Ontologia e storia nel pensiero di Emanuele Severino

Monografia sul pensiero di Severino fino al 1980, escluso l'importante *Destino della necessità*, pubblicato quell&

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Italian Pages 120 [118] Year 1980

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Ontologia e storia nel pensiero di Emanuele Severino

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CARLO SCILIRONI

ONTOLOGIA E STORIA NEL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO

FRANCISCI EDITORE

Tutti i diritti riservati Copyright 1980 by Aldo Francisci Editore 35031 Abano Terme (Padova) Via Puccini, 27 Printed in ltaly -

INDICE Introduzione

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CAPITOLO I: La filosofia come compito l) La filosofia 2 ) La pluralità delle filosofie . 3) La filosofia come « esistenza autentica » . 4 ) La filosofia come essere nella verità che è necessa­ riamente nella fede . 5 ) La filosofia come compito . 6 ) Rilievi CAPITOLO I I : Il tramonto dell'Occidente l) L'aurora del senso dell'essere . 2 ) Il tramonto del senso dell'essere, ovvero l 'alienazione metafisica dell'Occidente . a ) Il tradimento di Melissa e il « parricidio » platonico b) L'opposizione di positivo e negativo e il principio di non contraddizione . c ) Il divenire d) La teologia razionale . 3 ) Ripresa 4) La « morte di Dio » . 5) L'ethos dell'Occidente : il nichilismo . 6 ) Rilievi CAPITOLO I I I : L'cc ideologia » della storia l) L'impossibilità della storia . 2 ) La storia « ideologia » dell'Occidente 3) La storia « alienazione » dell'Occidente . a ) La civiltà della tecnica . b ) Le grandi ideologie . c ) Il cristianesimo e la Chiesa 4) Rilievi CAPITOLO IV: Pensiero aurorale l) L'aurora . 2) La verità dell'essere . 3) L'essenza dell'uomo . 4) L'accadimento della terra 5 ) La possibilità del Sacro . 6) La determinazione dell'etica . 7) Rilievi

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Conclusione

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Biblio grafia

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INTR O D UZI ON E Il pensiero di Emanuele Severino intende essere non una semplice proposta di interpretazione della realtà, ma una rivelazione della verità stessa, un aprirsi dell'orizzonte dell'essere, quindi epistéme nel senso forte del termine. Pensiero che procede in direzione diametralmente opposta agli orientamenti filosofici contemporanei, esso si concreta in un originale esperimento metafisica, nutrito del più vigoroso pensiero classico e del più scaltrito idealismo moderno. Maturatosi alla scuola di Bontadini, Severino se ne è poi man mano allontanato giungendo ad una forma di neo-parmenidismo, alla luce del quale la storia dell'Occi­ dente appare come la storia del nichilismo, ossia del più abissale allon­ tanamento dalla verità. Mediante una rigorosa applicazione del principio parmenideo dell'assoluta opposizione di positivo e negativo, Severino crede però di poter offrire delle indicazioni positive per il superamento del nichilismo stesso, riportando così l'Occidente - per usare il suo linguaggio - lungo il sentiero del giorno. Riesce l'esperimento severiniano? Trattasi di un pensiero significativo per l'uomo d'oggi? In che rapporto si pone con la tradizione? Regge l'interpretazione dell'Occidente come parabola nichilistica? E poi, soprat­ tutto, quali le indicazioni positive che esso offre, e quale il loro valore? Questi gli interrogativi ai quali intende rispondere la presente ricerca, condotta non solo con il proposito di presentare il pensiero di un filosofo militante, e dunque ancora relativamente sconosciuto, ma pure, e più specificamente, mossa dalla preoccupazione di svolgerne una valutazione critica, cui soggiace, almeno nell'intenzione, l'intento di procedere oltre, ovvero la volontà di indicare, occasionati dal pensiero considerato, un orientamento per una possib ile soluzione delle tematiche da esso sollevate. Così dicendo non si esclude l'utilità e la pertinenza di un'indagine storico- genetica, soltan to si precisa l'approccio sistematico della presente ricerca. Severino è qui inteso come una delle manifestazioni più signifi­ cative e una delle conclusioni estreme del pensiero classico e del­ l'idealismo moderno. Conclusione estrema in senso principalmente storico in relazione al pensiero classico e in senso più propriamente teoretico in relazione all'idealismo moderno. Nel primo caso cioè conclusione estrem a sta per radicalizzazione dei motivi chiave della riflessione meta­ fisica classica ( la norma della ragione e l'esperienza ) , nel secondo caso sta invece per rigorizzazione del rapporto essere -coscienza. Puntando sulle due matrici realistica e idealistica non si vengono per nulla a tra,scurare le profonde suggestioni heideggeriane e jasper­ siane che tanta parte hanno nel pensiero severiniano, piuttosto si pone il problema dell'interpretazione di questi orientamenti del Novecento alla luce di quelle direttrici fondamentali. Più ancora, dal punto di vista dell'ermeneutica del pensiero occidentale, diviene rilevante la de t ermi7

nazione della misura in cui l'esito teoretico cui Severino approda, coin­ volge le matrici classica e idealistica, se ne risulta essere veramente la conclusione estrema. Se da queste considerazioni storiche, che fanno di Severino un passaggio obbligato della riflessione filosofica contemporanea, si entra nel vivo della considerazione teoretica, emerge alla base del sistema severiniano la mancanza di una chiara semantizzazione del pensiero, inteso come esperienza integrale dell'uomo, e precisamente del pensiero nella sua accezione onnicomprensiva ( ratio onnicomprensiva ) , cioè nel suo significato di coscienza, e del pensiero nel suo significato specifico di capacità argomentativa ( ratio discorsiva ) . La mancata distinzione semantica della ratio onnicomprensiva dalla ratio discorsiva produce un duplice movimento: quando le due sono identificate emerge una soluzione monistico-immanentistica, quando invece sono tenute distinte, si pone la possibilità trascendentistica con l'apertura al sacro. Ora, se soltanto una radicale distinzione tra coscienza e pensiero, in uno con la deter­ minazione precisa dei limiti della capacità argomentativa dell'uomo, rende possibile l'apertura verso l'Infinito, il pensiero severiniano si trova chiusa la strada proprio nella linea che esso vorrebbe indicare, in quanto il contenuto positivo del sentiero del giorno può nascere unicamente sulla base della tesi opposta a quella di Severino, la tesi cioè del limite e non dell'assolutezza del pensiero umano. Se l'esito positivo è così pregiudicato a priori, esso pare invalidato anche a parte post, dove l'analisi rivela una strana dicotomia tra il sintattico, formalmente ineccepibile, e il semantico che rasenta invece l'insignificanza. Il problema si fa estremamente complesso: esso rimanda alle possibilità stesse della distinzione di sintattico e semantico, e so­ prattutto alla determinazione del loro intrinseco rapporto. Di questo problema ci si è peraltro già interessa ti, sotto il profilo più specifica­ mente linguistico, in Coerenza sintattka e insignificanza semantica nel pensiero di Emanuele Severino 1 , qui pertanto lo si considera soprat­ tutto, e in maniera più diretta, nella prospettiva del rapporto tra antologia e storia. In questa linea appare che l'intento severiniano di costruire una storia antologica si risolve di fatto nella dissoluzione della storia nell'antologia, ovvero, per usare la terminologia dell'articolo citato, nel­ l' insignificanza semantica. Questa in sintesi la tesi sostenuta nel presente studio, la cui consi­ stenza non può essere saggiata estrinsecamente, ma solo attraverso la paziente considerazione del suo concreto sviluppo. All'uopo è utile tenere presente l'articolazione interna della materia. Il primo capitolo, a carattere introduttivo, presenta il senso, l'ambito e i limiti del filosofare severiniano. Il secondo ripercorre le motivazioni teoretiche del nichilismo occidentale. Il terzo ne mostra l'aspetto storico­ culturale. Il quarto, infine, procede alla delineazione del nuovo senso del reale proposto da Severino. l

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Verrà pubblicato prossimamente in «Verifiche»,

9 (1980), n. 3.

C ap i t o l o I LA FILOSOFIA COME COMPITO

l ) La filosofia « La filosofia è il futuro inevitabile dell'umanità » : queste le parole con cui si apre la breve risposta di Severino all'inchiesta promossa dal « Giornale di metafisica » nel 1965 1 • Il tono è asseverativo e solenne, espressione di una sicurezza certo insolita nella letteratura filosofica contemporanea in cui sempre meno ci si imbatte in affermazioni asso­ lute o che tali pretendano di essere. Ma donde questa forza e questa energia ? Quale il loro fondamento ? Non si può rispondere a questi interrogativi senza una debita indagine su che cosa sia la filosofia per Severino, senza cioè averne indicato il campo d'indagine, precisato l'og­ getto e chiarito il metodo. Severino dal canto suo non ha scritto alcun trattato di introduzione alla filosofia, ma dai suoi saggi , dal suo modo concret o di fare filosofia, è facilmente enucleabile la sua concezione in proposito. Propugnatore della verità assoluta, egli ne ha tracciato in un primo tempo la struttura originaria, poi le implicazioni pragmatiche. Da ultimo ne ha tratto le estreme conseguenze teoretiche e storiche, aprendosi, a suo dire, al ri­ chiamo autentico della verità. Alla comprensione del senso determinato che Severino attribuisce al filosofare sono dedicate le pagine di questo primo capitolo, che proprio in ragione del suo argomento viene a svolgere una funzione introduttiva rispetto al prosieguo dell'indagine. Funzione introduttiva, si è detto, ma non per questo accessoria, giacché comprendere il senso che per un filosofo ha il far filosofia significa guadagnare il punto di vista dal quale egli si è posto nello sviluppare le sue indagini, e quindi impossessarsi di quel terreno che sta a monte delle indagini stesse, il quale, nel mentre rende ragione di quelle, si pone come termine ultimo di confronto a cui lo studioso deve rapportarsi. Svolgendo quest a analisi a proposito di Severino, ci si incontra con il più rigoroso razionalism o che non batte ciglio di fronte a qualsiasi conclusione che pur appaia assurda agli occhi del senso comune. Ciò che va allora determinato con precisione è il « razionalismo » seve­ riniano. Un accurato accertament o di esso restituisce, alla base del filo­ sofare di Severino, i limiti del riduzionismo razionalistico della sua interpretazione della ragione, e più in generale i limiti della semplifi­ cazione antropologica che egli opera. La ratio intesa in senso esclusi­ vamente logico-discorsivo è surrettiziamente barattata per la ratio onnil E. SEVERINO, La filosofia nel mondo d'oggi, in Essenza del nichilismo, Brescia, 1 972, pag. 149.

« Giornale di metafisica », 1 965,

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comprensiva che è la coscienza dell'uomo. Così la fede soffre dello stesso difetto di una comprensione razionalistica che, semplificando, ne altera la ben più complessa realtà. A monte - e lo si vedrà con cura - sta un'altra semplificazione : l'interpretazione, ancora una volta razionalistica, della verità come sintesi di un asserto e del suo fondamento . Ma di tutto questo nel prosieguo e in particolare nei rilievi critici finali. Prelimi­ narmente è invece utile chiarire la questione facilmente equivocata della pluralità delle filosofie.

2) La pluralità delle filosofie Che la filosofia sia un « campo di lotte senza fine » è affermazione solitamente ricorrente nella storia del pensiero. Ciò che varia è l'inter­ pretazione : per gli uni nulla vi è di più ovvio, per gli altri - e oggi sono certamente i più - è motivo di scandalo. Lo scandal o è provocato dal fatto che se ciascun filosofo pretende per sé il possesso della verità, pur pensando egli diversamente dagli altri, si demolisce da se medesima la pretesa della filosofia di valere assolutamente. La risposta di Severino a questa obiezione è precisa e radicale. Egli scrive: « Quel fatto - il "fatto" cioè che ognuno dei filosofi è convinto di possedere lui la verità e non gli altri - non esis te e cioè esiste soltanto dal punto di vista del senso comune » 2• Ammettere che esistan o più filosofie e più filosofi che le sostengono convinti di essere nella verità, presuppone infatti tutta una serie di elementi - come che esistano molti uomini ciascuno fornito di una propria mente, ecc. -, e cioè presuppone una metafisica che afferma l'interiorità altrui trascendente l'esperienza im­ mediata. In una rigorosa analisi fenomenologica solo l'Io può affermare di essere cosciente, gli altri sono presenti immediatamente solo come sequenze comportamentali . Che gli altri siano soggetti pensanti è allora un'ipotesi: dal punto di vista della struttura originaria, e cioè di ciò che è originariamente in vista, « l'unico filos ofo sono io, l'unico filosofare attualment e reale è il mio » 3, le altre filosofie sono originariamente poste come contenuto della mia. Il rilievo è importante, perché se I'inter­ soggettività non fa parte della struttura originaria 4, ne deriva una forma di radicale solipsismo 5• 2 E. SEVERINO, Studi di filosofia della prassi, Milano, 1 962 (ristampa fotostatica 1 967) , pag. 43. Su questo volume di Severino, che è il testo a cui ci si riferisce costante­ mente nel corso del capitolo, si vedano le recenzioni di G. GIANNINI, in «Aquinas » 5 (1 962) , pp. 433-435, e di F. CHIEREGH IN, nel «Giornale di metafisica », 20 ( 1 965), pp. 347-9, nonché l 'ampia analisi d i A . BAUSOLA, Su di un recente studio intorno a verità e prassi, «Rivista di filosofia neo-scolastica, 55 ( 1 963) , pp. 8 1 - 97 . 3 Ibidem, pag. 47. 4 L'intersoggettività è un presupposto anche nel neopositivismo che pure ha operato per la costruzione di un linguaggio intersoggettivo. Cfr. E. SEVERINO, « La costruzione logica del mondo » e il problema dell'intersoggettività, Introd. a R. CARNAP, La costru­ zione logica del mondo, trad . it., Milano, 1 966. Severino ha ripubblicato recentemente questa introduzione a Carnap nel volume Legge e caso, Milano, 1 979. s «Così stando le cose, io non ho il compito di parlare per gli "altri", di farmi por­ tavoce di ciò che "tutti" dovrebbero pensare : io parlo solo per me, e dico soltanto ciò che io devo pensare » (Studi di filosofia della prassi, cit., pag. 48).

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Quanto poi al « fatto » che le opinioni altrui sono pur ongmaria­ mente presenti come sequenze linguistiche contraddicenti quella dell'Io, Severino spiega che esse costituiscono quelle necessarie negazioni della struttura originaria nel cui toglimento essa consiste. Sicché per il nostro autore il problema della molteplicità delle filosofie è in fondo un problema di coerenza: se esso nasce sulla base della costatazione, e cioè della presenza di diverse filosofie, esso va condotto e risolto condu­ cendo fino in fondo la logica della presenza, e allora la conclusione non può che essere quella sopraddetta, che quel « fatto » non esiste 6•

3 ) La filosofia come « esistenza autentica » La risposta di Severino all 'obiezione di quanti si scandalizzano di fronte al moltiplicarsi delle filosofie, non è che un semplice corollario della sua concezione della filosofia quale ricerca della verità. Per lui la verità è « la sintesi dell'asserto e della validità o fondatezza assoluta dell'asserto » 7; cioè a dire non si può parlare di verità di un'afferma­ zione semplicemente per il contenuto che essa esprime, ma soltanto se di quel contenuto è visto il valore, il perché del suo essere vero. In che cosa poi consista questo perché è presto detto, si tratta della capacità dell'affermazione di togliere ogni sua possibile negazione 8• Questa concezione della verità come verità assoluta esige di essere precisata nei suoi caratteri fondamentali. Anzitutto, se vero è la « sintesi» di un asserto e del suo fondamento, qualora sia presente l'asserto ma non il rispettivo fondamento, non si può parlare di verità. Questo sta 6 Il problema era peraltro già stato rigorosamente impostato e risolto ne La struttura originaria (Brescia, 1 958), dove si diceva: « Una molteplicità di soggetti, o di coscienze non è infatti immediatamente presente, e pertanto non appartiene alla struttura originaria (non le appartiene di fatto; se poi non le possa appartenere, è questione che può essere qui tralasciata). All'immediato appartiene invece il progetto o la supposizione di quella mol­ teplicità - che è come dire che questa appartiene alla struttura originaria, ma appunto come progettata. In quanto dunque ci si mantiene sul piano dell'intersoggettività, e in quanto questo è la stessa originaria apertura del filosofare, si dirà che il filosofare e la filosofia non possono essere che il mio filosofare e la mia filosofia. Questa caratteristica dell' "esser mia" non ha un valore limitativo, come se equivalesse all'espressione comune che "ognuno ha la sua filosofia", e che quindi anch'io ho la mia: non ha valore limitativo e non c'è quell'equivalenza, perché un'altra o altre filosofie che non siano la mia, di fatto non ci sono, semplicemente : non ci sono, nel senso appunto che non rientrano nella presenza immediata. O che vi siano altre filosofie è, originariamente, una possibilità. Le altre filosofie sono dunque negate in un duplice senso : in quanto non si è in grado - stando sul piano del sapere originario - di affermarne l'esistenza, e in quanto che, qualora si riuscisse ad affermare tale esistenza, sarebbero, come "altre" dalla mia, negazioni della struttura originaria » (pag. 23) . 7 SEVERINO, Studi di filosofia della prassi, cit., pag. 65. 8 « Orbene, se la verità è verità, è in grado di togliere la sua negazione universale, è cioè in grado di mostrare perché la sua negazione , consi derata nella sua essenza, e quindi come universalità, debba essere negata. La verità sa quindi a priori che ogni possibile motivazione della sua negazione, e quindi ogni possibile modo individuato, secondo il quale la negazione è motivata, sono soltanto apparenze di motivazioni : non sono motiva­ zioni reali, vere, perché per essere tali dovrebbero appunto fondarsi su quella verità origi­ naria che invece esse intendono negare. Ma se la verità sa a priori che di ogni possibile forma della sua negazione non ci può essere motivazione, e che quindi ogni motivazione è apparente, deve per altro impegnarsi a mostrare in concreto l'apparenza, ché altrimenti ciò che vale come motivazione apparente agisce come motivazione effettiva » (Ibidem, pag. 39).

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ad indicare che il vero è «attualità» assoluta. Dice Severino : « La verità deve essere ogni volta ricostruita : è l'istanza cartesiana del ricomin­ ciamento radicale, che depone il carattere di operazione compiuta una volta per tutte per acquistare quello gentiliano dell'attualità assoluta del vero, il carattere husserliano dell'immer wieder » 9• Proprio questo ini­ ziare sempre da capo e dover continuamente aver presente il valore di ciò che si afferma contraddistingue il procedere filosofico da quello pratico-scientifico, il quale è impensabile che ricominci ogni volta da capo, pena il non progredire di un sol passo. Ma se uno vuoi essere nella verità non ha altra scelta che ripercorrere i risultati di coloro che l o hanno preceduto, e non solo, quella verifica egli la deve avere attual­ mente presente. Per Severino cioè non è sufficiente ricordare di avere effettuato la fondazione assoluta di una concezione o di un asserto propri o altrui in una precedente occasione, bisogna che quella fondazione sia attualmente presente. Per usare il suo esempio , non solo non si può procedere da dove San Tommaso è giunto ma neppure dalla propria verifica di San Tommaso compiuta ieri, se essa non è ancora oggi attuale, se oggi cioè non viene nuovamente percorsa. ,

Il teorema dell 'attualità del vero gioca un ruolo determinante nel pensiero di Severino: l'attualità è la modalità sia del logico che del fenomenologico rigorosamente intesi. Ma proprio la non costante presenza di fatto del fondamento di ciò che si asserisce è alla base di un altro carattere essenziale del vero , la « non definitività ». Il ritmo della vita e la sua normale s truttura non permettono all'uomo di essere costan­ temente nella verità, anzi si può affermare proprio il contrario, che l'esservi è « uno stato di grazia » 10• In senso rigoroso il carattere della non definitività è proprio solo della verità: tutto il resto può sempre essere assunto come definiti­ vamente acquisito . Nella verità invece questo è impossibile proprio perché ess a è assoluta attualità. Attualità e non definitività sono allora tratti tipici della verità. la quale è anche ed essenzialmente « dialogo » . Se essa consiste nel toglimento d i ogni sua possibile negazione bisogna che la negazione si costitui sca perché possa essere tolta. Affermazione e negazione si implicano a vicenda : « Il logo è dialogo , dialogo tra la verità e la sua negazion e » 11• Severino sottolinea particolarmente questo carattere dialettico della verità che esiste solo se esiste l'errore. Il toglimento della negazione la presuppone, vive di essa; cioè a dire la verità vive nel togliere in concreto quelle sue negazioni che ess a già a priori sa che sono errore, ma che sin tanto che non sono tolte la negano. Efficacemente Severino scrive : « La verità è eterna perché vince la negazione non in quanto sia questa o quella negazione, ma in quanto è negazione. Ma il modo individuato, secondo il quale la negazione si 9 Ibidem, pag. 27. to Ibidem, pag. 26. u Ibidem, p a g . 38.

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pone di fronte, esige che di volta in volta ci si impegni a vincerla. E' la storia del giocatore che non può alzarsi dal tavolo se gli avversari (reali o da lui immaginati ) lo sfidano : la sua vittoria è definitiva ( perché ha carte imbattibili ) e non è mai definitivamente conquistata ( perché deve continuare a giocare ) » 12• Ma la verità non è solo attualità, non definitività e dialogo , essa è pure «contraddizione » . E lo è in maniera eminente. L'affermazione, apparentemente paradossale, prende senso se si considera che per Seve­ rino l'interessamento per tutto ciò che esula dal concetto di verità prima espresso, è sempre un trovarsi nella contraddizione 13• L'uomo vive nor­ malmente in un a situazione non veritativa, certo e convinto di ciò che pensa e di ciò ch e fa, ma senz a possederne di fatto la fondatezza assoluta. A questa situazione della coscienza Severino dà il nome di « atteggiamento fideistico », di fede. Sicché ne viene che l'uomo è soli­ tamente nella fede, ed eccezionalment e nella verità. Ma se l'atteggia­ mento fideistico è sempre contraddittorio, non sempre lo è il contenuto della fede, giacché non neces sariamente esso è falso, può essere anche né vero né falso, e cioè, in rapporto alla verità, un «problema » . L'argo­ mento è di es senziale importanza e dovrà essere ripreso più avanti; qui intanto si osservi che, se il problema è tale in ordine a1la verità, la verità è nel problema, ma proprio per questo essa è nella contraddizione, difatti il problema è tale perché non si è attualmente in grado di affer­ mare o di escludere ch e esso sia negazione della verità. Pertanto « la verità è contraddizione proprio perché non è la totalità della verità, in cui è risolto ogni problema » 14 • Ma la verità è contraddizione anche in un altro senso, per il fatto che se la verità è necessariamente nella fede, in quella fede in cui consiste il problma, essa è di fatto nella decisione, nella scelta di un particolare tipo di fede. Radicalmente poi il problema rimanda all'apertura stessa del significato, che proprio nella sua originarietà si costituisce come contraddizione. In sostanza, secondo Severino, la verità è assoluta, ma l'essere nella verità è il trovarsi in una situazione precaria, in un eccezionale « stato di grazia ». L'esistenza è normalmente « inautentica » ( l 'essere nell'opinione ) , solo di rado raggiunge !'«autenticità » (l'essere nella ve­ rità) : nella verità si è soltanto quando la verità la si ha presente. Nella misura in cui, per il normale decorso della vita, ci si impegna in altro ( dormire, svagarsi, lavorare, ecc . . . ) , si esce dalla verità e si ritorna nella vita inautentica, che è la vita « prefilosofica » in contrapposizione a quella « filosofica », in cui soltanto si dà il possesso della verità. La filosofia non è un semplice esercizio intellettivo, ma è anzitutto vita e vita autentica, ricerc a e possesso della verità assoluta. Dice 12 Ibidem, pag. 38. 13 « Ogni altro discorso, che non sia quello della verità, è, sempre, un trovarsi in contraddizione » (Ibidem, pp. 65 - 6). 14 Ibidem, pag. 68.

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Severino : « Preferiamo riservare la parola "filosofia" per designare quel campo di ricerca, quel tipo di discorso, in cui si enunciano affermazioni che hanno valore assoluto » 15, e in altro luogo dice : « qui "filosofia" non può significare altro che la stessa apertura del sapere originario », cioè « per filosofia intendiamo originariamente l'interessamento per ciò che sta originariamente in vista » 16• Il filosofo è il « testimone » della ve­ rità 17 e il filosofare è la realizzazione dell'essenza dell 'uomo . « La paziente cura del filosofo per la verità dell'essere - dice Severino non è un "atto di pensiero " o una serie di tali atti, che si aggiungono ad altri e da altri siano sostituiti, ma è lo stesso atto eterno in cui consiste l'essenza dell'uomo, come eterno apparire della verità del­ l'essere » 18• Dunque per Severino la filosofia non è un discorrere qualsiasi, ma quel discorrere particolare che ha per oggetto solo l a verità. In che cosa poi essa consista lo si è visto più sopra : nella sintesi di un asserto e del suo fondamento assoluto 19• Nell'esplicitazione di questo fondamento assoluto si delinea pure il «metodo » proprio del procedere filosofico . E anche questo lo si è in parte già visto all'inizio del para­ grafo, là dove si precisava che la validità assoluta di un asserto è riposta nella sua capacità, attualmente esercitata, di togliere ogni propria pos­ sibile negazione. L'importante è ora verificare il modo in cui questo toglimento deve essere effettuato. La risposta più chiara di Severino in proposito è data in actu exercito ne La struttura originaria. In essa Severino procede in modo esemplare e rigorosissimo : riduzione fenome­ nologica assoluta, e toglimento logico di ogni possibile negazione del­ l'originario. Dunque il metodo del procedere filosofico è fenomenologia pura e logica pura. L'una ridà ciò che è originariament e in vista, l'altra ne realizza la fondatezza assoluta. Ma si può poi stabilire una priorità della seconda sulla prima, nella misura in cui quella sintesi in cui la verità consiste, si opera anche con altro dall 'immediato fenomenologico. Il metodo è in sostanza l'applicazione rigorosa del criterio dell'assolu­ tezza logica, la contraddittorietà del contraddittorio direbbe Bontadini.

4) La filosofia come essere nella verità che è necessariamente nella fede Si è anticipato nel paragrafo precedente che nel linguaggio di Seve­ rino verità e fede si oppongono, nel senso che l'una è la posizione di un contenuto insieme col suo valore assoluto, l'altra invec e è l'esplici15

Ibidem, pag. 130.

16 S EVE R IN O , La struttura originaria, cit., pp. 25-6.

17 Il motivo richiama chiaramente il « pastore dell'essere » dì Heìdegger. Sulla filosofia sorta come « testimonianza » della verità cfr.: E. SEVERINO, La parola di Anassimandro, « Rivista dì filosofia neo-scolastica », 55 (1963) , ora in Essenza del nichilismo, cit., pag. 469, e ID., Istituzioni di filosofia. Appunti, Milano 1968, (pro manuscrìpto) , pp. 2 14-215. 18 E. SEVERINO, La terra e l'essenza dell'uomo, « Giornale Critico della filosofia ita­ liana », 1968, ora in Essenza del nichilismo, cit., pp. 246-7 ; cfr. anche pp. 231, 265-9, 293, 297 . 19 « Chi è nella verità non è colui che può parlare con verità su qualsiasi argo­ mento, ma è colui che propone all'interlocutore dì parlare su quell'unico argomento che è la verità » (Studi di filosofia della prassi, cit., pag. 65). 14

tazione di un contenuto senza il rispettivo valore. Il che sta a significare che non si può avere fede in ciò che è vero, ma solo in ciò che è falso o che non è né vero né falso. In quest 'ultimo caso la fede è problema, e quindi potenzialmente tanto verità quant o falsità. Il problema proprio in ragion e di questa sua strutturale ambiguità è contraddizione 20 • A questi termini essenziali della questione va aggiunta l'ulteriore consi­ derazione che fin tanto che si è nella fed e si è nella contraddizione, perché aver fede significa attribuire carattere di verità a ciò che non può possedere tale carattere. Ma ciò che va ora determinato con precisione è il rapporto fede ­ verità. Severino inizia svolgendo un'interessante analisi del « dovere », ché non si dà soltanto la fede nell 'essere, ma pure nel dover essere. Il signi­ ficato originario del dovere indica una certa sintesi tra la necessità e la libertà, che dal punto di vista della struttura originaria vuoi dire « dover uscire dalla contraddizione ». E' un fatto che l'uomo si con­ traddice, ma egli ha il dovere di superare la contraddizione proprio perché la verità è l'incontraddittorietà del reale. Non è però detto che l'uomo esegua questo suo compito ( non è cioè necessitato a compierlo ) , può lasciarlo inadempiuto ( è cioè libero di non compierlo ) . S e non esistesse questa possibilità ( libertà ) dovere e principio di non contrad­ dizione si identificherebbero 21• Di fatto il dovere si realizza come situa­ zione problematica, ossia come situazione in cui la ragione non sa se la verità si realizzi assolvendo o negando quanto indica l'imperativo che il dovere esprime. Per usare l'esempio di Severino, se è problema l'amare, nel senso che non si sa se si esce dalla contraddizione amando, lo è pure il non amare, giacché l'accertamento della verità o falsità dell'uno dei contraddittori è contemporaneamente accertamento della falsità o verità dell'altro . Ma allora questo significa che se il dovere è problema, sempre per restare all'esempio di Severino, si è nella fede sia amando sia non amando , e cioè si è necessariamente nella fede. Non è possibil e per l'uomo non prendere posizione rispetto alla pro­ blematicità del dovere: lo stesso non voler prendere posizione è sce­ gliere «praticamente» di non assolvere quanto il dovere comanda. Tre sembrano essere i risultati finora emersi da questa interessante analisi di Severino : primo, se la verità è nel problema, la verità è ne20 « Essere nel problema vuoi dire infatti consapevolezza che a un asserto c;ompete la possibilità di presentarsi come vero o come falso in un momento ulteriore rispetto alla attualità dell'originario; possibilità che la verità o la falsità convengano o all'asserto in parola o al suo contraddittorio. Nel problema si è cioè costretti a conferire egual valore ad asserti tra loro contraddittori, ossia ad asserti che non hanno lo stesso valore. E in ciò appunto consiste la contraddittorietà di ogni situazione problematica. In altri termini, in un problema autentico, degli asserti contraddittori non si sa quale sia quello vero e quello falso » (Ibidem, pag. 68) . 21 « Il dovere è il principio di non contraddizione visto in relazione alla possibilità di contraddirsi; ossia la proposizione : "non ci si deve contraddire" (''non si deve stare nella contraddizione") non è altro che la proposizione: "l'essere è incontraddittorio" (che è appunto il principio di non contraddizione) considerata in relazione alla possibilità che l'essere venga riguardato come contraddittorio » (Ibidem, pag. 78). 15

cessariamente nella fede; secondo , se è contraddittorio l'«aver fede», non è di per sé contradditorio l'«essere nella fede» ( che è peraltro una necessità ) ; terzo, in quanto la verità è nel problema, e il problema non può non essere risolto praticamente, la verità è necessariamente nella prassi 22• Questi risultati non sono però definitivi, perché, secondo Severino, esiste anche un caso, e un caso rilevante, in cui la fede non prescrive soltanto un comportamento pratico, ma anche un credere, e quindi si pone non o non solo come un dover agire, ma pure come un dover credere. Stando a quanto visto precedentemente il nuovo caso prospettato par­ rebbe di facile soluzione, giacché, s e l'aver fede vuoi dire essere in contraddizione, far diventare l'aver fede un dovere è immediatamente autocontraddittorio. Ma second o Severino questa conclusione non è corretta, perché trascura la «quantificazione » della contraddizione. E ' questa una proprietà essenziale dell'essere i n contraddizione e consiste nella maggiore o minore implicazione di asserti autocontraddittori da parte di due asserti autocontraddittori preliminarmente considerati. Ora, il dover credere, e cioè l'aver fede, non è immediatamente autocontrad­ dittorio, se, dice Severino, assume questo significato : « L'aver fede ( l'ave­ re una certa fede) è un dovere, nel senso che la contraddizione, dalla quale ci si libera entrando in quella certa contraddizione in cui con­ siste l 'aver fede, è maggiore della contraddizione da cui ci si libera evitando di aver fede » 23• L'aver fede non è pertanto sospensione della problematicità del credere 24, ma è determinazione del modo di essere nella fede, in cui, come si è già visto, non si può non essere. La diffe­ renza tra l'essere nella fede avendo una certa o una cert'altra fede, oppure non avendo fede, sta allora nel diverso atteggiamento nei confronti della verità: chi sceglie di stare nella verità senza aver fede, opera una scelta prudenziale, chi invece sceglie di avere fede fa una scelta temeraria. Tra prudenz a e rischio non vi è originariamente alcuna preferenza. Severino dedica l'ultima parte della sua indagine ad esaminare il caso del rischio. Muovendo dalla considerazione che la prassi distrae dalla verità, e che pur tuttavia si tratta di una distrazione di fatto e non di diritto, egli mostra che non è immediatamente autocontraddit­ torio il progetto che la rinuncia alla verità sia la salvezza della verità. « Ciò significa, dice Severino, che la verità può essere sacrificata e

22

Ibidem, pp. 77 - 88 .

23 Ibidem, pag. 9 1 . 24 Il che significa che

« i n quanto h o fede nel paradigma, h o anche fede che lo sviluppo della verità non potrà mai trovarsi in contraddizione con la mia fede; ma in quan to mi pongo dal punto di vista della struttura originaria della verità, non posso esclu­ dere che lo sviluppo del sapere originario si determini in modo da rilevare la falsità del paradigma - o della negazione del paradigma -, cioè il suo trovarsi in contraddizione con la verità : ho fede che ciò non avverrà mai, ma non posso escludere veritativamente che ciò possa avvenire » (Ibidem, pag. 1 0 1 ) .

16

perduta solo nel tempo, che cioè l a rinuncia alla verità non può essere che provvisoria. E cioè il progetto che per salvare la verità sia neces­ sario perderla ( perderla con quel rendere operante la fede, che provoca l'oblio della verità ) , tale progetto non è immediatamente autocontrad­ dittorio solo in quanto la rinuncia alla verità sia intesa come prov­ visoria, e cioè come mezzo per la realizzazione integrale della verità » 25• Si tratta pertanto di un rischio, ma in esso può essere nascosta la vera sapienza. « Nell'economia di questo progetto, il non volersi distaccare dalla verità originaria è soltanto sapien tia huius mundi, che è stultitia

apud Deum

»

26•

5) La filosofia come compito E' ormai chiaro che, per Severino, la filosofia in senso rigoroso è solo la propria filosofia, la qual e non è un esercizio intellettivo assi­ milabile alle scienze o all'arte, o alla religione. Mentre queste si basano sul senso comune, ess a pone in discuss ion e tutto ab imis fundamentis. Suo oggetto è l'originario, e più globalmente la verità assoluta. La strut­ tura originaria è la compiuta esposizione dell'essenza del fondamento , gli Studi di filosofia della prassi analizzano il rapporto tra il possesso della verità e la vita pratica dell'uomo, l' Essenza del nichilismo riapprofon­ disce i temi precedenti ponendoli in rapporto alla storia dell'Occidente. Questa indagine intorno alla verità viene condotta in tutti i saggi attraverso una stringente logica costrittiva. Dunque certamente apodit­ tica, se però con questo termine si intende non semplicemente la dimo­ strazione che consiste nel trarre determinate conclusioni da certe pre­ messe, ma anche ed eminentemente quella dimostrazione assoluta che consiste nella posizione di un contenuto attraverso la dimostrazione della contraddittorietà del suo contraddittorio . D'altro canto però resta sempre fermo che dell'originario non può esservi dimostrazione, essendo esso, in quanto originario, anapodittico . La verità consiste allora nella manifestazione dell'originario, ché, dice Severino, « se la verità dovesse essere cercata non potrebbe mai essere trovata ( giacché chi la cerca ne è al di fuori, è nella non - verità, e sul fondamento della non - verità non si può mai arrivare alla verità ) » 27•

Alla luc e di questa considerazione non si può più dire che il metodo adottato da Severino sia esclusivamente quello apodittico, ad esso si affianca negli ultimi scritti una esoterica esposizione dell'anapodittico . Si assiste cioè anche sotto il profilo metodologico ad una strana com­ mistione di ferreo razionalismo e di sorprendente fideismo. Ma come si vedrà più avanti questa incoerenza è il prezzo che Severino paga per 2s

Ibidem, pp. 1 1 1 -2. 26 Ibidem, pp. 112-3 . E' interessante notare come soprattutto in quest'ultima parte (ma non solo) dello studio sulle « implicazioni pragmatiche della verità », Severino adoperi un linguaggio volutamente ricalcato su certi modi espressivi biblici, specie neotestamentari. in AA.VV. , Tradizione e rivoluzione, 27 E . S EVERINO, Tradizione e rivoluzione, (Atti del XXVII Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate), Brescia, 1973, ora in Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma, 1 978, pag. 177.

17

impedire che la sua riflessione resti bloccata nella secche in cui neces­ sariamente lo vincolerebbe l'applicazione ferrea della logic a costrittiva. Ma al di là dell 'oggetto e del metodo, della filosofia, come la intende Severino, va rilevata l 'importanza e la funzione in rapporto ai problemi ch e attanagliano l 'uomo e la verità. In apertura del capitolo si riportavano le significative parole « la filosofia è il futuro inevitabile dell'umanità » . Il significato di quelle parole è ormai di facile com­ prensione: solo la filosofia, in quanto luogo della verità, e cioè dell'in­ controvertibile, può togliere il dubbio che persiste al fondo di ogni fede. Allora « la filosofi a ridiventa l'occupazione più important e dell'uomo » 28, diventa un compito che l'uomo , proprio per essere uomo, deve portare a compimento. « Ma tutto questo, dice Severino, sottintende l'oltrepas­ samento dell'antropologia dominante ( che fa della verità il prodotto teoretico del singolo esistente ) » 29• Ma di questo e di ciò che esso com­ porta si tratterà nei prossimi capitoli. 6 ) Rilievi Quanto svolto in ques te pagine, nel tentativo di far luce sulla con­ cezi on e severiniana della filosofia, può essere sintetizzato nel modo se­ guente: la filosofia, la quale ha per oggetto la verità assoluta che è necessariamente nella fede, è il compito che l'uomo deve eseguire per realizzare la propria essenza . In mod o più dettagliato si possono distin­ guere tre ordini di considerazioni. Primo : la concezione della verità come sintesi di un asserto e del suo valore assoluto. Il che significa, nella esplicitazione severiniana, che la verità è fondamentalmente attualità, non definitività, dialogicità, contraddittorietà, e che essa viene ottenuta me­ diante l 'applicazione rigorosa della logica costrittiva. Secondo : la dia­ lettica fede. verità, la quale presuppone la contraddittorietà della fede, di cui è peraltro sostenuta la possibilità del superamento. Terzo: la filo­ sofia, che è il compito dell'uomo , ha per oggetto la verità ottenuta me­ diante l 'applicazione della logica discorsiva, e in altro senso è una forma esoterica di sapere assoluto. Prima di procedere ad una valutazione critica di questi motivi alla luce della tesi di fondo perseguita nel presente studio, è opportuno verificare la consistenza di taluno dei singoli risultati conseguiti da Severino. A proposito del concetto di verità come attualità egli sostiene che nella filosofia si deve ricominciare sempre da capo, e che i l valore di ciò su cui ci si basa deve essere attualmente presente, non si può cioè aver effettuato un accertamento ieri ed oggi non ripercorrerlo di nuovo. La tesi espressa non pare invero sostenibile, perché, se è pur vero che la rigorosità del procedere filosofico esige che non ci si basi su alcuna 28 E. SEVERINO, Il sentiero del Giorno,

, Risposta ai critici, cit., pp. 343-344. 64 Si veda di quest'opera tutta la problematica relativa all'immediatezza fenome­ nologica. 65 Si tenda presente che lo sviluppo teoretico del pensiero di Severino non muove da La struttura originaria, che è del 1 958, ma dal saggio su La struttura dell'essere (cit.) , che è del 1 950. Il rilievo è importante perché tra i due scritti non vi è solo un notevole progresso a vari livelli di indagine, ma un sostanziale sviluppo diagnosticabile in tutta chiarezza proprio nell'interpretazione del divenire. Nel saggio del 1 950 si dice : « Se il divenire è il passaggio dal non essere ancora all'essere, segue che il fondamento esclude da sé ogni divenire » (pag. 1 5 1 ) , e più avanti si dice ancora che « è il divenire che comprova, da ultimo, l'alterità di essenza e di esistenza, in quanto diviene solo ciò che può essere altro da ciò che è; ma ciò che può essere altro è ciò la cui essenza non è la sua esistenza » (pag. 1 56) . Dove ciò che va notato è, da un lato, l'assunzione improblematizzata del divenire come passaggio dal non essere ancora all'essere, e, dall 'altro lato, la distinzione di essenza ed esistenza come condizione della possibilità del divenire stesso. Nelle pagine precedenti si è già visto come la distinzione di essenza ed esistenza sia venuta meno ne La struttura originaria, ora si vedrà come anche l'interpretazione del divenire - ma il tema in fondo è un tutt'uno e lo si è distinto solo per ragioni di chiarezza espositiva subisca in quell'opera una sostanziale rettifica, che però solo in Essenza del nichilismo troverà la sua adeguata e compiuta esposizione.

39

l. L'orizzonte teoretico che emerge dalla poderosa indagine con­ dott a ne La struttura originaria è quello che si è richiamato poc'anzi e che si è detto proprio o per lo meno convergente con la posizione dell'ultimo Bontadini. Da un a parte si ha la ragione che sostiene l'im­ mutabilità dell'essere, dall'altra l'esperienza che ne attesta il divenire. La filosofia consisterebbe nella conciliazione di ragion e ed esperienza. Ma il problema non è in realtà così semplice, né tanto meno consiste nella mediazione di due opposti cooriginari. Che l'essere sia e non possa non essere è ciò che va mantenuto fermo in ogni caso, in forza del­ l'opposizione del positivo e del negativo ; che poi esso divenga è ciò che non va negato, m a compreso nella sua verità. Il progresso essenziale dal saggio del 1 950 su La struttura dell'essere a La struttura originaria è proprio qui 6 5 ; mentre in quel saggio s i procedeva alla mediazione di due opposti, ora si procede allo studio dell'immediatezza logica e dell'imme­ diatezza fenomenologica, col risultato che la loro reciproca implicazione 67 , pur non evitando la situazione aporetica 68, determina il superamento dell'interpretazione comune del divenire. « Ciò che ( . . . ) si manifesta come un sopraggiungere e un annullarsi scrive Severino -, si rivela, nella strutturazione completa dell 'ori­ ginario, come un apparire e uno scomparire » 69 • Si badi però a distin­ guere il divenire dell 'essere che appare dal divenire dell'apparire dello essere. La grande novità nell 'interpretazione del divenire contenuta ne La struttura originaria sta nell'inten dere il primo di questi due tipi di divenire, in relazione all'orizzonte dell'immutabile, come un apparire e uno scomparire. Il che non significa ancora negare la realtà del divenire come nascita e morte, ma significa distinguere se si fa riferi­ mento all'intero immutabile, nel qual caso nascita e annullamento sono un apparire o uno scomparire, o se ci si riferisce alla totalità dell'im­ mediato fenomenologico, nel qual caso nascita e morte sono pienamente reali in quanto immediatamente noti 70• -

Lo svolgimento completo di queste tematiche si trova solo nei saggi contenuti in Essenza del nichilismo, ma prima di passare ad essi è bene considerare un altro paragrafo de La struttura originaria in cui Seve66 Cfr. nota precedente.

67 SEVERINO, La struttura originaria, cit., pp. 364-5 . 68 Ibidem, pp. 399-400. 69 Ibidem, pag. 404. 70 « Se il divenire del contenuto P-immediato è, in relazione all'intero immutabile, un apparire e uno scomparire, non per questo il divenire è, come generazione e annullamento, un che di irreale ; ché anzi esso è proprio l'essere P-immediatamente noto. Se cioè, absolute o simpliciter, non si dà nascita o annullamento dell'essere, sì che, in relazione all'intero immutabile, nascita e annullamento sono un apparire e uno scomparire, nell'ambito invece della totalità del P-immediato il divenire, come nascita e annullamento dell 'essere P-immediato, è pienamente reale, in quanto è appunto o appartiene alla struttura del contenuto P-immedia­ tamente noto. Relativamente al contenuto P-immediato, ossia in quanto l'essere è considerato come totalità dell'essere P-immediato, la nascita e la morte dell'essere è reale: è irreale, ossia è autocontraddittoria, absolute, ossia come proprietà dell'essere in quanto tale », Ibidem, pp. 405-6.

40

rino, con un'eccezional e lucidità, presenta la «Verità» dell'essere. Non vi sono dubbi per lui che il divenire significhi « passaggio dal non essere all'essere o dall'essere al non essere », per cui la conclusione è inevi­ tabile: « affermare che l'essere diviene significa affermare che l'essere non è » . La contraddittorietà che ciò che diviene non sia, è posizione dell'eternità dell'essere : « L'essere è eterno », « L'essere è atto puro » 71 • Questa interpretazione del divenire dà ovviamente una piega tutta particolare al discorso metafisica, ma di esso si tratterà a proposito della « teologia razionale » 72 • 2. Col porre inequivocabilmente, in senso epistemico, l'immutabilità e l'eternità dell'essere, non si è però ancora data sufficiente ragione dell'esperienza. Essa non resta forse negata in una simile interpreta­ zione ? Al problema Severino si è dedicato in Ritornare a Parmenide, nel Poscritto e nei vari saggi che a questi hanno fatto seguito e che sono stati poi raccolti in Essenza del nichilismo 73• Il problema è apparentemente di una semplicità sconcertante : che cosa attesta l'esperienza ? Non rivela forse essa che gli enti prima non sono, poi sopraggiungono, e poi nuovamente non sono ? 74 • D'altra parte il lago, peraltro irrinunciabile, attesta l'immutabilità e l'eternità del­ l'essere. L'antiteticità dell e due posizioni è palese. Di fronte a siffatta e macroscopica difficoltà, Severino, posto per definizione il divenire come possibilità di essere e non essere, di essere quando è e di non essere quando non è, si domanda se una simile definizione renda fedel­ mente ciò che appare, e cioè se appaiono davvero l'emersione e l'annul­ lamento dell'essere 75 • In realtà la posizione stessa del problema è originata dalla verità dell'essere che afferma l'impossibilità che esso non sia, e proprio sulla base di detta verità originaria appare che l'interpretazione del divenire come partecipante dell'essere e del non essere è « un senso alienato del divenire » 76 • L'argomentazione è di importanz a determinante: nella sua forza sta la solidità della posizione severiniana. Proprio per questo ci si permette una lunga citazione, tratta dal Poscritto, in cui Severino, con una chiarezza ed una lucidità esemplari, chiarisce il senso non alienato del divenire. « Questo pezzo di carta sta bruciando rapidamente, ed ora è ridotto a poca cenere. Diciamo allora che è andato distrutto e che il risultato di questa distruzione è il suo essere un niente. Ma - ecco il questo essere nient e appare, oppure di quell'oggetto non problema appare più niente (niente del modo di essere ch e gli conveniva prima -

71 Ibidem, pag. 380. 72 Cfr. punto d. 73 Cfr. SEVERINO, Ritornare a Parmenide,

cit., pp.

Risposta a i critici, cit. 74 SEVERINO, Ritornare a Parmenide, cit., pag. 25. 75 SEVERINO, Poscritto, cit., pag. 93. 76 Ibidem, pag. 93.

23-29; Poscritto, cit., pp. 88- 1 3 1 ;

4t

'

di andare bruciato ) ? Appare che l'oggetto è niente, o l'oggetto non appare più ? ( . . . ) Il distruggersi e il diventare niente delle cose viene affermato non già in quanto questo loro esser niente appaia e cioè in quanto si esprima fedelmente il contenuto dell'apparire -, bensì in quanto questo con tenuto viene in terpretato secondo le categorie di -

quell a saggezza pratica che finora ha favorito la vita dell'uomo nel ,nondo ( . . . ) . Quest o corpo brucia e a questo corpo si sostituisce 1.... sua cenere : l'apparire non attesta altro che una successione di evenb ( . . . ) . Ma che ciò, che più non appare, non sia nemmeno più, questo l'apparire non lo rivela. Questo lo si interpre ta sulla base del modo in cui qualcos a compare e scompare : quando qualcosa, che non era mai ap­ parso, appare, si dice che nasce e che prima era un niente ; quando qual­ cosa scompare e non fa più ritorno si dice che muore e diventa un niente ( . . . ) . Ma questa è l'interpretazione non veritativa del divenire ( . . . ) . La comprensione veritativa del divenire, che è contenuto dell'apparire, rivela invece il silenzio dell'apparire circa le sorti di ciò che non ap­ pare ( . . . ) . Ma , intanto, l'aporia provocata dalla verità dell'essere è scomparsa ( . . . ) : giacché l'apparire non at testa l'opposto di quanto è esigito dal logo ( . . . ) . Il divenire che appare non è la nascita o la morte dell'essere, ma è il suo comparire o scomparire . Il divenire è cioè il processo della rivelazione dell'immutabile » i?. Se le cose stanno in questi termini, allora, per Severino, la verità che attesta l'immutabilità e l'eternità dell 'essere , non è negazione del­ l'esperienza, ma lettura fedel e di ciò che l'esperienza attesta 78• A questo punto però il problema può sembrare semplicemente spo­ stato, nella misura in cui se, stando a quanto precede, non si può dire che una determinazione prima non è, poi è, poi di nuovo non è, pare non solo di poterlo ma di doverlo dire dell'apparire della determinazione. Severino si rende conto dell a sottigliezza della difficoltà 79 , e avverte che essa può venir risolta solo se ci si rende conto che : il tempo costituisce l'orizzonte trascendentale all'interno del quale soltanto si dà la possibilità del divenire, cui conditio sine qua non resta la distinzione reale dell'essenza dell 'esistenza. Ma così facendo l'es sere viene identificato al nulla, col che rimane implicita­ mente negato quanto esplicitamente si afferma . In questa interpretazione severiniana ne va di tutta la storia del pensiero occidentale, dell'intera struttura teoretica di fondo che è comune alle più diverse impostazioni di pensiero, vuoi delle metafisich e tra­ scendentistiche, vuoi di quelle immanentistiche, vuoi delle filosofie della prassi, vuoi di quelle intellettualistiche, e con esse ne va della tradizione cristiana e dei valori borghesi e non dell'Occidente. Nulla si salva di ciò che è cresciuto sulla base del fraintendimento della verità originaria, anzi, perché il senso autentico dell'essere torni a brillare, è per Seve­ rino indispensabile che il tramonto tocchi il suo culmine. Questi in sostanza gli elementi sinora considerati. Essi trovano nei prossimi paragrafi i l loro naturale sviluppo per quanto concerne i temi della « morte di Dio » e del « nichilismo », e nel capitolo successivo il loro adeguato completamento nell'interpretazione globale dell'ethos del­ l'Occidente. Ma prima di procedere oltre è bene sottolineare ancora brevemente come per Severino il fraintendimento della verità originaria, operatosi sin dal primo albeggiare del senso autentico dell'essere, si sia venuto per­ petrando lungo tutto il corso della storia, ovvero come non si dia nella tradizion e dell'Occidente alcun sostanziale superamento dell'antologia greca. Non vi sono dubbi che essa sia stata oggetto di molteplici sviluppi «

90

Ibidem,

pp.

30-1 . 45

e rettifiche, e certo non solo superficiali, ma è pur sempre vero che né la rivoluzion e scientifica, né quella filosofica dell'epoca moderna, né la tecnica, né le grandi contestazioni globali della società dei consumi, né il cristianesimo, né il marxismo, né il superuomo, né l'antimetafisi­ cismo, né l'ateismo, né l'immoralismo, né l'anticristianesimo sono riusciti o riescono ad essere conversioni di rotta veramente totali, ché al loro fondo agisce pur sempre la convinzione della produzione e della distru­ zione degli enti, e quindi la persuasione della nientità dell'essere. In altre parole vi è per Severino, pur nelle molteplici differenze della civiltà occidentale, una sostanziale omogeneità, nell a quale la forma storica­ mente determinante è senza dubbio quella della civiltà tecnologica, le cui categorie fondamentali della produzione e distruzione altro non sono che un diverso modo di manifestarsi della non necessità degli enti de­ cretata dalla metafisica greca 9 1 • In questo modo si vede come nel pensiero di Severino filosofia prima e filosofia della cultura si identifichino, anzi - ma se ne tratterà ampiamente nel prossimo capitolo - come la civiltà sia l a concretiz­ zazione storicamente variabile dell'originaria determinazione de l senso dell'essere, e quindi, nel caso specifico dell'Occidente, testimonianza pre­ determinata di errore. 4)

La

«

morte di Dio »

Pure Severino ha prestato ascolto alla campana a morto suonata da Nietzsche col suo Got t ist tot 92 , infatti anch'egli scrive lapidaria­ mente : « L'Occidente oggi sa che Dio è morto » 93• Ma ciò che per Seve­ rino l'Occidente oggi non sa e non può sapere è il perché Dio sia morto. La comparsa e la morte di Dio sono concretizzazioni del fraintendi­ mento della verità originaria, di cui pertanto né l'una né l'altra, pur nella loro opposizione, costituiscono, se non limitatamente, una testi­ monianza. « L'Occidente non ha saputo accogliere il Sacro », e la metafisica è il risultato di questo mancato incontro 94• Al venir meno dell'essen­ ziale ambiguità del linguaggio premetafisico, th e6s, dalla radice da, si precisa come demiurg6s, colui che dispone della sorte degli enti. Ma in questo modo il legame che unisce the6s a thanatos e zoé è per sempre determinato : il linguaggio premetafisico è catturato nella persuasione della produzione e distruzione degli enti, e quindi della nientità del­ l'essere 95• E' chiaro allora che la « morte di Dio » per Severino non signi­ fica negazione di una particolare e determinata forma storica di con9 1 Della civiltà occidentale Severino parla costantemente in tutti i suoi saggi dal Sentiero del Giorno in poi. 92 F. N I ETZSCHE, La gaia scienza, n . 125, in Opere, V/2, Milano, 1 967, pp. 129-1 30. 93 SEVERINO, Il sentiero del Giorno, cit . , pag. 1 67 . 94 Ibidem, pag. 1 7 5 . 95 E. SEVERINO, Sul significato della «morte d i Dio», in AA.VV., Analisi del lin­ guaggio teologico. Il nome di Dio, R oma, 1 969, ora in Essenza del nichilismo, cit., pag. 3 0 1 ss.

46

cretizzazione del divino , come ad esempio nel caso della tradizione cri­ stiana per Nietzsche 96, m a riveste un significato ben ulteriore, e cioè la negazione di qualsiasi manifestazione del divino concepita sulla base della convinzione comune a tutto l'Occidente, e cioè sulla base della persuasione che gli enti prima non sono, poi esistono, quindi di nuovo non sono. Nel mondo occidentale, tanto nella tradizione cristiana quanto al di fuori di essa, Dio è vist o metafìsicamente come il fondamento del­ l'ente. Non l'ente in quanto ente, m a solo l'lpsum Esse subsistens ha in sé il suo essere 97 • Ora, per Severino, annunciare la morte di Dio significa proclamare la falsità di questa concezione metafisica che si radica nella persuasione della nientità dell 'ente in quanto ente, e for­ mulare una nuova semantica antologica in cui, salvaguardata la necessità di ciascun ente, sia reso possibile l'ascolto autentico del Sacro. In questo annuncio severiniano ne va di tutta l'innervatura antologica del pen­ siero occidentale : viene proclamata l'identità di trascendente e trascen­ dentale, di Dio e dell'intero del positivo. Unica trascendenza rimane quella dell'intero immutabile ( la totalità del positivo, Dio ) , rispetto alla manifestazione del singolo ente 98• Di Dio come Ente sommo più nulla. L'ente è in quanto ente, e non in quanto fondato da Dio. Ma che senso ha in questi termini parlare ancora di Dio ? Come rispondere all 'interrogativo circa l'identità o meno di Dio con l'At­ to? A questo punto parrebbe, secondo i canoni del linguaggio occi­ dentale, che quell'identità non solo esista, ma renda impossibile ogni ulteriore discorso su Dio che non sia l'affermazione del monismo più assoluto . Eppure Severino continua a sostenere che solo nella fedeltà alla verità originaria, e quindi all 'interno di un linguaggio non ancora ontologicamente determinato , può darsi l'incontro della verità col Sacro, e il Sacro può dire cose che la verità ignora 99 • E ' chiaro a questo punto che il rivolgimento severiniano è totale ; eppure in questa totalità appare una sintomatica analogia con la posizione di Nietzsche . Questi sentenzia la morte di Dio come premessa ad una nuova concezione del divino, similmente Severino, pur nella diversità dei modi e dei contenuti, annuncia la morte degli dei generati dalla metafisica greca, per render e possibile l'ascolto autentico de l sacro . Bisogna - e lo si fa più avanti - verificare la consistenza teo­ retica di queste affermazioni di Severino ; in ogni caso ess e testi­ moniano una nascosta ma profonda aspirazione religiosa 10o.

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97

98 99

G . PENZO , Friedrich Nietzsche. Il divino come polarità, Bologna, 1975. SEVERINO, Sul significato . . , cit., pag. 303. SEVERINO, Ritornare a Parmenide, cit., pp. 63-66. SEVERINO, Il sentiero del Giorno, cit., pp. 1 82-3.

Cfr.

.

I Oo Secondo A. Poppi vi sarebbe addirittura in Severino un autentico fideismo, in stridente contrasto col di lui esasperato razionalismo (A. POPP I , Il dissolvimento del pro­ blema morale nel neo-parmenidismo di E. Severino, in Il problema morale nella civiltà tecnologica, Padova, 1973, pag. 1 57).

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5) L'ethos dell'Occidente: il nichilismo Così Heidegger inizia in Sentieri interrotti il suo saggio su Nietz­ sche : « Questa indagine si propone di chiarire il luogo a partire dal quale potrà forse un giorno esser posto il problema dell'essenza del nichilismo » 1 01 • Ora, in modo emblematico Severino intitola il volume che raccoglie i suoi ultimi più importanti saggi proprio Essenza del nichilismo. Il significato è palese : Severino rivendica per sé l'esatta diagnosi della malattia che affligge l'Occidente. Il nome non è nuovo : ne hanno parlato Nietzsche, Heidegger e Jaspers , per non accennare che ai più noti interpreti 1 02, ma per Severino le loro indagini lungi dal cogliere l'essenza del nichilismo, ne sono ancora un'espressione. Nietzsche denuncia il tradimento della terra e proclama la morte di Dio, ma già Heidegger dal pregio dell'opera nietzschiana non può disgiungere l'osservazione che il nichilismo vi è nichilisticamente spiegato. Eppure lo stesso rilievo muove Severino anche a Heidegger, giacché interpretare il nichilismo come l'oblio dell'essere, inteso questo come presenza, significa !asciarsene sfuggire ancora l'autentica essenza, signi­ fica muoversi sempre all'intern o della persuasione della nientità del­ l'ente 103 • Identificando l'essere alla presenza, Heidegger suppon e impli­ citamente l'identità del non-present e col niente, sì che il venire nella presenza è sempre un identificare l'essere e il niente 104• Ma questo è proprio il significato autentico del nichilismo, « la persuasione che ciò che non è mai stato e non potrà mai essere, sia » 105• Sulla base di questo nichilism o metafisica , in cui l'essere è lasciato identico al nulla, si è sviluppata la storia dell'Occidente, che è storia della metafisica e quindi storia del nichilismo . La nientità dell'ente pensata dalla meta­ fisica greca ha posto in luce la prima grande espressione del nichi­ lismo : « Dio ». Dio è colui che padroneggia l'essere degli enti, è il demiurgo produttore e distruttore, e il « mondo » è il luogo dove egli può rendere l'ente identico al nulla. Nel pensiero moderno al dio della metafisica classica si sostituisce la creatività dell'uomo . Si tratta di un processo di coerentizzazione interna del nichilismo stesso, e non una conversione di rotta sostanziale 106 • Se il nichilismo è porre l 'evidenza originaria del mondo, esso comporta necessariamente il venir men o di ogni immutabie, vuoi trascendente, vuoi immanente al mondo stesso 107 • Il mondo moderno ha formulat o la seconda grande espressione del nichilismo : la « tecnica ». Essa è il modo in cui concretamente oggi si presenta la metafisica. Alla sua base agisce sempre la persuasione 101 H. HEIDEGGER, La sentenza di Nietzsche > , 1 967, ora in Saggi di filosofia del finito, Messina, s.d., pp. 4 1 · 52 . R. V. CRIST ALD I , Nota severiniana, in Saggi d i filosofia del finito, cit., p p . 53 - 59. R . V. CRI STALD I , Qualche rilievo sulla problematica del