Nuovi lineamenti di grammatica storica dell'italiano 9788815119469

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Nuovi lineamenti di grammatica storica dell'italiano
 9788815119469

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Questa serie, dedicata alla Lingua italiana, è curata da Francesco Bruni e comprende i seguenti volumi: G IU SEPP E PATOTA ►

Marcello Aprile

Dalle parole ai dizionari ►

Francesco Bruni

L'italiano letterario nella storia ►

Paolo D'Achille

L'italiano contemporaneo ►

Mari D'Agostino

Sociolinguistica dell'Italia contemporanea ►

Carla Marcato

Nuovi lineamenti di grammatica storica dell'italiano

Dialetto, dialetti e italiano ►

G iuseppe Patota

Nuovi ineamenti di grammatica storica dell'ita­ liano ►

con esercizi a cura di

GIANLUCA LAUTA

Luca Serianni

Italiani scritti

in preparazione

P Rosa Casapullo La linguistica del testo

il M u lin o

indice

----------------------------

9

Presentazione

------------—---------- ----- ; ;

π

----------------------------------------

13

Avvertenze e indicazioni di lettura

I.

L'italiano deriva dal latino? 1. Il fattore tem po, o variabile diacronica La

nuova epigrafe del Garigliano

14

2.

Il fattore spazio, o variabile diatopica

^

3. Il fattore stile, o variabile diafasica 4 . Il fattore socioculturale, o variabile diastratica 5. La modalità di trasmissione, o variabile diamesica 6. ■ 7. 8. 9. 10.

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme del­ le attività della Società editrice il Mulino possono consultare li sito Internet:

www.mulino.it

- 5-11946-9 Copyright © 2002 by Società editrice il Mulino, Bologna. Nuova edizione 2007. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memo­ rizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, mecca­ nico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulmo.it/edizioni/fotocopie

14



Le fonti del latino parlato L’«Appendix Probi» Il metodo ricostruttivo e comparativo Latino classico e latino volgare Dal latino volgare all’italiano Parole popolari e parole dotte

21 21 22

22 24 25 2® 27

Esercizi II.

Foni e fonemi dell'italiano

33

1.

I fonem i dell’italiano

33

2.

L’alfabeto fonetico

34

6

In d ic e __ 7

Indice

3 . Fonemi sordi e fonemi sonori

4. 5. 6. 7. 8. 9.

Fonemi orali e fonemi nasali Vocali Dittonghi Trittonghi Iato Consonanti

35

36 3g 38 38 38 39

11.

148

Aggettivi e pronom i dimostrativi

12. Pronomi relativi 13. Aggettivi e pronomi indefiniti

151 152 154

17®

10. Come si scrivono le consonanti nella grafia corrente

42

1 1 . Consonanti scempie e doppie

42

Esercizi

43

Esercizi

Dal latino all'italiano: i mutamenti fonetici

47

Dal latino all'italiano: alcuni mutamenti sintattici

^®8

173

1. Vocali latine e vocali italiane

47

1. L’ordine delle parole nella frase. Dalla sequenza «SOV» alla sequenza «SVO»

2 . L’accento

33

2.

L’espressione e la posizione del pronom e soggetto

1*1234567 5

55

3.

L’enclisi del p ron om e atono

176

57

4. La legge Tobler-Mussafia

177

68

5.

178

3.

Fenomeni del vocalismo

■ La regola cosiddetta del «dittongo mobile» ■ Chiusura di e in protonia sintattica ■ I fenomeni del vocalismo nella lingua di una novella del «Decameron» di G. Boccaccio 4. Fenomeni del consonantismo ■ I fenomeni del consonantismo nella lingua di una novella del «Decameron» di G. Boccaccio 5. Fenomeni generali Esercizi

IV.

141 147

14. Il verbo ■ I fenomeni morfologici nella lingua di una novella del «Decameron» di G. Boccaccio

V. III.

9. Pronomi personali 10. Aggettivi e pronomi possessivi

74 76 96

98 111

VI.

Funzioni di «ch e»: le proposizioni com pletive

173

■ I fenomeni sintattici nella lingua di una novella del «Decameron» di G. Boccaccio

179

Esercizi

181

Le lingue d'Italia nel Medioevo: una visione d'insieme

185

1.

Il milanese antico

185



Bonvesin da la Riva

^88

2.

Il veneziano antico

190

Π5



Il «Tristano ven eto»

191

1. Il numero del nome

yy5

3.

Il rom anesco antico

193

2. Il genere del nome. La scomparsa del neutro 3. La scomparsa del sistema dei casi

ne Π7



L a «C ron ica»

196

4.

Il napoletano antico

198

4. La semplificazione del sistema delle declinazioni ■ Le declinazioni del latino 5 . Metaplasmi di genere e di numero

121 122



L ’«E pistola napoletana» di Giovanni B o ccaccio

200

5.

Il siciliano antico

202

124



Il «L am en to di parte siciliana»

203

125

6.

L e koinè extra-toscane

204

128



L a koinè settentrionale q uattrocentesca

205

136

Esercizi

Dal latino all'italiano: i mutamenti morfologici

6. La derivazione dei nomi italiani dall’accusativo 7. La formazione degli articoli 8* L aggettivo qualificativo e i suoi gradi d’intensità

207

8

Indice

Presentazione

Credo che l’accoglienza positiva ottenuta dalla prima edizione dei miei Lineam enti di grammatica storica dell’italiano abbia spinto Francesco Bruni, curatore di questa serie, a chiedermi di approntarne una seconda, riveduta, ampliata e aggiornata. Ne sono felice, e lo ringrazio della fiducia che ha vo­ luto rinnovarmi. Come la precedente, anche questa edizione è strutturata in sei capitoli. Il primo affronta alcune questioni generali relative ai rapporti genetici fra latino e italiano, mentre il secondo offre le nozioni di fonetica e fonologia indispensabili per la comprensione dei fenomeni illustrati nel terzo, nel quarto e nel quinto capitolo, dedicati, rispettivamente, alle più importanti trasformazioni fonetiche, morfologiche e sintattiche che hanno caratterizza­ to il passaggio dal latino all’italiano. Il quadro è completato dal sesto capito­ lo, volto a fornire, così come recita il suo titolo, una visione d’insieme, inevi­ tabilmente sintetica, su alcuni volgari di grande tradizione colta: milanese, veneziano, romanesco, napoletano, siciliano, coinè extra-toscane. Il libro, lontano da qualsiasi desiderio di esaustività, ambisce a spiegare in modo facile una materia difficile, e a introdurre così lo studente di un cor­ so di laurea triennale alla studio della grammatica storica dell’italiano. Da questo punto di vista, l’opera si configura come il testo di riferimento di un modulo di 30-32 ore di Storia della lingua italiana. In questa seconda edizio­ ne, la destinazione didattica dell’opera è accentuata dalla presenza di sei batterie di esercizi che Gianluca Lauta ha inserito alla fine di ciascun capito­ lo. Un grazie di cuore anemie a lui: non avrei potuto trovare un compagno di strada migliore.

1®.__Presentazione

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Avvertenze e indicazioni di lettura

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un'etn™ dediCa,01.la prima edÌ2Ì0K di quest'opera ai miei figli, con L T





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primi anni sessanta in poi mi ha sempre aiutato a farlo.

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G iu s e p p e P a to ta

1.

Le basi latine son o rip o rta te in

m arjscoletto ,

m en tre le p aro le italia­

minuscolo corsivo. 2. Il simbolo > significa ‘passa a’, mentre il simbolo < significa ‘provie­

ne d erivate dalle basi latine son o rip o rtate in

ne da’. Ad esempio: bònìj ( m ) > buono significa: ‘ bònu ( m ) p assa a buono ’ buono < bónìj( m) significa: ‘buono proviene da bònu ( m ) ’ 3.

L’asterisco * anteposto a una forma scritta in maiuscoletto indica che

questa non è documentata nel latino scritto ma è stata ricostruita dagli stu­ diosi: è il caso, ad esempio, della base latino-volgare * carònia (cap. I, § 7). 4. Nelle basi latine, le lettere poste tra parentesi tonde rappresentano altrettanti suoni che scompaiono nel passaggio all’italiano. E il caso, ad esempio, della ϊ e della m della base latina c a l ( ì ) dìj(m ). 5. Una lettera fra due trattini indica un suono in posizione intervocali­ ca: per esempio, la -g- della parola lago. 6. Una lettera seguita da un trattino indica un suono in posizione inizia­ le: per esempio, la /- della parola foro. 7. Una lettera preceduta da un trattino indica un suono in posizione fi­ nale: per esempio, la -n della parola con. 8. La forma dei singoli suoni e i suoni delle varie parole sono trascritti utilizzando i simboli dell’alfabeto fonetico riconosciuto dall’A pi (Association Phonétique Internationale). Quando i suoni sono presi in considerazio­ ne come foni, cioè solo per il loro aspetto fisico, indipendentemente dai si-

12

A vvertenze e indicazioni di

lettura

gnificati che possono produrre, allora sono stati trascritti tra parentesi qua­ dre (trascrizione fonetica; es.: pala = ['pala]); quando invece i suoni sono stati presi in considerazione come fonemi (cioè come unità di suono capaci di individuare significati diversi), allora sono stati trascritti entro sbarrette oblique (trascrizione fonematica; es.: pala = /'pala/). Come risulta anche da questi esempi, l’accento è sempre indicato da un apice posto prim a della sil­ laba accentata.

CAPITOLO

L'italiano deriva dal latino?

Si dice, comunemente, che l'italiano - così come le altre lingue roman­ ze o neolatine: il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il sardo, il ladino, il friulano e il rume­ no - «deriva dal latino». Quest'affermazione, così lineare da apparire quasi ovvia, merita di essere approfondita, precisata e, almeno in par­ te, corretta. A tale scopo, in questo capitolo prenderemo in considera­ zione alcuni aspetti dei rapporti genetici tra latino e italiano. In primo luogo, l’uso di un verbo come derivare fa pensare a una «lingua madre» (il latino) da cui sarebbero nate le tante «lingue figlie» neolatine. Ma le lingue non sono organismi biologici: per loro non si può parlare di nascita, vita e morte in senso tradizionale. L’italiano non deriva (cioè non nasce) dal latino, ma continua il latino: una tradizione ininterrotta lega la lingua di Roma antica alla lingua di Roma moderna, dai tempi remoti della fondazio­ ne fino ai giorni nostri. Si può dire, in buona sostanza, che l’italiano è il lati­ no adoperato oggi in Italia, così come il portoghese, lo spagnolo e il francese sono i latini adoperati oggi in Portogallo, in Spagna e in Francia. In secondo luogo, l’uso della parola latino nuda e cruda, senza alcuna specificazione, è generico e fuorviarne. Da quale latino deriva la nostra lin­ gua? Certo, la storia non ha registrato l’esistenza di più lingue latine. Dal punto di vista descrittivo, il latino è una lingua storico-naturale (per storico­ naturali si intendono le lingqe di tutte le culture esistenti o esistite sulla ter­ ra, che si oppongono, in quanto tali, alle lingue artificiali) che fa parte della

14

L'italiano deriva dal

C apitolo Ί

latino?

15

famiglia linguistica indoeuropea, la stessa a cui appartengono le lingue del

È la scodella stessa che parla, e diffida chiunque dall’impadronirsi di un

gruppo germanico (per esempio l’inglese, il tedesco, il neerlandese, ecc.), slavo (per esempio il russo, il polacco, il ceco, ecc.), baltico (il lituano e il lettone), ellenico (per esempio il greco moderno), albanese, armeno, iranico o indiano.

oggetto votivo appartenente a una divinità: «appartengo, assieme ai miei

Di fatto, tuttavia, anche il latino, non diversamente da ogni altra lingua, si presenta come un oggetto variegato e multiforme: se è vero che non sono esistiti molti latini, è vero però che sono esistite molte varietà di un’unica lingua chiamata latino. I fattori che le hanno prodotte sono diversi: il tempo,

Se fosse stata scritta cinque secoli dopo, nel pieno della cosiddetta età classi­

lo spazio, il livello stilistico, la condizione socioculturale degli utenti, la mo­ dalità di trasmissione (scritta o parlata) della lingua.

compagni [cioè gli altri oggetti votivi], a Trivia, la buona tra le divinità. Non impadronirti di me». Quest’iscrizione, risalente agli inizi del V secolo a.C., è in latino arcaico. ca (quella di Cicerone o di Virgilio, che va, grosso m odo, dalla seconda meta del I secolo a.C. alla prima metà del I secolo d.C.) essa, se avesse mantenuto lo stesso ordine delle parole, si sarebbe presentata così. sum cum meis sociis Triviae dearum bonae: ne parias me Nemmeno una parola di questo testo in latino arcaico avrebbe avuto la

1 IL FATTORE TEMPO, O VARIABILE DIACRONICA I linguisti chiamano diacronica (dal greco dia ‘attraverso’ e chronos ‘tempo’) la variabile legata al tempo. L’italiano di oggi (o il francese, o l’in­ glese di oggi: da questo punto di vista, una lingua storico-naturale vale l’al­ tra) non è uguale a quello adoperato dieci, venti o cento anni fa, e le differen­ ze si fanno più forti man mano che ci si allontana nel tempo. A questo fattore di cambiamento non sfuggì certo il latino, lingua di tradizione ultramille­ naria.

stessa forma nel latino dell’età classica, quello tradizionalmente studiato nel­ la scuola. Eppure, si tratta sempre della stessa lingua: per la precisione, si tratta di due sue varietà dette, rispettivamente, latino arcaico e latino classi­ co, molto distanziate sull’asse verticale del tempo.

In proposito, sarà utile aggiungere che gli storici della lingua e della letteratura lati­ ne distinguono, in base al periodo in cui si sono sviluppate, almeno cinque varietà di latin0’ - latino arcaico (dall’VIII secolo a.C., tradizionalmente indicato come quello della fondazione di Roma, alla fine del II secolo a.C.: l’età di Plauto, Ennio, Terenzio, Catone e Lucilio^tino predassko (daUa fine del n sec0i0 a.C . alla prima metà del I secolo a.C.:

La nuova epigrafe d el Garigliano A titolo d esempio, si può allegare un’antichissima testimonianza sco­ perta di recente, la cosiddetta nuova epigrafe del Garigliano. Presso il san­ tuario della dea Marica, alle foci del Garigliano, grosso modo al confine tra il Lazio e la Campania (dunque in posizione eccentrica rispetto all’area latina vera e propria), è stata ritrovata una scodella risalente al V secolo a.C. Essa contiene due brevi iscrizioni, la più lunga delle quali, graffita in scriptio con­ tinua (le parole, cioè, sono scritte una di seguito all’altra e senza segni d’in­ terpunzione), recita: esom kom meois sokiois Trivoia deom duonai. nei pari med

l’età di Lucrezio, Catullo e Cesare); - latino classico (dalla seconda metà del I secolo a.C. alla morte di Augusto, avve­ nuta nel 14 d.C.: l’età di Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio e Tito Livio); - latino postclassico (dalla morte di Augusto alla fme del II secolo d.C.. 1 età di he neca Petronio, Marziale, Giovenale, Tacito, Plinio il Giovane, Svetomo e Apuleio); - latino tardo (dalla fine del II secolo d.C. al VII-Vili secolo d.C.: 1 età di Ambro­ gio, Damaso, Prudenzio, Girolamo, Agostino e Orosio).

2. IL FATTORE SPAZIO, O VARIABILE DIATOPICA Diatopica (da dia e topos ‘spazio’) è la variabile legata allo spazio. L’ita­ liano che si parla a Milano è diverso da quello adoperato a Firenze o a Paler­ mo, e le differenze non investono solo l’intonazione, la pronuncia e il lessico,

16

Capitolo 1

ma anche la grammatica e la sintassi. Si pensi al diverso uso che nelle varie regioni d Italia si fa del passato prossimo e del passato remoto: nell’Italia set­ tentrionale il passato remoto attualmente non si usa ed è sempre sostituito dal passato prossimo, per cui, indipendentemente dalla lontananza o dalla vicinanza al momento in cui è avvenuto il fatto, si dice «Ieri ho visto Giovan­ ni» e «Un anno fa ho visto Giovanni». In Toscana si tende a usare il passato prossimo per un fatto cronologicamente vicino al momento in cui si parla e il passato remoto per un fatto cronologicamente lontano dal momento in cui si parla, sicché si dice: «Ieri ho visto Giovanni» e «Un anno fa vidi Giovan­ ni». In Sicilia, infine, si tende a usare solo il passato remoto e si dice, senza fare differenze, «Ieri vidi Giovanni» e «Un anno fa vidi Giovanni». Il latino, lingua di diffusione intercontinentale, non sfuggì a suo tempo al fattore di differenziazione rappresentato dallo spazio.

L'italiano deriva dal latino?

17

la forma bèllus (come dimostrano l’it. bello, il frane, beau e il prov. bel), nel­ le zone periferiche, a occidente e a oriente, si preferì

formosus

(come dimo­

strano lo spagn. hermoso, il portogh. formoso e il rum. frumos). Secondo esempio. Accanto al latino classico in cui si adoperava e d e r e , il latino parlato aveva due diversi verbi per indicare l’azione del mangiare: com edère (‘mangiare insieme’) e manducare (‘masticare dimenando le ma­ scelle’). Nell’area romanza occidentale i parlanti hanno adoperato soltanto il primo verbo (come dimostrano lo spagn. e il port. corner), invece nelle aree centrale e orientale è stato privilegiato il secondo verbo (come dimostrano il frane, manger e l’it. ant. manicare, da cui il derivato manicaretto-, l’it. mod. mangiare è un prestito dal francese). Il fattore geografico si fuse col fattore etnico nel determinare altre diver­ sità, riconducibili al cosiddetto sostrato linguistico prelatino.

Nel momento di massima espansione del dominio romano, fra il II e il III secolo d.C., il latino era adoperato su un territorio vastissimo, che andava

Che cosa si intende col termine sostrato? Prima che i Romani estendessero il loro dominio a tutta 1 Italia e a una

dalle coste atlantiche dell’Europa fino al Reno e oltre il Danubio (al di là del quale fu conquistata la Dacia, corrispondente all’attuale Romania), dalle co­ ste meridionali dell Inghilterra fino a quelle settentrionali dell’Africa. Le vi­ cende storiche successive determinarono la deromanizzazione e la conse­ guente delatinizzazione di alcuni di questi territori: l’Africa settentrionale fu conquistata dagli Arabi nel V II secolo d.C.; la Britannia, abbandonata nel

gran parte dell’Europa, il latino era semplicemente uno degli idiomi parlati

409 d.C., fu germanizzata, e la stessa sorte toccò all’area germanica renana e meridionale; la Pannonia (l’odierna Ungheria), invasa dagli Ungari nel X se­ colo, fu magiarizzata; la penisola balcanica, con l’eccezione della Dalmazia, fu occupata e colonizzata da popolazioni slave. Con tutto ciò, il latino fu per secoli la lingua di scambio di una zona va­ stissima. Ovviamente, esso non era un blocco linguistico uniforme. Non è immaginabile che il latino adoperato nella penisola iberica fosse identico a quello adoperato in Italia o in Francia, a migliaia di chilometri di distanza, e infatti le testimonianze linguistiche documentano l’esistenza di più varietà di latino sull’asse orizzontale dello spazio. Vediamo un paio di esempi. Primo esempio. Accanto al latino classico in cui si adoperava pu lch er , il latino parlato aveva due diversi aggettivi per indicare la qualità del ‘bello’: formosus e b èl lu s . Ebbene, mentre al centro dell’area romanza si privilegiò

da una delle tante popolazioni che abitavano l’Italia. Nel nord della penisola, procedendo da occidente a oriente, s’incontravano i Liguri, le tribù dei Celti, i Reti e infine i Carni; a sud di questi ultimi, nel Veneto meridionale erano stanziati i Veneti. Nella fascia immediatamente inferiore vivevano a est ι Piceni, al centro gli Umbri e a ovest gli Etruschi; a nord di Roma erano i Falischi; nell’Italia centro­ meridionale erano stanziati gli Oschi, nel Salento e nella Puglia i Messàpi, gli Iapigi e 1 Dauni. Tutte queste popolazioni avevano una loro lingua: il ligure, il celtico, il retico, l’umbro, l’osco e così via. Alcuni idiomi (la maggior parte) avevano una comune origine indoeuropea; altri (come per esempio l’etrusco) no. Quanto alla Sicilia, prima della con­ quista romana vi si parlavano almeno tre lingue: il sicàno, idioma mediterraneo, il siculo, vicino al latino, e l’èlimo, di origine e caratteristiche incerte. In Sardegna, infine era dif­ fuso il paleosardo, parlata antichissima (anteriore alle migrazioni indoeuropee) e a noi del tutto sconosciuta. . . , Fuori del territorio italiano, altre popolazioni stanziate nelle diverse regioni d Euro­ pa parlavano lingue diverse dal latino: per esempio i Celti, oltre che nella Calila elsa pina (= al di qua delle Alpi, l’Italia settentrionale), vivevano anche nella Gallia transalpina (= al di là delle Alpi, la futura Francia); e nella penisola iberica, oltre agli Iben c’erano ι Baschi, il cui idioma - il basco, tuttora adoperato nella regione nordorientale della peni­ sola iberica - non appartiene al gruppo linguistico indoeuropeo. A oriente, invece, era diffusa un po’ dappertutto la prestigiosissima lingua greca.

Nel giro di qualche secolo il latino, da lingua di una piccola comunità che occupava un territorio ristretto presso l’ultimo tratto del Tevere, diven-

L'italiano deriva dal latino?

19

ne la lingua di un popolo di conquistatori, padroni di gran parte dell’Europa e di vaste zone in Africa e in Asia. La prima guerra contro Cartagine (264-241 a.C.) terminò con l’istituzione della pri­ ma provincia, la Sicilia, cui tennero dietro l’istituzione delle province di Sardegna e Cor­ sica (238 a.C.), Spagna (197 a.C.), Illirico (la regione costiera adriatica fra la Dalmazia e la Macedonia, 167 a.C.), Africa e Grecia (146 a.C.), Asia Minore (129 a.C.), Gallia meridio­ nale (118 a.C.) e settentrionale (50 a.C.), Egitto (30 a.C.), Rezia (una parte del Tirolo, 15 a.C.), Pannonia (10 d.C.), Cappadocia (la parte orientale della Turchia, 17 d.C.), Britannia (l’Inghilterra e il Galles, 43 d.C.), Dacia (107 d.C.).

Dopo la conquista da parte di Roma, quasi tutti i popoli vinti abbando­ narono, nel giro di qualche generazione, la lingua d’origine e adottarono, come strumento di scambio, il latino. La nuova lingua, però, non fu imposta dai vincitori. I Romani non puntarono mai a un’assimilazione violenta delle genti soggette e non tentarono mai di imporre a forza l’uso del latino, consi­ derando anzi quest’uso un segno di distinzione. Una volta conquistato un territorio, la classe dirigente romana se ne assicurava il controllo militare e fiscale e lasciava larga autonomia ai vinti nella religione, nelle istituzioni civi­

La diffusione del latino nell'Impero romano.

li e nella lingua. Furono i popoli assoggettati ad abbandonare, dopo un periodo più o meno lungo di bilinguismo, la loro lingua d’origine per il lati­ no. Intervenne, a determinare questo processo, un fattore fondamentale nel contatto fra due lingue: il prestigio. Quando due lingue entrano in concor­ renza, quella che gode di maggior prestigio finisce sempre col prevalere. Così, dopo essere stati conquistati da Roma, molti dei popoli vinti sentirono la loro lingua come un idioma di rango inferiore rispetto al latino, veicolo di una cultura più avanzata e raffinata della loro, e scelsero di parlare la lingua dei vincitori. In buona parte dell’Europa occidentale si avviò un gigantesco processo di latinizzazione: i popoli vinti passarono dalla fase iniziale di ap­ prendimento del latino a una intermedia, in cui usavano sia la lingua d’origi­ ne sia la lingua dei vincitori, e poi alla fase finale, in cui la lingua originaria fu completamente abbandonata. La prova più evidente di quanto abbiamo detto (cioè che nell’abbandono delle lin­ gue locali per il latino il fattore prestigio ebbe un ruolo fondamentale) è data dal fatto che l’abbandono della lingua d’origine non interessò l’Oriente. In Oriente, i popoli di lingua e cultura greca furono anch’essi assoggettati a Roma, ma non abbandonarono affatto il greco per il latino, perché per tutti, Romani compresi, il primo godeva di un prestigio

20

C apitolo 1

maggiore del secondo. La letteratura latina vera e propria comincia nel III secolo a C con la traduzione di un’opera greca (VOdissea) ad opera di un greco di Taranto, Livio Andronico, venuto a Roma intorno al 272; ancora molti secoli dopo, un raffinato poeta latino come Orazio scriveva, in una delle sue Epistole, che la Grecia, dopo essere stata conquistata militarmente da Roma, a sua volta conquistò il suo rozzo vincitore con le armi delle lettere, e portò le arti nel Lazio incolto.

Le lingue preesistenti al latino nelle varie regioni dell’Europa occidenta­ le non scomparvero del tutto: ciascuna lasciò qualche traccia nella prosodia (cioè nella cadenza), nella pronuncia, nella morfologia, nel lessico e nella sintassi del latino acquisito dai vinti. Per questo motivo tali lingue vennero dette «di sostrato»: esse testimoniano, nel latino assunto dalle popolazioni vinte, 1 esistenza di uno strato linguistico soggiacente. Qualche esempio che documenta l ’esistenza delle lingue di sostrato. Nei dialetti dell Italia centromeridionale si registra una caratteristica tendenza a realizzare come nn il nesso consonantico latino - n d - posto tra due vocali. Così, per esempio, la sequenza - nd - presente nella parola latina mundum

si conserva intatta nell’italiano mondo, nel friulano rnond e nd fran­

cese monde, ma si trasforma in -nn- nei dialetti italiani centromeridionali (roman. monno, napol. munne). Ebbene, questa particolarità dei dialetti ita­ liani centromeridionali ha un’origine antichissima: proviene dai dialetti itali­ ci di tipo osco-umbro (cioè l’orco, lingua degli antichi Sanniti, parlata nel

L'italiano deriva dal latino?

21

era parlato sia in Francia sia nell’Italia nord-occidentale, dopo la romanizza­ zione di quelle regioni ha continuato a far sentire la sua presenza nel latino che vi si era diffuso.

3.

IL FATTORE STILE, O VARIABILE DIAFASICA

Si dice diafasica (da dià e -fasta ‘parola’, ‘linguaggio’) la variabile legata al livello stilistico (o registro) di una produzione linguistica. Una lingua può cambiare di tono o di livello a seconda della situazione in cui si usa. L’italiano a cui ricorro durante l’interrogazione è diverso dal­ l’italiano che uso mentre chiacchiero confidenzialmente con gli amici; l’ita­ liano che adotto quando parlo con la vicina di casa è più familiare e collo­ quiale dell’italiano con cui mi rivolgo a un signore appena conosciuto a un ricevimento. Così è stato anche per il latino, come dimostra un’ampia docu­ mentazione a nostra disposizione. Cicerone, il più illustre dei prosatori lati­ ni, non adoperava la stessa lingua quando scriveva il testo delle sue orazioni, quando si cimentava in opere filosofiche e quando scriveva lettere ad amici e familiari: nei primi due casi adoperava un latino di alto livello, ricercato e raffinato; nel terzo adoperava un latino meno sorvegliato sul piano gramma­ ticale, fatto anche di parole familiari e colloquiali.

Sannio e nella Campania, in parte della Lucania e della Calabria, nonché dai Mamertim dell’antica colonia siciliana di Messana, l’attuale Messina; i dia­ letti sabellici, adoperati dai popoli che abitavano fra il Sannio e l’Umbria; e

4 . IL FATTORE SOCIOCULTURALE, O VARIABILE DIASTRATICA

infine Vumbro, parlato tra i fiumi Tevere e Nera nell’Umbria antica, meno estesa deH’Umbria moderna). Evidentemente questi dialetti, pur essendo stati abbandonati, sotto sotto sopravvissero, e influenzarono la pronuncia del latino, assunto dai popoli dell’Italia centromeridionale come nuova e unica lingua. Un altro esempio. In francese e in molti dialetti dell’Italia settentrionale il nesso consonantico latino - ct -, che in italiano si trasforma in -tt-, tende a realizzarsi come -tt-: così, per esempio, la sequenza - ct - della parola latina NÒCTEM si trasforma in -tt- nell’italiano notte, e invece si realizza come -li­ nei francese nuit e nel piemontese nóit. Il passaggio -c t - > -it- proviene dal

sostrato celtico: evidentemente il celtico, che prima della romanizzazione

La variabile legata alla condizione sociale e al livello culturale di chi ado­ pera la lingua è detta diastratica (da dià e da un derivato di strato). Non tutti, all’interno della medesima comunità di parlanti, si esprimono allo stesso modo: sono avvantaggiati gli esponenti delle classi sociali alte, che hanno avuto maggiori opportunità di studio e quindi dispongono di un vocabola­ rio più ricco e conoscono bene le regole della lingua imparate a scuola. In Roma antica e nei territori dell’impero, il latino dei dotti era diverso dal latino degli umili: il primo era una lingua colta, varia nelle parole e raffi­ nata, mentre il secondo era una lingua popolare, meno controllata sul piano grammaticale e sintattico, piena di espressioni e di riferimenti materiali.

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C apitolo 1

5. LA MODALITÀ DI TRASMISSIONE, O VARIABILE DIAMESICA Infine, si definisce diamesica (da dia e mesos ‘mezzo’) la variabile legata alla modalità di trasmissione di una lingua, che può essere scritta o parlata. L esperienza di tutti i giorni dimostra che la lingua scritta è più sorvegliata,

L'italiano deriva dal

latinc> F _ 2 3

prehendant nos grammatici quam non intelligant populi» (Meglio che ci rimproverino i grammatici piuttosto che non ci capisca la gente). Applican­ do consapevolmente o inconsapevolmente questo principio Egeria, una reli­

più organizzata e più precisa della lingua parlata. A questa regola impliciti non sfuggì il latino: le differenze fra latino parlato e latino scritto non inve­

giosa spagnola di condizione socioculturale elevata, vissuta qualche genera­ zione dopo Agostino, scrisse un diario del suo pellegrinaggio in Terrasanta (noto come Itinerarium Egeriae) in una lingua ricca di tratti tipici del parlato; /) nei trattati tecnici di architettura o culinaria, farmacologia o medici­

stirono soltanto il rapporto tra la grafia e la pronuncia delle parole, ma ri­

na veterinaria, i cui autori si preoccupavano di dominare la materia specifica

guardarono anche aspetti importanti della grammatica, della sintassi e del lessico.

più che la lingua e lo stile. Vitruvio (I secolo a.C. - 1 secolo d.C.), autore di un celebre trattato di architettura, addirittura si scusa con i lettori per la sua lin­ gua non impeccabile: «Non architectus potest esse grammaticus» (L’archi­

6 . LE FONTI DEL LATINO PARLATO

tetto non può essere un grammatico); g) nelle opere di grammatici e insegnanti di latino. Costoro non si limi­ tavano a illustrare le regole della lingua, ma segnalavano a lettori e allievi gli

, fisionom>a del latino scritto è agevolmente ricostruibile attraverso un’enorme quantità di testimonianze letterarie; quella del latino parlato non e individuabile con altrettanta facilità. Tuttavia, diverse fonti agevolano que­ sta operazione. Forme tipiche del latino parlato (dette, con termine tecnico, volgarismi) s incontrano, per esempio:

errori più frequenti e i modi per evitarli. Per questa via i grammatici e i mae­ stri hanno offerto agli studiosi materiali preziosi per la ricostruzione del lati­ no parlato: molti degli errori che loro segnalano e illustrano non sono altro che interferenze del latino parlato sul latino scritto.

a) nelle iscrizioni murarie graffite o dipinte; b) nei glossari (si tratta di vocabolari elementari che spiegano con espressioni del latino parlato parole e costruzioni del latino classico diventa­ te rare o considerate difficili); c) nelle testimonianze (lettere private o documenti) di scriventi popola­ ri, come potevano essere i soldati romani di stanza nei vari territori dell’im­ pero: solo in Egitto ne sono state trovate circa 300; d \ nelle opere di autori che tentano di riprodurre nella lingua scritta i tratti tipici della lingua parlata: esemplari, in proposito, i casi delle comme­ die di Plauto (III secolo a.C.) e del Satyricon di Petronio (I secolo d.C.), al cui interno l’episodio della Cena d i Trimalchione costituisce un’importante testimonianza di latino parlato;

L’«Appendix Probi» La più famosa delle testimonianze offerte da grammatici e insegnanti è 1A ppendix Probi, opera di un maestro di scuola del III secolo d.C. rimasto anonimo, così chiamata (Appendice di Probo) perché trovata in fondo a un manoscritto che conserva gli scritti di un autore che si suole indicare come lo pseudo-Probo. Questa Appendice è una lista di 227 parole organizzate in due serie diverse. Nella prima serie le parole si presentano secondo la norma del latino scritto, nella seconda serie si presentano nella forma «errata», cioè così come le pronunciavano o le scrivevano gli scolari, secondo lo schema «A, non B»:

e) nella letteratura d’ispirazione cristiana. I traduttori delle Sacre Scrit­ ture e molti autori cristiani si preoccuparono relativamente poco dell’elegan­ za del loro stile. L’ideologia che ispirò il loro atteggiamento è ben rappresen­

speculum columna

tata da un’affermazione di sant’Agostino (IV secolo d.C.): «Melius est re-

calida

non non non

speclum colomna 'calda

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C apitolo 1

turma auris

L'italiano deriva dal latino ?

non non

torma oricla

Ai fini della ricostruzione dei fenomeni linguistici che dal latino hanno portato all’italiano, contano le parole della colonna di destra (gli «errori» del latino parlato), non quelle della colonna di sinistra (le forme «corrette» del latino scritto). Le parole italiane corrispondenti (specchio, colonna, calda,

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Quando una forma non è documentata nel latino scritto ma è ricostruita nel latino parlato, la si fa precedere da un asterisco Nel nostro esempio, la base dell’italiano carogna andrà indicata cosi: *CARÒNIA.

8 . LATINO CLASSICO E LATINO VOLGARE

torma, orecchia) sono più vicine agli «errori» della colonna di destra che alle forme «corrette» della colonna di sinistra: il che conferma che la nostra lingua continua il latino parlato, non quello scritto.

Tiriamo le somme. Il latino non fu una realtà monolitica. Fra le tante varietà di latino che si sono incrociate e sovrapposte nel tempo, nello spazio, nei livelli d’uso, nelle modalità di realizzazione spiccano, per importanza storica, le due che convenzionalmente indichiamo come latino classico e la-

7. IL METODO RICOSTRUTTIVO E COMPARATIVO Ad ogni modo, lo strumento più importante per la ricostruzione del lati­ no parlato (ben più importante delle registrazioni frammentarie che se ne hanno nelle fonti scritte) è il confronto tra le varie lingue romanze. In che cosa consiste il m etodo ricostruttivo e comparativo su cui tale con­ fronto si fonda? Consiste nel ricostruire una forma non documentata (cioè non scritta, appunto perché propria del latino parlato) sulla base dei risultati che se ne hanno nelle varie lingue romanze. Un esempio chiarirà utilmente il concetto. Consideriamo il termine italiano carogna. In tutto il dominio del latino scritto non si trova neppure una parola che possa esserne stata la base: quella che piu gli si avvicina è caro, cioè ‘carne’ (per il significato di carogna’ si adoperava cadaver). Ma da caro a carogna la distanza è grande, sia sul pia­ no della forma fonica sia sul piano del significato. Confrontiamo ora l’italiano carogna coi suoi corrispondenti in alcune lingue romanze, per esempio il francese charogne, il provenzale caronha e lo spagnolo carroùa. Non è possibile che queste parole siano nate in modo in­

II latino classico è una realtà linguistica facilmente individuabile: è il la­ tino scritto così come venne usato nelle opere letterarie della cosiddetta «età aurea» di Roma (50 a.C. - 50 d.C. ca), ed è rimasto sostanzialmente lo stesso nel corso della storia. Esso è una lingua colta, espressione dei ceti sociocul­ turalmente più elevati. U tin o classico voleva dire «latino di classe», anzi «latino di prima classe». L’aggetti­ vo classicus fu applicato per la prima volta al latino letterario da Aulo Gelilo, un erudito del II secolo d.C., che estese alla letteratura la divisione della popolazione romana in clas si: come i cittadini più ricchi e potenti erano esponenti della prima classe sociale, cosi g 1 scrittori più eleganti furono detti classici, cioè «di classe», «di prima classe».

Il latino volgare, invece, è una realtà linguistica variegata e complessa, schematizzando e semplificando, possiamo descriverlo come il latino parla­ to in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni circostanza e da ogni gruppo socia­ le della latinità: fu la lingua parlata nei tempi antichi della fondazione di Roma e nella tarda età imperiale; fu la lingua parlata nella capitale e nelle zone periferiche dell’immenso impero; fu la lingua parlata dai ricchi e dai

dipendente 1 una dall altra: esse presuppongono un antecedente comune carònia , derivato di caro - di cui rappresentano la regolare evoluzione nelle

poveri, dagli analfabeti e dagli intellettuali. Da questa realtà multiforme sorsero le varie lingue d’Europa indicate

diverse aree romanze. Questo antecedente comune non è documentato nel

come romanze o neolatine, fra cui 1 italiano.

latino scritto, ma è sicuramente esistito nel latino parlato: altrimenti carogna, charogne, caronha e carrona non si sarebbero prodotte.

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C apitolo 1

L'italiano deriva dal latino?

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9· DAL LATINO VOLGARE ALL’ITALIANO

imperiale, sottratte alle devastazioni e ai saccheggi degli eserciti invasori. Nell’Europa occidentale e meridionale (penisola iberica, Francia, Italia) e in

Perché questa varietà di lingua (il latino volgare) si è affermata sull’altra (il latino classico)? Come e perché essa si è trasformata fino a diventare un’altra e ben diversa lingua?

parte di quella orientale (Romania) si continuò a parlare quella che veniva chiamata la lingua romana, un latino variegato, parlato qui in un modo e lì in

Questi due processi contigui (affermazione del latino volgare sul latino classico, trasformazione dal latino volgare nell’italiano) sono stati accelerati da due fattori e determinati da un terzo: a) la perdita di potere della classe

un altro, differente da quello classico nella pronuncia, nelle forme, nel lessi­ co, nell’organizzazione della frase. Queste differenze si fecero progressiva­ mente più forti. Il latino scritto tendeva (senza peraltro riuscirci) a mante­ nersi come una lingua fissa e cristallizzata, rispettosa del modello dei grandi

aristocratica, b) la diffusione del Cristianesimo, e soprattutto c) le invasioni barbariche.

scrittori e delle regole grammaticali; il latino volgare, evolvendosi in modi

a) La perdita di potere della classe aristocratica. Un primo fattore che

romanze o neolatine. Il processo di trasformazione che dal latino condusse ai vari volgari ro­

favorì l’indebolimento del latino colto a vantaggio del latino volgare fu la perdita di potere da parte della classe aristocratica, conseguente all’instaura­ zione dell’impero. Insieme con la classe aristocratica, decadde il ceto d’intellettuali che ne era 1 espressione culturale, e la lingua colta, che pure continuò ad essere usa­ ta per tutta l ’età imperiale, vide diminuire, almeno in parte, il suo prestigio. b) La diffusione del Cristianesimo. Il secondo fattore di indebolimento del latino classico fu la diffusione del Cristianesimo. Intanto, esso modificò il patrimonio lessicale del latino. La lingua delle prime comunità cristiane era stata il greco; conseguentemente, il latino dei cristiani pullulava di greci­ smi: termini come battesimo, chiesa, cresima, eucarestia, parabola, vescovo

diversi nelle varie regioni dell’ex impero romano, diede origine alle parlate

manzi si concluse nell’V III secolo d.C.: ne nacquero lingue molto diverse da quella originaria, profondamente trasformate nella fonetica, nella morfolo­ gia, nel patrimonio lessicale, nell’organizzazione della frase e del periodo. Nelle pagine che seguono ricostruiremo la storia di alcune delle trasfor­ mazioni che dal latino volgare condussero all’italiano: nell’ordine, ci occu­ peremo di quelle che investirono l’aspetto fonico delle parole (fonetica sto­ rica), di quelle che interessarono le varie parti del discorso (morfologia stori­ ca), e infine di alcune di quelle che riguardarono l’organizzazione della frase e del periodo (sintassi storica).

provengono tutti dal greco. Particolarità lessicali a parte, fu sul piano ideo­ logico che il Cristianesimo inflisse un colpo mortale al latino classico e favorì la diffusione di quello volgare. La buona novella era stata annunziata a tutti, colti e incolti, intellettuali e analfabeti; il latino in cui erano stati tradotti i

10. PAROLE POPOLARI E PAROLE DOTTE

Vangeli, che dovevano essere capiti da tutti, era lontano dalla lingua raffina­ ta degli scrittori e vicino a quella parlata dai poveri e dai semplici. Il presti­ gio della lingua e della cultura classiche fu minato dalle fondamenta.

no interessato tutte le parole di origine latina entrate a far parte del patrimo­ nio lessicale dell’italiano, ma soltanto quelle di tradizione popolare (dette anche, più semplicemente, parole popolari); invece, le parole di tradizione

c) Le invasioni barbariche. Furono, comunque, le invasioni barbariche (a partire dal IV secolo d.C.) a far affermare il latino volgare in tutti i territori

dotta (dette anche parole dotte o latinismi o cultismi) non sono state toccate

dell impero romano, ormai moribondo. Il latino classico finì nel dimentica­ toio. La Chiesa, che pure aveva contribuito alla sua decadenza, ne impedì il totale dissolvimento: nelle biblioteche dei monasteri medievali vennero cu­ stodite e trascritte le opere dei grandi scrittori della Roma repubblicana e

Bisogna precisare che le trasformazioni fonetiche di cui si dirà non han­

da tali cambiamenti. Per capire la differenza che passa tra le parole popolari e le parole dotte, consideriamo i termini riportati in queste due serie di colonne:

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L'italiano deriva dal latino?

C apitolo 1

Latino aurìj(m )

>

flòre (m )

>

glarea(m)

>

nive (m )

>

Italiano

Latino

Italiano

oro fiore ghiaia neve

AUREUS

aureo flora gloria niveo

FLORA GLORIA NIVEUS

Nelle parole a sinistra ritroviamo tutte le trasformazioni fonetiche che, come si vedrà più avanti, hanno caratterizzato il passaggio dal latino all’ita­ liano. per esempio, la caduta della - m finale, la monottongazione del ditton­ go au , il passaggio da consonante + /a consonante + j, l’evoluzione di ϊ toni­ ca a [e]. Le parole a destra, che teoricamente avrebbero dovuto (o potuto) subi­ re le medesime trasformazioni, sono invece rimaste inalterate. Come si spiega questo differente trattamento? Le voci di sinistra sono parole di tradizione popolare, a differenza delle altre, che sono parole di tradizione dotta. Le prime sono passate dal latino parlato all italiano senza soluzione di continuità: in altri termini, sono state usate ininterrottamente dai tempi di Roma antica fino a che il processo di trasformazione che condusse all’italiano non fu concluso. Queste parole sono, per così dire, passate di bocca in bocca, di generazione in generazione, e perciò hanno subito tante trasformazioni. Le parole di destra, invece, non sono mai entrate nell’uso comune, op­ pure sono state abbandonate molto presto, e sono rimaste confinate nei testi latini scritti. A partire dal X III secolo, quando il processo di trasformazione dal latino all italiano era ormai concluso, esse furono prese direttamente dai libri latini e inserite nei testi italiani allo scopo di renderne più elegante lo stile. Si badi bene: queste parole furono accolte così com’erano, e semplicemente adattate al sistema grammaticale dell’italiano, con qualche aggiusta­ mento nelle desinenze. Questi «latinismi» erano parole particolari, adatte a comparire nei libri piuttosto che nella lingua di tutti i giorni: termini filosofici, giuridici, scienti­ fici o che comunque indicavano concetti culturalmente elevati. Per restare ai nostri esempi, in una società agricola fortemente legata ai bisogni quotidiani come quella della penisola italiana fino al Medioevo, era normale che si usas­ se una parola come glarea\ non era altrettanto normale che si usasse una pa­

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rola come gloria·, la prima indicava qualcosa di concreto e di comunissimo, la seconda indicava un concetto astratto. Alla conservazione di una parola come gloria avrà poi contribuito la Chiesa: basti pensare alla frequenza con cui il termine compare nelle preghiere e nei testi sacri. Così glarea - che ha continuato ad essere usata ininterrottamente - ha subito la trafila delle paro­ le popolari ed è diventata ghiaia-, gloria, invece, dopo essere uscita dall uso nei primi secoli dell’era volgare, è stata presa così com era dai testi scritti e introdotta nell’italiano. Come vedremo anche in seguito (cap. Ili, § 4.7), in molti casi la medesi­ ma base latina ha avuto due continuatori, uno popolare e uno dotto, o anche due continuatori popolari. Per esempio: angustia

Parola dotta angìjstia(m)

>

disco discu ( m)

angoscia

Parola popolare

>

vizio VITIU(M) >

desco

vezzo

vedo

Parola popolare VÌDEO >

veggio

Parola popolare

Due forme derivate dalla stessa base latina si chiamano, con un termine preso dalla chimica, allòtropi.

A ttenti all’errore Attenzione a non commettere l’errore di prospettiva consistente nel considerare popolare non già la parola di trafila popolare, ma quella più co­ mune (cioè «popolare» in senso sociolinguistico) nell’italiano attuale e, spe­ cularmente, l’errore di considerare dotta non già la parola di tradizione dot­ ta ma quella più rara o ricercata. Non è così, perché non sempre la storia delle trasformazioni fonetiche di una parola coincide con la storia della sua diffusione. Disco e vizio sono parole comunissime nell’italiano d’oggi, eppu­ re sono latinismi; viceversa, desco ‘tavola imbandita (la provenienza da DiscuM si spiega per la forma rotonda della tavola) e vezzo ‘capriccio , smor­ fia’ sono parole rare, di sapore antico e letterario, ma hanno una storia fone­ tica popolare.

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Capitolo 1

ESERCIZI

L'italiano deriva dal

g) Gli allòtropi sono

1. 2. 3. 4.

1. Scegli l’affermazione esatta fra quelle proposte. a) Il segno > (in casi come BONUM > buono) significa 1. proviene da 2. forma attestata 3. passa a 4. forma non attestata b) L’asterisco posto davanti a una forma scritta in maiuscoletto significa 1. proviene da 2. forma attestata 3. passa a 4. forma non attestata

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latino?

form e di sostrato form e più prestigiose di altre form e derivate da una stessa base latina form e dotte

h) VAppendix Probi 1. è un trattato gram m aticale del V secolo d.C . 2 . è un elenco di parole latine 3 . è la più antica gram m atica com pleta del latino volgare (III secolo d.C .) 4 . è u n ’appendice scritta dal gram m atico P ro b o i)

L e form e popolari 1. sono form e dell’italiano com une

2 . sono form e usate oggi da parlanti popolari 3. sono form e di tradizione orale

c) Nelle basi latine, le lettere poste tra parentesi tonde indicano sempre 1. un’ipotesi del linguista 2. la perdita di uno o più foni 3. l’aggiunta di uno o più foni 4. una desinenza

4 . sono allòtropi /)

Il latino classico 1. è il latino scritto in qualunque periodo

2 . è una varietà scritta di latino cólto, usata a cavallo tra 1 era precristiana e l’era cristiana

d) All’espressione lingua storico-naturale si può opporre una sola di queste forme 1. lingua artificiale 2. dialetto 3. lingua nazionale 4. lingua naturale