Oltre il patibolo. I fratelli della morte di Modena tra giustizia e perdono 9788878703827

Nelle società di antico regime attorno ai patiboli si incontravano interessi ed esigenze diverse. I poteri costituiti mo

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Oltre il patibolo. I fratelli della morte di Modena tra giustizia e perdono
 9788878703827

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MATTEO AL KALAK

MARTA LUCCHI

OLTRE IL PATIBOLO I fratelli della Morte di Modena tra giustizia e perdono

BULZONI EDITORE

Il presente volume è stato realizzato grazie al contributo della Banca Popolare dell’Emilia Romagna

In copertina: Girolamo Sellari, La Crocifissione, sec. XVI. Olio su tela, 53 x 43 cm. Collezione Banca Popolare dell’Emilia Romagna.

TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22/04/1941 ISBN 978-88-7870-382-7 © 2009 by Bulzoni Editore 00185 Roma, via dei Liburni, 14 http://www.bulzoni.it e-mail: [email protected]

Indice

INDICE

A mo’ di introduzione...................................................................

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PARTE I IMPARARE A MORIRE di Matteo Al Kalak Delitto e misericordia .................................................................. La morte in città .......................................................................... Cappe uguali, vite diverse ........................................................... Il buon (casto) cristiano ............................................................... Governo e disciplina .................................................................... Partiti, denari e funzionari: microcosmo di una società .............. L’animo del monaco, il corpo del laico ....................................... «Capestro et mezanina» .............................................................. La vita dal patibolo ...................................................................... La morte in scena ........................................................................ Con torce e cappe nere: oggetti e procedure del conforto .......... La battaglia spirituale .................................................................. Dare la vita .................................................................................. «Fornicazione, mollizie e sodomia» ........................................... Storia della giustizia, storia del potere ........................................

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Indice

PARTE II MUSICHE E CONFORTO di Marta Lucchi Tracce e indizi: difficoltà di una ricerca ...................................... San Giovanni Battista. Ars musica .............................................. Precetti musico-liturgici negli statuti quattrocenteschi: lectioni, antifone, salmi, inni ..................................................................... Nomi e idee. Devozione e musica nei documenti confraternali tra Quattro e Cinquecento ................................................................. I libri perduti. Fonti musicali laudistiche e polifoniche .............. Liturgie e musiche nel Cinquecento modenese e la compagnia della Morte .................................................................................. Itinerari secenteschi della devozione musicale ........................... Invocazioni, preci settecentesche per «gente a cui si fa notte innanzi sera» ...................................................................................

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Per un epilogo..............................................................................

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Statuti della confraternita di San Giovanni Battista detta della Morte di Modena ......................................................................... Vachetta per li Giustiziati ............................................................

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Indice dei nomi ............................................................................

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DOCUMENTI a cura di Matteo Al Kalak

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A mo’ d’introduzione

A MO’ DI INTRODUZIONE

«La morte si sconta vivendo», scriveva Giuseppe Ungaretti dalle trincee del Carso. Eppure per secoli le compagnie di giustizia, le confraternite deputate all’assistenza dei condannati a morte e alla sepoltura dei loro corpi, erano riuscite a rovesciare, in nome di un paradigma tutto cristiano, i termini della questione. La vita – quella fatta di crimini e peccati, s’intende – si pagava sul patibolo e dallo stesso palco si poteva iniziare un viaggio che conduceva al premio senza fine. L’altra vita – quella eterna – si poteva acquistare morendo. Ciò che faceva la differenza e determinava le sorti ultraterrene di chi si sottoponeva alla mano del boia era l’impalpabile disposizione interiore che i confratelli cercavano di orientare e plasmare con ogni mezzo. Il condannato (a torto o a ragione) doveva perdonare i propri aguzzini e offrire al popolo i segni edificanti della conversione, dell’estremo ravvedimento in cui prendevano forma antiche scene di redenzione. Tutto questo si riverberò nella vita della confraternita di San Giovanni Battista di Modena che, sin dalla fine del Trecento, si era costituita per dare sepoltura ai giustiziati. La compagnia della Morte – come fu presto ribattezzata – dopo un secolo di difficile attività mostrò i segni di un risveglio culturale, religioso e politico che ne fece uno dei protagonisti significativi della vita prima comunale, poi estense sino e oltre il burrascoso periodo giacobino. Committenti di importanti pale d’altare, gruppi scultorei e codici miniati, i fratelli di San Giovanni seppero accompagnare al patibolo assassini, ladri, eretici e banditi sanguinari. Le funzioni cui assolvevano trovarono spazio nel cuore stesso del palazzo comunale e il nesso che legava la consolazione dei condannati e l’esercizio della sovranità trovò in quei luoghi un’ulteriore riprova. Le pagine che seguono intendono ripercorrere la storia istituzionale del sodalizio, sollevando il velo sulle voci di quei personaggi che, in un modo o nell’altro, si misurarono con le raffinate arti dei confortatori, non trascurando

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A mo’ di introduzione

quanti, dall’altra parte, distillavano un’esperienza secolare per guadagnare a Dio anime altrimenti dannate. Il primo capitolo, attraverso l’esame degli statuti e della documentazione sopravvissuta alle dispersioni archivistiche, ricostruisce le varie fasi in cui la pietà per i giustiziati prese corpo, tracciando altresì il profilo di uomini e donne trovatisi di fronte a cappi e accette che li avrebbero consegnati alla morte. Il secondo, più attento agli aspetti che unirono la confraternita ai destini della città, esplora, con l’ausilio delle ricche cronache stilate in età moderna, il fervore artistico e musicale che pervase in quei secoli la compagnia della Morte. In calce al volume, infine, è riportata un’appendice documentaria che, oltre al testo degli statuti, offre il regesto di un documento – la cosiddetta «Vachetta per li giustiziati» – essenziale per la comprensione dei riti di giustizia celebrati a Modena dal tardo Cinquecento alla Restaurazione. Spiegava Meister Eckhart: «L’uomo ha due nascite: una nel mondo, l’altra fuori del mondo, ovvero spirituale in Dio. Vuoi sapere se il tuo fanciullo è nato e se si è spogliato, ovvero se sei diventato figlio di Dio? Quando il fanciullo è nato in me, il mio cuore non si turba neanche se vedo uccidere mio padre e tutti i miei amici davanti ai miei occhi». La metamorfosi che il domenicano auspicava per ogni credente era l’obiettivo che i confortatori dovevano perseguire in poche ore: condurre un uomo avviluppato nei propri peccati alla conversione che lo avrebbe reso simbolo vivente della forza cristiana davanti alla morte di quanto si poteva avere di più caro: se stessi. Se paure e tentazioni, poi, si scacciavano tenendo gli occhi fissi sull’immagine dell’Agnello senza macchia, il condannato poteva trasfigurare l’orrore dei supplizi nell’esperienza cantata da santi e visionari. Lo aveva detto, da un angolo sperduto del Nuovo Mondo, Juana de la Cruz: Di me stessa sono boia e carcere a me stessa; chi ha già visto che castigo e castigato siano una sola e stessa cosa? Patisca io pure: se sono pene le colpe non sieno colpe le pene.

Quanto questo sentimento potesse trovare posto nel cuore di briganti e criminali è l’interrogativo cui cercheremo di dare risposta.

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PARTE I IMPARARE A MORIRE di Matteo Al Kalak

Imparare a morire

Delitto e misericordia La storia della confraternita di San Giovanni Battista della Morte affonda le sue radici nell’humus culturale che contraddistinse gli sviluppi della società europea all’indomani della peste nera del 13481. La morte aveva guadagnato, nell’orizzonte del vecchio continente, un posto nuovo e una coloritura diversa: i cimiteri – le città dei morti – non interagivano più come prima con i villaggi dei vivi. Lutero, più di un secolo dopo il contagio (e quasi tre prima di Saint Cloud), raccomandava che il camposanto fosse fuori dall’abitato per mantenere l’aria salubre; a precederlo aveva pensato la Chiesa che, di fronte a mercati, balli e passeggiate nei cimiteri, «si adoperò per mettere fine ad una tale mescolanza di sacro e di profano»2. Qualcosa di sostanziale era cambiato e il mutato rapporto con la morte modificava radicalmente la concezione e la condotta della vita, perché, come scriveva Luigi Novarini, «la morte come Echo risponde alla vita, e quali sono le premesse della vita, tale è la conchiusione della morte»3. Se gli ultimi istanti dell’esistenza rappresentavano l’oggetto di tanta e approfondita riflessione da parte della società tardomedioevale e moderna, vero è che «un tipo di morte fra tutti colpì allora e attirò le riflessioni e le cure della società urbana e della sua religione: la morte violenta dei condannati dalla giustizia»4. 1 Nel ricco panorama di studi in proposito si vedano: A. Tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1957; P. Ariès, Storia della morte in Occidente dal Medioevo ai giorni nostri, Milano, Rizzoli, 1978; L.V. Thomas, Antropologia della morte, Milano, Garzanti, 1976; J. Delumeau, La paura in Occidente, Torino, SEI, 1978 e Id., Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna, Il Mulino, 1987; M. Vovelle, La morte e l’Occidente, Roma-Bari, Laterza, 1986. Per l’Italia, limitandosi ad analisi complessive, restano di primaria importanza la messa a punto di Adriano Prosperi, Il sangue e l’anima. Ricerche sulle compagnie di giustizia in Italia, in «Quaderni storici», 51 (1982), pp. 959999, che in parte mira a ridimensionare una «tanatologia di moda, con tutte le sue ambiguità», e le considerazioni storiografiche di V. Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982, in part. pp. 714. Per una bibliografia aggiornata sulle conforterie italiane si rinvia a A. Prosperi (a cura di), Misericordie: conversioni sotto il patibolo tra medioevo ed età moderna, Pisa, Edizioni della Normale, 2007, pp. 54-70 e al censimento di taglio più generale reperibile in M. Gazzini, Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano, Bologna, CLUEB, 2006, pp. 22-57. 2 Cfr. J. Delumeau, Il peccato cit., pp. 65-73 (qui cit. la p. 71). 3 Pratica del ben morire et aiutar gl’infermi, e moribondi [...] opra del R.P.D. Luigi Novarini C.R., In Verona, appresso il Rossi. 1648, p. 5. 4 A. Prosperi, Penitenza e Riforma, in Storia d’Europa, Torino, Einaudi, 1995, 4, pp. 183257 (qui cit. la p. 188).

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Matteo Al Kalak

Queste considerazioni, qui esposte appena per cenni, valgono anche nel caso della vivace realtà modenese contraddistinta da una marcata autonomia comunale, dal dinamismo economico di un operoso ceto mercantile e da una volontà di partecipazione dei laici alla vita religiosa che vide, dalla metà del Trecento in poi, la nascita di numerose confraternite di vario orientamento e ispirazione5. Nel 1755 Giuliano Sabbatini, vescovo di Modena e confratello della Morte, compendiando gli statuti della compagnia, ricordava che la Fondazione ed Istituzione primiera della Confraternita di S. Giovanni Battista, detta della Morte, nella Città di Modena ha poco meno di quattro interi Secoli di antichità, e vuol riferirsi all’anno della nostra Salute 1372., e precisamente al dì 11. di Aprile: nel qual tempo, unitisi insieme alcuni pij ed infervorati Giovani, intrapresero certi determinati esercizj di divozione verso Dio, e di carità verso il Prossimo [...] Sulla traccia di questo oggetto si offrirono ben tosto alla loro Carità quei Meschini, i quali erano di tempo in tempo condannati dalla Giustizia Secolare, e condotti effettivamente a morire6.

Il 13727 forse non fu, nell’esperienza di quegli «infervorati giovani», una 5 Se risaliva al 1260 la compagnia dei disciplinati di San Pietro Martire, cui si affiancherà quella di Santa Maria dei Battuti, dalla metà del Trecento aveva ripreso vigore la forse rinata confraternita di San Geminiano, le cui origini vengono tradizionalmente riportate ai secoli centrali del medioevo. Fu soprattutto tra gli anni Venti e Cinquanta del XV secolo che nacquero a Modena, complice il passaggio bernardiniano in città, numerose confraternite, tra cui quelle della Santissima Annunziata, del Gesù, di Sant’Erasmo e di San Bernardino. Nel XVI e XVII secolo non si arresterà il proliferare di compagnie e associazioni laicali anche se le istanze che ne dettarono la costituzione erano ormai profondamente mutate. Alcune note sono reperibili in S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone, Milano, Angeli, 1979, in part. pp. 34-51; G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena, Aedes Muratoriana, 1974, ad indicem, oltre agli specifici contributi ivi citati. È inoltre in preparazione la raccolta degli atti del convegno «Le confraternite nel territorio modenese. Storia, presenza, prospettive» (Modena, 10-12 novembre 2005) che potrebbe costituire una prima ricognizione del ricco materiale confraternale conservato negli archivi cittadini. 6 Memorie del Pio Istituto della Conforteria assunto già dai primi fondatori della Venerabile Confraternita di San Giovanni Battista di Modena detta l’Ospitale della Morte [...] compilate le dette Memorie da Monsignor Illustrissimo, e Reverendissimo Giuliano de’ conti Sabbatini [...], In Modena, Per gli Eredi di Bartolomeo Soliani, [1755], pp. 7-8. 7 La data di fondazione indicata dai fratelli della Morte è sostanzialmente in linea con il periodo in cui, in altre città italiane, da Bologna a Ferrara, Padova, Verona, Firenze, ecc., conforterie e compagnie di giustizia mossero i primi passi (cfr. M. Fanti, La confraternita di Santa Maria della Morte e la conforteria dei condannati in Bologna nei secoli XIV e XV, in Id., Confraternite e città a Bologna nel medioevo e nell’età moderna, Roma, Herder, 2001, pp. 61-

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Imparare a morire

data come un’altra: per la città e i territori circonvicini gli anni Settanta furono un periodo di violenze e sconvolgimenti. Nel 1370 Manfredino da Sassuolo aveva fatto uccidere Gherardo Rangoni, provocando l’arrivo a Modena delle truppe estensi al seguito del marchese di Ferrara Nicolò II8, il quale «desideroso d’haver Reggio finge d’assediar Sassuolo per vendicarsi di Manfredino»9. Una serie di tradimenti ai danni dell’estense rinfocolarono nel ’71 le ostilità e Bernarbò Visconti – scrive l’erudito Vedriani – «s’accordò di nuovo con Manfredino Sassuolo a danni nostri, dando una pessima annata al nostro territorio depredandolo»10. In breve, mentre il papa era ad Avignone e l’Italia risentiva anche politicamente dell’assenza del pontefice, si erano consumati tradimenti prezzolati, saccheggi e le consuete scene dovute al passaggio di truppe. Nulla di insolito se riferito all’epoca in cui i fratelli della Morte mossero i primi passi. Di certo però il clima di quei giorni poté contribuire alla riflessione dei primi compagni sull’epilogo dell’esistenza e peculiarmente su quello dei condannati, facendo nascere anche in città un sodalizio che della morte faceva l’oggetto della propria azione e pietà11. Ma più interessanti paiono il giorno e il mese cui i 173, in part. p. 97 – che si appoggia al censimento di G.M. Monti, Le confraternite medievali dell’alta e media Italia, Venezia, La Nuova Italia, 1927, I – e A. Prosperi, Il sangue cit., p. 964). 8 «Dominus Manfredinus de Saxolo occidi fecit Dominum Gheradum Rangonium, propter quod homicidium Marchio Estensis Mutinam venit cum exercitu confederatorum et eam optinuit». La postilla è apportata, da altra mano, nella Cronaca Tassoni sotto l’anno 1370 (cfr. L. Vischi, T. Sandonnini, O. Raselli (a cura di), Cronache modenesi di Alessandro Tassoni, di Giovanni da Bazzano e di Bonifazio Morano. Monumenti di Storia Patria delle Provincie Modenesi. Serie delle Cronache, XV, Modena, Società tipografica antica tipografia Soliani, 1888, p. 301, nota 1). 9 L. Vedriani, Historia dell’antichissima città di Modena, In Modona per il Soliani Stampator Ducale 1667, II, p. 351. 10 L. Vedriani, Historia cit., p. 352. Si vedano anche le note in L. Chiappini, Gli Estensi. Mille anni di storia, Ferrara, Corbo, 2001, pp. 83-84. 11 È, semplificando, la tesi di Jean Delumeau quando registra l’esistenza di «circostanze congiunturali (epidemie, carestie e accentuazioni della violenza) [che] favorirono l’accoglimento della pastorale fondata sulla paura e accrebbero l’influenza del memento mori su strati sempre più ampi della popolazione cristiana» (J. Delumeau, Il peccato cit., p. 198). In questa direzione pare condurre anche una nota del cronista cinquecentesco Tommasino Lancellotti che, a proposito della peste che aveva preceduto gli eventi qui narrati, ricorda come a Modena si andasse riaccendendo l’attenzione per la morte e la sepoltura dei corpi proprio a opera di alcune confraternite: «Del 1348 fu per tuto el mondo una grande moria et masime in Modena, e non se trovava persona che volese sepelire li morti, et se levò tre compagnie de quei dela Cità de Modena per fare l’opera della misericordia de sepelire li morti, cioè fu quella del Hospedale di Batuti, l’altra de S.to Petro martire [...] e l’altra fu quella de S.to Geminiano [...] e in ciascuna de ditte compagnie ge deli homini 200, e quando portavano li homini a sepelire se andavano batendo forte, in modo che sangonavano tuti e cantavano laude, pregando Dio che

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Matteo Al Kalak

fratelli facevano risalire la propria fondazione: l’11 aprile, «giorno di domenica» come precisano gli statuti12, corrispondeva infatti, nel 1372, alla seconda domenica dopo pasqua (caduta il 28 marzo), cioè alla domenica comunemente denominata «Misericordia Domini»13. Quella stessa misericordia sarebbe diventata, assieme ai concetti di perdono e accettazione, una delle parole chiave dell’azione dei membri della Morte «supponendosi, come è da sperarsi, che il Signor Iddio, nel decorso della Conforteria, abbia usato della sua Misericordia, benedicendo lo zelo e le parole dei Confortatori, e infondendo nel Paziente spirito di conversione e di rassegnazione»14. La complessa chimica dell’assistenza ai condannati avrebbe dovuto miscelare castigo e assoluzione, pena e grazia, punizione e misericordia. La stessa liturgia della seconda domenica dopo pasqua avrà suggerito agli zelanti giovani il modello del Cristo sofferente, l’innocente ingiustamente condannato, da additare ai giustiziandi più pervicaci15: «Christus passus est pro vobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius», si proclamava nella lettera di Pietro letta in quel giorno. «Qui peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius; qui cum malediceretur, non remaledicebat; cum pateretur, non comminabatur, commendabat autem iuste iudicanti; qui peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum»16. L’agnello condotto al macello delle profezie veterotestamentarie assurgeva a esempio per i condannati: egli aveva sofferto portando un’ingiusta condanna; insultato non rispondeva con oltraggi e rimetteva la propria causa all’unico giudice giusto. Era quello che si richiedeva a meno eccellenti condannati chiamati, in poche ore, a passare dalle certe fiamme della pena eterna alla salvezza del paradiso. Se fossero proprio queste le ragioni che spinsero i fratelli a fissare in quel facesse cessare la moria, la quale durò de mazo sino al nadale, e morì fra dentre e de fore de Modena 36000 persone» (T. de’ Bianchi detto de’ Lancellotti, Cronaca modenese, Parma, Fiaccadori, 1867, V, pp. 81-82). In generale, per dirla con Bossy, agli eventi del secondo Trecento non va accordato un peso superiore a quello effettivamente avuto: la peste infatti «offrì forse nuova linfa vitale [all’istituto della confraternita], così come fecero praticamente tutti gli eventi drammatici o inquietanti nella storia della cristianità» (J. Bossy, L’Occidente cristiano 1400-1700, Torino, Einaudi, 1990, p. 69). 12 Cfr. Appendice. 13 La denominazione, come consueto nella prassi liturgica, deriva dal versetto introitale, tratto dal Salmo 33(32): «Misericordia Domini plena est terra, alleluia: verbo Domini ce¸li firmati sunt, alleluia, alleluia» (traggo la citazione dal Missale romanum ex decreto Sacrosancti Concilij Tridentini restitutum [...], Venetiis. Apud. Iuntas, [1630], p. 342). 14 Memorie del Pio Istituto cit., p. 101 (il corsivo è dello scrivente). 15 Cfr. A. Prosperi, Il sangue cit., pp. 982 ss. 16 Cfr. 1Pietro 2,21-25. Per le varianti rispetto all’edizione adottata nel Messale, si veda l’apparato critico in Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece et Latine, Stoccarda, Deutsche Bibelgesellschaft, 2005.

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domenicale 11 aprile il giorno «di misericordia» della loro fondazione è difficile da definire. Certo, a differenza di molti altri, i condannati, da miserevoli peccatori e criminali, potevano cogliere la grande opportunità di ripercorrere le orme di Cristo, realizzando in se stessi il mistero di redenzione cui erano invitati a pensare: «Potessi hor offerir me stesso all’eterno Padre come Voi [Gesù] offeriste Voi»17. La morte in città È negli statuti confraternali di cui ci occuperemo nelle pagine seguenti che, con le cautele del caso18, va ricercato il cuore e il patrimonio ideale fissato dai fratelli di San Giovanni Battista agli inizi del loro operato. Il manoscritto tardoquattrocentesco19 in cui sono conservate le norme destinate a regolare la vita dei compagni raccoglie altresì una matricola e diversi materiali inerenti l’istruzione catechistica da impartire ai membri del sodalizio. La consueta presenza del simbolo apostolico, dei comandamenti del decalogo, delle opere di misericordia corporale e spirituale, dei sette peccati mortali, delle virtù teologali e cardinali, dei sacramenti e precetti della Chiesa, dei giorni di digiuno e festa, dei doni dello Spirito e dei sensi umani si inserisce nella consolidata tradizione che faceva delle fraternità un luogo di formazione del laicato devoto. Invocata la corte celeste secondo una formulazione ancora una volta diffusa (la Trinità, la Vergine Maria, il principe degli angeli Michele, il titolare Giovanni Battista e il patrono cittadino Geminiano), gli statuti prendevano le mosse da una citazione dei salmi – «Declina a malo et fac bonum»20 – da cui si dipanava una pedagogia bipartita, secondo una logica lungamente radicata nella spiritualità cristiana. Le «due parte sommamente necessarie a la nostra salute» prevedevano che al male abbandonato subentrasse quel bene da compiere perché «non operando lo bene non è via de salute». E raccogliendo l’invito del salmista e del «dolce maistro» che chiamava i fedeli a radunarsi nel suo nome, «alquanti çoveni iscaldati et accesi di perfecta charità» deliberarono di dedicarPratica del ben morire et aiutar gl’infermi cit., p. 181. Si vedano le raccomandazioni di Giancarlo Angelozzi contro uno studio esclusivo degli statuti non messi in relazione con i materiali amministrativi e la produzione ordinaria delle confraternite (G. Angelozzi, Le confraternite laicali. Un’esperienza cristiana tra medioevo e età moderna, Brescia, Queriniana, 1978, in part. pp. 48-49). 19 Si tratta del codice segnato Archivio Capitolare di Modena (ACMO), SGM 3, per cui si veda la schedatura dello scrivente in Inventario dei manoscritti dell’Archivio Capitolare di Modena, vol. II, Modena, Mucchi, 2005, pp. 41-42. 20 Salmi 37(36),27. 17 18

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si alla «salute de l’anime de quelli che erano iusticiati in comune vedendo che né l’anime né i corpi erano atesi né sepelliti». Il tema della sepoltura – i fratelli fanno ovviamente riferimento a quella dei giustiziati – era questione su cui in quegli anni effettivamente iniziarono a svilupparsi una sensibilità e un riguardo nuovi21: negli statuti comunali del 1327 in più di una rubrica ci si soffermava sulle norme connesse ai riti funebri e alla conseguente inumazione dei corpi. Circa mezzo secolo prima dell’istituzione della compagnia della Morte22, il Comune di Modena stabiliva nella rubrica XLVI degli Statuta («De non concionando pro mortuis, de sepulturis et palio habendo pro mortuis») norme di sobrietà e decoro nelle commemorazioni «ad septimas»23 e nell’ufficiatura sulla bara del defunto che doveva essere ricoperta da un pallio fornito dai massari delle varie chiese24. Di tenore e ispirazione analoghi era il provvedimento «quod nullus debeat plorare post mortuos nec sedere sub porticu ipsius et quod mulieres non vadant post mortuos» (rubrica CLXXII): il tradizionale cerimoniale per cui, fuori dall’abitazione del defunto, si doveva «plorare fortiter», «palmas sive manus ad invicem percutere vel discaviare» e, andando o ritornando dalla chiesa, sostare presso l’abitazione del morto, era severamente interdetto. Si proibiva inoltre che, tra il primo e l’ottavo giorno dopo il decesso, chiunque, eccettuati il padre, il figlio o il fratello del defunto, potesse recarsi a casa di quest’ultimo per bere o mangiare in compagnia degli eredi25. Il richiamo a ridurre le pompe dei funerali informava infine un’altra rubrica («Que sunt prohibita portari et haberi ad sepolturas mortuorum») nella quale si

Come sinteticamente notava, per gli esordi del Quattrocento, lo storico contributo di Johan Huizinga: «Nessun’epoca ha coltivato l’idea della morte con tanta regolarità e con tanta insistenza quanto il secolo XV» (J. Huizinga, Autunno del medioevo, Milano, BUR, 2006, p. 187; ma cfr. anche pp. ss. per l’esplicitazione del giudizio qui riportato). 22 Si coglie qui l’occasione per una precisazione. La denominazione di compagnia «della Morte» attribuita alla confraternita di San Giovanni Battista, per quanto ho potuto vedere, è l’unica attestata stabilmente dai documenti almeno sino agli inizi del Novecento. È solo a partire dagli esordi del secolo scorso – con qualche eccezione tra Sette e Ottocento – che prese a diffondersi l’appellativo di compagnia «della Buona Morte» oggi tradizionalmente utilizzato per designare l’antica conforteria. Nel presente contributo ci si atterrà all’intitolazione originale. 23 Per cui si vedano le note di M. Vovelle, La morte cit., pp. 48-49. Limitazioni sulla celebrazione degli anniversari («septime [...], trentesimum, vel annuale») sono reperibili anche alla rubrica CLXXIV degli statuti comunali («De non ferenda aliqua muliere mortua super cultram»), per cui cfr. Statuta Civitatis Mutine. Monumenti di Storia Patria delle Provincie Modenesi. Serie degli Statuti, Parma, Fiaccadori, 1864, I, pp. 476-477). 24 Statuta cit., p. 263. 25 Statuta cit., pp. 474-475. 21

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stabiliva che il corteo funebre non dovesse svolgersi con doppieri, ma, al più, con due ceri di una libbra ciascuno o con una candela del valore massimo di tre denari piccoli e che le campane non fossero suonate «ad duplum» ma con semplici rintocchi a corda («ad sogam»)26. Se questi pochi cenni alle norme degli statuti modenesi non entrano in diretta connessione con la pratica dei fratelli della Morte che solo cinquant’anni dopo inizieranno a prendersi cura dei corpi e delle anime dei giustiziati, è però inevitabile attraversarli e riproporli nel tentativo di capire l’attenzione che alla morte si dedicava in città nel XIV secolo. A giudicare dall’insistenza sul contenimento di determinati costumi, si può ipotizzare – come rilevato in altre zone europee – che anche a Modena lo spazio accordato ai riti funebri fosse ampio e significativo. Dietro i severi regolamenti comunali è facile intravedere esequie in cui, tra cortei impastati di grida e lacrime rituali, si assisteva a uno sfoggio di ceri, campane vigorosamente suonate al passaggio del feretro e piccole folle radunate presso le dimore dei trapassati. Né scomparivano quelle pratiche volte a celebrare e manifestare in vario modo caratteri e gloria terrena del morto (per cui si sancirà che la salma di una donna defunta sia «tota cooperta» e «nec in facie nec aliquo alio modo videatur»27). Che in questo clima alcuni «giovani» – per tornare al manoscritto confraternale – maturassero la volontà di garantire anche ai condannati a morte il seppellimento di un corpo «in genere insepolto e vergognosamente esposto» non sorprende più di tanto, sebbene si debba ricordare – e gli studi di Adriano Prosperi l’hanno ampiamente documentato – che «la sepoltura dei condannati a morte stentò a trovare fedeli disposti ad associarvisi» poiché «i morti per mano del boia erano presenze minacciose per i vivi». L’associazione confraternale fu il «filtro di protezione» che poteva riconciliare e ricomporre la frattura tra la comunità e alcuni suoi membri (i giustiziati, appunto)28. «Si riscossero quei Giovani egregj, si risentirono, s’infiammarono, e, senza frapporvi tempo, concepirono [...] di comporre [...] una Congregazione stabile»29: ma stabile, a disdetta del Sabbatini, la confraternita non fu affatto se prestiamo fede a quanto riportato nel prologo degli statuti. Dopo l’11 aprile del 1372 «per grando intervallo di tempo», venuto meno il fervore iniziale, gli «antichi modi» – i primitivi capitoli (scritti?) – furono riformati da altri «gioveni»

Statuta cit., pp. 475-476. Si tratta della già citata rubrica CLXXIV degli statuti, per la quale cfr. Statuta cit., pp. 476-477. 28 A. Prosperi, Il sangue cit., p. 962. 29 Memorie del Pio Istituto cit., p. 16. 26 27

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Fig. 1: Capitoli della Confraternita di San Giovanni Battista (ACMO, SGM 3)

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che il 24 giugno 1452 procedettero a darsi nuove regole per produrre frutti spirituali «secondo che per divina gratia è possibile a persone poste in habito secolare». Trent’anni più tardi, nel 1482, altri «prudenti homini» incaricarono il priore del monastero benedettino di San Pietro30 «che recorregesse e restringesse mollificando o açunçendo» gli statuti del ’52, prontamente approvati dal vicario vescovile31 e trascritti sul codice pergamenaceo oggi rimasto. La rapida scorsa storica offerta dall’autore delle norme confraternali restituisce alcuni tratti della fisionomia originaria del sodalizio. La confraternita ha, almeno ai suoi esordi, un carattere dichiaratamente laicale32: a essa partecipano persone «in habito secolare», sebbene, passato qualche anno, dovette profilarsi un più forte 30 Mentre Sabbatini riferiva che i fratelli «vennero [...] in sentimento di ricorrere al loro Padre Spirituale, che era allora il P. D. Teofilo Monaco Benedettino Cassinese, e Priore attuale della Badia di S. Pietro» (Memorie del Pio Istituto cit., p. 26), Soli ascriveva l’intervento del padre Teofilo agli statuti a stampa pubblicati nel 1604 (nell’«anno 1603 [i fratelli] diedero incarico a P. Teofilo da Modena monaco di S. Pietro e Padre spirituale del sodalizio, di rivedere i capitoli della compagnia e ‘farli più moderni’ [...] sicché i nuovi capitoli furono stampati nel 1604»; G. Soli, Chiese cit., II, p. 165). In entrambi i casi non si rinvia alla fonte da cui la notizia è tratta. In mancanza dei capitoli del 1603/4 che non mi è stato possibile rintracciare, è congetturabile una sovrapposizione di dati diversi: se infatti il Sabbatini correttamente riprende gli statuti manoscritti indicando il ricorso dei confratelli, nel tardo Quattrocento, al priore di San Pietro per revisionare i capitoli confraternali, è però agli inizi del XVII secolo che compare la figura di padre Teofilo, procuratore (e non priore) del monastero. Quest’ultimo venne invitato, nei primi anni del Seicento, ad adattare e risistemare per la stampa gli antichi statuti, ciò che – probabilmente riportato in frontespizio nell’edizione del 1604 – ha ingenerato l’errore contenuto nelle Memorie. A riprova, si tenga presente che, nel 1483 – un anno dopo la revisione cui il Sabbatini fa riferimento –, è indicato come priore del monastero Lorenzo da Milano (cfr. Archivio di Stato di Modena (ASMO), Soppressioni, Benedettini di San Pietro, 2657, c. 43r), né tra i monaci compare il nome del padre Teofilo (cfr. ivi e M.A. Lazzarelli, Storia del monistero di S. Pietro di Modena dall’anno 993 al 1729 (Biblioteca Estense di Modena, α.R.8.1-7), 1, anni 1481-1483). Per quanto concerne gli statuti del XVII secolo, non più reperibili, si segnala che nell’«Inventario di diversi privileggi e grazie [...]» (ACMO, San Giovanni Battista, cc. non inventariate), si trova puntuale menzione di una «copia in istampa delli capitoli della compagnia di San Giovanni Battista della Morte riformati l’anno 1603», già stesi – stando a un’altra testimonianza – nel 1602 (cfr. Capitoli della Confraternita di S. Gio: Battista detta già hospitale di morte stabiliti dalla Congregazione de’ Confratelli della medesima adì 16 Dicembre 1718 [...], In Modena, Per Bartolomeo Soliani Stampator Ducale. 1719 (ora ACMO, SGM 6*), p. 3). Per l’attività di padre Teofilo cfr. M.A. Lazzarelli, Storia del monistero di S. Pietro cit., 4, in part. anni 1603-1604. 31 Il Sabbatini riferisce di un’approvazione del vicario Giovanni Boccacci del 19 maggio 1483 («ex Tabul. Baptistae de Prignano Cancell. Episc.»; Memorie del Pio Istituto cit., p. 29 nota a). 32 Ma si vedano le precisazioni ancor valide di Roberto Rusconi, Confraternite, compagnie e devozioni, in G. Chittolini, G. Miccoli (a cura di), La Chiesa e il potere politico, Storia d’Italia, Annali 9, Torino, Einaudi, 1986, pp. 467-506, in part. alle pp. 472-473.

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legame col mondo monastico benedettino33 cui, nei secoli seguenti, si affiancheranno Cappuccini e Gesuiti34. Emerge ancora una lunga gestazione del testo degli statuti che, dopo una fase aurorale, vide i confratelli rifondere le norme primitive in un nuovo corpus – quello del ’52 –, revisionato e risistemato trent’anni più tardi dai compagni con l’ausilio (e probabilmente la direzione) del priore di San Pietro. Il testo così prodotto fu oggetto, per dirla col Sabbatini, di «due spezie di edizioni» in cui gli originari capitoli confraternali furono variamente compendiati e risistemati35. Quella sorta di ciclico «raffreddamento» e «riscaldamento» dei compagni, cui corrispondevano periodi di decadenza e di ripresa della fraternità di San Giovanni, si riflette, al di là delle stesure statutarie, nell’attività ordinaria del sodalizio. A metà Settecento – epoca in cui il menzionato vescovo e confratello 33 Alcune tracce di questa originaria vicinanza agli ambienti benedettini restano anche nei manoscritti liturgici della compagnia. Nell’Orazionale ACMO, SGM 1 del 1518 è presente, accanto alla preghiere ai santi Giovanni Battista, Geminiano e Michele, già incontrati nell’invocazione iniziale del prologo statutario, l’orazione a san Benedetto (cfr. cc. 7v-8r, 20r) e analoga è la situazione riscontrabile nel codice ACMO, SGM 5, un Orazionale del XV secolo, dove il fondatore dell’ordine monastico ricompare tra i santi invocati dai compagni della Morte (cfr. c. 5r). Sulla scorta di questa ipotesi lascia però perplessi l’assenza di Benedetto dalla pala commissionata dal sodalizio per il proprio ospedale, dove pure compaiono altri santi come Orsola, Agnese, Francesco e Pietro Martire: essendo il «grande Polittico di Agnolo e Bartolomeo Degli Erri eseguito per l’Ospedale della Morte a Modena negli anni 1462-66» (J. Bentini (a cura di), La Galleria Estense di Modena, Bologna, Nuova Alfa, 1987, p. 50), si potrebbe ipotizzare (ma andrà condotta una riflessione meno abbozzata) che solo in un periodo successivo, attorno alla riforma statutaria del 1482, i monaci di San Pietro acquisissero una certa influenza sulla compagnia. Per una scheda descrittiva dei manoscritti citati si rinvia a: Inventario dei manoscritti cit., pp. 40-43, mentre una trattazione puntale dei temi della pala degli Erri è riportata in D. Benati, La bottega degli Erri e la pittura del Rinascimento a Modena, Modena, Artioli, 1988, in part. pp. 35-67. 34 Ai due ordini si ricorrerà per le funzioni di conforto e assistenza dei condannati: «Lo zelo e la Carità dei Confratelli non ha mai mancato d’invitare e di pregare i Soggetti più qualificati e conosciuti, e riputati per più adattati al caso, scegliendoli dagli Ordini Religiosi di questa Città, e singularmente dai due tanto esemplari e cospicui, dei Cappuccini, e della Compagnia di Gesù» (Memorie del Pio Istituto cit., p. 36). 35 Memorie del Pio Istituto cit., p. 30. Il Sabbatini allude a un’edizione del 1604 per i tipi di Francesco Gadaldino (per cui cfr. quanto detto alla nota 30) e ai Capitoli della Confraternita di S. Gio: Battista detta già hospitale di morte cit. (ACMO, SGM 6*), nel cui proemio si descriveva come i compagni, dopo aver letto gli statuti stampati nel 1604, «paragonati questi ultimi con que’ primi, e antichi, e avuto riguardo allo stato presente, e al moderno sistema della Confraternita sono venuti in parere, che a dodici soli Capitoli possano ridursi e i vecchi, e i più recenti, avendo però proccurato di conservare ne’ presenti dodici tutto ciò, che di fondamentale stava ne gli antepassati» (ivi, p. 3).

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Sabbatini redasse le Memorie dell’istituto – doveva essersi ormai persa la pratica della conforteria, appaltata a francescani e preti del Gesù. I confratelli limitavano il loro intervento alla cura dei cadaveri, alla sepoltura ed esequie dei giustiziati, mancando così «in quella parte appunto dei nostri doveri, che era la più esenziale». Gli strali, vellutati e morbidi, ma pur sempre mirati, del presule confratello, si indirizzavano dunque a quell’assenza vistosamente dissonante dalle finalità del sodalizio: «non si vedevano punto i nostri Confratelli ai fianchi, e all’orecchio dei poveri Condannati, né dentro alla Conforteria [...] né sui Patiboli; né dall’alto dei Patiboli stessi si udiva la loro voce per risvegliare nel Popolo spettatore un utile spavento della Divina Giustizia»36. I fratelli della Morte deliberarono di riprendere l’esercizio pieno delle antiche funzioni e, con l’aiuto del vescovo, impiegarono fratelli sacerdoti negli uffici della conforteria. Manifestato il progetto «ai Signori del Capitolo della nostra Cattedrale, al Corpo dei nostri Parochi, e Confessori, e ai degni Sacerdoti della Congregazione esemplarissima di S. Carlo», in breve tempo il Sabbatini poté consegnare ai priori di San Giovanni Battista un elenco di quattordici nomi, cui dopo poco se ne aggiunsero altri37, che il 14 luglio 1754 furono formalmente ammessi alla confraternita38. «Volendo la nostra confraternita – si leggeva nei partiti del sodalizio – devenire alla vestizione de 14 signori confratelli già accettati», era lo stesso presule a «condecorare la detta funzione con la sua non solo interessenza ma essere lui stesso che vestisse li suddetti quatordici signori novi confratelli»39. La «restaurazione» della conforteria non tardò a trovare applicazione, dimostrando la sua utilità: il 4 gennaio 1755 era stata infatti fissata l’esecuzione di «due insigni Rei, Uomo, e Donna, convinti d’un atroce e pur troppo qualificato delitto di Omicidio»40. La filigrana della narrazione del Sabbatini era chiara: Cfr. Memorie del Pio Istituto cit., pp. 35-37 (le citazioni sono tratte dalla p. 37). La lista è riportata nello stesso volume alle pp. 164-165. Il 14 luglio 1754 furono aggregati il vicario generale Ignazio Ponziani, i canonici Ignazio Sabbatini, arciprete della cattedrale, Luigi Sassi, Giuseppe Antonio Lotti, Nicolò Lotti, i preti Alberto Leporati, Giambattista Araldi, Donnino Ghirlandi, Pietro Gazzotti, Lodovico Ferrari, Felice Finocchi, Giuseppe Buonpani, Lodovico Marverti e Pietro Ferrari. Il 18 marzo 1755 a questi si unirono Giacomo Vincenzi, Alessandro Guicciardi, Giuseppe Malmusi, Geminiano Zannelli, preti della congregazione di San Carlo, e i sacerdoti Carlo Marzadrini, Ercole Manzini e Giuseppe Chiapponi. Cfr. anche ACMO, SGM 16, pp. 145-148. 38 Cfr. Memorie del Pio Istituto cit., pp. 40-41 (qui cit. la p. 40). 39 ACMO, SGM 16, p. 148. 40 Memorie del Pio Istituto cit., p. 43. Si tratta di Giuseppe Mallè e Maddalena Otti abitanti a Ramo presso Cittanova. Volendosi sposare, i due perpetrarono l’omicidio di Margherita Bordini, già moglie di Giuseppe, procedendo poi a nozze. La vicenda è riportata in Archivio Storico del Comune di Modena (ASCMO), Camera segreta, «Vachetta per li giusti36 37

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dopo la provvidenziale ripresa della compagnia, finalmente in grado di assicurare assistenza ai condannati in ogni passo del loro ultimo tragitto, non restava che vedere i fratelli all’opera e cogliere il frutto della loro carità. [I condannati] prostrati al Sacro Altare, e in seguito di alcune brevi, ma gravissime parole dette allora dal Confratello Direttore della Conforteria, implorarono da Dio il perdono de’ proprj peccati [...] S’incamminarono dopo ciò processionalmente alle Carceri: e quivi assistettero all’intimazione della sentenza [...], quivi genuflessi fecero corona al Confratello Direttore nell’atto, che si presentò col Crocefisso alla mano ai due Condannati [...] Il Signor Iddio aveva loro toccato il cuore in guisa tale, che, rassegnatisi alle disposizioni del Giudice Eterno, e deposto ogni pensiero della temporale lor vita, ed ogni lusinga di Grazia, avevano già fatta la lor Confessione, e guadagnati interamente dalla Carità e dallo Zelo dei loro Confortatori, si erano abbandonati alla lor direzione [...] Salirono le scale del lor Patibolo, e terminarono il corso della loro vita mortale, lasciando nel Popolo [...] dei grandi e pii motivi di Cristiana Speranza che fossero, per Divina Misericordia, passate quelle due Anime benedette in luogo di salvazione41.

Il successo atteso, la salvezza dell’anima dalle pene infernali, era giunto. Cappe uguali, vite diverse Il primo capitolo degli statuti si apriva definendo i simboli e le insegne della confraternita e dei suoi membri. Dopo aver raccomandato che ognuno «debba savere et obedire li .x. comandamenti de la leçe e li dodeci articuli de la fede e le sete opere de la misericordia spirituale e corporale», indicava come ziati» (d’ora in poi semplicemente Vachetta), dove a p. 61 si legge: «Questo dì 4 gennaio 1755. Ad ore 16 ½ furono appiccati in pubblica piazza di questa città di Modena Giuseppe figlio di Steffano Mallè e Madalena figlia di Orazio Otti per mano del carnefice di Reggio e successivo taglio della testa e squarto rispetto alla persona sola di detto Giuseppe per collocare la testa entro gabbia di ferro e d’appendere i quarti nella strada pubblica più vicina al luogo dove da amendue fu commesso l’attrocissimo omicidio nella persona della fu Margherita Bordini moglie del sudetto Malè il dì 25 dello scorso luglio 1754 per contraere tra essi uccisori invalido matrimonio, tutti e due abitanti nella villa di Ramo sotto Cittanova. Successivamente furono da signori confratelli della venerabile confraternita di San Giovanni Battista detto della Morte abbrucciati i di loro capestri e mezzanelle alle ore 23 in circa nell’ameno della loro sagrestia». Notizia dell’esecuzione dei due si trova anche al n. 23 del «Repertorio di polize mandate alla Compagnia della Morte in occasione di giustizia [...]» in deposito presso l’Archivio Capitolare di Modena (ACMO, AR-SGB 91). La lista dei confortatori assegnati a Giuseppe Mallè e Maddalena Otti è riportata nel consueto Memorie del Pio Istituto cit., pp. 166-167. 41 Memorie del Pio Istituto cit., pp. 44, 46, 48.

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«patrone et advocato» della compagnia Giovanni Battista. Evidenti le considerazioni che in molti casi portarono a individuare nel «più grande tra i nati di donna» il titolare delle compagnie di giustizia42. Ingiustamente condannato, aveva accettato docilmente la condanna inflittagli dall’iniquo potere incarnato da Erode, facendo di un’ingiusta sentenza una fonte di martirio e salvezza. Se poi a ciò si aggiunge che, come vuole la narrazione evangelica, «i suoi discepoli andarono a prendere il cadavere [e] lo seppellirono»43, risulta forse ancora più naturale l’accostamento alle conforterie. Convinto il condannato ad accettare la propria sentenza, perdonando e rimettendosi alla misericordia divina, se ne sarebbero dovute accudire le spoglie mortali come i seguaci di Giovanni avevano fatto col maestro. La stessa intitolazione era per così dire un invito alla riflessione, un dichiarato programma ideale e operativo44. L’effigie del Battista corredata ai suoi lati da «due teste di morte» doveva campeggiare, oltre che sullo stendardo processionale dei compagni, anche sulle loro cappe «in una brieve cartisella» cucita sulla spalla destra. Le vesti dei fratelli dovevano essere tutte uguali «non curando però di picola differentia ma di notabile», cosicché non vi fossero «suntuosità» che recassero scandalo per eccessi di sfarzo o portassero in luce differenze economiche e sociali tra i membri della fraternità («non apara se non uniformità et unione in tute cose et acti nostri»). Per analoghe ragioni si faceva espresso divieto di accompagnare i morti alla sepoltura utilizzando il proprio «doperolo»45. Lasciate le vesti personali 42 Intitolazioni al Battista si possono ritrovare a Milano, Alessandria, Faenza, Siena, Foligno, Viterbo, Lecce e, capofila ideale di tutte le confraternite di giustizia, a Roma. I dati sono desunti dall’appendice in A. Prosperi (a cura di), Misericordie cit. 43 Cfr. Matteo 14,12 e paralleli. 44 Attorno al legame tra la vicenda del Battista e la pratica delle esecuzioni capitali fiorirono diversi racconti e leggende, come quella riportata da Jacopo da Varazze: «Racconta Gregorio nei suoi Dialogi, che Santolo, uomo di grande virtù, ricevette in consegna un diacono prigioniero dei Longobardi, a condizione che, se quell’uomo fosse fuggito, Santolo avrebbe dovuto subire la pena capitale al posto suo. Fu Santolo stesso a costringere il diacono a scappare e andarsene libero. Perciò Santolo fu condotto davanti al supplizio, e fu per questo scelto un boia fortissimo, che si fosse sicuri che con un sol colpo avrebbe potuto staccargli la testa. Santolo stese il collo, il boia alzò le sue braccia fortissime in alto, con la spada in mano; ma Santolo disse: San Giovanni, piglialo tu! E immediatamente il braccio del carnefice si irrigidì, e restò con la spada rivolta verso il cielo. Quando poi giurò che non avrebbe mai più colpito un cristiano, l’uomo di Dio pregò per lui, e il boia fu guarito» (Jacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, Torino, Einaudi, 1995, pp. 712-713). 45 Cera e doppieri venivano infatti acquistati dalla compagnia. Si vedano, a puro titolo di esempio, una nota del 7 maggio 1458: «Spexe adì dicto per l. 0 o. 39 de candelle de zira e

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nella sagrestia della scuola, per ogni processione confraternale ci si sarebbe muniti della sola cappa e in occasione dell’offerta rituale al patrono il sodalizio avrebbe donato collettivamente un doppiere di cinque libbre46. Se qualcuno avesse desiderato elargire ulteriori offerte lo avrebbe potuto fare, a titolo personale, con elemosine in denaro, ma – si sanciva severamente – «niuno altro presuma particularmente portare duperolo». Cera, si potrebbe dire, sive pecunia. L’esigenza di intervenire in maniera puntuale nel disciplinare le «grandi manifestazioni di culto pubblico»47, come la processione di san Geminiano48, mostra, almeno negli ultimi anni del Quattrocento, l’esistenza di tensioni evidentemente attive all’interno del sodalizio: erano del resto passati pochi decenni dalla formazione, in un’altra confraternita di giustizia, di una compagnia «stretta» accanto a una compagnia «larga». «Nel 1436, a cento anni esatti dalla fondazione» – scrive Mario Fanti – si assistette all’interno della fraternità della Morte di Bologna alla nascita «della ‘compagnia stretta’ o ‘dell’oratorio’, costituita da coloro che avevano deliberato ‘secondo il loro potere, vivere sotto il giogo soave di messer Giesù Christo’» destinata a un impegno più preciso nel «conforto»49. La distinzione, però, se incarnava una differenziazione operativa, avviava contestualmente «un meccanismo che è insieme di specializzazione cultural-religiosa e di chiusura sociale» 50. Nulla di tutto ciò accadde nel sodalizio modenese, ma non appare strano che gli statuti risentano, sotto la superficie appena increspata di norme statiche e severe, di una storia che proprio in quegli anni sottoponeva le confraternite alle pressioni di mutate dinamiche sociali. «In varie confraternite – sintetizza Christopher Black – c’erano divisioni interne, che potevano essere [...] tra il gruppo di confratelli che ricoprivano una carica e l’insieme degli altri membri per ragioni politiche o sociali, ma anche tra ricchi e poveri [...] Nella società in teoria i membri avrebbero dovuto essere tutti doperolli per andare a confortare e sepelire» o ancora la spesa «per l. 3 on. 4 de candelle e doperoli de zira per sepelire» appuntata il 4 gennaio dell’anno successivo (ACMO, SGM 8, cc. 2v-3r). 46 Di nuovo, in via esemplificativa, si consideri la nota del 31 gennaio 1459: «Item spexe adì 31 del dito per 7 doperoli per l’oferta de sam Zumignan» (ACMO, SGM 6, c. 3v), o quella analoga dell’anno seguente a c. 6v. 47 L’espressione è di Roberto Rusconi, Confraternite cit., p. 478, cui pure si rinvia per alcuni cenni sui processi di aristocratizzazione trattati di seguito. 48 Sulle sacre rappresentazioni dedicate al santo patrono sul finire del Quattrocento si veda quanto riportato da S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi cit., p. 36. 49 M. Fanti, La confraternita cit., p. 114, ma si vedano più estesamente le pp. 114-115. 50 A. Prosperi, Il sangue cit., p. 967.

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Fig. 2: M. Coltellini, San Giovanni Battista, sec. XVI, cm. 109,5x49. Collezione Banca Popolare dell’Emilia Romagna

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sullo stesso livello, sia di importanza sia di impegno [...] in pratica, però, esistevano grosse differenze»51. Distinzione non si sarebbe dovuta attuare nemmeno nell’osservanza dei precetti della Chiesa, di cui si occupava il secondo capitolo dedicato ai digiuni e alla penitenza da compiersi nei tempi prescritti. Dopo la descrizione minuta di preghiere e antifone da recitarsi nel rito collettivo presso la scuola, si precisava che durante la quaresima, ogni venerdì, si sarebbe dovuta leggere «una lectione di lo Spechio de la cruce»52, seguito dal «Fratres mortificate membra vestra»53, dal Miserere, dal De profundis e infine da alcune stanze dello Stabat mater. Interessante, sebbene non inconsueta, era anche la derivazione del digiuno «che tiene mortificato la carne e vivificato ne lo spirito a la devotione e menaci a vita eterna»: il primo uomo, si diceva nel testo, «per infino che fu deçuno possidete lo paradiso», ma quando mangiò «fu expulso». Gli statuti non indicavano alcun oggetto accanto all’azione di Adamo. «Ebbe mangiato»: questa, sic et simpliciter, fu la sua colpa. Come ricordato da Carla Casagrande e Silvana Vecchio, la lettura della creazione offerta da sant’Ambrogio era «la storia di un lungo digiuno che si protrae fino al sesto giorno»54: C.F. Black, Le confraternite italiane del Cinquecento. Filantropia carità volontariato nell’età della Riforma e Controriforma, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 120-121. 52 Si tratta dello Specchio di croce di Domenico Cavalca (1270-1342). A una prima scorsa, non mi è parso se ne possa ritrovare menzione negli inventari e repertori confraternali conservati presso l’Archivio Capitolare di Modena, anche se un’indagine più approfondita resta da svolgere. Della diffusione del testo negli ambienti delle fraternità cittadine rimangono invece abbondanti tracce. «Uno Spechio de croce cum lo fondelo rosso» si trova nell’inventario steso il 3 giugno 1487 dalla confraternita di San Pietro Martire (in ACMO, SPM 2(6), c. 15v, per cui cfr. Inventario dei manoscritti cit., p. 30) e anche tra i libri della fraternità di Sant’Erasmo, a fine Quattrocento, si trovavano «uno libro dicto Spechio de croce in bambaxo cum le alve e fondello roxo» e «uno libro de Spechio de croce in bambaxo ligato cum uno fondello de corame biancho» (ACMO, SE1, cc. 10r-v; per cui cfr. Inventario dei manoscritti cit., pp. 37-38). Della segnalazione sono debitore alla cortesia di Viviana Salardi, delle cui trascrizioni mi sono avvalso. Per alcuni cenni sull’influsso di Domenico Cavalca all’interno del mondo civico e confraternale si veda P. Renucci, La comparsa di una nuova cultura (secoli XIII-XIV), in R. Romano, C. Vivanti (a cura di), Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1974, 2**, pp. 11421210, in part. pp. 1202-1205. 53 Il testo, modulato su Colossesi 3,5 ss., è riportato nei manoscritti della confraternita (cfr. ACMO, SGM 1, cc. 27v-28r; ACMO, SGM 2, cc. 7r-v). 54 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, p. 125 (da cui è tratto anche il successivo brano di sant’Ambrogio dal De Elia et ieiunio). 51

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Le prime usanze del mondo cominciarono col digiuno, quando risplendette la luce. Il secondo giorno, quando fu fatto il firmamento, trascorse nel digiuno. Il terzo giorno la terra germinò i pascoli, la natura offrì il suo servizio, tuttavia la disciplina celeste mantenne il digiuno [...] Il sesto giorno furono create le bestie, e con le bestie ebbe origine la possibilità di mangiare e l’uso del cibo. E appena fu introdotto il cibo iniziò la fine del mondo.

In un carsismo consueto all’interno del mondo cristiano, riemergeva, tra le righe degli statuti, il mito del digiuno edenico come stato di grazia precedente la caduta (cioè l’infrazione del digiuno). Oltre a questo, si prescriveva di «fare» la penitenza «voluntiera perché questa vergogna portata voluntiera si fa aquistare vita eterna». Sopportare ed esporsi alla vergogna e al vituperio per guadagnare la vera gloria, quella dei cieli (un altro motivo per nulla nuovo nella spiritualità cristiana). I fratelli ne avrebbero promosso un’ulteriore applicazione, confortando i condannati e dicendo loro che, a imitazione del Redentore, non avrebbero dovuto curare l’ignominia di una morte sul patibolo, offrendola piuttosto alla misericordia divina. «Siate exortati fratelli a la faticha di questo sancto deçunio per memoria di la passione di Christo»: dall’unico modello discendevano le molteplici applicazioni che avrebbero guidato confortatori e confortati verso quello che era, o doveva essere, il medesimo orizzonte: «Hodie mecum eris in paradiso»55. Il buon (casto) cristiano Le confraternite, come noto, avevano avuto tra i loro obiettivi primari la formazione del laicato in senso ortodosso. Negli statuti rifluì di volta in volta «l’elenco degli obblighi devozionali richiesti ai soci» che, pur costituendo il quadro generale di riferimento, devono essere affiancati, come giustamente sostenuto da Giovanni Miccoli, da quei materiali (prediche, libri di pietà, confessionali, epistolari, ricordanze, ecc.) che consentono una valutazione più puntuale dell’effettiva penetrazione dei contenuti proposti56. Anche la compagnia della Morte aveva proceduto a indicare all’interno del proprio apparato statutario un insieme di capisaldi cui la formazione del fratello doveva attenersi. Il terzo capitolo stabiliva che ogni domenica o festa comandata i fratelli dovessero udire una messa e una predi-

Luca 23,43. Cfr. G. Miccoli, Gli ordini mendicanti e la vita religiosa dei laici, in R. Romano, C. Vivanti (a cura di), Dalla caduta cit., 2*, pp. 793-875 (in part. p. 836, qui cit.). 55 56

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ca per intero, mentre, durante i giorni lavorativi, si sarebbero dovuti recare a visitare la chiesa e, se possibile, attendere sino a veder «levare el Corpus Domini». Il consiglio di assistere all’elevazione dell’ostia consacrata (ma, se non era possibile, si poteva compensare con la recita di tre pater e ave) denunciava lo sviluppo e la diffusione nella confraternita di quel culto «autonomo» dell’eucarestia che in alcune regioni d’Europa aveva addirittura portato a ritenere la semplice contemplazione del pane benedetto come sostituto della comunione57. Gli statuti non si muovevano in questa direzione, ma di fatto suggerivano nel contatto quotidiano col sacramento una fonte di perfezione e progressione spirituale che conoscerà vigorose riprese soprattutto in età controriformistica58. Il buon cristiano oltre al culto avrebbe dovuto regolare anche (e forse soprattutto) i sensi. A chi non era sposato si comandava di «observare castità cum summa diligentia» per essere simile agli angeli. Una nutrita serie di autorità venivano chiamate in causa allo scopo, forse a opera di quella mano benedettina che, avvezza alle fonti patristiche, aveva ricorretto gli statuti nel 1482-83. Si evocava Girolamo per il quale «vivere in carne sença carne non è humano ma più tosto angelico»59 e, a celebrare la continenza, era designato Agostino: «O castità tu sei ornamento de li angeli, tu sei exaltamento de le vile persone, tu sei gentileça de li vilani, tu sei belleça in ogni cosa bruta e non pò essere cosa bruta dove se trova castità»60. «Per questa [castiÈ quanto rileva anche Ottavia Niccoli quando ricorda che «il momento dell’elevazione era [...] caricato di aspettative quasi magiche, in quanto si riteneva che il veder l’ostia costituisse un momento privilegiato della comunicazione con il divino». La studiosa riportava poi il lamento di Jean Gerson circa quei fedeli che, dopo essere usciti di chiesa durante la messa, «quando sentono la campanella che annuncia la consacrazione si ricacciano dentro come una mandria di bovi» (O. Niccoli, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa tra Quattro e Cinquecento, in N. Tranfaglia, M. Firpo (a cura di), La Storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea, Torino, UTET, 1986, IV/2, pp. 105-134, qui cit. la p. 117). 58 Oltre alla larga diffusione della Societates Corporis Christi nel secondo Cinquecento, si pensi all’insistenza sulla comunione frequente promossa dai Gesuiti e raccomandata dallo stesso Ignazio nei suoi Esercizi: «Si lodi – scriveva – la confessione fatta al sacerdote e il ricevere il santissimo sacramento una volta all’anno, ma molto più ogni mese e, molto meglio ogni otto giorni, se ci sono le condizioni richieste e dovute» (Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, a cura di P. Schiavone, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1998, p. 249 [n. 354]). 59 Cfr. Girolamo?, Epistola IX. Ad Paulam et Eustochium. De assumptione beatae Mariae Virginis: «Profecto in carne, praeter carnem vivere, non terrena vita est, sed coelestis. Unde in carne angelicam vitam acquirere, majus est meritum, quam habere» (J.P. Migne, Patrologiae Cursus Completus [...] Series Latina, Parigi, Garnier, 1844-1904 (d’ora in poi PL), 30, 130-131). 60 Cfr. De duodecim abusionibus saeculi: «Pudicitia ornamentum nobilium est, exaltatio humilium, nobilitas ignobilium, pulchritudo debilium, prosperitas laborantium, solamen moerentium, augmentum omnis pulchritudinis, decus religionis, defensio criminum, multiplicatio meritorum, creatoris omnium Dei amicitia» (PL, 4, 953). 57

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tà] – si concludeva – si comincia vita angelica, vivere in carne sença carne». La castità, celebrata come virtù delle virtù quasi offuscando gli altri contenuti del capitoletto, doveva essere vissuta nel corpo e nell’anima («pocho valerebe la castità corporale se non fusse acompagnata cum la castità mentale»)61. L’angelica condizione della continenza poteva essere derogata solo per i fratelli sposati, invitati tuttavia a usare «sanctamente et honestamente insieme [alla moglie] secondo l’ordine de la sancta madre chiesia»: il matrimonio, come ricordava san Bernardo, «rapresenta Idio e la Chiesia»62 e restava pur sempre «sacramento uno de li septi». Un altro punto fermo riguardava poi la confessione cui i fratelli erano tenuti ad accostarsi ogni ultimo giorno del mese ricorrendo al padre spirituale «lo quale ci consigli e confessi», perché, si diceva citando san Paolo e i Salmi63, «la confessione iustifica» (verbo che di lì a poco avrebbe incendiato la cristianità). La lista di rimandi patristici proseguiva con l’invito di Ambrogio a non allontanarsi dalla penitenza per vergogna: «Colui che li soi peccati non vole confessare non è degno de esser iustificato», e ancora: «Penitentia vera est peccata preterita plangere et iterum non recomittere»64. Se però ci si doveva confessare ogni mese, un’asimmetria piuttosto diffusa65 prevedeva «di comunicarsi almeno cinque volte l’anno», nelle ricorrenze di natale, pasqua, pentecoste, assunzione della Vergine e ognissanti. All’eucarestia, si ammoniva, bisognava accostarsi con «timore e riverentia» memori delle parole dell’Apostolo e dello stesso vangelo66. Il richiamo giovanneo al «sangue» che dà la vita eterna, riportava a una devozione diffusa

61 Ovviamente nell’affermazione si può scorgere una reminescenza indiretta di Matteo 5,27-28. 62 Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones in cantica canticorum (PL 183,785-1198). 63 Gli statuti citavano, in modo non del tutto appropriato, Romani 10,10 («Ore autem confessio fit in salutem») e Salmi 32(31),5 («Dixi: Confitebor adversum me iniquitatem meam Domino. Et tu remisisti impietatem peccati mei»). 64 Cfr. Ambrogio, Sermo XXV. De sancta Quadragesima IX: «Quare erubescit peccator manifestare peccata sua? [...] Confessio a morte animam liberat, confessio paradisum aperit, confessio spem salvandi tribuit. Unde Scriptura dicit: ‘Dic tu iniquitates tuas primus, ut justificeris (Isa. XLIII,26)’. Hic iis verbis ostenditur quia non meretur justificari, quia in vita sua peccata non vult confiteri [...] Poenitentia est mala et praeterita plangere, et plangenda iterum non committere» (PL, 17, 676-677). 65 Roberto Rusconi sottolineava «l’insistenza delle prescrizioni statutarie sul sacramento della penitenza, piuttosto che su quello dell’eucaristia», connettendola ai ritmi che scandivano la vita confraternale coagulata attorno ai primi mesi dell’anno, cioè nel periodo quaresimale (cfr. R. Rusconi, Confraternite cit., pp. 475-476). 66 Il rimando del testo è a 1Corinzi 11,27-29 e Giovanni 6,54.

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all’interno delle compagnie di giustizia, sebbene nel caso modenese non paia oltremodo accentuata67. Il terzo capitolo si concludeva con diversi divieti e norme di condotta, relativamente consueti all’interno del panorama confraternale: i compagni erano tenuti a esercitare «arte licita e honesta» senza mercanteggiare nei giorni di festa, non dovevano essere o avere familiari addetti alla gabella né dilettarsi nel gioco o frequentare taverne, rifuggendo il lusso nel vestire68. Le prescrizioni fissate, soprattutto quelle sulle professioni richieste ai membri, dovevano essere rispettate «ad litteram e sença chiose» perché nei «tempi moderni» alcuni esercizi non potevano che esser svolti con infamia. Governo e disciplina Dal capitolo successivo – il quarto – iniziava l’esplicazione di un’articolata serie di norme destinate a regolare la vita istituzionale della fraternità, a partire anzitutto dall’elezione dell’ordinario. Il priore doveva sollecitare «li sonnolenti e tardi al bene vivere», stimolare gli accidiosi, riprendere gli erranti come «driçatore de le anime». Durante l’elezione, il padre spirituale era investito di un ruolo di garanzia («volemo che si trovi lo padre spirituale presente a ciò che si cessi da ogni suspitione»): erano infatti vietati accordi o indebite pressioni e chi se ne fosse macchiato sarebbe stato sospeso dal diritto di voto e dichiarato ineleggibile per un anno. Vi erano quattro scrutini annuali, a natale, pasqua e nelle ricorrenze di san Pietro (29 giugno) e san Michele (29 settembre), ma i superiori uscenti erano invitati ad assistere e consigliare i nuovi eletti. La breve durata delle cariche, come è stato notato69, se offriva «opportunità sociali alternative ai membri della borghesia esclusi dall’esercizio del potere», era controbilanciata dalla conduzione in solido della fraternità da parte di vecchi e nuovi priori e dall’elaborato sistema di pesi e contrappesi (sottordinario, sagrestano e altri ufficiali) che vigilava sull’azione del priore. La procedura che portava all’elezione del superiore prevedeva una votazione in cui ogni fratello esprimeva per iscritto la propria preferenza e, in caso di parità Cfr. A. Prosperi, Il sangue cit., pp. 963-964. Sulla necessità di un abbigliamento sobrio, gli statuti si richiamavano a Gregorio Magno e ai passi di 1Pietro 3,3-6 e Luca 16,19. Il testo forse riecheggia le considerazioni svolte nell’Homilia VI in Evangelia: «Nemo ergo existimet in fluxu atque studio vestium peccatum deesse, quia si hoc culpa non esset, nullo modo Joannem Dominus de vestimenti sui asperitate laudasset. Si hoc culpa non esset, nequaquam Petrus apostolus per epistolam feminas a pretiosarum vestium appetitu compesceret , dicens: Non in veste pretiosa» (PL, 76,1097). 69 Cfr. C.F. Black, Le confraternite italiane cit., pp. 110-111 (la cit. che segue è alla p. 111). 67 68

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tra uno o più candidati, si passava a un’estrazione a sorte70. Una delle mansioni principali affidate al priore era la lettura domenicale di un capitolo degli statuti71, cui si affiancava l’ufficio presso la scuola confraternale che, se non rettamente adempiuto, poteva costare all’ordinario l’estromissione dalla carica. Dal consenso congiunto del vecchio e del nuovo priore riusciva poi l’elezione del sagrestano, figura centrale nel corretto svolgimento della vita liturgica dei fratelli. Non sorprende dopo quanto detto che proprio all’ufficio fosse dedicato uno dei capitoli più lunghi degli statuti. Ogni giorno festivo si prescriveva che i fratelli si recassero alla scuola: entrati in chiesa e recitati un pater e ave, avrebbero dovuto augurare la pace ai compagni, raccogliendosi in preghiera silenziosa. Giunti al numero di tre o quattro potevano radunarsi per una lettura devota (torna la menzione dello Specchio di Croce), ma, a un cenno del priore, avrebbe avuto inizio l’ufficio. La funzione si doveva concludere prima del «vespro ordinario de la chiesia» cui i fratelli erano tenuti a partecipare, per poi tornare, a sera, all’oratorio della compagnia per la recita dell’ufficio della Madonna. L’ordinario era tenuto «a dire tute le oracione del dicto officio, idest la oracione di sancto Çohanne Baptista, la oracione de sancto Geminiano e la oracione di sancto Benedicto, di sancto Michaele»72, concludendo il rituale secondo quanto riportato nei libri liturgici del sodalizio73. La confessione collettiva «de ogni malo exemplo [...] dato o facto contra li dicti modi» scandiva le ultime battute dell’assemblea, ma – si precisava – nessuno avrebbe dovuto «dire sua culpa de li falli occulti» riservati alla confessione privata col padre spirituale (e si noti, per inciso, la già consumata sovrapposizione tra padre spirituale e confessore). Per il giovedì e il venerdì santo era previsto «l’officio grande de la croce»74, mentre nelle feste principali (natività, circoncisione, epifania, pasqua, pentecoste, ascensione, assunzione, ognissanti, san Giovanni Battista, san Geminiano e negli altri giorni fissati per la comunione dei fratelli) si prescriveva «lo matutino di la madonna»75 da proseguirsi fino a nona e da concludersi «drè desinare»76. Preghiere e riti per l’elezione dell’ordinario sono riportati anche in ACMO, SGM 5, c. 12v. Ma sul ridimensionamento del ruolo da assegnare alla lettura degli statuti nella formazione del laicato ortodosso si vedano le note del già richiamato R. Rusconi, Confraternite cit., p. 476. 72 Per cui si vedano le considerazioni già svolte alla nota 33. 73 Cfr., in tutto o in parte, ACMO, SGM 1; ACMO, SGM 2; ACMO, SGM 5. 74 Cfr. ACMO, SGM 2, cc. 17v-19r. 75 Uffici e preghiere mariane sono reperibili per esempio in ACMO, SGM 1; ACMO, SGM 2, cc. 3r-7r; ACMO, SGM 5, cc. 1v-6r. 76 Questa presenza di un consolidato culto mariano si pone in continuità con i rilievi già mossi da Mario Fanti a proposito dell’esperienza bolognese (cfr. M. Fanti, La confraternita cit., p. 111) e desumibili dall’intitolazione di molte compagnie di giustizia alla Vergine (per cui cfr. di nuovo A. Prosperi (a cura di), Misericordie cit.). 70 71

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Fig. 3: Capitoli di San Giovanni Battista (ACMO, SGM 3)

Era lo stesso ordinario, poi, a dover indicare «lo venardì o altra volta [...] dove si predica cioè a dire al domo, a San Domenico o a Sancto Augustino», individuando buoni predicatori presso i quali tutti i fratelli erano tenuti a recarsi: al sagrestano era affidato l’incarico di essere «sollicito a vedere quelli che manchano» investigando i motivi dell’eventuale assenza. Rispetto ad analoghe prescrizioni «ad udire la predica», ampiamente presenti negli statuti confraternali dell’epoca, nei capitoli di San Giovanni si assiste a un’organizzazione più stringente della formazione dei confratelli diretta e verificata dall’ordinario. Anticipando quella politica di persuasione e costrizione di cui la cultura controriformistica si farà interprete, le norme del sodalizio non si accontentavano di esprimere un obbligo formale, ma entravano nel merito della prescrizione, dirigendo i fedeli verso contenuti ritenuti adeguati. La predicazione, che nel volgere di pochi anni balzerà sotto l’attento sguardo degli inquisitori per ben altre ragioni, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento (epoca di stesura degli statuti) esercitava, come ha scritto Susanna Peyronel, «un fascino singolare sia sui ceti popolari sia sulle classi più colte»77: il mondo confra77

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S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi cit., p. 51.

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ternale aveva «laicizzato» la pietà, ma era l’universo fratesco dei predicatori a incidere profondamente sull’ortodossia e la devozione cui si sarebbe dovuto attenere. L’esigenza di indicare con precisione il sermone cui accorrere non appare affatto eccessiva se solo la si trasporta dal 1482 a qualche decennio dopo, quando un Bartolomeo della Pergola o un Ochino potranno esporre al popolo riunito in cattedrale dottrine e concetti che contribuiranno a diffondere in città il seme del dissenso religioso78. Il capitolo si chiudeva con la descrizione delle modalità con cui l’ordinario doveva intervenire a correzione dei fratelli senza dire «parole aspre né vilanesche»: dopo aver richiamato i compagni negligenti all’obbedienza, minacciando se necessario l’espulsione79, sarebbe spettato al padre spirituale «sanare lo morbo de lo infermo fratello» in una quanto mai moderna divisione delle giurisdizioni. La condotta esterna era sanzionata dall’ordinario, quella interiore dal padre spirituale («l’ordinario si guardi de dare penitentia che s’apartengi al confessore», si ammoniva). Altrettanto significative sono le condizioni che potevano produrre un’estromissione dal sodalizio: non partecipare alle celebrazioni previste dagli statuti e lasciare «per dui mesi [...] la observatione di nostri modi e la confessione». Si riconfermava, cioè, la preminenza della pratica penitenziale, la cui omissione per un periodo superiore ai due mesi diveniva oggetto di severe contromisure. Se si pensa che il concilio di Trento, molto dopo i capitoli in esame, reitererà il decreto Omnis utriusque sexus80 (che prevedeva l’obbligo di confessarsi e comunicarsi annualmente presso il proprio parroco), è facile comprendere come i fratelli della Morte si spingessero ben al di là della semplice norma canonica, riconfermando la tendenza della cultura tardomedioevale a infrangere il monopolio ecclesiastico approfondendo e rielaborando i contenuti della fede e della devozione. L’ordinario aveva dunque una funzione molto importante. Tuttavia la preminenza nell’opera di formazione delle coscienze era accordata, lo si è accennato, al padre spirituale. Il sesto capitolo si dilungava nell’indicare le procedure

78 Si vedano in part. le considerazioni di C. Bianco, Bartolomeo della Pergola e la sua predicazione eterodossa a Modena nel 1544, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», 151 (1982), pp. 3-49. 79 Cfr. C.F. Black, Le confraternite italiane cit., pp. 118-119. 80 Cfr. G. Alberigo, P.P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi (a cura di), Conciliorum oecumenicorum decreta (d’ora in poi COeD), Basilea-Barcellona-Friburgo-Roma-Vienna, Herder, 1962, p. 221 (concilio Laterano IV) e p. 683 (concilio di Trento).

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di elezione del padre e gli obblighi di mantenimento che correvano per i fratelli. Poiché, si diceva, tutti peccano a causa della fragilità della carne81, ogni anno nel giorno di pentecoste era necessario andare «al abbate di Sancto Petro» chiedendogli di deputare il priore o un altro monaco come padre spirituale della compagnia82. La sua mansione principale consisteva nell’udire «ciascuno de la nostra scola in confessione nel ultimo di ciascuno mese» dandogli «debita e salutare penitentia»: venivano organizzati due turni per la penitenza, rispettivamente la penultima e ultima festa di ogni mese, secondo l’ispirazione di cui si è detto. Il padre, a cui si dovevano prestare «grande honore e reverentia», era indicato, con un appellativo già attribuito all’ordinario, come «driçatore» delle anime: a lui si doveva chiedere consiglio per le decisioni riguardanti la vita confraternale, rimettendosi al suo giudizio per qualunque «discrepantia» sorta tra i compagni. E per non cadere nell’ingratitudine che «desicha ogni bene» si stabiliva di fargli periodicamente elemosina, «però chi serve al altare di esso debe vivere»83.

Gli statuti rinviano a 1Giovanni 1,8. «Ricordiamo che il Padre spirituale della Compagnia della Buona Morte fu sempre un monaco benedettino di S. Pietro fino al 1660, anno nel quale, ‘per causa di dissapori futili cessò di esserlo’» (G. Soli, Chiese cit., p. 165; e rinvio a Lazzarelli alla nota 22). Tra le carte della confraternita si conservano alcuni documenti che mostrano inoltre contatti dei compagni con gli ambienti francescani a partire dagli anni Settanta del XVII secolo. Un fascicolo depositato presso l’Archivio Capitolare (ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «1675. La Compagnia di San Giovanni Battista della Morte di Modona viene aggregata alla fratellanza dell’ordine de zoccolanti di San Francesco») reca traccia di tale avvicinamento, sebbene si debba meglio appurarne la consistenza. Le carte in esame testimoniano la semplice aggregazione della confraternita della Morte alla società del Santo Sepolcro, costituita, su permesso di Clemente X, nella chiesa cittadina di Santa Margherita. Il rapporto coi francescani pare tuttavia proseguire, poiché il 25 maggio 1700 giunse la «figliolanza o sia agregazione concessa a confratelli della Morte di Modena dal generale de minori osservanti di San Francesco, rendendoli partecipi di tutti li premi spirituali del di lui ordine» (la citazione è tratta dall’intitolazione del fascicolo egualmente reperibile in ACMO, San Giovanni Battista, cc. non inventariate). 83 Il richiamo è a 1Corinzi 9,1-18 (in part. v. 13). 81

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Partiti, denari e funzionari: microcosmo di una società All’elemosina per l’oratorio della compagnia era dedicato il settimo capitolo degli statuti che, dopo essersi richiamato all’esempio offerto dal popolo d’Israele («li homini e le donne di mente devota voluntariamente offerirono doni»)84, riprendeva i proverbi veterotestamentari che celebravano l’efficacia spirituale di oboli e offerte («como l’aqua espeçe il foco così la elemosina extingue e smorça lo peccato»)85. Tutti i fratelli, a eccezione di quelli indigenti, erano tenuti a versare ogni domenica due denari per l’illuminazione del tabernacolo e, in caso di spese straordinarie, ci si appellava alla loro liberalità senza più precise indicazioni. Puntuali erano invece le prescrizioni per l’ammissione di nuovi membri: «amaestrati [...] dal glorioso apostolo sancto Iacobo», era necessario non credere «ad ogni spirito»86, sondando in profondità le intenzioni dei nuovi fratelli per non ricevere «lo lupo in scambio de lo agnello»87. Allo scopo uno dei membri anziani doveva affiancare il candidato, illustrargli i modi della compagnia e condurlo dal padre spirituale perché si confessasse. Dopo un’indagine sui costumi del nuovo aderente, l’ammissione sarebbe stata messa ai voti «per balote» tra tutti i confratelli, sino al solenne rito d’ingresso. Oltre alla scelta dei nuovi membri, era di vitale importanza nelle logiche statutarie il mantenimento del segreto. Citando i Soliloqui agostiniani si invitava a considerare «quanto sia periculoso il vento di la vanegloria spirituale» a causa del quale «molte stelle che havevano collocato lo suo nido nello numero de li angeli» erano «caduti nello profundo de lo abisso solamente per lo impeto de la coda cioè per la superbia»88. I fratelli della Morte, dunque, non lasciandosi ingannare dalla vanagloria erano tenuti a non «dire cosa ch se facia nella scola né nesuno nostro modo», ciò che avvicina l’organizzazione delle fratellanze a quella delle corporazioni di arti e mestieri (quando le due cose non coincidevano come accadeva in vari casi)89. Probabilmente si tratta di un riferimento a Esodo 35,22. Cfr. Siracide 3,29. 86 Gli statuti attribuiscono erroneamente a Giacomo l’ammonizione («Non vogliate credere a ogni spirito») riportata in 1Giovanni 4,1, cui allude anche la successiva trattazione del capitolo. 87 Reminescenza di Matteo 7,15. 88 Non mi è stato possibile identificare con precisione il passo cui rinviano gli statuti del quale, se ho ben visto, non si trova traccia nei Soliloqui. 89 «The similarity of the confraternity’s lay governor to a monastery’s abbot – scriveva Ronald Weissman – is a familiar topos in the literature of confraternities. Less has been made of the confraternity’s relationship to late medieval corporate culture. Certainly, several confra84 85

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Il rapporto con la morte – emblema dell’opera dei compagni – non era poi limitato ai soli giustiziati: come ovvio, all’interno di un’associazione confraternale, la morte e l’infermità da assistere erano anzitutto quelle degli altri soci. Ecco perché il nono capitolo introduceva una figura come quella degli «infermieri» destinata a sorvegliare gli appartenenti al sodalizio per segnalare all’ordinario quando qualcuno «fusse da Dio visitato per infirmità corporale»: la compagnia avrebbe dovuto provvedere ai bisogni del malato e gli infermieri – in carica per il trimestre dell’ordinariato – erano invitati a «visitare e confortare» i fratelli sofferenti. In caso fosse stata necessaria assistenza prolungata, i compagni si sarebbero dovuti alternare a due a due, eccetto il caso di «pestilentia» che, per comprensibili motivi, esentava i fratelli dalle prescrizioni statutarie. Quando invece un membro moriva era previsto che i compagni della Morte, vestititi in cappa, lo accompagnassero alla sepoltura e per trenta giorni recitassero tre pater e ave in suo suffragio. «Inance lo suo septimo» sarebbe poi stato recitato l’ufficio dei morti, normalmente celebrato ogni domenica per i compagni defunti e «tute le anime del purgatorio». Seguivano alcuni rapidi cenni alle mansioni di assistenza ai condannati (su queste si tornerà più sotto) e alla sepoltura degli indigenti che concludevano un percorso accomunato dall’ideale incedere delle nere cappe dei soci. Alla concordia interna erano rivolte le norme del decimo capitolo, costruito a partire da una fitta trama di allusioni e citazioni bibliche90 e da un’irenica cosmologia («il padre celestiale ha ordinato li pianeti, il sole e la luna e le stelle e le altre cose belle che sono a noi visibile che tute fusseno insieme abraciate e colligate cum ligame di pace») risolta in un inno alla pace («O pace gloriosa li re sença te non regnano, sença te diçunii, oratione, elemosine et altre beni spirituali non valeno»). «Pace con tutti e odio ai vizi di tutti» era il motto degli statuti. E per adempiere al comandamento dell’amore91, venivano prescritti rituali in cui trasfigurare liturgicamente la fratellanza tra i compagni, dagli abbracci della festa di san Giovanni Battista, alla «collatione» di «fructe e vino» del giovedì ternity offices – governor, master of novices, and those responsible for the maintenance of the cult – were modeled on monastic organization. Nevertheless, the confraternity, particulary in Italy, took on an organizational form similar to secular corporate organizations, those of guild and commune. Among the similarities to secular corporations were the rapid rotation of offices, and electoral practises including squittino and imborsazione» (R.F.E. Weissman, From brotherhood to congregation: confraternal ritual between Renaissance and Catholic Reformation, in J. Chiffoleau, L. Martines, A. Paravicini Bagliani, Riti e rituale nella società medievale, Spoleto, Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1994, pp. 77-94; qui cit. la p. 79). 90 L’avvio del capitolo richiama le intestazioni delle lettere paoline e i passi di Matteo 5,9 e Giovanni 14,27. Sui rituali di pace promossi dalle confraternite si veda il recente contributo di O. Niccoli, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari, Laterza, 2007. 91 Il testo cita Giovanni 15,12 e 13,35.

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santo. Quando i fratelli s’incontravano era altresì stabilito che si facessero «reverentia» «in signo d’amore e di pace» per giungere a costruire un solido edificio spirituale92 e adempiere «la leçe di Christo»93, evitando di scambiarsi «parole trufatorie e bufonesche» per non dare scandalo. Una grandiosa visione della maestà divina apriva l’undicesimo capitolo, quasi a voler fornire materia per le norme successive: si prescriveva infatti che «ciascuno de la nostra scola ogni festa comandata debia almancho stare una hora a la oratione più tosto mentale che vocale», supplendo, qualora non fosse riuscito nella meditazione, con la lettura di «qualche hiistoria de sancti». La preghiera con la quale «qui querit invenit»94 era lodata e celebrata come mezzo di progresso spirituale: per questo i fratelli avrebbero dovuto recitare ogni giorno «el miserere, la confessione e el credo picolo» che erano chiamati a conoscere a memoria. Se i capitoli entravano nella quotidianità, l’ordinario era d’altra parte tenuto a vigilare sulla condotta dei fratelli sottoponendoli ogni mese a verifica, soprattutto per quanto concerneva l’obbligo di confessarsi sulla cui importanza abbiamo già insistito. Con piglio fisiologico, il dodicesimo capitolo muoveva dalla «humana natura [che] è molto apta ad intepidire e doventare freda»: il priore ne avrebbe dovuto contrastare gli effetti negativi richiamando i compagni all’osservanza delle prescrizioni statutarie poiché, si affermava, l’obbedienza era virtù cara «al nostro amantissimo Signore»95. Era stato Cristo, offrendo un modello sublime che i fratelli potevano indicare ai condannati, a morire per obbedienza al Padre «di morte turpissima e vilana [...] cum vituperosissimi opprobrii». La vita dei soci doveva essere dunque obbediente e retta, sulla scorta di una lunga serie di consigli morali e comportamentali che è possibile ritrovare anche in altre raccolte statutarie del periodo: si comandava ai fratelli di non giurare o mentire, di vivere in pace senza bestemmiare, non mormorare o calunniare il prossimo e fuggire le «domestecheçe de femine» (motivo per cui si stabiliva che «nesuna femina né puti de sedeci anni in giù non possi intrare de la giesia»)96. Dio avrebbe chiesto conto del tempo nel giorno del giudizio: «adunque – si esortava – operamelo bene» dormendo otto ore al giorno, indossando sempre la camicia, non toccandosi né volendosi vedere nudi, trascorrendo quanto rimaneva rifuggendo le tentazioni della carne tra «lacrime e sospiri de li nostri Reminescenza di Salmi 127(126),1. Il rinvio degli statuti è a Romani 13,10. 94 Gli statuti citano per esteso Matteo 7,7-8 e paralleli. 95 Il testo cita Luca 22,42 ss. 96 Sull’insistenza dei temi del «fugire» e «astenersi» negli statuti confraternali modenesi, si vedano le considerazioni di S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi cit., pp. 46-47. 92 93

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peccati». Prima e dopo i pasti bisognava ringraziare Dio con la recita del pater e, per evitare di cedere alle lusinghe diaboliche assecondando discordie e rivalità, una volta all’anno, nel periodo di pentecoste, il padre spirituale o, in sua assenza, l’ordinario avrebbe dovuto svolgere lo scrutinio di tutti i soci, dei quali si sarebbero dichiarati i difetti provvedendo a un’ammonizione pubblica. Le ultime battute degli statuti erano poi dedicate a sindici e massaro pecuniario, di cui si stabilivano compiti e mansioni. I funzionari erano eletti dai soci attraverso un complesso meccanismo di votazioni e sorteggi che, per il massaro, prendeva avvio dall’indicazione di una rosa di otto o dieci nomi scelti da ordinario e sottordinario col consiglio del padre spirituale. I candidati dovevano essere «litterati» e saper «fare rasone», oltre a possedere un patrimonio proprio. Il massaro avrebbe potuto gestire le entrate solo per il salario del cappellano e le «spese de iusticiati», mentre per tutto il resto (elemosine, riparazioni, ecc.) avrebbe dovuto consultare l’ordinario e i sindici. Venivano stabiliti tetti di spesa e limiti di durata per i contratti di locazione, nei quali i fratelli potevano esercitare una prelazione rispetto agli esterni (per questo di ogni affitto si era tenuti a dare notizia in assemblea). I libri contabili accuratamente compilati dovevano restare nella sagrestia dell’ospedale senza esserne mai asportati e, a fine gestione, il bilancio (il «saldo») doveva essere sottoscritto da ordinario, sottordinario e sindici (o almeno tre di loro). Vi era un guardiano addetto alla cura dell’ospedale, incaricato di provvedere alle «cose che sono a servitio de poveri» (per esempio doveva verificare lo stato dei letti), mentre sindici e massaro erano tenuti a nominare un ispettore che andasse «ogni anno a vedere li beni immobili» concessi in locazione per verificare che non fossero «usurpati e guasti»97. Il massaro era invitato a destinare una parte delle spese annuali per l’acquisto di almeno un paio di lenzuola e ogni tre anni, se necessario, di una coperta da letto98. Tra gli obblighi contabili del massaro, infine, vi era anche la tenuta di una vacchetta per l’annotazione delle offerte domenicali dei fratelli necessarie alla luminaria della Morte99. Qui il manoscritto degli statuti si interrompe per la caduta di alcune carte, anche se il testo sopravvissuto copre la maggior parte di quello originario100. 97 Per le vicende relative all’ospedale della Morte che dal 1541 fu accorpato alla Santa Unione si vedano le note di G. Soli, Chiese cit., II, pp. 157-159, 162 e S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi cit., pp. 147-161. 98 Ricorrendo di nuovo ai registri di spesa, si vedano per esempio le note dell’autunno 1466 in cui sono riportati frequenti acquisti di lenzuola («Item spexe adì dicto per fare biancho parado de linzolli», e simili; ACMO, SGM 8, c. 22v). 99 Cfr. p. 35. 100 Lo si segnalava già in Inventario dei manoscritti cit., p. 41. Il codice risulta composto da un quaternione contenente la matricola dei confratelli, due quinioni completi e un quinione

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Fig. 4: Martirio di San Giovanni Battista (ACMO, SGM 3)

A conclusione di questa scorsa sulle norme che regolavano la vita della compagnia della Morte, resta però da valutare con maggiore attenzione quanto si è accennato in precedenza a proposito della mano benedettina che, tra il ’52 e l’82, intervenne a revisionare i testi statutari: diverse sono infatti le tracce che questo passaggio ha lasciato e su cui, in un percorso a ritroso, dovremo fermarci. L’animo del monaco, il corpo del laico Per ricostruire il possibile iter redazionale dei capitoli del 1482, conviene esplicitare i pochi dati a nostra disposizione. Il primo elemento da cui prendere mutilo, da cui sono state asportate le ultime 4 cc. delle quali restano i lacerti. Nella terza delle cc. tagliate sono ancora visibili i «signa crucis» che corredavano una matricola di confratelli, mentre al termine dei capitoli, in una delle prime due cc. asportate, si trovava facilmente l’approvazione del vicario diocesano cui si fa riferimento nel prologo («questi novi capituli [...] signati e confirmati de la reverentia de lo vicario del vescovo di Modena, como di sotto apparirà»). Si può perciò congetturare che al testo statutario manchi una porzione relativamente contenuta.

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le mosse è l’assenza, allo stato attuale della ricerca, di testi o sopravvivenze delle norme statutarie trecentesche o medioquattrocentesche. L’unica stesura di cui si è in possesso resta quella conclusiva. Tuttavia è proprio dall’osservazione di quest’ultima che può giungere una spiegazione sull’inesistenza e le vicissitudini vissute dagli statuti del ’52. Dalla lettura delle norme confraternali descritte nelle pagine precedenti si ricava infatti l’impressione di un testo a doppia stratificazione, quasi interpolato, in cui su un ipotetico originale una mano diversa, certamente più dotta e teologicamente ben formata, sarebbe intervenuta a implementare e arricchire il più scarno dettato primitivo. Che questa possibilità non sia da scartare, è suggerito dalle stesse indicazioni dei fratelli di San Giovanni che – lo si è detto – desideravano «una forma la quale fusse fundata, integra di molto excellenti, confirmati per lo testo de la sancta scriptura, loldati per la doctrina de li sancti doctori et exercitati per la vita di molti antichi sancti padri». Se poi la «forma» di cui qui si parla è quella di vita, non si può non leggere tra le righe la necessità dei compagni di dotarsi di statuti confermati e rafforzati dalla presenza di salde fondamenta patristiche e scritturali, evidentemente non presenti o forse poco esplicitate negli statuti del ’52. Di qui l’esigenza, in un momento di particolare fioritura economica e culturale della fraternità, di dotarsi di nuovi e più raffinati capitoli, per la cui redazione fu ingaggiato il priore di San Pietro affinché con piena libertà «recorregesse e restringesse, mollificando o açunçendo a li sopradicti modi tuto quello che li paresse besogno nel moderno vivere» o, aggiungiamo noi, nel moderno gusto. Sono pertanto gli stessi fratelli, nel compendiare la loro storia, a suggerire la principale ipotesi su cui indagare: una mano benedettina passò in rassegna il testo di metà Quattrocento conferendogli carne e colore e lasciando impronte talora inconfondibili. Portiamo solo un esempio comparativo. Se si osserva la citazione biblica, consueta peraltro negli schemi statutari di altre confraternite101, posta ad apertura del primo capitolo si nota una perfetta integrazione del rimando neotestamentario col senso e l’andamento del testo: Dolci fratelli mei nel principio di questo picolo volumeto molto ci siamo mostrati promti e desiderosi di volere amare e servire a Dio e lo sancto e bono maistro Iesu 101 Lo stesso incipit è posto ad apertura del primo capitolo degli statuti di Sant’Erasmo: «Dolci fratelli – si legge – nel principio di questo picciolo volumetto, molto ci siamo pronti et desiderosi di volere amare et servire a Dio e lo santo e buono maestro ne insegna in che modo il dobbiamo amare et servire e dice così: Colui il quale ama me osserva li miei commandamenti» (ACMO, SE 4, c. 2r). La coincidenza è una delle molte prove, in attesa di una verifica sistematica, della circolazione di testi e brogliacci statutari condivisi tra le varie compagnie modenesi, secondo un andamento ampiamente testimoniato anche altrove.

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ce insegna in che modo lo dobiamo amare e servirlo e dice così: Colui el quale ama me observa li mei comandamenti. Et in altro loco disse: Si vis ad vitam ingredi serva mandata. Adunque noi per più effectualmente amarlo e servirlo ordinamo che ciascuno de la nostra scola principalmente debba savere et obbedire li .x. comandamenti […]

Il capitolo non presenta cesure o infiorettature, includendo al suo interno una citazione in linea col significato delle prescrizioni successive: chi osserva i comandamenti di Cristo giungerà alla vita eterna102 e per questo i confratelli sono chiamati a conoscere e rispettare i dieci comandamenti, le opere di misericordia e quant’altro indicato. Inutile poi sottolineare che il carattere pragmatico del «fare il bene» veicolato dai precetti biblici ed ecclesiastici ben si attagliava a un pubblico laico come quello cui gli statuti erano diretti, considerazione – vedremo – più difficile da sostenere per altri passaggi dei capitoli confraternali103. Assai diversa è la costruzione del terzo capitolo, in cui si può individuare una lunga inserzione – qui indicata da segni diacritici (õ...Õ) – operata probabilmente dalla revisione benedettina degli anni Ottanta. Anchora debia ciascuna de la nostra scola oldire ogni domenica e festa comandata una messa almancho et una predica intiera. Anchora sia obligato ciascuno de nostri fratelli ogni dì de lavoro a visitare la chiesia e potendo comodamente vedano levare el Corpus Domini e non potendo dicano tre pater noster e tre ave maria, pregando Dio che quello dì li dia gratia di spenderlo in suo honore e sustentamento de le sue necessitade. Anchora sia tenuto et obligato ciascuno di noi chi non ha dona de observare castità õ cum summa diligentia inperò che se noi permanemo in essa già non seremo più equali a li homini ma simili a li angeli di Dio, como dice sancto Hieronymo: «Vivere in carne sença carne non è humano ma più tosto angelico». Oldi uno pocho la sua excellentia, o caro fratello, la quale narra el venerabile doctore meser sancto Augustino in uno suo sermone dicendo: «O castità, tu sei ornamento de li angeli, tu sei exaltamento de le vile persone, tu sei gentileça de li vilani, tu sei belleça in ogni cosa bruta, e non pò essere cosa bruta dove se trova castità. Tu sei consolatione in ogni lamento, per te crescano le virtude, amica di Dio, cognata de li angeli e de li boni alegreça e consolatione. Questa cari fratelli honora lo corpo, ralegra l’anima.

Matteo 19,17. Senza cadere, come raccomandava Rusconi, nell’erronea contrapposizione tra «le istituzioni del clero secolare e del clero regolare e un mondo confraternale caratterizzato da un’ampia ‘laicità’» (e quindi tra due ipotetiche e divergenti spiritualità), resta evidente che l’obiettivo primario delle fratellanze fu un «inquadramento religioso del laicato» che non poteva prescindere dalle dinamiche e dagli orizzonti in cui esso viveva (R. Rusconi, Confraternite cit., pp. 471-473, passim). 102 103

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Per questa si mantene amistà con Dio e con gli angeli, per questa si comincia vita angelica, vivere in carne sença carne. Ora non vi pare chari fratelli che questa virtù sia sommamente d’amare e con ogni sollicitudine da acquistare e mantenere considerata la sua excellentia e nobilità, non solamente quanto a lo corpo ma quanto a la mente, che pocho valerebe la castità corporale se non fusse acompagnata cum la castità mentale? Sia a noi cari fratelli questa virtude sempre in nostra compagnia et ogni nostro reposo et consolatione. Non temeremo, chari fratelli, habiando questa virtù, esser da Dio iudicati, ma aspectemo più Õ tosto esser da lui coronati e da li sancti angeli sempre acompagnati . E tuti quelli che hano donna usino sanctamente et honestamente inseme secundo l’ordine de la sancta madre chiesia però che è sacramento uno de li septi e rapresenta Idio e la chiesia, come dice sancto Bernardo sopra la cantica. Anchora siano tenuti tuti li fratelli a confessarsi una volta nel ultimo di ciascuno mese et havere uno padre spirituale lo quale ci consigli e confessi […]

Il testo, ritmato dagli «anchora» che enumerano le diverse disposizioni, mostra una lunga digressione sul valore della castità dal sapore fortemente monastico, non particolarmente adatto a una spiritualità laicale. Per i fratelli di San Giovanni provenienti dal vivace mondo produttivo della Modena quattrocentesca sarebbe stato facile e comprensibile recarsi alla predica ogni festa comandata, visitare quotidianamente una chiesa per consacrare le fatiche del giorno alla gloria di Dio (ma anche a «sustentamento de le sue necessitade») e osservare la continenza in vista di nozze che spesso suggellavano alleanze sociali ed economiche. Ma giungere a preferire una condizione di castità rispetto al più consueto percorso di matrimonio e procreazione era un’eventualità in buona parte lontana dal dinamismo della borghesia devota cittadina. Il fatto poi che per descrivere la sacralità dell’unione coniugale si ricorresse al magistero di san Bernardo e al suo commento al Cantico piuttosto che al tradizionale epistolario paolino104, palesava una scelta maturata entro un orizzonte monastico che, nel caso specifico, si appoggiava a un’esegesi fortemente allegorizzante ricca di accenti misticheggianti105. Al di là di questo o quel passaggio imputabile alla «mano benedettina», è l’intera spiritualità del testo a denunciare una revisione attuata all’ombra del Cfr. Efesini 5,32. Si vedano le osservazioni reperibili in Bernard de Clairvaux, Sermons sur le Cantique, Parigi, Les Editions du Cerf, 1998, pp. 21-38, in part. pp. 29-35. «Les sermons sur le Cantique – si legge – dépassent plusieurs fois le sens moral pour atteindre le sens spirituel ou mystique» (p. 33). Cfr. anche l’introduzione di Jean Leclercq in Sermoni sul Cantico dei Cantici. Parte prima, Milano, Scriptorium Claravallense, Fondazione di studi cistercensi, 2006, pp. 11-25. 104 105

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chiostro (non meno che della sua biblioteca)106. Forte, come si è detto, è il richiamo alla castità, tanto che il Battista è presentato nel prologo come il «glorioso martire verçene e precursore»; i compagni sono invitati a non intrattenersi con donne o giovinetti «de sedeci anni in giù», evitando in ogni modo che essi accedano ai locali della confraternita; il matrimonio è descritto secondo il tradizionale stereotipo del «remedium concupiscentiae»107 e non mancano abbondanti e ben orientate citazioni patristiche a lode della verginità. Ben inteso, il richiamo alla continenza non era esclusivo appannaggio di monaci e religiosi: tuttavia non si può non rilevare l’impronta di una cultura che in vari passaggi mostra la sua distanza dalle dinamiche che quotidianamente coinvolgevano la vita dei confratelli. Una puntuale analisi filologica resta da fare, ma, per gli scopi che ci si propone, le poche note qui prodotte possono considerarsi sufficienti. In linea teorica, procedendo all’individuazione delle inserzioni e revisioni benedettine dell’82 si potrebbe tentare una restituzione del testo statutario precedente, anche se resterebbe comunque difficile, se non per via di congetture, rimediare alle correzioni operate dal priore di San Pietro. «Capestro et mezanina» «Confortare in quella nocte»: a dispetto del peso accordatole negli statuti, era questa la mansione principale cui i fratelli di San Giovanni si sarebbero dovuti dedicare. Poche note, relegate al capitolo nove, prescrivevano l’elezione di quattro fratelli «più acti a confortare» per provvedere all’assistenza dei condannati «nelle force dil comune di Modena». Il rituale descritto era semplice: due coppie di confortatori si sarebbero alternate, la prima curando il reo sino a mezzanotte, la seconda dalla mezzanotte in poi; il mattino dell’esecuzione, tutti i compagni «vestiti cum la cappa de la morte» lo avrebbero accompagnato al patibolo e, dopo l’esecuzione, ne avrebbero seppellito il corpo

Come scrivevano Vecchio e Casagrande, «i casti godono da sempre di una posizione considerata superiore a quella dei coniugati: più liberi, almeno in linea di principio, dal dominio della concupiscenza, possono infatti, più di quanto sia possibile ai coniugati, cercare di recuperare la perfezione originaria [...] e addirittura aspirare a una condizione analoga a quella degli angeli. I primi a percorrere senza esitazioni la strada della castità furono, come abbiamo visto, i monaci» (C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi cit., p. 169, ma si vedano anche le pp. ss. per la distinzione tra la castità del monaco e quella del chierico). 107 Cfr. 1Corinzi 7,9. 106

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condotto processionalmente al luogo deputato (per lungo tempo presso il monastero di San Domenico108). La scarna descrizione tardoquattrocentesca, lo vedremo, nascondeva una realtà ben più articolata, fatta di astuzie, persuasioni e codificati riti sociali. Ma per trovare traccia di tale attività all’interno del ricco archivio della compagnia, non è ai fondi capitolari109 né ai pochi lacerti confluiti presso l’Archivio di Stato110 che bisogna guardare: è piuttosto tra le carte dell’Archivio storico del Comune di Modena che si è fortunatamente conservata quella «Vachetta per li giustiziati» cui i fratelli della Morte affidarono memoria scritta dei loro uffici111. La presenza del manoscritto – rara avis – tra le serie comunali, riprova una volta di più il peculiare legame che intercorreva tra la confraternita e le magistrature cittadine, dovuto non solo a quella legittimazione del potere che l’azione dei confortatori aveva assunto, ma anche alla contiguità fisica dei luoghi in cui i due istituti svolgevano la loro attività. Se infatti l’oratorio della Morte era prossimo alla piazza cittadina112 (con tutti i valori su cui già Albano Biondi si è pronunciato chiara108 Cfr. per es. Vachetta, pp. 23-24 («Lodovico Marchesi [...] sepellito nel cemiterio di San Domenico»; Giacomo Gobbi e Pietro Mauro «furono sepelliti nel cemiterio di San Domenico»). La notizia è reperibile anche in G. Soli, Chiese cit., I, p. 370 e II, p. 163, che riferisce di una controversia tra i frati e i fratelli di San Giovanni. Inizialmente i compagni tentarono addirittura di adibire un cimitero nella pubblica piazza, ma nel 1526 fu lo stesso Comune a intervenire con una proibizione formale (cfr. G. Soli, Chiese cit., II, p. 161). Per le vicende legate alla sepoltura dei giustiziati cfr. anche Memorie del Pio Istituto cit., pp. 126-131 e il documento del 1527 riportato alle pp. 204-209. 109 Un’inventariazione completa dei registri della confraternita depositati presso l’Archivio del Capitolo modenese è riportata in Inventario dei manoscritti cit., pp. 40-53. 110 Si tratta delle bb. 1268-1269 del fondo Soppressioni (Confraternita di S. Giovanni Battista detta della Morte). La prima contiene diversi rogiti dal 1723-1797 (perlopiù affitti e livelli) e carteggi amministrativi con inventari allegati, mentre al n. 1269 corrisponde un libro mastro del triennio 1795-1797. 111 Per la descrizione e la schedatura analitica del manoscritto (Vachetta), cfr. Appendice. Una breve nota archivistica è riportata in G. Lucchi, «Camera segreta». Codici statutari, registri ed atti costitutivi della Comunità e delle arti. Inventario, Modena, Ed. cooperativa tipografi, 1963, p. 25, n. 8. Si tenga presente che, almeno per il periodo tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo, alcune note sui vari giustiziati possono essere ricercate nelle polizze di morte indirizzate ai compagni, registrate in ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Repertorio delle polize dei giustiziati» (e docc. allegati). 112 Cfr. G. Soli, Chiese cit., II, pp. 158-159, oltre a un rapido cenno in A. Venturi, L’Oratorio dell’Ospedale della Morte. Contributo alla storia artistica modenese, in «Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi», III, III (1885), pp. 245-277, in part. p. 246. I confini dell’ospedale della Morte sono descritti anche in una carta (c. 1r) del codice ACMO, SGM 1, dove si legge: «Ipsum hospitale mortis positum in civitate Mutine intra confinibus platee cui confinat a latere mane via communis qua itur in platea, de super via communis, a sero iura illustrissimi domini nostri marchionis Estensis».

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mente113), nondimeno all’interno dello stesso palazzo comunale vi era una cappella – quella di San Nicolò – che, tra alterne vicende, venne destinata al conforto dei condannati114. Dalla metà del Cinquecento «non più l’Oratorio della Compagnia serviva per Conforteria, od almeno per le pratiche di devozione dei prigionieri, al quale scopo si voleva appunto adibire la cappella»115. I consueti registri dei condannati – nel nostro caso una sola vacchetta – terminarono la loro vicenda archivistica al di fuori delle carte confraternali forse proprio in virtù di questa vicinanza fisica tra compagnia della Morte e magistrature civiche116. La messe di dati che si può trarre dalle poche carte del registro in questione conduce poi, quasi fatalmente, all’analisi della situazione sociale che caratterizzò la città e il suo contado tra Cinque e Ottocento: se non sempre le note riportate riguardano puntualmente la compagnia e il suo operato, consentono tuttavia di descrivere il contesto in cui essa si trovò a operare117. Non pare dunque superfluo soffermarsi sulle vicende umane e collettive descritte dalle sobrie note accuratamente appuntate dai fratelli della Morte. I metodi riservati all’esecuzione delle sentenze capitali andavano dall’impiccagione – prevalente nell’arco cronologico coperto dalla vacchetta (15931826) –, alla decapitazione, strangolamento, fucilazione (con moschetto), all’uso di mazzuola o tanaglie, preceduti o seguiti da mutilazioni simboliche, spesso quelle della mano, o squartamento del cadavere118. Le varie modalità di condan113 Cfr. A. Biondi, Tra Duomo e Palazzo: la Piazza, in Lanfranco e Wiligelmo. Il Duomo di Modena, Modena, Panini, 1984, pp. 573-576. 114 «Era, sopra tutto, della più evidente necessità, che nel Palazzo del Comune vi fosse una certa e determinata Cappella per la Conforteria colle convenienti adjacenze, della quale, in occasione di Giustizie, potesse la Confraternita nostra disporre liberamente per l’amministrazione dei Sacramenti, e per tutte le altre Funzioni di soccorso e di ajuto spirituale ai poveri Condannati [...] Fu allora attribuito alla Confraternita l’uso, la custodia, e la cura della Cappella destinata per la Conforteria nel Palazzo del Comune di Modena sotto il Titolo del glorioso S. Niccolò Vescovo di Mira» (Memorie del Pio Istituto cit., pp. 67-69). Cfr. G. Martinelli Braglia, La Cappella di S. Nicolò e la Conforteria, in G. Guandalini (a cura di), Il Palazzo Comunale di Modena. Le sedi, le città, il contado, Modena, Panini, 1985, p. 66. 115 G. Soli, Chiese cit., III, pp. 37-43 (qui cit. la p. 38). 116 La vacchetta, segnata col numero 33, era ancora nella cassetta dei privilegi dell’archivio confraternale, intorno al 1760-1780, epoca cui risale la redazione dell’«Inventario di diversi privileggi e grazie [...]» (ACMO, San Giovanni Battista, cc. non inventariate), ove si indicava: «Vacchetta in cui sono descritti li nomi e cognomi de giustiziati». 117 Un primo lavoro sulla vacchetta in esame e sui dati da essa desumibili è stato svolto nella tesi di laurea di A. Busi, Giustizia penale e condanne a morte a Modena nel secolo XVII, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Giurisprudenza, a.a. 2000-2001, relatore: A. Padovani. Ringrazio Giuseppe Bertoni per la segnalazione durante il lavoro di ricerca. 118 Giacinto Manara così compendiava la questione: «In questi tempi [...] sono solamente in uso appresso li Christiani le seguenti [pene] [...] La prima è quella del fuoco; che però di

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na che prendevano corpo sul macabro palco della forca potevano essere tra loro variamente associate: se, per esempio, Benedetto Casino era stato semplicemente «impicato [...] per ladro et monatario»119, ben più articolato fu il trattamento riservato, il 21 dicembre 1615, a Battista Colevati «impicato, tanagliato et squartato per assassino»120 o a suo fratello «qual, nel trarlo giù, il capestro se gli tolse dal collo e cascò in Piazza, e non essendo morto il popolo cominciò a gridare: ‘Grazia! Grazia!’ assai volte, ma da sbirri di nuovo fu condotto su la forca, sendo in sentimento, però aveva rotto una coscia, v’era saltato via li denti dalla parte destra e roinato una tempia con fare resistenza; lo gittò giù di nuovo»121. Per così dire, ucciso due volte. Nella triste combinatoria del patibolo sovente ci si spinse anche oltre, come quando – ormai agli sgoccioli dell’età moderna – Domenico Antonio Poggioli122 (sulla sua esecuzione si tornerà) fu tanagliato, mutilato, mazzuolato, scannato e squartato, secondo una sorta di rituale dove punizione esemplare, furor di popolo e messinscena orrorosa si fusero in uno spettacolo che vide la piazza cittadina più che mai accalcata123. raro s’usa, e per la compassione, che hanno i Christiani a delinquenti, non s’abbrucia mai alcuno, se non morto prima, con essere strangolato. La seconda è la pena del laccio, o sia forca [...] La terza è la pena del taglio, o sia con ceppo, o spada. In alcuni casi de delitti qualificati, o che li Giudici recedono da queste, ordinandone altre più esquisite e più esemplari, e più durevoli; overo servendosi dell’istesse con aggiungervi qualche circonstanza o di tormento o d’ignominia. Alcuni prima d’essere impiccati, sono posti sopra un carretto o una crate di vimini, & sono tirati per qualche spatio nelle publiche strade [...] Ad alcuni altri, oltre il detto tormento, è ancora tagliata una mano nel luogo per ordinario, dove fu commesso il tradimento o assassinamento. Ad altri, senza altro scorno, o ignominia, è spiccato il capo [...] La pena del fuoco si dà a gl’heretici ostinati, e ricaduti nell’heresia, & alli sodomiti. Quanto ad altre pene [...] una è, quando il patiente è archibusato; pena che s’usa tra li soldati» (G. Manara, Notti malinconiche nelle quali con occasione di assistere a Condannati a morte si propongono varie difficoltà [...], In Bologna M.DC.LVIII. Presso Gio. Battista Ferroni, pp. 334-335, ma si estenda a lettura alle pp. 333-336). 119 Vachetta, p. 3. 120 Vachetta, p. 3. 121 La cronaca dell’esecuzione dei fratelli Colevati è riportata al 22 (e non 21) dicembre dallo Spaccini il quale, oltre alla citazione su riportata, confermava che «questa mattina hanno, su un carro, tanagliato Battista e Paolo, fratelli e figliuoli di Giulio Cesare da Ferrara, riccamatori ducali [...] Il primo che fu impiccato fu Battista, che stentò assai [...] Li riccamatori avevano comesso assai omicidii [...] Hanno anco confessato aver amazzato Fabio indoratore, per lire 50 e due para calzatte di seda; seleratezza grande» (G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1612-1616, a cura di R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 2002 (d’ora in poi Cronaca, 2002*), p. 521). 122 Vachetta, pp. 70-74. 123 Qualche spunto bibliografico sulla spettacolarizzazione delle esecuzioni, è di nuovo reperibile in A. Prosperi (a cura di), Misericordie cit., pp. 57-58.

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Fig. 5: Pittore romagnolo, Cristo portacroce, sec. XVI, cm. 38x27. Collezione Banca Popolare dell’Emilia Romagna

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Dopo ogni esecuzione capestri, lacci, «mezanine» e altri strumenti erano scrupolosamente bruciati dai confratelli che, col passare degli anni, presero ad annotare, a seguito del nome e delle imputazioni del giustiziato, gli ufficiali o i soci cui era stato affidato il compito di presiedere alla combustione. Tanto è il peso accordato a quest’ultimo atto che, soprattutto dalla fine del XVII secolo, le registrazioni paiono talora dilungarsi più sulla lista dei presenti al rogo di cappi e cordicelle che sul condannato e la sua fine. I due elementi – il giustiziato e gli strumenti di giustizia – erano, come ovvio, intimamente connessi: «perfino le immagini sacre e gli oggetti di devozione dati al condannato come viatico negli ultimi momenti dovevano essere attentamente sorvegliati e raccolti dopo l’esecuzione»124 o, per dirla con Emile Durkheim, se le anime dei morti sono oggetto di attenzioni e riti religiosi, nondimeno «le loro ossa, i loro capelli – e, aggiungiamo noi, i dispositivi che provocavano la loro morte – fanno parte dei mezzi di cui si serve più spesso il mago»125. Era come se le conforterie, dopo essersi occupate dell’anima del reo condotto alla forca, dovessero provvedere a eliminare oggetti potenzialmente pericolosi per la salute di chi aveva assistito al supplizio: cappi di morte che, nella perniciosa superstizione popolare, potevano divenire cappi di vita. I compagni non esitarono pertanto a reclamare capestro e lacci di Giorgio Cicci, un soldato di origine tedesca, quando nel 1645 il boia, dopo l’esecuzione, aveva sospettosamente provveduto a trattenerli presso la propria abitazione: «i fratelli ricorsero subito al signor podestà di Modena perché li facesse restituire alla compagnia al fine predetto di bruciarli come fu fatto havendoli lo stesso boia in breve tempo ritornati». Vi era tuttavia un’ultima accortezza da osservare: si doveva verificare che nel sinistro (o forse solo incauto) transito dalla forca alla casa del boia i cappi originari non fossero stati sostituiti. «Furono riconosciuti da messer Gioseffe Neri cordaro bolognese [...] che disse con giuramento esser quelli medesimi che la mattina haveva consegnato al massarolo della Comunità»126: meno di ventiquattro ore per risolvere un giallo che la diceva lunga sulla partita in atto sul confine (si potrebbe dire sulla corda) tra cielo e terra. La vita dal patibolo La vacchetta, aggiornata per circa due secoli e mezzo dai fratelli della Morte, restituisce per squarci e spiragli non solo gli sviluppi dell’attività confraternale A. Prosperi, Il sangue cit., p. 963. E. Durkheim, Magia e Chiesa, in E. De Martino, Magia e civiltà, Milano, Garzanti, 1984, pp. 74-77 (qui cit. la p. 74). 126 Vachetta, p. 25. 124 125

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e dei suoi successi, ma anche i cambiamenti che nell’esercizio della giustizia si vennero producendo in città. In qualche modo è come se, dal particolare osservatorio del patibolo, si registrassero segmenti di vita e cronaca civica di cui si cercherà qui di seguito di offrire qualche assaggio. L’utilità e lo scopo primario dei registri di condannati era la perpetuazione della memoria dei successi riportati dai confortatori. Nella contabilità di anime guadagnate al cielo, non stupisce trovare il resoconto dei rei che, in un’auspicata e indotta metamorfosi, erano divenuti in extremis ladroni pentiti cui si schiudeva il paradiso. Nel 1604, per esempio, Francesco Salante, decapitato dopo l’impiccagione, «morse bene», secondo quanto riferiscono i fratelli di San Giovanni127 e, due anni dopo, Francesco Erri chiedeva addirittura di recitare l’ave maria dall’alto del patibolo su cui avrebbe versato il sangue128. Ma se molti morivano bene o «disposti»129, vi erano anche impenitenti da stigmatizzare, quasi che ogni calvario accanto al Cristo innocente esigesse malfattori buoni pronti per il regno dei cieli e altri che, bestemmiando dal luogo del supplizio, riproponessero lo schema dei vangeli. Il 20 ottobre 1618 «fu decapitato Lodovico Martinelli da Ravarino il qual morse danato»130, mentre nel giugno del 1705 Ortensio Panzani volle «essere impicato inpenitente senza nemeno volere proferire il nome di Giesù e Maria»131. Ma la forca e l’estremo incontro con la morte potevano anche divenire l’occasione per confessioni insperate, ciò che mostra ancor meglio il doppio filo che legava conforterie e magistrature secolari132: nelle carte della vacchetta modenese talora si trovano annotate le identità di giustiziati che, solo dinanzi ai loro ultimi consolatori, finivano per svelare il proprio nome. È questo il caso di Giuseppe Lambertini da Medicina che, il 2 aprile 1740, «in conforteria confesò avere nome Giovanni Menguzzi da Fusignano»133 e dell’assassino Pietro Signorini detto Pierone il Veneziano scopertosi infine Bernardo Dorici134. Più dettagliate furono alVachetta, p. 5. «Disse l’ave maria in su le forche havendola domandata in gratia» (Vachetta, p. 6). 129 La definizione si trova per esempio nel caso del giovane piacentino Giulio Cesare Barbieri che, annotano i confratelli, «morse disposto» (Vachetta, p. 9). 130 Vachetta, p. 11. 131 Vachetta, p. 49. 132 Sui problemi che la prassi delle «escolpazioni» pubbliche provocò in altri contesti, come quello napoletano, si veda il contributo di G. Panico, Il delitto narrato al popolo: la scena patibolare nella Napoli barocca, in R. De Romanis, R. Loretelli (a cura di), Il delitto narrato al popolo. Immagini di giustizia e stereotipi di criminalità in età moderna, Palermo, Sellerio, 1999, pp. 228-240, in part. pp. 230-232 (e rinvii bibliografici in nota). 133 Vachetta, p. 56. 134 «Avvertesi che precedentemente nella conforteria il detto Pietro Signorini si disse essere di vero nome Bernardo Dorici» (Vachetta, pp. 74-75). 127

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cune ammissioni di colpa come quella del falsario e contraffattore di documenti che, avviandosi al cappio, liberò la sua coscienza dal peso del crimine (o meglio del peccato, secondo quanto i confortatori avranno insegnato all’uomo): l’8 novembre 1614, Rigo Bedina da Montalbano «notaro di Modena» venne «impicato per falsario et, come egli ha detto andando al patibolo, per haver fatto un testamento falso sotto nome del già signore Ercole Fontana da Bologna»135. L’episodio, quasi una variante della vicenda dantesca dello Schicchi, si concludeva con l’esemplare esecuzione del frodatore che riparava, almeno davanti al tribunale divino, il proprio malfatto attraverso l’accettazione della giusta punizione136. Non sempre però chi saliva il patibolo era disposto a dichiararsi colpevole rassegnandosi al supplizio: il 22 gennaio 1622 «fu tanagliato e inpicato e squartato Giovano Minghini [...] per havere incopato don Hercole Manetti et anco un suo mezzadro [...] se bene havendo detto su la forcha che non era stato lui né il Bortolano»137. I giudici, all’indomani dell’esecuzione, avrebbero in qualche modo dovuto tener conto delle ultime parole dell’uomo sulla cui fondatezza è difficile esprimersi. Quali che fossero l’esito e la valutazione dati dalle magistrature civiche che non di rado – anche grazie ai confortatori – ricorrevano al supplizio finale per cavare farina buona dal sacco dei condannati, il compito dei fratelli di San Giovanni era inevitabilmente complicato dalla protesta d’innocenza del giustiziando. Il ricco repertorio di tattiche e psicologismi dei compagni della Morte offriva comunque una via d’uscita nell’adozione del modello supremo – quello del Cristo, agnello innocente – da sottoporre al condannato. Si doveva accettare, anche a fronte di una reale innocenza, la decisione dei giudici in nome del martirio che assicura la salvezza. Per ricorrere a un’immagine bellarminiana, il frutto della prima parola del Salvatore crocifisso («Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt»138), doveva essere l’imitazione del «benignissimus Vachetta, p. 14. L’uomo non era nuovo alla falsificazione di documenti se come riferisce lo Spaccini «hanno impiccato ***** di ***** da Montetortore, nottaro, per aver fatto instromenti e testamenti falsi, e ne ha confessato averne fatto da 60» (Cronaca, 2002*, p. 382). 137 Vachetta, p. 8. Di lui riferiva anche lo Spaccini: «È stato impicato e squartato Giovanni Paglialonga da Casenalbro per molti assassinamenti comessi, e particolarmente quello del padre don Ercole Manetti [...] Il meggiadro d’esso prete sapeva d’aver andare con esso in Pavulo alla fiera per comperare bestie [...] et andò a ritrovare esso Giovanni; vi disse se voleva amazzare esso monsignor, che domatina andavano alla fiera, che portava con lui lir 700, che poi si partiriano insieme; e sì la mattina ritrovatosi, il contadino vi diede al suo patrone con un bastone su la testa e lo gittò a terra, poi lo finirono d’amazzarlo [...] Paglialonga incopò il contadino, e lui ne fu il possessore, se bene v’è incolpato Bartolomeo Zanaso, ma su la forca ha detto di no» (G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1621-1629, a cura di R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 2006 (d’ora in poi Cronaca, 2006), pp. 190-191). 138 Luca 23,34. 135

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Iesus»: «video enim cor tuum – asseriva il gesuita – inter tot procellas iniuriarum, & passionum, quasi scopulum in medio mari fluctibus undique assidue pulsatum, immotum tamen & pacificum [...] Aspicis enim hostes illos tuos, crudeles, qui post tot mortalia inflicta vulnera, patientiam tuam irrident, & laetantur, cum malefecerint: aspicis, inquam, non ut inimicus, inimicos ferocientes [...] ideo non eis irasceris, sed eorum misereris [...] Haec enim vis est verae charitatis»139. Questo era il canovaccio da seguire: perdonare i propri nemici (giudici, accusatori, detrattori e carnefici) prima di avviarsi all’incontro col Giudice ultimo. I tempi in cui trasformare il lupo in agnello (o l’agnello in martire) erano però brevissimi: di solito una notte – quella che, come ha sottolineato Giovanni Romeo, poteva divenire il ricettacolo di sospettose confessioni rivolte ad allungare di qualche ora la vita140 – o, come accadde al francese Giacomo Isoardi nel 1703, appena un quarto d’ora141. Le abilità dei fratelli erano messe alla prova: poche ore per trasformare il prototipo del pubblico peccatore – un ladro, un omicida, un brigante – in un esempio di cristiana rassegnazione nella morte e di speranza redenta in vista del premio eterno. La forca proprio per il suo carattere pubblico diveniva spesso il luogo in cui, in una sorta di law of similars, si esercitavano contrappassi orientati a modellare punizioni e supplizi al crimine compiuto dal condannato. Così per esempio, il 6 aprile 1658, Domenico Muzzarelli, macchiatosi dell’omicidio di Fortuniano Ferracani da Finale, venne impiccato e decapitato: la sua testa fu trasportata sul luogo del delitto – Finale Emilia, appunto – mentre ai suoi piedi era stata appesa la pistola di cui si era servito per il delitto. Del resto era stata proprio quell’arma, già sottratta al Ferracani, a consentire ai giudici di giungere alla sua incriminazione («e per la detta pistola fu scoperto»), ciò che fondeva nel cruento epilogo della vicenda tutti gli elementi del giallo142. Casi analoghi non mancano all’interno della macabra galleria di personaggi che popolano la vacchetta dei giustiziati, anche se può valere la pena segnalare un ultimo episo139 R. Bellarmino, De septem verbis a Christo in cruce prolatis, Romae, Typis Bartholomaei Zannetti. 1618, p. 26 («Vedo [...] il tuo cuore rimanere immobile e tranquillo in mezzo a tante bufere di ingiurie e di passioni [...] Tu guardi i tuoi crudeli nemici, che dopo averti inflitte tante ferite, deridono la tua pazienza e si compiacciono del male arrecato; li guardi, sì, ma non come un nemico [...]; perciò non ti adiri contro di essi, ma ne senti compassione [...] Questa infatti è la potenza del vero amore»; trad. di C. Testore in R. Bellarmino, Le sette parole di Cristo in Croce. L’arte di ben morire, Torino, UTET, 1946, p. 39). 140 Il riferimento è all’indagine sul caso napoletano svolta in G. Romeo, Aspettando il boia. Condannati a morte, confortatori e inquisitori nella Napoli della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1993. 141 «Doppo una conforteria d’un quarto d’ora fu impiccato per la gola» (Vachetta, p. 46). 142 Vachetta, p. 31.

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dio – questa volta più tardo – che vide coinvolti due soldati. Il 27 agosto 1706 «furono appicati [...] e taliati le mani destre» due militari di cavalleria «per havere posto mano alla spada contro un oficiale al quale restò reciso la mano destra»: per i due francesi fu decretato un evidente contrappasso applicato senza troppe infiorettature143. Nelle severe annotazioni dei fratelli della Morte non erano poi assenti chiose su quelle piccole rivoluzioni che, nel microcosmo confraternale e urbano, parevano a loro modo eventi di cui serbare memoria. Il 17 febbraio 1618, in occasione dell’esecuzione del ferrarese Pietro Zanetti, venivano utilizzate le forche nuove, poste al centro della piazza144, mentre il 3 luglio 1623 «fu impicata Isabella Signorina da Modona per ladra et è la prima donna che si raccorda che sia stata impicata per ladra»145: un triste primato di cui una compagnia di giustizia non poteva non trasmettere notizia. I bagliori del progresso tecnologico d’oltralpe giungevano infine nel piccolo (e occupato) ducato estense dove il 3 settembre 1806 le autorità dipartimentali condannavano Paolo Bedini, secondo modalità ben sperimentate in Francia, alla decapitazione mediante «guiliotina nuova e successiva esposizione della testa»146. Le esecuzioni, al di là dei metodi impiegati, assistevano solitamente a un grande concorso di popolo e venivano utilizzate dai compagni della Morte come occasione per la raccolta di elemosine da destinare alla celebrazione di messe e suffragi per i condannati stessi. Le note della vacchetta dei giustiziati recano abbondanti tracce delle offerte accumulate dai soci a vantaggio dell’eterna salute dei giustiziati: per Antonio Bertucci da Montefiorino, il 23 febbraio 1638, «si trovorno £ 113.10»147, così come, l’anno prima, all’esecuzione di Giambattista Gagliardelli e Giacomo Luio «si raccolsero di elemosine per il populo £ 74.0 et se le fecero celebrare tante messe»148. Le citazioni potrebbero continuare trovando riscontro in gran parte delle registrazioni. Ciò che qui preme sottolineare è l’oliato meccanismo che a inizio Seicento presiedeva ormai lo svolgimento delle condanne: un conforto piuttosto rapido, l’accompagnamento del giustiVachetta, pp. 50-51. Vachetta, p. 13. Ne dà notizia anche lo Spaccini: «Hanno impiccato per la gola Pirino ferrarese, figliuolo d’un facchino di credenza di corte, per aver robato argenteria a Sua Altezza; vi hanno fatto le forche nuove in mezzo alla piazza, avendola spostata, e per questo si domandano le Pirine, e prima s’impiccava a’ fenestroni del Palazzo» (G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1617-1620, a cura di R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 2002 (d’ora in poi Cronaca, 2002**), p. 294). 145 Vachetta, p. 11. 146 Vachetta, p. 83. 147 Vachetta, p. 17. 148 Vachetta, p. 18. 143

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ziando al patibolo, la sua esecuzione esemplare, la raccolta delle offerte e la processione dei confratelli in cappa nera verso la sepoltura. Proseguendo per «spigolature», è infine possibile trarre dall’universo racchiuso tra le carte della vacchetta confraternale alcune tranches de vie forse al confine tra storia e nota di colore. È in particolare su un episodio che ci si può soffermare per mostrare come, per ricorrere a un’immagine di Andrea Balletti, «la giustizia piena, tremenda onora il Duca» quando, senza distinzioni religiose, vengono puniti cristiani che perpetrano delitti contro ebrei149. Il 3 gennaio 1643 – un sabato, giorno probabilmente non casuale – erano giustiziati tre soldati perché «di mezo giorno andorno nel ghetto degli ebrei et entrorno in diverse boteghe [...] e fecero grosso botino delle merce che ruborno in dette boteghe e furno inpicati subito il giorno seguente»150. A pochi anni dalla controversa istituzione del ghetto (1638)151, l’accondiscendenza alle pressioni per una separazione tra ebrei e cristiani cui le autorità estensi avevano ceduto non poteva giungere a permettere azioni come quelle per cui i tre militari erano stati giustiziati. La politica di favore agli ebrei che, anche dopo l’istituzione del ghetto152, non mancò di caratterizzare l’operato dei duchi di Modena doveva garantire la comunità ebraica nella tutela dei propri beni, quegli stessi per i quali, in ultima analisi, erano stati invitati a insediarsi sotto la signoria della casa d’Este. Non era la prima volta che le magistrature civiche si esprimevano senza indugi contro i danni arrecati a ebrei. Già nel 1598, come riferisce lo Spaccini, i fratelli di San Giovanni accompagnarono «alla forca quatro infelici meschini che avevano robati alli ebrei»153 e – come in altre occasioni – «in Piazza si ridusse tanto popolo che a fatica s’vi poteva stare»154. Era evidente che la pre149 Cfr. A. Balletti, Gli ebrei e gli Estensi, Reggio Emilia, Anonima poligrafica emiliana, 1930, p. 44, dove si riportava il caso dell’assassinio di un ebreo da parte di un cristiano, poi condannato a morte nel 1474. 150 Vachetta, p. 22. 151 Per la questione si veda, tra gli altri, l’agile ricostruzione di D. Calabi, Dal quartiere ebraico alla costituzione del ghetto in Italia: il caso di Modena, in F. Bonilauri, V. Maugeri (a cura di), Le Comunità ebraiche a Modena e a Carpi. Dal medioevo all’età contemporanea, Firenze, Giuntina, 1999, pp. 87-93. 152 Cfr. A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1963, pp. 301-303; ma si vedano anche le puntuali note di Adriano Prosperi sul bando emanato nel 1652 da Francesco I per attirare ebrei all’interno dei confini ducali, in A. Prosperi, L’inquisizione romana e gli ebrei, in M. Luzzati (a cura di), L’inquisizione e gli ebrei in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 67-120, in part. p. 84. 153 Dei quattro condannati, i due accusati di furto a danno di ebrei erano Giambattista Poltronieri e suo fratello Jacopo. Per l’esecuzione del primo cfr. Vachetta, p. 7. 154 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1588-1602, a cura di A. Biondi, R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 1993, p. 187.

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Fig. 6: Effigie della Confraternita di San Giovanni Battista, 1719 (ACMO, SGM 6)

senza strategica (almeno sotto il profilo economico) di ebrei nei territori estensi doveva essere tutelata: una nazione forse da rinchiudere entro mura e cancelli, ma certo da non lasciarsi sfuggire. La morte in scena Nel febbraio del 1623, mentre il carnevale celebrava i suoi riti, il lucchese Giovanni Perfetto e Giovanni Mella da Ferrara venivano impiccati col sospetto di essere giunti in città armati di tutto punto per commettere omicidi e scelleratezze. In quel martedì grasso a causa delle «pistole» portate «senza licenza» i due offrivano con la loro esecuzione un insperato supplemento al popolo in festa per le ultime ore che restavano prima delle Quaresima155. Vita e morte si Cfr. Vachetta, p. 8. «Martedì di carnovale, s’è fatto bela zuecca con gran quantità di mascari e carozze [...] Se bene questa mattina hanno fatto giustizia nelle persone di Giovan Perfetti da Lucca, e di Giovanni Mala da Ferrara, che la settimana passata furono fatto prigioni com’è detto, che avevano con loro pistole, sendo stati impicati e morti molti disposti. S’è detto che volevano amazzare un figliuolo del’Albergato» (Cronaca, 2006, p. 356). 155

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mescolavano ancora una volta dinanzi alle richieste di una piazza per cui la studiatissima coreografia del supplizio era disegnata e pensata. Anche i fratelli, nelle sobrie annotazioni della vacchetta, indulsero talvolta a descrizioni più articolate che ripercorrevano, quasi in una cronaca, il tragitto che conduceva i condannati dai conforti della notte al patibolo che avrebbe potuto segnare l’ingresso nella vita senza tramonto. Fu soprattutto nel caso del già citato Domenico Antonio Poggioli, giustiziato il 22 dicembre 1768, che intere pagine furono riempite dal dettagliato resoconto di quegli ultimi scampoli d’età moderna156. Ad ore otto e mezza antemeridiane fu giustiziato Domenico Antonio Pogioli della Torre della Maina abitante in Modena da molti anni che faceva il ciabatino e sonatore da violino, dal carnefice Antonio Inocenti di Reggio unitamente col carnefice di Parma, suo cognato, come siegue. Questi fu posto sopra un carretto tirato a due cavalli e posto a sedere nel mezzo d’esso e legato ignudo con la faccia voltata al di dietro del suddetto caretto con avere alla schiena il suddetto carnefice Inocenti che aveva dal lato destro una padella di focco con tanaglie e l’altro carnefice stava a sedere al davanti del carro avendo in mano le redini de cavalli e che da esso venivano condotti con però appiedi alla testa de suddetti cavalli il loro aiutante; ai lati del suddetto paziente stavano due confortatori a sedere però sopra due sedili fatti a posta nel citato carretto in positura tale che i confortatori medesimi avevano in faccia il suddetto paziente. Il medesimo Domenico Antonio Pogioli, condotto preventivamente abbasso dalla conforteria e accompagnato dalla nostra archiconfraternita dalla parte della piazetta del Palone nella quale stava già preparato il suddetto caretto, fu egli condotto sopra il medesimo per il Castellaro traversando la Piazza per il Canal Chiaro sino all’imboccatura della contrada detta dei Tre Re ed ivi furono date al medesimo tre tanagliate con tanaglia rovente. D’indi ritornato addietro il detto caretto così disposto per la suddetta strada del Canal Chiaro e voltato per la contrada che imbocca il voltone de Padri de Servi e tirando a dirittura sino alla chiesa de Padri Gesuiti e voltando verso la casa Testi e andando sino alla casa Molza che fa cantone nel principio del Castellaro, dove in detto sito furono date al detto paziente altre tre tanagliate come sopra, fu dippoi sopra il medesimo caretto alla lunga di detta contrada del Castellaro condotto alla pubblica piazza dove colà stava alzato un gran palco sopra cui fu trasportato; e sopra il medesimo fugli tagliata la mano destra, mazzolato e scanato con avere in seguito fatto in pezzi il di lui cadavere e sopra una graticola di ferro abbrucciati e le ceneri furono poste in

156 Vachetta, pp. 70-74. Nella trascrizione si sono adeguate all’uso corrente maiuscole, minuscole e punteggiatura, recependo senza specifica segnalazione errori evidenti, cancellature o correzioni.

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cassetta e dai suddetti due carnefici portate e condotte al fiume più vicino che fu il Tiepido e in sito detto volgarmente la Fossalta. I delitti di costui furono primieramente d’avere fatti molti latrocini, secondariamente d’avere scanato la notte dei 2 di luglio 1766 Carlo Pellacani e l’Anna lui moglie, osti all’insegna dei Tre Re, nella loro propria osteria essendosi introdotto in loro casa su l’imbrunire della sera e ciò per rubbargli, come infatti dopo averli scanati gli rubbò, tutto il denaro che avevano; di più per causa suddetta s’introdusse lì 14 .x.bre anno suddetto nella suddetta casa Molza dove abitava nei mezzani Antonio Speltarini Zavaglia e ivi scanò il medesimo, la Catterina sua moglie scanò con un sasso, con avere inoltre scanato il sacerdote don Sante Zanichelli capellano della compagnia di San Giuseppe. E per coprire il suo delitto asportò i cadaveri sopra a ciascheduno de suoi letti e sotto ai medesimi avendovi posto materia d’accendere fuoco; e accesovilo lasciò così la casa e levò tutto il denaro che poté. Costui aveva destinato di fare il simile a ducento sette persone, o sia famiglie, sì d’ebrei che cristiani, bottegai, mercanti, cittadini, alcuni sacerdoti e a qualche cavaliere. Quello che discoperse il suddetto iniquo fu che il medesimo sotto lì 30 maggio 1768 fecce un simile attentato con la Lucia moglie di Antonio Lucchi, ma che se ne liberò con moti forti e che diede luogo alla medesima di gridare e far sì che egli fugisse e nella sua fuga fosse riconosciuto. Il medesimo fece una morte veramente che mostrava il pentimento de suoi falli e ricevé i tormenti con corraggio e rassegnazione. La nostra archiconfraternita al dietro del carro con confalone e torcie accese lo accompagnò da per tutto il viaggio suddetto dove ella restava guardata da un corpo di soldati per tenerle lontano la folla del popolo. Fu stampato il suo ritratto e la relazione de suoi misfatti e già se ne ritrova una copia nell’archivio della nostra archiconfraternita e nella cassetta de privilegi al n. 34.

La quasi-cronaca firmata dal confratello Pietro Orlandi è forse il più significativo dei racconti di cui la vacchetta dei giustiziati ha conservato memoria: l’eloquenza della narrazione presta il fianco a diverse considerazioni che confermano quei caratteri di spettacolarizzazione (lo «splendore dei supplizi» di cui ha parlato Foucault157), esemplarità e legittimazione del potere politico dei quali si è in parte detto158. Al centro della scena è posto il condannato, i cui moti esteriori vengono studiati e scrutati in cerca di un segno del cuore: per rifarci a quanto ha scritto

M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1993. Il supplizio del Poggioli corrisponde al procedimento descritto dal Manara, in parte accennato di sopra. Alcuni, scriveva il gesuita, «per tradimenti, & assassinamenti sono posti sopra un carro mezzo ignudi, e ligati sopra una sedia piccola; sono dal Carnefice con tenaglie infuocate tormentati nelle braccia, mammelle, coste, & polpe delle gambe, & in questo tormento sono condotti per la Città, o sia luogo, dove devono esser fatti morire, e massime dove commisero il delitto» (G. Manara, Notti malinconiche cit., p. 334). 157 158

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Rosamaria Loretelli, «nell’Europa dei primi due secoli dell’età moderna – ma la definizione ci pare ancor valida per il nostro caso – era principalmente il corpo del condannato a parlare, a dire dell’infamia del crimine e del potere dello Stato tramite il ruolo assegnatogli nei rituali della giustizia, gli atteggiamenti impostigli e le manipolazioni subite fino alla scena ultima sul patibolo»159. Era sulla materialità della carne e sulla sua interazione con lo spirito che, nei secoli addietro, si erano plasmate la missione e la fisionomia delle future conforterie160. Il ciabattino e suonatore di Torre Maina diviene un corpo remissivo (segno di conversione e pentimento) sul quale due carnefici infliggono torture che, straziando le membra mortali, santificano l’anima eterna. Il quadro offerto agli occhi della turba accorsa per l’occasione è quello del reo al centro di un carretto affollato di boia e confortatori: a questi ultimi è riservato un posto preciso da cui poter sempre osservare il «paziente». Fissare lo sguardo del condannato su oggetti e persone che agevolassero l’ultimo passo verso la beatitudine era una di quelle accortezze che la lunga esperienza dei confortatori aveva insegnato161. Ma prima d’intraprendere la via al cielo, restavano da percorrere le strade cittadine, un tempo teatro degli efferati crimini del Poggioli: sceso dalla conforteria, l’uomo era condotto alla piazzetta del Pallone162 e, caricato sul carro, iniziava il 159 R. Loretelli, Modelli e legittimazioni: la letteratura popolare racconta, in R. De Romanis, R. Loretelli (a cura di), Il delitto cit., pp. 36-61 (qui cit. le pp. 36-37). Si noti poi che l’intervento della stampa come «più potente e duraturo veicolo di messaggi» individuato dall’autrice a partire dal Settecento, è riscontrabile anche nell’episodio del Poggioli di cui «fu stampato il [...] ritratto e la relazione de suoi misfatti». 160 «Fu soprattutto sulla figura del giustiziato che intervennero i mutamenti di maggiore portata. Almeno fino alla metà del Trecento il condannato a morte fu infatti privo di qualsiasi assistenza materiale e spirituale. Oggetto materiale di strazio, era soprattutto la sua sofferenza a rappresentare un elemento essenziale dell’esecuzione. D’altra parte, nel basso medioevo, lo stesso dolore fisico era ancora disprezzato perché implicava un senso di decadimento e di servitù che si qualificavano prevalentemente come segno del peccato [...] Attraverso l’opera di misericordia, assistenza e conforto ai condannati a morte [...] la Chiesa [tramite le compagnie di giustizia] riuscì a garantirsi un proprio ruolo nel cerimoniale penale [...] L’affermazione del ruolo confraternale fu favorito anche dallo sviluppo, in quel torno di tempo, delle pratiche di pietà sempre più centrate sulla figura di Cristo e sulla sua incarnazione, dunque sulle sofferenze corporali che questi aveva patito, e che diedero finalmente al dolore una connotazione positiva di redenzione» (A. Zorzi, Rituale e cerimoniali penali nelle città italiane (secc. XIIIXV), in J. Chiffoleau, L. Martines, A. Paravicini Bagliani, Riti cit., pp. 141-157; qui cit. le pp. 153-154. Si veda anche la nota bibliografica alle pp. 156-157). 161 Si veda a proposito quanto scrive M. Ferretti, Pitture per condannati a morte nel Trecento bolognese, in: A. Prosperi (a cura di), Misericordie cit., pp. 85-151 e i rinvii a p. 87, n. 3. 162 «Era nelle vicinanze del palazzo comunale, dalla parte della contrada degli Scudari» (L.F. Valdrighi, Dizionario storico-etimologico delle contrade e spazii pubblici di Modena,

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suo simbolico viaggio attraverso i luoghi dei delitti commessi: dalla via del Castellaro, fu portato attraverso la pubblica piazza e, scendendo lungo il Canal Chiaro, giunse alla contrada dei Tre Re. Qui, all’osteria omonima, dove era ancor vivo il ricordo della strage compiuta il 2 luglio del ’66, Domenico Antonio ricevette tre tanagliate con ferro rovente e, tornato un poco indietro, il macabro carretto si diresse deciso verso la forca. La deviazione dei Tre Re era stata appositamente studiata per richiudere, in un simbolismo fin troppo evidente, una ferita che la vendetta pubblica in parte placava. Il cammino proseguì sino al convento dei Servi e alla chiesa dei Gesuiti e di qui a casa Molza, dove altre tre tanagliate punirono la carneficina di cui, in quel luogo, il Poggioli si era reso colpevole. Era ormai prossimo l’epilogo: «un gran palco» – definizione quanto mai significativa – attendeva il condannato, il cui cadavere sarebbe stato truculentemente straziato: tagliatagli la mano destra, colpito con la mazzuola, scannato e fatto a pezzi, i suoi resti furono inceneriti e sparsi nel torrente Tiepido alla Fossalta. Il trattamento riservato al Poggioli era in linea con quel «netto cedimento di fronte alle ragioni politiche e sociali che [tra ’600 e ’700] spingono a intensificare l’orrore della pena»163, del quale – anche in ambito modenese – è possibile ritrovare le tracce. L’iperbolica narrazione dei delitti compiuti e preventivati dal giustiziato («aveva destinato di fare il simile a ducento sette persone») svelava il contrappasso seguito nell’esecuzione: i corpi delle vittime del Poggioli erano stati occultati nell’orrore del rogo, dopo esser stati posti su letti utilizzati come pire rabberciate. Da qui la cremazione del cadavere fatto a pezzi per ricordare che «qui gladio ferit, gladio perit»164. Tutti, nessuno escluso, erano minacciati dall’efferata condotta del Modena, Rossi, 1880, pp. 187-188). Tutti i riferimenti toponomastici successivi corrispondono a quelli attuali. 163 Cfr. A. Prosperi, Il sangue cit., pp. 992-993. 164 Il contrappasso cui il Poggioli doveva essere sottoposto è descritto in maniera precisa nella polizza che il 20 dicembre 1768 venne spedita ai confratelli. «Domenico Antonio Poggioli, reo urgentissimamente indiziato e confesso di furto qualificato, di attentato, di proditorio omicidio nella persona della Lucia moglie di Antonio Lucchi e di cinque omicidi da esso commessi con qualità di prodizione, latrocinio e, rispetto a tre de medesimi, anche d’incendio, è stato condennato in pena di morte che per comando di Sua Altezza Serenissima deve eseguirsi la mattina delli 22 del corrente in cui dovrà essere posto sopra un carretto di sufficiente altezza, tirato da cavalli, per le pubbliche strade di questa città ai luoghi de commessi omicidi ed ivi vanti le rispettive case gli saranno inferiti tanti colpi di tanaglie infuocate quanti furono gli omicidi in ciascheduna di esse seguiti e che poscia nella pubblica piazza gli sia sopra il palco data la mazzola, tagliata la mano destra, indi che debba essere scannato ed il cadavere ridotto in pezzi sia bruciato, le cui ceneri saranno trasportate e gettate nel fiume più vicino» (ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Repertorio delle polize dei giustiziati», n. 36).

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condannato e la confraternita di San Giovanni, per mano dell’estensore della vacchetta, stava a testimoniarlo: ebrei, cristiani, individui, nuclei familiari, mercanti, religiosi, bottegai e persino «qualche cavaliere». Non vi era religione, condizione sociale o lignaggio che mettesse al riparo dalle scelleratezze del Poggioli. La compagnia della Morte si poneva una volta di più a difesa dell’ordine mediato dai riti di giustizia: «il corpo lacerato e tormentato crudelmente era lo strumento fondamentale della pedagogia del potere»165. Anche nella notte più buia i fratelli erano però chiamati ad accompagnare alla vita i condannati affidati alle loro cure: il successo del passaggio da peccatori a santi in virtù del perdono divino era l’obiettivo (non solo spirituale) che animava i compagni di San Giovanni. Il «mostro», che per tutto il compendio dell’Orlandi aveva assunto i colori diabolici dell’assassinio e del disprezzo dei corpi dati alle fiamme, «fece una morte veramente che mostrava il pentimento de suoi falli» accettando con «rassegnazione» i tormenti che gli erano inflitti. Era avvenuta la metamorfosi sperata. Con torce e cappe nere: oggetti e procedure del conforto La cerimonia che accompagnava i giustiziati dal conforto alla sepoltura se era appena delineata negli statuti, aveva però conosciuto un’attenta elaborazione durante i secoli di attività della compagnia: movimenti, parole e strategie erano frutto di una consolidata tradizione e una procedura minuziosamente codificata guidava l’operato dei fratelli della Morte166. Emanata la sentenza e fissata la data dell’esecuzione, il giudice doveva comunicare per iscritto all’ordinario di San Giovanni Battista le generalità del condannato e i termini del suo supplizio167: il bargello, in accordo coi confortatori, avrebbe condotto il condannato alla cappella di San Nicolò scrupolosamente sorvegliata dai compagni per evitare l’ingresso di estranei. Avvenuta la consegna del giustiziando, una guardia sarebbe rimasta alla porta, ma il «paziente» sarebbe dovuto restare solo coi fratelli. «Il Bargello, e gli Esecutori dovranno tenersi pronti ad ogni richiesta del Confratello Ordinario [...] per provvedere immediatamente a tutto ciò, che venisse loro imposto, o domandato, per servigio e conforto del

A. Prosperi, Il condannato a morte: santo o criminale?, in R. De Romanis, R. Loretelli (a cura di), Il delitto cit., pp. 219-227 (qui cit. la p. 220). 166 I dati e le citazioni riportati qui di seguito, quando non diversamente indicato, sono tratti da Memorie del Pio Istituto cit., pp. 66-126. 167 Ne resta traccia nei registri confraternali, tra i quali il già citato «Repertorio di polize mandate alla Compagnia della Morte in occasione di giustizia [...]» (ACMO, AR-SGB 91), per cui cfr. Inventario dei manoscritti cit., p. 53. 165

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povero Paziente»: a volte sarebbe stato necessario allentare le catene, consentire al reo di avvicinarsi meglio al fuoco, riposare più comodamente o muoversi con più libertà. Nel piccolo spazio della conforteria era come se le leggi subissero una momentanea sospensione in nome di un bene maggiore – la salvezza dell’anima – per il quale il criminale/peccatore era consegnato ad tempus all’esclusiva giurisdizione dei confratelli168. A cornice della libertà concessa restava «la pietà generosa dei Principi, e della Patria» che, erogati privilegi e immunità ai confortatori, si aspettavano che questi ne usassero «in guisa, che si corrisponda alle pie intenzioni dei Serenissimi Benefattori», ulteriore riprova della stretta alleanza tra coercizione e consolazione. La preminenza della sorte ultraterrena poteva giungere addirittura ad abbreviare la vita del condannato: se infatti vi erano più detenuti in attesa di esecuzione, si doveva cominciare «da quello, che si conoscerà essere più disposto a ricevere la Morte con Cristiana rassegnazione». Una volta individuato il paziente, la laboriosa macchina del conforto entrava in azione. Avuta notizia (di solito con due giorni di anticipo) dell’imminente esecuzione, il direttore della conforteria doveva far stampare il «consueto Biglietto di pubblico invito ai Fedeli» per ottenere preghiere e orazioni per la salvezza spirituale del condannato. Il gonfalone esposto alla porta dell’oratorio inferiore169 era il segno dato ai compagni di accorrere al piano superiore per ricevere disposizioni dall’ordinario, mentre veniva dato tempestivo annuncio della giustizia da celebrare ai confratelli di Sant’Erasmo che avrebbero proceduto a recitare messe ed esporre il Santissimo Sacramento a vantaggio dei rei 170. 168 «Condotto che sia il Paziente nella Conforteria – si precisava –, nessuno, qual che si sia, Ufficiale del Tribunale, abbia o pretenda d’avere altra parte in esso, che di custodire [...] e in tutto e per tutt’altro si lasci la cura e la libertà alla Confraternita, al Superiore, al Direttore, ai Confortatori, e ai Confratelli Deputati [...] di confortare il Paziente, e di provvedere con assoluta autorità a tutto quello, che conosceranno poter essere, per qualunque titolo, o maniera, profittevole all’Eterna Salute del medesimo» (pp. 74-75). 169 Per i due oratori della compagnia, si rinvia al consueto G. Soli, Chiese cit., II, pp. 168-170. 170 La cerimonia celebrata dalla fraternità di Sant’Erasmo (e in seguito da quella di San Pietro Martire) è descritta nel Regolamento della funzione da farsi nella chiesa de’ confratelli ospitalieri in S. Pietro Martire di Modena per i condannati a morte [...], In Modena MDCCLXII. Per gli Eredi di Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali, una cui copia è conservata tra i codici della confraternita della Morte (ACMO, SGM 4, per cui cfr. Inventario dei manoscritti cit., p. 42). Come precisato nel proemio, il compito di «esporre il Venerabile Sagramento dell’Altare, all’occasione di doversi condurre alcun Paziente al Patibolo, col tenerlo esposto dall’alba finché il Reo sia giustiziato» era stato affidato da Clemente X all’arciconfraternita romana degli Agonizzanti, cui quella modenese di Sant’Erasmo si aggregò godendo dei medesimi privilegi e indulgenze. Quando nel 1757 quest’ultima si unì alla compagnia di San Pietro Martire, la preoccupazione dei nuovi soci fu la riconferma dell’antica aggregazione, ottenuta nell’aprile del ’59. Da quella data in avanti «la Funzione [...] per i miseri Condannati si dispone dagli Ospitalieri in S. Pietro Martire» (ivi, pp. 3-4).

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Fig. 7: Testa di Giovanni Battista (ACMO, SGM 19)

I presidenti della Santa Unione dovevano procurare alla conforteria «quelle cose, che sono soliti di provvedere»171 e nel giro di poco tempo l’efficiente distribuzione di inviti e avvisi avrebbe dovuto raggiungere tutti i conventi, parrocchie e ritrovi della città. 171 «La Santa Unione – si trova in un promemoria dei confratelli – dà un mattarazzo, vino e fassi [?] occorenti [...] Si avverta che di tutta la spesa [per la conforteria] se ne deve tener conto per darne la lista alla Santa Unione per essere rimborsato» («Nota delle cose necessarie da prepararsi per la Conforteria avanti che siegua la giustizia di qualche condannato a morte»; ACMO, AR-SGB 10). Lo stesso Sabbatini, nelle Memorie, precisava che le «spese di Cere, Cibaria, e varie ulteriori occorrenti, si rimborseranno dall’Ospitale della Città, detto della Santa Unione» (p. 125). La questione dovette inizialmente creare alcune frizioni se, tra le carte della compagnia depositate presso il Capitolo modenese, si trova un documento del 19 aprile 1606 in cui i delegati della Comunità e della Santa Unione stabilivano di non aver «in consideratione spesa alcuna per conto di confortare condennati e sepellire giusticiati, la quale in effetto non è stata espressamente compresa in detto accordo [tra la Santa Unione e gli enti accorpati in essa]» (ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Scrittura a favore della compagnia di San Giovanni Battista della Morte per le spese de giustiziati»). I fratelli risponderanno alle affermazioni dell’ente ospedaliero con cause e proteste formali, di cui restano abbondanti testimonianze all’interno dei fondi della compagnia.

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Dovevano poi essere assegnati ai compagni gli incarichi specifici: in una prima «bussola» erano inseriti i nominativi di coloro che erano disposti ad accompagnare «i Pazienti fino all’estremo» parlando al popolo dal patibolo al termine dell’esecuzione; nella seconda vi era l’indicazione dei confratelli confessori (ne sarebbero stati estratti tre per coprire a turno l’intero tempo del conforto), mentre l’ultima «bussola» coi nomi di «tutti gli altri Confratelli Secolari, che non ripugnassero d’esservi inclusi» serviva a sorteggiare due «ostiarj» che dovevano presidiare la porta della stanza e due «custodi» che fungevano da filtro per le comunicazioni da e con l’esterno. Una volta designati, i prescelti dovevano recarsi nell’oratorio superiore per pianificare la funzione «di modo che, per quanto si possa umanamente provvedere, niente rimanga esposto all’accidentalità». Al contempo altri confratelli vestiti in cappa nera iniziavano a raccogliere elemosine per la celebrazione di messe di suffragio (la «questua comincerà dopo il mezzogiorno del dì precedente l’Esecuzione – si prescriveva –, e continuerà finché l’Esecuzione stessa sia terminata interamente, e il concorso del Popolo si sia ritirato dallo Spettacolo») e il cappellano di Sant’Erasmo si recava in conforteria per iscrivere il condannato alla confraternita degli Agonizzanti. In attesa della forca, i fratelli con cappa e torce, dopo essersi preparati spiritualmente e pentiti dei propri peccati, si incamminavano verso le carceri («processionalmente, e col volto coperto [...], accompagnati da torce bianche accese») recandosi nella cappella della conforteria. Qui un suggestivo rituale avrebbe segnato la consegna del condannato dal bargello ai confratelli: postosi sull’altare, il direttore sarebbe stato affiancato da due compagni con le fiaccole accese e tutt’intorno si sarebbero disposti gli altri soci. Dopo l’apertura delle prigioni davanti al superiore munito di crocifisso, i fratelli si sarebbero tolti il cappuccio «acciocché il primo aspetto di figure così coperte, incognite, e tutte nere, non ingerisca maggiore spavento al Condannato». In una coreografia densa di simboli, il bargello avrebbe proclamato la sentenza e i termini dell’esecuzione, ritirandosi prontamente. A parlare ora dovevano essere gli strumenti della conversione172. Il crocifisso che aveva di172 Non è un caso che, nel citato promemoria della compagnia, fossero scrupolosamente annotati gli oggetti di cui i confortatori si dovevano premunire in vista del loro compito. Così si leggeva: «Crocefisso grande per annunziare la morte. Crocefisso piccolo in articulo mortis che è quello d’argento che sta nell’armario degl’argenti. Quattro torze nere per accompagnare. Quattro candelle per l’altare. Tanti tavolini con sopra un crocefisso e due candellieri con candelle accesse quanti sono li pazienti. Pianeta e tutto l’occorente per celebrare la messa. L’altare preparato di tutto per poter celebrare. Spargolo e sprucetto per l’aqua santa [...] Faccioletto, malvasia, chiopette e biscottini secondo occorre agli pazienti e li confortatori. Carta, calamaro, penna per poter scrivere. Aceto buono e aqua della regina per svenimenti» («Nota delle

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schiuso le porte della prigione era offerto all’attenzione del condannato perché gli si aprissero le porte del cielo: il direttore «con poche, pie, ed amorose parole, gli suggerirà di gettar gli occhi sopra di essa [immagine]; riconoscervi il Simulacro del suo Redentore; rivolgere in lui tutte le speranze della sua eterna Salute»173 e, com’è stato notato anche per altri contesti174, ritornava l’esortazione a confidare nel sangue salvifico di Cristo, lavacro dei più atroci peccati. «Soprabello» era il Redentore appeso alla croce, spiegava Daniello Bartoli, ma «certamente non basta vederlo, e null’altro, ma si conviene studiarlo, e intenderlo: perocch’egli è un libro di profondissima sapienza»175. Le reazioni di fronte a questo libro scritto «a tintura di sangue» potevano essere molte: vi era chi subito cedeva, chi restava come stordito e chi infine dava «in ismanie e furori» o in «pianti e disperazioni»: in questo caso era bene attendere qualche tempo e procedere dopo un po’ alla recita delle preghiere d’intercessione previste. Il condannato doveva quindi essere condotto in una stanza più piccola dove poter restare solo coi confortatori «tanto che si assuefaccia a vederli e conoscerli». Passati alcuni istanti, uno dei due se ne sarebbe andato lasciando il compagno «in libertà d’insinuarsi nei segreti della coscienza del Reo»: cominciava da qui la delicata guerra di posizione destinata a far capitolare il giustiziando.

cose necessarie da prepararsi per la Conforteria avanti che siegua la giustizia di qualche condannato a morte»; ACMO, AR-SGB 10; ma si vedano anche le altre carte qui raccolte). 173 Un esempio delle esortazioni rivolte al condannato «nel presentare il Crocefisso» è riportato dal Sabbatini nelle consuete Memorie. Nel 1755, a Maddalena Otti i confortatori così si rivolsero: «Animo, Maddalena, Sorella diletttissima in Gesù Cristo: il tempo è questo di meritarvi il perdono de’ vostri peccati; e susseguentemente la gloria eterna del Paradiso. Questo Signor Crocefisso, che io vi presento tutto asperso del Sangue, che ha versato per voi, vi sollecita al pentimento per non differirvi il dono della santa sua Grazia: e Maria Vergine Santissima, Avvocata particolare delle Penitenti Donne, dai piedi di questa Croce già vi stende la mano, per introdurre l’Anima vostra nel Costato del suo Divino Figliuolo [...] Venite con noi a cominciare il Sacrifizio di tutta voi stessa a questo buon Dio, che vi chiama, vi desidera, e vi vuole eternamente beata nel Paradiso. Andiamo» (Memorie del Pio Istituto cit., pp. 168-169). 174 Per dirla sinteticamente con Prosperi, «il filo rosso del sangue corre attraverso la storia delle confraternite con una tendenza evidente alla trasposizione simbolica di quella che era una continua esperienza reale» (A. Prosperi, Il sangue cit., p. 963). 175 D. Bartoli, Delle grandezze di Cristo in se Stesso e delle nostre in Lui, in Opere del Padre Daniello Bartoli, In Venezia, MDCCXVI. Presso Nicolò Pezzana, tomo II, pp. 677-934 (qui cit. le pp. 896-897, da cui è tratta anche la citazione che segue).

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La battaglia spirituale «Li fratelli Confortatori – ammoniva il gesuita Giacinto Manara – non lasciano entrare nelle Confortarie alcuno, il quale non sia destinato all’officio di Confortatore [...] li Condannati non devono esser molto straccati con parole, ma aiutati con orationi»176. Il silenzio, con chiari intenti psicologici, doveva dominare gli ultimi e decisivi istanti del reo, non a caso assimilato – lo si è visto – a un agonizzante: nel clima meditativo delle «malinconiche» atmosfere della conforteria, il peccatore (o più raramente l’innocente) doveva rientrare in se stesso e raccogliere le forze necessarie all’ultimo combattimento. Era «della somma importanza, che [...] non si svegli confusione né tumulto, né alcuna maniera di rumore». Eppure non sempre era così facile condurre a buon fine quegli istanti di riflessione silenziosa: il riposo o bisogni fisiologici come il bere e il mangiare potevano divenire scuse per aggirare le cure dei fratelli. Il vino, si raccomandava, doveva esser sempre «leggerissimo» e si doveva ridurre il sonno di chi si coricava per evitare la confessione. In quest’ultimo caso era bene avvertire il vescovo che si sarebbe recato di persona a persuadere il condannato alla riconciliazione. La sorpresa era un elemento essenziale per la buona riuscita dell’operazione: «si avvertirà [...] di non anticipare al Paziente la notizia della venuta del Prelato, ma annuziargliene tutto all’improvviso l’arrivo [...] mentre anche l’inaspettata comparsa del Sacro Pastore servirà forse per eccitare nell’animo di quel Meschino qualche utile commozione». Il confine tra contrizione, attrizione e umano imbarazzo vacillava anche se in tutti e tre i casi le norme canoniche avrebbero garantito una via d’uscita e di salvezza per confortatori e confortato177. Se però il reo non intendeva cedere, bisognava avvisare i giudici secolari perché non anticipassero l’esecuzione, dimostrando – quasi a complemento delle osservazioni di Giovanni Romeo sui casi napoletani – che se non si parlava esplicitamente di dilazioni per simili occorrenze, tuttavia si ventilava l’idea di un’osservanza scrupolosa del tempo rimasto. Ogni minuto doveva essere conservato e gelosamente custodito dai compagni della Morte a favore dei condannati recalcitranti, mentre – per semplificare – dove vi era conversione

G. Manara, Notti malinconiche cit., p. 354. «Contritio – stabiliva il Concilio tridentino – quae primum locum inter dictos poenitentis actus habet, animi dolor ac detestatio est de peccato commisso, cum proposito non peccandi de caetero [...] Illam vero contritionem imperfectam, quae attritio dicitur, quoniam vel ex turpidinis peccati consideratione vel ex gehennae et poenarum metu communiter concipitur, si voluntatem peccandi excludat cum spe veniae, declarat non solum non facere hominem hypocritam et magis peccatorem, verum etiam donum Dei esse et Spiritus sancti impulsum» (COeD, p. 681). 176

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ogni anticipazione del supplizio non ostacolava (era anzi vero il contrario) la conquista dell’acquisita vita eterna. Che poi, al culmine della disperazione, si potesse afferrare un ultimo soffio di esistenza salendo le scale della forca, non era un’ipotesi così remota se, come scrivevano i compagni, i confortatori potevano fermare la mano del boia quando il paziente «prevenuto inopinatamente da un nuovo raggio della Divina Grazia, desse contrassegni di ravvedimento, e dimandasse tempo per fare la sua Confessione». Il tempo che l’eternità avrebbe cancellato poteva divenire l’unica ragione per accostarsi ai sacramenti della Chiesa. In questa estrema evenienza i confratelli avevano disposizioni inequivocabili: «in tutti i sopradetti, o simili casi, è da avvertirsi di prendere, quanto più si possa, il tempo in avanzo». Un pertugio in cui i giustiziandi si sarebbero infilati per ragioni più che comprensibili. Vi era poi un’altra possibilità: il reo poteva chiedere di essere assistito da un «confessore estero», cioè non appartenente alla compagnia: la domanda doveva essere soddisfatta ma, assolto il proprio compito sino al patibolo, il religioso non avrebbe potuto arringare il popolo come previsto, poiché, si diceva, per «una spezie di diritto naturale» tale mansione restava appannaggio esclusivo dei confortatori. «La confraternita – asserivano risolute le Memorie – [è] padrona indubitata della Funzione». La sentenza – cruda e netta – chiudeva ogni discussione. Ma dietro a quella che potrebbe apparire la gelosa difesa delle insegne del Battista si celava la ben più seria esigenza di assicurare una legittimazione del potere di cui la compagnia era garante: nell’esporre il sugo di tutta la storia coram populo non si poteva correre il rischio di far passare messaggi distorti o, peggio ancora, eversivi. Ogni eccezione era dunque buona sino a che il condannato impenitente era in vita, ma, al sopraggiungere della conversione o della morte, i giochi erano irrimediabilmente chiusi e la palla passava senza deroghe ai membri della compagnia. A loro spettava anche il pietoso compito di dare sepoltura a corpi spesso straziati e lacerati, ciò che peraltro costituiva la ragione originaria delle confraternite di giustizia. L’esperienza dei confratelli aveva codificato modi e procedure da seguire nei diversi casi: una lunga descrizione degli strumenti adottati indicava ai confortatori come prendersi cura delle spoglie mortali dei giustiziati, destinati a essere rivestiti, prima del patibolo, con un apposito scapolare elaborato per l’occasione178. Era fuori dalla conforteria però che si annidava il rischio maggiore, quello della disperazione: nel tumulto della folla e alla vista degli strumenti di

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Il cui disegno è riportato tra le pp. 106 e 107.

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morte, il reo avrebbe potuto cedere al peggiore (e più irrimediabile) dei peccati. Una serie di accorgimenti era rivolta a evitare questa eventualità: il paziente sarebbe stato preceduto dal direttore e affiancato dai suoi confortatori. Quattro fratelli con le torce accese avrebbero scortato il condannato, dietro il quale – nascosto alla vista – si sarebbe incamminato il carnefice. Erano gli occhi, principio e porta di tante colpe dell’anima, a dover essere custoditi. Il confortatore alla destra del giustiziando «avrà in mano la consueta Tavoletta dipinta al di dentro colla Sacra Immagine del Crocefisso, colla quale avrà attenzione di tenergli talmente coperto il volto, che gli venga impedito di vedere né per dove passi, né il termine dove vada». Il gonfaloniere era incaricato di porsi davanti al patibolo per occultare il tumulto di popolo che si affollava in attesa dell’esecuzione, mentre il confortatore, continuando a utilizzare la tavoletta come salvifico schermo della realtà circostante, doveva seguire passo passo il condannato. Era come se l’ambiente della conforteria, coi suoi simboli – in primis il crocifisso – e le sue insegne, dovesse idealmente prolungarsi sino al palco di morte, evitando in ogni modo al peccatore convertito distrazioni che potevano risultare letali per il suo destino eterno. E come su quel Golgota dove il condannato era invitato a trasportarsi, giungeva il momento di emettere lo spirito. Dopo la predica del confortatore dall’alto del patibolo179, si snodava la processione delle cappe nere verso l’oratorio di San Giovanni, in attesa che il cadavere, esposto ad ammonimento collettivo, potesse essere rimosso180. Mentre i fratelli, all’ora stabilita, recuperavano i resti del giustiziato, un picchetto di soldati avrebbe tenuto lontana la folla accorsa per l’occasione per motivi, come si è visto, non sempre disinteressati. Il cadavere doveva esser trasportato nell’oratorio per le ultime funzioni: venivano bruciate nella sagrestia capestro, «mezzanella» e corde; il parroco della cattedrale celebrava le esequie, quindi ci si avviava alla sepoltura presso la chiesa di San Domenico. La polvere era tornata alla polvere, dunque, ma dall’uomo di terra era nato ancora una volta (o così speravano i fratelli) l’uomo nuovo.

179 Si consideri di nuovo, a titolo di esempio, il testo riportato dal Sabbatini nelle Memorie del Pio Istituto cit., pp. 171-177. 180 Nel 1855 il Codice criminale promulgato da Francesco V stabiliva ancora che, dopo l’esecuzione, «il corpo del giustiziato» dovesse rimanere «appeso al patibolo ed esposto al pubblico sguardo per sei ore continue» (Codice criminale per gli stati estensi (1855), Padova, Cedam, 2002 (ristampa anastatica), p. 5, lib. I, tit. II, art. 12).

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Dare la vita Il 24 giugno 1603, festa del titolare della confraternita, «la Compagnia di San Giovanni Battista – riferiva lo Spaccini – ha liberata una donna dalla morte e menata processionalmente»181. La «giovane della Bastiglia dannata a morte per avere soffocata ‘una sua criatura’ [...] fu condotta [...] per la città incoronata di fiori con torcia accesa in mano»182: era la prima volta che il sodalizio, oltre alla vita spirituale di un condannato, intercedeva per quella terrena esercitando un privilegio cui tutte le conforterie ambivano. Di questo intreccio tra fine e prosecuzione dell’esistenza (quasi una rinascita) troviamo tracce, ancorché non così abbondanti come ci si aspetterebbe, all’interno di alcune carte confraternali sfuggite alla dispersione. Nel 1602 i fratelli della Morte si rivolgevano al duca per esporgli «qualmente in tutte le città cattoliche ove risiede il loro principe suole essa compagnia essere da lui favorita della liberatione d’alcuno carcerato in segno sì della bontà del principe come forse ancora per incorare essi fratelli al multiplicare le opere della carità»183: nella richiesta dei compagni s’intrecciavano istanze diverse che, superando gli stilemi formulari, facevano convergere i motivi del potere con quelli della pietà cristiana. Il principe – i cui attributi di giustizia e pietas avevano radici tanto antiche quanto l’esercizio stesso della sovranità 184 – era chiamato a mostrare la sua clemenza consentendo ai fratelli di liberare, in occasione della festa di San Giovanni, un prigioniero. La domanda del sodalizio aveva evidentemente preso corpo all’indomani della devoluzione faentina (1598) e del trasferimento della capitale a Modena: laddove il signore aveva la sua sede, lì doveva farsi palese il segno della sua bontà. I membri della fratellanza chiedevano pertanto di poter graziare «ogn’anno nella festa della natività del suddetto santo un prigione ancorché reo o condennato a morte a loro beneplacito [...] non ostante che tutto riceveranno per gratia speciale dalla sua pia bontà». Era, com’è stato felicemente definito, un gioco delle parti185 nel quale la confraG.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1603-1611, a cura di A. Biondi, R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 1999, p. 42. 182 G. Soli, Chiese cit., II, pp. 165-166. 183 Il documento, in copia, è conservato in ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Privilegio della liberazione di un condannato [...] nel giorno della festa della natività del santo Precursore in ciascun anno», fsc. n. 1. Una trascrizione dello stesso è reperibile in Memorie del Pio Istituto cit., pp. 186-187. 184 Già Machiavelli, nel XVII capitolo de Il Principe, ricordava che «ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele», anche se, proseguiva, «è molto più sicuro essere temuto che amato» (la citazione è tratta da N. Machiavelli, Opere, a cura di M. Bonfantini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954, p. 53). 185 Cfr. A. Prosperi, Il sangue cit., pp. 981-982. 181

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Fig. 8: Libro dei maneggi (ACMO, AR-SGB 212)

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ternita esercitava un potere all’apparenza discrezionale (decidere a proprio beneplacito chi liberare), in realtà in stretta connessione (per non dire subordinazione) al potere ducale186. Il consigliere Giovanni Battista Laderchi187 il 26 settembre di quell’anno ratificava la richiesta dei fratelli188, dando inizio a una tradizione che, parrebbe, fu esercitata con relativa parsimonia189. Il privilegio concesso da Cesare d’Este venne più volte reiterato, dapprima da Alfonso IV nel 1660, tre anni dopo dalla duchessa Laura, nel 1708 da Rinaldo I d’Este, nel 1760 da Francesco III e, il 28 aprile 1780, dal figlio Ercole III190. Diversi sono i fascicoli prodotti dai confratelli a memoria delle avvenute liberazioni. Nel 1646 i soci indirizzavano al duca la richiesta di grazia per Bartolomeo Gasparini «il quale havendo la pace dalla parte offesa [...] si spera sia capace di provare li benigni influssi della clemenza di Vostra Altezza Serenissima»191: il duca non mancava di accogliere la richiesta il 14 giugno, dieci giorni prima della festa in cui si sarebbe svolta la consueta processione del beneficiato. La consolidata procedura, espressione del sistema di potere in cui tra il principe e il condannato si poneva come cinghia di trasmissione il sodalizio di 186 Tant’è vero che in alcuni casi il duca, come riferisce lo Spaccini, non esitò a rifiutare la concessione di un condannato. Nel 1618, per esempio, «Sua Altezza non ha voluto concedere il condennato con dire non voler mettere la spina a mano» (Cronaca, 2002**, p. 322). Oltre a questo esistevano riserve ben precise che impedivano ai compagni di domandare la liberazione di alcune categorie di detenuti per cui v. infra. 187 Sul Laderchi, sospettato di essere uno degli informatori di Roma durante la controversia tra la casa d’Este e la Santa Sede per il possesso di Ferrara, si vedano alcuni cenni in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1980, 24, pp. 136-141 (Cesare d’Este), in part. p. 137. 188 «Concedit Dominus ad beneplacitum Suae Celsitudinis ut petitur, ita tamen ut, si condemnatus aliquid erogaverit pro liberatione, pars tertia domui mulierum succursus distribuatur. Io. Bapta Laderchius, die 26 septembris 1602». In calce al documento, con grafia e inchiostro diversi, è posta anche la conferma ottenuta l’11 novembre 1627 («Confirmat dominus ut petitur. Die 11 9bris 1627»). 189 Stando alla cronaca dello Spaccini, se si guardano gli anni successivi al 1603, bisogna attendere oltre dieci anni per assistere alla liberazione di un altro prigioniero il 24 giugno 1614. Anche in questo caso si trattava di «una donna di Savori» imprigionata «per aver sofocato un suo figliuolo fatto di strabalzo» (Cronaca, 2002*, p. 341). Nel 1616 fu invece graziato «Giovannino Romagnuolo, e costui è stato causa di gran rissa tra questi officiali, chi voleva morisse et chi no», forse togliendo le castagne dal fuoco allo stesso duca (ivi, p. 632). Sarà dalla seconda metà del secolo che le liberazioni si faranno più frequenti. 190 ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Privilegio della liberazione di un condannato [...] nel giorno della festa della natività del santo Precursore in ciascun anno», fscc. n. 2-6, in parte riportati in Memorie del Pio Istituto cit., pp. 188-194. 191 ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fsc. n. 2.

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San Giovanni, prescriveva che il prigioniero esponesse le proprie ragioni ai confratelli, i quali avrebbero provveduto a inoltrare la richiesta alle autorità estensi. Nel 1661, per esempio, Girolamo Borghi – destinato a essere graziato di lì a poco – scriverà ai fratelli192: Girolamo Borghi servo humillissimo delle Signorie Vostre Illustrissime le suplica a volersi degnare domandarlo in gratia a Sua Altezza Serenissima, essendo condannato a morte per essere stato trovato con le pistole nella piazza di Modona e, sapendo questo non esser delitto prohibito da domandarsi dalle Signorie Vostre Illustrissime, humilmente le suplica a fare questa carità [...]

Allo stesso modo, nel 1674, Giuseppe Passini «humilmente» narrava «come è stato condannato la vita per colpa non repugnante alle loro constituzioni»193, pregando i membri dell’associazione di intercedere presso il duca. La liberazione del prigioniero diveniva, come detto, occasione per manifestare in pubblico sia il peso del sodalizio sia la clemenza del principe. Nel 1680, in occasione della grazia accordata ad Andrea Bardoni, le strade cittadine assistettero a una solenne cerimonia dai contorni teatrali194. I membri della Morte, capeggiati dall’ordinario, diressero verso il palazzo della Ragione con un corteo di «putti vestiti da angioli, quattro de quali portavano sopra bacili d’argento» contenenti vestiti e oggetti da consegnare al Bardoni: la cappa, il cordone bianco, la corona d’alloro «inargentata» e una torcia. Giunti al palazzo, l’ordinario, alcuni confratelli e i quattro fanciulli salirono le scale, presero in consegna dal podestà il graziato («in total libertà») e, nei locali dell’archivio cittadino, procedettero a vestirlo. Trombe e applausi accolsero l’uomo restituito alla libertà (anche se accortamente il testo parla di squilli di tromba che «applaudirono a tal gratia» e, dunque, alla pietà di chi l’aveva concessa): intonato il salmo Confitemini, inno alla misericordia divina195, si seguiva un percorso che sarebbe giunto al cuore del potere, la corte ducale: avviatosi il corteo per il Castellaro, dalla torre della cattedrale «le campane in segno d’allegrezza» suonavano ininterrottamente sino al termine della funzione. Si issava il «confalone del graziato» fatto «di cendalo nero contornato o circondato di lavoriero di 192 ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fsc. n. 4. 193 ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fsc. n. 6. 194 Le citazioni che seguono sono tratte da ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fsc. n. 7. 195 Salmo 118(117): «Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius».

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rabesco d’argento di foglia ben inteso con l’infrascritte parole nel mezzo: ‘Intelligite he¸c qui obliviscimini Deum, ne quando rapiat et non sit qui eripiat’»196. Seguiva il consueto gonfalone affiancato da due putti vestiti da angeli con torce accese, dietro il quale si snodava la processione dei fratelli, allineati a due a due. Chiudevano la parata otto angeli recanti aste con cartigli sopra i quali era scritto «un moto a proposito di tal funzione»; in mezzo a essi incedeva il graziato presso cui stavano tutti gli ufficiali e il cappellano del sodalizio. «Così continuando il viaggio con li trombetti avanti tutta la processione, quali di quando in quando sonnavano le trombe», ci si dirigeva dal Castellaro verso il Canal Grande, quindi verso la chiesa di Santa Margherita e di qui alla «corte di Sua Altezza Serenissima». Si entrava poi nella chiesa di San Giorgio, vicina al palazzo ducale, dove veniva «scoperta la santissima imagine» della Madonna del Popolo197. Terminate le litanie si riprendeva il percorso passando per la Rua Grande198 e la via Emilia (la «strada Maestra»), sino al mercato della legna199 e, superato il vescovado, si attraversava la piazza giungendo finalmente all’oratorio della Morte. Si saliva poi al piano superiore, appositamente addobbato, dove si celebrava la messa culminante, come in un quadro barocco, nella comunione del peccatore toccato dalla grazia (l’ambivalenza del termine consentiva un facile scivolamento di significato). Il graziato, secondo una prassi simile a quella riservata agli eretici piegatisi all’abiura, stava «in ginochioni nel mezo della chiesa così vestito e ghirlandato con detta torcia accesa [...] continuamente per tutto lo spacio di detta messa» e, dopo «una buona amonitione», veniva congedato. Il complesso cerimoniale studiato dai compagni nei minimi dettagli collegava in un impalpabile ma stretto fil rouge le magistrature cittadine e i poteri costituiti: l’oratorio della Morte non era che l’epilogo di un complesso intreccio. Il podestà consegnava, su ordine del duca, il prigioniero ai fratelli e questi, quasi in un rito iniziatico, ne segnalavano la rinascita sociale, la restituzione alla vita quotidiana proiettandolo in uno squarcio paradisiaco fatto di angeli e ghirlande. Il transito nei pressi della corte segnava il culmine della cerimonia che, con gli onori tributati alla Vergine e la messa conclusiva, si chiudeva mostrando la preminenza della causa del principe su ogni altra esigenza. Era alla grazia, più che al graziato, che si tributava onore. 196 La citazione è tratta dal Salmo 50(49),22. Nel testo originale si trova l’erroneo rinvio a «Psal. 99». 197 Sull’intitolazione dell’immagine e sui problemi connessi cfr. G. Soli, Chiese cit., II, in part. p. 124. 198 Cfr. L.F. Valdrighi, Dizionario cit., pp. 142-144. 199 Cfr. L.F. Valdrighi, Dizionario cit., pp. 167-168.

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Da una rapida analisi degli incartamenti confraternali200, poi, è possibile individuare le ragioni che, con motivi ricorrenti, il sodalizio adduceva a favore dei condannati: ora ci si richiamava alla giovane età del reo, alla condizione di malversazione cui si sarebbero trovati esposti figli e congiunti in caso di esecuzione, ora alla povertà che aveva spinto a commettere questo o quel delitto e spesso non si mancava di sottolineare la scarsa propensione al crimine – e quindi la bassa probabilità di reiterazione del reato – da parte del soggetto da graziare. Diversi, come si è visto, erano anche i casi di donne accusate d’infanticidio, non ultima quella Caterina Benvenuti che, grazie alla clemenza del marchese Filippo Rangoni, scamperà la forca nel 1701201. Meglio di quanto accadrà, pochi anni dopo, a Lucia Cremonini: una storia simile, cui sarà riservato un più triste epilogo202. Esistevano tuttavia alcune categorie di criminali per cui i fratelli non potevano chiedere la grazia: i «Capitoli per la liberatione del prigione»203 del 1601 stabilivano l’esclusione dalla scelta di «sospetti o inquiriti d’heresia, de crimine lese¸ maestatis, del peccato neffando et d’assassini publici habituati alla strada» (in altri termini eretici, sovversivi, sodomiti e briganti). I compagni erano chiamati a esprimersi con voto segreto su una rosa di nomi proposti da ordinario, sottordinario, massaro e decano: il candidato che riceveva i due terzi (o più) delle preferenze risultava destinato alla grazia e, in caso di pareggio tra candidati per due scrutini consecutivi, si procedeva all’estrazione a sorte da parte di un fanciullo. Vi era poi una priorità nella designazione del «prigione» da liberare: prima venivano gli eventuali membri della compagnia, quindi i cittadini modenesi, riprova di un radicamento territoriale tipico degli ambienti confraternali e della piccola nobiltà inurbata che ne era parte fondamentale. Al voto erano ammessi i confratelli giunti almeno al diciottesimo anno di età e, come ovvio, erano pesantemente sanzionati favoritismi, donativi o analoghe trattative volte ad agevolare la liberazione di uno specifico condannato. Non potevano infine essere designati criminali che non avessero «la pace dalla parte offesa»: il perdono e la misericordia cristiana di cui il sodalizio si sarebbe fatto promotore non poteva eludere la legittima soddisfazione delle parti lese. Il precario equilibrio tra indulgenza e vendetta, proprio perché rivolto, come i riti di giustizia, alla ricomposizione di potenziali fratture sociali, doveva considerare le ragioni dei danneggiati. 200 In part. ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fscc. n. 1-8. 201 Cfr. ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Grazie concesse a vari rei di morte [...]», fsc. n. 8. 202 Cfr. A. Prosperi, Dare l’anima. Storia di un infanticidio, Torino, Einaudi, 2005. 203 Cfr. ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Capitoli per la liberatione del prigione da farsi ogni anno per li fratelli di San Giovanni Battista».

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Non stupisce dunque che, diversi anni più tardi, lo stesso Codice criminale estense ribadisse che «se la pena e l’azione penale si estingue colla grazia del Sovrano» restava invece «intatta l’azione civile per le riparazioni del danno derivato dal delitto»204. Una distinzione moderna, dietro la quale campeggiavano esigenze antiche. «Fornicazione, mollizie e sodomia» Uno dei terreni in cui i fratelli, come visto, non potevano inoltrarsi nel richiedere la liberazione di prigionieri era quello dell’eresia. In realtà sotto le insegne della deviazione dalla retta fede erano progressivamente ricaduti peccati, crimini e comportamenti tra loro affatto diversi, dalla bestemmia, al possesso di libri proibiti, ad atteggiamenti di ordine morale giudicati meritevoli di procedimenti inquisitoriali. Nel XVII e XVIII secolo le competenze del Sacro Tribunale si estesero decisamente, tanto che, come nota Romeo, «la più importante novità che amplia nel corso del Seicento il ventaglio di competenze dell’Inquisizione romana è l’affidamento ai suoi tribunali dei sacerdoti che adescavano penitenti mentre li confessavano»205: con la sollicitatio ad turpia si entra, per così dire, in quella zona grigia tra fede e morale che consentirà ai giudici di allargare le proprie attenzioni anche alla sfera della sessualità. È, secondo ciò che afferma Prosperi, un cambiamento bilaterale e interdipendente tanto dei confessori quanto degli inquisitori: «da un lato, il tribunale di foro interno [la confessione] divenne un luogo dove si svolgeva una indagine elaborata e approfondita, di natura giudiziaria; dall’altro, il tribunale di foro esterno dell’Inquisizione finì con l’assumere funzioni di polizia dei costumi sessuali»206. Il cambiamento, anche nella piccola realtà modenese, vi fu e non fu da poco. Il volto dei delitti perseguiti dalle autorità religiose mutò, passando dall’eresia alla stregoneria (la prima grande ridefinizione di obiettivi), quindi scivolando verso la bestemmia, la bigamia, la sollicitatio e reati analoghi207.

Codice criminale cit., p. 24, lib. I, tit. IX, art. 101. G. Romeo, L’Inquisizione nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 74. 206 A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996, p. 508 (ma si estenda la lettura alle pp. 508-519 per la «sollicitatio ad turpia»). 207 Per una valutazione sommaria sull’evoluzione conosciuta dai vari capi d’imputazione, si veda quanto riportato nella schedatura approntata da G. Trenti, I processi del tribunale dell’inquisizione di Modena, Modena, Aedes Muratoriana, 2003. 204

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In questo quadro può risultare significativo soffermarsi sul caso di Vincenzo Pellicciari, già esplorato in altre sedi208, ma forse ancor degno di alcune note. Nel giugno 1726, Domenico Lulio – primo di una lunga serie di compagni di lavoro del Pellicciari – riferì ai giudici che Vincenzo, tra le fatiche del filatoio, affermava di aver udito che «la beata Vergine si faceva fottere»209. «Tutte le donne si fanno fottere – proseguì, secondo la testimonianza di Francesco Giovitta – [e] anche la beata Vergine si è fatta fottere»: a nulla valsero i rimbrotti dei presenti inequivocabilmente apostrofati dall’uomo: «Coioni, matti, so quello che dico e so che cosa posso dire [...] Io mi son sposato col diavolo»210. Dalla padella nella brace. L’ipertrofica e probabilmente turbata fantasia del Pellicciari si stava avviando su una china decisamente rischiosa. «Un giorno – aveva deposto Geminiano Setti – [...] essendo il suddetto Vicenzo Peliciari andato fori della porta di Sant’Agostino si era spoliato nudo in un prato [...], doppo haveva chiamato il diavolo dicendo: Diavolo vien qua! Et il diavolo subito venne. Et il Peliciari suddetto disse alora al diavolo: Voglio che tu mi sposi [...] Lo sposalizio fu che il diavolo lo negoziò di detro via e che per essersi sposato col diavolo esso Peliciari non prende moglie [...] Da l’ora in poi quasi tutte le notte [il diavolo] lo viene a trovar in letto e lo negozia». Il paniere di bestemmie, deviazioni morali e riti para-stregoneschi (ma la stregoneria c’entrava ben poco con il profilo del nostro tessitore) si era implementato di testimonianza in testimonianza. Geminiano Setti aveva anche riferito che la consacrazione dell’uomo al demonio era avvenuta quando, caduto il Pellicciari nel canale presso la Pomposa, il disgraziato aveva invocato in suo aiuto il diavolo e «subito vide come una fiamma che illuminò tutto il canale»211. La misura, per le orecchie dei giudici, era decisamente colma. Il 3 ottobre 1726, dopo aver completato l’audizione dei vari testimoni, fu ordinato l’arresto del sospettato. Le turbe sessuali e psichiche del Pellicciari, cui il difensore dell’uomo si appellerà («dementia satis arguitur»), cominciarono a emergere. Inizialmente l’inquisito minimizzò le sue affermazioni, imputandole ad altri o addirittura negando gli addebiti. Dopo diversi interrogatori però giunsero le prime ammissioni. «Una volta mi è scapato dalla lingua e ho detto che sono matti e coglioni quelli che si confessano di menarsi l’ossello e questo fu discorendo di Mi riferisco in particolare R. Canosa, Storia dell’Inquisizione in Italia dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento. Modena. Vol. I, Roma, Sapere 2000, 1998, pp. 107-114, che riporta i contenuti degli incartamenti processuali tirando alcune conclusioni su cui si tornerà brevemente e alla tesi di laurea di S. Ferrari, L’ultima condanna a morte dell’Inquisizione di Modena: Vincenzo Pellicciari (1727), Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Magistero, a.a. 1993-1994, relatore: A. Biondi. 209 ASMO, Inquisizione, 201,8 (d’ora in poi Processo Pellicciari), cost. 16 giugno 1726. 210 Processo Pellicciari, cost. 17 giugno 1726. 211 Processo Pellicciari, cost. 21 giugno 1726. 208

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Fig. 9: Libro dei maneggi (ACMO, AR-SGB 191)

cose lasive»212. Si giustificava dunque la masturbazione, spingendosi ben oltre: «Padre io son qui per dire la verità – confesserà ai giudici – e a questo proposito di negoziare donne di detro [ho detto] che sono matti e colioni quelli che si confessano di tali cose; dico che io ho praticato non solo homini libertini, ma anche donne di mala vitta». Sono stati costoro, libertini e prostitute, a insegnargli che masturbarsi col pensiero di sodomizzare donne non è peccato, né tanto meno lo è sodomizzarle realmente, che frequentare e avere rapporti con prostitute «nel vaso naturale d’avanti» non è peccato, che sono sciocchi coloro che si confessano di tali peccati e che non è peccato masturbarsi. E ingenuamente aggiungerà che «sino alli 26 anni tenevo sempre che menarsi l’ossello fosse peccato, ma dalli 26 anni in qua io cambiai parere»213. Strane evoluzioni dell’età adulta. Eppure era chiaro lo scenario di disagio e devianza in cui l’uomo si muoveva: affetto da turbe di ogni tipo, frequentava prostitute e «libertini» con cui aveva rapporti sessuali di varia natura. Il diavolo, in questo quadro, non diventava che una proiezione allucinata delle situazioni (mentali e reali) in cui il tessitore viveva quotidianamente, 212 213

Processo Pellicciari, cost. 25 ottobre 1726. Processo Pellicciari, cost. 29 ottobre 1726.

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deriso e sbeffeggiato – lo dirà lui stesso – dai compagni di lavoro perché non ancora sposato benché prossimo ai trent’anni. La posizione processuale del Pellicciari si aggravò nei costituti successivi: si fecero strada nuove ammissioni, dalla negazione dell’immortalità dell’anima ad apparizioni e rapporti sodomitici col principe delle tenebre che sembravano riesumati dalle pagine più celebri del Malleus214. Il filatore sosteneva poi di saper fare incantesimi e di poter intendere – per rivelazione diabolica – fatti sconosciuti, anche se i giudici non parvero dare troppo peso alla cosa. La palla passava ora da Modena a Roma: gli inquisitori si rivolsero alla Sacra Congregazione che decretò di consegnare l’uomo al braccio secolare215. Il 24 luglio 1727 la sentenza pronunciata dal domenicano Antonio Pozzoli da Lodi e dal vicario generale Lodovico del Monte ripercorreva punto per punto le affermazioni del Pellicciari che a trentaquattro anni di età si avviava al patibolo216. 214 Il Pellicciari, confermando la versione già offerta dai testimoni, racconterà che, recatosi fuori da porta Sant’Agostino per lavarsi invocò il diavolo, cui si rivolse con queste parole: «Voglio che tu mi sposi. E il diavolo rispose: Son qui. E lo sposalizio fu che il diavolo mi negoziò di dietro via sodomiticamente [...] Ogni notte viene il diavolo in letto a negoziarmi sodomiticamente e mi aveva una volta rotto di dietro via negoziandomi in figura di serpento [...] Io sono amoliato e non mi curo prendere altra moglie et anche ho detto che tutte le donne doppo tale sposalizio mi corrano dietro et io le negozio d’avanti e di dietro» (Processo Pellicciari, cost. 31 ottobre 1726). 215 «Reverendo padre, propostasi avanti la Santità di Nostro Signore la causa di Vincenzo Pellicciari, carcerato per proposizioni ereticali contro la purità della beatissima Vergine et altre con mala credulità come in processo, la Santità Sua col voto di questi [...] cardinali colleghi inquisitori generali ha decretato che il detto Vincenzo è incorso nelle pene contenute nelle costituzioni apostoliche della santa memoria di Paolo quarto e di Clemente ottavo e che però si consegni alla curia e braccio secolare [...] Roma, 21 giugno 1727» (lettera in copia, in Processo Pellicciari). 216 I capi d’imputazione erano così riassunti: «Che [tu, Vincenzo] avvessi in occasione, tempi e luoghi del processo espressi più e più volte con bocca empia e sagrilega negata l’integerima pudicitia et honestà di mente e di corpo dell’Immacolatissima sempre vergine Maria Signora Nostra. Che nel prendersi gusti e piaceri sensuali avvessi paragonata la stessa santissima Vergine più volte a qualsisia altra donna del mondo, usando in questa comparazione una parola laidissima che per modestia si ommette, espressiva della copula carnale. Che avvessi più volte detto che la fornicazione, la mollizie e sodomia, tanto ne maschi come nelle femine, non siano peccato e che sono matti e coglioni quelli che se ne confessano. Che avvessi frequentemente negata l’immortalità dell’anima ragionevole [...], che quando l’uomo muore, muore tutto. Che avessi più volte detto che tu vivevi e vivi secondo la legge degl’ebrei e detto ancora che niuna diferenza vi è tra la legge degl’ebrei e quella de cristiani. Che avvessi frequentemente detto e raccontato d’avere tu chiamato e invocato il demonio in tuo aiuto in occasione d’un tuo bisogno [...] promettendo al demonio l’anima propria e l’anima ancor degl’altri.

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Il giovane filatore, in attesa dell’esecuzione, sarebbe stato affidato alle cure dei confortatori che, a differenza di quanto visto per il Poggioli, furono estremamente sobri nella descrizione del supplizio217. L’anno 1727 30 luglio ad ore quindici circa nella pubblica piazza di questa città di Modena da Giuseppe Mogioli di Pistoia boia di Reggio fu appicato alle forche nella forma solita Vincenzo Pelliciari figlio di Paolo abitante in Modena sentenziato a morte dal tribunale della Santa Inquisizione per delitto d’eresia, bestemia et empietà dallo stesso commessi e fatto eseguire dal foro secolare. Il di lui capestro e mezzanine furono abbrucciati dalli signori confratelli di San Giovanni Battista [...] Nel dopo pranzo dello stesso giorno fatta la solita funzione levarono il cadavero dal patibolo.

Nessuna parola sulla disposizione con cui l’«eretico» era morto. Il caso di Vincenzo Pellicciari sembra concludersi in un alone di mistero218. La causa che lo condusse a morte fu probabilmente l’ostentazione pubblica di un comportamento deviante, nutrito da teorie che demolivano secoli di trattatistica e discussioni mediche, morali e giuridiche (elementi evidentemente intrecciati nelle questioni toccate dal Sacro Tribunale). Le turbe ossessive del condannato lo portavano a negare la peccaminosità dei rapporti contro natura (quelli che non passavano per il «vaso naturale») e della pratica onanistica ispirata da qualsivoglia pensiero. Di qui alla negazione della verginità di Maria il passo era breve nel guazzabuglio che regnava nella mente del Pellicciari. Risulta difficile pensare che nel misero tessitore fosse punito un peccato di orgoglio 219: non si era di

Che avessi pure molte volte asserito d’essere stato frequentemente sodomitato dal demonio, d’essere tu sposato col demonio medesimo, il quale ogni giorno veniva ad usare teco sodomiticamente [...] e che perciò fossero a te propense le femine che queste ti corressoro dietro abusandole anche preposteramente. Che avessi ancora più e più volte detto di sapere dal demonio tutto ciò che volevi de fatti altrui, d’avere scienza e prattica di far’incantesmi per allettare le femine [...]» (Processo Pellicciari, sentenza). 217 Vachetta, p. 55. 218 Nemmeno la polizza di morte, conservata al n. 14 in ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate) e spedita il 29 luglio ’27, fornisce maggiori dettagli. I fratelli erano semplicemente pregati di prestare i loro servigi «la notte seguente sino all’hora dell’esecutione». 219 Questa è la tesi di Romano Canosa. Il Pellicciari era «colpevole di un fatto che l’Inquisizione riteneva sempre di estrema gravità: aveva cioè, una volta arrestato, tenuto testa all’inquisitore, all’inizio negando tutto, poi ammettendo le cose solo parzialmente, infine ribadendo ancora una volta di credere nella verità di alcune affermazioni da lui fatte in precedenza quali la ‘partecipazione’ amorosa della Madonna e le sue originali teorie sul peccato di masturbazione. Fu il suo comportamento processuale coerente la causa della sua condanna a morte, non

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fronte né a un eretico pervicace, né a un esponente di rilievo degli ambienti cittadini. La carica eversiva di un tessitore canzonato dai compagni di lavoro perché non ancora ammogliato e oggetto della curiosità comune per le sue strampalate teorie sessuali era minima e una strigliata inquisitoriale (magari con qualche salutare penitenza) sarebbe stata sufficiente. Casi analoghi non mancavano. Molti processi, per imputazioni ben più gravi, si erano conclusi con abiure e promesse di ritorno all’ordine. Lo stesso filatore si era alla fine detto pentito, rimettendosi alla misericordia dei giudici, di Cristo e della sua (vituperata) Madre. Perché dunque si procedette con tanta determinazione contro il Pellicciari, un uomo chiaramente affetto da disturbi psichici? Un’indagine più approfondita resta da fare. L’impressione che si coglie da un primo esame delle carte, indurrebbe a ipotizzare che proprio la libertà sessuale e il «peccato nefando» goffamente propagandati dall’inquisito fossero la principale preoccupazione del tribunale e che la bestemmia contro l’integrità della Vergine finisse per diventare un comodo appiglio giuridico e dottrinale per procedere con severità220. È su questi aspetti che gli sguardi dei giudici si soffermarono con più attenzione. Le mirabolanti apparizioni diaboliche non sembrano destare particolare allarme se non per quella sodomia che incarnarono almeno su un piano allucinatorio e trasfigurato. Benedetto XIII e i cardinali del Sant’Uffizio avevano decretato, qualunque ne fosse la motivazione, che Vincenzo Pellicciari salisse la scala che portava alla morte. Ma il diavolo che lo aveva salvato dalle acque questa volta non intervenne per strapparlo al cappio del boia. Storia della giustizia, storia del potere 1831, maggio 26. Furono impiccati Ciro Menotti d’anni 33 e Dr Vincenzo Borelli d’anni 46 sul bastione di Cittadella presso l’ergastolo. 1832, luglio 19. Fu fucilato dietro la Cittadella il Cavale Giuseppe Ricci d’anni 36221. le idee per le quali era stato arrestato, il cui abbandono immediato da parte sua quasi sicuramente avrebbe condotto il tribunale ad infliggergli una pena molto meno grave. Fu il peccato suo di orgoglio che il papa e la S. Congregazione vollero punire» (R. Canosa, Storia cit., p. 114). 220 Si vedano le valutazioni proposte da S. Ferrari, L’ultima condanna cit., pp. 151 ss. che pure non riesce a formulare un giudizio ultimativo e l’ipotesi di Giuseppe Orlandi, Religione e società nel ’700 modenese, in: P. Golinelli, G. Muzzioli (a cura di), Storia illustrata di Modena, Milano 1990, II, p. 694, centrata sul ruolo determinante delle bestemmie contro la Vergine pronunciate dall’imputato. 221 ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), «Repertorio delle polize dei giustiziati», nn. 57-58. In allegato al registro non sono più presenti le polizze di morte dei tre condannati.

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Laconiche ed essenziali. Le note sugli eventi che segnavano il prossimo tramonto del restaurato regime ducale non si dilungavano, come al solito, in considerazioni di merito. La giustizia decretava, i fratelli confortavano. Il sogno del giovane Menotti in cui si mischiavano «la fede nella monarchia costituzionale, l’interesse per la tecnica insurrezionale, e la convinzione che l’appoggio popolare sarebbe sopravvenuto automaticamente non appena la rivoluzione proclamasse il proprio cattolicesimo»222 era destinato a evaporare di fronte ai colpi di mano di Francesco IV. Il cattolico popolo di Modena che non mancò di garantirgli assistenza spirituale in punto di morte, non lo seguì nella rivolta antiestense. Il sistema, se così si può dire, reggeva. Questo lampo di storia risorgimentale non era che l’ultimo strascico di una pratica – quella dei fratelli di San Giovanni – in cui le ragioni delle magistrature civiche e principesche s’insinuavano, nemmeno troppo velatamente, tra i riti destinati ad accompagnare i condannati dalla crudeltà della sentenza alla misericordia del giudice supremo. «Più che un servizio di carità prestato ai derelitti in nome del sacrificio di Cristo – scrive Giovanni Romeo –, il conforto rappresenta tra Cinquecento e Settecento lo strumento principale di legittimazione della giustizia terrena, il suggello apposto dalle autorità che controllano le anime alle decisioni delle autorità che controllano i corpi»223. Con le compagnie di giustizia ci si trova in tutto e per tutto sotto l’elastica etichetta di quel disciplinamento sociale additato come cifra distintiva dell’età moderna. Dopo le analisi svolte negli ultimi decenni da più parti, si può dare per appurato che dietro crocifissi, cappe nere e tavolette si muovessero esigenze di «ricucitura» che facevano delle conforterie il medicamento istituzionale delle ferite prodotte dall’orrore della condanna. Vi era, in altri termini, una «tendenza all’identificazione tra giustizia umana e giustizia divina e il conseguente impegno delle compagnie in un’opera di legittimazione pura e semplice del potere esistente»224. Il caso modenese si inserisce, senza particolari distinzioni, in questo alveo generale, sebbene per la piccola città estense si debba sempre tener conto dello spartiacque costituito dagli eventi del 1598. La confraternita di San Giovanni Battista, nata sul finire del Trecento, aveva conosciuto quel progressivo spostamento di obiettivi che dal perfezionamento personale dei membri era approdato alla centralità accordata all’assistenza ai 222 S.J. Woolf, La storia politica e sociale, IV, La ricerca dell’indipendenza (1815-1847), in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1973, 3, p. 293. 223 G. Romeo, Aspettando il boia cit., p. IX. 224 A. Prosperi, Il sangue cit., p. 979. Ormai al termine di questa indagine è giusto ricordare almeno il nome di Mario Sbriccoli, ai cui studi sul rapporto tra giustizia e potere queste pagine sono non poco debitrici. A riguardo si veda anche A. Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine, Torino, Einaudi, 2008.

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condannati, sempre più impinguata da concessioni e privilegi delle autorità politiche. Nel 1450 Leonello d’Este aveva inaugurato una florida tradizione di benefici erogati ai fratelli dalla casa ferrarese, consentendo alla compagnia di ereditare i beni dei «forestieri» e giustiziati cui avesse prestato assistenza225. Al culmine dello stretto rapporto tra i compagni e la corte si situa la licenza di poter graziare un prigioniero in occasione della festa del Precursore: la clemenza del sovrano, dietro i velami della pietà cristiana, mostrava di saper accortamente dosare punizione e misericordia, in un gioco di equilibri che conosceva paletti ben precisi. L’originario provvedimento del duca Cesare, in forzato trasferimento da Ferrara a Modena, fu reiterato da tutti i sovrani succedutisi al governo da Alfonso IV in poi. Laura Martinozzi (reggente per il figlio Francesco II), Rinaldo I, Francesco III, Ercole III: nessuno mancò all’appello. Forse una consuetudine, ma più facilmente un continuo ritorno al nodo vitale della questione: il potere di dare la vita e la morte era del principe e di nessun altro. Da lui discendeva il privilegio della confraternita, a lui doveva essere tributato l’onore di quel gesto di gratuita indulgenza. I riti della liberazione stavano a ribadirlo. Il nesso col potere politico, le esigenze di legittimazione delle strutture coercitive e giuridiche dello stato moderno e i legami che stringevano assieme regimi e conforterie non potevano offuscare un unico breve ma decisivo spazio in cui la giurisdizione della compagnia, per concessione del Comune piuttosto che del duca, diventava esclusiva: le «notti malinconiche». Quelle notti, talvolta fugaci e ridotte a poche ore, erano il terreno su cui la fraternità della Morte non ammetteva invasioni di campo. Nelle stanze della conforteria, a consegna avvenuta, solo l’or225 Il provvedimento era riprodotto in calce alla conferma emanata l’11 dicembre 1481 da Ercole I (riportata in Memorie del Pio Istituto cit., pp. 181-185). Il privilegio di Leonello prevedeva che «omni Septimana possunt Carcerati in Oratorio dicti Hospitalis videre Missam; & si quis damnatur ad mortem: ipsi de dicta Societate curant, ut dicti morituri confiteantur, & catholice finiant, eosq. associant, & sepelliri faciunt, & exhibent impensam funeris, ex quo per longa tempora, de cujus contrario memoria non existit bona dictor., damnator. dimissa sunt ipsi Hospitali, pacifice, ac quiete, & in modib. gabellar. dictae Civitatis provisum est, & Conductor gabellae Carceris non se impedire debeat de drapis alicujus damnati, sed esse debeant Societatis Hospitalis praedicti [...] Ipsa bona damnatorum possint secundum consuetum recipere, & in utile dicti Hospitalis convertere, & similiter dictorum advenarum, quorum legitimis haeredib., si qui apparerent: offerunt se facturos restitutionem debitam» (ivi, pp. 183-184). A un primo esame il testo originale parrebbe non più presente tra le carte confraternali – in parte ancora da riordinare –, sebbene se ne trovi menzione nell’«Inventario di diversi privileggi e grazie [...]» in ACMO, San Giovanni Battista (cc. non inventariate), in cui al n. 5 si riferisce del «Privileggio concesso dell’anno 1450 alla confraternita di San Giovanni Battista detta della Morte dal marchese Leonello d’Este di succedere ne beni de forestieri amazzati e de giustiziati e successiva conferma del privileggio medesimo fatta dell’anno 1481 dal signor ducca Ercole».

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dinario poteva autorizzare ingressi e uscite, solo gli ufficiali della Morte potevano stabilire chi, come e quando avrebbe assistito il condannato. «Perché l’errore picciolo nel principio – scriveva il sacerdote Marcello Mansio – diviene grande, nel fine [...], sarà bene, avvertire, che dee per ogni modo haversi cura, che non entrino nella Confortaria altri, che i Deputati per il bisogno imperoché, facendosi altrimente, con difficoltà si possono dopo evitar le confusioni [...] le quali, facilmente, possono recare molto danno»226. La delicata opera di risanamento spirituale era l’acme cui tendeva tutta l’azione dei fratelli: «la ‘conversione’ del condannato, la sua trasformazione da ‘cattivo’ a ‘buon ladrone’»227 era il momento preminente dell’attività delle compagnie di giustizia. È vero che la pratica di consolazione e persuasione cui i soci si rifacevano poggiava su fondamenta come l’accettazione della sentenza, il perdono dei propri aguzzini e più in generale un’intima rassegnazione elevata al rango di suprema virtù. Resta però altrettanto valido che all’interno di questo recinto poco spazioso, i membri di San Giovanni dovevano avere mano libera per parare i rovesci dell’animo, scosso dalle turbolenze e dalla concitazione di quegli ultimi soffi di vita terrena. La manualistica prodotta allo scopo, prima e dopo la temperie casuistica, cercò di codificare l’ampia gamma di reazioni, occorrenze e possibilità cui i confortatori sarebbero andati incontro. Spesso vi riuscì, altre volte no. Ciò che faceva la differenza – al di là dell’invocata illuminazione divina – era la sensibilità e accortezza psicologica dei confortatori. L’incontro tra una pratica di lunga tradizione e la capacità personale del fratello chiamato ad assistere il paziente era l’elemento essenziale per il passaggio da morte (spirituale) a vita. Le prescrizioni degli statuti a tale proposito parlano da sole. L’articolato percorso che aveva condotto le compagnie di giustizia dall’ingrato compito di seppellire i morti, via via incentivato e promosso dalle concessione di indulgenze e tesori spirituali, alla chirurgia (o «notomia») interiore delle coscienze in articulo mortis, ampliò le funzioni sociali delle stesse fratellanze: se si doveva placare il timore collettivo «che i cadaveri dei giustiziati sprigionassero energie negative e minacciassero di vendicarsi su quei vivi che li avessero manipolati»228, nondimeno era necessario esercitare uno stretto e severo controllo sui materiali che derivavano dalle esecuzioni (capestri, cappi, cordicelle e lo stesso sangue dei giustiziati). La morte era e restava un istante magico per definizione, una soglia dove due regni – l’aldilà e l’aldiqua – instauravano un contatto in grado di fornire energia per i rituali cui i vivi ricorrevano per finalità sovente molto terrene. Accanto a tutto ciò, rimaneva il vulnus del crimi226 M. Mansio, Documenti per confortare i Condannati a morte [...] Opera utilissima per ogni tribolato, In Roma, Appresso l’Herede di Bartolomeo Zannetti. M.DC.XXV., p. 8. 227 A. Prosperi, Penitenza cit., p. 190. 228 A. Zorzi, Rituali e cerimonie cit., p. 154.

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ne commesso e della condanna che ne era seguita. L’opera delle conforterie seppe progressivamente inserirsi in questa delicata terra liminare dove esigenze sociali, politiche e devozionali s’incrociavano, spesso annodando le loro sorti. Il condannato a morte, dopo le cure dei fratelli, poteva (e, negli auspici, doveva) passare dallo status di reietto e pubblico criminale a rassicurante simbolo di speranza cristiana. Il peccatore si trasformava in santo, se non in martire, accettando rassegnatamente la propria sorte e perdonando tutti dai giudici, ai suoi accusatori, al boia. Il crocifisso cui era invitato a guardare sin dai primi istanti di consegna ai compagni della Morte era il cifrario esistenziale offertogli: come il biblico «agnus qui ad occisionem ducitur», anch’egli non doveva aprire la sua bocca né, oltraggiato, minacciare vendetta229. «Il morente, se è stato offeso da qualcuno – insegnava già Erasmo – rinunci di cuore alla vendetta. Se colui che lo ha offeso è indegno di essere perdonato, Cristo ne è degno [...] Se si richiedono buone opere, nessuna è più efficace per ottenere la misericordia del Signore che perdonare di cuore e gratuitamente qualsiasi torto ci abbiano fatto gli uomini, per amore e sull’esempio di Gesù Cristo, che sulla croce pregò per coloro che lo avevano crocifisso»230. Di fronte alla folla accalcata, al truculento spettacolo da tricoteuses fatto di corpi dilaniati e teste mozzate si poteva dunque accostare l’edificante nascita al cielo del ladrone pentito che, guardando all’innocente e martoriato Redentore, apriva il cuore alla conversione. In questa sorta di idillio in extremis si ricomponevano le fratture che scuotevano i vincoli sociali e comunitari e il potere – quello stesso che condannava o graziava – trovava una sua giustificazione corroborata dall’opera persuasiva delle confraternite di giustizia. A volte tuttavia la storia pare richiudersi circolarmente, mischiando le carte e le parti dell’ipotetica commedia non senza colpi di scena per l’ultimo atto. Questa mattina – scriveva il confratello Giovanni Battista Spaccini – hanno impiccato ***** Caviaro, bolognese e boia di questa città, per sodomia. Ha detto di belle cose in Conforteria, con domandare quanto è da Modona in Paradiso; quando i Capuzzini vi dissero che Cristo lo chiamava in Paradiso vi rispose chi ve lo aveva detto a lori, e simil altre cose231.

Che distanza vi era da Modena al cielo? Forse poca per un frate confortatore, forse troppa per un boia divenuto vittima.

Il rimando è a Isaia 53,7. Erasmo da Rotterdam, La preparazione alla morte, in Id., Scritti religiosi e morali, introd. di A. Prosperi, a cura di C. Asso, Torino, Einaudi, 2004, pp. 433-479 (qui cit. la p. 467). 231 Cronaca, 2002*, p. 405. 229 230

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PARTE II MUSICHE E CONFORTO di Marta Lucchi

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Tracce e indizi: difficoltà di una ricerca Il nucleo di codici e manoscritti appartenuti alla confraternita di San Giovanni Battista di Modena conservati presso l’Archivio Capitolare della città 1 costituisce un insieme che, seppur disomogeneo e incompleto, offre notevoli spunti di ricerca intorno alla compagnia della Morte, una delle più interessanti e complesse fratellanze cittadine. Secondo l’impostazione metodologica adottata in occasione di precedenti studi dedicati alle compagnie laicali2, si è scelto di racchiudere la ricerca entro un periodo compreso tra il secolo XV – rifondazione statutaria del sodalizio – e il secolo XVIII, momento di trapasso dall’ancien régime all’età contemporanea con conseguenti, sostanziali modificazioni nella spiritualità, nella vita devozionale e amministrativa di tali istituzioni. I manoscritti esaminati nel corso del presente itinerario sono stati studiati non privilegiando una scansione prettamente tipologica – gli scritti infatti non sono dissimili – ma scegliendo piuttosto un ordine di successione cronologica attraverso il quale si è tentato di riconoscere e ricomporre, nella maniera meno lacunosa possibile, i tratti di una spiritualità laicale secondo l’indirizzo prospettico che ritiene devozione, canto, musica, realtà non marginali nella storia della cultura. Alla musica, che nel corso dei secoli permeava la vita della città e della corte, le confraternite diedero rilevanti apporti, in maniera capillare, organica, praticando al loro interno una disciplina spirituale e liturgica alla quale si aggiunse l’esercizio spontaneo, popolare, denso di dati salienti anche se ancora non ampiamente documentati. Tralasciando il fenomeno laudistico che caratte1 M. Al Kalak, Inventario dei manoscritti dell’Archivio Capitolare di Modena. Vol. II, Modena, Mucchi, 2005, pp. 40-53. 2 M. Al Kalak, M. Lucchi, Il laudario dei disciplinati. Preghiere, invocazioni e laude dei confratelli modenesi nei secoli XV-XVI, Modena, Mucchi, 2005; Idd., Le regole dello spirito. Norme, statuti e liturgie della confraternita della Santissima Annunziata in Modena, Modena, Mucchi, 2006. Per la stesura del presente contributo ci si è avvalsi di fonti archivistiche di prima mano. Dai riferimenti bibliografici essenziali citati in nota potranno essere ricavate tracce utili per approfondimenti in relazione alla storia della musica e dei musicisti attivi nelle varie istituzioni cittadine (corte, cattedrale, confraternite). Non si sono citate grandi pubblicazioni musicali né opere di consultazione generale, alle quali come ovvio si rimanda per una visione meno fuggevole e frammentaria.

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rizzò l’espressione cultuale dai tempi altomedievali3, non è fuori luogo infatti osservare che la pratica della musica, favorita dalle confraternite nelle testimonianze pubbliche di carità e penitenza, non si limitò a essere strumento di aggregazione, ma stimolò canti processionali, semplici ripetizioni vocali litaniche e forme popolari di canto piano in volgare, monodico e all’unisono, ispirato a temi sacri. I manoscritti, compilati con scritture corsive a inchiostro dovute a più mani dato il periodico succedersi dei confratelli nei ruoli amministrativi e di rappresentanza, presentano contenuti testuali caratterizzati in genere da una schematicità rigorosa tanto nelle registrazioni più antiche quanto in quelle settecentesche, parimenti concise ed essenziali4. 3 Sul quale si veda la sintesi di N. Bridgman, Lauda, in Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti. Il lessico, Torino, Utet, 1983, II, pp. 665-669. 4 I manoscritti studiati nel corso della ricerca sono elencati secondo la titolazione attribuita in M. Al Kalak, Inventario cit. Per comodità del lettore, li si indica qui di seguito suddivisi per secolo, ricorrendo d’ora in avanti alla semplice segnatura archivistica. Secolo XV: SGM 7 (Maneggio dell’Ospitale della Morte dall’anno 1436 fino al 1495), AR-SGB 201 (Registro contabile 1453-1454), SGM 8 (Maneggio dell’Ospitale della Morte dall’anno 1458 fino al 1462), AR-SGB 202 (Registro contabile 1464-1468), SGM 5 (Orazionale), SGM 3 (Capitoli ed elenchi dei confratelli di San Giovanni Battista), SGM 2 (Orazionale), SGM 1 (Orazionale). Secolo XVI: AR-SGB 211 (Maneggio de beni della Compagnia della Morte dall’anno 1543 fino al 1569), AR-SGB 191 (Libro de partiti dall’anno 1570 a tutto il 1571), AR-SGB 212 (Maneggio de beni della confraternita della Morte 1573 a tutto il 1588), AR-SGB 213 (Maneggio di diversi effetti della compagnia dall’anno 1590 a tutto il 1598). Secolo XVII: ARSGB 192 (Libro de partiti dall’anno 1624 a tutto il 1659 e dal 1681 fino al 1693), AR-SGB 221 (Libro de conti della venerabile confraternita della Morte tenuti dal massaro pro tempore dal 1650 al 1692), SGM 9 (Libro in cui sono descritti diversi nomi di confratelli consorelle 16611689), SGM 10 A (Libro Mastro dei maneggi dall’anno 1693 a tutto il 1709), SGM 10 B (Squarzo di San Giovanni Battista detto della Morte 1709), SGM 10 C (Cassa de’ denari della venerabile confraternita di San Giovanni Battista della Morte 1709). Secolo XVIII: AR-SGB 193 (Dall’anno 1694 a 1741 libro de partiti), AR-SGB 214 (Libro di maneggio dall’anno 1710 a tutto il 1727), SGM 19 (Bolla di aggregazione alla confraternita di San Giovanni Battista dei Fiorentini 1718), SGM 4 (Regolamento della funzione da farsi nella chiesa de’ confratelli Ospitalieri in San Pietro Martire di Modena per i condannati a morte), SGM 6 (Capitoli della confraternita di San Giovanni Battista), SGM 12 (Maneggi dall’anno 1728 a tutto il 1751), SGM 13 (Maneggi dal 1744 a tutto il 1751), SGM 14 (Cassa dal 1752 a tutto il 1769), SGM 15 (Cassa 1770-1795), SGM 16 (Partiti dall’anno 1742 a tutto l’anno 1769), SGM 17 (Libro dei partiti dall’anno 1770 sino al 1792), SGM 18 (Libro dei partiti dal 1791 sino al 1807). Alcuni dei manoscritti citati di seguito recano, all’interno dello stesso volume, molteplici cartulazioni coeve che si è ritenuto opportuno mantenere nelle indicazioni archivistiche qui utilizzate. Le lettere a e b accanto al numero di carta sono state introdotte per distinguere rispettivamente la c. di sinistra e quella di destra, nel caso di pagine consecutive segnate con lo stesso numero per esigenze contabili. Attualmente è in fase di realizzazione una nuova cartulazione dei volumi non segnati o segnati con più cartulazioni originali.

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È forse nella breve durata delle cariche istituzionali, sancita dalle norme dell’apparato statutario, che va ricercata la giustificazione di un procedimento da cui gli estensori non si discostano nel redigere la messe secolare di memorie archivistiche qui analizzate. Altri coefficienti, manoscritti, a stampa, musicali, sono stati quindi sussidiari e di buona utilità per delineare il contesto civile e religioso e rintracciare gli spazi della musica in cui prese consistenza la vita devozionale della confraternita. San Giovanni Battista. Ars musica Et parlando anchora lo dolce maistro meser Iesu Christo a li soi discipuli dava a loro celestiale doctrina dicendo: Dove serano due o tre congregati nel nome mio, io serò nel meço di loro5.

L’origine della confraternita di San Giovanni Battista della Morte di Modena si può fissare, come ci testimoniano le fonti, nel 1372, anno in cui alle opere di fede e ospedaliere precipue della spiritualità laicale sviluppatasi nella città sin dai primi decenni del secolo XIII6, si unì l’attività caritativa di alcuni «infervorati giovani» desiderosi di praticare una rigida disciplina spirituale e liturgica, di assistere e accompagnare al supplizio i condannati a morte, di dare dignitosa sepoltura ai loro cadaveri nello spazio cimiteriale accordato dalla Comunità. Ispirata a concetti di accettazione e perdono, al modello sublime di Cristo sofferente e crocifisso, l’opera dei fratelli confortatori anelava a infondere nei Archivio Capitolare Modena (ACMO), SGM 3. Cfr. Appendice, p. 182. Nella messe di studi dedicati alle compagnie di devozione modenesi e agli antichi ospedali si vedano per tutti P. Mucci, E. Trota, L’ospitale della Confraternita del Gesù in Modena, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi» (AMDSTP), XI, XVI (1994), pp. 107-133 e gli atti del recente Convegno Nazionale di Studi «Le confraternite nel territorio modenese. Storia, Presenza, Prospettive» (Modena, 1013 novembre 2005) in corso di stampa. Per un quadro più generale sulle attività assistenziali a Modena cfr. D. Grana, Per una storia della pubblica assistenza a Modena: modelli e strutture tra ‘500 e ‘700, a cura di G. Bertuzzi, Modena, Aedes Muratoriana, 1991 e il tradizionale contributo di P. Di Pietro, L’Ospedale di Modena, Modena, Bassi e Nipoti, 1965. Per quanto riguarda l’attività della compagnia della Morte in campo caritativo giova ricordare che nella matricola acclusa agli statuti vengono ricordati Giuliano e Giovanni Fontanelli, autori – secondo Gusmano Soli – della donazione (maggio 1372) di una casa al vescovo Aldobrandino d’Este «pro augmentatione et hedificatione cujusdam hospitalis denuo constructi in civitate Mutine», su cui cfr. G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Modena, Aedes Muratoriana, 1974, II, pp. 157-170, in part. pp. 157-158. 5 6

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giustiziandi un desiderio di metamorfosi spirituale che, seppur tardivamente ricercata, poteva consentire un’esecuzione esemplare e trasformare il reo da peccatore in uomo redento, toccato dal potere salvifico del perdono divino. L’intitolazione della compagnia a San Giovanni Battista, soprattutto nell’accezione di San Giovanni decollato, «patrone et advocato» di antiche e numerose confraternite di giustizia presenti in varie città, si configurava sia per la vita e la predicazione del Battista (costantemente intrecciate all’opera di Gesù), sia per la morte per decapitazione e la sepoltura pietosamente effettuata dai discepoli, come assunzione da parte degli adepti di un forte programma spirituale, di una missione coraggiosa e coerente. Al culto del Battista, diffuso dalle origini della cristianità con particolare venerazione per la data del martirio (29 agosto) e della nascita terrena (24 giugno), si collegano gli albori di un’ars musica – scienza, disciplina e dottrina affidata al musicus, compositore e theoricus – e di un’ars cantus – affidata al canto e finalizzata allo svolgimento liturgico – cui si dedicò Guido d’Arezzo (992 ca.-1050 ca.) nel monastero di Pomposa, dando avvio alla codificazione di teorie e norme che regolarono e innovarono l’apparato pedagogico musicale. Dall’inno liturgico dei vespri della natività del santo, composto in suo onore, Guido procede, com’è noto, ricavando i nomi delle note mediante l’utilizzo di sei sillabe riferite a sei suoni precisi che costituiscono per i cantori un primo, prezioso supporto mnemonico. Ut quaeant laxis resonare fibris mira gestorum famuli tuorum, solve polluti labii reatum, sancte Ioannes.

L’inno, assegnato dalla tradizione, non senza qualche dubbio, a Paolo Diacono (720-799) è composto di emistichi con intonazione gradualmente ascendente, secondo una scelta che lo stesso Guido, grande teorico e didatta, operò legando tra loro l’ultima nota di un emistichio e la prima di quello successivo (fig. 1)7. 7 Tra la ricchissima bibliografia guidoniana si segnala: G. De Florentiis (a cura di), Guido Monaco musicus et magister, Milano, Nuove edizioni, 2000, con riferimento soprattutto al saggio di M.T. Rosa Barezzani, Guido musicus et magister, pp. 71-93, che a p. 90, nota 34 opportunamente riporta la convinzione espressa da J. Chailley (Ut quaeant laxis et les origines de la gamme, in «Acta Musicologica», LVI/1 (1984), pp. 48-69, in part. pp. 60-62) secondo cui l’Ut queant potrebbe essere un poema saffico composto secondo lo spirito degli enigmi. Vari studiosi ritengono ancora che potrebbe contenere un criptogramma esoterico con valore legato sia alla festa di San Giovanni Battista sia al solstizio d’estate. Né va tralasciato, come

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Fig. 1: Riportato in G. De Florentiis (a cura di), Guido Monaco musicus et magister, Milano, Nuove edizioni, p. 81.

Tra i numerosi contributi che la ricerca musicologica ha dedicato nel corso dei secoli a vari aspetti, parziali e complessivi, dell’opera di Guido d’Arezzo si colloca anche la fonte didattica settecentesca, stampata a Modena nel 1707, composta da Francesco Maria Vallara, in cui il mito del musicus-magister è richiamato con queste parole: Spinto da un Santo amore, pregò Iddio, che dettasse un modo più facile, acciò non nascessero tanti sconcerti in quel luogo Sacro, nel quale si cantavano le di lui Lodi; di che esaudito, fù illuminato il giorno di S. Giovanni Battista, mentre cantava in Coro l’Inno del vespro: Ut queant laxis; dal quale cavò le sei sillabe8. nota la stessa Barezzani, che come inno a San Giovanni esso entrò progressivamente nella liturgia, senza una veste melodica fissa, tanto che fino al XII secolo poteva avere otto differenti intonazioni, nessuna delle quali presenta i caratteri della guidoniana. 8 SCUOLA CORALE/ Nella quale s’insegnano i fondamenti più necessa/rii alla vera cognizione del/ CANTO GREGORIANO/ Composta dal padre/ FRANCESCO MARIA/ VALLARA DA PARMA./ Carmelitano della Congregazione di Mantova./ Dedicata all’Illustriss. E Reverendiss. Sig./ CONTE LUIGI/ DELLA ROSA/ Canonico della Chiesa cattedrale di PARMA, e della/ Diocesi Vicario Generale./ In MODENA, per Antonio Capponi. Stamp. Vesc.

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Era come se tra il santo che aveva annunciato la venuta del Messia e i riti che celebravano la gloria del Salvatore si fosse stabilito un vincolo impalpabile e duraturo. Anche i fratelli di San Giovanni, come molti altri, ne avrebbero fatto tesoro dando vita, in un medioevo ormai al declino, alle cerimonie di una confraternita che del Battista, l’innocente giustiziato, avrebbe portato le insegne. Precetti musico-liturgici negli statuti quattrocenteschi: lectioni, antifone, salmi, inni Inoperosa per un certo intervallo di tempo, la confraternita riprese vita nel 1452, anno in cui furono fissate nuove norme che, ripensate e sistematizzate nel 1482, assunsero quella veste definitiva contenuta nel codice pergamenaceo trascritto e studiato nel saggio posto in apertura al presente volume. Nel «Prologo sopra li capituli de la compagnia di Sancto Ioanne Baptista volgarmente chiamato lo hospitale de la Morte» il padre benedettino incaricato di rivedere e rinnovare gli ordinamenti contenuti nei capitoli trecenteschi non tramandati sino a noi riafferma le motivazioni ispiratrici dell’originario sodalizio dedito, nel nome della carità e dell’amore per il prossimo, alla cura delle anime e dei corpi dei giustiziati. Alla base della confraternita, intrisa di pietà cristocentrica e mariana, stava la condivisione di un medesimo intento (l’assistenza ai condannati), la consacrazione al santo protettore, la formazione religiosa e morale degli aderenti, la carità ai fratelli bisognosi, la nobilitazione del culto cristiano attraverso processioni e liturgie tradizionali, cui la musica può dare rilievo senza che il docere entri in conflitto con il delectare e il movere gli animi. Se gli statuti confraternali fissavano in primo luogo gli ideali e regolavano nella pratica i modi per realizzarli, non trascuravano tuttavia di precisare dettami amministrativi, di ricalcare tratti distintivi propri delle confraternite quali, ad esempio, portare la cappa, riunirsi per la recita dell’ufficio nei giorni festivi, avere una propria sede, disporre di un oratorio o di un più ampio luogo consacrato di culto. Il primo forte richiamo all’impegno confraternale contenuto nel secondo capitolo degli statuti tardoquattrocenteschi ha come temi l’osservanza dei precetti della Chiesa e delle norme specifiche concernenti le riunioni istituzionali presso gli ora(1707)/ Con licenza de’ Superiori. Un esemplare è quello conservato presso la Biblioteca Estense di Modena (BEMo), 38.L.37. Sui teorici modenesi e i trattati dedicati al canto ecclesiastico stampati nella capitale estense nel secolo precedente l’opera del Vallara si veda: G. Stefani, Musica barocca 2. Angeli e sirene, Milano, Bompiani, 1988, in part. pp. 141 ss.

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tori del sodalizio alle quali i confratelli partecipavano per ottemperare alla disciplina che prevedeva, secondo una precisa scansione, rituali penitenziali e digiuni nei venerdì di tutto l’anno e, in maniera più accentuata, nel tempo quaresimale. Dalla minuta descrizione compresa nel testo viene delineata la sequenza di preghiere, salmi, antifone, orazioni, inni, recitati oppure cantati da parte di tutti i confratelli riuniti secondo l’usanza devota «di fare la disciplina» sotto la guida dell’ordinario della compagnia che iniziava il pio esercizio intonando i salmi Miserere e De profundis seguiti rispettivamente dal Gloria e dal Requiem. Secondo il programma estetico e retorico proprio di una tradizione liturgica musicale orale, caratterizzata da esempi che esplicitamente suggeriscono una precisa articolazione di testi versificati e cantati, si contrappuntavano, nei pii esercizi confraternali, recitazione e canto, coordinati dall’ordinario. Prassi, questa, puntualmente richiamata nelle sezioni successive ritmate dal canto antifonale Christus factus est pro nobis seguito dall’orazione Respice quesumus, al cui termine si intonava un’antifona mariana – Salve regina – seguita dall’orazione Concede nos famulos tuos; la sequenza delle ultime preghiere era chiusa dal pater noster «secreto»9. A questa prima rigogliosa fase istituzionale della confraternita della Morte tramandata dagli Statuti si collegano in maniera organica, capillare, i tre Orazionali sopravvissuti alle dispersioni subite dal patrimonio del sodalizio. Questi preziosi codici membranacei che con la loro teoria di «uffici», «lectiones», «salmi penitenziali», litanie, orazioni e ammonizioni ai fratelli costituiscono le reliquie e insieme le custodie di un mondo confraternale scomparso, restano testimonianze documentali irrinunciabili per rintracciare i contenuti di fede e devozione che sostanziarono sin dagli esordi il progresso spirituale degli aderenti alla compagnia di San Giovanni10. Più complesse, ma sempre germinate dal precedente modello, le prescrizioni per il rituale liturgico musicale da osservarsi nei venerdì di quaresima in cui ai testi propri del periodo si applicano procedimenti di lettura e di canto, accostati quasi in una prassi dell’alternatim, secondo il progetto spirituale e morale di aumentare nell’animo dei confratelli, mediante la forza impressiva della lettura e l’irradiamento spazioso della parola sacra cantata, pietas, disciplina e profonda adesione ai contenuti della fede11. Per il testo tratto dallo Spechio de la cruce, si sceglie la lettura in forma di «lectione», eseguita recto tono, cioè in recitativo o semirecitativo musicale, con recitazione rettilinea declamata su una sola nota ma di carattere più sostenuto Cfr. Appendice, pp. 184-186. Si tratta dei codici ACMO, SGM 5, SGM 2, SGM 1. 11 C. Gallico, Le capitali della musica. Parma, Milano, Silvana Editoriale, 1985, p. 25. 9

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della declamazione, con lievi inflessioni melodiche ascendenti e discendenti. La «lectione» rappresenta una prassi vitale, ampiamente utilizzata nelle cerimonie confraternali modenesi, in quanto sezione esplicativa e attualizzante destinata, grazie alla voce chiaroscurata, al suo mutare di tonalità, timbro, vibrazioni ritmiche, a rendere comprensibili e coinvolgenti i contenuti edificanti dei testi prescelti12. Nell’alternanza recitazione/canto, aperta con la ieraticità austera della lettura imperniata sul tema della Croce, emblema della sofferenza e del riscatto, si incastonano in successione tre sezioni cantate – Fratres mortificate membra vestra, Miserere e De profundis – che trovano intensificazione nella dirompente tragicità delle stanze dello Stabat mater, cantate dai partecipanti a conclusione del rito. L’elezione dell’ordinario, figura di riferimento preminente, insieme al padre spirituale, nell’opera di formazione delle coscienze e regolatrice della vita istituzionale della confraternita, costituisce un vertice di coinvolgimento etico, ideologico, operativo, in cui la funzione musicale, allineata nel corso dei secoli con gli spazi, le immagini, le parole devote, conferisce all’evento una iconicità arricchita, intensificata13. Aperto dai confratelli raccolti in preghiera, il rito elettivo trovava la propria acme spirituale nel momento in cui si elevavano le voci che, con il canto innodico, imploravano la presenza dello Spirito Santo, luce e guida dei fedeli (fig. 2). Ultimata l’elezione dell’ordinario, richiamate le modalità minuziosamente descritte con cui egli, nel corso del proprio mandato, doveva intervenire insieme al padre spirituale per mantenere alti e consapevoli ethos e devozione nell’animo dei confratelli e suscitare in loro le condizioni interiori che accompagnano e favoriscono la fede, la cerimonia si concludeva con il gesto vocale degli oranti che proclamavano il ringraziamento con il solenne canto innodico del Te Deum, eseguito da tutti i presenti a dimostrazione della fervida partecipazione comunitaria all’avvenimento. Dagli ordinamenti tardoquattrocenteschi emerge chiaramente che l’opera del priore in carica deve essere prestata negli atti paraliturgici più solenni e nelle fasi più significative delle celebrazioni confraternali. La dignità e le mansioni delineate nel testo statutario risultano evidenti dal rilievo che questa figura assume nelle diverse funzioni, in particolare nella determinazione dei tempi riservati a preghiere e letture meditative atte ad introdurre la recita dell’officio nel cui svolgimento spira il senso di una musicalità concreta che ha il suo punto focale nella voce. 12 Cfr. M. Lucchi, La disciplina del culto. Celebrazioni, liturgie e musiche dai libri di memorie della Santissima Annunziata, in M. Al Kalak, M. Lucchi, Le regole dello spirito cit., pp. 111-112. 13 Cfr. Appendice, pp. 188-191.

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Fig. 2: Veni Creator (ACMO, SGM 1, c. 25 r)

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La lettura, proposta da un solista che deve seguire la prassi di proclamare il testo continuamente, a voce alta, conquista in questa fase cerimoniale un forte spazio di autonomia e fa prevalere il proprio specifico orizzonte significativo14. È innegabile infatti che il discorso verbale porta ancora con sé un elemento musicale che contribuisce a precisare e definire in senso stretto il suo significato15. La recita dell’officio, orchestrata dall’ordinario, inizia ad un suo cenno e prosegue quando tutti i confratelli hanno preso il loro posto («stagando li fratelli tuti al logo suo») attenti ad intervenire secondo le parti minuziosamente assegnate, «cioè quello che debe dire l’antiphane e che debe dire li versiculi e chi de’ leçere la regula cioè il conforto di ben vivere e chi de’ cominciare li psalmi». Dopo la confessione e la recita dell’officio il rituale si avvia a conclusione con la sequenza delle orazioni rivolte dal priore, secondo un preciso ordine statutario, ai santi protettori della confraternita e della comunità modenese, musicalmente coronate dall’antifona mariana Salve Regina. Nella scelta del linguaggio puramente verbale che tende a prescindere dall’elemento musicale si rafforza l’oggettività della parola, il suo impersonale potere denotativo pur ricco di richiami e risonanze. L’accoglienza del postulante da parte dell’ordinario si svolgeva secondo un rituale che resta un esempio di partecipazione comunitaria ad un avvenimento ricco di spunti molteplici, scandito da un ordine preciso di preghiere congiunte al canto innodico16. Inginocchiato davanti all’altare dell’oratorio confraternale, egli attendeva che venisse intonato l’inno di invocazione allo Spirito Santo, cantato a voce spiegata da tutti i membri del sodalizio: Con esso novitio ingenochiato inanci a l’altare imponga [l’ordinario] in canto lo hymno Veni creator Spiritus, e tuti li fratelli proseguitino lo dicto hymno.

Le ultime note dell’inno segnavano il termine della cerimonia della vestizione, ufficializzato dalle preghiere conclusive dell’ordinario. Anche il precetto penitenziale imposto ai confratelli che avessero mancato alla regola dell’assoluta discrezione, assunta come obbligo formale all’atto dell’accoglienza entro la compagnia, si richiama alla musica e al canto. Sebbene con sfaccettature talvolta insolite, inni e antifone erano presenze irrinunciabili nella prassi paraliturgica dell’associazione che, per i penitenti inginocchiati nella «scola» a rimedio delle proprie infrazioni, computava il tempo della pubblica contrizione con la durata dell’Ave maris stella. Cfr. Appendice, pp. 191-196. E. Fubini, Estetica della musica, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 32. 16 Cfr. Appendice, pp. 198-199. 14 15

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Anchora volemo che nesuno presuma portare fora de la compagnia cosa alcuna sença licentia de l’ordinario e sottordinario etiam s’el fusse officiale. E quello che contrafacesse a questo stia per tanto quanto se dice el hymno Ave maris stella lì nella scola cum le brace averte, in genochione e simile penitentia facia quello che havesse presumuto dire di fuora quelle cose che facemo nella nostra scola.

Non meno vivida la parte statutaria dedicata ai rituali prescritti per il giovedì santo che iniziavano con la recita a «voce bassa» del testo sacro rievocante la sofferenza di Cristo in nome del quale l’ordinario, il sottordinario e il sacrestano procedevano alla lavanda dei piedi di tutti i confratelli, accompagnati da una lettura tenuta in forma di «lectione» rievocante gli eventi della passione e la descrizione dei patimenti inflitti al Redentore. La cerimonia, finalizzata a produrre nell’animo dei presenti nuovi frutti spirituali, si distingue per il suo carattere marcatamente mistico e penitenziale, per il rivivere da parte dei confratelli il sacrificio salvifico e l’intenso patetismo dei dolori di Cristo e di Maria, culminante nella sequenza Stabat mater, densa di pathos e inconsolabile tormento («poi si debia cantare Fratres sobrii estote et cetera [...] e alcune stançe di Stabat mater dolorosa»)17. Nomi e idee. Devozione e musica nei documenti confraternali tra Quattro e Cinquecento La complessa congerie di testimonianze contenuta nei più antichi manoscritti confraternali ha stimolato in passato studi di varia impostazione che hanno illustrato la vita e l’opera del sodalizio, le sedi in cui officiò e le opere pittoriche e plastiche di artisti modenesi – in parte ancora conservate in città – che suggeriscono con forza l’immagine sfarzosa e rappresentativa della compagnia della Morte18. Cfr. Appendice, pp. 200-202. Un primo quadro di sintesi è stato quello tracciato dal già citato Gusmano Soli (G. Soli, Chiese di Modena cit., II, pp. 157-170) in cui sono documentati ampliamenti strutturali degli oratori della confraternita, ornamentazioni pittoriche eseguite da artisti modenesi e varie committenze quattrocentesche tra cui il compianto di Guido Mazzoni e il trittico degli Erri. Su quest’ultimo si vedano i recenti studi di D. Benati, La bottega degli Erri e la pittura del Rinascimento a Modena, Modena, Artioli, 1988, che ricordano tra l’altro i molti codici e manoscritti miniati commissionati alla stessa bottega da parte di confraternite cittadine, in testa la compagnia della Morte. Per quanto concerne i riflessi musico-liturgici, nei registri confraternali dell’epoca (ACMO, SGM 7; SGM 8) non mi è stato possibile reperire citazioni di strumenti musicali utilizzati negli oratori del sodalizio. 17 18

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Fig. 3: Ave Maris Stella (ACMO, St. Mus. XLIII)

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Anche in ambito codicologico l’associazione, al pari delle altre fraternità cittadine, dimostrò in questo periodo un forte interesse di rinnovamento del patrimonio librario-liturgico: ne è prova la committenza di preziosi esemplari miniati, ora dispersi, di cui sopravvive la memoria documentale19. Come si interseca la musica nell’operosità devozionale dei confratelli della Morte tra Quattro e Cinquecento, se si collochi in tale quadro come un apporto realmente significativo, utile fonte di suggerimenti per la definizione di un’immagine maggiormente contornata di questa istituzione, è quesito cui non è facile dare risposte complete e convincenti. Se la mancata registrazione scritta di eventi, modelli e testimoni rende difficile l’inquadramento dell’esercizio musicale della confraternita nel primo periodo della propria rinnovata operosità, tuttavia questo oscuramento quattrocentesco è punteggiato da riferimenti documentali che offrono spunti molteplici. In alcuni registri20 si trovano cenni relativi a spese sostenute per promuovere liturgie ecclesiali – principalmente messe accompagnate dal canto e dal suono delle campane – e per partecipare con simboli distintivi, torce e apparati coreografici carichi di simboli celesti, alle solenni processioni che sulla scia di antiche tradizioni venivano ripetute nella città in occasione di feste religiose o in memoria di gloriosi episodi del periodo comunale21. Nelle schegge documentarie che concernono la musica risaltano almeno due segni che indicano le inclinazioni costanti della cultura locale ancora dal secolo XV: da un lato, l’impegno crescente sul terreno delle attività musicali trova la sede ideale e il punto di maggiore aggregazione nel duomo, la chiesa più illustre della città, dove un gruppo di cantori ebbe conferita la responsabilità delle esecuzioni di musica sacra nelle cerimonie religiose22; dall’altro, la partecipazione popolare all’evento liturgico stimolata dalle confraternite in base a quel programma pedagogico di catarsi che l’esercizio devoto musicale fa proprio. 19 Si rinvia a questo proposito a E. Torricelli, I codici della Confraternita della SS. Annunziata di Modena: per lo studio di una associazione confraternale del Quattrocento, in AMDSTP, XI, XXVI (2004), pp. 51-95. 20 ACMO, AR-SGB 201; AR-SGB 202, nei quali sono registrate, secondo un modulo costante, spese ricorrrenti destinate a sacerdoti, portatori di ceri e putti o, ancora, alle cappe dei confratelli e agli apparati processionali. 21 Cfr. M. Calore, Spettacoli a Modena tra ’500 e ’600. Dalla città alla capitale, Modena, Aedes Muratoriana, 1983, in part. pp. 7-50, e il precedente Ead., Spettacoli sacri negli Stati estensi, in Contributi e ricerche su musica e teatro, Bologna, A.M.I.S., 1978, pp. 25-58. 22 G. Roncaglia, La Cappella musicale del duomo di Modena, Firenze, Olschki, 1957, pp. 11-26. Si veda anche G. Vigarani, M. Al Kalak, M. Lucchi (a cura di), Horatio Vecchi maestro de Capella. La Cappella musicale del duomo di Modena dalle origini ad Orazio Vecchi, Modena, Mucchi, 2004.

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La disposizione ad ammaestrare fondata sulla convinzione che la devozione divenisse più completa ed efficace quando alla mente concordavano la voce e il canto fu perseguita dai sodalizi laicali almeno fino al termine dell’ancien régime dopo il quale, per la diversa sensibilità maturata nel periodo illuministico, muteranno profondamente sia la religiosità confraternale, sia l’atteggiamento dei governi nei confronti delle fratellanze. Elementi di comparazione e rapporti con il milieu modenese, con la tradizione laudistico-musicale fiorita al suo interno, con la successiva espansione di musiche e liturgie che furono ornamento e prestigio della chiesa e della corte, vengono suggeriti da alcuni nomi di confratelli, vissuti nei secoli XV-XVI e agli albori del XVII, compresi nella «matricula» inclusa negli statuti 23. Le presenze di Bartolome Zella (Bartolomeo della Cella) e Dominico Cella (Domenico della Cella), richiamando un’altra confraternita – i disciplinati di San Pietro Martire di cui i della Cella erano membri – consentono di stabilire la piena partecipazione del sodalizio della Morte alla spiritualità quattrocentesca modenese. La florida tradizione poetico-musicale confluita nella silloge laudistica dei codici di San Pietro – il Libro corale maggiore del 1437 e il minore del 1460, redatti dallo stesso Bartolomeo24 – era verosimilmente patrimonio comune alle compagnie di devozione modenesi ed è lecito ritenere che la confraternita della Morte fosse permeata anch’essa dall’espressione più autentica della religiosità ivi racchiusa. Nei testi quattrocenteschi germinati nell’ambito confraternale modenese e destinati al canto e alla recitazione si intrecciano sermone, versi e musica, dottrina e diletto, penitenza e musica, secondo una formula che diverrà in seguito tipica degli esercizi filippini, ai quali attingerà anche la compagnia della Morte nel secentesco itinerario della devozione musicale la cui finalità era già presente nella pratica delle laude25. Nella medesima arcata cronologica, il nome del confratello Francesco de Saso, citato nella prima matricola, potrebbe suggerire l’identificazione con l’organista Francesco de Sasso attivo in cattedrale (1477-1481; 1484-1488; 1498) in alternanza, nell’ultimo scorcio di secolo, con Iacomo Fogliani26. Cfr. Appendice, pp. 170-177. ACMO, SPM 3(7)1 e 3(7)2. Per una descrizione codicologica dei due manoscritti cfr. M. Al Kalak, Inventario cit., pp. 30-32 e M. Al Kalak, M. Lucchi, Il laudario dei disciplinati cit. I due corali realizzati dal Della Cella attingono tanto a un repertorio maturato in area padano-cortonese, quanto alla raccolta di laude redatta nel 1377 da Giovanni De Galerijs ripubblicata, dopo l’edizione del Bertoni, da M.S. Elsheikh, Il laudario dei Battuti di Modena. Testo, nota linguistica e glossario, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2001. 25 Cfr. G. Stefani, Musica cit., p. 202. 26 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 14. 23

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La presenza del de Sasso, virtuoso di tastiera, potrebbe suffragare un’operosità musicale impiegata anche presso la confraternita della Morte a favore di un modello musico-liturgico non più improntato alle sole voci, ma forse esteso a polifonie vocali-strumentali secondo le sollecitazioni di un nuovo respiro estetico. Tra i personaggi elencati nel documento confraternale risalta il nome di don Marco Seghici (Seghizzi) maestro di cappella nella cattedrale dal 1494 al 1502 e didatta salariato per insegnare ai chierici canto figurato, canto fermo e per condurre il coro nelle feste liturgiche27. Nelle scuole delle cattedrali padane prende rilievo, nella seconda metà del Quattrocento, l’antica figura del magister delegato a insegnare a lectores e cantores. Guidare il coro cantando correttamente nei momenti più significativi delle celebrazioni liturgiche spettava al guardacoro – cantor –, figura di piena autorità in questo periodo in cui si assiste a un fertile scambio fra istituzioni ecclesiastiche, laicali e cortesi, che porta a fianco di cantori italiani o modenesi i musici fiamminghi28. Anche il nome di Iacomo da Vignola – per tornare alla matricola in questione – potrebbe suggerire l’identificazione con il musico-cantore Iacomo da Vignola, maestro di cappella nella cattedrale di Modena nel 1560-6129. Altre ipotesi possono essere avanzate in questi anni di rigogliosa vitalità musicale in cui prendono rilievo varie specializzazioni tra le quali emergono l’esercizio corale del canto piano, quello del canto figurato e polifonico, la pratica strumentale che vede strumento principe l’organo. Nel confratello Baldasera Pella, ad esempio, si adombra forse la figura di Baldassarre Pelumi grande virtuoso d’organo modenese, capace di esprimere 27 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 14. Il Seghizzi, secondo le notizie offerte da Carlo Giovannini, è ricollegabile a una famiglia di musicisti attiva a Modena nella prima metà del secolo XVI. Lo stesso studioso riferisce dell’atto notarile stipulato nel 1523 tra i Benedettini e l’organaro Giovanni Battista Facchetti per la realizzazione di un nuovo strumento (inaugurato l’anno successivo) in sostituzione del precedente quattrocentesco e ricorda come Giovan Martino Seghizzi sia definito «suonatore d’organo», don Pietro Maria Seghizzi diventi organista in San Pietro di Modena nel 1624 e un Girolamo Maria Seghizzi, morto nel 1553, sia stato fabbricante di strumenti musicali. Cfr. C. Giovannini, L’organo, in San Pietro di Modena. Mille anni di storia e di arte, Milano, Silvana Editoriale, 1984, pp. 165-170. 28 L’organizzazione della vita musicale si manifesta in questo periodo nel tracciato di città, tra cui Modena, che ospitano poli fortemente operativi nel campo della musica vocale, strumentale, della trattatistica e della speculazione teorica, come peraltro dimostrano la vasta bibliografia e le ricerche di studiosi locali sul tema. Per una ristretta traccia bibliografica sul contesto modenese si rimanda a G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 11-26; D.E. Crawford, Vespers Polyphony at Modena’s Cathedral in the First Half of the Sixteenth Century, Ph. D. University of Illinois, 1967; L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale dell’Archivio Capitolare di Modena. Manoscritti Musicali I-XLIV, Modena, Mucchi, 2005. 29 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 25.

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col suono arte e fantasia, di suscitare meraviglia e diletto, come afferma Orazio Vecchi nel tracciare il diario del pellegrinaggio a Loreto compiuto dalla confraternita di San Geminiano. La mattina il Governatore fece sonare à raccolta, e così incappatosi tutti udimmo messa, e quei signori volsero udire il nostro Organista, che fù M. Baldisera Pelumi, il quale dopo l’haver mostrato la leggiadria così della stanca come della dritta mano, sonò di fantasia con tal vena felice, che ne riportò la meritata lode30.

Organista nella chiesa benedettina di San Pietro in Modena e contrappuntista eccellente, Baldassarre Pelumi morì nel 1598 lasciando nella città profondo rimpianto, come testimonia il memorialista Giovanni Battista Spaccini31 appassionato melomane e membro, come il padre Giberto, della confraternita della Morte. È opportuno ricordare che anche Joanne di Vechii (Giovanni Vecchi), padre di Orazio, era confratello della Morte e a favore del sodalizio dispose un lascito testamentario di lire seicento corrisposto in seguito dal figlio Orazio32. All’interno della compagnia di San Giovanni Battista la musica è ulteriormente documentata dalla singolare presenza del confratello Hercole Sforzino (Ercole Sforzini), noto cantore appartenente alla cerchia dei musicisti stretta intorno a Orazio Vecchi, ricordato come autore di polifonie profane. Il carnevale del 1600 fu ravvivato dalla mascherata di pastori con Diana cacciatrice da lui composta, cui si aggiunsero per l’occasione la mascherata con musica polifonica a otto voci di Giovanni Battista Steffanini e il carro di burattini su cui «v’era buona musica di Oracio Vecchii che andavano cantando alle finestre»33. 30 M. Lucchi, Il pellegrinaggio a Loreto di Orazio Vecchi e la Confraternita di S. Geminiano. Musica e devozione, in M. Lucchi, M. Privitera, F. Taddei (a cura di), Breve Compendio del Peregrinaggio di Loreto Fatto dalla illustre Compagnia di S. Geminiano di Modena l’anno del MDXCV et Hymni et orationes in itinere Confraternitatis Sancti Geminiani ad beatam Virginem Lauretanam, Modena, Mucchi, 2007, pp. 40-41. 31 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1588-1602, a cura di A. Biondi, R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 1993 (d’ora in poi Cronaca, 1993), p. 132: «Certo ch’è stato peccato che questo uomo manca, per non vi essere gente che segua li precetti buoni di questa virtù». 32 Per un inquadramento del modello familiare all’epoca di Orazio Vecchi si veda M.D. Panforti, Denaro e affetti. Ritratto di famiglia all’epoca di Orazio Vecchi, in F. Taddei, A. Chiarelli (a cura di), Il theatro dell’udito. Società, Musica, Storia e Cultura nell’epoca di Orazio Vecchi, Modena, Mucchi, 2007, pp. 163-172. 33 Cronaca, 1993, pp. 323-325. Il cantore Ercole Sforzini (Hercole Biancolini alias Sforcino) è presente nell’organico della cattedrale negli anni 1598-1600 – periodo di grande splendore grazie alla direzione di Orazio Vecchi – insieme al cantore Pandolfo Monti, ai due trom-

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Tra i confratelli merita infine di essere ricordato il canonico Costanzo Scala (Scali) che, come asserisce lo Spaccini, risolse nel 1609 la lunga contesa tra i due musicisti Geminiano Capilupi (1573-1616) e Paolo Bravusi (15861630), allievi del Vecchi: attivi in cattedrale, presso la corte estense, la compagnia della Morte e altre confraternite cittadine, i due sancirono l’avvenuta rappacificazione cantando insieme il vespro in duomo, con grande concorso di popolo34. I libri perduti. Fonti musicali laudistiche e polifoniche Nei fondi archivistici della confraternita della Morte attualmente noti non sono compresi codici musicali o libri per canto sacro di cui il sodalizio, come altre fratellanze, doveva essere dotato per l’esercizio della musica personale e comunitaria. Accanto ai musici-cantori i confratelli, normalmente cantori essi stessi, esprimevano la loro operosità eseguendo testi versificati e cantati, laude volgari intonate in forma responsoriale e preghiere mariane, mossi dalla consapevolezza che attraverso il canto sacro maturava una coscienza più interiorizzata della religione e della spiritualità devota. La volontà di prestigio esteriore di ogni sodalizio implicava l’azione personale degli adepti che dovevano evidentemente essere in grado di sostenere un esercizio concreto e dignitoso dell’ars musica, anche se il decoro ornamento della devozione esigeva l’intervento di musici professionisti. Della realtà musicale in atto allora sono scarse le tracce ed è notoriamente povero il lascito di musiche scritte presso sodalizi laicali dove, peraltro, rimangono testimonianze documentate di una fervida operosità sul versante devozionale e su quello della tradizione musicale orale. Non può esservi dubbio che in questo periodo gli oratori della confraternita abbiano accolto, in parte, il paradigma musicale dello stile ecclesiastico, autorevolissimo e consolidato, riconoscibile nel repertorio eseguito nella cattedrale (canto piano, antifone, responsori a due voci, canti a voce sola, mottetti polivoci, salmi a due cori, messe), comprendente modelli preziosi di musicalità italiana e della polifonia internazionale. bonisti Valentino Valentini e Vincenzo Parmesani, a Mesino Forni, Geminiano Capilupi, Giovanni Battista Steffanini e all’organista Fabio Ricchetti. Cfr. G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 57-58. 34 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1603-1611, a cura di A. Biondi, R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 1999 (d’ora in poi Cronaca, 1999), p. 370.

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Al fiorire della produttività delle sedi ecclesiali e particolarmente della maggiore – la cattedrale – corrispondono esempi di laude e mottetti contenuti nel Codice manoscritto IV (sec. XVI), un libro corale frutto dell’ordinamento sistematico di composizioni vocali realizzato da Orazio Vecchi, maestro di cappella (1583-1586; 1593-1604), nel corso del suo primo mandato35. Il codice contiene i mottetti Ave Sanctissima Maria, a 4 voci di autore anonimo (fig. 4), e Ave Maria, pure a 4 voci (fig. 5) di Iacomo Fogliani (14681548), che sono di fatto due laude in latino36.

Fig. 4: Anonimo o Iacomo Fogliani, Ave Sanctissima Maria (ACMO, Ms. Mus. IV, cc. 43v-44r)

35 Si vedano G. Vigarani, M. Al Kalak, M. Lucchi (a cura di), Horatio Vecchi cit., p. 68 e L. Pongiluppi, I codici polifonici cinquecenteschi dell’archivio capitolare di Modena, in F. Taddei, A. Chiarelli (a cura di), Il theatro dell’udito cit., pp. 207-233. 36 L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., p. 40, nota 61 e p. 111.

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Fig. 5: Iacomo Fogliani, Ave Maria (ACMO, Ms. Mus. IV, cc. 44v-45r)

Anche altre composizioni contenute nello stesso codice su identico testo – Ave Sanctissima Maria mottetto a 4 voci (fig. 6), e Ave Maria mottetto a 3 più 2 voci di autori anonimi (fig. 7) – costituiscono esempi dell’interazione esistente tra lo stile del mottetto e quello della lauda, entrambi idonei per gli ambiti confraternali data la loro brevità e le linee melodiche costruite su procedimenti imitativi37. Attingendo ancora alle più antiche fonti documentarie della cattedrale, un buon termine di confronto è quello costituito dal Codice manoscritto II (sec. XVI, seconda metà), che racchiude varie composizioni salmodiche a più voci di autori anonimi: tra gli esempi polivoci contenuti meritano di essere citati due salmi, entrambi falsi bordoni a 4 voci38 – Miserere e De profundis – assai utilizzati in questa e in altre stesure vocali dai confratelli della Morte nelle destinazioni rituali consone al loro operato (fig. 8).

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L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., p. 114. L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., p. 84.

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Fig. 6: Anonimo, Ave Sanctissima Maria (ACMO, Ms. Mus. IV, cc. 68v-69r)

Fig. 7: Anonimo, Ave Maria (ACMO, Ms. Mus. IV, 95v-96r)

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Fig. 8: Anonimo, Miserere (ACMO, Ms. Mus. II, c. 33v)

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Nel Cod. ms. XII (1520-1530 ca.) è presente un Miserere di autore anonimo, altro esempio di falso bordone, questa volta a 5 voci39 (fig. 9).

Fig. 9: Anonimo, Miserere (ACMO, Ms. Mus. XII, cc. 22v-23r)

Per il salmo De profundis vale invece la pena ricordare l’esemplare (fig. 10) di autore anonimo a 4 voci (quarti toni) contenuto nel Codice manoscritto I (sec. XVI)40. Il falso bordone, una pratica musicale in uso nei secoli XV e XVI, prevedeva l’accompagnamento di un canto dato da due voci procedenti parallelamente alla terza e alla sesta inferiori (salvo in determinati punti). Era detto «falso» perché il canto (cantus firmus) invece di essere affidato alla voce più grave (chiamata «bordone», cioè sostegno) era eseguito da quella più acuta41. Gli esempi musicali riportati potrebbero far pensare a semplici convergenze testuali o contenutistiche, ma è proprio nell’adozione del falso bordone che L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., p. 173. L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., p. 76. 41 L. Pongiluppi, Il Fondo Musicale cit., pp. 119-121. 39 40

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Fig. 10: Anonimo, De profundis (ACMO, Ms. Mus. I, cc. 7v-8r)

si può individuare un ulteriore punto di contatto tra l’esperienza della cattedrale e quella delle fratellanze cittadine. Tra i materiali liturgico-musicali conservati in un altro fondo archivistico confraternale – quello della Santissima Annunziata42 – figura appunto un libro di canto «per li falsi burdoni» utilizzato dai membri della fraternità, a riprova di come questa prassi esecutiva dalla polifonia elementare trovasse spazio privilegiato nella musica vocale paraliturgica delle associazioni laicali. Essa consentiva infatti un rivestimento sonoro dei testi liturgici – specialmente salmodie e innodie –, in un regime armonico che tende ormai verso l’accordalità tonale. Per il carattere sobrio e austero il falso bordone si conferma simbolo musicale adatto a situazioni rituali severe, ma adornate di momenti di alta musicalità, connesse alla settimana santa43. Un ultimo accenno va infine riservato ad alcune compagnie di giustizia operanti in altre città, presso le quali la pratica della musica poteva essere disciplinata negli stessi statuti. Così accadde nei regolamenti del 1495 della confraternita ro42 43

Cfr. M. Lucchi, La disciplina cit. G. Stefani, Musica cit., pp. 175-176.

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mana del Gonfalone, dove, al capitolo XXXII, si tratta specificamente De li cantori della compagnia e si danno indicazioni per «uno maestro de canto figurato, el quale sia obligato servire con tutti voci necessari ad una capella» e tenuto ad insegnare canto ai membri del sodalizio e ai loro figli. Di diverso orientamento fu l’ambito confraternale ferrarese in cui, alla fine del XVI secolo, si manifestarono tendenze restrittive nel campo della musica vocale: il capitolo XXXIV degli statuti della confraternita di San Sebastiano (Come si debbano cantare li nostri officii) dispone infatti che siano tralasciati falsi bordoni, canti fermi «et altri tuoni musicali», privilegiando un officio cantato con parole distinte e devote – «come si suol dire alla capucina» –, mentre il Te Deum e il Benedictus potevano essere cantati «con qualche tuono allegro, come più piacerà a chi toccare intonare»44. Se dunque, per questo periodo, con difficoltà si cercherebbero prove dirette in grado di restituire i contorni della pratica musicale interna alla compagnia della Morte, è da un confronto con realtà analoghe che è possibile desumere i probabili lineamenti di una fede, inevitabilmente destinata a trasfondersi nella celebrazione e nel canto. Liturgie e musiche nel Cinquecento modenese e la compagnia della Morte 1500 adì 8 de zugno lunedì. Conte tenute de el n.o de le persone grande e pizole in la ultima procession de le nove le quale fece fare lo Ilust.o S.N. Misser Ercole da Este, le quale procession de focene nove dì in Modena: se dice che le faceva fare per el Turche che voleva vignire in Italia […] E nota che tuti li predominati sono state a la procession li qual son in tute li aparati zoé preti, frati, batù et homini vestite de sache e puti e pute n. 2000, et homini e femine n. 5000, senza queli che sone a vedere drede a le strade, et senza le femine che sono a le finestre et senza queli che sono suxe le tribunali dove se fa le dite feste; fata la descretion del tute computà queli de la procession, queli che ge vano drede, queli che sono in suxo li tribunali, queli e quele che sono drede a le strade e a le finestre è stimate in tute n. 1200045. 44 I riferimenti al caso romano e ferrarese sono desunti da E. Peverada, Feste, musica e devozione presso la compagnia della Morte ed Orazione. Antologia dai registri contabili (14861599), in M. Mazzei Traina (a cura di), L’Oratorio dell’Annunziata di Ferrara. Arte, storia, devozione e restauri, Ferrara, Liberty house, 2002, pp. 197-246. 45 Jacopino de’ Bianchi detto de’ Lancellotti, Cronaca modenese, Parma, Fiaccadori, 1861, pp. 269-273. La cronaca su riportata, pur in calce a quella di Jacopino, è del figlio Tomasino che ne proseguì l’opera nei primi decenni del Cinquecento. Le memorie dei due sono raccolte in tredici volumi nei «Monumenti di Storia Patria delle Provincie Modenesi. Serie delle Cronache», Parma, Fiaccadori, 1861-1884. La tradizione cronachistica cittadina conobbe una lunga serie di autori che registrarono un flusso notevole di eventi

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Nel grande affresco devozionale tracciato dal giovane cronista Tomasino de Bianchi veniva tramandata memoria dell’ultima imponente processione delle nove ordinate in Modena da Ercole I d’Este per scongiurare la venuta dei Turchi in Italia. Svolti tra l’ultima decade di maggio e la prima di giugno del 1500, i riti processionali erano guidati dal vescovo al cui seguito, secondo un rigoroso cerimoniale, procedevano, al suono di strumenti musicali a fiato, ordini religiosi, corporazioni, confraternite, flagellanti e popolo. Alle soglie del nuovo secolo i segnali appariscenti della devotio si possono cogliere nella forte partecipazione corale all’evento e nel carattere marcatamente penitenziale che sembra ancora permeare la spiritualità delle fratellanze modenesi in questi primi anni del secolo. Tra i gonfaloni delle compagnie che avanzavano preceduti da «pive e trombete» e canti di laude, si distingueva «el stendarde de la Morte con batu n.o 21», sotto la cui egida si raccoglievano i confratelli di San Giovanni Battista vestiti delle cappe distintive del sodalizio. Accanto alle feste figurate, in cui parole, decorazioni mobili, immagini e suoni, sono raccolti in processi simultanei, il cronista descrive altre rappresentazioni religiose inframmezzate da episodi ispirati ad allegorie politiche, strana mésaillance di cui furono protagonisti, nel 1509, proprio i giovani della confraternita della Morte che interruppero il lento andare processionale con una singolare e repentina comparsa. Zobia el dì del Corpo de Cristo e dì 7 zugno. In queste fazende la procession del Corpo de Cristo fu fata una compagnia in lo Spedale de la Morte de zoveni con mascare da morte con el cavallo caregate de osse e teste de morte contraffatte e con uno tamburino inanze e con soe arme indosse, diti zoveni e quelle arme che loro avevano in man le portavano tuti con le punte in zose in spala et introrno alo improvviso in la procession et ancora avevano una tromba46.

Memorabile rappresentazione intrisa di tragicità che lasciò i fedeli profondamente turbati dai suggestivi, macabri travestimenti, dal sinistro suono degli dentro e fuori le mura urbane. Ben nota è l’attenzione dedicata alle «antiche cronache» da Giovanni Maria Barbieri (1519-1574), cui vanno aggiunti altri autori le cui opere sono state oggetto di studi e pubblicazioni nei decenni passati. Tra questi F. Panini, Cronica della città di Modana, a cura di R. Bussi, R. Montagnani, Modena, Panini, 1978; A. Todesco, Annali della Città di Modena (1501-1547), a cura di R. Bussi, R. Montagnani, Modena, Panini, 1979; L. Beliardi, Cronaca della Città di Modena (1512-1518), a cura di A. Biondi, M. Oppi, Modena, Panini, 1981; L. Pioppi, Diario (1541-1612), a cura di R. Bussi, Modena, Panini, 1982. Alla stessa tradizione, ovviamente, va ricondotta la produzione del confratello Giovanni Battista Spaccini (1570-1636), cui si è abbondantemente attinto nel corso di queste pagine. 46 Cit. in M. Calore, Spettacoli sacri cit., pp. 39-40.

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Fig. 11: Matricola dei confratelli (ACMO, SGM 3)

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strumenti guerreschi, tamburini e trombe, anticipando, nel soggetto, il famoso carro allegorico del Trionfo della Morte approntato dal pittore fiorentino Piero di Cosimo nel carnevale del 1511 e descritto dal Vasari nelle Vite47. Altre fonti risalenti ai primi anni del Cinquecento consentono di documentare, in maniera non meno vivida, la presenza e la qualità della musica nel quadro della vita mondana e religiosa della città, richiamando una dimensione sonora che tende a stabilizzare una nitida connessione tra istituzioni religiose e civili. Adì 13 de mazo [1514] fu cantato la messa del Spirito santo in Domo e fu facto processione per la pace universale de questa Cittade, et heri sera se treteno artegliaria, et sonono campane per allegrezza48.

Ai manoscritti confraternali, talvolta silenti, si affianca dunque la documentazione indiretta delle vicende musicali cittadine che vedono confermati e ampliati lo spazio e l’importanza attribuiti all’impiego della musica nelle sue articolate funzioni. Recorde come a dì 15 lugli [1523] com’ençono de sonare li piffero a la ringhera dal Palaço de Modena, quando li signore andavano a disinare, çué li Conservatore de questa citado. El primo piva fu Zimignan Beco e uno suo fiole, e Marcheto e tri compagno, e questo levano la matina e la sira49.

Emerge nell’ambito urbano memoria di un primo ensemble costituito da sei sonatori di strumenti musicali a fiato – «piffero, piva» – che dalla sede civica, in ore regolamentate, raccordano con una prima grata armonia il luogo eletto dell’istituzione comunale con il popolo. La presenza ufficiale, in circostanze civili e pubbliche, di sonatori di fiati è concomitante con il processo di dignificazione della nascente arte strumentale cinquecentesca. 47 Cfr. G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, Novara, De Agostini, 1967, III, pp. 444-447. Nella vita di Piero di Cosimo il Vasari riporta la descrizione del carro su cui trionfano le insegne della morte e macabri personaggi vestiti di nero «con dipinte le ossature» che, usciti dai sepolcri, vi si sedevano sopra cantando lugubri versi al suono di «certe trombe sorde, e con suon roco e morto». A questo tema si ispirò, come è noto, Mario Castelnuovo Tedesco (1895-1968) – il maggior musicista fiorentino tra le due guerre, esule nel 1939 a causa delle leggi razziali – per la sua composizione per pianoforte Questo fu il carro della morte dalla «Vita di Pier di Cosimo» di Giorgio Vasari (1913), su cui per tutti cfr. C. Ponsillo, Ricordo del grande compositore fiorentino Mario Castelnuovo Tedesco, in: «Strumenti e musica», 11 (1995). 48 L. Beliardi, Cronaca della Città di Modena (1512-1518), a cura di A. Biondi e M. Oppi, Modena, ed. Panini, 1981, p. 97 (13 maggio 1514). 49 A. Todesco, Annali cit., p. 35.

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Lo scenario della musica si allarga e gli edifici ecclesiastici più prestigiosi prendono nuova vita dai rifacimenti di insigni organi da muro che, con un impareggiabile grado di armonia, accrescono lo spessore sonoro della polifonia sacra. Recorde come a dì 27 março [1524] començò de sunare l’organo de San Petro in Modena; el dite organo fu fate novamente50. Recorde come a dì 4 agoste [1532] començò de sunare l’organo de Santo Duminigo in Modena, çué quelo nove ch’era fato de nove de questo ano soprascrito51.

Dalla lettura delle fonti documentali viene in luce l’opera di Cesare Cesi, artefice di alcune importanti progettazioni edilizie, volute dai Conservatori o da Ordini religiosi, realizzate in Modena negli anni centrali del Cinquecento. Tra queste la fabbrica delle Beccherie, iniziata nel 1532, ampliata nel 1544 a scapito del contiguo Ospitale della Morte, nella quale i confratelli ricavarono un proprio luogo di rappresentanza per la musica52. L’edificio, poggiato su un robusto zoccolo, era ornato da un compendio decorativo, racchiuso nel fregio esterno, realizzato da Nicolò dell’Abate e Alberto Fontana. Nelle ideazioni figurative di dell’Abate spira il senso di una completa musicalità – scaturita dalla vibrante concretezza degli strumenti, viole, liuti, arpa, spinetta – echeggiante la cultura accademica dei colti cenacoli modenesi, luoghi eletti di riflessione dottrinale, di fermenti scientifici, letterari, artistici53. Autore, a fianco di Gherardo delle Catene e Giovanni Taraschi, dei magnifici apparati trionfali allestiti in Modena per gli ingressi principeschi di Carlo V nel 1529, di Ercole d’Este e Renata di Francia nel 153654, Cesare Cesi fu artefi-

50 A. Todesco, Annali cit., p. 37. L’organo cui allude il memorialista è lo strumento ultimato nel 1524 dal bresciano Giovanni Battista Facchetti per il monastero di San Pietro che possedeva nella precedente chiesa un organo qui collocato nel 1454. Oltre alle indicazioni bibliografiche già fornite per questo e altri organi si veda il censimento complessivo di C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi italiani. La Provincia di Modena, Modena, Panini, 1991 (in part. pp. 289-295 per il caso specifico). Sugli interventi di recupero svolti negli ultimi anni: G. Martinelli Braglia, C. Giovannini, L. Longagnani, Armonie ritrovate. Organi restaurati nel territorio modenese, Modena, Provincia di Modena, 2007. 51 A. Todesco, Annali cit., pp. 57-58. Per l’organo, opera di Giovanni Battista Facchetti, cfr. C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., pp. 65-271. 52 G. Martinelli Braglia, Le Beccherie nuove: la maniera di Cesare Cesi, in G. Guandalini (a cura di), Il Palazzo Comunale di Modena. Le sedi, la città, il contado, Modena, Panini, 1985, pp. 82-83. 53 G. Guandalini (a cura di), Il Palazzo Comunale cit., Scheda 18, p. 96. 54 Per i riferimenti all’attività di apparatore del Cesi si veda di nuovo G. Martinelli Braglia, Le Beccherie nuove cit., pp. 82-83.

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ce di altre progettazioni spettacolari effimere ma estremamente salienti nelle feste religiose cittadine. Alla celebrazione del Corpus Domini, solennizzata in Modena da funzioni liturgiche e canti devozionali eseguiti da tutte le confraternite, prestava nel 1547 l’opera di apparatore il Cesi55, attivo in seguito all’interno della confraternita di San Pietro Martire, di cui fu ordinario e per cui ideò la memorabile rappresentazione del 155456. Nell’insieme dei documenti stilati a metà Cinquecento dai confratelli della Morte, sono riportate spese sostenute per sacerdoti cantori cui si conferisce la responsabilità di esecuzioni di musica sacra nelle liturgie religiose. 23 giugno [1558], soldi quattordici a due preti ch’hanno cantato la messa57. [24 giugno 1559], lir una et soldi tredeci per far portare le tapezarie et i legni et l’organo et altre robe et tornare le dite robe alli p.roni58.

Attraverso questa testimonianza si delinea un apparato festivo confraternale che, per solennizzare la festa del santo titolare, si avvale non solo di elementi decorativi variamente combinati e di pura vocalità virtuosistica, ma anche di uno strumento a tastiera, un organo prestato al sodalizio per funzioni di sostegno o di alternanza. Alle spese per un gonfalone processionale59 se ne aggiungono altre destinate ai cantori stipendiati per solennizzare le liturgie – in questo caso forse appartenenti alla «Capella cantori» della cattedrale, come sembrerebbe testimoniare il nome di Lodovico Ambrosino60 – mentre testi memorialistici diversi, descrivendo cerimonie religiose e solenni esequie61, consentono una rilettura di

M. Calore, Spettacoli sacri cit., pp. 47 ss. «Sia noto como l’anno sopra scrito (1554) sotto il governo de m.co cesare da cesa alla portesione del corpo di Cristo si fece una festa degna di memoria, della quale fu inventore m.co cesare da cesa, et si fecce 24 profeta tutti vestiti da sacchi descalzo a pie nudo con tutti li soi brevi latini sop.a una tavoletta in mano, quali declamavano quelli che erano, dipoi dinanzi a mons.Vescovo di modena et alle S.ri canonici gettavano bolentini cavo dalla sacra scritura asortando tutti che dovessero venire a penitentia et pentirsi d.lli erori fatti contra il Salvator n.ro, la qual cosa fu molto lodevole et devota» (cit. in M. Al Kalak, M. Lucchi, Il laudario dei disciplinati cit., p. 32). 57 ACMO, AR-SGB 211, c. 45r. 58 ACMO, AR-SGB 211, c. 51r. 59 ACMO, AR-SGB 211, c. 56v (1560). 60 ACMO, AR-SGB 211, c. 60v (25 giugno 1561): «A Don Lod.o Ambrosino et alli compagni per cantare la messa». Cfr. anche G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 25. 61 L. Pioppi, Diario cit., p. 44. Il 2 marzo 1564 si celebra il funerale di Pietro Scalabrino con «superbissimo offitio da morte con una messa cantata in canto figurato». 55 56

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Fig. 12: Litanie dei santi (ACMO, SGM 5)

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eventi musicali in suono e in «canto figurato». Sequenza di note dai valori mensurati, il canto figurato fu ampiamente utilizzato nelle funzioni ufficiali della chiesa modenese, finché nel 1538 il vescovo Giovanni Morone non intervenne per moderarne la vocalità eccessivamente melismatica assai lontana dal «canto fermo» – un canto piano basato sulla successione di note di uguale valore – ritenuto ideale nell’applicazione ai testi liturgici. Quando cantavano canto fermo – annotava il cronista Lancillotti – ogni homo intendeva e cantava in core suo con li preti, como el chirie el gloria el credo nela messa, el simile li salmi del vespro62.

Nelle memorie documentali si vedono confermati lo spazio e l’importanza attribuiti alla celebrazione delle quarant’ore63 in cui si riflettono le linee portanti dell’applicazione dei canoni conciliari nella diocesi, in armonia con il sinodo indetto nel 1565 dal vescovo Morone64. Procurano poi l’immagine di una cultura e di una società gli scritti dedicati al castrum doloris allestito per le esequie di illustri personaggi ai quali vengono tributate cerimonie riccamente articolate cui la presenza delle confraternite conferisce diretta efficacia drammaturgica65. Il rituale funebre codifica la celebra62 Tommasino de’ Bianchi detto De Lancillotti, Cronaca modenese, Parma, Fiaccadori, 1862, II, p. 420. Cfr. G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 24. 63 L. Pioppi, Diario cit., p. 44: «Il dì 15 giugno [1564] fu fatta una solennissima processione generale molto devotamente fatta, et portarono il Sacrosanto Sacramento; fu tutto apparato il chore del Duomo di panni neri, et doppo fu cantata una devotissima e bella messa, et di poi posero l’oratione delle 40 hore con grandissima indulgenza venuta da Roma, et questo per le gran peste che sono in alcune città fuor d’Italia, acciocché l’Onnipotente Iddio per sua misericordia gli liberasse, et difendesse noi da tal periglio; et mentre durò le 40 hore di detta oratione stette serrate tutte le botteghe, et tendeva tanta divotione quanto dire si possa». 64 Com’è noto nel 1564-1565 la commissione cardinalizia presieduta da Carlo Borromeo e Vitellozzo Vitelli aveva elaborato quelle indicazioni di massima raccomandate nell’esercizio liturgico della musica tra cui ci si limita a citare il rigetto di spunti profani, l’esigenza della limpida percepibilità della parola cantata, la selezione nell’uso degli strumenti. Nella vasta letteratura sull’argomento si segnala, per l’ampiezza pluridisciplinare, l’opera di E. Weber, Le concile de Trente et la musique. De la Réforme à la Contre-Réforme, Paris, Honoré Champion, 1982, in part. p. 179. 65 L. Pioppi, Diario cit., p. 48: «Il suddetto [1 maggio 1566] passò a miglior vita il molto illustre et eccellente dottore, conte palatino et senatore romano, il signor Francesco Bellinzini. Fu condotto a Modena in una cassa, sul suo cocchio, et fu sepolto in San Lorenzo a Modena nella sua sepoltura, con superbissimo funerale; fu portato dalli incapuzzati, et accompagnato alla barra da tutti gli illustrissimi signori conti, cavalieri, dottori et gentiluomini, et tutto il Capitolo, tutte le regole et Compagnie con torce 80 alla barra, et si diede una torza a tutti i signori conti et gentiluomini. Morse a Ferrara sendo consiglier segretario di giustizia di sua serenissima altezza di Ferrara».

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zione musicale, incancellabile ornamento della vita e della morte, ed il solenne apparato prende vita attraverso un corredo di musiche vocali e strumentali eseguite da un ensemble ricco di sonorità e timbri diversificati66. Se per i fasti riservati a illustri personaggi la musica appare elemento obbligato con valenze festive e condotte estetiche proprie, più sobrie erano invece le liturgie funebri destinate ai confratelli. L’ordinario Giberto Spaccini67, padre di Giovanni Battista, descrive le semplici esequie cinquecentesche, durante le quali il corpo del compagno defunto veniva accompagnato alla sepoltura da quaranta confratelli incappati che cantavano il «Miserere per ragione di canto mestissimo»68. «Voce di diletto, e di dolcezza à tutto il Cielo, che meritò il perdono»69, il canto del Miserere, denso di patetismo atto a stimolare l’implorazione della pietà divina, sembra ricorrere nella vita della compagnia della Morte come connotazione musicale emblematica in varie epoche e circostanze. Ma gli splendori della confraternita di San Giovanni non passavano solo dalla commovente soavità del canto o dalle cerimonie in cui, celebrando la morte, si magnificava la vita di chi aveva imboccato la via di un altro mondo: la committenza artistica di cui si rese protagonista la fraternità modenese dava la misura di una sensibilità affinata da tempo. Basta sfogliare i Maneggi di questi anni per rendersene conto: accanto a elemosine e crediti, trovano infatti spazio cospicue spese sostenute per gli arredi dell’oratorio della compagnia, apparati e funzioni religiose. Nel 1573 si annotano pagamenti a Lodovico Begarelli (1525?-1578?) per avere realizzato le statue collocate nelle nicchie all’interno della chiesa e notevoli spese, sistematicamente ripetute negli anni successivi, sono imputate alle decorazioni effimere realizzate negli oratori della Morte durante la settimana santa o in occasione delle feste della natività e della decollazione del Battista70. 66 L. Pioppi, Diario cit., p. 48: «Il dì detto [8 maggio 1566] fu fatto un letto funerale al suddetto illustrissimo et eccellente signore in San Lorenzo, et gli fu fatto bellissime esequie, molto superbamente et devotamente, con musica et instrumenti diversi». 67 Eletto il 23 marzo 1573. Cfr. ACMO, AR-SGB 191, c. 6v. 68 ACMO, AR-SGB 191, c. 75r (12 novembre 1570). 69 L. Casali, Generale Invito alle Grandezze, e Maraviglie della Musica, Modena, Gadaldino, 1629, p. 110. Un esemplare in BEMo, 76.H.19. 70 ACMO, AR-SGB 212, cc. 7b e ss. Alcune notizie su Lodovico Begarelli si ritrovano in O. Baracchi Giovanardi, Note d’archivio su pittori modenesi e non modenesi ma operanti a Modena, citati nel testo, in M.A. Lazarelli, Pitture delle Chiese di Modana, a cura di O. Baracchi Giovanardi, Modena, Aedes Muratoriana, 1982, pp. 119-138. Lodovico Begarelli, «boccalaro»/plastico, nipote del più celebre Antonio (1499?-1565?) risulta imparentato con il pittore modenese Girolamo Comi di cui sposò la figlia Ginevra (cfr. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1982, 27, p. 560). Secondo le ricerche di Orianna Baracchi si trova menzionato nel settembre 1553 nella «Lista delli homeni della Compagnia de S. to Gio. Batista alias della Morte» presso i cui oratori lavorò per fare stucchi e

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Nel 1574 si vedono riaffermati gli spazi e l’importanza attribuiti dal sodalizio alle opere figurative di artisti modenesi come il pittore Domenico Carnevali (1524-1579), autore di dodici quadri per la «scola» commissionatigli dalla confraternita71. Nel 1577 si susseguono pagamenti a favore di Giovanni Maria Menia autore dell’«adornamento dello altare»72, e negli anni successivi sono costantemente annotate le spese per i cantori che, nelle magnifiche cornici venutesi a creare, accompagnano con musiche polivoche i riti della settimana santa73. Un ulteriore pagamento di quattro lire d’oro è corrisposto a Giovan Battista Barbieri (1513?-1599), organista in cattedrale – come Fabio Richetti – sotto la direzione di Orazio Vecchi, «per haver fatto musicha a compagnare il corpo di M. thomaso santagada ordinario alla sepulura»74. Sono dunque anni di fermento, questi, sotto vari punti di vista, non ultimo quello musicale. A darne prova, oltre a quanto già detto, era Lucia Pioppi, monaca del convento di San Lorenzo, che nel proprio diario appuntava nuove sperimentazioni strumentali: nella messa in canto figurato la presenza mistica all’elevazione, culmine della sacralità, veniva esaltata oltre che dal suono delle campane dall’inserto aulico degli improvvisi squilli di tromba che davano risalto al sacramento «santo et tremendo»75. I mottetti cantati dalle religiose trovano momento privilebassorilievi. In O. Baracchi Giovanardi, Regesto delle fonti archivistiche e bibliografiche, in San Pietro di Modena cit., pp. 171-178, doc. 41 (16.XI.1553, rog. G.B. Scodobi) è inoltre citato un contratto tra l’abate Basilio e Antonio e Lodovico Begarelli per la costruzione di «unam anchonam seu tabulam ad altare maius» nella chiesa di San Pietro per l’altare detto «delle statue», ora sepolcro dello stesso Begarelli. 71 ACMO, AR-SGB 212, c. 21b (1574). Furono versati al pittore lire 200 e soldi 91. Secondo quanto si legge in O. Baracchi Giovanardi (a cura di), Mauro Alessandro Lazarelli cit., p. 95, Domenico Carnevali è citato dal Lazarelli nel 1714 come segue: «L’unico altare dunque della chiesa superiore rappresenta San Gian Battista che battezza il Redentore nel Giordano, col Padre Eterno e lo Spirito Santo in Gloria, mano di Domenico Carnevali modenese». Lo stesso non menziona invece i quadri del Carnevali citati nei documenti della confraternita, evidentemente già dispersi agli inizi del Settecento. Del pittore è conservata una tela raffigurante il martirio di San Giovanni Battista nel Museo Diocesano di Carpi. Su di essa: A. Garuti, Per una storia dell’arte nella diocesi di Carpi, in A. Beltrami, A. Garuti, A.M. Ori (a cura di), Storia della Chiesa di Carpi, Modena, Mucchi, 2007, II, p. 269. 72 Cfr. ad esempio ACMO, AR-SGB 212, c. 47a (16 maggio 1577). 73 Di nuovo a titolo di esempio, cfr. ACMO, AR-SGB 212, c. 77a (25 marzo 1587). 74 ACMO, AR-SGB 212, c. 81a (21 novembre 1587). Per l’attività di organista nella cattedrale e altre notizie sull’organico si veda G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 58. 75 L. Pioppi, Diario cit., p. 65: «Al dì 29 decembre [1575] giobbia posero l’oratione delle 40 hore nella nostra gessa di san Lorenzo, et cantorono la messa in canto figurato, et nel levare del Santo et tremendo Sacramento sonarono quattro trombe, cosa devotissima da uddire in tanto venerando Sacramento».

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giato in vari campi dell’esperienza liturgico-musicale come le messe, le «messe nuove»76 e la vestizione delle monache accompagnata da canti e suoni in cui appare significativo l’insieme degli strumenti musicali combinati secondo diverse gamme timbriche77. Per la via del culto la musica rientra nel chiostro dove la disciplina ecclesiastica porterebbe a interdirle l’accesso; nei monasteri femminili e nelle loro chiese quest’arte guadagnerà, nel corso del Cinquecento e dei secoli successivi, una consistenza reale e un’identità propria soprattutto nelle istituzioni conventuali comprese nei domini estensi78. Negli anni declinanti del secolo – riferisce suor Lucia Pioppi –, altre occasioni di musica ritmano e vivificano la città mediante feste en plein air, che attirano una popolazione curiosa e partecipe con molteplici espressività innovative, dai canti sacri alle multisonanti esperienze musicali del tardo Rinascimento riconoscibili dall’accostamento di strumenti a percussione, a fiato, ad arco e a pizzico variamente combinati da «musici dottissimi». Il dì 19 giugno [1587] venerdì ad hore 19 fu posto la croce sopra il pomo della torre della gesia cattedrale, et la pose il reverendo monsignor Innocentio Foscheri vicario del vescovo con gran divotione, sonandoli i tamburri, trombe, cornetti, lauti, violini, con musici dottissimi in tali arti, con canti et soni diversi, con tre adoramus, cantati et sonati a tal sumitade con gran divotione di tutta gente79.

76 L. Pioppi, Diario cit., p. 68: «Al dì penultimo dicembre [1576] in domenica messer Don Giulio Biccecho disse messa nuova nella nostra gesia di San Lorenzo, et la disse bassa et con bello apparato, et gli cantorono tre bellissimi moteti». 77 L. Pioppi, Diario cit., p. 68: «Al dì 6 gennaio [1577] in domenica si vestì da suora suor Livia di Berardi da Bologna et gli cantorno una messa et uno vespero con soni di diverse sorte, con bellissimo honore». 78 Tra la bibliografia sul tema ci si limita a richiamare G. Stefani, Musica cit., pp. 106112, con ampi riferimenti agli Acta Ecclesiae (in particolare per gli anni 1565, 1569 e 1576) e alle feste e solennità organizzate dalle monache del convento ferrarese di San Vito per onorare il principe estense riportate in E. Bottrigari, Il Desiderio overo de’ concerti de varii strumenti musicali, Bologna 1599, cap. VII, p. 50: «Gran Concerto loro; il qual non fanno […] se non à certi tempi, come di solennità grandissime della Chiesa, ò per onorare le Serenissime Altezze de Principi suoi, ò per gratificare […] qualche famoso protettore, ò nobile amatore della Musica». Anche le fonti del primo Seicento esprimono ammirazione per le angeliche voci e il virtuosismo nel suonare strumenti dimostrato dalle monache nei conventi del territorio modenese. Si veda ad esempio L. Casali, Generale Invito cit., p. 110. Sul tema cfr. pure A. Beltrami, Feste e musica in convento nei secoli XVII e XVIII, in G. Zarri (a cura di), Le Clarisse in Carpi. Cinque secoli di storia XVI-XX, Reggio Emilia, Diabasis, 2003, I, pp. 341-354 e qualche cenno in M. Lucchi, Musica sacra a Carpi dal tardo medioevo all’età moderna, in Storia della Chiesa di Carpi cit., II, pp. 187-226. 79 L. Pioppi, Diario cit., p. 96.

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Fig. 13: Libro dei maneggi (ACMO, AR-SGB 213)

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Anche nel monastero la musica si riveste di gamme più complesse: le cantatrici religiose addette al canto liturgico tradizionale – il canto fermo – sembrano avere ormai costituito una vera e propria cappella musicale per le prestazioni di musica figurata, polifonia e concerto. Il dì 20 ottobre [1591] suor Dorothea Guidotta fece professione per suora conversa [...] et le reverende cantore del nostro monastero gli cantorono una bellissima messa in canto figurato, Laus Deo80.

Gli strumenti sono praticati con esiti talora virtuosistici ed il respiro estetico tende a svilupparsi nel momento in cui l’organo o si fonde con le voci o le accompagna in alternanza. Il dì 13 marzo [1594] messer don Giovanni Mazzo cantò la sua prima messa in San Lorenzo honoratamente et con bello apparato, et con più bella musica di diverse voci et instrumenti com’un organo81.

Sul finire del Cinquecento nei documenti confraternali continuano ad essere riportate voci di entrate, perlopiù elemosine e lasciti, e numerose spese finalizzate ad abbellimenti e arredi degli oratori della compagnia e ad apparati che enfatizzano le funzioni religiose. Nel febbraio 1593 si riporta notizia di un debito (seicento lire da corrispondersi mediante il versamento di due rate annuali) assunto da Orazio Vecchi nei confronti della compagnia per adempiere alla volontà testamentaria del padre Giovanni82, mentre negli stessi anni una memorabile sequenza di donazioni da parte del conte Sertorio Sertori investe enti e istituti cittadini. Alla cattedrale viene destinata dal nobiluomo una nutrita serie di arazzi con l’obbligo di celebrare un ufficio annuale (cento messe) e il divieto di cedere in prestito i preziosi ornamenti, pena il passaggio degli stessi ai padri di San Francesco83. Anche la confraternita di San Giovanni Battista fu destinataria di notevoli lasciti84 e nel 1596 il Sertori provvede l’associazione di un organo – forse lo strumento più importante utilizzato dal sodalizio – costruito, su committenza della famiglia Spaccini, dal modenese Fabio Richetti. L. Pioppi, Diario cit., p. 108. L. Pioppi, Diario cit., p. 116. 82 ACMO, AR-SGB 213, c. 38a (13 febbraio 1593). In fondo a c. 38b una nota appunta il versamento di lire 100 da parte di Orazio Vecchi, per il quale cfr. anche c. 71a. 83 Cronaca, 1993, p. 4 (22 settembre 1593). 84 Cronaca, 1993, p. 21 (24 dicembre 1595). Si trattava di «molta mobilia» come risulta da un atto rogato dal notaio Antonio Gualengo. 80 81

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Adì 10 avendo portato il virtuoso Fabio di Lonardo Ricchetti (suonatore d’organo e musico eccellente descipolo di Luzasco Luzasco ferrarese, organista dell’Altezza di Ferrara) un organo buonissimo che lui aveva fabbricato nell’oratorio di San Giovanni Battista della Morte, a petizione di noi Spazzini, per fare concerto questa settimana santa, l’illustrissimo signor conte Sartorio Sertori l’ha comperato et vi ha dato 100 ducatoni85.

Vengono egualmente offerti al sodalizio oggetti preziosi che denotano il profilo culturale ed il gusto raffinato di un donatore tanto generoso. Li fratelli di San Giovanni predetto in Piazza hanno fatto una bella festa con quantità d’argenteria, colane d’oro, gioie di valore di più di scuti 2.000 d’oro, tutta roba dell’illustrissimo signor conte Sartorio, affezionatissimo a detto oratorio86.

Dei possedimenti della compagnia vengono ancora a far parte un oggetto raro descritto nel rogito del notaio Gualengui87, tre angeli del Begarelli subito trasportati nella chiesa confraternale88 e altri beni preziosi probabilmente giunti dalla Wunderkammer del munifico collezionista e bibliofilo, fondatore tra l’altro di un circolo accademico attivo negli anni a ridosso dell’8989. Tutta la sopradetta argenteria alla predetta Compagnia di S. Giovanni Battista, per codicillo, cioè 15 bacili d’argento, tre para di candellieri, la mocadora con il parafumo, il cadino con la brocca, una lumaca da bevere, la panatiera, una madreperla grande coperta che pareva un cigno, che era di un re di casa Ragona, che in tutto l’argento pesava insieme once 1500, una colonna d’oro di medaglie antiche al numero di **** con un medaglione di Nerone, et un altro del duca Alessandro Farnese et un anello, dicendo il predetto conte essere di valore di ducatoni 800, le quali robe al presente sono in casa del signor Giovan Andrea Molzi dalla piazzetta, fratello della predetta Compagnia della Morte90.

Se giungono ori e argenti, non si è meno attenti agli splendori del suono: i fratelli della Morte, legati a Orazio Vecchi da questioni patrimoniali e antichi debiti, si avvalgono dell’opera del maestro per un concerto nello spazio ricavato

Cronaca, 1993, pp. 29-30 (10 aprile 1596). Cronaca, 1993, p. 58 (24 giugno 1597). 87 Cronaca, 1993, p. 38 (2 dicembre 1596): «Un vaso di cristallo di monte, ad otto faccie ligato in argento, sopra indorato di valore di scudi 50», come da atto del notaio Gualengo. 88 ACMO, AR-SGB 213, c. 66b (24 maggio 1597). 89 A.R. Venturi Barbolini, Percorsi della cultura, in M. Bini (a cura di), Gli Estensi. La corte di Modena, Modena, Il Bulino, 1999, p. 186. 90 Cronaca, 1993, pp. 58-59 (25 giugno 1597). 85 86

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nelle beccherie, dove qualche anno più tardi si verificherà un incendio a danno di statue e tappeti che ornavano il luogo delle esecuzioni strumentali91. Adì la giobia santa, la sera, venendo il reverendo don Orazio Vecchii musico eccelentissimo a fare concerto dalla Compagnia [**** all’interno] delle beccarie, il quale è largo braccia 6 e lungo braccia 14 per farvi un luogo per la musica92.

Esempio, questo, che risalta tra le spese sostenute dal sodalizio della Morte nel 1596 per la musica che accompagnava e accentuava, nelle liturgie proprie della settimana santa, i sentimenti penitenziali associati alla passione. Agli apporti musicali dati dalle fratellanze locali vanno però aggiunti anche quelli forniti dalle confraternite di passaggio in città, spesso coinvolte in esecuzioni e riti processionali. Basti un esempio. Nel 1596 la compagnia di San Giovanni Battista di Ferrara prima di riprendere il pellegrinaggio alla miracolosa immagine della Madonna di Reggio si fermò a Modena dove fu ricevuta, con gli onori del caso, fuori porta Sant’Agostino. La lunga teoria di cappe e gonfaloni si snodò tra musiche e canti per le vie che conducevano alla chiesa omonima e di qui in cattedrale dove l’ingresso degli ospiti fu solennizzato da un mottetto a tre cori. Ultimata la liturgia religiosa, cui l’esecuzione mottettistica conferiva un più alto livello cerimoniale, ci si recò nella sede della confraternita in cui «ogni cosa era adornata e particolarmente una tavola aparecchiata con argenteria per scudi 1.000»93. 91 Cronaca, 1993, p. 163 (15 settembre 1598): «Adì 15 a ½ ora di notte, s’impiò il fuoco in un camino da fornachiella Alisandro Magni, il qual è attaccato con un luogo per la musica fatto nuovamente per la onorata, Compagnia di S. Giovanni Battista della Morte [...] Essendo bruciato parte del coperto di detto luogo insieme con la volta, è ruinato tutte le vedriate, straccato tappeti, rotte statove, insomma ruinato ogni cosa, e se fosse stato più tardo a scuprire detto fuoco, bruciava tutte le pitture, insieme con il coperto della Becaria». 92 Cronaca, 1993, p. 30 (11 aprile 1596). Sull’attività di Orazio Vecchi, raffinato polifonista, musicista per la chiesa e per la corte ma anche autore di mascherate e di esecuzioni musicali per i sodalizi di devozione presenti nella città si veda M. Lucchi, Orazio Vecchi. Musica a Modena tra Cattedrale, Corte, Confraternite, in F. Taddei, A. Chiarelli (a cura di), Il theatro dell’udito cit., pp. 129-162. Per un approfondimento sulla musica sacra del Vecchi, sulle pratiche compositive e simbologie riferibili ai primi anni del Cinquecento, sulle maniere stilistiche adottate in questo campo si rinvia al saggio di G. Indulti, Sacro e profano, nuovo e antico nei Mottetti di Orazio Vecchi contenuto nella stessa miscellanea alle pp. 265-289. Per uno sguardo sulla figura e la produzione del Vecchi con particolare attenzione all’ambito modenese ed estense cfr. Charelli A. (a cura di), Orazio Vecchi, musica e cultura tra Modena e gli Estensi, Modena, Mucchi, 2007. 93 Cronaca, 1993, p. 33 (20-22 giugno 1596). L’accurata descrizione dell’evento permette di conoscere l’esatta disposizione delle due confraternite che procedono parallelamente verso la chiesa – a sinistra i modenesi, a destra i ferraresi, la musica al centro – sotto gli

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Accompagnati all’organo da Fabio Richetti, i confratelli cantarono un mottetto e raggiunsero la casa di Nicolò Molza, ordinario della compagnia situata in la Piazzetta del Palone, dove era ordinato un banchetto a cinque piatti, essendo serviti onoratissimamente alli fratelli di nostra Compagnia. In detta sala v’era molti gentiluomini modenesi che facevano spaliera; doppo il pranzo e rese le grazie a Dio se partirono alla volta della nave per Ferrara94.

Nella lettura offerta dallo Spaccini, la musica, elemento obbligato nei cerimoniali di accoglienza, sviluppa le sue valenze festive ed estetiche dando luogo a un vero e proprio trattenimento per i fedeli: in questa prospettiva di espansione musicale egli si concentra su capitoli normativi e descrittivi di morfologia sonora condivisi da entrambe le fratellanze, sulla scelta della composizione mottettistica, che costituisce sempre pregevole esperienza d’ascolto sia amplificata dall’assetto vocale a tre cori nel tempio, sia restituita a una più misurata combinazione di voci accompagnate dall’organo nella sede confraternale. E proprio sull’organo, strumento ormai centrale nelle liturgie del sodalizio, si concentrano le annotazioni delle fonti manoscritte di questi anni. Accanto ai consueti versamenti in denaro di Orazio Vecchi95, si trovano varie spese destinate allo strumento a tastiera: «legno piella» allo scopo di «foderare l’organo»96 e «tre manete per i mandisi» dello stesso97; né per la musica del giorno di San Giovanni si manca di assoldare Francesco Farina e un organista98. A Fabio Ricchetti, titolare dell’organo nella compagnia della Morte, toccò il compito di accompagnare le esequie del Sertori che, dopo le benemerenze di

stendardi, preceduti da putti metamorfizzati in angeli e da «ziroforari» che illuminano con i ceri l’iter processionale. Altre testimonianze sul fasto della musica nei pellegrinaggi confraternali ferraresi, con riferimento al 1596, possono essere rintracciate nei registri contabili del massaro Maurelio Valeri, citati da A. Cavicchi, Per far più grande la meraviglia dell’arte, in Frescobaldi e il suo tempo nel quarto centenario della nascita,Venezia, Marsilio, 1983, p. 23, e trascritti da E. Peverada in Feste, musica e devozione cit., p. 237. Il numeroso corpo di musicisti – ventuno elementi, cantori e strumentisti, tra cui il giovane Girolamo Frescobaldi agli ordini del maestro di cappella Aloise Mazzi – era adatto per eseguire musica a doppio coro con cornetti e tromboni. È a questo ensemble che si unirono i confratelli cantori della Morte di Modena formando i tre cori ricordati dallo Spaccini nella musica d’ingresso nel tempio. 94 Cronaca, 1993, p. 33. 95 Cfr. ad esempio ACMO, AR-SGB 213, c. 59b (17 settembre 1596). 96 ACMO, AR-SGB 213, c. 60a (24 luglio 1596). 97 ACMO, AR-SGB 213, c. 62b (2 aprile 1597). 98 ACMO, AR-SGB 213, c. 68b (1 settembre 1597).

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cui si è detto, non poteva non ricevere omaggi particolari in occasione dell’estremo commiato: Li fratelli della veneranda Compagnia di S. Giovanni Battista, fecero l’offizio nella lor scuola per l’anima dell’illustrissimo signor conte Sartorio Sertori tutti vestiti a bianchi, se bene ogni cosa era coperto di luto, con un bello catafalco in meggio, con molti versi lattini messovi fuori in sua laude. Doppo questo se vi cantò la messa grande con un buon corpo di musica, con l’organo suonato dall’eccellente Fabio Ricchetti, organista di detto luogo, con gran concorso di popolo; nella chiesa a basso tutta la mattina se vi celebrò messe. Il doppo pranso li predetti fratelli fecero portare una cassa di ferro in casa di Bernardino Veneziano alias Caromani, già dove si faceva l’osteria famosa della Campana, e messovi dentro tutto l’argenterie insieme col’oro et altri panni preziosi, stando una chiave apresso al signor Ippolito Levizzani, l’altra al signor Andrea Molzi, la terza al signor Giberto Spazzini mio padre e massaro al presente della Compagnia99.

Tra chiavistelli e argenti da custodire, la vita della fraternità avanzava e nelle fonti memorialistiche del periodo si susseguono eventi che restituiscono squarci di attività dei membri della Morte, intenti ad accompagnare al patibolo peccatori da trasformare in santi100 e, talora, a presenziare battesimi maturati sotto le insegne del Battista (significativo il caso di un turco avviato al «sacro fonte» nel 1598)101. La mansione principale dei confortatori, esercitata per gran parte del Cinquecento nell’oratorio della compagnia, si trasferì sul finire del secolo nell’originaria sede all’interno del Palazzo Comunale – la restaurata cappella di San Nicolò102 –, di cui sono rimaste poche ma rilevati tracce, dal progetto del 1586103 al gonfalone – una Pietà del XVI secolo ora ai Musei civici di Modena –, che si è ipotizzato potesse essere l’antico stendardo della confraternita, qui venerato104. Mentre dunque i fratelli riacquistavano luoghi del passato, il futuro pareva riposare sotto il segno della musica. Negli ultimi due anni del secolo, ormai alle Cronaca, 1993, p. 60 (11 luglio 1597). Cronaca, 1993, p. 162 (12 settembre 1598): «La sira, alle 23 ore, fu invitata la Compagnia della Morte, per giustiziare uno la mattina seguente». 101 Cronaca, 1993, p. 127 (24 giugno 1598): «S’è battezzato un turco in Duomo, essendo accompagnato dalla Compagnia di S. Giovanni Battista, avendogli posto il medemo nome, e sta in casa del signor Etor Molzi». 102 Cronaca, 1993, p. 182 (2 novembre 1598): «Santo Nicolò Confortaria [sede dei confortatori della Morte] accomodata che prima era tutta ruinata». 103 G. Martinelli Braglia, La Cappella di S. Nicolò e la Conforteria, in G. Guandalini (a cura di), Il Palazzo Comunale cit., p. 66. 104 G. Guandalini (a cura di), Il Palazzo Comunale cit., Scheda 8, p. 65. 99

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soglie di un nuovo tempo, venivano stanziati ulteriori fondi per completare «il camarino dell’organo»105 e nelle liturgie facevano la loro comparsa preziosi paramenti106 che consacravano la devozione e il prestigio del sodalizio. Itinerari secenteschi della devozione musicale Il secolo agli esordi emerge con profonda vivezza da attestazioni cronachistiche e documentarie, da illustrazioni e descrizioni della città che si appresta ad assumere il ruolo di capitale dei domini estensi. Per quanto concerne la cronaca di Giovanni Battista Spaccini – la fonte memorialistica maggiormente utilizzata in questa sede – occorre rilevare almeno due elementi essenziali che mettono in corretta relazione le vicende relative ai luoghi e al clima culturale con quelle più strettamente personali dell’autore. Da un lato lo Spaccini ricopre un ruolo istituzionale: figlio di Giberto, ordinario della compagnia intorno agli anni Settanta del Cinquecento, nel 1615 viene accolto nel sodalizio («entrai nella Compagnia di San Giovanni Battista detta della Morte – scrive –, insieme col signor Paolo Francesco del già cavalier Teofilo Forni, cameriero d’onore del signor principe Alfonso»107), assumendo nel 1624 la carica di massaro, come egli stesso attesta nel Libro de Partiti vecchi: In questo libro coperto di cartapecora ed correggie rosse di carte n. 200 signato con una Testa del n.o Protetore San Gio: Batta saranno nottatti tutti li partiti et determinazioni de i dodici della Congregatione della venerabile Confraternita di San Gio: Batta detta della Morte, della città di Modana, per mano di me Gio: Batta del già sig. Giberto Spazzini, al presente Massaro d’essa Confraternita, e così seguirano li miei successori . Piaccia a N.S. di prestarne il suo divino aiuto. Io Gio: Batta Spazzini Massaro scrissi di mano propria108.

D’altro lato la sua formazione intellettuale e musicale gli consente di registrare gli avvenimenti non in una meccanica trasposizione, ma puntando su proACMO, AR-SGB 213, c. 73b (28 ottobre 1598). Cronaca, 1993, p. 239: «Adì 10 [maggio 1599], è passato nella Compagnia di San Giovanni Battista un partito di fare una croce d’argento inisieme con un palietto ricamato d’oro et seda da portare alle processione, simile a quelli che si usano fuori di qui; e sono li primi che in questa città fanno simile opera [...] Fa la croce un mastro **** di **** da **** che lavora nella bottega del magnifico Giovan Francesco Zampaloca; gran valentuomo quello che fa il stendardo». 107 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena, anni 1612-1616, a cura di R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 2002 (d’ora in poi Cronaca, 2002*), p. 524 (31 dicembre 1615). 108 ACMO, AR-SGB 192, c. 3r (12 gennaio 1624). 105 106

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cedimenti analogici capaci di cogliere l’essenza degli eventi senza mortificare le ragioni della musica (parallelo tra musica e società, musica e testo letterariopoetico, musica e liturgia). La festa del Corpus Domini, solennizzata nei secoli precedenti da rappresentazioni e canti devozionali di confraternite e popolo, era occasione civile e religiosa in cui iniziavano a delinearsi le tre funzioni della cerimonia barocca: prestigio, diletto, devozione109. La partecipazione del principe e della corte conferivano maggiore enfasi a un evento in cui convergevano la solennità del religioso e l’ornamento della dignità secolare. Al primo giugno, giobia del Corpus Domini, hanno in Duomo fatto l’altare a basso secondo l’usanza antica, e celebrato la messa monsignor prevosto, et mentre che la processione s’aviava, viene Sua Altezza con la corte, non essendovi altro di bello che la Compagnia di Santo Giovanni Battista aveva un gonfalone nuovo fatto di recamo con la croce d’argento di valore di ducati ***110.

In un’annotazione dedicata alla compagnia della Morte, il cronista Andrea Todesco sottolineava l’importanza assunta dagli oratori di San Giovanni Battista, luoghi di forte aggregazione, che sembrano talvolta contrappuntare la centralità della cattedrale: Recorde come dì 29 zugni [1601] levone le Arte di Modena la oracion dal Duomo e la portuono in Santo Giovano de la morte, et tutto le Arte andavano a fare tutto la sua oracion111.

Nell’ideale festivo del rito processionale, in cui si riversava la società nella sua globalità gerarchica, si riflette il carattere totalizzante della religiosità barocca: le congregazioni fanno a gara per onorare e intensificare l’ethos devozionale mediante insiemi di musiche strumentali e canti devoti eseguiti da cantori e confratelli rivestiti delle cappe su cui risaltano le insegne delle compagnie. La processione s’è aviata secondo il solito, sendovi la Compagnia del Giesù e San Sebastiano che avevano buona musica di cantori forestieri, la Compagnia di San Giovanni Battista è la prima volta che ha portato il cordone negro et la insegna del Santo su la capa dal lato destro112. 109 G. Stefani, Musica cit., p. 20. L’applicazione del termine «barocco» alla musica di questo secolo, derivata dalla tradizione musicologica tedesca e anglosassone, può risultare utile e accettabile se lo si assume, come categoria elastica comprendente, entro un ampio disegno complessivo, i caratteri dominanti di un’epoca. 110 Cronaca, 1993, p. 366 (1 giugno 1600). 111 A. Todesco, Annali cit., p. 94. 112 Cronaca, 1993, p. 571 (6 giugno 1602).

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Fig. 14: D. Marzio Erculeo, Il canto ecclesiastico, Modena 1686

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Nel 1602, dunque, per la prima volta sui fianchi dei confratelli era sceso il cordone nero e la stessa fraternità del resto non era più posta alla periferia del ducato, ma nel cuore stesso di una capitale: uno dei primi atti emanati dal governo di Cesare d’Este poco dopo il suo insediamento a Modena fu la concessione del privilegio con cui la confraternita della Morte avrebbe potuto ottenere ogni anno, il 24 giugno o il 29 agosto, la grazia per un condannato a morte. Conseguire la grazia per il reo, condurlo a una rinascita sociale attraverso il perdono e la misericordia comportava – come visto nel saggio precedente – l’esercizio manifesto di una pietas cristiana che rivestiva una più ampia valenza e un significato edificante ai quali si coniugavano la clemenza del principe e l’esercizio stesso della sovranità. Utilizzato più raramente di quanto si possa supporre, il provvedimento di liberazione del condannato veniva celebrato coram populo: nell’evento di restituzione alla vita, come nell’evento della morte, culminavano processi riguardanti la vita sociale, religiosa e politica dell’intera collettività, sulla quale si riverberavano riflessi di metamorfosi concettuali e devozionali presenti nella grande sfera del dolore e del ritorno all’esistenza terrena. Come nella scena del supplizio si compie una rappresentazione in cui si offre al popolo la difficile lettura della sofferenza seguita passo passo dai fratelli confortatori che accompagnano il condannato al palco della morte sorreggendolo spiritualmente e intonando canti salmodici lungo il cammino verso la sepoltura, così assurge a rito-spettacolo la celebrazione della grazia accordata, manifestamente intrisa di momenti di musica-sermone altrettanto connessi ai momenti comunicazionali di espressione e mozione degli affetti. La Compagnia di San Giovanni Battista ebbe in grazia una donna condennata per aver astoficato una sua creatura nata d’un suo amante, com’è detto di sopra, et l’hanno menata processionalmente con la torza in mano per la città, incoronata di fiori; et questa è la prima volta da poi hanno ottenuto il privilegio113.

La confraternita, conducendo in corteo processionale la donna graziata incoronata di fiori, offriva alla città un’immagine angelicata posta nel mezzo di una coreografia carica di simboli celesti in cui il pensiero e il sentimento del paradiso riconquistato scendevano per un attimo sulla terra. Ma non sempre il provvedimento di grazia giungeva alla completa riabilitazione del condannato; talvolta l’epilogo era diverso, come accadde nel 1624, quando la compagnia ottenne sub condicione la commutazione della pena da mortale in afflittiva. 113

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Cronaca, 1999, p. 131 (29 agosto 1604).

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Puochi dì sono un tale […] avendo amazzato un Domenico dalle Carra per 50 scudi fu preso, perché non s’era partito di Modana; confessato lo voleva far impiccare ma la Compagnia di San Giovanni Battista lo ha domandato, e così lo ha ottenutolo alla vita, con patto che vada in galera114.

La compagnia della Morte andava acquistando peso all’interno delle complesse trame politico-istituzionali della città e le liturgie di cui era protagonista ne mostravano tutta la magnificenza. Tra le occasioni rituali obbliganti nella vita sociale e musicale della confraternita, le liturgie prescritte per la settimana santa costituiscono in pieno Seicento insuperabili momenti di ethos compuntivo: accanto all’accompagnamento sonoro nelle chiese, la sera presso le sedi delle confraternite si esibivano in seducenti prove musicali Paolo Bravusi (15861630) – allievo prediletto di Orazio Vecchi e maestro di cappella nella cattedrale (1626-1630) – e Geminiano Capilupi (1573-1616), discepolo e rivale del Vecchi, maestro presso la confraternita della Morte e in duomo dal 1604 al 1614115. Adì mercordì santo, s’è cominciato gli officii divini con gran frequenza di popolo; il signor duca e cardinale vano a San Pietro, dove fa musica Paolino. La sera poi si fa musica alle Compagnie di San Giovanni e San Geminiano e ciascuno di loro fanno buona musica; alla prima è mastro di capella Geminiano Lovetto apellatosi Capilupi, l’altra Paolino, che passa la prima116.

I concerti della settimana santa tenuti presso gli oratori confraternali accrescono il prestigio delle istituzioni e divengono vera sostanza della gravità cerimoniale della passione, i cui riti vengono vissuti come azione comunitaria e simbolica di supplica e lode, benedizione e comunione. La cronaca spacciniana riporta descrizioni di allestimenti con sacre allegorie che mediante il canto e la musica mirano a suscitare nei fedeli un più forte e interiorizzato anelito devozionale. Nel 1613 si ricordano «assai belli sepolchri e similmente li divini officii» svolti soprattutto a opera della confraternita della Morte («particolarmente la Compagnia di San Giovanni Battista»)117. Nel 1617 è l’intera cattedrale a trasformarsi: 114 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1621-1629, a cura di R. Bussi, C. Giovannini, Modena, Panini, 2006 (d’ora in poi Cronaca, 2006), p. 230 (29 maggio 1624). 115 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 310. 116 Cronaca, 1999, p. 290 (17 aprile 1607). E ancora, il 15 aprile 1609: «La sera la Compagnia di San Geminiano e San Giovanni Battista fa concerti buonissimi, e tutti è Paolino che li fa» (ivi, p. 368). 117 Cronaca, 2002*, p. 145 (4 aprile 1613).

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bellissimi sepolchi, particolarmente in Duomo, dove era tre grotte, cioè il monte Calvario, Giacob che sacrificava Issaci, Daniello nel luogo dei leoni, la terza: Cristo morto è portato nel sepolto. Li padri reverendi Capzini avevano fatto una grotta con la sepoltura di Cristo Signor Nostro bellissima. I padri Teatini e Gesuiti il monte Calvario. Ma per ricchezza quel di San Pietro, ch’era tutto argenteria, e con frequenza grande tutta la notte118.

Un restauro dell’organo della compagnia – probabilmente quello pervenuto dal conte Sertori – fu affidato, come riferisce lo Spaccini, al parmense Michelangelo Rangoni (1580-1668 post) al servizio dei duchi Farnese come accordatore, riparatore e talvolta sonatore dei numerosi organi, cembali, claviorgani, regali e viole conservati nei palazzi ducali di Parma e Piacenza. Adì 6, lunedì, allogia in casa nostra Michelangelo Rangoni parmeggiano che accomoda organi, e ha tolto a comodare quello della compagnia di San Giovanni Battista119. Adì 12, domenica, la Compagnia della Morte fa accomodare il suo organo a messer Michelangelo Rangoni, parmeggiano e valente organista, qual organo fu roinato d’un Iseppo romagnolo e vi costa sin ad ora, solo di conzadura, scudi 700120.

Nello stesso anno il Rangoni svolse in Modena un altro intervento di restauro sull’organo costruito tra il 1461 e il 1463 da fra Giovanni da Mercatello per il duomo e ceduto ai Carmelitani nel 1595 per la chiesa di Santa Maria del Carmine (poi San Biagio) da Baldassarre Malamini, artefice, su committenza del vescovo Silingardi, di un nuovo strumento per la cattedrale, successivamente accordato da Fabio Richetti nel 1600121. L’attività del Rangoni in territorio estense sembra chiudersi nel 1611 anno in cui egli, insieme a Giovanni Maria Ceccardi, portò a termine la costruzione dell’organo per la parrocchiale di San Bartolomeo di Fiumalbo122. 118 G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1617-1620, a cura di R. Bussi, C. Giovannini (d’ora in poi Cronaca, 2002**), pp. 52-53 (23 marzo 1617). 119 Cronaca, 1999, p. 522 (6 dicembre 1610). 120 Cronaca, 1999, p. 523 (12 dicembre 1610). 121 C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., pp. 155-158, 341. 122 C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., p. 132. I fiumalbini furono forse i primi abitanti dell’Appennino modenese a dotare la propria chiesa di un organo, sostituito nel 1729 con un nuovo strumento, opera dell’organaro e cembalaro ducale Domenico Traeri, oggetto di recenti restauri. Cfr. G. Martinelli Braglia, C. Giovannini, L. Longagnani, Armonie ritrovate cit., pp. 52-53.

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La funzione statutaria della confraternita della Morte – confortare i condannati e seppellirne i corpi – appena tracciata nelle fonti più antiche ma minuziosamente codificata nei documenti sei-settecenteschi, viene poi riportata dallo Spaccini con rapida sinteticità. In poche note sono descritte le fasi del suggestivo rituale, a volte racchiuso, come in questo caso, nel breve spazio di una notte, durante la quale i confortatori assolvevano il difficile compito di condurre i peccatori verso il pentimento salvifico in virtù del perdono divino. Adì 7, martedì, a sira fu invitato la compagnia di San Giovanni Battista detta della Morte, dove si ritrovò in San Nicolò conforteria. Il che quando sepero che veniva Mario Marescotti e Francesco Reni gli andarono ad incontrare. Quali ciascuno di loro avevano un crocifisso in mano. Gionto in conforteria furono confortati, ciascuno di loro in luogo separato e con molta contrizione loro, che è stato tale che puochi arivano a questo passo vi arivano. Non volsero, li fratelli, che mai nisuno v’andasse a sturbargli, e fu ben fatto. Tolsero messa e si comunicorono con molte lacrime, anzi il Reno ste’ da mezza ora con il capo chino sin a terra123.

Effettuate nei primi decenni di Modena capitale, le registrazioni dello Spaccini offrono un percorso variegato di studio e di riflessione riguardo agli ambiti di amministrazione, di organizzazione della corte estense, di rappresentazione del potere, centro unificante intorno cui convergono campi di interesse anche assai diversi fra loro. Un esempio è racchiuso nel viaggio per la monacazione di una principessa estense, figlia di Alfonso e Isabella di Savoia, accompagnata a Madrid dal memorialista stesso che, con la sua inesausta attenzione alla musica, ricorda la presenza nel ricco arredo ducale di un piccolo, raro, strumento a tastiera conservato all’interno di un’insolita custodia («un cusino con una spinetta dentro»)124. Dalla corte si protendono prolungati riverberi nella storia della musica contemporanea: l’alto livello artistico raggiunto dai virtuosi modenesi nel campo degli strumenti musicali tra fine Cinque e inizio Seicento si riverbera in figure di eccellenti cornettisti come Pedrino del Cornetto125 e Nicolò Rubini126, al quaCronaca, 2002*, p. 159 (7 maggio 1613). Cronaca, 2002**, p. 5 (8 febbraio 1621). 125 Cronaca, 1999, pp. 293-294: «Adì 8 [maggio 1607] martedì, anco è morto in Milano messer Pedrino de i Giangiacomi, detto volgarmente Pedrino del Cornetto, modenese, che nella professione del cornetto era il primo che colà vi fusse, sendo molto amato per la sua virtù [...] In vestire pareva un principe, aveva composto in musica madrigali bellissimi che ne poteva formare un libro, ma ora vi sono stati robati». 126 Cronaca, 1999, p. 293: «Adì 6 [maggio 1607], domenica. Li predetti frati [di Sant’Agostino] hanno officiato per eccellenza, con musica d’otto tromboni e tre cornetti, fra li quali il nostro, che si domanda don Nicolò Rubini modenese, alievo d’Orazio Vechi, gli ha superato tutti». 123 124

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Fig. 15: D. Marzio Erculeo, Il canto ecclesiastico, Modena 1686

le peraltro la confraternita della Morte affida in questi anni la responsabilità della musica nelle solennità religiose. Adì 26, giobia, Corpus Domini, s’è fatto la processione solita senza alcuna cerimonia, ma ordinata. Solo la Compagnia di San Giovanni Battista ha fatto un buon concerto di musica da don Nicolò Rubini, v’era il principe Alfonso con i fratelli e con la guardia e gran quantità di popolo alla benedizione127. Adì 29, domenica, li monaci a San Pietro hanno fatto la solita loro processione, v’era la Compagnia di San Giovanni Battista che ha fatto buon concerto di musica128.

Nell’intarsio di azioni liturgico-musicali del primo Seicento l’immagine più visibile della compagnia della Morte è correlata alla musica, a polifonie vocali-strumentali vissute come «concerto» e alle messe solenni celebrate negli

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Cronaca, 2002**, p. 229 (26 maggio 1622). Cronaca, 2006, p. 230 (29 maggio1624).

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oratori cui partecipano i giovani principi estensi129. Durante il periodo in cui lo Spaccini esercita la funzione di massaro, si verificano riassetti e aggiustamenti amministrativi130; la musica, secondo la tradizione confraternale, è presente in ogni riunione aperta, di norma, invocando l’ispirazione divina con il canto innodico Veni Creator Spiritus intonato dai salmisti131. Si permea di profondi significati spirituali il richiamo pronunciato dall’ordinario della compagnia per dimostrare con «vive ragioni» quanto beneficio derivi ai confratelli e alla città dall’esposizione del Santissimo Sacramento, ripetuta tutti i sabati di quaresima «dopo il pranzo [...] con musica e sermone»132. Nel corso del Seicento i fratelli estensori registrano una lunga sequenza di liturgie religiose celebrate in cattedrale, glorificate dalla musica con il concorso determinante della confraternita della Morte. I fratelli di San Giovanni accrescono il livello festivo favorendo l’esecuzione di mottetti, monumenti musicali di quelle celebrazioni affidate al prestigio del maestro di cappella, sotto la cui direzione si fondono o si alternano le voci umane – ancora prioritarie secondo l’estetica musicale barocca – e l’organo che fornisce accompagnamento, «riempimento» e «fondamento» all’insieme133. Mentre è massaro Tommaso Grassetti, si assiste a una funzione musicale esemplare che documenta un modello completo di polifonia vocale-strumentale accompagnata dall’organo e dal suono delle campane. Adì 9 [marzo 1650] ditto, lire dieci al maestro di Cappella nel Duomo p(er) lo mottetto p(er) occasione d’haver portato nella d.a Chiesa il santiss.o sacramento, et p(er) la benedizione L. 10. All’organista et a quello leva mantici s. 25 in tutto. Al Torrisano per haver sonata l’Ave Maria […] soldi trenta134.

Altrettanto importanti risultano i repertori di spese per i materiali necessari all’allestimento dei sepolcri135, alla metamorfosi dei putti in angeli per la processione delle rogazioni136 e al pagamento dei facchini che dalla guardaroba Come accadde, ad esempio, il 24 giugno 1624: «Adì 24, venerdì San Giovanni Battista, viene a messa li principi giovani alla Compagnia» (Cronaca, 2006, p. 236). 130 Cfr. ACMO, AR-SGB 192, cc. 4r-v. 131 ACMO, AR-SGB 192, c. 16r (29 novembre 1624). 132 ACMO, AR-SGB 192, c. 4v (3 febbraio 1626). 133 G. Stefani, Musica cit., p. 114. 134 ACMO, AR-SGB 221, c. 1a. 135 ACMO, AR-SGB 221, c. 2a (13 aprile 1650). 136 ACMO, AR-SGB 221, c. 2a (25 maggio 1650). 129

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ducale trasportano negli oratori confraternali gli arazzi per i magnifici apparati e riordinano «la chiesa di sopra e quella da basso»137. Nelle feste liturgiche svolte in duomo, la partecipazione della confraternita è attestata secondo la formula musicale prediletta – il mottetto e il suono dell’organo – affidata alla figura più rappresentativa, il maestro di cappella della cattedrale, che sovrintende alla cerimonia. Al Mastro di Cappella del Duomo per il mottetto con l’occasione della processione et benedizzione col santiss.o nella d.a chiesa lire dieci. All’organista e leva mantici soldi venticinque. Al Torrisano per haver sonata l’Ave Maria […] soldi trenta138.

Il massaro Girolamo Orlandini si attenne, nel 1651, al medesimo programma musicale per le solenni feste religiose care alla spiritualità confraternale. L. undeci e soldi 5 per il solito motetto che si canta in duomo quando si porta il SS.o colà139.

E ancora, il 4 dicembre, si appuntano spese di «lire undeci e soldi 5 per il solito motteto nel domo»140. Tra gli eventi più significativi riportati dalle fonti manoscritte risalta il provvedimento di grazia accordato ad Antonio Mariotti su intercessione della compagnia che, con un maestoso percorso processionale guidato dal solenne suono delle trombe – sontuoso emblematico ingrandimento – celebra l’evento per le vie cittadine soffermandosi nei luoghi più rappresentativi fino a giungere all’oratorio della Morte dove il rito trova compimento e acme nella funzione religiosa conclusiva. Adì 10 del sud.o per la procesione che si fece per la grazia avuta da S.A.S. di Antonio Mariotti da Castelnovo di Grafignana condanato a morte la quale procesione si invio per mezzo della piaza e volto per il mercato da le legne e volto per strada maestra sino alla croce della pietra e si ando alla beatiss.ma Vergine di S. Giorgio e de lì si ando ha s.ta margherita e si vene per il canal grande e per il castelaro alla Compagnia141. ACMO, AR-SGB 221, c. 3a (23 giugno 1650). ACMO, AR-SGB 221, c. 4a (29 novembre 1650). 139 ACMO, AR-SGB 221, c. 7b (28 febbraio 1651). 140 ACMO, AR-SGB 221, c. 10b. 141 ACMO, AR-SGB 221, c. 10b (10 dicembre 1651). 137

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Alli trombetti che sonorno mentre caminava la processione et acompagnorno sino al fine L. 3142.

Le fonti documentarie relative agli anni centrali del Seicento (1652-1653) attestano spese per la musica che non si discostano dal modello precedentemente indicato: Al Mastro di Cappella in Duomo, e all’organista per il mottetto solito L. 11.5143; Lire undici, e soldi cinque al Mastro di Cappella, et all’organista della Cattedrale per il mottetto per la benedizione in Duomo144;

mentre in una delle ultime liturgie dell’anno, non potendosi utilizzare l’organo: non si cantò il solito mottetto in Duomo avendoli acompagnato il santiss.o conform.e il costume antichiss.o per esser guasto l’organo145.

Si ritornò pertanto all’accompagnamento puramente vocale come unico decoro-ornamento del culto, atto a ingenerare riverenza e devozione per i sacri misteri. Dal 1654 al 1658 i fratelli estensori confermano la riproposizione musicale dello stesso programma nel quale riconoscono connotazioni di prestigio nell’insieme voci-organo diretto dal maestro di cappella: Al Mastro di Capela per il solito moteto in domo L. 11.5146. Al mastro di capella per il solito moteto si canta L. 11.5147. Al Mastro di Cappella, et organista della cattedrale per lo mottetto avanti la Benedizione in d.a Chiesa lire undici, sol. 5148. Dati al Mastro di Capella del Domo per il solito Moteto Cantato L. 11.5149. ACMO, AR-SGB 221, c. 11b (2 dicembre 1651). ACMO, AR-SGB 221 , c. 15a (1 dicembre 1652). 144 ACMO, AR-SGB 221 , c. 16a (3 marzo 1653). 145 ACMO, AR-SGB 221 , c. 18a (2 dicembre 1653). 146 ACMO, AR-SGB 221 , c. 20a (24 febbraio 1654). 147 ACMO, AR-SGB 221 , c. 21a (22 ottobre 1654). 148 ACMO, AR-SGB 221 , c. 26a (3 marzo 1656). 149 ACMO, AR-SGB 221 , c. 31b (5 dicembre 1657). 142

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I legami della compagnia della Morte con i musicisti che sovrintendono alla cappella della cattedrale – suggeriti dalle prime matricole statutarie e consolidati nel periodo cinquecentesco in cui l’istituzione ecclesiale diviene modello autorevolissimo in grado di influire sulle strutture musicali della città e degli organismi laicali di devozione – consentono di instaurare un metodo di conduzione della musica strettamente intrecciato tra queste istituzioni, come dimostra il coinvolgimento di Orazio Vecchi e dei musicisti suoi allievi, protagonisti di molteplici eventi liturgico-musicali patrocinati dalle fratellanze locali e dalla compagnia della Morte150. Si rafforza in questa fase del Seicento l’organico della cappella della cattedrale che giunge a comprendere numerosi cantori di varie tessiture, strumentisti e organista, divenendo ampio e ben articolato secondo diverse specializzazioni151; si fa vivace la circolazione degli artisti ed è ancora favorita la loro accoglienza nelle compagnie di devozione152. Tra i maestri di cappella responsabili di liturgie musicali celebrate nella cattedrale su committenza della confraternita della Morte va ricordato Marco Uccellini (1603-1680), violinista e compositore, assai stimato da Francesco I d’Este – che egli saluta come «nuovo sole all’Italia» –, attivo alla corte dal 1641 al 1662 e dal 1647 al 1665 responsabile della musica per la chiesa153. Nel periodo della direzione di Uccellini la cappella della cattedrale si avvaleva di un organista, di sonatori di violino e violone, di un cantore sopranista e di cinque cantori di varie tessiture; questo organico veniva incrementato da cantori e strumentisti aggregati in occasione di festività liturgiche solenni, celebrazioni processionali, circostanze politiche o dinastiche154. Cfr. di nuovo M. Lucchi, Orazio Vecchi. Musica a Modena cit. Gli organici della cappella musicale del duomo ebbero assetti diversi che, dagli esordi, andarono incrementandosi e modificandosi nelle tessiture vocali e strumentali, in relazione ai cambiamenti avvenuti nel campo della musica sacra entro una dialettica riconoscibile tra la tendenza all’uniformazione canonica e le sollecitazioni di molteplici risorse artistiche e profane. Mutati in base alle attitudini compositive, alle poetiche dei diversi maestri di cappella – dal 1598 attivi con vari ruoli anche presso la corte estense – e la spiritualità del secolo in cui agirono, gli organici ebbero assetti stabili fino al 1630, anno della peste, dopo il quale la cappella dovette essere rifondata. Il nuovo nucleo di cantori e strumentisti diede splendore alla cattedrale, al culto e alla città, variando, come ovvio, nel corso degli anni successivi per rispondere alla diverse istanze della musica ecclesiale. A tale proposito sempre fondamentale il più volte menzionato G. Roncaglia, La Cappella cit. 152 I riferimenti sono rintracciabili nei contributi di chi scrive in M. Al Kalak, M. Lucchi, Il laudario dei disciplinati cit.; Idd., Le regole dello spirito cit.; M. Lucchi, M. Privitera, F. Taddei (a cura di), Breve Compendio del Peregrinaggio cit. 153 G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 113-127. 154 Si veda A. Chiarelli, Fonti e vita musicale estense tra corte, collezionismo e accademie, in M. Bini (a cura di), Gli Estensi cit., pp. 263-296. 150

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Il 23 marzo 1658 si legge un’annotazione di rilevanti spese sostenute per l’allestimento nella chiesa confraternale di un palco per la musica e per il salario spettante ai musici interpreti de «li oratorji» eseguiti in detto luogo: Per il Palco che fecce fare il sig. Ordinario per li Musici nella Chiesa di sopra [...] L. 1.16. Per li oratorij fatti le Domeniche di quadragesima alli musici L. cento sessanta cinque155.

Nell’itinerario devozionale barocco l’oratorio è un genere musicale dominante ispirato al miscere utile dulci in cui dottrina e diletto, penitenza e musica si possono mescolare alternandosi156. Dramma musicale generalmente privo di scene, basato su testo poetico in lingua italiana ispirato a temi biblici o agiografici, in questo periodo l’oratorio fu anche nel ducato estense l’esercizio pio prediletto dai collegi, dalle confraternite e dalle istituzioni musicali ufficiali, le cappelle della corte e della cattedrale affidate a musicisti che, com’è noto, furono insigni autori di musiche oratoriali157. Nella loro funzione di veicoli musicali delegati in maniera istituzionale a rappresentare la devozione secolarizzata della controriforma ed eseguiti alla fine del carnevale, nel momento di chiusura dei teatri, gli oratori erano costituiti da elementi musicali – sinfonie, recitativi, arie, cori – simili a quelli dei melodrammi158. Introdotto nella regione probabilmente dalla congregazione dei Filippini, presente a Bologna dal 1615, l’oratorio, superata la prima fase laudistica, trova in questa area musicisti e codificatori, mentre nel corso del più avanzato Seicento, durante il governo di Francesco II, venne coltivato assiduamente dai compositori attivi alla corte estense tra cui Giovanni Paolo Colonna (1663-1695), Giovanni Battista Vitali (1632-1692), Giovanni Bononcini (1670-1747), DoACMO, AR-SGB 221, c. 34b. All’interno della vasta bibliografia sull’oratorio, in questa sede si rinvia per tutti al fondamentale studio di L. Bianconi, Il Seicento, Torino, EDT, 1982, pp. 120-133 e al consueto G. Stefani, Musica cit., p. 193. 157 V. Crowther, Alessandro Stradella and the oratorio tradition in Modena, in C. Gianturco (a cura di), Alessandro Stradella e Modena, Modena, Teatro Comunale, 1985, pp. 51-64 con appendice cronologica di esecuzioni oratoriali in Modena tra il 1677 e il 1700; M. Lucchi, Le capitali della musica. Modena, Milano, Silvana Editoriale, 1998, in part. pp. 107-121 (L’oratorio). 158 L. Bianconi, Il Seicento cit., pp. 128-133. 155

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Fig. 16: G.M. Bononcini, Sancte Geminiane (canone a quattro voci), in: D. Marzio Erculeo, Lumi primi, Modena 1686

menico Gabrielli (1660-1690), Pietro degli Antoni (1648ca.-1720) e Antonio Maria Pacchioni (1694-1738)159, maestro di cappella più volte citato nelle fonti manoscritte della compagnia della Morte. Tra i celebri virtuosi che furono interpreti di drammi oratoriali eseguiti in varie sedi ecclesiali e private della città si ricordano il sopranista Francesco Grossi detto Siface e il basso Antonio Balugani, cantore presso la confraternita della Morte. Negli anni Sessanta del Seicento la compagnia sostiene spese per committenze artistiche e per la musica nella chiesa, confermando ancora il mottetto come composizione più consona ai riti religiosi patrocinati dai confratel-

159 M. Lucchi, Centri creativi e manifestazioni musicali dal tardo Rinascimento alla fine del secolo XVIII, in Vita musicale in Emilia Romagna, Milano, Silvana Editoriale, 1985, pp. 22-93, in part. pp. 27-30.

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li della Morte160. Si manifesta dunque il persistere di una predilezione palesata nel periodo precedente e ripetuta nelle feste liturgiche di marzo e novembre, mentre nel febbraio-marzo 1663 appare rilevante l’ampliamento dell’organico strumentale, cui si aggiunge il suono dello strumento ad arco, il violone. Il virtuosismo solistico si irradia ad intensificazione della devotio «quando si fece l’esposizione della Santiss.ma Croce all’organista, et a quello che sonò il violone»161. Da una registrazione successiva si apprende che il 29 giugno viene escluso dalla confraternita della Morte fra Mario «Musico Castrato» perché rifiutò di fare musica per la festa di san Giovanni Battista162. Aggregato alla corte estense dal 1649 come cantore sopranista e compositore e, secondo quanto contenuto nelle lettere di Giovanni Paolo Colonna, organista a San Petronio, anche abile costruttore di cembali, Mario Agatea (16241669) ricoprì la carica di maestro di cappella della cattedrale dal 1665 al 1673163. Sostenne fortemente le candidature di Giovanni Maria Bononcini e Antonio Maria Pacchioni affinché ottenessero a loro volta ruoli istituzionali nella cappella musicale del duomo. Autorevole titolare della maggiore cappella della città, Agatea, secondo quanto attestano le fonti manoscritte degli anni tra il 1665 e il 1672, prestò di nuovo la sua opera in diverse manifestazioni religiose adornate di canto e suono, patrocinate dalla compagnia della Morte164; nello stesso torno di tempo gli estensori riportano memorie di spese sostenute dal sodalizio per rendere un funebre ossequio musicale a confratelli meritevoli, come prova il compenso elargito «a Gio. Antonio Fiorini per haver prestato l’organo e fatto le tribune per la musica» per il funerale di Girolamo Scaruffa165. Le esequie, in questa e in altre circostanze, erano accompagnate da canti salmodici eseguiti dagli incappati della compagnia della Morte che si avvalevano di musici collocati su di un «palco» rialzato e di accompagnamento strumentale affidato all’organo che, in unione o in alternanza con le voci, accresceva la 160 ACMO, AR-SGB 221, c. 35b: «Pagatti a Pelegrino Trevisi intagliatore [...] per l’adornamento fatto e acomodato di quel vecchio al ancona che donò li SS.ri Conti Fontana [...] L. 150» (24 settembre 1658); «Per il solito motteto che si canta in Domo L. 11.5» (28 novembre 1658). 161 ACMO, AR-SGB 221, c. 4b (16 marzo 1663). 162 ACMO, AR-SGB 192, c. 34v (29 giugno 1667). 163 G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 128-137. 164 Cfr. ad esempio ACMO, AR-SGB 221, c. non num. (20 febbraio 1671): «Lire undeci e soldi cinque date al P. Mario Musico che cantò Domo per la trasp.ne del S.mo»; o ancora p. 4 (30 novembre 1672): «Adì 30 al Padre Mario per la musica fatta in duomo. L. 11.5». 165 ACMO, AR-SGB 221, c. non num. (17 aprile 1671).

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gravità cerimoniale imponendosi, secondo l’estetica barocca, oltre l’arte musicale che vi si può esplicare, come insegna suggestiva ed efficace. In sostituzione del padre Mario Agatea la responsabilità della cappella del duomo fu affidata a Giovanni Maria Bononcini (1642-1678), che sotto la guida di Agatea aveva acquisito grande esperienza di scrittura vocale. Maestro di cappella dal 1673 al 1678, Bononcini fu confratello della compagnia della Morte e come tale è ricordato nelle spese sostenute per onorarne la memoria. [1678], 21 novembre, le solite Messe del già S. Gio. M.a Bononcini Confr.llo defonto. L. 16.10166.

Presente in cattedrale dal marzo del 1671 in qualità di violinista e membro del «Concerto degli Strumenti del Duca», il maestro aveva dato alle stampe varie opere strumentali dedicate agli Estensi e ad altri nobili mecenati167. Autore del Musico prattico – opera teorica offerta all’imperatore Leopoldo I, ristampata a Stoccarda nel 1701 e basilare in Europa fino alla pubblicazione del Gradus ad Parnassum di Johann Joseph Fux (1660-1741)168 –, fu grande contrappuntista e anticipatore, nella ricerca di una sistematica formale della sonata, dell’ordinamento corelliano. In una parte del suo trattato, prendendo in esame le finalità delle musiche sacre e profane, distinguendo i due poli (Dio e l’uomo), Bononcini affermava che il fine delle Composizioni Ecclesiatiche, siano di voci, ò di suoni, è di honorare, e lodare Iddio, e movere chi ascolta à divozione […] & il fine d’altre Composizioni, è dilettare l’udito, e ricreare l’animo de gli ascoltanti169.

Trattando poi della solmisazione, del genere diatonico (assenza di cromatismi) predominante nel tradizionale canto fermo, egli affermava che per l’orecchio musicale barocco ACMO, AR-SGB 221, c. non num. G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 137-154. 168 L’opera del Fux, dedicata all’imperatore Carlo VI, fu stampata a Vienna nel 1725 e ristampata a Carpi nel 1761 «fedelmente trasportata dal latino nell’Idioma Italiano» dal sacerdote Alessandro Manfredi per i tipi del Carmignani. Cfr. M. Lucchi, Musica sacra a Carpi cit. 169 G.M. Bononcini, IL MUSICO PRATTICO/, Che brevemente dimostra / Il modo di giungere alla perfetta cognizione di tutte quelle/ cose, che concorrono alla composizione de i Canti, e/ di ciò ch’all’Arte del Contrapunto i ricerca. OPERA OTTAVA/ DI GIO. MARIA BONONCINI MODANESE/ Del Concerto de gli Strumenti/ DELL’ALTEZZA SERENISSIMA DI MODANA,/ Et Accademico Filarmonico di Bologna./ ALLA SACRA CESAREA MAESTA’/ Del sempre Augusto/ LEOPOLDO PRIMO/ IMPERATORE/, Bologna, per Giacomo Monti 1673, cap. VII, p. 120. Cit. in G. Stefani, Musica cit., p. 57. 166

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il semituono è il condimento della Musica, poiché senza lui ogni Cantilena sarebbe aspra, & insopportabile all’udito170

esponendo un nuovo concetto di alterazione che la sensibilità moderna, tonale, andava probabilmente acquisendo anche nelle esecuzioni vocali dei confratelli della Morte. La predilezione costantemente dimostrata da questa compagnia per un’eccellenza della musica sembra far emergere, oltre l’ufficialità del suo statuto, un progetto umanistico religioso sviluppato in un itinerario che percorre l’intero universo di significati della cultura musicale barocca – ascensione dall’abisso (il mondo) al sublime (il cielo) –, progetto peraltro insito nella sua natura di compagnia di giustizia. L’immagine prestigiosa del maestro di cappella, associata allo splendore della musica e del culto, è attestata da una nota che ancora valorizza una prevalente vocalità: Marzo 1679, adì 1 sud., lire undeci e soldi cinque pagatti al Sig. Giuseppe Colombi mastro di Capella per il motteto cantato in Domo per la foncione delle quaranta ore della quaresima171.

Nominato maestro di cappella della cattedrale dopo la morte di Bononcini, aggregato alla corte come violinista dal 1671, Giuseppe Colombi (1635-1694) ebbe nel 1673 la carica di «Capo del Concerto degli strumenti» del duca e, nel 1674, fu insignito del ruolo di maestro di cappella nella Chiesa del Voto, altra importante istituzione ecclesiastica modenese. Nell’ultimo scorcio del secolo la cappella della cattedrale attraversa momenti difficili tanto che nel 1689 se ne suggerisce la soppressione. Sarà invece implementata l’anno seguente secondo quanto si legge in un documento che riporta nomi e ruoli dei salariati: cantori (soprano, contralto, baritono, tenore), strumentisti (primo violino, secondo violino, violone, organista)172. Espertissimo nell’arte della musica, Colombi spicca nella scuola strumentale modenese come risulta dalla messe di composizioni – sonate, toccate, sinfonie per la camera, balletti – e da opere nelle quali include esercizi per basso, suggerendo di essere stato anche sonatore di violoncello, strumento trattato in

G.M. Bononcini, IL MUSICO PRATTICO cit., pp. 48-49. Cfr. di nuovo G. Stefani, Musica barocca cit., p. 165. 171 ACMO, AR-SGB 221, c. non num. 172 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 164. 170

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questo periodo alla corte da Domenico Gabrielli, salariato come violoncellista «suonatore da camera» del duca Francesco II173. Nel dicembre del 1684 emerge dai manoscritti confraternali un’altra figura di grande rilievo artistico, il basso Antonio Balugani, cantore e virtuoso, interprete teatrale celebre per la gravità e la maestà della voce, adeguata ai caratteri virili del canto ecclesiastico. Adì 11 sudetto [dicembre 1684], lire cinquanta pagati d’ordine M.co Sig.re Maurizio Masdoni n.o degnissimo Ordinario al Sig.re Balugani Musicho e sonatore per sua mercede per havere cantato nel n.o Oratorio in occasione dell’Esposizione delle 40 hore174.

Balugani aveva sostenuto il ruolo di Segeste in una celebre esecuzione di Germanico sul Reno, libretto di Giulio Cesare Corradi, musica di Giovanni Legrenzi, intepretato da virtuosi di grande fama come Antonio Cottini (Germanico), Francesca Sarti Cottini (Agrippina), Marcantonio Origoni (Arminio), Margherita Salicola (Claudia)175. Le cerimonie religiose che continuano a svolgersi nelle chiese della compagnia della Morte esigono incessanti ornamenti degli interni, affidati ad artisti modenesi di fama attivi in città: Adì 30 sudetto [dicembre 1684], lire settanta cinque pagatti al Sig.re Sigismondo Caula [...] per la pitura fatta nel n.ro Orattorio176.

L’11 giugno 1685 la compagnia ottiene un provvedimento di grazia in favore di Bernardo Pisani da Seligo di Garfagnana177; la liberazione del prigioniero viene manifestata al pubblico con il fasto processionale ricco di apparati e suoni riservato alle complesse celebrazioni rituali adottate in occasione di analoghi eventi. Nell’ultimo Seicento accompagnano le liturgie religiose celebrate negli oratori confraternali o in cattedrale musiche che connotano le cerimonie sia con M. Lucchi, Le capitali cit., pp. 107, 108-114. ACMO, AR-SGB 221, c. non num. 175 Lo spettacolo si tenne nel 1677 presso il Teatro della Spelta di Modena. Cfr. V. Tardini, I Teatri di Modena. Contributo alla storia del teatro in Italia, Modena, Forghieri, Pellequi e C., 1902, III, p. 1153. 176 ACMO, AR-SGB 221, c. non num. Il pittore Sigismondo Caula (1637-1724) , allievo di Jacques Boulanger, fu personalità di spicco nelle maggiori imprese ducali e in molte altre. Su una delle sue principali realizzazioni cittadine si veda la recente messa a punto in La Chiesa di San Barnaba a Modena, Modena, Fondazione Cassa di Risparmio, 2003. 177 ACMO, AR-SGB 192, cc. 93r-v. 173

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un tipo di repertorio ecclesiastico vocale, sia introducendo composizioni di musica strumentale di cui la scuola modenese di questo periodo può vantare, aggregati alle cappelle della chiesa e della corte, autori tra i più prestigiosi del tempo. Adì 9 marzo [1686], lire trenta spese [...] nella Musica in n.ra chiesa per due sere in Occasione dell’Orazione178. Adì 13 sudetto [marzo 1688], lire cinquanta e sol: cinque spesi ciove lir trenta sette e mezza dato al Sig.re Antonio Maria Pachioni Mastro di Capella per la Musica di due sere e una sinfonia la terza sera e lir undici, sol: cinque al Sig.re Gioseppe Colombi per il solito muttetto in Duomo per la Oratione della prima Dom.ca di Quares.ma179.

Dopo la morte di Colombi, viene nominato maestro di cappella della Cattedrale Antonio Maria Pacchioni (1694-1738), musicista modenese, allievo di Marzio Erculeo – celebre sopranista e teorico aggregato alla corte sotto il governo dei duchi Francesco I e Alfonso IV180 –, di Giovanni Bononcini per il violino e di Agostino Bendinelli per il contrappunto. Considerato «uno dei più eccellenti compositori del suo tempo» dal padre Giovan Battista Martini (17061784) che incluse nel suo Saggio fondamentale Pratico di Contrappunto fugato due brani del Pacchioni (Sicut erat, Adoremus), egli aveva musicato diversi oratori per la corte (S. Antonio Abbate (1677), Le Porpore trionfali del S. Martire Ignazio (1678) a otto voci, strumenti e cori e Matilde d’Este (1682) a sei voci con coro e strumenti)181.

ACMO, AR-SGB 221, c. non num. ACMO, AR-SGB 221, c. non num. 180 Martio Erculei o Erculeo (1623-1706) cantore ecclesiastico, del duca e della cappella di San Carlo, autore per la congregazione omonima di un libretto oratoriale – Il battesimo di S. Valeriano musicato da Giuseppe Paini (Modena, seconda metà del sec. XVII) – fu principalmente teorico e didatta. Come dimostrano le opere edite dagli stampatori modenesi tra cui Primi Elementi di musica, In Modana, Per Gasparo Ferri, 1683 (cfr. BEMo, Mus. F.1738) e Il canto fermo ecclesiastico, Modena, Eredi Cassiani, 1686 (un esemplare in ACMO), l’Erculeo può essere annoverato tra i teorici operanti in città nel Seicento, da Andrea da Modena a Francesco Maria Vallara e, spingendoci nel XVIII secolo, Carlo Antonio Porta Ferrari. In merito si vedano M. Lucchi, G. Vecchi (a cura di), Il Settecento musicale a Modena, Mostra di documenti, Modena, Teatro Comunale, 1980 e l’esposizione «La stampa a Modena dalle origini al secolo XIX» (V Settimana della Cultura, 5-11 maggio 2003) a cura di A. Chiarelli, C. Dallari, M. Luppi, P. Ortolani. 181 Per cui cfr. di nuovo V. Crowther, Alessandro Stradella and the oratorio cit., pp. 5164; G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 167-180; M. Lucchi Le capitali cit., pp. 98, 104. 178

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Divenuto nel 1699 vice-maestro di cappella del duca Rinaldo I e, nel 1722, maestro della cappella ducale, Antonio Maria Pacchioni ricorre nelle fonti confraternali per l’assiduità musicale che egli presta alle liturgie religiose patrocinate dalla compagnia della Morte presso i suoi oratori o nella cattedrale. Il 10 aprile 1688, domenica delle Palme, si registrano spese per apparati con addobbi e arazzi per costruire il palco su cui porre i musici incaricati di accompagnare l’esposizione della Santa Croce182 e dagli anni Novanta del Seicento i pagamenti per altre esecuzioni musicali testimoniano la predilezione della compagnia appunto per il Pacchioni. Adì detto [21 febbraio 1690], lire trentaquattro al Sig.r d. Antonio Maria Pacchioni per la Musica in occasione dell’Orazione183. Adì detto [24 marzo 1690], lire venti al Sig.r d. Antonio Maria Pacchioni per il motteto in occasione della Croce il venerdì di Passione184.

Il primo maggio 1691 il milieu musicale della compagnia della Morte si arricchisce con l’ingresso nella confraternita di Faustino Marchesi, musico soprano del duca Francesco II d’Este185, celebre interprete di drammi in musica tra cui il Mauritio, libretto di Adriano Morselli, musica di Domenico Gabrielli, eseguito nel 1689 a Modena nel Teatro Fontanelli con allestimento scenico di Tommaso Bezzi186. Sul finire del secolo le spese per la musica mostrano il perdurare della scelta mottettistica a conferma della propensione per questo severo genere a varie voci, oggetto di fruizione dilettosa da parte di confratelli, sacerdoti, fedeli187. In questi anni divengono massari della compagnia della Morte i discendenti di due note famiglie di stampatori modenesi, Bartolomeo Soliani (1694)188 e Paolo Cassiani (1695)189, ai quali subentrò Gioseppe Bovini, che dispose, per il ACMO, AR-SGB 221, c. non num. ACMO, AR-SGB 221, c. non num. 184 ACMO, AR-SGB 221, c. non num. 185 ACMO, AR-SGB 192, cc. 117r-v. Cfr. anche V. Tardini, I Teatri di Modena cit., p. 1236. 186 G. Martinelli Braglia, Il teatro Fontanelli: note su impresari e artisti nella Modena di Francesco II e Rinaldo I in C. Gianturco (a cura di), Alessandro Stradella cit., pp. 139-159. 187 ACMO, SGM 10 A, p. 3 (1693): «L. 12 per solito Moteto al m.o di Cappella per la trasportazione del SS. In Duomo». 188 ACMO, SGM 10 A, p. 19 (1694). 189 ACMO, SGM 10 A, p. 41 (1695). Sugli stampatori modenesi si rinvia a G. Montecchi, Stampatori e librai nella Modena capitale degli Estensi, in A. Spaggiari, G. Trenti (a cura di), Lo Stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2001, pp. 996-1027. 182

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17 aprile 1696, particolari apparati di festa nella chiesa confraternale per celebrarvi solennemente le liturgie della settimana santa accompagnate da musiche strumentali. Lire due e s. 5 pagati per far addobbare l’Oratorio per l’esposizione del Legno della Santa Croce e per la portatura degl’Instrumenti de Musici190.

I festeggiamenti riservati ogni anno alla ricorrenza della nascita del santo titolare vengono enfatizzati in questo periodo da fuochi d’artificio191, mentre saranno ancora i rigorosi e tradizionali mottetti ad accompagnare con rinnovato splendore di tessiture e timbri le liturgie proprie del periodo dell’Avvento192. Nel trapasso sei-settecentesco si delinea una sostanziale predilezione per il suono delle tastiere – cembalo o spinetta – che paiono sempre più adeguate sia a sostenere con struttura armonica un discorso melodico di estrema chiarezza e immediatezza, sia a proporre vivacizzanti esempi di una letteratura musicale che tende a valorizzare le qualità tecnico timbriche degli strumenti oltre gli echi contrappuntistici, pur evolvendosi verso momenti di autonoma strumentalità. 1698, 24 febbraio, lire tre soldi quindici pagate al Sig. Sebastiano per aver accordato il Cimbale per l’occasione dell’esposizione sud.a delle quaranta hore193.

I tesorieri della compagnia della Morte, tra cui Paolo Cassiani, registrano in questo periodo spese di trasporto e accordatura che riguardano sia cembalo che spinetta. 1699, 11 marzo, spese L. 22 per accordare la spinetta e L. 11 per la musica in Cattedrale194.

Cembali, spinette e organi, usati dalla compagnia della Morte nelle proprie liturgie devozionali, sono affidati per l’accordatura all’autorevole organista e organaro ducale Sebastiano Ossa, attivo anche presso la confraternita della Santissima Annunziata di Modena, nelle cui fonti risulta citato per diversi interventi di restauro sull’organo del sodalizio195. ACMO, SGM 10 A, p. 59. ACMO, SGM 10 A, p. 63: «Dì 25 giugno [1696], spese l. 30 per fuochi di gioia». 192 ACMO, SGM 10 A, p. 73 (1696): «L. 11 pagate per il Mottetto dell’Avvento». 193 ACMO, SGM 10 A, p. 97. 194 ACMO, SGM 10 A, p. 120. 195 Archivio della Confraternita SS. Annunziata di Modena, Massari 1694-1709 (n. 9), c. non num. (anno 1704): «Per una serraglia dietro l’organo L. 3. Al sig.re Sebastiano Ossa organista p(er) sua mercede in haver, rimossi dal basso in alto li Mantici, et haver accomodato le canne, et accordato unisono e Corista L. 20». 190 191

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Aggregato alla cappella della corte in qualità di «cembalista»196, dal 1693 Ossa fu ascritto alla cappella musicale del duomo come organista aggiunto al titolare Domenico Bratti, con lo specifico incarico di curare la conservazione e l’accordatura dello strumento197. Invocazioni, preci settecentesche per «gente a cui si fa notte innanzi sera»* Le cerimonie religiose promosse dalla confraternita della Morte all’inizio del nuovo secolo rimangono permeate, secondo le fonti, dal suono degli strumenti a tastiera che già avevano connotato gli anni declinanti del Seicento. Si innestano sul pathos di questo accompagnamento rigoroso accenti strumentali che, raccogliendo in sé un diverso programma di morfologia sonora contemporanea, temperano di austerità, con un nuovo fervore di ratio, la dilettosa spiritualità barocca. È certificata la presenza di Sebastiano Ossa che cura il sussidio espressivo delle tastiere sistematicamente delegato a suggellare le liturgie meditative dalle cui musiche deve provenire un segnale devozionale limpido, consolatorio: 1701, 11 febbraio, l. otto al Sig. Sebastiano cembalista per nolo d’un Organo et accordatura del Cembalo198. 1701, 23 marzo, l. otto per portare la Spinetta in n.ra Chiesa199.

Questa inclinazione verso forme e stili che andranno affermandosi gradualmente non impedisce tuttavia alla compagnia della Morte di mantenere la 196 Cfr. Archivio di Stato di Modena, Bolletta dei Salariati, Registri 189 (1691), 191 (1692-94), 192 (1695-96), 193 (1697-98), 194 (1699-1700), 195 (1701-02), 196 (1704-06). Cfr. anche F. Valenti (a cura di), Artigianato e oggetti di artigianato a Modena dal 1650 al 1800. Catalogo di una mostra impossibile, Modena, Panini, 1986, pp. 185-187. 197 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 164. Domenico Bratti (1647-1720) fu organista nella cattedrale su proposta di M. Uccellini fino al 1720 e organista della corte estense dal 1674 per interessamento del principe Cesare Ignazio d’Este. La sua importanza è altresì legata all’implementazione della collezione di composizioni di Alessandro Stradella posseduta dai sovrani estensi, come risulta dalla corrispondenza tra Bratti e Francesco II. Cfr. a tale riguardo M. Lucchi, Stradella e i duchi d’Este: note in margine a documenti d’archivio e agli inventari estensi, in C. Gianturco (a cura di), Alessandro Stradella cit., pp. 107-115. * L’allusione è ovviamente all’indagine di M.S. Mazzi, «Gente cui si fa notte innanzi sera». Esecuzioni capitali e potere nella Ferrara estense, Roma, Viella, 2003. 198 ACMO, SGM 10 A, p. 163. 199 ACMO, SGM 10 A, p. 163.

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Fig. 17: Catalogo dei confratelli, 1719 (ACMO, SGM 6)

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fertile successione dell’altro percorso musicale stabile e ben strutturato, ancora riconoscibile nella schematizzazione mottetto/organo/voci/tastiera che continua a comporsi e ricomporsi secondo cadenzate circostanze liturgiche in una temperie stilistica ed espressiva sensibilmente omogenea200. Oltre l’impegno sostenuto per aggiogare nuovamente le campane degli oratori201, spiccano esecuzioni concertanti specificamente correlate a celebrazioni religiose da onorare con manifestazioni musicali peculiari 202. In un secolo, il Settecento, percorso da correnti dottrinarie animate da intenti riformatori, si proietta un universo confraternale ormai estremamente vario nei fini e nelle espressioni, che tende sempre più a configurarsi come un paesaggio in continua trasformazione al seguito dei mutamenti della società religiosa e civile. La musica sacra e profana, il canto ecclesiastico, fermo o figurato, già al centro della secentesca trattatistica modenese, divengono nel secolo dei lumi fulcro di dibattiti cui partecipano storici, filosofi, poeti, musicisti203 e il dottissimo musicologo padre Giovanni Battista Martini, indiscussa figura di riferimento. Le aporie da lui denunziate costituiranno, nel secolo successivo, moduli di ripensamento e suggestione per la rivalutazione e la riforma del canto sacro204. Si è detto dei rapporti che legarono padre Martini ad Antonio Maria Pacchioni, i cui contorni diventano più consistenti non appena si approfondiscano in un’angolazione etico-estetica le fonti inerenti il canto liturgico e il concetto di musica sacra e spirituale205. Maestro di cappella della cattedrale e responsabile di tante esecuzioni per la compagnia della Morte, Pacchioni venne definito, nel Saggio Fondamentale Pratico di Contrappunto fugato di Martini, «celebre maestro di canto fermo e figurato, come si manifesta dalle di lui opere pubblicate con le stampe»206. La crisi che investe la cappella musicale del duomo durante questo periodo207 in cui, fra dissidi e competizioni, si pervenne a rinnovare l’assetto dell’organico non è forse estranea al progressivo rarefarsi delle annotazioni confraterACMO, SGM 10 A, p. 175 (1701): «L. 13 per solito mottetto in Cattedrale». ACMO, SGM 10 A, p. 195: «1703, spese per ferri posti alle campane». 202 ACMO, SGM 10 A, p. 201. Il 12 febbraio 1704 sono annotate spese «per mandare gl’Instrumenti con li Sig.ri Musici per quaranta hore». 203 M. Lucchi, Da Modena all’Europa melodrammatica. I carteggi di Giuseppe Riva e carteggi vari, in G. Vecchi, M. Calore (a cura di), Teatro e Musica nel ‘700 estense. Momenti di storia culturale e artistica, polemica di idee, vita teatrale, economia e impresariato, Firenze, Olschki, 1994, pp. 45-78. 204 G. Vecchi, La musica sacra nei secoli: prospettive e proposte metodologiche, in «Antiquae Musicae Italicae Studiosi», I (1985), pp. 5-8. 205 Cfr. G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 168. 206 G. Roncaglia, La Cappella cit., p. 179. 207 G. Roncaglia, La Cappella cit., pp. 181-186. 200 201

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nali relative alla musica, meno ricercata nelle cerimonie liturgiche o paraliturgiche. Al contrario di quanto era accaduto nel corso dei secoli precedenti, nei quali si erano definiti gli aspetti caratterizzanti di un’esperienza musicale plurima tra chiesa e confraternita consona all’approfondimento della prassi monodica o polifonica del canto liturgico, del canto sacro, del canto spirituale, la musica pare ora assumere minor peso. Fortemente sentita dall’antico sodalizio tra il XV e il XVII secolo, la vocazione musicale che lo aveva portato a favorire l’accoglienza al proprio interno di affluenze artistiche e a interpretare un modello di vita devozionale dai molti effetti sociali e comunitari sembra ora sfumare verso un differente, ma non ben definito, modello di organizzazione della musica prossimo a quello della liturgia ufficiale su cui si forgia, del resto, l’ambiente di elezione per l’interiorità devota dei fratelli. Probabile contrassegno di una difficile situazione politica ed economica, l’espansione della musica risulta meno rilevante non solo nella maggiore cappella musicale della città ma anche in quella della corte estense, istituzioni queste determinanti per la realizzazione dei maggiori eventi musicali patrocinati dalla confraternita, dai riti che risonavano in possenti concerti, alle polifonie sacre, esecuzioni di oratori, celebrazioni processionali e sinfonie che seguivano le orazioni. Negli anni centrali del secolo, poi, si registrano spese per impreziosire arredi sacri appartenenti agli oratori della compagnia («1741, spese per aver messo ad argento tre lettorili da Missale per la Chiesa del basso»208), mentre il 14 gennaio 1745 la musica non accompagna il fastoso castrum doloris allestito in onore del vescovo confratello. Messa non cantata per confratello vescovo Ettore Molza nell’Oratorio Superiore. Catafalco e Arma209.

Mantenendo fede alla tradizione che dalla tarda età moderna vedeva canonici, prelati, vescovi divenire membri della compagnia della Morte, Tiburzio Cortese chiese nel 1768 di essere accolto come fratello210 e in questa veste sarà presente nel gennaio 1769 alla prima riunione del sodalizio ormai divenuto Ducale Archiconfraternita di San Giovanni Battista della Morte211. Nel corso del Settecento le spiritualità della compagnia della Morte e della liturgia ecclesiastica ufficiale si ritrovano in alvei musicali comuni, in un itineACMO, SGM 12, c. 87 (1741). ACMO, SGM 16, p. 24. 210 ACMO, SGM 16, p. 378. 211 ACMO, SGM 16, p. 392. 208 209

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Fig. 18: Regolamento della funzione [...] per i condannati, Modena 1762 (ACMO, SGM 4)

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rario devozionale che si sostanzia dei medesimi riti secondo un progetto di uniformità in cui è ormai dissolta quell’iniziativa locale e privata delle fratellanze laicali, promotrici di preghiere pubbliche arricchite di allegorie e suggestivi momenti musicali. L’enciclopedismo illuministico, diffuso anche negli ambienti eruditi modenesi all’inizio del secolo XVIII, rafforza nelle compagnie di devozione attive in questo complesso contesto storico la volontà di attenersi al patrimonio spirituale comune e di suscitare nei fedeli la massima adesione agli ideali di ortodossia e fedeltà alla chiesa. Ormai al tramonto dell’ancien régime, i decreti emanati dal duca Francesco III sulla scia del dispotismo illuminato razionalizzarono, da un lato, l’organizzazione ecclesiastica ed intervennero, dall’altro, con vari disposti che mutarono sensibilmente gli assetti delle fratellanze tra cui appunto la compagnia della Morte. Adì 5 Agosto [1774], per sovrana disposizione del Ser.mo Duca Francesco la Confraternita di San Giovanni della Buona morte passò ad officiare la Chiesa di San Michele Arcangelo, e la loro Chiesa, ed Oratorio di sopra restò chiusa212.

Abbandonati gli antichi oratori, la confraternita passò ad officiare la chiesa di San Michele – dal 1774 denominata San Giovanni Battista decollato – dotata dal 1757 di un organo di sette registri attribuito a Domenico Traeri, definito «buonissimo e custodito nella dovuta maniera»213, sebbene rimosso dopo poco da questa sede che nel 1779 ne risultava sprovvista. I confratelli affidarono pertanto ad Agostino Traeri la costruzione di un nuovo organo di sette registri214 ancora conservato nel 1798 – epoca delle soppressioni napoleoniche – completo di canne, registri, pedaliera e «cassone dipinto con l’emblema della Morte nel cimiere e suoi mantici»215. Alla cultura della morte, esplicata in Italia e a Roma secondo codificati riti statutari che regolavano l’azione dei fratelli confortatori e le pratiche di devozione riservate alla salvezza spirituale dei condannati, era venuta uniformandosi, nel corso del Settecento, anche la prassi del sodalizio modenese e di altre confraternite locali coinvolte nelle liturgie che accompagnavano le esecuzioni capitali.

Cronaca Modonese di Giuseppe Franchini Usciere della Comunità di Modana, ms. conservato in BEMo, t. II (1774), cc. 206-207, in BEMo, Raccolta Campori, 1201-1205, α.D.1.7-11. 213 C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., p. 282. 214 C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., pp. 281-283. 215 C. Giovannini, P. Tollari, Antichi organi cit., p. 282. 212

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Le severe prescrizioni contenute in raccolte variamente denominate – Ordini, Capitoli, Regolamenti – divulgate manoscritte o a stampa nel corso del secolo mettono in luce atti di grave solennità cerimoniale che, secondo sequenze e svolgimenti analoghi, non rivestono un valore puramente declamatorio, ma danno vita a un progetto retorico che valorizza l’espressione più autentica di pietas e religiosità musicale. Un esempio può essere rintracciato negli Ordini con i quali deve esser governata la venerabile Archiconfraternita di San Giovanni Decollato detta della Misericordia della Nazione Fiorentina216, del 1718, che costituiscono un significativo riepilogo in trenta capitoli degli elementi caratterizzanti gli statuti dei sodalizi della Morte. Tra le particolarità contenute nei documenti settecenteschi riguardanti le compagnie di giustizia vanno segnalate quelle che continuano a fissare, pur in un mutato contesto storico, ideali, incarichi, requisiti, mansioni degli aderenti e i modi per concretizzali nella pratica. La carità, la fratellanza, l’assistenza ai condannati, palesemente realizzate dai confortatori (cap. X) secondo dettami precisati nel «modo di accompagnare i giustiziati» (cap. XI) sotto la guida del «maestro di cerimonie» (cap. XV), si coniugano in una solennità grave ed efficace per cui al primato della preghiera (parola) si contrappone il primato della musica proclamata dai coristi (cap. XVI) nei canti responsoriali e litanici. Un altro esempio è quello offerto dal Regolamento della funzione da farsi nella chiesa de’ confratelli ospitalieri in S. Pietro Martire di Modena per i condannati a Morte colle Preci solite a recitarsi secondo l’uso della venerabile Archiconfraternita della Santissima Natività di N. S. Gesù Cristo degl’Agonizzanti in Roma217. Edito in Modena nel 1762 per gli Eredi di Bartolomeo Soliani, il libro si apre con un Proemio in cui si ricordano l’aggregazione della fraternità modenese all’arciconfraternita romana (1759), i benefici spirituali ottenuti e si preannuncia il Regolamento disposto per la funzione che, dall’alba del giorno dell’esecuzione, doveva coinvolgere tutta la città, informata dagli avvisi distribuiti dai confratelli sagrestani. L’Ordine della Funzione – segnalata con il suono de «l’Ave Maria, detta del Campanino» – stabiliva l’assunzione dei ruoli cerimoniali da parte di sacerdoti, assistenti e confratelli riuniti in coro. Le Preci che seguivano – suddivise in due parti prive di differenze sostanziali («per un condannato a morte» o «per più condannati») – mantenevano un’emblematica volontà di prestigio esteriore della celebrazione cultuale in tutta la polivalenza del suo significato. Il codice della solennità religiosa ha musicalmente una scala

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ACMO, O.V.35. Una descrizione codicologica in M. Al Kalak, Inventario cit., pp. 83-84. ACMO, SGM 4.

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Fig. 19: Preci per un condannato, 1762

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quantitativa evidente nel numero degli interventi vocali dei «Fratelli cantori in Coro», del «Coro» oppure dei «Fratelli Cantori». Aperto dall’invito del sacerdote a meditare devotamente la passione e la morte di Cristo, il rito viene condotto in forma responsoriale secondo la prassi dell’alternanza delle voci dei fratelli in coro che, dopo un breve intercalare del testo pronunciato dall’officiante, intonano il canto litanico, invocazione, ornamento e solennizzazione liturgica. I confratelli cantori implorano la clemenza divina intonando la salmodia al termine della quale si ritorna al gesto vocale dell’officiante che introduce la contemplazione dei dolori della Vergine, ufficio centrale del rito al quale le voci dei confratelli conferiranno una toccante pregnanza rivolta al cuore dell’uomo per accenderne la fede e alla divinità per invocarne la misericordia. Canto e preci in alternanza si snodano fino all’epilogo in cui, all’annuncio della morte del reo dato dal «nunzio», si declamano orazioni e si cantano salmi e antifone che decretano la conclusione di una cerimonia religiosa e civile, ove il respiro estetico quasi va oltre la metafora del dolore divino correlato al dolore umano, sulla quale la musica ha impresso la propria forza come «simbolo della gloria musicale che risuona lassù nella Corte celeste»218. L’opera delle conforterie, rivolta alla conversione del condannato e alla sua rinascita in cielo attraverso l’espiazione della colpa e l’adesione alla speranza cristiana, seppe inserirsi progressivamente nella sensibilità sociale, civile e religiosa di una collettività che si trovò a essere protagonista di eventi capitali. La presenza della preghiera per i giustiziati all’interno di sillogi di canti religiosi di uso personale induce a ritenere la pietà per i condannati patrimonio della comune devotio privata. Ne è un esempio la Raccolta di varie composizioni di canto fermo: consistenti in Responsorij, Inni, Antifone, ed altre cose da cantarsi frà l’Anno scritte dal P. Angelo Maria da Modena Corista in Santa Margarita per uso del Sig. Giacomo Ghisani, in Modena MDCCLXXIX219 in cui sono comprese Meditazioni della Passione, e Morte di nostro Signore per li Giustiziati220 218 G. Stefani, Musica barocca cit., pp. 124-125. L’ordine sequenziale del rito contenuto nel Regolamento della funzione del 1762 può essere schematizzato a grandi linee nella maniera seguente: Sacerdote/Coro : Versetto(V.)/ Responsorio (R.) - Sacerdote/ Fratelli cantori in coro : V. R. - Fratelli cantori V. R. - Sacerdote in piedi/ Sacerdote genuflesso/ Fratelli cantori (Invocazioni litaniche ai Santi ed Angeli del Paradiso per la salute dell’Anima del condannato a morte) - Fratelli cantori intonano il salmo 69 : V. R./ Sacerdote in piedi/ Sacerdote genuflesso - Fratelli cantori contemplano i dolori della Vergine - Sacerdote in piedi - Fratelli cantori: invocazione a san Michele arcangelo - Sacerdote genuflesso/ Sacerdote intona l’antifona Si iniquitates - Fratelli cantori intonano il salmo 129 : V. R. - Benedizione del S.S. Sacramento i Fratelli recitano l’ufficio dei morti. 219 ACMO, O.V.31. Una descrizione in M. Al Kalak, Inventario cit., p. 81. 220 ACMO, O.V.31, pp. 25-30.

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scritte con calligrafia settecentesca e notazione musicale quadrata su tetragrammi rossi. Se nella Vachetta per li giustiziati è stato possibile rintracciare testimonianze di esecuzioni e condanne, altrettanto pregnanti si rivelano le memorie contenute in altri manoscritti confraternali capaci di fornire talvolta nuove e più intense chiavi di lettura di un medesimo evento. Tra queste, la memoria firmata dal confratello segretario Antonio Zerbini sul caso di Domenico Antonio Poggioli221 si contrappunta all’altra, vista nel capitolo precedente, compilata da Pietro Orlandi222. La Memoria del segretario tramandata nei documenti confraternali sembra quasi scomporsi e ricomporsi secondo una più complessa riflessione. Da un lato, in apertura, la qualifica della pena cui doveva essere assoggettato il colpevole in base alle colpe commesse e la ricostruzione della scena del supplizio conclusa con l’esecuzione capitale, dall’altro la lunga descrizione dei prolungati travagli spirituali che il condannato aveva superato assistito dalla pietà cristiana dei confortatori sempre presenti, secondo le disposizioni lasciate dal vescovo confratello Giuliano Sabbatini223, sino al sopraggiungere della conversione e al compimento della giustizia sotto l’auspicata egida del «luminoso trionfo della misericordia di Dio». Memoria. Il ventesimo giorno di Dicembre an. 1768 da Sig.ri Carlo Consigliere Bertolani, Luigi Sforza Podestà, e Collega impedito (Il Sig.r Mario Coppini) congiudici venne alla nostra Archiconfraternita trasmessa Polizza, per cui mezzo avanzavano avviso alla Compagnia qualmente Domenico Antonio Poggioli reo urgentissimamente giudiziato, e confesso di furto qualificato, di attentato di proditorio omicidio nella persona della Lucia moglie di Antonio Lucchi, e di cinque omicidi da esso commessi con qualità di prodizione, latrocinio, e rispetto a tre medesimi anche d’incendio è stato condannato a pena di morte che per comando di S:A:S. si deve eseguirsi la mattina delli 22. corrente, in cui dovrà essere posto sopra un carretto di sufficiente altezza tirato da cavalli per le pubbliche strade di questa Città ai Luoghi de commessi omicidi, ed ivi nanti le rispettive case gli saranno inferti tanti colpi di tanaglie infocate quanti furono gli omicidi in ciascheduna di esse eseguiti, e che poscia nella pubblica Piazza gli sia sopra il palco data la Mazzolata tagliata la mano destra, indi che debba essere scannato, e il cadavere ridotto in pezzi, sia brucciato, le cui ceneri saranno trasportate, e gettate nel fiume più vicino. In seguito di che il Sig. Ordinario, e Dirett.e della Conforteria postisi nel ACMO, SGM 16, pp. 388-392. Per cui cfr. Parte I. 223 Si vedano le Memorie del Pio Istituto della Conforteria esaminate nel capitolo precedente. 221 222

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Fig. 20: P. Angelo Maria da Modena, Raccolta di varie composizioni, Modena 1779 (ACMO, O.V.31)

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più sollecito movimento diedero le opportune necessarie disposizioni giusta le memorie lasciateci da Mons.e Sabbatini, in vigor delle quali venne il povero paziente fino all’ultimo respiro di sua vita con tutto zelo, e carità assistito da Sig.ri Confr.elli anzi due de Sig.ri Confortatori in sedili separati insieme con il paziente sul carro, dal di lui fianco fino all’ultimo compimento della giustizia non si dipartirono; e la Compagnia pure anch’essa processionalmente preceduta dallo stendardo seguì il paziente per tutto i luoghi dove fù condotto, non ostante che il carro camminasse con qualche cellerità. Alle ore 9 e un quarto incirca della mattina nel modo come sopra cessò il Poggioli di vivere. La morte di quest’uomo degna di essere registrata negli annali della Compagnia è stata, e sarà sempre mai a chi la considera un luminoso trionfo della misericordia di Dio. Parve non altramente agl’astanti Sig.ri Confr.elli, che in quella notte si fossero rinnovati, e i prodigi della Madalena, e quei del Calvario. Egli bagnò col pianto di una contrizion poderosa l’ignominioso letto della sua morte; e furono i continui suoi sentimenti, e disposizioni, quali Le dettò una grazia operosa, e trionfante. Io immagino che le future ettà a cui saranno noti gli enormi, e molti misfatti da quest’uomo commessi appena crederanno, che alla sua morte meritasse da Dio tali aiuti, onde disporsivi con atti i più focosi, e sinceri di fede, di speranza, e di carità, che gli assistenti Confortatori n’ebbero nel corso della lunga notte e sul patibolo ancora le molte volte a ritemprarne l’ardore, e la veemenza. Ma a togliere ogni maraviglia sappiano, che tosto che egli ebbe legalmente suoi delitti confessi, domandò di un Confessore, rispondendo così ai forse ultimi moti della grazia che a penitenza amorosamente il ricercava. Alla pia richiesta del carcerato venne con prontezza soddisfatta. Al primo presentarsi del dotto, e pio Confessore, non d’altro il richiese, se non, se egli poteva della sua salute sperare. Quali gli producesse confortanti ragioni, quali argomenti in risposta il zelante Confessore, ben può ognuno di leggeri immaginarlo. Così riconfortato risolse allora di tutto darsi a Dio, e placare col pianto, delle assai deforme sue colpe la troppo offesa giustizia. Allora fù, che l’oscuro, e penoso carcere non più riguardò come pena de suoi delitti, ma come antro della sua penitenza. Assai gli dolse degli alleviamenti che dimandati ottenne per lo alleggerimento delle pesanti catene, onde n’erano, e il collo, e i fianchi gravati, e da quel dì in poi, oltre che mai più se ne querelasse le sofferse con intrepidezza grande, e rassegnazione. Allora fù che fatto docile, e pieghevole ai dettati del Confessore, mai ardì dipartirvisi, se non quando la divozion sua, e il fervore di più fare le suggerivano. Quindi ne seguì che le molte ore del dì, e della notte costantemente per lo spazio di trenta, e più giorni davanti l’imagine di Gesù Crocifisso la durava in orazione. Attentissimo era alla Lettura delle massime eterne, che quotidianamente le facea un caritatevol compagno, e sol si doleva che la dubbia luce del dì che avaramente vi splendea il vantaggio le togliesse di più proseguire.

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Sì da questo esercizio, e molto più dalla viva voce del Confessore, che le due, e tre volte al dì al carcere si portava, lo spazio di due, e tre ore per ogni volta spendendovi, imparò quella legge, e dottrina, della quale n’era andato quasi affatto fino allora digiuno; perciò fece sua cura, e costante interesse il conferirne alla lunga co carcerati compagni, ond’ebbero a dire i confortatori uniformemente non aver mai trovato in alcun altro paziente della condizion sua più scienza della legge di Dio. Fatto pratico dei doveri di cristiano, nel che non durò molto, ma pochissimo, perché avea sortito un ingegno aperto, e penetrante, lo volle consolare il suo Confessore, e all’iterate domande finalmente soddisfare disponendolo ad una generale confessione. Questa allora considerò come il solo, ed unico affare da cui di sua salute il tutto dovea dipendere. Perciò egli vi si occupò con quella intenzione ch’è ben facile immaginare. Lunghe pertanto furono, più intense le orazioni, spesse le mortificazioni, ferventi gli atti di religione coi quali si preparò. Nelle diurne conferenze col suo Prec.e spirituale l’avrebbe egli durata da mane a sera; ma congruentemente riflettendo solea dire di quando in quando: «Oddio ce ne rendi il merito non vorrei, che troppo freddo patisse, e incomodo per me». Il che ripeté più, e più volte la sera; avanti al dì del suo supplizio nella sacra Capella agl’astanti Confortatori. Con quali lagrime di sincero, e verace pentimento, con quanta intenzione di spirito del SS.mo Sacramento di Penitenza n’eseguisse i doveri, certo che Dio solo il sa da cui mossero; ma a giudicar dell’uomo per l’uomo furono tali che nulla più vi ebbe a desiderare. Ancora di quest’uomo penitente ciò che dei gran peccatori succede d’ordinario, si verificò, che se avien, che questi di verità si diano a Dio, a tale arrivano delicatezza di coscienza, che se sostenuti non sono, le più volte imbarazzano le loro anime in degli scrupoli spinosissimi. L’uomo di cui qui si ragiona ebbe la sorte di avere un Confessore assai dotto, ed avveduto, che già a volta, a volta ben le si scopria prontissimo a correre anch’esso una non dissimil sorte. La sua confessione volle egli più, e più volte repplicare, e questa sempre con maggior fervore, per così più assicurarsi di sue colpe il perdono; anzi negl’ultimi dì a questo sagramento anche le due volte il giorno si volle accostare. Ravvalorato così il suo spirito, stava la funesta nova aspettando di sua condanna. Il pensier che non lungi dovea essere, il tenea in tanta, e tale azione di spirito, e di divozione che il dì le mancava, e la notte, e solea dire che «trenta giorni eran pochi di vita cristiana per un peccatore stato tanti, e tanti anni lontano da Dio». Infatti adivenuta la sera del fatale annunzio fermo nella speranza della divina misericordia, incontrò l’imagin di Gesù Crocifisso a ginocchia piegate, prontezza di spirito, atto di religione tanto più d’amirarsi, quanto inaspettato in uomo di bassa, e rozza estrazione in sì funesta circostanza. Come passasse le ore della Conforteria nessuno durerà fatica a poterlo comprendere. Dirò solo che fù comune disegno degl’astanti Confortatori di raffrenare la vehemenza, e l’ardore degl’atti nei quali si lanciava di continua Fede, di Speranza, di Carità, di pentimento, di gratitudine, e di umiliazione. Conoscea dei suoi fatti li danni, e li scandali derivati, e a riparare come meglio per lui si potea il mal fatto, volea e per le strade, e sul patibolo pubblico perdono

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Fig. 21: P. Angelo Maria da Modena, Meditazioni della Passione ... per li Giustiziati, 1779

addimandare; del che pure avea mentre prigione richiesto il suo Confessore; ma in questo si volle soddisfatto, promettendogli che l’avrebbe fatto per lui il Confortator predicante dopo la sua morte come seguì. Asseso finalmente il Carro della sua ignominia, indi il palco della sua morte, e in quello, e in questo la durò egli fino all’ultimo cogl’istessi sentimenti di religione. Quella divina Misericordia, che trionfò di un cuor barbaro, e inumano, quella stessa, vi ha luogo a sperare che l’anima ancora ne raccogliesse. Antonio Zerbini Confr.ello Seg.o.

La cronaca settecentesca di Giuseppe Franchini (1748-1803), «Primo Usciere e Decano della Comunità», nel riportare eventi noti della vita della confraternita – dalla fondazione224 al trasferimento nel maggio 1774 nella nuova chiesa ove furono collocati arredi tolti dai soppressi oratori225 e l’immagine di «una 224 Cronaca Modonese cit., t. I, c. 181: «Dell’anno 1372. Adì 22 Aprile ebbe principio la Confraternita di San Giovanni della Buona Morte, e il suo primo istituto fù d’assistere alli poveri giustiziati». 225 Si rimanda nuovamente a G. Soli, Chiese di Modena cit., II, pp. 168-170.

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Madona» staccata da uno spazio cittadino226 – aggiunge una pregnante testimonianza della partecipazione dei confortatori alle esecuzioni capitali celebrate a Modena nel triennio giacobino. L’autore impresse alla propria opera – un centone delle varie cronache di cui disponeva – una svolta diversa dalle linee originariamente pensate, dato il forte coinvolgimento negli eventi del periodo repubblicano. La novità de’ governi, le sanguinose battaglie successe, le brillanti feste, addobbi, le illuminazioni, le allegrezze eseguite da Popoli, gli avvenimenti tutti che con mutamenti sociali, di rivoluzione culturale, occorre che chi riesce a conservare un punto di vista neutrale si assuma l’onere di lasciare una testimonianza imparziale dei fatti affinché gli avvenimenti non vengano stravolti o dimenticati227.

Nelle vicende che sanciscono il tramonto dell’ancien régime e l’inizio del nuovo corso storico i mutamenti introdotti nel quadro politico e nella vita cittadina sono chiaramente rintracciabili nella trasformazione degli organi amministrativi e di governo, negli eventi militari, nella ritualità delle esecuzioni capitali. In queste ultime la morte appare incontrastata protagonista della giustizia amministrata dalla nuova Repubblica e la compagnia della Morte – denominata in questo scorcio di secolo della «Buona Morte» – presta l’esercizio delle proprie funzioni ormai limitata nelle manifestazioni esteriori e privata del proprio stendardo. Sopravvive in quest’ambito solo il canto cristiano intonato dai confratelli che può suscitare affetti spirituali nell’animo degli astanti e condurre il peccatore a sensi di pietas e compunzione, secondo quanto espresso da Lodovico Casali nel lontano 1629. E non solo si sente questa soave melodia che rapisce, e propriamente da sé invita, e inanima il crudo a divenir pietoso, e umano; ma ancora reverentemente chieder perdono de’ suoi misfatti à quella Santissima Immagine228.

Dalle pagine riportate di seguito, che il Franchini volle racchiudere nella propria opera, si avverte la partecipazione del cronista attento a fissare nel do226 Cronaca Modonese cit., t. II (1774), c. 4bis: «Anche il signor Marchese Bonifazio Rangoni fece atterrare un Portico in fianco del suo Palazzo dalle Monache di S. Eufemia con intenzione di alzare e fare degli appartamenti per i di Lui figli, e una Madona che era sotto quel Portico la passarono nella Chiesa parochiale di S. Michele ora detta di S. Giovanni Battista». 227 G.P. Brizzi, Antonio Rovatti e la Cronaca Modenese, in Id. (a cura di), L’albero della libertà, 1796-1797. Modena napoleonica nella Cronaca di Antonio Rovatti, Modena, Fondazione Cassa di Risparmio, 1995, p. 62. 228 L. Casali, Generale Invito cit., p. 100.

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cumento il cerimoniale della condanna, la nuova rappresentazione del potere, la sfera dell’emozione privata, del dolore, i frutti della carità confraternale perpetuati nei diversi tempi storici. Memoria. Alla sera prima del ora di notte come già aveva detto avevano condotto in questa Cittadella li due condanati. Si staccò la Compagnia di S. Giovanni della Buona Morte, ma senza stendardo. Avanti eravi trè confratelli, ed erano Don Giuseppe Mediani Priore di S. Bartolomeo, Don Odoardo Cavana Cannonico, e nel mezzo eravi il Cannonico Fabriani, quale portava il Crocifisso che si presenta alli poveri condanati andarono alle carceri. Allora il Tenente di Città quale era accompagnato con molti esecutori ordinò che andassero a prendere il primo, e che lo conducessero abasso, come così fecero, e quanto fù quasi d’avanti al coritore che conduceva alla Conforteria a bella posta fatta il Tenente gli domandò: chi siete voi? e lui rispose: io sono Faustino Peli alias Pisaguera Bresciano. Allora il Tenente gli disse sappi prima la giustizia di Dio poi quella della Repubblica Cisalpina vi condana domani alle ore otto della mattina al taglio della testa. Questo senza smarirsi domandò subito un Crocifisso, e un Confessore. Allora si aperse l’uscio che conduceva alla Conforteria e si presentò il sudetto Cannonico col SS.mo Crocifisso lui lo baciò e abraciò teneramente dimandò il suo Padre Spirituale, quale fu il Cannonico Odoardo Cavana, ed il Secondo Don Giuseppe Mediani, quali intuonarono le litanie de Santi, e lo condussero in Conforteria. L’altro condanato, quale si chiama Marco Paladini, questo sentendosi dare nuova di morte non volle ascoltar nessuno, e disse che lui non aveva fatto nulla, e che era inocente. Si presentorono li due Confortatori quali erano li Sacerdoti Dottore Don Paolo Ricci Mastro di Camera di Monsignor Vescovo, e Don Carlo Tonani volevano parlare, ma sempre fù inutile alla fine dopo mezza notte si svegliò. Ed abraciò il Crocifisso, e pregò li Sacerdoti che lo aiutassero, come infatti fece una grande mutazione [...] Adì 23 settembre 1797. Un Corpo di Civici di N.o 200 si distaccarono dal suo quartiere di S. Vincenzo a Tamburo battente [...], andarono in Cittadella per il buon ordine, quali si schierarono didietro il Lavatoio nella Fortezza sudetta ove era piantato il Palco per eseguire la Giustizia. Alle ore otto impunto sortirono dalla Conforteria il primo condanato quale fù Marco Paladini, questo andiede alla morte intrepido, e dicendo vado alla morte per i miei peccati, ma muoio volentieri, e nel mentre faceva l’atto di Contrizione il Carnefice le recise la testa. Dopo andiedero a prendere il secondo, quale fù Francesco Peli, quale andiede alla morte volentieri, e veramente contrito invocando ad alta voce il nome di Gesù, e di Maria, dopo che ancor questo che gli fu reciso il capo il Carnefice mostrò al Popolo le due teste [...] lasciarono li due cadaveri alla pubblica veduta tutto il giorno fino ad un ora, e mezza prima delle ventiquattro. Il dopo Pranzo alle ore quatro si distacò un Corpo di Civici N.o di 65 dal quartiere di S. Vincenzo [...] Andiedero in Cittadella pel buon ordine, ove era già la Compagnia di S. Giovanni della Buona Morte per levare li sudetti cada-

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veri quali si portarono nella Chiesa della Cittadella per l’Esequie, poi li portarono fuori Porta soccorso, quali furono sepolti nel sepolcro de Giustiziati nel cimitero, e furono otto Facchini che li portarono con cappa nera, e torcie nere229.

Tutto o quasi era stato travolto dai rivolgimenti che dalla Francia si erano allargati all’intera Europa e ai condannati non si porgevano più cappi e tenaglie, ma quelle ghigliottine che a Parigi avevano scandito gli orrori della Rivoluzione. La confraternita chiamata a confortare gli ultimi respiri dei condannati pareva superare, in un modo o nell’altro, la strettoia giacobina perché in fondo la morte – quella da assistere e quella da esibire – restava sempre la stessa. E anche questo, in un momento in cui tutto cambiava, è un dato su cui non è vano riflettere.

Cronaca Modenese cit., t. IV (1797), cc. 440-444. Notizie delle medesime esecuzioni descritte nella Memoria del Franchini sono riportate nell’altra importante cronaca dell’epoca, opera di don Antonio Rovatti (1763-1818). Come il Franchini, anche il Rovatti si trovò a vivere anni in cui lo spirito repubblicano e le nuove idee capovolsero, con le situazioni politiche, i principi estetici e le condizioni della vita musicale. «Il tempo in cui viviamo – scrisse il religioso – è un tempo de’ più ricchi di avvenimenti […] La Musa della storia fissa con aria pensierosa ed astratta i suoi sguardi sul dramma interessante e complicato che si rappresenta sotto i suoi occhi». Cfr. a proposito A. Biondi, Duchisti, patrioti e francesi a Modena nel triennio 1796-99 in G.P. Brizzi (a cura di), L’albero della libertà cit., p. 13. Per quanto concerne l’esecuzione di cui si è detto si veda quanto riportato a p. 214: «Esecuzioni capitali. Sabato 23 settembre 1797 [...] L’Archiconfraternita della Buona Morte presta tutti gli uffizi prescritti nei di lei capitoli, e dopo l’esecuzione della sentenza il cittadino sacerdote dottor in sacra teologia Antonio Bettoli recita agl’astanti un discorso insinuante a tenere una condotta di vita da non meritare i castighi della giustizia divina ed umana». 229

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Per un epilogo

PER UN EPILOGO Vivo sin vivir en mí, y tan alta vida espero, que muero porque no muero

Il sentimento con cui Teresa d’Avila esprimeva il distacco cristiano dalla vita o, per meglio dire, l’attesa della morte come momento di ricongiungimento tra un uomo in terra d’esilio e la patria in cui lo attendeva un Dio dai contorni di amante si alimentava, a ben guardare, dalle stesse radici che sorreggevano il vigoroso tronco delle compagnie di giustizia. La morte non era che un passaggio sulla cui soglia si stabilivano i destini dell’eternità, era il luogo in cui si annidavano le tentazioni che colpivano santi e peccatori. A essa ci si doveva «apparecchiare», come insegnava nel secolo dei lumi Alfonso de Liguori, e per scampare a una scomparsa inaspettata non si esitava a invocare l’aiuto del cielo: «A subitanea et improvisa morte – recitavano le litanie – libera nos, Domine». Le compagnie di giustizia erano chiamate per loro statuto a gestire il momento in cui l’uomo – giusto o empio che fosse – si aggirava sul ciglio dei regni ultraterreni e in pochi istanti doveva decidere della propria sorte. Se peccatore e colpevole, poteva implorare e concedere il perdono; se innocente, poteva ripercorrere le orme dei martiri trasformandosi nell’agnello sacrificato per il bene di molti. Le confraternite che con i loro accorgimenti vigilavano sui pertugi dei sensi e del cuore avevano il compito di confermare i passi vacillanti indirizzandoli sulla strada che dalla forca saliva al cielo. I gradini del patibolo finivano per trasformarsi in un’invisibile scala di Giacobbe e mentre il condannato si sottoponeva alla giustizia terrena, gli si apriva la possibilità di lavare i crimini commessi dinanzi al tribunale della Maestà divina. Ed è proprio in questo continuo gioco di specchi, in questi rimandi incrociati, simbolici non meno che reali, che le compagnie di giustizia, in ideale continuità con i movimenti confraternali del Due-Trecento, promuovevano propositi di pace e concordia. Pace e ricomposizione delle fratture sociali che l’esecuzione cruenta produceva; pace tra il principe e il suo popolo, atterrito e ammaestrato dai supplizi; pace fra i vivi e i morti i cui canali di comunicazio163

Per un epilogo

ne erano sorvegliati dalle stesse conforterie. Bruciati cappi e corde, tolto di mezzo il corpo del giustiziato e trasformato in santo il peccatore, le confraternite di giustizia si trovavano esse stesse sulla soglia tra chi esercitava l’autorità e chi la subiva, tra lo scettro e il popolo su cui esso governava. Entravano a far parte dei meccanismi su cui si reggevano principati e comunità e, sotto il segno delle opere di misericordia («seppellire i defunti»), acquisivano prestigio e potere. Anche a Modena, svegliatasi sul finire del Cinquecento capitale del ducato, la confraternita intitolata a San Giovanni Battista mostrò i segni dello splendore che aveva contraddistinto molte compagnie di giustizia e sempre a Modena, come altrove, essa ottenne la facoltà di intercedere a favore dei colpevoli per scamparli alla forca. Se poi era il principe a tenere salde le redini, è innegabile che i fratelli della Morte avessero segnato, con quella concessione, un importante punto a proprio favore. Il privilegio della grazia – l’altra faccia della giustizia – era celebrato con musiche e processioni che mostravano la clemenza del principe e ne legittimavano ulteriormente l’autorità. Ma non solo nei meccanismi della giustizia si rivelava lo stretto legame tra la compagnia di San Giovanni e le autorità costituite: il vincolo che stringeva la compagnia della Morte alla chiesa di Modena – in particolare alla chiesa cattedrale – e alla corte estense passava anche (e forse soprattutto) da una incessante osmosi di conoscenze, sperimentazioni e stili. Della fratellanza fecero parte infatti musici, cantori, maestri di cappella, compositori e teorici al servizio di duchi e canonici e – fatto di per sé eloquente – gli stessi vescovi non mancarono di promuovere nella tarda età moderna una riforma della conforteria. L’intreccio in cui la compagnia si trovava era fatto di fili che conducevano alle botteghe di pittori e miniatori, alla plasticità drammatica dei compianti, piuttosto che all’eloquenza barocca di apparati e carri processionali. A far da sfondo una cultura musicale che, come detto, mostrava il fervore di una città per nulla chiusa entro le proprie mura. Con tutto questo, ciò che coagulava i fratelli era il medesimo scopo, l’obiettivo comune: mentre si ricucivano le ferite profonde, i confortatori entravano nella zona d’ombra in cui le tecniche dell’anima dovevano provocare l’attesa metamorfosi. Il condannato trucidato per i propri crimini doveva essere accompagnato nelle braccia di un Dio che ora si rivelava anzitutto nel suo volto misericordioso, quasi che la benevolenza del sovrano dei cieli rimediasse alla crudeltà di quello terreno. Pochi istanti dopo, mentre l’anima si avviava al suo destino, non rimaneva che spiegare al popolo quanto aveva visto e dare sepoltura ai resti mortali – spesso straziati – del condannato. «Vedete là come splendono – diceva il vescovo confratello Sabattini ai compagni – la pietà, la religione, il coraggio e la costante istancabile misericordia

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Per un epilogo

del Santo Patriarca Tobia, il quale, senza punto arrestarsi per le minacce e per la persecuzione del disumano tiranno e de’ suoi insolenti satelliti, senza curarsi dell’essere per loro studiosamente cercato a morte, raccoglie esso medesimo quei diformati cadaveri in casa propria e lor provvede pietosamente di sepoltura». Il tiranno non era più «disumano», ma l’estrema pietà di Tobia cercava ancora chi le desse seguito. A Modena toccò a un gruppo di fervorosi giovani ripercorrere le sue orme e convincere ladri e assassini che, per dirla con Paolo, «il morire è un guadagno».

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DOCUMENTI a cura di Matteo Al Kalak

Documenti

STATUTI DELLA CONFRATERNITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DETTA DELLA MORTE DI MODENA

Criteri di trascrizione Il testo trascritto riproduce fedelmente l’originale quattrocentesco di cui si sono mantenute le peculiarità ortografiche e sintattiche. Si è andati a capo discrezionalmente per facilitare la lettura, riportando tuttavia la scansione delle linee di testo (segnate con |) secondo quanto reperibile negli statuti. Tra parentesi quadre si è riportato il numero delle carte del manoscritto, ad eccezione della c. 8v non segnata in quanto bianca. In corsivo sono indicate citazioni bibliche e patristiche dirette, antifone, versetti, responsori e orazioni liturgiche, ad eccezione di preghiere comuni o denominazioni di salmi particolarmente diffuse (es. pater noster, ave maria, de profundis, miserere). Non si sono esplicitati gli accenti tonici interni, salvo casi dubbi o di difficile lettura (es. lassòe=lasciò; ma semplicemente receuta=ricevuta). I segni di capitolo, solitamente a guisa di C maiuscola, sono stati resi con §. I simboli R. e V. stanno a sostituire R e V tagliate per responsorium e versus. Le preposizioni del e al davanti a vocale sono state trascritte de l’ e a l’, mentre si è mantenuta integra la preposizione nel. Po si è accentato per marcare la forma verbale (pò=può) e apostrofato per indicare quella avverbiale (po’=poi). De apostrofato segnala invece la sola funzione di predicato (de’=deve) e mai quella preposizionale. Alcune abbreviazioni di parole per cui il testo proponeva diverse varianti (es. capitolo/capitulo; domenica/dominica) si sono rese, laddove non sciolte dall’estensore, secondo una grafia uniforme (caplo=capitulo; scdo=secundo; dnica=domenica). L’abbreviazione ch, perlopiù sciolta con che, in rari casi è stata restituita con chi. Non si è invece operata alcuna distinzione grafica tra i e j, utilizzando sempre la i semplice. I nominativi riportati nella matricola che nelle ultime carte sono corretti su rasure e cancellature presentano alcune difficoltà di lettura soprattutto nel caso di taluni patronimici o toponimi. Il manoscritto è mutilo come indicato dal simbolo [...] posto a conclusione del testo. 169

Matteo Al Kalak

Matricola e statuti della confraternita di San Giovanni Battista detta della Morte [c. 4 r] Questa sie la matricula de tuti li fra|telli de la compagnia di la scola di Sancto Ioanne | Baptista dicto hospitale di la morte, facta zà | longo tempo et confirmata da modenesi di|versi illuminati et accessi di grande fervore | et devotione, como appare nel prologo de li | modi di supradicta compagnia. Qua adun|cha sum posti tuti li homini di questa bene|decta scola a consolatione de li presenti et | fucturi et in primis ad laudem Dei et hono|rem patroni nostri sancti Ioannis Baptiste ac | gloriosi Geminiani antistitis nostri cuius pre|cibus nos ab omni malo custodiat pius ac cle|mens Deus qui est benedictus in secula. Amen. | Iuliano da le Fontanelle Ioanne da le Fontanelle Pietro da Vignola Iacomo da Bologna Ioanne da Liviçani Zanon da Bologna Ioanne da Monteve Nicola Guarnero Ioanne da Iuare Chalandrin di Chalandrin Iacomo Canalino Iacomo da la Sonça Nicolò da la Molza1 Bartholome del R.2 Geminiano Pocobello Ioanne Botino [c. 4 v] Ioanne da le Falopie Geminiano Taliolo Albertino di Nachi Nicolò Barile Ioanne Dinarello Antonio da Ventosa Pietro di Boso

1 2

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-za su correzione di mano successiva. del R. = degli Erri.

Iacomo da Vignola Antonio da Vignola Iacomo Torterolo Francisco di Olivere Pietro Bono da Lena Ioanne Gaida Ottonello da Castelo Piçicolo Ioanne da Icava Iacomo da San Lino Ioanne da la Molça Ioanne Corteso Uberto Guida Bachino da Baçano Bartholome di Lugi Ioanne de Rure Pietro da Salenta Iacomo Regnano Ioanne Dondino Iacomo da Nonantula Ioanne Andreolo Bono di Roso Antonio Mainello Orio Amoreti

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Bartolome Carella Polo di Zii Lorenço Cartaro Antonio da le Pançere Girardino da Rubera Pelegrim da Mantua Pietro dal Pigne Bartolome da Gomola Bartolome Zella Iacomo Poleça Simon Strina Alberto da Montalto Andrea Maiagallo Pietro Bonçamino Dominico da le Carpenede Pietro Briano Ioanne Petene Bondino da le Nevele Antonio di Mutti Pietro Biancholino Francisco Chia° Iuliano di Lumbardi Ioanne da le Anelle [c. 5 r] Pelegrim Todesco Michelo Zuffo Nasinben di Ucelii Ioanne da la Strada Iacomo da Bologna lardarolo Ioanne da Parma petenare3 Francesco da Monteve Simone da Reço Antonio Gaida Iacomo Zuchulo Nicolò da Pançano Pietro da Pançano

3 4

Antonio Malafo Benvignado da la Peschera Guidobono Chiffo Mafe da Venecia Ioanne da Reço Blasio Mainello Iacomo da Ferrara Bartolome da Coreço Bartolome di Risi Gemiano Berete Iacomo Biancholi Salutano da Ferrara Bartolome Furtarolo Bartolome di Aromegne Ioanne de Urelii Mathe Mariano Antonio del Bosco Nicolò Biancoli Francesco di Maço Antonio di Argento Nicolò Todesco Lionardo da Costrignan Ioanne Maduro Bartolome Scudelaro Polo di Presoli Bartolome Gaçolo Iacomello Trivisano Iacomo di Luchie Bartolome da Cagna Polo Sudento parolare Androvandi Petreçano Iacomo di Acorso Mathe Zinzanello Iuliano da Fistasio Iacopino del R.4

-a- aggiunta in interlinea. del R. = degli Erri.

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Matteo Al Kalak

Geminiano Bruselo5 Ioanne de Lonardello Antonio Fontanexe Bortholome Codebò Rolandino6 da la Strada Ioanne Gargano Geminiano da Zocli Bomiacomo da la Molça Ioanne da Magreda Pietro Castaldo Iacopim Capello Bartholome da Carpo Iacomo Chiavaferia Iuliano Fusaro Bartolome Negro Bartolome Fusaro Bartolome da Samoça Lario da Parma [c. 5 v] Polo da San Zoanne Petro da San Ioanne Marcho Bertaldo Ioanne da Ferrara Lario da Carpo Andrea Broncardo Bartolome Tassono Geminiano Passaponte Bartolome Zanberlano Betino Fornaro Nicolò Liviçano Ioanne da Rezo tintore Bernabe Cantadore Andrea Teffanino Daniello da la Strada Francisco Magnanino Marcho di Carmo

5 6

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-r- aggiunta in interlinea. -l- su correzione.

Guiçardo Zuchlo Lazarino di Zii Ottone da Bresa Comino da Crema Nicolò da le Falopie Pietro Converso Gazolo da Gazolo Iacomo Bonisima Pelegrin da Crevacore Pietro da Venecia Ioanne Dragono nochiero Iacomo Guiçardo da Saxolo Ioanne Poleça Ioanne de Varexe Orio da Cadignano Donino Verzaia Nicolò Careta Antonio Pegoloto Petro Ioanne Fiordebello Ioanne Rosolino Iuliano Magnanino Marcho Brancolino Ioanne Brancolino Ioanne Dalbertino barbero Steffano di Vechii Lazaro Mazarello Ludovico Sedazaro Antonio Purino Thomaso da Cesa Christofaro di Zii Ioanne di Vechii Dominico di Zii Geminiano di Vechii Michelo da Rubera Philipo Tronbeta

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Polo Zurlino Ioanne Zurlino Otaviano Todesco Nicolò Todesco Bartolome Sudente Marchiorio Fornaro Andrea Cartare da Castelofranco Iacomo Quinto Bartolome di Lai tesaro Antonio da le Store Iuliano Spinella Gaspar di Longhi Marchin da Santa Agatha [c. 6 r] Petro Machagnino8 Iacopino da Riva Biancholin da Bologna Antonio da Lame Antonio da Foiano Geminiano da Prignano Francisco da Foiano Lucha da Parma Simone da Mantua Antonio Rascarino Michele da Ongna Antonio Ingono Alberto Canova Ludovico Spadaro Francesco Marcheso Ventura Scapinello Ioanne Maçardo Nicolò di Vechii Albertino da Campi Ioanne da Bressa Angelo Zarlatino

Iacopim da le Anelle Lamberto da Ferneda Iacomo da Livizam Ioanne Rabaldo Iosuè da la Torre Nasimbem di Vechii Antonio da le Falopie Ugulim Madonina7 Ioanne Madonina Dionisio Madonina Antonio da le Panzere Philipo Scodobio Iacomo Castelvedro Marchium da Santa Agatha Gaspar de li Longi Baldasera Pella Francisco Zarlata Alexandro Canevarolo Geminiano Spinello Thomaxe Fornare Severe de Donzi Gaspar Carnevale Hieronimo Silingardo Francesco da Piasença Ioanne di Cogrossi Antonio de li Lertini Ludovigo Grassello Zorzo Zioso Nicolò Careto Pietro Pineto Vincencio Montale Bom Pistoia Mesere Tabignano Pietro Papa

Dopo la prima -n- tratto verticale cassato. Accanto ai nomi di Petro Machagnino, Iacopino da Riva e Iacopo Magnanino si trovano i rispettivi signa crucis. 7

8

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Matteo Al Kalak

Ioanne Todesco Francesco Carandino Ludovico Patino Ioanne Barbaro Angelo Zarlata Andrea Casanote Ioanne da Bresa Iuliano Spinello Antonio da le Store [c. 6 v] Orio da Corte9 Francesco Pazano Opeço Balugla Michelo Manzolo Polo Sadeleto Thomas Galiani Thomas Graseto Petro Antonio Bellincino Iacomo Biliardo Ioanne Baçalero Bernardino Zuculo Francisco Laçarino Manferdino Pella Sivero di Biso Fra Ioanne Marchese Bartolome da Borgo Nicolò Graseto Polo di Longi Ioanne Antonio di Bertini Giorgio Sudente Antonio Rocheçole Stephano di Vegii Andrea Barançono Zacharia Cavalarini

Guirom Spadaro Bernardo di Guidoni Camile Mazoni Ioanne Barançoni Iacomo da Bresa Baptista da Corfini Francesco de Saso Ludovico Villano Iacomo Magnanino Guiberto Fontana Francesco Castelvedro Marcho Zorço di Longi Guielmo da Vincentia Iacomo Barançono Francesco Milano Ioanne Antonio da la Mirandola Antonio Ponçino Ioanne Barançono Nicolò Cavalarini Bartholome Crispolino Bartholome Guidono Stephano da Corte Pietro Santa Agatha Ioanne Thomaso Sudento Giberto di Bianchi Silvestro da Ferrara Augustino de Septi Nicolò Maria Careta Baldasera Agu Dominico Cella [***]10 Francesco Grasseto Ioanne Bastardo

9 Qui e nelle cc. successive accanto ai nominativi dei confratelli sono ravvisabili signa crucis totalmente o parzialmente erasi. Sono altresì frequenti rasure e correzioni di nomi qui non riportate nel dettaglio dato l’elevato numero. 10 Rasura di un nominativo per circa 17 lettere.

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Ioanne Baptista Marcheso Bartholome Bignamino Thomaso Mangiavacha Marcho Donço Petro da Icaper Paulo Bellençino [c. 7 r] Giovanni Marciardo Francesco Cusino Antonio Burello Geminiano Mantuano Don Marco Seghici Giovannicolò Sudento Bartholame di Rossi Baldessara Santagada Geronimo de Sette Antonio Santagada Giovanni Cavazza Bartholame d’Olio Giovanni de Cabrielo Battista Guidono Gironimo Spadaro Francesco Galina Peregrino Pagano Antonio Bassagnana Giovantomaso Sudento Ludovico Begarello Gasparo Montalo Giovannicolò Corte Francesco Bassagnana Ludovico Canova Paulo Genare Christofano Bellono Francesco Civa Stefano di Vecchi

Fantibom Maseto Ioanne Baptista de Vegii Bartholome Pectenaro Ioanne Fiorino Nicolò Masseto Ioanne Maria della Freda11 Cesare Mazzucco Geminiano Mazardo Antonio Civa Vicenzo Pagano Giovanno Tintore Giovambattista Ghinici Livio Grassetto Giovanfrancesco Crema Thomaso Campana Francesco Poncino Pavolo Baranzono Thomaso Santa Gada Camillo Maseto Gasparo de Cabrielo Giovani Gazo Bartolameo da Lione Horatio Buzzale Hercole Secchiari Francesco Cassano Domenico Canova Nicolò Bravuso Bernardino Selingardo Ludorico Mascalco Francesco di Ross Gasparo Guidone Flaminio Castelvetri Camillo Seghiccio12 Francesco Maria Gualenguo

11 Da Ioanne Maria in poi l’elenco di confratelli è compilato da mani diverse di epoche successive. 12 Il nominativo è cassato.

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Matteo Al Kalak

Geminiano Santagada Giovanno Magnavacha [c. 7 v] Geronimo Passero Niccolò Sudento Giuliano Machario Horacio Forni Cesare Pazzano Aurelio Morani Giovanni Francesco Livizzano Francesco Morano Giovanni Crepona Timotheo Gadaldino Ghiberto Spacino Horacio Bachino Lazaro Tosetti Bortolameo Mandina Giulio Vendramini Giovanni Battista de Rossi Geronimo Bignardi Hercule Sudenti Marsilio Paganino Paolo Parmegiani Horacio Venetiano Don Giovanni Paolo Pioselli Giovanni Andrea Molza Dionisio Magnanino Giovanni Battista Bertoldo Bernardino Venetiano Fra Angelo Rocca Agrippa Seghiccio Giovanni Maria Carandino Andrea Magnanino [c. 8 r] Giuliano Cassano Galvano Castaldo Fabio Castaldo Cesare Cimisello Agostino Capretto Horacio Cervelino

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Lodovico Bachino Bortolameo Barzano Giovanni del Bon Hercole Scala Paolo Selingardo Hippolito Livizzano Hippolito Fontana Niccolò Thebaldo Regolo Fontana Fulvio Ferrari Hercole Sforzino Vicenzo Renaldino Bernardino Covezzolo Horacio Masazzo Giovanne Belloni Bortolameo Aricò Francesco Bisogni Marsilio Marini Hortensio Rovigo Giovanni Lodovico Zanaso Lodovico Mirandola Stefano Bignardo Niccolò Molza Antonio Seghiccio Ottavio Grassetti Giulio Sandona Alfonso Rossi Hippolito Livizzani Don Giacomo monaco di Santo Pietro Hippolito Livizzani Costanzo Scala Oratio Fontana Gironimo Bachino Francesco Scala Giovanni Batista Santa Agata

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Rafaelle Caula Curcio Forno Giovanni Antonio Carandino Pietro Pinaso Bernardino Marino Pietro Giovanni Bortolamaso Tomaso Grasetti Giulio Forni Ferrante Forni Alberto Ghirlandino Ruberto Fontana Nicolò Sighizi Giulio Caula Andrea Ghinici Hippolito Bussello Giovanni Agostino Carandino Paulo Begarello Giovano Kigi13 Alesandro Gnoli Don Flaminio Verato Giulio Castaldo Silvio Castaldo [c. 9 r] § Questi sono li .xii. articuli de la fede composti da li .xii. | apostoli. Sancto Petro: Credo in Dio padre omnipotente | creatore del celo e de la terra. Sancto Andrea: Et in Iesu Christo | figliolo suo unico signore nostro. Sancto Iacobo: Lo quale è con|cepto de Spirito Sancto nato de Maria vergine. Sancto Ioanne: Passi|onato sotto Pontio Pilato, crucifixo, morto e sepelito. Sancto | Tomase: Descese a l’inferno, el terço dì resusitò da morte a | vita. Sancto Iacobo minore: Ascese in celo, sede a la de Dio padre | omnipotente. Sancto Philippo: E dopo vegnirà a iudicare li | vivi e li morti. Sancto Bartolomeo: Credo nello Spirito Sancto. | 13

Forse Rigi.

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Matteo Al Kalak

Sancto Matheo: E ne la sancta giesia catolica. Sancto Symone: | E ne la comunione de li sancti e la remissione de li peccati. | Sancto Tadeo idest Iudas: E ne la resurectione de la carne. Sanc|to Mathia: E ne la vita eterna. Amen. | § Questi sono li deci comandamenti de la leçe. Non adorare | se no uno Dio. Non nominare el nome de Dio invano. | Sanctifica la domenica. Honora tuo padre e tua madre. | Non esser homicidiario. Non fornicare. Non fare furto. | Non testimoniare falso. Non desiderare la moglie del14 | proximo. Non desiderare la cosa del proximo. | § Queste sono le septe opere de la misericordia corporale. | Visitare li infermi. Pascere lo afamato. Dare bevere a chi | sete. Albergare el peregrino. Vestire lo nudo. Rescodere | li presoneri. Sepelire li morti. § Opere de la misericordia spirituale. | Insegnare a chi non sa. Dare sano consiglio. Reprehende|re li peccanti. Consolare li tribulati. Subvenire a li pove|ri. Orare per chi è infortunato. Remittere le ingiurie. | § Questi sono li sette peccati mortali. Superbia. Invidia. Ira. | [c. 9 v] Accidia. Avaritia. Gola. Luxuria. § Queste sono le | .vii. virtute principale de le quale le tre prime sono15 | theologice, el resto s’apellano cardinale, videlicet: Fede. Spe|ransa. Charità. § Prudentia. Temperantia. Forteça. | Iusticia. § Questi sono li setti sacramenti de la giesia | cioè: Baptismo. Cresma. Ordene sacro. Eucharistia. Pe|nitentia. Matrimonio. Olio sancto. 14 15

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Segue i cassata. Segue -o- cassata.

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§ Li comandamen|ti de la sancta giesia sono cinque videlicet: Lo primo che ciascuno | christiano sie tenuto de imparare el pater noster e l’ave ma|ria e lo credo in Deum. E li padri e matre carnali et etiam li | spirituali sono tenuti insegnarlo a li soi figlioli quando li sono | in età intelligibile. Lo secundo sie che ciascuno christiano si | guardi da opere servile et illicite et olda la messa integra | in ciascuna festa comandata quando pò. § Lo 3° che ciascuno | christiano da 21 anno in su insino ali setanta sie tenuto de|giunare tuta la quaresima, le 4 tempore e tute le vigilie | comandate, se non ha legiptimo impedimento. § Lo 4° sie | che ciascuno christiano sie tenuto de confessarse almeno | una volta l’anno, como comincia havere discretione. § Lo 5° | sie che omni christiano sie tenuto de comunicarse una volta | l’anno almeno, cioè l’omo da .xii. anni e la femina da .xiiii. anni | in suso, e più e meno secundo che hano discretione, se non ha|no impedimento alcuno. § Questi sono li deçunii co|mandati de la sancta giesia. Tuta la quaresima. Le 4 tempore | de tuto l’anno. La vigilia de la natività del Signore. La vi|gilia de la assumptione de la Madonna. Le vigilie de tuti li | apostoli excepto di sancto Philippo e Iacobo e di sancto Ioanne | evangelista. Li deçunii commandati dal vescovo. La vigilia | [c. 10 r] de la pentecoste. La vigilia di sancto Ioanne Baptista. La vigi|lia di sancto Laurentio. La vigilia de ognesancto. | § Queste sono le feste comandate da la giesia in tuto l’anno. | La natività del nostro Signore. Di sancto Stephano. Di sancto | Ioanne evangelista16. De li Innocenti. La festa di sancto Silve|stro. La circuncisione del Signore. La epiphania. La | purificatione de la Madonna. La anuntiatione de la Mado|na. La resurectione del Signore cum dui dì sequenti. La ascen|sione. La pentechoste cum dui dì sequenti. La natavità di17 | sancto Ioanne Baptista. Le feste de li .xii. apostoli. La festa de sancto | Laurentio. La assumptione e natività de la Madonna. La conse|cratione de la chiesia maçore. La festa de sancto Michaele di | septembre. La festa de tuti li sancti. De sancto Martino. Le feste | le quale comanda lo vescovo cum li chirici. La invention de | sancta cruce che è de maço. Tute le domeniche de l’anno. La fes|ta del corpo de Christo. § E nota che 16 17

(A) evangelisti. Segue -o- cassata.

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Matteo Al Kalak

tute le feste et etiam|dio li deçunii se debeno comintiare et observare secundo la con|suetudine de la sancta giesia overo de le comunità. | § Questi sono li 7 doni del Spirito Sancto. Spirito de lo timore | de Dio, lo quale cacia la superbia. Spirito de pietade, e questa | cacia la invidia. Spirito de lo dono de la scientia, e questa cacia | la ira. Spirito de forteza, e questa cacia l’accidia. Spirito de con|seglio, e questo cacia la avaricia. Spirito de intellecto, e questo | cacia la gola. Spirito de sapientia, e questo cacia la luxuria. | § Queste sono le quatro tempore. Le prime: lo primo mer|core, venere e sabbato che seguita la festa de sancta Lucia. | Le sucunde: lo primo dopo la pentecoste. Le tertie: lo primo | dopo sancta croce di septembre. Le quarte: lo primo dopo | [c. 10 v] la prima domenica de quaresima. § Li cinque senti|menti del corpo. Gustare. Audire. Vedere. Odo|rare. Tochare. | § Incomincia il prologo sopra li capitoli de la compag|nia di Sancto Çohanne Baptista volgarmente chiamato lo | hospitale da la Morte18. | § Al nome sia de la sancta et individua Trinità, Padre e Fiolo | e Spirito Sancto, e de la gloriosa madre de Christo dolce verçene Maria e | del glorioso principe de li angeli meser sancto Michele e del | glorioso martire, verçene e precursore de Christo meser sancto | Çohanne Baptista nostro advocato, e del patrono nostro meser | sancto Geminiano e de tuta la corte celestiale, per la quale co|sa ne conceda l’altissimo Dio bono principio, meço e | fine, cum salute de le anime nostre e de li nostri proximi et ad ho|nore e laude e gloria de la sancta madre giesia et a confusione | e destruçimento de chi contra ciò volesse dire o farre. | § Como noi dobiamo sapere li .x. comandamenti e li .xii. | articuli de la fede et observarli e quale debia essere el nostro ad|vocato et segno e de la forma de le nostre cappe, de lo anda|re in processione e de la offerta di sancto Geminiano. Capitolo primo. |

18

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Segue a capo como seguito da r. bianca.

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§ Como noi dobiamo essere obedienti a la sancta madre chie|sia, del venire a la disciplina e del deçunio. Capitolo 2°. | § Como noi dobiamo oldire ogni domenica e festa coman|data almancho una messa e una predica e li altri dì | de lavoro vedere levare il corpus Domini o dire tre pater nostri | et ave marie in scambio e stare casto in matrimonio e | fora di matrimonio e de la confessione e comunione. | [c. 11 r] Capitolo 3°. § Como noi dobiamo fare l’ordinario e como | lui debe mortificare li fratelli. Capitolo 4°. § Del venire a | la compagnia e fare et ordinare l’officio e del dire sua | culpa e del tore licentia. Capitolo 5°. § Como noi dobiamo | eleçere uno padre spirituale e del provederelo. Capitolo 6°. | § Del modo de la19 elemosina e del trovare dinari | per spese. Capitolo 7°. § In che modo se debe recevere uno | che volesse intrare nella nostra scola. Capitolo 8°. § Como | noi dobiamo visitare li nostri fratelli quando sono infermi e | s’egli moresseno che modo havemo a tenere circa il facto de | l’anima e che modo dovemo tenere se alcuna persona fusse iudi|cata a morte in mane di comune. Capitolo .ix.° § De la pace | che dobiamo havere insieme e como dobiamo dare | la pace a l’ordinario et a tuti li fratelli. Capitolo .x.° | § De quello siamo tenuti di dire ogni dì. Capitolo .xi.° | § Como l’ordinario debe examinare li fratelli de la con|fessione e de la vita loro e de le presumptione e del fare | lo scrutinio generale una volta l’anno. Capitolo .xii°. | § Del | modo che si debe eleçere li sindici e masaro pecuniario | e de la loro auctorità. Capitolo .xiii.° | § Incomincia il prologo sopra li capituli de la compa|gnia di Sancto Ioanne Baptista volgarmente chiamato | lo hospitale de la Morte. | Al nome sia de la sancta et individua Trinità, | Padre e Fiolo e Spirito Sancto e de la gloriosa ma|dre de Christo dolce verçene Maria e del glorioso | [c. 11 v] principe de li angeli meser sancto Michele e del glorioso | martire, verçene e precursore de Christo meser sancto Ioanne | Baptista nostro advocato e del patrono nostro meser sancto | Geminiano e de tuta la corte celestiale, per la quale co|sa ne conceda l’altissimo Dio bono principio, meço | e fine, cum salute de le anime nostre e de li nostri proximi et ad | honore e laude e gloria de la sancta 19

(A) de la ripetuto.

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Matteo Al Kalak

madre giesia et a con|fusione e destruçimento de chi contra ciò volesse dire o fare. | Parla lo Spirito Sancto per la bocha di David propheta dicendo: | Declina a malo et fac bonum, tanto è a dire: Parti|ti dal male et adopera lo bene. Nelle quale parole si demon|stra due parte sommamente necessarie a la nostra salute col|ligate insieme, in però che havere l’una sença l’altra non | si può pervenire al glorioso premio de vita beata, però che ope|rando lo bene e non lagando lo male e lassando lo male | e non operando lo bene non è via de salute. E parlando an|chora lo dolce maistro meser Iesu Christo a li soi discipuli | dava a loro celestiale doctrina dicendo: Dove serano | due o tre congregati nel nome mio, io serò nel me|ço di loro. Adunque inspirati de la gratia de lo Spirito Sancto | e per adimpiere la doctrina del dolce maistro e averlo | in meço di loro, mossi alquanti çoveni iscaldati et | accesi di perfecta charità del proximo et de la salute | de l’anime de quelli che erano iusticiati in comune, vedendo che né le anime né li corpi erano atesi né sepelliti, fun|darono e deteno principio a questo sancto loco dicto | hospitale da la morte, sotto certi modi de vivere anti-|[c. 12 r]-chi e non moderni, correndo li anni del Signore mille | trecento setanta dui, adì .xi. di aprile in uno giorno | di domenica. Di poi per grando intervallo di tempo | mancando lo regimento de li antichi modi e refre|datosi la charità di questa sancta opera, resusitò la vo|catione divina l’animo de alquanti altri gioveni refor|matori de esso sancto loco hospetale di morte cum modi | novi moderni e sancti costumi de bem vivere congregati a | questo seguire in la sacristia del sopradicto hospita|le, correndo li anni del nostro Signore mille quatrocento | cinquanta dui, adì 24 di çugno, cioè il dì de lo advo|cato nostro meser sancto Ioanne Baptista, al tempo del | sancto padre Nicolao papa .iiiii.° e del reverendissimo in | Christo padre meser Iacobo Antonio vescovo di Modena. | E volendo questi sopradicti gioveni virtuosamente | vivere e perseverare le sopradicte due parte di iustitia | necessarie a la salute di le loro anime, secundo che per divina | gratia è possibile a persone poste in habito secolare, per | redurse a vita spirituale e fare alcuno fructo perducente | a vita eterna, pigliandosi una forma la quale fusse fun|data, integra di molto excellenti, confirmati per lo testo de | la sancta scriptura, loldati per la doctrina de li sancti doctori | et exercitati per la vita di molti antichi sancti padri li qua|li la loro vita fundorono in essi gradi, de quali: lo primo | è vita contemplativa, la quale sta in levare la mente | a Dio con devote oratione e sancte meditatione; lo secundo gra|do è vita activa, lo quale sta in sovenire lo proximo nel-|[c. 12 v]-le sue necessitade, cum fervente carità e pura intentione; | lo terço è vita morale, lo quale sta in ordinare se mede|simo con honestà da vivere e virtuosa conversatione. | Havendo cossì per tal modo facto loro proposito e | volendo con effecto seguitare la loro intentione de|liberarono, mediante la gratia di Dio e secundo la possi|bilità humana, volere mittere el collo sotto el

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suave | çovo di Christo e sotto alcuni boni modi e costumi conser|vativi de la salute de l’anima, sottomittendosi a la observan|tia de li infrascripti capituli, per li quali tute le persone | de la compagnia presenti e futuri serano amaestrati di quello | serano tenuti a fare et observare e da quello se debba|no guardare e schivare et in che preiuditio caderà chi | fosse rebello e disobediente a li infrascripti capituli, non | intendendo però a la observantia de essi alcuni siano obliga|ti a pena di peccato mortale né veniale, se non tanto quanto | la chiesia l’obligasse o per dispresio non li observasse. Et | ultimatamente nel tempo presente, correndo li anni del | Signore 1482, al tempo del sanctissimo papa Sixto .iiii.° | e del reverendissimo in Christo padre meser Ioanne Andrea | vescovo di Modena, illuminati et accesi di più perfectio, | alcuni altri prudenti homini di dicta compagnia, in obser|vatione de dicti capituli d’acordo uniti, deteno libertà | al padre spirituale prior de Sancto Petro chi era a quel | tempo, che recorregesse e restringesse, mollificando o | açunçendo a li sopradicti modi tuto quello che li pares|se besogno nel moderno vivere in commodità di tuti. E | [c. 13 r] cussì fu facto como in questi novi capituli si monstra, | signati e confirmati de la reverentia de lo vicario del | vescovo di Modena, como di sotto apparirà. | § Como noi dobiamo sapere li .x. comandamenti e li | .xii. articuli de la fede et observarli e quale debia essere el | nostro advocato et segno e de la forma de le nostre cappe, | de lo andare in processione e de la offerta de sancto Geminiano. Capitolo primo20. | Dolci fratelli mei, nel prin|cipio di questo picolo volumeto mol|to ci siamo monstrati promti e deside|rosi di volere amare e servire a Dio e lo | sancto e bono maistro Iesu ce insegna in che | modo lo dobiamo amare e servirlo e dice così: Colui el quale ama me, observa li mei comandamenti, et in altro loco disse: Si vis ad vitam ingredi serva manda|ta. Adunque noi per più effectualmente amarlo e servirlo | [c. 13 v] ordinamo che ciascuno de la nostra scola principalmente | debba savere et obedire li .x. comandamenti de la le|çe, e li dodeci articuli de la fede e le sete opere de la misericordia | spirituale e corporale, li quali tuti comandamenti sonno | scripti nel principio di questa opera, a ciò che quello che | non li sapesse li possa imprendere et observare. An|cora volemo che lo nostro patrone et advocato de la | prefata compagnia sia il glorioso meser sancto Ioanne | Baptista e martire di Christo. E per segno e standardo quando | andiamo vestiti fori de la scola con le cappe in processione | o per altra cosone sia portato avanti e che tute le nostre cappe | lo habiano

20

Capitolo primo: lungo il margine destro della r. successiva.

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depinto in una brieve cartisella cusita su la | spalla drita e due teste di morte, una dal lato drito e | el altra dal lato mancho de la dicta figura. E similmente | volemo che le predicte cappe siano tute d’una equale | tela e habiano tute una forma et uno taio e lo cingu|lo sia d’una medesima qualità di corde, non curando | però di picola differentia ma di notabile, cioè como | chi havesse cordoni cum fiochi o altre simile suntuosi|tà e singularità che fusseno de scandalo e troppo demon|strative, le quale tute vogliamo siano tolte via a ciò che | non apara se non uniformità et unione in tute cose et | acti nostri. Ancora volemo che tute quelle volte che fus|semo21 domandati adconpagnare alcuno corpo a la se|pultura, ciascaduno sia obligato a lassare lì a la sacristi|a lo suo doperolo e niuno presuma portarlo via, e quello | [c. 14 r] che facesse contra questo como desubediente, facia una | disciplina per uno de profundis mentre che si dice com|pieta de la Madonna e siagli facta una bona reprensione. | E tute quelle volte che havesseno andare in processione, | vadano tuti vestiti cum le cape, e maximamente a la offer|ta dal padre sancto Geminiano, e sia offerta uno dupie|ro da livre cinque o circa, lo quale sia portato avante per | tuti li fratelli. El quale dupiero sia pagato de la ele|mosina si fa la domenica. E niuno altro presuma particu|larmente portare duperolo, ma si vole offerire dinari | sia in sua libertà. § Como noi dobiamo essere obedienti | a la sancta madre chiesia del venire a la disciplina e del deçunio. Capitolo 2°22. | Anchora volemo et | ordinamo che ciascaduno de la nostra scola deb|ba essere obediente a la sancta madre chiesia in tute | le cose che la comanda, deçunando principalmente la quare|sima e tuti li deçunii comandati da essa e lo venardì in | reverentia de la passione di Christo e lo dicto23 venar|dì si debba venire la sera a la scola a hore vintetre a fare | disciplina e tenere silentio et incomincia l’ordinario di|cendo el miserere con lo gloria patri e possa lo de profun|dis cum requiem eternam. E poi dica: Christus factus est pro nobis | obediens usque ad mortem, cum la oratione: Respice quesumus | Domine super hanc familiam tuam et cetera, e possa salve regina | cum la oratione: Concede nos famulos tuos et cetera, possa: | Exaudi nos salutaris noster cum omnes sancti tui quesumus Domine et cetera, pos|sa dica: Divinum auxilium, di poi pater noster secreto. E questo | [c. 14 v] se intende per tuti li venardì di l’anno, excep21

Lungo il margine sinistro manicula. Deçunio ... 2°: lungo il margine destro della r. successiva. 23 Segue rasura di circa 4 lettere. 22

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to che quelli de | la quaresima, ne quali in prima si leçe una lectione di lo | Spechio de la cruce, di poi si canta: Fratres mortificate membra | vestra et cetera, di poi dire lo miserere e lo de profundis. Di | poi si canta alchune stançe di Stabat mater dolorosa secundo | che a l’ordinario piacerà e quello che non venisse lo | dicto dì a la disciplina per negligentia o vero non facesse | fare sua scusa, e di questo sia iudice la sua conscientia | la quale Dio vede, debba fare la dicta disciplina la | festa più proxima in palese, finito l’offitio doppo nona. | E si li fusse scusa debbala fare in occulto al modo usato. | Dal diçunio del venardì a lo quale ci obligano li nostri modi, | cioè tuti li venardì de l’anno fora de la quaresima e de le qua|tro tempore, volemo se alcuno o per infirmità o per tropo fatica | o per debilità di natura o per forestiri che li sopravenisseno | che non potesse fare di mancho che non tenesse a loro compag|nia o per li gran caldi non potesse degiunare lo dicto ve|nardì, sia tenuto de dire septe pater noster et ave maria in loco | del deçunio regratiando Dio de li soi beneficii e pregando|lo ne debba concedere a quelli che ne24 sono in necessità | e miseria e, potendo comadamente, deba domandare li|centia al padre spirituale di questa; veda ciascuno che non | sii inganato e faciasi la conscientia grossa, perché como | dechiarando lo dubio providemo a la necessitade con dis|cretione, così volemo provedere a la negligentia e pigritia | e per questo volemo che quello che per mera e grassa negligen|tia laga lo predicto venardì che non deçuni, sia obligato25 | [c. 15 r] confessarsi al padre spirituale de la sua negligen|tia e di questo lo padre spirituale lo possi agravare di più | e de meno a ciò sia medicata la sua negligentia, e di ques|to ciascuno habia de ciò çudese la sua conscientia, la | quale Dio vede. Siate exortati fratelli a la faticha di | questo sancto deçunio per memoria di la passione di Christo e | per non esser ingrati di tanti beneficii, sapiando che tiene mor|tificato la carne e vivificato ne lo spirito a la devotione | e menaci a vita eterna. Lo primo homo per infino che fu de|çuno possidete lo paradiso, de po’ che ebbe mangiato fu ex|pulso de esso paradiso, sì che vedete quanto li fu utile lo de|giunio e dannoso lo mangiare. Unde faciamolo cum amore | e voluntieri. Di quello che dice venire a la disciplina a | hore vintetre nesuno s’agravi ma vengino voluntieri e solli|citamente per li periculi che accadeno nelli tempi moderni e an|chora considerando se havemo tuta la septimana da spen|dere in servitio de le cose temporale dovemo alegramente | una hora spendere in servitio de Dio et utilità de le anime nostre. | 24 Lungo il margine sinistro, di altra mano, notate con segno di richiamo posto in interlinea sotto che ne. 25 Nella carta seguente, cassato: a la elemosina che si fa la domenica offerire uno mezo sol|do e poi.

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Quello che è occupato in qualche grande occupatione et26 | s’è sforsato di trovare per chi mandare la scusa e non have|rà trovato o non hauto agio27 di cercare, questo tale non | sia obligato a fare la disciplina in palese ma in occulto. | Ma se fusse stato per pura e crassa negligentia, facia la | penitentia che dice lo capitulo sença remissione e in | questo nesuno inganni per vergogna ma faciala voluntie|ra, perché questa vergogna portata voluntiera si fa aquistare | [c. 15 v] vita eterna. Ciascuno che falisse obedisca al remorso de | la conscientia. § Como noi dobiamo oldire ogni | domenica e festa comandata almancho una missa e | una predica e li altri dì de lavoro vedere levare il | corpus Domini o dire tre pater nostri et ave maria in scam|bio, e stare casto in matrimonio e fora de matrimonio | e de la confessione e comunione. Capitolo 3°. | Anchora debia ciascuna de la nostra scola oldi|re ogni domenica e festa comandata una messa | almancho et una predica intiera. Anchora | sia obligato ciascuno de nostri fratelli ogni dì de lavo|ro a visitare la chiesia e, potendo comodamente, ve|dano levare el corpus Domini e, non potendo, dicano | tre pater noster e tre ave maria, pregando Dio che quello dì | li dia gratia di spenderlo in suo honore e sustentamen|to de le sue necessitade. Anchora sia tenuto et obliga|to ciascuno di noi, chi non ha dona de observare cas|tità cum summa diligentia in però che se noi permanemo in | essa già non seremo più equali a li homini ma simili a li | angeli di Dio como dice sancto Hieronymo. Vivere in | carne sença carne non è humano ma più tosto angelico. | Oldi uno28 pocho la sua excellentia, o caro fra|tello, la quale narra el venerabile doctore meser sancto Au|gustino in uno suo sermone dicendo: O castità, tu sei | ornamento de li angeli, tu sei exaltamento de le vile | persone, tu sei gentileça de li vilani, tu sei belleça in ogni | cosa bruta e non pò essere cosa bruta dove se trova casti-|[c. 16 r]-tà. Tu sei consolatione in ogni lamento, per te crescano le | virtude, amica di Dio, cognata de li angeli e de li boni | alegreça e consolatione. Questa cari fratelli honora | lo corpo, ralegra l’anima. Per questa si mantene amistà con | Dio e con gli angeli, per questa si comincia vita angelica, | vivere in carne sença carne. Ora non vi pare, chari | fratelli, che questa virtù sia sommamente d’amare e con | ogni sollicitudine da acquistare e mantenere, consi|derata la sua excellentia e nobilità, non solamente quan|to a lo corpo ma quanto a la mente, che pocho valerebe la | castità corporale se non fusse acompagnata cum la castità | mentale? Sia a noi cari 26

Aggiunto, probabilmente da altra mano, con inchiostro parzialmente svanito. Dopo -a- segue rasura di lettera originariamente cassata. 28 Segue po uno parzialmente eraso.

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fratelli questa virtude sempre in | nostra compagnia et ogni nostro reposo et consolatione. | Non temeremo, chari fratelli, habiando questa virtù esser | da Dio iudicati, ma aspectemo più tosto esser da lui co|ronati e da li sancti angeli sempre acompagnati. E tuti quelli che | hano donna usino sanctamente et honestamente inseme secundo | l’ordine de la sancta madre chiesia, però che è sacramento uno | de li septi e rapresenta Idio e la chiesia, come dice sancto | Bernardo sopra la Cantica. Anchora siano tenuti tuti29 | li fratelli a confessarsi una volta nel ultimo di ciascu|no mese et havere uno padre spirituale lo quale ci | consigli e confessi però che la confessione iustifica como | dice l’Apostolo: Ore confessio fit ad salutem, et a li pecca|ti dà perdonanza sì como dice David propheta: Dixi: Con|fitebor adversum me iniusticiam meam Domino, et tu remisisti | impietatem peccati mei. Chari fratelli, non vi atedii la vergogna | [c. 16 v] del mondo e lo timore del diavolo ne la desperatione | de li peccati enormi, però che sancto Ambrosio dice: Colui che | li soi peccati non vole confessare non è degno de esser iusti|ficato. Sença questa non se pò intrare in vita eterna, chari | fratelli. E debbe esser facta con contritione di core a vole|re che sia perfecta e di salute, como dice esso sancto Ambrosio: Penitentia vera est peccata preterita plangere et iterum non re|comittere. Anchora siano obligati tuti de la nostra sco|la di comunicarsi almeno cinque30 volte l’anno: una vol|ta al natale, l’altra a la pascha maçore, l’altra a la pentecosta31, l’altra a la assump|tione de la Madonna, l’altra ala festa de tuti li sancti. A questo | sacramento, chari fratelli, si vole andare con gran timore e | riverentia considerando tanto misterio e charità del nostro | salvatore che si dà in cibo a le sue creature e, repensando | anchora bene quello che dice lo Apostolo: Qui manducat | et bibit indigne, iudicium sibi manducat et bibit, ci fa | esser solliciti ad andarvi cum grande reverentia e timore. | A questo etiam siamo invitati da esso Signore ne lo sancto evange|lio dicendo: Chi non mançarà la mia carne e non beverà | lo mio sangue non haverà vita eterna. Anchora sia tenu|to ciascaduno di fare arte licita e honesta e non anda|re a fere né mandare, né vendere, né comperare cosa alcuna | in dì di festa comandata, né esser gabellero, né famigli|o de gabelieri, né offitiale ad alcuna gabella, né giucha|re, né fare giuchare ad alcuno giocho, ma vivere hones|tamente e sanctamente e non andare in taberna sença grande | bisogno. Quanto piacesse al nostro signore meser Iesu Christo | [c. 17 r] di andare honestamente vestito del dosso 29

Lungo il margine destro, dalla r. 20 alla r. 24, tratto di penna verticale. Corretto da altra mano su rasura. 31 L’altra ... pentecosta: aggiunto dalla stessa mano lungo il margine sinistro, con segno di richiamo. 30

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monstrossi | in lui e nella sua madre gloriosa et in tuti li soi sancti, | che consideravano che procedeva da quello vitio la | pompa e vanagloria e superbia e, como monstra sancto | Gregorio nelle sue homilie, se non fusse peccato questo | non haverea dicto lo apostolo Petro nella sua epistola | in reprensione de le donne: Non in veste preciosa. E nello | evangelio del richo dannato, se non fusse grave | peccato in questo sumptuoso vestire non haveria dicto: | qui induebatur purpura et bisso, a denotare essa | graveça del peccato per lo quale era cruciato et maxime | usando questo ornato vestire contra32 lo suo stato et essere. | Adunque, chari fratelli, debbia ciascaduno de la | nostra scola andare vestito del suo dosso honestamen|te secundo el suo stato per non dare malo exempio ad | alcuno. Quello che dice di sopra in questo capitulo, di | fare arte licita ni essere gabelero, sia inteso secondo che par|la lo capitulo ad litteram e sença chiose perché ne li tempi | moderni pare non si possa ferre simili exercitii se non con | infamia e pur volemo che la nostra compagnia sia | munda e neta da simile infamia. § Como noi dobi|amo fare l’ordinario e como lui debe mortificare | li fratelli. Capitulo .iiii.° | La humana natura, charissimi fratelli, co|mo noi vedemo è molto pigra al bene ope|rare. Aduncha per questo ordinemo che sia electo | uno de li nostri fratelli di bona et honesta vita el | quale desedi e solliciti li sonnolenti e tardi al bene | [c. 17 v] vivere e conforte li pigri al bene operare, reprenda | li erranti nella via di Dio cum benignità e con compassio|ne amaistrando di doctrina spirituale e di boni ex|empli. Lo quale ordinario sia obedito e reverito | da tuti in tute le cose che lui comanda licite et hones|te, sì como driçatore de le anime nostre nel Signore Dio. | E debiase eleçere lo dicto ordinario per tuti li fra|telli e per la più parte a brevi, secundo l’uçança, et in essa | electione volemo si trovi lo padre spirituale presente | a ciò che si cessi da ogni suspitione et errori | che potesseno venire e più vetiamo ogni pratica | et acordo che fusse facto in fare più uno como | un altro, etiam de dire l’uno cum l’altro: Lo tale seria bo|no ordinario, o simile parole demonstrative a fare | fare uno più che un altro, ma ciascuno sia in sua li|bertà di eleçere quello che lo Spirito Sancto lo inspira | mediante la oratione che facta è avanti essa electione. | E ciascaduno atenda bene a le conditione e a quello | che dice lo capitulo che debe havere quello che | de’ esser ordinario e notilo bene.

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Su rasura.

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Per questo vole|mo che avanti che si facia la oratione et essa e|lectione sia lecto tuto questo capitulo a ciò che | tuti intendano le conditione che debe havere | in sé secundo lo nostro modo e metalo bene a mente. | Anchora quello che fusse trovato havere fac|to pratica o dicte parole demonstrative in volere | fare eliçere più uno che un altro, sia privato de la | electione activa33 e passiva per quello anno, dicendo | [c. 18 r] sua culpa dinanci a tuti li fratelli. E quello sia per | sua penitentia taxato. E quatro fiate l’anno sia fac|to essa electione, cioè la prima fiate al natale, la secunda | a pasca, la terça a sancto Petro e l’ultima a san Michele. An|chora ordinemo che l’ordinario passato sia apresso | a lo ordinario novo a consigliarlo e mortificarlo di | tute le cose che siano licite et honeste e di la salute | di tuti li fratelli. Et attenda con gran sollicitudine | colui che è electo ordinario in dare bono exemplo | di sua vita a li soi discipuli, siando lucerna34 e spechio | a tuti li altri, orando continuamente per loro a ciò che | siano ornati di sancte virtù35 e non habia rendere rasone di | loro a lo eterno36 iudice. Anchora sia providente lo | dicto ordinario di non seguitare lo malvaso angelo | parendoli esser bono e degno de esser honorato et ex|altato, ma sia humile e basso, non como maçore ma | como servo di tuti a lo exempio di Christo nostro maestro di|cendo: Io sto in meço di voi non como signore ma co|mo servo di tuti. Non dicemo però che per humilità si | lassi la correctione de li fratelli quando errasseno, ma repren|dali e corregali cum benignità e discretione. E quello | fratello che fusse correcto sia pronto ad ogni punitione | e mortificatione che a lui fusse imposta e comandata da | l’ordinario discreta e licita e sença questa, cari fra|telli, non possiamo durare né in carità insieme sta|re. Aduncha siamo obedienti e reverenti l’uno a l’altro | nelle cose licite et honeste secundo Dio. E quando non | fusse l’ordinario a la scola, debba lo sotto ordinario | [c. 18 v] fare l’offitio per lui et a lui, sì como a l’ordinario, sia rendu|to debito honore e debita reverentia. Anchora volemo | che sia electo per l’ordinario vechio e novo uno sacristano | che habia cura de lo altare e de l’uso e de aparechiare | li libri e fare ogni cosa necessaria nella scola. E prima | che si elega l’ordinario si canti Veni creator Spiritus e | poi si serri le fenestre e si stagi uno pocho a la oratione pre|gando Dio ciascuno che gi metta nella mente de eleçe|re uno bono ordinario secundo lo modo predicto. E facto ques|to, ciascuno dica sua culpa l’uno dreto a l’altro, scriven|do o facendo scrivere il nome di colui che gi pare do|vere essere ordinaA- corretta su e. Lungo il margine destro, di altra mano: lucerna. 35 Lungo il margine destro, di altra mano: sante virtù. 36 Lungo il margine destro, di altra mano: eterno. 33

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rio. E chi haverà più voce sia ordinario | e se alcuni fusseno pari sia uno breve per ciascuno de li | dicti pari messo in grembo a l’ordinario e siane cavato | uno lo quale sia ordinario. Electo lo dicto ordinario, | cantisi Te Deum37 per li fratelli e stando l’ordinario in genochione dinanci | a l’altare e ciascuno lo vadi abraciare cominciando lo | sotto ordinario, seguitando tuti li fratelli per ordine in seg|no di amore e di pace. E se l’ordinario o sotto ordina|rio non venisse a l’officio debia lo sacristano fare e sempre | stare apresso a colui che farà l’officio; e così a le colpe a le | quale sempre staga apresso di colui che reprende per consigliar|lo, mancando como è dicto l’ordinario e sotto ordinario. | Anchora volemo che l’ordinario sia sollicito che ogni domeni|ca tuto l’anno sia lecto uno capitolo di questi modi a ciò che | nullo si possa scusare de ignorantia, o avanti vespero o | drito a vespero, quando apparerà all’ordinario. An|chora volemo et ordinamo che s’el fusse facto alcuno | [c. 19 r] ordinario el quale non sapesse fare l’officio, che lui lo deba | far fare a lo sotto ordinario e, non essendo sufficiente lo sot|to ordinario, lo debba comittere ad uno de li fratelli il | quale sia sufficiente e praticho a tale officio, a ciò che | tale officio sia dicto cum devotione e non habia a provocare38 a fastidi|o e riso li fratelli. E quello tale fratello a chi serà comesso | tale officio lo debia fare cum devotione et habia a coman|dare li psalmi per tuto lo nostro officio. E questo se intende | per tuto lo tempo di quello tale ordinario, a ciò che39 | se habia a comandare ogni festa chi debia fare l’officio. | E questo sia intese solo per lo dire de l’officio cioè che lo | dicto ordinario in ogni altra cosa habia a comandare | et examinare li fratelli al ben vivere et a comandare le an|tiphane e li verseti e la lectione e fare segno quando bisogno. E | si tale ordinario fusse presumptuose a volere fare tale officio | o altra cosa che non sapesse fare, debia esser mortificato et | amonito dal sotto ordinario per tre volte. E se pur vo|lesse esser ostinato volendo seguitare il volere suo, sia in|continente per tuti li fratelli privato da l’officio suo et a ciò che | tale ordinario non se inganasse se medesimo reputandosi | esser sufficiente a fare tale officio e non fusse, ordinemo che fac|to che habia due o tre volte l’officio, lo sotto ordinario lo | debia mandare fora de la sacristia sì longe che non possa | udire cosa che si dica per li fratelli; possa lo sotto ordinario | debia domandare tuti li fratelli ad uno ad uno se tale | ordinario li pare sufficiente a fare tale officio o no. E se | pare a li fratelli non essere sufficiente incontinente lo debia fare | [c. 19 v] venire dentro e comandarli per obedientia non se Te Deum: aggiunto da altra mano lungo il margine sinistro, con segno di richiamo. A provocare: aggiunto dalla stessa mano lungo il margine destro, con segno di richiamo. 39 Segue rasura, forse di circa tre lettere. 37

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de|bia inpaciare di fare l’officio. E lo dicto ordinario | debia humiliarse a far fare l’officio a lo sotto ordi|nario, siando sufficiente, o vero ad un altro de li fratel|li che sia sufficiente. E questo per tuti li tre mesi che | dura lo dicto ordinario. E si tale ordinario volesse | stare ostinato a fare tale officio e non humiliarsi, pos|sa essere incontinente de la compagnia privato. § Del venire a la | compagnia e fare l’officio et ordinare l’officio e del dire sua culpa e del tore licentia. Capitolo .v.°40 | Leçemo, | chari fratelli, del dolçe maistro meser Iesu Christo | cum ciò fusse che mai non facesse peccato né haves|se la mente occupata da nesuno cativo pensiero, visitava | frequentemente lo tempio. Tanto maiormente noi che sia|mo involuti ne li peccati e concupiscentie dovemo frequen|tamente visitare li logi sancti digiunando et orando e però | esso disse nello evangelio: Domus mea domus orati|onis vocabitur, a demonstrarci quello che in essa dove|mo adoperare frequentandola spesso, cioè oratione e lecti|one e non cose mondane. Ordinemo adunque che ogni do|minica e festa comandata de la chiesia siamo tenuti et | obligati venire al loco de la nostra41 scola dreto al desinare | cum sollicitudine e fervore di spirito di piacere a Dio. E | intrando in chiesia com gran devocione et ingenochi|andosi, visitino lo altare de la nostra scola dicendo uno | pater noster et ave maria, basando la terra e levinsi suso annuntiando | la pace a li fratelli dicendo: Pax vobis, et tengasi si-|[c. 20 r]-lentio insino che si comincia l’officio e sia somma diligen|tia a l’ordinario e sottordinario fare servare questa parti|cella del capitulo. E quello che contrafacesse, maxime | nel tempo de l’officio, sia obligato per tante volte quante ha|verà rotto silentio domentre si dice l’officio o di poi o | inanci ad esso officio, dire tante volte il pater noster e l’ave ma|ria cum la boca in terra, lì nella scola avanti l’altare, quante | volte averà rotto silentio. E a ciò che le mente nostre sia|no più preparate a divotamente dire l’officio, volemo | che poi che sarano adunati tre o quatro fratelli, quello di | quatro acto a leçere pigli uno libro de lo Spechio de la | croce o altra devota lectione legendo continuamente in | voce alta42 per insino che l’ordinario farà segno per incomin|ciar43 l’officio. E nesuno presuma de lì partirsi sença gran | necessità corporale. E quello che contrafacesse, cioè di | stare di fora a parlare, maxime de cose temporale, faci | la penitencia di sopra dicta. E facto segno da l’ordi|nario quello che leçe dica: Tu autem Domine miserere Dire ... capitolo .v.°: lungo il margine destro della r. successiva. -a corretta su tratto di o. 42 Dopo -l- i cassata. 43 Tratto orizzontale di -r aggiunto su tratto verticale di -a-. 40

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nobis; | e respondano tuti: Deo gratias. Di poi l’ordinario ordini | l’officio stagando li fratelli tuti al logo suo, cioè quello | che debe dire l’antiphane e che debe dire li versiculi e chi | de’ leçere la regula cioè il conforto di bem vivere e chi | de’ cominciare li psalmi. E questo s’intenda per tuto l’offi|cio di quello dì. E quello che leçe la regula s’intenda | leçere la lectione dopo vespro s’el dicto ordinario non | mutasse altramente. Poi l’ordinario cum tuti li fratelli si | mitano in genochione dinanci a l’altare facenda la con-|[c. 20 v]-fessione. Poi basando la terra si levino in piede, comincian|do l’ordinario l’officio, cioè lo matutino de la Madon|na: Domine labia mea aperies. E tuti li fratelli respondano | per ordine. E così se dica matutino e prima e terça e sexta, | e più e meno secundo che parerà a l’ordinario secundo che com|portarà l’ora, a ciò che per questo non si perda il vespro ordi|nario de la chiesia. E di poi, dicto l’officio, ciascuno va|da a sedere al loco suo, e legasi il conforto dil bem vi|vere e ciascuno stia attento e devoto al dicto officio e | conforto. E facto questo l’ordinario deba dare licentia, pre|gando ciascuno che vada al vespro e sia fervente al bene | operare. E habuta licencia, ciascuno che si vol partire deba|si ingenochiare e fare reverentia al crucifixo, dicendo uno | pater noster et ave maria basando la terra e vada in pace. Anchora | ordinamo che ciascaduno deba retornare al dicto loco | drieto al vespero e intrando in chiesia e in scola con quello | che è dicto di sopra. E qui si lega la lectione como è dic|to di sopra per infina che si incomincia l’officio. E quando pari|rà a l’ordinario facia segno e ciascuno stagando in suo | loco per insino che sia aparechiato da dire l’officio. Di | poi se mitteno in genochione dicendo il pater noster in genochi|one e, basando la terra, levisi suso e dicasi lo resto de l’officio | de la Madonna, cominciando l’ordinario: Deus in adiutori|um meum, e tuti li fratelli prosequitino como è dicto di so|pra. Anchora l’ordinario deba dire tute le oracione del | dicto officio idest la oracione di sancto Çohanne Baptista, la oracione | de sancto Geminiano e la oracione di sancto Benedicto, di sancto Mi-|[c. 21 r]-chaele archangelo, di poi salve regina cum la oracione: Omnipotens | sempiterne Deus, el pater noster secreto, così drè desinare como | dreto a vespro, basando la terra. E ciascuno si seda al lo|go suo e legasi una lectione dicendo lo lectore inanci | tracto: Iube Domine benedicere. Al quale responda l’ordina|rio dicendo la benedictione consueta. E ciascuno stia atento | a la dicta lectione, la quale duri quanto parerà a l’ordi|nario che porti l’ora. Di poi cum disciplina e modestia | dicano le colpe in genochione dinanci al crucifixo, prima | l’ordinario, di poi seguitino li altri dicendo sua culpa di|votamente de ogni malo exemplo che loro havesseno da|to o facto contra li dicti modi a li fratelli. E l’ordinario | li debia ammonire e li fratelli si debiano humiliare a lui. | E lo sottordinario debia ammonire l’ordinario de li soi | defecti.

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E sia avisato l’ordinario44 di non dare mortifica|tione o penitentia che s’apartenga a confessori, cioè pater noster, oracione | o devotione. E sia avisato ciascaduno di non dire sua | culpa de li falli occulti, ma rimangano ne la sua consci|entia a dirli in confessione al padre spirituale. E quelli che | non sano l’officio dicano per tuto questo nostro officio de la | Donna vinticinque pater noster et ave maria, e così dicano per cias|cuno officio de morti. E se alcuna festa comandata venis|se in dì di degiunio, debiasi venire a la scola de po’ tercia, | a quella hora che parerà a l’ordinario. E volemo che la | çobia sancta e il venere sancto da sera a vintedue hore o circa si | debia dire l’officio grande de la croce sença salve e gloria | patri cum voce bassa in loco de l’officio consueto. E volemo | [c. 21 v] anchora che al tempo de le comunione che se farano | nella scola nostra e similmente nella festa de la natività, | la circuncisione, la epiphania, la resurectione cum dui | dì sequenti, la pentecoste cum dui dì sequenti, la ascensione, | lo corpo di Christo, la asumptione de la Madonna, la fes|ta di tuti li sancti, la festa di sancto Ioanne Baptista, la fes|ta del nostro patrono sancto Geminiano, per tute queste solenni|tà si deba venire a la nostra scola la nocte, a quella ho|ra che parerà a l’|ordinario e debiasi dire lo matutino | di la Madonna cum gran solennità, di poi leçere una | lectione del sacramento del corpo del nostro Signore, poi | fare disciplina et dire sua culpa in generale prima che | si leveno di genochione da la disciplina e prima | che si monstra lume o quale altra devocione pare a l’|ordinario di fare, seguitando po’ l’officio de la Ma|donna cum gran devotione per insino a nona. E più e | meno secunda la voluntà de l’ordinario. Et in questi | dì solenni dicti di sopra ne quali siamo adunati da | matina, drè desinare si finisca tuto il resto dil officio | e dire le colpe. E volemo che sempre dal principio de l’|officio insino al fine si tenga silentio cum grande ho|nestà però ch’el nostro parlare è tenda di vanagloria, mistero | del mentire, factore e avocatore del sonno e de la acci|dia, disoglimento de la compunctione. Aduncha, carissi|mi fratelli, amiamolo e serviamolo cum gran diligentia. | E quello che per proprio vicio o per leçereça o mala consuetu|dine in questo tempo rompesse silentio, facia la peni-|[c. 22 r]-tentia dicta di sopra. Anchora volemo che quello | che per45 pura e gran negligentia serà trovato per tre feste | non essere stato a la predica la matina o spese bene quel tem|po, sia obligato a stare in genochione per tanto quanto | dura uno psalmo nella scola. Ma se, habuta legip|tima occupatione o de infirmità o d’altra rasone vel | cosone, non sia46 obligato a la dicta penitentia. E se ammoni|to e represo per tre

(A) ordinaria. Aggiunto da altra mano lungo il margine sinistro, con segno di richiamo. 46 Non sia: su rasura. 44 45

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volte non serà emendato ma persevera | nella sua negligentia, questo tale negligente sia ob|ligato una volta, a la prima elemosina che si fa, offeri|re uno soldo a l’altare. E si perseverasse di poi nella sua | negligentia, siale agravata la penitentia dal padre | spirituale secundo el suo iudicio per emendacione del de|fecto e edificatione e bono exempio de li fratelli. An|chora ordinamo che l’ordinario lo venardì, o altra | volta più comodamente possa, dica a tuti li fratelli | dove si predica, cioè a dire al Domo, a San Domenico o a Sancto | Augustino et cetera, e uno valente homo a predicare e | ciascuno si trovi lì in quello loco. E quelli che non | fusseno a oldire le dicte parole, siano avisati da li altri | che le hano audire dove si debeno trovare a la pre|dica. E lo sacristano sia sollicito a vedere quelli | che manchano e sia investigato perché non son venuti | a la predica. E se per grande negligentia hano lagato, | facino la penitentia dicta di sopra. E questo sia officio | del sacristano vedere sollicitamente et avisare lo pa|dre spirituale e l’ordinario de questi tali negligenti | [c. 22 v] a ciò sia provisto per emendatione di tale negligentia. | E a ciò che le cose de la nostra compagnia procedano | ordinate che si possa conservare la pace e la charità | de li fratelli, dechiaramo, sopra questo capitulo dove | dice47 che amonisca cum charità l’ordinario, habia summa | advertentia esso ordinario e gran discretione nelle sue | ammonitione che non sia tropo aspro o rimesso, cioè | che non dica parole aspre né vilanesche né iniuriose | né etiamdio per modo che apparisce demonstrare ira o pas|sione d’animo, ma sempre cum parole modeste et humile, cum | mansuetudine e dolceça di parlare, considerando et | habiando sempre respecto a la propria humilità; e | non si habia respecto a maçore né a minore, né a richo | né a povero, né a tale né a quale, ma ad ogni homo sia te|nuta equale e iusta mesura e secundo vederano esser bisog|no, tuti amoniscano e reprendano e confortino. E re|pensando fratelli la utilità che ci fa la riprensione che | è grande e anchora la virtù de la pacientia in essa re|prensione, ciascaduno che è posto in genochione e dice | sua culpa pensi di esser avanti il tribunale di Dio per | esser iudicato e cum summa pacientia abraci la reprensione | che li fusse data. E non presuma alcuno respondere né | cum superbia scusarsi né contendere lì in quel acto humile | pensando lo scandolo pò dare a li fradelli e quello che | dice lo nostro Signore nello evangelio che quello che | scandaliçerà uno de li minimi, serà besogno li sia liga|to al collo una mola da molino e negato nel profundo | [c. 23 r] del mare. Et anchora guai a quello per lo quale vene|rà lo scandolo, ma stia cum summa disciplina e silentio, | portando patientemente tuto quello che li fusse dicto | etiamdio si fusse l’ordinario. E se alcuno fusse represo | de cosa non havesse facta o agravato de

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Lungo il margine sinistro, dalla r. 5 alla r. 15, tratto di penna verticale.

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parole ultra | quello fusse stato, possa dire humilmente cum voce su|missa a quello che lo reprende: S’el ve piace io dirò pa|rechie parole in satisfactione de li fratelli, parato | sempre ad ogni penitentia fare. E siali concessa volun|tieri o vero, se fusse domandato da quello che lo re|prende del facto se è così, risponda sempre cum humi|lità sì o no. E non sia alcuno ardito altrimente parlare | o contendere, como è dicto, né superbamente monstra|re segni o acti de turbatione o ira d’animo, como è48 | dicto. La quale cosa se alcuno presumerà di fare, che | non piacia a Dio, sia dicto che si ricordi che fa contra | la ordinatione de nostri modi cum modestia. E se an|chora di poi che serà così avisato protervamente res|ponderà e non tacerà, siali dicto vadi nella librari|a per insino che serà chiamato. Et habuta lo consiglio | de fratelli proceda l’ordinario secondo lo consiglio da|to. Et essendo lo defecto publico o cognito da tuti49, | parendo a li fratelli che questo tale privato sia de la | chiave, sia l’ordinario obligato a privarlo sotto la | pena de non esser absoluto nella confessione50. Ma | domandato, venendo dentro humiliato e cognos|cendo sua culpa, siali facto basare li piedi a tuti sen-|[c. 23 v]-ça privarlo da essa chiave, ma s’è stato obstinato e vorà | defendere il suo difecto, alora facia l’ordinario che non | vegna più dentro, ma stia nella libraria como fo|rastiero. Di poi lo padre spirituale sia quello che | veda51 di sanare lo morbo de lo infermo fratello. E | si questo, così privato del consortio de li fratelli, perse|verarà nella sua superbia e non vignirà al loco dove | li è ordinato le feste consuete e per dui mesi laserà la ob|servatione di nostri modi e la confessione, sia al tuto | privato del nostro consortio, e non sia più receuto nella | nostra scola quando volesse tornare se non como se riceveno | li novitii e emendato prima del defecto facto. E ques|to volemo integramente sia servato a ciò che questo | vitio de la superbia e presumptione radicitus de la nostra | compagnia e scola sia tagliato. Similmente ancho|ra volemo, s’el fusse comandata cose grave ad alcuno | de li fratelli che excedesseno le forçe sue, debia humil|mente acceptare lo comandamento e impositione facta | a lui sença contradictione e, vedendo che tale coman|damento52 non possa seguitare sença suo gran discunço | e danno, humilemente referisca la impossibilità sua a quel|lo che li à inposto tale cosa. E non essendo acceptata la | scusa sua, non presuma superbamente recusare, ma haSegue o cassata. Segue o cassata. 50 -e non ... confessione: cassato da mano successiva. 51 Lungo il margine sinistro, dalla r. 5 al termine della carta, tratto di penna verticale, accanto a cui si legge, di altra mano: notta. 52 -man|dament- su rasura 48

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biasi | ricorso al padre spirituale e lui abi a determinare tale | cosa per più pace de fratelli e chi facesse il contrario sia | punito a l’arbitrio del suo padre spirituale. Anchora, | per quello ch’è dicto di sopra cioè che l’ordinario si53 | [c. 24 r] guardi de dare penitentia che s’apartengi al confessore, | dechiaramo per più pace de la nostra scola che l’ordina|rio non dia penitentia a fare fora de la scola, ma dentro | tra noi fratelli, como è a dire di basare li pedi a li fra|telli o stare disteso in terra o cum le braçe aperte per quanto | durasse uno psalmo o vero stare a la porta quando li fra|telli si parteno e dimandare perdonança a tuti o peni|tentie simile a queste. E se fusse alcuno difecto che54 | li paresse meritasse più grave penitentia, mandilo | dal padre spirituale e lui la debia gravare o minui|re secundo il suo iudicio, per punitione del difecto e | satisfactione de li fratelli. § Como noi dobiamo | eleçere uno padre spirituale e del provederlo. Capitolo .vi.°55 | Con ciò sia cosa, cari fratelli, che non | sia alcuno in questa fragile carne che spesse | volte non pecchi como dice sancto Çoanne evan|gelista: Si noi diremo che non habiamo peccato, noi | medesimi si seduciamo et inganiamo e verità non | è in noi; e se septe volte pecca il iusto secundo la scriptura, | tanto magiormente lo peccatore. Aduncha per questo | ordinemo che ogni anno nella solennità de lo Spirito Sancto | si debia ire a l’abbate di Sancto Petro et humilemente | domandano si debia deputare lo priore, o altro pa|dre spirituale, de soi monaci sufficiente a questo, | il quale per charità olda ciascuno de la nostra scola in | confessione nel ultimo di ciascuno mese e daga a | ciascuno debita e salutare penitentia. E questo | [c. 24 v] sia l’ordine in essa confessione: che la penultima festa | di ciascuno mese l’ordinario deba reducere ad essa con|fessione la prima56 bancha de li fratelli la quale avanti | vespro sia ateso a la mità e dopo57 vespro a l’altra mità, e | similemente lo sotto ordinario l’ultima festa reduca | a la confessione l’ultima bancha como è ditto di so|pra, dechiarando, se alcuna de le nostre comunione ve|nerà in capo del mese, siano obligati a lo extremo del | mese a la confessione, secundo questo capitulo e per tore | via ogni dubio. Al quale padre spirituale sia ren|duto grande honore e reverentia in tute le cose, sì co|mo driçatore de le nostre anime nel servicio de Dio. E tute le | cose de inportantia de la scola sia e debia esser rechies|to il suo savio consiglio, rendenSegue o cassata. Lungo il margine sinistro, dalla r. 8 alla r. 11, tratto di penna verticale. 55 .vi.° lungo il margine destro della r. successiva. 56 P(ri)- corretto su p(er). 57 -po aggiunto in interlinea. 53

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doci certi che non ci con|siglierà si non de quelle cose che siano di nostra salute, | considerando che lui convegnirà rendere rasone di noi | dinance a Dio. E brevemente58 volemo che se in tractare | tra noi alcuna cosa nascese alcuna discrepantia59 | humilemente debano assentire e quietare al iudi|tio suo, non apparendo alcuna cosa in contrario in | danno. Ancora volemo et ordinemo a ciò che noi | non siamo represi del vitio de la ingratitudine che | desicha ogni bene spirituale che al dicto padre spi|rituale sia proveduto ogni volta a la comunione | di alcuna elemosina per l’amore de Dio, però chi serve a l’|altare di esso debe vivere. § Del modo di la elemosina | e del trovare dinari per spese. Capitulo .vii.° | [c. 25 r] È scripto nel testamento vechio che li homini | e le donne di mente devota voluntariamente | offerirono doni a ciò che si facesse l’opera che | haveva comandato Dio a li figlioli di Israel di ma|ne di Moisè. E similmente se noi seremo veri figlioli di | Israel, che è tanto a dire quanto figliolo di Dio, volun|tariamente offeriremo lo dono de la elemosina per|ché la sancta scriptura dice che como l’aqua espeçe | il foco, così la elemosina extingue e smorça lo peccato. | Et a ciò che possiamo matenere lo suo tabernaculo60 | illuminato, nel quale li possiamo rendere laude e | gratie e crescere nello servitio et honore suo, ciascuno | de li fratelli chi ha del suo proprio da vivere sia obliga|to in ciascuna domenica di tuto l’anno offerire a l’al|tare dui denari, excepti quelli che61 al tuto fusseno | impotenti. Il quale iuditio habia a fare lo padre spiri|tuale cum l’ordinario e sotordinario. E questo serà | l’ordine: che la prima bancha, cioè l’ordinario cum la sua | bancha, e tuti l’uno dreto a l’altro offeriscano devo|tamente basando lo altare; e poi seguitando la secunda | bancha cum simile ordini. E quello che per impotentia non | havesse da offerire, vada per ordine con li altri a basare | lo altare. E volemo che se ocoresse urgente causa e bi|sogno di trovare dinari per spesa di la scola, che l’or|dinario lo debia dire nella scola a li fratelli e ciasca|duno con mente tranquilla e divota li debia dare quella | elemosina che a lui parerà, che mai per alcuno altro modo | [c. 25 v] si debia adunare dinare nella scola. E chi contrafa|cesse per alcuno altro modo sia privato de la scola nostra62, | atendendo a questo che ciascuno in questo acto sia me|surato cum gran timore de Dio e niuno entri in iu|dicare il fratello o in acto (A) bre-ve-te. Segue rasura di circa 3 lettere nella stessa r. e di 4 lettere nella r. successiva. 60 Lungo il margine destro, dalla r. 10 alla r. 16, tratto di penna verticale. 61 C- corretta su q. 62 Lungo il margine sinistro di altra mano si legge: causa di privare un fratello. 58

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o in parole dicendo: Quel|lo che è richo non fa; o vero: Io fo più di lui, ma hu|milemente sia acceptato quello tanto che sarà oferto cum | carità e pace di tuti. § In che modo si debia recevere uno | chi volesse intrare nella nostra scola. Capitulo .viii.° | Siamo amaestrati fratelli dal glorioso apostolo | sancto Iacobo del modo che dovemo tenere | se alcuno volesse intrare nella nostra scola e | dice così: Non vogliate credere ad ogni spirito. Or|dinemo adunque per questo che quando alcuno volesse in|trare nella nostra scola non sia e non debia esser recepta|to così presto como domandarà, ma sia provato | lo spirito e lo movimento suo s’el ven da Dio e da bona | intentione, a ciò che non sia receuto lo lupo in scambio | de lo agnello. In questo caso l’ordinario debia63 ele|çere uno fratello di bona vita e sancta conversatione, | lo quale tenga compagnia e faciali noti tuti li nostri | modi, a ciò che intenda a quello che se obliga intran|do nella scola, menandolo principalmente dal nostro | padre spirituale e da lui sia facto diligentemente con|fessare. Consequentemente sia pronuntiato a tuti quelli | de la scola e cercato e investigato di sua vita e fama | e se lui tene e usa boni costumi. E questo trovando, | [c. 26 r] sia menato a la scola como peregrino e forestero. | E se alora a lui piacerà li nostri costumi e modi, sia | exaudito e messo per fratello nella scola, se essendo | prima avisato de quello che ha a fare inanci che | lui sia tolto, como è dicto di sopra. Et hauta bo|na relatione dal padre spirituale e da li fratelli et | obligandosi lui a questo, siali dato termino insino | a l’altra domenica. E se lui se deliberarà e piaceràli la | nostra compagnia sia receuto per fratello e non si in|tenda però esser acceptato per fratello se prima non sia mes|so per balote tra tuti li fratelli. Et obtenendo lo partito | de le due parte o più, sia numerato e coniuncto al numero de li | fratelli e, non obtenendo lo partito, honestamente sia | licentiato. Et essendo acceptato, sia facto per lui so|lenne offitio in questo modo: cioè che l’ordinario con | esso novitio ingenochiato inanci a l’altare imponga | in canto lo hymno Veni creator Spiritus, e tuti li fratel|li proseguitino lo dicto hymno. E questo interim, l’or|dinario lo vesta d’una cappa a questo preparata | e cingalo. Di poi tuti li fratelli lo vadino ad abratia|relo e, finito l’inno e la pace data da fratelli al dic|to novitio, l’ordinario stando in pede dica: Salvum | fac servum tuum. R. Deus meus sperantem in te. V. Mitte ei | Domine auxilium de sancto. R. Et de Syon tuere eum. V. Domine ex|audi orationem meam. R. Et clamor meus ad te veni|at. Oratio. Oremus. Deus qui nos a seculi vanitate 63

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Lungo il margine destro, dalla r. 19 alla r. 24, tratto di penna verticale.

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conver|sos et cetera E se fusse alcuno che fusse disobediente tre64 | [c. 26 v] fiate65 a venire a la scola e non facesse fare sua scusa, | sia correpto tre fiate secundo che a l’ordinario piacerà. | E se pure volesse stare obstinato sia privato de la | nostra scola. Considerando, cari fratelli, quanto sia peri|culoso il vento di la vanegloria spirituale, como di|ce sancto Augustino nelli suoi Soliloquii, che haveva | veduto molte stelle che havevano collocato lo suo | nido nello numero de li angeli, poi esser caduti nello pro|fundo de lo abisso solamente per lo impeto de la coda, | cioè per la superbia e vanagloria spirituale, aduncha per66 | questo così sutile vento ordinemo che nesuno de li | fratelli mai non debia dire cosa ch se facia nella sco|la, né nesuno nostro modo, né per bem né per male. Anchora | volemo che nesuno presuma portare fora de la compa|gnia cosa alcuna sença licentia67 de l’ordinario e sottordinario | etiam s’el fusse officiale. E quello che contrafacesse a questo stia | per tanto quanto se dice el hymno Ave maris stella lì | nella scola cum le brace averte, in genochione e simile pe|nitentia facia quello che havesse presumuto dire | di fuora quelle cose che facemo nella nostra scola. § Co|mo noi dobiamo visitare li nostri fratelli se li fosseno in|fermi e se li moresseno che modo havemo a tenere circa il fac|to de l’anima e che modo dovemo tenere se alcuna persona fusse iu|dicata a morte in mane di comune. Capitulo nono. | Con ciò sia cosa, cari fratelli, che nel ultimo | dì del iudicio non saremo rechiesti di nesuna | altra cosa che si noi habiamo sovenuto et | [c. 27 r] aiutato il proximo nelli soi bisogni. Imperò ordinemo | che ciascuno ordinario e sottordinario nel principio | del suo offitio elega dui fratelli li quali si chiamino in|fermieri che habiano summa cura e diligentia che quando al|cuno de li nostri fratelli fusse da Dio visitato per infirmità cor|porale, debalo intendere e cercare et maxime quando stesse | per due o tre volte che non venesse a la scola. Et esso infer|mo lo facia sapere più presto sia possibile et alora deba | dire ogni sua necessitade e li dicti infermeri con l’ordi|nario siano tenuti di fareli provedere seconda la possi|bilità de li fratelli in tuti li sui bisogni e, non supplen|do l’oferta de li fratelli in tuti li sui bisogni, sia suppli|to di quello de l’hospitale interamente. Li quali in|firmieri habiano a durare per tuto lo tempo di quello | ordinario Lungo il margine destro segno di richiamo a guisa di ÷. Lungo il margine sinistro, dalla r. 1 alla r. 4, tratto di penna verticale. 66 Lungo il margine destro, dalla r. 10 alla r. 19, tratto di penna verticale. 67 Aggiunto dalla stessa mano lungo il margine sinistro, con segno di richiamo. 64

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sotto lo quale sono electi. E mancando | per loro negligentia tale provisione, siano obligati | deçunare uno venardì in pane et aqua. Siano anco te|nuti li dicti infirmieri di visitare e confortare li dic|ti infermi e si besognasse che dui de li fratelli lì albere|gasseno, debia l’ordinario e l’infermieri pregare li fra|telli che in carità li debiano andare, cioè, quando la infir|mità fusse longa, ogni dì successivamente dui fratelli | cominciando a l’ordinario per insino a l’ultimo. E se si | infirmasse di pestilentia, alcuno non sia astrecto che | li vada, se non che l’ordinario li pregi. E se advenisse | che fusse visitato da Dio per morte corporale, debia | l’ordinario farlo a sapere a tuti li fratelli e ciascuno | [c. 27 v] li vada a fare honore, cioè vestito cum le cappe portar|lo a la sepultura. E sia tenuto ciascuno insino a tren|ta dì dire ogni dì tre pater noster e tre ave maria per l’anima | sua e l’ordinario debia fare dire l’offitio de morti | inance lo suo septimo. Anchora che l’ordinario | e li fratelli dicano ogni prima dominica del me|se l’offitio de morti per l’anima de li nostri passati fratelli e per | tute le anime del purgatorio, excepto se occuresse alcu|na necessità per lo meglio si possa prolongare a quel|la domenica o festa piacesse a l’ordinario e per questo non | si lassi el nostro offitio consueto la dicta dominica. An|cora volemo et ordinemo che quando advenisse che al|cuna persona fusse iudicata a morte nelle force dil co|mune di Modena che l’ordinario debia eleçere quatro | fratelli li quali siano più acti a confortare quella ta|le persona in quella nocte che lui debe esser menato a | iustitia. Stiano dui per insino a meçanocte e li altri | dui da meçanocte inanci, confortandolo et acompag|nandolo la matina, cum tuti li fratelli vestiti cum la cap|pa de la morte, per infino al loco de la iustitia; e di poi | che l’anima serà partita dal corpo, tuti li fratelli lo debi|ano portare a la sepultura e farli honore secundo lo sta|to suo. Ancora ordinemo che s’el morisse o fusse morto | a68 sua força alcuna persona e sia pronuntiato a li nostri fra|telli, che incontinente l’ordinario li debia fare adunare | a la scola e andare a fare honore a quella tale persona | vestiti al modo usato. E se alcuno de quelle persone fusse | [c. 28 r] in extrema necessità e non havesse di che fare la spe|sa de la sepultura, che nui siamo obligati a portar|lo a sepelire a le nostre spese e pregare Dio per l’anima sua. | § De la pace che noi dobiamo havere insieme e | como dobiamo dare la pace a l’ordinario e a tuti | li fratelli. Capitolo .x.°69 | Fratelli mei | charissimi, se noi sapessemo quanto è la virtù | de la pace e di quanta necessità la sia a noi | che demoriamo in congregatione, tanta è la sua | 68

Lungo il margine sinistro, nelle ultime quattro rr. della carta, tratto di penna verticale e manicula. 69 Li fratelli ... .x.°: lungo il margine destro della r. successiva.

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virtù che tenendola noi doventiamo fioli di Dio di|cendo lui nello evangelio: Beati pacifici quoniam filii Dei | vocabuntur. Et in questo si monstra la sua dignità, | che mantenendola in la scola de homini li fa doven|tare fioli di Dio. E però ancora l’Apostolo scrive in tute | le sue epistole dicendo: La pace di Dio sia con voi e la gratia | di Iesu Christo. Questa lassòe meser Iesu Christo a noi nello | so testamento sì como summo bene dicendo: Pacem | meam do vobis, e non como la pace del mondo che | poco dura, ma disse: La pace mia lasso a voi sença la | quale niuno pò vivere spiritualmente. A questo modo | il padre celestiale ha ordinato li pianeti, il sole e la lu|na e le stelle e le altre cose belle che sono a noi visibile, | che tute fusseno insieme abraciate e colligate cum li|game di pace. A questo modo sono ordinati li angeli | gloriosi che dopo la ruina de li rei non rimase alcu|na discordia fra li boni, ma fusse pace bona e perfecta. | O pace gloriosa, li re sença te non regnano, sença te | [c. 28 v] diçunii, oratione, elemosine et altre beni spirituali non va|leno né çovare possino a vita eterna però che tuti sono | morti. O fratelli mei, habiamo pace inseme in ogni | nostro facto però che se noi haveremo ira cum lo nostro fratello, | a che pacto o cum quale fronte seremo arditi doman|dare perdonança a Dio? Se noi tegnemo rancore nel | nostro core, negiamo a Dio quello che domandiamo a | Dio. Habiamo adunca, cari fratelli, pace cum tuti ha|biando odio a li vitii di tuti. O como è beata cosa | e iocunda e divina habitare tuti in un volere siando | tuti in una voluntà in Dio, una anima di tuti, una for|ma di vivere però ch’el demonio non pò intrare in quella | casa né in quella mente dove la pace signoriça. Ad|unca, cari fratelli, habiamo pace e amore inseme. Questo | si è il novo testamento o comandamento che se lassòe meser | Iesu Christo quando disse a li soi discipuli: Io vi do uno no|vo comandamento, cioè che voi vi amate insieme co|mo ho amato voi. In questo cognoscerano tuti li homini | che voi sete mei discipuli, se voi vi amerete insieme. | Adunca, cari fratelli, ordinemo ch’el dì de la nostra festa, | cioè la natività di san Çohanne Baptista, si deba fare | solenne offitio e, facto l’offitio, vada l’ordinario dinanci | al crucifixo in genochione e tuti li fratelli lo vadino | abraciare l’uno drieto a l’altro. Ancora ordinemo | che la çobia sancta si deba principiare l’offitio ad hore | vintedue o circa in questo modo: cioè prima dicano | l’offitio de la cruce grando con voce bassa sença Domine | [c. 29 r] labia mea e Deus in adiutorium, gloria patri, Iube Domine, | Tu autem, Deo gratias, Domine exaudi; niuna de queste | cose70 se debiano dire, ma comincisi: Christum captum | et irrisum et cetera. Possa si debia lavare tuti dui li piedi | a li fratelli per l’ordinario e sotordinario e sacristano | como è de usança. E infra questo tempo si debia | leçere una lectione 70

(A) scose, con s- cassata.

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de la passione del nostro Signore. | Poi si debia cantare, sença Iube Domine e sença Tu autem, | Fratres sobrii estote et cetera. Possa si facia disciplina al | modo usato sença gloria patri e cantare alcune stançe di | Stabat mater dolorosa. Poi andare a sedere e in | questo meço lo sacristano aparechii lo mandato, | cioè una tovaglia aparechiato in meço la sacristia cum | alcuna cosa da fare collatione, cioè fructe e vino. E ne|suno presuma aparechiare altro che fructe e vino secun|do il capitulo. Poi l’ordinario si levi suso cum tuti li fra|telli di çà e di là da la tavola, secundo como si sede, e l’or|dinario cominci a fare la benedictione dicendo: Christus | factus est pro nobis obediens usque ad mortem. E li fratel|li respondano: Mortem autem crucis, cum voce bassa. Pos|sa l’ordinario segna la mensa e cominci a fare collati|one lui e tutti li fratelli, stando tuti honesti cum li ochii | bassi cum devotione e silentio. Possa facto questo comin|ci l’ordinario a rengratiare il Signore al modo predicto: Christus | factus est pro nobis. Possa andare a sedere insino che | il sacristano haverà desparechiato. Di poi l’ordina|rio, siando scuro, facia dare una lume per homo a | [c. 29 v] tuti e siano licentiati. Ancora volemo che in signo d’amo|re e di pace che quando li fratelli si scontrano faciasi reve|rentia, perché sença questo amore, dilecti fratelli, inva|no si afatichiamo in questo edificio spirituale. Ma | se noi tuti insieme ligati seremo cum amore, haveremo | perfectamente adimpiuto la leçe di Christo, como dice san | Paulo: Plenitudo legis est dilectio. E guardisi71 cias|cuno de li fratelli che non pigli per usança ad eleçere per|sona alcuna, cioè de darli qualche stramoto como | lo vedesse e dirli parole trufatorie e bufonesche e | maximamente l’uno fratello a l’altro, né presumano | di farse beffe e scherni l’uno da l’altro publicamente, | né etiamdio privatamente, continuando sempre adosso | a qualche uno, per non dare materia di turbatione | e scandalo e malo exempio al proximo. § Di quel|lo che siamo tenuti di dire ogni giorno. Capitolo .xi.° | Charissimi fratelli, como dice sancto Augus|tino non bastarà solamente a l’anima esser guar|data dal male se ella non haverà operato lo | bene, cioè questa nostra bona voluntà mandandola | ad executione insino a la morte cum pianti e suspi|ri de li nostri peccati, con sancte oratione e meditatione mentale | e vocale, sempre cum lacrime et altri pensieri, sempre | suspirando a la patria nostra dinanci a lo eterno redemp|tore dove gloriano li sancti intellecti contemplanti | denanci a la facia de colui che sede in l’alta sedia | levata, cridando e dicendo: Sancto, Sancto, Sancto, Signore | [c. 30 r] Dio de le bataglie. Piena è la terra de la gloria tua. |

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Lungo i margini, dalla r. 7 alla r. 15, tratti di penna verticali. A destra si legge: nota.

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O beata visione, o beata letitia, o eterna luce, o redemp|tore nostro Iesu Christo, benignissimo e dulcissimo, che gratia | è questa che tu ci fai che possemo parlare con teco | siando in questa carcere de la carne preteriendo lo nostro | intellecto tuti quanti li cieli e le schiere de li angeli e | de li archangeli, troni, dominationi, virtude, princi|pati, potestati, cherubini e seraphini, arivando noi | cum contemplante amore in li sancti intellecti humani | per infino a la luce tua superna dove tu stai, Iesu nostro, | cum la tua dulcissima madre e cum li toi sancti apostoli, refi|ciando tuti li spiriti beati cum la toa dolceça. E pensan|do noi che questa oratione tanto ti piace, Signore nostro, | volemo che ciascuno de la nostra scola ogni festa co|mandata debia almancho stare una hora a la o|ratione più tosto mentale che vocale, possendo, e si|milemente il venere meça hora. E perché tuti equalmen|te non hano gratia di oratione mentale, quello che se ve|de privato di tale gratia sia obligato a leçere una lecti|one di qualche hiistoria de sancti in quello tempo che | doveva fare la oratione. Tuta via, fratelli, non est abbre|viata manus Domini, e como lui dice ne lo evangelio: Pe|tite et accipietis, querite et invenietis et qui querit in|venit et pulsanti aperietur, sì che non siamo negligenti, | fratelli, perché se noi cercharemo cum alquanti di fati|cha, certo siamo che noi lo trovaremo per la sententia dic|ta di sopra. E tanto più la dobiamo cercare quanto | [c. 30 v] ella è salute e nutrimento spirituale de le anime nostre. E per | non72 dimenticare noi la tua sancta via, Iesu nostro Signore, | volemo che ciascuno di noi debia dire ogni dì el miserere, la confessione e el credo picolo inanci desinare | e chi non lo sa lo debia imparare. Et infra questo tempo | per quello dica cinque pater noster et cinque ave maria e sopra | ogni sacrato dica73 uno pater noster o vero uno de profundis, | recordandosi de tute le anime che giasino lì. § Como | l’ordinario debe examinare li fratelli de la confessione e | de la vita loro e de le presumptione e del fare lo scrutinio | generale una volta l’anno. Capitulo duodecimo. | La humana natura è molto apta ad intepi|dire e doventare freda et a ciò che questo | peccato non si giunga in tuti li altri, ordinemo | ch’el nostro ordinario debia examinare ogni mese li nostri | fratelli se sono confessati o no e se egli servano li nostri | modi; e se sano alcuno scandalo de li fratelli lo debi|ano revelarlo e sollicitarlo et exortarli e comandar|li a la observantia de li dicti modi.

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Lungo il margine sinistro, dalla r. 2 alla r. 7, tratto di penna verticale. -a corretta da mano successiva su o.

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Quanto piacesse | la obedientia al nostro amantissimo Signore meser Iesu Christo, | monstrò a noi quando orava nel orto al Padre aproximan|dosi a la sua passione sancta, dicendo: Domine si fieri potest tran|seat a me calix iste. E poi respondea: Non tanto sia facta | la mia voluntà ma la tua, gociando tuto hora gocie | di sangue, obediendo al padre per recomparare la huma|na natura, morendo di morte turpissima e vilana | suso lo legno de la croce cum vituperosissimi opprobrii. | [c. 31 r] Adunca considerando noi tanta obedientia et humi|litate del nostro Signore, ordinemo e volemo che cias|cuno de la nostra scola che non vignisse al principio | de l’offitio debia stare in genochione quando se leçe el con|forto del vivere virtuosamente, cioè la regula, vergognan|dosi non essere venuto sollicitamente al principio de l’of|fitio. Et a ciò che noi non siamo retracti dal bene ope|rare per casione di cative compagnie, volemo che | ciascuno di noi le schive como la tempesta. Et per essere | ornato de le sancte virtù, fratelli mei, non giurate e non | dite busie, vivendo pacificamente e sença biastema|re e dire male del proximo e sempre fuçendo ogni | domesticheçe de femine. E per questo volemo che mai | nesuna femina, né puti de sedeci anni in giù, non | possi intrare de la giesia in fora in niuna nostra stancia. | Con ciò sia cosa, cari fratelli, che la più cara cosa che | ne desse Idio in questo mondo fu el tempo del quale | conveniremo rendere rasione se l’averemo male expeso. | Adunque operamelo bene, dormendo octo hore de le vinte|quatro, tenendo la camisa in dosso, non tocandosi né | volendosi vedere nudo, solamente per volere fugire | ogni tentatione di carne, spendendo il tempo vacante | cum lacrime e sospiri de li nostri peccati. Et a ciò che non | siamo represi dal vitio de la ingratitudine de ogni | benefitio receuto da Dio, per più effectuale amore cias|caduno debia dire uno pater noster inanci pasto e drè | pasto, regratiando lo nostro Signore di tanti beneficii rece-|[c. 31 v]-uti da lui. Charissimi fratelli, quanto dispiace74 la super|bia e la discordia a lo eterno Dio monstrosi in Luci|fero, el quale volse mittere discordia in celo. Unde | lo eterno Dio lo fluminò in profundo de abisso cum | li soi sequaci, a ciò che romanesse neto lo paradiso | sença ambitione e superbia. Et per schivare questo | maledicto peccato de la superbia e presumptione e | ambitione, ordinemo che per più pace e amore liga|ti insieme, a ciò che lo diavolo non metta mai dis|cordia tra noi75, ordinemo che una volta l’anno, cioè a | la penthecoste, o deci dì avanti o deci dì dopoi secon|do la comodità del padre spirituale, si debia fare lo | scru-

-a- aggiunta in interlinea. Segue segno di richiamo, ripreso lungo il margine sinistro, ove si legge di altra mano: padre spirituale. 74 75

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tinio de tuti li fratelli per questo modo, cioè ch’el | padre spirituale sia avisato per l’ordinario, o vero per | chi piace a lui, che debia venire a lo loco de la nostra sco|la cum l’ordinario, ad oldire li defecti de li fratelli e quel|li mortificare secundo l’opera loro. E non possendo veni|re lo padre spirituale, debia l’ordinario seguitare | lo scrutinio. E l’ordinario cominci andare fora de la | sacristia e stare sì lontano da essa che non intenda | li defecti che dirano li fratelli di lui. E levisi suso lo | sottordinario e dica li defecti de l’ordinario e se li | pare di tenerlo nella scola e susequentamente dicano | tuti li fratelli a uno a uno il parere suo ordinatamen|te como sedeno. Et olduto da tuti li fratelli li de|fecti de l’ordinario, sia chiamato lo dicto ordina|rio in sacristia e pongasi in genochione dinanci al | [c. 32 r] crucifixo, dicendo sua culpa de li defecti soi publici | e lo padre spirituale lo debia mortificare secundo lo suo | parere. E mancando lo padre spirituale lo sottordina|rio lo debia mortificare. Et amonito che lui sia de li | soi defecti, debia andare a sedere al loco suo. E poi lo | sotto ordinario vada fora e l’ordinario cominci a di|re li defecti e manchamenti del dicto e ciascuno se|guiti secundo che è dicto di sopra. E poi sia chiamato in | sacristia e ponendosi in genochione dica sua culpa e lo | padre spirituale lo corega et amonisca como di sopra è | dicto. E così vadano fora tuti li altri, l’uno drieto | a l’altro, facendo tuti como per l’ordinario e sottordina|rio è principiato. E ancora se a l’ordinario e sottordi|nario e a la più parte de li fratelli gli paresse alcuno de | li fratelli tropo defectuoso, incorrigibile, el possano pri|vare incontinente sença alcuno termine. Et etiamdio vole|mo ch’el primo il quale contradicesse mai per alcuno76 | tempo ali soprascripti modi, ch’el sia privato de la sco|la como discordatore del ben fare e mai per nesuno tempo | sia acceptato nella scola, reputandolo simile al diavo|lo, stando in quella opinione però che Dio non vole dis|cordia, anci vole che noi li serviamo cum amore e carità, | sempre habiando in memoria e sempre suspirando | a la patria nostra, a la quale ci conduca Dio per la sua | misericordia che noi se riposemo poi in lui, lo quale vi|ve e regna in secula seculorum. Amen. § Del modo che si | debe eleçere li sindici e massaro pecuniario et de la loro | [c. 32 v] auctorità. Capitulo tercio decimo. | Ordinemo che tuti li fratelli, scripto il nome | di ciascuno in uno boletino e imbussolato | in una cassa cum due chiave, de le quale l’una stia | a presso a l’ordinario l’altra apressa lo massaro pecu|niario; anchora volemo ch’el massa-

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Lungo il margine destro di altra mano si legge: notate bene.

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Matteo Al Kalak

ro pecuniario | sia electo per questa forma, cioè che l’ordinario e sotto | ordinario, cum consiglio del padre spirituale, de|bano eleçere octo o deci o più fratelli de la nostra sco|la di bona fama e vita, litterati e che sapiano fare | rasone e che habiano del suo. E questi siano mis|si a bollote tra tuti li fratelli de la scola e quelli che | otignirano per più de le doe parte de fratelli, siano me|desimamente inbusolate in uno altro bussolo per | sé in quella medesima cassa. Et ogni anno77 ultimo | dì del mese di septembre, çoè el dì de sancto Michelo78, si debia tirare fori del busso|lo de sindici tre che per quello anno siano sindici e | consiglieri e similmente del bussalo dal massaro | pecuniario ne sia tirato fora uno79 lo quale per quel anno fa|cia l’officio de la massaria. Li quali tuti habiano a | disponere di tute l’intrate80 | e quelle gubernare, il quale massaro pecuniario generale | solo sia quello che habia a ricevere e tenere e salvare | tute le dicte intrate. De le quale intrate lo dicto ma|saro non possa per alcuno modo disponere sença aucto|rità e consentimento dal ordinario e de dicti sindi|ci o de la più parte di loro, excepto la expesa ordina-|[c. 33 r]-ria como è il salario dil capellano81 | e le spese de iusticiati e si|mile. E tuto il resto de le spese occurrente se habia a | dispensare per lo consiglio de l’ordinario e de dicti tre sindici o di la maçore parte di loro, como è de repara|re82, fare elemosine, pure che non ecceda la | summa de livre cinque per anno e non dagano più de vinti | soldi per persona cum consiglio del padre spirituale e | de l’ordinario e sottordinario, quanto sia per dicta e|lemosina fare etiamdio locatione de li beni83 | le quale locatione non possano fare per più | tempo de anni tre. E prima che facino alcuna locatione | siano tenuti denuntiarla a tuta la compagnia co|adunata nella sacristia, a la magiore parte di quella, | a ciò se fusse alcuno de dicta compagnia che voles|se quella cosa che serà da locare si la possa dare. Nien|te di meno vegiassi che nesuno sia privato sença | ragione e contra iustitia. E tuto quello che si fa, si | facia cum bono timore de Dio: nesuno si laghii vin|cere a la affectione e avaritia, perché faria scandalo | a li altri et infamia de la scola. E non sia privato | alcuno che avessi bene tractato le cose de la scola | e facto lo suo dovere per pocha cosa né per affectione | d’amicicia, ma timoratamente fiant omnia.

Segue rasura di l. (A) dì del mese ripetuto; -se di septembre ... Michelo: aggiunto lungo il margine sinistro con segno di richiamo. 79 Aggiunto lungo il margine sinistro con segno di richiamo. 80 Segue de l’hospitale de la morte cassato. 81 Segue lo legato di sancto | Augustino la luminaria cassato. 82 Segue l’ospitale cassato. 83 Segue de dicto | hospitale cassato. 77 78

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Item edifi|care in dicto hospitale e generalmente fare tute le co|se necessarie per commodo et utilità84 | purché dicti massaro e sindici d’acordo insieme | [c. 33 v] cum l’ordinario non spendano ultra le intrate85 | de anno in anno e se pur più expendes|seno che l’entrate de quello anno non li siano accepta|te salvo se tale expese cossì excedente non fusseno | facte cum expresso consentimento de tuta la compag|nia o de la maçor parte da quella, videlicet de le tre parte le | due, e che il conto de le dicte spese si deba scrivere | e notare ne lo dicto libro de l’ospitale deputato | a ciò de mane del dicto massaro per ordine a parte86 | il quale libro habia continuamente a stare | ne la sacristia del dicto hospitale et ultra questo | ch’el dicto massaro habia a descrivere tute le cose | mobile del dicto hospitale che servano e ritrovansi | esser apresso il guardiano del dicto hospitale. | Volemo87 anchora che l’ordinario sia obligato a | vigilantemente intendere che la substantia del dic|to hospitale strenuamente ordinata in honore de | Dio et exempio del proximo; e però al fine del suo | officio lui insieme con lo sotordinario e li sindici | habiano a vedere e calculare e saldare le rasone | del dicto masaro pecuniario e sottoscrivere almancho | per tre di loro al dicto saldo. E così si proceda per ordi|ne, di tre mesi in tre mesi. E se trovasseno alcuno | mancamento in lo dicto massaro, che non piacia a | Dio, referirlo a li fratelli e farli bona provisione secon|do che sarà di bisogno con consiglio del padre spi|rituale, tutavia cum conservatione de la carità del fra-|[c. 34 r]-tello, pensando che pò cadere como dice san Paulo: | Chi sta veda che non cada. E similmente habia cu|ra e grande che lo guardiano che atenda a li poveri | li attendi diligentamente e se le cose che sono a ser|vitio de poveri sono ben tractate e se li lecti hano li | loro fornimenti secundo che besogno. E quando trovasse ne|gligentia in attendere a li poveri o mancamento de | fornimenti faciavi fare bona provisione a ciò che non | habia a esser ripreso dal Signore nel dì del iudicio. Et | in questo non siano pigri ma solliciti, considerando | che è opera de misericordia a la quale hano inteso coloro che88 | hano lassato de la sua substantia al dicto hospi|tale e de la quale Idio rechiederà rasone89 a tuti li | fideli christiani se le harano usate e adoperate. E tanto | più debia havere cura quanto che si monstra che lo | primo fundamento de esso hospitale sia stato facto | a mettere in executione l’opere de la misericordia. Segue el dicto hospi|tale cassato. Segue del dic|to hospitale cassato. 86 (A) a parte ripetuto. 87 Lungo il margine sinistro manicula. 88 Lungo il margine destro manicula. 89 -a- corretta da mano successiva su o. 84 85

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Veça lo masaro | pecuniario non essere prodigo né avaro, ma strennuo e provi|do a tale di provisione perché gli è scripto: Qui bene minis|straverit bonum gradum sibi acquirit. Item ch’el sia li|cito al dicto massaro e sindici cum consiglio de l’or|dinario de la compagnia di eleçere uno il quale | vada ogni anno a vedere li beni immobili del dicto | hospitale cossì affictati et alocati como e quante volte | quanto a loro parerà e serà necessario a ciò non siano | usurpati e guasti et quello tale provederli di quella | elemosina che a loro parerà. La quale elemosina si | [c. 34 v] habia a mettere a spesa e debia essere acceptata nel con|to de le rasone de esso massaro. Sia obligato lo dic|to massaro pecuniario per ciascuno anno havere prove|duto a lo bisogno de poveri almeno d’uno pare | de linçoli e che non manchino e così, de tre anni in | tre anni a provedere d’una coperta da lecto siando ques|to iudicato che sia bisogno per l’ordinario e sotto | ordinario e sindici. E quando per negligentia expressa | e publica mancasse di non fare le predicte provi|sione e maxime del paro de lincioli ogni anno mancan|do como è dicto sia obligato a fare una discipli|na per dui miserere in publico lì ne la scola al fine | del so offitio. E quando havesse habuta evidente e le|giptima casone di passare l’anno che non le havesse | facto fare havendo facta legiptima excusatione | a l’ordinario et a tuti li fratelli, non sia obligato a | la dicta penitentia ma de farne fare due para l’an|no sequente colui che sucederà. Sia obligato ancho|ra90 a tenere una vacheta ne la quale si scriva91 tuti li | dinari de la elemosina che si fa da fratelli per cias|cuna domenica, li quali si spendano nella luminaria | de tuta la cera che farà bisogno a la scola. E mancan|do a la spesa de la dicta cera, provega di quello de | l’ospitale sença fare altre parole o strepito. Vole|mo anchora che de tute le cose de inportantia che | serano state tractate ne la compagnia per tuti li fra|telli e maxime deliberate fermamente per ballote [...]

90 91

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Lungo il margine sinistro manicula. -c- corretta su r.

VACHETTA PER LI GIUSTIZIATI

Descrizione del manoscritto Archivio Storico del Comune di Modena, Camera segreta, «Vachetta per li giustiziati». Pp. 1-153, cc. 26 non numm. Il numero 35 è erroneamente ripetuto due volte (qui segnalato con l’indicazione delle pp. 35 e 35bis), mentre tra p. 150 e 151 sono presenti 2 pp. bianche non numm.; le successive 26 cc. non numm. contengono rubriche alfabetiche dei condannati. Coperta in pergamena di riutilizzo, parzialmente lavata nei piatti esterni, con testo originario discretamente conservato all’interno. Si tratta di un frammento da codice liturgico del sec. XIII-XIV, con due colonne per pagina, capilettera e rubriche a inchiostro rosso o arancione, nel quale è identificabile l’intervento di due diverse mani. La coperta della «vachetta» misura aperta cm. 34,5 x 33 ca. (cm. 12 x 22 ca. il primo piatto, rinforzato con cartoncino). Sull’esterno del primo piatto nota originaria (sec. XVI-XVII): «n° 33. Vachetta per li giustiziati dall’anno 1593 sino» e, incollata, etichetta cartacea dattiloscritta: «Vachetta per li giustiziati, 15931826. Reg. e mem. diversi.», su cui a mano si aggiunge con inchiostro blu: «Lucchi. II.8.»; nella bandella di chiusura altra annotazione cinque-seicentesca: «di Gius[...]»; all’esterno del secondo piatto segnatura coeva: «A». Sul registro non è più presente il «lucchetto in bronzo recante un teschio con tibie incrociate e fregi nella parte superiore [e] nella parte inferiore, pure in rilievo, un monogramma», segnalato da Gino Lucchi in fase d’inventariazione (1963). Criteri adottati per la schedatura I dati riportati sono unicamente quelli desumibili dal registro in questione. Nella prima colonna è trascritto il nome del giustiziato secondo la dicitura repe-

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Matteo Al Kalak

ribile nella «vachetta», nella seconda e terza si trovano rispettivamente data e modalità di esecuzione, nella quarta il capo d’imputazione, seguito dalla vittima del delitto commesso. Le registrazioni hanno un andamento cronologico impreciso e talora riportano due volte gli stessi nominativi. Si sono adottati i seguenti simboli: * (**, ***) esecuzioni riportate cumulativamente nell’originale [...] difficoltà di lettura ? lettura dubbia cg. coniugi + condanna emessa dal Tribunale dell’Inquisizione ¶ condanna emessa dal Consiglio di Guerra Nella scelta delle denominazioni ci si è attenuti con alcuni adattamenti alle definizioni presenti nel registro. La denominazione «mutilato» è da intendersi come mutilazione della mano destra, quella di «furto» include la rapina, mentre la dicitura «delitti vari» è stata adottata nei casi in cui, nel testo, fossero indicati in termini generici i capi d’imputazione. Tra i giustiziati per omicidio sono compresi in vari casi assassini da strada, assimilabili a banditi o briganti. Il sistema di note si è ridotto al minimo e utilizzato discrezionalmente in casi dubbi o di particolare interesse.

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tanagliato, impiccato, squartato impiccato impiccato

impiccato

26 marzo 1624 10 gennaio 1632 10 gennaio 1632

26 dicembre 1602 6 novembre

Alfonso Frarino da Modona Antonio Fagiolo dalla Mirandola [p. 3] Antonio di Frachi da Farneta Bartolameo Vecchi da Castellnuovo* Giovanni Battista del Bò* Giovanni Ferrari da Vignola* Bartolameo de Vecchi Biasio Pelliciaro

Benedetto Casino da Montefiorino

impiccato

decapitato impiccato, squartato

6 settembre 1621 6 novembre 1621

Anibalo Sassolo da Modona Agostino Bregola da la Palata

furto, falsificazione (di moneta)

tentato omicidio

Pietro Paolo Magnanini

furto, danneggiamentoa furto furto furto

omicidio furto

omicidio cospirazione

servitore di Ippolito Bellincini Cesare Vignoli principe Alfonso (poi Alfonso III) Gentile Albini

tanagliato, impiccato, squartato

14 novembre 1620

omicidio

impiccato impiccato impiccato impiccato, tanagliato, squartato tanagliato, impiccato, squartato omicidio decapitato omicidio, delitti vari Giovanni? Intra impiccato, squartato omicidio

aprile 1593 aprile 1593 aprile 1597 1604 29 agosto 1615 1615 14 febbraio 1615 22 febbraio 1615 22 febbraio 1615 15 febbraio 1616 10 marzo 1618

[p. 1] Antonio Lovo dal Cavezzo* Pietro dell’Oste* Andrea Mazzocho Antonio Braugio dal Finale Antonio Verrino da Modona Anegillo de Angelili da Sassoli Allisandro Cocapano da Sassoli Antonio Maria Panzano dalle Catare Alessandro Legnago da Padoa Alissandro Fuscardi da Modona Capitano Alfonso Mazzi da Carpi [p. 2] Antonio Fornasari dalle Case del Bosco Regiano

VACHETTA PER LI GIUSTIZIATI

Documenti

211

212 omicidio

furto omicidio furto

uxoricidio, omicidio

impiccato impiccato strangolato decapitato decapitato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato

tanagliato, decapitato impiccato, decapitato impiccato, tanagliato, squartato

8 maggio 1627 28 luglio 1631

11 maggio 1620 9 agosto 1626 9 agosto 1626 28 luglio 1631 16 maggio 1601 7 maggio 1616 11 maggio 1620 10 gennaio 1632

7 settembre 1604 1606 1606 7 maggio 1613 24 gennaio 1615 3 luglio 1623

Francesco Salante Francesco Erri da Modona*

Oratio Varsani da Modona*

[p. 6] Francesco Bren Francesco Cinquantina da Padova Ottavio Porti da Modona

impiccato impiccato, squartato decapitato

impiccato, tanagliato, squartato

furto furto

impiccato

5 gennaio 1622

omicidio

omicidio

omicidio

furto

furto

impiccati omicidio impiccato, tanagliato, squartato omicidio

26 aprile 1609 21 dicembre 1615

Bartolameo et Flori fratelli Zanarelli da Fanano Battista Colevati da Ferrara Brandimonte Cecchi da Cremona (detto il Bologna) [p. 4] Benedetto Capomoro da Colle Battista Borghi da Villanova Camillo Ferrari Christoforo de Vecchi dal Finale Carlino Vecchi da Castellnuovo Camillo Maffioli da Modona Domenico Grasso dalle Carpenede* Paolo Cavallino da San Martino* Cesare Francesco hebreob [p. 5] Domenico Carletti Domenico Verzelli da Ferrara Domenico Malavaso dal Cavezzo Domenico di Santini Poltronieri Flaminio Bersello Francesco Bulzoni Francesco Paltrinieri alias Pivetta Fausto Lino

canonico Leonardo Scandiani

cavaliere Pagani da Reggio cavaliere Pagani da Reggio

vari cittadini modenesi

Matteo Al Kalak

impiccato, squartato impiccato, squartato impiccato impiccato, squartato impiccato impiccato decapitato tanagliato, impiccato, squartato

1615 1615 14 febbraio 1615 7 marzo 1615 7 dicembre 1626 21gennaio 1617 2 marzo 1620 9 novembre 1620 14 novembre 1620 6 novembre 1621

Girolamo Bregola da la Palata

impiccato, squartato

impiccato

8 febbraio 1614

impiccato

1 marzo 1608

cospirazione

omicidio

furto furtod

furto

furto

furto

impiccato

impiccato

rissac

omicidio

impiccato, squartato decapitato

furto

impiccato impiccato

18 settembre 1604

11 maggio 1601

26 giugno 1612

9 dicembre 1623 4 aprile 1605

Giovanni Maria Ronchaia da Guiia Giovanni Battista Giaccaroli (Giavaroli?) da Liugo Giovanno Briganti da Carpeneda Giovanni Battista Marongoli da la Stella Giovanni Battista Tamcredi Giovanni Pellicciari dalla Verdeda Giorgio di Rossi da Savena sul Piamonte Giovanni Battista Fanetti da Reggio [p. 8] Geminiano Malpio da Modona Giovani Capra da Casello Monferato

Francesco Versa da Castelnuovo Geminiano Zavariso da Modona Giovanni Francesco Fantordo dalla Concordia [p. 7] Gioanni Serroni di Baviera Giovanni Battista Poltronieri aias Piveta Giovanni Battista del Bò Giovanni Maria Reggiano Giorgio da Bretnora figliuolo di Paulo Dondi Giovanni Antonio Sandrotto da Bologna

servitore di Ippolito Bellincini principe Alfonso (poi Alfonso III)

duca (Cesare)

conte Paulo Brusantini

Documenti

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214 decapitato decapitato impiccato impiccato impiccato

23 novembre 1630 23 novembre 1630 2 dicembre 1630 2 dicembre 1630 28 luglio 1631 10 gennaio 1632 6 novembre 1621

Gioani di Dechristo?

Hippolito Cupelini da la Palata

7 ottobre 1606 22 novembre 1614 3 luglio 1623 23 novembre 1629

1597

impiccato

10 febbraio 1629

[p. 11] Iulio parmegiano Iosefo Murana di Sicilia Iulio Rugnino Himpolito de Manfredi Isabella Signorina da Modona Ippolito Vettore*

impiccato

impiccato decapitato impiccato, squartato impiccata tanagliatog

impiccato, squartato

decapitato

decapitato

7 maggio 1627 7 ottobre 1627 10 febbraio 1629

impiccato impiccato

28 febbraio 1623

Giovanni Mella da Ferrara*

impiccato impiccato

4 settembre 1624

5 febbraio 1622 28 febbraio 1623

Giovano di Antonii da Novalara Giovanni Perfetto da Lucca*

tanagliato, impiccato, squartato

[p. 9] Giovanni Vezzali da Modona Geminiano del già Giovanni Maria Albergati da Verona Giulio Cesare Barbieri piesentino Giuano Orlandi dalla Massa di Romagna Giovani Sanchi spagnolo [p. 10] Giovanni Battista Struchi* Giovanni Maria Bonzi* Pietro Antonio Furgiere da Sasolo** Gandolfo di Gandolfo da Bologna** Giacomo Moscha

22 gennaio 1622

Giovano Minghini da Casenalbro detto Paglialonga

furto

detenzione illegale di armi cospirazione

furto furto furto

principe Alfonso (poi Alfonso III)

cinque case di Castelnuovo Monti

Nicolò d’Este varie chiese Gian Francesco Levizzani contadino

tentato omicidiof furto furto omicidio

varie chiese

furto

don Ercole Manetti, un mezzadro furto, danneggiamentoe detenzione illegale di armi detenzione illegale di armi

omicidio

Matteo Al Kalak

decapitato impiccato, squartato

impiccato impiccato, tanagliato impiccato impiccato

7 agosto 1627 6 novembre 1621 3 luglio 1623 21 dicembre 1615 17 febbraio 1618 5 febbraio 1622 1 luglio 1623 20 settembre 1625 9 agosto 1626 8 novembre 1614

Ottavio Ponti? Paolo Colevati da Ferrara Pietro Zanetti da Ferrara Pietro Tarozzi da Nonantola

Pellegrino Piazza da Parma [p. 14] Pellegrino Barbero da Bollogna Paolo Cavallino Rigo Bedina da Monte Albano notaro di Modena

Sebastiano Spontoni da Bologna Santo Malavaso dal Cavezzo Simono Moschati piamontese [p. 15]

impiccato decapitato impiccato

10 gennaio 1632 7 maggio 1613 2 marzo 1620

cospirazione

omicidio

uso illegale di armii

furto

furto furto

14 febbraio 1615 impiccato, squartato 22 aprile 1617 impiccato 27 novembre 1627 impiccato, squartato

omicidio

falsificazione (di documenti)

omicidio

furtoj

omicidio

impiccato impiccato

22 gennaio 1628 28 luglio 1631

impiccato

decapitato

omicidio omicidio omicidio

omicidio

impiccati impiccato

10 agosto 1605 10 agosto 1605 17 febbraio 1609 20 ottobre 1618

omicidio

decapitato tanagliato, impiccato, squartato

tanagliatoh impiccato

23 novembre 1629 1604

Giorgio Buoni* Lorenzo Mantoani Lorenzo, Iulio fratelli de Re da Gualtiero* Federico Mantoani* Luca Campagnolo da Carpi Lodovico Martinelli da Ravarino [p. 12] Livio Betochio da Solara Ludovicho Baracione detto Perugino Ludovicho Borghi detto Santini Poltronieri Mario Marescotti Marco Magnano da Montecucollo Marco Antonio Reghizzi da Bologna [p. 13] Nicolò Martinelli da Ravarino

Ambrogio tintore

don Ercole Manetti, un mezzadro

principe Alfonso (poi Alfonso III)

Michele Barachi

varie case

Documenti

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216 impiccato, squartato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato, squartato tanagliato, impiccato impiccato impiccato decapitato impiccato impiccato

1 giugno 1634 3 ottobre 1636 3 ottobre 1636 3 ottobre 1636 10 gennaio 1604 10 gennaio 1604 6 marzo 1604 6 marzo 1604 18 dicembre 1608 9 ottobre 1610 29 dicembre 1610 29 dicembre 1610 8 gennaio 1637 8 gennaio 1637 23 febbraio 1637

12 dicembre 1637 12 dicembre 1637 6 febbraio 1638

[p. 18] Giovanni Battista Gaiardelli da Spezzano* Iacomo Luio da Ganazè* Gallazzo Capponi da Bologna

impiccato impiccato impiccato

impiccato impiccato impiccato

1604 13 marzo 1627 18 dicembre 1632 9 aprile 1633

impiccato

Tariso Poltroneri Vangelista della Felippa con suo fratello Vicenzo Porci fiorentino Silvestro Rexani da Nonantola Antonio Vechi dal Final di Modona Francesco Sassi detto della Pinna di Camposanto [p. 16] Cristofaro Malvolti da Montechio* Nicola Censori da Bologna* Fastino Ferari da Breselo* Gioseppe dalla Mirandola** Gioseppe da Vicenza** Pietro da Vicenza*** Costanzzo da Bologna*** Giovanni Francesco Pedroni dalla Concordia [p. 17] Giovani Pedracci contadino del modonese Silvestro Candiotto* Francesco da Livizzano* Innocente Verdi da Modona Alessandro Cirroni da Castel del Rio in Romagna Ambrosio Bertucci da Montefiorino

furto furto furto

furto detenzione illegale di armi

omicidio duca (Cesare) furtok duca (Cesare) furtol violazione del bando

omicidio

omicidio omicidio omicidio omicidio omicidio furto furto

omicidio

furto furto uxoricidio omicidio

omicidio

Matteo Al Kalak

Pietro Andrea Andebalti? corso* Antonio Mariani di Piperno romano* [p. 22] Bastiano Franceschi di Urbino* Giovanni Arfino da Ferara* Anonimo (soldato) Ludovico Vedalpi da Bressa* Claudio Giovani di Borgogna* Giovanni Socci da Ferara* [p. 23] Biasio Molinari soldato elemano Bartolomeo Cristoni da Spilinberto cioè da San Vito Giovanni Maria Bentivoglio da Monfestino Lodovico Marchesi da Castelvetro [p. 24]

Gaspare Ruggieri da Reno nelle montagne di Modena [p. 19] Giovanni Maria Oliari dalla Bastia* Francesco Riccò da Modona* Steffano Razzi da Cesena** Giacomo Rossi da Brescia** Constanzo Cechini da Santo Constanzo*** Sebastiano Loschi*** [p. 20] Gioseffo Bonvicino da Fioranno Giovanni Fontanesi da Reggio [p. 21] Ludovico Manzini da Montese Giovanni Ianni tedescho di Sansonia impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato tanagliato, mutilato, impiccato, squartato impiccato impiccato impiccato impiccato moschettato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato

5 febbraio 1639 5 febbraio 1639 7 giugno 1639 7 giugno 1639 17 agosto 1640 17 agosto 1640 4 maggio 1641 16 novembre 1641 11 febbraio 1642 8 marzo 1642

[...] 1642 [...] 1642 27 [...] 1642 3 gennaio 1643 3 gennaio 1643 3 gennaio 1643 11 aprile 1643 27 luglio 1643 26 novembre 1643 21 gennaio 1644

9 ottobre 1642 9 ottobre 1642

impiccato

24 aprile 1638

furto, delitti vari

tradimento

diserzione

diserzione diserzione insubordinazione furto furto furto

diserzione diserzione

omicidio omicidio

omicidio, furto furto

danneggiamentom danneggiamenton

furto furto tentato omicidio tentato omicidio

furto, omicidio

ghetto ebraico ghetto ebraico ghetto ebraico

conte Galeotto Montecuccoli

Cesare Forni Cesare Forni

bambino di dieci anni

Documenti

217

Giacomo Gobbi piacentino* Pietro Mauro francese* Bartolomeo Brugna soldato piamontese Pietro Simeno nato in Antichera nell’Andalucia [p. 25] Giorgio Cicci alemano soldato Andrea Binelli dello stato di Venetia [p. 26] Ercole Pagani Bartholomeo Marangoni ferarese Adriano Vuocchi Borgognone Angelo Leoni bresciano [p. 27] Giovanni di Giovanni Lubega di Piccardia* Carlo di Sante Benedetti da Montecchio della Marca* Simone da Treviso** Antonio da Marano** Pier Battista Giovanardi da Bologna [p. 28] Francesco dal Biancho Pellegrino d’Alberto Pedrazi Bartolomeo Lanzoni da Ferrara Nicolò Andriotti alias Bernardini da Monte Zibio [p. 29] Giovanni Francesco Manfredi dalla Mirandola Ercule figliolo di Lodovico di Marchi dalla Bastia

moschettato moschettato impiccato moschettato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato moschettato moschettato impiccato impiccato, squartato impiccato impiccato impiccato, squartato impiccato decapitato

3 marzo 1644 3 marzo 1644 18 luglio 1644

218 11 agosto 1644 20 maggio 1645 3 giugno 1645 13 gennaio 1646 22 agosto 1646 2 marzo 1647 15 maggio 1647 6 luglio 1647 6 luglio 1647 30 agosto 1647 30 agosto 1647 14 marzo 1648 29 maggio 1649 29 maggio 1649 23 luglio 1650 15 ottobre 1650 27 giugno 1651 22 luglio 1651

ufficiale militare

omicidio

omicidio

omicidio omicidio

furto

diserzione

diserzione

furto, omicidio, delitti vari furto falsificazione (di moneta)

omicidio omicidio

tentata diserzione

negligenza militare negligenza militare

Matteo Al Kalak

Giovanni Baschieri detto il Gobbo [p. 34] Mattheo Ferrari detto Liri da Castelnuovo Pelegrino Peleno da Livizano Luigi Bernardi lorenese Stefano Magnani dalla villa di Sveltro [p. 35] Giovanni Panzani dal Cavezzo Pellegrino Carignoni detto Salani da Levizzano [p. 35bis]

Domenico Gasparini dalla Rocchetta di Sestola [p. 30] Pietro Lamberti da Sorbara Gasparo Mazi da Pavia Franco Veronica dall’Aquila [p. 31] Giovanni Battista Ronchetti da Vicenza Domenico Mozarelli da San Cesario detto la Vecchia Francesco Vadrai da Villa Franca [p. 32] Giovanni Battista Picinini da Nonantola Christoforo Ugolini da Silanno di Garfagnana Lorenzo Zandi bolognese [p. 33] Giovanni Luiani (Liciani?) da Cento Carlo d’Ettore da Imola

12 marzo 1667

impiccato

impiccato, squartato

30 ottobre 1666

impiccato impiccato

10 aprile 1660 27 agosto 1661

impiccato, squartato

impiccato impiccato

20 dicembre 1659 20 dicembre 1659

17 aprile 1666

impiccato, decapitato

20 dicembre 1659

impiccato esposto in piazzap decapitato

impiccato, decapitato impiccato, squartato

6 aprile 1658 23 gennaio 1659

27 gennaio 1663 9 dicembre 1663 15 dicembre 1663

decapitato

29 novembre 1656

decapitato

impiccato impiccato impiccato

30 agosto 1653 22 giugno 1655 25 novembre 1656

18 novembre 1662

impiccato

13 luglio 1653

omicidio

furto, omicidio

furto

omicidio omicidio?q omicidio

furto detenzione illegale di armi omicidio

furto furto

omicidio

omicidio brigantaggioo

omicidio

omicidio

furto, omicidio

notaio di Nonantola

canonico Codebò

bargello di Nonantola

Fortuniano Ferracani duca? di Mirandola

Documenti

219

220

[p. 38] Benedetto Ascani detto il Sonatore* Gioseppe del fu Giacomo Malavasi* Pietro Meloni* Pellegrino Gibenini da Rompieniso [p. 39] Domenico Bachi da Limido* Geminiano Manzini da Soliera* Alfonso Rossi da Cortile* [p. 40] Felice Marsiarini? d’Arce di Scandiano [p. 41] Cesare Maccarii da Modona Salvatore Zucchi da Camposanto* Giacomo Valdastri* Lodovicco Contrarii*

Giovanni Maria Manni dalla Torre della Maina* Francesco Lusverti da Campogaliano* Pietro Spaggiari da Sala di Montechio [p. 36] Antonio e Giovanni Battista nobili dal Castellino delle Formighe Santo del già Cristoforo Cecchini da Dinazano [p. 37] Santo Cavazza del già Giovanni Maria

impiccato impiccato impiccato impiccato decapitato impiccato impiccato impiccato

24 gennaio 1673 18 novembre 1673 18 novembre 1673 18 novembre 1673 18 novembre 1673

impiccato

10 gennaio 1671

12 marzo 1672 12 marzo 1672 12 marzo 1672

impiccato

21 giugno 1670

impiccato impiccato impiccato

impiccati

9 marzo 1669

16 maggio 1671 16 maggio 1671 5 dicembre 1671

impiccato

5 novembre 1667

impiccato

impiccato

23 aprile 1667

16 maggio 1671

impiccato

23 aprile 1667

furto furto furto

furto furto omicidio

furto

detenzione illegale di armi

furto

omicidio

violazione del bando

omicidio

omicidio Francesco Zanetti

Andrea Franchini

Matteo Al Kalak

impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccata

18 luglio 1682 27 marzo 1683 27 marzo 1683 27 marzo 1683 23 agosto 1687 23 agosto 1687 19 aprile 1692 19 aprile 1692 19 aprile 1692

[p. 44] Giacomo Vecchi* Andrea Vezzali* Giovanni Morselli da San Martino*

Gioseppe Ferrone da Pui Tomaso Bergoli orefice [p. 45] Tomaso Bergolli modenese [p. 46] Giuseppe Gaibazzi parmegiano Giacomo Isoardi dalla città di Nimsa in Linguadocca Antonio Lombardi [p. 47] Cesare Seidenari da Limidi* Francesco Saltini da Gargalo*

impiccati impiccato mazzuolato, squartato impiccato

29 agosto 1676 10 aprile 1677 3 settembre 1678 8 giugno 1680

impiccato decapitato decapitato moschettato impiccato impiccato impiccato impiccato

13 marzo 1694 23 maggio 1699 23 maggio 1699 15 gennaio 1703 10 febbraio 1703 23 febbraio 1704 23 luglio 1704 23 luglio 1704

impiccato impiccato impiccato

impiccato

28 aprile 1674

Gregorio Galli bolognese Domenico Bettelli da Denzano [p. 42] Mateo e Giovanni Francesco fratelli Fornasari mantovani Felice Fieni da Camerino Giacomo Malla Volta da Nonantola Sebastiano Spiguzzi bolognese [p. 43] Giuseppo Fiora detto Batacchino Giovanni Bellardi* Girolamo Buzza?* Giacomo Bombarda* Giovanni Battista Ruina da Fiorano** Orsina Onofri modanese** Cancelleria ducale marito

Carlo Zanini

furto, omicidio furto, omicidio

furto

omicidio

bottega detta «d’Ovidio»

cattedrale furtor cattedrale furtos omicidio finalizzato Giovanni [...] al furto furto Banco dei Brizzi

furto omicidio (avvelenamento)

furto delitti vari delitti vari delitti vari

furto

omicidio omicidio

Documenti

221

222 impiccato impiccato impiccato, mutilato impiccato, mutilato impiccato

8 marzo 1706 20 aprile 1706 23 agosto 1706 23 agosto 1706 7 marzo 1716 7 marzo 1716

Lorenzo Adanni bolognese*

[p. 53] Lorenzo Bettelli alias Panizza [p. 55] Vincenzo Pelliciari + Giovanin Hajmo nato in Damstat* Steffano Finchlii nato in Oberstorff* Giovanni Maigret nato in d’Aste terra di Monbeillard* [p. 56] Giuseppe Lambertini da Medicina (Giovanni Menguzzi da Fusignano) [p. 57] Domenico Stevani da Brandola [p. 58] Michele Zini detto Piccolini da Casinalbi

impiccato

20 giugno 1705

impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato impiccato, decapitato impiccato

11 luglio 1722 30 luglio 1727 18 gennaio 1735 18 gennaio 1735 18 gennaio 1735 2 aprile 1740 26 giugno 1741 6 giugno 1750

impiccato

impiccato

10 gennaio 1705

[p. 48] Giovanni Battista Razzabonni mirandolese [p. 49] Ortensio Panzani detto Faione dal Cavezzo Antonio Claretti da Chiari sul Piemonte [p. 50] Nicolò Grandi lorenese ¶ Lamberto Beauveuil* Larivière* [p. 51] Angelo Valentini bolognese*

furto

omicidio

diserzione

eresia, bestemmia diserzione diserzione

omicidio

furto

furto

insubordinazione insubordinazione

diserzione

furto, omicidio

presunto spionaggio

sig. Tesi (ufficiale)

Bernardino Abbati, Antonio Gessani Bernardino Abbati, Antonio Gessani

ufficiale militare ufficiale militare

Matteo Al Kalak

impiccato, decapitato, squartato uxoricidio impiccata omicidio

decapitato decapitata omicidio (mandante) Angelo Righini tanagliato, mazzuolato, scannato omicidio (esecutore) Angelo Righini impiccato impiccato, decapitato impiccato impiccato impiccato decapitato impiccato, squartato

4 gennaio 1755 4 gennaio 1755 23 luglio 1756 16 luglio 1757 16 luglio 1757 26 aprile 1760 4 ottobre 1760 8 novembre 1760 8 novembre 1760 7 febbraio 1761 10 ottobre 1761 23 giugno 1764 4 aprile 1767

[p. 68] Bartolomeo Campioli

impiccato

impiccato, decapitato impiccato, decapitato

Giuseppe Marconi

Maria Mattioli

Sebastiano Pocher?

Margherita Bordini Margherita Bordini

Bartolomeo Messerotti Bartolomeo Messerotti

furto, tentato omicidio Lorenzo Gibertoni

sedizione e rivolta carceraria

omicidio

furto

furto furto

omicidio

omicidio

omicidio omicidio

Domenica Colombini

12 gennaio 1754 12 gennaio 1754

furto, omicidio

impiccato, decapitato

Abramo Rovighi ebreo

27 maggio 1752

omicidio, furto

impiccato

22 agosto 1750

Bartolomeo figlio del fu Geminiano Monici da Fiorano [p. 59] Giovanni figlio del fu Francesco Gilioli di Maranello [p. 60] Pellegrino Serra di Mocogno* Gian Battista Faetti di Sassostorno* [p. 61] Giuseppe figlio di Steffano Mallè* Madalena figlia di Orazio Otti* [p. 62] Carlo Fagan irlandese ¶ Catterina Ortelli vedova Muzzarelli* Francesco Vaccari di Nonantola* [p. 63] Gian Giacomo Fontana detto Pizza di Toggiano [p. 64] Allessio Minghinelli di Frassinoro [p. 65] Antonio Sedacciari* Antonio Garuti* Francesco Bavuti alias Campana di Ravarino [p. 66] Giovanni Zenaroli detto Canella della villa delle Roncole [p. 67] Giovanni Malagodi detto lo Spagnoletto dal Cavezzo

Documenti

223

224 6 febbraio 1796

Nicolò Feltri del Cavezzo*

[p. 79] Marco Palladini bolognese* Faustino Peli alias Pizzaguerra di Lunato bresciano*

6 febbraio 1796

[p. 78] Luigi Fregni di Camurana*

decapitato decapitato

23 settembre 1797 23 settembre 1797

decapitato

impiccato

impiccato

impiccato

27 luglio 1782

24 aprile 1773

[p. 75] Bartolomeo Trombari parmiggiano

impiccato

impiccato

31 marzo 1770

[p. 74] Pietro Signorini alias Pierone il Veneziano (Bernardo Dorici)

omicidio finalizzato Francesco Olmi, al furto Gioconda Ugoletti cg.

furto

furto

tentato furto

tentato furto

tentato omicidio, omicidio

furto

furto

furto, omicidio, tentato omicidio

Giuseppe Tosatti, Angelo Pulga? Giuseppe Tosatti, Angelo Pulga?

Antonio Delucca, Chiara Perini cg.

Ercole Andreotti, Marco Montanaro, Giuseppe Bocchi

tanagliato, mutilato, mazzuolato, omicidio finalizzato Carlo Pellacani e scannato, squartato al furto Anna cg., Antonio Speltarini Zavaglia e Caterina cg., don Sante Zanichelli, Lucia Lucchi

9 settembre 1775

22 dicembre 1768

[p. 70] Domenico Antonio Pogioli della Torre della Maina

mazzuolati, scannati, decapitati

[p. 76] Giuseppe Morsciani scandianese [p. 77] Carlo Bersani di Ravenna

6 giugno 1767

[p. 69] Fratelli Giuseppe e Giustiniano Croci della villa della Croce

Matteo Al Kalak

decapitato

30 marzo 1811 27 giugno 1811 27 giugno 1811

[p. 86] Giacomo Severi di Cassano*

Domenico Piumi di Pompeano*

decapitato

decapitato

decapitato

decapitato

25 novembre 1807

26 settembre 1801

Natale Gianeli di Quarantoli*

decapitato

decapitato

26 settembre 1801

Francesco Golinelli del Tramuschio*

decapitato

26 settembre 1807

26 settembre 1801

[p. 81] Geminiano Luppi detto il Zoppo del Gavello*

decapitato

decapitato

18 giugno 1801

Giuseppe Antonio Terni di Sillicano*

decapitato decapitato

3 settembre 1806

18 giugno 1801 18 giugno 1801

Andrea Masserini di Reggio* Francesco Lugli di San Felice*

decapitato

[p. 83] Paolo Bedini di Gombola Antonio Pasqualini di Casello in Piemonte (Pietro Marchisio) [p. 84] Pietro del fu Giovanni Artioli di Sassuolo [p. 85] Giovan Battista Compagni di Morano detto Lavirana

18 giugno 1801

[p. 80] Luigi Sala di Sorbara*

Antonio Colombi

sig. Gherardini (guardia)

Francesco Ansaloni e moglie, Giacomo e Giovanni Greco Giacomo e Giovanni Greco Giacomo e Giovanni Greco

Battista Dini

Antonio Tomasi, sig. Rebecchi Gregorio Barozzi parroco di Mortizzuolo sig. Rebecchi, sig. Scardui?

brigantaggio, omicidio brigantaggio

Domenico Lonardi, Benedetto Manfredini

omicidio, uxoricidio Vincenzo Monari, Antonia Bellegati

omicidio

omicidio

omicidio

furto, abigeato

furto

furto

omicidio, detenzione ill. di armi

furto, detenzione ill. di armi aggressione, furto furto, abigeato, detenzione ill. di armi

Documenti

225

226

decapitato decapitato fucilato fucilato fucilato fucilato fucilato fucilato fucilato impiccata impiccato

27 giugno 1811 28 gennaio 1812 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 7 gennaio 1814 27 novembre 1826 27 novembre 1826

omicidio

omicidio

diserzione diserzione diserzione diserzione diserzione diserzione diserzione

omicidio

brigantaggio

Francesco Pagliani

Francesco Pagliani

Francesco Sacchi

b

«Rotura di molte boteghe». «Hebreo fatto christiano» accusato di rubare «alle case che veneno sporgate». c Con un soldato svizzero suo compagno al servizio del duca. d Di «piati di argiento a Sa Aa Sma». e Ha «rotto una botega». f Fu giustiziato «per haver sparato un’archibuggiata contro la persona dell’Illmo et Eccmo sigre Nicolò d’Este non lo conoscendo». g «Per essere stato a la strada alli becchari». h Idem. i Fu giustiziato «per avere trato una arcebusada con la pistola il giorno della giobia grassa». j «Per haver particolarmente robato farina». k Di «piatti di argento al sigre duca». l Idem. m Ha «rotto boteghe». n Idem. o Ha «assaltato alla strada e levato tuto il suo al forciere del sigr duca? della Mirandola». p «Fu posto in piazza nell luogo dove si piantano le forchi Pelegrino Peleno da Livizano morto prigione». q Condannato «per varii misfatti». Si tratta probabilmente di omicidi essendo indicato come «compagno delli Gobi» definiti, nella registrazione precedente, «assassini palesi». r «Dell’anello del SSmo Crocefisso del Duomo». s Idem.

a

Giuseppe Albinelli di Prignano* [p. 87] Giuseppe Muzzarelli di San Vito [p. 88] De Tomaso Francesco* De Cicco Francesco* De Carlo Giovanni* Cinna Francesco* Tagliente Francesco* Ciurli Francesco* Buscito Francesco* [p. 89] Maria Zanni vedova del fu Francesco Pagliani di Modena* Giovanni Battista Savigni di Montorsello*

Matteo Al Kalak

INDICE DEI NOMI *

Adamo (progenitore), 26 Agatea Mario, 139, 139n, 140 Agnese santa, 20n Agostino santo, 28, 41 Al Kalak M., 85n, 86n, 92n, 97n, 98n, 102n, 113n, 136n, 152n, 154n Aland B., 14n Aland K., 14n Albergato, 54n Alberigo G., 33n Aldobrandino d’Este, 87n Alfonso III d’Este, 125, 131-132 Alfonso IV d’Este, 69, 80, 143 Ambrogio santo, 26, 26n, 29, 29n Ambrosino Lodovico, 113, 113n Andrea da Modena, 143n Angelo Maria da Modena, 154, 156, 159 Angelozzi G., 15n Ariès P., 11n Asso C., 82n Balletti A., 53, 53n Balugani Antonio, 138, 142

Baracchi Giovanardi O., 116n, 117n Barbieri Giovanni Maria, 109n, 117 Barbieri Giulio Cesare, 49n Bardoni Andrea, 70 Barezzani M.T., 88n, 89n Bartoli Daniello, 63, 63n Basilio (abate), 117n Battista da Prignano, 19n Beco Geminiano, 111 Bedina Rigo, 50 Bedini Paolo, 52 Begarelli Antonio, 117n Begarelli Lodovico, 116, 116n, 117n, 121 Beliardi Lionello, 109n, 111n Bellarmino Roberto, 51n Bellincini Francesco, 115n Beltrami A., 117n, 118n Benati D., 20n, 95n Bendinelli Agostino, 143 Benedetto santo, 20n, 31 Benedetto XIII (Pier Francesco Orsini) papa, 78 Bentini J., 20n

* Il presente indice si riferisce al solo testo. La grafia dei nomi è generalmente italianizzata. Tra parentesi tonda si pongono le lezioni originali che si è ritenuto utile segnalare. Si è altresì deciso di indicare le occorrenze di istituti confraternali indicando tra parentesi l’ubicazione del sodalizio, quando non modenese. Non è inclusa nell’indicizzazione la confraternita oggetto di questa indagine.

227

Indice dei nomi

Benvenuti Caterina, 72 Bernardo di Chiaravalle santo, 29, 29n, 42, 42n Bertolani Carlo, 155 Bertoni G., 45n Bertucci Antonio, 52 Bertuzzi G., 12n, 87n Bezzi Tomaso, 144 Bianco C., 33n Bianconi L., 137n Biccecho Giulio, 118n Bini M., 121n, 136n Biondi A., 44, 45n, 53n, 67n, 74n, 100n, 101n, 109n, 111n, 162n Black C.F., 24, 26n, 30n, 33n Boccacci Giovanni, 19n Bonfantini M., 67n Bonilauri F., 53n Bononcini Giovanni Maria, 138-140, 140n, 141, 141n, 143 Bononcini Giovanni, 137 Bordini Margherita, 21n Borelli Vincenzo, 78 Borghi Girolamo, 70 Borromeo Carlo, 115n Bossy J., 14n Bottrigari Ercole, 118n Boulanger Jacques, 142n Bovini Giuseppe, 144 Bratti Domenico, 146, 146n Bravusi Paolo, 101, 129, 129n Bridgman N., 86n Brizzi G.P., 160n, 162n Buonpani Giambattista, 21n Busi A., 45n Bussi R., 46n, 50n, 52n, 53n, 67n, 100n, 101n, 109n, 125n, 129n, 130n Calabi D., 53n Calore M., 97n, 109n, 113n, 148n Canosa R., 74n, 77, 78n Capilupi Geminiano (Lovetto), 101, 101n, 129 Carlo V imperatore, 112

228

Carlo VI imperatore, 140n Carnevali Domenico, 117, 117n Casagrande C., 26, 26n, 43n Casali Lodovico, 116n, 118n, 160, 160n Casino Benedetto, 46 Cassiani Paolo, 144-145 Castelnuovo Tedesco Mario, 111n Caula Sigismondo, 142, 142n Cavalca Domenico, 26n Cavana Odoardo, 161 Caviaro (boia), 82 Cavicchi A., 123n Ceccardi Giovanni Maria, 130 Cesare d’Este, 69, 69n, 80, 128 Cesare Ignazio d’Este, 146n Cesi Cesare, 112, 112n, 113 Chailley J., 88n Chiapponi Giuseppe, 21n Chiarelli A., 100n, 102n, 122n, 136n, 143n Chiffoleau J., 36n, 57n Chittolini G., 19n Cicci Giorgio, 48 Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini) papa, 76n Clemente X (Emilio Altieri) papa, 34n, 60n Colevati Battista, 46, 46n Colevati Giulio Cesare, 46n Colevati Paolo, 46n Colombi Giuseppe, 141, 143 Colonna Giovanni Paolo, 137, 139 Comi Girolamo, 116n Confraternite: Arciconfraternita degli Agonizzanti (Roma), 60n, 62, 152 Arciconfraternita di San Giovanni Decollato (Firenze), 152 Confraternita del Gesù, 12n Confraternita della Santissima Annunziata, 12n, 85n, 92n, 97n, 107, 145, 145n Confraternita di San Bernardino, 12n Confraternita di San Geminiano, 12n, 13n, 100, 100n, 129 Confraternita di San Giovanni Battista (Ferrara), 121-122

Indice dei nomi

Confraternita di San Giuseppe, 56 Confraternita di San Pietro Martire, 12n, 13n, 26n, 60n, 98, 98n, 113, 152 Confraternita di San Sebastiano (Ferrara), 108 Confraternita di Sant’Erasmo, 12n, 26n, 40n, 60, 60n, 62 Confraternita di Santa Maria dei Battuti, 12n, 13n Confraternita di Santa Maria della Morte (Bologna), 24n Società del Santo Sepolcro in Santa Margherita, 34n Coppini Mario, 155 Corradi Giulio Cesare, 142 Cortese Tiburzio, 149 Cottini Antonio, 142 Crawford D.E., 99n Cremonini Lucia, 72 Crowther V., 137n, 143n Da Mercatello Giovanni, 130 Dallari C., 143n Dalle Carra Domenico, 129 De Bianchi detto de’ Lancellotti Jacopino, 108n De Bianchi detto de’ Lancellotti Tomasino, 13n, 14n, 108n, 109, 115, 115n De Florentis G., 88n De Galerijs Giovanni, 98n De Martino E., 48n De Romanis R., 49n, 57n, 59n De Sasso (de Saso) Francesco, 98-99 Degli Antoni Pietro, 138 Del Monte Lodovico, 76 Dell’Abate Nicolò, 112 Della Cella Bartolomeo, 98 Della Cella Domenico, 98 Della Rosa Luigi, 89n Delumeau J., 11n, 13n Di Berardi Livia, 118n Di Pietro P., 87n Dorici Bernardo, 49, 49n Durkheim E., 48, 48n

Eckhart Meister, 8 Elsheikh M.S., 98n Erasmo da Rotterdam, 82, 82n Ercole I d’Este, 80n, 108-109 Ercole II d’Este, 112 Ercole III d’Este, 69, 80 Erculeo Marzio, 127, 132, 138, 143, 143n Erode re, 23 Erri Agnolo, 20n Erri Bartolomeo, 20n Erri famiglia, 20n, 95n Erri Francesco, 49 Fabriani (canonico), 161 Facchetti Giovanni Battista, 99n, 112n Fanti M., 12n, 24, 24n, 31n Farina Francesco, 123 Farnese Alessandro, 121 Farnese famiglia, 130 Ferracani Fortuniano, 51 Ferrari Pietro, 21n Ferrari S., 74n, 78n Ferretti M., 57n Fiorini Giovanni Antonio, 139 Firpo M., 28n Fogliani Iacomo, 98, 102-103 Fontana Alberto, 112 Fontana Ercole, 50 Fontana famiglia, 139 Fontanelli Giovanni, 87n Fontanelli Giuliano, 87n Forni Mesino, 101n Forni Paolo Francesco, 125 Forni Teofilo, 125 Foschieri Innocenzo, 118 Foucault M., 56, 56n Francesco I d’Este, 53n, 136, 143 Francesco II d’Este, 80, 137, 142, 144, 146n Francesco III d’Este, 69, 80, 151 Francesco IV d’Este, 79 Francesco V d’Este, 66n Francesco santo, 20n Franchini Giuseppe, 151n, 159, 160

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Indice dei nomi

Frescobaldi Girolamo, 123n Fubini E., 94n Fux Johann Joseph, 140, 140n Gabrielli Domenico, 138, 142, 144 Gadaldino Francesco, 20n Gagliardelli Giambattista, 52 Gallico C., 91n Garuti A., 117n Gasparini Bartolomeo, 69 Gazzini M., 11n Geminiano santo, 15, 20n, 24, 24n, 31 Gerson Jean, 28n Gherardo delle Catene, 112 Ghisani Giacomo, 154 Giacobbe (patriarca), 163 Giacomo santo, 35, 35n Gianturco C., 137n, 144n, 146n Giovanni Battista santo, 15, 20n, 23, 23n, 30n, 31, 43, 88, 90, 116, 117n, 124, 139, 164 Giovannini C., 46n, 50n, 52n, 53n, 67n, 99n, 100n, 101n, 112n, 125n, 129n, 130n, 151n Giovitta Francesco, 74 Girolamo santo, 28, 28n, 41 Gobbi Giacomo, 44n Golinelli P., 78n Grana D., 87n Grassetti Tommaso, 133 Gregorio Magno santo, 23n, 30n Grossi Francesco (Siface), 138 Gualengui (Gualengo) Antonio, 120n, 121, 121n Guandalini G., 45n, 112n, 124n Guicciardi Alessandro, 21n Guido d’Arezzo, 88, 88n, 89 Guidotta Dorotea, 120 Huizinga J., 16n Iacomo da Vignola, 99 Ignazio di Loyola santo, 28n Ignazio Ponziani, 21n

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Indulti G., 122n Innocenti Antonio, 55 Isabella di Savoia, 131 Isoardi Giacomo, 51 Jacopo da Varazze, 23n Joannou P.P., 33n Juana de la Cruz, 8 Laderchi Giovanni Battista, 69, 69n Lambertini Giuseppe, v. Menguzzi Giovanni Lazzarelli (Lazarelli) Mauro Alessandro, 19n, 34n, 116n, 117n Leclercq J., 42n Legrenzi Giovanni, 142 Leonardi C., 33n Leonello d’Este, 80, 80n Leopoldo I imperatore, 140, 140n Leporati Alberto, 21n Levizzani Ippolito, 124 Liguori Alfonso Maria de, 163 Longagnani L., 112n, 130n Lorenzo da Milano monaco benedettino, 19n Loretelli R., 49n, 57, 57n, 59n Lotti Giuseppe Antonio, 21n Lotti Nicolò, 21n Lucchi Antonio, 56, 58n, 155 Lucchi G., 44n Lucchi Lucia, 56, 58n, 155 Lucchi M., 85n, 92n, 97n, 98n, 100n, 102n, 107n, 113n, 118n, 122n, 136n, 137n, 138n, 140n, 142n, 143n, 146n, 148n Luio Giacomo, 52 Lulio Domenico, 74 Luppi M., 143n Lutero Martino, 11 Luzaschi Luzasco, 121 Luzzati M., 53n Machiavelli Niccolò, 67n Magni Alessandro, 122n Malamini Baldassarre, 130 Mallè Giuseppe, 21n, 22n

Indice dei nomi

Mallè Stefano, 22n Malmusi Giuseppe, 21n Manara Giacinto, 45n, 46n, 56n, 64, 64n Manetti Ercole, 50, 50n Manfredi Alessandro, 140n Manfredino da Sassuolo, 13, 13n Mansio Marcello, 81 Manzini Ercole, 21n Marchesi Faustino, 144 Marchesi Lodovico, 44n Marcheto, 111 Marescotti Mario, 131 Mariotti Antonio, 134 Martinelli Braglia G., 45n, 112n, 124n, 130n, 144n Martinelli Lodovico, 49 Martines L., 36n, 57n Martini Giovanni Battista, 143, 148 Martinozzi Laura, 69, 80 Marverti Lodovico, 21n Marzadrini Carlo, 21n Masdoni Maurizio, 142 Maugeri V., 53n Mauro Pietro, 44n Mazzei Traina M., 108n Mazzi Aloise, 123n Mazzi M.S., 146n Mazzo Giovanni, 120 Mediani Giuseppe, 161 Mella Giovanni, 54, 54n Menguzzi Giovanni, 49 Menia Giovanni Maria, 117 Menotti Ciro, 78-79 Miccoli G., 19n, 27, 27n Michele santo, 15, 20n, 30-31 Migne J.P., 28n Milano A., 53n Minghini Giovanni (detto Paglialonga), 50, 50n Mogioli Giuseppe, 77 Molza Andrea, 124 Molza Ettore, 124n, 149 Molza famiglia, 55-56, 58 Molza Giovanni Andrea, 121

Molza Nicolò, 123 Montagnani R., 109n Montecchi G., 144n Monti G.M., 13n Monti Pandolfo, 100n Morone Giovanni, 115 Morselli Adriano, 144 Mucci P., 87n Muzzarelli Domenico, 51 Muzzioli G., 78n Neri Giuseppe, 48 Nestle E., 14n Niccoli O., 28n, 36n Nicolò II d’Este, 13, 13n Nicolò santo, 45n Novarini Luigi, 11 Ochino Bernardino, 33 Oppi M., 109n, 111n Ori A.M., 117n Origoni Marc’Antonio, 142 Orlandi G., 78n Orlandi Pietro, 56, 59, 155 Orlandini Girolamo, 134 Orsola santa, 20n Ortolani P., 143n Ossa Sebastiano, 145, 145n, 146 Otti Maddalena, 21n, 22n, 63n Otti Orazio, 22n Pacchioni Antonio Maria, 138-139, 143, 143n, 144, 148 Padovani A., 45n Paglia V., 11n Paini Giuseppe, 143n Paladini Marco, 161 Panforti Maria Donata, 100n Panico G., 49n Panini Francesco, 109n Panzani Ortensio, 49 Paolo Diacono, 88 Paolo IV (Gian Pietro Carafa) papa, 76n Paolo santo, 29, 165

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Indice dei nomi

Paravicini Bagliani A., 36n, 57n Parmesani Vincenzo, 101n Passini Giuseppe, 70 Pedrino dei Giangiacomi (Pedrino del Cornetto), 131, 131n Peli Faustino (Pisaguerra bresciano), 161 Pellacani Anna, 56 Pellacani Carlo, 56 Pellicciari Paolo, 77 Pellicciari Vincenzo, 74, 76, 76n, 77 Pelumi Baldassarre (Pella Baldasera), 99100 Perfetto Giovanni, 54, 54n Pergola Bartolomeo della, 33 Peverada E., 108n, 123n Peyronel Rambaldi S., 12n, 24n, 32, 32n, 37n, 38n Piero di Cosimo, 111, 111n Pietro Martire santo, 20n Pietro santo, 30, 30n Pioppi Lucia, 109n, 113n, 115n, 116n, 117, 117n, 118, 118n, 120n Pisani Bernardo, 142 Poggioli Domenico Antonio, 46, 55-57, 57n, 58, 58n, 77, 155, 157 Poltronieri Giambattista, 53n Poltronieri Jacopo, 53n Pongiluppi L., 99n, 102n, 103n, 106n Ponsillo C., 111n Porta Ferrari Carlo, 143n Pozzoli Antonio, 76 Privitera M., 100n, 136n Prodi P., 33n Prosperi A., 11n, 13n, 14n, 17, 17n, 23n, 24n, 30n, 31n, 46n, 48n, 53n, 57n, 58n, 59n, 63n, 67n, 72n, 73, 73n, 79n, 82n Rangoni Bonifazio, 160n Rangoni Filippo, 72 Rangoni Gherardo, 13, 13n Rangoni Michelangelo, 130 Raselli O., 13n Renata di Francia, 112

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Reni Francesco, 131 Renucci P., 26n Ricci Giuseppe, 78 Ricci Paolo, 161 Richetti Fabio, 101n, 117, 120-121, 123124, 130 Richetti Leonardo, 121 Rinaldo I d’Este, 69, 80, 144 Romagnolo Giovannino, 69n Romano R., 26n, 27n Romeo G., 51, 51n, 64, 73, 73n, 79, 79n Roncaglia G., 97n, 98n, 99n, 101n, 113n, 115n, 117n, 129n, 136n, 139n, 140n, 141n, 143n, 146n, 148n Rovatti Antonio, 160n, 162n Rubini Nicolò, 131, 131n, 132 Rusconi R., 19n, 24n, 29n, 31n, 41n Sabbatini Giuliano, 12, 17, 19n, 20, 20n, 21, 61n, 63n, 66n, 155, 157, 164 Sabbatini Ignazio, 21n Salante Francesco, 49 Salardi V., 26n Salicola Margherita, 142 Sandonnini T., 13n Santagada Tomaso, 117 Santolo, 23n Sarti Cottini Francesca, 142 Sassi Luigi, 21n Sbriccoli M., 79n Scala Costanzo (Scali), 101 Scalabrino Pietro, 113n Scaruffa Girolamo, 139 Schiavone P., 28n Schicchi Gianni, 50 Scodobi G.B., 117n Seghizzi Giovanni Marco, 99n, 99n Seghizzi Marco, 99 Seghizzi Pietro Maria, 99n Sertori Sertorio, 120-121, 123-124, 130 Setti Geminiano, 74 Sforza Luigi, 155 Sforzini Ercole (Biancolini), 100, 100n Signorina Isabella, 52

Indice dei nomi

Signorini Pietro (detto Pierone il Veneziano), v. Dorici Bernardo Soli G., 12n, 19n, 34n, 38n, 44n, 45n, 60n, 67n, 71n, 87n, 95n, 159n Soliani Bartolomeo, 144, 152 Spaccini famiglia, 120-121 Spaccini Giberto, 100, 116, 124-125 Spaccini Giovanni Battista, 46n, 50n, 52n, 53, 53n, 67, 67n, 69n, 82, 100, 100n, 101, 101n, 109n, 116, 123, 123n, 125, 125n, 129n, 130, 130n, 131, 133 Spaggiari A., 144n Speltarini Zavaglia Antonio, 56 Speltarini Zavaglia Caterina, 56 Stefani G., 90n, 98n, 107n, 118n, 126n, 133n, 137n, 140n, 141n, 154n Steffanini Giovanni Battista, 100, 101n Stradella Alessandro, 146n Taddei F., 100n, 102n, 122n, 136n Taraschi Giovanni, 112 Tardini Vincenzo, 142n, 144n Tenenti A., 11n Teofilo monaco benedettino, 19n Teresa d’Avila santa, 163 Testi famiglia, 55 Testore C., 51n Thomas L.V., 11n Tobia (personaggio biblico), 165 Todesco Andrea, 109n, 111n, 112n, 126, 126n Tollari P., 112n, 130n, 151n Tonani Carlo, 161 Torricelli E., 97n Traeri Agostino, 151 Traeri Domenico, 130n, 151 Tranfaglia N., 28n Trenti G., 73n, 144n Trevisi Pellegrino, 139n Trota E., 87n

Uccellini Marco, 136, 146n Ungaretti G., 7 Valdrighi L.F., 57n, 71n Valenti F., 146n Valentini Valentino, 101n Valeri Maurelio, 123n Vallara Francesco Maria, 89, 89n, 90n, 143n Vasari Giorgio, 111, 111n Vecchi G., 143n, 148n Vecchi Giovanni, 100, 120 Vecchi Orazio, 100, 100n, 101-102, 117, 120, 120n, 121-122, 122n, 123, 129, 131n, 136 Vecchio S., 26, 26n, 43n Vedriani Lodovico, 13, 13n Veneziano Bernardino (Caromani), 124 Venturi A., 44n Venturi Barbolini A.R., 121n Vincenzi Giacomo, 21n Vischi L., 13n Visconti Bernabò, 13 Vitale Brovarone A., 23n Vitale Brovarone L., 23n Vitali Giovanni Battista, 137 Vitelli Vitellozzo, 115n Vivanti C., 26n, 27n Vovelle M., 11n, 16n, Weber E., 115n Weissman R.F.E., 35n, 36n Woolf S.J., 79n Zampaloca Giovan Francesco, 125n Zanasi Bartolomeo, 50, 50n Zanetti Pietro (detto Pirino), 52, 52n Zanichelli Sante, 56 Zannelli Geminiano, 21n Zarri G., 118n Zerbini Antonio, 155, 159 Zorzi A., 57n

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Finito di stampare nel mese di marzo 2009 da IRIPRINT Coordinamento tecnico CENTRO STAMPA di Meucci Roberto CITTÀ DI CASTELLO (PG)