Pensare per due. Nelle menti delle madri 9788842085249

Fare un figlio è come innamorarsi: un'esperienza che travolge e, dopo, nulla è come prima. Nel corso della gravidan

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Pensare per due. Nelle menti delle madri
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Economica Laterza 510

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Pensare per due Nella mente delle madri

Editori Laterza

© 2008, Gius. Laterza & Figli Nella «Economica Laterza» Prima edizione 2009 Edizioni precedenti: «i Robinson/Letture» 2008

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 2009 SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-9073-1

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Pensare per due Nella mente delle madri

Nella mente delle madri

1. La madre e suo figlio: una relazione di reciproco rispecchiamento La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi nel corridoio a doppia porta trascorreva il lieve fruscio della sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Esso era il preannuncio di quello che sarebbe seguito e nel quale mi avrebbe lasciato, sarebbe ridiscesa. E così, quella buonanotte che amavo tanto, mi spingevo ad augurarmi che arrivasse il più tardi possibile, perché si prolungasse il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. A volte, quando dopo avermi baciato apriva la porta per uscire, io desideravo richiamarla, dirle «dammi un altro bacio», ma sapevo che subito avrebbe avuto l’espressione di disappunto, perché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo a darmi quel bacio, a portarmi quel bacio di pace, irritava mio padre che giudicava simili riti delle assurdità, e lei avrebbe voluto tentare di farmene perdere il bisogno, l’abitudine: altro che lasciarmi prendere quella di chiederle, quando già stava per oltrepassare la soglia, un nuovo bacio. Ora, vederla indispettita distruggeva tutta la calma di cui mi aveva riempito un istante prima chinando sul mio letto il suo viso amoroso, protendendo verso di me come un’ostia per una comunione di pace dalla quale le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere di addormentarmi1. 3

I sentimenti e le emozioni di un figlio, che cerca nel bacio di sua madre il conforto che lo rassicuri prima di dormire; i desideri e i timori che abitano il suo animo nella necessità intima e quasi assoluta di quel bacio rappresentano il cuore di questa pagina, sintesi profonda dei sentimenti e delle emozioni che governano il legame tra una madre e un figlio. È un passo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. E le parole con cui l’adulto Marcel ricorda lo stato di solitudine che un bambino prova prima di addormentarsi sono significative per comprenderne le più profonde sfumature. La prima parola forte che usa è «consolazione»: l’attesa che sua madre torni e gli dia un bacio è la sola cosa che può compensare e colmare il vuoto che il piccolo Marcel avverte prima del sonno. Un nuovo contatto con lei, che per un attimo gli permetta di vincere il vuoto generato dalla sua assenza, è l’unica fonte di consolazione per il bambino. E tuttavia, quest’unica via di fuga dal senso di abbandono che lui prova, immediatamente gli appare non risolutiva del suo dolore: il momento della buonanotte sarebbe, infatti, durato assai poco e di nuovo sarebbe rimasto solo, senza di lei. La lontananza dalla madre gli appare dunque incolmabile, come a ogni bambino quando va a dormire. Il buio improvvisamente si popola di presenze minacciose e immaginate e l’assenza di lei può diventare intollerabile. Lei, sua madre, è l’unica che può lenire quella tristezza, la sua agitazione, quasi che la pace potesse giungergli solo nel momento in cui si ricompone l’unità inscindibile che originariamente madre e figlio costituivano insieme. In momenti come questi, si attiva nel bambino il legame di attaccamento con la madre attraverso cui egli riesce a costruire e regolare il suo senso di sicurezza: è lei sola – ma talvolta anche il padre o persone familiari e rassicuranti – che lo garantisce contro i pericoli e le minacce che provengono dall’esterno, ma anche dall’interno. Quella che ogni bambino avverte quando va a dormire è la paura della perdita e per questo ogni rassicurazione è fugace: mille diventano i pretesti per prolungare all’infinito il mo4

mento del distacco – ogni madre lo sa bene. E quella presenza può tranquillizzarlo in un solo attimo e, in un solo attimo, può vanificare tutte le sue paure. Ma il conforto, la rassicurazione è reciproca. Anche la madre infatti si tranquillizza quando è vicina a suo figlio, e può invece diventare molto apprensiva quando è lontana da lui: solo quando è con sua madre il piccolo è veramente al sicuro. Ogni madre comprende allora il paragone – poeticamente restituito da Proust – di quel bacio a «un’ostia per una comunione di pace». Solo loro due, la madre e il figlio, sanno che quella comunione di pace è ciò che suggella una vera e propria danza, che inizia fin dal loro primo incontro. È una danza a cui nessun altro può partecipare, che risponde a un ritmo che è solo loro, su una musica di cui solo loro conoscono la partitura: madre e figlio si muovono all’unisono e si compenetrano l’uno nell’altra sul piano mentale e fisico. Basta osservare una madre che allatta il proprio figlio o che asciuga il suo piccolo di otto mesi dopo avergli fatto il bagnetto. Il gioco di coprirgli la testa con l’asciugamano per poi toglierlo cantilenando in modo gioioso «bubusettete» e il bambino che ride estasiato guardando la madre e invitandola a ripetere il gioco, è un esempio semplicissimo e tuttavia assai esplicativo della natura del loro rapporto.

2. L’origine del mondo Sono stato sempre affascinato dai cambiamenti psicologici che le donne affrontano dal momento in cui scoprono che stanno per diventare madri fino al primo anno di vita del figlio. Che cos’è che mi attrae di questa naturale, eppure misteriosa, fase della vita della donna? Di certo la curiosità latente in ognuno di noi per il luogo delle nostre origini, il corpo materno, appunto. La curiosità per il corpo femminile fu ben espressa e rappresentata dal pittore francese Gustave Courbet che dipinse 5

nel 1866 il discusso e famoso quadro L’origine del mondo. Gli era stato commissionato dal diplomatico turco-egiziano Khalil-Bey, un personaggio piuttosto stravagante della Parigi dell’epoca, il quale voleva facesse parte della sua collezione di quadri raffiguranti nudi femminili. Il corpo della donna, il mistero che in esso è custodito e nascosto, è rappresentato in questo dipinto nella sua più cruda e naturalissima fisicità, nella sua incontestabile forza, in una verità che non richiede commenti. Ciò che Courbet porta in primo piano è infatti proprio l’imperscrutabilità del luogo di origine della vita. Tutto il dipinto è occupato dal genitale femminile, ed è significativo che l’autore non abbia raffigurato il volto della donna, quasi a volerne rappresentare l’essenza suprema solo attraverso la sua funzione generatrice: la donna come un grande grembo che costituisce l’origine del mondo e ne garantisce la continuità e la sopravvivenza. Lo stesso tema è sottolineato in modo altrettanto forte nelle antiche sculture mediterranee raffiguranti donne dai larghi fianchi, con un grande addome – entrambi sproporzionati – e una testa molto piccola. Nel museo di Capua sono custodite enormi statue femminili appartenenti al periodo neolitico e raffiguranti la Mater Matuta, grande divinità materna, il cui culto risale forse addirittura al paleolitico, che proteggeva la nascita e la vita in tutti i suoi aspetti. Il culto della Mater Matuta sopravvive in tutto il periodo etrusco, fino alla romanità. La Mater Matuta era anche, per i romani, dea del mattino, o dell’aurora, e protettrice delle partorienti. È suggestivo considerare che dalla parola mater derivi anche la parola matrice, che indica il processo di origine delle varie forme di vita; e che matuta rimandi invece alla nascita del giorno, alla mattina che viene ad allontanare il buio della notte e porta la luce. Quando nasce un bambino si dice infatti che «è venuto alla luce», perché fino a un istante prima di nascere egli era immerso nel buio del grembo materno. È la figura della donna generatrice della vita, costituita 6

quasi esclusivamente da quell’interno inaccessibile, in cui avviene una trasformazione che potremmo dire alchemica: è questo il grande mistero consegnato all’uomo. Esemplari, a questo proposito, gli scritti della psicoanalista Melanie Klein che ben riporta le fantasie inconsce dei bambini sull’interno del corpo materno, il quale conterrebbe, oltre al pene paterno, anche mille altri bambini non nati, che esistono tuttavia in uno stato di fusione perfetta con la madre. A questo proposito Melanie Klein nel suo scritto Vita emotiva nella prima infanzia del 1952 scrive: «Tale bisogno (del lattante) è diretto principalmente a impossessarsi del pene paterno (assimilato anche a bambini e feci) che il bambino immagina essere contenuto nel corpo della madre»2. Ma torniamo al quadro di Courbet. Lungi dall’essere un’immagine pornografica, è piuttosto un’immagine inquietante: il genitale femminile è al contempo il luogo dell’erotismo e della generatività; raffigura, al tempo stesso, in primo piano e con una descrittività estremamente dettagliata, il luogo della sessualità, ma anche il luogo in cui la vita prende forma, l’origine del mondo. E non solo. Nella sua esibizione così cruda, comunica un sottile senso di morte: sembra quasi un corpo di cera, un corpo scientificamente preparato per un’analisi deprivata di ogni possibile implicazione affettiva e poetica. È forse per questa sua intrinseca contraddittorietà e per l’inquietudine che da essa ne deriva che il quadro, dopo essere stato venduto dal diplomatico egiziano – e acquistato non si sa da chi – scomparve. Rimase per lungo tempo in mani sconosciute fino a che, nel 1955, fu comprato dallo psicoanalista francese Jacques Lacan che lo tenne con sé fino alla sua morte. Solo successivamente fu trasferito al Museo d’Orsay dove è attualmente conservato. Non sappiamo che cosa spinse Lacan ad acquistare il quadro. Dalla biografia di Elisabeth Roudinesco3, veniamo a sapere che Lacan teneva il quadro nella sua casa di campagna, e precisamente nel suo studio, insieme a molti altri oggetti di 7

valore artistico. Quando lo acquistò, a nascondere quella che si considerava un’oscenità scandalosa, c’era un pannello di legno sul quale era dipinto un paesaggio. Insieme alla sua compagna, Sylvia, decise di far preparare un nuovo pannello, che si potesse rimuovere facilmente ogni volta che avessero voluto ammirare la rappresentazione courbetiana, che anche loro ritenevano non potesse essere esposta senza filtri.

3. L’archetipo della maternità Nel mondo occidentale, permeato della cultura e della tradizione cattolica, l’immagine della maternità non può non rimandare alla figura della Madonna, che rappresenta il sommo archetipo della madre, modello e simbolo, fonte di ispirazione dei grandi pittori del Rinascimento. L’atto iniziale che avvia la maternità di Maria è l’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele la raggiunge per comunicarle che è lei la prescelta e dal suo grembo nascerà il figlio di Dio. Quello dell’Annunciazione è un momento assai significativo e di grande valore simbolico per la cristianità, e per questo molte volte raffigurato, secondo la concezione religiosa, umana e storica di ciascun pittore. In alcune rappresentazioni l’arcangelo occupa quasi tutto lo spazio nel quadro come a voler indicare che il verbo divino costituisce l’aspetto più rilevante del grande evento, mentre Maria, nella sua modestia, è relegata ad un ruolo che potremmo dire minore. L’angelo è infatti un ambasciatore divino, le cui grandi ali stanno ad indicare il lungo volo che ha dovuto intraprendere per raggiungere Maria e per comunicarle la buona novella. Nella grandezza del compito che all’angelo è affidato acquista particolare significato la lunga tromba che talvolta viene raffigurata nei dipinti e che sottolinea e amplifica il suo messaggio divino. Tuttavia secondo altre interpretazioni la vera attrice dell’Annunciazione – potremmo dire la protagonista – è Maria, che accoglie con mo8

destia, ma anche con compiacimento e intima gioia, l’essere stata prescelta da Dio per compiere la missione che le è affidata e da cui dipendono i destini del mondo. La figura della Madonna nei dipinti è spesso ieratica, quasi a voler porre l’accento sugli aspetti di devozione e di santità più che su quelli materni e, ancor meno, sui tratti femminili. Ma l’Annunciazione dell’angelo e il dogma dell’Immacolata Concezione che da essa deriva ha inciso profondamente sul modo di intendere la maternità nel mondo occidentale: la fecondazione di Maria non è conseguenza di un atto sessuale, carnale, ma frutto della spiritualità, pura espressione della volontà divina. La maternità, miracolo della vita, nella figura della Madonna diviene dunque frutto di un atto di alta spiritualità, e proietta sull’immagine della madre un’imprescindibile aura di santità. Viene così a definirsi un archetipo materno e femminile, che si è consolidato sempre di più nel mondo psichico maschile, fino a produrre, a livello inconscio, un’immagine santificata della madre, che si distingue, per il suo essere madre, da tutte le altre donne. È interessante considerare che il tema dell’Annunciazione è diventato oggetto di studio anche per la psicoanalisi nello scritto di uno degli allievi più brillanti di Freud, Ernest Jones, intitolato Il concepimento della Madonna attraverso l’orecchio, del 19144. Secondo Jones l’Annunciazione evoca nell’inconscio infantile, soprattutto maschile, la convinzione che la propria nascita non sia stata il frutto di un rapporto sessuale ma di una concezione materna nella quale il padre non ha alcun ruolo. È ben noto che la psicoanalisi cerchi di trovare delle motivazioni sessuali nei comportamenti umani e addirittura nelle immagini più celestiali, e a questo proposito tale teoria infantile sarebbe legata alle fantasie incestuose del bambino nei confronti della madre, dalle quali la figura paterna è inevitabilmente esclusa. L’interpretazione psicoanalitica di Jones si rifà ad una antica tradizione della Chiesa Cattolica che voleva che Gesù venisse concepito mediante la penetrazione del soffio dello Spirito Santo nell’orecchio della Vergine Ma9

ria. E a questo proposito sant’Agostino scrive: «Deus per angelum loquebatur et Virgo per aurem impraegnabatur»5 ossia: Dio parlava per mezzo dell’angelo e la Vergine veniva impregnata attraverso l’orecchio. Ernest Jones vuol dimostrare, rifacendosi ai testi della Chiesa e alle rappresentazioni pittoriche, che nell’immagine dell’Annunciazione si esprimano a livello sublimato simboli inconsci con una coloritura sessuale. Lette in questa chiave, le parole dell’arcangelo che penetrano nell’orecchio della Madonna potrebbero divenire, a livello inconscio, simbolo di una sorta di penetrazione sessuale avviando, come il seme maschile, la gravidanza di Maria. Nella stessa direzione il racconto di sant’Eleuterio: «O Vergine Benedetta [...] fatta madre senza la partecipazione dell’uomo. Poi qui l’orecchio fu la sposa e la parola angelica lo sposo»6. Nella scena dell’Annunciazione dipinta da molti pittori, ad esempio nella tavola di Simone Martini, si può vedere che l’arcangelo Gabriele tiene nella mano un fiore. Il fiore che l’arcangelo porta, e che in molte raffigurazioni è un giglio, rappresenta la purezza e la maternità della Madonna. I fiori, secondo Jones, sono sempre stati il simbolo della donna, in particolare della sua sessualità, e in questo senso va intesa l’espressione del linguaggio comune secondo cui la perdita della verginità viene anche definita «deflorazione». L’orecchio, infine, nella lettura simbolica di Jones, rappresenta bene un organo ricettivo femminile, come sembrerebbe confermato anche da miti antecedenti al cristianesimo. Le interpretazioni psicoanalitiche di cui si è parlato potrebbero sembrare arbitrarie e forse anche irriverenti, soprattutto se collocate al di fuori di un lavoro terapeutico. Tuttavia rappresentano, a mio parere, immagini di grande significato, che credo abbiano la forza di parlare all’inconscio, oltre che allo spirito. Nei numerosi dipinti che la rappresentano, quella della Madonna non è tuttavia soltanto una figura materna ieratica, completamente desessualizzata. Al contrario, il suo corpo 10

viene talvolta raffigurato con una certa fisicità. Nonostante si tratti di una Immacolata Concezione il corpo di Maria, come quello di ogni donna, mostra i segni della gravidanza, come si vede, ad esempio, nella famosa Madonna del parto di Piero della Francesca. Un altro esempio di raffigurazione fisica della gravidanza di Maria si trova nel duomo di Leonessa, in provincia di Rieti. Si tratta di un dipinto raffigurante la Madonna che legge un libro che tiene fra le sue mani, mentre il suo addome mostra i segni di una gravidanza avanzata. Nel quadro si legge la seguente iscrizione: «O passeggero tu contempli la Vergine Maria che porta in grembo il Verbo e medita il Verbo». La maternità di Maria, si sottolinea ancora, non è quindi opera dell’uomo, ma frutto della volontà di Dio. Se torniamo alle ripercussioni del dogma dell’Immacolata Concezione sulla nostra cultura, dobbiamo sottolineare che esso non ha influenzato soltanto gli uomini, ma ha sicuramente condizionato milioni e milioni di donne che hanno affrontato la maternità nel mondo occidentale. Probabilmente ogni donna che aspetta un figlio sente di svolgere una missione speciale che le è stata riconosciuta nel corso dei secoli e nelle varie culture. Ogni figlio che nasce è per la propria madre il Messia, che verrà a cambiare se non i destini dell’umanità, sicuramente quelli della famiglia. Per questo ogni madre si sente speciale, perché in essa si rinnova l’evento grandioso della maternità: solo da lei può nascere quel figlio che dovrà realizzare tutti i sogni irrealizzati della madre. È questo il carattere narcisistico dell’amore dei genitori, in quanto il loro ideale dell’Io viene proiettato sul figlio, che viene vissuto come una parte di sé. Ma nel contesto dell’Annunciazione è importante anche analizzare la figura di Giuseppe, del padre terreno. Giuseppe è quindi padre putativo, colui che dà il cognome al figlio, che gli garantisce il riconoscimento sociale, mentre la vera filiazione è quella materna, come se quel figlio fosse soltanto suo. Ne deriva una indiscutibile centralità della madre nella vita del figlio, che ha influenzato moltissimo le culture medi11

terranee, nelle quali la figura materna è il vero perno attorno a cui ruota l’intera famiglia, mentre al padre è riservato un ruolo assai più marginale. E come aveva scritto lo psicoanalista francese Jacques Lacan vi è il rischio che, in assenza della legge del padre, nella famiglia si crei una relazione «immaginaria» fra madre e figlio, al di fuori del principio di realtà, che li lega in modo inestricabile.

4. Il viso, gli occhi La comunicazione che avviene attraverso lo sguardo rappresenta uno dei tratti distintivi della specie umana, ed è favorita dalla sua posizione eretta. Secondo una prospettiva evoluzionistica, il raggiungimento da parte della specie umana della stazione eretta ha profondamente modificato la qualità delle cure parentali. Alcuni paleoantropologi sostengono addirittura che essa sia stata acquisita dall’uomo al fine di assolvere al meglio al compito di accudire i figli. Tale posizione, infatti, consente di avere nel contatto visivo lo scambio comunicativo più rilevante. È significativo considerare in tal senso che solo nella specie umana è relativamente semplice individuare la direzione dello sguardo. E questo accade perché, diversamente dagli animali, nell’uomo la pupilla e l’iride si differenziano dal bianco della sclera. È possibile che l’occhio umano si sia evoluto in questo modo per la necessità di sviluppare maggiori capacità cooperative e una più efficace comunicazione fra gli individui. Tale evoluzione favorisce pertanto le interazioni sociali, che implicano l’attenzione condivisa e la comunicazione visiva. In una recente ricerca7, lo studioso Michael Tomasello ha messo a punto un esperimento per valutare quanto la posizione degli occhi sia di orientamento per scimmie di grandi dimensioni e per bambini di dodici mesi. Quello che ha riscontrato è che se l’esaminatore, ad esempio, orientava la te12

sta in alto e gli occhi in basso, assumendo cioè una posizione di manifesta incongruenza fra la posizione della testa e la direzione dello sguardo, le scimmie tendevano a seguire il movimento del capo, mentre i bambini privilegiavano la direzione dello sguardo. Questa osservazione verrebbe a confermare l’idea che l’occhio umano svolge un ruolo importante nella cooperazione sociale, che non si riscontra in nessuna delle altre specie animali, nemmeno in quella a noi più vicina. E inoltre gli occhi sono il veicolo delle emozioni, segnalano gli stati d’animo più diversi, sono, secondo un detto comune, la finestra del cuore8. La comunicazione che avviene attraverso lo sguardo rappresenta pertanto una tappa evolutiva importante, in quanto riveste un ruolo assai significativo nel rapporto fra genitori e figli. Il legame che fra essi si stabilisce, infatti, non solo garantisce la sopravvivenza della prole, ma favorisce anche l’apprendimento e l’acquisizione da parte del bambino delle capacità comunicative. Non dobbiamo dimenticare che i piccoli umani, soprattutto nel corso del primo anno di vita, pur essendo relativamente immaturi sul piano motorio, hanno delle capacità di comunicazione abbastanza sofisticate, a partire addirittura dalle primissime fasi di vita. Il ruolo dei genitori è quindi fondamentale nel training comunicativo del neonato e del lattante, che soprattutto da essi imparano a comunicare.

5. Aspetto un bambino! Cosa accade nella mente della madre Ma quali sono i sentimenti che una donna prova quando scopre di essere incinta? Tra gioia, felicità, sgomento, paura e mille altre emozioni, iniziano le trasformazioni psicofisiche del corpo femminile: gli ormoni giocano un ruolo cruciale nel circuito cerebrale materno, che aiuta la madre a mediare le sensazioni e ad acquisire una nuova coscienza di sé nel nuovo ruolo. 13

Una riflessione illuminante a questo proposito ci viene dal lavoro dello psicoanalista Daniel Stern, il quale ci dice che nel corso della gravidanza, e per la durata del primo anno di vita del bambino, per la madre si configura una nuova organizzazione psichica, che lui chiama costellazione materna, la quale «determinerà una nuova serie di azioni, tendenze, sensibilità, fantasie, paure e desideri»9. È uno stato mentale nuovo e particolare che ordina una nuova gerarchia di priorità e che vede al suo vertice l’essere madre. Per tentare di comprendere come cambia il modo di vedere le cose durante la gestazione, sono significative le parole di Piera, una donna di trentacinque anni che affronta la sua prima gravidanza: «Io mi occupo di ricerca in campo farmacologico e col mio compagno avevamo sempre rimandato l’idea di avere un figlio, tutti e due troppo impegnati e ancora precari in attesa di una stabilità. Poi è cambiato tutto: prima la scoperta di aspettare un figlio e poi le nausee e il vomito... Mi si è accesa una lampadina in testa: sono io a fare un figlio! La mia, no la nostra vita, cambierà. Dovremmo occuparci di un piccoletto e chissà quanto ci impegnerà. Questi pensieri sono diventati sempre più pressanti e ad esempio di notte ho cominciato ad avere dei risvegli e non riuscivo ad addormentarmi subito. In quei momenti mi ritornava in mente, anche con insistenza, l’idea di diventare madre: sta a vedere che divento anche io come mia madre, con cui durante l’adolescenza litigavo perché l’accusavo di essere troppo apprensiva e di non permettermi di uscire con le mie amiche... E mi è successo qualcosa di strano: mentre prima andavo in palestra oppure facevo jogging, ora sono diventata più pigra; mi piace prendere le cose più tranquillamente, i miei ritmi si sono rallentati e sono più attenta alle piccole cose che prima neppure guardavo». All’inizio della gravidanza, ogni donna è pervasa da mille interrogativi, assai spesso impliciti, relativamente consapevoli, profondi. Il primo interrogativo di ogni madre, «Sarò in grado di far vivere e crescere mio figlio?», ha sicuramente radici antiche. Non dobbiamo dimenticare infatti che la mor14

Segni dell’attaccamento della madre al proprio figlio/a durante la gravidanza: • • • • • • • • • • • •

pensa frequentemente al proprio figlio/a (feto) prova emozioni forti quando pensa al figlio/a parla col proprio figlio/a gli si rivolge con un nome o un nomignolo attribuisce al figlio/a emozioni positive o negative attribuisce al figlio/a un volto pensa al figlio/a come a una persona vorrebbe far nascere il figlio/a prima per vederlo/a immagina di prendere il figlio/a in braccio sogna il figlio/a si tocca frequentemente la pancia per accarezzare il figlio/a prova il desiderio di preparare il corredino e la stanza per il figlio/a • è preoccupata di far male al figlio/a •rinuncia ad attività che potrebbero far male al figlio/a

talità infantile si è fortemente ridotta, in particolare nei paesi occidentali, ma fino a qualche decennio fa era molto elevata, tanto che addirittura un bambino su dieci moriva nel corso del primo anno di vita. Altri interrogativi che la donna si pone sono invece di natura più relazionale: «Sarò in grado di amare mio figlio, di anticipare e comprendere i suoi bisogni, le sue paure?», «Sarò come mia madre è stata con me?», «Sarò migliore o peggiore di lei?». I primi interrogativi hanno a che fare con la capacità che ogni madre deve avere di prendersi cura del proprio figlio, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente; di essere quindi una madre nel senso più completo del termine e non solo una madre nutrice che si occupi esclusivamente di allattare e nutrire il proprio figlio per garantirne il benessere fisico. Il terzo è un interrogativo assai pervasivo che ha a che 15

fare con il rapporto che si è avuto con la propria madre, figura prima e, proprio per questo, parametro non privo di problematicità, rispetto a cui ogni donna si misura come figlia e come futura madre. Il rapporto tra madre e figlio si crea fin dai primi mesi della gravidanza. Già in questa fase, prende corpo nella mente della madre quel misterioso e straordinario stato mentale che è il pensare per due: essa si vedrà essenzialmente madre e inizierà un dialogo interno e continuo con il suo bambino, come se lo sentisse e lo vedesse davanti a sé. Perché una madre ha in mente suo figlio fin dal principio. Durante gli ultimi tre mesi della gravidanza, la donna si prepara psicologicamente al parto e all’ingresso del proprio figlio, o della propria figlia, nel mondo. Come succede anche fra gli animali, i genitori sviluppano l’attitudine a preparare il nido e l’attenzione si focalizza psicologicamente sull’arrivo del bambino e su quello che comporterà. Questo particolare stato mentale che la donna sviluppa intorno all’ottavo mese di gravidanza e che perdurerà fino al terzo mese di vita del bambino è stato descritto nel 1956 dal pediatra e psicoanalista inglese Donald W. Winnicott e definito primary maternal preoccupation, tradotto in italiano come «preoccupazione materna primaria»10. Tale definizione, tuttavia, non consente di cogliere pienamente lo stato di totale assorbimento psicologico che si verifica nella madre in relazione al proprio figlio e al compito di accudirlo. Winnicott descrive tale condizione psichica «quasi come una malattia» che la madre deve sperimentare per poter entrare in sintonia con il bambino e con i suoi bisogni. Nel linguaggio comune si parla di amore materno, che, in un lessico più scientifico, può essere tradotto in un’aumentata sensibilità grazie alla quale la madre riesce ad anticipare i bisogni del figlio imparando a riconoscere i suoi segnali. A questo proposito Winnicott ritiene che questo periodo sia fondamentale per la psiche del bambino, perché è in questa fase che si gettano le basi per lo sviluppo del Sé. Nel caso in cui la madre non sia in grado di tollerare le intense preoc16

cupazioni psicologiche che tale fase comporta, lo sviluppo del bambino ne subirà conseguenze non irrilevanti. La preoccupazione materna cui si fa riferimento è particolarmente evidente durante i primi mesi di vita del figlio e si manifesta attraverso le mille premure che la madre riserva al suo bambino. È un’attenzione continua che ogni madre esprime nei confronti del piccolo, che rimane attiva anche durante il sonno. Chiunque abbia avuto dei figli capisce a cosa ci riferiamo: è quel misterioso fenomeno per cui la madre, anche se sta dormendo, si accorge che suo figlio si muove nella culla e non riesce a respirare bene e immediatamente interviene. Il padre molto difficilmente riuscirebbe a sentirlo. Un’équipe di ricercatori americani dell’Università di Yale ha studiato questo particolare stato mentale che caratterizza le madri negli ultimi mesi di gravidanza e soprattutto nei primi mesi di vita del figlio, cercando di entrare nei meccanismi più profondi11. Di sicuro la maggior parte delle madri non fa che seguire il proprio intuito, senza analizzare quello che succede all’interno della mente. Tuttavia comprendere i meccanismi mentali può restituire una maggiore consapevolezza e soprattutto fornire gli strumenti indispensabili per intervenire nelle situazioni problematiche. La ricerca condotta dall’équipe dell’Università di Yale, dunque, rivela che le preoccupazioni principali delle madri riguardano sostanzialmente le interazioni e le corrispondenze col figlio. Il 73 per cento delle madri intervistate e il 66 per cento dei padri riferivano pensieri insistenti sulla perfezione del figlio, che indubbiamente incoraggiavano a prendersi cura e ad interagire con lui. Negli ultimi mesi di gravidanza aumentavano, inoltre, le preoccupazioni relative alla fase post partum, presenti nel 25-30 per cento delle madri. Ma forse i pensieri più insistenti e più frequenti, che riguardavano il 95 per cento delle madri e l’80 per cento dei padri, si concentravano sul timore che potesse succedere qualcosa di negativo al bambino durante la gravidanza o nei suoi primi mesi di vita. Dopo la nascita del bambino, le madri si chiedono se so17

In un’indagine effettuata in Italia si sono messe a confronto madri alla prima gravidanza e madri multipare a Roma e a Matera. Il primo dato rilevante riguarda l’età media delle madri primipare, che a Roma è più alta (33,6 anni) rispetto a Matera (29,8 anni). Significativo anche il differente grado di istruzione delle madri, per cui a Roma sono laureate nel 58 per cento dei casi, mentre a Matera solo nel 14 per cento. Questo perlomeno nel campione della ricerca costituito da madri che si rivolgevano ai reparti di Ostetricia e Ginecologia per i controlli di routine. La difficoltà di rilassarsi pensando al parto riguarda il 44 per cento delle future madri di Matera, mentre a Roma la percentuale scende al 38 per cento. E alla domanda «È spaventata dall’idea di avere una paura incontrollabile durante il parto?» il 50 per cento delle madri primipare di Matera risponde affermativamente, mentre a Roma si rileva una percentuale di sì del 36 per cento. In ogni caso la paura più grande che le future madri riferiscono è che il bambino possa subire danni o morire: nel 70 per cento delle primipare a Roma, nel 75 per cento delle primipare a Matera, nel 53 per cento delle multipare romane e nel 47 per cento di quelle di Matera, riconfermando che la prima gravidanza comporta senz’altro maggiori preoccupazioni. La paura di morire ancora oggi preoccupa le future madri, quantunque le condizioni del parto siano ormai quasi totalmente sicure. È una paura che investe in modo assai più rilevante le donne di Matera (53 per cento) rispetto alle romane (19 per cento), riflesso delle differenti condizioni di assistenza ma probabilmente anche della migliore e più capillare informazione, che a Roma rassicura circa le condizioni del parto.

no brave, se sanno come allattarlo, se sono capaci di prendersi cura di lui e di farlo star bene. A volte nella mente delle madri possono comparire idee disturbanti, ad esempio il timore di poter far male al bambino, idee che portano grave 18

A riconferma dell’importanza di essere ascoltate e sostenute, il 45 per cento delle donne romane e addirittura il 55 per cento delle donne di Matera sente il bisogno di parlare con qualcuno, confermando quanto è stato scritto da Stern* sull’esigenza delle madri primipare di condividere ciò che stanno sperimentando, soprattutto con persone esperte, ovvero donne che hanno già vissuto l’esperienza della maternità. A questo proposito la totalità delle primipare romane (il 100 per cento) ha intenzione di partecipare ai corsi di preparazione al parto, mentre a Matera la percentuale scende al 55 per cento. Fra le multipare la motivazione si riduce. Quando si parla delle modalità del parto, solo l’8 per cento delle primipare romane preferirebbe il parto cesareo, percentuale che sale al 22 per cento fra le primipare di Matera, al 24 per cento fra le multipare romane e al 29 per cento fra quelle di Matera. A questo proposito vale la pena di riflettere perché dati recenti hanno messo in luce un aumento allarmante di parti cesarei in Italia, il cui numero supera di gran lunga la media europea. Una simile incidenza di parti cesarei non può essere spiegata soltanto con una scelta delle donne determinata dalla paura di soffrire, ma piuttosto lascia pensare a un’attitudine sanitaria, che sempre più spesso indirizza le donne a questa modalità di parto, senz’altro più conveniente per il personale sanitario. Fonte: S. Albanese, Paure e timori in gravidanza: indagine preliminare a Roma e a Matera, tesi di laurea, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”, anno accademico 2005-06. * D.N. Stern, La costellazione materna (1995), Bollati Boringhieri, Torino 2007.

sconcerto perché ogni madre desidera proteggere il proprio figlio e garantirgli uno stato di benessere. Il significato delle preoccupazioni insistenti che compaiono intorno all’ottavo mese e permangono fino al terzo mese 19

di vita del bambino, per poi lievemente decrescere, affonda le radici in consistenti ragioni evoluzionistiche. Si tratta infatti di un periodo assai critico per i piccoli, in quanto i rischi per la loro sopravvivenza sono particolarmente elevati. In questa fase le madri sono molto attente e capaci di riconoscere i possibili pericoli. Non va dimenticato che all’inizio del secolo la mortalità infantile nel primo anno di vita – che oggi nei paesi occidentali è al di sotto del 10 per mille – raggiungeva percentuali attorno al 90 per mille. Pertanto la maggiore sensibilizzazione dei genitori in quella delicata fase di vita del bambino si è conservata come carattere evoluzionistico correlato all’istinto di sopravvivenza della specie. Si tratta di preoccupazioni oltremodo normali e qualora fossero poco presenti, le capacità genitoriali ne risulterebbero compromesse perché la cura del bambino non costituirebbe la premura essenziale della madre. Al contrario, nel caso in cui tali preoccupazioni diventassero eccessive, si sfocerebbe in uno stato simile alla nevrosi ossessivo-compulsiva. E che succede nelle madri che soffrono di depressione grave? Secondo i dati della ricerca le madri depresse avrebbero meno preoccupazioni sul benessere del bambino, e non si può escludere che avvertano maggiori impulsi a danneggiare il proprio figlio12.

6. E il padre? Le grandi trasformazioni che l’arrivo di un figlio comporta coinvolgono anche il padre, soprattutto nel primo anno di vita del bambino. Il suo processo di coinvolgimento però è diverso da quello che investe la madre: è indiretto, più lento13. La donna vive un coinvolgimento diretto: il suo corpo avverte il grande evento fin dall’inizio della gravidanza; è lei a provare la nausea, la tensione e il turgore del seno, le alterazioni del ritmo sonno-veglia, i disturbi neurovegetativi. La prima fase del coinvolgimento dell’uomo è invece di natura sostanzialmente mentale, scandito dall’annuncio della gravidanza. 20

A questa prima fase fa seguito un periodo in cui il padre, pur continuando a rimanere uno spettatore, compartecipa alla gravidanza condividendo gli stati fisici e mentali della sua partner. Ma con l’imminenza del parto, anche il padre sente decisamente più concreto il proprio coinvolgimento, che interpreta nei termini di nuove responsabilità da assumere verso la creatura che sta per arrivare. Certamente la responsabilità che l’uomo sente più immediata è di natura economica, come risulta chiaro dalle parole di Diego, il marito di Piera, che descrive la sua esperienza di padre, durante il quinto mese di gravidanza: «Quando siamo andati a ritirare le analisi e abbiamo saputo che mia moglie era incinta ho provato come prima reazione sgomento, ma subito dopo una gran gioia. Sentivo che stavo diventando improvvisamente uomo, con tutte le responsabilità che ne conseguono. La prima notte mi sono svegliato preoccupato per i soldi. Non sapevo se mia moglie avrebbe potuto continuare a lavorare e, essendo lei precaria, non avrebbe guadagnato più niente e tutto sarebbe stato sulle mie spalle...». Ma prende forma anche un senso di responsabilità verso se stesso: Diego dice espressamente che la sua esperienza di padre lo ha fatto sentire uomo. Si tratta pertanto di un’esperienza di trasformazione avvertita profondamente anche dal maschio; un’esperienza di maturazione che gli consente anche di assorbire il mutamento che i rapporti con sua moglie dovranno necessariamente subire: «I primi mesi sono andati bene, anche se vedevo mia moglie cambiare; si era come rinchiusa, non aveva voglia di vedere gli amici, sembrava concentrata solo sull’attesa del figlio. Ogni tanto provavo un po’ di fastidio, non mi guardava molto e poi la nostra vita intima era quasi scomparsa». Non è infrequente, né strano, che l’uomo si senta abbandonato dalla donna durante la gravidanza. Il coinvolgimento assoluto e totale della donna nei confronti del bambino e, alle volte, un’eccessiva componente ansiosa, uniti a una certa immaturità e a un atteggiamento narcisistico da parte dell’uo21

mo possono farlo sentire trascurato e messo da parte. E soprattutto dopo la nascita del figlio, tale percezione può portare a una crisi coniugale. D’altra parte, il cambiamento che la nostra società sta vivendo nell’interpretazione dei ruoli coniugali e genitoriali, se ha portato indubitabili benefici, ha talvolta prodotto non poca confusione circa le modalità di assunzione delle responsabilità e sulla definizione dei ruoli che ciascun componente della coppia deve assumersi. Può succedere, ad esempio, che una donna in gravidanza non si senta sostenuta dal proprio partner, e che l’uomo si senta infastidito dalle richieste della propria donna, spesso contrastanti e contraddittorie, e dai suoi repentini cambiamenti di umore. Non va trascurato inoltre che una madre e un padre possono voler far valere punti di vista diversi relativamente alle modalità di attesa e all’educazione del figlio che sta per nascere. In situazioni di questo tipo è quanto mai importante riuscire a parlarsi, evidenziando la diversità dei punti di vista e riuscendo in tal modo ad amalgamare le reciproche aspettative nei confronti del bambino e a definire con serenità e con chiarezza i ruoli che ciascuno dovrà armonicamente svolgere all’interno del nuovo gruppo familiare. Come ha evidenziato uno studio sul reciproco aggiustamento di coppia, più le aspettative dei futuri genitori corrispondono alla realtà di quello che di fatto succede dopo la nascita del primo figlio, minori sono le difficoltà di adattamento dei genitori alla nuova situazione14. Una ricerca, nella quale sono stati intervistati futuri padri nell’ultimo trimestre di gravidanza delle loro compagne, ha rilevato che essi sono in grado di vedersi come padri e di rappresentarsi il figlio, anche quando questi è ancora nella pancia della madre15. In particolare, un elemento assai significativo che caratterizza la rappresentazione della paternità da parte dell’uomo, è l’influenza dei modelli forniti dal gruppo sociale di appartenenza, che concorrono in modo estremamente incisivo nel configurarsi di tale rappresentazione. In questo si dif22

ferenziano moltissimo dalle madri, le quali costruiscono la loro nuova identità prevalentemente sulla base dell’esperienza interna che stanno vivendo. Da questo punto di vista, si spiegano le differenti reazioni che gli uomini possono avere quando vengono a sapere della gravidanza e dell’imminente nascita del figlio. Ci sono padri che partecipano, ossia che condividono con la propria compagna tutti i passaggi della gravidanza: dalle visite ginecologiche, ai corsi di preparazione al parto, fino al momento del travaglio, cui vogliono a tutti i costi essere presenti16. Per questi padri, la realtà del figlio si palesa fin dall’inizio, lo immaginano, e immaginano se stessi nel ruolo di padre, condividono con la propria compagna l’emozione di essere genitore mettendosi fin dall’inizio in contatto con il bambino, toccandolo quando si muove nella pancia della madre. Diverso, invece, è l’atteggiamento di quei padri che potremmo definire rinunciatari. Questi, infatti, pur preoccupandosi dello stato fisico e della salute della madre e del bambino, incontrano notevoli difficoltà a sentirsi padri e a condividere l’esperienza della gravidanza. Di certo, in generale, i padri sono molto cambiati nelle società occidentali. Oggi sono più partecipi e assai più presenti nella vita dei figli, a partire dalla gravidanza. Mi è capitato di cogliere l’entusiasmo con cui il figlio quarantenne di un mio amico mi parlava della gravidanza della sua compagna e di come stesse seguendone con trepidazione ogni momento. Mi diceva sovraeccitato: «Ieri abbiamo fatto l’ecografia e abbiamo visto la bambina. Non potevo smettere di guardarla». I padri oggi si occupano della cura del figlio appena nato, quantunque la madre continui ad avere il ruolo centrale. Questo cambiamento pur importante non significa che i padri siano diventati dei mammi – per usare una terminolgia corrente. C’è infatti sempre un po’ di confusione su quanto i padri siano in grado di valutare in modo realistico ciò di cui ha veramente bisogno un bambino, e ancora non sono ben chiari, in generale, i compiti che ai padri possono essere affidati e quale sia la loro importanza in relazione al figlio17. In 23

altri termini, per fondare una nuova identità paterna, il contrapporsi a quella più tradizionale dei propri padri, costituisce solo un primo passo. Pertanto, certe ambivalenze ancora presenti nel comportamento maschile sono inevitabili. Ad esempio, è ancora difficile che l’uomo riesca a conciliare l’immagine di donna e di madre che la gravidanza comporta. E, ancora, il dipinto di Courbet di cui si è parlato può esibire ed esemplificare con chiarezza la complessità di tale conciliazione. E non è nemmeno scontato che un uomo riesca a trasformare la relazione con la propria donna aprendone la dinamica per includervi una figura così importante come quella di un figlio. Maturità, equilibrio, capacità di trasformazione e arricchimento delle proprie dinamiche interiori e dei propri stati d’animo sono il punto di partenza imprescindibile perché si possa costruire una solida relazione familiare. L’equilibrio dei rapporti all’interno della famiglia è esemplificato su un piano figurativo dalla posizione che assumono sulla tela i personaggi rappresentati nel quadro di Giorgione La Tempesta. Sul lato destro è raffigurata una donna nuda in tutta la sua corporeità, con un bambino in braccio avvolto da un velo che rimanda all’essenzialità, alla dolcezza, alla leggerezza della cura materna e che ne denota il carattere protettivo e avvolgente. Al di là del ruscello è invece dipinto un guerriero che impugna una lancia e che rappresenta la figura paterna. Egli è vigile, attento, teso a difendere l’intimità della relazione fra madre e figlio. Lo sfondo del quadro è caratterizzato da un cielo tempestoso, simbolo dei pericoli che minacciano la madre e il bambino, che trovano tuttavia la loro difesa nella figura del padre guerriero.

7. Diversi, migliori o peggiori dei nostri genitori? Il modo in cui si vive l’esperienza della genitorialità ha radici lontane, che risalgono alla relazione che si è avuta con i propri genitori nell’infanzia: sono loro i modelli a cui ci rifaccia24

mo. Possiamo aver criticato e sofferto le modalità affettive ed educative dei nostri genitori, eppure quando tocca a noi occuparci dei nostri figli, scopriamo con sconcerto che ci comportiamo come loro, assumendo anche quei comportamenti nei confronti dei quali eravamo maggiormente critici. E non si tratta di una nostra impressione soggettiva. I ricercatori hanno indagato e confermato questo processo e gli hanno dato un nome: «trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento»18. In altri termini, questa ricerca ha dimostrato che i modelli di attaccamento che ogni individuo assume nell’età adulta sono fortemente influenzati dalle esperienze di attaccamento avute con i propri genitori. Ma che cosa si intende per «attaccamento»? Lo psicoanalista inglese John Bowlby ha messo in luce che il bambino nasce con la predisposizione a stabilire dei legami di attaccamento con gli adulti che si prendono cura di lui, vale dire egli ricerca un legame affettivo esclusivo che deve garantirgli cura e protezione19. Come tale, il sistema di attaccamento contribuisce a promuovere la sopravvivenza del bambino soprattutto durante i primi anni di vita quando egli è maggiormente esposto ai pericoli; inoltre, il sistema di attaccamento, successivamente vissuto nei confronti del proprio partner e dei propri figli, interviene a garantire il successo riproduttivo. Naturalmente la qualità delle cure influenza fortemente la qualità della relazione che il bambino stabilisce con l’adulto: se il bambino percepisce la disponibilità dell’adulto ad occuparsi di lui, svilupperà una solida fiducia relazionale. Lo stile di attaccamento si organizza infatti in relazione al sistema comportamentale di cure che il bambino riceve in primo luogo dalla madre e dal padre. Per comprendere meglio il rapporto con i propri genitori e in che modo e in quale misura questo può condizionare l’atteggiamento che una madre assume durante la gravidanza, può essere di aiuto seguire qualche esperienza concreta. Marisa è una donna di trentaquattro anni che, dopo un fidanzamento durato più di dieci anni, resta incinta e, con il 25

suo partner, decide di sposarsi. Questo è quanto mi racconta del rapporto con sua madre quando era piccola: «Per quello che ricordo di quando ero piccola, mia madre è stata un tipo sempre un po’ appiccicaticcio. È solo che non ha un carattere forte». Quando le chiedo di spiegarmi facendo degli esempi, aggiunge: «Mia madre è possessiva, ma in senso buono. Mi è stata sempre dietro, sempre a chiedermi ‘cosa fai?’, ‘dove vai?’... Però con lei si è sempre parlato, mentre con mio padre no. Alla fine lui strillava e aveva sempre ragione. E poi mia madre ha un carattere debole e non ha studiato, per cui tutto quello che diceva papà per lei era giusto. Diceva sempre: ‘Bisogna dar retta a papà perché ha ragione lui’». Allora le chiedo se pensa che sarà diversa o simile a sua madre con suo figlio e lei risponde: «Ma io penso di essere un po’ più di polso quando serve. Mia madre lasciava un po’ correre, cioè dove magari ci si doveva mettere non ci si metteva, mentre poi si impuntava sulle stupidaggini. Io penso di essere diversa, cioè se c’è bisogno di un’impronta più forte io la do. I miei genitori sono un po’ all’antica e quindi con loro non c’è mai stato un dialogo. Io vorrei più polso e più dialogo insomma, cioè magari uscire con mio figlio, andare a giocare insieme, mettermi alla sua stessa altezza, mentre i miei si sono messi sempre più in alto». È interessante notare che Marisa vorrebbe essere diversa dai propri genitori. Nelle intenzioni dichiara di volersi mettere sullo stesso piano dei figli, eppure segue una deriva familiare che la spinge ad andare in una direzione diversa rispetto a quella che le sue aspettative vorrebbero, per quanto ancora non se ne renda conto. Lo stato mentale di Marisa durante la gravidanza è dunque chiaro. Ma che tipo di madre sarà dopo la nascita del figlio? Non è detto che sarà in grado di aprirsi realmente al dialogo con i figli come lei desidera e non è detto neppure che riproponga lo stesso modello di rigidità che apparteneva ai 26

suoi genitori. Troppe cose interverranno, da molte cose dipenderà il suo modo di essere madre: da come affronterà la gravidanza, da quanto si farà aiutare dal marito che proviene da un ambiente familiare molto diverso dal suo e, infine, da come sarà l’incontro con suo figlio, il quale, con il suo temperamento, potrà assecondare o contrastare il tipo di rapporto che la madre sta immaginando con lui. Molto probabilmente, durante la gravidanza, la donna avverte la necessità di differenziarsi nettamente dalla propria madre, non solo per cercare di definire e affermare un’identità propria e del tutto autonoma, ma soprattutto perché vorrebbe essere una madre migliore della propria. Assai significativa per comprendere tali dinamiche è l’esperienza di Carla, una donna che, come molte primipare di oggi, ha superato i trent’anni. Alla domanda su che tipo di madre ritiene di poter essere dopo la nascita di suo figlio, Carla risponde: «Sarò molto cosciente delle esigenze del bambino, quindi tenterò di fare il meglio. Spero di mantenere questo senso di serenità, di calma emotiva». E allora le domando come non vorrebbe essere. E la sua risposta è assai eloquente: «Io vorrei trovare un giusto equilibrio fra affettuosità ed efficienza. Mia madre è stata per me molto efficiente, ma molto poco affettuosa, e io credo di essere identica a lei». Carla sembra conoscere molto bene le proprie caratteristiche personali, tanto che, con grande lucidità, prosegue: «Sono una persona estremamente critica, con dei modelli rigidi su che cosa è preferibile e cosa no. Ho paura che il mio essere critica non possa essere superato dall’amore materno e per questo potrei trovarmi in conflitto con i miei figli». Le risposte di Carla denotano una grande consapevolezza dei propri tratti caratteriali e dei propri limiti. Vorrebbe essere una madre migliore rispetto alla propria, ma si rende conto che non sarà facile. In questo, infatti, le intenzioni e la volontà possono non essere sufficienti, perché, come si è det27

to, le modalità di attaccamento che ognuno di noi sviluppa nella propria vita ricevono la prima e decisiva impronta dal comportamento che i nostri genitori hanno assunto nei nostri confronti nella primissima infanzia.

8. Quanto è importante l’equilibrio di coppia? Come abbiamo visto l’idea di mettere al mondo un figlio prende corpo, già molto tempo prima della sua nascita, nella mente della futura madre e del futuro padre. Ma durante l’attesa del figlio diventa importante la compartecipazione di entrambi i genitori, quella che nel linguaggio scientifico viene definita «cogenitorialità»20. Ci sono differenze notevoli nel modo in cui una coppia affronta la gravidanza. In alcune coppie il rapporto sentimentale si intreccia fin dall’inizio col desiderio di avere un figlio insieme. In questo senso assume particolare significato l’esperienza di Maria e Carlo, due futuri genitori. Maria racconta: «Fin da quando ci siamo messi insieme abbiamo cominciato a pensare ad un figlio. Prima forse per scherzo, con l’idea che sarebbe stato il pilastro del nostro rapporto, e ognuno di noi l’avrebbe voluto come una fotocopia dell’altro; poi abbiamo fatto un puzzle: una bambina come me, ma con il carattere di Carlo. Adesso che aspettiamo questo figlio la situazione è ancora cambiata: quando pensiamo a nostro figlio, che è un maschio, ci è più difficile dargli il volto dell’uno o dell’altro. Forse non assomiglierà molto a nessuno dei due». In altre situazioni i tempi nella coppia possono essere diversi, anche perché in molti casi, e sempre più di frequente, prima si sta insieme, poi il rapporto di coppia diventa più solido e infine si comincia a pensare ad un bambino. Mario racconta la sua esperienza con Ester: «Lavoravamo tutti e due, Ester a scuola e io in ufficio. Quando la sera tornavamo a casa oppure durante il fine settimana ci piaceva andare al cinema o a teatro. E poi le gite in montagna durante il week-end 28

sempre con le carte in mano, le gite sull’Appennino, veramente un periodo eroico e poi...». Per Ester e Mario, come per molte altre coppie, a un certo punto la vita a due comincia a stare stretta, come se le mancasse qualcosa. È a questo punto che inizia a prendere corpo l’idea di un figlio, che forse è la grande novità di cui la loro vita di coppia ha bisogno, prova di una fertilità psicologica oltre che fisica. Non è detto che tale desiderio si manifesti in tutti e due. Spesso è la donna ad avvertire per prima l’esigenza di diventare madre, un’esigenza che già si era espressa, seppure in forma embrionale, nei suoi giochi di bambina. Altre volte, soprattutto negli ultimi anni, è l’uomo a sentire per primo il desiderio di un figlio e comincia a parlarne con la propria compagna. Altre volte ancora l’arrivo di un figlio è un evento totalmente inatteso; è un incidente di percorso a cui la coppia non è preparata, soprattutto se non è ancora rodata. In queste situazioni l’attesa del figlio può diventare un elemento che avvicina ancora di più la coppia e spingere entrambi a vivere un’esperienza che in quel momento non avrebbero mai pensato di compiere. È il caso di Nicola e Beatrice, entrambi ancora studenti universitari, che stanno insieme da un anno e vivono ognuno con la propria famiglia. Beatrice rimane incinta. Lo sconcerto è grande: che fare? Interrompere la gravidanza? Pur fra mille dubbi e incertezze decidono di avere questo figlio. Vanno a vivere insieme. Nicola è costretto ad abbandonare gli studi e va a lavorare nell’azienda del padre, dove mai sarebbe voluto andare: «Tutto è avvenuto di corsa. Ho smesso la vita di figlio di famiglia e insieme a Beatrice mi sono occupato di mettere su casa, un appartamentino, uno sopra l’altro. E poi tutto il giorno a lavorare... Ho rimpianto anche la mia vita di prima, anche perché tornando a casa trovavo Beatrice con la nausea e il vomito, prostrata, senza voglia di far niente. Se ci penso dico a me stesso: ‘Ma che pazzia’; ma in fondo sono contento». In ogni caso, quando sta per nascere un bambino, soprattutto se si tratta della prima gravidanza, i cambiamenti all’in29

terno della coppia sono molti. La presenza del figlio, anche se ancora non è nato, irrompe nella vita della coppia, che non può più prescindere dal suo prossimo arrivo. Entrambi, ognuno a suo modo, si sentono responsabili: la madre nel garantire il benessere e la crescita del figlio, e il padre, come nel caso di Nicola, soprattutto per quanto riguarda il sostentamento economico della nuova famiglia. La gravidanza approfondisce il rapporto della coppia, ma può anche causare momenti di stress. Può accadere infatti che la donna non si senta abbastanza sostenuta e abbia timore di una scarsa partecipazione da parte del marito. Al tempo stesso però il marito si sente meno attratto dalla moglie che è ingrassata e si cura meno di sé. Uomo e donna devono allora trovare il proprio modo di far coesistere il rapporto di coppia con i nuovi compiti genitoriali, senza farsi assorbire completamente dal figlio e, come in tutti i momenti di transizione, devono imparare a riconoscere gli aspetti positivi e negativi della nuova situazione e riuscire a parlarne, anche se a volte può essere difficile o doloroso. Un motivo di contrasto all’interno della coppia può essere legato alla maggiore presenza dei futuri nonni e in particolare della nonna materna, che durante la gravidanza può intervenire nella vita della coppia e nelle sue scelte. La notizia della gravidanza viene quasi sempre accolta con gioia dalle famiglie di origine dei futuri genitori, anche se spesso possono emergere tensioni per il valore che viene dato al ruolo dei nonni nella vita del bambino. La scelta del nome è emblematica: ogni futuro nonno o nonna vorrebbe un riconoscimento per sé senza spesso rendersi conto che è opportuno che siano i genitori a decidere, dando eventualmente al bambino anche un nome diverso da quello che la tradizione familiare prevederebbe. Si tratta di decisioni che possono creare attriti fra genitori e nonni. In ogni caso, se si è avuto un buon rapporto con entrambi i genitori durante l’infanzia e nelle fasi successive, sarà assai più facile il reciproco adattamento dei genitori e l’instaurarsi di una più armoniosa parte30

cipazione dei nonni. Ciò che può interferire con il reciproco adattamento è un tratto di carattere che potremmo definire «evitante» e «distanziante» nei confronti delle altre persone. In questo caso infatti la persona tende a mantenere il controllo di sé e dell’altro all’interno della coppia, evitando un reciproco coinvolgimento e senza prendere in considerazione le richieste e le difficoltà del partner. Anche eventuali divergenze riguardanti i principi educativi da adottare possono generare contrasti all’interno della coppia, non solo durante la gravidanza, ma anche, e forse soprattutto, dopo la nascita del bambino. Nel caso in cui i due genitori avessero punti di vista troppo distanti in proposito, il rapporto di coppia potrebbe essere messo in crisi e i contrasti potrebbero manifestarsi anche in presenza del figlio. Per studiare le interazioni di coppia durante la gravidanza, un gruppo di ricercatori svizzeri ha invitato i futuri genitori a sedere uno accanto all’altro con un bambolotto che simulava il futuro bambino21. Ad entrambi è stato chiesto di giocare con la bambola immaginando il primo incontro con il figlio che sta per nascere. Dalla ricerca emerge che le madri e i padri che dimostrano una reciproca soddisfazione coniugale sono maggiormente in grado di giocare insieme con il bambolotto e di esprimere calore affettivo nei suoi confronti. È questo un dato che riguarda soprattutto i padri: più i futuri padri hanno un buon rapporto con la propria compagna e si sentono a proprio agio nella vita di coppia, tanto più sono in grado di affrontare la fase di transizione e di diventare genitori; nel caso invece in cui ci siano conflitti all’interno della coppia è più facile che i padri tendano a non impegnarsi nel rapporto con il figlio. Per la donna invece il rapporto con la maternità non è strettamente connesso alla relazione con il partner: essa continua ad occuparsi del figlio anche quando il rapporto di coppia non è soddisfacente; si prepara mentalmente a diventare madre e, allo stesso tempo, vive su di sé una forte pressione sociale che la spinge ad assumere la responsabilità dell’allevamento del figlio. 31

La ricerca, inoltre, mette in luce che esiste una continuità fra la gravidanza e il periodo successivo alla nascita del figlio: più i futuri genitori collaborano durante l’attesa tanto più saranno in grado di vivere bene insieme il rapporto con il bambino.

9. Mio figlio: è lui l’essere perfetto «Se consideriamo l’atteggiamento dei genitori particolarmente teneri verso i loro figli, dobbiamo riconoscere che tale atteggiamento è la reviviscenza e la riproduzione del proprio narcisismo al quale i genitori hanno da tempo rinunciato [...]. Si instaura in tal modo una coazione ad attribuire al bambino ogni sorta di perfezioni [...]. Il bambino deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori [...]. L’amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita». In questi passi tratti dal famoso saggio di Sigmund Freud, Introduzione al narcisismo22, è descritto con molto acume il tipo di amore che i genitori provano per i loro figli e che potrebbe essere esteso anche alle modalità e alle dinamiche dell’amore sentimentale. Sarei molto tentato di mostrare in che modo questo si verifichi anche nei rapporti di coppia, ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano. Pur limitandoci ad analizzare l’amore genitoriale, soprattutto alla luce dello scritto di Freud, non possiamo non rilevare in esso una forte coloritura narcisistica: i genitori, pur riconoscendo l’individualità e le caratteristiche distintive del figlio o della figlia, tendono ad attribuirgli tutti i possibili tratti di perfezione, trasferendo su di essi quello che viene descritto come ideale dell’Io. Il figlio rappresenterà insomma il luogo di attualizzazione delle aspettative dei genitori, ovvero delle loro aspirazioni, spesso irrealizzate, o il mezzo attraverso il quale riscattare i propri fallimenti. 32

Freud descrive questo processo proprio come una coazione ad attribuire al proprio figlio attese e desideri, una proiezione che lo trasforma in un prolungamento di se stessi. Anni dopo, lo psicoanalista Heinz Kohut mostrerà con quale incisività le aspettative dei genitori influenzino le modalità di sviluppo del Sé del bambino. Molto probabilmente un atteggiamento di approvazione e di rispecchiamento da parte dei genitori, tenderà non solo a incoraggiare alcune potenzialità del figlio e a scoraggiarne altre, ma contribuirà fortemente alla solidità del Sé del bambino, perché, come scrive Kohut: «Per quanto seri possano essere i colpi ai quali è esposta dalla realtà della vita la grandiosità del bambino, il sorriso orgoglioso dei genitori manterrà vivo un frammento dell’onnipotenza originaria, che sarà conservato come il nucleo della fiducia in se stessi e della sicurezza interiore»23. È pertanto estremamente importante che i genitori accolgano, approvino il comportamento del figlio e che esprimano compiacimento quando il piccolo mostra ai loro occhi un atteggiamento grandioso. Per esempio, se un bambino di seisette mesi, palesemente molto compiaciuto di se stesso perché è riuscito ad afferrare la pallina caduta nella tazza, si volge a guardare la madre con aria trionfante, è importante che lei con un sorriso commenti: «Ma tu sì che sei veramente bravo», colmando così l’attesa di approvazione del figlio. Freud sottolinea quanto sia importante il rapporto reale e inconscio con i genitori per la costruzione della personalità dell’individuo, dal momento che la figura dei genitori è fondamentale nella trasmissione intergenerazionale. In questo senso, è soprattutto la madre a determinare nel figlio la sicurezza di sé e ad influenzare le dinamiche e lo sviluppo dell’attaccamento del figlio. E, d’altra parte, la madre rifletterà nel rapporto con suo figlio il proprio vissuto di figlia e il proprio rapporto con i genitori. Nel caso di madri che presentino un mondo rappresentativo sufficientemente equilibrato, che corrisponde all’internalizzazione di un’esperienza infantile con figure di attacca33

mento sensibili e pronte a rispondere ai propri segnali affettivi, è molto probabile che il figlio dimostrerà un attaccamento sicuro. I bambini con attaccamento sicuro presentano buone capacità di esplorazione, configurazioni affettive positive e una notevole flessibilità personale. Questi bambini manifestano sentimenti positivi che indirizzano e arricchiscono le relazioni, ma nello stesso tempo sono in grado di tollerare gli affetti negativi, e si aspettano che la madre presti attenzione ai loro segnali e alle loro comunicazioni, e che sia in grado di comprenderli. Al contrario, le madri che hanno mantenuto una forte dipendenza dalla propria famiglia di origine non riescono a distaccarsi da essa e ancora in età adulta cercano di compiacere i genitori. I bambini che crescono in un clima affettivo di questo tipo presentano una forte ambivalenza nei confronti della madre, in un rapporto diviso fra la ricerca apprensiva della madre e reazioni di angoscia, paura e collera. Sono bambini che mostrano una bassa soglia di attivazione affettiva, per i quali sono sufficienti piccoli stress e minime contrarietà per provocare apprensione. Tutto questo interferisce inevitabilmente con la fiducia in se stessi e con i comportamenti di esplorazione. Le madri che non rispondono alle aspettative di protezione del figlio, che non sostengono il suo attaccamento, non lo confortano nei momenti di sofferenza evitando ogni forma di intimità affettiva, incidono pesantemente nell’attaccamento del bambino alla madre e nella rappresentazione di sé e degli altri. Questi bambini imparano precocemente a provvedere a se stessi e ad autoregolarsi nei momenti di difficoltà, senza riuscire a comunicare i proprio bisogni e a richiedere il sostegno degli altri. Dal quadro fin qui definito emerge dunque quanto sia importante la continuità e la trasmissione intergenerazionale fra genitori e figli, perché questi ultimi siano in grado di costruire il proprio sé e stabilire rapporti affettuosi e fiduciosi. 34

10. Vissuti di gravidanze «Madri non si nasce, si diventa». Lo affermano Craig H. Kinsley e Kelly G. Lambert, due neurobiologi che hanno studiato gli effetti della gravidanza e della maternità sul cervello delle madri24. Aggiungerei che non si diventa madri nel periodo in cui si aspetta un figlio, ma ci si prepara già molto tempo prima. Basta osservare bambine e bambini di due o tre anni che giocano per capire quanto nelle femmine sia presente fin dalla più tenera età una predisposizione alla maternità che si esprime nella preferenza a giocare con le bambole, mentre la scelta dei maschi si orienta di solito verso giochi aggressivi e competitivi. A questo proposito, la psicologa americana Carol Gilligan, che si è occupata dello sviluppo dell’identità maschile e femminile, racconta un episodio divertente avvenuto durante un esperimento che stava conducendo. Un bambino e una bambina di quattro o cinque anni stanno giocando insieme in una stanza. Il maschietto con aria perentoria si rivolge alla femminuccia e le dice: «Giochiamo a fare i pirati», e la bambina, con aria convincente, gli risponde: «Dai, giochiamo alla famiglia». Lui, annoiato e infastidito, le ripete: «No, io non gioco alla famiglia, è una noia. Voglio giocare ai pirati». Il braccio di ferro non sembra sbloccarsi perché il bambino tiene il punto. È invece la bambina a trovare un accordo e con aria furba gli dice: «Va bene, facciamo il pirata che stava in famiglia». Non si attribuisce mai la dovuta importanza ai condizionamenti culturali nella definizione del carattere e nella determinazione dei comportamenti maschili o femminili e, al tempo stesso, sarebbe assurdo sottovalutare l’influenza prodotta dalla componente psicobiologica propria e specifica di un bambino e di una bambina. Il comportamento sessualmente definito degli individui, adatto allo svolgimento dei rispettivi ruoli, è infatti la risultante di un intreccio assai sofisticato tra natura e cultura. Nello specifico si può osservare come l’attitudine a diven35

tare genitore diventi sempre più definita e concreta durante l’adolescenza, quando avviene la maturazione corporea e sessuale legata alla pubertà. Si tratta di un percorso di maturazione che si definisce in una forma sempre più chiara verso la fine dell’adolescenza. Nella prima adolescenza, infatti, i giovani sono ancora molto concentrati su se stessi e mostrano scarsa disponibilità alla cura dei piccoli; negli anni immediatamente successivi, invece, la tendenza si inverte: si va via via sbiadendo la natura oppositiva della relazione con i propri genitori e inizia a prendere corpo la possibilità di identificarsi con un ruolo anche genitoriale, fatto di attenzioni e di cure per i più piccoli. Si verifica in quegli anni un vero e proprio cambiamento di rotta: si esce dal microcosmo abitato solo da se stessi e dai propri bisogni e si entra in un macrocosmo abitato anche dagli altri e dai loro bisogni. Per questa ragione le gravidanze che intervengono nei primi anni dell’adolescenza sono assai problematiche: è difficile che una ragazza che resta incinta a quattordici o quindici anni possa vivere pienamente la maternità. A questo proposito la psicoanalista inglese Dinora Pines ha messo in luce che la gravidanza in adolescenza non scaturisce da un desiderio di maternità, quanto piuttosto da esigenze legate alle dinamiche psicologiche tipiche di quell’età. Per esempio, l’attesa di un figlio può diventare, per lo più inconsapevolmente, un modo per dimostrare di essere in grado di diventare come la propria madre, di avere un corpo maturo e fertile come il suo. È quindi un desiderio di natura narcisistica che, a volte, nasconde una seria difficoltà a crescere. In questo senso, la gravidanza può essere interpretata come una scorciatoia per diventare grandi. Di sicuro però una donna comincia ad autorappresentarsi come madre solo durante la gravidanza: è in quella fase che sperimenta un ampliamento della propria identità femminile nell’essere madre. Ma insieme alla propria immagine, durante la gravidanza la donna costruisce anche l’immagine del figlio; un’immagine dapprima embrionale, come l’embrione 36

biologico che è dentro di lei, poi sempre più differenziata, a mano a mano che la futura madre avverte i movimenti del bambino dentro di sé. Naturalmente, l’immagine che ogni donna si costruisce è legata alla propria storia personale ed è fortemente influenzata dall’andamento della gravidanza e dal suo legame di coppia25. Intervistando un campione di madri intorno al settimo mese di gravidanza, abbiamo messo in luce percorsi diversi, che evidenziano i diversi modi in cui le donne costruiscono la propria identità materna, riconoscibile non solo durante l’attesa ma anche dopo la nascita del figlio.

11. Le madri integrate Le madri cosiddette integrate, equilibrate, sono donne che affrontano e vivono la gravidanza come un’esperienza che può arricchire la propria vita personale e la relazione di coppia, anche nel caso in cui la nascita del figlio non sia stata programmata. Dal modo in cui queste donne raccontano la propria esperienza si delinea con grande chiarezza il loro mondo personale, le loro aspettative, e si comprendono bene le emozioni che stanno vivendo, le fantasie e le speranze, che si collocano su un piano di forte continuità rispetto alla loro storia. Sono donne che si lasciano andare ai cambiamenti che la gravidanza produce nei ritmi personali e che accettano in modo armonico le trasformazioni del proprio corpo, così come i cambiamenti di umore e il minor interesse per la vita sociale. Fin dai primi mesi, le madri integrate sono in grado di mettersi in rapporto con il figlio che è dentro di loro, non solo immaginando come sarà una volta nato, ma sentendone già la presenza. Gli attribuiscono un volto, un carattere; gli si rivolgono con un nomignolo, quasi fosse già un compagno con cui poter parlare. Un’immagine condivisa e antica che rende bene lo stato mentale di queste donne è quella della madre che lavora a maglia durante l’attesa, fantasticando su come il 37

bambino sarà. A questo proposito, è interessante notare che molte coppie preferiscono non conoscere il sesso del figlio attraverso l’ecografia, proprio per potersi riservare uno spazio per l’immaginazione, svincolato dalla realtà. Significativa è l’esperienza di Antonella, una giovane donna di ventinove anni, sposata da quattro con un compagno di studi, dopo un lungo fidanzamento. Fra di loro esiste un rapporto molto solido, in cui sembra prevalere un forte affetto e una stima reciproca, con un tratto più fraterno che coniugale. Antonella racconta che, pur avendo deciso da molto tempo di avere un figlio, «questo bambino non arrivava. Hanno scoperto alla fine che c’era un problema al collo dell’utero, per cui ho fatto un intervento chirurgico. Dopo qualche tempo ho scoperto di essere rimasta incinta. Io, mia sorella e mia madre abbiamo letteralmente pianto di gioia. La gravidanza è iniziata bene. Anche adesso nel parlarne mi viene da piangere. Naturalmente anche mio marito era contentissimo. Quasi quasi piangeva anche lui». Nel raccontare la sua storia, Antonella si emoziona ancora e i suoi occhi esprimono gioia pura. Per lei questa gravidanza ha significato «il completamento di un processo di crescita». E aggiunge: «Il Signore mi ha voluto dare questo figlio... Non è che io sia molto religiosa, però adesso ci credo ancora di più. Prima non volevo assolutamente sposarmi, non volevo diventare adulta, fino a che mio marito non mi ha posto l’ultimatum. Per me il matrimonio è sacro e secondo me una coppia non è completa senza un figlio, anche se io sinceramente con mio marito sto benissimo...». Alla notizia di essere incinta, la reazione di Antonella è assai definita: «Innanzitutto la felicità, quella è unica perché non si può descrivere, si deve vivere. Se devo raccontare... sono tornata dalle vacanze e mi sono sentita deformata; mi faceva male il seno, mi si era ingrossato e mi sembrava assurdo così velocemente. Poi mia sorella mi ha detto che mi vedeva strana; ha insistito e ho deciso di fare il test di gravidanza a casa. Il risultato era positivo, ma io non ci credevo; mio ma38

rito sì, anche se aveva paura che potesse essere una nuova delusione. Allora siamo andate al laboratorio e quando siamo tornate per ritirare la risposta, mia sorella è salita mentre io e mia madre eravamo giù. Quando è scesa con la busta in mano non mi ha detto niente, mi ha abbracciata e io sono scoppiata a piangere. Per strada è stato un pianto generale. Chissà quelli che ci guardavano cosa avranno pensato... Ma è talmente emozionante, solo a pensarci che...». Il racconto procede con grande coinvolgimento: «Se devo essere sincera, in me è subentrata un’altra idea: avere un’altra persona accanto... sia il fatto di averlo ora dentro di me che quello di avere, una volta nato, questo bimbo. Mi sconvolgeva, perché è chiaro che la libertà di partire, di fare, di uscire, la libertà che abbiamo sempre avuto non l’avremmo avuta più... E poi io non sono giovanissima, e ho avuto più anni per costruirmi i miei tempi, per cui dopo l’euforia iniziale sono prevalsi i motivi della ragione». A proposito dei cambiamenti racconta: «Il primo grande cambiamento è fisico. Per esempio il fatto che non potevo tuffarmi, non potevo sciare, non potevo fare tante cose... Però essere al centro dell’attenzione di tutti è una cosa bellissima che non mi era mai successa...». E in gravidanza Antonella si sente già mamma: «Emotivamente mi sento già mamma. Non considero mio figlio come un feto. Feto e bambino sono due cose diverse perché il bambino ha una sua vita autonoma, voglio dire: respira da solo e invece adesso tramite me mangia tutto. Però io lo considero già autonomo, già un bambino che mi capisce. Io continuo a parlargli così perché me lo sento molto più vicino; me lo coccolo – fa l’atto di toccarsi la pancia. – Sembra assurdo ma è così». A proposito del rapporto con suo marito, Antonella prosegue: «Il rapporto tra di noi non voglio dire che si è consolidato, ancora non voglio dire questo, però... Non lo so; lui continuamente mi tiene la mano, anche quando siamo a let39

to cerca di sentire nostro figlio, e quasi lo sente più lui, perché lo insegue e dice: ‘Questo è un braccio o un piedino’». Quando le chiedo di sua madre, Antonella risponde: «Le sue preoccupazioni sono state evidenti all’inizio della gravidanza, perché mia madre era preoccupata che non riuscissi ad avere un bambino. Ora continua a ripetermi che ci penserà lei quando nasce, che lo terrà lei, invece io penso che perlomeno il primo anno me la vedrò io». Rispetto a suo figlio, le domando quando l’ha sentito la prima volta. Risposta: «Avevo immaginato una cosa leggerissima, per cui stavo molto attenta al quarto mese a sentire i movimenti. Quando l’ho sentito ho messo tutti in allarme. Per primo mio marito che è stato circa un’ora a sentire con la mano. Poi alla fine l’ha sentito anche lui. Sì, l’emozione più grande è stata quando l’ho sentito muoversi, lo sentivo vivo dentro di me... E allora le mie paure che non fosse sano... Invece se si agita molto vuol dire che è un tipo sveglio. Io penso che ha preso tutta l’agitazione mia e di mio marito e poi che vuole darmi un segno della sua vitalità. Mi dice: ‘Mamma, guarda che ci sono, esisto sul serio!’. Io so che lui mi sente; adesso mi sento più tranquilla rispetto a prima. Quando mi rivolgo al bambino gli dico: ‘Muoviti, fatti sentire da papà’. È chiaro che lui non si muove per questo, però so che mi sente». Le domando allora come immagina il suo rapporto con suo figlio quando sarà nato. Antonella dice: «Vorrei che mi riconoscesse subito, che si attaccasse a me e se dovesse piangere lo prenderei io così... Mi piacerebbe riuscire a capire perché piange, quello di cui ha bisogno. Penso che vada lasciato libero di prendere i suoi ritmi, però sono pronta ad aiutarlo un po’ a trovarsi dei ritmi più regolari». E poi, parlando di sé come madre, aggiunge: «Non vorrei essere come quelle madri che si fanno prendere dall’ansia quando il bambino piange e non sapendo cosa fare le provano tutte». Quello che più colpisce nel racconto di Antonella è la sua 40

immediatezza, la capacità di farci entrare nel mondo dei suoi sentimenti e di farci capire come sta affrontando questo nuovo e importante momento della sua vita. Si avverte quasi una sorta di sacralità nell’esperienza di una donna che sta per avere un figlio. Questa sua completa dedizione alla missione di madre si mostra come qualcosa di misterioso che è ben restituito dalle immagini sacre della maternità, senza comportare con questo una visione religiosa dell’essere madre. Allo stesso tempo il suo racconto è anche caratterizzato da una coloritura autoironica: vive la gravidanza come una grande esperienza ma è sempre in grado di guardare se stessa con un pizzico di umorismo.

12. Le madri ristrette Ma la maternità è un’esperienza troppo complessa e coinvolgente per essere vissuta in modo semplice, generalizzabile, o «naturale», come spesso si sente dire. Molte donne vivono la maternità in un modo assai diverso rispetto ad Antonella: cercano di non farsi coinvolgere troppo dalla gravidanza e vogliono continuare a vivere la loro vita, lavorativa o sociale. Sono quelle donne che quando raccontano in che modo stanno vivendo la gravidanza, evidenziano una rappresentazione mentale ristretta e disinvestita, non solo di se stesse, ma anche del bambino. Questo non significa che non vogliano un figlio e che non siano contente di diventare madri, ma per loro è altrettanto importante mantenere il controllo di sé e salvaguardare la propria indipendenza. Non vogliono che la loro vita venga sconvolta. Tale esigenza si coglie già da alcuni dettagli riguardanti la quotidianità, particolari che possono sembrare marginali, ma che sono invece assai significativi. Ad esempio, vogliono continuare a spostarsi in motorino, a lavorare fino a poco prima del parto, indossare i jeans piuttosto che abiti premaman, quasi a voler nascondere la pancia e, nei rapporti affettivi, persino 41

con la propria madre, cercano di mantenere un rapporto di «giusta distanza», come racconta Arianna. Arianna è una donna di trentacinque anni, trasferitasi a Roma per ragioni di studio. Qui, dopo una difficile ambientazione nella città, ha conosciuto il suo attuale marito con cui è sposata da quattro anni. Il loro rapporto è soddisfacente. Lei non parla molto ma, a suo dire, suo marito «la capisce al volo». «Non si poteva più aspettare, data la nostra età»: così Arianna motiva la decisione di avere un figlio. La cosa non era più rinviabile. «Quando ci siamo accorti che era in arrivo questo bambino, niente di nuovo, nessuna sorpresa». È significativo il modo in cui Arianna riferisce la sua reazione alla notizia dell’arrivo del bambino perché è assolutamente in linea con la descrizione della sua vita durante i mesi di gravidanza: «Non mi sono mai concessa una pausa in questi mesi e smetterò il lavoro al nono mese, anche perché dal punto di vista fisico non è cambiato niente. Forse, da un punto di vista psicologico, ci sarebbe da riflettere. Ma io non ho la vocazione per la maternità. Mia madre è sempre stata una donna energica che ha lavorato e ci ha educato all’indipendenza». Nega che ci siano stati dei cambiamenti nella sua vita e in quella di suo marito, anzi sostiene che i primi mesi il bambino non si sente proprio, al punto che nemmeno il risultato delle analisi è stato sufficiente a darle un riscontro tangibile, oggettivo, sufficiente a farle credere che davvero qualcosa stava cambiando. «Io credo che questo abbia determinato e determini la mia difficoltà a tralasciare il lavoro, perché non riesco ad afferrare quello che mi succede da un punto di vista emotivo e razionale... Io molto incoscientemente continuo a fare tutto quello che facevo prima, con grande rammarico di mio marito. Sotto questo punto di vista lui dimostra una maggiore predisposizione. Io sento dire dalle altre donne incinte di questi trasporti, io non li ho e non li avrò». Quando Arianna vede l’ecografia per la prima volta, scoppia a ridere perché le sembra impossibile che il bambino ci 42

sia e abbia la testa, le braccia, le gambe, che sia insomma reale. Lei infatti non gli parla mai, non si rivolge mai a lui. «Il momento in cui ho sentito che si muoveva, quello è stato un momento... Perché prima non sentivo un granché. Mi sono sentita quasi frugare, perché sentivo i suoi movimenti come se le manine si muovessero sulla parete della pancia. Comunque è una sensazione piacevole». Anche l’immagine di come sarà questo figlio una volta nato deve rispondere alla sua esigenza di controllo e neutralizzazione: Arianna lo immagina buono e ragionevole, un bambino che non le sarà di ostacolo e soprattutto che non interferirà con il suo lavoro. Insomma, un bambino disposto a capire. Gli chiederà, come ha fatto sua madre con lei, di essere buono per permetterle di lavorare. «Io temo che sarò molto simile a mia madre; forse un po’ diversa. Mia madre era molto ferma con noi: si andava a dormire alle otto, con la luce spenta, da soli. Io mi dispiacevo. Poi però tutto sommato ho condiviso il suo modo di fare». Arianna è una donna e una madre molto diversa da Antonella. È stata abituata fin da piccola a esercitare l’autocontrollo e a non fare richieste pressanti ai genitori. Possiamo dire che ha imparato a cavarsela da sola, come vorrebbe che facesse suo figlio. Rappresenta un esempio particolarmente illustrativo della cosiddetta trasmissione intergenerazionale dei modelli genitoriali: tende cioè a riproporre con il proprio figlio, più o meno consapevolmente, il modello fornito dalla propria madre e dal proprio padre. Si potrebbe pensare allora che nulla cambia attraverso le generazioni, ma in questo senso pesano in modo significativo le nuove condizioni di vita e il rapporto fra i genitori. Non va dimenticato, infine, che ogni bambino è diverso e pertanto risponde in modo differente alle sollecitazioni dei genitori, inducendoli anche a cambiare i loro comportamenti.

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13. Le madri ambivalenti «Sono contenta che mia madre mi stia vicino, però vuole darmi continuamente consigli. E poi sento il fiato sul collo. Ma alla fine non potrei farne a meno». Questa affermazione, fatta da una donna per descrivere il suo rapporto con la madre durante la gravidanza, restituisce una situazione mentale tipica della madre ambivalente, non integrata. Sono donne con atteggiamenti contrastanti, che vogliono assolutamente diventare madri, ma allo stesso tempo ne hanno paura. Possono, per questa ragione, avere reazioni di rifiuto o mostrare insofferenza. Dai loro racconti, si capisce che sono molto coinvolte nella gravidanza. Solo che il loro coinvolgimento è ambivalente, fatto di bisogni e, allo stesso tempo, di rifiuto dei bisogni; esse manifestano risentimento e fastidio non solo nei confronti della propria madre, ma anche verso il figlio che aspettano, nei confronti del quale mostrano atteggiamenti contrastanti, che oscillano, per esempio, tra la protezione estrema del bambino e il totale rifiuto. Maria ha una storia familiare complicata: un padre autoritario, una madre debole e succube del marito. Da bambina viene mandata in collegio, e questa è un’esperienza che ricorda con dolore. A ventisei anni incontra il suo futuro marito, una persona sensibile e premurosa, l’opposto di suo padre. Il racconto che Maria fa della sua gravidanza inizia così: «All’inizio avevamo tante cose, cioè progetti un po’ egoistici: mettere a posto le cose e tutto, perché siamo arrivati e non c’era niente. Poi, abbiamo detto: ‘Dopo penseremo al bambino’, per cui inizialmente questo bambino non era un pensiero di tutti e due. E poi niente, quando la cosa è venuta... a posto, tutto quanto; ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto: ‘Ma che dici... in fondo io ho trent’anni’, e lui non voleva, cioè si era messo in testa che già era grande quando ci siamo sposati. Diceva che non voleva fare il nonno di questo bambino. Le mie paure erano tutt’altre. Erano quali 44

cose gli darei fra vent’anni, un lavoro oppure una scuola. Adesso io sono praticamente terrorizzata: come fare, l’asilo, a parte le parolacce, le persone che frequenta...». Il racconto di Maria non è sempre chiaro proprio perché riflette i suoi orientamenti contrastanti nei confronti della sua nuova esperienza di madre. Sembra a volte ingarbugliato, segue molti pensieri che non riesce sempre a organizzare in modo coerente. Soprattutto si fa trasportare dalle sue emozioni. Sulla stessa linea ambivalente, racconta di avere avuto in precedenza un aborto e che quando poi ha deciso di avere un figlio si è detta: «Vuoi vedere che adesso che ho aspettato tanto, adesso che lo voglio, magari non verrà?». Questo conferma che il desiderio di maternità di Maria è pieno di contrasti, quasi dovesse superare un conflitto interno. È dominata dalla paura della perdita: «Dopo qualche giorno di ritardo del ciclo, non sono riuscita ad aspettare neanche una settimana. Ho cercato un laboratorio e ho fatto le analisi. ‘Complimenti signora!’. Io praticamente camminavo che stavo attenta alle buche. Camminavo come sulle uova, cioè avevo paura di rovinare questa cosa... Può succedere che magari uno lo perde». In effetti, la gravidanza di Maria procede con difficoltà. A causa dei suoi disturbi deve interrompere il lavoro e questo la costringe «a lunghe ore di solitudine e di noia». Racconta di essersi sentita a disagio, e quasi si vergognava dei cambiamenti del suo corpo: «Il seno era cresciuto tremendamente... Era una cosa incredibile perché si vedeva». Nonostante questo, decide di indossare «delle tute colorate e spiritose. Così la ragazzina che non sono stata prima mi sento di farla adesso». Si comporta quindi come una persona che vuole trasformarsi in un’adolescente più che in una madre. E il rapporto di Maria con sua madre in questo periodo è decisamente ambivalente: prima dice che le cose con lei vanno bene perché la vede poco; poi dice di soffrire perché vorrebbe che sua madre la chiamasse più spesso. Al tempo stesso assume nei suoi confronti un atteggiamento svalutativo, 45

non ritenendola un riferimento sicuro per l’esperienza che sta vivendo. Infatti, quando le viene chiesto se vorrà avere con sé sua madre in sala parto risponde: «Mia mamma penso che non se la sentirebbe. Il giorno in cui mi sono sposata non riusciva neanche ad abbottonarmi il vestito, perché tremava tutta. Per cui figuriamoci il giorno del parto: quella sviene. Per cui penso che mamma non serva a niente». Ma l’ambivalenza di Maria esplode con tutta la sua forza quando comincia a parlare dei primi movimenti fetali e del suo rapporto con il bambino che sta per nascere, quasi non potesse essere lei a riconoscere la presenza di suo figlio: «Sentivo dei fruscii nella pancia, ma io ero convinta che fosse... Siccome soffro un pochino di colite spastica, mi si forma dell’aria. Quindi, dico, sarà la colite. Allora ho chiesto al ginecologo e lui: ‘No, no. È il feto che si muove’. Non so se ho già un rapporto con mio figlio. So soltanto, praticamente, che quando appoggio la mia mano calda su un lato della pancia questo grande bozzo si sposta sotto la mia mano. E quando bevo delle bibite gelate... beh, per lui saranno delle doccette fredde. Poi quando sento dei dolori alla pancia gli dico: ‘Quando nasci te le faccio pagare tutte... Vedrai che ti combino’». Maria ha enormi difficoltà a rappresentarsi come madre: «Non m’immagino molto come madre. Spero di essere calma, insomma... Io ho paura di tutto. Spero di non essere troppo impressionabile, ecco, di poter avere la mente fredda. Ho paura di inculcare anche a lui il mio nervosismo». Di conseguenza assume atteggiamenti di difesa, quasi a voler evitare possibili illusioni che potrebbero farla soffrire nel caso in cui suo figlio si rivelasse negativo. Dice di immaginarlo brutto e nero e di carattere difficile: tutto il contrario di quello che vorrebbe. Caricarsi di aspettative negative costituisce un meccanismo di difesa studiato da Anna Freud, figlia del grande maestro viennese: quando si teme il verificarsi di una situazione pericolosa, più che subirla diventandone vittima, ci si identifica con l’aggressore e si preferisce fare propria tale posizione. È 46

esattamente ciò che accade a Maria che, spaventata delle possibili esperienze negative, le anticipa, quasi preparandosi ad affrontarle. Tuttavia, il suo orizzonte mentale non è così omogeneo: Maria fantastica di avere un altro bambino «bello, con gli occhi chiari, allegro, con l’espressione intelligente» che assomigli a suo marito e alla famiglia di lui. Oscilla quindi fra aspettative opposte: estremamente negative oppure estremamente positive, senza mai riuscire a compiere una sintesi. A seconda dei momenti, quindi, prevale l’una o l’altra aspettativa. È utile sottolineare che il vissuto di Maria durante la gravidanza non presenta dei problemi rilevanti: il suo è un orientamento che si è costruita durante l’infanzia in risposta alle proprie esperienze. Parlando della sua infanzia Maria infatti racconta: «Me la dovevo cavare da sola, dato che i miei genitori erano sempre fuori casa e poi... c’è stato il collegio». La madre, ancora oggi, le dice che da piccola era una bambina «lagnosa, rompiscatole, che piangeva molto e voleva stare sempre fra le sue braccia». E mostrando una fotografia di quando era piccola Maria si descrive come «una bambina cicciona con una faccia grossa, brutta e con un’espressione lagnosa», immagine che rimanda direttamente alle aspettative negative che lei stessa nutre nei confronti del figlio, che sembra riproporle l’immagine di sé del passato, un’immagine che difficilmente si coniuga con la sua attuale figura di giovane donna dall’aria simpatica, i lineamenti delicati e un volto animato da uno sguardo vivace. Nonostante le difficili esperienze vissute con i suoi genitori, Maria ha comunque dei ricordi positivi della propria infanzia: l’immagine struggente di sua madre che la sera andava nella sua stanza, le portava un bicchiere d’acqua e le dava il bacio della buonanotte. Ogni sera, quando sua madre le si avvicinava, Maria provava una sensazione di calore. Ed è quella stessa sensazione che vorrebbe trasmettere a suo figlio.

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14. Le madri a rischio depressivo Una donna su dieci durante la gravidanza e nel primo anno di vita del figlio va incontro a un disturbo depressivo, che è cosa ben diversa dalla più che fisiologica reazione depressiva che si verifica subito dopo il parto. Eppure non necessariamente un rischio depressivo nella madre determinerà problemi nel suo rapporto con il bambino, dal momento che la nascita di un figlio rappresenta, di per sé, una grande occasione di cambiamento per tutte le madri, che spesso favorisce l’acquisizione di una migliore organizzazione psichica. Come si è visto, le diversità psicologiche di ogni donna – da quelle che abbiamo definito integrate a quelle ristrette o ambivalenti – rispecchiano la storia personale che ognuna di loro ha vissuto durante l’infanzia e l’adolescenza, così come le loro esperienze di vita e le loro relazioni affettive incidono in modo significativo durante la gravidanza. Ciascuna ha vissuto situazioni «sufficientemente buone», per riprendere la definizione dello psicoanalista inglese Winnicott, vale a dire situazioni che non hanno compromesso in loro la capacità propria di ogni madre di soddisfare i bisogni di suo figlio garantendogli una crescita positiva. Esistono tuttavia casi in cui tale condizione non si verifica, perché ci sono donne la cui vita non ha goduto di situazioni «sufficientemente buone», rendendo di conseguenza particolarmente complessa e problematica l’esperienza della maternità. Sono queste le madri depresse, quelle il cui viso esprime immediatamente la mancanza di entusiasmo e di piacere nei confronti della vita; hanno un’aria mesta, triste, prostrata. La sofferenza che portano dentro è tale che la gravidanza appare loro un peso troppo gravoso per le loro spalle e la nascita di un figlio prefigura nelle loro menti un futuro forse ancora più difficile. Tale stato mentale può determinare nelle donne disturbi del sonno e dell’alimentazione. Ma soprattutto i loro pensieri sono concentrati negativamente sulla propria salute o su 48

quella del bambino. Tali pensieri possono diventare così insistenti e pervasivi da polarizzare quasi completamente il mondo psichico delle madri depresse. In casi particolarmente gravi, può accadere che la donna, non vedendo vie di fuga da quella che ai suoi occhi rappresenta una condizione troppo opprimente, maturi l’idea del suicidio. Lo stesso stato mentale ossessivamente negativo e senza speranza può indurre la donna che soffre di depressione a sopprimere il figlio dopo la nascita, vedendo in tale gesto inconsulto l’unica possibilità reale di evitargli le sofferenze che il futuro, secondo le sue fantasie ossessive, gli riserverà. Quello che rende particolarmente insidiosa la depressione materna è il fatto che, nella maggior parte dei casi, essa non viene riconosciuta, compresa; non viene legittimata dalle persone di famiglia e dagli amici. Quante volte vi è capitato di sentire il tanto frequente quanto pericoloso luogo comune secondo cui la donna in dolce attesa o che ha appena avuto un bambino non può non essere felice? È proprio questo contesto che ostacola e peggiora la condizione mentale della madre. La pressione sociale che si esercita su di lei, infatti, può essere così univoca e forte da produrre nella madre depressa sentimenti di vergogna o di colpa, dal momento che non riesce, come invece dovrebbe, ad essere felice di aspettare o di avere un bambino. Di conseguenza, non è in grado di esprimere e di comunicare alle persone più vicine le sue preoccupazioni, i suoi stati d’animo e finisce per chiudersi in un universo abitato solo da pensieri terribili, che non le lasciano alcuna via d’uscita. Non esiste un unico tipo di depressione. Intanto, come ho già detto, la depressione di cui stiamo parlando va distinta nettamente dallo stato depressivo transitorio, che viene definito maternity blues e che interessa dal 50 all’80 per cento delle donne nelle primissime settimane dopo il parto e tende a scomparire spontaneamente. La coloritura depressiva del maternity blues dipende da molti fattori: la stanchezza causata dal parto; il distacco dal figlio che non è più letteralmente 49

una parte integrante della madre; la conclusione di un periodo generalmente positivo come quello della gravidanza; l’inizio del confronto reale col bambino e le sue necessità che all’inizio possono essere difficili da soddisfare. In questo quadro non vanno neppure sottovalutate le modificazioni ormonali che si verificano con la fine della gravidanza e che hanno riflessi importanti sull’umore della donna. Attaccare il bambino al seno, per esempio, non è sempre un compito facile. Il neonato infatti può succhiare per un tempo troppo breve e addormentarsi; oppure è possibile che il piccolo si stanchi di succhiare perché la madre ha poco latte; oppure può succedere anche che il bambino abbia delle intolleranze alimentari che gli provocano dolorose coliche intestinali. Un’altra situazione che molto spesso provoca grandi paure in una madre è fare il primo bagnetto al bambino: riuscire a tenere il bambino con una mano e con l’altra lavarlo non è un compito facile e può suscitare l’ansia che il bambino sfugga di mano e anneghi. Si tratta di situazioni che, viste dall’esterno, possono apparire di scarso rilievo, ma dal punto di vista della madre comportano, al contrario, difficoltà non da poco: è lei che ha il figlio fra le braccia ed è normale che possa sentirsi impotente, incapace, e addirittura disperata se non sa come affrontare la miriade di compiti nuovi che le spetta. Sono paure che investono ogni madre, solo che una madre equilibrata riesce in breve tempo a superarle, mentre una madre depressa, che teme sempre il peggio, non ci riesce. La depressione, pertanto, può interferire con le capacità della madre di prendersi cura del figlio. E proprio l’allattamento può fornire un esempio significativo: se la madre soffre di depressione ansiosa, non è in grado di tollerare le normali pause del bambino mentre succhia il latte dal seno. Così cerca continuamente di sollecitare il figlio interferendo con i suoi ritmi. Ci sono poi situazioni in cui la donna riporta un appiatti50

mento emotivo e appare distaccata e incapace di prendere iniziative. Basta osservare a questo proposito una madre depressa che allatta il bambino col biberon: il bambino viene tenuto disteso sulle gambe, a distanza, senza una grande compartecipazione, come se la donna fosse incapace di guardarlo negli occhi e di rivolgersi a lui in modo affettuoso. Beatrice è una donna che in gravidanza presenta uno stato depressivo. Parlando della sua infanzia dice: «Ricordo ben poco, non lo so perché. Non ho grandi ricordi. Forse qualche ricordo qua e là». Cercando di stimolare i ricordi dell’infanzia Beatrice prosegue: «È strano, è strano; non lo so se sono io così, però, diciamo, cose normali, diciamo come tutti i bambini, non lo so neanche io». Parlando della propria madre aggiunge: «Non mi ha mai fatto mancare niente, anche se era poco presente a casa e per compensare il fatto di stare poco con me, lo ripagava, che ne so ‘ti serve quello, ti serve quell’altro?’... Quindi avevo tutto quello che volevo, in termini proprio economici». E se dovessi definire il rapporto che avevi con tua madre quando eri piccola come lo descriveresti? «Non lo so, forse non ho avuto nessun rapporto... Sarà un rapporto strano, che ne so. Uno potrebbe dire affettuoso, ma io non ricordo tutto questo grande affetto... Una cosa normale». E quando ti sentivi turbata come reagivi? «Ma sicuramente mi chiudevo in me stessa, perché tuttora in questo modo introverso, io mi isolo, quando ho dei problemi non è che coinvolgo gli altri, in un primo momento mi isolo, quindi anche da piccola ero molto introversa. Non parlavo con nessuno; me ne stavo per conto mio, anche nelle foto si vede che sto tutta imbronciata, così... E poi, va beh, il carattere sarà così». Ripensando ad una foto di quando era piccola, Beatrice si rivede dunque «tutta imbronciata». E quando le viene chiesto come si è sentita e come è cambiata la sua vita durante la gravidanza risponde: «Beh, cam51

biamenti psicologici sicuramente ci sono stati. Diciamo che sono più ansiosa, cosa strana... Prima non ero così. Qualunque piccolo contrasto o problema diventano sempre cose giganti e altro... E poi non ho più lavorato...». E ci sono stati momenti di particolare emozione? «Sono, diciamo, diventata più sensibile. Sì, proprio, magari piango senza alcun motivo. Così ho notato che sono più sensibile, però poi altre cose...». E quando ti sei resa conto che c’era un bambino dentro di te, cosa hai provato? «Oh mio Dio, non è facile, diciamo che da una parte ho provato contentezza, capirai, dall’altra però paura: avevo paura, che ne so, di affrontare questa cosa, di essere... di domandarsi non so se uno poi è in grado di essere genitore...». E potresti dire che tra te e il tuo bambino si è già creato un rapporto? «No, non lo so. Sinceramente non lo so; in teoria penso di sì, però non saprei cosa dire». E hai mai sognato tuo figlio? «Una cosa strana: io non sono mai incinta nei sogni, eppure sogno di correre, poi sono sempre molto agile. Infatti ci ho pensato che è una cosa molto strana». Ti succede mai di pensare a come sarà questo bambino? «Ma l’unica cosa che vorrei è che non piangesse troppo; l’unica cosa che mi preoccupa. Altro no, non lo so». Pensando a quando il bambino sarà nato, pensi che tuo figlio vada abituato fin dall’inizio, per esempio, nel ritmo del sonno oppure credi che debba trovare lui i suoi ritmi? Beatrice, con aria preoccupata, risponde: «Io magari spero che le cose prendano una piega normale, ma so che è difficile quindi vediamo quello che succede». A volte succede che una donna che soffre di depressione in gravidanza continui ad avere questo disturbo anche dopo la nascita del figlio. Ma a volte succede che la nascita del figlio migliori lo stato psicologico della donna: è infatti senz’altro rassicurante avere un bambino sano che cresce bene e ri52

sponde positivamente alle cure materne. È questo il caso di Beatrice che, quando il bambino ha ormai tre mesi, racconta: «Va beh, l’allattamento... Quando stavo in ospedale, subito dopo la nascita, era ad orario, quindi andavo lì e il bambino aveva già mangiato, gli davano il biberon e quindi io lo attaccavo ma lui dormiva. Toccava il seno ma dormiva, quindi, insomma, un po’ così. Al nido non mi sono trovata tanto bene, e poi invece a casa, certo era tutta una cosa nuova e avevo pure un po’ di paura... e poi va beh, piano piano». E poi com’è andato l’allattamento? «Finito il primo mese, verso l’inizio del secondo o dormiva o s’addormentava sul seno cioè c’aveva degli orari strani; invece dal terzo mese ha cominciato ad avere insomma degli orari». Ci sono stati degli episodi particolari in relazione all’allattamento? «Ma, situazioni particolari, giusto ecco l’ansia quando vedevo che lui magari non mangiava, oppure piangeva, mangiava e poi piangeva, ecco un po’ di ansia, quello sì, un po’ di paura, di preoccupazione, infatti telefonavo spesso al pediatra: ‘Ma come mai non mangia?’. Poi più vado avanti più, ecco, insomma, mi tranquillizzo. Lo conosco un po’ di più».

15. Nel cervello delle madri Abbiamo parlato finora di quello che succede nella mente delle madri, ma durante la gravidanza anche il corpo e il cervello della donna subiscono grandi cambiamenti. La fisiologia può apparire poco interessante, quello «strato roccioso» impenetrabile di cui parlava Sigmund Freud, e tuttavia il suo studio rivela molte cose che sfuggono ad una osservazione superficiale. Essa mostra come la produzione di certe sostanze nel nostro cervello sia responsabile di certi comportamenti. E proprio l’interdipendenza fra madre e figlio ne costituisce un esempio significativo. Ciò che la ricerca scientifica sta in53

fatti dimostrando è che si è genitori non solo con la mente, ma anche attraverso la mediazione del corpo. Come è noto, durante la gravidanza aumentano gli ormoni femminili, ossia gli estrogeni e il progesterone, che, come dimostrano numerosi esperimenti sui ratti, sono gli stessi ormoni che stimolano la comparsa dei comportamenti materni. Lo stesso discorso vale per la prolattina, che interverrebbe nel processo di lattazione e nel comportamento materno e per l’ossitocina, ormone prodotto dai nuclei ipotalamici, che ha un ruolo fondamentale in gravidanza, soprattutto nelle fasi di travaglio e nel parto, oltre che nell’allattamento. Oltre agli ormoni, ci sono altre sostanze chimiche che nel cervello attivano gli impulsi materni. In una ricerca del 1980, effettuata da Alan Gintzler, si osservò che nei ratti, prima del parto, aumentavano le endorfine, proteine antidolorifiche prodotte dall’ipofisi e dall’ipotalamo che, oltre a stimolare ulteriormente l’atteggiamento materno, avevano lo scopo di rendere meno doloroso il parto. Durante la gravidanza, quindi, sono coinvolti un insieme di ormoni e di sostanze chimiche che interagiscono fra di loro influenzando aree diverse dell’encefalo. Solo da poco tempo, si sono cominciate a studiare le basi cerebrali del comportamento materno in un numero esteso di mammiferi. Gli estrogeni, la prolattina e l’ossitocina, intervengono, in particolare, sull’area preottica mediale dell’ipotalamo, stimolando il comportamento materno. Un esperimento condotto su topoline vergini ha dimostrato che la somministrazione di ossitocina a livello intracerebrale, attivava in esse, in pochi minuti, un comportamento materno. Nella donna si è osservato che sia il contatto cutaneo col figlio che l’allattamento al seno, stimolano la produzione di ossitocina. La frequenza dell’allattamento al seno si correla anche con lo sviluppo cognitivo e motorio del bambino, che quindi crescerà meglio se verrà allattato a lungo. Ma l’allattamento al seno comporta risvolti positivi anche per la madre, che avrà minore probabilità di andare incontro a depressio54

ne. Non è un caso, infatti, che sul viso della madre che sta allattando sia evidente una espressione di serenità: varie ricerche sostengono che, quando i cuccioli si attaccano alle mammelle della madre per succhiare il latte, essi stimolano nella madre la liberazione di piccole quantità di endorfine, le quali determinano uno stato di piacere simile a quello provocato dagli oppiacei. È proprio questa particolare condizione che può motivare anche mammiferi come i topi a prendersi cura dei figli. Ovviamente nei mammiferi superiori e nell’uomo le motivazioni sono più complesse. Si è addirittura ipotizzato che la comparsa e il mantenimento del comportamento materno sia legato a uno specifico circuito cerebrale. La gravidanza e i ripetuti contatti con il figlio lattante comportano cambiamenti strutturali e molecolari del cervello, ancora non completamente chiariti, che riguardano regioni limbiche, ipotalamiche e del tronco cerebrale che potrebbero essere riferite alla necessità di rispondere a diverse esigenze connesse alla cura materna. Molte cellule implicate nel comportamento materno hanno anche a che fare, ad esempio, con il mangiare e il bere, con la termoregolazione, con i comportamenti sociali difensivi e sessuali, che sicuramente incidono anche sul comportamento materno. Si cominciano a raccogliere dati interessanti anche sugli aspetti psicobiologici della maternità. Una scoperta curiosa in questo ambito di studi, ad esempio, riguarda le neomamme: gli alti tassi di cortisolo che in esse si riscontrano le rendono più capaci di identificare l’odore del proprio figlio. Tra l’altro, essendo il cortisolo un ormone connesso allo stress, il suo aumento spiega anche l’attivazione del sistema di stress che nella maternità si verifica. Questo bagno di ormoni cambia la struttura stessa del cervello materno, aumentando le dimensioni dei neuroni in alcune regioni e producendo cambiamenti strutturali in altre aree. Nuove ricerche dimostrano che la maternità migliora le capacità mentali della madre. È questa la tesi sostenuta in The Mommy Brain. How Motherhood Makes Us Smarter, un libro 55

scritto dalla giornalista americana Katherine Ellison, vincitrice del Premio Pulitzer, a proposito delle capacità che il cervello delle donne acquista grazie alla maternità26. A dare una conferma scientifica alle argomentazioni di Katherine Ellison interviene, nel 1999, una strabiliante ricerca di Craig Howard Kinsley e collaboratori, che hanno studiato il comportamento delle topoline, che si differenzia molto se si prendono in considerazione topoline vergini o altre che hanno da poco partorito. Durante l’esperimento, le topoline sono state introdotte in un labirinto a otto bracci. Dapprima si distribuiva del cibo in tutti gli otto bracci del labirinto, e poi, via via, lo si lasciava in uno solo dei bracci: le topoline vergini impiegavano sette giorni per localizzare il cibo, mentre le topoline madri lo localizzavano in non più di tre minuti. Ciò dimostra che l’apprendimento spaziale e la memoria migliorano con la riproduzione, soprattutto perché ad essi si collega la capacità di procacciare il cibo per la prole. Inoltre, altri studi hanno dimostrato che le topoline madri hanno una migliore capacità di affrontare il rischio rispetto alle altre topoline, e questo forse anche per la necessità di esplorare l’ambiente e trovare sempre nuove risorse per la sopravvivenza dei piccoli. Se si potesse andare letteralmente a guardare dentro la testa delle madri, si potrebbe constatare la particolare attività dell’emisfero destro nell’accudimento dei figli e la sua importanza nello sviluppo dell’amore materno. Infatti, se si osserva in che modo le madri della specie umana tengono in braccio il proprio figlio – ma ciò accade anche tra molti dei primati – si vede che esse lo tengono sulla parte sinistra del corpo, utilizzando il braccio e la mano sinistra. Questo molto più di quanto fanno i padri o le donne che non sono madri. Questa particolare postura laterale, assunta in modo istintivo senza alcuna preparazione, permette di mantenere il bambino nel campo visivo sinistro della madre, quello cioè che comunica direttamente con l’emisfero cerebrale destro, l’emisfero coinvolto nei processi di attaccamento e nelle risposte emotive. 56

16. E con un altro figlio? Fino ad ora, parlando di gravidanza, mi sono riferito prevalentemente all’attesa del primo figlio, che rappresenta un vero giro di boa non solo nella vita di una donna ma della stessa coppia. Si tratta infatti di una trasformazione radicale: da moglie e marito si diventa madre e padre di un bambino. Come abbiamo visto, quando si affronta l’attesa per la prima volta gli interrogativi sono molti: «Ce la faremo a mettere al mondo un bambino, un essere che è la somma di tutti e due, ma anche diverso?», e poi «Sapremo proteggerlo e prendercene cura, farlo crescere e farlo diventare grande?». Sono dubbi che si ripropongono anche col secondo figlio, ma in modo meno pressante perché già si conoscono molte delle risposte. Si è già messo al mondo un bambino, o una bambina, e ormai ci si sente genitori a tutti gli effetti; si conoscono i momenti e le tappe della gravidanza, come anche le difficoltà del parto e dell’allevamento del figlio; l’identità genitoriale è ben definita e tutti i processi psicologici di cui abbiamo parlato fin qui sono stati già acquisiti, dunque la nuova gravidanza non impone più di confrontarsi con i propri genitori per dimostrare di essere in grado di diventarlo a propria volta. Anche le trasformazioni cerebrali hanno già avuto luogo, i neuroni funzionano in modo più efficiente e così le aree attivate del cervello: i due genitori hanno insomma, per così dire, una marcia in più per affrontare l’arrivo del nuovo figlio. Per ogni donna la prima gravidanza rappresenta dunque un’esperienza irripetibile, paragonabile alla conquista di una vetta inesplorata, con tutti i rischi e i pericoli che l’impresa comporta e che risulteranno facilmente prevedibili ed evitabili nelle prove successive. È interessante, a questo proposito, notare come sul piano della ricerca non esistano molti studi sulle gravidanze successive alla prima. Anche la scienza sembra considerare il primo figlio come un evento senza eguali, degno per questo di particolare attenzione. Se è vero che la seconda gravidanza è una situazione sicu57

ramente positiva per tutti i fattori sopra elencati, non è sempre così scontato che sia anche priva di problemi. Ad esempio se la prima gravidanza è stata contrassegnata da difficoltà, da minacce di aborto o da un parto prolungato e doloroso, la donna affronterà la nuova prova piena di apprensioni e di paure, perché c’è il rischio che le complicazioni già sperimentate si ripropongano. Ma anche quando non ci siano state difficoltà precedenti, la gravidanza successiva alla prima e la nascita di un nuovo figlio rappresentano sempre per la madre un’avventura diversa e impegnativa. Innanzi tutto, spesso trascorre qualche anno tra la nascita del primo figlio e quella del secondo e ci si sente di conseguenza meno forti ed entusiasti nell’affrontare un’esperienza certamente bella, ma anche molto stancante. Senza contare che ogni figlio è diverso da un altro: il nuovo arrivato può essere di sesso differente, oppure può avere un temperamento più difficile o impegnativo del primo. A questo punto è quasi d’obbligo una prima conclusione: la seconda gravidanza comporta sicuramente meno trasformazioni e difficoltà della prima, ma non ricalca il percorso precedente, perché si verificano condizioni nuove che non sono sempre facilitanti. Non dimentichiamo inoltre che la seconda gravidanza si affronta in tre: accanto ai genitori c’è anche il primo figlio, che partecipa personalmente all’attesa e ai cambiamenti che coinvolgono la sua famiglia. Come comportarsi di fronte alle domande e alle preoccupazioni del primogenito, in una situazione così delicata? Non tutti i genitori la pensano allo stesso modo. Molti preferiscono informare subito il bambino che ci si sta preparando per mettere al mondo un nuovo fratellino o una sorellina. Per evitare possibili gelosie coinvolgono il figlio nei vari momenti della gravidanza, ad esempio mostrandogli il futuro fratello nell’ecografia, oppure facendogli sentire i movimenti fetali nella pancia della madre. Finché il nuovo arrivato deve ancora nascere, infatti, non è per il fratello maggiore una presenza disturbante, come potrebbe invece essere (e spesso è) dopo la nascita, quando inevitabilmente po58

larizza le attenzioni dei genitori. Tuttavia non sempre i genitori scelgono questa strada e talvolta, per evitare domande imbarazzanti, preferiscono rimandare la notizia della gravidanza al momento in cui diventerà talmente evidente che il bambino se ne accorgerà da sé. È una scelta discutibile, perché è senz’altro utile far partecipare il primo figlio all’arrivo del fratello, rassicurandolo sul fatto che il nuovo bambino non potrà mai prendere il suo posto. Specialmente se il piccolo ha già qualche anno, fantasticherà molto sul fratellino che vive nella pancia della mamma, anche perché, ai suoi occhi, il fortunato può stare sempre con lei senza doversene staccare mai, come invece succede a lui. È quello che racconta Cosima, madre di un bambino di tre anni che si dimostra molto possessivo con lei durante la gravidanza. «Diego non mi si stacca un attimo, mi segue come un’ombra e fa continue domande sul fratellino: ‘Ma adesso che sta facendo nella tua pancia?’, oppure ‘Che gli dai da mangiare?’, ‘Ma lo sa che ci sono anche io?’». Cosima cerca di rispondergli, ma Diego le ripropone continuamente le stesse domande. «Forse – ipotizza Cosima – non è convinto di quello che gli rispondo, vuole vedere se gli dico sempre le stesse cose, mi dà l’impressione di essere sospettoso e che non mi creda». Tuttavia, nonostante queste naturali difficoltà, il fratello o la sorella più grandi alla fine accetteranno l’inevitabile: non sono più figli unici. Questo anche se, ogni tanto, ripeteranno, con fastidio o nostalgia: «Era meglio prima».

17. Sulla magica sintonia bidirezionale tra madre e figlio Se molti contributi scientifici sulla maternità di cui abbiamo parlato si collocano nell’ambito del pensiero psicoanalitico, un importante e più recente contributo giunge dalla teoria dell’attaccamento di Bowlby. Pur essendoci differenze so59

stanziali fra la teoria psicoanalitica e la teoria dell’attaccamento, entrambe riconoscono l’importanza delle rappresentazioni mentali che si formano durante i primi anni di vita e la loro influenza successiva sul funzionamento mentale di un individuo in età adulta, oltre che sulle sue capacità genitoriali. Tuttavia, mentre la teoria psicoanalitica considera centrale il ruolo delle pulsioni nel funzionamento psichico di una persona, la teoria dell’attaccamento sottolinea piuttosto il bisogno della persona di regolare la propria sicurezza fin dalla nascita, cosa che si realizza in rapporto alle figure significative. Secondo la teoria dell’attaccamento, i lattanti che ricevono cure sensibili e continuative da parte dei genitori o di figure adulte stabiliscono con queste un legame di attaccamento, che rappresenta il prototipo di tutti i successivi legami significativi. E mentre nei primi anni di vita la sicurezza è legata alla vicinanza fisica di tali figure, successivamente il baricentro della sicurezza si sposta sulla fiducia nella disponibilità che le stesse figure di attaccamento dimostrano. Il modo in cui un adulto si occupa dei propri figli è influenzato, quindi, come si è detto più volte, dalle esperienze infantili e adolescenziali che ognuno ha vissuto con i propri genitori. È ovvio che, come abbiamo spiegato in precedenza, non può sussistere un rapporto di causalità troppo rigido, dal momento che i comportamenti tendono a modificarsi nel tempo, anche in rapporto all’età del bambino: una cosa è essere genitore quando il bambino non parla ancora ed è molto dipendente da noi, altra cosa è quando il bambino raggiunge, ad esempio, i tre anni ed è in grado di parlare ed esprimere il proprio punto di vista e la propria volontà. Si tratta dunque di un sistema flessibile di relazioni comportamentali, che viene influenzato non solo dall’età del bambino, ma anche dal suo temperamento, dal contesto familiare complessivo, e così via. Un dato interessante che emerge da molte ricerche sull’attaccamento è la chiara associazione fra lo stile di attaccamento della madre e quello del figlio. Ciò a conferma della trasmissione intergenerazionale dello stile di attaccamento. 60

Alcuni ricercatori inglesi, che hanno intervistato un campione di madri negli ultimi mesi di gravidanza, hanno messo in luce come nel 75 per cento dei casi sia possibile prevedere quale sarà lo stile di attaccamento del bambino ad un anno, analizzando le esperienze di attaccamento delle madri27. Le madri di bambini sicuri dal punto di vista dell’attaccamento sono capaci di comunicare un quadro coerente e comprensibile delle proprie relazioni con i genitori durante l’infanzia, mettendo in luce il contesto in cui è avvenuto il loro sviluppo e i motivi psicologici che hanno orientato il comportamento dei genitori. Queste madri non hanno avuto una storia personale necessariamente positiva: quello che è rilevante nella loro storia è che sono riuscite a elaborare positivamente la relazione con i genitori e, anche laddove questa è stata conflittuale, sono state in grado di giungere a una riconciliazione. Sono donne che hanno avuto la forza e la capacità di dare valore alle relazioni, di comprendere gli altri, di perdonare, e ora come madri sono in grado di capire i bisogni del loro bambino e di rispondere in modo affettuoso e protettivo, senza tuttavia negare l’indipendenza del figlio. Ma che percezione, quale esperienza hanno i bambini di queste madri? E perché sono bambini più sicuri sul piano dell’attaccamento? Non vi è alcun dubbio che avere una madre attenta e sensibile aiuti il figlio ad acquisire fiducia verso di lei e di conseguenza verso gli altri. Assai diversa è, come abbiamo visto, la situazione di quei bambini figli di donne invischiate dal punto di vista dell’attaccamento, ovvero che mantengono una eccessiva dipendenza dalla famiglia di origine e non sono in grado di distaccarsi dalle relazioni infantili, spesso ancora cariche di rabbia e di risentimento. In essi sarà infatti inevitabile un atteggiamento di ambivalenza. Indipendenza e autocontrollo, oltre all’incapacità a fare richieste affettive, saranno invece i tratti connotativi di quei bambini figli di madri distaccate, il cui comportamento non risponde alle richieste di attaccamento del figlio. 61

Negli anni Cinquanta, come già abbiamo accennato, lo psicoanalista e pediatra Donald Winnicott, si occupò dello stato mentale particolare in cui entra una donna al termine della gravidanza, definendolo «preoccupazione materna primaria». Ma la traduzione italiana di tale definizione può essere ingannevole. In inglese, infatti, il termine preoccupation non corrisponde esattamente a quella che in italiano è la «preoccupazione», ma piuttosto ad uno «stato di focalizzazione e di assorbimento». Per Winnicott, come si è visto, essa costituisce quasi una malattia, una malattia normale, temporanea, che la madre deve sperimentare perché del tutto funzionale al pieno soddisfacimento dei bisogni del figlio. Dal termine della gravidanza fino ai primi mesi di vita del bambino una madre vive dunque una condizione mentale un po’ alterata, appunto una «quasi malattia», in cui si sperimenta un’aumentata sensibilità verso il proprio bambino. È questo lo stato di focalizzazione di cui parla Winnicott: un’attenzione quasi esasperata e una sintonia bidirezionale tra madre e figlio che, amplificando per così dire le antenne materne, svolge innegabilmente un ruolo funzionale alla sopravvivenza del piccolo. Una madre vuole costantemente vicino a sé il suo bambino, ne scruta interrogativa l’aspetto fisico e costantemente vigila su di lui per evitargli i possibili pericoli cui è esposto. Un dato particolarmente interessante della ricerca è quello che dimostra che tali preoccupazioni, che riguardano circa il 95 per cento delle madri, coinvolgono però anche l’80 per cento dei padri, anch’essi focalizzati sulla salute, sullo sviluppo, sullo stato fisico generale del loro bambino. Si tratta di pensieri che, entro parametri normali, sono interamente al servizio della buona crescita del figlio, perché aiutano i genitori a sintonizzarsi con un bambino ancora molto piccolo. Oltre all’attaccamento che la madre ha avuto con i propri genitori, alla sua storia personale e al rapporto di coppia, un ruolo fondamentale nelle capacità genitoriali di una donna è giocato anche dalla rete sociale che la madre ha intorno, che 62

può sostenerla nell’affrontare questa particolare esperienza. Nella nostra società, si tratta indubbiamente di un fattore assai rilevante, soprattutto per le trasformazioni che la famiglia moderna ha subito. Mentre nel passato, infatti, la famiglia allargata consentiva maggiori possibilità di scambio e certe conoscenze venivano più facilmente veicolate e trasmesse, oggi, nella famiglia ristretta il sostegno si è reso particolarmente problematico, e il peso delle responsabilità grava quasi esclusivamente sui genitori.

18. Non tutto proviene al bambino dalla madre e dal padre Come abbiamo più volte ripetuto e come numerosissimi studi dimostrano, il modo di essere dei genitori e il tipo di genitorialità che essi esercitano influisce moltissimo sulle caratteristiche e sullo sviluppo del bambino. Ma non tutto proviene al bambino dalla madre e dal padre. Un peso importante va riconosciuto a quelle che sono le caratteristiche del bambino: alcuni sono più facili, altri più difficili e mettono maggiormente alla prova le capacità dei genitori. La ricerca psicologica degli ultimi decenni ha rivoluzionato profondamente la concezione del lattante che era stata proposta, ad esempio, dalla psicoanalisi. Freud descriveva il lattante come chiuso all’interno di un uovo, metafora che sottolinea una condizione originaria. Il lattante non nasceva come essere sociale, ma come essere protetto e chiuso al mondo da un guscio: «Un bell’esempio di sistema psichico isolato dagli stimoli del mondo esterno, che può soddisfare da sé autisticamente [...] i suoi bisogni di alimentazione, è dato dall’uccellino rinchiuso nel guscio dell’uovo con la sua provvista di alimento, e per il quale la cura materna si limita alla produzione di calore»28. Negli ultimi anni, si è messo in luce che tale teoria non può essere ritenuta valida: il neonato nasce già con la predisposi63

zione all’interazione sociale, tanto che è addirittura in grado, fin dalla trentesima ora di vita, di imitare le espressioni facciali di un adulto che gli si ponga ad una distanza assai ravvicinata. Si tratta di un meccanismo di imitazione precoce che Andrew N. Meltzoff definisce like me, «come me»29. Secondo questo studioso, infatti, esisterebbe fin dalla nascita un meccanismo di assimilazione dell’altro che, per così dire, ci rende adatti alla comunità umana. Nel corso del primo anno di vita madri e padri svolgono una serie di funzioni, che si esprimono nella capacità di aver cura del figlio. L’essere efficaci figure di protezione non solo garantisce la sopravvivenza del piccolo, ma lo aiuta anche ad acquisire quel senso di sicurezza che proviene direttamente dalla disponibilità dei genitori. È questo il grande tema dell’attaccamento, che, come abbiamo diffusamente analizzato nelle pagine precedenti, rappresenta il punto nodale e imprescindibile della creazione di un campo di interazione intersoggettivo che, configuratosi nel bambino soprattutto in relazione al modello di attaccamento genitoriale, lo caratterizzerà e lo accompagnerà per tutta la vita.

19. Il miracolo della coordinazione madre-figlio Una visione che suscita meraviglia e persino commozione è quella che mostra al rallentatore, come viene comunemente fatto nella ricerca, la videoregistrazione delle interazioni fra una madre e il suo bambino: essi sono un miracolo di coordinazione; i loro movimenti sono reciprocamente sincronizzati, come se conducessero una danza in cui il ritmo interattivo è condiviso. Ciò è assolutamente evidente se si osserva una madre che allatta suo figlio. Madre e figlio costruiscono un ritmo, un’alternanza dei turni: quando il bambino succhia, la madre lo osserva evitando di coinvolgerlo in interazioni troppo attive e, quando il bambino fa una pausa e prende fiato, la madre interagisce con lui. Durante la suzione, la madre deve rimane64

re in silenzio o dire poche parole perché altrimenti il bambino interpreterebbe la sua sollecitazione come un invito a interagire. Quando il bambino invece si ferma, l’interazione della madre deve essere relativamente breve, così da sollecitarlo a riattaccarsi al seno. Tutto questo avviene in un clima di continuo contatto visivo: il bambino sta succhiando e la madre non smette di osservarlo, poi lei diventa più attiva, gli parla e il bambino smette di succhiare, guarda la madre. La madre muove la testa e il bambino muove la sua all’unisono con la madre, in una sorta di reciproca imitazione. Il piccolo inizia così a esperire, a costruire, i ritmi sociali che poi saranno alla base degli scambi linguistici e relazionali. Naturalmente non dobbiamo pensare che madre e bambino siano sempre sintonizzati e coordinati. Come succede nella danza si può perdere il ritmo, ma i bravi ballerini sono in grado di risolvere l’impasse e ripartire in una ritrovata connessione. Lo stesso succede ad una madre e al suo bambino: solo nel 30 per cento del tempo trascorso insieme vi è una buona coordinazione, mentre per il resto possono avvenire incomprensioni, distacchi e anche veri e propri scontri. La differenza sostanziale sta nel modo in cui vengono affrontati i momenti di fallimento reciproco: se la madre è in grado di osservare il comportamento del bambino e adatta il proprio ai suoi segnali, sarà possibile ritrovare presto una buona intesa. Un esempio particolarmente illuminante è quello di Eleonora che gioca con il proprio figlio di pochi mesi dopo che gli ha fatto il bagnetto, mentre il bambino è steso sul lettino ancora nudo. La madre ripete il solito gioco che il piccolo Antonello ama molto: con la mano simula la pecorella che sale sul petto del bambino e arriva al collo dove gli fa il solletico ripetendo una filastrocca. Antonello è estasiato, ride felice perché si ripete un gioco che già conosce. La mamma ripete il gioco e la risposta del bambino è sempre positiva, anche se il timbro del riso si affievolisce. Eleonora non coglie il segnale del figlio e continua il suo gioco fino a che Antonello non increspa la bocca con aria infastidita e scoppia a piangere. La 65

madre evidentemente non ha tenuto presente che il livello di eccitazione di Antonello è diventato troppo elevato col ripetersi del gioco e il bambino si è sentito in difficoltà per cui ha mandato alla madre chiari segnali per farle capire che non voleva proseguire nel suo gioco. Solo quando si è messo a piangere però la madre ha capito, ha smesso di stimolare il figlio e ha cercato di tranquillizzarlo. Antonello rapidamente smette di piangere e ritrova lo scambio positivo con la madre. Ben diversa è la situazione di una madre che ha difficoltà depressive e che facilmente si sente messa sotto accusa dal figlio. In questo caso la donna, quando il bambino scoppia a piangere, si arrabbia perché non riesce a capire che l’attivazione del figlio è troppo elevata e interpreta il suo comportamento come il segno che il bambino si è infastidito con lei. Il commento materno a quel punto è emblematico: «Tanto con te è inutile, non ti piace nulla, sei un bambino cattivo che non vuole bene alla mamma!». È interessante che la coordinazione reciproca non avviene solo sul piano dell’adattamento dei comportamenti reciproci, ma si verifica anche a livello ritmico. Si è osservato ad esempio che si crea una corrispondenza ritmica fra madre e figlio che riguarda le sequenze temporali, la forma e l’intensità dei gesti comunicativi e delle espressioni reciproche. In altri termini già prima di usare le parole si può creare una specie di «protodialogo», come viene definito da molti ricercatori, per cui madre e figlio possono già partecipare ai ritmi del dialogo, ad esempio tramite il vocalizzo che occupa il 10-15 per cento del tempo quando un bambino ha quattro mesi. A questo proposito Daniel Stern ha messo in luce che quando avviene uno scambio vocale fra madre e bambino, se quest’ultimo non risponde con un vocalizzo, la madre si comporta come se il figlio avesse risposto e lei risponderà solo dopo un lasso di tempo, ossia mantenendo il ritmo della conversazione. Dal momento che gli affetti sono fondamentali per la comunicazione degli stati d’animo, i genitori aiutano il proprio figlio a costruire una sorta di lessico affettivo. A questo pro66

posito, anche alla luce di numerosi studi, assume particolare importanza l’intonazione con cui la madre si rivolge al suo bambino nel corso dei primi mesi e dei primi anni vita. Si tratta di un comportamento istintivo delle madri, qualcosa che sembra appartenere loro naturalmente, senza alcuna indicazione esterna: la madre è in grado di imitare e rispecchiare l’espressione e i comportamenti del bambino, amplificandoli e addirittura dandogli un proprio suggello personale, aggiungendo e trasmettendogli qualcosa che appartiene solo a lei. È forse per questo specialissimo compito che è poi così importante per il piccolo guardare la madre negli occhi. E Winnicott lo spiega magistralmente: il bambino scopre negli occhi della madre l’immagine che la madre si è costruita di lui e questo lo aiuta a sviluppare il proprio Sé. «Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me di solito ciò che il lattante vede è se stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa mostra è in rapporto con ciò che essa scorge»30. Come si può vedere, dunque, già dalle prime fasi di vita inizia la costruzione delle capacità intersoggettive del bambino, che sono stimolate e sostenute in primo luogo dai genitori e dalle altre persone che fanno parte della sua famiglia. E il bambino, fin dal primo anno di vita, è in grado di riconoscere le caratteristiche di ogni persona, di cogliere quanto essa è disponibile ad interagire con lui e a proteggerlo soprattutto nei momenti di difficoltà. Si tratta di competenze importanti che lo aiuteranno ad affrontare le relazioni con i compagni di scuola o con le insegnanti, le prime relazioni sentimentali, fino ai rapporti con i colleghi di lavoro.

20. Essere madre è un po’ come essere innamorati Ultimo aspetto fondamentale, nel rapporto di empatia fra madre e figlio, che garantisce la crescita del bambino nelle condizioni ottimali per il suo sviluppo fisico e psichico, è co67

stituito dalla capacità dei genitori di interpretare gli stati mentali del figlio. Fin dai primissimi mesi di vita, infatti, la madre si rivolge al figlio come se questi avesse una mente autonoma e fosse in grado di capire: «Ah, oggi non ti va di mangiare, eh?», oppure: «Oggi sei di cattivo umore!». La mamma si rivolge spesso in questo modo al suo bambino di due mesi, dando per scontato che lui possa comprenderla. Eppure, sebbene il piccolo non sia ancora in grado di interpretare le parole di sua madre, l’attribuzione al bambino di uno stato mentale da parte della madre è fondamentale per consentirgli di acquisire le capacità di mentalizzazione, condizione essenziale per stabilire un qualunque scambio umano. Durante la gravidanza vengono attivate alcune aree del cervello della donna e addirittura i neuroni diventano più grandi. Si crea, insomma, un sorta di circuito cerebrale materno che ne migliora enormemente le prestazioni. Ma sono le recenti ricerche sui cosiddetti «neuroni specchio» a illuminarci sulla comprensione del rapporto empatico tra una madre e un figlio. Iniziate come studio sui primati, le ricerche su tali neuroni hanno permesso di mettere a fuoco le capacità di immedesimazione, di «simulazione incarnata» delle intenzioni dell’altro, che sono alla base dell’empatia31. Si tratta di una classe di neuroni specifici che si attivano quando si compie un’azione o quando la si osserva compiuta da altri individui, soprattutto della stessa specie. I neuroni specchio producono in chi osserva una condizione di rispecchiamento, di immedesimazione, di empatia, appunto. E spiegano quindi molti dei processi intersoggettivi. È importante notare che tali aree del cervello non si attivano soltanto con la ripetizione di azioni osservate, ma anche semplicemente attraverso l’osservazione, e questo vale non solo per le azioni compiute da altre persone ma anche per le emozioni degli altri: la cosiddetta simulazione incarnata ha le sue radici nelle cellule cerebrali di chi osserva. La scoperta dei neuroni specchio è considerata fra le più importanti degli ultimi dieci anni perché aiuta a spiegare, su 68

un piano scientifico, in che modo sia possibile «mettersi nei panni di un’altra persona» e provare un sentimento di empatia verso gli altri, ad esempio quando qualcuno piange o ride oppure racconta le proprie sofferenze o i propri sentimenti. Secondo il neurobiologo Antonio Damasio, la chiave interpretativa più corretta è quella della simulazione, per cui è «come se» si stesse compiendo un’azione simile o si stesse sperimentando una sensazione o un’emozione analoga32. Applicare questo modello empatico allo studio della relazione tra una madre e il proprio figlio, soprattutto durante i primi mesi di vita del bambino, quando ancora il linguaggio verbale non si è sviluppato e la comunicazione è prevalentemente affettiva, è stato di grandissimo aiuto. In questa direzione, abbiamo effettuato una ricerca selezionando un campione di madri di bambini fra i sei e i dodici mesi33. Abbiamo chiesto loro di imitare le diverse espressioni affettive del loro figlio e di un bambino sconosciuto della stessa età e poi di immedesimarsi con i loro stati d’animo. È emerso che nelle madri si attivano fortemente le aree frontali e temporali corrispondenti proprio alle zone dei neuroni specchio, soprattutto nell’emisfero destro. Questo si verifica in modo più marcato in relazione a espressioni di gioia o di sofferenza del bambino piuttosto che rispetto a espressioni ambigue, dalle quali è difficile capire qual è lo stato d’animo del bambino, o a espressioni neutre. Colpisce, in particolare, che le madri reagiscano sia alle espressioni del proprio figlio, sia a quelle del bambino sconosciuto, dal momento che entrambi forniscono uno stimolo consistente in grado di attivare il funzionamento cerebrale materno, sebbene comunque l’immedesimazione con i sentimenti del proprio figlio produca una risposta più forte a livello di corteccia premotoria destra, quella appunto interessata dai neuroni specchio. È infine interessante fare un’ultima notazione: quando le madri reagiscono a espressioni ambigue del proprio figlio, nel loro cervello si attiva un pattern specifico soprattutto a livello della corteccia frontale e parietale dell’emisfero sinistro. 69

Mentre l’imitazione delle espressioni affettive del figlio è un processo quasi automatico e pertanto può essere attivato anche dall’immagine di un bambino non conosciuto, nel caso della immedesimazione occorre invece un processo mentale più complesso: per cogliere lo stato d’animo del figlio, la madre deve riuscire ad andare al di là della sua espressione facciale, deve immedesimarsi nel suo stato d’animo. È, questa, un’attitudine specifica della madre, particolarmente importante nel primo anno di vita del bambino, quando il sistema comunicativo affettivo è il solo che consente la condivisione e la comunicazione reciproca. Si tratta di un processo nel quale è coinvolto soprattutto l’emisfero sinistro del cervello, che ha maggiormente a che fare con i processi cognitivi più complessi. Ma l’osservazione del cervello consente di comprendere anche altre cose importanti riguardanti la nostra affettività. La risonanza magnetica funzionale, una delle più sofisticate tecniche di visualizzazione cerebrale, ha mostrato una stretta parentela tra l’amore materno e l’amore sentimentale. Entrambe sono esperienze molto gratificanti che servono a mantenere e a perpetuare la specie umana, perché creano le condizioni per mettere al mondo un figlio nel contesto di una coppia e allevarlo per farlo crescere all’interno della comunità umana. Le zone connesse alle esperienze di reward, ossia di gratificazione, sono attivate in tutte e due le forme di amore, il che spiega il piacere particolare che prova una madre ad occuparsi del proprio figlio. Usando la risonanza magnetica funzionale per studiare le basi cerebrali dell’amore materno, due ricercatori inglesi, Andreas Bartels e Semil Zeki, hanno mostrato a un campione di madri dapprima la fotografia del proprio figlio e successivamente quella di un bambino sconosciuto e di persone a loro conosciute o del tutto estranee. La registrazione della risonanza ha messo in evidenza le zone cerebrali che nelle donne sono state attivate durante l’osservazione della fotografia del proprio figlio: nel cervello si verifica un’attivazione bilaterale dell’insula e del gyrus cingolato, attivazione in tut70

to sovrapponibile a quella che si riscontra nell’amore sentimentale. Le aree cerebrali che vengono attivate sono dunque simili a quelle che si attivano nelle persone innamorate. Resta invece come dato specifico delle madri l’attivazione della corteccia laterale orbito-frontale e prefrontale laterale, zone cerebrali in cui sono presenti recettori per l’ossitocina e la vasopressina, ormoni che intervengono nei processi di attaccamento madre-figlio. Un dato sicuramente illuminante è la disattivazione, sia nelle madri, sia nelle persone innamorate, di quelle aree del cervello che hanno a che fare con le emozioni negative, con il giudizio sociale e con la capacità di mentalizzazione, che servono cioè a indagare le motivazioni psicologiche della persona amata. Insomma, si è trovata la riprova scientifica del detto popolare «ogni scarrafone è bello a mamma sua» o, nel caso dell’amore sentimentale, la conferma che «l’amore è cieco». Ma vorrei affidare all’arte più che alla scienza le parole conclusive di questa riflessione riguardante la maternità. Assai rappresentativo, su un piano visivo, è infatti il disegno di preparazione della Madonna col Bambino di Raffaello, nel quale il pittore esprime l’intensità e l’unicità dell’incontro di una madre con suo figlio, anticipando e vedendo cose che la ricerca scoprirà solo con il tempo, perché, come diceva Freud, spesso sono gli artisti a riconoscere e a restituire la vera essenza delle cose. Guardando l’immagine della Madonna si può cogliere un’espressione di intensa concentrazione e di intimità che illustra bene il concetto di Winnicott più volte ripetuto, ossia la preoccupazione materna primaria, che caratterizza ogni madre quando si prepara all’incontro con suo figlio: attraverso lo sguardo intenso della madre e la sua intenzione comunicativa, il bambino scoprirà il codice profondo delle relazioni umane, attitudine che lo accompagnerà per tutta la sua vita.

Storie di gravidanze

Avvertenza: le interviste sono state realizzate durante la gravidanza e in qualche caso sono state ripetute dopo il terzo mese dalla nascita del bambino.

Madri integrate

La storia di Martina esemplifica perfettamente un modello di madre integrata. Leggendo le sue risposte si coglie l’importanza che lei dà alla gravidanza a cui sembra predisporsi con tutte le sue risorse. Nelle sue parole traspare una grande capacità di riconoscere i propri stati mentali e quelli del marito, come se avesse la consuetudine di confrontarsi con se stessa e con le persone che la circondano. D – Mi racconta la storia della sua gravidanza? R – È una gravidanza voluta, voluta pienamente, anche perché ho più di trent’anni. Io sono sposata, separata, e adesso convivo con quest’uomo che mi dà più serenità. Ho sempre desiderato avere un figlio, e quindi o lo facevo adesso o decidevo che la mia vita sarebbe rimasta senza figli, perché più in là sarebbe stato più faticoso, secondo me. Allora ho fatto tutti gli accertamenti un anno prima, mi sono preparata; ho tolto la spirale, poi ho aspettato due mesi. Insomma è stata proprio una cosa voluta. Quando sono rimasta incinta avevo appena cambiato lavoro, perché in previsione di voler avere un figlio sono passata da un lavoro a tempo pieno a un lavoro part-time. Volevo avere più tempo, anche perché ho parecchi interessi, faccio ginnastica artistica e tante altre cose e non penso che avendo un figlio uno debba fermarsi completamente; certo uno si dedica a questo bambino, ma deve anche fare le proprie cose. E quindi appena entrata in questo lavoro sono rimasta incinta; l’ho dovuto dire ed è stato faticoso. Poi la cosa si è risolta perché sono stata assunta da un’altra parte. 75

D – Lei ha chiesto di cambiare lavoro dopo aver saputo di essere rimasta incinta? R – No, l’ho cambiato prima. Cioè è stato contemporaneo: io ho cambiato lavoro e dopo pochissimi giorni che lavoravo ho fatto le analisi e ho visto che ero incinta. E poi dopo un po’ mi è arrivata la lettera che avevo vinto un concorso che avevo fatto alcuni anni prima, per cui... Non me lo aspettavo più veramente, però è stata una cosa ottima! Io ora sono in maternità anticipata perché ho avuto dei problemi di contrazioni. Quindi, sì, insomma, mi sono un po’ pianificata la vita, per come la vedo io: avere un figlio è inserire questo figlio nella propria vita, ma non stravolgerla, perciò certamente ti ci dedichi, però non è che ti devi fermare. Questo penso, e tante amiche mie che hanno avuto figli la pensano nello stesso modo. D – Nonostante lei abbia fatto dei cambiamenti per accoglierlo. R – Sì, sì, certo. Infatti, se per la gravidanza e per il figlio devo rinunciare a delle cose io volentieri lo faccio; non è che perdo il figlio per non rinunciare, ma chiaramente cerco di equilibrare la mia vita, le cose che devo fare, il lavoro, gli hobby, le cose che mi piacciono. Ieri sera parlavo con il mio compagno; siamo andati all’opera e ho visto un bambino piccolo di due anni che i genitori avevano portato a sentire il concerto. Io ho intenzione di portarmelo sempre dietro, perché se no o non fai niente tu o lo molli continuamente. Allora io ho l’hobby della ginnastica e faccio anche degli spettacoli e ho anche un’amica cantante che si porta dietro la figlia normalmente. Se sta bene, certo, non dà fastidio, non ha problemi, uno se lo può portare benissimo dietro il proprio figlio. D – Come ha affrontato questa gravidanza? R – Fisicamente ho avuto qualche problemuccio. Psicologicamente l’ho affrontata bene. Cioè sei un po’ sconvolta, e penso che questo succeda a tutti perché c’è qualcosa di nuovo, e qualcosa che non riesci a capire profondamente, 76

soprattutto quando vai a fare la prima ecografia, che ha pochissime settimane e vedi un ragnetto piccolo che si muove. E poi questo bambino che ti cresce dentro, adesso per dire sento il piedino che si muove, oppure tante cosette così. Ti dà i calci, e quindi ti senti una cosa strana e dici: «Oddio mi è cresciuto dentro un bambino». Insomma non è strano, ma è una cosa che ti sorprende. Cioè alla fine tu fai un bimbo che poi diventa un essere umano come sono io rispetto a mia madre e quindi è una cosa che ti sorprende. Però veramente io l’ho accettato da subito; avevo tanta voglia di avere un figlio, di vivere questa esperienza; poi è anche importante il fatto che questa persona con cui sto mi dà una grande tranquillità... Mi dà tranquillità il fatto di avere vicino un uomo su cui posso contare e che sarà così anche in seguito, nell’educazione. D – Come mai un bambino in questo momento della sua vita? R – Istintivamente se uno vuole un figlio, penso che possa farlo anche a quarant’anni, a trentacinque, cioè si può aspettare; però per potergli dare le cose migliori secondo me questa è l’età giusta, e anche un po’ prima, ma nel mio caso non c’erano le condizioni; ora invece le condizioni ci sono. D – Aveva un lavoro diverso? Cosa esattamente? R – Prima facevo dei lavoretti così. Da quattro anni a questa parte ho preso un lavoro fisso, perché chiaramente vivevo da sola, ma ho sempre continuato a coltivare l’hobby della ginnastica artistica. E quindi adesso con un lavoro fisso, con un uomo che ha anche lui un lavoro fisso e che ti dà tranquillità è più facile avere un figlio. D – Siete da molto insieme? R – Ci siamo conosciuti a una festa di compleanno; sono quasi sei anni che ci conosciamo. D – Il figlio quindi è stato programmato. Da quanto tempo? R – Da due anni. D – È stata una decisione presa insieme? 77

R – Ho spinto più io. Ma io penso che in queste cose è sempre la donna che spinge più dell’uomo. Lui forse all’inizio era molto più scettico, però fatto sta che l’altro ieri mi ha detto: «Abbiamo fatto una cosa fatta bene, sono molto contento. Sì lo dovevo proprio fare. È una cosa di cui avevo bisogno». Forse vedo le cose in modo semplicistico, ma anche se so che i rapporti non durano in eterno, penso che qualsiasi cosa si affronti nella maniera giusta non deve spaventare, si risolve cercando di essere intelligenti. D – Senta, ci sono state difficoltà di fecondazione? R – No, no. D – È stato un tempo, diciamo, naturale? R – Sì. D – E precedenti aborti? R – Provocati. Due. D – Sempre con il suo compagno attuale? R – No. D – Mi racconti un po’ come si è sentita quando ha saputo di essere incinta. R – Quando l’ho saputo, dal momento che avevo delle difficoltà oggettive di lavoro, non sapevo se essere contenta o no. Poi ho pensato che tutto si aggiusta, nel senso che di fronte a un problema di tempo, di lavoro, se uno poi vede il figlio rapporta tutto al figlio. Io avevo molta ansia. Mi ha fatto il test la mia dottoressa. Mi ha telefonato e io avevo l’ansia. Mi ha detto di sedermi e poi mi ha detto che aspettavo un bambino. All’inizio resti un po’ stupito, anche perché è una cosa che ti dicono e che non senti; tu ti senti come sempre, normale, finché non cresce un po’ di pancia. D – Lei ha avuto la prima mancanza e ha fatto il test di gravidanza? R – Sì, dopo la prima settimana. D – L’ha saputo per telefono che era incinta? R – Sì, per telefono. La mia dottoressa sapeva che volevamo avere un figlio e chiaramente si sa, senza spirale, avendo rapporti senza anticoncezionali prima o poi... Infatti è arriva78

to subito. Lei mi ha fatto subito le analisi. E poi io ho detto questa cosa al mio compagno per telefono. Tutto per telefono perché tanto era già sicuro, perché sono abbastanza regolare, poi perché era una cosa programmata. D – Nonostante ciò sul momento è stata colta di sorpresa? R – Sì. È una cosa che prende di sorpresa perché fisicamente non la senti. Non è che c’è un bambino. Finché non ti cresce la pancia... Adesso ci parlo come se fosse nato. D – Con chi altro ne ha parlato? R – Con mia madre, mio padre, mia cugina. Mia madre e mio padre stanno fuori, in Puglia. Ho questa cugina con cui ho un rapporto tipo materno e quindi sono andata subito da lei. D – Tutto nell’ambito della stessa giornata? R – Sì, della stessa giornata. Poi la sera ho telefonato a mia madre. Non sapevo se dirglielo, come dirglielo, se andare a dirglielo di persona; poi ho telefonato. D – Come è stata accolta la notizia? R – Mia madre mi ha chiesto se era vero, perché non ci credeva. Poi per loro avrei dovuto prima sposarmi, poi fare il figlio, però io gli ho fatto sempre un po’ accettare tutto quello che mi andava di fare anche perché sono cose mie; magari non mi sposo, quindi loro erano un po’ scettici in questo senso; io pure avevo delle titubanze, nel senso che non sapevo come l’avrebbero presa. Ma loro sono abbastanza aperti. Quando una sa di essere incinta dopo che l’ha detto al partner pensa di dirlo al lavoro; poi volevo dirlo a mia madre ma c’è questa educazione un po’ così; però piano piano queste cose si limano. Chiaramente la loro è un’altra generazione, un’altra educazione. D – Sul momento come le sono sembrati? R – Contenti. Però la contentezza sta aumentando giorno per giorno specialmente perché anche loro stanno lontani; io non sono potuta più andare da loro; sono venuti qualche volta loro, perché avevo dei problemi e non potevo viaggiare. E quindi loro non mi vedono, per cui è pure difficile... 79

D – Come è stata accolta la notizia da Alessandro? R – Il mio compagno l’ha presa bene. Però la donna che c’è l’ha dentro il bambino lo sente molto prima; l’uomo sì, lo sa, però per esempio in questi giorni, è successa una cosa buffa perché io lo sento sempre muovere e invece magari quando lo dico io a lui si muove poco. Ieri mattina stavo supina, Alessandro ha messo una mano sulla pancia, involontariamente, e immediatamente c’è stato un calcio forte; allora lui è rimasto sconvolto per tutto il giorno, perché è stato il primo calcio forte che ha sentito e che gli ha dato l’immagine che questo bambino c’è e quindi adesso lo sente tanto anche lui. «Eh, però mi ha dato un calcio; mi tratta già male...», ha detto scherzando. I primi tempi si doveva abituare, cioè è rimasto più scioccato lui che io, e poi piano piano ha accettato sempre di più questa cosa. D – E da parte della sua famiglia d’origine? R – Il padre e la madre di Alessandro sono morti. Loro sono parecchi fratelli ma ognuno si fa le cose sue. D – Altre persone, amici, ecc... R – Sono stati tutti molto contenti, anche perché ho amici che negli ultimi anni hanno avuto figli, quindi aspettavano anche questo nostro figlio. Tra l’altro loro hanno tutti maschi. Mentre la nostra è femmina. Noi non lo volevamo sapere, poi stavamo lì davanti alla ginecologa che ci ha detto: «Io so il sesso» e allora ci ha incuriosito. Alessandro voleva un maschio; io non lo volevo sapere perché avevo paura che lui non lo accettasse. Invece poi l’ha accettato lo stesso. Poi al limite ne facciamo un altro. D – Come si è sentita e come è cambiata la sua vita durante la gravidanza? R – È cambiata perché non sono andata a lavorare, perché non stavo bene; ma per il resto non è cambiata molto. Mi sono trovata ad avere più tempo a disposizione, a vivere una vita più tranquilla. Nel senso che ho cominciato ad alzarmi più tardi, ecc. I primi tempi che stavo a casa mi sentivo un po’ triste perché ero abituata a lavorare e ad avere gente intorno. E 80

poi quasi nessuno ha tempo di venire a trovarmi. Però adesso mi sono adattata e dentro casa da sola mi trovo benissimo perché ho dei tempi miei. All’inizio quando stavo poco bene e stavo a letto era noioso, ma adesso ci sto bene, faccio tante cose che prima non riuscivo a fare, leggermi con calma un giornale, queste cose così... D – In quale mese è stata a letto? R – Al terzo mese. Era noioso perché avevo troppo tempo a disposizione e non ero più abituata. D – Per quanto tempo la ginecologa l’ha fatta rimanere a letto? R – Due settimane; poi mi sono alzata, ma non sono più andata a lavorare. D – E la vita di Alessandro come è cambiata? Come si è sentito? R – Non so veramente come si è sentito. All’inizio molto responsabilizzato. Perché è un uomo di per sé molto responsabile. È una persona che ha molte attenzioni, molto sensibile, e poi piano piano gli sarà venuto in mente che poteva avere una famiglia. Ha sempre pensato di vivere un po’ più da single, anche vivendo con una donna. Invece poi piano piano, ha cominciato a pensare che stava per avere un figlio e che quindi avrebbe avuto una famiglia. Si è reso conto che sarebbe diventato padre e che avrebbe dovuto avere un ruolo educativo. D – Quindi lei lo ha sentito molto cambiato, nel modo di rapportarsi a lei? R – Sicuramente è molto più disponibile; non tanto i primi tempi, ma in questo periodo è molto disponibile. D – Le viene in mente qualche esempio esemplificativo di quello che mi dice? R – Ma, non lo so. Adesso vedo che è più concentrato sul nostro rapporto. Ed è molto divertente; chiacchieriamo molto, parliamo delle nostre cose. Abbiamo sempre chiacchierato molto, perché io sono molto chiacchierona. A me piace chiacchierare, mi piace capire le persone che ho vicino, 81

come sono, e lui è più disponibile. Poi penso che forse lui aveva paura. Io sono molto comunicativa e devo far partecipare tutti alle mie cose; sono fatta così. E così lui adesso ha deciso di assistere al parto per il momento, a meno che non cambi idea all’ultimo. Io gli ho chiesto di starmi vicino durante il travaglio; per il parto farà come si sente. Io penso che si devono vivere insieme queste cose. Io gli dico tutto quello che succede, per cui, anche se all’inizio si era posto con un atteggiamento più distaccato poi ha cominciato a porsi in modo diverso; interviene a tutte le ecografie e partecipa a tutte le cose. D – È una richiesta che fa lui? R – All’inizio era una mia richiesta; adesso lui lo fa perché chiaramente questa è una cosa molto bella, cioè si è accorto che è bella, per fortuna. D – Pensa che ci sia stato un cambiamento anche nelle abitudini di Alessandro, nel suo lavoro? R – No, nel lavoro no, lui si è sempre impegnato moltissimo nel lavoro, anche perché fa un lavoro molto delicato, di grande responsabilità. Certo, il pensiero di avere questa bambina, lo fa ringiovanire; si sente molto gioioso come persona, e sente che questa cosa gli ridarà molta carica anche nelle sue attività, perché in fondo ricominci da capo un po’ tutto quello che hai. D – E in che modo pensa che il rapporto con lui sia cambiato durante la gravidanza? R – Sicuramente è più disponibile, ma è più un fatto di testa, perché in termini di tempo era disponibile anche prima. In fondo abbiamo sempre fatto le cose insieme, ma ora ci mette più testa in questo rapporto. Ora ci divertiamo molto di più insieme, anche se non facciamo grandi cose, pure perché io sto così, non è che possiamo andare fuori a fare la settimana bianca, perché io non mi posso muovere. Però per dire, ci divertiamo nel senso che parliamo di tante cose, chiacchieriamo di più. D – Quindi c’è stata una diminuzione dei conflitti? 82

R – Sì, ma noi ne abbiamo avuti sempre pochi di conflitti; forse però adesso sono diventata molto più importante per lui, appunto perché faremo un figlio insieme... D – E nella vita sessuale ci sono stati cambiamenti? R – No, cambiamenti non tanti, però è chiaro che quando io non sto molto bene, non possiamo avere rapporti sessuali. Adesso forse, man mano che andiamo avanti, ottavo mese, nono mese, l’uomo ha sempre più paura di fare male al figlio; invece la donna ha gli stessi stimoli perché... non succede niente. D – E sul piano del comportamento l’ha visto più protettivo? R – Lui è un uomo di per sé protettivo; è fatto proprio così, quindi la differenza è minima; però chiaramente è più protettivo, nel senso che adesso, ad esempio, non mi posso muovere, e allora lui mi pulisce tutta la casa; cioè adesso gli chiedo di fare delle cose per casa, oppure gli chiedo di accompagnarmi e lui è molto più disponibile perché sa che è un momento in cui io non posso fare le cose da sola, e penso sia normale per tutti. D – E con sua madre come va in questo momento? R – Bene. D – Ha notato dei cambiamenti rispetto a prima? R – Ma, sì, forse. Lo dicevo pure ad Alessandro. Quando è stata qui per una settimana, ho notato dei cambiamenti... Io sono sempre stata volentieri con mia madre, anche perché sono sempre stata in giro a studiare e quindi la vedevo poco. Loro mi hanno mandato a studiare fuori fin da ragazzina e quindi non sono stata molto in famiglia. D – Quindi lei è uscita presto da casa? R – Sì. Sono sempre stata in casa di altre famiglie, e quindi lei mi vedeva sempre piccola, e io la vedevo sempre mamma; mia madre parla poco, io invece le dico tutto quello che sento, tutte le mie paure... D – Quindi è stata più aperta in questo periodo con lei? R – Sì, però in generale lo sono molto. 83

D – Quindi più che altro da parte sua ha notato un cambiamento... R – Ma no, cioè non è cambiato molto, cioè forse sono cambiati un tantino i rapporti nel senso che, sia lei che io ci siamo accorte che eravamo due persone completamente adulte, che io posso fare un figlio, che divento mamma e lei diventa nonna. In questo senso c’è stato un cambiamento, ma è stato minimo. In generale abbiamo un buon rapporto. D – Da cosa lo ha sentito questo cambiamento? R – Quando è stata qui, ho subito sentito di parlarle di questa cosa, cioè non avevo problemi a parlarle di questo figlio, del fatto che lei stava per diventare nonna; non avevo grossi problemi e poi mi sono accorta che in effetti abbiamo un rapporto più adulto. Ho fatto questo tipo di analisi. D – Anche il fatto che lei era venuta a trovarla era dovuto alla gravidanza? R – Sì, sì, ma gliel’ho chiesto io; lei non voleva rimanere, perché non le piaceva stare a Torino, non ci si trova, però io ho insistito perché erano i primi tempi che avevo avuto le contrazioni e avevo bisogno del suo aiuto. D – Al terzo mese? R – No, adesso, all’inizio di novembre. Lei però non ci voleva stare, infatti è stata un paio di giorni poi se ne è andata, non resisteva qui a Torino perché non sa dove andare a fare la spesa, è tutto troppo diverso rispetto al paese. Per cui a un certo punto è andata via. Poi ha fatto i completini. All’inizio non faceva queste cose perché non lo sentiva. Adesso invece ha già preparato un accappatoio per la bambina e tutte queste cosettine; si dà molto da fare. Poi ha detto che verrà quando partorirò, una quindicina di giorni, anche se non le piace stare qua. D – Quando ha notato i primi cambiamenti del suo corpo? R – Questa è una cosa che tutti mi chiedono. Allora, nei primi mesi, tipo a quattro mesi quando si comincia ad avere un po’ la pancia. A quel punto la pancia non si vede bene, ti 84

senti solo un po’ ingrassata e ti senti un po’ bruttina. Allora cercavo di mettermi addosso le cose così... anche perché insomma vedevo che Alessandro aveva dei problemi, o forse era solo una mia impressione perché lui non mi ha mai detto niente; ero io che mi sentivo un po’ così. Adesso che ho la pancia grossa invece non ho problemi: se passo davanti allo specchio me la vedo, perché non me la sento, cioè mi sento normale, invece la vedo che è bella grossa; però non mi spavento, mi sorprendo. In generale non ho il problema che mi cresce la pancia. D – Si sente quindi carina con la pancia? R – Sì, con la pancia in generale sì. D – Quindi più all’inizio ha avuto qualche difficoltà... R – Sì all’inizio perché sembravo un po’ ingrassata, ma adesso mi piace guardarmi la pancia allo specchio. D – E Alessandro? R – Anche ad Alessandro adesso piace. D – Che tipo di sensazioni pensa che abbia Alessandro, rispetto a lei, diverse o uguali? R – Secondo me sono uguali. Perché all’inizio forse si è visto vicino una persona che si stava trasformando, però adesso quando mi vede mi dice: «Che bella pancia che hai». Chiaramente quando mi vesto sembro una specie di barilotto, ma scherziamo, ridiamo... D – E quando ha cominciato a indossare gli abiti premaman? R – Ce ne ho uno, poi mi sono comprata una tuta molto larga, insomma sto più tranquilla. Chiaramente se devo andare a una festa, a una cena, mi metto quest’abito. Non ho molti problemi. D – Ha continuato ad usare i vestiti che aveva prima? R – Sì, finché non mi hanno dato fastidio le cinte. Ho comprato degli abiti normali larghi, tipo taglia 52. D – E quando Alessandro l’ha vista con questi vestiti più larghi, le ha detto qualcosa, ha avuto delle reazioni? R – No. All’inizio mi ero comprata un vestito molto largo, 85

anche carino. Ora le cinte mi danno più fastidio rispetto ai primi mesi della gravidanza e ho paura di fare male alla bambina. E allora mi sono comprata questo vestito largo e lui mi diceva: «Ma forse sei un po’ esagerata» perché non mi si vedeva niente con questo vestito largo, però... D – Ci sono stati momenti di particolare emozione durante la gravidanza, fino ad ora? R – Certe volte mi viene una grande tristezza; non so se è una cosa normale legata alla gravidanza. Per esempio notavo che mi impressiono più facilmente e recepisco molto di più; adesso non so se è la gravidanza e certe volte mi viene una grande tristezza come un vuoto dentro lo stomaco. Ansie ne ho avute poche, cioè rispetto a come mi sento io. Secondo me sono una persona ansiosa. Ora vedremo come farò questo parto; però ho poche ansie rispetto a quello che immaginavo, cioè io pensavo che ad un certo punto mi sarebbe venuto il panico, ma forse devo aspettare ancora un po’ di tempo; prima o poi forse mi verrà il panico, però credo di poter reagire bene, perché penso al parto come a una cosa naturale. D – Si sente tranquilla? R – Forse adesso è ancora presto per dirlo, perché una mia amica che sta per partorire, mi ha detto che adesso le è venuto il panico, che prima non aveva. Però se io penso al parto e a tutta la gravidanza, mi viene molta ansia; mi succede se per esempio ripenso a quel giorno in cui la ginecologa mi disse che la bambina spingeva e ci poteva essere anche un problema di aborto al sesto mese; allora ho telefonato ad Alessandro che è venuto subito; credevo che mi sarei calmata e invece quando ho sentito Alessandro mi sono messa a piangere. Comunque, una cosa che adesso è cambiata rispetto a prima è che io ho sempre mangiato molto male e ultimamente invece cerco di mangiare in modo più regolare, anche se qualche volta sgarro perché mi piacciono cose come i supplì, la pizza, e qualche volta cedo, però in generale cerco di mangiare riso integrale, minestroni, spinaci; ci tengo di più e se mangio male mi sento come se avessi fatto un torto a mia fi86

glia. Sto molto attenta anche a non fare sforzi. Mi sento molto più responsabilizzata pensando alla bambina. D – Ha paure specifiche? R – Forse ho paura che abbia dei problemi, dei difetti, però non è una paura molto grande, cioè io sono convinta che partorirò una bambina bellissima; non lo so come è che ne sono convinta. Magari però certo, quando penso a come sarà mia figlia penso che la cosa più importante è che sia sana, come tutte le mamme; lo pensano anche i papà. Però grossi problemi, a livello di panico, non ne ho mai avuti. Solo piccole paure perché ho avuto problemi di aborto, perdite, contrazioni, ma tutto qui. Non ho paura né di crescerla, né per quello che le dirò; mi sembra talmente una cosa naturale, che si inserisce nella nostra vita, nella nostra casa che è piccola, in tutte le nostre cose. D – Ha fatto sogni relativi alla gravidanza? R – Un sogno che mi ricordo, di poche sere fa è che io avevo delle perdite di sangue dalla bocca, non capisco il perché. Una notte, e lo dissi anche ad Alessandro, mi misi paura perché sognai una donna che mi voleva dare le capocciate nella pancia, e io mi coprivo dietro ad Alessandro, e poi mi sono svegliata di colpo. Comunque quando sogno mi vedo incinta, sì, adesso sì, sogno sempre, anche se me li ricordo poco i sogni, tranne questo sangue dalla bocca perché non riuscivo a respirare. Ecco, un fastidio che ho nella gravidanza è che se sto allungata ci sono momenti in cui mi sembra che mi manchi il respiro, ma penso che sia normale. E a mano a mano che si va avanti aumenta sempre di più. D – Quando ha avuto questi stati d’animo di cui mi parlava prima, come li ha affrontati? R – Li ho affrontati sentendoli, e basta; è una cosa anche piacevole, perché provi queste forti sensazioni. D – Li ha affrontati da sola? R – Sì, qualche volta ho detto ad Alessandro che mi sentivo un po’ triste, ma non erano stati d’animo eccessivamente brutti. Mi dà fastidio sentire tutte quelle cose di attualità che 87

parlano di morte precoce, di queste cose, perché già ero emotiva prima, ma adesso lo sono molto di più. D – E Alessandro come ha reagito emotivamente alla gravidanza? Ha avuto anche lui uno stato d’animo particolare? R – No, quello che ho detto prima: si sentiva molto responsabilizzato, molto contento, molto gioioso. Un po’ di difficoltà ad accettare la cosa, ma perché è una cosa nuova. Era un po’ sbalordito. D – Abbiamo parlato insieme della storia della sua gravidanza. Ritiene che ci siano delle cose negative o positive di cui non abbiamo parlato rispetto a questa storia? R – Non lo so, poi ogni tanto mi viene in mente una cosa. La gravidanza è una cosa lunga, non è una cosa di un minuto. No, in generale posso dire che è stata positiva, perché grossi disturbi non ne ho mai avuti, cioè disturbi a livello di non accettazione, o di vedermi brutta, ecc. Non ho avuto panico, depressione, e per adesso non ho paure. Mi piace molto parlare con le altre donne che sono incinte, infatti con le mie amiche che hanno avuto figli ci parlo sempre. Parliamo della gravidanza, del parto, dell’esperienza del figlio in futuro; ne parlo molto perché è una cosa che mi è sempre piaciuta. D – Le interessa sapere le esperienze degli altri? R – Sì, e poi vedo che sono quasi tutte simili le cose che si sentono. E il corso di preparazione al parto mi piace moltissimo, un po’ perché vai lì, ti rilassi, e io mi addormento sempre quando faccio il training, tanto che dopo un po’ la dottoressa non la sento più; e poi perché mi piace proprio andarci; è un impegno. Forse anche perché sono contenta di vedere altra gente, dal momento che sto sempre dentro casa. Allora adesso vado lì, poi ritorno, e passo una mattinata piacevole. D – Adesso pensa di ricominciare o le hanno detto di rimanere a riposo? R – No, penso che ricomincerò, dopo la visita che mi rifarà la ginecologa. Le dovrò chiedere se posso fare ginnastica. Adesso ho smesso. 88

D – Le visite, gli esami di controllo li ha fatti tutti regolarmente? R – Sì, la prima ecografia all’undicesima settimana con tutti i risultati buoni. Una cosa fondamentale è che ogni volta che vado a fare l’ecografia sono emozionatissima. La ginecologa mi ha detto che è normale; devo farne una a metà dicembre e sono emozionata perché ormai vedo una bambina già grossa; cioè in fondo l’ecografia non ti fa niente, e Alessandro non riusciva a capire e mi chiedeva: «Ma com’è? Non ti fa male? Non ti fa niente?». D – Pensa di partorire in una struttura pubblica o privatamente? R – In un ospedale pubblico. D – E si è fatta seguire sempre lì o ha consultato diversi ginecologi? R – Io mi facevo seguire dal consultorio di quella zona, poi appunto una mia amica ha partorito in quell’ospedale con la mia ginecologa. D – E quindi privatamente si fa seguire da lei? R – Sì, io vado lì. La mia amica invece per esempio il corso l’ha fatto vicino a casa sua. Era più semplice perché ci andava a piedi. Io preferisco farlo lì, perché secondo me è importante il fatto che conosca quell’ospedale prima di andarci a partorire. Cioè... io ho notato una cosa: che ho più paura della struttura ospedaliera che del dolore. Se potessi partorirei a casa, però so che ci sono dei rischi. Io poi abito all’ottavo piano e se mi succede qualcosa prima che arrivi l’ambulanza bisogna che mi portino giù. Sarebbe una cosa pericolosa. Se avessi potuto l’avrei fatto a casa, perché mi dà più tranquillità psicologica. Almeno però cerco di andare in quell’ospedale, di conoscere meglio questo medico che mi segue privatamente, e che fa i turni. Poi conosco la signora che fa il corso, e mi sento un po’ come a casa mia. D – In un ambiente familiare? R – Ecco, un ambiente familiare. 89

D – Mi diceva che di solito l’ha accompagnata Alessandro... R – No, la prima volta mi ha accompagnato lui, adesso invece no; se lui può venire viene se no non fa niente. D – Va da sola? R – Se vado di sabato mattina lui ci viene sempre. Gli altri giorni fa quello che può. È chiaro che i permessi dal lavoro se li prende pure, però non sempre è possibile perché con tutte le cose che bisogna fare, fra corso, analisi, ecografie ecc., stai sempre dal medico, e lui per accompagnarmi ogni volta dovrebbe stare come me in gravidanza... D – Come disturbi mi diceva che ha avuto solo delle perdite iniziali? R – Inizialmente avevo mal di stomaco, cioè i primi mesi ho anche vomitato la mattina, ma non ho avuto altri disturbi. Adesso ho qualche doloretto di stomaco; certe volte mi gira un po’ la testa, forse per il freddo, o perché ho mangiato poco, o perché ho mangiato male. D – Come aumento di peso è stato abbastanza graduale? R – Sì. D – Alterazioni del sonno? R – Sì, forse sì, anche perché certe volte mi sento questo soffocamento. E poi secondo me perché dormo tanto. Per dire, se vado a dormire all’una di notte è sicuro che mi sveglio la mattina, se invece mi viene sonno alle dieci di sera, mi sveglio durante la notte. D – E voglie? R – Ma, alle voglie non ci ho mai creduto; le voglie ce le avevo pure prima, nel senso che mi veniva voglia di un dolce... Certe volte me le tolgo, come un giorno che mi sono andata a comprare una vaschetta di gelato e me la sono mangiata tutta. In genere però cerco di tenermi. E comunque no, voglie notturne non ne ho mai avute. D – E il parto come lo immagina? R – Io con tutto che mi sforzo di pensare che è molto doloroso, cioè sicuramente è molto doloroso, poi me ne hanno 90

parlato, però me lo immagino come una cosa naturale. Cioè mi immagino questa bambina che esce, e chiaramente mi fa un po’ male, però mi sembra una cosa naturale. Immagino che avrò un parto breve, però come dice giustamente la dottoressa del corso, non bisogna andare in ospedale ai primi doloretti. E io non andrò sicuramente ai primi doloretti. Facendo il corso mi farò dire quando è il momento; non voglio partorire a casa con Alessandro vicino; si spaventerebbe da morire, non saprebbe cosa fare. Comunque lui deve stare con me dall’inizio del mio primo doloretto fino alla fine. Poi il parto se lo vuole vedere lo vede. Sono cose personali. Durante il travaglio deve solo farmi compagnia. Però credo che sia noioso, perché durante il travaglio non si può fare niente, mi hanno detto. Mi porterò un libro, mi leggerò qualcosa... Sono molto rassicurata dal fatto che il dolore non è continuo, mi sono documentata bene, ho letto un sacco di libri e ho capito che il dolore dura un momento, poi c’è una pausa, massimo un minuto durano i dolori. Almeno così dicono. Io in realtà non lo so perché non ho mai partorito. D – Quindi le sembra una cosa sopportabile? R – Sì, io sopporto il dolore se inframmezzato, se non è continuo, anche se ci sono solo due minuti di pausa. Se mi dà un attimo di respiro, lo sopporto. D – Quando si è resa conto che c’era una bambina dentro di lei, che cosa ha provato? R – Come ho detto prima, molto stupore. E in questo periodo, sarà che leggo molto, che faccio molte cose, mi sento molto creativa, e Alessandro mi ha detto: «E certo, è il periodo più creativo». E allora io gli ho detto questa frase: «Effettivamente se ci pensi io e te abbiamo creato una bambina, creata dal nulla, perché prima non c’era niente», e quindi man mano lo senti naturale; adesso lo sento come se fosse una bambina proprio, perché la sento muoversi, certe volte, tipo ieri sera che ho sentito proprio il piede; secondo me era il piede, cioè una cosa che spingeva e che piano piano si spostava... Sì, un po’ di stupore. 91

D – E la consapevolezza che c’era questa creatura è arrivata con i primi movimenti? R – Con i primi movimenti, ma soprattutto da un mesetto a questa parte, cioè adesso la sento proprio, sento che c’è un essere dentro... D – Intorno a quale mese? R – Al sesto. D – È una bambina che si muove molto o poco? R – Molto, cioè quando sto in piedi si muove poco, ma basta che mi sdraio, sembra che fa le capriole continuamente. D – E lei che interpretazione dà a questi movimenti? R – Io non è che ci ho pensato molto, ho letto, ma alcuni dicono perché è ansiosa, alcuni dicono perché è vivace, perché è normale che si muova. Spero che sia vivace più che ansiosa, per lei; però effettivamente per caratteristiche genetiche ha un padre e una madre che sono ansiosi. E poi io sento che se sono agitata lei si muove molto di più. Una sensazione che ho è che lei influenza anche il mio umore, nel senso che se lei sta poco bene, è un po’ turbata, influenza anche me. Ma questo non l’ho letto da nessuna parte. D – Questo è un suo stato d’animo? R – È un mio stato d’animo, una cosa che sento io. D – Come immagina la sua bambina? R – Bella. Immagino che esce ed è bella, e chiaramente poi dorme. Deve dormire qualche mese di seguito. E poi dopo me la immagino calma, simpatica, soprattutto sempre sorridente. D – Caratteristiche fisiche? R – Me la immagino alta, magra. E poi me la immagino bionda, con gli occhi chiari. Insomma bella, proprio bella. D – Alessandro come la immagina? R – La immagina bionda di capelli anche lui. Dice che faremo una figlia proprio bella. D – Potrebbe dire che fra lei e la bambina si è già creato un rapporto? R – Non lo so, io le canto la ninna nanna, anche perché me 92

la invento. Io ci parlo, ma in termini molto semplici, tipo: «Come stai?», parlo nella mia testa più che a voce. La mattina le dico: «Ora ti canto una ninna nanna, stai tranquilla». Forse è una mia impressione, ma quando sente la mia voce mi sembra più tranquilla. E poi sente tanta musica; io sono convinta che lei senta tutto. Ne sono proprio convinta. Per esempio, quando viene mia sorella io le dico: «Tu devi parlarle, così poi lei ti riconosce». Allora lei comincia: «Io sono la zia!». Lo dice scherzando, però credo che lo pensi sul serio. D – Come le parlate? Usate qualche nomignolo? R – Sì, tutti i nomignoli: passerotta, ragnetto... Alessandro dice: «Ragnetto, come stai oggi?». Insomma, le parla un po’ così, con una voce un po’ diversa, non è che le parla come a un adulto. D – La bambina l’ha mai sognata? R – No, io ho sognato che partorivo una femmina, prima che lo sapessimo. Io ho sognato che era una femmina, e Alessandro mi ha detto di aver sognato che usciva fuori una bambina bellissima! D – Lei ha sognato il sesso? R – Sì. Lo sentivo, non è che l’ho visto, però me lo sognavo con la sensazione che era femmina. D – Sognato proprio no, però... R – No, con la bambina già fatta no. D – No, anche nella pancia, un sogno che riguardava la bambina. R – No, io sogno me stessa con la pancia, ormai con la pancia. D – Poi mi ha detto che l’ha vista nell’ecografia. R – Sì. D – Quando ha fatto la prima ecografia in cui l’ha vista, che sensazione ha avuto? R – La prima ecografia l’ho fatta all’undicesima settimana, e si è vista proprio lei, si sono visti i piedini. Era abbastanza irrequieta, forse perché le dava fastidio l’ultrasuono, non so. D – Cosa ha provato? 93

R – È stato stranissimo: alla prima ecografia non ero neanche emozionata, perché non sapevo neanche che cosa avrei visto. Poi ho visto questa cosa... e siamo rimasti così; è da lì che Alessandro l’ha chiamata «ragnetto», perché sembrava un ragno. D – E a lei come è sembrata? R – Sì, più o meno un ragno, perché era piccolissima. D – Ha visto le gambette? R – Le gambette, sì. È impressionante vedere un essere umano che è piccolissimo e tutto formato. Prima sono sempre stata a favore dell’aborto, e anche adesso. Però all’undicesima settimana, o alla decima, o anche prima, alla settima o all’ottava, quando la ginecologa ci ha detto che già è formata, allora ci pensi, prima di abortire. Praticamente è già un essere umano. D – Quando si è ripetuta l’ecografia? Ne ha fatte altre, poi? R – Ne ho fatta una dopo che ho avuto la perdita, però era proprio all’inizio, e poi l’avevo fatta una quindicina di giorni prima, e appena fatta quella mi è venuta la perdita. Era simile, era piccolina uguale. D – Non ha visto niente di diverso dalla prima ecografia, quindi. R – No. Poi ne ho fatta un’altra ancora, ai primi di ottobre: la bambina era un pochino più grande, col capoccione grosso... Però sono tutte simili, ciò che cambia è la grandezza. Certo è la stessa cosa, ma lei è più grande. D – Adesso ne deve fare un’altra? R – A metà dicembre. Sarà sicuramente grossa, grossissima, sarà quasi normale. D – Avete scelto il nome? R – Sì, noi pensavamo di chiamarla Chiara. D – È un nome di famiglia? R – No. All’inizio ci è venuto così: è bello, e come nome ci piaceva. E poi mi faceva venire in mente alcune persone che conosco che si chiamano così. Ma a parte questo è proprio 94

bello il nome di per sé. Per adesso abbiamo in mente questo, ma poi vedremo. D – Che cosa ha preparato per la bambina? R – Ho comprato poche cose, perché adesso comincio a capire cosa devo comprare. All’inizio non mi rendevo conto di come dovevo vestirla. Però le ho fatto io a mano le cose. Mi piace fare delle cose a mano, anche se non l’ho mai fatto in vita mia... Le ho fatto un golfino, anche se chiaramente ho sbagliato la misura, poi piano piano le ho fatto un completino, le ho ricamato delle cose. Io non ho mai fatto queste cose, però ho imparato, ho letto i libri, mi sono comprata la lana, il filo... Poi però ho deciso che appena posso mi faccio un giretto, le compro delle cose. D – Ci sono delle cose positive o negative di cui non abbiamo parlato? R – Io penso che abbiamo detto tutto, per adesso. D – Volevo chiederle ancora una cosa: le succede mai di pensare a come sarà la bambina? Come la vorrebbe nei primi mesi? R – Calma. Vorrei che non si agitasse molto. Ma questo penso lo vogliano tutti, un po’ per te, perché se no non ti farà dormire, ma più che altro per lei, perché se è calma me la posso portare dappertutto. Allora mi piace immaginare di avere questa bambina sempre con me, di poter fare le mie cose con lei. D – Come vorrebbe che non fosse? R – Vorrei che non avesse problemi fisici, malattie. Ecco, la cosa fondamentale, soprattutto nei primi mesi, è che non stia male, fisicamente. Perché i primi mesi non credo che interagisca molto, cioè non è che ci puoi avere un dialogo, un rapporto. Nei primi mesi sei tu che sei molto attiva. Io le parlerò molto sin da quando nasce, le spiegherò che cosa è questo, che cosa è quello, perché secondo me capisce, recepisce almeno a livello istintivo. Poi chiaramente lei dorme, mangia, non è che interagisce. Dopo, non vorrei una bambina lenta, imbambolata: io non sopporto i bambini, e anche le persone in generale, che non siano vivaci. 95

D – E Alessandro come pensa che la vorrebbe? R – Più o meno come me. D – Prima mi diceva di non avere molte preoccupazioni rispetto allo stato di salute alla nascita, nei primi mesi. R – No, io me la immagino come una bambina che sta sempre bene. D – Di che cosa pensa abbia bisogno nei primi mesi? R – Soprattutto di molto affetto, di molto amore, di molta attenzione, nei primi mesi soprattutto. Insomma, di sentirsi in un ambiente caldo, pieno di attenzioni, seguita, molto accettata. D – C’è qualcosa che non le ho chiesto, positiva o negativa, che voleva aggiungere? R – No, penso di no. D – Ci sono delle caratteristiche della sua famiglia o di quella di suo marito che lei vorrebbe o non vorrebbe per la sua bambina? R – Fisicamente? D – Sì, fisicamente, ma anche del temperamento, del carattere. R – Sì, fisicamente vorrei che somigliasse ad Alessandro, che venisse bella, una bella bambina, una bella ragazza. Anche come intelligenza, come perspicacia, vorrei che prendesse dal padre. Della sua famiglia non so, non è che l’ho conosciuta molto, il padre e la madre non li ho conosciuti. Della mia famiglia vorrei che prendesse l’allegria, perché secondo me è una famiglia molto allegra, vivace, specialmente mia madre. E poi l’intelligenza: mi reputo figlia di una famiglia intelligente, mio padre soprattutto. D – E in negativo? R – In negativo, forse, la testardaggine. D – Dei suoi? R – Sì, della complessità della mia famiglia. E di Alessandro l’ansia, più che altro, perché ho visto che anche i suoi fratelli sono tutti molto ansiosi, tutti molto nervosi. 96

D – C’è qualche altra cosa che vuole aggiungere della bambina, in positivo o in negativo? R – No, penso di no. D – Che tipo di madre immagina di essere nei primi mesi? R – Nei primi mesi vorrei essere tollerante, disponibile. Mi immagino di essere molto stimolante per la bambina, molto affettuosa. D – Che tipo di madre non vorrebbe essere? R – Non vorrei essere ossessiva, ansiosa, autoritaria, però in senso negativo. D – Pensa che la bambina vada un po’ abituata, per esempio ai ritmi del sonno, o che invece bisogna un po’ aspettare che prenda i suoi ritmi? R – Secondo me, più da sola. Se ha sonno dorme, se no, no. D – Il sonno era un esempio. Le viene in mente qualche altra cosa? R – Per quanto riguarda il mangiare, i ritmi ce li avrà lei. Io penso che di per sé poi la bambina si autoregoli, a parte i primi mesi forse, ma in seguito sarà diverso. Mi danno un po’ fastidio quelle mamme che vogliono che il bambino vada per forza a dormire sempre alle nove. Ci sono delle mie amiche che non fanno più niente perché il figlio alle nove deve dormire e basta. Io penso che se la bambina non si deve svegliare eccessivamente presto, anche se va a dormire alle undici non ci sono grossi problemi. Penso che bisogna regolargliela di meno la vita. Per quanto riguarda il mangiare forse è diverso, perché se deve mangiare alle otto e trenta e deve mangiare in un determinato modo, non è che uno può stare fuori e le dà un pezzo di pizza! Secondo me è fondamentale quello che le si dà e come glielo si dà. Certo, non la si fa dormire due ore a notte. Però, se ci si sta attenti, se la domenica vuole dormire fino a mezzogiorno, magari può fare anche tardi. D – Dopo la nascita pensa di farsi aiutare da qualcuno? R – Qualche giorno dopo da mia madre. Dopo, penso che Alessandro prenderà un po’ di ferie. Poi finché sto a casa io 97

avrò bisogno di un aiuto, ma molto relativo, anche perché non c’è nessuno che mi può dare una mano. Dopo, quando tornerò a lavorare, dopo sei o sette mesi, penso che la metterò all’asilo. D – Anche qui quindi abbiamo parlato di come sarà lei come madre. C’è qualche cosa che le sovviene, in positivo o in negativo, che non le ho chiesto? R – No, ho detto tutto. Vorrei essere una madre disponibile, più che altro. Disponibile, però senza dover sacrificare me stessa, questo sia ben chiaro; nel senso che le cose mie le voglio fare, anche perché è giusto che la bambina miri alla mia indipendenza per poi costruire anche la sua. D – Mi racconta come era da piccola? R – Avevo un carattere molto difficile, ero molto nervosa, capricciosa. Siccome ho avuto degli incidenti, ho avuto anche l’epatite, mi hanno un po’ viziata. Ero molto strana, avevo una caratteristica che mi rimane anche adesso: volevo rapporti sociali «facili», nel senso che non mi andava di faticare molto e volevo che gli altri mi accettassero completamente. Ero aperta, però ero anche chiusa, introversa e estroversa allo stesso tempo. Per i miei problemi più intimi ero molto introversa, molto cocciuta, e molto difficile, insomma. D – E del suo primo anno di vita, da quello che le dicono i suoi, chiaramente, che immagine ne ha? R – La cosa che mi dice sempre mia madre è che appena nata avevo preso il giorno per la notte, nel senso che la notte non dormivo. E poi che ero tranquilla, per quanto potessi essere tranquilla. D – Come aspetto? R – Come aspetto molto carina. Appena nata, chiaramente, ero come tutti i bambini, che quando nascono sono un po’ bruttini, per lo sforzo che ne so. Ma dopo molto bella. D – E come temperamento? R – Molto decisa: quando voglio fare una cosa la devo fare. D – Ed era così sin da piccola? R – Io penso di sì, che mi ricordi sì. 98

D – Com’era il suo rapporto con i suoi genitori, da piccola? Può fornire degli esempi per descrivere il rapporto con suo padre e con sua madre? R – Mio padre mi dava molta tranquillità, mia madre molto meno. Mi veniva molta sicurezza da mio padre, perché era lui che si proponeva così. Però nello stesso tempo vedevo che era un uomo molto difficile, che aveva molta difficoltà nei rapporti affettivi. È un po’ strana questa cosa con mio padre, perché è un uomo abbastanza permissivo, entro certi limiti, molto comprensivo. Nonostante sia vissuto in un paese piccolo, è molto aperto, molto all’avanguardia. Per quanto riguarda l’educazione, non è uno di quei padri che ti punivano se ti truccavi. Non era repressivo quando si trattava di andare a una festa. Certo, in alcuni momenti lo era, anche perché io ero una femmina, scattano anche certi meccanismi di gelosia... Però aveva dei modi di fare strani. Secondo me non era molto sincero con se stesso. Alcune volte mi diceva delle cose in cui non credeva fino in fondo, e fingeva anche, in alcune situazioni. Mia madre l’ho vista sempre molto nervosa, molto materna certo, ma molto nervosa e forse poco attenta alle esigenze nostre, mie e di mia sorella. Nel senso che lei è molto affettuosa con i figli, per carità, amorevole, proprio «mamma», però mamma fino a che rimanevi nel suo filo, nella sua traiettoria. Era molto nervosa perché aveva il negozio, perché aveva un sacco di impegni, di cose che erano insoddisfacenti per lei e quindi mi ricordo che da piccola a volte mi trattava male, per esempio, perché era nervosissima, era esaurita, doveva fare tante cose, e mi mandava al quel paese. Aveva poca pazienza con me, insomma. D – Non le sovviene qualche episodio di quando era bambina, rispetto a suo padre o a sua madre? R – Per esempio, mio padre faceva il ferroviere, e partiva, stava sempre in giro. Io rimanevo di notte sola con mia madre. Avevo molta paura, perché mio padre mi dava più sicurezza, avevo paura che mia madre non mi potesse aiutare se stavo male. Avevo molte angosce, che mi sono ritornate an99

che adesso durante la gravidanza. Ho vissuto delle tristezze improvvise. D – Le provava anche allora? R – Sì, le ho provate sempre, in alcuni momenti della mia vita. D – Particolari? R – Sì, ma più che altro allora che ero piccola, e adesso qualche volta. D – C’è qualche altra cosa rispetto a sua madre che pensa che vada aggiunta in positivo o in negativo? R – Del carattere non ho messo in evidenza cose positive. La positività di mia madre è che è molto allegra. Mio padre è più triste di mia madre; mia madre è molto allegra e io ho preso questa allegria e spero che anche mia figlia la erediterà. È allegra, è molto indipendente, non è pettegola, è una persona molto simpatica, ci si sta bene insieme. È molto istintiva, e per questo poi è molto nervosa, piena di ansie. Una cosa che non mi piace di mio padre è l’ansia. Una cosa che invece mi piace molto di mio padre è la precisione: mio padre è molto preciso, quando gli chiedo di fare una cosa ho la sicurezza al 100 per cento che la farà. Questa è una cosa che mi piace molto.

Madri non integrate

Un esempio di madre «non integrata» è quello di Roberta, una giovane donna di ventinove anni. L’idea di avere un figlio trova spazio in lei fra mille ambivalenze e incertezze, mostrando tutte le difficoltà che una madre non integrata manifesta nell’assumere pienamente un’identità materna. D – Mi racconti la storia della sua gravidanza. R – Mi faccia delle domande specifiche. D – Sì. Come mai un bambino? Come si è sentita? Come ha affrontato questa gravidanza? R – La decisione di fare un figlio sta nella mia testa già da tanto tempo. Io ho ventinove anni; mi sono sposata con mio marito due anni fa, ma stiamo insieme da tredici anni. Andavamo nella stessa scuola. Sapevamo che prima o poi avremmo fatto questo figlio, ma all’inizio era complicato, perché io faccio l’attrice, per cui viaggio sempre e sono spesso all’estero. C’erano, insomma, una serie di complicazioni di tipo lavorativo che non si superavano mai. L’idea di avere un figlio quindi io l’avevo da tanto tempo, almeno da quando avevo ventitré-ventiquattro anni. A un certo punto abbiamo deciso che era arrivato il momento. Mi era passata quella voglia forte che ti viene la prima volta che ci pensi, che però dici «no, non posso», ma quella voglia emotiva era diventata una cosa razionale. Per questo secondo me è stato più giusto farlo adesso che farlo prima e più passa il tempo più sono contenta di questa decisione. Sono proprio convinta. Prima magari la spinta emotiva era forte, ma avrei do101

vuto rinunciare a tante cose. All’inizio pensavamo: «Lo facciamo nascere a febbraio, no, a gennaio, no, a giugno», poi ho smesso di fare tanti calcoli. Sono rimasta incinta a settembre. Ora stiamo vivendo un periodo bellissimo della nostra vita. Non so se dipende dal figlio, io non lo posso sapere. Certo come stato d’animo, sia io che mio marito stiamo molto meglio di prima. Tutti e due facciamo un tipo di lavoro non dipendente, per cui non sempre abbiamo i soldi. In certi periodi lavoriamo, in altri non lavoriamo, e queste problematiche sembra che adesso si stiano risolvendo da sole. Certo, prima o poi doveva succedere che qualcosa si risolvesse. Non so se collegare il nostro stato d’animo all’arrivo del bambino; certo, chi mi conosce mi trova molto più positiva, di aspetto migliore, più sorridente e io penso che sia per quello, o forse è solo una cosa fisiologica; di sicuro però il nostro stato d’animo è molto migliorato. D – Lei mi diceva che è stata una decisione più sua? R – Diciamo che io avevo questa esigenza di maternità, un vero e proprio istinto, da molto tempo. Lui a un certo punto, forse un anno prima di sposarci, aveva cominciato ad avere lo stesso desiderio. Io però non volevo che decidesse lui quando avere questo figlio, dovevo essere sempre io a scegliere il momento, quando ero predisposta. La decisione dovevo prenderla io, e così è stato e lui ha dovuto aspettare che la mia vita lavorativa lo permettesse. D – Quando ha deciso che questo bambino doveva nascere quanto tempo è passato? Difficoltà di fecondazione? R – No, no. Siccome io prendevo la pillola, praticamente ho smesso di prenderla a maggio e poi la ginecologa dove vado io mi aveva consigliato di non rimanere incinta subito, perché c’era la possibilità che nascessero due o tre figli tutti insieme, per cui mi ha detto di aspettare. Dopo quattro o cinque mesi che non prendevo più la pillola, potevo andare tranquilla, e infatti è successo così, perché io a maggio e giugno non c’ero, stavo all’estero, poi a settembre abbiamo deciso che si poteva fare. 102

D – Come si è sentita quando ha saputo di essere incinta? R – Io già lo sapevo, perché con le mestruazioni sono regolare, e quando non sono arrivate il giorno che dovevano arrivare, ho capito che ero incinta, subito. Ho aspettato il giorno dopo per essere convinta, però, insomma, poi la certezza l’ho avuta quando ho fatto le analisi. È una cosa strana, perché io lo sapevo, lo volevo, per cui era normale. Non è stata una sorpresa: «Ah, finalmente è successo», è stato tutto previsto, per cui l’emotività ha avuto un ruolo di secondo piano, cioè a livello profondo è stata una cosa bellissima, però, ecco, non sono stata stupita; tutto molto tranquillamente, molto positivamente direi, poi io sono una persona molto emotiva, per cui vivermi le cose in questo modo è proprio una novità. Mio marito no; mio marito è timido, chiuso, un po’ il contrario di quello che sono io; io me le vivo sempre in modo esagerato le cose, mi coinvolgono troppo sentimentalmente, però quando sono veramente convinta di qualche cosa la vivo con più calma, più interiormente; ho una serie di sensazioni positive, che vanno crescendo, per cui non è stato un botto tutto insieme. Quindi quando il medico mi disse che le analisi erano positive, non capiva se ero contenta oppure no, perché mi ha detto: «Guardi che è positiva», e io ho risposto: «Sì» e non ho detto altro, e mi sono resa conto che potevo dare l’impressione di essere triste. Poi, un paio di mesi dopo sono andata a fare le analisi sempre lì. D – E quindi l’ha saputo nel laboratorio di analisi. Come sono andate le cose? R – Sì, praticamente sì, a parte il fatto che lo sapevo già da dieci giorni. Poi ho preso questo foglio, e il medico mi ha detto: «Guardi che è positiva» perché ha visto che io non ho aperto neanche la busta per vedere che la risposta era positiva, proprio perché era una cosa molto interiore, nel senso che sarei scesa giù, sarei entrata in macchina e l’avrei aperta, cioè, essendo una cosa molto personale, molto importante, non mi andava di farla davanti ad estranei, tanto è vero che lui l’ha 103

notato e ha aperto lui la busta. È rimasto stupito dalla mia reazione; ecco in un’altra occasione mi sarei sforzata di spiegare: «Ah, ma io sono contenta», invece no. Ho delle reazioni diverse dal solito, insomma. D – Quindi lei ha fatto l’esame dopo dieci giorni dalla mancanza della mestruazione? R – Sì, dopo dieci giorni. D – Quindi l’ha saputo presto? R – Sì, sì. L’ho saputo subito, praticamente. D – E con chi ne ha parlato? R – Con chi ne ho parlato? In che senso? D – Appena l’ha saputo. R – Appena l’ho saputo, chiaramente con Giuseppe, mio marito, che lo sapeva quanto me e poi lui ha voluto subito comunicarlo alla madre, una madre... tipica mamma materna, che è sempre stata a casa appresso ai figli e via dicendo, la quale si è agitata tantissimo, pianti, e io mi vergognavo molto i primi tempi, perché mi sentivo troppo messa in mezzo, nel senso che la madre tutta contenta che saltava, poi il padre, poi il fratello, e allora io mi sarei nascosta in quel momento, perché per me era una cosa molto personale, e mi sembrava di starla a sbandierare esageratamente in giro. Poi dentro casa dei miei suoceri c’è un rapporto bellissimo, per cui non c’erano problemi; la stessa cosa quando il giorno dopo siamo andati a casa dei miei, che, come al solito, io mi vergognavo di dirlo; mi vergognavo perché sapevo che ci sarebbero state grandi reazioni da tutti quanti che stavano aspettando questa cosa; questa è la realtà, e allora non è che non volevo dire... Non lo so spiegare molto bene, fatto sta che mi vergognavo di questo stato di cose, che questi si agitassero troppo, per cui quando a mio padre gli ho dato per esempio il foglietto delle analisi, lui non sapeva che cosa era successo; ha aperto questa busta, gli ho dato questo foglio, l’ha letto, non ha capito neanche subito, perché non è che non se lo aspettava, però non è un modo ortodosso per dirlo: «Ah, aspettiamo un bambino» invece no, gli ho dato questo foglio 104

in mano e me ne sono andata da un’altra parte, e lui poi ha chiamato mia madre, e via dicendo. D – E quindi come è stata accolta la notizia? R – Benissimo, da tutti quanti. D – Suo marito come ha reagito? R – Mio marito come ha reagito? Come me, nel senso che pure lui lo sapeva già da subito per cui... era contento. Non ci sono molte parole in più oltre al fatto di essere molto contenti, però era una cosa già decisa, per cui... D – Quindi lei sente che la reazione di suo marito è stata abbastanza simile alla sua, anche se, come diceva, c’è una differenza di carattere fra di voi? R – Ecco in questo caso lui si è aperto un po’ e io mi sono un po’... chiusa. Siamo diventati molto simili, e forse è anche per quello che stiamo andando così d’accordo; cioè, noi andiamo sempre d’accordo, però in questo periodo stiamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda. Quando a lui viene da ridere viene da ridere pure a me, cioè andiamo proprio insieme... D – Quindi il tono emotivo nella famiglia è stato più elevato? R – Sì: comunicazioni, telefonate a destra, a sinistra, insomma mi sembrava pure esagerato. D – E alla sua famiglia quando l’ha comunicato? R – Il giorno dopo che avevo preso il foglio; ecco, sia a casa sua che a casa mia glielo abbiamo detto solo quando abbiamo preso le analisi; però io avevo già smesso di fumare dal giorno che non mi erano venute le mestruazioni. Mia nonna, che è come se fosse mia madre, perché abitavamo insieme sin da quando ero piccola, con mia madre, mio padre, quando ha visto che non fumavo, che avevo smesso di fumare, aveva già capito. Perché insomma non è così semplice che uno di colpo smette di fumare. Mi aveva vista così tranquilla che già gli era venuto in mente. D – Lei ha fratelli, sorelle? R – Ho una sorella di trentadue anni. 105

D – Quindi più grande di lei. Come ha reagito? R – Glielo ha detto mia nonna che le aveva telefonato in quel momento, perché era un sabato, per cui era andata a mangiare da loro: sabato e domenica si va a mangiare dalle famiglie. Lei è rimasta stupita. È rimasta stupita anche perché io sono la più piccola della famiglia, per cui... era strano che io stessi diventando madre, io che sono sempre stata la bambina dentro casa, tra sorella, genitori, tutti quanti. D – Diceva che il suo primo cambiamento è stato quello di abbandonare il fumo, ma come è cambiata la sua vita durante la gravidanza? R – Non è cambiata la mia vita. C’era un processo di cambiamento che era cominciato già da prima, perché verso l’estate scorsa ero molto stanca del lavoro che stavo facendo, non ricevevo soddisfazioni, per cui avevo deciso di abbandonare la compagnia. Troppe complicazioni. Non so se lei sa, ma gli artisti hanno sempre diecimila problematiche in testa. E io dall’inverno scorso stavo male, stavo malissimo, non sapevo come trovare una soluzione per la mia vita, nel senso che non vedevo, non avevo più speranze, stavo proprio male. Per cui per salvaguardia personale dovevo trovare una soluzione prima o poi. E questa soluzione l’ho trovata diciamo verso Pasqua, quindi dopo diversi mesi che piangevo giorno e notte, e che coinvolgevo quel poveretto di mio marito in tutte le mie storie; pure lui aveva degli altri problemi col lavoro suo, per cui stavamo in una cappa, proprio così. Poi verso Pasqua ho deciso di partire un’altra volta. Io vado spesso all’estero a studiare, per documentarmi e fare dei corsi, ma erano ormai due anni che non partivo, che non stavo per conto mio anche senza Giuseppe, insomma a fare proprio la vita mia. E invece ho deciso che forse quella era una soluzione: andare fuori a fare un corso, tra l’altro molto interessante. Era un corso molto importante e durava un mese. Io ero molto indecisa. Mi è arrivato l’invito a questo seminario proprio durante la settimana di Pasqua, per cui ho deciso: sì adesso parto. E poi ogni partenza per me prevedeva anche il problema che mi di106

spiace lasciare Giuseppe a casa da solo, perché poi uno quando parte sta allegro, però chi rimane sente la mancanza, le abitudini si sconvolgono; e invece fortunatamente mi sono resa conto che era una cosa che mi serviva proprio, per cui già da allora era cominciato un processo di risollevamento, diciamo, della, non so come dire... Non potevo stare così male, stavo troppo giù, stavo smettendo di lavorare, stavo smettendo di fare tutto, non volevo fare più niente, e invece questo corso, a parte il fatto che stai all’estero, insomma è sempre bello, cambi un po’ vita, poi stavo con un’amica, a casa insieme, quindi cambi proprio abitudini, poi questo corso è stato molto costruttivo, proprio positivo. Quindi da lì è cominciata questa risalita, che ha culminato col fatto di decidere di fare il figlio che era, come le dicevo, già una decisione presa, che però non prendeva piede, nel senso che ero convinta, ma non ero convinta, non sapevo se era il momento giusto, dato che mi sentivo così male, così triste. Invece dall’inizio dell’estate ho cominciato a risollevarmi e... e quindi adesso sto benissimo rispetto a come stavo prima, per cui questa cosa qui non è che mi ha cambiato la vita; il fatto di aspettare il figlio è stato parte della decisione di cambiare, di non lasciarsi opprimere dalla depressione, perché se uno si lascia prendere completamente è difficile risollevarsi. Io in genere reagisco così, nelle grandi crisi della mia vita che ne so, due, tre, quattro volte che sarà successo, adesso non so le ragioni, però queste grandi crisi, toccato il fondo, le ho sempre risolte in qualche modo, non è che mi sono lasciata fagocitare, se no in quel caso lì va tutto a rotoli, cioè era possibile che ci lasciassimo io e Giuseppe se continuavamo in quel modo lì, perché ero proprio oppressiva. D – Ma lei ha sempre fatto l’attrice nella sua vita? È l’unico lavoro che ha fatto? Che studi ha fatto? R – Io all’università ho fatto lettere, però non ho terminato, anzi ho fatto tre esami perché all’epoca, verso i vent’anni avevo cominciato a lavorare come attrice, per cui mi coincidevano i giorni di spettacolo con gli esami. Però ca107

pitava che spostassero le date degli esami, per cui che ne so, una volta dovevo fare un esame fondamentale e me lo avevano spostato, lo avevo a maggio; ad aprile, questo esame, l’avevo preparato tutto quanto, poi me lo hanno spostato al 20 aprile, e io il 20 aprile dovevo partire per Varsavia, per andare a lavorare lì, quindi non potevo fare l’esame; per esempio poi sei mesi dopo ero tornata, ho ripassato l’esame; doveva essere pronto a novembre; a novembre quel giorno dovevo fare uno spettacolo a Firenze, per cui ho lasciato. Tanto la strada mia già sapevo qual era, era più una questione di piacere mio personale studiare all’università, per cui ho detto: «Me la studio da sola, è inutile che continuo ad iscrivermi all’università, poi non faccio in tempo». Prima ho fatto il liceo classico. D – E suo marito era in classe con lei? R – No, andavamo solo alla stessa scuola. D – E suo marito che lavoro fa? R – Lui invece doveva fare il notaio, perché il padre è notaio per cui era deciso che... E invece quando è stato il momento dell’università anche lui ha fatto qualche esame e poi si è reso conto che non era quella la strada sua, per cui adesso fa il grafico, cioè una cosa che non c’entra assolutamente niente, però in realtà il fratello della madre è grafico, quindi anche quella è una vena artistica in realtà. D – Suo marito come si è sentito; è cambiata la vita di suo marito durante la gravidanza? R – Ma, lui secondo me reagisce molto al mio stato d’animo, nel senso che se io non gli rompo troppo le scatole lui è una persona positiva; se io non sono troppo opprimente come ogni tanto succede, cioè che gli butto addosso tutto, poveretto, e allora soffre e se soffre diventa più faticoso vivere; siccome io sto così bene, e poi questa cosa del figlio era una sua esigenza molto forte, più passano i giorni, e più mi rendo conto che per lui era proprio importante, era un desiderio forte, per cui siamo qui in attesa proiettati nel futuro in questa cosa, molto positivamente. 108

D – Le riesce di farmi un esempio dello stato emotivo di suo marito in questa fase della sua gravidanza? R – È come se fosse ringiovanito. D – Un esempio. R – La prima cosa che mi viene in mente è questa: lui è come se fosse innamorato, per cui i problemi non li vede più; è più positivo verso la gente, verso le cose; quando stai in uno stato di innamoramento vedi tutto bello, positivo, ti senti forte, sicuro, allegro; io penso che lui stia in questo stato d’animo qua; ma anche nei miei confronti è più disponibile, positivo, è più... insomma sta proprio bene. D – La gravidanza ha influenzato le sue abitudini, le sue attività, i suoi ritmi di lavoro: in che modo è stata influenzata dalla gravidanza nel suo lavoro? R – Solo il fatto che non ho partecipato attivamente allo spettacolo, nel senso che non ho recitato. D – Questo ha coinciso con la notizia della gravidanza? R – No. Appena saputo della gravidanza stavo insegnando un corso in una scuola e ho continuato ad insegnare. Diciamo che mi stanco più fisicamente, quella che sento di più è la stanchezza fisica. D – Lei aveva già programmato di fare questo spettacolo prima di sapere di essere incinta? R – E, appunto, anche questo coincide con il fatto che stavo in crisi e non volevo fare più niente. Però diciamo che l’idea di fare lo spettacolo è ritornata fortissima verso Natale. Sì, lo dovevo fare, ho deciso. Se fossi stata ancora depressa non l’avrei fatto, invece stavo bene, e già da dicembre ho cominciato a preoccuparmi di fare questo spettacolo, perché chiaramente i tempi sono un po’ lunghi e bisogna pensarci molto presto per organizzare, perché chiaramente i teatri poi diventano occupati, non è facile, uno dice: «Faccio uno spettacolo in un mese», invece no, bisogna organizzare una serie di cose, e... ero decisa a farlo sicuramente, mentre prima no, forse questa cosa mi ha dato più sicurezza, più forza, sì. Forse prima non ero molto convinta, non è che non fossi con109

vinta per niente, sempre per il fatto che uno deve fare una produzione all’anno; in genere io le produzioni le preparo a settembre per farle a ottobre o a novembre. D – E per suo marito la gravidanza ha influenzato i ritmi di lavoro, le abitudini, le sue attività? R – No. Si preoccupa di più se io sto a casa da sola, perché tante volte capita che deve lavorare fino a mezzanotte, perché sa, essendo il suo un lavoro autonomo, uno magari una settimana non lavora tutto il giorno, e si alza alle dieci di mattina, e poi capita un periodo che lavori dalle otto di mattina all’una di notte. Però non l’ha influenzato, no. D – Che cosa fa quando sta da sola lei? R – Ma veramente non sto più sola quasi per niente, perché poi il periodo in cui lui ha lavorato fino a così tardi di notte coincideva con i primi giorni che io facevo le prove, per cui ero stanchissima, e dormivo. Però ecco, è molto tempo che non sto da sola; saranno due o tre mesi che non sto sola dentro casa. D – Quindi mi diceva che il rapporto con il suo partner è in un certo senso cambiato. Mi può fare capire meglio in che modo sente che c’è stato questo cambiamento? R – Viviamo di più sia io che lui la stessa strada. Non so come posso dire... c’è questo terzo elemento che ci fa camminare nella stessa strada; abbiamo le stesse aspettative, abbiamo gli stessi desideri di fare le cose, di fare le stesse cose, come due amici che hanno una cosa in comune, due amici che stanno preparando un viaggio, oppure stanno preparando qualche cosa e questa cosa ci ha unito ancora di più, perché bene o male ognuno fa cose diverse e ha diversi coinvolgimenti, perché non è che fai l’impiegato che stai lì e quello che succede succede; bisogna essere sempre molto presi dal proprio lavoro altrimenti casca tutto per terra, e quindi certe volte non ci sopportiamo l’uno con l’altro, anche se forse andiamo d’accordo anche per questo; ora però c’è questo terzo elemento che ha modificato questo stato di cose. Non se se mi spiego. Non è molto semplice anche perché è una cosa che 110

io mi sto chiedendo, che sto cercando di razionalizzare adesso che ho finito di lavorare, perché prima non c’era proprio tempo, cioè dovevo pensare solo a quello che facevo. Sto cercando adesso di razionalizzare questa cosa, cioè come mai lo trovo così disponibile e lui pure mi trova così disponibile, magari nella richiesta di una cosa, per fare una cosa o un’altra; c’è molta più disponibilità di prima, ma anche nelle piccole cose, nel preparare da mangiare, nell’uscire, perché uno magari si è dimenticato una cosa. Anche in queste piccole cose io noto una serie di cose positive, il fatto che sia io che lui siamo subito disponibili ad aiutarci, e secondo me dipende dal fatto che stiamo aspettando questo terzo elemento che ci unisce molto. Perché noi siamo molto diversi l’uno dall’altro e non è che abbiamo mai avuto in comune molte cose. Per esempio a lui piace sciare e invece a me piace la campagna o il mare. Cose così, più semplici, però non abbiamo mai avuto in comune qualche cosa di particolare. D – E nelle abitudini pensa che ci sia qualcosa che è cambiato, nelle vostre abitudini di coppia? R – No, rispetto alle piccole cose così, no. D – C’è stata diminuzione o aumento di conflitti? R – Diminuzione, indubbiamente. D – E nella vita sessuale? R – Tutto normale. Non è un problema, è una cosa normale. Ma adesso c’è un po’ di meno... D – Questo sempre? R – No, adesso. Ma è collegato proprio a una questione fisica, a una ragione fisica, perché io mi sento... non respiro, mi sento sempre così piena, capito? D – E lei che preferisce? R – Ma no, siamo d’accordo tutti e due, di non correre rischi, anzi avevamo anche chiesto alla ginecologa, che aveva detto che non c’erano problemi, però, però non è uno scompenso, è normale così. D – E il suo partner in che modo si comporta con lei? R – Lui è sempre molto attento nei miei confronti, nel sen111

so che si preoccupa sempre che io stia bene, che non mi stanchi, che mi diverta, che non mi annoi, tutta una serie di cose che io pure faccio nei confronti suoi. Mi apre l’ascensore per andare al terzo piano; io abito al terzo piano, e non mi fa fare le scale, insomma in tutti i particolari mi protegge; fisicamente parlando cerca di non farmi stancare, anche perché io mi stanco con una facilità incredibile; quanto prima non mi stancavo, tanto adesso mi stanco dopo cinque minuti; ad esempio, ieri ero in cucina, stavo lavando, mi sono dovuta mettere sul letto, stendermi lì, stare mezz’ora ferma perché non ce la facevo più. Lui è molto protettivo. D – E dal punto di vista emotivo anche? R – Sì, ma non è una questione protettiva. Lui vede che mi sento bene, che mi sento molto forte in questo periodo, per cui a livello protettivo mentale non c’è bisogno; è una questione proprio fisica. Io chiaramente lo sento che lui mi aiuta, che mi sta vicino, però non è che adesso ci sono dei bisogni particolari, mi ha aiutato molto in questo lavoro degli spettacoli, quello sì, mi ha aiutato moltissimo, ma nel senso che ha preso delle iniziative positive rispetto alle cose che servono per lo spettacolo, quando devi preparare i manifesti e tutte le cose che riguardano l’esterno dello spettacolo. Lui mi ha aiutato tantissimo, senza bisogno di chiederlo. E poi vedeva che lo spettacolo era bello... D – E con sua madre come va in questo periodo? R – Con mia madre? Va bene. D – C’è stato qualche cambiamento? R – Io quando sto con loro mi lascio andare un po’, nel senso che mi lamento di più, mi lascio servire, faccio un po’ la ragazzina. Ma sento che sono cambiati i rapporti con loro, proprio perché io sono sempre stata la più piccola della famiglia, quella a cui bisognava dire tutto quello che doveva fare. Che questo mi desse fastidio sembrava che non avesse nessuna importanza. Adesso mi faccio rispettare di più. D – E sua mamma come si comporta con lei? R – Mi rispetta di più. Però non c’è identificazione. Sì, 112

ogni tanto mi chiede, si ricorda qualcosa delle sue gravidanze allora mi chiede se mi sento nello stesso modo; però direi che i rapporti sono migliorati un po’ in generale; l’unico è mio padre che si sente un po’ tradito, infatti mi dice sempre che non gli voglio più bene; non so come mai reagisce così. D – E l’atteggiamento di sua madre è protettivo o distaccato? Come lo sente in questo periodo? R – Mia madre non è che sia protettiva o distaccata in generale... No, adesso è un rapporto quasi alla pari. D – E rispetto alle abitudini ci sono stati dei cambiamenti prima e dopo la gravidanza nei confronti di sua madre? R – No, rispetto alle abitudini? No, li vedo un po’ di meno. D – Come mai? R – Ma perché loro abitano un po’ lontano da casa mia, per cui per andare lì devo fare sempre molta strada. Vivono nella mia stessa città, però stanno dall’altra parte. Prima ci andavo più spesso a trovarli, anche due, tre volte a settimana, a parte gli incontri casuali quando mia madre viene da queste parti, e via dicendo. Adesso mi stanco, e allora li vedo un po’ di meno; però questo non ha complicato le cose, anzi per me si sono semplificate; tante volte andavo lì solo per dire: «Li vado a trovare perché così sto con loro», per ragioni mie protettive, non loro; e invece adesso ci penso di più. E poi prima magari ci andavo ed ero nervosissima, perché non mi andava di stare lì, diciamo. Adesso li vedo solo quando sto contenta. D – E mi ha detto che il sabato e la domenica avete la consuetudine di andare dai vostri genitori. R – Una domenica dai suoi, e poi l’altra domenica dagli altri. D – Ci sono stati cambiamenti nelle abitudini nel rapporto con sua madre? R – No. D – Quando ha notato i primi cambiamenti nel suo corpo? R – Io sono una persona un po’ particolare, perché con il corpo ho a che fare tutti i giorni, nel senso che sto sempre, 113

come tutte le attrici, sto sempre lì a controllare. Non che faccia diete, però controllo il tono muscolare, il peso; poi per me i cambiamenti di peso sono molto elevati, nel senso che io riesco a pesare sei o sette chili di meno nel giro di un mese, e il mese dopo ritorno normale, oppure posso ingrassarmi di cinque o sei chili e poi tornare al peso forma. Però a me è cresciuta la pancia e basta, non è che sono cambiata fisicamente, anzi fino a tre settimane fa, fino a un mese fa, non si vedeva nemmeno che ero incinta. D – Quindi i primi cambiamenti nel corpo li ha notati da poco? R – Da poco, sì. Direi da un mesetto a questa parte è cominciata a diventare una cosa così, la pancia che cresceva, anche perché il bambino si muoveva molto; prima cambiamenti non c’erano stati quasi per niente. D – E le reazioni di suo marito rispetto ai cambiamenti del corpo? R – Sono più stupita io che lui. D – È stupita di questo cambiamento? R – Sì, mi fa ridere questa pancia che cresce così. La vedo come una cosa quasi comica, mi fa ridere pensare che c’è un bambino dentro, questa pancia che si tira e cresce in avanti; allora sto sempre lì che la guardo. Poi sempre le nostre abitudini di attori che stiamo sempre davanti allo specchio, non è che stiamo lì che ci guardiamo, ma certe volte proviamo davanti allo specchio in modo che ci possiamo correggere. Io questa abitudine non l’ho persa, anzi è diventata anche più esagerata; passo molto tempo davanti allo specchio a vedere che cosa succede; non è che mi stupisco, seguo l’iter della cosa, mi chiedo fino a che punto crescerà questa pancia; ho paura che vengano le smagliature, però non se ne vedono ancora, probabilmente non verranno perché non ho la pelle bianca, morbida; ecco quella è una preoccupazione, ho paura che mi vengono le smagliature sulla pancia; quello perché ho visto delle donne, anche amiche mie, che si sono rovinate proprio. Quella è una cosa che mi preoccupa. 114

D – Quando ha cominciato ad indossare abiti premaman? R – Questo è il primo. Era pronto una settimana fa. Ma di solito trovo sempre il modo di correggere dei vestiti che ho normalmente; chiaramente li ho ridotti tantissimo, perché quelli stretti non mi stanno più; però siccome io vado sempre in giro con maglioni larghi sui blue-jeans, oppure con delle cose ampie, adesso, riempite con la pancia, non è che è cambiato molto. D – Che sensazione ha provato quando ha indossato questo vestito? R – Niente di particolare. D – E suo marito? R – Niente. D – Ci sono stati momenti di particolare emozione durante la gravidanza? R – Sì. D – Quando? R – Il momento più importante è stato verso la fine di dicembre, quando ho cominciato a sentire il bambino. E quando l’ho sentito la prima volta è stata un’emozione molto forte, una grande contentezza. Un’altra emozione molto forte l’ho avuta quando ho fatto l’ecografia, verso il terzo mese. Chissà perché pensavo che il feto stesse in una specie di sonno, che stesse fermo, immobile; invece quello si muoveva, per cui quando ho visto che sgambettava, con tutte le forme sue normali – perché a tre mesi è piccolissimo, però già ha tutto – quando ho visto che sgambettava, muoveva le mani, che si è girato e ha fatto una capriola, sono rimasta sconvolta, mi è venuto da piangere, perché non mi aspettavo che si muovesse. Chissà perché pensavo: «Si comincerà a muovere verso i cinque o sei mesi» e più per ragioni di scatti fisici, pensavo; invece no, ha proprio un’attività fisica, quella di spingere coi piedi, di accomodarsi; appena io mi stendo lui si prende tutto lo spazio che gli serve, quando sto in piedi invece si accorcia. Quindi ho cominciato a notare tutta questa serie di cambiamenti e ho cominciato a rispettare il bambino proprio co115

me se fosse una persona adulta. Mi è scattato un meccanismo: invece di pensare all’involucro, come se avessi una cosa da proteggere, che non sa niente, che non fa niente, ho capito che lui aveva già un’attività sua, che aveva bisogno di tirare le gambe, di muoversi, per cui ho avuto una reazione di rispetto, e da quel momento sempre. Poi ora fisicamente lo sento molto, nel senso che sento le sue esigenze, conosco i suoi orari, quando si muove, quando dorme, quando ha il singhiozzo; ha degli orari ben precisi. E io li seguo. E per esempio, quando sta per addormentarsi, dopo un’attività magari di due ore, che ha girato dentro la pancia, a un certo punto comincia ad dare dei calci fortissimi, e io so che si sta per addormentare. Ecco, vivo già con lui. D – Questa emozione è stata anche una sorpresa, una preoccupazione? R – No, sorpresa no. E preoccupazione proprio no. D – E lei si è sentita in questa gravidanza più bisognosa di aiuto, di sostegno? R – Io sono una persona che ha sempre bisogno di aiuto psicologico, cioè ho sempre bisogno di sentirmi protetta; e siccome durante la gravidanza l’emotività varia molto; magari un giorno piangi senza ragione, poi ridi, capita spesso di cambiare stato d’animo, ancora più di quello che mi succede normalmente. Però la gravidanza è un periodo positivo, per cui anche la tristezza è più rara; magari mi posso sentire persa, però non più del solito; non ho più bisogno di aiuto del normale; in genere ho sempre bisogno di aiuto, ho sempre bisogno di sentirmi protetta. D – Senta, paure specifiche durante questa gravidanza lei ne ha avute? R – Sì. I primi tempi avevo paura che mi nascesse un figlio mongoloide, le solite storie che tutte le donne pensano. Allora ho deciso che volevo fare l’amniocentesi, ma poi la dottoressa mi ha detto che correvo il rischio di perdere il bambino, perché c’è una buona percentuale di casi in cui l’amniocentesi provoca l’aborto; allora ho lasciato perdere. Verso il 116

quarto mese di notte pensavo che avrei fatto un bambino rotto, senza pezzi; cose normali che pensano tutte le donne; e poi non ci ho più pensato tutto il tempo del lavoro, perché il bello del mio lavoro è che quando si lavora per uno spettacolo si diventa tutti amici, si sta, si vive insieme, per cui stavo bene e non avevo pensieri negativi. Poi magari in questi ultimi giorni ci ho pensato di nuovo, se fosse mongoloide... Ho paura della gente per strada, quello sì. D – In che senso? R – Perché la gente non bada al fatto che una donna è incinta; chiaramente prima non si vedeva che ero incinta, e quindi non avevo nessun aiuto a livello sociale, che ne so, per attraversare la strada, o quando devi montare su un autobus, o quando cammini sul marciapiede. Adesso che ho la pancia mi rendo conto che la maggioranza della gente fa finta di niente, per cui, per esempio, venendo qua sono rimasta in mezzo alla strada sulle strisce, e non mi faceva passare nessuno. Poi c’è stato un uomo che si è fermato e mi ha fatto passare se no potevo restare lì; gli uomini ci fanno caso molto di più, le donne come se niente fosse. Forse ingenuamente prima pensavo che la gente ci facesse molto più caso, anche perché quando io vedo le donne incinte per strada, o su un autobus, ho subito un senso di protezione verso di loro. Vedere che questo non succede mi stupisce un po’; non è che mi sconvolge, ma mi stupisce. In genere reagisco, tipo ieri, al capolinea della metropolitana, c’era una gran folla. La metropolitana non arrivava, e quando è arrivata c’è stato l’assembramento, che uno anche in condizioni normali corre il rischio di cascare per terra; io chiaramente ero un po’ preoccupata e mi proteggevo la pancia con le mani; una donna è voluta passare per forza prima di me, per cui mi ha sbattuto contro la porta e io mi sono arrabbiata... Perché io mi arrabbio, soprattutto se mi preparo prima, mi arrabbio proprio, cioè acchiappo una persona, pure se non la conosco, e le dico quello che le devo dire, e questa ha insistito che io mi dovevo stare zitta, perché lei si doveva sedere. Quindi ho un po’ 117

paura dell’indifferenza della gente. Ma questo comunque mi accade sempre. D – E sogni relativi alla gravidanza ne ha? R – No. D – Tutti questi stati d’animo di cui mi ha parlato, come li ha affrontati? R – Con calma, con molta più calma del solito, nel senso che se da un lato sono più emotiva perché mi viene più facilmente da piangere o da ridere, però nel profondo sono più calma e più tranquilla, accetto molto più facilmente la realtà e le cose che succedono. D – Ne ha parlato con qualcuno? R – Di questo? No, con lei adesso. D – E suo marito dal punto di vista emotivo? R – Le ho detto: è come se fosse diventato più piccolo. D – Ma rispetto a lei come lo sente? R – Fa il figlio pure lui ogni tanto nei miei confronti, come se io fossi un po’ anche sua madre. D – Mi può fare un esempio? R – Ma, per esempio lui si appoggia con la testa sulla mia spalla, ha bisogno di essere accarezzato sulla testa; però poi è protettivo: è lui che guida, è lui che fa. Però tende a farsi coccolare. D – Abbiamo parlato della storia della sua gravidanza, ci sono aspetti di cui non abbiamo parlato, aspetti positivi, negativi, di cui non le ho chiesto niente? R – No. D – Con che regolarità fa gli esami di controllo? R – Da quando ho saputo di essere incinta, una volta al mese vado dalla ginecologa. Mi fa fare gli esami del sangue una volta al mese; l’ecografia l’ho fatta una volta, al terzo mese, poi a gennaio sono finita all’ospedale perché mi era uscita una piccola goccia di sangue e io mi sono subito agitata, perché quando hai minacce d’aborto è come se avessi le mestruazioni. Per questo sono andata subito all’ospedale e mi hanno tenuta lì per qualche giorno per controllare che tutto 118

fosse a posto. In quel caso ho fatto due, tre ecografie. Poi un’altra l’ho fatta quasi due mesi fa. Il problema è che le ecografie non le passa più la mutua, per cui diventano una spesa. E comunque quando le vai a fare a pagamento ti trattano molto meglio e riesci a vedere molto di più. Infatti oggi me l’andrò a fare a pagamento. D – Come mai? R – E perché ho il gusto di vedere il bambino dentro la pancia. D – Quindi non le è stato richiesto da nessuno, lo desidera lei? R – Sì, sì. D – I risultati che emergono dalle analisi la preoccupano? R – No, perché sono tutti buonissimi. D – Lei va in una struttura privata o pubblica? R – A partorire? D – No, la dottoressa che la segue è del consultorio? R – Sì, è la ginecologa del consultorio; le analisi le abbiamo fatte sempre con la mutua, in alcuni laboratori convenzionati. Dell’ecografia le ho già detto, per cui. D – E ha scelto la ginecologa della struttura pubblica, o ne ha consultate diverse? R – No. Io la mia dottoressa la conosco da tanti anni; mi segue, mi fa i pap-test, ed è venuta a vedere tutti i miei spettacoli; è abbastanza giovane. Poi c’è l’assistente sociale del consultorio, che è una persona abbastanza positiva. È un ambiente molto buono quello di quel consultorio. D – E chi l’accompagna abitualmente a fare queste analisi? R – Giuseppe. Ma solo alle visite dalla ginecologa. D – A far le analisi ci va da sola? R – Sì. D – E quando fa l’ecografia? R – Viene sempre. D – E il corso di preparazione al parto lo comincerà la prossima settimana? R – Lunedì, lo comincio questo lunedì. 119

D – Durante la gravidanza ha avuto disturbi, nausee, vomito, stitichezza? R – No, io sono stata fortunata in questo senso; cioè nausea proprio no; al terzo mese ho avuto problemi di digestione, ma niente di gravissimo. La stitichezza, quella sì, quella è un problema. D – E alterazioni del sonno? R – Sì, perché la notte, più prima che adesso, mi svegliavo perché dovevo fare la pipì sempre, che è una cosa normale; quindi non mi riaddormentavo e mi mettevo a pensare a qualche preoccupazione, e comunque facevo fatica; insomma il dormire ne ha risentito un po’... D – Voglie ne ha avute? R – Secondo me le voglie non esistono proprio. D – Come immagina il parto? R – Ah, io ho deciso che non soffrirò, non soffrirò nel senso che avrò tutto sotto controllo; l’ho deciso proprio e sarà così. Anche perché io conosco benissimo il training autogeno, il respiro relativo al dolore, il rilassamento totale dei muscoli, per cui so che se riesco a rilassarmi completamente come quando faccio training autogeno dovrei riuscire a non soffrire molto. Certo il pensiero del parto un po’ mi preoccupa, però non ci sto molto a ragionare sopra. D – Ma, le hanno già raccontato qualcosa del parto? R – Ognuno dice la sua: chi non ha sentito niente, chi si è disperato; poi nei giorni in cui sono stata all’ospedale ho avuto un’esperienza incredibile, perché ogni due ore partoriva una donna; e c’era quella calma che non soffriva e quella agitata che si faceva ventiquattro ore di travaglio. Dipendeva molto da una questione di testa; secondo me, ma magari dico una scemenza, quelle che soffrivano di più erano quelle che mi davano l’impressione di non essere proprio convinte di fare il figlio. Non lo so, potrebbe anche essere una mia impressione troppo personale; ma osservando queste ragazze, tutte molto giovani, di venti, ventuno, ventidue anni ho visto che quella che mi sembrava più calma, arrivata alle sei di mat120

tina, alle dieci aveva già partorito e gli avevano messo solo un punto. Si vedeva che non vedeva l’ora che nascesse suo figlio; un’altra ha sofferto per un giorno e una notte e poi quando è nato il bambino non lo voleva più vedere. Insomma si vedeva che ancora non era il momento. Io penso che quando si decide di avere un figlio bisogna essere coscienti di quello che si fa, nel senso che è una cosa talmente coinvolgente, che se non ne sei profondamente convinto vai incontro a tutta una serie di problemi che poi è difficile affrontare. D – Chi desidera avere vicino durante il parto? R – Su questo sono indecisa, perché da un lato so che se sto da sola controllo meglio la questione fisica, nel senso che mi concentro meglio sul rilassamento per cercare di non soffrire; dall’altro lato però so che non posso sapere precisamente che reazione avrò, per cui avere Giuseppe vicino sarebbe una sicurezza in più. Vorrei poter decidere all’ultimo momento, per cui stiamo cercando di fare in modo che lui sia presente, però sembra che sia tanto complicato, perché nella mia città lo fanno in un solo ospedale, tra l’altro molto piccolo, e quindi rischi che non ci sia posto. Quindi in realtà ancora non sappiamo. D – Quindi non ha deciso nemmeno lei se lo vuole durante il parto? R – Per me va bene se lui c’è; è solo che mi riservo di chiedergli di andarsene se vedo che mi toglie attenzione da me stessa. D – Quando si è resa conto che c’era un bambino dentro di lei cosa ha provato? R – Non l’ho capito; tuttora non lo capisco; cioè mi sembra come quando parli dell’universo, delle stelle, che non sai dove stanno, che non sai la distanza dell’universo; è lo stesso ragionamento; è una cosa che se mi ci metto troppo a pensare non la comprendo. D – Con i primi movimenti fetali ha sentito qualcosa però. Cos’era? R – Il fatto di poter far nascere una persona è una cosa 121

talmente importante, non so come dire, talmente difficile, perché uno magari pensa: «Faccio un quadro, costruisco un tavolo», non lo so, costruisci qualcosa dal niente, però sai come fai; invece qua succede tutto da solo, non è che tu fai qualche cosa, però nello stesso tempo se non ci fossi tu a farlo... Non lo so, è una cosa un po’ strana, non è che la capisco molto, comunque è positiva. Mi fa ridere; alle volte penso che vado in giro e mi porto questo bambino appresso, cioè lo tratto mentalmente come se fosse una persona adulta, e allora penso: «Vado a destra, vado a sinistra, prendo la macchina, faccio le scale, faccio questo, faccio quello e a questo poveretto gli tocca venire da tutte le parti, soffrire il freddo, soffrire il caldo, sentire la musica, piegarsi in due; gli tocca sentirsi oppresso, e poi allungato, e poi...», perché io faccio tutta una serie di movimenti senza accorgermene ancora e che magari mi lasciano senza fiato. La vedo sempre un po’ comicamente, però so che tanto lui sta lì, e so che sta bene. D – Queste attenzioni, questi pensieri, quando sono iniziati? R – Al terzo mese, quando dall’ecografia ho visto che si muoveva. E poi quando ho cominciato a sentirlo o a sentirla... D – Non sa che sesso ha? R – Penso che sia femmina. Ma dall’ecografia di oggi spero di capirlo meglio. Mi piacerebbe saperlo. Quando ho sentito che si muoveva è diventato ancora più forte il senso di rispetto per questa persona. È proprio una questione di rispetto, non c’è altra parola che può spiegare questa cosa. D – Si muove molto o poco? R – Tantissimo. D – E quindi lei mi stava accennando che dà un’interpretazione a questi movimenti, o no? R – Sì. D – Cioè, che cosa pensa? R – Eh, aspetti, interpretazione... 122

D – Dipende dal carattere, dagli stati d’animo suoi o del bambino? R – Il fatto è che non so se dipende dallo stato d’animo mio, anzi veramente penso che sono delle cose che fa per conto suo. Certo quando sente la musica comincia anche a muoversi. Secondo me riconosce una musica che ha sentito tante volte, infatti si sveglia sempre quando la sente perché secondo me la riconosce; gli crea sicuramente qualche stimolo. D – Comunque questi movimenti li lega a qualcosa che riguarda il bambino, al suo carattere, al suo temperamento? R – Sembra sempre che abbia bisogno di assestarsi; appunto ogni tanto ha queste scariche incredibili, mani e piedi, allora io penso: «Forse vuole che sto ferma», allora mi fermo e gli do spazio. Ecco, penso che abbia bisogno di spazio, che abbia tanto bisogno di muoversi, quello sì, però non posso confermarlo, nel senso che avrei dovuto sentire cosa dicono le altre donne. Io so che tutti i bambini si muovono tanto, se stanno bene, o insomma in generale si muovono molto. E io sto sempre lì a badare a come sta messo. Però non so se si muove più o meno di altri, o con che ritmo. Certo, appena io mi tranquillizzo lui comincia subito a muoversi, oppure mi fa tanto ridere, come ieri che sarà stato per tre quarti d’ora coi piedi puntellati verso il fegato, per cui io non trovavo posizione, perché mi faceva male, come quando ti prende un dolore al fegato. D – E un esempio di questi movimenti, del significato che hanno? R – Per lui o per me? D – Per lei. R – Che aspetta di uscire forse. Forse mi identifico un po’ io, quando la notte non dormo e mi giro a destra, mi rigiro, mi metto supina, mi alzo, ritorno. Io faccio spesso così anche se è notte, se non ho sonno, e allora non vedo l’ora che finisca la notte, o almeno non vedo l’ora di addormentarmi o che succeda qualcosa. Reagisco non stando ferma per niente, mi agito, mi muovo a destra, a sinistra. Così ho pensato che si 123

muove tanto, che si spinge di qua, si muove di là, perché forse non vede l’ora di venire fuori. Tanto è vero che ho pensato: «Magari nasce prima». Potrebbe pure succedere, anche se spero di no, perché è pur sempre una complicazione. D – Come immagina il suo bambino, o la sua bambina? R – Mi immagino che sia come Giuseppe. Ho delle fotografie di lui da piccolo, e il bambino me lo immagino più come lui perché rispetto a me non vedo come potrebbe essere. Chiaramente lui dice che se è femmina somiglierà a me; io invece penso che assomigli a lui, a lui da piccolo, a lui in queste foto sul seggiolone. D – Comunque lei lo immagina femmina? R – Quando penso che assomiglia a Giuseppe lo immagino maschio, e generalmente lo immagino maschio, anche se io penso che sia femmina. Però me lo immagino sempre maschio. D – E le caratteristiche fisiche? R – Somigliante a Giuseppe. D – E il carattere? R – Pure; spero che sia così tranquillo. D – E suo marito come lo immagina? R – Non lo so. Ma lo immagina da grande. Io non me lo immagino veramente, se proprio devo dire la verità. Magari adesso parlando con lei mi può venire in mente qualche cosa; me lo immagino sorridente e pacioso, di quei bambini che stanno contenti, calmi, che hanno fame, poi hanno sonno; io me lo immagino così. Però non so se è un desiderio mio, o se è un’identificazione col padre. D – Mentre suo marito lo immagina femmina, mi ha detto. R – Mio marito lo immagina femmina chiaramente, siamo all’opposto. D – E come carattere come lo immagina? R – Lui secondo me vorrebbe che fosse come me, tanto è vero che ogni tanto mi prende in giro, dice: «Ecco, invece di proteggerne una ne ho due da tenere dentro casa, da spiegargli tutto», e via dicendo. Scherza sull’atteggiamento protettivo che ha verso di me. 124

D – Potrebbe dire che fra lei e il bambino si è creato un rapporto? R – Non lo so, non lo so proprio; io penso di sì, ma non lo posso sapere. D – Come la descriverebbe questa cosa? R – È una domanda che mi prende proprio alla sprovvista; però da parte mia c’è il desiderio di dargli spazio quando sento che si muove tantissimo. D – Dargli spazio in che senso? R – Dargli spazio fisicamente. Per esempio adesso sto così, perché sento che spinge da una parte. Se sto dritta così gli do meno spazio, invece se mi allungo lui può prendere più spazio, e stare più comodo. Penso sempre che deve stare comodo e tranquillo. D – Quindi uno spazio fisico? R – Sempre fisicamente parlo. D – Senta, succede che lei e suo marito parliate col bambino, lo chiamiate, gli diate un nomignolo? R – No. D – Gli avete dato un nomignolo? R – Io ogni tanto lo chiamo Roberto per scherzare, oppure si dice il fanciullo, cose così, ma non tanto. Poi non abbiamo trovato ancora il nome. Abbiamo grandi problemi con questa storia del nome, anche perché ancora non sappiamo se è maschio o femmina; e poi non abbiamo trovato un accordo io e Giuseppe sul nome; bisogna che uno dei due ceda, e cederò io probabilmente. D – Lei cosa vorrebbe? R – Come nome? Ma a me piacciono i nomi strani, nomi non italiani. Mi piacciono nomi che non sono proprio comuni comuni. E lui dice che non è giusto dare un nome strano a una persona che poi deve stare tutta la vita a combattere con quel nome, per cui vorrebbe dargli un nome più semplice, più normale. D – Ha mai sognato il bambino? R – Non mi sembra. 125

D – Lei diceva che nell’ecografia ha visto il bambino. Come le è sembrato? R – Non lo so, non ho avuto una impressione diversa dal normale, dalle fotografie, dalle ecografie. Sono tutti uguali a vederli nelle foto. D – Comunque per quanto riguarda il nome non pensate di dargli nomi di famiglia? R – No. D – Cosa ha preparato per il bambino? R – Io personalmente ho fatto una tutina a maglia. Poi gli sto facendo una coperta. Però per il resto ci hanno pensato la suocera, la mamma. D – E che cosa? R – Le solite cose, scarpine, cuffiette, tute di lana, tutine di ciniglia; ogni tanto arriva qualcosa del genere. D – E rispetto alla casa, avrà una stanza? R – Sì, sì, c’è già una stanza destinata a lui. D – È già pronta? R – No, non è pronta. Ci manca il letto, un letto che sarà suo, perché all’inizio starà con noi dentro la carrozzina a dormire. Poi quando avrà bisogno del lettino con le sbarre, quando crescerà, compreremo questo lettino. D – Attualmente è arredata in un altro modo? R – È una stanza in cui ci sono delle librerie, la televisione, un divano... Poi queste cose saranno spostate in un’altra stanza, e quella diventerà la camera sua. D – Le succede di pensare a come sarà il bambino? R – No, penso più ai particolari, ma in generale, vedendo le fotografie. Però non mi va molto di immaginare come sarà; certo, ho ancora due mesi davanti, forse mi verranno in mente altre cose. Poi negli ultimi due mesi uno comincia a desiderare che nasca, anche perché fisicamente ti senti un po’ oppresso. Mi dicono altre donne che quando comincia l’ottavo mese, come nel caso mio, non vedi l’ora di farlo nascere questo bambino. Io però per ora non me lo immagino. D – E come lo vorrebbe nei primi mesi? 126

R – Vorrei che fosse calmo, come un bambino che è nato quando stavo in ospedale. Era diverso da tutti gli altri, perché stava con gli occhi aperti, e li muoveva per guardare a destra e a sinistra, mentre tutti gli altri bambini piangevano, tenevano gli occhi chiusi e annaspavano con le mani. Questo bambino invece stava fermo, tranquillo, cominciavano a guardarsi negli occhi lui e la madre e così passavano le ore. Io ogni tanto mi avvicinavo per guardarlo; allora il bambino muoveva gli occhi, poi muoveva la testa, mi guardava un po’, e poi si rimetteva a guardare la madre. Questa cosa mi ha affascinato tanto, perché si vedeva che quel bambino non aveva subito traumi col parto. Invece gli altri bambini si vedeva che soffrivano perché stavano vicini a queste madri che pure soffrivano perché gli faceva male tutto. Ecco, vorrei che mio figlio fosse come quel bambino. D – E suo marito come lo vorrebbe? R – Non lo so. D – E c’è qualche preoccupazione, come non lo vorrebbe? R – Come non lo vorrebbe? D – Anche lei. R – No, questo no, la visione negativa della cosa non c’è proprio. D – E senta, le succede di avere delle preoccupazioni pensando allo stato di salute del bambino? R – Certo, spero che non sia mongoloide, ma questa è una fissazione, gliel’ho detto. Però so che è normale avere delle paure. C’è chi pensa che è albino, chi entra più nei particolari. Io evito di entrare nei particolari; penso alla cosa peggiore e basta. Così non mi preoccupo più di tanto, perché tanto non posso fare niente, insomma. D – Di che cosa avrà bisogno il suo bambino nei primi mesi, secondo lei? R – Secondo me del contatto fisico. Penso sempre fortemente al contatto fisico, perché con me lui ha già un contatto fisico e credo che debba continuare ad averlo. Voglio tenermelo sempre vicino, sempre attaccato, sempre; non sono dell’idea di lasciarlo da solo che piange, o nella carrozzina se 127

magari vuole venire in braccio; penso che me lo terrò sempre addosso, tanto è vero che ho preso un marsupio, così quando vado in giro me lo tengo sempre addosso. D – Abbiamo parlato di come sarà il suo bambino, ci sono delle caratteristiche positive o negative di cui non abbiamo parlato, che mi vorrebbe dire? R – No. D – Ci sono delle caratteristiche della sua famiglia, o di quella di suo marito che vorrebbe per il suo bambino? R – Sì, dalla parte della sua famiglia vorrei che fosse molto rispettoso degli altri. D – È una caratteristica della famiglia di suo marito? R – Sì, c’è molto rispetto per le altrui tendenze, per l’altrui carattere, insomma per il pensiero degli altri. Hanno molto rispetto. D – E della sua, c’è qualche cosa, qualche caratteristica che vorrebbe che il bambino prendesse? R – Non ci ho pensato. Della mia famiglia non ho pensato niente. D – E aspetti negativi della sua, o di quella di suo marito, che non vorrebbe che avesse? R – Nella mia famiglia non hanno molto rispetto per le esigenze degli altri, hanno sempre diecimila preoccupazioni per se stessi. E quindi ovviamente vorrei che non fosse così. D – Ci sono delle caratteristiche positive o negative di cui non abbiamo parlato? R – Tante cose; non vorrei che avesse aspetti negativi in generale, che fosse una persona troppo insicura; però quello penso dipenda pure da noi. D – Quindi lei dice che suo marito è molto indipendente, e lei si sente dipendente? R – Sì, nel senso che sono molto influenzabile; adesso un po’ meno, e chiaramente piano piano uno cresce; però di base sono influenzabile, ma non solo da mio marito chiaramente, dalle persone in generale. Credo subito alle cose che mi dicono; sono molto ingenua. 128

D – Tornando a lei come madre, come si immagina; che tipo di madre immagina di essere nei primi mesi? R – Questo proprio non lo so; come tutte le cose importanti della vita. Non mi preoccupo di affrontare una cosa specificatamente, nel senso che non è che mi sono messa a riflettere, mi si presenterà questa situazione e io mi comporterò in questo modo, perché tendo ad affrontare le cose come mi si presentano; è più una preparazione mentale; cioè adesso mi sta per succedere una cosa e io è come se aprissi il cervello a tutte le opportunità di quello che può capitare. Chiaramente cerco di conoscere quali sono le attività di un bambino piccolo, quello che è naturale, e mi capita di leggere di questi argomenti. Però poi non so come reagirò. L’importante per me è cercare di aprire il cervello. D – Quindi non ha un’immagine di lei come madre, di che tipo di madre vorrebbe essere? R – No, ho solo delle immagini così, come se fossero delle fotografie; mi immagino sempre questo bambino appiccicato addosso, quindi ritorno al discorso fisico. D – E che tipo di madre non vorrebbe essere? R – Vorrei non essere apprensiva, preoccupata; vorrei non coprirlo troppo, evitare di farlo mangiare per forza, sempre per il fatto che bisogna rispettare le esigenze, perché anche se il bambino è piccolo, ha già le sue esigenze, anzi molto di più di quanto ne ha la gente adulta, per cui bisogna assecondare le esigenze di un bambino piccolo. D – Pensa che il bambino vada abituato, per esempio nel ritmo del sonno, fin dai primi giorni, oppure sia più opportuno che trovi i suoi ritmi? R – A livello egoistico vorrei che dormisse di notte così potrei dormire anch’io, però poi se non dovesse dormire cercherei di adattarmi. Cioè non penso di farlo dormire per forza, quello piange e deve dormire. Poi si sente male; insomma non lo voglio far soffrire. Secondo me bisogna assecondare i bisogni del bambino, così lui sta più tranquillo. Credo che più lo assecondi e meno esigenze ha. 129

D – Dopo la nascita pensa di farsi aiutare da qualcuno? R – Fra madri, suoceri, tutti quanti hanno già detto: «Lo porti da me, lo porti da me...», chiaramente mi servirà qualcuno che mi aiuti, quello è sicuro, però io posso contare molto su mio marito, nel senso che anche lui non avendo degli orari fissi mi aiuterà a trovare soluzioni comode; poi appunto c’è sua madre, mia madre, mia nonna, dunque già tre donne che sono molto disponibili. Avrò bisogno di aiuto secondo me quando starò lavorando, però ecco, anche in quel caso per esempio, penso che me lo porterò dietro, almeno finché potrò me lo porterò sempre dietro; penso che anche per lui sia meglio se sta sempre con me. D – E quindi lo immagina anche piccolo che se lo porta al lavoro? R – Io me lo immagino solo piccolo il bambino, non me lo immagino cresciuto; ogni tanto mi viene in mente quando avrà due anni e camminerà, però è troppo lontano; non me lo immagino. D – Quindi, quando parlavamo prima del suo lavoro futuro, si immagina di riprendere il lavoro presto? R – Dipende da quello che capita, nel senso che se mi offrono di fare questi spettacoli di cui adesso sto curando la vendita, dopo due mesi che è nato, se io sto bene e il bambino sta bene, penso che li farò. Il mio è un tipo di lavoro che prevede una disponibilità grande, in cui è anche importante mantenere i rapporti con le persone. E io in questi mesi ho ricevuto molte più attenzioni. D – Quindi nell’ambiente di lavoro ha avuto maggiore attenzione? R – Sì. Per non farmi stancare la gente era molto più disponibile con me. Chiaramente parlo di persone con cui ho un rapporto di amicizia oltre che di lavoro. Ma nell’ambiente artistico è così. D – Ma lei da bambina com’era? R –Piagnona, piangevo sempre. D – Perché lo sa? 130

R – Io piangevo sempre un po’ per carattere, perché ho sempre avuto bisogno di affetto e di protezione e ce l’ho pure adesso. Ho sempre avuto questa fragilità. Però quando ero piccola secondo me piangevo sempre anche perché mi sentivo trascurata; c’erano sempre in mezzo mia sorella, la mamma, la nonna, ognuno aveva i problemi suoi e allora piangevo sempre. Forse mi sbaglio perché non lo posso sapere perfettamente e quando ogni tanto lo dico a mia madre lei si arrabbia, però credo che sia stato per quello. Poi a loro piace molto viaggiare, per cui viaggiavamo molto, soprattutto quando ero piccola; andavamo in posti in cui, per esempio non si incontrava nemmeno una macchina per strada e quindi c’era sempre questo gusto per la vita che hanno i miei genitori. Chiaramente io e mia sorella eravamo un po’ portate dietro; le esigenze nostre erano secondarie per cui magari io a quattordici anni avrei preferito stare con i miei amici piuttosto che in un posto in cui non conoscevo nessuno e invece ero costretta a starmene lì da sola. Ho allargato il discorso però la ragione penso che sia questa. Mi dice mia madre che non mangiavo, che avevo una serie di reazioni negative. Mangiavo solo se mi imboccavano e solo esclusivamente alcune cose e questo comportamento mi è rimasto fino ai dodici o tredici anni. Non mangiavo, ero molto magra infatti. Certo, rispetto al primo anno di vita non so come stavano le cose però sembra che mia madre si ricorda molto più di mia sorella, che poi era la prima figlia chiaramente, di quando era piccola, di quello che voleva fare, e molto meno di quello che facevo io per cui non ho molte informazioni. D – E di temperamento? R – Ci devo pensare un attimo... Com’ero di carattere proprio non lo so. D – E che aspetto aveva? R – L’aspetto era bello sicuramente, florido nonostante mangiassi poco. D – E con sua madre che rapporto aveva? R – Mia madre è stata la persona che fin da piccola ha as131

secondato le mie inclinazioni, però non ho dei ricordi precisi di quando ero così piccola. Mio padre lavorava quindi lo vedevamo poco. Chiaramente è una persona severa, anche se sapevo che mi voleva tanto bene. Poi in casa c’era anche mia nonna, oltre a mia madre e a mio padre e di mia nonna mi ricordo; lei era molto attaccata a me. E poi c’erano le mie zie. D – Quindi le sembrano tanti rapporti significativi? R – Sì. Per esempio Giuseppe aveva sempre a che fare solo con la madre per cui lui ha tutta una serie di ricordi specifici, poi lui è il primo figlio, anche questo conta, io ero la seconda, quindi c’era meno preoccupazione. Tutta la mia famiglia si ricorda più di mia sorella quando era piccola che di me, quindi di conseguenza anche io mi ricordo più di come poteva essere mia sorella che di me stessa. D – E con suo padre? R – Gliel’ho detto. Mio padre era protettivo e molto duro nello stesso tempo, ma perché come padre quello del duro era il suo ruolo. Doveva per forza mostrarsi forte, sicuro, deciso. Io mi ricordo per esempio quando a tavola discuteva con mia sorella e le faceva le domande di matematica. A me invece mi lasciava in pace perché ero piccola, o perché ero buona... Non lo so. D – Può fare esempi del rapporto con sua madre? R – Se si riferisce sempre a quando ero molto piccola non mi viene in mente niente. D – E con suo padre? R – In mente mi vengono sempre le stesse cose: lui che sgridava mia sorella e che a me invece non mi sgridava mai. Qualsiasi cosa facessi io, andava bene, o almeno non era punibile. Invece quello che combinava mia sorella era sempre gravissimo; evidentemente aveva delle grosse aspettative su di lei, ma non su di me. E rispetto a mia madre è difficile a dirsi perché ho dei ricordi vaghi e nello stesso tempo è come se non ce li avessi. In casa c’erano tante persone, tanti parenti. Certo mia madre era la figura che consideravo più importante, indubbiamente, però c’erano anche le altre persone e 132

quindi non ho dei ricordi specifici. Mi ricordo però una volta, verso i sei o sette anni ero uscita con lei, evidentemente quindi non è che succedeva molto spesso di andare in giro per negozi con lei. Doveva comprare delle cose, non mi ricordo, e alla fine della giornata, verso sera, quando i negozi stavano quasi per chiudere, lei mi comprò una bambola e mi disse: «Siccome sei stata tanto brava ti compro questa bambola». Io rimasi stupita perché non pensavo di aver fatto niente di buono. Non avevo fatto i capricci, cioè evidentemente non avevo pianto, non avevo chiesto di andar via. E allora secondo me quel premio non lo meritavo e non c’entrava niente che in quel momento lei mi regalasse quella cosa, che mi comprasse quella cosa. Non c’era motivo per cui dovesse premiarmi. Mi premiava perché ero stata zitta e buona? Fu una grande offesa per me. D – Che cosa può dire di sua madre? R – Secondo me, mia madre ha sofferto il problema dei genitori che si sono separati, tra l’altro in un’epoca in cui questa non era una cosa frequente. Tra l’altro è stata mia nonna ad andarsene via di casa. Mio nonno era sempre fuori per lavoro. Di fatto mia madre era abbandonata a se stessa: erano gli anni Quaranta. Di mio nonno ho un bel ricordo, di una persona molto positiva, molto attiva, allegra, ma non c’era mai. D – Che differenze vede fra sé e sua madre? R – Ma, secondo me, la differenza sta proprio a livello razionale, nel senso che lei razionalmente è carente perché non è stata educata nel vero senso della parola. È stata, come le ho detto, abbandonata a se stessa. Io invece tendo sempre a razionalizzare tutto, anche le cose istintive. Per cui penso che la principale differenza fra di noi sia questa. Mia madre agisce in un dato modo perché magari qualcuno che lei ritiene autoritario, importante, ha detto che bisogna fare così con i figli; allora magari faceva così e poi l’istinto materno la portava a fare diversamente e poi ancora ascoltava gli altri e andava in crisi. È come se non avesse delle sicurezze e secondo 133

me dipende proprio dall’educazione, da quella carenza di educazione che la porta ad avere una carenza nell’educare. Quindi io penso che sia stato un bene che io abbia avuto oltre a mia madre anche mia nonna, perché bene o male tutte e due messe insieme hanno potuto fare qualcosa. Se succedeva qualcosa mia madre finiva per dare sempre la colpa a me, perché non era capace di trovare una via di mezzo e questo chiaramente mi ha creato una serie di insicurezze incredibili. D – In questa situazione di crisi, il ruolo di sua nonna? R – Secondo me nessuno aveva un ruolo protettivo dentro casa; avrebbe potuto averlo mio padre se fosse stato più presente. Infatti quando poi è andato in pensione è cominciato questo rapporto protettivo forte fra me e lui, protettivo sia da parte mia che da parte sua, nel senso che noi due siamo un muro rispetto al resto, ci aiutiamo sempre. Sarebbe stato così anche prima se lui fosse stato più disponibile come tempi. Però faccio molta fatica a dire queste cose; mi emoziona molto parlare dei genitori e della famiglia ora che sono incinta. Magari l’anno scorso sarebbe stato diverso. È un discorso che mi agita molto, cioè è superato, ma non è superato, insomma, è un problema; è accettato perché ormai è accettato, però penso di aver subito delle cose ingiustamente, ecco. Non è che ho subito delle cattiverie, è una questione di indifferenza dovuta proprio al carattere delle persone. D – Quindi in che cosa sente che sarà diversa da sua mamma? R – Non vorrei esagerare, ma io conto molto sull’equilibrio di Giuseppe, che è una persona molto equilibrata perché ha alle spalle una famiglia che è il contrario della mia, nel senso che ha una madre che è stata sempre appresso ai figli; pure suo padre ha lavorato tanto, però Giuseppe mi dice sempre che quando stavano a tavola lui gli chiedeva sempre come andava, che cosa faceva, se avesse fatto i compiti... Poi guardava tutti i suoi compiti e gli spiegava le cose; la domenica stava lì a spiegargli le cose e quindi mio marito ha tanti 134

ricordi di educazione da parte del padre soprattutto, mentre sua madre era proprio una chioccia. Allora conto molto sul fatto che lui sa come si fa perché è stato educato in quel modo; io da parte mia penso di creare un rapporto materno proprio a livello fisico, come ho detto, un rapporto in cui lui o lei possa chiedermi tutto, parlarmi di tutto. Voglio che mi rispetti, ma voglio rispettare anche le sue esigenze.

Madri ristrette

Flaminia è una giovane donna che mostra una rappresentazione di sé come madre, e del figlio, ristretta. Pur dando valore alla propria esperienza di maternità Flaminia vuole infatti mantenere la propria indipendenza e il proprio autocontrollo e non vuole farsi condizionare troppo dal figlio che sta per nascere. D – Mi potrebbe raccontare la storia della sua gravidanza? R – Io devo dire che sono stata molto fortunata, perché non ho mai avuto problemi. Anche nei primi tre mesi, i soliti problemi di nausea, vomito eccetera, non li ho avuti. Ho fatto delle cose che di solito sconsigliano di fare, sono andata a sciare, sono andata in moto... però stavo bene, insomma sentivo di poterlo fare. Però i primi tre mesi sono stati caratterizzati da un nervosismo piuttosto frequente, da uno stato di tensione. Dopo i primi tre mesi cominciavo forse ad abituarmi all’idea, quindi mi sono calmata; continuavo a non avere problemi, non provavo disturbi di nessun tipo, se non qualche mal di testa. Prima ci soffrivo e speravo che con la gravidanza passassero, o per lo meno tutti mi dicevano che la gravidanza è un periodo in cui si sta piuttosto bene, e i problemi che si hanno prima non si hanno più. E invece il mal di testa purtroppo mi ha continuato ad assillare. Non prendevo farmaci perché non sono molto favorevole ai farmaci, poi a maggior ragione in questo periodo... E poi diciamo che piano piano, con grande difficoltà, cominciavo anche ad abituarmi all’idea della trasformazione del mio corpo. L’idea 137

non è che mi piacesse molto: non dico che provassi un senso di vergogna però cercavo di nascondere la cosa, e il tipo di abbigliamento che c’era mi permetteva anche di fare questo. Quindi diciamo che verso il sesto mese ho superato tutti questi problemi e adesso la sto vivendo abbastanza tranquillamente la cosa. Non dico che non vedo l’ora che nasca perché so perfettamente che ci saranno problemi molto più grossi, per cui insomma sto vivendo questi ultimi mesi con serenità. D – Come mai un bambino in questo momento della sua vita? R – Ci ho pensato molto, perché non mi sentivo pronta nonostante non sia più una ragazzina. Insomma, io ero sempre dell’idea che non avrei avuto figli. Non è che sia un’appassionata di bambini, non mi hanno mai attirato. Per carità, non è che io li odi, però non sono mai stati la mia passione. Poi però, un po’ perché forse dopo tanti anni di matrimonio una sente questa necessità, un po’ perché anche mio marito, che come me non era dell’idea, si è convinto, un po’ si comincia ad avere amici con bambini... insomma tutta una serie di cose che porta a prendere questa decisione. D – Quindi è stata una decisione comune tra lei e suo marito? R – Sì... Non è che ci dessimo da fare particolarmente, non è che assolutamente bisognava avere questo figlio, però diciamo che non lo si evitava ecco, se capitava... D – Da quanto tempo è stato programmato? R – Diciamo da un annetto. Io ho avuto anche un problema ormonale in precedenza. Ero in cura, però, col fatto che non volevamo avere figli questo non mi provocava nessuna inibizione. E poi non so, forse il fattore psicologico, che penso abbia influito parecchio... insomma un insieme di cose, sta di fatto che alla fine sono riuscita a rimanere incinta. D – In passato c’erano stati aborti? R – Purtroppo sì, nel senso che ne avevo provocato uno, perché appunto non me la sentivo, mio marito naturalmente era d’accordo, ovviamente mi sono pentita... 138

D – Quanti anni fa? R – Quattro anni fa. D – Come si è sentita quando ha saputo di essere incinta? R – Io per carattere sono un tipo molto freddo, non mi entusiasmo facilmente, per cui anche questa cosa non mi ha entusiasmato... Se era per me non l’avrei detto a nessuno, l’avrei tenuto per me. Dovevo prima abituarmi io all’idea e poi eventualmente mettere al corrente altre persone. Però la cosa naturalmente non mi è dispiaciuta e ho pensato subito: «Cambierà la mia vita, la nostra vita, bisognerà affrontare altri problemi...». Ecco, diciamo che è stata una cosa un po’... ragionata, non mi sono lasciata prendere da entusiasmi. D – E quando si è accorta di essere incinta? In che circostanza? Cosa ha fatto per saperlo? R – Dunque, io me ne sono accorta praticamente subito perché io prendo la temperatura basale, e poco dopo essere rimasta incinta sono andata dal ginecologo e lui aveva notato che poteva esserci stata la fecondazione. Però era troppo presto per stabilirlo, quindi ho lasciato passare qualche giorno e poi ho fatto l’analisi di laboratorio. D – Quanto tempo dopo il concepimento? R – Più o meno sarà stato venti giorni dopo il concepimento. Poi, dopo una settimana dalla mancata mestruazione, ho fatto l’analisi, è venuta positiva e... D – Con chi ne ha parlato per primo? R – Con mio marito, perché è venuto anche lui a fare le analisi con me. Poi mio marito ha voluto avvertire subito i miei genitori. Loro non erano in città, per cui gliel’ha detto per telefono. Io avrei anche aspettato, se non altro il loro ritorno, un po’ per le motivazioni che le dicevo prima, un po’ perché per telefono uno non sa mai come esprimersi. E invece lui avrebbe messo i manifesti! D – Quindi suo marito ha accolto la notizia... R – ...non dico più favorevolmente, però forse ha reagito come si dovrebbe reagire normalmente: quando uno apprende una bella notizia vorrebbe mettere al corrente tutti di que139

sta gioia che sta vivendo. Io ho un carattere un po’ diverso per cui ho reagito in modo meno entusiasta. D – E i suoi genitori come hanno reagito? R – Mia madre è rimasta un po’ scettica... Io non ho un rapporto di grande confidenza con i miei genitori, per carattere, perché anche loro sono estremamente chiusi, riservati. Mio padre credo che sia stato contento, senza che lo abbia esternato particolarmente. Mia madre invece non so, non sono mai riuscita a capire se lei avesse piacere che io avessi dei figli o meno, perché è una donna estremamente pratica e quindi si rende conto delle difficoltà che può comportare una nascita, una famiglia, per due persone che lavorano e così via. Adesso forse questi mesi sono serviti anche a lei per abituarsi all’idea e quindi anche lei è favorevole, naturalmente. Si vede anche da come si dà da fare: compra tante cose per il bambino, si mette a sferruzzare e cose del genere. D – Ne ha parlato con le sue amiche, lei? R – Io no. È sempre stato mio marito che divulgava la notizia, anche agli amici quando ci capitava di vederli, o anche chiamandoli, allo scopo di metterli al corrente della cosa. D – Come si è sentita e come è cambiata la sua vita durante la gravidanza? R – Come ho detto, all’inizio ho fatto tutto quello che avrei fatto se non fossi stata in gravidanza. Magari non ho fatto sport estremi, come invece faccio di solito... Però per il resto non sono molto cambiata, se non mentalmente. Dal punto di vista fisico ho fatto sempre la stessa vita, tranne adesso che naturalmente cominciano a farsi sentire i chili in più e quindi c’è un maggior disagio nel fare le cose, anche nel camminare... D – Ci sono stati dei cambiamenti per suo marito, dopo questa notizia, sia come stato d’animo che come vita quotidiana? R – Forse più all’inizio. Sentiva di dover partecipare di più, nei lavori domestici, nell’andamento della casa... Cercava di tenermi un po’ sotto una campana di vetro, perché non 140

mi sforzassi. Io invece reagivo in maniera opposta. Mi dava quasi fastidio questo suo atteggiamento perché tutto sommato dicevo: «Non sono malata, la mia non è una condizione patologica, per cui determinate cose posso farle anch’io». Non so se per questa mia reazione o perché si è abituato anche lui all’idea, piano piano è ritornato... alla normalità. D – La gravidanza ha influenzato le sue abitudini, le sue attività, i suoi ritmi di lavoro? R – No, direi essenzialmente di no, se non ultimamente, perché ora mi sento più stanca, più impacciata nel fare le cose, anche se il mio è un lavoro sedentario. Però non sono mai stata assente dal lavoro se non per il mal di testa, che mi teneva a casa. D – Come prima, insomma. R – Sì. D – E ha influenzato le abitudini o i ritmi di lavoro di suo marito? R – No, assolutamente. D – E il rapporto con suo marito è cambiato? Se sì, come? R – Io credo che sia cambiato, ma non ne sono completamente sicura. Nel senso che già si sente una presenza in più, anche se ancora non esiste, o per lo meno lui la sente molto più di me: non siamo più in due, per mio marito siamo già in tre. Però non è che lui abbia cambiato atteggiamento nei miei confronti: non so come spiegarmi, forse è una cosa impercettibile, una cosa a cui io pensavo o mi aspettavo che dovesse succedere, perché un rapporto sicuramente non può rimanere uguale dopo che uno ha avuto un figlio. Non si può pensare che il rapporto rimanga identico a prima. Però non saprei come, ecco, immagino che sia cambiato ma si tratta di sfumature... D – Le vostre abitudini di coppia sono cambiate? Fate le cose insieme? Uscite? R – No, non sono cambiate; noi siamo sempre usciti; quello che facevamo prima abbiamo continuato a farlo anche dopo. 141

D – Se c’erano dei conflitti tra di voi sono aumentati o diminuiti dopo questa notizia? R – Non tanto in seguito alla notizia. Come ho detto, c’è stato un periodo in cui io ero più nervosa, più tesa, quindi è probabile che ci sia stato qualche motivo di discussione in più rispetto a prima, anche se devo dire che lui ha cercato di venirmi incontro perché si rendeva conto della situazione e sapeva che questo cambiamento in me poteva provocarmi delle tensioni maggiori. Quindi non è stata tanto la notizia o l’evento in se stesso che può aver provocato qualche discussione in più, quanto il mio stato d’animo che influiva sul suo. D – Dal punto di vista dei rapporti sessuali ci sono stati dei cambiamenti? R – Io ho avuto qualche problema, nel senso che, vedendo il mio corpo che si trasformava, forse non mi sentivo più di avere dei rapporti... Non mi sentivo pronta, e quindi c’è stato un cambiamento in questo senso, però sempre da parte mia. Non era tanto lui che mi rifiutava, quanto io che mi chiudevo in me stessa e non volevo saperne perché non mi piacevo. D – Come si comportava suo marito con lei? Che atteggiamento aveva? R – Sempre molto affettuoso. Non ha mai sofferto di questa mia reazione, l’ha capita sempre; anzi cercava di attenuare queste mie paure, confortandomi. D – E con sua madre come va in questo periodo? R – Come sempre! D – Che stati d’animo sente che ha sua madre verso di lei? E lei verso sua madre? R – Sembra strano, però non è che io abbia il rapporto di amicizia che una figlia può avere con la madre, sarà un fatto caratteriale, però io sento che lei mi sta dietro: si preoccupa, mi dice di non stancarmi, mi chiede se ho bisogno di una mano... Ecco, forse cerca di aiutarmi più di prima in determinate cose, mi fa la spesa, cerca di sollevarmi da qualche lavoro più gravoso, più pesante... Però forse sono de142

duzioni mie, non che lei abbia detto qualcosa o lasciato trasparire qualcosa... D – Lei ha notato dei cambiamenti? R – Non mi pare, direi di no. D – E nelle abitudini? R – No, neanche nelle abitudini. D – Quando ha notato i primi cambiamenti nel suo corpo? R – Dopo due, tre mesi, vedevo già che mi stavo modificando. Lo vedevo dai vestiti, da tante cose, alcune anche piacevoli, per esempio i capelli... Per lo meno io ho notato questo, non so se poi è una cosa generale: i capelli mi rimanevano più lucidi, più brillanti, la pelle più fresca... Questi sono i lati piacevoli, poi ci sono quelli meno piacevoli che sono il corpo che si ingrossava. Io sono ingrassata... D – E che reazione ha avuto lei a questi cambiamenti? R – Non lo so, questo non mi frenava, non mi aiutava a mangiare di meno ma anzi mi creava un senso di tensione per cui ero portata a mangiare di più, come per nervosismo. D – E che reazione ha avuto suo marito rispetto a questi cambiamenti? R – No, lui era contento, controllava se cresceva la pancia... Lui l’ha presa benissimo, sicuramente meglio di me. Gli ho detto: «Sei contento perché tu non ti modifichi e quindi non puoi capire». Ma forse un uomo reagisce in modo diverso. D – Quando ha cominciato ad indossare gli abiti premaman? R – Verso il quarto mese credo, perché non riuscivo più a mettere niente, quindi... D – E che cosa provava a indossare questi abiti un po’ particolari? R – Ho cercato di comprare degli abiti che non dessero molto l’idea del premaman, che effettivamente non è che mi piacciano molto. Certo, per forza di abiti premaman ne ho comprati, però ho comprato anche delle cose che non sono 143

proprio premaman che però possono essere adattate. Adesso vanno i fuseaux e le maglie piuttosto larghe, che si acquistano nei negozi normali, e con questi devo dire che mi sentivo anche meno osservata. D – E suo marito ha avuto delle reazioni rispetto a questi vestiti? R – No, poteva dire se gli piacevano, però indipendentemente dal fatto che fossero premaman. Aveva dei gusti diversi dai miei rispetto al tessuto, al modello che ho scelto... D – Ci sono stati momenti di particolare emozione durante la gravidanza? R – Forse quando ho fatto un’ecografia verso il quarto mese, quella in cui si riesce a distinguere qualche cosa di questo essere che cresce e riesci a vederlo nel suo insieme. Però ecco, appunto è stata come un’emozione di riflesso vedendo come l’aveva presa mio marito: lui era completamente fuori di sé dalla felicità nel vedere questa cosa che si muoveva sullo schermo, e quindi vedendo lui che reagiva in questo modo mi sono lasciata un po’ influenzare da questo stato d’animo e posso averla vissuta come se fosse stata una mia emozione. D – Che cosa ha visto sul video? R – C’era questa cosa piccola che si muoveva, di cui mostravano la gamba, la mano, il braccio, la testa... Quindi è qualcosa di concreto che ti fa rendere conto che c’è un essere dentro di te, che io avevo già sentito muovere e che poi ho anche visto... Non so, è come quando conosci una persona per telefono e ti immagini come possa essere e poi la vedi dal vivo e puoi rimanere delusa o no, però sei riuscita ad associare un nome a una fisionomia. Più o meno è successa la stessa cosa: prima era un oggetto, qualche cosa che aumentava dentro di me, e invece una volta fatta l’ecografia mi sono resa conto che effettivamente c’era questa cosa, e si muoveva, e aveva anche una sua fisionomia, un po’ particolare però... D – Durante la gravidanza ci sono stati momenti in cui si è sentita preoccupata o arrabbiata per qualcosa? Ha mai sentito il bisogno di qualcosa in particolare? 144

R – Adesso non mi viene in mente niente. Le preoccupazioni di tutti, di più sulla sanità di questo bambino. Però, ogni volta che mi si affacciava alla mente questo pensiero, ho sempre cercato di allontanarlo, tanto ormai quello che è fatto è fatto, non ci posso fare niente, non è che posso cambiare le cose, per cui anche questa preoccupazione non era così importante. Proprio arrabbiata no... cioè ho avuto un momento in cui forse ero quasi pentita, ma erano i primi tempi per cui non gli do neanche tanta importanza, perché mi dovevo ancora abituare all’idea. Forse ci sarà stata una discussione che mi aveva portato a pensare una cosa del genere. D – E le paure specifiche? R – No, se non questo pensiero che il bimbo fosse sano. D – Ha fatto sogni durante la gravidanza? R – Sì, ma non li ricordo mai i sogni. Nell’ultimo che mi ricordo mangiavo dello yogurt, ma sinceramente non so cosa possa voler dire. Devo aver sicuramente sognato anche qualche altra cosa però in questo momento non me la ricordo. D – Rispetto ai suoi stati d’animo ne ha parlato con qualcuno? R – Sì, con mio marito, essenzialmente. D – E lui come ha reagito emotivamente alla gravidanza? Ha avuto anche lui delle paure, delle preoccupazioni? R – Immagino di sì, più o meno le stesse paure che ho avuto io, gli stessi timori... D – Si è sentito in una posizione diversa rispetto a lei, ha risentito di questo? R – Casa nostra non è molto grande, abbiamo una stanza che diventerà la stanza di questo bimbo, finora era la stanza degli ospiti, o meglio, di mio marito, perché lui per hobby dipinge, e quindi impegna parecchio spazio. Di conseguenza lui si è sentito un po’ defraudato, come cacciato da questa stanza, quindi all’inizio è probabile che questo gli abbia dato un po’ fastidio. Però io sono sicura che è stata una cosa passeggera, adesso neanche più ne parla, si rende conto che dovrà dedicare meno tempo a questo suo hobby, a questa pas145

sione, perché dovrà spartire gran parte del suo tempo con questo bimbo. D – Abbiamo un po’ parlato della sua gravidanza. Ci sono degli aspetti positivi o negativi di cui non abbiamo parlato finora? R – Non saprei, non mi pare. D – Ha effettuato le visite e gli esami di controllo della gravidanza? R – Sì. D – Quali ha fatto? Li ha fatti regolarmente? R – Abbastanza regolarmente. Quando uno sta bene non ha mai voglia di andare dal medico, di farsi delle analisi, per cui io non le ho fatte tutti i mesi come qualcuno aveva detto. Il medico stesso consigliava di farle tutti i mesi, invece io le ho fatte ogni mese e mezzo o due, perché stavo bene, mi sentivo bene... Di conseguenza anche le visite erano abbinate ai risultati delle analisi. Ho fatto analisi del sangue, essenzialmente. D – Che risultati ha avuto? R – I risultati sono stati sempre abbastanza buoni, tranne ultimamente, per cui mi hanno consigliato una maggiore rigidità nella dieta. Però a parte questo non c’erano mai grossi problemi. D – Va in una struttura pubblica o privata? R – Privata, sia per le visite che per le analisi. D – E ha consultato sempre le stesse persone? R – Sì, nel senso che il medico che mi seguiva prima mi ha seguito dopo e continua a seguirmi adesso. Poi ho parlato con degli amici medici, ma così, tanto per parlare... D – Come va a fare queste visite? Da sola o accompagnata da qualcuno? R – Da sola. Sono sempre andata da sola, tranne appunto per le ecografie, dove è voluto venire anche mio marito perché voleva vedere, per curiosità. D – Il corso di preparazione al parto? R – Il corso è una nota dolente, purtroppo, perché io mi ero interessata presso una struttura a cui mi ero rivolta già al146

tre volte, mi era comoda perché era vicinissima a casa mia. Però purtroppo gli orari erano sempre poco pratici per me che ancora lavoravo, quindi dovevo prendere dei permessi in ufficio, giustificarmi... Ho frequentato pochissimo, e quelle volte che sono andata non sono riuscita neanche a sentire tutta la lezione. D – Ha avuto disturbi in gravidanza? R – Disturbi fisici no, a parte qualche mal di testa sporadico. Qualche doloretto, ma credo che siano cose normali, non me ne sono mai preoccupata, dei doloretti. D – Nausee, vomiti? R – No. D – Un aumento di peso consistente? R – Un aumento di peso c’è stato, e di parecchio anche, tanto è vero che me ne sono stupita. Però ero magra, quindi adesso non è che sia grassa, nonostante sia ingrassata parecchio. D – Stitichezza, diarree? R – Sì, stitichezza sì, ultimamente si è accentuata. D – Alterazioni del sonno? R – Io sono abbastanza irregolare: non potrei dire di avere avuto dei periodi di insonnia, o periodi di sonno profondo. Tutto è quindi rimasto più o meno come prima, tranne nei primissimi tempi, in cui mi veniva sonno durante la giornata, e non potevo certo permettermi di dormire stando in ufficio. Superati i primi tempi poi, superato quel periodo iniziale, ho sempre dormito regolarmente, come prima. D – Come immagina il parto? R – Finora non ci ho mai pensato, forse sono ancora troppo lontana dal momento. Però m’immagino una cosa faticosa, sicuramente anche dolorosa. Più che il parto forse il preparto, insomma la fase del travaglio. Non so se potrà piacermi o no, tutte le donne che hanno avuto figli hanno detto che è un’esperienza bellissima, forse lo sarà. Io non lo so, per ora non posso dire, ma non lo so. Ho paura di soffrire, ecco. D – Le hanno raccontato qualcosa che l’ha colpita? R – In genere non mi lascio condizionare. Quando mi rac147

contano le cose, mi entrano da un orecchio e mi escono dall’altro. Sicuramente qualcuno mi ha raccontato le proprie esperienze, però non mi è rimasto niente di particolarmente impresso. D – Desidera avere qualcuno vicino in particolare al momento del parto? R – No, no, perché so che mio marito sicuramente non vorrà. Si lascerebbe impressionare troppo, e quindi no. D – Quando si è resa conto che c’era un bambino dentro di lei che cosa ha provato? R – Subito non posso dire di aver provato qualcosa, se non il fatto di aver accettato l’idea; per cui ho incominciato a provare tenerezza quando vedevo la pancia che si muoveva, quando la cosa era diventata più concreta. D – In che momento si è resa conto che c’era questo bambino dentro di lei? R – Non posso dire che c’è stato un momento preciso... Non riesco cioè ad abbinare adesso a uno stato d’animo il momento preciso in cui mi sono resa conto di questa presenza. Mi pare di ricordare che più o meno al quarto mese – io ho suddiviso la mia gravidanza in periodi, in mesi – io mi sono resa conto di questa presenza, perché ho cominciato a sentire dei movimenti che prima non c’erano. Più che movimenti, qualche cosa che era dentro. Però più avanti, quando questa presenza diventava più grande e si poteva magari distinguere dall’esterno – non dico la testa o un piede ma insomma queste cose così che uscivano più o meno, che modificavano la struttura della pancia – ecco, è stato allora che mi sono resa conto effettivamente. Non so se sono riuscita a spiegarmi, però. D – Quindi c’è stato questo inizio al quarto mese... R – Al quarto, sì, ho sentito la presenza, però non mi ero affezionata, perché questa presenza non la vedevo fisicamente. Più avanti, al quinto, sesto mese, allora, vedendosi anche esternamente questi movimenti, tutto è cambiato. D – Il cambiamento è avvenuto quando ha percepito il movimento? 148

R – Sì, questa pancia che faceva su e giù. Quindi a quel punto ha cominciato a farmi un po’ di tenerezza perché ho pensato a qualcosa di indifeso, di piccolo, qualcosa che avrà bisogno sicuramente di me, del padre e quindi... D – È un bambino che si muove molto o poco? R – Molto. D – E in quali circostanze? R – In genere, quando sto seduta o comoda o sdraiata, forse perché ha più spazio, non lo so, sono mie illazioni, o forse solo perché lui ha deciso che si deve muovere. Per esempio la sera io mi siedo sul divano. Forse la sera è il momento che lui si deve muovere e quindi si muove, indipendentemente dal fatto che io sia seduta sul divano. D – E che interpretazione dà a questi movimenti? R – Il mio timore è che sia molto vivace. Non mi preoccupa tanto che sia vivace adesso, mi preoccupa che lo sia dopo... Oppure sta bene, perché dicono che più si muove e più sta bene. Oppure potrebbe essere semplicemente che si è svegliato e ha deciso che deve fare un po’ di ginnastica... Le spiegazioni che ho trovato sono svariate, quella che però mi fa più timore è che sia eccessivamente vivace. D – Crede che ci sia qualche rapporto col suo stato d’animo? R – È probabile, però non potrei stabilirlo con precisione. Una volta sì, mi sentivo particolarmente nervosa e ho sentito per tutto il giorno questo movimento, però ci sono stati momenti in cui io ero un po’ nervosa e in quel momento non c’era, quindi non è detto. D – Come immagina il suo bambino? R – Non lo immagino. D – Immagina le caratteristiche fisiche, il temperamento? R – No. D – E il sesso? R – Il sesso neanche, non l’ho voluto sapere e non ci voglio neanche pensare. Sarà una sorpresa. D – E suo marito come lo immagina? 149

R – Mio marito ha le orecchie a sventola, così lo immagina con due grandi orecchie a sventola. Poi lui sa il sesso, adesso lo sa. D – Lo sa e non glielo dice. R – No, io non lo voglio sapere, lui magari me lo vorrebbe anche dire... Comunque finora è riuscito a non dirmelo. Lui se lo immagina in una maniera più dettagliata rispetto a prima, per cui siccome io non lo so, lui non mi può dire neanche come lo immagina. Però prima se lo immaginava maschio, ora non lo so. D – Potrebbe dire che tra lei e il bambino si è già creato un rapporto? R – Forse tra me e il bambino, non tanto tra il bambino e me. Io non sento ancora questo riscontro, sento un legame con lui però non lo so se lui lo sente con me. D – Ma che tipo di legame sente con il bambino? R – Di affetto, di desiderio di protezione, di farlo crescere senza creargli troppi problemi, senza intimorirlo troppo. D – Succede che lei e suo marito parliate con il bambino o lo chiamiate con un nomignolo? R – Sì, succede, però è più mio marito che gli parla, non tanto io, perché nonostante senta che c’è un legame con lui ancora non riesco a parlargli. D – Vuol farmi un esempio di come suo marito parla al bambino? R – Lui gli parla mandandogli dei messaggi, gli racconta quello che ha fatto durante la giornata, poi gli chiede come sta, gli dice: «Ti comprerò dei regali». Come se già questo bimbo esistesse, fosse presente. D – Ha mai sognato il bambino? R – Che io ricordi, no. D – Abbiamo già parlato dell’ecografia, lei mi ha detto che l’ha fatta al quarto mese. L’ha fatta altre volte? R – Sì, ne ho fatta un’altra al settimo mese, e naturalmente è stata una cosa un po’ diversa, si è visto il sesso, per lo meno l’ecografista è riuscito ad individuarlo. 150

D – Come le è sembrato il settimo mese rispetto al quarto? Che cosa ha visto? R – Si vedeva a pezzetti, naturalmente, perché non si poteva vedere tutto insieme, e ho distinto, perché me lo dicevano: la testa, le mani, lo stomaco, il cuore, la cassa toracica... Insomma, ho visto cose più concrete rispetto alla volta precedente, però a pezzetti. D – E il suo stato d’animo nel vedere questa seconda ecografia? R – Mi ha confermato le sensazioni che avevo, le impressioni, mi ha avvicinato di più al bimbo. D – Lei prima mi ha detto che al quarto mese ha cominciato a sentire i movimenti del bambino. Quando ha fatto la prima ecografia questi movimenti erano già iniziati? R – Sì, sì. D – Il nome l’avete già scelto? R – Abbiamo pensato dei nomi, ma ancora non abbiamo deciso. Diciamo che nella vasta gamma di nomi che ci sono ne abbiamo selezionati tre o quattro e poi tra quelli decideremo. D – Quali sono questi tre o quattro nomi? R – Se è femmina, ad esempio, mi piacerebbe Francesca. Mi piace perché è un bel nome, ma anche perché conosco diverse persone che si chiamano Francesca, sono persone estremamente allegre, vivaci. È un’idea cretina, lo ammetto, però magari una persona allegra in casa è piacevole... Giulia è un altro nome che non mi dispiace. Se è un maschio, abbiamo scelto nomi comuni come Fabio, Giorgio, Roberto... D – Non riguardano qualcuno di famiglia, questi nomi? R – No, no. D – Lei ha delle preferenze per il sesso del bambino? R – All’inizio volevo assolutamente un maschio, perché pensavo che un maschio dovesse creare meno problemi da un punto di vista educativo, anche da un punto di vista sociale, cioè di un suo inserimento nella società. Adesso sinceramente non ho più questa preferenza, anche perché tutti mi dico151

no: «Ma sai, se deve rimanere figlio unico è meglio la femmina perché si affeziona di più alla casa...». Io non lo so. D – Che cosa ha preparato per il bambino? R – Qualche cosa per vestirlo, e una culla, che era di mia cugina. E basta. D – L’ha aiutata qualcuno nel preparare queste cose o ha fatto da sola? R – La culla siamo andati a prenderla a casa di mia cugina; invece per i vestitini mi ha aiutato mia madre, che ha subito acquistato il corredino. D – Abbiamo parlato delle caratteristiche del suo bambino. C’è qualcosa di positivo o di negativo di cui non abbiamo parlato, che lei vuole aggiungere? R – No. D – Le succede mai di pensare a come sarà il bambino? R – Sì, ma non tanto fisicamente, quanto caratterialmente. Mi chiedo se sarà affettuoso, se sarà piagnucolone, se sarà allegro, vivace, musone, ecco, questi lati del carattere. D – E come lo vorrebbe nei primi mesi? R – Soprattutto tranquillo! Tranquillo, nel senso che non lo vorrei nervoso. Vorrei che non piangesse troppo, naturalmente, ma come tutte le mamme. D – E suo marito come lo vorrebbe? R – Oltre a volerlo maschio, come ho detto, lo vorrebbe con i suoi stessi gusti e le sue stesse idee. Quindi vorrebbe iniziarlo subito all’hobby che ha lui, la pittura. Credo che lo vorrebbe maschio per trascinarlo con lui nelle sue avventure di fine settimana. D – Come non vorrebbe che fosse? R – Io? D – Lei. R – Non vorrei che fosse senza spina dorsale, ma non dal punto di vista fisico, proprio dal punto di vista caratteriale. Non vorrei che non avesse carattere, quindi vorrei che fosse una persona forte, che non si lasciasse mettere i piedi in testa. D – E suo marito come non lo vorrebbe? 152

R – Non lo vorrebbe pignolo, preciso. D – Le succede di avere delle preoccupazioni riguardo al bambino? Nei primi tempi, appena nato? R – Non è che ci abbia pensato molto, però è normale che ho paura. Forse mi immagino preoccupazioni maggiori, problemi più grossi di quelli che in realtà sono, però non avendo esperienze precedenti uno magari si fascia la testa ancor prima di rompersela... D – Di che cosa pensa avrà bisogno il suo bambino nei primi mesi di vita? R – Io prima non ce l’avevo un’idea. Me la sono fatta leggendo. Sono idee di altri che mi sono messa in testa: penso che abbia bisogno della presenza della madre, proprio nei primissimi tempi, assolutamente, e poi di sentire di essere amato, sentire la sicurezza nella presenza anche fisica di una persona che lui conosce e che possa riconoscere. D – Abbiamo parlato del suo bambino. Ci sono altre caratteristiche che vuole aggiungere o di cui non abbiamo parlato, secondo lei? R – Adesso non mi viene in mente niente. D – Ci sono delle caratteristiche positive o negative della sua famiglia che lei vorrebbe o non vorrebbe per suo figlio? R – Caratteristiche fisiche? D – Anche del carattere. R – L’ho già detto, non vorrei che si facesse influenzare troppo dagli altri, o che non riuscisse a imporsi. D – Ma rispetto a suo padre o a sua madre o a qualcuno della famiglia di suo marito? Mi riferisco cioè ad aspetti che appartengono a queste persone che lei vorrebbe o non vorrebbe avesse suo figlio. R – Sono un po’ combattuta... Vorrei che avesse l’onestà della mia famiglia, e di quella di mio marito, però fino ad un certo punto: non so il mondo di oggi come possa accettare una persona così. Però d’altra parte mi rendo conto che forse sarebbe meglio che fosse così... D – E le caratteristiche fisiche che vorrebbe o non vor153

rebbe? Sempre rispetto alla sua famiglia o a quella di suo marito. R – Vorrei che fosse alto, quindi vorrei che prendesse dalla famiglia di mio marito. Dalla mia famiglia non saprei, gli occhi a mandorla forse. D – Ci sono altre caratteristiche di suo figlio, positive o negative, di cui non abbiamo parlato che vuole aggiungere? R – Io vorrei che fosse una persona quadrata, che riuscisse anche ad avere dei sentimenti senza lasciarsi influenzare troppo dagli altri, una persona con la testa sulle spalle, ecco, questo è quello che mi piacerebbe. D – Lei che tipo di madre immagina di essere nei primi mesi? R – È difficilissimo... Secondo me dipenderà molto da come sarà il bambino. Spero di poter essere sempre disponibile, sempre presente quando lui avesse bisogno di me. Però appunto non lo so. D – Che tipo di madre non vorrebbe essere? R – Vorrei trovare il giusto equilibrio tra la madre troppo affettuosa e la madre distaccata, in ogni caso non vorrei essere distaccata. Vorrei essere affettuosa, però neanche troppo, perché leggevo che il bambino può essere molto sensibile a questi comportamenti della madre per cui può esserci il rifiuto nei confronti della madre se questa è troppo assillante. Io non credo che lo sarò, per carattere, però non vorrei cadere nel senso opposto. D – Ha già pensato al tipo di allattamento da adottare con il bambino? R – Se è possibile, quello naturale. D – Come mai? R – Perché penso che si nutra meglio, proprio da un punto di vista di proteine, vitamine ecc. Credo che il latte materno sia più completo, poi perché lo protegge da determinate malattie. Quando è molto piccolo magari è meglio evitare che si ammali. Poi tutti dicono che è una bella esperienza, sia per il bambino che per la madre, quindi forse è un fatto positivo. 154

D – Pensa che il bambino vada abituato, per esempio nel ritmo del sonno, fin dai primi giorni oppure sia più opportuno che trovi da solo i suoi ritmi? R – Io sarei più propensa ad abituarlo ai miei ritmi, ovviamente! Però non sempre è possibile e non sempre il bambino reagisce bene a queste imposizioni, per cui non posso dire in che modo farò. Farò come saranno le circostanze, io credo. D – Dopo la nascita pensa di farsi aiutare da qualcuno? R – Sì. Sicuramente da una persona, se riesco a trovare una persona che possa darmi una mano. Più che altro perché prima o poi dovrò ricominciare a lavorare e il bambino non me la sento di mandarlo subito in una scuola, preferirei aspettare almeno l’anno. Io devo tornare in ufficio, quindi devo contare su qualcuno. D – E quando pensa di tornare al lavoro? R – Io conterei di non tornare prima che il bambino abbia almeno sei mesi, però non posso assicurare che sarà così, magari trovo una persona bravissima che si affeziona al bambino, e allora potrei tornare anche dopo tre o quattro mesi, oppure magari non trovo nessuno e quindi dovrò allungare il mio periodo di assenza. E quindi non saranno sei mesi ma di più. D – Lei mi ha detto che ha interrotto ora di lavorare. R – Sì, da pochi giorni. D – Abbiamo parlato di come sarà come madre. Ci sono delle caratteristiche positive o negative che vuole aggiungere, di cui non abbiamo parlato finora, pensando appunto a lei come madre? R – Io spero ovviamente di non fare errori che possono essere stati commessi in passato dai miei genitori nei miei confronti. Magari io li considero errori, anche se da un altro punto di vista sono cose giuste... Però non ci metto la mano sul fuoco perché sicuramente di errori ne farò anch’io, tanti. D – Lei com’era da piccola? R – Buona, tranquilla. Una bambina che non ha mai creato grossi problemi. Ero un po’ malata, cioè mi ammalavo 155

spesso: al minimo freddo pigliavo il mal di gola. Quindi una bambina un po’ gracile, fragile forse. Però ero tranquilla. D – Che tipo di abitudini aveva nel primo anno? Che cosa le raccontano di quand’era così piccola? R – Questo proprio non glielo so dire. Io so soltanto che sono sempre stata in casa finché non sono andata a scuola. Quindi non avevo grandi amici o grandi amichette, per la vita un po’ movimentata che facevamo: mio padre cambiava spesso città per la sua azienda, e allora forse non c’era neanche il tempo di fare delle amicizie. Però non ho mai parlato molto di queste cose in famiglia. D – Lei era figlia unica? R – No, ho una sorella più giovane. D – Di quanti anni? R – Lei ha ventotto anni. D – Da quello che le hanno detto o che ha visto in fotografia, che aspetto aveva lei da bambina? R – Dicevano che ero una bella bambina. I bambini in fondo nascono tutti brutti, io invece ero carina, paffutella quando ero piccola piccola, poi crescendo sono diventata più magra. Non è che mi piacessi in maniera particolare, comunque. D – Com’era il rapporto con i suoi genitori, da piccola? R – Non lo so, è estremamente difficile dirlo. D – Per esempio con sua madre, per quello che può ricordare. R – Sicuramente ero molto attaccata a lei. Ricordo che quando ho iniziato ad andare a scuola continuavo a piangere perché non volevo andarci, e questo perché ero sempre stata in casa. A scuola mi sentivo abbandonata e mi mettevo a piangere. Però non ricordo altro. So che mia madre era molto severa, però niente di più. D – C’è qualche episodio che ricorda legato a sua madre, quando era piccola? R – No. Mi ricordo quando è nata mia sorella, però ero già abbastanza grande. Ricordi di quando ero piccola no. D – E il rapporto con suo padre? 156

R – Sempre quando ero piccola? È difficile dirlo, non lo vedevo molto perché era sempre fuori, quindi non lo so. Non so se giocasse con me. Queste cose qui proprio non le so. D – Non ha qualche ricordo di suo padre e lei? R – Di quando ero piccola no. D – Abbiamo parlato del rapporto con i suoi genitori. Ci sono altre caratteristiche di cui non abbiamo parlato, qualcosa che vuole aggiungere? R – Di quando ero piccola non ricordo praticamente niente. D – In che cosa si immagina che lei sarà simile o diversa da sua madre con suo figlio? R – Non lo so. Vorrei forse essere un po’ autoritaria ma non troppo. D – Perché, come sentiva che era sua madre? R – Lei era molto autoritaria. D – Quindi vorrebbe differenziarsi da lei. È questo che sta dicendo? R – Sì. Ecco, è giusto essere autoritari, almeno credo, però non in maniera eccessiva. Non so, forse è un’impressione mia, però mia madre è molto autoritaria. D – Invece qualcosa in cui vorrebbe essere simile a sua madre? Qualche cosa che lei apprezza, condivide. R – È una persona allegra, una persona che non si lascia influenzare dagli altri, che ha le sue idee. D – C’è qualcosa in generale che io non le ho chiesto, che lei mi vorrebbe dire su questa sua gravidanza, su questo suo periodo? R – A parte quello che ho già detto, che cioè nei primi tempi ci sono state più cose negative che positive, e adesso invece il contrario, mi sono convinta che devo fare qualche sacrificio. Però poi mi dico che sarà per poco, non per tutta la vita, quindi questo non mi crea disagio.

Madri depresse

Livia è una donna che durante la gravidanza ha presentato reazioni depressive e ansiose. Nell’intervista che segue esprime tutte le difficoltà del suo vissuto in gravidanza. D – Mi piacerebbe che lei mi raccontasse un po’ la storia della sua gravidanza, sia come si è sentita, sia come l’ha affrontata. R – Diciamo che appena ho appreso la notizia sono stata super felice. Ho avuto un aborto spontaneo due anni prima e mi sono ripresa molto difficilmente da questa cosa, anche per la mia età. A me i bambini piacciono tantissimo e quindi appena appresa la notizia la mia paura è stata quella di avere un altro aborto, perché dopo il primo aborto mi avevano detto che potevo averne anche altri. Quindi ero terrorizzata da questo evento e, infatti mi sono precipitata dalla ginecologa che mi ha dato subito delle cure, perché la mia gravidanza presentava già dei problemi. Mi hanno dato immediatamente anche i farmaci necessari. E sono stata immobile per tre mesi a letto, con la paura di affrontare un nuovo aborto. Quindi, diciamo che l’ho presa con una certa serenità, anche se avevo moltissima paura. D – Come mai un bambino in questo momento della sua vita? L’avevate programmato? R – L’abbiamo programmato da tempo, però non veniva ed è venuto quando meno me lo aspettavo. Comunque diciamo che avevo quasi abbandonato l’idea, visto che non c’erano mai stati dei risultati positivi, invece poi... 159

D – La programmazione è stata una decisione di coppia? R – Alla programmazione ero propensa più io che lui, perché lui quando si parlava di bambini, ha sempre evitato, fin dal fidanzamento, i discorsi. Ho sempre fatto tutto da sola; il percorso l’ho affrontato io. Però adesso vedo che comunque è contento, anche se è preoccupato per i risvolti economici. D – Come si è sentita quando ha saputo di essere incinta? R – Diciamo che l’ho saputo dopo un mese e mezzo, quando ho fatto il test. Tante volte avevo avuto dei ritardi e tante volte ero rimasta male perché mi erano ritornate le mestruazioni. Quindi sono stata molto felice, ma la mia è stata una felicità repressa, perché mio marito non voleva che lo dicessi né a sua madre, né a mia madre, quindi non potevo condividere questa notizia, perché comunque lui è molto restio nell’esprimere le sue emozioni e non vuole che le esprima neanche io. Allora io mi sono ribellata e ho iniziato a dirlo a tutti, perché questa è la mia gravidanza, io la voglio far sapere. E quindi l’ho detto a mia madre, dopo qualche settimana, e a mia suocera, che è stata molto contenta. D – Infatti volevo chiederle con chi ne aveva parlato subito dopo, e come era stata accolta la notizia da suo marito, dai parenti e dagli amici... R – Mio marito secondo me aveva un po’ di paura, magari di un nuovo aborto. Quindi non ha fatto salti di gioia come li ho fatti io. D – Quindi lui all’inizio ha avuto un po’ questa reazione... R – Ha detto subito di non iniziare a raccontarlo a tutti, ecco. D – Si è trattenuto insomma. R – Lui sì, molto. D – E invece la sua famiglia d’origine? R – Felicissimi. Mia madre e mio padre sembrano ringiovaniti. Sono più sorridenti, non vedono l’ora... Insomma, questa cosa gli dà un motivo in più. D – Quanti anni hanno i suoi genitori? R – Settantacinque mia madre. Mio padre settantasette. 160

D – E invece la famiglia di suo marito, sua suocera? R – Mia suocera era contentissima; sembrava che fosse figlio suo. D – E gli amici? R – Gli amici l’hanno saputo dopo qualche mese perché mio marito non voleva proprio farlo sapere, soprattutto per il rischio di un nuovo aborto. I parenti, l’hanno saputo da poco. D – Volevo chiederle come si è sentita e com’è cambiata la sua vita durante la gravidanza? R – Appena sono rimasta incinta mi hanno subito fatto un permesso per il lavoro per via dei problemi che avevo con la gravidanza e il rischio di un aborto. E ovviamente non ho più avuto rapporti con gli altri, con gli amici. Sono rimasta chiusa in casa e vedevo soltanto i miei genitori. Non è che avevo tutti questi contatti. D – E a livello emotivo com’è cambiata? R – I primi mesi li ho vissuti male perché abbiamo avuto degli scontri con un tizio disturbato che abita nel palazzo accanto. Avevo paura di uscire; la notte non dormivo, andavo a guardare attraverso lo spioncino ad ogni minimo rumore; avevo paura che potesse farci del male. Poi questa persona è stata individuata dai vigili perché infastidisce le ragazze, anche se abita ancora nel quartiere. Questa persona mi ha minacciato un giorno che camminavo per strada e per questo ero anche molto spaventata. Insomma questa gravidanza per me è la cosa più preziosa, quindi comunque ero molto ansiosa. Pure mio marito che all’inizio mi aveva detto di lasciar stare, di comportarmi con indifferenza, poi ha visto le mie paure, ha visto che non dormivo più la notte, che avevo gli incubi e ha cercato di aiutarmi. Tante persone mi hanno consigliato di tornare a casa da mia madre per tutta la gravidanza, però ho preferito rimanere a casa vicino a mio marito. Comunque spesso a pranzo e a cena sto da mia madre. Resto a casa da sola solo di mattina. D – Vivono altre persone nel suo palazzo a cui si può rivolgere se dovesse avere dei problemi? 161

R – Ci sono degli studenti, ma cosa possono fare? Al massimo chiamare un’ambulanza. Io sono un soggetto ansioso e quindi ho paura di farmi prendere dall’ansia, di svenire, chissà! D – Di non riuscire ad essere pronta? R – Di non riuscire ad attivarmi immediatamente perché quando ho avuto il primo aborto, erano le dieci di mattina e io ho perso tutte le forze. Io sono andata al bagno, ho perso un mare di sangue; mi girava la testa, mi sentivo le orecchie fischiare, cioè, se fossi stata sola sarei rimasta lì per terra. Forse anche per questo ho tanta paura. D – È stato una specie di trauma. R – Sì. D – Per suo marito ci sono stati dei cambiamenti a livello emotivo? R – Io lo vedo sempre uguale. Non è un tipo che chiacchiera facilmente, è un tipo preso dal suo lavoro di assicuratore. Poi lui è uno che non lascia trasparire le sue emozioni, non si vedono neanche se gliele chiedi, quindi è restio, proprio come carattere. Poi la mamma mi ha spiegato che il padre è tale e quale. D – Invece le volevo chiedere se c’è voluto del tempo perché si sentisse madre. R – No. Questo no. D – No? R – È stata tanto sospirata questa gravidanza... Ho ritirato fuori anche una bambola che avevo da piccola e che sembra vera. A me piacciono tanto i bambini così... Però credo di poter essere una brava mamma perché i bambini mi piacciono tantissimo. Volevo fare l’educatrice poi alla fine ho fatto lavori più facili. D – La gravidanza ha influenzato le sue abitudini, le sue attività? R – Le mie abitudini sono cambiate da quando mi sono sposata perché io andavo in palestra, uscivo con diverse amiche, però mio marito è un tipo molto casalingo, quindi, ogni 162

volta che si trattava di andare a cena fuori, o di uscire con qualche coppia, vedevo che non ne aveva voglia e a volte sono uscita solo io. Quindi a mano a mano ho abbandonato le mie abitudini. D – C’è stato un cambiamento con la gravidanza nei suoi rapporti con gli altri? R – No. Io mi aspettavo che con la gravidanza almeno le mie migliori amiche mi fossero più vicine, invece sono sparite proprio. D – Invece per quanto riguarda suo marito, la gravidanza ha influenzato le sue abitudini? R – No. Non è cambiato nulla. D – Tra lei e suo marito è cambiato qualcosa? E se è cambiato, in che modo? R – La ginecologa ha detto di non avere rapporti. D – E a questo livello, ci sono stati momenti di diminuzione dei conflitti, o litigate tra di voi? R – No. Noi non litighiamo. Diciamo che lui non litiga. E a me piacerebbe pure litigare, però... D – Non c’è un confronto? R – Non c’è confronto. D – Non ha notato qualcosa, se ad esempio lui è un po’ più protettivo o distante nei suoi confronti? R – Sempre uguale, uguale. Non è cambiato di nulla. Ecco adesso magari mi sta dando una mano in casa. D – Invece con sua mamma come va in questo periodo? R – Con lei va sempre uguale. Con lei posso parlare, chiacchierare; mi chiede sempre come va. Mi vuole sentire molto vicina. D – Ha notato se ci sono stati dei cambiamenti rispetto a prima? R – Con lei al cento per cento. Si è modificato anche mio padre, lo vedo più sereno, più col sorriso sulle labbra, più contento. D – Rispetto a prima ha notato in tutti e due i genitori questo nuovo aspetto? 163

R – Sì, sì sì. Qualche mese fa però c’è stata una lite con mia sorella perché non ce la facevo più. A lei non le piace vivere qui, non le piace la gente di Milano, non le piace niente. D – Lei è di Milano? R – Si. Comunque io cerco sempre di non litigare, cerco di stare il più tranquilla possibile. Mio marito invece sta sempre là che sbuffa, in questo non si trova, in questo così, in questo colà, cioè non è che mi faceva stare bene. Mi è dispiaciuto per quella lite con mia sorella e soprattutto che c’era mia madre davanti. Poi ne riparliamo dopo la gravidanza, perché io devo stare tranquilla. E lei magari qualche sorrisetto l’ha fatto. D – È cambiata? R – Si sforza. D – Invece mi stava dicendo, anche con suo padre è cambiato il rapporto... R – Con mio padre non abbiamo un grande dialogo, però vedo che comunque, per esempio, quando stiamo a tavola mi sforza per farmi mangiare. È una persona anziana e quindi pensa che devo mangiare di più... D – Ha la mentalità che devi mangiare doppio? R – Per due! D – Perché siete in due giustamente! D – Che sensazioni ha provato quando invece ha notato i primi cambiamenti nel suo corpo? E suo marito? R – Mio marito non ha avuto nessuna reazione. Io ho visto il seno che mi faceva male, che iniziavo ad avere dei problemi, però ero quasi contenta in realtà. D – Che cosa ha notato per il seno? R – L’unica cosa di cui non sono contenta sono queste contrazioni, che mi fanno morire. Che poi mi sento invalida anch’io, e pure stamattina sono stata proprio male. Ho preso le medicine e stamattina aspettavo per riprenderle. Mi sono alzata e stavo piegata in due dai dolori. Non è il bambino che si muove ma proprio le contrazioni che sento, molto violente. E quindi questa cosa non è che mi piaccia molto! 164

D – Quando ha iniziato a indossare gli abiti premaman che sensazione ha provato? R – Quelli li stavo guardando già dal terzo mese, però ovviamente, non è che si vedeva tanto la pancia. Quindi io, fino al terzo mese, anche tre mesi e mezzo indossavo sempre i pantaloni, magari ho comprato qualche taglia più grande. E poi, niente, appena ho visto che c’era la pancia, immediatamente sono andata a comprare questi vestiti premaman... D – E che sensazione le ha fatto? R – No, sensazione nessuna. Ecco ero più comoda, più tranquilla perché pensavo che il bambino magari stava più comodo. D – E suo marito che reazione ha avuto? Siete andati insieme a sceglierne qualcuno? R – No, no, più con mia madre. Mio marito, cerca di accompagnarmi per preparare la stanzetta del bambino. Ma lo devo trascinare, perché non è un tipo a cui piace andare in giro per negozi, anche se lo obbligo. D – Ad uscire un po’, lo sprona? R – Gli piace uscire, però ecco, non gli piace accompagnarmi in un negozio di abbigliamento. Lui comunque rimane fuori. Non è che viene a vedere come mi sta il vestito. Però è abbastanza normale. Buona parte dei mariti fa così. D – Ci sono stati dei momenti di particolare emozione durante la gravidanza, in cui lei magari si è sentita bisognosa di sostegno? R – Sono stata molto male; ho avuto un’influenza. Quindi io ero già terrorizzata, perché sapevo che durante la gravidanza non si possono prendere farmaci. Mi ero preoccupata, comunque sono andata dal medico curante; lui non mi ha dato nessun farmaco, non riuscivo a respirare, avevo la tosse, avevo pure la febbre. Me la sono vista brutta, perché comunque mio marito andava a lavorare, e io restavo da sola a casa e non potevo andare neanche da mia madre perché mia madre non stava bene neanche lei. Quindi rimanevo sola tutto il giorno e ho capito che non potevo contare su nessuno. 165

D – Forse era un periodo un po’ difficile e quando si sta male si vorrebbe avere un sostegno. Ma lei ha un rapporto stretto con i suoi genitori... R – Più che altro loro hanno bisogno di me. Invece in quel momento avevo bisogno io di loro e io non potevo dare più quello che di solito davo. E comunque non avere nessuno è brutto. Io la vorrei rimuovere questa cosa perché è molto negativa. D – E con sua sorella? R – Non andiamo d’accordo. D – Ha fatto dei sogni relativi alla gravidanza, o c’erano dei sogni ricorrenti? R – Ho sognato che ero ritornata al lavoro, e quindi tornavo a casa; il bimbo ce l’aveva mia madre però io non la vedevo. Sono tornata a casa e mia madre mi diceva: «Finalmente sei arrivata, perché senza di te... vuole la mamma, vuole la mamma!». E in questo sogno, mia madre mi raccontava che lei aveva ricevuto un pupazzo, che si chiamava Pupina. D – Ha avuto altre paure oltre a quella causata da quel vicino? R – No. Solo quella di avere un nuovo aborto. E poi ho paura di quello che succederà dopo il parto. Ho questa paura perché comunque l’ho vissuta, perché una mia carissima amica dopo aver partorito questo bambino così atteso, ha perso la testa, non era più lei. È dovuta andare in cura da uno psichiatra; quindi mi auguro di non avere questa sfortuna. È questa la mia paura. Diciamo però che la avvertivo molto di più nel periodo di solitudine. Soprattutto quando stavo sola a casa. Mi sentivo molto depressa. Anche perché sapevo di non avere nessuno su cui poter contare... E questo mi faceva vivere molto male. D – Ha parlato con qualcuno di questi stati d’animo, magari anche per telefono? R – Ne ho parlato con mio marito e basta. Con lei e con mio marito. E poi ho provato a parlare con questa mia amica, ma poi è sparita... Allora ho capito che non era proprio 166

un’amicizia, perché poi alla fine, era un’amica che frequentavo da tanti anni e ogni volta che lei c’aveva un minimo problema io ero sempre super disponibile. Quando le ho chiesto di non lasciarmi sola a casa, di farmi un po’ di compagnia, lei non è venuta. In tutti questi mesi non l’ho mai vista. Mi sono resa conto che è un’amicizia a senso unico perché adesso che ho bisogno io, lei non c’è. D – Suo marito come ha reagito emotivamente alla gravidanza? R – È sempre uguale. Ma le ho detto che lui le emozioni non le tira fuori; non si vede nulla. D – Magari non so se ha notato se per caso ha mangiucchiato un po’ di più, se la notte era un po’ più insonne... R – No, quando vede che non dormo mi va a fare la camomilla. D – Non ha notato in lui dei cambiamenti a livello fisico? A volte anche i papà li possono avere. R – No, non mi sembra il tipo. D – Ci sono degli aspetti negativi o positivi di cui non abbiamo parlato e che invece vorrebbe aggiungere? R – No. Ovviamente mi cambierà la vita il fatto di diventare madre, avrò più doveri che piaceri. Anche se ce ne avevo pochi, adesso ne avrò sempre di meno, il piacere giusto di stare con lui... D – Gli esami e le visite della gravidanza, li ha fatti tutti regolarmente? R – Sì, sì. Anche di più. D – E va generalmente in una struttura pubblica o privata? R – In un centro in cui ero seguita più di una volta al mese. E poi in questo centro mi è stato detto che non c’era la possibilità di partorire, perché non c’è la sala parto del reparto maternità. Quindi, mi hanno indirizzato all’ospedale. Per cui adesso è da un mesetto che vado in quell’ospedale. D – Come si è trovata? R – Mi sono trovata bene. 167

D – Generalmente la preoccupano i risultati delle analisi? R – Quando li leggo, se vanno bene non mi preoccupano. Se ovviamente vedo che c’è qualcosa che non va, sono preoccupata. D – Come si immagina il parto? Le hanno già raccontato qualcosa... R – Io ho visto il filmino. Poi mi hanno raccontato che è molto doloroso, quindi, immagino che sia così. E per questo l’altra settimana sono andata dall’anestesista, perché sono favorevole all’epidurale perché, ripeto, credo di essere un soggetto ansioso. Ho paura di dover affrontare pure questo dolore, anche perché già non riesco ad affrontare queste contrazioni adesso! E quindi mi dico: «Se sto male adesso, quel giorno che cosa mi capiterà?». D – Quindi ha parlato con l’anestesista? R – Sì. E gli ho detto delle mie paure. Anche quando faccio un prelievo di sangue, svengo. Non lo so. Io pensavo che fosse un fatto emotivo, però in tutti questi anni ho capito che forse è proprio il mio organismo che non ce la fa. Quando ho fatto l’amniocentesi non ho sentito niente. Stavo sveglia. Sono tornata, ma dopo un po’ sono svenuta. Quindi non è una cosa emotiva. D – Forse dopo un po’ che si rilassa, magari... R – Non lo so. Mi girava la testa, mi fischiavano le orecchie. Comunque ero diventata tutta bianca... Quindi ho pensato chissà come sarò, se per un prelievo ho questa reazione, per il parto, chissà se mi risveglio! D – Chi le piacerebbe avere vicino durante il parto? R – Mio marito, ma lui per il momento ancora non si pronuncia. D – Che cosa ha provato quando ha saputo che era un maschio? R – Mi è sembrato di sentirlo! I primi movimenti, intorno al quarto mese e mezzo... Provavo piacere, adesso no. Adesso non è tanto piacevole, perché mi fa male. D – È un bambino che si muove molto o poco? 168

R – Si muove tanto, troppo. D – In quali circostanze? R – La notte non mi fa dormire. Mi fa piegare proprio in due. L’altra notte tra le contrazioni che mi davano il singhiozzo e lui che dava calci e pugni qua sotto, e spingeva, sono stata malissimo. Spinge sempre; non lo posso più sentire dal dolore, e quindi, questo non è un bambino secondo me. È un calciatore... D – Le è mai capitato di vedere in che circostanze si muove? E che interpretazione ha dato di questi suoi movimenti? R – Ma, io sto distesa, rilassata e dormo. E mi sveglia lui. Ho letto che quando la mamma dorme, il bambino dorme. Io posso dire invece che non è così. D – Non è così? R – A me non è capitato questo, ecco. Io dormo e lui mi sveglia e... le contrazioni mi svegliano. Poi mi riaddormento e lui di nuovo mi sveglia... D – E fisicamente come immagina che sia suo figlio? E come temperamento? R – Lo immagino bellissimo. Socievole, tenero. Me lo auguro... D – E invece suo marito come se lo immagina? R – Lui non si sbilancia. D – Potrebbe dire che tra lei e il bambino si sia già creato un rapporto? E come descriverebbe questo rapporto? R – No, questo rapporto non so come descriverlo, sinceramente. Io gli canto delle canzoncine, che mi hanno suggerito, gli parlo, lui quando poggio la mano magari mi dà un calcio... Io dico che forse è meglio che gli do una carezza e vorrei farlo sentire a mio marito, ma lui dice che è meglio non stare lì a stuzzicarlo... Io gli metto la musica classica, anche se a me non piace, però comunque so che gli fa bene. E quindi... D – L’ha mai sognato? R – Quel sogno che le ho raccontato... D – Solo quello? 169

D – L’ha visto nell’ecografia? E poi com’è cambiato nelle ecografie successive? R – La prima volta ho visto solo una macchia che non si muoveva. Poi a mano a mano, con la terza ecografia, l’ho visto meglio. Ho visto che ha il nasino all’insù, ma poi mi hanno detto che non era così. Comunque... ancora non riesco a immaginarlo bene. D – E avete già scelto il nome? R – Sì, Gabriele. D – E chi l’ha scelto? R – Diciamo che c’è stato un gioco con una mia amica. È venuta un giorno a casa, con sua figlia. Mio marito era restio su tutto. Quindi anche dopo diversi mesi, non si può parlare di nomi. Anche mia madre aveva fatto un elenco, ma lui si arrabbiava per qualsiasi cosa. Invece io avevo l’esigenza di dargli un nome, perché comunque ci voglio parlare! E allora questa mia amica mi ha detto: «Non ti preoccupare, ti aiuto io». È venuta a casa, ha preso il calendario e ha iniziato a dire tanti nomi. Io scrivevo su un foglio i nomi che piacevano a mio marito. E così è stato costretto, perché quando c’è gente, magari cambia. E quindi si è messo a scrivere i nomi che piacevano a me, e tra tutti c’erano solo tre nomi che piacevano a entrambi. Silvio, Gabriele e un altro che non ricordo. All’inizio avevamo scelto Silvio, però poi abbiamo deciso di chiamarlo Gabriele, anche perché una volta con mia madre abbiamo visto un bambino bellissimo che si chiamava così. E allora mi è sembrato un segno del destino. D – Del destino? R – Sì. Poi ne ho parlato con lui, e lui per fortuna era d’accordo. E quindi abbiamo deciso per Gabriele. D – Che cosa è stato preparato per Gabriele? Chi se n’è occupato? R – Mi sono fatta un po’ di giri con mia madre. Fino al quinto mese non ho comprato nulla. Poi, superato il sesto mese, ho comprato tutto, forse pure troppo. Comunque ho 170

preso tutto con mia madre. Almeno per l’abbigliamento, ho scelto tutto con lei. D – Abbiamo parlato di Gabriele: ci sono caratteristiche positive o negative che vorrebbe aggiungere e che magari non abbiamo detto? R – Io vorrei che fosse socievole, che parlasse tanto... Per la bellezza magari non so. Per il carattere, mi piacerebbe avere tanto un bambino socievole e sorridente, come ero io una volta. D – Le capita mai di pensare a come sarà Gabriele? E come lo vorrebbe nei primi mesi? R – Io lo vorrei sorridente. D – E invece suo marito? R – Non lo so! Con lui non si può parlare di queste cose. D – E come vorrebbe che non fosse? R – Vorrei che non avesse un carattere burbero. D – Le capita di avere delle preoccupazioni, pensando alla salute del bambino nei primi mesi di vita? R – Mi sono molto documentata su internet, sulle varie malattie, e poi già mi ero fatta una visita dai pediatri... Volevo anche capire se i pediatri vengono a casa, anche per la febbre, perché ho sentito che molto spesso i pediatri se i bambini hanno la febbre non vengono a casa; invece mi piacerebbe almeno poter contare su questa figura, in caso di malattia. E ne ho trovato uno vicino casa, così ci posso andare anche a piedi, senza prendere la macchina. E anche da sola. Questo mi farebbe stare tranquilla, sapere che anche se non ho nessuno, posso andare a piedi dal pediatra. E quindi, volevo andarci a parlare. Poi alla fine sono riuscita a farmi accompagnare da mio marito. A me piace fare le cose con lui. Poi ho chiesto pure alle altre mamme, ho fatto tipo un sondaggio... E mi hanno detto che è molto bravo. D – Di che cosa pensa avrà bisogno il bambino nei primi mesi di vita? R – Io penso che avrà bisogno di tranquillità; penso che dovrò parlargli molto spesso. Penso che avrà bisogno di un 171

ambiente sereno e io mi auguro di poterglielo dare. Questo è quello che vorrei più di ogni altra cosa. D – Ci sono delle caratteristiche della sua famiglia d’origine e di quella di suo marito, che le piacerebbe che il bambino prendesse? R – Di mio marito mi piacerebbe che prendesse l’intelligenza, perché lui è molto intelligente, anche se ha un carattere tutto suo particolare. Però credo che sia più intelligente di me. E allora mi piacerebbe che in questo prendesse dal papà. D – Invece della sua famiglia d’origine? R – I miei sono stati sempre molto socievoli, molto aperti al prossimo... D – E quali cose invece non vorrebbe che prendesse sia dalla sua famiglia che da quella di suo marito? R – Non vorrei che fosse depresso, che fosse magari un bambino musone, asociale. Io sono terrorizzata da questo aspetto. Perché mi piacerebbe vederlo giocare con gli altri. D – E che tipo di mamma immagina di essere nei primi mesi? R – Non riesco ancora a immaginarlo. Quello che vorrei essere, quello che immagino, è meglio se non lo immagino... Perché sono sempre terrorizzata dal periodo dopo il parto. Quindi magari immagino una cosa, poi un’altra, però non so quello che mi capiterà. D – Ma rimaniamo su cosa immagina... R – Io voglio immaginare, voglio immaginare. D – Come le piacerebbe essere? R – Tranquilla, serena. Vorrei allattarlo quante volte dice lui e mettergli la canzoncina, che stia tranquillo, che non gli vengano le coliche, che non pianga, insomma... D – Invece come non vorrebbe essere? R – Depressa. E vede? Solo a pensarci le lacrime mi escono da sole. Io le odio queste lacrime. D – Ma fanno parte pure di noi e possono essere una valvola di sfogo. R – Sì, ma per me non è un fatto positivo. Mi devo na172

scondere quando piango, sennò mio marito mi prende in giro e dice che sono matta. Quindi non posso essere capita. Da mia madre poi non mi posso far vedere sennò si preoccupa. D – Però le lacrime fanno anche parte di noi e anche se stiamo parlando di una cosa molto piacevole, al tempo stesso è anche molto emozionante... R – Sì ma secondo lei è normale che mi escono queste lacrime, così, e a volte pure senza motivo? D – Ma le lacrime a volte sono delle emozioni, non dobbiamo sempre collocarle in negativo. Cioè se uno prova un’emozione molto forte, le lacrime possono esserci, anche se immagini qualcosa che ti rende felice. A me vengono i brividi, non mi escono le lacrime, però riesco comunque a immaginare che è un’emozione forte. Uno a volte può piangere anche per la gioia, può piangere anche per l’emozione. Questo figlio è una cosa che desiderava da tanto tempo, quindi credo che anche la lacrima esca per questo motivo, non è solo una lacrima triste. Poi ci possono essere delle lacrime legate a una preoccupazione, però in questo caso credo che sia l’emozione, perché Gabriele tra un mesetto arriverà. Che tipo di allattamento le piacerebbe avere? R – Al seno. Al seno, come e quando lo vuole lui. D – Crede che l’arrivo di Gabriele possa avere un impatto anche sul vostro rapporto di coppia? R – Se si comporta con lui come si comporta con me, non è che la vedo molto positiva la cosa. Mi auguro che collabori di più, che ci giochi un po’; magari il padre con lui non l’ha mai fatto. Quindi io incomincio a parlargliene. Mio padre con me è sempre stato un giocherellone. Io fino a diciotto anni giocavo con mio padre. Quindi mi piacerebbe che lui esprimesse delle emozioni col figlio. D – E sul vostro rapporto pensa che questo possa... R – Io ormai ho capito che è così e non... Però con lui mi piacerebbe che avesse più emozioni. D – Ritornando a Gabriele, pensa che possa essere abi173

tuato nei ritmi del sonno fin dai primi giorni, oppure che sia opportuno che trovi da solo i suoi ritmi? R – Questo non lo so. Certo mi piacerebbe che fosse tranquillo... Comunque li deve trovare lui i ritmi. Quello che spero e mi auguro è di non essere io stressata. Non voglio trasmettergli il mio stress perché poi potrebbe non riuscire a trovare i suoi ritmi. D – Pensa di farsi aiutare da qualcuno dopo la nascita? R – Tornata dall’ospedale a me piacerebbe andare presto da mia madre, perché almeno evito l’ansia mattutina, che mi viene se sto da sola. Quindi adesso sono intorno all’ottavo mese, però mi piacerebbe già stare lì da lei. Il discorso un po’ l’ho affrontato con mio marito, già dalla scorsa settimana e lui non ha detto né sì né no. Quindi magari un giorno decido di rimanere a dormire da lei. E poi adesso che mi vede così, mia madre sembra avere uno stimolo in più: cucina, lava i piatti. Tutto questo fa bene pure a lei. Sembra ringiovanita, più carica. Magari pure lei si sentiva giù, credeva di non poter più fare niente, invece, magari, piano piano adesso... Poi io non posso più portare pesi e quindi scendo con mio padre e con lei e andiamo a comprare qualcosa, e faccio scegliere tutto a lei ed è soddisfatta di quello che compra, anche perché certe volte io proprio non me la sento di uscire. D – Quando pensa di riprendere il lavoro? R – A me piacerebbe dedicare più tempo possibile a Gabriele, quindi avevo parlato pure con mio marito di un eventuale licenziamento. Comunque dovrò accudire mio figlio, oltre a mio marito e a me stessa... E quindi questa cosa un po’ mi preoccupa. Però mio marito non è molto favorevole al licenziamento. D – Poi cambierà magari, un po’ più in là... R – E poi magari io sarò sfavorevole. E poi comunque ci saranno dei cambiamenti nell’ufficio comunale in cui lavoro, per cui magari finiranno per licenziarmi loro... Ma potrebbe pure essere che dovrò continuare a lavorare. Io speravo di po174

ter contare su mio marito per rimanere a casa. Ma non lo vedo convinto. D – Com’era lei da piccola? R – Io da piccola ero molto timida. Molto molto timida. Sono cambiata verso le medie e ho modificato il mio carattere, non so perché. Chi mi ha conosciuto prima non mi riconosce. Io da piccola quando stavo con i miei ero tranquilla, allegra, perché mia madre giocava con me, però quando ero lontana da loro, mi sentivo sola, abbandonata e mi veniva da piangere. Poi avevo sempre paura degli altri, perché mia madre mi aveva coccolato un po’ troppo. Ero molto timida e mi vergognavo di tutto. Cioè io dovevo andare in bagno e cercavo fino alla fine di non dirlo alla maestra e di non andare al bagno. Oppure magari mi mancava la gomma da cancellare, e cancellavo col dito, pur di non chiederla a qualcuno. Ero molto timida. D – Com’era il rapporto con i suoi genitori da piccola? R – Molto positivo. D – Con tutti e due? R – Sì. Mia madre faceva l’uomo di casa, nel senso che era lei che comandava. E mio padre, era quello che giocava con noi. D – Invece i suoi genitori come coppia com’erano? Come se li ricorda? R – Mio padre non c’era quasi mai a casa, ma quando c’era era tutto per noi. Lui stava sempre fuori per lavoro e quindi era mia madre che mandava avanti tutta la famiglia. Mio padre era commesso viaggiatore, usciva la mattina e tornava la sera e quindi a volte addirittura stava via per qualche giorno oppure andava nel suo paese di origine a trovare i parenti e gli amici. Lui magari era fuori per qualche settimana. Però quando tornava ci riempiva di giocattoli a non finire, di regali, di cose. Non ci ha mai fatto mancare nulla. D – Ci sono state delle esperienze difficili, traumatiche nella sua infanzia? R – Il trauma è stato scoprire che mio padre aveva un’amante da molti anni e che la portava con sé nei suoi viag175

gi. Mia madre lo sapeva già però ce l’ha sempre tenuto nascosto per mandare avanti la famiglia nel modo più tranquillo possibile. Poi quando non ce l’ha fatta più ce l’ha detto. Stava pure pensando al divorzio, però mio padre non ne voleva proprio sapere. E quindi questa storia è andata avanti per tanto, tanto tempo. D – Quanto l’ha influenzata questa cosa? R – Mi ha influenzato molto. Perché io poi non volevo sposarmi. Avevo tanti amici, ma se qualcuno si proponeva io lo rifiutavo categoricamente. Ho avuto qualche fidanzato, ma nel momento in cui mi chiedeva una cosa più seria, magari di sposarci, io gli dicevo di no. Li ho sempre lasciati io i miei ex. Poi ero terrorizzata dall’idea del matrimonio. D – Pensa che questo possa avere qualche effetto su di lei come genitore, nel suo rapporto con il bambino nel futuro? R – Fortunatamente da parte della famiglia di mio marito, il padre è stato fedelissimo. Mio marito è fedelissimo. Almeno su quello! L’unica cosa molto positiva di lui è che posso contare sulla sua fedeltà. D – Ultimamente sta vivendo situazioni difficili o pesanti? R – Questa cosa della solitudine la sento ancora, però cerco di farmi forza perché sento che ho lui. Non sono sola. D – Ci sono delle caratteristiche positive o negative, di cui non abbiamo parlato e che vorrebbe aggiungere a proposito di sua madre? R – Lei vuole avere sempre l’ultima parola su tutto. Per lei è sempre tutto il contrario di quello che dico. D – E invece di suo padre? Ci sono aspetti positivi o negativi che vorrebbe aggiungere e di cui non abbiamo parlato? R – Con mio padre non c’è molto dialogo. Lui da quando è invecchiato parla poco. Prima era un chiacchierone; non si poteva vedere neanche un film che lui ci chiacchierava sopra. D – In che cosa sarà simile o s’immagina diversa da sua madre nel rapporto con suo figlio? R – Simile penso nell’educazione, nell’imporgli delle regole che penso siano alla base di tutto. Io ho visto che tante 176

persone hanno preso una brutta strada; invece io vorrei in qualche modo preservarlo, magari selezionare gli amici, come ha fatto mia madre, fare un po’ da filtro. Mi piacerebbe fare quello che ha fatto mia madre con me. D – E c’è qualcosa che non le ho chiesto e che vorrebbe aggiungere? R – No.

Note

Marcel Proust, La strada di Swann, Einaudi, Torino 1978, pp. 15-16. M. Klein, Vita emotiva nella prima infanzia (1952), in Scritti. 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978, p. 478. 3 E. Roudinesco, Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero, Cortina, Milano 1995. 4 E. Jones, Il concepimento della Madonna attraverso l’orecchio (1914), in Saggi di psicoanalisi applicata, Guaraldi, Rimini 1972, vol. II, pp. 250-332. 5 Cit. in Jones, op. cit. 6 Cit. in Jones, op. cit. 7 M. Tomasello, B. Hare, H. Lehmann, J. Call, Reliance on head versus eyes in the gaze following of great apes and human infants: the cooperative eye hypothesis, in «Journal of Human Evolution», 3, 2006, pp. 314-329. 8 S. Baron-Cohen, S. Wheelwright, J. Hill, Y. Raste, I. Plumb, The ‘reading the mind in the eyes’ test revised version: a study with normal adults, and adults with Asperger syndrome or high-functioning autism, in «Journal of Child Psychology and Psychiatry», 42, 2001, pp. 241-252. 9 D.N. Stern, La costellazione materna (1995), Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 171. 10 D.W. Winnicott, La preoccupazione materna primaria (1956), in Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli Editore, Firenze 1975. 11 J.F. Leckman, R. Feldman, J.E. Swain, V. Eicher, N. Thompson, L.C. Mayes, Primary parental preoccupation: circuits, genes, and the crucial role of the environment, in «Journal of Neural Transmission», 111, 2004, pp. 753771. 12 R. Feldman, A. Weller, J.F. Leckman, J. Kvint, A.I. Eidelman, The nature of the mother’s tie to her infant: the formation of parent-infant bonding in healthy and at-risk dyads, in «Journal of Child Psychology and Psychiatry», 40, 1999, pp. 929-939. 13 A. Smorti, La fase dell’attesa, in «Psicologia contemporanea», 81, 1987, pp. 33-39. 14 L.S. Hackel, D.N. Ruble, Changes in the marital relationship after the first baby is born: predicting the impact of expectancy disconfirmation, in «Journal of Personality and Social Psychology», 62, 1992, pp. 944-957. 15 M. Ammaniti, R. Tambelli, F. Odorisio, Intervista clinica per lo studio 1 2

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delle rappresentazioni paterne in gravidanza: IRPAG, in «Età Evolutiva», 85, 2006. 16 J. Raphael-Leff, Pregnancy. The inside story, Sheldon Press, London 1993. 17 P.L. Jordan, Laboring for relevance. Expectant and new fatherhood, in «Nursing Research», 39, 1990, pp. 11-16. 18 I. Bretherton, K.A. Munholland, Internal Working Models in Attachment Relationships: A Construct Revisited, in Handbook of Attachment, a cura di J. Cassidy, P.R. Shaver, vol. V, pp. 89-111, The Guilford Press, New York 1999. 19 J. Bowlby, La separazione dalla madre (1973), Boringhieri, Torino 1975; Id., Una base sicura (1988), Cortina, Milano 1989. 20 L.A. Van Egeren, Prebirth predictors of coparenting experiences in early infancy, in «Infant Mental Health Journal», 24, 2003, pp. 278-295. 21 C. Carneiro, A. Corboz-Warnery, E. Fivaz-Depeursinge, Il Lausanne Trilogue Play Prenatale, un nuovo strumento osservativo di assessment dell’alleanza co-genitoriale prenatale, in «Infanzia e adolescenza», vol. 5, n. 2, 2006, pp. 85-101. 22 S. Freud, Introduzione al narcisismo (1914), in Opere, vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino 1966-1980, pp. 460-461. 23 H. Kohut, La ricerca del Sé (1978), Bollati Boringhieri, Torino 1982, p. 170. 24 C.H. Kinsley, K.G. Lambert, Il cervello materno, in «Le Scienze», 451, 2006, pp. 62-69. 25 M. Ammaniti, C. Candelori, M. Pola, R. Tambelli, Maternità e gravidanza, Cortina, Milano 1995. 26 K. Ellison, The Mommy Brain. How Motherhood Makes Us Smarter, Basic Books, New York 2005. 27 P. Fonagy, M. Steele, H. Steele, Maternal representation of attachment during pregnancy predict the organization of infant-mother attachment at one year of age, in «Child Development», n. 62, 1991, pp. 891-905. 28 S. Freud, Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (1911), in Opere, vol. VI, Bollati Boringhieri, Torino 1966-1980, p. 455. 29 A.N. Meltzoff, W. Prinz, The Imitative Mind. Development, Evolution, and Brain Bases, Cambridge University Press, Cambridge 2002. 30 D.W. Winnicott, La funzione di specchio della madre e della famiglia nello sviluppo infantile (1971), in Gioco e realtà, Armando, Roma 1974. 31 V. Gallese, Il Sistema Multiplo di Condivisione: la ricerca di un meccanismo neurofisiologico alla base dell’intersoggettività, in «Infanzia e adolescenza», vol. 3, n. 3, 2004, pp. 128-144; G. Rizzolatti, C. Sinigallia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2006. 32 A. Damasio, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, Harcourt Brace, New York 1999. 33 D. Lenzi, C. Trentini, E. Macaluso, M. Ammaniti, G. Lenzi, P. Pantano, Neurobiological basis of natural empathy: evidence from FMRI, supplement to «Neuroimage», vol. 31, n. 1, 2006, p. 27.

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare Renata Tambelli, Flaminia Odorisio, Laura Vismara, Angela Mancone e Cristina Trentini che hanno contribuito con il loro entusiasmo e il loro impegno scientifico agli studi e alle ricerche sulla maternità riportati nel libro.

Indice

Nella mente delle madri

3

1. La madre e suo figlio: una relazione di reciproco rispecchiamento, p. 3 - 2. L’origine del mondo, p. 5 - 3. L’archetipo della maternità, p. 8 - 4. Il viso, gli occhi, p. 12 - 5. Aspetto un bambino! Cosa accade nella mente della madre, p. 13 - 6. E il padre?, p. 20 - 7. Diversi, migliori o peggiori dei nostri genitori?, p. 24 - 8. Quanto è importante l’equilibrio di coppia?, p. 28 - 9. Mio figlio: è lui l’essere perfetto, p. 32 - 10. Vissuti di gravidanze , p. 35 - 11. Le madri integrate, p. 37 - 12. Le madri ristrette, p. 41 - 13. Le madri ambivalenti, p. 44 - 14. Le madri a rischio depressivo, p. 48 15. Nel cervello delle madri, p. 53 - 16. E con un altro figlio?, p. 57 - 17. Sulla magica sintonia bidirezionale tra madre e figlio, p. 59 - 18. Non tutto proviene al bambino dalla madre e dal padre, p. 63 - 19. Il miracolo della coordinazione madre-figlio, p. 64 - 20. Essere madre è un po’ come essere innamorati, p. 67

STORIE DI GRAVIDANZE Madri integrate

75

Madri non integrate

101

Madri ristrette

137

Madri depresse

159

Note

179

Ringraziamenti

183