Ninna, il piccolo riccio con un grande cuore 9788858523681

Ninna pesa poco più di un chicco d'uva, è costellata di aculei ma... ha un cuore grande. Così grande che insegna l&

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Ninna, il piccolo riccio con un grande cuore
 9788858523681

Table of contents :
Indice......Page 3
Copertina......Page 2
Frontespizio......Page 6
Il libro......Page 4
Gli autori......Page 5
Ninna......Page 9
IL GIARDINO DEI RICCI......Page 21
Paradise......Page 23
L’HOTEL PER GLI INSETTI......Page 36
Una mamma......Page 38
IL MENU DEI RICCI......Page 47
Piccina......Page 49
COSE DA FARE E NON FARE CON I RICCI......Page 59
Cip e Ciop......Page 62
UN GIARDINO PER LE FARFALLE......Page 72
Wild Life Protection......Page 76
INVESTIGARICCIO......Page 87
Museo Oceanografico Preistorico......Page 91
IL TUNNEL CATTURA IMPRONTE......Page 103
Pancino......Page 108
KIT DI PRONTO INTERVENTO......Page 117
Evita e Giulia......Page 121
LO STAGNO......Page 133
L’uomo che pianta gli alberi......Page 135
LA CASETTA PER I PIPISTRELLI......Page 146
Gli alberi raccontano......Page 149
PIANTIAMO UN ALBERO!......Page 158
Ciao, Ninna......Page 161
BOMBE DI SEMI......Page 172
Ringraziamenti......Page 175

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Indice

Copertina L’immagine Il libro Gli autori Frontespizio Ninna IL GIARDINO DEI RICCI Paradise L’HOTEL PER GLI INSETTI Una mamma IL MENU DEI RICCI Piccina COSE DA FARE E NON FARE CON I RICCI Cip e Ciop UN GIARDINO PER LE FARFALLE Wild Life Protection INVESTIGARICCIO Museo Oceanografico Preistorico IL TUNNEL CATTURA IMPRONTE Pancino KIT DI PRONTO INTERVENTO Evita e Giulia LO STAGNO L’uomo che pianta gli alberi LA CASETTA PER I PIPISTRELLI Gli alberi raccontano PIANTIAMO UN ALBERO! Ciao, Ninna BOMBE DI SEMI Ringraziamenti Copyright

Il libro

F

rancesco è arrabbiato. Anzi, arrabbiatissimo, tanto che ha inde o

uno sciopero della parola! I suoi genitori hanno deciso di separarsi e ora gli tocca lasciare la sua amata Torino per andare a vivere con la

mamma e la sorellina a Novello, un paesino sperduto tra le vigne e le colline. Ma l’incontro con Massimo, un veterinario spilungone dall’aria un po’ stralunata, e con Ninna, il cucciolo di riccio che lui sta curando, gli cambierà la vita. Grazie al nuovo amico e alla minuscola creatura, Francesco imparerà a liberare le emozioni e a guardare la vita con occhi nuovi.

Gli autori Massimo Vacchetta vive a Novello, in provincia di Cuneo. Veterinario nel settore dei bovini, da qualche anno ha aperto il Centro di Recupero Ricci La Ninna, un piccolo ospedale dedito alla cura e alla riabilitazione dei ricci. Il suo libro 25 grammi di felicità, a cui è seguito Cuore di riccio (Sperling & Kupfer), è diventato un bestseller grazie al tam tam della Rete ed è stato pubblicato in oltre sessanta paesi, tra cui Inghilterra, Stati Uniti, Francia e Germania. La sua pagina

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(fb@centrorecuperoricciLaNinna). Claudia Fachinetti voleva studiare le balene ma, dopo la laurea in scienze naturali, ha iniziato a scrivere ed è diventata giornalista. Ha collaborato per molte riviste di natura e ha pubblicato alcuni libri di ecologia per ragazzi con Edizioni Ets. Si occupa di comunicazione di progetti green e di editoria per ragazzi.

Massimo Vacchetta con Claudia Fachinetti

NINNA il piccolo riccio con un grande cuore Illustrazioni di Gaia Bordicchia

Al mio caro papà… Massimo A mia madre, per esserci sempre Claudia

Storie, persone e animali di questo libro, benché ispirati a fatti e personaggi che Massimo ha vissuto e incontrato al Centro La Ninna, sono frutto della fantasia dell’autore. Anche Francesco è un personaggio immaginario, eppure, forse, è il più vero di tutti perché rappresenta il bambino che c’è in ognuno di noi, quella voce interiore, saggia e sensibile che dovremmo imparare ad ascoltare più spesso.

Ninna

Francesco era arrabbiato. Anzi, ancora di più, era arrabbiatissimo! «I grandi non vogliono ascoltare i bambini» pensava guardando fuori dal finestrino mentre la macchina si allontanava sempre più dalla sua casa. «Loro decidono e basta, e tu non puoi fare altro che accettarlo, anche se non sei d’accordo! Ma io non ci sto!» A stento tratteneva le lacrime mentre i palazzi di Torino scorrevano via uno dopo l’altro, alti e grigi. Un grigio che tuttavia lo faceva sentire al sicuro. Stava lasciando la vita che aveva sempre conosciuto per trasferirsi in campagna, in un paesino sperduto tra le colline piemontesi.

«Noiosa campagna» ecco il suo parere. Lì non c’erano centri commerciali e cinema multisala e soprattutto non c’erano i suoi amici né la sua scuola. E non c’era suo padre. I suoi avevano deciso di separarsi e la mamma aveva preferito tornare nel paese dov’era nata e dove vivevano ancora i suoi genitori, Ida e Luciano, i nonni di Francesco. Papà invece sarebbe rimasto in città. Ma come aveva potuto lasciarli partire? Perché non l’aveva impedito? Francesco si sentiva confuso e ferito, gli sembrava tutta una grande ingiustizia. Un torto al quale lui, sebbene avesse solo nove anni, voleva ribellarsi dando il via a un vero e proprio “sciopero della parola” che avrebbe portato avanti a casa, fuori e nella nuova scuola, finché sua madre non lo avesse riportato in città o suo padre non fosse venuto a prenderlo. I suoi genitori stavano commettendo un grave errore a dividersi e lui doveva fare di tutto perché se ne rendessero conto e tornassero insieme. Era così. Non c’era dubbio. – Francesco, Francesco, guarda! –. La sorella Sara interruppe i suoi

pensieri cupi mostrandogli i primi segni della campagna: prati, campi coltivati e boschetti traboccavano di vita grazie alla primavera inoltrata. – Guarda che bello, quanti alberi altissimi e quanti papaveri! L’erba è diventata rossa come per magia! Lui sbuffò rumorosamente e si girò dall’altra parte. Una delle cose che gli dava più fastidio era che sua sorella apparisse tranquilla in un momento del genere. Anzi, si dimostrava entusiasta per quel trasferimento. Cosa c’era di così esaltante in qualche fiore o uccello in più? Non andavano bene le piante del loro terrazzo e i colombi delle piazze? D’altronde lei aveva appena sei anni, come poteva comprendere cosa gli passava per la testa? Suo padre li aveva appena abbandonati e sua madre li aveva rapiti! – Sarà così il nostro giardino? – continuò la bambina rivolta alla mamma. – Non proprio grande come questi campi, – rispose lei ridendo – ma sono sicura che vi piacerà. Dopo un tempo che a Francesco parve interminabile, neanche fosse stato un viaggio sulla Luna, un cartello indicò a chiare lettere che erano arrivati a destinazione: Novello. Il borgo antico arroccato sulla collina appariva come una balconata che si affacciava sulla valle con meravigliose montagne tutt’attorno. Le case in pietra, con i tetti di coccio e attaccate l’una all’altra, erano circondate da viti e alberi da frutta. Un paesaggio quasi incantato, ma il ragazzo sentiva ogni più piccola parte del suo corpo rifiutarlo… non era casa sua, punto e basta. Ad accoglierli trovarono Ida e Luciano e il loro inseparabile Bibi, un cagnolino con il pelo corto bianco e nero e due occhi dolcissimi. Francesco si sforzò di sorridere mentre abbracciava i nonni, ma non ce la fece proprio, anche se era molto legato a loro. Forse per quella sua tristezza, Bibi non ebbe attenzione che per lui. Scodinzolando iniziò a fare le feste a Francesco, che rimase rigido come un baccalà. – Che gioia avervi qui con noi, – disse il nonno – e mi sembra che anche Bibi sia contento! Hai visto, Francesco, che feste ti fa? Il ragazzo non disse nulla ma allungò la mano e gli fece una carezza. Dopo tutto, anche Bibi un tempo era rimasto solo, poi per sua

fortuna erano arrivati i nonni che lo avevano adottato togliendolo dal canile.

Di lì a qualche giorno, Sara e sua mamma Lisa erano già perfettamente ambientate, come se per loro fosse stato tutto così da sempre. Complici le vacanze estive ormai iniziate, madre e figlia passavano il tempo tra giochi in giardino e passeggiate in paese. Lo stesso non si poteva dire di Francesco, che restava chiuso nel suo silenzio, indifferente alle belle giornate di sole. Anche quel pomeriggio gironzolava per casa con sguardo vuoto e sconsolato tra un videogioco e l’altro. – Francesco, dove sei? – chiamò Lisa, interrompendo i pensieri tristi del figlio. – Dobbiamo andare! Lo sai che il veterinario ci aspetta, ho promesso al nonno di portare Bibi a fare la vaccinazione. Per la gioia di Sara, i nonni ogni tanto lasciavano il cagnolino da loro, libero di scorrazzare in giardino e di inseguire la palla che la bambina gli tirava. Qualche volta, per la verità, andava a riportarla a Francesco, come per invitarlo a giocare, senza risultato però. – Non hai ancora finito di fare lo sciopero? – chiese brutalmente Sara a suo fratello mentre salivano in macchina. – Lascialo stare! – intervenne la madre mentre lui fulminava con lo sguardo la sorella. – Vedrai che tra poco si sentirà meglio e riprenderà a parlare. Dobbiamo lasciargli il tempo di abituarsi al cambiamento –. Ma Lisa non riuscì a mascherare la sua preoccupazione, e il fatto che il figlio si ambientasse era per lei più una speranza che una certezza. Quando arrivarono alla clinica, li accolse Andrea, il veterinario, che era un amico di Lisa fin dai tempi della scuola. – Che bello rivedervi! – disse rivolto ai bambini. – Vostra madre mi ha chiamato per avvisarmi del vostro trasferimento. Siete proprio cresciuti, l’ultima volta che vi ho visto eravate alti così! – Ehi, sono molto più alta adesso! – sentenziò Sara prendendo la mano del veterinario e posandola sulla propria testa. – Dai, venite, – rise Andrea entrando nello studio seguito dalla famiglia – diamo un’occhiata a Bibi. Prima, però, devo presentarvi

qualcuno. Nella stanza c’era un uomo: uno spilungone dagli occhi azzurri, anche lui con un camice da medico. «Ha l’aria un po’ triste e stralunata…» pensò Francesco. – Ecco il mio amico Massimo, – disse Andrea – un bravissimo veterinario che ogni tanto mi sostituisce qui in studio. Oggi devo affidargli un compito molto importante. – Grazie per il “bravissimo”, – intervenne Massimo arrossendo – ma non è vero, in realtà faccio semplicemente del mio meglio. Piacere di conoscervi, Andrea mi ha detto che siete arrivati a Novello da poco: vedrete che vi piacerà stare qui, è un posto tranquillo e per certi versi… magico. Lisa strinse la mano del veterinario. – Io sono Sara! – si presentò poi la bambina e, vedendo che suo fratello non parlava, aggiunse: – E lui è Francesco, ma… parla poco. – Be’ a volte le parole non servono, – disse Massimo sorridendo – vero, Francesco? Il ragazzo imbarazzato annuì debolmente stringendosi nelle spalle. – Ben detto, amico mio – intervenne Andrea e, rivolto ai ragazzi, aggiunse: – Ora venite che ho qualcosa da mostrarvi. Entrò nella sala degenza e prese una scatola che appoggiò sul tavolo d’acciaio al centro della stanza. Esitò un attimo ad aprirla, sorridendo e facendo crescere così la curiosità dei presenti. «Chissà cosa c’è dentro?» si chiese Francesco. Poi Andrea infilò una mano nella scatola ed estrasse una creatura che lasciò tutti di stucco. Era un riccio appena nato, il primo che Francesco avesse mai visto. L’animaletto aveva ancora la pelle rosa e grinzosa, teneva gli occhi chiusi e gli aculei chiari sul dorso erano morbidi e setosi. – Ma è minuscolo! – esclamò Sara affascinata. – Cos’è? E dov’è la sua mamma? – È un riccio e temo sia un orfanello – rispose Andrea. – Una signora l’ha trovato nel suo giardino e me l’ha portato. Non sappiamo che fine abbia fatto la mamma… – Questo cucciolo è piccolo davvero, deve avere pochi giorni di

vita! – intervenne Massimo. Anche lui lo vedeva per la prima volta e dalla sua espressione si capiva che ne era intenerito. – Sono curioso di scoprire quanto pesa… – disse Andrea posando delicatamente il riccetto su una bilancia elettronica. – È appena venticinque grammi! – Venticinque grammi? – ripeté la bambina perplessa. – Poco più di un chicco d’uva e meno di un’albicocca – calcolò Lisa sorridendo alla figlia. – Direi come mezzo mandarino… Francesco aveva gli occhi sgranati e osservava incuriosito l’animaletto. Vederli su Internet e sui libri era un conto, ma dal vero era tutta un’altra cosa! Però si morse il labbro e cercò di trattenere le sue emozioni. – Cosa gli darete da mangiare e come? – chiese Lisa. – Lo affiderò a Massimo e lui dovrà alimentarlo più volte al giorno, – spiegò Andrea passando il piccolo nelle mani dell’amico – goccia a goccia con latte per cuccioli. Francesco guardava la creaturina con amore e ammirazione. Andrea e Lisa lo notarono, così, dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa, il veterinario azzardò una proposta: – Francesco, che ne dici di andare a vedere cosa fa Massimo, visto che è alle prime armi? – gli disse strizzandogli l’occhio. – Lo sai che abitate proprio vicini? Potresti andare da lui per seguire i progressi del riccio. – Mi sembra un’idea bellissima! – intervenne sua madre. – Ovviamente se Massimo è d’accordo e se la presenza di mio figlio non dà fastidio… – Certo che no, – disse Massimo guardando Francesco negli occhi – vieni quando vuoi a trovare questo piccolino, sei il benvenuto! Il ragazzo arrossì e provò un misto di gioia ed esitazione. L’idea di andare dal veterinario e assisterlo mentre si occupava del riccio era eccitante, però la sua rabbia lo tratteneva… Non voleva cedere e darla vinta a sua madre dimostrando interesse per qualcosa. Alla fine però la tenerezza che provava per quel riccio tutto solo, un po’ come si sentiva lui, ebbe il sopravvento e fece cenno di sì col capo. – Benissimo allora! – disse Andrea. – Ma adesso occupiamoci di Bibi!

Il cane era rimasto in disparte, buono buono, senza fiatare, e sentendo il suo nome trasalì. – Sperava che vi foste dimenticati di lui! – disse Lisa andando ad accarezzarlo. – Eh no, caro mio, – rise il veterinario – ti tocca la vaccinazione!

Tre giorni dopo, Francesco era immerso in un gioco alla PlayStation, il mondo in cui si rifugiava sempre più spesso, quando il telefono di casa squillò. Lui lo ignorò anche se era lì a pochi passi. Poteva essere suo padre e non aveva intenzione di parlarci e neanche di sentire la sua voce. Lisa sopraggiunse di corsa dalla cucina: – Pronto? Sì, sono io – disse prendendo il telefono. – Sì sì, mi ricordo! Certo, mio figlio sarebbe contento! Ne sono sicura! Verremo nel pomeriggio! Sì, perfetto, la casa in cima al paese! A dopo. Francesco guardò sua madre sospettoso. – Ti piacerebbe andare a vedere il riccio? – gli domandò lei. – Era Massimo, dice che sarebbe molto contento se andassimo a trovarlo, così può mostrarti come ci si prende cura di quella creaturina. Il ragazzo si irrigidì, ma sotto sotto aspettava con ansia quella proposta e il pensiero di quel cucciolo indifeso lo convinse. Accettò. – Benissimo, allora – disse lei sorridendo. Era la prima volta da quando erano arrivati a Novello che Francesco mostrava interesse per qualcosa che non fosse la PlayStation e lei ne era felice. Certo non si aspettava che a smuoverlo fosse proprio un riccio… Ma meglio così!

Massimo abitava in una grande casa antica disposta su due piani nel centro storico del paese. Non c’era citofono ma un campanello che Lisa fece tintinnare. Un attimo dopo la porta si aprì e il veterinario li accolse con il viso sorridente ma molto stanco. – Buongiorno, siete venuti a darmi una mano? – salutò. – Entrate! In casa Massimo aveva ricavato uno studio dove visitava gli

animali e predisponeva le prime cure. Ogni tanto si occupava dei cani e gatti di qualche amico, ma la maggior parte del suo lavoro, come raccontò a Lisa e ai ragazzi, si svolgeva nelle fattorie, con vacche e vitellini. – Questa è la prima volta che mi prendo cura di un riccio, di solito lavoro con animali dai cento chili in su! – disse scherzando. – Questa creaturina ha un aspetto così fragile che a tenerla in mano ho paura di farle male. Per fortuna ho trovato una persona esperta che mi sta seguendo dandomi consigli su come allevarla. Mi ha suggerito un latte in polvere per cuccioli di cane. Recuperarlo non è stato facilissimo, ma da quel momento la piccola ha iniziato a prendere peso. Venite a vedere! Ah, a proposito, ve l’ho già detto? Ho mandato una foto all’esperto e mi ha detto che è una femminuccia! – Una riccetta, che meraviglia! – esclamò Sara battendo le mani per l’eccitazione. La piccoletta era sistemata in una scatola di cartone avvolta da un asciugamano sopra una boule dell’acqua calda. Non sembrava molto cresciuta dall’ultima volta che l’avevano vista, ma Francesco notò che muoveva di più il musino e le zampette, come se cercasse qualcosa. – Ha di nuovo fame, – disse Massimo prendendo delicatamente l’animaletto e posandolo sul tavolo – e noi la accontenteremo. – Ma esiste un biberon così piccolo? – chiese Sara. – Non proprio – rispose il veterinario. – Devo usare una siringa senza ago e darle il latte, una goccia alla volta, usando questo tubicino di gomma sulla punta come se fosse una tettarella. Così, vedete? Tenendo la riccetta con la mano destra, Massimo spingeva quasi impercettibilmente lo stantuffo della siringa facendo scendere nella sua bocca una microscopica goccia di latte, piano piano per non rischiare che le andasse di traverso. E lei beveva, lentamente. Era un’immagine di una tenerezza infinita e Francesco sentì il cuore che gli batteva forte per l’emozione, quasi da togliere il fiato. Sembrava incredibile come quelle mani così grandi potessero muoversi con tanta delicatezza su quella creatura così piccola. – Ogni quanto deve mangiare esattamente? – chiese Lisa osservando i cerchi scuri sotto gli occhi di Massimo. – Scommetto che

non hai dormito molto negli ultimi giorni…

– Eh sì, hai proprio ragione – ammise il veterinario sospirando. – Bisogna darle il latte ogni due o tre ore, sia di giorno che di notte. E ogni volta si deve prepararlo accuratamente aggiungendo alla polvere un pochino di tisana al finocchio. – Tisana al finocchio? A cosa serve? – chiese Sara curiosa. – Perché non le si gonfi il pancino. – E adesso cosa fai? – chiese ancora la bambina vedendo il veterinario che si faceva cadere alcune gocce di latte sul polso. – Sto provando la temperatura per assicurarmi che non sia né troppo caldo né troppo freddo. – Come facevo io quando vi davo il biberon da piccoli! – disse Lisa rivolta ai figli. – E il resto del giorno cosa fa? – chiese ancora Sara. – Dorme! Beata lei! – disse Massimo ridendo proprio mentre la piccola riccetta, sazia, si esibì in un fantastico sbadiglio e appoggiò la testina sulle zampette incrociate, pronta a schiacciare un pisolino. – Speriamo che ce la faccia… – disse Lisa d’impulso, preoccupata per le sorti della bestiola. – Me lo auguro con tutto il cuore – rispose il veterinario. – Io sto facendo il possibile, ma quando sono così piccoli i ricci sono molto fragili. Non è facile allevarli. Vedremo… Francesco guardò Massimo e capì di provare il suo stesso turbamento e la sua stessa speranza. Sentì un improvviso desiderio di accarezzare la riccetta, ma non ebbe il coraggio di allungare la mano. – Questa creaturina ha smosso qualcosa dentro di me, – rivelò il veterinario – sento una profonda e sincera compassione per lei e l’idea di aiutarla mi rende felice come non mi sentivo da tempo –. E così dicendo ripose la riccetta addormentata nella sua scatola. – È ora di tornare a casa – disse Lisa a un tratto riportando tutti alla realtà. – Verremo ancora a trovarti presto. – Certo, mi raccomando, vi aspetto – disse Massimo, che aveva intuito l’interesse dei bambini. – Mi farebbe molto piacere! – Uffa, di già, mamma? – protestò Sara. – Va bene, però prima di andare dobbiamo decidere un nome adatto a lei! – Un nome? – chiese Massimo sorpreso.

– Certo, un nome, tutti hanno un nome! Un nome ti rende unico e speciale. Non vorrete continuare a chiamarlo “riccio” e basta? – Lo sai, signorina, che è un’ottima idea? E in effetti ci avevo pensato anch’io – disse il veterinario sorridendo. – Cosa proponete? – Ci vuole un nome dolce come una caramella… e tenero come lei… – aggiunse la bambina guardando l’animaletto addormentato. – Qualcosa che suoni come una ninna nanna… – Una ninna nanna… – ripeté Massimo. – Ecco ho trovato: Ninna! Sì, Ninna, cosa ne pensate? Tutti guardarono la piccola spinosa addormentata. – Sììì! – dissero in coro. Era il nome perfetto. – E Ninna sia!

Quella sera, tornato a casa, Francesco era più pensieroso del solito. Si sentiva strano, turbato e al settimo cielo allo stesso tempo. Come era possibile? Preso in quel vortice di emozioni, non degnò neppure di uno sguardo i videogiochi e a letto non riusciva a prendere sonno. Non faceva altro che pensare a Ninna, a quel musetto che sembrava sorridere, alla sua pancetta tonda, alla coperta di spine, morbide e arruffate, che la rendevano così buffa. Alla sua voglia di vivere, di combattere malgrado fosse rimasta sola al mondo. E lui? Cosa doveva fare? Doveva combattere come lei? Il ragazzo sentiva il bisogno di rivederla. Anche lui, come Massimo, voleva dare una mano.

IL GIARDINO DEI RICCI

I ricci sono in rapido declino in tutta Europa a causa della distruzione del loro habitat. Molti di loro vivono vicino a noi e visitano i nostri giardini alla ricerca di cibo. Cosa possiamo fare per aiutarli? Ecco alcuni consigli…

1. IL SOTTOPASSAGGIO I ricci hanno bisogno di grandi spazi verdi per trovare una quantità sufficiente di prede. Sono grandi camminatori e percorrono anche due o tre chilometri a notte passando di giardino in giardino. Per questo hanno bisogno di aperture alla base delle recinzioni di almeno 12x12 cm. Realizzane una ogni due o tre metri, stando attento che non si affacci su strade trafficate o dove vivono cani aggressivi. Poi applica una targhetta PASSAGGIO PER RICCI sopra l’apertura.

2. LA CASETTA Una casetta di legno rappresenta un ottimo rifugio da predatori e intemperie, nonché un nido perfetto per allevare i cuccioli e trascorrere il letargo. COME SI FA

Costruisci una scatola di legno (dimensioni minime: 60x50 cm, 40 cm di altezza e spessore di almeno 1 cm) fissando le pareti con chiodini o viti (non lasciare punte sporgenti!). Nel lato più largo realizza un’apertura di 12x12 cm. Inserisci un divisorio interno subito dopo l’entrata e aggiungi il tetto fissandolo con due cerniere. Ricoprilo con un pezzo di plastica sporgente per la pioggia. Pittura con vernice all’acqua, non tossica, per proteggere il legno. Riempi la casetta di

paglia e ponila sotto un cespuglio tenendola rialzata di qualche centimetro perché non si allaghi.

3. LA MANGIATOIA La struttura è simile a quella della casetta, ma un po’ più grande e con due aperture, una a destra e una a sinistra del lato più lungo (per dare ai ricci una via di fuga). Metti poi due divisori in corrispondenza delle aperture, in modo da creare due corridoi laterali e una parte al centro più ampia dove riporre il cibo!

Paradise

Erano passate un paio di settimane dal primo giorno in cui Francesco aveva messo piede a casa di Massimo, e ormai era diventato un ospite fisso. Grazie all’estate appena iniziata e all’assenza di impegni scolastici, il ragazzo poteva andarci quando voleva, a volte accompagnato dalla sorellina, più spesso da solo. Un silenzioso assistente che aiutava il veterinario ad accudire la riccetta: Ninna infatti doveva essere nutrita, pulita e pesata regolarmente per controllare che crescesse bene e in salute. Massimo, alle prime armi con questi animali, era un papà premuroso ma anche ansioso. E Francesco lo seguiva in tutto, vivendo le sue stesse emozioni e paure. Non prendeva mai iniziative e raramente toccava Ninna, solo quando lui glielo permetteva. Dovevano evitare che si addomesticasse, gli aveva spiegato il veterinario, perché era pur sempre un animale selvatico! Aiutare Massimo lo faceva sentire bene, eppure Francesco non aveva ancora messo fine alla sua protesta e manteneva un caparbio distacco da tutto il resto della sua vita, in particolare da suo padre. Solo Ninna lo distraeva dai suoi pensieri cupi, dalla rabbia che aveva dentro. Ogni giorno con lei era una sorpresa, una trasformazione, un piccolo traguardo e lui non voleva perdersene neanche uno. Era lì quando la riccetta aveva mosso i primi passi ergendosi sulle quattro zampette e c’era quando aveva aperto gli occhi, due spilli neri, vispi e lucenti, ogni volta più spalancati e curiosi. Era lì quando Ninna, da sola, aveva leccato il latte dal cucchiaio senza bisogno di biberon. Il giorno più divertente tuttavia era stato quando Massimo aveva iniziato a svezzarla con un omogeneizzato per gattini. C’era da morire

dal ridere! Incuriosita, la piccola aveva assaggiato la nuova pappa per poi esibirsi in smorfie e contorsioni. A Francesco aveva ricordato sua sorella alle prese con i broccoli! Poi la riccia aveva iniziato a sputacchiarsi pezzetti di cibo addosso fino a impiastricciarsi tutta. Si rotolava a pancia in su nel tentativo di leccarsi, agitando le zampette per aria come una forsennata. Impossibile resistere davanti a una scena così buffa! Francesco aveva le lacrime agli occhi dalle risate… ed erano mesi che non ne sentiva il suono! «I ricci hanno questo strano comportamento detto “autosputo”» gli aveva spiegato Massimo. «Ogni volta che assaggiano una sostanza con un sapore nuovo, la impastano con la saliva e se la spalmano su tutto il corpo.» Poi, vedendo che Francesco arricciava il naso per via dell’odore pungente, aveva aggiunto: «Ti fa impressione? Guarda che è un comportamento naturale, il motivo per cui lo facciano non è chiaro, forse per camuffarsi o per avere un repellente naturale…».

Con il passaggio al cibo solido, Ninna era cresciuta in fretta e aveva assunto in tutto e per tutto l’aspetto di un riccio adulto, solo in miniatura! Il musetto appuntito, con quel bottoncino nero sempre fremente che era il suo naso, le orecchie tonde “da orsetto”, le zampette munite di unghie robuste, il posteriore a forma di pera ricoperto da rigidi aculei… un vero amore! Ora che mangiava da sola, Massimo poteva assentarsi più a lungo e con più tranquillità. Lavorando come veterinario di bovini, aveva molto da fare in quella stagione. Un giorno, mentre Francesco era lì con lui, il telefono squillò. Era Matteo, un suo caro amico dei tempi dell’università, anche lui veterinario. – Ciao, testone! – disse allegramente l’uomo al telefono. – Ciao, zione! – rispose Massimo a tono. – Che fine hai fatto? Non ti fai vivo da settimane! Non mi vuoi più bene? – Ma no! Hai ragione, scusami se sono sparito. Ho una bella novità da raccontarti…

– Cosa è successo? – Sono diventato papà! – Come papà?! Ma cosa stai dicendo? – Un collega mi ha affidato una cucciola di riccio – spiegò Massimo al telefono. – Ma dai! Che tenero! Allora perché non vieni a trovarmi così mi racconti meglio? – Volentieri! È tanto che non facciamo una bella gita all’aria aperta, mi ci vorrebbe proprio –. Nel dirlo controllò la riccetta dentro la sua scatola. – Allora ci stai? – incalzò Matteo. – Sì, sì, va bene! Come si fa a dirti di no? Ah, una cosa… – aggiunse Massimo. – Posso portare un giovane amico? – Non vorrai portare il riccio? – No, non il riccio… Si misero d’accordo per il primo pomeriggio. Massimo sarebbe passato a prendere Matteo e poi avrebbero raggiunto un “posto speciale”, così lo aveva definito lui, “fuori dal mondo, dal cemento, dal rumore e dalla civiltà”. Massimo invitò Francesco ad andare con loro. Era lui il giovane amico che aveva in mente, ma il ragazzo era combattuto: l’idea di vivere un’avventura diversa dal solito lo stuzzicava, ma andare in un posto nuovo lo spaventava un po’. E poi gli dispiaceva non vedere Ninna per tutto il giorno. Alla fine però si convinse e accettò. In fondo la riccetta stava bene e non aveva più bisogno di cure costanti come quando era neonata. Massimo chiamò allora Lisa per avvisarla e lei ne fu entusiasta, era felice che suo figlio vivesse questa nuova esperienza.

– Ah, lui dev’essere il tuo nuovo aiutante! – disse Matteo rivolto a Francesco quando passarono a prenderlo in auto. – Piacere di conoscerti! Mi hanno detto che ti dai un sacco da fare! Francesco arrossì compiaciuto. – Allora, zione, dove andiamo esattamente? – si informò Massimo. – Ti ricordi di Susanna, quella mia cliente alla quale abbiamo

operato insieme il gatto? – Quella signora che vive da sola in una piccola fattoria nell’Alta Langa? – Esatto! Ci ha invitati ad andare a trovarla. Vedrai, Francesco, che luogo selvaggio! – aggiunse rivolto al ragazzo. – Vi piacerà tantissimo! – Non ho dubbi – disse Massimo interpretando anche il pensiero del giovane amico. – E allora, questa riccetta? – chiese Matteo cambiando discorso. – Cresce! – gli rispose Massimo sorridendo. – Dalle occhiaie che hai si capisce che occuparsi di lei non è una passeggiata. – Sì, tra Ninna e il lavoro non rimane molto tempo per me, ma pazienza, aiutarla mi fa stare bene. – Che tenerone che sei diventato! – lo prese in giro Matteo. – Quasi non ti riconosco più! Sono contento per te! Ma dove la tieni? – Per ora in una scatola, ma adesso che è cresciuta un po’ dobbiamo trovare un contenitore più grande – rispose. – Forse una gabbia per conigli potrebbe fare al caso vostro, – propose Matteo – e magari al suo interno, oltre al piattino per la pappa e alla ciotolina dell’acqua, potreste aggiungere una casetta dove possa rintanarsi quando vuole stare tranquilla. – Sì, ci avevo pensato anch’io – convenne l’amico. – Si potrebbe costruire con una grossa scatola da scarpe capovolta, ritagliando nel cartone una porticina da un lato e riempiendola di strisce di giornale e paglia. Dovrebbe funzionare… – Mi sembra un’ottima idea! E tu, Francesco, potresti aiutare Massimo a realizzarla. Che ne pensi? – disse Matteo strizzandogli l’occhio. L’idea della nuova gabbia era meravigliosa, e Francesco non vedeva l’ora di mettersi all’opera. Ne era certo, la riccetta avrebbe avuto la casetta più bella del mondo!

Susanna abitava su un altopiano, ai margini di una prateria circondata da collinette dal profilo a panettone, un luogo sospeso nel

tempo dove la natura regnava ancora indisturbata. Percorrendo una stradina tra i boschi, arrivarono a una radura. Il vento faceva ondeggiare l’erba color smeraldo, dando l’impressione di essere davanti a un mare verde. Fiori variopinti spuntavano qua e là come macchie sulla tavolozza di un pittore. Susanna era lì ad aspettarli. La donna aveva i capelli grigi legati sulla nuca e il volto illuminato da un sorriso radioso. I suoi occhi azzurri e intelligenti trasmettevano un senso di pace. Appena li vide, andò subito loro incontro e, anche se non conosceva Francesco, lo abbracciò affettuosamente lasciandolo per un attimo senza fiato. – Grazie per essere venuti! – disse poi. – So che Matteo ci teneva a mostrarvi questo luogo. – Grazie a te per l’invito, – rispose Matteo – così controlliamo anche come sta la gattina. – Oh, lei sta benissimo – disse la donna. – È Tobia, uno dei due cani, che mi preoccupa un po’, perché ha iniziato a zoppicare. E una capra si è graffiata su un fianco, non vorrei che la ferita si infettasse… – Non preoccuparti, Susanna, – la tranquillizzò lui sorridendo – oggi sono venuto con i rinforzi e controlleremo tutti i tuoi animali. Devi sapere – aggiunse rivolto a Francesco – che Susanna vive qui da sola con due cani, tre gatti e cinque caprette! – Non dimenticarti che ci sono anche le galline! – intervenne lei. – Nerina e Bianca hanno avuto i pulcini da poco e sono certa che a Francesco piacerà vederli. Ma fai attenzione, ragazzino, perché le chiocce sono mamme molto premurose e scacciano qualsiasi intruso che si avvicini troppo ai loro piccoli! Lui sorrise, emozionato. Non aveva mai visto un pulcino da vicino! La casa di Susanna sembrava una baita di montagna, con finestre piccole e persiane celesti. Ovunque fiori coloratissimi riempivano vasi di legno, vecchie pentole di alluminio e altri contenitori riutilizzati per l’occasione. Davanti alla fattoria, si ergevano un grande salice e un castagno secolare sotto ai quali capre e galline gironzolavano indisturbate. La donna accarezzò una capretta che le era corsa incontro ed entrò in casa seguita dai suoi ospiti. Francesco si sedette sul divano vicino a una grande stufa di ghisa.

Poco più in là, su una vecchia poltrona, tre gattoni dormivano raggomitolati l’uno accanto all’altro. «È davvero un posto incantato…» pensò il ragazzino guardandosi intorno. «Una casa delle fiabe, e Susanna sembra una fata dei boschi!» La donna gli offrì una fetta di pane integrale fatto in casa con burro e marmellata di lamponi. – Assaggia! Niente a che vedere con le merendine del supermercato, vedrai! – esclamò. – Ho preparato tutto con le mie mani. Il ragazzo, dubbioso, morse il pane e subito ne percepì il gusto delizioso: non aveva mai mangiato niente di più buono! Chiuse gli occhi e lo divorò avidamente sotto lo sguardo compiaciuto di Susanna.

Più tardi, dopo che i due uomini ebbero controllato gli animali, Susanna si mise a trafficare nell’orto e Matteo, Massimo e Francesco uscirono a fare una passeggiata. Attraversarono il prato e, a ogni loro passo, dall’erba si alzava in volo una miriade di insetti, soprattutto farfalle colorate, una vera gioia per gli occhi. – Com’è grande quella farfalla gialla e nera! Credo sia un macaone! – indicò Massimo al ragazzo. – Le sue ali sembrano origami. E più in là c’è una libellula! – aggiunse. – Che bella! È tanto che non ne vedo una, guarda come vola, sembra un elicottero! – Venite a vedere questa! – disse Matteo. – Dove, dove? – Qua! Quella con la macchia blu e gialla sulle ali! Sembrano occhi! – Wow! – E probabilmente è così che la furbetta confonde i predatori! – spiegò Matteo a Francesco. – E quest’altra farfalla sembra un colibrì in miniatura! – disse Massimo. – Riesce a rimanere ferma a mezz’aria, mentre con la sua piccola proboscide succhia il nettare. – Che forte!

Francesco era stregato da quei colori intensi e dalla varietà di piccole creature in armonia tra loro. Certo, aveva già visto gli insetti in altre occasioni, ma mai così tanti insieme! Raggiunsero il limitare del prato dove svettavano faggi, querce e gelsi secolari come silenziosi custodi del bosco. I primi avevano una corteccia chiara e liscia, gli altri tronchi nodosi e contorti con chiome ampie che abbracciavano il cielo. – Le vedi quelle aperture nei rami? – sussurrò Matteo a Francesco indicando con la mano. – Consentono a moltissimi animali di trovare rifugio. Proprio in quel momento, a conferma di ciò, un vivace scoiattolo rosso sbucò tra le chiome di una quercia. Il ragazzo si lasciò scappare un’esclamazione di meraviglia, ma venne subito zittito dagli altri due. – Se vogliamo vedere gli animali, – bisbigliò Massimo – non dobbiamo fare rumore, altrimenti si spaventano. Francesco tacque. Poi il pensiero volò a sua sorella e si disse sorridendo: «Meno male che Sara non c’è… lei è così chiacchierona che li farebbe scappare tutti!». Lo scoiattolo tornò alle sue faccende e i tre ripresero a scendere nel bosco seguendo un torrente. Volevano raggiungere la cascata di cui Susanna aveva parlato loro poco prima. Francesco si guardava intorno per avvistare altre creature, senza però vederne nessuna. Eppure si sentiva osservato, come se mille occhi seguissero ogni sua mossa, e i fruscii tra gli alberi davano ancora più credito ai suoi sospetti. A un tratto Massimo, che non si era accorto di una radice sporgente, inciampò precipitando rovinosamente addosso all’amico. I due ruzzolarono goffamente a terra e si ritrovarono sdraiati nel fango alcuni metri più avanti. Si guardarono e scoppiarono a ridere come due ragazzini. Anche Francesco si lasciò contagiare da tanta allegria. In effetti quei due insieme erano proprio divertenti. Si rialzarono sempre ridendo e cercarono di darsi una sistemata levandosi la terra e le foglie secche di dosso. – Sei proprio imbranato! – disse Matteo a Massimo in tono canzonatorio. – Che figuraccia mi fai fare!

– Sei tu con i tuoi piedoni che mi hai fatto lo sgambetto! – rispose l’amico scherzando. – Non è vero! Io non c’entro niente, vero, Francesco? Ma il ragazzo era corso avanti, attirato da qualcosa. Un rumore particolare, simile a un gorgoglio. Avevano trovato la cascata! Sulla sinistra del torrente una breve scalinata di pietra conduceva a un anfratto nella roccia. Al di là si apriva una sorta di stanza naturale nella pietra, dove un altro piccolo corso d’acqua si gettava da alcuni metri nel vuoto, abbandonando il suo letto coperto di muschio morbido e viscido, e formando una ribollente schiuma bianca. In una larga pozza più in basso riprendeva il suo viaggio verso valle. Si tolsero le scarpe. – Vieni, Francesco! Vieni a sentire com’è fresca l’acqua del torrente! Lui rimase perplesso, poi si lasciò convincere, si arrotolò i pantaloni e, tolti scarpe e calzini, entrò nel laghetto. Sentì subito l’acqua gelida paralizzargli i piedi fino ai polpacci. Ebbe un brivido, ma Matteo lo invitò a continuare: – Dai, forza! Non sarai così freddoloso? Il ragazzo avanzava intirizzito sul greto del torrente mentre l’acqua nebulizzata lo avvolgeva. – Non avvicinatevi troppo alla cascata o finirete zuppi! – gridò Massimo. Ma Francesco non lo ascoltò: la sua attenzione era stata catturata da un audace raggio di sole che attraversava le chiome degli alberi colpendo la cascata e dividendo la luce in mille colori. L’arcobaleno rendeva ancora più magico quel posto fuori dal mondo e il ragazzo era ormai convinto di trovarsi davvero all’interno di una fiaba. Se all’improvviso gnomi ed elfi fossero spuntati dal nulla, non si sarebbe stupito! – Venite a vedere! – esclamò Matteo a un tratto, chino sul bordo della pozza. Francesco lo raggiunse e, adagiato sul muschio, vide un animaletto giallo e nero dalla pelle liscia. – Una salamandra! E più in là ho visto una rana verde. Questo è il posto ideale per gli anfibi, con tutta quest’acqua e gli insetti in

abbondanza – e così dicendo scacciò una zanzara che gli svolazzava intorno al viso. – Se ne vedono sempre meno purtroppo, – aggiunse Massimo arrivato in quel momento – perché il clima è più secco e inquinato.

I tre rimasero per un po’ a osservare la cascata e quando rientrarono alla radura era ormai tardo pomeriggio. Il cielo aveva assunto quel colore dorato che precede il tramonto. – Sediamoci un momento nel prato – disse Massimo togliendosi di nuovo le scarpe. – Hai mai provato a camminare a piedi nudi sull’erba, Francesco? «Forse qualche volta da piccolo…» rifletté lui senza rispondere. «Ma di sicuro non di recente.» Poi imitò l’amico e, un po’ esitante, avanzò nel prato verso il centro della radura. Era una strana sensazione, che non aveva niente a che fare con il camminare scalzi sulla moquette della sua vecchia casa a Torino. L’erba era umida, fresca e morbida e gli faceva il solletico sotto i piedi… Francesco si sentiva libero, parte di quella valle e della natura che vi regnava. Si sedettero sul prato e Massimo si sdraiò con le braccia aperte, imitato dagli altri. Le nuvole, come bianche cucchiaiate di panna montata, si spostavano piano nel cielo illuminate dalla luce rosata. Tutto in quel luogo andava a un passo più lento del resto del mondo. Un cervo volante con le sue corna robuste passò davanti ai loro piedi. Francesco li ritrasse spaventato. – Non ti fa niente, – gli disse Massimo – è solo un grosso coleottero. – Sembra un carrarmato in miniatura! – disse Matteo ridendo. – È vero! – concordò Massimo. – Grazie per averci portati qui, è davvero un paradiso. Ecco, sì, il nome perfetto per questo luogo è proprio “Paradise”! Sarebbe meraviglioso poter rimanere qua per sempre.

– Hai ragione… – rispose l’amico. Francesco non disse nulla, ma si sentiva come ubriacato da tutte quelle emozioni. Era in pace e anche allegro come forse non era mai stato. Cercò di ricordarsi un altro momento in cui, con i suoi genitori o con gli amici, si era sentito così, ma non gli venne in mente niente. Certo, aveva molti ricordi felici, ma erano sempre dettati dalla fretta, dalla brevità di un momento rubato ad altre faccende. Quella pace non l’aveva davvero mai provata. Chiuse gli occhi per godersi appieno quella sensazione. A un tratto si sentì scuotere e si mise seduto di scatto, in allarme. Massimo gli stava indicando qualcosa ai margini del prato: un capriolo adulto e il suo piccolo brucavano tranquillamente, indifferenti alla loro presenza. «Che meraviglia!» pensò il ragazzo ammaliato da quegli eleganti animali. Restarono ad ammirarli in silenzio, finché Matteo non sussurrò: –

Andiamo, Susanna ci sta aspettando per la cena.

Quando tornarono alla fattoria, trovarono la donna nella stalla, intenta a mungere una capra. Attorno a lei, sui trespoli, le galline si erano già sistemate per la notte. Da sotto le piume di un paio di loro spuntavano i pulcini. Quei piccoli batuffoli gialli erano una delle cose più tenere che Francesco avesse mai visto! Incuriosito, osservò Susanna mentre lavorava e lei gli spiegò pazientemente cosa preparare con quel latte. La cena ne fu una prova. Francesco, che era stato sempre restio ad assaggiare cibi nuovi e preferiva nutrirsi di quello che conosceva già, mangiò con gusto ogni pietanza che la donna aveva preparato con i frutti della sua terra. Una zuppa di farro con le verdure dell’orto, il pane casereccio, i formaggi di capra, le uova fresche e per finire una fantastica crostata con i frutti di bosco raccolti quel pomeriggio. – Ci sono anche ricci da queste parti? – chiese Massimo a Susanna durante la cena. – Oh, sì, ne vedo diversi, – rispose la donna – vanno a bere l’acqua delle mie galline e rubano qualche crocchetta dei gatti. E poi ci sono tassi, volpi e caprioli, ma quelli li avete incontrati. L’altro giorno ho visto anche una rara specie di picchio. Un verso squillante e ripetuto proveniente da fuori attirò la loro attenzione. – È una civetta! – spiegò Susanna a Francesco, che aveva assunto un’aria preoccupata. – Ma non è l’unica vicina rumorosa: la mattina mi sveglio con le cicale e la sera vado a dormire con i grilli. Non serve la radio da queste parti! Matteo si accorse che Massimo si era fatto pensieroso e gli disse: – Sarebbe meraviglioso se liberassi qui Ninna quando sarà pronta. Non c’è posto migliore di questo paradiso e ogni tanto potresti venire a trovarla. Massimo e Francesco abbassarono la testa. L’idea che un giorno avrebbero dovuto separarsi dalla riccetta non gli piaceva per niente, eppure entrambi sapevano che per il suo bene avrebbero dovuto farlo.

Non subito, ma doveva essere così. – Dall’altra parte della radura, – disse Susanna – c’è un piccolo edificio in vendita. Adesso è abbandonato e abitato solo da una famiglia di ghiri, ma è in buono stato e ha anche un granaio. – È quell’edificio in pietra verso la cascata, vero? L’abbiamo visto passando… – disse il veterinario. – Esatto, è quello – confermò Susanna. – Se mai ti venisse voglia di venire qui più spesso, sai che c’è questa possibilità. Sarebbe bello averti come vicino di casa. Più tardi, quando uscirono per tornare verso Novello, un ultimo spettacolo li accolse: una miriade di piccole luci danzavano nel prato come spettri. – Sono lucciole, – disse Massimo a Francesco – e ormai non è facile trovarle. Vivono solo lontano dalle città e dall’inquinamento. Sono un incanto, vero? Un’altra magia della natura. E guarda il cielo! Hai visto quante stelle? Sembra quasi che ci cadano sulla testa! Si vede anche la Via Lattea, là, guarda… è quella striscia bianca che divide a metà il cielo. Francesco rimase a bocca aperta e con il naso all’insù. Non aveva mai visto una cosa simile in città.

In macchina Francesco si addormentò immediatamente, stanchissimo per quella giornata così intensa. Matteo ne approfittò per riprendere l’argomento che avevano lasciato in sospeso. – Massimo? – disse. – Dimmi. – Quella proprietà di cui parlava Susanna… – Quella in vendita? – Sì… non pensi che potrebbe essere il luogo perfetto per realizzare il parco naturale che hai sempre sognato? – Sì, sarebbe magnifico… – E allora comprala! – Non lo so… non so se sono pronto. Sarebbe una bella spesa, un impegno grande. Come farei col mio lavoro? Un giorno, te lo

prometto, ci penserò, ma in questo momento… – No! Non poi, ora! È il posto giusto al momento giusto, ne sono sicuro. Non perdere questa occasione, ce la puoi fare, e io ti appoggerò! – Forse hai ragione… – Senza forse! Dimmi che chiamerai il proprietario! – Ok, va bene, hai vinto, chiamerò – rispose Massimo sorridendo all’amico. – Grazie per il tuo supporto… e per la tua insistenza! – Prego! – rispose Matteo scendendo dall’auto. Erano arrivati a casa sua. – Bisogna combattere per realizzare i propri sogni, me lo hai sempre detto tu – continuò incamminandosi verso la porta. E adesso è il momento di lottare. Sarebbe un bell’esempio per Francesco! Massimo si girò a guardare il ragazzo addormentato. Sì, lo doveva proprio fare.

Francesco quasi non si accorse di essere riconsegnato a sua madre, che lo mise a letto. Sognava di essere ancora al Paradise, come lo aveva chiamato Massimo, e di giocare nel prato con i caprioli e le farfalle. Sognava scoiattoli e pulcini, grilli e salamandre. Gli sembrava di sentire davvero le civette cantare e il profumo dell’erba bagnata, del fieno appena tagliato, il sapore dei lamponi colti dai cespugli. Al Paradise stava bene, non aveva bisogno di niente. Della PlayStation, del telefono o della luce elettrica. Gli bastavano le lucciole a indicargli la strada. E quelle stelle incredibili che scintillavano sulla sua testa.

L’HOTEL PER GLI INSETTI

Gli insetti sono importantissimi per l’impollinazione di fiori e piante, per il controllo dei parassiti e come fonte di cibo per molti animali tra cui ricci, uccelli, pipistrelli, anfibi… Purtroppo, a causa dell’uso massiccio di pesticidi e della perdita di ambienti adatti alla loro sopravvivenza, api, bombi, coccinelle e altri “insetti utili” sono sempre più in declino… Come aiutarli? Per esempio, evitando di usare pesticidi e diserbanti in giardino, lasciando crescere erbe spontanee e piantando molti fiori. Inoltre, puoi realizzare un “hotel”, facile ed economico, per permettere agli insetti di trovare rifugio e trascorrere l’inverno. Basta riutilizzare un contenitore in legno o un vaso di terracotta. Appendi la casetta rivolta a sud-est al riparo dalle piogge.

1. IL VASO DI TERRACOTTA PER FORBICINE E COCCINELLE Taglia 3 pezzi di bambù poco più alti del vaso e legali in mezzo con uno spago. Fai passare un capo dello spago nel foro del vaso e tiralo. Riempi di paglia il vaso senza premere troppo. Rovescia il vaso. Appendilo sopra l’orto o le piante del giardino.

2. IL GRAND HOTEL IN LEGNO Pianterreno con gli alloggi per api solitarie, bombi e forbicine: inserisci alla base di una scatola da vino vari ripiani di cartone tagliato a misura, tronchetti forati, canne di sambuco e di bambù svuotate, riempiendo bene tutti gli spazi. Primo piano per le crisope: inserisci e fissa un ripiano poco sopra la metà della scatola. Riempi di paglia senza comprimere e chiudi con un compensato a misura, forato. La mansarda per le coccinelle: costruisci il tetto spiovente con due pannelli di legno obliqui e applica una retina davanti e dietro tagliando quella in eccesso. Prima di chiudere, metti nel vano dei semi di liquidambar e alcune piccole pigne.

Una mamma

Le lucciole avevano lasciato il segno nel cuore di Francesco. Avevano fatto scattare in lui un lumicino, uno spiraglio su una porta fino a quel momento chiusa. Anche le stelle, le farfalle, gli alberi, la cascata e tutte le meraviglie naturali del Paradise avevano contribuito a quel cambiamento. Lì, infatti, si era sentito per la prima volta completamente parte di qualcosa, nel posto giusto, in armonia con il mondo. Con energia e vitalità ritrovate, si era occupato della nuova casa di Ninna. Un lavoro da vero architetto! Lui e Massimo erano andati a comprare una grande conigliera all’interno della quale avevano messo paglia e striscioline di giornale. Infine avevano inserito il rifugio di cartone preparato da Francesco. Ora non restava che l’inquilino! Quando vi posero la riccetta, lei esplorò la gabbia centimetro per centimetro, curiosa. Poi Ninna si avvicinò alla scatola e, con annusate e leccatine, la valutò attentamente. Appena fu convinta, entrò. Un attimo dopo però uscì di nuovo e poi ancora dentro, avanti e indietro, sembrava l’uccellino di un orologio a cucù! Alla fine decise che il luogo era sufficientemente sicuro e di suo gradimento. Allora iniziò a trasportare paglia e giornali all’interno della scatola per renderla più calda e accogliente. – Direi che le è proprio piaciuta! – esclamò Massimo soddisfatto. Francesco ridacchiò. Ninna era buffissima tutta occupata in quel trasloco, e non si sarebbe mai stancato di guardarla. I due erano ancora incantati a osservare gli spostamenti della riccia, quando il cellulare del veterinario suonò. Sul display comparve il nome di un contadino, suo cliente occasionale. – Pronto? – rispose Massimo.

– Buongiorno, – disse l’uomo al telefono con voce roca e bassa – sono il signor Giuliano. La chiamo per uno dei miei animali… – Buongiorno a lei! Mi dica! Cosa succede? – Una delle vacche sta male… non mangia da un paio di giorni. Forse ha la febbre. Vorrei che la vedesse appena può. L’uomo sembrava tranquillo, quindi il veterinario non si preoccupò più di tanto. Tuttavia pensò che fosse meglio non rimandare troppo la visita. – Benissimo, – rispose – parto tra poco, mi dia il tempo di arrivare. Terminò la telefonata e diede un altro sguardo a Ninna. Lei era a posto, nutrita, ben sistemata nel suo nuovo rifugio e tranquilla. – Ti va di venire con me a visitare una vacca malata? – propose rivolgendosi al ragazzo. – Scommetto che non sei mai stato in una vera fattoria. Potrebbe essere un’esperienza interessante! Francesco ne fu entusiasta. Gli piaceva aiutare Massimo, rendersi utile e sì, in effetti non era mai stato in una fattoria. A parte quella di Susanna, ma le vacche lì non c’erano.

La stalla del signor Giuliano si trovava vicino ad Alba e per raggiungerla Massimo e Francesco attraversarono la Langa con i suoi filari ordinati e gli antichi borghi medievali. Dopo l’esperienza al Paradise, il ragazzo stava cominciando ad apprezzare i paesaggi di campagna e gli piaceva molto guardare fuori dal finestrino. Gli trasmetteva serenità. La fattoria era una struttura collegata all’abitazione di famiglia. Non era molto grande e ospitava una dozzina di animali tra tori, vacche e vitelli. Quando entrarono, accompagnati dal proprietario, Francesco fu travolto da un forte odore di letame che gli fece storcere il naso. Subito dopo vide i bovini e rimase impressionato dalla loro grandezza. Le vacche erano completamente bianche - tipico di quelle di razza piemontese - con corna forti ma non troppo lunghe, che andavano dal giallo al nero. I tori, invece, ancora più robusti, soprattutto nel collo, erano grigi con bande scure sul muso, sulle spalle e sulle zampe. Erano animali davvero imponenti e il ragazzo si

mise a guardarli affascinato. Mentre Massimo si preparava per la visita, Francesco esplorò con gli occhi la stalla, rimanendo fermo in un angolino. Aveva paura di toccare o fare qualcosa di sbagliato, e quelle creature enormi gli incutevano un po’ di timore. Quando un toro muggì in un tono cavernoso e potente, fece addirittura un balzo all’indietro per lo spavento. – Non preoccuparti, – gli disse Giuliano – sono ben legati! – Stai indietro! – intervenne Massimo secco. – Potrebbero comunque scalciare o dare un colpo con il muso. – E questo è il risultato! – aggiunse l’allevatore ridendo e mostrando al ragazzo un grosso livido su un polpaccio. Francesco fece cenno di aver capito e rimase ben fermo al suo posto. Guardando meglio, notò che i bovini erano incatenati alla mangiatoia. Avevano poco spazio per muoversi e stavano fianco a fianco. Solo le loro code non conoscevano pace e continuavano ad agitarsi nel tentativo di scacciare le mosche che ronzavano tutt’attorno. Il ragazzo, deluso, si ricordò di aver visto in televisione le vacche al pascolo, in montagna: erano libere di brucare erba e margherite facendo suonare il campanaccio che portavano al collo. Un’immagine ben più felice di quella che aveva davanti in quel momento. Forse lasciarle libere non sempre era possibile? Nel frattempo Massimo, che indossava i gambali, il camice e i guanti, si mise al collo lo stetoscopio per auscultare il cuore e i polmoni della vacca malata. Non appena la vide, l’espressione del veterinario si fece seria: l’animale aveva la bocca aperta con la lingua fuori, penzoloni, e produceva una schiuma biancastra. Francesco si spaventò. – Ma questa vacca è gravissima! – sbottò Massimo parlando al proprietario in un deciso tono di rimprovero. – Ehm… in effetti non so da quanto non mangia… – balbettò l’uomo imbarazzato. – Forse non ho capito bene la situazione… Mi spiace, ho tanto da fare alla fattoria e non me ne sono accorto subito. La prego, la visiti.

Massimo ascoltò il respiro della vacca e le misurò la temperatura, poi, con espressione cupa, si rivolse a Giuliano cercando di parlare a bassa voce, ma non abbastanza perché Francesco non sentisse: – Ha la febbre alta e una polmonite in stadio avanzato – disse. – Dubito che possa superare la notte… mi dispiace. – Allora devo mandarla al macello… – disse l’uomo sospirando. – Almeno così non spreco la carne. Lo sa, dottore, quanto vale per me una vacca? In quel momento l’attenzione del veterinario cadde sulla mammella dell’animale. – È piena di latte! Da quanto tempo ha partorito? – Neanche una settimana fa… Il vitello è là, nel box in fondo alla stalla. Ed è così che lo videro: un vitellino bianco dall’aspetto fragile e gli occhi spauriti. Gli si avvicinarono, mentre la bestiola si alzava tremolante e instabile sulle zampe lunghe e magre, come fosse sui trampoli, per poi muoversi in direzione della madre moribonda chiamandola a gran voce. Francesco guardò Massimo con il pianto negli occhi: “Devi fare qualcosa!” sembrava dirgli disperato. Il veterinario sentì la sua angoscia e rimase in silenzio a osservare la vacca e il vitello. Poi, all’improvviso, si girò verso l’allevatore con una luce nuova negli occhi. – Ci ho ripensato! – esclamò. – Voglio provare a salvarle la vita! – Ma come? – borbottò l’uomo, perplesso. – Non ha appena detto che non ci sono speranze? – La carne potrebbe essere già compromessa dalla malattia, e a questo punto tanto vale tentare. Facciamo così… – aggiunse il veterinario notando che il suo interlocutore era ancora dubbioso. – Non le farò pagare il costo della visita. – Va bene, mi fido di lei. Ha sempre lavorato seriamente qui da me – accettò il signor Giuliano. Francesco aveva ascoltato quello scambio di battute con il fiato sospeso. Forse c’era una piccola speranza, solo un lumicino, ma era

meglio di niente! Massimo trafficò un po’ nella sua valigia dei medicinali e preparò diverse iniezioni. – Queste dovrebbero aiutarla a respirare e a far regredire la polmonite – disse. – Ma se entro domani mattina non ci sono miglioramenti… – aggiunse senza finire la frase. – Allora, dottore, la chiamo domani mattina – disse l’allevatore. – D’accordo – rispose asciutto il veterinario salutandolo.

Una volta in macchina, Massimo si accorse dello sguardo inquieto del suo giovane amico. – Cosa c’è che non va? – gli chiese. – Sei preoccupato per la vacca? – Sì – rispose con voce sommessa. – Ti capisco, in tanti anni che curo gli animali, è la prima volta che provo un senso di compassione così forte davanti a una creatura sofferente… Per un momento ho immaginato la scena della vacca che veniva strappata al suo vitellino per andare al macello. Ho visto una mamma separata dal suo piccolo. Quel pensiero mi ha angosciato, e ho capito che dovevo fare almeno un tentativo per salvarla. Francesco aveva gli occhi lucidi e il suo cuore si era fatto pesante per la preoccupazione. – E questo lo devo a Ninna – aggiunse Massimo. – Lei una mamma non l’ha mai avuta, e non volevo che al vitellino toccasse la stessa sorte. Il ragazzo sorrise all’amico, tuttavia nella sua mente rimase un’ombra che lo accompagnò fino a casa. Anche a letto, quella sera, continuò a pensare a quello che aveva visto. Era veramente in ansia per la salute della vacca, ma sentiva che c’era qualcosa di più: lo intristiva il fatto che quelle bestie stessero in prigionia per tutta la vita… Come poteva essere giusto? L’ultima immagine che gli balenò vivida in testa prima di addormentarsi fu quella di un prato verde, dove una mandria di vacche, tori e vitelli pascolava tranquilla, al sole, libera da ogni catena.

Quando la mattina successiva Francesco sentì il rumore di un’auto sulla stradina di casa, si alzò di scatto. Sapeva già chi era ma, con i capelli ancora arruffati, aprì la finestra e sporse la testa per controllare. Laggiù c’era il veterinario con un’espressione che non riusciva a decifrare. Chiuse la finestra e si preparò alla velocità della luce. In pochi minuti era alla porta, seguito da sua madre ancora in pigiama. – Massimo! – esclamò lei allarmata. – Cosa succede? Il ragazzo fece cenno alla mamma di tacere. Aspettava il verdetto a testa alta, senza però riuscire a mascherare l’ansia che provava. – È viva! – esclamò Massimo, gli occhi che sprizzavano gioia. – La vacca è viva! Ha superato la notte! Ha ripreso anche a mangiare. Francesco si gettò ad abbracciarlo, in preda a una grande felicità per qualcosa che aveva solo osato sperare. Il veterinario, rivolto a Lisa, disse: – Scusami per l’ora. Anch’io dormivo quando l’allevatore mi ha chiamato, e dal tono della sua voce ero convinto che stesse per darmi cattive notizie. Invece la vacca sta decisamente meglio! Non puoi immaginare quanto sia contento! – Sono felice anch’io – rispose la donna. – Ora capisco perché Francesco era così preoccupato, ieri sera… – Mi dispiace, non sapevo che la vacca stesse tanto male. Altrimenti non avrei portato Francesco con me. – Non preoccuparti, a volte confrontarsi con la sofferenza è utile perché ci spinge a reagire – disse Lisa. Poi, rivolta a suo figlio, aggiunse: – Immagino che tu voglia andare di persona a vedere come sta, giusto? Francesco si lasciò sfuggire un: – Sììì! La mamma guardò Massimo sorpresa: suo figlio aveva parlato! Ma nessuno dei due disse nulla al riguardo. – Prima di andare, però, fate almeno una colazione veloce! – Aggiudicato! – rispose il veterinario entrando in casa. Nel frattempo si sentirono i piedini di Sara per le scale. – Cosa mi sono persa? – chiese la bambina stropicciandosi gli occhi.

Quando arrivarono alla fattoria, il signor Giuliano li stava aspettando nel cortile. Aveva sul volto un sorriso soddisfatto. – Anche questa volta aveva ragione lei, dottore, – disse stringendo la mano al veterinario – grazie per avermi convinto! Nella stalla la vacca malata aveva un aspetto decisamente migliore, non sembrava neanche più la stessa. Mangiava tranquillamente il fieno e di tanto in tanto muggiva chiamando il suo piccolo. – Ma siamo sicuri che sia proprio lei? – chiese Massimo incredulo. In quel momento Giuliano aprì il box e lasciò che il vitellino raggiungesse la mamma. Il cucciolo iniziò a ciucciare avido, a occhi chiusi, dando dei leggeri colpi alla mammella con la testa per fare uscire più latte, mentre lei lo leccava teneramente. Francesco e Massimo si godettero quella scena dolcissima, felici che il vitello avesse riavuto la sua mamma. Il ragazzo non avrebbe più dimenticato quel momento.

Sulla strada verso casa, Massimo scherzava allegro ma Francesco era ancora pensieroso. – Cosa c’è che non va ora? – gli chiese l’amico. – È perché hai visto i bovini legati alla catena? – provò a chiedere. Ormai conosceva bene la sensibilità del suo amico.

Il ragazzo fece spallucce. – Ti capisco, Francesco, ma gli animali di fattoria non sono come cani e gatti che teniamo per affetto; sono considerati animali da reddito, cioè vengono allevati per quello che possono offrirci, il latte e la carne. Certo dovrebbero essere comunque tenuti nel migliore dei modi. Ma Francesco non era convinto. Cosa c’era di diverso tra un cane e una vacca? Perché il primo poteva essere amato e coccolato e la seconda doveva restare alla catena? Non aveva dei sentimenti anche lei? – Ok, è vero, hai ragione tu – sbottò allora il veterinario. – Anche io faccio sempre più fatica a entrare nelle stalle a svolgere il mio lavoro, perché non tollero di vedere gli animali in quelle condizioni. All’inizio, quando ho cominciato questo mestiere, pur stando ogni giorno con i bovini, non mi rendevo conto della loro sofferenza. Non la sentivo mia. Poi le cose sono cambiate. Oggi fatico ad accettare certe situazioni, proprio come te. Per questo motivo, negli ultimi anni ho smesso di mangiare carne. Non voglio contribuire al dolore degli animali. Ma non sempre questa scelta basta a farmi stare meglio. Francesco ascoltò attentamente quelle parole e ne rimase colpito. «Sarebbe bello un mondo dove nessuno causasse sofferenza agli altri, esseri umani o animali, un mondo dove tutti vivessero in armonia» pensò. «Impossibile? Forse. Intanto però si può iniziare a fare qualcosa per cambiare le cose!» Quando arrivarono davanti a casa, Francesco scese di corsa dalla macchina e andò incontro a sua madre che era già sulla porta. D’impulso, pensando al vitellino, dimenticò per un attimo i suoi rancori e l’abbracciò. La strinse forte, come se avesse paura di perderla. Lei gli posò le mani sulla testa per accarezzarlo, ma a quel punto Francesco si staccò un po’ imbarazzato, un po’ sorpreso da se stesso per aver avuto un momento di debolezza. Però, prima di correre in camera sua, le sorrise. Dalle scale sentì sua madre ringraziare Massimo con la voce rotta dall’emozione. Il suo abbraccio, era evidente, l’aveva resa felice.

IL MENU DEI RICCI

Il riccio è un insettivoro, vale a dire che la sua dieta è composta principalmente da insetti e altri animaletti che scova nel terreno grazie al suo sensibilissimo olfatto e all’udito sviluppato. A dispetto delle sue dimensioni e del musetto dolce, non è per niente timido né schizzinoso in fatto di cibo, mangia di tutto ed è pronto ad assalire la sua preda come un leone!

ECCO IL SUO MENU ANTIPASTO:

insalatina di scarafaggi, bruchi, millepiedi e forbicine.

PRIMO PIATTO:

lombrichi al naturale con accompagnamento di

lumachine e larve.

SECONDO PIATTO:

uova e carcasse di animaletti vari. In alternativa,

filettino di topolino o lucertola.

PIATTO UNICO PER OCCASIONI SPECIALI:

serpentello crudo con

contorno di bacche. FRUTTA: mele, pesche, pere, fragole e frutti di bosco.

IL RISTORANTE DEI RICCI

Durante i periodi più caldi o in autunno, prima del letargo, puoi dare una mano ai nostri amici spinosi lasciando acqua nei sottovasi. Nella mangiatoia al riparo da cani e gatti, puoi sistemare del cibo: croccantini e umido per gattini, macinato di manzo scottato, carne di pollo bollita o uova strapazzate senza condimento.

Piccina

Luglio era iniziato con un’intensa ondata di calore, di quelle che ti fanno boccheggiare dopo pochi passi lasciandoti sudato e senza energie. Tutto sembrava come rallentato e spento. I prati attorno a Novello avevano ora un aspetto stopposo, ingialliti sotto i raggi del sole, e durante le ore più calde non si vedeva in giro nessuna creatura. Soltanto di sera la campagna e il cielo tornavano brulicanti di vita. In quelle serate, Massimo passava spesso a prendere Francesco e insieme facevano lunghe passeggiate per osservare gli animali e le costellazioni, che erano da sempre una passione del veterinario. Ogni tanto li accompagnavano anche Sara e Lisa, ma Francesco preferiva quando erano loro due soli. Aveva ricominciato a dire qualche parola, non molte per la verità, solo quelle necessarie a saziare la sua curiosità da giovane esploratore. Le prime volte che aveva parlato, si era quasi spaventato per il suono della sua stessa voce. Massimo però aveva fatto finta di niente e il ragazzo si era tranquillizzato. La voglia di sapere era troppo grande per riuscire a trattenersi ancora. Un pomeriggio, Massimo era andato a trovare Francesco e la sua famiglia e insieme si erano dati tutti da fare per aiutare gli animali selvatici assetati. – Riempi d’acqua questi sottovasi – disse il veterinario a Sara – e mettili ai bordi del giardino, sotto i cespugli, in modo che i ricci possano arrivarci. – Servono anche per gli uccellini? – domandò la bambina, alle prese con la canna dell’acqua che si dimenava come un serpente impazzito.

– Quelli vanno messi in alto, sul davanzale delle finestre. – Aiuto! Sara, basta! – si lamentò Francesco completamente zuppo. – Attenti a non sprecare acqua – intervenne la mamma chiudendo il rubinetto. – In questa stagione ce n’è già poca. – Bene, adesso i croccantini, i ricci li adorano! – disse Massimo sistemando insieme ai ragazzi pugnetti di cibo ai lati del prato. – Ehi, smettila di mangiare il cibo per gli animaletti! – brontolò Sara rimproverando Bibi, che era a casa loro e assaggiava ogni mucchietto. – Altrimenti stanotte quando i ricci passeranno da queste parti non troveranno più niente! – Sta controllando la qualità del cibo! – disse Massimo facendo ridere tutti. – Bibi, diventerai un pallone! – aggiunse Francesco. Sua madre gli sorrise raggiante. Era così felice di sentire di nuovo la sua voce! – Che ne dite di andare tutti da Ninna? – li invitò l’uomo quando ebbero finito di sistemare il giardino. – Vorrei parlarvi di un progetto che ho in mente per lei… ultimamente è molto irrequieta. Sara iniziò a saltellare euforica. Adorava quella riccetta, ma non sempre Massimo e la mamma le permettevano di vederla, perché era ancora troppo piccola per occuparsi di lei. Anche Francesco era curioso. Chissà che cosa aveva in mente il suo amico?

A casa di Massimo trovarono Ninna che girava come una trottola nella sua conigliera, agitata e impaziente. Entrava nella casetta di cartone e, rizzandosi sulle zampette, se la portava per tutta la gabbia come fosse un cappello. Poi si arrampicava sulle sbarre e, tenendosi salda, faceva spuntare al di fuori il musetto appuntito. Era davvero buffa, ma nello stesso tempo faceva un po’ tristezza. – Che cosa vuole fare? – chiese Sara perplessa. – Ormai neanche questa sistemazione è più adatta a lei – spiegò Massimo. – I ricci sono animali selvatici e devono essere liberi di girare per prati e boschi, senza confini.

– Hai intenzione di liberarla? – gli chiese allora Lisa. – Sì, certo, ma non adesso. È ancora troppo piccola e inesperta. – Forse si potrebbe abituarla un po’ alla volta? – È proprio quello a cui avevo pensato… – Allora dobbiamo trovare una scatola più grande… – intervenne Sara perplessa. – E la gabbia? Ci vuole una gabbia gigante? Massimo rispose con un sorriso: – No, Sara, niente gabbie. Le faremo un bel recinto grande in mezzo al verde con tanti angolini dove riposarsi e nascondersi e imparare a cacciare. Piano piano dobbiamo aiutarla a tornare selvatica. – E lì dici che sarà contenta? – Per un po’… ma dopo anche quell’ambiente le diventerà stretto. Non esiste un recinto abbastanza grande da soddisfare la sua voglia di libertà. – Ma dobbiamo proprio? – aggiunse la piccola facendo il broncio. – Non possiamo semplicemente lasciarla girare per la casa? – Ninna è un animale selvatico e se la abituiamo troppo all’uomo rischiamo di addomesticarla e alla fine non sarà più in grado di vivere da sola in natura. Non saprà cacciare, farsi il nido e soprattutto imparare a temere l’uomo. E poi una casa non è un posto adatto a un riccio, ci sono molte cose con cui potrebbe farsi male. – E quando la libererai? – Quando avrà raggiunto un buon peso e sarò sicuro che potrà cavarsela. Il cuore di Francesco sussultò. Come avrebbe fatto senza Ninna? – Però almeno Bibi lo possiamo tenere? – chiese Sara con le lacrime agli occhi. – Non dobbiamo liberare anche lui nel bosco, vero? – No, tesoro, non preoccuparti, lui rimarrà con noi! – la rassicurò sua madre. – I cani sono animali che si sono adattati a vivere con l’uomo in migliaia di anni, per loro la cosa più importante è stare in nostra compagnia. Purché vengano trattati bene. – Dove faremo questa bellissima residenza estiva per Ninna? – domandò allora Lisa. – Nel giardino di mia mamma! – rispose il veterinario entusiasta.

Franca, la madre di Massimo, abitava in un paesino poco distante da Novello, in una casetta colonica con un grande porticato circondato da un giardino pieno di rose e piante da frutto. Un posto tranquillo e perfetto per il loro scopo. La donna accolse Lisa e i ragazzi affettuosamente, in particolar modo Francesco. – Vi presento mio cugino Franci, – disse Massimo indicando un ragazzo robusto – abita proprio qui di fronte ed è venuto a darci una mano. – Piacere, signore! – si presentò Sara con aria solenne stringendogli la mano. – Ciao… – salutò più timidamente suo fratello. – Buongiorno a voi, ragazzi! – ricambiò in tono allegro il cugino di Massimo. Dopo un breve scambio di battute, tutti si misero all’opera: c’era chi inchiodava le assi e chi posizionava la palizzata in profondità nel terreno, in modo che la riccetta non potesse scavare un tunnel di fuga. Poi all’interno della recinzione prepararono una casetta di legno con tanto di tettoia per le giornate di pioggia… Persino la piccola Sara fece la sua parte, disponendo a una a una le pietre lungo il bordo della struttura per rinforzarla. Franca, intanto, aveva preparato una torta fatta con le mele del suo giardino, «per darvi la carica» aveva detto, e i ragazzi avevano accolto l’idea con l’acquolina in bocca! Al tramonto il recinto di Ninna era finito! Lo avevano realizzato sotto un grande ciliegio che, con i suoi rami contorti, oltre a fare ombra dava l’impressione di vegliare su chiunque avesse abitato quello spazio. – È così bella questa casa che quasi quasi ci vengo a stare io! – disse Sara provocando una risata generale. – Cominceremo a lasciare qui Ninna durante il giorno e la sera – spiegò Massimo. – Di notte preferisco che rimanga al sicuro nella gabbia ancora per qualche tempo. Non vorrei che ricevesse la visita di una volpe… Al solo pensiero, i ragazzi, spaventati, si portarono le mani alla

bocca.

Massimo si era trasferito temporaneamente da sua madre per poter controllare i progressi di Ninna. Francesco amava andare in quella casa così accogliente e soprattutto adorava le torte di Franca. Spesso, al tramonto, si sedeva su una piccola panca in mezzo al prato e passava il tempo a osservare la riccia che gironzolava annusando freneticamente ogni filo d’erba di quel suo nuovo mondo. Il ragazzo voleva godersi ogni minuto insieme a Ninna, perché sapeva che presto anche quel recinto sarebbe stato troppo piccolo per lei e allora niente avrebbe più potuto trattenerla. Un giorno, mentre era assorto nei suoi pensieri, Massimo lo chiamò con voce agitata, facendolo sobbalzare. – Francesco! – esclamò. – Hanno trovato un altro riccio! – Un altro riccio? – rispose lui perplesso. – Sì, mi ha chiamato Roberto, un caro amico e collega. Una signora gli ha appena portato un riccio investito da una macchina e lui non sa cosa fare! Il ragazzo si irrigidì. – Sapendo che avevo già Ninna mi ha chiesto di andare a visitarlo – continuò Massimo. – Vengo con te! – rispose Francesco d’impulso. – Non lo so… forse non è una buona idea… non ho capito quanto sia grave la situazione, potresti impressionarti… – Vengo anche io! – ripeté lui deciso. In realtà non sapeva perché volesse andare. Cosa mai avrebbe potuto fare? Non era certo un dottore! Eppure sentiva di dover sostenere il suo amico. – Va bene! Se sei convinto, andiamo!

– Accidenti alle strade! – si lamentò Massimo poco dopo, rivolto più a se stesso che a Francesco. – Ogni giorno ci lasciano le penne moltissime vite innocenti. Rospi, lepri, ricci e volpi, tassi e caprioli.

Accecati dai fari, rimangono impietriti in mezzo alla strada e vengono travolti dalle auto che viaggiano troppo veloci. Il ragazzo lo guardava inorridito. – Scusa… ma sono così arrabbiato! – aggiunse allora Massimo, rendendosi conto di avere un po’ esagerato. – In realtà ci sarebbero dei modi per evitare questi incidenti. Esistono sottopassaggi per le creature più piccole, oppure ponti sospesi ricoperti di vegetazione per permettere agli animali di attraversare senza pericolo. Francesco ricordava di averne sentito parlare. Ponti e tunnel per la fauna selvatica… Sì, era decisamente una buona soluzione! Massimo prese in consegna il riccio da Roberto. Era in una scatola avvolta da un piccolo asciugamano. Poi, senza perdere tempo, lo portò di corsa a casa sua, dove aveva tutto l’occorrente per visitarlo e praticargli le prime cure. Solo quando il veterinario lo posò sul tavolo, Francesco ebbe il coraggio di dargli un’occhiata: in realtà la creaturina, distesa su un fianco, a prima vista non aveva niente di spaventoso se non un pochino di sangue che le usciva dalla bocca e dal naso; teneva un occhio chiuso e uno aperto, aveva un bitorzolo in testa e stava immobile, ansimante. – Deve avere un trauma cranico, – diagnosticò Massimo visitando l’animale con aria preoccupata – ha un occhio ferito, e forse anche il naso è rotto. Senti come respira male? – spiegò mentre gli preparava un antibiotico. Il ragazzo guardò l’animaletto con le lacrime agli occhi. Non ci si abitua mai alla sofferenza, pensò, soprattutto a quella dei più deboli. L’idea che il riccio potesse trovarsi in quelle condizioni per colpa di una persona incosciente gli faceva crescere dentro una grande rabbia. – I ricci, come molti altri animali, si muovono di notte – disse il veterinario interpretando i suoi pensieri – e attraversano all’improvviso. Per questo è importante percorrere le strade di campagna a velocità ridotta e con molta attenzione. Nel pomeriggio, dopo un primo miglioramento, la bestiola improvvisamente cominciò a gonfiarsi come un palloncino. Le zampine spuntavano appena dal corpo, pareva il personaggio di un

cartone animato… Ma non faceva ridere, solo una gran compassione. – C’è qualcosa che non va, – disse Massimo in ansia – dobbiamo fare degli accertamenti, e in fretta!

Portarono il riccio alla clinica di una collega di Massimo, Manuela, specializzata in piccoli animali. Per sgonfiarlo, aspirarono l’aria attraverso un ago cannula (un ago con un tubicino) collegato a una grossa siringa. A questo punto non rimaneva che fare una radiografia per capire le cause di quel gonfiore. Mentre i veterinari eseguivano l’esame, Francesco rimase nella sala d’attesa, preoccupato ma speranzoso. Dopo un po’, stufo di aspettare, si avvicinò in punta di piedi alla porta socchiusa e con il cuore che gli martellava nel petto si mise a origliare. Anche se Massimo era di spalle, percepiva la sua tensione. – Il riccio ha una grave lesione della trachea e una frattura del naso… – stava dicendo la donna. – Non so se si può fare qualcosa. – Potremmo tentare l’intervento! – propose lui. – La sua trachea è grande quanto una cannuccia! È un’impresa davvero difficile intervenire su una creatura così piccola! Hai sentito anche tu cosa ha detto Tim… Secondo la sua esperienza, animali in queste condizioni non hanno speranza. Tim era il veterinario di un grande centro inglese di fauna selvatica, un esperto di ricci, Francesco si ricordava che Massimo gliene aveva parlato. Evidentemente avevano consultato anche lui. Il riccio era davvero spacciato? Francesco vide l’amico che guardava il piccolo paziente con crescente commozione. Conosceva quello sguardo, era lo stesso che aveva visto rivolgere a Ninna e alla vacca malata e al suo vitello. Sapeva che la compassione in Massimo poteva trasformarsi nel coraggio per tentare il tutto per tutto. Alla fine, infatti, riuscì a convincere la collega: avrebbero operato il riccio per cercare di salvarlo!

Massimo si voltò di scatto. – Francesco, cosa fai qua? – Io… – balbettò lui non sapendo cosa dire. – Dobbiamo operarlo. Non c’è altra possibilità – gli disse in fretta, richiudendo la porta. Era tesissimo e al contempo concentrato. Francesco lesse questo e molto altro nel suo sguardo. Attraverso la piccola finestrella rotonda sulla porta, vide i veterinari e i loro assistenti vestirsi con il camice verde, il copricapo, la mascherina e poi infilare i guanti sterili. Un rituale preciso che sottolineava ancora più la gravità della situazione. L’animale fu sedato e intubato dall’anestesista e poi collegato a un monitor che mostrava i battiti del suo piccolo cuore e la respirazione, bip… bip… bip… A un tratto Francesco sentì una mano sulla spalla e sobbalzò. L’assistente della dottoressa gli sorrise, lo prese per mano e lo accompagnò in sala d’attesa. – È meglio che tu rimanga qua, – gli disse – e poi c’è qualcuno che è venuto a farti compagnia! Il ragazzo si trovò davanti sua madre, che allargò le braccia offrendogli un rifugio sicuro. Senza esitazioni, Francesco vi si tuffò, cercando un attimo di respiro in quella giornata così drammatica. – Massimo mi aveva chiesto di chiamare tua mamma – gli disse la ragazza. – Appena avranno finito verrò subito ad avvisarti, promesso! Passò un’ora e fu Massimo stesso ad andare incontro a Francesco e Lisa. Indossava ancora il camice e aveva il viso stanco ma felice: – Abbiamo finito, siamo riusciti a suturare la trachea. L’operazione è andata bene!

Francesco e sua mamma esultarono. – Ora dobbiamo solo sperare – aggiunse l’uomo, che non voleva illuderli troppo. – Dobbiamo ancora assicurarci che l’incidente e il trauma cranico non abbiano causato ulteriori complicazioni. Ma per adesso il peggio è passato!

Per la convalescenza il riccio rimase in clinica, dove c’erano le attrezzature necessarie a far fronte a eventuali complicanze. Massimo correva da lui ogni giorno. Ci volle quasi un mese per risolvere il problema dell’accumulo di aria sotto pelle e il veterinario di tanto in tanto era costretto a sgonfiarlo. Alla fine il riccio si ristabilì e fu portato a casa. – È davvero minuto, – disse Massimo mentre lo visitava – è sicuramente un esemplare giovane. – Ora dovremmo trovargli un nome adatto… – disse Francesco. – Che ne pensi di Piccino? – aggiunse dopo un attimo di riflessione.

– Bello! Ma forse è meglio Piccina… È una femminuccia, come Ninna! – Mi piace! Andata per Piccina! – sorrise il ragazzo. La bestiolina, che riposava su un cuscino termico, li guardava, sempre con un occhietto solo, ma questa volta vispo e curioso. Francesco lo prese come un segno di approvazione. Nei primi giorni Piccina dovette essere nutrita con cibo semiliquido attraverso una siringa, come avevano fatto con Ninna. Più facile a dirsi che a farsi, in realtà, perché all’inizio il riccio non ne voleva sapere. Sputava tutto. Tuttavia, a mano a mano che migliorava, prese a mangiare sempre più avidamente e presto ricominciò a farlo da sola, pappandosi crocchette ammollate nell’acqua e pollo bollito. Piccina aveva un temperamento vivace e fu presto evidente che non le piaceva affatto stare in gabbia. Si muoveva in tondo come una matta per tutto il recinto e sporgeva il naso fuori, tra le sbarre, fissando con occhi tristi e disperati chi la osservava. In risposta a quello sguardo supplichevole, Massimo e Francesco decisero di costruire per lei un recinto provvisorio in casa, perché avesse più spazio per muoversi rimanendo però sempre sotto controllo. La speranza era quella di poterla poi mettere all’esterno come Ninna. Una mattina, però, quando ormai sembrava che tutto procedesse per il meglio, Massimo si accorse che Piccina aveva iniziato a girare in tondo all’interno del suo recinto tenendo la testa inclinata di lato. Sembrava una trottola fuori controllo. – C’è qualcosa che non va nella sua testa – disse scoraggiato. – Questi problemi neurologici potrebbero essere causati da un’infezione, dobbiamo riportarla subito in clinica! Francesco sentì una morsa al cuore: malgrado tutti gli sforzi di Massimo, le cure e le attenzioni, la vita di Piccina era di nuovo in pericolo.

COSE DA FARE E NON FARE CON I RICCI

NO 1.

Non dare mai da mangiare ai ricci latte di mucca, pane e frutta secca. 2. Non tagliare i cespugli, sono i nascondigli preferiti dei ricci, e fai in modo che il decespugliatore venga usato con attenzione, potrebbe ferirli o ucciderli.

3.

Non bruciare cataste di rami o cumuli di foglie secche all’aperto: accertati prima che non vi sia nascosto un riccio.

4.

Non lasciare piscine e buche aperte e senza protezione: se il riccio vi cade dentro, non riuscirà a uscire! Metti delle assi

inclinate all’interno o delle recinzioni.

5.

Non lasciare che i tuoi genitori utilizzino veleni in giardino (lumachicidi, insetticidi, erbicidi e veleno per topi). 6. Non toccare il nido di un riccio, la mamma potrebbe spaventarsi e abbandonare i piccoli. 7. Non applicare sui ricci antiparassitari per cani e gatti. 8. Non raccogliere o spostare ricci se non sono in reale pericolo. Sono animali selvatici e soffrono molto a stare in cattività.

SÌ 1. 2. 3. 4. 5.

6.

Soccorri subito i ricci feriti o quelli che girano in pieno giorno e chiama un CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici). Se vedi un riccio sulla strada, controlla che stia bene e poi spostalo in un prato vicino. Lascia possibili nascondigli per i ricci, come cataste di legna, cespugli, siepi folte, mucchi di foglie e rami. Realizza piccole aperture (10x10 cm) alla base delle recinzioni del giardino per consentire il libero passaggio dei ricci. Fai in modo che il prato sia falciato metà alla volta, in modo che gli insetti possano trovare rifugio e continuare ad abitare il giardino. Ricorda che sono il pasto principale dei ricci! Se in autunno trovi ricci piccoli e magri, soccorrili! Se pesano sotto i 450 grammi non sono in grado di andare in letargo e superare l’inverno. Vanno tenuti al caldo.

7.

Lascia sempre una ciotola di crocchette per gattini e dell’acqua in una mangiatoia in giardino per aiutare i ricci in difficoltà.

Cip e Ciop

La radiografia svelò che Piccina aveva un’infezione grave all’orecchio, un principio di meningite dovuto al trauma subito, che le faceva perdere l’equilibrio. Massimo sapeva che la situazione era molto seria e che solo un miracolo avrebbe potuto salvarle la vita, eppure neanche questa volta aveva intenzione di arrendersi. – Guarirà? – chiese Francesco sospeso tra paura e speranza. – Non lo so… – ammise il veterinario senza riuscire a nascondere la sua preoccupazione. – Però ti prometto che farò tutto il possibile. Di sicuro avrà bisogno di molte cure e di amore. La bestiolina, adagiata su un fianco sopra un asciugamano, li guardava con il suo unico occhietto buono. Aveva un’aria triste, ma sembrava fidarsi dei suoi custodi. Il veterinario, su consiglio di Manuela, iniziò subito un pesante ciclo di antibiotici, antidolorifici e vitamine, nel tentativo di sconfiggere l’infezione. Piccina, debole e sofferente, con la testina sempre ruotata da un lato, mangiava solo imboccata con una siringa. «Combatte come un piccolo leone insieme a noi!» pensava Francesco, osservandola con dolcezza.

Dopo due settimane di cure, l’animaletto cominciò a migliorare. Piano piano riprese a mangiare da solo e, a tratti, a camminare diritto. Un segnale di speranza che scaldò il cuore del veterinario e del suo

giovane aiutante. Un giorno, mentre guardavano la riccia dormire spaparanzata nella sua casetta di cartone, metà fuori e metà dentro, con le zampette anteriori divaricate e il musetto teneramente adagiato nel mezzo, Massimo decise che era il momento di pensare a una nuova sistemazione adatta a lei. – Credo che sia giunto il momento di costruirle un recinto all’aperto, – disse a Francesco – come quello di Ninna, ma ancora più grande. – Una casa provvisoria dove stare prima di essere liberata? Ma perché dev’essere più grande di quella di Ninna? Massimo rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò e riprese: – Piccina ormai è fuori pericolo, ma non è completamente guarita. L’infezione ha lasciato un residuo e, come puoi vedere anche tu, ogni tanto riprende a girare in tondo. Non penso che sarebbe in grado di cavarsela da sola. – Vuoi dire che dovrà restare qui per sempre? – Temo di sì… In questo caso tenerla in un grande recinto significa darle una possibilità. – Quindi non potrà tornare nei boschi con Ninna… –. Francesco abbassò la testa. – Non credo… ma cercherò di farla vivere bene lo stesso. – Certo! – esclamò il ragazzo, ritrovando il buon umore. – Piccina è stata fortunata a incontrare proprio te! Chissà quanti altri ricci là fuori hanno bisogno di aiuto, ma non lo ricevono. Ci fu di nuovo un lungo silenzio, poi Massimo guardò Francesco dritto negli occhi. – Voglio aprire un centro di recupero per i ricci – disse tutto d’un fiato. – Un posto dove curarli se sono feriti e poi liberarli quando possibile. Un luogo dove anche chi non è più in grado di tornare in natura possa comunque trascorrere una vita accettabile, ben nutrito e al sicuro! Il ragazzo si illuminò in volto. – Un ospedale per ricci! È fantastico! – Sì, una specie. Ma per riuscirci avrò bisogno dell’aiuto di uno dei più bravi esperti del settore! – E chi è?

– Remigio Luciano, il responsabile del Centro Recupero Animali Selvatici, il CRAS di Bernezzo, vicino a Cuneo. Mi hanno parlato molto bene di lui e del suo impegno.

La domenica successiva Francesco lo accompagnò al CRAS , in un luogo incantato ai piedi delle montagne, e rimase stregato dal responsabile del centro. E non fu il solo. Anche Lisa e la piccola Sara, che si erano aggregate, ebbero la stessa reazione. Remigio aveva l’aspetto di un nonno di montagna, sembrava quasi un Babbo Natale fuori servizio. Il suo sguardo era buono e allo stesso tempo sicuro e saggio, lo sguardo di un uomo che ha molte storie da raccontare e che ha dedicato la sua vita agli animali. Li accolse con un pappagallo giallo e blu sulla spalla. – Ben arrivati, amici, benvenuti al centro! – disse con il suo vocione da montanaro stringendo la mano a tutti. Poi, vedendo che Francesco e Sara guardavano incantati il pappagallo, aggiunse: – Questo è un Ara gialloblu, un pappagallo del Brasile. – Forte! – esclamò Sara entusiasta. – Ffforrrteee – ripeté il pappagallo. – Ma ha parlato! – si stupì la bambina saltellando deliziata. – Sì, i pappagalli sono animali molto intelligenti, vivono a lungo e sono capaci di imitare la voce umana – spiegò Remigio. – Proprio perché sono speciali non dovrebbero mai stare in una gabbia. Lui, tra l’altro, non era tenuto con le dovute cure, così è stato sequestrato e portato qui.

– Ma non puoi liberarlo in questi boschi? – chiese la bambina. – No, cara, – rispose l’uomo accarezzandosi la barba – gli animali esotici non devono mai essere liberati in un ambiente che non è il loro. Anche se riuscissero a sopravvivere, potrebbero causare danni alla fauna locale. – Quindi dovrà rimanere qui per sempre? – domandò Francesco. – Esatto, e oltre a lui abbiamo diverse altre specie di pappagalli. E poi procioni, nutrie, tartarughe americane e azzannatrici e persino alcune scimmie. Ognuno di loro ha una storia triste alle spalle, ma qui offriamo protezione e riparo. – Una tartaruga azzannatrice? – chiese Lisa impressionata. – Dal nome sembra pericolosa… – In effetti è classificata proprio tra gli animali pericolosi – confermò Remigio. – Qualcuno l’ha comprata illegalmente e poi, quando si è stufato, l’ha abbandonata senza pensare alle possibili conseguenze. Ma c’è di peggio! In questi anni abbiamo recuperato persino leopardi e puma! – Ma chi vorrebbe mai tenere un leopardo in casa? – esclamò Francesco esterrefatto. – Appunto, chi?! – gli fece eco la sorellina. – Molta più gente di quanta immagini… influenzata dalla moda del momento e dai film. E queste povere creature finiscono per essere trattate come oggetti. – Come fai a conoscere così tante cose sugli animali? – chiese Sara con ammirazione. Remigio rise divertito. – Dovete sapere, ragazzi, che vent’anni fa ero il gestore del giardino zoologico di Cuneo, che ospitava moltissime specie. Quando la struttura ha chiuso, ho trasferito qui gli individui superstiti, quelli che nessuno voleva più, gli ultimi degli ultimi, perché avessero una casa fino alla fine dei loro giorni. – E poi? – Poi abbiamo iniziato ad accogliere gli animali selvatici della nostra fauna, quelli feriti, per poterli curare e poi liberarli. Ma adesso venite con me, – aggiunse dopo un attimo di silenzio – venite a vedere con i vostri occhi quello che facciamo grazie all’aiuto dei nostri

volontari. – I volontari? – chiese Sara curiosa, seguendo l’uomo. – Sono persone appassionate che dedicano un po’ del loro tempo ai nostri animali, aiutando i veterinari a curarli, pulendo le gabbie e distribuendo il cibo. Inoltre, quando è possibile, ci danno una mano a liberarli in natura. Senza il loro prezioso aiuto, non ce la faremmo ad assistere gli oltre mille animali che soccorriamo ogni anno. – Allora da grande farò la volontaria! – annunciò la bambina decisa, portandosi le mani ai fianchi e provocando una risata generale.

Remigio mostrò al gruppo i box dove erano tenuti gli esemplari in convalescenza, caprioli, stambecchi, lepri, tassi, cinghialetti e tartarughe di vario genere, e raccontò la storia di alcuni di loro: per esempio quella della cerva Minerva che, malgrado avesse una zampa in meno, viveva felice da anni lì al centro, facendo le feste a tutti i visitatori. Poi incontrarono Gepu, Citina, Striscia e Ciccio, quattro bertucce salvate da situazioni drammatiche, per le quali erano state costruite due gabbie collegate con dei ponti sospesi. Infine visitarono le voliere, dove venivano riabilitati i grandi rapaci feriti. Qui, dopo le cure mediche del caso, poiane, astori, barbagianni, gufi comuni, persino i grandi gufi reali e le aquile venivano riabituati a cacciare e a volare per poter tornare liberi nei cieli. Remigio accompagnò i suoi ospiti anche nell’ambulatorio veterinario, dove un volontario stava imboccando con una pinzetta una piccola civetta: le dava ogni volta un pezzettino di carne, che il pennuto ingoiava rapidamente. Nella stessa stanza, una ragazza medicava la lunga ed esile zampa di un airone cenerino ferito. Francesco osservava silenzioso ogni dettaglio senza perdersi neanche una parola di “nonno Remigio”, che pareva conoscere ogni segreto di quelle creature. Il gruppetto si muoveva di qua e di là cercando di non fare rumore ed evitando di toccare gli animali per non spaventarli. Persino Sara evitava di saltellare come faceva sempre.

I volontari, spiegò loro Remigio, maneggiavano ogni paziente il minimo indispensabile, perché non sviluppasse un’eccessiva confidenza nei confronti dell’uomo. – Questa volpe, per esempio, – disse passando accanto a una grande gabbia – è stata presa da cucciola da una signora e ora è troppo addomesticata per poter tornare libera in natura. Finirebbe per cercare l’uomo, che per lei è fonte di cibo e di attenzioni, rischiando di fare brutti incontri o di finire sotto una macchina. Quella martora, invece, – aggiunse indicando un’altra gabbia – si è rinselvatichita malgrado abbiano cercato di tenerla come animale domestico, e presto potremo restituirla al suo ambiente. C’erano davvero tanti animali, ognuno con la sua storia particolare, e tante cose da fare al centro, un viavai continuo di persone con secchi e attrezzature mediche, cibo e quant’altro. Francesco non aveva mai visto tante creature diverse tutte insieme, né avrebbe mai pensato che occuparsi di loro richiedesse così tanto impegno. Massimo lo vide pensieroso e gli posò una mano sulla spalla. – Non è giusto! Perché l’uomo provoca così tanta sofferenza agli animali? – bisbigliò il ragazzo, senza riuscire più a trattenere le parole che lo tormentavano. Parlava osservando un falco che aveva perso un occhio e parte di un’ala a causa dei cacciatori e che per questo motivo era costretto a vivere in una voliera. – Ma ci sono anche persone come Remigio e come noi, – rispose l’amico per rincuorarlo – persone che cercano di rimediare agli errori degli altri aiutando queste creature innocenti. In quel momento il responsabile del centro li chiamò: – Massimo, vieni, per favore, c’è qualcosa che devo mostrarti –. E si avvicinò a una piccola gabbia. Al suo interno Francesco notò i musetti di due creature che ben conosceva… – Sono due ricci! – esclamò. – Ma sono… strani! Sono diversi da Ninna… sono bianchi! – Sono ricci africani, – spiegò Remigio – non sono delle nostre parti. Vengono allevati e poi venduti come “animaletti da compagnia”

tra le tante cavie, criceti e scoiattolini esotici di cui purtroppo è pieno il mercato degli animali. – Sono loro quelli di cui mi hai parlato al telefono? – domandò il veterinario. – Quelli a cui vorresti trovare una buona sistemazione, giusto?

– Esatto. Ogni anno qui ci prendiamo cura di molti ricci feriti, e la maggior parte, una volta curata, può tornare in natura. Loro, invece, essendo una specie esotica, sono destinati a una vita in cattività fino alla fine dei loro giorni, anche se sono perfettamente sani. – È molto triste… – mormorò Lisa. – Non ha senso che un riccio italiano sia considerato selvatico e uno africano no! Che differenza ci può mai essere? – chiese il ragazzo arrabbiato. – Non molta, in effetti, – ribatté Remigio – anche loro se ne vanno in giro alla ricerca di insetti da sgranocchiare muovendosi nell’oscurità della notte, solo che lo fanno nelle praterie del Nord Africa. L’unica vera differenza è che sono un po’ più piccoli e non vanno in letargo. – Potrei pensarci io – intervenne Massimo. – Come ti avevo accennato, mi piacerebbe collaborare con voi e occuparmi dei ricci. E poi… – aggiunse scompigliando i capelli a Francesco – ho già un infermiere.

– Sarebbe fantastico! Come sai, abbiamo sempre bisogno di aiuto – rispose entusiasta Remigio stringendogli la mano e facendo l’occhiolino al ragazzo. E così fu deciso. L’ospedale di Massimo sarebbe diventato a tutti gli effetti una sede distaccata del Centro Recupero Animali Selvatici della provincia di Cuneo, dedicata alla cura e alla riabilitazione dei ricci. I due esemplari africani, due femminucce, ne avrebbero fatto parte. Le portarono a casa quel pomeriggio stesso e, dopo un acceso dibattito in macchina su quali fossero i nomi più adatti a loro, le battezzarono Cip e Ciop.

Quella notte Francesco ebbe un sonno agitato. Sognò di trovarsi in un grande bosco ai piedi delle montagne, come quelle che aveva ammirato a Bernezzo, circondato da animali. C’erano caprioli e cervi, stambecchi e volpi, tassi e leprotti, faine e poiane, aironi e ricci, moltissimi ricci. Tutti lo guardavano con occhi supplicanti e pieni di paura. Non sapeva perché, ma sentiva che erano in pericolo. Li udiva piangere, squittire, cinguettare, ognuno con il suo verso gli chiedeva aiuto e lui non sapeva cosa fare. Si svegliò di soprassalto, completamente sudato, e si mise a sedere ansimante. Era solo un incubo, certo, ma il ragazzo sentiva davvero nel cuore il richiamo di quelle creature, la loro fragilità, il loro bisogno di libertà. La mattina dopo, finita la colazione, si precipitò da Massimo. Dopo quel sogno aveva bisogno di sentirsi utile, di fare qualcosa di buono. Trovò l’amico indaffarato. Aveva già dato da mangiare a Piccina, le aveva pulito la gabbia e adesso stava trafficando con assi e pannelli. – Anche tu mattiniero! – lo salutò quando lo vide arrivare. – Stavo iniziando a costruire il recinto per Piccina in giardino. Credo che mi ci vorrà tutto il giorno. Che dici, mi dai una mano? Il ragazzo accettò. – E oggi pomeriggio dovrebbe arrivare l’occorrente per costruire una grande gabbia per Cip e Ciop. Purtroppo loro dovranno rimanere

in casa, perché non possiamo rischiare che con l’arrivo del freddo autunnale prendano un colpo d’aria. Massimo e Francesco lavorarono tutta la mattina e nel pomeriggio anche mamma Lisa si unì a loro. Aveva lasciato Sara ad aiutare i nonni nell’orto, ed era venuta a dare una mano. Piccina ebbe così il suo nuovo grandissimo recinto in giardino che esplorò felice, mentre per le riccette africane venne preparato un alloggio di tutto rispetto con plexiglass ai lati e una rete sopra. – È bello avere dei volontari come voi – disse Massimo. – Sono fortunato. – Siamo noi a esserti grati, – rispose Lisa prendendo la mano del figlio – perché ci dai la possibilità di aiutare queste creature. – E anche di conoscere persone come Remigio – aggiunse Francesco stringendo più forte la mano della madre. Quel giorno un altro pezzetto del suo cuore gelato si era sciolto…

UN GIARDINO PER LE FARFALLE

Le farfalle non sono solo belle e colorate, ma sono soprattutto importanti per l’impollinazione di diverse piante. Pensa che alcune orchidee possono essere impollinate solo da questi insetti! Nel mondo ci sono centosettantamila specie di farfalle, ma negli ultimi decenni il loro numero si è dimezzato! La causa? La riduzione e il degrado degli ambienti naturali, l’uso di pesticidi nei campi, l’impoverimento della varietà di piante in zone montuose e l’utilizzo dei diserbanti, che eliminano erbe e piante spontanee fondamentali per questi insetti. Come possiamo aiutarle? Puoi preparare un piccolo giardino con piante adatte alla nutrizione dei bruchi, e altre ricche di nettare per il nutrimento delle farfalle adulte.

Trovi i semi giusti nei vivai specializzati. I bruchi amano erba medica, finocchio e carota selvatica, nasturzi, trifoglio e ruta. Ma anche pruni e biancospini. Le farfalle adulte, invece, prediligono lavanda, lino, erba cipollina, fiordaliso, papavero della California, achillea, sambuco, verbena, alisso, primula, viola, zinnia e ortica. COSA FARE

scegli un’area vicino a un piccolo specchio d’acqua, pozze di fango per bere e sassi su cui riposare e pianta i semi lì. IN GIARDINO:

Vanessa atalanta

metti i semi in alcuni vasi. “PUNTO RISTORO”: fai bollire quattro parti d’acqua e una di zucchero fino a ottenere una soluzione abbastanza densa che, una volta raffreddata, potrai porre in un sottovaso o in un piattino con dentro una pietra per far posare le farfalle. Lascia questa miscela dolce all’aperto e vedrai accorrere i lepidotteri! SUL TERRAZZO:

Sfinge colibrì

Tra le farfalle che potresti vedere nel tuo giardino le più comuni sono il Macaone, dalle grandi ali gialle e nere, la Vanessa io, con quattro macchie variopinte sulle ali rosse, la Vanessa dell’ortica, dalle ali arancioni bordate di azzurro e nero, la Vanessa atalanta, neraarancio, la piccola Icaro blu, con le ali tutte azzurro-violetto, la Colia e la Cedronella, dalle ali verde chiaro, e la Sfinge colibrì, che nel volo ricorda appunto questo piccolo uccello.

Cedronella

Vanessa io

Wild Life Protection

L’estate stava ormai scivolando via, tra le cure ai ricci, un bagno al fiume e una passeggiata sotto le stelle. Un’estate diversa da tutte quelle che Francesco aveva trascorso finora. La prima a Novello, la prima lontano da suo padre, la prima senza i campus urbani a Torino che di solito frequentava dopo la fine della scuola. La prima in cui si era sentito davvero utile! Doveva ammetterlo: il tempo era volato da quando aveva lasciato la città e anche se l’idea di cominciare la nuova scuola lo metteva in agitazione, sentiva di aver conosciuto persone veramente speciali in quei pochi mesi trascorsi a Novello: Massimo e sua madre Franca, Susanna e Matteo, Remigio… tutte persone che gli avevano fatto vedere il mondo in modo diverso, con il cuore anziché solo con gli occhi. Assorto in questi pensieri, il ragazzo si incamminò verso casa di Massimo. Negli ultimi giorni il veterinario era un po’ preoccupato perché le due nuove arrivate, Cip e Ciop, non mangiavano abbastanza. Malgrado la grande gabbia e le cure, le sorelline africane erano piuttosto svogliate. Ma Francesco sapeva che Massimo poteva essere molto convincente, ed era certo che il problema si sarebbe risolto presto. Infatti, quando arrivò a casa dell’amico, lo trovò più tranquillo: le “ragazze”, come le chiamava lui, avevano finalmente ripreso a mangiare.

– Chi la dura la vince – disse Massimo con un sorriso sollevato. – Dopo tanti tentativi ho trovato la pappa che fa per loro! – Forse dovevano solo abituarsi al cambio di casa. – Forse. In effetti, trasferirsi non è sempre facile. E tu ne sai qualcosa! Francesco alzò le spalle, non amava scherzare su quelle cose, tantomeno parlare della sua situazione e della sua vita passata. Massimo se ne accorse e cambiò argomento: – Che ne dici di portare anche Ninna stasera alla nostra passeggiata serale? – Ninna? Ma non è pericoloso? Potremmo perderla! – Credo che il suo bel recinto a casa di mia mamma cominci a starle stretto. Sono passato stamattina, all’alba, e lei mi guardava con quegli occhietti vivi e curiosi, come se mi stesse chiedendo di portarla a scoprire il mondo. – Capisco. Potremmo usare una torcia per controllarla mentre va a esplorare… – suggerì allora il ragazzo. – Certo! Inizieremo a liberarla all’interno del giardino e vediamo cosa fa!

Quella stessa sera, puntuale, Massimo si presentò a casa di Francesco e trovò Sara in preda a una piccola crisi. – Voglio andare anch’io a fare la passeggiata con Ninna! – sbraitava la bambina a gran voce pestando i piedi. – No, tesoro, è troppo tardi per te – cercava di calmarla Lisa. – Ma io voglio vedere Ninnaaa! – Facciamo così, – si intromise Massimo, dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con la madre – uno dei prossimi giorni andiamo tutti a trovare Ninna da mia mamma. Le dirò anche di fare la torta che ti piace tanto, ok? Sara smise di piangere, ma provò a contrattare: – E poi possiamo andare a trovare anche Piccina e Cip e Ciop a casa tua? – Certo! – E posso dare io da mangiare alle riccette? – Sara, non esagerare, non è un gioco! – intervenne Lisa. – Lo sai

che è meglio che i bambini non tocchino quegli animaletti, non sono giocattoli. – Lo so benissimo, mamma, cosa credi? – Se vuoi, – disse il veterinario – puoi mettere tu le crocchette nel piattino, poi io lo sistemerò nella loro gabbia. Così siamo sicuri che i ricci non si spaventino. – E va bene! Ma quando sarò grande… – Sì, sì, quando sarai grande potrai aiutare Massimo con i ricci – la interruppe la madre sorridendo. – E anche Remigio! – Certamente. Adesso lascia andare Massimo e Francesco, altrimenti torneranno a casa troppo tardi. – Alle dieci? – domandò il ragazzo avviandosi. – Va bene, ti aspetto per le dieci. Buona passeggiata e salutateci Ninna!

La riccetta li aspettava agitata nel recinto, come se sapesse già del loro arrivo. Anche Franca era uscita per salutarli ma, nonostante l’invito del figlio, preferì non partecipare alla passeggiata. Aveva capito che quello era un momento speciale, tutto loro, in cui sentirsi parte della natura che li circondava, e lei non voleva interferire. Massimo aprì il cancelletto. Ninna rimase un attimo timorosa sulla soglia, poi uscì, con il nasino che fremeva avidamente. Un filo d’erba dietro l’altro, cominciò ad annusare tutto, curiosa, illuminata dalla torcia di Francesco che non le toglieva gli occhi di dosso. Ma a lei sembrava non importare. Ispezionò ogni angolo del giardino, scavando e raspando nei punti che le parevano più promettenti. A un tratto si mise a masticare qualcosa. – È una chiocciola! – disse Massimo. – Sì! Una lumachina. Mi sembra che le sia piaciuta! – disse il ragazzo. Lasciarono che Ninna scegliesse la sua strada, limitandosi a seguirla, attenti.

Quando la piccola si fermò davanti al cancello del giardino guardando bramosa verso l’esterno, i due amici rimasero per un attimo indecisi. Alla fine si scambiarono un’occhiata d’intesa e le aprirono anche quel varco, lasciando che la riccia si incamminasse lungo la stradina sterrata che si perdeva tra prati e colline.

Ninna procedeva tranquilla, con quella sua andatura trotterellante, fermandosi ogni tanto a sgranocchiare un insettino o un’altra lumachina per poi sputacchiarsi addosso, impiastricciandosi di saliva e resti di cibo. Francesco sorrise tra sé e sé, ricordandosi della prima volta che l’aveva vista fare così e di quanto aveva riso… com’era cresciuta Ninna da quel giorno, quanta strada avevano fatto insieme! Ninna scoprì un lombrico mezzo fuori e mezzo dentro la morbida terra, e poi uno scarabeo che se ne andava per il prato al chiarore della luna. – Come fa a trovarli così facilmente al buio? – chiese Francesco. – È questione di naso! I ricci hanno un olfatto straordinario.

– E ci vedono bene? – No, la loro vista è abbastanza scarsa, ma compensano con un udito molto fine che gli permette di sentire le vibrazioni di un lombrico fino a mezzo metro sotto terra – spiegò il veterinario. – Incredibile! Arrivarono a un grande prato ai margini del bosco e Ninna, euforica, si addentrò nell’erba per poi fermarsi a ispezionare. Francesco e Massimo si sedettero a poca distanza sotto due magnifici pioppi. Alti e slanciati, parevano tenere insieme cielo e terra. Due silenziosi guardiani della natura che si spingevano verso la luna, piena e luminosa. Il ragazzo chiuse gli occhi per un attimo, in silenzio. C’era una grande pace tutto intorno e si udivano solo i rumori degli animali: i gufi e le civette con i loro richiami, i pipistrelli che fendevano l’aria, le rane che gracidavano. Riaprì gli occhi cercando Ninna. La vide ferma tra l’erba. – Credo che per oggi possa bastare, – disse Massimo – come primo giorno le abbiamo fatto fare un bel giro! – Già, forse è un po’ stanca. – Non so lei, ma io sì! – Idem! Riportarono Ninna da Franca, poi Massimo accompagnò Francesco a casa. – Ci vediamo domani? – gli chiese salutandolo. – Domani è il mio compleanno… – sussurrò il ragazzo dopo un attimo di esitazione. – Davvero? Ma è meraviglioso! Perché non me lo hai detto prima? Dobbiamo festeggiare! – Non lo so… non so se ho voglia di festeggiare… – disse Francesco abbassando lo sguardo. – Capisco. Ma se vuoi possiamo trovarci a mangiare una fetta della supertorta di mele di mia mamma! Tanto l’ho già promesso a tua sorella. E non vorrei mai deludere la piccola Sara, altrimenti… – disse fingendo di essere spaventato. Funzionò.

– Va bene, – disse il ragazzo in un tono più allegro – ci vediamo domani.

La mattina seguente Francesco venne svegliato dalle grida euforiche di sua sorella che entrava in camera. – Auguri, fratellone! – urlò Sara saltando sul letto. – Auguri, auguri, auguri! Francesco la ringraziò e scese con lei in cucina per la colazione dove lo aspettavano la mamma e, a sorpresa, anche i nonni. Lo abbracciarono allegri per festeggiarlo, ma Francesco si divincolò. Nell’aria c’era qualcosa che non andava, qualcosa di strano. Erano tutti troppo nervosi, come se gli stessero nascondendo qualcosa. – Pensavamo di trascorrere una giornata speciale oggi, e ti abbiamo organizzato una bella sorpresa… – disse nonna Ida. – Una grigliata in giardino! Potremmo invitare anche il tuo amico Massimo, sono sicura che gli farebbe piacere. – Lui non mangia carne – ribatté Francesco sempre più sospettoso. – Be’, ma che c’entra? – aggiunse nonno Luciano. – Possiamo preparare anche verdure, formaggi… – Oggi è una giornata speciale – aggiunse la mamma. – Dieci anni! «Mmm… dove vuole arrivare?» si chiese Francesco diffidente. – E… insomma, mi sembrava bello invitare anche qualcun altro – aggiunse Lisa. Francesco guardò la madre aggrottando la fronte. – Lui ci teneva molto, e sai… – continuò lei – ho pensato che sarebbe stato importante per entrambi. – Lui chi? Importante cosa? – si spazientì il ragazzo. – Be’, che oggi ci fosse tuo padre! – disse la mamma tutto d’un fiato. – NO! – urlò a quel punto Francesco. Ecco cosa c’era sotto! – Ma, Francesco, è tutta l’estate che lo eviti… non credi di stare esagerando? «Esagerando io? Dopo tutti i litigi a cui ho assistito e dopo che mi hai portato via da casa mia, adesso sono io che esagero?» si disse

stringendo i pugni. – NO! – ripeté senza esitazione. – Non voglio vedere papà. Lui ha deciso di rimanere a Torino, e a Torino resti! – Ma amore… – Non chiamarmi “amore”! Tu puoi decidere di non parlargli più e io invece sono obbligato a farlo? Perché? Sara si spaventò e iniziò a piangere buttandosi tra le braccia della nonna. – Francesco, non urlare così con tua madre! – intervenne il nonno per cercare di calmare le acque. – Mi avete detto che oggi per me è una giornata speciale: ecco, quello che voglio fare nella mia giornata speciale è andare da Massimo e dai ricci! – Ma Francesco… Il ragazzo corse di sopra incurante dei richiami di mamma e nonni, si vestì in fretta e furia e in un attimo fu fuori di casa. Lisa rimase in cucina e non tentò di fermarlo. A Francesco sembrò di sentirla singhiozzare, ma non volle darci peso. In giardino gli venne incontro Bibi, abbaiando per fargli le feste. Francesco si fermò ad accarezzarlo, lui in fondo non aveva nessuna colpa, poi riprese la sua fuga con le lacrime che gli scendevano lungo le guance e la rabbia che lo faceva tremare. Quando Massimo aprì la porta di casa, il ragazzo capì che sapeva già tutto. Sua madre doveva averlo chiamato e per un attimo temette che l’amico lo rimandasse indietro. Invece lo abbracciò in silenzio. – Posso restare? – chiese Francesco con un filo di voce. – Certo, quanto vuoi!

Francesco si occupò a lungo dei ricci senza dire una parola. Aveva bisogno di silenzio per calmarsi e non pensare a suo padre. In verità avrebbe voluto vederlo, solo che non era pronto a farlo, e l’idea che gli venisse imposto lo mandava su tutte le furie. Si sentiva come se a nessuno importasse veramente di quello che provava lui. A un tratto suonò il campanello di casa e Francesco guardò il

veterinario preoccupato: erano venuti a prenderlo? I due amici aprirono la porta e si trovarono davanti una donna in compagnia di quattro ragazzi. Tre dovevano avere più o meno l’età di Francesco mentre il quarto era un po’ più grande. Francesco notò che erano emozionati ma sorridenti, come la donna. Indossavano tutti una maglietta uguale, con sopra la scritta Wild Life Protection. – Buongiorno, Massimo, sono Monica – salutò la donna. Lui la guardò con aria interrogativa. – Forse non si ricorda, – continuò lei – l’ho chiamata qualche giorno fa per sapere se potevo venire con i miei figli e due loro amici a vedere i ricci. – Ah, sì, certo! – esclamò allora Massimo. – Mi scusi l’intrusione, ma i ragazzi ci tenevano molto e volevano darle… una cosa. Francesco notò che l’amico veterinario era un po’ perplesso. Non gli aveva riferito niente della telefonata con la donna, ma lui sapeva che non amava esporre i ricci agli estranei come fossero trofei né vantarsi per quello che faceva con loro. Era una persona riservata e voleva proteggere le creature di cui si prendeva cura. Tuttavia fece spazio e lasciò che Monica e i ragazzi entrassero. – Io sono Stefano, – si presentò quello più grande – lui è mio fratello Giulio e loro sono Umberto e Vittoria, due nostri amici. Abbiamo fondato un’associazione che si chiama Wild Life Protection, che si occupa di salvaguardare l’ambiente. Malgrado la timidezza iniziale, si vedeva che erano tutti e quattro orgogliosi di far parte del gruppo. – Piacere, ragazzi – disse Massimo. – Lui è Francesco, un mio grande amico e aiutante. Cosa posso fare per voi? Cosa volete sapere? – Ci hanno detto che lei si occupa dei ricci feriti – disse Giulio. – E di quelli molto piccoli che hanno perso la mamma – aggiunse Vittoria. – Sì, è vero, – confermò il veterinario – è iniziato tutto alcuni mesi fa, quasi per caso, e ora abbiamo già quattro riccette di cui occuparci. E siccome ho iniziato da poco una collaborazione con un altro centro, penso che ne arriveranno presto altri da aiutare.

– Infatti, – disse Stefano – per questo pensavamo che magari potremmo darle una mano. – Grazie, – rispose Massimo confuso – al momento bastiamo Francesco e io… ma vi terremo senz’altro in considerazione per il futuro. Francesco provò un attimo di gelosia all’idea che Massimo potesse prendere con sé nuovi aiutanti, ma se ne vergognò subito. Se fossero arrivati altri ricci, ci sarebbe stato bisogno di altri volontari, era giusto per il bene degli animali. – Non intendevo questo… – si spiegò meglio Stefano. – Volevamo farvi una donazione! – Cosa? – fece Massimo esterrefatto. – Sì… – continuò il ragazzo. – L’anno scorso abbiamo creato un museo di fossili, e utilizziamo le offerte che le persone ci lasciano durante le visite per aiutare le associazioni e i centri che si occupano di animali. – Abbiamo aiutato il David Sheldrick Wildlife Trust, – intervenne Umberto – che in Africa si occupa di soccorso e riabilitazione degli elefantini orfani. – E abbiamo adottato a distanza un’elefantina – precisò Vittoria. – Poi abbiamo sostenuto un’associazione della Nuova Zelanda che lavora per la salvaguardia degli uccelli kiwi – disse Giulio. Francesco era davvero ammirato. Lui non conosceva neanche l’esistenza di quelle associazioni. Poi Stefano allungò una busta a Massimo, che la prese ancora un po’ confuso. – Sono per i ricci, – disse il ragazzo – per le medicine, il cibo e tutto ciò che le serve per l’avvio del suo centro. Quello che fa è molto importante per la fauna selvatica e noi vogliamo contribuire. – Io… non so che cosa dire… Come posso ringraziarvi? –. Il veterinario era colpito e commosso da quel gesto. – Potreste venire a vedere il nostro museo! – disse Vittoria. – Oggi pomeriggio siamo aperti. – Mi sembra una bellissima idea! – rispose Massimo. – E tu, Francesco, cosa ne pensi?

Il ragazzo sorrise. – Se ti va, – disse allora Giulio rivolto a lui – potresti far parte del nostro gruppo. Ci troviamo per scrivere articoli di scienza e animali sul nostro blog e per sistemare il museo. Da poco abbiamo anche una fototrappola e vorremmo posizionarla qualche giorno nei boschi per vedere cosa accade di notte. – Una fototrappola? –. Francesco non sapeva esattamente cosa fosse. – Sì, una macchina fotografica speciale che scatta quando qualcosa o qualcuno passa davanti al sensore. Una vera e propria “trappola fotografica” che cattura l’immagine degli animali del bosco. – Forte! – esclamò Francesco. – Allora ci contiamo! Vi aspettiamo nel pomeriggio! – dissero in coro gli altri. I ragazzi e Monica chiesero di vedere per un attimo Cip, Ciop e Piccina di cui, neanche a dirlo, si innamorarono subito, e poi se ne andarono. Quando furono di nuovo soli, Francesco notò che Massimo era strano. – Cosa c’è? – gli chiese preoccupato. – Sono veramente commosso dal gesto di quei ragazzi – disse lui asciugandosi una lacrima. – Avrebbero potuto tenere quei soldi per comprarsi qualcosa per loro, che so, un videogioco, un pallone, un telefonino, e invece li hanno dati per i ricci! – Già… – assentì Francesco – sono stati davvero generosi. – Un’azione così viene da un grande cuore e sono sicuro che dietro c’è molto di più. Sarei felice di andare a trovarli oggi. – Certo, ci andremo! – esclamò il giovane amico dimostrando più entusiasmo di quanto in realtà ne provasse. L’idea di avvicinarsi ad altri coetanei lo spaventava. Da quando si era trasferito a Novello, non aveva conosciuto nessuno della sua età.

Ma forse era giunto il momento di farsi coraggio, forse quello era un inaspettato regalo di compleanno che il destino aveva voluto donargli.

INVESTIGARICCIO

Hai la sensazione che un riccio visiti nottetempo il tuo giardino ma non sei ancora riuscito a vederlo? È il momento di mettersi alla prova e dimostrare di essere un buon detective! Ma come si fa a diventare uno Sherlock Holmes di ricci? Bisogna saper riconoscere tracce e indizi del loro passaggio e soprattutto avere pazienza!

1. SEGNI SULLA VEGETAZIONE: LA PISTA! I ricci sono abitudinari: percorrono sempre la stessa strada lasciando una scia di erba schiacciata che indica in quale direzione si sono spostati.

2. RESTI ALIMENTARI: GLI INDIZI! Durante i loro giretti notturni, i ricci mangiano in continuazione lasciando dietro di sé gusci rotti di lumache, parti di coleotteri o di altri animaletti. Scavano anche piccole buche nel terreno morbido per estrarre i lombrichi di cui sono ghiotti.

3. TRACCE SUL TERRENO: LA PROVA SCHIACCIANTE! L’impronta del riccio ha cinque dita allungate con unghie ben evidenti, ed è un po’ più piccola di quella di cane e gatto. L’impronta della zampa anteriore, lunga 3 cm e larga altrettanto, è più rotonda e corta di quella posteriore, lunga 4 cm e larga 2,5 cm. Le tracce sono rettilinee e le impronte mani-piedi possono sovrapporsi.

4. TRACCE ODOROSE: L’HA FATTA GROSSA! Un altro prezioso indizio del passaggio di un riccio sono le sue feci: cilindretti lunghi 3-4 cm e dal diametro di circa 1 cm (gli adulti), come dei piccoli sigari, di un colore nero brillante dovuto ai resti degli insetti.

5. LA TANA: IL COVO! I ricci sono animali solitari e amano farsi la tana sotto siepi e cespugli. Il nido vero e proprio è un cumulo di foglie secche, rametti ed erba intrecciati.

6. I SUONI: LE MINACCE! Quando un riccio si sente “scoperto” e in pericolo, si esibisce in una serie di soffi e sbuffi. Un segnale di avvertimento che significa:

“Stammi lontano”. Ma non sono gli unici versi di questo animale. Chiudi gli occhi e ascolta! Sniff sniff veloce: sta cercando il cibo. Scrach scrach: si sta grattando. Sgnam sgnam: sta sgranocchiando insetti o lumache. Fff fff: minaccia altri ricci. Tum tum: è il battito del suo cuore quando è molto agitato. Eeeeh eeeh (come il vagito di un neonato): è spaventatissimo o sente molto dolore. Smack smack (come uno schiocco della lingua sul palato): il maschio sta corteggiando la femmina. Piii piii (come il pigolio di un pulcino): il richiamo dei cuccioli. LA CAPANNA DI AVVISTAMENTO

Per osservare ricci e altri animaletti senza disturbarli ed essere visto, puoi costruire una semplice capanna, simile a una tenda indiana, con canne di bambù e una copertura (puoi usare una vecchia coperta, un telo o le fronde degli alberi). Posizionala a 5-6 metri dalla mangiatoia.

Museo Oceanografico Preistorico

Si avvicinava l’ora di pranzo e Francesco sentiva crescere la tensione. Chissà se suo padre era già arrivato… «In fondo, a me non importa» si disse. – Sei sicuro che non vuoi tornare a casa per il pranzo? – gli chiese d’un tratto Massimo vedendolo così pensieroso. – Sì… – disse il ragazzo a testa bassa – preferisco stare qui. – Ok, allora dovresti avvisare tua madre –. Digitò il numero per lui e gli passò il telefono. Francesco lo avvicinò riluttante all’orecchio e sentì la voce della mamma. Restò un attimo in silenzio mentre lei, che aveva riconosciuto il numero, chiedeva: – Massimo? Massimo, sei tu? C’è Francesco lì con te? – Sono io… – Francesco! Tutto bene? Vuoi che ti venga a prendere? – No… volevo solo dirti che resto qui. Nel pomeriggio andiamo a vedere un museo tenuto da alcuni ragazzi che abbiamo conosciuto oggi.

– Ma non vuoi neanche passare a salutare papà? È arrivato da poco e non si fermerà a lungo. Giusto per pranzo. Stasera deve partire per un lungo viaggio. – No… meglio di no. – Ah. Vuoi almeno parlargli? Lo vado a chiamare? È in giardino con Sara e… – No, mamma, non importa – la interruppe Francesco. – Ora devo andare. Ci vediamo stasera. Sentì la madre sospirare, ma non aspettò oltre e riagganciò. Restituì il cellulare a Massimo, che lo guardò preoccupato senza però dire nulla.

Nel primo pomeriggio Massimo e Francesco si recarono al Museo Oceanografico Preistorico che Stefano e Giulio avevano aperto a casa loro, in un paese vicino. Monica li accolse insieme ai suoi figli e a Umberto. – Sono felice che siate riusciti a venire, i ragazzi ci tenevano molto – disse. – Venite, il museo è sotto! – continuò Giulio scendendo una rampa di scale. La collezione era stata allestita nella grande taverna della casa ed era molto più impressionante di quel che Francesco si aspettava: decine e decine di campioni di varie dimensioni con tanto di bacheche, vetrinette, cartellini esplicativi e pannelli che descrivevano ogni pezzo, con il suo nome e l’età attribuita. – Una volta da queste parti c’era il mare – spiegò Stefano mentre Francesco osservava incuriosito il fossile di un grande mollusco posto sotto una campana di vetro. Molti, in effetti, erano fossili marini, soprattutto conchiglie, trilobiti, ricci di mare e piccoli pesci, ma c’erano anche pietre con resti di vegetali. – Abbiamo ammoniti del Giurassico (periodo dei dinosauri) che risalgono a centocinquanta milioni di anni fa, e poi trilobiti ancora più antichi, di trecento milioni di anni fa circa; pesci del Messiniano e

denti di giganteschi squali preistorici – continuò il ragazzo dimostrando una grande conoscenza.

– Siete preparatissimi! – disse Massimo impressionato. – Come avete trovato tutte queste informazioni? – Ci siamo documentati per circa sei mesi su Internet. – Solo sei mesi? – Sì, più o meno… – disse il ragazzo arrossendo. – E dove avete recuperato tutti questi reperti? – si informò il veterinario. – In realtà sono i fossili che hanno trovato noi! – rispose Giulio. – Sì, è vero: li ha collezionati nostro nonno nel corso di tutta la sua vita, era un appassionato – spiegò Stefano. – Alcuni li ha ereditati dal vecchio proprietario di questa casa, un alpinista che li ha trovati durante le sue scalate agli inizi del Novecento. Alla fine, però, i fossili sono finiti in alcune scatole nel nostro garage e sono stati dimenticati… – Finché un giorno, nostra madre, facendo ordine, li ha ritrovati e ci ha chiesto cosa volevamo farne. – Wow! Piacerebbe anche a me fare una scoperta del genere! Ma, in effetti, poi non saprei dove metterli… – disse Francesco. – Noi avevamo questa grande stanza… che prima era la sala riunioni di nostro padre… – disse Giulio abbassando lo sguardo. Francesco notò che il volto del ragazzo si era rabbuiato di colpo. – E come avete fatto a catalogarli da soli? – intervenne Massimo. – Abbiamo parlato con persone che sapevano come allestire un piccolo museo e, grazie all’aiuto dei nostri amici, eccoci qua! C’è anche una piccola collezione di semi che ha preparato mio fratello! – Incredibile! – disse il veterinario con sincerità. – Siete stati eccezionali! Vero, Francesco? – Sì, sì, assolutamente, e adesso capisco perché siete riusciti a coinvolgere così tante persone! – Ragazzi, che ne dite di andare in giardino a mostrare al vostro ospite la fototrappola di Umberto? – intervenne a quel punto Monica. – Sono certa che gli piacerebbe vedere come funziona e quali animali avete fotografato durante le vostre passeggiate. – Sì! Ti va? – Certo! – rispose lui seguendo di sopra i ragazzi.

Per spiegargli il funzionamento dell’apparecchiatura, dopo averla programmata, Stefano assicurò saldamente la fototrappola a un albero usando le cinghie. – Può fare foto o brevi video, – spiegò Umberto – e si attiva tramite un sensore di movimento. Così, vedi? –. E si mise a saltare in modo buffo davanti alla macchina fotografica, facendola scattare. – Di notte funziona con gli infrarossi e può catturare immagini anche se è completamente buio! – aggiunse Giulio. – Forte! – esclamò Francesco eccitatissimo. Altro che PlayStation… Fecero diverse prove, poi i ragazzi si spostarono al computer per mostrare a Francesco le foto e i video che avevano ottenuto lasciando la fototrappola nel bosco per alcuni giorni. Caprioli, cinghiali, volpi e perfino un solitario e schivo tasso erano stati immortalati nei loro giri notturni. – Credete che si possa fotografare anche un riccio? – Certo! Basta indirizzare l’obiettivo verso il basso, fissare la macchina in una zona dove sono di passaggio e avere tanta pazienza.

– Devo raccontarlo subito a Massimo, non resisto! Torno subito, ok? – Ok, dev’essere ancora giù nella taverna con la mamma.

Francesco scese di corsa le scale. Era euforico! Non solo aveva conosciuto dei ragazzi speciali che sarebbero potuti diventare suoi amici, ma aveva trovato un sistema per riprendere i ricci nel loro ambiente naturale. Inoltre era veramente elettrizzato all’idea di poter contribuire al blog della Wild Life Protection. I ragazzi erano così giovani eppure si documentavano e scrivevano come veri giornalisti scientifici! Lui non era mai stato molto bravo in italiano ma forse, chissà, pensava, scrivendo di animali viene fuori la passione.

Quando rientrò in taverna, vide il veterinario che parlava con Monica. – Sono sicuro – stava dicendo – che tuo marito sarebbe fiero di te. – L’associazione e il museo che hanno creato – disse lei con voce seria – è il loro modo per stare ancora con il padre anche se non c’è più. È insieme a lui che Stefano ha iniziato a scrivere il blog e ad appassionarsi agli animali. Francesco rabbrividì. Aveva capito bene? Parlava del padre dei due ragazzi? Doveva essere proprio così. Il ragazzo era impietrito e si spinse con la schiena contro il muro per non essere visto. Di colpo gli fu tutto chiaro… Cosa stava facendo? Suo padre era venuto a trovarlo a Novello e lui non era andato nemmeno a salutarlo. E se anche lui se ne fosse andato per sempre? Sentì la paura attanagliargli lo stomaco. Aveva lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento. Tornò di sopra con le gambe pesanti. Voleva andare a casa, così disse ai nuovi amici che non stava molto bene. I tre rimasero sorpresi, ma lo accompagnarono dalla madre e da Massimo. Monica, che aveva ancora gli occhi lucidi, salutò Francesco abbracciandolo stretto. – Ti aspettiamo, vieni quando vuoi! – Sì, – aggiunsero i ragazzi in coro – la prossima volta che andiamo a mettere la fototrappola devi venire con noi. Ci saranno anche gli altri e poi, se ti va, potresti scrivere qualcosa per il nostro blog. Un articolo sui ricci, ormai sei un esperto! Francesco sorrise. – Ne sarei davvero felice!

Massimo si era accorto che qualcosa non andava nel suo giovane amico. – Cos’è successo? – gli chiese quando furono soli in macchina. Lui esitò un attimo, poi ammise: – Vi ho sentiti. Ho sentito quello che avete detto del padre di Giulio e Stefano. – Capisco… – disse Massimo. – Ho pensato che anche mio padre potrebbe morire – disse il ragazzo tutto d’un fiato.

– Ma cosa dici? Stai tranquillo, Francesco! – No… non sto tranquillo. Lui è venuto da me e io sono scappato! – sbottò, quasi gridando. – Va bene… – cercò di calmarlo Massimo. – Ma forse non sei ancora pronto per parlare con lui. Per prima cosa devi fare pace con te stesso, devi perdonarti per essere così arrabbiato. La rabbia è un’emozione come un’altra, non la devi respingere, devi lasciare che passi. Il ragazzo chiuse gli occhi. – Portami a casa, per favore – disse soltanto.

Una volta arrivato, Francesco scese di slancio dall’auto senza guardarsi indietro. Poi si bloccò, si voltò e ringraziò l’amico. Entrò con il cuore che martellava nel petto, ma fu accolto dal silenzio. Suo padre non c’era più. In cucina era rimasta solo la mamma, che gli andò incontro. – È partito? – le chiese Francesco con un filo di voce. – Sì, già da un po’… – rispose Lisa. Francesco scoppiò a piangere, un pianto dirotto che aveva trattenuto da troppo tempo. – Mi dispiace… – disse singhiozzando – mi dispiace di non essere venuto. – No, – rispose sua madre – sono io a essere rammaricata per aver invitato papà senza prima chiedertelo. Abbiamo sbagliato a sottovalutare i tuoi sentimenti e il tuo dolore. I bambini vanno ascoltati! – Ma io non parlavo molto – rispose lui asciugandosi le lacrime. – È vero, – disse Lisa con gli occhi lucidi – ma noi genitori dovremmo capirvi senza bisogno delle parole. Anche se non è sempre facile. – No, neanche per noi è semplice capire voi grandi… Cosa devo fare adesso con papà? – Stasera deve andare all’estero per lavoro. Starà in Asia alcuni mesi. Se te la senti di chiamarlo, forse fai in tempo a salutarlo prima che parta.

Francesco annuì, e sua madre digitò il numero sul cellulare. Dopo alcuni squilli il padre rispose. – Vittorio? – fece Lisa. – Sì, lo so che stai per imbarcarti, ma qui c’è qualcuno che deve dirti una cosa – e allungò il telefono al figlio. – Pronto? Pronto? Francesco respirava forte. – Papà? – disse piano. – Francesco?! Francesco, sei tu? Che bello sentirti… – Mi dispiace, papà… – Non preoccuparti. Tornerò presto. E se vuoi al mio rientro mi porterai a conoscere i tuoi ricci! Francesco non riusciva a dire più niente. Mille emozioni lo travolsero. – Ci sei? Silenzio. – Ehi, Francesco? – Ciao… Non disse altro. Passò il telefono alla mamma e scappò via.

Un paio di settimane dopo, il temutissimo primo giorno di scuola arrivò. Sara e Francesco sarebbero andati alla scuola elementare del paese: classi 1ªA e 5ªA. Non che ci fossero altre sezioni a Novello… Lisa raccontò che ai suoi tempi avevano formato due classi per ogni anno, ma adesso i bambini erano sempre meno perché la maggior parte delle famiglie si era trasferita in città. Sara era emozionatissima e si sentiva orgogliosa di iniziare finalmente le elementari. – Sono diventata grande, mamma? – Un pochino – le rispose Lisa sistemandole sulle spalle lo zaino verde e giallo che lei aveva scelto. – Quindi adesso posso fare anch’io le cose che fa Francesco? – E che cosa vorresti fare? – Giocare con i videogiochi, tanto Francesco li usa poco ormai! E poi andare da Massimo ad aiutarlo con i ricci, ovviamente!

– Un po’ alla volta! Per i videogiochi sei ancora piccola, e anche per i ricci, temo. Lei sbuffò rumorosamente. Francesco, al contrario della sorella, era tutt’altro che tranquillo e come sempre, quando l’agitazione prendeva il sopravvento, si chiuse nel suo silenzio. Muto come un pesce. La mattinata tuttavia trascorse senza che lui quasi se ne rendesse conto. La sua nuova maestra, Ornella, fu molto gentile e comprensiva. Evitò di presentarlo a tutti tenendolo in piedi davanti alla cattedra come Francesco aveva visto fare in certi film e che nei suoi pensieri rappresentava il suo peggiore incubo - e si limitò a scrivere il suo nome alla lavagna. In classe erano solo diciotto alunni e, scrutandoli a uno a uno di sottecchi, Francesco decise che nessuno di loro aveva la faccia da bullo. Forse era salvo. La sua compagna di banco si chiamava Viola e aveva due enormi occhiali tondi sul naso e tantissime lentiggini. Quando le si era seduto accanto, lei gli aveva fatto un radioso sorriso di benvenuto e si era presentata stringendogli la mano. – Ben arrivato! Meglio di così…

Quando tornò a casa, a fine mattinata, Francesco trovò ad aspettarlo Massimo insieme a Lisa e Sara, che aveva finito prima. – Cosa ci fai qua? È successo qualcosa a Ninna o alle altre riccette? – No, no stai tranquillo! Avevo già in mente di passare a sentire come era andato il tuo primo giorno di scuola… Poi ho ricevuto una telefonata e ho pensato di invitarti a questa nuova “missione salvariccio”. – Eh? – Mi ha chiamato un cliente di una fattoria: il suo vicino di casa ha trovato un riccio ferito e devo andare a recuperarlo. – Mamma, posso accompagnare Massimo? – Sì, puoi andare! Ma cercate di non fare tardi, domani c’è scuola! – Mamma, e io? – chiese allora Sara supplichevole.

– No, tesoro, non è il caso. – Ma uffa! Non è giusto! – sbottò la piccola incrociando le braccia. – Però voi potreste andare a trovare Ninna, – le disse Massimo – mia madre sarà felice di vedervi, e anche la riccetta. – Sììì! – esplose Sara scatenando le risa generali. – Che cos’ha il riccio ferito? – chiese Francesco quando furono saliti in macchina. – È rimasto incastrato in un pezzo di plastica… – rispose Massimo. Francesco spalancò la bocca sbalordito. Non immaginava che anche un pezzo di plastica potesse essere pericoloso.

IL TUNNEL CATTURA IMPRONTE

I ricci sono animali notturni e riservati e non è facile incontrarli. In Inghilterra, però, hanno messo a punto uno strumento semplice ma ingegnoso per svelare il loro passaggio… Si tratta di un tunnel triangolare con una piastra rimovibile interna sulla quale sono posti un’esca al centro, due strisce d’inchiostro e altrettanti fogli di carta su cui il riccio lascerà le impronte delle zampette. Uno spuntino in cambio di un’impronta! Puoi farlo anche tu in giardino:

Recupera un foglio di materiale plastico leggero, tipo forex (circa 120 x100 cm), dividilo in cinque con una matita e tagliane una striscia che servirà da supporto al cibo e ai fogli: la piastra. Ripiega in quattro il foglio rimanente sovrapponendo due lati e formando il tunnel di 20 cm di larghezza. Fissalo. Sulla piastra disponi ai lati esterni due fogli A4 che vanno fissati con quattro clip, una per angolo. Aggiungi una striscia di scotch larga 8 cm ai due lati esterni della ciotolina di cibo per gatti, che metterai al centro. Con lo scotch fai un giro completo

attorno alla piastra e stendi l’inchiostro fatto per metà di olio vegetale e per metà di polvere di carbone. Inserisci la piastra all’interno del tunnel e fissala col velcro. Poni il tunnel in giardino lungo siepi o recinzioni, con le estremità libere da arbusti, e controlla ogni giorno per verificare la presenza di impronte. Buona fortuna!

COSA PUOI SCOVARE?

Riccio

Gatto

Puzzola

Faina

Scoiattolo

Topolino

Rospo

Donnola

Passero

Ghiro

Ratto o altri roditori

Pancino

La fattoria del cliente di Massimo si trovava nei pressi di un torrente e per raggiungerla dovettero inoltrarsi lungo una strada che si perdeva nei boschi. Non lontano dalla fattoria, proseguendo lungo lo sterrato, raggiunsero una casa di campagna. – Dev’essere qui – disse Massimo parcheggiando. Entrarono nel cortile e venne loro incontro un uomo alto, di mezz’età. – Buongiorno, siete qui per il riccio? – Sì, esatto. Lo ha trovato vicino al fiume? – Sì – disse lui facendoli entrare. – L’altra sera girava vicino al cumulo di rifiuti. L’ho notato perché si muoveva in modo strano… Poi però si è nascosto e non sono più riuscito a trovarlo. Ieri era di nuovo lì, immobile, tanto che pensavo fosse morto. Ma quando mi sono avvicinato, ha iniziato a tremare e ho visto che aveva qualcosa che gli legava la pancia. Volevo levarglielo, ma era così stretto che ho avuto paura di fargli male. – Dov’è adesso? – chiese Massimo. – Ve lo porto subito – disse l’uomo sparendo lungo il corridoio, per poi tornare con una scatola. Dentro, adagiato su un panno, c’era il riccio. Teneva la testa bassa e si muoveva appena. – Gli ho dato dell’acqua, – spiegò il padrone di casa – ma non sapevo cosa dargli da mangiare.

– Ci pensiamo noi, non si preoccupi, grazie per averlo raccolto! – Di niente… bisognerebbe sgomberare quel cumulo di rifiuti prima che sia troppo tardi. Massimo esaminò accuratamente il ferito e si accorse che un anello di plastica lo stringeva come una cintura, talmente forte da lacerargli la carne. – Dobbiamo fare presto – disse al suo giovane aiutante aggrottando la fronte. – Deve avere questo laccio da molto tempo. Più cresce e più rimane stretto in una morsa. Senti come respira male! Sembra quasi che stia per soffocare… andiamo, non c’è tempo da perdere! Saltarono in macchina. – Mentre guido, – disse Massimo preoccupato – tu tieni d’occhio il

riccio, vedi come sta, guarda se ti sembra peggiorare. I minuti non scorrevano mai, la strada sembrava interminabile, l’animaletto respirava sempre peggio… – Come va? – chiese dopo poco il veterinario con l’ansia che gli saliva in gola. Francesco teneva gli occhi incollati sulla bestiola. A un tratto vide che apriva la bocca, ansimando sempre più. – Massimo! – disse agitato. – Ha la bocca spalancata! Vuol dire che è peggiorato? – Oh, cavoli! È un brutto segno… Il veterinario premette sull’acceleratore. La strada era ancora lunga. – Tira giù il finestrino, – disse al ragazzo – fai entrare aria fresca! Lui obbedì, mentre sentiva Massimo brontolare tra sé e sé. – Accidenti alla plastica… – lo sentì dire. – È veramente un disastro per gli animali. Alla fine chi ci rimette sono sempre loro! Poi continuò ad alta voce: – Ecco, vedi? Il riccio intrappolato, pesci e uccelli che muoiono perché la scambiano per cibo… non si può andare avanti così! Ne è pieno il mondo, plastica ovunque… Guarda, guarda là, a bordo strada: uno spettacolo orrendo, tutto buttato lì come se fosse una discarica! Francesco era impressionato, non aveva mai sentito il suo amico così arrabbiato. Guardò anche lui fuori dal finestrino, lungo il fiume: uno spettacolo terribile, rifiuti ovunque. – Ma se gli animali la mangiano… – rifletté pensando ai pesci – allora anche noi la mangiamo! – Esatto! La plastica si frantuma in miliardi di pezzi microscopici e così alla fine la respiriamo, la ingoiamo, la beviamo… è tutto contaminato! Il ragazzo si sentì gelare. – Basta, non bisogna più usarla! – sbottò. – Non comprerò mai più una bottiglietta in vita mia! – Purtroppo non è così semplice, ormai la plastica è dappertutto e non è facile eliminarla. Però potremmo limitare lo spreco, usandone il meno possibile. Cominciamo da qui. Bisognerebbe far togliere dal commercio tutti gli oggetti che inquinano, come per esempio i sacchi

di plastica, le cannucce e i palloncini. – I palloncini? – si stupì Francesco pensando all’immagine allegra dei palloni colorati che svolazzano in mano ai bambini. – Già, quando un palloncino ti sfugge di mano, il vento lo spinge lontano, al mare, o in montagna, dove scoppia e cade in tanti pezzetti… che gli animali mangiano! E così muoiono fra atroci sofferenze. – Oh, non ci avevo mai pensato! – È questo il problema. Facciamo le cose senza tenere conto delle conseguenze. La macchina macinava chilometri nel buio della sera che ormai era calata. – Siamo quasi arrivati, Francesco. Il riccio è ancora vivo? – Sì, sì, è vivo! – rispose il ragazzo tirando un sospiro di sollievo. – Come respira? – Mi sembra male… ma si è mosso un pochettino. – Prova a toccarlo. Reagisce? Guarda se si chiude a palla come fanno quando vogliono difendersi… Francesco lo sfiorò appena col dito e vide che l’animaletto cercava di rispondere al suo tocco. – Si appallottola, cerca di chiudersi! Fecero l’ultimo pezzo di strada di volata. Forse non era tutto perduto. Arrivati in clinica, Massimo intervenne subito per cercare di salvare la vita al riccio. La bestiolina aveva l’aria disperata e sofferente, ma con un gemito muto si abbandonò. La situazione era grave, perché la plastica era entrata nei tessuti, lacerandoli. Ci volle molta pazienza e cautela, ma con l’aiuto di pinzette e piccole forbici il veterinario riuscì a recidere l’anello senza ferire ulteriormente l’animale. Lui reagì con un profondo respiro. Finalmente era libero da quella trappola! La sua espressione, da triste e sofferente che era, si rasserenò. Le palpebre, contratte dal dolore, si distesero e gli occhi si volsero all’uomo, come per ringraziarlo. In essi c’erano sollievo e gratitudine. Francesco vide la dolcezza di quello sguardo e improvvisamente capì

che il cucciolo accettava il loro aiuto, si affidava alle loro mani. In quel momento si sentì vicino a lui, con il cuore. Gli fece una leggera carezza, appoggiandogli delicatamente la mano sulla testolina. La bestiola non si ritrasse. Chiuse solo gli occhi, come se avesse capito che quello era un gesto d’amore. Il ragazzo sorrise a Massimo, che li osservava commosso. – Ha capito che lo stiamo aiutando! – disse mentre il riccio riapriva gli occhietti incrociando il suo sguardo. – Oh, sì! – rispose il veterinario. – Me lo dice sempre una mia amica esperta: i ricci, quando sono in difficoltà, spesso ritornano nel posto in cui sono stati curati la prima volta. Lei, che ne ha accuditi diversi, se li è ritrovati proprio davanti all’uscio di casa! Prese il piccolo e lo depose in una scatola. – La ferita è profonda – continuò – e gli ha causato un’infezione, ma adesso almeno è libero. Aveva l’addome così strizzato che gli era impossibile fare qualsiasi cosa… In più è sottopeso, deve aver sofferto la fame. – Povero pancino… – disse Francesco impietosito. – Come hai detto? – Pancino… Non potremmo chiamarlo così? – Mi piace. E a proposito di pancino, tra poco proveremo a dargli da mangiare, chissà come sarà affamato! Massimo aveva indovinato. Lo spinosetto aveva una gran fame, e si gettò subito sul cibo. I due si guardarono complici, con uno sguardo che esprimeva gioia e soddisfazione allo stesso tempo. Vedere la creatura stare meglio faceva sentire il loro cuore leggero. La sua salvezza era un altro piccolo miracolo. Raggiante, Francesco abbracciò Massimo, senza neppure rendersene conto.

Passarono i giorni e tutto sembrava procedere bene. Pancino aveva iniziato a mangiare e a mettere su peso. Improvvisamente, però, un sabato mattina lo trovarono in una posizione strana, con la matassa di

aculei contratti sulla schiena inarcata, come se il suo corpo si fosse irrigidito di colpo. Il ventre era gonfio. Cos’era successo? Massimo non capiva, non sapeva cosa fare. Francesco era preoccupatissimo. – Ecco! – disse il veterinario sconsolato. – L’abbiamo salvato dal pericolo di soffocamento per farlo morire di indigestione! – Come possiamo aiutarlo? – Provo a dargli un po’ di olio di vaselina per bocca, poi gli somministro un farmaco e lo massaggio per cercare di sgonfiargli la pancia, ma non so se servirà. Non ho mai visto nulla del genere… speriamo… Pensando che si trattasse di un problema dello stomaco, ogni giorno, per un mese, Massimo diede al riccio pappa liquida, frizionandogli il ventre e aspettando… in attesa di un miglioramento. Francesco, intanto, passava le mattine a scuola inquieto. Avrebbe voluto essere là, al centro, per aiutare Pancino. E invece doveva stare lì, a seguire le lezioni. Ascoltava, ma non sentiva. Viola, la sua compagna di banco, se ne accorse presto. – Cosa c’è che non va? – gli chiese un giorno, sistemandosi gli occhiali sul naso lentigginoso. Francesco non rispose. Non voleva parlarne, non se la sentiva di condividere dolore e preoccupazione, perché era convinto che nessuno potesse capirlo. Poi però guardò Viola negli occhi e si convinse: «Sì, di lei mi posso fidare» pensò. – E va bene – disse. – Sono preoccupato per un animale in difficoltà. Sta male da un po’ e non si capisce perché. – Che animale è? – Un riccio. Il mio amico veterinario lo sta curando. Ha appena aperto una specie di ospedale. – Forte! – esclamò Viola entusiasta. – Un centro per i ricci feriti? Ma è fantastico! Anche se mi dispiace per il riccio malato, ovviamente… Posso vederlo? Francesco era titubante, perché la sua amicizia con Massimo per

lui era unica e preziosa, e non voleva dividerla con altri. Non aveva mai portato nessuno da lui. Ma quella ragazzina era diversa. Forse per lei si poteva fare un’eccezione…

Quel pomeriggio stesso andarono al centro. – Lei è Viola – disse Francesco, presentandola. – E loro sono Cip e Ciop, Piccina e Pancino – aggiunse indicando le bestiole sparse nei vari spazi della casa. – Ninna, la prima del gruppo, è dalla mamma di Massimo in un recinto tutto per lei. – È questo il piccolo che non sta bene? – chiese Viola, studiando Pancino. – Esatto. È come se fosse… paralizzato! – Hai già capito cosa gli è successo? – domandò la compagna di Francesco a Massimo. – Non ancora… Però mi sembra che le cure gli diano un po’ di sollievo –. Così dicendo, lo prese con una mano e con l’altra iniziò a massaggiarlo, delicatamente. Pancino, che aveva le zampette spalancate come un ragno, sembrò rilassarsi un pochino. – Andrò avanti così finché sarà necessario – aggiunse Massimo determinato. Francesco ne era sicuro: il suo amico non si sarebbe arreso!

Ci vollero parecchie settimane, ma alla fine il riccio iniziò davvero a stare meglio. Nel frattempo Massimo, dopo aver consultato alcuni esperti in tutta Europa, scoprì finalmente qual era il problema di Pancino. – Ha la “sindrome di pop-off”! – La sindrome di cosa? – chiese Francesco perplesso. – È un problema del muscolo che i ricci utilizzano per arrotolarsi. A volte, dopo aver subito un trauma, com’è successo a Pancino con l’anello di plastica, questo muscolo si contrae e diventa rigido come un pezzo di legno. Normalmente ci vuole un intervento – spiegò Massimo. – Bisogna addormentare il riccio con un anestetico e

rimettere a posto il muscolo. Ma con tutti i massaggi che gli ho fatto, abbiamo risolto il problema lo stesso, anche se c’è voluto più tempo. – L’importante è che sia guarito – disse Francesco sorridendo. – E questo perché tu non ti sei dato per vinto! – Mai! Finché c’è anche una sola speranza, non bisogna mollare! Anzi, sai che ti dico? – fece Massimo mentre guardavano il cucciolo mangiare tranquillo. – Cosa? – Che la storia di Pancino la dobbiamo proprio raccontare. – A chi? – chiese sorpreso il suo giovane assistente. – A tutti! E anche quella di Ninna e delle altre riccette, e del centro dei ricci, così se qualcuno dovesse avere bisogno potrà contattarci. – Bello! – approvò Francesco. – E che cos’hai in mente? Un blog come quello dei ragazzi della Wild Life Protection?

– No, pensavo a qualcosa di più immediato, interattivo… tipo una pagina Facebook. – Giusto, quella ce l’hanno quasi tutti. Persino mia mamma! E

come la chiamerai? – Cosa? – La pagina! – Direi “Centro Recupero Ricci La Ninna!”. In onore della nostra prima riccetta. Voglio raccontare quanto sia bello e quanto faccia bene aiutare i più deboli e indifesi; vorrei che tutti imparassero a conoscerli, ad amarli e rispettarli!

E così fu. La pagina di Ninna andò online e giorno dopo giorno il suo pubblico di appassionati cresceva, rapito dai musetti dei ricci.

Il tempo passò. Un pomeriggio di novembre, Francesco andò da Massimo per il consueto saluto agli ospiti del centro che, al momento, erano stati portati tutti in casa, per affrontare l’inverno in un letargo protetto e controllato. Il vento autunnale aveva iniziato a soffiare tra le colline, facendo capire che il freddo sarebbe arrivato presto. L’aria umida odorava di muschio e di bosco. Entrando nella piccola cucina, Francesco trovò il veterinario assorto. – Massimo? – lo chiamò. – Vieni, – rispose lui senza neanche girarsi – devo raccontarti una storia. Il ragazzo si avvicinò incuriosito. – Guarda questa immagine… – disse indicandogli il monitor del computer. Francesco socchiuse gli occhi per mettere meglio a fuoco la fotografia, che era un po’ buia. Poi capì… e rimase senza parole.

KIT DI PRONTO INTERVENTO

Ti è mai capitato di trovare un animale selvatico ferito o in difficoltà? Cosa fare in questi casi? Innanzitutto… NO PANIC! Per prima cosa telefona al CRAS più vicino (ci sono tutti i numeri sul sito www.recuperoselvatici.it): potrebbero darti preziose informazioni sulle cure di primo soccorso. Ricorda che gli animali selvatici non possono essere detenuti e vanno affidati a personale competente. Ma quando soccorrere i ricci? Se li vedi girare in pieno giorno, se sono feriti, se barcollano o camminano a fatica, se sono sdraiati e non sono reattivi, oppure se li trovi che vagano in inverno, quando invece dovrebbero essere in letargo. Quelli più avventurosi che finiscono vicino a pericoli come grandi strade, tombini o trappole vanno spostati ma lasciati nella zona. Se ti imbatti in un nido, non toccare i piccoli anche se la mamma non è nei paraggi. Fallo solo se i cuccioli sono freddi, poco reattivi e circondati da mosche e formiche.

Cosa serve per soccorrere un riccio? Ecco il kit di pronto soccorso da tenere sempre con te in casa o in macchina:

uno scatolone in cui riporre il riccio

una copertina di pile

una boule dell’acqua calda, o una bottiglia da riempire all’occorrenza

un paio di guanti da giardiniere

una pila un rotolo di carta da casa

una ciotola bassa per l’acqua

un vasetto di miele

COSA FARE Quando incontri un riccio ferito, avvicinati in silenzio e con cautela, indossando i guanti per non pungerti. Coprilo con la copertina di pile e mettilo nello scatolone (sul fondo del quale avrai disposto la carta). Appena puoi, riempi la bottiglia di acqua calda e mettigliela vicino. Lasciagli a disposizione nella ciotolina un po’ d’acqua con una goccia di miele, non lasciare cibo a caso, perché non tutto è adatto ai ricci, e soprattutto non obbligarlo a mangiare. Mettilo in un posto tranquillo in attesa di consegnarlo ai soccorritori. Evita il fai-da-te e portalo subito in un centro specializzato.

Evita e Giulia

Francesco continuava a fissare l’immagine al computer. Era un selfie di una ragazza con grandi occhi neri, un viso acqua e sapone e un taglio di capelli cortissimo, da maschietto. Dietro di lei si intravedeva l’interno di un’auto. – Cosa vedi? – Una ragazza? – chiese Francesco, confuso. – Sì, lo è. – Chi è? Dall’espressione sembra molto preoccupata – chiese incuriosito. – Si chiama Evita… mi ha scritto un messaggio su Facebook ieri sera tardi. – Cosa ci fa in macchina, avvolta in una coperta? Massimo sospirò, abbassando la testa. – Temo che dorma lì. – Come mai? – chiese Francesco sbalordito. – Vive a Borbona, vicino ad Amatrice… hai presente? Dove c’è stato il terremoto poco tempo fa. La sua casa non è più sicura per via delle continue scosse. – Certo! Il terremoto! –. Francesco ricordava benissimo la sera in cui aveva visto al telegiornale il servizio che mostrava il paese raso al suolo. Parlavano di molte vittime. – Ma non capisco… – continuò – perché ti ha scritto? – Guarda! – disse Massimo aprendo un messaggio. – Leggi tu

stesso. Purtroppo io mi ero appisolato sulla scrivania dopo le ultime cure ai ricci, e l’ho visto solo stanotte… – Dottor Massimo, – dicevano le parole di Evita – scusi se la disturbo, ho appena trovato un riccio in mezzo alla strada, sotto un diluvio universale. È molto piccolo e quando mi sono avvicinata non ha nemmeno cercato di chiudersi. Mi è sembrato smarrito e infreddolito… Della mamma nessuna traccia. Non mi sono sentita di lasciarlo lì, così l’ho raccolto e tenuto con me. Cosa potrei dargli da mangiare? E una volta finito di piovere, lo posso liberare di nuovo? Resto in attesa di una risposta. Grazie. Il ragazzo guardò di nuovo la foto e sul sedile anteriore notò una gabbietta di plastica. – Vuoi dire che tiene il riccio là dentro? – Esatto! Ero così preoccupato di non aver risposto subito alla sua richiesta di aiuto… avevo paura che fosse troppo tardi. Invece poi mi ha scritto ancora. Le ho fatto molte domande sul cucciolo e le ho detto di tenerlo al caldo in casa… – E lei? – Lei mi ha scritto che non poteva… ma io non riuscivo a capire. Alla fine mi ha mandato questa foto. Francesco lo guardava con aria interrogativa. Massimo ingrandì l’immagine. Adesso lo sguardo di Evita aveva un senso. – Continua a leggere – aggiunse. Il ragazzo proseguì: – Ha cominciato a fare freddo la sera, ma io non mi sento sicura a dormire in casa, potrebbe crollare tutto, come è già successo ad altri che conosco. Ci sono ancora scosse molto forti che fanno tremare i muri. A volte mi sveglio spaventata con il cuore a mille, come se stesse per scoppiare. Sembra che il soffitto debba venire giù da un momento all’altro. La macchina è più sicura. Ogni sera però devo fare un giro per scaldare l’abitacolo prima di infilarmi nel sacco a pelo… L’altra notte stavo facendo il solito percorso sotto una pioggia torrenziale, quando all’improvviso ho notato qualcosa in mezzo alla strada e ho inchiodato, proprio all’ultimo momento. Per poco non lo investivo! Sono scesa sotto l’acqua e mi sono avvicinata. Era un piccolo riccio, magro e solo. Vederlo così mi ha fatto compassione e ho deciso di aiutarlo.

– Povero piccolo… – singhiozzò Francesco. – Stanotte ha fatto passare il filo elettrico di una stufetta dalla cucina di casa attraverso il finestrino dell’auto per scaldarsi un po’ di più – disse il veterinario indicando nella foto un cavo che si perdeva nel buio. – Come sta, ora, il riccio? – Quando l’ha trovato era in stato di shock; sembrava più morto che vivo, mi ha detto. Le ho scritto di portarlo subito da un veterinario e di mandarmi una foto. Massimo aprì un’immagine sullo schermo. – Ma è minuscolo! – disse Francesco guardandola. – Sì, e anche magro… Probabilmente è nato tardi, ma in queste condizioni non può andare in letargo e superare l’inverno, qualcuno dovrà prendersene cura. Un bip segnalò l’arrivo di un nuovo messaggio. – Eccola! È lei che mi ha scritto. – Cosa dice? – domandò Francesco, ansioso. – L’ha portato in un ambulatorio per animali esotici. Le hanno

detto che il riccio sta bene, ma è denutrito. Pesa solo centoventicinque grammi ed è una femminuccia. L’ha chiamata Giulia, come la veterinaria che l’ha visitata. – Giulia… che bel nome! E cosa farà con lei? Dove staranno? – Scrive che cercherà di arrangiarsi in qualche modo. Sai, Francesco? – disse Massimo. – Cosa? – Questa ragazza ha un cuore grande.

Evita e Massimo si scrissero ogni giorno per tutto il mese. Il veterinario aveva cara la sua storia e cercava di assicurarsi che lei e la riccetta stessero bene. La ragazza portava Giulia sempre con sé alle riunioni di Amatrice 2.0, un’associazione di giovani del posto che cercava di raccogliere fondi e beni di prima necessità. La bestiola aveva suscitato subito simpatia e tenerezza, diventando in breve la mascotte del gruppo. La sua voglia di vivere infondeva coraggio e speranza a tutti. «Se Giulia ce l’ha fatta,» ripeteva spesso Evita «possiamo farcela anche noi!» La riccia non mollava e Massimo e Francesco combattevano al suo fianco. Era una cosa bella in mezzo a tanta tristezza. Piano piano la piccola aveva iniziato a riprendersi e lei e la sua salvatrice erano diventate inseparabili! – Quando vado al bar a fare colazione, o da qualsiasi altra parte, parcheggio sempre in modo da poterla tenere d’occhio – scrisse Evita un pomeriggio a Massimo. – Non mi piace lasciarla sola, ho sempre timore che le succeda qualcosa. Lo so che sembra strano, ma in questo momento io vivo per lei… occuparmi di Giulia mi dà la forza per andare avanti. Ogni volta che leggevano i suoi messaggi, Massimo e Francesco si sentivano sempre più vicini a lei, ma non sapevano come aiutarla davvero. C’era così tanto da fare che ci sarebbero voluti molto tempo e molto lavoro perché la gente di Amatrice riuscisse a risollevare la testa. Un giorno, mentre il suo giovane aiutante era lì con lui, Massimo ricevette un nuovo messaggio disperato di Evita: – Ho paura! Ci sono

state di nuovo forti scosse. Non ho un posto dove andare, né una vita ormai, a parte Giulia. Mi sento così sola… Era troppo. Massimo prese il telefono e la chiamò. – Perché tu e Giulia non venite a stare qui per qualche tempo? – le propose. – Almeno fino alla fine dell’inverno, così la riccetta starà al caldo e al sicuro durante il periodo del letargo e tu anche. In primavera potrai tornare giù e liberarla. – La tua è davvero una proposta gentile, – rispose lei commossa – ma non posso accettare… – Ma perché no? – incalzò lui. – Avrai uno spazio tutto tuo in casa e in più potrai aiutarci ad accudire i ricci… Se chiedi alle guardie della forestale, sono certo che ti daranno un permesso per portare qui Giulia. – Non posso, Massimo, davvero. Ti ringrazio, sei molto caro, ma prima di tutto io devo occuparmi delle persone qui… Massimo e Francesco rimasero in silenzio. – Come facciamo a convincerla? – chiese il ragazzo. – Non lo so… ma penso che se lei venisse a raccontare la sua storia, riuscirebbe a coinvolgere molte persone. Sono certo che tanti, ascoltandola, vorrebbero contribuire alla sua causa. – E credi che potrebbe parlare anche di come ha salvato Giulia? – Assolutamente sì! Porta con sé un bellissimo messaggio di amore e altruismo: Evita, che pure era in grave difficoltà, ha trovato la forza di aiutare chi era più bisognoso di lei. E questo ha fatto un gran bene a tutte e due! Sai, – aggiunse Massimo – ho pensato di organizzare una festa di beneficenza prima di Natale per presentare il centro… Potrebbe essere l’occasione giusta per avere Evita come ospite d’onore. – Forte! Il “Riccio Day”? – chiese Francesco entusiasta. – Esatto. L’idea piacque a Evita che, anche se dubbiosa, si convinse. Far conoscere la sua storia anche altrove avrebbe potuto essere di aiuto a tutti, ricci compresi.

Qualche giorno dopo, Massimo e Francesco aspettavano trepidanti. Con loro, per dare il benvenuto a Evita, c’erano Lisa e Sara. Neanche Viola aveva voluto mancare. Sempre più spesso, ormai, passava il suo tempo libero con Francesco e lui era contento di condividere le cose importanti con una persona positiva e tranquilla come lei. Era ormai buio, quando dalla finestra della cucina videro una vecchia utilitaria fermarsi davanti alla casa di Massimo. Una giovane donna dai capelli neri cortissimi si sporse dal finestrino cercando di leggere il nome sulla porta. Era lei! Uscirono tutti per accoglierla. La ragazza rimase per un attimo sorpresa. Poi realizzò che quel gruppetto era lì per lei. – Ciao a voi, – disse timidamente con un forte accento romano – credo stiate aspettando me. Sono Evita! – Ciao! Io sono Massimo e loro sono Francesco, Sara, Viola e Lisa. Sarai stanca, parcheggia ed entra in casa! – In effetti ho guidato per settecento chilometri e mi si è anche rotta la macchina a metà strada… Per fortuna ho trovato un meccanico gentilissimo e disponibile che l’ha aggiustata immediatamente, anche se è un giorno festivo. – Dov’è Giulia? – chiese Sara avvicinandosi all’auto e sbirciando dal finestrino. – È qua accanto a me! – esclamò Evita indicando il trasportino sul sedile del passeggero. – Ma in realtà non è sola… – Come? – C’è anche Paolo! – e mostrò una seconda gabbietta. – Sì, Evita mi aveva avvisato, – disse Massimo – ma non vi ho detto nulla. Volevo che fosse una sorpresa! Credo proprio che avremo un ospite in più. Una volta in casa, al caldo, i ragazzi vollero subito fare conoscenza con i nuovi arrivati. Mentre Evita si accingeva a riempire le ciotole di crocchette e di acqua, un nasino corto e affusolato fece capolino da sotto il pile, annusando qua e là. – Che begli occhi vispi che ha! – esclamò Viola. – E com’è cicciottella! – aggiunse Sara.

– Eccola là! Ha già sentito l’odore della pappa! Pensa solo a mangiare – disse scherzosamente Evita. – Non ha nemmeno patito il viaggio, ha dormito tranquilla per tutto il tempo… e guarda invece che pasticcio ha fatto Paolo! – aggiunse. – Butta sempre le sue ciotole all’aria, è un tipetto nervoso! – Domani li metteremo in due gabbie più grandi e confortevoli – intervenne il veterinario. Una volta sistemata e rifocillata, Evita raccontò ai nuovi amici la sua storia. – Qualche giorno prima di partire, in piena notte, nel giardino di casa ho sentito i miei cani abbaiare, erano agitati e ho capito subito che avevano trovato qualcosa. Uno di loro, infatti, teneva in bocca un riccio. – E cosa hai fatto? – chiese Sara, rapita dal racconto. – L’ho subito liberato dalle fauci del cane e ho scoperto che era un altro cucciolo, più o meno come Giulia, e che era leggermente ferito. Ma era tardi ormai, così l’ho messo in macchina, in un’altra scatola, sperando che riuscisse a superare la notte. – E poi? – Il giorno dopo l’ho portato dal veterinario: mi ha detto che le ferite per fortuna erano superficiali. – Sono contenta che tu sia venuta qua! – le disse Sara in un impeto di affetto. Evita le sorrise illuminando per un attimo il suo viso stanco. Francesco, come sempre, aveva preferito rimanere in disparte ad ascoltare. Quanto dolore doveva aver provato quella ragazza e quanta paura!

Più tardi, Massimo e Francesco si ritrovarono in cucina a bere una tisana prima di salutarsi. Evita riposava già nella stanza più grande, sul divano letto di fronte al caminetto ancora acceso. Nelle gabbiette posate su un tavolino di vetro accanto a lei, Paolo e Giulia si godevano il loro pasto. Si respirava un’atmosfera di serenità.

Massimo si avvicinò alla finestra, lo sguardo perso sulla vallata brulla ricoperta di brina, gli occhi lucidi. – Cosa c’è? Sei triste? – domandò Francesco. Lui si girò: – Stavo pensando che oggi ho ricevuto un bellissimo regalo di Natale, anzi, il migliore che potessi desiderare… – Quale? – Sapere che Evita e i due riccetti non sono più al freddo e in pericolo ma, al contrario, finalmente al sicuro, protetti e al caldo, mi riempie di gioia – disse commosso. – Credo che tu abbia ragione… – aggiunse Francesco sentendo un calore nel petto. – È proprio un bel regalo!

Dopo giorni e giorni di allerta e di momenti di batticuore per la paura, Evita poté finalmente trascorrere una notte serena. Quando si svegliò, la mattina dopo, Massimo le fece trovare un’abbondante colazione e le presentò i ricci del centro, a uno a uno. Giulia e Paolo sarebbero rimasti isolati dagli altri, in quarantena, per non rischiare di passare ai loro “cugini” qualche malattia o viceversa. Di loro si occupava esclusivamente la ragazza. Ben presto Evita divenne un aiuto prezioso per il centro e Francesco era entusiasta della sua presenza. Lei gli raccontava della sua terra e dei suoi amici, dei suoi cani e anche del terremoto. – Una catastrofe come quella che abbiamo vissuto – gli confidò un giorno mentre insieme pulivano e sistemavano le gabbie – ti lascia il segno. In un attimo ho perso casa, amici e lavoro. La mia vita è cambiata per sempre… – Sei stata molto coraggiosa – affermò il ragazzo non sapendo bene cosa dire, un terremoto era davvero una cosa più grande di lui. – E hai salvato Giulia e Paolo, senza di te non ce l’avrebbero fatta! – Oh, io ho sempre raccolto dalla strada qualsiasi creatura in difficoltà – rispose lei. – Mi rende felice e mi fa pensare meno ai miei problemi. La campanella alla porta suonò. – Aspettate visite? – chiese Massimo andando ad aprire.

– Noi no! – risposero in coro Evita e Francesco. Chi poteva essere? Il veterinario spalancò la porta e si trovò davanti Bruno, il suo amico fotografo, con una donna. – Ciao! Ti presento Amedea, giornalista – disse lui. – Ti ricordi che ti avevo promesso un articolo sul centro? Eccoci. Massimo tacque, colto di sorpresa. – Siamo qui in veste ufficiale. Abbiamo saputo che stai ospitando una giovane della zona di Amatrice, che ha salvato un riccio. Vorremmo intervistarla e raccontare la sua storia. E poi scriveremo del tuo ospedale. Massimo li fece entrare. Era un po’ in soggezione, ma l’idea di dare voce ai più deboli lo entusiasmava. Sapeva che se molte persone fossero venute a conoscenza delle difficoltà di questi animaletti, avrebbero potuto dare un grande aiuto. Forse era addirittura la soluzione per salvarli dall’estinzione.

Qualche giorno dopo, mentre Francesco se ne stava ancora in pigiama in cucina con sua madre, qualcuno bussò alla porta. Quando andò ad aprire, si trovò di fronte Viola. Non ebbe il tempo di salutarla che fu travolto dalle parole della compagna di classe, che agitava un quotidiano: – Hai visto? Hai già visto il giornale di oggi? – urlò levandosi la lunga sciarpa rossa e il cappello di lana. – Massimo è sul giornale! Guarda! – Calmati, Viola! – disse Francesco cercando di farle abbassare la voce. – Non ho capito niente! Parla piano, mia sorella sta ancora dormendo. – Cos’è successo? – intervenne Lisa. – Cos’è tutta questa agitazione? – Chi è sul giornale? – si intromise Sara entrando in sala con il suo orsetto in mano e strofinandosi gli occhi. – Massimo! E i ricci, ed Evita! – Fa’ un po’ vedere… – disse Francesco strappandole la pagina di mano. – San Francesco dei ricci, – lesse – il veterinario di Novello che salva i ricci in difficoltà ospita una ragazza di Amatrice. E ci sono anche le foto!

Guarda qua, c’è anche lui con Evita! – Dai, vieni, andiamo subito a dirlo a Massimo! – incalzò Viola. – Certo! Dammi cinque minuti e sono pronto!

Fu solo l’inizio. Nei giorni seguenti, grazie all’articolo, altri giornalisti si interessarono alla storia di Evita e Giulia. L’entusiasmo per la ragazza e la piccola riccia divenne ben presto virale. Fu persino allestita una diretta con il centro durante una trasmissione di un’importante emittente nazionale. Evita e Massimo non erano certamente tipi da palcoscenico, ma sapevano che la pubblicità avrebbe portato benefici sia ai ricci sia alle persone di Amatrice. E arrivò anche il giorno del tanto atteso “Riccio Day”. Francesco, Massimo e i ragazzi della Wild Life Protection avevano preparato una splendida festa con la partecipazione di musicisti, ballerini, giocolieri e perfino un mago. Il salone del cinema dove si teneva l’evento era tutto addobbato con tantissime foto e decorazioni a tema. C’era anche una bancarella ricca di gadget. Una ragazza travestita da riccio girava per la sala truccando i bambini e regalando piccoli origami degli animaletti. Il veterinario aveva organizzato un bellissimo video su Ninna e gli altri piccoletti ospitati al centro. Aveva parlato di loro con tale emozione e trasporto da far piangere tutti. Poi fu la volta di Evita, il cui racconto andò dritto al cuore dei partecipanti. Il pranzo, rigorosamente vegano, era stato allietato da una divertente tombola. L’evento fu un grande successo e tutti quanti tornarono a casa entusiasti. – Ho deciso che una parte del ricavato della festa andrà all’associazione Amatrice 2.0 e userò il resto per pagare le spese del centro – disse Massimo, quando l’evento fu terminato. – Sono contenta – rispose la ragazza abbracciandolo. – Non so come ringraziarti, è merito tuo se potrò mandare questo contributo alla mia gente.

– No, – ribatté lui – è merito del tuo coraggio. A volte l’incontro con un riccio può cambiare la vita, e io ne so qualcosa!

Venne Natale, imbiancando le Langhe e il Monviso. Quella mattina i nonni di Francesco si erano presentati presto per aprire i regali assieme ai nipoti. Il ragazzo trovò sotto l’albero un binocolo e una bussola per le sue escursioni con i nuovi amici e ne fu felicissimo. Sua sorella, invece, un peluche a forma di riccio. – È stupendo! – esclamò la bambina. – Lo chiamerò Ninna! – Be’, certo, non esiste un nome più bello per un riccio! – disse il fratello divertito. – Quando torna papà dall’estero? – chiese all’improvviso Sara con la voce rotta. – Tra qualche mese – rispose Lisa abbassando lo sguardo. Non era la prima volta che suo padre si assentava per lunghi periodi, pensò Francesco, ma a Natale c’era sempre stato… – È triste, senza di lui… – disse Sara. – Già… – intervenne suo fratello per consolarla – ma più tardi andiamo da Ninna! – Massimo ci aspetta a pranzo da sua mamma, con Evita e suo cugino Franci – intervenne Lisa. – Evviva! – esultò Sara. – Un Natale con i ricci!

Rientrarono a casa solo a tarda sera. Francesco salì le scale sbadigliando mentre sua madre metteva a letto la piccola Sara, già nel mondo dei sogni. Quando aprì la porta della sua camera, notò subito qualcosa: sul letto c’era un grosso pacco avvolto in carta color oro con

un bel nastro rosso attorno. Si avvicinò, emozionato e perplesso allo stesso tempo. Accanto al regalo vide una lettera. Sulla busta c’era scritto solo: da papà. Francesco avrebbe voluto aprirla ma non ci riuscì. Paura, rabbia, ansia e mille altre emozioni lo assalirono tutte insieme impedendogli di fare qualsiasi cosa, annientando anche la sua naturale curiosità di ragazzo. Prese il pacco e la lettera e li ficcò nel cassetto sotto il suo letto. In fondo. E li lasciò lì.

LO STAGNO

L’acqua è fonte di vita. Per questo creare una zona umida nel nostro giardino è utile per attirare molti animali: insetti, anfibi, uccelli e piccoli mammiferi come i ricci, che potranno dissetarsi soprattutto nei mesi più caldi. La presenza di uno stagno darà vita a un habitat ideale alla sopravvivenza di specie oggi in pericolo a causa del clima sempre più caldo e secco.

COME SI FA 1. DELIMITA E SCAVA

Delimita una zona in piano (minimo 2 m di diametro), con terreno morbido, non roccioso, vicina alle piante ma non troppo. Inizia a scavare nel mezzo e utilizza la terra che togli man mano per fare il bordo. Le pareti devono avere una pendenza lieve e la zona centrale una profondità maggiore (non meno di 30 cm). 2. IMPERMEABILIZZA, COPRI E FISSA

Metti sul fondo stracci, asciugamani o sacchi di juta. Ricopri con un telo impermeabile con dimensioni maggiori del perimetro dello stagno. Metti altri stracci e sopra butta la terra formando uno strato sottile. Al centro, metti della ghiaia per tenere fermo il tutto. Con pietre larghe e piatte o mattoni pieni, fissa il perimetro del telo sulla sponda e poi ricoprili con la terra formando un argine non troppo alto. 3. RADICA LE PIANTE E RIEMPI D’ACQUA

All’interno puoi mettere alcune piccole piante acquatiche (iris, ninfee, oronzio acquatico...), sul bordo semina qualsiasi tipo di erba, pianticella palustre, cannuccia o fiore… scegli tu! A questo punto riempi d’acqua. Attorno allo stagno aggiungi dei paletti con dei nastri

colorati per segnalarne la presenza.

L’uomo che pianta gli alberi

I primi giorni di gennaio Evita decise di ripartire per Borbona. La notizia colse tutti di sorpresa. – Ma devi proprio andare via? – le chiese afflitta Sara quando lei comunicò la sua scelta. – La mia famiglia ha bisogno di me – rispose Evita accarezzandole il viso dolcemente. – Mia sorella sta per laurearsi e desidera tanto che io sia con lei quel giorno. E poi mio padre non sta molto bene. Sono un po’ preoccupata, preferisco andare a controllare di persona. Inoltre la signora a cui ho affidato i miei cani non può più tenerli. Insomma, non ho alternativa! – Come farai con Giulia e Paolo? – intervenne Francesco. – È presto per liberarli, fa ancora molto freddo. – Già, c’è un sacco di neve dalle mie parti! Ma terrò i ricci con me al caldo, ormai penso di poter rientrare in casa, la situazione è più tranquilla. A primavera li libererò nel bosco dietro il mio giardino, sono sicura che si troveranno bene. – Non hai paura che ci siano altre scosse? – le chiese Francesco. Lei lo guardò dritto negli occhi. – Sì, – rispose – ma quella è casa mia, la mia terra, dopo un po’ il richiamo è troppo forte per resistere. – Un po’ come per i ricci feriti che, una volta guariti, vogliono tornare liberi? – chiese Sara. – Una cosa del genere – rispose Evita. Il giorno della partenza, a salutarla c’erano solo Massimo e Francesco. Evita aveva preferito così, per non correre il rischio di emozionarsi troppo.

– Stai attenta, ok? – le disse Massimo abbracciandola. – Te lo prometto! – E manda notizie! – Sì, ci scriverai? – le domandò allora Francesco lottando per trattenere le lacrime. – Certo! – rispose lei con gli occhi lucidi. Mentre la macchina si allontanava dal paese, il ragazzo sentì una lacrima scivolare sulla guancia. Evita gli sarebbe mancata moltissimo.

L’inverno trascorse lento a Novello. I ricci del centro erano in uno stato di semi-letargo e si svegliavano solo una o due volte alla settimana per mangiare, così c’era un po’ meno da fare. Massimo e il suo giovane amico scrivevano a Evita quasi ogni giorno per assicurarsi che lei, Giulia e Paolo stessero bene. C’erano state altre piccole scosse e si erano preoccupati, ma per fortuna non si erano verificati danni. La ragazza mandava loro qualche foto dei riccetti e della sua vita laggiù. Una volta si era trovata così tanta neve davanti alla porta che per poter rientrare in casa aveva dovuto spalarla. Nell’immagine che aveva inviato a Massimo era ritratta con la vanga in mano, davanti a un cumulo bianco più alto di lei! Alla fine, la primavera arrivò, a Novello come a Borbona, coprendo i pendii di primule e viole, e i ricci cominciarono a risvegliarsi lentamente e con una gran fame! Anche nei boschi gli animali avevano ripreso le loro attività e le piante a sbocciare. «È il periodo più bello dell’anno» pensò Francesco guardandosi attorno mentre lui e Viola si recavano a casa di Massimo. «Non so come ho fatto a non rendermene conto prima… In città le stagioni sembrano quasi tutte uguali.» – Sono tornate le rondini! – gli disse l’amica in quel momento indicando col dito alcuni uccellini dal dorso scuro e il ventre chiaro. Quando arrivarono dal veterinario videro che era già sulla porta. – Che succede? – gli chiese Francesco. – Mi hanno appena chiamato. Un uomo ha trovato un riccio malandato nella sua legnaia in un paese dell’Alta Langa. Pare che sia

molto magro e debole. Devo andare a vedere. Francesco insistette per accompagnare Massimo, così, salutata Viola, partirono in direzione di Cortemilia. La strada fu un susseguirsi di paesini circondati da filari e filari di viti con piantagioni di nocciole che avevano sostituito boschi e pascoli. A mano a mano che procedevano verso l’Alta Langa, però, i vigneti lasciarono di nuovo il posto alla boscaglia. Lì tutto era più vero, più naturale. Prima di raggiungere il borgo, la macchina deviò su una stradina che si arrampicava su per la collina e che presto si inoltrò in un bosco sempre più fitto. Lassù sembrava un mondo a parte. A un tratto, in mezzo alle fronde degli alberi, apparve una cascina, completamente circondata da piante e fiori. – Wow… – si lasciò sfuggire Francesco – pare di stare in un orto botanico, ci sono piante di tutti i tipi! Il bosco qui è talmente fitto che sembra incantato. – Hai ragione – aggiunse Massimo, che aveva accostato l’auto e si guardava intorno ammirato. Ferruccio, il signore che aveva trovato il riccio, li stava già aspettando. Era un uomo in piena salute, che trasmetteva saggezza e serenità interiore. – Grazie di essere venuti – li salutò. – Scusate se non vi ho avvertiti personalmente, ma non ho il cellulare. Sono un tipo d’altri tempi e non amo molto la tecnologia. Per fortuna mia moglie ha i piedi nel presente e possiede uno di quegli apparecchi. Ma se non stiamo attenti tra un po’ tutta questa roba moderna prenderà il sopravvento. Venite, entrate in casa, accomodatevi. Massimo e Francesco lo seguirono all’interno dell’abitazione. Il mobilio era semplice, l’atmosfera calda e accogliente. Si accomodarono attorno a un grande tavolo di legno grezzo, mentre l’uomo andava a prendere il riccio. Tornò con la bestiola in una scatola di cartone. Alla prima occhiata Massimo capì subito il problema. – Questo riccio è giovane e malnutrito – disse. – È probabile che sia nato a fine estate e che non abbia fatto in tempo a raggiungere il peso

giusto per affrontare al meglio il letargo. – Infatti, mi sembrava piccoletto – rispose Ferruccio. – Si aggirava da alcuni giorni intorno alla mia casa, barcollante e senza energia. Quando l’ho trovato nella legnaia era sfinito. – Gli somministrerò una flebo, ma ci vorranno tempo e cure perché si riprenda. Comunque, con una buona terapia tornerà a mangiare e crescere. – Bene, dottore, allora sono più tranquillo. Nei prossimi giorni devo andare su in montagna e non me la sentivo di partire lasciandolo qui. – Ah, la montagna! Piacerebbe anche a me staccare qualche giorno, – sospirò il veterinario – ma con i ricci che escono dal letargo è un momento impegnativo. Dove va di bello? – In Val Varaita, la conoscete? Francesco fece cenno di no con il capo. Era andato raramente in montagna e non sapeva neanche dove fosse quella valle. – Io la conosco – disse Massimo. – Da bambino ci sono stato tante volte con i miei genitori. – Dovreste venirci un giorno, – continuò Ferruccio – è un posto mistico e ancora quasi incontaminato, non come qui nelle Langhe. Pensate che c’è addirittura una grotta che in passato era abitata dagli uomini della preistoria. Al suo interno c’è un’apertura nella roccia attraverso la quale si vede il Monviso, stupendo, sembra una finestra sulla montagna! Ma non c’è solo la grotta, ci sono boschi verdissimi e intricati, delle vere e proprie foreste dove vivono moltissimi animali. – Ma questo magnifico posto – chiese poi Massimo indicando fuori dalla finestra – lo cura lei personalmente? Sono rimasto veramente colpito da questo verde così… vivo! – Il giardinaggio e la cura dei boschi sono la mia vita – rispose Ferruccio con orgoglio. – Mia moglie dice che preferisco le piante alle persone, e forse è vero. È per questo che vado in Val Varaita a fare rifornimento! – Rifornimento? – Sì, di giovani piante. Ho un grande terreno boscato lassù, dove gli alberi crescono facilmente e in salute, ma a volte troppo fitti. Così

tolgo alcune piante e le sposto, le metto da altre parti. – Qui nel suo terreno? – Sì, ma non solo. Ovunque si possa e dove vedo segni di degrado. E qui nelle Langhe ce n’è tanto… Ma venite con me – disse l’uomo avviandosi verso la porta di ingresso. Quando furono fuori, Ferruccio mostrò a Massimo e Francesco i suoi alberi. – Vedete? Questo è un giovane faggio, – spiegò indicando un alberello – l’ho piantato lo scorso autunno. E quest’altro è una farnia della Val Varaita. Mi ci è voluta una vita per far crescere tutte queste piante e passo la maggior parte del tempo a prendermene cura. – Fantastico! Piacerebbe anche a me piantare gli alberi! – disse Francesco. – Se avete un posto adatto, sarei ben felice di aiutarvi! Venite in montagna, prendiamo le piante che servono e poi le andiamo a sistemare. – Grazie, Ferruccio, lo faremo senz’altro, anche perché ho un’idea… ma adesso è meglio se andiamo a occuparci del riccetto!

In macchina Francesco interrogò l’amico veterinario. – Qual è la tua idea? – chiese. – Che curioso! – rispose lui scherzando. – Non ti si può nascondere niente! – Non sarà un segreto? – No, non è un segreto… – E allora? – insistette il ragazzo. – Ho comprato il Paradise! – esclamò Massimo ad alta voce scandendo bene le parole. – Cooosaaa?! Ma è meraviglioso! –. Francesco era euforico. – La casa vicino a quella di Susanna? – Esatto! Con tutto il terreno! – E cosa hai intenzione di farci? – Sicuramente quando sarà il momento libereremo lì Ninna… e anche gli altri ricci. È un posto perfetto per loro. E poi in futuro

vedremo… Mi piacerebbe farlo diventare davvero un’oasi per i selvatici, la vera sede del centro. – E Ferruccio cosa c’entra? – Gli alberi non mancano al Paradise, ma credo che qualcuno in più ci starebbe bene. Rincasarono che era ormai buio. Con le cure di Massimo il giovane riccio cominciò subito a riprendersi. Era davvero debilitato a causa di una malattia parassitaria e del lungo inverno, affrontato con risorse troppo scarse. Il veterinario aveva spiegato a Francesco e Viola, che era venuta a conoscere il nuovo arrivato, che a causa del riscaldamento globale spesso i ricci hanno una seconda cucciolata a fine estate. I piccoli, però, hanno davanti poco tempo per mettere su il peso necessario per poter andare in letargo. Per questo capita di trovarli a girare affamati in pieno inverno. I cambiamenti del clima mettono sempre più in difficoltà sia animali sia uomini. Nel frattempo, Massimo e Francesco si erano accordati con Ferruccio per andare a prelevare le piante. Sarebbero saliti loro tre soli, mentre Lisa con Sara e l’immancabile Viola li avrebbero raggiunti al Paradise, pronte per ripiantare gli alberelli. Anche Monica, insieme a Giulio e Stefano, aveva deciso di dare una mano. Quella domenica partirono di mattina presto col furgoncino di Ferruccio. Francesco era emozionato per la nuova avventura e non stava più nella pelle. Entrarono nella Val Varaita e presero una valletta laterale, impervia, che si snodava in mezzo ai boschi. Da lì iniziarono a inerpicarsi per una mulattiera, mentre cominciava a piovigginare. L’atmosfera era quasi irreale. Continuarono a salire. La valletta, dapprima stretta, si andò allargando e a mezza costa già si intravedeva un paesino, o almeno ciò che ne restava, quasi completamente ingoiato dalla vegetazione. – Dove l’uomo non tocca, la natura si riforma da sola, non ha bisogno di niente – dichiarò Massimo. La vegetazione si era ripresa ciò che era suo e la valle ormai abbandonata pullulava di vita.

– Ecco, – disse Ferruccio – c’era gente. Mentre, adesso, solo il silenzio. Questa valle era coltivata, ora ci sono solo piante. I due osservavano il villaggio fantasma, mentre nella loro mente riecheggiavano i passi perduti, i richiami, le voci di un tempo… sembrava di sentire ancora le grida dei bambini nella piccola scuola abbandonata, ora avvolta da una selva. Più in là c’erano alcune vecchie baite, Ferruccio ne indicò una. – Vedete quella là in fondo? – domandò. – La prima volta che ci entrai, tanti anni fa, rimasi letteralmente scioccato; aperta la porta, vidi un cerchio di persone intorno al camino acceso, e dietro c’era il pagliaio con capre, mucche, polli… insomma, si dormiva tutti sotto lo stesso tetto. Gli uomini passavano il tempo a raccontarsi le storie fino a tardi, c’era vita a tutte le ore del giorno e della notte. Anche al buio c’era chi camminava e chi girava tra le case. Si era ugualmente felici, anche se si aveva meno, e si passava molto più tempo insieme aiutandosi l’un l’altro per i lavori in campagna. Fu durante una di quelle veglie che sentii parlare per la prima volta del lupo. – Lupo?! – saltò su Francesco. – Eh, sì. In questa vallata c’erano i lupi. – Ma non ci sono più, vero? – Per un po’, no, non ci sono più stati, li avevano sterminati tutti. Ma adesso, con l’abbandono delle montagne, la zona si è ripopolata. Il ragazzo rabbrividì. Guardò giù nella conca e vide salire la nebbia, mentre la pioviggine diventava più fitta. Raggiunsero una radura e Ferruccio parcheggiò il veicolo. Appena mise piede a terra, Francesco fu colpito dall’incredibile silenzio che c’era tutto intorno, un silenzio nuovo, a cui non era abituato, era un po’ come essere in un sogno. Si incamminarono lungo un sentiero di montagna, inoltrandosi nel bosco. Gli unici rumori che si percepivano erano il peso dei loro passi e il frusciare delle chiome al vento. Sembrava quasi di attraversare un varco nello spazio e nel tempo, per ritornare indietro, nel passato. Francesco non poteva togliersi dalla mente la figura del lupo… lo immaginava acquattato a spiarli, gli occhi di brace, le zanne luccicanti proprio come nelle favole. Poi le parole della loro guida lo fecero

sussultare. – Ecco, – disse l’uomo – l’ho visto proprio qui, in questa zona, il lupo. Il ragazzo si guardò intorno. Anche la luce stava calando, era ormai pomeriggio inoltrato. Massimo disse che bisognava sbrigarsi, perché la pioggia si stava infittendo. I sacchi di juta che si portavano appresso cominciavano a bagnarsi. Arrivarono alla faggeta e, per un attimo, Francesco distolse il pensiero dal lupo. – Ma a cosa serve togliere le piante da qui per metterle altrove? – chiese. – Vedi? – rispose Ferruccio. – Qui sono troppo fitte per poter crescere tutte bene. Noi diamo loro una nuova vita. Adesso fate attenzione: scegliete piantine dritte, infilate la vanga nel terreno in modo da estrarre le radici con tutta la zolla attorno, poi mettetela nel sacco. Francesco lavorava, ma era inquieto; sentiva fruscii nel folto del bosco che gli facevano paura, eppure non riusciva a vedere nulla, anche perché era sempre più buio. Tuttavia si sentiva osservato. Faceva freddo e sentì un formicolio nelle dita gelate e sul viso umido di pioggia.

Stavano ormai recuperando gli ultimi alberelli, quando a un tratto Ferruccio li chiamò. – Guardate qua! – disse indicando qualcosa. – Sembra cacca di cane… – disse il ragazzo con poco entusiasmo. – No. È di lupo, ed è fresca! C’è l’orma di fianco, la vedi? È passato di qui poco fa. È vicino! Francesco sentì un brivido lungo la schiena. Continuarono lungo il sentiero e più si addentravano nella boscaglia più il ragazzo sentiva il battito assordante del suo cuore che quasi copriva il silenzio attorno… i suoi pensieri erano tutti per il lupo, gli pareva quasi di sentirlo respirare dietro di lui. Poi, improvvisamente, un rametto si spezzò e un sasso rotolò giù dalla collina. Francesco si girò di scatto e cacciò un urlo. – Ma no, stai tranquillo, – intervenne Ferruccio – è solo una pietra! Non devi avere paura, i lupi non sono pericolosi per l’uomo. È solo una leggenda. I lupi sono i custodi del bosco, che è come un grande essere vivente fatto non solo di piante, ma anche degli animali che lo abitano. Tutti insieme collaborano per mantenerlo in equilibrio, contribuendo gli uni alla salute degli altri. La presenza del lupo è importante e utile, perché tiene sotto controllo altre specie animali, dagli erbivori ai roditori, così non si moltiplicano a dismisura! «Accidenti a Cappuccetto Rosso!» pensò Francesco, arrossendo. Si rendeva conto che la sua era una paura esagerata, dettata dalle storielle che si raccontano quando si è piccoli. – Invece di pensare al lupo, – continuò l’uomo saggio – guardati attorno, goditi questo posto! Senti che aria pura! Inspira profondamente: non ti sembra più leggera quando ti entra nei polmoni? Quanti aromi e profumi, le essenze del legno! Hai capito perché amo gli alberi? Perché sono la vita stessa! Senti questa pioggerella, l’umidità che trasuda dalle foglie… guarda in questo terreno quanti fiori, e questo grazie a loro, alle piante! Trattengono l’umidità nelle radici. Tocca questa terra, – disse affondando una mano nel terreno e tirando su una manciata di terriccio scuro – osserva com’è nera, fertile grazie a foglie e rami che si

decompongono… Il bosco è vivo. Le piante parlano e comunicano tra loro attraverso le radici che si abbracciano nel sottosuolo, proprio come amici che si danno la mano. Devi trattare gli alberi con rispetto, perché, ne sono convinto, anche loro hanno un’anima! Francesco ascoltava rapito le parole di Ferruccio, che si esprimeva con una cadenza e una gestualità teatrali, parlava appassionatamente, con trasporto, e lui percepiva la sua energia, il desiderio di tramandare la sua esperienza e il suo amore per la natura. La potenza delle sue parole lo aveva conquistato e si era completamente dimenticato del lupo. Anche Massimo lo ascoltava incantato. – Ora però è meglio incamminarci, – disse Ferruccio – si è fatto tardi. Tornarono sui loro passi attraversando la foresta per raggiungere il furgone. Dopo un po’, Ferruccio si fermò, si girò verso Francesco e gli chiese: – Allora, hai ancora paura? – No, ora non più! – rispose fiero il ragazzo abbracciando il suo fascio di alberelli.

LA CASETTA PER I PIPISTRELLI

I pipistrelli (chirotteri) sono animali notturni. Durante il giorno si rifugiano in cavità e grotte, appesi a testa in giù! In questo modo, al crepuscolo, sono pronti a spiegare le ali e prendere il volo per andare alla ricerca di cibo. Ma cosa mangiano? In Italia, i pipistrelli sono tutti cacciatori di insetti, che individuano al buio grazie al loro radar interno. Tra le loro prede preferite ci sono le zanzare: in una notte possono mangiarne più di mille a testa! Purtroppo la rimozione di alberi morti e cavi dai boschi, l’assenza di spazi per riposare in città e la diminuzione di insetti ha ridotto il numero di questi animali. Come aiutarli? Costruendo per loro una bella casetta in giardino! La potrai appendere al di sotto della gronda del tetto o a un albero, esposta al sole e a un’altezza minima di quattro metri, protetta dalla pioggia, lontano da luci artificiali notturne e senza ostacoli davanti.

COME SI FA Prendi un rettangolo di compensato marino (48x60 cm) e,

facendoti aiutare a usare chiodi e martello, realizza due fori nella parte in alto per lo spago con cui fisserai la tua “bat box”. Circa 2 cm sotto i fori, fissa in orizzontale una listarella (48x4 cm) e sotto, in verticale, altre due (40x4 cm) di 2,5 cm di spessore, come a formare una U rovesciata. Sulla superficie interna del compensato sistema con le graffette un pezzo di rete di plastica (40x45 cm). Fissa frontalmente un altro pezzo di compensato un po’ più corto (48x33 cm) e sotto, lasciando uno spazio di circa 1 cm, uno più piccolo. Il lato inferiore rimane aperto e farà da entrata. Salda la struttura con chiodini d’acciaio e incolla il tetto (48x8 cm).

Quali specie possiamo incontrare? In Italia vivono trentaquattro specie di pipistrelli. Quelle più diffuse sono il pipistrello nano, il rinolofo minore, il barbastello, il vespertilio maggiore, l’orecchione e la nottola.

Gli alberi raccontano

– Avrei voluto vedere il lupo – disse Francesco il mattino successivo, mentre lui e Massimo attraversavano le colline per raggiungere il Paradise. – Davvero? In realtà mi sembravi un po’ spaventato… – rispose il veterinario strizzandogli l’occhio. Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia. – Dai, scherzavo! Comunque nemmeno io l’ho mai visto. I lupi sono animali molto schivi, non è facile incontrarli. Temono l’uomo e cercano di stargli il più lontano possibile. E fanno bene! – Sarebbe bello tornare lassù con Stefano e Giulio e posizionare la fototrappola per qualche giorno. Potremmo riuscire a beccarlo! – Mi sembra una bella idea! Sono sicuro che Ferruccio vi darebbe una mano volentieri a individuare i luoghi migliori per il vostro appostamento. Più tardi, quando saremo arrivati, potrai parlargliene. – Che tipo, vero? – Sì, è il custode di tante preziose informazioni sui boschi, accumulate in tanti anni di esperienza. Dovremmo ascoltare di più le persone come lui, perché hanno molto da insegnarci. È vissuto in un’epoca in cui le cose erano più naturali, non c’era quasi tecnologia. Ha visto tutti i cambiamenti in peggio e non gli sono piaciuti. – Però quando parla degli alberi sembra molto felice! Conosce tutti i loro segreti. – Guarda, Francesco! – esclamò Massimo a un tratto, mentre percorreva la strada verso la fattoria. – Siamo arrivati!

Lisa e Monica, con i ragazzi, erano già lì. Come c’era da aspettarsi, Susanna aveva accolto tutti con grande entusiasmo e affetto. Lei era così, un grande cuore, anche con chi non conosceva affatto. Francesco abbracciò la donna, era davvero felice di rivederla, e poi corse dagli amici dimenticandosi persino di sua madre. – Ehi, laggiù, – chiamò Massimo dopo un po’ – avete finito con le chiacchiere? Abbiamo un lavoro da fare! – Sì, sì, arriviamo! – rispose il ragazzo. – Stavamo progettando l’appostamento per il lupo! – Mamma, mamma, – gridò Sara che aveva ascoltato i racconti del fratello – lo sai che Francesco ha visto un lupo vero? – Ah, sì? – Veramente non proprio, – intervenne lui – ho solo visto l’impronta e anche la sua cacca. – Prima che iniziate a lavorare, – li interruppe Susanna – lasciate che vi presenti Karim. Accanto a lei c’era un ragazzo alto e magro dalla pelle scura e lo sguardo malinconico. – Per il momento vive qui da me – aggiunse. – Arriva dalla Guinea, un paese del Centro Africa. – Ciao! – lo salutarono tutti in coro. – Lui ricambiò con un sorriso che mise in mostra i suoi denti bianchissimi. – Salut! – disse in francese. – Scusate, ma ancora non parla molto l’italiano. Capisce quasi tutto, vero? – disse la donna rivolta a lui. – Ma a parlare fa ancora fatica. – Pas… de… problem! – disse Viola sfoggiando un francese maccheronico. – Ta famille est encore là? – chiese al ragazzo. Ma Karim si incupì, abbassò la testa e non rispose. La ragazzina capì di aver parlato troppo. – Pardon… Scusa… – gli disse. – Non volevo… – Lo sapete che Karim ama molto gli animali – intervenne Susanna cambiando discorso – ed è molto bravo a occuparsene? È qui ormai da un mese e le mie caprette lo adorano. Vedeste com’è bravo a

mungerle! – Fantastico! – disse Massimo. – Non è vero, ragazzi? Sarà un aiuto prezioso! Lui accennò un sorriso. «Chissà cosa è successo alla sua famiglia» si chiese Francesco. – Avanti, ragazzi! – riprese il veterinario per riportare tutti all’ordine. – Andiamo subito a piantare gli alberelli, ne avremo per tutto il giorno! – Hai ragione – disse Lisa sopraggiunta in quel mentre insieme a Monica. Le due donne si erano piaciute da subito. – Arriva l’Armata dei Ricci! – disse in quel momento una voce. Ed ecco avanzare Ferruccio, il “papà degli alberi”, seguito da Giorgio, detto “il Che”, espertissimo di giardinaggio, e infine Carlo, chiamato il “dottore degli alberi”. Massimo li presentò al gruppo. – Wow! – esclamò la piccola Sara. – Con tutti questi esperti faremo la foresta più bella del mondo! – Ci puoi giurare! – risposero loro in coro. Raggiunsero la casetta in pietra grigia al centro della radura, nel podere di Massimo. Era abbandonata da tempo, ma conservava un aspetto accogliente. – Cosa farai di questo posto? – chiese Ferruccio. – Pianteremo gli alberi qua per ricreare un habitat per gli animali; vorrei che questo diventasse un magnifico parco dove i selvatici possano vivere felici al riparo dai cacciatori. Sono diciotto ettari, ma non mi fermo qui, voglio comprare altra terra! Sarà una sede distaccata del centro ricci, e qui libereremo i nostri ospiti quando saranno guariti e nelle condizioni giuste. – Ottimo. E dove pensavi di piantare i faggi? – Direi laggiù al limitare del bosco, che ne dici? – Mi sembra perfetto! – rispose. Poi rivolto agli altri per incitarli: – Allora, squadra, al lavoro! Facciamo dei gruppetti e ognuno, aiutandosi col badile, pianterà i propri alberelli. Un momento, però. Prima di sparpagliarvi tutti, venite qui un attimo intorno a me, formate un cerchio e ascoltate.

Le donne e i ragazzi ubbidirono senza fiatare. – Vi spiego una volta sola come si fa. Scavate una buca, poi mettete uno strato di humus, poi la terra e in mezzo la pianta. Coprite bene le radici. Formate un cratere in centro per raccogliere l’acqua piovana e mettete una canna per tenere dritta la pianta. Poi, coprite con foglie ed erba e infine bagnate bene. Avete capito tutto? Gli altri assentirono. – Allora avanti, state a distanza di tre metri uno dall’altro. Voi ragazzi affiancatevi a un esperto. Le squadre iniziarono a scavare. Francesco e Karim erano sotto le direttive di Ferruccio, che cercava di esprimersi gesticolando in modo da farsi capire anche dal ragazzo africano. Il tempo trascorse in allegria, con gli uomini che raccontavano aneddoti dei boschi e della loro vita nella natura. Erano persone di grande esperienza e gli altri ascoltavano ogni cosa con attenzione. – Erano finite le feste di Natale – iniziò Giorgio – e alcuni miei amici avevano un abete mezzo morto, di cui non sapevano che cosa fare. Lo avevano lasciato accanto a un termosifone bollente per due mesi, carico di fili e palline, e ormai la povera pianta non ce la faceva più, sfibrata dalla sete e dal calore. Mi dispiaceva lasciarlo morire così e lo portai via con me. Senza molte speranze, lo ripiantai in un angolo riparato del mio giardino, dopo averlo ripulito e concimato. Passò l’inverno e, miracolo!, l’abete ricominciò a vivere e germogliare! Negli anni è cresciuto maestoso e adesso è alto ben diciassette metri! – Fantastico! – esclamò Francesco. – Certo. L’altro giorno mi è venuta voglia di salirci su, abbracciarlo e guardare le colline tutte attorno, così, dall’alto. È una sensazione magnifica, ti senti parte della pianta, ancora più vicino alla natura. Provi una sensazione profonda di libertà. – Oh, dev’essere proprio bello… ma perché ti ci sei arrampicato? – chiese Sara. – Non è pericoloso? – Be’, da un po’ di tempo mi sono appassionato al tree climbing, l’arrampicata sugli alberi. È una tecnica che utilizzo per potare le piante più alte senza danneggiarle. Amo gli alberi e quando sento il rumore della motosega che li abbatte sto male, è come una morsa al

cuore. Per questo voglio piantare molti alberi ancora, per lasciare un’eredità ai miei figli. – E tu, Carlo? Hai una storia per noi? – chiese Stefano. – Ecco… alcuni anni fa mi chiamò una signora tedesca che aveva acquistato una vecchia casa nell’Alta Langa, più o meno dalle mie parti, vicino a Paroldo, dove ci sono ancora boschi e praterie. Voleva che dessi una sistemata alle piante da frutto che c’erano nel retro del giardino. Mi mostrò un albicocco vecchissimo, di una settantina di anni, con un bel tronco, ma, a detta sua, mezzo secco. Mi chiese se potevo fare qualcosa. Era calato il silenzio. I ragazzi erano rapiti dal racconto. – Io misi le mani sulla corteccia, – continuò Giorgio – la palpai, la auscultai, un po’ come un dottore fa con un paziente. A un certo punto mi resi conto che l’albero stava veramente male, era come se piangesse. – E piangeva davvero? – intervenne Francesco, colpito. – Sì, c’era una linfa viscida che usciva da una parte del tronco, era segno che la pianta aveva una malattia causata da un parassita. Continuai la visita, tamburellando con le dita sul tronco. Poi, appoggiando le mani, avvicinai l’orecchio alla pianta per cercare di percepirne le vibrazioni. Mi stava parlando. Finalmente individuai un punto e iniziai a togliere la corteccia. Sotto c’era un buco che non avrebbe dovuto esserci. Scavai col coltello finché, a un tratto, uscirono grosse larve. Le tolsi, ripulii per bene la parte ferita e diedi disposizioni alla signora di bagnare la pianta e di averne cura. Sarei tornato un mese dopo a vederla. – E come andò a finire? – chiese Sara incuriosita. – Un mese dopo mi telefonò la signora e mi invitò ad andare a vedere la mia pianta. La trovai completamente verde, con più rami, e soprattutto carica di albicocche. Sembrava quasi volesse ringraziarmi per averla salvata. E continuò a fare frutti per tanti anni ancora. Fu così che diventai il “dottore degli alberi”. Vedete, ragazzi, – aggiunse – le piante vanno rispettate, aiutate e curate come se fossero delle persone, perché sono esseri viventi e possono ammalarsi. All’ora di pranzo fecero una pausa ristoratrice. Si sparpagliarono

all’ombra di un vecchio gelso e Susanna distribuì a tutti pane fragrante e formaggio e alcune borracce d’acqua tenute al fresco nel torrente. Anche le sue caprette parteciparono al momento di relax pascolando attorno a loro. Francesco vide la donna sedersi in disparte con Massimo. Gli parlava sottovoce. Dalla sua espressione capì che era qualcosa di serio. Incuriosito continuò a osservarli da lontano. «Chissà cosa avevano da dirsi di così segreto» pensò. Quando nel pomeriggio ripresero i lavori, il veterinario, che era in squadra con lui, appariva pensieroso. Rimase in silenzio per un po’. – Non lasciate solo Karim, – si raccomandò dopo un po’ mentre sistemavano una piantina – fategli un po’ compagnia, è nuovo di queste parti. – Eh, ma non è facile, – obiettò il ragazzo – parla più che altro in francese e conosce poco l’italiano. Però è simpatico! In effetti Karim aveva conquistato tutti con la sua dolcezza, senza bisogno di parole. – Lo so, per questo è importante che tutti facciamo un piccolo sforzo. Francesco si chiese se fosse lui il centro delle confidenze di Susanna.

Un paio d’ore dopo arrivò finalmente il momento tanto atteso, in cui Ferruccio chiuse la buca dell’ultimo alberello. – Abbiamo finito! – esultò Viola contemplando soddisfatta il lavoro della sua squadra. – Abbiamo creato proprio un bel boschetto! Immaginate tra qualche anno che meravigliosa piccola foresta ci sarà qui! Sistemarono gli attrezzi e si diedero una rinfrescata nel torrente. Giorgio e Carlo furono i primi a salutare, seguiti a uno a uno dagli altri. La giornata era stata così piacevole che si separarono con la promessa di tornare a piantare ancora altri alberi. Il cielo aveva già i colori del tramonto quando tutti ripresero la strada verso casa.

Francesco chiese alla madre di poter fare la strada con Massimo. – Ho visto che avete legato con Karim… – gli disse il veterinario mentre guidava. – Sembra un po’ timido, ma è un ragazzo a posto. – Ma suo papà e sua mamma dove sono? – domandò il ragazzo. Voleva conoscere la verità. Massimo sospirò. – È rimasto solo – rispose dopo un attimo di esitazione. – Karim è venuto qua perché non aveva più niente nel suo paese. Il padre, un attivista politico, è stato ucciso. Dopo la morte del marito la mamma aprì un bugigattolo dal quale distribuiva i pasti all’ora di pranzo. Un giorno, mentre lei e Karim erano al mercato, un incendio divampò nella loro casa… portandosi via i fratellini… Fu terribile, e per questo la mamma spinse l’unico figlio rimasto a partire. Quando Karim arrivò qui, dopo un viaggio lungo ed estenuante, provò a mettersi in contatto con lei ma scoprì che nel frattempo sua madre era morta. Francesco era sgomento. Impietrito. Come se fosse caduto in un lago ghiacciato. – Ha bisogno della nostra amicizia, – continuò il veterinario – del nostro sostegno. È venuto qui per cercare una nuova vita. Possiamo stargli vicino e fare il possibile per fargli sentire il calore di una famiglia che non ha più. Anche lui è rimasto solo, come Ninna. – Già… come Ninna –. La storia lo aveva colpito al cuore. Poi, d’un tratto, si illuminò: – Ho anch’io una cosa da dirti, – disse – Karim si è offerto di accudire la nostra riccetta dopo la liberazione. Vuole pensare lui a tutti quelli che saranno rilasciati al Paradise. – Sarebbe bellissimo… – disse Massimo con la voce rotta dalla commozione. Rientrarono a casa per cena, sfiniti, ma consapevoli di aver fatto qualcosa di importante. In effetti avevano contribuito a diffondere la vita sul pianeta; un piccolo gesto, ma pur sempre un inizio. – Posso dare un saluto ai ricci? – chiese Francesco raccogliendo le ultime energie. – Non è meglio che torni a casa? È tardi ormai – disse Massimo parcheggiando l’auto nel vialetto. – Ancora cinque minuti, il tempo che la mamma prepari la cena e

vado. – Stai tranquillo, oggi alcuni amici mi hanno dato una mano con gli animali, sono tutti a posto. Cos’altro vuoi che accada? Scesero dal veicolo e si incamminarono verso l’ingresso. Poi di colpo si bloccarono. Davanti alla porta c’era un uomo alto e robusto. Sentendo i passi si girò nella loro direzione e il ragazzo notò che teneva una scatola tra le mani. – Posso aiutarla? – chiese il veterinario perplesso. – Ehm… Buonasera… Sto cercando il dottore che cura i ricci… il signor Massimo. – Sono io! Ha bisogno? – Sì, vede… – rispose indicando la scatola con un cenno – ho qualcosa da mostrarle. Massimo si avvicinò allarmato, seguito dal ragazzo. Alzarono il coperchio e nove paia di occhietti neri e lucenti li fissarono dall’interno. – E questi? – Li abbiamo trovati alcune ore fa in una zona incolta, sotto un cumulo di foglie e rami. Stiamo ripulendo quell’area per piantare altre viti. – Ma questi ricci sono ancora cuccioli! Non c’era la mamma? – Oh, sì! Abbiamo preso anche lei… ma è scappata dalla scatola. – Non l’avete più cercata? – Sì, per un bel po’, ma col buio abbiamo dovuto interrompere le ricerche. Poi mi sono ricordato di aver letto qualcosa su di lei… ed eccomi qui. – Capisco… – rispose Massimo sospirando e prendendo il contenitore dalle mani dell’uomo. – Bene, allora io vado… Per favore, mi dia notizie dei piccoli. Le ho lasciato il numero sulla scatola. Grazie! – Cerchi ancora domani, guardi se riesce a trovare la mamma – disse il veterinario senza troppa convinzione. – Lo farò senz’altro! Quando l’uomo se ne fu andato Massimo guardò gli orfanelli, per fortuna non erano piccoli come Ninna quando gli era stata affidata.

– Hai impegni per la serata? – disse rivolto al ragazzo. – Credo che nei prossimi giorni avremo piuttosto da fare…

PIANTIAMO UN ALBERO!

Gli alberi sono la vita: producono l’ossigeno che respiriamo e filtrano l’aria dai gas tossici, mantengono l’umidità dell’ambiente e la temperatura mite. Inoltre, offrono cibo e rifugio agli animali. L’uomo però sta distruggendo boschi e foreste, per questo bisogna piantare tanti alberi, tantissimi, e averne cura. Hai mai provato ad abbracciarne uno? È una sensazione bellissima! Per il tuo giardino scegli alberi con una bella chioma, come querce, faggi e noci: le foglie, cadendo, serviranno ai ricci per fare il nido. Sono utili anche le piante da frutto perché attirano insetti e altri animaletti affamati. Non dimenticare di piantare arbusti, siepi e cespugli, utilizzati dagli animali come rifugi e nascondigli. I ricci amano sambuco, ligustro, biancospino e prugnolo. Ricorda che c’è un momento adatto in cui piantare ogni specie. In generale è meglio a fine inverno, inizio primavera e autunno, quando l’albero non è in piena fioritura.

COME SI FA Scava una buca profonda quanto la lunghezza delle radici e larga il doppio. Metti l’alberello delicatamente nella buca. Controlla che la pianta sia ben dritta e ricopri le radici con un mix di terra e compost o letame. Compatta leggermente la terra con le mani formando un piccolo cratere attorno al fusto, per la raccolta dell’acqua piovana, e copri di foglie ed erba. Fissa la pianta a una canna.

Innaffia ogni giorno con regolarità.

Se non hai un giardino, puoi scegliere una pianta più piccola da far

crescere in vaso, oppure puoi adottare un albero sul Web! Esistono tante associazioni con iniziative di questo tipo, per esempio Plant for the Planet Italia.

Ciao, Ninna

La campanella dell’aula suonò e gli studenti corsero allegramente fuori dalla scuola. Era l’ultimo giorno delle elementari per Francesco e Viola. – Non posso crederci che non torneremo più qui! – disse la ragazza. – Ti rendi conto? Le medie! – Solo la parola mi fa già paura! – esclamò Francesco. – Dai, non dire così, significa che siamo grandi! O quasi… Comunque adesso non ci pensare, abbiamo tutta l’estate davanti! Tu che cosa farai? – Niente di che, credo che resteremo qui, mia mamma sta finendo un lavoro. Lei corregge i libri prima che vengano stampati o qualcosa del genere. – Che bello… Anche a me piacerebbe avere un lavoro dove bisogna leggere tutto il giorno! – Io preferisco occuparmi degli animali. – Come fa Massimo! – Sì, direi di sì. – Allora farai il veterinario? – Mi piacerebbe, ma degli animali selvatici, perché ho capito che ce n’è un gran bisogno… – Vai a vedere i ricci oggi? – Sì, più tardi. Vieni anche tu? I nove fratellini sono così cresciuti che quasi non li riconoscerai. – Immagino, – rispose Viola – nell’ultimo mese non ho mai avuto tempo di andare! –. Mentre parlava, tirò fuori dallo zaino una foto dei riccetti disposti attorno al piattino del cibo come i petali di una

margherita. – Ti ricordi quando sono arrivati? Com’erano teneri… – Ci è voluto un po’, ma alla fine sono diventati belli grassottelli! – E sono quasi pronti per essere liberati! Così come Pancino e… – Ninna. Sì, lo so, è ora che anche lei venga rilasciata nel suo ambiente naturale. Me lo ha detto pure Massimo.

– Tutti tornano a casa prima o poi… A proposito, – aggiunse Viola senza pensarci – tuo padre è già rientrato dal viaggio in Cina? Francesco fu colto alla sprovvista, lo infastidiva toccare quell’argomento. – Da poco – rispose cambiando tono bruscamente. – Dev’essere strano passare tanti mesi all’estero! Chissà come si è sentito solo laggiù… – È lui che se n’è voluto andare, non è un problema mio! – Ma cosa dici? È tuo papà. Non gli vuoi un po’ di bene? – Basta! – tagliò corto Francesco. – Non voglio parlarne. E corse via lasciando la povera Viola esterrefatta. Senza pensarci, andò dritto da Massimo. Era quello il posto in cui si sentiva bene, dimenticava i suoi guai e i pensieri tristi. La porta era aperta ed entrò. Il veterinario era al telefono e quando lo sentì, gli fece cenno di avvicinarsi. – Non ti aspettavo così presto – gli disse non appena terminò la

conversazione. – Come mai sei già qui? – Avevo bisogno di vedere i ricci prima di andare a casa… – rispose Francesco. – Tutto bene? – domandò Massimo accorgendosi che c’era qualcosa di strano. – Sì, sì… solo una piccola discussione con Viola. – Non preoccuparti, sistemerete tutto. Adesso devo darti una bella notizia! – Quale? – chiese. – Stavo parlando ora con Susanna: Karim ha terminato le prime casette per i ricci al Paradise e possiamo cominciare a liberarli, anche perché ormai sono pronti e scalpitano per andare. – Evviva! Da chi pensavi di cominciare? – Direi da Pancino! Che è una delle nostre più grandi soddisfazioni. – Già… Ti ricordi quando l’abbiamo trovato con quell’anello di plastica attorno al corpo? Sembrava senza speranza… – Invece col nostro aiuto ce l’ha fatta! E ora merita la libertà! Si misero d’accordo per il weekend successivo. Era un momento importante, e Francesco non stava più nella pelle dall’emozione.

Quel sabato Francesco e Massimo andarono insieme a prendere Pancino nel suo recinto in giardino. Era agitato e fremente, come se già sapesse cosa stava per accadere. Poco più in là c’era Ninna, che era stata riportata al centro per fare posto ai nove gemellini a casa di Franca. Anche lei era molto inquieta e andava avanti e indietro senza sosta. Gli occhietti neri e profondi sembravano supplicare: “Quando tocca a me?”. I due si guardarono senza dire una parola. Entrambi sapevano bene che il momento di liberare Ninna era giunto da tempo, ma il veterinario non aveva il coraggio di prendere quella decisione. Al Paradise c’erano proprio tutti, anche Stefano, Giulio e i loro amici della Wild Life Protection. Era un grande momento: la prima liberazione di un riccio del centro!

Karim era più a suo agio rispetto all’ultima volta che lo avevano visto. «Merito della magia di questo posto!» pensò Francesco. Li accompagnò a vedere le casette e le mangiatoie che aveva costruito. Erano in legno con una o due entrate per i ricci e un tettuccio apribile per inserire facilmente all’interno paglia e cibo. Le aveva messe sotto i cespugli, all’ombra del grande salice. – Sono perfette! – disse Massimo colpito dalle capacità del giovane. – Davvero! – aggiunse Francesco. – Un lavoro incredibile! Karim era visibilmente orgoglioso della sua opera, ma si limitò a sorridere. – Perché non le hai fatte colorate? Non sarebbero state più belle? – si intromise Sara. – No – rispose per lui il veterinario. – Le casette devono mimetizzarsi con il sottobosco per evitare che i predatori le scoprano. Dai, su! Non perdiamo tempo, andiamo a prendere Pancino – aggiunse. Massimo lo tirò fuori delicatamente dalla scatola di cartone e lo guardò un’ultima volta con amore. – Buona vita, piccolino – gli disse. – Buona fortuna! – sospirò Francesco. Poi lo posò nella casetta. – Allontaniamoci e lasciamolo tranquillo per un po’, – suggerì – torneremo a controllare in seguito.

Il sole stava calando fra le chiome degli alberi, infuocando l’orizzonte del Paradise. Rimasero tutti a guardare a lungo, rapiti da quella meraviglia. Si sentivano completamente travolti dalla potenza e dalla bellezza della natura. All’improvviso, una voce li riportò al presente: – Ehi, guardate! Pancino sta scappando! –. Sara stava puntando il dito in direzione della casetta. Gli altri si voltarono di scatto e videro il riccio che, dopo un attimo di esitazione, si incamminava verso il bosco, annusando felice qua e là. Rimasero tutti immobili, con gli occhi lucidi, finché il piccolo animale scomparve tra gli alberi, senza mai guardarsi indietro. Viola prese la mano del suo compagno, visibilmente commossa. Francesco gliela strinse forte: sapeva di aver un po’ esagerato l’ultima volta, ma nel cuore non c’erano dubbi, erano ancora migliori amici. Tornando a casa, il ragazzo si sentiva felice e sollevato, anche se il pensiero di Pancino solo nel bosco gli metteva un po’ d’ansia. «Ce la farà?» si chiese. Karim gli aveva promesso di portare cibo nelle mangiatoie tutti i giorni e i ragazzi della Wild Life Protection avevano fissato la fototrappola a un vecchio castagno, a pochi metri da dove il riccio era scomparso tra le piante. Forse l’apparecchio avrebbe registrato la sua

presenza. «Sì,» si convinse Francesco «sicuramente se la caverà, in fondo è semplicemente tornato a casa sua!».

Come il ragazzo aveva sperato, nelle settimane successive la telecamera di Umberto “catturò” il riccio più volte mentre entrava e usciva da una delle mangiatoie di Karim. Di ricci da quelle parti ce n’erano diversi, ma Francesco e Massimo erano certi: si trattava proprio di Pancino! Dopo quel successo ne arrivarono altri. A luglio il veterinario, con l’aiuto del suo giovane assistente, liberò anche i nove fratellini. Susanna aveva raccontato al telefono che Karim riempiva ogni sera le mangiatoie e al mattino le trovava vuote. Ovunque c’erano segni evidenti del passaggio dei ricci: piste sull’erba, impronte di zampe nel fango, feci e gusci di lumaca. E qualche sera li aveva persino visti gironzolare attorno al pollaio. Nel frattempo i giorni erano passati e al centro erano arrivati altri ricci, alcuni orfani e troppo giovani per cavarsela da soli, altri feriti. I nuovi ospiti davano a Massimo un gran da fare e lui non aveva più accennato alla liberazione di Ninna. Un pomeriggio, mentre il veterinario si prendeva cura di una riccetta appena arrivata, battezzata Musetta, Francesco trovò la forza di affrontare lo “spinoso” argomento. – Tra due settimane ricomincia la scuola – disse prendendola da lontano. – Di già? – rispose Massimo sorpreso. – Mi sembra che l’estate sia appena iniziata! – E invece è quasi finita… Silenzio. – Massimo? Un giorno Musetta potrà tornare nel suo ambiente naturale? – chiese Francesco pur sapendo già la risposta. Lui guardò l’animaletto ferito da un decespugliatore, che gli aveva portato via mezzo muso. – No, non è possibile, – rispose – con una ferita del genere sarà

sempre a rischio di infezioni e non è più in grado di sentire gli odori delle prede. Da sola morirebbe di fame. Qui, invece, possiamo prenderci cura di lei. Purtroppo dovrà stare con noi per sempre, ma farò in modo che abbia la vita migliore possibile… – E Ninna? Massimo rimase per un attimo perplesso. Poi capì, abbassò lo sguardo e disse con profonda tristezza: – Ninna non può più aspettare.

Era il pomeriggio del 4 settembre, una data che né Massimo né Francesco avrebbero mai dimenticato. I due amici avevano deciso di andare a liberare la riccia da soli, così doveva essere. Per tutto il viaggio Ninna era stata tranquilla nella scatola che Francesco teneva sulle gambe, ma adesso che erano arrivati, aveva iniziato a muovere freneticamente il nasino. «Forse lo sa» pensò il ragazzo. «Ha capito che è arrivato il suo momento.» Misero la casetta ai margini del grande prato, dove la prima volta avevano visto tante farfalle e fiori colorati, non lontano dal sentiero che conduceva alla cascata. Uno dei loro posti preferiti. – Volevo proteggerti da tutti i pericoli del mondo, – disse Massimo prendendo la bestiola tra le mani – pensavo… o meglio, volevo credere che tenerti al sicuro fosse il miglior gesto d’amore nei tuoi confronti. Ma non lo era. Ho capito che volerti bene significa lasciarti libera. Sei un animale selvatico, è giusto che torni alla natura. Francesco allungò la mano per sfiorarla. – Ciao, amica mia… – le disse con la voce rotta dalla commozione – non ti dimenticherò mai. La posarono nel prato ma lei, a differenza degli altri ricci, rimase lì a guardarli. Sembrava dire: “Davvero? Posso andare?”. Fece qualche passo avanti annusando il terreno, poi tornò indietro e di nuovo guardò verso di loro. – Ci sta salutando? – chiese Francesco. – Credo di sì.

– Ciao, Ninna – disse il ragazzo. – Grazie per tutto quello che mi hai insegnato. Piano piano, passo dopo passo, mentre giungeva ormai la sera, la riccetta raggiunse i cespugli attorno alla radura. A Francesco parve che si girasse un’ultima volta verso di loro, poi scomparve tra le foglie. Tornarono a casa in silenzio. Il ragazzo vedeva che Massimo era scosso da sentimenti contrastanti, proprio come lui. Era felice, ma anche triste. Felice per averla liberata, triste per averla lasciata. Quando arrivarono al centro, il veterinario uscì in giardino e si accovacciò davanti alla casetta nel recinto dove Ninna aveva vissuto negli ultimi mesi. Volse le spalle a Francesco e con una mano si asciugò il volto. Stava piangendo. Francesco ne rimase molto colpito. Possibile che una persona adulta e forte come lui soffrisse così? Poi, improvvisamente, gli fu tutto chiaro: Massimo stava esprimendo i suoi sentimenti, lasciandoli uscire dal cuore così com’erano, senza nasconderli… come invece aveva fatto lui con suo padre. Con un gesto istintivo si avvicinò e gli fece una carezza tra i capelli. Massimo si voltò sorpreso e, col viso ancora bagnato dalle lacrime, finalmente sorrise. – Grazie… – disse. – Ninna mi mancherà molto. – Mancherà molto anche a me – rispose Francesco sentendo gli occhi umidi.

Mentre cercava di prendere sonno quella sera, Francesco pensò a suo padre. «Papà avrà pianto per me?» si chiese. «Gli mancherò?» Poi di colpo gli tornò in mente una cosa e si mise seduto. Accese la luce sul comodino e balzò a terra. Rovistò nel cassetto sotto il suo letto, dove mesi prima aveva infilato il pacco che suo padre gli aveva fatto arrivare per Natale insieme a una lettera. Non badò al regalo, ma aprì immediatamente la busta. All’interno c’erano delle fotografie che lo ritraevano insieme a suo padre. Se le ricordava! Alcune erano appese nella vecchia casa di Torino, ma da quando se n’erano andati non le aveva più viste. C’era l’immagine del suo primo compleanno, con lui seduto sulle gambe di papà mentre soffiava sulle candeline. C’erano il suo primo giorno di scuola, loro due al mare che nuotavano insieme, in bicicletta lungo il fiume e ancora lui, piccino, sulle spalle del padre. Con mani tremanti, iniziò a leggere: Caro Francesco, spero che questa lettera ti arrivi proprio il giorno di Natale. Mi dispiace. Mi dispiace tanto di averti fatto soffrire. Solo ora mi rendo conto di averti fatto male e ti chiedo scusa. Ti voglio un bene immenso e non passa un’ora della mia vita senza che io ti pensi. Vorrei essere lì con te in questo momento e abbracciarti forte forte. Ti voglio bene, sempre tuo, papà. Mentre leggeva, a Francesco venne da piangere. Quando più tardi si addormentò, ebbe la sensazione che il ghiaccio che ancora aveva nel cuore si fosse sciolto completamente. Era rimasto solo l’amore.

La mattina dopo Francesco si precipitò da sua madre e l’abbracciò stretta. – Ehi, che succede? – disse lei sorpresa. – Ti voglio bene! Ora il ragazzo desiderava parlare con lei e dirle tutto, come se fosse stata la sua migliore amica. Lei lo ascoltò, tenendolo tra le braccia, felice. Poi, dopo che si fu sfogato, Francesco chiese alla mamma di fare una telefonata. Lei prese il cellulare e compose il numero. – Pronto? Lisa? – rispose una voce dall’altra parte.

– Ciao… ho una bellissima sorpresa per te… Qui c’è qualcuno che ti vuole parlare. Aspetta un attimo. Ci fu una lunga pausa, poi un fiume di parole: – Ciao, papà! – esclamò Francesco. – Volevo dirti che ti voglio bene e che mi manchi tanto. Perché non vieni a trovarmi? Per un attimo l’uomo rimase in silenzio, senza fiato dallo stupore e dalla gioia. – Ma certo! – disse poi al telefono, balbettando con voce commossa. – Vorrei tanto che tu conoscessi Massimo, – continuò il figlio – e i ricci… Vorrei fare una passeggiata con te al Paradise, in mezzo al bosco, fino alla cascata! – Tutto quello che vuoi! – Allora quando? – Salgo in macchina e tra un’ora sono lì!

Fu l’inizio di un periodo bellissimo. Francesco aveva finalmente capito che papà e mamma, malgrado non stessero più insieme, continuavano a volergli bene e alla fine li aveva perdonati. La rabbia aveva lasciato il posto al desiderio di abbracciare suo padre, di prenderlo per mano e condurlo a conoscere il magnifico mondo della natura. Un mondo straordinario, che tanto l’aveva affascinato. Grazie all’incontro con Massimo, Ninna, i ragazzi della Wild Life Protection, Karim ed Evita, si era reso conto che non era l’unico a soffrire. Il suo dolore non era più grande di quello di un animaletto ferito, di una persona ammalata o di qualsiasi altra creatura in difficoltà. Ora sapeva che l’unica vera medicina per curare il suo disagio e tornare a essere felice era mettere da parte il rancore e coltivare l’amore, la compassione e la solidarietà nei confronti di tutti gli esseri viventi.

BOMBE DI SEMI

Lo sai che ci sono guerre speciali, dove non si fa del male a nessuno ma, al contrario, si fa del bene a tutti? È la guerra del giardinaggio, la guerrilla gardening, e si usano delle armi molto particolari, le bombe di semi! Lo scopo è quello di rinverdire il più possibile le zone aride e senza fiori, in modo da attirare gli insetti e riportare la vita!

COME SI FA Metti in una ciotola un cucchiaio di semi di piante e fiori locali (come calendula, margherita, girasole, piante da frutto come meli o peri) o altri semini essiccati che avrai conservato quando mangi la frutta, un cucchiaio di terriccio e due di argilla. Impasta tutto insieme. Aggiungi l’acqua finché otterrai un impasto denso con cui potrai formare delle piccole palline.

Lasciale seccare al sole… ed ecco pronte le tue bombe!

A fine estate fai un giro con i tuoi amici e scopri quali sono gli angoli della tua città o della campagna che ti piacerebbe colorare di piante e fiori! Scelto? E allora via, comincia questa divertente battaglia! Ricorda che avrai più successo se bombarderai usando fiori vivaci e perenni, che durano a lungo e richiedono poche cure. In tal modo contribuirai a mantenere la biodiversità.

Ringraziamenti

Questo libro è frutto dell’energia e dell’impegno di tante persone, tutte ugualmente importanti. Prima di tutto, però, vogliamo ringraziare Enrico Racca e Chiara Fiengo che hanno creduto in questa storia e hanno permesso di dar voce, ancora una volta, ai ricci. Grazie anche a Clare Stringer per la pazienza, l’attenzione e la cura del nostro lavoro, a Gaia Bordicchia per le sue meravigliose illustrazioni che hanno arricchito il libro e a Chiara Ozzello per i disegni delle appendici. Non possiamo poi dimenticare Evita, Susanna, Karim, Remigio, i “signori degli alberi”, Ferruccio, Carlo e Giorgio, e naturalmente Stefano, Giulio e tutti i ragazzi della Wild Life Protection e la loro mamma Monica che ci hanno prestato le loro storie di coraggio, altruismo, solidarietà e amore per gli animali. Ricordiamo per chi è interessato che trovate l’associazione su Internet (wildlifeprotectionblog), instagram (wlp_officialpage) e YouTube (WLP official channel). Un grandissimo grazie anche a Luciana Ghigliano, la maestra Lucy, per il significativo aiuto nella correzione del testo, capitolo dopo capitolo, e ai volontari del Centro La Ninna per i preziosi consigli (fb@centrorecuperoricciLaNinna). Grazie anche a Esther Amrein, Marco Bertelli, Enrico Chiavassa ed Elisa Confortini per le fotografie. Ultimi, ma non ultimi, Cristina, Ermanno, Giorgia e Filippo per esserci rimasti accanto e averci sopportato in questi mesi di intenso lavoro, e naturalmente i ricci, che con la loro tenerezza e voglia di vivere ci hanno spinto a scrivere questa storia.

CUCCIOLI MINUSCOLI! NINNA cucciola fa la nanna beata… come resistere a questi 25 grammi di dolcezza? Di fianco a lei, un minuscolo riccetto sembra che saluti… Benvenuto, qui al Centro sei al sicuro!

© Massimo Vacchetta

© Massimo Vacchetta

© Enrico Chiavassa

PIANO PIANO SI CRESCE... Grazie alle cure ricevute nel Centro di Recupero Ricci La Ninna, i tanti cuccioli che arrivano piano piano iniziano a crescere. Acquistano peso e imparano a mangiare da soli… anche se ormai sono grandicelli, trasmettono sempre tanta dolcezza!

© Esther Amrein

Un riccio del Centro che si mette letteralmente nelle nostre mani… Siamo qui per te, non temere!

© Massimo Vacchetta

© Esther Amrein

© Elisa Confortini

© Elisa Confortini

SI VA ALLA SCOPERTA DEL MONDO... Finalmente i ricci sono pronti per andare a esplorare il prato… Che profumini deliziosi, quanti fiori e quanti squisiti insetti! La riccetta qui sotto che annusa felice i trifogli è proprio la nostra NINNA!

© Massimo Vacchetta

Mmm, che buona la pappa! Quella subito sotto è SOFFIA, una riccia disabile arrivata al Centro dopo Ninna. Sempre sotto, un riccetto mangia ancora dalla siringa.

© Esther Amrein

© Esther Amrein

E POI SI MANGIA! Che fame! La riccia che mangia dalla ciotola qui sotto è PALLINA, una disabile neurologica che è arrivata al Centro dopo la liberazione di Ninna.

© Massimo Vacchetta

Ed ecco qui quattro meravigliosi fratellini di una delle tante cucciolate. La pallina che vi saluta sotto è SISSI, una riccia disabile che si trova al Centro ancora oggi: è la nonnetta del gruppo!

© Marco Bertelli

© Enrico Chiavassa

CIAO!

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. www.edizpiemme.it www.battelloavapore.it Ninna, il piccolo riccio con un grande cuore di Massimo Vacchetta con Claudia Fachinetti Attenzione! Le attività proposte negli apparati finali dei capitoli devono essere svolte sotto la supervisione di un adulto. Illustrazioni apparati: Chiara Ozzello Pubblicato per PIEMME da Mondadori Libri S.p.A. © 2019 - Mondadori Libri S.p.A., Milano Ebook ISBN 9788858523681 COPERTINA || ART DIRECTOR: FERNANDO AMBROSI | GRAPHIC DESIGN: SARA SIGNORINI | ILLUSTRAZIONI: GAIA BORDICCHIA | FOTOGRAFIA: ©STAFFAN WIDSTRAND