Non far novità. Alle radici della cultura italiana della conservazione politica
 8870883760

Citation preview

SAGGI

BIBLIOPOLIS

GIANFRANCO BORRELLI

NON FAR NOVITÀ MEPE:RADIGEDELIEA CULTURA ITALIANA DEEC-X-GCONSERVAZIONE POLITICA

BIBLIOPOLIS

Digitized by the Internet Archive in 2023 with funding from Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/nonfarnovitaalle0000borr

Saggi Bibliopolis 65

GIANFRANCO

BORRELLI

NON FAR NOVITA AEREE RADIGUDELCCAGUCLORATTALIANA DELLA

CONSERVAZIONE

BIBLIOPOLIS

POLITICA

Volume pubblicato con contributo

MURST - Cofinanziamento 99

Proprietà letteraria riservata

ISBN 88-7088-376-0

Copyright © 2000 by «Bibliopolis, edizioni di filosofia e scienze srl» Napoli, via Arangio Ruiz 83

INDICE

Introduzione

p.

I. Conflitti, innovazioni, mala contentezza: Machiavelli tra

filosofia e politica

»

1. Contentio e mala contentezza: scacco del soggetto e inevitabilità dei conflitti, p. 17 - 2. Oltre la vile ambizione: la politica come espansione del cittadino e della repubblica, p. 19 - 3. Tra prudenza respettiva e impeto dell’innovazione: il problema della qualità dei tempi, p. 24 4. Creare nuovi ordini: salvare la patria attraverso i cambiamenti istituzionali, p. 31 - 5. Vivere politico, vivere civile e vivere libero: l'innovazione come rigenerazione dei princìpi fondativi della repubblica, p. 36

II. Tra crisi della repubblica e conservazione della libertà d’Italia: Guicciardini teorico della prudenza politica

»

1. Maneggiare gli umori della libertà: frenare i cervelli appetitosi e inquieti, p. 41 - 2. La mala contentezza dei nobili: la centralità del governo temperato, p. 48 - 3. I tempi della prudenza politica e la possibilità della prognosi nell’arte di governo, p. 52 — 4. Tra vita civile e vita ociosa: la crisi del cittadino di repubblica, p. 61

III. Oltre la mala contentezza, contro la malinconia: il programma della civil conversazione in Baldesar Castiglione, Giovanni Della Casa e Stefano Guazzo 1. La briglia della ragione e l'utilità del bene governarsi: il programma della civil conversazione secondo Baldesar Castiglione, p. 69 - 2. La dolcezza della ragione civile e l’utile della ragion di Stato in Giovanni Della Casa, p. 77 - 3. Civil conversazione contro malinconia: il progetto di una nuova socialità secondo Stefano Guazzo, p. 83

»

8

INDICE

IV. L’utopia di Anton Francesco Doni e la tassonomia morale di Tomaso Garzoni: tra vanitas e conservazione ci-

vile

PIMS:

1. Normalità della follia e inquietudine malinconica secondo Doni, p. 96 - 2. Il rzondo imaginato e l’impossibilità del cambiamento civile, p. 102 - 3. Tassonomia dei cervelli maninconici secondo Tomaso Garzoni, p. 108

V. Codici della conservazione politica nel governo degli stati e nel contesto pubblico internazionale: Girolamo Cardano e Alberico Gentili

IU

1. La necessità della conservazione argomentata secondo le possibilità della sapientia naturalis e nei limiti della sapientia humana, p. 114 - 2. La prudenza politica e le tecniche di dissimulazione e di simulazione secondo Cardano, p. 119 - 3. La liceità della menzogna per la conservazione politica secondo Alberico Gentili, p. 128 - 4 Tempi e tecniche della normazione giuridica e della decisione politica, p. 142

VI. Ragion di Stato: le dinamiche della conservazione politica

x

ili

»

177

1. Giovanni Botero alle prese con Machiavelli, Guicciardini e la cultura politica rinascimentale, p. 153 - 2. Il principale obiettivo della conservazione politica: non far novità, p. 158 - 3. Le diverse ragioni degli Stati, p. 163 Conclusioni

INTRODUZIONE Questo lavoro è dedicato alla memoria di Anna Maria Battista: vengono in esso ripresi motivi ed orientamenti critici della sua ultima ricerca dedicata alla psicologia politica.

Il lavoro di ricostruzione di semantiche concettuali del lessico politico — per il corpo di scritture qui analizzate — dedica particolare attenzione ai discorsi ed alle argomentazioni che richiamano cambiamenti e trasformazioni nelle condizioni di vita dei soggetti in un periodo decisivo della storia d’Italia: quello delle vicende tragiche e sofferte dalla prima metà del Cinquecento fino alla metà del secolo successivo. In tale contesto, l'indagine viene centrata sul complesso degli interventi che mettono capo alla formazione di una cultura civile e politica della conservazione. L’idea di fondo è che — nel momento della perdita di parti così importanti legate alla ricchezza, per ogni sezione della vita, della storia ri-

nascimentale italiana — sia stato prodotto ancora qualcosa di assolutamente originale, una modalità di utilizzare scritture e pratiche della politica come rimedio ad una situazione di estrema difficoltà: si tratta dei pericoli provenienti dall'esterno della penisola, ed ancora del malessere diffuso di individui che soffrono la crescente compressione della vita civile. Già nell’opera di Machiavelli, il soggetto descritto — impegnato e partecipe nella vita politica e istituzionale della città — soffre nella dimensione interiore i percorsi che sono propri della vita pubblica: gli sviluppi istituzionali e di governo, gli episodi di degrado della stessa vita politica, i cambiamenti improvvisi nelle situazioni di comando della città. Continuamente in bilico tra il proprio vissuto centrato sulla presenza e la caduta nel malessere psichico, questo individuo

10

INTRODUZIONE

riporta pure sul piano politico le espressioni della propria sofferenza: in effetti, secondo Machiavelli, pratiche e discorsi del vivere civile, libero e politico, debbono positivamente sostenere ed integrare quegli uzzori inquieti, i soggetti w24/contenti, inclusi pienamente nella costituzione del complesso della vita comunitaria. Nel momento più alto della civilizzazione rinascimentale, a partire dai primi decenni del Cinquecento, la cultura politica italiana pone in essere un progetto straordinario di trasformazione di linguaggi e comportamenti che diventa operativo con la precisa finalizzazione di riconvertire tensioni antagonistiche e conflitti diffusi in percorsi di sicurezza materiale di vita, di possibile pacificazione. In questo contesto, Guicciardini costituisce il punto di svolta per una politica che in modo assolutamente consapevole sa riconoscere danni e pericoli indotti dalle nuove guerre introdotte nella penisola; in più, attraverso un lucidissimo dialogo interiore, Guicciardini riesce a segnalare la lacerazione estrema tra prassi civile ed impegno del cittadino repubblicano volto ad ogni costo a rimanere partecipe della vita cittadina, a garantire i percorsi della libertà. Da questo punto in avanti, le scritture politiche assumono in proprio l’obiettivo di motivare le possibilità di combattere l’ozio malinconico che sta prendendo i soggetti e che rischia di trasformarsi in pratiche di disubbidienza e di rivolta. L’azione di chi governa, del principe, deve essere modello esemplare per i governati nell’indicare modalità positive di autodisciplina dei comportamenti: se non proprio esortazione alla cura di sé, perlomeno il suggerimento di codici di buone maniere che possano diffondersi con la convinta adesione dei soggetti. Gli scrittori della civi/ conversazione propongono una forma diversa di socialità, che punta più sulle regole della ragione civile — interessando all’utile ed al piacere dell'agire — che al perseguimento politico di una libertà divenuta di fatto quasi impossibile. Il passaggio dalla machiavelliana mala contentezza alla descrizione della pura sofferenza per mzalinconia — presente in questi trattati — sta ad indicare appunto i processi di questa crescente separazione tra azione politica e vissuto individuale, caratterizzato dal-

INTRODUZIONE

11

l'isolamento e dalla passività. Tanto vale anche per le espressioni della denuncia estrema che viene da una parte del pensiero utopico, come accade ad esempio con Anton Francesco Doni. Via via i termini del programma conservativo prendono corpo: dapprima attraverso la discussione che si va svolgendo nelle corti fino a giungere poi alla consapevolezza di compiuta definizione nella produzione di autori di grande talento. Grazie al lavoro di elaborazione e di affinamento dei discorsi che riguardano le procedure delle tecniche politiche e giuridiche — ed alla capacità di scrittori, come Gerolamo Cardano e Alberico Gentili, che contribuiscono ad offrire codici dell’arte prudenziale — viene fuori poco alla volta una interessantissima produzione di scritture esclusivamente politiche: in tutte le corti italiane, ed in testa la curia romana. l’ora della ragion di Stato di Giovanni Botero: o meglio, per maggiore precisione, dei discorsi diversi delle ragioni della vita e della conservazione degli stati, che propongono estrema duttilità di intervento per le scansioni particolari della decisione politica e capacità di incidenza sui comportamenti dei sudditi per i tempi più lunghi finalizzati alla produzione di obbedienza nell’ambito della società. A partire dalla prima metà del Cinquecento, nel giro di un secolo e mezzo, in Italia è venuto costituendosi un corpo

di saperi politici capaci di suggerire dispositivi e tecniche di governo per realizzare almeno la pace negli stati regionali. In questo lungo tratto di tempo, si è venuta pure modificando la modalità di rappresentazione del soggetto che prende parte alla comunità civile; la sua figura è stata sempre più relegata nello sfondo, in quanto punto di riferimento di una attività di governo che pone condizioni determinate per la sua inclusione nei percorsi della città: innanzitutto, operare attivamente per realizzare interessi privati ed, inoltre, rendersi partecipe di un corpo mzezano di consenso alle decisioni politiche del principe. Per quanti rimangono irrimediabilmente oppressi dall’ozio malinconico, incapaci di venire fuori dalla condizione del malessere civile — che vive pure delle forme del disturbo mentale — le scritture rinviano esplicitamente

2

INTRODUZIONE

alla diagnosi medica, espressa magari nella forma paradossale di Tomaso Garzoni. In definitiva, motivare le ragioni più interne di una ricerca di questo genere è davvero difficile: si tratta della domanda, inevitabilmente parziale e frammentaria, che deve potere giustificare con autenticità il senso dell’impresa della ricerca impegnata su quel terreno delicatissimo di comunicazione e di scontro tra i soggetti che viene dalle scaturigini della cultura occidentale chiamato politica. Ed ancora Anna Maria Battista ci ha suggerito che — nella vita così come nella critica storica — i discorsi politici debbono comunque

essere riferiti a lacerazioni ed a sofferenze degli individui: intenderne, quindi, i percorsi particolari è lavoro ma pure di adesione emotiva ai tratti di storie vale la pena ripercorrere per riscattare quanto sciuto, ed anche per accrescere le possibilità contro tra i soggetti.

di conoscenza particolari che rimane sconoattuali dell’in-

Avvertenza Sono stati riversati in questo volume i passaggi di una ricerca sottoposta in più occasioni alla discussione della comunità scientifica; il tessuto complessivo del testo è nuovo, mentre alcuni dei ma-

teriali utilizzati sono stati presentati già altrove. In particolare, il capitolo su Machiavelli rappresenta il risultato di due diversi momenti di elaborazione: dapprima lo studio presentato nel seminario parigino della Sorbonne (Paris, 4-5 aprile 1997), quindi la relazione discussa nel Colloque international Machiavel. La République et la Guerre (25-28 novembre 1998) presso l’Institut Culturel Italien di Parigi; il lavoro su Cardano e Gentile è stato uno dei primi risultati della ricerca: infatti, il saggio Tecniche di simulazione e di conserva-

zione politica in Gerolamo Cardano e Alberico Gentile venne pubblicato, in forma parzialmente diversa, negli «Annali dell'Istituto italo-germanico di Trento», XII (1986);

infine, le argomentazioni svolte su Botero e sulla ragion di Stato fanno riferimento agli studi da anni impegnati sull'argomento: richiamo principalmente il libro Ragion di Stato e Leviatano. Conservazione e scambio alle origini della modernità politica (Bologna, Il Mulino, 1993); tuttavia, il lavoro qui presentato su questi temi co-

INTRODUZIONE

13

stituisce una ulteriore autonoma elaborazione rispetto al lavoro già svolto. Per quanto concerne gli scritti di Anna Maria Battista sopra richiamati faccio riferimento in particolare a Psicologia e politica nella cultura eterodossa francese del Seicento, in Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, Atti del convegno di studio di Genova (30 ott. - 1 nov. 1980), a cura di T. Gregory, G. Paganini, G. Canziani, O. Pompeo Faracovi, D. Pastine, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 321-351. Successive ristampe

sono, con titolo mutato, Nascita della psicologia politica, pref. di A.M. Lazzarino Del Grosso, Genova, Ecig, 1982; quindi, in Psico-

logia e politica da Montaigne a Bayle, s.n.t., Roma, 1990, pp. 9-40; infine, in Politica e morale nella Francia dell'età moderna, a cura di A.M. Lazzarino Del Grosso, Name, Genova, 1998, pp. 221-247.

I CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA: MACHIAVELLI TRA FILOSOFIA E POLITICA Nel capitolo trentasettesimo del primo libro dei Discorsi, Machiavelli affronta il problema della rovina delle istituzioni repubblicane di Roma, le cui origini sono da riferire innanzitutto agli eventi legati alla legge agraria: questa legge «stette come addormentata infino ai Gracchi; da quali essendo poi svegliata, rovinò al tutto la libertà romana»!. È questo uno dei passaggi cruciali nella costruzione dei Discorsi: qui, infatti, Machiavelli discute le motivazioni del fallimento di quel principio che fin dalle prime battute dell’opera viene indicato come fondamento originale e positivo della libertà di Roma, la disunione tra plebe e senato. Ecco allora la descrizione dell’esperienza storica dei conflitti nella Roma repubblicana, che prendono avvio dalle pretese dei plebei di imporre ai patrizi il riconoscimento della propria parte: ma anche il culmine della riflessione teorica machiavelliana sul carattere, sulle funzioni e sul valore degli antagonismi che prendono corpo all’interno della comunità politica. AI centro dell’argomentazione, le dinamiche delle ambizioni prodotte dalle eccessive pretese della parte popolare, ed insieme la resistenza da parte dell’amzbizione de’ grandi, della parte nobiliare. Da un lato, la Plebe romana «cominciò a combattere per ambizione, e volere con la Nobilità dividere ! Discorsi, I, 37. L’edizione citata è quella a cura di M. Martelli, in Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1971; il brano ripor-

tato è alla p. 120.

16

GIANFRANCO BORRELLI

gli onori e le sustanze, come cosa stimata più dagli uomini. Da questo nacque il morbo che partorì la contenzione della legge agraria, che infine fu causa della distruzione della Republica»?; dall'altro, i nobili non possono sopportare le due offese che le pretese dei plebei hanno prodotto: «perché quegli che possedevano più beni non permetteva la legge (quali erano la maggiore parte de’ nobili), ne avevano a essere privi; e dividendosi intra la plebe i beni de’ nemici, si toglieva a quegli la via dello arricchire». Ecco, di conseguenza, il prevalere separatamente dell’elemento economico dello scontro: stimare più la roba che gli onori, cioè la riduzione della contesa politica tra,le parti — orientata sicuramente alla garanzia del vivere libero e civile — a scontro tra forze finalizzato unicamente all’acquisizione di maggiore potere da parte di privati cittadini. Di qui, nella difficoltà dell'intervento da parte delle magistrature pubbliche, il ricorso ai remzedi privati: in breve, l'avvio delle guerre civili con Mario e Silla e l’inizio della tirannide di Cesare. Questo capitolo prende avvio, certamente non a caso, con una di quelle considerazioni machiavelliane tipicamente universalizzanti, che propongono termini di riflessione teorica e che introducono poi alla narrazione ed al commento di quegli accadimenti storici, la cui interpretazione risulta per Machiavelli utilissima nell’arte della politica. Si tratta della concezione di mzala contentezza: argomentazione di natura filosofica che apre ad un contesto semantico rilevantissimo che lega appunto l’espressione di mz4/a contentezza alle dinamiche poste in essere dalla contenzione, dagli antagonismi accesi tra i cittadini romani dalla proposta della legge agraria*. 2 Ibidem. 3 Ibidem. 4 Nei commenti machiavelliani dei fatti concernenti la legge agraria, bisogna innanzitutto prendere in considerazione l’avviso di M. Martelli per cui numerosi sono gli errori di datazione contenuti nei riferimenti agli avvenimenti riportati: vedi di M. Martelli i commenti ai brani di Discorsi, I,

37 contenuti in Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei «Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio», Roma,

Salerno Editrice,

CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA

1.

177

Contentio e mala contentezza: scacco del soggetto e inevitabilità dei conflitti

Nell’apertura di Discorsi, I, 37, mala contentezza rappresenta la condizione di sofferenza indotta negli uomini dal limite particolare che la natura impone alla volontà umana; condizione di sofferenza resa poi ancora più acuta in determinate situazioni storiche e politiche: «Egli è sentenzia degli antichi scrittori, come gli uomini sogliono affliggersi nel male e stuccarsi nel bene; e come dall’una e dall'altra di queste due passioni nascano i medesimi effetti. Perché qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la quale è tanto potente ne’ petti umani, che mai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. La cagione è, perché la natura ha creato gli uomini in modo, che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione d’esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro: perché, desiderando gli uomini, parte di avere più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie ed alla guerra; dalla quale nasce la rovina di quella provincia e la esaltazione di quell’altra»5.

Il senso proprio della sofferenza indotta dalla 24/4 contentezza appartiene a ciascun soggetto; attraversa ogni tempe1998, pp. 33-36. Risulta poi interessante, da un punto di vista critico, porre in risalto la differenza interpretativa nel merito delle responsabilità assegnate da Livio e da Machiavelli alle parti contendenti: per lo storico romano gli avvenimenti del 493 a.C. — ai quali sembra riferirsi Machiavelli — sono da imputare alle pretese eccessive del patriziato piuttosto che alla insaziabilità della plebe, come vorrebbe invece il segretario fiorentino (vedi su questo ancora il commento di M. Martelli sopra citato). Parrebbe allora essere questo un punto di avvio di quella considerazione fortemente critica della stessa parte popolare, attestata sicuramente dallo sviluppo espositivo dei Discorsi, fin dai capitoli 53 e 57 del primo libro: sull’affievolimento e, comunque, sul cambiamento della decisa posizione antiaristocratica di Machiavelli vedi lo studio di FE. BausI, I ‘Discorsi’ di Niccolò Machiavelli. Genesi e strutture, Firenze, Sansoni, 1985, pp. 54-58.

> Discorsi, I, 37, in Tutte le opere, cit., p. 119.

18

GIANFRANCO BORRELLI

ramento, rispettivo 0 impetuoso che sia; riguarda il ciclo naturale dello sviluppo e del degrado della vita umana, del corpo naturale; tanto è chiaramente visibile, ad esempio, nei com-

portamenti dei vecchi invidiosi delle nuove generazioni, come viene descritto nel proemio al secondo libro dei Discorsi: «mancando gli uomini, quando gl’invecchiano, di forze, e crescendo di giudizio e di prudenza; è necessario che quelle cose che in gioventù parevano loro sopportabili e buone, rieschino poi, invecchiando, insopportabili e cattive; e dove quegli ne doverrebbono accusare il giudizio loro, ne accusano i tempi. Sendo, oltra di questo, gli appetiti umani insaziabili, perché, avendo, dalla natura, di potere e desiderare ogni cosa, e, dalla fortuna, di potere conseguitarne poche; ne risulta una mala contentezza nelle menti umane, ed uno fastidio delle cose che si posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, laudare i passati, e desiderare i futuri».

Collegando la nozione di mala contentezza degli uomini ai comportamenti ed alle azioni che portarono alla contenzione, ai conflitti sulla legge agraria, Machiavelli utilizza con precisione estrema le complesse semantiche che gli autori classici latini assegnano alle forme diverse derivate del verbo contendere: contentus, contentio, contente. Vengono posti quindi in relazione livelli diversi di significati. Per un versante, una nozione astratta — la mala contentezza appunto — che esprime lo scarto negativo della tensione del desiderio che vuole realizzare cose importanti e sempre diverse, ma che si scontra con la minima realizzabilità dei progetti umani in rapporto alla limitatissima potenza naturale dell’uomo ed alla scarsità degli strumenti disponibili. Per questo primo livello sicuro riferimento è la contenta mens di Lucrezio, che intende significare in particolare attenzione e concentrazione

dell'intelletto umano impegnato a fare proprio il mondo circostante”;

in questo

senso,

contendere

esprime

tensione,

° Discorsi, II, proemio, in Tutte le opere, cit., p. 145.

? De rerum natura, IV, 964; vedi pure il contesto: «Et quo quisque fere studio devinctus adhaeret, / aut quibus in rebus multum sumus ante

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA

CONTENTEZZA

IS,

sforzo e conflitto in riferimento alle dinamiche rivolte all’appropriazione dell'oggetto del desiderio. Per un altro versante, in relazione significativa con la definizione di mz4la contentezza, contenzione richiama l’uso dell'attributo contentus — per esprimere ancora tensione e con-

flitto — così come incontriamo nello stesso Livio allorquando, ad esempio, ricostruisce le vicende legate a Marco Manlio Capitolino, il quale — «non contentus agrariis legibus» — provocò disordini tali da rendere necessaria la nomina di un dictator8. In questo caso la serie dei conflitti esterni — di natura politica, sociale, economica — viene collegata alle condizioni dell'equilibrio interiore dei soggetti impegnati nel contesto.

2. Oltre la vile ambizione: la politica come espansione del cittadino e della repubblica Innanzitutto, la mala contentezza esprime il fallimento delle azioni umane motivate dalle ambizioni degli individui. Intanto, in riferimento alle dinamiche proprie dell’ambizione — così come risultano descritte dai luoghi principali di Discorsi I, 37 e II, 19, di Principe III, dell’Asino d’oro (V) — risultano chiari e conseguenti i termini della descrizione fenomenologica fatta da Machiavelli: l'ambizione costituisce l’illimitato desiderio di acquistare, estendere il proprio potere naturale, «tendenza naturale ad alterare a proprio vantaggio la ripartizione delle “risorse”, morati, / atque in ea ratione fuit contenta magis mens, / in somnis eadem plerumque videmur obire» (vv. 962-965). A tale riguardo può essere utile ricordare lo studio machiavelliano dell’opera lucreziana, copiata a mano quasi sicuramente nel 1495, come si evince dal Codice Rossiano, conservato presso la Biblioteca Vaticana. 8 Ab urbe condita libri,VI, 11,8,1; Marco Manlio Capitolino «primum omnium ex patribus popularis factus cum plebeis magistratibus consilia communicare; criminando patres, alliciendo ad se plebem iam aura non consilio ferri famaeque magnae malle quam bonae esse. Et non contentus agrariis legibus, quae materia semper tribunis plebi seditionum fuisset, fidem moliri coepit».

GIANFRANCO BORRELLI

20

materiali e morali», scrive Inglese, commentando i versi del capitolo dedicato all’ambizione?; essa viene causata e coltivata da noia e dolore, atteggiamenti originari degli uomini che normalmente «si stuccano nel bene, e nel male si affliggono»!9; ocio la scarsità delle risorse disponibili pone gli uomini nelle condizioni di permanenti antagonismi; di qui, conflitti che sorgono o per mecessità, vale a dire per Za gnare i mezzi indispensabili alla sopravvivenza ed alla sicurezza sulla vita fisica: o anche per ambizione degli onori, cioé delle posizioni di preminenza che segnano la gerarchia pubblica dei poteri prodotti dall’azione dei singoli cittadini. Si deve poi, anche immediatamente, distinguere l’ambizione che diventa furore, che si esprime nelle differenti comzplessioni degli individui, ma anche nelle costituzioni diverse

delle città; questa ambizione ha bisogno di autogoverno e contenimento

istituzionale e, a certe condizioni, può essere

temperata attraverso l’esercizio della virtù, l'educazione alle armi e le pratiche militari di conquista: «Quando una region vive efferata / per sua natura e poi per accidente / di buone leggi instrutta e ordinata, / di Ambizion contro all’esterna gente / usa el furor, che usarla infra se stessa / né leggi né el Re gnene consente; / onde el mal proprio quasi sempre cessa, / ma suol ben disturbar l’altrui ovile, /dove quel suo furor l’insegna ha messa»!!.

La virtù civile richiede certamente, da un canto, lo sti-

molo positivo dell’ambizione: peraltro, lo stato deve coltivare ? La ricostruzione della categoria di anzbizione, che di seguito propongo, si avvale dell'importante contributo di G. Inglese posto ad introduzione degli scritti di MacHiaveLLI, Capitoli, Roma, Bulzoni, 1981; vedi in particolare le pp. 90-105 dedicate al commento del capitolo sull’ambizione; la citazione è alla p. 91. !0 Discorsi, III, 21, in Tutte le opere, cit., p. 227, oltre che il luogo già citato in I, 37. !! Questi versi, come pure quelli della successiva citazione, sono tratti

dal Capitolo dell'ambitione di Nicolo Machiavelli a Luigi Guicciardini, Capitoli, cit., pp. 146-147.

in

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA

CONTENTEZZA

ZAIÌ

la virtù dei cittadini proprio al fine di evitare gli effetti negativi scatenati pure dalle dinamiche proprie delle ambizioni e deviare verso l’esterno della comunità le tensioni negative che possono derivare dai conflitti tra ambizioni diverse. In effetti, quella virtù — pure motivata da una produttiva ambizione — è tale se il singolo cittadino si dimostra capace di sacrificare la vita per il bene della città e per la libertà. A parte, è invece l’ambizione prodotta dalla viltà, che si presenta come motivo principale di corruzione nelle situazioni di abbondanza e di facilità dell’acquisito; in questo caso la debolezza naturale degli uomini — e degli Stati — che vivono in ozio è fondamentalmente incapace di offrire un’attiva capacità di regola: «Fie per avverso quel loco servile, / ad ogni danno, ad ogni iniura esposto, / dove sia gente ambiziosa e vile: / se Viltà e Tristo ordin siede accosto / a questa Ambizione, ogni sciagura, ogni ruina, ogni altro mal vien tosto».

Certamente, la definizione teorica della mala contentezza— con i percorsi semantici specifici di contento/malcontento — acquisisce nella scrittura machiavelliana la concreta corposità di criterio di descrizione e di inquadramento di una parte significativa degli eventi storici. Le condizioni di wz4/4 contentezza si esprimono infatti negli eventi storici e politici ed incidono negativamente nella vita civile; in particolare, nei periodi di crescente corruzione dell'ordine civile e delle leggi, comunque nelle fasi acute del mutamento politico: in tutte quelle situazioni in cui aumentano l’incertezza e l’inquietudine dei cittadini. La presenza di questa categoria in molteplici luoghi dell’opera machiavelliana attesta, allora, un uso determinato anche su piani scritturali diversificati: da un canto, l’intenzione precisa di riflettere il significato filosofico, generale, di mala contentezza come limite naturale, ontologico, dell’esistere umano; insieme, con procedura scritturale distinta, la rappresentazione degli avvenimenti storici determinati. Alla prima serie di scritture appartengono — oltre i brani citati dei Discorsi — le parti di alcune opere letterarie:

DI

GIANFRANCO BORRELLI

in particolare, basterà fare riferimento a brani della Clizia e de L’Asino d’oro??. Per quanto concerne gli scritti che fanno riferimento ad avvenimenti storici e politici, bisogna innanzitutto richiamare i rapporti della legazione svolta nel luglio del 1499 presso Caterina Sforza, a Forlì: in questo caso, risultano presenti entrambi i significati dell'essere malcontenti. Intanto, Machiavelli riferisce di una condizione particolare della principessa sofferente per la malattia del figlio Lodovico: «Dipoi questo giorno è stato ad me el Baldraccane, et facto prima excusatione perché Madonna non mi haveva proprio ore facto intendere lo animo suo, allegando sua signoria essere indisposta et in malissima contenteza per la malattia grande in che è incorso Lodovico figliolo suo et di Giovanni de’ Medici, mi expose per parte di sua Excellentia come era contenta, nullo habito respectu, per essersi un tracto rimessa nelle bracce di vostre Excelse Signorie, et in quelle volere confidare et sperare... »!.

In altro contesto, Machiavelli mette sulla bocca di Caterina un giudizio politico che contiene anche spunti critici verso chi governa in Firenze: «Questa Illustre Madonna, quando io le comunicai questa mattina la lectera di vostre Signorie, avanti ch’io dicessi alcune cose, dixe: “Io ho questa mattina una buona nuova, peché io veggho che quelli vostri Signori vorranno fare pure da vero, poiché rachozano

12 Nella Clizia, le semantiche della nza/a contentezza sono espresse nei versi: «quanto è più propinquo ad uno suo desiderio, più lo desidera, e, non lo avendo, maggior dolore sente» (Atto I, vv. 1524-25, in op. cit., p. 895).

Più direttamente ne L'asino d'oro: «Quel che ruina da’ più alti colli, più ch’altro, i regni, è questo: che i potenti di loro potenza non son mai satolli. Da questo nasce che son mal contenti quei ch’han perduto, e che si desta umore per ruinar quei che restan vincenti; onde avvien che l’un sorge e l’altro muore; e quel ch'è surto, sempre mai si strugge per nuova ambizione o per timore» (V, 1517-1525, in op. cit., p. 966).

5 Legazione a Caterina Sforza (23 luglio 1499) in Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, a cura di F. Cappelli, Bari, Laterza, 1971, vol. I, pp. 214-215.

CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA

25

le fantarie. Di che io li commendo, et sonne contentissima tanto, quanto prima ne ero male contenta veggiaendo la tardeza loro, pa-

rendomi perdessino un tempo inrecuperabile” » 14.

Qualche anno più avanti, nel 1512, in riferimento alle manovre poste in essere dal partito degli ottizzati nel momento della restaurazione medicea alla fine di quell’anno, Machiavelli richiama i Medici a bene interpretare il malessere del popolo e a diffidare della parte dei grandi, degli ottimati: questi ultimi «vorrebbono purgare questo odio per fare el facto loro, non quello de’ Medici, perché la causa della mala contentezza tra l’universale et e Medici non ne è cagione né Piero né la sua ruina, ma sì bene l'ordine mutato» !5. In questo caso, l'inquietudine diffusa nel popolo viene appunto motivata con il cambiamento degli ordini, della condizione istituzionale sofferente della vita civile. Nel Principe, poi, si ricorda che si diventa malcontenti «o per troppa ambizione o per paura»!$; ancora, viene argomentato che i malcontenti si legano facilmente a quelli «che desiderano innovare»; costoro «per le ragioni dette, ti possono aprire la via a quello stato e facilitarti la vittoria; la quale di poi, a volerti mantenere, si tira

drieto infinite difficultà, e con quelli che ti hanno aiutato e con quelli che tu hai oppressi. Né ti basta spegnere el sangue del principe; perché vi rimangono quelli signori che si fanno capi delle nuove

alterazioni;

e, non li potendo né contentare

né spegnere,

perdi quello stato qualunque volta venga l’occasione»!7.

Ancora in questo caso la mala contentezza viene segnalata come indice di squilibrio e di sofferenza in coloro che spingono alla introduzione immotivata e pericolosa di novità nelle cose politiche; ne consegue che la mala contentezza prende i soggetti che si dispongono positivamente alla con14 Legazione a Caterina Sforza (18 luglio 1499), ivi, p. 207. 5 Ai Palleschi (nov. 1512), in Tutte le opere, cit., p. 16.

© Principe, III, in op. cit., p. 260. a ? Principe, IV, in op. cit., p. 263.

24

GIANFRANCO BORRELLI

giura: «chi coniura non può essere solo, né può prendere compagnia, se non di quelli che creda esser malcontenti; e subito che a uno malcontento tu hai scoperto l’animo tuo, li dai materia a contentarsi, perché manifestamente lui ne può sperare ogni commodità»!8. Con acutissima notazione psicologica, Machiavelli segnala che l'individuo malcontento — reso informato e partecipe del progetto di congiura — viene momentaneamente soddisfatto e rassicurato nel merito dei conflitti e delle difficoltà del tempo a venire; su questo soggetto potrà sicuramente contare per qualche tempo chi ordisce congiura.

3. Tra prudenza respettiva e impeto problema della qualità dei tempi

dell’innovazione:

il

La mala contentezza segna il limite, la difficoltà degli uomini a governare se stessi, i propri elementi interiori, in rap-

porto al cambiamento degli ordini e dei tempi delle cose. In questo luogo teorico — che si presenta come argomentazione

antropologica preliminare allo stesso discorso politico — precipita in effetti l’intersezione problematica tra le dinamiche del riscontro dell’azione umana dettata dall’ambizione rispetto alla qualità dei tempi con l’altro decisivo punto: quello dell'esito possibile dell'agire virtuoso dei soggetti a fronte delle condizioni — esterne ed interne all'uomo — imposte dalla fortuna. È noto come in tre differenti luoghi, con scritture vicine e pure in parte differenti, Machiavelli argomenta il rapporto tra virtù e fortuna, tra le possibilità di successo dell’agire umano in rapporto al variare continuo de li ordini e de’ tempi delle cose??. 18 Principe, XIX, in op. cit., p. 285. 19 Si tratta dei Ghiribizzi — la nota lettera diretta a Giovan Battista Soderini del 13-21 settembre 1506 —, del Principe, XXV, del 1513, e del luogo dei Discorsi, III, 9, di pochi anni successivi. Per una introduzione critica a questi testi vale sicuramente ancora il lavoro di G. Sasso, Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1980.

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA

CONTENTEZZA

25

Nello scritto cosiddetto dei Gbiribizzi, risalta il tentativo

machiavelliano di offrire una spiegazione circa gli esiti, positivi o negativi, dell’azione umana: «donde nascha che le diverse operationi qualche volta equalmente giovino o equalmente nuochino, io non lo so, ma desiderrei bene saperlo» 20. L’avvio dell’argomentazione discute dell’inevitabile perenne confronto tra temperamenti degli uomini e i tempi che segnano il contesto delle azioni umane: «Io credo che, come la Natura ha facto ad l’huomo diverso volto, così li habbi facto diverso ingegno et diversa fantasia. Di questo nascie che ciascuno secondo lo ingegno et fantasia sua si governa. Et perché da l’altro canto e tempi sono varii et li ordini delle cose sono diversi, ad colui succedono ad votum e suoi deside-

rii, et quello è felice che riscontra el modo del procedere suo con el tempo, et quello, per opposito, è infelice che si diversifica con le sue actioni da el tempo et da l’ordine delle cose»?!.

Qui vengono attivati due vettori concettuali: il primo riguarda la differenza del temperamento individuale, che consiste nelle disposizioni naturali di operare con ragionamento e con immaginazione; si tratta della comzplessione fisica che caratterizza la differenza di temperamento per ciascun soggetto. Ancora, l’autore specifica che i caratteri umani si riducono a due: «gli uomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione»?2; questi due temperamenti — prudente respettivo e impetuoso — risultano decisivi nell’agire di ciascun soggetto: «se uno che si governa con rispetto con respetti e pazienzia, e tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando; ma se li tempi e le cose si mutano, e’ rovina,

perché non muta modo di procedere. Né si truova uomo sì pru-

20 GHIRIBIZZI, IN Tutte le opere, cit., p. 1083. Per le vicende della ricostruzione di questo testo conviene vedere le pagine di G. SASSO, IN op. GLREPPR195-205ì 21 Ibidem. 22 Discorsi, III, 9, in op. cit., p. 213.

26

GIANFRANCO BORRELLI

dente che si sappi accomodare a questo; sì perché non lo si può deviare da quello a che la natura lo inclina; sì etiam perché, avendo sempre uno prosperato camminando per una via, non si può persuadere partirsi da quella. E però l’uomo respettivo, quando egli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina; ché, se si mutassi di natura con li tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna»?3.

La seconda serie concettuale offre dunque la specificazione che i tempi sono molteplici e di diversa natura: questi risultano essere vari e di diverso valore così come le forme della realtà circostante. Viene allora proposto il termine del rapporto, positivo o negativo, che può realizzarsi :nel confronto tra ciascun individuo e i tempi diversi: felice è il soggetto «che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de’ tempi»?4; mentre l’infelicità deriva dal fatto che l’agire dell’uomo non può non entrare in un determinato punto in contrasto con il mutato procedere degli eventi. La qualità de’ tempi risulta decisiva poiché la felicità umana si realizza a seconda delle capacità soggettive di adattare i comportamenti alle forme nuove e diverse che assumono ? tempi e li ordini delle cose. Il criterio proposto da Machiavelli per l’interpretazione del successo o del fallimento dell’azione del singolo individuo, conseguenti allo svolgimento di percorsi simmetrici o di asimmetrie irrimediabili tra diverse temporalità, assume i caratteri di una tesi essenziale e lineare nella sua formulazione; in effetti, esso si complica notevolmente in considerazione della serie infinita dei possibili sviluppi che possono emergere in seguito alle relazioni tra la realtà mutevole degli eventi naturali e storici, da una parte, e l’incertezza e l’inquietudine proprie dell'agire umano, dall’altra: «Ma, perché e tempi et le cose universalmente et particularmente si mutano spesso, et li huomini non mutono le loro fantasie né e loro modi di procedere, adcade che uno ha un tempo buona

2 Principe, XXV, in op. cit., p. 296. 24 Gbhiribizzi, in op. cit., p. 1083.

CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA

27

fortuna et uno tempo trista. Et veramente, chi fussi tanto savio che conoscessi e tempi et l’ordine delle cose et adcomodassisi ad quelle, harebbe sempre buona fortuna o e’ si guarderebbe sempre da la trista, et verrebbe ad essere vero, che ’1 savio comandassi alle stelle et a’ fati. Ma, perché di questi savi non si truova, havendo li huomini prima la vista corta, et non potendo poi comandare alla natura loro, ne segue che la Fortuna varia et comanda gli huomini, et tiegli sotto el giogo suo»?5.

Secondo Machiavelli felicità o tristitia sono legati alla capacità degli uomini di comprendere i cambiamenti del corso dei tempi ed adattare a questi mutamenti la propria azione; peraltro, ciò viene normalmente

reso difficile dalla stessa natura

umana. L’indagine machiavelliana è in prima istanza dedicata all’approfondimento e allo scandaglio dei movimenti interiori agli uomini, poiché da queste dinamiche risultano in definitiva possibili le attive trasformazioni poste in essere dagli uomini nei confronti della traiettoria vincente della fortuna. Quindi, da un canto i saperi astrologici e la classica teoria degli umori motivano fortemente Machiavelli nelle argomentazioni relative alla fissità immodificabile dell'ingegno e della fantasia degli uomini; il cielo, il sole e gli elementi non variano «di moto, di ordine e di potenza, da quello che gli erano antiquamente»?6: la natura non cambia, cambiando solo le forme del suo divenire. Di qui pure deriva la ferma convinzione machiavelliana per cui l'agire e la virtù degli uomini rimangono inesorabilmente condizionate dalla fortuna in considerazione del fatto che il carattere individuale è immutabile, quindi sostanzialmente incapace di modificare se stesso in rapporto al variare della fortuna??; è questo un limite irrimediabile posto dalla natura stessa nella complessione dell’individuo e rafforzato dalle abitudini sedimentate nei comportamenti: 2 Ibidem. 26 Discorsi, I, proemio, in op. cit., p. 76. 27 Sull’incidenza dell’epistemologia naturalistica, e in particolare della teoria degli umori, sul metodo storiografico machiavelliano risulta d'obbligo

il riferimento al lavoro di L. ZANzI, I «segni» della natura e i «paradigmi» della storia: il metodo di Machiavelli, Manduria, Lacaita, 1981.

28

GIANFRANCO BORRELLI

«E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagioni due cose: l’una, che noi non ci possiamo opporre a quello che c’inclina la natura; l’altra, che, avendo uno con un modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa fare bene a procedere altrimenti: donde ne nasce in uno uomo la fortuna varia, perché ella varia i tempi, ed elli non varia i modi. Nascene ancora le rovine delle cittadi, per non si variare gli ordini delle republiche co’ tempi; ma sono più tarde, perché le penono più a variare, perché bisogna che venghino tempi che commuovino tutta la republica; a che uno solo, col variare il modo del procedere, non basta» ?8.

Ancora più complesso si presenta questo problema in riferimento alla considerazione per cui gli elementi che, limitano fortemente l’azione degli uomini, piuttosto che ad una fortuna completamente esterna ed estranea agli esseri umani, sono da relazionare alle parti più interne, profonde, della vita umana. Come scrive Sasso, «la fortuna può e deve essere ricondotta alla radice profonda della natura umana, al suo tratto unilaterale e, nel variare delle circostanze, invariabile. E la sua “transcendenza” diviene, in tal modo, una trascendenza interiorizzata: non la trascendenza della provvidenza cristiana, o del fato stoico, ma la trascendenza di una parte dell’animo

umano su questo animo stesso»??, I tempi delle azioni umane hanno dunque il loro confronto decisivo non solo rispetto ad una realtà naturale completamente esterna agli uomini: piuttosto, ciascun individuo rimane inevitabilmente impegnato nel comprendere e nel governare quel fondo oscuro e imprevedibile costituito dagli impulsi interiori. Ecco, allora, che il profondo convincimento machiavelliano circa l’immutabilità della natura umana diventa la chiave per offrire una descrizione di quei cambiamenti che — riconfermata l’inalterabilità dei caratteri della specie — riguardano le uniche modificazioni possibili dei temperamenti: quelle relative alle tensioni interne ai soggetti prodotte dallo sviluppo e dalla corruzione dei corpi; in particolare, gli uomini vivono inquietudini e depressioni — la mala contentezza come inter28 Discorsi, III, 9, in op. cît., pp. 213-214. 2? G. Sasso, Niccolò Machiavelli, cit., p. 395.

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA

CONTENTEZZA

29)

na sensibilità dello scacco irrimediabile di ogni singola esistenza — in forme differenti a seconda delle età diverse della vita umana e nel riferimento ai diversi contesti di vita. A tal punto, poi, le corzplessioni fisiche determinano con necessità i temperamenti degli uomini che gli umori — di cui i caratteri individuali risultano composti — valgono a costituire non solo la riconoscibile differenza tra i singoli soggetti, ma pure si addensano in grandi entità collettive, incidendo sul complesso della storia delle comunità umane. E tanto viene insegnato dalla storia di Roma: è facile infatti potere constatare che «e’ sono in ogni republica due umori diversi, quello del popolo, e quello de’ grandi; e come tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascano dalla disunione loro, come facilmente si può vedere essere seguito in Roma»39. La costituzione del corpo politico risulta quindi condizionata dalle complessioni naturali, fisiche, dei singoli individui e

dalla loro degenerazione. Per questi aspetti, lo Stato è corpo naturale, il cui governo svolge la funzione di reagire ai danni indotti dalla malattia/corruzione delle sue membra: «E però non è cosa che faccia tanto stabile e ferma una republica, quanto ordinare quella in modo che l'alterazione di quegli omori che l’agitano, abbia una via di sfogarsi ordinata dalle leggi»31. Insieme, l’azione della politica — che deve garantire l’innovazione della linfa vitale e il mantenimento della salute del corpo civile — resta pure condizionata dall’alterazione degenerativa degli umori, dalla corruzione dei comportamenti, dalle condizioni di difficoltà e di sofferenze delle singole esistenze. Questo limite umano incide direttamente sulle possibilità proprie dell’agire politico, in riferimento al problema cruciale espresso da Machiavelli come rapporto tra inzovazione e mantenimento; per un verso, come si possa dare avvio alla novità attraverso l’izpeto: dall'altro, a quali condizioni la prudenza respettiva possa garantire il mantenimento della stabilità del vivere civile. In effetti, chi vive di mala contentezza si rende in permanenza disponibile alla novità: 30 Discorsi, I, 4, in op. cit., p. 82. AES

USAI

30

GIANFRANCO BORRELLI

«gli uomini sono desiderosi di cose nuove; in tanto che così desiderano il più delle volte novità quegli che stanno bene, come quegli che stanno male: perché, come altra vota si disse, ed è il vero, gli uomini si stuccano del bene, e nel male si affliggano. Fa, adunque, questo desiderio aprire le porte a ciascuno che in una provincia si fa capo di innovazione; e s’egli è forastiero, gli corrono die-

tro, s’egli è provinciale, gli sono intorno, augmentanlo, e favorisconlo: talmenteché, in qualunque modo elli proceda, gli riesce il fare progressi grandi in quegli luoghi»3?.

A fronte della necessità originaria di procedere all’innovazione degli ordini della città — in modo da rimediare al rischio della corruzione e del degrado del vivere libero e civile —, la condizione di malessere, di sofferenza, indotta negli individui dalla wz4/a contentezza spinge sicuramente alla produzione di novità dannose alla città, alla patria, poiché indotte dalla volontà esplicita di approfondire la disunione e la discordia tra le parti della città. A questo punto, abbiamo elementi sufficienti per intendere in modo più approfondito la coppia oppositiva contento/ malcontento che Machiavelli utilizza continuamente e con semantiche definite. Intanto, conviene dapprima restituire il significato di contento così come proviene da Principe, XIX: «qualunque volta alle universalità delli uomini non si toglie nè roba né onore, vivono contenti, e solo si ha a combattere

con la ambizione di pochi, la quale in molti modi e con facilità si raffrena»; per naturale estensione, penso che si possa articolare questa definizione con quanto espresso nel capitolo XXIV: «li uomini sono più presi dalle cose presenti che dalle passate, e quando nelle presenti trovano el bene, vi si godono e non cercano altro; anzi piglieranno ogni difesa per lui, quando non manchi nell’altre cose a sé medesimo». Nella condizione del m2a/contento, invece, il desiderio che diventa smisurata ambizione comporta alterazione e corruzione degli umori inducendo esaltazione nella mente umana; la fenomenologia di tale sofferenza viene illustrata da MaZIO II ZIE pre ” Le citazioni di Principe, XIX e XXIV, sono in op. cit., p. 284 e p. 294.

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA CONTENTEZZA

31

chiavelli attraverso la descrizione del vissuto dell’uomo che risulta colpito e frammentato nei flussi temporali di cui è composto. L’uomo che vive di mala contentezza non riesce a sostenere il proprio continuum temporale, è squilibrato rispetto alla situazione presente di vita; questo soggetto non riesce a vivere la realtà effettuale: è portato o ad esaltare la vita passata attraverso la memoria oppure a proiettarsi grazie all’immaginazione verso un futuro carico di incerte aspettative (quest’ultimo atteggiamento è tipico dei giovani): appunto — come è detto nel già citato proemio di Discorsi, II — «biasimare i presenti tempi, laudare i passati, e desiderare i futuri». Ne derivano comunque lacerazione interiore, perdita di contatto con la presenza, proiezione del proprio malessere contro il nemico impersonato in coloro che vengono vissuti come causa esterna della sofferenza.

4.

Creare nuovi ordini: salvare la patria attraverso i cambiamenti istituzionali

Pure nel Discursus florentinarum rerum — portato a compimento tra la fine del 1520 e il febbraio dell’anno successivo, presentato quindi a Giulio de’ Medici quale suggerimento estremo di convertire il futuro della politica medicea attraverso la riforma in senso repubblicano degli ordini istituzionali in crisi — Machiavelli individua il motivo principale delle discordie civili di Firenze nelle politiche prodotte dai cittadini malcontenti: «La cagione perché tutti questi governi sono stati defettivi è che le riforme di quegli sono state fatte non a satisfazione del bene comune, ma a corroborazione e securtà della parte: la quale securtà non si è anche trovata, per esservi sempre stata una parte malcontenta, la quale è stata un gagliardissimo instrumento a chi ha desiderato variare» 34.

34 Discursus florentinarum rerum post mortem ces, in op. cit., p. 25.

iunioris Laurentii Medi-

DZ

GIANFRANCO BORRELLI

Ancora fautore della parte popolare, dell’uriversale, Machiavelli sostiene pure con coerenza che l'istituzione del governo repubblicano in Firenze può essere resa possibile solo a condizione di introdurre quelle innovazioni politiche e istituzionali idonee a rendere a ciascuna delle parti presenti in città il riconoscimento dovuto alla loro importanza: «gli ordini della città per loro medesimi possino stare fermi; e staranno sempre fermi quando ciascheduno vi averà sopra le mani». Si tratta di evitare il corto circuito che ha visto sempre contrapposte in città le fazioni aristocratiche e quelle di parte popolare: per la difesa della patria comune bisogna combattere l'arroganza dei nobili così come la licenza dell’universale; bisogna quindi neutralizzare gli effetti negativi dei comportamenti prodotti sotto l'influenza della wz4/a contentezza:

«molti a’ quali non parendo, stando così, vivere sicuri, non fanno altro che ricordare che si pigli ordine al governo: e chi dice che si allarghi, e chi che si restringa; e nessuno viene ai particolari del modo del restringere o dell’allargare, perché sono tutti confusi e non parendo loro vivere sicuri nel modo che si vive, come lo vorrebbono acconciare non sanno, a chi sapessi non credono; tale che, con la

confusione loro, sono atti a confondere ogni regolato cervello» 35.

In definitiva, ancora nel Discursus, attraverso uno sforzo ulteriore costituito dall’elaborazione di un nuovo progetto istituzionale, in cui trovino esplicita rappresentazione politica le parti diverse della città — senza alcuna esclusione per gli stessi aristocratici” — viene confermato quel principio LRIUe DA 36 Ibidem. 3? A questo proposito è particolarmente significativo il brano seguente del Discursus: «Coloro che ordinano una repubblica debbono dare luogo a tre diverse qualità di uomini, che sono in tutte le città; cioé, primi, mezzani e ultimi. E benché in Firenze sia quella equalità che di sopra si dice; nondimeno sono in quella alcuni che sono di animo elevato, e pare loro meritare di precedere agli altri; a’ quali è necessario nell’ordinare la republica satisfare: né per altra cagione rovinò lo stato passato che per non si essere a tale umore satisfatto» (op. cit., p. 27).

CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA

33

argomentato nei Discorsi: finalità principale della politica è creare nuovi ordini, introdurre quelle innovazioni intese a confermare il principio libero, il fondamento originario del vivere libero e civile degli ordini istituzionali. In questo contesto, pure, la conferma della funzione decisiva di contenere il malcontento che favorisce la disgregazione politica e il malessere della città; lasciando «sfogare i maligni umori che nascono negli uomini» — aveva scritto Machiavelli nel già ricordato brano di Discorsi, I, 7 —, la politica deve realizzare le condizioni per il positivo confronto tra queste parti: «non è cosa che faccia più ferma una republica, quanto ordinare quella in modo che l’alterazione di quegli omori che l’agitano, abbia una via di sfogarsi ordinata dalle leggi». Il Discursus chiude significativamente con l'affermazione che il vivere libero e civile della città consiste del fatto che «ciascuno saperrà quello ch’egli abbi a fare, e in che gli abbi a confidare; e che nessuno grado di cittadino, o per paura di sé o per ambizione, abbi a desiderare innovazione». Per introdurre la effettiva e utile innovazione — finalizzata a mantenere ferzzi, stabili, gli ordini istituzionali della città — il contributo decisivo del cittadino consiste nell'avere capacità di autodisciplina: solo percorrendo positivamente le possibilità offerte dalla partecipazione alla vita civile si potrà consentire di «ordinare lo stato in modo, che per se medesimo si amministri»38. Nelle Istorie fiorentine le semantiche di contento/malcontento contribuiscono ampiamente alla descrizione dei percorsi travagliati della storia di Firenze. Nel proemio al primo libro, prima di dare avvio alla narrazione storica, Machiavelli differenzia e motiva la propria impostazione storiografica — in particolare, rispetto alle opere di Leonardo Bruni e di Poggio Bracciolini — proprio nell’intendimento di volere contribuire a rappresentare i danni provenienti dagli antagonismi interni alla città e, per converso, ribadire la necessità

del mantenersi uniti:

23 Toga SIL

34

GIANFRANCO

BORRELLI

«la maggior parte delle altre repubbliche delle quali si ha qualche notizia sono state contente d’una divisione, con la quale, secondo gli accidenti, hanno ora accresciuta, ora rovinata la città loro; ma Firenze, non contenta d’una, ne ha fatte molte...; di Firenze in prima si divisono infra loro i nobili, dipoi i nobili e il popolo, e in ultimo il popolo e la plebe; e molte volte occorse che una di queste parti, rimasa superiore, si divise in due: dalle quali divisioni ne nacquero tante morti tanti esili, tante destruzioni di famiglie, quante mai ne nascessero in alcuna città della quale si abbia memoria» 39.

La riflessione storiografica rafforza ed arricchisce la riflessione teorica machiavelliana sui conflitti; in particolare, due elementi vengono col tempo a costituire una sicura acquisizione: per un verso, solo la contesa costruttiva tra le

parti rende possibile la crescita del benessere della città e l'ampliamento ulteriore attraverso la conquista, così come avvenne per la repubblica romana; peraltro, a fronte dei pericoli provenienti dall'esterno e se non si vuole favorire il nemico, bisogna in tempo porre termine ai conflitti interni. Ecco allora che Machiavelli utilizzerà continuamente le espressioni mala contentezza/malcontento per significare lo scorrimento di quegli umori negativi per la città, attraverso cui si sono consumati sanguinosi conflitti: nel periodo del conflitto tra Bianchi e Neri, a fine del Duecento, «Rimase per tanto in Firenze l’una e l’altra parte, e ciascuna malcontenta: i Neri, per vedersi la parte nemica appresso, temevano che la non ripigliasse, con la loro rovina, la perduta autorità; e i Bianchi si vedevano mancare della autorità e onori loro» 49; mal contenti sono i Grandi — le famiglie dei Peruzzi, Acciaiuoli, Antellesi e Buonaccorsi — che negli anni Quaranta del secolo seguente operano al fine dell’inasprimento in città della signoria di Gualtieri, duca di Atene; ancora malcontenti sono i Grandi e il popolo minuto negli avvenimenti immediatamenti successivi: i primi a causa del cambiamento de3 Istorie fiorentine, I, proenfio, in op. cit., pp. 632-633.

4 Ivi, II, 20, p. 670.

CONFLITTI,

INNOVAZIONI,

MALA

CONTENTEZZA

DD

gli organi di governo operato in favore del popolo, quest’ultimo per la fame conseguente al periodo di carestia; «si sarebbe la città posata, se i Grandi — scrive Machiavelli — fussero stati contenti a vivere con quella modestia che nella vita civile si richiede; ma eglino il contrario operavano; perché, privati, non volevono compagni, e ne’ magistrati volevono essere signori; e ogni giorno nasceva qualche esempio della loro insolenzia e superbia: la qual cosa al popolo dispiaceva» 4);

a fine degli anni Novanta, Donato Acciaiuoli si pone contro i provvedimenti imposti da Maso degli Albizzi in quanto, «non poteva intra tanti mali contenti vivere bene contento, né recarsi, come i più fanno, il comune danno a privato commodo»; in seguito, i malcontenti in Firenze affiancano ed appoggiano gli sbanditi di fuora che operano per assassinare Maso degli Albizzi e chiamare il popolo alle armi, anch’esso mal contento 2; sulla mala contentezza dei prelati e dei baroni fonda Stefano Porcari, a metà Quattrocento,

il tentativo non riuscito

di riportare lo Stato della Chiesa nello antico vivere 4; mal contenta, e pure infedele, è quella moltitudine che dapprima appoggia Girolamo Olgiato nella congiura organizzata al fine di uccidere il crudele Duca Galeazzo a Milano, per poi abbandonarlo dopo che la congiura viene scoperta*4. In breve, questi pochi esempi attestano la ferma convinzione di Machiavelli per cui gli umori dei malcontenti attraversano la storia di Firenze mettendo a rischio il bene maggiore della città, la sua libertà. Il giudizio è netto; disunioni e inimicizie in Firenze assumono sempre la forma di sette e fazioni tra loro antagoniste, che operano a danno della città: «nelle vittorie del popolo la città di Roma più virtuosa diventava; perché potendo i popolani essere alla amministrazione de’ magistrati, degli eserciti e degli imperii con i nobili preposti, di quella

41 4 4 4

»

Ivi, Ivi, Ivi, Ivi,

II, 33 e 40, pp. 681 e 688; II, 38, p. 687. III, 26, p. 713. VI, 29, p. 785. VII, 33, p. 817.

36

GIANFRANCO BORRELLI

medesima virtù che erano quelli si riempievano, e quella città, crescendovi la virtù, cresceva potenza; ma in Firenze, vincendo il popolo, i nobili privi de’ magistrati rimanevano; e volendo racquistargli, era loro necessario, con i governi, con lo animo e con il modo del vivere, simili ai popolani non solamente essere, ma parere. Di qui nasceva le variazioni delle insegne, le mutazioni de’ tituli delle famiglie, che i nobili, per parere di popolo, facevano; tanto che quella virtù delle armi e generosità d’animo che era nella nobiltà si spegneva, e nel popolo, dove la non era, non si poteva riaccendere; tal che Firenze sempre più umile e abietto divenne» 45.

Bisogna allora frenare quegli umori negativi che provocano disunioni e fazioni contrapposte: non con la forza e neppure alla maniera di Cosimo, che ridusse di fatto la libera partecipazione dei cittadini alla vita civile di Firenze, dal momento che faceva in modo di «lasciare ire la cosa e con il tempo fare a’ suoi amici cognoscere che non a lui, ma a loro propri, lo stato e la reputazione toglievano... Riduttasi pertanto la città a creare i magistrati a sorte, pareva alla universalità de’ cittadini avere riavuta la sua libertà» 46. È importante, in definitiva, che gli uzzori de’ nobili e de’ popolani si quietino, laddove i primi pretendono di governare con la servità e i secondi con la licenza; non si può affidare il governo agli insolenti o agli sciocchi che intendono innovare solo a fine di incrementare la disunione e il disordine”: il risultato è quello di annullare la funzione importante della politica e fare precipitare i contrasti sul piano irrimediabile degli interessi dei privati cittadini.

5. Vivere politico, vivere civile e vivere libero: l’innovazione come rigenerazione dei princìpi fondativi della repubblica Dal percorso svolto emergono la difficoltà e la complessità di ricostruire, nell’interpretazione del pensiero politico 4 Ivi, III, 1, pp. 690-691. lo YVIL1p.0793. Slo, IVA pie 715:

CONFLITTI, INNOVAZIONI, MALA CONTENTEZZA

DI

machiavelliano, quella che possiamo chiamare — con moderna terminologia — una teoria dei conflitti. Intanto, l’avviso preliminare a non ridurre in termini di scontro tra classi sociali opposte gli elementi diversi che vengono connotati nelle scritture di Machiavelli come linee confliggenti in permanenza: appunto, discordie civili, intrinseche inimicizie, disunioni. Attraverso le semantiche di questi termini, l’autore sembra volere indicare i percorsi irrimediabili di antagonismi originari, strutturati secondo le modalità specifiche di complessioni psicofisiche contrapposte, generazioni di individui con dotazioni naturali diverse, privilegi antichi di famiglie, vantaggi economici di corpi, capacità sedimentate e trasmesse per ambiti ristretti di saperi e tecniche di comando: ma ancora, congiuntamente, la possibilità di leggere questi tracciati differenti nelle linee dei poteri che — giorno per giorno, ora per ora — vengono prodotti nella rete intricata delle convergenze e degli scontri tra le parti della città. L’autore non prefigura sistematici criteri di valutazione, piuttosto esalta in continuazione e con determinazione la centralità della risorsa politica: intesa innanzitutto come possibilità di innovazione, capacità di rinverdire i fondamenti della libertà civile; quindi, come contenimento delle tensioni negative, degli uzzori maligni, che attraversano le città provocando danni gravissimi per quanto inutili. Il progetto politico machiavelliano non riduce certamente la necessità del governo politico a tecniche ed a saperi particolarmente finalizzati a produrre ed a rafforzare l’immagine, il parere, dell’autorità di governo. Soprattutto, l'autorità libera della repubblica deve essere costruita «con le debite circunstanze e ne’ debiti tempi»8: quindi, i cittadini debbono rendere se stessi soggetti attivi e consapevoli della necessità del cambiamento; per Machiavelli è la città stessa a richiedere che tutte le sue parti — i caratteri diversi delle complessioni individuali, le capacità razionali e le doti di fantasia dei singoli e dei gruppi — contribuiscano a sostenere i per-

48. Discorsi, I, XXXV, in op. cît., p. 118.

38

corsi del vivere libero e civile. È attivi i conflitti, ma al contempo costituisce la garanzia delle libertà per introdurre quelle innovazioni al buon governo dello stato.

GIANFRANCO BORRELLI

questa capacità di rendere di sapere governarli, che e la condizione principale istituzionali indispensabili

II

TRA CRISTDELLA REPUBBLICA E CONSERVAZIONE DELLA LIBERTÀ D’ITALIA: GUICCIARDINI TEORICO DELLA PRUDENZA POLITICA Conservazione della libertà per Firenze e per l’Italia intera. Fin dal Discorso di Logrogno restano dichiarati da Guicciardini l’obiettivo principale dell'impegno politico e, insieme, il fulcro dello sforzo teorico posto in essere fino al termine della sua vita: «Due ragione principale mi fanno credere che la nostra città in processo di non molti anni, se Dio evidentemente non l’aiuta, abbi a perdere la libertà e stato suo. La prima, che doppo tanti naufragi delle cose di Italia e poi che questi principi aranno combattuto assai, pare ragionevole che in qualcuno sia per rimanere potenza grande, el quale cercherà di battere e’ minori e forse ridurre Italia in una monarchia; il che ancora mi è più capace, considerando con quanta fatica al tempo che in Italia non erano principi esterni si difendeva la commune libertà, ora quanto più sarà difficile, avendo sì grandi uccelli nelle viscere sue; e in questo caso io veggo le cose nostre in grave periculo, perché noi non abbiamo forze sufficienti a difenderci, vivendo disarmati e trovandosi la città, a rispetto de’ tempi passati, con pochi danari, per essere declinate le mercatantie, e’ quali ci hanno più volte tenuti vivi»!. 1 Discorso di Logrogno, in F. GuiccIARDINI, Opere, a cura di E. Lu1970, vol. I, p. 249. L’espressione conservazione della libertà è esplicita nel Dialogo del reggimento di Firenze, in Opere, cit., vol. I, p. 442; per gli stessi contesti semantici vedi sempre nel Di4/ogo, pp. 460-461. gnani Scarani, Torino, UTET,

40

GIANFRANCO BORRELLI

Nel contesto dell’acuimento delle difficoltà economiche e militari per gli stati regionali, il timore principale riguarda la peste oltramontana?, le conseguenze possibili indotte dalla presenza delle armate straniere in Italia: la fine per le politiche degli stati minori, se non addirittura l’accentramento monarchico come anticamera a forme di oppressione tirannica per l’intera penisola. Il contributo di Guicciardini risulta allora eccezionale come trasformazione del dizionario politico dell’epoca: cambiamenti che riguardano principalmente le semantiche di nozioni quali prudenza, tempo, conservazione. Il programma politico della conservazione della libertà d’Italia assume la configurazione di un indice problematico finalizzato a sostenere attraverso la riflessione, ma soprattutto grazie alle provisioni ed alle pratiche della politica, due orientamenti fondamentali: la centralità del contributo dei pochi soggetti virtuosi, effettivamente degni di esercitare l’arte complessa della politica, nella produzione di quel governo giusto che intende evitare sia la tirannide che la licenza popolare; la necessità dell'innovazione istituzionale — sul modello dello stato misto e dell’esperienza veneziana — per ridare vigore alla libertà di Firenze. Questi punti vengono enunciati come indispensabili ancora in base alla seconda ragione che — sempre nel discorso di Logrogno — viene richiamata come concreta difficoltà di modificare i comportamenti individuali e di migliorare i propri costumi da parte dei fiorentini: «La seconda ragione è che el vivere nostro civile è molto difforme da uno ordinato vivere di una buona republica, così nelle cose che concernono la forma del governo, come nelli altri costumi e modi nostri; una amministrazione che porta pericolo o di non di-

? L'espressione peste oltramontana — che si trova nel Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 370 — viene diretta esplicitamente contro i francesi. Ancora l’espressione peste, riferita questa volta all’introduzione in Italia dell’artiglieria pesante — elemento di decisivo rivoluzionamento delle pratiche di guerra —, si trova nella Storia d’Italia, in F. GUICCIARDINI, Opere, a cura di R. Palmarocchi, Milano-Roma, Rizzoli, 1941, vol. I, p. 73.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ D'ITALIA

41

ventare tirannide, o di non declinare in una dissoluzione populare; una licenza universale di fare male con poco respetto e timore della legge e magistrati; non essere aperta via agli uomini virtuosi e va-

lenti di mostrare e esercitare virtù loro, non preposti premi a quegli che facessino buone opere per la republica; una ambizione universale in ognuno a tutti li onori, e una presunzione di volersi ingerire

in tutte le cose pubbliche di qualunque importanza; gli animi degli uomini

effeminati

e enervati e volti a uno vivere delicato e, ri-

spetto alle facultà nostre, sontuoso; poco amore della gloria e onore vero, assai alle ricchezze e danari»?.

1. Maneggiare gli umori della libertà: frenare i cervelli appetitosi e inquieti

L’analisi delle cose politiche viene riferita da Guicciardini ai livelli dell'esercizio della forza e delle tecniche di governo, ma — abbiamo visto dalla seconda delle ragioni esposte nello scritto del 1512 — comunque misurata alle dinamiche dei cambiamenti e delle trasformazioni dei comportamenti dei cittadini. Per quanto egli prenda distanza dai discorsi che propongono alla città quelle astratte argomentazioni che valgono come inutili esortazioni a vivere alla filosofica4, tuttavia l’attività politica di Guicciardini si basa sulla capacità del dialogo diretto con i testi filosofici del pensiero classico e della grande elaborazione teorica umanistico-rinascimentale. Si può anzi sostenere che nel complesso delle scritture guicciardiniane le riflessioni su cupidità e passioni — che per ignoranza o per malignità sviano gli uomini normalmente inclinati al bene> — sono preliminari alle argomentazioni proprie della politica. } Discorso di Logrogno, in op. cit., pp. 249-250. 4 L'espressione è contenuta nelle Considerazioni sui « Discorsi» del Machiavelli, in Opere, a cura di E. Lugnani Scarani, cit., vol. I, p. 609: «questo si discorre non in una città che voglia vivere alla filosofica, ma in quelle che vogliono governarsi secondo el commune uso del mondo, come è necessario fare, altrimenti sarebbono, essendo debole, oppresse e conculcate da’ vicini». > Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., pp. 354-355.

42

GIANFRANCO BORRELLI

Per Guicciardini l'originario ordine naturale delle cose vede gli individui attenti a «pensare prima a conservare el suo e poi a occupare quello che tiene agli altri»: in altri termni, sembra innegabile che «negli uomini si truovi naturale el desiderio di dominare e di avere superiorità agli altri». Cupidità e ambizione: sono questi gli impulsi primari che spingono gli uomini ad estendere il proprio potere sugli altri individui e sugli oggetti circostanti. Con rigorosa argomentazione — che viene rappresentata dagli interventi di Bernardo del Nero nel Dialogo del reggimento di Firenze — la stessa libertà degli stati non viene considerata qualcosa che possa argomentarsi come originaria positiva aspirazione dei, soggetti: «Conchiudendo adunche dico che non è così naturale né così universale el desiderio de’ governi liberi come ha detto Pagolantonio; e se era così a’ tempi antichi, è molto più nei nostri, che sono corrotti»?. La funzione della politica si profila quindi come il potente strumento del governo degli altri da parte di quel limitato numero di soggetti virtuosi che siano stati capaci di provvedere al governo di se stessi; il punto di avvio dell’azione politica deve quindi tenere conto degli effetti negativi indotti da quella ambizione universale, già segnalata nel discorso di Logrogno come causa di corruzione e di imbarbarimento della vita civile8. In effetti, secondo Guicciardini, l’incidenza dell’ambizione sui comportamenti umani è fenomeno complesso da descrivere, e comunque ambiguo. Da un lato, l’autore denuncia il peccato dell'ambizione?: si tratta di quelle dinamiche per cui gli uomini, che intendono fare valere ad ogni costo il proprio valore, «vengono a essersi mossi non per bene commune, ma per fine di proprio interesse» !°: da qui sorgono

6 Ivi, pp. 452 e 336. OE (o, II). 8 Vedi la citazione sopra riportata in Discorso di Logrogno, in op. cit., pp. 249-250. ? L'espressione è contenuta nella orazione Accusatoria, in Opere, a cura di E. Lugnani Scarani, cit., vol. I, p. 517. 10 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 339. La stessa convin-

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

43

quelle divisioni, contenzioni, discordie, inimicizie, controversie tra gli uomini che segnano i normali percorsi della storia e che rendono indispensabile il ruolo della politica. Nel grandioso sviluppo espositivo della Storia d’Italia, sono queste dinamiche di cupidità e di ambizione a rappresentare quella inconstanza delle cose umane, sempre soggette al cambiamento,

rispetto alle quali vengono fatte intervenire le ragioni della guerra e le ragioni degli stati: è proprio al fine di intervenire nei confronti di questi elementi originari e permanenti di confusione e di disordine che Guicciardini sostiene la necessità della proporzione politica tra le parti: la forma del governo bene proporzionata, le condizioni dei cittadini proporzionate all'equalità!1. Bisogna quindi evitare e denunciare le 472bizioni immoderate, come quella di Alessandro VI!2; in parti-

colare, nelle città libere bisogna fare attenzione alle due diverse vie intraprese dai soggetti politici per motivi di ambizione: «... l'una di pigliare la protezione del popolo e farsi grato alla moltitudine... L’altro modo che è opposito a questo, è pigliare la via del senato, e cercare di venire in opinione di essere fautore delle dignità e commodi suoi» !3.

Esiste, d’altro canto,

una valenza sicuramente

positiva

dell’ambizione, vissuta in questi casi come «el desiderio di essere stimato e onorato dagli uomini, di mantenere fresca la

zione viene ribadita nella Storia d’Italia laddove il fine degli uomini ambiziosi è descritto come «sotto colore del bene universale contendersi degli interessi particolari», in Opere, a cura di R. Palmarocchi, cit., vol. I, p. 472. ll Vedi per la Storia d’Italia, in op. cit.: per l’incostanza delle cose umane, p. 361; per le ragioni della guerra, p. 351; per le ragioni degli stati, pp. 637-641; per i richiami al governo ed alla libertà dei cittadini che debbono rimanere bene proporzionati, pp. 113, 115 e 295; dappertutto poi, in questa opera, l'indagine di Guicciardini è intenta alla descrizione della qualità e del carattere delle disunioni che costituiscono la base degli antagonismi tra gli stati e all’interno degli stati. LE dia, (Da DEL 13 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., pp. 433-434.

44

GIANFRANCO BORRELLI

sua riputazione, e essere quasi mostrato convinzione, espressa nella Corsolatoria,

a dito»!4; questa viene nella stessa

opera ancora meglio giustificata nel senso che si debba «favorire la ambizione di coloro che non avendo mai fatto faccende, desiderano di farne per avere occasione di mostrare lo ingegno, le virtù sua e le dote che gli ha dato la natura o che s'ha acquistato accidentalmente, parendo loro che se una volta non fanno questo, avere a passare la vita come persone inutili né nate per beneficio di altri che suo medesimo» !5.

Sono questi i princìpi di un'etica delle virtù aristocratiche e dell'onore che possono essere esercitati allo scopo di rendere stabile e sicura la libertà della città solamente da determinati individui: di questi personaggi savi e virtuosi bisogna tenere conto «non per satisfare o fomentare la ambizione loro, ma per beneficio della città, la quale, se si discorre bene e’ progressi di ogni età antica e moderna, si troverà che sempre si regge in su la virtù di pochi, perché pochi sono capaci di impresa sì alta, che sono quegli che la natura ha dotati di più ingegno e giudicio che gli altri» 16.

Bisogna allora riconoscere che «è forse più utile alla città che e’ suoi cittadini abbino qualche instinto di ambizione moderata, perché gli desta a pensieri e azioni onorevoli, che se la fussi al tutto morta»!?. Questa concezione della virtù come ambizione temperata — pienamente articolata nelle opere che prendono corpo dai primi anni venti fino all'anno fatale del 1527, vale a dire il Dialogo e le orazioni Cornsolatoria, Accusatoria e Defensoria, inclusa la prima scrittura dei Ricordi —, viene posta alla base del possibile esercizio della prudenza politica; questa categoria presenta in effetti un 14 La definizione è contenuta nella Conso/atoria, in Opere, a cura di E. Lugnani Scarani, cit., p. 506.

15 Ivi, p. 503.

16 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 393. SE, 59, LIS

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

45

complesso retroterra filosofico, che trova la sua prima ispirazione negli ambienti del neoplatonismo fiorentino, nel riferimento determinato all’eccezionale elaborazione dovuta a Marsilio Ficino!8. Su questo piano, esplicita è la considerazione della dipendenza dei percorsi della politica concreta dagli attributi particolari dei cervelli e degli appetiti: «A Firenze li uomini amano naturalmente la equalità e però si accordano mal volentieri a avere e riconoscere altri per superiore; e inoltre e’ cervelli nostri hanno per sua proprietà lo essere appetitosi e inquieti, e questa seconda ragione fa che quelli pochi che hanno lo stato in mano sono discordi e disuniti, e per appetito di prevalere l’uno a l’altro tirano chi in qua chi in là, in modo che per difetto loro viene a indebolirsi tanto più la sua potenza»!?.

In effetti, l’esperienza del governo della città richiede a chi detiene il comando una notevolissima capacità di introspezione psicologica, che risulta indispensabile a quanti si propongano di maneggiare gli umori della libertà2°. Puntando su questo sapere — che deve pure consentire agli uomini politici equilibrio e autocontrollo per il proprio governo interiore — costoro potranno affinare tecniche prudenziali ido-

18 È noto che Ficino fu padrino di battesimo di Francesco Guicciardini, come pure ricorda l’autore nell’avvio delle Ricordanze; peraltro, il richiamo all'opera di Platone è esplicitamente riferito da Guicciardini alla mediazione ficiniana: «e però mi ha detto messer Marsilio, da chi io ho pure imparato alcuna volta qualche cosa, che Platone, quando fece quello libro che parla delle republiche, lo intitolò dalla giustizia, volendo mostrare che era el fine principale che si aveva a cercare» (Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 354). Della complessa filosofia ficiniana Guicciardini dovette approfondire e riprendere sia le argomentazioni della Teologia platonica, ma anche il variegato complesso delle tematiche legate ai saperi medici, ed in particolare alla teoria degli umori, rappresentate soprattutto nel De vita; al riguardo vedi l'importante lavoro di commento di A. Tarabochia Canavero

al testo ficiniano in Su/la vita, Milano, Rusconi,

1995.

Risulta

anche utile ricordare che l’intera prima parte di questa opera della tarda maturità di Ficino è dedicata alla melanconia: agli effetti dannosi che essa arreca — in particolare sulle funzioni intellettuali — ed ai possibili rimedi. 180 p03:18:

20 Ivi, pp. 380-381.

46

GIANFRANCO BORRELLI

nee in modo da divenire abili nel sapere distinguere caratteri e comportamenti, umori e complessioni fisiche, fino al punto di potere scegliere le giuste misure di disciplina per i soggetti che lo circondano: «uno che ha lo stato in mano ha rispetto di non fare alcuno sì grande che gli possa portare pericolo, e più teme da’ valent’uomini che dagli altri, perché sono atti a maggiori cose; nondimeno se è prudente, si governa con modo e con distinzione, facendo differenza da uno che è savio e non animoso,

a uno che è savio, ani-

moso e non inquieto, e da questi a chi ha ingegno e animo e inquietudine: co’ primi procederà largamente, co’ secondi bene con qualche rispetto più, co’ terzi andrà più stretto»?!.

Savio, animoso, inquieto: si tratta certamente dalla tripartizione platonica dell'anima nelle figure del soggetto razionalelhoyiotix6s, di quello irascibile/@vuorsnig, ed ancora del soggetto appetitivo/em@vunix6s22. È contro gli eccessi posti in essere da questo ultimo carattere, teso a soddisfare a qualunque costo l'oggetto del proprio desiderio, che interviene la capacità del saggio di comunicare con i soggetti irascibili e di favorire con questi ultimi alleanze capaci di neutralizzare le intemperanze degli inquieti. In questo modo, e a seconda delle esigenze poste dalle situazioni concrete, colui che governa saprà orientare i potenti e gli ambiziosi che lo circondano con dispositivi prudenziali idonei:... tenere bassi gli uomini di ingegno e di animo,... non fare alcuno sì grande che gli possa portare pericolo, ... non gli confidare, massime in tempi sospetti, la somma delle cose?. Bisogna dunque frenarei cervelli appetitosi e gui che procurano di introdurre ad ogni costo innovazioni e disordine nella città: è questa la radice dei comportamenti di quei

21 Ivi, pp. 344-345. 22 Confronta con i noti brani di Repubblica, 439 d, 440e 441 afe. Tra gli innumerevoli interpreti che si soffermano su questi punti è bene ricordare il lavoro recente di A. BrraL, Platone e la conoscenza di sé, Bari, Laterza, 1997, in particolare pp. 127-198. 2 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., pp. 344-345.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ D’ITALIA

47

soggetti che esercitano in modo perverso le proprie ambizioni, dando spazio ai pericoli cui portano la tirannide e la licenza popolare: «ma chi ha el cervello bene temperato, quanto è più savio, più vi conosce drento el vero onore e la vera gloria e gli pare grado più onorato e da satisfarsene più che delle tirannidi e de’ principati» 4. Coloro che governano debbono allora produrre per i cittadini saggi una gerarchia di riputazione, come scala di fargli grandi e onorati?5. Per costoro bisogna che convenientemente

si distribuischino onori e utili publici?6; ecco allora il punto: onori e utili della republica debbono costituire come premi per quanti intendano sottomettere le proprie ambizioni alle finalità del bene comune: «... e ognuno che sia di valore farà a gara per farsi autore di cose onorevole e utili alla città. Così la riputazione sarà di chi la meriterà e non, come insino ad oggi è stato molte volte, di quegli che non sapendo fare la acquistano col sapere tacere» 27.

In definitiva, ambizioni e cupidità producono di fatto quelle disunioni esiziali per la repubblica e, d’altro canto, non tutti i governanti sono alla stessa maniera saggi: ecco allora che il fine principale della politica è quello di convertire i termini delle contese permanenti in forme di vincoli efficaci per il vivere civile28. Questa funzione di contenimento richiede allora preliminarmente la capacità — da parte di chi governa — di riconoscere, di rappresentare e di trasformare in elementi utili alla città gli impulsi originari degli individui; risulta quindi possibile disciplinare parzialmente la natura smodata delle ambizioni umane: «chi domina amorevolmente e con contentezza de’ sudditi, se non lo muove la ignoranzia o la mala natura sua, non ha causa alcuna che lo sforzi a fare

Cp 25 Ivi, 26 Ivi, 27 Ivi, 28 Ivi,

p. p. p. p.

RA20? 424. 323; quindi anche p. 337. 424. 420.

48

GIANFRANCO BORRELLI

altro che bene»??. Il tormento delle ambizioni deve essere temperato con gli artifici della politica: è questa una parte rimasta incompiuta nei risultati pure importanti conseguiti dai processi di civilizzazione della storia rinascimentale; Guicciardini riprende ed approfondisce questi percorsi nel momento stesso in cui riesce a leggere che i tratti del progetto della renovatio rinascimentale vengono ora messi radicalmente in dubbio dallo sconvolgimento delle condizioni di vita negli stati regionali della penisola.

2. La mala contentezza dei nobili: la centralità del governo temperato

i

Temperare le proprie ambizioni — liberando tuttavia quelle parti che risultano positive per sé e per gli altri — costituisce la base della contentezza dei savi cittadini: «e’ cervelli moderati e quieti arebbono da contentarsi; e agli uomini che sono savi basta quando hanno la più parte delle cose a suo modo, perché è impossibile averle tutte»3°. La contentezza consiste, dunque, per Guicciardini, nella misura conveniente del riconoscimento del valore dei soggetti — attraverso mezzi tangibili quali cariche e premi — da parte dell’autorità politica. All’inverso, il disconoscimento oppure la mancata promozione delle ambizioni positive rendono i soggetti malcontenti: troviamo scritto nella Consolatoria, «le cose del mondo hanno questa condizione che le non sono perfette da ogni parte, né si trova vita alcuna che non gli manchi qualche cosa di importanza, ma migliore dell'altra è quella alla quale mancono meno cose e meno importanti»3!. Da un canto, in termini generali, la mancanza è caratteristica normale dell’esistenza limitata degli uomini: peraltro, secondo una scala di variegate differenze, questa condizione — che genera immediatamente e diffusamente sofferenza — viene rappresentata nella situazione privata degli uomini

29 Ivi, p. 311. 50 Ivi, p. 460. 31 Consolatoria, in op. cit., p. 509.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ

D'ITALIA

49

pure dalla misura maggiore o minore di beni di cui si dispone. La mala contentezza viene quindi provocata innanzitutto dall’esclusione da quei percorsi di ozori e di utili che debbono significativamente riempire la vita dei cittadini di valore; tanto è accaduto a Firenze: «Né anche restano bene contenti e’ valent’uomini, quando veggono che quello che si converrebbe a loto è dato ad uno che non lo merita, e però si volgono alle sedizioni e alterazione dello stato; e questo si può fare molto più facilmente in uno governo di populo che in uno simile a quello de’ Medici, e più è da fuggire el tenere mal contenti coloro che vagliono, che gli altri»3?.

Ma anche la storia dei conflitti nel periodo repubblicano di Roma è testimonianza di cosa possa indurre la mz4/4 contentezza:

«Ma ritornando a proposito, voi vedete quale fu la causa della sedizione di Roma, perché si trovò male condizionata quella parte che sanza comparazione era maggiore e sanza la quale la città, che aveva ogni fondamento suo nelle arme, non poteva fare la guerra. Né si può negare che questo fussi grande disordine, ordinare uno governo che si può dire che aveva bisogno d’ognuno, e che quasi ognuno ne fussi ragionevolmente mal contento. Però el modo vero sarebbe stato che la città fussi tutta di uno medesimo corpo, e quanto al partecipare del governo non fussi distinzione da’ patrizi a’ plebei; così sarebbono stati uniti, e cessavano le cagione delle ingiurie, né alcuno arebbe avuto causa di suscitare el populo a tumulti per aprirsi la via agli onori».

32 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 349. 33 Ivi, p. 455. Secondo Guicciardini, e all’inverso di quanto viene sostenuto da Machiavelli nei Discorsi, la disunione tra plebe e senato non rese Roma libera e potente in considerazione del fatto che il conflitto tra patrizi e plebei produsse danni irrimediabili nella vita civile. Guicciardini sostiene esplicitamente che la stabilità della potenza romana sia da attribuire interamente alle prudenti capacità di deliberazione proprie di senato, consoli e magistrati; in Roma, più che in Atene, temperanza e prudenza delle istituzioni di governo affidate alla parte aristocratica evitarono l'avvento della tirannide (Considerazioni sui «Discorsi» di Machiavelli, I, 28). La stessa isti-

tuzione del tribunato della plebe è da attribuire — secondo l’autore — alla

50

GIANFRANCO BORRELLI

Alterazione e cose nuove: questo è l’effetto prodotto dai malcontenti che vivono l’esclusione dai pubblici riconoscimenti?4; essi possono addirittura favorire l'affermazione del governo tirannico: «quello che importa più di tutto e gli fa amici di più momento, è che tutti coloro che o per ambizione o per essere ingiuriati diventano male contenti dello stato che regge, non avendo altro refugio, se lo stato presente è libero, si voltano al pensiero di una tirannide». Le stesse istituzioni debbono allora essere progettate e costruite con questa decisiva finalità di evitare mzala contentezza tra i cittadini qualificati, a tanto, ad esempio, deve provvedere esplicitamente la funzione del consiglio di mezzo che — affiancato dall’istituzione del Gonfaloniere a vita e dal consiglio grande — costituisce il cuore della proposta di riforma istituzionale avanzata da Bernardo nel Dialogo: «Io mi distendo volentieri nello ordinare ben questo consiglio e ciò cha ha a nascere da lui, perché produce tre buoni effetti che contengono la salute della città. El primo, che le deliberazioni importanti sono maggiate da chi le intende, e non vanno nello arbitrio della moltitudine che è el primo pericolo di che si teme in uno governo populare; el secondo, che, come ho detto, è uno freno a moderare la troppa autorità che potessi pigliare uno gonfaloniere a vita, e così vedete che questo consiglio di mezzo, quale vorrei che si chiamasse senato, è uno temperamento tra la tirannide e la li-

cenza populare; el terzo, che questo è uno modo da tenere contenti e’ cittadini di più virtù e meglio qualificati, perché riducere el governo nelle mani delle persone che vagliano, non serve solo perché le cose siano governate da chi ne è capace, ma ancora a tenere bene satisfatti quegli che sarebbe male che fussino male contenti»35.

capacità di governo degli aristocratici: quello che dice el Discorso, cioè che mezzo tra l’ senato e la plebe, perché tenzia de’ nobili, ma non, e converso, 34 Confronta ancora ivi, pp. 375;

35 Ivi, pp. 466-467.

?6 Ivi, pp. 418-419.

le autorità di Roma «non facevano e’ tribuni fussino uno magistrato in bene erano temperamento della podella licenzia della plebe» (ivi, I, 3).

445 e 383.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ D'ITALIA

DI

Sospetti di ingiustizie, mancati riconoscimenti, ambizioni

frustrate possono produrre quelle divisioni davvero pericolose per la città, poiché rischiano di sottrarre al governo l'esercizio della prudenza politica. La sofferenza indotta dalla mala contentezza colpisce in definitiva soprattutto i nobili, il corpo sul quale bisogna inevitabilmente fare affidamento: «Nel governo degli ottimati è questo bene, che essendo più, non possono così facilmente fare una tirannide come uno solo; essendo e’ più qualificati uomini della città, la governano con più intelletto e con più prudenzia che non farebbe una moltitudine; ed essendo onorati, hanno manco causa di travagliarla, come essendo

mal contenti potrebbono fare facilmente»?7.

Risulta dunque importante favorire la piena partecipazione dei nobili al governo dello stato: e soprattutto in questo periodo di grave travaglio per le città italiane, aggredite dalle armate dei barbari. Qui si innesta il grave rischio che la partecipazione della parte degli ottimati possa venire compressa e ridotta dall’invidia e dal desiderio naturale di mutare le cose, sentimenti normalmente provenienti dalla parte del popolo ?8. In realtà, appartiene innanzitutto agli ottimati «el consultare e deliberare di quelle cose a che è più necessaria la prudenzia degli uomini, cioè le guerre, le pace, le pratiche co’ principi, e tutte le cose sustanziale alla conservazione ed augmento del dominio»3?. La funzione principale del governo temperato affida le finalità conservative o di espansione alle tecniche autonome della prudenza politica, il cui esercizio può essere al meglio svolto — nel quadro specifico della fase storica attraversata dalle corti della penisola — soltanto dalla parte aristocratica.

37 Considerazioni sui « Discorsi» di Machiavelli, in op. cit., p. 611. Ancora sullo stesso punto vedi sempre nelle Considerazioni, p. 621. 38 Vedi in Storie fiorentine, in Opere, a cura di E. Lugnani Scarani, CIIVO Mp9: DBA ncoralzo:Apacd2i

52

GIANFRANCO BORRELLI

3. I tempi della prudenza politica e la possibilità della prognosi nell’arte di governo Machiavelli aveva posto al centro della sua riflessione il tema della innovazione politica come risorsa decisiva per introdurre quelle novità indispensabili a porre rimedio alla corruzione dei costumi dei cittadini e al degrado degli ordini civili; di qui, ancora, la giustificazione del principato nuovo e dell’utilizzo di mezzi straordinari4°. Per Guicciardini bisogna, invece, accogliere le cose nuove solo con grandissima circunspezione**; il governo temperato viene considerato neces-

sario al fine di neutralizzare i pericoli insiti nell’introduzione delle novità nella vita civile: «quando non vi è discordia alcuna, questi instrumenti, per dare adito alla ambizione sua, cercano spesso di farle nascere col proporre nuove leggi e nuovi disegni; e però è da fare ogni opera che le republiche siano temperate in modo che questa via ambiziosa resti serrata o manco aperta che si può, ed è cosa questa che po-

trebbe importare tanto, che non sarà mai troppa cura alcuna che si metta»42.

Guicciardini sottolinea che i cambiamenti recenti nella storia d’Italia impegnano a contrastare ad ogni costo la dissoluzione degli stati regionali. L'esercizio della prudenza politica — che consiste innanzitutto nella attenta intersezione di dispositivi tecnici e tempi idonei di esecuzione — deve perseguire il fine esplicitamente conservativo, misurando in giu4° Vedi Discorsi, I, 49; in particolare, III, 1: «quelle [le repubbliche] sono meglio ordinate, ed hanno più lunga vita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rinnovare; ovvero che, per qualche accidente fuori di detto ordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è cosa più chiara che la luce, che, non si rinnovando, questi corpi non durano». 41 Ricordi, 152: «abbiate grandissima circunspezione innanzi entriate in imprese o faccende nuove, perché doppo il principio bisogna andare per necessità». L'edizione utilizzata dei Ricordi è quella a cura di E. Pasquini (Milano, Garzanti, 1975; nel testo R), che riproduce per la lezione definitiva l'edizione critica di R. Spongano (Firenze, Sansoni, 1951). 42 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 435.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

DO

sto modo l’esigenza dell'ordine politico interno a fronte degli effetti squilibranti causati dalle provocazioni delle potenze europee. Certamente la prospettiva complessiva per gli stati italiani —

suggerisce con precise argomentazioni

Guicciar-

dini — è quella della conservazione politica; per la produzione di tale finalità conservativa dei poteri acquisiti dai singoli stati non debbono essere utilizzate tecniche straordinarie, se non appunto che in casi di estrema necessità: piuttosto bisogna potere contare su tecniche politiche ordinarie, certamente ragionate e differenziate, da applicare secondo cadenze temporali opportune. Proprio nelle ultime battute del Dialogo del reggimento di Firenze, Guicciardini pone al primo posto nell'ordine delle priorità, cui deve prestare attenzione l’uomo politico, la n4tura de’ tempi: «innanzi che si pigliassi una deliberazione, si esaminassi bene la natura de’ tempi, la condizione della città e tutte le altre cose che sono considerabili in materia sf grave». In effetti, alla base della proposta politica guicciardiniana è l'esigenza della durata, della continuità, che bisogna innanzitutto assicurare alla città che vuole organizzarsi come libera repubblica: «chi si fa autore di fondare

stati nuovi, e massime

sotto el

nome della libertà, debbe proporsi per fine di fare migliore governo e più lungo, non essendo ragionevole procedere nelle cose pubbliche con la misura solo di quegli pochi anni che egli ha a vivere; ma debbe andare con la misura della vita della città e della posterità, la quale abbiamo a sperare, o almanco a desiderare, che sia perpetuap44;

Ecco appunto il problema del carattere duraturo, perpetuo, di cui debbono godere gli organi di governo, sull’esempio positivo che proviene dalla repubblica veneziana“; que(RAP: lo p022: 45 Il discorso sulla necessità della perpetua autorità è presente nell’opera guicciardiniana fin dalle Storie fiorentine (in op. cit., p. 367); quindi nel Discorso di Logrogno, dove è il carattere di perpetuità a giustificare prin-

54

GIANFRANCO BORRELLI

sta particolarissima sensibilità istituzionale risuona come una specie di avvertimento, proposto a se stesso e al lettore, secondo il quale la politica del governo degli stati non può consistere unicamente nell’arte dello stato intesa come ars practica di comando, fatta di determinate tecniche di decisione, di pratiche dissimulative e simulative: essa deve potere contare sulla durata nel tempo e sulla regolarità di funzionamento delle istituzioni. Peraltro, il ruolo assegnato dal politico — che deve produrre decisioni — alla qualità de’ tempi risulta pure determinante 46: «le medesime imprese che fatte fuora di tempo sono difficillime o impossibili, diventano facillime quando sono accompagnate dal tempo e dalla occasione, e a chi le tenta fuora del tempo suo non solo non gli riescono ma è pericolo che lo averle tentate non le guasti per a quello tempo che facilmente sarebbono riuscite, e questa è una delle ragioni che e’ pazienti sono tenuti savi. E nel riordinare le cose se la occasione verrà, ricordatevi che se non potrete condurle totalmente a quello segno che starebbe bene, che vi basti che almanco si conduchino in grado tollerabile e che si mantenga viva la città; e del resto più presto andate comportando e temporeggiatevi el meglio che potete, che desideriate novità, perché non vi potrà venire cosa che non sia peggio».

Occasioni, opportunità, temporeggiare, perpetuità; un ricchissimo dizionario lega le possibilità dell’azione politica prudenziale alle scansioni temporali utili agli interventi finalizzati alla stabilità del governo, a fermare lo stato:

cipalmente la carica di gonfaloniere a vita (in op. cit., p. 273); l'argomento del governo perpetuo è nelle Considerazioni al centro del commento di Discorsi, I, 2 (in op. cit., pp. 609-613). Per quanto concerne la differente valutazione del modello veneziano in Machiavelli e Guicciardini ci sembra opportuno segnalare i lavori di R. PeccHIoLI, Il “mito” di Venezia e la crisi fiorentina intorno al Cinquecento, in «Studi Storici», 1962, 2, pp. 451-492, e di G. Sasso, Machiavelli e i detrattori antichi e nuovi di Roma. Per l'interpretazione dei Discorsi, I, 4, in Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei

Lincei, vol. XXVII (1978), 3, pp. 319-418.

‘6 Per l’espressione qualità de’ tempi — che è locuzione cara anche a Machiavelli — vedi in Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 462. V Ivi, p. 447.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

55

«Bisogna che a fare questo effetto concorrino in uno medesimo, il che è cosa rarissima, prudenzia, tesoro e riputazione; e quando bene tante qualità concorressino tutte in uno, è necessario

siano aiutate da lunghezza di tempo e da infinite occasioni, in modo che è quasi impossibile che tante cose e tante opportunità si accumulino tutte in uno medesimo» 48,

Prudenza politica è base del buon governo e condizione necessaria per il positivo funzionamento delle istituzioni: tradizionalmente essa si fonda sui vantaggi offerti dalla conoscenza dell’esperienza passata; per Guicciardini questo principio si estende a definizione di un criterio esplicitamente pragmatico: «e’ governi non furono trovati per fare onore o utile a che ha a governare, ma per beneficio di chi ha a essere governato, e nel disporgli non si cerca che ognuno governi, ma solo chi è più atto. E però è sempre più approvato e chiamato migliore governo quello che partorisce migliori effetti» ‘9.

Certamente chi detiene il comando deve sapere innanzitutto temporeggiare, prendere tempo al fine di governare al meglio il tempo: questo è il primo principio per conservare la pace?°. Peraltro, la prudenza politica deve pure essere capace di anticipare i danni probabili; infatti, se difficoltà e inconvenienti «si medicano da principio, oltre che non sono pericolosi, si fa con manco alterazione della città perché non si viene al sangue e agli esìli, cose molto perniziose alle republiche e agli stati. Perché se tu tagli uno capo, ancora che spenga lui, fai in luogo suo male con-

4 Ivi, p. 319. 1 JO, 10 550, 50 Su questo punto vedi il Dialogo del reggimento di Firenze (ivi, p. 384); nella Storia d’Italia si afferma esplicitamente che grazie al prudente mente temporeggiare di Lorenzo «per opera sua si fusse la pace d’Italia conservata» (in op. cît., p. 40).

GIANFRANCO

56

BORRELLI

tenti molti, né solo si fa inimici e’ suoi, ma ancora dispiace poi alla fine agli uomini di mezzo»?!.

Gli effetti pericolosi della mala contentezza si possono dunque prevenire con adeguata capacità di intervenire sui tempi che si propongono alla decisione di chi governa come un ventaglio di molteplici possibilità. Ed ancora nei Ricordi — in questo lavoro di continua rifinitura di uno scritto che assume spessore di acutissima riflessione teorica — troviamo l'indice di un codice di tecniche prudenziali che seziona i tempi particolari della loro applicazione all’azione politica: «a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente, avanza tempo assai (R, 145);

Le cose future sono tanto fallace e sottoposte a tanti accidenti... Però lasciare uno bene presente per paura di uno male futuro è el più delle volte pazzia, quando el male non sia molto certo o propinquo, o molto grande a comparazione del bene (R, 23);

Quanto disse bene il filosofo: «De futuris contingentibus non est determinata veritas» (R, 58);

Non abbiate mai una cosa futura tanto per certa, ancora che la paia certissima, che potendo, sanza guastare el vostro traino, riser-

varvi in mano qualche cosa a proposito del contrario se pure venissi, non lo facciate (R, 81);

Sono alcuni che sopra le cose che occorrono fanno in scriptis discorsi del futuro, e quali, quando sono fatti da chi sa, paiono a chi gli legge molto belli; nondimeno sono fallacissimi, perché, dependendo di mano in mano l’una conclusione dall’altra, una che ne manchi, riescono vane tutte quelle che se ne deducono; e ogni minimo particulare che varii è atto a fare variare una conclusione. Però non si possono giudicare le cose del mondo sì da discosto, ma bisogna risolverle giornata per giornata (R, 114); Le cose medesime che, tentate in tempo, sono facile a riuscire, anzi caggiono quasi per loro medesime, tentate innanzi al tempo, non solo non riescono allora, ma ti tolgono ancora spesso quella facilità che avevano di riuscire al tempo suo; però non correte furiosi

?1 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., p. 471.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

DI

alle cose, non le precipitate, aspettate la sua maturità, la sua stagione (R, 78);

Chi ha carico di difendere terre, abbi per principale obietto allungare quanto può, perché, come dice il proverbio, chi ha tempo ha vita: la dilazione reca infiniti favori da principio non sperati e non cognosciuti (R, 54);

Abbiate grandissima circunspezione innanzi entriate in imprese o faccende nuove, perché doppo il principio bisogna andare per necessità (R, 152);

Non si può biasimare gli uomini che siano lunghi nel risolversi, perché, se bene accaggiono delle quali è necessario deliberare presto, pure per lo ordinario erra più chi delibera presto che chi delibera tardi. Ma da riprendere è sommamente la tardità dello essequire, poi che si è fatta la resoluzione (R, 191); Pigliate nelle faccende questa massima: che non basti dare loro el principio, lo indirizzo, el moto, ma bisogna seguitarle e non le staccare mai insino al fine; e chi le accompagna così non fa anche poco a conducerle a perfezione (R, 192);

E nelle guerre e in molte cose importante ho veduto spesso lasciare di fare le provisione per giudicare che le sarebbono tarde; e nondimanco si è visto poi che le sarebbono state in tempo e che el pretermetterle ha fatto grandissimo danno. E tutto procede che communemente el moto delle cose è molto più lento che non si disegna: in modo che spesso non è fatto in tre e quattro mesi quello che tu giudicavi doversi fare in uno. E questo è ricordo importante e da avvertire (R, 162)».

Si può con fondatezza affermare che, secondo Guicciardini, l'opportunità di utilizzare nei tempi adeguati le tecniche della politica consente effettivamente quella richiesta provisione. Questo sta a significare, innanzitutto, — come so-

stiene con buone ragioni Koselleck — la possibilità della prognosi razionale come momento consapevole di azione politica52. Nella concezione guicciardiniana si coglie in effetti la netta presa di distanza dalla concezione teologico-scolastica della conservazione come caducità e annientamento del pre52 R. KoseLLECK, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, trad. it. a cura di A.M. Solmi, Marietti, Genova, 1986, pp. 22- 23.

58

GIANFRANCO BORRELLI

sente, per cui la causa finale della salvezza costringe mentalità e comportamenti a subordinare il tempo presente al tempo

futuro

della

redenzione:

viene

affermata,

invece,

l’apertura al futuro inteso come «un campo di possibilità infinite, che si articolava in gradi di maggiore o minore probabilità»53. Si intende allora che la funzione politica della conservazione consiste in una capacità di attivare cadenze di intervento in modo variegato, determinato e soprattutto dinamico.

Partendo da questa acquisizione diventa possibile, secondo Guicciardini, congetturare quell’adattamento conservativo che tende ad offrire continuità ai processi di governo attraverso l’efficace funzionamento di un complesso istituzionale ed anche grazie alle pratiche dirette della azione politica. In particolare, luomo politico deve esercitarsi nell’arte di governare i tempi, dal momento che l’elemento tempo sembra dovere assumere in prospettiva — anche nei modi tecnici di gestire la guerra e i conflitti — una funzione ed un peso via via sempre più consistenti: troviamo scritto nelle Considerazioni che tempo ed esperienza danno possibilità di fondazione e di stabilità all’autorità ed alle leggi?4. L’obiettivo principale rimane certamente quello di rimediare al carattere permanente e distruttivo della guerra: proprio per affrontare questa funzione, la politica — secondo la grande ipotesi rinascimentale di civilizzazione — deve essere posta al centro della vita civile, deve coinvolgere tutti i cittadini. Guicciardini interpreta genialmente la nuova fase che viene ad imporsi nelle politiche delle corti italiane nei frangenti contemporanei delle invasioni straniere: bisogna porre termine alle guerre di acquisizione, per dare invece corso ad una ponderata politica di conservazione dei poteri e dei patrimoni acquisiti. Nella parte finale del Dialogo del reggimento di Firenze, alla domanda di Capponi se la futura politica di Firenze debba cogliere la occasione di «ampliare el

ZI SO 22 7 Considerazioni sui «Discorsi» di Machiavelli, in op. cit., p. 625.

TRA CRISI DELLA

REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ D'ITALIA

DI,

dominio per via di questi oltramontani con danari o con altri mezzi», Bernardo del Nero risponde: «Se tu mi dimandassi che sarebbe meglio a una città, o vivere contenta della libertà sua quando potessi averla sicura sanza volere dominio... o voltare l’animo al fare imperio, io saprei che rispondere; ma el tuo quesito è diverso, perché noi siamo di quegli che abbiamo dominio, e poi che abbiamo avuto forze siamo vivuti sempre in questa via, dalla quale non ci possendo più ritirare, io non posso per l’ordinario biasimare che venendo occasione netta, cioè sanza implicarci in guerra e in travagli, la non si pigli. E se io fussi certo che Italia avessi a restare presto in mano degli Italiani, io direi non ci essere da pensare punto, perché così sarebbe da lodare ora lo acquistare Lucca o Siena, come fu a tempo de’ passati nostri Pisa ed Arezzo, né essendo in Italia altro che potentati italiani, non

aresti da dubitare di conservare quelli che voi acquistasti... È vero che se questi oltramontani grandi domineranno in Italia, io giudico che più facilmente si conserverà una grandezza simile alla vostra che una maggiore, perché non essendo voi sì grandi che abbino da temervi, vi copritete meglio che se fussi maggiori, e potrà bastare loro valersi di voi con cavarne danari. Ma le grandezze più eminenti aranno a pensare di abbassarle per levare via che gli può ofendere in Italia, e però cercheranno di distruggerle totalmente o moderarle, di sorte che patiranno molto più che quegli di chi non aranno fatto altro pensiero che di valersene» 55.

Se non è possibile la previsione, nondimeno bisogna operare in modo che possa funzionare l’arte politica, professionale e responsabile, al fine di garantire sicurezza e pace ai cittadini: se non è possibile realizzare pienamente la pace, bisogna tentare comunque di conservare la condizione esistente dei poteri in atto al fine di neutralizzare gli effetti più distruttivi della guerra, magari accettando di perseguire con ragionevolezza il mzale minore. Nella nuova situazione storica l'esercizio della prudenza politica richiede abilità autonoma ed una difficile sperimentazione tecnica dei tempi di applicazione: soprattutto, quella politica deve rimanere finalizzata alla conservazione del do5 Dialogo del reggimento di Firenze, in op. cit., pp. 460-461.

60

GIANFRANCO BORRELLI

minio e dei sudditi, come tentativo di riconvertire la guerra — esterna ed interna allo Stato — in ordine e beneficio per la comunità, attraverso una capacità diversa di utilizzare elasticità e duttilità delle tecniche della politica alle diverse situazioni dei conflitti. Guicciardini coglie per tempo la crisi del giusnaturalismo cristiano in una situazione storica in cui resta dai fatti comprovata l’inefficacia dei comandamenti divini e delle leggi morali, e dove la politica dimostra di avere preso decisa distanza dalla pretesa di coniugare la propria azione con la virtù. Non è un caso, allora, che all’origine dell’utilizzo della locuzione ragion di Stato troviamo proprio la scrittura guicciardiniana. Nel Dialogo del reggimento di Firenze emerge quella espressione ragione degli Stati; così infatti si esprime Bernardo Del Nero: «quando io ho detto di ammazzare o tenere prigioni e’ Pisani, non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione ed uso degli stati, né parlerà più cristianamente di me chi, rifiutata questa crudeltà, consiglierà che si faccia ogni sforzo di pigliare Pisa»56. Scrive nel 1857 Giuseppe Canestrini, acuto commentatore dell’opera di Guicciardini: «Così avveniva che la maggiore o minore sicurezza degli Stati italiani, la perdita o la conservazione della loro autonomia, i maggiori o minori danni durante le guerre combattute in Italia dagli stranieri, dipendevano in grandissima parte dalla abilità degli statuali italiani; e furono appunto queste straordinarie condizioni dell’Italia, e l’infelicità dei tempi, che contribuirono a svolgere e a perfezionare il genio politico italiano, facile a discernere gli eventi probabili delle cose, sicuro nei giudizi, pronto nei rimedi»??,

56 Ivi, p. 465. Per espressioni simili contenute nella Storia d’Italia vedi le citazioni richiamate precedentemente in nota. ?? G. CANESTRINI, Prefazione a Opere inedite di Francesco Guicciardini, Firenze, Barbera Bianchi e Comp., 1857, pp. xx1v-xxv.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

4.

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ

D'ITALIA

61

Tra vita civile e vita ociosa: la crisi del cittadino di re-

pubblica Guicciardini vive la fase di avvio della lacerazione del tessuto della vita libera delle città italiane prodotta dalle invasioni straniere e dai tentativi di imporre stabili forme di dominio da parte dei barbari; soffre le accuse al suo operato politico e militare, che pure è stato rivolto ad allontanare dall’Italia la minaccia proveniente dall'esterno; anche prende atto e descrive la scissione che si sta realizzando nelle città italiane tra la progressiva autonomizzazione della ragione politica e pratiche, linguaggi, comportamenti della vita quotidiana. Di questa crescente separazione tra vita pubblica e vita privata nella situazione degli stati italiani — tra vita civile e vita ociosa e tranquilla — Guicciardini sente su se stesso gli effetti negli anni tragici che seguono il sacco di Roma e che segnano gli ulteriori travagli civili di Firenze. Gli eventi confermano pericoli e difficoltà per la libertà d’Italia, proprio mentre egli stesso deve abbandonare la politica attiva e provvedere piuttosto a difendersi da accuse infamanti. Nei brani della Consolatoria troviamo allora la decisiva riconsiderazione circa il primato dell’azione civile promossa dall’ambizione: «In effetto el maneggiare faccende di stato e avere grandezza ti fa in uno certo modo adorare dagli altri, e però forse è scusabile questo appetito; perché lo essere in riverenza appresso agli altri uomini non si può dire che non sia cosa bella e beata, né in altro pare che ci possiamo assomigliare a Dio; nondimeno non mi pare anche giusto che questo ti domini, perché se tu consideri quante fatiche, travagli, sospetti e pericoli sono in questa vita, e da altro canto quanta facilità, quanto riposo, quanta sicurezza e contento di animo sia nella vita ociosa e tranquilla, ti parrà di gran lunga sia da proponere questa all’altra, o almanco che non vi sia tale differenza che allegramente non debbi vivere in quella che la sorte ti apresenta. Piglino e’ fini vani e la superficie delle cose quegli che sanza lettere o sanza esperienza non hanno occhio che penetri drento, e però si lasciano abbagliare da quello splendore che porta seco lo stato di quella grandezza; ma [tu] che hai provato per tanti versi che cosa è mondo, che hai da tante cose che hai lette e che hai ve-

duto, potuto conoscere quanta sia la varietà della fortuna, che hai

62

GIANFRANCO BORRELLI

tocco con mano che tutto el bene che è nelle grandezze è quello che apparisce di fuora, ma che sotto quella coperta è pieno di pericoli, di sdegni di affanni e di inquietudine di animo, non ti debbi muovere da quelle cose vane che muovono gli altri, ma solo dalle ragione vere, solide e fondate delle cose» ?8.

L'esperienza e la cultura accumulate negli anni consentono agli uomini divenuti saggi di vedere dall’interno, di svelare i percorsi autentici della varietà della fortuna; in particolare, rendono conto della vanità dei comportamenti umani: la ragione pone in luce che quella condizione di vanità, vale a dire di mala contentezza, produce inevitabilmente inquietudine e malessere negli uomini che presumono di potere trasformare il mondo circostante con le sue perversioni. Si può invece provare a vivere della piena contentezza di una esistenza tranquilla e privata, imparando a governarsi ed offrendo a se stessi regole di comportamento in modo autonomo rispetto alle norme imposte dall’agire politico: «chi considera bene, non è manco bello vivere libero dalle cupidità, dependere da se medesimo e non dalle opinione degli uomini; partire e usare el tempo a suo modo, riposare a arbitrio tuo, vivere sanza offendere o fare male a persona, non essere sottoposto o almeno molto manco che gli altri alla mutazione della fortuna, non pigliare dispiacere degli augumenti degli altri, usare a tua posta la città, a tua posta la villa, sentirsi lo animo quieto e contento; cose che tutte mancano a chi si maneggia nella vita ambiziosa»?9.

I tratti autobiografici di Guicciardini riflettono allora — ed esprimono con la dolorosa intensità della scrittura — le tendenze poste in essere da quei processi perversi e irreversibili che stanno segnando la fine della libertà negli stati regionali italiani. In Italia non si vive più né la pace né la libertà politica: bisogna ora porre termine ai tempi delle politiche ambiziose ed espansive, che accoglievano le sfide dell'offesa tra le parti e che nell’annullamento fisico del nemico 98 Consolatoria, cit., p. 506.

PID, D DOLL

TRA CRISI DELLA

REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA

LIBERTÀ D'ITALIA

63

ponevano l’assicurazione della promozione della propia libertà; oltre le possibilità offerte dalla prassi politica, sopraggiungono piuttosto i tempi di una diversa ragione civile che deve fare i conti con la necessità di introdurre cambiamenti nei. comportamenti individuali maggiormente idonei alla nuova situazione storica. Difficoltà nella espressione politica degli uzzori interni, isolamento degli individui, acuimento del malessere interiore: tutto questo deve essere messo alla prova con nuove modalità di esercizio comunicativo tra i soggetti; si afferma l'esigenza di una nuova, diversa civil conversazione: «Sarai dunque ocioso ma con degnità: la quale ti recherà la memoria delle cose passate, la riputazione che hai acquistata col lungo pericoloso travagliare, la opinione che sarà di te, e in ultimo el consumare el tempo ora alla città, ora alla villa, ora in solitudine, ora in conversazione di uomini, e sempre con pensieri, opere e memorie degne di te e della passata tua vita; o io mi inganno, o sarà uno stato el tuo desiderabile, perché sarà quieto, sicuro e onorevole».

Guicciardini augura a se stesso tranquillità d’animo e sicurezza della vita: finalità che debbono peraltro essere perseguite da tutti gli italiani posti in pericolo da una fase di difficoltà della fortuna politica dell’intera penisola. Bisogna dunque prepararsi a pratiche che consentano di porre rimedio alle sofferenze indotte da sicure perdite: affinare strumenti di efficace comunicazione, provvedere a segnalare tecniche comportamentali di positiva autodisciplina, imparare a spostare su di un piano diverso da quello direttamente politico l’impegno civile del governo di sé e degli altri. Bisogna 60 Secondo G. Sasso proprio gli sviluppi nei Ricordi di una «autocritica della discrezione» porta, da un lato, alla consapevolezza delle differenze che costituiscono la inesauribile parzialità dell’esistenza, mentre pure attestano le implicazioni irrimediabili della sofferenza indotta dal senso vissuto della perdita, dalla malinconia; in I volti del particulare, in Francesco Guicciardini, Giornata lincea indetta in occasione del V centenario della nascita (Roma, 12 dicembre 1983), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1985, pp. 77-78.

61 Ivi, p. 508.

64

GIANFRANCO BORRELLI

dunque ampliare le pratiche del civile conversare per costruire un valido baluardo ai pericoli provenienti dall'esterno, per fare opera di riconversione dell'immenso patrimonio, culturale e materiale, reso possibile dalle vicende di libertà del periodo rinascimentale. Non potendo più contare sulla diretta rappresentazione delle proprie forze nei termini della progettazione politica e della potenza militare, bisognerà attivamente approntare identità differenti — utilizzando magari anche i mezzi dello sdoppiamento e della simulazione nelle maniere di vita dei soggetti92 — al fine della intelligente conservazione delle persone e dei beni: «Dicono alcuni savi che la vita nostra è simile a una commedia, nella quale a dare laude a coloro che vi recitano, non si attende

tanto che persona ciascuno sostenga, quanto se porta bene la persona che ha: perché a ognuno tocca a fare la persona che gli è assegnata, e quello che è proprio suo è el modo di farla. Così la persona che sostegnamo nel mondo è quella che ci è data dalla fortuna, ma quello che è laudato in noi è el modo con che noi viviamo nel grado o nella sorte nostra; e se nelle commedie è degno di laude chi rapresenta bene una persona, quanto sarà più lodato chi ne rappresenterà bene dua, massime di spezie diversa! Così se tu consideri bene, non ti toglie la riputazione lo essere passato dalle faccende allo acio, anzi te la raddoppia se tu saprai usarla bene; e se in quella persona che tu hai insino a ora rappresentata è stata la tua rara laude, sarà rarissima a chi considererà che n’abbia usato egregiamente dua» 53,

6 Con L. Firpo bisogna pure ricordare come l’impegno storiografico dell’ultimo Guicciardini — vale a dire lo scrittore della Storia d’Italia — faccia continuamente e normalmente interagire il piano dell’indagine documentaria e critica con la descrizione di comportamenti e caratteri dei personaggi: «Si esprime nella Storia il senso delle infinite implicazioni psicologiche e fattuali, le situazioni che non si ripetono mai identiche, il continuo conflitto di sempre nuovi interessi, ragioni e passioni, che si accavallano e si paralizzano a vicenda... Gli uomini e le cose sono troppo complessi, hanno una doppiezza latente, esiste una sfasatura tra apparenza e realtà, la simulazione è la costanza di ogni rapporto umano» (in Guicciardini: dalla storia alla politica, in Francesco Guicciardini, Giornata lincea, cit., p. 110).

5 Ivi, pp. 508-509.

TRA CRISI DELLA REPUBBLICA

E CONSERVAZIONE

DELLA LIBERTÀ D'ITALIA

65

La necessità di prendere congedo dalle politiche di accrescimento e di espansione deve comportare, nei lunghi tempi del forzato ocio, la trasformazione, lenta ma sicura, di costumi e di comportamenti. La mala contentezza dei cittadini ambiziosi, causata dal mancato riconoscimento degli ozori e degli uzili, è destinata a trasformarsi; la civil conversazione — le pratiche e i tempi propri della ragione civile — dovrà contribuire ad affrontare e riconvertire sofferenze più profonde per soggetti isolati e resi inermi. Il malessere che assilla i cittadini — deprivati via via della possibilità di incidere con la propria azione sul destino della propria città — verrà ora descritto con le modalità delle forme di depressione mentale diagnosticate e curate dai medici e sarà nominato semplicemente malinconia“.

64 Essendo impossibile richiamare la ricchissima bibliografia sul tema della malinconia, rinvio unicamente agli importanti studi di P. Schiera dedicati all’incidenza della sindrome malinconica sui contesti di vita e sulla cultura del popolo qui preso in esame; vedi Specchi della politica. Disciplina, melancolia, socialità nell’Occidente moderno, Bologna, Il Mulino,

1999.

74

|

RALGLI

PLETRI, è,0 87

st sal è

iu

|

IDFTO

dh del

gi

gua

i

REIT

rt,

ai

i

irbepin .

(06lp

alla

$)

ei

ly | gin fl

agergay

Mira

A

d

=

» saint)

=

III

LA

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO MALINCONIA: IL PROGRAMMA DELLA CIVIL CONVERSAZIONE IN BALDESAR CASTIGLIONE, GIOVANNI DELLA CASA E STEFANO GUAZZO

Lo sviluppo di una cultura politica idonea a misurarsi con le esigenze poste dalla nuova situazione contribuisce a rendere l’Italia del Cinquecento un laboratorio di grandissimo interesse. Anche i trattati dedicati alla civi/ conversazione — prodotti tra la fine degli anni venti e gli anni settanta del secolo — danno il segno di una ricerca vivissima, finalizzata ad offrire sostegno attivo alla trasformazione delle modalità di comunicazione tra le parti diverse — degli individui ed anche dei ceti e dei corpi — che scorrono nella città, compongono la corte e costituiscono l'insieme del popolo. In effetti, l’obiettivo generalmente diffuso — praticato dai governanti degli stati regionali e ragionato nella trattatistica — è quello di riconvertire le incidenze della guerra, viva all’interno e all’esterno della penisola, in politica. Nel complessivo ristagno di una condizione ambientale che vive gli stimoli distruttivi della guerra — provenienti dalle potenze straniere impegnate in Italia come terra di conquista —, la riconversione della cultura rinascimentale ha imposto la necessità di un intervento di autodisciplina da parte degli individui, governanti e governati, finalizzato a sostenere ad ogni costo gli sforzi della pacificazione all’interno delle corti regionali. Le scritture della civil conversazione rimangono allora im-

68

GIANFRANCO BORRELLI

pegnate a suggerire buone maniere e comportamenti utili alla

necessaria pacificazione nelle regioni italiane: hanno contri buito decisamente a segnalare le modalità di un rapporto certamente diverso tra norme morali — inclusa la morale religiosa del cattolicesimo — e dispositivi di decisione politica. Fissando l’attenzione sui preliminari delle modifiche in atto di linguaggi e comportamenti, queste scritture — che fanno riferimento alle condizioni specifiche degli stati regionali in Italia, ma che hanno pure una importantissima diffusione europea, documentata pienamente solo negli ultimi decenni! — prospettano nuove regole di condotta, tali da rendere disponibili i soggetti allo scambio comunicativo ed alla pacifica convivenza. Ecco allora la produzione di codici comportamentali di adattamento alla nuova situazione storica di conflitti e di malessere: innanzitutto, rimediare alla sclerosi indotta dall’ossequio ormai solamente formale alle virtù tradizionali, fondate sul dettato di quelle leggi morali argomentate dal giusnaturalismo cristiano, che ormai vengono giorno per giorno smentite per l’intera Europa dai cruenti eventi indotti dalle guerre religiose; praticare piuttosto quelle tecniche di dialogo e di comunicazione suggerite dalle cosiddette virtà minori — quali, ad esempio, grazia, piacere, utilità — allo scopo di costruire un ambito di vita idoneo ad offrire sicurezza materiale e quiete spirituale, che risulti però distinto rispetto all’incidenza oppressiva della politica corrente.

! Come introduzione a queste scritture vedi C. OssoLa, Da/ « Cortegiano» all'«uomo di mondo». Storia di un libro e di un modello sociale, Torino, Einaudi, 1987; la ricerca di Ossola richiama immediatamente l’importante produzione di saggi pubblicati presso l’editore Bulzoni nella collana del Centro Studi « Europa delle Corti» cha ha sede in Ferrara. Ancora contributo utile è quello di E. SAccoNE, Le buone e le cattive maniere. Letteratura e galateo nel Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1992.

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

69

1. La briglia della ragione e l’utilità del bene governarsi: il programma della civil conversazione secondo Baldesar Castiglione -Il programma della civil conversazione trova la sua prima compiuta articolazione nell’opera di Baldesar Castiglione. Il punto di partenza del trattato consiste nell’individuare i percorsi che possono agevolare il riconoscimento e la decostruzione della rigidità delle condotte, delle mzariere distruttive dell’uomo. Si tratta preliminarmente di riconoscere che in ciascuno di noi cova un fondo di pazzia che conviene mettere alla luce, poiché con tali movimenti si possono educare queste parti interne — incontrollabili e pericolose — e offrire loro uno sbocco ricco di piacevoli effetti, di mzaravigliosi piaceri: «Tengo io adunque per certo che in ciascuno di noi sia qualche seme di pazzia, il quale risvegliato possa multiplicar quasi in infi-

nito. Però vorrei che questa sera il gioco nostro fusse il disputar questa materia e che ciascun dicesse: avendo io ad impazzir publicamente, di che sorte di pazzia si crede ch’io impazzissi e sopra che cosa, giudicando questo esito per le scintille di pazzia che ogni di si veggono di me uscire... Quando abbiamo sentito qualche nascosa virtù di pazzia, tanto sottilmente e con tante varie persuasioni l'abbiamo stimulata e con sf diversi modi, che pure alfine inteso abbiamo dove tendeva; poi, conosciuto lo umore, cosî ben l'abbiamo agitato, che sempre s'è ridutto a perfezion di publica pazzia; e chi è riuscito pazzo in versi, chi in musica, chi in amore, chi in danzare, chi in far moresche, chi in cavalcare, chi in giocar di spada, ciascun secondo la minera del suo metallo; onde poi, come sapete, si sono avuti maravigliosi piaCeri

Il proposito dello scrittore vuole essere quello di aiutare a convertire in termini positivi quelle sofferenze interne degli individui, peraltro vissute in modi differenti per ciascun soggetto nelle stagioni diverse della vita: 2 L'edizione del Libro del cortegiano che tengo presente è quella a cura di W. Barberis, Torino, Einaudi, 1998; le citazioni riportate sono alla p. 29.

70

GIANFRANCO BORRELLI

«ogni età, come sapete, porta seco i suoi pensieri ed ha qualche peculiar virtù e qualche peculiar vicio; ché i vecchi, come che siano ordinariamente prudenti più che i giovani, più continenti e più sagaci, sono anco più parlatori, avari, difficili, timidi; sempre cridano in casa, asperi ai figlioli, vogliono che ognun faccia a modo loro; e per contrario i giovani, animosi, liberali, sinceri, ma pronti alle risse, volubili, che amano e disamano in un punto, dati a tutti i lor

piaceri, nimici a chi lor ricorda il bene. Ma di tutte la età virile è più temperata, che già ha lassato le parti male della gioventù ed ancor non è pervenuta a quelle della vecchiezza. Questi adunque, posti quasi nelle estremità, bisogna che con la ragion sappiano correggere i vicii che la natura porge».

Conversare è opera di ragione — capacità artificiale di dialogo, di commercio e di scambio — che ciascun soggetto può utilizzare per governare se stesso, le proprie parti interne inquiete e malinconiche: e civil conversazione deve innanzitutto conseguire l’effetto di rendere graditi al principe i sudditi, poiché obbedienti ai codici del comando politico. Ad esempio, riferendosi ai rz0di inquieti dei giovani, Castiglione suggerisce che la loro condotta aspra debba essere «più presto governata dalla ragione che dallo appetito»4. Partendo dalla sfera dell’intimo e dai dettagli dell’autocontrollo individuale, Castiglione pone in essere una esposizione graduale ? Ivi, p. 141. Sugli elementi di questo discorso antropologico esiste una interessante corrispondenza tra i brani del Castiglione e gli svolgimenti del proemio al secondo libro dei Discorsi machiavelliani; si veda ad esempio per i seguenti passi: «quasi tutti [i vecchi] laudano i tempi passati e biasmano i presenti, vituperando le azioni e i modi nostri e tutto quello che essi nella lor gioventù non facevano; affermando ancor, ogni bon costume e bona maniera di vivere, ogni virtù, in somma ogni cosa, andar sempre di male in peggio... Per esser adunque l’animo senile subietto disproporzionato a molti piaceri, gustar non gli po; e come ai febricitanti, quando dai vapori corrotti hanno il palato guasto, paiono tutti i vini amarissimi, benché preciosi e delicati siano: così ai vecchi per la loro indisposizione, alla quale però non manca il desiderio, paion i piaceri insipidi e freddi, e molto differenti da quelli già provati aver si ricordano, benché i piaceri in sé siano i medesimi; però sentendosene privi, si dolgono e biasmano il tempo presente come malo, non discernendo che quella mutazione da sé e non dal tempo procede» (ivi, pp. 117-119). MIDI pAA2A

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

71

dell’argomentazione che esplicita in effetti la manifesta finalità di produrre obbedienza a favore di colui che accentra ormai su di sé l'onere specifico del comando politico: «Io estimo che la conversazione, alla quale dee principalmente attendere il Cortegiano con ogni studio per farla grata, sia quella che averà col suo principe; e benché questo nome di conversare importi una certa parità, che pare non possa cadere tra ’l signore a ’l servitore, pur noi per ora la chiameremo così... il cortegiano si accomodi, se ben da natura sua vi fosse alieno, di modo che, sempre che ’l signore lo vegga, pensi che a parlar gli abbia di cosa che gli sia grata; il che interverrà, se costui sarà il bon giudicio per conoscere ciò che piace al principe, e lo ingegno e la prudenzia per sapersegli accomodare, e la deliberata voluntà per farsi piacer quello che forse da natura gli despiacesse; ed avendo queste avvertenze, inanzi al principe non starà mai di mala voglia né melanconico, né così taciturno, come molti che par che tenghino briga coi patroni, che è cosa veramente odiosa».

Da una parte, la scrittura di Castiglione considera come avvenuto il processo di separazione tra cittadini e governanti in una stagione decisamente nuova della storia politica d’Italia, quella dell'invasione da parte di forze straniere: insieme,

viene con essa prospettata la possibilità della costruzione di una ragione civile, oggetto degli sforzi convergenti di individui abili nell’esercizio di una particolare capacità di autogoverno che impegna una serie determinata di passaggi: innanzitutto, il soggetto è invitato a riconoscere i moventi interiori della propria inquietudine; leggere quindi le parti interne in conflitto, discriminando quelle buone dalle altre cattive; Castiglione descrive l’opacità del nostro profondo: «negli animi nostri sono tante latebre e tanti recessi, che impossibil è che prudenzia umana possa conoscer quelle simulazioni, che dentro nascose vi sono»; dopo questo primo avviso, il soggetto viene esortato a trasformare

se stesso:

? Ivi, pp. 144-145.

6 Ivi, p. 162.

comprimere

le parti interne negative

GIANFRANCO BORRELLI

702

da sottoporre a disciplina, a controllo, e promuovere invece le parti positive che intravedono la convenienza dell’obbedienza e l’utilità del riconoscimento di un’autorità esterna: il cortegiano «nasconda le parti che gli paiono poco laudevoli, il tutto però con una certa avvertita dissimulazione». Civil conversazione vuole dunque significare per il cortegiano — l’uomo che vuole contribuire a sanare la corruzione dilagante nelle corti e che vuole altresì favorire il miglioramento delle condizioni complessive di esistenza della comunità civile — il dialogo continuo ed attento con le proprie parti interiori e con gli altri soggetti, finalizzato a rimuovere il malessere che rischia di produrre nel soggetto inerzia, passività e, inevitabilmente, disobbedienza. Prima di ogni cosa, i sudditi debbono imparare a governare se stessi: «È adunque securissima cosa, nel modo del vivere e nel conversare governarsi sempre con una certa onesta mediocrità, che nel vero è grandissimo e fermissimo scudo contro la invidia, la qual si dee fuggir quanto più si po;

il governarsi bene in questo parmi che consista in una certa prudenzia e giudicio di elezione, e conoscere il più e ’l1 meno che nelle cose si accresce e scema per operarle oportunamente o fuor di stagione...;

e’ sappia componere tutta la vita sua e valersi delle sue bone qualità universalmente nella conversazion de tutti gli omini senza acquistarne invidia»8.

Evitare le invidie significa neutralizzare le proiezioni distruttive che possono provenire come reazioni inconsulte dalle sofferenze degli altri, sottrarsi abilmente alle provocazioni di coloro che fomentano i conflitti invece di produrre per se stessi regole positive di autodisciplina e di scambio comunicativo. Viene allora prendendo corpo la proposta di una complessa strategia che consiste di un duplice movimento che scorre concretamente attraverso gli individui: obiettivo Ti lvipe1/8: 8° Ip: pp.al78, 1276128;

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

73

principale è quello di disciplinare il corpo, i comportamenti e i linguaggi, secondo un programma razionale/artificiale, non più naturale, che definisce nel dettaglio l’utilizzo di tecniche idonee: segreto, dissimulazione, sprezzatura, vengono rappresentati come dispositivi di un codice di duone maniere considerato mezzo indispensabile al vivere civile. I soggetti capaci debbono esercitarsi nell’utilizzo di regole universali — ma non più leggi morali — dotate di quelle forme esteriori che possano consentire efficace comunicazione. Il cortegiano deve certamente

evitare l’affettazione,

vale a dire l’assun-

zione di criteri di condotta superficiali e piuttosto, deve rivestire le proprie azioni sultino contemporaneamente gradite — per il principe, mentre al singolo debbono fetti di piacere, di godimento:

del tutto esteriori; con forme che ripiene di grazia — potere arrecare ef-

«Voglio adunque che ’l nostro cortegiano in ciò che egli faccia o dica usi alcune regole universali, le quali io estimo che brevemente contengano tutto quello che a me s’appartiene di dire; e per la prima e più importante fugga, come ben ricordò il Conte iersera, sopra tutto l’affettazione. Appresso consideri ben che cosa è quella che egli fa o dice e ’1 loco dove lo fa, in presenzia di cui, a che tempo, la causa perché la fa, la età sua, la professione, il fine dove tende e i mezzi che a quello condur lo possano; e così con queste avvertenzie s’accomodi discretamente a tutto quello che fare o dire

vuole»?.

Al centro del comportamento del cortegiano è dunque la discrezione, capacità di adattamento della propria condotta ai tempi, interni ed esterni, ed al complesso delle circostanze vissute:

«il condimento di tutto bisogna che sia la discrezione; perché in effetto saria impossibile imaginar tutti i casi che occorrono; e se il cortegiano sarà giusto giudice di se stesso s’accomoderà bene ai tempi» !°.

Cavi pal29:

10 Ivi, p. 138.

74

GIANFRANCO

BORRELLI

A tempo e con bona maniera: questi i criteri da porre a fondamento dell’azione del cortegiano!!. A partire da qui, diventano possibili posizionamenti di nascondimento e di dissimulazione, di sdoppiamento e di camuffamento: «lo essere travestito porta seco una certa libertà» !?. Castiglione forse vuole suggerire che attraverso queste modalità di autogoverno diventa possibile conservare alcune piccole libertà, al posto di quella assoluta e tanto conclamata libertà civile ormai impossibile da sostenere e da vivere. Inoltre, questa possibilità di ordine civile e di sicurezza di comunicazione può rendere possibile cogliere vantaggi, beni materiali, cormodità: il bene governarsi si rivela quindi nella sostanza utile ai sudditi nei percorsi pratici della vita quotidiana!3. Queste scritture esprimono inoltre la richiesta esplicita — rivolta da parte dei sudditi al principe — di provvedere con tecniche specifiche alla sicurezza dell’ordine civile, alla assicurazione materiale della vita dei soggetti ed ancora al contenimento delle situazioni di malessere spirituale. Alla prudenza civile esercitata dal cortegiano deve quindi corrispondere una specifica capacità di prudenza politica propria del principe; attraverso i percorsi argomentativi proposti, si avverte l’intima convinzione di Castiglione che le virtù morali — fondate sul dettato del giusnaturalismo cristiano e sulla morale religiosa dei comandamenti divini — sono strumenti di fatto inutilizzabili. In particolare, la virtù cardinale della prudenza ha perduto le caratteristiche di legge univocamente morale: da un lato, prudenza sta venendo a significare la principale regola di condotta per l’autogoverno del singolo individuo, mentre per il principe sta diventando dispositivo tecnico di comando. Questo passaggio viene reso esplicito nell’ultima parte dell’opera di Castiglione: il quarto capitolo del trattato dedicato al tema della prudenza politica propone una relazione

ll Ii, p. 126. 12 Ivi, p. 143. Per questi aspetti, che fanno riferimento anche alle condizioni concrete del guadagno economico, vedi ivî, pp. 153-155.

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

75

determinata tra queste pratiche di civil conversazione e la necessità dell’utilizzo di tecniche politiche determinate. Ancora in questo caso la finalità politica espressa è quella di produrre idonei mezzi per la produzione di conservazione, cioè mantenimento del comando e sicurezza per i sudditi, ordine reso possibile tramite i mezzi politici nelle condizioni dell’esistenza quotidiana. A tanto vuole contribuire il programma di civil conversazione, che attraverso gli indici proposti delle buone maniere intende promuovere l’attivazione di percorsi di civilizzazione, di modalità possibili di incontro e di comunicazione tali da neutralizzare antagonismi laceranti e sofferti quotidianamente nell’Italia del Cinquecento. Castiglione vuole mettere sull’avviso quei principi che «credono che ’1 saper regnare sia facilissima cosa e per conseguirla non bisogni altr’arte o disciplina che la sola forza, voltan l'animo a tutti i suoi pensieri a mantenere quella potenzia che hanno, estimando che la vera felicità sia il poter ciò che si vuole;

perché la ignoranzia loro accompagnata da quella falsa opinion di non poter errare, e che la potenzia che hanno proceda loro dal sapere, induce loro per ogni via, giusta o ingiusta, ad occupar Stati audacemente, pur che possano»!4.

Questi principi «pensano che chi obedisce non sia veramente signore» 15: essi non provvedono a diffondere ed a rinforzare tra i cortegiani la cultura civile dell’obbedienza da intendere come incontro tra livelli diversi di autogoverno, di autodisciplina dei comportamenti per governanti e governati. Bisogna allora produrre idonei mezzi per la produzione di conservazione, rendere consapevoli gli uomini di governo e gli stessi cortegiani che non risulta più possibile introdurre elementi di innovazione nella vita civile: soprattutto bisogna convincere ad evitare l’error della disubidienza*s. Nella fase storica della perdita di autonomia per gli stati regionali italiani, si può unicamente mirare a creare ordine e sicurezza

4 Ipj, pp. 361-362. > Ibidem.

16 Ipj, p. 154.

76

GIANFRANCO

BORRELLI

grazie al consenso ed all'amore che possono essere indirizzati verso il principe da parte dei sudditi: «Direi adunque, che usar dovesse [il principe] questi e molti altri rimedi opportuni, perché nella mente dei sudditi non nascesse desiderio di cose nove e di mutazioni di Stato: il che per il più delle volte fanno o per guadagno, o veramente per onore che sperano, o per danno, o veramente per vergogna che temano; e questi movimenti negli animi loro son generati talor dall'odio e sdegno che gli dispera, per le ingiurie e contumelie che son loro fatte per avarizia, superbia e crudeltà o libidine dei superiori; talor dal vilipendio che vi nasce per la negligenza e viltà e dapocagine de’ prîncipi; ed a questi dui errori devesi occorrere con l’acquistar dai populi l’amore e l’autorità»!7. i Non si possono introdurre novità: ron innovare cosa al-

cuna promette il Castiglione, scrivendo al collegio dei cardinali ed al papa per conto del duca di Urbino!8. Piuttosto si può operare a vasto raggio e su piani molteplici al fine di utilizzare nei tempi dovuti posizionamenti elastici: comportamenti attenti e conformi di prudenza da parte dei sudditi, tattiche di furbizia e di dilazione da parte dei governanti. Tutto questo al fine della realizzazione della quiete per i sudditi: «Con tai modi ricordarei che ’l principe procurasse di conservare i suoi sudditi in stato tranquillo e dar loro i beni dell’animo e del corpo e della fortuna» 19.

Il principe deve garantire la produzione di quei comportamenti conformi e moderati; egli stesso, educato alla temperanza, è costretto ad eliminare i cortegiani che si dimostrano potenti sediciosi:

Ivi, p. 393. 18 L'espressione è contenuta nella lettera rivolta dal duca a Leone X: con essa si intende rassicurare il pontefice nel merito della politica urbinate nei confronti del nipote del pontefice, Lorenzo de’ Medici; vedi in Lettere del Cinquecento, a cura di G.G. Ferrero, Torino, UTET, 1967, pp. 123126.

!9 Ivi, p. 394.

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

TA

«il che si fa col beneficare ed onorare i boni e rimediare prudentemente, e talor con severità, che i mali e sediziosi non diven-

tino potenti; la qual cosa è più facile da vietar prima che siano divenuti, che levar loro le forze poi che l'hanno acquistate» 20.

La legge della ragione, lo squadro geometrico, la della ragione?!, del principe debbono produrre ordine tenimento per tutti i sudditi: in particolare egli deve dire movimenti non prevedibili e pericolosi per la pubblica, deve contribuire a eliminare

briglia e conimpequiete

«quelle perturbazioni che sentono gli animi intemperati, li quali per essere oppressi da un canto quasi dal profundissimo sonno della ignoranzia, e dall'altro dal travaglio che riceveno dei loro perversi e ciechi desidèri, sono agitati da furore inquieto, come talor chi dorme da strane ed orribili visioni» ?2.

2. La dolcezza della ragione civile e l’utile della ragion di Stato in Giovanni Della Casa La buona costumatezza nei comportamenti — secondo il codice del Galateo scritto da Giovanni Della Casa — consiste nel perseguire «benivolenza,

cosa a princìpi a guida tali ben

onore

e sollazzo, o alcuna

queste somigliante»; non sono questi certamente i morali — virtà, onore e piacere — posti da Aristotele della condotta degli uomini, ma criteri comportamendifferenti, per quanto a quelli ispirati; si tratta di

«quello che io stimo che si convenga di fare per potere, in comunicando ed in usando con le genti, essere costumato e piacevole e di bella maniera: il che nondimeno è o virtù o cosa molto a virtù somigliante» ?3.

20 Ivi, p. 393. 21 L'espressione è pure contenuta nella lettera sopra citata, in Lettere del Cinquecento, cit., p. 124.

22 Ipi,p. 381.

23 L'edizione del Galateo che utilizzo è quella a cura di S. Prandi, Torino, Einaudi, 1994; le citazioni sono alle pp. 16 e 5-6; sicuramente utile

78

GIANFRANCO BORRELLI

Essere/apparire, morale/condotta, ragione politica/ragione civile: la proposta di Della Casa viene costruita proprio attraverso gli atti di spostamento di semantiche concettuali che si diversificano dai calchi rigidi dei saperi comportamentali tradizionali: i nuovi codici sono sizili a questi modelli, ma se ne distaccano in quanto nei nuovi orientamenti l’attenzione è posta sulle modalità della comunicazione e sulle procedure di trasmissione delle intenzioni individuali piuttosto che sui contenuti delle leggi morali che pretendono di costituire i fondamenti inderogabili dell’azione. Ne consegue la produzione di una nuova retorica, centrata sulle usazze più che sulle argomentazioni di valore contenute nei discorsi; essa vuole incidere sulle condotte degli individui: tecniche e dispositivi di comportamento vengono ora codificati per le minute cose che riguardano le pratiche umane. Infatti, «le forze della usanza sono fortissime» 24, la usanza moderna è da equiparare alla legge, alla regola universale delle condotte: in particolare, questi codici — che Della Casa descrive nei dettagli delle maniere e dei tempi da mettere in pratica — non sono da considerare bagaglio di un ceto che possa servirsene l’Introduzione al testo di C. Ossola, pp. v-xxxiv. La ricerca di maggiore interesse su Della Casa si deve a N. PirILLO: vedi in particolare Ragione, usanze, costumi. Dai «precetti della legge cristiana» ai precetti del «vivere nel mondo». Per uno studio di Giovanni Della Casa, in Disciplina del l’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, Atti del convegno internazionale di studio (Bologna, 7-9 ottobre 1993), Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 539-582; quindi Virtà minori ed inci-

vilimento. Studio su Giovanni Della Casa, in L'incognita del soggetto e la civilizzazione, Napoli, Liguori, 1994, pp. 145-175; infine, Ragion di Stato e ragione civile. Studio su Giovanni Della Casa, in Ragion di Stato e ragioni dello Stato (secoli XV-XVII),

Atti del conv. (Napoli 1990), a cura di P. Schiera, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici-L’Officina Tipografica, 1996, pp. 168-188. Il lavoro di Pirillo ha il merito di ricostruire le incidenze del Galateo e della letteratura delle buone nzaniere — considerata come avvio dei discorsi di secolarizzazione della morale religiosa e di formazione della moderna categoria del sociale — sulla trattatistica secentesca e settecentesca dedicata in Europa alla precettistica dell’uorzo di condotta; vi troviamo inoltre un prezioso inquadramento circa le linee interpretative più significative, da Kant a Hegel, da Burkhardt a Croce, fino alla letteratura critica a noi più vicina. 24 Ivi, pp. 36-37.

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

79)

per conseguire i vantaggi della sola sua parte, valgono piuttosto per tutti gli individui. Vi sono criteri che ispirano alla radice la rubrica articolata delle buone e civili maniere: sono gli stessi criteri che ciascun individuo deve avere come punti di riferimento nel governo della propria condotta quotidiana. Innanzitutto,

l’obiettivo della convenevolezza — della definizione preliminare di uno spazio comune di scambio comunicativo con gli altri — richiede la eliminazione degli atti e dei modi che possano recare disturbo e disgusto: quindi, non «opporsi al piacere altrui», «non istà bene esser maninconioso,

né astratto

la dove tu dimori»?. Le maniere degli individui — e le stesse virtù — debbono rivestirsi dei caratteri della grazia e della piacevolezza: «Niuno può dubitare che a chiunque si dispone di vivere non per solitudini o ne’ romitorii, ma nelle città e tra gli uomini, non sia utilissima cosa il sapere essere ne’ suoi costumi e nelle sue maniere grazioso e piacevole: senza chelle altre virtù hanno mestiero di più arredi, i quali mancando, esse nulla o poco adoperano; dove questa, senza altro patrimonio, è ricca e possente, sì come quella che consiste in parole e in atti solamente» ?5.

Dolcezza de’ costumi, dolce modo??: bisogna che la possibilità della comunicazione — con il fine complementare della copertura degli elementi di conflitto — venga immediatamente espressa attraverso le forme esteriori. I soggetti rinunciano ad una parte della propria autonomia per rendersi disponibili agli usi ed ai costumi esterni: «si dèe l’uomo sforzare di ritrarsi più cha può al costume degli altri cittadini, e lasciarsi volgere alle usanze»?8. I soggetti debbono convertire parti interiori in termini di «riverenza e rispetto verso la 2 Ivi, pp. 22-23; ancora in un altro passo Della Casa raccomanda che «Né a festa né a tavola si raccontino istorie maninconiose, né di piaghe né di malattie né di morti o di pestilenzie, né di altra dolorosa materia si faccia menzione o ricordo» (ivi, p. 26). 20 Ji, DI 2Mlv:appa6re723% E, a 39

80

GIANFRANCO BORRELLI

compagnia nella quale siamo»??: ed è conveniente che negli affari di corte questi modi di condotta vengano praticati «non per quello che essi veramente vagliono, ma, come si fa delle monete, per quello che corrono»3°. Come a dire che le prime forme dello scambio comunicativo — preludio ad ogni altra possibilità di commercio, civile o economico che sia — consistono in questa funzione neutrale di approccio, nelle maniere dolci dell’apparire. L’altro criterio utile al governo di sé ed a favorire l’incontro con gli altri è quello di esercitare in ogni questione moderazione e temperanza: «dèi sapere che a te convien temperare ed ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro co’ quali tu usi, ed a quello indirizzargli; e ciò si vuol fare mezzanamente, percioché chi si diletta di troppo secondare il piacere altrui nella conversazione e nella usanza, pare piuttosto buffone o giucolare, o per aventura lusinghiero, che costumato gentiluomo; sì come, per lo contrario, chi di piacere e dispiacere altrui non si dà alcun pensiero è zotico e scostumato e disavvenente. Non è adunque da opporsi alle usanze comuni in questi cotali fatti, ma di secondarle mezzanamente, accioché tu solo non sii colui che nelle tue contrade abbia la guarnaccia lunga fino in sul tallone, ove tutti gli altri la portino cortissima poco più giù che la cintura.

Conviensi

adunque alle costumate persone aver risguardo a

questa misura che io ti ho detto, nello andare, nello stare, nel se-

dere, negli atti, nel portamento e nel vestire e nelle parole e nel silenzio e nel posare e nell’operare»31.

In definitiva, la possibilità dell’autogoverno dei cittadini viene posta da Della Casa non sulle sponde delle leggi morali o dell’azione politica: piuttosto viene delineato uno spazio distinto di scambi comunicativi, di pratiche interattive, che

dovrebbe rispondere all’esigenza di rimediare al degrado dei costumi ed all’impossibilità di una politica indipendente dalle 220, jo ZII 30 Ibidem. Tn PpPIMESTAICTITA

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

81

incidenze delle potenze straniere. Ancora in questo caso, Della Casa costruisce un avviso per gli italiani: non si deve subire supinamente i nuovi condizionamenti agli sviluppi della civilizzazione in Italia; peraltro, è cosa necessaria e pos-

sibile la riconversione della grande cultura civile italiana, anche se bisogna rinunciare a parti della libertà civile. La conservazione delle piccole libertà quotidiane è legata non più all’esercizio delle politiche condotte dai grandi personaggi di un'epoca ormai trascorsa, ma alle capacità dei singoli individui di costruire per se stessi quel disciplinamento interiore in grado di governare l’eccedenza delle passioni naturali e di accogliere i suggerimenti che provengono dalla parte razionale: questo è il criterio principale per rendersi uguali agli altri, al di là delle differenze di censo e di conoscenze. Ecco, allora, che è proprio nell’Orazione a Carlo V, scritta quasi sicuramente nel 1547 da Giovanni Della Casa all’imperatore spagnolo per sostenere la restituzione di Piacenza al duca Ottavio Farnese, genero dello stesso imperatore, incontriamo la denuncia della politica empia che si presenta come ragion di Stato; qui Della Casa distingue la voce barbara e fiera di ragion di Stato da quella di ragione civile: «Invano, adunque, si affaticano coloro che fanno due ragioni; l’una torta, falsa e dissoluta, e disposta a rubare, e a mal fare; ed a

questa han posto nome ragion di Stato; e allei assegnano il governo de’ reali, e degli imperii; e l’altra semplice, e diritta, e costante; e questa sgridano dalla cura, e dal reggimento delle Città, e de’ regni, e caccianla a piatire, e a contendere tra i litiganti».

Si tratta di due ragioni diverse, inconciliabili, delle quali la prima nasconde «sotto ’1 nome della ragione l’opera della fraude e della violenza»: la seconda viene ormai solo maltrattata ed offesa. Della Casa esorta allora Carlo V a non lasciare inquinare le proprie imprese grandi e meravigliose, ispirate da onestà e giustizia, da quell’uzile «che oggi si chiama Ragion di Stato»5?. 32 In Rime, pp. 69 e 62.

et prose, Vinegia, presso Niccolò Bevilacqua,

1558, alle

82

GIANFRANCO BORRELLI

Della Casa ripete con Guicciardini la critica alla ragione empia della politica, appunto la ragion di Stato, che nelle regioni italiane così come in tutta Europa sta imponendo il proprio dominio senza tenere conto dei precetti cristiani: in questa critica resta implicito il riconoscimento della separazione ormai avvenuta tra il piano delle norme morali, naturali e divine, e la sfera dell’azione politica. Vengono qui riaffermati i princìpi ciceroniani della utilitas — categoria che afferma il primato della sfera pubblica a fronte degli interessi particolari, privati — posti alla base della renovazio civile rinascimentale33; grazie a questo fondamento, Della Casa può argomentare che non possono esistere due pratiche contrapposte, l'utile distinto dall’onesto, la morale separata dalla politica; esiste certamente la possibilità di esercitare la virtù e di distinguere la retta ambizione da quella viziosa e vana, ma il fine principale dell’azione umana sembra innanzitutto essere quello di rendersi disponibile alla conversazione ed alla grazia34: è questa la vera arte del vivere e della civilizza-

3 Scrive Pirillo, che pure ha studiato le influenze che la trattatistica della civil conversazione ha avuto nei contesti europei, ed in particolare nella formazione in Francia della morale laica della sagesse: «Il sapere che riguarda la condotta di vita non coincide con la “science de la politique ” che va da Platone a Machiavelli, bensì con la scienza della vita civile. La politica... riguarda l’intero. La vita civile invece è solo in parte politica, in parte è morale. Nella sua strutturazione prende forma non lo stato ma la società, la sfera pubblica come relazione in generale, capacità di far rapporto, di stare insieme verticalmente e orizzontalmente», in Ragione, usanze, costumi. Dai «precetti della legge cristiana» ai precetti del «vivere nel mondo». Per uno studio di Giovanni Della Casa, cit., p. 552. 24 Scrive Della Casa nella lettera ad Annibale Rucellai: «L’ambizione è nome posto a un vizio; e chiamasi ambizioso colui che è vano e che passa i termini in desiderare onore e laude o dignità. E perché rade volte si trova chi procuri temperatamente gli onori e la gloria, pare che una certa negligenza degli uomini non si sia posta a trovar nome a quello che si vede di rado, o forse non mai perfettamente, che è la debita cura e il desiderio di dignità e di laude; talchè quello che sarebbe virtù è nominato col vocabolo di vizio, e chiamasi ambizione la giusta cura d’acquistar gloria. Ma i vocaboli non mutano le cose, ancorché facciano confusione nelle parole e negli animi di chi non intende più oltre: la qual confusione, acciocché tu possa fuggirla, chiamerai la buona e retta e virtuosa ambizione ueyoAdovvyia, e ma-

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

83

zione. Per questa via la ragione civile risulta quindi un dispositivo complesso che affianca utilità ed interesse alla grazia: essa può costituire il valido antidoto alla violenza della politica, il bilanciamento alle azioni perverse della ragion di Stato. In definitiva, l’unica possibile alternativa alle difficoltà del degrado civile in Italia viene riposta, da un canto, nella capacità dei singoli soggetti a reagire con regole di autodisciplina, che Della Casa compone in una precettistica utile alla vita civile ed alle necessità del comando politico: a questi soggetti abili si rende possibile pure l’utilizzo di comportamenti di sdoppiamento e di mascheramento. Peraltro, l’autore si dimostra chiaramente consapevole che la mutata situazione della penisola non consente agli italiani di rimediare in modo pienamente autonomo alla diffusa corruzione dei costumi, delle usanze, magari introducendo nuove leggi o ordini politici. Nei processi di contenimento forzato per quelle passioni e per gli istinti che risulta impossibile educare e condizionare all’obbedienza, viene sostenuta la necessità di una rappresentazione pubblica determinata: la figura del principe viene allora richiamata come termine sicuro di comando ed efficace mediatore dei conflitti.

3.

Civil conversazione contro malinconia: il progetto di una nuova socialità secondo Stefano Guazzo

La Civil conversazione di Stefano Guazzo costituisce un trattato contro la malinconia: «il libro è un esercizio anti-

malinconico, una vera e propria cura»35. E la definizione di gnanimità; e quell’altra, che è viziosa e vana e leggiera, piAotiuia, e vana

gloria», in Lettere del Cinquecento, cit., p. 574. 35 Il testo de La civil conversazione cui faccio riferimento è inevitabilmente l’edizione critica a cura di A. QuonpaM,

Ferrara, Franco Cosimo

Panini, 1993, in due volumi (I. Testo e Appendice; II. Apparati: note e indici), con importante introduzione dello stesso Quondam, pp. ix-lx. Il giudizio riportato è di J. BALSAMO, in I/ cortigiano malinconico: alcune osservazioni sulla “Civil conversazione” di Stefano Guazzo, in Malinconia ed

84

GIANFRANCO

BORRELLI

malinconia viene offerta fin dalle prime pagine del dialogo tra il Cavaliere sofferente ed il medico Annibale con la pertinenza linguistica del discorso medico: malinconia, wzz0r malinconico, afflizzione d'animo, soma di mali umori, nutrita di falsa imaginazione o anche di forti e fametiche imaginazioni, per cui gli uomini «divengono squallidi, macilenti, gialli e ripieni di sangue putrafatto, col quale si corrompe anco la vita e i costumi, per modo tale che alcuni pigliano della natura delle fiere selvaggie, altri s’avviliscono e temono l’ombre e le pitture»3%. Il soggetto che rimane impegnato dai percorsi della civi/ conversazione — soggetto umano differenziato per la complessione fisica oltre che per la specifica appartenenza di ceto — viene descritto sulla base di una concezione antropologica e psicologica sicuramente negativa: gli uomini mediamente non riescono a conoscere se stessi, anzi «per la maggior parte sono adulatori di loro medesimi, col darsi a credere d’esser quei che non sono»?; in più, gli individui non si dispongono positivamente alle virtù «essendo l’intenzione mia di ragionare delle particolari del conversare che convengono a ciascuna sorte di persone, gna aver l'occhio al beneficio universale, considerando che gior parte degli uomini è non solamente priva delle virtù tive e delle morali, ma non è anco né per ingegno atta né lontà disposta a riceverle, sì che sarebbe cosa vana, per

maniere ci bisola magintelletper vonon dir sciocca, il voler a così fatte persone insegnar ordinatamente e secondo i debiti termini le già dette virtù»38.

Non si può dare come scontata per gli uomini la condotta di ragionevolezza: e nemmeno le virtù sono di facile acquisizione; alla base dei conflitti umani è sicuramente questa incapacità di leggere se stessi:

allegrezza nel Rinascimento, Nuovi Orizzonti,

a cura di L. Rotondi Secchi Tarugi, Milano,

1999, p. 23.

RIU vo Ippo Al3% I O ATO, 1 59

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

85

«Ben sapete che l’ingannar se stesso è la più facil cosa di tutte le altre, ma il Savio ci ammonisce che non vogliamo esser savii presso di noi, cioè nella nostra opinione, perché questa sapienza è chiamata diabolica, e veramente colui che più sa men presume e cede alla ragione. Onde non è maraviglia se ’1 volgo ignorante è pieno di contenzioni, e però diremo che ’1 contrastare senza fondamento di ragione è uno faticarsi per acquistar odio, e che i contenziosi sono degni di grande biasimo, quantunque s’abbino a comportare» }?.

Contenzioni, ostinazioni, conflitti, costituiscono l’inevita-

bile portato della malinconia; le sofferenze degli individui indotte da una malattia che li condiziona dall'esterno — attraverso gli umori biliosi che danneggiano la costituzione psicofisica — si proiettano distruttivamente verso gli altri, procurano sicuramente danni e disordine nella convivenza: costoro «con animo ritroso e bestiale s’attraversano alle opinioni altrui, e vogliono in tutti i luoghi, in tutti i tempi, sopra tutti i ragionamenti

e con

tutte

le persone

litigare e soprastare

come l’olio, poco o nulla stimando la malivolenza o disgrazia di chi che sia». L’obiettivo principale della civi/ conversazione è in prima istanza quello di spingere i soggetti a conoscere

se stessi: questo passaggio risulta decisivo per impe-

gnare la volontà del singolo a modificare se stessi in quelle parti che si dispongono negativamente verso l’interno e verso gli altri. La funzione della ragione spinge gli individui a trasformare la propria originaria natura; inoltre, «non è felice chi non conosce d’esserlo»: la ragionevolezza è come una seconda natura che può trasformare gli animi insoddisfatti e malcontenti. La malattia malinconica è propria dei caratteri umani che non riconoscono i confini della propria azione: essa deriva dall’eccesso degli appetiti e dagli effetti inevitabilmente negativi esercitati dall’ambizione sugli uomini che

E

(ol

40 Ii, p. 62-63.

86

GIANFRANCO

BORRELLI

«non pongono termine a’ loro insaziabili desiderii, vota i petti di quiete, li riempie di sollecitudine, accieca gli intelletti, li lieva ad alto e finalmente rompe loro il collo e miseramente li consuma. Onde si dice che ’1 diavolo andò in ruina per ambizione e per volere piuttosto comandare che cedere e ubbidire, e disse un altro che l'ambizione era la croce degli ambiziosi».

La definizione di malinconia si avvicina allora alla concezione machiavelliana di mala contentezza: essa acquisisce un ulteriore spessore di discorso antropologico, volendo significare il senso permanente della perdita, lo scacco inevitabile cui sono esposti tutti i desideri umani e, insieme, la diffusa condizione di mancanza, di penuria, dei mezzi indispensabili per una dignitosa esistenza: «non vi è mai alcuno così ricco e potente, che non abbia manco di quel che desidera, e ch’gli è vero quel detto: molti hanno troppo, niuno abbastanza. E perciò chi vorrà una volta aprir gli occhi, vedrà per conto dell’ambizione che quanto più andiamo in alto, a tanto maggior percossa siamo sottoposti, e per conto dell’avarizia si risolverà con quel filosofo, il qual diceva: “se tu vuoi vivere secondo la natura, non sarai mai povero, se vuoi vivere se-

condo l’opinione, non sarai mai ricco”. Insomma dal soverchio appetito ne segue la malinconia, e dalla malinconia la morte misera e infelice» 42.

Secondo le regole della civil conversazione — proposte da Guazzo — il malessere che deriva dalla ambizione è patologia comune da curare con tecniche appropriate; la comunità civile, la città, non può farsi carico degli umori malifàconici: «’l vivere civilmente non dipende dalla città, ma dalle qualità dell'animo» 43. È quindi il benessere complessivo dell’individuo il punto decisivo per l’organizzazione della convivenza civile; così afferma una postilla a margine (1 C9): «sa-

41 Ivi, pp. 68-69. (E Joi 2 fior px 40,

OLTRE LA MALA CONTENTEZZA, CONTRO LA MALINCONIA

87

nità richiede l’animo contento»; se contentezza significa vivere con soddisfazione gli appetiti possibili, il soggetto deve rimanere garantito su quei mezzi che garantiscono il sostentamento materiale della vita e rassicurato sul piano della quiete interiore. Tutto questo è da progettare nel complesso di una economia delle relazioni umane*; si tratta di quello spazio che vuole appunto rimanere distinto dalle dinamiche indotte dai conflitti ideologici e civili, poiché a questo livello della politica perversa non resta garantita — nella situazione venutasi a creare nelle corti italiane — alcuna possibilità di prassi civile sicura, né risulta possibile ai singoli ed ai ceti operare alcuna incidenza sul piano del governo civile. I cittadini, appartenenti ai diversi ceti, debbono potere contare su codici comportamentali uriversali, poiché diffusamente riconosciuti idonei a sostenere percorsi di ordine civile e di commercio: «la pertinenza della conversazione è al tempo stesso etica (riguarda i buoni costumi e le virtà) ed economica,

sia

nel senso della conservazione che dell'acquisto di beni»6. La civil conversazione viene dunque favorita dall’adesione ragionata di individui diversi che producono un terreno comune di pratiche comunicative; anche se questa necessità non

convince

tutti pienamente,

bisogna

tuttavia

aderirvi

poiché solo essa può realizzare quella contentezza che è insieme contenimento dei caratteri impulsivi ed inquieti — che arrecano danno alla comunità — e possibilità di soddisfazione della singolarità psico-fisica di ciascun individuo. Su questo deve intervenire la volontà, la precisa determinazione individuale: «debbiamo costringere la volontà nostra e farla alcuna volta contentar di quel che le dispiace, onde ne segua di necessità virtuo

44 Nella citata edizione a cura di Quondam la postilla è relativa al luogo 1 C9; vedi ivi, p. 357.

45 La felice espressione è ancora di J. Balsamo, in op. cît., p. 27. 4 Così scrive Quondam nella citata Introduzione, p. xXx1. 4 La civil conversazione, cit., vol. I, p. 18.

88

GIANFRANCO BORRELLI

I dispositivi tecnici suggeriti risultano dettagliati, fanno riferimento alle diversità delle maniere dei soggetti, alle possibilità di incontro tra individui di ceto diverso, assumono a riferimento un carattere zzez4zo

(non buono,

né cattivo) 48,

puntano su quella capacità di discrezione in grado di selezionare il codice comportamentale opportuno per i tempi, i luoghi e i soggetti in questione; peraltro sono proprio questi caratteri mzezani, cioè gli individui sostanzialmente moderati/ temperati, che decidono dell'effettivo equilibrio dei poteri nella comunità intera. In modo sintetico questo indice di regole fa perno sui seguenti snodi:

se civil conversazione è innanzitutto retorica, bisogna apprendere i tempi del silenzio e della parola: «non s’intrometta la lingua nei ragionamenti altrui avanti il tempo...; chi non sa tacere non sa parlare...; si proponga nelle conversazioni due tempi di parlare, cioé o di quelle cose ch'egli intende benissimo e ha su le dita, overo di quelle delle quali è costretto a ragionare» 49;

ogni azione che deve rispondere alle esigenze della civile comunicazione deve esprimere piacevolezza e benivolenza per i contesti differenziati che vengono impegnati: «per conseguire perfettamente il frutto della conversazione, il quale è posto principalmente nella benivolenza altrui, gli conviene non solo conoscere e apprendere i costumi a lui appartenenti, ma le diversità delle maniere ch’egli ha a tenere verso gli altri, secondo la differenza loro, posciaché gli occorre a conversare o con giovani o con vecchi, o con nobili o con ignobili, o con prencipi o con privati, o con dotti o con idioti, 0 con cittadini o con forestieri, o con religiosi o con secolari, 0 con uomini o con donne »59;

infine, attenzione particolarissima — e grande parte del trattato — viene dedicata ai modi grazie ai quali bisogna garantire i secreti: la sfera dei sentimenti, dei pensieri, di parti-

UD, a, CHL 4° Ivi, pp. 85 e 105-106. III, (VISI

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

89

colari mz4niere, deve rimanere coperta, affidata alla completa discrezione dei soggetti coinvolti. È questa la sfera dell’intimo, del privato che viene ora con più nette marcature delimitata e contrapposta alla sfera del pubblico. Esistono certamente complessioni e caratteri impressi nei soggetti dalla natura fin dalla nascita: tali differenze vanno rispettate e ciascun individuo potrà decidere di conservare o di mutare in certa misura l'indole originaria. In effetti, l’individuo è composta da più parti: «la natura ci ha date quasi due persone, l’una delle quali è commune a tutti gli uomini, in quanto sono partecipi di ragione e

più eccellenti delle bestie; l’altra è proprio di ciascuno, in quanto alla differenza che si vede nelle fattezze del corpo e nella diversità degli animi, ciascuno de’ quali inchina non pure a qualche bene ma eziandio a qualche male»51.

Al fine di garantire quel terreno commune di ragionevolezza, che neutralizza i vari termini delle possibili divisioni tra i soggetti, bisogna dare autonomia a quella sezione autonoma del privato: in breve, assumere le vesti, le maschere, maggiormente idonee a produrre derivolenza, calcolata disponibilità ed interessata apertura verso gli altri. L’obiettivo richiede sicuramente un appropriato lavoro di autodisciplina dei comportamenti ed ancora implica la tensione a produrre un ordine comunitario, una dimensione in cui gli individui producano una sorta di garanzia diffusa di comunicazione e di scambio; risulta però anche necessario uno spazio pubblico, che svolga una garanzia questa volta esterna alla sfera privata. Tanto viene riferito al punto residuale della prassi

civile e politica riconosciuta fino all’epoca rinascimentale come l’alveo di scorrimento degli umori diversi della città; viene ora esaltata la figura centrale del principe, identificato con la dimensione completamente pubblica della vita civile: egli

2:

920

GIANFRANCO

BORRELLI

«deponga la persona privata e si vesta la publica, avendo tutto il suo pensiero rivolto al beneficio de’ suoi popoli»??.

La conversazione dei cittadini con il principe è necessaria perché garantisce libertà a se stessa, alle forme diverse degli scambi e delle comunicazioni53; bisogna obbedire comunque ai principi, a questa viva immagine di Dio, anche se le loro azioni non sono sempre comprensibili: «Io torno a dire che le azzioni de’ prencipi sono quasi irreprensibili e lontane in tutto dal giudicio nostro, ma per la vicinanza che hanno insieme le virtù e i vizii, sono da noi sinistramente interpretati i costumi loro, conciosiaché alcuni ci paiono crudeli, che sono

per avventura giusti; e quei che noi stimiamo mancatori di giustizia, possono essere clementi e benigni; quei che imponendo balzelli o nove e straordinarie gravezze a’ sudditi sono giudicati avari, meriteranno forse il nome d’amorevoli e saggi, posciaché a così fare si saranno mossi per quiete e conservazione degli stati e de’ popoli, a tale che l’imperfezzione de’ giudicii nostri ci fa pigliare quasi tutte le perfezzioni loro a rovescio»54.

I principi hanno a cura la quiete e la conservazione degli stati; insiste su questo punto Guazzo: i principi agiscono per interesse della giustizia e per conservazione de’ suoi stati?>. La conservazione politica — con le relative tecniche prudenziali

del comando politico principesco — deve garantire stabilità di ordine e sicurezza sociale a quel terreno della civil conversazione che attraverso le modalità delle buone maniere sta da tempo promuovendo l'attivazione di percorsi di civilizzazione, di modalità possibili di incontro e di comunicazione tali da neutralizzare conflitti irrimediabili ed antagonismi vissuti e sofferti quotidianamente nell'Italia del Cinquecento: soprattutto, l’impegno di conservare la situazione politica esistente intende contribuire a riconvertire l’utilizzo Ivi, p. 146. Ivi, p. 148. uv n dè Ivi, p. 143. vp 146: vvN

OLTRE

LA MALA

CONTENTEZZA,

CONTRO

LA MALINCONIA

SI

immediato della forza — fatta valere comunque come l’unico strumento idoneo a dirimere i conflitti — in dispositivi prudenziali, tecniche neutrali, o anche di dissimulazione e di simulazione, finalizzate allo scopo determinato di produrre obbedienza tra i sudditi. Scrive Guazzo che i principi sono terreni dii, permanentemente impegnati nel «governare i sudditi con giustizia e nell’attendere alla salute e a’ commodi loro»56; in effetti, dal punto di vista del governo politico gli individui si possono riconoscere sudditi, mentre rimangono cittadini solo i soggetti che praticano l’arte propria del vivere, la civi/ conversazione. AI potere politico va dunque riconosciuta una dislocazione parallela e simmetrica rispetto alla sfera delle buone maniere: vale a dire che bisogna riconoscere alla politica una forza autonoma e distinta dall’ambito del vivere civile per motivi che riprendono le argomentazioni tradizionali della giustizia. Ciò che invece risulta nuovo — nella scrittura di Guazzo — è l'enfasi di rappresentare il comando politico come una forza eccezionale e dotata di sacralità: «essendo il prencipe, come dicemmo ieri, un Dio terreno, non cessi di fargli sempre, come a cosa sacra, i dovuti onori»?7.

In queste espressioni è riposto il senso ultimo della richiesta — formulata appunto con modalità retoriche nuove — rivolta da parte dei sudditi al principe al fine di provvedere con tecniche specifiche alla sicurezza dell'ordine civile, alla assicurazione materiale della vita dei soggetti ed ancora al contenimento delle situazioni di sofferenza mentale e di malessere spirituale. In più, è questo certamente il preludio alle espressioni utilizzate da Montaigne, Charron e Hobbes, per significare nello Stato una potenza irresistibile, che venga posta alla base di quell’ordine politico chiamato a garantire i percorsi della interiore libertà dei soggetti?8. Ma su questo 56 Ibidem.

ST Ivi, p. 262. 58 Per quanto concerne la definizione —

comune

a Montaigne e a

Sp

GIANFRANCO BORRELLI

versante specificamente politico è facile riconoscere che questi percorsi di civi/ conversazione contribuiranno fortemente —

attraverso forzate curvature

che verranno

via via impo-

nendosi nella politica degli stati italiani e quindi rappresentate nella trattatistica specifica — alla formalizzazione di quel programma conservativo della situazione dei poteri esistenti nelle singole corti che prenderà il nome di ragion di Stato.

Charron — dell'autorità basata su un fondement mystique, per il quale gli uomini debbono semplicemente reverence publigue, rinvio al mio lavoro Ragion di Stato e Leviatano. Conservazione e scambio alle origini della modernità politica, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 55-62; la nota espressione hobbesiana dello Stato Leviatano come mortal God è in Leviathan, I, xvi.

IV

L’UTOPIA DI ANTON FRANCESCO DONI E LA TASSONOMIA MORALE DI TOMASO GARZONI: TRA VANITAS E CONSERVAZIONE CIVILE Affianco alla letteratura della civi/ conversazione, le scritture dell'utopia contribuiscono a produrre l’immagine di quella che potremmo definire una sfera autonoma della vita civile, separata dalla prassi politica, in cui una attenta e produttiva disciplina dei comportamenti individuali possa contribuire a ridisegnare i rapporti tra governanti e governati. Una parte degli scrittori dell'utopia tardo-rinascimentale, nella seconda metà del Cinquecento, propone una critica radicale delle condizioni di crisi civile e politica dell’epoca a partire dalle condizioni di sofferenza degli individui; a questo viene affiancata una proposta di riforma profonda dei contesti

di vita,

immaginata

come

strutturazione

diversa

delle pratiche quotidiane e concrete dei lavori. Tale finalità viene perseguita attraverso la esaltazione delle forme del controllo da applicare alla tradizionale organizzazione del lavoro propria delle corporazioni delle arti e da estendere all’insieme dei rapporti tra i soggetti. Di qui il tentativo di immaginare e descrivere relazioni produttive ed efficaci tra le competenze dei saperi artigianali e la costruzione di pratiche di disciplina collettiva e di autodisciplina individuale. Queste scritture dell’utopia insistono in modo ossessivo sui temi della divisione sociale del lavoro, della distribuzione comunistica della ricchezza prodotta, del controllo diretto dall’alto sulle attività dei singoli cittadini, ma anche sul riconoscimento premiale per quanti si adattano con piena ade-

94

GIANFRANCO BORRELLI

sione all’assetto sociale. Scrive Ludovico Agostini, nei Dia/oghi dell'Infinito: «E perché non ruinino gli artigiani negli eccessi della gola, del giuoco e della lussuria, che nelle loro vacanze

(com’altre volte di-

cemmo) oggi più che mai abusar sogliono, constituiremo i caporioni dell’arti, perché disciplinati li reggano e con severo castigo gli scelerati correggano dando luogo a ciascun’arte per quartieri distinta, acciò che l’uno a gara dell’altro, cogli occhi degli emuli loro, gli operari incessantemente si affatichino, constituendo certi premi del pubblico a tutti quelli che di qual si sia professione riusciranno singolari sopre gli altri di approvato valore»!.

Questa scrittura utopistica offre la rappresentazione di una città descritta da chi detiene il comando politico come fortemente pacificata; viene quindi suggerito — quasi esibito in forma visiva — che la comunità urbana può vivere solo a condizione della estensione di comportamenti di saggezza e di autodisciplina da parte dei cittadini. Acquista allora un particolare significato — come sottolinea Agostini — l’esercizio all’obbedienza in termini di adesione a pratiche ed a ruoli di motivato inserimento nell'ordine sociale; si tratta di

meglio congegnare appunto un ordine pubblico de’ pubblici negozi, che strutturi i tempi pubblici, idonei a consentire lo svolgimento degli interessi e il contenimento dell’ambizione dei privati cittadini. Nello spazio urbano non risulta inoltre possibile per i meccanici cittadini, per i poveri meccanici, alcun genere di modificazione dei rapporti tra i poteri già esistenti?. In queste utopie, peraltro, non troviamo alcuna esplicita e articolata indicazione relativa ai dispositivi tecnici necessari per la realizzazione dell’efficace comando politico; il governo della città viene affidato ad una generica capacità di prudenza civile, viene auspicata la celere applicazione delle 1 L. AcostInI, La repubblica immaginaria, contenuto nei Dialoghi dell'Infinito, ediz. a cura di L. Firpo, Torino,

UTET, l’opera è stata composta tra gli anni 1583 e 1590. 2 Ivi, pp. 94 e 85.

1957, pp.

120-121;

L'UTOPIA DI ANTON FRANCESCO DONI

95

leggi? — come fa ancora Agostini —, ma soprattutto il programma utopico richiede il risanamento radicale e subitaneo: attraverso l'abolizione del denaro e della proprietà, ma anche attraverso la esclusione o addirittura la soppressione fisica dei soggetti asociali, incapaci dell'adattamento alle regole imposte. Non a caso, allora, questa utopia fa riferimento alla massima concentrazione di comando e di forza. Nella descrizione di queste città d’utopia, i percorsi urbani convergono inevitabilmente nel punto centrale del potere assoluto ed impersonale del principio che costituisce la garanzia complessiva della geometria conservativa. In effetti, il contributo di questi utopisti corrisponde alla concreta esigenza di attivare maggiore spazio organizzato alle pratiche di controllo e di pace al fine di garantire contemporaneamente sicurezza esterna ed interna; da un lato, bisogna provvedere alla accumulazione ed alla conservazione dei beni e dei cittadini: si tratta della assicurazione sulla vita materiale e sui tempi immediati della quotidianità; contemporaneamente,

viene argo-

mentato un altro tipo di assicurazione, che agisca questa volta nell'uomo interiore e sui tempi lunghi della vita. Questo pensiero utopico programma la severa e rigorosa conservazione dell'ordine esistente: si tratta di una conservazione civile e politica statica; la fantasia dello scrittore utopista si applica a tratteggiare istituti e forme di controllo fortemente coercitivi dei comportamenti dei cittadini. Ancora nella repubblica immaginaria di Agostini, oltre i consiglieri, i giudici ed i tribuni, vengono pensati due particolari tipi di funzionari, i veditori e i conservatori: «i veditori estraordinari prenderanno cura che le mercatanzie e le arti con regola e con misura si trattino e che la città viva netta di

? Sul modo di intendere funzione e ordinamento della legge in rapporto ai programmi di utopia nelle scritture di fine Cinquecento vedi il lavoro di M. CamBi, I/ prezzo della perfezione. Diritto, reati e pene nelle utopie dal 1516 al 1630, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996. In questo lavoro si trovano anche riferimento e discussione per gli studi di maggiore rilievo dedicati ai pensatori utopici italiani del periodo preso qui in esame.

GIANFRANCO BORRELLI

96

viziosi e si aumenti di virtuosi; e li conservatori si affaticheranno in

pacificare i cittadini, in comporre le liti, in trattare maritaggi, in conservare la sanità, in ovviare i contagi, in tenere monde e nette le contrade e in fare che tutte le cose pubbliche, o che al pubblico servono, siano con ogni decoro di politica civiltà anzi accresciute che scemate»4.

1.

Normalità della condo Doni

follia

e inquietudine

malinconica

se-

Il mondo è una gabbiata di matti, o anche una gabbiata di pazzi; secondo Anton Francesco Doni la follia è parte normale ed ineliminabile dell’esperienza umana, nel senso preciso del rapporto di piena reciprocità di sapienza e follia: «la sapienza di questo mondo è pazzia appresso Dio»%. Attraverso le variegate espressioni della sua splendida scrittura, l’autore costruisce un’intelaiatura di concetti e di argomentazioni che prendono avvio da quell’assunto: la confusione di ragione e di pazzia ha prodotto un mondo che non è altro che un «adunamento di mali»; il mondo è patibile?: esso produce sofferenza e dolore per gli uomini secondo gli automatismi irrefrenabili della machina8. Il soggetto di questo mondo è «fango, loto, peccato, feccia, iniquità, ozio, pigrizia, puzzo

e fummo»?;

ciascun

uomo

è costituito

di una

complessione specifica che lo condiziona — secondo i canoni della classica teoria degli umori — in ogni cosa, persino nei contenuti dei sogni: «il sanguigno sogna cose allegre, il ma' La repubblica immaginaria, in op. cit., p. 104. ? L’edizione da me utilizzata dei Mondi celesti, terrestri, et infernali, de gli academici Pellegrini, è quella a cura di P. PeLLIZzARI, I Mondi e gli Inferni, Torino, Einaudi, 1994; le citazioni sono alle pp. 113 e 148. Per I Marmi utilizzo l'edizione a cura di E. Chiòrboli, Bari, Laterza, 1928, in due volumi; la citazione di riferimento si trova in vol. II, p. 209.

° I Mondi, cit., p. 66. Questa espressione è ricorrente nell'opera di Doni; vedi la nota 32 di P. Pellizzari, sempre a p. 66. Ugo ASL 8 In molteplici punti de I Mondi Doni paragona il mondo alla machina; vedi ivi, pp. 58, 67 e 182. lv iRp 189)

L’UTOPIA DI ANTON FRANCESCO DONI

SU

linconico paurose, il collerico infocate e il flemmatico acquose» 19; e tra sogno e morte scorre l’esistenza umana: «la vita nostra è bene un sogno e la morte un lungo sonno»!!. In breve, «va tutto a rovescio»!?; così ripete Momo a Giove: «Oimè, Giove, tutto si spezza, tutto è mescolato,

confuso e voltato sottosopra»!3. L’uomo trova difficoltà a leggere se stesso, mentre è sicuro che non riuscirà mai a comprendere le vicende interne dei suoi simili; nessuno poi potrà pretendere di considerarsi superiore agli altri: «io rido dell'opinione di colui che si tien buono e che tutti gli altri ha per cattivi. Ridomi di quell’altro che si tiene savio e per pazzo ha ciascun altro» 14. Gli attributi principali delluomo sono dunque per il Doni l’inquietudine e l’instabilità; ne I Marzi, la figura dell’inquieto riassume i toni di questa sensibilità che è certamente da attribuirsi all’umore malinconico: «io non trovo riposo né di dî né di notte, per amor di non poter fare una vita che mi contenti; e s'io n'ho provate, Dio ve lo dica per me; . tal vita mi venne a noia; e, lasciato questo perdimento di tempo, mi messi a ritrovarmi con miei pari compagni e quivi con varii giochi e giornate male spese mi dimorai una buona età. E ancor questa mi venne a fastidio. Cominciai a ritrarmi dalla conversazione e ridurmi agli spassi della mia villa, agli studi de’ miei libri e

alle ore del mio riposo, godendomi di qualche musica, di qualche convito raro, di qualche nuova vista e altre curiosità che accAggiono alla giornata... I miei amici mi cominciarono a dire che m’aveva preso l’umor malinconico. ...il mondo m’ebbe per pazzo, per poco stabile, e mancò poco che non mi mostrassino a dito. Per me non trovo cosa che mi diletti più d’un giorno, io sono instabilissimo, inquieto e non cappio in me medesimo»!5.

5 I Marmi, cit., pp. 206-211.

GIANFRANCO BORRELLI

98

Inquieti, instabili, dubbiosi, sbandati: secondo il Doni, la malinconia è vera malattia che sorprende tutti costoro, così come fanno pure epilepsia, frenesia, mania, letorgia*6. Essa «ne’ superbi palazzi dimora»!7; infatti, la malinconia è conseguenza della vanità che permea tutta la realtà: «vanità della nostra vita mortale, desiderio di cose carnali e superbia del viver nostro; ... infelicità di questa breve vita, caduca, dubbiosa, misera e mortale»!8. Sulla bocca della «feminetta tutta malinconosa, sola, abandonata, mesta e aflitta», Doni mette le seguenti parole in versi, che quasi sicuramente costituiscono il commento alla nota incisione del Duùhrer: «Che pena si può dire / più grande del morire? / Maggior è la mia pena / e passa ogn’aspra sorte, / ché mai punto raffrena, / ma cresce ognor più forte; / io vivo, ed ogni dì provo la morte. / Dunque maggior martfre / chi vive in doglia e mai non può morire» 19.

In effetti, da una parte, Doni descrive il tempo immutabile ed immodificabile della vanitas: «Il tempo sta sempre in un medesimo punto, negli anni che noi siamo vivuti il tempo stava in quel medesimo luogo che inanzi che noi vivessimo. È grand’errore temere quel dì estremo che noi lasciamo questo mondo, perché ciascun giorno fa tanto alla morte quanto l’ultimo» 20.

A questo sentimento dell’inutilità di ogni azione umana resta legato certamente quell’insaziabile appetito, «il quale non si sodisfà d’una cosa più che un certo tempo; se poi la sopporta, la viene a tollerare contro alla sua voglia»?!. Il 16 I Mondi, cit., p. 378.

U bi, p. 127.

18 Ivi, p. 57. Ho segnalato altrove — in

«Hobbes Studies», IX (1996),

p. 90 — come questa bellissima espressione doniana della esistenza vana e malinconica sia stata ripresa da Thomas Hobbes nel noto luogo del Leviathan (I, cap. xiii) in cui la vita umana viene descritta come solitary, poor, nasty, brutish and short (nella edizione latina: solitaria, indiga, bruta, brevis ). LMIOM ara ACI PI255)

20 I Mondi, pp. 64-65.

21 Ivi, p. 132.

L'UTOPIA DI ANTON

FRANCESCO

DONI

99

tempo quotidiano rischia quindi di rimanere in permanenza vanificato, bloccato, dall'emozione della continua ed inarrestabile perdita della vita; l’esperienza del vivere viene di fatto a coincidere immediatamente con il destino di morte: «“O quando sarà egli mai la primavera? Quando fia caldo mai più? Egli ne verrà pur l'inverno, che il cielo non arderà così. Quando uscirò io mai da fanciullo? Quando verrò io mai in gran tempo, che sia posto in officio ancora 10? Quando morirà mai mio

padre, che io possi esser libero? È mi par mille anni, che il mio figliuolo fia da tor moglie. Domani farò la tal cosa. Di qui a un anno potrò far così. Di qui a tal tempo sarò accomodato. Di qua un mese uscirò di travaglio. In conclusione, starò meglio pet l’avenire; per così e così, che io non ho fatto per il passato”. In questo squadrare, misurar con il compasso e mettere a sesto il nostro vivere, la

cosa se ne va d’oggi in domani, tanto che si trova una certa femina (a modo del vulgo), che ha una persona fatta d’ossa, con una falce

su la spalla, e ci dà di mano e ci mena via»?2.

In altri luoghi, Doni conferma il carattere distruttivo ed instabile del tempo, aggiungendo tuttavia altri significati; ne I Marmi, è il Tempo in persona ad affermare: «ho poi la maledizione dell'instabilità adosso fra gli dei e me. Pensate che faccio mille mali: loro fanno nascere le cose, e io pet dispetto le distruggo»?3.

Peraltro, ai soggetti che il tempo vuol favorire egli invia l’Occasione, sua moglie: «Alcune volte io sono con voi e voglio che voi facciate una cosa, ma non vi stimulo, anzi vi lascio in vostra libertà; come sarebbe a dire, io vi metto l’occasione inanzi, che voi siate in camera con una donna che voi desiderate e cominciate a dargli battaglia...;

quando voi la vedete, andate pur di buone gambe, perché son stbito da voi; che se voi state troppo troppo a dar pasto di parole,