P. Ovidii Nasonis "Heroidum Epistula" 10: Ariadne Theseo 3110240858, 9783110240856

Ariadne's elegiac letter to her faithless Theseus offers the epistolary mise en scène of the heroine's lamenta

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P. Ovidii Nasonis "Heroidum Epistula" 10: Ariadne Theseo
 3110240858, 9783110240856

Table of contents :
Frontmatter
Sommario
Ringraziamenti
Introduzione
Nota al Testo
Ariadne Theseo
Commento
Backmatter

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Chiara Battistella P. Ovidii Nasonis Heroidum Epistula 10: Ariadne Theseo

TEXTE UND KOMMENTARE Eine altertumswissenschaftliche Reihe

Herausgegeben von

Siegmar Döpp, Adolf Köhnken, Ruth Scodel

Band 35

De Gruyter

P. Ovidii Nasonis Heroidum Epistula 10: Ariadne Theseo Introduzione, testo e commento

di

Chiara Battistella

De Gruyter

ISBN 978-3-11-024085-6 e-ISBN 978-3-11-024086-3 ISSN 0563-3087 Library of Congress Cataloging-in-Publication Data Battistella, Chiara. P. Ovidii Nasonis Heroidum epistula 10 : Ariadne Theseo : introduzione, testo e commento / Chiara Battistella. p. cm. -- (Texte und Kommentare, ISSN 0563-3087 ; Bd. 35) Includes bibliographical references and index. ISBN 978-3-11-024085-6 (hardcover : alk. paper) 1. Ovid, 43 B.C.-17 or 18 A.D. Heroides. 10, Ariadne Theseo. 2. Epistolary poetry, Latin--History and criticism. 3. Ariadne (Greek mythology) in literature. I. Title. II. Title: Heroidum epistula 10. III. Title: Ariadne Theseo. PA6519.H7B29 2010 871'.01--dc22 2010028064 Bibliographic information published by the Deutsche Nationalbibliothek The Deutsche Nationalbibliothek lists this publication in the Deutsche Nationalbibliografie; detailed bibliographic data are available in the Internet at http://dnb.d-nb.de. © 2010 Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, Berlin/New York Typesetting: Michael Peschke Printing: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen ∞ Printed on acid-free paper Printed in Germany www.degruyter.com

Sommario Ringraziamenti ........................................................................................ vii Introduzione 1. Memoria e memorie .................................................................................. 1 2. Resistere a Catullo .................................................................................... 2 3. Arianna e il Ciclope: palinsesti odissiaci. Una proposta di lettura ............ 7 4. «E ora io…» ............................................................................................ 10 5. Arianna e l’eco: un (poco) astuto negoziato con la secondarietà ............ 13 6. Intermezzi catulliani. Quale Catullo? (I) ................................................. 15 Quale Catullo? (II) .................................................................................. 16 7. Intermezzi (super)elegiaci ....................................................................... 17 8. Elegy lost? La ‘decostruzione’ dell’elegia .............................................. 22 Appendice ................................................................................................... 28

Nota al Testo ............................................................................................. 31 Ariadne Theseo – Arianna a Teseo ..................................................... 32 Commento ................................................................................................. 43 Bibliografia ............................................................................................. 109 Parole e cose notevoli ............................................................................ 123 Luoghi citati ............................................................................................ 127

We shall not cease from exploration And the end of all our exploring Will be to arrive where we started And know the place for the first time T.S. Eliot A number of contemporary works are written not as sequels but in the interstices, as it were, of prior fictions, retelling the story from a different perspective: Tom Stoppard’s Rosencrantz and Guildenstern Are Dead; Valeria Martin’s Mary Reilly, which retells the story of Dr. Jekill and Mr. Hyde from the viewpoint of a servant in the household […] D. H. Roberts, Afterword: Ending and Aftermath, Ancient and Modern

Ringraziamenti Questo libro è la rielaborazione della mia Tesi di Perfezionamento discussa alla Scuola Normale Superiore di Pisa, sotto la supervisione di G. B. Conte. I miei ringraziamenti vanno a S. Harrison (Oxford) e G. Rosati (Udine) per i molti suggerimenti, a S. Döpp, ai referees editoriali e all’editore per aver accolto il lavoro nella serie «Texte und Kommentare». Un ringraziamento sentito (più d’uno) agli amici C. M. Lucarini e M. Telò. Il lavoro è stato reso possibile anche grazie a due borse annuali, la prima presso il St John’s College (Oxford), la successiva all’Università di Ginevra. Quest’ultima soprattutto mi ha consentito di occuparmi della revisione prima della stampa: un grazie a D. Nelis, C. Fry e all’Unità di Latino ginevrina per avermi accolto presso il loro Dipartimento con grande disponibilità. Io (in compagnia della mia ostinazione) resto ovviamente l’unica responsabile di errori e interpretazioni non condivisibili di questo saggio di commento alla decima eroide. La natura particolarmente selettiva dell’introduzione nasce dal tentativo di portare allo scoperto la costruzione sofisticata del testo, privilegiando problemi di genere e di dialogo intertestuale in linea con i recenti approcci interpretativi sulle Heroides («le lettere non sono comprensibili, e non vogliono essere comprese, fuori dal loro intertesto» Barchiesi [1992], p. 10). Il lettore non vi troverà tutto, ma la totale esaustività non rientrava tra i principali obiettivi di

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Ringraziamenti

questo lavoro. Quo magis, o lector, debes ignoscere, si quid / erratum est illic praeteritumque mihi (Ov. ex Pont. 3.4.43-44). Non potrei se non dedicare queste pagine ai miei genitori.

Ginevra, 5 febbraio 2010

Introduzione 1. Memoria e memorie La mnemonicità definisce statutariamente la condizione prima di leggibilità di tutte le eroine ovidiane, la cui memoria ‘personale’ non può mai prescindere da quella ‘letteraria’1 che ammicca per sottili – e a volte sotterranee – vie allusive ad altri testi e contesti2. Altrettanto statutariamente le loro lettere sono storie di cadute, di paradisi ricordati e definitivamente, a parte alcune eccezioni, perduti. Condannate a un destino letterario di secondarietà3, condannano a loro volta l’elegia a continue (ma fallimentari, perché non restituiranno loro l’amore, né riusciranno a modificare o riscrivere il loro ‘futuro’ letterario) incursioni e fughe ‘generiche’4. Sulla loro vicenda e, inevitabilmente, anche sul loro esperimento di scrittura elegiaca pesano un passato e un futuro già autorevolmente e indelebilmente consegnati a testi ‘altri’ (testisorgente): «gli ‘abitanti’ del mito letterario sono coscienti di una loro identità, di un loro passato di cui si sentono responsabili, di una loro esistenza letteraria già vissuta in altri innumerevoli testi. Nel testo ovidiano, dove ne diventano consapevoli, essi vengono fuori a dichiarare questa loro coscienza, a professare la loro natura letteraria»5. Così la Medea di Her. 12, nel riproporre ‘autorialmente’ in prima persona l’ennesimo racconto del suo mito, è un’esemplare eroina mnemonica, anche se inconsapevolmente mnemonica: proprio in questa apparente lack of intentionality – testualmente parlando – si annida una forma pri1 2

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Cf. Bessone (1997), p. 287. L’intertestualità diventa quasi un’offerta semantica: «offre al lettore colto, al lettore ‘ideale’, il piacere dell’agnizione, la possibilità di condividere con l’autore il controllo, magari illusorio, del testo e del suo significato» (cf. Schiesaro [1997], p. 105). Cf. e.g. Barchiesi (2001a), pp. 317-320. Guardando il tutto da una prospettiva elegiaca ovviamente. Non si tratta se non di transcodificazione elegiaca per cui cf. Barchiesi (1987), pp. 67-71; cf. anche Casali (1995a), pp. 11-13. Pagine imprescindibili per la comprensione della poetica delle Heroides sono quelle di Barchiesi (1992) alle quali rimando nella loro interezza. Per il fallimento ‘retorico’ delle lettere cf. Gross (1979), pp. 308-314. Cf. Rosati (1979), p. 135. Sull’autocoscienza dei personaggi ovidiani cf. anche Barchiesi (1992), p. 12.

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Introduzione

vilegiata d’ironia delle Heroides, come risulta dal primo verso stesso di Her. 12 at tibi Colchorum, memini, regina vacavi, in cui si deposita tutta una piccola ‘storia’ di memoria apolloniana6. Le eroine sono per prima cosa delle lettrici7, lettrici di altri testi (e dunque inter e intratestuali), ma soprattutto lettrici autoriali se si è d’accordo sul fatto che «meaning […] is always realized at the point of reception»8. Dopo aver recepito il testo ‘altro’, dato che anche la loro è, in definitiva, una forma di ricezione testuale, sperimentano una possibilità narrativa ulteriore che è al contempo elegiaca ed epistolare: la loro ‘storia’ mitologica, ancorata a un testo o a un mitologema preesistente, non cambia, è il come viene raccontata a rendere in qualche modo diverso (e alle volte molto sofisticato) il nuovo prodotto letterario9.

2. Resistere a Catullo From Dido then a belch did fly, / ‘Tis brought she meant it for a sigh, / And tears ran down her fair long Nose, / The Queen was Maudlin I suppose C. Cotton, Scarronides, or Virgile Travestie

Come racconta la sua storia Arianna? C’è un testo, e si tratta naturalmente di Catullo 6410, a cui guardano retrospettivamente, pur manipolandolo11, diverse Arianne, ma a cui soprattutto l’Arianna di Ov. Fast. 3.471-476 con un gesto di memoria allusiva marcatamente riconoscibile (memini) consegna l’indiscussa auctoritas di Ur-testo del suo mito: 6

Cf. Bessone (1997), ad loc. Per la memoria (familiare / personale vs letteraria) come modello di interpretazione offerto al lettore cf. Casali (1995a), p. 206. 7 Per questo approccio cf. Fulkerson (2005), pp. 16-18. 8 Cf. Martindale (1993), p. 3. Si tratta cioè di letture parziali che tendono a selezionare tratti significativi del mito. 9 La lettura alle volte può farsi pericolosa: «some accept the challenge of reading and rewriting themselves as subjects, but even so select literary models that are inappropriate or even deadly» (cf. Fulkerson [2005], p. 18); cf. anche Nagle (1995), p. 152 sulla tensione tra mito ed elegia. Cf. infine Drinkwater (2007), p. 368. 10 Cf. Conte (1985), pp. 35 ss.; Hinds (1987b), pp. 17-18; Kennedy (2006), p. 59; Casali (2009), pp. 341-343. Un utile strumento è la raccolta di passi paralleli in Anderson (1896). Cf. anche Auhagen (1999), pp. 163-170. 11 Cf. Musgrove (1998), p. 228: «Ovid appears to be demonstrating how easily the mythological tradition can be manipulated or reworked for the needs of a character, audience, or narrator».

2. Resistere a Catullo

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‘en iterum, fluctus, similis audite querellas. en iterum lacrimas accipe, harena, meas. Dicebam, memini, "periure et perfide Theseu!" ille abiit, eadem crimina Bacchus habet. nunc quoque "nulla viro" clamabo "femina credat"; nomine mutato causa relata mea est’

L’Arianna di Fast. 3 con questa sua scelta di lettura (e di memoria letteraria) in definitiva non fa che riconoscere inequivocabilmente il testosorgente della sua vicenda: che non è appunto Her. 1012. Nella lettera l’eroina si è lamentata per 150 versi13, ma la sua geremiade non sembra aver lasciato traccia né, tantomeno, essersi impressa nella memoria nella continuazione ovidiana della sua storia, quasi che il ‘nuovo’ lamento non sia riuscito a sostituirsi una volta per tutte al modello catulliano. Osservato da questa prospettiva privilegiata (e, se vogliamo, un po’ provocatoria) Fast. 3 sembra confrontarsi con un problema di poetica: la versione ‘ufficiale’ del passato di Arianna (quella da cui si può citare) è Cat. 6414. L’Arianna di Her. 10, come si vedrà, ce l’ha messa tutta: ha scalato monti, si è immersa nella sabbia (alta harena), si è addirittura spogliata per fare segnali a Teseo. E non solo. Anche intertestualmente non si è rassegnata a un modello che condannava la sua esistenza mitica, letteraria, pittorica all’ecphrasis di una coperta. Si è strappata infinite volte i capelli (v. 147) e ha pianto come una fontana (v. 138 con comm. ad loc.): gesti prescritti dall’elegia stessa, ma qui addirittura talmente più elegiaci dell’elegia da diventare parodici. L’Arianna di

12 Cf. anche Gamberale (2002); più nello specifico cf. Liveley (2007), p. 288: è Arianna che «seeks to become the spokeswoman for deserted women […] providing an exemplum for the other women of the Heroides (142), with her ‘authority’ as an abandoned heroine asserting an influence not only upon her sister Phaedra but also upon all the other readers and writers belonging to Ovid’s intertextual community». 13 Un cri de cœur lungo il doppio rispetto a quello della sua antenata catulliana. L’estensione produce spesso un effetto parodico analogamente alla riduzione (cf. Tissol [1997], p. 181: «a typical example occurs near the beginning of Ovid’s Little Aeneid, where four-and-a-half lines of Ovid cover seventy-nine lines of Vergil at dizzying speed (Aen. 3.1-79). The comical effect will remind modern theatergoers of Tom Stoppard’s Fifteen-Minute Hamlet and other parodic abbreviations of Shakespearean tragedy, where the humor is created by reductive editing»). 14 «That Catullus 64 is an influence on this poem is not open to question»: cf. Fulkerson (2005), p. 138, n. 49; cf. anche Vessey (1976), p. 95; più in generale Kennedy (2002), p. 225.

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Introduzione

Fast. 3, a dire il vero, non è più sublime di quella di Her. 1015 e forse non è il caso di prenderla troppo sul serio, ma perlomeno è definitivamente riscattata dall’epilogico percorso siderale, che invera anche la proprietà luminosa del nome16. La cosa certa – e che qui ci interessa – è che l’Arianna dei Fasti ha una ‘coscienza’ letteraria, individua un predecessore e citandolo ne riconosce l’autorità (senza intaccarla come invece fa Her. 10 in molteplici modi, cf. infra)17. In Her. 10 la parodia investe non solo la costruzione caratteriale (e generica) della nuova Arianna18, ma anche alcune questioni di poetica. Cominciamo da queste. La lettera parte dal testo-sorgente catulliano: 10.3-4 quae legis ex illo, Theseu, tibi litore mitto / unde … (cf. comm. ad loc.). Si tratta inevitabilmente del litus di Cat. 64.133 (me) perfide, deserto liquisti in litore, Theseu?, uno spazio che non è più solo fisico (l’isola di Dia, litore Diae in Cat. 64.52), ma anche poetico: è lo spazio letterario della memoria genealogica. Ora, dopo l’incipitario marchio catulliano, l’Arianna di Ovidio ha a disposizione 150 versi tutti per sé e per il suo lamento in prima persona: non resisterà a sistematiche ‘fughe’ intertestuali, a cominciare da quella di 10.7 tempus erat … che, contro ogni aspettativa illusoriamente idilliaca, riattiva il lugubre intertesto virgiliano dell’apparizione di Ettore a Enea19 (il testo eneadicamente travestito annuncia qualcosa di terribile, la scoperta della scomparsa di Teseo). Un sintagma analogo a tempus erat è nullus erat (v. 11), iterato alla fine del v. 12, che annuncia il trapasso verso un nuovo ipotesto, odissiaco a

15 Cf. Barchiesi (1994), p. 232: «il monologo di Arianna tradita da Bacco (3,459-516) è una riscrittura leggera e teatrale di un elevato testo catulliano» e soprattutto n. 7. 16 Cf. O’Hara (1996), p. 29. 17 Un’operazione testuale analoga è nell’episodio di Arianna in Ov. Met. 8.169-177 in cui è riconosciuto un «canonic predecessor» che consente, questa volta, una drastica riduzione nella narrazione (cf. Tarrant [2005], p. 70). Cf. anche Rutledge (1976). 18 Del resto «a successful parody not only quotes an earlier work but changes every rereading of it» (cf. Edmunds (2001), p. 160). (Ri)leggendo Cat. 64, quanto ovidiana sembra Arianna? Cf. anche Edmunds (2001), p. 161. 19 Cf. Verg. Aen. 2.268; Spentzou (2003), p. 69 e comm. ad loc. Vessey (1976), p. 96 non sembra cogliere la portata intertestuale del distico. La presunta idilliacità di questo verso è compromessa, oltre che dal suo ‘lugubre’ ipotesto virgiliano, anche da Ov. Am. 2.6.55-56 urbe silent tota, vitreoque madentia rore / tempora noctis eunt; excute poste seram, l’elegia del paraclausithyron che per statuto rappresenta il fallimento dell’aspettativa amorosa (cf. da ultimo Lucarini [2008], pp. 259-265).

2. Resistere a Catullo

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mio avviso (per l’interpretazione cf. comm. ad loc. e infra)20: l’inganno di ‘n(N)essuno’ traghetta Arianna verso un (intertestuale) alter ego ciclopico. La medesima struttura sintagmatica ritorna poi in 10.17 luna fuit per fornire, questa volta, le coordinate ‘temporali’, coordinate non catulliane che introducono un notturno alla ‘Ero e Leandro’21 caricato elegiacamente dopo la non proprio confortante ‘tessera’ virgiliana. Ma, in definitiva, la nuova Arianna non riesce a prescindere dalla vista (‘testuale’) dei litora (catulliani): quod videant oculi, nil nisi litus habent (10.18). Il testo di Catullo ritorna prepotentemente con il suo litus e ora anche con la sua harena, nei vv. 19-20: nunc huc, nunc illuc, et utroque sine ordine, curro; alta puellares tardat harena pedes

Trovo difficile resistere alla potenza metaletteraria di questo distico, tanto più che Arianna non farà mistero delle sue ambizioni autoriali (cf. infra). La corsa di Arianna è disperata, intertestualmente disperata, esprime un disagio: situazionale certo (Teseo è scomparso nel nulla! nullus erat…), ma anche, appunto, testuale. Le corse di Arianna (nunc huc, nunc illuc) sembrano delle vere e proprie incursioni in testi (e generi) altri, incursioni perché sine ordine22, incursioni perché spesso impertinenti: l’eroina ripercorre allusivamente23 le orme di Medea (cf. Apoll. Rhod. Arg. 3.651 WKX"VLRLGHSRYGHIHYURQHH>QTDNDLH>QTDcon la nota di comm. ad loc.), ma pare sollecitare anche una riflessione metapoetica; l’alta harena del modello fa procedere i suoi puellares pedes con estrema fatica, quasi a dire che riscrivere elegiacamente Cat. 64 non si rivela un’impresa facile (forse perché Cat. 64 ha già dei presupposti

20 Non è del tutto vera l’affermazione di Vessey (1976), p. 96 che l’Arianna ovidiana è «less “heroically” portrayed than Catullus’». 21 Solitamente la luna è ‘compagna’ dell’amante elegiaco (cf. Prop. 3.16.15, ma soprattutto 1.3.31-32 donec diversas praecurrens luna fenestras, / luna moraturis sedula luminibus, elegia che si apre, tra l’altro, con l’immagine di Arianna dormiente, cf. infra; cf. anche Rosati [1996], ad 18.59-60; Beck [1996], ibid.; Armstrong [2006], p. 238), qui invece porta allo scoperto un’assenza elegiaca. 22 La locuzione sine ordine qui potrebbe esibire un certo potenziale di autoriflessività tipico della poesia ovidiana: la corsa (scrittura?) di Arianna non è in definitiva troppo diversa da come veniva descritto lo stile narrativo del suo autore Ovidio: cf. Sen. Contr. 2.2.9 sine certo ordine per locos discurrebat con Schiesaro (2002), p. 73. Cf. inoltre Ov. ex Pont. 3.9.53 postmodo collectas (scil. litteras) utcumque sine ordine iunxi. 23 O topicamente?

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Introduzione

elegiaci24 e ciò genera una forma di anxiety of influence? o forse perché il suo epilogo è tutto fuorché elegiaco?). L’aggettivo puellaris ha sempre suscitato qualche perplessità (cf. comm. ad loc.): che bisogno avrebbe Arianna di chiamare i suoi piedi ‘infantili’? Penso che il distico debba essere indagato da una prospettiva privilegiatamente elegiaca che potrebbe spiegare l’apparente aporia del v. 20. Pedes è il ‘nuovo’ modo (rispetto a Cat. 64, dobbiamo pensare) di fare poesia25, è il primo segnale di come questa Arianna si stia elegizzando26, stia diventando appunto una puella: il termine, uno dei più potenti indicatori di elegia, compare già in Cat. 64.97 qualibus (fluctibus) incensam iactastis mente puellam, ma qui in Her. 10 gli viene assegnata (restituita?) la sua sede propriamente elegiaca, quella pentametrica27. Lo scarto rispetto al modello – uno scarto interessante a livello di genere e cronologia: quale Arianna viene prima?28 – è complicato della resistenza che il testo-sorgente sembra fare: alta tardat harena. Credo che, come per litus, di nuovo questa harena sia uno spazio non solo fisico29, ma anche e soprattutto testuale e credo anche che alta qui qualifichi il modello sotto il profilo del genere, ammiccando all’Arianna ‘sublime’ di Cat. 6430. Per 24 Un po’ come succede in Her. 7 (cf. Barchiesi [1987], pp. 82-83; «l’iniziativa epistolare di Ovidio rischia di soffocare, ma per eccesso di stimoli», p. 83; sulla ‘riduzione’ elegiaca di Didone in Aen. 4 cf. anche Bonfanti [1985], pp. 116-117), anche se Didone non sembra preoccuparsi troppo di questo problema di poetica. Ma Arianna non è Didone, ha delle velleità letterarie non da poco come si vedrà oltre. 25 Cf. Wyke (2002), p. 123: «pes signals ambiguously both human and metrical feet». Cf. la discussione di Hor. Ep. 11.20 incerto pede (tensione tra il giambo e l’elegia) in Cucchiarelli (2008), p. 89. 26 Primo segnale dopo queruntur del v. 8 se vogliamo, ma lì sono gli uccelli, non ancora l’eroina, a lamentarsi. Cf. invece Ov. Met. 8.174-177 in cui Arianna è descritta come desertae et multa querenti con Anderson (1973), p. 69: «incisive epitome of the situation and the principal topoi for the case of Ariadne». 27 Per la metamorfosi di Elena in puella, cf. Michalopoulos (2006), pp. 20 e 52. 28 Con Kennedy (2002), p. 226. 29 Cf. anche Her. 2.121 (Fillide) maesta tamen scopulos fruticosaque litora calco con il comm. di Barchiesi (1992), ad loc. 30 Per l’appartenenza generica di Cat. 64 cf. meglio infra. Mi sembra che la portata metaletteraria di questo passo possa peraltro essere accostata a quella del passo virgiliano di Aen. 6.179 itur in antiquam silvam analizzato da Hinds (1998), pp. 11-13 in rapporto al modello enniano di Ann. 175-179 Sk. Alta (cf. OLD 110.8 e 13) in qualche modo equivale ad antiqua e ammicca alla natura ‘elevata’ del modello (cf. nella prima elegia di Ov. Am. 3 la presentazione degli attributi della Tragedia [14] Lydius alta pedum vincla cothurnus erat). Cf. anche n. 32. Per un approccio più tradizionale nel confronto tra l’Arianna catulliana e quella ovidiana lo studio di partenza resta Schmidt (1967).

3. Arianna e il Ciclope: palinsesti odissiaci

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l’Arianna di Her. 10 non sarà un’impresa facile liberarsi dal peso delle sue origini testuali (tardat) e, per emergere dall’alta harena, non potrà se non cimentarsi, manipolata abilmente dall’autore, in un’intensa operazione intertestuale (sine ordine curro)31: non le resta allora che ascendere (10.27) i monti catulliani (64.126 e 10.25) confidando nel suo animus e nelle sue vires (10.27). Poetiche32?

3. Arianna e il Ciclope: palinsesti odissiaci. Una proposta di lettura33 Anche in un testo come Her. 10 che vuole essere e fare elegia a tutti i costi (cf. più diffusamente infra), l’‘avventura’ del personaggio elegiaco può sperimentare nuove forme generiche (di genre e di gender). A31 Cf. Fulkerson (2005), p. 138: «what Catullus is able to accomplish in the third person, the epistolographer of Heroides 10 must accomplish in the first, and this almost inevitably leads to a certain lowering of tone». È chiaro che l’Arianna ovidiana è in competizione con quella catulliana (p. 139). 32 Per il senso di vires cf. OLD 2076.27; per vires in contesti programmatici cf. e.g. Prop. 2.10.5-6 quod si deficiant vires, audacia certe / laus erit; Ov. ex Pont. 3.4.79 ut desint vires, tamen est laudanda voluntas. Cf. inoltre Her. 10.28 aequora prospectu metior alta meo, dove Arianna sembra rimisurare ‘metricamente’ (cf. ThLL 8.883.71 ss.) il modello esametrico dal suo punto di vista elegiaco: cf. Cat. 64.127 unde aciem pelagi vastos protenderet montes. Arianna fatica ad avanzare in mezzo all’alta harena forse perché, dotata com’è di piedi elegiaci, inevitabilmente zoppica? (cf. la rappresentazione di Elegia in Am. 3.1.8 … pes illi longior alter erat; 10 et pedibus vitium causa decoris erat; cf. anche Keith [1999], p. 48 e n. 23). Armstrong (2006), p. 239, n. 39 individua una presenza metaletteraria anche in Her. 10.104 («a reference to the fame of the tradition which the author now picks up again, like the thread»). Sul ‘piede’ elegiaco cf. anche Wyke (1989), p. 119. 33 In questo capitolo tento di mettere sotto pressione (consapevole dei rischi) un passo dell’eroide da una prospettiva intertestuale extra-catulliana (per i modelli alternati cf. Barchiesi [1992], p. 10), partendo dalla premessa per cui «a subtext lurks “palimpsestically” behind a primary text» (Hubbard [1998], p. 8), per arrivare a sondarne poi gli effetti parodici. Non è questa la sede migliore per soffermarsi sulla ‘teoria della parodia’ (cf. in dettaglio Dentith [2000]): il ‘mio’ approccio parodico, brevemente, è qui in linea con Morgan (1977), p. 27: «the humor is derived from the conflict of the reader’s associations, for the new context jars when compared to the old»; Rudich (1997), p. 192: «parody […] understood as the displacement of the manner the original text is executed in, in other words, its form-related characteristics, into an inappropriate, implausible, or pejorative new context». La forma di (micro)parodia in azione nel passo che sarà analizzato supra è una tecnica di comunicazione di secondo grado che ‘intercetta’ paradigmi epici e li rivisita ed è in questo analoga al funzionamento della parodia comica: cf. Petrone-Bianco (2006), p. 5.

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Introduzione

rianna eredita inevitabilmente dall’antenata catulliana un pedigree elegiaco ante litteram: è chiaro che per un’eroina come questa che, appunto, si trova statutariamente a suo agio in contesti amatori, lo scarto maggiore è prodotto dall’appropriazione (talvolta imprevedibile) di idioletti (e testi) non-elegiaci. In Her. 10.11-12 nullus erat. Referoque manus iterumque retempto / perque torum moveo bracchia: nullus erat la langue diventa il ‘contenitore’ di una parole esclusiva e intertestualmente attiva. La ripetizione – strategica – di nullus erat in apertura e chiusura di distico non esaurisce la sua efficacia nella ricercatezza stilistica del versus serpentinus amatissimo dagli elegiaci («trick of style», cf. Knox [1995], ad loc. e qui comm. ad loc.). Il testo elegiaco condensa, risemantizzandola, una combinazione di ‘tessere’ odissiache la cui anagnorisi credo produca un contatto dialogico34 privilegiato tra il lamento d’amore di Arianna appena destata e quello del Ciclope omerico di Od. 9. C’è apparentemente una distanza incolmabile tra questi due testi, una distanza di genre e di gender35, ma è proprio questa tensione a rendere problematica – e in un certo senso molto ovidiana – la ‘nuova’ identità di Arianna. L’iterata assenza ‘ontologica’ di Teseo (nullus … nullus) recupera l’arcinoto racconto odissiaco di un sonno profondo e di un inganno, di una fuga (quo fugis? Her. 10.35), di un nome (non-nome) strategicamente ripetuto: si X^SQR / K^UHLSDQGDPDYWZU,9.408 confrontino Od. 9.372-373 NDGGHYPLQX 2X?WLYPHNWHLYQHLGGRYOZRXMGHELYKILQe Her. 10.5-6 in quo me somnusque meus male prodidit et tu, / per facinus somnis insidiate meis, ma anche soprattutto l’‘autopresentazione’ dell’eroe in Od. 9.366 2X?WLHMPRLYJR>QRPD2 2X?WLQGHYPHNLNOKYVNRXVLQNWOe il racconto di Polifemo all’ariete in cui, all’interno di una sezione testuale di sei versi (9.455-460), il nome ‘Nessuno’ compare esattamente all’inizio e alla fine (cf. 4552X?WL … e 460 2X?WL), in rapporto a Her. 10.11-12. Il nullus dell’Arianna ovidiana, riproducendo la posizione incipitaria ed explicitaria del ‘Nessuno’ odissiaco, ricarica ciclopicamente l’eroina (si confrontino, in aggiunta, anche Od. 9.417 DXMWRGHLMQLTXYUKVL NDTHY]HWRF FHL UHSHWDYVVD e Her. 10.11-12 referoque manus iterumque retempto, moveo bracchia) e, in qualche modo, odissiacamente 34 Nell’accezione bachtiniana del termine per cui cf. e.g. Nikolopoulos (2004), p. 25. Cf. anche Farrell (1992), pp. 238-245. 35 Per un caso di «gender inversion» sempre ‘ciclopica’ (in questo caso Polifemo come Nausicaa) cf. Prauscello (2007) con n. 13.

3. Arianna e il Ciclope: palinsesti odissiaci

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Teseo che si libera del ‘pericolo’ elegiaco con l’inganno36 (in Odisseo come arci-eroe dell’inganno si possono esplorare ante litteram qualità da amante elegiaco, tanto più che il mezzo privilegiato del suo inganno è proprio la parola, come rileva Paduano [2008], pp. 60-61: anche la parola di Teseo si fa, in modo analogo, portatrice di inganni per la sua interlocutrice, cf. vv. 73-74 tum mihi dicebas: ‘per ego ipsa pericula iuro, / te fore, dum nostrum vivet uterque, meam’37). La costruzione di un’Arianna ciclopica in questa microsezione della lettera, in apparenza una sorta di memoria impertinente38, prepara la progressiva (auto)rappresentazione bathetica dell’eroina che, pur ‘volendo’ essere la più elegiaca delle eroidi ovidiane, metterà a nudo, in definitiva, un’identità caratteriale e testuale non sempre appropriata39. Con la postilla che, se ci si spinge ancora un po’ oltre, la nuova identità ciclopica dell’Arianna epistolare innesca anche effetti intertestuali ‘regressivi’ sul Polifemo odissiaco40. Forse che il Ciclope esibisce tratti ‘elegiaci’? Quello odissiaco di certo no, ma, se pensiamo a quello innamorato di Teocrito, questo non è che la rivisitazione amatoria e parodica del suo modello odissiaco: tra Arianna e il Ciclope a ben vedere non corre poi tutta questa distanza41.

36 Teseo-Odisseo ritorna anche in Her. 10.39 insensibile al canto di Arianna-Sirena (per i dettagli intertestuali cf. nota di comm. ad loc.). L’assimilazione Arianna-Polifemo/Sirena getta una luce di pericolosità (intertestuale?) sulla figura di Arianna, pericolosità che nel testo catulliano si realizza attraverso la maledizione contro Teseo (sulla pericolosità delle Sirene cf. ora Bettini, Spina [2007], pp. 84 e 164). 37 Per Odisseo smemorato cf. Od. 10.472-474. Cf. anche Perutelli (2006), p. 59. 38 Cf. Labate (1991), p. 42 («nel senso che non è pertinente per affinità di tema o di situazione, né risulta orientata da una identità o almeno da una contiguità di scelte letterarie»). 39 Ma del resto questa Arianna ciclopica ben si inserisce in un contesto familiare come il suo, caratterizzato da unioni e creature mostruose (cf. Pasifae, il Minotauro). 40 Sulla costruzione dell’identità caratteriale da una prospettiva ‘regressiva’ cf. Telò (2006), pp. 263-265. 41 Sul personaggio ciclopico cf. da ultimo Rosen (2007), pp. 159-169. Per il Ciclope innamorato di Teocrito cf. e.g. Theocr. Id. 11.17-18 NDTH]RYPHQRGHMSLSHYWUD / X-\KOD  HMSRYQWRQR-UZ QD>>HLGHWRLDX WD (che anticipa veri e propri momenti ‘da elegia’).

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Introduzione

4. «E ora io…» We sense Ariadne watching, indeed, directing herself, as if she becomes the epic poet, standing beyond, yet intensely interested in and, after all, controlling the mythical character H. Jacobson, Ovid’s Heroides

Il gesto intertestuale delle Heroides di riscrivere le loro storie non può se non essere sintomatico dei loro «struggles for authorial voice»42. C’è un distico in Her. 10 nella cui problematicità grammaticale (recordor + part. fut.) e quindi semantica si riflette anche una questione di poetica (o di narcisismo? cf. Verducci [1985], p. 270) che sembra esser sfuggita nella sua complessità, anche intertestuale: cf. 10.79-80 (+ 81) nunc ego non tantum quae sum passura recordor sed quaecumque potest ulla relicta pati: occurrunt animo pereundi mille figurae

«Ovid’s Ariadne seeks to establish Heroides 10 as the new exemplary text for abandoned women. Her competition is thus not merely with her predecessor, but with the classic status the Catullan Ariadne has attained»43. Knox44, al contrario, bolla l’affermazione di Arianna come «statement of the obvious» e opta per l’espunzione commentando che probabilmente il distico si generò in una postilla marginale. Un po’ provocatoriamente potremmo pensare, invece, a una postilla della stessa Arianna nel margine alla sua lettera, magari con accanto una manicula ‘alla Petrarca’, per segnalare la rilevanza di quel locus testuale (questo per dire che il distico, quasi al mezzo della lettera, non va espunto).

42 Cf. Fulkerson (2005), p. 6. Cf. anche Jacobson (1974), p. 224: «[Catullus’] Ariadne is the abandoned heroine, Ovid’s Ariadne plays the abandoned heroine»; Desmond (1994), pp. 40-42 su Didone e le sue aspirazioni autoriali in Her. 7 (cf. anche Kuhlmann [2003]). Questa autorialità fa ri-leggere inevitabilmente le diverse storie «in a different way and from a different angle» (anche la mitologia ha una sua oggettività e una sua soggettività): cf. Michalopoulos (2006), p. 25; infine cf. Armstrong (2006), p. 225, n. 10 (sulla stessa linea di Jacobson [1974], p. 224): «Ariadne sometimes shows herself to be quite adept at telling a story, at adding narrative touches which, while setting the scene, distance her from her impassioned retelling of how she works to find herself alone: tempus erat […], luna fuit […], mons fuit […] all elevate the style to one more fitting to hexameter than elegiac». 43 Così Verducci (1985), p. 270. 44 Cf. Knox (1995), ad loc.

4. «E ora io…»

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I versi infatti rendono possibile l’accesso (a Teseo, al lettore?45) nel laboratorio di Arianna scrittrice: “sto dando forma al mio personaggio di eroina relicta, ricordo cosa patirò, cosa può patire una donna abbandonata: mi si affollano nella mente mille immagini di morte”. Questo gesto di ‘fondazione’ letteraria, che pone o vorrebbe porre le basi del suo mito46 e di quello di ogni donna abbandonata, oscilla tra un’aspettativa ‘mnemonica’ (recordor, siamo già stati ammaestrati dalla traccia di Ov. Fast. 3) e lo ‘sforzo’ di liberarsi dal peso delle sue origini testuali (passura sum). Esiste in tutte le Heroides un’intertestualità dotata di due aspetti temporali che così illustra efficacemente Kennedy47: «if we regard Ovid as the author, then the ‘source’ texts (Homer, Euripides, Virgil and so on) are temporally anterior to the epistle, which then echoes them. However, if we regard the heroine/hero as the author, then a chronology of authorship is established in which the legendary heroines and heroes have temporal priority: the so-called ‘source’ texts are ‘forestalled’ by the legendary authors of the Heroides, and it is Homer, Euripides or Virgil who ‘echoes’ them». Da questa prospettiva, il mito della relicta che Arianna sta tentando di ‘costruire’ è un esperimento di self-fashioning che al contempo guarda al testo-sorgente di Cat. 64.123 (eam) liquerit immemori discedens pectore coniunx e 133 (me) perfide, deserto liquisti in litore, Theseu?, collocandosi però virtualmente prima di esso e invertendo l’ordine cronologico48. Oltre al fatto che la movenza incipitaria è decisamente solenne: nunc ego. Ci sono perlomeno due nunc ego nella letteratura latina a cui sono state consegnate famose riflessioni di poetica: cf. Lucr. 5.335-337 denique natura haec rerum ratioque repertast nuper, et hanc primus cum primis ipse repertus nunc ego sum in patrias qui possim vertere voces

e Verg. Ecl. 6.7-8 45 Sulla «figure of the addressee/reader» e sugli effetti spesso non previsti della ricezione delle lettere cf. Kennedy (2002), p. 222. L’«‘external’ reader» spesso «imposes a further perspective beyond that of the heroines and heroes or their formal addressee, and often finds in their words a fuller significance than they are in a position to grasp when they write them» (Kennedy [2002], p. 224); cf. anche Rosati (2005b), p. 161. 46 Cf. Kennedy (2002), p. 226: «the Heroides work to unravel the phenomenology of myth itself, and the role in myth-formation of ‘classic’ texts». 47 Cf. Kennedy (2002), p. 226. 48 Cf. ancora Kennedy (2002), pp. 226-227.

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Introduzione

nunc ego (namque super tibi erunt qui dicere laudes, Vare, tuas cupiant et tristia condere bella) agrestem tenui meditabor harundine Musam49

Nell’illustrare il suo catalogo di pericoli mortali (vv. 81-98), Arianna ha provato a ricostruire ‘a modo suo’ il paradigma della relicta, elencando, nella sua foga scrittoria50, lupi, leoni, tigri, foche, spade, catene che in effetti non si ritrovano nel modello catulliano. Ma ci sono almeno due punti di emersione della sua ‘infallibile’ memoria letteraria51: cf. v. 86 (verso testualmente problematico ma semanticamente inequivocabile) quis scit †an et haec tigrides insula habet?† e v. 95 caelum restabat: timeo simulacra deorum. Tigri e costellazioni (simulacra, con comm. ad loc.) hanno un comune denominatore, Bacco, il ‘futuro’ e lieto epilogo della sua vicenda. A ben vedere, le ambizioni autoriali di Arianna, introdotte dalla formulazione letterariamente programmatica del nunc ego, si devono arrendere dinanzi alla sua storia già scritta52. E anche se l’eroina ha ‘rinunciato’ in 10.90 serva alla ‘potenzialità’ elegiaca di Cat. 64.161 serva (comm. ad loc.), il testo-sorgente (v. 141) sembra ritornare a brevissima distanza nel memini di 10.92. Così, analogamente, nel momento in cui Arianna al v. 98 externos didici laesa timere viros dichiara di aver imparato a temere gli uomini (mariti) stranieri, in didici e viri, ancora una volta, si fa strada tutto un piccolo percorso di memoria testuale (catulliana, ma non solo, cf. comm. ad loc.). Peraltro, tigri e costellazioni a parte, anche in altri punti la prefigurazione del futuro intrappola Arianna in un destino letterario di ‘secondarietà’53; per quanto sia ‘riuscita’ a obliterare uno dei tratti più caratte49 Cf. anche, qui con iterazione di nunc, Prop. 2.10.9-10 nunc volo subducto gravior procedere vultu, / nunc aliam citharam me mea Musa docet con il comm. ad loc. di Fedeli (2005): «nunc anaforico quale segnale dell’aspirazione immediata a un canto di tipo diverso (cors. mio)». 50 Foga scrittoria intertestuale: il catalogo dei pericoli riattiva varie memorie testuali (cf. lupi, leoni, foche con il comm. ad loc., in part. ad 87). 51 Ovviamente per vie allusive che giocano con il vitale – per le Heroides – meccanismo della prefigurazione ironica (cf. Casali [1995c]). 52 E arcinota: cf. e.g. Tissol (1997), p. 97, n. 14. 53 Cf. Kennedy (2002), p. 225: «the heroes and heroines who write these letters are not simply ‘mythological’ or ‘legendary’ but ‘literary’»; cf. anche Kennedy (1984), p. 420 (riferito a Penelope, ma vale anche per le altre eroine): «Ovid is trying to foreshadow future events for his readers through her words, a technique that is an important but neglected aspect of the Heroides, and one that must be dependent on the knowledge of the

5. Arianna e l’eco

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rizzanti (aggressivi e medeici) del suo personaggio catulliano, vale a dire la maledizione (cf. Cat. 64.192-201, ben 10 versi su 70 di lamento in prima persona), nuovamente le ‘regole’ del sistema letterario di cui, in quanto testo, è parte la incastrano alla sua storia già scritta54: una pericolosa allusività si insinua infatti in 10.125 ibis Cecropios portus nel potenziale minatorio di ibis (cf. comm. ad loc.), in 10.136 nell’immagine dello scoglio che porta con sé l’inquietante memoria dello scoglio di Egeo (cf. comm. ad loc.), in 10.143 sed ne poena quidem! che, in quanto sede privilegiata perché explicitaria, richiama un’altra sede explicitaria nella quale è appunto depositata parte della maledizione dell’Arianna catulliana: Cat. 64.192-193 quare facta virum multantes vindice poena / Eumenides … 55.

5. Arianna e l’eco: un (poco) astuto negoziato con la secondarietà56 Esiste un riattivatore privilegiato di memorie letterarie che si chiama eco: una parola, qualche frammento di verso, un nome, che rimbalzano dal testo-sorgente al testo di secondo grado. Anche Arianna grida di testo in testo lo stesso nome: Theseu (che non è solo la sua personale ossessione, è una vera e propria ossessione testuale come, una volta tanto, testimonia Fast. 3.471 ss. [en iterum, en iterum! etc.]). story the reader brings to Ovid’s version»; infine Anderson (1973), p. 65: «all he (scil. Ovid) can do is to make the woman speak in such a way as to affect our interpretation». 54 Ciò che cambia è la prospettiva da cui viene osservata la vicenda mitica, non la vicenda mitica in sé: cf. Michalopoulos (2006), p. 25: «Ovid of course cannot escape from the ‘objective’ mythological ‘reality’ and cannot alter the course of events». 55 Cf. Fillide che recepisce la maledizione di Arianna a Teseo e se ne appropria in Her. 2.13-14 Thesea devovi, quia te dimittere nollet; / nec tenuit cursus forsitan ille tuos, ma è chiaramente la maledizione dell’Arianna catulliana (con Barchiesi [1992], ad loc. e Fulkerson [2005], p. 35). Le vie allusive scelte dall’Arianna ovidiana non l’hanno di certo aiutata a diventare un (il) testo-modello. C’è nell’epistola una costante, per quanto allusiva, attenzione agli sviluppi futuri della vicenda (quasi un to be continued) a differenza di quanto sembra ad Armstrong (2006), p. 231: «[…] her thoughts do not stretch far into the future, fearing as she does imminent death and the scattering of her unburied bones on the rocks». Cf. infine Fulkerson (2005), p. 138: «losing battle with her more famous Catullan counterpart». 56 «Astuto negoziato con la secondarietà» è definizione di Barchiesi (2001a), pp. 318-319; cf. anche Hinds (1998), p. 8: «echo as a trope of mannered repetition, within texts and between texts».

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Introduzione

L’apostrofe di Cat. 64.133 (me) perfide, deserto liquisti in litore, Theseu? è ricreata nello spazio elegiaco di Her. 10.21-22 interea toto clamanti litore “Theseu!” / reddebant nomen cancava saxa tuum. Ma l’urlo della nuova Arianna non vuole solo riprodurre mimeticamente quello dell’antenata (cf. l’analoga sequenza litore Theseu): vorrebbe soprattutto correggere il fallimento di quel grido per cui cf. Cat. 64.164166 ignaris … auris, / … quae nullis sensibus auctae / nec missas audire queunt nec reddere voces. Nel nuovo testo c’è quel ‘riscontro’ che l’Arianna catulliana non trovava (nec reddere): cf. Her. 10.22 reddebant (qui il testo offre «una versione originaria e una ripetizione»57 correttiva). I concava saxa raccolgono la sollecitazione vocale dell’eroina e riproducono il nome gridato; del resto, si sa, la natura ‘ecoicamente’ accorre in soccorso dell’amante elegiaco in pena58: cf. Prop. 1.18.31-32 sed qualiscumque es, resonent mihi (=per me) “Cynthia” silvae, / nec deserta tuo nomine saxa vacent. L’ipotesto elegiaco fornisce l’illusione che anche quella di Arianna sia una natura amica pronta a ospitare e diffondere il suo grido disperato59. Ma le cose in Her. 10 stanno un po’ diversamente. Nel momento in cui Arianna si discosta dal testosorgente e si mette a fare elegia, non si accorge di quanto ingannevole si riveli in definitiva l’eco testuale properziana (un’eco ‘ulteriore’, che va ben oltre un nome ripetuto di testo in testo). Properzio voleva una natura ‘piena’ di Cinzia (nec deserta tuo nomine saxa vacent), Arianna, molto meno elegiacamente, vorrebbe semplicemente che il nome di Teseo giungesse a lui: i concava saxa invece non fanno altro che restituirlo … a lei (clamanti)60. Neppure questa volta la mediazione dell’eco riporterà ad Arianna il suo Teseo.

57 Cf. Barchiesi (2001a), p. 318. 58 Per il valore fortemente metaletterario del mito di Eco che si riferisce alla circolazione infinita dei testi cf. Fusillo (2009), p. 137. 59 «Pastoral responsiveness of nature» (Verducci [1985], p. 259). 60 Il v. 23 et quotiens ego te, totiens locus ipse vocabat dipende comunque dalla ‘premessa’ che i saxa restituiscono ad Arianna il nome gridato. Più in dettaglio cf. comm. ad loc. Cf. anche Battistella (2009), p. 708.

6. Intermezzi catulliani. Quale Catullo?

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6. Intermezzi catulliani. Quale Catullo? (I) Il modello del modello L’Arianna di Cat. 64 è marcatamente ‘catulliana’, nel senso che non di rado riflette una forma di «morality» reperibile anche in altri componimenti di Catullo: «similar sentiments are voiced in several of the poems describing Catullus’ relationship with Lesbia, such as 70, 72, 73, and 76»61 (si aggiunga 60). L’eroina che si lamenta e si strugge per l’abbandono e la violazione della fides da parte di Teseo è in qualche modo la proiezione mitologica dello stesso Catullo che soffre per l’infedeltà e la durezza di Lesbia. Catullo e la sua poetica ‘elegiaca’ lasciano la loro traccia anche in Her. 10, ma non sempre, come prevedibile, tramite il più immediato ipotesto di Cat. 64. L’Arianna epistolare attinge infatti la sua ‘storia’ dal testo catulliano recuperando alcuni momenti di poesia amorosa da altri testi-sorgente catulliani e ammiccando sottilmente al rapporto analogico tra Catullo e Arianna62. Così Her. 10.112 aut semel aeterna nocte premenda fui riattiva la memoria di Cat. 5.5-6 nobis, cum semel occidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda, mentre Her. 10.73-75 tum mihi dicebas: ‘per ego ipsa pericula iuro, / te fore, dum nostrum vivet uterque, meam.’ / vivimus, et non sum, Theseu, tua … riscrive Cat. 5.1 vivamus … atque amemus (cf. anche Armstrong [2006], p. 237 e comm. ad loc.): la parole catulliana in Her. 10 denuncia, mutatis mutandis, tutta la precarietà delle aspettative elegiache. Potrà mai essere chiamata vita quella che Arianna sta vivendo? Sarebbe stato meglio se la nox aeterna fosse giunta una volta per tutte… E sempre in Her. 10.73 interviene un ulteriore testo-sorgente catulliano che stabilisce, ancora una volta, un contatto privilegiato tra Catullo e l’Arianna ovidiana. Tum mihi dicebas mette a nudo non solo le false promesse di Teseo, ma retrospettivamente anche quelle di Lesbia: cf. infatti Cat. 72.1-2 (in posizione incipitaria) dicebas quondam solum te nosse Catullum / Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. ‘Mi dicevi allora’ diventa il segno della memoria personale e, soprattutto,

61 Cf. Armstrong (2006), p. 55, anche n. 42; cf. inoltre Paduano-Grilli (1997), pp. 260261. 62 Illuminanti le pagine di Hinds (1993), pp. 21-27 per capire il sottile «intertextual engagement» con cui Ovidio guarda al modello e al modello del modello.

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Introduzione

testuale delle (mancate) promesse dell’amante fedifrago, apostrofato a breve distanza: Lesbia (Cat. 72.2) e Theseu (Her. 10.75)63.

Quale Catullo? (II) Ego nunc sola sum Nunc quam spem aut opem aut consili quid capessam? Hic saxa sunt, hic mare sonat Neque quisquam homo mi obviam venit (ita nunc) hac an illac eam nec prope usquam hic quidem cultum agrum conspicor Libera ego prognata fui maxume, nequiquam fui. Nunc qui minus servio quasi serva forem nata?

Se l’autore di questi versi non ci fosse noto, la misteriosa persona loquens potrebbe verosimilmente avere qualcosa da spartire con Arianna. L’autore invece ci è noto e ci è nota anche l’identità di questa lamentosa eroina: Plauto, Rudens, lamento di Palestra (vv. 201, 204, 206a-206b, 213, 214, 218-219). Già Ellis (e Palmer con lui) aveva notato che «Plautus Rudens 1.3.21 sqq. was here the main model of Catullus» (cf. Palmer [2005], ad 10.59). Palestra, approdata su una spiaggia sconosciuta circondata da saxa e dal mare, è in effetti un modello ‘caratteriale’ pertinentissimo: è sola, spaventata, non c’è traccia di essere umano intorno a lei e, per quanto sia nata libera, si sente schiava a tutti gli effetti. Arianna ne condivide le difficoltà. Ma quale Arianna? Sicuramente quella catulliana: cf. 64.161 quae tibi iucundo famularer serva labore; 168 nec quisquam apparet vacua mortalis in alga; 177 nam quo me referam? quali spe perdita nitor?; 184-185 nullo colitur sola insula tecto / nec patet egressus pelagi cingentibus undis. Qualcosa però ‘resta’ anche alla nuova Arianna ovidiana che, guardando al suo modello catulliano, guarda contemporaneamente al modello del modello, scoprendo di condividerne una certa affinità ‘generica’. La nuova Arianna è assolutamente a suo agio nei panni (comici) della Palestra plautina che, dopo la perdita della compagna, dichiara perentoriamente: ego nunc sola sum, come non meno perentoriamente, per quanto con un 63 Cf. anche Ov. Her. 3.53-54 tu mihi, iuratus per numina matris aquosae / utile dicebas ipse fuisse capi.

7. Intermezzi (super)elegiaci

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intento diverso, dichiarerà l’Arianna ovidiana in 10.79 nunc ego … (cf. supra). Il paradigma ‘comportamentale’ delle due eroine contempla per entrambe l’elaborazione di un consilium salutis: cf. Rud. 204 consili quid ed Her. 10.63 finge dari. E la stessa Arianna ovidiana renderà ‘effettuale’ la perplessità direzionale di Palestra (hac an illac eam, v. 213) con il suo nunc huc, nunc illuc … curro (10.19). Ma è soprattutto la libertas minacciata a turbare le due eroine (diversamente, invece, dall’Arianna catulliana che si adegua a un modello ‘più’ elegiaco, da servitium amoris, cf. 64.161): esse rivendicano, entrambe, la loro condizione di liberae in Rud. 218-219 ed Her. 10.89-90. E questo sembra essere un punto davvero non trascurabile se pensiamo che Palestra, come molte delle personae femminili della commedia, ha particolarmente a cuore l’‘istanza’ della sua libertà: nondimeno l’Arianna ovidiana che non solo ha orrore di diventare serva, ma che ha addirittura scritto nel suo futuro64, annunciato da Bacco, il suo diventare Libera: cf. Fast. 3.511-512 (con Barchiesi [1989)]) ‘tu mihi iuncta toro mihi iuncta vocabula sumes, nam tibi mutatae Libera nomen erit’

7. Intermezzi (super)elegiaci When tradition becomes too flexible, irony enters the voice Don De Lillo, White 1oise

Nelle Heroides tutto (e.g. la tragedia, l’epica) è o vorrebbe essere riduzione elegiaca, oltre che epistolare65. Le lettere nascono come tagli elegiaci di ‘storie’ il cui «contesto narrativo è fissato altrove, consegnato a testi letterari (o più genericamente ai mitologemi) su cui Ovidio ha scelto di operare»66. Le Heroides pongono, tra le altre cose, un problema di genere: quale tasso elegiaco riesce a esibire un’eroina dell’epos o della 64 Al lettore dell’epistola la conoscenza del futuro di Arianna deriva ovviamente dal contributo intertestuale, per cui cf. e.g. Roberts (1997), p. 264. 65 Sulla scelta della forma epistolare cf. Kennedy (2002), p. 229; sulla distinzione tra elegia come «not only formal but ideological features» ed epistolarità come «communicative structure» cf. Barchiesi (2001b), p. 150, n. 15. Per il genere elegiaco che diventa, con lo sperimentalismo ovidiano, una sorta di supergenre cf. Harrison (2002), pp. 7980. 66 Cf. Barchiesi (1987), p. 65; Id. (1992), p. 22.

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Introduzione

tragedia le cui identità e biografia rimangono vincolate appunto a un testo-sorgente (paratesto67) non elegiaco? O anche dalla prospettiva contraria: potenzialmente quanto elegiaco può essere il testo-sorgente? Her. 10, se restituiamo la voce autoriale a Ovidio, non è stata ovviamente concepita per sostituire il suo testo-sorgente. È, diciamo, solo una variazione elegiaca sul tema (il lamento della relicta), con tutte le conseguenze letterarie che ciò comporta ed è questo che interessa. È osservare – cosa che la stessa Arianna in alcuni punti della lettera sembra curiosamente fare, ad es. quando assume tratti da narratrice esterna, impersonale, quasi ‘epica’ come in 10.14-16 – un’eroina in bilico tra assenza e ‘presenza’ (anche intertestuale68) dell’altro, ironicamente ignara di un futuro già scritto e immodificabile69. L’eroide, a differenza dell’amante elegiaco ‘vecchia maniera’, costruisce il suo lamento d’amore sulla traccia di un modello anteriore non-elegiaco e questa ‘duplicità’ testuale (vecchio e nuovo testo) ha per effetto che lo scarto esistente tra tempo della storia e tempo del racconto garantisce «il margine dell’ironia e della riflessività»70. La riscrittura spesso applica un filtro: così la lettera di Didone a Enea smorza i toni più medeici del modello virgiliano, lascia depositare nel filtro scrittorio epistolare le punte di asperità e con esse, inevitabilmente, anche quelle più sublimi71. L’Arianna catulliana tende in effetti più al sublime della ‘velleitaria’ autrice di Her. 10 che scrive aggrappata agli scogli battuti dal mare: cf. 10.136 haerentem scopulo, quem vaga pulsat aqua, mentre nel modello si ‘limitava’ a bagnarsi i piedi en67 Cf. Barchiesi (1987), p. 70 (informazioni paratestuali: «identità e biografia del locutore»). 68 L’assenza fisica di Teseo è ovviamente la condizione prima che genera il lamento dell’eroina. Ma c’è anche un’assenza letteraria, quella del modello catulliano che in determinati punti della lettera lascia spazio ad altre presenze testuali. 69 «Inefficacia pragmatica» delle lettere: cf. Barchiesi (1987), p. 65. Cf. anche Holzberg (2002), pp. 82-83. 70 Cf. ancora Barchiesi (1987), p. 70. «What is particularly fascinating for the readers of the Heroides is that they are given the chance to watch history in the making, at the exact moment that things come to a head and there is much at stake» (cf. Michalopoulos [2006], p. 25 e il cap. Dramatic Irony, pp. 25-29). 71 Cf. e.g. Barchiesi (1987), p. 82. Cf. anche Döpp (1968), pp. 17-55 con la postilla del recensore: «it is relevant to note that Döpp finds that Aeneas in the Epistle has degenerated to the status of a faithless deceiver whereas Dido has become more lenient than in Virgil to her lover and cannot bring herself to hate him» (Phillips [1971], p. 72). Per la ricezione virgiliana da parte di Ovidio nel suo poema metamorfico cf. inoltre Döpp (1991).

7. Intermezzi (super)elegiaci

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trando nell’acqua (64.67 ipsius ante pedes fluctus salis alludebant e 128 tum tremuli salis adversas procurrere in undas). In Cat. 64.63-65 l’eroina lasciava scivolare la mitra e le vesti: nunc flavo retinens subtilem vertice mitram, non contecta levi velatum pectus amictu, non tereti strophio lactentis vincta papillas

E il motivo è facilmente ipotizzabile: dopo aver constatato la fuga di Teseo … neque tum mitrae neque tum fluitantis amictus / illa vicem curans toto ex te pectore, Theseu, / toto animo, tota pendebat perdita mente (68-70). La nudità di questa Arianna è casuale, un gesto di dimenticanza o noncuranza, o anche semplicemente un tratto pittoricamente codificato (così ce la restituiscono gli affreschi pompeiani)72. Si lamenta e si dispera, ma non richiama mai indietro il suo Teseo. L’Arianna ovidiana, padrona finalmente del suo spazio letterario, è ipertroficamente attiva. Inciampa nella sabbia, scala monti, urla, si batte il petto. Arriva poi alla seguente conclusione (10.39-40): si non audires, ut saltem cernere posses, / iactatae late signa dedere manus. Il suo richiamo da sirena ‘mancata’ (si non audires, v. 39; cf. comm. a vv. 35 ss. sul possibile modello odissiaco) la induce a escogitare un’alternativa, in cui è depositato un ben preciso indizio intertestuale. Ad Arianna non resta che spogliarsi, porre le vesti bianche all’estremità di un ramo nella speranza che nel fondale buio, in cui Teseo sta veleggiando, i suoi segnali si notino. Il gesto di Arianna è solo apparentemente innocente e privo di implicazioni (intertestualmente parlando): cf. 10.41-42 candidaque inposui longae velamina virgae, scilicet oblitos admonitura mei

Candida velamina riattiva, com’è prevedibile, la memoria del monito di Egeo in Cat. 64.235 candidaque intorti sustollant vela rudentes, data soprattutto la posizione incipitaria e la medesima sede metrica di candidaque; analogamente oblitos postilla allusivamente Cat. 64.207-209 ipse autem caeca mentem caligine Theseus / consitus oblito dimisit pectore cuncta, / quae mandata prius constanti mente tenebat. I versi di Her. 10 ammiccano doppiamente all’ipotesto catulliano: il colore dei 72 Cf. da ultimo Elsner (2007). Per il rapporto tra le vesti di Arianna e le vele di Teseo che in 64.234 sono definite vestem cf. Paschalis (2004), p. 70.

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velamina racchiude la piccola ‘storia’ del monito delle vele (Cat. 64.215-245; velamina richiama abbastanza naturalmente vela), ma al tempo stesso sui candida velamina sembra venir trasferito un dettaglio della rappresentazione dell’Arianna catulliana: bianche come il latte sono infatti anche le sue papillae (v. 65)73. Cos’è che dovrebbe cernere Teseo? Certamente le vesti bianche che Arianna sta sventolando (con tutte le implicazioni catulliane che il colore bianco suggerisce), ma, dobbiamo pensare, anche la nudità di Arianna che, questa volta, a differenza del testo-sorgente, provvede lei stessa a spogliarsi (e qui si innesta il modello elegiaco). Quest’Arianna è più esibizionista della sua antenata e non ignora quanto voyeuristici possano essere gli interessi maschili74 (nasce pur sempre come una figura ricamata su una coperta, Cat. 64.50): di Teseo in primis come ricorda Paride a Elena in Her. 16.149-152: ergo arsit merito, qui noverat omnia, Theseus, et visa es tanto digna rapina viro, more tuae gentis nitida dum nuda palaestra ludis et es nudis femina mixta viris

Il candore e la nudità sono peraltro oggetto privilegiato della contemplazione elegiaca: cf. Prop. 2.22.5-8 sive aliqua in molli diducit candida gestu bracchia, seu varios incinit ore modos! interea nostri quaerunt sibi vulnus ocelli candida non tecto pectore si qua sedet

Dalla prospettiva (super)elegiaca di Arianna75, in cui allo stesso Teseo vengono fatti indossare i panni dell’amator (cf. 10.73-75 con il comm. 73 Cf. anche l’incipit di Cat. 64.14-18 (con possibili latenze elegiache): emersere feri candenti e gurgite vultus / aequoreae monstrum 1ereides admirantes. / Illa atque haud alia viderunt luce marinas / mortales oculis nudato corpore 1ymphas / nutricum tenus exstantes e gurgite cano. 74 Cf. Gibson (2003), p. 390. Il testo ovidiano ‘prepara’ il voyeurismo imminente di Bacco? La nudità è una ‘proprietà’ elegiaca: cf. Prop. 1.2.8 nudus Amor; 2.15.13-14 ipse Paris nuda fertur periisse Lacaena, / cum Menelaëo surgeret e thalamo. Bene Lindheim (2003), p. 111 su Arianna che manipola strategicamente la vista: «meticulously she constructs Theseus as the active, all-controlling looker, almost literally laying herself bare, a vulnerable object of his gaze, characterizing herself rather strikingly with verbs in the passive voice». 75 Arianna è un personaggio dotato di potenzialità elegiache: cf. e.g. Hardie (2002), p. 121 (con capovolgimento dei ruoli): «Latin love elegy is characterised by the failure of the

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ad loc.), c’è un testo dal quale attingere potenziali tecniche di seduzione. In Am. 1.5 Ovidio raccontava il suo pomeriggio d’amore con Corinna76: cf. 1.5.9-10; 17-18; 24 ecce, Corinna venit, tunica velata recincta, candida dividua colla tegente coma ut stetit ante oculos posito velamine nostros, in toto nusquam corpore menda fuit et nudam pressi corpus ad usque meum77

Arianna, mutatis mutandis, vorrebbe essere per Teseo una novella Corinna e risuscitare in lui, attraverso le bianche (catulliane?) vesti, la memoria del suo bianco corpo (catulliano? cf. 64.65) per mezzo della nudità ‘elegiaca’. Am. 1.5 si chiude con cetera quis nescit? lassi requievimus ambo (v. 25): chi non sa il resto? A quanto pare (scilicet!78, 10.42) Teseo sembra essersene dimenticato (oblitos)79, con la conseguenza che la coppia elegiaca ne esce in un certo senso ‘decostruita’: venimus huc ambo: cur non discedimus ambo? (cf. 10.57)80. L’Arianna ovidiana si inserisce negli ‘spazi’ liminali, ambigui, latenti del modello catulliano (candida vela) con la sua nuova poetica:

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lover-poet to enjoy the permanent presence of his puella». Ma, in definitiva, l’epilogo della storia di Arianna ha un’alternativa (Bacco), generalmente non contemplata dalla sintassi del codice elegiaco, che colma la statutariamente elegiaca «absence of the object of desire» (p. 30). Cf. e.g. Bretzigheimer (2001), pp. 31-38. Armstrong (2006), p. 243 riconosce in Am. 1.5.9 il possibile ipotesto per l’altra Arianna ovidiana, quella di AA 1.529 … tunica velata recincta («Catullus’ Ariadne is subtly moulded to fit a more Ovidian aesthetic»). Giusta la postilla di Knox (1995), ad loc. («heavily ironic […]. Ariadne wanted to believe that they had forgotten her, when she had in fact been abandoned»), ma a ben vedere c’è da parte di Teseo una dimenticanza elegiaca testuale. Il Teseo catulliano è dimentico del monito di Egeo, quello ovidiano della nudità di Arianna: cf. anche comm. ad loc. L’ipotesto ovidiano di Am. 1.5 potrebbe apparentemente agire anche su 10.7 tempus erat: cf. l’incipitario (1.5.1) aestus erat. Ma mentre quest’ultimo ‘prepara’ un contesto elegiaco (ed erotico, l’arrivo di Corinna appunto, cf. il comm. ad loc. di McKeown [1989]), tempus erat si fa portatore di un’imminente ‘catastrofe’: cf. infatti la sovrapposizione dell’ipotesto virgiliano di Aen. 2.268 con il comm. ad loc.

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Introduzione

risemantizza elegiacamente la nudità dell’antenata catulliana81 (e, in qualche modo, anche architestualmente82), quasi anticipando tra le righe la futura erotodidassi dell’Ars ovidiana. In alcuni punti dell’epistola l’eroina sembra prendere davvero sul serio la costruzione elegiaca del suo personaggio, senza però accorgersi di renderlo fin ‘troppo’ elegiaco («often Roman texts are projecting a hyped, exaggerated alias, which includes memories and imaginings of how genres had been in their pure, uncompromised origins»83) e di condurlo, almeno fino all’arrivo di Bacco84, ben lontano dall’epilogo del suo modello (Am. 1.5): tutto a beneficio del gioco ironico di cui, suo malgrado, è vittima.

8. Elegy lost? La ‘decostruzione’ dell’elegia Ovidio è stato sicuramente il primo a combinare insistentemente l’elegia con altri generi, fino a farle perdere uno dei suoi tratti caratteristici, l’esclusività.85 Il risveglio di Arianna dormiente è già nella tradizione letteraria e inevitabilmente nel testo modello, per cui cf. Cat. 64.56 fallaci … excita somno e anche 122 … devinctam lumina somno. L’inizio ‘narrativo’ della lettera parte proprio da questo risveglio (vv. 9-10 incertum vigilans ac somno languida movi / Thesea prensuras semisupina manus) che è, peraltro, anche un risveglio dai tratti molto elegiaci: cf. infatti 81 Mutuando da Desmond (1993), p. 57 potremmo dire che Ariadne «responds directly to many of the textual invitations of» Catullus’ «narrative». 82 Cf. la postilla di Hubbard (1998), p. 8 a questo concetto genettiano (Genette [1982], p. 11): «“architextuality”, relations not to a specific subtext but to a generic convention or type of discourse». 83 Cf. Barchiesi (2001b), p. 157. 84 Cf. anche, da un’altra propettiva, Verducci (1985), p. 221; Smith (1994), p. 251. La nudità di Arianna non le restituirà Teseo, ma non passerà inosservata a Bacco: diverse rappresentazioni artistiche raffigurano Arianna dormiente (o Endimione) con il braccio alzato e piegato: «the arm over the head signals an “opening up” to love. Such a sexual interpretation is convincing, since the gesture occurs in conjunction with the motif of baring the body (either with the clothing falling away by itself or with cupids pulling it aside) so that the god or goddess can gaze at his/her mortal beloved» (cf. Clarke [1998], p. 68, cors. mio). Cf. anche Griffin (1985), pp. 105-111; per Properzio la nudità di Cinzia è fonte privilegiata di ispirazione poetica: cf. e.g. 2.1.13-14 seu nuda erepto mecum luctatur amictu / tum vero longas condimus Iliadas; DeBrohun (2003), pp. 190-191; infine Bartsch (2006), pp. 67-83 (The Eye of the Lover). 85 Cf. Rosati (2005a), p. 135.

8. Elegy lost? La ‘decostruzione’ dell’elegia

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Prop. 1.3.1-2 (Arianna) qualis Thesea iacuit cedente carina / languida desertis Cnosia litoribus86; Ov. Am. 1.14.19-20 (Corinna) saepe etiam nondum digestis mane capillis / purpureo iacuit semisupina toro (per la connotazione iper-erotica di languida e semisupina in Her. 10 – «selfconscious echo of an appealing feminine pose»87 – cf. comm. ad loc.). La posa languida dell’Arianna epistolare esibisce una qualità, per così dire, ecphrastica del suo testo-modello e al contempo ammicca a modelli elegiaci, anche se l’‘apporto’ elegiaco si fa talvolta problematico. Sembra essere il caso di 10.47-50, in cui Arianna costruisce il ‘suo’ paragone con la Baccante aut ego diffusis erravi sola capillis, qualis ab Ogygio concita Baccha deo; aut mare prospiciens in saxo frigida sedi, quamque lapis sedes, tam lapis ipsa fui

‘rinunciando’ alle sollecitazioni elegiache della similitudine bacchica (la Baccante dormiente88) che si ritrovano proprio nei due precedenti ipotesti citati: cf. infatti Prop. 1.3.5-6 nec minus assiduis Edonis fessa choreis / qualis in herboso concidit Apidano e Ov. Am. 1.14.21-22 tum quoque erat neglecta decens, ut Threcia Bacche, / cum temere in viridi gramine lassa iacet. Arianna marca properzianamente il suo paragone (qualis89, nel pentametro anche in Prop. 1.3.6 dopo una successione di qualis esametrici con Fedeli [1980], ad loc.; cf. anche la corrispondenza Ogygio … deo e herboso … Apidano), recuperando al tempo stesso nel verso successivo (saxo) la traccia di Cat. 64.61 saxea ut effigies bacchantis90 (aut quasi come alternativa testuale91). C’è un passo lucaneo in cui i due termini bacchici Edonis e Ogygius compaiono in associazione: cf. 1.674-676: 86 Lo ‘spazio’ della ricezione elegiaca di Arianna sembra essere la similitudine: oltre a Prop. 1.3. cf. anche Ov. Am. 1.7.15-16 talis periuri promissaque velaque Thesei / flevit praecipites Cressa tulisse 1otos. L’Arianna dormiente è la rappresentazione canonica dell’eroina abbandonata: cf. Ziolkowski (2005), pp. 4-5; cf. anche Drago (1998), p. 209, n. 3. 87 Cf. Armstrong (2006), p. 227; cf. anche Greene (1995), p. 307. 88 Cf. Lyne (1980), p. 84 e pp. 99-100. 89 Per qualis come indicatore di cataloghi mitologici cf. Wills (1996), p. 406. 90 Cf. Gaissner (1995), p. 595: «a potentially explosive maenad superimposed upon a seated, pensive Ariadne». 91 Per la correlazione di aut qui in Her. 10 cf. OLD 219b: «emphasizing the necessity of one alternative, without excluding the possibility of the other simultaneously».

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… nam, qualis vertice Pindi Edonis Ogygio decurrit plena Lyaeo, talis et attonitam rapitur matrona per urbem92

Data la rarità dei due epiteti93, la loro presenza nel passo lucaneo può essere illuminante e sintomatica di una ricezione combinata che presuppone verosimilmente una lettura ‘dialogica’ di Prop. 1.3 ed Her. 10. La ricezione dei due epiteti in un testo epico è un’ulteriore ‘conferma’ epica della similitudine della Baccante che corre invasata, per cui cf. già Verg. Aen. 4.300-30394. Invertendo la direzione del rapporto intertestuale95, mi pare possibile che la ricezione lucanea autorizzi una lettura tutta epica anche della similitudine di Her. 10.47-48 che, in definitiva, rinuncia alle potenzialità elegiache del modello della Baccante dormiente, nonostante i presupposti elegiaci della sequenza testuale del risveglio96. Perché questa fuga dall’elegia? (È chiaro che il c o n t e s t o in Her. 10.47-48 ‘richiede’ una Baccante dinamica, ma l’allontanamento dal modello elegiaco ha delle conseguenze sul testo). Le eroine non nascono come personaggi elegiaci e lo scarto tra le loro origini ‘altre’ e l’appropriazione elegiaca rende per loro lo spazio dell’elegia sempre un po’ precario97. Maggiore è la distanza generica tra elegia e l’Ur-testo e più visibile è ovviamente lo scarto. Nel caso di Medea, ad esempio, l’incompatibilità generica si fa strada molto aggressivamente e denuncia l’insufficienza dell’elegia per questo personaggio «‘costituzionalmente’ tragico»98. Nel caso di Arianna lo scarto generico è invece (almeno in base a quanto ci è dato constatare quasi esclusivamente sulla base del modello catulliano) meno marcato: 92 Cf. Hershkowitz (1998), pp. 45-46. 93 Per Edonis cf. Hor. Od. 2.7.27, ma qui propriamente da Edoni, masch. plur.; la prima occorrenza di Edonis è perciò in Prop. 1.3.; per Ogygius cf. Knox (1995), ad 10.48: «a rare epithet for ‘Theban’, first attested here in Latin poetry». Edonis e Ogygius hanno pertanto una ‘storia’ abbastanza simile. Per la valenza parodica di Ogygius cf. anche Verducci (1985), p. 252. 94 «The maenad (whether literal or, as is more typically the case, figurative) serves as a central image of female madness in epic, just as she does in tragedy» (cf. Hershkowitz [1998], p. 36). 95 Il rimando d’obbligo è a Fowler (2000), p. 130. 96 Gli effetti retroattivi su Prop. 1.3 qui interessano un po’ meno: si noti solo che nel testo properziano compare anche assiduis … fessa choreis (v. 5) che rimanda ovviamente alla Baccante invasata dei modelli epico-tragici. 97 Cf. Bessone (1997), p. 12. 98 Cf. Bessone (1997), p. 29; cf. anche tutto il paragrafo Parole grandi (pp. 28-32).

8. Elegy lost? La ‘decostruzione’ dell’elegia

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l’Arianna catulliana, pur con i suoi tratti medeici, non è propriamente né tragica99 né epica, è, diciamo, epillica100 e in qualche modo esplora e anticipa già proprietà da elegia101. Ma quando all’Arianna ovidiana, oltre al modello, per così dire ‘ipoelegiaco’ (la Baccante saxea che con la sua immobilità preserva il ‘decoro’ del personaggio), viene offerta anche un’alternativa elegiaca (la Baccante dormiente), il suo testo ‘preferisce’ piuttosto recuperare un momento epico-tragico (la Baccante invasata di didoniana memoria102), imprimendo movimento alla ‘sua’ Menade e facendola uscire dal suo universo pittorico (effigies?)103. L’Arianna epistolare, per usare le parole di Verducci, sfigura l’elegia104. In presenza di un modello alternativo all’elegia, l’eroina non esita a decostruire l’elegiacità (potenzialmente garantita dal testosorgente catulliano) della sua storia e del suo personaggio. Così nella sezione finale della lettera, al modello epigrammatico – ma pur sempre 99 Per la probabilità che il mito di Arianna comparisse anche in tragedia cf. Jacobson (1974), pp. 213-214. 100 Con l’avvertenza di Fordyce (1990), p. 272, n. 1: «the quasi-technical term epyllion, ‘miniature epic’, which is frequently used by modern scholars to describe this and similar poems in Latin and their Alexandrian prototypes, has no ancient authority». Cf. anche Gaisser (1995), p. 592: «a tale of tragic love with a woman at its center, not a heroic epic of manly deeds. The coverlet promises virtutes; we are shown amores instead»; De Brohun (2007), p. 293; O’Hara (2007), p. 33. Sull’instabilità generica ovidiana e la bipolarità epica/elegia cf. Heinze (1919), Hinds (1987a), Merli (2000), pp. 3-25. 101 «Latin elegy began with Catullus, and, in a certain sense, it returns to Catullus» (cf. Rosati [2005a], p. 134); cf. anche Miller (2007). 102 Cf. la nota di comm. di Pease (1935), ad Aen. 4.301. 103 Tanto più Arianna vuole essere elegiaca tanto più sembra allontanarsi da questo tipo di poetica; si potrebbe estendere anche a questo testo la postilla di Lotman (1977), p. 299 sull’«artistic text»: «it functions in a dual structural field consisting of the tendency to establish order and to violate it». L’elegiacità ‘problematica’ di questa lettera emerge ad es. da 10.89-90 in cui Arianna rende semanticamente inerte l’ipotesto catulliano del servitium amoris (cf. comm. ad loc.). C’è anche un’ulteriore ‘assenza’ elegiaca: quella della folgorazione d’amore il cui testo di partenza nella poesia latina è proprio Cat. 64.91-93 non prius ex illo flagrantia declinavit / lumina, quam cuncto concepit corpore flammam / funditus atque imis exarsit tota medullis (per cui cf. e.g. Dimundo [2005], p. 234). Anche Armstrong (2006), p. 257 coglie giustamente una tensione nel personaggio dell’Arianna epistolare: «it is unclear whether Ariadne quite wishes to reject the elegiac stereotype, or on the contrary longs to fit into that genre, which is perhaps more comfortable for a heroine than the epic and tragic borders she also walks». Cf. infine comm. ad vv. 73-74. 104 Cf. Verducci (1985), p. 246: «Ovid allows his Ariadne to disfigure, while embodying, the elegiac type»; cf. anche Fulkerson (2005), p. 138: «after the ‘universal travesty’ of Ariadne, elegy itself is disfigured».

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elegiaco in senso lato – di Prop. 3.7 (il naufragio di Peto, cf. comm. ad 10.123 e 146) si sovrappone la memoria testuale di una sequenza virgiliana (e dunque epica), quella di Achemenide di Aen. 3, in qualche modo preparata già da Cat. 64 (cf. Cat. 64.57-58 desertam in sola miseram se cernat harena. / immemor at iuvenis fugiens pellit vada remis e Aen. 3.616-618 hic me, dum trepidi crudelia limina linquunt, / immemores socii vasto Cyclopis in antro / deseruere): Aen. 3.592 procedit supplexque manus ad litora tendit ~ Her. 10.146 infelix tendo trans freta longa manus (su cui agisce combinatamente l’ipotesto di Peto, cf. comm. ad loc.); Aen. 3.606 si pereo, hominum manibus periisse iuvabit ~ Her. 10.150 si prius occidero, tu tamen ossa feres; Aen. 3.623-624 vidi egomet, duo de numero cum corpora nostro / prensa manu magna … e Her. 10.36 (qui all’inizio dell’epistola) flecte ratem! numerum non habet illa suum (quasi che anche Arianna facesse ‘epicamente’ parte di un gruppo di compagni, cf. i socii di 3.617 e comm. ad 10.60). Del resto non sono queste le uniche presenze epiche nell’eroide (cf. supra cap. 3), come dimostrano alcune ulteriori porzioni della lettera: Arianna seduta sulla spiaggia (49) rievoca la Calipso properziana di 1.15.11-12, ma al tempo stesso potrebbe guardare al modello del modello, l’Odisseo di Od. 5.151-158 che si strugge appunto in riva al mare (cf. comm. ad loc.), fino a recuperare testualmente al v. 60 (non hominum video, non ego facta boum) Od. 10.98 RX>WHERZ QRX>WDMQGUZ Q IDLYQHWRH>>UJD. Questa citazione prepara il consilium salutis dell’eroina del v. 61 finge dari comitesque mihi ventosque ratemque, in cui i non ben definiti comites sembrano alludere verosimilmente agli H^WDURLdi odissiaca memoria (cf. Od. 10.100; cf. anche Appendice infra): Arianna indossa qui i panni da novella esploratrice sulla traccia dell’eroe omerico presso i Lestrigoni. Lo stesso Odisseo, approdato alla terra sconosciuta, effettuava una ricognizione dall’alto in Od. 10.97 H>VWKQGHVNRSLKQHMSDLSDORYHVVDQDMQHOTZYQ e anche Arianna ne sa qualcosa di rocce da scalare a fini esplorativi (Her. 10.25-28; già peraltro in Cat. 64.126-127). Allo stesso modo non è forse casuale la menzione di Eolo in Her. 10.66, ma potrebbe costituire un’ulteriore tessera odissiaca (cf. comm. ad 10.60), considerato che proprio l’episodio di Eolo nell’Odissea è immediatamente precedente a quello dei Lestrigoni: la contiguità testuale è recepita e riproposta allusivamente invertita

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nel nuovo testo epistolare105. Arianna però non è Odisseo e non sarà in grado, a differenza di questo, di trarsi d’impaccio (almeno non fino all’arrivo – extratestuale – di Bacco). Nel suo lamento epistolare i generi si trovano quasi a disagio e ne escono spesso parodizzati; quello che in definitiva manca a questa eroina e al suo testo è il decoro: l’elegia è ridotta a un corpo tremante (10.139 e cf. anche supra), a dei capelli (pochi, cf. v. 147106) sciolti come in segno di lutto (137), a delle vesti inzuppate di pianto (138)107. Il risultato è ben diverso da AA 1.533-534 clamabat, flebatque simul, sed utrumque decebat; / non facta est lacrimis turpior illa suis108, com’è anche ben diverso della celebre apparizione dell’Elegia in Ov. Am. 3.1.9-11: venit odoratos Elegia nexa capillos109 […] forma decens, vestis tenuissima, vultus amantis

Il mancato decoro ‘estetico’ di Arianna non solo sfigura il corpo della donna elegiaca («woman enters the elegiac text with a body constructed for her by the poet»110): è lo stesso prepon elegiaco del suo testo a essere continuamente insidiato da una perturbativa intertestualità non-

105 Un ulteriore ‘strascico’ odissiaco è in Her. 10.97 sive colunt habitantque viri, diffidimus illis: della ‘lettura’ odissiaca Arianna ha ‘trattenuto’ il senso del pericolo dell’ignoto. Ma, inevitabilmente, a questo modello si sovrappone quello di Cat. 64.143 nunc iam nulla viro iuranti femina credat. 106 Cf. invece l’Arianna ‘mitologica’: Il. 18.592 NDOOLSORNDYPZM$ULDYGQK; Theocr. Id. 2.46 HXMSORNDYPZM$ULDYGQD. 107 L’ipotesto è indubbiamente elegiaco, cf. il paraclausithyron di Ov. Am. 1.6.17-18 aspice – et ut videas, inmitia claustra relaxa – / uda sit ut lacrimis ianua facta meis! (cf. comm. ad loc.), ma la proprietà della porta fradicia di pianto viene trasferita (iperelegiacamente) sulla stessa amante elegiaca. 108 ‘Proprietà’ della donna elegiaca è di rimanere bella (o di essere ancora più bella del solito) in situazioni associate a un’alterazione negativa dei tratti fisici (dolore, pianto, ira): cf. Labate (1975), p. 120. 109 Cf. Papaioannou (2006), p. 47: «hair is prominently defined as marker of poetology, and more specifically, of elegiac literature»; p. 48: «vocabulary that delineates the elegiac mistress». Cf. anche Ov. Med. fac. 29 rure latent finguntque comas (le donne si acconciano i capelli anche anche se conducono un’oscura vita in campagna, con Rosati [1985], ad loc.). Sul passo supra cf. anche Gibson (2005), pp. 143-144. 110 Cf. Wyke (2002), p. 116; per questa corrispondenza ‘semantica’ tra corpo dell’amator elegiaco e poesia elegiaca cf. anche Keith (1999), p. 60 a proposito della «lengthy description of the poet-lover’s impotent body in Amores 3.7»: «the poem plays an important role in articulating the final book’s program of disengagement from elegy».

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Introduzione

elegiaca o troppo elegiaca che ricarica spesso parodicamente l’idioletto plurigenerico di Arianna111.

Appendice Arianna: Didone o Enea? Sul fatto che la Didone virgiliana, grazie al suo status di ‘further voice’, rappresenti un momento paradigmatico di elegia nell’epica dell’Eneide e costituisca quindi anche un modello importante per le eroine ovidiane, non credo serva insistere ancora (quello didoniano agisce come un «extensive intertext»112). Nel caso di Her. 10 poi l’importanza di Didone è accresciuta anche dal fatto che questa eroide, proprio come Her. 7, presuppone eccezionalmente un modello letterario romano ben riconoscibile. Non è mia intenzione ripercorre tutti i momenti didoniani (inter o intratestuali) in Her. 10, aspetto che ho cercato di mettere in luce di volta in volta nel commento: vorrei qui semplicemente tentare di aggiungere un’altra tessera alla complessa e non sempre scontata costruzione del personaggio di Arianna, che induce a riflettere ancora una volta sul peso testuale che possono avere generi convenzionalmente opposti all’elegia (e spesso nella costruzione di questo personaggio topoi e intertesti si sovrappongono in maniera non facilmente distinguibile: dove finisce l’uno e inizia l’altro?). Per Arianna Didone, con il suo tragico epilogo, è prevedibilmente il modello ‘canonico’ della semianimis, dell’invasata, della moritura (cf. 32, 47, 119): è insomma l’infelix Dido (Aen. 4.596) che infonde ad Arianna un analogo senso di morte (Her. 10.146 infelix). Senza motivo, visto che Bacco non tarderà ad arrivare rendendo diverso il suo epilogo da quello di Didone e delle altre eroine abbandonate. E in parte credo sia questo il motivo per cui Arianna si presta bene a indossare i panni anche di altri personaggi (cf. alcuni ruoli maschili odissiaci visti supra, e.g. v. 60) e soprattutto del personaggio opposto a Didone: Enea. Certe 111 Il ‘progetto’ elegiaco della lettera, come si è già ripetuto, si apre ovviamente a una forma di «generic hybridization»: su questo concetto cf. e.g. Christesen-Torlone (2002), pp. 138-143, in part. p. 138 (a proposito di «generic manipulation»): «in the Heroides, Ovid uses the elegiac model as a form within which he introduces the narrative material of epic and tragedy». 112 Cf. e.g. Lyne (1994).

Appendice

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anomalie, per così dire, comportamentali dell’eroina sembrano spiegarsi proprio se si guarda al modello eneadico: a parte i vv. 7-8 e 13, in cui l’allusione al risveglio di Enea è piuttosto marcata (cf. comm. ad loc.) ma con implicazioni diverse, nel v. 64 quid sequar? Arianna, pur in una sezione di lamento altamente topico, si appropria di un sequi che pare molto ‘eneadico’: cf. Verg. Aen. 4.361 (Enea) Italiam non sponte sequor e 4.381 (Didone) i, sequere Italiam ventis con la ripresa di Ov. Her. 7.9-10 certus es, Aenea, … / Itala regna sequi? Il sequor di Enea è caricato del peso di una missione non da poco, Arianna invece, proprio per le sue aspettative di gran lunga inferiori (viaggio ‘siderale’ a parte), ripristinando il significato basico del termine, ne ‘bathetizza’ il potenziale da impresa epica. Così al v. 63 nel suo consilium salutis Arianna ipotizza per sé venti favoreli, un’imbarcazione e addirittura dei comites che hanno tanto l’aria di rinviare a quelli riuniti a Troia da Enea prima della fuga e poi compagni della sua avventura epica: cf. Aen. 2.744 (per questo uso di comites cf. anche Aen. 5.191; ma qui cf. inoltre la sovrapposizione del modello odissiaco visto supra). Credo si possa isolare ancora un tratto eneadico in un punto strategico della lettera, quando cioè Arianna si descrive prossima alla morte. L’eroina adesa agli scogli al v. 136 haerentem scopulo, più che suggerire di essere all’apice della disperazione, rimanda una volta tanto a Enea paragonato da Didone a un quercia in Aen. 4.445 ipsa haeret scopulis per indicarne l’assoluta irremovibilità. Arianna dinanzi a cosa sarebbe irremovibile? Di certo dinanzi al suo futuro, nel senso che non può cambiarlo, come irremovibile è Enea dinanzi a Didone, perché imprigionato anche lui in un futuro non modificabile. In questo Arianna è situazionalmente lontana dal prototipo didoniano (pur invocato a breve distanza al v. 146 infelix), ma non troppo diversa, al contrario, dal modello ‘vincente’ dell’Enea virgiliano, in particolare se nell’horret del v. 139 si è disposti a leggere un’ulteriore tessera eneadica. Lo stesso Enea veniva colto da un fremito dopo l’apparizione e il discorso di Mercurio in Aen. 4.280 arrectaeque horrore comae et vox faucibus haesit: l’horror di Arianna è anch’esso sotterraneamente legato a un’apparizione teofanica, quella di Bacco, che qui è solo intuibile e prefigurata (per vie allusive appunto) e che invece diventerà testualmente parte della continuazione della sua storia in Ov. AA 1.553 (arrivo di Bacco) horruit, ut steriles, agitat quas ventus, aristae (cf. più in dettaglio comm. ad 136).

Nota al Testo Ai fini di questo commento non sono state condotte nuove indagini sulla tradizione manoscritta né sono stati visionati codici; questo in parte giustifica l’assenza di un apparato critico nel testo qui stampato. Le edizioni di riferimento sono quella di A. Palmer, di cui recentemente è stata riprodotta un’anastatica con nuova introduzione a c. di D. F. Kennedy (Bristol [2005]) e di H. Dörrie (1971), di cui resta imprescindibile, per quanto non sempre attendibile, l’apparato (recensioni di M. Reeve «CR» 24 [1974], pp. 57-64; G. P. Goold «Gnomon» 46 [1974], pp. 475-484). I punti in cui me ne discosto sono segnalati nella tavola comparativa sottostante e discussi nel commento. Il commento più recente all’eroide è quello di Knox (1995). Palmer

Dörrie

Questa edizione

9 a 16 rapta 26 nunc 31 tamquam 46 desieram 69 at 73 cum 75 vivit 86 an et saevam tigrida Dia ferat 96 rapidis 104 recepta 106 planxit 126 urbis … in arce 149 velo

a rapta hinc fuerant desierant nam tum vivis an haec saevas tigridas †insula habet† rapidis recepta texit turbae … honore vento

ac rupta hinc fuerant desierant nam tum vivit †an et haec tigrides insula habet† rabidis relecta planxit turbae … in ore vento

Sigla P = Parisinus Latinus 8242 (Puteanus), sec. ix G = Guelferbytanus extrav. 260, sec. xii F = Francofurtanus Barth. 110, sec. xii/xiii Ea = Etonensis in bibliotheca collegii asservatus Bk. 6,18, sec xiii Z = codices recentiores omnes vel plures 9 = codices recentiores aliquot vel pauci vel unus [Cf. Tarrant (1983); Knox (1995), pp. 34-37]

Ariadne Theseo [Illa relicta feris etiam nunc, improbe Theseu vivit et haec aequa mente tulisse velis?] Mitius inveni quam te genus omne ferarum: credita non ulli quam tibi peius eram! Quae legis, ex illo, Theseu, tibi litore mitto, unde tuam sine me vela tulere ratem, in quo me somnusque meus male prodidit et tu per facinus somnis insidiate meis. Tempus erat, vitrea quo primum terra pruina spargitur et tectae fronde queruntur aves; incertum vigilans ac somno languida movi Thesea prensuras semisupina manus: nullus erat. Referoque manus iterumque retempto, perque torum moveo bracchia: nullus erat. Excussere metus somnum; conterrita surgo, membraque sunt viduo praecipitata toro. Protinus adductis sonuerunt pectora palmis, utque erat e somno turbida, rupta coma est. Luna fuit: specto, si quid nisi litora cernam; quod videant oculi nil nisi litus habent. Nunc huc, nunc illuc, et utroque sine ordine, curro; alta puellares tardat harena pedes. Interea toto clamanti litore ‘Theseu!’ reddebant nomen concava saxa tuum, et quotiens ego te, totiens locus ipse vocabat: ipse locus miserae ferre volebat opem. Mons fuit: apparent frutices in vertice rari; hinc scopulus raucis pendet adesus aquis: ascendo, vires animus dabat, atque ita late aequora prospectu metior alta meo. Inde ego – nam ventis quoque sum crudelibus usa – vidi praecipiti carbasa tenta noto:

a b

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Arianna a Teseo (nella traduzione i numeri corrispondono alla fine del verso) Ogni sorta di bestia feroce l’ho trovata più mite di te: non potevo essere affidata a qualcuno peggiore di te! Ciò che leggi, Teseo, te lo invio da quel lido via dal quale le vele portarono la tua nave senza di me, sul quale sono stata malamente ingannata dal mio sonno e anche da te [5] che hai delittuosamente teso insidie al mio sonno. Era il momento in cui la prima rugiada vitrea si sparge sulla terra e gli uccelli nascosti tra le fronde gemono; ancora addormentata e languida di sonno mossi le mani, sdraiata sul fianco, per afferrare Teseo [10]: non c’era nessuno. Tendo di nuovo le mani e ci riprovo ancora, muovo le braccia lungo il letto: non c’era nessuno. La paura scacciò definitivamente la sonnolenza; mi alzo terrorizzata, le mie membra si gettano fuori dal letto vuoto. E subito il mio petto risuonò dei palmi delle mie mani [15], la chioma, scompigliata dal sonno com’era, fu strappata. C’era la luna: mi metto a guardare che non veda qualcosa che non siano spiagge: gli occhi non hanno nulla da percepire che non sia una spiaggia. Mi metto a correre ora di qua, ora di là, in entrambe le direzioni senza alcun ordine. La sabbia profonda fa rallentare i miei piedi da ragazza [20]. Intanto a me, che gridavo ‘Teseo!’ lungo tutto il lido, il tuo nome lo restituivano le pietre incavate e, quante volte ti chiamavo io, tante volte lo faceva il luogo stesso: proprio quel luogo voleva portare aiuto a me disgraziata. C’era un monte: sulla sommità qualche arbusto sparso [25]; da qui scende uno scoglio consumato dall’acqua roca; lo scalo, il coraggio mi forniva le forze, e così misuro ampiamente con la vista la profonda distesa marina. E da lì io – anche i venti infatti li ho trovati crudeli – ho visto le vele gonfiate dall’impetuoso Noto [30]:

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Ariadne Theseo

aut vidi aut fuerant quae me vidisse putarem; frigidior glacie semianimisque fui. Nec languere diu patitur dolor; excitor illo, excitor et summa Thesea voce voco. ‘Quo fugis?’ exclamo ‘scelerate revertere Theseu! flecte ratem! numerum non habet illa suum.’ Haec ego; quod voci deerat, plangore replebam: verbera cum verbis mixta fuere meis. Si non audires, ut saltem cernere posses, iactatae late signa dedere manus; candidaque inposui longae velamina virgae, scilicet oblitos admonitura mei. Iamque oculis ereptus eras: tum denique flevi; torpuerant molles ante dolore genae. Quid potius facerent, quam me mea lumina flerent, postquam desierant vela videre tua? Aut ego diffusis erravi sola capillis, qualis ab Ogygio concita Baccha deo; aut mare prospiciens in saxo frigida sedi, quamque lapis sedes, tam lapis ipsa fui. Saepe torum repeto, qui nos acceperat ambos, sed non acceptos exhibiturus erat, et tua quae possum pro te vestigia tango, strataque quae membris intepuere tuis. Incumbo lacrimisque toro manante profusis ‘Pressimus’ exclamo ‘te duo: redde duos! Venimus huc ambo: cur non discedimus ambo? Perfide, pars nostri, lectule, maior ubi est?’ Quid faciam? quo sola ferar? vacat insula cultu: non hominum video, non ego facta boum. Omne latus terrae cingit mare; navita nusquam, nulla per ambiguas puppis itura vias. Finge dari comitesque mihi ventosque ratemque: quid sequar? accessus terra paterna negat. Ut rate felici pacata per aequora labar,

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o le ho viste o erano quelle che semplicemente credevo di aver visto; mi sentii più gelida del ghiaccio e mezza morta. Il dolore non mi permette di rimanere inattiva più a lungo, sono risvegliata da esso, sono risvegliata e chiamo Teseo con tutta la voce che ho in gola: “Dove fuggi?” grido “torna indietro, Teseo malvagio [35]! Volgi la nave! Non è al completo!” Questo dissi; e ciò che mancava alla voce lo compensavo battendomi il petto: mescolai colpi alle mie parole. Se non potevi sentire, che almeno riuscissi a vedere: le mani agitate fecero ampi segnali [40]; appesi le bianche vesti a un lungo ramo per richiamare quanti si erano, evidentemente, dimenticati di me. E ormai eri stato sottratto alla mia vista: allora alla fine piansi, fino a prima gli occhi molli erano stati paralizzati dal dolore. Cosa avrebbero dovuto fare i miei occhi se non piangermi [45], dopo aver cessato di vedere le tue vele? Un po’ mi misi a vagare da sola con i capelli sparsi come una Baccante eccitata dal dio Ogigio; un po’ mi misi seduta a guardare il mare su una roccia tutta infreddolita e, come di pietra era il sedile, così io stessa divenni pietra [50]. Spesso ritorno al letto che aveva accolto noi due assieme, ma che non ci avrebbe più presentati ben accetti, e l’unica cosa che posso fare è toccare, anziché te, le tracce che hai lasciato e le coperte che si riscaldavano al tuo corpo. Mi butto sul letto che gocciola delle mie lacrime sparse ed esclamo [55]: “In due ti abbiamo premuto: restituisci i due! In due siamo arrivati fin qui: perché non ce andiamo in due? Perfido letto, dov’è finita la parte maggiore di noi?” Che farò? Dove me ne andrò da sola? L’isola non è abitata: non vedo opere di uomini, né di buoi [60]. Il mare circonda la terra da ogni lato; non c’è da nessuna parte un marinaio, non una nave destinata a percorrere rotte incerte. Supponiamo pure che mi vengano dati dei compagni, dei venti favorevoli e una nave: dove mi dirigerò? La terra di mio padre mi nega l’accesso. Se anche scivolassi sul mare tranquillo a bordo di una nave fortunata [65],

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Ariadne Theseo

temperet ut ventos Aeolus, exul ero. Non ego te, Crete, centum digesta per urbes, aspiciam, puero cognita terra Iovi. Nam pater et tellus iusto regnata parenti prodita sunt facto, nomina cara, meo, 70 cum tibi, ne victor tecto morerere recurvo, quae regerent passus, pro duce fila dedi. Tum mihi dicebas ‘per ego ipsa pericula iuro, te fore, dum nostrum vivet uterque, meam.’ Vivimus, et non sum, Theseu, tua, si modo vivit 75 femina periuri fraude sepulta viri. Me quoque, qua fratrem, mactasses, improbe, clava: esset quam dederas morte soluta fides. Nunc ego non tantum quae sum passura recordor sed quaecumque potest ulla relicta pati: 80 occurrunt animo pereundi mille figurae, morsque minus poenae quam mora mortis habet. Iam iam venturos aut hac aut suspicor illac, qui lanient avido viscera dente lupos; forsitan et fulvos tellus alat ista leones; 85 quis scit †an et haec tigrides insula habet†? Et freta dicuntur magnas expellere phocas; quis vetat et gladios per latus ire meum? Tantum ne religer dura captiva catena, neve traham serva grandia pensa manu, 90 cui pater est Minos, cui mater filia Phoebi, quodque magis memini, quae tibi pacta fui. Si mare, si terras porrectaque litora vidi, multa mihi terrae, multa minantur aquae. Caelum restabat: timeo simulacra deorum; 95 destituor rabidis praeda cibusque feris. Sive colunt habitantque viri, diffidimus illis: externos didici laesa timere viros. Viveret Androgeos utinam, nec facta luisses impia funeribus, Cecropi terra, tuis! 100

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se anche Eolo si mettesse a mitigare i venti, io resterò in esilio. Non volgerò lo sguardo a te, Creta, formata da cento città, terra conosciuta da Giove bambino. Infatti il genitore e la terra governata dal giusto padre, cari nomi, sono stati traditi col mio misfatto [70], quando ti detti come guida, perché dopo la vittoria non perdessi troppo tempo nella tortuosa dimora, il filo che dirigesse i tuoi passi. Allora mi dicevi: “Io te lo giuro per questi stessi pericoli: tu sarai mia, finché ciascuno di noi due vivrà”. Siamo vivi e io, Teseo, non sono tua, se può essere viva [75] una donna seppellita dall’inganno di un uomo spergiuro”. Se avessi massacrato anche me, malvagio, con la clava con cui uccidesti mio fratello: almeno la promessa che mi avevi fatto sarebbe stata sciolta dalla morte. Ora io ricordo non solo quello che patirò, ma anche tutto ciò che può patire una donna abbandonata [80]: si affollano nella mente mille esempi di morte, la morte stessa è meno penosa della sua attesa. Mi immagino che in ogni momento da questa o dall’altra parte mi piomberanno addosso dei lupi pronti a dilaniarmi le viscere con avidi denti; questa terra potrebbe forse nutrire fulvi leoni [85]. Chi lo sa poi che su quest’isola non ci siano anche delle tigri? Oltretutto dicono che il mare getti a riva foche enormi. Chi impedirebbe che delle spade mi vengano conficcate nel fianco? Spero solo di non finire prigioniera legata da una dura catena e di non dover filare con mano schiava pesanti pennecchi [90], io che ho per padre Minosse, per madre la figlia di Febo e, cosa che più ricordo, io che a te sono stata promessa. Ogni volta che vedo il mare, le terre, gli estesi litorali, mi giungono molte minacce dalle terre, molte dalle acque. Restava il cielo: ho paura delle costellazioni degli dei [95]; sono lasciata preda e cibo di rabbiose fiere. O se ci vivono e ci abitano degli uomini, meglio diffidarne: ho imparato, offesa, a temere gli uomini stranieri. Fosse vivo Androgeo e tu, terra cecropia, non avessi pagato gli empi misfatti con i tuoi morti [100]!

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Nec tua mactasset nodoso stipite, Theseu, ardua parte virum dextera, parte bovem, nec tibi, quae reditus monstrarent, fila dedissem, fila per adductas saepe relecta manus! Non equidem miror, si stat victoria tecum strataque Cretaeam belua planxit humum. Non poterant figi praecordia ferrea cornu; ut te non tegeres, pectore tutus eras. Illic tu silices, illic adamanta tulisti, illic qui silices Thesea vincat habes. Crudeles somni, quid me tenuistis inertem? Aut semel aeterna nocte premenda fui. Vos quoque crudeles, venti, nimiumque parati, flaminaque in lacrimas officiosa meas; dextera crudelis, quae me fratremque necavit et data poscenti, nomen inane, fides. In me iurarunt somnus ventusque fidesque: prodita sum causis una puella tribus. Ergo ego nec lacrimas matris moritura videbo, nec mea qui digitis lumina condat erit? Spiritus infelix peregrinas ibit in auras, nec positos artus unguet amica manus? Ossa superstabunt volucres inhumata marinae? Haec sunt officiis digna sepulcra meis? Ibis Cecropios portus patriaque receptus, cum steteris turbae celsus in ore tuae et bene narraris letum taurique virique sectaque per dubias saxea tecta vias, me quoque narrato sola tellure relictam; non ego sum titulis subripienda tuis. Nec pater est Aegeus, nec tu Pittheidos Aethrae filius: auctores saxa fretumque tui. Di facerent, ut me summa de puppe videres: movisset vultus maesta figura tuos! Nunc quoque non oculis, sed qua potes aspice mente,

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Se tu, Teseo, non avessi massacrato con la clava, con la tua mano pronta a calare dall’alto, il mezzo uomo e il mezzo toro! E se non ti avessi concesso il filo per mostrarti il ritorno, quel filo via via riavvolto dalle tue mani protese! Non mi meraviglio affatto che la vittoria stia dalla tua parte [105] e che l’animale, steso, abbia battuto il suolo cretese. Le corna non sarebbero riuscite a trafiggere il tuo cuore di ferro: che se anche non ti fossi difeso, con il tuo petto eri al sicuro. Lì dentro ti sei messo delle selci, dell’acciaio, lì dentro hai Teseo che vince le selci [110]! Sonni crudeli, perché mi avete tenuta inerte? Una volta per tutte avrei dovuto essere schiacciata da una notte eterna! Crudeli anche voi, venti, e troppo ben disposti, e voi brezze, ligie nel procurare le mie lacrime! Crudele la destra che ha ucciso me e mio fratello [115] e crudele la promessa di lealtà, nome vuoto, fatta a me che la chiedevo. Congiurarono contro di me il sonno, il vento, la promessa: io, una ragazza sola, tradita da tre cause. Dunque morendo non vedrò le lacrime di mia madre, né ci sarà chi mi chiuda gli occhi con le dita [120]? La mia anima infelice andrà verso ariose regioni straniere e non ci sarà una mano amica a ungere le mie membra preparate per la sepoltura? Gli uccelli marini volteggeranno sopra le mie ossa insepolte? È questa la sepoltura degna dei miei benefici? Tu andrai ai porti cecropi e quando, accolto in patria [125], sarai in alto alla presenza della folla e racconterai della morte dell’uomo-toro e del palazzo intagliato nella pietra con i suoi tortuosi percorsi, racconta anche di me abbandonata su una terra deserta: io non devo essere sottratta alle tue attestazioni di gloria [130]! Non ti è padre Egeo, non sei figlio di Etra figlia di Pitteo: i tuoi genitori sono le rocce e il mare! Se gli dei avessero concesso che tu mi vedessi dall’alto della poppa: la mia afflitta figura avrebbe commosso il tuo volto! E ora guardami non con gli occhi, ma con la mente, se puoi [135],

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Ariadne Theseo

haerentem scopulo quem vaga pulsat aqua. Aspice demissos lugentis more capillos, et tunicas lacrimis sicut ab imbre gravis. Corpus, ut inpulsae segetes aquilonibus, horret, litteraque articulo pressa tremente labat. Non te per meritum, quoniam male cessit, adoro; debita sit facto gratia nulla meo, sed ne poena quidem: si non ego causa salutis, non tamen est cur sis tu mihi causa necis. Has tibi plangendo lugubria pectora lassas, infelix tendo trans freta longa manus; hos tibi qui superant ostendo maesta capillos: per lacrimas oro, quas tua facta movent: flecte ratem, Theseu, versoque relabere vento! Si prius occidero, tu tamen ossa feres.

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mentre me ne sto adesa allo scoglio che l’acqua fluttuante batte. Guarda i capelli sciolti, come di chi si affligge, e le vesti pesanti di lacrime come sotto la pioggia! Il corpo trema come le spighe battute dagli aquiloni e le lettere scivolano premute dalla mia tremula manina [140]. Non ti supplico invocando il mio merito, visto che è andata a finire male; non sia dovuto nessun ringraziamento alla mia azione, ma neppure una punizione: se io non ti sono stata causa di salvezza, non vedo perché tu mi debba essere causa di morte. A te tendo infelicemente, battendomi il petto in lutto 145], queste mani stanche al di là dei lunghi flutti: a te mostro afflitta questi pochi capelli che mi rimangono. Ti supplico per le lacrime che sono le tue azioni a muovere: volgi la nave, Teseo, e, mutato il vento, ritorna! Se sarò morta prima, almeno raccoglierai le mie ossa [150].

Commento 1-2 mitius inveni quam te genus omne ferarum: / credita non ulli quam tibi peius eram: nelle principali edizioni (Palmer, Dörrie, Knox) questi sono i versi iniziali della lettera di Arianna a Teseo. Non si tratta di un incipit epistolare molto canonico visto che non rende immediatamente riconoscibili mittente e destinatario (sulle convenzioni della salutatio cf. Farrell [1998], p. 321); tra l’altro tale non riconoscibilità potrebbe aver avuto come effetto l’aggiunta del precedente distico (chiaramente spurio: cf. Tarrant [1983], pp. 270-271; già Kirfel [1969], p. 69) illa relicta feris nunc, improbe Theseu / vivit. Et haec aequa mente tulisse velis?, trasmesso solo da due edizioni a stampa (con relicta feris recuperato presumibilmente da Her. 4.116 [Fedra parla di Arianna] … soror est praeda relicta feris). Knox (1995), ad loc. osserva come il paragone tra esseri umani e animali sia «especially appropriate here for Ariadne, as she finds herself alone on a deserted island». Gli animali di Arianna però, a ben vedere, non sono solo quelli dell’isola: in questo distico sembra condensato dell’altro. La formulazione è di certo topica (cf. e.g. Ov. Am. 1.10.26 turpe erit, ingenium mitius esse feris; Sen. Phaedr. 558 – con Fitch [2002] – mitior nulla est feris, già in Knox [1995]), ma estendendo retroattivamente anche al passato dell’eroina una sollecitazione di Barchiesi (1993), p. 347, n. 23 secondo cui «many topoi used by Ariadne can be seen as the recto of a surprising future», si riesce a cogliere un innuendo ulteriore. Già Michalopoulos (2002) ha portato allo scoperto in mitius (termine incipitario dell’epistola) il marchio allusivo che riattiva la memoria tutta cretese dell’arcinoto episodio mitologico del filo di Arianna: «the sound of mitius is destined to recall in Theseus’ mind the Greek word for what has been the most crucial feature of his affair with Ariadne, namely PLYWR, the thread that she had given him to help him find his way in the labyrinth» (p. 95). Ma mitius crea un contatto anche con i primi (quasi incipitari) versi del lamento dell’Arianna catulliana: cf. 64.137-138 tibi nulla fuit clementia praesto, / immite ut nostri vellet miserescere pectus? e, proprio a distanza di

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qualche verso, 64.143 nunc iam nulla viro iuranti femina credat (cf. anche 245 amissum credens immiti Thesea fato in cui immitis non è grammaticalmente riferito a Theseus, ma l’immediata contiguità dei due termini trasferisce la proprietà dal fato a Teseo). Quello che altrove (anche se non qui in Her. 10) l’Arianna ovidiana professerà con le parole dell’Arianna di Cat. 64.143 (cf. Fast. 3.475 nunc quoque “nulla viro” clamabo “femina credat”), in questa epistola trova una formulazione che è allusivamente catulliana, ma ricaricata anche mitologicamente. Se mitius allude verosimilmente con un gioco di parole bilingue all’antefatto del filo d’Arianna, la feritas esibisce, a sua volta, un tratto di ‘pertinenza’ mitologica. Arianna ha testato il grado di crudeltà di Teseo rispetto agli animali feroci: in quanto sorella del Minotauro la sua percezione e conoscenza (‘preconoscenza’ in qualche modo) della ferinità non è di grado zero. Questo sfondo cretese emerge chiaramente in Her. 4.165-166 quando Fedra (sorella di Arianna e del Minotauro e figlia di Pasifae) così si rivolge a Ippolito: flecte, ferox, animos: potuit corrumpere taurum / mater: eris tauro saevior ipse truci? Intratestualmente parlando, il ‘destino’ familiare condiviso da Fedra e Arianna potrebbe celare in genus omne ferarum la memoria della ferocia del fratello taurino per cui cf. Cat. 64.110 sic domito saevum prostravit corpore Theseus; Mel. Chor. 2.112 (Creta) multis famigerata fabulis … Minotauri feritate fatoque: «bulls are fatally attractive to the women of Phaedra’s family» (Fulkerson [2005], p. 133). Cf. anche l’episodio ovidiano di Scilla e Minosse in Met. 8.122-125 in cui la ferocia dell’amante crea nuovamente il presupposto per il paragone con il taurus, motivato dal contesto (anche qui) cretese: cf. vv. 124-125 (verus) et ferus et captus nullius amore iuvencae, / qui te progenuit, taurus fuit (con Hollis [1970], ad 122 ss.); 131-133; 136-137 iam iam Pasiphaen non est mirabile taurum / praeposuisse tibi – tu plus feritatis habebas! Cf. Sen. Phaedr. 1172 taurus biformis … ferox; infine Teseo in Cat. 64.73 … ferox … Theseus. Il distico incipitario che, come credo, deve essere stampato all’inizio di Her. 10 (non così per Rosati [1989], p. 209, n. 1), si fa portatore di una duplice ‘informazione’: 1) fornisce le coordinate mitologiche e genealogiche dell’eroina (Arianna ha scoperto [in altri testi: cf. OLD, s.v. invenio, 957.4b «to find in a book»] che Teseo può addirittura essere più feroce del Minotauro (cf. 10.107 non po-

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terant figi praecordia ferrea cornu) e di tutti gli altri tori con cui la sua famiglia ha avuto a che fare113); cf. anche Casali (1995a), p. 206; 2) raccoglie il monito catulliano per cui la donna non deve credere a nessun uomo (cf. Her. 17.40 [Elena a Paride] verbaque dicuntur114 vestra carere fide e nella stessa epistola cf. i vv. 191-194 con l’exemplum di Arianna) con slittamento semantico di credere (‘fidarsi’, ‘affidarsi’). Cf. Armstrong (2006), pp. 86-93 (in part. p. 90) e 222-224. Cf. infine Her. 11.11 (riferito a Eolo) at ferus est multoque suis truculentior Euris con Reeson (2001), ad loc. 3-4 quae legis, ex illo, Theseu, tibi litore mitto, / unde tuam sine me vela tulere ratem: l’aspettativa delle eroine ovidiane è che la lettera (quae legis, i.e. verba, cf. Knox [1995], ad loc.; cf. anche Purser in Palmer [2005], p. xi) arrivi a destinazione; questa insistenza è anche un gesto metapoetico con cui le eroine scriventi, e ovviamente l’autore con loro, rivendicano una nuova forma epistolare a un contenuto elegiaco. Sulla materialità della lettera prevale in ogni caso la sua letterarietà. Il vocativo Theseu (rafforzato dalla cesura pentemimera ed eftemimera) rende definitivamente riconoscibile il destinatario della lettera (cf. v. 1 te) riattivando peraltro la memoria incipitaria del lamento dell’Arianna catulliana: cf. (oltre alla narrazione extradiegetica di 64.52 litore Diae) 64.133 (me) perfide, deserto liquisti in litore, Theseu? Anche litore è parola ‘mimeticamente’ catulliana (cf. la contiguità nel verso rispetto a Theseu) e illo fornisce in qualche modo le coordinate ‘testuali’: “da quella spiaggia” ĺ “da quella stessa spiaggia che è nel testo di Catullo” ĺ “dal testo di Catullo”. Cf. anche i successivi unde (= ex quo) e in quo («in my literary predecessors» con Hinds [1998], p. 2). La lettera di Arianna parte perciò ‘cronotopicamente’ da Cat. 64. Ratis nel significato di “nave” si trova solitamente in contesti poetici, per cui cf. e.g. Cat. 64.121 aut ut vecta rati spumosa ad litora Diae (qui riferito alla nave su cui viaggiano assieme Teseo e Arianna); OLD 1577.2.

113 Questa proprietà in qualche modo ‘taurina’ è condivisa anche da Giasone, il ‘corrispettivo’ apolloniano di Teseo, in Arg. 4.468-469 quando uccide Apsirto: WRQGMR^JH ERXWXYSRZ^WHPHYJDQNHUHDNOHYDWDX URQ / SOK [HQ. 114 Dicuntur è un ‘gesto’ allusivo che ammicca a una tradizione letteraria precedente (cf. e.g. Hinds [1998], pp. 2-3).

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sine me: per il nesso come espressione dell’assenza elegiaca cf. Prop. 1.8.4 ut sine me vento quolibet ire velis?; Ov. Her. 3.65 (ante) quam sine me Pthiis canescant aequora remis; Ov. Met. 7.40 (Medea) ut per me sospes sine me det lintea ventis. Cf. anche le parole elegiache di Gallo in Verg. Ecl. 10.47-48 … et frigora Rheni / me sine sola vides. 5-6 in quo me somnusque meus male prodidit et tu / per facinus somnis insidiate meis: il sonno e Teseo che ha insidiato il sonno di Arianna sono stati gli artefici del tradimento, ma il principale imputato resta comunque Teseo (cf. l’enfatico et tu alla fine del v. 5). Per l’insidia al sonno cf. ad es. Cic. Catil. 1.26 vigilare non solum insidiantem somno maritorum; Sen. Phaedr. 782-783 (Ila addormentato che viene insidiato dalle Ninfe) somnis facient insidias tuis / lascivae nemorum deae (già in Knox [1995], ad loc.). Per facinus somnis insidiate meis esibisce un certo tasso di ambiguità, considerata la potenziale connotazione erotica che le insidiae al sonno suggeriscono (cf. soprattutto il passo senecano, a cui si aggiunga e.g. l’episodio di Fauno che assale Ercole travestito da Onfale in Ov. Fast. 2.331 ss., in part. 333 utque videt comites somno vinoque solutos; cf. anche Harrison [1994], p. 21 e n. 17); un’Arianna che dice ‘tu che hai insidiato i miei sonni’ (con un nesso solo apparentemente di grado zero) autorizza forse un sovrasenso erotico assente nel testo-sorgente di Cat. 64.56 utpote fallaci quae tum primum excita somno (cf. anche Nonn. Dion. 47.334 DMMSDWKYOLRQ), anche grazie al seguito: cf. vv. 7-8 e 9-10 con comm. ad loc. Il sonno ingannatore è già nella vicenda della Medea apolloniana, vittima di KMSHURSK HR>QHLURL in cui immagina che lo straniero (Giasone) voglia affrontare la prova dei tori non per il vello d’oro ma per portarla nella sua patria come legittima sposa (cf. Arg. 3.617-623): e lei, già nel sogno prima ancora che nella ‘realtà’ mitica della sua storia, abbandona i genitori preferendo a loro Giasone. (Chissà cosa stava sognando l’Arianna di Her. 10? Anche l’Arianna di Nonno, peraltro, sognava e proprio le nozze con Teseo: cf. Dion. 47.321-328; cf. anche il ‘sogno ad occhi aperti’ dalla connotazione erotica in Cat. 64.158-163 con Glenn [1980]). Sull’uso colloquiale di male come rafforzativo di un’espressione negativa cf. Bessone (1997), ad 12.57 ut positum tetigi thalamo male saucia lectum; cf. anche Austin (1964), ad Verg. Aen. 2.23 male fida («colloquial turn promoted by Virgil to epic»).

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Somnis meis varia con il plurale poetico il precedente somnus meus: la forma plurale, oltre a ricalcare il greco R>QHLURL, evita anche l’incontro vocalico con il successivo insidiate (per un caso analogo cf. e.g. Her. 7.20 et videas populos altus ab arce tuos?). per facinus: equivale a un avverbio (‘delittuosamente’). La preposizione per ha qui valore modale (cf. OLD 1327.16a: «in, within»). Forme analoghe sono per crimen, per dedecus, per cui cf. e.g. Ov. Met. 10.243 quas quia Pygmalion aevum per crimen agentes con Bömer (1980), ad loc. 7-8 tempus erat, vitrea quo primum terra pruina / spargitur et tectae fronde queruntur aves: questa formulazione temporale è già in Verg. Aen. 2.268-269 tempus erat quo prima quies mortalibus aegris / incipit … nel momento in cui a Enea sta per apparire in somnis il maestissimus Ettore. In Her. 10 il paesaggio solo apparentemente si connota in senso idilliaco: la riattivazione della memoria virgiliana, attraverso l’indicatore temporale tempus erat che nei due testi prepara l’apparizione di Ettore e la sparizione di Teseo, segna il trapasso di Arianna «from the security of her conjugal bed to the horror of abandonement by Theseus» (per la ‘storia’ intertestuale di questo nesso cf. Spentzou [2003], p. 69). [Ma forse questo è anche il trapasso dagli «open spaces of epic» allo «small world of elegy», per cui cf. Fowler (1997), p. 11 su Spentzou (2003)]. In questa assimilazione di Arianna a Enea (non l’unica nell’epistola: a breve distanza cf. Her. 10.13 excussere metus somnum e Aen. 2.302 excutior somno) agisce una forma di ironia tragica (cf. e.g. Conte [1996], p. 35) ai danni dell’eroina che non avverte la potenziale ‘pericolosità’ di un ipotesto come Aen. 2.268 ss. Per il queri degli uccelli, «ominously foreshadowing the heroine’s lament about to commence» (Spentzou, ibid.), cf. anche Aen. 4.461-463 (Didone) … nox cum terras obscura teneret, / solaque culminibus ferali carmine bubo / saepe queri et longas in fletum ducere voces; 465-466 … agit ipse furentem / in somnis ferus Aeneas. Il ‘taglio’ temporale (il finir della notte) su cui viene montato l’inizio del lamento sembra, peraltro, esibire un sovrasenso erotico ben supportato dall’elegia (cf. anche nota infra): la notte era infatti un momento privilegiato e topico del rapporto amoroso per cui cf. e.g. Prop. 2.9.19 at tu non una potuisti nocte vacare; 2.14.28 tota nocte receptus amans; in Her. 10, a dire il

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vero, siamo prossimi al giorno, ma anche questo è un momento elegiacamente ‘codificato’ per il rapporto amoroso: cf. Ov. Am. 1.5.5-7 qualia sublucent fugiente crepuscula Phoebo / aut ubi nox abiit, nec tamen orta dies. / Illa verecundis puellis lux est praebenda puellis. Per gli uccelli che cantano nascosti all’ombra cf. Prop. 4.9.30 multaque cantantes umbra tegebat aves; cf. anche Ov. Am. 3.1.4 et latere ex omni dulce queruntur aves; Her. 15.151-152 quin etiam rami positis lugere videntur / frondibus, et nullae dulce queruntur aves (con effetto di ‘orecchio interno’). Queri è propriamente il termine usato per indicare il canto degli uccelli (OLD 1547.4), ma qui va rivendicata la sua ‘lamentosa’ pertinenza elegiaca (cf. anche l’opportunissima sede pentametrica) con Barchiesi (1992), ad 1.8 nec quererer tardos ire relicta dies; cf. anche Her. 2.2 (Fillide) (te) ultra promissum tempus abesse queror; Her. 3.5-6 (Briseide) si mihi pauca queri de te dominoque viroque / fas est, de domino pauca viroque querar (il lamento è tratto costitutivo, quasi obbligato – querar – di queste eroine nei confronti del loro dominus elegiaco); cf. inoltre Hinds (1987a), p. 103; Casali (1995a), p. 12 su Her. 9.2 victorem victae succubuisse queror; infine Saylor (1967) sull’equivalenza properziana querela ~ elegia. 9-10 incertum vigilans ac somno languida movi / Thesea prensuras semisupina manus: l’aggettivo neutro usato avverbialmente (incertum, ‘non del tutto sveglia’) è un grecismo; già Knox (1995), ad loc. cita Hor. Sat. 2.5.100 (detto di Ulisse) et certum vigilans (stessa sede metrica di incertum vigilans). Ac è congettura di Heinsius per i traditi a e an; ac consente di ripristinare il nesso somno languida per cui cf. Luc. 3.89 inde soporifero cesserunt languida somno / membra ducis; Stat. Theb. 11.548-549 … languida somno / … quies; Tac. Ann. 15.49 vita somno languida. Un’Arianna languida è anche quella, famosissima, di Prop. 1.3.1-2 qualis Thesea iacuit cedente carina / languida desertis Cnosia litoribus. Nei versi properziani è riconoscibile l’iconografia dell’Arianna dormiente per cui cf. McNally [1985], p. 178. Semisupina (solo in Ovidio) è congettura di Heinsius per il tradito semisopita, metricamente impossibile oltre che ridondante (cf. incertum vigilans) sulla base di Ov. Am. 1.14.20 purpureo iacuit semisupina toro e di AA 3.788 cum iacet in dextrum semisupina latus (con Gibson [2003], ad loc.: «the position, popular with artists for its visual effectiveness, where the

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woman reclines on her side facing the viewer»). Come risulta dai passi citati, semisupina ricorre sempre nella stessa posizione metrica e sempre nel pentametro in contesti connotati più (Ars) o meno (Amores) eroticamente. Il risveglio dell’Arianna ovidiana e la scoperta dell’abbandono è forse, anche per questo, ancora più traumatico, se siamo autorizzati a supporre un rapporto amoroso da poco consumato con Teseo. Già nei versi properziani di 1.3.1-2 (che funzionano presumibilmente da ipotesto) Arianna giace eroticamente languida, in cui il sovrasenso del termine (languor post coitum) è stato bene esplorato da Harrison (1994), p. 19: «languida can have connotations of sexual fatigue» come anche in Tib. 1.9.56 (uxor) tecum interposita languida veste cubet (con Maltby [2002], ad loc. «with passion spent»); Priap. 47.4115; ma cf. soprattutto Silvia dopo esser stata violata da Marte in Ov. Fast. 3.25 languida consurgit nec scit, cur languida surgat. La combinazione di languida e semisupina conferisce al personaggio di Arianna più proprietà ‘da elegia’ (properziana) che ‘da epillio’ (catulliano). Il testo si fa allusivamente ammiccante, quasi a lasciar intendere che Arianna e Teseo, come già detto supra, hanno consumato una notte d’amore sull’isola. L’Arianna ovidiana sembra dare inconsapevolmente qui la sua versione dei fatti (cf. anche Plut. Thes. 20.3: Arianna incinta, a differenza invece di Nonn. Dion. 47.329 che voleva Arianna ancora vergine dopo la partenza di Teseo). Ambiguità (intenzionale) c’è anche nel racconto di Ipermestra in Her. 14 per cui soprattutto Fulkerson (2003), p. 131 e pp. 142-143. 11-12 nullus erat. Referoque manus iterumque retempto, / perque torum moveo bracchia: nullus erat: per la struttura ritmica del distico aperto e chiuso da nullus erat (coriambo) cf. Wills (1996), p. 431 (versus recurrens o serpentinus); cf. anche Knox (1995), ad loc. L’iterazione di nullus erat sembra lasciare spazio a qualche ulteriore osservazione aldilà del suo costituire a «trick of style»; il nesso è colloquiale (nullus = non, ‘non c’era’), come anche in Ov. Her. 2.105 … nullam, puto, Phyllida nosti (con Barchiesi [1992] e Knox [1995], ad loc.), ma ricaricato semanticamente apporta al verso un senso nuovo (e intertestuale). 115 Cf. più estesamente: «Cynthia’s sleep could be not that of the just but that of the postcoital exhaustion, and she, like the Ariadne of the mythical analogy, could be asleep at the point where she is passing from one sexual partner to another, at least in the suspicious mind of the poet at the time».

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Che in generale Her. 10 sia una parodia del modello catulliano e che la nuova Arianna risulti in qualche modo ‘inadeguata’ rispetto all’illustre antenata (cf. Verducci [1985], pp. 244-285 [Ariadne in extremis’] e introduzione passim) è cosa assodata: ma che in questa sezione testuale la parodia sia attivata tramite l’appropriazione di un modello in un certo senso ‘impertinente’ – e inatteso – non mi risulta sia stato rilevato. C’è un personaggio odissiaco che esibisce una ‘grammatica dei gesti’ non troppo diversa da quella dell’Arianna ovidiana: in Od. 9.371-373 il Ciclope si abbandona a un sonno profondo (372-373 … NDGGHYPLQ X^SQR / K^UHLSDQGDPDYWZU), subisce poi l’accecamento a opera di un fraudolento Odisseo e richiama con le sue urla di dolore gli altri Ciclopi: cf. 9.408 … 2X?WLYPHNWHLYQHLGGRYOZRXMGHELYKILQ. Aveva infatti detto di chiamarsi così Odisseo in 9.366 (iterandolo due volte nello stesso ver2X?WLQGHYPHNLNOKYVNRXVLQNWO. E, nuovaso) 2X?WLHMPRLYJR>QRPD2 mente, nel discorso che Polifemo fa al suo ariete Odisseo ritorna come ‘Nessuno’ per due volte in una sezione di sei versi (9.455-460), esattamente all’inizio e alla fine: cf. 455 2X?WL … e 460 2X?WL. Subito dopo l’accecamento, inoltre, Polifemo aveva sbarrato l’ingresso della caverna mettendosi poi ad agitare le mani per catturare Odisseo e i compagni: FHL UHSHWDYVVD. Una costelcf. 9.417 DXMWRGHLMQLTXYUKVLNDTHY]HWRF lazione di elementi così fittamente distribuita (cf. nel testo dell’eroide 10.5 somnus; 10.6 per facinus, somnis; 10.11-12 nullus, nullus116; 10.11-12 manus iterumque retempto, moveo bracchia) ricarica ‘ciclopicamente’ un personaggio come l’Arianna ovidiana che non è sempre all’altezza del suo ruolo elegiaco e neanche del suo modello catulliano (cf. il goffo avanzare sulla sabbia [v. 20 … tardat harena pedes], la testa quasi priva di capelli [v. 147]117) e che si scontra impotentemente (ma anche, di nuovo, parodicamente) con l’astuzia di un Teseo ‘odissiaco’ e con il successo della sua fuga. La langue (nullus erat come formulazione informale) si fa parole, parole ‘ciclopica’, ma al tempo stesso conserva un tratto ben distinto di langue elegiaca come, appunto, il versus serpentinus, frequente nella poesia d’amore e in Ovidio soprattutto. Cf. anche introduzione cap. 3. 116 Per Fulkerson (2005), p. 35, n. 41 semplicemente un «wordplay»; per Armstrong (2006), p. 227 «facetious repetition». 117 Cf. Verducci (1985), p. 257: «Ariadne’s frantic sleepy groping is a travesty of the pathetic gesture». E ancora p. 256: «the scene […] takes on the garish theatricality of a Mack Sennet silent movie sequence».

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Per la ricezione di questo passo cf. Rosati (1996), pp. 151-152, n. 46 e (2005a), p. 137. Il pleonasmo prodotto da retempto e iterum è certamente un fenomeno della lingua frequente (Knox [1995], ad loc.), ma qui, incastonato tra i ‘serpentini’ nullus erat, rincara l’idea di un’azione compulsivamente iterata. 13-14 excussere metus somnum; conterrita surgo, / membraque sunt viduo praecipitata toro: analogo è il risveglio di Medea (per il cui sogno cf. comm. ad 5-6) in Apoll. Rhod. Arg. 3.633 SDOORPHYQKG DMQRYURXVHIRYEZ; cf. anche il risveglio di Enea in Verg. Aen. 2.302 excutior somno. Fa qui la sua prima comparsa sulla ‘scena’ epistolare di Her. 10 il torus che ritornerà anche ai vv. 51 ss. e che è in qualche modo citazione catulliana, come osserva Hinds (1998), p. 127: «in Ovid’s Heroides the ‘couch’ serves as a programmatic shorthand to specify allusion to Catullus 64, the marriage poem in which the couch itself quite literally dominates the action». Il letto e gli strata (v. 54), che non possono se non ammiccare all’origine ecphrastica del mito di Arianna nato dalla descrizione di una coperta (cf. Barchiesi [1993], pp. 346347), sono anche ‘accessori’ propriamente elegiaci: cf. Prop. 1.15.17-18 nec sic Aesoniden rapientibus anxia ventis / Hypsipyle vacuo constitit in thalamo; Ov. Am. 2.10.17 hostibus eveniat viduo dormire cubili (con McKeown [1998], ad loc., in part. per l’accezione di viduus che implica non semplicemente la solitudine, ma un vero e proprio abbandono o privazione); Am. 1.2.1-2 … quod tam mihi dura videntur / strata; Ov. Her. 1.7 (Penelope) non ego deserto iacuissem frigida lecto; anche Paride così si lamenta con Elena: Ov. Her. 16.317-318 sola iaces viduo tam longa nocte cubili / in viduo iaces solus et ipse toro (con Kenney [1996], ad loc.). Cf. infine Luc. 5.806 (Cornelia) … viduo tum primum frigida lecto. Metus è plurale poetico; Ovidio vi ricorre generalmente per ragioni metriche (cf. Kenney [2002], p. 70; Michalopoulos [2006], p. 65). Praecipito è impiegato al passivo con valore medio (‘precipitarsi fuori da’); cf. anche Verg. Aen. 2.8-9 … nox umida caelo / praecipitat; per l’alternanza nel verso di passato (excussere) e presente (surgo) cf. e.g. Michalopoulos (2006), ad 16.47-48. Sul frequente uso ovidiano delle forme del perfetto in -ere ancora Michalopoulos (2006), p. 65.

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15-16 protinus adductis sonuerunt pectora palmis, / utque erat e somno turbida, rupta coma est: la chioma di Arianna subisce una progressiva (e inattesa) degradazione nel corso di Her. 10 (cf. Verducci [1985], pp. 247-249): perde i connotati della chioma elegiaca (per quanto la chioma scompigliata non sia estranea all’elegia: cf. Prop. 1.3.23 lapsos … capillos; Ov. Am. 1.14.19-20 saepe etiam nondum digestis mane capillis / purpureo iacuit semisupina toro; anche Navarro Antolín [1996], ad Lygd. 3.1.11 e Maltby [2002], ad Tib. 1.3.91), assumendo tratti ‘menadici’ ironicamente rivelatori del futuro dionisiaco dell’eroina (da turbida, semplicemente ‘confusa, disordinata’, diventa rupta e poi ancora rada, v. 147). Per la chioma menadica cf. Dodds (1960), p. 185. La chioma di Arianna è scomposta anche in Cat. 64.63 non flavo retinens subtilem vertice mitram (qui apparentemente senza accumuli dionisiaci di senso, ma cf. il comm. di Fordyce [1990] e soprattutto Tatham [1990]); Ov. AA 1.530 croceas inreligata comas. È abbastanza sorprendente che in questa sua autodescrizione, peraltro insolita nelle Heroides, Arianna ricorra al passivo piuttosto che alle più ‘comode’ forme attive (cf. Verducci [1985], p. 249): l’effetto prodotto risulta inevitabilmente staniante, quasi che l’eroina si osservasse impersonalmente dall’esterno (membra sunt praecipitata, rupta coma est); cf. bene Lindheim (2003), p. 112: «she presents herself as an object for Theseus’ visual pleasure»; cf. anche introduzione cap. 7. Knox, con cui concordo, mette a testo rupta al posto del meglio tradito rapta, commentando ad loc. «the reading of the main tradition produced an unattested and difficult phrase, comam rapere» e richiamando Ov. Her. 5.141 rupi tamen ungue capillos (Enone che strappa i capelli ad Apollo; a questo proposito la postilla di Palmer [2005], ad 10.16 non si rivela molto cogente: «rapere is more usual of tearing another person’s hair, […] rumpere of tearing one’s own»); cf. anche (non in Knox [1995]) Briseide in Ov. Her. 3.15 at lacrimas sine fine dedi rupique capillos. Più o meno prossimi anche Verg. Aen. 4.589-590 (Didone) terque quaterque manu pectus percussa decorum / flaventisque abscissa comas, presumibilmente l’ipotesto di Her. 10 (ma non solo di Her. 10: cf. Bessone [1997], p. 212), considerato che in Cat. 64 il battersi e il petto e lo strapparsi i capelli non compaiono in associazione (anzi non compaiono affatto); Ov. Her. 5.71 (Enone) tum vero rupique sinus et pectora planxi; Ov. Her. 12.153 (Medea) protinus abscissa planxi mea pectora veste e 157 laniata capillos; Ov. Her. 15.113-114 (Saffo) …

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nec pectora plangi / nec puduit scissis exululare comis con abscindere e scindere accostabili sinonimicamente a rumpere (per quanto, in effetti, la sfumatura di senso che intercorre tra rumpere e rapere non sia del tutto facile da definire). La lezione rupta forse non è stata, nel corso della trasmissione, sufficientmente ‘resistente’ e si è corrotta in rapta che si ritrova spesso in Ovidio in unione a termini come capilli o coma in sedi metriche equivalenti: cf. Ov. Am. 1.7.49 … raptis a fronte capillis; Ov. Her. 12.156 … rapta comis (qui solo per la contiguità nel verso e la sede metrica, non per il senso); Her. 14.83 … raptamque capillis (= ‘trascinata per i capelli’); Ov. AA 3.161-162 … raptique aetate capilli / … cadunt. Nel futuro di Arianna è ‘programmato’ l’arrivo di Bacco e del suo corteo: il rumore che lei produce battendosi il petto (sonuerunt pectora palmis) allude a quello delle Baccanti in Cat. 64.261: plangebant aliae proceris tympana palmis; cf. anche, in un contesto non meno ‘bacchico’, Cat. 63.21 ubi cymbalum sonat vox, ubi tympana reboant; ma soprattutto cf. Ov. AA 1.537-538 (Arianna e l’arrivo di Dioniso) … sonuerunt cymbala toto / litore, et adtonita tympana pulsa manu e poco sopra (1.535) Arianna tundens mollissima pectora palmis. Pectora palmis in fine di esametro è catulliano: cf. 64.351 (per quanto non nell’episodio di Arianna) putridaque infirmis variabunt pectora palmis. Adduco riferito alle mani è usato nel significato di ‘muovere verso qualcosa’, cf. OLD 38.10. E somno turbida vale ‘disordinata dopo il sonno’ con uso prosastico della preposizione e / ex + abl. per cui cf. Knox (1995), ad loc. con Tac. Germ. 22 statim e somno … lavantur. Un costrutto analogo è però anche in Cat. 63.36 nimio e labore somnum capiunt … (‘dopo la fatica’), per il quale Fordyce (1990) rimanda a Caes. Bell. Civ. 2.14.1 ex diutino labore quieti se dedisset, e cf. anche Enn. var. 56 Vahlen ex imbre frigus (più in generale cf. OLD 629.9-10). 17 luna fuit: la postilla fornisce preziose coordinate temporali: la luna in cielo indica che tutt’intorno è ancora buio ed è per questo che Arianna fatica a riconoscere la nave di Teseo che si sta allontanando (cf. vv. 30-31); cf. Barchiesi (1993), pp. 347-348, in particolare 347: «this is a dark setting which Catullus, impeded by his purple backdrop, could not allow himself to depict». Per la presenza della luna come topos elegiaco cf. introduzione cap. 2. Ma ci può anche essere qualcosa di più: sap-

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piamo che nel destino di Arianna è ‘scritto’ l’incontro con Dioniso e Dioniso è appunto figlio di Semele, la Luna (cf. Apollod. 3.4.3). specto, si quid nisi litora cernam: la costruzione spectare + si è attestata anche in Ov. Her. 19.27 … tui specto si sint in litore passus (con Rosati [1996], ad loc.) ma sembrano casi isolati, anche se verba videndi + si si trovano già in Plauto e Terenzio; il valore è condizionale, come postilla Knox (1995), ad loc., e dubitativo assieme. Un composto di specto, exspecto, ha la medesima costruzione: cf. e.g. Plaut. Trin. 98 exspecto si quid dicas (‘aspetto che’). Si noti infine il parallelismo tra il v. 17 quid nisi litora cernam e il v. 18 nil nisi litus habent. litora: plurale poetico per ragioni metriche (cf. litus al singolare nel v. successivo). 18 quod videant: letteral. ‘gli occhi non hanno nulla che riescano a vedere, se non la spiaggia’. Il congiuntivo conferisce una sfumatura consecutiva alla relativa. 19 nunc huc, nunc illuc, et utroque sine ordine, curro: anche Medea al suo risveglio ha una reazione non troppo diversa: cf. Apoll. Rhod. Arg. 3.651 WKX"VLRLGHSRYGHIHYURQH>QTDNDLH>QTD. Cf. anche Palestra in Plaut. Rud. 213 hac an illac eam con introduzione cap. 6 (II). Il ritmo veloce e spezzato del verso vuole riprodurre sulla pagina la rapidità della corsa di Arianna. Utroque vale ‘verso entrambe le parti’; compare soprattutto in prosa (OLD 2120). 20 alta puellares tardat harena pedes: cf. la postilla di Verducci (1985), p. 259: «puellaris would be somewhat mannered if used by a poet-narrator», ma che a dirlo di sé sia Arianna «is both foolish and affected»; Knox (1995), ad loc. condivide la medesima perplessità: «it is odd that Ariadne should describe herself as childish»; cf. infine Lindheim (2003), p. 222, n. 83. Ma è anche vero che quella di essere puellares (prima attestazione qui) è una qualità che non possono se non esibire i piedi di una puella come l’Arianna ovidiana che si pone come paradigma elegiaco (cf. la sede pentametrica di questa parola in qualche modo tematica): l’effetto prodotto dalla surenchère elegiaca di Arianna è parodico se rapportato alla goffaggine con cui avanza sulla sabbia (cf. anche comm. ad 11-12). La ‘ricezione’ intratestuale del termine avrà poi una certa fortuna soprattutto in passi che preannunciano

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l’imminente rapimento di una puella da parte di un dio: cf. Ov. Met. 5.593 (Proserpina), 10.594 (Atalanta); Ov. Fast. 4.433 e 463 (Proserpina); 5.611 (Europa). Nel nesso puellares pedes potrebbe anche essere depositata un’istanza metaletteraria sintomatica della ‘scelta’ di un nuovo metro (pedes) e di una nuova poesia, quella elegiaca appunto (puellares); l’‘impresa’ di Arianna consiste, in un certo senso, nel percorrere e calcare con i suoi nuovi piedi elegiaci l’harena già ‘tracciata’ dall’illustre (alta, cf. OLD 110.8 e 13) modello catulliano (cf. Cat. 64.57 desertam in sola miseram se cernat harena; harena da intendere perciò non solo come spazio fisico, ma sopratutto poetico, ‘testuale’ – che tardat il nuovo testo; harena del resto designa anche il campo di battaglia e, quindi, lo spazio privilegiato dell’epica: cf. e.g. Verg. Aen. 9.589 … multa porrectum extendit harena con Hardie [1994], ad loc.). Più in dettaglio cf. introduzione cap. 2. Cf. infine il comm. di Barchiesi (1992), ad 2.121 maesta tamen scopulos fruticosaque litora calco: «l’eroina [Fillide scil.], facendosi strada a fatica, crea un percorso che passerà alla storia». 21-22 interea toto clamanti litore ‘Theseu!’ / reddebant nomen concava saxa tuum: è una natura ‘orrida’, fatta di saxa, quella che restituisce (ingannevolmente peraltro come si vedrà) ad Arianna il nome di Teseo; questa proprietà ‘petrosa’ è condivisa anche da Teseo in 10.132 auctores saxa fretumque tui: c’è una sorta di complicità tra l’ingannevole Teseo e gli inganni che il paesaggio tende ad Arianna; una visione un po’ diversa in Spentzou (2003), p. 107: «a voice which reminds Ariadne that this frighteningly isolated world can also offer sympathy and support against the heartlessness of Theseus’ male order and its obsession with departure». L’Arianna catulliana non beneficia neppure di questa illusoria consolazione: cf. Cat. 64.165-166 (ignaris … auris) … quae nullis sensibus auctae / nec missas audire queunt nec reddere voces? (con Laird [1993], p. 29); cf. anche l’Arianna di AA 1.531 Thesea crudelem surdas clamabat ad undas: del resto aurae e undae per statuto non possono se non disperdere ciò che trasportano. La natura che circonda l’Arianna ovidiana può sì reddere ma non voces, cioè “rispondere” («give them in reply», Fordyce [1990], p. 299), ma solo reddere il nome di Teseo – con effetto d’eco – a lei che lo sta gridando (clamanti). È verosimile che qui agisca la memoria di Prop. 1.18.31-32, ma con

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uno scarto imposto dal nuovo contesto di Her. 10: sed qualiscumque es, resonent mihi “Cynthia” silvae, / nec deserta tuo nomine saxa vacent (cf. anche Verg. Ecl. 1.5 formosam resonare doces “Amaryllida” silvas; Verg. Georg. 4.527 Eurydicen toto referebant flumine ripae con Landolfi [2000], p. 106). Arianna vorrebbe probabilmente che il nome gridato di Teseo giungesse a lui, non che ritorni, ecoicamente, a lei (clamanti): cf. la nota successiva e introduzione cap. 5; infine Wills (1996), p. 135. Litore è qui ablativo di estensione come in Verg. Aen. 10.540 quem congressus agit campo … («area over which», cf. Harrison [1991], ad loc.). 23-24 et quotiens ego te, totiens locus ipse vocabat: / ipse locus miserae ferre volebat opem: Arianna non ha ancora riconosciuto il ruolo potenzialmente nemico della natura che la circonda: l’inganno sta nel fatto che la natura (come di solito nell’elegia) restituisce a lei (clamanti reddebant) il nome di Teseo, ma quello che Arianna vorrebbe è – scilicet – che la sua voce giungesse fino alle orecchie dell’amato (mentre, al contrario, resta imprigionata tra i saxa). Properzio voleva una natura piena di Cinzia (cf. 1.18 e nota precedente), Arianna vorrebbe che il nome di Teseo venisse udito da lui stesso. Il modo in cui il locus la sta ‘aiutando’ è a ben vedere molto discutibile (considerati anche i vv. 81 ss.). Il topos elegiaco della pathetic fallacy della natura ne esce fortemente parodizzato. Cf. Jacobson (1974), p. 222: «in a passing moment of self-deceit Ariadne takes this for Nature’s sympathy […], not quite seeing that the hallowness of the echo mirrors the vast empty solitude of the place». Per il valore metaletterario di locus cf. Kennedy (2006), p. 60: «Ariadne’s exclamations have become a commonplace now, a locus, indeed […]». Il lamento di Arianna (quotiens) è destinato a ripetersi ‘ecoicamente’ in altri testi fino almeno a Ov. Fast. 3.486 me miseram, quotiens haec ego verba loquar? (“quante volte?”, ma anche “ancora in quanti testi?”); cf. anche Fast. 3.471 en iterum, fluctus, similes audite querellas (su iterum cf. Hardie [2002], p. 113). Si noti infine l’epanalessi combinata con il chiasmo in locus ipse / ipse locus: la ripetizione a effetto evidenzia ancora di più l’errore di valutazione di Arianna.

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miserae ferre volebat opem: misera è parola tematica della poesia amorosa per indicare chi sventuratamente soffre per amore a partire dal famosissimo incipit di Cat. 8.1 miser Catulle, desinas ineptire e già anche in Cat. 64.57 desertam in sola miseram se cernat harena (con miseram in posizione mediana) e 71 a misera. Anche Didone condivide un analogo destino di sventura amorosa: cf. Ov. Her. 7.7 certus es ire tamen miseramque relinquere Didon con Piazzi (2007), ad loc. In Her. 10, aldilà della designazione topica, potrebbe però anche agire, mutatis mutandis, la memoria di un momento catulliano (64.195-197), in cui Arianna invoca, lei inops, l’aiuto delle Eumenidi (quell’aiuto, opem, che solo apparentemente il luogo sta offrendo all’Arianna ovidiana): huc huc adventate, meas audite querellas, / quas ego, vae misera, extremis proferre medullis / cogor inops … . 25-26 mons fuit: apparent frutices in vertice rari; / hinc scopulus raucis pendet adesus aquis: il luogo che ferre volebat opem comincia a esibire la sua proprietà ‘catulliana’ (e, più avanti [vv. 85 ss.], più che catulliana) di locus horridus118: cf. Cat. 64.126 ac tum praeruptos tristem conscendere montes. Nel modello catulliano già dalla spiaggia Arianna ha visto Teseo allontanarsi (cf. vv. 60-62: prospicit), il suo conscendere montes potrebbe perciò esser funzionale all’eventualità che la nave ricompaia (cf. e.g. Ov. Her. 5.62-63 mons fuit … / hinc ego vela tuae cognovi prima carinae: Enone vede ritornare Paride a bordo della cui nave riconosce però un’altra donna: il gesto di ‘ricognizione’ di queste eroine dall’alto è comunque fallimentare o frustrante). Invece per l’Arianna ovidiana questo è il primo accertamento (o presunto tale, cf. v. 31) dell’effettiva partenza di Teseo. Fino a questo punto l’ha cercato nel letto, l’ha chiamato, ma non ne ha ancora constatato effettivamente (= de visu) la fuga (anche a causa del buio, vv. 17-18). L’attacco topothetico del v. 25 (mons fuit) è in un certo senso ‘preparatorio’119, segna

118 Non può se non essere horridus un luogo in cui c’è privazione d’amore (reale o presunta): cf. infatti, per contrarium, la definizione di locus amoenus in Isid. Etym. 14.8.33 amoena loca Varro dicta ait eo quod solum amorem praestant et ad se amanda adliciant (con Hinds [2002], p. 131). 119 L’attacco topothetico mons fuit ricorre solo nell’epistola di Enone e in quella di Arianna: in entrambi i casi l’osservazione da un luogo privilegiato come il mons si fa portatrice di sventura che per Enone si traduce nel ritorno di Paride, per Arianna nella partenza di Teseo.

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il passaggio a un nuovo momento, quello in cui si realizza appunto la consapevolezza visiva: cf. v. 30 vidi. Frutices («everyday word not much used by poets», cf. Knox [1995], ad loc.) è indizio di locus horridus di lucreziana memoria più che di «realistic touches» (di nuovo Knox [1995], ad loc.): Lucr. 5.955956 sed nemora atque cavos montis silvasque colebant / et frutices inter condebant squalida membra. Per raucus riferito al rumore prodotto dallo scorrere dell’acqua (e dell’acqua del mare) cf. OLD 1577.1b. Mons fuit … hinc (hinc lezione di G e di alcuni recc. al posto di nunc di P) dà un senso migliore e sembra difendibile sulla base di Ov. Her. 2.131-133 est sinus … / … / hinc e 5.62-63 cit. supra. 27-28 ascendo, vires animus dabat, atque ita late / aequora prospectu metior alta meo: riscrive Cat. 64.126-127 ac tum praeruptos tristem conscendere montes, / unde aciem pelagi vastos protenderet aestus. Per il possibile valore metaletterario di questo distico, in particolare il rimisurare metricamente (metior) il modello catulliano (aequora alta), e per vires cf. più in dettaglio l’introduzione cap. 2. Il v. 28 riproduce nell’alternanza di nome1 (aequora) nome2 (prospectu) verbo (metior) aggettivo1 (alta) aggettivo2 (meo) la struttura del cosiddetto verso aureo (cf. anche v. 20), anche se in realtà qui i sostantivi sono premessi agli aggettivi. Per questo tipo di struttura metrica cf. Conte (1988), pp. 104-105. 29 nam ventis quoque sum crudelibus usa: Knox (1995), ad 10.113 richiama Nonn. Dion. 47.303-305 e Cat. 64.164 sed quid ego ignaris nequiquam conquerar auris? Cf. anche Dion. 47.309-310 … DMOODNDL DXMWDL / SDUTHQLNK NRWHYRQWRWDYFD]KOKYPRQHDX?UDL. Il vento porta via l’amato, ma metaforicamente contiene anche un innuendo all’instabilità delle promesse in amore, per cui cf. Cat. 30.9-10; 64.59 irrita ventosae linquens promissa procellae; 70.3-4 … quod dicit amanti / in vento et rapida scribere oportet aqua. Utor qui ha il significato segnalato da OLD 2119.10 di ‘trovare persone o cose in un determinato modo’ (cf. e.g. Plaut. Trin. 827 placido te et clementi … usus sum). L’uso sembra soprattutto prosaico. 30 praecipiti carbasa tenta noto: il termine carbasus in origine indica un finissimo tessuto orientale (cf. e.g. Micozzi [2007], p. 67), per estensione metonimica passa poi a significare le vele. Anche in Cat. 64.227

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la vela di Teseo è detta carbasus. Cf. inoltre Ov. Her. 7.171 cum dabit aura viam, praebebis carbasa ventis con Piazzi (2007), ad loc. (carbasus è già peraltro in Verg. Aen. 4.417 … vocat iam carbasus auras). Le vele sono gonfiate da Noto, un vento che soffia dall’est, convenzionalmente definito praeceps, ‘rapido, impetuoso’ (cf. Knox [1995], ad loc.), e generalmente associato al cattivo tempo e allo scatenarsi di tempeste. Cf. EV 5.490-498; OCD 1622 (‘wind-gods’). Cf. anche (sempre in riferimento ad Arianna) Ov. Am. 1.7.16 flevit praecipites Cressa tulisse notos. 31 aut vidi aut fuerant quae me vidisse putarem: questo verso è stato insistentemente sospettato di corruttela e variamente emendato. Tarrant (1985), p. 73 ipotizza per il verso un significato del tipo «when I saw this unbelievable sight» e propone il seguente emendamento: ut vidi nondum quae (o quod) me vidisse putabam (Arianna realizza, anche se ancora non riesce a crederci, che la nave di Teseo se ne sta andando). Un riassetto testuale di questo tipo offre sicuramente un buon senso (come un buon senso offrono alcune delle congetture segnalate negli apparati: cf. Housman ut vidi haut dignam quae me vidisse putarem o ut vidi haut umquam quae me meruisse putarem), ma è davvero necessario? In generale le varie ricostruzioni del verso partono da un’unanime avversione per l’aut incipitario e tendono a interrompere la correlazione (aut … aut, per il cui valore cf. OLD 219b: un’alternativa è possibile contemporaneamente a un’altra): «vidi in the previous verse shows that Ariadne did see Theseus’ ship, and so rules out any expression or doubt of the kind in Virg. Aen. 6.454 aut videt aut vidisse putat per nubila lunam» (Tarrant [1985], p. 73). Arianna scrive vidi al v. 30: dalla sommità del mons la vista è sicuramente migliore che dalla spiaggia da dove non riusciva a distinguere nulla; dice in effetti di averlo visto, ma poi si corregge “o l’ho visto oppure era solo quello che io pensavo di aver visto”. L’eroina di Her. 10 ha indubbiamente molte meno certezze della sua antenata catulliana: in Cat. 64 a dirlo e, soprattutto, a confermarlo era l’autore (cf. v. 55 e vv. 61 e 62 prospicit). L’Arianna ovidiana è più indecisa, ‘oscillante’: cf. di nuovo aut … aut, sempre in posizione incipitaria, nei vv. 47-50 (cf. anche v. 83). Il pattern dell’aut … aut diventa quasi una ‘proprietà’ del suo personaggio nella prima sezione di Her. 10, una ‘proprietà’ di instabilità che è anche, in qualche modo, metapoetica: Arianna sta scrivendo la sua storia, il suo testo sta progressiva-

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mente prendendo forma, ma non è ancora il testo ‘fissato’ e definitivo dell’Arianna catulliana (cf. Kennedy [2002], pp. 226-227 e nota al v. 98). In questo caso più che tentare di far ‘parlare’ l’Arianna di Her. 10 come quella di Cat. 64.55 necdum etiam sese quae visit visere credit (cf. e.g. Tarrant [1985], p. 73 e già prima di lui Housman [1972], pp. 399-400), deve essere puntualizzato che qui il modello catulliano, se è operativo, lo è per contrarium. L’Arianna di Cat. 64 non può credere a quello che ha visto, ma l’ha già visto (cf. vv. 52-53 … prospectans … / Thesea cedentem celeri cum classe tuetur), questa dell’Arianna ovidiana è, invece, la prima vera ‘ricognizione’: in parte (aut) è certa di aver visto davvero Teseo in fuga, in parte (aut) ha l’impressione di averlo solo immaginato120. Anche per Barchiesi (1993), p. 348 rispetto a Cat. 64.55 qui «the situation is different: Ovid insists on the darkness of the night, on the physical difficulties in seeing, and on Ariadne’s hope of making any kind of contact whatever. His Ariadne is not (or at least not yet) indignant: she is fighting for her life». Già nel commento di Palmer vengono richiamati due passi che Barchiesi (1993), p. 349 (poi Wills [1996], p. 308) rende contestualmente pertinenti: il citato Verg. Aen. 6.454 aut videt aut vidisse putat per nubila lunam (Enea riconosce tra le ombre Didone, oscura come la luna del novilunio che non si riesce a distinguere bene) e Apoll. Rhod. Arg. 4.1480 K@L>GHQK@HMGRYNKVHQ HMSDFOXYRXVDQ LMGHYVTDL (Linceo mentre tenta di mettere a fuoco, da una certa distanza, Eracle, identica similitudine lunare). Barchiesi spiega infine l’incertezza visiva di Arianna richiamando le vele nere con cui Teseo sta navigando, prefigurazione, come sempre nelle Heroides, inconsapevole del futuro (cf. e.g. Casali [1992], p. 88). Si aggiunga anche il passo da Ov. Her. 18.32 (lumina) aut videt aut acies nostra videre putat (Leandro a Ero; cf. anche v. 29) che pure Knox (1995) cita nella sua nota di commento, stampando però l’emendazione housmaniana del verso ut vidi indignam quae me vidisse putarem: «she simply cannot believe it» (come accade per l’Arianna catulliana, ma cf. Casali [1997a], p. 310). Infine cf. Ov. Met. 9.687-688 Inachis ante torum … / 120 Per questa Arianna ‘visionaria’ cf. e.g. il comm. di Knox ad 10.81 pereundi mille figurae: «death appears to her in the shape of visions»; cf. inoltre Didone in Ov. Her. 7.25 Aeneas oculis vigilantis semper inhaeret modellato su Verg. Aen. 4.83 illum absens absentem auditque videtque; anche altre eroine postovidiane esibiscono tratti ‘visionari’: cf. Deidamia che vede Achille allontanarsi in Stat. Ach. 2.25-26 pendebat coniunx oculisque in carbasa fixis / ibat et ipsa freto, et puppem iam sola videbat.

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aut stetit aut visa est e Trist. 3.10.69 aut videt aut metuit locus hic, quem non videt, hostem. Forse troppo razionalistica la postilla di Housman (1972), p. 399 secondo cui un’Arianna che vede o pensa di vedere la nave di Teseo che si sta allontanando suonerebbe contraddittorio con il seguito, vv. 43-46; al contrario, questo dettaglio contribuisce ancora di più al profilo incerto del suo personaggio, non sempre all’altezza del suo ruolo (neanche di quello intertestuale): cf. l’effetto ironico in putarem121. 32 frigidior glacie semianimisque fui: semianimis ricorre solo qui nelle Heroides. Il rimando d’obbligo è alla morte di Didone in Verg. Aen. 4.686 semianimemque. Arianna, a differenza di altre eroine, non solo non sta (elegiacamente, cf. la sede pentametrica) morendo, ma neppure morirà: l’improprium del modello didoniano carica ancora più parodicamente il lamento di questa eroina ‘sempiterna’. Arianna non rinuncia al modello didoniano (cf. Verg. Aen. 4.519; 604; anche in Ov. Her. 10.119) neppure quando ‘ricorda’ il suo abbandono in Ov. Fast. 3.479480 (a Bacco): quid me desertis morituram, Liber, harenis / servabas? L’aggettivo frigidus in Verg. Aen. 4 compare soltanto al v. 385: … cum frigida mors anima seduxerit artus (con Conte [2002], p. 34 che nota l’enfasi del termine riferito logicamente ad artus, ma unito grammaticalmente a mors). In Her. 10 Arianna trasferisce su di sé il gelo (mortale). Il verso così strutturato, con la combinazione dei due aggettivi virgiliani, sembra ammiccare a un tratto stilistico caratteristico dell’Eneide quale il dicolon abundans – tema / variazione (su cui cf. soprattutto Conte [2002], p. 59). Per le possibili connotazioni erotiche di frigidus (~ viduus) cf. comm. ad 13-14. 33-34 excitor … / excitor: questa epanalessi e quella di 103-104 (fila) sono gli unici esempi di «5/1 expansion» nelle Heroides singole: cf. Wills (1996), p. 134. Riproducono il pattern formale del modello di Cat. 64.132-133 perfide … / perfide.

121 Il verbo putare, con cui le eroine spesso postillano / commentano la loro vicenda mitica, è decisamente ironico anche in bocca a Didone e a Medea: cf. Ov. Her. 7.95 audieram vocem: nymphas ululasse putavi; Her. 12.141 pertimui, nec adhuc tantum scelus esse putabam.

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34 summa Thesea voce voco: = “con voce stridula”; cf. Knox (1995), ad loc. a proposito del pleonasmo voce voco che è già in Enn. Ann. 43 Sk. Summus è aggettivo riferito spesso a voce o suoni (cf. OLD 1869.7ab). Summa voce compare in Hor. Sat. 1.3.7-8 [ab ovo] usque ad mala citaret “io Bacche” modo summa / voce, modo hac, resonat quae chordis quattuor ima (esattamente qui vox = ‘nota’) riferito all’importuno cantore Tigellio e ai suoi virtuosismi ‘bacchici’. 35-36 ‘quo fugis?’ exclamo; ‘scelerate revertere Theseu! / flecte ratem! numerum non habet illa suum’: cf. l’inizio del lamento in Cat. 64.132137 con Knox (1995), ad loc. (cf. anche Armstrong [2006], p. 229: «Ariadne takes a deep breath to speak – to make the speech (Catullus’ speech) again, we assume. But what actually comes from her lips is not the expected impassioned eloquence, but something short, harsh, and scolding in tone»). Sceleratus al posto dei catulliani periurus e perfidus potrebbe essere apostrofe comica (plautina): cf. Armstrong (2006), p. 230 e n. 21. Il fugere (per mare) è una ‘proprietà’ (fin troppo topica) degli amanti che abbandonano le loro amate: cf. Cat. 64.53 immemor at iuvenis fugiens pellit vada remis; 183 quine fugit lentos incurvans gurgite remos?; Verg. Aen. 4.314 mene fugis? (Didone a Enea); 4.565 non fugis hinc praeceps, dum praecipitare potestas? (Mercurio e Enea); cf. anche Aen. 10.649 quo fugis, Aenea? thalamos ne desere pactos (Turno a Enea); Verg. Georg. 4.500 fugit diversa (Euridice); Prop. 2.30.1 quo fugis, a demens? (il poeta che fugge da Amore). Cf. infine comm. ad 39. 36 “flecte ratem!”: Arianna supplica Teseo di volgere indietro la nave qui e in modo identico anche al v. 149 (condenso in questa nota alcune osservazioni sul seguito della lettera). Il verbo flectere in Cat. 64 compare significativamente soltanto ai vv. 136-137 nullane res potuit crudelis flectere mentis / consilium? (~ Verg. Aen. 4.318-319 [Didone a Enea] … istam / exue mentem). Cambiare la direzione della nave e tornare da Arianna equivale in definitiva a cambiare il proprio mentis consilium (= flectere mentem). Ma la mente di Teseo, per statuto, è dominata dalla dimenticanza (cf. il verso catulliano immediatamente precedente [135] immemor a!) e l’Arianna ovidiana fa male a fidarsi troppo della mens di Teseo: cf. Her. 10.135 non oculis, sed, qua potes, aspice mente. Nella sua volontà seduttiva / persuasiva non ha forse ancora messo a fuoco il reale intento di Teseo di abbandonarla per sempre, cosa che appare invece ben chiara all’Arianna catulliana, il cui la-

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mento-maledizione è suggellato dai notissimi vv. “sed quali solam Theseus me mente reliquit, / tali mente, deae, funestet seque suosque” (64.200-201). In Cat. 64 l’amnesia di Teseo è tematizzata e diventa anche la causa delle sue successive sventure, in Her. 10 ce n’è soltanto una prefigurazione ironica in aspice mente (e anche al v. 42): ben più degli occhi, è proprio la mente dell’eroe a essere cieca e a non poter aspicere (coglie una forma di ironia tragica nel passo anche Spoth [1992], p. 90, n. 20). Solo in un’occasione Teseo è tornato indietro: cf. Cat. 64.112-113 inde pedem sospes multa cum laude reflexit / errabunda regens tenui vestigia filo. Qui in 10.36 l’Arianna ovidiana è nuovamente ‘bathetica’ nella sua sollecitazione così pragmatica: flecte ratem! numerum non habet illa suum! numerum: Teseo e lei (cf. vv. 56-57 duo, ambo) o l’equipaggio? Per numerus inteso come ‘gruppo di compagni’ cf. Achemenide in Verg. Aen. 3.623-624 e introduzione cap. 8; cf. anche comm. ad 42 oblitos. In Cat. 64.53 Teseo si allontana cum classe, dove classis non indica necessariamente la flotta, ma anche solo una singola imbarcazione (cf. Fordyce [1990], ad loc.). 37-38 haec ego; quod voci deerat, plangore replebam: / verbera cum verbis mixta fuere meis: per l’omissione del verbum dicendi cf. Ov. Her. 14.67 haec ego; dumque queror, lacrimae sua verba sequuntur; McKeown (1998), p. 95. I gesti successivi (l’ossessivo e iterato battersi il petto) non riscattano di certo questa Arianna così poco ‘catulliana’, smontata ‘batheticamente’ di verso in verso, tanto più che il word-play di verbera verbis è tratto dal linguaggio della commedia: cf. Knox (1995), ad loc.: «the word-play has a slightly comical air» con i passi citati. Cf. anche Verducci (1985), pp. 260-261: «[…] the most improbable – and surely inaudible – timpani section in the entire orchestra of the Ovidian corpus». La successiva Arianna di Ov. AA 1.533 recupererà invece il suo originario SUHYSRQ: clamabat flebatque simul, sed utrumque decebat. Accostando verbera a verbis Ovidio dimostra inoltre (come altrove) di non ignorare la derivazione (pseudo)etimologica di verbum da verber, per la quale cf. Michalopoulos (2001), pp. 173-174. 39 si non audires, ut saltem cernere posses: in Cat. 64 cernere è riferito ad Arianna al v. 57 desertam in sola miseram se cernat harena e a Egeo al v. 236-237 quam primum cernens ut laeta gaudia mente / agnoscam:

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l’Arianna ovidiana (unica occorrenza di cernere qui nelle epistole singole) trasferisce impropriamente su Teseo un ‘tratto’, come quello del ‘vedere’, statutariamente estraneo alla sua ‘cecità’ mitica (Teseo non vede né ciò che riguarda sé, i.e. le vele nere, né l’‘altro’, i.e. Arianna). Questo Teseo che non sente il cri du cœur (si non audires) di Arianna sembra riattivare un ipotesto che va ben aldilà di quello catulliano. Il grido di Arianna in 10.35-36 … scelerate revertere Theseu! / flecte ratem! … ricarica il personaggio epistolare odissiacamente: Arianna sull’isola è una novella Sirena (cf. Od. 12.167 QK VRQ6HLUKYQRLL!Q) che tenta di far ritornare il suo Teseo-Odisseo (di nuovo, cf. comm. ad 1112) da lei: il v. 39 postilla il fallimento dell’ipotesto odissiaco (si non audires), non c’è alcuna forma di allure nel suo ‘canto’. Cf. mutatis mutandis Od. 12.184-185 “GHX UD>JLMZYQSROXYDLQ 2GXVHX (scelerate Theseu), PHYJD NX GR M$FDLZ Q, / QK DNDWDYVWKVRQ (flecte ratem), L^QD QZLWHYUKQR>SDMNRXYVK (si non audires)”. Qui Arianna sembra anticipare (ma questo è un urlo, non una voce melodiosa) l’eterodidassi di Ov. AA 3.311-316: cf. 311-312 monstra maris Sirenes erant, quae voce canora / quamlibet admissas detinuere rates; 315 res est blanda canor: discant cantare puellae (con Gibson [2003], ad loc.: «the Sirens symbolise both erotic seduction and the power of song»). Cf. anche Ov. Rem. 789-790 … illo Sirenas in antro / esse puta; remis adice vela tuis. Saltem è frequente nella costruzione si non … ut saltem: «in the apodosis of conditions» (OLD 1682.1b). 40 iactatae … manus: il participio perfetto itera la serie di descrizioni ‘impersonali’ della gestualità di Arianna: cf. vv. 14-16. Iacto in unione a parti del corpo ha il significato di ‘muovere vigorosamente’ (OLD 814.7a): cf. Prop. 4.8.42 iactabat truncas ad cava buxa manus. 41 candidaque inposui longae velamina virgae: c’è ben più di quello che concede Knox (1995), ad loc.: «white, because it could be more clearly seen, but perhaps (cors. mio) also a reminder of the white sails which Theseus would forget to raise»: cf. infatti Cat. 64.235 candidaque intorti sustollant vela rudentes (sta parlando Egeo). Il monito ‘verbale’ di Egeo è riattivato nel testo ovidiano come monito ‘gestuale’ (Arianna che sventola le vesti bianche, peraltro con esiti fallimentari: 122 Le Sirene, almeno stando a Hes. fr. 28 Merkelbach-West, erano in grado di ammaliare anche i venti, qui invece Arianna ‘mancata’ sirena è vittima di venti crudeli (cf. Her. 10.29).

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Teseo potrebbe ancora salvarsi? Viene prima l’Arianna di Catullo o di Ovidio? Cf. Kennedy [2002], pp. 226-227; ma cf. anche Verducci [1985], p. 261: «a comic parody of the instrument of tragic vengeance in Catullus 64»). Il futuro di Teseo è in qualche modo prefigurato attraverso la riscrittura allusiva (cf. anche la medesima posizione di candida nel verso) delle parole di Egeo. Cf. infine Armstrong (2006), p. 231 e introduzione cap. 7. 42 scilicet oblitos: in Plut. Thes. 19-20, passim, sono menzionati i giovani che Teseo ha liberato a Creta (cf. qui al v. 36 numerus?), ma il testo sembra più che altro ammiccare a Cat. 64.208 (Theseus) consitus oblito dimisit pectore cuncta: è notevole che quest’unica esplicita menzione dell’oblio, anziché essere riferita in modo esclusivo a Teseo, eroe ‘amnesico’ per eccellenza, sia confinata dall’Arianna ovidiana in un plurale ‘anonimo’ che, con il supporto dell’ironico (per noi più che per Arianna) scilicet, gioca con il testo-sorgente catulliano (per l’importanza della memoria in Cat. 64 cf. Paduano-Grilli [1997], pp. 257-258). Un altro famoso scilicet ironico è quello didoniano in Verg. Aen. 4.379-380 scilicet is superis labor est, ea cura quietos / sollicitat. admonitura: per il participio futuro attributivo (con valore relativofinale come al v. 10 prensuras) impiegato usualmente per ragioni di brevità cf. il comm. di Knox (1995), ad 5.59 e Piazzi (2007), ad 7.108. 43 ereptus: eripere si specializza elegiacamente (la ‘sottrazione’ della persona amata): cf. Prop. 2.8.1 eripitur nobis iam pridem cara puella (con Fedeli [2005], ad 1-4); 36 tantus in erepto saevit amore dolor; 2.34.2 sic erepta mihi paene puella mea est; Lygd. 2.1-2. È proprio la sottrazione la generatrice della lacrimosità e dunque del pianto elegiaco: cf. infatti il seguito del verso tum denique flevi (con Hardie [2002], p. 109; cf. anche James [2003], p. 100, n. 6: «the Heroides, in which women weep much and long»). 44 torpuerant molles ante dolore genae: le genae di Arianna (al plurale vale ‘occhi’ a partire, pare, da Prop. 3.12.26 exustaeque tuae mox, Polypheme, genae con Fedeli [1985], ad loc.; un’ulteriore ‘tessera’ ciclopica per Arianna? cf. qui comm. ai vv. 11-12) non hanno ancora versato una lacrima, paralizzate dal dolore (per torpesco cf. OLD 1950.1: «to grow numb, become paralysed»): cf. supra v. 32 frigidior glacie semianimisque fui. Paralisi e gelo (più o meno metaforici) sono peraltro associati

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anche in Sen. Med. 926 … membra torpescunt gelu; Sen. Tro. 624 torpetque vinctus frigido sanguis gelu. Mollis è chiaramente una ‘proprietà’ da occhi elegiaci («so prone to tears» glossa Knox [1995], ad loc.) come dimostra bene Ov. Rem. 340 mollibus est oculis? quod fleat illa, refer con Pinotti (1988), ad loc.: «la ‘iunctura’ molles oculi (cioè «sensibili, facili al pianto») sembra attestata solo qui e in Eleg. in Maec. 2, 13»; ai due passi va pertanto aggiunto anche questo di Her. 10 (gli occhi molles preparano l’‘eccesso’ della lacrimosità dell’eroina, cf. infatti v. 138 e comm. ad loc.; cf. anche l’Arianna di Cat. 64.131 frigidulos udo singultus ore cientem). 45 quid potius facerent, quam me mea lumina flerent: al v. 43 è Arianna stessa a piangere (flevi); a distanza di due versi sono i suoi occhi (lumina è poetico per oculi, cf. e.g. Cat. 64.188 non tamen ante mihi languescent lumina morte) a piangerla. Fin dai versi iniziali della lettera la descrizione impersonale delle parti del suo corpo (membra, pectora, coma, manus) produce un effetto un po’ straniante: cf. comm. ad 15-16 e 40. 46 postquam desierant vela videre tua?: stampo desierant di alcuni recc. contro la lezione desieram di P e  con Rosati (1999), p. 409. Desierant con oculi soggetto non solo dà un senso meno banale, «ben più pregnante e concettoso», ma aggiunge anche un ulteriore dettaglio di impersonalità all’autodescrizione di Arianna dopo i membra, i pectora, la coma, per cui cf. comm. ad 15-16 e supra. 47-50 aut ego diffusis erravi sola capillis / qualis ab Ogygio concita Baccha deo; / aut mare prospiciens in saxo frigida sedi, / quamque lapis sedes, tam lapis ipsa fui: la ‘menadica’ Arianna catulliana (statica però, cf. 64.61 saxea ut effigies bacchantis, prospicit, eheu, con Fordyce [1990], ad loc.: «Ariadne is wild as a maenad but silent and motionless») esce dalla sua immobilità ecphrastica e si anima correggendo questo suo tratto, in qualche modo, ossimorico (cf. anche Tartaglini [1986]). La gestualità di Arianna in Her. 10 è sdoppiata (aut … aut): coesistono l’invasamento (prefigurazione del destino bacchico dell’eroina?)123 e la contemplazione statica di un’orizzonte marino da cui Teseo è ormai scomparso (cf. Armstrong [2006], pp. 97 e 233). A123 Così anche per Fulkerson (2005), p. 32 e n. 33. Ma non è questo ovviamente l’unico punto in cui agisce la prefigurazione del futuro di Arianna (cf. comm. ad 95).

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rianna è elegiacamente sola (v. 47) e frigida (v. 49), ma c’è una forma di elegia ‘ulteriore’ nella sua gestualità: l’eroina siede in riva al mare come la Calipso properziana di 1.15.10-12 desertis olim fleverat aequoribus: / multos illa dies incomptis maesta capillis / sederat … (su cui Properzio ha trasferito una proprietà tipicamente odissiaca: l’eroe che piange in riva al mare trattenuto sull’isola di Ogigia in Od. 5.151-158, in particolare v. 151 HMNDMNWK NDTKYPHQRQ; v. 156 D@PSHYWUKVL NDLKMLRYQHVVLNDTLY]ZQ; v. 156 SRYQWRQHMS’DMWUXYJHWRQGHUNHYVNHWR GDYNUXDOHLYEZQ; per lo smontaggio subito dal testo omerico e il suo nuovo rimontaggio elegiaco – quello di Ulisse in definitiva nel testo omerico non è un dolore elegiaco anche se latentemente può averne tutti i presupposti – cf. Perutelli [1994a], [1994b], pp. 19-21). Cf. anche il ‘protoelegiaco’ Orfeo in Verg. Georg. 4.507-509124; Rosati (1996), ad 18.29-30 (v. 29 rupe sedens aliqua specto tua litora) e la ricezione del passo (non notata da Spaltenstein [1986], ad loc. e forse non debitamente valorizzata da Ariemma [2000], ad loc.) in Sil. 8.83-85 (Anna racconta a Enea la fine di Didone) … ora videre / postquam est ereptum miserae tua, litore sedit / interdum, stetit interdum …; infine Piazzi (2007), p. 53, n. 92. Arianna sta seduta peraltro in un altro passo delle Heroides, quando Fillide abbandonata da Demofonte (guardacaso figlio di Teseo), la menziona in 2.79-80, in un contesto marcatamente ‘dionisiaco’: illa – non invideo – fruitur meliore marito, / inque capistratis tigribus alta sedet. Il futuro di Arianna è forse scritto anche nel sedi di 10.49: il suo lamento da seduta, mutuato dalla gestualità della Calipso properziana, contiene anche la prefigurazione dell’imminente futuro bacchico. Per l’opposizione tra la Baccante seduta, invasata e dormiente da una prospettiva di genere cf. introduzione cap. 8. Per la ‘metamorfosi’ di Arianna in pietra che sviluppa il saxea di Cat. 64.61 (saxo e quamque lapis sedes [con sedes termine piuttosto prosastico: cf. OLD 1725.1a], tam lapis ipsa fui) cf. curiosamente la sorte di Teseo in Paus. 10.29.4: secondo il poeta Paniassi i corpi di Teseo e Piritoo negli Inferi si sarebbero fusi con la roccia sulla quale sedevano: SURVIXK GHDMSRWRX FUZWRDMQWLGHVPZ QVILVLQH>IKWKQ SHYWUDQ.

124 In Ov. AA 2.129 Ulisse e Calipso sono rappresentati entrambi seduti in riva al mare (litore constiterant); Fillide in Ov. Rem. 596 (dopo i furori bacchici dei vv. 593-594) addirittura in harenosa lassa iacebat humo.

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Nonostante l’allure del suo personaggio nell’iconografia tradizionale (Vout [2007], p. 28), qui la nuova Arianna combina una serie di tessere che la privano delle punte di ‘sublimità’ del modello catulliano: addirittura Ogygius (‘vecchissimo’, cf. infra) è detto il dio delle Baccanti, frigida è lei stessa (negazione dell’«erotic import»), un po’ prosaica è la similitudine del suo pietrificarsi (cf. sedes). Per l’effetto parodico prodotto dal raro epiteto Ogygius (“Tebano”, i.e. “antichissimo”: cf. Knox [1995], ad loc.) che ‘corregge’ il catulliano florens di 64.251, cf. Verducci 1985, pp. 251-252 (c’è forse anche l’influenza del nome dell’isola di Ogigia su cui Calipso trattiene Ulisse?). Capillus è termine prosaico (assente nell’epica, anche se Ovidio lo userà nella sua ‘epica’, le Metamorfosi). Nell’elegia si trova sempre in fine di verso (cf. Michalopoulos [2006], p. 145). 51-55 torum, acceperat, vestigia, incumbo, lacrimis: cf. Verg. Aen. 4.649-652 (Didone) … paulum lacrimis et mente morata / incubuitque toro dixitque novissima verba: / “dulces exuviae, dum fata deusque sinebat, accipite hanc animam … ”. La ricezione della ‘parola’ didoniana da parte di Arianna non può se non essere parodica: quelli di Didone sono infatti i novissima verba pronunciati nel momento estremo della morte. Per il torus che acceperat cf. anche Ov. Her. 6.20 (barbara) in mihi promissi parte recepta tori. Per il rapporto tra il torus e il modello catulliano cf. comm. ad 13-14. Per l’influenza della tragedia greca e della narrativa ellenistica sul gesto di Arianna che si getta sul letto cf. Knox (1995), ad loc. 52 non acceptos exhibiturus erat: exhibere è tratto dal linguaggio giuridico e riferito all’atto di presentare (produrre) un oggetto o una persona nel corso di una disputa (con Knox [1995], ad loc.). Secondo una versione del mito, almeno inizialmente l’amore tra Arianna e Teseo aveva suscitato l’ira di Minosse: cf. Apoll. Rhod. Arg. 3.1000 (con la nota di Paduano-Fusillo [2004], p. 497) HMMSHLFRYORQHX>>QDVH0LYQZ. 53 vestigia: le tracce lasciate da Teseo sul torus analoghe a quelle dell’amante in Ov. Am. 1.8.97 ille viri videat toto vestigia lecto. 54 strata: la coperta; cf. nota ad v. 58. intepuere: il diventare caldo delle coperte a contatto con il corpo di Teseo (membris tuis, ablativo strumentale) può avere anche un sovrasenso

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amoroso: cf. infatti OLD 938.1b: «to grow warm (with love)» e Stat. Theb. 5.113-114 … cui coniuge pectus / intepuit? (peraltro anche membra possiede un’accezione erotica, per cui cf. il famoso Ov. Am. 3.7.65). L’assenza elegiaca di Teseo determina il ‘raffreddamento’ fisico di Arianna (cf. vv. 32 e 49). 55 incumbo: usato assolutamente (ma si può sottintendere toro immediatamente contiguo nel verso; cf. Ov. Her. 15.149 incubui tetigique locum). lacrimis … profusis: per la lacrimosità come marchio elegiaco (e generatore di poesia elegiaca) cf. comm. ad 44 e 138. 56-57 duo … duos / … ambo … ambo: la dualità della coppia elegiaca emerge da questo iterato parallelismo pronominale; cf. introduzione cap. 7; Knox (1995), ad loc. e comm. infra. 58 perfide … lectule: il perfide di catulliana memoria (cf. Cat. 64.133 perfide … Theseu) è trasferito per enallagen al lectulus che ha accolto i due amanti sull’isola di Nasso (questa è peraltro l’unica occorrenza di perfidus in Her. 10: cf. Armstrong [2006], p. 234: «she never directly uses against him this [Catullan] word of abuse which in her later Ovidian incarnations comes to function as shorthand for her speech of indignation»). Ma qui confluisce anche un altro rivolo di intertestualità catulliana: quello infatti che per due volte Arianna aveva chiamato torus (vv. 14 e 55) al v. 56 quasi per una regressione infantile – parodica – ridiventa (aldilà delle possibili implicazioni elegiache: cf. e.g. Prop. 2.15.2 lectule deliciis facte beate meis!) il lectulus (solo qui nelle Heroides) dell’Arianna bambina cresciuta negli appartamenti materni prima dell’arrivo di Teseo: cf. Cat. 64.87-88 … quam suavis exspirans castus odores / lectulus in molli complexu matris alebat (cf. anche Lyne [1978], p. 282). Per il letto come depositario di confessioni amorose cf. Ov. AA 2.703 conscius, ecce, duos accepit lectus amantes con Janka (1997), ad loc. Quella di Arianna è la paura tipicamente elegiaca dell’horror vacui lecti. Cf. anche Spoth (1993), p. 242. Qui il letto è definito perfidus in quanto fraudolento depositario della fiducia di Arianna: l’aggettivo è infatti costruito sulla locuzione per fidem decipi. pars nostri … maior ubi est?: l’espressione apparentemente di grado zero pars nostri maior (per cui cf. Knox [1995], ad loc.: «familiar phra-

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se for a close relationship»; cf. Hor. Od. 2.17.5 “te meae … partem animae”; Ov. Met. 8.405-406 “o me mihi carior … / pars animae consiste meae”) prefigura verosimilmente il futuro ‘bacchico’ dell’eroina: la pars maior non tarderà infatti ad arrivare (per maior riferito a divinità cf. OLD 1065.6)125. Cf. anche Nonn. Dion. 47.439-445 (Bacco parla ad Arianna), in part. 439 DLMTHYURRXMMNHMUHYHLR^WLP PHLY]RQHYHLMVLQ M$TK QDL; 444-446 RMOELYKR^WWL OLSRX VD FHUHLYRQD 4KVHYR HXMQKQ / GHYPQLRQL-PHURYHQWRHMVDTUKYVHL'LRQXYVRX / WLYSOHYRQ K>THOH HX?FR X-SHYUWHURQBAnche la coperta (strata, v. 54) avrà un destino ‘dionisiaco’: cf. Apoll. Rhod. Arg. 4.430-434 (il peplo che Ipsipile donò a Giasone e su cui giacquero Dioniso e Arianna) WRX GHNDLDMPEURVLYKRMGPK PHYQHQ HM[HYWL NHLYYQRX … : l’Arianna ovidiana tocca gli strata ancora caldi del corpo di Teseo, senza sapere però che proprio su quegli strata si unirà a Bacco. Cf. Ov. AA 1.556 (parla Bacco) “Pone metum: Bacchi, Cnosias, uxor eris” e 564 sic coeunt sacro nupta deusque toro. C’è un alto tasso di prefigurazione ironica anche in 10.56-57 “pressimus … te duo: redde duos! / venimus huc ambo: cur non discedimus ambo?”: la coppia (duo, ambo), una nuova coppia, sarà presto ricomposta, ma quello di Arianna più che un discedere sarà un ascendere. 59 quid faciam? quo sola ferar?: questa formula di lamento è particolarmente topica: cf. la Medea euripidea (Med. 502 QX QSRL

WUDYSZPDLB), quella di Ennio (Med. fr. 104 J. quo nunc me vortam?), l’Arianna catulliana (64.177 nam quo me referam?), la Didone virgiliana (Aen. 4.534 quid ago?); tutte queste eroine a vocazione più o meno ‘tragica’ si lamentano analogicamente (la Medea ovidiana sa invece bene da che parte andare: cf. Her. 12.209 quo feret ira, sequar! che vuole essere, in definitiva, il segnale della riappropriazione della sua ira tragica, con Bessone [1997], ad loc.). Proprio quella che si rivelerà la ‘meno’ sola tra le varie eroine (anche iconograficamente, cf. comm. ad 123) rincara, con effetto parodico, il lamento: quo sola ferar? Per l’uso di sola in Her. 10 cf. Bolton (1994), in part. pp. 47-48. 125 Quasi ‘transitivamente’ anche Arianna sarà destinata a diventare maior: cf. Ov. Her. 6.115-116 (parla Ipsipile, nipote di Arianna) Bacchus avus; Bacchi coniunx redimita corona / praeradiat stellis signa minora suis. Cf. anche McNally (1985), p. 159 sul nome Arianna: «scholars have generally considered it to be originally an epithet rather than a name: the epithet of a goddess, presumably a great goddess». Il diventare maior è, peraltro, anche una ‘proprietà’ dell’apoteosi: cf. Ov. Met. 9.268-270 (Ercole) sic ubi mortales Tirynthius exuit artus, / parte sui meliore viget, maiorque videri / coepit …

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Per il modello plautino di Palestra (201 ego nunc sola sum) cf. introduzione cap. 6 (II). L’attacco del lamento, preparato peraltro dalle lacrime del v. 55, è impostato secondo le convenzioni del desperation speech, per cui cf. soprattutto le pagine di Fowler (1987). Cf. anche comm. ad 75-76. vacat insula cultu: cf. Cat. 64.184 praeterea nullo colitur sola insula tecto con colitur correzione di Palmer per il tradito litus (con Fordyce [1990], ad loc.). 60 non hominum video, non ego facta boum: cf. Od. 10.98 RX>WHERZ QRX>W’DMQGUZ QIDLYQHWRH>>UJD con Barchiesi (1986), p. 97. Odisseo, approdato su una terra sconosciuta, sceglie un punto di osservazione privilegiato: cf. 10.97 H>VWKQGHVNRSLKQHMSDLSDORYHVVDQ DMQHOTZYQ. La sua ricognizione dall’alto gli permette di constatare che la terra non è coltivata né da uomini né da buoi (v. 98): è il paese dei Lestrigoni. Questa ‘citazione’ non è solo un inerte furto letterario, ma prepara una forma di intertestualità odissiaca che agisce estesamente sui vv. 60-66 (anche se Arianna non è all’altezza del modello epico che produce qui un effetto parodico); nel consilium salutis Arianna si appropria infatti nuovamente del modello odissiaco: cf. v. 63 finge dari comitesque (gli H^^WDURL di Od. 10.100? cf. anche Appendice) mihi ventosque ratesque per poi però concludere ‘antiodissiacamente’ (v. 66): exul ero (cf. invece il successo della fuga per mare di Odisseo con i compagni sopravvissuti in Od. 10.128-132). Anche la successiva menzione di Eolo in 10.66 temperet ut ventos Aeolus – aldilà di una sua prevedibile topicità – sembra ‘dialogare’ con il testo odissiaco se consideriamo che l’episodio immediatamente precedente a quello dei Lestrigoni in Od. 10 è proprio quello di Eolo e dei venti liberati dall’otre (cf. vv. 1-75). L’ipotetico QRYVWR di Arianna (compagni e venti inclusi) è costruito su quello ‘odissiaco’ e questo innesca l’ironia; cf. anche introduzione cap. 8 (nei vv. 63-70 al modello odissaco si sovrappongono anche tessere euripidee da Med. 502-505 per cui cf. Knox [1995], ad loc.). Cf. anche Cat. 64.168 nec quisquam apparet vacua mortalis in alga che in nec quisquam mortalis cela una forma di prefigurazione ironica dell’imminente futuro (Bacco). 61 omne latus terrae cingit mare: per il mare come ostacolo e generatore del lamento elegiaco (analogamente alla porta; cf. Fowler [2000], p.

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160) cf., oltre a Cat. 64.178-179 … at gurgite lato / discernens ponti truculentum dividit aequor (qui, tuttavia, senza connotazioni amorose), Ov. Her. 18.125 (Leandro a Ero) … cur animis iuncti secernimur undis? navita nusquam: assume qui contorni indefiniti (ma allusivi) il navita di Cat. 64.174 che non a caso è Teseo: (utinam ne) perfidus in Cretam religasset navita funem. Il termine è arcaismo / poetismo per nauta: cf. Knox (1995), ad 6.48. 62 puppis itura: per il valore del participio futuro cf. comm. ad 42. per ambigus vias: cf. Ov. Her. 16.21-22 dubias … / … vias; cf. anche Her. 7.116 duras (dubias? ) … vias con Battistella (2007), in part. p. 189. 63 finge dari comitesque mihi ventosque ratemque: per le implicazioni odissiache del verso cf. comm. ad 60; cf. anche Cat. 64.186 nulla fugae ratio. Fingere è propriamente termine da consilium salutis: cf. Petr. 101.7 fingite … nos antrum Cyclopis intrasse. Quaerendum est aliquod effugium, nisi naufragium ponimus et omni nos periculo liberamus. In entrambi questi consilia salutis il testo odissiaco (più o meno esplicitamente e ironicamente) diventa il referente contenutistico e situazionale privilegiato, mediato poi dalla terminologia retorica delle declamazioni (fingere; cf. Ferri [1988], p. 312; Knox [1995], ad loc; cf. anche Ov. Trist. 1.2.57 fingite me dignum tali nece). Con valore ‘speculativo’ finge compare, sempre in posizione incipitaria, anche in Ov. Her. 14.163 finge viros meruisse mori. 64 quid sequar?: sequor qui è usato nell’accezione di OLD 1742.15 («to make for, to be bound») come anche in Ov. Her. 7.9-10 certus es, Aenea, … / Itala regna sequi? detto di Enea con l’illustre antecedente di Verg. Aen. 4.361 Italiam non sponte sequor (cf. anche 4.381 i, sequere Italiam ventis … con Piazzi [2007], ad loc.). Arianna non resiste alla tentazione, in più di un punto della sua lettera (cf. comm. ad 7-8; 136 e Appendice), di ‘guardare’ al modello eneadico (qui quasi che sequor investisse del peso di una missione anche il suo mettersi per mare) anziché a quello più, in qualche modo, compatibile e prevedibile di Didone. Per questo uso poetico di sequor cf. infine il proemio di Val. Flacc. Arg. 1.2-3 (ratis) Scythici quae Phasidis oras / ausa sequi (con Kleywegt [2005] e Zissos [2008], ad loc.).

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65-66 ut … labar, / temperet ut: ut con valore concessivo (‘anche se’) è particolarmente usato in poesia da Ovidio: cf. Knox (1995), ad 1.116. Quello del secondo ut è un caso frequente di anastrofe della preposizione che, consentendo una certa flessibilità dell’ordine delle parole nella frase, risolve le difficoltà metriche. L’immagine della nave che scivola (labor) sul mare (per aequora) è tradizionale: cf. OLD 990.1a (a partire, ovviamente, dal celebre Enn. Ann. 505 Sk. labitur uncta carina per aequora cana celocis). Qui l’immagine viene variata e personalizzata: è Arianna stessa a scivolare (labar) sull’acqua del mare. 66 temperet ut ventos Aeolus, exul ero: per Eolo cf. comm. ad 60. L’Arianna ovidiana stabilisce la sua definitiva condizione futura di exul senza lasciare spazio al dubbio come in Cat. 64.180 an patris auxilium sperem? (peraltro in Catullo il termine non compare mai). Il suo personaggio non è estraneo a queste estremizzazioni; sul suo esilio agisce con buona probabilità la traccia del modello (invasivo e tempting per molte eroine) di Medea, l’‘archieroina’ dell’esilio, per cui cf. e.g. Battistella (2007), p. 185 – qui analizzato in relazione a Didone (su cui diffusamente cf. Nelis [2001], pp. 125-135). Cf. anche comm. ad 69-70. Un altro exul accentuatamente iperbolico è quello di Ipermestra in Ov. Her. 14.129 con Reeson (2001), ad loc. L’esilio di queste eroine prepara in qualche modo il terreno (letterario) alla successiva grande stagione della poesia ovidiana dell’esilio (cf. e.g. Galasso [1995], p. 46). 67-68 non ego te, Crete, centum digesta per urbes, / aspiciam, puero cognita terra Iovis: è abbastanza sorprendente (e forse anche bathetica) questa nostalgia di Arianna per la sua terra considerato che omnibus his Thesei dulcem praeoptarit amorem (Cat. 64.120). Per Creta topicamente designata come H-NDWRYPSROL (a partire da Omero) cf. Knox (1995), ad loc. (cf. e.g. Ov. Met. 9.666 … centum Cretaeas … urbes). Digestus con per + acc. vale ‘disposto, organizzato in’. La menzione di Giove bambino si riferisce chiaramente al suo occultamento sul monte Ditte per sfuggire a Crono (cf. Hes. Theog. 453-480); «Ovid makes it a commonplace in describing the island» glossa Knox (1995), ad loc. richiamando Ov. Her. 4.163; Am. 3.10.20; Met. 8.99. L’impressione, aggiungerei, è che Ovidio abbia ‘epitetizzato’ anche il secondo riferimento mitologico accostandolo a quello, molto più tradizionale, delle cento città di ascendenza omerica.

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La formulazione non ego te, Crete, … / aspiciam richiama quella di Cat. 65.10-11 numquam ego te, vita frater amabilior, / aspiciam posthac? (cf. l’identica posizione incipitaria di aspiciam). 69-70 nam pater et tellus iusto regnata parenti / prodita sunt facto, nomina cara, meo: iusto parenti (qui dativo d’agente come sempre in presenza di regnatus con valore passivo, cf. OLD 1600.1b) corregge, dal punto di vista di Arianna, il modello catulliano di 64.75 iniusti regis Gortynia templa con Knox (1995), ad loc. (ma cf. anche, a breve distanza, [64.85] magnanimum Minoa): nel momento dell’abbandono tutto (l’isola, il padre, il fratello) viene in qualche modo ‘riabilitato’. In nomina cara potrebbe agire, come anche più estesamente nel resto del verso, la memoria di Eur. Med. 31-32 DXMWKSURDX-WKQSDWHYU’ DMSRLPZY[KLIILYORQ / NDLJDL DQRL>NRXT’RX`S SURGRX V’DMILYNHWR (con risemantizzazione ‘affettiva’ di ILYOR); cf. anche Eur. Med. 502-503 e Apoll. Rhod. Arg. 3.1106-1108 con Hunter (1989), ad loc. Difficilmente difendibile at di P G all’inizio del v. 69 (qui stampo nam che è nei recc.). 71 tecto … recurvo: il Labirinto (cf. sempre nelle Heroides 4.60 [Fedra] curva … tecta). Cf. la formulazione callimachea in Hymn. in Del. 311 JQDPSWRQH^GRVNROLRX ODEXULYQTRX con Mineur (1984), ad loc. Stando a D1P 6.1037, il termine labirinto significa ‘casa del bipenne’ (tectum qui vale ‘casa’, ‘palazzo’). Cf. anche Cat. 64.114-115 … labyrintheis e flexibus egredientem / tecti …; Verg. Aen. 6.27 hic labor ille domus et inextricabilis error. victor: ha valore predicativo rispetto al soggetto (‘in qualità di vincitore’, ‘dopo aver vinto’). 72 quae regerent passus: relativa con valore finale; regere è anche in Cat. 64.113 errabunda regens tenui vestigia filo; Verg. Aen. 6.30 caeca regens filo vestigia. 73-74 tum mihi dicebas: ‘per ego ipsa pericula iuro, / te fore, dum nostrum vivet uterque, meam’: stampo tum di alcuni recc. al posto di cum di P G che si è presumibilmente generato dal precedente cum del v. 71. Arianna ‘riproduce’ qui la vox di Teseo: cf. Cat. 64.139-140 at non haec quondam blanda promissa dedisti / voce mihi. I giuramenti del Teseo catulliano (64.140: conubia laeta, optatos hymenaeos) in Her. 10 ‘si specializzano’ elegiacamente: Teseo parla infatti, anzi giura (cf. ov-

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viamente già Cat. 64.143 nunc iam nulla viro iuranti femina credat) come un amante elegiaco per cui cf. Prop. 1.8.26 illa futura mea est; nella stessa elegia cf. anche v. 42 … Cynthia rara mea est!; v. 44 sive dies seu nox venerit, illa mea est!; Ov. Am. 1.3.17-18 tecum, quos dederint annos mihi fila sororum, / vivere contingat teque dolente mori!; v. 26 iunctaque semper erunt nomina nostra tuis. Nel nostro verso si noti anche la posizione di te e meam che, contenendo il verso, intensificano l’illusione dell’inseparabilità. Cf. anche il comm. di Fedeli (2005), ad Prop. 2.8.6; cf. inoltre Apoll. Rhod. Arg. 3.1129-1130 … RXMG’D>PPH GLDNULQHYHL ILORYWKWRD>OOR SDYUR / TDYQDWRYQ JH PHPRUPHYQRQ DMPILNDOXY\DL. Questo tratto elegiaco ‘costruito’ da Arianna per Teseo (il modello catulliano è invece connotato in senso più nuziale126) produce una sorta di anomalia all’interno del nuovo sistema elegiaco delle Heroides in cui «la voce elegiaca affidata alla donna può esprimere apertamente la sua adesione al sistema etico tradizionale (ai valori … della sanctitas del matrimonio)»: cf. Rosati (1992), p. 85. Il modello catulliano appare quasi più elegiaco (nel senso, appunto, della nuova elegia femminile delle Heroides) di Her. 10 (cf. anche Cat. 64.158 conubia nostra; 64.182 coniugis … amore). Il verso tum mihi dicebas riattiva inoltre la memoria di Cat. 72.1-2 dicebas quondam solum te nosse Catullum, / Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem (cf. il vocativo Theseu a breve distanza in 10.75). A parlare come Catullo non è l’Arianna catulliana (per l’assimilazione Arianna-Catullo cf. Glenn [1980], p. 114), ma quella ovidiana: cf. introduzione cap. 6 (I). Per i vv. 71-74 cf. Knox (1998), p. 82. Per la bipolarità scritto (la lettera di Arianna) / orale (le parole di Teseo) cf. Farrell (1998), p. 329: «the women of the Heroides delineate a clear polarity between men, speech, and deception on the one hand, and women, writing, and honesty on the other». L’ordine delle parole per ego ipsa pericula iuro è ricorrente in giuramenti e preghiere (e.g. Verg. Aen. 4.314-319 … per ego has lacrimas dextramque tuam te / … / oro …; analogo ordine in greco con Knox [1995], ad loc.): il pronome non accentato segue immediatamente il per tonico (cf. OLD 1327.10b).

126 Peraltro coniunx riferito ad Arianna in Ovidio compare una sola volta e non in associazione a Teseo, ma a Bacco: cf. Her. 6.115 … Bacchi coniunx redimita corona (cf. anche Her. 2.79 [sempre Arianna e Bacco] illa … fruitur meliore marito). Arianna in Her. 10 allude a una promessa nuziale solo al v. 92 … quae tibi pacta fui.

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75-76 vivimus, et non sum, Theseu, tua, si modo vivit / femina periuri fraude sepulta viri: stampo vivit di 9che dà un ottimo senso al posto del pur unanimamente tradito vivis mantenuto da Dörrie (forse generato, per trascinamento, della seconda persona del vocativo Theseu). Per il v. 75 cf. Verg. Georg. 4.498 (Euridice a Orfeo) … heu non tua … : l’immediata contiguità del vocativo Theseu, del pronome tua e anche della negazione non sembrano riattivare la memoria fonica del passo virgiliano (-eu di Theseu quasi come il sospiro di Euridice heu). Theseu è peraltro la parola mediana del v. 75 che, a sua volta, si colloca alla metà dell’epistola (150 vv.): sui luoghi marcati nell’architettura delle epistole cf. Barchiesi (1992), pp. 245-248 (quanto all’incipit, l’epistola si apre con mitius che, con gioco bilingue, allude al filo di Arianna: cf. comm. ad loc.). Per fraus cf. e.g. Prop. 2.20.3 quidve mea de fraude deos, insana, fatigas? con il comm ad loc. di Fedeli (2005): «le fraudes nel lessico amatorio sono gli inganni in amore, mentre la fides del v. 4 rinvia, naturalmente, al giuramento di fedeltà su cui si fonda il foedus amoris». Per inciso fides compare a breve distanza anche nel testo di Her. 10, al v. 78; cf. anche Prop. 2.9.31-32 sed vobis facile est verba et componere fraudes / hoc unum didicit femina semper opus: nell’elegia epistolare ovidiana il topos diventa reversibile e viene trasferito dalla donna all’uomo (cf. Rosati [1992], pp. 92-93); questa Arianna ‘sepolta viva’ (vivit … sepulta prepara in quache modo i sepulcra di 10.124, ma forse si riferisce anche alla ‘sepoltura’ avvenuta nella mente dell’immemor Teseo) sembra rovesciare il didicit di Prop. 2.9 dalla nuova prospettiva dell’elegia al femminile. Nei passi properziani citati le fraudes sono inevitabilmente connesse al sospetto di tradimento come vuole il codice elegiaco: in Her. 10 Arianna non accenna mai (neanche in Cat. 64; cf. invece l’ultima Arianna ovidiana di Fast. 3.474 … eadem crimina Bacchus habet) a un possibile tradimento da parte di Teseo, ma fraus è termine ben connotato in questo senso e del resto il testo delle Heroides vive di un alto tasso di allusività oltre che dell’‘inconsapevolezza’ delle eroine; anche Teseo è, in definitiva, un amante fedifrago perfettamente in linea con il codice della sintassi amatoria, cf. infatti Hes. fr. 288 Merk.-West GHLQRJDUPLQH>WHLUHQH>UZ 3DQRSKL"GR$L>JOK, per amore della quale WRXSURM$ULDYGQKQ R^UNRXSDUHYEK; Plut. Thes. 20.1; Nonn. Dion. 47.373-374 RL?GDSRYTHQ PHOHYORLSHPLK WDYFDSDUTHQLNDYZQ / VXYPSORRQH>VFHQH>UZWD .

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Per le eroine ovidiane che rivendicano topicamente la loro appartenenza all’amato lontano cf. e.g. Ov. Her. 1.83-84 … tua sum, tua dicar oportet / Penelope coniunx semper Ulixis ero; 5.158 et tua, quod superest temporis, esse precor. Periuri sembra combinare, con esito semantico polare, gli elementi grammaticali del v. 73 per + iuro. Il venir meno alle promesse fatte è già ossessivamente in Cat. 64.135 … devota domum periuria portas?; 143 nunc iam nulla viro iuranti femina credat; 146 nil metuunt iurare …; 148 … nihil periuria curant. La disposizione nel verso di femina periuri e sepulta viri produce un effetto di parallelismo. Si noti anche la costruzione del verso incorniciato da femina e viri con fraude in posizione mediana: quasi una piccola summa dell’amore elegiaco. Sulla non vivibilità della vita (DMELYZWR) nei desperation speeches, cf. Fowler (1987), pp. 14 e 27. 77 fratrem: chiamare fratello il figlio innaturale e mostruoso di Pasifae è una Pathetisierung, come germanum in Cat. 64.150 (cf. anche 181 fraterna caede). L’assimilazione a Medea è abbastanza immediata: cf. Ov. Her. 6.129-130 spargere quae fratris potuit lacerata per agros / corpora; 12.113 at non te fugiens sine me, germane, reliqui. L’ordine delle parole nel verso è iperbatico e confuso, quasi emozionale (secondo la corrispondenza tipica nella poesia classica tra ordine delle parole e situazione descritta; cf. Michalopoulos [2006], pp. 7174). mactasses: la forma sincopata è un tratto colloquiale frequente (cf. anche v. 101); macto è mutuato dalla terminologia del sacrificio e non a caso la vittima è un uomo per metà toro. Il suo uso («strong word» postilla Knox [1995], ad loc.) si spiega sempre dalla prospettiva della Pathetisierung per cui cf. supra (suggerisce anche che la vittima è in un certo senso – paradossalmente qui – inerme: cf. Piazzi [2007], p. 234). clava: in origine Teseo uccideva il Minotauro con la spada; per la progressiva assimilazione di Teseo a Ercole cf. Knox (1995), ad loc.; Heslin (2005), pp. 90-91; cf. anche Ov. Her. 4.115-116 (Fedra) ossa mei fratris clava perfracta trinodi / sparsit humi … . La clava ritorna al v. 101 con stipite nodoso. 78 fides: il giuramento di fedeltà: cf. comm. ad 75-76.

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79-80 nunc ego non tantum quae sum passura recordor / sed quaecumque potest ulla relicta pati: Palmer, pur stampando i due versi, nel commento li definisce «otiose» e non li ritiene autentici. Knox (1995) li espunge (cf. anche Tarrant [1985], p. 75, n. 4), ma cf. Rosati (1999), p. 409: «… espungere con Palmer il distico significa ‘uccidere’ la poetica delle Her. e riportare indietro di molti decenni la discussione critica sulle epistole ovidiane» (cf. anche n. 17). Il v. 79 nunc ego non tantum, quae sum passura, recordor è stato sospettato di corruzione (cf. Rosati [2005b], p. 162, n. 10) per la costruzione non attestata di un verbo di memoria come recordor con un participio futuro (cf. anche Reeve [1973], p. 327 che corregge il tradito sed in et): da qui alcuni tentativi di correzione come quelli di Burmann quae sum modo passa o Palmer quae sum perpessa. In realtà il ripristino grammaticalmente impeccabile di un tempo passato in dipendenza da recordor finirebbe per appiattire non solo il senso di questi versi, ma tutta la poetica che c’è, appunto, dietro al testo di questa eroide. Arianna sembra fondare qui, nei panni della protoeroina abbandonata (relicta è chiaramente parola tematica), le basi del suo mito quasi a volerlo ‘autorizzare’ in tutti gli altri testi ‘futuri’, oltre che a volerlo eleggere come modello per ogni altra relicta (per questo concetto di «myth-formation» nelle Heroides fondamentali le pagine di Kennedy [2002], soprattutto pp. 226-227; un po’ diverso il punto di vista di Barchiesi [1986], p. 98: «Arianna >evidentemente istruita dalla traccia ovidiana@ scopre sé stessa parte di un paradigma della donna abbandonata»; cf. anche Spentzou [2003], p. 29; Fulkerson [2005], p. 139 «Ovid’s Ariadne seeks to establish Heroides 10 as the new exemplary text for abandoned women»). L’ǥoscillazione’ tra un ‘ricordo’ e un ‘patirò / sto per patire’ è, penso, sintomatica di due piani testuali e temporali che si intrecciano indissolubilmente: l’eroina che ricorda è quella ovidiana / post-catulliana che – inevitabilmente – legge ‘altrove’ le sue vicende e le ricorda (‘recuperando’ relicta da Cat. 64.133 liquisti?), quella che patirà è invece quella ovidiana / precatulliana che viene prima di ogni testo e su cui si modelleranno le eroine future. Ovidio ha liberato Arianna dalla sua prigione ecphrastica e, pur con risultati discutibili (cf. introduzione cap. 4), l’ha resa un’eroina scrivente, caricandola anche dell’ambizione di situarsi testualmente prima della sua antentata catulliana (cf. il perhibent di Cat. 64.124-125 saepe illam perhibent ardenti corde furentem / clarisonas imo fudisse e pectore voces).

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81-98 questi versi hanno suscitato diversi dubbi sulla loro genuinità: cf. Reeve (1973), p. 332 che propone di espungere 86-95 segnando una lacuna di incerta estensione: «this passage is a bigger mess than any other of comparable length in the Heroides»; Tarrant (1985), pp. 73-75. Barchiesi (1986), pp. 95-102 ha invece dimostrato convincentemente come ci siano buoni motivi per difenderli nonostante la presenza di alcune corruttele: «non sarei d’accordo nel mescolare troppo singole corruttele e problemi di autenticità. È un intreccio di problemi assai pericoloso: in una tradizione sostanzialmente infame come quella delle Heroides, una singola crux in un brano di quindici versi non desta scandalo e, soprattutto, non sembra da mettere sullo stesso piano con difficoltà di altra natura» (p. 97). L’enumerazione dei pericoli è preparata da occurrunt animo pereundi mille figurae: si stanno per affastellare nell’animus dell’eroina infiniti timori, la cui natura retorica e fittizia è in qualche modo già resa esplicita attraverso il termine figurae (~ VFKYPDWD, con Barchiesi [1986], pp. 98-99; cf. anche comm. ad 89-90). 81 occurrunt animo pereundi mille figurae: qui e ai vv. 93 e 95 sembra esserci un sostrato testuale lucreziano per cui cf. Lucr. 4.779-783 (su ciò che la mente pensa e l’effettiva riproduzione dell’idea) quaeritur in primis quare, quod cuique libido / venerit, extemplo mens cogitet eius id ipsum. / Anne voluntatem nostram simulacra nostra tuentur / et simul ac volumus nobis occurrit imago, / si mare, si terram cordist, si denique caelum? Pereo ha il significato di ‘morire’, ma il termine nell’elegia (già peraltro nei suoi trascorsi comici) si specializza nel senso di ‘morire d’amore’ (cf. e.g. Bessone [1997], p. 104: «l’iperbolico perire in riferimento alle sofferenze d’amore è caro al linguaggio della poesia d’amore»; Navarro Antolín [1996], p. 191; OLD 1336.4): Cat. 45.5 quantum qui pote plurimum perire; Verg. Ecl. 8.41 ut vidi, ut perii … ; Ov. Her. 12.33 et vidi et perii nec notis ignibus arsi; Ov. Rem. 1516 at si quis male fert indignae regna puellae, / ne pereat, nostrae sentiat artis opem (con Pinotti [1988], ad loc.); Ov. Her. 4.86. In Her. 10 la preoccupazione di Arianna è di non morire, non di non morire d’amore: lo struggimento amoroso dei vv. precedenti viene rimpiazzato dall’istinto di sopravvivenza e l’elegia, con lo scarto semantico di perire, viene messa in secondo piano. 82 mors … mora mortis: all’effetto allitterante (anche minus) si aggiunge il poliptoto, peraltro particolarmente frequente in Ovidio (cf. Micha-

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lopoulos [2006], p. 61; Piazzi [2007], p. 148). Questo tratto stilistico (di basso registro) è anche in Catullo, cf. e.g. 99.2 dulci dulcius, 14 tristi tristius. Mora mortis è sintagma già virgiliano (riferito per due volte a Turno), cf. Aen. 10.622 si mora praesentis leti tempusque caduco; 12.74 … neque enim Turno mora libera mortis. Per l’effetto paronomastico di mors e mora cf. infine Roussel (2008), p. 131. 83 iam iam: ‘in ogni momento’. La forma avverbiale (prime attestazioni in Plauto, e.g. Curc. 707) esprime l’imminenza dell’azione (cf. Cat. 62.52; Verg. Aen. 2.530 con Austin [1955], ad loc.: «the action involved is so nearly a fact that it seems to have happened already»). 84 qui lanient avido … dente lupos: avidus è riferito per enallagen a dens anziché a lupus. Un’immagine simile è in Ov. Trist. 1.1.78 excussa est avidi dentibus agna lupi. Lupo e amator compaiono in associazione anche in Hor. Od. 1.22.9-12. Il congiuntivo lanient attribuisce una sfumatura finale alla relativa (‘pronti a dilaniare’). Laniare non è un verbo molto frequente in poesia, ma in Ovidio le occorrenze sono numerose: cf. Piazzi (2007), ad 7.175. 85 forsitan et fulvos tellus alat ista leones: cf., come supra, Hor. Od. 1.22.15-16 nec Iubae tellus generat, leonum / arida nutrix (e v. 14 alit). I leoni non compaiono in Cat. 64, ma cf. 63.87-88 (il leone attacca Atti): at ubi umida albicantis loca litoris adiit, / teneramque vidit Attin prope marmora pelagi. Qui tellus è impiegato come iponimo di terra. In generale tellus indica precisamente la superficie del suolo, mentre terra ha un significato più cosmologico: tuttavia tra i due termini spesso l’opposizione si perde e sono usati come sinonimi (cf. Fry [di prossima pubblicazione], ad Lucr. 5.926). Forsitan costruito con il congiuntivo è ben attestato (l’origine composta della parola è ancora percepita: forsit + an): cf. OLD 725a; Ernout-Meillet (1985), p. 249; Fruyt (2008), p. 59. 86 quis scit †an et haec tigrides insula habet†?: così trasmette il verso P (cf. l’apparato di Dörrie, la trasmissione è abbastanza tormentata), mentre quis scit an haec saevas tigridas insula habet? è in G . Il verso è problematico a cominciare dalla metrica (sinalefe tra penultimo e ultimo piede, insula e habet), per cui cf. Platnauer (1951), pp. 87 e 90: tre sono i passi elegiaci in cui è riconosciuta la sinalefe, il quarto (questo di 10.86) sembra invece «palpably corrupt». Anche grammaticalmente il

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verso non è sicuro per la costruzione di an con l’indicativo. Metodologicamente, però, non è condivisibile la scelta di Knox (1995) di mettere a testo gli emendamenti di Heinsius quis scit an et saeva tigride Dia vacet? come osserva Casali (1997a), pp. 307-308. Per ammissione dello stesso Knox, Arianna non conosce il nome dell’isola (neppure in Cat. 64.184 praeterea nullo colitur sola insula tecto; «it is unexpected for Ariadne now to name the island which she has just called ista tellus»). Già Palmer stampa quis scit, an et saevam tigrida Dia ferat? postillando: «that Dia is to be restored in the second part of the verse is far from improbable». Housman (1972), pp. 401-402 propone di scambiare forsitan e quis scit an tra i vv. 85 e 86 per risolvere l’ostacolo grammaticale di habet: quis scit an et fulvos tellus alat ista leones? / forsitan et saevas tigridas insula habet, ma aggiunge: «there is much more to mend. saevas is very uncertain [anche se un attributo per le tigri pare necessario: cf. v. 84 avido … dente lupos; v. 85 fulvos … leones; v. 87 magnas … phocas] and the elision insula habet is not to be defended by resistere equos penned at Tomi and taken straight from Propertius» (passo citato anche in Platnauer [1951]). Per Housman la congettura migliore è quella di Gronovius saevam tigrida 1axos habet (chiaramente accostabile a quella di Heinsius per la menzione del nome dell’isola); cf. anche van Lennep: an et saevas tigridas illa ferat, con l’approvazione di Tarrant (1985), p. 75; Watt (1989), p. 66 quis scit an et tigres insula feta feris? Credo che la scelta editoriale da preferire resti quella di stampare il testo tra croci (cf. Reeve [1973], p. 332: «incurably corrupt»; Tarrant [1985], p. 74: «86, which cannot be sound in its transmitted form, but which is unobjectionable in content»). Da una prospettiva puramente speculativa (che comunque non autorizza la scelta di Knox), ci si potrebbe chiedere se quell’insula così metricamente problematico non abbia oscurato davvero, penetrando da glossa nel testo, il nome Dia o Nasso: la contrapposizione con il precedente anonimo tellus … ista rientrerebbe in quella poetica dell’ironia tipica delle Heroides per cui il non-noto (‘questa terra’) è in realtà noto (‘Dia’), in quanto letto e recepito dalle eroine in altri testi (qui nella fattispecie nella cornice narrativa di Cat. 64.52 fluentisono prospectans litore Diae; 121 aut ut vecta rati spumosa ad litora Diae). La tigre è ‘estravagante’ in questo catalogo di animali feroci (cf. Barchiesi [1986], pp. 101-102; Leigh [1997], p. 605), ma assolutamente

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imprescindibile per la prefigurazione del futuro dionisiaco che porta con sé (cf. Ov. AA 1.549-550 iam deus in curru … / tigribus adiunctis aurea lora dabat; 1.559-560 … e curru, ne tigres illa timeret, / desilit …). Si osservi, infine, che nella lista dei pericoli ‘ferini’ il nome degli animali, con la sola eccezione di questo verso testualmente incerto, è collocato nell’ultimo piede: v. 84 lupos; v. 85 leones; v. 87 phocas. 87 et freta dicuntur magnas expellere phocas!: Arianna continua a essere ammaestrata dalla traccia di un testo-sorgente (dicuntur di solito è indizio di Alexandrian footnote, cf. n. 114) che potrebbe verosimilmente essere ancora (cf. v. 60) quello omerico: cf. infatti Od. 4.404-406 (Menelao a Telemaco), in part. vv. 405-406 (IZ NDL) … SROLK D-OR HM[DQDGX VDL (cf. freta … expellere), / SLNURQDMSRSQHLYRXVDLD-OR SROXEHQTHYRRMGPKYQ; cf. anche Verg. Georg. 4.394-395 … immania cuius / armenta et turpis pascit sub gurgite phocas. La caratteristica di questi animali è di emettere un odore molto acre e fastidioso: l’eroina non lo esplicita, ma il dicuntur sembra postillare allusivamente questa sua ‘preoccupazione’ olfattiva. L’operazione che sta dietro a questo catalogo di figurae di pericolo è tutta letteraria: Arianna ha trovato i lupi in Orazio, i leoni in Catullo, le foche in Omero; più che esperienze in senso stretto, sono esperienze di lettura. 88 quis vetat et gladios per latus ire meum?: per Knox (1995), ad loc. questi gladii sono «of pirates» (ma cf. Rosati [1999], p. 409). Per Barchiesi (1986), p. 97, con cui mi trovo d’accordo, sono più che altro dei «pericoli senza nome» come anche in Ov. Trist. 1.1.43-44 ego perditus ensem / haesurum iugulo iam puto iamque meo? a cui si aggiunga Trist. 1.11.28 et faciunt geminos ensis et unda metus. Cf. anche Ov. Her. 2.139-140 saepe venenorum sitis est mihi, saepe cruenta / traiectam gladio morte perire iuvat: Fillide vorrebbe procurarsi in qualche modo la morte, ma traiectam gladio sembra far pensare all’atto di venir trafitta da qualcuno con la spada (così anche Sicheo in Verg. Aen. 1.355-356 … traiectaque pectora ferro / nudavit). In quest’ultimo caso l’analogia situazionale e semantica con Arianna funziona bene considerato peraltro che sono le uniche due eroine a utilizzare gladius e non ensis (cf. il comm. di Barchiesi [1992] e Knox [1995], ad 2.140) e considerata la natura fortemente intratestuale di Fillide (cf. Fulkerson [2005], pp. 32-

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36). Diverso il parere di Casali (1997a), p. 308: non è prassi ovidiana quella di cambiare topic nel pentametro. Nel verso precedente si parla di pericoli marini, qui in effetti verrebbe formulato nuovamente un pericolo terrestre: per Casali, come già per Hewig (1991), p. 554, i gladii sarebbero pertanto pesci spada, per cui cf. e.g. [Ov.] Hal. 97; Plin. 1H 9.21 e 32.15. Per il gladius che per latus it cf. ThLL 7.2.1025.13-36 89-90 tantum ne religer dura captiva catena / neve traham serva grandia pensa manu: dietro la paura di Arianna di finire prigioniera (dei pirati? cf. il tema declamatorio topico della virgo capta dai pirati in Sen. Contr. 1.2 e 1.2.20 servit … piratis), si cela un riferimento lessicalmente marcato al servitium amoris: cf. infatti Ov. Am. 1.6.1 ianitor, indignum!, dura religate catena (l’elegia del paraclausithyron), senza considerare che anche captiva (‘schiava’, ‘schiava d’amore’) sfrutta la sua caratteristica ambiguità semantica come in Ov. Her. 3.69-70 (Briseide) victorem captiva sequar, non nupta maritum; / est mihi, quae lanas molliat, apta manus con Barchiesi (1992), ad loc., o Prop. 4.4.3334 (Tarpea) o utinam ad vestros sedeam captiva Penates, / dum captiva mei conspicer ora Tati! con Hutchinson (2006), ad loc. (cf. anche Piazzi [2007], ad 7.167; il topos è già nel Fragmentum Grenfellianum, col. I, v. 28 HXMMGRNZ ]KYOZLGRXOHXYHLQ con Esposito [2005], ad loc.). Il v. 90 attinge visibilmente invece a Prop. 3.11.20 tum dura traheret mollia pensa manu, in cui è addirittura Ercole, nei panni di amator elegiaco, a tessere per Onfale (cf. anche Prop. 1.3.41; Fabre-Serris [2009], p. 19). Serva è riferito per enallagen a manus e, detto di Arianna, compare già in Cat. 64.161 quae tibi iucundo famularer serva labore, quasi una formulazione elegiaca ante elegiam dell’idea di servitium amoris (cf. anche Nonn. 40.185). Per pensum ‘pennecchio di lana’ cf. Hor. Od. 3.27.63-65 ... nisi erile mavis / carpere pensum / regius sanguis ... con Nisbet-Rudd (2004), ad loc. (il motivo è ovviamente già omerico: cf. Il. 6.456). A ben vedere, l’Arianna ovidiana, pur ponendosi come la realizzazione elegiaca della sua antenata e pur ammiccando costantemente a modelli elegiaci, quali la schiavitù d’amore e il lanificio di cui ripropone il lessico ‘di base’, proprio in questi versi rinuncia alle regole del genere e si limita a esprimere la sua paura di finire nella mani di chi sa quale padrone. L’ipotesto elegiaco semanticamente rimane inerte, producendo quell’effetto di sorpresa segnalato anche da Knox (1995), ad

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loc.: «O.’s reader is thus a bit surprised to hear that Ariadne abhors servitude». Quanto a serva, si impone un’ulteriore postilla, connessa al ‘futuro’ dell’eroina: non solo Arianna non sarà mai schiava, ma diventerà addirittura, in quanto sposa di Liber, Libera: cf. Ov. Fast. 3.512 nam tibi mutatae Libera nomen erit con Barchiesi (1989) e introduzione cap. 6 (II); ma cf. anche 3.511 tu mihi iuncta toro mihi iuncta vocabula sumes con Hardie (2002), p. 40 e Armstrong (2006), p. 259, n. 82: «iuncta […] carries echoes of the elegists’ famous slavery of love». 91-92 cui pater est Minos, cui mater filia Phoebi / quodque magis memini, quae tibi pacta fui: il rifiuto della schiavitù ha anche una ragione ‘genealogica’. In questo verso sono menzionati i genitori di Arianna, Minosse e Pasifae che erano entrambi figli di divinità, rispettivamente di Zeus e del Sole (per l’allusività apolloniana in mater filia Phoebi cf. Battistella [2006], p. 220). La prefigurazione del futuro dell’eroina depositata nei vv. 89-90 (il futuro da Libera) getta una luce ironica sulla successiva ‘dichiarazione’ del v. 92: in realtà proprio il realizzarsi della promessa nuziale con Teseo le avrebbe impedito di diventare Libera. Cf. anche Knox (1995), ad loc.: «the final member comes as something of a surprise». Per magis memini cf. Knox (1998), p. 80: «(a fate) she recalls … from her earlier experience in literature»; si può percepire un’ulteriore pointe d’ironie: tra tutte le cose vissute in altri testi che potrebbe ricordare di più (magis) non c’è il lieto fine della sua storia, ma la promessa di un amante fedifrago. Si noti infine che il rifiuto della schiavitù da parte di Arianna, posto immediatamente dopo il v. 88 in cui compare la minaccia della morte per spada (gladios), potrebbe anche essere ricondotto al convenzionale rifiuto dell’eroe di morire in un modo che sia RXMNDOZ : «the manner of death is in fact everything to the hero; on it alone depends his claim to HXMJHYQHLD» (Fowler [1987], p. 12). E Arianna è appunto di ottima nascita (v. 91). 92 quod memini: cf. Cat. 64.141 sed conubia laeta, sed optatos hymenaeos e supra. 93 si mare si terras: cf. comm. ad 81.

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si … vidi: ‘se ho osservato’, ‘se osservo’. Knox (1995), ad loc. definisce questa forma di perfetto «frequentative» (cf. peraltro al v. 95 restabat al posto di un più prevedibile presente). 94 multa mihi terrae, multa minantur aquae: c’è qualcosa di Cat. 101.1 multas per gentes et multa per aequora vectus. Queste ripetizioni peraltro sono un tratto stilistico tipico di Ovidio: cf. Michalopoulos (2006), p. 61. 95 caelum restabat: timeo simulacra deorum: il caelum, dopo terra e mare, è la terza opzione ‘cosmologica’ rimanente (restabat): cf. comm. ad 81. Già Barchiesi (1986), pp. 101-102 ha risolto la problematicità semantica di simulacra deorum127, riconoscendo nel sintagma una forma di prefigurazione ironica: simulacra può, infatti, assumere l’accezione di ‘costellazioni’ (per cui cf. e.g. Ov. Met. 2.194 [Fetonte] vastarumque videt trepidus simulacra ferarum; Ov. fr. 1.4-5 Mor. [le Pleiadi] tot numero talique deus simulacra figura / imposuit caelo …), accezione quanto mai opportuna se si pensa al destino ‘siderale’ (scritto in altri testi) di Arianna (con le due alternative mitologiche: apoteosi o catasterismo della corona). In Battistella (2006) ho provato a dimostrare, oltre al valore di genitivo oggettivo da attribuire a deorum («le costellazioni sono il risultato fattivo di un’operazione divina», pp. 219 e 221), anche il confluire, in questo verso ovidiano, del rivolo intertestuale di Apoll. Rhod. Arg. 3.997-1004. Giasone sta tentando di convincere Medea a fornirgli il suo aiuto facendo riferimento proprio al celebre exemplum di Arianna che, per aver salvato Teseo, fu premiata dagli dei: cf. vv. 1001-1004 … WKQGHNDLDXMWRL / DMTDYQDWRL ILYODQWR PHYVZGHY RL-DLMTHYUL WHYNPDU / DMVWHURYHL VWHYIDQR WRYQWH NOHLYRXV’ M$ULDYGQK / SDYQQXFRRXMUDQLYRLHMQHOLYVVHWDLHLMGZYORLVLQ in cui HL>GZOD equivale appunto a simulacra, ‘costellazioni’ (cf. anche la parafrasi del verso ovidiano di Massimo Planude, p. 211 Palmer). Il passo apolloniano fornisce l’ipotesto (il testo ‘altro’) in cui è scritto il futuro dell’eroina. Il suo timore (timeo) è pertanto immotivato: DMTDYQDWRLILYODQWR. Volk (2003), p. 351 riconosce invece in questo verso il modello lucreziano: «her exclamation timeo simulacra deorum ironically points to 127 L’espressione è stata perlopiù intesa nel senso di ‘statue di dei’. Knox (1995), ad loc. è perentorio: «can only mean ‘the images of gods’, such as those placed in temples. Having betrayed her home and family, she fears the gods she would otherwise pray to». Dettagli in Battistella (2006), p. 218.

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the very absurdity of that fear, from an Epicurean point of view at least: after all, the gods never interfere with human life, and all we have are their images, or simulacra». Pur avendo segnalato al v. 81 un sostrato lucreziano, credo tuttavia che qui e là esso si limiti a funzionare come matrice linguistica, senza costituire un vero e proprio intertesto (cf. Battistella [2006] per i dettagli). Per l’accostamento (frequente in Ovidio) di timeo a deus, giustificato da una delle varie derivazioni paraetimologiche della parola deus (GHYYR= metus), cf. Michalopoulos (2001), pp. 67-68. Timere simulacra è anche in Ov. Am. 1.6.9 simulacraque vana timebam. 96 destituor rabidis praeda cibusque feris: cf. Cat. 64.152-153 dilaceranda feris dabor alitibusque / praeda, il cui modello è Il. 1.4-5 DXMWRXGHHMOZYULDWHX FHNXYQHVVLQ / RLMZQRL VLYWHGDL WD (con GDLWD

lezione zenodotea, cf. Kirk [1985], ad loc.; su Cat. 64 cf. Thomas [1979]); cf. anche Verg. Aen. 9.485-486 con Hardie (1994), ad loc. Her. 10 riproduce più fedelmente di Cat. 64 l’ipotesto omerico: HMOZYU Y LD ~ praeda; GDL WD ~ cibus (praeda in riferimento ad Arianna anche in Ov. Her. 4.116 [Fedra] … soror est praeda relicta feris). Cibus non è parola propriamente poetica (cf. Armstrong [2006], p. 223, n. 6). Stampo con Knox la lezione rabidis di G al posto di quella di P Z rapidis: il modello omerico distingue chiaramente tra cani e uccelli (rapaci: avvoltoi), non diversamente fa quello catulliano (feris, alitibus). Credo che Her. 10.96 contenga una prefigurazione ironica del futuro in linea con quella del verso immediatamente precedente, 95 (la coerenza del distico non risulta così violata; cf. invece Reeve [1973], p. 332 «there is no connection between 95 and 96» sulla scia di Burman che ipotizzava prima di 96 la presenza di un verso «qui sequenti pentametro aptius cohaereat. Continuisse vero hunc sensum puto: sive deserta est et incolis vacua … » in correlazione con il successivo sive di 97). Le ferae dell’isola le abbiamo già incontrate nel catalogo delle pereundi mille figurae: lupi, leoni, ma soprattutto tigri (saevae?) proprio quelle tigri da cui Dioniso farà trainare il suo currus e che tanto spaventeranno Arianna (cf. Ov. AA 1.549-550; 1.559). Non c’è in effetti molto scarto semantico tra rapidus e rabidus (e lo scambio paleografico è minimo e comunissimo), ma in qualche modo rapidus (anche per la sua etimologia da rapere) appiattisce 10.96 sul modello iliadico e catulliano (cani e

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uccelli rapaci appunto, cf. ThLL 1.1526.47 ss.), rabidus al contrario riesce a smascherare meglio la prefigurazione ironica del testo in questo punto se si considera che rabidus è proprio attributo ‘da tigre’ in Verg. Georg. 1.151 (rapidae solo in P) at rabidae tigres absunt. Anche per praeda si può andare oltre il suo significato di grado zero: nell’elegia assume infatti il senso di ‘preda d’amore’ (cf. Ov. Am. 1.2.19; 1.3.1), quello che Arianna diventerà appunto fra poco per Bacco. 97 sive colunt habitantque viri, diffidimus illis: Arianna continua a vagliare le probabilità di pericolo sull’isola: potrebbe anche essere abitata da uomini. In effetti la sua constatazione ‘odissiaca’ dei vv. 59-60 (non c’erano facta di uomini o animali domestici) non implica necessariamente che l’isola sia deserta; lo stesso Odisseo mandava in esplorazione alcuni dei suoi compagni proprio per SHXYTHVTDL(Od. 10.100 [Lestrigoni] = 9.88 [Lotofagi]; cf. il didici di Arianna nel v. successivo) quali uomini popolassero quella terra (10.101): la disavventura comincia nel momento in cui i compagni si imbattono nella figlia del re dei Lestrigoni e le danno ‘confidenza’. Arianna, ammaestrata dalla traccia odissiaca, assicura (con la mediazione di Cat. 64.143) che non cadrà nell’errore di fidarsi degli uomini dell’isola (cf. anche v. 98). E in effetti Arianna non dovrà affatto più fidarsi di viri, ma di dei (il gioco ironico continuerà poi in altri testi e anche con gli dei: cf. Ov. Fast. 3.487488 [Arianna a Dioniso] Thesea culpabas fallacemque ipse vocabas: / iudicio peccas turpius ipse tuo). Per sive senza correlazione cf. Reeve (1973), p. 332: «sive in 97 ought to be one of a pair»; Tarrant (1985), p. 75 che stampa in successione 87, 96, 97; n. 3: «the emphasis on wild animals in 83-87 + 96 removes any ambiguity in sive (“if, on the other hand, men live there …”)»; ma l’uso di sive (= vel si) senza correlazione è poetico (altri esempi in Ovidio sono peraltro segnalati da Reeve [1973], p. 332, n. 2; cf. e.g. Her. 15.211; 217; cf. anche Hor. Od. 3.27.61) e, se non altro, è coerente allo stile confuso e spezzato del monologo dell’eroina. Del resto la contrapposizione animali feroci / uomini emerge chiaramente dal contesto: cf. feris alla fine del verso precedente con Barchiesi (1986), pp. 97-98 (non così per Knox [1995], ad loc.: sive: «resuming the construction from 93 si … vidi», ma non sembra pertinente); cf. Barchiesi (1986), p. 98 anche per il problema posto dall’uso assoluto di colunt e habitant (si potrebbe forse ipotizzare la presenza di una lacuna prima di 97); l’esempio più vicino resta comun-

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que quello citato dallo stesso Barchiesi: Verg. Aen. 1.532 (= 3.165) Oenotri coluere viri che sottintende l’immediatamente precedente terra antiqua. In 10.97 dovremmo sottintendere qualcosa come tellus o insula, non proprio immediatamente precedente, ma facilmente ricavabile dal contesto. Habito è però attestato (meglio di colo) anche assolutamente: cf. ThLL 6.2-3.2475.7 ss. Il tasso di anomalie grammaticali concentrate in questi versi e il loro andamento ellittico potrebbero forse riflettere, più che un reale problema di trasmissione, la ‘desultorietà’ emotiva di Arianna per cui cf. soprattutto (qui in riferimento a Didone) Schiesaro (2005), p. 91 e n. 26 (con un’importante riflessione spitzeriana). 98 externos didici laesa timere viros: il didici ‘odissiaco’ (cf. supra SHXYTHVTDL) si ricarica elegiacamente per la contiguità di laesa che, come nota Knox (1995), ad 5.4 (Enone a Paride), ha il significato figurato ed elegiaco di “tradita dal proprio amato” (cf. anche Ov. Met. 14.385 at est et amans et laesa et femina Circe); i viri non sembrano dunque più essere quelli di ‘odissiaca’ memoria (cf. Od. 10.98 DMQGUZ Q), ma i viri “mariti”, “amanti” (OLD 2069.2 a-b) della sua esperienza ‘letteraria’. Il suo aver imparato è sintomatico di un apprendimento avvenuto, dobbiamo immaginare, sui testi128. L’Odissea fornisce un modello abbastanza riconoscibile, ma situazionalmente Odisseo in mezzo ai Lestrigoni non è così ‘vicino’ ad Arianna abbandonata su un’isola129. Il nesso externus vir potrebbe riattivare la memoria di Verg. Aen. 7.98 externi venient generi (Latino di Enea; cf. anche, nello stesso Ovidio, Met. 9.19-20 nec gener externis hospes tibi missus ab oris, Acheloo riporta a Teseo il discorso fatto al padre di Deianira per averla in sposa nella contesa con Ercole): situazionalmente però anche il testo virgiliano è lontano da Her. 10. Si confronti invece Apoll. Rhod. Arg. 128 C’è uno scarto tra l’elegia ‘vecchia maniera’ e questo nuovo esperimento di elegia al femminile: la figura dell’eroina elegiaca è estremamente letteraria. Cf. invece la figura del poeta elegiaco in Prop. 2.34.3 expertus dico, nemo est in amore fidelis. 129 Che, peraltro, sia Arianna in prima persona a usare un termine così ovidianamente connotato come discere è ironico: cf. infatti Ov. AA 3.27 nil nisi lascivi per me discuntur amores con a breve distanza (vv. 35-36) proprio l’exemplum di Teseo e Arianna. Perché Arianna, Fillide, Didone furono abbandonate? Cf. 3.41-42 quis vos perdiderit, dicam; nescistis amare; / defuit ars vobis [i.e. Ars]; arte perennat amor. Leggendo retroattivamente l’Ars in Her. 10 non possiamo non percepire lo scarto ironico che si annida nel presunto apprendimento da parte di Arianna: l’eroina ante Artem ha imparato davvero ben poco.

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3.987 (Giasone sta parlando a Medea per convincerla ad offrigli il suo aiuto): DMMPIRYWHURQGML--NHYWK[HL QRYWHYWRLHMQTDYGMML-NDYQZ. Giasone si presenta solo come “straniero”, ma proprio l’exemplum di Teseo e Arianna richiamato a breve distanza orienta inevitabilmente in senso ‘amatorio’ la sua richiesta d’aiuto a Medea (cf. 3.1100-1101): “oh se allo stesso modo, come Minosse con Teseo per lei, tuo padre accettasse di esserci amico” (trad. Paduano), con Hunter (1989), ad loc.: «Jason now delicately brings the possibility (or lack of it) of marriage between them into the open»130. Si aggiungano poi Arg. 3.619, in part. 630-631 e 3.795 DMQHYUR DMOORGDSRL R. Se la memoria del modello apolloniano (con l’inevitabile mediazione di quello euripideo che ‘denuncia’ l’effettiva pericolosità degli sposi stranieri) è qui operativa, essa produce, proprio per l’ovvia anteriorità della vicenda di Arianna rispetto a quella di Medea, il paradosso (anacronistico) per cui Arianna ‘ha imparato’ da Medea (quella apolloniana e quella euripidea), quando invece Medea avrebbe dovuto imparare da Arianna (cf. Arg. 3.1107-1108 … RXMG’M$ULDYGQKLMVRX PDL: cf. Clauss [1997], p. 171). Per l’assimilazione Arianna / Medea già nel testo delle Argonautiche cf. Hunter (1989), p. 208; «analogy-construction is a lover’s itch» (cf. Feeney [1992], p. 33). Cf. anche Ov. Her. 12.111 (Medea) peregrini … latronis (con Bessone [1997], ad loc.); Ov. Met. 7.21-22. Sulla topicità dell’associazione perfidia dell’amato / sua «estraneità geografica» cf. infine Drago (1998), pp. 213-214. Questo didici di Arianna ante Artem (l’Ars amatoria ovviamente, cf. qui n. 129) non può che rivelarsi ‘fallimentare’: il lamento di Arianna (e il gioco ironico che ne consegue) è destinato a continuare in altri testi: cf. Ov. Fast. 3.471-486 e n. 21. 99-104: la formulazione utinam + cong. ppf., usata per esprimere un desiderio retrospettivamente irrealizzabile, riattiva topiche memorie euripidee (cf. Eur. Med. 1-15), enniane (cf. Enn. Med. 208-216 J.), catulliane (cf. Cat. 64.171-176), virgiliane (cf. Verg. Aen. 4.657-658 con 130 L’episodio apolloniano vive a sua volta di memoria odissiaca: oltre a Od. 7.313 – già segnalato da Hunter (1989), p. 219 – in cui Alcinoo esprime l’augurio di poter chiamare Odisseo “HMPRJDPEURY”, cf. 6.244-245; per la compresenza di “sposo” e “straniero” sempre nell’episodio di Nausicaa cf. infine 6.276-277 ([HL QRSRYVL) e 6.282-283 (SRYVLQD>OORTHQ). Il testo omerico si fa portatore di un esito fallimentare del rapporto Odisseo/Nausicaa senza però concedere troppo spazio all’‘abbandono’ di Nausicaa che sarà invece tragicamente tematizzato nel ‘seguito’ euripideo della Medea apolloniana.

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la ricezione ovidiana di Her. 7.139-140; cf. anche il comm. di Pease [1935], ad Aen. 4.657). Cf. Armstrong (2006), p. 239 e n. 37. Il topos (epico-tragico) si ricarica elegiacamente già nella prima ‘eroide’ della letteratura latina: cf. Prop. 4.3.45 (Aretusa a Licota) Romanis utinam patuissent castra puellis! Sulla ‘storia’ della formula cf. Bessone (1997), ad 12.7-20. 99 viveret Androgeos utinam!: Arianna parte dall’antefatto mitico, la morte del fratello Androgeo (cf. Cat. 64.76-79) che fu ucciso dagli Ateniesi (Cecropis terra) in seguito alla sua vittoria alla prima Panatenaica. Minosse per punirli di questo crimine impose loro il sacrificio di sette ragazzi e sette ragazze all’anno per il Minotauro (cf. Apollod. 3.15.7; cf. anche Verg. Aen. 6.20-22). 100 funeribus: funus nel senso di ‘corpo morto’ non è raro in poesia (cf. OLD 748.2a; e.g. Verg. Aen. 9.491 lacerum funus), ma qui il termine richiama direttamente Cat. 64.83 funera … nec funera (con Fordyce [1990], ad loc.): nel testo catulliano si trattava di “morti non ancora morti”, il testo ovidiano ne sancisce la morte definitiva e consegna il fatto al passato. Cecropi: l’aggettivo Cecropis (introdotto da Ovidio direttamente dal greco) deriva da Cecrope, nome del primo re ateniese. Cf. Knox (1995), ad loc. 101-107: la successione anaforica nec (101), nec (103), non (105), non (107) rigorosamente in sede incipitaria esametrica sembra marcare ‘catullianamente’ questa sezione dell’epistola. L’anafora è infatti un tratto stilistico privilegiato in Cat. 64: per quella di non cf. soprattutto vv. 3941; vv. 63-65 con Fordyce (1990), p. 275; Wills (1996), p. 402. Nei vv. 103-104 cf. anche l’epanalessi di fila sempre sulla scia di Cat. 64.132133 (cf. Knox [1995], ad loc.; Fordyce [1990], ad 64.26). 101-102 nec tua mactasset nodoso stipite, Theseu, / ardua parte virum dextera, parte bovem: per l’uso di macto cf. comm. ad 77. Nel bilancio dei morti causati dalla rivalità tra Atene e Creta c’è da ultimo anche il Minotauro. Parte virum, parte bovem è perifrasi per Minotaurus che Ovidio sembra sempre accuratamente evitare (cf. invece Cat. 64.79; Verg. Aen. 6.26); cf. anche Knox [1995], ad loc. e comm. ad 127. 1odoso stipite varia clava di 10.77. Stipes è propriamente il bastone di legno che, come in questo caso, può essere usato come arma (OLD

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1821.2 ab): cf. Verg. Aen. 7.507 … stipitis hic gravidi nodis (con Horsfall [2000], ad loc.). Ardua vale ‘sollevata’, ‘che cade dall’alto’. La descrizione della gestualità di Teseo (ardua dextera) sembra qui tradurre narrativamente l’iconografia dell’uccisione del Minotauro: cf. e.g. LIMC 7.2.662, fig. 256 (anche se questa gestualità si ritrova più di frequente nelle rappresentazioni di Teseo che uccide il toro di Maratona: ibid., figg. 201, 204, 205, 208 [«with club overhead in right hand», LIMC 7.1.938]). 103-104 nec tibi, quae reditus monstrarent, fila dedissem, / fila per adductas saepe relecta manus: nella successione di congiuntivi del rimpianto (cf. Bessone [1997], pp. 83-84) ‘pacifici’, “Androgeo potesse essere ancora vivo, Atene non avesse pagato le sue colpe con tante morti, Teseo non avesse ucciso mio fratello, non ti avessi dato il filo del ritorno”, quest’ultimo è a ben vedere minatorio e sembra fare le veci della famosa maledizione catulliana che in Her. 10 non c’è: se Arianna non avesse dato il filo a Teseo certamente l’eroe non avrebbe fatto ritorno dal labirinto (cf. Ov. Met. 8.172 nullis iterata priorum [ianua]). L’Arianna ovidiana assume quasi tratti più medeici della medeica Arianna catulliana (cf. Cat. 64.200-201; Apoll. Rhod. Arg. 4.386-388; ma soprattutto Ov. Her. 12.15-18 [Medea a Giasone] isset anhelatos non praemedicatus in ignes / immemor Aesonides oraque adusta boum; / semina iacisset, totidem quot semina et hostes, / ut caderet cultu cultor ab ipse suo con Bessone [1997], ad loc.). Leggo relecta (il filo riavvolto) con Knox (congettura di Heinsius per il tradito recepta) sulla base di Ov. Met. 8.173 ianua difficilis filo est inventa relecto. Per adductas manus, le mani che vengono portate a sé, cf. anche supra 10.15 adductis palmis. La geminazione di fila produce un effetto di epanalessi, per cui cf. soprattutto quella famosissima di Cat. 64.132133 perfide … perfide (cf. anche comm. ad 33-34 e ad 101-107). 105 si stat victoria tecum: stare + cum nell’accezione di «to take sides» (OLD 1824.12a) si trova in prosa e negli storici soprattutto. La parole di Arianna sembra farsi volutamente tecnica in questo contesto ‘agonistico’. 106 strataque Cretaeam belua planxit humum: stampo planxit con Palmer e Knox (congettura di Heinsius per texit di G 9, stravit di P2 G2 9, pressit di 9) sulla base di Ov. Her. 16.336 … planget humum; Fast. 1.578 et lato moriens pectore plangit humum; 4.895-896 … cadit Me-

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zenzius ingens / et indignanti pectore plangit humum. Per Teseo che abbatte il Minotauro cf. Cat. 64.108-111 (v. 110 prostravit, qui strata). L’inatteso belua (dopo il fratrem del v. 77) richiama il catulliano saevum di 64.110. Del resto anche Cat. 64 alterna saevum monstrum a germanum del v. 150 – quest’ultimo una forma di Pathetisierung per Paduano-Grilli [1997], ad loc. – anche se in effetti in Catullo saevum mostrum è parola del ‘narratore’, non di Arianna. Cf. Panoussi (2003), p. 117, n. 56. L’aggettivo Cretaeus è «a noun-based adjective used for a possessive genitive» secondo l’uso omerico come in Verg. Aen. 10.156 Aeneia puppis (cf. Harrison [1991], ad loc.). 107 non poterant figi praecordia ferrea cornu: cf. Cat. 64.111 nequiquam vanis iactantem cornua ventis. Il riferimento alle corna taurine del Minotauro è rifunzionalizzato in Her. 10 per alludere metaforicamente alla durezza dei praecordia di Teseo. Il termine indica la parte più ‘ricettiva’ all’amore come in Ov. Her. 16.135-136 (Paride che vede per la prima volta Elena) ut vidi, obstupui praecordiaque intima sensi / attonitus curis intumuisse novis; è parola però più propriamente epica che elegiaca: cf. Fedeli (2005), ad Prop. 2.1.41-42. Ma cf. anche Tib. 1.1.63-64 (a Delia) flebis: non tua sunt duro praecordia ferro / vincta nec in tenero stat tibi corde silex (con Maltby [2002], ad loc.); Ov. Her. 12.183 (Medea a Giasone) quodsi forte preces praecordia ferrea tangunt. In unione a ferrea il termine ricorre solo in Her. 10 e 12: il nesso è forse da considerare da una prospettiva intratestuale, vista l’analogia tra Arianna a Medea in questa microsezione della lettera (cf. supra vv. 103-104). 108 ut: un altro ut concessivo come al v. 65. 109-110 illic … illic … / illic … : la successione quasi anaforica (cf. comm. ad 101-107) crea un nuovo contatto con il testo di Catullo: cf. 64.156 (te … exspuit) quae Syrtis, quae Scylla rapax, quae vasta Carybdis? (il contesto è molto pertinente: anche i versi di Cat. 64 si soffermano sulla spietatezza di Teseo). 109 adamanta: adamas è dal greco DMGDYPD. L’uso ovidiano del termine è figurato («duritiae exemplum ponitur», cf. ThLL 1.565.60 ss.): cf. e.g. Ov. Am. 3.7.57 illa graves potuit quercus adamantaque durum; Her. 2.137 duritia ferrum ut superes adamantaque teque; AA 1.659 lacrimae

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prosunt: lacrimis adamanta movebis; Met. 9.614-615 … in pectore ferrum / aut adamanta gerit. 110 illic qui silices Thesea vincat habes: questa formulazione quasi ‘aprosdoketica’ per indicare la durezza dell’amato varia un motivo molto topico (e lo varia anche sintatticamente: cf. il fortissimo iperbato): cf. e.g. Verg. Aen. 4.365-367; cf. anche Circe a Odisseo in Od. 5.190-191 RXMGHYPRLDXMWK / TXPRHMQLVWKYTHVVLVLGKYUHR … ; cf. infine Ov. Her. 2.137 cit. supra (Fillide a Demofonte) duritia ferrum ut superes adamantaque teque (con Barchiesi [1992], ad loc.; cf. anche Fulkerson [2005], p. 35). 111 crudeles somni, quid me tenuistis inertem?: il lamento pathetico di Arianna precipita, come altrove, nel bathos: iners è infatti termine iperconnotato nel linguaggio dell’elegia (più o meno oscenamente) per indicare un’inattività erotica: cf. Ov. Am. 3.7.15 (la défaillance del poeta) truncus iners iacui, species et inutile pondus (per cui cf. Hor. Epod. 12.17 e Sharrock [1995]); Her. 16.160 nec Venus ex toto nostra fuisset iners; AA 2.229 … Amor odit inertes con Janka (1997), ad loc. (del resto sappiamo che nell’Ars il poeta accuserà Arianna di non aver saputo amare: cf. AA 3.41-42 … nescistis amare: / defuit ars vobis; iners = in + ars; cf. anche Casali [1995b], p. 9); Rem. 780; cf. infine Adams (1982), p. 46. Il riconoscimento del sovrasenso erotico produce un effetto ironico (peraltro l’inertia è generalmente applicata agli uomini). Crudeles è detto qui dei somni, dei venti in 113, della dextera in 115. È parola elegiaca riferita, oltre che all’amante (cf. e.g. Piazzi [2007], p. 292), soprattutto a ciò che funge da ostacolo all’amore, nella fattispecie la porta per cui cf. Prop. 1.16.17; Ov. Am. 1.6.73; AA 3.581. Cf. anche comm. ad v. 61. 112 aut semel aeterna nocte premenda fui: stampo aut (lezione di P) con Palmer e Rosati (1999), p. 409 contro l’at (lezione di G Z) di Dörrie e Knox (1995) sulla base di Ov. Her. 12.11-15, soprattutto 13 (per quanto qui sia un po’ diverso il valore di semel, cf. Bessone [1997], ad 12.13-14; anche Heinze [1997], ad loc.), e Am. 2.16.17 aut iuvenum comites iussissent ire puellas (cf. poco supra [15] solliciti iaceant terraque premantur iniqua) con McKeown (1998), ad loc.: aut = «‘or (at least)’. The conjunction is usually supported by various particles or adverbs when “introducing a modification of a statement or expression” (OLD s.v. 6a)». Parafrasando: “oppure almeno, sonno, visto che mi hai

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tenuta inerte, mi avessi fatta dormire una volta per sempre”. Il pentametro riattiva la memoria di Cat. 5.5-6 nobis cum semel occidit brevis lux / nox est perpetua una dormienda (notato anche da Armstrong [2006], p. 237), sempre con l’equivalenza metaforica nox = mors. Più che la nox il futuro ‘bacchico’ di Arianna ha in serbo per lei, possiamo immaginarlo, i mille basia del modello catulliano (cf. anche introduzione cap. 6 [I]). L’indicativo al posto del congiuntivo è giustificato dalla presenza del gerundivo che già di suo si fa portatore di un’idea di potenzialità (cf. Knox [1995], ad 1.108). 113 vos quoque crudeles, venti, nimiumque parati: i venti ‘troppo’ pronti a far partire Teseo hanno reso la sua fuga ancora più facile; il nimium sembra quasi un commento inter- e intratestuale ai venti ‘di Didone’ che almeno sono riusciti a trattenere Enea più a lungo (!) di quanto quelli di Arianna siano riusciti a frenare Teseo: cf. Verg. Aen. 4.310 et mediis properas aquilonibus ire per altum; 430 exspectet facilemque fugam ventosque ferentis; Ov. Her. 7.49 iam venti ponent …; 171 cum dabit aura viam, praebebis carbasa ventis. Cf. anche comm. ad v. 29. 114 flaminaque in lacrimas officiosa meas: officiosus è mutuato dal linguaggio dell’oratoria; cf. anche Ov. Her. 18.60 (luna) ut comes in nostras officiosa vias (con la medesima costruzione in + acc., complemento di fine). Flamen significa in origine il ‘soffio di vento’ (cf. e.g. Enn. Ann. 433 Sk … Aquiloque suo cum flamine contra), ma passa poi a indicare anche il vento in generale (OLD 710.2; Verg. Aen. 5.832 ferunt sua flamina classem; Prop. 2.9.33 non sic incerto mutantur flamine Syrtes). Flamen è anche in Cat. 64.9 ipsa levi fecit volitantem flamine currum; 239 ventorum flamine. Ovidio dimostra una predilezione per le forme in -men (cf. anche velamen in 10.41) declinate nel plurale dei casi diretti o all’ablativo singolare, quando cioè producono un dattilo con vocale aperta finale (‰‰). 115 dextera: è la mano di Teseo che ha ucciso il Minotauro (cf. 102 ardua) e che, più metaforicamente, ha ucciso anche Arianna (116) con la violazione della fides concessa (per fidem dare cf. anche e.g. Ov. Her. 7.18 danda fides); la destra era infatti la mano dei giuramenti. necavit: è termine generalmente evitato in poesia (Knox [1995], ad loc.; nel linguaggio giuridico significa ‘compiere un’esecuzione’, ‘assassina-

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re’); nelle Heroides compare solo qui, in cui è contemporaneamente riferito ad Arianna e al fratello. Teseo ha ucciso entrambi con la sua dextera, la mano dei giuramenti (per Arianna) e quella che impugna l’arma (per il Minotauro). 116 nomen inane: la fides che Teseo aveva concesso ad Arianna è solo un flatus vocis, un nomen privo di consistenza. Per inanis nel senso di ‘vuoto’, riferito soprattutto a promesse, cf. OLD 860.11bcd. 117 in me iurarunt: iuro (in + acc.) qui vale ‘cospirare contro’, cf. OLD 984.4. 118 prodita sum causis una puella tribus: contro Arianna hanno congiurato il sonno, i venti, la mancata fedeltà di Teseo: a Knox (1995), ad 113 il distico sembra ozioso («the rhetorical effect here is rather weak»), ma a ben vedere qui Arianna riattiva la memoria di un’altra ‘illustre’ congiura, quella contro Didone: cf. Verg. Aen. 4.94-95 (Giunone a Venere in tono sarcastico) … (magnum et memorabile nomen) / una dolo divum si femina victa duorum est (cioè Venere e Cupido). Arianna corregge elegiacamente il testo virgiliano (da femina a puella) e al tempo stesso lo postilla: anche in Aen. 4 le causae che porteranno Didone al suo tragico epilogo sono in definitiva tre e non due; alle ‘trame’ di Cupido e Venere si aggiungono infatti anche quelle, ben più pericolose, di Giunone (cf. vv. 115-127). Nell’elenco delle ‘sue’ causae Arianna non può non precipitare, anche questa volta, nel bathos: il modello con cui confrontarsi resta sempre troppo alto (anche quando si apre all’ironia: cf. Aen. 4.94-95). Si aggiunga Verg. Aen. 4.127-128 … non adversata petenti / adnuit atque dolis risit Cythereia repertis (Venere dà il suo placet al piano di Giunone); causa è anche in Verg. Aen. 4.169-170 (il disegno di Giunone si è compiuto) ille dies primus leti primusque malorum / causa fuit … . 119-120 ergo ego nec lacrimas matris moritura videbo, / nec mea qui digitis lumina condat erit?: moritura è parola marcatamente didoniana: cf. Verg. Aen. 4.308 (te) nec moritura tenet crudeli funere Dido? (con Barchiesi [1992], p. 40); cf. anche Her. 7.0a accipe, Dardanide, moriturae carmen Elissae (il distico viene generalmente espunto, ma la ricezione, per quanto spuria, di un termine così connotato è comunque significativa).

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Anche l’amante elegiaco immagina continuamente le sue esequie funebri, soprattutto come estremo banco di prova per ‘testare’ la fides della sua capricciosa puella: cf. Prop. 1.17.11-12 (Properzio a Cinzia) an poteris siccis mea fata reponere (reponere con Lyne [1998], p. 528, n. 36) ocellis, / ossaque nulla tuo nostra tenere sinu?; 1.19.3-4 sed ne forte tuo careat mihi funus amore, / hic timor est ipsis durior exsequiis; 2.9.9-16; cf. Lechi (1979), p. 91: «la morte … è sempre un momento che sancisce e suggella il legame erotico». In Her. 10 questa Arianna che vuole fare elegia ‘a tutti i costi’ (cf. e.g. introduzione cap. 4 e 7), partendo dalla sollecitazione catulliana di 64.153 … neque iniacta tumulabor mortua terra, si appropria inaspettatamente di una visione molto più tradizionale e ‘borghese’ delle esequie funebri: rimpiange le lacrime della madre, non quelle dell’amato, oltre a riferirsi a un ‘troppo’ generico qui che provvederà a chiuderle gli occhi (cf. Griffin [1985], p. 144: «it was hoped that a respectable Roman would die surrounded by his family, and that his last breath, with which his soul was thought to pass, would be received by his closest relative»; 148); cf. Tib. 1.3.5-10, in particolare vv. 5-6 per la menzione della madre: … non hic mihi mater / quae legat in maestos ossa perusta sinus (con Ov. Am. 3.9.49-50 [a Tibullo] hinc certe madidos fugientis pressit ocellos / mater et in cineres ultima dona tulit); cf. anche Lechi (1979), p. 94; Lyne (1998), p. 529, n. 40. In Properzio le esequie funebri sono di assoluta ed esclusiva ‘competenza’ di Cinzia, ma cf. anche Tib. 1.1.59-62 (solo Delia) e nelle Heroides cf. 11.125; 14.125-127 con Reeson (2001), ad 125-126: «the visualizaton of one’s own obsequies, attended, or even carried out, by a frequently tearful beloved, is an elegiac topos». Cf. anche comm. ad 123 e 150 infra. Per condere lumina cf. Prop. 4.11.64 (Cornelia) condita sunt vestro lumina nostra sinu; Ov. Her. 1.113 … ut tu sua lumina condas; AA 3.742 … cara lumina conde manu. 121 spiritus infelix peregrinas ibit in auras?: cf. Verg. Aen. 4.705 (Didone) dilapsus calor atque in ventos vita recessit (con Pease [1935], ad loc.); Ov. AA 3.741 (Procri) nomine suspectas iam spiritus exit in auras; Met. 8.524 (Meleagro) inque leves abiit paulatim spiritus auras. Ma cf. soprattutto Ov. Met. 8.179-180 … tenues volat illa per auras / dumque volat, gemmae nitidos vertuntur in ignes: è il catasterismo della corona di Arianna. Nel testo dell’eroide l’espressione apparentemente

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di grado zero in auras prefigura in definitiva il futuro dell’eroina: lo spiritus di Arianna andrà sì in auras, ma come conseguenza della sua apoteosi (o catasterismo: cf. Battistella [2006], p. 221, n. 1), non della sua morte (cf. anche Apoll. Rhod. Arg. 3.1002 PHYVZDLMTHYUL; Prop. 3.17.8 lyncibus ad caelum vecta Ariadna tuis). Anche in un altro caso (per quanto diverso) l’espressione in auras si presta a un gioco ironico: cf. Ov. Her. 12.85 (Giasone a Medea) spiritus ante meus tenues vanescat in auras con Bessone (1997), ad loc.: «qui sarà da avvertire una sfumatura ironica, che suggerisce lo «svanire nell’aria» della promessa di Giasone?». Peregrinus proietta sulla morte temuta dall’eroina l’ossessione tipica dell’esule in terra straniera: cf. Ov. Trist. 4.8.25 tempus erat nec me peregrinum ducere caelum. 123 ossa superstabunt volucres inhumata marinae?: cf. Cat. 64.152153 … dilaceranda feris dabor alitibusque / neque iniacta tumulabor mortua terra; Ov. AA 3.35-36 quantum in te, Theseu, volucres Ariadna marinas / pavit, in ignoto sola relicta loco. L’ipotesto è sicuramente Prop. 3.7.11 sed tua nunc volucres astant super ossa marinae come riconosce anche Fedeli (1985), ad loc.; Knox (1995), ad 119-124; cf. anche Gibson (2003), ad Ov. AA 3.35. Momenti di questa elegia properziana (tutta incentrata sul tema – epigrammatico – della morte per naufragio di Peto) sembrano concentrarsi anche altrove nell’ultima sezione di Her. 10: cf. poco supra 3.7.9-10 et mater non iusta piae dare debita terrae / nec pote cognatos inter humare rogos (anche 17-18 e 64) ed Her. 10.119; 3.7.57 ‘Di maris Aegei … ’: anche Nasso si trova nel Mar Egeo; infine 3.7.60 ed Her. 10.146 con comm. ad loc. (l’ironia è prodotta, come spesso in questa eroide, da un ipotesto un po’ impertinente: in Prop. 3.7 si sta parlando infatti del cadavere di un annegato in mare). Come le ferae (le tigri di Dioniso: cf. comm. ad 96) anche le volucres potrebbero innescare una prefigurazione ironica del futuro SWHUDSDYOOHQ>(UZ dell’eroina: cf. Nonn. Dion. 47.267 DMPILGHYPLQS TUDVXY; cf. anche LIMC 3.1.1057 ss. e LIMC 3.2.730 ss. con diverse testimonianze iconografiche di Eros / Cupido alato che superstat. Per volucer come ‘proprietà’ di Cupido cf. Ov. Met. 9.482; Am. 1.2.47-48; Her. 16.203 volucrum … mater Amorum.

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Per inhumata cf. Verg. Aen. 4.620 (Didone maledisce Enea) sed cadat ante diem mediaque inhumatus harena. 124 haec sunt officiis digna sepulcra meis?: cf. Cat. 64.157 talia qui reddis pro dulci praemia vita? I praemia catulliani diventano, per questa Arianna ossessionata dalla morte, dei sepulcra. Knox (1995), ad loc. coglie giustamente la pointe ironica («ironic, for she will have none»). In Properzio il termine officium, mutuato dal linguaggio etico-politico (cf. Fedeli [2005], p. 640), è riferito specialmente al dovere da parte dell’amante di soddisfare la donna nella prestazione amorosa: cf. 2.22.23-24 … saepe est experta puella / officium tota nocte valere meum. Qui però, aldilà del possibile sovrasenso, il termine sembra più vicino all’accezione di Cat. 75.2 (mens) atque ita se officio perdidit ipsa suo con officium = ‘devozione’. 125 ibis Cecropios portus: l’ibis di Arianna sembra privo di connotazioni minacciose (‘propemptico’? cf. e.g. Maltby [2002], ad Tib. 1.3.1), ma forse nasconde nella sua formulazione apparentemente piana un’ominosità allusiva: per il significato minatorio di cui ibis si può far portatore in contesti di invettiva (soprattutto se pensiamo al poemamaledizione Ibis) cf. Casali (1997b), pp. 107-108 e soprattutto n. 70; Schiesaro (2001), p. 131; Watson (2003), ad Hor. Epod. 1.1. Cf. anche Verg. Aen. 4.590-591 … ibit / hic … ? che ‘prepara’ la maledizione di Didone contro Enea. L’accusativo direzionale è impiegato senza preposizione, come avviene di norma con i nomi di città: del resto Cecropii portus qui vale Athenae (per Cecropius cf. comm. ad 100). 126 cum steteris turbae celsus in ore tuae: questa anticipazione del futuro di Teseo è ironica rispetto a Cat. 64.246-247 sic funesta domus ingressus tecta paterna / morte ferox Theseus. Con Rosati (1989) e Knox (1995) stampo turbae al posto di urbis e ore al posto di arce di Palmer. P trasmette delle lezioni un po’ incerte: turbes, corretto in urbis dalla seconda mano; in aure, corretto in in arce sempre da P2. Dörrie mette a testo honore di G che troverebbe conferma nella resa di Planude WK WLPK. Ma celsus in ore si addice a un contesto di trionfo («a triumphant reception in his home city», Knox [1995], ad loc.); in ore è ben attestato, cf. OLD 1273.10b.

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La scelta di in arce genererebbe un effetto di ironia tragica, richiamando l’arx che sarà tanto funesta per Egeo nel testo-sorgente catulliano: cf. Cat. 64.241 at pater ut summa prospectum ex arce petebat (con l’epilogo di 244). 127-128: nuovamente Minotauro e Labirinto sono menzionati perifrasticamente (cf. rispettivamente comm. ad 102 e 71). 127 bene narraris letum taurique virique: Ovidio fa uso ricorrente degli avverbi in -e: 211 volte contro le nove di Virgilio (cf. Kenney [2002], p. 42). Letum ha un colore arcaico ed è parola da poesia ‘alta’ come rileva Barchiesi (1992), ad 2.147 (cf. anche Cat. 64.187 ostentant omnia letum): Arianna restituisce a un registro elevato, epico, l’impresa cretese di Teseo. L’‘uomotoro’ è anche in Ov. AA 2.24 semibovemque virum semivirumque bovem (su cui cf. il celebre passo da Sen. Contr. 2.2.12). 128 sectaque per dubias saxea tecta vias: cf. comm. ad 71; Verg. Aen. 5.589-590 (fertur Labyrinthus) parietibus textum caecis iter ancipitemque / mille viis habuisse dolum; Plut. Thes. 19.1 WRX ODEXULYQTRXWRX H-OLJPRX. 129 me quoque narrato sola tellure relictam: Teseo deve averlo fatto se Demofonte (almeno stando a Fillide, cf. Fulkerson [2005], p. 33) ha recepito così bene la ‘lezione’ paterna: cf. Ov. Her. 2.75-76 de tanta rerum turba factisque parentis / sedit in ingenio Cressa relicta tuo. L’imperativo futuro narrato indica un comando di attuazione non immediata, proiettato appunto nel futuro. 130 non ego sum titulis subripienda tuis: Teseo potrà vantare (ironicamente) tra i suoi tituli anche l’abbandono di una fanciulla (non meno ironico Cat. 64.50-51 haec vestis priscis hominum variata figuris / heroum mira virtutes indicat arte con Lygd. 6.41-42 sic cecinit pro te doctus, Minoi, Catullus / ingrati referens impia facta viri). Cf. di nuovo Fillide in Ov. Her. 2.68 magnificus titulis stet pater ante suis. La posizione pentametrica di titulis attribuisce a Teseo una proprietà più da amante elegiaco che da eroe epico (cf. invece la sede esametrica di letum taurique virique, restituito all’epica). I tituli nei trionfi erano i pannelli con i nomi delle città conquistate e delle imprese belliche più rilevanti (cf. Fedeli [1985], ad Prop. 3.4.16): sembra più certo che Teseo (travestito da dux romano) leggerà il titulus di Arianna nel pannello del

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suo trionfo anziché la sua epistula ‘Ariadne Theseo’. Per titulus cf. anche i comm. di Barchiesi (1992), ad 2.68 e Casali (1995a), ad 9.1. 1on ego sum (qui ironico) è incipitario anche in Ov. Her. 3.68 (Briseide) non ego sum classi sarcina magna tuae; cf. 7.45 (Didone). 131-132 nec pater est Aegeus, nec tu Pittheidos Aethrae / filius: auctores saxa fretumque tui!: cf. Cat. 64.155 quod mare conceptum spumantibus exspuit undis? Barchiesi (1993), p. 347, n. 23 riconosce in questa formulazione topica (cf. e.g. Il. 16.33-35, Patroclo ad Achille; per i presupposti ‘erotici’ del passo cf. Miller [2004], p. 70) un riferimento ulteriore: «it comes near to reality if one pauses to think that Theseus is either the son of Poseidon or of a man who is going to give his name to the Aegean sea». La paternità di Teseo era in effetti molto dibattuta, cf. Ov. Her. 2.37-38 (Fillide a Demofonte, figlio di Teseo) perque tuum mihi iurasti, nisi fictus et ille est, / concita qui ventis aequora mulcet, avum = Poseidone (con Barchiesi [1991], ad loc.). A questo proposito cf. la voce Aethra (figlia di Pitteo e madre di Teseo) in OCD 30. Cf. anche Armstrong (2006), p. 90, n. 41. Per auctores cf. Verg. Aen. 4.365 nec tibi diva parens generis nec Dardanus auctor (Didone a Enea) con Döpp (1968), pp. 29-30. 133-134 di facerent ut me summa de puppe videres! / movisset vultus maesta figura tuos: Teseo, scorgendo Arianna summa de puppe che sventolava i candida velamina, più che farsi commuovere dal suo volto disperato, si sarebbe forse rammentato delle vele nere con cui sta pericolosamente navigando (cf. v. 41). Summa de puppe sembra riattivare, mutati i ruoli, la memoria catulliana di Egeo che scruta il mare summa ex arce: cf. Cat. 64.241 at pater ut summa prospectum ex arce petebat (videres ~ prospectum petebat); oltretutto la menzione immediatamente precedente di Egeo in 10.131 contribuisce a creare il contatto tra i due testi. Non ritengo necessaria la trasposizione di Knox dei vv. 131-132 dopo il v. 110 (cf. comm. ad loc.: «in their trasmitted position they cohere with neither the preceding nor the following lines»): soprattutto per quanto concerne «the following lines», il ‘colore’ catulliano di questa sezione testuale emerge anche in di facerent che verosimilmente allude alle dee Eumenides di Cat. 64.193, 195 e 201 (deae); cf. anche Armstrong (2006), p. 232: «she moves into what could have been a curse, starting di facerent, but what actually emerges is another softening, a back-tracking, ‘If only you could have seen me’». Memorie catulliane

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(ed ecphrastiche) sono inoltre percepibili nel pentametro: Arianna è propriamente una figura, una di quelle ricamate sulla veste di Cat. 64 per cui cf. 64.50 haec vestis priscis hominum variata figuris; 64.265 talibus amplifice vestis decorata figuris (con Laird [1993], pp. 24-25). Anche in Cat. 64 maestus ricorre in posizione explicitaria (posizione privilegiata come quella incipitaria per il depositarsi della memoria poetica) a suggellare la fine del lamento di Arianna: cf. v. 202 has postquam maesto profudit pectore voces. 135 qua potes aspice mente: cf. comm. ad 36. Arianna si augura che Teseo la guardi, ora che non può più farlo con gli occhi, almeno con la mente; sappiamo però che la mente di Teseo non è molto affidabile: cf. Cat. 64.200-201 sed quali solam Theseus me mente reliquit, / tali mente, deae, funestet seque suosque; 238-240 haec mandata prius constanti mente tenentem / Thesea ceu pulsae ventorum flamine nubes / aereum nivei montis liquere cacumen. Il v. 135 scandisce una climax bathetica: cf. infatti v. 39 si non audires, ut saltem cernere posses e qui nunc quoque non oculis, sed, qua potes, aspice mente. 136 haerentem scopulo: aspice … haerentem scopulo riattiva la memoria (già nel comm. di Palmer [2005], ad loc.) di Prop. 2.30.27 illic aspicies scopulis haerere Sorores in cui il poeta immagina di condurre Cinzia nella grotta delle Muse: il passo properziano però non costituisce un vero e proprio intertesto. Anche la differenza di senso tra l’haerere delle Muse e quello di Arianna (con il comm. di Fedeli [2005], ad loc. che, sulla base di attestazioni lessicali e di testimonianze iconografiche, spiega haerere come «sinonimo espressivo di sedere») produce un’ulteriore distanza ‘semantica’ tra i due passi; cf. la successiva postilla di Fedeli: «la ‘iunctura’ scopulis haerere rinvia a Verg. Aen. 4,445, dov’è usata per la quercia flagellata dai venti». Cf. appunto Verg. Aen. 4.445 ipsa haeret scopulis … : Enea è irremovibile dinanzi alla disperata richiesta da parte di Didone di una partenza dilazionata (cf. 4.438439 … sed nullis ille movetur / fletibus … e – per inciso – Her. 10.133 movisset) e resta fermo nella sua decisione proprio come una quercia scossa dai venti resta fissata agli scogli. Arianna, che in Her. 10.136, letteralizzando in qualche modo la similitudine eneadica, si descrive aggrappata agli scogli, a brevissima distanza è oggetto lei stessa di una similitudine: cf. v. 139 corpus ut impulsae segetes aquilonibus horret (aquilonibus al plurale ricorre solo qui nelle Heroides e gli aquilones

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sono proprio i venti di Enea: cf. Aen. 4.310 et mediis properas aquilonibus ire per altum). L’horror di Arianna può trovare di nuovo un ‘precedente’ eneadico sempre nel quarto libro: cf. Aen. 4.280 arrectaeque horrore comae et vox faucibus haesit (cf. il comm. di Austin [1955], ad loc.: «the Latin horror is primarily a literal ‘bristling’») in cui sono stati la teofania e il discorso di Mercurio a produrre il turbamento dell’eroe131. Riflettendo intertestualmente (e anche intratestualmente), possiamo scorgere nell’horror di Arianna qualcosa che va oltre la semplice paura dell’abbandono e che prefigura ironicamente, anche qui, una ‘teofania’: cf. appunto la reazione di Arianna all’arrivo di Bacco e del suo corteggio nella continuazione della ‘storia’ in Ov. AA 1.553 horruit, ut steriles, agitat quas ventus, aristae (con Hollis [1977], ad loc.). Ma a cos’è funzionale questo trasferimento (un po’ impertinente) di tratti eneadici su Arianna? (Il libro quarto dell’Eneide offre a ben vedere un modello ben più congeniale, quello didoniano, come peraltro si è già visto passim e cf. Appendice). Per quanto non esplicitato, qui fa capolino il futuro dell’eroina: tra due modelli possibili questa volta Arianna sembra scegliere non Didone, ma Enea, vale a dire il modello ‘vincente’ in linea con l’esito della sua storia, l’arrivo di Bacco (cf. e.g. Laird [1997], pp. 289-290; sull’epilogo della vicenda [catulliana] cf. però anche Wiseman [1977] e [1978]). Lo scoglio compare anche in Cat. 64.244 (unica occorrenza di scopulus peraltro) praecipitem sese scopulorum e vertice iecit in riferimento a Egeo che, scorte le vele nere di Teseo, si getta in mare. Lo scoglio (in Her. 10 anche al v. 26 nunc scopulus raucis pendet adesus aquis) rappresenta per Arianna e per Egeo un punto di osservazione privilegiato (e anche l’oggetto del loro osservare è il medesimo), ma Arianna se ne sta ben adesa ad esso (haerentem scopulo), ‘eneadicamente’ adesa potremmo dire, per Egeo esso diventa invece strumento di morte. Per il gioco etimologico in aspice e scopulum (con scopulus fatto derivare da VNRSHYZ) cf. Michalopoulos (2001), p. 156. 137 lugentis more: questo dettaglio «denuncia la tipicità della situazione del gesto, la ‘maniera’ della manifestazione del dolore, propria del ruolo che Arianna sta interpretando» (cf. Rosati [1989], pp. 14-15; cf. anche Spoth [1992], pp. 206-214 sulla presunta natura teatrale delle 131 Cf. anche Verg. Aen. 2.774 obstipui, steteruntque comae et vox faucibus haesit: è appena apparsa a Enea l’umbra Creusae; 3.48: Enea ‘riconosce’ Polidoro.

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Heroides; Barchiesi [1997], p. 243, n. 7). In una sezione testuale come la fine di Her. 10, in cui si può rilevare un alto tasso di tratti didoniani nella caratterizzazione di Arianna, i demissos lugentis more capillos non possono se non richiamare la Didone moritura di Verg. Aen. 4.590 flaventisque abscissa comas considerata anche l’analoga (e quasi immediatamente contigua, per quanto abbastanza topica) gestualità delle due eroine (estranea invece all’Arianna catulliana): cf. Her. 10.145 plangendo lugubria pectora e Aen. 4.589 terque quaterque manu pectus percussa decorum. Il lugentis mos non è troppo diverso (intratestualmente) dalla scribentis imago di Didone in Ov. Her. 7.183 o da quella di Canace in Her. 11.7 (viene sempre presupposto uno spettatore: cf. 10.137 aspice; 7.183 aspicias utinam; 11.9 spectator adesset, ma cf. anche il ‘pubblico’ di Didone in Verg. Aen. 4.663-664 dixerat, atque illam media inter talia ferro / conlapsam aspiciunt comites …); cf. anche Rosati (2005b), p. 163. Il gesto dello scribere in Her. 10 compare poco sotto al v. 140 (per il pianto come ‘generatore’ di scrittura cf. Spentzou [2003], p. 111). I capilli di Arianna sono demissi, abbandonati sulle spalle, non raccolti né acconciati: a differenza della sua ‘altera ego’ di Ov. AA 3.153-158, questa Arianna ovidiana, quasi dimentica della sua ‘mitologica’ bellezza, pecca di una certa sciatteria; la raccomandazione che le donne dovrebbero tenere ben presente è infatti che non sint sine lege capilli (AA 3.133), se è vero che la cura della bellezza vale più di mille incantesimi in amore: cf. Ov. Med. fac. 35 sic potius nos urget amor quam fortibus herbis. Il lutto (lugentis) di Arianna (solo provvisorio) anticipa un lutto ben peggiore, quello di Egeo: cf. infatti Cat. 64.246-248 sic funesta domus ingressus tecta paterna / morte ferox Theseus, qualem Minoidi luctum / obtulerat mente immemori, talem ipse recepit. Per i capelli sciolti in segno di lutto cf. infine Flaherty (1994), p. 180. 138 et tunicas lacrimis sicut ab imbre gravis: cf. Ov. AA 1.532 indigno teneras imbre rigante genas; l’Arianna delle Heroides è sempre iperbolica, estrema quasi: non bagna solo le guance con le sue lacrime, ma addirittura ‘inzuppa’ completamente la veste sicut ab imbre. L’origine dell’immagine si può ricercare nella porta elegiaca inzuppata di pianto, per cui cf. Ov. Am. 1.6.17-18 aspice – et ut videas, inmitia claustra relaxa – / uda sit ut lacrimis ianua facta meis! (uda = «drenched» con

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McKeown [1989], ad loc.; «udus is a stronger term than umidus»; già in questo passo è riconoscibile «a humorous hyperbole»). La surenchère elegiaca in Her. 10 è marcata proprio dal trasferimento di questo tratto dalla porta elegiaca direttamente all’eroina (cf. anche l’‘invito’ visivo aspice in posizione incipitaria in entrambi i testi). Questa Arianna ovidiana denuncia tutta la sua inadeguatezza ‘amatoria’ (potremmo dire con Kennedy [2006], p. 66 [qui in riferimento a Fillide] che Arianna è ancora «at a fairly rudimentary stage of eterodidactic awareness»): cf. infatti Ov. AA 3.291-292 quo non ars penetrat? discunt lacrimare decenter, / quoque volunt plorant tempore, quoque modo (cf. anche comm. ad 147). Del resto la stessa Arianna in ‘altri’ testi ammetterà la sua precedente rusticitas: cf. Ov. Fast. 3.463 sorte tori gaudens ‘quid flebam rustica?’ dixit. Sull’efficacia elegiaca delle lacrime cf. Bessone (1997), ad 12.190. 139-140: corpus, ut inpulsae segetes aquilonibus, horret, / litteraque articulo pressa tremente labat: cf. comm. ad 136. Ov. AA 1.553-554 horruit, ut steriles agitat quas ventus aristas, / ut levis in madida canna palude tremit ‘riscrive’ il distico eliminando il non più necessario riferimento all’operazione scrittoria (littera … pressa). Corpus horret è anche nella battuta della lena Melaenis in Plaut. Cist. 551 iam horret corpus, cor salit metu. Il tremore è una caratteristica anche di altre eroine: cf. Canace in Her. 11.77-79 con Flaherty (1994), p. 178. Articulus vale ‘giuntura’, ‘articolazione’ e qui, per estensione, ‘dito’: cf. il comm. di Fedeli (2005) ad Prop. 2.34.80; cf. anche Cat. 99.7-8 … multis diluta labella / guttis abstersisti omnibus articulis. 141 non te per meritum, quoniam male cessit, adoro: il verso sembra correggere Cat. 64.149-150 certe ego te in medio versantem turbine leti / eripui … (con Fordyce [1990], ad 30.7: «certe introducing a reminder which justifies a grievance»; cf. anche Her. 10.143 … si non ego causa salutis). La formulazione (non) per meritum rimanda a Verg. Aen. 4.317 si bene quid de te merui (con oro al v. 319). La ‘rivendicazione’ del meritum da parte delle eroine abbandonate è topica: cf. il comm. di Bessone (1997), ad 12.21 e 12.192. Qui, però, Arianna, nonostante si ponga nella lettera come l’archetipo dell’eroina elegiaca (vv. 79-80), è pronta a rovesciare il topos e a rinunciare al suo merito pur di aver salva la vita (vv. 143-144): l’effetto non può che non essere parodico se

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rapportato alla ferma volontà suicida di altre eroine abbandonate (cf. e.g. Fillide in Ov. Her. 2.143-144 stat nece matura tenerum pensare pudorem; / in necis electu parva futura mora est; ma del resto la vicenda di Arianna si presta, proprio per il suo epilogo, a una continuità / continuazione testuale: la sua ‘storia’ e la sua ‘vita’ devono andare avanti). Per la costruzione prosaica di cedere con un avverbio cf. OLD 292.7 (e.g. Hor. Sat. 2.1.31-32); Kenney (2002), p. 42 (sull’uso ovidiano di male). 143-144 causa salutis / causa necis: il parallelismo del distico suggella la conclusione ‘logica’ del ragionamento di Arianna (‘se anche non ti sono stata causa di salvezza, non vedo comunque perché tu debba essere per me causa di morte’). Causa (per cui cf. anche v. 118) è parola tematica nelle Heroides: cf. l’autoepitafio di Fillide in Her. 2.145 in cui Demofonte è indicato come la causa invidiosa della sua morte con l’illustre modello di Verg. Aen. 6.458 funeris heu tibi causa fui ripreso in Ov. Her. 7.195 praebuit Aeneas et causam mortis et ensem. Cf. Barchiesi (1992), ad 2.147-148. 143 sed ne poena quidem!: è significativo che proprio nel ‘congedo’ di Her. 10 compaia un termine come poena: Arianna è disposta a rinunciare a qualunque gratia per le sue azioni (facto … meo 142), ma non a subire una punizione (e sceglie un linguaggio molto poco elegiaco per dirlo: cf. v. 144 non tamen est cur). Poena compare del resto anche alla fine del monologo dell’Arianna catulliana: cf. Cat. 64.192-193 (la maledizione) quare facta virum multantes vindice poena / Eumenides … . Nell’ipotetica poena che l’Arianna ovidiana prospetta per sé si riflette quella molto più reale di Teseo (cf. facta in Cat. 64.191 e tua facta in Her. 10.148, peraltro vs facto meo del v. 142;): il ‘fantasma’ della maledizione sceglie vie allusive per manifestarsi nel testo (cf. introduzione cap. 4). 144 non est cur: esempi di est cur anteovidiani si trovano in Plauto, nelle epistole e nell’oratoria di Cicerone, in Lucrezio: cf. ThLL 4.1437.76 ss., OLD 473.3. 145 plangendo lugubria pectora: cf. Cat. 64.261 (bacchantes) plangebant aliae proceris tympana palmis. Plangere per indicare il battersi il petto è comune, ma l’ipotesto catulliano sembra qui caricare menadi-

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camente (e ‘dionisiacamente’) la gestualità di Arianna. Cf. anche comm. ad 15-16. Lugubria è riferito per enallagen a pectora. Le mani, a causa degli iterati colpi al petto, sono lassae: l’aggettivo è di uso colloquiale (contro il più elevato fessus, per cui cf. Knox [1995], ad loc.). 146 infelix tendo: frammenti di ‘discorso’ didoniano si inseriscono nei versi finali dell’eroide: cf. Verg. Aen. 4.596 (il penultimo discorso di Didone) infelix Dido con identica sede metrica ed effetto di rima. Cf. anche Appendice. infelix tendo trans freta longa manus: cf. la gestualità del naufrago Peto in Prop. 3.7.60 attulimus longas in freta vestra manus (per cui cf. anche comm. ad 123). Palmer preferirebbe lata al posto di longa che è vergato da una seconda mano nel margine di P: ma freta longa è un nesso ‘ovidianissimo’ (cf. ThLL 6.1.1316.7 ss.), mentre lata freta compare solo in Ov. Met. 11.749. Il gesto di tendere le mani in direzione del mare in contesti di preghiera o supplica è comune (cf. e.g. Sullivan [1968]). 147 hos tibi qui superant ostendo maesta capillos: per questa parodica Arianna calva cf. Verducci (1985), p. 255; Knox (1995), ad loc. vi vede una «extraordinary hyperbole». Cf. anche introduzione cap. 8. Ov. AA 1.533-534 clamabat flebatque simul, sed utrumque decebat; / non facta est lacrimis turpior illa suis restituisce al personaggio il suo SUHYSRQcatulliano. 148 per lacrimas oro: quello di Arianna non è un pianto ‘conveniente’: cf. comm. ad 138 e supra. tua facta: ‘le tue azioni’. Cf. comm. ad 143 e Ov. Her. 7.13 facta fugis. 149 flecte ratem: cf. comm. ad 36. versoque … vento: vento è nei codd., ma la correzione di Burman velo (che si trova peraltro anche nel cod. Basileensi) ha goduto di largo consenso (Palmer, Rosati, Knox): cf. Ov. Her. 13.134 dum licet Inachiae vertite vela rates. È giusta la postilla di Burman secondo cui Teseo non avrebbe potuto cambiare la direzione del vento, ma semmai cambiare, appunto, le vele (con inevitabile, ironico riferimento a Cat. 64.235 candidaque intorti sustollant vela rudentes; cf. Barchiesi [1993], pp. 349350); l’ablativo assoluto verso vento mi sembra però semplicemente voler dire ‘mutato il vento (= quando il cambiamento del vento lo con-

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sentirà, con riferimento a Noto di 10.30?), naviga indietro’: cf. OLD 2044.11c ed e.g. Verg. Aen. 1.391 (classem) nuntio et in tutum versis Aquilonibus actam. Nonostante velo sia allettante per le sue implicazioni di ironia tragica (il riferimento ironico alle vele era comunque già in 10.41), qui conservo il testo tradito. 150 si prius occidero, tu tamen ossa feres: un altro punto in cui si scorge il modello didoniano (che è peraltro piuttosto presente nella parte finale della lettera): cf. infatti Verg. Aen. 4.660-662 (i novissima verba di Didone) … sic, sic iuvat ire sub umbras. / hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto / Dardanus, et nostrae secum ferat omina mortis. Didone annuncia la sua fine (sic, sic), Arianna la pone in termini di eventualità (si), Didone minaccia persecutoriamente Enea avvertendolo che raccoglierà (ferat) i suoi omina mortis, Arianna invita Teseo a raccogliere invece le sue ossa (feres). Her. 10 si chiude con l’auspicio (tutto elegiaco stavolta, cf. invece comm. ad 119-120) di un gesto di pietà funeraria da parte dell’amato (si noti per inciso che il primo uso ovidiano [risemantizzato] di novissima verba è in Ov. AA 1.539, proprio nell’episodio di Arianna e che, come postilla Armstrong (2006), p. 245, «one cannot help recalling the Vergilian usage of these words to mean the last uttered by or for somebody»). Arianna però qui ‘ignora’ un testo fondamentale che l’avrebbe messa in guardia dal pericolo di false illusioni: Properzio in 2.24 guarda, tra gli altri, proprio all’exemplum di Teseo per sottolineare l’infedeltà degli amanti (cf. v. 43 parvo dilexit spatio Minoida Theseus), ammonendo Cinzia che tra tutti i suoi amanti appunto (v. 50) vix venit extremo qui legat ossa die (a parte ovviamente il poeta stesso).

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Parole e cose notevoli (L’indice è selettivo. Le cifre si riferiscono al numero di pagina) aut … aut 16;23;59-61;66 Baccha 23;66 candidus 19-21;64-65;100 captivus 83 carbasus 58-59 causa 95;105 cerno 19-20;64;101 cibus 86 clamo 14;55-56 coma 21;27;52-53 credo 43-45;59-60 dextera 90-91;93;94-95 exul 71;73 factum 104;105;106 fides 15;76;78;94;95-96 figura 20;79;82;86;100-101 filum 43-44;76;90;91 flecto 62-63;64;106 fraus 76-77 frigidus 51;61;66;67-68 fugio 8;62 gena 65;103 harena 3-7;54-55 horreo 29;102;104 iners 93 infelix 28;29;106 lacrima 27;65;66;68;69;96;103104;106 laesus 12;88 languidus 22-23;48-49

lectulus 69 litus 4-6;14;45;54;55-56;67 locus 10;56 macto 77;90 mens 62-63 miser 56-57 mitis 43-44 mollis 65-66 moritura 28;61;95;103 Notus 59;107 nullus 8;49-51 numerus 26;62;63;65 oblitus 19;21;65 Ogygius 23-24;66-68 patior 10-11;78 pectus 52-53;66;106 pereo 79-80 perfidus 61;62;69 pes 5-7;54-55 poena 13;105 puella 5-6;54-55;95 puellaris 6;54 puto 59-61 queror 48 rabidus 86-87 ratis 45 recordor 10-11;78 relictus 10-12;43;78;99 ruptus 52-53 saxum 14;16;23;55-56;66-67;100

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Parole e cose notevoli

scilicet 21;65 scopulus 29;57;101-102 semianimis 28;61 semisupinus 22-23;48-49 servus 12;16-17;83-84 simulacrum 12;85-86 sine (me) 45-46 solus 16;70-71 somnus 8;22;46-47;48;51-53;93 tectum 74;99 tempus erat 4;47 Theseus 13-14;15-16;44;45;64;69; 75;76 tigris 12;80-82;86-87

titulus 99-100 torus 51;68;69 unde 4;45 utinam 83;89-90 utor 58 velamen 19-21;64-65;94;100 velum 19-20;45;65;66;106-107 ventus 29;58;64;93;94;101-102 verber 63 viduus 51;61 vir 12;27;76-77;87-88 vis 7;58 vox 14;55-56;62;75

Achemenide 26;63 anafora 90;92 Androgeo 90;91 Baccante (dormiente, di pietra, in corsa) 23-25;66-67 Bacco (Dioniso) 12;17;21;22;27; 28;29;52;53;54;67;70;75;82;87; 97;102 bathos (effetto bathetico) 9;29;63; 73;93;95;101 Catullo (il modello e il modello del modello) 2-7;13-17 Ciclope 7-9;50 coerenza nel distico 83;86 coppia elegiaca 21;69;70 costellazioni 12;85 costruzione del personaggio 4;9;1112;22-23;28-29;71;75 Creta 44;73-74;90;92 destino, futuro ‘letterario’ 1;12;17; 18;29;52;53;54;60;65;66-67;70; 82;84;85;86;94;97;102 dicolon abundans 61

Didone 10;18;28-29;47;52;57;60; 61;62;68;70;88;94;95;98;100; 101;102;103;106;107 eco (il nome di Teseo e la natura) 13-14;55-56 elegia ‘sfigurata’ 25-27 Enea 4;28-29;47;51;60;62;72-73; 88;94;98;100;102-103;105;107 epanalessi 56;61;90;91 epillio 25;49 eroina ‘autoriale’ 5-7;10-13;22;2528;78-79 eroine che leggono e scrivono 12;10;45;59-60;78-79 explicitario 13;101 filo 43-44;91 genere (tensioni di) 1-28 passim ‘gesto’ di fondazione letteraria 11; 78-79 iconografia di Arianna 48;68;71; 97-98 illusione dell’inseparabilità 75;107

Parole e cose notevoli

impersonalità della descrizione 18; 64;66 incertezza di Arianna 59-61 incipit/incipitario 4;8;11;15;19;21; 43-44;45;57;74;76;101;104 intertestualità retroattiva 9;24;43;88 iperbole 73;79 ironia (cf. anche prefigurazione ironica) 2;18;21;22;47;61;63; 65;71;72;79;81;84;87;88;89;93; 95;97;98;99;100;106;107 lacrime elegiache 65;66;69;71; 103;104 lamento e gestualità elegiaci 48;64; 66-67;70-71;103;106 languore 22-23;48-49 libertà 16-17;84 locus horridus 57-58 maledizione 9;13;63;91;98 Medea 1;5;24;46;51;52;54;70;73; 85;89;92;97 memini/memoria 1-2;3;11;12;13; 15;19;21;26;43-44;45;47;55-56; 57;58;65;69;74;75;76;78;84;8889;94;95;100-101 memoria ‘impertinente’ 9;50;102 metro e genere 6;7;23;48;49;54-55; 58;61;99 Minotauro 44-45;77-78;90-91;92; 94-95;99

125

modelli maschili 7-9;26-27;28-29; 50;71;72-73;101-102 Odisseo 7-9;26-27;50;64;71;87;8889;93 Palestra 16-17;54;71 parodia (effetto parodico) 3;4;7;9; 27;49-50;54;56;61;68;69;71;105 pathetic fallacy 56 potenziale metaletterario 5;55;56; 58 prefigurazione ironica 12;29;60;63; 65;66;67;70;72;82;84;86-87;97; 102 prepon 27;106 promesse 15-16;58;77;84;95 servitium amoris 17;25;83 ‘sfondo’ cretese 43-44 Sirene 9;19;64 sovrasensi 46;47;49;69;93;98 superelegia 17-22;27;54-55;104 tigri 12;31;67;80-82;86-87 topos elegiaco 53;56;76;83;90;105 versus serpentinus o recurrens 8; 49-51 vesti e vele 19-21;64-65 voyeurismo 20

Luoghi citati (Al passo citato segue il numero di pagina) Apollod. 3.4.3: 54 3.15.7: 90 Apoll. Rhod. Arg. 3.619: 89 3.630-631: 89 3.633: 51 3.651: 5;54 3.795: 89 3.987: 89 3.997-1004: 85 3.1000: 68 3.1002: 97 3.1100-1101: 89 3.1106-1108: 74 3.1107-1108: 89 3.1129-1130: 75 4.386-388: 91 4.430-434: 70 4.468-469: 45 4.1480: 60 Caes. Bell. Civ. 2.14.1: 53 Call. Hymn. in Del. 311: 74 Cat. 5.1: 15 5.5-6: 15;94 8.1: 57 30.9-10: 58 45.5: 79 62.52: 80 63.21: 53 63.36: 53 63.87-88: 80

64.9: 94 64.14-18: 20 64.50: 20;99;101 64.50-51: 99 64.52: 4;45;82 64.52-53: 60 64.53: 62;63 64.55: 60 64.56: 22;46 64.57: 55;57;64 64.57-58: 26 64.59: 58 64.61: 23;66;67 64.62: 57;59 64.63: 52 64.63-65: 19 64.68-70: 19 64.73: 44 64.76-79: 90 64.79: 90 64.83: 90 64.87-88: 69 64.91-93: 25 64.97: 6 64.108-111: 92 64.110: 44;92 64.111: 92 64.112-113: 63 64.113: 74 64.114-115: 74

128

Luoghi citati

64.120: 73 64.121: 45 64.123: 11 64.124-125: 79 64.126: 7;57 64.126-127: 26;58 64.127: 7 64.131: 66 64.132-133: 61;90;91 64.132-137: 62 64.133: 4;14;45;69;78 64.135: 62;77 64.136-137: 62 64.139-140: 75 64.141: 84 64.143: 27;44;75;77;87 64.146: 77 64.148: 77 64.149-150: 104 64.150: 77 64.152-153: 86 64.155: 100 64.157: 98 64.158: 75 64.158-163: 46 64.161: 12;16;17;83 64.164: 58 64.164-166: 14 64.165-166: 55 64.168: 72 64.171-176: 90 64.174: 72 64.177: 70 64.178-179: 72 64.180: 73 64.183: 62 64.184: 71;81

64.184-185: 16 64.186: 72 64.187: 99 64.188: 66 64.191: 105 64.192-193: 13;105 64.192-201: 13 64.193: 100 64.195: 100 64.195-197: 57 64.200-201: 63;91;101 64.201: 100 64.202: 101 64.207-209: 19 64.208: 65 64.215-245: 20 64.227: 59 64.235: 19;65;106-107 64.236-237: 64 64.238-240: 101 64.241: 99;100 64.244: 99;102 64.246-247: 98 64.246-248: 103 64.261: 53;106 64.265: 101 65.10-11: 74 70: 15 70.3-4: 58 72: 15 72.1-2: 15;75 72.2: 16 73: 15 75.2: 98 76: 15 99.2: 80 99.7-8: 104

Luoghi citati

99.14: 80 101.1: 85 Cic. Catil. 1.26: 46 Enn. Ann. 43: 62 175-179: 6 433: 94 505: 73 Med. 104: 70 208-216: 89 var. 56: 53 Eur. Med. 1-15: 89 31-32: 74 502: 70 502-503: 74 Hes. fr. 28: 64 fr. 288: 77 Theog. 453-480: 74 Hom. Il. 1.4-5: 86 6.456: 83 16.33-35: 100 18.592: 27 Od. 4.404-406: 82 5.151-158: 26;67 5.190-191: 93 6.244-245: 89 6.276-277: 89 6.282-283: 89 7.313: 89 9.366: 8;50 9.371-373: 50 9.372-373: 8 9.417: 8;50 9.455-460: 8;50 10.97: 26;71 10.98: 26;71;88 10.100: 26;71;87 10.128-132: 71

10.472-474: 9 12.167: 64 12.184-185: 64 Hor. Epod. 1.1: 98 12.17: 93 Od. 1.22.9-12: 80 1.22.15-16: 80 2.7.27: 24 2.17.5: 70 3.27.61: 87 3.27.63-65: 83 Sat. 1.3.7-8: 62 2.1.31-32: 105 2.5.100: 48 Luc. 1.674-676: 23 3.8-9: 48 5.806: 51 Lucr. 4.779-783: 79 5.335-337: 11 5.926: 80 5.955-956: 58 Lygd. 2.1-2: 65 6.41-42: 99 Mel. Chor. 2.112: 44 Nonn. Dion. 40.185: 83 47.267: 97 47.303-305: 58 47.329: 49 47.334: 46 47.373-374: 77 47.439-445: 70 47.444-446: 70 Ov. Am. 1.2.1-2: 51 1.2.19: 87 1.2.47-48: 98 1.3.1: 87 1.3.17-18: 75

129

130

Luoghi citati

1.3.26: 75 1.5: 21-22 1.5.5-7: 48 1.6.1: 83 1.6.9: 86 1.6.17-18: 27;104 1.6.73: 93 1.7.15-16: 23 1.7.16: 59 1.7.49: 53 1.8.97: 68 1.10.26: 43 1.14.19-20: 23;52 1.14.20: 48 1.14.21-22: 23 2.6.55-56: 4 2.10.17: 51 2.16.17: 93 3.1.4: 48 3.1.8: 7 3.1.9-11: 27 3.1.14: 6 3.7.15: 93 3.7.57: 92 3.7.65: 69 3.9.49-50: 96 3.10.20: 74 AA 1.529: 21 1.530: 52 1.531: 55 1.532: 103 1.533: 63 1.533-534: 27;106 1.537-538: 53 1.539: 107 1.549-550: 82;86 1.553: 29;102

1.553-554: 104 1.556: 70 1.559: 86 1.559-560: 82 1.564: 70 1.659: 93 2.24: 99 2.129: 67 2.229: 93 2.703: 69 3.27: 88 3.35-36: 97 3.41-42: 88;93 3.133: 103 3.153-158: 103 3.161-162: 53 3.291-292: 104 3.311-316: 64 3.581: 93 3.741: 96 3.742: 96 3.788: 48 ex Pont. 3.4.79: 7 3.9.53: 5 Fast. 1.578: 92 2.331-233: 46 3.25: 49 3.463: 104 3.471: 56 3.471-476: 2-3;13 3.471-486: 89 3.474: 76 3.475: 44 3.479-480: 61 3.486: 56 3.487-488: 87 3.511: 84

131

Luoghi citati

3.511-512: 17 3.512: 84 4.433: 55 4.463: 55 4.895-896: 92 5.611: 55 fr. 1.4-5: 85 Her. 1.7: 51 1.83-84: 77 1.113: 96 2.2: 48 2.13-14: 13 2.37-38: 100 2.68: 99;100 2.75-76: 99 2.79: 75 2.79-80: 67 2.105: 49 2.121: 6;55 2.131-133: 58 2.137: 92-93 2.139-140: 82 2.143-144: 105 2.145: 105 3.5-6: 48 3.15: 52 3.53-54: 16 3.65: 46 3.68: 100 3.69-70: 83 4.86: 79 4.115-116: 77-78 4.116: 43;86 4.163: 74 4.165-166: 44 5.4: 88 5.62-63: 57-58

5.71: 52 5.141: 52 6.20: 68 6.115: 75 6.115-116: 70 6.129-130: 77 7.0a: 95 7.7: 57 7.9-10: 29;72 7.13: 106 7.18: 94 7.20: 47 7.25: 60 7.45: 100 7.49: 94 7.95: 61 7.116: 72 7.139-140: 90 7.171: 59;94 7.183: 103 7.195: 105 9.2: 48 11.7: 103 11.9: 103 11.11: 45 11.77-79: 104 11.125: 96 12.11-15: 93 12.15-18: 91 12.33: 79 12.85: 97 12.111: 89 12.113: 77 12.141: 61 12.153: 52 12.156: 53 12.183: 92

132

Luoghi citati

12.209: 70 13.134: 106 14.67: 63 14.83: 53 14.125-127: 96 14.129: 73 14.163: 72 15.113-114: 52 15.149: 69 15.151-152: 48 15.211: 87 15.217: 87 16.21-22: 72 16.135-136: 92 16.149-152: 20 16.160: 93 16.203: 98 16.317-318: 51 16.336: 92 17.40: 45 18.29-30: 67 18.32: 60 18.60: 94 18.125: 72 19.27: 54 Med. fac. 29: 27 35: 103 Met. 2.194: 85 5.593: 55 7.21-22: 89 7.40: 46 8.99: 74 8.122-125: 44 8.131-133: 44 8.136-137: 44 8.169-177: 4 8.172: 91

8.173: 91 8.174-177: 6 8.179-180: 96 8.405-406: 70 8.524: 96 9.19-20: 88 9.268-270: 70 9.482: 98 9.614-615: 93 9.666: 73 9.687-688: 60 10.243: 47 10.594: 55 11.749: 106 14.385: 88 Rem. 15-16: 79 340: 66 596: 67 780: 93 789-790: 64 Trist. 1.1.43-44: 82 1.1.78: 80 1.2.57: 72 1.11.28: 82 3.10.69: 61 4.8.25: 97 [Ov.] Hal. 97: 83 Petr. 101.7: 72 Plaut. Cist. 551: 104 Rud. 201: 16;71 204: 16-17 206a-206b: 16 213: 16-17;54 213-214: 16 218-219: 16-17 Trin. 98: 54 827: 58

Luoghi citati

Plin. 1H 9.21:83 32.15: 83 Plut. Thes. 19-20: 65 19.1: 99 20.1: 77 20.3: 49 Prop. 1.2.8: 20 1.3.1-2: 22-23;48-49 1.3.5-6: 23 1.3.6: 23 1.3.23: 52 1.3.31-32: 5 1.3.41: 83 1.8.4: 46 1.8.26: 75 1.8.42: 75 1.8.44: 75 1.15.10-12: 67 1.15.11-12: 26 1.15.17-18: 51 1.16.17: 93 1.17.11-12: 96 1.18.31-32: 14;55 1.19.3-4: 96 2.1.41-42: 92 2.8.1: 65 2.8.6: 75 2.8.36: 65 2.9.9-16: 96 2.9.19: 47 2.9.31-32: 76 2.9.33: 94 2.10.5-6: 7 2.10.9-10: 12 2.14.28: 47 2.15.2: 69 2.15.13-14: 20

2.20.3: 76 2.22.5-8: 20 2.22.23-24: 98 2.24.43: 107 2.24.50: 107 2.30.1: 62 2.30.27: 101 2.34.2: 65 2.34.3: 88 2.34.80: 104 3.4.16: 100 3.7: 26;97;106 3.7.11: 97 3.7.60: 97;106 3.11.20: 83 3.12.26: 65 3.16.15: 5 3.17.8: 97 4.3.45: 90 4.4.33-34: 83 4.8.42: 64 4.9.30: 48 4.11.64: 96 Sen. Contr. 1.2.20: 83 2.2.9: 5 2.2.12: 99 Sen. Med. 926: 66 Phaedr. 558: 43 782-783: 46 1172: 44 Tro. 624: 66 Sil. 8.83-85: 67 Stat. Ach. 2.25-26: 60 Theb. 5.113-114: 69 11.548-549: 48 Tac. Ann. 15.49: 48 Germ. 22: 53

133

134 Theocr. Id. 11.17-18: 9 Tib. 1.1.59-62: 96 1.1.63-64: 92 1.3.1: 98 1.3.5-10: 96 1.3.91: 52 1.9.56: 49 Val. Flacc. 1.2-3: 73 Verg. Aen. 1.355-356: 82 1.391: 107 1.532: 88 2.8-9: 51 2.23: 46 2.268: 4;21 2.268-269: 47 2.302: 47;51 2.530: 80 2.744: 29 2.774: 102 3.165: 88 3.592: 26 3.606: 26 3.616-618: 26 3.617: 26 3.623-624: 26;63 4.83: 60 4.94-95: 95 4.115-127: 95 4.127-128: 95 4.169-170: 95 4.280: 29 4.300-303: 24 4.308: 95 4.310: 94;102 4.314: 62 4.314-319: 76 4.317: 104

Luoghi citati

4.318-319: 62 4.319: 104 4.361: 29;72 4.365: 100 4.365-367: 93 4.379-380: 65 4.381: 29;72 4.385: 61 4.417: 59 4.430: 94 4.438-439: 101 4.445: 29;101 4.461-463: 47 4.465-466: 47 4.519: 61 4.534: 70 4.565: 62 4.589: 103 4.589-590: 52;99 4.590-591: 98 4.596: 28;106 4.604: 61 4.620: 98 4.649-452: 68 4.657-658: 90 4.660-662: 107 4.663-664: 103 4.686: 61 4.705: 96 5.191: 29 5.832: 94 6.20-22: 90 6.26: 90 6.27: 74 6.30: 74 6.179: 6 6.454: 59-60

135

Luoghi citati

6.458: 105 7.98: 88 7.507: 91 9.485-486: 86 9.491: 90 9.589: 55 10.156: 92 10.540: 56 10.622: 80 10.649: 62

Ecl. 1.5: 56 6.7-8: 11-12 8.41: 79 10.47-48: 46 Georg. 1.151: 87 4.394-395: 82 4.498: 76 4.500: 62 4.507-509: 67 4.527: 56