. att. descobris XIV 32 desconoissen agg. ‘sconsiderato’, c. r. sing. XX 1 dese avv. ‘immediatamente’, XVII 12, dece XIX 16 [desesperar (se)] v. ‘disperare’, 1. p. sing. ind. pres. att. desesper (mi) XIII 12 [desfaire] v. ‘disfare’, 3. p. sing. ind. pres. att. desfai X 34 desguarnit agg. ‘privo’, IX 49 [desotz] avv. ‘disotto’, desotç VIII 26 [despolhar (se)] v. ‘togliersi le vesti’, 1. p. sing. ind. pres. medio despuelh (me) VI 41 [desrazigar] v. ‘estirpare, strappar via’, 3. p. sing. ind. pres. medio desrazigua (se) XVII 14 [destre] agg. ‘destro’, c. r. femm. sing. destra IV 26 [destrenher] v. ‘stringere’, 1. p. sing. ind. pres. att. destreing I v. 23, 3. p. sing. ind. pres. att. destrenh VI 28 [destrigar] v. ‘fare danno’, inf. pres. att. XVII 21 desturbier sm. ‘profondo fastidio’, c. r. sing. V 27 [desvestir (se)] v. ‘spogliarsi’, 1. p. sing. ind. pres. medio desvest (me) VI 41 [detz] agg. ‘dieci’, c. s. masch. VIII 18 [dever] v. ‘dovere’, 1. p. sing. ind. pres. att. dei IX 7, XV 3, dey XIII 11; 3. p. sing. ind. pres. att. deu IV 1, 3, 44, VI 31, 40, VIII 17, IX 35, XIV 5, XVI 5, 11, 17, XVIII 18, XX 14; 3. p. sing. cong. pres. att. deja XVIII 6, 41, devi XX 2; 1. p. sing. cond. pres. att. degra XVII 4 deves agg. ‘vietato > intimo’, c. r. masch. sing. II 50 [dezirar] v. ‘desiderare’, 1. p. sing. ind. pres. att. VI 30, desir IX 11, XII 44; 3. p. sing. ind. pres. att. desira VII 2 dezir sm. ‘desiderio’, c. r. sing. VIII 1, XI 5, XV 6, XVI 2, desir XVIII 1; desir I 19; c. s. plur. desir VII 1; c. r. plur. dezirs VI 6 dezirier sm. ‘desiderio’, c. r. sing. III 3, V 31, XI 4 [dezonor] sm. ‘disonore’, c. r. sing. desonor XIX 3 diaman sm. ‘diamante’, c. r. sing. III 43, 45 Dieu sm. ‘Dio’, c. s. sing. Dieus III 11, IV 24, 37, VI 39, XIII 24, 33, 42, 45, XV 38, XVI 9, 14, 50, 61, 71, XVII 34, 40, 41, XVIII 36, c. r. sing. Dieu III 51, VI 34, XVI 10, 13, 55, 66, 68, 79, XIX 19 dig sm. ‘parola, discorso’, c. s. sing. digs X 49, c. s. plur. dig X 31 dir inf. sost. ‘detto, discorso’, c. r. sing. I 24, IV 47, XI 9, XIV 7 dir v. ‘dire, parlare, comporre [versi]’, inf. pres. att. III 9, IV 16, VIII 10, 17, 24, XI 3, XVIII, 17, 33, dire IX 52; 1. p. sing. ind. pres. att. dic XII 29, XIII 26; 3. p. sing. ind. pres. att. diç I 13, VIII 17, dis XI 52, ditz I 19, XV 33; 3. p. plur. ind. pres. att. digon VIII 28; 3. p. sing. ind. impf. att. dizia IV 13; 1. p. sing. ind. fut. att. dirai XII 17, XIV 20, XVII 29, 36; 1. p. sing. ind. pass. pross. att. dig (ai) I v. 17, 34; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. ditz (a) IV 4; 3. p. sing. ind. pass. rem. dis IV 17, ditz IV 12; 3. p. cong. impf. att. dises X 24, disses VII 39; 2. p. sing. imp. pres. att. digas XI 47; 3. p. sing. imp. pres. att. diga XI 49, digua XVI 5; 2. p. plur. imp. pres. att. digaç VIII 20, digatz XVI 80; part. pres. att. disen III 59 dol sm. ‘dolore’, c. s. sing. dols IV 8; c. r. sing. duoill IX 15

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

[doler (se)] v. ‘dolersi’, 1. p. sing. ind. pres. medio doil (me) X 30, 39, dueill (me) XI 57, duelh (me) VI 17, duoill (me) IX 14 dolor sf. ‘dolore’, c. r. sing. XII 45, XIX 3, c. r. plur. dolors VI 26 dom vd. don domna sf. ‘donna, dama [nelle traduzioni si è preferito mantenere la parola occitana]’, c. s. sing. I 19, III 51, VIII 9, XIV 33, dompna II 15, IV 29, XVIII 11, 33, XV 16, XV 26, XVI 34, XVII 35, donna III 11, 21, 41, 48; c. r. sing. XI v. 40, dona VI 22, 40, XVII 3; c. s. sing. XIII 29; c. r. plur. domnas XVII 44, XIX 25, donas XIII 19, donna XI 35 [domnei] sm. ‘galanteria, corteggiamento’, c. s. sing. domneis II 33, 37, XI 33, dompneys VI 6; c. r. sing. domney I 16, dompnei XVIII 39, donei II 31 [domnejaire] sm. ‘corteggiatore’, c. r. sing. dompnejador XIII 34 [domnejar] v. ‘corteggiare’, dompnejar XV 30; 3. p. sing. ind. pres. att. dompneja XVII 30 [dompnejamen] sm. ‘galanteria, corteggiamento’, c. r. sing. domneyamen XIII 22 don avv. ‘di cui, da cui, per cui’, II 27, III 3, IV 8, VI 20, VII 10, 36, VIII 22, IX 16, 50, X 30, XI 59, XVII 76; dom X 39 donar v. ‘dare, donare’, inf. pres. att. X 26; 1. p. sing. ind. pres. medio don (mi) XII 4; 3. p. sing. ind. pres. att. don’ XVII 27; 2. p. plur. ind. pass. rem. medio dones (vos) XIV 39; 3. p. sing. cong. pres. att. II don 52, VI 20, done II 40, XI 48; 3. p. sing. cong. pass. att. donat (aya) VI 22; 3. p. sing. imp. pres.att. don XVI 71, XVIII 36 donc avv. ‘dunque, pertanto’, VII 22, IX 35, XII 14, doncs XVIII 21 doptos agg. ‘timoroso’, c. s. masch. sing. XII 33 dos agg. ‘due’, c. r. XI 60 doucet agg. dim. intens. ‘dolcissimo’, c. r. masch. sing. VII 37 dous agg. ‘dolce’, c. s. masch. sing. XV 18 dos I 45, X I 49, douç I 13, douz II 50; c. r. masch. sing. dos XI 58, dous I 1, II 50, douz XVI 2 (2); c. s. masch. plur. doutz IV 21; c. r. masch. plur. IX 2, dous I 27; c. s. femm. sing. doussa XVIII 37; c. r. femm. sing. doussa V 30 [dousamen] avv. ‘dolcemente’, doussamen XII 6, doussament XVIII 28 dousor sf. ‘dolcezza’, c. r. sing. XVI 6, XIX 10 doussor sm. ‘dolcezza’, c. r. sing. V 23 [drech] sm. ‘diritto, ragione’, c. r. sing. IX 10, dret IX 14 [drech (a)] loc. avv. ‘a buon diritto’, a dreg XIII 24, 28 [drech (en)] loc. avv. ‘davanti a’, en dreg XII 37 [drech (per)] loc. avv. ‘certamente’, per dreich IX 28, per dreit VI 39 [drech] agg. ‘giusto’, c. s. femm. sing. dreita VII 6, dreitz II 7, IX 39; ‘dritto’ c. r. masch. plur. dreitz XVII v. 12 dreitura sf. ‘giustizia’, c. r. sing. VII 32 dreiturier agg. ‘giusto’ c. s. masch. plur. V 41 druda sf. ‘amante’, c. s. sing. XIV 35 drudaria sf. ‘galanteria’, c. r. sing. I 25 drut sm. ‘corteggiatore, innamorato’, c. r. sing. drut XII 34; c. s. plur. drut XIII 29 duoill vd. dol dur agg. ‘duro’, c. r. masch. sing. VII 21, c. s. femm. sing. dura VII 22 e cong. ‘e’, I 7, 8, 11, 15, 18, 22, 25, 26, 35, 39 (2), 42, 46, II 2, 5, 8, 14, 15 (2), 16, 17, 19, 24, 26, 29, 36, 38, 40, 45, 51, 54, 59, III 5, 7, 15, 24, 35, 46, 47, 48 (2), 64, IV 2, 3, 4, 6, 7 (2), 13, 22, 35, 36, 40, 43 (2), 47, V 3, 4, 5, 6, 23, 28, 40, VI, 5 (2), 6 (2), 11, 14, 15, 17, 18, 27, 32, 34, 35, 37, 43 (2), 48 (2), 52, VII 3, 11, 15, 24, 30, 37, VIII 2, 3, 13, 15, 19, 23, 30, 31, 33, IX 2, 4, 9, 11, 25, 28, 30 (2), 37, 39, 50 (2), 51 (2), X 2, 10, 24, 25, 28, 29, 34, 35, 40, 43, 47 (2), XI 1, 2, 15, 19, 26 (2), 29, 30, 41, 45, 60, XII 6, 7, 11, 17, 23, 27, 34, 35, 39, 41, 44 (2),

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47, XIII 2, 3, 4, 9, 27, 29 (2), 38, 43, 44, XIV 7, 11, 14, 20, 21, 27, 29, 47, 48 (2), XV 1, 15, 20, 28, 30 (2), 35, 40, XVI 8, 9, 10, 13, 23, 31, 43, 54, 62, 74, XVII 13, 14, 17, 18, 20, 21, 28, 32, XVIII 5, 6, 8, 15, 23, 29, 30 (3), 32, 33, 35, 37, 38 (2), 40, 43, XIX 15, 16, 22, 23, 27, 30, 38, 39. 43, XX 1, 6, 7, 12, 16; e· I 27, 45, II 1, 6, 39, 43, 50, III 27, 36, 52 (2), IV 26, 35, V 7, 25, VI 25, 28 (2), 41, 44, VIII 25, IX 3, 4 (2), 14 (2), 44 (2), X 27, XI 6, 7, 8, 22, 49, XIII 10, 18, 37, 40, 46, 48, XIV 8, XVIII 26, XIX 5 (2), 18, 20, 21; et I 5, 6, II 23, III 56, 61, IV 2, 33, 48, VII 6, 8,VIII 40, X 26, XI 11, 20, XII 15, 40, XV 7, 14, 17, 29, 32, 39, XIV 24, XVIII 9, XIX 2, 4, 7, IX 13, 14, 32, ez VI 47, V 11, 17, IX 10, XIII 41, XVII 44 egal agg. ‘uguale’, c. r. femm. sing. III 10 [egalmen] avv. ‘ugualmente, allo stesso modo’, engualmen VI 8 eisamen avv. ‘ugualmente, parimenti’, XV 8, eissamen XVI 52, yssamen V 41 [eisarop] sm. ‘sciroppo > dolcezza [poetica]’, c. r. plur. serops I 47 [eisir] v. ‘uscire’, 1. p. sing. ind. pres. iesc XII 13 eissernit agg. ‘scaltro’, c. s. masch. plur. XIV 30 [el] art. det. masch. sing. ‘il’, ·ill IX 1, 35, XVIII 18, l’ (art.) II 58, III 28, 35, 47, 49, IV 38, X 19, XIII 9; XV 13 l’ II 60, X 13, XIII 16, ·l V 14, 21, 31, VI 39 XX 3, VI 46, VIII 25, IX 1, IX 4, IX 44 (2), X 1, 32 XI 6, 7, 8, XI 49, XIII 6, 10, 40, 43, 46, 47, 48, XIV 8, XV 6, 7, 13, XVII 26, 40, lo I 1, 24, II 30, III 19, 26, 70, IV 4, 28, VIII 25, IX 26, 33 (2), 35, X 2, 38, XII 3, 18, XIII 7, 10, 12, XV 25, XVI 2 (2), 28, 41, 48 (2), 52, 56 (2), 58, 60, XVII 26, XVIII 24, XIX 21, XX 4, 16; (plur.) ‘i, gli’ li V 5, XI v. 21, VIII 27, XII 26, XIII 17, 25, 40, XIX 37, ·l I 27 (2), 43, II 39, 49, 50, IV 20, V 41, IX 4, XI 22, XII 16, XIII 18, 20, 37 (2) el pron. masch. sing. sogg. ‘egli, lui’, IV 40, VIII 16, XVI 21, 31, 69, 75; l’(acc. sing.) IV 24, 38, VI 23, 24, VI 46, VII 20, VIII 8, IX 34, X 3, XI 61, XIII 8, 36, XVII 15, XVIII 18, ·l III 30, IV 26, VII 36, XIII 8, XVI 71, 74, XVIII 22, XIX 21, lui XIV 14, XVI 33, 43, luy XVI 8; ·l (acc. plur.) IV 48, VI 15; l’ (dat. masch. sing.) X 17, XII 27, XVI 16, XVIII 23, li VI 38, X 36, XII 47, XVIII 43, lo VIII 17, IX 6; se pron. rifl. ‘si’ p. I 21, VII 15 IX 24, XIII 28, XIV 5, XVII 21, enclitico (talvolta pleonastico) ·s I v. 15, 18, 22, II 38, 43, 47, 47, 60, VI 31 (2), 48, VII 12 (2), 14, 16, VIII 5, 11, IX 3, 4, 18, X 33, XI 37, XII 28, XIII 19, 43, XIV 11, 28, XVII 5, 12, 23, 32, XIX 1, proclitico (talvolta pleonastico) s’ I 36, 46, II 9, 47, 48, 57, 59, VI 48, VII 24, VII 25, 31, VIII 20, IX 1, 3, 5, 23 (2), 25, X 1, 14, 46, XI 22, 62, XIV 12, XV 4, 34, XVII 35, XVIII 19, 29, XIX 13, 33, 34; se pron. impers. ‘si’ VIII 40; pron. rifl. si II 34, IV 35, V 37, XI 27, XVI 46, 53, XVII 14; si· XI 9, ·is pron. pers. encl. ‘si, se’ XVIII 18, 29, XIX 20, (pleon.) XVIII 17 ela pron. femm. sing. sogg. ‘ella, lei’, ela· VII 19, ell’ IX 36, ylh XIII 8; l’ (ogg.) I 6, VIII 36, X 35, XI 53, XV 11, XVIII 12, la I 23, 38, II 20, VI 3, 47, VII 26, XII 30, XIV 19, XV 10, XVI 62 (2), XVII 4; leis (de) (gen.) VII 5, 13, 40; (acc.) IX 20, 22, 32, 42, leis VIII 35, IX 18, lieys VI 2, 19; (dat.) ·ill IX 3, l’ III 5, VII 21, XII 22, XVIII 31, ·l I 40, II 45, 56, XVII 28, leis (a) I 8, II 28, VII 16, XII 21, 39, 43, li IX 27, 28, XII 24, XII 40 (2), XVII 29, liei (a) XIX 6, lieis (a) XVIII 29, lieis (ab), XVIII 30, lieys (ab) XVII 21 el prep. art. ‘nel, nello’, IV 35, 48, X 1, XII 3, XV 18, XVIII 7, XIX 27 els pron. masch. plur. soggetto ‘essi, loro’, VIII 29, XII 27; li (dat.) VI 15 [emprendre] v. ‘accendere’, 3. p. sing. ind. pres. att. enpren XV 7 [emprendre (se)] v. ‘impegnarsi’, 3. p. sing. ind. pres. medio empren (s’) XVI 51 en part. pron. ‘di ciò, ne, riguardo a ciò, da ciò, per ciò’, I 3, II 5, V 33, 35, 48, VI 16, X 13, 40, XI 22, XII 4, XIV 44,·n I 6, II 35, 40, V 12, 25, 29, IX 6, X 8, XI 15, XIII 23, XVII 5, 36, XIX 3, n’ II 36, 59, III 58, V 13, [VII 1], VIII 14, IX 36, 47, XII 39, XIII 32, XVII 12, (introduce una comparat.) IX 45 [en] part. onorifica ‘don’, n’ IV 32 en avv. ‘ne, da quel luogo’, I 42, II 49, III 4, VI 17, 50, VIII 26, IX 23, X 8, XI 38, XII 46, 49, XVIII 36, 43, [n’ VII 1] en prep. ‘in’, I 8, 32, 46, 48, II 11, 20, 40, 44, III 13, 22, 27, 51, 54, IV 38, 46, VI 51, VII 9, VIII 9, 10, 15, 26, 35, 36, IX 24, IX 33, 41, X v. 6, 9,12, 14, 15, 28, 33, XI 1, 36, 61, 63, XII 20, XIII 37, XIV 15, 18, 22, 28, 36, 46, XV 2, 20, 24, 25, XVI 5, 13, 35 (3), 51, 76, XVII 30, 40, XVIII 3, 32, XIX 31, e II 9¸ X 37, XII 36, em II 3, XIII 5, 15; ne III 18

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

[enan] avv. ‘prima’, enans XVII 39, enanz X 14, inanz IX 44 [enardir] v. ‘incoraggiare, rendere ardito’, 3. p. sing. ind. pass. rem. att. enardit IX 40; 1. p. sing. cong. impf. medio enardis (m’) XVIII 10 [encan] sm. ‘incanto’, c. s. sing. XVI 72 [encantador] sm. ‘incantatore’, c. r. sing. enchantador XVI 72 [encantar] v. ‘incantare’, inf. pres. att. enchantar XVI 71 encar vd. ancar [encausar] v. ‘incalzare, cacciare’, 3. p. sing. ind. pres. att. encaussa XIII 10 [encolpar] v. ‘essere colpevole’, 1. p. plur. ind. pres. passv. encolpat (em) XIII 44 encreire v. ‘credere’, inf. pres. att. VIII 18 [endosmengier] agg. ‘ligio, vassallo’, c. s. sing. endomengiers III 57 [enemic] agg. ‘nemico’, c. s. masch. sing. enemics XI 20 [enfan] sm. ‘figlio’, c. s. plur effans XIII 20 enfern sm. ‘inferno’, c. r. sing. IV 38 [enganar] v. ‘ingannare’, 3. p. sing. ind. pres. att. enguana VI 46 [enganat] agg. sost. ‘ingannato’, c. s. masch. plur. enjanat XIII 25 [enic] agg. ‘ingiusto, iniquo’, c. s. femm. enigua XVII 22 enlumenar v. ‘illuminare, rischiarare’, inf. pres. att. XVI 57 [enoi] sm. ‘dispiacere’, c. r. plur. enueis XV 13 [enoiar (se)] v. ‘avere, provare fastidio’, 3. p. sing. cong. impf. medio enuies (se) XVII 35 enoios sm. ‘mettimale’, c. s. plur. VIII 27 enoios agg. ‘fastidioso’, c. r. sing. XII 41 [enquerre] v. ‘chiedere’, 3. p. sing. ind. pres. att. enquier VIII 14, XI 52 [enrabiar] v. ‘uscire di senno’, 1. p. sing. ind. pres. att. enrage IX 16 enriquir v. ‘arricchire [nobilitare (?)]’, inf. pres. att. VI 40, XVIII 9 ensems avv. ‘insieme’, VIII 19 [entalhar] v. ‘intagliare, scolpire’, inf. pres. att. entaillar XV 23 entencion sf. ‘volontà, intenzione’, c. r. sing. II 14 [entendre] ‘intendere, saper intendere’, 3. p. sing. ind. pres. att. enten III 45, XV 16, XVI 21; ‘sentire, ascoltare’ 3. p. sing. ind. fut. pass. entenduç (er) VIII 4 entendedor sm. ‘colui che si intende di qualcosa, intendidore’, c. r. sing. V 38 entier agg. ‘intero, perfetto’, c. r. sing. V 13, XI 34 [entrar] v. ‘entrare, montare’ 1. p. sing. ind. pass. rem. att. entrei X 37 entre avv. ‘dentro, tra’ XVI 63, XIX 34, 40 entrepres agg. ‘impicciato, in difficoltà’ c. r. masch. plur. VIII 30 enueis vd. enoi enveja sf. ‘voglia’ (?), invidia (?) XVIII 13 [enviar] v. ‘inviare’, 3. p. sing. ind. pres. att. envia IV 38 [envidar] v. ‘invitare, chiamare [a deporre]’ 3. p. sing. ind. pres. att. envida II 1 envios agg. sost. masch. ‘invidioso’ XI c. s. sing. 20, 21 envit sm. ‘posta (?) [termine del gioco dei dadi, vedi trad. e nota’ c. r. sing. XIII 13 er vd. ar

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era vd. ara [erbeta] sf. dimin. ‘erbetta’, c. s. sing. erbet’ V 4 esbahitz agg. ‘stupefatto’, c. s. masch. sing. IV 20, V 22 esbaudimen sm. ‘gioia’, c. r. sing XII 11 [escazer] v. ‘spettare, capitare’, 3. p. sing. ind. pres, att. eschai III 58, X 17 escien (a mon) loc. avv. ‘a parer mio’, III 19 [esclarar] v. ‘rischiarare’, 3. p. sing. ind. pres. att. XV 17 esclau sm. ‘traccia’, c. r. sing. X 19 escondir inf. sost. ‘rifiuto, risposta negativa’, c. r. XV 13 escoutar v. ‘ascoltare’, inf. pres. att. XVII 24; 3. p. sing. cong. impf. att. escoutes XII 31 escuelh sm. ‘contegno’, c. r. sing. (daurar l’escuelh = ‘rendere più dolce il contegno’) VI 38 eser v. ‘essere’, inf. pres. esser II 36, III 18, 37, 67, IV 1, V 15, VI 41, XII 30, XVIII 3, XX 14; 1. p. sing. ind. pres. soi IX 9, 19, son II 19, X 42, XI 11, XII 11, 41, sui III 57, V 25, IX 27, X 36, XI 19, XVIII 33, 40, suy VI 18; 3. p. sing. ind. pres. es I 41, II 4, 7, 9, 26, 33, 37, 42, III 8, 17, 27, 46, 47, 49, IV 8 (2), 11, 33, 36, 48,V 1, 3, 11, VI 11, 18, 23, 24, 43, VII 6, 22, 38, VIII 11, 12, 20, 36, IX 14, 25, 27, 28, X 57 XII 6, 24, XIII 13, XIV 21, 25, 27, XV 40, XVI 9, 11, 16, 21, 23, 29, 31, 52, 55, 62, XVII 5, XVIII 7, 16, 19, 21, 24, 38, XX 5, 13, etz IV 12; 1. p. plur. ind. pres. em XIII 44; 3. p. plur. ind. pres. son I 28, II 11, VI 49, VII 1, 9, VIII 38, X 13, XI 21, XIII 16, 20, 25, 27, 31, 37, XIV 6, 8, 46, XIX 35, so· V 31; 3. p. sing. ind. impf. er’ IV 20, era IV 19, VIII 16, 24; 2. p. plur. ind. impf. con valore di cond. eratz VIII 18 (si osservi anche forma eriatç in apparato, e la nota ad essa relativa nel commento); 3. p. plur. ind. impf. eron IV 15; 3. p. sing. ind. impf. con valore di cond. XV 20, XVIII 31; 1. p. sing. ind. fut. serai I 12, III 68, VI 26, XVIII 40; 3. p. sing. ind. fut. sera VIII 29, XVI 33; 3. p. plur. ind. fut. seran VIII 26, XII 26, XIII 39; 1. p. sing. pass. rem. fui IX 93; 3. p. sing. ind. pass. rem fon X 41, XIV 20; 3. p. sing. ind. fut. organico er I 43, IV 9, 28, 40, VIII 4, 14, IX 31, XI 49, XV 11, XVIII 23; 1. p. sing. cong. pres. 1. p. sing. cong. pres. sia IV 45, si’ XIV 22; 3. p. sing. cong. pres. 3. p. sing. cong. pres. sia II 24, IV 25, XI 17, XII 10, XVI 77, 79, XIX 28, si’ jXV 33; 2. p. sing. cong. pres. sias XVIII 43; 2. p. plur. cong. pres. siaç I 14, VIII 33; 1. p. sing. cong. impf. fos VII 39; 3. p. sing. cong. impf. fos VI 7; impers. cong. impf. fos XI 62; 2. p. plur. cong. impf. foses XIV 35; 1. p. sing. cond. pres. fora IX 54; 3. p. plur. cond. pres. foran VI 7 esfors sm. ‘sforzo, impegno’ c. s. sing., ‘impegno nel fare il bene’ esfors (de be) XV 15 [esfre] sm. ‘paura’ turbamento’, c. r. sing. esfrei I 15 esfrei vd. esfre [esgardar] v. ‘guardare’, 1. p. sing. ind. pres. att. esgart III 36; 3. p. sing. cong. impf. esgardes XVIII 12 esgart sm. ‘sguardo’ c. r. sing. VII 37; c. s. plur. XI 32 [esglajar (se)] v. ‘spaventarsi’, 3. p. sing. ind. pres. att. esglaja (s’) II 47 [esjauzir (se)] v. ‘rallegrarsi, gioire’, 3. p. sing. ind. pres. medio esgau (se) IX 1 esmai sm. ‘sgomento’, c. r. sing. X 26 [espandir (se)] v. ‘spandersi, diffondersi’, 3. p. sing. ind. pres. medio espan (se) IX 25; 3. p. sing. cong. pres. medio espanda (se) XV 4 esparviers sm. ‘ sparviero’, c. s. sing. III 28 espaven sm. ‘spavento’, c. s. sing. c. r. sing. XIV 39 esper sm. ‘speranza’, c. r. sing. espers I 11, XI 7, II 13, IX 29, XI 6 [esperansa] sf. ‘speranza’, c. s. sing. esperança I 9 [esperit] sm. ‘spirito’, c. s. sing. esperiz IV 12 [esperdre (se)] v. ‘smarrirsi, sbigottirsi’, 1. p. sing. ind. pres. att. espert (me) III 28 [enseinhar] inf. sost. ‘insegnare’, esseinhar II 60 [enseinhar] v. ‘insegnare, dettare’, 3. p. sing. ind. pres. att. essena VIII 6

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

[establir] v. ‘preparare, stabilire’, 3. p. sing. ind. pass. pross. establida (a) IV 27 estaje vd. ostatge estar v. ‘stare’, inf. pres. X 4; 1. p. sing. ind. pres. estau V 24, X 28; 3. p. sing. ind. pres. estai IV 39, VIII 35; 1. p. sing. ind. pass. pross. estat (ai / ai) III 22, V 8, VI 27, VIII 22; 3. p. sing. ind. pass. rem. estet III 51; 3. p. sing. cond. II estera XIX 1 estar inf. sost. ‘rimanere, stare’, XVII 10 estat sf. ‘estate’, c. r. sing. ‘estate’ XIII 9, estei IX 1 estiers avv. ‘altrimenti’, III 67, X 3 [estragar] v. ‘agire sconsideratamente’, inf. pres. estraguar XVII 43 [estraire (se)] v. ‘sottrarsi’, 1. p. sing. ind. pres. medio estrai (me) X v. 8; 3. p. sing. cong. pres. medio estraja (se) II 57 [estrangolar (se)] v. ‘strangolarsi, strozzarsi’, 1. p. sing. ind. pres. medio estrangol (m’en) XIV 44 [estranh] agg. ‘estraneo’, c. s. femm. sing. estragna XI 9, estranha V 11 [estrenar] v. ‘fare dono’, 3. p. sing. ind. pass. rem. att. estrenet III 14 [estrenher] v. ‘stringere’, 1. p. sing. ind. pres. att.estreing II 46 eu pron. pers. ‘io’, I 38, 40, II 7, 12, IV 23, VII 3, 7, 20, 23, IX 22, 41, 45, 47, 54, X 5, 43, XI 11, 53, 55, XII 39, XVIII 10, 12; e· XII 28; ie· VI 34, V 12, XIV 44, XVIII 35, ieu I 6, 31, 34, II 2, 13, 22, III 2, 22, 28, 35, 63, IV 45, V 10, 14, 19, VI 3, 13, 15, 21, 26, 32, 36, IX 6, 17, 30, 37, XI 9, XII 4, 5, 12, 41, 43, 47, XIII 7, XIV 32, 42, XV 24, XVII 4, 39, XVIII 3, 31, 40, XIX v. 2, 3, 5; ·m dat. encl. ‘mi, a me (talvolta ridondante)’ I 10, 13, 17, 33, II 1, 3, 8, 18, 24, 27 (2), 52, 54, III 36, 58, 64, 70, V 6, 7, 14, 31, VI 2 (2), 3, 4, 13, 14, 20, 25, 28 (3), 33, 34, 41, 42, 44, VII 2, 11, (3), 13, 17, 19, 27, 29, 38, 39, VIII 33, XI 5, 14, 17, 43, 44, 47, 48, 49, 55, IX 6, 14 (2), 51, X 4, 38, XII 3, 8, 9, 10, 17, 41, 42 (2), 48, XIII 1 (2), XIV 1, 18, 31, 35, 40, 42, XVII 13, 20, 27, 28, 31, XVIII 9, 11, 17, 25, 35, 36, XIX 5 (2), 8, 9, 43; m’ pron. pers. acc. ‘me, mi’ I 3, II 1, 5, 8, 10, 15, 28, III 28, 63, V 33, VI 2, 12, 16, 22, VII 23, 35, 40, VIII 26, IX 14, 17, 40, X 6, 8, 40, 42, 43, 44, XI 37, 50, XII 31, 49, XIV 1, 29, 44, XV 17 (2), 19, XVIII 10, 26 (2), 28, 32, 35, 36, m’ pron. pers. dat. ‘mi, a me (talvolta pleonastico)’ II 4, 42, IV 48, V 1, 30, VI 17, 18, 43, VII 22, VIII 1, 6, 18, 19, 20, IX 13, 27, 31, X 13, 29, XI 57, XII 2, 4, XIV 21, XVII 25, XIX 1; me acc. I 14, II 43, 48 VI 29, 45, VII 34, VIII 31, IX 10, 31, 49, XI 56, XIV 17, XVII 21, XIX 44; me dat. II 42, VI 1, 20 VII 39, IX 38, XVIII 15; abl. me VII 32, VIII 33, XVII 35, XIX 4, XVIII 6, 7; medio mi VI 17, 30, 41, VII 5, X 30, 39, XII 12, XII 45; pleon. mi III 26; acc. mi I 4, 12, II 18, V 7, VII 24, VIII 39 (2), XI 46, XII 4, 22, 33, 38, 49; gen. mi VII 8; dat. mi I 9, 11, V 11, IX 45, 54, X 21, 23, XI 35, 49, XII 18, XIV 12, 13, 36, XV 18, XIX 41; abl. mi IV 46, VII 9, XIX 2; acc. plur. nos VIII 40, XVI 42, ·ns XIII 48; dat. plur. nos XII 9 ez vd. e fadia sf. ‘rifiuto’, I 28 [fadiar] v. ‘perdere tempo’, inf. pres. att. fadeiar I 29 faidit agg. ‘bandito, esiliato’, c. s. masch. plur. XIV 6 faillia sf. ‘difetto, macchia’, IV 22 faillimen sf. ‘inganno’, c. r. sing. IX 38 faire v. ‘fare’, ind. fut. att. I 2, XX 1, far I 37, II 58, IV 47, VI 51, VIII 10, IX 38, 39, XI 1, 2, 12, XV 3, XIV 4, 9, XVII 7, 33, XIX 8; 1. p. sing. ind. pres. att. fau XI 18, fauc VI 36, faz XI 61; 3. p. sing. ind. pres. att. fa XX 7, fai I 11, 22, 35, III 10, 50, 70, V 27, VI 20, 25, VII 17, 27, 38; VIII 11, XI 17,, IX 21, 24, X 2, 34, 47, XI 33, XIV 13, XVI 25, 26, 27, 48, 56, XVII 15, 31, XVIII 17, 41, XX 3; 1. p. sing. ind. pres. att. fas X 27, 2. p. plur. ind. pres. att. faç VIII 31, faitz XVI 43; 3. p. plur. ind. pres. att. fan V 37, 38, XI 35, XIII 19, 28, 40; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. fait (a) VII 35; 1. p. sing. ind. fut. att. farai VIII 2, XII 14, XVII 42; 3. p. plur. ind. fut. att. fairatç VIII 18; 3. p. plur. ind. fut. att. faran XI 23; 3. p. sing. ind. fut. ant. att. faig (aura) XI 32; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. fe VI 1, fetz IX 53, XVI 13, 16, fes X 23, fi IX 43; 3. p. plur. ind. pass. rem. medio feron (se) XIV 30; 3. p. plur. imp. pres. att. fason I 32; 1. p. sing. cong. pres. att. fassa II 2, faza XI 16; 3. p. sing. cong. pres. att.

Glossario

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fassa VI 16, faza II 54; 3. p. sing. cong. impf att. fezes XIX 36; 2. p. plur. cong. impf. att. feses XII 41, fesetç XI 21; 3. p. sing. cond. pres. att. faria XIX 7, 3. p. sing. cond. II pres. att. feira XII 9 faison sf. ‘aspetto’, c. r. sing. X 33 [fait] sm. ‘fatto’, c. s. sing. faigz III 27 [falhir] v. ‘sbagliarsi, mancare, mentire, venire meno’, 1. p. sing. ind. pres. att. faill IX 41, 42, 43, XI 29, XIX 30; 1. p. sing. ind. pass. pross. faillit (hai) IX 37, faillitz (es) IV 8; 3. p. sing. ind. pass. rem. IX 40; 2. p. plur. cong. impf. att. falises XIV 40 fals agg. ‘falso’, c. s. masch. sing. VII 21; c. s. masch. plur. XII v. 18, XII 40, XIX 18, XVII 41; c. s. femm. sing. falsa V 36, X 39, XVII 38 fe sf. ‘fede’, c. r. sing. XII 8, XVII 36, XVIII 34, XIX 23, fes IX 18 fegnedor sm. ‘sognatore’, c. r. sing. XI 37 [fenher (se)] v. ‘fingersi; esitare’, 3. p. plur. ind. pres att. fenhon XIX 20; 3. p. sing. cong. impf. medio feisses (se) II 60 fer sm. ‘ferro’, c. r. sing. X 60 ferir v. ‘colpire’, inf. pres. att. XVIII 28; 3. p. sing. ind. pres. att. fier III 32, VI 28 fi sf. ‘fine’ c. r. sing. XVI 8 fizar (se) v. ‘confidare’, inf pres medio XVI 5; 1. p. sing. ind. pres. medio fi (me); 3. p. sing. ind. pres. medio fiza (se) VIII 26 figua sf. ‘fica [gesto osceno]’, c. r. sing. XVII 42 fin agg. ‘fine, perfetto’, c. s. masch. sing. XV 28, c. r. masch. sing. III 42, V 16, XIV 14; c. s. plur. VIII 38 fin agg. sost. ‘perfetto, leale, puro’, c. s. masch. plur. XIII 40, finz XVI 3, fis I 16, 34, III 7, VI 11, VII 10, IX 18, XVIII 40; c. r. masch. plur. fis I 31; c. s. femm. sing. fina VI 37, X 34, XII 19; c. s. femm. sing. fin’ VI 16, VIII 21, XI 57, XVI 9; c. r. femm. sing. fina XVI 4, fin’ XVI 3, 5 finamen avv. ‘perfettamente, puramente, lealmente’, XI 51, XIII 42, XIV 43, XV 8, XVI 1, 4, 10, 11, 20 flor sf. ‘fiore’ c. s. sing. V 3, IX 4; c. r. sing. IX 11, XVI 47; c. r. plur. flors XI 18, XV 40 fol agg. sost. ‘folle, sciocco’, c. s. masch. sing. XX 3, 7 fol agg. ‘folle, sciocco’, c. s. masch. sing. foils VIII 11, fols XII 41, XVIII 21; c. r. masch. sing fol XI 67, XX 1, XIV 28, folh V 38, VI 30; c. s. femm. sing. folha V 36; c. r. femm. sing. fola I v. 44 [folatge] sm. ‘follia’ c. r. sing. IX 8 [folh] sm. ‘fogliame; foglia pagina’, c. s. sing. fuoillz IX 4; c. r. sing. fueil IX 2, fuelh VI 29, fuoill IX 11 [folha] sf. ‘foglia’, c. r. sing. fuelh’ V 3 folia sf. ‘follia, sciocchezza’, c. r. sing. X 61 [fondre] v. ‘struggersi’ 2. p. plur. ind. pres. att. (con funzione di medio) fondetç VIII 8 [formar] v. ‘formare, creare’, 3. p. sing. ind. pass. rem. att. formet III 11 [forsa] sf. ‘forza’, c. r. sing. forssa III 29 forsa (per) loc. avv. ‘per forza’ XVI 25 [forsar] v. ‘forzare’, 3. p sing. ind. pres. att. força X 18; 3. p. sing. ind. pass. rem. forset III 64 fort avv. ‘forte, fortement’ VII 5 fort agg. ‘forte’, c. s. masch. sing. fors III 46; c. r. masch. sing. XV 39 foudat sf. ‘follia’, c. r. sing. IX 20 [fraire] sm. ‘fratello’ c. r. plur. fraires I 45 franc agg. ‘nobile, franco, sincero’ c. r. masch. sing. III 12, X 36, franch IX 47, XX 12; c. s. femm. sing. franca II 41

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franqueza sf. ‘sincerità’ c. r. sing. XIX 10 freg sm. ‘freddo’ c. s. sing. XIII 10 freg agg. ‘freddo’ c. r. masch. sing. XI 62; c. s. femm. sing. freida XIII 2 [freidor] sm. ‘freddo’ c. r. sing. freydor XIII 14 fresqueta agg. alt. ‘freschissima’ c. s. femm. sing. II 26 fugir inf. sost. ‘fuggire’ XVII 10 gai agg. ‘gaio, gioioso’ c. s. sing. gais I 14, VI 10, IX 9, XI 33; c. r. masch. sing. gai IX 47¸ X 25, XI 1, XV 6; c. r. masch. plur. gais VIII 5; c. s. femm. sing. gaia XIV 26; c. r. femm. sing. gaia II 17, gai’ X 2 garan sm. ‘misura’, c. r. sing. III 15 [garandar] v. ‘racchiudere, circondare’, 3. p. sing. ind. pres. att. guaranda XIV 25 [garar] v. ‘fare attenzione’, part. pres. att. garan III 36 [gardador] sm. ‘guardiano’, c. s. plur. guardador XIII 19 [gardar] v. ‘badare a’, 1. p. sing. cong. impf. att. gardes III 66 [garen] sm. ‘protettore’, c. r. sing. guiren XVI [Garimen] sm. ‘Salvezza (?)’ c. r. sing. Guerimen XIII 39 garir v. ‘guarire, salvare’, inf. pres. att. X 30; 3. p. sing. ind. pres. passv. gueriç (es) VIII 32; 1. p. sing. ind. fut. passv. gueritz (serai) VI 26; 3. p. plur. cong. pres. passv. guerit (sion) XIII 32 [garnir] v. ‘munire, dotare’, 3. p. sing. ind. pass. pross. att. garnit (ha) IX 46; 3. p. sing. ind. fut. pass garnitz (er) IV 28 [gaug] sm. ‘gioia’, c. s. sing gaugz VI 17 [gauzir] v. ‘rallegrarsi, provar gioia’, 3. p. sing. ind. pres. medio gau (s’en) XIX 16 [garizon] sf. ‘guarigione’ c. s. sing. guerizos XI 57 [gazagnar] v. ‘ricompensare’, 3. p. sing. ind. pres. att. gaçagna XI 49, guazanha V 18 [gazardon] sm. ‘ricompensa’, c. s. sing. guierdos IX 31; c. r. sing. giçardon XIV 26 gelos sm. ‘geloso’, c. s. sing. gilos VIII 11, c. s. plur. gelos X 22; c. r. plur. X 40, gilos XVII 43 gen sf. ‘gente’, c. s. sing. gens V 36; c. r. sing. gen III 10, XI 12, XV 31, gent XVII 38, I 44 gen avv. ‘gentilmente, con trasporto’, VII 20, XII 49, XV 29, XVIII 26, gent XV 38 gen agg. ‘gentile, nobile’, c. s. sing. XV 15; c. r. masch. sing. XIII 10, 12, XIV 7; c. r. femm. sing. III 12, IX 48 gensor agg. di grado sup. ‘più nobile’, c. r. femm. sing. IX 15 [gequir] v. ‘trascurare’, 3. p. sing. ind. pres. passv. gequit (es) XIII 45 [guerrejar] v. ‘combattere’, 3. p. sing. ind. pres. gerreja XVIII 21 ges avv. ‘per niente, affatto’, II 40, VI 21, 33, 37, IV 32, VIII 5, IX 33, 36, XI 53, XII 13, XIV v. 2, 11, XVIII 18, XX 11, jes XVIII 3 gigua sf. ‘giga (strumento musicale)’, c. r. sing. XVII 30 [gitar] v. ‘gettare, lanciare’, 1. p. sing. ind. pres. att. giet III 4, XIV 10 giçardon vd. gazardon gonella sf. ‘sottoveste, sottogonna’, c. r. sing. II 55 giçardon vd. gazardon [gra] sm. ‘gradino’, c. r. plur. gratz XVI 44 gran agg. ‘grande’, c. s. masch. sing. grans IV 8; c. r. masch. sing. gran IV 8, III 20, III 26, V 9, 12, VI 9, X 21, XIV 39, grant XX 6, grantz IX 10; c. s. femm. sing. grans XIV 27, c. r. femm. sing. III 44, 46, VIII 31, XII 20 granmen avv. ‘grandemente’, XVI 41

Glossario

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grat (mal) loc. avv. ‘malgrado’, XII 2 grat (de bon) loc. avv. ‘di buon grado’, XII 22 [grazir] v. ‘gradire’, inf. pres. passv. graçit (eser) XIV 5; 3. p. sing. ind. fut. passv. graçiç (er) VIII 3 grazir v. ‘gradire’, inf. pres. att. VI 51, XVII 2; 1. p. sing. ind. fut. att. grazirai VI 42 grazit agg. ‘gradito’, c. r. masch. sing. grazitz IV 17 greu avv. ‘difficilmente’, V 17 greu agg. ‘difficile’, c. r. masch. sing. X 28 Guerimen vd. Garimen guerrier sm. ‘nemico’, c. r. sing. V 26; c. s. plur. X 41 [guidar] v. ‘guidare’, 3. p. sing. ind. pres. att. IV 34; 3. p. sing. cong. pres. att. guit XIII 48; 3. p. sing. imp. pres. att. guit XIII 45 guierdos vd. gazardon guit sm. ‘guida’, c. s. sing. guiç VIII 33, guitz VI 25, 43; c. r. sing guit XV 37 guizardon sm. ‘ricompensa’, c. r. sing. II 34, V 13, gaçardon XII 19 i avv. encl. ‘ivi, lì’, I 35, 37, II 26, III 8, 20, 66, VIII 12, 17, 36, X 18, 24, XI 60, XII 25 (2), XIII 32, XIV 16, XVI 65, XVIII 2, hi II 13, XV 38, XIX 25, y XVII 37 il pron. pers. 3. sing. ‘egli /ella’, II 5, 59, VII 38,VIII v 40 (2), XI 55, ilh XVII, ylh V 11, ill VI 20, VII 4, 8, 22, 24, IX 27, XI 52, XIX 4, 7, il pron. pers. dat. IV 25, 47, XVIII 16, ·ill IX 51, XIX 15 [ir] v. ‘andare’, 1. p. sing. ind. fut. irai VIII 34 ira sf. ‘dolore’, c. r. sing. IX 9, 10, 12 [irar (se)] v. ‘rattristarsi’, 1. p. sing. ind. pres. medio ir (me) IX 14, 17 [irat] agg. ‘triste’, c. s. masch. sing. iratz IX 15 [issernit] agg. ‘accorto’, c. s. femm. sing. issernida IV 18 [ivern] sm. ‘inverno’, c. s. sing. ivers XIII 9 ja avv. ‘mai, mai più’ I 15, II 27, VI 16, VII 21, 36, XIII 33, XVII 6, XVIII 25, 36, XIX 24, 36; come semplice rafforzativo VI 30, VIII 4, 21, IX 48, X 47, 61. XII 7, 9, XIV 41 ja mais / mai /mas loc. avv. ‘giammai’, IV 9, 40, VIII 20, 21, 29, IX 11, XIV 17, 37, XVIII 13, XIX 43 [jangolar (s’en)] v. ‘farsi beffe’, 3. p. sing. imp. pres. medio janguelh VI 48 jatz sm. ‘giacere’, c. r. sing. XVIII 22 jausen agg. ‘gioioso’, c. r. sing. IX 53, jauzen X 43, XII 7 jauzir v. ‘godere’, inf. pres. VI 16, jaucic 1. p. sing. ind. pres. IX 29 jazer v. ‘giacere’, inf. pres. II 53, 3. p. sing. ind. pass. rem. jac XVII 40; 1. p. sing. cong. pres. jaja II 28 joc sm. ‘gioco’, c. r. sing. XIV 16, juec II 58, joc partit ‘gioco a due’ XIV 22 [jogar] v. ‘giocare’, inf. pres. att. joguar XVII, 1. p. sing. ind. pres. att. joc XIV 12, 1. p. sing. ind. fut. att. jugairai XIV 23 joi sm. ‘gioia, gaudio [sentimento cortese]’, c. s. sing. jois I 5, II 9, IV 7, X 27, XVII 14, joys V 6, VI 23; c. r. sing. joi I 5, VI 49, IX 50, XI 7, XII 48, VIII 38, X 26, XIV 48, XV 40, XIX 39, joy V 14, 35, VI 22, XIII 3, 14 joia sf. ‘gioia’, c. r. sing. XII 20, joya V 29 joia sf. ‘piccolo dono’, c. r. sing. II 38 joios agg. ‘gioioso’, c. s. masch. sing. XI 11, c. r. masch. sing. IX 19, XII 32; c. r. masch. plur. XI 10, XVIII jorn sm. ‘giorno’, c. s. sing. jorns XVIII 44; c. r. sing. VIII 25, X 38, XVI 56, 58 jorns (totz jorns) loc. avv. ‘sempre’, VI 44 josta (de) loc. avv. ‘accanto’, II 43

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joven sm. ‘gioventù’, c. s. sing. jovenç I 46, jovens XVIII 5, jovenz IX 42, c. r. sing. XI 13, XIV 48, XV 40 joves agg. ‘giovane’, c. s. masch. sing. VI 9 [juglar] sm. ‘giullare’, c. r. plur. juglars X 13 [jurar] v. ‘giurare’, 2. p. sing. cong. impf. att. juravaç VIII 19 jutjamen sm. ‘giudizio’ c. r. sing. IX 39, jutgamen XII 38 [jutjar] v. ‘giudicare’, 3. p. sing. ind. pass. pross. att. jujat (a) VI 39; 3. p. sing. ind. pres. passv. jutgat (son) XIII 37 la art. det. femm. sing. ‘la’, I 44, II 45, 46, IV 26, V 1, 4, IX 4, 15, 44, X 22, XIII 41, XV 31, XVI 47, 50, XVII 13, 42, l’ II 46, V 4, XIII 2, XIII 9, XIV 18, XVIII 13, ·il (encl.) II 6, XIX v. 31, le III 17; (plur.) las VI 26, XVII 44, XIX 38 la vd. lai lai avv. ‘là’, I 41, III 38, IV 42, VI 14, 35, 49, VII 1, 36, XV 21, 24, 33, 37, XVIII 5, 8, la VII 34 lais, sf. ‘lai, lamento [composizione musicale di origine bretone]’ c. r. sing. IX 2, X 2 [laissar] v. ‘lasciare’, 1. p. sing. ind. pres. att. lais IX 17; 3. p. sing. ind. pres. att laissa IX 33, lais’ IX 49, X 4; 3. p. sing. ind. pass. pross. laissat (an) XIII 8; 1. p. sing. ind. pass. rem. att. laissei IX 15, 41, laisei IX 43; 2. p. plur. imp. pres. att. laissetz IV 32 languir v. ‘languire’ inf. pres. VI 19, VII 27; VII 28; part. pres. (con funzione di gerundio) langen III 70 languor sm. ‘languore’, c. r. sing. V 9 largamen avv. ‘abbondantemente, generosamente’ III 15 [lasar] v. ‘prendere al laccio, impacciare’, part. pass. lasaç VIII 30 latz sm. ‘parte, lato’, c. r. sing. XIX 38 [lau] sf. ‘lode’, c. s. sing. laus XVI 45, 46, 48, 52; c. r. sing. laus IX 34, XVI 45, 47, 50, 53 lausengier sm. ‘cattivo, falso consigliere’, c. r. sing. XIV 38; c. s. plur. lauzengier XI 21; lausengiers VIII 8, lauzengiers XVII 41; c. r. plur. lausejers VIII 23, lauzengiers XVII 34 lauzar v. ‘lodare’, inf. pres. att. XVI v. 48, 49, 51; laudar XX 5; 3. p. sing. ind. pres. att. lauza XX 15; 3. p. plur. ind. pres. att. lauzon XVI 54; part. pass. lauzatz XVI 53 lauzenjador sm. ‘cattivo, falso consigliere’, c. s. plur. XIII 18 lauzor sf. ‘lode’, c. s. sing. lauzors VI 37, lauçor XX 6; c. r. sing. lauzor XX 10; lausor XVI 50 [legir] v. ‘leggere’, 3. p. plur. ind. pass. pross. att. legit (an) XIX 29 lei sf. ‘modo, maniera, legge’, c. r. sing. III 23, XII 5; Ley (Antigua) ‘Antico Testamento’ XVII 29 leial agg. ‘leale, fedele’, c. s. masch. plur. XIX 35; c. r. plur. leials VIII 3 leialmen avv. ‘lealmente, fedelmente’, XVI 54 lengua sf. ‘lingua’, c. s. sing. IV 18, XVII 37 leo vd. leu leon sm. ‘leone’, c. r. sing. X 32 letra sf. ‘lettera’, c. r. sing. X 47 leu avv. ‘facilmente [talvolta di uso pleonastico o intensivo]’ VI 22, leo I 26 leugier agg. ‘facile, orecchiabile [detto di musica]’ X 1, XIV 4 levar (se) v. ‘innalzarsi’, inf. pres. medio XVI 46, 1. p. sing. ind. pres. att. leu (leu cossirier = ‘mi preoccupo’, ‘me ne faccio un problema’) lo vd. el [loc] sm. ‘luogo’, c. s. m. sing. luocs IV 28; c. r. sing. ‘(traslato) persona’ luoc X 15, luec, (luec deves = ‘parti intime’) II 50 [loguier] sm. ‘ricompensa’, logiers III 58

Glossario

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lonc agg. ‘lungo’, c. r. masch. sing. XVII 26; c. r. femm. sing. longu’ XII 15; loc. avv. ‘lungamente, a lungo’ lonc temps VI 27, X 12, XIV 33 longamen avv. ‘lungamente, a lungo’, X 7 [lonh] avv. ‘lontano, lungi’, loing VIII 2, IX 19, 21, 24, 27; luenh V 15, IX 25 [lonhar (s’en)] v. ‘allontanarsi, allontanarsene’, 3. p. sing. ind. pres. medio luenha (s’en) IX 23 lor agg. ‘loro’ IV 3, VIII 23 lor pron. 3. p. plur. XVI 48; XIX 34, dat. IV 4, 8 los art. det. masch. plur. II 11, VII 17, IX 22, XVI 44, encl. ·ls I 45, III 27, XVI 30 los pron. pers. ‘essi’, 3. p. plur. acc. VII 18, VIII 6, XII 30, XVI 27, encl. ·ls III 49, VIII 25, XIV 7 lur agg. poss. ‘loro’, c. s. masch. sing. lurs I 32, XVI 55, c. r. masch. sing. IX 5, XIII 22, XIX v. 26, agg. poss. c. r. femm, sing. XIX 27 [lutz] sm. ‘luce’, c. r. sing. lutç VIII 21 ma agg. poss. ‘mia’, c. s. femm. sing. VII 6 IX 18, XV 34, XVII 35, XVIII 11; c. r. femm. sing. II 14, IX 20, XI 35, 40, XII 45, XVII 30, 36, XVIII 34, XIX 42, m’ c. s. femm. sing. I 9 ma cong. ‘ma’, XVII 36 mai vd. mais maicella sf. ‘bocca’, c. r. sing. II 45 [maint] agg. ‘molto’, c. r. masch. sing. mainz IX 29. mants III 4, c. r. femm. plur. maintas XVIII 44 maire sf. ‘madre’, c. s. sing. XVI 36 mais avv. ‘più’ o ‘(temp.) mai’, I 6, 41 II 22, 59 III 1, IV 23, V 34, VIII 15, IX 17, 53, X 9, 41, XII 31, 44, XIV 17, XVIII 4, 44, XIX 25, 28, XX 9, mai V 19, X 44, XII 1, XIV 37, XVII 13, mays VI 19 major agg. comp. ‘più grande’, c. r. masch. sing. IX 12; c. r. femm. sing. XIII 35 mal sm. ‘male’, c. s. sing. mals XIII, c. r. sing. III 70, V 12, VII 27, X 16, XVI 25, XVII 26, 42, XIX 8, XX 8, 16; 37; c. r. plur. mals IX 29, XVIII 23 mal avv. ‘male’, VIII 28, XII 10, XIX 16; mal grat (loc. avv.) ‘malgrado, a dispetto’ XII 2¸ XII 40 mal agg. ‘cattivo, malvagio’, c. s. masch. sing. mal XIII 47; c. s. femm. sing. mala II 4; c. r. masch. sing. XVI 72 malanans agg. ‘infelice’, c. s. masch. sing. XVIII 7 malastruc agg. ‘miserabile’, c. s. masch. plur. VIII 27 malaventura sf. ‘disgrazia’, XIX 22 [maldir] v. ‘maledire’, 3. p. sing. imp. pres. att. maldigua XVII 41 maldir inf. sost. ‘maldicenza’, c. r. sing. XVII 33 [maltrach] sm. ‘pena, tormento’, c. r. plur. maltragz VI 27 malvatz agg. sost. ‘malvagio’, c. s. masch. plur. XIX 37; c. s. femm. plur. malvaizas XIX 38 mamella sf. ‘seno, mammella’, c. r. sing. II 46 [mandar] v. ‘mandare; ordinare’, 3. p. sing. ind. pres. att. manda XV 28; 3. p. sing. imp. pres. att. man X 47 mantel sm. ‘mantello’, c. r. sing. XI 38 [mantener] v. ‘mantenere’, inf. pres. att. mantenir XV 37; 2. p. plur. ind. pres. att. manteneç VIII 37, mantenetç XIII 47 mar sm. (sf.?) ‘mare’, c. r. sing. XVI 35 marit sm. ‘marito’, c. s. sing. mariç VIII 12; c. s. plur. marit XIII 29 [marrir] v. ‘affliggere’, inf. pres. passv. marritz (esser) IV 1, marrida (esser) IV 2; 1. p. sing. ind. pres. passv. maritç (son) XII 11; 1. p. sing. ind. fut. ant. passv. mariç (aurai estat) VIII 22; 3. p. sing. ind. pass. rem. passv. mariç (fon) X 41

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[martel] v. ‘martellare’, 1. p. sing. ind. pres. att. XI 60 mas cong. avv. ‘ma, salvo che’, I 7, 24, 29, 37, III 26, IV 38, 48, V 13, VI 28, VII 4, 29, IX 6, 28, XI 9, 30 37, 49, 53, 55, 62, XII 2, 7, 25, 37, XIII 7, 23, XIV 3, 34, 44, XVI 57, XVIII 13; XIX 3, 6, 44, XX 8 matin sm. ‘mattino’, c. r. sing. XI 26 mein (a tot lo) loc. avv. ‘perlomeno’, XI 18 [menar] v. ‘condurre’, 3. p. sing. cong. pres. att. me XVII 28 [melhor] agg. comp. ‘migliore’, c. r. masch. sing. meillor XVI 25, melhor V 31 [melhoramen] sm. ‘miglioramento’, c. r. sing. meilluramen III 20 [melhorar] v. ‘migliorare’, 3. p. sing. ind. pres. att. meillura VII 14; 3. p. sing. cong.. pres. att. meillur VII 13 [melhs] avv. ‘meglio’, meillz IX 27, miells III 32 (2), XVIII 41, miels V 30 [membrar] v. ‘ricordare’, 2. p. sing. imp. pres. att. membre XI v. 40; impers. cong. pres. att. menbre VIII 33; part. pres. att. membrans XVIII 43 mens avv. ‘meno’, VII 24, meins II 19 men sf. ‘attenzione, riguardo’, XV 35 [menar] v. ‘condurre’, 3. p. sing. ind. pres. att. mena XV 30; 2. p. sing. cong. pres. att. meneç XI 25 [menasar] v. ‘minacciare’, 3. p. sing. ind. pres. att. menasa XIX 14; 2. p. plur. ind. pres. att. menasatz XIX 13 [mendic] agg. ‘infame’, c. r. femm. sing. mendigua XVI 38 merce sf. ‘mercé, misericordia’, c. s. sing. merces II 39, IV 7, VI 5, 25, VII 30, VIII 31, IX 45, 46, 53, 54, XIV 1, XVIII 22, XIX 9; c. r. sing. merce III 25, 55, VI 36, IX 49, 51, 52, X 18, XII 7, 16, 25, 34, 42, 43 47, XVII, merse III 52, IX 47 [mercejar] v. ‘rendere grazie’, 3. p. sing. ind. pres. att. merceja XVIII 38; ger. mercejan IX 48 mermar v. ‘far diminuire’, inf. pres. att. XI 42 mes sm. ‘mese’, c. r. sing. II 29 (2) [mesatje] sm. ‘messaggero’, c. s. plur. mesaje I 28 [mesclar] v. ‘mescolare’, impers. cong. impf. att. mescles III 42 [mescreire] v. ‘dubitare, sospettare’, 1. p. sing. ind. pres. att. mescre XII 35 [mesdit] sm. ‘maldicenza’, me[s]ditz XII 18 messagier sm. ‘messaggero’, c. r. sing. III 23 mestier sm. ‘bisogno’, c. r. sing. III 62, V 6, XI 11 [metre] v. ‘mettere’, 1. p. sing. ind. pass. pross. mes (ai) II 13, 3. p. sing. ind. pass. pross. medio mes (s’es) II 9 [mezeis] agg. ‘stesso’, c. r. masch. sing. meçeis XI 22, meseus VIII 16, mezeus XV 24; c. r. femm. sing. mezeisa XII 35 [midons] sm. ‘la mia domna’, c. s. sing. XI 45, XII 9, midonz IX 25, XVIII 25; c. r. sing. VI 33, VIII 34, VIII 39, XII 29, XVII 11, midonz II 22, IX v. 46 mil agg. indecl. ‘mille’, XII 23 mirador sm. ‘specchio’, c. s. sing. miradors VI 46, c. r. sing. mirador XIX 27 moiller sf. ‘moglie’, c. r. sing., VIII 13 [molh (en)] loc. avv. ‘a bagno’, mueill (en) X 12 molt avv. ‘molto, davvero’, VI 19, IX 31, mout I 33, 35, III 44, VII 18, XII 6 molta (setmana) loc. avv. ‘lungamente’, V 8 mon agg. ‘mio’, c. s. masch. sing. VI 14, meus X 42, mi IX 28, mos VII 12, 34, VIII 36, IX 18, 40, XII 6, XIV 11, 29, XVIII 16, 39; c. r. masch. sing. mon II 9, 13, 14, III 5, 19, 60, VI 36, VII 25, 26, 35, VIII 35, X 12, 45, XI 3, 4, 43, 50, 59, XII 20, 28, XV 2, 23, XVIII 29, 41, XIII 26, XIV 16, 32, meu I 16, XII 2, mo IX 8, IX 26, XI

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38, mos XII 23, XVII 24, mun X 46; c. s. masch. plur. mey VI 14, miei XVIII 2; c. r. masch. plur. mei VII 1, X 38, XII 41, XIV 29 mon sm. ‘mondo’, c. s. sing. mons III 19; c. r. sing IV 36, X 22, XVIII 7; mond IX 33 montar v. ‘salire’, inf. pres. att. XVI 45; 2. p. sing. ind. pres. att. montatz XVI 44; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. montet III 31; ger. pres. att. montan III 33 [morir] v. ‘morire’ 1. p. sing. ind. pres. mor X 40; 3. p. sing. ind. pass. pross. part. pres. moren XVI 18; mort (aver) v. ‘uccidere’, 3. p. plur. ind. pass. pross. att. mort (an) XIX 39; mort (esser) v. ‘morire’, 3. p. plur. ind. pass. pross. morta (es) IV 11 mort sf. ‘morte’, XVI 18 mostra sf. ‘rilancio (?) [termine del gioco dei dadi]’, XIV 14 mostrar v. ‘mostrare’, inf. pres. att. III 5, XVI 23, XVIII 16; 2. p. plur. ind. pres. att. mostraç XII 24; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. mostret X 21; 3. p. plur. pass. rem. att. mostreron X 38 mot sm. ‘parola, verso’, c. s. sing. motz IV 17; c. s. plur. mot XIV 6; c. r. plur. moç VIII 5, XIV 4 [mover] v. ‘muovere’ 3. p. sing. ind. pres. att. mou XI 63; ‘muoversi’ 3. p. sing. ind. pres. medio mou (·s) II 47; ‘opporsi, contrastare’ 3. p. plur. ind. fut. att. mouran (sembel) X 28; ‘disputare, litigare’ 1. p. sing. ind. pres. att. mueu (tençon) XII 28 mudar v. ‘fare a meno di’, inf. pres. att. VII 33, XIII 1; ‘perdere il desiderio di’ 3. p. sing. ind. pres. medio muda (se) XIV 11 [naiser] v. ‘nascere’, 3. p. sing. ind. pres. nais I 5, nays V 4; 3. p. s. ind. pass. rem. nasquet XV 26 natura sf. ‘natura’, c. s. sing. III 61 nau sf. ‘nave’, c. r. sing. X 37 (entrei e nau = ‘mi imbarcai’) ne cong. ‘né, e’, IX 34, 41 [nec(en)] loc. avv. ‘in segreto’ nei(en) I 8 [negar] v. ‘annegare’, 3. p. sing. cong. trap. negatç (fos) VIII v. 15 negun agg. indef. ‘nessuno’, c. r. masch. sing. I 37; c. s. femm. sing. neguna XVI 20 [negun] sm. ‘nessuno’, c. s. sing. negus XIX 36 nei(en) vd. nec(en) neis avv. ‘perfino’ VI 42, neus XVI 26,; in frase negativa ‘neppure’ XII 23, neus XIX 8 ni cong. ‘né, e’ I 13, 38, II 31, 34, 47 (2), 54, 55, III 6, 16, 29 (2), 32 (2), 66 (2), IV 10, 18, VI 2 (2), 13, 15, 21, 24, 30, 31, VII 4, 7, 11 (2), 12, 21, 29, VIII 5, 10, IX 7 (2), 11, 18 (2), 23, 34, 42, X 16, 30, 42, 43, XI 4, 42, 47, 48 (2), 50, XII 10, XIII 6, 34, XV 12, 27, XVI 35, 66, XIV 1, XVII 1, 2 (2), 9, 10 (2), 37, XVIII 26, 27, 42, XIX 10, 12, 19, 24 (2), XX 10 no, non avv. di negaz. ‘no, non’, I 6, 15, 18, 28, 37, 42, III 8, 13, 27, 32 (2), 40, 47, 54, 55, 58, 60, 66, IV 48, V 10, 14, 33, 34, 39, VI 2, 14, 16, 21, 31 (2), 33, 37, 46, VII 2, 12 (2), 15, 16, 29, 36, 40, VIII 5, 12, 18, 20, IX 6, 11, 12, 17, 20, 4, 43, 53, X 4, 9, 18, 24, 29, 31, 42 (2), 43, 44, XI 14, 15, 16, 29, 45, 47, 55, XII 3, 9, 23, 24, 25 (2), 35, 41, 48, XIII 1 (2), 43, 47, 48, 20, 21, XIV 1, 7, 11, 16, 42, XV 26, 36, XVI 24, 71, XVII 5, 13, 16, 20, 23, 27, 28, 33, 36, 37, 39, XVIII 18, 22, 28, 36, XIX 3, 7, 9, 12, 15, 28, 43, XX 11; non I 6, 19, II 4, 19, 31, 33, 57, III 1, 5, 16, 29, 31, 37, 53, 67, 68, IV 9, 17, 32, 37, 40, VI 4, 12, 13, 23 (2), 24, 32, VII 4, 7, 8, 21, 28, 30, 32, 33 (2), VIII 4, 7, 8, 11, 29, 36, IX 16, 33, 37, 42, 48, X 5, 17, 31, 41, XI 3, 9, 22, 28, 36, 41, 44, 53 XII 1, 6, 7, 11, 13, 17, 31, 37, 4043, 45, 47, XIII 5, 6, 26, 33, 36, XV 5, 6, 11, 13, XIV 2, 9, 12, 17, 31, 36, 37, XVI 16, 34, 38, 45, 58, 63, 66, 69, XVII v. 6, 8, 11, XVIII 3, 4, 7, 8, 13, 26, XIX 6, 19, 20, 24, 36 nom sm. ‘fama’, c. r. sing. XI 33 non sm. ‘no, rifiuto’ c. r. sing. XII 40 [nonca] avv. ‘mai, proprio non’, noca XII 17 non-res loc. avv. ‘niente’, IV 15

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nostre agg. poss. ‘nostro’, c. s. masch. sing. XIV 45; c. r. femm. sing. nostra XVI 18 [notar] v. ‘comporre’, 3. p. plur. ind. pres. att. notan IX 2 novel agg. ‘nuovo’, c. r. masch. sing. IX 13, XVI 67; c. s. femm. sing. novella I 3, II 26; c. r. femm. sing. I 2 novellamen avv. ‘recentemente’, XVIII 2 [nulh] agg. indef. in frase negativa ‘nessuno’, c. s. masch. sing. nuills XVII 7, nuils VII 10, nulhs XVII 7, nuls VIII 7; c. r. masch. sing. nuil I 15, nuill XIX 15, nul IX 7; in frase positiva ‘qualcuno, alcuno’, c. r. masch. sing. nuil 40, nuill XVIII 42, nul XII 39; c. s. femm. sing nulha XVI 16 nulh temps loc. avv. ‘mai’ VI 15 o cong. disgiunt. ‘o’ II 4 (2), 29, 35, 46 III 21, X 5, XIII 23 o pron. dimostr. ‘ciò, questo’, III 39, VI 25, VIII 18, 19, 20, IX 39, XI 17, 54 [obertamen] avv. ‘apertamente [spudoratamente, senza ritegno]’, ubertamen IX 43 obezir v. ‘obbedire’, inf. pres. att. XVIII v. 20, obedir, VI 47 [oblidar] v. ‘dimenticare’, 3. p. sing. ind. pres. att. oblida IV 35;1. p. sing. cong. pres. att. oblit XIV 42; 3. p. sing. cong. pres. att. oblit XIII 33; ‘far dimenticare’ 2. pers. sing. imp. pres. att. oblit XII 40 obra sf. ‘opera’ c. r. sing. III 50 oc avv. ‘sì’; XIV 36 oc sm. ‘sì’ c. r. sing. XII 40 odor sf. ‘odore’, XVI 15 [ofrir (se)] v. ‘offrirsi’, 1. p. sing. ind. pres. medio ofier (me) III 63, ofris (me) XVIII 35 [oimais] avv. ‘ormai’, hueymais XVII 22 [olh] sm. ‘occhio’ c. s. plur. oil X 13, hueill XV 14, huelh VI 14, huoill XVIII 2, oill X 38, XIII 29, uoill XI 32; c. r. plur. huoills XVIII 12 oillz IX 22, oils XVIII 27, uls III 56 om pron. ind. ‘uno, nessuno [in contesto negativo]’, hom III 1, 45, IV 3, 17, 23, 34, XI 14, X 14, XII 7, XV 33, 37, XVI 12, XVII 15, XVIII 7, 18, 42, XIX 43, home XIII 42, homs VIII 7; om pron. indef. in costruzione impers. ‘qualcuno’, II 35, III 9, 42¸ IV 4, VIII 17, XVI 17, 38, XIX 13, IX 23; in contesto negativo om X 41 om sm. ‘uomo, uomo ligio’, c. s. sing. om XVIII 33, hom XVII 7; c. r. sing. hom III 57, IV 14, IX 12, XVII 3, XX 2, home IX 53, XX 1, 12, ome IV 31 [omenatge] sm. ‘omaggio’ c. r. sing. omenaje v. 45 on avv. ‘dove, dovunque; quando; in modo che’, I 23, 41, III 38, IV 39, 45, VI 11, 17, 27, 49, VII 1, 34, IX 32, X 36, XII 29, XV 4, XV 33, XVI 77, XVII 15, XVIII 5, ont XIII 8; ‘quanto più’ on plus VII 23, IX 23, XI 23 onor sm. ‘onore’ c. s. sing. honors VI 23, 24; c. r. sing. honor VIII 13, XVI 39, XIX 19, onor XVI 44, XX 11 onradamen avv. ‘onoratamente’, XV 40 onrar v. ‘onorare’ inf. pres. att. onrar VI 47, XI 13, honrar I 21, XVII 2, XVIII 9; 2. p. plur. ind. pres. att. honratz XVI 40; 3. p. sing. pass. pross. att. onratz (a) XVI 42; 3. p. sing. cong. impf. att. onres XVIII 26 [onrar] inf. sost. ‘onorare’, honrar XX 13 onrat agg. ‘onorato’, c. r. masch. sing. onrat VI 44; c. s. femm. sing. honrada XVI 39 ops sm. ‘servizio’, c. r. sing. IV 24 ora sf. ‘momento, tempo’ c. r. sing. VIII 38, XIX 31 [orgolh] sm. ‘orgoglio, atto d’orgoglio’ c. r. sing. ergoil XII 36, ergueill XIX 11, erguelh VI 20, orgoil X 21, orgoill I 37 ostar v. ‘togliere’, inf. pres. att. II 55 [ostatge] sm. ‘dimora’, estaje X 9 pagar v. ‘pagare’, inf. pres. att. II 30; ‘soddisfare’, 1. p. sing. ind. pres. pass. pagatz (sui) VI 18; part. pass. paguat VI 45

Glossario

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[paisser] v. ‘nutrire, pascere’, 3. p. sing. ind. pres. att. pays VI 44 pantais sm. ‘tormento’, c. r. sing. 28 paor sf. ‘paura’, c. s. sing. XIII 46; c. s. plur. paors VI 5 par agg. sost.; ‘pari’, c. r. masch. sing. XVI 34; c. r. masch. sing. ‘(dadi) pari’ XIII 16 paratge sf. ‘nobiltà’, c. r. sing. XIII 21, paraje X 18 paraula sf. ‘parola’, c. r. sing. III 6; ‘proverbio’ c. s. sing. paraulla XIV 25 parer sm. ‘aspetto’, c. r. sing. II 42 parer v. ‘apparire; mostrare’, inf. pres. att. XI 16, XII 2; 3. p. sing. ind. pres. att. I 9, XIV 12, XX 6; 3. p. plur. cond. pres. att. paregron XIX 37 paria sf. ‘compagnia’, c. r. sing. IV 37 parier sm. ‘pari’, c. r. sing. III 13 parila sf. ‘compagna’, c. r. sing. X 3 parlar v. ‘parlare’, inf. pres. att. XV 29; 3. p. sing. ind. pres. parla XVIII 30 part sf. ‘parte’, VI 13, VIII 35, IX 24 part avv. ‘oltre’, XVI 37, XVI 22 (?) partida sf. ‘parte, lato’, c. r. sing. IV 26 partir v. ‘allontanare, separare, partire’, inf. pres. att. VI 33, VII 35; 1. p. sing. ind. pres. att. II 20; 3. p. sing. ind. pres att. XVI 22 (?); 3. p. sing. ind. pres. medio part (se) IX 18, 23; 3. p. sing. ind. pass. pross. partitz (es) IV 36; 1. p. sing. cond. II pres. att. partira VII 36 partit agg. ‘a due’, c. r. sing. (joc) partit XIII v. 22 parven sm. ‘mostra, apparenza’, X 23 pascor sm. ‘pasqua’, c. r. sing. V 2, XIII 15 pauc agg. ‘poco’ c. r. masch. sing. XI 19 [pauc (a per)] loc. avv. ‘per poco’ IX 16; XII 35, XIII 26 pauc sm. ‘poco’ c. r. sing. II 31, 46, 52, VII 31, VIII 23, XVII 12, XIX 31 pauc avv. ‘poco’ IV 3, XIX 29 [pauc] agg. sost. ‘poco’, c. s. masch. plur. pauc XIII 32 [pausar] v. ‘porre’, 3. p. sing. imp. pres. att. paus IV 26 [pe] sm. ‘piede’, c. r. plur. pes IX 31 pecador sm. ‘peccatore’, c. r. sing. pechador XVI 59; c. s. plur. pecador XIII 31 pecat sm. ‘peccato’, c. r. sing. XIII 35, c. r. plur. pechatz XVI 64, 65 [peitz] avv. ‘peggio’, piegz XVII 15 pejor agg. comp. ‘peggiore’, c. r. masch. sing. XVI 26, X 35; c. r. femm. sing. V 25 [pejorar (se)] v. ‘peggiorare’, 1. p. sing. ind. pres. medio pejura (se) VII 16; 3. p. sing. cong. pres. medio pejur (se) VII 15 pel prep. artic. ‘per il’, XIII 4, XVI 50 pels prep. artic. ‘per i’, XI 19, XIX 40 [pena] sf. ‘pena, tormento’, c. r. plur. penas IV 39 [penas (a)] loc. avv. ‘appena, a mala pena’, IX 36, X 7, XII 10 [pender] v. ‘impiccare’, 3. p. sing. cond. pres. att. pendia XIII 23 pensamen sm. ‘pensiero; fantasia’, c. r. sing. X 25, XI 42, XII 3, XIV 24, pessamen VI 44; c. r. plur. pessamen XVII 18 pensar v. ‘pensare’, inf. pres. att. VI 12; 1. p. sing. ind. pres. att. pens III 26, VII 7; 3. pers. cong. pres. att. pes IV

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40, V 24, VI 29; 1. p. sing. ind. pass. rem. att. pensei XIV 35; 3. p. sing pass. rem. att. penset III 44; 1. p. sing. cong. impf. penses XVIII 11; ger. pres. att. pensan XI 38 pensar inf. sost. ‘pensiero’ II 14, XVI 2 per prep. ‘per’, I 14, 15, 31, II 10, 19, 21, 22, 23, 30, 34, III 6 (2), 9, 39, 43, 45, 51, 63, IV 5, 10, 24, 30, 47 (2), V 31, 33, 42, VI 19, 30, 32, 34 (2), 39, 45, VII 3, 5, 22, VIII 3, 4, 13, 14, 29, 35, IX 8, 16, 20, 28, 37, 38, X 3, 15, XI 44, 53, XII 5, 13, 35, 37, XIII 3, 20, 26, 31, 35, 36, 39, XIV 11, 16, 17, 31, 37, 38, XV 14, XVI 3, 33, 42, 53, 58, 64, XVII 1 (2), 2 (2), 7, 9 (2), 10 (2), 19, 25, 27, 33, 36, 42, XVIII 4, 32, 33 (2), 34, 35, XIX 6, 7, 22, 43, XIX 14 perdon sm. ‘perdono’, c. r. sing. XIV 34 perdos (en) loc. avv. ‘invano’, XI 63 [perdre] v. ‘perdere’, 3. p. sing. ind. pres. pert IV 35, VI 37; 1. p. ind. fut. perdrai IX 44; 1. p. sing. ind. pass. pross. perdut (ai) IX 8 perdut agg. ‘perduto’, c. s. masch. sing. perduç VIII 11; c. s. masch. plur. perdut VI 7, XIII 40, XIV 8; c. r. femm. sing. perduda XIV 3 [perprendre] v. ‘abbracciare’, 3. p. sing. ind. pres. att. XVI 7 pes sm. ‘pensiero’, c. s. sing. V 27 petit sm. ‘poco’, c. s. sing. XIII 14 petit avv. ‘poco’, XIV 41, XV 9 pezansos agg. ‘triste’, c. s. masch. sing. XII 14 [pic] agg. ‘bianco e nero’, c. r. femm. sing. pigua XVII 37 piegz vd. peitz [piusela] sf. ‘fanciulla’, c. s. sing. pucella II 41; c. r. sing. piucella II 16, 23 plag vd. plait [plaidejar] v. ‘aiutare, sostenere la causa di’, XVIII 22 [plaisat] sm. ‘siepe’ c. r. sing., plaissat XIII 5 [plait] sm. ‘processo’, c. r. sing. plag II 54, ‘disposizione d’animo’, c. r. sing. plai IX 35 [planh] sm. ‘compianto’, c. s. sing. plans IV 42 [planher] v. ‘piangere’, inf. pres. att. plaigner IV 44; 1. p. sing. ind. pres. att. plaing VII 3; 3. p. sing. ind. pres. att. plaing VII 4; 1. p. sing. ind. pres. medio plaing (me) IX 14;1. p. sing. cong. pres. medio plaigna (se) XII 45 plaser v. ‘piacere’, inf. pres. X 27; imp. ind. pres. platz III 59, XVIII 39, XIX 6, 41, plaç I 40, VIII 40, XII 39, XIV 34, 3. p. sing. ind. pres. plaz II 42; 3. p. sing. cond. pres. plaseria I 17, impers. cong. pres. plaja II 18, XV 3 plaser sm. ‘piacere’, plazers VI 17, XI 6; c. r. sing. plaser I 40, XII 39, plazer II 12, XI 5, XVIII 6, ‘doni (fare) (?)’, plazer (far) XI 12 plazen agg. ‘piacevole’, c. r. femm. sing. III 50, XI 2, c. s. masch. plur. XI 32; c. r. masch. plur. plazens XIII 4 plazentier agg. ‘piacevole’, c. r. masch. sing. III 12; c. s. masch. plur. XI 31 ple agg. ‘pieno’ c. s. masch. sing. ples IV 39, V 23, IX 9, XII 11; c. r. masch. sing. ple XIX 32, c. r. masch. sing. ples XVIII 27 [plegar (se)] v. ‘dare retta’, 3. p. sing. ind. pres. medio pliu (se) XIV 28 plenier agg. ‘pieno, fornito’ c. s. masch. sing. pleniers III 17 [plevir] v. ‘promettere, concedere’, 1. p. sing. ind. pres. att. plevis XVIII 34 plor sm. ‘pianto’, c. r. sing. XVI 70, XVII 30; c. s. plur. plors VI 6 plorar v. ‘piangere’, inf. pres. att. XVI 31 plus avv. ‘più, maggiormente’, I 11, 20, 22, 23, 38, III 34, V 18, 41, VI 17, VII 23, VIII 14, IX 21, IX 23, 24, 27, X 36, XI 23, 53, 64, XII 29, XIII 28, XIV 5, 44, XVIII 19, XIX 31, XX v. 3, 4

Glossario

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poder sm. ‘potere, forza’, c. s. sing. poders; c. r. sing. II 3, III 30, XI 15, XVIII 36 [poder] v. ‘potere’, 1. p. sing. ind. pres posc IX 7, 20, puesc V 10, VI 12, XII 43, XIII 1, XVII 11, puosc VII, pusc X 31; 3. p. sing. ind. pres. pot I 18, 26, 36, II 38, III 67, V 15, VI 31, 33, IX 39, X 44, XI 46, XII 3, XIV 3, XV 37, XVI 12, 38, 45, 46, 58, XVIII 22, XX 11; 3. p. plur. ind. pres. podo XI 41, podon XI 28; 1. p. sing. ind. fut. porai I 6, X 8; 1. 1. p. sing. pass. rem. poc XIV 9; 3. p. sing. cong. pres. puesc’ XVI 71, puesca XVII 7; 1. p. sing. cong. impf. posc’ IX 31; 1. p. sing. cong. impf. pogues VI 4, IX 16, XVIII 4; 1. p. sing. cond. pres. pogra VIII 24; 3. p. sing. cond. pres. pogra III 18; 2. p. plur. cond. pres. pograç XII 20 pois avv. ‘poi’, XIV 36, XVI 65, pos II 5, 33, III 67, IX 15, XII 32, 49, XIV1, 21, XV 1, pueis X 43, pueys VI 4, puois VII 28, pus XVIII 18 [pois] cong. ‘poiché, dal momento che’, pus XI 41, XIII 2, 9, XV 10, XVII 28 [pojar] v. ‘salire’, 3. p. sing. ind. pres. poja IX 32 [ponhar] v. ‘sforzarsi’, 3. p. sing. ind. pres. poinha II 48; 3. p. plur. ind. fut. poigniaran XI 26 portar v. ‘portare, dare’ inf. pres. att. XII 8; 2. p. plur. ind. pres. att. portas XV 47 [potz] sm. ‘pozzo’, c. r. sing. poç VIII 15 poç vd. potz prat sm. ‘prato’, c. s. plur. IX 3 [prec] sm. ‘preghiera, il pregare’, c. s. sing. precs VII 29, precx VI 5; c. r. plur. precs III 56, precx XV 16, XVII 24, XIX 36 [pregar] v. ‘pregare’, 1. p. sing. ind. pres. att. prec III 52, IV 25, VIII 33, XIV 44; 2. p. plur. ind. fut. att. preçares XIV 42; 1. p. sing. cond. pres. att. preçera VIII 23; 3. p. sing. imp. pres. att. prec XVI 28; 3. p. plur. imp. pres. att. pregon XV 14 [preizon] sf. ‘prigione’, c. r. sing. preison X 6, XII 13, prison XIV 18 [prendre] v. ‘prendere, catturare’ 1. p. sing. ind. pres. XIV 16, prenc XIII 8; 3. p. sing. ind. pres. II 38, III 32; 2. p. plur. ind. pres. att. prendetz XVIII 35; 3. p. sing. pass. pross. att. pres (a) IV 24; 3. p. sing. cong. pres. pass. pres (sia) II 49; 3. p. sing. cong. trap. att. pres (agues) XVIII 32; 3. p. sing. cond. pass. pres (agra) III 20; gerund. pres. prenden I 32 pres. avv. ‘presso’ III 34, VIII 2, IX 24, 27, 28 [presentier] agg. ‘presente’ c. s. masch. sing. presentiers III 37 pretz sm. ‘pregio’ c. s. sing. preç I 46, XI 47, pretz III 34, VI 11, XV 28, XVI 37, XVIII 38, prez III 7, 33, IX 26, 32, 42; c. r. sing. preç VI 37, XIV 48; pretç VIII 7, pretz XI 34, XIV 14, XX 9, prez IX 21 prezar v. ‘pregiare, stimare’, inf. pres. att. IV 3, XVI 38; 1. p. sing. ind. pres. att. prez V 39 [prezentar] v. ‘offrire’, 1. p. sing. ind. pres. att. prezen XV 76 – pag. 0.0 [prim] agg. ‘primo’, c. r. femm. sing. prima II 25 primier agg. ‘primo, per primo’, c. s. masch. sing. III 41, premiers XIX 42; c. r. masch. sing. primer X 48 [primieramen] avv. ‘per la prima volta’, primeiramen XVI 74 privadamen avv. ‘da solo’, XIII 23 privat agg. ‘intimo’, c. r. masch. sing. XX 7 pro avv. ‘molto’, II 31, 37, pron VIII 12, X 24 pro sm. ‘vantaggio, giovamento’, c. r. sing. III 66, XII 17, XVII 20, XIX 15, pron I 11, XIV 10, c. r. plur. pros XII 23 [proar] v. ‘provare, dimostrare’ 3. p. sing. cong. impf. proes VIII 16 [probdan] agg. ‘vicino’ c. s. femm. sing. probdana V 15 proeza sf. ‘prodezza’ c. s. sing. I 41 pros agg. ‘prode, valente’ c. s. masch. sing. IV 22; c. s. femm. sing. VIII 9; c. r. femm. sing. II 51

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pros sm. ‘prode, valente’, c. r. sing. prous I 35; c. r. plur. pros XI 19 pur agg. ‘puro’, c. r. masch. sing. VII 37; c. s. femm. sing. pura 38 qalqe vd. calque qart vd. cart qeacom vd. queacom qerer vd. querer qest vd. quest quan vd. can quant vd. can quascus vd. cascun que pron. rel. c. s. masch. sing. I 1, IV 12, V 7, VI 31, 43, X 45, XII 27, XVI 7, 12, 30, XVIII 41, XIX 35, XX 15, que· I 17, III 49, VII 27, XIV 18, XV 7, XVII 27, c’ XVI 41, q’ II 11, IX 26, XVI 51, XVIII 6, qe II 57, XVI 28, qe· III 70, VII 38, XI 43, XVIII 29, qu’ III 51, VIII 2, 35, X 14, XV 18, X 40,; que pron. rel. c. r. masch. sing. I 20, 30, III 34, VIII 1, X 34, XIII 4, XV 28, XVI 3, 14, XVII 40, XIX 3, c’ II 53, 58, IV 4, q’ III 9, V 14, XI 8, XVI 38, XVIII 2, que· VI 4, VII 14, VIII 11, X 1, XII 10, 42, XVII 32, XVIII 39, qe· II 56, IV 47, VII 39, qez XVIII 42, qu’ I 31, III 63, IV 23, VII 3, XII 5, XIII 12; que pron. rel. c. s. masch. plur. VIII 8, XIII 32, XIX 19, que· XIII 19, XIII 48, qu’ XVI 49, XIX 39; quez c. s. masch. sing. quez XIV 8; que pron. rel. c. r. masch. plur. VIII 27, 32, XVII 43, XIX 40, que· VII 17, XVII 28; que pron. rel. c. s. femm. sing. VI 2, 22, VII 40, VIII 31, XIV 3, 15, XV 4, 22, 27, XVI 47, XVII 2, c’ II 6, qe IX 21; que pron. rel. c. r. femm. sing.VII 13, XVII 7, c’ IV 27, qu’ I 38, XV 16, XVII 39; que pron. rel. c. s. femm. plur. XIX 26, (c. s masch. sing.) q’ XX 13, qe II 9, II 10 que pron. int. c. r. masch. sing. XII 15, XIII 45 que cong. ‘che, prima che, cosicché, affinché, perché’, I 10 14, 18, 19, 34, 35 (2), II 21, 28, III 4, 7, 16, 38, 62, IV 12, 23, V 27, V 32, 39, 42, VI 8, 29, 40, 39, VII 2, 14, 22, 23, 24, 28, VIII 5, 16, 20, 24, 28, 29, 32, IX 20, 47, X 9,13, 24, 34, 40, XI 14, 64, XII 18, 21, 24, 25, 31, 33, 44, XIII 1, 29, 33, XIV 3, 16, 21, 22, 26, XV 7, 11, 34, 35, XVI 64, 71, 77, XVII 24, 33, XVIII 4, 11 (2), 13, 20, 44, XIX 28, 32, 33, 34, 36, 42, 43, XX 8, 14, c’ I 3, IV 28, VII 15, VII 31, VII 33, VIII 39, X 7, 42, XII 18, 22, 29, 30 34, 38, XIV 12, XV 5, 19, 36, XVIII 36, 44, XIX 37, que· I 27, 33, 43, V 21, 31, VII 13, VIII 25, 33 VIII 38, X 38, XII 36, XIII 20, 37, XIV 31, 35, 40, XVII 40, XIX 18, XX 3, 13, q’ III 22, 42, 67, V 19, VI 13, VII 38, IX 8, 10, 12, 29, 30, 33, 36, 44, 45 XI 36, 38, 54, XII 26, XV 2, XVI 69, XVIII 3, XVII 7, qe II 10, 27, 57, III 8, 53, 55, 58, 59, 66, IV 19, VIII 4, IX 11, 27, 34, 38, 40, 46, 52, XI 16, 46, 60, XVI 16, 81, qe· II 18, 24, 49, 52, IV16, 20, 25, XI 17, 24, 44, XII 16 qes II 5, q’ II 2, qu’ I 32, 40, II 7, III 18, IV 45, V 10, 12, 34, VI 14, 20, 21, 32, 34, VII 7, VIII 16, 36, IX 17, 41, X 5, XI 3, XII 3, 28, 39, 47, XIII 5, 8, 13, 26, 27, XIV 32, 42, XV 24, 25, XVII 30, XVIII 10, 12, XIX 5, 31, queç XIV 20 que sm. (nella loc. ni so ni que = ‘né tanto né quanto’) XIX 24 [queacom] avv. ‘un poco, [qualcosa]’, qeacom III 63 [querer] v. ‘chiedere, domandare’, inf. pres. att. quere X 32; 1. p. sing. ind. pres. att. quier XIV 34; 3. p. sing. ind. pres. att. qier III 52, quier XI 14; 1. p. sing. ind. fut. att. querai XIV 37: gerund. pres. queren IX 52; inf. pass. att. quist (aver) VI v. 21 [querer] inf. sost. ‘richiesta’, c. r. sing. qerer II 52 [quest] agg. dim. ‘questo’, c. s. masch. sing. qest XVI 73 quet agg. ‘timido’, c. r. masch. sing. III 24 qui pron. rel. c. s. masch. sing. I 25, 30, II 32, III 27, V 18, X 17 (2), 15, XIII 28 XIV 3, 7, XV 9, XVI 1 XIX 7, 9, 32, 65, 67, 78 XVII 14, XVIII 19, 21, XX 7, 9, qui· VI 48, X 33, XI 37, XIII 23, XIV 28, XVII 5, XIX 14, 15, 16, qi III 11, 29, 41, 43, 46, IX 5, XI 51, XVI 18, 21, 62, 73, XX 4, qi· X 5, XVI 74; pron. rel. c. r. masch. sing. I 46, IV 40, qi XVI 54, cui. I 8, IV 5, 34, 44, VIII 9. 28, XI 10, XII 21, 44, XVI 81, XVIII 24, 37, cuy VI 19, XVII 34; pron. dativo masch. cui IX 42, X 11, XII 4, 27, 45, 46, 49, cuy XIII 13, pron. rel. c. s. masch.

Glossario

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plur. qi· IX 3, quix V 37; pron. rel. c. s. femm. sing. X 6 qui pron. int. ‘chi’, c. s. masch. sing. qui XII 24 [raiar] v. ‘irraggiare, illuminare’, 3. p. sing. ind. pres. att. raia XV 18 rais sm. ‘raggio’, c. s. sing. XV 18 ramel sm. ‘ramoscelllo’ c. r. sing. IX 4 rancura sf. ‘lamentela’ c. s. sing. VII v. 6 [rancurar (se)] v. ‘lamentarsi’ 1. p. sing. ind. pres. medio rancur (se) VII 5 randa (a)] loc. avv. randa (a), loc. avv. ‘in fretta’ oppure ‘al margine’ (?) XV v. 33 [razon] sf. ‘ragione’, c. s. sing. rasos XII 42, raszos IX 28, razos VI 28, 33, 35; rason c. r. sing. XIV 2; ‘argomento’ c. r. sing. rason XIV 3, 6 razon (a), (per)] loc. avv. raison (a) ‘a buon diritto, giustamente’ XII 31; rason (per) X 15, razon (per) II 21; ‘secondo perfetta dottrina’ IV 10 regardar v. ‘guardare’, inf. pres. att. XV 60 [regnar] v. ‘regnare’, 3. p. sing. ind. pres. regna VIII 9 reis sm. ‘re’, c. r. sing. II 36, XVI 40, 41 c. r. plur. XVI v. 41 [remaner] v. ‘rimanere’ 1. p. sing. ind. pres. remanc VI 32; 3. p. sing. ind. pres. reman XII 48; 3. p. sing. imp pres. remagna XI 18 [remirar] v. ‘rimirare’ 3. p. plur. ind. pres. att. remiron XIX 26 ren sf. ‘cosa, qualcosa, persona, creatura, niente [in contesto negativo]’, c. s. sing. res III 62, X 29, XVI 16 XVII 5, 20, XVIII 37, XIX 28; c. r. sing. I 25, 38, VIII 10, XI 36, XIV 16; re III 13, VII 7, X 39, XII 32, 44, XIV 20, XVII 7, XIX 3, 20, re· VI 46 rendre v. ‘rendere, restituire, dare’, inf. pres. att. VIII 34; 1. p. sing. ind. pres. medio rent ‘consegnarsi’ (‘arrendersi’?) VIII 39; 3. p. sing. ind. pres. medio ren (se) II 34; 2. p. plur. cong. pres. att. rendaç VIII v. 39; 3. p. sing. imp. pres. ind. renda· XII 42 [renovelar] v. ‘rinnovare, rinnovarsi’, 3. p. sing. ind. pres. att. renovela I 1¸ renovella II 6, 3. pers ind. pres. pass. renovelhatz (es) VI 11 replenit agg. ‘pieno’, c. s. masch. sing. XIII 16 [reprochier] sm. ‘proverbio’ c. s. sing. reprochiers III 8 [reptar] v. ‘accusare’ impers. imp. pres. att. rept’ (om) XII 7 [requerer] v. ‘richiedere’ 3. p. sing. ind. pres. att. requier III v. 43 [rescondut] agg. ‘nascosto’, c. r. femm. sing. resconduda XIV 19 rescos (a) loc. avv. ‘di nascosto’, XI 9 respeit sm. ‘speranza, aspettativa’, c. r. sing.II 10 [resplandir] v. ‘risplendere’, 3. p. sing. cong. pres. resplanda XV 36 resplandor sm. ‘splendore’, c. s. sing. XVI 61 [resemblar] v. ‘somigliare’, 3. p. sing. cond. pres. ressemblara XVII 22 [reisidar] v. ‘risvegliare’, 3. p. sing. ind. pres. medio ressit XIII 1 [retendir] v. ‘risonare’, 3. p. sing. ind. pres. retin XIII 6; 3. p. plur. ind. pres. retendeysson V 5 retener inf. sost. sens tot retener = ‘senza riserve’, XI 54 retener v. ‘tenere, trattenere, accettare [anche in senso feudale]’, inf. pres. att. XII 38, retenir XV 30; 3. p. sing. ind. pres. att. reten IX 51, XIII 46; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. retengut (a) IX 26, 34; 3. p. sing. imp. pres. att. reteina VIII 40 [retraire] v. ‘esporre, ritrarre’, 1. p. sing. cong. pres. att. II 7, XV 2 retraia; 3 p. sing. cong. pres. att. XIX 39 [revenir] v. ‘ravvivare’, 3. p. sing. ind. pres. att. reve V 7

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ric agg. ‘nobile ricco’, c. s. masch. sing. IX 26, rics I 12, 35, ricx XVI 62; c. r. masch. sing. X 15, rich IX 50, rics IX 31 ricor sf. ‘superbia’, c. r. sing. XIX 11, ricors VI 35 rire v. ‘ridere’, inf. pres. XVII 32 ris sm. ‘riso, sorriso’ c. r. sing. XVIII 27 [rosinhol] sm. ‘usignolo’, c. s. masch. sing. rosignol XI 1, rossignol V 2, rossignols IV 20 saber v. ‘sapere, conoscere’, inf. pres. att. I 39, IX 21, X 44, XII 21, XVIII 22; 1. p. sing. ind. pres. att. sai I 18, 33, VII 2, 28, X 7, 26, XI 44, XII 10, 45, XIII 25, XVI 27, XVIII 13; 3. p. sing. ind. pres. att. sab VIII 11, sap I 25, II 31, X 15, XI 45, XV 10, 22, 29, XVI 1, XVIII 20, say XX 16; 2. p. plur. ind. pres. att. sabeç VIII 28; 3. p. sing. ind. pass. rem. saup XVIII 9; 2. p. sing. imp. pres. att. sapchas I 47; 3. p. sing. ind. pres. pass. sabuda (er) XIV 17; 3. p. sing. imp. pres. att. sapcha VIII 7; p. plur.imp. pres. att. sapiatz XIX 29; 3. p. sing. ind. pres. passv. saubut (es) IX 25; 3. p. sing. cong. impf. passv. saubut (fos) III 16 sabor sf. ‘sapore’, V 30, XVI 4 sagel sm. ‘sigillo, lettera sigillata’, c. r. sing. XI 47 sai avv. ‘qua’, VI 36, XII 47, XIII 48. XV 21, sa V 18, IX 36 [saint] agg. ‘santo’, c. s. femm. sing. sainta IV 29 [salut] sm. ‘saluto’, c. r. sing. saluç VIII 34 [salut] sf. ‘salvezza’, c. s. sing. salutz XVI 31 Salvador sm. ‘Salvatore [Cristo]’, c. r. sing. XVI 28, 36 salvament sm. ‘salvezza’, c. r. sing. XVI 30 salvar v. ‘salvare’, inf. pres. att. XVI 27, 3. p. sing. ind. fut. passv. salvatz (sera) XVI 33 [salvetat] sf. ‘salvezza’, c. s. sing. salvetatz XVI 31 [sanar] v. ‘risanare’, 3. p. sing. ind. pres. att. sana V 7 sanha sf. ‘prato, terreno umido’, V 4 [savi] sm. ‘saggio’, c. s. sing. savis XX 13 sazon sf. ‘stagione’, c. s. sing. saisos XII 15, sazos, II 6; sazon (de) ‘nel fiore dell’età’ II 41; sazos (totas)? ‘in ogni momento’ XI 39 se vd. el secors sm. ‘soccorso’, c. r. sing. VI 25 [segle] sm. ‘mondo’, c. r. sing. segl’ IV 35 segon prep. ‘secondo’, II 56, XVIII 29 [seguir] v. ‘seguire’, 1. p. sing. ind. pass. rem. att. seguei X 19 segur agg. ‘sicuro’, c. s. sing. VII 39 [senhor] sm. ‘signore [anche nel significato di ‘Dio’]’, c. s. sing. Seinner I 43, senher XIV 45; c. r. sing. seignor XVI 17 [senhoratge] sm. ‘signoria’ c. r. sing. seignorage IX 17 [senhorejar] v. ‘signoreggiare’, 3. p. sing. ind. pres. att. seignoreja XVIII 5 seignoria sf. ‘signoria’ c. r. sing. IV 46 [seis] agg. ‘sei’, c. r. masch. .vi. IV 48,.vj. III 21 selh, selhs vd. cel sels vd. cel [sella] sf. ‘sella’, c. r. sing. cella II 25 sem agg. ‘vuoto’, c. r. masch. sing. XIX 32

Glossario

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sembel vd. cembel semblan sm. ‘sembiante, aspetto’, c. s. sing. semblans I 24; c. r. sing. semblan III 6, X 10, XV 31; c. s. plur. semblan I 27; c. r. plur. semblans XVIII 15 sen sm. ‘senno, intelligenza, ragione’, c. r. sing. sen III 29, VII 26, IX 34, 44, XI 50 sen (per non-) loc. avv. ‘stupidamente’, XIV 31 sens prep. ‘senza’, XI 54, XII 1, senes IV 22, XVI 43, ses III 15, 40, V 10, IX 49, XII 30, XIV 6, XVI 8 (2), 68 sentir v. ‘sentire, provare un sentimento’, inf. pres. att. XVI v. 63; 1. p. sing. ind. pres. att. sent XI 56, XVIII 1, sen XV 24; 3. p. sing. ind. pres. att. sent XVI 15, 63, 65, sen XVI 62, 66, XIX 16 ser sm. ‘sera’, c. r. sing. II 29, XI 26 serops vd. eisarop servir v. ‘servire’, inf. pres. att. III 64, VI 4,, XII 38, XIV 26, XV 5, XVII 1; 1. p. sing. cond. pres. att. servira VII 26; 3. p. sing. ind. pres. pass. servitç (es) VIII 13 servir inf. sost. ‘il servire, servizio’, VII 25 set agg. ‘sette’, c. r. masch. III 21 setmana sf. ‘tempo’, V 8 sevals vd. sivals sezer v. ‘sedere’, inf. pres. II 43, IX 30 si cong. ‘se, volesse il Cielo che’, I 38, II 4, 20, 38, III 23, VI 7, 23, 24, 35, 38, VII 25, 30, VIII 7, IX 14, 38, IX 45, 54, X 18, 22, XII 23, 48, XIII 31, 35, 30, 43, XV 11, VIII 21, XVII 1, 23, XVIII 22, s’ I 6, II 25, V 19, 32, 35, VI 15, 25, VII 19, 37, VIII 12, 17, 18, IX 9, 30, 41, 47, 51, X 8, 25, 31, XI 28, XII 12, 17, 39, 41, 43, XIV 44, XV 20, XVI 51, XVII 8, XVIII 31, se I 12, 36, 48, VIII 14, XIX 40, XX 7, si· I 40, II 45, III 59, IV 31, V 14, 29, VI 3, 42, 51, X 8, XI 29, XII 8, 36, XIII 43, XIV 34, XVIII 25, 35, 39, XIX 1, 8 si avv. ‘talmente’, VI 12 si cong. ‘così’, VIII 12, XII 6, XVI 59, si· III 6, VI 28, XIII 47; ‘eppure’ si X 40 si (ben) loc. avv. ‘sebbene’, VII 11, IX 6 sidons sm. ‘la sua domna’, c. r. sing. I 36, XI 52, XIV 10, sidonz II 32 sil, silh, sill vd. cil sirventes sm. ‘sirventese’, c. r. plur. IV 43, XVIII v. 41 sitot avv. ‘sebbene’, IX 19 sivals avv. ‘almeno’, XI 16 XII 24, sevals III 55, XII 24 so pron. dim. masch. ‘ciò’, c. r. sing. I 17, 20, 30, II 53, III 34, 43, IV 24, VI 20, 31, IX 38, X 17, 34, XIV 11, XV 19, 28, XVI 14, XVII 4, 5, XVIII 4, XIX 24, 29, cho XX 15, ço VII 5, 14, so· XIX 17; c. s. sing. XIII 45 [soanar] v. ‘sdegnare’, 3. p. sing. ind. pres. att. soana V 14 sobrar v. ‘sovrabbondare’, inf. pres. XII 27 sobre prep. ‘sopra’, II 24, XVI 32, 39 sobreplus sm. ‘il resto, il più’, c. r. sing. II 39, XIII 46 [sobreprendre] v. ‘sorprendere’ 3. p. sing. ind. pres. att. sobrepren III 30 sobretotç avv. ‘inoltre’ VIII 19 [vedi nota al testo] sobriers agg. ‘altezzoso’ c. r. masch. plur. III 27 sodadeira vd. soldadiera [sofrainher] v. ‘mancare’, 3. p. sing. cong. pres. sofraigna XII 27 sofrir v. ‘soffrire; tollerare, sopportare’, inf. pres. att. XVIII 23, soffrir VII 17, suffrir VI 18, XVI 25; 2. p. plur. ind. pres. att. sofreç VIII 27; 1. p. sing. ind. fut. sufrirai III 69, XII 14; 1. p. sing. ind. pass. pross. sufert (ai) XVII

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19; 3. p. sing. cong. impf. att. sofris XVIII 11; 1. p. sing. cond. pres. att. sofrira VII 18; 2. p. plur. imp. pres. suffres XI 30; part. pass. sufren XVI 19 sol avv. ‘solamente’, V 26, VII 15, 19, VIII 32, XII 21 sol agg. ‘solo’, c. s. masch. sing. sols XI 58, XIV 23; c. r. masch. sing. XV 32 [solassar] v. ‘conversare’, 3. p. sing. ind. pres. XVIII 30; 1. p. sing. cong. pres. solatz XIX solatz sm. ‘piacere’, c. s. sing. IV 1, 6 [soldadiera] sf. ‘prostituta’, c. r. sing. sodadeira II 17, soudadeira II 51 soleil sm. ‘sole’, soleils c. s. sing. XVI 56 [soler] v. ‘essere solito’, 1. p. sing. ind. pres. sueil X 11, sueill XI 63, XVII 32; 3. p. sing. ind. pres. sol III 9, suelh VI 32, 3. p. sing. ind. pres. con valore di impf. sol XIX 32 [somonir] v. ‘ingiungere, convocare [di fronte a un’autorità]’ 1. p. sing. ind. pres. att. XII 37; 3. p. sing. ind. pres. att. I 3, II 1 son agg. ‘suo’, c. s. masch. sing. sos I 23, III 7, sieu IX 26, sieus XI 64, XVI 52; c. r. masch. sing. son I 19, 21, IV 21, 24, V 26, VI 37, 38, 40, IX 17, 21, 47, X 9, 20, XII 32, XIII 38, XVI 13, seu VII 37, XX 5, sieu IX 19, IX 48, 50, XII 38, XV 24, seu IX 35; c. s. masch. plur. sos XVIII 27; c. r. masch. plur. sos IV 27, X 2, XVI 23, 24, XVIII 15, 23 (2), XIX 4; c. s. femm. sing. sa IV 19, XII 33, XX 6, s’ XX 2; c. r. femm. sing. sa II 44, 37, V 24, VIII 13, X 3, 33, XII 13, XII 36, XIV 18, XVI 57, 58; c. r. femm. plur. sas VI 35, VIII 10, XVI 66 [son] pron. ‘suo’, c. r. masch. sing., si[eu] XV 24 son sm. ‘melodia’, c. s. sing. sons XIV 8; c. r. sing. son XIV 4 sonet sm. dim. ‘motivetto’, c. r. sing. XI 1 [sonh] sf. ‘cura, preoccupazione’, c. r. sing. suinh II 57 [soplejar] v. ‘supplicare’, 1.p. sing. ind. pres. att. soplei I 7; 3. p. sing. ind. pres. att. sopleja XVIII 37; 2. p. plur. ind. pres. att. soplejatz XIX 14 [sorzer] v. ‘esaltare’, 3. p. sing. ind. pres. passv. sors (es) VI 11 sospir sm. ‘sospiro, il sospirare’, c. s. sing. sospirs VI 6; c. r. sing. XVII 17; c. s. plur. XV 14, suspir I 27; c. r. plur. suspirs III 4 [sospirar] v. ‘sospirare’, 1. p. sing. ind. pres. VII 3; 3. p. sing. ind. pres. att. suspira VIII 4 sotilmen avv. ‘con arte’, XV 23 sotz prep. ‘sotto’, XI 38, soç X 2 soudadeira vd. soldadiera soudas sm. ‘sultano’, c. s. sing. V 21 soven avv. ‘spesso’, VI 52, VII 3, XVI 78 suau agg. ‘tranquillo’, c. r. masch. sing. X 4 sufren agg. ‘contento, che tollera [detto di un cornuto]’, c. s. plur. XII 16, XIII 27 suinh vd. sonh tal agg. ‘tale’ c. s. masch. sing. tals III 8, IV 14, VI 32; c. r. masch. sing. tal I 11, III 3, V 6, XI 8, X 37, XVI 17, 32, 40; c. r. plur. tal V 39, tals VIII 6, XV 16 tal pron. ‘ciò, questo’, c. s. masch. sing. XIII 39, XVIII v. 35 talan sm. ‘piacere, voglia, desiderio’, talan c. s. sing. XIII 47, talans I 23, XVIII 16, c. r. sing. talan III 5, talant I 29, talen XI 3, XIII 26, XIV 32 tan avv. ‘tanto, talmente’, II 28, III 1, 15, 17, 31, VII 20, 22, VIII, 21, 30, 31, IX 17, 25, 30, 37, 46, X 7, 21, 41, 53, XI 35, XII 9, 19, 49, XIII 7, XIV 12, 30, 39, XV 17, 26, 38, tant I 9, IV 17, 18, 19, V 11, VI 13, X 33, XII 11, XIV 41, XV 27 (2), XVII 23, XVIII 1, 7, 11, 24, 26, 28 tan (non per tan) (per tant) loc. avv. ‘e tuttavia, nondimeno, eppure,’ per tant XII 37, IX 37, non per tant II 19, VI 32

Glossario

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tan (tan ni qan) loc. avv. ‘né tanto né poco’, III 16 tan sm. ‘tanto, una tal quantità’, V 35, XII 4, IX 36, XV 25, XIX 17 [tanher] v. ‘spettare, essere pertinente a’, imp. ind. pres. taing VIII 5, XI 58 temer v. ‘temere’, inf. pres. att. II 27, 3. p. plur. ind. pres. att. temon XIX 19 temer inf. sost. ‘timore’, X 36 c. r. sing. I 1 temps sm. ‘tempo, stagione’, c. r. sing. I 1, teps VIII 25, IX 1, 13, X 1, XIII 4, 10 temps (lonc temps) loc. avv. ‘lungamente’, VI 27, l. tenps X 12, l. teps XIV 33 temps (nulh temps) loc. avv. ‘mai’, VI 15 temps (totz temps) loc. avv. ‘sempre’, III 54, VI 47, XIII 17, totç temps XIV 10, totz tems XVI 75 tener v. ‘tenere, possedere’, inf. pres. att. I 47, II 23, VI 48, XII 20, tenir III 54, XVIII 4; 1. p. sing. ind. pres. att. te XI 17, teing IX 22, ten XI 36, XI 38, tenc VI 45; 3. p. sing. ind. pres. att. te XVI 14, XVII 20, XIX 15, ten I 30, II 3, X 48, XI 10, 43, XIV 18; 1. p. sing. ind. fut. att. tenrai XIV 19; 2. p. ind. fut. att. tenras IV 41; 3. p. plur. ind. fut. att. tenran I 33; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. tengut (a) X 6, 11; 3. p. sing. ind. pres. rifl. ten (se) XVI 53, XVIII 29; 2. p. plur. cong. pres. att. tenguatz V 33; 3. p. sing. cong. impf. tengues X 22; 1. p. ind. pres. rifl. tenh (mi) VI 30, 3. p. sing. imp. pres. att. tengna II 39; 1. p. ind. pres. passv. tengutz (sui) X 19; inf. pres. passv. tengutz (esser) XX 14 tener (tener gen) inf. sost. ‘intrattenimento [nobile]’, XV 15 teneçon vd. [tenezon] [tenezon] sf. ‘possessione terriera’, c. r. sing. teneçon I 10 tenguda sf. tenguda (far) ‘trattenersi dal lanciare [i dadi]’, XIV 9 tenson sf. ‘disputa’, c. r. sing. X 23, tençon XII 28, tensos XI 29, tenzon II 54 terra sf. ‘terra’, c. r. sing. XVI 35 terz sm. ‘terza potenza [in matematica]’, IX 32 [tezaur] sm. ‘tesoro’, c. r. sing. II 40 thezaur vd. tezaur tieu/tieus vd. ton [tirar] v. ‘tirare, attrarre’, 3. p. sing. ind. pres. att. tira VII 34; 3. p. sing. cong. pres. att. tir VI 14, VII 33 tocar inf. pres. att. ‘toccare’, II 50 tolre v. ‘togliere, levare’, XI 42; 3. p. sing. ind. pres. att. tol XII 42, XIII 9, XIV 26, tuelh VI 15; 3. p. sing. ind. pres. medio tolgues (se) XIX 1; 2. p. plur. imp. pres. medio tolletç (vos) VIII 17 ton agg. ‘tuo’, c. s. masch. sing. tieu XVI 52, tieus XVI 48, tos I 47; c. r. masch. sing. X 48, tieu XVI 45, 50, 53; c. r. masch. plur. tos XVI v. 37 [ton] pron. poss. ‘tuo’ c. r. masch. sing. tieu XVI 46 [tormen] sm. ‘tormento’, c. s. plur. turmen III 60 [tornar] v. ‘tornare, volgere, trasformare’ 1. p. sing. ind. pres. medio torn (m’en) XII 49; ‘diventare vero’ 3. p. sing. ind. pres. torn’ (a ver) II 33, me torna (d’autre fuelh) ‘mi volta pagina (in senso metaforico, vd. nota al testo)’ VI 29; 3. p. plur. ind. pres. att. tornon XVI 70; 3. p. sing. ind. pass. pross. att. tornada (a) XVII 30; 3. p. plur. ind. pass. pross. att. tornat (son) ‘sono diventati’ X 13; 1. p. sing. cong. pres. torn X 9; 3. p. sing. cong. impf. tornes XIV 36, XVIII v. 8 tors sf. ‘torre’, c. s. sing. VI 43 tort (a tort) loc. avv. ‘a torto’, XVII 44 toseta sf. dim. ‘ragazzina’, c. r. sing. II 25 tost avv. ‘presto’, III 39, VI 26, IX 51, XIV 27, XVII 14 tot agg. ‘tutto’, ogni; nessuno (in contesto negativo)’ c. s. masch. sing. III 19, totz IV 34, 39, V 23, VII 17, XVI

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12, XVIII 16, 29; c. r. masch. sing. tot II 13, II 58, III 28, 34, IV 4, V 7, VI 29, VII 14, 26, 35, IX 33, 34, X 47, XI 54, XIV 32, XVIII 6, 34, 38, 41; c. s. masch. plur. tot X 13, tug VI 49, XIII 16, 30, 37, 44, XVI 70, tuich IV 15, tuig XII 26, tuit VIII 9, XVI 80; c. r. masch. plur. totz II 11, III 14, III 50, XVI 27, 42, 44, 47, XIX 4; c. s. femm. sing. tota III 62; c. r. femm. sing. tota III 10, IX 24, XV 31, XVI 37, tot’ XVI 6, 39; c. r. femm. plur. XVI 22 tot pron. ‘tutto, ogni’, c. s. masch. sing. toç, VIII 32, X 14; c. r. sing. tot c. r. masch. plur. toç VIII 25, 30, c. s. femm. sing. totas XIII 44 tot avv. ‘del tutto, completamente’, XI 65, XVIII 31 tot (a tot lo mein) loc. avv. ‘almeno’, XII 18 tot (del tot) loc. avv. ‘interamente, del tutto’, II 32, XI 15, XII 12, XV 12, XVIII 25 tot (sobre tot) loc. avv. ‘soprattutto’, II 24 totas sazos loc. avv. ‘in ogni momento, sempre’, XI 39 [traïr] v, ‘tradire’, 3. p. plur. ind. pass. pross. att. traït (an) XIV 29; 3. p. sing. cong. pres. att. traia II 27 [traire] v. ‘trarre, ricavare’, 1. p. sing. ind. pres. att. trac V 12, trai X 16; 3. p. sing. ind. pres. att. trai VI 35; 1. p. sing. ind. fut. att. con funzione desiderativa trairai (a luç) ‘riuscissi a palesare’ VIII 21 [trametre] v. ‘inviare’, 3. p. sing. ind. impf. att. trametia IV 42 tras prep. ‘oltre’, XVI 44 trastoç pron. ind. ‘tutto quanto’, c. r. masch. plur. VIII 6 [trefan] agg. ‘perfido’, c. s. femm. sing. trefana V 36 [trei] agg. num. ‘tre’, c. r. masch. sing. tres II 20, c. s. femm. plur. XIX 25 [tremblar] v. ‘tremare’, gerund. pres. tremblan III 35 trencar v. ‘tagliare’, inf. pres. att. XVII 39 tres agg. sost. ‘tre’, c. r. plur. III 50 triar v. ‘distinguere’, XX 16 [trichaire] agg. sost. ‘traditore’, c. r. masch. sing. trichador V 17; c. s. masch. plur. XIX 18 triga sf. ‘punto a favore [nel gioco dei dadi, vd. nota al testo]’, c. r. sing. XIV 15 [trigar (se)] v. ‘tardare’, 2. p. sing. imp. pres. medio trics (te) I 42 [trist] agg. ‘triste’, c. s. femm. sing. trista IV 2 tro cong. ‘finché’, X 20, XII 15, true II 49 trobador sm. ‘trovatore’, c. s. plur. V 37 trobar v. ‘trovare’, inf. pres. att XII 43; XVII 4; 1. p. sing. ind. pres. att. trop X 35, XII 47, truep II 17, X 50; 3. p. sing. ind. fut. passv. trobat (seran) XII 40; 3. p. plur. ind. pres. att. trobon XII 16; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. trobet III 41; 3. p. sing. cong. impf. att. trobes XVII 3; inf. pass. att. trobat (aver) VI 21, VI 22, IX 40, X 15, XV 11 trop avv. ‘troppo’, IV 33, XIV 26, 28, XIX 1, XX 11, trop II 4 truan, agg. sost. ‘mascalzone’, c. s. masch. plur. XIX 18 true vd. tro tu pron. ‘tu’, c. s. sing. XVI 34, 59; c. r. sing. te. XVI 49, 51, 54; ‘tu, te, ti’, c. obl. sing. t’ I 43; te pron. rifl., ‘te, ti’ c. r. sing. ·t I 42, VI 51, t’ I 42, VI 50, XII 46, XVIII 43 turmen vd. tormen ubertamen vd. obertamen ufana sf. ‘vanteria’, I 33 ufanier agg. ‘presuntuoso’, c. r. masch. sing. V 33 uls vd. olh [uman] agg. ‘umano’, c. r. femm. sing. humana V 35

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[umiliar] v. ‘umiliare’, inf. pres. medio humiliar (no·s vol) XVII 23 umilitat sf. ‘umiltà’, c. s. sing. humelitatz XIX 12; c. r. sing. humilitat VI 34, XII 34 [umilmen] avv. ‘umilmente’, humilmen XVIII 20 un art. det. ‘un, uno’, c. s. masch. XIII 14, us VI 9, XV 18, XVIII 44 (2); c. r. masch. I 4, II 29, 46, III 24, V 20, 26, VII 31, VIII 2, 15, IX 29, XI 1, 56, XIV 38, XV 32, 39, XVII 12, XVIII, XIX 33, 31; c. r. femm. una I 10, II 16, X 39, un’ V 39 [un] pron. pers. ‘uno’, c. s. masch. uns X 22, XVI 63 uoill vd. oil [vair] agg. ‘insincero [lett. cangiante]’ c. r. femm. sing. vaira XVII 37 valen agg. ‘di valore, autentico’, c. r. masch. sing. XX 9; c. s. femm. sing. valens XV 27 valer v. ‘valere’, inf. pres. II 22, XI 45, XII 30; 1.p. sing. ind. pres. vaill IX 50, val 3. p. sing. ind. pres. I 10, 24, III 8, XIII 13, XIV 1, XVI 37, XVIII 44, XIX 9; 3. p. plur. ind. pres. valon VII 29; 3. p. sing. ind. impf. valia IV 5; 3. p. sing. ind. fut. valra IX 45; 3. p. sing. cong. impf. valgues IX 54; 3. p. sing. cond. pres. valgra VIII 15 valor sm. ‘valore’ c. s. sing. X 47, valors XVIII 38; c. r. sing. V 24, XIV 48, XVI 37 vas prep. ‘verso, a’, I 42, II 48, III 36, 40, IV 41, VI 13, VII 23, 24, 31, IX 22, ves VI 50, X 46 vas sm. ‘sepolcro’, c. r. sing. XVII 40 [vedar] v. ‘vietare’, 1. p. sing. ind. pres. att. vet VI 15 venir v. ‘venire, andare’, inf. pres. XVII 9; 3. p. sing. ind. pres. ven VI 17, IX 13, XI 5; 1. p. sing. ind. pass. pross. (qui esprime l’iterazione dell’azione) vengutz (son) II 44; 3. p. sing. ind. pass. pross. venguda (es) XIV 27; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. venquet XVI 19; 1. p. sing. ind. trap. rem. venguç (fui) X 20; 1. p. sing. cong. impf. venges III 25; 3. p. sing. cong. pres. veigna XII 15; 1. p. sing. cong. trap. venguç (era) VIII 24; 1. p. sing. cond. pres. venria XV 21 [venjar] v. ‘vendicare’, 3. p. sing. cond. pass. att. venjat (auria) XII 24 [venser] v. ‘vincere’ 3. p. ind. pres. att. vens XIX 12, venz XVI 6; 2. p. plur. ind. fut. att. venceres XI 30; part. passv. vencutz XVI 19; 3. p. sing. ind. pres. pass. vencutz (es) XVIII 19 [ventar] v. ‘soffiare [del vento]’, 3. p. sing. ind. pres. venta XIII 2 ver (tornar a) vd. tornar [ver] agg. ‘verace, sincero’, c. s. masch. sing. vers III 11, XIX 23 ver sm. ‘il vero’, c. r. sing. IV 13 ver (en ver) loc. avv. ‘in verità, veramente’, XI 59 ver (per ver) loc. avv. ‘veramente, di certo’, XI 53 verajamen avv. ‘veramente’, XVI 29 verais agg. ‘sincero, verace’, c. s. masch. sing. I 13; c. s. femm. sing. veraja II 37, c. r. femm. sing. veraja XVI 10, XX 10 veramen avv. ‘veramente’, XIII 47 verdor sf. ‘verzura, foglie’ IX 3 Verges agg. sost. ‘Vergine [Maria]’, XVI 36 vergier sm. ‘giardino’, c. s. plur. V 5 vers sm. ‘componimento poetico [in generale], tipo di componimento [in particolare: vers = dalla fine del secolo XII in poi, componimento moraleggiante]’, c. s. sing. IV 9, c. r. sing. VIII 2; c. r. plur. IV 43, V 38 vert agg. ‘verde’, c. r. masch. sing. X 2; c. s. femm. sing. vertz V 3 vertadier agg. ‘veritiero, sincero’, s. masch. sing. vertadiers III 7; c. r. masch. sing. vertadier III 2, XI 24 vertatz sf. ‘verità’, c. s. sing. XVI 9 vertut sf. ‘virtù, potere’, c. r. sing. III 46; ‘miracolo’ c. s. plur. vertuç VIII 31

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vertuç vd. vertut ves vd. vas [vestir (se)] v. ‘vestirsi’ 3. p. sing. ind. pres. medio vesto (se) IX 3 vet sm. ‘divieto’ c. r. sing. (tenir en vet = vietare) III 54 vetz sf. ‘volta’, c. r. plur. XVIII 44 vezer v. ‘vedere, guardare’, inf. pres. att. IX 16, 20, XIX 32, veçer XI 29; 1. p. sing. ind. pres. att. vei I 8, II 5, III 67, VIII 30, XII 30, XIV 21, XV 19, vey XIII 4; 3. p. sing. ind. pres. att. ve XVI 62, 66, XIX 31; 2. p. plur. ind. pass. rem. att. vitz V 34; 3. p. sing. cong. pres. att. veja XVIII 42; imps. ind. pres. att XVII 15; 3. p. sing. ind. pres. pass. vist (es) VIII 20 veziat agg. ‘scaltro’, XII c. s. masch. plur. 28 .vi. vd. seis via sf. ‘via, cammino’, c. r. sing. IV 41 viaje vd. viatge [viatge] sm. ‘viaggio’, c. r. sing. viaje X 48 viatz vd. vivatz vida sf. ‘vita’, IV 3, c. r. sing. IX 44 [viellar] v. ‘suonare la viella [strumento musicale ad arco]’, 3. p. sing. ind. pres. att. viella II 56 [vilan] agg. ‘villano’, c. r. femm. sing. vilana I 44 [virar (se)] v. ‘volgersi’, 1. p. sing. ind. pres. medio vir (me) III 36, VI 13, VII 11, XVIII 36; 3. p. sing. ind. pres. medio vira (se) II 47, VII 12; 3. p. sing. imp. pres. medio I 15 viure v. ‘vivere’, inf. pres. III 70, V 10, X 8 1. p. sing. ind. pres. vio IX 30, viu IX 50, X 28; 3. p. sing. ind. fut. viuran XIII 17 [vivatz] avv. ‘presto, velocemente’, viatz XIX 30 voill vd. vol [vol] sm.’volere’, c. r. sing. voill IX 5 [volar] v. ‘volare’, 1. p. sing. ind. pres. vole III 40; 1. p. cong. impf. voles III v. 38; 1. p. sing. cond. pres. volera III v. 39 volentier avv. ‘volentieri’, V 40, volontiers III 38, voluntiers VII 18 voler v. ‘volere’, inf. pres. att. XI 35, XVIII 10, XX 2; 1. p. sing. ind. pres. att. voil I 38, 39, II 45, X 29, XII 44, voill I 2, 14, IX 6, vueil II 52, vueill X 9, 39, XV 5, 34, vuel VI 30, vuelh V 14, VI 3, 19, 21, 47, vuoil XVIII 3; 2. p. sing. ind. pres. att. vols I 48; 3. p. sing. ind. pres. att. vol I 30, II 21, 32, 53, IV 37, VI 2, VI 25, VIII 10, IX 38, X 5, 34, 45, XI 46, XII 36, XIII 45, XV 1, 16, 28, XVI 23, 24, 27, 28, 69, XIX 4, 16, XX 8, 9; 2. p. plur. ind. pres. att. voleç XII 23, voletç VIII 38, volets XI 29; 3. p. plur. ind. pres. att. volon XIII 30; 3. p. sing. ind. fut. att. volra XVI 67, XVIII 24; 2. p. plur. ind. fut. att. volretz XVIII 34; 3. p. sing. ind. impf. att volia IV 16; 1. p. sing. ind. pass. pross. att. volguda (ai) XIV 33; 3. p. sing. ind. pass. rem. att. volc III 13, 61, XV 38; 1. p. sing. cong. pres. att. vola X 5; 1. p. sing. cong. impf. att. XVII 39; 3. p. sing. cong. impf. att. volgues VI 3, XVIII 25; 2. p. plur. cong. pres. att. vueilhatz III 53; 3. p. plur. cong. impf. att. volgeson XII 8; 1. p. sing. cond. pres. att. volgra XIX 33; 3. p. sing. cond. pres. att. vulria I 20; gerund. pres. att. volen III 39, XVI 80; 2. p. plur. imp. pres. att. voillatz XVIII 39, vueilhatz III 59; 3. p. sing. ind. pres. medio vol (se) I 21, VI 48, VII 14, XI 37, XVII 5, 23; 2. p. sing. ind. pres. medio vols (te) VI 51 voler sm. ‘volontà’, c. s. sing. XIII 43 [volontat] sf. ‘volontà’, c. r. sing. volontaç VIII 10, voluntat XIII 41 volontiers vd. volentier voluntiers vd. volentier volven agg. ‘volubile’, c. r. masch. sing. III 40

Glossario

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[volver] v. ‘volgere’, 1. p. sing. ind. pres. medio volv (me) ‘mi volgo’ VII 11; 3. p. sing. ind. pres. medio volv (se) ‘si volge’ VII 12; gerund. pres. att. volven XIV 15 vos pron. pers. ‘voi, vi’ c. s. vos. IV 12, VIII 31, XI 50, XII 24, XIV 47, XVI 81, XIX 13, 14, ·us XI 29; c. r. vos. III 14, 25, 27, 36, 40, 52, 60, 64, 65, 68, IV 14, 30, VIII 26, 30, 32, 36, 39, X 26, XI 23, 25, 50, 68, XII 29, 30, 35, 37, XIV 33, 34, 37, 39, 42, 43, 45, 46, 47, XVI 77, 81, XVII 41, 42, XVIII 34, 40, XIX 9, 13, 17, 21, 41, 44, ·us III 13, 52 (2), 55, 59, IV 16, 31, VIII 17, 33, 38, X 27, XI 24, XII 28, 36 (2), XIV 34, 44, XVIII 35, 39 (2), XIX 14, 15, 16 vostre agg. ‘vostro’, c. s. masch. sing. I 16, III 33, 57, XI 27, vostr’ III 17, XVIII 33; c. r. masch. sing. vostre III 12, X 27, vostr’ III 24, XIX 11, XIV 36; c. s. femm. sing. vostra IV 11, c. r. femm. sing. vostra XIX 11 [vot] sm. ‘voto’, c. s. sing. VIII 36 voç vd. vot votz sf. ‘voce’, c. s. sing. IV 19, V 1 y vd. i ylh vd. el yssamen vd. eisamen

Senhals e nomi

Amic [senhal] X 46, XVIII 41 Anduza ‘Anduze’ [località] VI 50 Bels Desirs [senhal] IV 45 (?), Bel Desir X 31 Bel Sirventes [senhal] X 31, XIX 41 Bon Esper [senhal?] IX 29, XI 6-7 Caslutz ‘Caylus’ [località] VI 52 Castella ‘Castiglia’[nome di luogoI 36 Corrosana ‘Khorasan’[nome di luogo] V 21 Espanha ‘Spagna’ [località] V 32 Fol Conselg [senhal] XII 46 Gaugz Entiers [senhal] III 48 Irlanda ‘Irlanda [in alternativa Islanda]’ [località] XIV 20 Jesu Crist [nome proprio] IV 25 Joi Novel [senhal] X 19, (Jois Novels) VIII 1, XI 8, XIV 41, (Joy Novel) VI 45, (Novel Joi) I 4 Mal Ayp XI 61 (?), (Mals Abs) VII 34, (Mals Aips) XII 48, (Mals Aips) XIII 37 Maria [nome proprio] IV 29 Paradis [nome di luogo] XVIII 3 Poilla ‘Puglia’ [nome di luogo] IX 41 Roquefeuil [nome di una casata nobiliare] I 45, Rocafuelh VI 52 Rodes ‘Rodez’ [nome di luogo] I V 44 Salva/Salve ‘Sauve’ [nome di luogo] I 42, IV 41 Ugo Brunenc [nome proprio] IV 32

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Per sen de trobar: l’opera lirica di Daude de Pradas

VARVARO 1960: Rigaut de Berbezilh, Liriche, ed. A. VARVARO, Bari 1960. VATTERONI 1986: Le poesie del trovatore Johan Esteve, ed. S. VATTERONI, Pisa 1986. VATTERONI 1998: S. VATTERONI, Per lo studio dei Liederbücher trobadorici: I. Peire Cardenal; II. Gaucelm Faidit, in «Cultura Neolatina», 58, 1998, pp. 7-89. VATTERONI 2001: S. VATTERONI, Le corti della Francia meridionale, in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, Volume I. La produzione del testo, Tomo II, Roma 2001, pp. 353-398. VATTERONI 2013: S. VATTERONI, Il trovatore Peire Cardenal, 2 voll., Modena 2013. VERLAGUET 1918-1925: P. A. VERLAGUET, Cartulaire de l’Abbaye de Bonnecombe, Rodez 19181925. VIGOUROUX 1926: F. VIGOUROUX, Dictionnaire de la Bible, 5 voll., Paris 1912-1926, disponibile anche in rete all’indirizzo http://archive.org/details/ Vigouroux_DB. VLCM: Vocabulari de la llengua catalana medieval, disponibile in rete all’indirizzo http://www.iec.cat/faraudo/. WALTHER 1963-1986: H. WALTHER, Lateinische Sprichwörter und Sentenzen des Mittelalters in alphabetischer Anordnung, 9 voll., Göttingen 1963-1986. WEST 1969: G. D. WEST, An Index of Proper Names in French Arthurian Verse Romances 11501300, Toronto 1969. WEST 1978: G. D. WEST, An Index of Proper Names in French Arthurian Prose Romances, Toronto 1978. ZEMP 1978: Les poésies du troubadour Cadenet, ed. J. ZEMP, Bern-Frankfurt am Main - Las Vegas 1978. ZINELLI (2007-2008): F. ZINELLI, Initiation à l’ancien occitan, in «Annuaire de l’Ecole pratique des hautes Études, Sciences historiques et philologiques» 140e année, 2007-2008, pp. 170173, in rete all’indirizzo http://ashp.revues.org/index705. html?file=1). ZUFFEREY 1981: F. ZUFFEREY, Bibliographie des poètes provençaux des XIVe et XVe siècles, Genève 1981. ZUFFEREY 1987: F. ZUFFEREY, Recherches linguistiques sur les chansonniers provençaux, Genève, 1987.

Solo a lavoro ormai in fase avanzata di pubblicazione ho potuto prendere visione di due articoli di Jean-Pierre Chambon riguardanti Daude de Pradas, pubblicati entrambi su «Cultura Neolatina» nell’annata 2015. Il primo, Gui Ussers (1195, 1196) et Deodatus Pradés (1191): ni Gui d’Ussel, ni Daude de Pradas (pp. 201-4) contiene una postilla di carattere biografico-documentario. Nel secondo, Un auteur pour Flamenca? (pp. 229-72), in base ad un’indagine lessicografica condotta sull’intero corpus (non solo lirico) del trovatore rouergate, si propone, con riscontri interessanti ma con la dovuta cautela, l’ipotesi di attribuzione di un terzo roman a Daude de Pradas, il celebre e finora ritenuto anonimo Flamenca.