Nietzsche e il mondo degli affetti

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Marco Vozza

Nietzsche e il mondo degli affetti

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Indice

Perché Nietzsche? In vista di cosa? ............................................ 1 Lineamenti di un prospettivismo affettivo .............................. 9

Dal mito dell'interiorità al sapere della superficie ......... 11 La, grande ragione del corpo ........................................... 18 La, valorizzazione delle passioni ...................................... 24 La,futura obiettività dell'intelletto interpretante ............. 31 Volontà di potenza come affetto ....................................... 55 Al di là del paradigma vitalistico .................................... 50 Dall'esperienza della malattia alla grande salute .......... 51 Lo sguardo dell'arte sulla scienza ................................... 11 Classicismo e grande stile ............................................... 19 La, visibile alleanza tra Apollo e Dioniso ........................ 91 Epistemologia binoculare .............................................. 101 1 confronto con altre interpretazioni.................................. 119

Karl Lowith............. .. ............... ............. ... ................ ...... 119 Martin Heidegger ............... ~ .......................................... 123 Lou Salomé .................................................................... 131 Karl Jaspers .................................................................. 139 Gott.fried Benn ............................................................... 142 Gilles Deleuze ................................................................ 146 Pierre Klossowski .......................................................... 151 Didier Franck ................................................................ 156

Perché Nietzsche? In vista di cosa?

Quale significato può avere oggi la riproposta di Nietzsche, ad oltre cent'anni dalla morte? Nonostante i numerosi tentativi di ~terpre_tarne l'opera come prototipo di filosofia irrazionalista, d~ pensiero metafisico o di cultura postmoderna, come profezia di_ una grande politica dapprima reazionaria poi rivoluzionaria, Nietzsche appare ancora oggi fecondamente inattuale, irriducibile agli stereotipi di fautore del superuomo e dell'eterno ritorno conseguenti alla morte di Dio. È giunto forse il tempo di comprendere che il principale intento del filosofo della gaia scienza è la valorizzazione degli affetti e del mondo delle cose prossime, da sempre svalutate dalla morale e dalla metafisica: egli sostiene che la volontà di potenza è affetto, non dominio o sopraffazione, bensì arte dell'interpretazione affettiva che attribuisce un senso al mondo in cui viviamo. La trasvalutazione dei valori del filosofo sperimentale non conduce al relativismo scettico ma ad una futura obiettività nella quale percezioni, sguardi, ricordi, affetti e prospettive compongono un modello più articolato di oggettività conoscitiva, all'altezza della crescente complessità del reale. Nietzsche pensa anche ad un mutamento antropologico, ad un oltrepassamento dell'umano nel senso dell'affermazione di un temperamento mite che ritrova il piacere per la dimensione della superficie, dopo aver sondato gli abissi del dolore ed averne trattenuto una consapevolezza tragica. -Questo oltreuomo sperimentale, la cui identità è riposta in un alto sentire, potrà godere di una grande salute che ha utilizzato l'esperienza della malattia come strumento di conoscenza e di indagine sulla grande ragione insita nel corpo e che, attraverso l'esercizio estetico del grande stile, potrà ~nalmente esprimere la potenza di grandi affetti. 7

Lineamenti di un prospettivismo affettivo

Tutte le principali interpretazioni cli Nietzsche hanno focalizzato l'attenzione sui temi della morte di Dio, del superuomo, della volontà di potenza e dell'eterno ritorno, ricavandone vincolanti proposizioni speculative, creando così le condizioni per ricondurre l'eccedenza del senso nietzscheano nell'alveo del pensiero metafisico, operazione portata magistralmente a compimento da Heidegger. In realtà si tratta di un modello interpretativo assai discutibile, fondato su un criterio di rilevanza tematica e di selezione argomentativa che privilegia quei costrutti teorici che permettono la ricostruzione sistematica di una dottrina filosofica. Noi proveremo invece a presupporre implicitamente la relativa irrilevanza di alcune di queste parole-chiave che compaiono soltanto nell'ultima fase del pensiero nietzscheano, soprattutto consideremo l'opportunità di metterle a confronto con altri costrutti teorici elaborati precedentemente e costantemente riformulati da Nietzsche, spostando cioè l'attenzione verso i concetti di salute e malattia, affetto e dolore, profondità e superficie, temperamento e stile: per svolgere tale analisi si deve altresì negare risolutamente che la filosofia nietzscheana inizi con l'avvento di Zarathustra, con le opere cioè che permetterebbero di elevarlo alla dignità di Aristotele. Tra le nozioni più indagate dagli interpreti, rimangono al centro del nostro interesse quella di nichilismo, ricondotta però al criterio dicotomico di vita declinante/ascendente, e quella di interpretazione che diventa però una variabile dipendente della vita affettiva, mentre il concetto cardine della volontà di potenza viene spiegato come epifenomeno di una più originaria volontà di salute dedita al potenziamento degli affetti. Questa 9

sistematica riconduzione delle nozioni astratte alla fenome- ~ nologia dei mondi vitali, al regno intermedio in cui i concetti . fanno attrito con l'esperienza (operazione fedele a quel metodo ._ genealogico 'ideato dallo stesso Nietzsche e che può essere util- · mente applicato anche alla sua opera), non soggiace neppure · al tanto vituperato paradigma vitalistico, poiché quest'ultimo ·. viene subordinato ad una istanza di ordine antropologico, in ragione della quale il dire di sì alla vita è soltanto la precondi- ' zione atta a promuovere opzioni relative a differenti modalità di esistenza, a molteplici forme di vita. Il soggetto che scaturisce dalla trasvalutazione dei valori (oltreuomo piuttosto che '; superuomo~ per fedeltà alla visione complessiva dell'autore) ' non risulta affatto un soggetto indebolito (se non nel senso dell'esonero dagli attributi metafisici), quanto potenziato nella pluralità delle anime mortali e nella molteplicità delle prospettive interpretative che configurano un'oggettività più ricca di . quella descrittivamente accertata. Da questa.ricostruzione del pensiero di Nietzsche emerge una sorta di sistema dell'affettività fondato sui presupposti tra loro correlati a) che la Umwertung nietzscheana miri alla valorizzazione degli affetti e alla promozione del mondo delle cose prossime; b) che l'accezione princeps della volontà di potenza sia l'affetto; c) che il criterio assiologico della vita ascendente risieda nei grandi affetti, alla cui altezza corrisponde la sempre precaria esperienza della grande salute. Se il corpo è il fenomeno pìù ricco -come sostiene Nietzsche-, lo è in quanto ambito di . manifestazione della pluralità affettiva. È possibile riscontrare così l'organicità di una linea interpretativa, individuando dapprima una tesi ontologica sull'essenza della realtà come volontà i di potenza, a sua volta identificata con l'affetto; poi una tesq gnoseologica che approda ad una nuova nozione di oggettività' in grado di dirimere l'annosa questione relativa all'enunciato: : "non vi sono fatti, soltanto interpretazioni"; infine una terza tesi di genere etico, in senso antinormativo, che allude al nuovo ethos del temperamento mite e che prospetta una sorta di ecolo- · gia del sentire. 10

Dal-mito dell'interiorità al sapere della superficie L'intento principale di Nietzsche, nella sua decostruzione genealogica dei concetti di verità e apparenza che caratterizzano il modello teoretico della metafisica, consolidato dalla metaforica della profondità/interiorità/autenticità, non è tanto quello di destituire di fondamento una visione del mondo considerata obsoleta, quanto quello di mettere in luce gli effetti, lato sensù antropologici, che un determinato dispositivo epistemico ha prodotto all'interno delle forme di vita in cui esso si è affermato. Il congedo senza affettazione che connota il rapporto critico che Nietzsche istituisce nei confronti della tradizione filosofica nasce dalla consapevole~za che il patrimonio conoscitivo accumulato dal paradigma metafisico costituisca un retaggio rispetto al quale sarebbe improponibile, nonché sterile, una presa di congedo puramente teorica: filosofare col martello significa piuttosto promuovere nuove configurazioni esistenziali che preludano a inedite forme di vita. Se la grammatica del pensiero è destinata a perseverare nella me.:. ta:fisica, perché attribuire un predicato ad un soggetto è un po' come credere in Dio, sul piano dell'antropologia filosofica, Nietzsche non guarda alla metafisica come ad un incontrovertibile e fatale destino dell'uomo ma come come ad un articolato costrutto teorico (un modello di spiegazione con tanto di nucleo e di cintura protettiva) destinato a dissolversi, o perlomeno a limitare la sua influenza, nel più generale processo di riduzione dell'insicurezza che l'aveva dapprima generato. Saranno dunque i lineamenti di quel temperamento buono -preannunciato in Umano, troppo umano- a decretare l'infondatezza di ogni ricorso alla metafora della profondità, al tempio dell'interiorità sottratta alla percezione dei primi piani, a scorgere la vacuità di un contenuto sottratto all'espressione che -come scriveva Goffried Benn- lascia "scintillare le superfici di frattura". Qualora si intenda enucleare l'obiettivo prioritario dell'intera filosofia nietzscheana, quello che permette di riscontrarne l'unità tematica, lo si dovrà individuare nella liberazione dell'uomo dallo spirito di gravità. Non soltanto l' oltreuomo danzante profetizzato da Zarathustra esonera la propria vita dallo spirito di gravità, ma 11

lo stesso viandante cosi come lo spirito libero delle opere giova:. nili e intermedie sono configurazioni di un soggetto sperimentale. orientate ad acquisire un inedito e temerario spirito di leggerezza,· di sobria noncuranza, di rinnovata sensibilità alle cose prossime,, di attenzione ai fenomeni contingenti, di predilezione per le increspature di superficie. Nietzsche suggerisce a questo soggetto sperimentale (eh~ assume talvolta una problematica connotazione oltremetafisica) di dissodare le contrade più fertili, finora poco frequentate se non vilipese dagli spiriti vincolati alle forme di sapere · irretite nel paradigma della profondità/interiorità/autenticità. Questi spiriti liberi sono i viandanti e i filosofi che concepiscono l'esistenza come un .percorso eccentrico, privo di orientamento . lineare e di punti d'approdo, che non guardano più al mondo feno- · menico come ad un quadro invariabile sottratto al divenire dei fenomeni sensibili, come permanenza affrancata dalla transitorietà delle forme: dopo aver sistematicamente ricondotto la policromìa del1' apparenza ad una comune base fondazionale, dopo aver risolto la superficie de~ fenomeni nella profondità inattingibile di una ragion d'essere abissale, ora avvertono, nella solitudine di un silenzio stupefacente, una serenità che trasfigura ogni fenomeno intramondano, _. predisponendolo ad un'innocente quanto incessante metamorfosi, rendendolo buono e luminoso perché finalmente sottratto al cuore di tenebra dell'essere, all'arcana e remota profondità della notte. Colui che raggiunge l'equilibrio dell'anima mattinale, la nuova aurora di una soggettività sperimentale, è l'uomo di buon carattere che afferma la propria identità nella convalescenza dalla malattia meta.fisica da cui, innanzitutto e per lo più, ci si trova af- fotti "per antica abitudine ereditaria". Se lo spirito vincolato tende . a limitare lo spettro delle possibilità esistenziali, adottando strate- · gie di neutralizzazione dell'ignoto, l'emancipazione del soggetto sperimentale comporta un'accentuata disponibilità a accogliere le differenze intramondane, le molteplici configurazioni che la per- , sonalità e il temperamento dell'individuo possono rivestire in un contesto di innovazione generalizzata volta a edificare una cultura pluricorde, memore forse della Bildung goethiana e schilleriana che scaturisce dal progetto di educazione estetica: "Non si deve 12

voler spogliare l'esistenza del suo carattere polimorfo -sostiene Nietzsche-: lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del rispetto di fronte a tutto quello che va al di là del vostro orizzonte" 1• Il soggetto sperimentale nietzscheano, colui il quale -come vedremo- ha fatto buon uso della malattia per conquistare la grande salute, non conosce l'amorfa vischiosità del disinteresse, si lascia lusingare da ogni sollecitazione non riconducibile al già noto, è orgoglioso di non custodire in sé un'anima immortale ma di essere artefice di più biografie, affronta la vita come un esperimento conoscitivo nel tentativo di massimizzare le proprie facoltà sensibili e cognitive, non paventandone più l'incertezza e il carattere fatalmente aleatorio. Progettare questo idea/tipo esistenziale comporta la revoca della svalutazione metafisica di ciò che è minimo, ordinario, epidermico, disposto in superficie: negli aforismi de Il viandante e la sua ombra ricorre frequente l'invito a prender piacere agli ambiti di esperienza di immediata rilevanza vitale, a ridiventare "buoni vicini delle cose prossime". Appare evidente per Nietzsche la stretta correlazione che sussiste tra l'egemonia paradigmatica del pensiero metafisico e il discredito cui sono condannati gli eventi di superficie e il mondo delle cose prossime. Infatti, la ricerca ontologica del fondamento originario dell'essere, della vita e della conoscenza è sempre stato connotato da un'aura di lontananza e da un'indebita attribuzione di profondità: per via di quest'inaggirabile istanza, la cui teoria viene a rispecchiarsi nella prassi antropologica, la metafisica rappresenta quel dispositivo epistemico capace di inibire la naturale propensione dell'uomo a dimorare presso le cose stesse. Il discredito della superficie e della prossimità, e più in generale l' anatema nei confronti del sensibile, costituiscono pertanto il principale capo di imputazione che Nietzsche rivolge tanto alla metafisica quanto alla morale, colpevoli di aver penalizzato il mondo della vita riconducendolo a verità abissali e trasfigurandolo in una trascendenza generatrice di nichilismo. 1

F. Nietzsche, La gaia scienz.a, voi.V, tomo II delle Ope~e, ~ano, Adelphi_ 1_964 e sgg., p. 252 (salvo indicazione contraria, faremo sempre nfenmento a tale edizione).

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Condizione preliminare ad ogni effettiva trasvalutazione dei?valori orientata verso il mondo della prossimità è il maturo af- : francamento del s·oggetto sperimentale dal pathos metafisico -~ dell'origine: "Con la piena cognizione dell'origine aumenta l'in- ; significanza dell'origine: mentre la realtà più vicina, quel che è : intorno e dentro di noi, comincia poco a poco a mostrare colori e . bellezze ed enigmi e ricchezze di significato, cose, queste, di cui · l'umanità più antica non sognava neppure" 2• Il pensiero metafisi- ', co ci ha fornito un incomparabile patrimonio di interpretazioni e .' valutazioni prospettiche, assecondando le nostre istanze di autoconservazione, permettendoci di padroneggiare l'insicurezza del nostro essere al mondo tra fenomeni e azioni spesso incomprensi- . · bili; ora, questa questa volontà di sapere ha acquisito una valenza ·: nichilistica per la quale non si produce più un conferimento di . senso che non denigri la vita stessa: se questo programma di ricerca è giunto a compimento aùtonegandosi, la filosofia può delineare un programma alternativo (un mutamento paradigmatico o uno slittamento di problema) che consenta di valorizzare fenomeni ed esperienze dapprima trascurate o negate, di esplorare in partico- , lare le/orme di conoscenza dell'apparenza non più subordinate al mondo vero: questo è il significato sobrio, proprio di un temperamento radicalmente mite, del congedo senza affettazione e della trasvalutazione nietzscheana. Il sapere della superficie -inaugurato da Nietzsche e ripreso da Simmel, Benjamin e dalla cultura viennese- va inteso dunque come elaborazione di un programma di ricerca non meramente epistemico, dotato di cospicui risvolti antropologici da esplorare e infine promuovere. Mentre la malattia ·metafisica viene diagnosticata da Nietzsche rilevando un arbitrario privilegio conferito alla metafora concettuale della profondità, in cui viene individuato l'abissofondamento dell'essere, la malattia storica è caratterizzata da un infondato culto dell'interiorità. La principale responsabilità che Nietzsche attribuisce alla cultura storica non più subordinata al presupposto della vita riguarda la formazione di una marcata 2

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F. Nietzsche, Aurora, voi. V, tomo I, op. cit., p. 39.

e indebita opposizione tra un· processo interno ed una sfera esteriore: in questo contrasto, l'epoca moderna genera il proprio mito confinando ogni valore nell'interiorità, un tratto distintivo ignoto ad altre epoche, ad altre culture come quella greca ma anche estraneo all'età di Goethe, che rimangono gli insuperati modelli di civiltà in grado di esprimere unità stilistica in ogni manifestazione vitale. Il pensiero metafisico e la cultura storicista rivelano compiutamente una solidarietà di intenti · patogeni che Nietzsche intende debellare per porre le basi perimetrali del sapere della superficie: relegare il sapere in qualche zona remota dell'essere, attribuendogli i requisiti della profondità e dell'interiorità, significa infatti impoverire la cultura di un popolo, devitalizzare la personalità di un individuo, negando loro l'accesso al mondo dell'espressione (l'Ausdruckswelt di cui parlerà Benn), alla trasparenza dei contenuti, all'integrità di ogni dimensione organica3• Questo misconoscimento dei tratti di superficie, dei fenomeni contingenti e in generale della forma -svalutata come mera convenzione e decorazione da una modernità dimentica del grande stile- comporta per Nietzsche la nascita della personalità debole, figura affine allo spirito vincolato prodotto dal pensiero metafisico: in entrambi i casi si assiste al declino di una coscienza epigonale, caratterizzata da un marcato scetticismo nei confronti dell'agire innovativo, nutrita com'è di una "erudizione che non diventa vita". Anche nell'analisi della malattia storica, della sua prevaricazione ai danni della vita, l'obiettivo primario di Nietzsche è di ordine antropologico, orientato cioè a far emergere -attraverso un'igiene della vita- dalle patologie della modernità un soggetto sperimentale capace di frequentare con spontanea adesione il mondo delle cose prossime, arginando la deriva della décadence che promuove una forma di vita declinante e genera nichilismo 3

"La superficie non è per Nietzsche ciò che si oppone alla profondità ma ciò che permette alla profondità di essere visibile, ciò attraverso cui la profondità si manifesta". C. Rosset, 1.Aforce majeure, Paris, Minuit 1983, p. 59, trad. ns.

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reattivo. Nella convalescenza da queste patologie secolari si de-~linea il volto di quel soggetto (dividuo più che individuo, Es più che Io) che assumerà le sembianze dell' oltreuomo: la parabola ' del soggetto moderno, cresciuto sotto la tutela del paradigma: dell'interiorità, si compie quando, dalla consapevolezza di averi sondato e sviscerato ogni profondità dell'essere, nasce il deside~1 rio di risalire come un delfino in superficie, di "diventare di nuovo limpidi", buoni vicini delle cose prossime. Tra il Libro V della Gaia scienza e lo Zarathustra si compi~,. l' Umwertung nietzscheana dei valori profondi e interiori: l' oltreuomo scopre un 'insospettata energia dell 'autoderminazione, comincia "a sapersi tenere su corde leggere e su leggere possibilità, a danzare perfino sugli abissi''4 • Nell'ora sovrana in cui si congiungono la serenità del mattino e la luminosità del meriggio, il sole della conoscenza irradia la sua luce sul mondo delle cose prossime e il temperamento mite esperisce l'attimo immenso in : cui i fenomeni intramondani sembrano liberarsi della loro forza di gravità e disporsi sulla salda ed estesa superficie della terra, a cui rimarranno fedeli, istituendo connessioni di senso orizzontali ◄ prive di profondità, affermando una superiore integrazione tra le facoltà vitali non più penalizzate dall'innaturale lacerazione tra interno ed esterno e irretite nella sterilità della forma inattuata. Fedeltà alla terra, adesione al mondo delle cose prossime, esonero dallo spirito di gravità: una trasvalutazione di tutti i valori che decreta il tramonto dell'uomo interiore, frequentatore delle viscere dell'imperscrutabile, propenso ad edificare un mondo vero dietro . . i fenomeni sensibili, al fine di rendere finalmente possibile -dice: Zarathustra- "il divenir lieve della vita", l'alfa e l'omega dell'in~: tera filosofia nietzscheana. i Lungi dal negarlo o dal conciliarlo, il sapere della superficie si fonda sul sapere tragico, anzi scaturisce da quell'origine sospesa sul nulla, viene elaborato cioè a partire dalla consapevolezza del1'ambivalente e contradditoria natura dell'essere, dalla visione di un fondo abissale a carattere aorgico o dionisiaco. Come già sa-!

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F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p.213.

peva Holderlin, soltanto a chi attinge alla profondità dell'essere, a chi non distoglie lo sguardo dall'orrore primordiale, viene concesso il dono e la gioia della superficie della vita. Riproducendo la dialettica tra dionisiaco e apollineo, mai dismessa da Nietzsche dopo La nascita della tragedia, il sapere tragico è dunque la condizione di plausibilità del sapere della superficie, quello sfondo di coscienza lacerata da cui trae origine e legittimazione, liberando il campo dal sospetto che sussista un 'unica dimensione popolata da simulacri, esente da contraddizioni, immediatamente conciliata e fruibile edonisticamente. Come aveva ben compreso Lev Sestov (grande interprete nietz- ~ scheano, spesso trascurato dalla critica accademica), il pensiero ;· moderno ha edificato un sistema di leggi e principi che trovano la loro ragion d'essere in abissali e inospitali profondità. Anche nella prospettiva radicale del pensiero tragico (ispirata peraltro più a Dostojevskji che a Nietzsche) la possibilità di una redenzione alla . fine dei tempi viene ancorata alla riabilitazione della superficie, alla pienezza della forma, alla restituzione dei diritti espressivi: "La nostra maledizione è di non aver fiducia se non nelle cose . che abbiamo acquistato col sudore della fronte e che abbiamo · partorito nel dolore. Certo, bisogna accettare questo castigo; è impossibile evitarlo. Ma quando il tempo della prova sarà finito, le profondità saranno dimenticate e Maya riacquisterà i diritti che, per decisione di Dio, le aveva tolto il diavolo, cioè la ragione, stornando l'uomo dalla superficie luminosa dell'essere verso le radici oscure e i princlpi"5• Fondamento tragico del sapere della superficie che già lbsen aveva individuato nella sua dimensione nichilista: Peer Gynt ci insegna che, per quanto accurata sia la nostra indagine della realtà empirica e della consistenza soggettiva, non troveremo mai qualcosa come un nucleo, un centro dell'essere, un'essenza o un

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L. ~estov, Sulla bilancia di Giobbe. Milano, Adelphi 1991, p. 290. Per quanto riguarda il fondamento del pensiero tragico, giova rimandare ai lavori di Sergio Oivone, da Disincanto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore 1988 alla Storia del nulla, Bari, Laterza 1995.

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fondamento, ma sempre soltanto nuovi strati di superficie, nuovi fenomeni• contingenti da esplorare, una "quantità prodigiosa di pellicole", refrattarie ad ogni sussunzione entro un concetto che ne esprima l'essenza; avremo sempre un contatto con singolarità plurali di esistenza, con identità transitorie e smarrite, le cui interazioni si offrono al gioco inesauribile dell'interpretazione.

La grande ragione del corpo La seconda, fondamentale implicazione della Umwertung nietzscheana che trasvaluta i valori profondi, dislocati nell'interiorità del , soggetto, in direzione di una nuova dimora nel mondo delle cose prossime, nell'epidermide dell'esperienza, è l'apertura della riff es. sione filosofica sul corpo, sottratto ad una inveterata forclusione epistemica. Fin dal pensiero greco, infatti, l'identità della filosofia si è costituita e consolidata nella negazione del potere conoscitivo del corpo, il quale non solo non genera conoscenza ma ne ostacola e inibisce la possibilità. Come è noto, nei dialoghi platonici viene concepito in chiave normativa quel dissidio tra anima e corpo che diventerà poi paradigmatico nella cultura occidentale: come si legge nel Fedone, "l'anima disprezza più di ogni altra cosa il corpo", fugge ·da esso per raccogliersi in se stessa, sottraendosi all'inganno perpetrato dall'ambivalenza dei sintomi corporei. Il pensiero potrà conseguire la propria purezza astrattiva solo affrancandosi dal corpo "che perturba l'anima e non le peqnette di acquistare verità e intelligenza quando abbia comunanza con esso" (66a). Il filosofo è colui che vive nella più strenua e radicale discordia con il corpo, colui che si esercita a sciogliere l'anima dai vincoli emotivi e passionali che provengono dal corpo, colui che anela e accede alla prossimità della conoscenza liberandosi da "quella infermità di mente" costituita dal corpo: "pare ci sia -scrive Platonecome un sentiero a guidarci col raziocinio, nella ricerca; perché fino a quando la nostra anima è mescolata con il corpo e confusa _ con un male di tal natura, noi non saremo mai capaci di conquista- ~ re compiutamente quello che desideriamo e che diciamo essere la_; 1

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verità. Infinite sono le inquietudini che il corpo ci procura" (66b) -conclude Platone, il quale rifiuta la sfida rappresentata dal segni ambivalenti del corpo, percorsi da emozioni e intrisi di passioni, pervasi da intensità pulsionali, rimuove cioè tutta questa fenomenologia dell'inquietudine per indicare al filosofo la deontologia della purificazione da quel substrato corporeo che trattiene l' anima come in un carcere. L'opzione platonica risulta evidente dalla priorità conferita all'accezione del corpo come tomba rispetto a quella di segno, entrambe contemplate nel tennine sèma che -nel Cratilo- Platone accosta al tennine sòma (che in greco significa corpo), ricettacolo di passioni e, pertanto, sistematico turbamento dell'anima, irretita e distratta dal suo compito dianoetico. Nella concezione platonìca appare opportuno interrompere la prima navigazione dedita all'indagine della natura, condotta nell'ambito dei fenomeni visibili, per intraprendere una seconda navigazione che mira ad esplorare le cause intelligibili delle cose, una fuga nel dominio invisibile dei logoi. Come verrà chiarito nel settimo libro della Repubblica, la phronesis del filosofo risiede nella capacità di operare una conversione dello sguardo, dal visibile all'invisibile, dall' eidolon all' eidos (come poi drammaticamente in Agostino e in tutta la linea antiestetica del pensiero moderno). Non troveremo mai il principio che governa l'essere degli enti fintantoché lo ricerchiamo tra le sue manifestazioni sensibili. La visione eidetica è antitetica e controfattuale rispetto alle modalità della visione sensibile; la vita contemplativa della mente esige 1' esonero dalla vita concupiscente dei sensi. Uno dei grandi dialoghi platonici, il Teeteto, è quasi interamente dedicato a confutare la teoria di origine sofista che sostiene l'identità di conoscenza e sensazione, in accordo con la massima relativistica di Protagora secondo la quale l'uomo è misura di tutte le cose. Se tutti gli enti sono soggetti al mutamento, se nulla è mai eguale a se stesso ed è sempre in relazione con altro -come sostiene lo scetticismo relativista-, allora non resta che negare la possibilità di una verità stabile e inconcussa, affidandosi al dettato cangiante delle sensazioni, al vertiginoso avvicendamento delle apparenze. Se avessero ragione i sofisti che identificano la 19

conoscenza con la· sensazione~ secondo Platone la ragion d'essere della filosofia verrebbe meno: "consegue da tutto questo che nes... suna cosa è, presa isolatamente in se stessa, ma sempre diviene · relativamente ad un altra; e dunque questa parola 'essere' si deve • levar via in ogni modo" (157 a-b).Il confronto è davvero dram- . matico: se la concezione di Protagora fosse vera, la filosofia perderebbe il suo oggetto, l'essere, e dovrebbe limitarsi a registrare sensazioni soggette alla caducità del tempo, esposte ad affezioni e a relazioni mutevoli e periture, d_elle quali non si dà episteme, saldezza del fondamento. Questa liberazione dell'anima razionale dalla follia del corpo e dal suo mutevole registro di sensazioni costituisce l'atto fondativo della filosofia occidentale nel suo tratto caratteristico, metafisico e logocentrico, fondata cioè sulla base di un logos · devitalizzato, non più alimentato dalla vitalità del corpo, dalla . sua inquietudine produttiva, una ragione originariamente e poi· cronicamente affetta da inibizione da contatto, sistematicamente caratterizzata da una deleteria deprivazione sensoriale. Non· è qui possibile ripercorrere le tappe salienti di questo immane e sconsiderato sacrificio del corpo6, dalla tradizione giudaico-cristiana al cogito cartesiano, dall'idealismo trascendentale fino a buona parte delle più accreditate filosofie novecentesche: l'unica significativa eccezione (come rileverà lo stesso Nietzsche) è costituita da Spinoza, il quale -nella sua rigorosa opposizione ad ogni forma di dualismo- invitava ad esplorare il potere del corpo, ad analizzare j le sue sorprendenti facoltà: "Ma essi diranno -scrive nel m Libro l dell'Etica- che dalle sole idee della natura, in quanto è considerata soltanto come corporea, è impossibile dedurre le cause degli edifici, delle pitture e delle cose di tal genere che sono fatte dalla· sola arte dell'uomo, e che il Corpo umano non sarebbe capace di edificare un tempio, se non fosse determinato e guidato dalla Mente. Ma io ho già mostrato che essi non sanno cosa può il Corpo, o che cosa si può dedurre dalla sola considerazione della sua 6

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A questo proposito si consiglia la lettura del fondamentale studio di U. GalimbertiJ Il corpo, Milano, Feltrinelli 1983.

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natura, e che essi stessi sanno per esperienza che per le sole leggi della natura accadono moltissime cose che essi non avrebbero mai creduto poter accadere se non sotto la guida della Mente"7• Anche alla luce di questo plurisecolare oblìo del corpo, sarà riproporre e verificare la nostra ipotesi8: la metafisica occidentale ha edificato la propria base fondazionaie sul modello della profondità e dell'interiorità, a cui ha attribuito il carattere dell'autenticità, svalutando per converso ogni configurazione di superficie, screditando il dominio fenomenico e contingente della prossimità: ora il corpo, per definizione, è un'entità priva di attributi profondi e interiori; è pura esteriorità, nuda e vulnerabile esposizione dell'esistenza, effimera presenza sensibile, inappropriabile dall'Io o dal Sé, apertura originaria e indifesa sul mondo, stupore e sgomento dello sguardo, ospitalità dell' assolutamente altro, depotenziamento e rinuncia di Ego a favore di Alter, possibilità dell'amore, locazione del desiderio e dell'abbandono, singolarità che tende alla condivisione, idioma dell'affetto9• Nietzsche è stato il primo a comprendere che l'intera storia della filosofia si configura come una scuola della denigrazione

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Spinoza, Etica, ID, I scolio, Firenze, Sansoni 1984, pp. 245-247. L'intelligibilità delle passioni, che è condizione della loro convertibilità in affetti, è il tema spinoziano di molti importanti lavori di Remo Bodei, il quale sostiene tra l'altro che "Spinoza rappresenta il ponte tra le etiche tese all'autocontrollo e alla manipolazione politica delle passioni e quelle che lasciano aperto il campo all'incommensurabilità del desiderio" in Geometria delle passioni, Milano, Feltrinelli 1991, p. 29. Emerge cosi un modello di ragione ospitale, capace di accogliere e integrare la logica affettiva, cooperando con essa poiché "la logica delle passioni ha un lato di conoscibilità, come la logica della conoscenza ha un lato di affettività" in Le logiche del delirio, Bari, Laterza 2000, p. 80. Per l'istituzione di questa nuova alleanza tra il cognitivo e l'emotivo si vedano anche, oltre ai contributi di Nelson Goodman, i fondamentali studi di Jon Elster, il volume di M. Meyer, Le philosophe et les passions, Paris, Livre de poche 1991 e il saggio di H. Flam, L'uomo emozionale, Milano, Anabasi 1995. Per una rivendicazione neurofisiologica del valore cognitivo del sentimento, cfr. A. Damasio, L'errore di Cartesio, Milano, Adelphi 1995. Formulata per la prima volta ne: Il sapere della superficie. Da Nietzsche a Simmel, Napoli, Liguori 1988. L'esteriorità etica del corpo è uno dei grandi temi del pensiero di Lévinas e, per altri rilevanti aspetti, sviluppato da J-L. Nancy in Corpus, Napoli, Cronopio 1995.

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contro i presupposti della vita perpetrata soprattutto attraverso•it sistematico disprezzo del corpo, della sua forza creativa, della sua\ mirabile facoltà di metamorfosi, ridotto dai metafisici ascetici ad _; una "miserabile idée fixe dei sensi, affetto da tutti i possibili error( della logica" 10• Il progetto nietzscheano di radicale oltrepassamen-· • to dell'orizzonte di pensiero metafisico comporta un conclamato ·. ribaltamento della svalutazione platonico-cristiana del corpo: "Ai! dispregiatori del corpo voglio dire una parola -scrive Nietzsche in un celebre passo dello Zarathustra qui ampiamente sintetizzato: "Il corpo è una grande ragione, una· pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami 'spirito', un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione: essa non dice 'io', ma fa 'io' ... Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto -che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo. Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza... Tramontare vuole il vostro Sé, e perciò siete diventati dispregiatori del corpo! Infatti non siete più capaci di creare al di sopra di voi stessi. E per questo ora vi incollerite contro la vita e la terra. Un'invidia inconsapevole è nello sguardo bieco del vostro disprezzo. Io non vado sulla vostra strada, dispregiatori del corpo! Voi non siete per me ponti verso il superuomo!" 11 • Nella consapevolezza che in tutti i giudizi di valore finora for- _· mulati si annida un fraintendimento del corpo, che la coscienza è soltanto un sintomo di quanto accade nel corpo, una mistificazione della fisiologia nella forma dell' autorispecchiamento dello 10 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, voi. VI, tomo IIl, p. 69. Deleuze ha considerato il corpo come ambito di manifestazione della più generale opposizione tra forze attive e reattive: "Ma che cos'è il corpo? Non serve a definirlo dire che è un campo di forze, un luogo di nutrimento conteso tra una molteplicità di forze. In realtà no~ c'è un 'luogo', un campo di forze o di battaglia. Non c'è quantità di realtà, ogru realtà è quantità di forza. Soltanto quantità di forze 'in rapporto di tensione' le une con le altre. Ogni forza sta in rapporto con altre, o per obbedire o per comand~· Ciò che definisce un corpo è questo rapporto tra forze dominanti e forze domma- i te". G. Deleuze, Nietucl,e e la.filosofia, Firenze, Colportage 1978, p. 72. · 11 F. Nietzsche, Cosl parlò Zarathustra, voi. VI, tomo I, pp. 34-36.

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spirito, la filosofia sperimentale di Nietzsche si sviluppa assumendo esplicitamente il filo conduttore del corpo, considerato il fenomeno più ricco, attraente quanto misterioso, espressione di molteplicità e complessità in cui risiede quella grande ragione ancora inesplorata di cui parla Zarathustra, rispetto alla quale la logica dell'intelletto appare come una piccola ragione che scaturisce dalla volontà di semplificare la pluralità dell'esperienza per salvaguardare la perspicuità unitaria della nostra coscienza. Ma di quale corpo parla Nietzsche, a quale forza allude? Come si qualifica questo progetto di platonismò rovesciato, di sovversione del bimillenario paradigma metafisico? Se ci soffermiamo in particolare sulla prefazione alla seconda edizione della Gaia Scienza, troviamo che, accanto alla grande ragione costituita dal corpo, Nietzsche pone l'esperienza del grande dolore che libera lo spirito dalle catene morali e metafisiche, generando il "grande sospetto che fa di ogni U una X, una vera e propria X ... Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in cui, per così dire, veniamo bruciati come con legna verde, costringe noi filosofi a discendere nelle nostre ultime profondità e a sbarazzarci d'ogni fiducia" 12• L'esercizio della filosofia sembra collocarsi nella transizione fra il grande dolore e la grande salute, nel momento cioè della convalescenza, quando ci si affranca dalla tirannide del dolore e si prova una nuova ebbrezza sperimentale: la ricorrente esperienza della malattia genera dunque, attraverso transitori e instabili stati di salute, altrettante filosofie, intese come configurazioni sperimentali del pensiero, e l'intera filosofia appare come convalescenza, cognizione biopatica, un'arte della trasfigurazione del dolore. Potremmo concludere che la ragione del corpo è tanto più grande quanto più sa comprendere ed elaborare il grande dolore, nella misura cioè in cui si manifesta come ragione tragica, capace di sopportare la lacerante contraddizione costituita dalla sofferenza senza tentarne consolatorie conciliazioni. Sembra superfluo sottolineare come la grandezza tragica di questa ragione 12 F. Nietzsche, La Gala scienza, op.cit., p. 17.

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nietzscheana si ponga agli antipodi di interpretazioni correnti che si soffermano compiaciute sulla leggerezza di un processo di gaia affabulazione o sulla proliferazione di simulacri postmoderni.

La valoriu.azione delle passioni La posizione di Nietzsche costituisce una programmatica revisione del canone filosofico relativo alle passioni, al loro addomesticamento, alla loro neutralizzazione se non alla loro radicale estirpazione: la rivalutazione nietzscheana delle passioni è articolata in sintonia con la valorizzazione degli affetti, dei sensi, degli istinti, dell'apparenza e della superficie, cioè di tutta l'esperienza fenomenica che la tradizione filosofica aveva trascurato se non diffamato. Secondo Nietzsche, "la storia della filosofia è una furia segreta contro i presupposti della vita" e appare come una "grande scuola della denigrazione", imperniata com'è su un presupposto decadente che nega valore al senso naturale dell'esistenza, al quale viene contrapposto un presunto retro o sovramondo ideale dotato di razionalità universale. È questo l'approdo nichilistico a cui giunge la storia della metafisica e della morale, rispetto al quale Nietzsche considera opportuno inaugurare un'epoca di grande scetticismo, progettando al contempo un antidoto, un contromovimento di .filosofia sperimentale. Nietzsche rileva nella nostra cultura un sintomo sul quale riflettere, "l'ostilità radicale, l'inimicizia mortale contro la sensualità", un sintomo di cui la filosofia costituisce la massima espressione: "Incontestabilmente, finché sulla terra ci saranno filosofi, ovunque siano esistiti filosofi, sussiste una particolare irritazione e astiosità filosofica contro la sensualità" 13 • La denigrazione teoretica e morale della dimensione sensuale e passionale insita nell'esistenza determina uno stato di alienazione, di rovesciamento patogeno dell'ordine naturale delle cose: "Incolpare e bollare sempre più la sensualità... Qui la verità sta

13 F. Nietzsche, Genealogia della morale, vol. VI, tomo II, p. 309.

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esattamente a testa in giù" -si legge in· Umano, troppo umano, cioè nel ·periodo in cui Nietzsche sembra apprezzare di più il metodo e il temperamento scientifico, senza per questo caldeggiare un modello di pensiero asettico e incorporeo. . La requisitoria di Nietzsche persegue due obiettivi polemici congiunti per i loro conclamati effetti nichilistici: la metafisica e la morale religiosa; del modello razionalistico prodotto dalla teoresi della prima viene esplicitamente contestata la legittimità in base al parametro della vita: "Tutta la concezione della scarsa dignità delle passioni: come se fosse giusto e normale essere guidati dalla ragione, mentre le passioni sarebbero l'anormalità, il pericolo, la semibestialità, e inoltre, per il loro fine, nient'altro che brame di piacere... La passione è degradata: 1) come se solo indebitamente fosse il movente, e non necessariamente e sempre; 2) in quanto mira a qualcosa che non ha un alto valore, a un piacere... Il disconoscimento di passione e ragione, come se quest'ultima avesse un'essenza per sé e non fosse piuttosto uno stato di relazione tra diverse passioni e desideri; come se ogni passione non avesse in sé la sua parte di ragione" 14• Quanto alla morale il giudizio è analogo, fondato cioè sulla rilevazione di un pervertimento della natura umana: "Annientare le passioni... ci appare oggi una forma acuta di stupidità... Attaccare le passioni alla radice significa attaccare alla radice la vita: la prassi della Chiesa è ostile alla vita" 15 • Più in generale, ogni forma di morale appare come una maschera, il prodotto di un occultamento e di una deformazione, l'esito di una rimozione condotta a scapito degli istinti, "nient'altro che un linguaggio mimico delle passioni". Il discorso di Nietzsche diventa più analitico e circostanziato quando prende in esame 1' espressione canonica del discredito delle passioni, quello operato dagli Stoici in termini di neutralizzazione epistemica, senza peraltro tacere in merito ad altre posizioni più concilianti sul legame avversativo e/o cooperativo 14 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, voi. VIII, tomo Il, p. 33S-336. 15 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op.cit., p. 77-78.

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tra ragione e passione: "Tutte queste morali che si rivolgono all'individuo singolo, allo scopo -come si dice- della sua "felicità" ... sono... ricette contro le sue passioni... tutte quante barocche e irrazionali nella forma -giacché vogliono indirizzarsi a 'tutti' e generalizzano laddove non è lecito generalizzare-, tutte assolute nel linguaggio e atteggiantesi ad assolute ... tutto questo ha poco valore... è soltanto... accortezza commista a stupidità... sia che si tratti di quell'indifferenza e statuaria gelidità contro l'ardente follia delle passioni, consigliata e raccomandata come terapia dagli Stoici; o di quel non più ridere e non più piangere di Spinoza, della sua tanto ingenuamente perorata distruzione delle passioni mercé l'analisi e la vivisezione delle medesime; oppure di quella . riduzione delle passioni a una innocua mediocrità al cui livello è lecito vengano soddisfatte, cioè dell'aristotelismo della morale; ovverosia che si tratti anche della morale in quanto godimento delle passioni intenzionalmente assottigliate e spiritualizzate mediante il simbolismo dell' arte" 16• Nietzsche coglie dunque l'insidia di una legittimazione delle passioni e di una valorizzazione degli affetti Qttenuta attraverso un processo di spiritualizzazione analogo a quello di interiorizzazione già individuato da Leopardi come segno distintivo della civilizzazione. Il contromovimento della filosofia sperimentale è ispirato ad una "concezione più innocente dei sensi", ad un "atteggiamento più gioioso, benevolo, goethiano verso la sensualità", anche per evitare il paradosso dello Stoico, il quale, nell'intento di conseguire la felicità nell'atarassia, nel distacco dal mondo, si trova poi come "oppresso dal rituale che lui stesso ha prescritto al proprio tenore di vita". Le linee guida del progetto antimetafisico elaborato da Nietzsche sono esplicitate dall'intento di "rivendicare per l'uomo della conoscenza il diritto alla grande passione, dopo che la spersonalizzazione e il culto dell'oggettivo hanno creato, anche in questa sfera, una falsa gerarchia" 17 , intento che modifica l'identità stessa della teoria della conoscenza, pre16 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, vol. VI, tomo n, p. 95. 17 F. Nietzsche, Frammentipostumi 1887-1888, op.cit., p. 60.

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cisando la svolta postkantiana attuata.dall'autore: "In luogo della gnoseologia una teoria prospettivistica delle passioni". La correlazione qui istituita in chiave programmatica non è casuale o irrilevante, poichè il mutamento paradigmatico è determinato proprio dall'esperienza delle passioni, non da una teoria pura della conoscenza. Nietzsche coglie anche un significativo legame tra dottrina etica e teoria epistemologica, tra il discorso sulle passioni e l'attitudine gnoseologica, nesso che chiama nuovamente in causa la metafisica stoica: "Qualcosa che· sta fermo è veramente più felice di tutto quello che si muove? L'immutabile ha veramente e necessariamente più valore di una cosa che cambi? E se uno si contraddice mille volte e va per molte vie e porta molte maschere e non trova in sé mai una fine, mai un 'ultima linea d'orizzonte: è davvero verosimile che costui abbia ·della 'verità' un'esperienza minore di uno Stoico virtuoso, che si sia messo una volta per tutte al suo posto come una colonna, e con la dura pelle di una colonna? Ma simili pregiudizi si trovano sulla soglia di tutte le filosofie pensate finora; in particolare il pregiudizio secondo cui la certezza è meglio dell'incertezza e dei mari aperti, e quello secondo cui l'illusione è ciò che un filosofo deve combattere come il suo vero e proprio nemico" 18• Nei testi che Nietzsche dedica a questo tema, è ben riconoscibile il significato di quello che potremmo chiamare modello di valorizzazione pragmatica a sfondo utilitaristico delle passioni. "Utilizzare le passioni come il vapore per le macchine. Superamento di se stessi": in questo frammento del 1884 si trova la precisa indicazione di trasformare le passioni in energia motrice, in carburante e propellente, insieme alla suggestione secondo la quale questa valorizzazione delle passioni costituisce un superamento dinamico della nozione di soggetto e, forse, una prefigurazione dell 'oltreuomo. Per converso, il timore delle passioni è sinonimo di vita declinante: "La paura dei sensi, dei desideri, delle passioni, quando giunge al punto di sconsigliarli, è già un sintomo di debolezza: i mezzi estremi denotano sempre stati anormali. Ciò 18 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, voi.VII, tomo Ill, p. 342-343.

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che qui manca, o è intaccato, è la forza di arginare un impulso... quasi tutte le passioni hanno cattiva reputazione a causa di coloro che non sono abbastanza forti per volgerle a loro vantaggio. Bisogna intendersi sul fatto che alla passione si può obiettare ciò che si può obiettare alla malattia; e tuttavia non potremo fare a meno della malattia e ancor meno delle passioni ... Abbiamo bisogno dell'anormale, con queste grandi malattie diamo alla vita un immenso choc" 19• Il pathos è dunque inestricabilmente tanto affezione e dolore, quanto passione e affetto. Così come la grande salute si consegue soltanto attraverso la cognizione del dolore derivante (non deterministicamente) dal1' esperienza della malattia, così la grande ragione (quella che Nietzsche attribuisce al corpo piuttosto che all'intelletto) trova il suo peculiare alimento nel libero esercizio della passioni, nel1'utilizzo dell'energia che proviene dalla consuetudine a disporre di affetti affermativi. Se la sensualità, i desideri, gli affetti e le passioni sono immagini di una vita potenziata che si avvale di una forza trasfigurante, allora il plesso di queste facoltà sarà anche la condizione per esercitare la volontà di potenza che conduce ad un nuovo conferimento di senso e attribuzione di valore. Nella conclusione si avverte una sorprendente intonazione spinoziana: ''Summa: il dominio sulle passioni, non il loro indebolimento o sradicamento! Quanto maggiore è la forza dominatrice della volontà, tanto maggiore è la libertà che si può concedere alle passioni. Il 'grande uomo' è grande per il campo di libertà dei suoi desideri e per I' ancor più grande potenza che riesce ad asservire queste splendide belve"20• Ormai consapevole che le passioni e i desideri sono come la vegetazione che riveste "la rupe dei nudi fatti", che essi dunque sono equiparabili ad un fenomeno estetico che rende sopportabile e seducente l'esistenza, certo ormai che essi costituiscono un privilegio e non una condanna, acquisita la salutare sovranità di una passione dominante, Zarathustra può così affermare rivolto all' ul19 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, voi. VIII, tomo m, p. 130-131. 20 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, op. cit., p. 68.

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timo uomo: "Una volta·avevi delle passioni e le chiamavi cattive. Ma adesso non hai altro che le tue virtù: esse sono cresciute dalle tue passioni. Nel cuore di queste passioni hai posto la tua meta più alta: così sono diventate le tue virtù e le tue gioie"21 • Per Nietzsche non esiste teoresi pura: al posto della gnoseologia, della teoria della conoscenza intende formulare un'analisi prospettivistica delle passioni in base al presupposto che "dietro ogni pensiero si nasconde un affetto". Si tratta di attingere alla duplice genesi extrateorica del pensiero, attraversato da pulsioni contrastanti: una genesi patica, quando i pensieri sono suscitati dalla cognizione del dolore, quando emergono concomitanti o relativi ad uno stato di sofferenza; oppure una genesi erotica, quando i pensieri sono sollecitati dall'esperienza della seduzione, quando scaturiscono dall'incontro o dalla percezione di un'altra sensualità (Carmen e la logica della passione; Lou Salomé e la sincerità filosofica). Anche in considerazione di questa duplice genesi che presiede alla teoria prospettivistica delle passioni, è possibile richiamare una circostanza della vita nietzscheana che appare decisiva nel contribuire a determinare il suo più compiuto profilo psicologico e che sembra costituire la scaturigine e la condizione di possibilità di ogni amicizia stellare. A Torino, durante il soggiorno del 1888, Nietzsche ascolta cli nuovo la Carmen di Bizet al Teatro Carignano, forse almeno altre venti volte, considerata anche la vicinanza del teatro dalla sua abitazione in via Carlo Alberto 6. Come giustificare tanto interesse, esasperato fino alla dedizione, al di là della sua funzione cli "antitesi ironica a Wagner"? Carmen è indubbiamente l'emblema della sensualità, della seduzione demoniaca, della fatalità di Eros, una figura per certi versi analoga al Don Giovanni di Kierkegaard. Nietzsche si presta a tale seduzione, vi si affida, si espone al suo potere di fascinazione, ormai consapevole che, al di là del1'esperienza della seduzione, gli è solo più riservata la sofferenza, il dolore fisico e psichico. In una lettera scrive: "I miei pensieri sono gli unici eventi della mia vita; il resto è la storia della mia 21 F. Nietzsche, Cosl parlò Zarathustra, op. cit., p. 37.

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malattia". Pensieri dunque sollecitati dalla seduzione, filosofia rinnovata dall'esperienza sensibile di un uomo_ vul~erabile: la sensualità diventa un antidoto, un pharmakon (nmed10 e veleno al contempo) al cospetto della tragedia dell '_esi~tenza. . Si può avanzare l'ipotesi che la filosofia d1 Nietzsche sia mutata sotto l'effetto di tale seduzione, abbia assunto il volto attraverso il quale la riconosciamo soprattutto in virtù di questo incontro. Rileggiamo qualche passo del Caso Wagner, scritto a Torino nel maggio 1888: "Realmente, ogni volta che ascoltavo la Carmen, mi sembrava di essere più filosofo, un miglior filosofo di quanto non fossi solito credere... Questa musica mi sembra perfetta. Si avvicina leggera, morbida, con cortesia. È amabile, non fa sudare. "Il bene è leggero, tutto ciò che è divino corre su piedi delicati": principio primo della mia estetica. Questa musica è malvagia, raffinata, fatalistica ... Con essa si prende congedo dall'umido Nord, da tutti i vapori dell'ideale wagneriano... Essa ha ancora di Mérimée la logica della passione ... essa soprattutto possiede quel che è proprio delle regioni calde, l'asciuttezza dell'aria, la limpidezza nell'aria... Qui parla· un'altra sensualità, un'altra sensibilità, un'altra serenità. Questa musica è serena; ma non di una serenità francese o tedesca. La sua serenità è africana: essa ha su di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione. Invidio Bizet... per aver avuto il coraggio di questa sensibilità meridionale, più abbronzata, più riarsa... Finalmente l'amore, l'amore ritradotto nella natura!... 1'amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele -e appunto in ciò natura! ... Voi vedete quanto questa musica mi rende migliore? Il /aut méditerraniser la musique"22 • Dopo aver richiamato in particolare l'attenzione sulle espressioni contenute in questo passo: logica della passione (un apparente ossimoro analogo a quello della logica della décadence e che rinvia a quell'ottica binoculare debitrice del metodo scientifico) e altra sensualità (che allude ad una deterritorializzazione del Iogocentris~o ?Ccidentale), ~ possibile precisare meglio la precedente ipotesi: Nietzsche non mtende soltanto rendere mediterranea la musica 22 F. Nietzsche, Il ca~·o Wagner, voi. VI, tomo III, p. 9~10.

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ma, ben più radicalmente, l'intera filosofi.a, dotandola di concetti liguri; dietro l'umido Nord non si annida soltanto la musica di Wagner ma anche la filosofi.a di Kant, con il suo pallore konisbergico che diffida di ogni passione, desiderio o emozione.

La futura obietti,vità dell'intelletto interpretante Il merito di Kant: aver rifiutato "come illecito l'inferire dal fenomeno una causa del fenomeno", aver cioè negato -con molte incertezze- il retromondo del noumeno o della cosa in sé, qualcosa che sta alle spalle dell'evento di esistenza.. L'errore di Kant: aver continuato ad applicare al mondo dei fenomeni il concetto di causa ed effetto, alimentando cosi la/avola della conoscenza dopo averla circoscritta al sapere fenomenico. Se è vero che soltanto ciò che è condizionato può essere conosciuto (perché l'incondizionato per definizione è inconoscibile), allora non si dovrà limitare la considerazione al sentirsi condizionati dai fenomeni secondo relazioni causali ma la si dovrà estendere all'operazione attiva del condizionare, cioè a quel ~elezionare, indicare, ipotizzare, classificare, imporre, alterare, riordinare, all'intera costellazione interpretativa entro la quale si esercita la volontà di potenza. Kant non avrebbe cioè portato a termine la rivoluzione copernicana da lui preannunciata: quando la cosa in sé o l'oggetto perde la centralità del riferimento gnoseologico, il fenomenismo esige il complemento del prospettivismo, il riconoscimento cioè che pretendere di applicare le nostre categorie alla realtà, unificandone i contenuti, significa legittimare anche il ruolo dell'interpretazione, fino a riconoscere un certo costruttivismo conseguente alla funzione del conferimento di senso.. Un kantismo iperbolico, radicale ed estremo, quello di Nietzsche (malgré lui), che finisce col deformarne i connotati originari, col negare la possibilità di giudizi sintetici a priori. Un prospettivismo costruttivistico che non sfocia però nel solipsismo relativistico a sfondo scettico, perché non arriva a negare la sussistenza di una realtà esterna al soggetto, bensl si limita a circoscriverne l'autonomia: i fatti non sarebbero neppur riconoscibili come tali 31

fosse "previamente introdotto un senso", se la percezion se non · deIl~ta " ne.Il' o tt·1ca prospett~ca · dellae non fosse integrata e nm~. vita" se la questione dell m se non fosse convertita m quella del ;er sé. La verità è un esercito di met~fore 1:11obili~ato per dar senso ali' esistenza. Del resto, senza un mtenz10ne di senso senza una posizione dello sguardo, non vi sarebbe mondo, i fatti apparirebbero muti, la natura indifferente al nostro interrogare: questa acquisizione prospettivista (ma non scettico-nichilistica) di Nietzsche sarà poi ereditata da buona parte dell'epistemologia novecentesca che -da Vaihinger, Simmel e Weber in poi- codificherà in senso costuttivistico il binomio di Kant e Nietzsche. L'organo del prospettivismo nietzscheano è l'intelletto interpretante, concetto che meglio di ogni altro designa questa peculiare versione costruttivistica del kantismo. Dopo aver decostruito quell'antichissima mitologia che pensa alla volontà come unico principio agente e fondamento del magico nesso di causa ed effetto, Nietzsche pone una facoltà preposta all'elaborazione degli stimoli che ci provengono dal mondo esterno, recepiti dai nostri apparati percettivi: l'intelletto interpretante conferisce un senso a dati di fatto amorfi e privi di significato, trasforma lo stimolo in una sensazione di piacere o di dolore23 • Non un intelletto come soggetto puro e atemporale di conoscenza, estraneo all' esperienza del dolore, un principio regolatore dell'attività categoriale, un io penso che sovrintende alla formulazione di giudizi determinanti, che si esplica in astrazioni e deduzioni logiche, ma un costrutto teorico affettivamente connotato (che si forma dapprima a livello inconscio), il quale orienta le nostre percezioni e seleziona le nostre rappresentazioni, una forza di superficie dedita all'analisi del ~ontingente e preposta all'elaborazione prospettica dei fenomem. Non una facoltà che organizza cognitivamente le forme di conos~enz~ del'apparenza, ma un organo della conoscenza fenomemca, immemore dell'atavica distinzione tra mondo vero e 1!1on~o appare~te, che si avvale dell'attività percettiva dell'o~ch10, ncevendo impressioni sensibili che si rendono interpretabi23 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 125.

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li, che organizza gli stimoli esterni al fine di una appropriazione antropomorfica dei dettami del mondo fenomenico. Conferire un senso a dati di realtà applicando i propri criteri di rilevanza, convertire stimoli fisiologici in sensazioni di piacere o di dolore, è già un'attribuzione di valore, un esercizio della volontà di potenza, una trasvalutazione. Ma se ad interpretare sono sempre gli affetti, anche l'attività dell'intelletto sarà marcata da un'indice di passività, da un plesso di bisogni, impulsi e passioni, il cui ingovernabile magma viene sì reso intelligibile ma mai razionalizzato secondo gli imperativi teoretici della reductio ad unum, in ossequio alla morale gregaria della veracità. Non vi è alcuna deriva irrazionalista nella gnoseologia nietzscheana: gli affetti non sono sottratti -come sembra credere Klossowski- all'intelligibilità del conferimento di senso, ma affidati all'intelletto interpretante che estende le proprie canoniche facoltà fino ad operare la selezione prospettica degli istinti in termini di rilevanza valutativa, attraverso l'esercizio dell'interpretazione affettiva. Gli affetti non sono pertanto il fondamento incondizionato della nostra attività conoscitiva, l'elemento · psico-fisiologico da cui tutto deriva, bensì qualcosa che percepiamo come già da sempre interpretato, temporalmente definito, storicamente condizionato ("anche gli istinti sono divenuti" -precisa Nietzsche) e, come tale, ulteriormente interpretabile, alla luce di un tratto biografico inedito, di circostanze mutate e, più in generale, in virtù dell'inserimento in nuovi orizzonti di senso. Contro ogni sensismo materialistico, Nietzsche sostiene implicitamente che non esistono neppure le sensazioni di piacere e di dispiacere allo stato puro, sottratte cioè al regime onnipervasivo dell'interpretazione: il sensualismo non va inteso come punto d'approdo speculativo ma come ipotesi regolativa, un principio euristico24, in grado di contrastare la filosofia idealista, così come la nozione di 'apparenza' si rivelava utile per demistificare quella opposta di 'verità'. Non si dovrà comunque concludere che, dietro il prospettivismo nietzscheano, agisca• una soggettività trascendentale ipertrofica, un artefice della conoscenza che ha riconfigurato a 24 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit, p. 20.

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propria immagine e somiglianza il mondo este~o: per Nietzsche la domanda relativa al "chi interpreta?", fiducmsa nel ritrovare qualcosa di dato, è destituita. di f?nd~en~o come _resi~ua favola della conoscenza, ipotesi arb1trana e nduttiva, finzmne mfeconda e falsificante, perché l' interpret~e "esiste.co~e un a~ett~", una processualità di impulsi ed energie che mm arnv~ a cnstalliz~arsi in un essere definito e permanente ma che contmuamente viene fluidificata in una soggettività frammentaria esposta al molteplice dell'esperienza affettiva. Chi interpreta? I nostri affetti. Dunque, nessun soggetto, nessun legislatore né creatore, soltanto impulsi, propensioni, istinti, bisogni, flussi di energia disponibile, circostanze fisiologiche di cui l'interpretazione è sintomo: questo l'esito di un 'indagine che ha assunto il corpo come filo conduttore. Gli affetti sono privi di sostrato unitario, fluidi e ingovernabili, mentre soggetto e oggetto perdono consistenza nel gioco interpretativo allestito dalla volontà di potenza. Questo è anche il senso della celebre parabola gnoseologica descritta nel Crepuscolo degli idoli: "come il 'mondo vero' finì per diventare una favola", che registra l'erosione della credenza in un mondo attingibile dalle verità di ragione e praticabile dalle virtù morali, attraverso il platonismo e il cristianesimo fino al kantismo che ne costituisce il punto di svolta problematico: da un lato la critica della ragion pura decreta l' inattingibilità del mondo vero (cosa in sé, noumeno, idea incondizionata) ma il primato della ragion pratica lo ripropone come imperativo, come dovere morale. Seppur ancora irretito dal paradigma cristiano del regno dei fini, la teoresi kantiana rappresenta un'emancipazione del pensiero occidentale dalla/avola di un mondo vero che trascenda il mero ambito fenomenico, rendendola superflua e perciò confutata; processo di emancipazione che si conclude con la simmetrica negazione del mondo apparente, costrutto teorico che aveva senso soltanto nella contrapposizione ad un mondo vero, in una gerarchia tra sensibile e sovrasensibile, reale e razionale. Questo non significa (come hanno creduto alcuni interpreti) che il mondo sia avviato a dissoluzione bensì che al termine di questo processo bimillenario, sussiston~ soltanto f~nomeni, pure 34

immanenze, contingenze, eventi d'esistenza, tutt'al più un sistema provvisorio di filtrazione dell'esperienza, una tecnica reversibile di mappatura. Questa risoluzione non comporta alcun obllo dell'essere, a meno che si continui a pensare l'essere -come fa Heidegger- in termini mistici, teologico-negativi di trascendenza dell'ente: "L' essere manca -scrive Nietzsche. Ciò che 'diviene,, il 'fenomenale' è l'unica specie di essere"25 ; ogni ontologia che non si attenga al divenire fenomenico è arbitrio, costruzione fittizia, ostile alla vita. Il mondo dei fenomeni non si dissolve in mera affabulazione (come vorrebbero i postmoderni) ma non si riduce neppure ad una mera configurazione atomistica di stati di fatto cui corrisponde un' adeguata descrizione protocollare (come vorrebbero gli scientisti di antica e nuova foggia), bensì predispone la contrada illimitata del1'interpretazione, l'esercizio del conferimento di senso per dotare i fenomeni di rilevanza antropomorfica. Quando Nietzsche contrappone al positivismo l'idea che non vi sono fàtti, ma solo interpretazioni, rileva anche che derivarne la conclusione secondo la quale allora "tutto è soggettivo" è anch'essa un'interpretazione, in questo caso arbitraria e fuorviante. Infatti, sostenere che la tesi del carattere interpretativo della realtà comporti necessariamente un soggettivismo relativistico è un'in- · terpretazione impropria, un'ipotesi oziosa per due motivi: perché parlare di un soggetto significa sempre operare un'indebita estrapolazione dalla complessità del divenire affettivo; inoltre, perché l'articolazione interpretativa non dissolve la realtà nel soggettivo (ammesso, e non concesso, che quest'ambito abbia una propria consistenza unitaria) configurando invece una nuova obiettività all'altezza della stratificazione della realtà. La rivalutazione dell'apparenza appare dunque come uno strumento euristico utile per scardinare l'edificio del mondo vero, per delegittimare la devozione che gli viene rivolta, ma non è certo il punto d'approdo della gnoseologia nietzscheana, che prevede, oltre tale dicotomia euristico-propedeutica, almeno tre fasi ulteriori: il riconoscimento a) della pura fenomenicità del mondo; b) 25 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, voi. VIII tomo I, p. 239.

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del carattere onnipervasivo dell'interpretazione; c) della natura impulsionale di ogni conferimento di senso fino all 'identificazione della volontà di potenza con l'affetto. Il nominalismo appare come la precondizione teorica del prospettivismo affettivo: indicare il carattere nominalistico (convenzionale, umano troppo umano) delle nostre più radicate convinzioni concettuali e morali costituisce infatti il presupposto per una adesione consapevole al prospettivismo insito in ogni attribuzione di senso e di valore. L'individuazione nietzscheana di questo nesso può essere così ricostruita: il pensiero metafisico è un mirabile edificio teorico fondato essenzialmente sul concetto/metafora di profondità, che ha permesso di ricondurre la molteplicità delle forme fenomeniche ad una comune base fondazionale, alla ragion d'essere del mondo sensibile; a causa dell'egemonia perentoria con cui si è ·imposto nella nostra cultura, tale pensiero non è più consapevole del carattere nominalistico di ogni nostro costrutto intellettuale, prodotto di stipulazione intersoggettiva ai fini dell 'autoconservazione della specie, e ha finito col generare la patologica hybris di proporsi come l'interpretazione, l'unica vigente (sintomo cli inerzia come ogni monismo ermeneutico), insieme al discredito dell'apparenza che consegue da tale presupposto essenzialistico. Un pensiero, come quello nietzscheano, che intende prendere congedo da questa inveterata modalità teoretica deve innanzitutto generalizzare il nominalismo, diffondendo la consapevolezza della natura prospettico-assiologica di ogni nostro conferimento di senso e di valore; a tal scopo è necessario un doppio movimento per il quale dapprima viene rivalutata la nozione di apparenza sottraendola alla condanna di un pensiero metafisico che ha negato la fisicità contingente dell'essere, il cui nomos ha negato la testimonianza dei sensi, fino al punto in cui, acquisita la consapevolezza prospettica, la stessa nozione di apparenza diventa superflua e viene dissolta insieme a quella correlata di mondo vero, mentre si produce quel disincantamento del mondo (libero cioè dall'incantesimo della favola della conoscenza), quel dispiegamento dei fenomeni che prefigura l'affermazione del mondo delle cose prossime. Così la genealogia nietzscheana viene scandita da queste due fasi preliminari: 36

nella prima, la decostruzione della metafisica avviene attraverso il riscatto del concetto/metafora di apparenza/superficie (contrapposta all'essenza/profondità di un fondamento inattingibile); in questa prima fase, il pensiero di Nietzsche sarebbe un mero platonismo rovesciato che revoca l'anatema nei confronti del sensibile, per il quale "il mondo 'apparente' è l'unico mondo: il 'vero mondo' è solo un'aggiunta mendace"26• Nella seconda, si conclude la parabola filosofica di entrambe le nozioni perché si estingue la ragion d'essere di tale opposizione, dal momento che il prospettivismo viene reso operativo sotto la forma dell'esercizio della volontà di potenza. Cosl come non è più necessario evocare il mondo vero come supporto del mondo fenomenico, sarebbe superfluo anzi arbitrario porre un soggetto unitario dietro la molteplicità delle nostre valutazioni prospettiche, un ego invariante al cospetto dell'incessante pluralità di forze che si succedono alla ribalta della nostra esistenza: "forse non è necessario assumere un soggetto unico; forse è altrettanto permesso assumere una pluralità di soggetti, la cui fusione e lotta stiano alla base del nostro pensiero e in genere della nostra coscienza. Una specie di aristocrazia di 'cellule' in cui risiede il dominio? ... Le mie ipotesi: il soggetto come pluralità... la costante transitorietà e fugacità del soggetto"27 • Nulla ci 26 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit, p. 70. 27 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, op. cit, pp. 336-337. La derivazione del concetto di sostanza da quello di soggetto, il loro comune carattere finzionale e costruttivistico, è fonnulata con chiarezza in questo passo: "Il concetto di sostanza è una conseguenza del concetto di soggetto: non inversamente! Se abbandoniamo l'anima, 'il soggetto', viene a mancare il presupposto di una qualunque 'sostanza'. Si acquistano gradi dell'essere, si perde l'essere. Critica della 'realtà': dove conduce la 'maggiore o minore realtà' la gradazione dell'essere in cui crediamo? Il nostro grado di sentimento della vita e della potenw (logica e connessione del vissuto) ci dà la misura di 'essere', 'realtà', non illusione. Soggetto: è questa la terminologia del nostro credere in un'unità attraverso tutti i diversi momenti di altissimo sentimento della realtà; noi intendiamo questo credere come effetto di una sola causa, crediamo al nostro credere fino al punto di fantasticare, per amor suo, di una 'verità', di una 'realtà', di una 'sostanzialità'. 'Soggetto' è la finzione derivante dall'immaginare che molti stati uguali in noi siano opera di un solo sostrato; ma siamo noi che abbiamo creato l'uguaglianza di questi stati; il dato di/atto è il nostrofarli uguali e accomodarli, non l'uguaglianza (che è anzi da negare)'\ Frammenti postumi 1887-1888, op. cit., pp. 115-116.

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autorizza a porre un'unjtà dietro la..~oltep!icità dei nos~ affetti, il punto di ancoraggio del soggetto e mstabtle, espos_to a differenti interpretazioni così come lo stesso processo orgamco presuppo.. ne un perpetuo' interpretare2s• _Non v~· e' d~~que 1egg~ naturale, se non in ossequio ad una atavica e ndutt1va operazione mentale. Viene riaffermato qui anche l'intimo nesso tra sapere tragico e sapere della superficie: il soggetto plurale è innanzitutto l' indi.. viduo sofferente perché scisso, lacerato, orfano di identità, ma al contempo, per effetto della trasvalutazione prospettivistica che volge all'oltrepassamento dell'umano, può diventare un aggregato di forze che accoglie la transitorietà dell'accadere, tollera la fugacità dell'esistenza, promuovendo una salutare molteplicità d'esperienza. Il soggetto della conoscenza è sempre costitutivamente impuro, nel senso che l'intelletto non può fare a meno di osservare, analizzare e valutare esclusivamente all 'intemo delle proprie forme prospettiche. Non si tratta però di un'attività illusoria, di una claustrofilica inadempienza, di una esiziale perdita d'attrito, di una deriva solipsistica che sancisce l'esilio dalla realtà: piuttosto, l'abbandono di una concezione del mondo vincolante e la relativa consapevolezza della molteplicità cli prospettive, gerarchizzabili soltanto a partire dal parametro dell'accrescimento o impoverimento vitale (secondo la vertiginosa circolarità dell'ermeneutica nietzscheana), produce il nuovo infinito, che non consiste soltanto nella possibilità che il mondo racchiuda in sé interpretazioni infinite29 e assuma un'apparenza polimorfa, ma allude alla circostanza storico-epocale che si affermano interpretazioni capaci di produrre realtà, nel senso tangibile di un ampliamento degli orizzonti d'esperienza che genera una nuova configurazione del mondo. Intesa come attività del conferimento di senso (cioè una dotazione sensibile di significati), 28 Su questo aspetto, legato alla ricezione nietzscheana della letteratura scientifica del s~o tempo, eh~ I~ induc~ a concepire la volontà di potenza come organizz~one di una mo_Itephc1tà conft1ttuale di microrganismi, si legga il saggio di W. Milller· Lauter: Nietzsclies Lehre vom Willen wr Macht in Nietzsche-Studien, n. 3, 19741 pp. 1-60. 29 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 254.

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la volontà di potenza agisce per compensazione al cospetto di quel1' assenza di senso e di quella mancanza di/orze interpretative che caratterizza la condizione nichilistica della modernità ("Il pericolo dei pericoli: niente ha senso"). Il valore del mondo, la sua varietà fenomenica, la consistenza del suo esperire, risiede in ogni nostra nuova interpretazione che, oltrepassando i limiti di precedenti interpretazioni, apre nuove prospettive e ci fa accedere a nuovi orizzonti3°: l'interpretazione non è dunque un'attività parassitaria rispetto alla realtà, o tardiva come la nottola di Minerva; non può creare ex novo la realtà ma può trasformarne il senso, predisporre a nuove esperienze (Erfahrungen non Erlebnisse, viaggi non introspezioni), inducendo ad esempio a prender dimora nel mondo della prossimità, riconfigurando dunque il piano d'esistenza degli individui, orientato a edificare una cultura pluricorde, che diffida dell'Io e promuove il Sé multiplo, la compresenza di più biografie, scandite da brevi abitudini. Ogni interpretazione è un cambiamento, porta con sé l'istanza della propria modificazione, ne promuove altre per contrasto e così estende gli orizzonti d'esperienza. Non/onda la realtà ma istituisce mondi. Nessun conservatorismo ermeneutico in Nietzsche: 1'interpretazione è la più cospicua forma di cambiamento che ci è concessa, forse quella meno velleitaria, non la sua alternativa ineffettuale, l'espressione di un intelletto pigro ideologicamente appagato -come ploclamava ingenuamente l'ultima tesi di Feuerbach e Marx. La trasformazione è insita nel potenziamento della vita ascendente, la quale coincide con l' ampiamento d'orizzonte, mentre la vita declinante si manifesta nella riduzione della prospettiva. 30 Individuando una linea di pensiero costante nella sua opera, Nietzsche scrive: "Che il valore del mondo stia nella nostra interpretazione... che finora le interpretazioni siano state tutte valutazioni prospettivistiche. in virtù delle quali noi nella vita, ossia nella volontà di potenza, ci conserviamo per lo sviluppo di potenza; che ogni elevazione degli uomini comporti il superamento di _inte~retazioni ~iù ristrette; che ogni allargamento di potenz~ apra nuove prospetti_ve ~ ~mp~n?,~ d1 credere ~ nuovi orizzonti -tutte queste cose st trovano ovunque ne1 mie1 scnt~ . Frammenti postumi 1885-1887, op. cit, pp. 101-102.

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Il misconoscimento della genealogia delle forze è il limite più evidente della critica kantiana, ignoranza che l'accomuna a successive forme di critica meramente teoretica. Il criticismo kantiano si limita a circoscrivere l'ambito di pertinenza del conoscere, differenziandolo dal mero pensare l'inconoscibile, ma non pone mai la domanda circa il significato dell'atto di conoscere, circa le forze che agiscono dietro le quinte del palcoscenico allest!to dalla ragione. Nella prospettiva introdotta da Nietzsche, quelli che un tempo svolgevano il ruolo di principi trascendentali diventano ora principi di condizionamento, che non assolvono più la funzione costitutiva, genetica e legislativa. Genealogia e prospettivismo conducono a fondo· la critica radicale delle pretese della ragione rispetto a cui il punto di vista trascendentale rimane inoperoso, generano quel sospetto che rende possibile la trasvalutazione, l'interpretazione che produce mutamento reale: quali sono le forze (istintuali, inconscie, affettive) che condizionano l'attività del1'intelletto e della ragione? Quale il senso e il valore delle nostre conoscenze? Kant non mette in discussione il valore della verità evitando la domanda sul senso della verità; la tavola dei giudizi non può che riprodurre una legislazione intellettuale vigente, un orizzonte di valori predeterminato. Ponendo la domanda circa la desiderabilità della verità stessa, insinuando il dubbio che essa sia un costrutto atto a negare il presupposto della vita, Nietzsche scardina l'edificio metafisico che -almeno da Parmenide- si è fondato sull'identità tra l'attività del pensare e la ricerca della verità. Soltanto in virtù dell'attributo interpretativo conferito all'intelletto, Nietzsche riesce da un lato a decostruire genealogicamente l'origine delle nostre convinzioni teoretiche e morali (quelle che Kant non poteva revocare. in dubbio) e dall'altro, in virtù della propensione innovativa e metamorfica presente nella pl~r~l~tà ~~lle interpre!azioni, a porre la volontà di potenza come attiv1ta d1 nconfigurazmne della tavola di valori, di plasmazione e affermazione di nuove istanze vitali, di creazione di un'altra sensi~ilità, quella che depone gli ideali ascetici e valorizza gli affetti, onentata al mondo delle cose prossime in cui prende dimora quel1'oltreuomo che avrà criticato, interpretato e oltrepassato l'uomo. 40

Esercitando l'inedita funzione di una metacritica della conoscenza, la filosofia nietzscheana oppone ai presunti diritti della verità, e al relativo accertamento di "solidi fatti", i più urgenti diritti della vita e ambisce ad introdurre una "gerarchia fra i diversi generi di vita". Deposto ogni abito accademico e storicistico, la filosofia si identificherà allora con la trasformazione della propria vita in un esperimento conoscitivo di rilevanza antropologica. La domanda: Che cosa significa pensare?, destinata a rimanere inevasa nell'ambito della gnoseologia della rappresentazione, può ora ricevere una risposta inedita perché esorbitante dall'habitus filosofico tradizionale: pensare significa scoprire e ideare nuove possibilità di vita, produrre mutamenti interpretativi che preludono a metamorfosi esistenziali. Il pensiero cessa così di presentarsi come ratio, giustificazione razionale dell'esistente in nome di qualcosa che la trascende, di una verità che si pretenderebbe causa adeguata del fenomenico, sua ragion d'essere. La vita -come ha sottolineato Deleuze- rende attivo il pensiero mentre il· pensiero rende affermativa la vita. Corpo, passioni, istanze affettive cessano di essere· forze estranee al pensiero, vituperati come inestirpabile matrice irrazionale, ma elementi costitutivi di una filosofia antropologicamente sperimentale. Secondo l'immagine suggerita da Nietzsche nel saggio dedicato ai primi pensatori greci, le vite dei filosofi, come quelle degli artisti, somigliano ai viaggi dei grandi navigatori, viaggi di esplorazione verso l'ignoto, il cui approdo rivela nuove condizioni di vita e di pensiero. Prefigurata dalla propedeutica del "voler vedere diversamente", lafutura obiettività dell'intelletto non sarà più riposta in un improbabile disinteresse cognitivo ma sarà data dall'utilizzo, ai fini della conoscenza, della "diversità delle prospettive e delle interpretazioni affettive". Si tratta di estirpare un antico favoleggiamento concettuale per il quale l'obiettività era assicurata da un soggetto conoscitivo che si limitava a descrivere e spiegare la realtà, astenendosi da ogni interpretazione, evitando soprattutto l'intervento deformante dei propri affetti e la contaminazione delle proprie passioni, per conseguire qualcosa come la "conoscenza in sé" o la "pura ragione". Questa descrizione 41

del processo conoscitivo, cosi indipendente dai processi attivi nel mondo della vita, è pura illusione perché l'occhio della percezione non è mai innocente, presuppone sempre una selezione della molteplicità empirica, deve orientare lo sguardo in una determinata e circoscritta direzione se intende uscire dall'indifferenziato e vedere qualcosa. Quando la verità cessa di essere l'unico parametro dell'indagine filosofica, è possibile finalmente discriminare tra accertamenti veritieri ma banali e trascurabili e verità pregnanti o rilevanti. La consapevolezza che, dietro ogni apparente descrizione neutrale dei fenomeni e relativa spiegazione nomotetica, si annida un'interpretazione, anzi molteplici interpretazioni tra loro concorrenti, non conduce Nietzsche (come poi buona parte del1' epistemologia novecentesca) al relativismo e allo scetticismo gnoseologico (semmai ad uno scetticismo sperimentale), bensì all'elaborazione di una nozione più complessa di conoscenza obiettiva, limpidamente formulata in un passo della terza dissertazione della Genealogia della morale: "Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico; e quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro 'concetto' di essa, la nostra 'obiettività'"31 • Lungi dall'essere una negazione dell'esistenza empirica, una derealizzazione con relativa fuga nell' affabulazione interpretativa, l'obiettività appare dunque come sinonimo di complessità del reale. Questa nuova obiettività, che è il risultato di maggior rilievo della transizione nietzscheana dall'accertamento della verità al senso della verità (dal momento che il problema della certezza si è rivela31 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit, p. 323. Oltre che per l'intepretazione del prospettivismo nietzscheano, questo passo è decisivo per l'articolazione dell'epistemologia che intende destituire di fondamento ogni opposizione schematica tra fatti e interpretazioni: la "futura obiettività" è quella che accoglie la molteplicità del "fenomeno più ricco" (il corpo e la sua semiotica affettiva), che tende al vero, inteso ora come stratificazione di eventi, sguardi, affetti e interpretazioni.

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to secondario, derivato, dipendente da altro32), non determina il dissolvimento della realtà bensl il suo incremento ontologico, arricchita com'è dal patrimonio di prospettive che riesce a mobilitare, dagli affetti che libera, dalle interpretazioni che suggerisce, dagli sguardi che provoca. Ciò che viene dissolto è il problema classico della gnoseologia, imperniato sulla possibilità di conoscenza dell'oggetto da parte di un soggetto dotato di facoltà sensibili e intellettuali: il carattere interpretativo di ogni accadimento, la natura prospettica dell'esistenza, l'ubiquità degli affetti nella relazione con il mondo esterno, richiede una dottrina ermeneutica delle passioni che ci restituisce un soggetto sperimentale di conoscenza, da intendersi come forza processuale mai riconducibile all'unità permanente, certamente impuro, emotivamente tonalizzato e sovradeterminato, ma -proprio per questo- capace di maggior obiettività. Il nichilismo nietzscheano conduce dunque a risoluzione il problema che aveva caratterizzato la transizione dall'ontologia classica, fondata sul reperimento dell' ontos on e sul relativo adeguamento dell'intelletto, alla gnoseologia moderna che, da Cartesio a Kant, aveva enfatizzato il ruolo della mente nell'accertamento della verità. Questo slittamento di problema (dalla natura oggettiva della realtà al carattere soggettivo del conoscere) trova nel prospettivismo nietzscheano il suo naturale epilogo, negandone l'apparente opposizione nel gioco o nell'esercizio dell'interpretazione che configura una nuova e più complessa obiettività, in cui fondamento oggettivo e rappresentazione soggettiva appaiono indiscernibili, dissolti in qualcosa che li eccede per ricomprenderli. Cosa presuppone la grande obiettività (espressione che Nietzsche non usa ma che a noi pare correlata almeno alla grande salute e al grande stile) conseguita dall'intelletto interpretante? Una mutazione morfologica e antropologica del processo cognitivo, una consapevole

32 "Potrebbe sembrare che io avessi scansato il problema della certezza. È vero il contrario; ma ricercando il criterio della certezza, ho esaminato in base a quale misura si sia finora stabilito il peso -e ho visto che la questione della certezza è già essa stessa una questione dipendente, una questione di second'ordine". F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit, p. 139.

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ibridazione di categorie ed esistenziali. "Il diritto al grande affetto deve essere riconquistato da chi pratica la conoscenza" -sostiene Nietzsche, che rimprovera a tutti i filosofi (Spinoza e Schopenhauer_ com~esi) di aver concepito l' intelligere come scevro dal pathos, la razmnalità come antidoto alle passioni: in tal modo, si è raggiunta per lo più una piccola obiettività, impersonale e asettica, imperniata su accertamenti empirici di dubbia rilevanza. La nuova e più complessa obiettività prospettivisti.ca scaturirà così dal sensibilizzare la nostra ragione, dal potenziare le nostre passioni generatrici di conoscenza, dal promuovere la "gara tra gli affetti" all'interno della trama intellettuale, senza "voler contestare al mondo il suo carattere inquietante ed enigmatico".

Volontà di potenza come affetto Appare improprio annettere la volontà di potenza alla volontà di dominio, di affermazione o di sopraffazione, perché queste sono modalità accessorie o fraintese,. non essendo la potenza il fine perseguito dalla volontà; così come sembra pleonastico equipararla alla conoscenza, all'arte o ali' interpretazione, perché questi sono caratteri connaturati al suo esercizio, essendo la volontà di potenza nient'altro che la conoscenza ricondotta ali' arte di interpretare; più fecondo è invece identificare la volontà di potenza con l'affetto, con la forza di potenziamento dell'affettività perché, ponendo quest'enfasi, emerge compiutamente il carattere passionale del conoscere, la natura biopatica del valutare, il peculiare prospettivismo dell'intelletto interpretante. Volontà di potenza come affetto in due sensi, uno passivo 1'altro attivo: il primo registra il nostro essere soggetti emotivamente caratterizzati, affetti da passioni, impulsi e pulsioni inconsce che determinano il nostro indice di finitezza, di apertura all'altro e di esposizione al mondo; il secondo suggerisce il carattere propulsivo della volontà di potenza, che promuove e intensifica 1'affettività, rendendola onnipervasiva e producendo una contaminazione attiva tanto nell'agire quanto nel conoscere. La volontà di potenza si manifesta dunque come un duplice potere di essere affetto: determina attivamente il rapporto delle 44

forze tra loro ma viene a sua volta determinata dalle forze in rapporto, rivelando la natura, attiva e passiva, di tutto ciò che esiste, l'essere in relazione. Determinata e determinante, qualificata e qualificante, la volontà di potenza ha il potere di generare affetto e il potere di ricevere affetto da altre forze. Non mera passività, condizionamento, ma affettività dispiegata, sensibilità diffusa, disponibilità a nuove sensazioni. Una questione di sentimento prima che di volontà, una sfumatura di sensibilità valutativa prima che di esercizio di potenza. Nietzsche afferma esplicitamente che "la volontà di potenza è la forma affettiva primitiva, che tutti gli altri affetti sono soltan~o sue configurazioni"33 , la matrice da cui scaturiscono tutti gli altri sentimenti. Ma, altrettanto significativamente, aggiunge: "la volontà di potenza non è un essere, non un divenire, ma un pathos"34• Non un nuovo substrato ontologico 33 R Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 90. Questo frammento, di rilevanza capitale per l'interpretazione di Nietzsche, viene rubricato dall'autore sotto il titolo: "Concezione unitaria della psicologia": per questa psicologia dell'affettività, eterogenea rispetto alla tradizione dell'indagine psicologica legata ad un'idea metafisica di soggetto, si veda anche il saggio di P. Wotling, La pensée du sous-sol, Paris, Allia 1999. 34 Ivi, p.50. Il fenomenologo Michel Henry ha colto la centralità della tematica affettiva e il carattere fondativo della sofferenza nel pensiero di Nietzsche ma è giunto a conclusioni diametralmente opposte alle nostre. A suo avviso, vi sono due distinte modalità di rivelazione delle cose: da un lato, come oggetti o enti di un mondo; dall'altro, come affetti, configurando così due ambiti paralleli e irriducibili l'un l'altro. Ad essi corrispondono rispettivamente la dimensione del visibile (a carattere estatico-deiettivo) e quella autentica dell'invisibile. Se l'essenza originaria della vita è l'auto-affezione interiore, l'appercezione come un soffrire se stessi, un riconoscimento patico dell'ipseità, dell'esperienza affettiva si perde la dimensione irrinunciabile della relazione, l'irrevocabile immanenza del nostro essere nel mondo, in rapporto ad altri: l'affetto è sintomo, espressione corporea, comunicazione, vocativo, sporgenza del soggetto e apertura verso altri. Per Nietzsche, la fenomenologia dell'affettività non è un arcano della soggettività: essa è inscritta nella grande ragione del corpo. Dalle premesse del lavoro di Henry, discende anche la sistematica svalutazione della scienza, intesa husserlianamente come conoscenza oggettiva, dispersione estatica -posizione che Nietzsche non avrebbe mai condiviso. Cfr: M. Henry, Genealogia della psicoanalisi, Firenze, Ponte alle Grazie 1990, pp. 190-256. Ci si può invece domandare, in modo del tutto ipotetico, quali sviluppi esegetici avrebbero potuto scaturire dall'interesse dell'ultimo Merleau-Ponty (quello che scorgeva gli esistenziali del visibile) rivolto a Nietzsche, in particolare a quello che tematizza il sapere della superficie e la grande salute da cui proviene l'identità della filosofia: Cfr: M. Merleau-Ponty, Linguaggio, storia, natura, Milano, Bompiani 1995, pp. 132-134.

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dunque, ma una sen.sibilità dell'interpretazione, una qualità affettiva dell'attribuzione di senso, una forza emotivamente tonalizzata che indica l'origine biopatica di ogni posizione di valore. Né essere, né divenire: Nietzsche sottrae la volontà di potenza alle opposizioni concettuali della metafisica, evita anche di contrapporre -come in altre circostanze- Eraclito a Platone (il gioco innocente alla deduzione razionale), per stabilire l'identità di tale finzione euristica nel pathos, in ciò che precede ogni teoresi, nell'antepredicativo libero da ogni travatura concettuale. La volontà di potenza è la "forma affettiva primitiva" (o meglio, primigenia) nel senso che essa costituisce l'archetipo di ogni altro affetto in virtù della sua natura affermativa, che divide e traccia confini, grazie alla sua identità di forza trasfiguratrice che riconosce la terra e afferma la vita, la quale utilizza l'energia çhe scaturisce dagli affetti per interpretare e conferire senso ad un'esistenza altrimenti soggiogata e depauperata dal nichilismo. La meta (non un télos ma uno scopo pragmatico) dell'attività della volontà di potenza, esercitata come interpretazione affettiva, è la vita ascendente, 1' affermazione dionisiaca di ciò che è, non come raggiungimento di una configurazione data, ma come continuo accrescimento delle prospettive e allargamento degli orizzonti che circoscrivono il nostro mondo delle cose prossime. Affetto bipolare: affezione e affettività. Come scinderli? Individuare due poli, uno passivo e l'altro attivo, è già l'effetto di un'astrazione idealtipica, utile nell'economia della delucidazione concettuale, ma ineffettuale nell'ambito dell'esperienza esistenziale. Semmai potrà sussistere un rapporto di condizionamento il quale ribadisce il nesso unitario che identifica la volontà di potenza: soltanto l'esperienza dell'affezione, sia essa la cognizione del dolore o la dipendenza dell'amore, rende possibile il dischiudersi dell'affettività, la sua diffusione come cifra dell'esistenza. Per Nietzsche il modo eminente di conoscenza dell'affezione è I'_esperienza della malattia, rispetto a cui la grande salute può essere considerata la transizione. da quella condizione di sofferenza, pura espressione della vita offesa, a quello stato lieve ed espansivo dell'affettività, virtù che dona, cosi come l'insorgere

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dell'amore (l'incontro per antonomasia conLou Salomé) rende il pensiero affettivamente tonalizzato (la sincerità filosofica che si istaura per affinità tra gli amanti) e affranca dal ressentiment che potrebbe scaturisce dall'elaborazione del lutto successivo alla lacerazione della perdita, per "un dissidio di affetti contrastanti". Quando si parla di biPQlarità affettiva si deve evitare ogni rigida contrapposizione e postulare invece la loro reversibilità: si tratta infatti di due polarità instabili e metamorfiche, per il continuo mutamento di significato degli affetti, per la loro differente esposizione al senso. L'originaria passività della condizione di malattia si converte -come vedremo presto- nell'attività prodotta dalla grande salute, mentre l'esuberante spontaneità generata dall'allocazione presso altri dell'affettività si traforma spesso in dipendenza, in affezione sentimentale, avvertita dolorosamente come incoercibile passività. La volontà di potenza come affetto esprime dunque il nostro essere in relazione, il Mitsein che ci espone ali' esistenza (l'affetto come forma originaria, più primitiva -sottolinea Nietzsche), la nostra costitutiva prossimità, l'essere uno accanto all'altro, per caso, per scelta o per necessità. L'affetto diventa così comunione, un essere in comune nella palpabile tangenza dell' esistenza35 , desiderio metonimico, inappropriabile, possibilità di comunicazione, vocativo, chance dell'amore, come ha inteso esemplarmente Bataille, l'altro grande interprete -insieme a Klossowski- di Nietzsche per sintonia tragica, affinità trasgressiva e afflato per l'impossibile: "La 'comunicazione non può avvenire da un essere pieno e intatto ad un altro: essa vuole esseri in cui si trovi posto in gioco l'essere -in loro stessi- al limite della morte, del nulla; il culmine morale è un momento in cui si mette in gioco, si sospende l'essere al di là di se stesso, al limite del nulla". E ancora: "La comunicazione avviene solo tra due esseri messi in gioco lacerati, sospesi, chini entrambi sul loro nulla"36 • Comunicazione 35 Per questi aspetti rimandiamo all'ormai classico libro di J. L. Nancy, La comunità inoperosa, Napoli, Cronopio 1992, il quale però non sembra avvedersi di questa possibile ascendenza nietzscheana. 36 G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, Milano, Rizzoli 1970, p. 51.

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che accade nello svuotamento d'essere, nella percezione dell' inconsistenza ontologica, nella lacerazione della totalità, ma anche apertura sul possibile, vertigine di trasparenza, evento sfibrante di perdita, dépense improduttiva, passaggio cli calore e di luce, occasione d'amore attraverso l'esibizione della ferita, il riconoscimento della nostra mancanza ad essere. La volontà di potenza interpreta -sostiene Nietzsche. Ma chi interpreta? I nostri affetti -risponde Nietzsche. Allora la volontà di potenza è affetto. Se ci si attiene a questa elementare e imprescindibile sequenza di enunciati, la volontà di potenza come interpretazione -equazione ultima di molte accreditate letture nietzscheane- dovrà essere considerata soltanto un punto intermedio di questo duplice legame di derivazione. Non un affetto generico quello che caratterizza la volontà di potenza, ma un affetto che interpreta, che attribuisce senso ai fenomeni, per acquisire un dominio sulle cose, piegandole alle proprie istanze pulsionali. Non un atto della volontà -che sarebbe un' indebita e regressiva ipostatizzazione- ma un flusso di energie. Non una forma compiuta ma unaforza strutturante, un continuo processo di formazione. Non l'armonia di una totalità ma il conflitto delle parti. Non l'unità di' un soggetto ma la molteplicità di impulsi contrastanti. Non una legge di adattamento funzionale ma un'attività di selezione. Non livellamento dell'eguale ma gerarchia della differenza. Queste prerogative della volontà di potenza rivestono spesso in Nietzsche esplicite implicazioni ontologiche, a carattere immanentistico e pluralistico: se la volontà di potenza, in quanto "intima essenza dell'essere", è espressione d'affetto, allora tutta la realtà materiale o oggettuale (anche quella che il meccanicismo riconduce ad un rapporto di causa-effetto) non sarà un'illusione (come pretendevano Berkeley e Schopenhauer), bensì "qualcosa avente lo stesso grado di realtà dei nostri stessi affetti - come una forma primitiva del mondo degli affetti" 37 , come una vita istintiva e inconsapevole, una sorta di preformazione della vita cosciente, ragion per cui il mondo, ogni suo accadimento fenomenico, diven37 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit, p. 43.

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ta intelligibile soltanto a patto di riconoscere la ·presenza di questa multiforme causalità del volere, di ascriverne il senso all'attività di plasmazione e ramificazione della volontà di potenza. Applicando il parametro affettivo, la stessa logica del nichilismo viene rivelata come isomorfa alla psicologia della metafisica. In un importante frammento dell'estate 1888, Nietzsche sostiene infatti che il pensiero metafisico ha "gradualmente eliminato e cancellato gli affetti", edificando un mondo sovrasensibile come realtà ideale sostitutiva, conseguente alla "negazione dei desideri e degli affetti"38 • L'esito di tale pavidità psicologica è il nulla. Nella sua essenza, il nichilismo appare dunque come negazione della vita affettiva, del carattere casuale, mutevole e transitorio dell'esistenza, cioè del fascino che risiede nella sua libertà: l'oltreuomo appare pertanto come quella specie d'essere giocosa che sa valorizzare eudemonisticamente gli affetti e la transitorietà della vita. Volontà di potenza come affetto ma anche come pathos. Inaggirabile necessità del dolore per affermare l'affettività, per conseguire quella grande salute che da essa proviene. Ancora Bataille scorge in Nietzsche la familiarità con l'abisso, con il dolore che rivela la conoscenza del nulla, prima della sua evocazione filosofica o letteraria (come in Proust): "questa empia immanenza sarebbe forse un dono çlel soffrire?". Chini sull'abisso, annullati dalla sofferenza, orfani di trascendenza ma, proprio attraverso quest'esperienza, capaci di leggerezza, propensi all'effrazione della gaia scienza. La condizione di totale immanenza che scaturisce dal nichilismo compiuto ci consegna ali' esigenza della comunicazione, alla libertà dei sensi, alla temporalità intersoggettiva del desiderio, all'angoscia della solitudine, allo spasmo dell'attesa, all'alea del possibile. Esperienza del dolore come perdita della comunicazione d'affetto, sottrazione di un volto, afasìa di un vocativo: "Tuttavia -conclude Bataille-, in questa oscurità insensata, al di là di ogni nonsenso, di ogni crollo, mi strazia ancora la passione di 'comunicare' a chi amo la notizia che è calata 38 F. Nietzsc~e, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 328.

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la notte, come se questa 'comunicazione', e nessun' ~ltra, fosse la sola misura di un amore grande a sufficienza. Cosi nnasce -qua o 39 · là, senza fine- la folle folgorazione de11a chance" • Introducendo la sua prima opera, la Nasc.ita della_ tr~gedia, Nietzsche aveva formulato l'enunciato che avrebbe poi onentato tutta la sua trasvalutazione dionisiaca dei valori proposti dal pensiero metafisico e dalla morale cristiana: "Soltanto come fenomeni estetici l'esistenza e il mondo sono eternamente giustificati". Al termine del suo itinerario filosofico, sfociato nell'ideazione di una volontà di potenza, di una forza del poter essere, di una energia del conferimento del senso, Nietzsche avrebbe potuto modificare in questi termini la formulazione precedente: "Soltanto in virtù di una comunicazione affettiva l'esistenza e il mondo possono essere eternamente giustificati".

Al di là del paradigma vitalisnco Nietzsche identifica la volontà di potenza con la stessa volontà di vita, finalmente sottratta alla volontà di verità: ma cosa intende per vita? quale il senso di tale identificazione? Nell'opera nietzscheana si può rilevare la compresenza di due differenti accezioni del termine vita: secondo la prima, essa designa una forza presente nel cosmo come nell'individuo, un'energia che sottende ogni azione e che si differenzia secondo il parametro dell'accrescimento e del declino. Nell'esegesi della filosofia nietzscheana -da Simmel a Deleuze- si è posta l'enfasi quasi esclusivamente su tale accezione energetico-vitalistica. Tuttavia, pur riconoscendo a tale accezione un ruolo cardine nell'economia generale del pensiero nietzscheano, va posta in evidenza una nozione antropologica di vita, intendendo con essa una Lebensform, una modalità di esistenza, in particolare quella di inedita rilevanza epocale -da noi analizzata precedentemente- in cui il soggetto oltreumano prende dimora nel mondo delle cose prossime, determinando l'afferma39 Ivi, p. 171.

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zione cli una .superiore integrazione delle istanze vitali non più penalizzate dall'artificiosa separazione tra una sfera interna ed una esterna, tra un ambito profondo e uno superficiale. La tesi che vorremmo sostenere è la seguente: il dire di sl alla vita è solo la precondizione atta a promuovere opzioni relative a differenti modalità di esistenza, a molteplici forme di vita. Pertanto, il compito del pensiero dopo Nietzsche non è l'indifferenziata affermazione della vita contro i suoi detrattori, ma l'ideazione di nuove possibilità di vita contro la sclerosi delle forme legittimate cli esistenza. , La seconda considerazione inattuale: Sull'utilità e il danno della storia per la vita può essere considerata l'atto fondativo della Lebensphilosophie. Quando il sapere storico si emancipa come scienza dell'originario presupposto vitale esso degenera- in una malattia storica, incapace com'è cli conferire al soggetto la consapevolezza della sua costitutiva temporalità. Il platonismo, il cristianesimo e lo storicismo sono espressioni, secondo Nietzsche - del medesimo spirito reattivo, inteso come ostilità alla .vita.. Il cristianesimo sviluppa un'avversione vendicativa nei confronti della vita, poichè essa si manifesta come "qualcosa di essenzialmente immorale", come forza dionisiaca non riconducibile ad un regno di valori oltremondani: "giacchè ogni vita riposa sull'illusione, sull'arte, sull'inganno, sulla prospettiva, sulla necessità della prospett~va e dell'errore". 40 Come il cristianesimo, anche lo storicismo si oppone alla vita. Se la coscienza storica è necessaria per dotare di memoria la nostra vita e per orientare l'agire innovativo, vi è tuttavia "un modo di coltivare la storia e una valutazione di essa, in cui la vita intristisce e degenera"41 • Lo storicismo esasperato del XIX secolo è una patologia dello spirito, un vizio ipertrofico che annichilisce la coscienza dell'uomo moderno attuando la progressiva neutralizzazione delle sue istanze vitali. Prefigurando la sua concezione prospettivistica della realtà, Nietzsche stabilisce l'equazione tra vivere ed essere ingiusti, ac40 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, voi. III, tomo I, p. 10. 41 F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, voi. III, tomo I, p. 259.

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centuando la valenza irrazionale della nozione di vita. Nella terza considerazione inattuale (quella dedicata a Schopenhauer), Nietzsche istituisce anche una relazione che chiama in causa l'intera filosofia moderna, fautrice di una riapp~opriazione metafisica della vita, nell'anelito ad una cultura che s1 ponga come una trasfigurazione della natura per simboli ed immagini. In tal modo, il filosofo si avventura su un crinale assai pericoloso, poichè ora la sua identità oscilla tra quella di giudice e quella di riformatore della vita. Il filosofo moderno "soffrirà sempre di un desiderio insoddisfatto: chiederà che gli si mostri di nuovo soltanto la vita, una vita vera, rubiconda, sana, affinchè possa pronunciare su di essa un suo verdetto. Almeno per sé riterrà necessario essere un uomo vivente, prima di poter credere di essere un giudice equo". 42 In questi scritti -collocati ancora, ma soltanto in parte, nell' orizzonte del nichilismo schopenhaueriano - la vita sembra esclusivamente una forza naturale, avida e insaziabile, l'emblema della salute ma al contempo l'evocazione di una energia dirompente e oscuramente disgregatrice. Se quest'immagine irrazionale della vita è prevalente nelle considerazioni inattuali, si osserva tuttavia la contemporanea elaborazione di una nozione più articolata di vita, che prelude a quella che abbiamo chiamato antropologica. In questa evoluzione, assume particolare rilievo un frammento del 1875: in esso Nietzsche afferma che i veri filosofi sono sempre ideatori di possibilità di vita in opposizione ad una tradizione metafisica che -come si è già visto- si è affermata quale scuola della denigrazione, avendo sviluppato una ''furia segreta contro i presupposti della vita, contro i sentimenti di valore della vita"43 • Nel corso dell'esistenza, giunge sempre un momento in cui si sospende la propria adesione ai contesti abituali d'esperienza e ci si domanda: è questa la vita? Quando questa circostanza viene vissuta da un filosofo, la domanda sull'identificazione della vita si trasforma nell'ideazion~ delle possibilità che la vita può assumere come proprie. Nella vita dei filosofi, due impulsi che 42 Ivi, p. 386. 43 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 108.

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tendono verso differenti direzioni sono costretti a convivere procedendo "sotto un solo giogo"·: -l'impulso alla conoscenza, inteso come avventura dianoetica, e l'impulso che vuole la vita, l'insediamento in una determinata possibilità. Il conflitto tra la vita e la conoscenza non è passibile di conciliazione: solo i filosofi presocratici -da Talete a Democrito- hanno saputo scoprire "possibilità belle di vita" prima che il razionalismo socratico privilegiasse in modo esclusivo l'impulso alla conosèenza:L'epoca moderna si mostra incapace di riattivare 1' originario stupore che diede luogo a quelle feconde scoperte circa inedite possibilità di vita: Nietzsche confida che "poeti e storici" possano nuovamente dedicarsi a questo compito che consiste essenzialmente nell? esercitare "l'arte ~i sedurre alla vita". La decadenza della cultura moderna consiste anche nell'aver privilegiato i processi interni, gli stati mentali, il contenuto interiore, scorporando l'unità dell'essere, la totalità dell'uomo, ormai incapace di rendersi artefice di una "risoluzione di cultura". Con l'avvento dello storicismo nell'epoca moderna, non si è solo genericamente negato il valore della vita, ma si è in realtà promossa una forma di vita, una modalità dell'esistere fondata sull'opposizione tra la sfera interiore e l'ambito esteriore. "Il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, anzi contro il bisogno, oggi non opera più come motivo che trasformi e spinga verso l'esterno, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno, che l'uomo designa con strana superbia come l'interiorità a lui propria"44• Nell'epoca dell'interiorità -che sarà poi ricondotta alla décadance- forma e contenuto non cooperano più nel perseguimento dell'unità dello stile artistico e culturale: si presume di possedere il senso del contenuto e di custodirlo nel proprio inaccessibile sacrario interiore, mentre si rifiuta ironicamente il senso della forma, stigmatizzato come convenzione e artificio. Nietzsche considera quindi la relazione tra vita e forma come fisiologica condizione di una cultura organica che non sia decorazione della vita bensl physis trasfigurata nelle forme simboliche; mentre Sim44 Ivi, p. 288.

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mel, pur considerando vita e forma elementi imprescindibili della dinamica -culturale, giudicherà patologica, tragica, la relazione costitutivamente conflittuale tra flusso vitale e oggettivazione formale. 45 - Nelle pagine conclusive della seconda considerazione inattuale, l'accezione biologico-energetica della vita viene attenuata per confluire nei lineamenti antropologici di una forma di vita radicata nel mondo delle cose prossime, dapprima svalutata nel1' epoca della décadence che ha celebrato il culto della profondità e il relativo mito dell'interiorità: "noi siamo guastati rispetto alla vita, al giusto e semplice vedere e udire, al felice cogliere ciò che è prossimo e naturale, e finora non abbiamo ancora neanche il fondamento di una cultura, poichè noi stessi non siamo convinti di avere in noi una vita verace"46• Secondo Nietzsche, siamo affetti da una malattia delle parole e da una malattia dei concetti, espressioni di un'attività che non scaturisce più dall'esperienza vissuta; pertanto, cartesianamente possiamo dire: cogito, ergo sum ma non vivo, ergo cogito. La filosofia della vita nietzscheana conosce dunque due momenti, analiticamente distinti ma complementari: dapprima, contro ogni razionalismo, è necessario ribadire che la vita costituisce la massima potenza e sovrintende ad ogni forma di sapere essendone il presupposto originario; inoltre, contro ogni storicismo, deve essere attivamente riabilitata "la forza plastica della vita", imbrigliata e depauperata dalla malattia storica. Una volta riaffermato il primato della vita sulla conoscenza, Nietzsche delinea i tratti di una possibilità di vita che la tradizione metafisica, cristiana e storicista aveva da sempre precluso: una possibilità che si realizza in una mutazione antropologica capace di restituire dignità teoretica e4 esistenziale al mondo delle cose prossime. Anche nelle opere successive alle considerazioni inattuali, ritroviamo questa evoluzione teorica da una nozione indifferenziata di

vita ad una definita come modalità d'esistenza. 45 G. Simmel, Il conflitto della cultura moderna, Roma, Bulzoni 1976. 46 F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, op. cit, pp. 349-350.

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Esiste la possibilità di oltrepassare il pessimismo nichilistico, l' orizzon!e teoretico della "filosofia della distruzione", progettando una differente configurazione antropologica. La svolta -dalla considerazione puramente teoretica a quella antropologica- è annunciata in questi termini: "Io credo che la decisione circa l' effetto della conoscenza venga data dal temperamento di un uomo" .47 Quale temperamento può indurre l'uomo e il filosofo ad una trasvalutazione del nichilismo metafisico? Solo l'affermazione di un "temperamento buono, anima salda, mite e in fondo allegra" può collocarsi al di là del dilemma sul valore o disvalore della vita. Si tratta di un conferimento di senso e di finalità orientato verso un'inedita forma di vita in cui l'uomo, dopo aver preso congedo senza affettazione dal secolare retaggio della tradizione platonico-cristiana, "non si lascia sfuggire i doni più piccoli, delicati e fuggevoli della vita." È questo il temperamento del soggetto della superficie che annuncia, nella rinnovata fedeltà al mondo delle cose prossime, la trasvalutazione antropologica dei valori .morali e metafisici. La vita -sostiene Nietzsche- non è un argomento, non costituisce un fondamento veritativo, poichè fra le condizioni della vita prevalgono l'errore, la prospettiva e le attitudini estetiche; la vita va piuttosto concepita come un esperimento conoscitivo, la magica seduzione dell'ignoto che si ammanta di "un velo di belle possibilità" da esperire come opzioni progettuali al di là di ogni rassicurante quadro di riferimento presupposto ali' esperienza stessa. Solo attivando tale dispositivo esistenziale si aderisce alla vita ascendente, al potenziamento dionisiaco delle forze vitali, e ci si sottrae alle lusinghe di quella vita declinante che sembra concedere quiete e armonia interiore, camuffando invece un cospicuo impoverimento delle istanze vitali. . . La vita tende all'incessante superamento dt se stessa: nel nnnovamento persegue la trasvalutazione dei valori in cui si era cristallizzata la cultura simbolica di una determinata forma di vita. La filosofia della vita nietzscheana perviene così al suo enunciato 47 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, voi. IV, tomo Il, p. 41.

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l t, di vita non è altro che volontà di potenfondament ale: la vo on a. d · a infrange e poi pon

za, intesa ~me attiv_ità _creativa eh~O ~,~ettività. Si tratta or:

nuovi valon a commc1are da que e di affermare' "la priorità di principio c~e hann? le forze ~po~ta: nee, aggressive, sormontanti, capaci di nuove ~t~rpretazm~, ~ . . . e plasmazi·om•,,4s La vita non ns1ede nel pnnc1nuove drrezmm · . . · · b , pio di conservazione adattandosi a condiziom p~eesistenti, en~1 nel 'voler crescere', accumulando forze, potenzi3!1do le_ propne facoltà creative: la vita "è espressione di forme di crescita della potenza". L'identità tra la vita e la volontà di potenza (o per la potenza, energia del poter-essere) va intesa nel senso del ri_chi~o. alla forza plastica di metamorfosi, all' esigenz~ della sua na~v~z10ne. Non si tratterà dunque di un puro accresctmento quantitativo, un incremento energetico, ma della selezione qualitativa delle forze (attive e reattive), così come avviene tra differenti forme cli vita, cioè tra quella vita ascendente che conduce al mondo della prossimità e quella vita declinante che, orfana di un mondo vero e di una tavola di valori trascendenti, appare come l'espressione della décadence nichilistica. La vita stessa ~ribadisce più volte Nietzsche- non è altro che un gioco di prospettive, di valutazioni, di assunzioni di rilevanza; pertanto, la conoscenza è un apparato di falsificazione che rende possibile l'esperienza riducendo la complessità della vita stessa. La filosofia nietzscheana culmina dunque nell'equazione per cui la vita è volontà di potenza, cioè una forza che pone prospettive e istituisce affetti. L'esaltazione e il potenziamento della vita come volontà di salute non è dunque semplicemente un anelito vitalista formulato in ossequio ~ paradigma biolo~ico-en~rgetico: la vita 'può generare volontà di potenza solo se viene attivato un determinato contesto d'esperienza, che ridefinisce nella prossimità costitutiva dell'esistenz~ le nostr~ c~a~teristi~he ~ntropologiche, le nostre prerogative emotive, le_atti~d~m a~ettive, i nostri orientamenti pragmatici e le nostre predtlez1001 estetiche. È questo il senso eminente della nietz48 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit, p. 278.

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scheanafedeltà alla terra, del suo immanentismo radicale, ciò che tra l'altro ci consente di individuare la continuità tematica dell' opera di Nietzsche dallafilosofia del mattino al pensiero del meriggio, dal Wanderer al Freigeist fino all' Uebermensch, nel progetto di avviare, al culmine della patogenesi moderna, una controtendenza di emancipazione dallo spirito di gravità.

Dall'esperienza della malattia alla grande salute Per indagare il significato della relazione tra salute e malattia nonché individuare il senso dell'esperienza della grande salute, bisogna presuppore l'attenzione su due proposizioni di Nietzsche, fondamentali e imprescindibili nel configurare la possibilità di un prospettivismo inteso come esercizio di una interpretazione affettiva: la prima afferma che ogni esistenza è un'esistenza che interpreta (e questo dichiude una nuova infinità del mondo)49 ; la seconda rileva che dietro ogni pensiero si nasconde un affetto (e che dunque non è tanto il soggetto razionale che interpreta quanto piuttosto i nostri affetti)50• Formulate queste due premesse, Nietzsche può coerentemente assumere il corpo -fenomeno più ricco perché ospita e manifesta la disputa affettiva- come filo conduttore di un'attività interpretativa in cui il soggetto unitario perde consistenza e si declina al plurale, attraversato da pulsioni e affetti, spesso in conflitto tra loro, dal carattere contingente e transitorio, fluido e inafferrabile. Un soggetto che è l'esito di un processo di dissoluzione dell'io egemonico, quello titolare del Logos, ma al contempo una costruzione fondata su presupposti selettivi, elaborata da uno stile che interviene a connotare la ridescrizione metaforica del vissuto. L'esercizio dell'interpretazione affettiva costituisce la più risoluta revisione del paradigma filosofico dominante nella tradizione occidentale (senza peraltro favoleggiare di velleitari oltrepassa49 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 254. 50 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit, pp. 19 e 147.

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menti della· metafisica), fondato fin dai greci sullo théorein, sul modello di un puro occhio rivolto alle cose, cli uno spettatore disinteressato, privo cli passioni e di affetti, di un soggetto atemporale dedito ad una attività dianoetica che persegue verità perentorie e inconcusse. Il soggetto plurale di Nietzsche (se ha ancora un senso parlare di soggetto) è costitutivamente patico, pensa cioè stimolato dal dolore, elabora metaforicamente, prima che concettualmente, la propria sofferenza, il proprio essere gettato in un mondo a lui estraneo, ostile, tetragono ai suoi desideri. La verità diventa ambivalente, impastata di salvifica menzogna, perché l'interprete stesso è soggetto alla costitutiva duplicità di salute e malattia che ne configura l'identità come un ossimoro permanente, il quale non si lascia ricondurre all'unicità di un soggetto. Il pensiero di un soggètto biopatico è sempre l'esito di un processo di interpretazione affettiva o di elaborazione pulsionale: non si dà · verità se non come maschera di istanze precategoriali. L' interpretazione è l'attribuzione di significato ad un affetto, ad una pulsione, che viene avvertita come apertura, possibilità di senso. Andando ben oltre i limiti angusti delle tassonomie mediche e dei protocolli terapeutici, il filosofo considera "cadaverica e spettrale" la salute dei più, compiaciuta, ottusa, sterile, consuetudinaria, sclerotizzata in forme di vita esistenzialmente circoscritte, dagli orizzonti assai limitati, incapace di congetture ardite e ignara di un salvifico senso della possibilità, a cui sfugge -per dirla con Michelstaedter- la pienezza di senso della vita persuasa per attardarsi nella rettorica del procrastinare. Secondo Nietzsche, l'uomo sano (nel senso consueto e restrittivo del termine) trascorre la propria vita senza riflettere minimamente, come avvolto in un "intimo, caldo mondo di nebbie"; si compiace del proprio stato di salute senza avvedersi che si tratta di una mera rappresentazione mentale appagata da una configurazione data dell'esistenza. In ragione di tali caratteristiche, resta da chiedersi "se l'esclusiva volontà di salute non sia un pregiudizio, una viltà e forse un residuo della più squisita barbarie e arretratezza" 51 • Non si tratta perciò di contrapporre la 51 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 126.

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salute alla malattia, né cli auspicare una completa guarigione, perché la·prima potrebbe rivelarsi una manifestazione camuffata della seconda, mentre quest'ultima potrebbe assumere l'aspetto cli "una salute cli qualità più fine che va riconquistata ogni giorno". Secondo Nietzsche, si può essere malati a causa di una effettiva condizione patologica, ma anche per effetto cli una "salute straripante". Il prospettivismo affettivo, che :..come abbiamo più volte sostenuto- culmina nell'identificazione della volontà di potenza con l'affetto, unìto al criterio selettivo che discrimina tra vita as~endente e vita declinante, permette a Nietzsche cli enunciare il principio fondamentale che presiede alla sua genealogia della salute: "anche la salute non serve a nulla, se non è ali' altezza di grandi affetti"52 • Mentre la salute che si limita ad amministrare l'esistente esprime una sterile mancanza d'affetti o, al meglio, si attarda tra affetti di piccolo cabotaggio, la grande salute è invece correlata ai grandi affetti, che le sono dapprima necessari per rigenerarsi dalla malattia, per orientare il processo di convalescenza, poi per esercitare la volontà di potenza, per procedere cioè ad un nuovo conferimento di senso, conservando e potenziando la forza che promana esclusivamente dall'affettività. Se la volontà di potenza è affetto, e gli affetti generano la grande salute, si potrà concludere, ancora una volta attribuendo a Nietzsche una logica stringente, che la volontà cli potenza è l'esercizio della grande salute e, reciprocamente, che la grande salute affettiva (quale scaturisce dal grande dolore) si esplica nell'attività della volontà di potenza. La passione dominante diventa la "suprema forma di salute"53 , così come l'affetto egemone, che subordina gerarchicamente altri affetti contrastanti, è la più compiuta espressione della volontà di potenza. . "Amo le brevi abitudini" -affermava Nietzsche, alla ricerca inesausta di nuove configurazioni esistenziali; detestava le abi52 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, vol. V, tomo Il, p. 317. 53 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 130. Già Kant, nella Critica del giudizio, aveva rilevato come gli affetti (ma non le passioni) generino "il sentimento della salute" e la sensazione di piacere che proviene dall'azione terapeutica dell'anima sul corpo.

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tudini durature, soprattutto l'insediarsi in quella fissa. dimora costituita da "un'unica specie di salute". Lo stesso Nietzsche riconosceva l'ambiguità del temine "salute", la sua natura prospettica dalle molteplici connotazioni: "Una salute in sé non esiste e tutti i tentativi per definire una cosa siffatta sono miseramente falliti. Dipende dalla tua meta, dal tuo orizzonte, dalle tue energie, dai tuoi impulsi, dai tuoi errori e, in particolare, dagli ideali e dai fantasmi della tua anima, determinare cosa debba significare la salute anche per il tuo corpo. Esistono innumerevoli sanità del corpo"54 • Con un significativo riferimento a Claude Bemard, Nietzsche chiarisce che la salute potrebbe apparire in qualcuno come.l'antitesi della salute di un altro e che, pertanto "salute e malattia non sono niente di essenzialmente diverso ... Non se ne devono fare principi o entità distinte che si disputino l'organismo vivente facendone il proprio campo di battaglia... In realtà, tra queste due forme di esistenza ci sono soltanto differenze di grado"55 • Il senso esistenziale della malattia non è pertanto parassitario rispetto alla sua origine naturale, organica, ma è l'esito di una interpretazione, della collocazione dell'evento patologico all'interno di un gioco di prospettive che si attua nella Lebenswelt del soggetto patico. Già Novalis aveva inteso il valore della malattia per il perseguimento di un grande scopo e Nietzsche considera la malattia una preziosa occasione di salute mentale e le si mostra riconoscente per l'essenziale contributo che essa ha dato alla determinazione delle sue esperienze di pensiero: "avevo tratto la mia filosofia dalla mia stessa volontà di salute, di vita" -scrive in Ecce homo il filosofo tedesco, il quale ribadirà spesso di dovere alla propria malattia tanto una salute superiore quanto la possibilità stessa della filosofia. Il dolore produce disincanto e genera sospetto, rende più acuto lo sguardo e agisce come energico stimolante alla vita per colui che è animato da una tenace volontà di salute, da quel tratto aristocratico che S4 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 126. S5 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 41.

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tende al dominio interpretativo sulle cose. "Aggiogare all'aratro la propria malattia"56, diventare schiaccianoci dell'anima, senza concedere nulla alla depressione che può derivare dalla sofferenza. Nella peculiare indagine di questa tematica biopatica, è attivo un modello generale di interpretazione che corrisponde ad una "ottica binoculare", la cui metodologia vedremo operante a proposito del rapporto tra arte e scienza e che presiede a molti altri aspetti del pensiero nietzscheano, tra i quali anche il rapporto tra apollineo e dionisiaco, per tacere della rivendicata identità mediterranea di buon europeo (quella che prefigura la grande politica), la quale risiede nella simultanea capacità di guardare al sud con gli occhi del nord e al nord con lo sguardo del sud57 : in tal senso, Nietzsche si colloca in un duplice osservatorio da cui esercita la sua critica genealogica, la dissoluzione biochimica delle attitudini morali e metafisiche. Dapprima sottopone a critica l'immagine filistea della salute dal punto di vista della malattia, poichè il dolore è il maestro del grande sospetto e scardina ogni posizione acquisita; poi prende le distanze dalla, malattia come espressione di vita declinante dal punto di vista di una salute di rango più elevato del mero sopravvivere, che ha sottomesso la malattia al proprio servizio, utilizzandone l'energia decostruttiva per liberare inedite risorse cognitive, estetiche e pragmatiche. La malattia diventa così la condizione trascendentale extrafilosofica di ogni pensiero critico o genealogico.

56 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1878-1879, voi. IV, tomo Ili, p. 288. 57 "Esiste ancor oggi in Francia un'anticipata comprensione e una condiscendenza per quegli uomini abbast~za rari e raramente ~oddisfatti, ~h~ han~o un orizz~nte troppo vasto per riporre il loro appagamento m un qualsiasi sentimento patriottardo essi che sanno amare nel nord il sud e nel sud il nord -per i mediterranei di nascita, per i 'buoni europei'. - Per costoro ha scritto la sua music~ Bizet, l'ulti~o genio che abbia intravisto una nuova bellezz~ e"una n~ova seduz10~e - che abbia scoperto un lembo di meu,ogiorno nella musica . F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit, p. 170. Per una valutazio~e compless!va del de~ito_ nietzscheano nei confronti della cultura francese si veda Il volume dt G. Camp10m, Les lectures françaises de Nietzsche, Paris, Puf 2001.

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Nletzsche osserva. dunque ciò che è sano con l'occhio del malato e ciò che è malato con l'occhio del sano, ma la posta in palio di questo circolo ermeneutico è l' eff~ttiva salute, qu~Ua salute che "non può fare a meno della malattia stessa come d1 un mezzo e amo di conoscenza". Proprio perché disgrega la compattezza monolitica dell'io, la sua rigida tr~va~ra concett~ale, rivelando una pluralità di passioni e affez10m, la malattia (o meglio: la pressione che un corpo ammalato eserci!a sullo spirito) diventa la precondizione di un pensiero della differenza che scardina ogni totalità precostituita e prelude alla Umwertung: "Con ottica di malato guardare a concetti e valori più sani, o all'inverso, dalla pienezza e sicurezza della vita ricca far cadere lo sguardo sul lavoro segreto dell'istinto della décadence -questo è stato il mio più lungo esercizio, la mia vera esperienza... mi sono fatta la mano a spostare le prospettive: ragione prima per cui forse a me solo è possibile una trasvalutazione dei valori"58 • Operare la Umwertung dei valori, trasvalutarli significa dissolverli, consumarli nella loro assolutezza, non per produrne razionalmente di nuovi, tecnicamente più adeguati -come pretende Heidegger-; i nuovi valori sono mere concrezioni empiriche, transitorie e revocabili, in cui si estrinseca la volontà di potenza, cioè le differenti forze interpretive che spostano incessantemente le prospettive. 58 F. Nietzsche, Ecce homo, voi. VI, tomo ID, p. 273. Fra i maggiori interpreti nietzscheani, soltanto Deleuze ha debitamente valorizzato tale aspetto: "Nietzsche ci esorta a vivere la salute e la malattia in modo tale che la salute sia un punto di vista vivente sulla malattia e la malattia un punto di vista vivente sulla salute, a fare della malattia un'esplorazione della salute, della salute un'investigazione della malattia. Non si identificano i contrari, se ne affenna tutta la distanza, ma come ciò che li fa riferire.uno all'altro.(... ) Non è appunto la g~ande salute (o la Gaia scienza) questo procedimento che fa della salute una valutaZione della malattia e della malattia una valutazione della salute?... La prospettiva-il prospettivismo- di Nietzsche è un'arte più profonda del punto di vista di Leibniz; la divergenza infatti cessa di essere un P;.incipio di ~s.clusione, la disgiu~zione c~ssa. di essere un mezzo di separazione, I m~o~poss1bile è o~a u~ mezzo d~ comu~!caZione ... All'esclusione dei predicati si sost1tu1sce la comumcazmne degh eventi • G. Deleuze, Logica del senso Milano, ~eltrinelli 1975, pp. 154-155. '

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Nella dialettica di salute e malattia -in cui gli incompossibili si scambiano i reciproci attributi- è in gioco l'identità stessa della filosofia: "Sono personalmente abbastanza consapevole -scrive Nietzsche- della posizione di vantaggio che, in generale, nell'instabilità della mia salute, vengo ad avere rispetto a tutti gli spiriti quadrati. Un filosofo che ha fatto il suo cammino passando per molte sanità... è anche passato attraverso altrettante filosofie, egli appunto non può far nient'altro che trasferire ogni volta il suo stato nelle forme e nella lontananza più spirituali - precisamente quest'arte della trasfigurazione è filosofia," 59 • L'attività filosofica viene intesa dunque da Nietzsche come trasfigurazione del dolore, convalescenza, esito cognitivo di ricorrenti stati valetudinari. L'affettività che si nasconde dietro ogni pensiero non è un residuo irrazionale, ineliminabile nell'attività teoretica, bensì ciò che rende possibile la filosofia, ciò che la configura come sapere biopatico, emotivamente tonalizzato, e dotato di attitudine critico-genealogica: "Non siamo ranocchi pensanti -aggiunge Nietzsche- apparecchi per obiettivare e registrare, dai visceri congelati, -noi dobbiamo generare costantemente i nostri pensieri dal nostro dolore e maternamente provvederli di tutto quello che abbiamo in noi di sangue, cuore, fuoco, appettiti, passione, tormento, coscienza, destino, fatalità" 60• Quale filosofia può scaturire da questa incessante trasfigurazione prodotta dalle condizioni valetudinarie? Qual' è l'identità del filosofo medicò caldeggiato da Nietzsche? Innanzitutto, non si tratta di proporre un profilo compiaciuto che, dall'esperienza

59 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 17. 60 Ibidem. Va sottolineato come gli stati valetudinari da cui scaturisce, secondo Nietzsche, ogni filosofia, sono sempre transiti, convalescenze, mai punti di approdo; anzi, non si tratta neppure di stati o di condizioni date, bensl di interpretazione di flussi di energia, di intensità crescenti o decrescenti, sintomi che possono essere valutati, come spasmi, contrazioni dolorose o moti pulsionali esuberanti: in ogni caso "differenze di grado" non identità acquisite (sano/malato). Questa oscillazione del continuo transitare si rispecchia anche nella duplicità semantica di valetudo: condizione di infermità ma anche stato di salute, bona, integra, optima valetudo, ma anche infima, incommoda et adversa valetudo. Si può essere adfectus valetudine ma -come Nietzsche- tendere alla prosperitas valetudinis.

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della malattia trarrebbe un senso di superiorità a compensazione di un inevitabile complesso di inferiorità_ organi~a: ~~r di~sipare ogni equivoco in tal senso, _Ni~~sche subito p~ec1sa: })ub1to c~e un tale dolore renda migliori e altrove aggmnge. la malattia non va intesa come superiore forma di vita", fr~tesa cioè nel suo significato fisiologico; il grande dolore no~ è certo un' esperienza edificante, non comporta alcuna redenz10ne morale, pmttosto determina il continuo transitare dalla salute alla malattia (e viceversa), la perenne condizione di instabilità psicofisiologica, dischiude un senso della possibilità corrosivo nei confronti del senso della realtà, ci fa avvertire "la seduzione di tutto quanto è problematico", impedendoci di sostare presso conciliati punti d'approdo, presso verità definitive e incontrovertibili, quando tutto nell'esistenza è accadimento casuale, ingovernabile divenire, sviluppo e regresso, potenziamento e indebolimento61 • Questo dolore "scava nel profondo" -scrive Nietzsche- ma, a ben guardare, non si tratta di una perlustrazione dell'interiorità, di una catabasi negli abissi di una inafferrabile profondità, bensì l'evocazione di una forza, la provocazione di un'energia che ci consente di risalire in superficie, di compiere quell 'anabasi che ci insedia nel mondo delle cose prossime. Viene così rivelato il paradosso insito nell'avventura del tragico: l'esperienza del dubbio e della lacerazione diventano le condizioni per acquisire "un gusto più sottile per la gioia", per esercitare "un'arte beffarda, leggera, fuggitiva, divinamente imperturbata", per tornare ad essere, come i Greci, "superficiali -per profondità", dunque per sperimentare compiutamente la dimensione estetica (sensoriale e artistica) del1'esistenza. Per Nietzsche sono i pensatori sofferenti, coloro che sopportano la pressione del male, quelli che sono incalzati dalla tragedia dell'esistenza, instancabilmente sedotti dall'ignoto, stimolati da una inopinata curiosità scienti.fica, a formulare una gaia scienza, a celebrare i saturnali dello spirito. 61 "L'obiezione, il saltare di lato, la gaia diffidenza, il piacere della beffa sono segni di salute: tutto ciò che è assoluto appartiene alla patologia". F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit, pp. 79-80.

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Soltanto l'esperienza del dolore insegna a vivere in superficie

per eccesso di profondità: una profondità intrinseca al dolore dunque (come quella raggiunta dalla tragedia greca), non l'ambito arcano del sapere confinato nell'interiorità, inaccessibile per effetto di mistificazione. Acquisita la diversità di sguardo propria dell'uomo del sottosuolo che "trivella, scava, scalza", Nietzsche segnala ripetutamente la circostanza per la quale l'individuo che ha raggiunto la condizione della grande salute (mai ascrivibile come un possesso duraturo), attraverso l'esperienza del dolore, avverte una sensazione di lieve ebbrezza che induce alla danza. Ritroviamo così il fondamento tragico del sapere della superficie: lo spirito di leggerezza è un dono transitorio, sempre insidiato dalla ricaduta nella malattia, dal peso della sofferenza, fatti incontestabili dell'esistenza e tuttavia sempre soggetti a rilevanti interpretazioni. La filosofia -ribadisce Nietzsche- è un'arte (una tecnica, una capacità) di trasfigurare il dolore, non nel senso di spiritualizzarlo ma di convertirlo nell'esperienza corporea della sensualità e della danza. Anche in questo caso, il nichilismo non giustifica alcun elogio dell'apparenza, nessuna glorificazione dei simulacri, nessuna fabulizzazione del mondo, bensì allude al nulla, al fondamento tragico di una transitoria sovranità. Per Nietzsche -come per Eschilo-, il sapere è proporzionale ad dolore patito; Zarathustra si rivolge ai saggi illustri con queste parole: "Spirito è la vita che taglia nella propria carne: nel suo patire essa accresce il suo sapere -lo sapevate?"62• Non vi è alcuna idea di redenzione in questo passo: lo spirito è una ferita della carne, è l'esistenza lacerata; il sapere scaturisce da questa ferita senza suturarla, senza elevarsi sopra di essa, come per riscattarla dalla sua insensata brutalità. Il sapere è patema, lacerazione del senso, cognizione biopatica, sofferenza immedicabile, esperienza corporea della ferita d'esistere. · Si può osservare come, tanto nella metafisica dell'artista quanto nella fisica del malato, si tratti di creazione e volontà

62 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit, p. 125.

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di forma, di grande stile come di grande salute. È sign~ficativo come, in un passo di Al di là del ben~ e del male: ~ietzsche estenda la critica condotta nei confronti del m~ccamcis_mo cau.. salistico all'edonismo e al pessimismo che mis~ra!1o ti valore delle cose secondo il piacere e il dolore, sensaziom secondarie rispetto alla considerazione delle forze ~lasmatrici. queste ultime sono attivate dalla sofferenza, che Nietzsche considera nobile in quanto divide, perché determina una ger~chia d~l s~ntire, si sottrae alla falsa eguaglianza della compassmne, poiche è selettiva come la volontà di potenza, mentre il benessere "non costituisce una meta ... sembra piuttosto una fine! Una condizione che rende subito l'uomo ridicolo e spregievole"63 • La disciplina formatrice del dolore è una forza interpretativa che organizza il caos, che vanifica l'assurdo, plasma l'informe così come la volontà di forma dell'artista. La grande salute promuove sia l'espressione dell'affettività sia il dimorare nella prossimità: oltre a porsi ali' altezza di grandi affetti, essa dischiude l'accesso alla superficie degli eventi, sottratti a quel reiterato discredito, in nome di una presunta profondità del fondamento, generato dalla malattia morale e metafisica. Questo significato di emancipazione antropologica dagli abissi interiori di un'esistenza imperscrutabile viene compiutamente delineato (quasi una summa di tutti i nessi concettuali e metaforici presenti nel tema della grande salute) nella prefazione che Nietzsche scrive nel 1886 per Umano, troppo umano: "Da questo morboso isolamento, dal deserto di tali anni di esperimenti, ancora lunga è la via per giungere fino a quell'enorme, straripante sicurezza e salute che non può fare a meno della malattia stessa, come di un mezzo e amo di conoscenza, fino a quella matura libertà dello spirito, che è tanto padronanza di sé quanto disciplina del cuore, e che apre la via a molti e opposti modi di pensare; fino a quell'interiore apertura e raffinatezza derivante dalla sovrabbondanza... fino a quel1'eccesso di forze plastiche, capaci di guarire a fondo, formare 63 F. Nietzsche, Al di Ili del bene e del male, op. cit, p. 133.

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:li nuovo~ ricostruire, che è appunto il segno della grande salute, iuell 'eccesso che dà allo spirito libero la ·pericolosa prerogativa :li poter vivere d'ora innanzi per esperimento e di potersi offrire ùl' avventura; la prerogativa di maestria dello spirito libero! In mezzo possono venire lunghi anni di convalescenza, anni pieni di trasformazioni multicolori, doloroso-incantate, dominate e tenute a freno da una tenace volontà di salute ... lo spirito libero ... ha quasi l'impressione che soltanto ora gli si aprano gli occhi sulle cose vicine. È stupito e siede in silenzio: ma dov'era? queste cose vicine e prossime: come gli appaiono mutate! Che lanugine e incanto hanno frattanto rivestito! ... Che felicità ancora nella spossatezza, nella vecchia malattia, nelle ricadute del convalescente! ... è una cura radicale contro ogni pessimismo ammalarsi alla maniera di questi spiriti liberi, rimanere per un bel pezzo malati e poi, senza fretta e per un tempo ancora più lungo, diventare sani, voglio dire "più sani". È saggezza, saggezza di vita, somministrarsi per lungo tempo la salute stessa solo a piccole dosi" 64• E ancora, nella prefazione al secondo volume: "Contro il pessimismo della stanchezza di vivere, già per ogni sguardo attento della nostra gratitudine, che non si lascia sfuggire i doni più piccoli, delicati e fuggevoli della vita... una nuova salute"65 • Nella Gaia scienza, l'opera in cui il sapere della superficie raggiunge il suo punto più elevato di elaborazione, Nietzsche inserisce un aforisma esplicitamente dedicato alla grande salute: "Noi uomini nuovi, senza nome, difficilmente comprensibili... abbiamo bisogno di una nuova salute, una salute più vigorosa, più scaltrita, più tenace, più temeraria, più gaia di quanto non sia stata fino a oggi ogni salute... la grande salute - una salute che non soltanto

64 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, op. cit, pp. 7-9 6S F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, voi. IV, tomo III, p. 9. Il legame tra salute e spirito di leggerezza emerge chiaramente da questo passo: "Una salute piena di voltafaccia e di trabocchetti improvvisi e incomprensibili, tale che alimenti una profonda diffidenza; e in ogni ora felice una intenzionale leggerezza e cecità rispetto al futuro: altrimenti, la felicità non è possibile". F. Nietzsche, Frammenti postumi 1879-1881, voi. V, tomo I, p. 546.

si possiede, ma che di continuo si conquista e si deve conquistare, poiché sempre di nuovo si sacrifica e si deve sacrificare... noi argonauti dell'ideale... pericolosamente sani, sempre rinnovellati in salute"66 • N~ll'economia complessiva dell'opera nietzscheana si comprende come il modello o l'incarnazione emblematica della grande salute sia ancora l'artista, colui che esprime l'esuberanza dionisiaca senza pavidi ancoraggi, in cui la hybris perde ogni connotazione di colpevolezza e la gioia scaturisce dal dolore e dalla più risoluta consapevolezza tragica: "non è possibile essere artisti senza essere malati" -scrive Nietzsche, il quale subito sottolinea che questa condizione appare in realtà come una forma di salute debordante, un'eccedenza di forza, di sensibilità, di stile, che sfocia nell'ebbrezza, nell'immanente trascendenza del reale e nell'esaltazione della vita. . La salute degli affetti affermativi, delle passioni dominanti, dei progetti più arditi, degli esperimenti più temerari, è l 'espressione della vita ascendente condotta da quel temperamento mite che Nietzsche intende promuovere come tratto aristocratico dell' oltreuomo. Il filosofo-medico può così intraprendere il suo tentativo di rimuovere gli ideali ascetici che fanno da supporto alla logica della decadenza, che sono i sintomi conclamati della malattia (di cui viene ricostruita la storia clinica) rappresentata da quella vita declinante che nega valore al mondo delle cose prossime: "Le cose più vicine di tutte vengono dai più molto malamente viste e molto raramente tenute in conto ... da questa mancanza derivano quasi tutte le infermità fisiche e spirituali dei singoli... l'essere ignoranti e il non avere occhi acuti in ciò che è più piccolo e ordinario - ecco ciò che fa della terra per tanti una "prateria della sventura" ... la ragione viene falsamente indirizzata e artificiosamente stornata da quelle cose piccole, le vicinissime" 67 • 66 F. Nietzsche, La. gaia scienza, op. cit, p. 262. Su questo tema, cfr. anche il volume collettaneo, a cura di D. Raymond: Nietzsche ou la grande santé, Paris, L'Harmattan 1999. 67 F. Nietzsche, Umano, troppo umano Il, op. cit, pp. 136-137.

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Nietzsche si colloca agli antipodi rispetto ad una considerazione della malattia, quella propria della morale cristiana, che si avvale di categorie dialettiche quali giustificazione, redenzione e riconciliazione. Nella Genealogia della morale, Nietzsche denuncia la connivenza nichilistica tra interiorizzazione del dolore e nichilismo cristiano, la cui strategia consiste nell'accusare la vita per poterla redimere: l'esistenza è colpevole, giacché soffre; ma proprio perché soffre, può anche espiare, e venir così redenta. Come ha messo in luce Deleuze, questo dolore interiorizzato e spiritualizzato diventa forza reattiva, conseguenza di un peccato, effetto di cattiva coscienza. Si attribuisce al dolore la conseguenza di una colpa e si indica la via della salvezza: si guarisce dal dolore interiorizzandolo sempre più, legandolo al sentimento di colpevolezza. Occorre invece mantenere il dolore nell'elemento dell'esteriorità, come un senso esterno, affinché non sia un argomento contro la vita, bensì un tonificante per la meditazione genealogica e trasvalutante: "Nessun dolore avrà potuto -scrive Nietzsche a Malwida von Meysenburg- e potrà indurmi a una falsa testimonianza contro la vita" 68 • Anche quando ci si trova a desiderare che sopraggiunga "l'ictus cerebrale liberatore". Il tema nietzscheano della grande salute conduce dunque alla riaffermazione della volontà di potenza come affetto e alla complementare teoria delle cose prossime (di cui si parla già in un significativo frammento ecofisiologico dell'estate 1879). La grande salute non costituisce però soltanto il tratto distintivo degli argonauti dell'ideale, coloro che si accingono a trasvalutare ogni valore, bensì rappresenta anche una sorta di mise en abfme dell'intero pensiero nietzscheano, il modello che sovrintende alla sua peculiare logica: la grande salute, infatti, è di genere differente e superiore (secondo il parametro selettivo della vita ascendente) sia dalla malattia sia dalla salute intese come condizioni date dell'esistenza, come circostanze acquisite della nostra identità biopatica, fatali contingenze fisiologiche. Tuttavia essa non ne

68 F. Nietzsche, Epistolario 1865-1900, Torino, Einaudi 1977, p. 147.

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costituisce la sintesi, non rappresenta la conciliazione degli opposti tra loro contradditori attraverso la mediazione concettuale69• Non è certo una logica dialettica quella che presiede alla relazione tra salute e malattia: piuttosto una logica tragica (o paradossale), una logica dei compossibili, una logica dell'esperienza in cui vi è comunicazione tra eventi divergenti se non contrastanti, interscambio di proprietà disgiunte. Secondo questa logica, la grande salute non.risolve alcuna contraddizione tra tesi e antitesi, perché salute e malattia cessano di essere antitetiche, mantenendo soltanto una differenza di grado tra diverse forme d'esistenza, tra eterogenee modalità della prassi; piuttosto, essa rigenera la malattia, la riproduce, la risolleva, ripropone cioè quella cognizione del dolore senza la quale non sarebbe grande salute, ma salute di piccolo cabotaggio, tesa alla mera conservazione di una condizione di esistenza acquisita, sfondo non tematizzato della sopravvivenza. Sopravvivenza: giacere cioè inerti sopra la vita, renderla inoperosa, sterile, conservarla senza spenderla, trattenerla come un possesso invece che offrirla come un dono inappropriabile. L'ambito di manifestazione della grande salute è lo stato di convalescenza, il sollievo da una condizione meramente patologica, il pendolarismo valetudinario e affettivo, il continuo transitare tra gli opposti che caratterizza l'esperienza della malattia cronica70, perché da altre malattie, più o meno gravi, si guarisce ritornando semplicemente allo status a quo, alla condizione di salute non problematizzata. Pertanto, al conseguimento sempre precario e revocabile della grande salute, soggiace una logica (termine che Nietzsche usa abitualmente, a dispetto dei fautori del suo presunto irrazionalismo), un modello di

69 In un senso affine a quello della nostra analisi, Ferruccio Masini individuava il perno del filosofare nietzscheano, che tende alla Umwertung, "nell'ottica dionisiaca o degli estremi, un'ottica agonale e multipla nèlla quale il gioco delle interpretazioni si smaschera continuamente". F. Masini, Lo scriba del caos, Bologna, Il Mulino 1978, p. 27. 70 Inevitabilmente emerge qui il dato biografico, come matrice del privilegio speculativo della malattia; per la relazione tra circostanze autobiografiche e costellazione ideativa, si legga il bel libro di G. Nuccitelli, Il contagio.filosofico, Milano, Guerini 1996.

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verità che non soltanto evita l'approdo rassicurante della conciliazione degli opposti, che non soltanto sopporta o tollera la contraddizione (come si sostiene correntemente per qualificare il pensiero tragico), ma che, ancor più radicalmente, esige l'opposizione, richiede 1'esperienza della lacerazione come sua condizione di possibilità.

Lo sguardo dell'arte sulla scienza La riflessione nietzscheana sul rapporto tra arte e scienza prende le mosse dall'indicazione (contenuta nella prefazione alla Nascita della tragedia) secondo la quale la scienza andrebbe osservata nell'ottica dell'arte, mentre quest'ultima (coinvolgendo anche la prima) andrebbe considerata nell'ottica della vita. Ma si potrà anche mostrare come, reciprocamente, Nietzsche suggerisca di considerare l'arte con lo sguardo della scienza, per moderarne il pathos e favorire un modello più sobrio di comportamento, uno stile analitico capace di stemperare il tumulto emotivo legato ali' esperienza artistica. Anche a proposito del rapporto tra arte e scienza, Nietzsche attua un doppio e complementare regime di indagine, sfodera cioè la sua ottica binoculare, quella che consente tra l'altro (come abbiamo già visto) di guardare alla malattia con l'occhio della salute e di considerare la salute con lo sguardo educato dall'esperienza della malattia. Il giovane Nietzsche considera l'arte un salutare correttivò alla smodata attitudine teoretica dell'uomo moderno, fondata su quel1' idea illusoria introdotta da Socrate di voler conoscere tutto a tutti i costi, di penetrare con la ragione "fin nei più profondi abissi dell'essere", quasi a volerlo correggere, un'illusione meta.fisica assunta come proprio fine dalla scienza, la quale cerca "di far apparire l'esistenza comprensibile e pertanto giustificata"71 • Il razionalismo metafisico, che da Socrate si propaga fino alla scienza moderna, costituisce -scrive Nietzsche- la "più illustre opposizio71 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., pp. 100-101.

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ne alla concezione tragica del mondo", quale è quella espressa dall'arte dionisiaca nella tragedia greca prima del tradimento o dell'involuzione alessandrina di Euripide. L'affermazione della scienza come fede nella conoscenza, "nell'efficacia risanatrice universale del sapere", crea le condizioni per una distruzione del mito e per una svalutazione della poesia. Se questi sono i termini del conflitto della cultura moderna, non si potrà evitare di "dedurre un'eterna lotta tra la concezione del mondo teoretica e quella tragica"72 , la prima rappresentata dalla scienza (anche nel suo risvolto storicistico), la seconda dall'arte, dal mito e da ogni altra forza eternizzante e metaforica. L'intento di Nietzsche -dalla Nascita della tragedia alle Considerazioni inattuali- è di .introdurre un'igiene della vita accanto alla scienza, come suo sovrano e legittimo criterio di valutazione, per moderarne l'ipertrofica autonomia teoretica, esercitando quella funzione che più· tardi Nietzsche chiamerà di contromovimento nei confronti della deriva nichilista. Nel 1886, scrivendo una nuova introduzione all'opera del 1872, Nietzsche potrà allora considerare la scienza "come sintomo di vita", non più come sua negazione metafisica, proprio grazie alla mediazione dell'arte, come esito metodico di un sistematico processo di dislocazione dei due elementi in questione, secondo il principio cioè dell' ottica binoculare, poiché "il problema della scienza non può essere riconosciuto sul terreno della scienza"73 • ' A partire da Umano troppo, umano, Nietzsche comincia a prendere le distanze da quella metafisica d'artista che aveva ispirato le prime opere per effetto del progetto di una rinascita della cultura tragica ispirata alla musica di Wagner e dal pensiero di Schopenhauer: ora il filosofo, che non crede più alla reciproca esclusione di arte e scienza, si accinge ad intraprendere una critica della cultura che, configurandosi come una chimica delle idee e dei sentimenti, non può che riconsiderare la funzione dell'attività scientifica: a tal scopo, genealogico-decostruttivo, l'artista 72 Ivi, p. 114. 73 lvi, p. S.

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non pare più così affidabile, poiché egli "non vuole rinunciare .a quelle che sono le premesse più efficaci della propria arte, cioè al fantastico, al mitico, all'incerto, all'estremo, al senso del simbolico, alla sopravvalutazione della persona, alla fede che il genio sia qualcosa di miracoloso: egli ritiene dunque il perdurare della sua specie di creazione più importante della dedizione scientifica al vero in ogni forma, per spoglio che possa apparire"74• La scienza è chiamata dunque a mitigare l'attitudine irrazionale dell'arte, senza rinunciare però all'intensità emotiva e alla ricchezza passionale che essa induce in chi la contempla con interesse: in tal senso, Nietzsche può affermare che "l'uomo scientifico è l'ulteriore sviluppo dell'uomo artistico"75 • Scienza e arte hanno la medesima natura e finalità, entrambe costruiscono in parte il proprio oggetto, non constatano ma interpretano, dal momento che la scienza non detiene il potere inconcusso della rappresentazione univoca della realtà: ma, poiché si è esaurita la forza mitopoietica ed affermata altresì una crescente divisione del lavoro, l'arte sembra destinata al tramonto, osservata come "una magnifica reliquia" di felici e improponibili epoche passate. Questo avvicendamento non dovrebbe però condurre ad un'alternativa dirimente, ad una attualità della scienza contrapposta all'inattualità dell'arte, il cui principio di piacere verrebbe a contrastare con il principio di realtà e di utilità applicato e sviluppato dalla prima. Sul modello goethiano (attivo -come vedremo- fin dal 1868 e poi onnipervasivo nella Seconda Inattuale), Nietzsche pensa ad una cultura superiore come nuova physis, in cui possano coesistere armonicamente le istanze reciprocamente rappresentate dalla scienza e dall'arte, raggiungendo una temperatura mite come il temperamento in cui verrà riconosciuto il doppio cervello. Se la scienza ha l'indubbio merito di gettare il sospetto sulle artificiose costruzioni metafisiche e morali, essa ci ha anche privati delle nostre principali "fonti di consolazione", ha eroso la nostra riserva di gioia e piacere: "perciò una cultura superiore deve dare all'uomo un doppio 74 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit., p. 121. 75 Ivi, p. 157.

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cervello, qualcosa come due camere. cerebrali, u?a pe~ sentirci la scienza, un, altra per sentirci la non sci~~z~; che _s!i3!1o 1 una accan.. to all'altra senza confusione, separabili, isolabili: e questa un'esigenza di s~ute. Nell'un campo si n:o~a la fo?te ~ ~orza, n~ll' altro il regolatore: con illusioni, unilate~~ta e_ passmm biso~a nscaldare; con l'aiuto della scienza conoscitiva bisogna prevemre le cattive e · ald~ento" 76.. pericolose conseguenze di un sumsc Tra arte e scienza si assiste ad una vicenda di perenne com.. pens~ione, cli integrazione delle differenze, di compenetrazione delle opposte polarità: "il valore della scienza -scrive Nietzscheè di essere un'enorme forza antagonistica: forse in contraddizione ad essa, si riaccende sempre di nuovo l'illogicità e la fantasia senza freni! Forse ciò è necessario!"77 • Dapprima la scienza era chiamata a stemperare i moti irrazionali dell'arte, a frenarne le esuberanze; ora, affermatosi l'atteggiamento rigoroso della ricerca scientifica, è l'arte a dover reintrodurre un po' di fantasia in un mondo ridotto a prevedibilità e a calcolo razionale. Così come l'istinto poetico ha bisogno della scienza per alimentare la percezione sensibile, per attingere ad elementi cli realtà sui quali proiettare poi il proprio universo fantastico. Il nostro occhio -sostiene ancora Nietzsche negli anni in cui elabora la gaia scienza- è al contempo poetico e logico, fantasioso e analitico, poiché sviluppa una potenza nutrita tanto di immagini quanto di deduzioni. Soltanto attraverso l'esercizio e il perfezionamento di questa ottica binoculare è possibile conseguire il grande stile, espressione che Nietzsche sembra applicare esclusivamente all'arte ma che, in realtà, concerne proprio l'ibridazione dei tratti identitari dì arte e scienza. In tal senso, il riferimento a Palazzo Pitti, come esempio suprem~ di grande stile, ci può indicare la via interpretativa più fecon~a, 10_ qu~to esso è 1'espressione di una volontà di forma che, nell età nnasc1mentale, vede congiunti attivamente artisti e scienziati, architetti e ingenieri: in altri termini, quando l'arte assume i 76 Ivi, p. 179-Qui l'~ condivide lo stesso destino della religione e della m~tafisica nel pro11:1uovere erron, mganni e travestimenti utili alla conservazione della specie. 77 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 436.

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caratteri della scienza e, al contempo, la scienza quelli dell'arte (e, per riflesso speculare, quando l'epistemologia volge all'estetica e viceversa), accomunati dall'analogo intento di organizzare il caos in forma, si assiste all'edificazione del grande stile. L'architettura sembra essere l'emblema della volontà di potenza artistico-scientifica, di cui viene tradotto il senso nella forma del grande stile, la cui normatività disdegna ed esclude il piacevole: "L'architetto non rappresenta né uno stato dionisiaco, né uno stato apollineo: qui è il grande atto .volitivo, la volontà che sposta le montagne, l'ebbrezza del grande volere, ad anelare l'arte. Gli uomini più possenti hanno sempre ispirato gli architetti: l'architetto è sempre stato sotto la suggestione della potenza"78 • Per Nietzsche, che appare malauguratamente indifferente ali' esperienza.filoso.fica della pittura, il poìein architettonico rende visibile la potenza: non potrà allora apparire casuale come il filosofo, nell'Anticristo, torni a parlare di grande stile proprio in occasione del riconoscimento di merito ai metodi scientifici, in quanto esso si pone al di là del contrasto tra apollineo e dionisiaco, al di là di ogni arte dissociata dalla scienza, dalla sua onestà conoscitiva, e con essa da "realtà, verità, vita"79 • Alla luce di questo doppio riferimento all'architettura e più in generale alla scienza, il grande stile appare come il prodotto eminente dell'ottica binoculare che costituisce 1' hardcore della filosofia nietzscheana, 1' esito congiunto di un'arte osservata con lo sguardo rigoroso del metodo scientifico e della scienza considerata con l'occhio trasfigurante dell'arte. Questo connubio in cui arte e scienza si scambiano gli attributi, modificando anche il loro ruolo culturale, non deve far ritenere che il grande stile sia espressione di una sobria insensibilità, perché Nieztsche continua a pensare in termini di gaia scienza anche quando loda i metodi scientifici, a tal punto da rubricare 1'intento di "riconquistare per 1' uomo della conoscenza il diritto alle passioni" sotto il titolo di grande stile80, sottolineando altresì -in un 78 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 115. 79 Ivi, p. 255. 80 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 209.

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frammento della primavera 1888- che "il grande stile si manifesta in conseguenza della grande passione. Esso disdegna di piacere, dimentica di persuadere. Comanda, vuole"81 • Per conseguire il grande stile, espressione eminente della volontà di potenza, non si tratterà di negare la seduzione dei sensi, di estirpare i desideri o indebolire le passioni, quanto spinozianamente di dominarle, di assoggettarle, di volgerle a nostro vantaggio, di convertirle in affetti. Mentre la musica, soprattutto quella romantica, sembra privilegiare il sentimento, rivelandosi come "arte della decadenza", suo controrinascimento, l'architetto di Palazzo Pitti incarna la grande ambizione filosofica ed esistenziale- dell'ultimo Nietzsche: ."Dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge" 82 • L'ottica binoculare di Nietzsche raggiunge il suo culmine speculativo nel frammento che conclude il secondo libro della Gaia scienza intitolato: I.A nostra ultima gratitudine verso l'arte. In questo celebre passo, l'arte viene considerata l'irrinunciabile antidoto al lavoro demistificante della scienza genealogica: la consapevolezza dell'universale carattere fallace e menzognero della nostra attitudine teoretica, il riconoscimento dell'illusione e dell'errore come condizioni imprescindibili di conservazione della vita, ci risulterebbero insopportabili se non fossero mitigate dalla buona volontà d'apparenza espressa dall'arte, che ci ha educato al "culto del non-vero": "In quanto fenomeno estetico, ci è ancora sopportabile l'esistenza, e mediante l'arte ci è concesso l'occhio e la mano e soprattutto la buona coscienza per poter fare di noi stessi un siffatto fenomeno. Dobbiamo, di tanto in tanto, riposarci dal peso di noi stessi, volgendo lo sguardo là in basso su di noi, ridendo e piangendo su noi stessi da una distanza da artisti: dobbiamo scoprire l'eroe e anche il giullare che si cela nella nostra passione della conoscenza"83 • 81 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op.cit., p. 266. 82 Ivi, p.37. 83 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., pp. 115-116.

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Negli appunti preparatori alla prefazione di quest'opera capitale per la filosofia contemporanea, Nietzsche compendia il significato della sintesi, della complicità tra arte e scienza in questi termini: "il giullare nella forma della scienza", optando per l' atteggiamento ludico e ironico di Zarathustra, che persegue disincantato (da scienziato) l'analisi dell'esperienza e ne propone (da giullare, da artefice di un mutamento paradigmatico) la trasvalutazione dionisiaca. Atte e scienza istituiscono anche un gioco complementare che ricorda, in mutate circostanze d'esperienza, quello che sarà poi il fort-da descritto da Freud: "L'uomo alla fine non trova null'altro nelle cose se non quello che egli stesso vi ha nascosto dentro: il ritrovare si chiama scienza, il nascondere dentro -arte, religione, amore, orgoglio"84• Questa volontà di occultamento è affine alla volontà di menzogna (e, più in generale, alla "buona volontà di apparenza" prodotta dell'arte) che Nietzsche richiama ancora una volta per segnalare la convergenza genealogica con la scienza: da un lato, "la gioia della menzogna come madre del1'arte", dall'altro l 'ovidiano e trasgressivo "nitimur in vetitum e la curiosità come origini della scienza"85 • La matrice della scienza diventa cosi la volontà d'at1e, l'intento di assecondare e potenziare la vita, di esplorarne i territori preclusi allo sguardo del ricercatore curioso, disattivando la deleteria pulsione a conseguire la verità ad ogni costo. Sebbene muti progressivamente l'enfasi nietzscheana sul ruolo dell'arte piuttosto che sulla funzione della scienza, l'assunto fondamentale della Nascita della tragedia si ritrova inalterato nella sua opera più compiuta, per poi riecheggiare fin negli ultimi scritti: soltanto come fenomeno estetico l'esistenza risulta sopportabile, ma anche auspicabile, nel senso di assumere quel1' atteggiamento dionisiaco che ci permette di apprezzare il dettato degli affetti, l'innocenza del divenire. Pur avendo acquisito l' onestà che deriva dal costume analitico della scienza, non dobbiamo diventare scientisti, né arrenderci al fatalismo dell'effettuale: 84 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 140. 85 Ivi, p. 322.

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abbiamo ancora bisogno della trasfigurazione dell'arte, di quella hybris che esercita la volontà di potenza come interpretazione passionale, come invenzione di universi fantastici, sovrastando così la morale e disponendo di una sovrana libertà sopra le cose. L'arte dovrà continuare ad introdurre nelle co~e quelle proiezioni fantastiche, quelle interpretazioni· azzardate che la scienza sarà chiamata a riconoscere e a decifrare. Poiché celebra deliberatamente la menzogna e promuove la volontà d'illusione, l'arte appare "in maniera molto più radicale della scienza contrapposta all'ideale ascetico"86, come avvertì già -seppur con intenti diametralmente opposti- lo stesso Platone quando condannava l'arte mimetica, naturalmente ostile ad un mondo di valori sovrasensibili, ad una trascendenza dei significati. Mentre l'esperienza dell'arte esprime in modo esuberante la sovrabbondanza di forze, l'inesauribile anelito della vita, il desiderio di trasfigurare il vissuto tragico dell'esistenza, l'edificio della scienza sembra posare sullo stesso terreno dell'ideale ascetico, generare cioè un certo impoverimento della vita, un raffreddamento delle passioni, un inaridimento degli affetti, una rimozione degli istinti, un crepuscolare spirito di gravità, una austera forma di atarassia stoica, quando non arrivi a diffondere un "trivellante sentimento del nulla", percepibile sul piano inclinato in cui l'uomo si dibatte da quando Copernico gli ha sottratto le residue certezze, trasformandolo in un atomo periferico, in un' entità marginale del cosmo. Come è stato recentemente affermato, "la scienza è un'espressione estetica che manca di sensibilità artistica"87, ma -come vedremo più oltre- una scienza così concepita, esonerata cioè dal suo peculiare attributo nichilistico, dal sùo spirito di decadence, p~ò contribuire, insieme ali' arte dionisiaca che scaturisce dal mondo degli affetti unitamente all'esperienza del dolore e che -mediante l'istinto apollineo- viene trasfigurata nel grande stile, a porre i presupposti.fisici per l'esercizio filosofico della trasvalutazione di tutti i valori. 86 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 358. 87 B. Babich, Niet1,Sche e la scienza, Milano, Cortina 1996, p. 141.

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Classicismo e grande stile La questione del grande stile, posta da Nietzsche al culmine della propria estetica (o meglio, della propria metafisica dell'arte) chiama preliminarmente -ma inevitabilmente- in causa la complessa e controversa eredità della cultura classico-romantica nella sua duplice ma inscindibile articolazione filosofico-letteraria che sembra ancora agire in modo determinante dietro le quinte della sua elaborazione concettuale e metaforica. Già a quindici anni, nel periodo della scuola di Pforta, Nietzsche guarda a Schiller come ad un classico della cultura tedesca, rievocando, in una nota autobiografica, con un senso di partecipe venerazione, le solenni celebrazioni per il centenario della nascita svoltesi nel 1859: "La voce aveva valicato i confini della Germania; nazioni straniere, addirittura lontani continenti intrapresero grandiosi preparativi per questa giornata, tanto che si può affermare che nessuno scrittore abbia finora destato un più universale interesse di Schiller. Ma quale celebrazione più degna della rappresentazione delle sue opere sublimi? Cosa potrebbe ricordarcelo meglio delle creazioni del suo spirito, specchio della sua grande anima?"88 • Due anni più tardi, Nietzsche ha già scoperto il meno noto Holderlin, che diventa subito il suo poeta preferito, di cui apprezza anche la ricchezza concettuale, ed annota a proposito dell 'Iperione: "la nostalgia della Grecia si manifesta qui pura come non mai; e in nessun altro luogo appare più chiara l'affinità spirituale di Holderlin con Schiller e con Hegel, il suo amico fidato" 89 • Il quadro teorico della Nascita della tragedia è già definito nelle sue linee di fondo con dieci anni di anticipo: con una leggera semplificazione, si può sostenere che -nell'ambito di una diffusa "nostalgia della Grecia"- Nietzsche tragga da Schiller la concezione classica dell'apollineo, mentre da Holderlin la concezione tragica del dionisiaco. 88 F. Nietzsche, La mia vita. scritti autobiografici 1856-1869, Milano, Adelphi 1977, p. 82. 89 Ivi, p. 107.

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Quando Nietzsche, nel suo capolavoro del 1872, passa a considerare "il geniale edificio della cultura apollinea" adotta un lessico di chiara ascendenza schilleriana, in particolare quello introdotto nel saggio sulla poesia ingenua e sentimentale, e più in . generale attingendo alla visione estetica complessiva presentata nelle Lettere sull'educazione estetica, che Nietzsche legge già nel 1862. Com'è noto, la nascita di un mondo artistico ispirato alla grazia degli dei olimpici è considerata nei termini della necessità di giustificazione estetica dell'esistenza, la quale, se fosse privata di quello "specchio trasfiguratore" che costituisce "la sola teodicea soddisfacente", apparirebbe all'uomo come atroce sofferenza e inconciliabile contraddizione. Se la dimensione apollinea trova il suo fondamento in una matrice tragica (che è schopenhaueriana e holderliniana ad un tempo), "quest'armonia, anzi quest'unità dell'uomo con la natura, contemplata con tanta nostalgia dagli uomini moderni, e per la quale Schiller ha introdotto il termine tecnico "ingenuo", non è per nulla uno stato così semplice, che risulti evidente, per così dire inevitabile, e in cui dobbiamo imbatterci sulla soglia di ogni civiltà, come in un paradiso dell'umanità... Dove nell'arte incontriamo l'ingenuo -dichiara esplicitamente Nietzsche- dobbiamo riconoscervi l'effetto supremo della cultura apollinea" 90 • Nietzsche utilizza la categoria estetica dell'ingenuo privandola della sua originaria contrapposizione al sentimentale, anche per evitare una possibile assimilazione di quest'ultima alla poetica dei romantici, e ne scopre la genesi tragica: la cultura apollinea risulterà vittoriosa dopo una strenua lotta contro i mostruosi Titani del dolore "per mezzo di forti immagini chimeriche e liete illusioni, su una terribile profondità di contemplazione del mondo e una eccitabilissima capacità di soffrire"91 • Agli occhi del filologo e filos,ofo tedesco erede della classicità weimariana, Omero appare 1' artista ingenuo per eccellenza, colui che ha realizzato la "perfetta vittoria dell'illusione apollinea", trasferendo nell'im90 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., p. 33. 91 Ivi, p. 34.

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mutabile sfera della·. bellezza la volontà ellenica di lottare contro l'inquietante talento del dolore e la sua nichilistica saggezza. L'ingenuità è l'espediente artistico che salva l'uomo dalla tragedia dell'esistenza. La presenza di Schiller è onnipervasiva nell'intera Nascita della tragedia: Nietzsche ne assume anche l'interpretazione sul significato del coro "come un muro vivente che la tragedia tracciava intorno a sé per isolarsi nettamente dal mondo reale e per serbare il suo terreno ideale e la sua libertà poetica"92 • Schiller diventa così l'emblema della "guerra a ogni naturalismo in arte", l'artefice di un decisivo richiamo ad un terreno ideale che si eleva di gran lunga al di sopra dell'angusto sentiero percorso dai mortali, che in età moderna hanno sviluppato una riprovevole "venerazione del naturale e del reale". La tragedia appare come la forma artistica per eccellenza, dispensata fin dall'inizio "da una penosa riproduzione della realtà". Il tratto idealistico e antinaturalistico, proprio del progetto schilleriano di educazione estetica, caratterizza quella "nobilissima lotta per la cultura combattuta da Goethe, Schiller e Winckelmann", di cui il mondo tedesco non sente più la necessità, spezzando così il rapporto di continuità con la cultura greca, della Bildung con la paideia, generando -complice l'odierna dotta storiografia- "uno scettico abbandono dell'ideale ellenico". Nietzsche vorrebbe riportare agli onori dell'attualità quel progetto di cultura, promuovendo la "rinascita dell'antichità ellenica", al punto da considerarsi un epigono di quegli eroi, come Goethe e Schiller, che peraltro "non riuscirono a forzare la porta stregata che conduce alla montagna incantata ellenica"93 • Insieme a quella complementare e solidale di Goethe, la figura di Schiller mantiene una posizione di insuperato modello teorico in tutte le opere del primo periodo, precedente a quello illuministico: anche in un passaggio cruciale della seconda considerazione inattuale, in cui viene analizzata la 92 Ivi, p. 53. 93 Ivi, p. 135.

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"saturazione di storia" tipica della modernità, Nietzsche ricorre al magistero schilleriano che scorge i limiti della "ragione dei razionali", incapace di vedere certe cose accessibili soltanto nella piena intensità delle emozioni e nel vigore dei sensi: di qui la decostruzione del mito dell'interiorità (motivo conduttore -come abbiamo ampiamente sottolineato- di tutta la genealogia nietzscheana), della catabasi dell'individuo che presume di essere profondo "nel deserto accumulato delle cose apprese che non agiscono all'esterno, dell'erudizione che non diventa vita" 94• Negli anni successivi al 1873, anche per effetto della crescente influenza della figura e dell'estetica di Wagner, apparentemente la presenza di Schiller sembra quasi dissolversi o perlomeno diradarsi sensibilmente, mentre permane l'insuperata grandezza di Goethe, sempre meno associato alla figura dell'amico: nelle opere cosiddette 'illuministe' e poi in quelle successive, Nietzsche continua a stimare lo Schiller drammaturgo ma dubita della scientificità del suo pensiero; egli comincia a diffidare "di un classicismo che rifugge della realtà in nome dell' imitazione dell'antichità. In un frammento postumo del luglio 1879 si legge: "L'ideale di Schiller e di Humboldt -una falsa antichità come quella di Canova, un po' troppo smaltato, molle, non osa guardare in faccia la brutta e dura verità, orgoglioso della propria virtù, di tono affettato, un gestire appassionato, ina senza vita, senza vero sangue"95 • Il classicismo diventa artificioso, emblema del vituperato socratismo estetico, ogniqualvolta la dimensione apollinea si emancipa ~alla sua matrice tragica e rivendica un'assoluta autonomia dalla pulsionè dionisiaca che così cessa di fecondarla. In una pagina di Aurora, il giudizio sulla cultura tedesca degli anni in cui dal classicismo ci si orienta verso il romantismo, e dal criticismo all'idealismo, si fa ancora più sprezzante, accomunando Schiller e Schleiermacher, Hegel e Schelling, dai quali si tiene 94 F. Nietzsche, Considerazioni Inattuali I-lll, op. cit., p. 296. 95 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, op. cit., pp. 361-362.

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in, disparte soltanto il mite e inarrivabile Goethe -rispetto al cui nome Nietzsche diffiderà i tedeschi dall'usarlo nell' endiade con Schiller-. Considerati unitariamente, essi appaiono "moralmente eccitati" a tutti i costi, inclini a vaghe generalizzazioni e ad una costante quanto velleitaria idealizzazione del mondo greco: "È un idealismo tenero, di buona pasta, dagli argentei sfavillii, che vuol avere soprattutto atteggiamenti nobilmente artefatti e voci nobilmente artefatte, una cosa tanto pretenziosa, quanto innocua, animata dalla più cordiale antipatia per la 'fredda' o 'arida' realtà, per l'anatomia, per le passioni complete, per ogni genere ·di filosofi.ca riservatezza e scepsi, e specialmente per la conoscenza della natura nella misura in cui non si lascia utilizzare per un simbolismo religioso"96 La sobrietà e il rigore analitico che caratterizzano le opere dedicate alla genealogia intesa come metodo di scomposizione chimica delle idee e dei valori preesistenti, va a saldarsi con l'irruenza e il vigore polemico che contraddistingue la critica nietzscheana della modernità come décadence, riscontrata nella sua forma più significativa proprio nella sterile cultura tedesca: ora Nietzsche non può più condividere il rifiuto schilleriano della scienza né la contrapposizione utopica di un remoto ideale greco ad una problematica realtà lacerata, una concezione triviale dell'antichità che non tiene in alcun conto la consapevolezza tragica da cui scaturisce. Di qui la risoluta presa di distanze dall'idealismo e dal classicismo neoellenico propri di Schiller e dell'umanesimo del suo tempo: in un frammento dell'inverno 1880, Schopenhauer appare come colui che "ha di nuovo reso visibile la diabolicità del mondo", distruggendo "il vitreo luccicante idealismo... quel falso classicismo, pieno di intimo odio contro la nudità naturale e la terribile bellezza delle cose"97 • In uno smagliante saggio introduttivo alle Considerazioni inattuali, il germanista Giuliano Baioni aveva richiamato l'attenzione sulla presenza schilleriana nell'opera di Nietzsche, presentato 96 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., pp. 134-135. 97 Ivi, p. 600.

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come "l'ultimo legittimo erede" della cultura dell'età goethiana98 • Baioni sottolinea in particolare l'influsso della distinzione schilleriana tra bello e sublime come fondamento dell'opposizione tra apollineo e" dionisiaco, mentre non si sofferma sul richiamo alla categoria dell'ingenuo, esplicito nel testo nietzscheano: "il principio schilleriano del sublime, che si richiama esplicitamente alla dirompente energia della natura che tutto distrugge e ricrea, è dunque, nella sua volontà di superamento tragico delle forme ordinate della civiltà, già un principio dionisiaco che edu~a nel1'uomo la consapevolezza dei limiti della conoscenza razmnale, ne rinsalda il carattere, ne fa quindi un uomo tragico nel senso nietzscheano, capace di riaffermare continuamente nella distruzione delle immobili forme del bello il principio tragico del mutamento"99. Come già in Schiller, anche in Nietzsche il tragico diventa "lo strumento critico di una analisi della civiltà moderna", epoca della scissione che conduce alla decadenza della civilizzazione, che assiste alla degenerazione del principio di razionalità e alla perversione dell'apollineo, che si separa dal dionisiaco dissolvendo l'unità della tragedia greca, generando la frammentazione degli stili artistici e lasciando al dominio del bello la quietistica e decorativa illustrazione della realtà, il mero rispecchiamento dell'ordine di cose esistente. L'interpretazione di Baioni è assai complessa e costituisce un vero e proprio "programma di ricerca" critico che merita di essere sviluppato al di là delle già importanti, seppur parziali, correlazioni stabilite tra il sublime schilleriano e il dionisiaco nietzscheano: in particolare, si dovrebbe mostrare come l' apollineo non sia semplicemente destinato a dissolversi nel pervertimento del socratismo estetico, ma come esso venga riaffermato in termini di volontà di forma, di un grande stile che assoggetta il caos informe del divenire, riemergendo dunque come categoria 98 G. Baioni, "La filologia e il sublime dionisiaco" in F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, Torino, Einaudi 1981, pp. 7-63.

99 Ivi, p. 19.

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classicista100 (non ellenista nell'accezione statica criticata dallo stesso Nietzsche), potenziata dall'energia della volontà di potenza, posta a fondamento di un'estetica costruttivista -per usare una definizione dello stesso Baioni- (orientata cioè ad un "classicismo della forza e della salute"), espressione di una sovrabbondanza di forze vitali, finalmente libera, o perlomeno convalescente, dalla malattia della décadence. A nostro avviso, è possibile enucleare due diverse accezioni del classicismo schilleriano, compresenti nelle Lettere sull 'educazione estetica, che Nietzsche intende dissociare: una è quella, di ascendenza winckelmanniana, che lo identifica con la pace e la serenità dell'espressione armonica e guarda alla grecità come ad un modello ideale; il secondo ha una forte valenza antropologica e richiede la ricomposizione dell'integrità dell'uomo, ora diviso tra contrastanti facoltà. Nietzsche rifiuta la prima accezione, considerandola falsa e stucchevole, ma accetta la seconda rinnovandola con la propria visione del mondo vitalista e prospettivista. La nostra tesi è che la concezione estetica schilleriana sia costantemente presente in tutta l'opera nietzscheana (al di là delle affermazioni talvolta sprezzanti dello stesso Nietzsche) e che tale preziosa eredità possa essere riscontrata in molteplici e rilevanti figure del suo pensiero: sia nelle metamorfosi dell'apollineo nella volontà di forma e nel grande stile, sia nella persistente idea di una · cultura estetica come unico efficace antidoto alla frammentazione stilistica e ali' anarchia formale, sia per la frequente connotazione della volontà di potenza come Spieltrieb, sia per la concezione aristocratica della formazione dell' oltreuomo che si configura spesso come espressione di una élite esteticamente educata. Ma è soprattutto il grande tema nietzscheano della ricomposizione di profondità e superficie, interiorità ed esteriorità, sfera logica e mondi vitali, su cui si articola il progetto di una nuova integrazione delle facoltà vitali che scaturisce dalla critica della cultura 100 Un'esauriente analisi del classicismo estetico di Nietzsche, pur se trascura l'influenza schilleriana, è quella condotta da M. Kessler, L'ésthétique de Nietzsche, Paris, Puf 1998.

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moderna, a presentare i tratti inequivocabili, antropologicamente caratterizzati, del progetto schilleriano di educazi?ne estetica. .Ad esso, alla rilevazione della sua meta.fisica influente, va affiancato e integrato I' ancor più rilevante -oltre che onnipervasivo e meno contrastato- apporto goethiano, quale emerge ad esempio da alcune significative sezioni di Umano, troppo umano, laddove il poeta tedesco viene idealizzato come uomo postumo che deve ancora esercitare pienamente il suo influsso, poiché il tempo che gli è proprio, la realizzazione del suo modello di Bildung, deve ancora venire; da un lato, egli visse nella nostalgia di antiche e dimenticate epoche artistiche, "nell'arte come nel ricordo della vera arte"; dall'altro, nella costante tensione di un'aspirazione inadempibile in età moderna. Ancora come tacitamente ispirato a Goethe (con riferimento implicito alla sua indissolubile endiade cli arte e scienza che si affianca a quella di poesia e verità) andrebbe inteso l'importante frammento successivo in cui Nietzsche sostiene, al culmine del suo slancio neoilluministico francesizzante, che "l'uomo scientifico è l'ulteriore sviluppo dell'uomo artistico" 101 • Proprio per la versatile indeterminazione del suo talento, per la poliedricità della sua vocazione, sospesa tra ricerca scientifica e arte figurativa, che lo manteneva più libero nei confronti dell'attività letteraria, Goethe "appare come un greco, che di tanto in tanto visiti un'amante, col dubbio che sia forse una dea a cui egli non sappia dare il giusto nome". La grecità di Goethe sembra risiedere proprio nella ·relativa indiscemibilità tra arte, scienza e poesia, i cui lineamenti gli apparvero come "tracce della metamorfosi di una stessa dea" 102• Ancora nelle "scorribande di un inattuale" contenute nel Crepuscolo degli idoli, Nietzsche ribadirà la grande affinità con Goethe (maggiore di quella sporadica e contrastata avvertita nei confronti di Schopenhauer e Wagner), considerandolo un personaggio di statura rinascimentale, l'ultimo tedesco per il quale nutre un profondo rispetto, in virtù della sua vastità di orizzonti, 101 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit., pp. 155-157. 102 F. Nietzsche, Umano, troppo umano Il, op. cit., p. 92.

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della sua naturale e generosa propensione alla vita, del suo fatalismo gioioso che si astiene dalla negazione e dal risentimento, una figura di esuberanza dionisiaca. che esprimeva "una universalità nell'intendere, nell'approvare, un lasciare-avvicinare-a-sé ogni cosa, un ardimentoso realismo, una venerazione di tutto l'effettuale"103. Al di là di questi eloquenti omaggi alla figura del grande scrittore tedesco, la presenza più significativa dal punto di vista teorico emerge fin dalle sorprendenti pagine di un quaderno che risale alla primavera del 1868, cioè al lungo periodo di gestazione della Nascita della tragedia. Il frammento ha come tema "la teleologia a partire ·da Kant" e costituisce la più esplicita adesione teorica al pensiero di Goethe: Kant tende a pensare ai corpi naturali in termini di finalità, facendo mostra di un infondato ottimismo, attribuito ad una inverosimile costrizione del pensiero. In realtà, l'unitarietà dei fini è un prodotto soltanto sporadico della ragione, poiché l'evidenza empirica attesta la frequente mancanza di una conformità allo scopo: la soluzione più coerente sembra ancora quella prospettata da Empedocle (filosofo preplatonico il cui pensiero, in quegli anni di formazione, Nietzsche non cessa di ruminare) secondo la quale "ciò che è conforme a un fine appare solo come un caso tra le molte cose che non lo sono" 104• Nel mondo naturale la casualità è la regola, la conformità allo scopo l'eccezione, introdotta nella natura dal nostro intelletto per esigenze di conformazione unitaria di carattere estetico, che tuttavia appaiono necessariamente lacunose. Come il darwinismo ha ampiamente dimostrato, nel regno della natura non vigono di per sé le istanze di un mondo intelligibile edificato secondo il principio kantiano della finalità interna: in realtà, tra i fenomeni naturali, non vi è né ordine né disordine; il modello di spiegazione causa-effetto è un prodotto esclusivo della nostra mente, ragion per cui "non abbiamo alcun diritto di parlare di leggi logiche", così come va respinta l'idea di una ra103 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 152 104 F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, Milano, Adelphi 1993, p. 133.

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gione superiore. Sulla scorta di Goethe e delle più recenti teorie dell' anatomo-genetista Wilhelm Roux, la natura appare dominata da una "lotta fra le parti" di forza diseguale, capace di dar luogo a processi di autoformazione o di adattamento funzionale degli organismi. Così il finalismo appare a Nietzsche "un metodo insensato" e, qualora scoprissimo sotto il velo di un improbabile finalismo, il mero principio di conservazione della vita, potremmo apprezzare nell'imperscrutabile attività del caso "la più bella melodia". La posizione nietzscheana appare improntata ad un empirismo radicale: vi è un unico piano di realtà, l'esistenza, quella che funge da predicato di tutte le cose e vi sono condizioni di adattamento all'esistenza che noi, arbitrariamente, consideriamo finalistiche. Nel confronto con Kant mediato da Empedocle e Democrito, risulta preponderante il richiamo a Goethe, citato in un passo decisivo tratto dallo scritto su Formazione e trasformazione delle nature organiche: "Ogni essere vivente non è un singolo, ma una molteplicità: anche quando ci appare come individuo, resta sempre una riunione di esseri viventi autonomi" 105• Con l'ausilio di Goethe, Nietzsche compie il passo fondamentale della sua filosofia, orientata alla decostruzione della nozione metafisica di soggetto: egli sottrae all'individuo l'attributo metafisico dell'unitarietà che ha sempre costituito il presupposto del principio d'identità e lo espone alla disseminazione conflittuale di una molteplicità che può coagularsi soltanto temporaneamente, mediante un' organizzazione cogente ma impermanente, in una forma organica. Ancora ispirandosi a Goethe, Nietzsche aggiunge: "L'organismo è una 105 Ivi, p. 139. Sull'influenza di Goethe nell'opera nietzscheana ha offerto contributi eruditi e al contempo critici ormai imprescindibili Francesco Moiso, nel volume: Niet1,Sche e le scienze, Milano, Cuem 1999, e nel saggio: ''La volontà di potenza in Friedrich Nietzsche. Una riconsiderazione", in Aut-aut, n. 253, gennaio-febbraio 1993, pp. 119-136. Si veda anche lo studio di Maurizio Guerri dedicato a La teleologia a partire da Kant, Milano, Mimesis 1999. Quanto all'opera di Roux si confrontino ancora i fondamentali studi di Wolfgang Milller-Lauter, in particolare: "L'organismo come lotta interna. L'influsso di Wilhelm Roux su Friedrich Nietzsche" in La biblioteca ideale di Niet1.Sche, a cura di G. Campioni e A. Venturelli, Napoli, Guida 1992, pp. 153-200.

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forma. Se prescindiamo dalla forma, esso è una pluralità", una pluralità di forze che andrà poi a preformare la nozione di volontà di potenza; anche il concetto di organico è un prodotto dell'attività umana dedita a dar forma alla pluralità altrimenti ingovernabile dell'esistenza, denominando "conformità allo scopo" la condizione stessa della vita e della sopravvivenza: dietro il concetto di finalità si annida quello ben più pregnante di attitudine ali' esistenza. Il concetto di totalità non appartiene alle cose stesse, ma al nostro sistema di rappresentazione; individui e organismi sono soltanto astrazioni della mente umana, la quale vuole padroneggiare il caos che governa gli eventi e il caso a cui l'esistente si espone. Il principio che governa la metamorfosi (quella vis centripeta di cui parlava lo stesso Goethe, che dal caos informe conduce alla forma organizzata del vivente) appare imperscrutabile agli occhi di Nietzsche: sembrerebbe opportuno mantenersi in un rapporto di attenzione e fedeltà verso tale insondabile principio piuttosto che coartare l'ignoto in un sistema di spiegazioni razionali. Non vi è alcun artefice che assegni finalità alla natura fino a configurarla idealmente come un sistema regolato da fini (secondo la pretesa kantiana), così come non vi è alcun concetto capace di rappresentare la totalità del vivente: siamo al cospetto soltanto di forze che agiscono alle cieca, di proprietà fenomeniche tra loro contraddi- · torie e discordanti, molteplicità di elementi tetragoni alla nostra volontà plastica e tassonomica. Si tratta di accettare la palmare evidenza che "domina incontrastato il caso, cioè l'opposto della finalità nella natura. La tempesta che agita le cose è il caso. Ciò è conoscibile" 106• Questo è il presupposto generale, radicalmente finitista, dell'intero pensiero nietzscheano, il quale si espone alla tempesta del caso, ne rivendica la conoscibilità, a condizione che il pathos della filosofia resti l'inesauribile meravigliarsi dell' esistenza, il sempre rinnovato stupore di fronte all'imperscrutabile che casualmente viene a manifestarsi. Concepire le condizioni necessarie alla vita come forme significa individuare un organismo, che viene concepito quale 106 F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, op.cit., p. 151.

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vita formata: tali forme vanno sempre pensate al plurale, per-ché la vita "è possibile in un numero straordinario di forme". La vita non è intrinsecamente dotata di forma ma è intenzionata morfologicamente da un essere vivente e pensante. Ancora sul-la scia di Goethe -che aveva già inteso la Gestalt come forma inquieta e oscillante, incessante variazione proteiforme, intuendo una dinamica che Simmel elaborerà compiutamente ai primi del '900-, Nietzsche individua già nel 1868 il conflitto tra vita e forma, generato da una visibilità che è concessa soltanto alle forme, intese come ambito di manifestazione cristallizzato di una vita soggiacente, in perenne divenire, pertanto oscura e irrappresentabile se non nella sua oggettivazione formale: "la forma è tutto quello che della vita appare visibile, alla superficie"107. Cosi il nostro intelletto, essendo incapace di intuire, si rivela "troppo ottuso per percepire l'incessante metamorfosi", per cogliere il perenne fluire della vita. Conflitto tragico -rileverà poi Simmel- quello tra vita e forma, tra metamorfosi e cristallizzazione. La vita scaturisce dal caso e si rende percepibile con la sensazione; essa è pura esistenza che si manifesta in una disordinata pluralità di forme, non regolate da alcun finalismo, così nella natura umana come in quella animale o inorganica. La differenza è data soltanto dalla capacità di organizzazione degli organismi, da una propensione alla regolarità dell'accadere, da una plasmazione dell'informe e dell'eterogeneo che promuove la perseveranza nell'essere (secondo un'antica suggestione spinoziana, recepita ancora una volta attraverso il filtro goethiano), quella "coriacea facoltà di persistere", opponendosi alla dissoluzione, che subentra in tutti i viventi dacché sono venuti al mondo. La relativa conformità ad un fine che si riscontra in natura non è una necessità a priori, un postulato della ragione -come pretendeva Kant; semmai, essa è l'esito a posteriori di stampo estetico-costruttivista di 107 Ivi, p. 155. Opportuna a questo proposito, per ricostruire l'intero legame di derivazione, sarebbe la lettura della monografia che Simmel dedicò a Goethe nel 1913, nel punto di maggior adesione alla "filosofia della vita".

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una protratta ed evoluta volontà di forma, quella che Nietzsche porrà dapprima come matri~e de~ grande stile, poi come fondamento della stessa volontà di potenza. Nietzsche non sviluppa ulteriormente tali illuminanti osservazioni perché avrebbe bisogno di approfondire il tema meqiante la lettura di una cospicua bibliografia, soprattutto in ambito scientifico, per integrare le rilevanti conclusioni che ha già desunto dalla Storia del materialismo di Lange; egli può comunque trarre la conclusione che "individuo è un concetto insufficiente" oltre che grossolano come peraltro ogni sistema di misurazione rapportato al vivente (come scriveva ancora Goethe in merito a Spinoza), fin d'ora consapevole che il soggetto non può essere mantenuto come principio unitario della teoria della conoscenza, se non altro perché al suo interno si fronteggiano "un'infinità di individui viventi", frammenti di una unità incomponibile che appaiono come una moltitudine ingovernabile. Per il giovane Nietzsche attento lettore degli scritti teorici di Goethe -ma che si accinge a dedicarsi alla filologia per trasfigurarla ben presto nella Nascita della tragedia-, esiste soltanto un unico piano d'immanenza che coincide con l'esistenza stessa, i cui fenomeni empirici sono generati dalle tempeste del caso, nei quali non si può rinvenire alcun preordinato disegno finalistico se non per la nostra ostinata volontà di organizzare il caos in forma, al fine di riprodurre le nostre stesse condizioni di vita, di consolidarle in modo omeostatico.

La visibile alleanza tra Apollo e Diòniso La rilevazione di cospicui elementi tratti dalla cultura classicoromantica tedesca sviluppatasi tra '700 e '800 ha indotto recentemente alcuni studiosi a riscontrare nel pensiero nietzscheano una dominante classicista, fino a configurare una sorta di primato dell'apollineo sul dionisiaco, muovendo dall'osservazione che il dionisiaco non è mai stato al potere sulla scena filosofica, che l'apollineo ha sempre avuto l'ultima parola e che un dispositivo apollineo regna sulla stessa contrapposizione di apollineo e dio91

nisiaco 108 , dimenticando quanto lo stesso filosofo preammoni~a nella Gaia scienza: "la parola classico non suona b~ne ~1~ nue orecchie". Tale posizione, pur suffragata da numerosi e s1gmficativi supporti testuali, non può essere condivisa dopo una ~tte~ta lettura della Nascita della tragedia, affiancata a quella degli scntti preparatori -in realtà molto originali- elaborati da Nietzsche nel 1870. Ne Il dramma musicale greco Nietzsche assume già 1' atteggiamento attualizzante che si ritroverà poi nell'opera maggiore: la scelta del modello di cultura greca è funzionale alla critica della modernità, çaratterizzata come sintomo di degenerazione, esercitando fin d'ora-come si dirà in-Ecce homo- "lo sguardo sul lavoro segreto dell'istinto della décadence". Infatti, mentre lo spettatore ateniese andava a teatro attratto dalla solennità della rappresentazione, mosso dall'impulso primaverile che scaturisce prepotente dalla profondità dell'essere, galvanizzato da esuberanti ed errabondi cortei dionisiaci, lo spettatore moderno cerca soltanto distrazioni dallo sfinimento dei sensi, uno svago dalla noia che ammorba la sua esistenza: "la vera disgrazia delle arti moderne consiste proprio nel non essere sgorgate da una tale fonte misteriosa". Una fonte traboccante di estasi, visioni e incantesimi, espressione del potenziamento delle forze vitali, dell'eccitazione sensuale, fino alla trasformazione dell'io in altro da sé, alla metamorfosi della compagine individuale. In origine, il canto del coro era l'essenza della tragedia antica, poi progressivamente, "la scena ebbe il dominio sull'orchestra", la dialettica dei personaggi ebbe il sopravvento sulla musica corale: l'intrigo, la trama drammaturgica, divenne la zavorra del teatro, trasformato in una arena per la rappresentazione di piccole passioni, esonerate dall'originario attributo tragico. Mentre nel108 Questa tesi è stata sostenuta in particolare da Peter Sloterdijk, Der Denker auf der Bllhne. Nietz.sches Materialismus, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1986. Anche Giorgio Colli: Dopo Nieti.sche, Milano, Adelphi 1974, sosteneva che la contrapposizione di Apollo e Dioniso è fuorviante e che nel mondo greco la manla dionisiaca è subordinata a quella apollinea.

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la tragedia antica l'agire (il drama) aveva un ruolo secondario rispetto al pathos, alla pura e violenta espressione degli affetti, del loro importo di sofferenza, ora l'azione si riduce a dialogo, a parola concettualmente intelligibile, incapace di restituire la vita dei sentimenti nella loro urgenza e immediatezza (come accadeva ancora in Eschilo e Sofocle), bensì soltanto nella loro mediazione verbale; mentre la musica è il linguaggio universale del pathos che "parla al cuore", la parola è strumento del logos al servizio della caratterizzazione dei personaggi. Nel saggio-conferenza coevo: Socrate e la tragedia, il giovane filosofo mantiene lo schema del precedente scritto introducendo qualche significativa variante. La morte della tragedia è una fine tragica, violenta, provocata dall'esiziale comparsa di Euripide, cioè di colui che -seppur in buona fede- portò "lo spettatore sulla scena" e con esso il riflesso volgare della vita quotidiana, lo specchio fedele di una vita deiettiva privata della presenza dei suoi numi tutelari, mitologici e religiosi: "l'idealità si è ritirata nella parola ed è fuggita dal pensiero"; così, per effetto di questo insano desiderio mimetico, la tragedia si è trasformata in commedia, in un giuoco di scacchi nel quale lo spettatore borghese osserva il suo sosia all'opera, "avvolto nell'abito sontuoso della retorica". Scompaiono le divinità, -quelle che presiedono alla, manifestazione del pathos- predomina ora "il quinto stato, quello dello schiavo". L'imperativo estetico di Euripide si esprime con la legge secondo la quale "tutto deve essere razionale affinché tutto possa venir compreso": questa estetica razionalista è temeraria perché induce lo spettatore -fin dal prologo- a risolvere un "problemino d'aritmetica", a calcolare gli effetti di ciò che accade sulla base del profilo psicologico dei personaggi, neutralizzando l'immediatezza emotiva che risuonava potentemente nella musica del ditirambo dionisiaco, che generava compassione tragica. L' estetica euripidea è ispirata al razionalismo socratico, al nuovo principio di comprensione e spiegazione alla luce della coscienza, in nome di una volontà di sapere che conduce alla decadenza della tragedia, irretita nel fanatismo della logica, governata da una coscienza critica che si oppone ali' affermazione creativa della vita, ossessionata da una voce che dissuade -come il daimon socratico. 93

A causa. della sua innata vocazione alla contesa dialettica, "in Socrate ha preso corpo uno degli aspetti della grecità, ossia quella chiarezza apollinea, senza alcuna mescolanza estranea: egli appare come un puro e trasparente raggio di luce, in quanto annunziatore e araldo della scienza che doveva del pari nascere in Grecia. Ma la scienza e l'arte si escludono a vicenda" 109• La duplice posizione qui espressa, così radicale nell'estendere l'ambito di pertinenza della décadence, non verrà mantenuta nelle opere successive poiché, da un lato, la chiarezza apollinea diventerà polarità costitutiva dell'essenza della tragedia e non sinonimo di degenerazione prodotta dal socratismo estetico; dall'altro, la netta disgiunzione tra arte e scienza cederà il posto -come si è già visto- ad una più complessa ottica binoculare che rimanda ad una feconda complementarietà: la scienza costituisce un fenomeno di decadenza soltanto quando viene sottratta allo sguardo trasfiguratore dell'arte. Per effetto dell'affermazione del socratismo estetico, la dialettica mette a tacere la compassione e ogni forma patica, mentre la logica annulla l'elemento tragico; l'ottimismo insito nella spiegazione conce~ale di causa-effetto, colpa-punizione, virtù-felicità, il giubileo del sillogismo dissolve dissacrandolo il pessimismo della tragedia che si confrontava con l'enigma e l'imperscrutabile. La musica ammutolisce di fronte ai teoremi della matematica. Il terzo saggio redatto nel 1970 è dedicato alla Visione dionisiaca del mondo. Qui sono individuate esplicitamente le due fonti della tragedia, le due divinità in strenuo contrasto stilistico fino a trovare la loro armonica composizione nella versione attica: Apollo e Dioniso, il sogno e l'ebbrezza, figura e intensità, forma e forza, visione e orgia, differenti espressioni del sentimento estatico dell'esistenza, quello in l'uomo viene trasfigurato nell'opera d'arte. Nietzsche insiste sulla coesistenza delle due divinità che si spartiscono il dominio nell'ordinamento delfico del culto, generando un equilibrio che vede alternarsi assennatezza e dismisura,

109 F. Nietzsche, Socrate e la tragedia, vol.111, tomo Il, p. 40.

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moderazione e violenza:. "Quanto più possentemente crebbe lo spirito artistico apollineo, tanto più liberamente si sviluppò il dio fratello Dioniso: nello stesso tempo in cui lo spirito apollineo giunse a una visione piena... Dioniso interpretò nella tragedia gli enigmi e gli terrori del mondo, ed espresse nella musica tragica il più intimo pensiero della natura, la trama della 'volontà' entro e al di sopra di tutte le apparenze" 110• Nell'ebbrezza dionisiaca, la natura ritrova la propria potenza unit~a, dapprima dissipata nel processo di individuazione. individuale, opera la redenzione di una volontà altrimenti intristita, ora rivatilizzata dalla sfrenatezza sessuale e da una illimitata dissolutezza, da una mescolanza panico-orgiastica di affetti. Gli dei greci non sono mai stati preda dell'angoscia, hanno sempre favorito "una religione della vita", esprimendo il trionfo dell'esistenza, la divinizzazione di ciò che sussiste secondo imperscrutabile necessità: l'uomo greco, cosi sensibile e recettivo al dolore, "conosceva i terrori e le atrocità dell'esistenza, ma li velò per poter vivere ... Vedere la propria esistenza -quale si presenta- in uno specchio trasfigurante, e difendersi con questo specchio dalla Medusa, ecco la strategia geniale della volontà ellenica" 111 Tra Dioniso e Apollo si instaurò la lotta tra verità e bellezza, che caratterizzò la grecità fino a raggiungere, depauperata e insterilita, la modernità; i Greci intesero che il fine della cultura è quello di "velare la verità", di opporre la misura ali' eccesso. Ridestatosi dal letargo, Dioniso rendeva imminente un crepuscolo degli dei: si trattò allora per la grecità apollinea di trasformare il carattere lacerante del pensiero tragico in "rappresentazioni con cui si potesse vivere", creando un mondo intermedio tra verità

110 Ivi, p. 53. Sulla sublime duplicità di Dioniso e Apollo ha scritto nel 1933 pagine fondamentali W. F. Otto, Dioniso, Genova, Il Melangolo 1990. A questo studio si sono aggiunti più recententemente, tra altri numerosi contributi, anche K.Kérenyi, Dioniso, Milano, Adelphi 1992 e M.Detienne, Apollo con il coltello in mano, Milano, Adelphi 2002. 111 Ivi, pp. 56-S7. Per alcuni rilevanti aspetti del tragico, si legga il saggio di N. Salomon, "Nietzsche. Il tragico e l'esserci" in Aut-aut, n. 307-308, gennaio-aprile 2002, pp. 133-154.

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b llezza in cui il dolore, l'assurdità e l'atrocità dell'esistenz ;iu~esse~ a manifestarsi in un~ bella parve"ZO;, ~fere~do _ci~ sul piano illusorio e salutare dell a~pare~a. la v1s10n~ anwchiiente di quell'abisso terrificante. Medi~t~ .1~s~bolo, 1 ~e. rendeva possibile la creazione di "una poss1b1~ta pm ~ta d1 e~1stenza'', che consisteva nel mantener~ ape~a e ':1brante 1_e~p~ess10ne degli affetti, la comunicazione dei sentimenti, . .la cond1v1s1one . .,, . del dolore, seppur trasferita "in rapprese~taz10m coscienti ; ID tal modo, nell'esaltazione dell'essere che s1 avvale della danza e dell'intero simbolismo del corpo, la bellezza veniva ad accresciere "il piacere di esistere" -convinzione questa che Nietzsche manterrà fino al termine del suo itinerario speculativo come sinonimo di vita ascendente. Quando nel 1886, dopo aver pubblicato Al di là del bene e del male, Nietzsche riprende in considerazione la Nascita della tragedia ("libro stravagante e poco accessibile") per una "tardiva prefazione" destinata a trasformarsi in un "tentativo di autocritica", ripropone la questione relativa al significato della tragedia, del fenomeno dionisiaco e della serenità greca conseguita dal1'uomo teoretico, da intendersi come "segno di regresso, di stanchezza, di malattia, di istinti che si dissolvono anarchicamente". Tale serenità assume le sembianze sgradevoli di Socrate, il quale ha introdotto nella cultura occidentale l'ottimismo dialettico che rende ragione di tutto ciò che accade sia sul terreno conoscitivo sia su quello morale, laddove il pessimismo tragico metteva in luce l'enigma, le aporìe, le contraddizioni, i paradossi: non è Apollo, con la sua salvifica propensione alla plasmazione in forma dell'arcano, alla trasfigurazione del dolore nel desiderio di bellezza, ma Socrate, con l'ipertrofia dell'argomentazione razi~nale, ~ decretare la morte della tragedia, avviando una millenana fase ~1 decadenza che non coinvolge soltanto l'esperienza teatrale ma l' mtero processo di civilizzazione egemonizzato dalla cultura platonico-cristiana. ~a 1:'ascita della tragedia -libro peraltro impossibile- è scr~tta all apic~ della modernità, al culmine cioè del dominio scientifico esercitato dalla ratio occidentale: essa si propone di indagare 96

l'origine di questa décadence, la genealogia dell'egemonia scientifica, ponendo in questione il primato della scienza, sottratta al terreno che le compete e collocata su quello eterogeneo dell'arte, sottoposta cioè ad un giudizio metafisico formulato alla scaturigine del mondo della vita, alla fonte di quella pienezza d' esistenza e sovrabbondanza di forze rappresentata dal nome oscuro di Dioniso. Doppia genealogia dunque, quella elaborata nell'opera del 1872: la scienza è sottoposta al vaglio dell'arte e quest'ultima ali' esame della vita stessa; il suo enunciato cardine consiste nell'affermare che l'esistenza del mondo non è giustificata per la sua conoscibilità o per la sua.moralità ma esclusivamente come fenomeno estetico, a condizione che quest'ultimo sia espressione adeguata della traboccante esuberanza della-vita, sua forma fisiologica, non della sua indebita e proterva razionalizzazione, quella attuata dal socratismo estetico. Fin dalla prima opera, in Nietzsche arte e vita appaiono solidali, mentre -come si è detto- la posizione della scienza è ambivalente, sospesa tra ostilità e cooperazione: dopo Socrate, il cristianesimo si è configurato come baluardo dell'interpretazione morale dell'esistenza, sottraendo dunque l'arte al regno dell' apparenza e consegnandolo a quello della menzogna, manifestando altresì una "rabbiosa e vendicativa avversione alla vita stessa", un'accentuata ostilità nei confronti delle passioni e della sensualità, una costante diffamazione di tutto ciò che viene vissuto con piacere nell' aldiqua. Per effetto di questa doppia, complementare, negazione dell'arte e della vita, il cristianesimo appare come un'inestirpabile malattia, un'espressione nichilistica che manifesta una pervicace volontà di negazione, un'aspirazione al nulla che concepisce la vita come "disvalore in sé". Prima della rinascita di Dioniso sotto mentite spoglie, cioè assumendo le sembianze di Zarathustra, vige nella cultura occidentale il dispregio del corpo e delle sue pulsioni affermative, la negazione di quell'istinto assertore della vita che ha preso il nome del dio greco Dioniso. Tuttavia, la Nascita della tragedia sconta ancora un'insicurezza stilistica, un vezzo accademico, perché Nietzsche non aveva avuto il coraggio di esprimersi con un

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proprio linguaggio, di manifestare ~ome poeta o ~0!11~ pensatore dell'aforisma la propria eccedenza d1 senso, la nov1ta d1 prospettiva trincerandosi dietro la rassicurante maschera del filologo O del fil~sofo che esprime ancora con formule kantiane e schopenhaueriane valutazioni inaudite e intuizioni dionisiache. Come poi accadrà nel cuore del '900 -il secolo che Nietzsche preannunciaHeidegger e Wittgenstein (al termine rispettivamente cli Essere ; tempo e del Tractatus logico-philosophicus) porranno l'istanza di un ambito extrafilosofico di espressione, una dimensione poetica o mistica che trascenda i limiti del linguaggio concettuale praticato dalla tradizione metafisica. Anche in tal senso, per aver posto la questione ineludibile dello stile in filosofia, la figura di Nietzsche ci appare nelle vesti inattuali di pensatore postumo. La follia dionisiaca è dunque l'origine della tragedia greca, la cui genesi è l'esposizione al dolore, la percezione del carattere distruttivo dell'esistenza, la sensibilità propria degli antichi Elleni, la loro primordiale visione del mondo, ma fu l'intervento dell'altro impulso o polarità, quella apollinea, a render possibile la rappresentazione. di questo abisso tragico, ponendo 1' arte figurativa accanto alla musica del coro dionisiaco, rivestendo l'essenza tragica con la bella parvenza.prodotta dal sogno, avvolgendo quelle selvagge emozioni con il velo splendente di Maia, ristabilendo i diritti del principium individuationis dopo la visione lacerante del nostro intimo essere, dotando di forma il caos originario, rendendo accettabile e sopportabile l'insensatezza c~e regna nel mondo della natura, il dolore e la dissonanza che la pervadono. In tal senso, l'apparenza è una astuzia della volontà. Nella tragedia attica l'originaria contrapposizione di proprietà eterogenee che vige tra le due divinità si trasforma e si armonizza in un rapporto di complementarietà: ebbrezza e sogno, eros ed ethos~ orgiastico e onirico, istinto e ragione, tumulto e misura, em~z10ne e visione, musica e scultura, lirica ed epica (i cui modelli .n~l mo~d~ greco sono Archiloco e Omero) trovano nella creatività artistica la loro composizione trasfigurata, mantenen~o una salutare concordia discors instaurando una coincidentza oppositorum capace di dar voce l'altro da sé senza coartarlo in I

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un angusto spazio identitario. Apollo rende tollerabile la potenza distruttiva di cui è portatore Dioniso, la sua barbarie, la sua ingovernabile istintualità, il pathos devastante, offrendo una riconciliazione· che prevede la contaminazione delle due istanze sotto forma di uno scambio linguistico, in ragione del quale Apollo parla la lingua di Dioniso mentre quest'ultimo apprende la lingua del primo. L'impulso artistico-fisiologico rappresentato da Apollo sovrappone una velatura (che ha lo sguardo sensuale di Elena) alla visione diretta dell'atrocità dell'esistenza, ne trasfigura il grido (quello della sapienza silenico-dionisiaca che invitava a rientrare al più presto nel non essere) con la serenità degli dei olimpici, con la loro imperturbabile idealità che trasforma il lamento in lode alla vita, il dolore in gloria, l'orrore sotto la maschera del bello. L'arte redime la vita offesa, ne esalta l'incontenibile energia prima che la sofferenza si appropri della sua eccedenza, senza per questo postulare alcuna ascesi nella spiritualità, alcuna negazione dell'esistenza: la volontà ellenica giustificò la vita esteticamente, avvalendosi dello specchio trasfigurante dell'arte, "la sola teodicea soddisfacente", poiché mantiene la verità del dolore trasferendola nella sfera della bellezza. L'affermazione della vita si realizza come "consacrazione dell'arte". In un frammento del 1869-1870, Nietzsche sottolinea come la teodicea non sia un problema greco perché la creazione del · mondo non era opera degli dèi, anch'essi sottoposti ad una legge superiore, quella dell 'andnke che tutto regola e governa. I Greci sono "gli artisti della vita", senza soggezione verso la morale, in una posizione antitetica rispetto al cristianesimo, in quanto essi venerano i loro dèi "per poter vivere, non per estraniarsi dalla vita". La tragedia greca rappresenta il modello di una civiltà superiore della quale noi dovremmo essere gli eredi, qualora non si fossero frapposti secoli di civilizzazione improntata al fanatismo della ragione, alla logicizzazione del mondo, al potere dell'uomo teoretico e al misconoscimento di quello intuitivo. La superiorità di tale modello risiede nella capacità apollinea di ammantare la visione dell'Uno primordiale sia con la conoscenza scientifica 99

sia con l'espressione artistica: I~ degenerazion~ d! que_l modello cli civiltà subentra quando la pnma pret~nde dt d1ssoc1arsi dalla seconda, sciogliendo il legame che sussiste tra arte e scienza in nome delle pretese egemo~che del ,logos _s_ulle forme_ dell'ine.. splicabile (l 'aloghìa dion~s1aca) ch..e 1 arte s1 mcanc~va_ m origine di rappresentare. Il confhtto non e tra Apollo e D10mso ma tra Socrate e la visione estetica del mondo. La lettura del quaderno 7, redatto tra la fine del 1870 e i primi mesi del 1871, andrebbe af~ancata a quella dell'opera maggiore, considerandolo un testo di pari dignità; in esso, Nietzsche afferma esplicitamente che l'egemonia dell'uomo teoretico determina la morte del mondo antico, a causa dell'indebita separazione di apollineo e dionisiaco per la quale "degenerano entrambi" diventando forze ostili e non più cooperanti: da un lato, l'elemento logico si emancipa dalla bella parvenza, il bello dal sacro e dal numinoso, dall'altro si scatena una incontrollata e distruttiva bramosia: così, coscienza e desiderio si fronteggiano senza alcun schema di reciproca traducibilità. La congiunzione di Apollo e Dioniso, il suo misterium, ha breve vita; con Socrate, Euripide e Platone, per la loro ostilità razionale ai misteri, le due divinità tornano a separarsi lasciando spazio alla decadenza del pensiero tragico, quello in cui gli affetti, le passioni e la cognizione del dolore giungono a piena visibilità, quello in cui vengono ricomprese istanze di profondità e di superficie, insondabilità e chiarezza, perlustrazione dell'abisso e movimento di danza: "non esiste superficie che sia bella senza la terribilità degli abissi". Modellato sull'esempio di Empedocle che precipita nell'Etna, il pensiero tragico è anche l'unica forma di conoscenza compatibile con l'arte, poiché si configura come quel "sapere senza misura e senza confini" che genera l'istanza di un'arte guaritrice. Bisogna stare in guardia -ammonisce Nietzsche- "che non si affacci l'elemento apollineo della scienza", dal momento che esiste eterogeneità assoluta tra il piano ontologico e quello logico: fra le cose, nell'intimità dell'esistenza, vige come fondament~ perfetta contraddizione mentre nella logica domina il princ!p~o di non contraddizione; soltanto sul piano estetico, tale dissidio

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può essere ricomposto in conformità al processo primordiale del1'essere, come "un'onda circolare che noi suscitiamo nell'onda marina". Così, al pensatore tragico spetta il compito di elaborare unafilosofia dell'arte in cui l'unità appaia nelle sue scansioni di nascere e perire, vita e forma, sensazione e immagine, sofferenza ed estasi, dissonanza e· armonia, come sacra necessità che scaturisce da "un abisso della ragione". Paradossalmente, per magica metamorfosi, la "vittoria cli Dioniso" coincide con la sua sconfitta, perché è generata nella tragedia proprio dalla progressiva rivelazione della visione, dalla sua oggettivazione, dalla sua esplicazione apollinea. La filosofia dell'arte nietzscheana, il suo fenomenismo tragico, -soltanto in parte ancora irretito dalla concezione schopenhaueriana- giunge così a esplicitare compiutamente il suo fondamento metafisico secondo il quale la conoscenza tragica è madre del/'arte: "ogni sofferenza e ogni sentimento è sofferenza primordiale, però vista attraverso l'apparenza, localizzata, presa nella rete del tempo. Il nostro dolore è un .dolore rappresentato ... la nostra vita è una vita rappresentata. Noi non facciamo nessun passo più in là... Questi .rispecchiamenti del genio sono rispecchiamenti dell'apparenza, non più dell'Uno primordiale: in quanto immagini dell'immagine, essi sono i più puri momenti di quiete dell'essere. Ciò che veramente non è -l'opera d'arte... L'essere si soddisfa nella perfetta apparenza" 112 • La filosofia dell'arte non può che presentarsi come un platonismo alla rovescia, poiché il suo presupposto controfattuale è di collocarsi a distanza da ciò che è, stabilendo come finalità una visione estatica, una gioiosa apparenza. L'intero itinerario compiuto dal primo Nietzsche potrebbe essere così compendiato nei suoi principali punti d'approdo: dal pensiero tragico ("l'essere è dolore, pura contraddizione"), alla filosofia dell'arte ("l'apparenza è piacere, armonia, essenza trasfigurata in forma"), infine alla metafisica della vita che viene così 112 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1869-1874, voi.III, tomo III, p. 204.

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preannunciata: "In quanto il dolore. primordiale vfene spez~a1 dalla rappresentazione, la nos~a ~s1stenza ~tessa e un contimi atto artistico" 113 • Un gesto inutile, unproduttivo, superfluo quel] prodotto dall'artista, ma auda~e perc~é, ~azie ad esso, un' ess~i che soffre può proiettare nell 1mmagmaz10ne un mondo estatic e, più in generale, cioè in termini metafisici, "la vo_lon_t~ è_ P~?tet dall'apparenza, come in un mantello che la rende mv1s1btle . Al termine del quarto paragrafo della Nascita della tragedia, conciliazione raggiunta nella tragedia attica tra apollineo e dii nisiaco viene qualificata come un "misterioso connubio", l' esii di una lunga contesa in cui l'inflessibile maestà della visim dorica del· mondo ha rischiato di soccombere "inghiottita d fiume irrompente del dionisiaco", i cui effetti apparvero ai gre, titanici e barbarici, poiché rivelavano l'eccesso della natura, sua dismisura, la contraddizione, il dolore che la pervade fino grido lacerante. L'arte dionisiaca, la saggezza di Sileno, dice, la verità illuminando l'abisso tragico dell'essere, facendo co impallidire le muse e gli dèi olimpici, turbando la loro serer contemplazione, ormai consapevoli che la loro misura si basm su un fondamento arcano e lacerante: Dioniso apparve come ll sostrato veritiero, una necessità senza la quale neppure Apoll poteva vivere mantenendo la sua perenne ragion d'essere, quel di velare nell'apparenza plastica l'essenza svelata dalla lirica dalla musica orgiastica, quella del metaphorein, della. trasmuti zione in forma, capace di allestire una Trasfigurazione, come fe< poi l'immortale Raffaello. Nella visione nietzscheana, il pathos precede il drama, co come gli istinti, le passioni e le emozioni si affermano prima cl !e formazioni s~co_nda:ie prodotte dalla ragione se ne approprim m tal senso, D1omso e la metafora originaria della forza mentl 113 lvi, .P· 218. A questo proposito si veda il saggio di E. Mazzarella, "Filologia e tr ged1a ne! giovane Nietzsche" in Sigma, n 1-2, 1976, pp. 221-250. Per un'origina lettura d1 qu~ste e altre te~atiche nietzscheane, si rimanda al saggio di V. Vitiell I.A/avola di Cadmo, Bari, Laterza 1998, pp. 43-73. Sulla funzione della scritto come pharmakon, si veda anche l'illuminante contributo di C. Fontana, I.A scritt, ra della filosofia, Cernusco, Hestia 1994, pp. 183-228.

Apollo è il nome, la forma che il primo assume per rendersi riconosci~ile. Double bin1, ~~stricabile vincolo reciproco, quello che sussiste tra le due divlllltà: da un lato, senza la mediazione apollinea, a Dioniso ·mancherebbe un linguaggio entro il quale manifestarsi, -rimanendo pertanto caos informe, urlo disarticolato; dall'altro, senza il fondamento dionisiaco, ad Apollo mancherebbe il contenuto stesso da trasfigurare nell'opera d'arte: è l'eterna dialettica tra vita e forma, tra qualcosa che fluisce senza controllo e una configurazione fenomenica necessaria. Tant'è vero che nell' autonomizzarsi dell'apollineo si annida la possibilità della décadence: mentre il Satiro dionisiaco rappresentava "l'immagine originaria dell'uomo, l'espressione delle sue passioni più alte e forti", come emblema della saggezza insita nella natura stessa, così come della sua onnipotenza sessuale, l'uomo civilizzato indossa la maschera del benessere che gli viene offerta dalla moderazione apollinea: è questa per Nietzsche la menzogna della civiltà, l' oblìo della verità originaria, la rimozione del dolore e la negazione del processi primari, di "quella meraviglìosa mescolanza e duplicità degli affetti", di "quel nucleo dell'esistenza dietro· al continuo trapassare delle apparenze''. Mentre Edipo e Prometeo sono espressioni lacerate del molteplice dionisiaco, nei personaggi di Euripide non vi è più traccia dei "dolori di Dioniso", così come di quella "filosofia della selvaggia e nuda natura". L'introduzione della realtà storica e della mediocrità quotidiana indebolisce il sentimento del mito; le passioni sottoposte al prin:ipio di ragione perdono la loro virulenza, vengono quasi esorr:izzate, diventando attributi "imitati e mascherati" di un carattere psicologico irretito in una contesa dialettica, specchio fedele dello ~pettatore: discostandosi deliberatamente da Dioniso, Euripide fu 1bbandonato anche da Apollo e nel mondo greco si aprì "un enorne vuoto". Una maschera razionale, forgiata dal logos socratico, ;i è sovrapposta alla pluralità delle masc~ere mitic~-s.api~nziali. La decadenza della tragedia greca, avviata da Eunptd~ m quan:o maschera di Socrate è causata parallelamente dall ipertrofia lell'elemento apolline~ e dalla negazione d~ll'i~p..ulso dio~idaco, ma la nuova equazione di bellezza e raz10nal1ta determtna 103

una degenerazione dello stesso carattere apollineo, ora Pri della sua soluzione nutritizia; la vita affettiva espressa dal Pat~ato quell'irriducibile mondo della vita da cui la teoresi sembra p os, der congedo, quella palpitante matrice erotica che la cosci:envorrebbe ora mettere a tacere e padroneggiare. Per il primo coni.a per l'ultimo Nietzsche, l'affettività è il principio primo di tutt~e cose che coincide con l'affermazione della volontà di vivere· : produce decadenza o nichilismo ogniqualvolta -da Socrate posterità- si crede dispoticamente di "dover correggere l'esistenza", sovrapponendo la cultura alla natura, la morale al piacere la razionalità agli istinti, la teoresi all'intuizione, lo schematism~ logico alla vibrazione degli affetti. Nell'insana hybris di correggere l'essere, di annullarne la caotica contradditorietà fino a renderlo intelligibile, e dunque giustificato, la scienza coltiva una illusione metafisica analoga a quella dell'arte intesa come volontà di trasfigurazione: pertanto è ipotizzabile che, condotta coerentemente ai suoi stessi confini, quelli propri del mondo dell'individuazione, la scienza debba un giorno convertirsi in arte, avvalendosi anche del mito e delle sue immagini simboliche. Giunta al proprio limite estremo, la scienza sarà indotta infine a deporre l'iperbolico ottimismo teoretico arrestandosi "a fissare l'inesplicabile". L'autodistruzione della scienza logicizzante comporterà la rinascita della conoscenza tragica, la quale, "per essere sopportata, ha bisogno dell'arte come protezione e rimedio". Questa conversione dell'arte in scienza -prefigurata dall'immagine di Socrate musicista- sarà l'esito paradossale di una insaziabile volontà di sapere che, giunta al cospetto dell'inesplicabile, dovrà riaffermare la necessità di una giustificazione estetica del mondo, adoperandosi nello stendere la rete dell'arte sul terreno sdrucciolevole dell'esistenza. Questa enorme antitesi che sussiste tra Apollo e Dioniso, dietr~ la quale si cela l' ag6n tra la bellezza e il dolore, viene poi ad ahmentare una millenaria "lotta tra la concezione teoretica del mondo e quella tragica", cioè. tra la fede nella penetrabilità ra~ion~~ 1 dell'essere e il mistero insondabile della natura, tra I' illusion~. poter curare "l'eterna ferita dell'esistenza" e la sapienza del o-

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lore connessa al piacere dell'ignoto. Nella cultura moderna, alessandrina e autoreferenziale, degenerata "in una vuota e dispersiva tendenza al divertimento", l'uomo teoretico, angosciato e impotente, "non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell' esistenza", temendo di esporsi al suo imperscrutabile enigma. Al termine del ventunesimo paragrafo, Nietzsche mette in guardia dall'interpretare lo sviluppo della tragedia greca nei termini di una vittoria dell'apollineo sul dionisiaco, in quanto lo "splendido inganno apollineo", l'estasi prodotta dal sogno, assolveva soltanto ad una funzione di analgesico per mitigare la pressione dell'eccesso dionisiaco, la barbarica irruzione della sua dismisura, l'orgiastico annullamento ·di sé. Illusoria è la credenza che Dioniso possa essere al giogo di Apollo rafforzandone gli effetti; al contrario, quest'ultimo è al servizio di Dioniso, in quanto gli fornisce una lingua, uno strumento adeguato per manifestare lo strabocchevole pleroma della sua pluralità affettiva. "Nel punto più essenziale quell'inganno apollineo risulta infranto e annullato ... Nell'effetto complessivo della tragedia -conclude Nietzsche- il dionisiaco prende di nuovo il sopravvento... II mito tragico è da intendersi solo come una simbolizzazione di sapienza dionisiaca attraverso mezzi artistici apollinei", il cui imprescindibile compito è di rendere visibili "quasi una folla di linee e figure vivamente mosse, gli ondeggiamenti della volontà, la lotta dei motivi e il gonfio fiume delle passioni", fino ad immergersi "nei più delicati segreti delle emozioni inconscie" 114• Per essere giustificato come generatore della Bildung, questo mondo di forme visibili deve prodursi all'interno del vincolo di fratellanza tra Apollo e Dioniso, della loro corretta reciprocità: altrimenti, se disgiunta dal mito tragico, l'arte decade a mero divertimento, infeconda come lo è un'esistenza guidata soltanto da concetti ma orfana di affetti. Dopo una relativa eclisse nel periodo intermedio della produzione filosofica nietzscheana, quella in cui la scienza sembra rilevare

114 F. Nietzsche, I.A nascita della tragedia, op. cit., pp. 144-146.

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la funzione metafisica dell'arte, la coppia metaforico-concettuale Apollo-Dioniso ricompare in alcune significative pagine dell'ultimo periodo, in cui il contromovimento dell'arte mantiene una forte connotazione apollinea nel senso del parametro del grande stile ma trova la propria condizione di possibilità nella dimensione dionisiaca dell'ebbrezza, generata da un accresciuto senso di potenza, come si evince esemplarmente da questo passo del Crepuscolo degli idoli dedicato alla psicologia dell'artista: "Perché vi sia arte, perché vi sia un qualche contemplare o agire estetico, a tal fine è indispensabile un presupposto fisiologico: l'ebbrezza. L'ebbrezza deve aver anzitutto potenziato l'eccitabilità dell'intera macchina: prima di ciò non si giunge affatto all'arte. Tutte le specie di ebbrezza, per quanto diversamente condizionate, hanno la forza di realizzare ciò: in primo luogo l'ebbrezza dell'eccitazione sessuale, la forma più antica e originaria dell'ebbrezza. Del pari l'ebbrezza che viene al seguito di tutte le grandi brame, di tutti gli affetti forti ... L'essenziale nell'ebbrezza è il senso dell'aumento di forza e della pienezza... questo processo si chiama idealizzare"115. Nell'arte, così come nell'eros, si tratta di un desiderio di trasfigurazione.

Sempre tra le sco"ibande di un inattuale, è possibile reperire un'importante riconsiderazione dell'antitesi concettuale tra apollineo e dionisiaco, entrambi posti sotto il segno dell' ebbrezza: "L'ebbrezza apollinea riesce soprattutto a eccitare l'occhio, così che esso acquista la forza della visione. Il pittore, lo scultore, il poeta epico sono visionari par excellence. Nello stato dionisiaco per contro l'intero sistema degli affetti è eccitato e potenziato ... È impossibile per l'uomo dionisiaco non comprendere una qualsiasi suggestione; egli non lascia inosservato alcun segno emotivo ... entra in ogni pelle, in ogni moto dell'anima: si trasforma costantemente" 116• Attraverso la musica inoltre, viene 115 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 112. Sul tema nietzscheano dell'ebbrezza è comparso recentemente un brillante saggio di P. Audi, L'lvresse de l'art. Nietzsche et l'estétique, Paris, Le livre de poche 1993 116 Ivi, pp. 113-114.

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attuata "una liberazione totale degli affetti"; mantenendo una disposizione dionisiaca nei ·confronti dell'esistenza, in controtendenza rispetto alla desensibilizzazione propria dell'età moderna, l'uomo può ancora avvertire e descrivere "corporalmente tutto ciò che sente". In tal senso, per la sua peculiare affinità e congenericità con il sistema degli affetti, quello dionisiaco rimane "lo stato originario", seppur depauperato dalle istanze declinanti del processo di civilizzazione.

Epistemologia binoculare Per Nietzsche, contrariamente ad Heidegger, non vi è un regime di doppia verità: una derivata, ontico-denotativa, riservata alla scienza e alle filosofie ad essa ancillari; un'altra originaria, ontologico-fondativa, rivelata dall'arte ed elaborata dal pensiero che ad essa corrisponde per affinità elettiva. Semmai, tra arte e scienza -come abbiamo visto precedentemente- vi è una differenziazione di funzioni, un avvicendamento di ruoli (dalla metafisica d'artista al temperamento sobrio del ricercatore), un differente significato nell'evoluzione culturale della civiltà occidentale che progressivamente prende congedo dall'orizzonte di pensiero metafisico. "Le scienze -scrive Nietzsche nell'estate 1880- rappresentano la moralità superiore rispetto ai risolutori dell'enigma dell'universo e ai costruttori di sistemi: moderazione, equità, temperanza, pacatezza, pazienza, coraggio, semplicità, discrezione" 117 • Fin dalla sua prima formulazione, la genealogia ha una valenza epistemologica: alle scienze -scrive Nietzsche in apertura di Umano, troppo umano- noi dobbiamo la possibilità di sviluppare "una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici", conseguendo lo scabroso risultato di ricondurre i valori di rango più elevato ad elementi infimi, istintuali, spesso spregevoli, destrutturando ogni formazione secondaria, concettuale o morale 117 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 405.

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che sia, con l'evidenziarne l'occulta matrice primaria. A_ tal fine, per evitare ulteriori mistificazioni, è opportuno avvalersi di pre.. cisi metodi scientifici, dei quali Nietzsche tesserà sempre le lodi, sconfinando talvolta nell'apologia, fino alle ultime opere (anche quelle della trasfigurazione orgiastico-dionisiaca) in cui i metodi e i presupposti scientifici saranno considerati come "le idee più preziose", colpevolmente contrastate da un gusto estetico incline al pittoresco. A quel peculiare senso dei fatti di cui sono espressione i metodi scientifici già conosciuti nel mondo antico, noi dobbiamo -sostiene Nietzsche- "il libero sguardo di fronte alla realtà, la cautela della mano, la pazienza e il rigore nelle più piccole cose, l'intera onestà della conoscenza" 118 • Finora tutti i filosofi hanno edificato sistemi concettuali subendo il fascino tirannico della logica, attribuendo alla realtà le convenzioni stipulate linguisticamente, negando il divenire del mondo per ridurre il variegato mondo fenomenico ad un quadro fisso, ad una grandezza invariante, "la pluralità frastornante a uno schema opportuno e maneggevole" 119, fondato sul principio di non contraddizione: di questa deleteria attitudine intellettuale -che ha prodotto e perpetrato il paradigma metafisico- ci potremo sbarazzare grazie al "continuo e laborioso processo della scienza, che finirà col celebrare un giorno il suo più alto trionfo in una storia della genesi del pensiero, il cui risultato potrebbe forse compendiarsi in questa proposizione: ciò che noi ora chiamiamo il mondo, è il risultato di una quantità di errori e· di fantasie che sono sorti a poco a _poco nell'evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredità come tesoro accumulato in tutto il passato -come tesoro: perché il valore della nostra umanità riposa su di esso" 120• Non è dunque la filosofia (che tradizionalmente combatte la scienza a fianco della morale) ma innanzitutto la scienza a 118 F. Nietzsche, L'Anticristo, voi. VI, tomo Ili, p. 255. 119 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit., p. 125. 120 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit. p. 27.

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praticare la scuola del sospetto nei confronti delle astrazioni metafisiche (coscienza, volontà, causa, verità), a diffondere quella consapevolezza decostruttiva che consertirà poi di avviare a sperimentazione la trasvalutazione di tutti i valori: il suo compito sarà quello (sempre trascurato dalla filosofia) di emanciparci almeno in parte da questo immane mondo della rappresentazione che abbiamo edificato alle spalle della realtà contingente, in particolare nel rendere priva di significato e "degna di un'omerica risata" quella cosa in sé che era stata postulata come sussistente dietro i fenomeni. Se la scienza non può certo "infrangere il potere di antichissime abitudini delle sensazione", perché metterebbe a repentaglio le nostre stesse condizioni di sopravvivenza, le nostre abitudini percettive e cognitive, almeno può cominciare a rischiararne l'origine, a rimuoverne il velo dell'origine, sollevandoci almeno per un istante sopra l'intero processo, lasciandoci intuire in particolare la possibilità di una mutazione antropologica. Per la sua dedizione analitica, che la porta a scorgere ovunque differenze, la scienza ha la facoltà di confutare la credenza metafisica che vi siano cose eguali e immutabili e, al tempo stesso, la capacità di fluidificare ogni apparenza di costanza, risolvendo in movimento tutto ciò che si presenta statico. Ma è soprattutto il piacere dell'esistenza, la sua declinazione polimorfa, che la scienza deve raccogliere in eredità dall'arte, ponendosi come sua naturale derivazione, raffreddando "l'ardente fiume della fede in verità ultime e definitive" 121 • In tal modo, la scienza contribuisce all'ideazione e alla sperimentazione di quel temperamento buono che ha esonerato la propria vita dal pathos dell'origine e ha ripreso piacerè per le cose prossime, un'anima mite, meno passionale di quella propria dell'artista, ma più consapevole e affidabile. Non si tratta di una mera opzione psicologico-comportamentale, ma della questione centrale della filosofia di Nietzsche, relativa alla revoca del disprezzo metafisico della prossimità, così esplicitamente formulata in un 121 Ivi, p. 175.

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frammento dell'estate 1879: "Com'è possibile generare uomini di buon temperamento?,, 122• In questa nuova epoca, che la scienza insieme all'arte rende possibile, viene abbandonata la credenza in causalità lineari, in relazioni semplificate; alla paura del non intelligibile, dell'incalcolabile refrattario ad ogni regola dell'accadere, timore che trasformava la conoscenza in un atto rituale di rassicurazione, subentra (pur tra cospicue resistenze diffuse anche tra gli scienziati) 1'attrattiva del difficilmente intelligibile -come si legge in Aurora-, l'affermarsi di una propensione sperimentale all'ignoto (il nuovo oggetto delle scienze naturali) che modifica radicalmente l'attitudine secolare della riconduzione di ogni novità al già noto, la coercizione dell'avventura epistemica nel recinto delle nozioni familiari 123 ; si attenua altresì il nostro egoistico interesse per l'interiorità e si estroverte la nostra passione verso il mondo esterno, così come verso il substrato istintuale del nostro agire. Così operando, in 122 F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, op. cit., p. 353. In un altro significativo passo de Il viandante e la sua ombra, Nietzsche chiarisce -in modo per così dire esistentivo con evidenti preoccupazioni salutiste- cosa intende per discredito idealista della prossimità: "si deve ammèttere che le cose più vicine di tutte vengono dai più molto malamente viste e molto raramente tenute in conto. E questo è indifferente? -Ma si consideri che da questa mancanza derivano quasi tutte le infennità fisiche e spirituali dei singoli: il non sapere cosa ci fa bene e che cosa ci fa male nell'impianto della condotta di vita, nella ripartizione del giorno e del tempo e nella scelta dei rapporti sociali, nella professione e nel tempo libero, nel comandare e nell'obbedire, nel sentire la natura e l'arte, nel mangiare, nel dormire e nel pensare; l'essere ignoranti e il non aver occhi acuti in ciò che è più piccolo e ordinario -ecco ciò che fa della terra per tanti una 'prateria della sventura'. Non si dica che qui come dappertutto la cosa dipende dall'irragionevolezza umana: piuttosto -di ragione ce n'è abbastanza e più che abbastanza, ma essa viene falsamente indirizzata e artificiosamente stornata da quelle cose piccole, le vicinissime". Ivi, pp. 136-137. Una ragione dunque che, istituita nella distanza dal mondo delle cose prossime, è artefice di un sapere evasivo. 123 In realtà, Nietzsche pensa ad un perenne contrasto tra apertura all'ignoto e riduzione al noto, ad una ambivalenza costitutiva della scienza, il cui sviluppo emancipa dal bisogno di rassicurazione ma, al tempo stesso, ripropone antiche fobìe. Ci si soffermi, ad esempio, su questo passo: "Lo sviluppo della scienza risolve sempre più il 'noto' in un ignoto; ma essa vuole esattamente il contrario di ciò e muove dall'istinto di ricondurre l'ignoto al noto. Insomma la scienza prepara una sovrana inscienza, il sentimento che un •conoscere' non si dia affatto, che sia stata una specie di alterigia sognar cose simili". Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 179. ·

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modo "inesauribilmente ricco per illuminare ciò che è oscuro e per abolire i modi ant~riori di pensare e di agire" 124, avviando cioè una controtendenza nspetto alle forze reattive del nichilismo, la ' scienza contribuisce a quella ripresa di interesse _per il mondo sensibile e contingente che vanifica ogni interesse per l' al di là, ogni angoscia relativa al nostro destino ultraterreno. La scienza è una delle accezioni della volontà di potenza, rientra cioè nella sua morfologia (e come tale viene·rubricata nell'indice provvisorio dell' Haupnverk), perché promuove il potenziamento della sensibilità, interpretando i fenomeni "mediante sensi diversi", mostrando -in una stupefacente anticipazione del principio di indeterminazione della fisica novecentesca- la dipendenza dei "movimenti delle molecole" dal senso della vista e da quello del tatto, nell'ambito di un più generale processo conoscitivo in cui i sensi più oscuri vengono illuminati dai più chiari, in accordo con vibrazioni del visibile, indipendenti dalla mediazione delle categorie concettuali. Si tratta di un empirismo radicale, affrancato da ogni principio di ragion sufficiente: nella scienza non si assiste ad una spiegazione dei fenomeni ma ad una loro espressione sensibile, prodotta dai nostri sensi e soggetta a continue metamorfosi 125 • Siamo di fronte ad una persistente ambivalenza: da un lato, la scienza esprime il bisogno di offrire una spiegazione presunta razionale di tutto ciò che accade, trasferendo indebitamente i nostri artifici (linee, superfici, corpi, atomi, spazi e tempi divisibili) alle cose stesse, come se le nostre immagini fossero i loro attributi veritieri, manifestandosi dunque "come la più fedele possibile umanizzazione delle cose" 126; dall'altro, sottoponendo a costante osservazione il continuum dell'esperienza, comincerebbe a diffidare del rapporto causa-effetto, giudicandolo finalmente come l'arbitraria estrapolazione di due singoli frammenti del divenire, fino al punto in cui, dopo aver perfezionato le capacità percettive piuttosto che

124 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 404. 125 Si veda: Frammenti postumi 1884, op. cit., p. 101,in cui Nietzsche sembra astenersi peraltro dal proporre una valutazione di tale processo. 126 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 122.

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quelle deduttive, può operare attraverso un intelletto che riesce a scorgere il flusso continuo dell'accadere senza dover ricorrere al suo smembramento per mezzo del nesso causa-effetto. Tuttavia, nella scienza echeggia ancora il bisogno metafisico di sicurezza e stabilità del sapere, si avvertono evidenti somiglianze di (famiglia con le religioni, solidali nel proporre ideali ascetici, nel negare la liceità della domanda sulla giustificazione del proprio sapere. Una scienza (come quella ispirata dal positivismo) che non metta in questione in via sperimentale il valore della verità, che rinunci alla creazione dei valori, si rivela la miglior alleata di quell'ideale ascetico che ha dominato la storia della filosofia ed esprime il sintomo più conclamato della vita declinante: "Queste due cose, scienza e ideale ascetico, riposano invero .sullo stesso suolo: vale a dire sull'identica sopravvalutazione della verità (più esattamente: sull'identica fede nella insuscettibilità di valutazione e di critica da parte della verità), e per ciò appunto sono necessariamente alleate" 121• · Anche a questo proposito, vale il principio selettivo che orienta l'intera filosofia nietzscheana e che ne connota il presunto vitalismo: la scienza può rivelarsi sia solidale con le istanze sperimentali della vita ascendente, proponendosi come gaia scienza, esprimendo "un potere creatore, plasmatore, costitutivo" che erode il contesto di legittimazione della morale128, sia rivelarsi complice delle rassicuranti verità della metafisica: in questo senso va interpretato il lungo frammento: In che senso siamo ancora devoti 129 • La fede metafisica su cui riposa ancora la scienza è la convinzione che essa si articoli nell'assenza di presupposti (idea paralogica e impensabile, secondo Nietzsche) e che persegua unicamente l'intento diconoscere la verità relativa al proprio oggetto cli indagine: in tal modo viene occultata la costitutiva volontà cli inganno presente in ogni atto conoscitivo, la compresenza cli verità ed errore e in particolare -come abbiamo visto- la natura prospettivistica di ogni avventura 127 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 358. 128 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 427. 129 Ivi, pp. 205-208. Riproposto leggermente modificato nella Genealogia della morale, op. cit., pp. 355-357.

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epistemica, la quale non potrebbe neppur essere intrapresa in assenza di una precomprensione che orienti la ricerca (come buona parte dell'epistemologia contemporanea avrebbe poi riconosciuto). Affermando il valore incondizionato della verità, rinnovando quella stessa menzogna che dal mondo .greco si propaga al cristianesimo per approdare ali' epoca moderna, la fede metafisica nella scienza erige ancora -al pari della morale- "un mondo diverso da quello della vita", negando reattivamente, secondo modalità nichilistiche e declinanti, quel mondo da cui la scienza stessa scaturisce. Persistendo nell'intento ancora metafisico di conseguire la "verità a tutti i costi'', rendendo forzatamente comprensibile ogni fenomeno (cancellandone così l'incanto), la scienza indebolisce gli affetti, sublima gli istinti ed esibisce una visione del mondo che Nietzsche giudica antiestetica 130 • Anche il positivismo, inteso come filosofia della realtà con vocazione antimetafisica, non può incarnare l'idea nietzscheana di scienza, innanzitutto perchè rifiuta la sovradetenninazione dei presupposti nell'impresa scientifica, desiste dall'introdurre un senso nei fenomeni e confida nelle procedure di accertamento protocollare della realtà. Se si nega il ruolo dell'interpretazione nell'impresa conoscitiva, si rinuncia anche all'esercizio. dell~ volontà di potenza, si procede ad una falsa pacificazione con la realtà, si rimane "inchiodati dinanzi all'effettuale", ci si arrende al "fatalismo dei petits faits" 131 , osservati con "tranquilla coscienza", in modo parassitario senza propensione trasvalutante, impersonando così "l'incredulità riguardo al compito di reggitrice e alle prerogative sovrane della filosofia" 132• Quando si riduce il 130 Si veda il frammento dal titolo: "In che senso le interpretazioni del mondo siano sintomi di un istinto dominante" in Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 245. 131 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 356. 132 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 107. Nella nota che conclude la prima dissertazione della Genealogia della morale, Nietzsche esplicita la funzione ancillare della scienza nei confronti della filosofia: "Thtte le scienze devono ormai elaborare in via preparatoria il compito futuro dei filosofi: intendendo questo compito nel senso che il filosofo deve risolvere il problema del valore, deve determinare la gerarchia dei valori." Ivi, p. 254.

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pensiero a teoria della conoscen~a, e ci_ si astiene. da o~ni prospettivismo affettivo, allora -sostiene Nietzsche- c1 troviamo di fronte ad una infeconda, se non agonizzante, "filosofia che non sa varcare la sogli~'. Anche lo scienziato giudica secondo criteri morali, prestando ascolto alla voce della propria coscienza, dimenticando la preistoria del suo giudizio negli impulsi, tendenze ed esperienze antepredicative, nelle abitudini percettive che sono diventate condizione d'esistenza e di sopravvivenza: egli dovrebbe -secondo gli auspici di Nietzsche- aprire l'indagine sull'origine di quei giudizi morali, sulla fondatezza di quel cieco impulso alla verità a tutti i costi, su questo insensato desiderio di stabilità cognitiva e di uniformità legifonne. Unitamente al filosofo e all'artista, lo scienziato potrebbe finalmente utilizzare la sua propensione analitica per creare nuove tavole di valore che siano nostre, che non rimandino più ad un retromondo sovrasensibile negatore di quello fenomenico che ci è famìliare. In tal senso è doveroso rivolgere una lode alla fisica, che ha avviato una riflessione disincantata sulle nostre effettive condizioni d'esistenza: "Noi vogliamo diventare quelli che siamo: i nuovi, gli irripetibili, gli inconfrontabili, i legislatori-di-se-stessi, i creatori-di-se-stessi! ... dobbiamo essere dei fisici per poter essere in ogni senso dei creatori, mentre fino a oggi tutte le valutazioni e gli ideali sono stati edificati sull'ignoranza della fisica oppure in contraddizione con essa" 133 • · La nostra rettitudine orientata alla vita ascendente esige dunque una transizione dalla metafisica alla fisica, una dislocazione dalla morale alla scienza, l'adesione ad una epistemologia caratterizzata in senso ecofisiologico 134 , attenta cioè all'attività sensoriale insita nel progetto cognitivo e alle variabili ambientali in cui esso si configura. Se la ragione dei filosofi ha rifiutato pervicacemente la testimoniànza dei sensi perché considerati fonte di errore, 133 F. Nietzsche, LA gaia scienza, op. cit., p. 196. 134 Questa definizione della filosofia della scienza nietzscheana è stata proposta da B. Babich, Nietzsche e la scienza, op. cit., di cui condividiamo l'impostazione g~nerale, ma non alcune delle sue tesi più specifiche, a volte indebitamente massimaliste.

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ambiguità e mutevolezza, ora il pensiero della trasvalutazione comincia ad avvalersi di questi "raffinati strumenti di osservazione" in collaborazione con i risultati dell'analisi scientifica quella s~erimentale ~ella realtà, non quella semiotica, formai; della log1~a matematica: "Possediamo oggi scienza -sostiene l 'ultimo Nietzsche- esattamente nella misura in cui ci siamo risolti ad accogliere la testimonianza dei sensi -nonché nella misura in cui li affiniamo, li armiamo e insegniamo loro a pensare fino in ç do,,13s . D ai· sensi· aff:rancatl. -dalla tutela del Logos metafisico 10n sembra così scaturire un logos del sensibile. Secondo N~etzsche -come si è già visto-, una cultura superiore dovrebbe permettere all'uomo di-disporre di un doppio cervello, uno per incamerare con rigore analitico i risultati dell'analisi scientifica, l'altro per avvertire con passione emotiva la potenza del mito e la forma della creazione artistica, così come il pensiero filosofico dovrebbe sistematicamente avvalersi del metodo dell'ottica binoculare. Due cervelli o due emisferi tra loro eterogenei, in grado di convogliare e comunicare aspetti sia cognitivi sia emotivi: la compresenza di queste due modalità di ricezione è, ancora una volta, un'esigenza di salute, un'altra figura di grande salute, di physis potenziata, di integrità vitale. Percetti; concetti e affetti potranno, con pari dignità, convivere nel doppio cervello ideato dalla nuova cultura filosofica, sviluppando qualcosa come una logica dellafantasia. È lecito domandarsi in conclusione: come può Nietzsche essere un fautore della fisica ·e al contempo un ideatore dell' ermeneutica, un filosofo dalla doppia propensione analitica e continentale? Non vi è una disorientante ambivalenza in questa duplice, contradditoria, istanza? In realtà, proprio la lezione nietzscheana ci costringe a formulare la questione in nuovi te~ni: è propri~ vero che l'atto interpretativo costituisce un~ n~~a~10ne,?ella suss1s_tenza della realtà oggettiva? Affennare 1 diritti dell mt~rpretaz10ne implicherà necessariamente l'infedeltà nei confronti dell' esperienza fattualmente accertata e descritta? È corretto impostare 135 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., pp. 70-71.

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la questione dell'identità ~ella filosofia su una_ discriminante tra mondo empirico e mondo mterpretato, tra realismo ontologico e relativismo solipsistico? . , . Proviamo ad affidarci propno ali espenenza, senza eccessive pregiudiziali teori~he:_ qu~do vediamo qualcosa, lo dobbiamo soltanto ai meccamsmt ott1c1 che consentono la messa a fuoco degli oggetti O riconosciamo qualcos~ grazie ali' attiv~zione di una memoria stratificata nel tempo che mtegra la percezione empirica associandola ad altri reperti della nostra esperienza vissuta? Tutta la realtà è un insieme di oggetti, fatti e circostanze che possono essere analiticamente descritti; ma essa si manifesta ai nostri occhi come una struttura cli correlativi oggettivi del nostro vissuto, intrisi di esperienze, ricordi e aspettative, rimandi ad altri segni che chiedono di essere ulteriormente decifrati. Ogni soggetto concepisce l'esistenza secondo la modalità pregnante dell'essere interpretato 136• Appare dunque infondata ogni contrapposizione tra ontologia ed ermeneutica, tra l'accertamento protocollare dei dati di realtà e la loro elaborazione interpretativa. Si dovrebbe piuttosto rilevarne, pur nella opportuna distinzione concettuale, la complementarietà, nel senso che la prima accerta un livello elementare di verità, per formulare la quale può avvalersi in funzione ancillare dell'osservazione scientifica, mentre la seconda cerca di riprodurre ed elaborare la donazione di senso che la realtà costantemente riceve, l'articolazione nell'esperienza, la trasfigurazione nella sensibilità valutativa, pervenendo così al senso .di quella verità elementare, empiricamente accertata, dotandola cioè di valore, densità emotiva, rilevanza esistenziale. Questo secondo e più significativo livello di verità non comporta . alcuna nichilistica deriva scettico-relativista' bensì .un mcr~ment~ di o_ggetti~ità, nel senso che essa viene potenzi~ta dall m_tensttà ~e1 nostn affetti e dalla fecondità delle pros~etave esegetiche. Ci sono dunque incontestabilmente fatti, ma ci sono 136 Questa prospettiva è stata da noi sviluppata nel volume: Esistenza e interpretazione, Roma, Donzelli 200 I.

soprattutto interpretazioni, le quali -elaborando i primi dati empirici- determinano l'orientamento della nostra esperienza, quella di individui che progettano la propria esistenza, muovendosi tra possibilità egualmente infondate, consapevoli di non potersi sottrarre all'esame di realtà, di non poterne tentare fughe illusorie (qui l' experimentum crucis è ancora una volta l'esperienza del dolore), ma al tempo stesso indotti a "truccare il dado", a modificare la configurazione empirica del reale, ad alterare e possibilmente piegare i decreti del caso quando questi si presentano con il carattere di una lacerante necessità. Ciò che differenzia. i fatti dalle interpretazioni non è una proprietà ontologica, bensì soltanto crescenti (o decrescenti) livelli di complessità del reale. In merito all'ontologia, possiamo essere convinti sostenitori del realismo percettivo, ingenuo o diretto ma, riguardo all'epistemologia, altrettanto convinti assertori del costruttivismo, relativismo, nominalismo o pragmatismo, al modo cioè in cui ciò che accade diventa per noi rilevante, in cui l'evidenza della percezione assume un .senso che la trascende senza per questo negarla. Non vi è contraddizione tra le due tesi, una realistica e l'altra convenzionalista, né confusione o scambio d' attributi tra i due piani: in termini ontologici, sussiste un mondo là fuori; in termini epistemologici, siamo noi a costruire mondi. Per effetto di un processo che può essere attribuito alla cultura o alla civilizzazione, viviamo in una condizione di affinamento delle nostre pretese conoscitive che ci solleva da precedenti domande elementari relative all'identificazione degli oggetti del mondo esterno e convoglia la nostra attenzione sulle complesse strategie di elaborazione interpretativa del vissuto: in tal senso, rilevando o auspicando una generale riduzione dell'insicurezza, Nietzsche considerava matura l'epoca che derubricava progressivamente la questione metafisica dell'origi~e o del fondame~to delle cose. Si può così osservare, se non auspicare, la progressiva emancipazione dell'epistemologia dall'ontologia, l' affrancamento dell'immagine del sapere dall'accertamento e!emen~are ~ella realtà' della sua incontrovertibile evidenza, per . disporsi . ad mdagame la complessità, le formazioni secondarie che s1 sovrappon.117

gono a quelle primarie senza affatto negarle, incontrando in tale percorso anche l'ermeneutica e l'estetica, solidali nell'intento di esplorare la densità evoluta e stratificata del reale. Intendere il mondo come un mero agglomerato di oggetti o di stati di cose significa ancora credere ad una realtà giustificata da un fondamento ultimo, postulare una configurazione data a cui corrisponde uno sguardo innocente che la decifra linearmente. In verità, questo pr_ius non si dà mai, non vi è esperienza dell'origine bensì di ciò che è derivato, secondario, nel senso che il mondo è sempre un mondo dei significati precostituito a cui l'esistente viene inesorabilmente consegnato e rinviato. Nei termini heideg-. geriani, la significatività non si sovrappone ad una configurazione ontica preesistente bensì "esprime la struttura del mondo", la sua intelaiatura reale.

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Il confronto con altre interpretazioni I

KarlLowith

Dagli albori del Novecento, dopo che i devastanti territori della follia si impadronirono della mente di Nietzsche, si sono fronteggiate due principali versioni interpretative del pensiero del filosofo tedesco. La prima, sostenuta da Baeumler e talvolta appoggiata dagli apparati culturali del nazionalsocialismo, esaltava la visione del mondo in termini di lotta tra forze antagoniste il cui esito sarebbe stata l'affermazione del superuomo, identificato nei prodotti della razza ariana; la seconda, propria del marxismo ortodosso di Lukàcs, vedeva in Nietzsche un esponente di quella grande corrente dell'irrazionalismo antiumanistico, di cui si asseriva la funzione di copertura ideologica dell'imperialismo borghese. _ Si trattava, a ben vedere, di due letture estremamente solidali nell'individuare il significato e il ruolo della volontà di potenza: differiva solo il segno della valutazione che ne seguiva, positivo per Baeumler, negativo per Lukàcs. Questo duplice, nefasto destino dell'opera di Nietzsche fu riscattato, a partire dagli anni Trenta, dagli studi di Lowith, dai primi saggi di Heidegger, dalla monografia di Jaspers e dalla nuova edizione delle opere di Nietzsche curata da Schlechta che cercava di porre rimedio alle alterazioni e manipolazioni operate dalla sorella di Nietzsche Elisabeth sui manoscritti dell'ultimo periodo. L'opera di Karl Lowith: Nietzsche e l'eterno ritor~o la cui prima edizione risale al 1934 (mentre la seconda ampliata è del 1955) 1 contribuì, insieme ai primi studi heideg_ge~~i, a riscattare il pensiero di Nietzsche da queste interpretaz10m d1ametralmen1

K. Lowith, Nietzsche e l'eterno ritorno, Bari, Laterza 1982.

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te opposte ma egualmente riduttive. In questo studio ancor oggi imprescindibile, Lowith tenta un 'interpretazione complessiva del pensiero di Nietzsche scandita dalle tre metamorfosi con cui si apre Così parlò Zarathustra. Il primo movimento della filosofia nietzscheana sarebbe quello che attua la liberazione dal "tu devi", che scioglie cioè lo spirito libero da tutti i legami ereditati dalla tradizione e coagulati nella morale cristiana: con 1' evento della morte di Dio verrebbero destituiti di fondamento i valori supremi e i grandi nomi della storia. La liberazione dagli imperativi morali consente alla volontà dell'uomo di affermare i propri diritti di responsabilità e libertà incondizionate. Ma questa libertà ha un carattere essenzialmente negativo: lo spirito libero vive nell'assenza di ideali e sperimenta il nichilismo di fronte all'esautorazione dei valori. L'autentica emancipazione è quella che comporta il passaggio dall' "io voglio" ali' "io sono", che Nietzsche rappresenta -rievocando un'immagine eraclitea- con la nascita del fanciullo cosmico. Quando la libertà incondizionata rivela la sua matrice nichilistica, la volontà cli nulla si converte nel volere l'eterno ritorno dell'identico, nella condiscendente accettazione di un'esistenza che eternamente ritorna, riscattando così la frammentarietà e la casualita del nostro essere nel mondo. Insomma, per Lowith il nichilismo occupa nel sistema nietzscheano una posizione intermedia tra la sua origine, che è la morte di Dio, e il suo esito, ossia la rinascita cli una visione dionisiaca del mondo, la quale richiede altresi il superamento dell'uomo nella figura superiore del sovra-uomo. La dottrina dell'eterno ritorno, ricollocando il destino dell '~omo nella verità dell'essere, costituisce il nuovo centro di gravità che viene a rilevare il vecchio costituito dalla fede cristiana, al di là della parentesi nichilistica. Indubbiamente l'interpretazione di Lowith conserva, dopo più di settant'anni dalla sua prima formulazione, una notevole suggestione soprattutto per la capacità di convogliare un numero incontrollabile di aforismi e frammenti, spesso contraddittori fra loro, in una visione unitaria e sistematica, in virtù della quale anche la filosofia di Nietzsche raggiungerebbe un esito compiuto. 120

Va rilevato tuttavia che l'interpretazione cli Lowith fa ricorso in modo sistematico a un modello di tipo dialettico: alla tesi costitutiva della morale cristiana si contrappone l'antitesi costituita dalla volontà nichilistica, per dar luogo a una sintesi ulteriore rappresentata dalla dottrina dell'eterno ritorno, figura conclusiva e conciliata della filosofia nietzscheana. Lowith in tal modo riabilita, al di là delle sue intenzioni, un'immagine lineare del pensiero filosofico, una metafisica del progresso, dalla caduta del nichilismo alla redenzione dell'eterno ritorno. Nietzsche scrisse che l'eterno ritorno rappresenta la "forma estrema del nichilismo: il nulla (la mancanza di senso) eterno!". Partendo da tale affermazione si potrebbe sostenere, a dispetto di Lowith, che la dottrina dell'eterno ritorno, lungi dal costituire un superamento del nichilismo, si muove invece totalmente nell'ambito del nichilismo, in una relazione inestricabile: l'eterno ritorno appartiene al nichilismo proprio in quanto designa la mancanza di senso, l'assenza di scopo universali. In questo senso, la figura cruciale della filosofia nietzscheana sarebbe quella del nichilista compiuto o risoluto (altre volte Nietzsche parla di nichilismo radicale -o sistematico), cioè di colui in grado di accogliere le conseguenze della morte di Dio, la mancanza di un fine nella storia e di uno scopo nella vita, prospettiva che, assunta consapevolmente e senza nostalgie reattive, apre la strada ad un nuovo mondo, quello delle infinite possibilità interpretative, del prospettivismo in cui l'uomo articola la volontà di potenza intesa come l'esercizio dell'infondato conferimento di senso. Lowith ricorda che Nietzsche aveva pensato di intitolare "Meriggio ed eternità" il libro profetico di Zarathustra, specificando nel sottottitolo: "Progetto di un nuovo modo di vivere", per cui nell'attimo immenso del meriggio non si rivelerebbe soltanto una nuova cosmologia ma in particolare una nuova modalità di esistenza. Ma cosa si intende con il termine "vita"? Lowith sostiene che Nietzsche fa riferimento ad una natura generatrice e annientatrice che tutto regge e domina, che i~ ogni ~ivente ~ dello stesso tipo e ha la stessa potenza, differenz1andos1 esclusivamente se121

condo il parametro della forza e della debolezza, dell'ascesa e del declino. Ora Lowith, come Heidegger, ritiene che la vera filosofia di Nietzsche, il suo pensiero autentico, venga inaugurato da Così parlò Zarathustra per concludersi con Ecce homo. Tale credenza, largamente condivisa, sarebbe da sfatare: rimosso t~e pr~~iudizio, insieme ad altri benefici di cui si avvarrebbe la nfless1one su Nietzsche, non ci si limiterebbe a far uso di una nozione astratta, energetica di vita. Infatti -come si è già sostenuto- il dire di si alla vita non è per · Nietzsche un richiamo generico a un'adesione incondizionata di tipo vitalistico, bensì un'indicazione che viene qualificata proprio nelle opere precedenti lo Zarathustra, dalla Nascita della tragedia alla Gaia Scienza: il nuovo modo di vivere di cui parla Nietzsche è una dimensione, inedita per l'epoca moderna, in cui l'uomo torna a "prender piacere alle cose prossime", riappropriandosi di quegli ambiti vitali che gli sono più familiari, di immediata e partecipe rilevanza. Nietzsèhe inizia a delineare i tratti di un temperamento buono che, nella convalescenza dalla ''malattia delle catene'' morali e metafisiche, prefigura una forma di vita in cui i caratteri dell' epidermicità, della prossimità, della gioiosa superficialità vengano riscattati dal discredito secolare cui li avevano confinati il culto della profondità e il mito dell'interiorità. Dimenticare o accantonare questi elementi di una nuova antropologia in nome della loro relativa sparizione nelle ultime opere di Nietzsche, significa soggiacere a quella concezione lineare e orientata del tempo che proprio la dottrina dell'eterno ritorno ha contribuito a destituire. Il principale intento critico che anima il saggio di Karl Schlechta: Nietzsche e il grande meriggio, in relazione allo studio di Lowith, è quello di sostenere l'incapacità da parte di Nietzsche di liberarsi completamente della tradizione cristiana, soprattutto per quanto riguarda il tema dell'escatologia e della redenzione; fallirebbe in particolare il tentativo di riabilitare una concezione pagana del tempo, non lineare ma circolare, simboleggiata nel grande meriggio, l'ora del dio Pan. "Il meriggio pagano è l'ora del silenzio e dell'immobilità, del sonno, del pieno abbandono e 122

passività"2, mentre, sia nell'escatologia cristiana sia in Nietzsche, è il singolo individuo che "porta la piena, completa responsabilità del futuro". Anche Lowith concorda nella valutazione fallimentare del tentativo di ritornare all'antico condotto ali' apice della modernità, affermando esplicitamente che lo Zarathustra è un "discorso della montagna rovesciato", che contiene altresl numerose imitazioni stilistiche e contenutistiche delle parabole bibliche. Va tuttavia ricordato come lo stesso Nietzsche annunciasse ali' editore il primo manoscritto di Così parlò Zarathustra nei termini di "un quinto Vangelo", consapevole quindi del carattere paradostico della sua opera. In realtà, Nietzsche viveva il pathos della fuoriuscita da una tradizione di pensiero e di valori come una malattia, un'istanza reattiva di cui diffidare, e invitava a prender congedo senza affettazione: la riscrittura parodistica del Vangelo potrebbe rappresentare proprio la parziale quanto iperbolica realizzazione di tale progetto. A proposito del prender congedo, andrebbe sempre ricordato questo penetrante aforisma che mette in guardia da ogni tentazione di ressentiment: "Vuoi prender commiato dalla tua passione? Fallo pure, ma senza odio per essa! Altrimenti hai una seconda passione".

Marti,n Heidegger Se è vero che l'interpretazione heideggeriana ha avuto l' indub~io merito di sottrarre il pensiero di Nietzsche ad un'improbabile mitologia dai caratteri leggendari, affermandone compiutamente la piena valenza filosofica, sono tuttavia riscontrabili alcuni effetti perversi indotti da tale esegesi, indubbiamente decisiva per comprendere il pensiero del filosofo dell'Andenken ma altrettanto insolvente per le questioni sollevate dal pensatore !nattuale dell'Ottoc~nt?, che ripropongono il problema stesso relativo alla natura e al significato in generale dell'atto interpretativo. 2

K. Schlechta, Nietzsche e il grande meriggio, Napoli, Guida 1981, P· 64.

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La lettura heideggeriana, che si autolegittima come ripristino dell'autentico domandare di Nietzsche, ci appare fondamentalmente inaccettabile sia per questioni di metodo sia per questioni di merito: in primo luogo, la limitazione al periodo 1881-1889 dell'opera autentica, cioè del suo porre domande filosoficamente rilevanti, insieme ali' attenzione pressoché esclusiva rivolta ai frammenti redatti per la Volontà di potenza, "costruzione capitale" rispetto alla quale lo stesso Zarathustra appare un mero "preambolo", confinando tutto ciò che precede e deliberatamente pubblicato all'avanscena dell'opera filosofica; in secondo luogo, ma in evidente connessione con la riduttiva scelta di metodo, l'aver inteso il concetto di Volontà di Potenza come risposta alla domanda: "Che cos'è l'ente?", alla questione cioè tradizionale della metafisica, di cui Nietzsche rappresenterebbe il compimento epigonale, l'ultimo bagliore prima del suo definitivo tramonto. In tal modo -sul piano dei testi- viene cancellata, con un protervo colpo di spugna, tutta la produzione genealogico-sperimentale in cui emerge compiutamente (altro che avanscena!) la novità dell'interrogazione nietzscheana, mentre -sul piano dei contenuti- l'impertinenza del suo modo peculiare di intendere la filosofia (mediante concetti sempre declinati al plurale della possibilità, dalla volontà di potenza all 'oltreuomo) viene ricondotto alla secolare pertinenza del domandare metafisico, secondo la fin troppo abusata attitudine metafisica (questa sì davvero!) volta ad applicare sistematicamente la reductio ad unum. Inoltre, è possibile rilevare la presenza di vistosi fraintendimenti, significativi perché mettono in luce certe antinomie concettuali, che sembrano precludere la possibilità di assumere il pensiero ermeneutico in toto, stabilendo una ipotetica continuità tra Nietzsche e Heidegger, al di là dell'evidente valore dissuasivo rappresentato dall'interpretazione del primo da parte del secondo. I principali punti di contrasto sono, al di là dell 'autocollocazione oltremetafisica, assai rilevanti per caratterizzare l'identità stessa della filosofia: innanzitutto la posizione nei confronti della scienza (per il primo di apertura critica, per il secondo di chiusura perentoria), poi rispetto a quello che abbiamo chiamato "sapere della 124

superficie", punto d'approdo teorico e antropologico della trasvalutazione nietzscheana. A questo proposito, Heidegger sostiene che "la volontà speculativa di Nietzsche mira a questo: a ridare un peso alle cose"3, mentre l'intento conclamato di Nietzsche è proprio quello di sottrarre peso alle cose, di riscoprire la leggerezza (quella che scaturisce dalla consapevolezza del tragico) di ogni accadere nella superficie contingente dei fenomeni. Quello con Nietzsche è stato per Heidegger un confronto snervante, una Auseinandersetzung che si è configurata come una vera e propria resa dei conti, la cui posta in palio sembra essere la possibilità di identificare un pensiero oltremetafisico senza cedere alle insidiose lusinghe rappresentate dal paradigma metafisico che sembra aver riassorbito ricorrenti istanze eversive di intonazione scettica, relativista o empirista, sempre elegantemente tacitate dalle procedure dell'argomentazione logica. Un esercizio di interpretazione ma anche di addomesticamento, imperniato su istanze proiettive deviate per una prioritaria esigenza di differenziazione, una complessiva strategia retorico-persuasiva che sembra rispondere ad un ostinato pathos dell 'Aufhebung non disgiunto da quella nevrosi che, in altri contesti, Harold Bloom ha definito angoscia dell'influenza. La differenziazione tra i due pensatori viene formulata da Heidegger in questi termini: laddove Nietzsche ha posto la domanda-guida (Leitfrage) che si è tradizionalmente configurata come domanda capitale (Hauptfrage) della filosofia occidentale: "Che cos'è l'ente?" -questione metafisica per eccellenza che, tuttavia, è soltanto la penultima domanda degna di essere formulata-, Heidegger avrebbe risolutamente posto la domanda fondamentale (Grundfrage), che è 1' ultima questione pur essendo assiologicamente la prima: "Che cos'è l'essere?", in ragione della quale 1' ente viene ricondotto all'apertura dell'essere, ali' alétheia che dimora nella Lichtung. Per questa negligenza o incapacità di porre la domanda sull'essenza della verità, che lo colloca nel luogo

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M. Heidegger, Nietuche, Milano, Adelphi 1994, p. 76.

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del compimento metafisico, il cammino di Nietzsche si sarebbe mosso e arrestato "nello spazio antistante alla :fìlosofia"4, senza varcare la soglia d'accesso all'ontologia fondamentale. Se Nietzsche ha portato a termine l'itinerario speculativo inaugurato dal primo inizio, nella rammemorazione delle epoche metafisiche e nel colloquio con i poeti Heidegger potrà promuovere l'altro inizio in prossimità dell'essere. Dissociando l'ontologia fondamentale dall'ontologia regionale, poiché la prima arriva a formulare la domanda sul senso dell 'essere mentre la seconda si limita alla domanda relativa all'essere dell'ente, Heidegger nega a Nietzsche il carattere oltremetafisico della sua Umwertung avocando a se stesso l'istanza autentica che prefigura l'altro inizio: "Pensare l'essere, la volontà di potenza, come eterno ritorno, pensare il pensiero più grave della filosofi.a, significa pensare l'essere come tempo. Nietzsche pensò questo pensiero, ma non lo pensò ancora come la questione di essere e tempo"5• Anzi, secondo Heidegger, Nietzsche avrebbe avuto una visione della filosofia ripaitita nelle "tradizionali discipline della filosofia scolastica", mentre l'idea di potenza non sarebbe

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Ivi, p. 77. Una lucida analisi della strategia discorsiva e argomentativa di Heidegger nei confronti di Nietzsche è stata condotta da F. Polidori, L'ultima parola. Heidegger!Nietzsche, Firenze, La Nuova Italia 1998. Un'esame critico del rapporto di Heidegger con il pensiero di Nietzsche è reperibile negli studi di W. MiillerLauter e, tematicamente, nel saggio: "Heidegger e Nietzsche" in Teoria, 1996, n. 1, pp. 5-29. Non si può che condividere il giudizio sinteticamente espresso da Rosset: "L'unica debolezza di questa interpretazione, ma è considerevole, è che non vi è nulla di più estraneo a Nietzsche della nozione di essere quale la concepisce Heidegger, come testimonia in modo evidente e immediatamente manifesto tutto ciò che ha scritto Nietzsche". C. Rosset, La force majeure, op. cit., p. 93, trad. ns. Sull'intera questione del cosl protratto confronto di Heidegger con Nietzsche, si vedano anche le lucide osservazioni di M. Haar, Lafracture de l'Histoire, Grenoble, Millon 1994, pp. 141-218, in cui viene rilevata l'arbitraria imposizione heideggeriana di strutture metafisiche, seguendo una sorta di sillogismo in base al quale, essendo il pensiero di Nietzsche metafisico, esso non può eludere la questione del fondamento come verità dell'essere. M. Heidegger, Nietzsche, op. cit., p. 35. Poco più oltre, Heidegger puntualizza che l'opera di Nietzsche non va "messa in relazione con un libro intitolato Essere e tempo". Il più significativo tentativo di conciliare le posizioni divergenti di Nietzsche e

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altro che la sintesi epigonale (e inavvertita) delle determinazioni aristoteliche dell'essere: dynamis, enérgheia ed enteléchia. In realtà, Nietzsche dissolve proprio la nozione di ente insieme a quella, metafisicamente correlata, di soggetto, destruttura sistematicamente la presenza di ciò che è, nega l'esistenza di illusorie cose in sé, trasfigurate e ricomprese nel divenire di un mondo che incorpora energie pulsionali, importi d'affetto, transitorie interpretazioni e revocabili attribuzioni di senso. Animato prioritariamente dall'intenzione di presentare ex negativo l'identità della propria filosofia successiva alla Kehre degli anni trenta, muovendo dal presupposto che la volontà di potenza "indica che cosa nell'ente costituisce ciò che propriamente è", Heidegger può finalmente enunciare la propria tesi interpretativa: poiché "la volontà non è altro che volontà di potenza, e la potenza non è altro che l'essenza della volontà, la volontà di potenza è allora volontà di volontà"6• Una tautologia dunque, nella quale rimarrebbe irretito il filosofo della trasvalutazione dei valori, la cui volontà di potenza, avendo sempre di mira non le singole realtà ma la totalità dell'ente, è "sempre volontà di essenza", non discostandosi pertanto dalle posizioni dell'idealismo tedesco secondo le quali la volontà è coestensiva al pensare, al sapere e al rappresentare. _ . " Tuttavia, Nietzsche sosteneva nsolutamente che la volontà non esiste" che si tratta di un'ipotesi che non spiega nulla, un 'ipostatizza~ione del divenire, che risponde ali' esigenza di

Heidegger è stato compiuto, in numerosi contributi, da Vattimo, il qu8!e. -dopo av~r • h l'odierna interpretazione è "tutta orientata da una dec1S1va prescr,sottolineaL-o c e ed' · tr l'' aaine diltheyana zione di Martin Heidegger"- suggerisce una m tazto?e a unm ~- .' . di Nietzsche come filosofo della vita e quella he;deg~:n:~ ~:~~o;~::~~'~p%~~ filosofo metafi_sico: Nietzsche sarebb~ un pens:?: 'fll~sofia della vita', e ciò in un nel suo esercitare la filosofia com~ lettera:~. voluto esplicitamente ammettere". senso più essenziale di quanto Heidegger ~ ta tra ensare e poetare, che lo stesso Nietzsche cioè intraprende da un lato quel ~alogo ensiero maturo e dall'altro istituiHeidegger riprende ~onend~lod~l cetrntr~ e ontologia e~eneutica. Cfr: G. sce un legarne peculiare e me ito a u 3 Vattimo, Nietzsche, Bari, Lare~a 1985, PP· -s. M. Heidegger, Nietzsche, op. ctt., P· 49·

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postulare un 'unità apparente dietro alla molteplicità delle determinazioni. Non esiste un soggetto che agisce secondo volontà, esistono soltanto affetti che interpretano, una pluralità di sentimenti, un plesso di sensazioni che incessantemente ci spinge oltre ogni configurazione data7 : nel concetto di volontà di potenza -sono i molteplici gradi di potenza che negano il substrato unitario della volontà; il potenziamento vitale trascende ogni volere precostituito, riconoscibile e ascrivibile ad un soggetto. Intendendo l'interpretare come operazione eminentemente controfattuale e divinatoria, Heidegger elude il problema dell'incongruenza con la propria esegesi, sostenendo che Nietzsche si limita a rifiutare la nozione tradizionale di volontà come facoltà psichica, intendendo invece valorizzarla come facoltà metafisica di determinazione ontologica. La volontà di potenza è invece una tensione metamorfica, una dinamica differenziale alimentata da affetti e passioni. Nel dominio dell'affettività non vi è nulla che venga "afferrato saldamente" -come pretende Heidegger che pensa alla volontà di potenza come risolutezza del comandare, come potere di esecuzione; in tale ingovernabile ambito, tutto oscilla, cambia aspetto e muta significato, ciò che si crede acquisito si rivela subito transitorio, ciò che appare saldo diventa vulnerabile, mentre attivo e passivo, quasi inavvertitamente, invertono i ruoli e si scambiano di posizione. Tra gli affetti non vige mai indisturbata una logica dell'appropriazione, se non come effimera e prevaricante proiezione del desiderio. Mediante il concetto di volontà di potenza, Nietzsche cerca di attribuire un senso a questo eterno gioco del divenire, che è al contempo metamorfosi tragica e ludica, esemplificato dal fanciullo eracliteo che sposta incessantemente le figure sulla scacchiera. Heidegger non trascura di esaminare l'identificazione 7

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"Il volere mi sembra soprattutto qualcosa di complicato, qualcosa che soltanto come parola rappresenta un'unità... in ogni volere c'è in primo luogo una molteplicità di sensazioni, vale a dire la sensazione dello stato da cui ci si vorrebbe allontanare, la sensazione dello stato a cui ci si vorrebbe avvicinare, la sensazione di questo stesso 'allontanarsi' e 'tendere', quindi anche una concomitante sensazione muscolare". F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 22.

della volontà di potenza ~on l'affetto, sembra accorgersi che· essa contrasta con una accezione della volontà di potenza "che si dà il potere, che comanda ed esegue", ma·poi neutralizza l'incompatibilità pensando all'affetto sul modello dell'ira, "attacco che acceca", mentre l'odio sarebbe una passione lucida e persistente. A questa concezione irrazionalista che confonde affetti, passioni e sentimenti ("tre nomi scambiabili a piacimento"), ancora troppo debitrice ad una psicologia che lascia insolute le questioni filosofiche, Heidegger giustappone la propria accezione filosofica dei sentimenti come "modi fondamentali su cui poggia l'esserci umano", determinazioni affettive nell'apertura e nella velatezza dell'ente, dimensione originaria dell'essere nel mondo, a cui appartengono anche, in subordine, pensare e volere: "l'apertura non è un osservare, bensì sentimento"8• Nietzsche avrebbe potuto sottoscrivere tale enunciato, formulato ancora nell'ottica dell'analitica esistenziale poi dismessa da Heidegger, il quale -per marcare la differenza da chi lo precedeancora una volta distingue tra una considerazione ontica (quella altrui) e una ontologica (la propria), non mancando di rilevare -a proposito del retaggio psicologico di Nietzsche- che "non c'è risultato scientifico, qualunque esso sia, che possa trovare mai direttamente applicazione in filosofia" 9• In queste valutazioni agisce (ben oltre Essere e tempo) la subordinazione tra il piano ontico e quello ontologico e soprattutto la mancata distinzione tra ontico ed esistentivo, i quali ambiti andrebbero dissociati perché marcatamente eterogenei: ormai dedito a rimarcare esclusivamente il senso della differenza ontologica tra l'essere e l'ente, Heidegger sembra dimenticare (non solo a proposito di Nietzsche) che l'esistenza è costante trascendenza dell'ente, negazione della realtà a favore della possibilità, affettività orientata al. poter-essere, rim_o: zione utile a riannettere ogni elemento scatunto clalla sua anabs1 del corpus nietzscheano alla Vorhandenheit, all'ontologia della presenza, con il relativo regresso dalla filosofia all'antropologia. 8 9

M: Heidegger, Nietzsche, op. cit., p. 63. Ivi, p. 56.

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Se la volontà· di potenza non è altr~ -come si è ~à c!!iarito-,eh: l'esercizio dell'interpretazione affettiva, e non sterile volonta di volontà", non sarà più possibile circoscriverne la portata ,all~ sfera ontica, quella che subisce le determinazioni della volont~, dimenticando la Seinsfrage come apertura velata. ~' affetto ~ s~m~re relazione ad altri, rapporto all'essere come onzzonte di s1gmficatività che prende forma in· urt mondo dei significati, il quale si configura come correlativo oggettivo della nostra affettività: dunque, trascendenza, sistematica sottrazione alla modalità entificante della presenza, affettività che orienta in direzione del poter-essere. L'abbandono dell'essere -di cui parla Heidegger a conclusione di queste lezioni- non comporta soltanto il dominio degli enti ma anche l'autonomia dell'esistenza, non più giustificata da un essenza: si dischiude la contrada più fertile per il pensiero ed è proprio Nietzsche, lasciando cadere la distinzione tra essentia ed existentia (così come quella correlata di mondo vero e realtà apparente), a . decretare, senza nostalgie metafisiche, che "l'uomo è colui che propriamente esiste", colui che esiste e interpreta affettivamente. Tra le molte accezioni presenti nel testo nietzscheano, andrebbe valorizzata quella che concepisce la volontà di potenza come af fetto, nel senso specifico di un gioco molteplice dell'affettività che interpreta: analizzando riduttivamente (come un accesso di collera) questa peculiare identità del concetto di volontà di potenza (che accorpa anche quello di interpretazione, poiché la volontà di potenza sviluppa o elabora interpretazioni affettive), Heidegger ha buon gioco nel ricondurre Nietzsche nell'alveo del pensiero metafisico, che si compie nell'identità tautologica di una volontà di volontà; così facendo, egli trascura però deliberatamente il tratto più esplicitamente oltremetafisico di Nietzsche, quello che decostruisce la metafisica della soggettività trascendentale (coscienza rappresentativa o autocoscienza razionale) in nome di un'affettività onnipervasiva, inel_udibile anche quando il pensiero genera astrazioni, preconizzando m tal modo quell'indice di costitutiva passività, di finitezza e di esposizione al mondo, che caratterizzerà poi l'esistenziale della ton~lit~ ~etti~a, la Befindlichkeit che lo stesso Heidegger introduce nell edificm dt Essere e tempo come il suo tratto più risolutamen130

te anti-!1-"ascendentale. Q~esto è uno dei più vistosi prestiti teorici c,he He1~egger ~eve a Nietzsche, mai riconosciuti per effetto delI angoscia dell l7!ftuenz°:. c~e attanagliava il fautore del pensiero rammemorante: m realta il concetto di interpretazione affettiva ~trodott~ da ~i~tzsc~e si ~?nfi~a co~e la saldatura preventiva ~ d~e es1s_tenz1_ali dell an~tica he1deggenana, la tonalità emotiva e 1 ~col~10ne mt:rpretativa~ come i due poli -~temativamente uno passivo, 1 altro attivo- del nostro essere al mondo in una situazione caratterizzata da molteplici prospettive interpretative.

LouSalomé

Lou Salomé irruppe nella vita di Nietzsche come una fatalità, un fecondo dono del destino, propiziato dalla comune amica Malvida von Maysenburg, un'idealista la cui vocazione più o meno segreta pare fosse quella di trovar moglie al filosofo, il quale notoriamente dichiarava di amare le brevi abitudini e di essere disposto a prendere in considerazione soltanto un matrimonio della durata massima di due anni. In occasione del loro primo incontro, svoltosi a Roma nella primavera del 1882, Nietzsche non sa rinunciare ad un certo tono retorico che all'interlocutrice dovette apparire troppo solenne: "Da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui?" e nelle lettere non nasconde il proprio entusiasmo per una adamantina percezione di affinità spirituale, avvertita mentre si accinge a concludere la Gaia scienza: "ma la cosa più utile di quest'estate sono state le mie conversazioni con Lou. Le nostre intelligenze e i nostri gusti so~o p~o~ondam,ente affin~ -e d' ~~~ parte vi sono tanti contrasti che n01 siamo, 1 uno per I altro 1 pm istruttivi oggetti e soggetti di osservazione. Finora ~on ho conosciuto nessun altro che sapesse trarre da~le sue espen~~ze u~a tal s1 e mm data quantità di cognizioni oggettive... Vorrei •sapere se .,,IO un'apertura filoso.fica come quella che esiste tra n01 • 10 Triangolo di lettere. Carteggio di Friedrich Nietr.sche, Lou von Salomé e Paul Rée, Milano, Adelphi 1999, p. 201.

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Il sodalizio ·è allargato a Paul Rée, bizzarra figura di intellettuale con velleità filosofiche: si forma la cosiddetta trinità fonte inevitabile di ambiguità e contrasti perché pone la donna nell'invidiabile posizione di esclusivo oggetto del desiderio mentre i due uomini sono soggetti ad un regime concorrenziale di desiderio mimetico. Nietzsche cerca allora di indottrinarla, di convertirla al proprio credo filosofico, e Lou rivéndica la propria autonomia intellettuale; poi manifesta il desiderio di sposarla ma lei rifiuta ·ogni legame: la relazione che si annunciava così promettente va presto in frantumi e non sembra lasciare particolari segni di sofferenza nella ·nobildonna russa ("Siamo veramente vicini? No, nonostante tutto ... Nell'arcana profondità del nostro essere mondi interi ci dividono"), mentre apre una ferita di problematica suturazione nel filosofo che sta completando Così parlò Zarathustra. In questa protratta elaborazione del lutto per la perdita della donna amata, nel prender congedo da essa, Nietzsche non riesce a sottrarsi alla duplice tentazione del risentimento e dell'idealizzazione: "Individui come Lei non possono riuscire sopportabili se non in virtù di un'altissima meta... E invece come si rivela povera la sua umanità: povera di ammirazione, di gratitudine, di pietà, di cortesia, di pudore... per non dir cose più alte (... ) Ebbene, sappia che quell'egoismo felino, che non sa amare, quell'istinto vitale in bianco che Lei confessa... sono quanto più mi ripugna nella creatura umana, peggiori di qualunque male ... Lei ha recato danno e fatto soffrire... Addio, cara Lou, io non La rivedrò più". Poi a Franz ·Overbeck cerca di chiarire il senso della sua delusione per un rapporto che va dolorosamente agonizzando: "Fu un dissidio tra affetti contrastanti superiore alle mie forze... Se non scoprirò l'arte alchimistica di trasformare in oro tutto questo fango, sono perduto". E alla stessa Malwida confida di soffrire spaventosamente a causa dei ricordi che assediano la mente di un solitario, di aver perduto la confidente del segreto scopo cui tende la sua vita e sottolinea quanto sia immedicabile la ferita procurata dalla perdita del nostro ideale, al modo di un'offesa imperdonabile. I

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Quando Nietzsche è in· grado di affermare di aver definitivamente cancellato l'ombra della Salomé dalla propria vita, meglio sarebbe dire di averla ricompresa nella sua opera filosofica, allora può tornare a riconoscere -scrivendo a Ida Overbeck- le autentiche affinità elettive, quelle che non vengono incrinate da disaccordi transitori: "E ora ancora una parola sulla signorina Salomé ... essa è e rimane per me un essere di prim'ordine, la cui rovina grida ·vendetta per l'umanità... non ho mai trovato una sola persona che fosse così libera da pregiudizi, così intelligente e così preparata al mio tipo di problemi come lei. Da quell'epoca per me è come se fossi condannato al silenzio o a una specie di umana ipocrisia nei miei rapporti con tutte le persone". Da alcune affermazioni contenute nell'epistolario, si può evincere (con le dovute cautele) che Lou Salomé abbia rappresentato agli occhi di Nietzsche -al di là di tutta la misoginia che si è riversata su di lei- un modello al femminile dell'oltreuomo, il profilo di un essere di prim'ordine, un'interlocutrice autentica perché priva di pudore e dunque incapace di menzogna. Poiché l'odio, il risentimento, lo spirito di vendetta, sono contrari alla sua filosofia, poiché un patrimonio di affinità e confidenza non può essere disperso così impunemente, quando l'esperienza d'amore si rende inesigibile a causa dell'abituale mancanza di reciprocità, Nietzsche concepisce la possibilità di una amicizia stellare che nessun banale fraintendimento potrà mai insidiare o scalfire: "Eravamo amici e siamo diventati estranei... Che dovessimo diventare estranei è la legge incombente su noi: ma appunto per questo ·dobbiamo diventare più degni di noi! Appunto per questo il pensiero della nostra trascorsa amicizia deve diventare più sacro! Esiste verosimilmente un'immensa invisibile curva e orbita siderale, in cui potrebbero essere ricomprese, quasi esigui tratti di strada, le nostre diverse vie e mete, -innalziamoci a questo pensiero! Ma la nostra vita è troppo breve, troppo scarsa la nostra facoltà vissiva per poter essere più che degli amici nel senso di questa nobile possibilità. E cosl vogliamo credere alla nostra 133

amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri nemici l'un l 'altro" 11 • · • Nel l 894, ormai distante aff~tti~amente da qu~lla tormentata relazione che l'aveva coinvolta ms1e~e a_ Paul _Ree, Lo~ Salomé scrive una monografia dal titolo: Friedrzch Nietzs~he m seinen Werken che può essere letta anche come esemp10 eccelso di amicizi~ stellare: essa costituisce la prima ~ande analisi critica dedicata al filosofo tedesco, ormai intellettualmente inattivo, redatta a ridosso della pubblicazione delle sue principali opere 12• Nel prologo al libro, Lou trascrive una lettera di Nietzsche in cui viene legittimata l'idea di una riduzione dei sistemi filosofici ai documenti biografici dell'autore, l'immagine cioè della filosofi.a come autoconfessione, una silloge di "inavvertite mémoires", un autoritratto continuamente variato, un'esperienza interiore scandita dall'alternanza di salute e di malattia, paragonabile ad una grande autobiografia del dolore che pone il discrimine tra una fase speculativa e la s~ccessiva, fra uno stile aforistico e una volontà sistematica. Ciò che la Salomé intuisce, anche se non riesce a teorizzare compiutamente, è il fatto che non siamo più di fronte ad un io strutturato quanto problematico, come nel caso di Montaigne o Rousseau, ma al cospetto di un soggetto diviso, destrutturato nelle innumerevoli tonalità emotive che lo pervadono, nelle intensità pulsionali che agiscono dietro le quinte della coscienza, nel divid~o di uno ~pazio frammentato d'esperienza in cui ogni centro viene polvenzzato per effetto di istanze incoercibili. Del resto, in una lettera indirizzata proprio alla Salomé Nietzsche scrive che .' mtendere . ' non s1. puo' pm la conoscenza come attività spirituale autonoma e che la si deve ricondurre ad una elaborazione secon11 F. Nietzsc.he, Ùl gai? scienza, op. cit., pp. 161 _162 12 Ed è perciò -~ome nlevò già Lowith nel 1956- "tanto più sorprendente la pruden· za e 1~ matuntà de~la caratterizzazione. Nei cinquant'anni che seguirono non fu P?hbbca!a ne~suna mterpretazione più centrata di questa, ma anche nessuna .che ~ ~1~~d. oggi v~~ga tenuta in minor conto". E ancora nel 1974, uno dei curatofl d:lla ~nbcda. de!le. o~e~e ~i Nietzsche, Mazzino Montinari, definì quello no ei ffilglion hbn mai scritti sul filosofo tedesco.

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darla degli impulsi, attività che nella Gaia .scienza -come si è visto- viene attribuita ad un intelletto interpretante che conferisce significato alle sensazioni primarie. L'intera produzione nietzscheana viene suddivisa dalla Salomé in tre fasi (e questo schema si manterrà permanente negli studi nove~ente~chi): la prima coincide con l'attività di filologo, la figura d1 studioso del mondo classico, e attesta l'influenza di Schopenhauer e l'infatuazione per Wagner; la seconda, definita positivistica, registra l'attenzione verso le scienze naturali e l' abbandono della metafisica d'artista; la terza vede il ritorno dei temi dionisiaci della prima fase potenziati e trasfigurati in chiave mistico-religiosa con ambizioni sistematiche volte all'unificazione concettuale attraverso le nozioni di superuomo, volontà di potenza ed eterno ritorno. Questre tre cesure epistemologiche e stilistiche, che siglano l'evoluzione intellettuale di Nietzsche, sono maschere teoretiche, costrutti superficiali che nascondono una profondità di sofferenze fisiche e psichiche che inducono il filosofo ad una solitudine in parte avvertita come crudele fatalità, in parte come necessità intimamente desiderata. Quella di Nietzsche è una doppia vita (per dirla con Gottfried Benn), una vissuta e patita nella profondità della malattia, l' altr~ elaborata concettualmente nel temporaneo ritorno alla salute: il suo è "un ammalarsi e un guarire del pensiero", una palingenesi incessante ma non intenzionale, una condizione mentale costantemente perturbata che svela la duplice natura delle cose (prefigurata dalla complementarietà antinomica di apollineo e dionisiaco), la necessità di un'ottica binoculare per comprendere la complessità del reale, il carattere tragico di una verità che sopporta la contraddizione senza negarla in un'unità ideale quanto irreperibile. . . In una lettera di cordoglio dell'agosto 1881, N1etzsch~ scnve in modo assai significativo: "Mi affligge saper~ che ~e1 soffre, che Le manca qualcosa, che ha perso qualcuno: m me, mvece, la sofferenza e la privazione fanno parte ~ella s?stanza e_ non, comt: nel caso Suo, quel che di non necessario e d1 ~on r?g10nevole ~1 è nella vita". La sostanza delle cose, necessana e mcontroverti135

bile, è sempre lacerata,· attraversata dal dolore: essa è cli genere privativo ma non in modo accidentale, fondata su una mancanza costitutiva; quest'essenza tragica impone lo stretto legame tra pensiero e sofferenza, uniti in un plesso di cognizione del dolore che. Nietzsche colloca all'origine della conoscenza, come sua profonda motivazione genetica e condizione necessaria per attestarne il valore. . Se la sofferenza è la sostanza della vita, la storia dell'individuo è la storia del suo dolore, la filosofia un' autoritratto dolente, un canto dei sepolcri. Il soggetto biopatico che non crede più alla chimera dell'autosufficienza mira piuttosto all' autosopportazione, alla possibilità cli ritrovare se stessi attraverso la sofferenza delle singole parti, di affermare la propria personalità anche dopo il tramonto del soggetto, dell'individuo umanisticamente inteso: "la personalità stessa -scrive la Salomé- si dissolve in un aggregato cli personalità istintuali dispotiche, in una molteplicità di soggetti,,13. La ricchezza di tale polifonìa esistenziale e gnoseologica è tollerabile soltanto se si impone una volontà superiore in grado di dominarla e di renderla feconda attraverso la subordinazione gerarchica· degli istinti: quando non si riesce a trasformare il labirinto dell'anima in una "struttura sociale degli istinti e degli affetti'', l'anarchia genera l'abisso del delirio e confina il soggetto nelle terre .desolate della follia. Il "problema Nietzsche" si risolve agli occhi di Lou nella peculiare scissione determinata dall'alternanza di salute e malattia ali' interno della biografia spirituale del filosofo, dal loro reciproco condizionamento che è un gioco di sguardi incrociato (quello che noi definiamo ottica binoculare), in cui l'elemento sano giudica quello patologico e viceversa, generando certamente autoinganno ma moltiplicando al contempo le prospettive di ogni interpretazi?ne · e -incr~mentando il contenuto complessivo di quella che Nietzsche chiama ancora oggettività. Come l'istinto egemonico stenta a subordinare la poliedricità della vita affettiva, così la salute riesce solo in parte a "contenere, soverchiandolo, l'elemento 13 L. Salotné, Vita di Nietz.sche, Roma, Ed. Riuniti 1998, p. 64.

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malato" e l'incapacità di controllare la riottosa molteplicità della sfera interiore ponendola al servizio della conoscenza emerge in modo conclamato -secondo l'autrice- nell'ultima fase caratterizzata dall'autoesaltazione religiosa, nell'apoteosi delirante del superuomo. L'esigenza del dolore è dunque la chiave di lettura per intendere le trasformazioni del pensiero nietzscheano, che la Salomé ricostruisce sottolineando lo smisurato additivo empatico che accompagna ogni affermazione teorica, sempre originata dall' estenuazione nei confronti di quanto già acquisito e dal desiderio di transitare verso nuove emozioni: di qui "la raffinatezza della sua scepsi" che lo induce ad individuare "la filigrana delle cose" nel loro aspetto recondito e insondabile, nel loro tratto segreto e inconscio. Con il costante richiamo al ruolo della vita affettiva, operando costantemente quella che l'autrice chiama "dislocazione del fondamento della verità nel mondo degli impulsi", . affrancatosi ormai dall'influenza positivistica di Rée, Nietzsche individuerebbe la propria meta e allora "quel che era pensiero e pallida teoria acquista sonorità e sguardo, forma e vita". Qui la Salomé coglie appieno la novità della scrittura filosofica nietzscheana, la rivoluzione epocale che consiste nella creazione di "uno stile del caratteristico, che esprime il pensiero non soltanto in quanto tale, ma con tutta la ricchezza di tonalità emotive risonanti dalla sua anima, con tutti i nessi del sentimento, sottili e segreti, che una parola o un pensiero possono risvegliare" 14• Così il filosofo affina la sua percezione di cose inaudite, descrive "l'orbita solare dell'idea", riscattando l'emozione dal silenzio del sapere, dall' afasìa della travatura concettuale. Ma, nel perseguimento di un intento così ambizioso, Nietzsche perderebbe la sobrietà intellettuale del periodo intermedio, regredirebbe all'originaria utopia estetica e sconfinerebbe nella mistica che ottenebra le ultime opere, in cui le dottrine diventano mero simbolo di un'esperienza interiore, espressione del dolore che Nietzsche prova per se stesso, forma estrema di raccoglimento di un'anima 14 Ivi, p. 136.

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turbata, via crucis cli uno spirito inquieto che ha smarrito definitivamente la propria ragion d'essere. · La Salomé sostiene che, in quest'ultima fase della _sua par~b?la intellettuale Nietzsche avrebbe rinunciato al suo stile afonstico e frammenbuio per sviluppare un proprio sistema ~ pens~ero: è uno stato d'animo sempre più turbato dalla malattia ~?e mduc~ il filosofo ad abbandonare quel "moder!1to sape~e dell mt~~e~? fondato sulla "rigorosa autodelimitazione della scienza empmca e a teorizzare "la riduzione cli ogni conoscenza intellettuale alla base assolutamente pratica della vita istintuale", riproponendo l'originario modello estetico che alimenta il culto dionisiaco della personalità geniale sovrabbondante di vita. Vinterpretazione di Nietzsche si configura allora, sempre più necessariamente, come patogenesi del pensiero: "i dolorosi andamenti della psiche, che finora erano stati cause e fenomeni concomitanti dei vari processi gnoseologici, ne divengono ormai il contenuto conoscitivo vero e proprio" 15 • Ma questo, a nostro avviso, non è la causa di una sistematica alterazione dell'attività teoretica, bensì l'esito coerente, per quanto estremo e disperato, di quella valorizzazione degli affetti che costituisce il tema conduttore dell'intera filosofia nietzscheana. Uno stato di perdurante e incontenibile ebbrezza trascina il filosofo-creatore in "una vertigine mistica", in cui ogni contenuto di verità viene considerato illusorio e subordinato al suo contenuto di volontà, al suo quantum di potenza, all'incremento di energia, all'accrescimento incondizionato di forza, tutte espressioni di u? f?n?ame°:tale i~tin!o _di a~ermazione. Entro questa cornice v1tahst1ca dai cospicm nsvolti antropologici, il superuomo assume le vesti di un nuovo legislatore che tutto modella e ricrea S?VVerte~~o i dati n~turali, un dissipatore di energia vitale che annega 1 1~eale ascetico abb_an~onando ogni salvaguardia razionale e ogm cautela morale, md1cando all'umanità intera con la prop~a duplice e~emplarità di impostore e di spirito sig;orile, il supenore scopo di una trasvalutazione di tutti i valori che richiede innanzitutto l' autotrascendimento del soggetto: questa hybri~ 15 Ivi, p. 176.

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esige ·il tram??to d~ll 'uomo metafisicamente inteso e, per tale comunanza di mtent1, caratterizza sia il superuomo che il filosofo dell'avvenire, entrambi dediti a quello "sconfinato struggimento per il bello" che giustifica ancora una volta l'esistenza soltanto come fenomeno estetico. Il sentimento tragico che pervade la tarda filosofia nietzscheana santifica il dolore trasfigurandolo ed elevandolo alla beatitudine della pienezza vitale, in cui si afferma il tratto dionisiaco dell'inesauribile esuberanza mistica, nel movimento pendolare tra disprezzo ed esaltazione della vita, nell'alternanza febbrile di una sistole dolorosa e di una diastole salvifica che si appaga nell'eterno piacere del divenire, come un fanciullo che gioca all'eterno ritorno del medesimo istante. Ma -ribatte ancora la Salomé- nella dottrina dell'eterno ritorno prevale la rivelazione mistica sul profilo teoretico, 1' afflato religioso sulla dimostrazione sçientifica: quella di Nietzsche è una Erlosungsphilosophie di tonalità tragica che assegna uno scopo alla contingenza insensata del divenire cosmico.

Karl Jaspers Nella sua monografia del 1936, Jaspers si pone l'obiettivo di comprendere la filosofia sperimentale di Nietzsche a partire dal nesso inestricabile di vita e pensiero che viene riproposto dal punto di vista dell'interprete, invitato ad un'autentica assimilazione 0 appropriazione del pensiero nietzscheano in termini di rielaborazione del proprio vissuto, in un processo di comunicazione discorde che contempla un'istanza di autoeducazione, così come lo stesso Jaspers lettore modello interpreta Nietzsche sulla base dei propri presupposti teorici (essenzialmente i concetti di_ trascendenza e di situazione-limite). Questo modello ermeneutico a tre livelli (autocomprensione retrospettiva del filosofo; interpretazione eminente e rielaborazione personale del lettore mediata dal lavoro dell'interprete) si fonda sull'idea che la filosofia si nutra di Denkerfahrungen, di esperienze di pensiero che hanno un valore di testimonianza della passione conoscitiva del filosofo.

Jaspers accentua la· connotazione esistenziale d~l filosofare nietzscheano, seguendone lo sviluppo temporale, attingendo alle sottostanti vicende biografiche, considerandolo sempre come un edificio in corso di costruzione, un pensiero costantemente in fieri, spesso colto in patenti contraddizioni, osc~lante n:a la dispersione aforistica e l'anelito alla forma sistematica e unificante. "Contraddirsi è il tratto fondamentale del pensiero nietzschiano" scrive J aspers, precisando come tale contradditorietà preservi "la tensione delle possibilità" e comporti un "ampliamento dello spazio di esistenza possibile" 16• Applicando la logica del contradditore, Nietzsche utilizza le possibilità di un movimento del pensiero negativo per cogliere l'ambivalenza (a volte l'equivocità) costitutiva della verità, il suo carattere di "maschera", la dimensione del possibile, la magia dell'estremo, la seduzione e la fecondità cioè della deflagrazione dei contrasti che esprimono la ricchezza delle determinazioni. Un' esempio di questa magia dell'estremo, di questo passaggio repentino (non dialettico) dalla negazione ali' affermazione dionisiaca della vita è il rapporto che Nietzsche istituisce tra malattia e salute, la necessità della ferita per accedere al dominio della grande salute: J aspers ricorda che Nietzsche fu afflitto da disturbi di diversa natura, i quali culminarono in una malattia mentale che si manifestò come paralisi progressiva cerebrale, forse originata da una psiconevrosi susseguente alla rottura dell'amicizia con Wagner. Ciò che più importa è l'atteggiamento di Nietzsche nei confronti della malattia, l'alternanza ciclotimica di stati euforico-maniacali correlati all'esperienza creativa e di derive malinconiche che sfociano in sfibranti stati depressivi, quasi una immagine psicofisiologica dell'opposizione tra vita ascendente e vita declinante, tra volontà di potenza affermativa e décadence nichilistica. Jaspers si domanda se le alterazioni psicofisiche siano correlate all'evoluzione del pensiero di Nietzsche. La risposta non può essere del tutto affermativa nel senso di una relazione determi16 K. Jaspers, Nietzsche, Milano, Mursia 1996, pp. 29-30.

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nistica: sarebbe più opportuno ricorrere al concetto, di matrice psicanalitica, di elaborazione, cioè al lavoro compiuto dall' apparato psichico per integrare le pulsioni, altrimenti distruttive, nella vita cosciente del soggetto. Si tratta di una trasfigurazione dell'energia pulsionale nel senso di una razionalizzazione per rendere coerenti, comprensibili e comunicabili le nostre istanze più incoercibili, come avviene nell'elaborazione secondaria del sogno o del lutto. Jaspers rileva che i fattori patologici non vanno valutati alla stregua di una spiacevole interferenza, un effetto di disturbo sul corso razionale di una riflessione filosofica e sottolinea che -in Nietzsche come in Holderlin e Van Gogh- "la malattia sembra diventare un momento di senso positivo, dell'espressione creativa dell'essere, della rivelazione immediata di qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto inaccessibile" 17• La malattia dunque, non si configura tanto come determinazione in ultima istanza, vettore di creatività, ma come cifra stilistica, peculiare idioletto del filosofo che elabora la sua condizione biopatica, fine a smarrirne il senso compiuto nell'esperienza della follia, che rivela un'ingovernabile eccedenza del senso. Anche Jaspers -come la Salomé ed altri futuri interpreti- cerca di intendere il senso esistenziale della malattia, la strategia che è alla base del continuo ribaltamento di ruoli tra salute e malattia, quell'apparente contradditorietà che permette a Nietzsche di porre la malattia al servizio della creatività. Jaspers giustamente insiste sul fatto che l'intera filosofia di Nieztsche è pensata contro la malattia, a favore delle istanze di una salute capace di combattere e superare tutto ciò che si presenta come morboso_ Una ferrea volontà di salute caratterizza la vita e l'opera del filosofo, la stessa malattia è sempre considerata "un energico stimulans alla vita", il sintomo di una salute superiore che -avendo incorporato la ricchezza pulsionale della malattiafavorisce una cospicua estensione degli orizzonti esistenziali e speculativi- Ai nostri occhi, Jaspers risulta meno convincente 17 lvi. p, 111.

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quando considera la malattia un viatico per l'interiorità, un potenziamento dello sguardo ~i~iegat~ al! 'interno della sogget.. tività, quando invece, _ne_lla v1s10~e ~1 ~1e!zsche, _I~ malattia è un'esperienza del fuon d1 sé, dell rrri~uc1b~le ~lt~nt~ del corpo, configurando così un accesso per certi versi pnvlleg1ato al pen.. siero plurale dell'esteriorità.

Gottfried Benn Un'altra interpretazione di Nietzsche che vogliamo qui richiamare in chiave implicitamente antiheideggeriana è quella proposta dal poeta e medico Gottfried Benn in alcuni saggi redatti tra il 1930 e il 1950. L'impostazione teorica complessiva di Benn sembra accordarsi alla tesi secondo cui, nell'epoca moderna, l'arte assolve ad un compito di compensazione rispetto al disincanto prodotto dalla modernizzazione scientifico-tecnologica, dalla perdita di un centro che ordini gerarchicamente la realtà e ne prefiguri un'evoluzione orientata alla realizzazione di finalità e valori: esprimendo il nulla dell'esistenza, la sua mancanza di senso e di scopo, .l'arte risponderebbe ad un'istanza metafisica di risarcimento, fomenQo all'uomo un cospicuo indennizzo in termini di sensibilità e bellezza; nella storia di tale utopia estetica che pervade tutto il ventesimo secolo, questa intransigente autonomia della sfera espressiva ha spesso comportato un esonero dalle responsabilità storico-politiche. La preziosa intuizione di Benn risiede nell'aver istituito una relazio~e significativa fra la dimensione patico-emotiva di Nietzsche e Il suo sapere della superficie, quello che crea le premesse pe! l'affermazione di un mondo dell'espressione, anche se del!a pmna non te!llatizz_a adeguatamente l'esperienza della malat~a COI~e espress10n~ di valori bionegativi e del secondo non coghe appieno la mutaz10ne antropologica insita nell'adesione al mond? delle cose prossime. Riconsiderando l'opera di Nietzsche a cmqu~t.' anni dalla morte, Benn mette subito in luce che si ~att! della gigantesca figura dominante dell'epoca post-goetbiana 142

(d~n9ue fau~ore d~l mondo dell'espressione e della metamotfosi) e ms1eme dt colui che ha concepito la "conoscenza come fatto emozionale" 18• Be~n eredita da ~ietzsche l'analisi del nichilismo come patog~ne.s1 ~ella modern1!à e la rielabora depurandola da ogni residuo v1tabst1co: n~ ac~oghe la diagnosi, ne condivide in parte la terapia e tende a sc10gherne la prognosi riservata. La svalutazione dei valori supremi e la conseguente consapevolezza della mancanza di senso di ogni accadere evoca il nichilismo come il "più sinistro di tutti gli ospiti", quale viene annunciato dal tramonto dell 'interpretazione cristiano-morale del mondo e dall'affermazione delle scienze naturali: poiché quella morale era l'unica interpretazione vigente, nel mondo secolarizzato si perde fiducia nella capacità di rigenerazione ermeneutica, sembra che l'esistenza non abbia più alcun senso, che tutto venga percepito come un invano universale. L'incredulità, l'insicurezza e la desolazione sono le cifre del nichilismo europeo, almeno nella sua forma passiva, rassegnata, pessimista, compassionevole, espressione di una vita declinante, a cui Nietzsche contrappone una complessa tipologia che comprende il nichilista attivo, che trae dall'esercizio della negazione una accresciuta forza dello spirito, una configurazione di vita ascendente, ma soprattutto contempla una forma di nichilismo che Nietzsche, con qualche sfumatura, definisce compiuto, sistematico, radicale ma anche ironico: in questa posizione l'uomo abbandona senza nostalgie reattive tutte le sue certezze metafisiche, si proibisce di credere _ad un mondo v~r~ o ~ qual~he divinità e pone la propria volontà di potenza al serv1z10 d1 una trasvalutazione di tutti i valori", di un'affermazione dionisiaca del divenire che si esprime nell'eterno ritorno e nell'amor fati. Nietzsche parla anche di nichi~ismo estetico e di artista ~ichi: lista figura nella quale si dovrà riconoscere lo stesso Benn, d cui cont~ibuto all'indagine della "logica della decadenza" è tutt'altro che trascurabile, come vorrebbero invece gli interpreti accademi18 O. Benn, Saggi, Milano, Garzanti 1963, p. 201.

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ci che detestano ogni commistione tra filos~fia e poesia. Contrariamente a Nietzsche, Benn non ama né la vita, né la natura, né il divenire, ma concorda sul presupposto f~ndamentale che soltanto come fenomeni estetici il m~nd~ e l' es1stenz~ s?no eternamente giustificati. Di tutte le accezmm della volonta dt potenza (conoscenza, interpretazione, affetto), ~enn ass1:1111e solo quell~ che la identifica con l'arte: l'interpretazmne estetica che genera il grande stile è la redenzione dal nichilismo. · La benniana "metafisica da artisti" esprime una sorta di imperativo categorico: laddove c'era sostanza, deve diventare espressione, forma, stile, prescrizione affine ali' assioma secondo il quale "lo stile è superiore alla verità, porta in sè la prova dell'esistenza". .Viene così ripresa l'idea novalisiana dell'arte come antropologia progressiva insieme al progetto schilleriano di educazione estetica al fine di costituire una nuova realtà etica governata dal principio della forma e orientata verso un mondo dell'espressione, un rinnovato mondo dorico che comporta un drastico ridimensionamento dell'elemento dionisiaco a favore di "un incantesimo apollineo, di un'ebbrezza raggelata, di una disciplina dell'estasi" 19• Benn opera dunque una trasfigurazione estetica del nichilismo, postulandone "un'utilizzazione e un'integrazione creativa", un potenziamento del principio formale espresso dallo spirito costruttivo e ottenuto per mezzo dei valori bionegativi come la malattia organica e la degenerazione psichica e non attraverso quelle istanze biopositive che Nietzsche ancora darwinianamente attribuiva al superuomo. La trascendenza della forma, la lacerazione della sostanza a favore dell'espressione, la liquidazione della verità e la fondazione dello stile, sono le risorse elettive a cui l'artista può attingere per superare il nichilismo, senza soffermarsi sulla linea (come richiedeva Heidegger) ma collocandosi oltre la linea (come voleva anche Jiinger che annoverava l'arte tra gli antidoti al nichilismo, 19 ~ Capriolo_, L'assoluto artifi_ciale, Milano, Bompiani 1996, p. 53. Si veda_~che ~,.anco~ valida monografia d1 F. Masini: Gottfried Be,m e il mito del nich tltsmo, venez1a, Marsilio I968.

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come un'oasi creativa nel deserto tecnologico). Con -l'esercizio dello stile espressivo, il linguaggio può celebrare se stesso al di là dei propri contenuti, la parola poetica si riappropria della sua sacra auraticità, la stessa vita può essere negata nella sua falsa naturalezza e provocata artificialmente, elaborata dal pensiero e stilizzata dall'arte. Ma dietro questa metafisica della forma che vagheggia la serena contemplazione dell'imperscrutabile, dietro questa ontologia lirica che conferisce ordine e misura all'inquieto magma dell'esistenza, si spalanca un vuoto abissale, un vortice di solitudine e disperazione entro il quale si annida la "tragedia del. l'espressione", la consapevolezza che 1' arte è soltanto uno strato di smalto steso sul nulla, un malinconico sospetto di colpevole infecondità che afferra lo scrittore nelle sere della vita consacrate alla tristezza. Questo esito tragico dell'ultimo Benn ci suggerisce anche di circoscrivere l'attenzione rivolta al regno dell 'Artistik, per volgerla al fondamentale contributo offerto dallo scrittore tedesco per l'edificazione di un sapere della superficie, in cui è possibile riconoscere anche la più feconda eredità nietzscheana al di là della tematica nichilista. La svolta antropologica preconizzata da Benn comporta un rilevante spostamento dall'interno all'esterno, dalla profondità alla superficie, dal concetto all'intuizione, dall'idea all'esperienza. Frantumando i concetti di verità, identità e profondità, Nietzsche avrebbe individuato nel dualismo tra interno ed esterno il tratto schizoide della nostra epoca, dissolto la presunta consistenza interiore del soggetto rivelando la grande ragione del corpo, facendo "scintillare le superfici di frattura" con la luminosità mediterranea della sua gaia scienza, con i suoi rilucenti "concetti liguri". Nel Romanzo del fenotipo, Benn riprende la demistificazione -operata da Nietzsche e perfezionata da Simmel e Hofmannsthal- dei velleitari concetti metafisici incarnati in particolare dai Tedeschi: "la loro seppia, il loro inchiostro, con cui essi ricoprono la manchevolezza dei loro contorni: profondità, lo strato dell'interiorità, la sfera della Necessità ... Presso le Madri, dietro il grembiule!. .. Ma al di sopra del prussiane145

simo e dei suoi profondi punti di sutura si leva u,na ~uperficie europea che risplende lontano. L'altro mondo, 1 Oh_mpo del1'apparenza... emerge, nuda,l'espressione, pov~~: d1 volume, la cui profondità si riduce alla sua stess~ om~:a , • Per Benn, come ·per Nietzsche, non es1~t~ p1_u 1 u~mo ma s?ltanto i suoi sintomi una catena di singolanta pnve d1 ancoraggio, una successione di istanti e un avvicendarsi di istinti, la contiguità orizzontale delle cose prive di un fondamento unificante: "oggi tollerare che le cose si presentino l'una accanto all'altra e dar loro espressione è più conforme al proprio compito e più carico d'essere"21. L'uomo senza contenuto di Benn è il soggetto che ha saputo esonerare la propria mente dai concetti di profondità, interiorità e autenticità ed ora può vivere compiutamente nella dimensione esistentiva della prossimità: che l'uomo sia redento dal profondo (tieferlost), è l'auspicio poeticamente formulato da Benn.

Gilles Deleuze

Il libro di Deleuze, Nietzsche et la philosophie (pubblicato nel 1962)22 è l'opera inaugurale di quella seconda fase delle interpretazioni nietzscheane che va sotto il nome di Nietzsche Renaissance in considerazione del suo sviluppo prevalentemente transalpino che ha coinvolto eminenti filosofi come Derrida, Foucault, Klossowski e Sarah Kofman fino ai più recenti lavori di Franck, Wotling, Kessler e Audi. Da quest'opera ancor oggi imprescindibile, dalle forti ed esplicite am?izioni teoriche, si evince un progetto filosofico più generale che n_nra a promuo~ere un pensiero affermativo della differenza (compmtamente teonzzato dapprima in Differenza e ripeti20 G. B_enn, /~ to~emaico, _Torino, Einaudi 1973, pp. 65-66. A proposito della "trasform~z10~e. d1 N1etz.sche m ~enn", si legga il lucido saggio di s. Giametta, Nietzsche et suoi mterprett, Venezia, Marsilio 1995, pp. 123-133 21 G. Benn, Il tolemaico, op.cit., p. 18. · 22 G. Deleuze, Ni~tu~he_e ~a filosofia, Firenze, Colportage 1978, edizione dalla quale sono tratte le c1taz1001 riportate nel testo In anni più ree f t t .oste altre versioni del libro dagli editori Feltri~elli ed Einaudi. en 1 sono s a e prop

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zione, po~ i? Logica del senso) e a ricollocare Nietzsche all'interno della tradizione e!llpirista ~cchita dall'apporto spinoziano. ~~Ila prospettiva de!euz1ana, il progetto di Nietzsche consiste nell mtrodurre nel pensiero filosofico i concetti di senso e di valore, ott:nendo. così l'autentica realizzazione della critica che non può mm prescmdere dall'elemento valutativo, dalla problematizzazione della ~enesi di ogni valore. In quanto genealogista -afferma Del~uze-, "il filosofo è Esiodo". Indagando i fenomeni come sintomi di un senso che convoglia forze soggiacenti, si scopre che "vi è sempre una pluralità di sensi, una costellazione, un complesso di successioni, ma anche di c~esistenze, che fanno dell 'interpretazione un'arte": è questa la ragion d'essere di un pluralismo empirista che costituisce l'unico esercizio filosofico legittimo perché garante della libertà di pensiero. L'arte più elevata, delicata quanto rigorosa, della filosofia è l'interpretazione per la quale "non c'è un evento, un fenomeno, una parola, un pensiero il cui senso non sia molteplice". Seguendo la lezione nietzscheana che si esprime adeguatamente nell'aforisma, si dovrà concludere pluralisticamente che una cosa ha tanti sensi quante sono le forze capaci di impadronirsene. Fin dalle prime pagine, Deleuze introduce il suo principale obiettivo polemico, quello cioè di sottrarre il pensiero di Nietzsche all'egida della lettura in chiave dialettica; nei suoi testi, il carattere antidialettico sarebbe manifesto e risoluto, tanto da scorgere nell'intera opera un "antihegelismo aggressivo". L'attività di una forza non si avvale del negativo come di un elemento che la riafferma, poiché si pone empiricamente come affermazione pura, priva di mediazione: "all'elemento speculativo della negazione, dell'opposizione o della contraddizione, Nietzsche sostituisce l'elemento pratico della differenza: oggetto d'affermazione e di godimento. In questo senso si può parlare di empirismo nietzscheano". Al lavoro del negativo si contrappone il godimento della differenza, alla ~egazione dialettica l'affermazione gioiosa. Nel "sentimento empirico della differenza" si annida un potenziale emancipativo in chiave ludico.:.estetica, quasi schilleriano, in nome del quale Nietzsche oppone la leggerezza, la danza e la superficie alla pesantezza dialettica. 147

Fin dalla Nascita della tragedia, viene contrappost~ una visione tragica del mondo ad altre due perfett~e~te 1~tegrate, quella dialettica e· quella cristiana. Le cat~gone _diale~t~ch~ del cristianesimo sono: giustificazione, reden~1on~, nconctl~a.z1one: così il dolore e la contraddizione sono risolti e redenti m una sintesi superiore, l'antitesi trasformat~ iD: unit_à, ric?ncilia!a, così come l'eccedenza orgiastica di D1omso ~1en~ n_as_sorb1~a nelle forme di Apollo. Mentre la cultura tragica ~nd1~1~ua m Dioniso l'emblema di un dio affermatore (della vita, 1v1 compreso il suo carico di dolore) capace di trasvalutare l'esistente, il nichilismo cristiano opera un'indebita e patologica interiorizzazione del dolore una sorta di follia dialettica: accusa infatti la vita, ne impoverisce la ~ovrabbondanza, per poterla redimere e così giustificare. Da Anassimandro ai pensatori cristiani si è guardato alla vita come ad un fenomeno morale e religioso invece che estetico, innocente e irresponsabile nel suo divenire molteplice come già l'aveva intesa Eraclito: "l'esistenza è colpevole, giacché soffre; ma proprio perché soffre, anche espia, e viene redenta" -questo il sillogismo che domina la cultura occidentale fino a Schopenhauer. Sul tema del dolore e della sua proterva teodicea, sostituita da una cosmodicea che afferma l'innocenza della molteplicità, Deleuze torna significativamente nel cuore del quarto capitolo dedicato al risentimento e alla cattiva coscienza, ribadendo che, secondo Nietzsche decostruttore del cristianesimo, il dolore è la conseguenza di una colpa e al contempo la via della salvezza. Nei termini (drammatici e non più tragici) introdotti dalla cattiva coscienza, il dolore viene dapprima interiorizzato e spiritualizz~to, di_ventando così f~rza ~ea!tiva, conseguenza di un peccato: s1 gu~sce dal ~olore mtenonzzandolo sempre più, legandolo al sentimento di colpevolezza. Occorrebbe invece mantenere il dolore nell'elemento dell'esteriorità, come un senso esterno, affinché esso non costituisca un argomento contro la vita bensì un. eccitante o "u~' esc~ per la vita", un argomento a suo favore, attivando quella dmannca che -come si è visto in precedenza- può condurre all'esperienza della grande salute. 148

Q?i. si incontra anche il limite di filosofi definiti impropriamente tragz_cz ~01!1~ ~ascal e Kierkegaard, i quali si rivelano invece raffinati mchilisti perché ancora impigliati tra gli ideali ascetici: essi h~o. el~borato l'ideale di un corpo mistico della ragione che risiede m una sorta di interiorità-ragno nutrita di angoscia, gemito, colpevolezza, risentimento-e infelicità· "manca loro -scrive Deleuze- il senso dell' affennazione, il sensd dell'esteriorità, l'innocenza e il gioco", mentre invece Zarathustra invita a danzare, sormontare, trasmutare 'e oltrepassare. Il pensiero tragico, criticando la metafisica che postula sempre l'esistenza di un mondo sovrasensibile, affrancandosi dal risentimento. e dallo spirito di vendetta, intende liberare la filosofia da ogni forma di nichilismo, instaurando una modalità affermativa di pensiero sensibile al gioioso messaggio che proviene dal tragico, in virtù della sua propensione a esibire e valorizzare la gaieua dinamica insita nella pura molteplicità. Mentre il corpo -già valorizzato da Spinoza- è un fenomeno molteplice, dotato di grande saggezza, teatro del confronto tra forze attive e forze reattive che si contendono il dominio, arrivando a istituire un rapporto di gerarchia al loro interno, la coscienza è un fenomeno essenzialmente reattivo, adattivo come la memoria o l'abitudine. Su queste premesse generali del pensiero affermativo, I' eterno ritorno andrà inteso come legge del divenire, come giustizia e come essere; infatti, uritomare è l'essere di ciò che diviene", l'affermazione della necessità che proviene dal caso, il gioco eracliteo dell'innocente dislocazione del molteplice, l'amor fati. L'eterno ritorno sarà allora ripetizione selettiva della differenza, pensiero dell 'assolutamente differente, ripetizione della differenza, sintesi del divenire e dell'essere come del tempo, il cui principio discriminante tra le forze è la volontà di potenza, la sua ratio essendi in termini lamarckiani di forza plastica. Poiché l'essere è selezione, l'eterno ritorno produce il divenire-attivo delle forze mentre quelle reattive non ritornano. La filosofia di Nietzsche è una ontologia selettiva che si avvale della metamorfosi dionisiaca, cioè del rovesciamento o trasvalutazione che pone l' affermazione in luogo della negazione, che rende financo leggera la pesanteur della dialettica. 149

h giace ali' eterno ritorno è dunque la volontà Il principio c ~0~~~a -sostiene Deleuze- è l'elemento geneaiost di potenza: que . • me differenziale e genetico. Le forze sono gico della forza, ms:fferenziate e qualificate, esposte all'inter~ essenza, , d. t ' l' nella loro . ali valutazione. La volonta 1 po enza e organo di · ·fica detenmnare · 1a· forza Pretaz10ne e a terpretativo che " s1gm s· , · questo, eserc1z10 so alla cosa" oltre che un va1ore. 1 trattera innanziche da un sen • , d Il ,&'. d. · · d. 1:11~e in merito alla qualita e e 1orz.e, 1stmguendo tutto di gm tccu. • • hil. . h D I &. tti·ve O nobili e forze reattive o mc 1st1c e. e euze ha tra 1orze a . . . Il' .n.. • · , ·1 · • l'indubbio merito di aver md1v1~ua~o ne aJJettzvzta 1 p~c1pale carattere identitaria della volonta pot~nza? an~he s_e p01 tende a ricondurre gli affetti ad un più ?ng1?an? ~venrre di ~orze, non sviluppando appieno le decisive 1mphcaz10m.ermeneutiche relative alla loro centralità nell'attività interpretativa. Il superuomo è allora l'espressione emin~nte ~ un ~tro divenire~ di un'altra sensibilità, di un nuovo modo di sentire, di pensare e di valutare che pone fine alle forme nichilistico-reattive del risentimento e della cattiva coscienza. L'attività dionisiaca della trasvalutazione consiste nel ridere, giocare e danzare, nel creare mediante la distruzione attiva dei valori consolidati di impronta reattiva, nell' affennare la qualità della terra, la leggera. Perseguendo tali istanze antropologiche muta anche il compito stesso del pensiero, di quella critica che Kant aveva circoscritto al territorio della ragione, senza mettere mai in discussione il valore della verità, senza indagarne la genesi segreta. Inteso come attività ludica affine all'arte, nell'ottica genealogica e n~n più trascendentale del prospettivismo, pensare significa scoprire o mventare nuove possibilità di vita -come Io stesso Nietzsche aveva suggeri!o rievocando l'esempio dei primi filosofi greci. Il pensiero cessa di essere ~na ratio, ~ comincia a pensare contro la ragione e a fa~ore della vita, quella vita affennativa che rende attivo lo stesso pensi~ro. J.:e vi~ dei ~nsatori, così come quelle degli artisti e d~ ~di nayigato~. appaiono quali viaggi di esplorazione nei recessi P!ù ~emo~i e pencolosi dell'esistenza. Con Nietzsche il corpo le pass10ru e le istanze affi tt· . ' ' . L fil fi e ive cessano di essere forze estranee al pens1eroso:o se~e a tu~are -~chiara Deleuze-; i filosofi dell'avvenire c e praticano I arte del pluralismo critico, promuovono •





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tutto ciò che è leggero, affermativo, servendosi dell'eccedente per inventare nuove, più esuberanti e complesse, forme cli vita. Tutta la quinta e ultima parte dell'opera deleuziana è dedicata a suffragare l'idea cli un Nietzsche antihegeliano, nella convinzione che al pensiero dialettico sia connaturata una forma patogena cli nichilismo che si esprime nell'idea cli coscienza infelice. Nel pensiero affennativo inaugurato da Nietzsche, il nichilismo sarà soggetto ad una vitale trasmutazione, connotata clionisiacamente: "Il nichilismo esprime la qualità del negativo come ratio cognoscendi della volontà cli potenza; ma esso non si compie senza·trasmutarsi nella qualità contraria, nel1' affermazione come ratio. essendi di quella stessa volontà". Deleuze parla spesso cli permutazione o conversione del negativo nel suo contrario o del negativo messo a servizio delle potenze affennati.ve, della positività come prodotto teoretico e pratico della negazione, cli un regime cli doppia negazione, di una dissoluzione del negativo che dischiude l'eterna affermazione dell'essere, quasi si trattasse del compimento di ogni teleologia storica, onnai esonerata da ogni passione triste, senza riuscire pertanto ad affrancarsi completamente (pur tra ricorrenti. e sottili distinguo) dal lessico della dialettica La conclusione giubilante del saggio deleuziano proclama che l'affermazione del molteplice è la proposizione speculati.va della filosofia di Nietzsche, così come la gioia del diverso è la sua proposizione prati.ca.

Pie"e Klossowski Un'altra fondamentale interpretazione di Nietzsche è certamente quella offerta di Pierre K.lossowski, quella che costituisce tra l'altro il più rilevante presupposto esegetico rispetto alla lettura che è stata proposta nelle precedenti pagine del nostro testo. Questa interpretazione del romanziere, saggista e pittore francese, formulata negli anni cinquanta e perfezionata nel magistrale volume del 1969: Nietzsche e il circolo vizioso, risulta diametralmente opposta a quella heideggeriana (che lo stesso K.lossowski aveva tradotto in francese): mentre quest'ultima -come abbiamo visto- riconduce l'opera di Nietzsche al proprio schema di interpretazione della storia del pensiero metafisico 151

inteso come progressivo oblio dell'essere, n~utralizz~done ~unque ogni eccedenza oltremetafisica, Klos~owski sott.t:a~ il pensiero ~ Nietzsche alla storia della filosofia, lo libera da opn ipoteca metafisica senza postularne del resto impI"?prie i~~ cli ~ltrepas~amen~~' lo lascia sussistere nelle sue peculian tonalità umorali, ne ~vita o~ IDlprobabile ricostruzione sistematica; piuttosto se ne lascia contagiare, ne rivendica una peculiare affinità, stabilisce ~ ~apport~ d'empatia, avverte ed elabora una singolare sintonia con il vtssuto metzscheano, si lascia possedere dalla contaminazione pulsionale che ne scaturisce, sviluppando un'ermeneutica che attinge ad un'intensità energetica. Già in un saggio del 1957, Klossowski sosteneva che Nietzsche non "ha sviluppato una filosofia ma, al di fuori dei quadri dell'università, delle variazioni su un tema personale"23 , mentre nell'opera del 1969 (affine, per certi versi, alla lettura in termini cli pensiero affermativo proposta qualche anno prima da Deleuze, a cui il libro è dedicato), il pensiero appare affidato a quel delirio interpretativo (effetto di somma lucidità) che proviene dal sopravvento dei moti d'umore dichiarativo rispetto alle dimostrazioni razionali, dall'attrazione per il Caos che perennemente trasfigura la sfera speculativa e apre sull'ignoto, nel quadro di un singolare complotto contro quella cultura istituzionale che è "il rovescio della tonalità dell'anima, della sua intensità"24• Dunque unfalso studio fondato su una rara ignoranza, un caso unico nella ricezione nietzscheana: la teoresi viene ricondotta sistematicamente al vissuto idiopatico ma da questo ascolto biografico, da questo accordo di sensibilità che coglie "l '~te~sità muta de~a tonalità dell'anima", da questa esuberante pr~ie~~one fantasmatica, emerge il tratto decisivo della sua filosofia, eme il carattere affettivo e biopatico di ogni pensiero. 23 P. Klossowski, Nietzsche, ~l pol~teismo e la parodia, Milano, SE 1999, p. 13. Una : : :!l~ofica co~p}essiva, ncca di suggestioni interpretative, dell'opera poliossowski e pre~entata da G. Brivio, lA caduta di Narciso, Bologna, :egnudraradg1.0Nn. 2t000h. A ~ropdos1to dell'infinito intrattenimento di Klossowski con la 1e zsc e, s1 ve a anche il sagg·10 di J O . . . . ,,, nel prezioso numero mono . • • ecottigrues: "Nietzsche ironzse sowski Paris Centre gra;-co ~ei Cahiers pour un temps dedicato a KlosO 24 P. Klos~owski Niet., .. heor~els. omlp1dou 1985, pp. 31-50. . , -c e e' circo o vizioso, Milano, Adelphi 1981, p. 16.

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Il principio prospettivis~co dell'interpretazione affettiva nasce ~alla consapevo!e~za c~e il filosofo è semplicemente un luogoncettacol~ m cui s1 realizza la possibilità che un impulso giunga ad ~spressmne. ~che i sistemi di Spinoza o di Kant sono l' elaborazmne del loro impulso sovrano che ha sottomesso altre istanze: soltanto se si continua a pensare ad un Dio garante dell'ordine del ~ondo, ~i può considerare il filosofo come uno spettatore imparziale. Nietzsche fu in grado di porre la domanda sul significato dell' a~o di pensare, al di là dell'immane apparato di falsificazione e?tficato dalla teoresi tradizionale, proprio perché soggetto a continue oscillazioni del suo stato di salute, afflitto dal timore che una deleteria tonalità depressiva si insinuasse nel suo cervello, grazie alla sua sensibilità da sismografo rivolta agli "alti e bassi dell'intensità", per la sofferenza continua del transitare dalla salute alla malattia. L'intento che muove l'opera di Nietzsche è quello di "mettere in gioco la coscienza e le sue categorie -in nome del mondo degli affetti". Allestire un complotto o favorire un'insurrezione contro le configurazioni gregarie del principio d'identità, contro le prerogative livellatrici del principio di realtà, contro i codici linguistici che governano le passioni, che vanificano le emozioni, al fine di edificare una superiore cultura degli affetti. Secondo Klossowski, tale progetto è reso possibile dall'esperienza degli stati valetudinari, i quali non sono mere circostanze biografiche ma condizioni di una rinnovata teoresi, affettivamente tonalizzata: "l'atto del pensare diventa identico al soffrire e il soffrire al pensare. Nietzsche arriva così a far coincidere il pensiero con la sofferenza e riflette su cosa sarebbe un pensiero senza sofferenza"25 • Si tratta per Nietzsche di revocare la denigrazione idealista del corpo, decifrarne la semiotica impulsionale per sviluppare un pensiero corporante dedito all 'inte,ryreta~ione di sensazi~ni scaturite dal corpo, approntare un mtelhgenza che sappia elaborare il linguaggio dei sintomi fisiologici, potenziare cioè

25 Ivi, p. 53.

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l'attività di quello che Nietzsche chiama intelletto interpretante, sviluppando con lucidità voluttu~sa qu~ll' ener~ia che proviene dalla sofferenza~ .assecondand? t1 co~flttto tr~ impulsi inconciliabili ed evitando che la coscienza mverta 1 dettami patico-corporei attraverso un codice di segni che li falsifica e li addomestica. L'identità dell'io si risolve così nella fisionomia e nella storia del corpo, di tutte le sue morti e rinascite, nell'incontro fortuito e discontinuo tra i suoi impulsi "delegati dal Caos" , che l'eterno ritorno renderà necessario nel suo divenire polverizzato; espropriata del suo abituale supporto, la coscienza viene ora restituita alle forze corporanti, mentre l'io (e l'intero mondo interiore) appare una mera modificazione del Sé corporeo, un'arbitraria ipostatizzazione delle fluttuazioni d'intensità pulsionale. Il mondo vero diventa inconsistente, dissolto in un gioco di simulacri, così come lo stesso soggetto, ricondotto ad una successione di stati discontinui, priva di finalità, rispetto a cui il codice linguistico ci inganna con la continuità effimera dei pronomi personali, con la fissità dei suoi segni convenzionali, le cui combinazioni tentano di simulare la mobilità del vissuto corporeo. Le stesse passioni sono unità fittizie nel continuum incoercibile dei vari impulsi, vestigia di una continuità irreperibile, un tributo pagato alle esigenze identitarie della coscienza. Di fronte all'inevitabile usurpazione del linguaggio, Nietzsche sostiene che il pensiero è soltanto "una semiotica corrispondente alla compensazione di potenza degli affetti" e aggiunge: "Da ogni nostro impulso fondamentale si produce un apprezzamento prospettivistico degli avvenimenti e delle esperienze vissute". Il problema è che non possediamo un linguaggio adeguato ad ~spri°!ere _le metamorfo~i prodotte dal divenire, per cui siamo mdott1 a ricondurre le nottose intensità pulsionali del corpo a r~ssicur~nti intenz~oni del s~ggetto cosciente, operando così ~na s1st~mat1ca alterazione del vissuto: consapevole di questa falsdìcaz10ne della lotta impulsionale, "Nietzsche usa il termine di af fetto -per ridare autonomia alle forze che, subordinate ali "'unità" mgannevole del supporto, la modificano rendendola mobile e 154

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fragile" • Pertanto la filosofia nietzscheana costituisce anche un movimento di emancipazione, volto a ripristinare la totalità del vive~te attraverso l'integrazione di queste forze, tentando -come auspica Klossowski- di ritradurre la semiotica cosciente nella semiotica impulsionale degli affetti, evitando ogni ricomposizione di un soggetto unitario. La morte di Dio e l'Eterno Ritorno sono le precondizioni per condurre a compimento tale processo di liberazione: la prima decreta la fine di ogni identità personale e dischiude tutte le possibili microidentità corrispondenti alle varietà delle tonalità affettive, mentre il circolo vizioso, quel simulacro di dottrina che è l'eterno ritorno, sancisce la necessità dell'avvicendarsi di transitorie identità, di.fluttuazione in fluttuazione, la cui schiuma residua costituisce il pensiero. È il Caos a generare il senso, senza mai ipostatizzarsi in un significato compiuto: "questa alta tonalità dell'anima -scrive Klossowski- è diventata il pensiero più alto solo restituendo l'intensità a se stessa, fino a-reintegrare il Caos da cui essa emana nel segno del Circolo che essa ha formato. Il Circolo non dice nulla di per sé, se non questo: l'unico senso dell'esistenza è di essere esistenza; e il significato non è altro che intensità"27 • Ritroviamo così alcuni caposaldi che hanno orientato la nostra operazione ermeneutica: l'esistenza si offre come irriducibile contingenza, contrada esistentiva di eventi interpretabili senza un senso precostituit~, radicale fenomenicità che si sottrae a qualsivoglia cattura ontologico-fondazionale; inoltre, il nostro essere al mondo è costitutivamente caratterizzato da una mutevole tonalità affettiva quale scaturisce dalla diversa configurazione delle nostre pulsioni, i cui sintomi sono decifrabili attraverso il complesso linguaggio del corpo: queste sono le modalità fondamentali attraverso le quali si manifesta il nesso tra esistenza e interpretazione. In questo quadro, anche la dottrina dell'Eterno Ritorno perde quei connotati metafisici attribuitigli da Heidegger, perché significa rivolere la pluralità affettiva insita in ogni soggetto, esigere la 26 Ivi, p. 82. 27 Ivi, p. 97.

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• e del principio di realtà e la soppressione dell'identità sospens1on . , ( , I t . fino.ad-esplorarne la segreta alterita cosi com~. o s es~o Nietz.. sche a Torino consegue l' eufo~~a vac_anza dall ~o co~~1ente per assumere politeisticamente tutti 1 noID:1 _della sto!1a), 1 m~es~ante metamorfosi che induce a deporre ogm 1_stanz~ dt appropnaz1one, consapevoli che la nostra avventur~ es1stenzta_le .e una storia di pure intensità prive di intenzione raz10nal~, certi ~1 essere comun.. que incapaci di esaurire tutta la gamma differenziale delle nostre potenzialità affettive. Secondo Klossowski, possiamo riappropriarci dell'integrità dell'esistenza quando ci disponiamo ad essere fenomeni privi di intenzione, ci abbandoniamo all'intensità delle forze pulsionali, generando fantasmi e simulacri che promuovono la "sospensione ludica del principio di realtà" in nome di un'esistenza eccedentaria, a carattere sperimentale, modellata su parametri estetici, in armonia con la qualità della vita impulsionale. Viene così configurata un'impostura sovranamente improduttiva esercitata dagli uomini del superfluo (come auspicava anche Bataille)~ attivato un complotto capace di promuovere l'insurrezione degli affetti e di revocarne l'attuale intimidazione, al di là di ogni propensione gregaria ad esercitare la "coercizione persuasiva dell'intelletto".

Didier Franck In una pagina autobiografica del 1946 contenuta in Irradiazioni, Emst Jiinger scriveva che il destino di Nietzsche è quello di essere preso ~ sassa!e: "?opo il ~erre~oto ci si rivolta contro i sismografi. Pero non s1 puo far espiare a1 barometri la colpa dei tifoni senza passar per gente rozza e primitiva". Nietzsche ha indubbiamente -avvertito dapprim~ le turbolenze, poi la catastrofe della propria epo~a e ha _sugg~nto alcuni antidoti per neutralizzare il carattere onmpervas1vo ~1 un nichilistico spirito della decadence, espri~end~ con tom d~inistici il disprezzo per gli effetti della civi~zzazi?n~ e caldeggiando il vitale recupero di aspetti culturali di tipo ehtano. Appare dunque del tutto giustificata la ricostruzione 156

della biografia intellettuale di Nietzsche in termini di "radicalismo aristocratico" -quale emerge da alcune recenti letture-, cosi come sembra peraltro del tutto infondato ogni suo utilizzo in chiave genericamente democratica, ma è altrettanto attuale e pertinente il monito di Junger contro disinvolte e contradditorie imputazioni di colpevolezza in merito alla tragedia politica europea del XX secolo. Come scrive Gunter Figal, Nietzsche appare "inappropriato nel ruolo di filosofo nazionalsocialista: il disprezzo per la mania di grandezza tipica del periodo della rivoluzione industriale tedesca, l'aspra critica al nazionalismo, al "patriottismo dogmatico", l'avversione per la malvagia stupidità dell'antisemitismo. L'irritazione contro di lui è perciò irrazionale"28• Quanto al presunto antiebraismo, -in Al di là del bene e del male- Nietzsche scrive che "l'Europa deve agli Ebrei il grande stile della morale", invita a delegittimare il cristianesimo per essere più giusti con gli Ebrei, condanna "le bassezze della persecuzione degli ebrei" e considera gli antisemiti come canaglie appartenenti alla melma della cultura europea. Chi si accanisce nel tentativo di delineare il profilo di Nietzsche come emblema dell'intellettuale reazionario troverà certamente qualche citazione che lo può confortare; tuttavia, si mancherà sempre l'obiettivo di offrire una spiegazione unitaria, eminentemente impolitica, del nesso tra grande salute, grande stile e grande politica, nozioni che convergono nel configurare una esautorazione dello spirito gregario fondato su valori reattivi, il cui abbandono appare comunque auspicabile anche in un modello democratico-progressista. Il libro di Didier Franck: Nietzsche e l'ombra di Dio29 va considerato come una delle opere più significative dedicate a Nietzsche negli ultimi decenni. L'interesse dell'interpretazione di Franck consiste nell'aver saputo mettere in perspicua relazione l' annuncio della "morte di Dio" e il richiamo al corpo come inedita dimensione antropologica e filosofica, tanto da poter correttamente configurare l'esito della trasvalutazione di tutti i valori nei termini 28 G. Figal, Nietzsche, Roma, Donzelli 2002, p. 8. 29 D. Franck, Nietzsche e l'ombra di Dio, Roma, Lithos 2002.

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. d . rpi" in aperta concorrenza co~ quella di una "resurrezione et c? . ' d ttrina cnst1ana. . " .. promessa dall a O d 1 1885 Nietzsche scnve: E essenziale ' come filo cond uttore. E sso è il . In . un frammento e tilizzarlo muovere dal corp~, e. u che consente un'osservazione più preO f~nomeno molto } 1ù ncc è fondato meglio del credere nello spiri. c1sa. Il credere ne corporpo è dunque per Nietzsche un articolo di to'' La credenza ne1co ;. · · fil fia e' stata soltanto un mterpretazmne menzofede: finora 1a oso . . . . d un suo esizialeframtendzmento, mentre -qualora gnera e1 corpo, . , l 1o s1· assuma come filo conduttore- st. scopre un · enorme " Il mo teplicità, "un'organizzazione sociale_ d1_ mo1te anime.· . c~rp~, ~a sua grande e capillare ragione, costitmsc~ pe~nto sta il pnnc1p10 metodico sia l'ideale regolativo del pensiero metzscheano. Attraverso un serrato confronto con l'interpretazione heideggeriana che vedeva in Nietzsche il compimento di quella metafisica che ~veva dimenticato l'essere a favore dell'ente, Franck ristabilisce il significato affermativo della morte di Dio e nega che la dottrina dell'eterno ritorno costituisca l'ultima teologia filosofica: dopo la secolare subordinazione della volontà umana a quella divina, che agisce per divieti e negazioni, l'uomo può finalmente dispiegare una potenza inaudita, entro un orizzonte per il quale la tecnica si sostituisce alla fede; il confronto di Nietzsche non avviene tanto con il Dio di Aristotele -come vorrebbe Heidegger, che ha operato una "decristianizzazione surrettizia della filosofia" - ma con quello della rivelazione: "proclamare la morte di Dio non equivale ad annunciarne la resurrezione". Così -agli occhi di Franck- "il pensiero nietzscheano, lungi dall'essere un'ultima metafisica, è il luogo di una spiegazione con la rivelazione" e il rovesciamento del platonismo s'inscrive nella trasvalutazione dei valori ebraico-cristiani. " ~I p~nsier~ dell' ~te1;!1o rit~mo, che sta a fondamento di quella !~bbia. dell avvenrre che e lo Zarathustra nietzscheano, tende a mvahd~e la resurrezione dei morti che San Paolo mise a fondamento di t~tta l' e~onomia della salvezza". Ogni resurrezione è una resurrezione dei corpi: per il cristianesimo il corpo non è un essere naturale che si apre al mondo ma un, ap~rtura al Dio crea-

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tore, allo spirito santo; la crocifissione riceve significato soltanto dalla resurrezione di Cristo "che ci libera dal nostro passato di peccatori per aprirci un avvenire di credenti" nia la vita eterna ~tu~a costituis~e la negazione della vita camaÌe presente. Quello d1 N1etzs_che è il progetto di un'altra incarnazione, in opposizione a quella ideata da San Paolo e dal cristianesimo: l'annuncio della morte di Dio comporta la creazione di un corpo superiore perché attivo e la transizione dallo spirito santo allo spirito libero. Dopo il gesto nietzscheano che istituisce una "nuova giustizia", nessun dio potrà ancora salvarci: la dottrina dell'eterno ritorno viene presentata come "religione delle religioni" ma è una religione senza dio, destinata ad "anime più libere, più gaie, più sublimi" che rivendicano al corpo tutta la sua potenza, l 'esuberanza, la sua grande ragione, e che -sottraendosi alle lusinghe reattive del corpo celeste- dichiarano fedeltà alla terra. Mediante la sovra-resurrezione atea auspicata da Nietzsche, il corpo può sviluppare una prodigiosa e incoercibile pluralità di pulsioni, affetti e prospettive, "cambiare il nostro modo di sentire", destituire la coscienza con la sua antica funzione rassicurante di un Io identico a sé, intensificare la forza di una volontà di potenza che è innanzitutto conferimento di senso, esercizio del grande stile, trasformazione del caos in forma. Dopo Nietzsche, è il corpo -e soltanto la sua carne- a filosofare. Da Lou Salomé a Klossowski, da Benn a Franlc, dalla valorizzazione delle pulsioni all'insurrezione degli affetti, dall'esigenza del dolore agli stati valetudinari, dal mondo dell'espressione alla resurrezione della carne, si può riscontrare la tacita continuità di una linea interpretativa che costituisce anche il più fecondo programma di ricerca per ulteriori indagini sul pensiero di Nietzsche, finalmente affrancate dall'iperbolica prescrizione heideggeriana relativa al compimento della storia della metafisica, nel quadro dell'elaborazione di un'ermeneutica dell'affettività.

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