Opere mnemotecniche. Testo latino a fronte [Vol. 1] 8845919242, 9788845919244

A lungo trattate dagli studiosi come un oggetto misterioso, le opere mnemotecniche di Bruno si sono rivelate come il cen

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Opere mnemotecniche. Testo latino a fronte [Vol. 1]
 8845919242, 9788845919244

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GIORDANO BRUNO

OPERE MNEMOTECNICHE TOMO PRIMO

A cura di Marco Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi

ADELPHI

GIORDANO BRUNO

OPERE MNEMOTECNICHE TOMO PRIMO

A cura di Marco Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi

ADELPHI

Giordano Bruno

Opere mnemotecniche Tomo primo

Adelphi

Testo latino a fronte. Edizione diretta da Michele Ciliberto. A cura di Marco Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi.

A lungo considerate dagli studiosi un oggetto misterioso che non si sapeva in quale modo trattare, le opere mnemotecniche di Bruno si sono rivelate - specialmente dopo il capitale li­ bro di Frances Yates, L'arte della memoria - il centro e il motore occulto di tutta la sua opera. Ma il loro carattere cifrato non cessa di stupire. Gli equivoci insorgono subito, già dalla defini­ zione della disciplina. Nata come tecnica uti­ lissima agli oratori per esercitare la memoria, la mnemotecnica è diventata nel corso dei se­ coli, e in particolare nel periodo fra Raimondo Lullo e Bruno che ne segna il culmine, un nuo­ vo regime delle immagini- intese come fanta­ smi mentali - e perciò anche una sorta di pra­ tica teurgica, collegata a quella primordiale sa­ pienza egizia che fu lo stendardo dell'ermeti­ smo rinascimentale. Già nel De umbris idea­ rum e nel Cantus Circaeus, che compongono questo primo volume e saranno seguiti dal Si­ gillus sigillorum e dal De compositione ima­ ginum, Bruno mostra una prodigiosa inventiva nell'escogitare tecniche appropriate alla sua teoria. La presente edizione è la prima in Italia, dopo quella avviata negli ultimi decenni dell'Ottocen­ to da Fiorentino, a offrire, accanto al testo criti­ co (corredato di apparato filologico, delle fonti e dei foci paralleli), la traduzione e il commento storico-filosofico di questi due scritti dedicati all' ars memoriae, certo fra i meno conosciuti ma anche fra i più importanti - di un pensatore a lungo equivocato e misconosciuto, che spic­ ca tra le figure essenziali del Rinascimento eu­ ropeo. Con questo volume prosegue la pubblicazione della nuova edizione degli scritti latini di Giordano Bruno, diretta da Michele Ciliberto e promossa dal Comitato nazionale per le celebrazioni in occasione del quar­ to centenario della morte di Giordano Bruno e dal­ l'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Nel­ l'ambito di questa edizione è già apparso, oltre alle Opere magiche (2000; 2• ediz., 2003), il Corpus ico­ nographicum (2001 ).

GIORDANO BRUNO

OPERE MNEMOTECNICHE TOMO! Edizione diretta da Michele Ciliberto A cura di Marco Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi

ADELPHI EDIZIONI

Questa pubblicazione è promossa dal Comitato Na­ zionale per le celebrazioni di Giordano Bruno nel quarto centenario della morte, in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento.

© 2004 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO WWW.ADELPHI.IT ISBN 88-459-1924-2

AWERTENZA

a Eugenio Garin

Prosegue con questo volume la pubblicazione della nuova edizione delle opere latine di Giordano Bruno, avviata con le opere magfrhe uscite nel 2000 a cura di Simonetta Bassi, Eli­ sabetta Scapparone, Nicoletta Tirinnanzi, e ristampate in se­ conda edizione nel 2003. Esso comprende le prime due, fon­ damentali, opere mnemotecniche De umbris idearum e Can­ tus Circaeus; le altre - Ars reminiscendi, Triginta sigilli, Explica­ tio triginta sigillorum, Sigillus sigillorum, De imaginum compositio­ ne - saranno pubblicate in un altro tomo, in corso di prepa­ razione. Il volume è stato curato da Rita Sturlese, Marco Matteoli e Nicoletta Tirinnanzi, seguendo i criteri stabiliti per le Ope­ re magiche: testo latino, apparato critico, apparato delle fon­ ti e dei loci paralleli, traduzione italiana, commento. Sulla base di un disegno comune e di una costante colla­ borazione, il lavoro è stato così suddiviso: Rita Sturlese ha curato l'edizione dei testi latini, apparato critico e apparato delle fonti e dei loci paralleli, ha commentato i paragrafi 86106 e 230-37 del De umbris idearum e i paragrafi 1-59 del Can­ tus Circaeus e ha scritto la Nota filologica. Marco Matteoli ha commentato i paragrafi 107-229 del De umbris idearum e i pa­ ragrafi 60-127 del Cantus Circaeus e ha curato la Bibliografia. Nicoletta Tirinnanzi ha scritto l'Introduzione, ha commen­ tato i paragrafi 1-84 del De umbris idearum e ha tradotto i due testi latini. In occasione della pubblicazione delle Opere magiche alcu-

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AVVERTENZA

ni recensori sottolinearono l'utilità che il volume compren­ desse degli Indici: abbiamo ritenuto opportuno soddisfare questa richiesta affidando a Francesca Dell'Omodarme il compito di approntare l'Indice dei nomi citati nei due testi. La ringrazio vivamente per la sua collaborazione, e con lei ringrazio per i loro utili suggerimenti Giuliana Crevatin, Ornella Faracovi e Cinzia Tozzini. Un ringraziamento vivis­ simo è dovuto poi a Michela Acquati che ha curato la pre­ parazione redazionale del volume con competenza e dispo­ nibilità. In fine, desidero ringraziare il gruppo dei giovani brunisti che si raccoglie nell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, promotore di questo lavoro con il Comitato Nazionale per le celebrazioni di Giordano Bruno nel quar­ to centenario della morte: è anche grazie alla loro preziosa collaborazione e a utili e quotidiane discussioni che sono stati risolti diversi complessi e delicati problemi posti dai te­ sti qui pubblicati. Nell'Introduzione alle Opere magi,che ricordai quanto l'in­ coraggiamento di Eugenio Garin fosse stato esse1._1ziale per l'avvio di questa nuova edizione del Bruno latino. E con una gratitudine sempre più profonda che questo volume, come le Opere magi,che, gli è dedicato. Firenze, Palazzo Strozzi, ottobre 2004 Michele Ciliberto

INTRODUZIONE DI NICOLETTA TIRINNANZI

1. Pubblicato a Parigi nel 1582, a seguito di un fortunato ciclo di lezioni sul!' ars memoriae, il De umbris idearum appar­ tiene ad -un periodo particolarmente felice dell'esperienza - intellettuale e biografica - di Bruno. «Acquistai nome ta­ le» racconterà in seguito il filosofo « che il re Henrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che havevo et che professava era naturale o pur per arte ma­ gica; al quale diedi sodisfattione; et con quello che li dissi et feci provare a lui medesmo, conobbe che non era per arte magica ma per scienzia. Et doppo questo feci stampar un li­ bro de memoria sotto il titolo De umbris idearum, il qual de­ dicai a Sua Maestà; et con questa occasione mi fece lettor straordinario et provisionato; et seguitai in quella città a legger, come ho detto, forsi cinqu'anni». I toni non sono eccessivi: l'orgoglio con cui Bruno evoca il primo soggiorno in Francia trova conferma nelle battute del suo allievo Johan von Nostitz, il quale, anni dopo, ricor­ derà ugualmente ammirato i « numerosi auditori» che affol­ lavano le lezioni del maestro: «Annus nunc agitur tertius et trigesimus, » scrive nel 1616, aprendo il proprio trattato mnemotecnico « cum Lutetiae Parisiorum primum Iorda­ num Brunum, Nolanum, arte Lulliana et Mnemologica sive 1

l. Firpo, Processo, pp. 161-62. Per una attenta analisi dell'esperienza pari­ gina di Bruno, si veda S. Ricci, Giordano Bruno nell'Europa del Cinquecento, pp. 142-77.

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memorativa magnifice sese ostentantem, multos ad se disci­ pulos atque auditores privatim allicere, memini. Quo fac­ tum, ut quia eo ipso tempore, peregrinationis et studiorum aliorumque exercitiorum causa illic agebam, ego quoque quid illud esset mirificae artis cogniturus, non semel audito­ rio eius interfuerim. Ac ipsius quidem Iordani peritiam et promtitudinem, quam postulato quovis disputandi et ex tempore copiose de eo perorandi argumento nonnunquam ostentabat, vehementer admirabar». L'interesse suscitato dalle nuove tecniche - studiate e va­ riamente imitate da trattatisti quali Dickson e Sennert -2 si accompagna però ad un dibattito aspro e articolato, le cui tracce sono evidenti negli scritti che Bruno compone in questi anni. Nel De umbris, l'immagine dei« buoni Mercuri» scacciati dagli uomini ingrati; nel proemio al Candelaio, il beffardo richiamo al timore con cui gli asini fuggono« certe Ombre dell'idee»;�nell'epistola introduttiva al Cantus Circaeus, le allusioni diJean Regnault ai sospetti che circondano l'au­ tore: segni - tutti quanti - dello sconcerto suscitato da testi e lezioni tanto originali quanto ardui, complessi e percorsi da una vena polemica il cui oggetto resta fino all'ultimo difficile da individuare, come ben dimostra, anni dopo, la livida denuncia di Giovanni Mocenigo, il quale ricorda, tra l'altro, il « libretto intitolato Cantus circeus » in cui l'autore « haveva havuta intentione di parlare di tutte le dignità ec­ clesiastiche, e che per la figura del porco haveva voluto in­ tendere il pontefice, et che per questo l'haveva in termini di honore rappresentata con un cerchio pieno di epitteti, co­ me si può vedere in detta figura». i Il singolare destino interpretativo dei due testi sembra così 1

I. J. von Nostitz, Artificium Aristotelico-Lullio-Rameum, in G. Aquilecchia, Schede bruniane (1950-1991), pp. 283-85: «Caeterum,» prosegue l'autore

« cum paucos admodum ab hoc artifice artifices prodi re animadverterem, sive quidem id docentis invidia, sive artis obscuritate, aut tarditate discen­ tium accidebat, risi, et contemsi aliorum in arte difficiliori quam utiliori inanes operas et sumtus; magis interea brevitati et perspicuitati Rameae favens ». 2. Su questo si veda R. Sturlese, Introduzione, in G. Bruno, De umbris idea­ rum, pp. XII-XIII. 3. Candelaio, p. 6. 4. Firpo, Processo, p. 289.

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dipanarsi tra due tendenze quasi costanti: da un lato, l'atten­ zione per l'originalità con cui Bruno si inserisce nella lunga tradizione degli studi di ars memoriae e ne rielabora i canoni per proporre nuove e audaci soluzioni. Dall'altro, invece, quasi a bilanciare un giudizio certo positivo, ma che comun­ que risolve il De umbris e il Cantus Circaeus entro una linea di pensiero definita e circoscritta sotto il profilo sia del metodo sia degli obiettivi, l'attenta ricerca di un «segreto» - magico, ermetico, filosofico - celato sotto la «scorza» del testo. Muovendo da queste considerazioni, ci si propone non tanto di presentare una summa dei temi e delle tecniche che Bruno via via affronta - e che sono ampiamente analizzati nel commento -, quanto piuttosto di illustrare alcune ipote­ si di ricerca emerse nel corso del lavoro. In modo specifico, si cercherà di dimostrare come il De umlms e il Cantus siano nati da una serie di scritti che Bruno aveva già composto e fatto circolare in forma di apografi o bozze da utilizzare nel corso delle lezioni. Un materiale si­ mile - che sarebbe confluito, in seguito, nel ciclo dei Sigilli e nel quale l'esposizione di una nuova praxis mnemonica si intrecciava fin dall'inizio con i cardini di una ontologia e di una riflessione etico-civile originali e ben definite - aveva aperto un dibattito destinato ben presto a superare l'ambito specifico dell' ars memoriae per coinvolgere questioni schiet­ tamente filosofiche. Nel momento in cui si trova a pubblica­ re i cicli di lezioni in forma di trattato, Bruno cerca dunque di chiudere i conti con i propri avversari, e di aprire un dia­ logo con altri interlocutori; rivede la struttura originaria dei testi, dispone parti già scritte secondo un ordine mutato, ag­ giunge nuove sezioni, che affrontano temi prima rimasti ai margini: da questo lavoro - condotto in tempi rapidissimi discende dunque la natura composita, irrisolta, per molti versi indecifrabile delle due opere. Per illustrare questa tesi è stato tuttavia necessario, come si vedrà, insistere in modo particolare sul De umbris: è in questo trattato, infatti, che Bruno elabora ed affina per la prima volta 1

1. Si veda, ad esempio, l'interpretazione di F.A. Yates, L'arte della memoria, pp. 183-213: « la mente magistrale,» conclude la studiosa« che teneva ma­ gicamente impresso nella memoria, per mezzo di immagini magiche, il cielo con tutti i suoi movimenti e i suoi influssi, era dawero in possesso di un "segreto" che valeva la pena di conoscere!».

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INTRODUZIONE

le strategie successivamente riprese, in forme certo più paca­ te, e con ben diverso spessore concettuale, nel Cantus Circaeus. 2. Prima testimonianza a noi giunta della «musa nolana», il De umbris idearum non può essere considerato, in assoluto, l'opera prima di Bruno: come è noto, infatti, il filosofo aveva già composto L'arca di Noè, «presentata» a Pio V' forse nel 1574, e l'opuscolo De' segni de' tempi, fatto stampare a Venezia intorno al 1577; a sua volta, il De umbris racchiude frequenti allusioni ad un altro trattato di argomento mnemonico, la Clavis magna, presentata dall'autore quale summa e fonda­ mento della nuova praxis. Dello scritto, così come accade per gli altri sopra ricordati, non resta però traccia alcuna, e le numerose ipotesi con cui si è cercato di definirne la natura e il possibile destino - appaiono, come è stato notato, « inte­ ressanti, ma sostanzialmente indimostrabili ».2 Tuttavia, poi­ ché la Clavis è comunque un punto di riferimento impre­ scindibile per chiunque voglia ricostruire l'orizzonte di lavo­ ro in cui si collocano sia il De umbris, sia il ciclo di lezioni dal quale esso discende, può essere utile procedere, in via preli­ minare, ad una rapida rassegna dei rimandi contenuti nel trattato sulle ombre/ indicando anche, dove possibile, i testi di Bruno nei quali sembra confluire un materiale teorico affine a quello che si attribuisce all'opera perduta: 1) «Forma vero extrinseca atque figura inventoris clavis magnae per artem duro committitur lapidi vel adamanti ».4 2) « Habes in libro Clavis magnae duodecim indumentorum subiecta: species, formas, simulachra, imagines, spectra, exem­ plaria, vestigia, indicia, signa, notas, characteres et sigillos»." 1. Cfr. Cabala, epistola dedicatoria, p. 679. Ma si veda anche G. Bruno, Dia­ loghi filosofici italiani, p. 153. 2. R. Sturlese, Introduzione, cit., pp. x-x11. 3. Per una analisi specifica dei singoli richiami si rinvia comunque al com­ mento di Rita Sturlese e Marco Matteoli. 4. De umbris, infra, 91, 10-11. 5. De umbris, infra, 97, 2-5. Cfr. Sig. sigill., Il, 12, p. 204, 6-17: « Intrinsecae rerum naturalium formae duodecim rationibus [ ... ) explicantur; sunt au­ tem species, fìgurae, simulacra, similitudines, imagines, spectra, exempla­ ria, indicia, signa, notae, characteres, sigilli».

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3) « Istis consideratis, memento huic arti media alia usu venire non posse ad suum finem consequendum quam sen­ sibilia, formata, figurata, tempori locoque contracta, quem­ admodum et in omnibus aliis technicis animae operibus ac­ cidere in primo volumine Clavis magnaefuit expressum». 4 ) « Unde nobis ita successisse presumimus, ut quicquid ab antiquioribus hac de re fuit consideratum, praeceptum et ordinatum[ ... ]non sit conveniens pars inventionis no­ strae, ·guae est inventio supra modo praegnans, cui appro­ priatus est liber Clavis magnae». 2 5) « Triplex igitur consideratio artis istius praxim anteire oportet. Prima, quae speculatur quae et qualia debeant esse subiecta. Secunda, quae docet quae et cuiusmodi sint appa­ randae formae. Tertia, quae adaptare docet organum me­ diumque illud, quo solertior operatur anima. De quibus om­ nibus perfectissime in primo Clavis magnaeperactum est». 3 6) «Primum autem subiectum ex principiis Clavis magnae est phantasticum chaos ita tractabile ut, cogitativa potentia ad trutinam redigente visa atque audita, in talem prodire possit ordinem et effigiem, quale suis membris primis ulti­ misque partibus felicissime valeat ipsa per aures vel oculos percepta constanter presentare, tanquam novae arboris vel animalis vel mundi prospectum incurrens. Haud enim se­ cus tale chaos se habere videtur quam nubes ab externis im­ pulsa ventis, quae pro impulsuum differentiis atque rationi­ bus infinitas omnesque subire valet specierum figuras».� 7) « Hoc sane subiectum quam foelix extet atque nobile, melius ipsa experientia quam ulla vi potest iudicari. Verum­ tamen qui ex Clavi magna poterit elicere, eliciat: non enim omnibus dabitur hanc adire Corynthum»." 1

I. Deumbris, infra, 100, 2-6. Cfr. Sig. sigill., I, 31, p. 174, 12-17: «Mens enim, quae universi molem exagitat, est quae a centro semen figurat, tam mira­ bilibus ordinibus in suam hypostasim educit, adeo egregiis technis intexit, exquisitissime plantas lapidumque adhuc spiritu vitae non carentium ve­ nas characterizat et impingit». 2. Deumbris, infra, 101, 16-22. 3. De umbris, infra, 104, 2-8. Cfr. Cani. Circ., infra, 66-112. 4. De umbris, infra, 105, 10-19. Cfr. Expl. trig. sig., 22 sig., pp. 91-92. 5. De umbris, infra, 105, 20-23. Con una sorta di citazione implicita, il passo del De umbris ricalca perfettamente le battute iniziali di Expl. trig. sig., 22

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8) « Committe communia communibus; minus commu­ nia minus communibus, propria propriis; proprioribus at­ que propriissimis propriora atque propriissima. « Hic habes considerandi locum quo non modo ab omni oblivionis formidine exemptus fias, verum quoque ad per­ fectiores effigiandi et inscribendi usus, item in ordinando et methodum methodorum inveniendo promptior atque se­ curior efficiaris. Et habes istud modo suo in radicibus primi Clavis mag;nae » . 1 9) « Invenimus namque viam committendi singulis quibus­ cumque subiectis integros quosque terminos retinendos et maiora longeque plura, ut ex archanis Mag;nae Clavis est ma­ nifestabile. Quod quantum et quomodo attrectaverit, alii ipsi viderint, qui de ambobus recte poterunt iudicare » .2 1 O) « Quanta vero sit affectuum in genere virtus et quomo­ do sint provocandi, servandi et variandi, non parum aperte in libro Clavis mag;nae insinuatur ». 3 1 1 ) « Forma vero, ut ex radicibus Cl,avis mag;nae elicitur, est depromptus et explicatus orda cogitabilium specierum, in statuas ve! microcosmon ve! in aliam generaliter architectu­ ram dispositus, ad quolibet dicibile interius notandum ve! figurandum ex ductu phantastici chaos methamorphoses omnes admittentis ». 4 1 2) « Quaedam sunt a sensibus externis illapsa ad sensus internos, quaedam in sensibus ipsis internis efformata, quo­ rum omnium species sunt forma, similitudo, imago, figura, exemplar, character atque signum, secundum formalia si­ gnificata distinctae, ut stat indictum in Clavis mag;nae consi­ derationibus » . 5 13) « [ ... ] figendus est oculus considerationis in eo quod in Clavis mag;nae considerationibus habetur, utpote a sensisig., pp. 9 1 , 21 - 92, 1 4 - alle quali del resto si richiama anche sotto il profilo concettuale: « Non dabitur omnibus istam adire Corinthum ». I. De umbris, infra, I IO, 2-10. Cfr. Cant. Circ., infra, 77; Expl. trig. sigill., 1 sig. expl., p. 122, l l-14. 2. De umbris, infra, l l 6, 12-16. Cfr. Expl. trig. sig., 1 2 sig., pp. 85 e 1 34, 10-2 1; 15 sig., pp. 86 e 1 3940. 3. De umbris, infra, 1 18, 21-23. Cfr. Sig. sigill., I, 21-22, p. 166. 4. De umbris, in.fra, I l 9, 10-15. Cfr. Expl. trig. sig. , 21 sig. expl., pp. 1 4546. 5. De umbris, infra, 124, 3-8. Cfr. Sig. sigill., Il, 13, p. 204, 5-19.

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bus et phantasia nihilo nisi per cogitativam facultatem ad memorativam patere posse ingressum ». 1 14) «De formatione numeron1m per omnia extat nostrum aliquid apud paucos; et eius theoria est in libris Clavis ma­ gnae, ubi de numeris semimathematicis». 2 15) «Cum igitur haec applicatio non referatur ad memo­ riam, cuius est recipere et retinere - ut diximus et proba­ vimus demonstrativ [a]e in Clavis magnae doctrina -, nec phantasiae generaliter dictae - utpote quae includit etiam in sua significatione sensum communem communiter appella­ tum »." 16) «Modorum quoque, quibus termini adiiciuntur, plu­ rimi et innumeri occurrere tibi poterunt, dummodo fueris in agitatione clavis magnae peritus - illa quoque fons est omnium inventionum; eos, qui nobis commodiores v1s1 sunt, in diversis locis diversos explicamus». 4 L'analisi dei rimandi disegna un quadro dai contorni definiti ed illumina, in particolare, i due distinti significati che Bruno attribuisce ali'espressione rlavis magna. Richia­ mandosi all'«inventor» e alla «agitatio» della rlavis ( I e 16) ," non intende rimandare il lettore al proprio testo, ma utilizza l'immagine come metafora generale della nuova praxis mnemonica. Nelle restanti citazioni, i lemmi indica­ no invece un testo specifico cui l'autore rimanda per chiari­ re alcuni snodi teorici particolarmente delicati. In una sola circostanza, infatti ( 4) , il passo che contiene la citazione si snoda in toni tanto generici da sembrare un mero pretesto per accreditare l'autore e la sua competenza; in tutti gli altri I . De umlnis, infra, 126, 12-15. Cfr. Cani. Cirr., infm, 70; Sig. sigill., 1, 18-2 1 , pp. 165, 17 - 166, 16. 2. De umbris, infin, 135, 19-2 1 . Cfr. Expl. hig. sig., 1 6 sig., pp. 86-87; Cani. C:irr., infra, 86-90. 3. De umlnis, infra, 138, 1-6. Cfr. Sig. sigill., I, 18-20, pp. 165, 17 - 166, 8. 4. De wnbris, infra, 1 54, 2-lì. 5. Nel Cantus Cirweus la lettera dedicaloria di .Jean Regnault, nella quale Bruno è presentato come legittimo « autore » e « inventore » dell'arte, ri­ propone, sintomaticamente, il duplice registro del « testo» e del « meto­ do» mnemonico. Si veda Cani. Cin. , infra, I , 16 e 11 1 , 24-27, dove l'e­ spressione drmis magna sembra parimenti costituire una metafora del me­ todo bruniano, senza rinviare in modo specifico ad un testo scritto o a una porzione di esso.

XVIII

I NTRODUZIONE

casi, invece, il De umbris e la Clavis si implicano e si sosten­ gono reciprocamente. Né si può pensare ad un abile espe­ diente per giustificare le parti dell'opera ancora non del tutto risolte sotto il profilo teorico: dalle precise indicazioni che corredano i rimandi alla Clavis ( «est ibi » / «habes » / «ut vides ») sembra infatti risaltare una concreta esperienza di studio e di consultazione. 2 Appare pertanto plausibile che Bruno, quando tiene il ci­ clo di lezioni da cui scaturisce il De umbris, abbia già compo­ sto - anche se non necessariamente edito - un testo o un gruppo di testi di tecnica mnemonica, indicati, complessiva­ mente, con il nome di Clavis mag;na e forse distribuiti in for­ ma di manoscritti o apografi: questa possibilità, suggerita da alcune espressioni del De umbris," è del resto in piena sinto­ nia con l'esplicito richiamo di J ean Regnault agli « exempla­ ria » del Cantus « fatti circolare in forma tanto corrotta ». i Ancora: nel rinviare alla Clavis mag;na, Bruno parla ora di liber o volumen, ora di considerationes o doctrina, ora di princi­ pia, radices, arcana. Dietro l'apparente varietà dei termini, è possibile scorgere una strategia meditata: liber, volumen, con­ siderationes, doctrina introducono richiami incentrati su pro­ blemi di carattere eminentemente teorico, mentre termini quali principia, radices, arcana aprono i rimandi connessi a precetti o regole. Nella filigrana del testo, dunque, è forse possibile scorgere l'articolata struttura degli scritti citati da Bruno, nei quali sezioni teoriche distese e dettagliate - indi­ cate, volta per volta, come « liber» o « volumen » , « consideratio­ nes » e « doctrina » - sembrano alternarsi a parti più concen­ trate, a carattere tecnico, destinate a mettere alla prova l'in1

I . Cfr. De umbris, infra, 1 19, 1 0-16. In questo caso, come rile\'ato dal com­ mento, i due testi non solo si corrispondono, ma sono congiunti da un gioco di riferimenti incrociati. Nel primo trattato parigino si rinvia infatti alla Clavis magna; nella E'xplicatio triginta sigillorum, 21 sig., p. 1 46, 5-1 6, proprio nel passo semanticamente e concettualmente più affine alle que­ stioni per cui il De umbris si era richiamato alla Clavis magna, risalta un esplicito rimando alla « Artis memoriae, Umbras idearum consequentis, prima secundaque de adiectis particula » . Ma si veda anche De umbris, in­ fra, 1 20, 2-3 e il relativo commento. 2. Cfr. De umbris, infra, 1 19 e 1 20 e il relativo commento. 3. Cfr. De umbris, infra, 1 20. 4. Cfr. Cani. Circ. , infra, 1, 1 7-21 e il relativo commento.

INTRODUZION E

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gegno degli studenti attraverso enigmi o allusioni criptiche ( « qui ex Clavi magna poterit elicere, eliciat » ) e che doveva­ no necessariamente essere integrate dalle spiegazioni del­ l'insegnante: a queste Bruno si fa riferimento con espressio­ ni quali «principia » , « radices » e « arcana » . Ugualmente interessante è i l raffronto con i testi pubbli­ cati in seguito da Bruno, nei quali sono modulati concetti analoghi a quelli che il De umbris attribuisce alla Clavis ma­ gna. Come si evince dalle note, i richiami introdotti da espressioni quali « liber», « volumen » , « considerationes » e « doc­ trina » (2, 3, 5, 1 0, 1 2, 13, 1 4, 1 5) declinano lo stesso mate­ riale teorico che ritorna, nell' A rs reminiscendi e nel Sigillus si­ gi,llorum, sotto forma di trattato disteso. Simmetricamente, i rimandi alle « radices Clavis magnae » (8 e 1 1 ) trovano riscon­ tro nella sezione dei Sigilli dedicata alla spiegazione dei sin­ goli espedienti, così come i richiami agli « archana Clavis ma­ gnae » (9) riecheggiano temi discussi nell 'ultima parte della Explicatio, dove i sistemi di memoria descritti da Bruno sono talvolta corredati da enigmi in versi. Parimenti, i «principia Clavis magnae » - al pari del generico riferimento alla Clavis magna (6 e 7) - si connettono ai problemi affrontati nella sezione che apre il ciclo di trattati e che è dedicata, appun­ to, alla presentazione dei trenta sigilli. Il gruppo di testi sotteso al De umbris sembra così orga­ nizzato secondo una struttura non dissimile da quella che scandisce il ciclo dei Sigilli, nel quale capitoli tesi e concen­ trati - dedicati alla presentazione e alla spiegazione dei si­ stemi di memoria - si alternano a sezioni teoriche più am­ pie e analitiche, tese a definire il quadro teorico nel quale si inscrive l ' ars di Bruno. Sotto questo profilo, i Sigilli rappresentano la forma de­ finitiva nella quale confluisce, ripreso e riorganizzato in mo­ di distinti, il materiale declinato negli scritti di cui si ali­ mentano le lezioni parigine. Ripreso, riorganizzato ma non esaurito: tra la Clavis magna e i Sigilli resta comunque una frattura, una « eccedenza » che non viene completamente ri­ sarcita. 1 1. Cfr. M. Matteoli, L 'arie della memoria nei primi scritti mnemoterniri di Bruno, in « Rinascimento » , anno LI, serie seconda, voi. 40 (2000) , pp. 75-122 (in modo specifico, si vedano le pp. 1 1 7-18 ) .

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3. Se complessa è la trama di rapporti che intercorrono tra il De umbris e il ciclo dei Sigiili, parimenti articolato si ri­ vela, a sua volta, il nesso tra le varie sezioni dell'opera pari­ gina, segnata da forti cesure già sotto il profilo editoriale. Il lavoro di edizione - per cui Bruno si rivolse alla prestigio­ sa officina tipografica di Gilles Gourbin - fu tutt'altro che semplice: le ricerche svolte hanno infatti mostrato che, in corso di stampa, l'autore intervenne a fondo sulla propria opera, introducendovi modifiche sostanziali: nella parte conclusiva del De umbris, le correzioni furono tanto consi­ stenti da rendere necessaria la ricomposizione di entrambe le forme tipografiche del fascicolo K. Una revisione, come è stato osservato, tanto capillare quanto intimamente con­ giunta alla necessità di conferire rilievo alle sezioni finali: « Assai probabile quindi » si è scritto « che proprio in consi­ derazione del fatto che il regale dedicatario avrebbe avuto interesse soprattutto a un "ristretto" dell'arte mnemonica, appunto le Artes brroes, il Bruno volesse assolutamente far apparire questa sezione come una parte autonoma ». ' Ma la collazione degli esemplari superstiti ha permesso ancora di dimostrare che « i sedici fascicoli che formano l'intero libro non furono composti secondo la sequenza con la quale ven­ nero rilegati per formare il libro, ma furono composti pri­ ma i nove dell'Ars memoriae e quello delle Artes brroes, poi i sei della prima parte ». 2 Ciò suggerisce che il tipografo abbia ricevuto il materiale in tempi diversi: prima l'arte mnemo­ nica, poi, in un secondo momento, i rimanenti capitoli, i quali, con ogni probabilità, sono « se non scritti dopo, di certo completati all' ultimo momento ».:' In sé considerato, il fatto che l'introduzione al trattato mnemonico sia compo­ sta quando il lavoro di stampa è ormai in fase avanzata non desta certo meraviglia. Più interessante, invece, è rilevare che le due parti del De umbris - Dialogo prelibatorio, Trenta in­ tenzioni e Trenta concetti da un lato; Arte della memoria e Arti brevi dall'altro - sono contrassegnate da strategie espositive dissimili. Nella sezione introduttiva, la scelta della forma dialogica tradisce uno spiccato incremento della drammatiI . Per tutto questo, cfr. R. Sturlese, Introduzione, cit., pp. 2. lbid., p. xxv. 3.

Jbid., p . XXV I .

X- X I I I .

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cità: ma fin dall'inizio lo scambio di battute è governato dal­ l'autore secondo un ritmo vivace, eppure sostanzialmente estraneo ai rapidi mutamenti che connotano i dialoghi in volgare. ' In seguito, la riflessione si snoda in forme pacate e analitiche: i due capitoli sulle ombre e sulle idee, pur intes­ suti di frequenti appelli al lettore, non si schiudono mai, in­ fatti, a toni concitati. Tesa, serrata, spesso ellittica, tutta la seconda parte è invece animata dai continui interventi del­ l'autore, che irrompe nel testo per dare risalto a snodi teo­ rici complessi; alleggerisce un minuzioso elenco di regole celebrando l'efficacia del metodo; si allontana improwisa­ mente dall'argomento trattato per introdurre precisazioni e richiami - criptici ed espliciti -, quasi dovesse anticipare, o evitare, critiche e rilievi. Lo stesso accade nelle sezioni conclusive, i cui « enigmi» - solo in parte illustrati nelle bre­ vi spiegazioni - sembrano inevitabilmente richiedere l'in­ tervento chiarificatore del maestro. 2 In sintesi: la seconda e ultima parte del De umbris, dedicata ad illustrare la nuova praxis mnemonica, e composta nel vivo di una esperien­ za didattica, conserva tracce evidenti di artifici propri della comunicazione orale; le sezioni introduttive, invece, sono chiaramente pensate per una lettura silenziosa. 4. Pur rivolgendosi ad un pubblico diverso, le pagine del­ le sezioni introduttive appaiono comunque segnate dalla memoria di un dibattito che, almeno in un primo tempo, aveva coinvolto essenzialmente un gruppo di studenti e di auditori.� A conferma di ciò, sta il fatto che delle numerose critiche ricordate - e confutate - nel Dialogo prelibatorio,4 so­ lo un piccolo gruppo rimanda a spunti tradizionalmente utilizzati dai detrattori dell' ars memoriae : nella maggioranza 1. Fa eccezione - e questo è significativo - il proemio al De umbris, che si immagina letto da Ermete a conclusione del dialogo: in questo testo, esplicitamente presentato come l'inizio di un trattato a stampa, risalta­ no invece - come si vedrà in seguito - tattiche proprie del linguaggio parlato. 2. Per questo si veda De umbris, infra, 230-37 e il relativo commento. 3. De umbris, infra, 9, 20-27 e 18, 11-12. 4. De umbris, infra, 11, 1-12.

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dei casi, le questioni discusse affrontano questioni estrema­ mente specifiche e rinviano - direttamente - al ciclo di le­ zioni tenute da Bruno. In apertura del dialogo, le battute di Logifero danno così risalto ad avversari concreti e reali, se pur celati sotto ma­ schere grottesche: « Nonne auribus tuis» si legge «doctorem Bobum audisti, qui nullam dixit esse memoriae artem, sed eam consuetudine tantum et crebra excursuum repetitione, guae fit visa multoties revidendo, auribusque percepta mul­ toties recipiendo, comparari? ». 1 Non solo l'osservazione di Logifero sembra discendere da una esperienza diretta, ma gli stessi rilievi del « dottor Bobo» sono il preciso ribalta­ mento di un passo centrale dell'Ars memoriae, nel quale Bru­ no radica l'efficacia e la semplicità del proprio metodo in una nuova concezione di consuetudine, intesa non come ottusa ripetizione di luoghi e di immagini, ma come la ca­ pacità di emulare l'opera spontanea della natura, nel cui di­ spiegarsi il costante ripetersi di cicli identici genera un co­ smo armonioso e infinitamente vario. 2 Lo stesso vale per lo sprezzante giudizio di «Carpoforo » sulle « artes [ ... ] nuga­ toriae » che «nescio quibus imaginibus et figuris, solidam se iactant conflare memoriam »:" si tratta, di nuovo, di battute in contrasto frontale con l'esaltazione bruniana del «chaos phantasticum » , dal quale la mente umana produce figure e mondi innumerevoli; 4 a loro volta, le obiezioni attribuite al «dottor Anthoc » ( «Quid respondebis» chiede Logifero «magistro Anthoc, qui eos, qui praeter vulgares edunt me­ moriae operationes, putat magos vel energumenos? » )" ri­ propongono quel sospetto di magia che - come si è visto gravava su Bruno al momento del suo ingresso alla corte di Enrico III, e lasciano altresì trasparire le cadenze di una di­ sputa particolarmente accesa/ così come virulento è lo scontro riportato poco dopo: «magistrum Scoppet [ ... ] Je1 . De umbris, infra, I O, 1 1-15. 2. Cfr. De umbris, infra, 1 15 e il 1 1 6 e il relativo commento.

3. De umbris, infra, 12, 1-33.

4. Cfr. De umbris, infra, 105. 5. De umbris, infra, IO, 1 7-19. 6. Si veda, a questo riguardo, Cawa, I, p. 1 86: « Or che rispondete a quel che dicono che voi siete un rabbioso cinico?».

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runt dixisse authori, ut suam illi memoriam ostenderet prius­ quam artem, quod [ ... ] ille praestare noluerit». Accanto alle osservazioni che toccano aspetti peculiari della nuova praxis, non mancano però rilievi che chiamano in causa le capacità stesse dell'autore - e la sua abilità didat­ tica: è il caso del «dottor Berling », il quale ricorda come «ex istius oratione etiam doctissimos demetere nihil pos­ se». Più che da un generico critico dell'arte mnemonica, l'obiezione sembra giungere da un allievo insoddisfatto: co­ me appare evidente dai termini impiegati, il giudizio si in­ cardina infatti sull'esperienza concreta di una conferenza ( ex istius oratione) dalla quale non si è tratto alcun vantag­ gio.2 Illuminante, in questo senso, è la reazione di Filotimo, che mutando strategia non colpisce più, con battute fulmi­ nee, lo scarso acume del critico, ma concentra il fuoco della sua riflessione sulla figura dell'autore, del quale mette in ri­ salto - con metafore erasmiane - la natura «silenica». Una scelta destinata a tornare, a distanza di anni, nella prefazio­ ne al De lampade cambinatoria tulliana; presentando l'opera al senato accademico di Wittenberg, Bruno utilizzerà anco­ ra la figura del Sileno e contrapporrà il proprio stile scabro e inaccessibile agli sterili artifici dei retori pedanti: «Sit igi­ tur» scrive «ut libet hisce qui se bonarum artium professo­ res iactitant, propter sermonis (ut aiunt) infantiam, Lullius eo quidem contemptibilior, quo etiam inaccessibilior; nos ad ea, quae sub Silenis hispidis meliora contineri novimus, fovenda, defendenda et pro principalibus ingeniis conser­ vanda non segniter animum advertamus, malimusque inter­ dum velut e matris naturae manibus de limosa terra proba­ tum aurum [ ... ] arripere, quam ad floridos tam forte affabre intextos humanistarum calathos, in quibus in pulverolentis gymnasiis puerorumque culinis deprompta, parta, elabora­ taque stercora continentur, manus admovere ve! oculos convertere dignemur».:1 Studenti delusi, ascoltatori insoddisfatti o scettici: tali ap1

1 . De umbris, infra, 1 1 , 24-28. 2. De umbris, infra, 1 1 , 1 3-14. La precisazione di Logifero sembra ulterior­ mente connotare l'avversario come uno studente insoddisfatto: « credo » osserva infatti « quia nil ipse demetit». 3. De lamp. comb., pp. 243-44.

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paiono, in tutti i casi citati, gli avversari contro i quali si sca­ glia il dialogo apologetico. L'enigmatica allusione di Logife­ ro al « livore» che ha irrimediabilmente guastato la capacità di giudizio di chi, un tempo, si era dimostrato loro amico ri­ vela del resto uno spunto parimenti autobiografico, e rical­ ca quasi alla lettera le considerazioni dijohann von Nostitz sull' «invidia » che era suscitata dalle eccezionali qualità del maestro e che finiva per costituire uno dei principali osta­ coli all'apprendimento dell' ars. 1

5. Diverse, invece, sono le obiezioni e i critici di cui si di­ scute nel proemio al De umbris, che Bruno immagina sia let­ to da Logifero al termine del dialogo preliminare. In appa­ renza, il passo modula una apologia non dissimile da quella svolta in precedenza, per prevenire - e ridicolizzare - le pe­ danti osservazioni di chi vorrebbe irrigidire la nuova filo­ sofia entro termini e definizioni tradizionali. « lpsum ea de causa dicimus, » osserva Bruno « ut eorum curam attenuemus, qui proprio ingenio aliena volunt inge­ nia metiri. Cuiusmodi est infortunatum genus illud, quod cum diutius in optimis philosophis elaboraverit, non eous­ que proprium promovit animum, ne usque in finem, cum proprio careat ingenio, semper utatur alieno. Cui tamen magis quam iis, qui propriam ignorantes paupertatem au­ dent non audenda, compatiendum est et quadam ex parte nisi ex incuria remaneat - est laudandum. «Isti similes, cum fuerint Aristotelico repleti spiritu, ut iam vocales et progressivos libros liceat videre, ubi audierint ve! legerint. De umbris idearum, iam verbo haerebunt dicen­ tes ideas esse somnia vel monstra. Quas esto concesserimus, quaeritur an quod rerum naturae conformatur, convenien­ ter dicatur currere sub umbris idearum. Rursum, ubi incur­ rerint in locum ratiocinantis animae, "lordane - inquient iam animae texere dicis ve! filare". Similiter et in aliis qui-

I . G. Aquilecchia, Schede bruniane (1950-1 991), pp. 283-85: « Pochi » scrive Nostitz, descrivendo le lezioni di Bruno « diventavano esperti in base al suo magistero vuoi per l'invidia nei confronti dell'insegnante, vuoi per la difficoltà della materia, vuoi per la lentezza degli allievi ».

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busdam buccas inflantes, per internum quendam hostem a fructus istius disciplinae participatione divertentur». ' La citazione è lunga, ma necessaria: balzano infatti in pri­ mo piano, per la prima volta, osservazioni connesse a pro­ blemi e questioni schiettamente filosofiche, e legate ad una acuta analisi delle lezioni. Non si tratta più di ribattere a in­ terlocutori ignoranti e presuntuosi: Bruno deve adesso di­ scutere con individui colti e preparati, i quali non solo han­ no avuto occasione di ascoltare le lezioni del filosofo, ma ne hanno anche studiato accuratamente i testi. Il doppio regi­ stro su cui si muovono i critici di Bruno - non più semplici ascoltatori, ma anche lettori attenti e preparati - risalta in­ fatti nella tessitura stessa del proemio, che si apre evocando le obiezioni di chi ha « udito o letto » 2 la nuova dottrina, e prosegue prima mantenendo i toni di un dibattito pubblico ( concesserimus I quaeritur an) ,3 poi richiamandosi ai modi della lettura silenziosa ( « ubi incurrerint» si legge « locum ra­ tiocinantis animae » ) , per concludere, infine, con un attac­ co ironico ugualmente segnato dai tratti della comunicazio­ ne orale ( «lordane - inquient - iam animam texere dicis vel filare») . 4 Mutando gli interlocutori, cambia anche, radicalmente, la strategia adottata, e se in precedenza la difesa del nuovo metodo era affidata a tre amici, adesso è Bruno stesso che prende la parola per rispondere ai suoi avversari, mentre il fuoco di battute cede il passo a un discorso più disteso, che, senza irrigidirsi in un monolitico rifiuto, cerca costante­ mente di individuare un terreno di incontro. Imprimendo una brusca torsione ai temi ricorrenti della polemica anti­ pedantesca, Bruno distribuisce con mano sapiente elemenI . De umlnis, infra, 18, 1-19. 2. De um/nis, infra, 18, 1 1-12. 3. Si veda anche Causa, IV, p. 263, nel quale la formula « cedo » / « accep­ to » scandisce appunto lo scambio di battute tra Dicsono, Polihimnio e Gervasio. 4. Cfr. Cena, III, pp. 80-81 , 97: « [Torquato] cominciò a trar di mandrilli, in questo modo parlando: " Tune iUe philosophorum protoplastes. . . ?"» e 104-105: « Tra tanto il Nolano disse a costui che volea far di questo, che sanno sin a i putti? Torquato rispose " Vide, tace et disce: ego docebo te Ptolomaeum et Coper­ nicum"».

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ti di critica e spunti di apprezzamento: deplora dunque l'ot­ tusa fedeltà dei suoi critici alla «lettera» dei testi studiati, ma contemporaneamente valorizza la serietà del loro impe­ gno e contrappone - in toni, tutto sommato, positivi - la cautela di simili studiosi all'arroganza di chi si cimenta in imprese superiori alle proprie forze. Al ritratto fin qui delineato le battute conclusive aggiun­ gono però un elemento decisivo: illustrando le radici pro­ fonde della diffidenza con cui è stato accolto il De umbris, Bruno ricorda ai suoi interlocutori che il linguaggio della « nova filosofia» non può essere appiattito sul lessico della tradizione peripatetica. Ridurre la molteplicità di sensi rac­ chiusi in ciascun termine al solo significato individuato da Aristotele significa precludersi l'accesso ai contenuti più ori­ ginali della nuova praxis. In un dialogo teso e concentrato, Bruno abbozza così uno dei temi-cardine della polemica svolta nei dialoghi italiani, mostrando come l'imporsi del lessico aristotelico abbia estenuato l'indagine filosofica. Ma il ragionamento svolto nel passo rende altresì esplicito, per la prima volta, il nesso che intercorre tra pedanteria filo­ sofica e pedanteria religiosa: lo spunto critico contenuto nel richiamo allo « spirito aristotelico», che ricolma i critici � li trasforma, per così dire, in libri che parlano e camminano, non solo è intessuto di suggestioni connesse ai testi biblici,2 1

1 . Per un giudizio parimenti articolato, si veda Causa, III, pp. 231-32. 2. L'immagine riprende, tra l'altro, Aci., 7, 50-52. Ma si vedano anche le considerazioni di Lutero, il quale, per mettere in rilievo lo scarto tra la chiarezza della Scrittura e le capziose interpretazioni di Erasmo, fa perno, sintomaticamente, sul medesimo passo biblico che è sotteso al ragiona­ mento svolto da Bruno: « Stefano » scrive « parlava in modo tale che costo­ ro non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito che uscivano dalla sua bocca. [ . . . ] Ora dimmi, cosa potevano mai obiettare qui contro un passo della Scrittura così chiaro? Tuttavia, per nulla impressionati, persi­ stevano rigidi nella loro opinione. Ragion per cui egli si scaglia contro di loro gridando: "Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d'orecchi, voi contrastate sempre allo Spirito Santo!"» (M. Lutero, Il servo arbitrio, a cura di F. de Michelis Pintacuda, traduzione e note di M. Sbrozi, Claudiana, Torino, I 993, p. 1 68) . Cfr., inoltre, Erasmo, Enarrationes in Psalrrws. In Psal­ mum quartum concio, in Opera omnia Desiderii Erasmi Roterodami, recognita et adnotatione critica instructa notisque illustrata, V, 2, 1 985, North-Holland - Amsterdam - New York - Oxford, p. 222, 937-42) : « Apostoli vero, qui prius apud Iudaeos erant pauci [ ... ) posteaquam etiam super illos descen-

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ma riprende e varia - declinandola in toni decisamente bef­ fardi - l'immagine di Cristo quale «libro vivente». 1 Pur essendo veri e propri «libri» di Aristotele, gli interlo­ cutori parigini si rivelano tuttavia, a conti fatti, giudici acuti e puntuali. E per questo che lo spunto di polemica religiosa tratteggiato in modo così preciso nelle prime pagine del De umbris non riesce ad assumere i toni netti e decisi riscontra­ bili, più tardi, nelle opere inglesi, rimanendo così sullo sfondo di un ragionamento che immediatamente abbando­ na il registro comico per confutare in modo analitico le obiezioni dei critici. Le osservazioni riferite nel De umbris - ben diverse dagli as­ surdi rilievi dei dottori oxoniensi - scandiscono infatti un movimento speculativo rigoroso, che coglie con precisione il fulcro dell'Ars memoriae, ma ne individua, ad un tempo, gli elementi di debolezza. Se il trattato insiste sul vincolo tra uo­ mo e natura, e ribadisce che le rappresentazioni interiori so­ no riflesso dell'unico principio operante nella materia delle cose e nel «vastissimo grembo» della fantasia, i critici osser­ vano, di contro, che l'intera argomentazione rischia di cade­ re non appena entra in gioco la nozione di ombra: corretta­ mente interpretata - e Bruno stesso deve ammetterlo ( «Quas esto concesserimus » ) -, la metafora sancisce la frattura tra ente e accidente, e segnala che la mente dell'uomo non contiene se non «sogni», copie ingannevoli e menzognere degli ar­ chetipi, o «mostri », rappresentazioni fittizie create per rac­ cogliere la molteplicità dei dati. 2 Comunque siano intese, le dit Spiritus Sanctus, quia sermonem evangelicum promptis animis rece­ perunt [ ... ] iam repleti Spiritu Sancto, cum iugi gaudio vivere coeperunt, magna cordis alacritate perpetientes, quidquid infligebatur pro nomine Domini Iesu Christi ». 1 . Cfr., ad esempio, Ficino, De christiana religione, XXIII, in Marsilii Ficini opera omnia, Basileae, ex officina Henricpetrina, 1576 (riprod. anast., Bot­ tega d'Erasmo, Torino, 1964), p. 27: « Quid aliud Christus fuit, nisi liber quidam moralis, imo divinae Philosophiae vivens de coelo missus [ ... ] ? ». 2. Va notato che i due termini impiegati dai critici ( « somnia» e « monstra» ) non esprimono spunti eruditi, m a appaiono organicamente congiunti al­ la riflessione svolta da Bruno. Pur discendendo dagli Analitici secondi (I, 22, 83a, trad. it. a cura di G. Colli, in Aristotele, opere, voi. I, Laterza, Ro­ ma- Bari, 1984, p. 307) e dalla polemica contro la dottrina platonica delle idee (« Possiamo infatti» scrive Aristotele « dare un addio alle idee, poiché non si tratta che di suoni privi di significato, e, dal momento che, se anche

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« ombre delle idee » si rivelano astrazioni inerti, e solo a pat­ to di una forzatura è possibile cogliere nell'ombra il luogo di comunicazione che unisce livelli diversi dell'essere. Curvando in prospettiva ontologica gli spunti gnoseologi­ ci in precedenza determinati, le battute successive ( « quaeri­ tur an quod rerum naturae conformatur, convenienter di­ catur currere sub umbris idearum » ) danno così risalto alla con­ traddizione insita già nelle prime battute dell'Ars memoriae : « Tunc» aveva scritto Bruno nel passo cui il proemio palese­ mente si richiama « artem sub umbra idearum degere arbitramur, cum aut torpentem naturam antecedendo sollicitat, aut de­ viam et exorbitantem dirigit et perducit, aut deficientem lassamque roborat atque fulcit, aut errantem corrigit, aut perfectam sequitur, et industriam emulatur». Contro que­ sta persuasione, i « libri viventi » con cui Bruno discute fan1

sussistessero, non servirebbero a nulla rispetto alla nostra discussione » ) , il termine « monstra » sembra declinare uno spunto schiettamente bruniano: " In vero » scrive Bruno nel De la causa, IV, p. 273, discutendo il rapporto tra la« materia prima » e il « fonte delle idee » « poveramente si risolve Ari­ stotele che dice insieme con tutti gli antichi filosofi, che li principii denno essere sempre permanenti: e poi quando cercamo nella sua dottrina, dove abbia la sua perpetua permanenza la forma naturale, la quale va fluttuan­ do nel dorso de la materia, non la trovaremo ne le stelle fisse, percht' non descendeno da alto queste particulari che veggiamo; non negli sigilli idea­ li separati da la materia, perché quelli per certo se non son mostri, sono peg­ gio che mostri, voglio dire chimere e vanefantasie» . L'obiezione degli aristoteli­ ci è dunque tutt' altro che estranea all'orizzonte teorico dell'Ars memoriae, e sembra invece suggerire, quasi con un calco lessicale, uno dei cardini della riflessione di Bruno. A sua volta, il termine " sogno » rimanda al Sofista platonico, e riportando in luce uno dei temi-cardine del passo sem­ bra proporre, una volta di più, la netta distinzione che separa arte umana e arte naturale. Cfr. Platone, Sofista, L, 266b-d: «Lo STR. [sono opera di ar­ tificio divino] Le apparenze che vengono nel sonno, e quelle che di gior­ no si dicono prodursi da soli; l'ombra che si produce quando sul fuoco scende la oscurità, e quando ancora un duplice lume, proprio ed altrui, converge in uno sopra superfici lucide e lisce e così produce una appa­ renza di visione dà una sensazione diversa ed opposta alla visione norma­ le. TEET. Sono di due tipi infatti queste opere del fare divino; le opere rea­ li e l'immagine che si accompagna a ciascuna di quelle [ ...] . Ora son giun­ to a capir meglio, e pongo due specie dell'arte del fare, e ciascuna di que­ ste è suddivisa in due; v'è l'arte divina e l'arte umana da una parte, e dal­ l'altra vi è la generazione delle cose. E la generazione di certe cose fatte a somiglianza di quelle » (trad. it. a cura di A. Zadro, in Platone, Opere com­ pkte, voi. Il, Laterza, Roma - Bari, 1984, pp. 247-48). I. De umbris, infra, 86, +8.

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no valere la distinzione aristotelica tra « arte » e « produzio­ ne naturale». L'arte procede infatti per via di ragionamento e con vari strumenti cerca di imitare una realtà esterna, la cui immagine viene elaborata e definita nella mente dell'ar­ tista; la natura, all'opposto, agisce in modo spontaneo, e non rinvia ad una causa finale esterna, in quanto, secondo l'impostazione aristotelica, possiede già in sé il principio del proprio agire. L'ambito della natura e quello dell'arte non si toccano dunque, né si compenetrano: quanto opera se­ condo natura non richiede, né presuppone in alcun mo­ do quelle « ombre delle idee » cui costantemente fa ricorso la praxis umana. Affermare - come avviene nell'Ars memoriae - che quanto si conforma a natura procede nell'ombra del­ le idee significa invece affermare che sensibile e intelligibi­ le, mondo naturale e mondo umano sono tenuti insieme da vincoli indissolubili. E questo, a sua volta, significa attribui­ re ai riflessi e alle ombre elaborati dalla mente umana una capacità di azione non dissimile da quella che è connatura­ ta alle forme naturali: cosa, questa, del tutto impossibile se­ condo le tesi aristoteliche strenuamente difese dagli avver­ sari di Bruno. La tradizionale equazione tra umbra, vanitas ed errore non declina un richiamo erudito o pedante: illustrando abilmente i molteplici significati racchiusi nel concetto di ombra, i censori del De umbris colpiscono infatti il cuore teo­ rico della nuova praxis, ribadendo che tra ombra e luce - co­ sì come tra mente umana e mondo naturale - non si dà pas­ saggio né comunicazione. Vincolata all'ombra delle idee come riconosce lo stesso Bruno -, l'arte può solo imitare i modi della produzione naturale, né può, in alcun caso, « farsi conforme » alla natura. Sul filo di questa riflessione, nelle battute conclusive si definiscono dunque le ragioni più profonde dell'insoffe ­ renza con cui i « libri viventi » di Aristotele guardano al De umbris. A fondamento delle contraddizioni che essi indivi­ duano nella concezione bruniana dell'arte e dell'ombra sta infatti una dottrina dell'anima del tutto inconciliabile con le prospettive aristoteliche. È un punto che gli avversari di Bruno hanno ben presente: lo conferma l'ultimo, decisivo rilievo che chiama in causa il rapporto tra sostanza corpo­ rea e sostanza spirituale e mette in tensione, direttamente,

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la concezione modulata nel De umbris e le tesi esposte nel De anima: « Rursum,» si legge « ubi incurrerint locum ratiocinan­ tis animae, "lordane - inquient - iam animae texere dicis ve! filare"». Il passo cui alludono i critici - di nuovo, con un preciso calco lessicale - è contenuto nel paragrafo secondo dell'Ars memoriae: « Est quidem huiuscemodi ars rerum pro­ sequendarum in genere discursiva architectura et habitus quidam ratiocinantis animae, ab eo quod est mundi vitae principio ad omnium atque singulorum se exporrigens vi­ tae principium. Nulli de potentiis ipsius tanquam ramo in­ nixus, neque de peculiari quadam emergens facultate, sed ipsum totius stipitem utpote ipsam animae totius incolens essentiam » . I lemmi impiegati dagli awersari di Bruno - sia pur con una singolare variante rispetto al testo da cui discendono - il­ lustrano con precisione il quadro teorico da cui si dipana l'o­ biezione. Argomentando la dottrina dell'anima quale perfe­ zione del corpo vivente, Aristotele aveva infatti interpretato il gioco delle passioni e l'armonioso concatenarsi delle azioni come effetti prodotti dal modo in cui l'anima « usa » il corpo: « Noi» scrive « diciamo che l'anima s'attrista e gioisce, è auda­ ce e timorosa, e ancora che s'adira, percepisce le sensazioni, pensa: tutti questi stati sembra siano movimenti. Di qui si po­ trebbe credere che essa sia mossa o gioisca o pensi. Ma ciò non è necessario. Si ammetta quantosivuole che l'attristarsi o il gioire o il pensare siano movimenti e consistano ciascuno in un movimento e il movimento sia provocato dall'anima [ ... ] dire però che l'anima s'adira è come dire che l 'anima tes­ se o edifica » .2 Richiamandosi al testo dello Stagirita, i « repleti Aristotelico spiritu » colgono nell'arte un mero accidente che si produce secondo le particolari configurazioni del corpo cui l'anima inerisce: tra arte umana e produzione naturale non esiste dunque, né può esistere rapporto o proporzione. Ma per Bruno, che nell'ininterrotto esplicarsi delle forme in­ dividua il carattere peculiare della monade divina, l'arte, in­ tesa come produzione accorta e meditata di forme, diviene carattere fondante della realtà a tutti i livelli, e testimonia co1

I . De umhris, infra, 87, 2-8. 2. Aristotele, De anima, I, 4, 408b, 1 1 - 1 3 (trad. it. a cura di R. Lamenti, La­ terza, Roma- Bari, 1 983, p. 1 1 8).

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sì della continuità che sussiste tra ombra e luce, tra «uomo» e « intelletto universale». Si tratta di un tema fondante della riflessione di Bruno: in questo senso, non stupisce che le battute dei « repleti Ari­ stotelico spiritu» siano riprese quasi alla lettera in una delle più tarde testimonianze della musa nolana, ancora una vol­ ta nel quadro di un ragionamento teso a precisare - e con­ trapporre - due opposte concezioni dell'anima: « Ea quae per se intelligunt, id est intellectus sunt participia, » scrive Bruno nella Summa terminorum metaphysicorum « sunt animae subsistentes, daemones, dii. Illud quod est per se intellectus seu intelligentia, est Deus primus. Anima vero ubi fuerit non natura subsistens, sed consistens, sicut a Peripateticis, Galeno et a Stoicis definitur, non dicetur per se intelligere neque per se cognoscere, nisi quispiam et ipsam texere ve! filare (ut dicit Aristoteles) velit asserere ». Come appare evidente, il proemio al De umbris introduce un ordine di problemi del tutto nuovo, e sposta l'asse teorico dal piano della praxis a quello della filosofia: i « repleti Aristo­ telico spiritu» non entrano infatti in questioni di tecnica mne­ monica, né mettono in dubbio il valore e l'utilità del metodo bruniano. Attaccano invece, in modo esplicito e diretto, i fon­ damenti filosofici del trattato, privi - a loro giudizio - di chia­ rezza e rigore. Autore di un manuale probabilmente valido sul piano tecnico, Bruno si è rivelato un cattivo filosofo, e in­ trecciando arbitrariamente elementi aristotelici e suggestioni platoniche ha finito per confondere - e indebolire - entram­ be le prospettive. Con un movimento speculativo opposto, il proemio al De umbris rispo,nde dunque alle critiche ribadendo la legittimità di una ricerca che oltrepassa gli schemi di Aristo­ tele, per recuperare e fondere tradizioni dissimili. Restano comunque aperti, nel proemio, i problemi solle­ vati dagli interlocutori: Bruno si limita a difendere il valore e la pari dignità dei diversi linguaggi filosofici, senza entra­ re nel merito delle questioni. A simili problemi si rispon­ derà infatti, punto per punto, nei capitoli sulle intenzioni e sui concetti : è a queste pagine, infatti, che viene affidato il compito di riscattare una ontologia attaccata e discussa in modi estremamente decisi. 1

I . Summa tenn. met., N I, 4, p. 1 20, 7-14.

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6. Sotto questo profilo, un punto è particolarmente inte­ ressante. A ben guardare, tutti i rilievi presentati dal proe­ mio risultano quanto meno superflui, se si guarda al De um­ bris così come ci è pervenuto, poiché nella sezione dedicata alle Trenta intenzioni e ai Trenta concetti Bruno scava a fondo nel concetto di ombra, e approfondisce temi e immagini tratti dalla tradizione neoplatonica e origeniana valorizzan­ do il rapporto di continuità che congiunge « ombra », « na­ tura» e «verità ». Non solo: sempre in questa sezione, Bru­ no argomenta in modo analitico - con un massiccio recu­ pero di Plotino, e in polemica esplicita col De anima aristo­ telico - la preminenza della sostanza spirituale: « intellec­ tualem animam » scrive Bruno « non vere insitam atque in­ fixam inexistentemque corpori licet apprehendere, sed ve­ re ut adsistentem et gubernantem, ita ut perfectam a cor­ pore seorsum pre se ferre possit speciem » . 1 Certo, si po­ trebbe osservare che Bruno sta mettendo in ridicolo la stu­ pida arroganza dei pedanti, i quali, ormai giunti a metà del­ l'opera, ancora nutrono dubbi su temi già affrontati e di­ scussi. Tuttavia, proprio il carattere puntuale e pertinente delle osservazioni riferite da Bruno - e l'aggancio così espli­ cito al testo del De umbris - rende poco plausibile che esse rappresentino, semplicemente, le battute attribuite a ma­ schere comiche. Le critiche ricordate, piuttosto, sembrano situarsi in una fase in cui le questioni connesse alla dottrina dell'ombra e alla concezione dell'anima erano ancora aperte: quasi che Bruno - quando illustra al pubblico parigino le acquisizioni 1

l . In questa prospetti\'a si inscri\'e altresì il costante recupero di Plotino, continuamente evocato cd esplicitamente citato da Bruno nelle intenzioni e nei conce/li. Nelle Enneadi, recepite attraverso il filtro di Ficino, Bruno in­ dividua infatti uno strumento teorico potente per argomentare la conti­ nuità dinamica tra i vari livelli dell'essere. Su questi aspetti del pensiero di Plotino, si vedano le lucide osse1v.i.zioni di Enrico Peroli, Dio 1101110 e mon­ do. I.a tradizione etico-metafisica del jJ/atonismo, Vita e Pensiero, Milano, 2003, pp. 240-45. 2. De umbris, infra, 57, 2-6. Il passo - con la sua lucida e incisiva affermazio­ ne del primato connaturato alla sostanza spirituale - conclude così la hm­ ga analisi svolta nel paragrafo precedente, che, in modo sintomatico, re­ cupera temi portanti della critica plotiniana contro la distinzione aristote­ lica tra causalità tecnica e causalità naturale e, più in generale, contro la dott rina aristotelica dell'anima. Cfr. E. Peroli, 0/1. cii., pp. 1 65-7 1 .

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teoriche dell' ars memoriae - non avesse ancora sviluppato la dottrina dell'ombra e del rapporto tra anima e materia nel­ le forme lucide e rigorose che spiccano nella prima del De umbris. La struttura articolata - e la complessa vicenda editoriale - del De umbris suggerisce così un quadro dai contorni netti: a) le lezioni parigine di Bruno confluiscono in un tratta­ to che si intitola De umbris, ma che è costituito, con ogni probabilità, dalla sola Ars memoriae ; b) illustrato attraverso un ciclo di lezioni, il trattato circo­ la anche in forma scritta, forse come reportatio o dispensa (a questo riguardo, cfr. Cantus Circaeus, in particolare l'accen­ no agli « exemplaria » ) ; c ) il De umbris «originario » suscita immediatamente un acceso dibattito. Se non mancano obiezioni sull'efficacia del nuovo metodo, le critiche che appaiono all'autore più rilevanti e pericolose sollevano però motivi di ordine filo­ sofico, connessi, da un lato, al lessico confuso, che intreccia lemmi tratti da autori e tradizioni dissimili; dall'altro, alla dottrina dell'ombra quale è abbozzata nella sezione dell'Ars memonae. 7. Simili considerazioni permettono forse di abbozzare l'ipotesi di lavoro cui si è accennato in apertura: la parte ini­ ziale - quella che viene stampata per ultima e che compren­ de il Dialogo prelibatorio, le Trenta intenzioni e i Trenta concetti - non costituisce una semplice introduzione all'Ars memo­ riae, ma è uno scritto «d'occasione » con cui Bruno ripren­ de, approfondisce ed amplia sotto il profilo teorico questio­ ni di cui si era probabilmente discusso nel corso delle lezio­ ni. In modo più specifico, il dialogo preliminare attacca le critiche rivolte da allievi insoddisfatti, difendendo gli aspet­ ti peculiari del nuovo metodo. I paragrafi sulle trenta inten­ zioni e i trenta concetti - elaborati per rispondere ad obie­ zioni di carattere squisitamente filosofico - muovono dalla messa a fuoco dell'accidentalità che è propria dell'uomo per insistere sulla possibilità di trasformare i limiti in pun­ ti di forza, determinando le tappe dell'itinerario - lento, difficile, mai perfettamente compiuto - per cui si passa

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dall'«ombra » all'«idea ». In una prospettiva simile diventa dunque possibile spiegare sia la complessa vicenda editoria­ le del De umbris, sia l'evidente asimmetria che separa le due parti dell'opera. Di questo si era già accorto uno dei più acuti interpreti di Bruno, Felice Tocco, il quale, ragionando delle due sezioni del trattato, aveva osservato che «non s'ha da trascurare che in questa parte il nostro autore non poteva né doveva da­ re un'esposizione compiuta di un sistema filosofico, bensì fissare quei punti teorici, che dovevano servire di fonda­ mento all'arte della memoria. Ed ei forse disse più di quel che occorresse a quest'uopo, e non senza ripetizioni, e con minor ordine di quel che appaia dall'esposizione nostra » . Disordinati, confusi, poco originali, i capitoli iniziali del De umbris sono sproporzionati rispetto ai pochi presupposti ne­ cessari a fondare I'Ars memoriae. Delle pagine dedicate alle intentiones e ai conceptus solo poche considerazioni sono ef­ fettivamente, a giudizio di Tocco, «di grande importanza per l'arte della memoria »: «1 ° Le idee nostre sono ombre dell'eterna idea, epperò senza una veste sensibile o fanta­ sma non possiamo né pensarle né conservarle nella memo­ ria. 2 ° Le idee formano una catena allo stesso modo delle cose che rappresentano. 3 ° Siffatta connessione è il miglior mezzo per ritenerle e quando manchi la naturale, bisogna sostituirvene un'artificiale » .2 L'evidente sproporzione che separa l'introduzione e il te­ sto sembrerebbe pertanto connotare il De umbris come una silloge irrisolta in cui confluiscono - con poca organicità un testo dichiaratamente filosofico e un manuale di arte mnemonica. Invece, secondo quanto si è detto in preceden­ za, è forse possibile sostenere che l'introduzione rappresen­ ta non tanto il preludio, quanto piuttosto l'esito più consa­ pevole della riflessione avviata nei paragrafi dell'Ars memo­ riae. Vero e proprio laboratorio alchemico, nel quale Bruno comincia a delineare motivi e immagini dei dialoghi italia­ ni, i capitoli introduttivi delle Trenta intenzioni e dei Trenta concetti scandiscono così un movimento speculativo che da un nucleo originario di problemi connessi alla tecnica mne1

1 . Le opere latine, p. 48. 2. lbid., pp. 48-49.

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manica si sposta, in modo sempre più consapevole, su temi ontologici. L'asimmetria che si riscontra tra le due sezioni del De umbris, e che riguarda problemi quali la dottrina del­ !' ombra, il ruolo dell'intelletto, il rapporto tra anima uma­ na e verità assoluta, non testimonia dunque del carattere « confuso » e « oscuro » della riflessione di Bruno. In tutti questi casi, si vedrà, non si tratta tanto di introdurre la ri­ flessione svolta nel!'Ars memoriae, quanto, piuttosto, di preci­ sarne i termini alla luce di quella che è la questione crucia­ le sollevata dai critici: se sia legittimo, cioè, ipotizzare un iti­ nerario che dall'ombra dischiuda il passaggio alla luce. 8. La questione dell'ombra costituisce, come è stato osser­ vato, un vero e proprio « punto archimedeo» della nolana filosofia: la lucida, originalissima riflessione svolta nei due densi passaggi dell' intentio prima e dell' intentio sexta muove appunto dal riconosc'imento del limite che circoscrive l'esi­ stenza dell'uomo - mera vanitas e accidente all'interno del mondo esplicato - per individuare l'archetipo dell'unica for­ ma di perfezione cui l'individuo può accedere: « Hominis perfectionem et melioris, quod in hoc munda haberi possit, adeptionem insinuans Hebraeorum sapientissimus, amicam suam ita loquentem introducit: "Sub umbra illius, quem de­ sideraveram, sedi"». 1 Nell'immagine della Sulamita viene dunque compendiato il tema centrale delle prime due sezio­ ni: definire lo slancio eroico di chi cerca di sottrarsi al fluire incessante delle ombre naturali, per accedere all'ombra im­ mutabile dell'« unum bonum» e dell'« unum verum». 2 Da problemi simili l'Ars memoriae prende subito le distan­ ze: le battute con cui si apre la seconda parte - pur chiara­ mente destinate a mettere in rapporto i due blocchi - testi­ moniano infatti di una prospettiva teorica radicalmente mutata. Dando risalto alle implicazioni pratiche e operati­ ve che discendono dalla dottrina dell'ombra, Bruno cerca adesso di dimostrare come l'intimo legame con le « ombre delle idee » consenta all'arte di mutare e di affinare il mon­ do esterno, e renda l'uomo « strumento» ed « emulo » della I . De umbris, infm, 2 1 , 5-8. 2. De umbris, infra, 21 e 22.

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natura: a questo scopo, incardina tutto il paragrafo iniziale su una metafora ( «Tunc artem sub umbra idearum degere ar­ bitramur » ) che non allude più alla quiete straordinaria del Cantico, ma recupera la serie dei termini prima associati al­ i'esperienza «naturale» dell'ombra ( « sub umbra [ ... ] esse et operari »; « ad umbram [ ... ] confugit » ) . ' Nel passaggio dalla prima alla seconda parte, l'indagine si sposta su un diverso fronte; e se è quasi inevitabile che Bruno non faccia più alcun cenno alla possibilità di esperi­ re, nell'ombra e attraverso l'ombra, l'assoluta verità divina, non desta neppure stupore il fatto che la stessa dottrina dell'ombra risulti priva dei caratteri netti, incisivi e originali presenti nella prima parte, e quasi svanisca dallo spettro dei motivi. Dopo l'esplicito recupero iniziale, l'immagine del­ l'ombra compare infatti solo in un'altra occasione, nella se­ zione dedicata ali' organum, dove Bruno si interroga sull'ori­ gine di quelle «species » universali che guidano e orientano la conoscenza umana. In queste pagine, contro l'ipotesi ficiniana di una divinità che subito comunica alla mente le specie universali - e in polemica frontale con la possibilità di istituire un rapporto immediato e privilegiato tra uomo e Dio -, risalta l'intrinse­ ca dignità del mondo naturale, dal quale l'uomo astrae con­ tenuti universali, al termine di un processo che si radica sempre sul corpo e sulle sue potenze. Declinando in chiave gnoseologica un nucleo tematico di ascendenza ficinana, Bruno istituisce una stretta connessione tra l'eccellenza del­ le anime e l'armoniosa complessione del corpo che esse vi­ vificano, e che può divenire lo «strumento » privilegiato di conoscenza: «quibus enim» si legge « aptius atque tempera­ tius est instrumentum - puta corpus - clariores sunt ani­ mae » . 2 L'equilibrio del corpo è infatti essenziale per elaboI . De umbris, infra, 23, 12; 45, 9. 2. De umlnis, infra, 140, 20-2 1 . Cfr. Ficino, Theol. Plat., X, 2, pp. 59-6 1 : « Sed numquid humanum corpus ea est dignitate donatum ut mentem perpe­ tuam excipere hospitem mereatur? Proculdubio. Neque turbari ex hoc debemus quod natura variis propugnaculis instruxit corpora bestiarum et adiumenta suppeditavit ad victum, nobis nihil tribuit tale. Non enim vo­ luit delicatam aequalitatem nostri corporis deformare, neque potuit infinitis actionibus hominis, quae infinitam sequuntur cogitationem, in­ numerabilia vel propugnacula vel instrumenta suppeditare, sed, ut inquit

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rare immagini interiori suggestive, in grado di innescare il processo che conduce alla verità: «Formae enim in corpori­ bus» scrive « nil aliud quam divinarum idearum imagines esse censetur; quae eaedem in sensibus hominum internis quo melius nomine intitulari possunt quam divinarum idea­ rum umbrae, cum ita a realitate distent naturalium, sicut naturales a veritate distan t metaphisicalium? » . Nell'accorta struttura del passo, costruito attorno alla scansione che va da «idea» a «immagine», da «immagine » a «ombra», risalta un movimento speculativo che in modo programmatico inverte i termini delle equazioni ficiniane: le cose non sono affatto «ombre» opache delle idee, né i contenuti della mente umana possono essere comparati al­ la luce; in Bruno, ali' opposto, i corpi plasmati dalla natura dedala diventano le «immagini limpide» delle idee divine, mentre il mondo interiore dell'uomo rivela, simmetrica­ mente, una strutturale umbratilità. La prospettiva teorica in cui si muove l'autore è certo ormai matura, e conforme per molti versi all'analisi svolta nei capitoli dedicati a intenzioni e concetti; ma questo passo dell'Ars memoriae testimonia al­ tresì di una riflessione che ancora non si è confrontata fino in fondo con il tema dell'ombra. Lo dimostra il fatto stesso che la metafora, pur ricorrendo al termine di un discorso teso nella sua volontà di contrapporsi a Ficino, rimane co­ munque congiunta a un campo semantico tradizionale, ed appare inscindibile dalla dottrina di un processo di emana­ zione in cui progressivamente si estenua la pienezza dell'es­ sere. In questo senso, il richiamo all'ombra non assume an­ cora un valore e un significato autonomo, ma è del tutto 1

Aristoteles, dum mentem manumque dedit, artes omnes atque omnia in­ strumenta concessit. Bestias autem facile finitis munimentis instruxit, qui­ bus determinatas actiones phantasiae ad certum quiddam natura directae exsequerentur. Arbitramur vero corpora nostra esse idonea mentis hospi­ ti;., tum propter figuram erectam, non humi sed superne spectantem et caelum quasi patriam suam proprius agnoscentem, tum propter membro­ rum variorum decorem omnino mirabilem [ ... ] . Maxime vero propter complexionem temperatissimam, quae significatur ex delicata, leni firma et nitida carnis mollitie, quae non fit nisi exactissima elementorum tem­ peratione. [ ... ] Cum vero tanta sit et tam sublimis nostri corporis modera­ tio ut caeli temperantiam imitetur, nihil mirum est si caelestis animus hanc ad tempus aedem habitat caelo simillimam " · I . De u mbris, infra, 1 4 1 , 4-9.

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funzionale ad un ragionamento incentrato sulla necessità di ricercare il vero fuori dall'interiorità, nel fulgore del mon­ do esterno, « aprendo gli occhi » alle cose e rifiutando la ste­ rile cecità dei mistici. Non solo: pur in polemica con l'ipo­ tesi di un rapporto privilegiato tra anima e Dio, le battute di Bruno tornano comunque a suggerire un elemento di ec­ cellenza connaturato all'anima umana, la quale - in virtù del suo splendore - riceve dalla provvida natura uno stru­ mento adatto ed equilibrato, che le consente di accedere al­ le forme più alte di conoscenza. Infine - e vale la pena di sottolinearlo - le considerazioni svolte da Bruno in questo passo, così segnato dalla tradizionale accezione dell'ombra, sembrano legittimare le critiche dei pedanti aristotelici: me­ diante l'ombra ideale, l'uomo può senz'altro comprendere il mondo sensibile, individuarne le strutture costanti: ma non può, in alcun caso, riaprire la comunicazione con ciò che si pone oltre l'universo esplicato. Estranee tanto alla « verità » degli enti metafisici, quanto alla « realtà » dei corpi fisici, le « ombre delle idee» evocate da Bruno sanciscono il limite invalicabile opposto all'esperienza umana. 9. Cogliendo con precisione una serie di punti critici non perfettamente risolti, i rilievi avanzati dagli interlocutori di Bruno sembrano mettere in crisi il cardine dell'Ars memoriae - l'idea cioè di un'arte che attraverso l'ombra sa farsi emula della natura perfetta. Ed è forse per questa ragione che l' in­ tentio prima del De umbris traspone in un diverso orizzonte teorico problemi e suggestioni dell'An memoriae, per affron­ tare il fondamento stesso da cui discendono i rilievi degli in­ terlocutori parigini: il rapporto, cioè, tra individuo e verità assoluta. Nel tentativo di mostrare come l'orizzonte umbra­ tile in cui versa l'uomo possa essere anche il luogo di una esperienza suprema del « primo vero � bene », Bruno si in­ terroga così sul tema della continuità - che era stato centra­ le nell 'Ars memoriae - e la riconfigura in termini nuovi. Per passare dall'ombra alla luce, dall'errore alla verità assoluta, sarebbe necessario supporre una perfetta affinità tra la so­ stanza dell'uomo e l'immutabile essenza divina; ma questo, riconosce Bruno, è del tutto insostenibile: « Qui autem fieri potest, » nota dunque nell' intentio prima « ut ipsum, cuius es-

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se non est proprie verum et cuius essentia non est proprie veritas, efficaciam et actum habeat veritatis?». 1 Rispondere a tale quesito significa - e Bruno ne è ben consapevole uscire da una astratta contrapposizione tra il mondo della vanitas e 1 ' « unum, idem, aeternum», per guardare, invece, al principio che con il suo movimento mette in comunicazio­ ne forze opposte: concentrandosi dunque sul tema dell'om­ bra, l'autore ne tende all'estremo il significato e, con una improvvisa torsione rispetto alla tradizionale accezione, os­ serva che essa non coincide - necessariamente - con il limi­ te connaturato al mondo fisico e all'universo interiore, in­ scindibilmente congiunto alle nozioni di errore o falsità. Es­ sa è invece, al tempo stesso, forma originaria dell'esplicarsi del « primo vero». « Sufficiens ergo est illi atque multum, ut sub umbra boni verique sedeat» prosegue dunque il Nola­ no, precisando però che « Non inquam sub umbra veri bo­ nique naturalis atque rationalis - hinc enim falsum dicere­ tur atque malum -, sed methaphysici, idealis et supersub­ stantialis. Unde boni et veri pro sua facultate particeps efficitur animus». 2 Solo nel manifestarsi di un'ombra che non è più luogo estremo dell'emanazione, né principio strutturalmente opposto alla luce, può dunque realizzarsi una vicenda poco sopra presentata come impossibile: che cioè un « animus», un individuo strutturalmente finito, si faccia partecipe dell'assoluto, dell'identico, dell'eterno. Un'affermazione così netta stravolge però, completamente, la gnoseologia dell' Ars memoriae : venuta meno la dottrina dei tre livelli - rispettivamente individuati dalle « idee», dal­ le «immagini » e dalle «ombre» -, i capitoli iniziali del De umbris fanno coincidere la distinzione tra mondo fisico e mondo interiore, tra « senso» e « intelletto » con i diversi gradi in cui si esplica l'ombra. Simmetricamente, lo scarto che l'Ars memoriae aveva modulato contrapponendo l' « um­ bra» custodita dai sensi interni al « lumen» dell'intelletto viene ricondotto al dipanarsi vicissitudinale di un'ombra unica, la quale si dà ora come moto e alterazione, ora come quiet� assoluta: « Umbra» viene ribadito nell' intentio sexta, con un evidente allontanamento dalla scala delle facoltà deI . De umbris, infra, 2 1 , 13-15. 2. De umbris, infra, 2 1 , 15-20.

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lineata nell 'Ars memoriae «in materia seu natura, in naturali­ bus ipsis, in sensu interno atque externo, ut in motu et alte­ ratione consistit. In intellectu vero intellectumque conse­ quente memoria est ut in statu ». 1 È l'ombra, dunque, che conferisce continuità e coesione all'universo in cui opera l'uomo e che abbattendo le gerarchie tradizionali tra senso e intelletto, tra mondo naturale e mondo interiore assicura un costante scambio di forze. Sul filo di questa riflessione, nella prima parte del De umbris, il motivo tradizionale dell' «ombra di morte» lascia spazio, simmetricamente, al tema opposto dell' «ombra di luce»: «omnia» si legge «[ ... ] cum puram non recipiant lucem, sub umbra lucis esse et operari dicuntur». 2 Nell'ombra, luce e tenebra sono inscin­ dibilmente congiunte, e alla forza dell'intelletto non spetta più, semplicemente, di scacciare con la propria luce le te­ nebre della materia. Nella prima parte del De umbris, il com­ pito attribuito all'intelletto è ben più complesso e delicato: si tratta infatti di spezzare l'uniformità dell'ombra, proten­ dendosi incessantemente verso uno solo degli estremi che in essa convivono. «Consequenter » scrive dunque Bruno «te non praetereat, quod, cum umbra habeat quid de luce et quid de tenebris, duplici aliquem accidit esse sub umbra: umbra videlicet tenebrarum et - ut aiunt - "mortis", quod est cum potentiae superiores emarcescunt et ociantur aut subserviunt inferioribus, quatenus animus circa vitam tan­ tum corporalem versatur atque sensum; et umbra lucis, quod est cum potentiae inferiores superioribus adspiranti­ bus in aeterna eminentioraque obiecta subiiciuntur, ut acci­ dit in coelis versanti, qui spiritu irritamenta carnis incul­ cat » . Il mutamento non è di poco conto: l'itinerario cono­ scitivo che, nell'Ars memoriae, germina dall'equilibrata com­ plessione del corpo, procede mediante l'armoniosa coope­ razione di tutte le forze interiori, e si iscrive entro un ordine universale retto e governato dalla natura, si configura ades­ so come opera aspra, violenta e travagliata.'i l . Dr umbris, infra, 26, 2-5. 2. Dr umbris, infra, 23, 1 1-12. 3. Nella prima parte del De umbris, l'« ombr,1 di luce " costituisce dunque l'acquisizione teorica di maggior rilievo e si collega, del resto, a una atten­ ta selezione delle fonti, che consapevolmente valorizza una tradizione di

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10. Nel vivo di una riflessione che fa perno sulla lotta del­ l'anima, sospesa tra i due opposti estremi dell' «ombra di lu­ ce » e dell' «ombra di tenebra », la prima parte del De umbris spinge dunque l'analisi svolta nell'Ars memoriae in direzioni impreviste. Se si guarda infatti alla dimensione del «primo vero e bene », diventa impossibile sostenere che l'esperienza cognitiva suprema possa scaturire dall'armonico intreccio di vigore intellettuale e di equilibrio corporeo. Inaccessibile a quanti vivono nel mondo del senso, l'«ombra di luce » si ri­ vela solo a costo di spezzare ogni equilibrio, di «vincere » e «asservire » le potenze inferiori, schiacciando gli aculei della carne per vivere «nei cieli ». 1 Intrecciando le battute dell'e­ pistolario paolino2 con la memoria di testi erasmiani,:' il lessipensiero estremamente specifica e circoscritta, incentrata, precisamente, su Origene e sulla esegesi alessandrina del Cantico dei Cantici. Rispetto a questa meditata architettura di fonti, è evidente la semplificazione opera­ ta nell'Ars memoriae, dove il richiamo alla sola immagine biblica dell'« om­ bra di morte » lascia intravedere una concezione dell'ombra pesantemen­ te segnata da suggestioni ficiniane. 1 . L'ombra non è né dunque né attributo dei sensi interni, né segno di una illuminazione straordinaria, né, tanto meno emblema di un misticismo ste­ rile. Ed è proprio in linea con queste premesse che la prima parte del De umln'is, con una netta torsione rispetto all'Ars memoriae, fa coincidere la co­ noscenza con la capacità di superare l'orizzonte natur.ile. La cecità di chi chiude gli occhi al mondo esterno, derisa nell'A,:,; memoriae, viene qui ri­ configurata nell'atteggiamento eroico di chi si sottrae al sonno e all'ingan­ no del mondo sensibile per protendersi con tutte le forze verso la luce. Si vedano, inoltre, le battute di Bruno in De umb1'is, infra, 39, 4-7. 2. Cfr. Rm., 8, 1 3: « si enim secundum carnem vixeritis moriemini si autem Spiritu facta carnis vivetis ». 3. Cfr. Erasmo, Enchirirlion militis chùistiani - Hanrlbiirhelin eines Christlichen Streiten, iibersetz, eingeleitet und mit Anmerkungen versehen von Werner Welzig, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1 968 (Erasmus von Rotterdam, Ausgewiihlte Schriften, voi. I), p. 1 1 0: « Corpus enim ut est ipsum visibile, rebus visibilibus delectatur, ut est mortale, temporalia se­ quitur, ut est grave, deorsum sidit. Contra anima generis aetherei memor �umma vi sursum nititur et cum terrestri mole luctatur, contemnit ea, quae videntur; scit enim esse caduca, quaerit, quae vere, quae semper sunt ». Ma sulle battute di Bruno agisce anche, con ogni probabilità, la memoria di altri testi erasmiani: cfr. Erasmo, Parafrasi della ll'llera ai Roma­ ni, a cura di Maria Grazia Mara, Japadre Editore, L'Aquila - Roma, 1 990, cap. VIII, pp. 220-21 : « Egli è morto nella carne [ ...] ma vive una vita im­ mortale. Noi lo manifestiamo se il corpo, ossia quella parte di noi più ma­ teriale che porta alla morte con le attrattive delle passioni, è morto ed è privo di ogni volontà peccaminosa, e se vive lo spirito, ossia la parte mi-

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co di Bruno scandisce le tappe di un progressivo allontana­ mento dalle problematiche affrontate nella seconda sezio­ ne: l'arduo inseguimento della verità divina assume la forma di un conflitto tra «carne» e «spirito», e carica di valenze positive l'esperienza di Paolo. Nel gesto estremo di chi spre­ gia la carne e le sue seduzioni si dissolvono infatti le coordi­ nate teoriche individuate dall'Ars memoriae, secondo le quali l' « ombra della morte» coincide con l'inerzia di chi «chiude gli occhi» e si fa cieco alle cose esterne. Né si tratta di un caso isolato: nel conceptus III, l'invito a « conformarsi agli enti divini» forzando al massimo grado i limiti naturali porta di nuovo in primo piano la lotta tra le potenze del senso e la virtù dell'intelletto e trova il pro­ prio sigillo nell'esperienza di Paolo, cripticamente evocato a conclusione del passo: « Id fortasse faciebat» si legge « is qui dixit: "In carne consistentes non secundum carnem vivi­ mus"».2 E ancora, nel conceptus III!, la persistenza - sia pur in forme implicite - della fonte viene confermata dall'analisi delle auctoritates citate da Bruno per argomentare il primato del principio spirituale: Plotino, da un lato, e, dall'altro, « quel teologo» che, scrive Bruno, definì l'anima «uomo in­ teriore»." Nello spazio di poche pagine - evocato con fre­ quenza quasi ossessiva - balza dunque in primo piano un au­ tore - e una vicenda - del tutto assente dal registro dell'Ars memoriae. Non si tratta dunque di suggestioni sporadiche, né di tematiche eccentriche rispetto alla dura critica contro il cristianesimo paolino e luterano che segna luoghi centrali 1

gliore di noi, il quale ci porta al bene e ci rapisce con il suo slancio verso tutto ciò che appartiene alla giustizia [ ... ] . Quindi se vivrete secondo la carne, vi avvicinerete alla morte; se invece estinguerete con la forza dello Spirito le passioni della carne, dopo che esse saranno morte, vivrete "· Se confromata con posizioni simili, spicca comunque l'originalità della posi­ zione di Bruno: nel De urnb1is la lotta tra carne e spirito non trova compi­ mento in una dimensione ultraterrena, dopo la morte, né viene superata mediante un ratto divino. La precisione con cui Bruno argomema la di­ stinzione tra le due forme di ombra testimonia infatti di come la « dimora celeste " cui si protende l'eroe non sia se non una diversa manifestazione dell'ombra, frutto di una più profonda conoscenza del mondo naturale. Si veda De urnbris, infra, 57. 1. Cfr. De urnlnis, infra, 1 4 1 , 19-26 e il relativo commento. 2. De urnlnis, infra, 56, 14-15. 3. De urnbris, infra, 57, 6-8.

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dei dialoghi italiani: lo dimostra, del resto, il fatto che gli spunti tratti dall'epistolario di Paolo si costituiscono sempre come rimando implicito, e, lasciando sullo sfondo la figura dell'apostolo, evitano di istituire un rapporto diretto tra la posizione di Bruno e la costellazione di testi cui si attinge. Nella prima parte del De umbris, l'implicito elogio dell'apo­ stolo non serve dunque a veicolare suggestioni mistiche o misticheggianti, né si intreccia all'elogio di una esperienza del divino totalmente risolta nell'interiorità. Richiamandosi a Paolo di Tarso, Bruno sembra piuttosto abbozzare un tema che diventerà cruciale negli Eroici furori, e dar risalto alla na­ tura eroica di chi stravolge gli equilibri del mondo per ricer­ care, ostinatamente, la sola « ombra della luce ». 1

11. Nella prima parte del De umbris, la riflessione muove dunque dal problema del limite, interrogandosi, costante­ mente, sulla possibilità di forzarlo: e sviluppando al massimo grado questo assunto teorico, Bruno finisce per istituire una tensione fortissima all'interno dell'anima umana, campo di forze nel quale si confrontano due princìpi inconciliabili, protesi - rispettivamente - verso !'« ombra della tenebra » e l' « ombra della luce ».� Una simile messa a fuoco della « guer­ ra civile » che travaglia l'anima umana non ha alcun rappor­ to con la problematica affrontata nelle opere pubblicate su­ bito dopo il De umbris (il Cantus e il ciclo dei Sigiili) ed è, in­ vece, straordinariamente vicina ai Furori : « Qua dumque » scrive Bruno nell'ultimo dialogo londinese « quando l'anima si lagna dicendo "O cani d'Atteon", viene introdotta come cosa che consta di potenze inferiori solamente, e da cui la mente è ribellata con aver menato seco il core, cioè gl'intie­ ri affe tti, con tutto l'exercito de pensieri [ ... ] . E qua per la di­ strazzione che patisce dal comune amore de la materia e di cose intelligibili, si sente lacerare e sbranare di sorte che bi­ sogna al fine di cedere a l'appulso più vigoroso e forte. Qua se per virtù di contemplazione ascende o è rapita sopra l'ori­ zonte de gli affetti naturali, onde con più puro occhio apI . Su questo, cfr. l' Introduzione di Fabrizio Meroi a Giordano Bruno, Ca­

bala del rava/lo j1egaseo, Rizzoli, Milano, 2004, pp. 5-45.

2. De umbris, infra, 24, 2-1 1 .

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prenda la differenza de l'una e l'altra vita, all'ora vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto; e benché viva nel corpo, vi vegeta come morta». A questo riguardo, del resto, vale la pena di osservare come il tema dell'anima quale « repubblica turbolenta» ( che è poi la stessa espressio­ ne dei Furon) sulla quale si impone - tra difficoltà e tumulti - il dominio dell'intelletto risalta anche nell'Enchiridion mili­ tis christiani di Erasmo, in un passo profondamente segnato dalla memoria della dottrina origeniana relativa alle tre par­ ti dell'anima.2 Come già rilevato, l'approfondirsi, in toni del tutto originali, della speculazione sull'ombra va di pari passo con il recupero di tematiche erasmiane e si congiunge anco­ ra alla ripresa - oltre che Erasmo - delle fonti patristiche.:' Per tutti questi motivi, la prima parte del De umbris segnala un evidente mutamento di prospettiva non solo rispetto ali'Ars memoriae, ma anche rispetto alle problematiche svolte in altre opere mnemotecniche. 1

12. Le osservazioni modulate nella prima parte del De um­ bris, si è visto, assumono tratti assolutamente originali, e non trovano riscontro in altri testi di argomento mnemoni­ co; ma l'intera seconda sezione sembra inserirsi in un oriz­ zonte teorico più compatto, del tutto coerente con la rifles­ sione svolta nei trattati pubblicati in Inghilterra. Nella pri1 . formi, I, 4, pp. 834-35. 2. Cfr. Erasmo, Enrhùidion, cit., p. 1 1 O: « Quare non absurde pectus homi­ nis cum seditiosa quapiam republica componas licebit ». 3. Analoghe considerazioni possono essere svolte sul piano delle fonti e di lori paralleli: la prima parte si regge infatti su uno spettro di fonti nel qua­ le il massiccio il recupero di spunti neoplatonici filtrato attraverso le tra­ duzioni e commenti di Ficino, si dipana a partire da un gruppo di temi e di immagini che fanno capo alla riflessione di Origene e di quanti, sulla scorta dell'alessandrino, avevano parimenti valorizzato il tema dell'ombra - Alberto Magno, Bernardo di Clairvaux, Guerrico d'Igny. Un fatto inte­ ressante, se si pensa che Bruno più volte ricorda - e lo fa anche nel proe­ mio del De umbris - di essere stato « allevato ,, e « nodrito ,, nelle dottrine peripatetiche: l'irrompere di questo nuovo gruppo di aurtoritates sembre­ rebbe pertanto suggerire l'approfondirsi di una riflessione che dischiude uno dei temi teoricamente più rilevanti della seconda parte - il rapporto tra arte e natura - verso una nuova e originalissima visione dell'anima umana e del rapporto tra uomo e natura.

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ma parte del Sigdlus sigdlorum, per citare un solo esempio, l'esaltazione dell'arte appare inscindibile da una dottrina dell'ombra che rievoca le pagine centrali dell'Ars memoriae : «Quam mirabile erit opificium tuum, » scrive infatti Bruno « si opificio utriusque naturae conformabere; si vero excors et errabundus efficiare, e contrario confusissima opplebere caligine, quam umbram mortis appellant. Sic memoria et intellectu mundi triplicis fabricam atque seriem, non sine iis quae continentur in eo, concipere valebis atque pare­ re ». 1 Il testo dell 'Ars memoriae e quello del Sigillus si rispec­ chiano l'uno nell'altro: l'ombra è essenzialmente «umbra mortis », e limite progressivamente cancellato dall'opera di memoria e intelletto. La contrapposizione tra luce e ombra si risolve così in modo tradizionale, e per quanto i due testi lascino già intravedere una concezione più problematica del rapporto tra l'anima e la luce divina - si insiste infatti sul carattere intenzionale della conoscenza, e sulla funzione positiva delle immagini interiori -, Bruno non raggiunge mai, su temi simili, lo spessore e la ricchezza di significati ri­ scontrabili nella prima parte del De umbris. Lo stesso vale per la dottrina della conoscenza: sulle que­ stioni connesse alla natura e all'ordine delle forze interiori, Ars memoriae e Sigillus sigillorum procedono di pari passo. 2 Nel cuore del Sigillus, tornano infatti - con precisi calchi les­ sicali - fonti e motivi presenti nella seconda parte del De um­ bris : «quatruplicem potentiarum cognoscitivarum progres­ sum ita regulare debemus, » si legge «ut a sensu, qui est cir­ ca corpora, ad phantasiam, quae circa corporum simulacra versatur, ab hac ad imaginationem, quae circa simulacro­ rum consistit intentiones, et inde ad intellectum, qui circa singularum intentionum naturas comunes meditatur, sine errore conscendamus ». � In sintesi: tanto l'Ars memoriae quanto il ciclo dei Sigilli uti­ lizzano il motivo tradizionale della scala che regola le diver­ se facoltà cognitive per mostrare come la perfetta cono­ scenza sia fondata sulla capacità di coglier� e di assecondare un ordine e un ritmo del tutto naturali. E infatti la natura 1 . Sig. siffÌ,ll., I, 1 7, p. 165, 8-1 1 . 2 . Si veda De umbris, infra, 140, 2-7. 3. Sig. siffÌ,ll., I, 3 1 , p. 1 72, 1 7-23.

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stessa - e l'ordine provvidenziale che in essa si dispiega - a garantire il progresso ordinato della mente umana. Rispet­ to a coordinate simili, la parte iniziale del De umbris sposta l'asse della riflessione: quasi rivelando un interesse profon­ do, che per gradi si impone all'attenzione di Bruno, il ciclo delle intentiones valorizza atteggiamenti e archetipi prima la­ sciati in secondo piano, oppure esplicitamente criticati, e costantemente ritorna alle esperienze estreme di chi ricerca - oltre le forme ordinarie, naturali e feconde di conoscenza - la cognizione del primo vero e bene: dalla Sulamita a Paolo di Tarso. Si potrebbe dire, in una parola, che il De umbris guarda non più alla «virtù », bensì al «vizio» eroico. E que­ sto, di nuovo, sembra attestare il carattere « eccentrico » del­ la prima parte del De umbris, opera d'occasione che distac­ candosi dai problemi svolti nei trattati di ars memoriae antici­ pa, per molti versi, il ciclo dei dialoghi londinesi e la pro­ blematica degli froici furori. 13. Curvando in una prospettiva mutata le dottrine svi­ luppate n ell'Ars memoriae, la prima parte del De umbris de­ finisce infatti in termini nuovi sia il ruolo giocato dall'intel­ letto, sia la natura degli oggetti cui esso si rivolge. Dall'azione congiunta di sensi, fantasia, intelletto può in­ fatti germinare una perfetta immagine del mondo naturale: ma è solo quando la continuità si spezza, quando l'individuo si concentra totalmente su un estremo, ritraendosi nella par­ te più alta dell'anima, che diventa possibile conseguire un risultato straordinario, passando dalla dimensione dell'espli­ cato a quella della veritas. Il tema - di ascendenza origeniana - percorre tutta la prima parte del De umbris : definito con precisione nell' intentio prima e nell' intentio tertia, ricorre an­ cora nell' intentio sexta, dove l'esaltazione dell'intelletto - luo­ go di una conoscenza «sovranaturale e sovrasensuale » - si accompagna al riconoscimento del ruolo complesso giocato dai sensi e dalle rappresentazioni fantastiche, «guide » pre­ ziose per l'uomo, ma che tuttavia impediscono la contem­ plazione del «primo vero e bene »: « Quae sessio seu status, » scrive Bruno, evocando, nuovamente, l'immagine della Sula­ mita « quia in naturaliter degentibus non multum perseverat - max enim atque statim s� nsus isti nos insiliunt atque de-

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turbant, ipsique nostri duces phantasmata nos circumve­ niendo seducunt -, sessio illa potius praeterito absoluto vel inchoato quam praesenti tempore designatur». 1 Strappan­ dosi violentemente dalle seduzioni dei sensi, l'intelletto è dunque la forza che spinge all'estremo il limite, conquistan­ do una cognizione «soprannaturale e soprasensibile»; suc­ cessivamente, trascorso l'istante della contemplazione, spet­ ta però alla memoria custodire il ricordo di una esperienza ormai passata. Ma nella prima parte dell'opera il tratto pe­ culiare dell'intelletto è, all'opposto, la capacità di lacerare l'anima, di portare al massimo grado i contrasti e le dissim­ metrie, per proiettare l'individuo ai limiti dell'orizzonte. Bruno semplifica dunque, e concentra le dottrine gnoseolo­ giche impiegate nella seconda parte, risolvendole nella po­ tente antitesi tra il «sensus fallax» e I'«intellectus non er­ rans». A testimoniare la continuità con cui Bruno tiene sal­ do questo punto, anche l' intentio XXIX riprende una con­ trapposizione già istituita nel Dialogo prelibatorio per sottoli­ neare lo scarto che sussiste tra le facoltà della luce e le fa­ coltà delle tenebre: «nobis, » scrive Bruno « in orizonte natu­ rae et in aequilibrata rectaque eiusdem sphaera constitutis sub aequinoctiali sensus vel intellectus aequidiali». 2 « Circolo equinoziale» e «circolo equidiale» sono, di fatto, due termi­ ni sinonimi: ma Bruno gioca sull'apparente equivalenza per ribadire, una volta di più, come il senso appartenga alla di­ mensione dell'ombra naturale e della «nox», mentre l'intel­ letto si situa, strutturalmente, nel piano dell'«umbra lucis » e del « dies». È su questa persuasione che si fonda dunque, a ben vede­ re, l'enfasi con cui Bruno valorizza l'audacia dell'intelletto il quale, come si legge nel Dialogo prelibatorio, supera i limiti del senso per scoprire, a partire dal moto della terra, i movi­ menti armoniosi dei grandi «animali e dei secondi » -, po­ nendo così le premesse di una riflessione destinata a diven­ tare centrale nei Dialoghi italiani, fin dalla Cena de /,e Ceneri, nella quale Bruno teorizzerà un «metodo scientifico » incen­ trato, precisamente, sul primato della potenza intellettiva. Se si guarda però alla seconda parte del De umbris, l'oriz1 . De umbris, infra, 26, 8-13. 2. De umbris, infra, 5 1 , 1 1-13.

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zonte teorico muta: senza più pensare a vicende e destini squisitamente individuali, Bruno dà particolare risalto alla funzione civile della conoscenza: il consorzio umano si reg­ ge infatti sull'opera congiunta dell'intelletto, che continua­ mente muove « dall'imperfetto al perfetto», e della memo­ ria, che ne salvaguarda le conquiste opponendosi alla forza distruttrice della « fluttuante materia». Tale interazione pre­ suppone però - e qui Bruno recupera un modulo ricorren­ te in tutti i trattati di arte mnemonica - la mediazione della « phantasia» e della « cogitatio », alle quali spetta il compi­ to, rispettivamente, di tradurre in forme sensibili i contenu­ ti astratti2 e di recuperare, in un secondo tempo, i concetti associati alle immagini. In una prospettiva simile, l'intellet­ to interviene a conclusione di un processo cui cooperano in varia misura tutte le forze cognitive. Uno scarto netto, dunque, che si spiega proprio alla luce del diverso oggetto di conoscenza che emerge nelle due parti dell'opera. Quando deve illustrare la nuova praxis mnemonica, e mostrare come la nuova ars consenta di ela­ borare una conoscenza del mondo organica e feconda, Bru­ no non esita a valorizzare il nesso tra facoltà cognitive dis­ simili: l'accento batte così sulla continuità, e sul vincolo profondo che congiunge idee, cosmo naturale, ragione u­ mana. 3 Ma nel momento in cui il fuoco dell'attenzione si sposta dal rapporto tra uomo e natura per concentrarsi sul rapporto tra individuo e verità suprema, acquista progressi­ vo risalto il tema della discontinuità e delle cesure che se­ gnano momenti ed esperienze dissimili. Nella prima parte del De umbris Bruno si interroga infatti, sistematicamente, sui modi in cui è possibile conoscere il « primo vero e bene» « metafisico, ideale, soprasostanziale»; nella seconda svilup­ pa, invece i temi connessi alla necessità di organizzare e strutturare i dati della conoscenza naturale. Una volta di più, i capitoli su «intenzioni» e « concetti» non offrono alcun fondamento teorico all 'Ars memoriae, e anzi, a ben vedere, la stessa questione discussa nella prima parte - la conoscenza del vero e del bene metafisico ideale e 1

1 . De umlnis, infra, 147, 8-10. 2. Cfr. De umlnis, infra, 1 1 7, 1 0-15. 3. De umlnis, infra, 140, 2-1 1 .

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sovrasostanziale - appare estranea ai temi affrontati nella seconda parte. 14. A conferma di ciò, vale la pena di osservare i modi op­ posti in cui Bruno interpreta, nella prima e nella seconda sezione, due concetti chiave come quelli di vanitas e di va­

rietas. Sviluppando rigorosamente la dottrina dell'ombra e del­ la sproporzione che separa ente e accidente, la prima parte del De umbris finisce per elaborare una concezione del mon­ do naturale incardinata sul concetto di vanitas. Posta fin dall'inizio, nell' intentio /, e modulata attraverso un esplicito richiamo alle battute dell'Ecclesiaste, la natura effimera e in­ consistente del mondo esplicato viene ribadita con partico­ lare vigore nel conceptus VII: « Non enim guae vere sunt, sen­ sibilia ipsa sunt atque individua, ut autumat qui haec primo, principaliter et maxime substantias appellat. [ ... ] Quod non solum rectius philosophantibus placet, sed et theologorum alias audimus exteriorem hominem sub hanc conditione naturali vanitatem appellantes ». Sotto il profilo sia concettuale, sia lessicale, il tema della vanitas costituisce senz'altro uno dei nodi teorici centrali nella prima parte del trattato: tanto più marcato appare, dunque, il contrasto che separa queste pagine dal capitolo XII dell' Ars memoriae,2 fondato, di contro, sul motivo aristo­ telico dell'equivalenza di « ens » e « unum »: «Vicissim qui­ dem dicuntur ens et unum; quidquid unum non est, ens non est; unumquodque autem hoc ipso unum esse senti­ mus, quia modo suo propria terminatur differentia»." Ed è significativo che il mutato asse della riflessione inci­ da sullo stesso registro delle fonti. Segnata in forme assai marcate da una esplicita polemica contro Aristotele, che aveva attribuito natura e dignità di sostanza alle ombre effimere degli enti naturali, la prima parte del De umbris re­ cupera altresì e valorizza, secondo un modo di procedere già esaminato in precedenza, le posizioni di Paolo. Contro 1

I . /)e umbris, inji"a, 60, 5- 1 2.

2. /)p umbris, in/in, 1 1 7, 1 6--26. :l. /)e 11ml11is, infra, 1 1 7, 1 6- 1 8.

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Aristotele, Bruno si richiama infatti ad «alcuni teologi », le cui dottrine vengono illustrate da un abile intarsio di cita­ zioni bibliche, che danno risalto alle dottrine dell' « uomo interiore » e della «vanità delle cose » intrecciando almeno due luoghi dell'epistolario paolino: «condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem video autem aliam le­ gem in membris meis repugnantem legi mentis mea » 1 e «vanitati enim creatura subiecta est ». 2 Con un movimento speculativo opposto, l'Ars memoriae porta invece in primo piano Aristotele, insistendo, programmaticamente, sul valo­ re irriducibile connaturato a ciascun individuo. Un analogo ribaltamento di prospettiva si registra per il tema della varietas, ridotto, nella prima sezione, a tratto effimero del mondo umbratile ed esaltato di contro, nella seconda parte, come prova dell'infinita fecondità della na­ tura e come strumento privilegiato dell'arte. Si tratta di un rovesciamento sistematico: se nel conceptus IX la capacità di fissare stabilmente le immagini si fonda sulrecupero di un principio «idem, manens et aeternum » ( « Nitaris igitur » scrive infatti Bruno «in ipsum idem oportet, ve! in id quod identitatis habet rationem, ut permanenter et perseveranter habeas. Id si capies, caput habebis quo specierum fixionem facias in anima ») ,:1 opposta è l'esortazione contenuta nel ca­ pitolo XII dell'Ars memoriae : «Aspicis proinde quam sit ab eminente natura prelata varietas. [ ... ] Tenta igitur naturae conformaturus in omnibus diversitatem: in modo subsisten­ di, in magnitudine, in forma, in figura, in habitu, in habitu­ dine, in termino, in situ, et quot poteris discriminibus indue [ ... ] . Quod minime praeterivit eos, qui velocissimum in na­ turalibus omnibus fluxum considerantes, impossibile rati sunt eundem flumen bis - imo ve! semel - posse pedibus at­ tingi ».< /dentitas I varietas ; permanenter - perseveranter / velo­ cissimum jluxum: anche sotto il profilo lessicale, i due passi testimoniano di una riflessione che si snoda in forme oppo­ ste. E ancora, nella prima parte, Bruno programmatica­ mente valorizza l'unità sottesa al fluire delle metamorfosi, 1. Rm. , 7, 22-23. Ma si veda anche Erasmo, Enchiridion, cit., pp. 124-30. 2. Rm., 8, 20. 3. De umbris, infra, 62, 6-9. 4. De umbris, infra, 117, 2-26.

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concentrandosi su quel principio che, si legge, « continet [ . . . ] omnes species, perfectiones, veritates, numeros rerum­ que gradus. Dum ea quae in natura sunt differentia, contra­ ria atque diversa, in ea sunt eadem, convenientia et unum ». Un orizzonte teorico, questo, del tutto estraneo alla secon­ da parte del trattato, nella quale l'attenzione di Bruno si ri­ volge non all'uno inattingibile, ma alle sue molteplici espressioni fisiche: « memento huic arti media alia usu veni­ re non posse ad suum finem consequendum quam sensibi­ lia, formata, figurata, tempori locoque contracta ». 2 In que­ sto passo, differenza, contrarietà e varietà sono ben altro che segni effimeri della vanitas : costituiscono, infatti, l'uni­ ca via per riprodurre, comprendere ed emulare l'infinito esplicarsi della natura. Tale dissimmetria si spiega, naturalmente, alla luce della diversa prospettiva in cui si muove Bruno, il quale illustra, nella prima sezione, il carattere strutturalmente accidentale dell'individuo rispetto all'ombra universale, e dà invece risal­ to, nell'Ars memoriae, all'infinita varietà degli accidenti, inter­ pretata quale strumento precipuo per custodire nella memo­ ria l'infinità varietà di nozioni e concetti: ma proprio la forza con cui - nelle sezioni introduttive - emerge e si impone il te­ ma dell'uno e la dottrina della vanitas universale sembra con­ fermare che la prima sezione del De umbris individua uno svi­ luppo nuovo rispetto alla problematica dell' ars memoriae. 1

1 5. Una evoluzione così netta e precisa non discende, in ogni caso, dalla sola necessità di rispondere alle obiezioni sollevate dai critici. Per quanto la discussione con i « libri vi­ venti » costituisca un punto di riferimento imprescindibile per comprendere le questioni aperte dal nuovo metodo mnemonico di Bruno, esistono tuttavia anche ragioni di or­ dine interno che giustificano lo slittamento e i mutamenti di prospettiva che segnano le due sezioni del De umbris. l . De umbris, infra, 66, 2-5. 2. De umbris, infra, 100, 2-4. Anche il tema della forma appare diverso: nel­ la sezione dedicata ai concetti la forma è principio di azione, il suo carat­ tere precipuo è quello di imitare, esplicare l'idea nella materia; nell'An memoriae si parla invece di forma in senso più convenzionale. Cfr. De um­ bris, infra. 75 e 1 1 9.

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L'Ars memoriae, come si è visto, si regge su un appassiona­ to elogio della natura e della sua fecondità infinita: nel fuo­ co di un ragionamento che continuamente intreccia Aristo­ tele e la tradizione neoplatonica, la seconda parte del De umbris progressivamente attenua la distanza tra uomo e na­ tura, mostrando come i cicli della natura e le invenzioni del­ !' ars costituiscono le diverse forme in cui si esplica un unico e uguale principio. Ma con ogni probabilità è proprio sca­ vando a fondo in questo motivo che Bruno individua, in ul­ timo, un punto di tensione, il quale sembra ampliare a di­ smisura l'ambito della praxis mnemonica, dischiudendo alla tensione cognitiva dell'uomo spazi impensati, e legittiman­ do, tuttavia, le obiezioni successivamente avanzate dai critici aristotelici. Segno e testimonianza di questo importantissimo snodo è, precisamente, l'ultima parte dell'Ars memoriae, cui appar­ tengono tre sistemi di memoria introdotti da enigmi in ver­ si. Le tre artes breves presentate da Bruno a re Enrico III non si limitano infatti a fornire un agile riassunto dei temi trat­ tati in precedenza: recuperando invece - e rendendo espli­ cita - una serie di spunti che percorrono in forma carsica l'intero testo, esse danno risalto alle potenzialità dell'arte, che non solo consente di rafforzare doti e inclinazioni natu­ rali, ma insegna anche le tecniche appropriate per riaprire la comunicazione tra la mente finita dell'uomo e l'infinito esplicarsi della natura divina. Testimonianza più matura e compatta di questo modo di procedere è, a ben vedere, l'e­ nigma intitolato all'« inmotus motor » , nel quale, come ri­ salta dall'ampio commento/ i precetti mnemonici si intrec­ ciano con considerazioni di ordine filosofico per comporre un vero e proprio compendio dell'arte di Bruno. Modulan­ do il tema del rapporto tra arte e natura all'interno di una prospettiva filosofica già articolata in forme salde e coeren1

I . Si veda, per questo, De umbris, infra, 274-79 e il relativo commento, nel quale viene mostrato come la serie delle ruote e l'ampio, minuzioso elen­ co degli inventori non siano semplice serbatoio di immagini e figure, ma costituiscano altresì un esplicito invito ad utilizzare al massimo grado le forze della fantasia e della memoria. 2. Cfr. De umbris, infra, 234, 6-27 e il relativo commento. Ma si veda anche M. Matteoli - R. Sturlese, La nuova " arte " del Bruno in tre enir;mi, pp. 1 1 3-65 (in particolare, pp. 1 52-65 ) .

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ti, il componimento trova il proprio fulcro nei versi centra­ li, nei quali si mostra come i ritmi della natura - perenne­ mente imitati ed emulati dall'arte umana - coincidano in ultimo con le metamorfosi della materia prima, nel cui inin­ terrotto fluire si esplica e si comunica l'infinita potenza della monade: « Haud secus in cunctis, quibus est natura guber­ nans, / Praestat perdurans ergo subestque Monas. / Quam­ que subesse vides, nullo sibi deneget actum, / Quo veniat cunctis officiosa magis » . 1 Irrompe così nel ragionamento evocata per la prima volta in termini espliciti - la dottrina della monade, della vita-materia infinita: su questo concetto, Bruno innesta la propria interpretazione dell' ars memoriae, intesa quale esito ultimo del lento, paziente apprendistato con cui l'uomo impara a creare un mondo interiore dinami­ co, capace di accogliere in sé e di esprimere ogni nuova no­ zione, aprendosi così all'infinito. 2 Con l'immagine della mo­ nade, Bruno conclude dunque l'itinerario speculativo avvia­ to dal serrato confronto tra arte e natura e - prendendo le distanze dall'esigenza didattica che segna, spesso in forme estremamente vistose, certi paragrafi dell'Ars memoriae - di­ schiude la propria praxis a prospettive originali. Ma l'accorto susseguirsi delle immagini e dei concetti finisce altresì per suggerire un altro ordine di considerazio­ ni: se nella parte precedente del trattato l'esaltazione di una natura che compie ogni possibile atto e che offre all'uomo gli strumenti per emularla sembra quasi attenuare la distan­ za tra i due estremi, l'enigma finale - giocato sul doppio registro del rapporto tra monade-materia e caos fantastico, tra l'opera dell'intelletto universale e l'opera dell'intelletto umano - sembra altresì suggerire una asimmetria mai del tutto superabile tra quanto sussiste nel centro immobile e quanto appartiene, di contro, al regno delle metamorfosi.:i Nella filigrana del testo affiorano così temi di lungo pe­ riodo, affrontati successivamente sia nei dialoghi italiani;' l. De umbris, infra, 234, 18-2 1 . 2. Cfr. De umbris, infra, 234, 20-21 e il relativo commento. 3. Cfr. De umbris, infra, 234, 1 4-17. 4. Cfr., ad esempio, Causa, V, p. 283: « Dite che quel tutto che si vede di dif­ ferenza ne gli corpi quanto alle formazioni, complessioni, figure, colori et altre proprietadi e communitadi, non è altro che un diverso volto di me-

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sia in opere più tarde quali la Summa terminorum metaphysico­ rum o gli Articuli adversus mathematicos, nei quali Bruno at­ tua un movimento speculativo simmetrico a quello del De umbris, vincolando esplicitamente la scoperta della vanitas alla dottrina della monade: « Non igitur falsa, » scrive « sed altior quam a triviali Peripateticorum sensu perceptibilis, fuit illa Xenophanis et Parmenidis sententia: ENS unum, immobile, quod in rei veritate idem et principium et princi­ piatum; sicut substantialiter praeter unitatem nihil est nu­ merus; quod non est unum, nihil est; ergo unum est ens, unum est verum, multitudo vero relinquitur ut accidens, ut vanitas, ut non ens: ita intelliges ubi monadis voces audies SVM QUOD EST » . 2 A confronto della monade, nella quale si congiungono e si identificano i due princìpi che animano la vicissitudine naturale - materia e intelletto -, la pluralità degli enti si rivela mero accidente e vanitas ;" parimenti, le stesse ombre interiori - immagini, figure e simulacri fanta­ stici - non possono essere se non riflessi incerti: « sogni o mostri » avrebbero detto gli interlocutori « repleti Aristoteli­ co spiri tu » . Nel De umbris concetti e suggestioni simili, coerentemen­ te sviluppati, rischierebbero però di annullare il fine stesso che l'arte di Bruno si prefigge. Strumento precipuo della ci­ viltà umana, che si oppone alla distruzione e all'oblio pro­ dotti dalla fluttuante materia, la nuova praxis perderebbe infatti valore e dignità se i tratti irripetibili custoditi con tanI

desima sustanza; volto labile, mobile, corrottibilc, di uno immobile, per­ severante et eterno essere ». 1. Cfr. Summa /Prm. me/., p. 93, 2-22, che caratterizza in modo analogo i due livelli della « vicissitudine » e dell'immutabile sostanza divina: « Substantia omni no immobilis » scrive « nullis vicissitudinibus obnoxia, quam conse­ quitur eiusdem generis potentia et actio [ ...] ab instanti aeternitatis, quocl est immobile, supra tempus et supra mutationem facit id quod fit in tem­ pore, in mutatione, in motu, in vicissitudine; imo et facit ipsam vicissitudi­ nem, ipsum tempus, ipsum motum, sine motu, vicissitudine et tempore. [ ... ] Inde immutabiliter facit mutabilia, aeterne temporalia, simul in ae­ ternitatis instanti facit vicissitudines, in se ipso nihil horum aclmittens, sed haec a seipso producens ». 2. Ari. adv. math., p. 26. 3. Cfr. Causa, V, p. 281: « perché questa unità è sola e stabile, e sempre ri­ mane: questo uno è eterno; ogni volto, ogni faccia, ogn'altra cosa, è va­ nità, è come nulla, anzi è nulla tutto che è fuor di questo uno » .

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ta tenacia dalla memoria servissero solo a perpetuare il mondo effimero della vanitas, e non potessero in alcun mo­ do illuminare il principio da cui discendono. Non basta, in­ fatti, che la tecnica mnemonica si riveli utile per connettere e custodire in modo efficace e fecondo una serie finita di dati: mediante memoria e intelletto, Bruno vuole infatti rea­ lizzare qualcosa di più, creando un mondo interiore capace di accogliere e riflettere l'infinito. Ma questo risultato, a ben vedere, sarebbe impossibile da conseguire, se memoria e intelletto fossero assorbiti e risolti nel fluire delle meta­ morfosi, ciechi a quanto è «uno», «immobile », «eterno »: a partire da un nucleo di considerazioni implicito nella parte finale del!'Ars memoriae, si apre dunque il problema di de­ terminare se e come sia possibile, per l'uomo, esperire l'u­ nico e immutabile vero. Sul recupero di questo nodo teorico agisce, del resto, an­ che un altro dato: nei versi dell'enigma, che alla ripresa di motivi biblici alterna - come illustrato dal commento - una capillare riscrittura dei testi di Cusano, l'immagine di Proteo progressivamente si colora degli attributi riferiti a Cristo, mostrando, da un lato, come lo scarto tra l'unità originaria e i molteplici composti sia costantemente sanato dalle infinite metamorfosi della materia, e confermando tuttavia, dall'al­ tro, che l'orizzonte della vanitas può essere superato solo al­ l'interno di una vicenda universale rispetto alla quale l'indi­ viduo resta irrimediabilmente passivo. In polemica esplicita con la dottrina cristiana di una creazione redenta dal Verbo incarnato, l'enigma si risolve pertanto nell'esaltazione di un universo infinito, che tramite il continuo esplicarsi della ma­ teria perennemente si riconcilia con il proprio principio: ma questo, inevitabilmente, sembra di nuovo sancire il limite ra­ dicale in cui versa l'uomo, accidente effimero cui sembra preclusa ogni possibilità di istituire - oltre la comunicazione costantemente aperta e garantita dalla vicissitudine - un rap­ porto immediato con l'unità assoluta. È probabilmente per questo che Bruno, nello scrivere l'introduzione, si pone in una prospettiva diversa, e affronta in modo diretto - anche per rispondere alle critiche che gli sono state rivolte - la questione del rapporto tra ente e acci­ dente. Quasi muovendo dalle fondamentali acquisizioni teoriche contenute nell'ultima parte dell 'Ars memoriae, il

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primo aforisma delle J'rigi,nta intentiones chiama pertanto in causa le battute dell'1',èclesiaste sulla vanitas universale, per mostrare però, attraverso un originale recupero di Origene e della tradizione interpretativa connessa al Cantico dei Can­ tici, che individuo e verità suprema possono, nonostante tut­ to, comunicare. 1

1 6. Nei capitoli dell'introduzione, temi presenti nell' ars memoriae vengono così ripresi e trasfigurati in un ragiona­ mento che non guarda più alla condizione naturale dell'u­ manità, ma si concentra sull'esperienza estrema di un uni­ co, eccezionale individuo, che spezza, sia pur in un unico istante, il circolo della vicissitudine. È a questa consapevo­ lezza che bisogna guardare per comprendere gli scarti teo­ rici tra le due sezioni: chi cerca non il « bene naturale e ra­ zionale » , bensì quello « metafisico, ideale e soprasostanzia­ le» deve infatti gettare necessariamente lo sguardo oltre Proteo e le sue metamorfosi, cimentandosi in una impresa che può compiersi solo a patto di ridurre a vanitas e a nulla l'infinita varietà degli enti naturali. Pur continuando ad affrontare i modi e le forme della co­ noscenza naturale, l'introduzione tende così a rimettere a fuoco, costantemente, la vicenda eroica di chi va inseguen­ do un oggetto strutturalmente estraneo alla dimensione umana. A questo riguardo, un dato è illuminante: nella pri­ ma parte del De umbris, Bruno recupera a più riprese figure e moduli biblici, utilizzandoli per illustrare modi e momen­ ti della conoscenza umana. In apertura, si è visto, è all'im­ magine della Sulamita seduta nell'ombra che viene affidato il compito di esprimere il rapporto tra l'uomo e la verità as­ soluta - rapporto complesso, travagliato, mai perfettamente risolto. Successivamente, però, anche altri episodi biblici ri­ corrono per illustrare una corretta praxis cognitiva: Mosè, ad esempio, il cui volto velato esprime, a giudizio di Bruno, il carattere necessariamente simbolico di ogni conoscenza umana, e soprattutto Adamo, alla cui vicenda è dedicata 1' intentio XXl/l 2 l . De umbris, infra, 2 1 , 5-12. 2. De umbris, infra, 45, 9-1 1 .

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Fondamento del passo è, owiamente, il libro della Genesi: ma la tesa, condensatissima sintesi offerta dal De umbris eli­ mina l'uno dopo l'altro tutti i principali motivi trasmessi dal testo biblico, e successivamente valorizzati dagli interpreti. Caduto ogni riferimento al peccato e alla disobbedienza di Adamo, così come all'ira divina e al timore dell'uomo, il racconto di Bruno si incardina tutto sulle battute conclusive del racconto, presentando la doppia immagine di un uomo che si rifugia nell'ombra e di un Dio che lo interroga. L'as­ se teorico del ragionamento è evidente: a giudizio di Bruno, per « rispondere a Dio», e per inserirsi in quel processo di esplicazione dal quale discendono tanto l'arte naturale quanto l'arte umana, l'individuo deve costantemente de­ finire il proprio orizzonte e porsi, consapevolmente, nella dimensione dell'ombra e dell'esplicato. A ben vedere, la figura di Adamo - che ricerca gli strumenti naturali con cui rispondere alla divinità, accettando dunque di vivere nel1' ombra, e nella dimensione in cui si intrecciano bene e ma­ le, vero e falso - riflette con precisione l'azione di chi opera con l'arte mnemonica. Anche la praxis di Bruno, che attra­ verso ombre e immagini fissa in modo perfetto le conoscen­ ze acquisite dall'uomo, le rende eterne e custodisce così i tratti specifici della civiltà umana, si propone infatti di ria­ prire, incessantemente, il circuito della comunicazione tra l'uomo e la divina natura. 2 Se si guarda dunque ai contenu1

I . Si tratta, in questo senso, di una lettura del tutto originale: il desiderio dell'albero della scienza, secondo una esegesi di ascendenza origeniana, rimanda infatti alla caduta e all'imperfezione in cui versa l'uomo dopo il peccato. Non a caso, nel De prinripùJ, Origene osserva che l'impulso a ri­ fugiarsi sotto l'albero della scienza è tratto connaturato all'esistenza mon­ dana, e cesserà solo con la restaurai.ione finale, quando Dio - il bene non si darà più in forme opache e umbratili, ma si comunicherà « tutto a tutti»: quella che per l'alessandrino è una situazione transitoria, diventa invece, in Bruno, lo sfondo immutabile delle vicende umane. 2. Vale la pena di mettere a confronto questo passo del De umbris con le battute contenute in Spaccio, III, p. 632, nel quale è proprio l'infinita va­ rietà del mondo naturale che consente alle stirpi degli uomini e degli dèi di entrare in contatto: « Là onde que' ceremoni non erano vane fantasie, ma vive voci che toccavano le proprie orecchie de gli Dei; li quali, come da lor vogliamo essere intesi non per voci d'idioma che lor sappiano fen­ gere, ma per voci di naturali effetti, talmente per atti di ceremoni circa quelle volsero studiare di essere intesi da noi: altrimente cossì fussemo sta­ ti sordi agli voti, come un Tartaro al sermone greco che giamai udio».

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ti modulati nell'Ars memoriae, Adamo rappresenta senz'altro la figura eroica per eccellenza: ma la capacità di asseconda­ re i ritmi naturali dell'ombra non individua più, nella prima parte del De umbris, la forma suprema di conoscenza e di fe­ licità. Culmine della perfezione umana è infatti l'appulso eroico, mosso e sostenuto dalla sola forza dell'intelletto, che spezza i ritmi della conoscenza e scardina l'armonioso av­ vicendarsi delle forze interiori, trascinando l'uomo verso !'« uno » , !'« identico » , !'« eterno ». Solo in questo modo di­ venta possibile, secondo Bruno, far penetrare nella memo­ ria umana anche quell'oggetto che sembra del tutto estra­ neo e irraggiungibile: l'unità originaria sottesa al fluire dei riflessi naturali e delle ombre interiori. È dunque per l'ur­ genza di questo tema che Bruno imprime alle sezioni intro­ duttive una torsione così brusca, e pur apprezzando chi, al pari di Adamo, accetta il rifugio dell'ombra, asseconda ed emula i ritmi della vicissitudine naturale, non cessa tuttavia di esaltare chi riesce a porsi, nell'istante della contempla­ zione, fuori e dentro la vicissitudine per cogliere, al di fuori del moto e della alterazione, come quiete assoluta, l'ombra che fonda il fluire delle altre ombre: in una parola, dunque, l'ombra di quella monade che « praestat perdurans ergo sub­ estque » . 1

*** 17. Se, almeno in apparenza, il successo conquistato da Bruno presso la corte di Enrico III sembra dovuto alle sole capacità mnemoniche, né chiama in causa le novità più eversive della « nolana filosofia », è proprio l'analisi del De umbris e della sua struttura che permette di comprendere, al contrario, che i nodi teorici destinati a suscitare reazioni e polemiche così aspre nell'Inghilterra di Elisabetta I sono tutt'altro che assenti o sopiti: nel fuoco di un ragionamento che dalle lezioni sull'ars memoriae e dalle pubbliche dispute prosegue e si riverbera sul testo, accompagnandone, fino al­ i 'ultimo, la travagliata vicenda editoriale, il De umbris indi­ vidua - come si è cercato di dimostrare - i cardini dell'on­ tologia di Bruno ed apre un dibattito cui partecipano - tra I . De umbris, infra, 234, 19.

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sorpresa, curiosità e aperta critica - « lettori o auditori» pro­ venienti da ambiti diversi: non solo studenti, dunque, ma anche accademici e religiosi. Considerazioni simili si possono estendere senza dif­ ficoltà al Cantus Circaeus, sul quale ora intendiamo breve­ mente soffermarci, tenendo conto di quanto sopra si è det­ to sul De umbris. II secondo trattato parigino si rivela infatti - ad una anali­ si più approfondita - un testo ugualmente « d'occasione»: da un lato, esso è composto per risolvere una situazione di tensione aperta, ancora una volta, da un ciclo di lezioni sul1' ars memoriae, e dall'altro inscindibilmente congiunto alla volontà di stringere rapporti ancora più saldi con la corte francese. Da un simile intreccio di finalità discende, proba­ bilmente, il carattere particolarmente arduo del secondo trattato parigino. Si è già accennato al livore con cui Giovan­ ni Mocenigo riferisce il senso e il contenuto del Cantus, ma non dissimili sono lo sconcerto e la diffidenza che percor­ rono l'introduzione scritta da Jean Regnault. Quest'ultimo, in particolare, pur attenendosi a una bozza redatta da Bru­ no stesso, 1 appare del tutto travolto dalla complessità del materiale che deve illustrare e che gli resta sostanzialmente incomprensibile. Nonostante il recupero di lemmi, espres­ sioni e stringhe lessicali suggerite dall'autore del trattato, la lettera dedicatoria non penetra nel vivo dei testi. I due dia­ loghi capitati in mano a Regnault appaiono due entità in sé concluse e ben distinte, difficili da comporre in un insieme organico: in forma spesso ellittica e faticosa, si parla così di un « dialogo di Circe» congiunto a un'arte « priva di titolo». C'è però un altro punto da sottolineare: il primo testo - a causa di annotazioni offensive che ne imbrattavano gli apo­ grafi circolanti - aveva probabilmente gettato discredito sul­ l'autore, e anche il trattato che lo corredava e ne spiegava l'ap­ plicazione , mnemonica non doveva essere apparso del tutto originale. E rivelatore che Regnault abbia sentito il bisogno di ricordare l'importanza di una attenta lettura del testo per comprendere come Bruno sia da considerarsi, sotto ogni profilo, il vero e legittimo inventore del metodo esposto. 2 1 . Cfr. Cani. Circ., inft'a, 1-3. 2. Cfr. Cani. Circ., infra, I e 2.

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Ma, a ben vedere, tutti gli elementi apparentemente irri­ solti del Cantus si rivelano, a loro volta, congiunti ad una nuova crisi, aperta, come per il De umbris, da un nuovo ciclo di lezioni sulla memoria. 18. A Parigi, « bersaglio» di arcieri diversi per natura e ispirazione, ma dotati di armi parimenti minacciose, Bruno adotta per la prima volta una strategia destinata a costituire una vera e propria costante: prosegue cioè la partita - come è stato lucidamente osservato a proposito dell'esperienza inglese - «alzando la posta » . ' Non deve trarre in inganno la cesura che sembra separare le dottrine gnoseologiche del De umbris dall'ispirazione dichiaratamente morale e civile del Cantus : per molti versi, infatti, il dialogo di Circe recu­ pera e richiama temi già presenti nel primo trattato mnemo­ nico. Se si guarda infatti alle sezioni introduttive del De um­ bris - in modo specifico, il Dialogo prelibatorio e il Proemio -, risalta infatti evidente l'acuta consapevolezza, da parte di Bruno, della crisi che travaglia la società francese e che ger­ mina da un intreccio di pedanteria filosofica e di fanatismo religioso. Discende da simili atteggiamenti il « nemico inter­ no», la cui opera non solo impedisce di comprendere l'au­ tentico significato della nuova praxis, ma addirittura distor­ ce in maschere grottesche e disumane i tratti medesimi de­ gli interlocutori parigini, cancellandone progressivamente acume, ingegno e libertà di giudizio. Nonostante i titoli alti­ sonanti, i critici derisi nel proemio al De umbris sembrano costantemente sul punto di ricadere nello stato ferino, o ri­ schiano di ridursi a puri oggetti. Dipanando le fila di questa riflessione, i «venerabili dottori » del De umbris sono pro­ gressivamente riconosciuti da Filotimo nel loro vero aspetto di scimmie, asini, pappagalli e, addirittura, di libri miraco­ losi in grado di camminare e parlare. È precisamente a que­ st'ordine di considerazioni che Bruno si rifà quando, nel re­ digere il Cantus Circaeus, costruisce sapientemente un'opera destinata a svilupparsi su molteplici piani. Il brillante dialogo tra Circe e Meri, insieme all'ampia, so­ lenne invocazione che lo precede, costituisce infatti, a un 1 . M. Ciliberto, Trafilosofia e teologia, in Umbra profunda, p. 270.

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primo livello, un testo di lezione, pensato, con ogni proba­ bilità, per sorprendere i lettori e per esibire in modo ecla­ tante le proprie doti mnemoniche. L'idea, in sé, non è ori­ ginale: quasi a sfidare una delle più illustri auctoritates, Bru­ no riprende uno stratagemma già adottato da Pietro da Ra­ venna, il quale, in apertura delle lezioni, era solito ripetere a memoria ampie porzioni di testi celebri, offrendo così una dimostrazione icastica dei benefici assicurati dall' ars. Anche nel Cantus, il minuzioso elenco di divinità, epiteti e animali rappresenta una vivace esortazione, e un divertente esercizio proposto agli studenti: dopo aver mostrato la propria abilità nel ripetere - e nel ripercorrere secondo l'ordine voluto un testo apparentemente caotico, l'insegnante avrebbe in­ fatti illustrato le tecniche di memoria appropriate, fornendo così agli allievi le coordinate che consentono di ritenere da­ ti e nozioni in modo ugualmente preciso e tenace. Questi dati confermano una osservazione che già è stata fatta per il De umbris : la struttura del trattato riflette esigen­ ze e problemi connessi con una concreta esperienza di inse­ gnamento. In ultima analisi, le scelte di Bruno sono inscin­ dibili dalla volontà di costruire un corso efficace, evitando, per quanto possibile, gli scontri e le incomprensioni che avevano accompagnato le lezioni sulle ombre di idee. Quasi a smussare i punti più aspri e discussi del De umbris, il Cantus offre perciò un compendio della nuova praxis mne­ monica utilizzando strategie diverse, e talvolta specularmen­ te opposte alle vie seguite dal De umbris. Alla serrata indagi­ ne su arte e natura - che nel De umbris pone le premesse teo­ riche per la nuova arte - si sostituisce un brillante saggio di abilità mnemonica; svaniscono le problematiche gnoseolo­ giche connesse alla dottrina dell'ombra e al rapporto tra in­ dividuo e verità e si impone, di contro, una trattazione spes­ so fin troppo piatta e lineare; l'intreccio di fonti e vocaboli che irritava i lettori e gli audi tori « ricolmi di spirito aristote­ lico » si risolve adesso in un lessico volutamente semplice e vicino alla tradizione. Espedienti simili, comunque, restano al servizio di una ri­ flessione tesa a mettere in risalto, nonostante tutto, il valore filosofico dell' ars e la sua capacità di ampliare all'infinito il 1

1. Cfr. Cant. Circ., infin, 5-59 e il relativo com mento.

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campo della conoscenza umana. E se il Ravennate aveva scelto testi noti e assai utilizzati per dare immediato risalto all'utilità concreta delle tecniche di memoria artificiale, Bruno propone, di contro, un componimento del tutto ori­ ginale, che lui stesso ha elaborato e strutturato in modo tale da poter offrire agli studenti sia un utile esercizio mnemo­ nico, sia l'archetipo di una delle forme più alte e raffinate di ars memoriae : quell'amplissimo «sostrato generalissimo » che può accogliere, in un insieme organico e armoniosa­ mente ordinato, contenuti e nozioni innumerevoli. ' L'abile gioco stilistico e concettuale che consente di pre­ sentare, ad un tempo, un testo di esercizio e un originalissi­ mo palazzo della memoria non esaurisce però i numerosi si­ gnificati dell'operetta. Oltre a presentare una praxis profon­ damente innovata - i cui caratteri sono esaurientemente di­ scussi nel commento -, il Cantus sviluppa fino alle estreme conseguenze gli spunti offerti dal tema, e scavando a fondo nel ricco materiale mitologico e astrologico connesso ai miti omerici aspira non soltanto a stupire i « giovani » cui esplici­ tamente si rivolge, ma anche e soprattutto ad istituire rap­ porti sempre più stretti e serrati con gli ambienti della corte. Il testo che Bruno compone per esercitare i suoi allievi vuol essere infatti, ad un medesimo tempo, un messaggio indirizzato allo stesso Enrico III, al quale il Nolano illustra i presupposti di una riforma tesa a restaurare - dopo una lunga decadenza - la corretta convivenza civile. Ne è prova la cornice stessa del dialogo, che, rappresentando una Circe ormai del tutto libera dai tradizionali attributi oscuri e fero­ ci, e dotata, di contro, dei tratti sapienti e raffinati connatu­ rati al mago ficiniano, modula uno spettro di temi e imma­ gini particolarmente accattivanti per gli intellettuali di cor­ te. Non solo: la descrizione de_gli effetti prodotti dal magico canto di Circe, così vistosamente segnata dalla riflessione erasmiana sui « Sileni alla rovescia » , permette a Bruno, da un lato, di chiudere i conti con gli avversari pedanti descrit­ ti nel De umbris, dall'altro, di disvelare in modo compiuto la funzione civile dell' ars memoriae, che smascherando le belve celate sotto sembianze umane riporta armonia, concordia e giustizia nel consorzio umano. I . Cfr. Cant. Cirr., inji·a, 1 27 e il relativo commento.

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19. U n progetto ambizioso, dunque, m a che n o n viene accolto con favore dal pubblico degli studenti, come ben di­ mostra il dialogo tra Alberico e Barista. Pur costruito, al pa­ ri del Dialogo prelibatorio del De umbris, allo scopo di rispon­ dere alle critiche degli studenti, l'artificio stilistico adottato da Bruno rivela tuttavia una strategia in parte trasformata. Mutano, prima di tutto, la natura e il ruolo degli interlo­ cutori: nel Cantus non troviamo infatti - come avveniva nel De umbris - tre sostenitori di Bruno, che attaccano i critici evocandoli, l'uno dopo l'altro, in toni di beffa. La conversa­ zione coinvolge adesso due soli studenti, uno dei quali, pur interessato al metodo di Bruno, non esita però a manifesta­ re numerosi dubbi sia sull'efficacia, sia sull'originalità del­ l'arte insegnata. Fin dall'inizio, dunque, la finzione retorica tradisce il ricordo del fastidio con cui dovevano essere state accolte le lezioni di Bruno. Le battute di Alberico ( « Amico Barista, non mi disturba d'aver passato parte del poco tem­ po a nostra disposizione nella lettura del canto di Circe e degli eventi in esso rappresentati ») lasciano del resto intra­ vedere, nella filigrana del testo, l'impazienza con cui gli al­ lievi avevano ascoltato - e tentato di memorizzare - un componimento astruso e privo di rapporti con l' ars memo­ riae. Parimenti, l'ambiguo elogio rivolto all'allievo più ma­ turo ( « Ma sento dire che le tecniche insegnate da Giordano ti hanno permesso di apprendere un 'arte non da istrioni come quella vantata da altri autori -, illustrata dalle consi­ derazioni contenute nelle Ombre delle idee, ma giudicata da molti difficile e inaccessibile ai loro sforzi» ) 2 evoca certo l'interesse con cui si guardava al nuovo ritrovato, ma anche il discredito che aveva circondato un maestro le cui promes­ se non si erano concretizzate nei progressi degli allievi. Alla luce di queste osservazioni, la lunga, articolata rispo­ sta di Barista rivela un atteggiamento più conciliante: senza attaccare - come aveva fatto Filotimo nel De umbris - lo scar­ so acume degli ascoltatori, l'allievo adotta toni sereni, sotto­ lineando che la cattiva accoglienza ricevuta dal maestro sca­ turisce dai caratteri strutturali della nuova praxis mnemoni­ ca: la necessità di rifarsi, sempre e direttamente, alle spiega1

1 . Cfr. Cani. C:irr., infra, 60. 2. Cfr. Cani. Circ., infra, 6 1 .

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zioni del maestro; la capacità di cogliere le implicazioni filo­ sofiche dell'ars e di approfondirne il significato attraverso uno studio che certo non tutti, né sempre, hanno modo e tempo di approfondire.' 20. Considerazioni simili possono contribuire ad illustrare la genesi e la struttura in apparenza composita e frammenta­ ria del Cantus : al momento di pubblicare il trattato, memore della cattiva accoglienza ricevuta dal corso aperto con la let­ tura del magico canto di Circe, Bruno sembra voler attenua­ re gli aspetti più ostici della praxis insegnata unendo alla pri­ ma parte del testo un trattato di ars memoriae estremamente semplice e facile da mettere in pratica: l'arte « priva di tito­ lo » cui allude Regnault nell'epistola dedicatoria. Nel Cantus Circaeus sembrano quindi confluire tre scritti, redatti in momenti - e per scopi - diversi: a) il Cantus Circaeus vero e proprio, che contiene l'invoca­ zione di Circe e la descrizione degli effetti dell'incantesimo e che costituiva, con ogni probabilità, l'esordio del secondo ciclo di lezioni; b) l'arte « priva di titolo » , che presenta - quasi per rassi­ curare il pubblico parigino, e dissolvere i dubbi sulle capa­ cità del suo autore - un 'arte molto semplice, facile da ap­ prendere e da praticare, priva delle complesse implicazioni teoriche dell'Ars memoriae ; c) I'Applicatio praeg;nans, che raccoglie le spiegazioni con cui Bruno aveva insegnato a memorizzare il dialogo circeo e che ricollega, idealmente, la seconda parte alla prima. Il Cantus Circaeus e l'Appliratio praeg;nans sono composti dopo il De umbris : per descrivere l'incantesimo della maga omerica, Bruno recupera infatti, come si è detto, spunti p(}­ lemici già emersi nel Dialogo prelibatorio ; ed è sempre al pri­ mo trattato parigino e ad uno dei suoi più originali espe­ dienti mnemonici che si ispira, a sua volta, l'artificio che consente di fissare nella memoria il dialogo tra Circe e Meri. Diversamente, l'arte « priva di titolo» discende da un trat­ tato già composto, identificabile con I' ars reminiscenrli, pub1 . Cfr. Cant. Circ., infra, 62.

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blicato successivamente in Inghilterra. Il testo dell' ars remi­ niscendi è inserito all'interno del Cantus quasi senza modi­ fiche: Bruno si limita infatti a riscriverne alcune sezioni in forma di dialogo, con un lavoro condotto, senza dubbio, in modo assai convulso. A conferma di ciò stanno due elementi rilevanti. In pri­ mo luogo, il carattere estremamente elementare delle tec­ niche di memoria che Bruno spiega, e sulle quali non si ri­ verberano - o quasi - le novità speculative del De umbris. In secondo luogo, le singolari variazioni di registro che per­ corrono uno dei paragrafi finali, e che testimoniano della fretta con cui venne portata a termine la stesura delle parti dialogate. In questa pagina, il volto di Bruno torna continuamente a trasparire dietro la maschera di Barista: commentando infat­ ti una lunga citazione della Rhetorica ad Herennium, lo stu­ dente prende inaspettatamente a parlare in prima persona, quasi presentandosi come l'autore del metodo illustrato. ' Subito dopo, tuttavia, torna a calarsi nella parte del lettore e parla, correttamente, delle tecniche «elaborate da Giorda­ no»;2 infine, nella conclusione del passo, l'enfasi con cui Bo­ rista sottolinea il valore e l'originalità della « nostra » inven­ zione:' sembra attribuirgli la completa paternità della praxis. Nel corrispondente passo dell' ars reminiscendi, il com­ mento a Cicerone si sviluppa tutto rigorosamente in prima persona: 1 né questo desta meraviglia, dal momento che Bru­ no sta ragionando del proprio metodo mnemonico, con­ trapponendolo agli espedienti elaborati dagli altri autori. Proprio le oscillazioni presenti nel Cantus Circaeus, dove Bo­ rista descrive le novità introdotte dall'autore parlando ora in prima, ora in terza persona, confermano dunque un dato importante: quando compone l'arte «priva di titolo» e il dialogo che la introduce, Bruno ha davanti a sé il testo del trattato con cui, più tardi, avrebbe aperto il ciclo dei Sigilli. A questo testo, il Nolano apporta pochissime modifiche: senza cercare di adeguarlo alle nuove acquisizioni teoriche, l. Cani. Circ., infra, 1 2 1 , 7-1 2. 2. Cani. Circ., infra, 1 22, 7-9. 3. Cani. Circ., infra, 122, 1 4-16. 4. Cfr. Cani. Circ., infra, 1 22 e il relativo commento.

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si limita a riscriverne alcune sezioni in forma di dialogo, con un'opera di revisione che dovette essere assai poco si­ stematica, se è vero che l'ultima parte rimase segnata - si è appena visto - da vistose incongruenze. 21. Alla luce di queste considerazioni, risalta pertanto il carattere «d'occasione» che contraddistingue tanto il De umbris quanto il Cantus : confermando, una volta di più, i tratti compositi di una esperienza - il primo soggiorno pari­ gino - spesso giudicata una sorta di felice eccezione nella vi­ ta di Bruno, proprio per la facilità con cui il filosofo riesce ad acquistare fama e prestigio, sottraendosi al destino di ostile isolamento che quasi dovunque caratterizza gli anni della sua peregrinatio europea. Ma al di là di questa « occasio­ nalità » c'è un elemento notevole che, in conclusione, vale la pena di rilevare, sia per la sua importanza specifica, sia perché allude a un carattere di lungo periodo di tutta la «nova filosofia»: il nesso organico che stringe in un nodo solo, nella riflessione di Bruno, ontologia, da un lato, etica, dell'altro. Secondo un movimento che si svela ancora, sia pur in altre forme e con altra intensità, nel rapporto tra Spaccio e Furori, i temi ontologicamente fondanti e la ricerca gnoseologica del De umbris si rivelano strettamente congiun­ ti - in un rapporto non certo di contrapposizione, ma di svi­ luppo organico - con la riflessione di ordine etico-civile, quale si sviluppa in modo più strutturato nel Cantus.

NOTA FILOLOGICA DI RITA STURLESE

LE EDIZIONI DI «DE UMBRIS IDEARUM » E « CANTUS CIRCAEUS» DAL 1582

Nell'anno 1582 Bruno pubblicò a Parigi quattro opere: De umbris idearum, Cantus Circaeus, Candelaio e De compendio­ sa architectura et compkmento artis Lullii. Il primo ad essere messo in circolazione nella forma giunta fino a noi fu il De umbris : viene infatti citato, come già edito, nel Cantus Cir­ caeus (61 e 95) , il quale a sua volta è menzionato nel De com­ pendiosa architectura. Nella dedica alla « signora Morgana » del Candelaio sono poi ricordate le Ombre delle idee, come opera che al suo apparire ha dato subito materia di discorso agli asini pedanti, alle critiche dei quali la commedia italia­ na vuol essere in certo modo una replica. 2 Dopo il 1582 De umbris e Cantus Circaeus furono ristampati per la prima volta nell'Ottocento e in Germania, ad evidente seguito del rinnovamento di prospettive storiografiche susci­ tate da criticismo ed idealismo: precisamente a Stoccarda, insieme ad altri sette scritti latini del Bruno usciti in cinque fascicoli fra il 1834 ed il 1 835." La ristampa era opera di Au1

1 . In Opera Latine conscripta, II, 2, ed. F. Tocco et H. Vitelli, Typis Le Mon­ nier, Florentiae, 1 890, p. 14: « Suppositis dictis in Cantu Circaeo, ubi de sub­ iectorum adiectorumque ratione definivimus [ ... ] ». 2. In opere italiane, testi critici di G. Aquilecchia, I, UTET, Torino, 2002, pp. 262-63. Per il rapporto tra De umbris e Candelaio cfr. M. Ciliberto, La ruota del tempo, pp. 41-42; N. Badaloni, Giordano Bruno: tra cosmologi-a ed eti­ ca, pp. 34-36. 3. Questi gli scritti pubblicati: Camoeracensis acrotismus, pp. 1-1 12; Ar­ tificium perorandi, pp. 1 1 3-78; Cantus Circaeus, pp. 1 79-234; De compendiosa

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NOTA FILOLOGICA

gust Friedrich Gfròrer, allora giovane di trentun anni, bi­ bliotecario a Stoccarda, che già nel 1830 aveva dato vita ad un grosso progetto editoriale, ad un Corpus philosopharum op­ timae notae, che doveva comprendere gli scritti dei più insi­ gni filosofi da Bacone a Kant. Il Gfròrer non portò a termi­ ne il suo programma di pubblicare l' Opera omnia del Bruno latino, né scrisse la prefazione promessa sulle copertine dei cinque fascicoli (raccolti nel 1836 in un unico volume, pre­ sentato come « continuatio » del Corpus philosophorum) . Non completò neppure la pubblicazione di quest'ultimo, che si era aperto con un fascicolo dedicato a Spinoza, salutato co­ me il principe del razionalismo e il campione della libera in­ dagine filosofica contro i dogmi dei teologi. Per quanto ri­ guarda l'interruzione del progetto bruniano, Francesco Fio­ rentino ipotizzò che lo studioso tedesco, « il quale di prote­ stante s'era buttato al razionalismo, piegando di poi al catto­ licismo si fosse fatto scrupolo di continuare » . ' Al pari d i Adoph Wagner, che nel 1830 aveva ripubblicato a Lipsia i dialoghi italiani ed il Candelaio, il Gfròrer ebbe il merito grande di rimettere in circolazione scritti del Bruno che erano diventati di non facile accesso. Tuttavia, i cinque fascicoli pubblicati a Stoccarda rispondevano piuttosto ai re­ quisiti di una Leseausgabe che a quelli di un'edizione critica adeguata allo standard del tempo. Mancava soprattutto un apparato di note che rendesse conto dei molti, anzi troppi interventi operati dall'editore sul testo per sanare presunti guasti delle edizioni originali. Queste erano certamente non · prive di errori, ma alle difficoltà del dettato bruniano Gfrò­ rer aveva reagito con la severità di un maestro di scuola, ri­ correndo infinite volte e senza il minimo scrupolo al rime­ dio della congettura. Al testo «ripulito » del Gfròrer si atten­ ne il Tugini, che ristampò nel 1868 il solo De umbris! architectura, pp. 235-84; De umbris idearu m, pp. 285-4 1 2; Summa terminorum meta/1hysirorum, pp. 413-516 (p. 517 frontespizio dell'Ars mninisrendi) ; Ex­ pliratio triginta sigillorum - Sigillus sigillomm, pp. 519-600; De sperierum scruti­ nio et lam/mde combinatoria Raymundi Lullii, pp. 601 -702; De jnvgre.uu et lam­ pade venatoria logicorum, pp. 703-70. I . Si veda Introduzione a jordani Bruni Nolani OJ1em Latine ronscripta, I, I, ed. F. Fiorentino, apud Morano, Neapoli, p. X I I . 2. Uscita a Berlino ad opera di un italiano, la ristampa era effetto di quel­ la politica culturale dominante in Italia negli anni seguenti l'Unità, che si

NOTA FILOLOGICA

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Quest'opera, insieme al Cantus Circaeus, ricomparve di­ ciotto anni dopo nella prima parte del secondo volume del­ l'edizione nazionale delle opere latine del Bruno, voluta dal De Sanctis ed iniziata nel 1879 per opera di Francesco Fio­ rentino, continuata dopo la sua morte, in un primo tempo da lmbriani e Tallarigo, poi da Tocco e Vitelli, che la porta­ rono a termine nel 1891. Delle 21 opere bruniane traman­ date solo a stampa e qui edite, la sorte peggiore toccò pro­ prio a De umbris e Cantus Circaeus : i loro curatori, lmbriani e Tallarigo, cambiarono infatti radicalmente i criteri editoria­ li adottati dal Fiorentino, sostituendo all'edizione diploma­ tico-critica una descrizione rigorosamente diplomatica che dell'originale giungeva a riprodurre in molti casi anche gli errori di stampa. Dal 1886 ad oggi il Cantus Circaeus non ha conosciuto al­ cuna nuova edizione; due invece il De umbris : una parziale e della sola prima sezione proposta da Antonio Caiazza insie­ me alla versione italiana, una integrale e storico-critica, da me curata e uscita nel 199 1 presso l'editore Olschki di Fi­ renze. Con questa edizione intesi rimediare ai limiti delle precedenti, ossia alla mancanza di un adeguato apparato delle fonti e, soprattutto, alla totale assenza di una conside­ razione storico-critica del testo. Le precedenti infatti erano state condotte utilizzando uno o tutt'al più due esemplari dell' editio princeps nell'ingenua convinzione che gli esempla­ ri di una stessa edizione fossero tutti eguali. Ma come già negli anni '30 del secolo scorso mostrò Michele Barbi ed hanno riconfermato gli studi della più recente critica te­ stuale e, proprio per il Bruno, in mod'o eclatante gli studi di 1

proponeva di « ricondurre gl'italiani allo studio [ ... ] dei loro più grandi scrittori, che colle opere prevennero i tempi e dischiusero la via a splendi­ di progressi » (Prefazione a Jordanus Brunus Nolanus, De umbris idearum, editio nova, curavit S. Tugini, apud Mittlerum, Berolini, 1868, pp. v111- 1 x ) . Tugini dichiarò d i essersi servito, per l a sua ristampa, della copia del De umbris conservata nella Biblioteca Magliabechiana di Firenze, come pure di aver « consultato » il testo pubblicato dal Gfròrer. Ma della prima egli si servì solo per emendare alcuni errori di stampa ed omissioni del Gfrorer; per il resto preferì al testo bruniano dell'edizione originale quello dell'e­ ditore di Stoccarda, del quale ripropose quasi tutti gli interventi. 1 . G. Bruno, Le ombre delle idee, ed. critica a cura di A. Caiazza, presentazio­ ne di C. Spini, Spirali, Milano, 1988. Sui limiti di questa edizione mi sono soffermata nella mia Introduzione a G. Bruno, De umbris idearum.

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NOTA FILOLOGICA

Aquilecchia sul testo della Cena de le Ceneri, un'opera può andare soggetta a differenti redazioni parziali, a più fasi di correzioni, ad elaborazioni in genere, non solo sul tavolo da lavoro dell'autore, ma anche durante il processo di stampa del testo. 1 L'edizione storico-critica mira proprio ad accerta­ re, mediante collazione di tutti o di un congruo numero di esemplari di una stessa edizione, gli eventuali interventi sul testo operati durante la fase di tiratura e rende conto non solo degli interventi dell'autore, ma di tutti gli « stati», cioè delle differenze tra le copie di una stessa impressione ovve­ ro edizione. 2 II testo del De umbris ricostituito nel 1991 è ora riproposto con alcune correzioni e miglioramenti; gli stessi criteri sono stati usati per quello del Cantus Circaeus, come mostrerò nel­ le pagine che seguono.

1. Cfr. M. Barbi, La nuova fiwwgia e l 'edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, Sansoni, Firenze, 1973, pp. 195-227; G. Aquilecchia, La IRzione definitiva della «Cma de le Ceneri» di Giordano Bruno, « Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie, Classe di scienze morali, storiche e filolo­ giche », serie VIII, III, 1950, pp. 209-43; Id., " Redazioni a stampa » originarie e seriori, in La critica del testo. Prob/,e-mi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Salerno, Roma, 1985, pp. 67-80; Id. , Introduction philologique à G. Bruno, CEuvres compiites, Les Belles Let­ tres, Paris, 1993, pp. 1x-1.xv11. Si vedano inoltre i saggi contenuti nei volu­ mi: Trasmissione dei testi a stam/Ja nel periodo moderno. II, 2: seminario inter­ nazionale, Roma - Viterbo, 27-29 giugno 1985, a cura di G. Crapulli, Edi­ zioni dell'Ateneo, Roma, 1987; Filologia dei testi a stampa, a cura di P. Stop­ pelli, Il Mulino, Bologna, 1 987 (con ampia bibliografia). 2. Per il concetto di edizione storico-critica cfr. S. Scheibe, Zu einigen Grundprinzipien einer historisch-kritisrhen Ausgabe, in Te.xt,e und Varianten. Pro­ bleme ihrer Edition und Interpretation, hrsg. von G. Martens - H. Zeller, Beck, Mimchen, 1971, pp. 3-13; ed i saggi editi nel volume Buchstabe und Geist. Zur Oberlieferung und Edition philosophìsrher Texte, hrsg. von W. Jaeschke et alii, Meiner, Hamburg, 1987.

« DE UMBRIS IDEARUM »

L' editio princeps del De umbris, stampata a Parigi nel 1582 da Gilles Gourbin, è un libro in 8 ° tipografico e consta di 120 fogli. Di questi, i primi 40 non sono numerati, e compren­ dono il frontespizio, la prima parte dell'opera e l'errata corri­ ge relativa alla seconda parte, cioè all'Ars memoriae. I rima­ nenti 80 fogli sono numerati progressivamente, nel margine superiore destro, da 2 a 80, a partire dal recto del secondo foglio fino a quello dell'ultimo foglio. I fascicoli sono 16, dei quali il primo ed il sesto sono costituiti da un mezzo foglio di ottavo, contano cioè solo quattro carte e non otto come i ri­ manenti. Questa la loro segnatura: *4, a.8, e", i", 68, 114 , a.8, a"-K" (per una descrizione particolareggiata del cosiddetto « esem­ plare ideale» rinvio alla mia edizione del 1 991) . Dell'edizione originale del De umbris conosco oggi 104 esemplari; 102 sono elencati nella mia Bibliografia, censimen1

1. Cfr. Introduzione a Bruno, De umbris idearum, pp. LII-I.IV. Intendo il con­ cetto di esemplare ideale nel senso spiegato da Tanselle, Il concetto di esem­ /1/nre ideal,e, in Filologia dei testi a stampa, cit., p. 1 04: « L'esemplare standard o 'ideale', che è ciò a cui si riferisce una descrizione bibliografica, è una ri­ costruzione storica della forma o delle fonne delle copie di un 'impressio­ ne o di un 'emissione così come furono distribuite al pubblico dal loro produttore. Una ricostruzione di questo tipo comprende quindi tutti gli stati di un'impressione o di un'emissione, siano intenzionali siano dovuti al caso, ed esclude le modifiche verificatesi nelle singole copie quando es­ st· 11011 erano sotto il controllo del tipografo o dell'editore » . Cfr. anche C. Fahy, Srq!J!:i di bibliografia testual,e, Antenore, Padova, 1988, pp. 89-103.

NOTA FILOLOGICA

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to e storia delle antiche stampe di Giordano Bruno ; uno mi fu se­ gnalato da Paul Richard Blum che lo trovò nella collezione McKeon della Regenstein Library di Chicago; un altro è sta­ to individuato nella Biblioteca Universitaria di Bologna da Eugenio Canone. L'esame comparativo è stato compiuto nel modo seguen­ te. Con il sistema della sovrapposizione di fotocopie traspa­ renti; sono stati collazionati direttamente e completamente 57 esemplari: Ab (questa sigla e le seguenti sono spiegate in­ fra, nella prima lista di « Segni e sigle » ) , Am,, Am2, Ba,, Ba2, Ber, Da, Dr, Fi,, Fi2, Fi1, Fi,, Fi,, Ce, Gen, Cl, Go, Gr, Hr, L, Li, 1

Liv, Lo,, Lo2, Lo1, Lo,, Lo,, Mii,, Mii2, Na, Ol, Os, Ox,, Ox2, Ox1, Ox,, Ox,, Pa,, Pa2, Pa 1, Pa4, Pa5, Pa6, Pa;, Pa7, Pa8, Pa.,, Paw, Pa1 1 , Pa, 2, Pa1 1, Pa,,, Pi, R. S, To, Wi, Wo. Le varianti di stampa emerse da questa collazione sono state controllate sulle ri­ produzioni in microfilm dei seguenti 21 esemplari: Bes, Bor, Bru, Ca,, Ca2, Di, Du, Ed, Gre, H, Los, Ma,, Mi, Nh 1, Ny2, Pr, Ro,, Ro1, Tr, �. �- Per le rimanenti 26 copie, che non ho potu­ to collazionare, né direttamente e totalmente sugli origina­ li, né parzialmente mediante microfilm, mi sono rivolta alle corrispondenti biblioteche chiedendo di verificare le va­ rianti di stampa da me individuate. Ho ricevuto le verifiche

l . Cfr. Bibliografia, censimento e storia delle antiche stampe di Giardano Bruno, Olschki, Firenze, 1987, pp. 1-15, dove in verità elenco 104 esemplari, com­ prendendovi anche quello segnalato come mancante dalla Biblioteca del Trinity College di Cambridge (scheda l, 13) e quello di Stoccarda distrut­ to durante la seconda guerra mondiale ( l , 94) ; per l'esemplare della Bi­ blioteca Universitaria di Bologna, che al tempo del mio censimento mi se­ gnalò solo gli esemplari dei poemi francofortesi e di De imaginum composi­ /ione, si veda Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la "peregrina/io " europea. Immagini, testi, documenti, a cura di E. Canone, Università degli Studi, Cas­ sino, 1992, p. 88. La Regenstein Library di Chicago ha risposto negativa­ mente alla mia richiesta di microfilm, per cui l'esemplare è rimasto solo parzialmente collazionato dallo stesso Blum, che lo esaminò nel 1990 sul­ la base di una mia lista, allora non completa, di varianti di stampa. Per un disguido non ho potuto collazionare il De umbris della Biblioteca Universi­ taria di Bologna, ma solo l'esemplare di Cantus Circaeus, egualmente indi­ viduato da Canone. 2. Per questa tecnica di collazione, come per quella, meno pratica ed or­ mai antiquata, mediante l'Hinman collator, cfr. C. Fahy, Saggi di bibliografia testuale, cit., pp. 104-10; G. Crapulli, Contributi della bibliografia materiale alla critica testuale, in Le edizioni dei lesti filosofici e scientifici del '500 e del '600. Pro­ blemi di metodo e prospeuive di ricerca, Angeli, Milano, 1986, pp. 66-67.

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di 17 esemplari: Be, Bol, Ch, Le1 , Le2, Ma2, Ma1, Mo1 , Mo2, Ny1 , Nor, P, Po, Ro2, St, Ta, V Per un'analisi dettagliata di tutte le numerose varianti emerse dalla collazione e del processo stesso di stampa del De umbris rinvio alla mia edizione del '91 (nell'apparato cri­ tico del presente volume il lettore troverà comunque le va­ rianti inerenti al corpo del testo: non ho inserito, perché malagevoli da segnalare in apparato, quelle relative ai titoli correnti, alla numerazione delle pagine, ad alterazioni mec­ caniche delle forme) . Mi limito qui a rammentare due par­ ticolarità della «storia » tipografica del De umbris strettamen­ te connesse al contenuto del testo. La prima concerne l'ultimo fascicolo, il sedicesimo (se­ gnato K) , comprendente le tre «Arti brevi» (230-37) , il qua­ le ha una storia del tutto particolare. Mentre infatti gli altri fascicoli presentano solo differenti «stati » di una stessa for­ ma interna o esterna (la forma è l'unità tipografica richiesta per stampare uno dei due lati di un foglio), presentano cioè differenze causate da alterazioni meccaniche subite dalle forme oppure correzioni intenzionali eseguite durante la ti­ ratura, l'ultimo fascicolo porta cambiamenti effettuati in se­ guito ad una ricomposizione ex novo di entrambe le forme. Più in particolare: è stato ricomposto sostanzialmente lo stesso testo, ed i tipografi hanno cercato di rispettare sia la precedente paginazione che la divisione delle righe; ma nel­ la seconda composizione sono state introdotte 213 varianti, tra le quali 27 cambiamenti di interpunzione e 8 varianti lin­ guistiche di particolare importanza, perché provano che l'autore dei cambiamenti eseguiti nella seconda composizio­ ne fu il Bruno stesso. Dei 95 esemplari da me consultati, 6 (Am,, Fi2, Go, Le2, Pa,,, Tr: chiamati gruppo A) documentano la prima composizione, i rimanenti 89 (gruppo B) testimo­ niano la seconda. Questa fu eseguita molto tardi (presenta infatti corretto un errore indicato nell'errata corrige) e ad o­ gni modo quando la tiratura della composizione A era ormai già completata, cioè quando tutti i fogli del fascicolo «k » richiesti per la confezione del volume erano stati impressi (in A il fascicolo è segnato con lettera k minuscola). Ora, poiché il numero degli esemplari che documentano la pri­ ma composizione (gruppo A) è proporzionalmente molto basso in rapporto a quelli del gruppo B, ciò non può si-

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NOTA FILOLOGICA

gnificare altro che nella stamperia di Gilles Gourbin si do­ vette procedere ad un'operazione inusuale per quei tempi, vale a dire alla non utilizzazione della tiratura completa del­ la prima composizione del fascicolo « K» e alla ricomposizio­ ne del testo, con corrispondente nuova tiratura completa dell'ottavo. Nel '91 ipotizzai che all'origine di questo dispen­ dioso lavoro ci fosse stata non tanto l'esigenza di correggere refusi o di migliorare qualche verso, quanto la volontà del Bruno di dare al complesso delle tre « arti brevi» la stessa di­ gnità delle precedenti due sezioni, conformemente al loro essere presentate come dono per Enrico III entro un'opera già a lui dedicata (De umbris, 230, 1-2: «Ars brevis et expedita ad eundem Christianissimum Galliarum regem»; 231, 2: « Hinc, serenissime rex, historici [ ... ]») . Infatti, alla modesta ornamentazione a foglie che compare come testata in capo alla prima « arte breve» nella composizione A, si sostituisce in B un imponente fregio a grottesca, con il quale le tre « ar­ ti» diventano da sottodivisione dell'Ars memoriae (in A, ap­ punto) una parte principale del volume - la terza parte con­ clusiva. L'ipotesi è ora ulteriormente confermata dal caratte­ re di originalità e di compiutezza del complesso delle tre « arti brevi» emerso dal lavoro di commento: nell'ultima se­ zione dell'opera l'autore lascia vedere le potenzialità della propria arte delle immagini interiori nel campo non solo della « memoria delle parole», ma anche della « memoria delle cose» (rapidamente trattata nella seconda sezione del1'opera) ; poi, con l'enigma « Inmotus motor» (De umbris, 234) delinea una visione del mondo grande e nuova come fondamento della validità della sua « arte». E l'enigma è così traboccante di « nolana filosofia» che Bruno non può non averlo recitato ad Enrico III, e certamente ad ulteriore con­ ferma di quanto gli « disse» e fece « provare a lui medesmo» in quel giorno di festa in cui fu chiamato a corte dal re incu­ riosito dalla sua straordinaria memoria e desideroso di sape­ re se essa fosse « per arte magica». Dono al re in ricordo di personali colloqui e senso della dignità delle proprie inven­ zioni mnemotecniche e del valore della « nova filosofia» fe­ cero un tutt'uno nella mente del Bruno e portarono alla ri­ composizione dell'intero fascicolo. 1

I . Cfr. L. Firpo , Il processo, pp. 1 61-62.

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NOTA FILOLOGICA

La seconda particolarità della «storia » tipografica del De umbris è data dal fatto che furono composti, nell'ordine, i nove fascicoli dell'Ars memoriae e quello delle Artes breves, e poi i sei della prima parte, vale a dire: i sedici fascicoli che formano l'intero libro non furono composti secondo la se­ quenza con cui vennero rilegati alla fine. Lo dimostrano i seguenti elementi: I ) la segnatura dei fascicoli dell'Ars memoriae (a, b, c, d, e, f, g, h, i, K) è fondamentale e principale, mentre quella del­ la prima parte è aggiuntiva e preliminare (*, i, ò, e corrisponde in pratica alla numerazione aggiuntiva in cifre romane che usiamo oggi per le prime pagine e le sezioni in­ troduttive di un libro, le quali ai tempi del Bruno come an­ cora ai nostri giorni venivano di norma composte alla fine; 1 2) l'ultimo fascicolo della prima parte è costituito, come ho già accennato, da un mezzo foglio di ottavo, e non da uno intero, come sarebbe stato se l' Ars memoriae fosse stata composta di seguito dopo la prima sezione dell'opera; 3) l ' errata corrige non si trova alla fine del volume, cioè al­ la fine dell' Ars memoriae, bensì chiude l'ultimo fascicolo del­ la prima parte e mostra che l'ordine dei fascicoli a libro fini­ to non corrisponde a quello cronologico della loro compo­ sizione. Dietro tale sequenza nella composizione tipografica si può ora dire che sta un'effettiva anteriorità dell'Ars memo­ riae non solo come testo scritto circolante in forma di tratta­ to-dispensa, ma addirittura come testo orale (si veda Intro­ duzione, par. 6) ; posteriormente a questo testo, e come suo sviluppo, nasce la prima sezione su intenzioni delle ombre e concetti delle idee.

a, e,

u) ,

I . Per le forme di segnatura preliminare e principale, cfr. P. Gaskell, A

New lntroduction to Bibliography, Clarendon Press, Oxford, 1979, pp. 5 1 -52.

« CANTUS CIRCAEUS »

Stampata a Parigi presso l'editore Gilles Gilles nel 1582, l' editio princeps del Cantus Circaeus è un libro in 8 ° tipo­ grafico e consta di 42 fogli. I fascicoli sono sette, dei quali il primo ed il sesto constano di mezzo foglio di ottavo, ed il settimo di un quarto di foglio. I primi quattro fogli, comprendenti il frontespizio, la de­ dica ed il carme proemiale, non sono numerati. Dal recto del secondo foglio del secondo fascicolo fino a quello del quinto fascicolo c'è una numerazione progressiva nel mar­ gine superiore destro da 2 a 32; seguono poi quattro fogli non numerati; la numerazione riprende con il primo foglio dell'ultimo fascicolo, numerato erroneamente 33, anziché 37; l'ultimo foglio è bianco. Descrivo ora l'esemplare ideale: Frontespizio PHILOTHEI / IORDANI / BRVNI NOLANI CAN-/TVS CIRCJEVS AD EAM / memoria! praxim ordinatus / quam ipçe Judiciariam I appellat. I AD ALTISSIMVM PRINCI-/PEM HEN­

RICVM D 'ANGOVLESME / magnum Galliarum Priorem, in Pro­ /uincia Regis locumtenentem, &. [fregio tipografico] PARISIIS, / Apud JEgidium Gillium, via S. Ioannis / Lateranensis, / sub trium coro-/narum signo. / M. D. LXXXII. / [filetto]

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Contenuto a2r: ILLVSTRISSIMO ALTISSI-/MOQVE PRINCIPI HENRI­ co / d'Angoulesme Magno Galliarum Priori, / Prouinci.:e Gubernatori, ac Locumtenenti generali, & totius maris orientalis pro Re-/gia Maiestate Admiralio Io. Regnault eius-/dem Illustrissimi à secretis Consiliarius. a4r: [fregio a grottesca] IORDANVS LIBRO. al r: [fregio di c. a4r] PHILOTHEI IORDANI / BRVNI NOLANI CANTVS / Circ.:eus, ad Memori.e pra-/xim ordina­ tus. / DIALOGVS PRIMVS. b7r: [fregio a grottesca] PHILOTHEI / IORDANI BRVNI / NOLANI DIALOGVS Il. / applicatorius ad Artem / Me­ mori.e. e3v: IORDANI BRVNI NOLANI / ARS ALIA BREVIS CER­ TIOR / & expeditior ad verborum / memoriam. f l v: [dopo 17 righe] FINIS. Formula collazionale

1

8 ° 7qq. : a• ( lr) , a8 ( 7v) , b8 ( 2r, 3v, 4r, 6r) , c", d8 (3v, Bv) , e• ( 2r, 4r) , f2. Per l'edizione storico-critica del testo del Cantus Circaeus ho potuto collazionare 44 esemplari dei 48 a me noti e dispo­ nibili nelle biblioteche. 2 Con il sistema della sovrapposizione 1. Seguo il modello di formula collazionale proposto da Crapulli, Contri­ buti della bibliografia materiale, cit., pp. 68-69 (le cifre in corsivo tra parente­ si tonde indicano le carte che portano varianti di stampa) . 2 . Nella mia Bibliografia, censimento e storia, cit., pp. 1 6-21, individuai 49 esemplari a stampa e due copie manoscritte del XVIII secolo. Due dei 49 risultano mancanti (Paris, Bibliothèque de l'Arsenal, e Nantes, Bibliothè­ que municipale) ; nel frattempo è stato ritrovato l'esemplare della biblio­ teca dell'Institut catholique di Parigi, da me registrato come mancante nel 1987. A questi va aggiunto l'esemplare della Biblioteca Universitaria di Bologna segnalato da Canone, in Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la « peregrina/io » europea, cit., p. 88. Hanno risposto negativamente o affatto alla mia richiesta di microfilm le seguenti biblioteche: Aix-en-Provence, Bibliothèque municipale; Budapest, Egyetemi Ki'myvtar; Edinburgh, Ad­ vocates' Library; New York, Academy of Medicine Library.

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NOTA FILOLOGICA

di fotocopie trasparenti ne ho collazionati 23: Am, Ber (si veda la chiave nella seconda lista di «Segni e sigle») , Bo, Dr, F(, Fi2,

Lo,, Lo2, Lo,, Lo4, Ox2, P, Pa,, Pa2, Pa1, Pa4, Pa,, Pa,,, Ro,, Ro2, Ro,, Ro4, Ro,. Altri 1 7 con una macchina collatrice elettronica, che ho potuto utilizzare presso la Herzog August Bibliothek di Wolfenbuttel, precisamente: Av, Bes, Bor, Ca,, Ca2, Ca,, Go, Gr, Le, Ma, Mii, Na, Ox,, Tr, Va, l4!, Wi. Le 14 varianti di stampa co­ sì emerse sono state controllate con la riproduzione in mi­ crofilm dei rimanenti 4 esemplari: Lo,, Mo, W, Wa. La versio­ ne del testo è risultata univoca: delle 1 6 varianti, infatti, 1 1 correggono refusi e sviste varie, 3 la punteggiatura, un'altra è variazione nel frontespizio ( «via S. Ioannis / Lateranensis», apportata insieme alla correzione di tre errori) , un'altra sem­ bra integrare un'omissione ( «tenebras») sostituendola a due non indispensabili lemmi ( «non nisi») , per non rifare anche le ultime tre righe della pagina. Le varianti di stampa sono re­ gistrate nell'apparato critico, ad eccezione delle tre che indi­ co qui di seguito. Le prime due riguardano la segnatura del secondo e quarto foglio del fascicolo «e», la terza è un refuso conservato nei soli esemplari Av e Mo, corretto nei rimanen­ ti, da me individuato dopo che l'apparato critico del presen­ te volume era stato già composto in tipografia. 1) c. e iir, segn. fase.: e ij Av, Bes, Bo, Bor, Ca1 , Ca2, Ca,, F2, Le, Lo,, Lo4, Lo,, Na,

Pa4, Pa,, Ro2, Ro1, Ro,, W, Wa, Wi a ij Am, Ber, Dr, F,, Gr, Go, Lo,, Lo2, Ma, Mo, Mii, Ox2, P, Pa1 , Pa2, Pa1, Pa0, Ox,, Ro1, Ro4, Tr, Va, l4! 2) c. e iiiir, segn. fase.: e iiij Av, Bes, Bo, Bor, Ca1 , Ca2, Ca1, F2, Le, Lo1, Lo4, Lo,, Na,

Pa4, Pa,, Ro2, Ro1, Ro,, W, Wa, Wi a iiij Am, Ber, Dr, F,, Gr, Go, Lo,, Lo2, Ma, Mo, Mii, Ox2, P, Pa1 , Pa2, Pa1, Pa6, Ox1, Ro,, Ro4, Tr, Va, Ve 3) c. 27 v, ultima riga: sagittam Sutorum, Av, Mo sagitt. Sutor acum, P*

Infine, vorrei osservare che, a differenza della seconda parte del Cantus, la prima è stata sottoposta ad una lettura

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professionale: lo suggeriscono le correzioni della punteg­ giatura ( 46, 4-5: « ut modo filii, matres morsibus enecant » al posto di « ut modo filii matres morsibus enecant»; 47, 4-5: « nunc praeter rubrum, atque candidum, colores omnes imitantur» anziché « nunc praeter rubrum, atque candi­ dum colores omnes imitantur»; 48, 2-3: « quis aspectu ho­ mines, convicisset esse aquaticos istos? » che sostituisce « quis aspectu homines convicisset esse, aquaticos istos? ») ; inoltre, l'integrazione del lemma « tenebras» ( 57, 12-13: « nimium volatilibus istis intentae, tenebras in ipso extremo sentivimus crepusculo » , dove nella prima versione il testo ha: « nimium volatilibus istis intentae, non nisi in ipso extre­ mo sentivimus crepusculo») . Bruno potrebbe essere stato presente in tipografia nel momento della tiratura della pri­ ma parte dell'opera. 1

l. D'altra parte la dichiarazione dijean Regnault nella dedica del Canlus sui molti impegni dell'autore, che l'avrebbero del tutto distolto dal curare la pubblicazione della propria opera, sembra un topos, così come far scri­ Vt're la dedica all'Angouleme dal suo stesso segretario sembra una tattica

[ ]

integrazioni espunzioni

Nei margini e nell'apparato critico P

P* L

N

/

a

/3 /J,

Philothei Iordani Bruni Nolani Cantus Circaeus, Parisiis, apud Aegidium Gillium, 1 582 (consenso di tutti gli esem­ plari dell'edizione originale collazionati) consenso dei rimanenti esemplari dell'edizione originale Philothei Iordani Bruni Nolani Recens et completa ars remini­ scendi, s.n.t. [Londra 1 583] Philothei Iordani Bruni Nolani Cantus Circaeus, in opera La­ tine conscripta, II, 1 , ree. V. lmbriani et C.M. Tallarigo, Nea­ poli, apud Morano, 1 886, pp. 1 79-257 nuova riga e divisione di una parola a termine di riga Am, Ber, Bo, Ca,, f:, Go, Cr, Le, Lo,, Lo,, Lo,, Ma, Mil, Na, Ox,, Ox2, P, Pa,, Pa2, Pa., Ro,, Ro.,, Tr, Va, Ve, W, Wa, Wi Av, Bo, Go, Le, Lo,, Lo,, Mo, Mii, Na, Ox,, Tr, Ve, Wa /J, Am, Ber, Bo, Ca,, f�, Cr, Ma, Ox2, P, Pa,, Pa2, Ro,, Ro,, Tr, Va, Ve, Wa

faemplari dell 'edizione originalR Am

Av

Ber

Bes

Bo /Jor