Nel laboratorio di Omero 9788806149383, 8806149385

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Nel laboratorio di Omero
 9788806149383, 8806149385

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PICCOLA BIBLIOTECA EINAUDI

Filologia. Letteratura. Linguistica. Critica letteraria

650

© 1994 e 1998 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino www.einaucli.it ISBN88-06-14938-5

NEL LABORATORIO DIOMERO

VINCENZO 01BENEomo

Piccola Biblioteca Einaudi

Indice

p. VII

Prefazione

xm

Avvertenze

Nel laboratorio di Omero PARTE PRIMA

5

I.

11

II.

15

m.

21

IV.

33 38 46 55 70

v. VI. vm. IX.

76

x.

87

XI.

VII.

Il na"atoree il personaggio

Il narratore fa da spalla al personaggio Il narratore gioca con il personaggio Il narratore frena nei confronti del personaggio I diversi livelli di conoscenza tra narratore e personaggio Il narratore dissente dal personaggio Il narratore parla al personaggio Ordine e resoconto: scarto tra personaggio e narratore Procedimenti di rifocalizzazione da parte del personaggio p• ~ p• p•~p2 Le strutture parallele

PARTE SECONDA

103 122

140 156

Formularità interna e invenzione poetica II. Gli epiteti di Ettore m. Paragoni: prosecuzioni e sviluppi IV. Alla ricerca dell'io 1.

PARTE TERZA

177 184

Al di là dellaformula

I. II.

Corrispondenze a distanza e l'organizzazionedel racconto

Le corrispondenze tra l'inizio e la fine del poema Controfigura ed esemplare autentico

INDICE

V:I ,.

188 19.5 201 20.5 209 231

m. Due duelli: Paride< Ettore Il ritardato avvio dell'impegno di Zeus V. Verso l'incendio della nave VI. Due discorsi di Ettore VII. Verso la grande aristia vm. I viaggidi Theti IV.

PARTE QUARTA

241 2.5.5 263 271 280 289 298 312 319 3 29 349

Tramae ideologia

Al di là dello scontro in atto II. L'attesa della caduta di Troia m. La distribuzione dei tempi alla fine del poema IV. Prolessi e attese: Ettore~ Patroclo L' 'incidente' della morte di Patroclo V. VI. Il rito funebre: Patroclo ed Ettore VII. La morte di Achille e il modulo della compensazione vm. Achille e Gilgamesh IX. Al di là della ideologia aristocratica X. La marginalità della sequenza colpa/punizione Xl. Il poeta di fronte al principio di autorità I.

PARTE QUINTA

Appendicisull'oralisticaomerica

Il modello Finnegan II. L'oralità spuria m. La favola della redazione pisistratea L'enciclopedismo che non c'è IV. V. Alla ricerca - disperata - di indizi L'Iliadetroncata VI. VII. Nel buio tutti i gatti sono bigi vm. La casina di cristallo IX. Breve cenno sul X dell'Iliade X. Percepire o non percepire: un problema reale

361 364 369 374 378 382 390 39.5 402 406

I.

4 13

Selezionedi passidel/'«Iliade»

4 19

Indicedei nomi

Prefazione

C'è un modo rozzo di leggere Omero (intendo «Omero» come l'autore dell'Iliade). Esso si basa sull'assunto che il tempo di composizione e il tempo di trasmissione all'uditorio tendessero ad essere coincidenti, fino all'ipotesi-limite di una composizione che si realizzava nell'atto stesso della comunicazione. Sulla base di questo assunto i tempi di composizione concessi ad Omero tendono ad essere estremamente rapidi, con la conseguenza di un'estrema contrazione del momento della ideazione e della elaborazione. E tutto questo dispone il critico a mettere tra parentesi (come 'casuali' o non rilevanti) o addirittura a non vedere tutto un complesso di particolarità espressive, ad alto livello di sofisticazione, presenti nel testo dell' Iliade. Nel mentre ci si illude di avere individuato (magari attraverso l'evocazione della suggestiva nozione di performance) un aspetto nuovo della cultura poetica dell'età omerica, in realtà si impoverisce l'approccio, nel senso di una generica semplificazione: una semplificazione che risulta inadeguata alle molteplici sollecitazioni che si dipartono dal testo e che il critico letterario deve essere in grado di recepire e di organizzare. Il senso di mistero che si associa con il nome di Omero è un qualcosa che deve essere scomposto e analizzato. Non abbiamo su di lui informazioni biografiche positivamente documentabili; molto ignoriamo dell'ambiente entro il quale egli svolgeva la sua attività; e nulla sappiamo circa la tradizione letteraria che Omero certo presupponeva. E tuttavia, a fronte di questi handicaps sta il fatto che noi abbiamo la sua opera, e integralmente; e i procedimenti espressivi e compositivi di quest'opera a noi si rivelano, attraverso il lavoro paziente dell'analisi e dell'interpretazione, come intelligibili. Il mistero si risolve nel momento in cui ci rendiamo conto

VIII

PREFAZIONE

che l'autore dell'Iliade- pur nel contesto di uno specifico fare poetico che richiede un impegno particolare di intellezione opera con modi non incomparabilmente dissimili rispetto ai poeti che sono venuti dopo di lui. C'è in Omero una prodigiosa capacità narrativa a livello fattuale, fin nelle piu intime pieghe di ciò che è percepibile e raccontabile. Ma il salto qualitativo per la comprensione di Omero si ha nel momento in cui ci si rende conto che a questa prodigiosa capacità narrativa - di fronte alla quale si può restare abbagliati e stupefatti - si associa un fare poesia fortemente personalizzato, e a un livello di altissima elaborazione formale. Non è vero che Omero raccontava per via di una spersonalizzata adesione all'oggetto. Il poeta dell'Iliadefa uso di sofisticati procedimenti formali; è in grado di procedere per scorci compendiari, salta i particolari quando vuole essere rapido e indugia su di essi quando ne vuole dilatare l'impatto nell'ascoltatore; ed è in grado anche di servirsi di strutture espressive entro le quali i dati del reale - in origine contrastanti - vengono assunti e composti: e questo in corrispondenza a una personale concezione del poeta. Non è vero che Omero si risolveva in ciò che raccontava e nei personaggi che si muovevano nel suo racconto. Il poeta dell'Iliade,invece, mette in atto - in quanto narratore - un rapporto complesso di interrelazione con i suoi personaggi, nel momento stesso che dà loro uno spazio autonomo attraverso il discorso diretto: il narratore gioca con i suoi personaggi, fa loro da spalla, si rivolge a loro con l'uso della seconda persòna, e si dissocia da loro evidenziando un livello superiore di conoscenza o addirittura esprimendo un esplicito dissenso. Tutto questo insieme di rapporti di interrelazione fra narratore e personaggi è non solo espressione di una capacità artistica altamente sofisticata, ma dimostra anche che il poeta continua a tenere in mano i fili del racconto, e questo in corrispondenza a una propria strategia narrativa e in vista di un suo personale messaggio. Anche il problema della formularità della lingua poetica omerica va visto entro questo ordine di idee. Certo è un dato caratterizzante della lingua poetica dell' Iliade(e piu in generale dell'epica greca arcaica: c'è uno stacco c•nsibilea questo proposito rispetto a forme letterarie diverse uccessive) il fatto che il suo autore facesse uso di espressioni ddenzialmente fisse (e riferentisi a nozioni caratterizzate da

PREFAZIONE

IX

una accentuata tipicità e soprattutto nella parte finale del verso), che è da ritenere derivassero da una tradizione poetica preesistente. Ma sono documentabili altresf tutta una serie di procedimenti attraverso i quali il poeta dell'Iliade variava - in modo anche molto sofisticato e in corrispondenza a particolari esigenze espressive che noi siamo in grado di individuare - le espressioni formulari preesistenti; e spesso la specificità della dizione omerica scaturisce dalla tensione tra ciò che era tradizionale e ciò che era innovativo. D'altra parte, non tutto ciò che nell'Iliade è ripetuto era derivato da una tradizione poetica preesistente. Soprattutto quando si tratta di espressioni che non coinvolgono nozioni tipiche si può trattare del fatto che il poeta ripetesse un segmento di testo che era stato lui stesso a creare e che lui stesso era portato a ripetere per un fenomeno - anche inconscio - di persistenza della memoria poetica. Per questo credo che sia opportuno distinguere in Omero tra formularità esterna (in riferimento alla ripresa di espressioni tradizionali fisse preesistenti) e formularità interna: un fenomeno quest'ultimo che è presente nel poeta dell'Iliade come in qualsiasi poeta, anche dei nostri giorni. Spesso inoltre si dà il caso che l'autore dell'Iliade attraverso procedimenti ripetitivi di varia natura (dalla singola espressione verbale alla ripresa di situazioni o di sequenze narrative) e di una certa estensione intendesse consapevolmente sollecitare nell'ascoltatore il senso di una corrispondenza a distanza tra una parte e l'altra del poema. Queste corrispondenze sono messe in atto con una cura estrema dei particolari, senza che nulla sia lasciato al caso e all'indeterminatezza. Le ripetizioni stesse sono significative di una intenzionalità poetica. Ma non si tratta solo di cose ripetute. Il poeta procede con sapienti riusi e variazioni, con accorciamenti e dilatazioni, con la soppressione o l'inserimento di nuovi particolari. Omero aborre da ciò che è piattamente ripetitivo; e il critico letterario è in grado di rendersene conto, purché non proceda - lui - con sommaria rapidità. Particolarmente significative sono le corrispondenze che dallaparte finale rimandano allaparte iniziale del poema; esse dimostrano che il poeta era pienamente sensibilizzato al taglio che il poema, nel suo complesso, doveva avere. Ma ci sono altre corrispondenze che indicano linee di sviluppo all'interno del poema. Si può trattare di sviluppi 'sotterranei' da un para-

X

PREFAZIONE

gone all'altro; si possono cogliere, attraverso il gioco delle corrispondenze, delle linee di sviluppo che riguardano piu specificamente singoli personaggi o le interrelazioni tra personaggi diversi; si può anche trattare, come per un certo tipo di monologo o per una sequenza di aristie,di una linea di progressione verso una sempre piu articolata strutturazione. E piu in generale, se prendiamo Omero sul serio, se seguiamo da vicino e con partecipazione simpatetica il suo discorso, ci accorgiamo che le corrispondenze a distanza tra una parte e un'altra del poema si correlano a un disegno compositivo che coinvolge tutto il poema e che corrisponde a una precisa ideologia del poeta. Non c'è dubbio che si possono cogliere nell'Iliadedelle precise scelte ideologiche. Che Omero faccia terminare il poema non con la fine di Troia e nemmeno con la morte di Ettore, ma invece con i riti funebri in onore prima di Patroclo e poi di Ettore, è certamente una scelta ideologica del poeta: nel senso della individuazione e della valorizzazione di una fascia di realtà che si pone al di là della guerra. Nello stesso ordine di idee si inscrivono le corrispondenze espressive che si possono individuare tra il rito funebre di Patroclo e il rito funebre di Ettore: corrispondenze che danno l'idea di un voler superare - a livello di espressione poetica - il contrasto che opponeva l'uno all'altro i due irriducibili nemici. Che Achille stesso sia, alla fine del poema, in attesa di una morte imminente e che pianga, poco prima che il poema si chiuda, insieme con Priamo, anche questa è una scelta del poeta, della quale noi siamo in grado di cogliere il significato. Ma non si tratta solo della parte finale del poema; l'ideologia condiziona l'organizzazione del racconto in tutto il suo percorso. Alla messa in atto della riparazione dovuta da Agamennone ad Achille si arriva solo dopo che, con sapiente intersecazione, è stata avviata e sviluppata una linea diversa di racconto, che porta alla morte di Patroclo e alla disperazione di Achille per la perdita del compagno: dimodocché la riparazione stessa - un atto essenziale per una cultura basata sui valori del prestigio e del primato personale all'interno della comunità ~ si svuota per Achille di un reale significato. Uno dei segni piu evidenti della grandezza di Omero è il co.., ·gio con cui lui si pone di fronte al suo stesso fare poetico. Il fare poesia presuppone, come materia stessa del poetare,

PREFAZIONE

XI

i valori aristocratici dell'onore e della guerra. A questi valori Omero dà ampia espressione nel corso del suo poema; e nello stesso tempo però egli individua delle fasce di realtà che si pongono al di là di questi valori: Omero ha il coraggio di mettere in discussione dall'interno quella che - come dato di partenza - era la materia stessa del suo poetare. · Rispetto a tutto un complesso di valori costituiti 0a cultura dell'onore e della competizione, le strutture etiche e giuridiche imperniate nella sequenza di colpa/punizione, il principio di autorità) il poeta dell'Iliadenon si pone in termini di opposizione. Tuttavia, per lui il fare poesia è qualcosa che si pone a sé rispetto a questi valori costituiti. E proprio attraverso questo scarto - uno scarto ricco di tensioni e di potenzialità espressive - Omero riesce a parlare un linguaggio che resta tuttora attuale. Questo libro è stato scritto in modo da poter essere letto e capito (a parte questioni piu specifiche di cui si tratta nelle note) anche da chi non conosca la lingua greca antica, e che sia però interessato ad entrare nel laboratorio del primo poeta della nostra letteratura. Per questo nel testo ho sempre traslitterato le espressioni in greco, e di esse il lettore troverà sempre la traduzione. Questo libro, nella quasi totalità, è nato giorno per giorno nei corsi di Letteratura greca tenuti per diversi anni presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Pisa. Agli allievi di questi corsi, che con la loro intelligenza hanno creato la condizione prima del mio impegno di ricerca, esprimo la mia gratitudine. Senza di loro questo libro non sarebbe stato scritto. [1994]

In questa nuova edizione è stata aggiunta la Parte quinta, comprendente 10 appendici. Queste appendici vertono principalmente sul problema della modalità di composizione dei poemi omerici; ma la discussione degli argomenti (assai poco affidabili) addotti dagli oralisti coinvolge anche questioni di metodo di un certo rilievo. Viene riconsiderato anche il problema del X canto dell'Iliade.

Avvertenze. Con «Omeroi. intendo - in modo convenzionale - l'autore dell'Iliade. Con «epica greca arcaicai. mi riferisco all'insieme dei seguenti testi: Iliade, Odissea,Inni omerici, Esiodo, i frammenti del 'Ciclo epico' (Epìcorum GraecorumFragmenta,a cura di M. Davies, Gottingen 1988, pp. 13-76).

Le citazioni di passi senza indicazione dell'opera (per esempio: I 3 1 2, IV 1.5.5-83)si intendono come riferite ali'Iliade. Con l'aggiunta di «ai. oppure «bi. dopo il numero del verso (per esempio: I 312 a, IV 1.5.5b) mi riferisco al primo o al secondo emistichio del verso, in corrispondenza allacesura all'interno del terzo piede; ma quando nel verso è presente uno stacco sintattico forte aldi fuori di questo punto di cesura, con «ai. e «b» mi riferisco alle due parti in cui il verso viene ad essere distinto ad opera di questo stacco sintattico. Gli scoli all'Iliadesono citati secondo l'edizione di H. Erbse (Bero-

lini 1969-88). I miei lavori Nel laboratoriodì Omero, in «Rivista di filologia e di istruzione classicai., cxiv (1986), pp. 2.57-8.5e 38.5-410 e Formularità interna e paragoninell'«Iliade»,ivi, cxv (1987), pp. 2.57-87 saranno citati rispettivamente con le sigle: (Di Benedetto), RFIC, I; RFIC, Il;

RFIC, III.

NEL LABORATORIO DI OMERO

Parteprima Il nan-atoree il personaggio

Capitolo primo Il narratore fa da spalla al personaggio

Una parte notevole del testo dell'Iliade è costituita da discorsi diretti: sugli oltre I 5 600 versi che costituiscono il poema i discorsi diretti corrispondono a quasi il 45 per cento, non molto meno della metà. Il modulo dell'alternanza tra parti narrative e parti dove il narratore lascia spazio al personaggio per una autonoma enunciazione di un suo discorso, questo modulo lo troviamo in composizioni letterarie anteriori all'Iliade,si tratti del poema di Enki e Ninhursag oppure del poema di Gilgamesh. Ma evidentemente non si tratta solo del dato grezzo dell'alternarsi di discorsi diretti e parti narrative. Il problema presenta varie sfaccetta ture. Anzitutto, ogni singolo discorso di un personaggio è espressione di un punto di vista. Questo punto di vista si può porre a un livello puramente visivo-conoscitivo, nel senso che il personaggio parla in un determinato modo in quanto ha visto dellecose o piu in generale conosce delle cose che un altro parlante non ha visto o non conosce. Ma può entrare in gioco anche una componente diversa: nel senso che un personaggio parla in un modo che si può definire tendenzioso, dice cioè delle cose che in quel particolare momento corrispondono meglio ai suoi interessi o ai suoi propositi. Occorre anche uscire, però, dai confini del singolo discorso e del singolo personaggio che quel discorso pronunzia. Nel mentre, infatti, il personaggio pronunzia un discorso e si ritaglia uno spazio personale, c'è spesso un gioco, piu ampio, che passa sulla sua testa. Il singolo discorso, infatti, pur essendo espressione del punto di vista (inteso nel senso piu lato) di un dato personaggio, conserva pur sempre un carattere di contestualità rispetto al pezzo narrativo circostante.

6

IL NARRATORE E IL PERSONAGGIO

Risulta molto produttiva una ricerca sui modi attraverso i quali questa contestualità si realizza - a diversi livelli - nell' Iliade.Con tutta una serie di sofisticati procedimenti il poeta dell'Iliade, nel mentre concede uno spazio autonomo al suo personaggio, mette in atto - al di là delle intenzioni del personaggio stesso - dei collegamenti tra il discorso diretto e le parti narrative. Alla fine è sempre il narratore a condurre il gioco. Ai moduli attraverso i quali si realizza nell'Iliade questo gioco di corrispondenze tra parti narrative e discorsi diretti sono dedicati molti dei capitoli che seguono in questa prima parte del volume. Un modulo particolarmente interessante è, anzitutto, quello per cui il narratore fa da spalla al personaggio, crea cioè le condizioni - a livello di testo - per cui il personaggio possa dar voce a una particolare pointe espressiva. Fornisco per questo modulo (come per gli altri moduli di cui si tratterà nei capitoli seguenti) alcuni e_sempiche mi sembrano particolarmente significativi. Nella parte iniziale del canto XXI (vv. 34 sgg.) c'è l'episodio patetico di Licaone, il figlio di Priamo, che in precedenza aveva evitato la morte di fronte ad Achille. Dopo che Achille Io aveva venduto, il povero Licaone era riuscito con qualche peripezia a ritornare a Troia, ma ecco che, nel dodicesimo giorno dal suo arrivo, «il dio lo spinse di nuovo nelle mani di Achille», che lo avrebbe ucciso. Il racconto delle vicende di Licaone da parte del narratore gioca intorno a questa ripetizione dell'evento, per cui Licaone ha la sfortuna di andare a finire «di nuovo» nelle mani di Achille. Alla ripetizione fattuale il narratore fa corrispondere l'iterazione verbale: a «lui che non voleva» (ouk ethelonta)del v. 36 (quando Licaone è preso per la prima volta da Achille) corrisponde esattamente «lui che non voleva» (ouk ethelonta)del v. 48 (Achille, una volta presolo per la seconda volta, lo «avrebbe mandato all'Ade, lui che pure non voleva andarci»). Già questa iterazione dal v. 36 al v. 48 ha una risonanza spiacevole per il povero Licaone. Ma non si tratta solo di questo. Nel discorso (vv. 54-63) che Achille pronunzia nel momento in cui sta per uccidere Licaone, anche Achille gioca con un procedimento di iterazione, con un effetto di sarcasmo che ha come obiettivo ancora Licaone. Achille comincia con l'os-

IL NARRATORE FA DA SPALLA AL PERSONAGGIO

7

servare che Licaone non lo ha fermato il mare (Licaone era stato nell'isola di Lemno prima di ritornare a Troia), il mare che «trattiene molti uomini contro la loro volontà» (v. 59). E poi, giocando ancora con il verbo «trattenere», Achille si chiede sarcasticamente se ciò che non è stato in grado di fare il mare lo farà la terra (dopo che Licaone sarà stato ucciso): «se lo tratterrà I la terra altrice, che trattiene anche chi è forte». Il gioco verbale di Achille è rafforzato dal fatto che le forme del verbo eruko («trattenere») sono tutte e tre alla fine del verso e occupano la stessa sede metrica (vv. 59, 62, 63): il monologo di Achille si conclude con una specie di rima, costituita da due forme verbali di eruko alla fine degli ultimi due versi. Queste forme verbali di eruko sono come altrettante stoccate contro il povero Licaone. Ma la cosa piu interessante è che il gioco iterativo, messo in atto - con crudeltà - daAchille, era stato già impostato dal narratore nella parte immediatamente precedente, con la ripetizione di ouk ethelonta1• Il gioco iterativo di Achille ha un impatto maggiore, proprio perché in precedenza era stato avviato dal narratore. Il narratore fa da spalla al personaggio 1 • Un procedimento analogo si ha nel canto XIII, ai vv. 363 sgg. Qui si tratta di Othruoneo, che viene ucciso da Idomeneo. Othruoneo non è un figlio di Priamo, come Licaone, ma un futuro genero. E qui Omero gioca non con la nozione di 'trattenere', ma con quella di 'promettere'. Othruoneo era venuto da 1

Nel discorso di Achille l'espressione IÌW>vtatçdel v . .59 si ricollega diretta• mente a oùx L~Uo11t0t del v. 36 e del v. 48, nel pezzo narrativo. - Un altro esempio interessante di iterazione sarcastica si ha nel discorso di Elena di III 428-36. Si ha infatti v. 430 IÌpTJ"iqi0.011 MevtMo11"'v. 432 «pTJ'tcpLÀov MevD.Otov, sempre alla fine del verso (Elena rintuzza I'«pTJtqiilov MtviÀ0tovdetto - in fine di verso - da Paride in III 69, al momento di proporre il duello); e in piu cfr. anche v. 434 elXY~Uµ' w&, mentre invece in III 443 olia'6u seguiva nel verso immediatamente successivo. 6 L'insistenza iterativa di Zeus (e della sua potenza sessuale) è realizzata nei vv. 317-22 attraverso il procedimento per cui a ogni donna è attribuito un distic0

nw

14

IL NARRATOREE IL PERSONAGGIO

ricollega a Paride utilizzando alla fine lo stesso verso «cosi'.come io ora ti bramo e il dolce desiderio mi prende» 1 • Il narratore fa dunque in modo che Zeus, in quanto amatore, scavalchi Paride, e largamente. Senonché, questo avviene proprio nel momento in cui egli viene ingannato da Hera per farlo addormentare (e il momento del risveglio sarà molto spiacevole per lui: XV 4 sgg.). Anche in questo caso dunque il narratore gioca con il suo personaggio, e fa in modo che costui si scopra proprio nel momento meno adatto. che comincia con oùS' 6,m(,) o con oùS' llu e che ha all'inizio dd secondo verso ii uxi. Nei vv. 323 sgg. si ha una accdcrazione. Nd v. 323 sono menzionate non una ma due donne (e i loro figli vengono menzionati nei due versi successivi), e poi alla menzione di Demetra del v. 326 non segue la menzione del figlio, e infine nel v. 327 Zeus fa riferimento insieme a Latona e ad Hera, e senza menzionare i figli avuti da loro. In tal modo, a differenza di Paride che riservava al suo primo rapporto con Elena 3 versi, ad Hera non tocca che la parte finale del v. 327. 7 Cfr. XIV 328 = III 446. Una corrispondenza parzialmente solo a livello «PX' xi:À. e l'inizio di XIV fonico si ha anche tra l'inizio di III 447 TH ~. XOIL 346 TH ~. XOIL cx-yx«ç xi:À. (e alla fine dei due versi si ha &xo1,:1ç / Kctpò11 l6vtcxal v. 85. " Questo di XII 113 vfptioç,ou8' ap•liu).À, (in relazione ad Asio) è uno dei 4 casi in cui vfpttoçè associato al modulo dell' l!,1-(ÀÀt. Gli altri casi sono XVI 46 fl,L-yoi vfimoç· TI-pp(i.tùJ.&11 (relativo a Patroclo), XVII 497 YrptlOL, ap·liu).ÀOII (in relazione a Khromioe Areto), XX 466 vfpttoç,ou& 'tÒ il&il,&ou,mc,wl>cx1 ll,l,(ÀMY(in relazione a Troo: qui però interviene anche il modulo vfpttoç,~ 'tà n&nl

oua·

IL NARRATORE E IL PERSONAGGIO

consigli. E il giudizio relativo ad Asio coinvolge anche i suoi compagni, dei quali il narratore evidenzia una (immotivata) attesa di successo. Ancora Polidamante è coinvolto in un altro caso in cui il narratore rivolge polemicamente il termine nepiosa un personaggio. Si tratta di Ettore che in XVIII 284 sgg. rifiuta - ne abbiamo già parlato - il saggio consiglio di Polidamante di ritirarsi dentro le mura. E al nepieche Ettore rivolge a Polidamante al v. 295, fa a breve distanza riscontro - un riscontro chiaramente polemico, con il narratore che rintuzza il personaggio - il nepioiche il narratore al v. 3 1 1 riferisce ai compagni di Ettore, i quali - «stolti» - applaudiscono il discorso del loro capo. Altre volte invece attraverso l'uso di nepiosil narratore mostra il ristretto ambito di conoscenza del personaggio, ma senza che sia ravvisabile nelle sue parole un diretto intento polemico contro il personaggio. Il valore semantico di base del termine nepiosresta ovviamente identico nella sostanza («stolto», «sciocco», o simili), ma la valenza che esso assume per ciò che riguarda il rapporto narratore/personaggio viene ad essere, attraverso un gioco di risonanze indotto dal contesto, sensibilmente diversa. Abbiamo già accennato ad Agamennone che in conseguenza del sogno menzognero « pensava nell'animo quelle cose che non si sarebbero realizzate». Ma siccome l'illudersi di Agamennone è alla base di una lunga sequenza narrativa, il narratore insiste nell'evidenziarlo e continua (Il 37-38): «Pensava infatti che in quel giorno avrebbe preso la città di Priamo: I nepios,e non sapeva le cose che Zeus meditava di fare». Qui Agamennone è solo vittima di un inganno, e di un inganno organizzato da Zeus: è escluso perciò che nepiospossa avere una valenza di rimprovero. Quando Troo abbraccia le ginocchia di Achille perché gli risparmi la vita, il narratore interrompe il racconto per osservare '{X 466): «Nepios,e non sapeva che non si sarebbe lasciato 1vincere» 1•. Anche in questo caso una valenza polemica di ;osè esclusa. È ravvisabile invece un senso di partecipaziosimpatetica del narratore nei confronti del personaggio: il " Per la presenza del modulo dell' lµ,ll, si veda la nota precedente.

29

I DIVERSI LIVELLI DI CONOSCENZA

successivo commento dd narratore in relazioneallacrudeltà di Achille lo dimostra 11• Sia nel caso di Troo che di Agamennone viene usato il modulo specifico « nepios,e non sapeva» (nepios,oude to/ta eitli: questi di II 38 e di XX 466 sono i soli casi nel poema in cui il narratore usa questo modulo in riferimento a un suo personaggio 11). Attraverso la sottolineatura del fatto che il personaggio «non sapeva» l'accento viene a battere sulla sua inconsapevolezza, e si tende ad escludere un intento polemico in relazione a un colpevole comportamento del personaggio. Invece l'evidenziazione del fatto che egli è «inconsapevole» è la base di una partecipazione, a vario livello, del narratore nei confronti del personaggio. Sulla stessa linea, con una forte carica di patetica simpateticità, il narratore usa il termine nepios(senza nemmeno l' aggiunta «e non sapeva») a proposito di Patroclo: e questo nonostante che una colpa di Patroclo esista e venga riconosciuta. Il termine nepiosè usato due volte dal narratore a proposito di Patroclo. Il primo passo è quello di XVI 46-4 7. Si tratta di un commento che il narratore introduce subito dopo il discorso (XVI 21-45) con il quale Patroclo ha pregato Achille di concedergli di andare a combattere insieme con i Mirmidoni e di permettergli di indossare le sue armi. E il narratore osserva: Cosf diceva pregando, lui molto nepios;infatti certo stava per scongiurare a se stesso la mala morte e il destino fatale

19 •

17Nel caso di Khromio e Arcto che in XVII 497 vengono chiamati vfimoLsi ha una duplice risonanza espressiva. Da una parte il narratore evidenzia la loro attesa di vittoria (cfr. vv. 495 b • 496) e quindi il vlimo1ha qualcosa di impietoso nei loro confronti; ma subito dopo il narratore anticipa (si noti où6' !p' EµiÀÀov) il fatto che essi non sarebbero tornati «senza sangue». Alla fine prevale il senso non della stoltezza, ma del lutto che li coinvolge (in effetti Arcto muore e Khromio riesce a salvarsi: ma gioca il senso dell'unità della coppia). Un caso analogo di valenza duplice si ha in II 872-75: Naste è chiamato vlimoç in concomitanza con il fatto che l'essere adorno di oro non lo salvò dalla morte e Achille dopo averlo ucciso si portò via l'oro, e tuttavia il suo apparire incapace di difendersi nei confronti di Achille coinvolge anche un senso di partecipazione. Piu 'ostile' è invece il vfpt101che il narratore dice in XVII 236 dei Troiani che credevano di poter tirar via il corpo di Patroclo dalle mani di Aiace. Per XX 264 e il giudizio del narratore su Achille si veda il capitolo seguente. 11Ma chiare variazioni del modulo sono i casi di XX 264 vfptLoç,oùa' iv6TjGt (detto dal narratore a proposito di Achille) e di XXII 44_:;IITJ1t(T), oùa' Lv6T)ogv (detoùa! to dal narratore a proposito di Andromaca). In V 406 l'espressione VIJTCLOç, tò 016,è usata da Dionc a proposito di Diomede. 19Questo è uno dei quattro casi in cui il modulo del vli1t1oçè associato con quello dcli' rµill,: cfr. sopra, nota 15.

30

n. NAllllATOltE

E

n. PERSONAGGIO

Si tratta di un punto nodale di tutto il poema. E il narratore mette in evidenza il dato, del tutto eccezionale, secondo cui chi pronunzia la preghiera si procura lui stesso la morte con questa preghiera. Alla novità fattuale corrisponde la novità cieli'espressione: è un unicum nel poema l'associazione di nipioscon mega(«molto»); solo qui il nipios riferito dal narratore a un suo personaggio si trova non all'inizio, ma all'interno dd verso; ed è significativo ancheche venga usata dal narratore per introdurre la sua anticipazione subito dopo nipios - la particellae(«certo», «invero») che di per sé è caratteristica dei discorsi diretti2°: è come se il narratore volesse avviare un dialogo con il suo personaggio. Il népioscon cui il narratore definisce Patroclo (con l' aggiunta anche di «molto») rivela, al di là dd dato dell'inconsapevolezza, anche una presa di distanza nei confronti di Patroclo. Ma il saperne di piu da parte del narratore consiste in nient'altro che nel conoscere l'imminente morte dd personaggio. Perciò la critica si svuota prima ancora di essere formulata e ciò su cui viene a battere l'accento è il senso di un'accorata partecipazione. Di risonanze analoghe si carica il népiosche il narratore riferisce a Patroclo nel passo di XVI 685-88. Subito dopo aver riferito che Patroclo si era messo a inseguire i Troiani e i Lidi il narratore aggiunge: e fu preso da un grande accecamento,

nepios.Ma se avesse rispettato la parola del Pelide certo sarebbe sfuggito al cattivo destino della nera morte. Ma sempre la mente di Zeus è piu forte di quella degli uomini.

Anche qui il narratore introduce forti innovazioni a livello linguistico, in concomitanza con una forte tensione espressiva 21 • Si ha qui infatti come un appassionato ragionare dd narratore con se stesso. Egli prende in considerazione la possibilità di un diverso, e meno incauto, comportamento di Patroclo. Ma anche questa volta ciò che il personaggio non sa - e invece il narratore sa - è il fatto di avviarsi a rapida morte. "' Cfr. J. Griffin, HomericWo,rlsand Spealters, in «Journal of Hellcnic Stu.. ", cvi (1986), pp. 36-,1 (si veda in particolare p. 4,), e deJong, Namztors ;,. 1 44· Assolutamente fuori modulo è i,,Jy' ii«Gt,iI e atipico è anche l'at,,, subito dopo 11T11t10C, con ,! e una proposizione condizionale.

*IOC•

I DIVERSI LIVELLI DI CONOSCENZA

31

È sul pathos pertanto che l'accento viene a cadere. E addirittura il narratore sente il bisogno di smorzare la sua partecipazione affettiva attraverso una considerazione sull'onnipotenza di Zeus. Dopo la morte di Patroclo, ancora sulla linea del patetico si pone l'uso di una forma dell'aggettivo nepiosa proposito di Andromaca in XXII 445. Qui il narratore usa un modulo («nipie, e non si rese conto» 22) che richiama quello usato per Agamennone e per Troo («nepios,e non sapeva»). Ma l'inconsapevolezza di Andromaca riguarda non la sua morte come nel caso di Troo e di Patroclo, ma invece la morte del marito. Il poeta dell'Iliade crea qui uno dei passi piu patetici di tutto il poema. Andromaca non sapeva ancora nulla della morte di Ettore e lo aspettava nella sua casa e ordinava alle ancelle di « mettere al fuoco un grande tripode, perché ci fosse I un caldo lavacro per Ettore quando ritornava dalla battaglia» (XXII442-44). E subito dopo il narratore aggiunge: «Nepie,e non si rese conto che molto lontano dal lavacro I la glaucopide Athena lo aveva ucciso per mano di Achille». In questo caso il modulo secondo cui il personaggio definito come nepiospensa o si aspetta una qualche cosa, è variato. Dall"aspettarsi' si passa al 'fare': il narratore riferisce con abbondanza di particolari gli atti del personaggio che presuppongono una sua attesa. Tutto questo comporta una intensificazione del pathos. E una risonanza patetica ha anche il modo come il narratore prima (al v. 444) usa il termine «lavacro» mettendosi dal punto di vista di Andromaca, e poi nel verso immediatamente successivo ripete lo stesso termine «lavacro» per smentire l'attesa del personaggio, in modo che questo «lavacro» appare come irraggiungibile per Ettore ormai privo di vita (l'espressione «molto lontano» altrove nell'Iliadeè usata solo in VIII 14 per indicare l'estrema lontananza del Tartaro 21). Si noti che quando il narratore si mette dal punto di vista di Andromaca il lavacro è affettuosamente qualificato al v. 444 come «caldo»; la ripetizione invece anche di «caldo» da parte del narratore al v. 445 sarebbe suonata come irridente. Cfr. sopra, nota 18. " Cfr. VIII 14 ~t 1,1,cxl(cx)"' XXII 445 1,1,cxlcx tijÀt. 22

32

IL NARRATOREE IL PERSONAGGIO

In effetti la dissociazione del narratore nei confronti del personaggio non ha ovviamente nessuna valenza di riprovazione. Il fatto che egli mostri di saperne di piu fa scattare un procedimento di immedesimazione simpatetica con Andromaca che si illude e non sa. Il personaggio non viene svuotato dalla smentita messa in atto dal narratore, ma continua ad essere il termine di riferimento esclusivo: con la creazione di intensi moduli paramonologici che ne valorizzano l'intima vitalità 20. 20

Cfr. in particolare vv. 451-53, con l'autodescrizionc paratattica delle proprie reazioni psicofisiche. Ma tutto il discorso di Andromaca dei vv. 4.50-.59 (a parte il verso iniziale) va al di là del rapporto con l'interlocutore ed è una manifestazione di una forte onda emotiva che si realizza attraverso la forma dcli' autocspressione.

Capitolo quinto Il narratore dissente dal personaggio

Due volte nel poema, una volta nel contesto di un discorso diretto e un'altra volta attraverso un commento del narratore, il termine nepiosè collegato in modo diretto con la problematica uomo/dio. In V 406-9 la madre di Afrodite, Dione, chiama polemicamente nepiosDiomede che ha avuto l'ardire di ferire la figlia: Stolto, e non sa nella sua mente il figlio di Tideo che non dura a lungo chi combatta contro gli immortali, né i suoi bimbi presso le ginocchia lo chiamano «papà» di ritorno dal combattimento e dalla terribile strage'.

In questo caso si tratta di uno spunto che resta senza sviluppo nel corso del poema; e del resto tutto il discorso di Dione è orientato in un senso puramente consolatorio. Invece la qualifica di nepiosche il narratore dà ad Achille in XX 264 è un elemento di un discorso molto articolato, che trova ulteriore sviluppo nel poema. In XX 262 sgg. si tratta di Achille il quale credeva che la lancia scagliatagli contro da Enea avrebbe potuto perforare il suo scudo (lo scudo che era stato fabbricato da Efesto). E a questo punto interviene il narratore (vv. 264-66): Stolto, e non si rese conto nella mente e nell'animo che non è facile che gli splendidi doni degli dèi . siano soggiogati dai mortali né che ad essi cedano. Il modulo ~. oòòìw ol& usato da Dione in V 406 è imparentato con il modulo vfpnoç,oùaìt~wfl&ri usato dal narratore per Agamennone in II 38 e per Troo in XX 466. Ma in bocca a Dione il modulo ha una carica polemica estranea al narratore: il saperne di piu è per Dione uno strumento della sua 1

minaccia.

IL NARRATORE E IL PERSONAGGIO

34

La paura di Achille era infatti priva di fondamento e la lancia di Enea fu fermata dal suo scudo 2 • Certo, l'osservazione del narratore si rapporta a una sequenza fattuale di per sé favorevole ad Achille. Ma ciò che piu conta, a livello di testo, è che Achille viene smentito per non aver ben valutato un dato - il fatto che lo scudo era stato f abbricato da Efesto - che pure era a sua conoscenza. Il valore polemico di nepios- nel senso vero e proprio di «stolto» 1 - è in questo caso ben evidente. La correzione che in questo passo del XX il narratore mette in atto nei confronti di Achille si collega a tutta una linea di discorso che egli porta avanti nel corso dell'aristia'dell'eroe, in relazione specificamente alla problematica uomo/dio. Omero vuole certo mettere in evidenza il grande valore e la straordinaria forza di Achille, e crea per lui un'aristiache supera quelle dedicate nel poema ad altri guerrieri, compreso Diomede. Però nello stesso tempo Omero persegue anche una strategia di segno diverso, in vista dello sbocco finale del poema, dove Achille piange insieme con Priamo e restituisce il corpo di Ettore. Per questo nel corso dell' aristiadi Achille egli sente anche l'esigenza di prendere le distanze dalle imprese, straordinarie ma anche straordinariamente sanguinose, del suo personaggio. E a questo fine da una parte interviene a richiamare l'attenzione sulla crudeltà spietata di Achille e dall'altra interviene anche per ammonire il suo personaggio circa i limiti dell'uomo di fronte agli dèi. Abbiamo accennato nel capitolo precedente al fatto che (a poca distanza dall'episodio dello scontro tra Achille ed Enea) il narratore evidenzia la crudeltà di Achille a proposito della morte di Troo: con un commento relativo ad Achille (XX 467 -468a: «egli non era infatti un uomo dall'animo dolce, né 2

Anche nello scontro con Asteropco (con XXI 16.5= XX 268) e nello scontro con Agenore (con XXI .594b,., XX 268 b) lo scudo cliAchille ferma la lancia nemica. Ma in questi due casi l'evento appare ormai sproblematicizzato, e non si parla piu di una paura di Achille, né il narratore interviene a correggerlo. 3 La valenza polemica cliYT)'lttO(,, oùll'iV07Jcn si ricava dal contesto e non dalla sua formulazione: lo stesso modulo è usato, con forte accentuazione patetica, per ·..ndromaca in XXII 445 (però significativamente senza il 'sovrabbondante' Xll-aÌ sYOL xal xat~ Duµ6v,che è usato per Achille nel secondo emistichio cli XX 264). • Con il termine aristiaci si riferisce a una sezione del poema dedicata piu ,pecificamente alle imprese cli un singolo eroe: per l'uso del termine e per il apporto tra le singole aristiee il disegno generale del poema si veda Parte III, ap. VII.

IL NARRATORE DISSENTE DAL PERSONAGGIO

35

era di indole mite, I ma invece molto aggressivo») che si contrappone alla vana attesa del povero Troo (che viene definito anche lui nepios,ma con una valenza fortemente patetica del termine, in relazione al suo non sapere che non sarebbe riuscito a persuadere Achille). Ma questo dell'episodio di Troo è solo il primo avvio. Nella parte seguente del poema, infatti, dopo che Achille comincia a combattere presso il fiume Scaroandro, è costante la messa in evidenza della immoderatezza e della crudeltà di Achille. Si ha prima una tremenda mattanza di anonimi guerrieri, e poi l' episodio pateticissimo di Licaone, la cui preghiera resta inesaudita e la cui morte suscita in Achille un moto di simpatetica partecipazione, ma poi è accompagnata da un discorso di Achille spietatamente insultante (XXI 122-35). Ma Achille non si contenta di questo. Con una sorta di crudele duplicazione, da Licaone si passa, a breve distanza, ad Asteropeo, anche lui spietatamente ucciso da Achille (XXI 139-204). Come Licaone è tornato a Troia solo da dodici giorni, cos{Asteropeo è arrivato a Troia solo da undici giorni: con la ricerca di precise corrispondenze verbali tra i passi che evocano i due eventi'. Tutti e due i discorsi con cui Achille insulta la morte dei due guerrieri contengono la parola-chiave «giaci»'. E in tutti e due i discorsi ci sono elementi di provocazione nei confronti dello Scamandro. In XXI 12 3 sgg., nel contesto del discorso rivolto a Licaone, Achille parla dello Scamandro attribuendogli,con insultante rovesciamento di segno, una funzione che sostituisce quella della madre del guerriero ucciso: nel senso che la madre non eseguirà il lamento rituale e invece lo Scamandro lo rotolerà fino all'ampio seno del mare' e i pesci mangeranno il bianco grasso di Licaone. E in XXI 184-99, nel discorso rivolto contro Asteropeo, è provocatoria nei confronti dello Scamandro l'insistenza da parte di Achille sul termine «fiume», ripetuto ai vv. 185, 186, 190, 191, 192, e poi, nei ' Cfr. XXI 80-81 "'XXI 155-56. Cfr. XXI 12 2 Lv=utorviivX&ioo"' XXI 184 X&ia'olkwç, tutte e due le volte

6

all'inizio del discorso. 7 L'uso di x6Ànoçin relazione al mare non era atipico (e anche l'espressione wpé«x6Àn011di XXI 125 si ritrova, in riferimento al mare, in XVIII 140, nella stessa sede metrica); e tuttavia, dal momento che il termine denotava anche una parte della veste femminile, l'espressione viene ad assumere qui nel discorso di Achille (dopo l'evocazione/negazione della «madre• al v. 123) una risonanza di irrisione.

IL NARRATORE E IL PERSONAGGIO

vv. 195-97, il richiamo all'Oceano, dal quale - insiste Achille - derivano «tutti i fiumi» e «tutto il mare» e «tutte le sorgenti» e «i pozzi profondi»: il tutto per contrapporre alla stirpe di Asteropeo, che fa capo al fiume Axio, la propria stirpe, derivante, tramite Eaco, da Zeus. Tutto questo finisce per provocare la reazione sdegnata dello Scamandro, tanto piu che con una accelerazione vorticosa (3 Peoni uccisi nel v. 209, 4 Peoni uccisi nel v. 210) Achille continua la sua strage lungo il fiume. In un primo momento (nei vv. 136-38, subito dopo l'uccisione di Licaone) il fiume si adira e pensa nel suo animo come far cessare Achille dal combattimento e come allontanare la strage dai Troiani, e successivamente, con un procedimento di progressione, nei vv. 2 34 sgg. lo Scamandro passa all'azione per mettere in atto il suo proposjto '. E in questo contesto, dopo che lo Scamandro si è messo ad inseguire Achille mettendolo in grave difficoltà, che il narratore interviene con un suo sferzante commento: cfr. XXI 263-64 (dopo il paragone con l'acqua che scorrendo rapida nel fosso precede l'agricoltore) Cos{ volta per volta, sempre, l'onda della corrente raggiunse Achille, benché egli fosse veloce: gli dèi sono piu forti degli uomini.

Questo commento di XXI 264 si pone sulla linea del commento di XX 264-66, nel quale il narratore aveva dato dello «stolto» ad Achille per non essersi reso conto che i doni degli dèi non si lasciano soggiogare dagli uomini. Ma ora, nel passo del XXI, si ha una situazione di scontro aperto tra il dio - lo Scamandro - e Achille. E tra i due il narratore prende decisamente le parti del dio contro Achille. E la presa di posizione del narratore è come un ammonimento nei confronti del personaggio 9 • 1

Si noti la precisa corrispondenza tra XXI 137 b - 138 e XXI 249 b - 2 50. Ma nel frattempo il fiume è passato all'azione. 9 Segno di un atteggiamento emotivo del narratore nei confronti di Achille è anche l'uso, a proposito del Pelide, del termine ÀUp&çex· CIXOII (e a livello puramente fonico è significativa anche, in ciò che segue, la cor• rispondenza iniziale tra LmcmqdvoLaL e Ln!CJ"t(xcxç: chiaro esempio di fenomeno 1

irriflesso). 3 La traduzione, in questo caso e anche in altri, si sforza di rendere il piu possibile - per quanto è possibile - la collocazione nelverso delle parole second,, l'ordine del testo greco.

88

Il. NARRATOREE Il. PERSONAGGIO

Appare chiara la ricerca insistita di strutture parallele trii i talami dei figli e i talami delle figlie di Priamo. La corrispondenza è pressoché completa tra i vv. 244b- 246 e i vv. 248b- 250; e notevoli sono anche gli effetti di 'rima' tra il v. 244 e il v. 248 (thalamoixestoiolithoio tutte e due le volte nel secondo emistichio di ogni verso) e tra il v. 246 e il v. 250 (alokhoisi(n)alla fine di ogni verso•), con in piu una corrispondenza precisa tra la fine del v. 245 (enthadepaides)e la fine del v. 249 (enthade gambroi):dimodocché si ha come una sequenza x A B C y A B C, come se si trattasse di due tetrastici (vv. 243-46 + vv. 247-50). Un poeta che si esprime in questi termini il gusto per le corrispondenze simmetriche ce l'ha nel sangue, e presuppone anche un uditorio disposto ad apprezzarle senza ricavarne un effetto di sazietà. E piu particolarmente, nel caso specifico, questa realtà ordinata e simmetrica appare come una espressione di benvenuto ad Ettore che arriva dal mondo tumultuoso della battaglia e si immerge in una realtà familiare a lui gradita. Ma la ricerca di strutture parall~le coinvolge anche il rapporto tra narratore e personaggi. E possibile infatti che due personaggi (o le due parti in lotta) vengano inseriti, attraverso il gioco delle simmetrie, in un contesto che va al di là dei loro intenti e della contrapposizione che li oppone l'uno all'altro. Certo, durante la narrazione di scontri tra due guerrieri (o delle due parti in lotta) che si affrontano l'uno con l'altro era inevitabile che affiorassero strutture parallele contrappositive. Senonché piu volte si constata che il narratore mostra un compiacimento per le coi-rispondenze parallele che va al di là del puro • La variazione per cui a ltotp«I'~ &J.6xo1cn del v. 246 corrisponde ffotP' otl&o(uç &J.6xo1cn11 del v. 2 50 si inscrive nel sistema delle altre variazioni, per cui nessun verso di un tetrastico è completamente uguale all'altro: Omero non rinunzia a distinguere tra i figli e i generi di Priamo pur nella ricerca di insistite corrispondenze. La difesa che il Kirk ha tentato della variante ot!&o(uç al v. 246 non convince. A parte considerazioni relative alla tradizione manoscritta, non si capisceperché il nesso di forme di l'll'llffll e forme di &loxoçnon dovrebbe poter essere usato in fine di verso oltre che nella parte centrale del verso: fenomeni di dislocazionenon sono infrequenti nella poesia omerica. Il Kirk ha il merito però di aver notato le corrispondenzepresenti nel passo. Nel fatto che i talami delle lie siano dotati di tetto giocaun ruolo importante il particolareper cui lìw&xa na è una parola piu breve di it&\l'C'ljXOYtot, in modo che nellaprima parte del v. restava spazio disponibile per qualche cosa d'altro (con il conseguente pas:gioda l1M0t11 a~ perché questo spazio si dilatasse sino a permettere la col,1zionedi "tt-y,01).

LE S1.'RUT11.JREPARALLELE

dato fattuale. E inoltre il poeta dell'Iliade cerca anche, piu specificamente, dei moduli espressivi che attraverso la simmetria della struttura evidenziano l'accomunarsi di Greci e Troiani. Una buona base di partenza per la nostra indagine può costituire il passo di XVI 754-7r, relativo al contrasto tra Ettore e Patroclo intorno al cadavere di Kebrione. Al v. 754, dove si evoca il balzo di Patroclo, si contrappone subito dopo (attraverso l'espressione-chiave «a sua volta dalil v. 755 relativo al balzo di Etl'altra parte», auth' heterothen) tore. E tra i due versi il narratore ricerca un effetto di corrispondenza fonica, con una 'quasi-rima': ad alsomemaos(«balzasti con impeto»: il poeta si rivolge a Patroclo con la seconda persona), allafine dd v. 754, corrisponde altokhamaze(«balzò a terra») alla fine del v. 755. Ma il gioco non finisce qui. Considerando complessivamente tutto il passo dei vv. 754-7r si ha questo quadro di insieme per ciò che concerne le corrispondenze parallele: PATROCLO

vv. 754/55 alsomemaos vv. 756 sgg.

ETIORE

alto khamaze

paragone dei due leoni che combattono fra di loro Patroclo Meneziade splendido Ettore contendevano fra di loro tirava per la testa v.762 tirava per il piede v.763 paragone vv. 765 sgg. di Euro e Noto che si scontrano fra di loro.

L'insistenza su una strutturazione diadica è intensa e appariscente. E in piu, come una base orchestrale di fronte a degli a solo si evoca l'immagine di un agire comune delle due parti in lotta: vv. 763-64 v. 77 I

«e gli altri, Troiani e Greci, mischiavano insieme forte combattimento» «e né gli uni né gli altri pensavano alla fuga rovinosa

i

1

IL NARRATORE E IL PERSONAGGIO

Degno di nota è anche il fatto che in questo passo si ha un rilevante assembramento di forme del pronome alle/on («l'un altro»), ad indicare la reciprocità del rapporto diadico: cfr. vv. 761, 765, 768, 770. Il fenomeno è comparabile a quello che si ha nel passo di VI 2 18 sgg., dove forme dello stesso pronome si hanno ai vv. 218, 226, 230, 233, 245, 249, prima nell'episodio di Glauco e Diomede e poi, immediatamente dopo, nella descrizione della casa di Priamo (ne abbiamo parlato sopra). In tutti e due questi segmenti del VI (Glauco e Diomede, casa di Priamo) si evidenzia un rapporto che si pone al di là della dimensione della guerra; e ha una rilevanza ideologica il fatto che il fenomeno si ritrovi anche in questo passo del XVI dove pure si descrive uno scontro aspro tra due nemici decisi a combattersi sino alla morte. Nella parte finale dell'episodio di Glauco e Diomede, nei vv. 227-29, il discorso di Diomede è organizzato in modo che ai «molti» - polloi - all'inizio del v. 227 (i molti Troiani o alleati dei Troiani che Diomede potrà uccidere, a parte Glauco) corrispondono i «molti» - polloi- all'inizio del v. 229 (i molti Greci che Glauco potrà uccidere, a parte Diomede 5). Il rapporto di reciprocità tra i due guerrieri è evidenziato dunque anche attraverso l'affiorare di una struttura sintattica caratterizzata dalla ricerca di un parallelismo. Strutture del genere caratterizzano anche l'episodio - che si può confrontare con quello di Glauco e Diomede 6 - del duello tra Ettore e Aiace nel VII. Si tratta in particolare della parte finale, quando Ettore - dietro sollecitazione degli araldi - propone ad Aiace di sospendere il combattimento, a causa del sopraggiungere della notte. Anche in questo caso il poeta crea delle significative corrispondenze. A VII 294-95 (è Ettore che parla) in modo che tu rallegri presso le navi tutti i Greci, e in particolare i tuoi conterranei e i tuoi compagni

fanno riscontro' i vv. 296-98 (continua a parlare Ettore) 5

E si noti anche la presenza di una frase su base 1111xt sia al v. 2 28 che al 229, prima in relazione a Diomede e poi in relazione a Glauco. ·· Si veda anche sopra, al cap. m. Già il "t(t) dopo oudel v. 294 costituisce una nota di attesa in direzione di 1 el v. 296: la complementarità tra A e B appare come un dato strutturale pri-

.,.

LE STRUTI'URE PAJI Ar r El E

91

e io nella grande città del re Priamo rallegrerò i Troiani e le Troiane trascinatrici di pepli, le quali in mio onore pregando entreranno nel consesso degli dèi.

E i due verbi-chiave «rallegri» (euphrenéis: in rdazione ai Greci) e «rallegrerò» (euphraneo: in relazione ai Troiani) compaiono significativamente nella stessa sede metrica dd v. 294 e del v. 297. Ma l'onda delle strutture diadiche continua nei vv. 301 sg. (tra i Greci e i Troiani si potrà dire che «prima i due hanno combattuto a causa della contesa che divora l'animo, I poi invece si sono separati uniti in amicizia»') e nei vv. 307-12 (i Troiani «furono contenti» a vedere Ettore sano e salvo e lo - i Greci «con«condussero» via, e dall'altra parte - heterothen dussero» da Agamennone Aiace, «contento» per la vittoria'). A proposito di Glauco e Diomede è usato in VI 121 il verso modulare «Ed essi quando dunque erano vicini muovendo l'uno contro l'altro». Questo verso modulare - in rdazione a due guerrieri che si affrontano - è usato parecchie volte nell'lliade10,e piu volte capita che il poeta rafforzi ed evidenzi la corrispondenza parallela tra l'uno e l'altro guerriero. In V 630-31 (si tratta di Tlepolemo e Sarpedone) si ha l' evidenziazione dd fatto che si trattava dd figlio e dd nipote di Zeus, huiosth' huionoste: la lingua greca comportava una corrispondenza fonica tra i due termini. In V 850-57, la contrapposizione - dopo il verso modulare -tra Ares (vv. 851-54) e Diomede (vv. 855-57) è rafforzata dalla presenza di Athéné («Athena») alla fine del v. 853 (nel contesto di A) e alla fine del v. 856 (nel contesto di B), e dalla presenza di enkhei" khalkeioi(«con lalancia di bronzo») sia nel primo emistichio del v. 852 che nel primo emistichio del v. 856. In XXIII 816 sgg., dopo il verso modulare si ha nel v. 817 un verso organizzato secondo una strutturazione diadica, con C'è unasortadi ossimorotra W~v e «pf11:ftC11XYU, con la forza unificante dell'amiciziache superail distacco. 9 Si noti la corrispondenza tra frrov del v. 310 e &rovdel v. 312, e anche v. 307 lx«P'laotv"'v. 3 12 x,xClpT)6-t11. 10Per ~modulare» intendo un verso o un'espressionedi elevata tipicità che non trova riscontro - nell'epicagreca arcaica- al di fuori del singolopoema (cfr. anche Parte II, cap. 1). Il verso in questione suona o! 8' &ti &iiaxi&i>v~cr11v lx' iW.fi).omv!6vffIIfi xpc.tv3t crtowimXOli:cÌ3wf.L1Xi:' ha già in XVIII 493 11:oÀùç 3' ùµ.Lwi10ç 6pwpit(nella descrizione ddlo scudo). Si ricordi che ndlo stesso ambito semantico è attestata .5volte ndl' Iliadel' espressio3' &crl3,c,,:oç opwp&v/6pwp,1, sempre in contesto bdlico. ne ~OTJ 22 Cfr. V. 629 ~,:01Acxp&iv(87jç Ilp(cxµ.oç Dcxuf.L1XI;' i\x1Àijcx"'v.631 cxÙi:Òlp 6 Acxp&iv(3'1)v Ilp(cxµ.ov itCXUf.LIX~'y i\xilÀ,uç. 21

LE STRUTIURE

PARALLELE

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ma' tra due versi strutturati in modo parallelo, come già i vv. 629/631. Si ha in XXIV 795-98, con riferimento alle ossa di Ettore: E le presero e le misero in una cassa d'oro, con purpurei pepli avvolgendole e morbidi. E subito allora la collocarono in una fossa, e poi di sopra con fitte pietre la coprirono e grandi 23 •

Ai « purpurei pepli» del v. 796 corrispondono nella stessa sede del verso le «fitte pietre» del v. 798; ad «avvolgendole» del v. 796 corrisponde nel v. 798, nella stessa sede del verso, «coprirono»; e a «morbidi» (malakoisin) del v. 796 corrisponde, nella stessa sede del verso ~ con effetto di 'rima', grandi (megaloisi) alla fine del v. 798. E in realtà nella loro interezza che il v. 796 porphureoispeploisikalupsantesmalakoisin

e il v. 798 puknoisin laessikatestoresanmegaloisi

si corrispondono tra di loro, per la sequenza aggettivo + sostantivo + verbo + aggettivo, per il rapporto tra parole e metro, e in piu un effetto di rima: quasi come un'affettuosa ninna-nanna che il poeta canta ad Ettore, morto, alla fine del poema. Prima le ossa e poi la cassa che contiene le ossa di Ettore sono inserite, a livello fattuale, in un contesto che le accoglie e le protegge. Ma è la stessa parallelità della struttura formale del v. 796 e del v. 798 che assolve ad una funzione di rassicurante accoglimento: l'ultima espressione di affetto che il poeta del1'Iliade tributa al suo Ettore. 23

Gli «e» che io per ragioni di chiarezza ho inserito nella traduzione davanti a «morbidi» e «grandi» non ci sono nel testo greco. Nel testo greco invece, al v. 796 e poi al v. 798, i due aggettivi riferiti asindeticamente allo stesso sostantivo sono staccati fra di loro, con l'effetto come di un inatteso prolungamento. Pursenza riferimento al nostro passo, il fenomeno è stato studiato, con ricchezza di documentazione e in un ampio contesto, da S. Timpanaro, Alcuni tipidi sinonimi in asindetoin latinoarcaicoe lorosopravvivenze in latinoclassico,II, in «Rivista di filologia e di istruzione classica», CXVI (1988), pp. 385-428. In queste passo del finale dell'Iliade la ripetizione dello stilema in due versi molto vicini · strettamente paralleli fra di loro (e con effetto anche di 'rima') ne evidenzia l potenzialitàespressiva.

Parteseconda

Al di là dellaformula

Capitolo primo Formularità interna e invenzione poetica

I.

Sarebbe sbagliato ridurre il problema della poesia omerica aldilemma «oralità sf»/ «oralità no» 1• Di fronte all'Iliade(ma il discorso coinvolge anche l'Odissea)ci sono delle domande primarie che ci si deve porre: è ravvisabile un disegno unitario nell'Iliade?è attribuibile al suo autore un alto livello di consapevolezza poetica? ci sono delle ragioni per cui il nostro approccio critico di fronte a un'opera come l'Iliade(composta, a quanto pare, intorno alla metà del secolo vm a. C.) debba essere, già in linea di principio, differente rispetto al modo di porsi di fronte ai componimenti, poniamo, di Archiloco (attivo solo un secolo piu tardi)? È certo che il destinatario dell'Iliade era un pubblico che il poeta raggiungeva esclusivamente attraverso una comunicazione orale; e questo dato è tutt'altro che irrilevante per la comÈ noto che una grande rilevanza per l'imporsi della problematica dell'oralità ha avuto il libro di E. A. Havelock, P,efaceto Plato,Cambridge Mass. 196.3 [trad. it. Culturaoralee civiltà dellascrittura.Da Omeroa Platone,Roma-Bari 197.3];e dr. anche, dello stesso autore, The LiterateRevolutionin Greeceami Its Cultura/Consequences,Princcton 1982 (con contributi che vanno dal 1966 al 198).Sul modo - tutt'altro che criticamente rigoroso - di usare la categoria del1

l'oralità da parte del Havclock (e anche sulla sua bizzarra interpretazione 'cnciclopeclistica' dcli' Iliade)A. Lamiin «Rivista di filologia e di istruzione classica•, CXII (1984), pp. 4.38-40 ha scritto pagine acute e importanti. Piu recentemente, l'oralismo ('enciclopedistico') del Havelock e le concezioni ad esso correlate della «omeostasi» (J. Goodye I. Watt 1968) e della tendenziale omeostasi O.Vansina 1985) sono stati sottoposti a critica stringente da W. Kullmann,'Ora/ Tradition/OJ:alHistory'und diefruhgriechische Epik, in aa.vv., Vergangenheit in 1fliindlicher Uberlieferung («Colloquium Rauricum», Band n,Stuttgart 1988, pp. 184-96: con riferimento, in particolare, alle stratificazioni cronologiche presupposte ncll' Iliadee alla radicale differenza dei codici ravvisabili rispettivamente odi'Iliadee nell'Odissea. In effetti, sembra aver fatto il suo tempo una certa modache richiedeva alla categoria dell'oralità delle prestazioni (o delle performan ccs)che essa non era in grado di fornire.

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posizione stessa dell'opera. È ipotesi legittima, anche, che nel1'età omerica coloro che esercitavano l'attività poetica epica (li si chiamirapsodi, aedi, bardi, o in un altro modo) disponessero di un patrimonio formulare trasmesso oralmente. Ma sarebbe improprio delegare alla modalità della trasmissione del testo tutta una serie di questioni attinenti alla composizione dell'opera, al suo articolarsi in parti interrelate tra di loro, alladiversità dei registri espressivi. Anche supponendo (ilche è lontano dal poter essere dimostrato: e io credo che non sia vero) che l'atto della composizione coincidesse con quello della comunicazione con il pubblico, nel senso che Omero avrebbe composto nel mentre che recitava, anche in questo caso i due aspetti sarebbero pur sempre, a rigore, da distinguere. Tutto questo non significa negare la specificità della dizione omerica. Anche le poesie di Archiloco venivano comunicate all'uditorio attraverso la recitazione, e cosi anche, piu tardi, le tragedie e le commedie del v secolo a. C. Ma rispetto alla produzione poetica successiva i poemi omerici presentano una caratteristica formale del tutto peculiare: e cioè un uso molto rilevante del procedimento della ripetizione, che può riguardare singole espressioni o anche interi versi. Giustamente si è collegato con questo fenomeno il dato della formularità della poesia omerica 2 • Ma il problema reale è 2

Un termine di riferimento essenzialeper questo problema è costituito ovviam4tntedall'attività critica di M. Parry e dai suoi studi sulla formularità omerica. E classicala sua definizione secondo cui la formula è «un'espressione che viene usata regolarmente, nelle stesse condizioni metriche, per esprimere una certa idea essenziale»(L 'ipithètetrrzdiJionnelle dansHomère.Essaisurun problème desl:ylehomérique,Paris 1928, p. 16 ["' TheMakingo/ HomericVerse.The ColkctedPapmo/ Mi/manPa,ry,a cura di A. Parry, Oxford 1971, p. 13]). Sullo sviluppo del pensiero parryiano, in relazione in particolare all'associarsi della sua concezionedella formularitàcon quelladell'oralità (a partire dall'articolosull'cnjambcment in «Transactions of the American Philological Association•, LX (1929), pp. 200-20 e poi in Studiesin the Epic TechniqueofOralVerse-Making, III, in «Harvard Studies in Classica!Philology», XLI(1930), pp. 73-147 e XLIII (1932), pp. 1-50 si veda]. P. Holoka, Homer,oralpoetrytheory,and co11lfJtllrlliw literatu'ff!: ma;ortrendsand controversiesin twentieth-centurycriticism,in aa.vv., Zweihundert Jah'ff! Homer-Forschung. Ruckblick und Ausblick («ColloquiumRauricum», Band Il), Stuttgart-1..cipzig1991, pp. 456-81. Nel dopoguerra un forte rilancio (ma sulla base anche di presuppostinuovi: cfr. M. Cantilena, Approccio metricoalleteoriedelJacomposizioneorale,in aa.vv., Metricae linguisticaclassica, Urbino 1990, pp. 45-86) delle teorie parryiane si è avuto attraverso il libro di A. B. Lord, The Singero/ Tales,Cambridge Mass. 196o (sullabase di una dissertazione del 1949). Integrazionialle tesi del Parry (ma senzausciredalsuo orizzonte concettuale)sono state suggeriteda J. B. Hainsworth, The Flexibilityo/ the Ho-

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vederequale sia la portata effettiva del fenomeno, e se e in chemodo la f ormularità si associa a procedimenti inventivi, inquanto propri del singolo autore e specifici delle esigenze espressive cli un singolo segmento del testo. I lavori sulla formularità omerica pubblicati n~ 1928 da M. Parrysono importanti non per il rilievo dato all'aspetto della formularità in Omero (solo qualche anno prima la cosa era stata ribadita in termini molto recisi da A. Meillet, uno dei maestri del Parry), ma per la dimostrazione della sistematicità e della economicità di alcuni sistemi di formule. È questo un contributo del Parry che si può considerare come acquisito. D'altra parte però c'era nel Parry un rigetto sistematico dei problemi attinenti alla personalità del poeta e al livello stilisticoespressivo dei singoli passi; e questo, evidentemente, non perdisattenzione del Parry, ma per la sua impostazione di fondo che aveva come termine di riferimento precipuo la considerazione di un patrimonio poetico comune, in linea di principio impersonale. In uno dei suoi ultimi scritti il Parry condannava il metodo di coloro che intendono trovare «dei significati falsamente sottili nelle ripetizioni, in quanto dovrebbero richiamare una scena precedente dove sono usate le stesse pamericFormula,Oxford 1968; e dr. anche A. Hoekstra, HomericModifications o/ FormulaicPrototypes:Studiesin the DevekJpment o/ GreekEpicDiction,Amsterdam 1965. Un tentativo invece di andare al di là della formula parryiana ha cercato di mettere in atto piu recentemente M. N. Nagler, Spontaneityand Trrulition.A Study in the Ora/Art o/ Homer,Berkeley - Los Angeles - London 1974, con l'intento di rivelare una nozione di «Gestaltit non priva di risvolti mistici, e pericolosamente basata su procedimenti ricchi di immaginazione e di bizzarria (una discussione - che qui non ripeto - di un esempio specifico dell'arbitrarietà del modo come il Nagler procede ho dato in RFIC, I, p. 272, nota 1; e una giusta presa di distanza della linea che da J. A. Russo porta al Nagler è stata espressa da L. E. Rossi in aa.vv., Storiae civiltàdei Greci,1/1, Milano 1978, p. 112). E tuttavia il Nagler ha avuto il coraggio (cfr. Spontan"eity cit., p. 14) di gridare che il re è nudo, che cioè un insieme di sistemi di formule intese in senso tradizionale (e cioè - nella sostanza - sulla linea di una impostazione di base parryiana) non è sufficiente, anche tenendo conto di un ceno numero di prevedibili trasformazioni, a spiegare la composizione dell'Iliade nella sua totalità. Piurecentemente il Cantilena ncll' anicolo sopra citato, sviluppando in modo criticamente consapevole spunti del Lord, ha proposto un modello che, con richiamo alle teorie dell'associazione verbale, intende spiegare come lestereotipie concettuali fornite dalla tradizione si vengano a tradurre - con regolarità sempre crescente - in stereotipie linguistiche: con la conseguenza che un aspetto fondamentale della teoria parryiana, e cioè il momento della ricezione da parte del bardo di un patrimonio formulare già preesistente, viene messo in crisi1

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role» 1 : e invece, a me pare, proprio l'arte dei richiami a distanza è un elemento essenziale della tecnica poetica dell'Iliade e spiega, spesso al di fuori del dato della formularità, una parte consistente delle ripetizioni del poema. A fronte della complessità della lingua poetica omerica occorre anzitutto che ci si chieda quale sia l'effettiva consistenza delle formule omeriche, nel senso di vedere quanta parte del testo è effettivamente coperta da espressioni che si possono considerare formulari. Chi ha pratica di questo genere di ricerche sa che una parte notevole del testo dell'Iliade (e dell'Odissea)resta indenne dal sospetto della formularità•. Molto spesso noi siamo in grado di constatare che un segmento della di1

Si tratta della recensione (che io avverto come non del tutto simpatetica: i due studiosi si ponevano su linee culturali del tutto divergenti) al libro di W. Arend, Die typischenScenenbei Homer, Berlin 1933, recensione apparsa in «Classical Philology», XXXI(1936), pp. 357-60 ["' TheMakingof HomericVene cit., pp. 404-7]. 4 E questo, ben inteso, anche tenendo conto delle precisazioni sulla possibilità di estensione della nozione di formula, nella sua adattabilità, fornite dal Hoekstra e dal Hainsworth. In RFIC, II, pp. 385-90 ho mostrato come l'analisi compiuta dal Parry (in Studiesin the Epic Techniquecit., pp. 117-19 ["' The Makingof HomericVenecit., pp. 301-2)) allaricerca di espressioni formulari e affini a proposito di Il. I 1-25 sia viziata da gravi e facilmente demistificabili forzature. Al v. 1 il Parry non tiene conto della specificità iliadica nell'uso di J,L7j\lL11 all'inizio del verso e in riferimento ad Achille (per questo si veda piu avanti). Al v. 2 non tiene conto della specificità iliadica di &ì.-y,'l~. Al v. 3 non tiene conto della specificità iliadica di 'i\."tiL11:po!acp,11. Inoltre per il v. 3 a favore dell'ipotesi di formularità di (quasi) tutto il verso il Parry cita XI 55, un confronto che non vale nulla, perché è il poeta che ripete se stesso. Al v. 4 per ~1)6)W11, OLÙWÙC 8t il Parry cita tre passi che sono imparentati tra di loro, con - probabilmente - il poeta dcli' Odisseache riutilizza l'Iliade;e in ogni caso l'espressione di I 4 resta, a rigore, un unicum. Al v. 6 a proposito di lç 06&fiil Parry non tiene conto della marcata tendenza di lç 06 a collocarsi all'inizio dell'esametro e della tendenza, propria della lingua greca, di &lia rafforzare un'espressione del genere. Al v. 8 il Parry confronta itMi>vlpt&Lcon DMi>vlpt&Ldi XX 66; ma - a parte il fatto che si tratterebbe pur sempre di un nesso specificamente iliadico - il confronto non ha valore dalmomento che il rapporto sintattico tra i due termini è del tutto differente nei due versi. Al v. 1 o a proposito di M cnp01wvwpoi il Parry cita a confronto ~ cnpcn6vdm di X 66, e non si avvede che wpoi XII.X'ffY trova riscontro in wpoi xacc6v di XI 53, nello stesso passo in cui si trova il v. 55, che il Parry invece mette a confronto con I 3 (ma anche nel caso di XII.X'ffY ~ wpoi X0LX011 si tratta di una ripresa consapevole). Al v. 12 per ~it, di ~h ito«ç lm IITjOLç :i\x01L11 il Parry cita a confronto I 371, ma il valore del confronto è nullo, poiché in I 371-75 Achille riutilizza, nel discorso alla madre, I 12-16, detti dal narratore; la cosa è riconosciuta dalParry per I 13-16 = I 372-75, ma non per ~D, di I 12 (che non doveva essere sottolineato, cos{ come il Parry non sottolinea alcune espressioni dei vv. 13-16). Anche il Lord, TheSingero/Tales cit., pp. 143-44 ha anali!zato i vv. 1-15

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zionedell'Iliade è un unicum nell'epica greca arcaica. In astratto si può congetturare che l'unicità dell'espressione derivi dal fattoche ci è pervenuta solo una parte dell'epica greca arcaica e che quell'espressione che a noi risulta come unica in realtà nonlo fosse. Ma questa è pur sempre un'ipotesi, priva di documentazione.E d'altra parte spesse volte noi siamo in grado dicoglierela ragione per cui quella specifica espressione viene usata,e, si può anche ritenere, inventata o comunque elevata alivelloletterario da Omero. Se per il cimiero di Ettore che spaventa il bimbo il poeta dell'Iliadeusa in VI 4691' aggettivo hippiokhaitis(«fatto di pelodi cavallo»), un aggettivo non attestato altrove nell'epica grecaarcaica ed eccezionalmente lungo come attributo di «cimiero»(lophos), io ritengo legittimo supporre che la cosa si debbacollegare anche con l'intento di dilatare, anche a livello dispazialità fonica, la nozione del pennacchio che ha un impattocosi pauroso su Astianatte. Analogamente, l'eccezionalitàdella figura di Achille nel racconto del primo canto è evidenziatadal particolare per cui in I 189 (e mai altrove e per nessun'altrapersona nell'epica greca arcaica)il suo petto è qualificatocon l'aggettivo lasios(«villoso»:stithessinlasioisz)e anche,nello stesso passo, dal particolare del tutto atipico (un unicumnell'epica greca arcaica) per cui il «meditare» (mermerixen)di Achille, quando è incerto se aggredire o no Agamennone,ha per soggetto etor («animo»). In questi casi, e in moltissimialtri che si potrebbero citare, Omero dietro lo stimolo di una particolare esigenza espressiva creava nuova lingua letteraria'. delI canto dcll' Iliade,nell'intento cli individuare formule edespressioniformulari,arrivando - graziea frequenti forzature - a coprire oltre il 90 per cento del testo.Di ben altra levatura e consapevolezzacritica sono le analisidegli elementi formulari degli Inni ad opera cli M. Cantilena, Ricerchesu/Jadizioneepica,I. Per unostudiodellafomzularitàdegli'InniOmerici',Roma 1982 (anche se il Cantilena,a mio parere, tende a sopravvalutare l'elemento della formularità). ' N. J. Richardson, The lndividualityo/ Homer's Language,in aa.vv., Ho-

mer:Beyond Ora/Poetry.Recent Trendsin Homericlnterpretation,Amsterdam 1987,pp. 165-84 ha richiamato l'attenzione sul nesso tra gli hapax/egomenafila.

dici(cioè parole che compaionouna sola volta nell'Iliade;e che spessooltre a non trovare riscontro nel resto dell'Iliade non compaiono nemmeno nell'Odissea) ed esigenzecli espressione a livello cli stile (similitudini, discorsi, descrizioni, passi digrande intensità emotiva: con particolare riferimento al XXII dell'Iliade). Si calcolacheil 35 per cento dei vocaboliusati nell'Iliadesiano degli hapax/egomena

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E per quel che riguarda le cose ripetute, è ovvio che non ogni ripetizione è prova di formularità. In alcuni casi si può trattare della ricezione, a livello letterario, di elementi fissi costitutivi della lingua in quanto strumento di comunicazione interpersonale (e si ricordi che per i vari segmenti di dizione c'era la tendenza ad avere una propria collocazione nell'esametro in corrispondenza allaloro strutturazione metrica). In altri casi si tratta certamente della ripresa - da parte dell'autore dell'Iliade - di versi o di segmenti di versi o anche di piu versi insieme da lui stesso precedentemente usati in una parte anteriore dd poema, in modo che attraverso la ripetizione si crea una corrispondenza a distanza ricercata intenzionalmente: quanto sia operante il principio della corrispondenza a distanza un'idea il lettore la potrà avere leggendo la III parte di questo volume. E in piu bisogna distinguere, mi pare, tra formularità esterna e formularità interna. Accanto, infatti, allanozione di formularità quale è stata alla base dell'attività critica dd Parry e che (andando cosf, naturalmente, al di là dei presupposti dd Parry) definisco come formularità esterna, mi pare che si debba dare uno spazio consistente per il poeta dell'Iliade alla nozione di formularità interna. Nel caso di formularità esterna la ripetizione è sufficientemente spiegata con il fatto che il poeta utilizzava piu volte una formula preesistente: in questo caso dunque il problema di un rapporto tra le varie parti dell'opera nelle quali quella singola espressione si trova usata almeno in linea di principio non si pone. Nel caso invece di formularità interna la ripetizione è dovuta al fatto che Omero - come in maggiore o minore misura capita ad ogni poeta - riecheggiava, per un fenomeno di persistenza fonico-espressiva e a un livello di maggiore o minore consapevolezza, una espressione da lui usata in precedenza: in questo caso perciò il dato ddla ripetizione non può costituire la prova che si tratti di una espressione che Omero derivava da una tradizione letteraria a lui precedente. iliadici. E naturalmente il discorso si allarga,quando dall'esame dei singoli vocaboli si passa - come si deve - all'esame anche dei nessi (o tessere, o segmenti di dizione) che presentino carattere di unicità. - Al di fuoridel reale si pone l'affermazione di C. O. Pavese, Studi sullatradizioneepicarapsodica,Roma 1974, pp. 31-32 secondo cui nei due poemi omerici i versi formulari oscillerebbero tra c. 90 e 100 per cento: si veda in proposito anche ciò che osservo in RFIC, II, p. 388, nota 1.

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Occorre chiarire d'altra parte che c'è una distinzione concettuale tra il fenomeno della formularità interna e quello della corrispondenza a distanza, anche se essi sono correlati tra cli loro. Nel caso della corrispondenza a distanza, infatti, viene sollecitato con avvertibile consapevolezza un collegamento tra due passi diversi del poema che sono interessati dallaripetizione (che può essere anche cli consistente estensione); nel caso invece della formularità interna - che si può realizzare anche a livello inconscio - ciò che conta è solo il riaffiorare di una singola espressione o cli un singolo nesso e il collegamento tra un passo e l'altro tende a mettersi fuori campo. Ci sono versi che si riferiscono ad eventi tipici e che, nell'epica greca arcaica, non sono esclusivi dell'Iliade:ad esempio «E quando prestogénita apparve la clitirosata aurora» oppure •ragliarono le cosce e le avvolsero nel grasso» oppure anche «e a lui/lei rispondendo disse» e poi l'indicazione cli colui che parlava attraverso un'espressione che completava la misura dell'esametro. C'è poi tutta una serie di nessi costituiti da un sostantivo e un epiteto, nessi che presentano carattere cli fissità (con possibilità cli declinazione dell'espressione, per quello che la metrica consente) e che di regola si trovano nella parte finale dell'esametro, del tipo cli «scudo ombelicato», «nave bilanciata», «uomini mortali». In tutti questi casi è legittimo ritenere che si trattasse cliun patrimonio formulare tradizionale. (Piu delicata è la questione per i nessi costituiti da un nome cli un guerriero e da un epiteto specializzato - nel senso che chia-_ risco nel capitolo seguente-, giacché si pone il problema se gli stessi guerrieri costituissero materia cli poesia nella tradizione letteraria precedente e fossero già associati a particolari qualifiche: la questione resta in sospeso per mancanza cli documentazione). E anche quando troviamo un'espressione che è ripetuta solo nell'Iliadee che si riferisca a una nozione tipica e che abbia carattere cli fissità metrica (per esempio apereisi'apoina, «infinito riscatto», in fine cli verso: I I x nell'Iliade,e mai altrove nell'epica greca arcaica) è ragionevole la congettura che si tratti di una formula esterna (anche se in casi del genere, per distinguere la specificità del fenomeno, è preferibile usare il termine «modulare»). Ma per le ripetizioni specifiche dell'Iliade che non si riferiscano a nozioni tipiche (e per le quali non entri in gioco nem-

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meno il fenomeno della corrispondenza a distanza: anch'esso per altro concettualmente estraneo al fenomeno della formularità esterna) bisogna in prima istanza partire dalla considerazione che si tratti non di formularità esterna, ma di formularità interna. È facile capire che questo fenomeno della formularità interna, una volta cosf definito, interessa una parte molto rilevante del testo dell'Iliade.Ma io qui intendo riferirmi solo ad alcuni casi particolarmente privilegiati per il quali il sospetto che si tratti invece di formularità esterna si deve ragionevolmente escludere. Mi riferisco in particolare ad associazioni di singole espressioni ad un singolo personaggio: è impensabile che nel codice poetico degli aedi ci fosse l'istruzione di usare quella singola espressione per quel singolo personaggio, o anche soltanto di usare quella singola espressione solamente per un solo personaggio nel corso di tutto il poema. Do qualche esempio. Solo per due colpi inferti da Merione si ha nell'IliadeI' espressione - nella stessa sede del verso - gloutonkata dexion, «nel gluteo destro»: V 66 e XIII 651. L'espressione non è usata altrove nell'epica greca arcaica. E solo per questi due colpi inferti da Merione è attestata - in tutta l'epica greca arcaica l'espressione antikrukata kustin, «diritto alla vescica»: V 67 e XIII 652 (tutte e due le volte all'inizio del verso). In tutta l'epica greca arcaica il nesso di una forma del passivo biazomai(«essere oppresso») e del dativo beleessi(«dardi», ma piu precisamente qualsiasi proiettile) è attestata solo nell'Iliade,in XI 576, XI 589, e in XV 727 = XVI 102. In tutti i casi si tratta di Aiace Telamonio. Fra i capi greci la problematica dell'essere o no analkis «imbelle» - si pone nell'Iliadesolo per Diomede'. E solo in relazione a Diomede si ha, in tutti e tre i versi in cui la questione si pone, una associazione di una forma dell'aggettivo analkis con una forma del verbo phemi(«dire»): VIII 153, IX 35, XIV 1 26 (con una ulteriore, piu estesa, corrispondenza tra il primo e il terzo di questi passi). Solo in discorsi di Achille', e mai altrove nell'Iliade, si tro• Per ulteriori dati rimando a quanto ho scritto in RFIC, I, pp. 278-79. 7 Il dato della specificitàdell'uso di forme di lx,bpo< da parte di Achille non risulta nell'analisi che del linguaggiodi Achilleha fornito il Griffin, Homeric

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III

vano forme dell'aggettivo ekhthros,«nemico»: IX 312, IX 378, XVI 77. E invece Agamennone nei suoi discorsi non usa maiforme del positivo ekhthros,ma solo forme del superlativo ekhthistos(I 176, IX 159): forme del superlativo che per converso non sono mai usate da Achille. Per riferirsi al campo semantico dell' «ira» kholos e ménis erano due termini che il poeta dell'Iliadeaveva a disposizione (rispettivamente 49 x, 12 x). Ma mentre l'uso di kholosè piu esteso ed è usato, tra gli altri, sia per Agamennone che per Achille, invece solo per Achille - tra gli uomini - è usato nel poema il termine menis;e solo per Achille e - tra gli dèi Apollo il termine, sempre all'accusativo, viene usato all'inizio dell'esametro•. Sono attestati nell'epica greca arcaica solo due aggettivi, dalla valenza metrica coriambica, composti con hemi-(«semi-») Wordsand Speakerscit., pp. 51-:57 (nell'elenco di p. 57, in riferimento a parole dette da Achille che non ricorrono altrove nell'Iliade, mi è capitato di riscontrare come erronee le inclusionidi !,q.,.71V(lç, batcryÀmu, 11.TIV\~- Ai fini del discorso relativo allafonnularità interna sono significativi,tra i dati messi in evidenza dal Griffin, soprattutto i casi in cui un termine o un'espressione è attestata piu volte nei discorsi di Achille. Ciò vale in particolare per civculìdTJY litmµ.tv- 2 x (dove però gioca l'identità del referente), per lìcxax1çu xcx!tlxoa- 2 x, per lpph:w 2 x, e soprattutto per l'uso della particella asseverativa µ.ci3 x. Su una linea diversa rispetto al ricco articolo del Griffin si era posto A. Parry, TheLanguage o/ AchiJ/es,in «Transactions of the American PhilologicalAssociation», LXXXVII (1956), pp. 1 -7. Secondo A. Parry Achille esprimerebbe il suo distacco rispetto alla società e al mondo esterno attraverso un uso improprio del linguaggiotradizionale; ma gli scarsi riferimenti ai singoli passi giustificano poco il discutibile assunto dello studioso (e si vedano anche le giuste osservazionidi M. D. Rceve, TheLanguageo/ Achil/es,in «Classica! Quarterly», n.s., xxm (1973), pp. 193-95). Ultiin the mamente R. P. Martin, The Languageo/ Heroes.Speechand Performance 'Iliad', Ithaca-London 1989, pp. 146-205 ha dedicato una lunga analisi al linguaggio di Achille, con particolare riferimento a IX 307-429. Il Martin è attento a notare le particolarità espressive specifiche di Achille, e ha messo in evidenza tutta una serie di tessere che sono usate da Achille e che non ricorrono altrove nell'Iliadeo piu in generale nell'epica greca arcaica: come citpyòçcivfip,cxu1tV011ç v6,mzç,ilµ.a-ccx cx!µ.cx-roev-ccx, ecc. (l'elenco di pp. 181-82 ne comprende 25). In conclusione, l'esame dei discorsi di Achille si è rivelato in questi ultimi anni uno strumento privilegiato per cogliereuna componente fortemente individualizzante nella lingua poetica dcli' Itiade. 1 Per µ.ijvwe Achille cfr. I 1, IX 517, XIX 35, XIX 75 (in tutti questi casi, eccettuato IX 517, si tratta di µ.ijvwall'inizio del verso); per µ.ijvwall'inizio di verso in riferimento ad Apollo cfr. I 75, V 444, XVI 7n. Che il termine µ.ijviçsi trovi attestato - tra i mortali - solo per Achille ha notato L. M. Slatkin, ThePower o/ Thetis.A//usionand lnterpretation in the 'Iliad',Berkeley - Los Angeles all'inizio di verso cfr. Di Oxford 1991, p. 86; per la particolarità relativa a µ.ij111v Benedetto, RFIC,I, pp. 283-85.

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e un elemento bisillabico terminante con -es con l'accento sull'ultima sillaba. Si tratta di hemitelis(«compiuto a metà») e hemidaes(«bruciato a metà»). Questi due aggettivi si trovano solo nell'Iliade(II 701 e XVI 294) e si riferiscono tutti e due a Protesilao, la sua casa che resta costruita a metà e la sua nave che resta bruciata a metà (reggente è in tutti e due i casi una forma di leipo,con valenza passiva). Il primo dei due passi si trova nel Catalogodellenavi. Il termine androtita(«virilità», «forza») è attestato nell' Iliadein XVI 857, XXII 363, XXIV 6 (e mai altrove nell'epica greca arcaica, nemmeno in altri casi, diversi dall'accusativo). Ora, nel primo passo si tratta di Patroclo (piu precisamente, dell'anima che piangendo abbandona la forza e la giovinezza di Patroclo al momento della sua morte), e nel terzo passo ancora di Patroclo (è Achille che in XXIV 5-6 si agita rimpiangendo la forza e il forte impulso di Patroclo: si intravede, nel fondo, un collegamento con XVI 857). Nell'altro passo, in XXII 363, si tratta dell'anima che abbandona Ettore, ma XXII 363 fa parte di un gruppo di 3 versi che è una autocitazione da parte di Omero di 3 versi relativi a Patroclo, con XXII 361-63 = XVI 855-57 (e si ha anche XVI 858 a XXII 364). Senza alcun dubbio il poeta dell'Iliadevoleva - per evidenziare una sorta di legge del contrappasso - che al momento della morte di Ettore ci si ricordasse della morte di Patroclo (tutto l'episodio della morte di Ettore presenta notevoli punti di contatto con l'episodio della morte di Patroclo). L'espressione dakruathermakheon - «versando calde lacrime» - è quanto di piu tipico si possa immaginare. Essa appare declinata al nominativo plurale in VII 426 (e si veda anche, con l'imperfetto, Od. XXIV 46), ma al nominativo singolare è usata, sempre all'inizio di verso, 3 volte. E sempre in relazione a Patroclo. In XVI 3 è Patroclo che piange, in XVIII 17 e in XVIII 2 35 sono rispettivamente Antiloco e Achille che piangono per la morte di Patroclo. Solo ~Nestore viene attribuito nell'Iliade(I 254 = VII 124) il verso O popoi,emegapenthosAkhaiidagaianhikanei,(«Ahimè, veramente un grande lutto ha raggiunto la terra achea»), e piu in generale un verso che non è attestato altrove nell'Iliade nell'epica greca arcaica: con l' 'aggravante' che la sequenza dei termini «lutto», «ha raggiunto», «terra» (penthos... gaianhikanei)essa stessa non è mai attestata nell'epica greca arcaica.

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Ma il contatto tra i due passi, appartenenti a un discorso di Nestore, si estende anche al fatto che il verso successivo (I 255 "'VII 125) comincia tutte e due le volte con eke(n). Ma sono significativi anche altri casi in cui non si tratta ddlaconcomitanza di una singola espressione con un singolo per. sonagg10. In V 9, X 314, XVII 575 il discorso relativo a guerrieri di rango minore destinati ad essere uccisi nel prosieguo del racconto è introdotto con «C'era uno tra i Troiani» (endetis en Troessioppure esked'eni Troessi:in V 9 si tratta di Dare, il padre di Fegeo che viene poi ucciso da Diomede, in X 314 si tratta di Dolone, in XVII 575 si tratta di Pode che subito dopo viene ucciso da Menelao); e in XIII 663 si ha endetis («c'era uno») a proposito di Eukhenor che viene ucciso subito dopo daParide. In tutti questi casi nel corso della presentazione del guerriero si dice che lui (o suo padre) era ricco. D'altra parte il modulo per cui una persona destinata ad essere uccisa è associata con il dato della ricchezza, lo ritroviamo anche in Od. XX 287-89, a proposito di uno dei proci, Ktesippo (che per altro viene ucciso a grande distanza di testo). Sembra legittimo dunque supporre che si tratti di un modulo formulare esterno. Senonché in Il. V 9, XIII 663-64, XVII 575-76 e solo in questi tre passi tra quelli interessati dal modulo viene usato per indicare la ricchezza l'aggettivo aphneios,nonostante che ci fossero anche altre possibilità espressive. In piu si ha un'ulteriore particolarità. In XIII 663-64 e XVII 575-76, due casi in cui la ricchezza viene attribuita direttamente al guerriero che verrà ucciso e non a suo padre come in V 9, l'aggettivo aphneios compare, dopo la presentazione dd nome dd guerriero, nd secondo verso, all'inizio, e tutte e due le volte nel contesto dell'espressione aphneiost'agathoste («sia ricco che valente»), una tessera che non compare mai altrove nell'epica greca arcaica. Sarebbe sbagliato vedere nella coincidenza di XIII 663-64 rv XVII 575-76 l'adeguamento a un modulo formulare esterno. Si individua invece un procedimento di progressiva specializzazione, che appare essere il risultato di tendenze espressive specifiche dell'autore dell'Iliade. Un altro esempio è anch'esso molto significativo. Si tratta del verso Ilion ekpersant'euteikheonaponeesthai,«dopo aver distrutto Ilio dalle belle mura fare ritorno», che è attestato in II 113 (parla Agamennone), II 288 (parla Ulisse), V 716 (è He-

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ra che parla ad Athena), IX 20 (parla Agamennone). Si tratta di una frase che in un poema come l'Iliade,dove si tratta di un esercito che combatte lontano dallapropria patria, presenta un accentuato carattere di tipicità, e quindi la ripetizione non sembra essere dotata di una particolare intenzionalità espressiva. E tuttavia è significativo il fatto che in tutti e quattro i casi si tratta di un contesto in cui si parla della presa di Troia (con il conseguent~ ritorno in patria) come di una possibilità che viene negata. E impossibile che agli aedi si potesse trasmettere l'istruzione di usare il verso solamente in un contesto che mostrasse l'ineffettualità dell'idea da esso espressa (e in piu sempre in un discorso diretto). Anche in questi casi è Omero che ripete se stesso. Che altre volte nell'Iliade(in corrispondenza a particolari esigenze espressive e con dizioni volta per volta diverse) si neghi il dato della distruzione di Troia con moduli non coincidenti con il sistema qui analizzato non toglie valore al fatto che il sistema non è mai usato al di fuori della sua funzione specifica. E come controprova, le numerose volte che nell'Iliadesi parla della distruzione di Troia come di una realtà effettiva il sistema non viene mai usato'. Occorre fare un'ultima considerazione. In un caso come quello del divieto incrociato circa ekhthistosche 'non può' essere usato da Achille e ekhthrosche 'non può' essere usato da Agamennone è ragionevole pensare che il divieto in tanto agisse in quanto il poema è opera di un singolo autore. Ammettendo che il divieto fosse già operante nella parte composta dal1'autore A, è difficile pensare che il presunto autore B se ne accorgesse e vi ottemperasse (e nemmeno è ragionevole pensare che un autore A desse di persona l'informazione all'autore B). Analogamente, nel caso della corrispondenza '0 tra il III e il XXIV canto (il be- «andò» - di III 419 e il be di XXIV 95 sono tutte e due le volte seguiti dal verbo eluthes- «venisti» esattamente alla distanza di 9 versi, in III 428 e XXIV 104, tutte e due le volte all'inizio di verso) e nel caso della corrispondenza" tra il I e il XXIII (l'espressione binagnoosikai hoide,che compare nel penultimo verso del discorso di Mene9

Strutturalmente affini al verso in questione sono anche II 133, XIII 38o, XXI 433, e anche in tutti questi casi si tratta di una possibilità che viene negata o è comunque irreale. E si veda anche Di Benedetto, RFIC,I, pp. 281-83. •° Cfr. Parte III, cap. vm. 11 Cfr. Parte III, cap. 1.

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laoin XXIII 610, è preceduta nello stesso discorso in XXIII 6o2 da hupoeixomai,e la stessa espressione binagnoosikai hoidecompare nel penultimo verso del discorso di Achille in I 302 edè preceduta, nello stesso discorso, in I 294 da hupeixomai, anche qui a 8 versi di distanza) sarebbe irragionevole pensare chel'autore ddla parte finale sia persona diversa da qudla che compose il I canto. Fenomeni del genere come quello del susseguirsi a distanza, senza una parvenza di necessità, di due termini non si ha motivo di notarli. Non se ne rende conto, a livello conscio, nemmeno lo stesso autore quando compone, a distanza, il pezzo successivo: soltanto che nel suo cervello è rimasta depositata una certa memoria e lui riproduce una certa cadenza, anche senza rendersene conto.

2.

Anche quando il poeta dell'Iliade aveva a che fare con formule esterne, non per questo si bloccava la sua capacità di invenzione. Molte volte le formule esterne vengono ripetute. Ma molte altre volte la formula esterna è variata, e in questi casi lo specifico della dizione consiste in una tensione tra formulare ed extraformulare: il critico deve essere in grado di cogliere questa tensione, se vuole capire - e gustare - la poesia di Omero. Si possono individuare alcuni tipi fondamentali di variazione, che presentano gradi diversi di distanza dalla formula originaria, e il risultato è sempre la creazione di una dizione nuova, non formulare, specificamente appropriata al contesto: 1) la formula è modificata tramite parziale sostituzione;

2) la formula è ampliata, in particolare attraverso

il proce-

dimento dell'enjambement; 3) la formula è riutilizzata con rovesciamento di funzione; 4) la formula è discussa. Un esempio particolarmente interessante di formula parzialmente modificata 12 (e in questo caso la modificazione riLe modificazioni alle quali io faccio riferimento sono qualitativamente diverseda quelleteorizzatedaHainsworth,TheF/.exibilitycit., pp. 58-73. Io miri12

ferisco a fenomeni piu macroscopici che comportano un rinnovamento concet-

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guarda un elemento minimo dellasequenza, al limitedel gioco) si ha io VI 470. A proposito di Astianatte che si spaventa di fronte al cimiero del padre si ha: «avendoOo) visto terribilmente ondeggiare dall'alto dell'elmo». L'espressione «dall'alto dell'elmo» (ap'akrotatiskoruthos)è un unicum nell'epica greca arcaica e richiama da vicino l'espressione «dall'alto del monte,,., ap'akrotatiskoruphés.Già il dato dell'evi&-nziazione dd1'altezza - nel testo greco realizzata io modo piuttosto enfatico attraverso un superlativo - induce a ritenere che I'espressione tipica era «dall'alto del monte» e non «dall'alto dell'dmo». E infatti ap'akrotatiskoruphesè attestato io Esiodo e ep'akrotatiskoruphesè attestato due volte nell'I/iadeu: sempre nella stessa sede metrica di ap'akrotatiskoruthosdi VI 470. Omero dunque presuppone una espressione formulare, ma la modifica parzialmente sostituendo a koruphes(«cima» del monte) il fonicamente molto vicino koruthos(«elmo»). Solo un accidente casuale? Per nulla. In effetti la variazione si spiega con il collocarsi del poeta dal punto di vista del bambino. L'autore dell'Iliadesuggerisce, per via di una risonanza, che l'elmo che spaventa con il suo cimiero il bambino sembrava, al bambino, alto come una montagna. Si può anche supporre che Omero abbia creato il nuovo nesso io modo irriflesso e inconsapevole, ma questo nulla toglierebbe alla significatività del fenomeno. Una conferma si ha nel fatto che un'espressione tipica dell'armarsi del guerriero («e terribilmente il cimiero dall'alto ondeggiava») ora invece in VI 470 viene modificata, in modo che il dato dell'ondeggiare viene ad essere tuale dcli' espressione, mentre le modificazioni alle quali fa riferimento il Hainsworth non mettono in discussione la struttura concettuale dellaformula. In quasi contemporanea con il mio articolo del 1986 (RFIC, I) M. W. Edwards nel suo volume Homer. Poeto/ the 'lliad', Baltimore-London 1987 ha richiamato l'attenzione su alcuniesempi molto significativi di rinnovamento di espressioni formulari: cfr. in particolare p. 26.5 (in XVI 822 il secondo emistichio l,llycx5' flxcxx,ÀCXÒY Axcmi>Y è, dopo 8ou1t7loiY Sì 1t10WY,un innesto singolarmente espres• sivo invece del tipico &.p«~Y)oi&, t1ux,• L1t'cxlitci>), e p. 314 (in XXIV 12, À1uxwÀ1Yoç fipx,y6oLOè atipico rispetto a &.&woiiléflpx,y6ow, e l'innesto di À1uxwÀ1Yoç,in concomitanza con l'inserimento di XXIV 724, ha una carica espressiva specifica). 13 Cfr. Hes. Theog. 62 e Il. XIII 12 e XIV l'.H· E cfr. anche~ xo• pUfti(in pos. .5)3 x I/., e &.xpot«texç XOpuq?«ç (in pos. .5) 1 x II. Qui e altroveper indicare la collocazione di un elemento nell'esametro uso il sistema di E. G. O'Neill, The Localizaliono/ Metrica/Word-typesin the Gret!ltHtxlllflder,in « Yale Classica! Studies,., VIII (1942), pp. 10.5-78.

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inglobato nel punto di vista del bambino, con l'atipica introduzione di « avendo visto»". I casi di modificazioneparziale di una formula sono molto numerosi. Era questo uno strumento privilegiato che il poeta aveva a disposizioneper creare, pur presupponendoespressioni già fissate nella tradizione, dizioni nuove. Do qualche altro esempio. A fronte del verso formulare (1 x Il., 4 x Od.)« ... dirò, e tu presta attenzione e ascoltami»( ... ereo, su de suntheokai meu akouson,con varie possibilitàdi attacco.,) in I 76 si ha« ... dirò, e tu presta ascoltoe giurami»(... ereo, su desuntheokai moi 1 omosson•). Si tratta di Calcante che chiede ad Achille un impegno preciso prima di attaccare Agamennone:a Calcante, in questa precisa situazione, il formulare «ascoltami»non basta, e vuole un giuramento. A fronte dell'espressioneformulare in fine di verso ameibomenos/-eproseeipe(n)/-on («rispondendodisse/-i»,e può anche - «con parole» - o muthoisin,«con diprecedere epessin/-eessin scorsi»: 2 x Il., 37 x Od., 1 x Hymn. 17) si ha in XXII 329 «affinché qualcosa gli dicesse rispondendo con parole», ophrati min protieipoiameibomenos epeessin.Il termine epeessinè dislocato nella parte finale del verso, e invece di proseeipe(n)/-on si ha - anch'esso dislocato - il rarissimoprotieipoi(un caso unico nell'epica greca arcaicadi un composto di una forma del verbo eipeincon la preposizione proti). E, rispetto alla formula, c'è anche la variazione che ora il verbo è all'ottativo, in quanto si tratta di una proposizione finale. E infatti l'innovazione formale rispetto alla formula preesistente corrisponde a un pensiero di una estrema originalità, che cioè la lancia di Achille non recide completamenteil collo di Ettore, nell'intento di lasciarlo parlare ancora un poco: la lancia si pone al serviziodel1'esigenza poetica di un ultimo patetico scambiodi battute fra Achille ed Ettore in punto di morte. · 1 '

Omero fa in modo che in VI 470 il &iv611 del verso formulare esterno dell'armarsi del guerriero (l'lffl0Up111· oollÒII & À~ xct~~,11 t-) venga spostato all'inizio: in tal modo la terribilità del fenomenoviene maggiormenteevidenziata e si crea anchespazioper IIOT}~ («avendovistoi.) introdotto ex novoallafine del verso. A sua volta l'aggettivo T1t1toupt11, eliminato dal verso formulare, è presupposto da À6(po11 l1t1t1oX«C't1)11 alla fine di VI 469. 15 Cfr. Il. VI 334, e Od. XV 318, XVI 259, XVIII 129, XXIV 265. 16 L'attacco è 110C di Op. 619 è specific, scontro nell'Iluuk. Il nesso aftvoç IS~plfLOII Esiodo nell'epica greca arcaica.

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Per converso, un epiteto metricamente equivalente ad obrimos, e cioè alkimos («valoroso»), è usato specificamente per Aias (Telamonio) in fine di verso, ma non per Ettore: TelamoniosalkimosAias, 2 x. Ma a proposito di alkimososservo che l'epiteto non viene mai associato in modo assoluto al NP, ma invece - quando indica una persona specifica - sempre nel contesto di una espressione che comporta un richiamo al rapporto padre/figlio: alkimosperciò non poteva essere 'trasferito' da Aias ad Hektor senza un ulteriore adattamento, che comportasse il richiamo a Priamo. Koruthaiolos Hektor,«lo scuotitore d'elmo Ettore» (in fine di verso), 25 x; megaskoruthaiolosHektor, «il grande scuotitore d'elmo Ettore» (in fine di verso), 12 x; koruthaiolos... Hektor' (con l'aggettivo in pos. 8 e il NP in fine di verso), 1 x. L'aggettivo koruthaiolos non è attestato per altri guerrieri (nemmeno per il metricamente equivalente Aias),ma solo (1 x) per Ares, Areskoruthaiolos(in pos. 8). Si tratta quindi di un epiteto altamente specializzato per Ettore'. Per ciò che riguarda in particolare megaskoruthaiolosHektorsi noti che megasin un nesso epitetico - riferito a un NP - dall'estensione metrica dd secondo emistichio è attestato ancora solo per Aiace Telamonio': megasTelamoniosAias, 12 x. Dal punto di viè equivalente a koruthaiosta strettamente metrico Telamonios los e quindi in astratto si sarebbe potuto avere megaskoruthaiolosAias, ma koruthaiolosper Aiace non viene usato. Phlogieikelosalken, «simile alla fiamma per valore» (nel contesto di un enfatico nome-verso riferito ad Ettore, e con l'epiteto in fine di verso'), 1 x. Anche all'accusativo phlogieikelon è attestato per Ettore 9,nel nesso phlogieikelonHektora dion (in fine di verso), 1 x. A parte Ettore, per altri NP l'e' Si tratta di XXII 471, con la enfatizzazione di TJlUT'f'(in riferimento alle nozze di Ettore e Andromaca, alle quali il narratore accenna in un momento di grande intensità patetica: lo svenimento di Andromaca allavista del corpo di Ettore) che viene collocato tra i due clementi di regola conglutinantisi. • L'aggettivo koruthaio/osnon è attestato al di fuori dcli' Iliade ncll' epica greca arcaica. 7 Specifico di Esiodo è iuyixç Kpovoç «yxu>-.011.-liniç (3 x Theog.,e cfr. anche Theog.995). Niente di specificamente comparabile altrove nell'epica greca arcaica. 1 Cfr. XVIII 154: si tratta di Ettore che si contrappone alla pari e ha quasi la meglio sui due Aiaci insieme. 9 Cfr. XIII 688.

GU EPITETI DI ETI'ORE

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spressione phlogieileelosè attestata (all'accusativo) solo per Idomeneo 10, phlogieileelonalleen(in fine di verso), 1 x. D'altra parte, in versi dove non compare il NP, l'espressione phlogi eikelosè riferita solo ad Ettore, in 3 casi: phlogieileelosHephaistoio,«simile alla fiamma di Efesto» (in fine di verso); phlogi phlogieileelos,«rabbioso, simile alla eikelos(in pos. 8); lussodes 11 fiamma» (in pos. 8). Non c'è dubbio pertanto che l'espressione phlogieikelos/-onfosse sentita dal poeta dell'Iliadecome particolarmente collegata con la persona di Ettore, e cosi dovevano sentirla gli ascoltatori 12 • BrotoloigoiisosArei, «pari ad Ares distruttore di uomini» (in fine di verso), 2 x. All'accusativo l'espressione è usata per Achille e per Leonteo (in un contesto che tende ad evidenziare il suo valore). Si tratta di un'espressione che il poeta dell'Iliade sentiva come particolarmente forte e perciq la riservava per poche occasioni; ma non si può considerare specializzata per Ettore 11 • Boen agathos,«valido nel grido» (in pos. 9), 1 x. L'espressione, nella stessa sede, appare specifica per Diomede (con Diomedesin fine di verso: 21 x) e per Menelao (con Menelaos in fine di verso: 16 x), e questo si spiega con la particolare valenza metrica di questi due NP, che si potevano conglutinare con l'espressione epitetica. Ma oltre che per Ettore (anche all'accusativo: 1 x) l'espressione viene usata per Aiace (1 x al nominativo, 1 x al genitivo), e per Polite (1 x all'accusativo 1'). Dii philos, «caro a Zeus» (in pos. 8), 4 x. L'espressione è usata anche per Achille (3 x al nominativo e 2 x al vocativo), per Ulisse (1 x al nominativo, e 2 x all'accusativo), per Fenice (1 x), e per Phuleo (1 x): tendenza alla specializzazione per tre dei grandi protagonisti del poema 1'.

° Cfr.

XIII 330: con uno stacco tra l'espressione epitetica e il NP. Cfr. XVII 88, XX 423, XIII 53 (in quest'ultimo caso l'aggiunta di À~ - un hapax nell'epica greca arcaica - si spiega perché si tratta di un discorso diretto e a parlare è una persona che parteggia per i Greci e parla a Greci). 12 L'espressione - in quanto riferita a una persona - non è attestata, al di fuori dcli' Iliade, nell'epica greca arcaica. Il Cfr. XI 295 e XIII 802 (Ettore), XII 130 (Leonteo), XX 46 (Achille: ma il NP non compare nel verso). A1di fuori dell'Iliade l'espressione è attestata, al nominativo, in Od. VIII 115, per Eurialo (in un contesto molto elogiativo). •• Al di fuori dcli' Iliadel'espressione è usata (in pos. 9) al nominativo (8 x) e ali'accusativo ( 1 x) per Menelao, con il NP in fine di verso: tutti i casi nell'Odissea. 15 A1 solo vocativo l'espressione è usata anche per Patroclo (1 x), e al sol 11CCUSativo ancheper Apc>llo(1 x: in un contesto particolare). L'espressione 11 è attestata al di fuori dell'Iliadenell'epica greca arcaica. 1

11

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Megathumos,«molto valoroso» (in pos. 5½), 1 x. L'epiteto è usato per Agenore (2 x), per Achille (1 x), per-Epeio (1 x): in tutti questi casi con l'aggettivo in pos. 9 ½e il NP (in fine di verso) che si salda con esso. Questo non era possibile per Hektòr, che invece viene collocato in pos. 3 in modo che la saldatura si realizza in direzione contraria. Il singolo uso per Ettore (non si danno altri casi di megathumos- al nominativo singolare - in pos. 5 ½)ha un carattere di eccezionalità ed è congruente con il fatto che si tratta di un discorso di Aiace,che ha interesse ad evidenziare la figura di Ettore''. In conclusione su 80 casi di epiteti- al nominativo -di Ettore, 43 risultano specifici di Ettore o corrispondenti a una forte tendenza alla specializzazione 11• Do ora, piu in sintesi, i dati relativi agli altri casi. Al genitivo si ha: Hektoroshippodamoio,«di Ettore domatore di cavalli» (in fine di verso), 4 x; Hektoros... hippodamoio (con il NP all'inizio e l'aggettivo alla fine del verso"), I x; Hektorosandrophonoio'9, «di Ettore uccisore di uomini» (in fine di verso), 8 x; Hektorosandrophonoio(in pos. 5½), 3 x; klutou Hektoros,«dell'insigne Ettore» (in pos. 8), I x. L'agnon è attestato per altri guerrieri, ma so-gettivo androphonoio lo per un personaggio mitologico, Licurgo (nel contesto di una narrazione in un discorso diretto), I x, e inoltre per Ares», I x (l'aggettivo non è in fine di verso come 8 x per Ettore, ma o in pos. 5 ½,come 3 x per Ettore, oppure in pos. 9½).All'accusativo plurale androphonousè usato solo (in pos. 5) per le mani di Achille, 3 x. In conclusione, l'uso di androphonoio(al genitivo) è specifico per Ettore; e anche facendo entrare in Cfr. XV 440. È frequente l'uso di fUrctD61A,Ou al genitivo insiemecon NP, con l'aggettivo in pos. 8; e si danno anche casi di NP + !U~Dui-wv in fine di verso e di NP + 1uriiDu1J,e all'inizio di verso. Con vari usi l'epiteto è usato anche al di fuori dell'Iliade ncll' epica greca arcaica. 17 Non tengo conto, in assoluto, delle espressioni che fanno riferimento all'essere Ettore figlio di Priamo, come Ilp~oLO miç (in pos. 7), 2 x e IlplC!fUMK (in pos. 7 x (in altri casi queste espressioni sono conglutinate con altri epiteti). 11 L'anomala dislocazione (si tratta di VII 38) serve ad evidenziare xpClfl(lÒII !J.&voç che costituisce un elemento del segmento intermedio. 19 E cfr. anche Hcs. Ca1.141, v. 29, dove l'epiteto, in fine di verso, è usato ancora in associazione con il nome di Ettore. » Per Arcs oltre a Il. IV 441 cfr. anche [Hes.] Seul. 98. - In Od. I 261 tlv3poepcwov è attestato come epiteto di .«Pl'GIXOY [crro'lCamcntc considerato maschile in LfgrE I 808); e ~6voc è epiteto di iul.C'Iin [Hes.] Seul.420. 16

,>,

GU EPITETI DI ETTORE

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gioco l' androphonousriferito alle mani di Achille (per altro in contesti che coinvolgono Patroclo e Priamo, e quindi in ultima analisi una vicenda contrassegnata dalla figura di Ettore 21) il dato della specializzazione per Ettore non si può mettere in di. scuss1one. In totale, su 17 casi di epiteti al genitivo, si hanno r r casi in cui si ha un epiteto specializzato per Ettore. Al dativo si ha 22:Hektoridioi, «al divino Ettore» (in fine di verso), r I x e Hektorikhalkokorustei,«a Ettore armato di bronzo» (in fine di verso), 5 x. Al dativo l'aggettivo khalkokorusteiè attestato solo per Ettore; e anche all'accusativo si ha 3 x per Ettore e I x per Sarpedone 23 • Su r6 casi, si hanno dunque .5 casi di alta specializzazione. All'accusativo si ha2A:Hektoradion, «Ettore divino» (in fine di verso), 18 x; Hektorapoimenalaon, «Ettore pastore di guerrieri» (in fine di verso), 2 x; Hektorakhalkokorustin, «Ettore armato di bronzo» (in fine di verso), 3 x; thooi atalantonArei, «pari al veloce Ares» (in fine di verso), r x; krateronméstoraphoboio,«forte artefice di fuga» (in fine di verso), 1 x; phlogieikelon Hektoradion, «simile a fiamma Ettore divino» (in fine di verso), r x; Hektoradion, «Ettore divino» (in pos. 9½), 2 x; boen agathon",«valente nel grido» (in pos. 9), r x; pelorionHekto,(a),«l'enorme Ettore» (in pos. 9 1), 1 x; thrasunHektora,«l'audace Ettore» (in pos. 8), 6 x: Hektora dion, «Ettore divino» (in pos. 5½), 4 x; megan, «grande» (in pos. 5), r x; Hektora dion11., «Ettore divino» (in pos. J½), 2 X. Cfr. XVIII 317 = XXIII 18, e XXIV 479. In quest'ultimo caso x.1tp«e nonprecede ~. maè dislocato allafine dd verso precedente, e in mez1.0 si inserisce anche&1.,,&ç. Si capisce bene perché. Si tratta di Priamo che arriva alpunto di baciare proprio quelle mani che gli hanno ucciso Ettore. E cfr. anche Edwards,Homer. Poet of the 'Iliad'cit., pp. 309 e 52. 22 Trascuro UEX'top1 Ilp10tµC6n (in pos. 5), 3 x. 23 L'aggettivo x_cxÀxoxopucrtjj, al dativo, non è attestato altrove nell'epica greca arcaica. All'accusativo l'aggettivo è epiteto di Memnone in Hes. Theog. 984, e al vocativo è epiteto di Ares in Hymn. Hom. VIII 2. 2ATrascuro UEX'topv),V 690 (qui la frase con• è diretta prosecuzione di À&À1711Uvoç); e anche le frasi finali negative con l'fi di V ~ r 5-17, V 344-46, V 844•4, (tutte e tre le volte in associazione con la nozione · 'nascondere'). 1 Su questo modulo resta ancora valida la trattazione di Arend, Die typi. Seme,, cit., pp. 107-13. dp&LOV ,tvcx1. Sono conII testo greco suona: e:,& 3t ol fpovw,m &a' che w& vada con fpovw,m: si veda il riecheggiamento in XVI 71, fllln' ,[ fpcMOlmx-tÀ., e inoltre la norma era che il participio fpcM..71, sulla base di argomenti acuti, ma che non mi trovano consenziente. - Il problema si era posto già nell'antichità. Nella decisione di Aristarco (cfr. Sdi. Ariston. I 5-6) di collegare~ oùcon '1Làç6' tnl.dno ~À71 giocava l'intento cli mettere in rilievo il fatto che Zeus si era dimostrato ostile ai Greci solo dal momento dello scoppio della contesa tra Agamennone e Achille [ma l'altra costruzione non postula che Zeus fosse ostile ai Greci anche prima: e il discorso che Omero avvia nel proemio va al clilà della contrapposizione tr Greci e Troiani] e anche il desiderio clievitare un collegamento con i Cypria[n il problema evocato in Cyp,.fr. 1 D. si pone fuori campo per l'autore dcll'Iliad 15

TRAMA E I»EOLOGIA

la nozione di «ira» evocata all'inizio. In tal modo si ha solo una breve interruzione parentetica costituita da «e di Zeus si compiva il volere» del v. 5 (una parentesi per altro strettamente connessa al discorso principale). In effetti delle altre 5 invocazioni alle Muse che ci sono nel!'Iliade,3 sono connesse con la nozione di 'primo' o di 'prima volta' (e delle altre due una volta si tratta di un elenco - non a caso dei «capi» - e nell'altra viene coinvolta la nozione di chi è « il migliore» 16). Quando perciò nel proemio il poeta chiede alla Musa (la «dea» del v. 1) di cantare l'ira di Achille («che innumerevoli dolori procurò» ecc.) dal punto in cui «per la prima volta» Achille e Agamennone vennero in contesa, egli non fa che usare un modulo che trova riscontro altrove nel poema. Stando cosi le cose, il «volere» di Zeus di cui si parla nel proemio non è qualcosa di generico o di universalmente vero 11, ma invece corrisponde al preciso intento di aiu!are i Troiani, in ottemperanza alla promessa fatta a Theti 11 • E frequente d'altra parte nel poema il procedimento per cui il verbo «volere» viene riferito a Zeus in corrispondenza appunto alla messa in atto dell'impegno preso di fronte a Theti 1'. E quando in XV 593 il narratore, a proposito dei Troiani che incalzavano i Greci verso le navi, dice che essi «compivano le disposizioni di Zeus», egli usa una frase (Diosd'eteleionephetmas)che richiama da vicino, in modo inequivocabile, la frase incidentale del proemio secondo cui «di Zeus si compiva il volere» (Dios d'eteleietoboulé:alla fine del verso come in XV 593): mai altrove nel poema 20 si ha una tale associazione diretta del genitivo Dios («di Zeus») con una forma del verbo tele6 («compiere»). 16

Cfr. XI 219 1tpw'tç, XIV 509 1tpw-roç, XVI

II

3 1tpw'tov, II 484 sgg.

("' Catalogodellenavt), II 761 &punoç:"' I 6 -tà1tpwN.E si noti anche &i;in I 6,

XI 219, XIV 509, XVI II3. 17 Anche in Od. XI 297 e in Cypr., fr. l, V. 7 D. la frase .:11Òça·,m,iiw [3oul.11 è riferita a uno specifico, ben circoscritto evento. 18

Per le formulazioni circa questo impegno di Zeus rimando a Parte I, cap. x. 19 Per il nesso di Zeus con il verbo ~ouÀ01,L01tin relazione all'adempimento ·Ilapromessa fatta a Theti cfr. XI 79 Tpw1C10t11 l[3oul.,-ro xii8oç~1 (sulla base ,ella riproduzione del punto di vista degli altri dèi), XI 319 (discorso diretto di Diomede), XII 174 (punto di vista del narratore stesso), XIII 347 (punto di vista id narratore), XV 596(=XII 174: punto di vista del narratore),~ 121 (pun' di vista di Aiace); e poi, nel corso ddla temporanea prosecuzione dei successi i Troiani, cfr. anche XVII 331 (discorso diretto di Apollo). 20 Nettamente diverso rispetto ai due passi del I e del XV è XVIII 74-75.

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Risulta in modo sufficientemente chiaro nel poema che l'impegno preso da Zeus di fronte a Theti si estende fino al momento in cui i Troiani arrivano (per la seconda volta, nel corso del terzo giorno dei combattimenti) fino alle navi degli Achei e appiccano il fuoco alla nave di Protesilao 11 • E cl'altra parte, in concomitanza con questo arrivo dei Troiani alle navi dei Greci si ha il fatto nuovo per cui Achille acconsente a inviare Patroclo, con le sue armi e insieme con i Mirmidoni, sul campo di battaglia, e in particolare l' appiccamento del fuoco provoca in Achille una piu diretta e sollecita partecipazione. Si coglie qui un punto nodale della struttura narrativa del1'Iliade.Il «volere» di Zeus e l'ira di Achille ai quali si fa riferimento nel proemio non si protraggono sino alla fine del poema, ma solo fino allo snodo del XVI caratterizzato dall' appiccamento del fuoco a una nave greca. Al di là di questo snpclo si ha uno sviluppo ulteriore (per altro già avviato, con sapienti intermittenze, fin dall'XI canto 22) che va al di là dei dati fattuali del proemio. E questo sviluppo ulteriore ha fortissime implicazioni ideologiche. Già la preghiera che Achille in XVI 233-48 rivolge a Zeus nel momento in cui invia Patroclo sul campo di battaglia - subito dopo l' appiccamento del fuoco - ha un esito sinistro, in quanto Zeus acconsente a che i Troiani siano respinti dalle navi, ma rifiuta ad Achille l'altro suo voto, quello che piu lo coinvolgeva personalmente, e cioè che Patroclo tornasse sano e salvo dalla battaglia". 11

Cfr. in particolare XV 59-71 e XV 592-602. Su tutta la questione si veda piu avanti, ai capp. IV e V. 22 I segmenti relativi a Patroclo sono XI 599 - XII 2, XV 390-405, XVI 2-101, XVI 124 sgg. (ma a partire da questo punto la linea relativa ai combattimenti sul campo e la linea relativa a Patroclo si saldano in una). L'alternanza dei segmenti dell'una e dell'altra linea riflette, nelle intenzioni del narratore, una situazione di contemporaneità. Ciò determina qualche incongruenza di cui Omero non si cura. In particolare, Patroclo, che in XII 2 era stato lasciato dal narratore nella tenda di Euripilo nel mentre curava Euripilo, riaffiora solo dopo una lunga sezione di testo, in XV 390: e questo nonostante che egli avesse l'obbligo di ritornare da Achille per riferirgli della missione affidatagli. E con arte raffinata Omero non fa nemmeno arrivare Patroclo, dopo che ha lasciato Euripilo, tutto di fila. Nel mentre Patroclo sta procedendo verso la tenda di Achille, il narratore lo lascia (addirittura nel corso stesso di un singolo verso: XV 405) per continuare lanarrazione dell'attacco dei Troiani, che arrivano in forze alle navi. Il problema del seguire fili diversi di narrazione - problema che l'Ariosto enfatizzerà con brillanti variazioni (e poi sulla sua linea W. Scotte A. Manzoni) - viene già affrontato e risolto da Omero. E cfr. Parte III, cap. vm. " Cfr. Parte I, cap. IV.

TRAMA E IDEOLOGIA

E successivamente, quando Theti accorre da Achille che piange per la morte di Patroclo, ellagli ricorda, nel suo discorso di XVIII 73-77, che le cose che egli aveva chiesto erano state realizzate da Zeus, e cioè che i Greci fossero serrati presso le navi, con gravi perdite. Ma ecco il seguito (vv. 78-82 a): E a lei profondamente gemendo disse il piè veloce Achille: «Madre mia, quelle cose certo l'Olimpio me le ha compiute. Ma che piacere ne ho, dal momento che è morto il mio compagno, Patroclo, che io onoravo al di sopra di tutti i compagni, in modo pari alla mia persona!»

Sia Theti che Achille usano forme del verbo «compiere» (teleo:XVIII 74 tetelestai,XVIII 79 exetelessen) in relazione ali' operato di Zeus, e questo sulla linea del proemio, dove con l'uso dello stesso verbo si diceva che «di Zeus si compiva il volere». In effetti Zeus aveva compiuto la sua promessa. Ma questo dato è inserito da Achille in un contesto che lo svuota, in quanto il compimento della promessa di Zeus è contrapposto (attraverso il modulo del «ma») alla perdita - irreparabile - dell'amico. A questo punto il baricentro del poema si sposta in modo radicale. Certo, la morte di Patroclo mette in atto una sequenza di eventi bellici che culmina con l'uccisione di Ettore. D'altra parte però con la morte di Patroclo la restituzione ad Achille dell'onore, offeso all'inizio del poema, cessa di essere il dato essenziale; e per converso si pone in modo prepotente nel poema il motivo della morte, un motivo che nella parte finale del poema accomuna - al di là degli scontri in atto sul campo di battaglia - Patroclo e Achille ed Ettore. E anche l'uccisione stessa di Ettore innesca uno sviluppo - quello della restituzione del suo corpo - che va al di là del conflitto che divide i protagonisti del poema in due parti contrapposte. A fronte di questi sviluppi il proemio sembra dimenticato. L'ira di Achille è del tutto fuori campo; e l'idea che Zeus intervenga a favore dei Troiani appartiene ormai a un passato supe:·ato da una sequenza di vicende nuove. Ma c'è anche un altro aspetto della questione. In realtà, co. si è visto, al di là del livello fattuale c'era nel proemio un liAlo espressivo attraverso il quale si faceva luce una partecitzione emotiva del poeta, nel senso di una evidenziazione pat ica dei lutti che le attese vicende del poema avrebbero com-

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portato. E questo livello espressivo piu profondo trova il suo inveramento, la sua realizzazione piu piena proprio nella parte finale del poema. Di grande significato è a questo proposito l'episodio dell'incontro tra Achille e Priamo nd XXN. Come abbiamo già avuto modo di dire 24 , la ricerca di strutture parallele - uno strumento privilegiato attraverso il quale piu volte nel poema il narratore trascende la contrapposizione delle due parti in lotta - tocca nell'episodio dell'incontro tra Priamo e Achille un vertice altissimo. Ed è in questo contesto che Omero, in XXIV 507-16, crea la superba scena del piangere insieme di Achille e Priamo. Cosf disse; e a lui suscitò desiderio di pianto per il padre; e presolo per la mano allontanò dolcemente il vecchio. E i due, ricordandosi, l'uno di Ettore uccisore di uomini piangeva fitto, rannicchiato davanti ai piedi di Achille; e Achille piangeva suo padre, e altre volte Patroclo; e il loro lamento si era diffuso per la casa. E quando di pianto si fu saziato il divino Achille e il desiderio gli andò via dai precordi e dalle membra, subito si mosse dal suo seggio, e per la-mano fece alzare il vecchio, commiserando la testa canuta e la canuta guancia.

Sia il pianto di Priamo che quello di Achille trovano la basct nel ricordo, secondo un modulo attestato altre volte nel poema 25 ; e anche se Priamo e Achille ricordano persone diverse, Omero evidenzia - anche a costo di una forzatura sintattica» - che essi sono accomunati in questo loro ricordare. Non molto prima (a livello testuale), in XXIV 3-4 il poeta aveva evocato un piangere di Achille nd mentre si ricordava di Patroclo: «Achille piangeva ricordandosi 4el suo compagno». Ora invece Achille piange nel mentre si ricorda di suo padre, e insieme anche di Patroclo (con l'accento della frase che viene a cadere sul ricordarsi del padre). Lo slittamento è significativo, ed è segno di questo sintonizzarsi di Achille con il vecchio Priamo. È Priamo stesso che lo ha esortato a ricordarsi di suo padre, nel contesto di un discorso in cui egli accostava a se 24 25

Cfr. Parte I, cap. XI. Cfr. XIX .314,XIX .3.39,XXIV 4, XXIV 9, XXIV 167, e poi, appunt,

XXIV509. • Cfr. Parte I, cap. XI.

TRAMA E IDEOLOGIA

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stesso la figura del padre di Achille. Al suo primo rivolgersi ad Achille, Priamo aveva detto, in XXIV 486-87: «Ricordati di tuo padre, o Achille simile agli dèi, I di lui che ha la mia stessa età, ed è presso la soglia rovinosa della vecchiaia». Significativo è anche il fatto che Achille pianga prima ancora di parlare: prima ancora che con le parole Achille comunica con Priamo a un livello di immediatezza emotiva. Questo saziarsi di pianto da parte di Achille costituisce d'altra parte il punto di arrivo di un percorso già avviato nel poema. Il modulo del 'saziarsi di pianto' (con l'uso del verbo terpomai,che comportava la risonanza della nozione del piacere) era già affiorato nell'Iliade,a proposito della morte di Patroclo. Di ritorno dallo scontro vittorioso con Ettore Achille in XXIII 9- I o aveva ordinato ai Mirmidoni di piangere insieme con lui Patroclo, in modo da «saziarsi del funesto pianto»21. Che questo avvenisse è implicito, ma non è detto. E poco piu avanti, nella stessa sezione del XXIII, la richiesta che Achille faceva all'ombra di Patroclo perché si abbracciassero e «si saziassero del funesto pianto» 21 restava impietosamente frustrata. Solo quando Achille, alla fine del poema, piange insieme con il suo nemico, la soddisfazione del pianto è piena ed esplicita 29. E non è un caso che questo motivo del 'saziarsi' costituisca il filo conduttore di tutto l'episodio di Priamo con Achille. Poco piu avanti, dopo il loro pianto in comune e dopo aver soddisfatto il desiderio di mangiare e di bere, i due si saziano del guardarsi ammirati l'un l'altro 30 ; e successivamente Achille invita Priamo a giacere nel letto, « affinché noi, addormentatici, ci possiamo saziare del dolce sonno» 31• E Achille compare per l'ultima volta nel poema nel mentre gode di questo sonno, con accanto Briseide. Questo senso di appagamento che coinvolge Achille è di per sé appropriato alla parte finale del poema: come il concludersi, 27

Cfr. XXIV 5 I 3 cxùtcìpl1td pcx-y6o10 ntixp,,;ti:ooioç i\xJ..l.,uç"' XXIII ::xpl'ltd x' òl.ooroni:cxp,tw!L&~cx r6010. 28

IO

Cfr. XXIII 98 òl.ooio ni:cxp1tw1Lmcx -y6o10. Questo passo e XXIII 10 e in as· \XIV 513 sono i soli passi nel poema in cui è usata una forma di upm>µcx1 • ·.1ciazione con il genitivo -y6oLo. 29 È del tutto atipica l'espansione per cui a XXIV 513 segue la frase del v. 14 xcx(o! CÌ'ltÒ '1tpcx'lt(8wv ljl.l)'f!L&poç-lj&' CÌ1tò ruCwv. 30 Cfr. vv. 629-33; e si veda anche Parte I, cap. XI. 31 Cfr. vv. 635-36, con l'uso di tcxp'ltW!L&Dcx. - Per ciò che riguarda i tempi d dormire di Achille nella parte finale del poema si veda qui sotto, al cap. m.

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alla fine, di una lunga sequenza di varie vicende. E l'appagamento di Achille (per quel che è possibile, pur nell'imminenza della sua morte 32) è complementare all'effetto consolatorio pur nel dolore di una perdita irreparabile - del rito funebre in onore di Ettore. E che i due episodi- l'incontro tra Priamo e Achille e poi il rito funebre in onore di Ettore - siano contigui tra di loro e chiudano il poema corrisponde a un ben preciso disegno strutturale. Ma questo disegno strutturale non ha soltanto rilevanza a un livello tecnico-poetico. Questo interscambio di rapporti tra le due parti in lotta alla fine del poema ha, evidentemente, anche un profondo significato ideologico, e questo sulla linea di un discorso accennato in modo quasi sotterraneo già nel proemio del poema ii. La grandezza di Omero (e anche ciò che rende difficile capire appieno la sua opera) consiste nel fatto che egli fa un poema che racconta una guerra, e questo racconto è realizzato con pieno gusto del narrare e con un prodigioso senso del fattuale; e nello stesso tempo, però, il poeta svela una fascia di realtà profonda, che va al di là della guerra, come svuotandola 3•. 32

Si veda in proposito qui sotto, al cap. VII. A proposito del riscatto di Ettore, il Redfield, Natureand Culturecit., pp. 210 sgg. parla di una purificazione finale dell'Iliade. Il Redfield pone l'accento in particolare sui due discorsi di Achille di XXIV 518-51 e XXIV 599-620 {in rapporto particolarmente alla condizione di privazione propria dell'uomo e al fatto che come la felicità dell'uomo è sempre parziale, cosi anche il dolore deve arrivare a una qualche conclusione). Il Redfield vede in questi due discorsi la sintesi conclusiva del poema {una specie di «sintesi etica», ben inteso in quanto propria del poema nella sua specificità: cfr. p. 262, nota 81); e la purificazione di Achille consisterebbe nel fatto che egli alla fine del poema esamina e intende il suo mondo e se stesso, e riflette su se stesso e sul suo destino come un esempio di un modello universale. Tutto questo rischia di essere deviante, in quanto concentra il discorso in modo troppo riduttivo verso una dimensione 'filosofico' etica. In piu, secondo il Redfield {cfr. pp. 221-2 3) il riscatto di Ettore, nel mentre rivela che il combattere è privo di significato, rivelerebbe anche che la comunità stessa - in nome della quale si combatte - è priva di significato; e il riscatto di Ettore - che il Redfield definisce come una «cerimonia» - si collocherebbe al di fuori del mondo umano, in quanto le contraddizioni che essa rivela non potrebbero essere risolte all'interno del mondo umano (e in questo ordine di idee il Redfield fa intervenire la nozione dell'arte in 'luanto negazione della cultura). Tutto questo significa innestare nel poema una pros~ttiva verso l'aldilà dell'umano che è ad esso estranea. E probabilmente il concetto di arte che il poeta del1'Ilituieaveva era diverso da quello del Redfield (e la coppia stessa natura/cultura risulta essere troppo costrittiva per un poema come l'Iliade). , 34 Nel discorso di XIII 620-39 i Troiani sono criticati da Menelao perc 1 hanno infranto la norma dell'ospitalità, meritando cosi la punizione di Zeu, 33

TRAMA E IDEOLOGIA

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Nel mentre fa poesia, il poeta dell'Iliadeha il coraggio di mettere in discussione quella che in origine appare come la base stessa del suo poetare.

2.

In questo ordine di idee si può considerare anche la clistribuzione delle sei invocazioni alle Muse nel corso del poema. In I 1 sgg. il poeta chiede allaMusa di cantare l'ira di Achille, in relazione in particolare al primo insorgere del contrasto tra Achille e Agamennone. In II 484 sgg. il poeta chiede alle Muse di dirgli chi erano i capi e i duci dei Greci (con l'uso della interrogativa indiretta che trova riscontro anche nei passi successivi 35). In II 761 sg. Omero chiede alla Musa di clirgli chi era il migliore dei Greci, tra i capi e i cavalli. In XI 218 sgg. il poeta chiede alle Muse di dirgli «chi per primo» affrontò Agamennone, dopo che - nel corso dei combattimenti che contrassegnano nel terzo giorno l'aristiadell'Atride - Ettore aveva riorganizzato le schiere dei Troiani. In XIV 508 sgg. il poeta chiede alle Muse di dirgli «chi per primo» tra i Greci si procurò le spoglie dei nemici, dopo che grazie all'intervento di Poseidone l'esito della battaglia (ancora nel terzo giorno) si era spostato nettamente a favore dei Greci. In XVI 1 12 sg., infine, il poeta chiede alle Muse di dirgli «in che modo per la prima volta» il fuoco si abbatté sulle navi greche. Ci si chiede per quali ragioni queste invocazioni alle Muse compaiano proprio in questi punti del poema 36. Naturalmente, la cosa non è problematica per l'invocazione che compare all'inizio del poema. E che il poeta invocasse le veda in proposito qui sotto al cap. x, § 1); e nello stesso discorso a questa critica si associa quella secondo cui i Troiani continuano a combattere e non si saziano di guerra. La concomitanza delle due critiche mi sembra altamente significativa. n Cfr. II 484-87 lo-it,i:,... ori:tY&..,II 761 ,:(e ... lw&m x-rÀ.(in questo caso con un avvio verso l'interrogativa diretta), XI 218 sg. lcrn:n, ... &; nç xi:À., XIV 508 sg. lcrn:,n ... &; ,:r.çxi:À.(in realtà XI 218 - 219a coincide con XIV ,g - 509a), XVI 112 sg. lcrn:&i:& ... mwi;xi:À.Il verso lcrn;g,:aYiiv (.LO' Moiicm ;\u1'1t1.0t 6W1A4i:' lx.011a011 è attestato in II 484, XI 218, XIV 508, XVI 112 Hesiod., Theog. 114). 36 Il lavoro di W. M. Minton, Homer'sInvocationso/ theMu1es:T,,,Jitio114/ itterns,in «Transactions and Proccedings of tbc American Philological Asso1ion,., XCI (1960), pp. 292-309 mi pare, nella sua ricerca della sequenza di ·,-struggle-defeat, piuttosto astratto.

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253

Muse in concomitanza con un suo exploit eccezionale qual era l'elenco dei contingenti greci e dei loro capi, anche questo riesce del tutto ovvio. E non è certo casuale che l'invocazione introduttiva del Catalogodelle navi sia quella piu articolata del poema, con la messa in rilievo delle limitate capacità del poeta (ma qui Omero usa la prima persona plurale, «noi», in riferimento non solo a se stesso, ma ai poeti in genere) a fronte delle illimitate conoscenze delle Muse, che sono dee 37 • Né appare arbitrario che alla fine dell'elenco dei contingenti ci sia, in II 761-62, con effetto di composizione anulare, un'altra invocazione, in riferimento ai migliori combattenti e ai migliori cavalli. E si capisce anche, infine, che una invocazione alle Muse intervenga in concomitanza di un evento nodale qual è, nel XVI, l' appiccamento del fuoco a una nave greca. Piu articolato è invece il discorso per le invocazioni di XI 218-20 e XIV 508-10. L'invocazione dell'XI segue a un importante intervento di Zeus presso Ettore e precede di poco la messa fuori combattimento di Agamennone dopo i tanti successi conseguiti nella sua aristia(e l'intervento di Koon che ferisce Agamennone è presentato come una reazione all'uccisione di suo fratello Ifidamante, che è appunto il guerriero indicato in risposta alla domanda rivolta alle Muse). E nel caso dell'invocazione di XIV 508-10 si tratta del momento culminante del successo dei Greci in concomitanza con l'inganno di Zeus messo in atto da Hera: subito dopo ci sarà il risveglio di Zeus e le cose prenderanno una piega totalmente diversa, fino all' arrivo dei Troiani alle navi e l' appiccamento del fuoco. E in piu le invocazioni del XIV e del XVI fanno da cornice alla fase di maggiore difficoltà dei Greci nel corso del terzo giorno di combattimenti e nel corso, anche, di tutto il poema 11 • Si possono quindi individuare delle buone motivazioni anche per le invocazioni dell'XI e del XIV anche se - forse - queste motivazioni non hanno la stessa forza delle altre. Il poeta i capi li può enumerare, qualora le Muse glielo dicano. Per ciò che riguardainvece l'innumerevole truppa si tratta in ogni caso di un compito supe37

riore alle forze del poeta. Solo le Muse, eventualmente, lo possono fare. Il Kirk si impiglia in una impacciata interpretazione, dal momento che intende erroneadel v. 492 come un attivo (remind). mente µ.IIT)C11X!otlt' 31 Cfr. A. Thomton, Homer'slliad:its Composition and the Moti/ of Supplication,Gottingcn 1984, pp. 42-43.

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TRAMA E IDEOLOGIA

Merita d'altra parte di essere notato che solo il terzo giorno di combattimenti viene ad essere contrassegnato da invocazioni alle Muse; e questo è ben in accordo con l'eccezionale importanza che questo giorno (il piu lungo) ha nel contesto delle vicende belliche di tutta l'Iliade. E soprattutto, colpisce il fatto che le invocazioni alle Muse cessino in concomitanza con la conclusione della parte della narrazione evocata dal proemio. Ciò che il poeta nel proemio aveva chiesto alla Musa di cantare trova il suo punto di arrivo con l' appiccamento del fuoco a una nave greca, e per narrare questo evento il poeta chiede per l'ultima volta nel poema l'intervento delle Muse. La parte 'proemiale' del poema viene dunque a coincidere con la parte del poema messa sotto l' assistenza delle Muse e da loro in un certo senso garantita. Il fatto invece che successivamente le Muse non siano piu invocate, contrassegna - esista o meno una consapevole intenzionalità del poeta al riguardo - la parte extraproemiale, e cioè uno sviluppo ulteriore della narrazione, che rispetto al proemio risulta 'inatteso' (a livello fattuale) e che si carica di una valenza ideologica forte e personalizzata.

Capitolo secondo L'attesa della caduta di Troia

I.

Il poeta dell'Iliadevolle narrare della guerra di Troia un segmento ben preciso, costituito dalle vicende di ,o giorni che si collocano alla· fine del nono anno di guerra 1 • La trama del poema è organizzata in modo organico, secondo un preciso disegno del narratore. Questo segmento però era pur sempre una parte di una catena di eventi piu lunga, e questa catena di eventi è largamente presupposta nel poema. Che il poeta dell'Iliadepresupponesse una sequenza mitica che andava dal giudizio di Paride sulle tre dee sino alla caduta e alladistruzione della città di Troia è da ritenersi fuori discussione. Piu problematico è invece se prima dell'Iliade (cioè prima che l'autore dell'Iliadecomponesse il suo poema) esistessero canti epici che trattassero di questa sequenza mitica, e se il poeta dell'Iliade li abbia utilizzati, e se tracce di questa utilizzazione (nel senso di 'piccole' incongruenze e dissonanze) siano ravvisabili nel poema. L'approccio neo-analitico si è mosso in questa direzione 2 • Ma a distanza di oltre 40 anni mi pare che questa linea di ricer1

Cfr. II 134 e 29.5-96. I due passi non sono in contraddizione tra di loro: si veda la nota del Leafa II 29.5. L'assemblea dei Greci narrata nel II avviene alla fine del nono anno di guerra, con ogni probabilità in concomitanza con il solstizio di estate: l'assemblea ha luogo nel 22° giorno del poema. 2 Mi riferisco in particolare, ovviamente, al citato volume del Kakridis, HomericResearchescit., del 1949 (ma una versione non definitiva del libro era apparsa nel 1944; e già in precedenza lo studioso greco si era confrontato con questa tematica): il termine «neo-analytic» è fatto dal Kakridis già nell'Introduzione, a p. 7. Su questa linea si pone anche il saggio dello Schadewaldt sul rapporto tra Iliadee 'Memnonide':il saggio è del 19.51 e risulta compreso in Von Homm Welt und Werk cit., pp. 1.5,-202. E nel senso di una utilizzazione nell'Iliade di motivi presenti nell' Etiopidesi veda anche W. Kullmann, Die QuellenderIlias (froischerSagenkreis),Wiesbaden 196o, pp. 303-35 (e dello stesso autore si ved>' Forschungzu Homer (Neoanalyse),: anche E,gebnissedermolivgeschichtlichen aa.vv., ZweihundertJahrecit., pp. 425-.54: cfr. in particolare pp. 439-43).

TI 4M 4 t JDEOLOGU

ca 1iaarrivata a un punto morto. In parria,larc, che rEtiopitk (intendo non il poema in quanto ta1e- quale a quanto sembra fu fissatodopo l'Iliade-,ma anche solola trama mirico-poet1ca dcli'/:,tiopide)fosse presupposta e utiliz:eatadall'autore ddl'Itiade,non credo che si sia riuscitoa dimostrarlo.Gli a.rgomenri neo-analiticisi rivelanovolta per volta incapacidi resistere alla critica; e ciò che dovrebbe essere una incongruenza rivelatrice - nell'ltiade- di una utilizzazione di un canto epico precedente si rivela ad una analisi piu attenta come espressione di una specifica esigenza espressiva spiegabile all'interno del poema'. Piu produttivo appare invece1ostudio del modocome aironi dati mitici extrapoematicisiano stati recepiti nell'Iliade.Ri1ultafattibile, e utile, una ricercasulladistribuzioneall'interno del poemadegli accennie delle allusioniad eventi mitici exttapoematici. Ed è possibilerendersi conto che questa ricerca ha non soltanto una rilevanza meramente tecnica. È noto che nella parte inizialedel poema il poeta dell'Iliade creò, con sublimenoncuranzadelle incongruenzeche ne potevano derivare, delle situazioni che riconducevanogli ascoltatori .all'iniziodella guerra, nonostante che essa durasseda nove ann1. Nella prima parte (fino al canto VII) vengononarrati alcuni fatti che di per sé sarebbe piu verosimileche fossero accaduti all'inizio della guerra e non dopo nove anni. Non occorreva evidentemente che passassero nove anni perché Elena spiegassea Priamochi fosseroalcunidei guerrieri 1

Susliargomenti usati dal Kakridis, HomericResearr:hes cit., pp. 83-88 a favore della sua ipotesi circa una 'Achilkiek' si veda qui sopra, Parte I, cap. vm e nota 7; Parte III, cap. vm, nota 18. Per ciò che riguarda l'episodio di Theti e le NerciJi nel XVIII (Kllkridis, HomericResearches cit., pp. 65 sgg.) si veda qui sotto alc11pitolovu, nota 25. Ma anche, per esempio, l'ipotesi che II 220 presupporrebbeun dato che ritroviamo ncll'Etiopiek(Kullmann, Die Que/kn cit., p. 303) risulta pococonvincente: per le ragioni che stanno dietro a II 220 si veda qui sotto, 111cap. Xl. Un tentativo di trovare nell'Iliade una traccia della vicenda mitiCli dcli' Etiopiekè stato fatto phi recentemente da M. M. Willcock, TM fw,nol G«meso/ P«troclMs, in «Bullctin,. dcll'lnstitute of Classical Studies, xx (1973), pp. 1 -1 1. Ma che Antiloco nel XXIII cominci a sostituire Patroclo ndl' affetto di Achille e che ciò presupponga la vicenda mitica relativa a Memnone non mi sembra dimostrato; e del resto in XXIV ,74·T5 il narratore ci informache il posto di Patroclo nella considerazione di Achille era stato preso, per quanto possibile, da Automedonte e Alkimo. - In opposizione allalineaneo-analiticasi veda ,mche A. Dihle, Homn-Prob~. Opladen 1970, pp. 9-44: con particolare riferimento alloSchadewaldt.

L' ATI'ESA DELLA CADUTA DI TROIA

257

piu notevoli che si vedevano nella pianura sottostante (canto III). E invece dal punto di vista dell'organizzazione del poema riesce molto opportuno che questo avvenga nella parte iniziale del poema, prima che i primi combattimenti comincino adessere narrati. Era importante che Priamo venisse informato, ma era piu importante ancora che venissero informati gli ascoltatori. Analogamente, non occorreva aspettare nove anni perché Nestore consigliasse di organizzare i guerrieri secondo 'stirpi' (phula)e fratrie, e anche che (ancora per consiglio di Nestore) fosse costruito un muro a difesa delle navi. Eppure nell'ottica del poema il carattere 'iniziale' di tutti e due gli eventi è garantito dal fatto che essi avvengono in corrispondenza con quello che per il poema è il primo giorno dei combattimenti. Il consiglio di Nestore di distribuire i guerrieri per 'stirpi' e fratrie viene dato in un'assemblea che ha luogo nella parte iniziale del giorno in cui cominceranno i combattimenti nel poema', e, con un certo parallelismo, il consiglio di Nestore di costruire il muro si ha alla fine di questo primo giorno dei combattimenti nel poema 5. Ma ciò che soprattutto colpisce nella parte iniziale del poema è che il narratore faccia sentire come particolarmente attuale - appunto come se ci si trovasse all'inizio della guerra la vicenda di Paride, Elena e Menelao, che a questa guerra aveva dato origine. Nel primo giorno dei combattimenti, prima che si arrivi al primo scontro tra i due eserciti, si ha un duello tra Paride e Menelao, che di per sé avrebbe potuto risolvere la guerra. In questo stesso giorno Elena è presentata come presa daldesiderio di Menelao e da una animosa ostilità nei confronti di Paride, che l'ha portata a Troia, e anche nei confronti di Afrodite che ha favorito l'evento. E questa stessa giornata si conclude con una discussione nell'assemblea troiana, dove viene fatta la proposta (respinta da Paride, e quindi da Priamo) di restituire Elena. Sono numerosi nell'Iliade gli accenni a fatti anteriori all'arrivo dei Greci a Troia'. Ma mi sembra significativo che per • Cfr. II 360-68. ' Cfr. VII 336-43. Il muro viene costruito nel secondo giorno successivo (cominciando un po' primadell'alba): dr. VII 433-41. 6 Un'accurata rassegnadi queste allusioni si ha in Kullmann, Die Que/le,,cit., pp. 227-302 (anche se talvolta il Kullmann va troppo in là nel postulare rap porti diretti con le vicende mitiche narrate nei Cypria).

TRAMA E IDEOLOGIA

ciò che riguarda il dato mitico secondo cui Paride era partito da Sparta insieme con Elena, gli accenni espliciti e le allusioni a questo avvenimento siano massicciamente numerosi soprattutto nei canti II-Ili, e si diradino molto, invece, nella parte successiva del poema 7 • Omero voleva che gli ascoltatori nella parte iniziale dell'Iliadefossero sollecitati a ricordare un fatto mitico che costituiva il precedente piu diretto pèr l'origine della guerra di Troia; e congruente con questo intento è il rilievo dato, nella parte iniziale del poema, al complesso dei rapporti interpersonali tra Paride, Menelao ed Elena. In tal modo, con un implicito scavalcamento dei primi nove anni di guerra si ricreava, nella parte iniziale del poema, una situazione che andava bene - nel1'immaginario degli ascoltatori - per l'inizio della guerra.

Complementare al procedimento per cui nella parte iniziale del poema si concentra l'attenzione sul rapporto Paride/Mene7

Dei 18 passi citati in proposito dal Kullmann, Die ~/Jen cit., pp. 248-:n (ma i passi di IV 104 sgg.e di XXIV 26o-62, riportati dal Kullmann, non mi pare che entrino in gioco) la maggior parte si ha nei canti 11-111: cfr. II 160-62 ( a II 176-78), Il 3.54-.56 (con Il 3.56 = Il .590), III 27-28, III 46-.51, III 69-72, fil 90-91, III 139-40, III 173-7.5 (con l'unico accenno, in tutto il poema, alla figlia che Elena ha lasciato a Sparta), III 383-418, III 442-46. In piu la vicenda è presupposta anche nel discorso dei vecchi Troiani sulle mura (III 1.56-6o).- Per converso gli accenni e le all41iionial matrimonio tra Pelco e Thcti e ai doni ricevuti in questa occasione da Peleo compaiono solo nella parte finale del poema, a partire da XVI 140 sgg..Ma la cosa si spiega con il fatto che in questa parte del poema la figura di Ac!-iillcdiventa predominante. E d'altra parte l'evento mitico del matrimonio viene utilizzato dai vari personaggi con differenti angolazioni, in corrispondenza a differenti esigenze espres~ive. Come imposto dagli dèi lo presenta Achille in XVIII 8.5, nel contesto di un discorso sconsolatamente triste; e su una linea analoga si pone Theti in XVIII 429 sgg., quando vuole dimostrare il suo 'diritto' a ricevere un aiuto da Efesto, dopo tutta una sequenza di cose spiacevoli. Lo stesso Achille invece in XXIV .534 sgg. parla del matrimonio di Pcleo e Theti come di un evento positivo, in quanto di fronte a Priamo vuole contrapporre questi e altri dati positivi alla cosa che lui vuole mettere in evidenza, e cioè che Peleo ha avuto un solo figlio, e destinato a morte immatura. Ed Hcra in XXIV .56 sgg. parla del matrimonio di Pelco e Theti come di un evento che si inserisce nel contesto di una situazione caratterizzata da benevolenza e affetto che coinvolgeva tutti gli dèi: e questo perché Hcra vuole che gli dèi (e in ;,articolare Apollo: di cui ricorda la festosa partecipazione alle nozze) assumano un atteggiamento favorevole ad Achille. Stando cosf le cose, appare difficile stabilire se il poeta dcli' Iliadeseguiva effettivamente la versione dei Cypria.Troppo fiducioso mi pare che si sia dimostrato in proposito il Kullmann alle pp. 229-36, il quale d'altra parte non appare interessato a tener conto dei differenti punti di vista ~ci pa.i:lanti (e che in I .503 ~gg. e i_nXI .3s~. siano da vc_dc~ dei C