Origene predicatore e il suo pubblico
 8820426706, 9788820426705

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e il suo pubblico di Adele Monaci Castagno

Dipartimento di storia dell'Università di 'lbrino

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INDICE

Abbreviazioni

pag.

Bibliografia

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lntroduzione

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1. Questioni preliminari 1. Le traduzioni di Rufino 2. Le traduzioni di Girolamo 3. La traduzione dei Tractatus in Psalmos II. Il 1. 2. 3.

quadro esterno della predicazione La città La chiesa di Cesarea Le modalità liturgiche della predicazione 4. Cronologia della predicazione origeniana

Ill. Il predicatore e il suo pubblico

1. 2. 3. 4.

Il predicatore: un fuoco che brucia e che illumina «Docere autem est prophetare» Il metodo della predicazione Il pubblico a) Provenienza etnico-culturale b) Grado di cristianizzazione c) Composizione sociale d) Il giudizio complessivo di Origene su di esso

IV. L'interpretazione della Scriltura 1. L'attacco alla lettura giudaica della Scrittura 2. Gli «amici litterae» 3. La polemica contro l'esegesi gnostica della Scrittura

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6 4. La posizione di Origene a) La lettera che edifica b) «Che interesse ha per me questa storia?» V. La predicazione contro i sincretisml religiosi 1. L'abbandono imperfetto dei demoni del paganesimo: astrologia e magia 2. Le tendenze giudaizzanti VI. Demoni e angeli 1. Lo sguardo complessivo sui mondo 2. Il demonio ed i suoi demoni 3. «Omnia angelis sunt plena» VII. La «sapienza» dei semplici: le opere di giustizia 1. Povertà e ricchezza 2. L'etica sessuale e la famiglia 3. La superbia e l'umiltà 4. 1 cristiani di fronte al mondo ed alla chiesa a) L'alternativa fra Dio e il mondo b) Le pratiche ascetiche e devozionali c) L'esortazione alla penitenza VIII. Il principio e la fine: la difficile scelta fra il silenzio e la parola 1. L'utilità del timore 2. L 'utilità dell'lx7r&T71 3. Il fuoco che purifica 4. Il fuoco ( essere un esempio - di estrazione sociale e grado culturale elevati1. Sotto questo riguardo, Origene è apparso soprattutto corne promotore di un progetto educativo elitario il cui scopo era quello di diffondere e rendere «interessante» il cristianesimo anche fra la cerchia di persone abituate a condurre ed affrontare le questioni partendo dal proprio bagaglio filosofico. Accanto a questo aspetto della figura origeniana, vi è perè> anche l'Origene predicatore e maestro dei «moiti»; un Origene che potrà apparire, da un certo punto di vista, di tono minore, impegnato non nell'approfondimento di grandi terni teologici, ma in battaglie, per cosi dire, più quotidiane. Tuttavia il tentativo di approfondire e chiarire i lineamenti anche di questo progetto educativo, cui Origene mostra di tenere non meno che al primo, potrà forse dare un contributo ad una comprensione più diversificata di questa figura. In questo senso, allora, che importanza Origene attribuiva alla sua predicazione? Quali erano i doveri e gli scopi che si prefiggeva? Con quali argomenti difendeva, promuoveva la funzione del predicatore per-

limita aile Omelie su Geremia e al Commenta al Vangelo di Giovanni; ancora di carattere stilistico è Io studio di G. Lomiento, L 'esegesi origeniana del Vangelo di Luca, Bari 1966; una breve introduzione allo sviluppo dell'omiletica cristiana si trova in G. Gentili, Orige11e. Omelie sui/a Genesi e sull'Esodo. lntroduzione, traduzione e note, Alba 1976, pp. 9-43. Lo studio più ampio è: Origène, Homélies sur Jérémie. Traduction par P. Husson e P. Nautin, édition, introduction et notes par P. Nautin (SC 232), Paris 1976, pp. 100-191, ripreso in parte in P. Nautin, Origène. Sa vie et son oeuvre, Paris 1978, pp. 389-408. Dedicat.i anche aile omelie, dal punto di vista del contributo che esse danno alla conoscenza della chiesa del Ill sec., sono i due lavori di A. v. Harnack, Der kirchengeschichtliche Ertrag der exegetischen Arbeiten des Origenes, 1 T.: Hexateueh und Richterbueh; 2 T.: Die beiden Testamente mit Ausschluss des Hexateuchs und des Richterbuehs (TU 42,3 (pp. 1-96) e 42,4), Leipzig 1918 e 1919, costituiti prevalentemente da una raccolta di testi. Ho potuto consultare il lavoro di W. Schuetz, Der ehristliche Gottesdienst bei Origenes, Stuttgart 1984, soltanto quando il presente studio era già in bozze; esso riguarda la concezione liturgica di Origene (liturgia della parola e liturgia eucaristica) e, pur nella diversità dell'impostazione d: fondo, affronta terni che sono oggetto anche della presente ricerca ai capp. 111,1-3 (pp. 82-92; 114-119); IV.4 (pp. 93-113). 3. Per una rassegna sui principali problemi critici sollevati dalle scuole di Alessandria e di Cesarea cfr. R.M. Trevijano Etcheverria, «La Didaskalia de Origenes: caracteres de su doctrina», in Ser. Viet., XVIII, 1971, pp. 5-14; 121-154; H. Crouzel, «L'École d'Origène à Césarée. Postscriptum à une édition de Grégoire le Thaumaturge», in B.l..E., LXXII, 1970, pp. 15-27; A. Knauber, «Das Anliegen der Schule des Origenes zu Casarea», in M. T.Z., XIX, 1968, pp. 182-203.

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ché la sua parola avesse maggiore possibilità di persuadere, di convincere, di convertire, di creare il consenso intorno a sé? Che tipo di rapporto cercava di instaurare con il suo pubblico? Su quali terni si esercitava maggiormente la pressione del predicatore? Come e in base a quali adattamenti, correzioni di prospettiva, un grande asceta e un grande intellettuale ha tentato di comunicare la sua esperienza ed il suo sapere ai « 7roXXoi»? lnoltre: si è spesso parlato a proposito di Origene di «esoterismo», ma quai è stata in concreto, nel suo parlare ai «principianti» - catecumeni ma anche battezzati ancora lontani dalla perfezione -, la scella fra la parola e il silenzio? E quali i motivi che l'hanno guidata? li secondo aspetto della mia ricerca consiste nel tentativo di approfondire la conoscenza del pubblico cui Origene si rivolgeva; a tale riguardo, il problema sarà quello di cogliere dalle sue stesse parole le informazioni che possano gettare qualche luce sui lineamenti culturali e religiosi di una comunità cristiana del III sec., sui suo grado di cristianizzazione, sui problemi che maggiormente l'agitavano, sullo scarto esistente fra il cristianesimo di chi parlava e quello di chi ascoltava, sulle resistenze che questi opponeva aile parole del predicatore. Sotto questo profilo le omelie origeniane presentano parecchi svantaggi rispetto, ad esempio, alla predicazione dei Padri Cappadoci ed all'uso che di essa è stato possibile fare nello studio relativo del Bernardi•: le omelie di un Basilio sono molto più ricche di informazioni sociologiche e culturali relative ai loro destinatari delle omelie origeniane; tuttavia queste, a differenza delle prime, pronunciate nella stragrande maggioranza dei casi a Cesarea in un arco di tempo concentrato, ma non breve, e rivolte ad un pubblico che le stesse parole di Origene ci fanno pensare relativamente stabile, sono in grado di offrirci l'immagine di un'azione pastorale continua, di un rapporto ininterrotto da cui sarà possibile evincere, da una parte, almeno a grandi linee, il volto religioso di una comunità particolare, e dall'altra, con una buona approssimazione, il ritratto di un predicatore. L'orizzonte più lontano di interessi cui questo lavoro fa riferimento è la storia della predicazione rivisitata e ripensata alla luce delle nuove problematiche e indicazioni metodologiche emergenti da quell'indirizzo storiografico che si pone il problema di trovare i metodi di indagine più adatti ed i tipi di documentazione più fruttuosi per approdare ad una

4. J. Bernardi, lu prédication des Pères cappadociens. le prédicateur et son auditoire, Paris 1968.

26 storia del cristianesimo che tenga conto, oltre che dei campi di indagine più tradizionali - cioè, per quanto riguarda soprattutto la parte antica, l'evoluzione dei concetti teologici e delle istituzioni, il rapporta con le culture greca e giudaica - anche di quel vasto e difficilmente afferrabile oggetto di studio che è la religiosità dei simplices, degli incolti, dei socialmente marginali fra cui il cristianesimo doveva reclutare il maggior numero dei propri adepti. Dalla ormai vasta letteratura critica che ha descritto i limiti, le difficoltà intrinseche, le possibilità di sviluppo di questo orientamento storiografico, sono emerse anche alcune indicazioni concrete per la ricerca; una di queste riguarda appunto la produzione omiletica corne campo di studio privilegiato'. L'omelia che cerca con il pubblico un rapporta immediato e che, se vuole essere compresa ed avere cosi la possibilità di raggiungere Io scopo di persuadere e convincere, deve adeguarsi ad esso cogliendone dal vivo le reazioni è quel tipo di produzione che, più di aitre, concepite net chiuso dello studio, ha la possibilità di gettare qualche luce sull'oggetto che ci interessa. Nella società antica, fra le diverse forme in cui si è espressa la cultura religiosa, la predicazione - accanto all'iconografia - è uno dei mezzi di comunicazione di massa più importanti'; essa serve a diffondere modelli di comportamento, ad attivare meccanismi di identificazione e di solidarietà di gruppo, a promuovere il consenso fra coloro che potremmo definire con un termine neutro gli «altri» rispetto ad una gerarchia culturale e istituzionale di cui il predicatore, nel momento in cui pronuncia il suo discorso, è il portavoce autorizzato.

5. Cfr. la sintesi critica del problema con relativi orientamenti della ricerca di F. Bolgiani, «Religione popolare», in Aug., XXI, 1981, pp. 7-75. Questi orientamenti di ricerca sono alla base di un rinnovato interesse per Io studio della predicazione soprattutto medievale e moderna. Cfr. ad esempio, P. Riché, La pastorale populaire en Occident (VJe-xJe siècles) e J. Le Goff-J.C. Schmitt, Une parole nouvelle (X/lie siècle), ambedue in J. Delumeau (ed.), Histoire vécue du peuple chrétien, Paris 1979, rispettivamente in T.I., pp. 195224; 257-280, e nell'edizione italiana di quest'opera a cura di F. Bolgiani (Torino 1985), il contributo di H. Martin, La predicazione e le masse nef XV secolo. Fa/lori e limiti di un successo, pp. 455-490. Cfr. inohre le indicazioni metodologiche relative all'utilizzazione di testi omiletici presenti in A. Ja. Gurevil'.', Contadini e santi. Problemi di cultura popu/are ne/ Medio Evo, tr. it., Torino 1986, pp. 5-11. 6. Cfr. su questo aspctto della predicazione l'introduzione crilica all'antologia di testi di R. Rusconi, Predicazione e vita religiosa ne/la società italiana da Carlo Magno alla co11troriformu, Torino 1981, in particolare pp. 12-16. Sulla predicazione nel mondo antico cfr. le parti relative di J .8. Schneyer, Geschichte der katolischen Predigt, Freiburg 1968 e D. W. Schütz, Geschichte der christlichen Predigl, Berlin 1972 e le pagine introduttive con relativa bibliografia di J. Longère, La prédication médiévale, Paris 1983, pp. 12-35.

27 Per questa sua caratteristica intrinseca l'omelia, in modo più immediato delle aitre forme di comunicazione, deve tener conto del proprio destinatario concreto, deve farsi simile a lui per poterlo rendere simile a sé. Lo studio di essa non puo prescindere da questo giuoco complesso dell'alterità e della somiglianza che si instaura fra il predicatore ed il proprio pubblico, giuoco in cui si deve cercare di distinguere gli elementi che appartengono all'uno ed all'altro e l'interazione che si stabilisce fra di essi. È forse inutile sottolineare che se questo è l'orientamento generale che ha comandato sia la scelta dell'argomento, sia il modo in cui esso sarà condotto, Io studio della predicazione di Origene non èche un piccolo segmento dell'indagine che, da questo punto di vista, sarebbe quasi ancora tutta da sviluppare sulla predicazione antica, indagine che, condotta sulla lunga durata, rivelerebbe certo aspetti interessanti. Non bisogna inoltre ignorare le peculiarità relative all'oggetto della ricerca: il pubblico di Origene non puo essere messo sullo stesso piano delle folle che più tardi ascolteranno un Basilio, un Agostino, un Giovanni Crisostomo, né la sua predicazione puo essere ritenuta - senza gli opportuni distinguo - esemplificativa dei modi e dei contenuti di quella che nello stesso periodo veniva condotta davanti aile diverse assemblee sparse nell'lmpero. Egli porta nella sua predicazione - corne vedremo - tutta la problematica relativa al fatto di essere nella chiesa del suo tempo un personaggio eccezionale, isolato per non dire unico. Le sue omelie tuttavia conservano per le condizioni concrete in cui sono state pronunciate e concepite, per la loro ampiezza ed antichità un grande interesse in quanto danno la possibilità di osservare, per cosi dire dal vivo, l'immagine di un predicatore e quella di una comunità cristiana del III sec. Vorrei infine esprimere la mia riconoscenza alle persone che hanno contribuito in vario modo alle diverse fasi della ricerca e, in particolare, al Prof. Franco Bolgiani che mi ha avviato allo studio di Origene ed i cui interessi per il «vissuto religioso» nella storia del cristianesimo mi hanno offerto Io stimolo e Io spunto iniziali; ai Professori Eugenio Corsini, Ezio Gallicet, Manlio Simonetti cui devo osservazioni e suggerimenti preziosi; al Dipartimento di Storia dell'Università di Torino che ha voluto accogliere il lavoro nella sua Collana di Studi; agli amici della Biblioteca «Erik Peterson» il cui contributo critico e. aiuto sono stati per me di grande utilità.

1. QUESTION! PRELIMINARI

Ad eccezione delle venti Ome/ie su Geremia e di quella su I Re. XXVIIl, la restante produzione omiletica di Origene ci è pervenuta per mezzo delle traduzioni di Rufino e Girolamo; non sarà pertanto inutile accennare allo status quaestionis della critica relativo all'affidabilità o meno delle traduzioni latine che, in un primo tempo decisamente emarginate e guardate con eccessivo sospetto, a partire dallo studio del Bardy• sulla traduzione del De Principiis, sono state via via oggetto di un giudizio sempre più articolato ed equilibrato. 1 risultati più fecondi della ricerca su questo argomento provengono dagli studi che hanno affrontato il problema, non tanto sulla base delle teorie di Rufino e di Girolamo a proposito del modo di tradurre, né alla luce delle roventi accuse che i due, in piena crisi origenista, si sono ad un certo punto scambiati, quanto piuttosto sulla base di un confronto puntuale fra le traduzioni e la tradizione diretta greca ove, naturalmente, tale comparazione era possibile 2 •

1. Le traduzioni di Rufino

Per quanto riguarda la sua traduzione delle Omelie su Giosuè, dalla XVI alla XXVI disponiamo di ampio materiale proveniente dalle catene di Procopio che, sia pure in forma sintetica rispetto alla parafrasi di

1. G. Bardy, Recherches sur /'histoire du texte et des versions lati11es du De Principiis d'Origène, Paris 1923; cfr. anche H. Crouzel, Comparaisons précises entre les fragments du Peri Archon selon la Philocalieet la traduction de Reftn, in Origenia11a, 1, Bari 1975, pp. 113-121. 2. Per una presentazione di insieme di Rufino e Girolamo corne traduttori cfr. M. Wagner, Rujïnus the translator, Washington 1945 e H. Mani, Übersetzer der Augustin-Zeit: lnterpretation von Selbstzeugnissen, München 1974.

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Rufino, conferma sostanzialmente la traduzione di quest'ultimo 3 • Positiva è anche il confronta fra un passo dell'omelia XX (1-2) e il brano parallelo riportato in Philoca/ia 12•. Il giudizio complessivamente positiva sull'operato di Rufino per quanto riguarda le Omelie su Giosuè puo forse valere - in mancanza di una tradizione diretta greca - anche per quelle sui Giudici e sui Sa/mi XXXVI-XXXVIII nei cui confronti Rufino afferma di essersi comportato nello stesso modo; infatti nella Peroratio in Explanationem Origenis super Epistulam Pauli ad Romanos, il monaco di Aquileia dice di aver tradotto i tre gruppi di omelie «simpliciter ut invenimus»'. Nella stessa Peroratio, Rufino avverte di essersi comportato diversamente per quanto riguarda le Ome/ie sui Genesi, Esodo e soprattutto Levitico: «Quamvis nobis nec in caeteris quae te insistente, ... in Latinum vertimus, defuerit plurimus tabor, dum supplere cupimus ea quae ab Origene in auditorio Ecclesiae ex tempore, non tam explanationis, quam aedificationis intentione perorata sunt: sicut in homeliis sive in oratiunculis in Genesim et in Exodum fecimus, et praecipue in his quae in librum Levitici ab illo quidem perorandi stylo dicta, a nobis vero explanandi specie translata sunt. Quem laborem adimplendi quae deerant idcirco suscepimus, ne pulsatae quaestiones et relictae, quod in homiliatico dicendi genere ab illo saepe fieri solet, Latino lectori fastidium generarent>> 6 •

Dalle parole di Rufino si deduce che la traduzione di questi tre gruppi di omelie - e in particolare quelle sui Levitico - è stata eseguita parallelamente a un lavoro di rielaborazione stilistica finalizzata ad attenuare cio che nell'originale greco denunciava l'appartenenza allo homi-

3. Origène, Homélies sur Josué. Introduction, texte cri1ique, traduction et notes par A. Jaubert (SC 71), Paris 1960, p. 71: salvo in due casi: «les textes de Procope et de Rufin sont absolument parallèles et leur fin coïncide». 4. La traduzione di Rulino concorda con il testo greco per quanto riguarda l'essenzialc dell'argomentazione e gli esempi e le immagini utilizzati per illustrarla; in questi ultimi Rufino aggiunge qualche nota di colore: l'esempio dei serpenti soggiogati dalle formule magiche viene ripetuto, con qualche particolare in più, due volte (XX, 1, p. 416,6e418,14) mentre il testo greco ne accenna soltanto all'inizio del paragrafo 2; cfr. anche p. 416, 13 ove si fa cenno al potere degli incantesimi di invocare i demoni in proprio aiuto, discostandosi dal testo grcco. ln due punti Rufino aggiunge dei brevi paragrafi: p. 415, 12: l'augurio che la sua interpretazione serva a migliorare la comprensione della Scriuura che, tuuavia, potrà cssere intesa pienamente soltanto nella vita futura; p. 418,l: l'affcrmazione che anche Gesù Cristo, corne gli angeli, quando vede gli uomini occupati nello studio della Scriuura «pasci et refici dignatur in nobis». È, perè>, possibile, corne sostiene la Jaubert, op. cil., p. 81, che tali aggiunte corrispondano ad altreuante omissioni della Phi/ocalia. 5. PL XIV, c. 1293. 6. Ibid., Rufino, più avami (ibid.), ripete: «Quamvis ergo et in caeteris quae supra diximus laboratum nobis sit in supplendis bis quae omiserat ... ».

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liaticum genus e, mediante alcune integrazioni, ad avvicinare il testo latino al genere letterario del commento. Che peso dare a queste affermazioni? Doutreleau, che ha rivisto a fondo la questione della tradizione diretta greca sulla II omelia sui Genesi, distinguendo i frammenti di Didimo da quelli di Origene e confrontando questi ultimi con i passi paralleli di Rufino, conclude che questi è rimasto fedele al pensiero di Origene, pur adottando una traduzione libera e malgrado la sua tendenza alla parafrasi, alla prolissità ed a certi vezzi stilistici quale quello, ad esempio, dello sdoppiamento di una parola greca in due latine 7 • Anche per le Omelie sui Levitico abbiamo una possibilità di verifica: la Filocalia ne riporta infatti un passo di cui quello parallelo di Rufino è una traduzione molto fedele'. Per quanto favorevoli, questi confronti restano piuttosto circoscritti; quanto aile integrazioni che Rufino dice di aver operato, si puè> ipotizzare che per esse egli abbia attinto al Commento al Genesi e agli Excerpta in Exodum e in Leviticum, opere che compaiono tutte nella lista geronimiana dell' Ep. 33'. Un procedimento simile viene del resto apertamente ammesso nei confronti delle Omelie sui Numeri: «Quaecumque in Numerorum librum, sive homiletico stylo, sive etiam ex his, quae Excerpta appellantur, scripta repperimus, haec, perurgente te, Romana, ut potuimus voce ex diversis in unum ordinem collecta digessimus ... »' 0 •

Da questa breve panoramica possiamo trarre alcune indicazioni essenziali per l'utilizzazione delle traduzioni rufiniane; tra queste il maggior grado di attendibilità sembra essere posseduto dalle Omelie su Giosuè, sui Giudici e sui Sa/mi XXXVI-XXXVIII, mentre un atteggiamento più cauto dovrà essere tenuto verso le Omelie sui Numeri, l'Esodo, il Genesi, il Levitico. ln relazione a tutte vale pero il suggerimento espresso dalla Jaubert a proposito delle Omelie su Giosuè: « ... il ne faudra pas tirer argument d'une frase ou d'un court texte qui ne soient confirmés par ailleurs»" .

7. Origène, Homélies sur la Gen~se. Nouv. Édit., introduction de H. de Lubac et L. Dou1releau (SC 7 bis), Paris 1976, pp. 21-22. 8. Phil. 1,30, pp. 35,25-36,22 e Ho.LV. V,I, p. 332,22-334,9. 9. CSEL LIV, p. 255,15. 10. Ho.Nm., prol., p. l,16. J 1. Jaubert, op. dt., p. 81.

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2. Le traduzioni di Girolamo li problema della verifica delle traduzioni geronimiane si presenta in termini molto più favorevoli; un banco di prova considerevole è costituito dalle Omelie su Geremia, di cui dodici sono possedute sia nell'originale greco, sia nella traduzione latina. I confronti condotti dal Klostermann12 e poi soprattutto dal Peri hanno messo in luce differenze minime: parafrasi e abbreviazioni tese a rendere più chiara al lettore un'espressione greca troppo ellittica; l'aggiunta di qualche particolare marginale per rendere un'immagine più colorita e toccante 13 • 1 problemi relativi alla traduzione delle Omelie su Luca sono più complessi. La raccolta primitiva doveva essere più vasta di quella pervenutaci attraverso Girolamo. Ciè> si deduce da Co.Io. XXXIl,2-5 ove si fa cenno alla distinzione fra «pranzo» (i1puJTov) e «cena» (ôEtrvov) fatta «Êv rais "arà Aouxav ÔµiÀ(am>, ma tale omelia, che avrebbe dovuto riguardare Le. XIV, 16, non si trova fra quelle pervenuteci". Inoltre queste omelie, analizzate sotto il profilo della successione delle letture del giorno, presentano delle lacune: dal rimando stesso di Origene sopra citato si deduce che fra l' omelia XXXIV e la XXXV manca proprio quella che avrebbe dovuto commentare Le. XIV,16 e fra la XXXV c XXXVI mancherebbe quella dedicata a Le. XV,1-10 cui Origene farebbe riferimento in Co.Mt. XIII,29' 5 • La presenza di aitre lacune viene ipotizzata per il fatto che, mentre fino a Le. IV ,27 il commenta del testo è continuo ed ininterrotto, manca ogni sorta di interpretazione a Le. 1,32 b-38; 11,3-7; 17-20. Tali mancanze potrebbero perè> anche essere precedenti alla traduzione di Girolamo condotta «sicut in graeco habenturn 16 . Altri interrogativi nascono dal confronta della traduzione di Girolamo con i frammenti greci. Nei punti in cui vi è il testo greco parallelo, la traduzione appare sostanzialmente fedele al frammento corrispondente 17 , ma in moiti casi tali frammenti

12. E. Klostermann, Die Oberlieferung der Jeremiashomilie11 (TU, 16,3), Leipzig 1897, pp. 28-31. 13. V. Peri, I possi sui/a Trinità ne/le omelie origeniane tradotte in latino da San Girolamo, in Studio Patristico VI, Berlin 1962, pp. 155-180; dello stesso avviso anche P. Nautin, SC 232, cit., p. 40. 14. T. Zahn, «Die Predigten des Origenes über das Evangelium des Lukas», in N.K.Z., XXII, 1911, p. 254. Cfr. anche Origenes, Homilie11 zu Lukas, hrsg. v. M. Rauer (GCS 9), Berlin 1959, pp. VII-VIII. 15. «T~ ô~ ll'Ep) 7WI' h-aTàl' 7rpofJ&Twl' rxm EÎî ri\ç xaT~ AouJcàl' liµ1ÀÛm> (p. 261, 15);

cfr. su questo punto Zahn, op. cit., p. 255; Rauer, op. cit., p. VII. 16. Ho.Le., prol., p. 1,8. 17. Origène, Homélies sur S. Luc. Texte latin et fragments grecs, introduction et notes

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non trovano alcuna corrispondenza con il testo latino: si deve dunque pensare che in quei punti Girolamo ha abbreviato e riassunto il testo greco, oppure che i frammenti provengono da una fonte più estesa e completa di quella a sua disposizione, corne avrebbe potuto essere, ad esempio, il Commento origeniano al Vongelo di Luca?'". Un'altra testimonianza sulla traduzione geronimiana delle Omelie su Luca la dobbiamo a Rufino che, nel pieno della sua controversia con Girolamo, sostiene di aver adottato nelle sue traduzioni origeniane gli stessi criteri del monaco di Betlemme: «Ego me interpretandi disciplina tantummodo imitatum te dixi vel secutum, in nullo alio, in quo etiam tibi iniuriam ractam dicis quia secutus sum, quod te videram in omeliis secundum Lucae Evangelium fecisse, ut, ubi de Filio Dei in Graeco non recte inveneras, praeterircs, in illo loco ubi dicit: "Magnificat anima mea Dominum, et exultavit spirit us meus in Deo salutari meo". Nosti quia de anima, sicubi illa quae soient dici, non praeterieris, sed ea adhuc etiam ex te additis quibusdam assertionibus lucidius scripscris, ut in illo loco: "Ecce ut facta est vox salutationis tuae in au ri bus meis, exulta vit in fans in utero meo' ', ubi dicis quod non erat hoc principium substantiae eius, et de tuo addidisti: Arque naturac. Haec et mille alia his similia in imerpretationibus tuis, sive in bis ipsis omeliis, sive in leremia vcl lsaia, maxime autem in Ezechiele non subtraxisti. De fide autem, id est, de Trinitate, cum aliquantis in locis aliter invenisses, quae tibi visa sunl praeteristi» 1•.

La testimonianza di Rufino è in fondo una prova indiretta della sostanziale fedeltà di Girolamo; gli interventi denunciati, anche da un lettore cosi poco benevolo corne poteva essere il monaco di Aquileia in quel momento, sono molto circoscritti ed egli stesso - che poteva controllare sull'originale - riconosce che in moiti altri casi Girolamo è stato fedele al dcttato origeniano20 • Girolamo sostiene inoltre di aver tradotto le Omelie sui Contico «fideliter magis quam ornate» 1 ' e Io stesso viene ripetuto perle Omelie su Ezechiele 21 •

par H. Crouzel, F. Fournier, P. Périchon (SC 87), Paris 1962, pp. 84-87. Cfr. anche, perè>, il comribuio di E. Lupicri, LCI 11usdtC1 c/i u11 sa1110. La figura di Gio1•C11111i Bcmista fru l'l'sl'gesi di Orig1•11e I' que/lu di Girolumo, in corso di pubblicazionc negli A111111/i di Storia clel/'esegesi, Il, Bologna; I' A., a proposito di alcuni passi delle omclie XI e XXV rclativi alla figura del Battista, avanza l'ipotesi che Girolamo abbia manipolato qna c là il testo grcco pcr armonizzarlo ai propri idcali di vi1a monastica. 18. Cfr. su qucsto pumo Rauer, op. cit.; pp. XVI-XVII; Fournier, SC87, dt., pp. 81-82. 19. Ruf., Apol., 11,31, p. 296,7. 20. Peri, I pol·si•..• cit., pp. 156-157; Fournier, SC 87, cit., p. 86. 21. Ho.Com., prol., p. 26,12. 22. «Et has quattuordecim in Ezechiclem per intervalla dictavi, id magnopere curans,

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Una menzione a parte meritano le Omelie su /saia che sono state attribuite a Girolamo grazie ad una citazione di Rufino che gli rimprovera di avervi apportato un'aggiunta riguardante la Trinità. Mediante una puntuale analisi il Peri fa salire a cinque le interpolazioni trinitarie dovute alla mano di Girolamo 21 • In generale la critica è orientata a riconoscere un buon grado di affidabilità alle traduzioni geronimiane soprattutto per quanto riguarda quelle opere corne le Omelie che, a detta dello stesso Girolamo 2 •, non presentano aspetti dottrinali e speculativi tali da rendere necessari continui adattamenti e censure. 3. La lraduzione dei Tractatus in Psalmos È stato utile ripercorrere a grandi linee Io status quaestionis relativo alle traduzioni latine delle omelie origeniane perché mi pare che, se collocata su questo sfondo, risalti meglio la peculiarità della traduzione geronimiana dei Tractatus in Psalmos; un aspetto che, per quanto ho potuto appurare, la critica non ha ancora messo in luce. Già in base alla lista21 delle aggiunte geronimiane individuata dal Peri è possibile rendersi conto che, per la traduzione delle Omelie sui Sa/mi, Girolamo si è comportato diversamente dalle aitre sue traduzioni che, se recano traccia di adattamenti - comunque molto sporadici - di tipo teologico, non rivelano corne i Tractatus un vero e proprio intento di confondere le acque con cenni ad eventi, persone e polemiche del proprio tempo, nonché rimandi a proprie opere 26 • ut idioma supradicti viri et simplicitatem sermonis, quae sola ecclesiis prodest, etiam translatio conservaret omni rhetoricae artis splendore contempto ... » (Ho.E.:., prol., p. 318, 7); queste parole non vanno intese pero alla lettera; corne ha fatto notare il Baehrens nell'introduzione all'edizione critica (p. XLIX), in entrambi i gruppi di omelie ci sono tracce della tecnica retorica delle clausole che rivelano - malgrado le parole di Girolamo - almeno un minimo di elaborazione stilistica della traduzione. 23. Proprio la citazione di Rufino (Apol. 11,31, p. 298,32) che trova riscontro in Ho.ls. I, 2, p. 244,28, ha reso possibile l'allribuzione della traduzione a Girolamo che non la cita nel De Viris il/ustribus; la traduzione pertanto si colloca dopo il 392 e prima dell'anno di pubblicazione (401-402) dell'Apologia rufiniana. L'anonimità di tale traduzione deve forse essere allribuita al fatto che essa è stata condotta in piena crisi origenista; sui passi trinitari di queste omelie cfr. Peri, I pas.si••• , cit., p. 179 sgg.; sui problema dell'autenticità della IX omelia, negata dal Baehrens, cfr. V. Peri, «lntorno alla tradizione manoscritta delle omelie origeniane su lsaia nella traduzione latina in S. Girolam0>>, in Aev., XXI, 1957, pp. 205-229. 24. Apol. adv. Ru/. 11,14, p. 136,9; 23; p. 166,36. 25. Peri, Ome/ie origeniane sui Sa/mi. Contributo all'identificazione del testo latino, Città del Vaticano, 1980, pp. 41-49. 26. Riprendo qui a sommi capi la lista: 1) allusioni riguardanti avvenimenti e perso-

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Vorrei, inoltre, richiamare l'attenzione principalmente su alcuni aspetti che riguardano da vicino l'oggetto della mia ricerca, cioè, su quelle parti dei Tracta/us che offrono a proposito del rapporta fra predicatore e pubblico informazioni discordanti da quelle offerte dalle aitre omelie origeniane 27 • Un primo problema è rappresentato dai passi che riguardano i monaci; fra questi soltanto cinque sono riconosciuti di sicura provenienza geronimiana. Il Peri propane di dividere i passi in questione in quattro gruppi; una prima serie riguarderebbe: «l'allusione ai monaci corne componente già abituale della compagine ecclesiastica, enumerata nella serie degli alti gradi e condizioni ecclesiastiche, da quelli del sacerdozio gerarchico ai semplici fedeli laici. In questi casi la parola monachus, vicina ancora al senso primitivo e lalo di cristiano che vive e si esercita nella virtù in una situazione appartata e solitaria, è usata in alternativa con i due più antichi calchi greci anachorites e ascetes, già noti al vocabolario e quindi alla chiesa di Origene» 28 •

A riprova di questa alternanza e, se intendo bene, interscambiabilità di termini vengono citati due passi. Il primo 2 • («Illi [se. gli Ebrei] serpentem aereum suspendunt in deserto. Audiant anachoritae, audiant qui in heremo habitant. Nos uero quid fecimus? Verum et antiquum serpentem in heremo suspendimus») è inserito nel commenta a Ps. CV,7 («Patres nos tri in Aegypto non intellexerunt mirabilia tua»}, ove Girolamo enumera i miracoli compiuti dal Signore nel deserto a favore del suo popolo e critica gli Ebrei che si Iasciano sfuggire il significato profondo dei mirabi/ia, fra cui anche l'episodio narrato da Nm. XXI,4 sgg. Il rife-

naggi storici successivi ad Origcne (Massimiano e Giuliano I' Apostata; la distruzione del Serapeo di Alessandria; la restituzione delle chiese agli ortodossi ordinata da Teodosio; il calcolo approssimativo dei quattro se essere interrotto in seguito a qualche richiesta particolare; il caso più significativo è quello della spiegazione della profezia di Balaam (Nm. XXIII sgg.). All'inizio dell'omelia XV si dice: «Per quanto l'ordine delle letture recitate richieda di preferenza che noi spieghiamo ciô che il lettore ha letto, dal momento che alcuni fratelli domandano che venga trattato nell'omelia piuttosto ciô che è scritto sulla profezia di Balaam, ho ritenuto giusto soddisfare non tanto l'ordine delle letture, quanto i desideri di chi mi ascolta»".

La spiegazione si prolunga fino all'omelia XX, la cui lezione del giorno riguarda Nm. XXV, segno che le letture si erano interrotte per dare la possibilità al predicatore di condurre la sua spiegazione con calma. Anche l'omelia XIII su Ezechiele è frutto della richiesta particolare dei vescovi che vogliono una spiegazione dettagliata sui significato del «principe di Tiro» (Ez. XXVIII, 12) aggiungcre: Ho.Li'. IV,6, p 324,12, «De lineis (/_1•. Vl,3) saepe iam dictum est, et tune maxime, cum de indumcntis sacerdotalibus dicebamus quod species isia formam tcneat castitatis ... ., che si riferbce ad un'imerpretazione che si puè> leggere in Ho. Ier., Xl,5; in Ho.Nin. X, l, p. 70, IO fa riferimemo ad una trattazione più ampia del conceuo di santità: «Sicut a nobis et in aliis 1rac1a1ibus plenius dictum est», che si puè> lcggere in Ho.L.11. Xl,1. Quando, in Ho.Nm. XXVll,9, p. 268,12, Origenc arriva a p11rlare delle tappe del popolo ebraico ncl dcscrto rimanda a quamo già deuo: «Et in aliis, cum aedilïcationis causa aliqua loqucrcmur»; le omclic in qucstionc sono naturalmeme quelle sull' Esodo. ln Ho./111/. 111,3, p. 483, IO a proposiw di Cha· leb si dice: «De quo, prout powimus, in suis lods quae visa sunt disscruimus>>, rifcrcndosi a Ho.los. XX,4 sgg. Un passo di Ho.ls. 1,1, p. 244,ll rimanda al le1·i1ico come a leuure ed omclie ancora a venire. Tuui questi passi confermano la ricostruzionc del Nau1in. 52. Quamo alla collocazione dei Tructull/s nell"insieme della prcdicazionc origeniana

60 tura, seguendo l'ordine dei LXX, fino alla fine per poi ricominciare dall'inizio, cioè dal Genesi e dagli altri libri storici che sarebbero stati gli ultimi ad essere commentati.

mi permetterei di fare qualche osservazione a quanto viene detto dal Peri, Omelie... cit., pp. 68-69: «Conviene notare che l'insistenza dell'oratore su alcuni concetti ricorrenti nella sua esegesi, ottenuta con l'espressionefrequenter dixi ripetuta molto spesso, suppone che altri suoi corsi di istruzione biblica, svolti nel tempo liturgico appropriato davanti allo stesso pubblico abbiano preceduto le catechesi sui Salmi. Non mancano, del resto, richiami espliciti alla predicazione sviluppata su altri libri scritturali e precisamente sull'Esodo, Levitico, Numeri, Giudici, Re, Paralipomeni, Ezechiele, Abacuc, Zaccaria e il Vangelo di Matteo e gli Alti degli Apostoli. Tali appclli alla memoria degli ascoltatori sono sempre introdotti dalla parola legimus: l'espressione lascia presumere una lettura ed una meditazione fatta in comune, in un ambito liturgico e catechetico, ed analoga a quella svolta per i Salmi alla medesima comunità, di anno in an no. Basterà ricordare corne non sussista alcuna notizia che Girolamo abbia svolto un'attività omiletica cosi intensa e regolare, né si vedrebbc davanti a quale assemblea ecclesiale avrebbe potuto farlo». L'espressione frequenter dixi cd analoghe sono - se non sbaglio - ad eccezione di una, pero molto generica, riferimenti ad esegesi riguardanti i Salmi, riferimenti cioè allo stesso ciclo di omelie: Tract. Ps. LXXXIV, p. 102,2: «Frequenter dixi: ubicumque titulus est 'Filiorum Chore' nihil triste est», questa esegesi si puo leggere in Tract. Ps. LXXXIII, p. 95,7; Ps. LXXXIV, s.a., p. 394,I; Ps. LXXXVI, p. 109,8 (>; Ps. CXVll, p. 165,90: «Legimus in Numcrorum libro»; 1. 103: «Legimus in Levitico»; Ps. LXXXIII, p. 393,96: «Legimus in ludicum libro»; Ps. XCVIII, p. 168,38: «Legimus in propheta lezechiel», etc. cfr. Peri, Omelie... cit., p. 69, n. 19). finalizzata al tentativo di individuare alla luce di questi il posto occupato dai Tractaws nella cronologia delle omelie origeniane, risulta che essi sono stati pronunciati dopo tulle le aitre, scompaginando il quadro cronologico emergente dal resto della predicazione origeniana, proposto dal Nautin e sostanzialmente accettato dallo stesso Peri (pp. 128-129).

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Non sembra inoltre che Origene avesse completato la lettura dei libri storici: essa parrebbe essersi interrotta dopo la lettura dei Giudici, poiché un'omelia sui libro dei Re è stata pronunciata a Aelia e non Cesarean. La ricostruzione del Nautin si fonda su un presupposto che rimane ipotetico: che cioè esistesse veramente a Cesarea - prima di Origene un ciclo già liturgicamente fissato che prevedeva la lettura e la spiegazione di tutti i libri della Scrittura. L'esistenza di questo «ciclo» - corne ho già detto - non è rilevabile con certezza né dai documenti che riguardano la vita liturgica delle chiese fra Ile Ill sec., né dalle parole di Origene. Neppure i rari documenti rimastici della predicazione precedente ad Origene (la cosiddetta Seconda Lettera di Clemente, l'omelia Sulla Pasqua di Melitone, il Quis dives salvetur di Clemente Alessandrino, il De Antichristo ed altri frammenti di Ippolito) sembrano andare nella direzione proposta dal Nautin, in quanto - con l'eccezione forse dei commenti esegetici di Ippolito che hanno talvolta un andamento omiletico - essi parrebbero orientarsi verso una predicazione a carattere tematico. Stando aile testimonianze in nostro possesso, quello di Origene è il primo tentativo documentato di affrontare una lettura continuata dei diversi libri della Scrittura 54 • È più probabile dunque - ma senza nascondere l'alto grado di ipoteticità che ha anche questa mia prdposta che la lettura ed il commento sistematico della Scrittura, concepiti corne un corso formative rivolto in particolare ai catecumeni, siano stati inau-

D'altro canto troviamo che l'espressione legimus è utilizzata per introdurre il riferimento all'Apocalisse (Tra,·/. Ps. /,p. 7,132) che non risulta sia mai stata oggello della predica;done origeniana, oppure a opere di autori pagani (Tract. Ps. XCIII, p. 145,101: «Legimus in poeta saeculari»), oppure a libri apocrifi (Tract. Ps. CXXXll, p. 280,137) o a libri dalla canonicità discussa (Tract. Ps. /,p. 6,105), che certo non possono lasciar «presumere una lettura ed una meditazione fatta in comune». Tulle queste difficoltà spariscono se si ritiene l'espressione /egimus non un richiamo ad aitre leuure e ad aitre serie di omclie, ma più semplicemente corne il modo di introdurre le citazioni bibliche, del tullo simile a espressioni del tipo «scribitur», ccscriptum est». Ciô è anche quanto, del resto, ammeue Io stesso Peri (p. 69, n. 19) che accosta l'espressione legimus proprio aile espressioni sopra citate. 53. Ho.Re.L. 1,1, p. 2, 4: «Nolite ergo illud in nobis requirere quod in papa habetis Alexandro; fatemur enim quod omnes nos superat in gratia lenitatis». ln un'opera più recente che ho potuto consultare soltanto a lavoro uhimato, il Nautin avanza l'ipotesi che Origene avrebbe commentato questo libro durante un'assenza temporanea da Cesarea (Origène, Homélies sur Samuel, Édition critique, introduction, traduction et notes par P. e M. T. Nautin [SC 328), Paris 1986, pp. 57-60). 54. Cfr. E. Norden, Die a111ike Ku11stprosa. Vom VI Jahrhundert v. Chr. bis in die Zeit der Renaissance, B. Il, Darmstadt 1958, pp. 541-545.

62 gurati nella chiesa di Cesarea proprio da Origene, corne naturale sbocco «didattico» all'attività di carattere più elevato e scientifico che andava conducendo nello stesso periodo con la composizione dei Commentari. Proprio per il tipo di pubblico cui la predicazione era rivolta, Origene potrebbe aver deciso di osservare soltanto in parte la successione dei libri dei LXX, organizzando cioè la sua predicazione in modo da offrire un commento continuato all'interno delle tre grandi divisioni del1' Antico Testamento, ma preferendo cominciare dai libri sapienzali per proseguire poi con quelli profetici e lasciando per ultimo il commento dei libri storici secondo quanto la sua conoscenza del grado di preparazione e delle tendenze del suo uditorio gli suggeriva più opportuno fare 55 • Molto più difficile è la collocazione in questo quadro delle Omelie su Luca; ho già parlato dei rimandi a queste che si trovano nel Commento al Vangelo di Matteo e in quello al Vangelo di Giovanni (l. XXXII)'•, ma essi permettono soltanto di fissare un termine ante quem (248-249) che è molto generico. Nelle Omelie su Luca si trova un rimando ad un' omelia su I Cor. H, ma non ho trovato alcuna allusione che possa collegare in qualche modo questa serie di omelie a quelle sull' Antico Testamento.

55. Cfr. infra cap. IV, incrod., n. 6. 56. Cfr. sopra cap. 1.2. 57. Ho.Le. XVll,11, p. 110,9: «Memini, cum in1erpre1arer illud quod ad Corinchios scribitur: 'Ecclesiae Dei quae est Corinthi cum omnibus qui invocanc' eum, dixisse me diversitatern esse 'ecclesiae' el eorum qui 'invocant nomen Domini' »; interpretazione che si puè> leggere in Frg. I Cor. 1,2, p. 232,1-8. Anche in Co.Io. Vl,59,302, p. 167,29 si ripete in modo perè> meno circostanziato - la stessa esegesi. Sul fauo che Origene avesse commentato I Cor. abbiamo la notizia di Girolamo, Ep. 48,3, p. 348,19: «Origenes, Dionysius, Pierius, Eusebius Caesariensis, Didymus, Apollinaris latissime hanc epistulam in1erpreta1i sun1». Nella lista delle opere origeniane dell'Ep. 33 non viene menzionata alcuna opera esegetica su I Cor. mentre si nominano undici omelie su Il Cor. (Ep. 33,5, p. 258, l 5): è possibile che qui Girolamo si sia sbagliato e che in realtà le undici omelie riguardassero la I Cor. su cui Origene - per sua stessa ammissione - aveva scritto /atissime. Per l'auten1ici1à origeniana dei frammenti su/ Cor. cfr. H. Crouzel, Virgi11ité et Mariage se/011 Origène, Paris 1962, pp. 8-10. Da alcuni elementi, mi sembra di poter sostenere che gran pane di tali frammenti derivino da omelie: 1) Rimandi a ciè> che è stato detto precedentemence secondo Io stile delle omelie. Cfr. Frg. /Cor. lll,J-Ja, p. 241,2: «wpw11v t11.l-yoµEv»; Frg. I Cor. V//,2/-24, p. 508,17: «'E>..{-yop.Er• Ir• réjJ >..o-yw rë; wEp't fx.-y&µwv xa1 -yt-ya1111x6rwv»; cosi anche Ho. Ier. 1,13, p. 11,11: «11"PW1JP lµv11p.o~t60J1Ev»; VIII,3, p. 58,12: «1rpw11v xal D..{-yoµEv». 2) Appelli direui che fanno pensare ad un pubblico presente: Frg. I Cor. VI,9-10, p. 369,56: «7rapa1.a>..ovp.EP o?Jv 1.i?E~ .. ». 6) Andamento diatribico dell'argomentazione: Frg. / Cor. /V,l-5, p. 356,106: «m'ro1 ni' ~ •• T;;:,. 11'&vm lpElll'Wl'TWv»; V/,18, p. 371,I: «lpEÏ -ycfp ns»; V/,19-20, p. 371,2: «~pEÏ -y&p ns»; XV,35-38, p. 49, I (su questo aspetto dello stile omiletico origeniano, cfr. oltre cap. 111,3). 58. Un calcolo preciso è ovviamente impossibile; si tenga conto tuttavia che Girolamo elenca nell' Ep. 33 circa 500 omelie. 59. H.E. Vl,36,I, p. 590,14. Nautin, sempre piuttosto critico nei confronti dell'affidabilità di Eusebio, ritiene questa notizia - a causa soprattutto di quel «si dice» - priva di fondamento e colloca la predicazione di Origene all'inizio del regno di Gordiano Ill (238-244) (cfr. Origène, p. 404). Cfr. invece Peri, Omelie•.• cit., p. 127, n. 68 che propane il triennio 246/249.

64 in seguito un altro dopo di lui, e poi un altro e un altro; considera quali furono in seguito i capi ed i principi: '!Ulla la loro gloria' ed il loro onore non soltanto sono marciti ma, corne arida polvere dispersa dal vento, non hanno neppure lasciato una traccia di sé» 60 •

Nel passo Origene allude ad un periodo in cui si sono succeduti aimeno quattro imperatori il cui regno - ed in particolare quello del primo - sarebbe stato di breve durata, tale appunto da suggerire le immagini (Io spazio dello sfiorire di un fiore) offerte dai versetti biblici commentati. Si potrebbe qui vedere un'allusione al regno di Macrino che, durato un solo anno (217-218) e seguito da quello di Eliogabalo (218-222), Alessandro Severo (222-235), Massimino (235-238), Gordiano III (238-244), inaugura un periodo che potrebbe ben adattarsi alla descrizione origeniana. Un periodo, cioè, instabile, turbolento, contraddistinto da un seguito di imperatori periti per la maggior parte per mano di quello stesso esercito che li aveva innalzati al trono. L'espressione un po' generica «ante hos triginta annos» rimanda dunque anch'essa agli anni 245-247. Una difficoltà per questa datazione puè> essere costituita dal fatto che nel prologo al Commento al Cantico dei Cantici 61 si rimanda aile Omelie sui Giudici, suit' Esodo e sui Numeri. Eusebio 62 dice che tale Commento fu scritto in due tempi: una prima parte ad Atene, in occasione di un secondo viaggio fatto da Origene in questa città, e una seconda parte a Cesarea. Lo storico colloca questi avvenimenti sotto il regno di Gordiano Ill e quindi prima dell'inizio della predicazione di Origene che Io stesso Eusebio collocava non prima del 245. Il problema potrebbe trovare la sua soluzione ipotizzando che il prologo del Commento, corne spesso accade, sia stato scritto successivamente, ad opera ormai conclusa, rendendo cosi possibile il riferimento alle omelie citate sopra.

60. Ho.Ps. XXXVI, 1,1, c. 1323 AB: «Vis etiam per singula videre quomodo nos feni sil carnis gloria? Vide quis imperavit ante hos triginta annos, quomodo imperium eius efnoruit: continuo autem sicut nos feni emarcuit, tune deinde alius post ipsum, deindc alius atque alius, qui deinde duces, et principes: et omnis eorum gloria et honor non solum tam· quam flos emarcuit, verum etiam tanquam pulvis aridus et a vento dispersus ne vestigium quidem sui reliquil». 61. Co. perdere la fede se viene percossa da un disaccordo troppo violento fra i dottori della chiesa: in questo caso la pena per i responsabili è «anima pro anima» (Ex. XXI, 23) 10 • La protezione esercitata sui più deboli si esplica all'interno, specie con I'insegnamento morale e l'attento dosaggio delle verità, ma anche relativamente al mondo esterno alla chiesa; il compito del doctor ecclesiae consiste sia nel confortare «verbo commonitionis et doctrinae gratia» 11 coloro che si trovano all'interno della chiesa, sia nel combattere «virtute verbi ac sapientia rationis» contro i pagani e gli eretici che li attaccano; soltanto essi, infatti, sono in grado di resistere alla forza delle loro argomentazioni. Il maestro è - per Origene - colui che sa «verbi bella tractare» e, quindi, combattere per tutto il popolo che godrà poi indirettamente delle sue vittorie u. Di ogni parola e di ogni atto egli dovrà rispondere al momento del giudizio: in quella circostanza - dice Origene - tutti i miei tentativi, tutte le mie spiegazioni vengono riconsiderati sia per giustificarmi, sia per condannarmi 1 3 • In realtà il maestro, per quanto accorto ed avveduto, non puè> mai avere l'assoluta certezza di non parlare corne Io pseudo-profeta e corne l'eretico «de corde proprio»: perciè> Origene chiede a coloro che Io ascoltano di stare attenti, di avere il dono della «distinzione degli spiriti» (/ Cor. XII, 10), perché divenuti «esperti cambiavalute» siano in grado di riconoscere se hanno davanti un falso maestro o uno che parla secondo verità 1•.

8. Ho.Ez. 1,11, p. 334,22. 9. Ho.Ps. XXXVI, 111,3, c. 1339 B; cfr. anche Ho.Ps. XXXVII, 1,2, c. 1373 A-8 «Qui ergo loquiiur sermonem Dei, sagillas iaculatur». 10. Ho.Ex. X,3-4, p. 250,20. 11. Ho.Gn. 11,4, p. 32,13. 12. Ho.Nm. XXV,4, p. 238,25; cfr. anche Ho.Nm. XXVl,2, p. 243,32: i «bellatores» della fcde, «robusti fide», «armati virtutibus», difendono i più deboli dai nemici della fede. 13. Ho.Ez. 11,3, p. 343,13. 14. Ho.Ez. 11,2, p. 342,23.

69 Accanto ai doveri ed aile responsabilità connesse ai compiti dottrinali del predicatore, vi sono quelli connessi al compito di educatore dei costumi; oltre che illuminare, la predicazione deve anche convertire, distogliere dal peccato. Essa deve bruciare le impurità presenti nel cuore di chi ascolta, ma, prima di tutto, deve purificare quello di chi parla: «Anche io medito le parole del Signore e spesso mi esercito in esse, ma non so se Io faccio in modo tale che, durante la mia meditazione, scaturisca da ogni parola di Dio un fuoco che accende il mio cuore e infiamma l'anima per ciô che ritengo si debba fare. Ecco io pronuncio le parole di Dio, ma desidererei che esse ardano prima di tutto nel mio cuore e poi nella mente di chi mi ascolta» ''.

Origene si augura che la sua predicazione assomigli a quella di Gesù e di Geremia, le cui parole non lasciavano nulla di «tiepido e freddo» (Ap. Ill, 15), nell'animo dei loro ascoltatori. La predicazione, intesa corne fuoco purificatore che irrompe nell'anima e la spinge alla conversione, non vi porta certo la pace, ma tribolazioni e sofferenze perché, se prima dell'ascolto della parola di Dio i vizi potevano albergare in pace nel cuore di ciascuno, essa, corne un vero e proprio segnale di battaglia, dà inizio ad una loua senza quartiere contro i vizi 16 • In un senso più realistico essa, «docendo, instituendo et occulta ta in divinis litteris ... mysteria reserando», scaccia dalla chiesa e dalla città di Dio - analogamente a quanto ha fatto Giosuè scacciando i nemici dalla città di Gai (los. VII,22) - i demoni e le potenze contrarie che spingono gli uomini a peccare 11 • Chi insegna a liberarsi dal peccato deve pero egli stesso liberarsi da esso senza più ricadervi; il comportamento del doctor ecclesiae è infatti sotto gli occhi di tutti ed una sua caduta puo essere causa per moiti dell'allontanamento dalla fede 11 • In certi casi, è sufficiente anche una sola incertezza perché intorno a lui subito si dica: «Vedi? E lui corne si comporta? Insegna una cosa e ne fa un'altra e compie azioni contrarie a

15. Ho.Ps. XXXV/li, 1,7 c. 1396 A. 16. Ho.Ex. 111,3, p. 169,19; Ho.los. Vll,l, p. 327,11 (citato infra n. 31); Ho.Nm. XXVll,12, p. 275,6: «Tuba canit in verbo Dei, praedicationis scilicet et doctrinae»; Tract. Ps. XCVII, p. 165,89: la tromba d'argen10 di Nm. X,l è il «sermo Dei>• posseduto dai sacerdoti. Cfr. sotto n. 31. 17. Ho.los. Vlll,7, p. 344,1; cfr. anche Ho.Lv. XVl,7, p. 504,26: «Fugant enim fideles doctores innumeros daemones ne animas credentium antiqua fraude decipiant»; Ho.On. IV,6, p. 56,13; Ho.Nin. XXV,4, p. 239,4; XXIV,!, p. 448,5; Ho.Ier. V,16, p. 45,20. 18. Ho.Ez. Vll,3, p. 393,13.

70 quanto insegna» •9 • Per questa ragione Origene esorta il suo pubblico a non regolare la propria condotta su quella di chi parla: se proprio si vuol seguire un esempio, si segua quello di Cristo, degli apostoli e dei profeti, esempio che è l'unico a non deludere 20 . Con ciè> egli non intende certo sostenere una divaricazione fra insegnamento e comportamento morale. Per l' Alessandrino soltanto l'uomo giusto comprende e quindi puè> insegnare21; egli intende soltanto eliminare un pretesto in base al quale qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato ad agire male. Altrove, infatti, egli indica con la massima chiarezza il comportamento del maestro qualora questi abbia veramente commesso un peccato: egli ha il dovere di non risparmiarsi nulla e di confessare pubblicamente il suo peccato in modo da potersi convertire da esso 22 • La severità nei propri confronti precede ed è l'inevitabile presupposto di quella verso gli altri, essa costituisce un preciso dovere di cui il predicatore dovrà un giorno rispondere: il maestro che si presenta al giudizio sarà ritenuto responsabile non soltanto dei propri peccati, ma anche di quelli degli altri se non ha insegnato, se non ha ammonito e rimproverato con sufficiente sollecitudine, se non è stato in grado di impedire che il contagio del peccato si diffondesse nel popoloH. Origene è d'altra parte consapevole di essere un maestro particolarmente esigente; presentandosi al pubblico della chiesa di Gerusalemme, sente il dovere di prepararlo alla severità delle parole che si appresta a pronunciare, e Io avvisa di non aspettarsi da lui la stessa «gratia lenitatis» cui è abituato dai «dulces sermones» del vescovo Alessandro: «nostrae vero plantationis arbuscula habent aliquid austeritatis in gustu» 24 •

19. Ho.Ps. XXXVII, 11,4, c. 1384 C; Ho.Ps. XXXVI, Ill,12, c. 1348 C: «Et vobis pa· rum videtur in1erdum male loqui de sanctis, et perleve est vobis dicere de servis Dei, Ille 1alis et talis est, ille fingit, et ille saeculum diligit, ille autem impostor est, non audis quia qui maledicunt iustum, exterminabun1ur?». 20. Ho.Ez. Vll,3, p. 394,1. 21. Cito, fra la selva di passi che si potrebbero addurre: Ho.On. Vl,7, p. 67,4: «Et est conveniens, ut, donec ad perfectum veniamus, intra nos sit animi virtus et propria sit; cum vero ad perfectum venerimus, ita ut idonei simus et alios docere, tune iam virtutem non u1 uxorem intra gremium concludamus, sed ut sororem etiam aliis volentibus copulemus»; Ho.Ier. Xl,3, p. 81,4: «li Verbo domanda a tutti, a noi ed a voi, di vivere virtuosamente, ma ... viene richiesto a me più che ad un diacono, ad un diacono più che a un laico, e colui che è Slato incaricato del comando della chiesa su tutti noi viene richiesto di più ancora»; per il 1ema della necessi1à della perfezione morale per poter pervenire alla conoscenza. cfr. H. Crouzel, Origène et la connaissance mystique, Toulouse 1961, pp. 428 sgg. 22. Ho.Ez. 11,2, p. 341,23. 23. Ho.Nm. XX,4, p. 196,22. 24. Ho.Re.L. 1,1, p. 2,7.

71 Origene - che pronuncia questa omelia proprio davanti ad Alessandro - ha l'aria di scusarsi per questa diversità di metodi che - tiene a precisare - è la stessa che si osserva nei profeti fra cui «alii tristia, alii laeta denuntiant» ed anche nella Lettera ai Corinzi ove l'apostolo appare «amarus et dukis» 25 • ln altri casi in cui le circostanze permettono un comportamento meno cerimonioso, la linea di separazione che passa fra una predicazione severa ed un'altra meno rigorosa, è la stessa che passa fra ortodossia ed eresia, frai doctores ecclesiae ed i mali doctores. Questo punto è particolarmente sottolineato nelle omelie su Ezechie/e e soprattutto nel commento di Ez. XllI,18 («Vae his qui adsuunt cervicalia sub omni cubitu manuum»). Secondo Origene, qui si accusano i maestri che, con ciance inutili e promettendo chissà quali beatitudini, permettono alla multitudine di chi li ascolta tutti i generi di peccati. Essi cercano di strappare gli applausi piuttosto che lacrime di pentimento 26 ; non è un caso infatti che nel passo in questione Ezechiele si rivolga aile profetesse: gli animi dicostoro sono effeminati e non riescono a concepire nulla di virile, nulla che sia degno di Dio 21 • Qui Origene ha di mira soprattutto alcuni maestri eretici che arrivano a negare perfino la necessità del martirio: «Non questo insegnano coloro che appartengono alla chiesa e che sono preparati a 'prendere la croce ed a seguire il Salvatore' (Mt. XVl,24) 21 ». Lavera predicazione è quella che esorta alla continenza e ad una vita austera; essa, secondo un'immagine cara al Nostro, amputa l'arto malato piuttosto che lenirlo.

2. «Docere autem esl prophelare» 29 Bruciare e purificare i cuori dalle impurità, illuminarli con l'insegnamento sono i compiti principali del maestro. Tuttavia la riflessione di Origene su questa figura, per lui di centrale importanza nella vita della chiesa, non si esaurisce in tali aspetti, ma investe anche la natura stessa del doctor ecclesiae collocato sullo sfondo dell'intera storia della sal-

25. Ibid., p. 2.24. 26. Ho.El.. 111,3, p. 350,30; cfr. Ho.Ier. XX,6, p. 186,9: Io scopo del predicatore è trovare le parole adatte per suscitare in chi Io ascolta «dolore», «gemiti» e >. in B.L.E., LX, 1959, p. 88, n. 32; Nautin, SC 232 cit., pp. 121-122. 66. Ho trovato un solo passo: Ho.Nm. XIV,I, p. 129,28: «'Factum' esse autem 'Spiritum Dei' (Nm. XXlll,5) super aliquem prophetarum legisse me ad praesens interim non recordor ... ». 67. Cfr. gli esempi offerti da Na ut in, SC 232 cit., p. 132 sgg. 68. Ho.Re.G. 3, p. 285,4; altri esempi dello stesso modo di procedere: Ho.Ier. 1,7, p. 5,31: «Qualcuno degli ascoltatori mi dirà ... »; 1,8, p. 6,32; V,2, p. 31,18; V,13, p. 42,14; Ho.los. Vlll,2, p. 337, 1: «His auditis verisimilc est audit ores dicere: quo mi hi haec?» VIIl,4, p. 339,4: «Sed si qui forte est attcntior auditorum, potes! diccre ... ». 69. Ho.Le.XXI, p. 130,17, per spiegare in che modo il cuore di un uomo puro puô essere ampio e spazioso, «Ut autem et simplices quosque de cotidianis exemplis ad credendum adducam>>, fa l'esempio del ricordo di luoghi c ..:ittà attravcrsatc, che in questo modo sono «contenute» nel cuore; Ho.Ps. XXXVI, V ,5, c. 1364 B: «Accipe et exemplum ad haec quae dicimus» e segue un esempio tratto dalla navigazione: Ho.Ps. XXXVIII, 1,8, c. 1398 B: esempio tratto dai rapporti discepolo-maestro; quelli riguardanti la scuola o la medicina sono più frequenti: Ho.Ex. Xll,2, p. 263,22; crr. su questo pumo Borst, op. cit., pp. 5-7. 70. Ho.Ier. Vlll,4, p. 60, I: spiegazione di corne si producono i lampi\ XVII, I, p. 143,4: descrizione delle abitudini della pernice; Ho.Cant. li, 11, p . .56:24: costumi della capra e del cervo.

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grandi attrattive, era il calore che egli doveva mettere in quel suo rivolgersi - tramite il «tU» - direttamente ai singoli, quasi volesse instaurare un dialogo con ciascuno di essi: si tratta spesso di esortazioni che, poste al termine dell'interpretazione di un passo biblico, traggono da questo, attualizzandolo, il suo significato prescrittivo per l'hic et nunc: «Diventa anche tu coltivatore di te stesso non 'seminare fra le spine', ma 'rinnova' perme 'il campo' (cfr. Ier. IV ,37) che il Dio del tutto ti ha affidato. Esamina il terreno, guarda dove sono le spine, dove 'le preoccupazioni terrene, la seduzione della ricchezza, e l'amore del piacere' (Mc. IV,19; le. VIll,14) e considera le spine che sono nella tua anima, cerca l'aratro spirituale di cui Gesù ha detto: 'nessuno che abbia posto mano all'aratro e si sia voltato indietro è adatto al regno dei cieli' (Le. IX,62). Dopo averlo cercato e trovato e aver riunito dalle Scritture i 'buoi' che ne saranno i lavoratori puri, ara e, perché essa non sia mai più vecchia, rinnova la terra( ... ). Tu ti preparerai 'un campo rinnovato' e quando l'avrai fatto prendi i semi da coloro che insegnano, prendi i semi dalla legge, prendili dai profeti, dai vangeli, dagli apostoli, e dopo aver preso questi semi, semina l'anima attraverso la memoria e l'esercizio»".

Dalle omelie emergono poi altri aspetti che rivelano il grammatico più che il predicatore: l'attenzione per il testo ed il suo stato, perla grafia delle parole, per il loro ordine nel testo, per le figure dello stile. In altri casi emerge l'antica abitudine ad impostare le questioni secondo il metodo filosofico 72 • 4. U pubblico

Dopo aver disegnato il profilo del predicatore, è necessario delineare quello del pubblico, poiché l'uno e l'altro si chiariscono a vicenda. Infatti, sia il comportamento del predicatore, sia le forme ed i contenuti del suo discorso sono strettamente dipendenti dall'immagine che egli si fa dei suoi destinatari. Da questo punto di vista gli aspetti che si dovranno ora affrontare sono i seguenti: a) la provenienza etnico-culturale del suo pubblico; b) il suo grado di cristianizzazione; c) la sua composizione sociale; d) il giudizio complessivo di Origene su di esso.

71. Ho.Ier. V,13, p. 42,15. Altri esempi di questo stile omilctico sono: Ho.Nm. 111,3, p. 16,24; IX,5, p. 60,5; Ho.Gn. Xlll,4, p. 119,1 e moiti altri. 72. Cfr. su questi aspcui: Borst, op. cit., pp. 7-8; Nautin, SC 232 cit., pp. 132-136.

82 a) Origene si rivolge quasi sempre a convertiti dal paganesimo, sia apostrofandoli direttamente: «Tu che sei stato chiamato dalle genti»'l; «Tu che, abbandonata la tenebra dell'idolatria, desideri ascoltare la legge divina» 74 ; «Tu che, provenendo dalle genti, credi»n; sia, in forma meno diretta, accennando alla precedente vita pagana, sia facendo esempi che acquistano tutta la loro evidenza soltanto se si pensano descritti e riferiti ad un pubblico di pagani convertiti 76 • Nelle omelie vi sono rari accenni all'esistenza di convertiti dal giudaismo; nelle Omelie su Giosuè si accenna a coloro che «ex lege veniunt ... » e che «per Moysen eruditi sunt»"; riferimenti a convertiti dal giudaismo sono forse da considerarsi anche gli accenni agli ebioniti 78 ed alla persistenza fra il pubblico di usi e superstizioni giudaiche 79 • Quale poteva essere la consistenza numerica della chiesa di Cesarea? Quando Origene considera il diffondersi del cristianesimo nel mondo, le sue valutazioni sono generiche e sembrano a prima vista piuttosto discordanti. In alcuni passi il tono è decisamente trionfalistico: non vi è luogo sulla terra ove non sia stata seminata la parola di Cristo 10 ; essa, distribuita corne i pani e i pesci evangelici, ha sfamato ovunque «migliaia» di uomini 11 ; le chiese di Cristo si sono propagate in tutto il mondo 12 , fino ai suoi confini più lontani e, cioè, la «Britannia» e la «Mauritania» 13 •

73. Ho.los. IX,3, p. 348,26. 74. Ibid. IV,I, p. 309,1. 75. Ho.E:r.. Xl,3, p. 428,23. 76. Ho.Ier. XVlll,8, p. 162,2; cfr. anche Ho.Le. XVII, p. 104,1: ccEthnicus eras, cadat in le ethnicus»; Ho.Ex. VIIl,4, p. 223,13; Ho.E:r.. 1,12, p. 336,12: allusione all'idolatria abbandonata. 77. Ho.los. V,6, p. 318,26; il quadro emergente dalle omelie riguarda forse la situazione locale della chiesa di Cesarea; le aitre opere origeniane sono più ricche di allusioni a converliti dal giudaismo con diverse valutazioni numeriche, cfr. su questo punto Sgherri, Chiesa ... cil., pp. 282-285; De Lange, Origen ... cit., che ipotizza che una larga parte delle comunità cristiane fossero composte da convertiti dal giudaismo, non porta nessun passo a sostegno di questa tesi. 78. Cfr. oltre cap. IV.I. 79. Cfr. oltre cap. V.2. 80. Ho.On. IX,2, p. 89,29. 81. Ho.On. xn.s. p. 112,2. 82. Ho.Nm. Xlll,I, p. !08,19. 83. Ho.E:r.. IV,I, p. 362,15; Ho.Le. VI, p. 39, 5; Tract. Ps. XC, p. 154,156: «Ceterum crux ista et in Britannia est, et in lndia est, et in uniuerso orbe terrarum»; queste indicazioni non vanno prese alla Jettera, cioè corne indicazioni positive della evangelizzazione di queste terre; qui Origene vuole soltanto alludere genericamente ai confini dell'impero; cfr. su questo punto Crouzel, SC 87 cit., p. 151, n. 2. Cfr. anche Ho.E:r.. 1,11, p. 334,27: rife-

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In altri casi, sembra avere il sopravvento una valutazione più realistica: «Siamo infatti una 'non-nazione' (Dt. XXXIl,21) noi che in questa città siamo pochi a credere e altri ve ne sono in un'altra città: pare che mai, dall'inizio della fede, sia stato accolto un popolo intero» ...

La discordanza fra le diverse testimonianze riportate è soltanto apparente: nel primo caso, troviamo espressa la consapevolezza dei progressi compiuti dal cristianesimo e del numero delle chiese sparse un po' dovunque; nel secondo caso Io sguardo si restringe alla situazione locale e si prende atto che le comunità cristiane rappresentano ancora una minoranza all'interno delle singole città e dei singoli popoli. b) Nelle sue omelie, Origene si rivolge, con la stessa frequenza, sia a catecumeni, sia a battezzati. Esorta i primi a fuggire i vizi", a prepararsi con consapevolezza al battesimo in modo che questo non si limiti ad essere un rito privo di significato 16 , ad abbandonare le passioni terrene", a non rimandare troppo a lungo il battesimo". Ne interpreta i sentimenti ed i motivi che li hanno spinti a credere", li mette in guardia nei confronti delle maggiori responsabilità morali che gravano su di loro, una volta presa la decisione di entrare nella chiesa 90 •

rimento alle assemblee cristiane di Aelia, Roma e Alessandria e a quelle che si trovano «in universo simul orbe»; Ho.ls. IV ,2, p. 259, 16: « ... ccclesias beatorum, qui ubique sunt». 84. Ho.Ps. XXXVI, 1,1, c. 1321 D. 85. Uo.ler.L. lll,6, p. 315,24. ~ Ho:~~: Vl,S, p. 383,~. 87. Ho.Le. XXII, p. 135,15. 88. Ho.los. IX,9, p. 355, l 7: « ... Neque proselyti, id est catechumeni, diutius catechumeni maneatis, sed festinate ad percipiendam gratiam Dei, ut et vos in ecclesia filiorum lsrahel adnumeremini»; già dunque alla metà del Ill sec. vi era la tendenza a ritardare il banesimo, ma soltanto nell'omiletica del IV sec. questo diventcrà un argomento ricorrente; cfr. Bernardi, op. c:it., p. 203. 89. Ho.le. VII, p. 46,6: «Quid vos, o catechumeni, in ecclesiam congregavit? quis stimulus impulit, ut relictis domibus in hune coetum cocatis? Neque enim nos domus vestras singillatim circuimus, sed omnipotens Pater virtute invisibili subicit cordibus vestris, quos scit esse dignos, hune ardorem, ut quasi inviti et retractantes veniatis ad fidem ... ». 90. Ho.ler.L. IIl,3, p. 313,4; cfr. anche per altri riferimenti ai catecumeni: Ho.lud. IX,2, p. 519,22; Ho.le:. XXII, p. 135,23; Ho.Cant. 11,7, p. 51,23; Ho.los. IV,I, p. 309,3; Traet.Ps. XIV, p. 30,1: «ln quadragesima ad eos qui baptisma acccdum»; Ps. CXll/I, p. 316,!02: «Hoc dicit catechumenus: libera me de aquis multis et praesta mihi fontem uiuentem». Per l'organizzazione del catecumenato nella chiesa di Origene, il testo più importante è C.Cel. IIl,51, p. 247,5: «I cristiani, per quanto è possibile, metlono prima alla

84 Altrettanto numerosi sono i passi in cui Origene si rivolge direttamente a coloro che hanno già ricevuto il battesimo, sottolineando che pertanto devono rinunciare al secolo ed ai precedenti peccati: è questa una rinuncia che bisogna continuare ad osservare nel tempo 91 , anche se purtroppo alcuni sembrano essersene dimenticati 92 • Origene ricorda che il battesimo, oltre che cancellare i peccati, è il presupposto per progredire nella fede 93 e per accedere al sacramento dell'eucarestia 9 •. Talvolta il

prova le anime di coloro che vogliono essere i loro ascoltatori e, in particolare, le educano. Quando i loro uditori, prima di entrare nella comunità (tls r~ Hou•~1· t!ot>.i7Ei11), sembrano far progressi in modo sufficiente nella volontà di vivere virtuosamente, allora li introducono (do&-yovow). Essi fanno a parte un gruppo di coloro che hanno appena iniziato ed introdotto ( ra1µr:r rii1• l:pn &pxo11l11w11 .~a& tfaaî'oµl11w1•) e che non hanno ancora ricevuto il simbolo della purificazione (rà ar1µ(30>.011 rail &7roHEHai7api7ai), e un altro di coloro che, per quanto è possibile, hanno dimostrato l'intenzione di non volere altro che cil> che è approvato dai cristiani. Presso costoro (11"ap' oTs) ve ne sono alcuni preposti a indagare la vitae la condotta dei candidati ( rC::S11 7rpooi611rw11) per impedire che coloro che hanno peccati segreti entrino nell'assemblea comune, ma accolgono gli altri con tutta l'anima, cercando di renderli migliori giorno dopo giorno». Una prima difficoltà è costituita da 7'ap' oTs che da un punto di vista grammaticale pub essere riferito sia ai cristiani, sia ai catecumeni: cfr. su questo punto M. Borret, SC 136, p. 122, n. 1. Esistono poi interpretazioni discordanti anche per quanto riguarda la parte precedente. Secondo F.X. Funk, «Die Katecumenatsklassen des christlichen Altertums», in Th. Q. LXV, 1883, pp. 41-77 (contributo ripubblicato in, dello stesso, Kirchengeschichtlicl1e Abhand/11ngen und Unters11ch11ngen, t. I, Padeborn 1897, pp. 209-241; cfr. in particolare pp. 233 sgg.) e in seguito J. Grotz, Die E111wickl1111g des Bll)Jstllfenwesens in der vornicanischen Kirche, Freiburg 1955, pp. 276-278, il passo di Origene si riferirebbe aile due categorie di catecumeni e bauezzati. Secondo invece E. Schwartz, 811./Jstllfen und Katecumenats -Klassen, Strassburg 1911, pp. 45-46 e A. Stenzel, Die Taufe. Eine genetische Erklilrimg der Tau/liturgie, Innsbruck 1958, pp. 136-147, i due gruppi indicati ncl Contro Celso indicherebbero due tappe distinte del catecumenato. Nel solco di quest'ultima interpretazione si colloca anche il recente studio di H.J. Auf der Maur-J. Waldram, /1111minatio verbi divini-Conjessio Fidei-Gratia Baptismi. Wort, Glaube und Sakramelll in Katekumenat und Tauflilllrgie bei Origenes, in Fides Sacrumellli, Sacramentum Fidei, Assen 1981, pp. 41-95 ove si cerca di individuare gli insegnamenti etici e dottrinali impartiti aile due diverse classi di catecumeni (pp. 41-64). Nella prima tappa - oltre che la correzione dei costumi - si sarebbero insegnate le verità di fede elementari di cui nelle omelie si trovano parecchie liste (cfr. 62-64), nella seconda l'insegnamento avrebbe riguardato soprattutto la trinità e le cose ultime, e, in special modo, la resurrezione (pp. 64-66). 91. Ho.los. XXVl,2, p. 459,7; Ho.lud. IV,2, p. 489,13; Ho.On. Xlll,4, p. 120,29; Ho.Nm. Xll,4, p. 105,24; Ho.Ps. XXXV/li, 1,5, c. 1405 A. 92. Ho.los. IV,2, p. 310,Jl; 1,7, p. 295,19; Ho.Ez. Vl,7, p. 385,13. 93. Ho.Ios. IV,I, p. 308,9. 94. Ho.Ex. Xl,7, p. 261,8; Vlll,4, p. 225,17 e, molto interessante, Xlll,3, p. 274,5: « ... Nostis, qui divinis mysteriis consuestis, quomodo, cum suscepitis corpus Domini, cum omni cautela et veneratione servatis, ne ex eo parum quid decidat, ne consecrati muneris aliquid dilabatur. Reos enim vos creditis, et recte creditis, si quid inde per negligentiam decidat»; cfr. anche Ho.Ps. XXXVJ/, 11,6, c. 1386 D: «Communicare non limes corpus Christi accedens ad Eucharistiam»; Tract. Ps. CXLV/I, p. 338,64: «Si quando imus ad mysterium - qui fidelis est intelligit - si micula ceciderit, periclitamur».

85 predicatore si rivolge agli uni ed agli altri con le stesse esortazioni morali, mettendoli in guardia dal dare un peso eccessivo alla distinzione sacramentale: «Non tutti coloro che sono stati lavati dall'acqua, Io sono stati nello stesso tempo anche dallo Spirito santo, e cosi, al contrario, non tutti coloro che sono annoverati tra i catecumeni sono estranei e privi dello Spirito santo»'s. Vi è da chiedersi inoltre se le conversioni al cristianesimo, soprattutto per quanto riguarda coloro che avevano già ricevuto il battesimo, fossero recenti o meno. Sotto questo profilo il pubblico sembra essere misto: vi sono alcuni che soltanto «ieri o ieri l'altro»' 6 hanno abbandonato gli dei del paganesimo, ma anche altri che sono cristiani da una o più generazioni. Tale fatto è implicito, per esempio, nella questione posta ad Origene a proposito del battesimo dei bambini 97 e nell'accenno che egli fa alla famiglia corne possibile fonte di iniziazione al cristianesimo", anche se non mancano aitre testimonianze che rivelano quanto ancora la diffusione del cristianesimo fosse affidata a contatti occasionali quanto furtivi, che avvenivano indipendentemente dalla famiglia 99 • La compresenza nella chiesa di persone di più antica adesione al cristianesimo accanto a neoconvertiti sfociava in qualche tensione: «E cio (se. Mt. XIX,30) anche secondo il significato letterale contiene qualche elemento che puo esortare coloro che sono arrivati da poco alla parola divina ad affrettarsi, compiendo cio che è comandato, ad innalzarsi, di fronte a moiti che sembrano invecchiati nella fede, verso una vita e una dottrina superiori a costoro. Poiché né il tempo è di ostacolo per coloro che sono giunti alla fede da poco, né coloro che dimostrano di combattere in modo eccellente sono impediti dall'avere parenti malvagi. È un'impresa anche distruggere la presunzione di quelli che si gloriano di essere stati allevati ne! cristianesimo da genitori cristiani, soprattutto se possono vanta-

95. Ho.Nm. lll,l, p. 14,1; Ho.Ps. XXXVI, V,12, c. 1328 A:« ... Tamen si quis inter vos, sive catechumenus, sive etiam unus aliquis ex pluribus fidelium conscius sibi est quod fornicatus sit. .. »; altri appelli diretti dello stesso tipo si trovano in Ho.Le. XXXII, 183, 14; Ho.Ier. XV//l,8, p. 162,2. 96. Ho.Ier. IV,5, p. 29,4. 97. Ho.Le. XIV, p. 87,18. È possibile, tuttavia, che il problema del battesimo dei bambini si ponesse anche nel caso della conversione al cristianesimo di interi gruppi familiari. 98. Ho.Lv. Xl,3, p. 454,4: «Et ipsis (se. i genitori) fartasse auctoribus agnovimus Deum et ad ecclesiam Dei venimus et sermonem divinae legis audivimus». Fra il pubblico di Origene vi erano dei ranciulli: Ho.Le. XXXII, p. 184,17. 99. Ho.Ier. XX,5, p. 184,31: per convertire al cristianesimo pagani che sono ormai fortemente prevenuti contro di esso, talvolta i cristiani espongono la loro dottrina, senza dire apertamente la sua provenienza e rivelano cio soltanto in un secondo tempo, quando ormai la dottrina ha fatto una certa presa sull'animo di chi ascolta.

86 re padri o antenati che hanno meritato gli onori sacerdotali, o il trono episcopale oil presbiterato oil diaconato nel popolo di Dio»' 00 • c) Per quanto riguarda la composizione sociale del pubblico cui Origene si rivolgeva, abbiamo a che fare con quella genericità di informazioni che spesso contraddistingue le fonti antiche rispetto a questo problema. È necessario inoltre sottolineare che le osservazioni che seguiranno hanno un certo grado di incertezza che è connesso al fatto di essere dedotte da un numero piuttosto ristretto di passi in cui, inoltre, non è sempre facile distinguere ciô che appartiene alla retorica da ciô che riflette una realtà effettiva. Un primo dato ad emergere sembra la presenza nell'assemblea di persane appartenenti ad un ceto sociale e culturale elevato. Ad un certo punto del discorso Origene si rivolge direttamente ad un padre che intende dare al figlio tutto quanto è necessario - « paedagogos, magistros, impensas» 101 - per garantirgli un'educazione completa nelle arti liberali; in un altro caso è un «paterfamilias» e «nobilis vir» ad essere interpellato direttamente 102 • Talvolta il predicatore scmbra essere consapevole che ad ascoltarlo vi siano persane coite, in grado di riconoscere quanto nei suoi argomenti appartiene aile «saeculares litterae» 103 • A costoro egli rivolge un appello sentito e promette un banchetto più sostanzioso della parola di Dio 10' . Tra i difetti peggiori che Origene vede frai cristiani è l'orgoglio: orgoglio di essere figli di governatori o discendenti di persone che hanno occupato cariche pubbliche importanti, di avere il potere di far cadere delle teste, di possedere ricchezze, una bella casa, delle terre 10 s. In un altro passo si sottolinea la diffidenza origeniana verso questo tipo di cristiani che egli aveva avuto modo di conoscere da vicino:

«Se infatti vedi moiti di coloro che paiono credere rivestire cariche secolari 106, se nel mondo sei un umile, di' loro: voi siete onorati, noi disprezzati (cfr. I Cor.

100. Co.Mt. XIV,26, p. 425,31; sullo stesso problema, cfr. Co.Rom. IX,41, c. 1245 B. lOI. Ho.h.x. Xll,2, p. 263,22. 102. Ho.los. X,3, p. 361,13: «Tune deinde requiro abs le, si libenter velis ex patrefamilias et nobili viro in hoc mundo servus effici ... ». 103. Ho.Of/. Xlll,3, p. 116,28. 104. Ho.On. XIV,4, p. 125,18; cfr. anche Xl,2, p. 103,15: riferimento a conversioni dalla dialettica e dalla retorica alla «philosophia Christi». 105. Ho.Ier. Xll,7, p. 94,12; Xl,4, p. 81,25: anche qui il predicatore rimprovera chi si vanta di essere ricco, di essere nobile, di possedere vesti di lusso ed una bella ca~a. 106. Sono gli ~~1~µam 1touµ11t&: è la stessa espressione che compare in Ho.Ier. XII ,8, p. 94, 18 (cfr. sopra n. 105).

87 1V, IO), noi deboli, voi forti; nulla infatti è più debole di un vero cristiano per quanto riguarda questo mondo» '"'.

Costoro, per quanto nominati occasionalmente, non cost1tmvano comunque la maggior parte del pubblico 108 • Da questo sembra di poter escludere anche gli strati più miseri della popolazione, quelli che, nelle grandi città, erano destinati a compiere i lavori più umiliami - corne l'essere addetti aile caldaie per riscaldare l'acqua dei bagni pubblici o alla manutenzione delle fogne - a giudicare almeno dalla luce negativa in cui vengono presemaci 109 • Un certo numero di passi sembrano dare qualche indicazione sui tipo di uditore prevalente nel pubblico. Più volte Origene esorta il suo pubblico ad abbandonare i «negotia saeculi», l' «amor pecuniae», la « sollicitudo de lucris>>t0 , a non affollare i tribunali per comendere un piccolo campo ai parenti 111 , a non sottrarre per avidità un piccolo campo al vicino 112 , a non richiedere la protezione per i propri affari a uomini più influemi: un centurione, un governatore, un ricco 11 l. La battaglia di Origene contro la 7rÀ.rnvt:~ia, l'avarilia, è, corne importanza, pari soltanto a quella conlro la concupiscenza 114 • Essa fa intravedere, oltre il lopos dell'abbandono del secolo, la prevalenza nella chiesa di Cesarea di persone attive economicamente, che vendono e comprano beni, che possono aspirare ad ottenere cariche importanti e ad accrescere la loro ricchezza; un ceto, proprio per questa sua aspirazione a migliorare la propria posizione sociale, moralmente pericoloso, ma anche in grado di far donazioni alla chiesa ed ai poveri 11 s. Viene spontaneo pensare ai commercianti, agli artigiani, ai nego1iatores 11 ~ la cui pre-

107. Frg. I Cor. /V,9-10, p. 361,50. 108. Cfr. più oltrc cap. Vll.2. 109. Ho.Nm. XIV,2, p. 123,25. 110. /Io.Ex. XII,2, p. 263,11; Xll,4, p. 268,I; Vlll,4, p. 226,2; Ho.los. 1,7, p. 295,10; JV,2, p. 310,20; Vll,5, p. 331,5; Truel. Ps. LXXX/X, p. 122,102 Tracr. Ps. CV//, p. 208,13. 111. Hu.Ps. XXX VII. Il, 11, c. 1348, B. 112. Ho.Ex. 1,5, p. 151,15. 113. Cfr. SOllO, cap. VII, n. 45. 114. Cfr. quanto si dice su qucsto aspcuo più oltre, cap. Vll.2. 115. Ho.Nm. XXll,4, p. 215,23; Xl,9, p. 92,18; Ho.los. X,3, p. 360,10. 116. Accanto a questi, vedrei anche un ceno numero di militari; i problemi che nasccvano fra l'incompatibilità delle esigenze d1 questo mestiere con quelle della nuova fede, sono spesso al cemro delle considerazioni di Origene (cfr. sollo cap. Vll,4,a).

88 senza a Cesarea, città, corne si è visto, dalle notevoli potenzialità economiche, doveva certo essere rilevante 111 • d) Un primo profilo piuttosto colorito dell'assemblea cui Origene si rivolgeva emerge dal suo cahier de doléance sull'atteggiamento dei suoi ascoltatori proprio durante l'omelia. Essi - si duole il predicatore vengono in chiesa di rado, soltanto nei giorni festivi1 11 ; dedicano al Signore una parte trascurabile del loro tempo, mentre impiegano tutto il resto per la «cura saeculi et ventris» 119 • Anche quando sono presenti, continuano ad essere distratti dalle preoccupazioni quotidianeuo, alcuni vengono soltanto per sentirsi raccontare delle storie, altri per chiacchierare di cose futili 121 • Come si puô - si chiede Origene - «concepire nel cuore» (cfr. Ex. XXXV,5) quando la mente di alcuni è tutta intenta negli affari, negli impegni secolari, nel calcolo dei guadagni, quando le donne ciarlano, senza ritegno e senza rispettare il silenzio, della casa, dei bambini e della lana? 122 • È la mancanza di attenzione, di riflessione su quanto viene detto che rende inutile anche quel contatto sporadico con la parola di Dio 123 • La gran parte di essi - continua il predicatore - non si cura di indagare, di confrontare, di domandare; anzi, alcuni non hanno nemmeno la pazienza di aspettare la fine della lettura, altri non sanno neppure di

117. Cfr. P. Brezzi, «La composizione sociale delle comunità cristiane nei primi secoli »,in S.M.S.R., XXII, 1950, pp. 21-53; 42. A.H. Jones, losfo11dosocialedella lot/a/ra paganesimo e c:ristianesimo nef IV secolo, in A. Momigliano (ed.), li con/litlo /ra paganesimo e cristianesimo nef secolo IV, tr. it., Torino 1968, pp. 21-44. Sulla diffusione del cristianesimo in Palestina, cfr. A. v. Harnack, Die Mission 1111d Ausbreilu11g des Christe11111ms, Leipzig 1924, t. Il, pp. 640 sgg. e p. 644, n. 1 ove si osserva - sulla base di una notizia di Eusebio (Mari. Pal. 111,3) - che a Cesarea il cristianesimo sembra essersi diffuso non tra gli abitanti originari della città, ma piuttosto fra le persane venute da fuori o di passaggio. 118. Ho.On. X,2, p. 97,2; Xl,2, p. 105,24; Ho.ls. V,2, p. 265,10. 119. Ho.Nm. 11,1, p. 9,28. 120. Ho.On. Xl,3, p. 105,29; Ho.lv. IX,9, p. 437,25: «Tu ergo unde ardebis? lJnde invenientur in te 'carbones ignis' (cfr. l v. XVI, 12), qui numquam Domini igniris eloquio, numquam verbis sancti Spiritus innammaris? Audi et alibi ipsum David dicentem: 'concaluit cor meum intra me, et in meditatione mea exardescit ignis' (Ps. XXXVllI,4). Unde tu concalescis? Unde in teignis accenditur, qui numquam in divinis meditaris eloquiis, immo, quod ~st infelicius, concalescis in spectaculis circi, concalescis in equorum contentionibus, in certamine athletarum?». 121. Ho.los. 1,7, p. 259,12: «Aliqui autem ex vobis etiam venientes non veniunt, quia venientes non verbo Dei, sed fabulis vacant». 122. Ho.Ex. Xlll,3, p. 272,25. 123. Ho.Ex. Xlll,2, p. 272,13.

89 che cosa si parli, occupati corne sono a chiacchierare negli angoli bui della casa del Signorem. È con una sorta di rassegnazione che Origene, riflettendo sulle parole di Geremia: «andro verso i forti e parlero loro» (Ier. V,5), ammette: «Sevi è felicità a parlare ad orecchie che sanno intendere (cfr. Sir. XXV ,9), vi è (anche) felicità nel trovare un ascoltatore forte e grande» in. Più spesso il giudizio di Origene sull'assemblea che gli sta davanti si svincola dai dati più immediatamente contingenti ed approda ad una riflessione più generale, che prende in esame le motivazioni dei comportamenti e la varietà delle esigenze e delle capacità dei suoi ascoltatori. Tale riflessione assume talvolta la forma di una sorta di nostalgia delle origini; l' Alessandrino si chiede se non si puo già applicare al tempo in cui vive l'interrogativo di Le. XVIIl,8 («Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»): «E veramente, se giudichiamo la situazione in base alla verità e non in base al numero e se giudichiamo la situazione in base all'intenzione ( 7rpomp{oH). senza considerare il numero di coloro che sono nell'assemblea, ora vedremo che non siamo fedeli; in quel tempo invece erano fedeli, quando si verificavano martirî nobili, quando, dopo aver accompagnato i martiri, dal cimitero ci recavamo nell'assemblea e l'intera chiesa era presente senza essere angustiata e i catecumeni erano catechizzati fra le tombe dei martiri e i corpi di coloro che avevano confessato la verità 'fino alla morte' (Ap. Il, 10), senza essere spaventati (cfr. Phil. 1,28), senza essere turbati di fronte al Dio vivente (Act. XIV,15). Sappiamo che in quel tempo videro anche segni straordinari e prodigiosi. In quel tempo erano in pochi a credere, ma credevano veramente e seguivano la 'strada stretta e angusta che conduce alla vita' (Ml. VII, 14). E ora che siamo diventati moiti, poiché non è possibile che siano moiti gli eletti ... , fra la folla di coloro che si dichiarano religiosi, sono molto pochi quelli che arrivano all'elezione divina e alla beatitudine» ,,, .

Accanto alla nostalgia che tende sempre a collocare nel passato la perfezione e accanto ai ricordi personali di Origene che qui rivive i momenti in cui, ancora giovanissimo, aveva assistito i martiri durante la persecuzione di Settimo Severo, vi è la consapevolezza che i progressi compiuti dal cristianesimo nell'arco di circa quarant'anni hanno modificato profondamente - con il passaggio dalla qualità alla quantità - il volto delle comunità cristiane. Quali tratti aveva, secondo Origene, questo nuovo volto?

124. Ho.Ex. Xll,2, p. 264,1. 125. Ho.Ier. Vl,23, p. 51,4. 126. Ho.Ier. IV,3, p. 25,16.

90 In un'omelia sui Numeri 127 , venendo a commentare i diversi gradi di parentela che danno diritto all'eredità (cfr. Nm. XXVII,8-10), egli vivede simboleggiati i vari modi possibili di adesione al cristianesimo che danno diritto all'eredità - sia pure in forme diverse - del regno di Dio. Il primo ad averne diritto è «il figlio maschio», colui cioè che possiede «scientia et doctrina»; al secondo posto sta «la figlia» che simboleggia coloro che sono in grado di compiere soltanto le opere; «il fratello» indica coloro che nella chiesa non hanno iniziative e pensieri propri, ma che imitano i fratelli della fede che hanno capacità di discernimento. AI quarto posto stanno gli abitudinari ed i tradizionalisti che regolano il loro comportamento in base a cià che è stato raccontato loro dai padri e non in base alla propria capacità di pensare e riflettere sulla dottrina. L'ultimo posto è riservato a chi «sia perché se ne è presentata l'occasione, sia perché ritiene vera la dottrina» ha compiuto qualche cosa di buono: anche lui «largiente Domino» avrà diritto all'eredità. Questa fotografia, non certo lusinghiera, dei differenti modi di aderire al cristianesimo - da quello più consapevole a quelli via via più frammentari ed irriflessi - è un argomento che ritorna aitre volte sotto forme diverse. ln los. VIIl,35 vengono enumerati gli uomini, le donne ed i bambini presenti nell'assemblea di lsraele; nei primi - secondo Origene - sono simboleggiati i perfetti che sono in grado di combattere sia contro i demoni, sia contro gli eretici. Vi sono poile «donne», simbolo di tutti coloro che non sono in grado di stabilire da soli cià che bisogna fare, ma agiscono imitando gli « uomini»; i « fanciulli», citati per ultimi, simboleggiano i catecumeni che sono ancora nutriti dal «latte» evangelico128. Le parole del Salmo: «uomini e bestie tu li salverai, o Signore» (Ps. XXXV, 7) suscitano riflessioni analoghe: i primi sono coloro che « verbi Dei et rationabilis instituti studium gerunt», gli altri sono coloro che vivono senza questo studio e non si applicano affatto alla scienza di Dio, ma che tuttavia sono fedeli e percià «animali mondi»: «Sicut enim sunt quidam homines Dei, ita sunt quidam et oves Dei» 129 • 1 diversi piani dell'arca, figura della chiesa, suggeriscono i diversi modi di essere presenti nel popolo di Dio: nel piano inferiore, diviso a sua volta in due parti, sono collocati gli animali irrazionali; la parte ,>iù bassa è occupata dagli animali che indicano i fedeli in cui la dolcezza

127. Ho.Nm. XXll,2, p. 206,3. 128. Ho.los. IX,9, p. 355,7. 129. Ho.Lv. 111,3, p. 305,10.

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della fede non ha ancora mitigato la ferocia dei costumi. Poco sopra stanno quelli che simboleggiano coloro che hanno scarsa «ratio», ma moltissima semplicità ed innocenza. Nel piano superiore stanno Noè ed i componenti della sua famiglia, simbolo dei pochi perfetti fra una moltitudine di «animalia» 130 • Da una parte, dunque, i perfetti, i « bellatores» le cui armi sono costituite da un'ascesi rigorosa e dalla dedizione assoluta alla parola di Dio, dall'altra gli «imbelles», gli «infirmiores», «sive per aetatem, sive per sexum, sive per propositum» 131 • Origene è consapevole che la moltitudine dei «simpliciores», degli «imperitiores», dei 1ro>.>.o(, degli Ôt7rÀouarEpoi, dei µixpo{ nasconde una grande varietà di condizioni m. Tra questi vi sono persone la cui mente non è in grado di concepire nulla di alto e profondo, nessun pensiero spirituale, ma in cui tuttavia le passioni carnali sono morte. Costoro non sono in grado di generare «figli maschi», ma « figlie» cioè le opere di giustizia ed il rispetto dei comandamenti di Dio i u, «quae su nt simplicioris vitae ministeria» 13 ~.

130. Ho.On. 11,3, p. 31,J. 131. Ho.Nin. XXV,4, p. 238,9; cfr. anche XXIV,3, p. 231,6 in cui si distinguono tre gruppi di credenti: coloro che hanno una «parvula anima», bisognosa della guida di un padre, sono da considerarsi «sub patribus»; vi sono poi coloro la cui anima ha raggiunto una maturità tale da essere in grado di concepire «semen verbi Dei». Essa è, dunque, ancora «sub viro». 11 terzo gruppo è costituito dai perfetti che non sono più soggetti alla tutela di nessuno. Ho.Nm. XXII, I, p. 202, I: le differenze esistenti nellaplebs Dei sono simboleggiate da quelle fra l'eredità dei Leviti ( = perfetti, che non ricevono terre e si dedicano esclusivamente a Dio) e l'eredità toccata al resto del popolo che non ha raggiunto Io stesso grado di perfezione e di distacco dalle cose terrene: «Hi ergo (cioè i semplici) qui hoc modo plures sunt, plus terrae et plus corporeae hereditatis accipient; pauci tamen exiguum aliquid de terra consequentur, quia plus in Domino habent; alii autem nihil omnino terrenae hereditatis accipient, si qui digni fuerint sacerdotes esse et ministri Dei». Cfr. anche Ho.Nm. XXVl,7, p. 2S4,7; 24: i figli di Ruben e di Gad (Nm. XXXll,6-7) che si rifiutano di combattere e di oltrepassare il Giordano, simboleggiano i «carnales», «qui 'iumentis et pecudis' (Ps. XLVIII, 13), id est crassis et stolidis sensibus abundant»; colui che. invece, passa il Giordano simboleggia chi arriva alla conoscenza spirituale, ai ccsecretiora mysteria». Ho.Ex. IX,3, p. 239,6: nel tabernacolo che è figura della chiesa, le colonne, che Io sostengono, sono i «doctores»; le tende appese agli anelli sono la «reliqua credentium plebs quae haeret et pendet in funibus fidei»; Ho.Cam. 1,1, p. 29,4. 132. Su questo problema, visto sullo sfondo di tuila l'opera origeniana, cfr. A. Monaci Castagno, «Origene ed i 'moiti': due religiosità a contrasto», in Aug., XXI, 1981, pp. 99-117; G. af Hiillstrôm, Fides simpliciorum according to Origen of Alexandria, Ekenas 1984. 133. Ho.Nm. XXll,I, p.20S,I; Ho.Ps. XXXVI, V,I, c. 13S9 C: «Linde et vos imperitiores quique fratres audientes sermonem prophetae, date studio et meditamini cum iustitiae operibus etiam de ore vestro proferre sermonem sapientiae». 134. Ho.Nm. XXll,l, p. 20S,24.

92 Ma questi sono ancora una minoranza rispetto a tutti gli altri; la maggior parte dei «semplici» non sono soltanto «animali», «Che non fanno nulla con prudenza», ma «cadaveri di animali» (Lv. V,2-3) il cui contatto rende impuri, poiché essi «Si rotolano nella sporcizia del peccato» 13 s. Essi hanno ricevuto il battesimo e poi sono ricaduti nel peccato 13 •; cercano Gesù, ma Io fanno in modo negligente, trascurato, frammentario 137 ; il loro cristianesimo è ormai un cristianesimo superficiale che lascia intatto il peccato e che si limita al culto esteriore; essi vanno in chiesa, si inchinano davanti ai sacerdoti, li rispettano, contribuiscono al mantenimento della chiesa, «ma non si mettono di impegno a sorvegliare anche i loro costumi, a correggere il loro comportamento, ad abbandonare i vizi, a praticare la castità, a mitigare

l'irascibilità, a reprimere l'avidità, a frenare la rapacità, la maldicenza, le chiacchiere sciocche e scurrili, a togliere dalla propria bocca i veleni della denigrazione» 131.

Questa - descritta ancora in termini generali - la chiave di lettura con cui Origene interpretava la realtà che gli stava davanti ed in base alla quale egli organizzava la propria predicazione; di fronte aile distinzioni che abbiamo appena visto, le aitre, di carattere più istituzionale, quale, ad esempio, quella fra catecumeni e battezzati, rimangono del tutto in secondo piano. Il problema principale posto da questo modo di vedere il popolo di Dio - corne costituito, cioè, da una piccola minoranza di perfetti e da una massa di simplices - diventava quello di provocare una «vera» conversione in coloro che non erano ancora entrati a pieno titolo nella chiesa, ma anche, con la stessa urgenza e necessità, in coloro che erano già stati da tempo battezzati, poiché gli uni e gli altri venivano collocati - sia pure in posizioni diverse - in una stessa grande categoria di persone. Si tratta naturalmente di una «conversione» relativa al modello esigente di cristianesimo che aveva in mente Origene, la cui ambizione più grande era proprio quella di far in modo che la piccola minoranza di perfetti tendesse ad abbracciare e comprendere in sé la moltitudine dei semplici.

135. Ho.Lv. 111,3, p. 305,19; Ho.On. IX.2, p. 90,9: «Et in nostro populo sunt multi, qui 'terrena sapiunt' et quorum stultilia 'gravior est arenae maris' (Gn. 1,28)». 136. Ho.Ez. Xll,I, p. 433,23. 137. Ho.Le. XVIII, p. 113,17. 138. Ho.Ios. X,3, p. 360,13; cfr. anche dello stesso tcnore X,I, p. 358,13; cfr. anche Ho.los. 1, 7, p. 295, l 9: «Quid prodest si ieiunamus pro peccatis et iterum peccata commiltimus? Quid prodest lavisse et in coeno denuo volutari?».

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Saremmo curiosi, inoltre, di sapere che effetto faceva, proprio a quella maggioranza, sentirsi definita con termini quali «pecore», «animali» e - con un'offesa certo considerata peggiore delle aitre - «donne»; termini che, pur riecheggiando la lettura del giorno, dovevano ancora conservare una certa quai forza d'urto. ln aitre parole, che tipo di reazione poteva suscitare la posizione origeniana che riservava un cosi alto prestigio a chi si dedicava interamente allo studio della parola e faceva del possesso o meno della scienza di Dio l'unità di misura principale con cui venivano di fatto giudicati tutti i cristiani? Se un atteggiamento volutamente pessimistico da parte del predicatore non ha accentuato troppo le tinte, un passo delle Omelie sui Sa/mi ci dà un'idea di corne questa concezione fosse ben lontana dal riscuotere consensi unanimi: «Soltanto a questo state auenti, fratelli, che nessuno di voi venga scopcrto non soltanto a non esporre e a non meditare la sapienza, ma anche a odiare ed opporsi a coloro che si dedicano allo studio della sapienza. Gli ignoranti (imperi11) hanno infatti, fra gli altri, anche questo pessimo difetto: di considerare fatui e superflui quelli che si applicano alla parola ed alla scienza. Ed essi tengono in alta considerazione più la loro ignoranza che l'impegno e la fatica di quelli: cambiando i nomi, chiamano il lavoro di costoro 'verbosità', invece la propria incapacità di apprendere e ignoranza, 'semplicità'»"'.

39. Ho.Ps. XXXVI, V,I, c. 1359, D; simili osservazioni anche in Co.Rom. IX,36, c. 1236 C; IX,40, c. 1240 C.

IV. L'INTERPRETAZIONE DELLA SCRITTURA

Per comprendere appieno Io sforzo di adattamento compiuto da Origene nello spiegare la Scrittura davanti ad un pubblico di «principianti» nella fede, bisogna ripensare aile parole da lui scritte nella Jettera a Gregorio: qui egli consigliava Io studio della filosofia greca e delle discipline sussidiarie di questa - geometria, musica, grammatica, retorica, astronomia- corne i-yx6x>ua µai7,fµaTot~ 7rpo7rmlJE6µaTot' per Io studio della Scrittura alla quale, in chiusura della lettera, raccomandava di dedicarsi in modo esclusivo. Lo stesso programma di studio emerge, in modo più particolareggiato, dal discorso pronunciato alla presenza del maestro da un allievo che era rimasto presso di lui parecchio tempo. Anche qui Io studio della scienza di Dio e della Scrittura è visto corne il coronamento di un complesso curriculum di studi che comprendeva le tradizionali divisioni della filosofia greca 2 • La necessità di spiegare davanti all'assemblea la Scrittura doveva porre al maestro alessandrino soprattutto questo interrogativo: corne far comprendere «il significato nascosto della Scrittura» proprio ai «moiti>» sprovvisti, se non del dono naturale dell'intelligenza', certamente della preparazione morale e degli strumenti culturali in grado di introdurli con gradualità in quella visione spirituale del mondo, in quel1. Phil. 13,I, p. 64,23; per l'identificazione di Gregorio con Gregorio il Taumaturgo, cfr. Grégoire le Thaumaturge, Remerciement à Origène suivi de la lettre d'Origè11e à Grégoire, par H. Crouzel, (SC 148), Paris 1969, pp. 86-87. Di diverso avviso Nautin, Origène... cit., pp. 83-85: l'autore del Discorso di ringrat.iamento - Teodoro - non sarebbe la stessa persona cui Origene indirizza la sua lettera. 2. log. Char. VII, p. 93 sgg. 3. Phil. 13,4, p. 67,9. 4. Dono che Origene riconosce al suo allievo Gregorio invitandolo a perfezionarlo con l'esercizio (Phil. 13,I, p. 64,14).

96 la fitta trama di riferimenti biblici e filosofici necessaria alla comprensione spirituale della Bibbia? Egli non poteva d'altra parte accontentarsi di una spiegazione letteraie della Scrittura, poiché riteneva che il suo essere «maestro» anche dei semplici era inscindibilmente subordinato alla propria capacità di penetrare e di insegnare appunto il senso nascosto della parola di Dio, di rendersi degno, con l'applicazione e la ricerca, di un'illuminazione sui significato spirituale e di comunicarla, con l'aiuto del Verbo, agli altrP. Un'ulteriore e forse più grande difficoltà era rappresentata dal fatto che era intenzione di Origene commentare tutta la Scrittura e non soltanto i libri che l'esperienza suggeriva corne più adatti e graditi a coloro che si nutrono di «latte», cioè ai principianti nello studio delle cose divine: «Quando viene fatta una lettura dei libri sacri in cui non sembra esserci nulla di oscuro, costoro la accolgono di buon grado, corne, ad esempio, il libro di Ester, o di Giuditta, o di Tobia, o i precetti della Sapienza; ma, se viene letto il libro del Lcvitico, subito il loro animo viene offeso e si ritrae quasi corne se non fosse un cibo adatto a loro ... »•.

Egli osserva Io stesso atteggiamento quando vengono letti i Vangeli, l' Apostolo e i Sa/miche sono ascoltati volentieri; ma una lettura tratta dai Numeri, soprattutto se in essa si affollano nomi di luoghi o di persone, causa una reazione di rifiuto e di disgusto. Origene invece si proponeva di affrontare l'interpretazione di libri oscuri e difficili, corne quello della Genesi, del Levitico, dei Numeri; per questo il tentativo di persuadere il pubblico della necessità di un'interpretazione allegorica della Scrittura, 1' urgenza di trovare i mezzi e le parole più adatte per essere compreso e di riuscire a comunicare un metodo di studio e di ricerca, risultano problemi veramente centrali della predicazione origeniana. Nel trattare questi terni essa mette anche in luce Io spettro vasto e diversificato delle resistenze che incontrava, la profondità e l'asprezza dello scontro di mondi culturali diversi. Le battaglie più esplicite sono quelle condotte contro la lettura giudaica e quella gnostica e marcionita della Scrittura, ma con esse il predicatore intende colpire le complicità ed i consensi che tali letture raccoglievano fra i cristiani «amici litterae». 5. Cfr. sopra cap. Ill, 2. 6. Ho.Nm. XXVII, I, p. 256,8.

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t. L'attacco alla lettura giudaica della Bibbia Ho già accennato al fatto che nel corso del III sec., e soprattutto nei decenni centrali, il rabbinato palestinese e la sua massima istituzione culturale - l' Accademia - erano in piena fioritura proprio a Cesarea '; Origene riconosce implicitamente la dedizione dei Giudei allo studio della Scrittura, ma, nello stesso tempo, ne dichiara l'assoluta inutilità. Commentando Ex. XVI,6-7, egli li apostrofa cosi: «Quando mai il Signore è stato riconosciuto "la sera" e la sua maestà è stata vista "di mattina"? Rispondeteci voi che siete istruiti dall'infanzia fino alla vecchiaia e "sempre imparate e non giungete mai alla verità" (/ Tim. 111,7); perché non comprendete che queste parole sono dette in modo profetico?»'.

11 loro impegno e la loro applicazione sono inutili perché essi si ostinano ad interpretare la Scrittura in senso letterale; questo è stato per loro fonte di tutti i mali, al tempo di Cristo corne anche successivamente. Proprio perché ascoltarono le parole di Gesù con uno spirito «greve», attaccato alla lettera, non gli credettero, mentre il significato spirituale richiede uno spirito «lieve» che è in grado di elevarsi sopra la materialità9. 1 Giudei, «patroni litterae» 10 , che hanno frainteso la Legge, non potevano accettare Cristo 1 1 ; pur proclamando che il Messia è annunciato dalla Legge e dai Profeti, non sono stati in grado di riconoscere quelIo che è venuto e attendono ancora quello che verrà alla fine dei tempi 12 • li loro attaccamento alla Jettera li avvolge in infinite contraddizioni, se non proprio li copre di ridicolo; prima di commentare Lv. Xl,3, Origene osserva che la legge promulgata da Dio deve essere degna della sua maestà, ma, se si segue la lettera corne sostengono i Giudei, c'è da arrossire a pensare che Dio abbia dato tali leggi. Molto migliori di queste sarebbero allora quelle dei Romani, degli Ateniesi o degli Spartani 1>. Mentre gli

7. Cfr. sopra cap. 11.1. 8. Ho.Ex. Vll,7, p. 213,21; Ho.Ps. XXXVI, V,3, c. 1361 C: «ludaei pene indesinenter legem Dei ore suo et labiis medilantur>>; Ibid. 1,1, c. 1321 D; Tract. Ps. LXXXVIII, s.o., p. 410, 175: i Giudei « legunt enim legem, sed non intellegunt quia obscurati sunt oculi eorum ne videant». Cfr. anche Ho. Ier. X,4, p. 74,26: frai Giudei non vi è più né profezia, né insegnamcnto. 9. Ho.ls. Vl,6, p. 277, 25. 10. Ho.Re.L. 1,18, p. 25, 2. Il. Ho.Ex. V,I, p. 183, 18. 12. Ho.Nm. XVlll,4, p. 173, IO. 13. Ho.lv. Vll,5, p. 388, 11.

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apostoli difendono le prescrizioni di Mosé e sostengono quelle che possono essere adempiute e quelle che sono state scritte con un significato spirituale, i dottori dei Giudei, seguendo la lettera, le rendono impraticabili ed assurde 1•. Per quanto riguarda l'interpretazione giudaica dei racconti storici, la requisitoria di Origene è ancora più dura. 1 Giudei leggono l'esodo del popolo ebraico dall'Egitto, le guerre di Giosuè, le vicissitudini degli ebrei nella terra promessa «tamquam historias rerum gestarum et praeteritarum » '5. Questo loro percorrere continuamente eventi talvolta cosi crudeli e sanguinosi viene presentato da Origene corne qualche cosa di morboso: «Quando i Giudei leggono queste vicende, diventano crudeli ed hanno sete di sangue umano, pensando che anche i santi colpirono gli abitanti di Gai in modo che 'non permisero a nessuno di salvarsi, né di fuggire' (los. VIIl,22)» 16 •

Tali racconti, intesi secondo la lettera prima della venuta di Cristo, servivano corne palestra di ferocia e di rivolta per coloro che «semper bellis ac seditionibus pascebantur» ". Un cenno a parte merita la critica origeniana contro una concezione di Dio troppo antropomorfica. Nell'introduzione alla terza omelia sui Genesi, essa viene presentata in un primo momento corne un'accusa rivolta ai cristiani da coloro che , in Vet. Chr., XXII, 1985, pp. 181-196. Cfr. anche Co.Mt.S. 20, p. 35,23: «Aestimo autem omnes moraliter scribas dici, qui amplius nihil aestimant positum in scripturis quam simplex sermo scripturae demonstrat, sed adhuc contemnunt eos qui 'scrutantur altitudinem Dei' (Le. X,29)».

103 «Se cerchero di esaminare gli antichi detti e di cercare in essi il significato spirimale, se tentero di rimuovere il velo della legge e di mostrare che 'le cose scritte sono allegoriche' (Gal. IV,24), io scavo si dei pozzi, ma subito gli amici della lettera mi calunnieranno e mi insidieranno; immediatamente mi tenderanno insidie e mi perseguiteranno, negando che possa esserci verità se non sulla terra. Ma noi, se siamo servi di Isacco, amiamo i 'pozzi di acqua viva' e le fonti: allontaniamoci dai litigiosi e dai calunniatori e lasciamoli sulla terra che amano»".

E mentre i Filistei, tipi dell'opposizione passata e presente all'interpretazione spirituale, sono presentati fondamentalmente corne conservatori che «nec nova condi patiuntur, nec vetera purgari» 35 , il commento del predicatore si chiude con un invito a diventare simili allo scriba evangelico, di cui il Signore disse: «Dai suoi tesori ri cava cose vecchie e cose nuove» (Mt. XIIl,52) 36 • È possibile dare un volto più differenziato a questi amici litterae? Una minoranza di loro era costituita sicuramente da ebioniti, gruppo giudeo-cristiano cui Origene, talvolta, fa cenno nelle sue opere. Essi, pur avendo accettato Cristo, continuano ad osservare scrupolosamente la legge giudaica; Origene offre anche una spiegazione ad hoc del loro nome che egli ricollega alla «povertà» (ebion = povero) del loro modo di interpretare l' Antico TestamentoJ7. Gli ebioniti, inoltre, che non accettano le Epistole di Paolo 31 , sarebbero stati divisi in due sette, una delle quali avrebbe messo in dubbio la nascita verginale di Gesù 39 • Nella sua predicazione, Origene allude a questo gruppo assai raramente; essi vengono nominati, nelle omelie sui Genesi, corne coloro che «sembrano avere accolto il nome di Cristo e che tuttavia ritengono si deb ba ricevere la circoncisione carnale » 40 • Un'altra allusione a questo gruppo si trova forse in un passo cui si accenna «a coloro che amano la lettera della legge di Mosè ma ne rifiutano Io spirito» e che pertanto trovano sospette le interpretazioni di Paolo 4 '. In un altro caso, Origene ammette che sono soprattutto gli «imperiti» a correre il rischio di cadere «in Ebionismum» 41 • Gli ebioni34. Ho.On. Xlll,3, p. 116,17. 35. Ibid. Xlll,2, p. 116,2. 36. Ibid. Xlll,3, p. 116,27. 37. C.Cel. 11,I, p. 126,19; De Pr. lV,3,8, p. 334,1. 38. C.Ce/. V,65, p. 68,12. 39. Ibid., V,61, p. 65,7. 40. Ho.On. 111,4, p. 44,15; cfr. anche Ho.Ier. XlX,12, p. 167,19: gli ebioniti «percuotono l'apostolo di Gesù Cristo con parole infamanti». 41. Ho.Ex. IX,I, p. 235,29. 42. Co.Mt. S. 78, p. 189, 15; il problema critico principale riguardante le notizie orige-

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ti, corne gruppo di origine giudaica, dovevano comunque costituire una piccola minoranza in una chiesa corne quella di Cesarea, che, corne si è visto, reclutava la stragrande maggioranza dei suoi aderenti fra i gentili. L'opposizione all'esegesi di tipo spirituale che si percepisce dalla predicazione di Origene è, invece, un fatto molto più generalizzato. Fra coloro che giudicavano le Scritture «iudaico intellectu» 43 vi era la massa dei simplices ... Peri «moiti» l'alternativa fra esegesi letterale ed esegesi allegorica non era l'alternativa fra due mondi culturali e spirituali diversi, ma quella, più immediata e irriflessa, fra il dato letterale, dotato di una materialità ed un'evidenza che si imponevano di perse stesse, e l'interpretazione spirituale che - almeno nella versione sofisticata di Origene - comportava una riscrittura simbolica del testo, su uno o più piani diversi; riscrittura la cui intelligibilità era in fondo legata ad una serie di operazioni mentali non certo facili ed intuitive: cogliere l'analogia fra i diversi elementi del testo ed il loro sostituto simbolico proposto ed individuato dall'esegeta; individuare e mantenere invariate le funzioni ed i nessi logici che intercorrevano fra tali elementi del testo ed applicarli ai sostituti. Non era del resto soltanto un diverso livello culturale a costituire l'irta barriera che separava il predicatore dal suo pubblico; essa era anche frutto di un insegnamento tradizionale di tipo diverso: i simplices avevano i loro maestri. Accanto alla resistenza passiva dei primi, vi era quella ben più agguerrita dei secondi: «Considera dunque: tutto ciô che Mosè dice sui cibi e sui bere, Paolo, che aveva compreso ciô meglio di quelli che oggi si vantano di essere maestri, dice che tutto questo è 'ombra dei beni futuri' (Col. 11,17). E cosi, corne abbiamo detto, dobbiamo innalzarci da questa 'ombra' alla verità. È un discorso di un Cristiano a Cristiani ai quali deve stare a cuore l'autorità delle parole apostoliche; ma se qualcuno, gonfio di orgoglio, le disdegna e le disprezza, allora consideri lui!»•'.

Questi sedicenti «maestri» hanno la lingua «affilata corne una spada»" (Ps. LXIII,4) e, corne i Filistei al tempo di Isacco e gli scribi ed i

niane sugli ebioniti è quello di capire se nei due gruppi da lui indicati (cfr. sopra n. 38) siano da vedere i giudeo-cristiani in generale e gli ebioniti, oppure due selle all'interno dell'ebionismo. Per una riconsiderazione critica delle principali posizioni in proposi10, cfr. Sgherri, Chiesa... cit., pp. 286-289 che ritiene di dover lasciare ancora aperti i termini del problema. 43. Ho.lud. Vlll,2, p. SI0,14. 44. Cfr. sopra cap. 111.4.d. 45. Ho.Lv. Vll,4, 382,30. 46. Ibid., p. 382,10.

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farisei al tempo di Cristo, si oppongono all'interpretazione spirituale e trascinano nei loro errori il popolo. Tale argomento che, per la sua delicatezza, è appena sfiorato nelle omelie, viene affrontato esplicitamente nel Commenta al Vangelo di Matteo ove Origene parla dei «filistei» della chiesa: «Coloro che, per la Ioro ignoranza ed ingiustizia, si sono dedicati con moita temerarietà all'insegnamento prima di imparare a conoscere la verità e che perciô, ad imitazione delle insulse favole giudaiche, insegnano le storie delle Scritture alla lettera e non il loro senso spirituale, né il loro significato e che, per di più, denigrano quelli che 'sono risorti con Cristo' (Col. 111, l) e cercano nelle Scritture le 'cose di lassù' e non quelle della terra e che ritengono che la verità nelle Scritture non sia nelle cose terrene, ecco, costoro, per quanto dipende da loro 'chiudono il regno dei cieli davanti agli uomini' (Mt. XXIII, 13) e Io chiudono a causa della loro ingiustizia e trascinano con sé anche quelli che potevano, ascoltando una dottrina più divina e più grande, 'entrare', attraverso insegnamenti celesti e azioni ad essi convenienti, 'nel regno dei cieli' » 47 •

Sappiamo troppo poco della chiesa di Cesarea prima che Origene vi giungesse per poter precisare ulteriormente le discussioni sorte intorno al suo insegnamento esegetico; si puè> certo presumere che essa, diversamente da Alessandria ove avevano vissuto Filone e Clemente, fosse meno preparata ad assorbire senza scosse l'insegnamento esegetico di Origene. Puè> essere anche indicativo il fatto che proprio da quest'area culturale e da un personaggio che aveva avuto modo di conoscere Origene è venuta una critica dura ed approfondita dell'esegesi del maestro alessandrino: mi riferisco all'opera in 15 libri Contro i cristiani di Porfirio 41 ,

47. Co.Mt.S. IS, p. 28,14. Quesli «doc1ores», presentati da Origene sotto una lucecosi negativa, rappresentavano una corrente teologica più 1radizionalista che, ammaestrata dagli eccessi della speculazione gnostica, condivideva forse pienamente il parere di Ireneo: « Dunque è meglio, corne ho già detto, non sapere nulla del tutto, neppure la causa di una sola delle cose che sono state faite e perché, (è meglio) credere in Dio e perseverare nel suo amore piuttosto che gonfiarsi di orgoglio a causa di questa scienza ed allonlanarsi da questo amore che fa viverc: è meglio non cercare di sapere nulla se non Gesù Cristo Figlio di Dio crocifisso per noi, piu1tosto che essere trascinati nell'empietà dalle sottigliezze e minuzie delle questioni» (Adv. Haer. 11,26,I, p. 258,16); cfr. su questo punto anche H.J. Carpenter, «Popular Christianity and the Theologians in the Early Cenluries», in J. T.S., XIV, 1963, pp. 301-302. 48. Porfirio nacque a Tiro o Batanea (cfr. su questo punto J. Bidez, Vie de Porphyre le philosophe n~oplatonicien, Gand 1913, p. S, n. 4) nel 232 o 233; Origene mori dopo il 2SO a Cesarea o a Tiro (cfr. Nautin, Origène... cit., pp. 98; 213); quando il primo ha incontrato il secondo, non poteva avere più di 17118 anni. Vi è poi la vexa ta q11aestio se il fi. losofo di Tiro sia stato o meno, in età giovanile, cristiano e sia passato in seguito al paganesimo, secondo quanto afferma una notizia tarda di Socrate, H.E., 111,23,37. Cfr. su

106 opera che purtroppo possiamo conoscere soltanto per il tramite della testimonianza di Eusebio e altri frammenti 49 • Un altro documento importante sulle discussioni sorte intorno alla figura ed all'opera di Origene riguardante la chiesa di Cesarea è di circa quarant'anni successivo alla sua morte. Ne è l'autore Panfilo, presbitero di quella chiesa, maestro di Eusebio ed ardente ammiratore di Origene di cui contribui non poco a conservare e propagandare I' opera. Si tratta dell'Apologia scritta mentre si trovava in carcere con l'aiuto di Eusebio; !'opera, di cui grazie alla traduzione di Rufino, abbiamo ancora la prefazione ed il 1 libro, è indirizzata a confessori egiziani condannati ai lavori forzati nelle miniere di rame della Palestina ed è occasionata dal fatto che essi si erano espressi contro Origene: «Nihil mirum, fratres, videmini mihi esse perpessi, quod ita vos Origenis subtcrfugit intellect us, ut vos quoque ea aestimetis de illo, quae et alii nonnulli: qui sive per imperitiam sui, qua non valent sensus eius altitudinem contueri; sive pravitate mentis, qua studium gerunt non solum dicta eius incusare, verum etiam adversus eos qui haec legunt hostiles inimicitias sumere, tam pertinaciter id agentes, ut nulla prorsus venia eos dignos haberi putent ... »' 0 •

La condanna di Origene da parte dei confessori era dunque stata preceduta da quella di un altro gruppo avverso ad Origene dei cui attacchi era stato vittima Io stesso Panfilo in quanto lettore ed ammiratore del maestro alessandrino. Dai momento che le diverse posizioni presenti in tale gruppo erano ben conosciute da Panfilo, è molto probabile che gli alii fossero persone appartenenti alla sua stessa chiesa. Fra gli avversari di Origene Panfilo distingue diverse posizioni: vi sono coloro che non leggono il greco ed hanno una conoscenza non diretta e molto superficiale dell'opera origeniana; altri, invece, scelgono nelle opere di Origene soltanto ciè> che puè> servire a metterlo in cattiva luce; altri ancora, dopo essersi formati sui testi di Origene, Io rinnegano per motivi di opportunità e di carriera, dicendo di non averlo mai conosciuto e di

questo punto la cri1ica di Bidcz, op. dt., pp. 6-8. Secondo Nau1in, 01"igè11e••• ci1., p. 199, l'inconlro di Porfirio con Origene pu che «migliaia di uomini» ritengono vero rimane falso agli occhi di Dio: i maestri marcioniti affermano di dire la verità, altrettanto sostiene la «robustissima secta» di Valentino e moltissime chiese hanno accettato la loro dottrina, tuttavia questo non giova loro nulla• 2 • La «sabbia» del mare di Gn. XXII,17 evoca le «schiere di eretici» che, a fianco dei Giudei e dei pagani, perseguitano la chiesa; corne «i figli dell'Oriente» di /ud. VI,3 che assaltano gli israeliti, essi vogliono: «conquistare ... la chiesa di Cristo, combatter la fede di Cristo, assalire il popolo del Signore, attaccare battaglia contra la fede cattolica» 63 • Il pensiero di Origene è rivolto soprattutto ai semplici che appaiono le vittime più facili dell'eresia gnostica e la sua preoccupazione costante è quella di aiutarli"; gli eretici «simplicium corda decipiunt» (Rom. XVI,18) 65 ; se un'anima «minus instructa» nella Scrittura li ascolta, puè> ammalarsi ed allontanarsi dalla fede cattolica••. Per questa ragione bisogna armare contra gli eretici, in primo luogo, colora che «simpliciter sentiunt » 67 • Come si è già visto 68 , compito precipuo del maestro è appunto quel-

60. Ho.Le. XXXI, p. 176,11. 61. Ho.Ex. 111,2, p. 164,17; Ho.Ier. X,5, p. 75,20: coloro che parlano contro il demiurgo e Io bestemmiano «'sono fiorenti, sono stati piantati ed han no messo radici, hanno generato e rruttificato' (Ier. Xll,2). Quanti rrutti ha generato Marcione, quanti Basilide, quanti Valentino». 62. Ho.Ez., 11,5, p. 347,20; cfr. anche Ibie/., p. 346,19. 63. Ho.lud. Vlll,I, p. 509,17. 64. Ho.Le. VII, p. 43,20; la «pernice» di Ier. XVll,11 simboleggia la triade: Marcione, Valentino, Basilide, la cui voce chiama a raccol!a ed inganna ((i più semplici rra i redeli» a causa della loro «ingenuità» ed «impreparazione» (Ho.Ier. XVll,2, p. 144,13). Cfr. anche Troct.Ps. LXVII, p. 47,213: «Et propterea (haeretici) simpliciores decipiunt, hoc est multitudinem ... ». Cfr. Le Boulluec, la 1101io11... cil., pp. 481-482. 65. Ho.ü-. XVI, p. 97,4. 66. Ho.los. X,2, p. 359,17. 67. Ho.Le. XX, p. 119,23. 68. crr. sopra cap. 111.1.

110 Io di affrontare - in un'arena intellettuale - gli eretici per evitare che essi rapiscano e facciano schiavi «i fanciullini» ed i «lattanti di Cristo» (cfr. I Cor. III, 1), p(Jiché gli eretici non oseranno mai scendere in combattimento con un maestro della chiesa. Gli eretici si avvalgono di efficaci mezzi di propaganda; i loro «falsi magistri» raccolgono consensi con discorsi magniloquenti e promesse di salvezza a buon mercato che hanno corne scopo il divertimento di chi li ascolta e non la conversione 69 • L'esatto contrario di questi comportamenti viene segnalato da Origene corne una forma più subdola e pericolosa di propaganda: la mansuetudine, la castità, la giustizia di «qualche marcionita o discepolo di Valentino» sono in fondo un travestimento per ingannare più facilmente chi ascolta: «Secondo il mio parere, è molto più nocivo un eretico dalla vita onesta e la sua dottrina ha moita più autorità di colui che con il suo modo di vivere disonora la dottrina ... Guardiamoci dunque con attenzione da quegli eretici che conducono una vita irreprensibile, forse il loro genere di vita è frutto non tanto dell'insegnamento di Dio quanto di quello del demonio» 70 •

Stando alla testimonianza delle omelie di Origene, sembrerebbe che la vitalità e la diffusione delle idee gnostiche e marcionite costituisse ancora un fenomeno assai rilevante e preoccupante. Al di là di qualche amplificazione dovuta a preoccupazioni di tipo pastorale, questo fatto trova conferma almeno relativamente al marcionismo - sia in altri luoghi dell'opera origeniana 11 , sia da quanto possiamo inferire da aitre testimonianze patristiche riguardanti un periodo di poco successivo a quello origeniano 12 •

69. Ho.Ez. 111,3, p. 350,25; cfr. anche 111,6, p. 354,8: gli eretici «ad voluptates audientium loquentes scindunt ac dividunt ecclesiam»; Vlll,2, p. 403,11; gli «ecclcsiastici magistril> correggendo i costumi propri e degli altri costruiscono la chiesa di Dio, gli ereti· ci, paragonati alla «meretrice» (Ez. XVl,31) costruiscono invece un «postribolo su ogni strada». Crr. anche Tract. Ps. CXL, p. 305, 125. 70. Ho.Ez. Vll,3, p. 392,24; Ho.Ier. V,14, p. 43,31: gli eretici corne i filosori conducono una vita tcmperante (ow10p0Pfto1101P) ed hanno una sorta di circoncisionc che pcrè> non proviene da Dio. Cfr. anche Co.Mt.S. 33, p. 61,18 ove viene detto - contro i filosofi e gli eretici - che «Si in peccatis moralibus puniendi sumus, amplius propter dogmata ratsa peccantes». Per i comrastanti esiti morali - ora ascetici, ora libertini anche all'interno degli stessi gruppi - in cui potevano sfociare le idee gnostiche sull'uomo e sulla salvezza, cfr. G. Filoramo, L 'allesa della fine. Storia della gnosi, Bari 1983, pp. 285-295. 71. Frg. XIII in Ier., p. 204,5: «01 To1oiJT01 01'.oôoµoua11• fo11T0Ït oh{m ~v6'µaT1 l1 Origene attribuisce quesl'idea ai «ex schola Marcionis ac Valentini et Basilidae venientes». La precisazione non è di poco conto perché, net considerare la polemica origeniana ci si deve chiedere se e in che misura essa, oltre che essere influenzata dalle controversie anteriori, non rifleua anche uno stadia di sviluppo successivo di queste idee, stadio in cui le differenze non erano poi cosi evidenti. Cfr. su questo punto Origène, Traité des Principes, par H. Crouzel-M. Simonetti. (SC 253), Paris 1978, p. 217, n. 25.

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tenuto e gli errori dell'eresia degli elchasaiti, la cui apparizione viene presentata corne un fatto piuttosto recente 9 ' . La massima semplificazione e genericità con cui queste erano presentate riflette anche, da una parte, l'esigenza apologetica di rendere comprensibile al maggior numero possibile di persane il punto di vista del predicatore e, dall'altra, anche l'effettivo processo di impoverimento e di assimilazione cui erano state sottoposte le tesi marcionite e gnostiche man mano che da un gruppo ristretto di iniziati passavano fra i simplices e venivano fra essi propagandate 99 • In ultimo val la pena di rilevare un'assenza: l'eclissi quasi totale della confutazione della teoria valentiniana delle tre nature finalizzata alla difesa del libero arbitrio dell'uomo, tema che occupa un grande spazio nelle aitre opere origeniane. 1 motivi di tale assenza mi sembrano essere principalmente due: la scarsa incidenza e rilevanza di quest'idea nel pubblico delle omelie e una certa prudenza pastorale che noteremo anche altrove 100 a proposito dell'argomento del libero arbitrio, considerato un terreno minato e potenzialmente pericoloso per i «lattanti» di Cristo. 4. La posizione di Origene io•

a) La lettera che edifica Giudeo-cristiani, simplices, persane a vario titolo attratte dalla lettura giudaica della Scrittura, maestri di formazione teologica più conservatrice, eretici, costituivano Io spettro ampio e diversificato delle posizioni che facevano pressione sui predicatore e che avrebbero voluto da

98. Ho.Ps. LXXXI/, in Eus. H.E. Vl,38. 99. Harnack, (Marcion ... cit .. pp. 164-167) fa notare corne - sopra11u110 con Marco e Megezio - gli sviluppi successivi del marcionismo siano andati nella direzione di una progressiva assimilazione allo gnosticismo. 100. Cfr. sotto cap. Vlll.6. 101. Anche in questo caso, non è mia intenzione offrire una presentazione generale del problema dell'interpretazione origeniana della Scrittura, problema per cui rimando, ohre chc aile due monografie già citate di de Lubac e di Hanson, a Origene, // commento al Vangelo di Giovanni, a cura di E. Corsini, Torino 1971, pp. 44 sgg.; ed a Origene, I Pri11c:ipi, a cura di M. Simonetti, Torino 1968, pp. 84 sgg. ln questi paragrafi ho inteso concentrare l'attenzione non 1anto sui rapporto che nelle omelie intercorre fra la lettera e Io spiri10, quanto piuttosto sui modo in cui sia l'una che l'ahro vengono u1ilizza1i dal predicatore per persuadere e convertire, per trasformare la Scrittura in un perenne serbatoio di modelli di comportamento e regole morali valevoli per ogni momento.

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lui un'interpretazione più letterale del testo. È arrivato il momento di interrogarsi sui modo in cui Origene ha fatto fronte a queste pressioni e soprattutto se ed in che misura la sua esegesi ne ha tenuto conto. Sembrerebbe a prima vista nessuno; parte della critica ha infatti sottolineato - proprio a proposito delle omelie - l'uso esuberante del metodo allegorico - spinto a tal punto da sfiorare in qualche caso la gratuità e l'astrusità 102 • L'osservazione è complessivamente vera se collocata sullo sfondo della preoccupazione legittima di non introdurre nessuna netta cesura, dal punto di vista del metodo, fra l'Origene che, nei grandi commentari e trattati, si rivolge ad un pubblico colto e l'Origene che parla al popolo. Tuttavia la stessa osservazione, considerata indipendentemente da tali preoccupazioni e sullo sfondo delle omelie in sé e per sé, dovrebbe essere un po' ridimensionata. Nella predicazione, Origene dedica non poca attenzione alla lettera corne fonte di edificazione morale, utilizzando un procedimento, ben noto nella retorica classica, che viene sfruttato, con gli opportuni adattamenti, anche dagli autori cristiani, quali appunto Origene e, prima di lui, soprattutto Tertulliano. Si tratta del ricorso all'efficacia persuasiva ed accattivante dell'exemplum che, in tempi successivi, conoscerà una fortuna straordinaria, proprio nell' omiletica, via via che al repertorio tutto sommato limitato del Vecchio e del Nuovo Testamento vengono ad aggiungersi le vite dei santi, le passiones, le raccolte dei miracoli ed infine vere e proprie raccolte di exempla, da dove trarre brevi lezioni edificanti per illuminare e dare maggiore incisività ad un punto della dottrina o ad un'esortazione morale 103 • Per Origene la riflessione sui 7rotpal>d"{µ.am 104 offerti dalla Scrittura è un aspetto essenziale della conversione di ciascuno:

102. De Lubac, Histoire ... cit., p. 9; Klostermann, op. cit., pp. 203-204; M. Simonetti, «Origene catecheta», in Sul., XLI, 1979, p. 304, ove si sottolinea, sulla base dell'esempio dell'interpretazione origeniana dei versetti iniziali del Cumico dei Cantici, che compare nelle Omelie e net Commentario, che la differenza apparc più quantitativa che qualitativa. 103. Cfr. su questo punto: Aa.Vv., Rhéthoriqueet histoire. L 'exemplum et le modèle de comportement dans le discours antique et médiéval, Rome 1980; C. Bremond-J. Le Goff (par), L '«exemplu111», Tournhout 1982, per gli adattamenti cristiani cfr. pp. 48 sgg.; più sintetico ma anche più documentato perla parte cristiana antica A. Lumpe, «Exemplum», in R.A.C., v. VI, cc. 1245 sgg. Senza entrare nel merito di questo aspetto particolare dell'esegesi origeniana, uno studio che si è occupato espressamente delle diverse funzioni rivestite dalla leuera all'interno dell'ermeneutica origeniana è l'articolo di H. Crouzel, «Origène et le sens littéral dans ses 'Homélies sur l'Hexateuque'», in B.L.E., LXX, 1969, pp. 241-263. 104. Cfr. Ho.Ier. 1,1, p. 1,6 «esempio», trauo dalla Scrittura, per provare la lentezza di Dio net castigare; sullo stesso tema, cfr. Ibid. Vll,I, p. 51,21.

117 «La vera conversione consiste dunque ne! leggere le cose antiche' 0 ' , nel sapere chi sono i giustificati, nell'imitarli, ne! leggerle e ne! comprendere chi sono coloro che sono stati biasimati, ne! guardarsi da! cadere negli stessi rimproveri; ne! leggere i Iibri della nuova alleanza, le parole degli apostoli e, dopo averle lette, nello scrivere tutie queste cose nel cuore, conformando a queste la vita, affinché non venga dato anche a noi il 'documento del divorzio' (Ier. lll,8) ... » 10•.

Coerentemente a queste parole, Origene cerca di stimolare la riflessione di chi Io ascolta su racconli o personaggi biblici che possano servire ad esempio di atteggiamenti o azioni morali. Le Omelie sui Genesi, libro cui si era rivolta in particolare l'esegesi allegorizzante degli gnostici ' 07 , offrono un ampio campionario di questo modo di procedere. All'inizio della quarta omelia, Origene paragona l'apparizione di Dio ad Abramo (Gn. XVIll,1-2) con quella a Lot (Gn. XIX,1) 101 e ulilizza le diversità dei due racconti per mettere in luce la superiorità del primo rispetto al secondo; egli si sofferma specialmente sui particolari

105. rà im>.ma, cioè il Vecchio Testamento. 106. Ho.Ier. IV,6, p. 29,22. 107. Nello studio giâ citalO di Filoramo-Gianouo (p. 55), che utilizza corne base documenta1ia anche tuno il corpus di Nag Hammadi, si fa nota1e che, su 600 citazioni del Vecchio Testamento, ca. 230 1igua1dano il Oenesi, concenuandosi p1evalenternente sui capp. 1-XI; pe1 uno studio più approfondito dell'interpretazione di un terna genesiaco, cfr. P. Nagel, Die Aus/egung der Parudiesenühllmg in der 011osis, in A/tes Testament, Friij11de11111111, Onosis, Güte1sloh 1980, pp. 49-70. P1op1io in questo grnppo di ornelie t1oviarno la confutazione dettagliata delle tesi di Apelle a proposito della descrizione genesiaca dell'a1ca. Apelle sosteneva che poiché ques1a non poteva contenere tuui gli animali, l'inte10 1ac· conto biblico e1a destituito di fondamento e perianto rifiutava gli scriui di Mosé corne non ispirati. Origene che, di solito, con110 il marcionisrno, sostiene la necessitâ dell'interp1etazione allegorica, preferisce qui battere l'awersario sui suo stesso te11eno, inoluandosi in una descrizione dettagliata dell'a1ca e del modo in cui, in essa, e1a organizzata la convivenza di animali e uomini e sostenendo la sostanziale credibilitâ del racconto biblico (Ho.On. I, 1, pp. 22 sgg.). Questo punto della polemica antignostica origeniana - l'unico in cui, nelle omelie, Origene esce dal generico - è stato studia10 da É. Junod, «Les auitudes d'Apelles, disciple de Marcion, â l'éga1d de l'Ancien Testament», in A11g., XXII, 1982, pp. 113-134. Secondo l'autme, proprio le notizie discmdanti di Origene su Apelle (da una parie Ho.On. e C.Cel. V,54 e, dall'altra, Co. Tit., in Apo/., c. 554 A-B) proverebbero che questi avrebbe mutato di atteggiarnento nei confronti del V.T., passando da una posizione di negazione assoluta - ancora più radicale di quella di Marcione - ad una posizione più sfumata. Una funzione apologetica dell'interpretazione leuerale - anche se non in funzione antignostica- si uova anchealtrove: Ho.On. XVl,I, p. 136,25, a proposito di On. XLVll,20-21, vengono sottolineati alcuni pallicolari della lcuera per rnenere in luce la superioritâ del popolo eb1aico 1ispeuo a quello egiziano; Ho.Ier. VII, l-3, p. SI sgg. ove l'inte1pretazione le11e1ale se1ve a richiamare alla mernmia tuui i pecca1i di lsraele corne cause dell'abbandono di Dio; Ho.Le. I, p. J,4: inu:rpretazione letterale finalizzata alla difesa dei vangeli canonici nei confronti di quelli apocrifi; Ho.Ex. Vll,4, p. 210,17: l'interpretazione letterale di Ex. XVl,4-S, a sostegno della priorità della domenica cristiana rispeuo al sabato giudaico. 108. Ho.On. lV,I, p. 50,18.

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del teslo che esaltano l'ospitalità di Abramo ed esorta i suoi ascoltatori a seguire l'esempio di tale sollecitudine. Le parole: «Udi Sara, che stava al di là della porta dietro ad Abramo» (Gn. XVIIl,9), diventano un esempio di modestia da additare aile donne presenti nell'assemblea 10•. L'episodio della distmzione di Sodoma si apre con la sottolineatura dell'ospitalità di Lote del premio che egli ha ricevuto per questo. Anche qui Io sviluppo è finalizzato all'esonazione del pubblico nei confronti dell'ospitalità: «Ascoltate voi che chiudete la casa ai pellegrini; ascoltate voi che evitate l'os pi Le corne un nemico» 110 • Sempre nella stessa omelia Origene arriva ad affrontare l'episodio dell'incesto di Lot con le figlie; nessun altro argomento corne queslo poteva forse incoraggiare a «confugere ad allegorias», tuttavia la strada scelta da! predicatore è un'altra. Attraverso un'interpretazione letterale del testo condotta con moita franchezza, egli riesce, da una parte, a ridimensionare le colpe dei singoli personaggi, e dall'altra, a trarre da questo racconto utili lezioni morali. Lot viene discolpato da! peccato di incesto poiché da parte sua non vi è stata violenza, né concupiscenza nei riguardi delle figlie. Parallelamente viene perè> posto in grande evidenza l'elemento dell'ubriachezza corne causa di tutto ed anche qui la trattazione termina con un appello alla sobrietà: «Ascolta che cosa fa l'ubriachezza. Ascoltate a quali delitti conduce l'ebbrezza. Ascoltate e guardatevene voi per i quali questo malanno non è un'accusa ma è un'abitudine» 111 • Per quanto riguarda le figlie, Origene raccoglie una tradizione derivante da Filone seconda cui esse avrebbero appreso certe cose riguardanti la fine del mondo e avrebbero ritenuto, vedendo la distmzione di Sodoma, di essere con il padre le uniche superstili del genere umano. Tale convinzione - seconda l'interpretazione di Origene - le avrebbe spinle ad avere un unico rapporta con il padre e non la concupiscenza che invece - sottolinea il predicatore rivolgendosi al suo pubblico femminile - spinge moite donne a continuare ad avere rapporti sessuali anche dopo il concepimento: «Temo di esternare quanto penso, mi chiedo se non sia stato più casto questo incesto della pudicizia di moite» 112 •

109. Ibid., IV,4, p. 54,3. 110. Ibid. V,I, p. 58,3. 111. Ibid. V,3, p. 61,3. 112. Ibid. V,4, p. 62, l 1; nel C.Cel. (IV,45, p. 317). Origene affronta Io s1esso episodio biblico per difendersi dalle accuse di Celso chc riliene la \'ÎCenda «più infamc dei deli11i di Tiesle». Ê imcrcssamc confromarc le due 11a11azioni; ncl C.Cel., Origene impos1a la sua difcsa sulla dis1inzione sioica delle azioni in buone, ca11i\·c cd indiffcrcmi (l:1:1iu(.,.,o(Ju). Ques1e uhime divemano buone o ca11ive in base alla volomà ed agli scopi che uno si pre-

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Ancora in questo gruppo di omelie troviamo forse uno dei passi più suggestivi della predicazione origeniana che, di solito, molto riservata nell'addentrarsi e nel descrivere il mondo degli affetti umani, tocca qui accenti profondi e commossi nel raccontare il viaggio di Abramo e di lsacco verso il luogo ove il padre avrebbe dovuto sacrificare il figlio. Il predicatore richiama l'attenzione sui minimi particolari dell'episodio perché i suoi ascoltatori riescano a rendersi completamente conto della durezza della prova cui fu sottomesso Abramo. L'aspetto più aspro di essa fu appunto il viaggio, durante il quale il padre ha il tempo di essere dilacerato dai sentimenti contrastanti dell'amore e della fede, fra l'amore di Dio e quello per il figlio; egli fu costretto infatti a stare con lui, a mangiare con lui, ad accoglierlo in un abbraccio protettivo durante il sonno. Il dramma di Abramo viene presentato corne un dramma della fede che va mantenuta anche nelle prove più severe: questa è la lezione che Origene trae per i numerosi padri presenti nell'assemblea perché essi abbiano presente l'esempio di Abramo nel caso perdessero un figlio, raccomandando loro di offrire - corne Abramo - il loro figlio al Signore 111.

figge. Gli stessi stoici affermano che unirsi aile figlie è azione di per se stessa indifferente, sebbene sia un'azione che non si deve rare in una società costituita, e si domandano se non sarebbe opportuno che un uomo saggio, abbandonato insieme alla figlia in un mondo completamente deseno, si unisse a questa per evitare la fine del genere umano. ln questa luce viene poi spiegata l'azione delle figlie di Lot. Come si vede, rispetto all'omelia, la conclusione non è diversa, sono pero diversi gli argomenti usati per sostenerla. Nell'omelia non si fa cenno alla teoria stoica degli &Oia,popœ, sia perché si suppone nel pubblico la mancanza di strumenti culturali per comprenderla, sia per il perico!o di fraintendimenti insito nella delinizione dell'incesto (anche se a determinate condizioni) corne« indifferente». Ci si limita più semplicemente a richiamare l'auenzione sulla mancanza di concupiscenza che rende l'atto, per certi versi, meno colpevole; la figura di Lot, che nel C.Ce/. rimane in secondo piano e viene paragonata implicitamente all'uomo saggio dell'esempio stoico, viene molto pili sottolineata: assolto dall'incesto, viene incolpato per l'ubriachezza e si mette in luce corne la Scriuura abbia in fondo nei suoi confronti un atteggiamento piuuosto riservato; egli è considerato a metà strada frai giusti ed i peccatori ed anche il fatto di cssersi salvato dalla distruzione della città è dovuto più all'intercessione di Abramo che ai suoi meriti personali (Ho.Gn. V,3, p. 61,8). Pur nella concordanza della soluzione finale, l'omelia traua l'episodio in modo da renderlo materia di riflessione per l'agire morale dei fedeli. 113. Ho.Gn. VllI,7, p. 32,9; anche in questo passo eccezionalmente carico di pathos, il predicatore non perde di vista la prospettiva teologica, finalizzata alla dimostrazione dell'unità dei due testamenti; alla tragedia tutta umana di un padre che si accinge a sacrificare il proprio figlio, Origene aggiunge un elemento specificamente religioso e cristiano: Abramo soffre perché, con la morte del figlio, sarebbe venuto meno anche l'adempimento della promessa fauagli da Dio: «Accenderat ergo animas ipsius in amorem filii, non solum posteritatis gratia, sed et promissionum spe. Sed hune, in quo ei positae sunt promissiones magnae istae et mirabiles, hune, inquam, filium, in quo vocatum est nomen eius Abraham 'holocaustum Domino iubetur offerre in uno ex montibus' (Gn. XXII,I)» (Ibid. Vlll,l, p. 78,1). Cfr. anche ibid., Vlll,2, p. 79,IS.

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Tutti gli esempi citati sono tratti dalle omelie sui Genesi; essi riflettono pero un modo di procedere frequente anche in altri gruppi di omelie: la vicenda di Mosè, interpretata alla lettera, cosi corne viene descritta nell' Esodo e nei Numeri è utilizzata per illustrare e sottolineare modelli di comportamento per i capi delle chiese e dei sacerdoti 1 1.•. Il racconto delle grandi difficoltà incontrate da Geremia nell'esercizio della sua vocazione profetica è utilizzato, corne ho già accennato, pet spiegare lo stato d'animo e la situazione del doctor ecclesiae 115 • La predicazione sui Vangelo di Luca è ancora più ricca sotto l'aspetto che ci interessa: il racconto evangelico sulle figure di Elisabetta, Maria, Giovanni il Battista, la profetessa Anna, Simone, Giuseppe, Io stesso Gesù, diventa fonte di numerosi exempta in grado di illustrare, di volta in volta, le virtù di una vita cristiana: la castità, l'umiltà, la rinuncia del mondo, l'amore paterno, quello filiale 116 • Se alcune vicerade e personaggi della Scrittura possono fornire utili modelli di comportamento, non si esaurisce qui il contributo che la lettera puè> dare all'edificazione; nell' Antico Testamento, infatti accanto a prescrizioni di ordine culturale e giuridico ormai inosservabili e abolite dalla venuta di Cristo, vi sono precetti morali che conservano tutta la loro validità senza che sia necessario interpretarli allegoricamente 111 • Il caso più importante è costituito dal Decalogo cui Origene dedica un'intera omelia concentrata principalmente su una esegesi di tipo letterale 111 •

b) «Che interesse ha perme questa storia?» 11 ' «Anche la lettera edifica» 120 , ma non la maggior parte di essa. Origene è consapevole che moiti fra i suoi ascoltatori si avvicinano alla lettura dei testi sacri con un'ansia sincera, anche se un poco ingenua, di

114. Cfr. sopra cap. Ill, n. 7. 115. Cfr. sopra Ill. n. 33. 116. Si veda quanto detto più diffusamente su qucsto punto, oltre cap. Vll.2. 117. Ho.Nm. XI, I, p. 75, 7 «Hanc ergo legem (quella di offrire le primizie ai sacerdo1i) observari etiam secundum litteram, sicut et alia nonnulla, neœssarium puto; sunt enim aliquanta legis mandata, quae etiam novi testamenti discipuli necessaria observatione custodiunt»; cfr. anche Ho.Lv. 111,6, p. 311,19 e Crouzel, Origène et le sens litteral ... cit., p. 243-245. 118. Ho.Ez. VIII, p. 217 sgg. 119. Ho.Ier. 1,2, p. 2,11. 120. Ho.Ier. XIV ,16, p. 122,41; si traita diler. XV,17 «mi sono seduto in solitudine» chc è da imitare da parte del giusto che non vuole condividere l'ingiustizia della maggioranza. Cfr. De Pr. IV,2,4: l'utilità dell'esegesi letterale per i semplici.

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salvezza; essi cercano indicazioni concrete «ad effugiendam gehennam » 121 • Fra tale aspirazione ed il suo adempimento si frappongono proprio le Scritture con i racconti di guerre oscure e lontane, di atti di crudeltà inauditi, di episodi morali scandalosi, con i loro monotoni ed aridi elenchi di nomi e di luoghi, di interminabili ed ormai inosservabili prescrizioni rituali. L'intento fondamentale del predicatore diventa allora quello di riuscire - anche in presenza dei testi più sfavorevoli - a soddisfare la domanda: «che interesse ha per me questa storia?»; di fare in modo che ciascuno, di f ronte a qualsiasi passo scritturistico, riesca a convincersi che esso contiene indicazioni preziose perla propria salvezza: «Mea res agitur», questo è quanto Origene vorrebbe che ogni cristiano pensasse. Per raggiungere tale scopo non vi èche l'interpretazione allegorica e, nelle omelie, soprattutto quella di contenuto morale. Nei termini radicali in cui Origene pone il problema, non vi è spazio per nessuna sorta di compromesso con quanti vorrebbero interpretare le Scritture alla lettera: chi non riconosce il significato spirituale della Scrittura, attraverso il quale soltanto è riconoscibile l'unità dei due testamenti 122 , non puè> dire di essere cristiano e di appartenere alla chiesa. Origene non si stanca mai di ripetere questo concetto: gli «ecclesiae filii» interpretano spiritualmente le figure della Legge 121 ; colui che ritiene che le vicende narrate siano soltanto res gestae e non rivestano per lui nessuna utilità, fa un'affermazione «impia et aliena a catholica fi-

121. Ho.Nm. XXVl,3, p. 247,23: in Mosè e nei Profeti vi è quanto basta per salvarsi; tunavia non si vede corne l'enumerazione dei territori richiesti a Mosè dai figli di Ruben (Nm. XXXII, 1 sgg.) possa aiutare a sfuggire alla geenna. È necessario pertanto - aggiunge Origene - togliere il velo della lettera; cfr. anche Ho.Nm. XXIV, 1, p. 224,11: «Volenti enim unicuique auditorum discere de his, quae ad salutem pertinent, cum de sacrificiis arietum et hircorum vitulorumque recitatur, nihil sibi utilitatis con ferre huiusmodi litteras iudicant, quantum ad ipsum spectat auditum». 122. L'interpretazione di questo aspetto della 1eologia origeniana, maturato anche alla luce della polemica antignostica e soprattutto antimarcionita, ha diviso la critica. Seeondo alcuni, corne il Crouzel (Origène et la ''onnaissance ... cit., pp. 305-311), Origene avrebbe riconosciuto una sostanziale differenza tra la conoscenza dei profeti e quella degli apostoli (cfr. su questo punto anche Sgherri, Chiesa ... cit., pp. 168-170; 268-270, ove, relativamente a Mosè, si sostiene il perfezionamento della sua conoscenza dopo l'avvento di Cristo); altri, invece, pongono piuttosto l'accento sulla mancanza di distinzione dei due testamenti: Hanson, Allegory... cit., p. 202; J. Daniélou, Origène comme exégète de la Bible, in Studio Patristica /, Berlin 1957, P .1, p. 288; M. Hari, La fonction révélatrice d11 Verbe incarné, Paris 1958, p. 202. 123. Ho.Nm. Xlll,2, p. 110,10: «Et ipsi enim, hoc est ecclesiae filii, quia figuras legis et aenigmata spiritaliter intelligunt»; Ho.Lv. Vll,5, p. 387,5: «Sed vos si filii estis ecclesiae ... agnoscite quia figurae sunt, quae in divinis voluminibus scripta sunt, et ideo tamquam spiritales et non tamquam carnales examinate et intelligite quae dicuntur».

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de» •H; se qualcuno vuole intendere soltanto seconda la lettera, «magis cum Iudaeis quam cum Christianis debet habere auditorium». Se invece vuole essere cristiano e discepolo di Paolo, dia ascolto all'apostolo quando questi dice che la «legge è spirituale» (Rom. VIl,14)' 25 • Noi che apparteniamo alla chiesa accogliamo gli scritti di Mosé sapendo che egli, «Deo revelante», ha scritto «futura mysteria», con un linguaggio simbolico12'. Il figlio di madre israelitica e padre egiziano che viene lapidato per aver bestemmiato Dio (Lv. XXIV,10-11), simboleggia colui che interpreta la Scrittura soltanto in modo letterale: i c1istiani, invece, che hanno entrambi i genitori «israeliti», interpretano le Scritture . sia seconda la lettera, sia seconda Io spirito 127 • Per Origene, dunque, l'assenso o il rifiuto data all'interpretazione allegorica diventa il criterio di distinzione fra colora che appartengono a pieno titolo alla chiesa e quelli che ne restano fuori. Tale concezione è del resta, coerente con quanta Origene pensa sulla figura e sulla funzione del predicatore: questi puè> chiede1e di essere ascoltato soltanto in quanta egli è, in quel momento, «profeta» e annuncia Cristo; e non vi è altro modo di annunciare Cristo in agni momento se non ricorrendo all'interpretazione allegorica 121 . L'interpretazione allegorica non «inventa» - corne dicono gli avversari che si prendono gioco di lui - ma riconosce negli avvenimenti ciè> che essi nel momento del loro stesso accadere avevano già implicito. Quest'idea, che presuppone una concezione particolare dell'ispirazione profetica e che attribuisce ai santi del Vecchio Testamento la consapevolezza di agire per il proprio popolo ma anche per quell'altro che deve ancora venirem, serve al predicatore per risolvere parecchi passi

124. Ho.Nm. XXVIJ,2, p. 258,17. 125. Ho.Gn. Vl, l, p. 66, 7; pe1 l'accento posto su Paolo come maes110 di esegesi spiiilUale e ga1an1e dell'apos1olici1à di questa, uno dei testi più importanti è Ha.Ex. V, l, p. 184,18; pe1 una p1esen1azione gene1ale cfr. de Lubac, Histoire... cil., pp. 69 sgg. 126. Ho.lv. X,l, p. 440,18. 127. Ho.l v. XIV ,2, p. 480, 7; fia i mohissimi alui passi che si pouebbe10 ci1a1e, cf1. lla.lc. XVI, p. 97,28; lla.Jer. XVlll,9, p. 162,22, che commenta le ue fonti d'acqua di Ier. XVIII, 14 sgg.: se non si ha sete di tulle e tre le fonti, non se ne pouà 11ova1e neirmeno una: i Giudei ebbern sete di una sola fonte, Dio, ma poiché non ebbe10 sete anche di Cristo e dello Spi1i10 Santo, non bevono neppu1e da Dio; gli e1e1ici semb1ano ave1 sete sohanto di CIÎsto, ma poiché non hanno sete del Padie, Dio della Legge e dei Piofeti, per questo non bevono neppu1e da Cristo. Quelli che conservano un solo Dio, ma disprezzano le prnfezie, non hanno sete dello Spitito Sa1110 che è nei profeti, pet questo non bevono neppu1e dal Padie né dal Figlio. 128. Cf1. sop1a cap. Ill, 2. 129. Cf1. sopra n. 122.

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spinosi, appartenenti soprattutto ai racconti storici del Vecchio Testamento. Come si puo pensare che l'infelice moglie di Lot sia stata trasformata in statua soltanto per essersi voltata a guardare l'incendio di Sodoma, ricevendo una punizione cosi sproporzionata alla sua colpa? «Ma poiché la 'legge è spirituale' (Rom. VII,14) e ciè> che accadeva agli antichi aveva valore di 'figura' (1 Cor. X,11), consideriamo se per caso Lot, che non si voltè> a guardare indietro, non sia (figura del) senso mistico e dell'animo virile, mentre la moglie non sia immagine della carne» " 0 •

Lo stesso problema si pone, più o meno negli stessi termini, nelle Omelie su Giosuè a proposito delle guerre e delle stragi ivi raccontate: «Quando leggi nelle Scritture le battaglie dei giusti, le loro distruzioni e stragi e che essi non risparmiano nessuno dei nemici [... ] devi capire che queste battaglie sono da loro condotte contro i peccati» "'.

In altri casi la lettera della Scrittura si trova in contrasto con la morale cristiana; è il caso dei numerosi matrimoni contratti dai patriarchi in età avanzata, corne quello, ad esempio, fra Abramo e Cettura. Non si tratta di una reviviscenza della libidine, ma del desiderio - afferma Origene - di unirsi con aitre virtù. Sotto questo profilo si capisce la poligamia dei patriarchi: quando - infatti - si puo «ab huiuscemodi cessare coniugio? » 132 • Queste considerazioni sembrerebbero negare a prima vista il significato letterale e storico dei fatti in questione; tuttavia, corne si capisce dal seguito dell'omelia e da quanto afferma Io stesso Origene, la moglie di Lot è veramente morta, Oiosuè ha veramente sterminato i suoi nemici ed Abramo ha veramente avuto più di una moglie 1H. Anzi, in un certo senso, era necessario che, allora, le cose si svolgessero proprio cosi, perché ora - per i cristiani - potessero significare rispettivamente la su-

130. Ho.On. V,2, p. 59,26. 131. Ho.los. Vlll,7, p. 344,15. 132. Ho.011. Xl,l, p. 101,17. 133. ln Ho.011. Vll,2, p. 71,25, dopo aver citato Gal. IV,21-24, si osserva: ((Quid ergo? Isaac non est 'secundum carnem natus'? Non eum peperit Sarra? Non est circumcisus? Hoc ipsum, quod ludebat cum lsmaele non in carne ludebat? Hoc est enim, quod mirabile est in Apostoli sensu, quod, de quibus non potest dubitari quin secundum carnem gesta sint, haec ille dicit 'allegorica', ut nos, quid faciendum sit in ceteris, noverimus et in his maxime, in quibus nihil divina lege dignum historica videtur indicare narratio»; cfr. anche Ho.Nm. Xl,l, p. 78,2.

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periorità dello spirito sulla carne, l'imperativo di una lotta senza quartiere contro i demoni e il peccato, la necessità di unirsi a tutte le virtù. Il significato degli avvenimenti rispetto al momento in cui essi si compirono non soltanto è lontano dagli interessi pastorali e teologici di Origene, ma è appunto ciè> in cui consistono le «fa vole giudaiche» 1H. L'idea principale in base alla quale Origene conduce la sua battaglia a favore dell'interpretazione della Scrittura èche essa sia stata scritta per i cristiani: «Noi che sappiamo che tutte le cose che sono state scritte, Io sono state, non per narrarci fatti del passalo ma per il nosuo emendamento e utilità, apprendiamo che ciè> che è stato letto avviene ancor oggi, non soltanto in questo mondo, che chiamiamo simbolicamenle Egillo, ma anche in ciascuno di noi» 1».

Dietro il volto intransigente dell'allegorista si nasconde Io slancio generoso del doctor ecclesiae che si sforza di far peneuare il suo pubblico nel suo laboratorio di esegesi. La rinuncia consapevole all'aspetto narrativo della Scrittura che sicuramente gli avrebbe guadagnato più consensi ed attenzione 116 , va di pari passo con il continuo tentativo di sollecitare le intelligenze, di sollevare i problemi, di suscitare interrogativi. È significativa ed esemplare di questo modo di procedere l'omelia dedicata alla spiegazione di Ex. VIIXII ove si parla delle piaghe di Egitto: quale magnifica occasione questa per un predicatore che volesse richiamare l'attenzione di un pubblico spesso svogliato e distratto! Al racconto biblico non manca nessun ingrediente: la sconfitta di un tiranno crudele e potente; l'elemento del

134. ln un grandissimo numero di casi, Origene non si sofferma sull'interpretazione l'"uerale non perché essa sia inverosimile o con11addi11oria - anzi questo rappresenta se mai per lui un moth·o per occuparsene - ma perché di significato uoppo ovvio, uoppo scontato. Spesso la sua esegesi leuerale si riduce ad una mera parafrasi del testo sacra ed alla constatazione della sua ovvietà: Ho.G11. 1,3, p. 5,26; ibid., 1, li, p. 12,24; «Secundum liueram ... nulla quaestio est»; Ho.G11. 1,17, p. 20, 17; Ho.los. IX, 10, p. 356,20: «Historia rcrnm gestarum manifesta est nec cxplanationem indiget quod evidenter expletum est»; neppure l'intervento diretto di Dio a favore di Giosuè conuo i cinque re amonei, ispira il predicatore che liquida l'episodio in poche parole: «Haec secundum historiam quidem gcsta miracula divinae \'illutis universis saeculis pracdicant nec interpretationem exuins•:cus indigent, in quibus gestorum lumen cornscat» (Ho.los. Xl,I, p. 362,22). 135. Ho.Ex. 11,I, p. 155,IO; è un conceuo ribadito infinite volte; cito, corne esempi: Ho.Ex. VIII, I, p. 217, l I: «Questc parole sono rivolte non soltanto a colora che partirono dall'Egiuo, ma molto di più a te che ora ascolti. .. ». Ho.los. XV, I, p. 381, 14: se le gucne di Giosuè non fosse10 Slate figura dei combauimenti spirimali, gli apostoli non le avrebbero uamandate ai discepoli di Cristo per leggerle nelle chiese; cfr. anche Ho.los. IV,I, p. 308,19; XJV,I, p. 375,14; XV,I, p. 381,24; XXll,I, p. 432.20 etc. 136. Cfr. sopra cap. Ill, n. 123.

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fantastico e del meraviglioso, l'intervento miracoloso di Dio che punisce i malvagi e salva i buoni. Tuttavia, la strada scelta da Origene è molto diversa: egli rinuncia a meravigliare ed a spaventare, rivolgendosi piuttosto al senso critico ed alla capacità di riflessione dei presenti affinché non si lascino abbagliare dallo scenario di insieme e siano invece in grado di distinguere e percepire in esso i piccoli particolari significativi, le cifre ed i simboli di uno scenario più nascosto ma anche più importante. Nella prima parte dell'omelia, il predicatore rievoca gran parte della lettura del giorno soltanto per invitare chi ascolta ad avvedersi di alcune differenze ed a riflettere su di esse; fa notare che talvolta il testo dice che il «Cuore del faraone si induri» e talvolta dice, invece, che Dio «induri il cuore del faraone». Le piaghe, inoltre, qualche volta furono inflitte al faraone da Mosé e qualche volta da Aronne. Origene richiama inoltre l'attenzione sulle differenze di comportamento di Mosé nei confronti del faraone: talvolta viene comandato a Mosé di entrare nella reggia, talvolta invece ne resta fuori; anche il faraone non si comporta nello stesso modo dopo ciascuna piaga 1n. In questa omelia, il predicatore ha voluto proporre sotto una nuova prospettiva l' «historia famosissima» 131 che tutti conoscevano, limitandosi a porre i problemi senza risolverli. La prima omelia su Geremia puè> essere portata ad esempio di corne egli cerca di insegnare a leggere la Scrittura ed a risolvere gli enigmi che essa pone. Il problema che qui viene sollevato è quello di sapere se Ier. 1,5 sgg. si riferisca a Cristo - corne Origene - oppure a Geremia, corne pensano altri. Il predicatore vaglia attentamente gli argomenti pro e contro ciascuna tesi, propone la sua ammettendo anche apertamente il suo imbarazzo davanti alla frase di Geremia «io non so par lare»: corne infatti si possono intendere riferite a Cristo queste parole? Partendo da questo interrogativo si dipana

137. Ho.Ex. IV; l'omelia tratta un argomento che è sempre stato al cenuo della rincssione origeniana; cfr. su questo punto: W.J. Boyd, Origen 011 Pharaon's harde11ed heart: a study ofjustification and eleclio11 in St. Paul and Origen, in Studia Patristica Vil, Berlin 1966, pp. 434-442; M. Hari, La mort salutaire du Pharaon selo11 Origène, in Sllldi i11 0110re di Alberto Pi11cl1erle, in S.M.S.R., XXXVlll, 1967, pp. 260-268. Cfr. su qucsto punto anche oltre cap. Vlll.6. Nell'omelia ponata ad esempio, appare un procedimento abituale di Origene che souolinea pallicolari della lettera corne altreltante spie del significato allegorico. Talvolta è una sona di iperletteralismo a richiedere il passaggio all'interpretazione allegorica; in altri casi, tale passaggio è richiesto dall'impossibilità della le11era. Su enuambi i punti cfr. Crouzel, Origè11e et le se11s lilleral ... cil., pp. 249-257 sgg. 138. Ho.Ex. IV,I, p. 171,7; la stessa definizione viene riservata alla storia di Lote le figlie (Ho.On. IV ,3, p. 60,13), che era conosciuta, corne si è visto, anche fra i pagani.

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lentamente la sua spiegazione, attraverso domande e risposte e invocando una lunga serie di passi paralleli 11 ' . In forma più o meno accentuata questa tecnica è la stessa in ogni omelia: Origene mette in evidenza il problema, si interroga su di esso, vaglia attentamente casi analoghi presenti nella Scrittura, propane una soluzione, quasi sempre sui piano dell'interpretazione allegorica. Coerentemente all'impostazione didattica della sua predicazione, Origene non si presenta mai corne il geloso custode di un sapere costituito; la sua stessa esegesi viene offerta corne frutto provvisorio e perfettibile di una ricerca continua cui tutti sono chiamati a collaborare. Il sapere che egli cerca di comunicare è in vista di un «saper fare». Da qui scaturiscono - malgrado l'indifferenza nei confronti della studio della Scrittura che egli nota soprattutto frai giovani 1• 0 - i suoi inviti a riflettere sulla parola di Dio, non soltanto nel breve spazio dell'ufficio liturgico, ma anche a casa, in solitudine, a ripercorrerla con la memoria, a interrogare i maestri se qualche punto rimane oscuro 1•1. Il modello ideale che Origene ha in mente è ancora quello della scuola, ove gli allievi ascoltano il maestro, riflettono sulla lezione, la confrontano con quella precedente, si interrogano a vicenda sui punti rimasti oscuri e, dopo un certo tempo, riescono ad acquisire la capacità di cercare e trovare da soli: «Anche tu che mi ascolti cerca di avere un tuo pozzo e una tua fonte, affinché anche tu, quando prenderai il libro delle Scrillure, cominci a ricavare qualche interpretazione personale e, in base a ciè> che hai appreso in chiesa, cerca anche tu di bere alla fonte della tua intelligenza. È in te la natura dell' «acqua viva» (Gn. XXVl,19); ci sono vene perenni e corsi d'acqua irrigui di senso mistico, a meno

139. Ho.Ier. l, p. 2 sgg. 140. Ho.Ez. Xlll,3, p. 448,18: che dicono gli astrologi è vero, che insegna che 'i giudizi di Dio sono impenetrabili' (Rom. XII,33) e non possono essere compresi dagli uomini, che afferma che gli astri non sono le cause di ciè> che avviene sulla terra e soprattutto di ciè> che avviene ai cristiani, costui esegue l'ordine del Signore» ,. .

Origene non ha bisogno di diffondersi in particolari per evocare tut-

gene si augura che ciascun p1eseme possa dire che «nequc philosophorum sophismata ncque mathematicornm deceptiones et astrorum simulati cursus neque divinationes subrepti\'a daemonum fallacia commentatae neque ullus omnino presciemiae amor per ea, quae non licet, inquisitae», Io abbiano separato dall'amore di Cristo. Ho.ls. VIl,2, p. 281,28: alcuni sono so11oposti alla tentazione di rivolgersi ai «vcnuiloquos», pe1 conoscere il futuro. Costoro sono gli lnc~orpliwrJoi; Clemente Alessandrino (Protrept. 11,11,1) ammeue che per quanto gli oracoli uadizionali siano in crisi, gli indovini privati incontra\'ano invece un grande favore popola1e; cfr. su questo punto E.R. Dodds, Paga11i e cristiani in un'epocadiangoscia, 11. it., Fitenze 1970, p. 55; F. Cumont, lesreligio11soriemalesda11s le paganisme romai11, Paris 1929, pp. 151-152; R. MacMullen, Paga11is111 i11 the Roma11 Empire, New Haven London 1981, pp. 61-62. 13. Ho.Ier.l. lll,4, p. 314, iO. 14. Ho.ler.L. 111,5, p. 31S,6.

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to un complesso di credenze e di pratiche che doveva del resto essere assai noto ai suoi ascoltatori: l'espressione biblica «terra dei Caldei» provocava immediatamente l'associazione di idee con l'astrologia. «Caldei»15 erano infatti chiamati ail' origine i membri della casta sacerdotale di Babilonia, la cui dotta religione consisteva essenzialmente nello studio e nell'adorazione degli astri. Quando, soprattutto a partire dal II sec., si diffuse nell'Impero un'ammirazione sempre più incondizionata verso tutto ciô che proveniva dall'Oriente, essi godettero di un nuovo prestigio. Si pensô che essi fossero i depositari di un'antica saggezza di origine divina, cui vennero collegate, in vari modi, le filosofie dei più grandi pensatori greci, quali, ad esempio, Platane e Pitagora. «Caldei» si autodefinirono inoltre i teurgi platonici che si ispiravano agli Oracoli Caldaici, attribuiti a Giuliano il Caldeo ed a suo figlio Giuliano il Teurgo, ma che si riteneva fossero stati rivelati loro dagli dei. L'idea filosofica di fondo è la concezione degli astri corne fonti di energie cosmiche svolgenti un'azione provvidenziale che fa del tutto un insieme armonioso retto dalla legge superiore del fato o eimarmene. Nel tutto sono compresi non soltanto gli eventi naturali, ma anche quelli « storici » che riguardano i popoli corne i singoli, e da tale convinzione deriva Io sviluppo dell'arte molto complicata della genetlialogia. Questa richiedeva conoscenze astrologiche precise e calcoli matematici complessi per stabilire la posizione anche reciproca degli astri all'interno dello zodiaco, nel giorno, nell'ora e nel momento della nascita: una volta individuata la posizione degli astri si poteva anche conoscere il destino dell'uomo. Cumont 16 ha messo in luce tuttavia l'ambiguità di fondo connessa a tutto Io sviluppo dell'astrologia che, da una parte, pretendeva di diventare una scienza esatta e, dall'altra, fin dall'inizio, restô sempre legata alla sua origine sacerdotale venendo sempre più arricchendosi di motivi religiosi man mano che, da cerchie piuttosto ristrette di persone capaci di dominare il gran numero di conoscenze necessarie per la decifrazione del cielo, si diffondeva nel mondo ellenistico, venendo a contatto sia con la filosofia greca, sia con le religioni pagane. «Caldei» non furono chiamati soltanto i dotti ed i sapienti ma anche soprattutto quella massa di indovini e maghi popolari che ad ogni cro-

IS. Sul significato e la s1oria del 1ermine «Caldeo», cfr. H. Lewy, Chaldaean Oracles and Theurgy, Paris 1978, pp. 425-428; per Io sviluppo dell'astrologia ncl periodo che ci interessa, cfr. Cumonl, op. cit., pp. ISO sgg.; Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste, vol. 1: L'aslrologie et les sciences occultes, Paris 1944, p. 67 sgg.; 89 sgg. 16. Cumont, op. cit., p. 168.

134 cicchio di strada ed in ogni cortile di casa di campagna improvvisa•;ano oroscopi a buon mercato. Gli astri, da energie cosmiche operanti nell'universo, diventarono dei che piangono e che ridono, provvisti di precise caratteristiche psicologiche o poteri determinati in base ad associazioni del tutto fantasiose ed arbitrarie. A questi epigoni Origene si riferisce ed è sullo sfondo di una divinizzazione sempre più spinta degli astri che deve collocarsi il riferimento alla stella di Fetonte o a quella di Ganimede" e l'ammonizione a coloro che «offrono sacrifici 'alle milizie del cielo' (Ier. XIX, 13)». La permanenza fra i fedeli di credenze astrologiche viene vista non corne l'episodica soddisfazione del desiderio di conoscere il futuro, ma corne un vero e proprio ritorno all'adorazione degli dei pagani, cioè, secondo 1' ottica tradizionale, all' adorazione dei demoni 18 • È interessante inoltre confrontare il passo già citato dall'omelia su Geremia, in cui il predicatore si trattiene più diffusamente sull'argomento, con quanto Io stesso dice in aitre opere contro le credenze astrologiche. A tale proposito il passo più significativo appartiene al terzo libro del Commento al Genesi' 0 • Esso è stato già studiato analiticamente20, mi limiterè> pertanto a metterne in luce soltanto gli elementi che mi sembrano più significativi. L'aspetto che viene affrontato per primo è quello delle conseguenze del fatalismo astrologico sulla fede: esso annulla il libero arbitrio e con esso la possibilità di un giudizio divino dopo la morte, giustifica i peccati dell'uomo e, fra questi, viene dato il massimo rilievo all'impudicizia ed al furto. Nella Scrittura tuttavia sta scritto che «gli astri servono corne segni» (On. l,14); da questa osservazione Origene parte per esporre la sua teoria in difesa degli astri corne segni degli avvenirnenti e non corne cause di questP'. Egli articola la sua dimostrazione in quattro pun-

17. L'asuologia, olue ad assimilare agli asui gli dei uadizionali, ne inserisce dei nuo\'i, basti pensare, ad esempio, ai dodici segni della zodiaco e ad eroi che dopa la morte vengono adorati corne stelle, corne il caso di Fetonte (cfr. Cumont, op. cil., pp. 162-163) e Ganimede (Lewy, op. cil., p. 489). 18. Ho.ls. Vll,2, p. 281,28: colmo che spingono i catecumeni a rivolgersi ai maghi « ... volunt vos ire non solum ad \'enuiloquos, sed ad omnem speciem daemonum». 19. Phil. 23, p. 187. 20. Cfr. Origène, Philoca/ie 21-27, inu ., nad. et notes par E. Junod (SC 226), Paris 1976, pp. 21-65. 21. Origene amibuisce agli asui un posta di rilievo nella crcazione; De Pr. l,7,3, p. 89,3: essi si muovono «or dine et ratione»; 1, 7,4, p. 88, 12: sono esseri animati e razionali «animantia et rationabilia»; C.Cel. V, 10, p. 11, 14: sono esseri razionali e virtuosi (llo"(nc'r 1ta~ airo11.5aia) dotati di libera volomà; V,12, p. 13,20: non si esclude che aitre a prcdire

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ti: la libertà dell'uomo non è messa in pericolo dalla prescienza di Dio; gli astri non sono le cause degli avvenimenti ma soltanto segni; solamente gli angeli possono interpretare correttamente questi segni; Dio ha concesso soltanto a loro tale possibilità, perché essi potessero cooperare efficacemente all'ordinamento del tutto. Oltre al ricorso agli argomenti antiastrologici ormai tradizionali quale quello, ad esempio, dei gemelli - Origene cerca di battere sui loro stesso terreno i sostenitori dell'astrologia, dimostrando - grazie alla legge della precessione degli equinozi scoperta da lpparco e perfezionata da Tolomeo - l'impossibilità matematica di calcolare esattamente la posizione degli astri al momento della nascita dei singoli individui. Della complessa argomentazione che abbiamo appena visto, filtrano nella predicazione origeniana soltanto le conclusioni pratiche: il divieto, confortato dalla Scrittura, di praticare la genetlialogia e l'esortazione a rimettersi completamente ai giudizi di Dio, destinati a rimanere impenetrabili per gli uomini. 1 nodi teorici più importanti - il ritenere gli astri essere animati e razionali in grado di indicare veramente il futuro agli esseri superiori vengono lasciati in ombra in base ad un giudizio di opportunità che tiene canto senza dubbio dell'impreparazione culturale del pubblico che ha di fronte, ma anche forse di considerazioni di altro genere: il desiderio di non scandalizzare «i piccoli» della chiesa e di non esporsi a critiche per una dottrina troppo poco ecclesiastica e troppo debitrice della filosofia greca; quelle critiche che la tradizione successiva antiorigenista, spesso fraintendendo volutamente il sua pensiero astrologico, non gli risparmierà comunque 22 • Il passa riportato dalla Philocalia fa inoltre luce su un aspetto su cui Origene - corne vedremo meglio più avanti - insiste molto proprio nelle omelie: il carattere sinistro e demoniaco che circonda agni conoscenza dell'avvenire che non sia quella di origine profetica e quindi divina. Alludendo al racconto di Enoch VIII,3 sugli angeli ribelli, Origene osserva: «Fuorviati da alcune osservazioni o dall'insegnamento di angeli che avevano oltrepassato il loro rango e che per rovinare la nostra razza hanno dato un insegnamento su queste cose, gli uomini hanno pensato che gli astri a partire dai

gli eventi metereologici, essi siano in grado di profetizzare anche su cose più importanti; sono messaggeri di Dio che pero non vanno adorati al suo posto. 22. Cfr. su questo punto Junod, SC 226 cit., pp. 64-65.

136 quali essi immaginano di trarre segni, fossero le cause degli avvenimenti di cui la Parola dice che sono segni»B.

Il contributo dei demoni alla formazione delle credenze astrologiche viene messo in rilievo in modo ancora più chiaro in un passo del Commenta al Vangelo di Matteo 24 a proposito della guarigione dell'epilettico narrata in Mt. XVIl,4. Origene cerca innanzitutto di spiegare perché il ragazzo posseduto dal demonio venga chiamato lunatico: i medici sostengono che la malattia è causata dalla presenza, nella testa del malato, di umori che si muovono xcmx TLPc:x uvµ.7r&'9Hc:xP seconde le fasi della luna che è pure costituita da una sostanza umida. Per quanto Origene faccia valere, contro tale interpretazione, il dettato evangelico che attribuisce la causa della malattia all'azione di un demone, egli stesso non puè> fare a meno di notare che coloro che la pensano corne i maghi egiziani (se. gli astrologi) ottengono in qualche caso successo nella cura della malattia. La spiegazione origeniana di tale coincidenza è che il demone «muto e sordo» (cfr. Mc. IX,25) causi la malattia in corrispondenza con le fasi lunari, per trarre in inganno gli uomini2'. Anche gli altri demoni - prosegue Origene - agiscono in modo del tutto simile; essi inducono gli uomini a pensare che siano gli astri la causa degli avvenimenti e che alcuni di loro siano favorevoli ed altri avversi agli uomini, mentre nessun astro è stato creato da Dio per fare del male. Proprio il considerare gli astri corne signori assoluti dei destini, ora favorevoli, ora sfavorevoli, degli uomini costituisce il cemento dei legami profondi quanto contraddittori che esîstono fra astrologia e magia. Gli astri, infatti, non più forze impersonali, ma veri e propri individui possono essere piegati alla volontà del mago, se questi è in possesso delle tecniche opportune 26 • In questo modo si cerca di sfuggire al fato ed al

23. Phil. 23,6, p. 193,21. 24. Co.Mt. Xlll,6, p. 193. 25. Ibid., p. 194, I. 26. Questo è un as petto ricorrente ne lia storia dell' astrologia; cfr. ad esempio le parole di E. Garin, Astrologia e magia: «Picatrix», in Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia da/ Trecellto al Cinquecento, Bari 1982', pp. 45-46: «Nel momento del pas· saggio dalla definizione matematica di una configurazionc del cielo al tentativo di trasformare le conseguenze, dominandole ed indirizzandole: in questo punto, ai calcoli si sostituiscono gli esorcismi, i sortilegi, le preghiere, mentre i corpi e i luoghi celesti riprendono i volti degli dei e dei demoni. ... Bisogna esorcizzare i demoni e pregare gli dei: bisogna imprigionarli in immagini ingannevoli e seducenti; bisogna entrare insomma nel cerchio magico degli spiriti». Pratiche di quest'ultimo tipo erano molto popolari anche fra Il e Ill sec.; Origene dice (Ho.Ex. Vlll,3, p. 223,2), che i pagani vencrano immagini del sole,

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destina che i più non sono in grado di guardare con Io sguardo sereno del saggio stoico e che sentono invece sempre più opprimente e dotato di valenze demoniache. Il ricorso agli astri era, tuttavia, soltanto una delle tecniche cui si faceva ricorso per conoscere il futuro. La divinazione fatta per mezzo dei modi più disparati quali l'osservazione del vola degli uccelli, i movimenti delle viscere degli animali etc., viene collegata in modo ancora più stretto con la magia. Nell'ottica origeniana sono i demoni ad agire sia nell'una che nell'altra, perciè> astrologia, divinazione, magia, adorazione dei demoni dovevano essere affrontati corne aspetti diversi di un unico problema pastorale 21 • L'urgenza e l'estensione di tale problema sono testimoniate dalla spazio che la predicazione di Origene concede alla spiegazione di Nm. XXII-XXIV. A questi tre capitoli vengono dedicate ben sette omelie, sia a causa di un'esplicita richiesta di spiegazioni approfondite che gli erano pervenute da parte di «nonnulli fratrum» 21 , sia perché il passa biblico era particolarmente ricco di spunti per Io sviluppo di terni cui Origene teneva particolarmente e, fra questi, anche quello della divinazione e della magia. L'episodio di Balaam presentava non poche difficoltà anche dal punto di vista della semplice interpretazione letterale; anche in questo casa, corne abbiamo già notato fare in altri, l'atteggiamento di Origene non è quello di rifugiarsi nell'allegoria, ma di affrontare estesamente il problema della lettera 2 ' . Per quanta non manchino studi dedicati esclusivamente all'atteggiamento origeniano

della luna e delle stelle e ad esse si rivolgevano invocazioni da parte di coloro «quibus talia curae sunt, vel ad repellenda vel etiam ad invitanda mala». 27. Ho.Nm. Xll,4, p. 106,S: «Non enim ultra disciplinae diabolicae, non asuologiae, non magicae, non ullius omnino doctrinae, quae contra Dei pietatem aliquid doceat, poculum sumet fidelis». 28. Cfr. su questo punto cap. 11.3, n. 40. 29. Lo abbiamo visto nel caso della descrizione dell'arca e dell'episodio di Lote delle sue figlie (cfr. sopra cap. IV.4). Un caso analogo è rapp1esentato dall'omelia g1eca su l Re. XXVIll,3-S; poiché la leuma del giorno e1a troppo lunga (cf1. sop1a cap. 11.3) il vescovo richiede ad 01igene di comme111a1e la pane riguardante la maga di Endo1: anche questo puà esse1e un segno dell'interesse ma anche delle pe1plessità suscitate da quelle pa11i della Bibbia che p1esentano figure di indovini e maghi. Uno dei problemi interp1eta1ivi più gravi del passo era rappresentato dal fatto che la maga - dal momento che aveva evocato Samuele dall' Ade - sembrava possedere una sona di potere demoniaco sui g1ande p1ofeta Samuele. Questo, insieme ad altri aspetti, ponava qualcuno - corne ci informa Origene - a rifiuta1e il dettato della Scri11u1a (Ibid., 3, p. 284,26). Come si nota anche dal commento origeniano su Balaam, il problema dei rappolli e della delimitazione delle sfe1e di influenza dei due po1eri - quello di migine demoniaca e quello di migine divina - doveva essc1e un punto sensibile della rinessione demonologica clÏstiana. E un \'e10 peccato ~he l'omelia sulla pitonessa di Endor sia lacunosa e che manchi proprio la pane in cui Origene forse spiegava corne essa avesse potuto fa1 10111a1e Samuele.

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nei confronti dell'astrologia e della magia, queste omelie - almeno dal punto di vista che ci interessa - non sono state sufficientemente valorizzate dalla critica e meritano un'analisi piuttosto approfondita 30 • La trattazione di Origene comincia con il richiamare l'attenzione su un aspetto del racconto biblico apparentemente contraddittorio: Balak, spaventato dall'avanzata degli lsraeliti, invece di ricorrere aile armi, si rivolge in cerca di aiuto aile parole «divini alicuius vel haruspicis». Tutto ciè> - continua l'esegeta - ha tuttavia un significato degno della Scrittura, perché, in certi casi, le parole possono avere una forza superiore a quella dei corpi: parole non certo sante e divine, ma parole «che gli uomini conoscono e che non so corne potrei chiamare: sono messe insieme con un'arte oziosa il cui nome puè> essere scelto a piacimenl0» 31 • L'arte che qui il predicatore si fa scrupolo di nominare è la magia, della cui forza offre subito un esempio tradizionale: l'abilità dei maghi egiziani che trasformarono i bastoni in serpenti e che produssero le cavallette ricorrendo appunto alla magia n. A questa abilità viene perè> paragonato l'operato di Mosé: anche questi trasformè> i bastoni in serpenti, tuttavia riusci a compiere anche il processo inverso; corne i maghi del faraone, trasformè> l'acqua del Nilo in sangue, ma soltanto Mosé fu in grado di farla tornare limpida; corne i maghi riusci a produrre le rane ma anche a farle cessare. Ali' ars magica ed alla virtus daemonica dei maghi egiziani, viene contrapposto l'operato di Mosé proveniente invece da una virtus Dei 33 ;

30. A. Miura-S1ange, Celsus und Orige11es. Das Gemeinsame ihrer Welta11schu111111g 11ach den ac/11 Büchern des Origenes gegen Celsus, Giessen 1926, pp. 104-113: con una maggio1e conoscenza della magia, Origene av1ebbe condi\'iso le idee di Celso in proposi10, soprattutto per cio che riguarda la magia dei nomi che - secondo l'A. - svolgerebbe un ruolo di primo piano nel pensiero origeniano; G. Bardy, «Origène el la magie», in R.S.R., XVIII, 1928, pp. 126-142, cri1ica Io studio preccdente meuendo l'aecemo sui passi origeniani che polemizzano con l'astrologia e la magia. Esclusivamcme dedicate alla polemica antiastrologica sono le pagine di D. Amand, Fatalisme et liberté da11s l'u111iq11i1é grecque, Paris 1945, pp. 304-325 che analizza il passo del Co111111e1110 111 Ge11esi già ci1a10; cfr. inoltre sopra n. 20; cfr. anche la sintetica presentazione di U. Riedinger, Die heilige Sd1rift im Kampf der griechischen Kirche gege11 die Astrologie, Innsbruck 1956, pp. 27-30; sui commento origeniano dell'episodio di Balaam, cfr. J.R. Baskin, «Ürigen on Balaam», in Vig. Chr., XXXVII, 1983, pp. 22-35, che pero ê tutlo incentra10 sui problema della profezia. 31. Ho.Nm. Xlll,4, p. 112,16. 32. Ibid., p. 112,32. 33. Ibid., p. 113, l 2; 1; Ho.Ier. V,3, p. 34,6: i pagani pensano che gli or acoli e le guar igioni degli idoli siano veri; a questi il predicatore contrappone quelli di Gesù e di Mosé. Sulla concezione origeniana del miracolo, cfr. R.M. Grant, Mirude a11d Natural Law, Amsterdam 1952, pp. 205-206 e passim. Per Io stesso tema ua11a10 sullo sfondo più generale della cuhura tardoamica, L. Cracco Ruggini, 11 miracolo ne/la cultura del tardo im-

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la prima è in grado soltanto di fare «malum ... ex bon0>>, la seconda anche di reintegrare le cose nel loro stato naturale. Sullo sfondo di queste considerazioni che riconoscono - sia pure con i dovuti distinguo - l'efficacia della magia di origine demonica, viene spiegata la richiesta di aiuto rivolta da Balak a Balaam che «famosissimus erat in arte magica ed in carminis noxiis praepotens»H. Il predicatore inoltre si immagina che Balak sia venuto a conoscenza di due fatti riguardanti le vittorie di lsraele contro i nemici ottenute senza combattere: la distruzione degli egiziani al Mar Rosso (Ex. XIV,4) e la sconfitta di Amalek ottenuta grazie aile p1eghiere di Mosé (Ex. XVIl,11). Se le armi non possono nulla contro gli israeliti - cosi Origene ricostruisce il ragionamento di Balak - non resta che cercare parole e preghiere più potenti delle loro. Non bisogna stupirsi - continua Origene - se la Scrittura riconosce alla magia un tale potere; essa parla di questa arte ma proibisce di utilizzarla: «La Scrittura dice che esistono anche i demoni ma vieta di adorarli e di pregarli; e giustamente vieta anche il ricorso all'ar te magica perché i minisui dei maghi sono gli angeli ribelli, gli spiriti malvagi ed i demoni immondi. Nessuno degli spiriti santi presta la sua opera ad un mago. Un mago non puô invocare Michele, né Raffaele, né Gabriele ed a maggior ragione non puô invocate Dio Onnipotente, né suo figlio Gesù Cristo nostro Signo1e ed il suo santo spirito. Noi soli abbiamo ricevuto il potere di invocare Dio padre, noi soli abbiamo il diritto di invocare il suo unico figlio, Gesù Cristo»".

Vi sono maghi che invocano Belzebul, principe dei demoni; in ogni caso i demoni malvagi invocati da essi - «arte quadam et compositione verborum» - accorrono in loro aiuto a compiere il male e non il bene. L'accenno di Origene, da una parte, all'invocazione dei demoni e, dall'altra, all'invocazione degli angeli, di Dio e di Gesù Cristo, non si capisce appieno se non si fa riferimento alla teoria dei nomi espressa da Origene più compiutamente in varie parti del Contro Celso. In questi passi il discorso verte principalmente sui problema dei nomi propri e intende rispondere all'interrogativo se sia una cosa «indifferente»J• - corne vorrebbe Celso - chiamare il Dio supremo con questo o quel nome.

pero: mnceuo e f11nzi011e, in Hagiographie, Cultures et Sociétés (/V"-Xll' siècles). Actes du Colloque organisé â Nantene et â Paris (2-5 mai 1979), Palis 1981, pp. 174-175. 34. /bit/., 113,15. 35. Ho.Nm. Xlll,5, p. 114,24. 36. C.Cel. IV,45, p. 318.12.

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Tra le teorie del linguaggio brevemente esposte da Origene, viene accolta quella stoica secondo cui i primi nomi imiterebbero «per natura» (tp~­ uet) le realtà che designano. Alcuni nomi poi sono dotati di una speciale potenza evocatrice: tra questi vi sono i nomi di cui si servono i sapienti egiziani, i maghi persiani ed anche: «i nomi di Sabaoth ed Adonai e quanti altri sono tramandati presso gli ebrei con grande venerazione, non concernono cose comuni e create, ma si riferiscono ad una teologia misteriosa che si connette al creatore dell'universo»".

1 nomi, inoltre, «pronunciati in una certa sequenza vincolata» 11 possono essere impiegati nelle diverse lingue per ottenere i servigi di uomini, di potenze o di demoni inferi: è comunque necessario che il nome sia pronunciato nella lingua di origine perché 39 «non è il significato delle cose espresso, ma la qualità e la natura dei vocaboli stessi che infonde in loro una certa potenza per ottenere la tale o la tal altra cosa». Tra i nomi che, secondo Origene, avrebbero un'efficacia straordinaria, vi sono quelli di Dio, Sabaoth, Adonai' 0 , quelli di angeli quali Mi-

37. C.Cel. 1,24, p. 75,2, tr. Colonna p. 67; perle ragioni che spingevano Origene a riconoscere alla lingua ebraica un particolare valore, cfr. Origène, Philocalie, 1-20. Sur les Écritures, intr., texte, trad. et notes par M. Hari (SC 302), Paris 1983, pp. 454-456: la lingua ebraica è la lingua originale che, dopo la torre di Babele, soltanto il popolo ebraico ha potuto conservare: essa è una lingua di origine divina che si accorda che i maghi, i quali sono in contatto con i demoni e con le loro formule li evocano, riescono a fare quello che vogliono, secondo l'arte che hanno imparato, finché nulla di più divino e potente dei demoni e della formula che li invoca appare o viene pronunciato; ma se qualche potenza più divina si mostra, i poteri dei demoni vengono annullati non potendo essi resistere al fulgore della divinità» ...

È sullo sfondo di queste considerazioni che si comprende meglio l'importanza attribuita da Origene al fatto che soltanto i cristiani hanno il potere di invocare Michele, Gabriele e Raffaele, Dio, il Figlio e Io Spirito Santo; questi, invocati, vengono in aiuto del credente con un'efficacia di azione ben più grande di quella posseduta da colora che accorrono al servizio dei maghi: angeli ribelli, spiriti malvagi e demoni immondi". Nello stesso ambito di idee che attribuisce efficacia e potenza al suono delle parole indipendentemente dal loro significato, è da collocarsi un passo molto interessante delle Omelie su Giosuè. L'argomentazione del predicatore prende le mosse dalla lettura del giorno (los. XV, 13-62) costituita da un monotono elenco di nomi e luoghi ebraici che non rivestivano nessun significato per l'ascoltatore greco. Origene prospetta, in un primo momento, la possibilità di interpretare allegoricamente il testo, ma tale interpretazione appare subito irta di difficoltà ed adatta a pochi, il predicatore pertanto ne indica un'altra più adatta ai suoi ascoltatori affinché non si scoraggino di fronte a certe letture:

41. C.Cel. l,2S; si noterà che è la triade citata anche in Ho.Nm. Xlll,S, p. 114,24. 42. Sulla potenza del nome di Gesti comro i demoni: C.Cel. l,6; 2S. 43. C.Cel. V,4S; IV ,34; sulla magia legata alla lingua ed ai nomi del giudaismo, cfr. anche Simon, Verus Israel ... cit., pp. 398-601; sulla ricorrenza dei nomi di angeli citati anche nclle invocazioni magiche giudaiche, cfr. ibid., p. 403. 44. C.Cel. 1,60, p. 110,23, u. Colonna, p. 109. 4S. In Ho.Nm. XllI,S, p. 114,24, Origene aggiunge chc chi ha avuto il potere di im·ocare i nomi sami, non puo tornare ad invocare i demoni, perché una volta invocati questi ultimi, le presenze sante si allontanano da costui; il tentativo di arginare il ricorso alla magia da parte dei suoi fedeli non concede spazio a concessioni, quali quelle lasciate imra\'e· dere dal Contra Celso (il riconoscimento, cioè, del fauo che alcune invocazioni cristiane sono talmente potenti da agire indipendentemente dalla fede). Qui l'alternativa è fra due magie e due protezioni (cfr. anche il passo riportato sopra n. 8).

142 «Come dunque gli incantesimi posseggono una certa forza naturale e colui che vi è sottoposto - anche senza comprenderli - trae dall'incantesimo, seconda la natura dei suoni che Io compongono un danno o un beneficio per la guarigione del corpo o dell'anima, allo stesso modo comprendi che l'enunciato dei nomi nelle sante Scritture è più patente di ogni incantesimo. Vi sono in noi alcune potenze tra cui le migliori sono nutrite, per cosi dire, da quesri incantesimi poiché esse sono loro affini .. ed anche se noi non comprendiamo ciô che viene detto, esse Io comprendono e diventano più forti per aiutarci nella nostra vita».,.

Le parole della Scrittura- continua l'esegeta - oltre che rafforzare le potenze benefiche che sono in noi, addormentano ed indeboliscono quelle malefiche; l'effetto non è naturalmente subitaneo: anche una medicina ha bisogno di un certo tempo per arrivare a far sentire i suoi effetti benefici sulle parti del corpo malate. In questo passo l'idea della potenza benefica che è insita nei nomi della Scrittura e che si esercita sulle potenze cui essi sono affini è, in fondo, un modo nuovo e più elementare di presentare un concetto mille volte ripetuto da Origene: la Scrittura corne cibo spirituale. ln questo caso la potenza positiva evocata dal nome viene nutrita e rinforzata da esso. Si tratta, corne si vede, di una magia cristiana che ha corne scopo la salvezza del fedele e che viene operata mediante la Scrittura. Dopo questo breve excursus, necessario, tuttavia, per comprendere meglio il commento origeniano, ritorniamo a Balaam; costui, in quanto mago, pratica anche l'arte divinatoria, infatti gli inviati di Balak si recano da lui portando «divinacula» 48 • Questo offre di nuovo al predicatore

46. «Oll')"')'tvtî's o~om a~mîrn. 47. Ho.los. XX,I; la traduzione è in base al testo greco: Phil. 12, p. 62,15; un allro passo in cui si accenna alla «potenza» della Scriltura è Frg. I Cor. XIV,9 b, p. 37. 48. La traduzione di Rufino è la segucntc: «Sed tandem veniunt ad Balaam legati. 'Venerunt ... seniores Moab et seniores Madiam, et divinacula in manibus eorum' (Nm. XXll,7). ln illis divinationis artibus, quas curiositas humana composuit, sunt quaedam, quae Scriptura quidem 'divinacula' nominavil, gentilis autem consuetudo vel tripodas, vel cortinas vcl aliis huiusmodi vocabulis appellat; quae quasi ad hoc ipsum consecrata moveri ab hi~ et contrectari soient» (Ho.Nm. XIII,6, p. 116,4). L'amezzatura del mago che qui vienc descrilta è quella tradizionale, del tullo simile a quella, pcr esempio, del III sec. venuta alla lucc ncgli scavi di Pergamo (cfr. su questo punto A.A. Barb, Lu sopruv1•ivenzu delle urti mugiche, in A. Momigliano, // conflitto /ra paganesimo e cristia11esimo ne/ IV sec., tr. il., Torino 1968', pp. 124-126). Non sono sicura 1u11avia chc la frase in questione non sia fruno dell'intcrpretazione di Rufino di un'espressione biblica che non era priva di difficollà. Nell'originale greco vi era presumibilmentc Tà µal'Tli'a che è il termine dei LXX che equivale al latino divi11a1io11es, cioè «rcsponsi oracolari». La difficollà di interpretazione è ben espressa da Agostino (Q11ues1. Hept. 1V,47, CSEL XXVIII,2, p. 354): «Quid est quod scriptum est: 'el divinationes in manibus eorum' cum de his diceretur quos miserai Balac ad conducendum Balaam, ut malediceret lsrahel? Numquidnam ipsi

143

l'occasione di ricordare - unitamente alla citazione di Nm. XXllI,23 - il divieto della divinazione che, corne la magia, avviene «opere et ministerio daemonum» 49 • Tuttavia, invece dei demoni che sono soliti servirlo, appare a Balaam Dio che gli vieta di maledire il suo popolo e Io obbliga a benedirlo. Origene si prospetta a questo punto 50 una possibile obiezione da parte dei suoi ascoltatori: ammettiamo che Balaam invochi i demoni, maledica il popolo di Israele e che questi, chiamati, facciano quel che possono: forse che Dio non è in grado di difendere il suo popolo dai demoni e di distruggere la loro potenza nel fare del male? Origene risponde - riprendendo una dottrina ormai tradizionale - che in questo mondo è stata concessa ai demoni una certa libertà di azione per il perfezionamento morale degli uomini. Essa, tuttavia, ha dei limiti: una cosa è se un demone chiede a Dio qualcuno da tentare e acquista su di lui un certo potere, corne, ad esempio, nel caso di Giobbe; altro è che i demoni infieriscano senza alcuna limitazione agendo dietro costrizione di formule magiche. ln questo caso il popolo di Dio, lasciato in mano ai demoni sarebbe stato perduto; per questo Dio, non volendo intervenire direttamente sui demoni previene la loro azione, impedendo a Balaam di invocarli ed anzi, mettendogli in bocca profezie riguardanti Cristo. Il predicatore riprende i terni della magia e della divinazione più avanti, a proposito del commento più disteso di Nm. XXIII,23 («Non vi sarà scienza augurale in Giacobbe, né divinazione in Israele. A suo tempo verrà detto a Giacobbe e Israele che cosa Dio compirà») e definisce la conoscenza del futuro un «medium quiddam» 51 • Essa, in se stessa, non è un male in quanto in certi casi puè> provenire da Dio per mezzo dei profeti, ma non puè> essere considerata neppure un bene perché essa puè> anche provenire dal demonio. Per spiegare meglio la sua posizione Origene porta ad esempio un episodio tratto dal libro dei Re(/ Re. V,2-10 sgg.); qui si narra che i Fi-

divinabant? An aliquid ferebant, unde faceret Balaam, quo posset divinare, tamquam ali· qua quae in sacrificiis incenderenrur, aut quoquo modo impenderentur et ideo dictae sunt divinationes, quia per haec illc poterat divinare? An quid aliud? Obscure enim dictum est». La Vu/gala interpreta Tà µal'TE"ta = divinationis pretium, e questa sembra essere s1a1a anche l'interpretazione di Origene, almeno da quanto possiamo arguire da un frammento su Nm. XXll,7 proveniente dalle catene: «"'On lio1'EP µ~vnv T'bv µ1oi'J'b" Tai1n1s Ë'.pEpo" 7rpooa-ya-yEiv afJTJv (PG XVII, c. 21 8)»; cfr. anche quanto dico più oltre sulla presentazione di Balaam corne mago venale, attaccato al guadagno (n. 61). 49. Ho.Nin. Xlll,6, p. 116,15. 50. Ho.Nm. Xlll,7, p. 117,7. 51. Ibid. XVl,7, p. 145,14.

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listei, dopo aver tolto l'arca agli Ebrei, sono colpiti da una serie di sventure; chiedono pertanto consiglio ai loro sacerdoti ed indovini sui da farsi. Essi li consigliano di rimandare indietro l'arca su un carro trainato da buoi e di lasciarlo andare per conto suo: se questo prende la strada di Bet-Semes tornando nel territorio degli Ebrei è un segno che le sventure sono frutto di un intervento divino; in caso contrario esse sono dovute al caso. Il carro, appena lasciato libero, riporta l'arca verso il territorio degli Ebrei. Il predicatore esprime la convinzione che siano stati i demoni a dirigere il carro, poiché l'arca non soltanto perseguitava i Filistei, ma aveva avuto anche effetti disastrosi sullo stesso culto dei demoni: «È dunque in questo modo che i demoni intervengono nella predizione dell'avvenire: questo intervento viene attirato per mezzo di certi artifizi da coloro che si sono messi al servizio dei demoni e ora per mezzo di ciè> che essi chiamano «sorti», ora per mezzo di ciè> che chiamano «auguri», ora per mezzo dell'osservazione delle viscere che essi chiamano aruspici, ora per mezzo di altri simili inganni, sembra compreso e capit0>>' 2 •

L'uomo che appartiene a Dio non deve avere nulla in comune con tutto questo per non correre il rischio di stringere una sorta di alleanza con i demoni ed essere, per il tramite di questa, trascinato di nuovo al culto degli idoli. Come dunque deve comportarsi un cristiano rispetto al problema della conoscenza del futuro? Dio non vuole che si diventi discepoli dei demoni: «È meglio non sapere piuttosto che imparare dai demoni, piuttosto che domandare agli indovini è meglio non imparare neppure dai profeti»H. Tutto ciè> che è utile sapere dell'avvenire viene comunicato da Dio per mezzo dei profeti e attraverso Io Spirito Santo: «Quando ti prende la smania di sapere e, in questo modo, dal tuo cuore salta fuori il tuo nemico, digli: io seguo la guida di Gesù, che ha il potere sulle cose future. Che cosa mi giova conoscere il futuro dal momento che avverrà ciè> che egli vuole? » ''.

52. La slatua di Dagon adorata dai Filistei era cadu1a a 1erra di fwn1e all'arca (/Re. V,I); il passo ci1a10 si uova in Ho.Nm. XVl,7, p. 146,25; cfr. anche poco sono, p. 147,21: tune le 1ecniche di divinazione «sive augura1io, sive ex1ispicium, sive quaelibe1 immolatio, sive etiam sor1i1io aut quicumque motus avium vel pecudum el inspec1io quaecumque fibrarum »sono fruuo dell'operalo dei demoni «dirigentium vel avium vel pecudum vel fibramm mo1us aut sortium secundum ea signa, quae docuemnt idem daemones observari ab his, quibus artis huius scientiam uadideru111». 53. Ho.Nm. XVJ,7, p. 148,29. 54. Ho.los. V,6, p. 320,20.

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Anche se nelle omelie non appare, l'esortazione ad abbandonare tutte le pratiche finalizzate alla conoscenza del futuro è motivata, oltre che dalla certezza che queste siano in qualche modo manovrate dai demoni per i loro scopi, anche da aitre ragioni: Origene pensa che nei più il conoscere la propria salvezza o la propria perdizione dia adito, da una parte, ad una grande rilassatezza morale e, dall'altra, ad un grande scoraggiamento: Dio - osserva il maestro alessandrino - ha avuto dunque ragione nel renderci ciechi di fronte all'avvenire: la conoscenza di esso ci farebbe abbandonare la lotta contro il male perché la certezza che saremmo in ogni caso virtuosi smorzerebbe Io sforzo di esser Io". Nella predicazione di Origene, astrologia, divinazione, magia intersecano continuamente i rispettivi percorsi; esse, pur sotto aspetti diversi, rappresentavano le risposte ed i rimedi di un bisogno identico: il bisogno di ottenere la risposta ad interrogativi semplici, ma di importanza vitale, quali quelli tramandatici da un papiro del III sec.: «Sarè> costretto a mendicare? Sarè> venduto? Dovrè> andare in esilio? Sarè> affatturato? » 56 , e, una volta ottenuta la risposta, il bisogno di allontanare da sé un destino avverso. Non so se tutto questo possa essere ritenuto veramente un segno di un'epoca - secondo una fortunata definizione 57 particolarmente colma di angoscia. Le angosce degli uomini - singole e collettive - sono sempre difficilmente quantificabili; è certo perè> che quest'epoca ebbe una fervida immaginazione nell'individuare i rimedi alle proprie paure ed una grande fiducia nella loro efficacia. Contro questi «rimedi» che continuavano ad esercitare il loro fascino e ad essere praticati anche da coloro che avevano abbandonato il paganesimo, si batte il predicatore. È una lotta che viene perè> combattuta all'interno di uno stesso orizzonte mentale che racchiude il grande maestro corne l'uomo della strada, pagano o cristiano che fosse: l'esistenza ed il potere dei demoni, la reale possibilità di conoscere l'avvenire, la potenza delle formule magiche, sia pure con gradi diversi di consapevolezza, erano convinzioni condivise dall'uno corne dall'altro. Accanto al punto di vista sostenuto da Miura-Stange che, per cosi dire, appiattisce la posizione di Origene nella mentalità magicoastrologica del suo tempo e accanto a quella di Bardy che, troppo in-

SS. Phil. 23,10, p. 197,8. S6. Pap. Oxy. 1477, ci1ato da M. Rostovzcff, The Social a11d Economie History of the Roman Empire, Oxford 19S7', v. I, p. 479. S7. L'cspressione è di Dodds, cfr. sopra n. 12.

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fluenzata da preoccupazioni apologetiche, la distingue troppo nettamente, un terzo punto di vista, forse più fecondo, consiste nell'individuare Io scarto che Origene corne uorno di cultura e uorno di chiesa, vedeva e cercava di definire fra le proprie convinzioni e quelle degli altri, sia che questi fossero esterni o interni al cristianesirno. Origene è convinto, al pari dei suoi contemporanei, che negli astri sia scritto il futuro degli avvenimenti, sia singoli, sia collettivi: essi sono veramente il libro del cielo 58 , ma sono anche il libro di Dio che soltanto gli angeli possono decifrare. Gli astri, corne facenti parte del disegno provvidenziale di Dio, non possono essere in contraddizione con nessun aspetto della fede che Egli ha dato agli uomini ed, in primo luogo, con l'assunto fondamentale del libero arbitrio. L'astrologia, cosi corne viene praticata e creduta da «moiti che sono ritenuti credenti» 59 non viene condivisa da Origene per diversi motivi; in primo luogo, perché si adoravano gli astri al posto di Dio, e, in secondo luogo, perché li si riteneva responsabili delle proprie sventure ma anche dei propri peccati. Contro i successi - anche terapeutici - che gli astrologi ottenevano in base al proprio modo di vedere le cose, Origene contrappone un argomento tradizionale che egli sfrutta a fondo anche contro i successi delle aitre forme di divinazione e della magia: le credenze astrologiche sono frutto di una gigantesca beffa ordita dai demoni ai danni dell'umanità, in modo che questa possa cadere più facilmente nelle loro mani. Rispetto all'astrologia, tuttavia, le varie forme di divinazione presentavano un volto con tratti dernoniaci più accentuati perché, al contrario della prima che aveva a che fare con esseri animati che, nell'ottica origeniana, godono di un posto di rilievo della creazione, la seconda ha a che fare con animali impuri: uccelli, serpenti, volpi, corvi, «aut alia huiusmodi, quae in lege Moyses bis credo de causis notavit immun da» 60 • Nella predicazione moiti punti della parte teorica della posizione origeniana vengono accantonati e messi in secondo piano, mentre acquista un grande rilievo quella prescrittiva-morale dedicata al problema dell'atteggiamento concreto che deve assumere il cristiano. Su questo punto la risposta dell'uorno di chiesa non poteva essere più netta 61 : sui

58. Phil. 23,15, p. 203,30. 59. Ibid. 23,l, p. 187,21. 60. Ho.Nm. XVl,7, p. 150,24. 61. L'intransigenza del predicatorc, sui piano pratico, apparc ancora più scvcra e scevra da qualsiasi tipo di aggiustamento e di compromesso, se confrontiamo il suo atteggiamento con quello tenuto dal giudaismo palestinese coevo a proposito dello stesso proble-

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piano collettivo esiste una predizione cristiana del futuro, ispirata da Dio, che è la profezia; sul piano dei destini individuali «i giudizi di Dio sono impenetrabili» ed è inutile e dannoso tentare di conoscerli: venirne a conoscenza puô influenzare negativamente la vita morale e soprattutto portar.e a pericolosi compromessi con i demoni che sono i registi occulti delle arti divinatorie ove essi «occultis machinis ... operantur». Anche sullo sfondo della magia vi sono i demoni e a tale proposito Origene è molto attento alla definizione dei confini esistenti fra la magia cristiana e quella pagana; in primo luogo, la magia cristiana è più patente di quella pagana: corne in passato Mosé ha sopraffatto i maghi egiziani ancor oggi è possibile invocando il nome degli angeli, del Signore e di Dio, sopraffare i demoni invocati dai maghi. In secondo luogo, vi è un abisso qualitativo fra cio che è operato da Dio e ciô che è operato dai demoni, fatto che permette anche di distinguer li chiaramente: la magia dei demoni, secondo la sua segreta vocazione, è in grado soltanto di corrompere e distruggere l'ordine naturale delle cose, quella di origine divina, dopo la fase negativa, è anche capace di reintegrare le cose nel loro ordine naturale. Profondamente diversa è inoltre la finalità delle due magie: l'una halo scopo di danneggiare spiritualmente l'uomo, l'altra di portarlo alla salvezza. Da una parte, dunque, Origene, corne il più semplice dei suoi fedeli, credeva che il pwo suono delle parole e dei nomi della Scrittura fosse in grado di nutrire le potenze benefiche che sono in noi ed incantare quelle malefiche, dall'altra, pero, corne magister ecclesiae per mezzo di un accorto commenta della figura di Balaam' 2 era anche in grado di

ma. Il celebte predicatore, R. Abbahu, ritene\·a non «supersriziosi» gli amuleti magici (cfr. Levine, R. Abba/111 .•. cil., p. 65); \"ari gradi di assimilazione e di adatlamento riveta anche la polemica antiasrrologica giudaica: cfr. Liebe1mann, Greek in JeM"ish Palestine ... cil., pp. 97-100. 1 giudei, del res10, condividevano con tuni gli orientali una solida fama di maghi e un gran numero di documenti magici riveta l'influenza del giudaismo; l'elcmento «magico» della 1eligione giudaica (lingua, sc1ittura, la potenza auribuita all'in\·ocazione dei nomi ed al tetrag1amma) sarebbe stalo anzi un veicolo di p1opaganda di non uascurabile 1ilievo per il proselitismo giudaico (cf1. Simon, op. cit., pp. 394-400). 62. Complessivamenre Origene cerca di sovrapporre alla figura di Balaam, cosi corne è desc1i11a dalla Scriuura, quello che doveva essere il topos del mago: il prcdicatore insiste molto, per esempio, suifa sua avidirà di guadagno (Ho.Nm. Xlll,7, p. 118,9; XIV,3, p. 126,2; 4; 10; p. 127,JJ; XV,I, p. 128,24; XV,2, p. 132,10), accoglicndo del resta anche una uadizione csegctica prccedentc (cfr. su questo punto Baskin, op. cit., p. 22). Origcne, inoltre, inte1preta in modo decisamenle sfavorevolc alla figura di Balaam ce11i accc1111i scritturistici che invece sembrano rimandare ad alcune potenzialità posirive del suo operare: il fatto che Balak alluda alla capacità di Balaam di bcncdire (e quindi non sohanto di maledire) (Nm. XXll,6), viene atuibuilo da Origene, che nega che i demoni possano operare in modo positiva, all'adulazione ed al desiderio di procurarsi l'aiuto del mago (Ho.

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operare gli opportuni distinguo e di fornire le opportune indicazioni e divieti per distogliere i suoi fedeli da una ricaduta nel paganesimo.

2. Le tendenze giudaizzanti Accanto ai sincretismi magico-astrologici, la predicazione origeniana rivela la presenza di un'altra forma di sincretismo causata dall'attrattiva che il culto e la liturgia giudaica esercitavano su coloro che erano già entrati o si accingevano ad entrare nel cristianesimo 61 • Il numero dei riferimenti origeniani non è abbondante corne quello riguardante il tema del paragrafo precedente ed alcuni interrogativi sono destinati - allo stato attuale delle ricerche - a rimanere irrisolti: le tendenze giudaizzanti sono tutte riconducibili - corne vorrebbero alcuni - al gruppo degli ebioniti, oppure riguardano - più in generale - quella parte del pubblico di Origene convertito dal giudaismo? 64 In che misura inoltre le osservazioni di Origene non riguardano anche persone provenienti dal paganesimo che hanno assimilato usanze e costumi giudaici e che non intendono abbandonarle? 6 ' . L'usanza giudaica della circoncisione viene, per esempio, ancora osservata dagli ebioniti, ma anche da coloro che «simili paupertate sensus oberrant» 66 • La persistenza dell'osservanza del digiuno ebraico viene attribuita genericamente a coloro «qui putant pro mandato legis sibi quoque Iudaeorum ieiunium ieiunandum» 67 • Non è bene - sostiene Origene - digiunare con coloro che hanno crocifisso Cristo, i cristiani hanno i loro giorni di digiuno: la quaresina, e le scadenze settimanali del mercoledi e del venerdi. Un passo più circostanziato sulle tendenze giudaizzanti del pubblico si trova nelle Ome/ie su Geremia, allorché Origene

Nm. Xlll,6, p. 115,30). Per quanto riguarda poile profezie messianichc pronunciatc dal rnago, Origene mette in grande evidenza (amplificando Nm. XXlll,5: «iniecit verbum in

os eius») che la parola di Dio non è arrivata al suo cuorc ma si sostituiscc completamente alla sua capacità - di origine demoniaca - di predire il future (Ho.Nin. XV,2, p. 132,19).

63. Cfr. su questo punto anche Bietenhard, op. cit., p. 50; De Lange, op. cit., p. 36. 64. Cfr. sopra cap. IV.2, n. 42. 65. Questi problemi di interpretazione non si pongono soltanto perle omelie di Origene, ma anche per gli altri autori cristiani che denunciano nella loro cornunità la presenza di pratiche giudaizzanti: cfr. Simon, op. cit., pp. 357 sgg. Sull'attrazione esercitata dalle pratiche religiose giudaiche anche su non giudei, cfr. Ibid., p. 377. 66. Ho.On. 111,4, p. 44,21. 67. Ho.lv. X,2, p. 442,10.

149 arriva a commentare Ier. XIII,17: «Se voi non ascolterete in segreto, l'anima vostra piangerà di fronte alla violenza»; l'ascolto «in segreto» è, per il predicatore, l'interpretazione spirituale della legge, percio coloro che, presenti nell'assemblea e nella vicinanza della Pasqua, celebrano gli azzimi, trasgrediscono il comandamento di Dio. Lo stesso si puè> dire delle donne che intendono alla Jettera le prescrizioni della legge e non si lavano il sabato, corne di coloro che osservano il digiuno giudaico del «giorno della propiziazione» 61 • Sempre all'interpretazione letterale della Scrittura (L v. V,2-3) viene attribuito il rifiuto - da parte di alcuni di toccare i cadaveri. Qui Origene contrappone il dovere cristiano di dare sepoltura ai morti alle «iudaicae et inutiles fabulae» 69 • Se prescindiamo da un unico riferimento preciso agli ebioniti a proposito della circoncisione, gli altri passi riconducono le tendenze giudaizzanti all'unica matrice dell'interpretazione letterale della Scrittura: indicazione che, corne si è visto precedentemente, puo riferirsi a gruppi diversi. In una città cosmopolita corne Cesarea in cui le occasioni di contatto con gruppi etnici diversi erano particolarmente numerose e facilitavano la circolazione e la propaganda di idee e di atteggiamenti religiosi, le barriere religiose non dovevano essere cosi insormontabili. Abbiamo visto quanto i confini fra eterodossia gnostica ed ortodossia fossero fluidi; quelli esistenti fra giudaismo e cristianesimo non sembrano essere tanto nettamente demarcati da evitare l'influenza che una religione cosi ricca di prestigio, sia per la sua antichità, sia per la sua provenienza dall'Oriente, poteva esercitare su coloro che si erano convertiti al cristianesimo. Lo stesso Origene è del resto consapevole di questa situazione; egli sa che fra coloro che in chiesa ascoltano la parola di Dio ve ne sono alcuni che frequentano la sinagoga, altri la «sinagoga» degli eretici ed è per questo che a tutti ricorda il comandamento di Ex. XIl,43, dandone la sua personale interpretazione: la parola di Dio va ascoltata in una sola casa 10 •

68. Ho.Ier. Xll,13, p. 101,7; anche in Sel. Ps. CXV/11, p. 256,14 vengono nominate delle donne che preparano gli azzimi e osse1vano il sabato; esse sono perè> annovera1e fra TWV

r~w Tqî 'ExJtÀ11ulm.

69. Ho.Lv. 111,3, p. 306,11; Ho.los. XX,6, p. 426,1: colui che abbandona l'in1erpre1azione leue1ale non si circoncide, non mangia gli azimi, non osserva la pasqua giudaica, non osserva il sabato; Ho. Gn. V,5, p. 63,23. 70. Sel.Ex., PG XII, c. 285 D.

VI. DEMONI E ANGELI

Coloro che, sia pure imperfettamente, si sono emancipati dal paganesimo e dal giudaismo, non sono che ai primi passi verso una «vera conversione»; corne l'atleta che, fino a quando non si iscrive alla gara, non ha nessun timore di essere esposto ai colpi ed alla sconfitta, ma ncppure ha la speranza di vincere, allo stesso modo, i catecumeni che entrano nella chiesa e si avvicinano alla parola di Dio, si iscrivono al combattimento della fede e si espongono ai colpi dai quali non vengono raggiunti colora che ne sono rimasti al di fuori 1 • Colui che vuole vivere in Cristo deve stare armato ed in guardia; il battesimo non èche un «certaminis et pugnae spirilalis inilium» 2 • Questo perenne stato di guerra in cui Origene invita il cristiano a vivere è sorretto da un'interpretazione della realtà, non soltanto umana, ma anche divina, divisa in campi contrapposti: da una parte, gli antagonisti, dall'altra, gli aiutanti; da una parte, i demoni, dall'altra, gli angeli. È una lotta 3 in cui non sempre le parti sono facilmente riconoscibili: tratti angelici possono celare inganni demoniaci ed anche la realtà più quotidiana puè> nascondere un piano infernale; in questa guerra in cui ogni gesto, ogni vittoria e sconfitta acquistano un significato che li trascende; in cui il divino e l'umano si toccano e si confondono continuamente; in cui l'atleta non puè> nemmeno contare sull'elementare distinzione fra il «dentro» e «fuori» di sé poiché il teatro della scontro è proprio il suo corpo e la sua anima, è ancora il predicatore a fornire i punti di orientamento, i criteri di comportamento, a consigliare, a sorregge-

1. Ho.ler.L. 111,3, p. 313,3. 2. Ho.lud. IX,2, p. 520, 14. 3. Su questo tema, cfr. A. v. Harnack, Militia Christi. Die christliche Religion und der Soldatenstand in den ersten drei Jahrhunderten, Darmstadt 1963, pp. 28-31.

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re ed infine, corne Giosuè aile porte di Gerico, a dare il segnale della battaglia soffiando nella sua «tuba praedicationis»•.

1. Lo sguardo complessivo sui mondo Fa indubbiamente parte del ruolo di ogni riformatore dei costumi porre l'accento sugli aspetti negativi di una situazione morale piuttosto che blandire il proprio pubblico dipingendola in modo troppo favorevole, con il rischio di farlo impigrire nella semplice conservazione del grado di moralità raggiunto. Pur ammettendo questo, i modi con cui Origene esprime il proprio giudizio sulla propagazione del male nel mondo, soprattutto in contesti in cui è lontano ogni cenno di polemica antignostica, trovano accemi di grande sincerità e pessimismo. Il principe di questa terra - osserva il predicatore commentando l'episodio evengelico delle tentazioni di Gesù - puè> esibire con orgoglio «le innumerevoli moltitudini che sono in suo dominio», «et revera, si miseriam et infelicitatem nostram simpliciter volumus confiteri, paene totius mundi rex diabolus est»'. Il demonio, corne un re, ha per corte l'intero mondo•; è ad ogni angolo pronto a lanciare la sua rete per catturare le anime: «diabolus 'laqueis' (cfr. Sir. IX, 13) cuncta complevit» 7 ; se gli uomini giusti, per analogia a quanto dice il profeta (ls. XLIV ,2), possono essere definiti «sagittae Dei» bisogna riconoscere che le «sagittae diaboli», «omnibus in locis abundant, omnis terra ipsis repleta est»'. Il pessimismo con cui talvolta Origene sembra contemplare il mondo non mette perè> in discussione l'apporto decisivo alla loua contro il «ser-

4. Ho.los. Vll,I, p. 327,23; Ibid. 1,7, p. 295,6: « ... Divinorum verborum meditatio velut tuba quaedam est animos tuos ad proelium concitans, ne forte adversario vigilante tu dormias». S. Ho.Le. XXX, p. 173,8; Ho.Hm. Xll,4, p. 104, 18: «Princeps autem dicitur mundi, non quia creaverit mundum, sed quia multi sum in hoc mundo peccatores». 6. Ho.los. XIV,2, p. 377,22. 7. flo.C:mt. 11,12, p. 58,3; Tract.Ps. XC, p. 128,25: «Muhos habet diabolus laqueos ... ». 8. Ho.Ps. XXXVI, 111,3, c. 1339 A; cfr. anche Ho.Nin. XXIV,I, p. 226,29; Ho.El;. Xlll,2, p. 445,4. li peccato accompagna tutti gli uomini, ad eccezione di Cristo (Ho.Lv. Vlll,3, p. 398,5; Xll,3, p. 459,4), fin dalla nascita, altrimenti non avrebbe scopo il battesimo somministrato ai fanciulli (cfr. sopra cap. Ill, n. 97). Il tema del peccato originale è soltanto sfiorato da Origene; cfr. su questo punto Volker, op. cit., p. 25; G. Teichtwcier, Die Sündenlehre des Origenes, Regensburg 1958, pp. 97, I02.

153 pente e i suoi angeli» (Ap. XII, 7) 9 dato dall'incarnazione e dalla morte di Cristo; questo fatto, senza dar luogo nelle omelie ad una vera e propria riflessione teologica sull'argomento, viene più volte ricordato ed utilizzato per spiegare simbolicamente alcune immagini bibliche: la crocifissione del re di Gai «in ligno gemino» (los. VIII,29) simboleggia la crocifissione di Cristo anch'essa definita «gemina» perché, visibilmente, su quella croce viene crocifisso il figlio di Dio, ma, «invisibiliter», anche il diavolo con le «sue potenze» (Col. 11,14-15)' 0 • L'immagine del «corno» che compare in Nm. XXIV ,8 viene spiegata alla luce del più generale criterio che spesso nella Scrittura il «Corno» è simbolo di un regno, pertanto il versetto biblico in questione viene spiegato con il fatto che Cristo ha sostituito l'unico suo regno a quelli dei demoni 11 • Nella stessa chiave viene anche interpretato Nm. XXIV,17: la stella che nasce da Giacobbe e che sconfigge i Moabiti ed i discendenti di Seth è Cristo, che, con la sua croce, sconfigge «i principati e le potenze»' 2 • Tale sconfitta era in fondo - se non proprio chiaramente prevista in parte presentita dallo stesso diavolo: le parole dette dal Faraone al proprio popolo (Ex. 1,9-10), per metterlo in guardia contro gli Ebrei, sono le stesse che il diavolo dice ai suoi angeli e fanno capire corne egli sappia dalle «parole dei profeti che contro di lui si scatenerà una guerra, che sarà abbandonato dai figli di lsraele che si schiereranno con il Signore» 'J. Ma al principe del mondo rimase nascosto il mistero dell'incarnazione "; questa fu infatti la ragione che rese necessario il matrimonio di

9. Per l'iden1ificazione di questo verseuo apocali11ico con il demonio ed i suai ministri, cfr. Ho.Gn. 1,1, p. 4.4; Traet.Ps. LXXXII, p. 92,77; LXXXI, p. 87,144. Più spesso viene utilizzato Mt. XXV,41 (dr. oltre n. 31). 10. Ho.los. Vlll,3, p. 338,9; sui problemi di interpretazione sollevati da questo passa, cfr. D. Pazzini, ln principio era il logos, Brescia 1983, pp. 116 sgg.; cfr. anche llo.Jos. Xl,5, p. 365,23: «(Malignae virtutes) ... in ligno crucis t'uerint suspensae ... ». Cfr. anche su questo punto M. Simonetti, «la morte di Gesù in Origene», in R.S.L.R., VIII, 1972, pp. 7; 32-35. 11. Ho.Nm. XVll,6, p. 165,12; un passo che riecheggia la stessa simbologia è Traet.Ps. XCI, p. 139, 182: «Propterea el Dominus cornu dicitur his qui credun1 in eum; et in cornibus crucis suae uentilauit inimicos. lbi confudit diabolum et omnem eius exercitum. Xristus quidem crucifixus erat in corpore, sed uere crucifigebat ibi daemones». 12. Ho.Nm. XVlll,4, p. 174,14; 25; Ho.lv. lX,5, p. 425,4; Ho.Le-. XXII, p. 133,14. 13. Ho.Ex. 1,5, p. 153,13; Ho.le. XXX, p. 172,10: «Sciensque diabolus ad hoc venis, se Christum, ut regnum illius tolleret et hi, qui sub eo erant, inciperent esse sub Christo». 14. Ho.Le. VI, p. 35, 5 sgg. Su questo tema il pensiero di Origene non è sempre riconducibile ad unità; le parole degli indemoniati al Signore (Mt. Vlll,29) sembrano testimoniare il fauo che i demoni avessero riconosciuto il Messia ed in questo senso sono anche interpretate da Origene (cfr. Ho.Ex. 111,3, p. 167,24; Vlll,6, p. 236,10). Un tentativo di

154 Maria con Giuseppe; se questo non fosse avvenuto, il diavolo, che sapeva pura Maria, avrebbe sospeuato l'intervento divino nel suo concepimento e avrebbe fatto di tutto per impedire la crocifissione 1s. Dalla trama di queste idee tradizionali che non sembrano far problema né al predicatore, né al suo pubblico, emerge una questione che pare sentita con particolare intensità: se Cristo ha sconfitto il demonio e le sue schiere, donde deriva e quai è la ragione dell'attività fin troppo visibile ed intraprendente di costoro net mondo? Si è già visto corne questo problema è stato posto ed affrontato nella XIII omelia sui Numeri 16 ; all'inizio dell'omelia seguente 17 , Origene sente il bisogno di ritornare sui suoi passi per chiarire ulteriormente la sua spiegazione su una questione cosi delicata che sfiora misteri cosi grandi. Per quanto net mondo non avvenga nulla che sia inutile e contrario alla volontà di Dio - spiega Origene -, tuttavia «malitiam Deus non fecit». Egli potrebbe impedirla, ma non Io fa perché essa svolge una funzione precisa nel suo disegno provvidenziale. A questo punto Origene ripercorre rapidamente gran parte degli avvenimenti dell' Antico Testamento, considerati dal punto di vista del contributo dato alla loro realizzazione da un atto in sé malvagio: se non vi fosse stata l'invidia e l'inganno dei fratelli di Giuseppe, questi non sarebbe mai arrivato in Egitto, non Io avrebbe mai risparmiato dalla carestia, gli Ebrei non sarebbero scesi in Egiuo e neppure vi sarebbe stato il loro viaggio verso la terra promessa, la promulgazione della Legge e, di conseguenza, neppure i libri che, narrando tali avvenimenti, trasmetlono agli uomini la conoscenza delle cose divine. Senza la malvagità di Balak, non vi sarebbero state le profezie di Balaam e, senza il tradimento di Giuda, non vi sarebbero state la crocifissione e la morte di Cristo, la sconfitta dei demoni, la sua resurrezione, promessa e speranza di tutti i cristiani. Prima ancora di essere quella dei fratelli di Giuseppe, di Balak e di

conciliazionc mi scmbra perè> esserc offcrto da Ho.le. VI, p. 36, 17, m·c il problcma è posto esplicitamente: il demone che ha riconoscimo il Signorc viene dcfinito «minor in malilia», (, mentre un dcmonc, pcr cosi dire, di secondo rango, cra in grado di riconosccre il Signore. questo era impossibile a Satana in persona. li fauo che la verginità di Maria fosse rimasta nascosta al demonio è un'idea tradizionalc che si trova già in Ignazio c Giustino, cfr. J.B. Russell, St1tt111. The Et1r(I• Clrristiu11 Tradition, lthaca 1981, pp. 38; 67. 15. Ho.le. VI, p. 35, I. 16. Cfr. sopra cap. V, n. 49. 17. Ho.Nm. XVJ,I, p. 137,10.

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Giuda, la «malitia» è quella del demonio, cui Dio - in quelle circostanze corne sempre - non ha impedito di agire, allo scopo di non mortificare il libero arbitrio degli uomini e metterne in risalto le virtù. Queste argomentazioni - illustrate da esempi diversi - vengono sviluppate anche altrove nelle omelie 11 ; l'aspetto comune èche il problema del male non viene mai affrontato in termini astratti - per esempio la risposta all'interrogativo di che cosa è il male in sé - ma sempre personalizzati: la malitia con i suoi effetti provvidenziali, ma anche distruttivi, è sempre ricondotta a qualcuno, uomo o demone che sia. Questa (per ammissione stessa dell'esegeta) parziale presentazione del problema, oltre a presentare il vantaggio di lasciare in ombra plessi problematici molto delicati della speculazione origeniana '', riflette e, nello stesso tempo, è ritenuta l'unica a poter far presa sulla mentalità dell'epoca, mentalità in cui era fortemente radicata la convinzione di avere a che fare quotidianamente con schiere di demoni - moiti dei quali malvagi - in grado di impadronirsi della psiche dell'uomo, di causare disgrazie individuali e calamità naturali e che dovevano essere blanditi con offerte e sacrifici o costretti per mezzo di magie 20 •

18. Per il male corne sfondo necessario per far risaltare il bene, cfr. Ho.G11. l.IO, p. 11,24: la bellezza della luce non si apprezza se non 1>aragona1a alle 1enebre, Io siesso accade perla cas1ilà e l'irnpudicizia, l'amaro cd il dolce; Ho.Nm. IX, 1, p. 55, 1: le vinù di ciascuno non potrebbero risplcndere senza l'opcra10 del demonio e delle po1enze conlrarie; Ho.Ier. l. 111,1. p. 303,12: il «mallcus universae 1errae» di Ier. XXVll,23 è il demonio che percuo1endo il samo Io meue alla prova e ne fa risaltare le vin ù. li diavolo scmbra consapevole di ques1a sua funzionc - suo malgrado - poshiva; percià 1alvolta si as1iene dallo scaienare persecuzioni conrro i cris1iani, perché il mar1irio è per essi mo1ivo di grande esultanza e causa dell'avanzamento delle forze del bene: cfr. Ho.Nm. X,2, p. 72,41. 19. Alludo ai 1emi della caduta originaria degli esseri razionali, alla preesis1enza delle anime, al male come of." tr.. ; per quest'ultima definizione origeniana del male, cfr. Volker, op. cit., pp. 32 sgg.; Teich1weicr, op. cit., p. 95; Russell, op. cit., p. 127. 20. Sulla demonologia nel mondo anrico, in generale, un utile repcnorio di 1es1i commenra1i è rappresen1a10 da J. Tambornino, De amiq11oru111 dae111011is1110, Giessen 1909; opere su aspeui cd auiori par1icolari vicini, per periodo s1orico e ambieme culturale al Nos1ro, sono: S.S. Jensen, D11alis111 and Demonology. Tire F1111ctio11 of De111011ology in Pythagorean and Plato11ic Tlro11glr1, Kopenhagen 1966; G. Soury, La démonologie de Plutarque, Paris 1942; H. Wey, Die F11nktio11e11 der bose11 Geister bei den griechisdœn Apologete11 des ;,weiten Jalrrlru11derts nad1 Clrris111s, Winrenhur 1957; il libro giâ ci1a10 di Russell (cfr. sopra n. 14). L'imponanza cresceme delle credenzc demonologiche fra Il e Ill sec. e la funzione che esse avrebbero avuw nell'espansione del cris1ianesimo sono s1a1i oggeuo di diverse valu1azioni. Alcuni rhengono che giâ il paganesimo aveva elaboralo ed appres1a10 un gran numero di rimedi comro la presenza minacciosa dei demoni e che quindi il cristianesimo non avrebbe appona10 in ques10 campo ncssuna novi1à sos1anziale (cfr. A.D. Nock, Conrersio11, Oxford 1933, pp. 104-I05; H. Chadwick, The Early Ch11rt•h, London 1968, p. 55). Altri invece 1endono ad accemuare l'imponanza di questo elemenro; P. Brown, li mot1do tardo at1tico, 1r. il., Torino 1974, pp. 42-44, parla dei cristiani corne veri e propri impresari dei dcmoni corne pro1agonis1i del dramma religioso 1ardo amico

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Sotto tale profilo si capisce la scelta di lasciare in ombra il concetto filosofico del male corne privazione o mancanza di essere: esso aveva scarse possibilità di essere compreso e assimilato da un pubblico cui il male appariva fin troppo reale. Sulla demonologia - sia pure reinterpretata cristianamente - si concentra la predicazione di Origene.

2. Il demonio ed i suoi demoni Il male, quello esterno, corne quello interno, morale, è in fondo il frutto dell'alleanza della volontà dei demoni con quella dell'uomo. Per scongiurare tale alleanza è necessario conoscere la psicologia dell'avversario e le sue astuzie; per questo Origene toma spesso sull'argomento approfondendo alcune figure bibliche che gli sembrano prestarsi in modo particolare. Tra queste troviamo il re labin, re di Asor (los. XI,1-11) il cui nome significa «sensus vel prudentia», qualità che vengono attribuite al serpente del Genesi (Gn. 111,1)2'. Gli altri nomi dire e di luoghi che compaiono nel passo vengono interpretati corne allusioni ad altrettante qualità del demonio e dei demoni che sono al suo servizio; è per istigazione del primo che avvengono nel mondo le «amaritudines et asperitates» che affliggono il genere umano; il demonio promette l'esaudimento dei desideri di coloro che Io adorano; ha il comando su un mondo di cose instabili e caduche; è superbo, insidioso; spinge i suoi demoni ad insidiare le anime non in confronti aperti, ma all'improvviso 22 ; ha una natura sfuggente ed ambigua poiché ama trasformarsi in «angelum lucis» (Il

(«Essi facevano convergere l'angoscia sui demoni e nello stesso ne prescrivevano i rimedi», p. 43); cfr. anche, dello stcsso, The Making of Lare Amiq11iry, Cambridge 1978, p. 20. Un punto di vista più tradizionalista è quello sostenuto da G. Bardy, La com•ersio11 011 Chrisrianisme durcmr les premiers siècles, Paris 1949, pp. 135 sgg. 21. Ho.los. XIV, 2, pp. 377 sgg.; ahra figura biblica spesso identificata con il demonio è il faraone, re dell'Egillo, simbolo di tulle le rcahà 1errene: Ho.Ex. l, I, e passim. Al1ro re simboleggiante il demonio è Nabuccodonosor (Ho.Ez. Xll,2, p. 434,25 sgg.). Cfr. anche Ho.Nm. Xl,4, p. 83,21, ove il riferimento di alcuni nomi di principi o dire «ad malos angelos et ad virtutes contrarias» viene enunciato corne principio esegetico generJle. Anche il principe di Tiro viene identificato con il demonio (cfr. Ho.Ez. XIII, 1 sgg.). Per quanto riguarda l'analisi della terminologia origeniana a proposi10 del demonio, cfr. Russell, op. cir., pp. 130-132. 22. Questo aspetto è sviluppato soprattullo in margine all'esegesi della parabola del buon samaritano (Ho.Le. XXXIV, p. 190, 14); i briganti, secondo l'interpretazione che Origene allribuisce ad un presbitero, rappresentano i demoni. Su questo aspeuo dell'esegesi origeniana e sulla fortuna che ha incontrato nella storia esegetica successiva, cfr. G.J.M. Bartclink, «Les démons comme brigands», in Vig.Clrr., XXV, 1967, pp. 12-24.

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Cor. XI,14) 21 ; è patrono di ogni eresia che, corne lui, finge un'autenticità che non le appartiene 24 ; tenta di convertire a sé gli uomini e sempre cerca di sollevare disordini e provocare affanni. Il dernonio è spesso paragonato ad anirnali; corne il leone, cerca ruggendo per ogni dove prede da divorare 21 ; corne il lupo, aggredisce le greggi indifese 26 ; corne la pernice, ha costurni aborninevoli: è irnpuro, astuto e ingannatore 21 ; poiché non ha creature proprie, asservisce quelle di Dio in grandissirno nurnero 21 • La dirnora sua e dei suoi angeli è il chaos 29 e nulla di cio che costruisce è poggiato su qualcosa di «ferrno», di «solido» e di «unificato» 30 • Le caratteristiche del dernonio sono condivise tal quali dai suoi ministri, chiarnati, di volta in volta, dernoni, angeli ribelli, potenze contra-

23. Cfr. anche Ho.E>:. lll,2, p. 163,10: a proposito del tradimenlo di Giuda, si osserva che non sempre è facile capire se è il demonio che parla per il tram ile di qualcuno e viene citalo I Cor. XII, 10 sui dono di dis1inguere gli spiriti. Cfr. anche Ho.Nm. XXVII, 11, p. 272, I a proposi10 delle visioni che 1alvoha sono fonte di lentazione, perché appunto «angelus iniquitatis transfigurai se in angelum lucis». Sulla 1eoria origeniana, relativamenle a quanto si trova esposto nel De Pri11cipiis, cfr. F. Marty, «Le discernement des esprits dans le Peri Archon d'Origène», in R.A.M., XXXIV, 1958, pp. 147-164; 253-274. 24. Trac1.Ps. VII, p. 26,202: «Omnia conciliabula haere1icorum foueae diaboli sun1 ». 25. Ho.Lv. 111,3, p. 305,28; Tracl.Ps. VII, p. 27,235; CXL VI, p. 333,139 sgg.: demoni = corvi. 26. Ho.Lv. 111,3, p. 305,26. 27. Ho.Ier. XVII,!, p. 143,11. 28. Per l'astuzia del demonio e dei suoi demoni che cercano di farsi passare ahri da quelli che sono, cfr. Marty, op. cil., p. 156. 29. Ho.Nm. Vlll,2, p. 337,13; Ho.lud. 1,2, p. 522,4, Origene paragona i demoni aile locuste di lud. Vl,5 «quibus neque in caelo, neque in 1erris est sedes»; qui Origene mostra di condividere la geografia celeste del suo 1empo che vedeva nell'aria, elemento intermedio Ira la terra ed il cielo, il luogo di residenza dei demoni e l'elemento che costituiva il loro corpo (perla definizione origeniana del corpo dei demoni, cfr. De Pr. I, praer., 6). Su questo tema, cfr. Soury, op. cil., p. 24; Wey, op. cil., p. 73; Russell, op. ·ci1., p. 64. 11 luogo di residenza dei demoni - nelle zone inreriori del cielo, quelle a coniatto con la terra - fa si che le anime, nella loro salit a verso il cielo, debbano attraversare le sfere demoniache; cfr. su ques10 punto, J. Daniélou, La 1héologiedujudeo-chris1ia11isme, Paris 1958, p. ISO. Per tale ragione le anime, dopo la morte, hanno bisogno della protezione degli angeli nella loro ascesa verso i luoghi cui sono destinate; cfr. su questo punto souo, par. 3. Per quanto riguarda il corpo dei demoni, cfr. anche C. Cel. V,5, p. S,20: «li nome di demoni è auribuilo aile potenze malefiche sciohe dal corpo più spesso TOV 'lrlX)l.l'TfPOIJ owµcxTOî). S. T. Bellencourt, Doc1ri11a asce1ica Orige11is, seu quid docueril de ra1i011e animae cum daemonibus, Roma 1945, pp. S-6, segnala una certa contraddiuorietà del pensiero di Origene in proposilo; se, infaui, il peccato appesantisce l'anima, i demoni dovrebbero avere «crassissimam corporeitatem». Ma la concezione origeniana sui demoni è frutto di apporti diversi - la componente filosofica ellenistica, quella folclorica e quella cristiana - che non sempre si amalgamano perfeuamente. 39. Ho.Ier. l,lS, p. 13,26.

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rie 31 • Anche se nel mondo demoniaco viene riconosciuta l'esistenza di una gerarchia e, in qualche caso, viene proposta una sorta di divisione 31. Nelle omclie, corne anche nelle ahre opere di Origene, non vicne enuncia1a con sufficieme chiareu.a la dis1inzione - precisa in amori corne Tertulliano - frai demoni, iden1ifica1i con i giganri, fruuo dell'unione degli angeli con le figlie degli uomini, e gli angeli cadu1i. J.H. Waszink, «Pompa Diaboli», in Vig. Chr., 1, 1947, pp. 38-39, ritiene (ci1ando anche due 1es1i: De Pr. 1, praef. 6, p. 13, l 2: «de diabolo quoque et angclis eius conrrariisque uirtutibus» e Co.Io. XX,40, p. 383,3: «Le azioni malvagie non si fanno senza ôm1w1·[w1• ~ Ô'1foiw1•l>i/1fnn oi.·1•a1uu.•1• l,,.n ~u11{1•w1•») che raie distinzione sussis1a anche in Origene. Il problema, nei termini offerti da Waszink, è mal poslo, perché presuppone implicitameme l'unione di due aspeui (l'esegesi di G11. Vl,2, leua alla luce del racconto enochiano, alla base della disrinzione: angeli cadu1i-demoni, e il conseguente uso differenzia10 della terminologia), che in un'ouica origeniana non possono essere confusi. Fino al 111 sec., la rradizione larina e numerosi rappresentanti di quella greca - A1enagora, Giuslino, Ireneo, Clemente Alessandrino - identificavano "~ .,;"'• 10v 1?fov, pro1agonis1i di G11. Vl,2, con gli angeli, pro1agonis1i della versionc più estesa e par1icolareggia1a dello srcsso episodio che si rrova nel Libro dei Vigila111i (/Enoch, 2). li caso di Origene è per molli versi complesso e difficilmente riconducibile all'unità, anche in concomilanza di un diverso atteggiamenro nei confronti dei libri di Enoch che, sohanto a panire dal pcriodo di Cesarea, sarebbero s1a1i messi da Origene fra i libri &PT1Xq 011 che nascondevi. lnvece, se sopporti pazientemente la tentazione, non è questa a renderti paziente e fedele, ma essa porta alla luce quelle virtù di pazienza e di forza che erano in te, ma che erano nascoste» ...

Se è vero che queste precisazioni sono un punto fermo della predicazione di Origene, è anche vero che, in essa, la funzione dei demoni nel promuovere i peccati viene molto accentuata e valorizzata: «Neque enim sine ipsis consummatur omne peccatum» 47 • Quali sono dunque i mezzi che si hanno a disposizione per sconfiggerli o almeno arginarli? Una volta che si sono installati nell'anima i demoni sono nutriti dai singoli vizi 41 ; essi vengono, invece, scacciati e vin-

44. Ho.Ier. XVIll,3, p. 154,8. 45. Ho.G11. XVl,2, p. 137,16; nella distinzione dell'origine dei peccati dal corpo c dall'anima, viene qui soltanto sfiorato il tema dell'origine dei peccati, trattato in modo più esteso in De Pr. 111,2,1 sgg.: alcuni peccati avrebbcro ail' origine uno stimolo naturale (la fame, la sete, etc.) che la volontà dell'uomo non è stata in grado di arginarc. Da qucsta iniziale intemperanza il demonio coglie l'occasione per aumentare e dilatare il peccato. Altri peccati nascono invece dai pensieri, che talvolta provcngono dall'uomo, talvolta dalle potenze avverse, talvolta da Dio c dagli angeli. Cfr. su questo tema Bettencourt, op. cil., pp. 70 sgg.; Teichtweier, op. cil., pp. 11 sgg. 46. Ho.Le. XXVI, p. 155,5. 47. Ho.Nm. XXVJl,8, p. 267,28. 48. Ho.G11 l,17, p. 21,15; Ho./s. VIIJ,1-2, p. 287,21; Ho.lud. 111,3, p. 48,14. Le osservazioni origeniane sui «Cibo dei demoni» affondano le proprie radici nelle speculazioni della demonologia antica riguardanti appunto il rapporto demoni-cibo; si pensava che

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ti da un retto agire. Il passaggio dall'idolatria alla fede, la rinuncia ai beni terreni, ma soprattutto la dedizione completa allo studio della Scrittura, sono le cose éhe li tormentano di più: «La cosa che, più di tutte, causa loro tormenti ed affanni è vedere qualcuno che si dedica al verbo di Dio e che ricerca con impegno incessante la scienza della legge divina e i misteri della Scrittura. Questo li infiamma e li brucia, poiché essi avevano oscurato le menti umane con le tenebre dell'ignoranza e con cio facevano in modo che Dio rimanesse ignorato e che si dedicasse invece a loro il culto divino» ...

Un aspetto che viene molto sottolineato è che, pur trattandosi di una battaglia privata, nel senso che ciascuno deve sconfiggere prima di tutto in se stesso il suo demone, l'esito positivo e negativo della lotta contro i demoni ha conseguenze che di fatto travalicano il singolo individuo. Sconfiggere l'ira, la concupiscenza, l'avarizia, significa, nel senso pieno della parola, togliere il nutrimento vitale al demone corrispondente. Come ha fatto Giosuè con i nemici di Israele, anche noi - dice Origene « facciamo morire i demoni, pur senza distruggere la loro sostanza; ma poiché il loro compito ed il loro impegno sono quelli di far peccare gli uomini, se noi pecchiamo, essi vivono, e, senza dubbio, se non pecchiamo, essi muoiono»' 0 •

La sconfitta dei demoni operata dalla crocifissione di Cristo, ha

essi potessero entrare nel corpo degli uomini tramite il cibo e che essi si rallegrassero e si nutrissero di alcuni cibi in particolare: la carne, le cose immonde e sopranutto il sangue (cfr. Tambornino, op. cit., pp. 62; 87); molto sottolineato era anche il legame frai demoni malvagi ed i sacrifici umani (cfr. Soury, op. cit., pp. 55-56). Anche Celso parla di «demoni terrestri» attaccati al «Sangue ed al fumo dei sacrifici» (C. Cel. Vlll,60). Origene, che sviluppa questo tema anche altrove (cfr. C.Cel. 111,37), Io sfrutta - in linea del resto cc>n la precedente apologetica cristiana (Cumont, Les religions ... cit., p. 175) - in funzione antipagana: i demoni «ghiotti» si aggirano intorno aile vittime, al sangue ed a cio che accompagna il culto degli dei pagani. Questi, proprio in quanto demoni, dimostrano di gradire il fumo cd il sangue delle vittime. La stessa complessa trama simbolica sta alla base delle osservazioni origeniane sui peccati nutrimento dei demoni: il peccato è una forma di consacrazione, di sacrificio offerto al demone, e, corne nei sacrifici pagani, essi sono nutrili dal sangue e dal fumo, cosi essi sono nutriti dai singoli vizi. 49. Ho.Nm. XXVll,8, p. 267,16; Ho.Nm. XXVll,8, p. 267,5: la sconfitta dei singoli vizi «flagellai et crucial» i demoni; Ho.los. XXIV,I, p. 449,5: «Boni actus et bona opera gravant et affligunt daemonum genus contrariasque virtutes. Quanto enim nos meliora gerimus et quanto in optimis conversamur, tanto illis molesta haec efficiuntur et gravia». Da una prospettiva che richiama quanto si è detto sopra (cap. V .1) sull'effetto «magico» che talvolta l'invocazione del nome del Signore ha sui demoni, Origene dice che gli spiriti immondi non possono sopportare l'esaltazione del Signore (cioè il canto di Anna,/ Re. 11, I): Ho.Re.L. 1,10, p. 17,24, passo citato per esteso sotto n. 59. 50. Ho.los. Vlll,7, p. 343,8.

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corne conseguenza il fatto che, quando un demone fallisce la sua missione «muore», nel senso che è messo in condizione di non più agire. Un demone della fornicazione sconfitto da un uomo che non gli ha ceduto non puè> insidiare un altro uomo, ma viene mandato o «nell'abisso» o nelle «tenebre esterne» (Le. VIIl,31; Mt. VIIl,12) o in qualche altro luogo". Un primo effetto di questa loua condotta dai più forti nella fede viene ravvisato net gran numero di conversioni di pagani al cristianesimo: proprio perché ormai è già stato sconfitto un gran numero di demoni, hanno potuto arrivare alla fede moiti che «nullatenus sinerentur, si integrae eorum, sicut prius fuerant, subsisterant legiones» 52 • Le scelte morali di ciascuno non coinvolgono dunque soltanto il destino dell'anima individuale ma acquistano anche un significato collettivo: le lotte degli Israeliti contro i giganti abitanti di Canaan prefigurano quelle contro i demoni per la conquista della terra promessa celeste; da qui l'esortazione del predicatore ai suoi fedeli: «Ogni nostra attività, ogni azione, ogni pensiero, ogni parola appartenga al cielo. Quanto più ardentemente ci innalziamo lassù, tanto più costoro ne discenderanno precipitosamente; e quanto più noi aumentiamo, tanto più essi diventeranno piccoli. Se la nostra vita è santa e secondo Dio arrecherà loro la morte; se è indolente e lussuriosa li renderà giganteschi e potenti contro di noi. Quanto noi dunque sviluppiamo le virtù, altrettanto quelli diventano più deboli e fragili e, al contrario, se noi siamo deboli e cerchiamo le cose terrene, quelli diventano più forti ... Percià facciamo di più affinché, mentre noi cresciamo, essi diminuiscano, mentre noi entriamo, essi escano, mentre noi saliamo essi discendano ... »".

51. Ibid. XV ,6, p. 390,21; il luogo dove van no a finire i demoni sconfiui non è meglio determinato, d'altro canto la sua esistenza è resa necessaria dal rauo che il giudizio e la punizione del diavolo e dei suoi demoni avverrà soltanto alla fine di questo mondo: Ho.fa:. Vlll,6, p. 232,IO; 19. 52. Ho.los. XV,6, p. 391,6. 53. Ho.Nm. VII,6, p. 48,14. La sconfiua dei demoni viene presemata realis1icamen1e corne una loua per la conquista di uno spazio vitale: « Sunt quaedam adversariarum potestatum gentes diabolicae, adversum quas nobis certamen geritur et agones in hac vita desudantur. Quantascumque ergo ex his gentes 'pedibus nostris subdiderimus' (los. 1,3) quan1oscumque in cenamine vicerimus, ipsorum regiones, ipsorum provincias et regna Jesu nobis Domino distribuente capiemus» (Ho.los. 1,7, p. 294,4); cfr. anche Ho.le. XXXV, p. 199,6; Ho.ler.L. lll,2, p. 307,21: Gesù ha «spezzato» il demonio che, corne un grande martello (cfr. Ier. XXVII,23), percuoteva mua la terra, «el per unumquemque nostrum 'confringitur' quidem, quando introducimur in ecclesiam et proficimus ad fidem, 'conteritur' autem et comminuitur quando ad perfectum venerimus». La differenza fra l'azione dello «spe1.zare» il martello e QUella più delïnitiva del «mandarlo in polvere», allorché si sia giunti alla perfezione, permeue di chiarire un aspeuo della loua contro i demoni dei peccati, rimasto in ombra in ait ri passi; per vincere e mandare cmel deseno» un demone è necessaria una sconfitta totale e non episodica del peccato corrispondente: sconfiua che puè> essere pienamente conseguita soltanto dai santi: Ho.los. XV,6, p. 390,23.

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Nel III sec. i demoni godono di grande popolarità; l'interesse per questi esseri ambigui che abitano la terra e le parti più basse del cielo e che, invisibili, ma realissimi, accompagnano l'uomo antico, ora corne benefattori, ora corne presenze sinistre, è condiviso sia dall'uomo comune che cerca di accattivarseli con amuleti e scongiuri, sia da uomini di raffinata cultura - corne Plutarco o Porfirio - che dedicano loro opere dotte. Tra coloro che parlavano molto dei demoni vi erano in prima fila i cristiani; con essi arriva a sistematizzazione e compimento un processo iniziatosi da lungo tempo e che, nella letteratura popolare, prima ancora che in quella alta, veniva caricando il termine ôcx(µwv di significati sempre più minacciosi e negativP 4 • Peri cristiani, i demoni - identificati sia con i giganti, discendenti dall'unione degli angeli con le donne, seconda il racconto di Enoch, sia con le schiere di angeli che seguirono il drago nella sua caduta - sono compromessi ed intervengono con quanto di peggio vi è nel mondo: gli dei pagani, gli oracoli, la magia, le malattie, le calamità naturali, le persecuzioni, il peccato. Sullo sfondo di questa spiccata e diffusa attenzione per tutto ciè> che riguarda i demoni, si capisce l'interesse di Origene nei confronti di questo argomento, proprio nelle omelie, ove forse il contatto diretto con il pubblico, Io richiedeva con più insistenza. Soprattutto nella predicazione si trova infatti pienamente sviluppata la dottrina degli spiritus peccati e, parallelamente, è accentuata qui, più che nelle altre opere origeniane la spiegazione dell'origine del peccato di tipo demonologico'', in linea del resto con la tendenza generale - cui abbiamo già accennato - a personalizzare al massimo la spiegazione dell'esistenza del male e del peccato nel mondo. Mi sembra utile inoltre fare aitre due osservazioni su questo aspetto della demonologia origeniana. Ad un primo sguardo essa - moltiplicando all'infinito il numero dei demoni e le loro presenze - sembra radicalizzare ed approfondire quella sorta di pandemonismo che dominava gli spiriti del tempo. Di fatto perè> una cosi complessa e affollata demonologia viene ripensata e reinterpretata in chiave originale: se è vero che ciascuno di noi è assediato da schiere di demoni, è anche vero che il controllo su di essi - l'accoglierli corne il respingerli - è affidato a ciascuno.

54. Tambornino, op. c:it., pp. 69-90. SS. Perle oscillazioni origeniane fra una teoria dell'origine del peccato psicologica e demonologica, cfr. Simonetti-Crouzel, SC 269 cit., l. IV, p. 61, n. 18.

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In aitre parole: i rapporti con la presenza demoniaca - ritenuta dal maestro alessandrino corne dai suoi contemporanei invadente e minacciosa - vengono sottratti dal primo alla sfera del magico e consegnati a quella della morale. Non è più l'alto apotropaico o l'amuleto o la formula a respingere il demone, ma una scelta morale. La stessa lotta morale del singolo contro il peccato, da dramrna privato, diventa nell'ottica origeniana - un drarnrna condiviso, nei suoi esiti positivi o negativi, dall'intera cornunità cristiana. In effetti, il predicatore utilizza la dottrina degli spiritus peccati per attivare nel suo uditorio forti legami di solidarietà reciproca, proprio rnentre venivano rnisconosciuti e rifiutati quelli tradizionali nei confronti della società esterna. Non è un caso, infatti, che la teoria dei demoni dei peccati venga sviluppata corne spiegazione allegorica delle lotte condotte da Giosuè per la conquista della terra prornessa e che proprio in questo contesto si trovi ribadita l'idea che queste e soltanto queste possono essere le vere battaglie perrnesse ai cristiani 56 • È interessante inoltre considerare dall'angolo visuale della predicazione origeniana i problemi e le ipotesi - cui ho già accennato 5 ' ernergenti dalla critica storica intorno alla valutazione dell'irnportanza e della strurnentalizzazione dell'argornento dernonologico nella propaganda cristiana. Il punto di osservazione è naturalrnente limitato ad una sola personalità del III sec.; tuttavia le sue ornelie, rivolte corne sono anche a catecurneni la cui conversione doveva essere ancora cornpletata, possono essere considerate una fonte di non secondaria importanza per individuare i terni e le direttive della più antica propaganda cristiana. Da questo punto di vista, quai è stata allora l'utilizzazione origeniana dell'argornento dernonologico ai fini di prornuovere e consolidare la conversione a Cristo? Come si è già notato net caso dell'astrologia e della rnagia, il predicatore condivide con i suoi fedeli gran parte dell'irnrnaginario legato ai demoni, tuttavia la sua predicazione trascura volutamente l'aspetto, per cosi dire, rneccanico-rniracolistico. Una spia evidente di tale atteggiamento è la penuria di riferirnenti all'esorcismo cristiano". Ciè> è tanto più ragguardevole se si considera che Origene fa mostra di essere ben consapevole dell'irnportanza dell'argomento demonologico al fine di gua-

56. Con1ro la parlecipazione dei cristiani alla guerra, cfr. cap. Vll.4a. 57. Cfr. sopra n. 20. 58. Ho 1rova10 sohanto due cenni a questo argomento: Ho.los. XXIV,I, p. 448,15; Ibid., p. 449,3.

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dagnare adesioni al cristianesimo. Un passo delle Omelie sui libro dei Re merita di essere considerato con attenzione perché sintomatico del modo di agire di Origene e perché riesce a darci un'idea della tensione emotiva che in certi casi doveva verificarsi durante le assemblee liturgiche. Il predicatore sta commentando la preghiera di Anna(/ Re. 11,1) «il mio cuore ha esultato nel Signore»; ad un certo punto dovette verificarsi un'interruzione a causa dell'erompere improvviso delle grida di un indemoniato, se Origene dice: «E poiché, mentre si pronunciavano queste parole, uno dei presenti è stato riempito da uno spirito immondo e si è messo a gridare a tal punto da far correre gente, diciamole anche noi. lnfatti, mentre Anna diceva 'Ha esultato il mio cuore nel Signore', Io spirito avverso non ha potuto sopponare il nostro grido di gioia «nel Signore» ma Io vuole cambiare per sostituirvi la tristezza e per impedirci di dire 'ha esultato il mio cuore nel Signore'; ma noi non ci facciamo ostacolare e diciamo invece sempre di più: 'ha esultato il mio cuore nel Signore'. E Io diciamo proprio per questo, perché vediamo che gli spiriti immondi ne sono tormentati, perché attraverso cio moiti si convertono a Dio, moiti si pentono, moiti arrivano alla fede e non vi è nulla che Dio compia senza un motivo, né permette che avvenga alcunché invano. ln effetti sono moiti quelli che non credono al Verbo, né accettano la spiegazione della dottrina, ma quando diventano preda del demonio, allora si convertono, affinché 'dove il peccato ha abbondato, là sovrabbondi la grazia' (Rom. V,20) e dove ha operato una potenza maligna, là in seguito operi di più la grazia di Dio, perché una volta che la grazia di Dio ha scacciato Io spirito maligno, vi introduce Io Spirito Santo e l'anima che era stata riempita dallo spirito immondo si riempirà dopo dello Spirito santo»".

Continuando l'omelia, il predicatore non sfrutta affatto l'onda dell'emozione collettiva che doveva essersi creata in seguito all'accaduto e si astiene dal sottolineare l'aspetto miracolistico per attirare l'attenzione su cio che più gli sta a cuore, sulla necessità cioè di scacciare i demoni dalla propria anima con un retto agire. Se è vero, infatti, che Cristo ha sconfitto i demoni e se è vero che la conversione si configura talvolta corne un passaggio da una protezione ad un'altra, da un patronato ad un altro, è anche vero che essa è il segnale di inizio di una battaglia durissima. La strada indicata da Origene per liberarsi dai demoni è delle più ardue: passa attraverso una trasformazione morale individuale che è in fondo il grande tema della predicazione origeniana; una trasformazione morale presentata ed interpretata in una chiave demonologica che poteva essere compresa dai più e che proprio per il tramite di questa allarga i propri effetti benefici a tutta la comunità dei credenti. 59. Ho.Re.l. 1,10, p. 17,24.

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3. «Omnia angelis sont plena» 60 Se il mondo interiore corne quello esteriore è affollato di presenze demoniache, esse non sono le sole; Io spazio occupato dai demoni nella predicazione origeniana è controbilanciato da quello occupato dagli angeli: la salvezza dell'uomo sta a cuore a Dio più di quanto stia a cuore al demonio la sua perdizione, percio Egli ha predisposto una serie di aiuti per l'uomo e, fra questi, gli angeli 61 • La riflessione del predicatore non si sofferma sulla natura degli angeli, ma continuamente riprende ed arricchisce le loro moltcplici funzioni nel mondo naturale, nella storia della salvezza, accanto all'uomo nella sua lotta quotidiana contro il male e, dopo la sua morte, nel giudizio che questi dovrà affrontare. L'ordinato funzionamento della natura presuppone l'intervento degli angeli; vi sono angeli preposti ai quattro elementi - terra, fuoco, acqua, aria - che compongono l'universo, agli animali, aile piante, agli astri 62 ; il disordine, sotto forma di calamità naturali, è introdotto nel cosmos - secondo Origene, corne secondo tutta la tradizione cristiana - dal peccato degli uomini 0 • 1 compiti, svolti dagli angeli, nella storia della salvezza si intrecciano con la riflessione origeniana sugli angeli delle nazioni; tema su cui il pensiero di Origene appare spesso sfuggente e difficilmente riconducibile all'unità. Gli angeli delle nazioni, cui, secondo Dt. XXXII,8-9 64 , sono

60. Ho.Ez. 1,7, p. 331,30. 61. Ho.lud. lll,3, p. 483,6; Ho.Nm. XX,3, p. 194,2: «Haec (se. l'operosità dei demoni per condurre l'uomo al peccato) audiens vigilans auditor dicel fortassis: quid ergo faciemus? Si circumeunt spiritus maligni unumquemque nostrum et ducunt ac pertrahunt ad peccatum, nemo autem alius est, qui ad iusthiam trahal, qui invite! et ducat ad pudici· tiam, ad pietatem: quomodo non videbitur ad pereundum quidem late via patere, ad salutem vero nusquam ullus aditus dari?». 62. Ho.Ier. X,6, p. 76,15; Ho.los.XXlll,2, p. 444,5; Ho.Nm. XIV,2, p. 124,17: «Opus est ... ipsi mundo angelis, qui sinl super bestias et angclis qui praesint terrenis exercitiis. Opus est et angelis, qui praesint animalium nativitati, virgultorum plantationumque et ceteris ruralibus incrementis. Et rursum angelis opus est, qui praesint operibus sanctis, qui aeternae lucis intellectum et occuhorum Dei agnitionem ac rerum divinarum scientiam doceant»; poco più sono (1.26) si parla di Michele e Raffaele corne angeli adibiti a funzioni particolari: l'offerta delle preghiere e l'arte medica. Tale diversificazione di funzione fra gli angeli equivale di fano ad una gerarchia alla cui esistenza e ragioni Origene allude velatamellle anche altrove: Ho.Nm. Xl,4, p. 84,30; 85,21. 63. Ho.Ez. IV,2, p. 363,12. Sulle funzioni svohe dagli angeli della natura, cfr. MiuraStange, op. cil., p. 95; 101: «Ganz heidnisch belebt O. die Natur ... »; J. Daniélou, les anges et leur mission d'après les Pères de l'Église, Chevetogne 1952, pp. 25 sgg.; C. Blanc, L 'angélologie d'Origène, in Studia Patristica XIV, Berlin 1976, pp. 87-88. 64. Origene cita sempre il versetto secondo i LXX quando intende orientare la sua esegesi sui tema degli angeli delle nazioni (ho potuto conslatare un'unica eccezione in Ho.Ez.

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stati affidati i popoli, sono presentati talvolta in senso negativo: essi non han no rispettato i limiti prevaricando il potere assegnato loro da Dio 65 ; nella nuova economia si oppongono alla predicazione del Vangelo 66 ; per quanto sconfitti da Cristo, cercano di riportare gli uomini sotto il loro potere 6 '; talvolta, invece, in senso positivo e, in questo caso, essi sembrano confondersi con gli angeli delle chiese 61 • Per analogia a quanto avviene per gli uomini, a capo di ogni nazione ve ne sarebbero due: uno buono e l'altro malvagio. Prima dell'arrivo di Cristo gli angeli buoni avevano un potere molto limitato; l'angelo degli Egiziani, ad esempio, riusciva a convertire alla fede in Dio soltanto un proselite: «Ma ora popoli di credenti arrivano alla fede di Gesù e gli angeli, cui le chiese sono state affidate, fortificati dalla presenza del Signore, portano moiti proseliti al fine di riunire in lutta la terra la comunità dei cristiani»"'.

Ma è soprattutto sui rapporto che lega gli angeli all'uomo singolo, che si concentra la predicazione di Origene. L'idea dell'angelo custode, già tradizionale nel cristianesimo 70 , viene ripresa ed approfondi ta, rendendola uno dei terni ricorrenti delle omelie. Ad ogni uomo sono preposti due angeli, uno malvagio, che cerca di trascinarlo verso il male, ed uno buono, che cerca invece di innalzarlo al

Xlll,I, p. 441,15, ove compare l'inciso - dovuto forse alla penna di Girolamo? -: «Sive ut melius habet, secundum numerum filiorum lsraheh>). ln contesti diversi, compare pero anche la citazione secondo il testo ebraico: Ho.Ez. IV, I, p. 362,21, qui finalizzata alla dimostrazione della diffusione delle chiese (simboleggiate dai «figli») in tutta la terra. 65. Ho.Ex. Vlll,2, p. 220,15. 66. Ho.On. IX,3, p. 91,I; Ho.Ez. Xlll,I, pp. 440-441; Ho.G11. XVl,2, p. 138,11; Ho.los. XXlll,2, p. 444,5. 67. Ho.Le. XXXV, p. 200,1. 68. Ho.Nm. Xl,4, p. 84,21: «Offert ergo unusquisque angelorum primitias vel ecclesiae, vel gentis suae, quae ei dispensanda commissa est; aut forte et alii extrinsecus angeli sint, qui ex omnibus gentibus fideles quosque congregent»; e corne avviene per colui che, riuscendo a fondare una comunità in una città in cui non vi erano cristiani, ne diventa vescovo e principe, «ita etiam sancti angeli eorum, quos e diversis gentibus congregaverint et labore suo ac ministerio proficere fecerint, ipsi eorum etiam in futuro principes fiant». 69. Ho.Le. XII, p. 76,12; sulla trattazione origeniana di questo tema cfr. Daniélou, Origène cit., pp. 222-235; dello stesso, «Les sources juives de la doctrine des anges des nations chez Origène», in R.S.R. XXXVIII, 1951, pp. 132-137; le riflessioni critiche dello stesso a E. Peterson, «Le problème du nationalisme dans le christianisme des premiers siècles», in Dieu vivant, XXII, 1952, pp. 88-106, comparse in Les anges ... cit., pp. 155-169; Blanc, op. cil., pp. 88-91. 70. Daniélou, Les anges ... cit., pp. 92-93; Origene in particolare si riflai Pastore di Erma: Ho.Le. XXXV, p. 198,12; Ho.Ps.XXXV/I, 1,1, c. 1372 B.

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bene 11 • Prima della venu ta di Cristo, Je forze di costoro erano piuttosto ineguali: gli angeli - nel tentativo di contrastare le forze del male - sono paragonati ad uomini che remano contro forti venti contrari e che, ormai stanchi, non sono più in grado di raggiungere il porto. Oppure sono paragonati a medici che non riescono più, per la scarsezza delle loro forze e della Joro conoscenza, a guarire i malati della Joro città; quando questi vedono apparire un medico straordinario che sa curare le ferite più gravi, sono presi da ammirazione e Io acclamano. Allo stesso modo, gli angeli vedendo Cristo, innalzano un canto di Iode 72 • La venuta di Cristo, non soltanto ha rafforzato gli angeli che già prestavano la Joro opera in aiuto degli uomini, ma ha incoraggiato altri angeli ad aggiungersi ai primi 71 • La morte di Cristo e la sua vittoria su Ile potenze avverse ha dunque aperto una nuova era nei rapporti fra gli uomini e gli angeli: rapporti improntati dalla più grande sollecitudine ed amorevolezza: «A ciascuno di noi, anche 'ai più piccoli' che sono nella chiesa di Dio, sta vicino un angelo buono, un angelo di Dio, che ci guida, ci ammonisce, ci governa e che, al fine di correggere i nostri atti e di domandare misericordia, ogni giorno 'vede il volto del Padre che sta nei cieli' (Mt. XVIIl,10), corne il Signore dice nei Vangeli»'•.

71. Ho.Le. XXXV, p. 197,20; la domina origeniana sull'angelo custode non è priva di ombre e di problemi; per esempio: tulli gli uomini hanno un angelo custode o sohanto quelli bauezzati? La propensione verso la prima aherna1iva sembra cmcrgere da Ho.le. XII (cfr. sopra n. 69) e da Ho.le. XXXV, p. 198,12, che instaura un'analogia fra gli angeli (buoni e ca11ivi) che guidano le nazioni, e gli angeli che guidano gli individui. Da ah ri tes1i sembrerebbe invece che sohanto colui che crede sia assislito da un angelo (cfr. Ho.Nm. XX,3, p. 196,2; XXIV,3, p. 231,21; Ho.Ez. 1,7, p. 331,20). Su quesli problemi cfr. M. Simonelli, «Due noie sull'angelologia origeniana», in R.C.C.M. IV, 1962, pp. 173-174; Blanc, op. cit., p. 103: «Ici, plus qu'ailleurs peut-être, la pensée d'Origène se cherche». Comunque, prima del bauesimo - per analogia a quanto viene de110 della debolezza degli angeli delle nazioni prima dell'avvenlo di Cristo - gli angeli cuslodi, sopraffa11i dai demoni, non paiono svolgere nessun ruolo particolare (cfr. Daniélou, les anges ... cil., pp. 94-96). Ahro problema: l'angelo custode accompagna !Ulla la vi1a dcll'uomo oppure ad un cerlo punto questi si emancipa dalla custodia dell'angelo? Alcuni 1es1i (cfr. souo) sembrano soslenere che i perfelli non abbiano bisogno dell'angclo cuslOde, ahri 1csti (fra cui Ho.le. XXXV, p. 198,12) parlano di angeli che assis10110 tutti gli uomini. Si puè> pensare - sen1.a cercare di far dire ad Origene più di quanlo egli s1esso sapesse o volesse - chc l'angelo protellore svolga, nei confronti dei «piccoli», compili chc cessano quando essi raggiungono la perfezionc, ma non per questo viene ritiraia la protezione degli angeli che rimangono a fianco del santo con ahri compiti; cfr., per esempio, Ho.Nm. Xl,4, p. 83,3, in cui vengono nominali l'angelo di Paolo e quello di Pietro che assislono gli apostoli nella predicazione. Su questo punto, cfr. anche Simonetti, Due note ... cit., p. 171, n. 29. 72. Ho.le. Xlll, p. 77, l 7; Ho.ler.l. 11, 12, p. 301, 11: «S1e1cru111 mcdici sub magno medico Deo angeli volentes curare imbecillitates nostras». 73. Ho.Ez. 1,7, p. 331,15. 74. Ho.Nm. XX,3, p. 194, l I; il versello evangelico citato nel passo è veramente un

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La loro presenza è continua anche se invisibile. Nel momento in cui sta pronunciando l'omelia, Origene crede presenti nell'assemblea sia quelli che sorvegliano la chiesa nel suo insieme, sia quelli che assistono ciascuno personalmente. Se essi sentono qualche cosa di buono e di santo se ne rallegrano e pregano con i presenti: sono i nostri peccati - sostiene il predicatore - che ci impediscono di vederli7 5 • Numerose sono le funzioni attribuite agli angeli; essi scrutano incessantemente l'anima dei loro assistiti e offrono a Dio, in sacrificio di espiazione, tutto cio che di positivo trovano in essi: un pensiero degno di Dio, un insegnamento giusto, una disposizione d'animo raccolta nell'ascolto della parola di Dio, un'opera buona 16 • Essi nutrono ed accompagnano colui che affronta la vita errabonda nel deserto, simbolo del cammino progressivo verso la perfezione 11 ; offrono una particolare assistenza a colui che si pente 11 ; svolgono particolari ruoli missionari, a fianco degli apostoli 1 ' e anche da soli; si offrono in espiazione dei peccati 80 • Accanto alla descrizione dei numerosi compiti degli angeli, il predicatore non dimentica di ricordare anche i limiti dei loro poteri. Come nel caso di un nemico condannato a morte dal re, è proibito non soltanto disapprovare la condanna, ma anche mostrarsi tristi per l'uomo in questione, allo stesso modo un uomo condannato da Dio non puo spe-

tcsto chiave dell'angelologia origeniana; nelle omelie viene ripetuto spesso sia pcr definire la ricompensa ricevuta dagli angeli per il loro operato, sia per indicare ciè> che li distingue dagli uomini. Mt. XVlll,10 viene perà sempre citato senza una vera e propria spiegazione; cià è dovuto forse al fauo che il suo significa10 le11erale amme11e che gli angeli conoscano direuamente il Padre. Questo sembra essere in contraddizione con quanto Origenc afferma phi volte che sohanto il Figlio e Io Spirilo Santo conoscono il Padre, mentre gli angeli hanno in fondo una conoscenza limitata delle cose divine (cfr. sotto n. 82). Il problema rimane irrisolto anche in Ho.ls. IV ,I, p. 257,23 (commento di ls. Vl,2: la visione dei Serafini che si coprono il volto ed i piedi con le ali), perché il problema della conoscenza delle cose divine viene affrontato sopra11u110 in rapporio agli uomini: «Solus Salvaior el Spiritus sanctus, qui semper fuerunt cum Deo, vident 'faciem' (Mt. XVlll, 10) eius; ione el 'angeli' qui 'videm iugi1er faciem Patris, qui est in caelis' videm et principia negotiorum». Simoneui, Due note ... cil., pp. 178-179, vede nell'espressione «principia negotiorum» un tentativo di soluzione del problema, net senso che Origene auribuirebbe agli angeli la possibili1à di conoscere, se non proprio Dio stesso, almeno la sua azione in ordine alla crea;done del mondo. 75. Ho.Le·. XXIII, p. 146,24; Ill, p. 20,6. 76. Ho.Nm. Xl,9, p. 92,30: Xl,5, p. 86,8: Tract.Ps. LXXXI, p. 83:34: gli angeli conoscono tune le nosire azioni, anche le più segrete. 77. Ho.Nm. XVll,4, p. 163. 78. Ho.Le. XXXIV, p. 194,13; Ho.Ps. XXXVII, 1,1, c. 1372 B. 79. Cfr. sopra n. 70. 80. Ho.Nm. XXIV,I, p. 226,15; 225,23.

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rare nell'aiuto del suo angelo, perché questi non puô sollecitare per lui la riconciliazione con Dio 11 • Il potere degli angeli è, del resto, proporzionato al loro sapere; essi non possono sapere le disposizioni dell'animo degli uomini: corne funzionari e ministri di un grande re, essi sanno soltanto ciè> che è necessario per svolgere correttamente il loro compito 82 • Un aspetto che viene particolarrnente sottolineato - in linea del resto con uno dei terni preferiti dell'angelologia pagana 0 - è il ruolo degli angeli dopo la morte e net momento del giudizio. Sono essi ad accompagnare le anime nei luoghi ove esse, in base alla loro vita terrena, sono destinate"; ricevono le anime dei giusti"; «portano sulle spalle» (Nm. VIl,9) le anime dei santi e le conducono «ad locum repromissionis» 86 ; corne nutrici, portandoci sui loro seno, ci faranno passare da questo mondo a quello futuro 17 • Quando gli uomini escono dalla vita, che è una battaglia continua contro le potenze avverse al pari di quella condotta da Giosuè contro i Madianiti. «ci guarda il coro degli angeli che attende con pia preoccupazione per vedere quando ed in che modo torniamo da questa battaglia, quale bottino ciascuno di noi ha riportato; guardano premurosamente e scrutano con grande sollecitudine chi di noi ha riportato da li una maggiore quantità d'oro, chi mostra un carico di argento, chi porta pietre preziose ... » 11 •

81. Ho.Ier. Xll,l, p. 102,3; Io stesso ordine di idee, ma in un contesto diverso, finaliz· zato all'esaltazionc della bontà di Dio in Tract.Ps. LXXXI, p. 88, 177: la runzione giudicatrice spella a Dio, perché c>, «formido», «inconstantia», «pusillanimitas»; XXVl,2, p. 245,26: «fornicatio», «immunditia», «passio», ccconcupiscentia», «avaritia»; Ho.lud. 11,5, p. 479,8: «avaritia», «libido», c>; Ho.Ps. XXXVIII, 1,2, c. 1404 8: c, «avarus», cdracundus», «de1rac1or», «blasphemus»; Ho.los. Xll,3, p. 370,11: bisogna pregare per avere la forza di calpestare: «spiritum fornicationis, spiritus iracundiae e1 furoris, avaritiae daemonem, ... iactantiam, superbiae spiritum». Aitre liste in Ho.lv. 1,5, p. 288,3 (gloriae humanae concupiscentia, cupiditas avaritiae, invidiae ac livoris infelicitas, furentis odii et irae immanitas); flo.lv. Vll,I, p. 372,20 (iracundia, cupiditas e1 avaritia, obscena concupiscentia, formido, vana suspicio, invidia, livor). Ibid. XVl,6, p. 503,IS: ciascuno consideri se stesso e veda corne la sua carne «nunc spiritu fornicationis, nunc irae et furoris urgetur, nunc avaritiae iaculis agitatur, nunc telis pulsatur invidiae, nunc spiculis libidinis terebratur et in quibuscumque ... internis proeliis semper agitatur». Ho.On. XVl,4, p. 141,8: soffre «fame» di Dio colui che è «avaritiae vinculis strictus aut luxuriae effusione resolutus»; Ibid. XIll,4, p. 119,27: «libido», ccavaritia», «ira», «superbia», «empietas»; Ho.Re.l. 1,4, p. 5,25: «avaritia», «gloria saeculi». Per l'influenza che queste liste avrebbero avuto sull'elaborazionc della 1coria monastica degli otto peccati capitali, cfr. 1. Hausherr, «L'origine de la théorie orientale des huit péchés capitaux», in Or.Ch.An., XXX, 1933, pp. 164-175; L. Wrzol, «Die Hauptsündenlehre des Johannes Cassianus und ihre historischen Quellen», in D. Th., I, 1923, pp. 385-404; Il, 1924, pp. 8491; Stelzenberger, op. cit., p. 393, ritiene erroneamente che in De Pr. 111,2,2, Origene enumererebbe gli ouo peccati. Dalle liste presenti nelle omelie non mi sembra ehe si possa dedurre uno schema preciso; alcuni pcccati sono nominati piil frequentemente di altri l'avidità, la libidinc, l'ira - , ma non emerge l'esistenza di uno schema fisso.

179 latria 5 , trova una grande risonanza nel modo di sentire di Origene. La risposta degli lsraeliti all'appello del Signore (cfr. Ier. IIl,22) dovrebbe essere quella di ogni cristiano che promette di appartenere soltanto a Dio e di non riconoscere corne dio, né il proprio ventre (Phil. IIl,19), né il denaro, né «la cupidigia che è idolatria» 6 • Fra i regni e le nazioni che devono essere sradicati (Ier. 1, 10) e che simboleggiano i peccati, viene nominato quello dell'avidità ( 1TÀE011e~{c:rs) e del furto ( Ôt1ToCTrep~CTEwt) che sono peccati dello stesso genere 7 • Il corrispettivo latino del termine 1TÀeo11e~[a è avaritia': fra i moiti mali dell'anima l'avidità è il peggiore 9 ; se si mettessero sulla bilancia, da una parte, l'amore di Dio e, dall'altra, le passioni, c'è da temere che in moiti, siano queste ultime - la cupidigia e l'avidità - a far pendere la bilancia a proprio favore 10 • Un aspetto della cupidigia, corne smania di aumentare sempre più ricchezze ed onori mondani, è che essa finisce per invadere totalmente i pensieri e le azioni dell'individuo. Gli Egiziani sommersi dai flutti del Mar Rosso sono simbolo di coloro che sono divorati dall'avidità: «Anche oggi la terra (cfr. Ex. XV, 12) divora gli empi. Non ti sembra che è divorato dalla terra coluî che pensa sempre alla terra, che compîe sempre azîoni terrene, che parla della terra, che litiga per la terra, che desidera la terra e ripone ogni sua speranza nella terra, che non guarda alle cose celesti, che non pensa al futuro, non terne il giudizio divino, né desidera la beatitudine promessa, ma che sempre pensa alle cose contingenti e desidera le cose terrene'? » ".

5. Col. 111,S; E/. V,5. 6. Ho.Ier. V,2, p. 33, J. 7. Ibid. 1,14, p. 12,21. 8. Ho.l v. XIV ,2, p. 481, 7, Rufino rende il 1ermine 7rÀfo1.fxTJ1s chc compare in I Cor. Vl,9; Eph. V,5; Col. 111,6 con «avarus»: «Inter avaros, quos alibi dicit idolis servientcs», oppure con «rapax»: Ibid. IV,4, p. 320,12. Una 1raduzione simile anche in Girolamo; egli rende 7rÀE011E~Îr. l, PL XXV, c. 594 C). Nelle omelie non trova invccc nessuna eco l'affcrmazione di I Tim. VI, 10 «la radice di 1ut1i i mali è l'avarizia (.p1ll.ap-yvp(a)»; nell'unico pas;o in cui tale frasc \•iene commcntata (Co.Mt. Xl,9, p. 50,IS), Origene tradisce un ccrio imbarazzo di fronte all'affermazione recisa dell'apostolo: la .p1ll.ap-y11pla è ciô che ha spimo Giuda a tradire Gesù; in questo senso «forse» (Taxa) si puô dire che l'«at1accamen10 al denaro» puo cssere definito radice di tutti i mali. 9. Ho.Nm. XXll,12, p. 272,18. 10. Ho.lud. 11,3, p. 476,11. 11. Ho.Ex. Vl,6, p. 197, 11; per un'acuta descrizione psicologica del peccato di avaritia (qui intesa ncl senso più limitato di avidità di denaro, avarizia) che prende a poco a poco l'individuo fino a farlo diventare violenta e sanguinario, cfr. De Pr. 111,2,2.

180 Non è possibile pertanto servire contemporaneamente due padroni: Dio e mammona, Cristo e il diavolo o l'avaritia 12 • È la cupidigia corne impulso irrefrenabile verso l'accumulazione che spinge l'uomo a perdersi nelle occupazioni del secolo, a dimenticare le parole di giustizia appena udite in chiesa per impadronirsi con la frode del campo del vicino, a diventare assiduo frequentatore di tribunali, a trascinare in giudizio i parenti per rivendicare la proprietà anche di un piccolo campo 13 • Per colui che non rinuncia agli affari ed alle preoccupazioni, all'amore del denaro, al continuo affanno per le proprie ricchezze e per gli onori terreni non vi puè> essere libertà spirituale, né disponibilità verso Dio. Tutto ciè> Io rende schiavo anche di quegli uomini la cui benevolenza gli diventa necessaria: di Giovanni Crisostomo, L'Aquila 1973, pp. 59-68.

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modo approfondito sull'accettabilità etica della ricchezza nel caso in cui essa si trovasse concentrata in mani cristiane e se ne facesse un uso corretto. Del resto, quando Io stesso Origene si rivolge direttamente al ricco mecenate Ambrogio esortandolo al martirio, le sue considerazioni sulla ricchezza e sui suoi esiti ultraterreni acquistano sfumature diverse dall'intransigenza mostrata nelle omelie 33 , in cui la prospettiva presentata pare soltanto quella fra essere ricchi in questo mondo e perduti nell'altro e essere poveri in questa vita e salvi nell'altra. Inoltre, non sarebbero certo mancati ad Origene gli strumenti culturali, influenzati soprattutto dall'etica stoica, per un discorso più approfondito e sfumato in tema di ricchezza e di povertà 30 • Siamo di fronte ad un altro caso di autocensura dell'intellettuale che parla ai semplici; nel commenta a Ps. IV, 7 Origene accenna agli aHE~ paiot rwv rE1ru1nuxO'rwv 35 i quali credono che la felicità materiale sia un bene; trovandosi davanti proprio a costoro, Origene preferisce evitare la difficoltà ed il pericolo di fraintendimenti insiti in una discussione approfondita sulla vera natura dei beni e dei mali. Egli orienta la sua predicazione principalmente verso due direzioni. In primo luogo cerca 33. Ex.Mari. 14, p. 14,5: se Ambrogio subisse il martirio, egli acquisterebbc agli occhi di Dio meriti particolari, perché, essendo molto ricco, il suo sacrificio della vita per Cristo è molto più grande. Lo stesso Origene ammeue che, se si trovasse nella condizione di martire, vorrebbe anche lui essere ricco e padrc di moiti figli (sullo sfondo di questa rrase vi è Mt. XIX,27-29) per meritare una ricompensa più grande. Cfr. su questo punto L. W. Countryman, The rich Christian in the Church of the eurly Empire. Contradictions und ucc:omodutions, New York 1980, pp. 139-140. crr. anche Co.Mt. XV ,20, p. 405,8, in cui Origene (a proposito di Mt. XIX,23) sottolinea corne Gesù abbia definito l'entrata del ricco nel regno dei cieli «difficile», ma non impossibile. 34. Mi riferisco a Phil. 26, p. 231; qui Origene conduce una critica approfondita di tre diverse interpretazioni di cio che sono i mali ed i beni: 1) l'interpretazione epicurea (i beni ed i mali non dipendono dalla nostra libera scella e l'unico bene è il piacere e l'unico male è la sofferenza); 2) l'interpretazione stoica (i beni ed i mali dipendono dalla nostra libera scella e corrispondono rispettivamente alla virtù cd al vizio); 3) l'interpretazione peripatetica (vi sono tre tipi di mali e di beni: quelli relativi all'anima, al corpo ed esterni; i primi sono rispettivamente i vizi e le virtù, i secondi la malattia e la salute, i terzi la ricchezza, una nascita illustre, la gloria ed il loro contrario). Origene prende decisamente posizione per l'interpretazione stoica, ma discute a lungo anche la terza posizione che viene accolta nella chiesa «dai semplici e dagli eretici» (Phil. 26,4, p. 235,28). Il seguito dell'argomentazione è tull'l concentrato sulla dimostrazione che i beni relativi al corpo ed esterni non possono essere considerati corne premi perla virtù. Come dunque - secondo la prospettiva di Origene - dovrebbero essere considerati? ln questo passo non Io dice; è probabile tuttavia che, in quanto circostanze indipendenti dalla volontà del singolo, essi potessero essere considerati degli lxtmf.popa, riprendendo anche in questo caso la posizione stoica (cfr. C.Ce/. IV,45 e sopra cap. IV, n. 112), corne, del resto, Origene fa esplicitamente in Co.Rom. IV,9, c. 995 B annoverando la ricchezza fra le cose «medie» e c che riguarda il precetto evangelico; eppure nell'imbarazzo ammesso davanti ai suoi ascoltatori, accanto alla modestia e all'artificio retorico, possiamo forse cogliere un accento di verità: la consapevolezza, cioè, che, agli occhi del suo pubblico, anche la sua situazione non era del tutto priva di contraddizioni: quelle che nascevano dal voler essere fino in fondo «discepolo» di Cristo e intellettuale, con ciè> che una tale condizione implicava di privilegio e di utilizzazione concreta di risorse economiche a disposizione. Lui che esortava i suoi fedeli a non fare affidamento per il proprio benessere su nessuno dei potenti della terra, non godeva forse della protezione del ricco e potente Ambrogio? 46 Non era questi che gli aveva messo a disposizione copisti e tachigrafi e tutto ciè> che era necessario per il suo lavoro? Queste ricchezze non avrebbero potuto essere utilizzate nel soccorso dei poveri? Abbiamo già visto del resto che l'accettazione da parte della comunità di coloro che - in modo apparentemente del tutto improduttivo - dedicavano la loro vita esclusivamente allo studio non era del tutto priva di difficoltà e di tensioni 47 • 2. La morale sessuale Strettamente collegata con la 71'ÀEovEUa è la 7ropvEfo: bisogna guardarsi - esorta il predicatore - dalla cupidigia anche nelle forme più insignificanti, perché ad essa è unito il peccato della concupiscenza ••. Negli organi genitali dell'uomo e della donna - che la Scrittura indica rispettivamente, «sermone honestiore», con i nomi di «lombi» e «ombelico» - risiede praecipue la potenza del demonio e da essi procedono «la fornicazione, gli adulteri, la corruzione dei fanciulli ed ogni altro ge-

45. H.E. Vl,3,10, p. 528,1. 46. Cosi Origene commenta Ier. XVll,5: «Queste parole sono dette anche per coloro che sperano nelle persone potenli (dicendo): il raie mio amico è centurione, è governatore, il tale mio arnica è ricco e mi fa elargizioni; ebbene è anche conrro qucsta gente che è detto: 'maledetto colui che pone la sua speranza in un uomo'» (Ho.Ier. XV,6, p. 131,3); Idem anche in Tract.Ps. CVJJ, p. 208,213. 47. Cfr. passo citato per intero in cap. lll.4.d, n. 139. 48. Frg. I Cor. V,9-11, p. 366,24.

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nere di sporcizia» 09 • Colui che si macchia di tali peccati non soltanto è «carnale», ma peggio di «carnale»'° ed il castigo che attende fornicatori ed adulteri è molto peggiore della geenna". Se infatti il corpo è «tempio di Dio» (/Cor. IIl,16), la fornicazione diventa profanazione di questo tempio: che cosa infatti vi è di più esecrabile del violare il «tempio di Dio», «di prendere 'le membra di Cristo' (/Cor. VI, 15) e di farne membra di una prostituta?» 52 • Il peccato di 7ropPEÛ~ diventa, nell'ottica origeniana, la metafora di ogni peccato: se l'anima pura è sposa di Cristo, ogni peccato puè> essere compreso nella chiave di una «generalis fornicatio»B, cioè corne adulterio dell'anima che abbandona il suo sposo per unirsi ai demoni dei peccati. Data la gravità del peccato di fornicazione, colui che raggiunge la castità ha meriti più grandi: la fuga dallo «spiritus fornicationis» ottiene la salvezzaH; la battaglia per la continenza e l'astinenza conferisce all'uomo vittorioso il titolo di «vir virtutis» 55 • Senza insistere molto su questo punto, il predicatore non manca di proporre alcuni esempi di castità: in primo luogo Cristo - «hoc solum de humanis actibus nescientem» - ma anche Giovanni Battista, Geremia' 6 • D'altra parte, la concupiscenza che è ail' origine di ogni peccato sessuale è, in un certo senso, necessaria perché senza di essa è impossibile provvedere alla procreazione". Quai è allora il confine che separa l'atto sessuale legittimo, in quanto necessario, da quello che non Io è più? Quale atteggiamento deve avere il cristiano di fronte al matrimonio ed alla verginità? Prima di esporre corne Origene, asceta rigoroso, ha affrontato una materia cosi delicata nelle vesti di predicatore ai semplici, bisogna cercare di capire quale fosse la sua lettura - relativamente a questi problemi della situazione ecclesiale in cui si trovava immerso. La chiesa, dice Ori-

49. Ho.Ps. XXXVII, 11,6, c. 1379 A. 50. Frg. I Cor. 111,3-5, p. 242, I; Ho.l v. 111,3, p. 304, 15: colui che si dedica alla fornicazione è corne un cadavere a contano del qualc si diventa immondi. 51. Ho.Ier. XIX,15, p. 175,21; Ho.lv. IX,7, p. 430,25: «Cumque corpus non Domino sed fornicationi tradimus quid aliud nisi totum corpus tradimus 'in gehennam'»? 52. Ho.Nm. XX,2, p. 187,41. 53. Ibid., p. 187,3. 54. Ho.los. Vlll,6, p. 341,12. 55. Ho.Nm. XXIV,11, p. 240,11. 56. Ho.lv. IX,2, p. 420,23; 111,5, p. 309,16; Ho.le. XI, p. 68 sgg.; Ho.Ier. XX,7, p. 189,1. 57. Ho.Gn. 11,6, p. 38,15.

190 gene, «tamquam virgo sponsa Christi, castis et pudicis virginibus floret in quibus vera circumcisio carnis praeputii facta est et vere testamentum Dei et testamentum aeternum in eorum carne servatur» 58 • La loro scelta di castità è motivo di gloria perla chiesa, tuttavia non si puè> dire altrettanto dell'interpretazione che alcuni danno della verginità in se stessa; alcuni ritengono, infatti, che il celibe, soltanto per questo, possegga qualche cosa in più dello sposato, che viene perciè> considerato in qualche modo inferiore. Come la povertà, anche la castità è un segno che non vale per se stesso: «Anche i marcioniti infatti praticano il celibato e la castità, ma non nello stesso modo di coloro che appartengono alla chiesa; questi Io fanno per riuscire graditi al Dio che ha creato il mondo, quelli per non collaborare con il dio del cosmo»,..

1 marcioniti utilizzano le parole di Paolo ai Corinzi (/Cor. VII, 7) «Vorrei che tutti gli uomini fossero con me» - per proibire il matrimonio, affermando che la castità è un «comando» di quell'altro dio che si sono inventati oltre al demiurgo• 0 •

58. Ho.Gn. 111,6, p. 47,8; corne ha fatto giustameme notare Crouzel, Virgir•ité ... cil., p. 25, il termine «virginibus» non si riferisce soltanto alle donne ma anche agli uomini, corne è indicato dal possessivo «eorum» al maschile. Egli propone pertanto, per dare chiarezza al passo, di souintendere davanti a« virginibus» a11imis che ingloba sia il maschile, sia il femminile. A me sembra, più semplicemente che «virginibus» stia pcr rrirp1?(1,oi1 che, secondo l'uso neotestamentario (cfr. Ap. XIV,4). puo essere anche usato al maschile. Un passo che presenta tale bivalenza del termine «virgines» mi parc essere quello di Ho.Nm. Xl,3, p. 82,6. Tra i fruui del proprio lavoro che un doctor ecclesiae puo offrire a Dio, egli ne trova qualcuno chc puè> essere offerto corne« primizia»: « Jnvenit et quos pro primogenitis et alios pro decimis .... possunt fortasse primogeniti illi viri dici, de quibus scriptum est quia 'cum mulieribus se non coinquinaverunt, virgines autem permanserunt' (Ap. XJV,4). aui etiam de manyribus potest dictum videri. Et 'primitiae' nihilominus possunt intelligi ecclesiae 'virgines'; 'dccimae' quoque hi, qui post coniugium continentcr et caste vixerim». Sono dunque «virgines» i primogeniti, cioè gli uomini rimasti puri, masono anche« virgines» le« primizie» che qui non possono chc indicare le donne. Per quanto riguarda l'esistenza nella chiesa di Origenc di uomini e donne che avevano scelto di rimanere vergini, cfr. Ho.Gn. XI, I, p. 101,22; Ho.1er. XX, 7, p. 188,25; tra qucsti vc ne erano alcuni che, dopo anni ed anni di continenza, venivano sopraffaui dalle tentazioni della carne: Ho.le. XXXVIII, p. 214,24. 59. Frg. I Cor. VII, 18-20, p. 507 ,38; Origene toma spesso su ciè> che puè> essere definita la «castitas diaboli»: cfr. Ho.Ez. Vll,3, p. 393,10: « ... est quacdam castitas diaboli, id est decipulae humanae animae, ut per istiusmodi castitatcm et mansuetudinem ci iustitiam possit facilius capere el falsis sermonibus irretire»; Ho.Gn. X,4, p. 98,8: colui che è casto nel corpo, puè> aver perduto la castità dell'anima perché ha avuto rapporti con quel pessimo sposo che è il diavolo; Ho.L v. 1,5, p. 288,8: le vergini che non poterono panccipare aile nozze (cfr. Mt. XXV,!) dimostrano che la sola continenza della carne non puè> arrivare all'altare del Signore, se è sprovvista delle aitre virtù. 60. Frg. I Cor. V/1,5, p. 503,45.

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La trasformazione di ciè> che Paolo(/ Cor. Vll,6) presenta corne una «concessione» in un vero e proprio «comando» non è un errore solranto degli eretici, ma anche di alcuni cristiani le cui tendenze rigoristiche arrivano a travisare il testo sacro, soprattutto in relazione al problema delle seconde nozze: «Alcuni di noi insegnano cose che vanno oltre cià che è scritto e, ritenendo di fare qualche cosa - malgrado si debba esortare a non risposarsi senza 'tendere lacci' (/Cor. VII,35) a coloro che non ne sono capaci - , non si componano cosi, ma Io impongono corne una necessità, non vogliono né introdurre i risposati, né avere comunione con loro, corne se essi avessero peccato, e non rispettano le parole dell'apostolo»• 1 •

Da un passo delle Omelie su Geremia veniamo a conoscenza che le idee di questi maestri avevano incontrato un certo seguito: « Vi sono alcuni che praticano la verginità e la purezza ed altri che non si risposano perché credono che colui che si sposa e colui che si sposa una seconda volta è perduto. Giudichiamo da noi stessi che cosa giova alla donna che non si risposa: essere ingannata e pensare, al fine di non risposarsi e di mantenersi cas ta, che colei che si risposa viene punita e consegnata al fuoco eterno, oppure venire a conoscere la verità e risposarsi?»''.

Poiché è convinto che chi si risposa è destinato ad una salvezza di grado inferiore, Origene conclude dicendo che sarebbe meglio per la donna venire ingannata. Questo brano è inserito in uno sviluppo più ampio riservato all'utilità che puè> avere in certi casi il mentire. Su tale argomento tornerè> più avanti; ciè> che mi interessa notare è che qui Origene sembra in qualche modo ammettere l'utilità di una certa complicità con coloro che di fatto propagandano queste idee. Se guardiamo ai fatti, tuttavia, la contraddizione con il passo precedente sulla Lettera ai Cori11zi, è più apparente che reale: qui corne là il predicatore dichiara apertamente la verità e, anche se in teoria contempla la possibilità dell'inganno, in pratica è proprio davanti ad un pubblico, cioè aile possibili vittime della menzogna, che Io svela e Io analizza, anche se è perfettamente consapevole di toccare un tasto delicato in grado di urtare la sensibilità di mo1ti• 1 • Accanto a queste forme di rigorismo il cui confine con l'eresia era

61. Frg. I Cor. Vl/,8-12, p. 503,1. 62. Ho.Ier. XX,4, p. 182,21. 63. Ibid., p. 182,20: «Voglio correre un rischio e farvi un esempio di inganno u1ile».

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piuttosto incerto, il predicatore aveva di fronte anche l'estremo opposto: «Orasi vedono nella chiesa seconde, terze, quarte nozze, per tacere di quelle più numerose» 64 • All'interno dei rapporti coniugali, sono soprattutto le donne a meritarsi i rimproveri più cocenti: di fronte alla libidine che spinge le donne ad avere rapporti coniugali non soltanto a fini procreativi, impallidisce anche l'incesto delle figlie di Lot: «lnvece alcune donne - infatti non le rimproveriamo tulle allo stesso modo sono corne animali, senza discrezione alcuna obbediscono senza sosta alla libidine e non le paragonerei nemmeno aile pecore che sono prive di parola. Anche le pecore dopo aver concepito sono capaci di astenersi da ulteriori accoppiamenti»•'.

Talvolta la misoginia 66 origeniana ha, su questo argomento, esiti di un'ironia feroce, corne accade ad esempio nel commento all'episodio delle donne moabite di Nm. XXV,6 sgg.: «Orrore! A stento la libidine viene tenuta a freno dalla minaccia delle leggi, a stento viene repressa con il terrore della spada! Quale crimine non è in grado di perpetrare una donna quando crede con il proprio delitto di riuscire gradita al re e di salvare la patria! »".

Tra le tendenze opposte di un eccessivo rigorismo non privo di pericoli per l'ortodossia ed un lassismo morale piuttosto generalizzato, il predicatore si sforza di dare indicazioni concrete ispirate dalla moderazione: tutta l' argomentazione delle omelie sui capitolo settimo della Lettera ai Corinzi - almeno per quanto possiamo giudicare dai frammenti rimastici - appare tesa a cercare il punto di equilibrio ottimale fra la duplice esigenza di valorizzare sia il matrimonio, sia la verginità. Tale esigenza viene, anzi, attribuita allo stesso apostolo; egli - secondo la presentazione di Origene - non prolunga il discorso sulla verginità a scapito di quello sui matrimonio e, viceversa, non dà rilievo a quello sui matrimonio trascurando quello sulla verginità, ma cerca di mantenere una certa armonia nella trattazione 68 • Il concetto con cui Origene intende mantenere il giusto mezzo in que-

64. Ho.Le. XVII, p. 109, 18. 65. Ho.Gn. V,4, p. 62,16; per il con1es10 cfr. sopra cap. IV.4.a. 66. Cfr. su ques10 punio Harnack, Der kirchengeschichtliche Ertrag ... cil., TU 42,3, p. 61-63; TU 42,4, pp. 120-121; Crouzel, Virginité ... cit., pp. 135 sgg. 67. Ho.Nin. XX,I, p. 186,19. 68. Frg. I Cor. V//,/-4, p. 500,15.

193 sta delicata questione è quello del matrimonio e della castità corne cose «indifferenti» nei confronti della salvezza. Sotto questo aspetto, né il primo porta necessariamente alla perdizione, né la seconda alla salvezza: l'uomo sposato che compie «le opere del matrimonio con ordine ed al momento opportuno» e si comporta rettamente anche nel resto, è irreprensibile corne l'uomo casto 69 • Ma che cosa significa esattamente comportarsi nel matrimonio T~~f:t c5è xa1 xaipé[J? Per Origene, l'etica matrimoniale si riduce quasi esclusivamente ad un'etica sessuale; questa consiste essenzialmente nel ricorrere ai rapporti coniugali soltanto in vista della procreazione: «Se uno ( ... ) non supera i limiti stabiliti dalle leggi (naturali) e non conosce ait ra donna oltre la moglie e si unisce a lei nel tempo stabilito e permesso soltanto per procreare, di lui si deve dire che è circonciso nel prepuzio della carne» ' 0 •

Tuttavia al di fuori della trattazione cosi programmaticamente moderata di cui Origene fa mostra nel commento dell' Epistola paolina, quando - nell'improvvisazione del discorso o sui filo di un'associazione di idee o di immagini bibliche - gli capita di tornare sull'argomento, sembra che la legittimità dei rapporti sessuali, anche con le dovute limitazioni, venga posta in qualche modo in discussione. Essi, per esempio, sono definiti «inverecunda coniugii negotia» 11 ; durante il loro svolgimento manca agli sposi la presenza dello Spirito santo, anche se è un profeta ad adempiere al compito della procreazione12. Di qui l'esortazione - che, anzi, Origene trasforma in precetto - di sospendere temporaneamente i rapporti coniugali durante il periodo dedicato alla preghiera e prima e dopo I' Eucarestia 7l. È soprattutto nella spiegazione dei tre passi scritturistici di Ez. 1,27 (la visione del personaggio che dalle reni in giù era corne di fuoco), lob. XIV ,4-5 ( « Nessuno è mondo da impurità, anche se la sua vita è di un sol giorno»), Ps. L,7 («Sono stato concepito nell'iniquità, nel peccato mia madre mi ha generato»), che emerge con più chiarezza l'idea di una specifica impurità relativa alla sfera sessuale 74 • Non mi soffermo su questo

69. 70. 71. 72. 73. 74.

Frg. I Cor. VIl,18-20, p. 507,34. Ho.Gn. 111,6, p. 46,27; V,4, p. 62,26. Ho.On. V,5, p. 62,26. Ho.Nm. Vl,3, p. 35,15. Frg. I Cor. V/1,5, p. 501,l; Ho.Ez. IX,5, p. 415,20. Ho.Ez. 1,3, p. 323,30 (frg. greco): «... 't'11a 611'>.~ITfl• t(r, ot /,, "(f"",/at1

T11-n;&'11011TH

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aspetto che è stato già minutamente studiato da altriH; cià che interessa qui rilevare è corne la predicazione origeniana su questo punto non sia priva di ombre e resistenze che sono altrettante spie delle sollecitazioni diverse e contrastanti cui Origene si sentiva sottoposto - in quanto doctor ecclesiae e in quanto uomo che aveva fatto in materia scelte precise - nel trattare questo argomento di fronte ad un pubblico di principiami nella fede.

o1T01 Ôf~l'Tm '7rvptlî'. "01111>).ç• i'&P ')'Ev1nf11Ews ai1'µ1:Jo>i.01•»; 1r. di Girolamo (1,20): «UI demonstret eos, qui in generatione versantur, 'igne' indigere; 'renis' quippe coi1us significatio est». Soltanto la traduzione latina continua ripetendo la frase di Ez. l,27 con il commento: «generationis enim e1 libidinis opera gchcnnac suppliciis corripiuntur». Ho.Ier. Xl,5, p. 83, 15 (a proposito sempre di Ez. 1,27): «7r&vra i''èr.P r?r l1• ')'fl'tot1 '!t.Pfitu rov .rn· Oapu(ov roio &7ro TOî! 7rvpoç, 7rcfna rà l1• î'fl'f~u xP6tf1 "is "o>i.&'11fwç»; Ho.Lv. Xll,4, p. 460, l I: «Omnis qui ingrcdi1ur hune mundum in quadam contaminalionc cffici dicitur ... Hoc ipsum ergo, quod in vulva marris es1 positus et quod materiam corporis ab origine patcrni seminis sumit, in paire el in matre contaminatus dici potest»; Ho.Li•. VIII, 1-4, pp. 393 sgg.: cfr. sotto n. 76. Problemi particolari sono posti a Ho.Le. XIV, p. 35, li; qui Origene si chiede che senso possa avere la frase di ü-. 11,22 (« quando venne il tempo della loro purificazione») rifcrita a Gesù; come è possibile infatti chc Gesu sia s1a10 toccata da «aliqua sorde» e fosse immondo? Viene citato in proposito lob. XIV,4 cd i problemi posli dal battcsimo dato ai bambini. Origene ra una distinzione fra «sordes» e «peccata», concludendo il passo con la rinessione: «Ûmnis anima, quac humano corpore fuerit induta, habe1 sordes suas». Nel caso di Gcsu non si puô pensare che sullo sfondo della «sordes», contratta con la nascita, vi sia l'atto sessuale c neppure che vi sia un'allusione alla preesistenza delle anime, la cui incorporazione è comunque frutto di una cadu1a originaria. È infatti opinione di Origene che l'anima di Cris10 abbia aderito al corpo in base ad un atto di volonlà e non al peccato. È possibilc che qui la polcmica amidocetista abbia preso un po' la mano al prcdicatore che di fronte a Le. 11,22 non si lascia sfuggire l'occasione di dimostrare corne Cristo abbia assunto proprio questa carne (ma cfr. anche Ho.Lv. XIV, p. 86,3: «Lit autem scias lesum quoque sordidatum propria voluntatc, quia pro salute nostra humanum corpus assumpserat, Zachariam prophetam ausculta dicentem: 'Jesus crat indutus vestibus sordidis' (Zach. 111,3)». Cfr. su questo punto l'intcrpretazione di G. Sfameni Gasparro, Le 'sordes (lrhupos)', il rapporto 'ge11esislpl11horà' e le motivazio11i protologiche dell"e11krateia' i11 Origene, in Origene. Stucli di u111ropologia e di sroria della tradizione, Roma 1984, pp. 251-252: non si tratterebbe qui di una contaminazione dal punto di vista soggettivo di colui che indossa i «vestimenta sordida», ma si tratterebbe di un'impurità proveniente dal contatto con la corporeità in quanto tale; essa ha implicito in sé il carattere secondario della creazione dei corpi, rispetto a qucllo primario delle creature razionali, ed è, dunque, inreriore nell'ordine del valore c dcll'intenzionalità divina. 75. Cfr. Crouzel, Virginité ... cit., pp. 50 sgg., Sfameni Gasparro, op. cit., pp. 193-252 e della stessa, Enkrateia e antropo/ogia, Roma 1984, pp. 184-202. Relativamente all'intcrpretazione della posizione origeniana sull'origine e sulle caratteristiche delle sordes, i due studi divergono notevolmente. Per il primo, la sordes è conncssa principalmente all'atto sessuale che è impuro in quanto segno del peccato originario e in quanto modo secondo cui tale peccato si tramanda da una generazione all'altra (cfr. in particolare p. 53). Vi è inoltre un'impurità che non è legata alla carne in quanto tale, ma deriva dal fatto che essa, a causa dell'egoismo umano, pl!Ô ostacolare e impedire il rapporta con Dio (pp. 63-64). Il seconda colloca il concetto di sordes nel quadro piu ampio dell'influenza del platonismo sui pensiero dell' Alcssandrino a proposito della realtà corporale, frutto di una «crcazione seconda» e percio stesso impuro e soggetto alla corruzione.

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In quanto maestro egli ritiene di non potere affrontare una spiegazione approfondi ta su tali problemi; un passo delle Omelie sui Levitico è particolarmente esplicito su questo punto. Qui Origene commenta Lv. XIl,2 («Ogni donna che ha ricevuto nel suo grembo il seme ed ha partorito un maschio sarà immonda per selle giorni»), sottolineando corne l'impurità venga presentata dal legislatore inerente aile due azioni - ricevere il seme e partorire - con l'unica eccezione misteriosa («exceptionem mysticam») di Maria che, sola fra le donne, ha partorito senza ricevere il seme. Ma perché - si chiede ad un certo punto il predicatore la donna è definila immonda, non sollanto per aver ricevuto il seme, ma anche quando partorisce, quando cioè «in hoc mundo nascentibus ministerium praebet »? «A proposito di questo io non oso dire nulla: penso tuttavia che in queste parole siano contenuti dei misteri nascosti e vi sia un qualche segreto misterioso» 1 •.

Lo stesso mistero aleggia nelle parole di Giobbe (XIV ,4), in quelle di Geremia che maledice il giorno della sua nascita (I,5) 77 , nell'esclamazione di Ps. L, 7, nel fatto che i santi non festeggiano mai il loro giorno natale; un mistero che rende necessario il battesimo dei bambini e di cui il predicatore non avanza alcuna soluzione. Gli «occulta mysteria», il «secretum» cui qui si allude non puô essere che l'idea della preesistenza delle anime e della loro incorporazione corne punizione e mezzo di purificazione del loro peccato originario. Tale idea riverbera su tullo il mondo sensibile una luce negativa ed individua soprallutlo nella sfera sessuale la sfera privilegiata in cui si intersecano i diversi, ma complementari, motivi relativi alle sordes inerenti all'atto sessuale in se stesso e corne necessario presupposto all'ingresso dell' anima nel mon do della purificazione 71 • Alla prudenza dettata dalla necessità di non scandalizzare i semplici si sovrappongono le tensioni derivanti anche dalla sensibilità specifica dell'uomo che nella predicazione si scopre più facilmente; da una parte colui che parla ha, fin da giovanissimo e nella forma più radicale, offerto in sacrificio - per esprimerci con le sue stesse parole - «il giovane

76. Ho.Lv. Vlll.3, p. 396,15. 77. Il profeta non avrebbe pronuncia10 ciè> «ni~i secre1um quid cominerel et ingemibus mysteriis plenum» (Ibid .• p. 397,7). 78. Sfameni Ga~parro, Le sor che gli preme notando che, nel racconto evangelico, la profezia di Simone precede quella di Anna: «Quale mirabile ordine! La donna non viene prima dell'uomo, ma viene per primo Simeone che prende il fanciullo e Io tiene fra le braccia, poi viene la donna le cui parole, veramente, non sono riferite ... » 19 •

La profetessa Anna merita inoltre tale titolo per la sua castità ed i suoi lunghi digiuni: «Considerate, donne, la testimonianza resa da Anna ed imitatela! Sevi capitasse un giorno di perdere il marito, riflettete su ciè> che è scritto di lei: 'dal suo matrimonio visse sette anni con il marito' (Le. 11,36) ed il resto; per questo divenne l'rofetessa: non fu all'improvviso e per caso che Io Spirito Santo albergè> in essa. E un bene, in primo luogo, se se ne è in grado, mantenere la grazia della verginità, ma se non si è potuto e capita di perdere il marito, si resti vedove!»' 0 •

Il predicatore continua poi esponendo l'idea piuttosto singolare•• che, sarebbe bene - ancora vivente il marito - prepararsi spiritualmente ad un'eventuale vedovanza, affinché, nel caso si dovesse verificare la circostanza, si sia pronte a rimanere caste e vedove. Un'altra delicata figura femminile in cui castità, modestia e profezia vanno di pari passo è quella di Elisabetta. Malgrado questa avesse concepito «ad sermonem angeli et dispensationem Dei» 92 , si vergognava di mostrare in pubblico il suo stato, perché ormai era in età avanzata, in un'età, cioè, in cui l'atto sessuale - precisa il predicatore - non è più permesso. Soltanto dopo cinque mesi e dopo l'incontro con Maria essa osa mostrarsi in pubblico e profetare. Colei che perè> riassume tutte le virtù femminili è Maria: aile virtù che i greci avevano maggiormente esaltato - la «iustitia», la «temperantia», la «fortitudo», la «sapientia» - essa aggiunge l'«humilitas», la «mansuetudo», la «virtus deiectionis» 91 • Maria è una donna che ha conservato la verginità, non soltanto durante il concepimento miracoloso di Gesù, ma anche in seguito, durante il resto della sua vitau. È inoltre talmente radicata in Origene l'idea che non vi possa essere santità

89. 90. 91. 92. 93. 94.

Ho.le. XVII, p. 108,10. Ibid., p. 108,24. Ripctuta in frg. I Cor. V//,8-12, p. 504,35. Ho.Le. VI, p. 32,22. Ho.le. VIII, p. 51,11.

Ibid. VII, p. 44, 7; XI V, p. 90,9.

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senza una lettura ed una riflessione continua della Scrittura, che anche a Maria viene attribuita la «scientia legis» e la «quotidiana meditazione» degli scritti dei profeti". Sotto tutti gli aspetti, Maria, con Elisabetta, è dunque un modello da imitare per tulle le donne: «E corne il peccato comincio dalla donna per arrivare in seguito all'uomo, allo stesso modo l'inizio della salvezza prese origine dalle donne, affinché anche le aitre donne, superata la debolezza del loro sesso, imitassero la vita ed il comportamento delle sanie ed in particolare di quelle di cui il vangelo vi parla»••.

Castità e sottomissione sembrano il denominatore comune di questi modelli di castità al femminile; ma se la prima non è una prerogativa esclusiva delle donne, la seconda - nelle intenzioni del predicatore dovrebbe diventarlo non soltanto all'interno della famiglia, ma anche all'interno della chiesa. Dalle parole del predicatore si capisce che ciè> che è in gioco non è soltanto la sottomissione domestica, ma il monopolio clericale e maschile della parola, in particolare, la questione se le donne potessero o meno avere una parte attiva nell'insegnamento e nella diffusione della nova religio. L'orizzonte più lontano della polemica origeniana è il montanismo con i suoi fenomeni di profetismo femminile 97 , tuttavia il discorso di Origene sembra avere di mira un fenomeno più generalizzato ed insieme di più stringente attualità. ln questo contesto si capisce il riferimento alle vedove che, componenti ormai istituzionali della chiesa, aspirano a svolgere compiti che, secondo il predicatore, non spettano ad esse: insegnare, cioè, qualcosa d'altro oltre che la castità alle fanciulle: «docere enim mulieri non permitto neque principari viro» dice Origene riecheggiando Paolo(/ Tim. Il, 12), e aggiunge: «indecens quippe est ut mulier magistra viri fiat»" 8 • Il fatto che Giosué (los. I, 14) lasci le donne ed i bambini oltre il Giordano e porti con sé soltanto gli uomini per conquistare la terra promessa viene cosi interpretato:

95. Ibie/. VI, p. 37,21. 96. Ibid. VIII, p. 47,6; sulla mariologia di Origene cfr. Crouzel, SC 87, ci1., pp. 11-64. 97. li montanismo ê esplicilamenre preso di mira in frg. I Cor. X/V,34-35, pp. 41-42;

un'allusione crilica al proferismo femminile montanisra si lro\'a anche nel passo già ci1a10 a proposiro della proferessa Anna ove Origene riene a precisare che «neque ur liber el for· ruiro Spirirus sancms habi1avi1 in ea» (p. 109, I); sui passi origeniani sui momanismo, cfr. P. H. M. Labriolle, «'Mulieres 1acean1 in ecclesia'. Un aspecr de la lune an1imon1anis1e», in 8.A.L.A.C., I, 1911, pp. 108-111. 98. Ho. ls. Vl,3, p. 273, l 5.

200 « L' Apostolo dice: 'la donna è un vaso fragile' (/Pt. III, 7). Ne consegue che 'un

vaso fragile' non va in battaglia, per non essere spezzato e distrutto .... Poiché dunque si ordina che le donne vengano istruite a casa dai loro uomini (/ Cor. XIV,35) e sono poste nella condizione di discepoli più che di maestri, non puo venire in mio aiuto chi non è in grado di insegnare e di cui non vi è nulla che io debba imitare o sapere» ...

Le parole di Paolo: «È sconveniente che una donna parli nell'assemblea» (/Cor. XIV,35) vengono amplificate da Origene: «Qualsiasi cosa dica, anche se parla di cose mirabili e sante (è sconveniente), per il solo fatto che proviene dalla bocca di una donna»' 00 •

L'indicazione di Paolo che ordina aile donne di interrogare i loro mariti, viene adattata anche aile « vergini ed aile vedove» che dovranno rivolgersi al rratello, al figlio o ad un uomo appartenente alla propria famiglia 101 • Degli altri rapporti familiari, corne quello genitori-figli, Origene parla raramente; egli ha dedicato un'omelia bellissima all'amore paterno di Abramo nei confronti di lsacco ed è in questo contesto che ho trovato l'unico appello diretto ai padri presenti nell'assemblea 102 • Ma se Abramo rappresenta un ineguagliabile modello per la «paternità», non vi è nessun corrispettivo femminile per quello della «maternità»; corne si è visto, la galleria dei personaggi femminili che Origene propone di volta in volta all'imitazione- Sara, Anna, Elisabetta, Maria- impersona la realizzazione di virtù diverse dalla maternità. Il predicatore ricorda che è un preciso dovere dei genitori castigare il figlio peccatore e correggerlo' 03 ; i figli, da parte loro, sono tenuti ad un'obbedienza completa nei riguardi dei genitori. Con questi non vi deve essere nessuna discussione, nessun «certamen», nessuna «contradictio»: «pater est, mater est; ut ipsi videtur agant, faciant, dicant, ipsi noverint». Ad essi i figli devono tutto: la vita, l'educazione, in qualche caso l'istruzione e la conoscenza di Dio. Perciè> il figlio che oltraggia i genitori oltraggia Dio, allo stesso modo del servo che se «irriverens sit, per hune corporalem dominum in 'Dominum maiestatis' contumeliam iactat» 10•.

99. Ho.los. 111,1, p. 301,16.

100. 101. 102. 103. 104.

Frg. I Cor. XIV,34-35, p. 42,35. Ibid., p. 42,29. Cfr. sopra cap. IV, n. 113. Ho.Re.l. V,7, p. 12,4. Ho.Lv. Xl,3, p. 453,20; questo è uno dei rari acccnni agli schiavi.

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Frai santi - dice Origene, riprendendo Cant. ll,4 - la «caritas» è «ordinata»: dopo l'amore per Dio, vi è quello per i genitori, poi quello per i figli, e, in ultimo, quello per i servi: «Si autem filius malus est et domesticus bonus, domesticus in 'caritate filii' collocetur» 10 ' . In altri casi, pero, traspare una certa diffidenza nei confronti della famiglia, soprattutto in quanto fonte di educazione religiosa: «Non si trova Gesù fra i propri parenti e vicini seconda la carne, non Io si trova fra colora che sono uniti a lui seconda la carne ... e anche tu cerca Gesù nel tempio, cercalo in chiesa, cercalo presso quei maestri che stanno nel tempio e non escono da queslo» •••.

La concorrenza latente che pare emergere qui fra l'appartenenza ad una famiglia ed una conversione religiosa vissuta fino in fondo è la stessa che c'è fra ogni legame mondano ed il legame con Dio 101 • In questa circostanza, a parlare è più l'asceta abituato a vivere nel «deserto» che non il pastore d'anime; non è un caso infatti che frai vantaggi concreti maggiori che provengono dalla verginità, Origene dia un grande risalto proprio alla Iibertà dai legami, dai doveri, dalle preoccupazioni terrene che accompagnano inevitabilmente il matrimonio 10•. 3. La superbia e l'umiltà

Altri peccati, oltre la 7rop11E(a e la 1fÀE011E~{a avvelenano la vita religiosa dei fedeli: «Una volta che tu abbia superato gli incendi della carne e ti sia avviato verso la profondità della conoscenza - dice Origene, commentando l'immagine di Lot che si allontana da Sodoma in fiamme e si dirige verso il monte accompagnato dalle due figlie - devi stare at-

IOS. Ho.Cant. 11,8, p. S2,S. 106. Ho.Le. XVIII, p. 112,21. I07. Sulla necessità di isolamento dalla famiglia, cfr. Vôlker, op. cil., p. SS. Si veda inoltre il commento origeniano al passo di L'·· XIV ,26 (Ml. X,37) che dice che bisogna «odiare» il padre e la madre per poter essere discepoli di Cristo, in Cal.Ps. CXV/11, J 13, SC 189, cit., p. 372,6: «Bisogna cercare che cosa significhi nel testo 'odiare': significa detestare e nel momento della persecuzione e del pericolo non avere compassione del padre che ti incita a sfuggire il martirio e a preferire lui a Dio. La stessa ragione che mi fa detestare padre, madre, fratelli, sorelle, la stessa vita, mi fa detestare anche gli uomini iniqui per convertirli, per diventare io stesso migliore e non essere assimilato a loro». L'accenno esemplificativo al martirio non è suggerito immediatamente dal contesto del discorso; qui è piuttosto l'esperienza personale di Origene a parlare, il quale, se si dà fiducia al racconto di Eusebio (H.E. VI, 11,4-6), ha forse in mente Io stratagemma con cui la madre gli impedi, ancora adolescente, di conseguire la corona del martirio. 108. Frg. J Cor. V//,27, p. SIO,SI.

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tento che non ti tendano qualche insidia queste due 'figlie', cioè la vanagloria e la superbia che minacciano proprio colui che è piuttosto avanti net cammino verso la perfezione» 109 • La superbia, che tende ad affiancarsi al possesso di altri doni spirituali 110 , è odiosa a Dio e inizio dell'allontanamento da Lui 111 • Essa è anche la moita che spinge a cercare di procurarsi posti di comando e gli onori del secolo, anche ricorrendo a mezzi illeciti e disprezzando la lezione di umiltà data da Gesù che, pur essendo Dio, si è fatto uomo per gli uomini 112 • Il morbo della superbia non colpisce soltanto i laici ma anche i sacerdoti che nella chiesa dovrebbero dare un esempio di umiltà: «Quanti una vo!ta creati sacerdoti si sono dimenticati dell'umiltà! Sembra quasi che siano stati ordinali proprio per questo: per smettere di essere umili! È per il fatto di aver conseguito la dignità sacerdotale che dovevano piuttosto seguire l'umiltà, dal momenlo che è scritto: 'quanta più sarai grande, 1anto più umilia le stesso' (Sir. lll, 18)»' ".

Per forza di cose, sono più esposti alla superbia coloro che occupano i gradi più alti della gerarchia ecclesiastica, cioè i vescovi; a costoro il predicatore ricorda a più riprese l'umiltà dei santi dell' Antico Testamento e soprattutto di Mosè. Le parole pronunciate da questi al Signore che Io invitava a tornare in Egitto vengono trasformate da Origene in una grande lezione di umiltà: «È bene non precipitarsi su quelle cose che provengono da Dio, cioè le cariche onorifiche, i posti di comando e i ministeri della chiesa. 0 se potessimo imitare Mosè e dire con lui: 'trova un altro da mandare' (Ex. IV, 10)! ... Colui che viene chiamato all'episcopato, non viene chiamato al comando, ma al servizio di lutta la chiesa» "•.

Origene insiste a lungo sulla necessità che i capi della chiesa eserciti-

109. Ho.Gn. V,6, p. 64,27. 110. Ho.Ez. lX,5, p. 414,23. Ill. Ho./ud. 111,I, p. 480,22; Tract.Ps. XCIII, s.a., p. 434,19: «Superbia sola. quae supra uires erigitur, Deo resistit. Adulter aut fornicator oculos ad caelum non ausus est eleuare»; Tract.Ps. CXL VI, p. 331,80: «Mansuetudo ad caelum uocat, superbia in terram detrahit»; cfr, anche Tract.Ps. CXXXV, p. 294,54. 112. Ho.lud. 111,2, p. 481,13. 113. Ho.Ez. IX,2, p. 409, 14; poco più sopra (p. 408,24) dice: «Quod ergo peccatum maius omnibus peccatis? Utique illud, propter quod et diabolus corruit ... lnflatio, superbia, arrogantia peccatum diaboli est, ob haec delicta ad terras migravit de caelo ... ». 114. Ho./s. VI,!, p. 269,9. Sull'interpretazioneorigenianadi Mosè, cfr. cap. Ill, n. 7.

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no le loro funzioni con la stessa umiltà di cui ha dato prova Mosè nel guidare il suo popolo e richiama, a tale proposito, tutta una serie di testimonianze tratte dai Vangeli e da Paolo. Il predicatore riprende l'argomento della superbia dei capi della chiesa nel corso del commento di Ez. XVIll,21 in cui Mosè accetta il consiglio di Ietro di scegliere degli uomini e di farli principi del popolo, «uomini potenti che odiano la superbia»: «Cosi - osserva Origcnc - dovevano essere i principi del popolo, 1ali non soltanlo da non essere superbi, ma da odiare la superbia; essi non dovevano soltanto essere senza vizi, ma dovevano anche odiare i vizi degli ahri. Dico odiare i vizi, non gli uomini»"'.

Mosè ha impersonato per primo questa qualità: egli che parlava a faccia a faccia con Dio, ha accettato i consigli di un suo inferiore: «Chi oggi frai capi della chiesa - si domanda Origene - che abbia non dico una qualche rivelazione divina, ma un qualche merito nella scienza della Legge si degna di accellare di quando in quando il consiglio di un suo inferiore, sia pure esso un saccrdo1e, per non parlare di un laico o di un gcnrile?» 11 •.

li comportamento saggio ed umile di Mosè nelle sue funzioni di capo del popolo, messo a confronto con l'arroganza del potere dei capi della chiesa, risalta anche nel commento di Nm. XXVII,16 ove si narrano le circostanze della scella del successore di Mosè; questi affida nelle mani del Signore la che i filosofi chiamano &rul{)(a. o µtTpLor71ç, cioè indica Io stato di colui che non si inorgoglisce ma si abbassa da se stesso' 18 • L'umiltà è illustrata talvolta con l'esempio della vita terrena di Gesù; il predicatore richiama infatti l'attenzione sulla sottomissione di Gesù a Giuseppe, suo inferiore, e la indica corne modello non soltanto della sottomissione che i figli devono al padre, ma anche di quella dovuta a colora che occupano un grado più elevato nella gerarchia della chiesa',.. Il tipo dei rapporti che intercorrevano fra Gesù e Giuseppe viene fatto valere anche sotto un altro punto di vista; la sottomissione di Gesù ai genitori impegna tutti alla sottomissione nei confronti dei superiori, ma, in quanta Giuseppe era consapevole della superiorità di Gesù ed esercitava il comando con timore e moderazione, diviene egli stesso un esempio di comportamento umile per colora che rivestono posti di comando: «Ciascuno dunque consideri corne un uomo di minor valore si trovi spesso a comandare persone migliori di lui e corne talvoha avvenga che colui che è sottoposto sia migliore di colui che sembra comandargli. Quando colui che occupa un rango più elevato comprenderà questo, non si gonfierà di orgoglio per il fatto che gli è superiore, ma saprà che il suo sottoposto puo essere migliore di lui, corne anche Gesù fu soggetto a Giuseppe»"".

Strettamente complementari alla superbia ed all'umiltà sono rispettivamente l'ira e la mansuetudine. Moiti - avverte Origene- che riescono ad avere la meglio sulla concupiscenza e l'avidità soccombono all'ira che «durum et acutum vitium inflammat et exagitat etiam eos qui videntur esse sapientes» 121 • L'indignazione, il furore, la reazione anche soltanto a parole alla provocazione - sia pure in presenza di un qualche casa di obiettivamente ingiusto - priva il cristiano dell'eredità promessa ai mansueti. Talvolta l'ira puè> essere provocata dalla maldicenza; in quel caso, l'uomo giusto che si vede diffamato, accusato, deve far finta di

118. Ho.le. VIII, p. S0, 11: qui Origene cil a le quauro vinù cardinali dei greci, sos1i1uendo alla .pp6,.,1on la no.plu. 119. Ho.le. XX, p. 122,2. 120. Ibid., p. 122,18. 121. Ho.Ps. XXXVI, 11,3, c. 1331 D; 11,I, c. 1330 C.

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non udire per non essere sopraffatto dall'ira ed essere tentato alla vendetta; egli non deve contrapporre parola a parola, maldicenza a maldicenza, menzogna a menzogna: «Si iustus sum ... nihil respondeo et habens in quibus arguam non arguo» 122 • Se è proprio necessario parlare, le sue parole devono essere pronunciate con mansuetudine e tranquillità d'animo, perché Io scopo del rimprovero non è la vendetta ma l'edificazione m. Nella predicazione, là dove il tema dell'ira non consiste in un'esortazione generica, esso presenta sempre, in modo particolareggiato e con un'acuta penetrazione psicologica degli stati d'animo, una stessa situazione: quella del giusto diffamato e calunniato a torto. Tre sono per il predicatore le possibili reazioni aile offese e corrispondono ad altrettanti gradi della perfezione morale: se sono «parvus» la reazione sarà quella di restituire «occhio per occhio, dente per dente»; se sono arrivato ad una maggiore perfezione sopporterô pazientemente le ingiurie senza rispondere; se sono perfetto non tacerô, ma secondo le indicazioni dell' Apostolo (/Cor. IV,12) benedirô il mio persecutore. Anche per colui che ha raggiunto la perfezione vi sono più modi per reagire internamente aile offese: al pari degli atleti ben allenati che nella lotta non sentono più nemmeno il dolore causato dall'avversario, cosi coloro, che sono ben esercitati e rafforzati da un'assidua mcditazione, diventano inscnsibili al dolore e, nella misura in cui agli uomini è possibile, imitatori dell'impassibilità di Dio. Colui, invece, che non è ancora perfetto, soffre ancora intimamente per le offese e si indigna, pur tuttavia riuscendo a tenere a freno il dolore ed a tacere 12 •. Una descrizione cosi particolareggiata ed insistita di atteggiamenti e stati d'animo è piuttosto rara nella predicazione di Origene; la si capi-

122. Ho.Ps. XXXVII, 1,3, c. 1383 B c aggiungc: «Qui rccte arguit impassibililer dcbc1 argucre ut salutem expctat eius qui arguitur non vindictam». 123. Ho.Ps. XXXVIII, 1,3, c. 1392 B. 124. Ho.Ps. XXXVIII, 1,4-5, c. 1394 A; Ho.Ios. XV,3, p. 386, 15: «Si ira adsccnderit in cor meum, potest fieri, ut opera quidem iracundiae non implearn ... sed non ... hoc sufficit: agendum tibi potius est, quatenus ne ipsa quidcm comrnotio iracundiae locum habeat intra te .... lpsa tarnen perturbatio indecens ei, qui sub Iesu militai duce». Ho.ler.L. lll,2, p. 308,19: «Quando exterminatur omnis confusio de anima mea, neque uherius me confundit mors filii aut obitus uxoris, cum non est qui me irritet et provocet ad 1ris1i1iam et iram, ad concupisccntiam, ad voluptatem, quando maneo inconfusus adsumens rationem, quac me confirmet et roboret ... tune mihi accidit id quod dictum est: 'Facta est in cxterminium Babylon' (Ier. XXVll,29), hoc est universa confusio». Anche se Crouzel-Simoneui, SC 269 cil., p. 60, n. 16 e Crouzel, Virginité... cit., p. 32) fanno notare giustamente «l'extrême rareté du vocabulaire de l'apathie» nell'opera origeniana, soprauu110 se la si confronta con quella di Clemente Alessandrino cd Evagrio Pontico, si nota tuuavia da

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sce meglio se la si considera, almeno in parte, corne un'eco di una sofferenza personale moite volte provata e mai vinta completamente del tutto; una sofferenza già descritta - questa volta in chiave apertamente biografica - in apertura del VI libro del Commento al Vange/o di Giovanni: «Ora, fino al libro quinto, ho potuto esporre doche mi era concesso, anche se la tempesta che infuriava ad Alessandria sembrava opporsi, perché Gesù imponeva la calma ai venti e aile onde del mare in tempesta (cfr. Mt. Vlll,26) ... ln seguito, inaspritasi contro di me l'ostilità del mio avversario che mi attaccava con sempre nuovi scritti (veramente contrari al vangelo) e radunava contro di me tulli i venti della malvagità d'Egitto, la mia ragione mi esonava a rifiutare la lotta e a custodire la parte dominante della mia anima, affinché ragionamenti malvagi non riuscissero ad introdurvi la tempesta, piuttosto che a continuare il commento alla Scrittura in un momento inadatto, con la mente non ancora pervenuta alla calma»'H.

Al di là delle riflessioni autobiografiche di un uomo che ovunque andasse continuava a suscitare critiche e problemi, nell'insistenza del predicatore sui terni dell'ira e della superbia, vi sono tuttavia altri scopi che hanno di mira la comunità nel suo insieme. Talvolta l'ira puè> nascere da un provvedimento preso dall'autorità ecclesiastica; esso - nel caso sia giusto, ma anche nel caso contrario - deve essere accettato e sopportato pazientemente. Il predicatore insiste molto sulla patientia corne unica salvaguardia della pace e della concordia nella chiesa; si fa l'esempio di coloro che - di fronte alla esclusione disonorante dalla comunità, dal presbiterato o dal diaconato - accettano il giudizio con umiltà e rassegnazione e di coloro che, invece, si ribellano e «congregant populos ad schisma faciendum», «et sollicitant multitudinem malignorum» 116 • 1 primi, se deposti ingiustamente, spesso vengono reintegrati al loro posto e si guadagnano in ogni caso la misericordia di Dio in una vita futura; i secondi, al contrario,

questi passi corne l'&ll'&'r7ua del saggio stoico non manchi talvolta di cscrcitare un certo fascino su Origene (per gli elcmemi stoici dell'idealc di perfczione di Origene, cfr. Volker, op. cit., p. 152 sgg.). ln altri casi il predicatore, messo a confronto con il 1es10 biblico e le necessità della vita, ammorbidisce la sua posizione: l'ira di Finca (Nm. XXV ,7-8) è eserci1a1a «ra1ionabili1er» (Ho.G11. l, 17, p. 21, l 1); l'ira e la concupiscenza sono neccssaric perché né si provvede alla procreazione senza concupiscenza. «né pui> esscn·ô alcuna emendazionc scnza ira» (Ho.Gn. 11,6, p. 38,19). 125. Co.Io. VJ,2, 8-9, p. 107,24, Ir. Corsini, op. cit., p. 289. 126. Ho.Ez. X.1, p. 417,18; Ho.Ps. XXXVII, l,I, c. 1370 C: necessità di sopportare l'allontanamento dalla chiesa con pazienza e senza odio.

207 accumulano l'ira di Dio e, con il dividere le chiese, aggiungono colpa a colpa 127 • La patientia cristiana è anche ciè> che dà un senso aile sofferenze ed alle ingiustizie del mondo. Bisogna sopportare «patienter», senza accusare la Provvidenza, i malvagi che paiono godere in questa vita di ogni fortuna e benessere 121 • Il dolore di questa vita, se sopportato senza ribellione, è un sacrificio reso al Signore che, corne nel caso di Giobbe, verrà restituito centuplicato, se non in questo mondo, almeno nell'altro 120 • La predicazione origeniana sulla superbia e sull'ira, sull'umiltà e la mansuetudine - pur investendo tali peccati e virtù ogni aspetto della vita cristiana - acquista corposità e vivacità soltanto quando questi terni sono trattati in funzione della vita interna della chiesa e dei rapporti istituzionali esistenti fra i suoi componenti. Si è già visto in aitre occasioni corne Origene usasse il pulpito corne una sorta di cassa di risonanza per denunciare alcuni comportamenti discutibili del clero. Per quanto riguarda i terni che abbiamo appena descritto, questo tratto caratteristico della predicazione origeniana è maggiormente accentuato; la ragione di ciè> va in parte ricercata nello sfondo autobiografico di moite delle sue osservazioni. Non vi è chi non veda, nella meraviglia suscitata dall'accettazione da parte di Mosè dei consigli di letro e nelle considerazioni su corne invece i principi del popolo cristiano esercitavano la loro autorità, senza alcun riguardo per chi poteva essere più avanti di loro nella via della perfezione spirituale, l'eco di esperienze passate, corne quella avuta con l'autoritario vescovo Demetrio di Alessandria, ma anche successive, ben presenti nella mente del predicatore che anche nel Commenta al Vangelo di Matteo ritorna a più riprese sulla superbia e sull'inavvicinabilità dei vescovi, soprattutto quelli delle grandi città 130 • Anche l'approfondimento del comportamento del giusto di fronte alla maldicenza ed alla provocazione degli altri sembra riflettere esperienze personali ed è anche, forse, un modo di giustificare agli occhi dei suoi sostenitori - che pur non mancavano - certi suoi silenzi, certe sue riservatezze. 127. Ho.Nm. XXVl,2, p. 243,3. 128. Ho.Ps. XXXVI, 1,2, c. 1323 A. 129. Ho.On. Vlll,10, p. 86,4; Ho.Ez. Xll,3, p. 437,2; p. 438,S. 130. Co.Mt. XVl,8, p. 493,23; sull'atteggiamento di Origene nei confron1i dell'episcopato e, più in generale, del clero, cfr. V. Peri, «Coram hominibuslapud Deum». Accenni di anticlericalismo evange/ico in Origene, in Paradoxos politeia. S1udi pa1ris1ici in onore di Giuseppe Lazzali, a cura di R. Cantalamessa e L.F. Pizzolato, Milano 1979, pp. 208-233; L.I. Scipioni, Vescovo e popo/o. L 'esercizio dell'autorilà ne/la chiesa primitiva (Ill s.), Milano 1977, pp. 3-80.

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Non si tratta tuttavia soltanto di questo; attraverso i terni dell'umiltà e della superbia, dell'ira e dellapotientia, il predicatore è soprattutto interessato a disegnare i contorni di un modello ideale di esercitare l'autorità, ma anche di essere sottomessi a questa. Di qui il tentativo di promuovere virtù - quali appunto l'umiltà e la potientio - che gli sembravano in grado di contribuire a risolvere i conflitti e le tensioni emergenti tra l'episcopato, sempre più accentratore, e il resto del clero e il laicato. È forse superfluo qui precisare che non è tanto l'autorità del vescovo in quanto tale ad essere messa in discussione, ma piuttosto il fatto che essa si esercitasse sulla chiesa - corne vedremo meglio in seguito a proposito della penitenza - non per rimuovere, ma per accentuare quella secolarizzazione che Origene - secondo, si intende, i suoi esigenti parametri di giudizio - scorgeva ovunque nella chiesa.

4. 1 cristiani di fronte al mondo ed alla chiesa

o) L 'alternotivo fro Dio ed il mondo La conversione al cristianesimo non implica soltanto l'accettazione di un insieme di dourine e di norme etiche, ma anche il passaggio da un sistema di solidarietà e di rapporti sociali ad un altro: quali sono, su questo tema, le indicazioni emergenti dalla predicazione origeniana? In un passo delle Omelie sull'Esodo, Origene descrive l'impressione che faceva ai pagani il modo di vivere dei cristiani: «Guardate corne gli uomini sono sedotti e corrotti, guardate quali giovani, per non lavorare, non prestare servizio militare, non fare nulla che giovi loro, si perdono dietro a inezie ed all'ozio, trascurando le cose utili e necessarie. Che cosa significa servire Dio? Non vogliono lavorare e cercano occasioni per rimanere in un ozio inerte» 111 •

Queste osservazioni sono un'eco di quelle di Celso cui Origene nella sua confutazione dà una risposta molto particolareggiata 132 ; ma se il modo di vivere dei seguaci di Cristo poteva essere percepito dall'esterno in questa prospettiva, la stessa situazione vista dall'interno e da un'ottica esigente corne quella origeniana, appare delineata molto diversamen-

131. Ho.Ex. 111,3, p. 168,18. 132. C.Cel. Vlll,73 sgg.

209 te. Il richiamo costante di Origene è infatti quello di abbandonare proprio quei negotia saeculi che i pagani rimproveravano ai cristiani di avere già tralasciato e la sua predicazione è tutta impostata sui tema dell'inconciliabilità fra le occupazioni del mondo ed il servizio di Dio, fra l' obbedienza a Dio e quella a mammona rJJ. La conversione richiede una cesura netta con le persone e gli interessi che caratterizzavano la vita precedente; essa implica l'abbandono di tutto cià che riguarda il mondo: la ricerca di guadagno, la cura per i propri possedimenti, l'avidità di ricchezze e di onori terreni rH per dedicarsi interamente allo studio ed alla meditazione di Dio. Tra le cose da abbandonare ci sono naturalmente gli «equorum cursus» ed i «conventus gent ilium» 1 is; non puô essere santo, infatti, chi si confonde con la folla (cfr. Mt. XIIl,34): «E cosa diremo di quelli che si precipitano con i pagani a teatro e insozzano i propri occhi e le proprie orecchie con azioni e parole impudiche?» 1H.

Questi rimproveri sono perà, tutto sommato, sporadici; anzi, ad un certo punto, con un movimento di pensiero tipico del Maestro alessandrino più attento allo «spirito» delle cose che non ai modi ed alla forme con cui queste appaiono, egli arriva a dire che non è in un luogo piuttosto che in un altro che va cercata la santità, ma nelle azioni e nel comportamento; se questi sono conformi a Dio, «etiamsi in domo sis, etiamsi in foro - et quid dico in foro? - etiamsi in theatro inveniaris verbo Dei deserviens, in sanctis te esse non dubites» llT. L'occupazione principale del vero cristiano dovrebbe essere la meditazione della parola di Dio che richiede una dedizione assoluta; l'esempio che per primo si presenta alla mente del predicatore proviene dalla sua esperienza di maestro: «Se vuoi che tuo figlio impari le lettere che chiamano liberali, che sappia la grammatica e la retorica, non fai in modo che, libero e esente da tutte le aitre

133. Ho.Ex. 111,3, p. 165,21: «Relinquendus es1 mundus si volumus Domino servire». 134. Ho.los. Xl,2, p. 363, I: «Cum se anima umana Verbo Dei sociaveril, dubilare non debet sta1im se inimicos habituram e1 eos quos an1e habuera1 amicos in adversarios esse venendos»; Ho.Ex. Xll,2, p. 263, IO: «fugiamus terrena nego1ia, is1a sun1 cnim quibus cor incrassaturn; Ho.los. Vll,5, p. 331,5: «Nolite divinis mundana miscere, nolite nego1ia saeculi ccclesiae secre1is inserere»; Ho.Lv. Vl,l, p. 359,4. 135. Ho.ls. Vlll,2, p. 287,4. 136. Ho.Lv. Xl,I, p. 447,19. 137. Ibid. Xll,4, p. 462,7.

210 occupazioni, egli si dedichi a quest'unica fatica, senza risparmiare nulla - pedagoghi, maestri, libri, spese - fimanto che non abbia completato il suo corso di studi?»'".

Tornare dopo il battesimo ad occuparsi di cose terrene viene prospeuato, molto realisticamente, corne una nuova offerta della propria anima ai demoni'". Le occupazioni del mondo e le azioni carnali costringono l'uomo in servilù, menlre l'abbandono di queste significa diventare libcri "". Ciascuno deve vivere nel mondo corne uno straniero; questa condizione di vita è simboleggiata dalla permanenza del popolo sotto le tende: «Il Signore esulta per te quando - in questo mondo - ti vede abitare sotto la tenda, quando ti vede non avere l'animo fisso ed auaccato alla terra e non desiderare le cose terrene e non considerare questa vita, che non è che un'ombra, quasi corne se fosse una cosa tua ed eterna; (esulta perte) quando ti vede invece stare corne di passaggio e affrettare verso quella vcra patria che è il paradi5o, da cui sei uscito, dicendo: 'Sono un forestiero ed un viaggiatore, corne tutti i rniei padri' (Ps. XXXVlll,13)»'".

Il fatto che la maggioranza del suo pubblîco fosse certo costituita da persane che avevano una famiglia ed un lavoro rimane al di fuori dell'orizzonte mentale di Origene e la sua predicazione su questî terni risulta complessivamente molto astratta in grado di pronunciare più divieti che indicazioni positive. Tra i primi egli toma con una certa insistenza sulla proibizione di dedicarsi alla carriera militare: colui che fa il soldato ricade sotto la maledizione di Geremia (cfr. Ier. XVII,5) "~; i combattimenti dei cristianî non sono quelli condotti con il ferro o la forza fisica, ma le battaglie sferrate contro i demoni utilizzando la forza della parola e dello spirito '41. Sullo sfondo di tale divieto vi è l'esempio normativo di Cristo, di cui

138. Ho.Er. Xll,2, p. 263,22. 139. Ibid. Vlll,4. p. 226,2. 140. Ibid. Vlll,I, p. 217.15. 141. Ho.N111. XXIII, 11, p. 221, 19; XXVll,9, p. 268,23; Ho.Ier. XVl,4, p. 135,30: i vcri bcni non provcngono dal lavoro della terra. ma sono in dclo. 142. Ho.ln. XV.6, p. 130,24. 143. Ho.los. XV, I, p. 381,20; Ho.L 1·. Vl,6, p. 369,25 ove vicnc prcscmato, a111.:hc sotto qucsto prolïlo l'cscmpio di Mosè, che «ad bclla 11011 rndit, 11011 pugnat comra inimicos. Sed quid facit? Oral et, doncc illc orat, vinci1 populus ciu,»; Ho.Nm. XX.4, p. 198, IO: k azioni violente, anche ~c giustc, si chiudono con il Vccd1io Tcsrnmc1110 c se !'ira di Fi11ca i: dcfinita «ira rationali'" (cfr. sopra n. 124), «libi au1em, qui a Christo rcdcmp1us "'' i:t cui de manibus gladius corporalis ablatus es1 et darns est gladius spiri1us ... »; Ho.Er. Xl,4, p. 256, l 3: « Populus Dl'i non tam manu c1 armb quam voce et li11gua pugnaba1 ... Hacc C'ol cnim Chris1iani pugna, qua supcrat inimicum».

211 un titolo è appunto quello di «Pace» ' 44 • Il soldato inoltre è particolarmenle soggetto alla tentazione del furto che - dice Origene - è un ptccato commesso da quasi tutti i soldati ••~, ma soprattutto essi sono tentati dall'idolatria: «Oltre agli idolatri di questo mondo, anche in mezzo a noi vi sono alcuni idolatri che vogliono insegnare che l'idolatria ë una cosa indifferente (t'iiô1arpopov). Questo peccato si trova soprattutto fra i soldati che dicono: è un dovere; l'esercito esige questo; rischio la testa se non sacrilïco o brucio l'incenso sull'ahare sccondo le credenze dell'esercito di questo mondo, e oltre a cià costui sostienc di essere crist iano ! » ....

Ricordando più volte il divieto di fare il soldato, Origene fa suo certo un tema tradizionale; c'è tuttavia da chiedersi perché insistere proprio su questa professione fra le tante che avrebbe potuto enumerare 1• ' . La vivacità con cui viene presentata la giustificazione del soldato cristiano fa pensare ad un problema vicino, attuale; non bisogna dimenticare del resto chc Cesarea era un centro amministrativo e militare importantew e non è improbabile che fra i soldati vi fossero state moite conversioni al cristianesimo.

b) Le pratiche ascetiche e dt>vozionali Alla radicalità dell'alternativa fra Dio ed il mondo non corrisponde - corne sarebbe forse da aspettarsi - un insistito incoraggiamento ad esercitare severe pratiche ascetiche. Il predicatore mette anzi in guardia dal praticare - almeno agli inizi di una vita ascetica - digiuni troppo rigorosi che possono essere pericolosi 1••. Raccomanda di usare la stessa cautela nel pronunciare voti; la rillessione è suggerita da Prov. XX, 19 (25): « Per l'uomo forte è una trappola consacrare affrettatamente qualcuno dei suoi beni»: se qualcuno decide di destinare il suo raccolto «vel

144. Ho.frr. XVII,4, p. 147,11; /Io.Io.~. IX,2, p. 347,14: i: una pic1ra 1111atlit, 11011 h>c· caia Jal fm>co, Jdl'allarc co\lrui10 Ja lii0,ui: """· Vlll,311 colui die 11oggc11i 1 cu111111crcia1111: i-i:~. / Cur. V/,9-10, p. 369,63. 146. fi·f.1. /Cor. V,9-1/, pp. 366,27. 147. Cfr. J. HdgclanJ, Clm.rn1111., und tir•· H11111u11 Army .Jiw11 .\/11rc11.\ .•lurdm.~ 111 Cm1.w11111/m', in A11htil'g 11111/ .'li11•tf,.r>:1111>: tler ri1111m·lr1•11 Ul'lt, I'. 231 I, lkrl111 197\1, pp. 725-1130. in pariicolarc, pp. 746· 752. 1411. Cfr. ~upra cap. 11.1. 149. /lo.lV111. XVll,\I, p. 26\1.14, dr. anche Co.!tt/1.S. 10, p. 17,27.

212 in usum pauperum aut peregrinorum» e poi si pente prelevandone una parte, sappia che egli non prende più dal suo, ma «sancta Dei violavit». Per questa ragione, una prudenza ancor maggiore va usata nel consacrare se stessi o altri a Dio, per evitare di ricadere in usi ed atti carnali 'so. Non mancano tuttavia altri passi in cui egli pone l'accento sull'utilità di alcune pratiche ascetiche corne il digiuno per favorire la castità o, più genericamente, per sconfiggere i demoni 111 • Indicativo di tutto l'atteggiamento di Origene riguardo alle pratiche devozionali è un passo delle Omelie sui Levitico in cui egli confronta il digiuno cristiano con quello giudaico; Io scopo è di criticare quei cristiani che non soltanto dimenticano le parole di Paolo(/ Tim. IV,3) in difesa della provenienza da Dio di tutti gli alimenti, ma che anche hanno fatto propri i digiuni giudaici. Per Origene il digiuno cristiano è l'astinenza dal peccato, dalla malizia, dalla concupiscenza, dai cattivi pensieri, dalle dourine corrotte. Ricorda in proposito le parole evangeliche: «Gli invitati dello sposo non possono digiunare, fintanto che Io sposo è con loro» (Mt. IX,15): digiunino quindi i Giudei che hanno perduto Io sposo: «Nos habentes nobiscum sponsum ieiunare non possumus». A questo punto il predicatore terne di essere frainteso e ricorda perciè> i tempi usualmente consacrati al digiuno dai cristiani: ciè> che egli vuole è la sospensione di quel digiuno praticata «observantiae superstitione» e non di quello compiuto «virtute continentiae», che puè> essere osservato in ogni momento dell'anno" 2 • Origene propone analoghe considerazioni a proposito delle festività religiose che, per i cristiani, non dovrebbero implicare «dulcedinem corporalem, nihil remissum, nihil voluptuosum aut luxuriosum» 153 , ma piuttosto richiedere l'afflizione dell'anima, l'amarezza, l'umiltà. A differenza del sabato ebraico che è la semplice sospensione delle attività lavorative, quello cristiano richiede l'abbandono di tutto cio che è terrestre ed esige l'andare in chiesa, il prestare ascolto alle letture ed all' omelia e, soprattutto, 1' occupare la mente con ciè> che è celeste e invi-

150. Ho.L v. XI, I, p. 448,25; il caso del pronunciame1110 di vo1i 1roppo affrc11a1i vicnc affrontato anche in Ho.Nm. XXIV ,3, p. 231,28 da un'angolatura un po' di versa: ccompito dell'angclo «custodis et moni1oris» impedire di farc vo1i 1roppo affre11a1i; se l'angelo non l'avrà fa110, «anima quidcm libcratur a culpa, ipse vero voti manebit obnoxius». Gli angeli dovranno inohre valutare la pcrfezionc raggiuma dal loro assistito, «Vota corumque aliquando ad semcl ipsos 1ransfcrcmes, aliquando vero super ipsos relinquemes». 151. Ho.los. XV,3, p. 385,5; Ho.Ex. 11,3, p. 158,17; Ho.Ex. Xlll,5, p. 276,27: Ho.Ier. XX,7, p. 188,28. 152. Ho.Lv. X,2, p. 445,IO. 153. Ho.Nm. XXlll,8, p. 221,9.

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sibile, distogliendola da ciè> che è presente e visibile. È «un sabato» quello cristiano - che non ha una scadenza settimanale, ma ricorre tutti i giornPH. In questa valorizzazione della festa cristiana nei confronti di quella giudaica concorre più di un motivo: la preoccupazione di prendere le distanze - anche dal punto di vista dei segni visibili della fede - da un vicino troppo invadente, ma anche la critica a corne di fatto era vissuta ed interpretata la festa cristiana. Se è vero che la celebrazione delle feste serve a rinsaldare periodicamente la memoria e la prassi collettiva intorno ad avvenimenti e valori che la comunità ritiene essenziali per la sua storia e la sua identità, il predicatore avverte anche il pericolo che essa rechi in sé il rischio di sgravare tutti gli altri giorni dell'anno dai doveri e dagli atteggiamenti richiamati esplicitamente da quelle ricorrenze periodiche. lnfatti, mentre è un dovere quotidiano ascoltare e riflettere sulla parola di Dio, moiti degli ascoltatori di Origene- corne si è vistom - si recano in chiesa soltanto nei giomi festivi, e non per amore della Parola, ma per «studio sollemnitatis et publicae quodammodo remissionis obtentu» 11 •. Dalla predicazione di Origene traspare inoltre la preoccupazione che le manifestazioni esteriori della fede finiscano per sostituirsi pian piano ad essa; in effetti - afferma 1' Alessandrino - è un dovere provvedere al sostentamento del clero 157 , ma compierlo, senza adeguare il resto delle proprie azioni ai dettami della fede, avrà corne conseguenza il raggiungimento di una salvezza di infimo grado, corne avvenne ai Gabaoniti (cfr. los. IX, 10 sgg.). Questi, che riuscirono ad ottenere l'alleanza degli Israeliti grazie all'inganno, si salvarono, ma con disonore, perché furono condannati ad essere «tagliatori di legna e portatori d'acqua» per tutta la comunità.

154. Ho.Nm. XXll,4, p. 215,23; Ho.Nm. XXlll,2, p. 212,1: per Dio e pcr gli angeli, le vcre feste sono le conversioni sincere degli uomini. 155. Cfr. sopra cap. 111.4.d. 156. Ho.Gn. X,I, p. 93,7; Ho.li•. IX,5, p. 428,4. 157. Ho.los. XVll,3, p. 405,5: corne le diverse tribù giudaiche provvedevano al sostentamento materiale dei Leviti, altrettanto devono fare i laici per il loro stesso vantaggio: «Si enim laicus, quae necessaria sunt, non praebuerit sacerdotibus et Levitis, occupati illi in talibus, id est corporalibus curis, minus legi Dei vacabunt; illis autem non vacantibus neque operam dantibus legi Dei, tu periclitaris»; Ho.Nm. XI, I, p. 75, 7: le primizie dovute ai sacerdoti (cfr. Nm. XVlll,8) sono uno di quei « legis mandata» che devono essere osservati anche nella nuova economia; Ho.Nm. Xl,2, p. 78,21: sottrarsi a tale dovere è considerato un peccato contro la dottrina di Dio creatore, perché colui che non dà le primizie del suo raccolto, che Io stesso Dio ha prodotlo donando il sole e la pioggia, «non mihi videtur ... credere quia Deus dederit fructus, quos cepit, quos ita recondit quasi alienos a De0>>.

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Altrettanto avverrà a colora che senza deporre «l'uomo vecchio» (cf. Col. Ill,9), «ministranl tamen sanctis et serviunt el aliquid ulilitatis impendunl»; essi sono - continua il predicatore, riprendendo una bella immagine del Pastore di Erma - corne l'olmo che, pur essendo un albera senza frutti, serve tuttavia a sostenere la vite che ne dà in abbondanza 158. li richiamo al significato interiore e spirituale di ogni pratica religiosa viene sviluppato anche a praposito della preghiera la quale, per essere efficace, non deve essere soltanto una vuola ripetizione di formule, ma deve impegnare completameme la mente m. La forma più alla della preghiera è quella continua del santo che si dedica completamente alla scienza di Dio. Tale forma di preghiera, non è perè>, possibile a tutti; in questo caso un modo di dedicarsi alla parala di Dio, riservato a colora che non possono progredire di più nella sapienza, è «in psalmis el hymnis et camicis spiritalibus et in oratione vel honore Dei frequentius aperire os» 160 • Tuttavia anche là dove l'osservanza delle praliche devozionali e l'adempimento di tutte le azioni che contraddistinguono il buon cristiano sono completi, il lora valore trova un limite invalicabile nell'essere comunque considerati soltanto il primo gradino che conduce alla perfezione 161 • Su tale gradino si fermano i simpliciores: nelle iustitiae operibus sta la lora sapienza 1• 2 • Quando uno «nihil spiritale, nihil prafundi intellectus sentire potest», non puè> generare «sensus vivos el spiritales», ma le opere «quae sunt simplicioris vitae ministeria». ln tal modo i più semplici non vengono esclusi «dall'eredità dei santi», anche se il premio che otterranno sarà inferiore a quello riservato ai santi 1•i. c) L 'esortazione alla penitenza Un punto su cui il predicatore non si slanca mai di insistere è la necessità della penitenza. Questo aspetto della teologia origeniana è stato oggetto di interpretazioni diverse da parte della critica, soprattutto in ordine al prablema se per Origene la penitenza fosse in grado di puri-

158. HJ.!os. X,I, p. 358,14. 159. Ho.Nm. Xl,9, p. 92,26; Ho.Re.l. 1,9, p. 15,22. 160. Ho.Ps. XXXVI, V,I, c. 1360 A. 161. Ho.Re.L. 1,5. p. 9,6; Ho.Nm. XVll,4, p. 159,26: la perfezione delle opcre ha un limilc mentre il progresso nella sapienza di Dio è illimitato. 162. Ho.Ps. XXXVI, V,I, c. 1359 C. 163. Ho.Nm. XXll,I, p. 205,1.

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ficare tutti i peccati, anche quelli che l' Alessandrino definisce 1Tpo5 i'Jéxvcxrov. Al Rahner 1 ••, che risponde in modo positivo all'interrogativo, dobbiamo la sintesi più completa della dottrina penitenziale di Origene che, tuttavia, in alcuni punti manifesta ancora oscillazioni e incertezze. Una di queste zone di ombra è - per ammission~ stessa del predicatore - l'individuazione di quali peccati conducano «alla morte» e quali invece possano essere definiti più lievi 1• 1 • Ambedue i gruppi di peccati richiedono il pentimento che è, in primo luogo, un atteggiamento imeriore 1•• che inizia con la consapevolezza di aver peccato e con il dolore connesso a tale consapevolezza; esso conduce poi alla penitenza intesa corne «spontaneus interitus carnis», «afflictio corporis», «abstinentia quotidiana», «severitatis austeritas» e timore per il giudizio divino 1• 1 • Peri peccati più gravi è necessario che a cio si aggiunga la confessione pubblica e la scomunica da parte del vescovo; essa implica l'esclusione del peccatore dall'eucarestia e dal culto per un certo periodo che Origene considera corne un periodo parallelo al catecumenato, ma più rigoroso di questo, periodo che termina con un rito di 164. K. Rahner, «La doctrine d'Origênc sur la pënitence», in R.S.R., XXXVII, 1950, pp. 47-97; 252-286; 422-456. Souo qucsto profilo i Tracta/us non aggiungono c:lememi nuovi in grado di confermare o corrcggcrc le tesi del Rahner. ln essi sono presellli numcrosi richiami o cenni alla penitenza che tullavia non escono mai dal generico; Trac1.Ps. LXXX///, p. 101, 197; Ps. C, p. 175, I; Ps. Cl, p. 179,64: la penitenza è segno della misericordia di Dio. Tract.Ps. LXXXIV, p. 395,41; Ps. XCV. s.u., p. 439,21: la penitenza è la tavola cui aggrapparsi dopo il naufragio del peccato. Tract. Ps. CXXXVI/, p. 298,2; Ps. XCI//, s.u., p. 437, l 15: la penitenza ri para le ferite dell'anima e procura la misericordia di Dio. Tract.Ps. CXLll, p. 311,32; Ps. 1, p. 11,271; Ps. Cl//, p. 143,50: chi pccca e non fa penitenza ë destinato alla perdizione. Trac1.Ps. CXLIX, p. 352,122: la penitcnza è segno del ritorno a Dio. Trctct.Ps. CXXXV, p. 292, I: gli eretici sostengono chc non vi è peniten· za; ira questi viene fauo il nome di Montano, Maximilla, Novaziano, menzione, quest'ultima, che tradiscc l'i111erve1110 di Girolamo, cfr. su questo pumo Peri, Omelie ... cit., p. 45, n. 133. 165. Ho.Ex. X,3, p. 249,21: «Quae autcm silll species peccatorum ad mortem, quae vcro non ad monem, sed ad damnum, non puto facile a quoquam hominum possc disccrni»; Ho.le. XXXV, p. 205, 14: qui la distinzione è fra peccati «pinguia» c «tenuia»; pcr darc un comenuto concreto a 1ali distinzioni, 1alvoha Origene cita un tcsto scri11uris1ico: I Cor. VI,9-10 (cfr. Ho.lv. XIV,2, p. 481,5). Cfr. anche Ho.Ex. Vl,9, p. 200,28 ove sono citati in ordine. corne «moneta del diavolo» omicidio, aduherio, funo, falsa testimonianza, rapacità, violenza; frai peccati piil gravi vi sono quelli di natura dourinale: « 'Capitis' cnim 'peccatum' (/Io. V, 16) est aliter quam fides Ecclesiae co111ine1 de divinis semire dog· matibus» (Ho.lv. Vll,11, p. 414,8). Per una presentazione piil completa, cfr. Rahner, op. cil., pp. 55 sgg. 166. Ho.Ex. X, i, p. 416,8. 167. Ho.Ps. XXXVI, 11,I, c. 1330 A; Tract.Ps. Cl, p. 178,27: «Discam qui agum paenitenliam quomodo debeant agere paenilemiam. ha enim exsiccaui memetipsum ut sine carne essem, ut pellis mea haererel os,ibus meis».

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conciliazione 1 u. Mentre la penitenza pubblica dei peccati più gravi è concessa una sola volta, essa puè> essere reiterata più volte per quelli meno gravi ' 60 • Non mi soffermo oltre sull'esposizione dei punti salienti della dottrina penitenziale di Origene; ciè> che interessa qui sottolineare sono piuttosto gli aspetti prescrittivi e le indicazioni concrete di comportamento che emergono dalla sua predicazione, cercando di mettere in luce quanto questi siano rivelatori di situazioni e problemi presenti nell'uditorio cui egli si rivolgeva. Origene coglie appieno l'importanza della penitenza nella diffusione del cristianesimo: se Cristo non avesse concesso la remissione dei peccati, la chiesa non si sarebbe propagata «per orbem terrae» 1 ' 0 • Nello stesso tempo essa gli sembra anche Io strumento indispensabile per fare in modo che la chiesa reale si avvicini, quanto più è possibile, a quella ideale «senza ruga né macchia». È significativa a tale riguardo la riflessione origeniana a proposito di los. XVl,63 (in cui si dice che i figli di Giuda non riuscirono a scacciare i Gebusei da Gerusalemme) accostato a Ml. Xlll,30, cioè alla parabola del grano e della zizzania. 1 Gebusei rappresentano la «zizzania» della chiesa, cioè i peccatori, che in questo mondo non è possibile separare dal «grano», cioè dai santi; ma ciè> accade soprattutto perché nella chiesa vi sono peccati che rimangono nascosti e che non possono perciè> venire puniti ed espiati con la penitenza. Di qui l'esortazione ai fedeli: «Vi prego, voi che siete fedeli, di sorvegliare il vostro genere di vita, affinché non subiate voi stessi scandalo in qualche cosa, né Io causiate ad altri; impegnatevi e state attenti al massimo affinché non entri in questa santa assemblea nessuno che sia corrotto, affinché nessun Gebuseo abiti convoi. Vedi infatti cosa dice la Scrittura: '1 figli di Giuda non poterono scacciare i Gebusei da Gerusalemme'. Ora 'Gebuseo' significa 'calpestamento'. Sia pure dunque che non possiamo scacciare coloro che ci calpestano: scacciamo almeno quelli che possiamo, i cui peccati sono alla luce del giorno. Dove il peccato non è evidente, non possiamo scacciare dalla chiesa nessuno, pcr non sradicare insieme alla zizzania anche il grano» '".

168. Cfr. passo ci1a10 in cap. Ill, n. 90. 169. Ho.lv. XV,2, p. 489,19. 170. H:i.G11. 11,5, p. 34,31, ove si parla di «remissio peccatorum» che è u1ili1.za10 per indicare sia il bauesimo, sia la penitenza: cfr. Ho.lv. 11,4, p. 295,26. 171. Ho.los. XXl,I, p. 429,4. li peccato, anche se rimane nascosto, esclude comunque chi Io ha commesso dalla comunitâ anche scnza sanzione esplicita del vescovo: Ho.l 1'. XIV ,2, p. 479,22; XII ,6, 465, I. La confessionc del proprio peccato e la successiva penitenza fanno dunque cessare l'ambiguità legata al fauo che un peccatore, già escluso di fauo dalla chiesa a causa del suo peccato, vi rimanga all'interno, mescolandosi di nascosto a coloro che non sono peccatori.

217 Gli sforzi del predicatore si indirizzano dunque, da una parte, a sostenere la corresponsabilità di tutti nella salvaguardia della moralità della chiesa - corresponsabilità che implica un ruolo attivo di sorveglianza dei costumi ed anche di denuncia dell'immoralità - e, dall'altra, a dimostrare i benefici e la necessità di confessare i propri peccati e quindi accettare la penitenza. Origene, con un esempio efficace, paragona il peccato che rimane nascosto ad un cibo indigesto che finisce per intossicare il corpo se non viene vomitato; colui, invece, che diventa accusatore di se stesso e confessa il proprio peccato elimina la causa della malattia che puè> portarlo alla morte 112 • È meglio inoltre confessare i propri peccati prima di essere accusati dagli altri 111 , ma è un dovere anche denuncfare il fràtello che pecca, se-condoîe disposizioni di Lv. V,6 che mantengono la loro efficacia anche nella nuova economia in quanto si accordano con il precetto evangelico espresso da Mt. XVIIl,15-17. Il Vangelo definisce più compiutamente le modalità della denuncia del peccato: se il fratello viene colto in flagrante peccato, bisogna, in un primo momento, rimproverarlo privatamente; infatti, se egli si vede subito accusato pubblicamente, sarà tentato di negare subito tutto, aggravando cosi la sua colpa. Se questo primo avvertimento non basta, si deve rimproverarlo in presenza di due o tre testimoni affinché - nell'eventualità che anche in questo caso non si corregga e si debba denunciarlo alla chiesa - si possa disporre della testimonianza di aitre persone. Chi non segue tale procedura - avverte il predicatore - e chi, chiamato a testimoniare, si rifiuta, diventa colpevole del peccato dell'altra persona"~. La pratica della penitenza - cosi corne Origene esortava ad esercitarla - avrebbe in effetti offerto la possibilità di un controllo capillare di natura morale e dottrinale nei confronti della comunità e - quando nei casi più gravi sfociava nella scomunica - avrebbe contribuito a separare, già su questa terra, il grano dalla zizzania. Da alcune osservazioni del predicatore si indovina, tuttavia, corne essa costituisse un punto particolarmente delicato soggetto a moite tensioni e resistenze. La confessione pubblica dei peccati - anche se volontaria - rappresentava,

172. Ho.Ps. XXXVII, 11,6, c. 1386 A; cfr. anche /Io.le. XVII, p. 107,14: è necessario portare alla luce i cattivi pensieri perché possano essere uccisi. 173. Ho.li'. 111,4, p. 308,2. 174. Ho.li'. 111,2, p. 301,26; la s1essa procedura è descriua in Ho.los. Vll,6, p. 333, 12 ove si dice che il compi10 di accusare il pecca1ore speua al vescovo, ma anche a 1utti i membri della chiesa: «Et ideo observemus nos invicem et uniuscuiusque conversatio nota sit, maxime sacerdotibus et ministris».

218 dopo quella avvenuta con la conversione al cristianesimo, una seconda, brusca interruzione di rapporti sociali con il gruppo di appartenenza. Quando Origene arriva a commentare Ps. XXXVll,12, presenta il passo biblico corne la descrizione della situazione penosa di chi, confessando in pubblico i suoi peccati, viene abbandonato da amici e compagni che Io criticano, Io segnano a dito, Io scherniscono dicendo: «Sta lontano da me, non avvicinarti, io sono puro» m. Un tale atteggiamento, anche se condannabile nei suoi toni più accesi '7 6 , doveva comunque essere in qualche modo inevitabile se il tono generale del passo è un invito alla rassegnazione ed all'accettazione di tutto per concentrarsi esclusivamente sull'espiazione del peccato. L'esortazione continua alla volontaria confessione dei propri peccati è un indice di quanto in realtà questa prassi fosse poco abituale 177 ; anche le diverse fasi che portavano alla denuncia del peccatore da parte di altri causavano non pochi problemi: «Capita spesso - dice Origene che chi vuole adempiere il precetto evangelico passi per calunniatore se presenta alla chiesa un'accusa senza testimoni»' 11 • D'altro canto, il precetto di denunciare i peccati poteva talvolta essere interpretato in modo troppo superficiale: non si deve - avverte il predicatore - dopo aver visto un fratello peccare «continuo evolare ad publicum et proclamare passim ac divulgare aliena peccata» 179 • Un atteggiamento altrettanto biasimevole è quello di chi non tollera il minima rimprovero: «È necessario che chi pecca venga rimproverato, ma poiché, perla nostra debolezza, questa punizione, benché utile, appare pesame, eviliamo di subirla alla presenza di tutti. Che dico alla presenza di tutti? Talvolla non sopportiamo neppure che, mentre ci rimproverano, siano presenti due tes1imoni, ma accusiamo chi ci rimprovera dicendo: 'dovevi dire cio che volevi a me solo e non dovevi

175. Ho.Ps. XXXVII, 11,I, c. 1381 A. 176. Ho.Ier. XVl,6, p. 139, 14: « Noi insulliamo anche coloro chc fanno penitcnza c si convcnono, malgrado che la Scrittura dica: 'Non insultare un uomo che si distoglie dal peccato' (Sir. Vlll,6)»; l'isolamcmo dal resto della comunità dei pcccatori è ribadito anche in Frg. I Cor. V, JO-//, p. 366,6: la raccomandazionc dell' Apostolo di non mc~co 1 arsi con gli impudichi, vienc riferila a coloro che peccano dopo il ba11esimo con i quali bisogna assolu1amentc evitarc di avere rapporti. 177. Ho.L v. Xl,2, p. 452, I: « Multi su nt enim qui nec ad hoc inclinantur nec paenitentiae refugium quacrunl sed, cum ceciderint, surgcrc ultra nolunl ». Cfr. anche le csonazioni alla peni1enza in Ho.Li·. Vlll,10, p. 407,21; Ibid. Xll,3, p. 460,4; llo.Ps. XXXVII, 11,S, c. 1386 B; flo.Ps. XXXVI, IV,2, c. 1355 C. 178. Ho.Lv. 111,2, p. 302,22. 179. Ibid., 1. 9.

219 farmi arrossire alla presenza di moiti'; soffriamo, ci agitiamo, ribolliamo e, net profondo del cuore, ci 1ormentiamo» 11 •.

Anche l'atto di scomunica era fonte di ribellione e divisîoni all'interno della chiesa: quasi tutti i richiami di Origene alla patientia cristiana hanno presenti sullo sfondo tutta una serie di sîtuazioni che si ricollegano alla penitenza. Nelle Ome/ie su Geremia, la situazione dei profeti che, quando riprendevano i peccatori, erano calunniati e odiati viene paragonata alla situazione della chiesa: spesso - osserva Origene - colui che è stato condannato, invece di sottomettersi, parla male ovunque della persona che, prendendo provvedimenti contro di lui, ha invece difeso la verità: «Ma noi - esorla il predicatore - non componiamoci cosi, non diamo ascoho a coloro che, dopo essere s1a1i cacciati, dicono male di colui che li caccia o dicolui che ha sottoscritto la penitenza ... » "'.

Ma ad essere messa in luce più spesso è la resistenza dell'episcopato a ricorrere, con tutto il rigore richiesto da Origene, allo strumento della penitenza e dell'esclusione dalla comunità. ln un passo, Origene si chiede in quale circostanza per uno che pecca !'ira del Signore si addensi su tutto il popolo: «Quando i sacerdoti che sono a capo della chiesa vogliono sembrare benigni nei confronti di chi erra e quando, timorosi che la mata lingua dei peccatori si esercili per caso contro di loro e dimentichi della severità propria del sacerdozio, non vogliono compiere ciè> che è scritto: 'rimprovera il peccatore, davanti a 1u11i perché gli ait ri abbiano timore' (/ Tim. V,20)» "'.

Essi - continua Origene - si sottraggono persino al dovere di redarguire privatamente i peccatori, non soltanto nel caso di peccati di lieve entità, ma anche nei confronti di quelli che implicano la scomunica: per risparmiare un solo uomo essi preparano la perdizione di tutta la chiesa: «È cosi che agiscono i capi della chiesa senza pensare che siamo un 'solo corpo'

180. lfo.Ps. XXXVII, 1,1, c. 1371 A. 181. Ho.Ier. XIV,14, p. 120,11; cfr. anche Ho.Ps. XXXVII, 1,1, c. 1371 B: «Nos qui episcopi arguemis iracundiam ferre non possumus, sed indignanter accipimus, ilium furorem qui Dei esse dicitur, arguentem nos quomodo tolerabimus?». 182. Ho.los. VII, 6, p. 332,22.

220 (cfr. /Cor. XII,20) noi che crediamo, che abbiamo un solo Dio, Cristo che ci avvince e ci congiunge nell'unità. Tu che sei a capo della chiesa sei l'occhio del corpo di Cristo, specialmente per questo: perché tu possa badare ed osservare ciè> che ti circonda ed anche prevedere ciè> che puè> accadere» 1 u.

183. Ibid., p. 333,19.

VIII. IL PRINCIPIO ELA FINE: LA DIFFICILE SCELTA FRA IL SILENZIO ELA PAROLA

Necessario complemento di una predicazione incentrata su terni di edificazione morale è la presentazione dei castighi e delle promesse che la vita futura riserva agli uomini in base al comportamento da essi adottato in questa vita. Tale aspetto è sempre menzionato quando Origene - nelle omelie corne altrove - ricorda in forma sintetica i punti essenziali della dottrina cristiana che tutti sono tenuti ad accettare 1 ; ma, a differenza degli ait ri punti della regula fidei che sono oggetto della predicazione origeniana soltanto in modo episodico, il tema delle promesse - e soprattutto quello dei castighi - occupano un grande spazio nelle omelie. La trattazione dei castighi che attenderebbero i peccatori all'uscita da questo mondo riveste un grande interesse anche per un'altra ragione: essa costituisce un punto di osservazione privilegiato per vedere corne di fatto Origene si è comportato dovendo spiegare, ad un pubblico di «semplici», un tema - la natura e la durata del castigo - in cui le sue idee - sia sotto forma di convinzioni precise, sia sotto forma di ipotesi di ricerca - erano orientale in modo molto diverso, non soltanto da quello dei «lattanti» di Cristo, ma anche della teologia più tradizionale. Già in precedenza ho avuto occasione di sottolineare la riservatezza del predicatore nei confronti di qualche argomento oppure la diversità che caratterizza la presentazione di alcuni terni nelle omelie e in opere di altro genere; fino a questo momento, tuttavia, abbiamo visto la predi-

1. Cfr. Ho.Ier. V,13, p. 42,7: 1 «semi» sami con cui è necessario coltivare le nostre anime sono: la dottrina sui Padre, sui Figlio, sullo Spirite santo, sulla resurrezione, sui castigo, sui riposo, sulla Legge ed i Profeti; cfr. anche Ibid. IV,2, p. 24,15; l'esposizione più dettagliata della regulafideiè in De Pr. l, praef., 5. Su questo tema, cfr. R.C. Baud, «Les Règles de la théologie d'Origène», in R.S.R., LV, 1967, pp. 161-208; cfr. in particolare p. 197.

222 cazione origeniana confrontarsi su terni che, se non venivano troppo approfonditi, non affrontavano mai direttamente quell'insieme di idee più speculative - la preesistenza delle anime, la successione dei mondi, la salvezza universale delle creature - che Origene aveva discusso nel De Principiis. Quando egli parlava dell'interpretazione della Scrittura, della loua contro i demoni, delle virtù da praticare e dei peccati da evitare, poteva, con relativa facilità, mettere tra parentesi questi altri aspetti del suo pensiero senza che si ponesse in modo ineludibile il problema della scelta fra che cosa dire e che cosa non dire, fra il parlare contro le proprie intime convinzioni o - più semplicemente - fingere certezze che non aveva e l'esporre invece apertamente il proprio punto di vista correndo tutti i rischi relativi a tale franchezza. Con il tema dei castighi la questione si pone in modo diverso: da una parte, esso è considerato - per l'inscindibile legame che viene instaurato fra timore e progresso morale - un aspetto essenziale di una predicazione tesa all'edificazione delle anime, dall'altra, esso viene ad attraversare proprio quel complesso di idee cui accennavo prima. - Ci troviamo di fronte, dunque, ad un nodo problematico particolarmente delicato, dietro il quale si intravede una vexa/a quaestio della critica origeniana, questione che affonda le sue radici già nelle prime discussioni suscitate intorno alla sua figura, a più riprese e con sfumature diverse, accusata di esoterismo 1 • Con questa espressione intendo alludere a quella interpretazione che attribuisce ad Origene la distinzione fra due gruppi di cristiani - i semplici ed i perfetti - cui corrispondono due forme di attuazione della sal-

2. Pamph., Apol. pro Orig., praef., c. 548 C: «lncipientes igitur indiciis scriptorum suorum ostendere quid de singulis senserit, ex his praecipue libris testimonia congregabimus, quos accusatores eius quam maxime criminantur, id est, quos per spatium et quietem in secreto conscripsit: hos enim asserunt maxime a praedicatione ecclesiastica discrepare: ex his praecipue libris quos IlEp'r. &pxé:S11 attitulavit, in quibus quamplurima a calumniatoribus incusantur». Cfr. anche Ibid. 1, c. 557 A: ccQuae quidem non in publico ab eo dicta sunt, id est in communi Ecclesiae auditorio, ne forte putetur propter audientes favorabilem aptasse sermonem sed ex illis haec libris protulimus, quos in secreto apud semetipsum nullo arbitro intercedente dictabat». Già al tempo di Panfilo dunque si faceva una netta distinzione fra le omelie destinate all'insegnamento pubblico dei «semplici», che contenevano verità «addomesticate» e le aitre opere origeniane - fra cui in particolare il De Principiis - composte «in secreto» e destinate ad un pubblico più scelto e ristretto, i cui contenuti erano più lontani dalla ccpraedicatione ecclesiastica». Quest'accusa - diremmo oggi - di nicodemismo viene ripresa ed amplificata da Girolamo contro gli origenisti dei suoi tempi, cui egli rinfaccia di praticare la menzogna e Io spergiuro sulla scia di una pratica inaugurata dal loro maestro di cui viene riportato un passo tratto dagli Stromata (VI): Ep. 84,3, p. 124,15 e Contra Ru/. 1,18, p. 50,1.

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vezza e due culti - per gli uni il culto sensibile, per gli altri il cuita in spirito e verità -, due modi di conoscenza di Dio - per i primi la carne di Cristo, per i secondi l'intelligenza spirituale delle Scritture e la speculazione sui Logos -, due modi di rapportarsi al divino - per i primi il timore e l'illusione religiosa, per gli altri l'amore e la verità -. Ancora seconda questa interpretazione Origene avrebbe pensato che all'interno del gruppo ristretto dei privilegiati e soltanto fra essi vi potesse essere la comunicazione di dottrine da cui gli altri erano esclusP. La posizione origeniana sulla natura e la durata dei castighi e sull'opportunità di parlare in pubblico su questi terni, ha attirato l'attenzione dei critici in quanto argomento che più di altri avrebbe potuto offrire un contributo alla discussione sull'esoterismo origeniano; questa è, per esempio l'impostazione di de Lubac4, nel suo ampio commenta all'esegesi origeniana di Ier. XX, 7: «Tu mi haî ingannato Signore e io mi sono lasciato ingannare». Da parte mia, cercherà di riprendere l'argomento seconda l'impostazione sopra descritta e di inserirlo nel contesta più ampio dei problemi e dell'orientamento generale della predicazione origeniana che si pone corne fine soprattutto la salvezza di chi Io ascolta. Da questo punto di vista, un primo interrogativo puà essere formulato cosi: che tipo di contributo puà dare alla salvezza la minaccia di un castigo eterno? Un aspetto della risposta a tale interrogativo è l'importanza attribuita da Origene al timore.

3. Questa è la posizione di J. Lebreton, «Le désaccord de la foi populaire et de la 1héologie savante dans l'Eglise chrétienne du 111• siècle», in R.H.E., XIX, 1919, pp. 481-506; XX, 1920, pp. 5-37, e, dello stesso, «Les degrés de la connaissance religieuse d'après Origène», in R.S.R. XII, 1922, pp. 265-296. Per una breve rassegna sulle interpretazioni « eso1eriste» della figura origeniana, H. de Lubac, Recherches dans la foi. Trois é111des sur Origène, Saint Anselme et la philosophie chrétienne, Paris 1980, pp. 40-48. 4. Nello s1udio citato sopra. Nella parte riguardante Origene (pp. 31 sgg.) egli analizza la teoria della menzogna utile mel!endo in luce il divario esistenie fra il modo platonico di intendere tale idea (la menzogna utile corne menzogna politica che non è conforme, sia pure in modo oscuro, ad una verità superiore e che non si pone il problema di essere educativa nei confronti dei «moiti») e quello origeniano (la menzogna corne imroduzione alla verità che ne rappresenta soltanto un approfondimento). Tuua l'argomentazione del de Lubac si fonda sull'interpretazione origeniana di Ho.Ier. XX,4 (cfr. sotto n. 18) ove si allude «alla verità intorno al castigo» che va taciu1a per non allontanare i fedeli da un relto modo di agire. Per Io s1udioso francese la verilà taciu1a non consiste nella non eternità del castigo (il che assimilerebbe la concezione origeniana della menzogna utile a quella platonica), ma soltanto nel fauo che il castigo sarà di natura spiri1uale e molto peggiore del fuoco ma1eriale che tutti si aspeuano. Tale tesi, oltre che su un'interpretazione perme incompleta del passo in questione (cfr. sotto), si fonda sui presupposto che Origene, anche nelle aitre opere, non abbia in realtà ammesso la non e1ernità delle pene, presupposto che viene sostenu10 in modo superficiale, prendendo in esame soltanto i pochi passi origeniani ad esso favorevoli.

224 1. L'utililà del timore

Il timore è collegato chiaramente agli inizi della fede: la fase iniziale dell'incontro del singolo con la religione cristiana viene descritto nei termini di un concepimento e di un parto: l'anima concepisce dal seme della Parola e gli dà forma fino a che partorisce lo spirito del timore di Dios. Il timore di Dio è un fine preciso dell'insegnamento dei doctores ecclesiae6 ; senza il timore è impossibile edificare «la casa eterna e celeste» cui allude Paolo (Il Cor. V, l) 1 • Il predicatore è convinto che la fede nel giudizio futuro sia piuttosto tiepida e che il timore di questo non sia sufficientemente radicato nei suoi ascoltatori: essi continuano ad assistere a spettacoli licenziosi, a dedicarsi alle calunnie, ai discorsi futili, non si astengono dalla violenza, dal furto, dalla fornicazione. Perché? - si chiede il predicatore -; perché manca la fede nelle pene riservate agli empi. Se qualcuno sapesse di essere condannato al rogo il giorno dopo, certo si dispererebbe, piangerebbe, darebbe tutte le sue ricchezze per poter sfuggire alla pena, non darebbe certo retta a chi Io volesse fermare su questa strada. Perché una cosi grande differenza di comportamento? «Quia inde non dubitares, hinc dubitas»'. Talvolta sembra che Origene non abbia di fronte soltanto una gene-rica mancanza di timore nei confronti del giudizio, ma anche posizioni precise che tendevano a minimizzare la minaccia della geenna, con l'idea che la preghiera dei santi potesse essere in grado di strappare chiunque da quel luogo: nessuno faccia affidamento sui padre martire - ammonisce il predicatore, pensando forse al suo caso - sulla madre santa, sui fratelli casti; tutto cio non arrecherà nessun vantaggio, se non è accompagnato da una vita retta 9 • Anche in un'altra omelia ' 0 si accenna all'esistenza di opinioni che

5. Ho.L11, XII,7, p. 466,25. 6. Ibid. V,12, p. 356,23. 7. Ibid., XV,2, p. 488,17; il timorecomedeterrente dai peccati: Ho.Ez. l, 19, p. 25,25; 11,3, p. 344,12; Ho.Nm. XIX,I, p. 178,6. 8. Ho.lv. Xl,7, p. 431,5. 9. Ho.Ez. IV,8, p. 368,25; venendo a commentare Ez. XIV, 14, Origene inoltre allude a coloro che «frequenter dicunt: 'futurum est ut unusquisque nostrum precibus suis eripiat quoscumque voluerit de gehenna' et iniqui1a1em introducunt ad Dominum non videntes quoniam 'iustitia iusti super eum erit et iniquitas iniqui super eum' (Ez. XVlll,20) ... ». L'idea che i santi po1essero con le loro preghiere sirappare i danna1i dall'inferno si trova anche nell'Apocalisse apocrifa di Pietro (c. 14), cfr. su ques10 punto E. Lupieri, « 'Poena aeterna' nelle più antiche Apocalissi cristiane apocrife non gnostiche», in Aug., XXIII, 1983, p. 363. 10. Ho.Ez. V,5, p. 377,5.

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tendono a dare un'idea troppo edulcorata della giustizia di Dio; malgrado le affermazioni contrarie della Scrittura, alcuni si sforzano di ignorarle, rifiutando di accettare cio che incute timore, prestando, invece, orecchio a ciè che risulta gradito e soprattutto a chi sostiene che Dio, poiché è buono, perdonerà alla fine i nostri peccati. Come è compito di ogni buon agricoltore tagliare i rami secchi - continua Origene - allo stesso modo il buon Dio taglierà i rami che non portano frutto per destinarli alla perdizione del fuoco. È necessario pertanto cercare cio che edifica, accresce il timore di Dio e porta alla penitenza ed alla purificazione dai peccati. La valorizzazione del timore è perà relativa agli inizi ed ai principianti nella fede 11 ; il timore non è infatti l'unica modalità del rapporto con Dio, vi è anche l'amore che ne rappresenta uno stadio più perfetto. 1 due diversi modi di vivere il rapporto con Dio individuano due diversi gruppi di fedeli di cui quello dominato dal timore è di gran lunga più numeroso del secondo. 1 santi cercano la salvezza mossi dal desiderio delle cose celesti, desiderosi di essere al cospetto di Dio; gli altri giungono alla salvezza spinti dal timore dei castighi e si pongono corne obiettivo soltanto quello di sfuggire al castigo eterno 12 • Per quanto dunque il timore sia ritenuto un modo ancora imperfetto di avvicinarsi a Dio, non se ne mette comunque in dubbio l'efficacia per condurre alla salvezza coloro «che si nutrono di latte», coloro cioè cui Origene si rivolge soprattutto nelle omelie. 11. Cosi Origene, rivolgendosi ai catecumeni, descrive Io stato d'animo di chi si avvicina alla rede: «Omnipotens Pater virtute invisibili subicit cordibus vestris, quos scit esse dignos hune ardorem, ut quasi inviti et retractantes veniatis ad fidem, maxime in exordio religionis cum veluti trepidi et paventes salutis fidem cum timore suscipitis» (Ho.Le. VII, p. 46,8); cfr. anche Ibid. VIII, p. 51,23: «Licet infirmus ad Dominum accesseris, si timueris eum, audire poteris repromissionem (se. Le. 1,50), quam tibi ob timorem suum Dominus pollicetur»; Tra,·t.Ps. LXVI, p. 38,134: «Timere incipientium est, diligere perrectorum. Qui adhuc timet, in initio positus est, non habel perrectam et plenam fidem; qui autem diligit Deum, omnia ci proueniunt in bonum»; Ibid., p. 39,165: «Metuere paruulorum est, ceterum diligere perfectorum». Su questo aspetto della fede dei simpliees, cfr. G. af Hllllstrom, op. cit., p. 20. 12. Ho.los. IX, 7, p. 351,22: i primi sono ccnobiliores» ma, se confrontati ai secondi, «pauci et valde rari»; Ho.los. XVll,2, p. 402,24: «ln omni populo - eorum dico qui salvantur - maior sine dubio pars est et longe numerosior eorum qui simpliciter credentes in timore Dei per opera bona, per honestos mores et actus probabiles Domino placent ... »; Ho.On. Vll,4, p. 74,15: tutti corne lsmaele ed lsacco sono figli di Dio, ma alcuni credono per amore, altri per timore; il perreuo è simboleggiato da lsacco, figlio della donna libera, perché in lui non vi è timore servile; anche l'altro, tuttavia, riceverà dei doni, ma rimane inreriore al primo: egli è il «piccolo» che si nuire di latte e che non puo ricevere il cibo solido della sapienza di vina. Traet.Ps. CXI, p. 23, 18: .rirJ€s-) ed aver superato, si intende, l'inganno, sono caduti in una vita peggiore? Sarebbe stato meglio per loro pensare corne prima su 'il loro verme non morirà' e che 'il loro fuoco non si estinguerà' e che 'saranno alla vista di tutti' (/s. LXVl,24) e che 'la paglia sarà bruciata in un fuoco inestinguibile' (Mt. 111,12). Se, dopo essersi immaginati qualche cosa di diverso da corne pensavano prima, vogliono 'disprezzare la ricchezza della bontà di Dio, della sua tolleranza e della sua pazienza' (Rom. 11,4), considera se non è proprio per questo, perché non hanno stimato bene essere ingannati, che 'hanno accumulato un tesoro di ira nel giorno dell'ira e della rivelazione e del giusto giudizio di Dio' (cfr. Rom. 11,5), mentre non avrebbero accumulato questo tesoro, se fossero stati ingannati» 18 •

16. Ho.Ier. XX,3, p. 181,13. 17. Cfr. sopra cap. VII, n. 61. 18. Ho.Ier. XX,4, p. 183,S.

229 A che cosa voleva alludere il predicatore con l' espressione «la verità sui castigo»? li passo citato è inserito, corne si è visto, in uno sviluppo che ha lo scopo di spiegare e di illustrare con esempi i due aspetti complementari e, in un certo senso opposti, dell'«inganno» di Dio. 1 casi della donna e dei cosiddetti «saggi» riguardano un «inganno» che fa leva sui timore; in questo tipo di inganno, cio che si vuol nascondere è incomparabilmente meno temibile di cio che, invece, è utile credere. La «verità sui castigo» non puo dunque che riguardare in principal modo l' idea del carattere medicinale della pena e quindi della sua finitezza 19 • Da parte di alcuni critici si è pero avanzata l'ipotesi che qui il predicatore abbia voluto alludere alla natura delle pene che, secondo Origene, sarebbero spirituali e non materialP 0 • L'unico argomento a sostegno di questa interpretazione è il fatto che Origene accenna proprio a questo argomento più avanti, quando arriva a commentare Ier. XX,9 («Si è prodotto nel mio cuore un fuoco bruciante, acceso nelle mie ossa»): «La parola - avverte Origene, cercando di polarizzare l'attenzione del suo pubblico - sta per dire qualche cosa di audace e non so se è utile a 19. Questa è anche l'interpretazione di H. Crouzel, «L'Hadès et la Géhenne selon Origène», in Greg., LIX, 1978, pp. 318-319. Questo studio, che analizza una documentazione molto più ampia e partkolareggiata di quella del de Lubac - ma senza sollevare il problema dell' «esoterismo» di Origene connesso al tema della t'unzione e della concezione della menzogna utile - affronta il problema se Origene abbia o meno creduto all'eternità del castigo. Dalla discussione delle due serie di passi, l'una a favore e l'altra a sfavore, si conclude per una oscillazione del pensiero origeniano in proposito. 20. Cfr. de Lubac, Recherches ... cit., pp. 46-47, di cui ho già parlato sopra n. 4 e Nautin, SC 232 cit., p. 269, n. 3; quest'ultimo - nell'introduzione alla sua traduzione delle Omelie s11 Geremia - ha dedicato qualche pagina (pp. 172-179) alla predicazione origeniana sui castighi riservati ai peccatori. A conclusione il Nautin, secondo cui la predicazione di Origene avrebbe sostenuto in modo molto lineare la finitezza delle pene, osserva: «Origène a fait des allusions plus nombreuses et plus claires qu'on aurait pu le supposer à des doctrines comme la préexistence des âmes et l'universalité du salut qu'il déclare réservées aux plus avancés. En fait, chaque fois que le texte s'y prête, il ne peut s'empêcher de les évoquer en des termes transparents pour quiconque était un peu informe ou l'écoutant avec une intelligence anentive» (p. 183). Come si vede, il Nautin è su posizioni molto diverse da quelle espresse da de Lubac; la convergenza di opinioni sull'interpretazione di Ho.Ier. XX,4 si spiega con il fano che il primo - guidato da una valutazione complessiva della predicazione origeniana che ne sonolinea i caralteri scientifici, di scuola, più di quelli collegati alla costante preoccupazione per ciè> che «edifica» e che «salva» - cerca di minimizzare l'importanza di quei passi che accennano all'eternità del castigo (si veda, ad esempio, infra, n. 65 l'interpretazione del Nautin di Ho.Ier. XVlll, I) oppure che, corne quello in questione, rivelano un atteggiamento pedagogico del predicatore più complesso e sfumato. Si noterà del resto l'ottimismo - alla luce dei falti - piuuosto ingiustificato che traspare dalle parole riportate del Nautin; le sue osservazioni suonano un po' ironiche se pensiamo che tre lettori di Origene, corne Io stesso Nautin, il de Lubac, ed il Crouzel, la cui conoscenza e penetrazione del pensiero origeniano sono fuor di dubbio, hanno espresso proprio su questo problema e basandosi soprattutto sulle Omelie s11 Geremia altreltante opinioni contrastanti.

230 questa o a quella parte dell'uditorio» 2 '. L'argomentazione che segue si articola poi nei seguenti punti: a) il fuoco di cui parla Geremia è di natura spirituale; b) si insiste molto sui fatto che esso è molto più doloroso di quello materiale; c) questo fuoco è quello del pentimento; d) è preferibile dunque provarlo già in questa vita facendo penitenza ed evitarlo nell'aldilà. Ma quest' omelia che - molto significativamente - si era aperta con l'affermazione programmatica che tutto ciè> che la Scrittura dice di Dio deve essere degno di un Dio buono e che è diventata una meditazione sulle punizioni riservate ai peccatori, non si limita a far intravedere la natura spirituale del castigo ultraterreno: almeno in due punti essa allude anche al fatto che esso possa essere educativo e quindi non eterno. Nella spiegazione di Ier. XX, 12, troviamo una serie di considerazioni che, per quanto in forma ellittica e allusiva, sembrano rimandare alla possibilità di un miglioramento della propria condizione, anche dopo la morte, per coloro che sono stati condannati. L'argomentazione, certo non facile, di Origene muove dal confronta di due passi (Ier. XX,12 e Ps. VII,10) ove compaiono rispettivamente i verbi ouvi{v01t e ÉTdt°ELv per indicare l'azione del Signore sui «renie il cuore» (Ps. VII, IO). Il secondo verbo viene interpretato corne indicante un'azione punitiva riservata non a tutti, ma soltanto ai peccatori; il verbo infatti - osserva Origene - viene usato in questa vita a proposito delle persone che vengono interrogate nei tribunali, ma, mentre i torturatori si accaniscono sui corpo, il Signore si rivolge «aile reni ed al cuore». La sofferenza che deriva dall'esame CfmoµÔç) del Signore è molto più grande di quella inflitta dai carnefici terreni e anche di quella di coloro che nell'altra vita sono affidati agli «aguzzini» di cui parla Mt.

XVIIl,34. Anche se la sofferenza è più grande, il passaggio dalle mani degli aguzzini a quelle del Signore viene presentato tuttavia corne un progresso: «Quel ricco (cfr. le. XVI, 19-28) non era ancora degno di essere consegnato a colui che investiga 'i cuori e le reni'. Per questo era tormentato da moiti; se alla fine anche costui subisca questo (l'essere cioè consegnato al Verbo), oppure no, esamini la questione colui che ne è in grado» 22 •

21. Ho.Ier. XXl,8, p. 190,22. 22. Ibid. XX,9, p. 194,11; si noti inoltre che l'esempio del ricco di le. XVl,19 dimostra che qui Origene aveva in mente non peccatori di poco conlo, ma proprio colora che in vita avevano dato prova di grande malvagità. Sui tipi di peccati che possono essere ogge110 di purificazione, cfr. souo par. 3.

231 li predicatore mette fine bruscamente - in un modo che avremo modo di notare anche più avanti - al suo approfondimenro della Scrittura; cià che resta implicito è più di quanto venga detto apertamente, tuttavia, senza forzare il pensiero di Origene, è possibile domandarsi che senso avrebbe la distinzione fra una pena meno degna amministrata dagli «aguzzini» e una più degna e successiva amministrata direttamente dal Verbo, se non si pensasse che anche questo stadio sia - per quanto doloroso - finalizzato alla salvezza e temporaneo; si dovrebbe altrimenti ipotizzare - idea che mi pare in decisa opposizione con il pensiero cristologico origeniano - che il maestro alessandrino abbia qui voluto affermare che sarà proprio il Verbo ad assumere il ruolo di punitore crudele per tuila l'eternitàll. Un altro punto in cui affiora l'idea della non eternità della pena è la spiegazione di Ier. XX,6 ( «Riderè> della sua parola amara»). L'immagine del riso e, per contrasto, quella del pianto richiamano alla mente del predicatore una serie di passi in cui il riso ed il pianto vengono fatti oggetto delle promesse del Signore riguardanti la vita futura: il riso ed il pianto dei beati (cfr. Le. Vl,21) evocano per opposizione il pianto degli infelici (con riferimento a Le. VI,25) che è diverso dal precedente: se anche questo abbia un fine utile - aggiunge Origene - «non Io so». Poco oltre, tuttavia, sempre a proposito delle lacrime dei malvagi nell'aldilà, viene avanzata l'ipotesi che esse possano essere un segno di pentimento: «Il pianto futuro di colora che in questo mondo ridono è forse Dio che Io suscita in loro: 'là infatti vi sarà pianto e stridore di denti' (Mt. Vlll, 12) e Dio si adopera per questo, vedendo che colui che piange per i propri peccati e si affligge per i suoi misfatti è già pervenuto alla coscienza dei suoi mali»,..

Mi sono soffermata a lungo su questi passi perché mi sembra che essi rendano bene l'idea della complessità del pensiero di Origene intorno al castigo ultraterreno corne anche dei modi da lui adottati per comunicarlo al suo pubblico; tenendo presente questo sfondo, chiedersi se «la verità sui castigo» alluda alla non eternità delle pene oppure alla natura spi-

23. Cfr. Ho.Ez. V,I, p. 372,17; dopo aver citato le. Xll,49, si aggiunge: «Neque enim, ut existimant, ad hoc tantum adhibet supplicia, ut torqucat (se. Deus), scd quasi pater scit vulnera omnium nostrum, scit, qua ex causa quod ulcus narnm sit, quae putredo infclicis animae ex quo ducatur cxordio, qualis species doloris ex quo peccato veniai. .. Haec omnia nos itlxta sapientiam Dei quaerere secundum illud, quod scriptum est: 'scrutans corda et renes Deus', et supplicia quae ab eo irrogantur, sic intelligere, quasi digna Deo et convenientia dispensationi eius, nos vult, non tantummodo cruciari». 24. Ho.Ier. XX,6, p. 186,20.

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rituale di esse significa, a mio parere, porre il problema in termini un po' artificiosi. Le due idee - corne abbiamo visto - si intrecciano intimamente nel pensiero del predicatore ed emergono entrambe dalla sua riflessione; esse fanno infatti parte di un'unica verità. Si puè> se mai dire che - corne vedremo meglio in seguito - esse non hanno agli occhi di Origene Io stesso grado di certezza e Io stesso potenziale di pericolosità per i «piccoli» che hanno ancora bisogno del timore per progredire; per questo infatti, fra i due aspetti, è quello della non eternità dei castighi ad essere sottomesso ad una censura più netta e severa. In queste due lunghe omelie Origene ha difeso l'utilità dell' «inganno» di Dio alla luce di quello del padre e del medico; resta da chiarire corne egli, nella sua predicazione, abbia di fatto interpretato questi due ruoli: quale di questi ha prevalso nel suo rapporta con i «moiti», quello del medico che nasconde l'asprezza del rimedio per non scoraggiare o quello del padre che nasconde l'amore per intimorire?

3. Il fuoco che purifica Anche se Origene dice di ritenere opportuno, per non scoraggiare i «moiti», il mistero che, nella Scrittura, circonda il fuoco purificatore al quale sono destinati tutti, egli non fa nulla per nascondere questa minaccia, coglie, anzi, ogni minimo appiglio fornito dalla lettura del giorno per trattare tale argomento 25 • Tutto ciè> che si trova nel mondo della generazione - avverte il predicatore - ha bisogno della purificazione e del castigo 26 ; tutti coloro che escono dalla battaglia di questa vita devono essere purificati perché, anche se hanno sconfitto il demonio, anche se hanno vinto i cattivi pensieri, anche se hanno calpestato la testa del «serpente» (cfr. Le. X,19), per questo stesso motivo, essi si sono macchiati2'. La circoncisione del bambino, nell'ottavo giorno, simboleggia il fat-

25. Per una presentazione generale della dottrina origeniana del fuoco purificatore, cfr. G. Anrich, Clemens und Origenes ais Begrii11der der Lehre vom Fegfeuer, in Theologische Abha11dl11nge11 jür H.J. Holtz111a11n, Tübingen 1902, pp. 95-120; C.E. Edsman, Le baptêmedufeu, Leipzig 1940, pp. 1-15; C. Blanc, LeBaptê111ed'aprèsOrigè11e, inStudia Patristica XI, Berlin 1972, pp. 113·124; H. Crouzel, L'exégèse origé11ie1111e de I Cor. ///,//-/5 et la purificatio11 eschatologique, in J. Fontaine et C. Kannengicsser (ed.), Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Paris 1972, pp. 273-283. 26. Ho.Ier. Xl,S, p. 83,16; i problemi relativi all'interpretazione di questo passo sono stati discussi sopra, cap. Vil, n. 74. 27. Ho.Nm. XXV,6, p. 241,10.

233 loche, duranle «la seltimana di questo mondo», fintanlo cioè che si è nella carne, non è possibile essere puri: è necessario per questo altendere «l'ouavo giorno», cioè il secolo fuluro 2 •. Tulti - anche santi corne Pietro e Paolo - devono andare in quel fuoco di cui parla Isaia (XLIIl,2), anche se il modo in cui ciascuno passerà attraverso di esso non potrà essere Io stesso. Gli Ebrei e gli Egiziani passarono entrambi auraverso il Mar Rosso, ma i primi ne uscirono indenni, mentre i secondi furono sommersi 29 • Talvolta il testo biblico suggerisce al commentatore un ahro ordine di idee che tende a soltolineare le differenze fra il fuoco che auende i peccatori e quello che, invece, attende i sanli: vi è il fuoco cui allude L v. XVI, 12, fuoco che purifica uomini santi corne Aronne e il fiume di fuoco di cui parla Daniele (VII,10)' 0 • Come Giovanni, sulle rive del Giordano, non acceuava tutti quelli che si presentavano, cosi anche Cristo starà «nel fiume di fuoco», vicino alla «spada fiammeggiante» (Gn. Ill,24) e battezzerà con il fuoco soltamo coloro che, già battezzati in vila «con l'acqua e Io Spirito santo», hanno bisogno di una purificazione". Nella simbologia del fuoco purificatore, la «Spada fiammeggiante» sostituisce talvolta il fiume di fuoco: essa taglia e brucia le imperfezioni ed i peccati di coloro per cui la purificazione del battesimo dello Spirito santo non è stata sufficienten. Per spiegare in che modo avverrà concretamente la purificazione per il tramile del fuoco, il predicatore ricorre soprattutto a due immagini, quella suggerita da l Cor. IIl,12-15 in cui il fieno, la paglia ed il legno vengono consumati dal fuoco, e quella della fusione che separa il piom-

28. Ho.lv. Vlll,4, p. 399,15. 29. Ho.Ps. XXXVI, 111,1, c. 1337 B; paragonc ripreso in Ho.Ex. Vl,3-4, p. 195,10. 1 gius1i came Daniele, Giobbe e Noè passeranno auraverso il fuoco scnza bruciarc: Ho.Ez. V,2, p. 373,21. 30. Ho.lv. lX,8, p. 432,17; il seconda 1ipo di fuoco auende IUHi gli ahri - «de quibus e1iam me ipsum complllo» - ed è simboleggia10 appunto dal « fiume di fuoc0>>; esso, non provenendo dall'ahare, cioè dal Signore, «proprius es1 uniuscuiusque peccantium»; ad esso inohre si allude con /s. LXVl,24 («11 loro verme non morirà ed il loro fuoco non si esiinguerà» ); è il fuoco acceso dagli stessi che Io subiscono came si afferma in /s. L, 11. 1n modo più vela!O chc in Ho.Ier. XX,8 (cf'r. sopra n. 21). Origene vuolc qui alludcre alla na1ura spi ri male di ques10 fuoco. Sui diversi 1ipi di fuoco cfr. anche: Ho.ls. IV ,5, p. 262, l l: «ûmncs igni tradendi sunt, scd non omnes uni igni, alios 'de ahario' (l1 1• XVl,12) ignis exspec1a1, alios 'ille qui praeparatus es1 Zabulo ci angelis eius' (Mt. XXV ,41)»; cfr. anche Ho.Li·. IX,7, p. 489,21. 31. Cfr. Ho.le. XXIV, p. 148,15; qucs10 passa c la simbologia ivi con1enu1a è s1a10 s1udia10 in particolar modo dalla Edsman, op. cit., pp. 1-3. 32. Ho.Ez. V,I, p. 372,8; Ho.Le. XXVI, p. 154,S: «Si sanctus fueris Spiri1u Sanc1u bap1izaberis, si pecca1or in ignem mergeris».

234 bo e le aitre impurità dall'oro e dall'argento. Sul fondamento di Cristo si puà costruire «la casa» utilizzando diversi materiali, paglia, fieno, legno, oppure oro, argento e pietre preziose. 1 materiali più vili simboleggiano i peccati commessi dopo il battesimo, fra essi, quelli meno gravi possono essere simboleggiati dalla paglia che il fuoco consuma in breve tempo, mentre quelli più gravi, sono indicati da! legno, in cui il fuoco trova un alimento durevole ed abbondanteH. Simbolo dei peccati, che si aggiungono alla natura originariamente buona delle creature, possono essere anche Io stagno ed il piombo; per questo è necessario - avverte il predicatore - che «tutti vadano alla fornace» (cfr. Mal. 111,3), in modo che il fuoco possa fondere il piombo e purificare l'orou. Nelle omelie viene anche affrontato il problema del rapporto fra il numero e la qualità dei peccati, da una parte, e la durata del fuoco purificatore, dall'altra. Su questo aspetto il predicatore ammette la sua incertezza dovuta sia alla delicatezza dell'argomentoB, sia al fatto che soltanto Dio «Verus iudex» puè> giudicare la quantità e la qualità dei peccati3 6 ; egli non rinuncia, tuttavia, ad abbozzare in forma ipotetica ciè> che si potrebbe definire - riprendendo la fonunata espressione di Chiffoleau - una sorta di comptabilité de l'au-de/à. Lo porta a riflellere in questo senso Ez. XVl,54; le «ignominiae» cui allude il profeta fanno pensare che le punizioni saranno proporzionali al peccato: se avrà peccato cinquanta volte, riceverà cinquanta «ignominias». Sodoma, che Dio promise di restaurare, a distanza di migliaia di anni non è stata ancora ricostruita e il suo destino, che simboleggia quello dell'anima peccatrice, dimostra quanta grande sia l'intervallo di tempo che separa la restaurazione dalla ravina 37 • Un'analoga sottolineatura della lunghezza della pena da scontare viene fatta nel commenta di Nm. XIV ,34: se verrà dato un anno di pena per ogni giorno in cui si è peccato - visto che cià avviene tutti i giorni

33. Ho.Li•. XIV.3, p. 482,14; Ho.Ier. XVl,5, p. 154,5: anche ,c, quando u'dn:mo da ques1a vita, portercmo con noi delle buone azioni, «prima» il fuoco dovrà di,1ruggere la "paglia», il "tïeno», cil nec 'upcres1 aliqu1d. quod pro hm: crimine iudicii die~ el pocna ae1crni ignb invcniat ... /lo.L1·. Xl,2, p. 451,13. 41. Cfr. supra cap. Vll.I, 1111. 25-27; Vll.3, nn. 121!-129. 42. Ho.Ps. XXXVII, 11,5, c. Ul!5 (";.:fr. mh.:hc/lo.t::.. 1,2, p. 322.17: «~oli ac;.imarc quia hacc uhio po.:na 1an111111 fu.:ri. pccc.i.onbus, quaM po>• mor.cm l'. 'upplicia 11crum a \Upplicio excipicnJi >in.; p11111.i '1111. 111 prac":n1 i, ne 111 111. uro i11g1.cr p1111irc111111' »; /lo.l1·. XIV,4, p. 486,17: i pccca111ri chc, Ill que" a \Ï.a, goJon•• J1 ugni bene in ru1uru ,a. ranno MJllopoMi a p1111i1.ioni die «pcrpc1ua crn111 c1 nc,cicn, 1'111.:111». ln /fo.L1·. XIV,4 1 caslighi «Clerni» ~0110 111c11Liom11i aitre .rc voile: p . .iKJ, 5, 98; 486, 13. L 'exemp/11111 pii1 ~pes~o inrncalO è qu.:llo di Lauaro e Jcl giovanc ricco: Hu./:.':.. l, I, p. 319, l 2.

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contraddistingue il vero pentimento, e quell'altro fuoco di cui parla Paolo' 3 : l'accettare il primo evita il secondo; in questo contesta viene collocata l'esortazione a pentirsi «finché vi è ancora tempo» ... Il fuoco purificatore è tale nei confronti di tutti i peccati? Il predicatore non si esprime mai apertamente sulla questione e, spesso, corne è stato giustamente notato 0 , il passo di I Cor. Ill, 12-15 viene messo in correlazione con i peccati meno gravi: l'abitudine di maledire••, le azioni «inutili e sciocche»"; la collera, l'indignazione••, l'ubriachezza, ma anche, sebbene più raramente, con alcuni più gravi corne il furto". In un passo delle Omelie su Geremia, ciè> che deve essere soggetto a purificazione è, da una parte, il prf?ros, dall'altra, gli altri tipi di peccati; per il primo è sufficiente la purificazione attraverso Io nt:vµa xpÛ1t:ws, per gli altri è invece necessario Io nt:ܵa xaV'uEws (cfr. ls. IV,4): «Se [non] haî peccato 'a morte' (cfr. /Io. V,16-17), perô haî peccato, tu sei lordo; 'il Signore - dunque - laverà la lordura dei figli e delle figlie di Gerusalemme e laverà il sangue di mezzo a loro' (/s. IV,4), cosi corrisponde 'alla lordura' con 'un soffio di giudizio' e [al sangue] con 'un soffio di cauterizzazione'. E noi, i moiti, quando pecchiamo più gravemente, abbiamo bisogno non della soda e neppure 'di riempirci di potassa' (Ier. 11,22), ma del 'soffio di cauterizzazione' »se.

Da tale passo sembra dunque di poter dedurre che il «soffio di cauterizzazione» sia in grado di purificare anche il peccato «7rpos .,'J&11aT011», qui inteso in un senso molto ampio che comprende tutti i peccati diversi dal «fHfrorn. Le due modalità di purificazione vengono inoltre messe in correla-

43. Cfr. sopra n. 21. 44. Ho.Lv. XV,3, p. 491,16; Ho.Ps. XXXVII, 11,6, c. 1386 C, in un contesto in cui la

penitenza viene esaltata corne guarigione dell'anima: «Cum anima tua aegrotet et peccatorum languoribus urgeatur, securus es, contemnis gehennam atque ignis aeterni supplicia despicis et irrides?»; Ho.Ps. XXXVI, 111,1, c. 1337 A-8. 45. Cfr. de Lubac, Recherches ... cit., p. 47, secondo cui i peccati che possono essere purificati sarebbero soltanto quelli involontari; Crouzel, L'exégèse ... cit., p. 275, è meno reciso: «La plupart du temps dans l'interprétation d'Origène les matériaux combustibles désignent des fautes moindres». 46. Ho.Lv. XIV,3, p. 482,27. 47. Ho.Lv. V,4, p. 342,18. 48. Ho.Ps. XXXVI, 11,3, c. 1332 A. 49. Ho.Ier. XX,3, p. 181,3; si veda Ho.Lv. IX,7, p. 430,21, ove il furto viene messo sullo stesso piano dell'adulterio; in Ex.Mari. XXXVI, p. 33,28, viene assimilata al «legno» !'apostasia e, in Frg. I Cor. 1//,9-15, p. 245,46, l'eresia. SO. Ho.Ier. 11,2, p. 19,2.

237 zione con il battesimo escatologico dello Spirito santo e del fuoco: il primo, riservato ai santi che hanno conservato la grazia del bauesimo, il secondo, destinato ai peccatori: «Colui che ha bisogno del battesimo del fuoco, quando arriverà davanti a quel fuoco, che il fuoco Io 'provi', che il fuoco trovi in lui 'legno', 'fieno' e 'paglia' da bruciare (cfr. l Cor. 111,12-15)». Ma vi sono altri passi in cui, anche senza far allusione al passo paolino, viene prospcttata l'idea della finitezza dei castighi. Oltre ai passi già citati5', essa affiora anche dal commento a Ier. XIIl,16n («Rendete gloria al Signore nostro prima che scenda la notte, prima di inciampare nelle montagne tenebrose e aspetterete la luce»). Origene vede nelle «montagne tenebrose» il diavolo ed i suoi demoni e in coloro che «inciampano», quelli che seguono il diavolo. Il soggetto dell'ultima frase («e aspetterete la luce»), in un primo momento, viene ritenuto essere Io stesso di «rendete gloria al Signore» e Origene Io interpreta nel senso più ovvio, nel senso cioè che qui si affermerebbe la salvezza - dopo la morte - di coloro che in vita rendono gloria al Signore. In seguilo, Origene presenta in forma dubitativau anche un'altra interpretazione, che considera la frase in questione rivolta a tutti gli uomini, e prospetta l'ipolesi che anche coloro «che inciampano nelle montagne tenebrose» potrebbero aspettare vicino ad esse la luce della misericordia. Accenni dello stesso tenore - espressi in forma sintetica quanto allusiva - emergono anche dalle aitre omelie. Origene fa osservare che l'abito del pontefice (cfr. Ex. XXXV,6) è fatto di bisso «doppio» e «scarlatto»; Io scarlatto indica il fuoco che è, dunque, «doppio» cioè di due tipi: quello di questo mondo che, secondo Le. XII,49, illumina e quello del mondo futuro che avrebbe (secondo quanto dice Mt. XXV,41: «il fuoco eterno preparato per il demonio e i suoi angeli») la funzione di bruciare. Tuttavia, anche il fuoco di questo mondo - osserva Origene, citando le. XXIV ,32 - brucia e si puè> dunque - per analogia - prospettare una duplicità simile anche per il fuoco ultraterreno: «Nescio autem - dice il predicatore - si et ille ignis in futuro saeculo, qui incendit, habeat aliquid et quod illuminet» 54 • Origene esprime, dunque, in forma dubitativa l'idea che il fuoco ultraterreno non sia soltanto punitivo, ma provochi in colui che Io subisce un progresso della cono-

51. 52. 53. 54.

Cfr. sopra nn. 22; 24. Ho.Ier. Xll,12, p. 98,8. Ibid. p. 99,8: «Non so se iniendo re11amen1e o no». Ho.Ex. Xlll,4, p. 276,3.

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scenza. Nell'ouica origeniana, profondamente influenza1a dal pla1onismo, un maggior grado di conoscenza corrisponde ad un progresso nella sfera morale; ques10 significa di fatto meuere in dubbio l'e1ernilà delle pene ultra1errene, e1ernità che non avrebbe più senso, né legiuimi1à se coloro ai quali sono inflitte cambiano e migliorano. Commentando Le. III,6 («Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio»), si osserva che cio si è già realizza10 per ogni cris1iano che sia verameme converlito e subito dopo si aggiunge: «Quid sibi autem velit, quod dici1ur: 'omnis caro', eo quod nulla excipiatur, quae non videa1 'salu1are Dei' relinquo intellegendum his, qui sciunt scrip1urarum mys1eria venasque rimari » ".

Il versetto di Ps. XXXVI, JO: « Pusillum adhuc et non erit pecca1or» comiene per l'esegeta un significato mistico che oltrepassa la sua capacità di intendere e di esprimersi; «poco» è un'espressione di tempo che va dal preseme fino alla fine del mondo: «Au1 for1asse e1iam uhra consumma1ionem saeculi, el donec ille ignis vindex consumai adversarios. Si autem fiat hoc aliquo modo, non eri1 pecca1or, el qua ra1ione fieri possi1 u1 peccator non sit, discu1iat et requirat qui potesl»".

Al momemo del giudizio, il Signore accoglierà i sami e dirà agli ahri: «andate nel fuoco eterno», «donec - aggiunge Origene - omni animae, quibus ipse novit, remediis consulat et omnis Israhel salvus fiat»

(cfr. Rom. XI,26f 1 •

55. Ho.Le. XXII, p. 135,8. 56. Ho.P~. XXXVI, 11,4, c. 1333 B; qui Origcnc al111de al fa110 chc le anime pmsano a ver bisogno di llUl"ificazioni sm:i:c~sive. Cfr. pcr q11e~10 aspc110 flo.L 1•. Vil 1,4, p. 399, l 5: I' « 011avo giorno» in cui i bambini maschi vcngono circoncisi, ~imbolcggia la fine della si:. 1imana di qucsio momlo e la purificaLione dalle impuri1â cu111ra11c in e~so: 1u11avia quc,.., m,·icne 'ohan10 pcr i bimbi «maschi», non per chi in qucs10 mondo non ha fmw nulla di« vinlc» con.ru il pccca10 c die ha comme~so pcccmi che «non possonu i:sscrc pcrdonao1, ne in quc,10 'L'Clllo, 11ê in qudlo fu1ur0>• (cfr. Ml. Xll,32); cos1ui dcve 1rascorrcrc aitre ...,c. 1imanc» nclla 'ua impmiià c ""1ha1110 all'i11ilio della terza sc11imana» sarà purificaio. Analughc .:011sidernLioni in Jfo./f!r. Vll,2, p. 52,31; V,4, p. 35,10: «Se quakuno ne è capacc ... con>idcri quamlo '1111.i scr\'iranno Dio" - secundo q11amo dice Sofonia (111,9-IU) - '"" ·" 1111 solo g1ugo c dai con fini dcll"Eliopia gli poncranno uffenc', quando - (sccondu ljllan.u Jicc Ps. LXVll.32-33), 'l'E1iupia prnu:ndcrà la mano ver~" Dio", mc111rc il Vcrbu onlma ai 1cgni Jdla 1crra: ·ca111a1c il Sig1111rc. s;dmodia1c al Dio di Giacobbc' ».Il ~cm.o della 1ra111a ddk ci·ationi biblichc non 'i capi•cc •e 11011 ,j ha prc,e111e il •ignificaw •imbolico dcll' «l:oiopia»: gli ahi1an1i di qm:•la 1crra, cs,cndo di pelle ~ura, ~imbolcggianu lc anime '01111111c~'c al dcmunio (cfr. De Oral. XXll.11), pcrdo il giorno in cui «tcndcranno lc mani» cil giorno in cui anch'cssc ~aranno salvatc (cfr. Nau1in, SC 232 dl., p. 293, n. 2). 57. Ho.los. Vlll,5, p. 340,20.

239 Gli Assiri e Assur (cfr. Mt. XXIV,23-24) simboleggiano per Origene i demoni ed il loro principe; costoro periranno ne! « fuoco eterno» preparato per loro da Dio (cfr. Mt. XXV,41). Tuuavia, subito dopo, quando la riflessione del predicatore corre alla parabola della pecorella smarrita ed al buon pastore che lascia tulle le aitre per andarla a cercarc, egli sembra addolcire la percntorietà della frase di Matteo: « lste autem Assur, qui in fine omnium dicitur pcri1uru~. ncscio si aliquando aul quaeri possit aut inveniri: perit cnim 11011 crrore, sed iudicio, nec lap~u motu~. sed perseverantia praeduratus»".

Richiama poile parole di Dt. XXXII,39 («io ucciderà e faro rivivere, io portera all'inferno ed io ne faro uscire») e aggiunge: « Nescio si generaliter ad omnes adspiciat an ad cos tantum, quos dcceptio diaboli deduci fecit in mortem». Come si è visto, siamo di fronte a cenni, più chc a trattazioni vere c proprie; cenni che Origene fa scivolare nel discorso seguendo un filo di idee, spesso tortuoso, che puà essere compreso appieno se già si conoscono da aitre opere gli orientamenti di fondo del pensiero origeniano, ma che poteva passare del tutto inavvertito ad un pubblico spesso distrallo, se non proprio ostile alla complessa simbologia del predicatore. Per quanto episodiche, queste ritlessioni sono tuttavia profondamente coerenti con la direzione assunta costantemente dalla meditazione origeniana sulla natura ed il senso della punizione divina chc è - in questa vita, corne nell'altra - sempre educatrice, conceuo di cui la potenziale pericolosità per «i piccoli» della chiesa è ammessa con franchezza dal predicatore: «Era necessario - dice Origene dopo aver parlato a lungo della bon1à di Dio nascondere questo e non parlarne apertame111c, ma gli ere1ici ci spingono a lrattarc in pubblico cio che ë da tenere celato. Cio ë stato nascosto pcr l'u1ilità dicoloro che, secondo l'età della loro anima, sono 'piccoli' e che hanno bisogno di temere i maestri e che bisogna correggere minacciandoli e spave111andoli affinchë possano salvarsi e affinchë, dando loro medici11c amare, cessino di tanto in tanto dall'essere feriti dal peccato»".

58. Ho.N111. XIX,4, p. IN4,20: in al1r1 pa'" la c.mdanna ch:rna .1.:1.l..:ni.111111o.:110.:11;1: Ho.llul. lll,5, p. 485,26: piû ambiguo }Io.lus. Vlll,4, p. 340,3 Ill CUI, po.:r 111.!1."im: J;J r111.: del demonio, si dia Ap. XXl,4. 59. J/o.E:.. 1,3, p. 325,2.

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4. Il fuoco «eterno» Lungi dunque dal far proprio 1' «inganno» provvidenziale che vorrebbe tenere all'oscuro i più deboli sull'esistenza del fuoco purificatore e dolorosissimo che attende tutti all'uscita da questo monda, Origene Io colloca proprio al centra di un ordito in cui si intrecciano - in una trama coerente - i fili diversi dei terni della giustizia e della bontà di Dio, del senso della sofferenza del vivere, del valore insostituibile della penitenza, del valore espiatorio delle opere buone. Quale rapporta hanno con questa trama i diversi passi in cui Origene allude all'esistenza di un castigo eterno? Tratterè> per esteso soltanto un passo 60 che mi sembra piuttosto esemplare del modo in cui la citazione di Mt. XXV,41 si inseriscc in un contesta che parla sia della bontà di Dio, sia della concezione medicinale della pena, sia della finitezza delle pene ultraterrene. Si tratta del commenta a Ier. XIII, 12-17; il vina di cui «sarà riempita agni cappa» viene ritenuto simbolo - in base ad una serie di citazioni bibliche - dei castighi e delle promesse; il versetto del Salmista (Ps. LXXIV ,9: «Dio ha versato una cappa nell'altra») offre l'occasione per un lungo sviluppo sui valore espiatorio delle opere buone. Subito dopa l'esegeta ritorna su Ier. XIII, 14 in cui il Signore minaccia di rendere ubriachi e di disperdere gli abitanti di Gerusalemme. L'attenzione viene concentrata appunto sui verbo «oiac1', né avrè> pietà di loro nclla loro ravina» (Ier. XIII,14) costituiscono un problema soprattutto a causa degli attacchi degli eretici che negano la bontà di Dio. Per difendere in modo non pericoloso alla salvezza dei «moiti» la bontà di Dio a

60. Ho.Ier XII,! sgg.

241

proposito delle pene ultraterrene, il predicatore imposta la sua difcsa ammettendo sostanzialmente che Dio puo non essere misericordioso nei confronti del singolo al fine di salvare l'intera comunità. Gli esempi portati sono quelli del giudice che punisce l'assassina, della chiesa che esclude dalla comunione il peccalOre, del medico che amputa l'arto per salvare la vita. A proposito degli ultimi due esempi viene sottolineato che tali provvedimenti, per quanta dolorosi, sono utili non soltanto alla comunità ma anche a colui che vi viene sottoposto: Dio agisce in modo da cercare cio che è utile all'individuo senza che questo si realizzi a detrimento del tutto: « Per questo 'un fuoco eterno' è 'stato preparato' (Ml. XXV ,41), per questo è stata prevista 'una geenna' (Ml. XVIII, 18), per questo vi sono 'le tenebre esteriori' (Ml. XVlll,12), che sono necessarie non soltanto per colui che vienc punito, ma soprattutto per il bene comune»".

Il commenta del versetto di Geremia si conclude con un richiamo alla utilità esemplare del castigo senza accennare all'elemento nuovo l'eternità del castigo - che la citazione di Matteo, almeno dal punto di vista della comprensione letterale, inseriva nella discussione in cui veniva invece data una grande rilevanza al valore educativo della pena. È inoltre nel commenta del versetto seguente (Ier. XllI,16) che viene avanzata l'ipotesi - espressa nel modo che abbiamo già descritto 02 che anche «coloro che hanno inciampato nelle montagne tenebrose» possano attendere la luce della misericordia di Dio. La minaccia dunque del castigo eterno contenuta nel passo evangelico, spesso citato da Origer:e, sembra avere un che di giustapposto, di non risolto, al centra di una argomentazione che ha tutt'altro orientamento. Anche se non inserita in un contesta cosi particolareggiato, la citazione del «fuoco eterno» di Mt. XXV,41 ritorna anche in altri passi; ad esempio, il predicatore ricorda che alla seconda venuta del Signore, i «morti», che simboleggiano i peccatori, saranno mandati nel « fuoco eterno»" 3 • In un altro passo si afferma che, a differenza del demonio e

61. Ho.!Pr. Xll,5, p. 92,30. 62. Cfr. sopra n. 52. 63. Ho.Nm. IX,5, p. 61,I; Ho.los. XIV,2, p. 381,2; Ho.Ier. XIX,15, p. 175,35; in chiusura dell'omclia cosi Origene esona i suoi fedeli: «Anche 1u, lïruamo chc sei 'piccolo', 1emi le minacce pcr non subire una sorte peggiore delle minacce, i cas1ighi e1erni, 'il fuoco

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dei suoi demoni la cui punizione è riservata al futuro, gli uomini sono già puniti da Dio misericordioso in questa vita, ma se essi rimarranno nel peccato, si sentiranno rivolgere le parole: «Allontanatevi da me, andate nel fuoco eterno ... » (Mt. XXV,41)". Quale rapporta dunque vi è fra la trama coerente in cui è inserita l'idea del fuoco purificatore e la citazione di quei passi scritturistici che minacciano l'eternità di tale fuoco?"

inestinguibile', o forse qualche cosa di peggio riservato a coloro che hanno lroppo vissuto ai limiti della retta ragione»; Ho.Ps.XXXVIJ, 11,5, p. 1385 B: «Noli me reservare igni aeterno, noli me reservare exterioribus tenebris»; Ibid. 11,6, c. 1386 C: se in questa vita faremo morire in noi il peccato « ... non indigebimus poenae ignis aeterni, non tenebris exterioribus condemnabimur neque illis suppliciis quae peccatoribus imminent». Abbastanza frequenti anche nei Tractatus i richiami al castigo eterno (si vedano le osservazioni fane sopra n. 13); Tract.P.f. CIJI, p. 188,206: «ln inferno non est qui possit confitcri peccata sua»; Ps. CVll, p. 207,179: la «civitas munita» del v. 11 è l'«infernus ubi includuntur, inde exire non licet». Soltanto il Signore usci vittorioso da questa città mentre non ne furono in grado Mosé e Giacobbe ed, alla fine, ribadisce: «Munira est ista civitas ad egrediendum, aperta est autem ad introeundum». l testimonia che di solito servono a sostenere l'idea del fuoco purificatore (cioè Ez;. XXIl,18, ls. IV,4, Mal. VIl,2) vengono invocati per indicare la punizione dei peccati conseguibile in questo mondo tramite le soffercnze (cfr. Tract.Ps. X, s.a., p. 362,26). Rare le citazioni di I Cor. lll,11-15; cfr. Tract.Ps. XCVI, p. 160,95, ove si commenta il v. 3: «lgnis ante ipsum praecedet». Talc fuoco - dice - è temuto soltanto dai peccatori: «lgnis istc sanctos purgat, peccatores consumit»; chi viene consuma10? «Quicumque est 'lignum', 'fenum', 'stipula'. Qui autem 'aurum', 'argentum' est el 'lapides pretiosi', mittetur quidem in ignem scd mundior inuenietur». Si noli la trasformazione che in questo passo ha subito l'intcrpretazione di I Cor. IIl,ll-15: il «legno», il c.{~,,, - irar& ÀEwr&'v. La spiegazione di Origene riguarda in particolare due punti all'interno della lettura del giorno che doveva abbracciare Ier. XVIII-XIX, anche se viene interpretato dettagliatamente soltanlo il primo (ma l'omelia termina con una lacuna). 1 due punti sono Ier. XVIII,1-4 e XIX,10-11; net primo si parla di un vaso di argilla che, anche dopo essere caduto dalle mani del vasaio ed essersi rotto, puo essere rimodellato; net secondo di un vaso di terracotta che, se spezzato, non puo essere più aggiustato. 1 due vasi simboleggiano rispettivamente la condizione di ciascuno nella vita presente e in quella futura. In questa vita è infatti possibile «essere spezzati» per diventare una creazione migliore, ma dopo essere passati attraverso il fuoco, se veniamo ccspczzati», non possiamo più essere riplasmati ed il nostro stato non è più passibile di miglioramento (Ho.Ier. XVIIl,l, p. 151,20). Secondo il Nau tin, SC 232 cit., p. 176, il passo vorrebbe alludere al fatto che la punizione futura non è concepita soltanto corne purificatrice ma anche corne un castigo; non mi sem-

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Non si puè>, a mio avviso, parlare di un'oscillazione del pensiero di Origene in proposito, perché ciè> significherebbe implicitamente riconoscere che le due posizioni sono sullo stesso piano, sia per quanto riguarda il modo in cui sono espresse, sia per quanto riguarda la funzione che, ciascuna delle due, rispettivamente, assolve nella predicazione origeniana. Le allusioni alla finitezza delle pene sono tanto più implicite, criptiche e prudenti, quanto più, se analizzate da un lettore avvertito, in intima armonia con tutto Io sviluppo del pensiero di Origene; invece, le citazioni di un fuoco eterno, inestinguibile, sono tanto più esplicite quanto più dissonanti con il pensiero del predicatore, anche quello espresso subito prima e subito dopo. Si tratta appunto di citazioni, che affiorano spesso dalle labbra del predicatore, ma che non vengono mai veramente interpretate nel suo stile solito, mai messe in relazione con il prima e il dopo: esse, per essere salutari, devono rimanere impenetrabili, corne Io è la lettera non illuminata dallo spirito. ln questo consiste I' «inganno» sottile ed, in un certo senso, ironico del predicatore: nel lasciare che i suoi ascoltatori, messi davanti all'opacità della lettera, siano ingannati dalla loro stessa carnalità, dal loro modo abituale di comprendere la Scrittura alla lettera 66 • Ciononostante, osservato, per cosi dire, dal vivo, l'Origene predicatore si comporta nei confronti dei «simplices» con moite meno precauzioni di quanto ci si aspetterebbe, viste certe sue affermazioni presenti nel Contro Celso. Confutando Celso, che raffigura sarcasticamente il Dio dei cristiani corne un cuoco, nell'atto di accendere il grande fuoco in cui periranno tutti ad eccezione dei cristiani stessi, Origene osserva che il Verbo per adattarsi all'indole della moltitudine deve esprimere con parole oscure le cose spiacevoli, «Che debbono incutere terrore in quelli che non riescono altrimenti a strapparsi dal vortice dei peccati». Ma un lettore diligente - continua Origene - non avrà difficoltà a scorgere il bra questo pero, il cenlro verso cui gravita il discorso di Origene che è lnteressato piunosto a souolineare - in due punti distinti - (Ho.Ier. XVIII,!, p. 151 ,I; 22) che per il vaso di terracotta non vi è pa:irda. 66. Egli avrebbe potuto, per esempio, chiarire il significato dell'aggeuivo «eterno» (alJv1os) che compare in Mt. XXV,41, alla luce delle considerazioni che leggiamo in Co.Rom. Vl,5, c. 1066 C, ove Origene traua appunto dei diversi significati che, nella Scriuura, tale termine riveste: «De uita autem aeterna (atJv1os) quamuis et in aliis locis saepe a nobis dictum sit, tamen et in praesenti breuiter perstringendum est, quod aeternitas in Scripturis aliquando pro eo ponatur ut finem nesciat, aliquando uero ut in praesenti quidem saeculo (a!W'11) finem non habeat, habeat tamen in futuro». Da questo punto di vista, afW'l'lot po1rebbe indicare semplicemente un periodo di tempo lungo, ma non infinito. Cfr. Crouzel, Origène cit., p. 314.

"f

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fine per cui tali pene sono inflitte, fine che è adombrato da ls. XLVIIl,9: «Cosi noi - conclude - siamo stati costretti ad accennare velatamente cose che non sono adatte agli uomini di fede semplice e che di semplici discorsi hanno bisogno»".

Egli stesso non ha osservato scrupolosamente questa consegna lasciandosi tentare, talvolta, a dare proprio a quei semplici «l'istruzione più approfondita» di cui nel Contro Celso nega l'utilità. lnoltre, pur credendo fermamente nell'efficacia persuasiva degli argomenti del timore e del fuoco eterno, Origene ne fa un uso tutto sommato limitato, soprattutto se paragonato alla fortuna che questi terni hanno avuto nella predicazione successiva 61 • lnfatti, nelle omelie origeniane, il Dio che giudica e punisce è ovunque controbilanciato - anche in funzione antimarcionita - dal Dio che ama, che cura e che guarisce 69 •

67. C.Cel. V,15, p. 17,5; cfr. anche Ibid. Vl,25-26; qui Origene si chiede se la geenna è menzionata anche in altri luoghi della Scrittura oltre al Vangelo; cita los. XVlll,11 che accenna alla presenza - nella parte di territorio assegnata alla tribù di Beniamino - della Geenna o Valle di lnnom e nota che anche Gerusalemme faceva parte dello stesso territorio. Origene accenna al mistero contenuto nel fatlo che il luogo di pena e quello di beatitudinc facciano parte di un unico territorio; tale mistero riguarderebbe la natura purificatrice della pena ma «lutto quel che si potrebbe dire su questo argomento non puo essere esposto a tutti e cade ruori del nostro compito presente; d'altra parte, non è neanche scnza pericoli affidare alla Scrittura la spiegazione di questa materia, dal momento che il gran pubblico non ha bisogno di un'istruzione più approfondita sulla punizione che attende i peccatori. Non reca alcun vantaggio oltrepassare i limiti di questa istruzione poiché vi sono quelli che a stento il timore dell'eterno castigo trattiene in qualche modo lontano dal vortice del male e dei pcccati che da esso provengono» (Ibid. Vl,26, p. 96, l I, tr. Colonna, p. 513). La stessa preoccupazione a proposito dello stesso problema scritturistico viene espressa in Co.Mt. S. 16, p. 30,31: «Haec prolixius et manirestius tradere per atramentum et calamum et chartam visum mihi est non esse cautum ... ». Nelle omelie su Giosuè, quando arriva a commentare i significati della parte attribuita a Beniamino (XXlll,4), non fa cenno al problema posto dalla compresenza in quel territorio di Gerusalemme e della Geenna. 68. Nella predicazione dei Padri cappadoci, ad esempio, il tema del giudizio, della condanna e delle pene infernali viene descritto con ben altra dovizia di particolari per suscitare nell'uditorio un timore salutare; cfr. Bernardi, op. cit., pp. 39,56,277; M. Girardi, «Il giudizio finale nell'omiletica di Basilio di Cesarea», in Aug., XVIII, 1978, pp. 183-90. 69. Oltre ai passi già citati negli altri paragrafi di questo stesso capitolo, faccio qualche altro esempio: Ho.Ez., 1,2, p. 322,9: «Medicus est Deus, pater est Deus, dominus est, et non asper, sed lenis est dominus»; dello stesso tenore: Ibid. V,I, p. 372,17; Ho.Ier. Xll,5, p. 92,19; 1,1, p. 1,1; 1,2, p. 2,21; Vll,I, p. 51,18; Ho.Lv. Vlll,I, p. 393,18; bontà di Dio: Ho.Nm. Vlll,l, p. 49,18; IX,7, p. 64,30: « ... ineffabilem bonitatem Dei quae in Scripturae littera semper tegitur ... »; Ho.los. 111,5, p. 306,12: «Videtis quam mulla benignitas Domini, quam abscondit et occulta! ab auribus vulgi et quam verbis asperioribus tegit, ne forte servus malus et ingratus contemplor efficiatur, cum nimiam Domini sui intel-

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Tali oscillazioni presenti nella predicazione origeniana sono la spia di un'acuta tensione fra due istanze giudicate di uguale importanza ma internamente contraddittorie; da una parte, sembrava che l'esigenza di guadagnare al cristianesimo adesioni sempre più numerose, che coincidessero anche con una svolta nella vita morale, non potesse essere soddisfatta senza ricorrere, nella propaganda religiosa, ai terni del timore e dell'eternità del castigo 10 , dall'altra, vi era l'esigenza altrettanto sentita di promuovere nei semplici una visione più spirituale di Dio, l'amore piuttosto che il timore. Nella predicazione origeniana emergono ora l'una ora l'altra istanza, ora quella di convertire e cambiare dall'esterno con mezzi coercitivi i modelli di vita, ora quella di aprire progressivamente Je menti alla verità ed alla ricerca, ora quella di «bruciare», ora quella di «illuminare». Non si tratta qui di rivolgere ad Origene «l'injure gratuite de duplicité» 71 che sarebbe giudizio morale piuttosto che storico; riguarda infatti Je opzioni ideologiche personali il giudizio di valore sull'atteggiamento assunto da Origene, se, cioè, egli si sia comportato da maestro accorto, oppure in modo troppo paternalistico o, peggio, in modo doppio e astuto. Ciè> che interessa sottolineare è che dietro la questione del!' «esoterismo» origeniano si delinea un problema storico di non secondaria importanza per la storia della predicazione; un problema che comincia a porsi con più urgenza quando con Io sviluppo e l'approfondimento della teologia e della scienza biblica si crea all'interno del cristianesimo un lexerit bonitatem». Peri terni della bontà di Dio cfr. P.P. Nemeshegyi, «La morale d'Origène» in R.A.M., XXXVII, 1961, pp. 409-428. 70. Per l'imponanza rivestita dall'argomento del castigo eterno nel successo della propaganda cristiana, soprattutto fra la gente comune, cfr. R. MacMullen, «Two Types of Conversion to Early Christianity», in Vig. Chr. XXXVII, 1983, pp. 174-192: «The names of hell illuminated the lessons of Christianity quite as muchas the light of Grace» (p. 181 ). Cfr. anche in C.Cel. Vll,9 la pilloresca descrizionc degli appelli alla conversione di alcuni profeti popolari e girovaghi di Fenicia e Palestina, in cui le minacce del fuoco eterno avevano un rilievo di primo piano (cfr. su questo punto Hallstrôm, op. cit., p. 22). Lo stesso Giustino fa dell'esistenza dell'inferno un punto di forza per dimostrare sia l'esistenza di Dio, sia il fauo che Egli si occupi degli uomini contro i «presunti filosofi» secondo cui le pene per i peccatori «nel fuoco eterno da noi asserite non sarebbero che ciance e spauracchi e noi esorteremmo gli uomini alla virtû in forza della paura, non per la bellezza in sé e per il suo godimento» (Il Ap. 9, p. 190 D). Cfr. anche Il Ap. 2, p. 168 E in cui compare una donna convertita al cristianesimo che tenta di convincere il marito a fare altrettanto ammonendolo con la pena dell'eterno fuoco riservata a coloro che vivono nella libidine e contro la sana ragione. La convinzione che senza l'inferno sarebbe impossibile tenere a freno la massa è un tema ricorrente nella storia di questa idea: cfr. R. Joly,« Petite histoire de l'enfer», in P.H.C., II, 1971-1972, pp. S-28. 71. Crouzel, Origène el la connaissance ... cil., p. 165.

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gruppo ristreuo di persone che possiede la strumentazione tecnica necessaria per apprendere, ampliare, difendere e controllare il sapere teologico e che è consapevole della distanza che Io separa ormai dagli altri cristiani privi dello stesso tipo di preparazione. Si tratta allora di formulare modelli di circolazione e anche di controllo del messaggio religioso e di definire a chi, con quali modalità e a quali condizioni esso debba essere divulgato. Il comportamento assunto da Origene è una forma di risposta a tale problema; essa, sono alcuni aspetti, riflette la mentalilà del suo 1empo, mentalità che, da una parte, era influenzata dalle religioni misteriche e percià orientaia ad allribuire un valore speciale al «mistero», al «segreto» che i sacerdoti, ma anche i filosofi svelavano soltanto agli inizia1i e che, dall'ahra, faceva riferimento ad una concezione del rapporco educa1ivo con i «moiti», cioè con i non inizia1i, in cui la disiinzione fra vcro e falso era meno imporlante di quella fra cià che era considerato uiile e cià che non Io era. SotLo altri aspetti, invece, la posizione di Origene appare innova1rice; la sua predicazione, pur partendo da una disincantala valutazione delle possibilità intellettuali e morali di chi gli sia di fronte, è percorsa da uno sforzo continuo e sincero di promuovere nei semplici e con argomenti 1uu'altro che semplici un metodo di interpretazione della Scriuura ed un modo di concepire il mondo, i castighi, Dio, che, se soltanto un poco rifleuuti ed assimila1i, erano destinati ad erodere alla base proprio quelle convinzioni religiose che per altri versi si volevano adaue per esscre imbandite ai «moiti».

5. Le promesse l cas1ighi riserva1i ai malvagi non costituivano che un aspello della questione riguardante la sorte che attendeva ciascuno nell'aldilà; l'interesse vivissimo chc gli ascoltatori di Origene nutrivano per l'argomento traspare dalla sua omelia sulla pitonessa di Endor. Il fatto che essa avesse potuto richiamare dall' Ade l'anima di un grande profeia creava scandalo e turbamento; infaui - domanda il predicatore - chi di noi vorrebbe, corne Samuele nel racconto biblico (/Re. XXVIII, 3-25) essere in balia di un demone? Come Io abbiamo vis10 fare in altri casi '~ Origene non elude l'interpretazione letterale ma anzi la difende perché «alcune

72. Cfr. supra cap. IVA.

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storie non ci interessano, aitre sono necessarie per sperare». Ciè> che urtava ed offendeva alcuni fino a farli rifiutare la lettera era il fauo che Samuele si trovasse nell' Ade; dopo aver dimostrato che tutti i santi del Vecchio Testamento, Giovanni Battista e Io stesso Cristo sono scesi agli inferi e dopo aver souolineato che a quel luogo nppumo erano destinati 1u11i coloro che morivano prima di Cristo, il predicatore dice: 11Noi che siamo venuti alla fine dei tcmpi abbiamo qualchc cosa di più; che cosa di più? Se lasciamo qucsta vita dopo esscrc stati buoni e vin uosi, scnza esserc gravati dai peccati, anche noi passeremo la 'spada fiammeggiante' (Gn. 111,24) e non scenderemo ne! luogo dove coloro che erano moni prima della sua venuta aspeuavano Cristo; passeremo senza riceverc danno dalla 'spada fiammeggiante': il fuoco provcrà la qualità dell'opcra di ciascuno; se l'opera di uno verrà bruciata, cgli subirà una perdita, ma vcrrà salva10 corne amaverso il fuoco (/Cor. 111, l I). Noi dunque passercmo amaverso e abbiamo qualche cosa di più: dopo avere ben vissuto non possiamo andarcene malamente» ".

L'idea espressa da Origene era stata già di Clemente, mentre altri, corne Giustino, Ireneo e Ippolito sostenevano che anche dopo la venuta di Cristo coloro che morivano dovevano attendere la resurrezione nell' Ade,.. Questo - sulla scorta di Le. XVl,5 - veniva distinto in due zone, una riservata agli empi e l'ahra ai buoni. Poiché, nella prospettiva origeniana, i buoni vanno subito in paradiso, I' Ade si riduce ad essere un luogo di espiazione e pena ove evidentemente andavano coloro che non erano riusciti a superare l'esame descritto in I Cor. 111,12-15, un luogo dunque - a me sembra - difficilmente distinguibile quanto a funzioni e caratteristiche della geenna 75 • Si deve perè> sottolineare che, per quanto la predicazione origeniana sia ricca di immagini e cenni relativi all'aldilà, essa non ne offre un quadro coerente sia per quanlo riguarda i tempi ed i modi di auuazione, sia per quanto riguarda la collocazione dei luoghi '•.

73. Ho.Re.G. IO, p. 294, t2. 74. Cfr. Crouzel, L "lladès ... dt., p. 303. 75. Per una distinzionc ë, invcce, Crouzel, Ibie/., pp. 292 sgg. 76. Faro due soli e~cmpi chc mi scmbrano significa1ivi. ln llo.Re.G. Ill, p. 294, 14 Abramo e Laaaro chc ri posa ncl suo seno (cfr. Le. XVl,22) sono ncll' Adc se il ricco li po· tcva scorgl'rC, pcr quamo di l11111ano. ln al.ri c11111csti, i11\'ece, il «~cno di Abramo» viene a coindderc con cspressioni che indicano il rcgno dei cieli o il luogo di riposo dei santi: Ho.Nm. XXVl,4, p. 249,28; Ho.G11. Xl,J, p. 104,22; XVl,4, p. 141,t5. Un nitro c~empio è rappresentato da ciô chc Origenc dice in due punti diversi sui luugo riscrvato a coloro chc hanno pccca10 scnza volerlo; in l/o.Nm. XXVlll,2, p. 283, 14, dice che csso si lrnva ncl regno dei cicli; in Ho.Ier. XIX,5, p. 175, 13, nella geenna. Sull'inde1ermina1ezza che circonda la topografia celes1e, cfr. Crouzel, l. 'exégése ... cit., p. 282.

248 Nella predicazione origeniana si nota anche un'altra lacuna; non ho trovato che pochi fuggevoli cenni7 7 concernenti la critica ad una concezione materialistica delle promesse; è questo forse il segno che tale aspetto non costituiva un problema per il pubblico cui Origene si rivolgeva anche se in aitre opere origeniane tale concezione materialistica viene messa in correlazione al modo di pensare dei simplices 75 • Un aspetto, invece, su cui la predicazione origeniana toma con insistenza e chiarezza è l'affermazione che il gran numero di immagini bibliche relative al regno dei cieli non indichino affatto una realtà uniforme, ma piuttosto una grande diversità di condizioni. Questa considerazione è spesso legata alla speculazione sulla distribuzione della terra fra le diverse tribù ebraiche e sui nomi delle città che toccano in sorte a ciascuna. Per Origene, nulla di questa distribuzione è casuale, né le parti che toccano a ciascuna tribù, né le città, né i nomi delle stesse città; la terra promessa dell' Antico Testamento è, infatti, figura di quella ultraterrena riservata ai cristiani e, quindi, anche le diverse città - fra le quali naturalmente Gerusalemme - sono figura dei diversi luoghi del regno dei cieli. Come accan10 alla Gerusalemme terrena esistono ahce città, altri villaggi, aitre regioni, altrettanto avverrà nel regno dei cieli ove sarà fatta una distribuzione in base ai meriti di ciascuno'". ln aitre circostanze, la stessa riflessione è legata a simbologie di tipo diverso; ad esempio corne Mosé ha diviso il popolo in quattro accampamenti (cfr. Nm. 11,l sgg.), anche in Hebr. XII,22-23 si accenna all'esistenza in cielo di quattro ordini di santi che si trovano in altrettante condizioni diverse: alcuni arrivano al monte di Sion, ait ri, « paulo meliores», vanno nella città celeste, ait ri « tra la moltitudine degli angeli che cantano le lodi del Signore», ed infine, superiori a tutti, colora che arrivano «alla Chiesa dei primogeniti»' 0 • ln altri casi è /o. XIV ,2 («Nella casa del Padre mio ci sono moite dimore»), a suggerire un eguale ordine di idee 11 ; in generale potremmo

77. Ho.Ps. XXXVI, V.I, c. 1360 B: Ho.li'. Xl,J, p. 454,IO: Ho.le. XXXIX, p. 217,20. 78. Cfr. Hiillstrom, op. dt., pp. 89-90: mai «mohi» ci «semplici» indicano talvoha, accamo al cris1iano incoho, anche il «magister ccclesiae» che, su ccni argomcnti, aveva un'opiniori: diversa da Origcne (cfr. sopra cap. IV.J). 79. Ho.Nm. XXVlll,2, p. 282,14; XXl,3, p. 203,8: 1,3, p. 8,5: XXl,I, p. 2CKl,18. La rillessione di Origene ê anche condizionata da quci passi neotestamemari (per esempio le. XIX, 17-19) in cui il termine «città» compare corne oggc110 di una promessa cscatologica: Ho.los. XXIIl,4, p. 444,16. li 1ema origcniano della diversità delle condizioni escatologiche ë stato smdiaio in panicolarc da Crouzel, Différe11ces ... ci1., pp. 107-111. 80. f-fo.Nm. 111,J, p. 17,4. 81. Ho.Nm. 1,3, p. 6,14; Ho.los. XXlll,4, p. 446,9; Ho.li". XIV,3, p. 482,9.

249 dire che là dove nella Scrittura compare una enumerazione, Origene scorge una gerarchia. Abbiamo già notato questo a proposito del commenta di Hebr. XII,22-23, Io stesso avviene nel commenta Lv. XXV ,29 sgg., ove si parla di diversi tipi di case: la casa «dentro le mura» è quella celeste cui allude Paolo e che è riservata a pochi (cfr. II Cor. V, 1); le aitre case «in villaggi senza mura» vengono assimilate alla «terra dei vivi» (Ps. XXVl,13), che è promessa, seconda le parole del Signore (cfr. Mt. V,5), ai mansueti 12 • Tra le diverse «dimore» vi è la possibilità di passaggio: esse - secondo l'idea origeniana del progressa spirituale delle anime anche dopo la morte - sono concepite corne tappe successive della creatura verso Dio 83 • Ma il tema è poco sviluppato, corne del resto quello della beatitudine celeste perla cui descrizione il predicatore si limita prevalentemente ad utilizare versetti scritturistici senza una vera e propria interpretazione•4. La mappa - per cosi dire - della predicazione origeniana su cio che noi ora chiameremmo con un termine complessivo «escatologia» mostra assenze importanti che forse registrano, oltre che le inclinazioni personali del predicatore, la distribuzione oggettiva dei problemi e degli interrogativi del pubblico cui egli si rivolgeva. Se pensiamo all'atmosfera di attesa escatologica che permea due opere di Ippolito - Sul/'Anticristo e il Commenta a Daniele - dei primi decenni del secolo 15 , in cui primeggiano terni quali la venuta dell' Anticristo, i tempi e le circostanze della fine del mondo, e consideriamo, dallo stesso punto di vista, la pre-

82. Ho.Lv. XV,2, p. 489,10; cfr. anche Ibid. XIV,3, p. 481,26, ove si parte ancora dalle beatitudini per stabilire una gerarchia di destini celesti; qui col rcgno del cielo» (Mt. V,3) è considerato il più alto grado di beatiludine superiore ccall'eredità della terra»; anche in Ho.Nm. XXl,I, p. 200,18 la «terra dei vivi» è ritenuta indicare un grado di beatitudine inferiore. Ho.Nm. Xl,4, p. 85,5: la parte destinata ad Aronne ed ai suoi figli è simbolo dei diversi gradi di salvezza: alcuni infaui saranno cc portio pontificis», cioè del vero ponteficc che è Cristo, altri saranno ccportio Levitarum», cioè degli angeli. 83. Cfr. Ho.Nm. XXVll,2, p. 258 sgg. 84. Ho.Nm. XXlll,4, p. 216,27: il secolo futuro corne secolo del ccriposo» (cfr. Gn. 11,2), in cui non vi sarà «dolore, tristezza, gemiti» (Mt. XXVlll,20); Ho.Nm. 1,3, p. 8,5: in quel tempo ciascuno riposerà ccsub fieu sua et sub vite sua et non sit ultra qui exterrcat (Mich. lV,4)». Là si contempleranno le diverse potenze angeliche (Ho.Nm. XXIll,11, p. 222,8), si offriranno continuamente sacrifici di Iode (Ps. LlX, 14) (Ho.Nm. XXIll,4, p. 217,1). Là si contempleranno le realtà celcsti non più «per speculum et in aenigmate» (cfr. I Cor. Xlll,12) ma «facie ad faciem» (Ho.Nin. XXl,l, p. 200,18). 85. Il Commenta a Daniele fu scritto o immediatamente dopo la persecuzione di Settimio Severo (202) oppure corne propone P. Nautin, cc L'auteur du Comput pascal de 222 et de la Chronique de 235», in R.S.R., XLII, 1954, pp. 226-257, non prima del 222.

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dicazione origeniana, abbiamo l'immediata percezione di quanto sia diverso il quadro emergeme dalle omelie dell' Alessandrino. L' Anticristo è qui menzionato soltanto di sfuggita e ridouo al rango di demone appena un poco più temibile di altri 16 ; la stessa scarsa auenzione viene dedicata alla fine del mondo che, evento tanto inevitabile quanto lontano dalle preoccupazioni di tutti, è presentato ora corne un evento repentino simile al diluvio o alla distruzione di Sodoma e Gomorra 17, ora corne frutto del depotenziamento progressivo della forza vitale del cosmo 11 • L'uno e l'altro tema costituiscono Io sbiadito fondale di un dramma che ha tutt'altro soggetto' 9 : ciè> che fa problema è il destino individuale ed ultraterreno dell'anima. All'interno di questo argomento - corne ci si puè> aspeuare da ogni predicatore che intenda emcndare i costumi l'attenzione è più rivolta sulla quantilà e sulla qualità delle pene che attendono i cristiani dopo la morte piuttosto che sulla trauazione della felicità ultraterrena. Tuttavia, nel cercare nel deuato biblico immagini e simboli dei castighi e dei premi, Origene scorge ovunque la diversità, la gradualilà sia degli uni che degli altri; il quadro di insieme che ne deriva è quello di un modello interpretativo del destino delle anime molto diversificato e adatto ad interpretare e ad incanalare le aspellative e le speranze di una chiesa i cui componenti - sia per grado di cultura, sia per capacità morali, sia per profondità di motivazioni - si disponevano su di uno spettro sempre più ampio di posizioni. Non è un caso, infatti, che colui che ha guardato e giudicato con occhi molto realistici la chiesa dei suoi tempi è anche colui che ha sostituito un modello radicale di salvezza che destinava i dannati alle fiamme eterne con il demonio e i salvati dall'altra parte con Dio, con un modello più flessibile e diversificato, in grado di rifleuere con giustizia la grande varietà di situazioni.

86. Ho.E:.. IX,3, p. 410,3; cfr. anche Ho.Ps. XXXVI, 111,3, c. 1338 C: «ChriMus ~a· gi11a Dei. .. An1ichris1u~ ~agiua diaboli>>; Ho.los. 111, I, p. 301,4: Daniele profe1iua «de Chris1i pracscn1ia e1 regno et de A111id1ris1i ru1ura fraude». 87. Ho.Gn. V,4, p. 61,21; lfo.ler.L. 11,11, p. 291J,4; Ho.los. Vl,4, p. 325,25; llo.G11. 11,3, p. 30,7. 88. Ho.los. Xl,3, p. 364.7. 89. Ho 1rova10 un unico passo in cui il prcdicatore richiama l"aucnlionc ~ul 1ema della fine del mondo: Jlo.los. Vl,4, p. 326,3.

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6. Origene predicatore e i «mysteria»

ln questa ullima parte della nostra ricerca ci occuperemo dell'aueggiamento di Origene di fronte al mysterion. Questo lermine, insieme con altri termini che sono stati studiati soprattutto dal Crouzet••, copre diversi significati. ln primo Juogo, da un punto di vista più generale, esso indica il significato spirituale della Scrittura; in secondo luogo, esso designa dottrine specifiche che Origene è arrivato a formulare 1ramite l'interpretazione allegorica della Scriuura. La predicazione di Origene, considerata dal primo punto di vista, appare - oltre che finalizzata alla educazione morale - anche corne una pedagogia costame ed appassionata verso il mysterion, corne il tentativo continuameme ripreso di far entrare i semplici nel novero dei perfetti, cioè degli spirituali. Considerata dal secondo punto di vista la predicazione di Origene appare più prudente; essa elude e vela il «mistero» e, nello stesso tempo, Io evoca e Io sfiora continuamente••. È importante notare che tale oscillazione non è occasionale ma è frutto di un indirizzo pedagogico consapevole: «E perciô, corne non si deve spiegarc tulto in modo precipitoso a coloro che sono agli inizi e che hanno conoscenze elcmentari, cosi non bisogna nascondere interamente le verità spirituali e mistiche, ma, corne dice la parola divina, bisogna rare per loro 'ornamenti d'argento' (Cant. l, 11) e introdurre nelle loro anime scintille di conoscenza spirituale afinché, in qualche modo, ne assaporino la dolcezza e ne provino desiderio e affinché - corne abbiamo deuo - (non succeda che), ignorandola del tullo, non la desiderino affatto»•'.

Un esempio di questo modo di procedere Io abbiamo visto a proposito della natura e della durata delle pene ultraterrene; questo argomento, riguardante insieme con altri «quae post mundum secutura sunt», e quelli, riguardanti «quae ante mundum fuerunt», sono - per Origene - ciè> che viene coperto dalle ali dei Serafini (cfr. ls. Vl,2); sono, cioè

90. Crouzel, Origène et la co111wissu11ce ... cil., pp. 25-46 o\'e si s1udia la 1erminologia origeniana del ccmis1cro». 91. Sia Io Mudio ci1a10 sopra ùcl Crouzel, sia quello di U. von Baliha,ar, «Le :\1ly,1crion d'Origène>>, in R.S.R., XXVI, 1936, pp. 513-562 c 27. 1937, pp. 38-64 non ùcùicano che pochi ccnni a qucslo punio di \'iMa (cfr. Crouzel, p. 27. von Ballhasar, p. 516). 92. Co.Cu111. Il, p. 164,l I; cfr. anche flo.lud. V,6, p. 496,22 «Non enim in ini1fü ~1a1im discipulis de profundis e1sccrciioribus1radendum est saeramemis, scd morum correc1io, emenda1io disciplinae, rcligiosae conver~a1ionis et simplici' tïdei prima iis dcmc111a 1radumur».

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argomenti impenetrabili dalla conoscenza umana che puè> arrivare soltanto aile cose di mezzo 91 • La «carne» di Cristo, un alimenta inadatto a coloro che si nutrono ancora di latte, è costituita, seconda Origene, dal discorso mistico riguardante la Trinità, i misteri del secolo futuro, il destina celeste dell'anima 94 • L'atteggiamento del predicatore, allorché nel corso delle sue spiegazioni arriva a sfiorare qualcuna di queste verità mistiche celate dalla lettera della Scrittura, è di grande inquietudine: quella che traspare dal resoconto stenografato del suo Dia/ogo con Eradide 95 «Temo a parlare, ma temo anche a non parlare» - è la stessa che si esprime nelle omelie: «Le verità mistiche della Legge e le allegorie che abbiamo appreso dall' Apostolo corne potrô io spiegarle ed affidarle a coloro che non leggono la Legge e non l'ascoltano? Forse vi sembro troppo duro, ma non posso intonacare la parete che sta per cadere (cfr. Ez. XIII, 14)» 96 •

E ancora, arrivato a commentare Nm. XXIII,8: «Qui si presenta un tema più profondo e non so se convenga svelare un cosi grande mistero e parlarne davanti alla folla, a quella folla che viene ad ascoltare la parola di Dio se non di rado e si allontana subito senza sostare nella meditazione del verbo di Dio più a Jungo»''.

Tra la folla perô vi puè> essere qualcuno che ha sete della parola di Dio: il problema diventa allora quello di trovare il giusto equilibrio fra la parola ed il silenzio, fra la prudenza che puè>, perè>, causare negli

93. Ho.Js. IV,!, p. 258,2; il passo continua con una affermazione - «non solum autem 'velabant' sed et 'contegebant', id est 'velabant', ut nec modicum videretur priorum, dico autem 'faciei', neque paulum quid agnosceretur 'novissimorum', hoc est, pedum eius» - che è contraddetta da tutta la prassi origeniana (si pensi - solo per fare un esempio - al titolo della sua opera 11,p) lxpxw1•) e che deve intendersi qui corne frutto di un eccesso di polemica nei confronti di quegli uomini «garruli» (1. 17) chc prome11evano appunto di rivelare tali cose. ln costoro sono forse da vedcre gli gnostici corne sembra di po· ter dedurre dall'esempio che Origene fa per spiegare cosa intende per «quae ante mJndum»: egli cita Gn. l,l-2 e si sofferma sulle «tenebre che stavano sopra l'abisso•>, «non erant ista ingenita, sed quando, vel quomodo, nata sint, nescio» (1. 13); per l'esegesi gnostica di tale versetto, cfr. sopra cap. IV .3, n. 94. 94. Ho.Nm. XXlll,6, p. 218,17; cfr. su questo punto: Crouzel, Origène et la connaissance ... cit., pp. 80-81. 95. Diol. 15,7, p. 86,7. 96. Ho.On. X,l, p. 94,5. 97. Ho.Nm. Xlll,7, p. 116,29.

253 ascoltatori un certo disgusto nei confronti della Scrittura ed il senso della misura che è in grado di individuare ciè> che «nobis pandere tutum sit et vobis fas sit adspicere» 91 • Si tratta anche di saper cogliere il momento opportuno per arrivare all'animo degli ascoltatori e tutto ciè> è ritenuto un compito preciso di una predicazione che si intenda prevalentemente ri volta ai principianti 99 • Non esiste un criterio oggettivo cui appellarsi; è la situazione, la sensibilità dell'oratore, il contatto che riesce a stabilire con il suo pubblico a decidere. Si è già visto corne, pur nell'assenza di criteri esterni e precisi, Origene abbia davanti agli occhi alcuni modelli di maestri a cui rifarsi 100 : Mosè, Cristo ma soprattutto Paolo; corne Origene ha di fatto interpretato questi criteri generali di comportamento nella prassi concreta della sua predicazione? Lo abbiamo già visto ail' opera a proposito delle cose «quae post mundum sunt», quale atteggiamento ha assunto nei confronti dei principia? Per trovare una risposta a tale interrogativo, un punto di osservazione privilegiato è costituito dalla linea esegetica seguita da Origene nell'interpretare una serie di versetti biblici che erano stati spiegati, nel De Principiis e altrove 101 , ricorrendo appunto all'idea della preesistenza delle anime. Si tratta di Gn. XXV,23 e Ier. l,5 che alludono a un'elezione da parte di Dio precedente alla nascita corporale, prima cioè che essa potesse essere giustificata da particolari meriti. Le difficoltà, poste da tali passi e da altri, erano state riunite da Paolo in Rom. IX,9-21, in un passo che ha per oggetto la difficoltà di conciliare alcune parole della Scrittura con la libertà dell'uomo e che termina in modo piuttosto brusco con la domanda: «0 uomo, chi sei tu che vuoi discutere con Dio?». Se Paolo nega all'uomo il diritto di discutere i misteri della provvidenza, Origene, trovandosi nella necessità di difendere il libero arbitrio contro gli gnostici, ricorre all'idea della preesistenza delle anime e dei meriti o demeriti che esse avrebbero accumulato precedentemente alla nascita corne soluzione in grado di salvare sia il libero arbitrio, sia la giustizia di Dio.

98. Ho.Nm. V,3, p. 28,31. 99. Cfr. Co.Io. XX,2, p. 328,22, in un contesto in cui si parla delle cause della diversità che esiste fra gli uomini, Origene traua anche dei compiti di colui che amministra i misteri di Dio (cfr. I Cor. IV,2): egli deve scegliere il momento opportuno, deve porre mente alla giusta misura, stabilendo cio che è troppo o troppo poco, deve chiedersi se colui che ha di fronte è al servizio di Dio o di chi altri. 100. Cfr. sopra cap. 111.1, e inol!re: Ho.011. XIV,4, p. 126,5 e Ho.Ex. IX,I, p. 235,18. 101. 1 passi principali sono: De Pr. 1,7,4; 11,9,7; 111,1,7-23; 111,4,2; Co.Io. 11,30-31.

254 Nelle Omelie su Geremia, il versetto 1,5 è soltanto sfiorato; sono afferma il predicatore - «M-yoi Ôl1rtfpp71rorn che, se riferiti al Signore, non costituiscono problema, ma che, se riferiti a Geremia, han no bisogno di tutta l'attenzione di coloro che «hanno orecchie per intendere» (cfr. Mt. Xl,15) 102 • Quando, nelle Omelie su/l'Esodo, Origene arriva a commentare la ragione dei differenti modi di esprimersi della Scrittura a proposito del Faraone («Il cuore del Faraone si induri» [Ex. IX,35) e «Il Signore induri il cuore del Faraone» [Ex. XIV ,8)), egli si trincera dietro una confessione di incapacità: «Equidem confiteor me minus idoneum et minus capacem, qui valeam in huiuscemodi varietatibus divinae sapientiae secreta rimari» 101 • Per quanto riguarda in particolare Ex. XIV ,8, Origene cita Rom. IX,20 dicendo di voler seguire l'esempio di Paolo; questi secondo il predicatore - con «apostolica auctoritate», scoraggia la curiosità di coloro che cercano di penetrare le dottrine più segrete non per «studiorum merito», ma per «sciendi cupiditate»; egli, inoltre, per l'incapacità dei suoi ascoltatori, non ritiene opportuno svelare i misteri che egli stesso dice di aver ascoltato, ma che non è permesso rivelare agli uomini (cfr. Il Cor. XIl,4). Se si confrontano queste osservazioni piuttosto sbrigative con le pagine che Origene ha dedicato, in aitre opere, alla difesa del libero arbitrio 104, si trova la conferma di quanto già notato precedentemente a proposito della riservatezza che, nelle omelie origeniane, circonda questo argomento. Nelle Omelie sui Genesi si coglie anche un altro aspetto del silenzio origeniano. Giunto a commentare Gn. XXV ,23, il predicatore si chiede le ragioni della disparità esistente fra Esaù e Giacobbe e dice, in un primo momento, che esse «et supra nostram linguam sunt et supra auditum vestrum» m e che «meum non est discutere» 10 ' . Tuttavia, subito dopo, egli indica, corne motivo supplementare del proprio silenzio, l'opposizione dei «Filistei» che ricoprirebbero immediatamente di fango il «pozzo di acqua viva» appena scavato. 102. Ho.Ier. l.11, p. 9,26; cfr. anche Ibid. Vll,3, p. 54,4: altra allusione alla caduta delle anime presentata corne interpretazione «superiore alle proprie forze». Cfr. anche Ho.Nm. lll,4, p. 18,19: «Sed et in mullis aliis Scripturae locis invenies adaperiri vulvas. Quarum si singulas pro locis consideres, invenies quomodo el 'errent peccatores a vulva' (Ps. LVll,4) et alii 'adaperienles vulvam' sanctificentur in ordinem primitivorum». 103. Ho.Ex. IV,2, p. 173.1. 104. Cfr. sopra cap. IV, n. 137. IOS. Ho.Gn. Xll,I, p. 107,2. 106. Ho.Gn. Xll,4, p. 110,12.

255 Ho già parlato del significato simbolico dei «Filistei» 101 ; nel passo citato, l'incapacità e l'impreparazione morale e culturale del pubblico viene messa in seconda piano rispetto alla resistenza verso l'esegesi origeniana e le dourine in cui essa sfociava da parte dei rappresentanti di una teologia più tradizionale. L'opposizione agli aspetti più speculativi della teologia origeniana - molto attiva già durante la vita del maestro - è uno degli elementi da tenere presenti in una valutazionè complessiva della predicazione origeniana dal punto di vista di cui ci stiamo occupando. 1 silenzi di Origene sono frutto certo di un'autocensura che affonda le sue radici nella dottrina dei diversi cibi spirituali che devono essere adattati aile capacità di ciacuno, ma è anche condizionata dall'esistenza di tale opposizione che certo avrebbe raddoppiato i suoi attacchi se le speculazioni origeniane avessero varcato l'ambito di una cerchia ristretta e avessero usato il pulpito corne cassa di risonanza per le proprie idee. L'esistenza di questa censura, per cosi dire, esterna mi sembra più forte a proposito della speculazione sui principia; anche quando Origene vi accenna, in altri casi oltre quelli già esaminati, le sue parole sono quanta mai ermetiche e prudenti 10 •. ln aitre parole: vi sono «misteri» e «misteri»; per alcuni - la nascita verginale di Cristo 109 , la Trinità 110 - vale la definizione di von Bal107. Cfr. sopra cap. IV.2. 108. Cfr. Ho.Ex. 1,2-3, p. 146,11 ove Origenc commenta la discesa dei patriarchi in Egitto accostando fa:. 1,5 a Js. Lll,4; esso conterrebbe una verità mistica (mysterion) che viene in parte svelata citando «le seuantacinque anime» che scendono in Egitto con Giacobbe. Origene respinge l'interpretazione che ritiene l'espressione «anima» sinonimo di «uomo»; l'esegesi del predicatore non si spinge oltre, tuttavia la sua insistenza sui fauo che a sccndere siano «le anime» ed il signilïcato simbolico che l'Egiuo riveste per lui (cioè: questo mondo) mi fa pensare che qui Origene abbia in mente l'idea della caduta delle anime e della loro incorporazione. Un altro accenno si trova in Ho.los. XXlll,2-3, p. 442 sgg. ove Origene cita un certo numero di passi biblici in cui compare un sorteggio: « Mihi quidem ex his omnibus vcl evidens adhuc sensus ad liquidum patere non potuit, vel etiam de re tanta enuntiandi et profercndi arcani metus insedit». È sufficiente - continua il predicatore - pensarc che là dove si tira a sorte «ea, quae Dei voluntas continet in occulto, sors hominibus declarat in manifesto» (p. 442, 10). Il discorso poi si allarga a tutto cià che sembra soggello alla sorte e che invece avviene secondo il giudizio divino: la divisione degli angeli rra le nazioni, l'assegnazione degli uomini ai diversi angeli, la dislribuzione dei diversi compiti fra gli angeli: «Et quid dico de magnis et gcneralibus rebus? Cum ne per singulos quidem nostrum absque huiusmodi sorte, quae Dei iudicio dispensatur, evcnire dicendum est, verbi causa, ut alius nostrum talem vel talem vitam statim nativitale sor1ia1ur» (p. 443, 13). Ricordo che la grande varietà delle condizioni degli uomini era stata spiegata nel De Principiis (11,9,3 sgg.) ricorrendo all'argomenlo dei meriti o demeriti acquisiti dall'anima prima della nascita. 109. Ho.ls. 11,1, p. 249,1. 110. Ho.G11. 11,4, p. 33-34; V,2, p. 186,9; Xlll,3, p. 116,8.

256 thasar per cui il «mistero» è un qualcosa che «se dérobe de lui même» 111 • Altri invece rimangono tali in quanto - per ragioni diverse - non si ritiene utile parlare di questi ad un pubblico di principianti; su altri, corne per esempio il problema dei castighi che non potevano essere esclusi dalla predicazione, Origene ha assunto, corne si è visto, ancora un altro tipo di atteggiamento. La scella fra silenzio e parola appare, di volta in volta, ispirata da istanze diverse: la contemplazione dello r'Jt:èJs ut "fWV, la necessità di adottare determinati modelli pedagogici corne quello del timore, il desiderio di difendere se stesso e la propria opera da attacchi esterni e infine il temativo mai completamente abbandonato, che percorre tutta la predicazione origeniana corne una vena souerranea, di far partecipare anche «i moiti» alla propria appassionata ricerca su ciè> che le ali dei Serafini tenevano nascosto.

111. Cito l'espressione con cui von Balthasar (le Mys1erio11 ... cit ., p. 516) definisce l'uhima delle Ire forme in cui - in Origene - si presenterebbe la verità teologica: le verità insegnate ed insegnabili ma che domandano comunque una preparazione morale ( ü1 •·~ >.1 ,.11c1,os); la Parola personale nei cuori (17uls >-h·u:l') e, infine, sui principi di 1u11e le cose, il «silenzio» ( iJtàs ot")'.::I•').

CONCLUSIONE

È stato osservato che Origene non ha molto modificato il genere dell'omelia cosi corne era stato elaborato in ambito cristiano nei secoli precedenti e continuava ad essere praticato in ambito giudaico'. Egli certo non ha inventato il genere, ma Io ha, sotlo moiti aspetti, innovato e perfezionato. L'omelia esegetica diventa soprattutto con Origene una forma tradizionale della predicazione cristiana e l'insieme della sua predicazione rappresenta il primo coraggioso tentativo documentato di una lettura continuata della Scrittura condotta davanti al pubblico umile ed eterogeneo dell'assemblea ecclesiastica di tutti i giorni. Anche Io stile, i contenuti e gli obiettivi della sua predicazione dovettero sembrare nuovi e in qualche caso persino estranei al pubblico cui essa era rivolta. Cosa notevole in una società in cui il «potere della parola»i è grandissimo, le omelie di Origene sono all'insegna di una rinuncia consapevole e teologicamente legittimata alla forza persuasiva della retorica. Egli si prefigge inoltre di portare fuori dall'ambiente filosofico, in cui è stato concepito e perfezionato, un metodo diverso e sofisticato di interpretazione della Scrittura, di farlo comprendere, assimilare e in fine di insegnare ad usarlo. Nelle sue mani il testo sacro che tutti, durante l'ufficio, sono abituati a sentire commentato secondo il suo significato letterale oppure, in certe sue parti ben individuate da una lunga tradizione esegetica, secondo il significato tipologico, diviene tutt'altra cosa. Ai racconti di eventi lontani, spesso noiosi, ma, in certo modo, rassicuranti con il loro significato ovvio, univoco, viene sostituito un testo che si vuole pieno di misteri per la cui interpretazione l'esegeta si perde - o almeno cosi sembra - in un labirinto di imma-

1. De Lubac, Histoirl' ... cil., p. 131. 2. Norden, op. ât., B. II, p. 515.

258

gini, di cilazioni, di corrispondenze simboliche in cui divema difficile oriemarsi. Come predicalOre - cosa che difficilmeme un pubblico incline alla dislrazione perdona al proprio oralore - Origene cerca un rappono direuo con i suoi ascolta1ori: egli imerroga, rimprovera, spiega, esona, prelende un'allenzione pronla, con l'uso ripeluto del ~ ora formavano anche predicatori - ci fu un vivissimo interesse per le omelie origeniane che vennero di nuovo copiate e diffuse• e, più tardi, in pieno umanesimo, alla figura di Erasmos cui dobbiamo l'edizione critica delle opere origeniane e che nutri un'ammirazione particolare proprio perla predicazione di Origene che egli additava ad esempio ai suoi contemporanei.

3. Ho.Ex. IV,4, p. 241,20. 4. J. Leclercq, «Origène au XII• siècle», in"''"·· XXIV, 1951, pp. 425-429. 5. Godin, op. dl., pp. 660 sgg.

INDICE BIBLICO

Genesi 1, 1-2, 1,14, 1,28, 11,2, Ill, 1, Ill,24, Vl,2, XIIl,2, XIV,10, XV,7, XVIIl,I, XVllI,9, XIX,I, XXl,12, XXll,I, XXII,17, XXV,23, XXVl,19, XXVllI,11, XLVIl,20-21, Esodo 1,5, 1,9-10, IV,10, IX,35, XIl,43, XIV,4, XIV,8, XV,12, XXV,26,

254 134 92 251 156 235, 249 158 183 108 132 117 118 117 198 119 109 255, 256 126 36 117

257 153 203 256 149 139 256 179 131

XVl,4-5, XVl,20, XXl,23, XXV,3, XXXV,5, XXXV,6,

54, 97, 117 181 68 101 88 239

Levitico 1,3, V,2-3, V,6, Vl,3, Xl,3, Xll,2, XYl,2, XVl,12, XXIV,5, XXIV,10-11, XXV,29, XXVl,4,

196 92, 149 218 59 97, 101, 195 235 88, 235 108 122 186, 251 67

Numeri 11, I, IV,18-20, VIl,9, X,l, Xl,24, XIV,34, XVllI,8, XVIIl,21, XX,6, XXl,4,

250 67 172 69 67 236 214 187 193 35

262 XXl,17-18, XXIl,6, XXIl,7, XXlll,5, XXIII,23, XXIV,8, XXIV,17, XXIV,21, XXV,7-8, XXVIl,l, XXVIl,8-10, XXVll,16, XXXll,1, XXXll,6-7, XXXIII,I,

72

147 142, 143 80, 148 143 153 153 108 207 183 90 204 121 91 36, 37

Deuteronomio XXXll,8-9, 168 XXXll,21, 83 113, 241 XXXll,39, Giosuè l,3, l,14, V,9, Vl,2, Vl,17, Vl,18, VIl,21, Vll,22, Vlll,22, Vlll,29, Vlll,31, Vlll,53, IX,10, Xl,1-11, Xl,15, XV,13-62, XVl,63, XVlll,11, Giudici V,2, Vl,3, Vl,5,

164 200 131 72

76 131 76 69 98 153 212 90

214 156 160 141 217 246

173 109 157

Libri dei Regni (/-IV) I Re. 1,3, 73 11,I, 167 V,I, 144 V,2-10, 143 XXV,1XXVlll,5, 51 XXVlll,3-5, 137 XXVlll,3-25, 248 Sa/mi IV,7, Vll,10, XXVl,13, XXXV,7, XXXVl,I, XXXVl,2, XXXVl,6, XXXVl,10, XXXVll,12, XXXVll,18, XXXVlll,4, XXXVIII,13, XLVlll,13, L,7, LVIl,4, LIX,14, LXlll,4, LXVll,12, LXVll,32-33, LXXIV,9, CV,7, CXlll,2,

184 233 251 90 62 62, 182 183 240 219 237 88 211 91 194, 196 256 251 104 76 240 242 35 42, 54

Proverbi XX,19(25),

212

Cantico dei Cantici 1,11, 253 11,4, 202 Giobbe XIV,4-5,

194, 195, 196

Siracide 111,18,

203

263 IX,13, XXV,9,

152 89

Amos IIl,2,

230

Michea IV,4,

251

Giono IIl,4,

228

Sofonia III,9-10,

240

Zaccaria IIl,3,

195

Malachia IIl,3, Vll,2,

236 244

Jsaia IV,4, VI,2, XIV,14, XL,6, XLIIl,2, XLIV,2, XLVIII,9, XLIX,2, L,11, LII,4, LXVl,l, LXVl,24,

238, 244 253 158 62 235 152 246 72 235 257 99 230, 233

Geremia 1,5, 1,9-10, 1,10, 11,22, IIl,8, IIl,22, IV,3, V,5,

125, 196, 255, 256 108 76, 179 238 117 179 81 89

X,13, Xll,2, XIII,12-17, XIII,16, XIII,17, XV,10XVIl,5, XV,17, XVII,5, XVIII,1-4, XVIII,14, XIX,10-11, XIX,13, XX,2, XX,6, XX,7, XX,8, XX,9, XX,12, XXl,9, XXVII,23, XXVII,26, XXVII,29, LXl,7,

51 120 188, 211 244 122 244 134 74 233 225, 228, 229 37 231 230 73 155, 164 132 206 76

Ezechiele 1,27, Xlll,14, XIII,18, XIV,1, XIV,l, XVl,4, XVl,7, XVl,8, XVI,31, XVI,54, XVII, 12-24, XVIII,20, XVIIl,21, XXII,18, XXVIII,12, XXIX,2,

194 254 71 186 226 101 111 101 110 236 78 226 204 244 57, 78 78

Daniele Vll,10,

235

186 109 242 239,243 149

264 Matteo lll,12, V,3, V,5, V,22, Vl,26, Vll,14, VIII,12, VIII,29, IX,15, X,IO, Xl,15, Xll,46, Xll,32, XIII,30, XIII,34, Xlll,51, XIII,52, XVl,24, XVII,4, XVlll,10, XVllI,12, XVIIl,15-17, XVIll,18, XVIll,34, XIX,16-22, XIX,21, XIX,23, XIX,27-29, XIX,30, XXIIl,13, XXIV,19, XXIV ,23-24, XXV,I, XXV,41, XXVIll,20,

230 251 251 229 40 89 164, 233 153 213 185 256 67 240 217 210 102 103 71 136 170, 173 243 218 243 233 185 186 184 184 85 105 110 241 191 153, 159, 235, 239, 241,242,243,244,245 251

Marco IV,19, V,9, IX,25,

81 161 136

Luca 1,47,

205

1,67, l,32b-38, 11,3-7' 11,17-20, 11,22, 11,33-34, 11,36, 111,6, 111,11, 111,17, IV,27, Vl,20, Vl,21, Vl,25, Vl,29, Vlll,14, Vlll,30, Vlll,31, IX,62, X,19, X,29, Xll,49, XIV,16, XlV,26, XIV,33, XV,1-10, XVl,5, XVl,19, XVl,19-28, XVl,22, XVl,25, XVllI,8, XIX,17-19, XXIV,32,

48 32 32 32 195 113 198, 199 240 185 162 32 186 233 233 186 81 161 164 81 234 102 233, 239 32 202 187 32 249 183 232 249 182 89 250 239

Giovanni XIV,2,

250

Alti IV,13, Vlll,40, IX,30, X,I, XIV,15, XVll,20,

102 47 47 47 89 73

265 XVllI,22, XXl,8, XXl,16, XXl,23, XXl,25,

47 47 47 47 48

Lettera ai Romani 1,29-32, 177 11,4, 230 11,5, 230 Vll,14, 122, 123 IX,9-21, 255, 256 Xl,26, 240 Xll,33, 132 XIV,1-2, 66 XVI,18, 109 Lettere ai Corinti /Cor. 1,20, 76 11,6, 67 110, 174 Ill,1, Ill,11-15, 235, 238, 239, 244, 249 111,16, 190 IV,2, 255 IV,12, 206 V,10-11, 177 177, 179, 210, 229 VI,9-10, Vl,15, 190 VIl,5, 196 Vll,6, 191 Vll,7, 191 VIl,35, 192 X,11, 123 Xll,10, 68, 157 Xll,20, 221 XIll,12, 251 XIV,35, 201 li Cor.

V,1, V,10, Xl,14, Xll,4,

226, 251 230 156 256

Lettera ai Galati IV,4, 229 IV ,21-24, 123 IV,24, 103 V,19, 177 Vl,7, 229 Lettera agli Efesini V,5, 177, 179 Lettera ai Filippesi 1,28, 89 111,19, 179 Lettera ai Colossesi 11,14-15, 153 11,17, 104 111,1, I05 Ill,5, 177, 179 Ill,6, 179 Ill,9, 215 Lettere a Timoteo l Tim.

11,12, IV,3, V,20, Vl,8, Vl,IO, li Tim. Il, 11,

200 213 220 186 179 68

Lettera a Tito 111,5, 174 Lettera agli Ebrei Vl,20, 37 Xll,22-23, 250, 251 Lettere di Pietro 200

J Pt. Ill, 7,

Lettere di Giovanni 216-238

J Io. V,16,

266 lettera di Giuda 6, 158 Apocalisse 11,2, 11,9,

247 247

11,10,

89

lll,15,

69

XIl,7, XIV,10,

153 191

XXl,4,

241

INDICE ORIGENIANO

C. Cel. 1,6, 1,24, 1,25, l,60, Il, I, lll,37, lll,51, IV,38, IV,45, IV,51, V,5, V,10, V,12, V,15, V,45, V,52-55, V,54, V,61, V,65, Vl,2, Vl,25-26, Vll,9, VIIl,22, Vlll,34, Vlll,37, VIIl,60, Vlll,73,

140, 141 140 140, 141 103 I03 163 83 100 118, 139, 184 100 157 134 134 246 140 158 117 I03 I03 76 246 247 53 175 140 163 209

Co. Cam. li, Ill,

253 111

Co. Io. 11,30-31, Vl,8-9, Vl,42, Vl,302, XX,2, XX,40, XXXll,2-5,

255 207 158 61 255 158 32

X,I, X,4, X,14, Xl,9, Xll,43, XIIl,6, XIIl,29, XIV, Il, XIV,22, XIV,26, XV,18, XV,20, XVIl,30,

Co. Mt. 67 67 I02 179 67 136 32 67 197 86 185 184 158

IO, 15, 16, 20, 33, 43, 49,

Co.Mt.S. 212 I05 246 102 110 110 71

268 78,

103

Co.Rom. IV,9, V,9, Vl,5, IX,2, IX,36, IX,40, IX,41,

184 228 245 77 93 93 86

IV,9-10, IV,19-20, V,9-11, V,10-11, Vl,9-10, Vl,13-14, Vl,18, Vl,19-20, VII,1-4, VII,5, Vll,8-12,

De Orat. XXll,11, XXlll,4,

240 99

De Pr. Praef.,5, Praef.,6, 1,7,3, 1,7,4, 11,9,3, 11,9,5, 11,9,7, 111,l, 7-23, 111,2, 1. 111,2,2, 111,4,2, IV,2,4, IV,3,8,

223 157, 158 134 134,255 257 114

255 255 161, 162 178, 179 255 120 103

Vll,21-24, Vll,27, Xlll,4-5, XIV,9b, XIV,34-35, XV,20-23

73, 87 76 188 219 61, 212 62 62 62 193 191, 194, 197 191, 192, 194, 197, 198, 199 61 202 62 142 201 62

Ho. Cant. Pro!., l, 1, 1,2, 11,4, 11,7, 11,8, 11, l l, 11,12,

33 74, 91 187 42, 75 83 42, 202 80 152

Ho. Ex. Dia/. 15,7,

254

E.M. 14, 36, 46,

184 238 140

Frg./ Cor. 1,2, Ill, 1-3a, 111,3-5, 111,9-15, 111,16-20, IV,l-5,

61 61 190 62, 238 62 62

1, 1' 1,2-3, 1,5, Il, 1, 11,3, 111,2, 111,3, IV,I, IV,2, IV,4, V,I, V,2, 1,2, Vl,3, Vl,3-4,

76, 156 257 87, 153 124 182, 213 109, 157 69, 133, 153, 209 125 256 262 97 186 159 244 235

269 Vl,4, Vl,6, Vl,9, Vll,2, Vll,4, Vll,6, Vll,7, Vlll,1, Vlll,3, VIIl,4, VIIl,5, VIIl,6, IX,I, IX,3, X,I, X,2, X,3, X,3-4, XI,4, Xl,6, Xl,7, Xll,2, Xll,4, Xlll,2, Xlll,3, Xlll,4, Xlll,5,

Ho. Ez. Pro!., l, I, 1,2, 1,3, 1,4, 1, 7, 1, 11, 1, 12, 1,13, 1,19, 11,2, 11,3, 11,5, 111,3, lll,6,

236 179 112, 181, 216 131 131 181 54, 97 124, 211 136 82, 84, 87, 131, 211 161 153, 164, 182, 244 I03, 255 66, 91 216 236 216 68 211 204 84 80, 86, 87, 89, 210, 211 87, 126, 180, 187 55, 88, IOI 84, 88, 126 66, 239 213

33 237 237, 246 129, 194, 241 112 168, 170, 174 68, 82 76, 82, 108 236 226 68, 70, 112, 113 68, 226 71,I09,112 71, 76, 1 IO 110

111,7, IV,I, IV,2, IV,7, IV,8, V,I, V,2, V,5, Vl,I, Vl,4, Vl,5, Vl,7, Vl,8, Vl,9, Vl,11, Vll,3, Vll,9, Vlll,I, Vlll,2, Vlll,6, IX,2, IX,3, IX,4, IX,5, X,l, X,3, X,4, XI,3, Xl,5, Xll,1, Xll,2, Xll,3, Xlll,l, Xlll,2, Xlll,7,

186 82, 169, 173 168 159 226 233, 235, 246 235 226 73 59 83 84 111 101 160 69, 70, llO, 187, 191 53 161 110, 169 112 203 252 183 203 207 236 53 82 59 92 156, 159 208 57, 78, 156, 168, 169 111, 112 159

Ho. Gn. 1, 1, 1,3, 1,8, I, 10, l, 11, 1, 13, l, 17, 11,3,

117, 153 124 181 155 124 99 53, 124, 162 73, 91, 252

270 11,4, 11,5, 11,6, 111,1, 111,4, 111,6, IV,I, IV,3, IV,4, IV,6, V,I, V,2, V,3, V,4, V,5, V,6, Vl,l, Vl,2, Vl,3, Vl,7, Vll,2, Vll,4, Vlll,I, Vlll,7, Vlll,9, VIII,10, IX,l, IX,2, IX,3, X,I, X,2, X,4, X,5, Xl,l, Xl,2, Xl,3, Xll,I, Xll,2, XIl,4, Xll,5, XIII,2, XIII,3, XIII,4, XIV,I, XIV,3,

257 217 190, 207 98, 99 103, 148 98, 191 117 125 118, 198 69, 112 118 123, 257 118 193, 252 149, 194 203 122 53 101 70 102, 123 227 119 119, 172, 173 53 208 74 82, 92 169 214, 254 54, 88 191 126 74, 123, 191 86, 88, 181 88, 249 74, 256 37 256 82, 127 103 86, 103, 257 81, 84, 178 53 53

XIV,4, XVI,!, XVl,2, XVl,4, XVl,5, XVl,16-21,

86, 255 117 162, 169 168, 249 187 102

Ho. Js. 1,1, 1,2, 1,5, 11, I, 111,3, IV,l, IV,2, IV,3, IV,5, V,2, Vl,I, Vl,3, Vl,6, Vll,2, Vll,3, VIII, l-2, Vlll,2,

59 34 75 257 54 171, 254 83 54 235 53, 88 203 200 97, 101 131, 132, 134 186 162 159, 210

Ho. Ier. l, l, 1,2, 1,7, 1,8, l, 11, l,13, 1,14, 1,15, 1,16, 11,2, lV,2, IV,3, IV,5, IV,6, V,2, V,3, V,4, V,10,

116, 246 120 80 62, 80 256 53, 61, 73 179 157 76, 111 238 223 89 85 117 80, 159, 178, 179 138 240 129

271

V,13, V,14, V,16, Vll,I, Vll,2, VII, 1-3, VII,3, Vlll,l, Vlll,3, Vlll,4, IX,l, IX,8, X,4, X,5, X,6, X,8, Xl,3, Xl,4, Xl,S, Xll,l, Xll,3, Xll,5, Xll,7, Xll,8, Xll,12, Xll,13, Xlll,2, XIV,3, XIV,14, XIV,16, XV,2, XV,6, XVl,I, XVl,4, XVl,5, XVl,6, XVI, IO, XVII,l, XVll,2, XVll,4, XVIII,!, XVllI,3, XVlll,6, XVlll,8, XVlll,9,

80, 81, 223 llO 69 ll6, 246 240 117 180, 256 41 59, 61 80, 186 l ll 159 97 105, 112 168 172 70, ll2 86 59, 194, 234 172, 242 59 243, 246 86 86 239 149 159 41, 126 220 120 72 SS, 188, 211 62, 172 211 236 219 41 80,157 109, 159 212 79, 231, 245 162 41 82, 85 122

XIX,10, XIX,11, XIX,12, XIX,14, XIX,15, XX,3, XX,4, XX,5, XX,6, XX,7, XX,8, XX,9, XXl,8,

75 74 103 74, 75, 172 190, 228, 243, 249 187' 230, 238 192, 225, 230, 231 41, 73, 85 62, 230 190, 191, 213 37, 73, 235 232 232

Ho.ler.L. 11,6, 11,7, II,11, 11,12, 111,1, 111,2, 111,3, 111,4, 111,S,

172 76 252 112 ISS 164, 206 83, 151 132, 159 132

Frg. XIII in Ier., Ho. los. 1,6, 1,7, 111,I, 111,5, IV,l, IV,2, V,2, V,5, V,6, VI,4, Vll,l, Vll,2, Vll,4, Vll,5, Vll,6, Vll,7,

llO

161 84, 87. 88, 92, 152, 164 201, 252 246 54, 82, 83, 84, 124 84, 87 74 80 82, 131, 144 252 53, 69, 152 72 131 87, 210 218, 220 76

272 VllJ,I, Vlll,2, Vlll,3, Vlll,4, Vlll,5, VIIl,6, VIIl,7, IX,2, IX,3, IX,4, IX,7, IX,9, IX,lO, X,I, X,2, X,3, Xl,I, Xl,2, Xl,3, Xl,4, Xl,5, Xl,6, Xll,3, XIll,I, XIV,l, XIV,2, XV,I, XV,3, XV,5, XV,6, XVl,5, XVll,2, XVIl,3, XX,I, XX,1-2, XX,4, XX,6, XXJ,I, XXll,l, XXIJl,2, XXIJl,4, XXIV,1, XXIV,2, XXV,I, XXVl,I,

74 80 153 80, 241 240 161, 190 69, 98, 123, 163 212 82 80 227 83, 90, 186 124 92, 215 109, 112 86, 87, 92 108, 124 210 252 60 153 112 111, 178 53 98, 124 152, 156, 243 124, 211 158, 159, 213 160, 164 98, 159, 164 100 53, 227 67, 214 142 30, 39 59 149 108, 217 124 168, 169, 257 250 163, 166 53 53 53

XXVl,2,

84

Ho.lud. l, I, 1,2, 11, I, 11,3, 11,5, IIl,1, IIl,2, 111,3, 111,5, IV,2, V,2, V,6, Vl,I, Vl,2, Vlll,I, Vlll,2, Vlll,3, IX,2,

112, 180 157 178 131, 179, 180 98, 178 203 54, 203 59, 162, 168 241 84 53 253 79 173 109 104 79 83, 151

Ho. le.

Prol., 1, VI,

vn, VIII, XI, XII, Xlll, XIV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXX,

32 117, 131 82, 153, 154, 199 83, 109, 199, 227 199, 200, 205, 227 190 169, 170 170 85, 112, 195 109, 113, 122, 129 61, 82, 129, 192, 197, 199, 218 92, 202 78 109, 113, 205 80 83, 153, 240 171, 185 235 107 162, 235 152, 153

273 XXXI, XXXII, XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVIII, XXXIX,

Ho. lv. 1' 1, 1,4, 1,5, li, I, 11,4, Hl,2, 111,3, 111,4, 111,5, 111,6, 111,8, IV,2, IV,4, lV,5, IV,6, IV,7, IV,8, V,I, V,4, V,7, V,12, Vl,I, Vl,6, Vll,I, Vll,3, VIl,4, Vll,5, Vll,11, VIII, 1, VIIl,1-4, Vlll,3, VIII,4, Vlll,5, VIII, 10,

109, 113 74, 75, 85 156, 171 164, 169, 170, 173, 216 55 80, 191 250

101, 102 67 178, 191, 196 53, 55, 79 181, 217 218, 219 90, 92, 98, 149, 157, 190 218 79 120, 187 183, 185 181 179 508 59, 67 98 108 31, 108, 111 238 76 226 210 66, 67, 211 55, 79, 178 79 101, 104 97, 121 216 246 195 152, 196 55, 185, 235, 240 77 219

IX,2, IX,4, IX,5, IX,7, IX,8, IX,9, X,l, X,2, XI,!, Xl,2, Xl,3, Xl,7, XIl,3, XII,4, XU,6, XU,7, Xlll,2, Xlll,4, XIV,2, XIV,3, XIV,4, XV,2, XV,3, XVl,2, XVl,4, XVI,6, XVI,7,

101, 190 172, 181, 182 153, 214 190, 235, 238 235 88 98, 122 53, 148, 181, 213 37, 59, 210, 213 108, 219, 227' 237 85, 201, 250 226 152, 219 37, 75, 101, 194, 210 217 161, 226 59 108 122, 179, 217 236, 238, 250, 251 237 186, 217, 226, 251 238 67, 76, 101, 197 101 178 69

Ho.Nm. Prol., 1,3, 11, I, III, 1, 111,3, 111,4, IV,3, V,2, V,3, Vl,l, VI,3, Vll,l, Vll,4, VII,6, VIIl,l, Vlll,2,

31 250, 251 39, 55, 88 85 81, 250 159, 256 67 60 172, 255 67, 79 194 78 111 164 182, 236, 237, 246 157

274

IX,I, IX,4, IX,5, IX,7, IX,8, X,l, X,2, Xl,I, Xl,2, Xl,3, Xl,4, Xl,5, Xl,7, Xl,9, Xl,2, XIl,4, Xll,5, XIIl,I, XIII,2, XIIl,4, XIIl,5, XIIl,6, XIIl,7, XIV,!, XIV,2, XIV,3, XV,l, XV,2, XVl,l, XVl,5, XVl,7, XVl,9, XVII,l, XVIl,2, XVII,4, XVII,6, XVII, 9, XVIII,4, XIX,l, XIX,3, XIX,4, XX,I, XX,2, XX,3,

155 108 81, 243 246 237 59 155 120, 123, 214 197, 214 72, 174, 191 156, 168, 169, 170, 173, 251 171 72 87, 171, 181 108 76, 84, 137, 152 72 54, 82 121 138 100, 139, 141 142, 143, 147 143, 147, 254 80 87, 168 147 54, 57 147, 148 154 185 143, 144, 146 75 96 111 171, 215 153 212 97, 153 226 108 241 78, 193 53, 161, 190 160, 168, 170, 175

XX,4, XXI,!, XXl,3, XXll,1, XXll,2, XXll,4, XXll,12, XXIIl,2, XXIIl,3, XXlll,4, XXIIl,6, XXIIl,8, XXIII,11, XXIV,l, XXIV,3, XXIV,11, XXV,2, XXV,4, XXV,6, XXVl,2, XXVl,3, XXVl,4, XXVl,7, XXVIl,2, XXVIl,3, XXVIl,5, XXVll,8, XXVIl,9, XXVIl,10, XXVII, Il, XXVIl,12, XXVIIl,2,

70, 161, 173, 211 250, 251 250 53, 91, 183, 215 90 87, 204, 214 178, 179 173, 214 197 251 254 213 211, 251 69, 121, 152, 171 91, 170, 174, 213 190 126 68, 69, 91, 172 234 68, 178, 208 74, 121 53, 249 91 122, 130, 251 130 37 162, 163 40, 59, 211 182 157 69 249, 250

Ho. Ps.

XXXVI, l, l, 1,2, 1,4, 11, l, 11,2, 11,3, 11,4, 111,1, 111,3, 111,6,

~

.........!.

~,,

83,9~

182,,

8

18l 205, 216 182 73, 205, 238 240 235, 238 72, 74, 152, 252 180, 183

275 Ill, JO, 111, 12, III, 13, IV,1, IV,2, IV,3, IV,11, V,I, V,3, V,4, V,5, V,7, V,12,

XXXVII I,l, 1,2, 1,3, 11, l, 11,4, 11,5, 11,6, Il,11,

XXXVJll 1,2, 1,3, 1,4, 1,5, 1,7, 1,8, I, 11,

182 70 68 113, 178 219 72 183 91, 93, 177, 215, 250 97 183, 185 80, 111, 182 172 85 72, 74, 169, 171, 207, 220 68 206 219 70 219, 237, 244 84, 190, 218, 238, 244 87 79, 178 206 73, 206 84 69 80 182

Cat.Ps. CXV/11,

202

Sel.Ps. CXV/11,

149

Ho.Re.G. /, 6, JO,

77 59 249

Ho.Re.L. I, l, 1,4,

60, 70, 71, 72 178

1,5, 1,7, 1,10, I,13, I, 15, I,18,

161,215 73 163, 167 111, 112 161 97

Log.Char. V//,93, Phil. 2,3, 13,l, 13,4, 23, 23,1, 23,6, 23,10, 23,15, 26,4,

95

99 95 95 134, 158 146 136 145 146 184

Tract.Ps. 60, 216, 227 V, 41 VII, 41, 157 IX, 40, 41, 42 X, 228 X,s.a., 42, 244 XIV, 83 XV, 42, 43 XV,s.a., 34 227 LXVI, LXVII, 109 LXXI, 58 LXXV, 35, 39 LXXVI, 41, 60 42, 73, 244 LXXVII, 41 LXXX, LXXXI, 42, 153, 171, 172 LXXXII, 60, 112, 153 LXXXll,s.a., 73, 76 40, 60, 216 LXXXlll, LXXXIV, 60, 216 LXXXIV,s.a.,60, 227 LXXXVI, 60 LXXXVlll, s.a., 97 ),

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Amand D., 138 Anrich G., 234 Aubin P.A., 129 Bacher W., 47 Baeherens W .A., 33 Balthasar U.v., 130, 253, 258 Barb A.A., 142 Bardy G., 23, 29, 41, 99, 138, 140, 156 Bartelink G.J.M., 156 Baskin J.R., 138, 147 Baud R.C., 223 Berner U., 23 Bernardi J ., 25, 83, 246 Bettencourt S.T., 157, 160, 162 Bidez J., 105 Bietenhard H., 45, 46, 99, 148 Blanc C., 169, 170, 234 Bolgiani F., 26 Bori P.C., 99 Borret M., 84 Horst J., 23, 77, 80, 81 Botte B., 52 Boyd W.J., 125 Bremond C.-Le Goff J., 26, 116 Brezzi P., 88 Brown P., 155, 174, 175 Campenhausen H. v., 65 Carpenter H.J., 105 Cavallera F., 42

Chadwick H., 155 Chênevert J., 65 Countryman LW., 184, 186 Corsini E., 115, 207 Cracco Ruggini L., 138 Crouzel H., 23, 24, 29, 32, 37, 49, 55, 61, 70, 76, 77. 80, 82, 95, 99, 114, 116, 120, 121, 125, 177, 191, 193, 195, 200, 206, 228, 231, 234, 238, 245, 247, 249, 250, 253, 254 Cumont F., 132, 133, 134, 140, 163, 172 Daniélou J., 23, 121, 130, 157, 168, 169, 170 Dodds E.R., 132 Donner H., 48 Doutreleau L., 31 Edsman C.E., 234, 235 Eynde D. van den, 65 Faessler F., 38 Festugièrc R.P., 133 Filoramo G., 110, 113, 117 Fournier F., 32 Funk F.X., 84 Garin E., 136 Gentili G., 24 Ghellinck R.P. De, 77 Gianotlo C., 113, 117

280 Girardi M., 246 Godin A., 77, 262 Gogler R., 100 Gramaglia P.A., 52 Grant R.M., 138 Grotz J., 84 Gurevié A.J., 26 Hallstrom G. af, 91, 99, 227, 247, 250 Hanson R.P.G., 100, 115, 121 Hari M., 121, 125, 140 Harnack A. v., 24, 88, 110, 111, 112, 113, 115, 151, 187, 193 Hausherr l., 178 Hclgeland J., 212 Huet(ius) P., 77 Husson P., 24 Jaubert A., 30, 31 Jensen S.S., 155 Joly R., 247 Jones A.H., 88 Junod E., 117, 134, 135, 237 Jungmann J.A., 52 Klostermann E., 23, 32, 116 Knauber A., 24 Koschorkc K., 111 Labriolle P.H.M., 200 Lange De N.R.M., 41, 47, 82, 99, 100, 148 Le Boulluec A., 107, 108, 109, 112, 114 Lebreton J., 225 Leclercq J., 262 Levine L.I., 45, 46, 47, 147 Lewy H., 133, 134, 140 Lieberman S., 45, 46, 147 Little L.K., 177 Lomicnto G., 24 Longère J., 26 Lubac de H., 74, 98, 115, 116, 122, 225, 231, 238, 259

Lupieri E., 32, 226 Marmorstein A., 47 Marti H., 29 Marty F., 157 Martin H., 26 Maur H.J. Auf der, 84 Meer F., Van der, 127 Miura-Stange A., 138, 140, 159, 168 Monaci Castagno A., 67, 91 Moore G.F., 47 Morin G., 42, 58 Mullen Mac R., 132, 247 Nagel P., 117 Nautin P., 24, 32, 41, 42, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 56, 60, 62, 77. 79, 80, 95, 105, 106, 231, 240, 244, 251 Nemeshegyi P .• 247 Nock A.D .• 155 Norden E., 60, 259 Olivar A., 77 Pagels E.H., 113 Pazzini D., 153 Pease A.S., 42 Peri V., 32, 34, 56, 58, 59, 60, 62, 72, 79, 158, 208, 216 Peterson E., 169 Puzicha M., 181 Rahncr K., 130, 216 Rauer M., 32, 33 Riché P., 26 Riedinger U., 138 Rinaldi G., 106 Rius Camps J., 111 Rordorf W., 55 Rostovzeff M., 145 Rougé J., 45 Rusconi R., 26 Russell J.B., 154, 155, 156, 157 Ruwet J., 158

281 Schaefer T., 65 Schneyer J.B., 26 Schuemmer J., 51 Schuetz D.W., 26 Schuetz W., 24 Schwartz E., 84 Scipioni L.I., 208 Sfameni Gasparro G., 195, 196 Sgherri O., 41, 47, 67, 72, 74, 82, 99, 100, 104, 121 Simon M., 99, 141, 147, 148 Simonetti M., 102, 107, 112, 114, 115, 116, 127, 153, 165, 170, 171 Smallwood E.M., 45 Soury O., 155, 157, 163 Stelzenberger J., 177, 178 Stenzel A., 84 Strack H.L., 47 Tambornino J., 155, 163, 165

Teichtweier O., 152, 155, 162 Trevijano Etcheverria R.M., 24 Vogt J., 39, 65, 187 Volker W., 23, 129, 152, 155, 202, 207

Vilela A., 65 Wagner M., 29 Waldram J., 84 Waszink J.H., 158 Wey H., 155, 157 Wilson L. Mc R., 113 Wrzol L., 178 Zahn T., 32 Zangara V., 158 Zincone S., 183

Dipartime11to di Storia dell'Università di Torino 1. Edoardo Tortarolo, 11/uminismo e ri11ofuzione. BiograFlil po/itica di Filippo

Mazzei 2. Luciano Allegra. la città verticale. Usurai, mercanti e tessitori ne/la chieri del

cinquecento 3. Adele Monaci Castagno, Origene predicatore e il suo pubblico

Studi e ricerche storiche Col/ana diretta da Marino Berengo e Franco Della P.entta

1. Francesco Bogliari, /l movimento contadino in Umbria dal 1900 al fascismo 2. Roberto Bizzocchi, La "l:Jiblioteca italia11a" e la cultura della Restaurazio11e.

1816-1825 3. Susanna Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi 11el cinquecento modenese. Te11-

sioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone 4. Annalucia Forti Messina, Società ed epidemia. Il colera a Napoli nel 1836 5. Gigi Corazzol, Fitti e live/li a gra110. Un aspetto del credito rurale nel Veneto del '500 6. Sergio Soave, Cultura e mito dell'autonomio. La Chiesa in Valle d'Aosta, 19001948 7. Roberto Romano, I Caprotti. l avve11tura eco11omica e uma110 di 1111a dinastia industriale della Brianza 8. Eva Civolani, 1. a11archismo dopo la Comune. 1 casi italia110 e spag11olo 9. A. De Bernardi, F. De Peri, L. Panzeri, Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalteme. li caso milanese IO. Alessandro Pastore, Marcanto11io flami11io. Fortune e sfortune di w1 chierico ncll'/taifa del '500 11. M.C. Cristofoli, M. Pozzobon, I tessili mila11esi. le fabbriche i11dustriali, i lavo· ratori, il sindacato dall'ottoce11to agli armi '30 12. Maria Luisa Betri, le malattie dei poveri. Ambiente urbano, morbilità, stnmure sanitarie a Cremona nel/a prima metà dell'Ottocento 13. Alberto De Bernardi (a cura di), Fo/lia, psichiatria e società 14. Enzo Ciconte,Al/'assalto delle terre del /atifondo 15. Christiane Klapisch-Zuber, Una carta del popolamento toscano neglianni 1427· 1430 16. M.L. Betri, A. Gigli Marchetti (a cura di), Salute e classi lavoratrici i11 /tafia dall'unità al fascismo 17. Stefano Angeli, Proprietari, commercianti e filandieri a Milano 11el primo ottocento 18. Irma Naso, Medici e strutture sanitarie 11el/a società tardo-medievale. Il Piemonte dei secoli XIVe XV 19. P. Bertolini, E. Braga, D. Brianta, P.P. D'Attorre, A. De Bernardi, A. Del Re,G. Della Valentina, C. Fumian, l. Granata, T. Isenburg, G. Marsala, P. Sala, L. Segre, E. Tortoreto, A. Treves, C. Zoja, Agricoltura e forze sociali i11Lombardia11el/a crisi degli armi Trenta 20. Ga uro Coppola (a cura di), Agrico/tura e azie11de agrarie 11e/l 1talia settentrionale (Secoli XVI-XIX) 21. Stefano Pivato, Pane e grammatica. L 'istn1zio11e elementare in Romagno alla fine dell'800 22. Franco Gatti, Il fascismo giapponese 23. Glanpaolo Garavaglia, Società e religione in /11ghilterra. J cattolici durante la ri1•0/11zio11e 1640-1660

24. Alessandro Marianelli, Proletariato di fabbrica e orga11izzazio11e si11dacale all 'i11i-

zio del secolo: il caso dei lavoratori del vetro 25. Claudio Pogliano, Il compasso della mente. Origi11i delle scie11ze dell'uomo 11egli

Stati U11iti 26. Elisa Signori, La Svlzzeru e i f11on1sciti italiani. A spetti e problemi dell'emigrazio-

11e politica italiana da/ 1943 al 1945 27. Giovanna Procacci (a cura di), Stato e classe operaia in lta/ia durante la prima

guerra mondiale 28. Antonino De Francesco, li sogno della Repubblica. Il mo11do del lavoro dall '.A.n-

cien Régime al 1848 29. Alceo Riosa (a cura di), Biografia e storiografia 30. Ada Gigli Marchetti, I tre a11e/li. Mutua/ità, resiste11za, cooperazione dei tipogra-

fi milanesi ( 1860-1925) 31. Roberto Chiarini, Paolo Corsini, Da Salô a Piazza della Loggia. Blocco d'ordine,

11eofascismo, radicalismo di destra a Brescia ( 1945-1974) 32. Rita Mazzei, Traffici e uomini d'affari ita/ia11i in Polonia 11el Seicento 33. Carlo Musso, Antifascisti in Svizzera. l rifugiati italia11i e la Delegazione del C/1111i

( 1943-1945) 34. Michele Olivari, Regionalismo catala110, stato e padro11ato fra il 1898 e il 1917 35. Alberto De Bernardi, li mal della roSIJ. Denutrizio11e e pellagra 11elle campag11e

italiane fra '800 e '900 36. Francesca Taddei, Il sodalismo itulia110 del dupoguerra: correllfi ideologicl1e e

scelte politiche ( 1943-1947) 37. Cesare Vetter, Carlo Pisuca11e e il socialismo risorgime111ale Fonti culturali e

orientamellfi politico-ideali 38. Gabriele Ranzato, Sudditi operosi e cittadi11i inerti. Sopra1•rfre11za della societil

di antico regime ne/la i11d11strializzazione di 1111a dttà catalana 39. Claudio Giovannini, La cultura della "/'lebe": Miti. ideologie. li11g11aggio della si-

11istra i111111 giornule d'opposizi