Nazioni e nazionalismo dal 1780

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Indice

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Prefazione

Nazioni e nazionalismo 3

Introduzione

19 1. La novità nazione: dalla rivoluzione al liberalismo 55 2. Il protonazionalismo popolare "* 95 3. La prospettiva dei governanti 119 4. La trasformazione del nazionalismo, 1870-1918 155 5, L'apogeo del nazionalismo, 1918-1950 193 6. ìl nazionalismo alla fine del secolo xx 217

Indice analitico

Prefazione

H presente libro si basa stile Wìles Lectures 'die ho avuto l'onore di tenere a l a Queen's University di Belfast nel maggio 1985. Il luogo suggerì l'argomento. Ho ritenuto opportuno articolare il contenuto un p o ' troppo concentrato delle quattro conferenze di cui si compone il ciclo. Siamo cosi davanti a cinque capitoli 'di diversa lunghezza, un'introduzione e alcune considerazioni conclusive. Ho anche sottoposto a revisione il manoscritto: in certa misura per tener conto di materiali comparsi posteriormente; ma soprattutto sulla scorta di quanto discusso col gruppo degli esperti invitati, che costituiscono una delle massime attrattive delle Wiles Lectures per chi ha la fortuna di poterle tenere. Sono grato agli organizzatori di questo ciclo di conferenze e a tutti i partecipanti alla discussione; in particolare a Perry Anderson, John Breuilly, Judith Brown, Ronan Fanning, Miroslav Hroch, Victor Kiernan, Joe Lee, Shula Marks. Terence Ranger e G ò ran Therborn. per le osservazioni critiche e gli stimoli, specialmente in relazione all'approfondimento del nazionalismo extraeuropeo. Resta tuttavia il fatto che mi sono principalmente applicato al secolo x i x e ai primi anni del x x , quando la questione è marcatamente eurocentrica o, in ogni caso, ha il proprio centro nelle aree «sviluppate». Dacché ho preso a occuparmi della problematica relativa alle nazioni e al nazionalismo, non sono pochi quelli dai quali ho tratto idee, informazioni e indicazioni di libri di cui non avrei avuto altrimenti conoscenza. Ben sapendo di essere ingiusto verso gli altri, mi limito qui a citare Kumari Jayawardene e gli altri studiosi dell'Asia meridionale presso il World Institute for Development Economics Research di Helsinki; i miei colleghi e studenti della N e w School for Social Research di N e w Y o r k che sono stati messi a conoscenza di parte di que-

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Prefazione

sto materiale e coi quali l'ho discusso. La ricerca necessaria alla stesura del presente libro è stata perlopiù resa possibile da 'una Leverhulme Emeritus FeUowship, sicché vorrei esprimere qui il mio apprezzamento per il generoso aiuto ricevuto dal Leverhùlme Trust. « L a questione nazionale» è notoriamente una questione controversa. N o n ho tentato di renderla meno controversa. Spero tuttavia che queste conferenze, nella forma stampata che qui hanno assunto, contribuiscano' all'approfondimento del fenomeno storico col quale intendono confrontarsi. Londra 1989.

Nazioni e nazionalismo

Introduzione

Immaginiamo che un giorno, dopo una guerra nucleare, uno storico intergalattico atterri su un pianeta ormai morto per indagare sulle cause di una remota piccola catastrofe registrata dai sensori della sua galassia. Costui o costei - evito qui di congetturare sulla riproduzione degli extraterrestri - prende quindi a consultare biblioteche e archivi rimasti sulla Terra perché la tecnologia degli armamenti nucleari avanzati obbediva al progetto di distruggere la gente lasciando intatti gli edifici. D o p o aver studiato un po', il nostro osservatore sarà portato a concludere che gli ultimi duecento anni della storia degli uomini sul pianeta Terra risultano incomprensibili senza una qualche cognizione del termine «nazione» e del lessico relativo. È un termine che sembra esprimere qualcosa di piuttosto importante nelle faccende umane: ma che cosa precisamente? E c c o il mistero. Il nostro studioso avrà letto Walter Bagehot, che presenta la storia del secolo x i x sotto il segno della « costruzione nazionale »; che però osserva anche, con l'abituale buon senso: «Sappiamo di che si tratta se non ce lo si chiede precisamente, ma incontriamo una certa difficoltà a illustrarlo e definirlo in poche parole» Affermazione che può andar bene per Bagehot e anche per noi, ma non certo per gli storici extragalattici che difettano di quell'esperienza umana che sembra rendere cosi' inequivocabile l'idea di «nazione». Sono convinto che oggi, grazie a quanto pubblicato sull'argomento nel corso degli ultimi qumdici-vent'anni, sarebbe possibile offrire al nostro storico un elenco di letture in grado di aiutarlo, o aiutarla, con opportune analisi, anche a integrazione del lavoro di A. D. Smith, Nationalism: A Trend Report and Bibliography, in cui si può trovare la maggior parte della bibliografia in materia aggiornata alla

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data di pubblicazione . N o n si tratta certo di consigliare in blocco quanto scritto in questo periodo piuttosto che in precedenza; tuttavia il nostro elenco di lettureiarebbe poco spazio a quanto scritto nell'epoca classica del liberalismo del secolo x i x per" motivi' che" si chiariranno in seguito, ma anche perché, allora, furono assai scarsi gli scritti in materia in qualche modo estranei a l a retorica nazionalistica o razzista. Inoltre, i contributi più validi furono assai contenuti, come i passi dedicati all'argomento da John Stuart Mill in Considerations on Representative Government, o la famosa conferenza di Ernest Renan intitolata Qu'est ceqw_c'esium,nation?\ Il nostro elenco di letture ne conterrà poi alcune che sono necessarie sul piano storico, accanto ad altre, invece non strettamente necessarie, che rientrano però nel primo serio tentativo di analisi critica del problema, cioè quello costituito dall'importante e sottovalutato dibattito che si svolse tra i marxisti della II Internazionale in merito a quella che essi chiamavano «la questione nazionale». Avremo modo di vedere in seguito come mai le migliori teste del movimento socialista internazionale, nel quale militavano delle intelligenze piuttosto straordinarie, si applicarono allo studio di questo problema: da Kautsky alla Luxemburg, da Otto Bauer a Lenin per limitarsi ad alcuni nomi*. Cosi, il nostro elenco conterrà probabilmente qualcosa di Kautsky e, certamente, Die Nationaliiàtenfrage di Otto Bauer, non potendo per altro verso escludere II marxismo e la questione nazionale di Stalin, non tanto per i suoi meriti teorici piuttosto modesti, ancorché non del tutto assenti sebbene non di primissima mano; bensì per l'influenza politica che ebbe a esercitare in seguito '. A mio avviso, l'elenco non avrà bisogno di contenere molte cose risalenti all'epoca di quelli che sono stati chiarnatii-«-due padri fondatori» dello studio accademico del nazionalismo dopo la prima Guerra Mondiale; ossia Carlton B. Hayes e Hans Kohn \ È del resto affatto naturale che un simile argomento attirasse l'attenzione in un periodo in cui la mappa dell'Europa fu ridisegnata per la prima volta, e su quella scala anche per l'ultima, sulla base del principio di nazionalità; in quello stesso periodo, inoltre, il lessico del nazionalismo europeo fu adottato anche dai nuovi movimenti di liberazione coloniale o di autoaffermazione del Terzo Mondo, ai quali Hans K o h n prestò note-

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vole attenzione . Indubbiamente gli scritti di quel periodo contengono molto materiale tratto dalla precedente bibliografia per cui risparmiano allo studioso una notevole quantità di letture di prima mano. C ' è tuttavia una ragione di fondo dell'obsolescenza della maggior parte di ciò che fu scritto in quel periodo, ossia che gli aspetti più innovativi, tra l'altro qua e là anticipati dai marxisti, sono diventati nel frattempo addirittura scontati; salvo nell'ambito dei nazionalisti. C o me oggi ben sappiamo, grazie anche al non indifferente contributo dell'epoca di Hayes e Kohn, le nazioni non sono affatto, come invece riteneva Bagehot, « antiche come la storia » \ II significato odierno del termine non risale a prima del secolo XVIII, salvo rare anticipazioni. La bibliografia accademica sul nazionalismo si moltiplicò, ma senza compiere grandi progressi, nei decenni seguenti. Secondo' alcuni, 3 maggior contributo d'innovazione in questo campo sarebbe costituito dall'opera di Karl Deutsch, che sottolinea l'importanza della comunicazione nella formazione delle nazioni; ma per quanto mi riguarda non considero questo autore indispensabile \ Perché mai la pubblicistica sulle nazioni e il nazionalismo abbia conosciuto una stagione cosi florida a*partire da circa una ventina d'anni fa non è cosi chiaro e, comunque, la. questione si pone veramente solo per chi crede in tale grande floridezza. Punto di vista non universalmente condiviso. Questione che sarà riconsiderata nell'ultimo capitolo, benché in maniera non troppo particolareggiata. In ogni caso, io ritengo' che il numero dei lavori che contribuiscono a chiarire effettivamente che cosa siano le nazioni e i movimenti nazionali, al pari della funzione storica da essi esercitata, sia maggiore nel periodo 1968-88 che nel quarantennio precedente. Il presente libro s'incaricherà 'di chiarire quali di queste opere io abbia trovato di particolare interesse; può' tuttavia essere utile elencare qui alcuni titoli di particolare importanza, tra i quali mi limito a citare uno solo dei miei scritti sull'argomento . La seguente lista va intesa come una specie di introduzione all'argomento. L'ordine di citazione è quello alfabetico, salvo nel caso di Hroch, la cui opera inaugurò una nuova era nell'analisi della composizione dei movimenti di liberazione nazionale. m

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Hroch, Miroslav, Social Preconditions of National Revival in Europe, Cambridge 1985, 'die mette insieme le risultanze di due precedenti lavori già pubblicati a Praga nel 1968 e nel 1971. .. Anderson, Benedict, hnagined Communiiies, L o n d o n 1983. Armstrong, J., Nations he/ore Natìonalism, Chapel Hill 1982. Breuilly, J., Natìonalism and the State, Manchester 1982. Cole, John W. e Wolf, Eric R., The Hidden Frontier: Ecology and Ethniciiy in an Alpine Valley, N e w Y o r k - London 1974. Fishman, J. (a cura di), Language Problems of Developing Countries, N e w Y o r k 1968. Gellner, Ernest, Nations and Natìonalism, O x f o r d 1983 [trad. it. Nazioni e nazionalismo, Roma 1985]. Hobsbawm, E. J. e Ranger, Terence (a cura di), The lnvention of Tradition, Cambridge 1983 [trad. it. L'invenzione della tradizione, Torino 1987]. _ Smith, A. D . , Theories of Natìonalism, London 1983 . Sziics, Jenò, Nation und Geschichte: Studien, Budapest 1981. Tiliy, C. (a cura di), The Formation of National States in Western Europe, Princeton 9 7 5 ^ 2

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Ai quali non posso non aggiungere un brillante saggio scritto nello spirito di un'identificazione soggettiva con una «nazione», ma con rara considerazione dd contesto storico e grande capacità di aderire alla materia: G w y n A. Williams, When was Wales?, inld., The Welsh in their History, London-Canberra 1982. La maggior parte di questa bibliografia si è applicata a rispondere alla domanda: che cos'è una (o la) nazione? Ma proprio per la specificità di tale classificazione dei gruppi umani, e nonostante le asserzioni di chi vi appartiene, per cui la nazione sarebbe primaria e fondamentale per l'esistenza sodale e persino per l'identità individuale di chi ne fa parte, sembra impossibile reperire un criterio soddisfacente in base al quale stabilire se questa o quella collettività tra le tante possa essere definita nazione. Questa difficoltà si può ritenere per certi aspetti quasi scontata, almeno se si considera che «la nazione » è un nuovo arrivato di recentissima data nella storia degli uomini, quale portato, inoltre, di congiunture storiche assai determinate e localizzate, tanto

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che ci si deve aspettare di incontrarla, almeno inizialmente, diciamo, in pochi insediamenti e non nell'ambito della popolazione più o meno generalmente distribuita sulla superficie terrestre. Solo che il problema di fondo è che risulta impossibile comunicare all'osservatore in che modo distinguere a priori una nazione da un'entità di tipo diverso, come invece potremmo dire al nostro osservatore, o alla nostra osservatrice intergalattica, in che modo riconoscere un uccello oppure distinguere un topo da una lucertola. Osservare le nazioni sarebbe semplice se fosse una specie di bird-wateking, I Tentativi di stabilire criteri oggettivi in ordine alla nazionalità, o volti a l a spiegazione del perché certi gruppi siano diventati «nazioI n e » e altri no, sono stati spesso basati su criteri singoli quali la lingua \ o l'etnia, oppure combinando diversi criteri quali una lingua, un territorio e una storia comuni, certe caratteristiche culturali e altro ancora. Forse, tra questo genere di definizioni, quella fornita da Stalin è la più nota, benché non certo l'unica ". Tali definizioni di tipo oggettivo sono risultate fallimentari per .il semplice motivo che solo alcuni appartenenti a l a grande classe delle entità che soddisfano a tali definizioni possono in ogni caso essere presentati come « nazioni », sicché si danno sempre delle eccezioni. I n s o r l ^ p , alcuni casi corrispondenti a l a definizione non sono, o non sono àncora, evidentemente « nazioni», né mostrano di nutrire delle aspirazioni nazionali; mentre altri, che costituiscono indubbiamente delle «nazioni» non corrispondono al criterio o a l a combinazione di criteri adottati. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, visto che il tentativo è in questo caso quello di far rientrare entità storicamente nuove, emergenti, mutevoli e ancor oggi ben distanti da una dimensione universale, in un quadro di permanenza e di universalità. Inoltre, come avremo occasione di vedere, i criteri normalmente adottati a tal fine, ossia lingua, etnia e simili, sono a loro volta evanescenti, mutevoli, ambigui, e, in generale, poco utili a orientare il cammino del viaggiatore come potrebbero esserlo le nuvole rispetto alle pietre miliari. Il che naturalmente rende questi criteri in p articolar modo adatti a fini di propaganda e di dichiarazioni programmatiche, in opposizione agli intenti di tipo descrittivo. Un esempio di uso nazionalistico' di definizioni « oggettive » di questo tipo ci è fornito dalla lotta politica in Asia e si presta, a chiarire la questione:

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Introduzione La popolazione di Ceylon di lingua tamil costituisce una nazione distinta da quella singalese dal punto di vista di ciascun elemento fondamentale in ordine alla nazionalità. In primo luogo per la differenziazione del suo passato storico all'interno dell'isola, per lo meno altrettanto antico e glorioso di quello singalese; in secondo luogo per il, fatto di essere un'entità linguistica affatto diversa da quella singalese, con la sua insuperabile eredità classica e uno sviluppo contemporaneo della lingua tale da rendere il tamil del tutto adatto a esprimere le esigenze del presente; infine perché questa popolazione abita ben determinate zone

L'intento di questa affermazione è chiaro: si tratta di richiedere l'autonomia o l'indipendenza di una zona, presentata come « oltre un terzo dell'isola» di Sri Lanka, sulla base del nazionalismo tamil. Solo che le cose stanno in maniera diversa da come le si vorrebbe far apparire. Si nasconde, infatti, il particolare che l'insediamento territoriale si compone di due aree geograficamente separate e abitate da gente di lingua tamil di diversa origine, cioè indigeni, da una parte, e forza lavoro indiana di recente immigrazione, dall'altra. Si tace, inoltre, che questa area di insediamento tamil è, in certe zone, abitata da una quantità di Singalesi che può costituire sino a un terzo della popolazione e da qualcosa come un 41% di gente che p a r k tamil ma che non si considera affatto dei nazionalisti tamil, preferendo invece l'identità di musulmani l'i Moors*). Incostanza, anche lasciando da parte la regione centrale abitata dagli immigrati, non è per nulla scontato che lo stesso territorio in cui l'insediamento tamil è più compatto - cioè quello che comprende le aree dove la densità dei Tamil oscilla tra il 71 e il 9_j% come a Batticaloa, Mulaitivu ejaffna, e le aree in cui la popolazione che rivendica un'identità tamil costituisce il 20 o il 3 3 % come ad Amparla e a Trincomalee - possa definirsi, salvo che in termini puramente cartografici, uno spazio unitario. Tanto che la decisione di considerarlo tale, in occasione dei negoziati che posero fine alla guerra civile a Sri Lanka nel 1987, non fu altro che una pura e semplice concessione politica alle richieste dei nazionalisti tamil. Insomma, r« entità linguistica » serve semplicemente a occultare il. fatto inoppugnabile che indigeni Tamil, immigrati Indiani e Moors possono al massimo costituire una popolazione omogenea unicamente dal punto divista filologico, anche se, come avremo occasione di vedere, for* [Termine 'die design* in particolare i musulmani dell'India].

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se nemmeno da questo punto di vista. Per quanto riguarda poi il «passato storico differenziato», si tratta di un'affermazione al giorno d'oggi evidentemente anacronistica, pretestuosa o cosi vaga da risultare in definitiva priva di significato. Si p u ò naturalmente obiettare che i manifesti ispirati a intenti di tutta evidenza propagandistici non possono essere presi in esame come se si trattasse di contributi alla scienza sociale, resta il fatto di fondo, però, che all'incirca qualsiasi classificazione di una comunità come « nazione » sulla base di simili criteri che si pretendono oggettivi offrirà il fianco ad analoghe obiezioni, a meno che non si arrivi a stabilire su altre basi che si tratta di una nazione. Ma sulla scorra di quali altre basi? L'alternativa a una definizione di tipo oggettivo è una di tipo soggettivo, sia di carattere collettivo, sulla scorta di Renan secondo il quale « una nazione è un plebiscito quotidiano », sia di carattere individuale, secondo le modalità pròposte dagli austro-marxisti, per i quali la «nazionalità5 concerne l'individuo dovunque e in mezzo a chiunque .viva, incondizionatamente, se l'individuo stesso la rivendica . C o m e risulta chiaro si tratta di evidenti tentativi di sfuggire agli inconvenienti dell'oggettivismo aprioristico:, e in entrambi i casi, sebbene per diversa via, cercando di adattare la definizione di «nazione» a territori nei quali si trovano a coesistere individui che parlano lingue diverse o corrispondono a diversi criteri «oggettivi», come appunto si verificava in Francia e nell'Impero asburgico. Ma entrambe offrono il fianco all'obiezione per cui definire una nazione sulla scorta del sentimento di appartenenza degli individui che ne fanno parte è tautologico e, in ogni caso, serve solo a posteriori nel determinare che cosa sia una nazione. Inoltre può condurre ad avventurarsi incautamente ai limiti estremi del volontarismo, sino a sostenere che l'unica cosa necessaria per creare e ricreare una nazione sia la volontà di esserlo; sicché, per esempio, se un certo qual numero di abitanti dell'isola di Wight volesse appartenere alla nazione Wight, ciò basterebbe a farne una nazione.

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Benché ciò abbia portato, soprattutto a partire dagli anni i960, a tentativi di edificare una nazione sulla base dell'accresciuta coscienza della stessa, non si p u ò legittimamente rimproverare una visione del genere a indagatori del fenomeno cosi attenti quali O t t o Bauer e Re-

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nan, che sapevano perfettamente che le nazioni debbono presentare anche dei comuni elementi obiettivi. C i ò nondimeno', basarsi sulla consapevolezza o la scelta quali criteri di nazionalità, significa ridurre in maniera più o meno surrettizia il percorso complesso e molteplice, in base al quale gli individui si definiscono e ridefiniscono quali membri del gruppo^, a una singola opzione: ossia alla scelta 'di. appartenenza alla «nazione» o «nazionalità». D a l punto di vista politico e amministrativo la scelta è necessaria, al giorno d'oggi, per il fatto di vivere in Stati che forniscono di passaporto e pongono domande relative a l a lingua parlata in occasione del censimenti. Tuttavia, anche al giorno d'oggi non è affatto escluso' che un individuo che vive a Slough si pensi, a seconda delle circostanze, come cittadino britannico, per esempio, oppure, rispetto ad altri cittadini di diverso colore, come Indiano, oppure, rispetto ad altri Indiani, come un Gujarati, oppure, rispetto a indù o musulmani, come un jaina, oppure come appartenente a una casta particolare, oppure nell'ambito di una certa relazione di parentela, oppure come uno che a casa parla hindi piuttosto che gujarati, oppure, con molta probabilità, in molti altri possibili modi. Insomma, non è proprio possibile ridurre nemmeno la «nazionalità» a un'unica dimensione, sia politica, culturale o di altro tipo; a meno che, ovviamente, non vi si sia costretti dalla «forza maggiore» dello Stato. Si può trovare una propria identità ebraica anche senza condividerne la religione, la lingua, la cultura, la tradizione, il retroterra storico, i legami di sangue, né un certo atteggiamento nei confronti dello Stato ebraico. Cosa che peraltro non implica una definizione puramente soggettiva della «nazione». Insomma né la definizione di tipo oggettivo né quella di tipo soggettivo risultano soddisfacenti e, anzi, sono entrambe fuorviami. Penso pertanto che, in linea generale, un certo agnosticismo costituisca il miglior punto di partenza per chi vuole esplorare questo campo d'indagine, sicché il presente libro non intende adottare una definizione di tipo aprioristico di ciò che costituirebbe una nazione. C o m e prima ipotesi di lavoro si considererà pertanto «nazione» un nucleo di popolazione sufficientemente ampio i cui appartenenti si ritengano membri della stessa. Tuttavia, se questo' nucleo di popolazione si consideri effettivamente «nazione», non lo si potrà determinare pu-

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ramente e semplicemente sulla scorta dei pubblicisti o degli esponenti di organizzazioni politiche che si battono per il riconoscimento dello status di « nazione ». Il fatto che sorga un gruppo organizzato di sostenitori di qualche «idea nazionale» non è certo privo di significato, ma la parola «nazione» la si impiega oggi in maniera cosi generica e onnicomprensiva che il ricorso al lessico del nazionalismo non è di per sé molto significativo. In ogni caso, per quanto riguarda l'approccio alla « questione nazionale», « sembra più proficuo partire dal modo di concepire la "nazione" - cioè dal "nazionalismo" - che non dalla realtà che questa rappresenterebbe». E poiché «la "nazione" quale concepita dal nazionalismo la si può per cosi dire riconoscere in prospettiva, mentre la "nazione" vera e propria la si può solo riconoscere a posteriori» questo costituirà l'approccio del presente libro, dedicando particolare attenzione ai cambiamenti e alle trasformazioni relative al concetto, in special modo attorno alla fine del secolo xrx. E appena ovvio che i concetti non appartengono a un discorso filosofico che volteggia liberamente nell'aere, ma sono invece socialmente, storicamente e spazialmente ben radicati, tanto da dover esser spiegati nei termini di queste realtà. Per il resto, la posizione di chi scrive può essere riassunta nel seguente modo: 1. Uso il termine « nazionalismo » secondo la definizione di Gellner, cioè di « u n principio politico che tiene ben ferma, in primo luogo, la necessaria corrispondenza tra unità politica e nazionale» . E vorrei aggiungere che questo principio implica altresì che i doveri politici dei Ruritani * nei confronti dell'organizzazione statuale che ne garantisce e rappresenta la nazione viene prima di qualsiasi altro obbligo di tipo pubblico e, in casi estremi come quello della guerra, di qualsiasi altro genere di obblighi. Questo tipo di implicazione differenzia il nazionalismo moderno da altre forme meno cogenti di identità nazionale o di gruppo che avremo occasione di incontrare. 2. Analogamente agli studiosi più attenti, non considero la «nazione» né come un qualcosa di primario né come un qualcosa d'im15

* [La Ruritairia è un reame immaginario che compare nel romanzo di Anthony Hope (t 1933) ThePrisoner

rfZenda

(H prigioniero di Zenda, 1894)].

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mutabile sul piano sociale. Essa appartiene in maniera esclusiva a un periodo storico recente e particolare. La si può considerare un'entità sociale solo nella misura in cui è in relazione con una forma determinata di Stato territoriale moderno, ossia lo «Stato-nazione», tanto che diventa ozioso parlare di nazione e di nazionalità prescindendo dalla loro relazione con quest'ultimo. L^tte^saQ^scjQKtaidiJG^B^_ vorrei sottolineare gli elementi di artificio, di invenzione* di ingegne- ria sodale che entrano a far parte ^ 'nazioni quali modo naturale e "di' derivazione divina di classificare gli uomini, come destino politico (. ) intrinseco, sono un mito; il nazio""[ nalismo, che talvolta si appropria delle culture precedenti per trasforv marie in nazioni, che talvolta se le inventa, che spesso oblitera le cul, j u r e precedenti; questa è una realtà» . In breve: dal punto di vista , dell'analisi il nazionalismo viene prima delle nazioni. N o n sono le na' z l ò h ì T f a r e g i f Stati e a forgiare il"nazionalismo, bensì il contrario.. 3. La «questione nazionale», come la chiamavano i marxisti di un tempo, si colloca all'incrocio di politica, tecnologia e trasformazione sodale. Le nazioni non esistono solo in funzione di un particolare Stato territoriale o dell'aspirazione a istituirne uno - per dirla in generale^ io Stato dei cittadini della Rivoluzione francese -, ma si collocano anche all'interno di un particolare livello di sviluppo sul piano economico e tecnologico. La maggior parte degli studiosi concordano oggi con l'affermazione che i linguaggi nazionali standardizzati, sia scritti sia parlati, non avrebbero potuto imporsi con questa specificità prima della stampa, dell'alfabetizzazione su larga, scala e, quindi, dell'istruzione di massa. Ed è persino stato sostenuto che l'italiano parlato a livello popolare, quale idioma in grado di esprimere le svariate esigenze di un linguaggio dd secolo xx al di là della sfera di comunicazione domestica e a tu per tu, è venuto unicamente costruendosi oggi in funzione delle esigenze della programmazione televisiva nazionale ". Ne deriva pertanto-chele-nazioni e i-fenomeni ad esse as/ sodati debbono essere analizzati sotto molti altri aspetti oltre che in termini di condizioni ed esigenze politiche, tecnologiche, amministrative, economiche. 4. Per tutte queste ragioni si tratta, dal mio punto di vista, di fenomeni duali, prodotti essenzialmente dall'alto, che però non posso:

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no essere compresi se non vengono analizzati anche dal basso, ossia in teìMini di assunzioniVTperanzé," esigenze, aspettative e interessi della gentexomune, che non sono.necessariamente nazionali, e ancor meno nazionalistici. Infatti, una mia eventuale critica di fondo nei confronti dell'opera di Gèllner riguarderebbe la preferenza da lui accordata alla prospettiva della modernizzazione dall'alto, preferenza che gli rende difficile dedicare la dovuta attenzione alla visione dal basso. / Questa visione dal basso, cioè non la nazione vista con gli occhi 'elei governi, degli esponenti e degli attivisti nazionalisti, o contrari al nazionalismo, bensì con gli occhi della gente comune, cui peraltro tale propaganda è rivolta, è estremamente difficile da indagare. FortuÌ natamente gli storici sociali hanno imparato a indagare la storia delle ' idee, delle opinioni e dei sentimenti al livello inferiore di quello della scrittura, sicché è oggi piuttosto difficile confondere, diversamente da quanto erano soliti fare gii storici del passato, gli editoriali di certi giornali con l'opinione pubblica. C o l che non abbiamo acquisito molte certezze, ma ci sono almeno tre cose che risultano con una certa chiarezza. Primo: le ideologie ufficiali di Stati e movimenti non sono molto indicative di ciò che effettivamente passa per la testa dei cittadini, nemmeno dei cittadini più devoti, né degli stessi sostenitori di tali movimenti. Secondo, e più in particolare: non si può assumere che per la maggior parte della gente l'Identità nazionale, qualora sussista, escluda, o sia sempre e comunque superiore agli altri e diversi elementi di identità che sostanziano l'essere sociale. Di fatto, questa è sempre combinata con altre e diverse identificazioni, anche quando sia percepita come preminente rispetto a queste altre. Terzo: l'identità nazionale e relative possibili implicazioni possono cambiare e modificarsi .anche nel giro di breve tempo. A mio avviso, questa è appunto l'area nella quale gli studi sulla nazione dovrebbero essere condotti con maggior urgenza sia sul piano della ricerca sia su quello della riflessione teorica. 5. Sebbene stia oggi polarizzando l'attenzione, l'evolversi di nazionalità e nazionalismi all'interno di Stati di antica costituzione quali Gran Bretagna e Francia non è stato ancora sufficientemente approfondito . L'esistenza di tale ritardo è confermata, in G r a n Bretagna, 1

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dal disinteresse votato ai problemi connessi al nazionalismo inglese termine che già di per sé suona piuttosto strano a molti orecchi -, tanto più se confrontato con l'attenzione che invece è stata dedicata ai nazionalismi scozzese e gallese, per tacere di quello irlandese. Per altro verso, negli ultimi anni i maggiori passi in avanti sono stari compiuti negli studi relativi ai movimenti nazionali che aspiravano a diventare Stato, e questo perlopiù sulla scorta degli studi innovativi di Hroch volti all'analisi comparativa dei movimenti nazionali europei di ridotte dimensioni. Vi sono due punti dell'analisi di questo ottimo autore che sono entrati a far parte della mia. Primo: la «coscienza nazionale» evolve in maniera differenziata all'interno dei diversi raggruppamenti sociali e delle regioni di un paese; diversità regionale che, unitamente alle sue motivazioni, è stata in passato notevolmente trascurata. Molti studiosi, tra l'altro, sarebbero d'accordo nel ritenere che, pur nella varietà dei gruppi sociali che di volta in volta sono permeati per primi dalla «coscienza nazionale», le masse popolari, cioè operai, dipendenti e contadini, lo sono invece sempre per ultimi. Secondo e in conseguenza: faccio mia la utile distinzione in tre fasi della storia dei movimenti nazionali proposta da questo autore. Nell'Europa del secolo x i x , che ne vide lo sviluppo, la fase A fu di tipo puramente culturale, letterario o folclorico e non ebbe particolari ripercussioni né in campo politico né sullo stesso piano nazionale; un p o ' come le ricerche, condotte da non Rom per conto della Gypsy Lore Society, non ne hanno mai concretamente avute per quanto riguarda gli oggetti di tali indagini Nella fase B ci troviamo in presenza di un certo numero di pionieri e di militanti dellVidea nazionale» e possiamo assistere ai primi passi della campagna politica a sostegno di tale idea. La parte più consistente del lavoro di Hroch riguarda questa fase ed è dedicata all'analisi delle origini, della composizione e della distribuzione di questa minoriti agissanie. N e l presente .lavoro, il mio interesse si rivolge prevalentemente alla fase C, quando, e non prima, i programmi nazionalisti si conquistano un consenso di massa o, se non altro, parte di quel consenso di massa che i nazionalisti sono soliti rivendicare in ogni occasione e circostanza. È evidente che la transizione dalla fase B alla fase C costituisce un momento cruciale nella cronologia dei movimenti nazionali. Talvolta, come nel caso dell'Ir-

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landa, questa fase si verifica prima della creazione di uno Stato nazionale; ma probabilmente, in misura assai più frequente, si verifica dopo, quale conseguenza di tale creazione. Può anche succedere, però, come nel caso del cosiddetto Terzo M o n d o , che non si verifichi neppure dopo. Infine: debbo far presente che nessuno storico serio delle nazioni e del nazionalismo pm in alcun modo essere un nazionalista impegnato sul piano politico, a meno che non lo sia in maniera analoga a chi crede alla verità letterale delle Scritture, sicché, pur non essendo in grado di fornire dei contributi alla teoria evolutiva, non è però escluso che fornisca contributi all'archeologia e alla filologia semitica. Il nazionalismo esige un'eccessiva credenza in ciò che patentemente non è tale. Renan dice che «l'errore storico è un fattore essenziale della formazione d'una nazione»". Ma gli storici sono professionalmente tenuti a non commettere errori, o perlomeno a fare di tutto per non commetterne. Essere Irlandese e fieramente attaccato all'Irlanda, e anche essere un fiero cattolico irlandese o un fiero protestante dell'Ulster, non è di per sé incompatibile con uno studio serio della storia irlandese. Posso invece pensare che essere un militante feniano o un Orangeman non sia altrettanto compatibile, all'incirca come essere sionista mi sembra piuttosto incompatibile con lo scrivere una storia veramente seria degli Ebrei; a meno che lo storico si spogli di tali convinzioni all'ingresso della biblioteca o dei proprio studio. A l cuni storici nazionalisti non sono stati capaci di farlo, Per quanto mi riguarda, accingendomi a scrivere il presente libro ho avuto la fortuna di non dovermi spogliare delle mie convinzioni non storiche.

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W. Bagehot, Pkysics sudPolitics, London 1887, pp. 20, 21.

' A. D. Smith, Nationalism, A trend Report and Bikìiogmphy, in «Current Sociologa», xxi

(1973), n. 3. Cfr. anche le bibliografie contenute in Id., Tbeories ofNatiomlnm, London 2

1983 e Id., Tèe Etbnìc Origins of Nations, Oxford 1986. H professor Anthony Smith può es-

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ser considerato alo stato attuale il principale punto di riferimento nel campo per 3 lettore di lingua inglese. E. Renan, Qu'est ce que c'est une uation?, conferenza tenuta alla Sorbona il 1° e l'n marzo 1882;J. S. Mill, Considerations on Representatiue Government, London 1861, cap. xvi [trad. it. Il governo rappresentativo, in A. Brunialti (a cura di), Scelta collezione delle piti importanti opere moderne italiane e straniere di scienze politiche, Torino 1886, voi. II, pp. 1148-55].

i6

Introduzione 4

Per un'utile introduzione, compresa un'antologia di scritti degli autori marxisti di maggior spicco dell'epoca, ctr. G. Haupt, M. Lowy e C. Weill, Les Marxiste; et la questian nationale 1848-1914, Paris 1974. O. Bauer, Die Nationatititenfrage uni die Sozialdemokratie, Wien 1907-la seconda edizione del 1924 contiene un'importante nuova introduzione - è opera incredibilmente non tradotta in inglese [né in italiano]. Cfr. da ultimo H. B. Davis, Towarda Marxist Tbeciy ofNationalism,

5

New York

1978.

Lo scritto' di Stalin con questo titolo-risale al 1913. In seguito egli ritornò sull'argomento. Il testo del 1913 più questi ulteriori sono stati pubblicati in Inghilterra col titolo Marxism and the National andColonial Question, London 1963: opera che esercitò una notevole influenza a livello internazionale, non solo presso i comunisti, specie nel mondo coloniale. [Per quanto riguarda la traduzione italiana, lo scritto del 1913 col titolo 11 mancamo e la questione nazionale d trova in J. Stalin, Opere complete, Roma 1955, voi. II, pp. 314-94; c'è inoltre Id., Il marxismo e h questione nazionale e coloniale, Torino 1948, che contiene II marxismo e la questione nazionale, Sui compiti del partito in rapporto alla questione nazionale,! compiti attuali del partito in rapporto atta questione nazionale; Id,, La questione nazionale, Roma 1948 compren-

dente, oltre gli scritti testé citati. La questione nazionale!. 4

C. B. Hayes, The Misturimi Evoluito» of Modem Natìonalism, New York 1931, e H. Kohn, The Idea ofNationalism. A Study in its Origin and Background, New York 1944, contengono

importante materiale sul piano storico. L'espressione «padri fondatori» si trova nell'importante saggio storico, sia sul piano filologico sia concettuale, di A. Kemiiàinen, Natìonalism. Problems Conceming the Word,

the Concepì md Classification, Jyrasfeylà'

1964.

C&. le sue opere intitolate History ofNationalism in the East, London 1929, e Nationalism 8

5

M

and Imperialism in the Hitber East, New York 1932. Bagehot, Physics and Politics cit., p. 83. K. W. Deutsch, Nationalism and Social Communicafion.

An Enquiry into the Foundation.,

of

Nationality, Cambridge (Mass.) 1953. Tra i mìei scritti sul'.'argomento segnalo, oltre i capitali contenuti in The Age of Revolution 1789-1848, London 1962 [trad. it. Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, Milano 1963], The Age of Capital 1848-187% London 1975 [trad. it. Il trionfo della borghesia 1848-187% Roma-Bari 1976], The Age of Empire 187^-1914, London 1987 [trad. it. L'età degli imperi 1871-1914, Roma-Bari 1987? : The attittide of popular classes towards national movements for indipendence

(Celticparts ofGreatBritain), in Commission Internationale d'Histoire des Mouvements Sociaux et Structures Sociales, Mouvements Nationaux d'indépendence et classes populaires aux xix' et XX' sièdes en Occident et en Orient, Paris 1971, voi. I, pp. 34-44; Some reflections on

nationalism, in T. J. Nossiter, A. H. Hanson e S. Rokkan (a cura di), Imagtnation and Precision in the Social Sciences: Essays in Memory of Peter Netti, London 1972, pp. 385-406; Reflections on «The Break-Cp ofBritain», in «New Left Review», 1977, n. 105; What is the Worke/s country, cap. w del mio Worlds ofLahour, London 1984 [trad. it. Qual è la patria dei lavoratori, in Lavoro cultura e mentalità nella società industriale. Roma-Bari 1986, pp. 59-76 ];

Working-dass intemationalism, in F. van Holthoon e M. van der Linden (a cura di), Internationalism in the Labour Movement, Leiden - New York - Copenhagen - Kóln 1988, pp. 2-16. 11

« L a nazione è una comunità stabile, storicamente formatasi, che ha la sua origine neia comunità di lingua, di territorio, di vita economica e di conformazione psichica, che si manifesta nella comune cultura» (Stalin, Opere complete cit., voi. II, p. 321). Dankai Tamil Arasu Kadchi, The case for a federai constitution forCeyhn, Colombo 1951, cit. in R. N . Kearney, Etbnic confliet and the Tamil separatisi movement in Sri Lanka, in « Asian

a

Survey», n. 25, 9 settembre 1985, p. 904. Karl Renner traccia un preciso parallelo tra appartenenza alla nazione e appartenenza a una confessione religiosa; parlando di uno status «scelto liberamente, dejure, da chi ha raggiunto la maggiore età e, per quanto riguarda i minori, da chi li rappresenta sul piano legale» (Siaat imi Nation, Wiea 1899, pp. 7 sgg.).

M

Hofasbawin, Some reflections on nationalism cit., p. 387.

Introduzione B

17

Gellner, Nations and Nationalism cit., p. 1 [trad. it. cit., p. 3]. Questa definizione sostanzialmente politica è fatta propria anche da altri autori, tra i quali in particolare Breuilly, Nationalism and the State cit., p. 3.

16

Gellner, Nations and Nationalism cit,, pp. 48, 4,9 [trad. it. cit., p. 56}.

" A. Sorella, La televisione e la lingua italiana, in « Trimestre. Periodico di cultura », jot (1981), n. 2-3-4, PP- 291-300. 18

In proposito dr. 8. Samuel (a cura di), Patriotism. TheMakingand Vnmaking o/Britah Na-

tional Identity, London 1989,3 voli. Ho trovato i lavori di Linda Colley particolarmente stimolanti: cfr. per esempio Whose nation? Class and national consciousness in Britatn 1750-

1830, in «Fast and Freserà», 1986, n. 113, pp. 96-117. " Renan, Qu'est ce que c'est une natomi cit., pp. 7,8: « L'oubii, et je dirai móne l'erreur historique, sont un facteur essentiel de la formatiou d'une nation et c'est ainsi que le progrès des éturles historiques est souvent pour la nationalité un danger».

Capitolo, p r i m o La .novità n a z i o n e : dalla r i v o l u z i o n e al liberalismo

La caratteristica fondamentale della, nazione moderna e di tutto quanto le è connesso è appunto la modernità. O g g i lo si è perlopiù compreso, ma. l'assunto contrario, secondo cui l'identità nazionale sarebbe qualcosa di cosi naturale, primario e permanente da precedere lo sviluppo storico, è così diffuso che può essere utile mostrare quanto' sia recente lo stesso lessico relativo. Il D i z i o n a r i o d e l a Reale Accademia Spagnola, le cui diverse edizioni sono state prese in esame da. questo' punto di vista , non parla in termini moderni-di Stato, nazione e lingua prima dell'edizione del '1884-. In questa edizione ap- : prendiamo infatti per la prima volta che la iengua nacional è «h lin- \ gua ufficiale e letteraria di un. paese, e quella generalmente parlata ; nello stesso, distinguendosi cosi dai dialetti e dalle lingue d e l e altre, nazioni». Il lemma «dialetto» istituisce un'analoga relazione tra lo stesso e la lingua, nazionale. Prima del 1884, la" parola nación sta semplicemente a significare «l'insieme degli abitanti di una provincia, di un paese o di un regno » e anche « un forestiero ». Ma dopo questa data viene definita come «uno' Stato o un'entità politica che riconosco-2 no un centro superiore e comune di governo » e anche come «il territorio occupato da questo Stato, e i suoi singoli abitanti, considerato come un. tutto unico»;, tanto che da allora in poi lo Stato in quanto elemento comune e superiore è centrale in tali definizioni, almeno nel mondo iberico, La nación è il «conjunto de los habitantes de un pals regidopor un mismo gobierno» (corsivo mio) . La naqào della (recente) Enciclopédia Brasileira Mèrito* è «la comunità dei cittadini di uno. Stato che vivono sotto uno stesso regime o governo e hanno interessi; comuni; la collettività degli abitanti di un determinato territorio con tradizioni,, aspirazioni e interessi comuni, e sottoposti a un potere cen1

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Capitolo primo

itale che si fa carico di mantenere l'unità del gruppo (corsivo mio); il popolo di uno Stato indipendentemente dalle forze governative». Inoltre, nel Dizionario della Reale Accademia Spagnola, la versione definitiva della definizione dì «nazione» compare solo nel 1925, quando la si descrive come «la collettività di persone dalla stessa origine etnica che, in linea generale, parlano la stessa lingua e hanno tradizioni comuni». Gohiemo. il governo, non è espressamente collegato al concetto di nación sino al 1884. Anche perché, in realtà, come suggerisce la filologia, il significato originario della parola «nazione» sta a indicare origine o discendenza da: «naissance, extraction, rang», per citare un antico dizionario francese che a sua volta cita l'affermazione di Froissart «je fus retourné au pays de ma nation en la contèe de Haynnau» (feci ritorno al paese della mia nascita/origine nella contea di Hainault)\ E, nella misura in cui l'origine o la discendenza riguardavano un insieme di uomini, ben difficilmente vi si facevano rientrare i governanti dello Stato, a meno che tale insieme non fosse costituito dai governanti stessi e le loro famiglie. Se invece riguardavano un certo territorio, solo casualmente poteva trattarsi di unità politica che, in ogni caso, non era mai molto estesa. Nella prima edizione, del 1726, del citato dizionario spagnolo, il termine patria, o quello più popolare di tierra, stanno semplicemente a significare « il luogo, la città o la terra dove si è nati», o «una regione, una provincia o un distretto di una signoria o di uno Stato». Questo significato ristretto di patria, che lo spagnolo moderno ha preso a distinguere da quello più ampio parlando di patria chica, cioè letteralmente di piccola patria, lo si può ritenere pressoché universale prima del secolo x i x , salvo presso coloro che avevano ricevuto un'istruzione classica con riferimento alla Roma antica. Sino al 1884 la tierra non è mai posta in relazione con lo Stato; mentre i riecheggiamenti emotivi del moderno patriottismo non risuoneranno prima del 1925, con la definizione della patria come «nostra propria nazione, con tutto il suo insieme di cose materiali e non materiali, col passato, il presente e il futuro che godono dell'amorevole devozione dei patrioti». 1

D'accordo che la Spagna del secolo x i x non fosse precisamente all'avanguardia sul piano delle idee progressiste, tuttavia la Castiglia - e

La novità nazione: dalla rivoluzione al liberalismo'

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qui stiamo proprio riferendoci a l a lingua castigliana - fu 'uno dei primissimi regni europei che si potrebbe etichettare, in maniera non del tutto fantasiosa, come «Stato-nazione». In ogni modo, resta piuttosto dubbio che la Francia o la Gran Bretagna del secolo xrx costituissero degli «Stati-nazione» di tipo radicalmente diverso. Sicché l'evolversi del lessico relativo assume un interesse di carattere generale. Nelle lingue romanze la parola «nazione» è autoctona. Altrove,? invece, almeno quando è usata, rappresenta un prestito esterno. Cosa „ che ci consente di tracciare alcune distinzioni d'uso con maggior chiarezza. Cosi, nell'alto e basso tedesco la parola Volk (popolo) presenta chiaramente alcune associazioni analoghe a quelle odierne per quanto riguarda le parole derivate da natio, con un'interazione però piuttosto complessa. Cosi è chiaro che nel basso tedesco medievale il termine natie - almeno nella misura in cui è usato, e in proposito si può supporre che, data la sua origine latina, lo fosse piuttosto raramente, salvo che presso gli alfabetizzati e le persone di stirpe reale o di piti o meno alto lignaggio - non si connota ancora come Volk, le cui connotazioni comincia, ad acquisire solo nei secolo x v i . Natie significa pertanto, come nel francese medievale, nascita e gruppo da cui si discende, Geschlechf. 1

1

C o m e avviene in altre aree, evolve passando a indicare gruppi autonomi più ampi, sul genere delle gilde o altre corporazioni che intendono distinguersi dagli altri in mezzo ai quali peraltro vivono: donde le «nazioni» come sinonimo di forestiero, come in spagnolo, le «nazioni» dei mercanti forestieri, che stanno a indicare «comunità di forestieri, soprattutto commercianti, che vivono in un centro cittadino godendovi di determinati privilegi»'; le «nazioni familiari» degli studenti nelle università antiche. E però anche qualcosa di meno familiare come « un reggimento dalla nazione di Lussemburgo » . In ogni caso, sembra chiaro che l'evoluzione semantica tendeva a sottolineare il luogo o il territorio' d'origine, il pays natal d'un'antica definizione'! francese che spesso e volentieri diventa, se non altro nell'accezione dei tardi lessicografi, l'equivalente di «provincia» ; mentre altri sottolinea prevalentemente il gruppo comune da cui si discende, andando pertanto nella direzione dell'etnia, come nel caso dell'insistenza olandese sul significato primario di natie, ossia di «totalità degli individui ritenuti appartenere al medesimo "stara" ». r

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Capitolo primo

In ogni caso, il rapporto tra una «nazione» di una certa estensione, per quanto di carattere autoctono, e lo Stato rimane problematico, risultando piuttosto chiaro che dal punto di vista etnico e linguistico, come del resto sotto altri aspetti, la maggior parte degli Stati, indipendentemente dalla dimensione, non erano affatto omogenei e, pertanto, non potevano puramente e semplicemente esser parificati alle nazioni. Il dizionario olandèse!>sottolinea espressamente, quale peculiarità delle lingue francese e inglese, il fatto che usino la parola nazione «per significare il popolo che appartiene a uno Stato anche se non parla la stessa lingua»'. Un'esemplificazione particolarmente interessante di questo problema la si trova nella Germania del secolo x v i n ' . N e l 1740, l'enciclopedista Johann Heinrich Zedler sostiene che il termine nazione, nel suo significato originario e genuino, designa un insieme compatto di Bùrger (la cosa migliore, nel caso della Germania della metà del secolo x v i n , è lasciare a questo- termine tutta la sua ben nota ambiguità) che hanno in comune certi costumi, usanze e leggi. Dal che ne deriva che il termine nazione non ha alcuna connotazione territoriale, visto che gli appartenenti a nazioni diverse, tra 'loro divisi e diversificati da «diversi modi di vita (Lebensartett) e co; sturai», possono vivere gli uni accanto agli altri nella stessa provincia ! per quanto piccola. Se la nazione avesse uno stretto rapporto col territorio, allora i Vendi, che abitano la Sassonia orientale, avrebbero dovuto chiamarsi Tedeschi, mentre di tutta evidenza non lo sono. N o n è forse un caso che questa esemplificazione venisse in. mente a uno studioso sassone, che quindi aveva una certa familiarità con l'ultima e ancor esistente popolazione slava in area linguistica germanica; popolazione che però egli evita di etichettare col termine piuttosto ambiguo di «minoranza nazionale». Secondo Zedler, il termine appropriato per indicare la totalità dei popoli di tutte le «nazioni» che vivono all'interno della stessa provincia o Stato, è Voick. Ma, ahimè!, per semplificazione terminologica, in pratica il termine « nazion e » viene spesso usato nello stesso senso di Voick, mentre talvolta diventa sino,nimo di «stato» nell'ambito della società (Stand, Ordo) e talaltra viene applicato a qualsiasi associazione o società (Gesellschaft, Socie tas). 1

Sia nel caso del significato «proprio e originario», sia in tutti gli altri, il termine «nazione» conserva comunque connotazioni abba-

La novità nazione: dalla rivoluzione al liberalismo

23 1

stanza diverse da quelle del suo significato moderno. Perciò , senza / voler qui approfondire ulteriormente la faccenda, possiamo concor- j dare che, nella sua accezione moderna e eminentemente politica, il concetto di nazione è dal punto di vista storico assai recente. C o m e ; del resto è ben sottolineato in un altro monumento linguistico, il New Englisb Dictionary, che nel 1908 faceva appunto presente come l'antico significato del termine si riferisse prevalentemente all'unità etnica, ( mentre l'uso più recente poneva l'accento piuttosto sul « concetto di unità politica e di indipendenza»". Stante la novità storica del moderno concetto di «nazione», mi sembra che la via migliore per coglierne l'essenza potrebbe essere quella di seguire un p o ' da vicino coloro che presero a maneggiare questo concetto nei loro discorsi politico-sociali nell'Età della rivoluzione e, in particolar modo, nell'ambito dell'espressione «principio . di nazionalità »^ jU'incirga-daLi830 in-poi Questo excursus nella Be- \ griffsgeschichte non è affatto facile, anche perché, come avremo occasione di constatare, i contemporanei erano piuttosto superficiali e disinvolti nell'uso del termine in questione e, d'altra parte, la stessa parola significava nello stesso tempo, o almeno poteva significare, cose tra loro assai diverse. Il significato primario di «nazione», e uno dei più ricorrenti sul piano bibliografico, era politico. In pratica assimilava « p o p o l o » e Stato a l o stesso modo delle Rivoluzioni americana e francese: un'e-, quazione che ritorna spesso in, espressioni del tipo « Stato-nazione» e ' « Nazioni Unite », o nel linguaggio dei presidenti degli ultimi decenni \ del secolo x x . Il linguaggio politico degli Stati Uniti d'America preferì in un primo tempo parlare di « p o p o l o » , «unione», «confederazione », « nostra terra comune », « pubblico », « benessere pubblico », « comunità», nell'intento di -evitare le implicazioni di tipo centralistico e unitario del termine « nazione » contrarie in qualche modo ai diritti dei singoli Stati federati". Infatti era, o dovette diventarlo prontamente, parte integrante del concetto di nazione, nell'Età della rivoluzione, l'essere questa «una e indivisibile», secondo l'espressione francese". La «nazione» cui qui si faceva riferimento era il corpo dei cittadini la cui sovranità collettiva costituiva quello Stato che ne era l'espressione politica. Al di là di che cosa fosse precisamente una

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Capitolo primo

nazione, l'elemento di «cittadinanza», di partecipazione di massa e di scelta risultava comunque sempre presente. John Stuart Mìttìaon si limitò a definire la nazione sulla scorta dell'esistenza di un sentimento nazionale, ma volle aggiungere che gli appartenenti a una nazionalità «desiderano di essere sottoposti a un governo, e altresì desiderano che si tratti di un governo composto esclusivamente da loro o da una parte di loro»". Possiamo notare, senza troppo stupirci, che John Stuart MiU non analizzò il concetto' di nazionalità in una specifica pubblicazione, bensì, significativamente e brevemente, nell'ambito del suo trattateli© sul governo rappresentativo e la democrazia. L'equazione nazione = Stato = popolo, e in particolare popolo sovrano, rapportò la nazione al territorio dato che la struttura e la definizione degli Stati erano diventate sostanzialmente territoriali. Implicava inoltre una molteplicità di Stati-nazione costituiti su questa base, quale necessaria conseguenza dell'autodeterminazione popolare.. C o m e affermato nella Dichiarazione dei Diritti del 1795 in Francia: « O g n i popolo è indipendente e sovrano, quale che sia il numero degli individui che lo compone e l'estensione del territorio che occupa. Questa sovranità, è inalienabile»". D'altra parte, però-, si dice assai poco su che cosa costituisca un « p o p o l o » . In particolare mancava una relazione logica tra, da una parte, il corpo dei cittadini di uno Stato territoriale e, dall'altra, l'identificazione della « nazione » su basi etniche, linguistiche o altre caratteristiche che consentissero un riconoscimento collettivo del gruppo di appartenenza. E a dire il vero è stato anche sostenuto che la Rivoluzione francese « era del tutto estranea al principio del sentimento nazionale», e che, proprio' per questo motivo-, « l o osteggiava» . C o me osservava acutamente l'autore del dizionario olandese, la lingua non ha nulla a che fare, in linea di principio, con l'essere Inglesi o Francesi, tanto che, come avremo occasione di vedere, gli esperti francesi si opponevano duramente a qualsiasi tentativo di adottare la lingua parlata quale criterio di appartenenza nazionale, la quale, sostenevano, era determinata unicamente dalla cittadinanza francese. La lingua parlata dagli Alsaziani o dai Guasconi non aveva alcuna rilevanza sul loro status di appartenenza al popolo francese. 16

Da un punto di vista popolare-rivoluzionario l'elemento accomunante della «nazione» non poteva essere in senso sostanziale né l'et-

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aia, né la lingua, né l'affinità, sebbene poi queste potessero indicare una qualche appartenenza collettiva. C o m ' è stato sottolineato da Pierre Vilar', ciò che caratterizzava il popolo-nazione visto dal basso era precisamente il fatto di rappresentarel'ìnteressé comunein contrapposizione agli interessi particolari, il bene comune contro il privilegio, come del resto è adombrato dalla terminologia americana prima del 1800 per indicare la nazionalità e nello stesso tempo evitare l'uso del termine. Le differenze relative ai gruppi .etnici erano, da questo punto di vista rivoluzionario-democratico, altrettanto secondarie di quanto lo saranno per i socialisti. Ovviamente, ciò che poteva distinguere i coloni americani da re Giorgio e i suoi sostenitori non era né la lingua né l'etnia, cosi come, per converso, la Repubblica francese non aveva alcuna difficoltà a eleggere l'angloamericano T h o mas Paine alla propria Convenzione Nazionale. N o n possiamo pertanto rintracciare nella «nazione» rivoluzionaria, alcunché di simile al successivo programma nazionalistico di fare dello Stato-nazione un corpo definibile sulla base dei criteri oggetto di accanita discussione da parte dei teorici del secolo x i x , quali etnia, lingua, religione, territorio e memoria storica comuni, per citare una volta ancora John Stuart M i l P . C o m e abbiamo visto, ad esclusione del. territorio , la cui estensione restava peraltro indefinita, e forse dei colore della pelle, nessuno di questi costituiva un elemento unificante nel caso della neonata nazione americana. Inoltre, se la grande nation dei francesi ampliava le proprie frontiere nel corso delle guerre della Rivoluzione e dì Napoleone ricomprendendo aree che non potevano considerarsi francesi sulla base di alcun criterio di appartenenza, nazionale in seguito adottato, risultava anche chiaro che nessuno di tali criteri era, alla base della sua costituzione. Tuttavia, i vari elementi in seguito utilizzati nel tentativo di elaborare delle definizioni della nazionalità separatamente dallo Stato erano indubbiamente presenti, sia in associazione alla nazione rivoluzionaria, sia come suoi elementi problematici; tanto che, quanto più una e indivisibile si proclamava, tanto più l'accresciuta eterogeneità al suo .interno le poneva appunto dei problemi. È abbastanza fuor di dubbio che per molti giacobini un Francese che non parlasse la lingua francese era. sospetto, e che, in pratica, il criterio etnolinguistico di 1

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Capitolo primo

032100,31113 venisse spesso adottato. C o m e ebbe a sottolineare Barère nel suo rapporto sulle lingue davanti al Comitato di Salute Pubblica: Chi, nei dipartimenti del Basso Reno e dell'Alto Reno si è unito ai traditori per chiamare Prussiani e Austriaci sulle nostre frontiere invase? Sono gli abitanti delle campagne [alsaziane], che parlano' la stessa lingua dei nostri nemici e che, pertanto, si considerano loro fratelli e concittadini, invece che fratelli e concittadini dei Francesi che gli si rivolgono parlando un'altra lingua e hanno usi e costumi diversi".

L'insistenza dei Francesi sull'uniformità linguistica fu notevole sin dai tempi della Rivoluzione e, per l'epoca, è da considerarsi piuttosto eccezionale. Vi ritorneremo in seguito . Ma quello che va sottolineato sin d'ora è che, almeno in teoria, non era il fatto di essere di madrelingua francese a far si che una persona fosse francese: del resto come avrebbe potuto essere così, visto che la stessa Rivoluzione s'era data un gran da fare per dimostrare quanta poca gente, allo stato, parlasse francese in Francia? . Pertanto, quello che contava, sotto questo aspetto , diventava la disposizione ad acquisire la lingua francese, assieme alle altre libertà, leggi e caratteristiche comuni del libero popolo della Francia. In certo qual senso , acquisire la lingua francese era una condizione per acquisire la piena cittadinanza francese e perciò la nazionalità, cosi come imparare a parlare inglese lo diventò per una vera cittadinanza americana. Per illustrare la differenza tra una definizione della nazionalità fondamentalmente basata sulla lingua e quella francese, anche nella sua forma più estremizzata, citiamo un filologo tedesco che avremo occasione di ritrovare in seguito mentre cerca di convincere il Congresso internazionale di statistica della necessità di una domanda sulla lingua nei censimenti statali (cfr. p. 112). Richard Bòckh, che nelle sue importanti pubblicazioni negli anni 1:860 sostenne che la lingua era l'unico indice attendibile della nazionalità, argomentazione che giungeva proprio a proposito per il nazionalismo tedesco visto che i Tedeschi erano ampiamente diffusi nell'Europa centrale e orientale, fu anche costretto, di conseguenza, a classificare gli Ebrei ashkenaziti come Tedeschi, dato che lo yiddish da loro parlato era, senz'ombra di dubbio, un dialetto tedesco derivato dal tedesco medievale. Inferenza tanto stringente quanto difficilmente condivisibile dai Tedeschi antisemiti. I Francesi della Rivolu1

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zione, invece, volendo trovare degli argomenti a favore dell'integrazione degli Ebrei nella nazione francese, non avrebbero né avuto bisogno, né del resto avrebbero capito, una simile inferenza, Dal loro punto di vista, infatti, sia gli Ebrei sefarditi, che parlavano lo spagnolo medievale, sia gli ashkenaziti che parlavano yiddish, entrambi presenti in Francia, erano ugualmente Francesi, una volta che avessero accettato le condizioni della cittadinanza francese, tra le quali rientrava naturalmente quella di parlare la lingua francese. Viceversa, l'argomentazione secondo la quale Dreyfus non poteva essere «verament e » francese perché era di origine ebrea, fu giustamente intesa come un attacco all'essenza stessa della Rivoluzione francese e alla sua definizione di nazione francese. Ciò nondimeno, è già nel citato rapporto di Barère che confluiscono due concetti di nazione piuttosto diversi: quello rivoluzionariodemocratico e quello nazionalistico. L'equazione Stato = nazione = popolo si applica a entrambi, ma, per i nazionalisti, la creazione di entità politiche a essa ispirate presumeva la precedente esistenza dì una qualche comunità in qualche modo distinta dallo straniero; mentre dal punto divista rivoluzionario -democratico, era il cittadino - popolo sovrano = Stato che, rispetto a tutti gli altri appartenenti al genere umano, costituiva la « nazione »*'. N o n dobbiamo inoltre dimenticare che d'ora in poi gli Stati, in qualsiasi m o d o costituiti, dovevano tener nel dovuto conto i propri sudditi, perché nell'Età detta rivoluzione era diventato più difficile governarli. C o m e diceva il combattente per la libertà greca Kolokotrones, non era ormai più del tutto vero che « i popoli pensavano che i re fossero dèi in terra e che quindi tutto ciò che facevano fosse necessariamente ben fatto La divinità stava smettendo di aderire alle loro persone. Quando nel 1825 Carlo X di Francia ripetè l'antica cerimonia dell'incoronazione a Reims e, controvoglia, la cerimonia della guarigione magica, non più di 120 persone si fecero avanti per essere guarite dalla scrofolosi mediante il tocco regale. In occasione dell'incoronazione precedente, cioè quella che aveva avuto luogo nel 1774, si erano presentati ben 2400 sudditi malati '. C o m e avremo occasione di vedere, dopo il 1870 la democratizzazione porrà il problema della legittimazione e della mobilitazione dei cittadini in maniera urgente e drammatica. Per i 1

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governi il fattore centrale dell'equazione Stato = nazione = popolo era chiaramente lo Stato. Ma quale collocazione aveva la nazione, e come stavano le cose per quanto riguarda l'equazione Stato = nazione = popolo al di là delle diverse gerarchie dei termini, nella costruzione teorica di chi, d o p o tutto, impresse più marcatamente la propria impronta sull'Europa del secolo x i x , e in particolar modo su quel periodo in cui il «principio di nazionalità» ne cambiò la mappa in maniera addirittura sconvolgente, cioè il periodo che va dal 1830 al 1880? Insomma: come affrontarono la questione le borghesie liberali e il loro ceto intellettuale? A n c h e se avessero voluto non avrebbero certo potuto evitare di porsi il problema in quella cinquantina d'anni in cui l'assetto politico dell'Europa si trasformò in seguito all'emergere di due grandi potenze, la Germania e l'Italia, basate sul principio nazionale; la suddivisione di una terza, l'Austria-Ungheria, dopo il compromesso del 1867, sempre sulla base dello stesso principio nazionale; per non parlare del riconoscimento ottenuto da un certo numero di entità politiche meno rilevanti, che diventarono Stati indipendenti rivendicando di essere dei popoli con caratteristiche di base nazionali, dal Belgio, in Europa occidentale, agli Stati che nel sud-est europeo sorsero nei ter;, ritori già dell'Impero ottomano, come Grecia, Serbia, Romania e Bulj { garia; per citare in ultimo le due rivolte nazionali dei Polacchi che I. chiedevano di ricostituirsi intorno a quello che pensavano come uno ; j Stato-nazione. D e l resto- non si p u ò certo dire che avessero- intenzione ! '; di evitare la questione. Secondo Walter Bagehot la «costruzione na• zionale fu l'elemento caratterizzante lo sviluppo storico del secolo xix". Ad ogni modo, poiché il numero degli Stati-nazione era, all'inizio del secolo x i x , assai ridotto, la prima domanda che si pose a chi prese in considerazione il problema, fu di determinare quali tra i numerosi popoli europei cui si poteva applicare l'etichetta di «nazionalità» su questa o quella base, avrebbero potuto diventare Stato o anche solo ottenere il riconoscimento di una qualche forma di separatezza sul piano politico o amministrativo; d'altra parte si trattava invece di determinare quale dei numerosi Stati già esistenti avrebbe potuto essere caratterizzato come «nazione». G l i -elenchi di criteri volti a stabilire la

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nazionalità potenziale o in atto dovevano servire essenzialmente a tal fine. Apparve piuttosto ovvio che non tutti gli Stati potevano coincidere con una nazione, né viceversa. D'altra parte la famosa domanda di Renan: «perché l'Olanda è una nazione, mentre lo Hannover o il G r a n Ducato di Parma non lo sono?» , sollevava una serie di questioni teoriche. E sollevava un'altra serie di questioni teoriche anche l'osservazione di John Stuart Mili secondo la quale l'istituzione di uno Stato nazionale doveva: a) essere fattibile, b) desiderata dalla, stessa nazionalità... La cosa si poneva un p o ' negli stessi termini anche per i nazionalisti della metà dell'epoca vittoriana, che non avevano alcun dubbio sulla risposta da dare a entrambe queste domande quando riferite alla loro nazionalità o a l o Stato nel quale si realizzava, ma che per il resto guardavano atte rivendicazioni degli altri nazionalisti e degli altri Stati con molto minor entusiasmo. Tuttavia, al di là di questo punto, ci troviamo in presenza, per quanto riguarda l'elaborazione liberale nel. corso del secolo x i x , di un'incredibile approssimazione sul piano delle idee. Conseguenza non tanto d'una incapacità di pensare a fondo il problema detta nazione, quanto dell'assunto che non richiedeva di essere sviscerato perché sostanzialmente ovvio. Cosi, la teoria liberale in merito alla nazione la si può evincere, perlopiù, unicamente in margine all'elaborazione teorica degli scrittori liberali... Inoltre, come avremo occasione divedere, un elemento centrale dell'elaborazione teorica del liberalismo si oppone a. una considerazione di tipo concettuale della «nazione». Nella parte restante di questo capitolo intendiamo pertanto cercar di ricostruire una teoria coerente della «nazione» dal punto- d i v i sta liberal-borghese, procedendo un p o ' alla maniera in cui gli archeologi ricostruiscono le vie commerciali sulla scorta dei depositi di monete. Forse la via migliore è proprio quella di iniziare dal concetto di «nazione» meno pregnante, cioè dall'accezione in cui A d a m Smith usa il termine nel titolo della sua opera maggiore. Infatti, in questo contesto significa né più né meno che Stato territoriale, o, per citare John Rae, uno scozzese piuttosto acuto che se ne andava in giro per il Nordamerica dell'inizio del secolo scorso criticando Smith, «qualsiasi comunità distinta, società, nazione, Stato o popolo- (termini che nel 25

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caso in questione possono sempre considerarsi sinonimi)» . Tuttavia, il pensiero del grande economista liberale deve aver fatto- sentire tutto il suo- peso sui pensatori liberali della classe media che consideravano la «nazione» da un altro punto di vista, anche se non erano degli economisti, come per esempio- John Stuart Mill o, come Walter Bagehot, dei direttori dell'«Economist». E ci possiamo chiedere se fu una coincidenza storica del tutto fortuita il fatto che l'epoca classica del liberalismo del libero commercio abbia coinciso con quella «costruzione nazionale» che secondo Bagehot fu l'elemento- centrale del secolo x i x . In altre parole; lo Stato-nazione ebbe una specifica funzione, proprio in quanto tale, nello sviluppo capitalistico? O piuttosto: come intesero- questa funzione i pensatori liberali contemporanei? È storicamente evidente che la funzione delle economie definite sulla base delle frontiere statali fu piuttosto importante. L'economia, mondiale del secolo x i x fu di tipo intemazionale più che non globale. I teorici del sistema mondiale hanno cercato di mostrare che il capitalismo fu generato come sistema, globale in un solo continente, e in nessun altro luogo, proprio in ragione del pluralismo politico europeo, che né costituiva né faceva parte di un unico «impero mondiale». Nel corso dei secoli x v i e x v n lo sviluppo economico si realizzò sulla base degli Stati territoriali, ognuno dei quali mirava all'attuazione di politiche mercantilistiche come un insieme unitario. E, inoltre, quando parliamo di capitalismo mondiale nel secolo x i x e agli inizi del x x , lo facciamo nei termini delle sue diverse componenti nazionali nel'ambito del mondo sviluppato-, cioè di industria, britannica, di economia americana, di capitalismo tedesco distinto dal capitalismo francese, ecc. N e l corso di quel lunghissimo periodo che. va dal secolo XVIII agli anni che seguono la seconda Guerra Mondiale, sembra, esservi stato poco spazio e altrettante ridotte possibilità, nell'economia .globale, per quelle unità realmente extraterritoriali e transnazionali, oppure interstiziali, che avevano avuto un ruolo- cosi importante nella genesi di un'economia capitalistica a livello mondiale, e che oggi, di nuovo, hanno riacquistato importanza; mi riferisco, per esempio, a quegli staterelli indipendenti e microscopici la cui importanza economica è affatto sproporzionata rispetto alla loro dimensione e alle loro risorse, come Lubecca e Gand nel secolo xiv, Singapore e H o n g

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K o n g oggi. In effetti, se si riesamina retrospettivamente lo sviluppo della moderna economia mondiale, si è portati a considerare la fase nel corso della quale lo sviluppo economico era strettamente dipendente dalle «economie nazionali» di un certo numero di Stati territoriali sviluppati, come intermedia rispetto a due ere entrambe sostanzialmente transnazionali. La difficoltà di fondo per gli economisti liberali del secolo x i x , come per quei liberali che, come del resto ci si poteva aspettare, accolsero gli argomenti dell'economia politica classica, consiste nel fatto che possono riconoscere l'importanza d e l e nazioni in pratica ma nient'affatto sul piano teorico. L'economia politica classica, e in particolare quella di A d a m Smith, fu -elaborata in funzione critica del «sistema mercantile» ossia proprio di quel sistema per cui i governi consideravano le economie nazionali come insiemi da svilupparsi sulla base dell'impegno e della politica statali. Il libero commercio e il libero mercato si contrapponevano precisamente a questa ideaTli sviluppo economico nazionale che Smith riteneva avesse dato prova di cattivo funzionamento. La teoria economica fu pertanto elaborata unicamente sulla base delle singole unità d'impresa, sia a livello individuale sia societario, che cercavano di massimizzare razionalmente i profitti e di minimizzare le perdite su un mercato privo di dimensione spaziale specifica. Al limite poteva trattarsi, benché in realtà non fosse cosi, del mercato mondiale. Sebbene Smith non fosse affatto contrario a certi interventi del governo in materia economica, per quanto riguardava la teoria generale dello sviluppo economico non riservò- alcun posto alla nazione, né a qualsiasi entità collettiva più .ampia dell'azienda, che, tra l'altro, egli non si diede la pena di analizzare più di tanto. Cosi J. E. Cairnes, al culmine dell'era liberale, prese in seria considerazione per una decina di pagine l'affermazione della sostanziale inutilità di una teo-ria del commercio intemazionale, almeno in quanto distinto da qualsiasi altra transazione commerciale tra individui . Per concludere che, sebbene le transazioni internazionali si fossero notevolmente semplificate e facilitate, restavano tuttavia ancora frizioni sufficienti da giustificare l'esigenza di un'analisi specifica del commercio interstatale. L'economista liberale tedesco Schònberg 27

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metteva in dubbio il significato stesso del concetto di «reddito nazionale». C h i non si accontentava di considerazioni superficiali avrebbe anche potuto essere tentato di crederci, è però vero che costoro forse esageravano, anche se poi le stime della «ricchezza nazionale» in termini monetari erano errate . Edwin Cannan* riteneva che la «nazione» di cui parlava A d a m Smith consistesse semplicemente nella sommatoria degli individui nell'ambito di un determinato territorio statale e si domandava se, per caso, il fatto che, nel giro d'un centinaio d'anni, tutta questa gente sarebbe certamente morta, non rendesse in pratica impossibile parlare di «nazione» come d'un'entità dotata di un'esistenza continuativa. In termini di politica concreta, ciò significava ritenere che solo la collocazione delle risorse attraverso il mercato poteva considerarsi ottimale e che, grazie a questo meccanismo, gli interessi dell'individuo si trasformavano automaticamente nell'interesse generale, almeno nella misura in cui c'era posto in questa storia per il concetto' di interesse di un'intera comunità. Per' contro, nel 1834, John Rae scrisse un libro proprio per dimostrare, contro Smith, che l'interesse individuale e quello nazionale non coincidevano affatto, cioè a dire che i principi che guidavano gli individui nel perseguire i propri interessi non portavano necessariamente a massimizzare la ricchezza delle nazioni . C o m e vedremo, quelli che si rifiutavano di aderire incondizionatamente alle teorie di Smith non erano affatto trascurabili numericamente; le loro teorie economiche, però, non erano in grado di competere con quelle della scuola classica. Il termine «economia nazionale» fa la sua comparsa nel Dictionary of Politicai Economy di Palgrave in relazione alla teoria economica tedesca. Lo stesso termine «nazione» scompare da un'opera analoga pubbliI cata in Francia negli anni 1890 . 2

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C i ò nondimeno, anche gli economisti classici più puri furono obbligati a impiegare in qualche modo il concetto di economia nazionale. C o m e ebbe ad affermare, tra il giustificativo e il declamatorio, il seguace di Saint-Simon Michel Chevalier, in occasione della sua prolusione in quanto docente di economia politica al Collège de France: «Si esige che noi si prenda in dovuta considerazione l'interesse generale delle società umane, ma non ci si proibisce di tener conto della situazione particolare della società in seno alla quale noi viviamo» . O, i:

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come ebbe a sottolineare Lord Robbins, sempre in relazione agli esponenti defl'economia politica classica, «non ci sono molti indizi che essi siano andati spesso oltre la verifica della convenienza nazionale quale criterio ispiratore della loro politica, e ve ne sono ancor meno sulla loro attrezzatura a immaginare la cancellazione dei confini nazionali»". In breve: né potevano né volevano uscire dalla «nazione», i cui progressi Potter constatava con autocompiacimento a partire dal 1835 perché, riteneva, si desidera «accertare con quali mezzi le diverse comunità possano aver raggiunto una posizione eminente nell'ambito delle nazioni». Per «diverse comunità», egli intendeva, non c'è bisogno di aggiungerlo, «la propria comunità» Ma come si poteva negare la funzione economica e i benefici effetti dello Stato-nazione? L'esistenza di Stati con monopolio monetario, finanza pubblica e, pertanto, politiche fiscali e attività varie era un fatto innegabile, Queste attività economiche non potevano essere abolite, nemmeno nella mente di chi desiderava eliminare le conseguenze negative degli interventi che queste implicavano sul piano economico. Inoltre, anche i liberisti più accaniti dovevano accettare, come Molinari, che «la suddivisione dell'umanità in nazioni autonome è sostanzialmente economica»". Lo Stato, e nell'epoca posteriore all'Età della rivoluzione lo Stato-nazione, dopo tutto era il garante della proprietà e dei contratti, tanto che, come affermava JeanBaptiste Say, notoriamente e decisamente non proprio un amico dell'impresa pubblica, «non c'è nazione che abbia raggiunto un certo livello di ricchezza senz'essere sottoposta a un regolare governo» *. Le funzioni del governo potevano anche essere razionalizzate dagli eco-, nomisti liberali in termini di libera concorrenza. Perciò Molinari so-l steneva che «la suddivisione dell'umanità in nazioni è utile, se non altro perché fa valere un principio di emulazione estremamente efficace sul piano economico» . A conferma citava la grande Esposizione del 1851. Ma, anche senza il bisogno' di giustificazioni del genere, si riconosceva la funzione positiva del governo per quanto riguarda lo sviluppo economico. Jean-Baptiste Say, per il quale non c'era maggior differenza tra una nazione e quelle limitrofe di quanta non ce ne fosse tra due province limitrofe, rimproverava tuttavia alla Francia, ossia allo Stato francese e al suo governo, di non operare al fine di svi3

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luppare le risorse .interne del paese, indulgendo piuttosto alle conquiste all'estero. In breve, nessun economista, nemmeno il liberista più accanito, poteva ignorare o comunque non tenere in certo qua! conto l'economia nazionale. Solo che gli economisti liberal non amavano parlarne, anche perché non sapevano tanto come parlarne. N e i paesi che miravano a raggiungere un certo Hvello di sviluppo economico- nazionale anche per' opporsi alla superiorità economica della Gran Bretagna, il libero commercio di Smith risultava dotato di minori attrattive. E qui non troviamo scarsità di gente disposta a parlarci del'economia nazionale come un tutto unitario. Abbiamo già. citato il dimenticato scozzese-canadese Rae. Egli avanzò delle teorie che sembrano anticipare la sostituzione delle importazioni con l'importazione -di. tecnologia adottate dalla United Nations Economie Commission for Latin America negli anni 1950. Su un piano più terra terra, il grande federalista Alexander Hamilton, negli Stati Uniti, istituì una stretta connessione tra nazione, Stato ed economìa, per giustificare l'appoggio accordato a un governo nazionale forte in opposizione a uomini p o l l i c i meno favorevoli all'accentramento . L'elenco delle sue «grandi misure nazionali», compilato dall'autore della voce nation in un posteriore repertorio americano, è esclusivamente eco; nemico e comprende: la fondazione di una banca nazionale, la prote\ zione delle manifatture nazionali mediante alte tariffe, notevoli impoJ ste indirette". Forse, come suggerisce l'autore dell'articolo-, che è un [ ammiratore di Hamilton, tutte queste misure «miravano alla crescita i del seme della nazionalità»; forse, come nel caso di altri federalisti che parlavano piuttosto p o c o di nazione e assai di argomenti economici, Hamilton immaginava che la nazione avrebbe badato a se stessa, se il governo federale si prendeva cura dello sviluppo economico: in. ogni caso la nazione comportava un'economia nazionale e una sistematica agevolazione da parte dello Stato, cosa che, nel secolo x i x , significava né più né meno protezionismo. 1

G l i economisti americani del secolo x i x furono in genere troppo mediocri per riconoscere la rilevanza, teorica delle dottrine di Hamilton, a differenza di quanto cercarono di fare il. modesto- Carey e pochi altri '. Hamilton fu invece ripreso in maniera lucida e incisiva dagli economisti tedeschi, capeggiati da Friedrich List, che ne aveva acqui3

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sito le idee, e se ne era ampiamente ispirato nel corso del suo soggiorno negli Stati Uniti negli anni 1820, quando prese parte attiva al dibattito economico che si ebbe in quel periodo in America". Secondo List il compito della scienza economica, che i Tedeschi già allora tendevano a chiamare «economia nazionale» (Nationaloekonomie). o «economia popolare» ( Volkswìrtschaft), invece di «economia politica», era di «realizzare compiutamente lo sviluppo economico della nazione e prepararne l'ingresso nella futura società universale» . N o n c'è bisogno di aggiungere che tale sviluppo doveva assumere la forma dell'industrializzazione capitalistica realizzata da una borghesia, forte... Tuttavia, ciò che dal nostro punto di vista è interessante per quanto riguarda List, e la posteriore «scuola storica» degli economisti tedeschi che si ispirarono alle sue idee, come del resto i nazionalisti in campo economico di altri paesi quali l'irlandese Arthur Griffati* , è il fatto che egli abbia espresso in maniera chiara e distinta, gii elementi caratteristici della concezione liberale della «nazione», che invece erano abitualmente dati per scontati... Secondo List, in sostanza, la nazione doveva possedere sufficiente estensione territoriale da formare un'unità in grado di svilupparsi. N e l caso quindi non raggiungesse questa estensione non avrebbe giustificazione storica. Cosa che sembrava fin troppo ovvia per richiedere una qualche motivazione, tanto che fu raramente oggetto di discussione. Il Dictionnaire politique di j Garnier-Pagès del 183.4 riteneva «ridicolo» che il Belgio o il Portogal- \ lo potessero acquistare l'indipendenza nazionale in quanto evidente-1 mente troppo piccoli"'. John Stuart Mill mostrava di capire le ragioni dell'ormai innegabile nazionalismo irlandese sulla base del fatto che j gli Irlandesi, tutto considerato, risultavano «sufficientemente nume-1 rosi da costituire una nazionalità degna, di tutto rispetto»'* . Altri, in- \ vece, tra cui Mazzini e Cavour, che pur erano degli apostoli del prin- > cipio di nazionalità, non concordavano. E lo stesso New Engiish Dictionary definiva il termine «nazione» non più solo sulla scorta del significato diventato corrente in Gran Bretagna grazie a Stuart: Mill, bensì anche come «un aggregato di persone di ampie dimensioni» con le dovute caratteristiche (corsivo mio)". 41

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List diceva con tutta chiarezza che:



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una popolazione numerosa e un territorio' di 'una certa guai estensione dotati di j - svariate risorse nazionali costituiscono dei requisiti essenziali della nonnaie nazionalità (...) Una nazione caratterizzata da una popolazione e un territorio ridotti, specialmente se parla una propria lingua, potrà solo avere una letteratura mutila e delle istituzioni altrettanto carenti per promuovere le arti e le scienze. Uno Stato- troppo piccolo non potrà mai perfezionare pienamente, nell'ambito del suo territorio, le diverse branche produttive*.

Il professor Gustav C o h n riteneva che i vantaggi economici offerti dagli Stati -di grandi dimensioni (Grofistaaien) trovavano conferma nella storia della Gran Bretagna e della Francia. Essi erano certamente minori di quelli offerti da una possibile economia globale, ma, purtroppo, almeno per il momento, non si poteva ipotizzare una unificazione a .livello mondiale. N e l frattempo, «tutto ciò -cui l'umanità aspira per l'intero genere umano (...) è stato a questo punto- quasi interamente realizzato per una parte rilevante di uomini, ossia per 30/60 milioni di individui». Sicché ne «deriva che il futuro del mondo civile assumerà ancora per lungo tempo la caratteristica della creazione di grandi Stati iGro&staatenbildung) »'\ Notiamo- di passaggio la costante assunzione, sulla quale ritorneremo in seguito, per cui la «nazione» -è una specie di soluzione di seconda scelta rispetto all'unificazione a livello mondiale. Queste tesi avevano due conseguenze perlopiù generalmente accettate da chi rifletteva seriamente sull'argomento, benché poi non le si formulasse cosi esplicitamente come erano invece soliti fare i Tedeschi che, tra l'altro, avevano alcune ragioni di tipo storico per farlo. In primo luogo ne conseguiva che il «principio di nazionalità» si applicava in pratica solamente alle nazionalità di una certa dimensione. D o n d e il dato piuttosto stupefacente che Mazzini, -cioè l'apostolo di questo princìpio, non prevedesse l'indipendenza per l'Irlanda. E per quanto riguarda nazionalità, o potenziali nazionalità, di dimensioni ancor minori, come potevano essere i Siciliani, i Bretoni o i Gallesi, la considerazione in cui si prendevano le loro rivendicazioni era. ancor minore. Di fatto, il termine Kleinstmterei (sistema di ministati) aveva connotazioni spregiative, ed era precisamente ciò cui si opponevano- i nazionalisti tedeschi. La parola «balcanizzazione», derivata dalla suddivisione dei territori già appartenenti all'Impero turco in svariati, staterei]! indipendenti, conserva ancora una connotazione

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negativa, E entrambi i termini facevano parte per cosi -dire delle ingiurie del lessico politico. Il «principio della taglia minima» trova chiara .illustrazione nella mappa della futura Europa disegnata da Mazzini nel 1857: comprendeva infatti dodici grandi Stati e federazioni, -di cui uno solo, manco a dirlo l'Italia, non sarebbe classificabile come multinazionale sulla scorta, dei criteri posteriori*. Il «principio di nazionalità», secondo la formulazione wilsoniana cui si ispirarono i trattati di pace seguiti alla prima Guerra Mondiale, dette luogo a un'Europa di ventisei Stati, o ventisette, se consideriamo anche l'Irish Free State istituito p o c o dopo. Mi limito a far presente che un recente studio sui movimenti regionalistici della sola Europa occidentale ne ha contati, quarantadue", a riprova di ciò che può verificarsi una volta messo da. parte il «principio della taglia minima». Ma quello che va qui sottolineato, è che, nel periodo classico del nazionalismo liberale, a nessuno sarebbe saltato in mente di metterlo da parte. L'autodeterminazione si applicava unicamente acquette nazioni che si potevano ritenere vitali: dal punto di vista culturale e, naturalmente, da quello economico, al di, là e prima -di che cosa esattamente questa «vitalità» potesse significare. Sotto questo- aspetto il concetto di autodeterminazione nazionale di Mazzini e di Stuart Mill era radicalmente diverso da quello- del presidente Wilson. Prenderemo in considerazione più avanti le ragioni -di tale cambiamento. Tuttavia può essere degno di nota, en pasxant, il fatto che, in realtà, il «principio -della taglia minima» non fu abbandonato- in tutto e per tutto nemmeno nell'epoca wilsoniana. N e l periodo tra, le due guerre, l'esistenza del Lussemburgo e del Liechtenstein continuò a, procurare un sottile imbarazzo-, per quanto le loro politiche potessero risultar gradite ai filatelici. Mentre nessuno mostrò particolare gioia per l'esistenza della, città, libera di Danzica, e non solo presso i due Stati confinanti che avrebbero desiderato ricomprenderla ciascuno nel proprio territorio, ma in linea più generale presso- tutti coloro che ritenevano che nessuna città-Stato potesse essere vitale nel secolo- x x , diversamente da quanto si era verificato ai giorni della Lega anseatica. G l i abitanti della ridimensionata Austria non erano cosi ostili all'integrazione nella Germania semplicemente perché non credevano che uno Stato di dimensioni ridotte quale il loro potesse risultare vitale sul

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piano economico ilebensfàhig). Solo d o p o il 1945, e soprattutto dopo la decolonizzazione, è stato fatto posto, in seno- alla comunità delle nazioni, a entità quali la Repubblica Dorninicana, le Maldive, A n I dorrà. j La seconda conseguenza è che la creazione delle nazioni era inevii labilmente vista come un processo di espansione. E questa era anche un'altra ragione dell'anomalia del caso irlandese come -di tutti gli altri nazionalismi basati unicamente sul separatismo. C o m e abbiamo visto, la teoria prevedeva che l'evoluzione sociale ampliasse la -dimensione del nucleo sociale umano dalla famiglia e dalla tribù sino alla contea e al cantone, dal locale al regionale, sino al nazionale e eventualmente al globale. Pertanto le nazioni erano per cosi dire .in sintonia con la storia solo se ampliavano la dimensione della società, visto che le altre cose rimanevano uguali. :

Se dovessimo riassumere la nostra dottrina in una frase, potremmo forse dire, in linea generale, che il principio di nazionalità è legittimo quando tende a unificare in un. insieme compatto gruppi -dispersi di popolazione; mentre è legittimoquando tende a dividere- uno Stato'"'.

C i ò significa, in pratica, che dai movimenti nazionali ci si aspettava che fossero dei movimenti di unificazione o di espansione nazionale. I Tedeschi e gli. Italiani, pertanto, desideravano di confluire in un unico Stato, come del resto fecero i Greci. I Serbi volevano confluire assieme ai Croati nella Iugoslavia, della quale peraltro non si aveva alcun precedente storico, e, al di là. di questa, il sogno di una federazione balcanica agitava i pensieri di chi aspirava a. un'unità ancor più ampia. La sua realizzazione rimarrà affidata ai movimenti comunisti do|po la seconda Guerra. Mondiale. I Cechi volevano confluire con gli Slovacchi, mentre i Polacchi avrebbero voluti unirsi ai Lituani e ai Ruteni e, di fatto, avevano già dato vita a un unico grande Stato nella Polonia precedente la spartizione; i Rumeni della Moldavia volevano fondersi con quelli della Valacchia e della Transilvania, ecc. Tutte queste aspirazioni erano evidentemente incompatibili con. la. definizione di nazione basata sull'etnia, la. lingua, o una storia comune, ma, come abbiamo visto, non erano questi i criteri decisivi in base ai quali si formava la nazione di stampo liberale. In ogni caso, nessuno si sarebbe sognato -di. negare la molteplicità di nazionalità, lingue o etnie

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del più antichi e .incontestabili. Stati-nazione, quali Gran, Bretagna, Trancia e Spagna. C h e gì « Stati-nazione » fossero eterogenei dal punto di vista della nazionalità lo si accettava senza particolari, difficoltà dato che in molte parti d'Europa, e ancor più del resto- del mondo, le nazionaltà erano cosi patentemente mescolate all'interno di uno stesso territorio, che una disposizione delle stesse in perfetto ordine sul territorio sembrava piuttosto impensabile. Questo dato avrebbe costituito la base di partenza concreta di certi modi di intendere la nazionalità quale, ad esempio, quello degli austro-marxisti, che non facevano- tanto riferimento al territorio quanto alla gente. Né p u ò considerarsi un puro caso che l'iniziativa in tal senso fosse.presa, in. seno .al Partito socialdemocratico- tedesco, dagli Sloveni, che vivevano in una, zona dove gli insediamenti sloveni e tedeschi erano spesso delle -enclave all'interno di altre enclave o in territori di confine di incerta ed evanescente delimitazione, tanto da risultare piuttosto difficili da individuare' . In ogni caso, l'eterogeneità nazionale degli Stati-nazione era accettata, prima di tutto, perché sembrava chiaro che le nazionalità dì ridotte dimensioni, e in p articolar modo quelle più Imitate e arretrate, avessero tutto da guadagnare a confluire in nazioni più grandi, fornendocosi per il tramite di queste ultime il loro contributo- allo sviluppo dell'umanità. «L'esperienza - diceva Stuart Mill esprimendo chiaramente quella che era anche l'opinione di molti osservatori attenti prova che è possibile, per una nazione, confluire ed essere assorbita da un'altra ». Per chi era arretrato e a un livello inferiore, ciò avrebbe significato- un notevole guadagno-: 1

Nessuno può pensare che non risulti più vantaggioso per un Bretone o un Basco della Navarca francese (...) far parte della nazione francese, godendo a, ugual titolo -di tutti i privilegi forniti dalla cittadinanza francese (...) piuttosto- che starsene imbronciato nel proprio ora-cello,, reliquia semiselvaggia del passato, prigioniero della propria ristretta mentalità, senza partecipare o interessarsi al generale movimento del mondo-. Le stesse osservazioni possono applicarsi ai Gallesi e agli Scozzesi delle higk'ands in quanto appartenenti alla nazione britannica . 52

Una volta accettato che una. nazione indipendente o «reale» doveva essere una, nazione vitale in base ai criteri vigenti, ne conseguiva che alcune nazionalità più piccole e alcune lingue parlate da pochi avrebbero dovuto scomparire in quanto tali. Frederich Engels è stato

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aspramente criticato quale sciovinista grande-tedesco per aver pronosticato la sparizione dei Cechi in quanto popolo e aver fatto delle osservazioni poco riguardose in merito al futuro di un discreto numero di altri popoli". N o n c'è dubbio che fosse fieramente tedesco e anche piuttosto propenso a ritener migliore il suo popolo rispetto agli altri salvo che sotto il profilo della tradizione rivoluzionaria. Inoltre non c'è il minimo dubbio che fosse del tutto in errore per quanto riguarda i Cechi e alcuni altri popoli. Tuttavia è un puro anacronismo criticarlo per le sue opinioni di fondo in, materia, dato che erano condivise da qualsiasi osservatore imparziale della metà del secolo xix. Alcune lingue e nazionalità di piccole dimensioni non hanno possibilità di futuro indipendente. Era una convinzione generalmente accettata, anche da gente ben, lungi dall'essere ostile a l a liberazione nazionale sia in linea di principio, sia in pratica. N o n c'era nulla di sciovinistico in un atteggiamento' del genere. N o n comportava alcuna ostilità nei confronti della lingua né della cultura di tali vittime collettive delle leggi del progresso, come le avrebbero certamente definite. Viceversa, dove la supremazia della nazionalità-Stato e della lingua-Stato non era in discussione, la nazionalità predominante poteva prendersi cura e sostenere i dialetti e le lingue minori nel suo territorio, come del resto le tradizioni storiche e folcloriche dette minoranze che vivevano nei suoi confini, se non altro a dimostrazione della ricchezza di colori e di sfumature presenti nel panorama macronazionale. Inoltre, le nazionalità di piccole dimensioni, e persino gli Stati-nazione che accettarono l'integrazione in nazioni più grandi come qualcosa di positivo - o, se si preferisce, che accettarono le leggi del progresso -, non ravvisarono delle differenze inconciliabili tra microcultura e macrocultura, oppure si rassegnarono alla perdita di ciò che non poteva adattarsi all'epoca moderna. Fu lo scozzese e non l'inglese a inventare il concetto di «North Briton» dopo l'Unione del 1707". Fu chi parlava gallese e che lottava p e r l a lingua gallese nel Galles del secolo xix che prese a dubitare delle possibilità della, propria lingua, cosi efficace in campo religioso e poetico, di essere sufficientemente versatile per esprimere l'universo culturale del secolo xix; ossia a rendersi conto della necessità e dei vantaggi del bilinguismo". N o n c'è dubbio che costoro non erano del tutto indif-

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ferenti al fatto che ciò'offriva delle possibilità di carriera «britannic h e » ai Gallesi che parlavano inglese, ma questo non allentò affatto il loro profondo legame con l'antica tradizione. La cosa risulta evidente persino tra coloro che si rassegnarono all'ipotesi di una scomparsa dell'idioma gallese, come il reverendo Griffiths del Dissenting College di Brecknock, che si limitò a chiedere che fosse lasciato libero corso al naturale evolversi delle cose: «Lasciate che [la lingua gallese] finisca di morire del tutto, in santa pace e onorevolmente. Le siamo così affezionati che non vorremmo procrastinarne l'eutanasia. Ma nessun sacrificio sarà mai troppo grande per impedire che venga assassinata» . Quarantanni dopo, un altro appartenente a una piccola nazionalità, il pensatore socialista Karl Kautsky, di origine ceca, affermava in tono ugualmente rassegnato ancorché non del tutto distaccato: « L e lingue nazionali saranno vieppiù ridotte a un uso domestico, e si tenderà a trattarle come un vecchio mobile dell'eredità familiare, cioè come qualcosa che si tratta c o n venerazione benché sia ormai pressoché inutilizzabile in pratica» . Ma questi erano problemi delle nazionalità più piccole, la cui futura indipendenza sembrava piuttosto problematica. G l i Inglesi non degnavano di grande considerazione le preoccupazioni di Scozzesi e Gallesi, mentre si mostravano orgogliosi dell'esotismo domestico delle isole britanniche. In realtà, come dimostrerà presto il teatro irlandese, si accoglievano volentieri le nazionalità minori che non potevano entrare in competizione con quelle maggiori, e tanto più volentieri le si accoglieva quanto più si differenziavano dall'inglese: gli elementi più specifici dell'irlandesità e della scozzesità erano smaccatamente adulati. Analogamente, i nazionalisti pangermanici incoraggiavano la diffusione di una letteratura in. basso tedesco o in frisone anche perché non facevano più paura, ridotte com'erano ad appendici più che a possibili competitrici dell'alto tedesco. I nazionalisti italiani, dal canto loro, andavano orgogliosi di Belli, di Goldoni e delle canzoni napoletane. Sempre nella stessa prospettiva, il Belgio francofono non trovava nulla da ridire ai Belgi che parlavano e scrivevano fiammingo. Erano i Flamingants a osteggiare il francese. Ci furono invero dei casi in cui anche una nazione di prima grandezza o Staatsvolk 54

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operò attivamente al fine di sopprimere lingue e culture minoritarie, ma sin verso la fine del secolo xrx ciò si verificò raramente al di fuòri della Francia. Insomma, alcuni popoli o nazionalità erano destinati a non diventare delle nazioni a pieno titolo-. Altri invece avevano raggiunto, o avrebbero raggiunto, il pieno riconoscimento della propria nazionalità. Ma chi aveva delle prospettive in tal senso e chi, invece, no? I dibattiti in merito alle caratteristiche costitutive della nazionalità, cioè il | territorio, la lingua, l'etnia, ecc., non furono di grande utilità. Risultaj va invece assai più utilizzabile fl « p ^ t i c i p i o ^ d ^ quanto se non altro consentiva di sbarazzarsi di un buon numero di popoli troppo piccoli; tuttavia, come abbiamo visto, non era sempre decisivo, perché esistevano- «nazioni» di dimensioni piuttosto ridotte, per non parlare dei movimenti nazionali del tipo di quello irlandese, sulla cui capacità di dar vita a Stati-nazione vitali vi erano contrastanti opinioni. La conseguenza diretta della domanda di Renan relativamente allo Hannover e al Granducato di Parma, non era, dopo tutto, quella di porli in antitesi con tutte e qualsiasi nazione bensì con gli altri Stati-nazione dello stesso rango e ampiezza limitata; con i Paesi Bassi o la Svizzera. C o m e vedremo, l'emergere di movimenti nazionali con base di massa volti a ottenere un qualche riconoscimento comporterà un sostanziale cambiamento dei termini in cui si poneva la questione, e nell'epoca classica del liberalismo poche di queste nazionalità, ad eccezione di quelle ricomprese nell'Impero ottomano, sembravano ancora chiedere effettivo riconoscimento quali Stati sovrani e indipendenti, limitandosi perlopiù alla rivendicazione di forme più o meno ampie di autonomia. Al solito, il caso irlandese era anche sotto questo aspetto anomalo e, -comunque, diventò del tutto tale col comparire sulla scena dei feniani, che rivendicavano una Repubblica irlandese necessariamente indipendente dalla Gran Bretagna. In pratica esistevano solo tre criteri che abilitavano un popolo alla sicura qualifica di nazione, sempre a patto- che fosse sufficientemente ampio da soddisfare al requisito della «taglia minima». Il primo riguardava il suo essere storicamente associato a uno Stato esistente oppure di possedere un notevole passato. Sicché non c'era molto da

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discutere in merito- all'esistenza di una nazione-popolo- come quella inglese o francese,, oppure sul popolo (Grande) russo- o sui Polacchi, mentre,, al di fuori della Spagna, non, c'era molto da ridire sul fatto che la nazione spagnola rappresentasse adeguatamente le specificità | nazionali". Data l'identificazione di nazione e Stato, era piuttosto naturale che gli stranieri assumessero che l'unico popolo di, un paese fosse quello che apparteneva allo Stato-popolo; abitudine mentale j che .ancor oggi irrita gli Scozzesi. Il secondo criterio prevedeva l'esistenza di un'elite culturale consolidata, con una letteratura nazionale scritta e un gergo amministrativo. Queste erano appunto le basi delle rivendicazioni nazionali italiana e tedesca, benché si trattasse in entrambi i casi di « popoli » privi di un unico Stato nel quale identificarsi. In entrambi i casi, pertanto, l'identità nazionale era di tipo marcatamente linguistico-, sebbene, in nessuno dei due casi, la lingua nazionale fosse comunemente usata per la comunicazione quotidiana salvo che da una piccola-minoranza - nel caso dell'Italia le stime indicano che questa minoranza, al momento dell'unificazione, ammontava al 2,72% d e l a popolazione * -, mentre tutti gli altri si esprimevano con idiomi diversi e spesso reciprocamente incomprensibili™.. 5

Il terzo criterio, bisogna pur dirlo, riguardava la provata capacità di conquista. N o n c'è nulla come essere un popolo imperiale che può rendere conscia una popolazione della sua esistenza collettiva, come del resto ben sapeva Friedrich List. Tanto più, -che, nel secolo x i x , la conquista forniva una prova -di tipo darwiniano del successo -evolutivo dì una specie sociale. C'erano poi altri candidati alla nazionalità che non potevano esserne del tutto esclusi a priori, ma, d'altra parte, non c'era alcuna ragione che potesse a priori giocate in loro favore. Per costoro, la cosa migliore e più favorevole era, probabilmente, quella di far parte di una qualche entità politica che risultasse, rispetto ai parametri del liberalismo del secolo x i x , anomala, obsoleta, e condannata dalla storia e dal progresso. L'Impero ottomano- era un p o ' l'incarnazione per eccellenza di, un simile fossile sul piano del'evoluzione storica, ma lo era anche, come risultava sempre più evidente, l'Impero asburgico. Questo era il m o d o in cui si concepivano la nazione e lo Statonazione da, parte degli ideologi, dell'epoca del liberalismo borghese

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trionfante: diciamo tra il 1830 e il 1880. Concezioni che rientravano nell'ideologia liberale per un duplice aspetto. Primo: perché lo sviluppo delle nazioni era ritenuto una fase necessaria dell'evoluzione umana o del progresso dal piccolo gruppo a uno più ampio, dalla famiglia, alla tribù, a l a regione, a l a nazione e, in definitiva, al mondo, unificato del futuro, nel quale, per citare un pensatore superficiale ma perciò esemplare come G. Lowes Dickinson, «le barriere della nazionalità appartenenti all'infanzia della specie si confonderanno e si dissolveranno nell'aurora della scienza e dell'arte»". Questo mondo avrebbe raggiunto anche l'unificazione linguistica. Un'unica lingua mondiale, che avrebbe certo dovuto coesistere con le lingue nazionali ridotte alla funzione sentimentale e ristretta dei dialetti, ritornava ugualmente nei pensieri del Presidente degli Usa Ulysses S. Grant e di Karl Kautsky .. Ipotesi che, come oggi possiamo sapere, non erano del tutto campate in aria. I tentativi, a partire dagli anni 1880, di elaborare artificialmente delle lingue planetarie, sulla, scorta dei codici telegrafico e di segnalazione internazionale degli anni 1870, furono degli indubbi insuccessi, sebbene il frutto di uno di questi, l'Esperanto, sia ancor oggi coltivato nell'ambito di piccoli gruppi di ferventi sostenitori e goda della protezione di regimi che si richiamano all' internazionalismo socialista di quel periodo . D'altra parte, però, il sano scetticismo di Kautsky nei confronti di simili tentativi e la sua previsione che la lingua di uno tra gl Stati di maggior importanza si sarebbe trasformata de facto in una lingua mondiale, si sono rivelati corretti. L'inglese è diventata la lingua globale, anche se si pone come un supplemento piuttosto che un sostitutivo delle lingue nazionali. Cosi, nella prospettiva dell'ideologia liberale, la nazione, cioè a dire la grande nazione vitale, si poneva come gradino dell'evoluzione raggiunto nella metà del secolo x i x . C o m e abbiamo visto, l'altra faccia della medaglia «nazione come progresso» era, quale logica conseguenza, l'assimilazione delle comunità e dei popoli più piccoli da parte di quelli più grossi. Il che non implicava necessariamente l'abbandono delle antiche devozioni e dei passati sentimenti, anche se ciò poteva poi verificarsi di fatto. Chi era caratterizzato da una certa mobilità geografica e sociale, chi non aveva nulla di particolarmente prezio1

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so nel proprio passato, poteva essere abbastanza disposto a questa eventualità. E questo fu in particolare il caso di molti Ebrei della classe media in paesi che offrivano un'assoluta uguaglianza tramite l'assimilazione - Parigi valeva bene una messa ancor più che per Enrico IV -, almeno sino a quando non dovettero constatare che anche una totale disponibilità all'assimilazione poteva non essere sufficiente, se la nazione che offriva l'accoglienza non era veramente preparata ad accettare completamente chi assimilava. D'altra parte non va dimenticato che gli Stati Uniti non furono affatto l'unico Stato a offrire liberamente un'appartenenza «nazionale» a chiunque lo desiderasse, né che le «nazioni» erano più disposte ad aprire le porte d'ingresso di quanto non lo fossero le classi. Le generazioni anteriori al 1914 erano piene di sciovinisti da grande nazione i cui padri, per tacere delle madri, non parlavano la lingua del popolo eletto- dal proprio- figlio, e i cui cognomi, slavi o tedeschi magiarizzati, tradivano la scelta. L'assimilazione poteva risultare estremamente rimunerativa. La nazione moderna apparteneva però all'ideologia liberale anche sotto un altro aspetto. Era infatti connessa a ciò che restava delle grandi parole d'ordine .liberali da. una annosa associazione più che da uno stretto rapporto logico: un p o ' come la libertà e l'uguaglianza lo sono con la fraternità. Per -dirla in altra maniera: la nazione, in quanto novità storica, suscitava l'opposizione di conservatori e tradizionalisti, insieme alla simpatia dei loro oppositori. Il nesso tra. i due filoni di pensiero può essere illustrato prendendo ad esempio- un tipico pangermanista di provenienza austriaca, nato in una zona di acuti conflitti nazionali quali la Moravia. Arnold Pichler", che servi la polizia di Vienna con immutata devozione nonostante i mutamenti politici verificatisi tra il 1901 e il 1938, era, e in certa misura rimase per tutta la vita, un appassionato nazionalista tedesco, anticeco e antisemita, sebbene si sia opposto- al progetto di rinchiudere gli Ebrei in campo di concentramento come i suoi amici antisemiti proponevano". Nello stesso tempo egli era un fervente anticlericale e liberale in politica, tanto che collaborò al quotidiano viennese di idee più liberali all'epoca della prima repubblica. N e i suoi scritti, il nazionalismo- e l'eugenetica se ne andavano a braccetto con l'entusiasmo per la Rivoluzione industriale e, ancor più sorprendentemente, per il fatto che questa

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avesse creato un corpo di «cittadini de! mondo (Wekhurger) (...) che (...) spazzavano dalle piccole città il provincialismo e i ristretti orizzonti del campanilismo chiesastico», aprendo in tal guisa il mondo intero a chi era in precedenza costretto nel proprio angolino regionalistico '. Tale, dunque, era il concetto di «nazione» e di «nazionalismo» nel pensiero .liberale nell'epoca d'oro del liberalismo' borghese, che coincise anche col periodo in. cui il « principio di nazionalità » diventò per la prima volta centrale nell'ambito della politica internazionale. C o m e avremo- occasione di vedere, esso differiva per un aspetto fondamentale dal principio wilsoniano di autodeterminazione nazionale che, a sua volta, almeno in linea teorica, coincideva con quello leninista, e che dominò il dibattito in materia a partire dalla fine del secolo x i x sino a oggi. Il principio liberale non era poi nemmeno incondizionato. E, sotto questo aspetto, differiva anche dal punto di vista radical-democratico, almeno nella formulazione della Dichiarazione dei diritti della Rivoluzione francese citata in precedenza; infatti quest'ultima respingeva esplicitamente il «principio della taglia minim a » . In ogni caso, in pratica, i popoli 'di ridottissime dimensioni che si vedevano- cosi garantito il diritto alla sovranità e all'autodeterminazione, non erano messi in condizione, da parte dei loro più grossi e più rapaci vicini, di esercitare né l'uno né l'altro, né, d'altra parte, si può dire che al loro interno vi fossero molti simpatizzanti dei principi del 1795. Si pensi ai (conservatori) liberi cantoni montani della Svizzera, che non possono non ritornare alla mente dei lettori di Rousseau, che per' cosi dire abbozzò le Dichiarazioni dei Diritti dell'Uomo in quell'epoca. I tempi degli autonomisti o dei movimenti indipendentisti di sinistra in quelle comunità erano ancora di là da venire. Dal punto di vista del liberalismo, e non solo del liberalismo, come mostra l'esempio di Marx e di Engels, la nazione trovava una. sua collocazione in quanto stadio dello sviluppo- storico della società degli uomini; mentre per quanto riguarda l'istituzione dei singoli Statinazione, indipendentemente dai sentimenti soggettivi degli appartenenti a l e singole nazionalità, o dalle simpatie personal dell'osservatore, la questione veniva regolata in base al fatto che mostrassero o meno 'di inserirsi o di anticipare l'evoluzione storica e il progresso .. 6

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L'universale ammirazione votata dai borghesi agli Scozzesi d e l e highlands non spinse nessuno scrittore, a quanto ne so, a richiedere che si riconoscesse la loro nazionalità, nemmeno-' da parte di quei nostalgici che si dicevano dispiaciuti del fallimento del tentativo di restaurazione degli Stuart sotto il principe Carlo, i cui maggiori sostenitori erano stati appunto gli esponenti dei clan delle highlands. Ma se l'unico nazionalismo legittimo era quello che soddisfaceva a l e esigenze del progresso, ossia queUo che allargava piuttosto che restringere la scala cui le economie, le società e le culture operavano e agivano, che altra forma poteva mai assumere, nella stragrande maggioranza dei casi, la difesa di popoli, lingue e tradizioni minori, se non quella della resistenza di tipo conservatore all'ineluttabile progredire della storia? I popoli, le lingue e le culture di dimensioni ridotte potevano convenire al progresso solo se accettavano uno stato di subordinazione rispetto a un insieme più grande, oppure se abbandonavano la competizione per ridursi a ricettacolo di nostalgie e altri sentimentalismi: in sostanza si trattava di accettare quella funzione da vecchio mobile di famiglia prevista da Kautsky. E che, ovviamente, molte comunità e culture minori sembrarono accettare. Perché mai, era infatti il ragionamento dell'osservatore liberale colto, chi parla gaelico dovrebbe comportarsi diversamente da chi parla 1 dialetto del Northumberland? N o n c'è proprio n u l a che gli vieti di essere bilingue. Gli scrittori dialettali inglesi scelsero il loro idioma non in opposizione a l a lingua nazionale comune, bensì con la consapevolezza che ciascuna aveva il proprio valore e la propria funzione. E se col passare del tempo si era verificato che alcuni idiomi locali arretrassero davanti all'avanzata di quello nazionale, o addirittura cadessero in disuso, come in effetti si verificò nel caso di alcune lingue celtiche marginali (il Cornisti e il Manx non furono più parlati a partire dal secolo x v i n ) , allora si poteva parlare di casi tanto spiacevoli quanto inevitabili. Questi non sarebbero morti senza rimpianti, ma la generazione che inventò 1 concetto e il termine « folclore » ne sapeva qualcosa della differenza tra un presente vivace e le sopravvivenze del passato. Per capire sino in fondo la «nazione» dell'epoca liberale classica occorre dunque tener ben presente che la « costruzione nazionale», per quanto elemento centrale della storia del secolo x i x , si applicava

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solo ad alcune nazioni, E, del resto, la richiesta dell'applicazione del « principio di nazionalità » fu altrettanto poco universale. Sia in quanto problema internazionale, sia in quanto problema politico interno, riguardò unicamente un numero limitato di popoli e di aree, anche all'interno di Stati caratterizzati da pluralità di lingue e di etnie come l'Impero asburgico, dove si poneva chiaramente come demento' centrale detta politica. Sicché non c'è molto da dilungarsi per dire che, dopo il 1871, sempre ad esclusione dell'Impero ottomano invia di lenta disgregazione, ben pochi popoli si attendevano ulteriori sostanziali cambiamenti detta mappa europea, mentre si riteneva che pochi problemi di nazionalità ne avrebbero prodotti, ad eccezione della perenne questione polacca. E, di fatto, se si escludono i Balcani, l'unica modifica della cartina europea tra la creazione dell'Impero tedesco e la prima Guerra Mondiale, fu determinata dalla separazione della Norvegia dalla Svezia, Inoltre, dopo le agitazioni e gli assestamenti nazionali degli anni tra il 1848 e il 1867, non era cosi esagerato ipotizzare che, anche nella stessa Austria-Ungheria, le animosità si sarebbero potute raffreddare. In ogni caso, questa doveva essere l'opinione dei rappresentanti ufficiali. dell'Impero asburgico quando, per quanto riluttanti, decisero di accettare la risoluzione del Congresso internazionale di statistica, tenutosi a San Pietroburgo nel 1873, di inserire una domanda relativa alla lingua nei futuri censimenti, proponendo solo di procrastinarne l'applicazione a dopo il 1880, in m o d o da lasciar tempo agli animi di calmarsi '. Aspettativa che, invero, non avrebbe potuto essere più. clamorosamente smentita. 6

Si verificò poi anche che, in linea generale, nazionalità e nazionalismi non costituirono i problemi interni di maggior rilevanza per quelle entità politiche che avevano acquisito lo status di «Stati-nazione», per quanto potessero essere eterogenee dal punto divista delle nazionalità rispetto ai parametri moderni; furono invece fonte di grande preoccupazione per quegli imperi non nazionali che, anacronisticamente, non si potevano definire « multinazionali ». Nessuno Stato europeo a occidente del Reno dovette far fronte a serie complicazioni su questo versante, salvo la G r a n Bretagna, a causa di quella permanente anomalia costituita dagli Irlandesi. Il che non vuole assolutamente significare che i politici si disinteressassero del tutto dei Catalani o dei 1

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Baschi, dei Bretoni o dei Fiamminghi, degli Scozzesi o dei Gallesi, bensì che tutti costoro erano visti perlopiù come qualcosa da aggiungere o da sottrarre per rafforzare qualche movimento politico di dimensione statale. Scozzesi e 'Gallesi funzionavano da rafforzamento del liberalismo, mentre Bretoni e Fiamminghi venivano utilizzati dal tradizionalismo cattolico. Naturalmente i sistemi politici degli Statinazione potevano trarre tutti i vantaggi offerti dall'assenza di democrazia sul piano elettorale; assenza che minava alla base la teoria e la pratica liberali per quanto riguarda la nazione, come del resto molti altri aspetti del liberalismo del secolo xix. E forse è proprio questa la ragione per cui il contributo teorico in tema di nazionalismo fu, in epoca liberale, cosi scarso e tale da apparire abbastanza casuale. Osservatori come Mill e Renan potevano considerare con grande tranquillità gli.elementi costitutivi del «sentimento nazionale», dall'etnia, nonostante le profonde preoccupazioni dei vittoriani in merito, alla « razza »,^alla lingua, alla religione, al territorio, alla storia, alla cultura e a tutto il resto; infatti, sul piano politico, almeno sino ad allora, non era molto rilevante quale di questi elementi fosse ritenuto più importante rispetto agli altri. Cosa che, in- ; vece, a partire dagli anni 1880, acquisi una notevole e costante importanza nel dibattito sulla «questione nazionale», specialmente in-ambito socialista, perché il richiamo politico che gli slogan nazionali potevano esercitare sulle masse di potenziali o attuali elettori o sostenitori dei movimenti politici di massa aveva nel frattempo acquisito-. un'importanza tanto reale quanto'concreta. Inoltre, .il dibattito su questioni come quella dei criteri teorici delia nazionalità si fece parti- ~ colarmente appassionato perché le diverse possibili risposte erano ritenute implicare una diversa forma di strategia, lotta e programma politici. E si trattò di un punto importante non solo per quei governi che dovettero fronteggiare varie forme di agitazione o di rivendica-, zione relative alla nazionalità, bensì anche per i partiti politici che cer- cavano di mobilitare l'elettorato sulla base di appelli di tipo nazionale, o non nazionale, o alternativo rispetto a l a nazione. Per i socialisti •" dell'Europa centrale e orientale era. di grandissima importanza su quale base teorica si definisse la nazione e se ne prospettasse il futuro. Marx e Engels, come Mill e Renan, avevano considerato marginali tali

Capitolo primo questioni. Nell'ambito' della II Internazionale questo genere di dibattiti diventò invece centrale, e molte eminenti personalità, o persone destinate a diventarlo in futuro, dettero il loro contributo con scritti interessanti: Kautsky, Luxemburg, Bauer, Lenin, Stalin. Oltre che di questioni che interessavano da vicino i teorici del marxismo, si trattava però anche di qualcosa di grande e scottante importanza sul piano pratico, diciamo per i Serbi e per i Croati, per i Macedoni e per i Bulgari, se la nazionalità degli Slavi meridionali veniva definita in un modo oppure in un altro . Il «principio di nazionalità» in merito al quale i diplomatici avevano discusso' e che aveva cambiato la cartina dell'Europa nel periodo tra 1830 e 1878 fu pertanto qualcosa di diverso dal fenomeno politico nazionalistico che diventò sempre più centrale nell'epoca della democratizzazione europea e della politica di massa. Al tempo di Mazzini non era molto importante che, per la maggior parte degli Italiani, il Risorgimento semplicemente non esistesse come ebbe ad ammettere implicitamente Massimo d'Azeglio quando affermò-: « A b - - biamo fatto l'Italia, adesso dobbiamo fare gli Italiani» '. E non era ugualmente molto importante, per chi prendeva in esame «la que^ _ stione polacca », che probabilmente la maggioranza dei contadini che c_ parlavano polacco - per tacere di quel terzo della popolazione detta vecchia, precedente al 1782, Rzecspopo-lita che parlava altri idiomi non si sentissero ancora affatto- dei nazionalisti polacchi; come ebbe del resto a riconoscere il definitivo liberatore della Polonia, il mare, -sciatto Piisudski, quando affermò: « È lo Stato a fare la nazione, e non - la nazione lo Stato »™„ A partire -dagli anni 18-80, invece, -diventò sem• ' pre più importante quali fossero i sentimenti quotidiani degli uomini C. e dette donne comuni rispetto alla nazionalità. Diventa pertanto im, portante, per noi, riconsiderare questi sentimenti e atteggiamenti del^:la gente comune in epoca preindustriale, perché proprio su di essi si ( poteva basare il rinnovato richiamo del nazionalismo politico. Sarà / appunto questo- il compito del secondo capitolo. 68

6

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1

51

L. Garda i Scilla, Llengua, maó i estai al dicàonario de la real academia espattyola, in

«L'Avene», 16 maggio 1979, pp. 50-55. I

Enciclopedia Universa! Bustrada Europeo-Americana, Barcelona 1907-34, voi. XXXVII, pp. 854-67, s.v. Nación.

Enciclopedia Brasileira Mèrito, Sia Paulo - Rio - Porto Alegre, voi. XEH, p. 581. " L. Ciurne de Salute Pelaye, Dictionnaire bistorique de i'ancien language francois, Niort s.d., 3

voi V I I , s.v. Nation. 5

E. Veirwijs e J. Verdam, Middelnederlandsch Woordenbaek, Den Haag 1899, voi. TV, col. 2078. Woordenbaek der Nederiandsdse Tool, Ben Haag 1913, coli. 1586-90.

' Verwijs e Verdam, Middelnederlandsch Woordenbaek cit., voi. IV. L. Huguet, Dictionnaire de la langue francaise da i& siede, Paris 1961, voi. V, p. 400. 8

Woordenboek'derNederkndsche 10

J.

H.

Zedler,

Grosses

Tasi

cit.,

vollstàndiges

col.

1588.

Universai-hexicon Aller Wissenscbaften

und Kunste...,

Leipzig-Halle 1740, rist. Graz 1961, coli. 901-3. " 12

l>

14

Oxford English Dictiomry, Oxford 1933, voi VII, p. 30.

J. J. Lalor (a cura di), Cyclopedia of Politicai Science, New York 1889, voi. H, p. 932, s.v. Nation. I lemmi più importanti sono ampiamente ripresi, o meglio tradotti, dalle opere francesi precedenti. « N e deriverà, da questa definizione, che una nazione è destinata a fbrmafSun solo e unico Stato' e che costituisce un tutto indivisibile » (Aid., p, 923). La definizione da cui « ne deriverà» è quella di nazione come « aggregato di individui che parlano la stessa lingua, hanno gli stessi costumi e sono dotati di determinate qualità morali che li diversificheranno rispetto ad altri gruppi affini». Questo è uno dei tanti esempi di capziosità di cui le argomentazioni nazionalistiche hanno spesso- dato prova. J. S. Mil, Utilitarianàm, Liberty and Representatitre Government, Eveiyman edkion, London 1910, pp. 359-66 [trad. it. Il governo rappresentativo, in A. Brunialti (a cura di), Scelta collezione delle piti importanti opere moderne italiane e straniere di scienze politiche, Torino 1886, p. 1148].

" Può essere utile ricordate che non si fa riferimento al diritto dei popoli ala sovranità e all'indipendenza né netta Dichiarazione dei diritti del 1789 né in quella del 1793. Cfr. in proposito L. Jaume, Le discours jacobin et la démocratie, Paris 1989, pp. 407-14. Cfr. tuttavia anche O. Dann e J. Dinwidy (a cura di), Nationalism in the Age ofthefrench Revolution, London 1988, p. 34, per quanto riguarda il 1793. M. Block, Nationalities, prindple of, in Lalor (a cura di), Cychpedia cit., voi. II, p. 939.

16

II

13

P. Vilar, Sabre bs fundamentos de las eslructuras nacionales, in «Historia», 1978, n. 16, p. 11. Mill, Ulilitarianism, Liberty cit., pp. 359-66 [trad. it. cit., pp. 1148,1149].

" Cit. in M. de Certeau, D. Julia e J. Revel, Une Politique de la langue. La Revolution Francaise et les Patois: l'Enquètedel'Abbi Grégaire, Paris, 1975, p. 293. Per quanto riguarda in generale il problema della Rivoluzione francese e della lingua nazionale, cfr. anche fi. Balibar e D. Laporte, Le Francai! nalional. Politique et praliquede la langue nationalesous la Revolution, Pa-

ris 1974. Per quanto riguarda invece il problema specifico dell'Alsazia, cfr. E. Philipps, Les Luttes linguistiques en Alsace jusqu'en 20

31

22

1943, Strasbourg 1975; P. Lévy, Hislaire linguistique

d'Abace et de Lorraine, Strasbourg 1929, 2 voi.,. De -Certeau, Julia e Revel, Une Politique de la langue cit., passim. «In rapporto allo Stato i cittadini costituiscono il popolo; in relazione alla specie umana, costituiscono' la nazione», J. Helie, Nation, definition of, in Lalor (a cura di), Cyclopedia cit., voi. Il, p. 923. Cit. in E. J. Hobsbawm, The Age of Revolution 1/89-1848, London 1962, pp. 91-9,2 [trad. it. 2

Le rivoluzioni borghesi, Milano 1971 , p. 131].

52

Capitolo primo

23

M. Bloch, Les Rais thaumaturges, Paris 1924, pp. 402-4 [trad. it. I re taumaturghi, Torino

24

\Y. Bagehot, Physics attd Politics, London 1887, capp. 111, iv sulla Nation-making.

25

E. Renan, Qu'est ce que c'est urte natio»?, 1882; trad. ingjL Whatis a nation?, in A. Zùnmern (a cura di), Modem Politicai Doctrines, Oxford 1939, p. 192.

26

J. Rae, The Sociologica! Theory of Capital, being a complete reprint ofThe New Principia of Politicai Economy byjohn Rae, a cura di C. W. Mister. New York 1903, p. 26.

21

J. E. Cairnes, Some Leading Principles of Politicai Economy Newiy Expounded, London 1874, pp. 355-64.

28

G. Schoenberg (a cura idi), Handbuch der Politischen Oekonomie, Tfibingen 1882, voi. I, pp. 158 sgg. E. Cannan. History ofthe Theories of Production atidDistribution in English Politicai Economy from ijjó to 1848, London 1894, pp. 10 sgg.

29

30

Rae,

31

Nouveau Dictionnaire d'Economie Politique, a cura di L. Say e J. Chailley, Paris 1892.

12

M. Chevalier, Court d'economie politique fiat au Collège de Trance, Paris 1885, voi. I, p. 43 (conferenza tenuta nel 1841).

53

The Sociologica! Theory of Capital cit.

L. Robbins,

The Theory of Economie Policy in English Classica!Politicai Economy', London

2

1977 , pp. 9,10. Occorre tuttavia fare un'eccezione nel caso dell'analisi veramente complessiva di Bentham.

35

G. Sichardson Potter, The progress ofthe Nation, in ìts_ various social and economie relation*, from beginning ofthe nineteenth century to the preseni lime, London 1836, «Prefazione». Molinari, in Dictionnaire d'economie politique, Paris 1854, cit. in Lalor (a cura di), Cyclopedia

cit-, voi. H p. 957, « L e nazioni nell'economia politica». 34

Ibid., pp. 958, 959.

37

Ibid., p. 957.

58

Ibid., p. 933.

35

Cfr.}. Schumpeter, History of Economie Analysis, Oxford 1954, pp. 515,516 [trad. it. Storia dell'analisi economica, Torino 1972, pp. 622-28].

* Friedrich List scrisse un Outline of American Politica! Economy, Philadelphia 1827, in cui vi

sono anticipazioni delle sue posizioni posteriori. Per quanto riguarda List in America, cfr. W. Xotz, Friedrich List in Amerika, in«"Wdtwirtschaftiches Archiv», 1925, n. 29, pp. 199265; n. 22, pp. 154-82; Friedrich List in America, in «American Economics Review», 1926, n. 16, pp. 249-65. 41

F. List, The National System of Politicai Economy, London 1885, p. 174.

42

Per una buona rassegna delie sue idee, cfr. E. Strauss, Irisb Nationalism and Britàb Democracy, London 1951, pp. 218-20.

43

Nation a cura di E. Regnauk, in Dictionnaire politique, con introduzione di Garnier-Pagès, Paris 1842, pp. 623-25. « N'y-a-t-ilpas quelque chose de dérisoire d'appelerla Belgique une nation?» Mill, Utilitarianam, Liberty cit, p, 365 [trad. it. cit., p. 1153].

45

Oxford English Dictionary

cit.

Ibid., pp. 175,176. 47

G. Cohn. Gmndlegung der Nationaloekonomie, Stuttgart: 1885, voi. I, pp. 447-49.

* Cfr. D. Hack Smith (a cura di), Il Risorgimento, Bari 1968, p. 422. 4

' J. Blaschke (a aita di), Handbuch der wesleuropaeischen Regional-bewegungen, Frankfurt:

am Main 1980. 5,1

Block ci;., in Lalor (a cura di), Cyclopedia cit., voi. II, p. 941.

La novità nazione: dalla rivoluzione al liberalismo51

53

Per il contributo- di Etbin Kristan al Congresso di Bmo, nel quale il Partito elaborò il suo programma in materia di nazionalità, cfr. G. Haupt, M. Lowy e C. Wedffl, Les Marxisles et la question nationale 1848-1914, Paris 1937, pp. 204-7.

52

"

Mill, Utilitarianism, Liberty cit., pp. 363, 364 [trad. it. cit., p. 1152]. Cfr. R. Rosdolsky, Friedrich Engels tmd das Problem der «geschichtslosen

Vòìker», in «Ar-

chiv tur Sozialgeschichte», 1964, n. 4, pp. 8-7-282. 54

Cfr. L. .Caller, Wbose nation? Class and natioml consciousnessin Britain 1750-18)0, in «Past and Presene », 1986, n. 113, pp. 96-117.

55

I. Gwynedd Jones, Longuage and community in nineteenth-century Wales, inD. Smith (a cura di), A People onda Proletariat: Essays in the History of Wales 1780-1980, London 1980, pp. 41-71, in particolare, pp. 59-63.

'* Inquiry on Education in Wales, in «Parìiamentary Papers », xxvn (184.7), parte IT, «Rapporto sulle contee di Brecknock, Cardigan e Radnor», p. 67. Haupt, Leroy e Weill, Les Marxiste; cit., p. 122. All'interno della Spagna, le differenze culturali, linguistiche e istituzionali dei regni di Castiglia e Aragona erano evidenti. Nell'Impeto spagnolo, dal quale era esclusa l'Aragona, lo erano ancora di più.

58

" T. De Mauro-, Storia linguistica dell'Italia unita, Bari 1963, p. 41. *

6 1

«Obwoblsie alle in einem Reich "Deutscher Nation" nebeneinanderlebten, hinwegtauscben dass ibnen sugar die gemeinsame Utngangssprache feblte». Deutsche GeseUschaftsgeschicbie, Mùnchen 1987, voi. I, p. 50. B.

Porter,

Crilics of Empire.

darfnicbt daruber

H..-U. Wehler, w

Brùisb Radicai Attitudes to Colonialism in Africa,

1891-1914,

London 1968, p. 331, che cita G. Lowes Bickinson, A Modem Symposium, 1908. Per una citazione del discorso inaugurale del presidente Grant, cfr. E. J. Hobsbawm, The Age of Capital 1848-187% London 1975, epigrafi al cap. in. [trad. it. Il trionfo della borghesia

(1848-187?), Bari 1979, p. 59]. a

F. Pichler, Polizeihofntt P.

Eia treuer Diener seiner mgetreuen Staates,

Wiener Polizeidienst

1901-1938, Wi-en 1984. Ringrazio Clemens Heller per questa citazione. Ibid., p. 19. 65

Ibid., p. 30.

Cfr. la lettera di Friedrich Engels a Bernstein in data 22-25 febbraio 1882 sugli Slavi dei balcani: «E anche se questi fossero degni di ammirazione come gli Scozzesi delle highlands celebrati da Walter Scott - un. altro- branco di terribili ladri di cavalli -, il massima -che possiamo fare è condannare il modo in cui oggi la società li tratta. Ma se fossimo al timone, anche noi -dovremmo por fine .al banditismo che fa patte del patrimonio ereditario -di questi giovanotti » (Werke, voi. XXXV, pp. 278 sgg.). e

E. Brix, Die Umgangssprachen in Altòsterreich zwischen Agiiation und Assimilation. Die Sprachenstatistik in den zisleilhanischen Volkszdhlungen 1880-1910, Wien-Koln-Graz 1982. Cfr. I. Banac, The NationalQuestioa in Yugoskvia: Origins, History, Politics, Ithaca-London 1984, pp. 76-86.

Affermazione pronunciata in occasione della seduta inaugurale del Parlamento- del neonato Regno d'Italia, -cit. in E. Latham, Famous Sayings and Their Authors, Detroit 1970. H. Roos, A History of Modem Poland, London 1966, p. 48.

Capitolo secondo Il p r o t o n a z i o n a l i s m o p o p o l a r e

C o m e e perché un concetto' cosi lontano- dalla concreta esperienza della maggior parte degli uomini e delle-danne, cioè quello di «patriottismo nazionale », potè assumere cosi rapidamente una tale forza politica? N o n basta certo richiamarsi all'esperienza comune a tutti gli esseri umani .in quanto appartenenti a. gruppi che si riconoscono vicendevolmente membri di una collettività o comunità e, pertanto , ritengono gli altri degli stranieri. E un problema che dipende anche dal fatto che la nazione moderna, sia in quanto Stato sia in quanto popolo che aspira a realizzare- un simile Stato, è diversa, per estensione, scala ed. essenza, da quelle comunità n e i e quali gli uomini si sono identificati per la maggior parte della loro storia; questa nazione moderna, inoltre, avanza, delle diverse richieste a questi stessi uomini. Secondo la. stimolante .affermazione di Benedici Anderson, si tratterebbe di una «comunità frutto d'immaginazione» e non vi sarebbero dubbi che vi si ricorre per colmare il vuoto lasciato sul piano emotivo dalla riduzione, dalla disgregazione o dalla indisponibilità di reali comunità e relazioni umane; il -che però- non. elimina la domanda relativa al perché, avendo- perso tali comunità, la gente si immagini proprio- questo tipo di sostituto. Forse, una ragione potrebbe essere che, in molte parti del mondo, i movimenti nazionali e gli Stati sono .in. grado di attivare e di mobilitare certe componenti dei sentimenti -di appartenenza collettiva già esistenti in pre-cedenza e tali da poter -operare potenzialmente, per cosi -dire, a quella scala macropolitica che ben si adatta agli Stati e a l e nazioni moderne. Definirei questi legami come «protonazionali». Sono di due specie. Primo: esistono delle forme non strettamente locali di identificazione popolare che vanno oltre i limiti spaziali de1

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Capitolo secondo

terminati dalle identificazioni che caratterizzavano la maggior parte della vita della gente. Cosi, la Vergine Maria mette in rapporto i fedeli di Napoli con un mondo più ampio, anche se, per quanto- riguarda la maggior parte degli intenti che caratterizzano collettivamente il popolo napoletano, san Gennaro, il cui sangue deve liquefarsi ogni anno - e in effetti puntualmente si liquefa per una specie di miracolo eternamente garantito- - per preservare la città dal male, è assai più immediatamente importante. Secondo: esistono i legami politici, e i lessici di determinati gruppi elitari e direttamente legati allo Stato e alle istituzioni, che sono suscettibili di -eventuale generalizzazione, estensione, popolarizzazione. Questi hanno -qualche caratteristica comune in più con la « nazione » moderna. Tuttavia, nessuno di questi due tipi di legami può correttamente identificarsi col nazionalismo moderno, che passa per esserne i normale e -diretto- ampliamento, perché non avevano né hanno una relazione necessaria con un'organizzazione politica territoriale unitaria, elemento ritenuto fondamentale di ciò che oggi s'intende per «nazione». Per fare solo- -due esempi lampanti. Sino al 1945, e in modo residuale sino a oggi, gente che parlava dialetti tedeschi, e le cui élite utilizzavano la lingua tedesca scritta e colta, si è insediata non solo nella principale regione di appartenenza nell'Europa centrale, bensì, in quanto governanti, in città e in agglomerati contadini, un po' dappertutto nell'Europa orientale e sudorientale, per non parlare delle piccole colonie che, nelle Americhe, si formarono in genere sulla base della diaspora religiosa. Costoro si diffusero in seguito a numerose ondate di conquista, migrazione e colonizzazione, susseguitesi dal secolo xi al xvin, spingendosi in direzione Est sino al basso corso del fiume Volga. (Non prendiamo qui .in considerazione il fenomeno piuttosto -diverso della migrazione -del secolo xix). Non c'è alcun dubbio che tutti si considerassero in qualche misura «Tedeschi» distinguendosi cosi da tutti gli altri gruppi in. mezzo ai quali vivevano. Ora, benché vi fossero spesso delle frizioni tra i Tedeschi che vivevano nella zona e altri gruppi etnici, in particolare dove i Tedeschi avevano monopolizzato alcune funzioni estremamente importanti (per esempio costituivano la classe dominante agraria, nell'area baltica), non esistono, a mia conoscenza, prima del secolo xix, ca-

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si in cui sorsero dei problemi politici di una certa rilevanza in relazione al fatto che questi Tedeschi si trovavano sottoposti a governanti non tedeschi. D'altra, parte, benché gli Ebrei si' siano sparsi per il mondo per qualche millennio, conservarono sempre un'identità, in qualunque luogo si trovassero a vivere, in quanto appartenenti a un popolo particolare piuttosto ben distinto dai diversi gruppi di non credenti in mezzo ai quali vivevano. In nessun caso, almeno dalla, fine della cattività babilonese in poi, sembra che ciò abbia suscitato un forte desiderio di creazione di uno status politico ebraico, né tantomeno di uno Stato territoriale, sinché non comparve all'orizzonte il nazionalismo ebraico, negli ultimi anni del secolo xix. che ricalcava il nazionalismo occidentale di nuovo conio. Risulta cosi affatto improprio identificare i legami degli Ebrei con la terra di Israele dei loro avi, i meriti che si acquisiscono in seguito ai pellegrinaggi nella stessa, oppure la speranza di far ritorno dove venne il Messia - anche se ovviamente secondo il punto divista degli Ebrei egli non era arrivato -, con il desiderio di far convergere tutti gli Ebrei nei confini di un moderno Stato territoriale situato nell'antica Terra Santa. Infatti, sulla stessa base, si potrebbe sostenere che i musulmani devoti, il cui massimo desiderio è quello di potersi recare in pellegrinaggio alla Mecca, intendano, con questo pellegrinaggio, dichiararsi cittadini di quella che è oggi diventata l'Arabia Saudita. Ma che cosa allora costituisce precisamente il protonazionalismo popolare? Si tratta di una domanda particolarmente difficile perché, per rispondere, occorre scoprire quali fossero i sentimenti di quegli analfabeti che, prima del secolo xx, costituivano la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Possiamo- infatti avere una qualche informazione relativamente alla, parte di alfabetizzati in grado di leggere e di scrivere, o se non altro di una delle due cose; ma non è affatto corretto passare senza mediazione dalle -élite alle masse, dal mondo -degli alfabetizzati a quello di -chi non lo è; benché questi due mondi non siano del tutto separabili, e la parola scritta influenzi le idee di quelli che sono solo in grado di parlare'. Ciò che Herder pensava del Volk non serve a provare che cosa ne pensassero i contadini della Vestfalia. Un esempio può illustrare quanto grande possa essere questa discrepanza tra alfabetizzati e analfabeti. I Tedeschi che for-

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Capitolo secondo

mavano la classe dei signori feudali, al pari degli abitanti delle città e degli alfabetizzati della regione baltica, ovviamente percepivano che « l o spirito di rivincita nazionale continuava a pendere come una spada di Damocle sulla loro testa», perché, come Christian Kelch sottolineò nella sua opera storica sulla Livonia del 1695, i contadini estoni e lettoni avevano un sacco di ragioni per odiarli («Selbige zu hassen wohl Ursacbe gehabt»). Tuttavia non ci sono prove che i contadini estoni ponessero la questione in termini cosi nazionali. In primo luogo, infatti, non sembra proprio che essi si considerassero un gruppo di tipo etnico-linguistico. Il termine « Estone » entrò nell'uso solo negli anni 1860. In precedenza, i contadini solevano chiamarsi maarahvas, cioè « gente di campagna». In secondo luogo, la parola Saks (Sassone) significava principalmente « s i g n o r e » o « p a d r o n e » e solo in via secondaria « T e d e s c o » . Un 'eminente storico estone ha avanzato l'ipotesi molto plausibile che, mentre i Tedeschi in grado di leggere intendessero il termine, nei documenti, nel significato di « T e d e s c o » , i contadini, dal canto loro, lo intendessero semplicemente nel significato di « s i g n o r e » o « p a d r o n e » . A partire dalla fine del secolo xvin, i governanti locali e le persone colte presero a leggere le opere degli illuministi sulla conquista dell'Estonia - (i contadini non leggevano Ebri del genere)—ed erano inclini a interpretare le parole dei contadini in maniera consona al proprio modo di pensare . 2

Prendiamo le mosse, pertanto, da uno dei rarissimi tentativi di determinare che cosa pensassero quelli che avevano scarse possibilità di esprimersi in maniera articolata sulla vita pubblica e in ogni caso mai per scritto: mi riferisco' all'opera relativamente recente di Michael Cherniavsky intitolata Tsar and People'. In questo libro, Cherniavsky prende in esame, tra l'altro, il concetto di «Santa Russia» o «santa terra russa », espressione della quale, dice, non si trovano molti corrispondenti altrove, e a l a quale risulta piuttosto affine quella di Holy Ireland (Santa Irlanda). E forse avrebbe potuto aggiungere das heil'ge Land Timi (La santa terra del Titolo) ai fini di un interessante confronto-contrapposizione. Secondo Cherniavsky, una terra non può diventare « s a n t a » prima di poter avanzare un'esclusiva in ordine all'economia complessiva della salvezza; il che significa in concreto, nel caso della Russia, non

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prima delia metà del secolo xv, quando il tentativo di unificazione delle Chiese, e la caduta di Costantinopoli che pose fine all'Impero romano, fecero della Russia l'unica terra ortodossa al mondo e di Mosca la terza Roma, ossia l'unica fonte di salvezza dell'umanità, se non altro dal punto di vista degli zar. Ma queste considerazioni non mi sembrano del tutto pertinenti, perché l'espressione cui ci si riferisce non fu diffusamente impiegata prima dei disordini dell'inizio del secolo xvii in occasione dei quali la monarchia e lo Stato in pratica scomparvero dalla scena. Ma anche nel caso non ci fosse stata questa eclisse del potere, i suoi rappresentanti non avrebbero potuto contribuire alla diffusione di tale espressione perché, né lo zar, né l'apparato burocratico, né la Chiesa, né i pensatori ufficiali, la usarono mai, a quanto sembra, né prima né dopo il verificarsi dei citati disordini . In sostanza, « Santa Russia» era una locuzione popolare che esprimeva un'idea molto probabilmente popolare. Il suo uso ricorre nell'epica cosacca della metà del secolo xvn, come per esempio- net Racconto poetico dell'assedio diAzov (da parte dei Turchi). Cosi cantano i Cosacchi assediati: « N o n faremo più ritorno nella Santa Russia. La malvagia morte ci coglie nel deserto. Noi moriamo per le tue icone miracolose, per la fede cristiana, nel nome dello zar e dell'intero Stato moscovita» . La santa terra russa è pertanto definita dalle sacre icone, dalla fede, dallo zar, dallo Stato. SÌ tratta di una combinazione incisiva, e non solo perché le icone, ossia un simbolo visibile come le bandiere, rientrano ancor oggi nel metodo più diffuso per rendere visibile ciò che non è visibile. Sicché la Santa Russia è indubbiamente un potente richiamo di tipo popolare, non ufficiale, né qualcosa di creato dall'alto. Esaminiamo, come fa Cherniavsky con quella raffinatezza e sensibilità che gli derivano dal suo maestro Ernst Kantorowicz', il termine « R u s s i a » . L'impero degli zar, l'unità politica, si chiamava Rossi/a, con un neologismo del secolo xvi-xvn che si ufficializzò a partire da Pietro il Grande. La santa terra russa rimaneva invece sempre l'antica Rus. Esser russo è a tutt'oggi essere russkij. Nessun termine derivato dall'ufficiale Rossija, e si cercò di fabbricarne molti su misura nel corso del secolo xvin, riuscì a farsi accettare nell'uso al fine di designare "A popolo russo, o la nazione o i suoi appartenenti. Essere russkij, come 4

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Capitolo secondo

ci ricorda Cherniavsky, era la stessa cosa che èssere designati dal curioso allotropo krest'janin-christianin (contadino-cristiano), oppure essere un «vero credente» o ortodosso, Questo- significato essenzialmente popolare e populista della « Santa Russiti » può e non può corrispondere a l a nazione moderna. In Russia, il fatto che si identificasse con il vertice della Chiesa e dello Stato facilitava ovviamente questa identificazione. Non cosi, altrettanto ovviamente, nella «santa terra del Tirolo », dove la combinazione postridentina di terra-icone-fedeimperatore-Stato giocava a favore della Chiesa cattolica romana e dell'imperatore asburgico, sia in quanto tale, sia. in quanto conte del Tirolo, contro il nuovo concetto di «nazione», fosse tedesca, austriaca o qualsiasi altra. E non va dimenticato che, nel 1809, i contadini tirolesi non insorsero tanto contro i Francesi quanto contro i confinanti Bavaresi. In ogni caso: si identifichi o meno «il popolo della santa terra» con la più recente nazione, resta il fatto che il concetto chiaramente la precorre. Ancora una volta, poi, possiamo verificare l'assenza dalle caratteristiche costitutive d e l a Santa Russia, del Santo Tirolo e forse della Santa Irlanda, di due elementi oggi strettamente associati, ancorché non necessariamente, a l a definizione di nazione: lingua e etnia. Che cosa possiamo dire della lingua? Non si tratta forse dell'elemento essenziale che distingue un popolo da un altro, « n o i » da « l o r o » , i veri esseri umani dai barbati che non sono in grado di parlare una vera lingua bensì solo di emettere strani e incomprensibili gutturalismi? Non ha forse imparato ogni lettore della Bibbia che cosa successe con la torre di Babele, né come riconoscere l'amico dal nemicosulla base della corretta pronuncia della parola shibholeth*? E non era su base linguistica che i Greci si definivano protonazionalisticamente in opposizione al resto dell'umanità, cioè ai « b a r b a r i » ? E, a livello locale, non è forse l'ignoranza d e l a lingua di un altro gruppo a costituire la più immediata barriera a l a comunicazione e, di conseguenza, ciò che più naturalmente definisce le linee di demarcazione che separano i vari gruppi ? Tanto- che creare o parlare un gergo molto * [Il riferimento è a Genesi u, 4-9 e Giudici 12, 6].

II. protonazionalismo popolare

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particolare serve ancor oggi a indicare l'appartenenza a una sottocultura che intende marcare le differenze rispetto ad altre sottoculture o alla comunità più ampia. Sembra difficile negare che popoli che parlano lingue reciprocamente incomprensibili e vivono gli uni accanto agli altri, si identificheranno come quelli che parlano questa lingua, mentre chi appartiene alle altre comunità verrà definito come chi parla un'altra lingua o, almeno, come qualcuno che non parla la nostra propria lingua; come i. barbami o i »ema"della terminologia slava. Ma non è questo il punto. Il punto è, invece, sapere se queste barriere linguistiche erano ritenute separare entità che potevano esser considerate potenzialmente nazionalità o nazioni, e non dei puri e semplici gruppi cui era capitato di avere delle difficoltà nel capire le parole pronunciate dagli appartenenti all'altro gruppo. È un problema che ci porta a indagare le lingue vernacolari e il loro uso in quanto criterio di appartenenza di gruppo. Anche in questo genere di indagine dovremo sempre guardarci dal confondere i dibattiti tra persone colte, che spesso costituiscono la nostra unica fonte, con quelli delle persone che non lo sono per nulla, come altresì dal trasporre anacronisticamente nel passato le usanze del secolo xx. Le lingue vernacolari non scritte sono un complesso di varianti locali o dialetti che possono comunicare tra loro con maggiore o minore difficoltà in relazione all'isolamento o alla accessibilità del luogo. Alcune, in particolare nelle aree montane che favoriscono la segregazione, possono risultare incomprensibili come se appartenessero a una diversa famiglia linguistica. Circolano, nei paesi che ci interessano, molte battute sulla difficoltà, per esempio, di un Gallese del Nord di capire il gallese di quelli del Sud, o degli Albanesi Gheghi di capire il dialetto degli Albanesi Toschi. Per i filologi, il fatto che il catalano sia più affine al francese che non al basco può essere di importanza decisiva, ma per un marinaio normanno che venga a trovarsi a. Bayonne o a Port Bou, la lingua locale, almeno di primo acchito, potrà risultare ugualmente poco comprensibile. Al giorno d'oggi, una persona istruita di lingua tedesca che abiti, diciamo, a Kiel, può avere notevoli difficoltà a capire uno Svizzero tedesco colto che parla quel, dialetto tedesco che pur costituisce il suo abituale mezzo di comunicazione orale.

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Capitolo secondo 1

Nell'epoca precedente l'obbligo scolastico non esisteva, né si parlava altra «lingua nazionale» che non fosse quella letteraria, oppure un qualche idioma amministrativo scritto, concepito o adattato' per uso orale, o come lingua franca che consentiva a chi parlava solo dialetti diversi di comunicare o, forse, più probabilmente, di rivolgersi a un pubblico popolare superando le barriere dialettali; per esempio nel caso dei predicatori o di chi recitava poesie e cantava canzoni comuni a una più vasta area culturale . Le dimensioni di quest'area potenzialmente aperta alla comunicazione potevano variare considerevolmente. Doveva essere quasi certamente più ampia per' le élite, il cui campo d'azione e i cui orizzonti erano meno localmente ristretti di quelli, diciamo, dei contadini. Una «lingua nazionale» veramente parlata, sviluppatasi su una base puramente orale, che fosse qualcosa di diverso da una lingua franca o simili (che poteva poi, naturalmente, trasformarsi in una lìngua buona a tutti gli usi), risulta difficilmente concepibile per un'area sufficientemente ampia. In altre parole, quella che si poteva intendere allora in senso stretto come «madre ling u a » , cioè l'idioma che i bambini imparavano dalle madri analfabete e utilizzavano per la comunicazione quotidiana, non era certamente in alcun senso una «lingua nazionale». 7

H che non significa, come ho appena accennato, escludere che in ambito popolare possa esservi una certa identificazione culturale con una lingua, o un complesso dialettale al quale evidentemente ci si rapporta, e che è peculiare agli appartenenti alla comunità distinguendoli dagli appartenenti alle comunità limitrofe, come per esempio nel caso di coloro che parlano magiaro. E, nella misura in cui ciò si verifica, il nazionalismo posteriore può vantare delle radici linguistiche protonazionali realmente popolari. Come si verificò presso gli Albanesi, che subirono l'influenza di culture rivali sin dall'antichità classica, dividendosi in tre, e, se teniamo conto- del culto locale islamico di Bektashi, addirittura in quattro religioni rivali: islamica, ortodossa e cattolica romana. Sicché era naturale, per i primi esponenti del nazionalismo albanese, ricercare l'identità culturale nella lingua, dato chela religione e pressoché tutto il resto sembravano portare alla divisione piuttosto che all'unificazione". Tuttavia, anche in casi in apparenza cosi inequivocabili, dobbiamo guardarci dal fare troppo affidamento

Il proconazionalismo popolare

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sulle fonti colte. Infatti, non è per nulla chiaro in che senso né in qual misura i comuni Albanesi, della fine del secolo xix e degli .inizi del xx, si vedessero come tali, né se riconoscessero una qualche affinità tra loro. La guida di Edith Durham, un giovane montanaro del Nord del paese, sentendo dire che nel Sud gli Albanesi avevano delle chiese ortodosse, osservò: « M a quelli non sono cristiani, bensì Toschi»; il che non fa precisamente pensare a un forte sentimento di identità collettiva. D'altra parte, « è impossibile determinare il numero degli Albanesi emigrati negli. Stati Uniti perché'spesso i primi immigranti da quel paese non si ritenevano albanesi»'. Inoltre, anche i primi sostenitori della nazionalità in questa terra di clan e signori feudali si appellarono dapprima ad argomenti più convincenti a riprova della solidarietà di grappo, e solo in seconda istanza, alla lingua. Come ebbe a dichiarare Naim Frashéri (1846-1900): « N o i tutti formiamo una sola, tribù, una sola famiglia; abbiamo lo stesso sangue e la stessa lingua » . La lingua, come si p u ò costatare, non era trascurata, ma veniva pel" ultima. L e M g u e nazionali sono pertanto-, e quasi sempre, delle costruzio- I ni piuttosto artificiali; talvolta, poi, come nel caso dell'ebraico mo- j derno, si tratta praticamente di un'invenzione. Sono, cioè, un p o ' l'esatto contrario di quanto pretende la mitologia nazionalistica, che ne fa degli elementi fondamentali e primari della cultura nazionale e delle matrici del pensiero nazionale. Si tratta invece, in generale, del tentativo di escogitare un idioma standardizzato traendolo dalla, molteplicità degli idiomi parlati, che vengono pertanto degradati a dialetti; e il problema fondamentale di tale opera di costruzione è, di solito, la scelta del dialetto che deve fare da base a questa, lingua standardizzata e omogeneizzata. I problemi relativi alla standardizzazione e all'omo- ; geneizzazione di una. grammatica e di un'ortografìa nazionali, al pari { di quelli -di arricchire il lessico, sono secondari . Le storie di. quasi tut- 1 te le lingue europee richiamano questa base regionale: il bulgaro letterario si basa sull'idioma della Bulgaria occidentale; l'ucraino letterario sui suoi dialetti sudorientali; l'ungherese letterario viene alla luce nel secolo- xvi come combinazione di vari dialetti; il lettone letterario si basa su un'elaborazione media, di tre varianti, mentre il lituano su una media di due varianti, ecc. I principi di questo genere di scelte mostrano la loro arbitrarietà, anche se per altro verso- risultano motim

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vati, quando i notai degli architetti della lingua sono noti, come si verifica solitamente nel caso di quelle lingue che hanno raggiunto lo status letterario nel secolo xvin o nel xrx-xx. Talvolta la scelta è politica o ha delle evidenti implicazioni politiche. I Croati, per esempio, parlavano tre dialetti: cakavian, kajkavian, stokavian, di cui uno era anche il dialetto principale dei Serbi. Due, cioè kajkavian e stokavian, svilupparono delle versioni letterarie. Il grande apostolo croato dell'illirianismo, Ljudevit Gaj (1809-1872), benché per origine scrivesse e parlasse in croato kajkavian, smise a un certo punto di scrivere in questo dialetto e adottò, lo stokavian, dal 1838 in poi, nell'intento di ribadire l'unità di fondo che caratterizzava gli Slavi sudorientali, ma anche perché cosi: a) dava un forte contributo affinché il serbocroato si sviluppasse più o meno come lingua letteraria, sebbene scritta in caratteri romani dai cattolici croati e in caratteri cirillici dai Serbi ortodossi; b) sottraeva al nazionalismo croato la motivazione della lingua; c) forniva prima ai Serbi e poi ai Croati dei pretesti espansionistici' . Altre volte, però, i calcoli si rivelarono sbagliati. Intorno al 1790, Bernolàk prese un dialetto a base di quello che a suo avviso avrebbe dovuto essere lo slovacco letterario, ma non riusci nell'impresa di imporlo; cosi, alcuni decenni dopo, Ludovit Stur operò la scelta di quella che si sarebbe rivelata una base più praticabile. In Norvegia, il nazionalista Wergeland (1808-1845), invocava un norvegese più genuinamente tale, in modo che si distinguesse dalla lingua scritta troppo permeata di elementi danesi, e si passò subito alla costruzione di tale lingua, cioè il Landsrnal, oggi chiamato Nynorsk. Ma nonostante abbia goduto dell'appoggio ufficiale in seguito all'indipendenza della Norvegia, non riusci mai a diventare nulla di più della lingua di una minoranza del paese, che, dal 1947 è, per quanto riguarda la scrittura, di fatto bilingue: il Nynorsk non riguarda più del 20% dei Norvegesi, specialmente insediati nella Norvegia occidentale e centrale"'. Naturalmente nel caso delle lingue scritte di più antica data fu la storia a scegliere, come quando, per esempio, i dialetti che avevano stretti rapporti con la sfera dell'amministrazione reale servirono alla fondazione della lingua letteraria in Francia e in Inghilterra; oppure come quando il concorso dell'uso in campo commerciale-marittimo, il prestigio culturale e il sostegno della Macedo2

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mia,, fu di grande aiuto a che l'attico- diventasse l'elemento fondante d e l a koiné ellenica, ossia della comune lingua greca. Possiamo qui lasciar da parte il problema, all'epoca minore per quanto non troppo dilazionabile, di come modernizzare anche questi antichi idiomi letterari « nazionali » nell'intento di adattarli a esigenze di vita che non potevano essere state previste dall'Académie francaise 0 dal Dr., Johnson *. Si tratta tuttavia -di. un problema di portata generale, sebbene complicato in alcuni casi, in particolare presso Olandesi, Tedeschi, Cechi, Islandesi, ma anche in numerosi altri, da quello che si potrebbe chiamare nazionalismo filologico, cioè l'attaccamento alla purezza del lessico nazionale, che obbligò gli scienziati tedeschi a tradurre «ossigeno» con Smentoffe, ancor oggi, guida la disperata lotta di retroguardia dei Francesi contro i disastri del franglais**. Problema che, naturalmente, si pone in maniera più acuta nel caso -di lingue che non, siano state il tramite principale di una cultura e intendano, tuttavia, proporsi come veicolo, per esempio, «dell'istruzione superiore o della, moderna comunicazione tecnico-economica, Problema la cui serietà non dev'essere sottovalutata, come dimostra il fatto che, sebbene il gallese pretenda, e non è detto senza fondamento, di essere la più antica lingua scritta oggi vivente, risalendo al secolo vi o giù di li, già nel 1847 c'era chi faceva osservare che «sarebbe impossibile esprimere in gallese molte proposizioni del normale lessico scientifico o politico in maniera tale da farne comprendere appieno il significato a un Gallese anche intelligente ma sprovvisto di qualsiasi conoscenza d e l a lingua inglese» . È pertanto chiaro che, ad eccezione di governanti e alfabetizzati, la lingua non aveva molte possibilità di costituire un criterio di nazionalità e che, inoltre, anche nel caso di costoro, diventava, previamente necessaria la scelta di una qualche lingua vernacolare nazionale (in una forma, scritta standardizzata), sulla scorta di quelli che potevano essere i linguaggi di maggior prestigio, come quello sacro o quello classico, magari anche combinandoli, e che costituivano, per tali ristrette élite, degli strumenti perfettamente utilizzabili a. fini ammini14

* [Samuel Johnson (1709-1784), chiamato comunemente Dr. Johnson, lessicografo, critico e poeta inglese].. ** [Neologismo composto da frangati e anghis a indicare altri neologismi dovuti alla affrettata francesizzazione di termini e locuzioni inglesi].

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Capitob secondo

strativi, di comunicazione culturale, di dibattito politico e, anche, si pensi al persiano classico' nell'Impero moghul o al cinese classico nel Giappone del periodo Heian, di composizione letteraria. Scelta che prima o poi ebbe luogo dappertutto, ad eccezione forse della Cina dove la lingua franca di coloro che avevano ricevuto' un'istruzione classica 'diventò l'unico possibile strumento'di comunicazione tra i dialetti altrimenti reciprocamente incomprensibili di un vastissimo impero, e sta diventando, oggi, qualcosa di simile a una lingua parlata. In qua! modo, del resto, la. lingua, avrebbe potuto costituire un criterio di appartenenza di gruppo, ad eccezione, forse, di quei casi in cui la, differenza di lingua si accompagnava ad altre ragioni per distinguersi 'da un'altra comunità? Lo stesso matrimonio, in quanto istituzione, non faceva alcun riferimento a un'eventuale lingua comune, anche perché, in. caso- contrario, sarebbe stato piuttosto' difficile istituzionalizzare l'esogamia. Non c'è del resto motivo di mettere in dubbio la conclusione cui. è giunto uno storico specialista in merito alla molteplicità di lingue e di popoli; conclusione secondo la quale «solo una tarda generalizzazione sancisce che gli individui che parlano la stessa lingua, sono in qualche modo amici, mentre quelli che parlano una lingua straniera sarebbero ostili»". Se nell'ambito di quello- che costituisce il raggio d'azione di una persona non, si parlano altre lingue all'infuori della sua, questa lingua non potrà costituire un gran criterio di appartenenza di gruppo, visto che è si comune a tutti, ma allo stesso modo delle gambe, per esempio. Mentre dove si ha coesistenza di diverse lingue, il plurilinguismo può essere cosi normale da rendere piuttosto' arbitraria un'identificazione di-tipo esclusivo con una sola di queste lingue. (Del resto, i censimenti che richiedono questo tipo di scelta esclusiva si rivelano una fonte inattendibile sul piano dell'informazione linguistica) . In queste zone, infatti, i dati statistici relativi .alla lingua sono soggetti ad ampie oscillazioni in occasione dei diversi censimenti, perché l'identificazione con una determinata lingua non dipende tanto dalla conoscenza, della stessa quanto da altri fattori di tipo mutevole, come per esempio in determinate zone detta Slovenia e della Moravia sotto- gli Asburgo; oppure perché la gente può normalmente parlare entrambe le lingue in uso nella zona più 14

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magari una lingua franca priva di riconoscimento ufficiale, come in certe parti dell'Istria \ Inoltre, può darsi il caso che le lingue a disposizione non siano intercambiabili: gli abitanti dell'isola Mauritius non possono scegliere a piacere se parlare creolo oppure una delle tante lingue locali, infatti l'una o l'altra lingua a disposizione viene di volta in volta adottata in funzione dell'uso, come presso gli Svizzeri tedeschi che scrivono in alto tedesco ma parlano normalmente in Schweizerdeutsch, oppure come il padre sloveno nel toccante romanzo di Josef Roth Radetzkymarsch (La marcia diRadefzky) che non si rivolge al figlio, diventato ufficiale, nella loro lingua natia, come il figlio del resto si aspetterebbe, bensì «nel tedesco duro degli Slavi dell'esercit o » ' , in segno di rispetto nei confronti di un ufficiale asburgico. Insomma: l'identificazione di tipo quasi mistico tra nazionalità e una specie di idea platonica d e l a lingua, che esisterebbe al di là e al di sopra delle sue diverse varianti e versioni .imperfette, sembra giù. che altro il frutto di una costruzione ideologica di intellettuali nazionalisti, dei q u a ! Herder si può considerare 1 profeta, che non quello degli ordinari utilizzatori di una lingua. Siamo cioè nell'ambito della concezione letteraria più che non in quello del'esperienza di vita. Il che non significa negare che le lingue, come del resto le famiglie linguistiche, facciano parte d e l a realtà popolare. Per la. maggior parte delle popolazioni di lingua tedesca, la maggior parte degli stranieri insediati a Ovest e a Sud rispetto a loro, e parlanti lingue romanze, ma anche celtiche, sono welsch, mentre la maggior parte delle popolazioni di lingua finnica, e poi slava, insediate a Est e Sud-est sono wends; viceversa, per la maggior parte degli Slavi, tutti quelli che parlano tedesco sono nemci. C i ò nondimeno risultò sempre piuttosto evidente che lingua e popolo, in qualsiasi modo li si definisse, non coincidevano. Nel Sudan, gli stanziali Fur vivono in simbiosi con i nomadi Baggara, ma i nomadi Fur di un vicino accampamento, che parlano fur, sono trattati come se fossero Baggara, perché la distinzione fondamentale tra i due popoli non riguarda la lingua bensì la funzione. Il fatto che questi nomadi parlino .fur « f a semplicemente si che le normali transazioni, consistenti nel comprare latte, distribuire gli accampamenti e procurarsi il letame, avvengano in maniera più spicciativa che se si avesse a che fare con degli altri Baggara»". :

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In termini più «teorici», le famose settantadue lingue nelle quali fu suddiviso il genere umano dopo la torre di Babele, almeno a stare ai commentatori medievali della Genesi, comprendevano' ciascuna più nationes o tribù, almeno a stare ad Anselmo di Laon, allievo del grande Anselmo di Canterbury. Guglielmo di Alton, domenicano inglese, approfondendo l'argomento intorno alla metà del secolo xin, distingueva gli uomini sulla base dei gruppi linguistici, in relazione alla lingua parlata; delle generationes in rapporto all'origine; dei diversi luoghi d'insediamento; delle gentes, definite in rapporto alle differenze di costumi e del modo di parlare. Queste diverse classificazioni non erano necessariamente coincidenti, e non dovevano venir confuse con quella di popuius ossia popolo, che veniva definito sulla base della volontà di obbedite a una legge comune, e che era, perciò, una comunità di carattere storico-politico- piuttosto che «naturale» . Analisi che dimostra la perspicacia e la capacità di cogliere la realtà di Guglielmo di Alton, che, però, almeno sin verso la fine del secolo x i x < non possono considerarsi eccezionali. j La lingua, infatti, non era che un modo, e non necessariamente ! quello di primaria importanza, in base al quale distinguere le comuniI tà culturali. Secondo Erodoto, i Greci formavano un unico popolo nonostante fossero divisi sia. sul piano geografico sia su quello politico, perché avevano una comune ascendenza, una lingua comune, divinità e luoghi sacri comuni, riti sacrificali e costumi, mores o modi di vita comuni . È ovvio che per gente colta come Erodoto la lingua assumeva un'importanza cruciale; ma se lo fosse ugualmente per gli abitanti medi della Beozia o della Tessaglia questo proprio non lo sappiamo. Sappiamo invece che, in epoca moderna, le battaglie nazionalistiche sono state talvolta rese più difficili dal fatto che un certo numero di appartenenti a determinati gruppi linguistici rifiutò l'unità politica con gli altri appartenenti allo stesso gruppo. Simili, casi - come quello dei cosiddetti Wasserpolacken in Slesia quando era sotto dominio tedesco, o dei cosiddetti Windisc.be della zona di confine tra queEe che sarebbero diventate l'Austria e la parte slovena della Iugoslavia- suscitarono delle velenose accuse, da parte di Polacchi e Sloveni, secondo le quali queste classificazioni erano state inventate dagli sciovinisti grande-tedeschi a giustificazione del loro espansioni20

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smo territoriale, e non c'è dubbio che queste accuse avessero una qualche fondatezza, Tuttavia, non si può negare del tutto l'esistenza di gruppi di .lingua polacca, o slovena che preferirono considerarsi politicamente tedeschi o austriaci. La. lingua, nel senso herderiano di lingua, parlata dal Volk, non fu l'elemento centrale che intervenne direttamente nella elaborazione del protonazionalismo,, sebbene, poi, non la si possa neanche considerare del tutto irrilevante. Invece, almeno indirettamente, diventò centrale nella moderna definizione di nazionalità e, pertanto,, anche nel modo popolare di concepire la nazionalità. Infatti, dove esiste una lingua elitaria di carattere amministrativo o letterario;, per quanto possa essere limitato il numero di chi se ne serve, non è affatto escluso che diventi un 'elemento rilevante di coesione protonazionale, per tre ordini di ragioni ben illustrate da Benedict Anderson . Primo: costituisce in comunità questa élitecnese ne serve per comunicare al suo interno ; comunità che, qualora coincida o*possa esser fatta coincidere con una zona territoriale particolare dello Stato e con un'area dialettale, può diventare una specie di modello o di progetto piota, per la futura comunicazione all'interno di quella più ampia comunità, anche dal punto di vista della comunicazione, che è appunto la «nazione». È sotto questo' aspetto che gli idiomi parlati non .sono irrilevanti in ordine alla, futura, nazionalità. Le lingue morte «classiche», al, pari dei linguaggi rituali, per quanto dotate di prestigio, sono in posizione tutt'altro che favorevole per diventare lingua nazionale, come si potè verificare in Grecia, dove si manteneva ancora una specie di continuità linguistica tra il greco antico e quello parlato in epoca moderna. Cosi Vuk Karadzic (1787-1864), il grande riformatore e, in sostanza, creatore del moderno serbocroato letterario, ebbe indubbiamente ragione a opporsi ai primi tentativi di creare una simile lingua sulla base dello slavo della Chiesa: tentativi portati avanti dai precursori di chi creerà la moderna lingua ebraica da un adattamento dell'antico ebraico, e ai quali Karadzic si contrappose, per quanto' lo riguardava, elaborando la sua, lingua letteraria sulla base dei dialetti parlati dal popolo serbo '. D'altra parte, lo stimolo alla creazione di un ebraico moderno parlato, come del resto le circostanze che determinarono il successo' della sua, adozione, sono piuttosto 1

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particolari per poter costituire un esempio di carattere generalizzabile. Tuttavia, ammesso che il dialetto' che costituisce la base della lingua nazionale sia effettivamente parlato, non è rilevante se sia parlato solo da una minoranza, a patto che questa sia una minoranza dotata di un sufficiente peso politico. In questo senso il francese era essenziale al concetto di Francia, benché nel 1789 il 50% dei Francesi non lo parlasse affatto e solo il 12-13% 1° parlasse «correttamente» e, inoltre, al di fuori della zona centrale, non venisse abitualmente parlato nemmeno nell'area della langue d'otti, ad eccezione delle città, ma non sempre dei suburbi. Nella Francia-settentrionale e meridionale in pratica nessuno parlava francese". Se il francese aveva almeno uno Stato di cui poter essere la «lingua nazionale», l'unica base per l'unificazione italiana era data dalla lingua italiana, che univa l'elite iiella penisola in quanto individui capaci di leggere e di scrivere, sebbene, poi, sia stato calcolato che all'epoca dell'unificazione (1860) solo il 2/4% della popolazione usava l'italiano per la comunicazione Quotidiana*. Perciò, questo ristretto gruppo costituiva, nel vero senso della parola, un, e quindi potenzialmente il, popolo italiano. Mentre nessun altro lo era. Non molto diversamente, la Germania del secolo xvin era una pura «concezione culturale, perché solo in quanto tale la « G e r m a n i a » trovava un suo- modo di essere, quasi in contrapposizione alla molteplicità dei principati e degli Stati più o meno piccoli, divisi dalla religione e dalle concezioni politiche, governati utilizzando lo strumento della lingua tedesca. Questa era comune, al massimo, ai 3000/5000 lettori ' delle opere scritte nel dialetto letterario e a un numero certamente più ridotto di quelli che effettivamente parlavano la Hochspracbe, ossia la lingua alta, colta, per le esigenze di comunicazione quotidiana '; in particolare quegli attori che recitavano le (nuove) opere che diventarono i classici vernacolari. Infatti, in mancanza di un parametro di correttezza a livello statale, come potrebbe essere il King's English, in Germania tale parametro veniva fissato nei teatri. 2

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Secondo: la lingua comune, proprio perché non è frutto di un'evoluzione naturale ma deriva da un'opera di costruzione, in particolar modo quando è piegata alle esigenze della stampa, acquisisce una

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nuova forma di fissità che la fa sembrare dotata di caratteri di maggior permanenza e, perciò,, come per un'illusione ottica, più «eterna» di quanto in realtà non sia. Donde l'importanza non solo dell'invenzione della stampa, specialmente quando la versione vernacolare di un libro sacro costituiva la fondazione della lingua letteraria, come ebbe a verificarsi in molti casi; ma anche dei grandi correttori e standardizzatori attivi nella storia letteraria di tutte le lingue di cultura, se non altro dopo la comparsa dei libri stampati. Nei suoi aspetti fondamentali, questo periodo si colloca tra il tardo secolo x v i n e i primi del secolo xx un po' per tutte le lingue europee salvo che per un piccolissimo numero. Terzo: la lingua di cultura ufficiale dei governanti e delle élite arriva, di norma, a essere la lingua degli Stati moderni per il tramite della pubblica istruzione o, comunque, sulla scorta della pubblica amministrazione. In ogni caso si tratta di sviluppi posteriori, che raramente riguardano la lingua della gente comune in epoca prenazionalistica e ancor meno nell'epoca precedente l'alfabetizzazione. Non c'è dubbio che i Mandarini tenessero insieme un vasto impero cinese all'interno del quale molti popoli non erano in grado di comprendersi reciprocamente; ma questa impresa non era realizzata direttamente grazie alla lingua, bensì grazie a un'amministrazione centralizzata dell'Impero che funzionava sulla base di un insieme comune di ideogrammi e degli strumenti della comunicazione di élite. Per la maggior parte dei Cinesi sarebbe stato lo stesso se i Mandarini avessero comunicato tra loro in latino, cosi come fu irrilevante per la maggior parte degli abitanti dell'India che, negli anni 1830, la East India Company sostituisse il persiano, che era stata la lingua dell'amministrazione dell'Impero moghul, con l'inglese. Per i cittadini indiani, infatti, entrambe le lingue erano ugualmente straniere e, dato che né leggevano né scrivevano, erano anche affatto destituite di reale importanza. A dispetto dei futuri storici nazionalisti, gli abitanti fiamminghi di quello che sarebbe diventato il Belgio non si mobilitarono contro il francese in seguito alla spietata gallicizzazione della vita pubblica e ufficiale che ebbe luogo negli anni della Rivoluzione e in periodo napoleonico; né la stessa Waterloo « innescò un qualche movimento di protesta, nelle

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Fiandre, in favore del fiammingo o della cultura fiamminga» . Del resto, perché mai avrebbe dovuto verificarsi una cosa del genere, visto che a chi non capiva una parola di francese si sarebbero comunque dovute fare delle concessioni sul piano pratico amministrativo anche da parte di un regime di integralisti linguistici? Non c'è quindi molto da stupirsi se, come in effetti si verificò, l'arrivo- in massa di forestieri francofoni nei villaggi agrari delle Fiandre suscitò maggior irritazione per il fatto che non assistessero alla messa domenicale che | non per motivi di ordine linguistico '. In sostanza, lasciando da parte | casi particolari, non vi sono motivi per ipotizzare che la lingua fosse • qualcosa di più di una caratteristica tra le tante in base alla quale la | gente del popolo sottolineava la propria appartenenza a una determi| nata comunità. Ed è assolutamente certo che la lingua non aveva per il momento alcuna valenza politica. Come ebbe a osservare un commentatore francese, nel 1536, in merito alla torre di Babele: « O g g i esistono più di settantadue lingue perché sulla terra ci sono più nazio11 ni di quante non ce ne fossero in quell'epoca »'". Le lingue si moltiplii I cano con gli Stati e non viceversa. 2

Che cosa possiamo dire dell'etnia? Solitamente si tratta di qualcosa che sta in una qualche, non ben definita, relazione con la comune origine e la discendenza da cose dalle quali si suol far derivare le caratteristiche comuni degli appartenenti a un determinato gruppo etnico. «Parentela» e « s a n g u e » presentano evidenti vantaggi quandosi tratta di accomunare gli appartenenti a un. gruppo e di escluderne gli estranei: sono pertanto un elemento centrale nel caso del nazionalismo subasi etniche. « L a cultura (Kuitur) non la si può acquisire con l'istruzione. La cultura è nel sangue, La miglior prova di ciò è oggi fornita -dagli Ebrei, che non possono .andar oltre all'appropriazione della nostra civiltà (Zivilisation), perché mai potranno appropriarsi della nostra cultura». Cosi, nel 1938, il Kreisleiter nazionalsocialista di Innsbruck Hans Hanàk, nonostante il suo cognome ne rivelasse spiritosamente l'origine slava, si congratulava con le donne naziste di Innsbruck, perché il tentativo- ebreo di cancellare il loro- «status elevato e degno di rispetto», predicando l'uguaglianza di uomini e donne, non aveva riscosso che un fugace successo . Inoltre, la considera31

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zione dell'etnia da un punto di vista genetico è poco pertinente, perché l'elemento -di base, fondamentale, di un gruppo- etnico, in quanto forma di organizzazione sociale, è culturale assai più che biologico' . Ma c'è di più: i popoli degli Stati-nazione di ampia estensione territoriale risultano quasi sempre troppo eterogenei per potersi richiamare a una comune etnia. Infatti, .anche senza tener conto delle mi-i grazioni in epoca moderna, la storia demografica di gran parte dell'Europa ci consente di conoscere benissimo quanto sia variegata l'origine dei gruppi etnici, specialmente quando si tratti di zone che, nel corso del tempo, conobbero spopolamenti e reinsediamenti, come appunto si verificò in vaste aree dell'Europa centrale, orientale e sudorientale, e persino in certe regioni della Francia". Quali siano precisamente gli ingredienti di quel miscuglio di Illiri preromani, Romani, Greci, immigrati slavi di diversa specie e invasori vari provenienti a ondate successive dall'Asia centrale, dagli Avari ai turchiOttomani, cioè quel miscuglio che determinò- l'etnia delle genti dell'Europa sudorientale, è oggetto di un dibattito senza fine, specialmente in Romania. Perciò i Montenegrini, considerati in un primo tempo- Serbi, e oggi una «nazionalità» e una repubblica federata, si presentano come una combinazione di contadini serbi, sopravvivenza del vecchio Regno serbo, e di pastori vaiacela trasferitisi nelle zone spopolate in seguito alla conquista turca . Naturalmente non si può negare, per esempio, che i Magiari del secolo xni si consideravano una comunità di tipo etnico, in quanto -discendevano, o almeno ritenevano di discendere, dalle orde di invasori nomadi provenienti dall'Asia centrale, parlavano una lingua radicalmente diversa dai popoli limitrofi, vivevano, grosso modo, in un ben determinato ambiente, nell'ambito di un loro proprio regno e, senza alcun dubbio, condividevano varie pratiche ancestrali. Ma si tratta di un caso nient'affatto comune. 2

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Tuttavia, l'etnia, nel significato di Erodoto, fu, è o può essere un qualcosa che tiene insieme popolazioni, che abitano vasti territori, se non addirittura disperse, e mancano -di un'organizzazione politica comune, nell'ambito di qualcosa che potrebbe chiamarsi protonazione. Come sembra essere il caso di Curdi, Somali, Ebrei, Baschi e altri ancora. Tuttavia, questa etnia non ha alcun rapporto con quello che costituisce l'elemento cruciale della nazione moderna, e in particolare

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con la formazione di uno Stato-nazione, ma anche di un qualsiasi Stato, come dimostra il caso dei Greci antichi. E si potrebbe persino sostenere che i popoli dotati in maniera più forte e attiva di quel sentimento che si potrebbe chiamare di « tribalismo etnico » non si sono limitati a ribellarsi ali" imposizione di uno Stato moderno, di tipo nazionale o altro, bensì, molto spesso;, a qualsiasi Stato, come testimonia la gente di lingua pashto all'interno e all'esterno dell'Afghanistan, gli Scozzesi delle highlands prima del 1745, i Berberi dell'Atlante e altri che potrebbero facilmente esser qui. ricordati. Per contro, quando « il popolo» fu identificato con una particolare organizzazione statuale, vi si riconobbe come automaticamente, anche quando questa, vista dal basso, non teneva conto né delle divisioni etniche né di quelle linguistiche. I figli della santa terra del TiroIo che insorsero contro i Francesi nel 1809 sotto la guida di Andreas Hofer erano sia Tedeschi sia Italiani, come del resto di lingua ladina Com'è noto, il nazionalismo svizzero è multietnico. Sicché, se proprio volessimo sostenere che i montanari greci insorti contro i Turchi all'epoca di Byron furono nazionalisti, cosa che appare piuttosto improbabile, non potremmo però non tener conto che alcuni dei combattenti più valorosi non erano ellenici bensì albanesi (Sulioti). Inoltre, pochissimi movimenti nazionali moderni si sono realmente basati su una forte coscienza etnica, nonostante se ne siano poi inventata una strada facendo sotto forma di razzismo. Per riassumere: non c'è proprio da stupirsi, perciò, che i Cosacchi del Don non accennassero all'etnia o alla comune origine ancestrale nel determinare ciò che ne faceva dei figli della santa terra russa. E cosi facendo si mostrarono in effetti piuttosto saggi, visto che, analogamente a molti corpi combattenti formati da contadini liberi, la loro origine era piuttosto composita; non pochi di loro erano infatti Ucraini, Tatari, Polacchi, Lituani oltre che Grandi Russi. E dò che li univa non era il sangue bensì la fede. - Possiamo allora dire che l'etnia o la « razza » sono irrilevanti per il nazionalismo moderno? Certamente no, perché le differenze nell'aspetto fisico sono troppo evidenti per poter essere trascurate e sono state utilizzate persin troppe volte per segnalare o sottolineare le differenze tra « n o i » e « l o r o » , ivi compresa quella di carattere nazionale. Ma in proposito occorrono tre osservazioni.

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Primo: dal punto di vista storico queste differenze hanno costituito sia delle barriere di tipo orizzontale sia verticale e, anteriormente all'epoca del nazionalismo moderno, è probabile che perlopiù servissero a distinguere gli strati sociali piuttosto che intere comunità reciprocamente. Sul piano storico, l'uso più comune della discriminazione basata sul colore sembra essere quello che conferiva una posizione sociale più elevata ai colori più chiari in. seno alla stessa società, come per esempio in India; benché poi le migrazioni di massa e la mobilità sociale siano venuti a complicare la faccenda, sino addirittura a. capovolgere i rapporti, sicché si può dire che la. « v e r a » classificazione razziale corrisponde alla « v e r a » posizione sociale, indipendentemente dall'apparenza fisica, come nei paesi andini, dove gli Indi che entrano a far parte degli strati inferiori della classe media vengono automaticamente riclassificati mestizos o cbolos, senza tener conto delle caratteristiche fisiche*. Secondo: l'etnia «visibile» tende a valere in senso negativo,, tanto che viene perlopiù utilizzata per la definizione degli « a l t r i » invece che del proprio gruppo. Donde il valore quasi proverbiale degli stereotipi razziali come per esempio il «naso- degli Ebrei», o la diffusa daltonia dei colonizzatori se non altro- per quanto riguarda il colore di quelli che"vengono classificati globalmente come « n e r i » , e relativa affermazione « m i sembrano tutti uguali»; tutte cose probabilmente basate su una visione sociale intesa a selezionare sulla base di che cosa si crede che « gli altri » abbiano in comune tra loro, come per esempio gli occhi a mandorla o la pelle gialla. L'omogeneità etnico-razziale della propria «nazionalità» è data per scontata, tanto che la si asserisce, come avviene regolarmente, anche quando una verifica delle più superficiali basterebbe a suscitare dei dubbi in proposito. Anche perché a « noi » sembra ovvio che gli appartenenti alla nostra « nazionalit à » possano avere taglie, conformazioni e sembiante piuttosto diversi anche se poi tutti presentano delle caratteristiche fìsiche comuni come potrebbe essere un determinato tipo di capigliatura corvina. Ed è solo a « loro » che noi sembriamo tutti uguali. Terzo : questa etnia per via negativa è in pratica sempre estranea al . protonazionalismo, a meno che sia o possa venir amalgamata con qualcosa di simile a una tradizione statale, come forse è il caso in C i -

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ria, Corea e Giappone, che costituiscono degli esempi veramente rarissimi di Stati la cui popolazione è del tutto, o quasi del tutto, omogenea '. In casi del genere è abbastanza possibile che etnia e devozione sul piano politico siano collegati. Come mi è stato detto, la posizione particolare d e l a dinastia Ming nella storia delle ribellioni in Cina sino al suo rovesciamento avvenuto nel 1644 ~ l sua restaurazione era, e forse lo è ancora, un punto programmatico di importanti società segrete - trova una spiegazione nel fatto che, a differenza dei suoi predecessori, i Mongoli, e dei suoi successori, la dinastia Mancù, si trattava di una dinastia genuinamente cinese o Han. Perciò, le differenze etniche più evidenti hanno contato relativamente poco nella genesi del moderno nazionalismo. Gli Indi dell'America latina hanno avuto un profondo senso della differenza etnica rispetto ai bianchi e ai mestizos a partire dalla conquista spagnola, anche perché questa fu ribadita e istituzionalizzata dal sistema coloniale spagnolo che divideva la popolazione in caste su base razziale". Tuttavia non sono a conoscenza di casi in cui ciò abbia portato alla nascita di movimenti nazionalisti. Ed ha raramente ispirato dei sentimenti pan-indi presso le popolazioni indie, almeno .in. quanto distinte dagli intelettuali. indigenista'\ E ancora: ciò che accomuna gli abitanti dell'Africa subsahariana in contrapposizione ai loro conquistatori di pelle chiara è un colore della pelle relativamente scuro. La negritudine è un sentimento reale, e non solo presso gli. intellettuali neri e le élite, bensì tutte le volte che un gruppo di persone dalla pelle più scura si confronta con uno dalla pelle chiara. E può anche trattarsi di un elemento politico ; ma, d'altra parte, la semplice coscienza del colore non ha portato alla creazione di un solo Stato africano: nemmeno il Ghana o il Senegal, i cui fondatori si ispiravano peraltro a concezioni panafricane. Né ha potuto superare le tensioni degli Stati africani contemporanei formatisi da precedenti colonie europee la cui coesione interna era stata raggiunta sulla scorta di pochi decenni di amministrazione coloniale. 3

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Dunque ci sono rimaste solo quelle che erano le caratteristiche della Santa Russia nella visione dei Cosacchi del secolo xvn; ossia la religione e la regalità o impero. I legami tra religione e coscienza nazionale possono essere molto stretti come mostrano gli esempi della Polonia e dell'Irlanda. Di fat-

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to, poi, questa relazione sembra farsi sempre più stretta quando il nazionalismo diventa una forza veramente di massa, mentre lo sarebbe meno quando costituisce l'ideologia di una minoranza o di semplici movimenti di militanti. Ai tempo- eroici della Palestina Yishev (colonizzazione della Palestina), era più probabile che i militanti sionisti mangiassero ostentatamente panini di prosciutto che non indossassero le papaline rituali, come usano invece oggi i sostenitori di Israele. Il nazionalismo dei paesi arabi contemporanei si identifica a tal punto con l'islam che sia gli amici che i nemici hanno una certa difficoltà a collocare al suo interno le varie minoranze arabe cristiane, Copti, Maroniti e cattolici ortodossi, che ne furono peraltro i massimi pionieri in Egitto e nella Siria turca*. Questa crescente identificazione tra nazionalismo e religione è anche caratteristica del movimento irlandese. Ma non si tratta di nulla di straordinario. La religione costituisce un metodo tanto antico quanto ben collaudato per istituire una comunione per il tramite di una pratica comune e una sorta di fratellanza tra gente che altrimenti non avrebbe molto in comune". Alcune versioni della religione, come il giudaismo, sono particolarmente adatte a fungere da distintivo di appartenenza a comunità particolari. Tuttavia, la religione è una forma di cemento piuttosto contraddittorio per quanto riguarda il protonazionalismo, e anche per il moderno nazionalismo, che infatti l'ha normalmente considerata, se non altro nelle sue fasi caratterizzate da maggior spirito di crociata, con notevole sospetto; cioè come una forza che poteva entrare in contraddizione con la pretesa della «nazione» di monopolizzare la devozione dei suoi appartenenti. In ogni caso, le religioni genuinamente tribali operano in genere su scala troppo ristretta dal punto- di vista delle moderne nazionalità e oppongono una diffusa resistenza. D'altra parte, le religioni di portata mondiale che furono inventate in epoche diverse tra il secolo vi a. C. e il V I I d, C, sono per definizione universali e pertanto intese a minimizzare le differenze etniche, linguistiche, politiche e di altro tipo. Spagnoli e Indi all'epoca dell'impero, Paraguaiani, Brasiliani e Argentini a partire dall'indipendenza, erano ugualmente devoti figli di Roma e non potevano differenziarsi reciprocamente in quanto comunità sulla base della religione. Per fortuna le verità universali sono spesso in concorrenza tra loro, cosi i popò1

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li che si trovano nelle zone di confine dell'una possono talvolta sceglierne un'altra come distintivo etnico, come appunto Russi, Ucraini e Polacchi si differenziarono rispettivamente in quanto ortodossi, untati e cattolici romani; la cristianità del resto si mostrò la più feconda matrice di verità universali rivali. Forse, il fatto che il grande impero confuciano della Cina sia circondato, dalla parte di terra, da un ampio semicerchio di piccoli popoli fedeli di altre religioni, perlopiù del buddismo ma anche dell'islam, rientra nello stesso tipo di fenomeno. Tuttavia, vale la pena di notare che la prevalenza di religioni transnazionali, se non altro in quelle parti del mondo in cui si sviluppò il moderno nazionalismo, impose dei limiti alla identificazione etnico-religiosa. Questa, infatti, è ben lungi dall'essere universale e, anche quando opera, non serve normalmente a distinguere il popolo in questione da tutti i suoi vicini, bensì solo da alcuni, come, per esempio , i Lituani si distinguono dai Tedeschi luterani e dai Lettoni ugualmente luterani, dai Russi e dai Bielorussi ugualmente ortodossi, grazie al loro cattolicesimo romano, che, però, non serve a differenziarli dai Polacchi che sono altrettanto ferventi cattolici. In Europa sono solo gli Irlandesi, che non hanno- altri vicini al di fuori dei protestanti, a definirsi esclusivamente sulla base della religione". Ma che cosa può esattamente significare un'identificazione di tipo etnico-reiigioso e quando si verifica? E chiaro che in alcuni casi si sceglie una religione etnica perché, in primo luogo, un popolo si percepisce diverso dai popoli e dagli Stati confinanti. A quanto sembra, l'Iran ha avuto un suo proprio percorso, per quanto riguarda la divinità, dapprima come paese zoroastriano, poi come paese sciita da quandosì converti all'islam e, in ogni caso, dai Safawidi in poi. L'Irlanda, invece, si prese a identificarla col cattolicesimo solo da quando non riuscì o, forse, si rifiutò di seguire gli Inglesi sulla via della Riforma, mentre la colonizzazione massiccia di parte del paese ad opera di coloni protestanti -che si presero le terre migliori aveva invero poche probabilità di convertire gli Irlandesi". Le Chiese d'Inghilterra e di Scozia sono politicamente qualificate, anche se quest'ultima rappresenta il calvinismo ortodosso. Forse il popolo gallese, che in precedenza non si era molto impegnato sulla via della separatezza religiosa, si converti in massa al protestantesimo dissenziente, nella prima metà del secolo 1

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xix, nell'ambito di quella acquisizione di coscienza nazionale che è stata recentemente oggetto di intelligente ricerca*. D'altra parte è altrettanto chiaro che convertirsi a una religione diversa può portare alla formazione di due diverse nazionalità, essendo per esempio fuor di dubbio che fu il cattolicesimo romano, con il relativo allegato della scrittura latina, e la fede ortodossa, col relativo allegato della scrittura cirillica, che divisero in maniera evidente i Croati dai Serbi, nonostante possedessero una stessa lingua di cultura. Ma, ancora una volta, si può citare il caso di popoli dotati di una certa coscienza protonazionale, come per esempio gli Albanesi, nonostante fossero divisi al loro interno da una quantità di fedi religiose molto maggiore di quella che normalmente si ritrova nell'ambito di un territorio dalle 'dimensioni all'incirea corrispondenti a quelle del Galles; mi riferisco nella fattispecie a l e varie forme di islam, fede ortodossa e cattolicesimo romano. Infine, non è affatto chiaro se l'identità religiosa separata, per quanto forte, possa, in quanto tale, ritenersi affine al nazionalismo. La tendenza contemporanea è quella di assim,ilarel'una al'altro, perché da tempo non abbiamo pili a che fare con uno Stato nel quale varie comunità religiose convivono sotto un'unica autorità suprema un po' come corpi autonomi o entità che si amministrano .altrettanto autonomamente; come si verificava nell'Impero ottomano' . È piuttosto evidente che il Pakistan fu il prodotto di un movimento nazionale in seno ai musulmani di quello che era alora l'Impero indiano, tuttavia può anche essere a ragione considerato come una reazione a un movimento nazionale panindiano che non teneva nel dovuto conto i sentimenti e le esigenze dei musulmani. In ogni caso, benché all'epoca del moderno Stato-nazione la spartizione territoriale sembrasse l'unica ricetta possibile, non è per n u l a detto che uno Stato territoriale separato rientrasse negli intenti d e l a stessa Lega musulmana, almeno in un primo tempo, o che si ponesse l'accento su questa rivendicazione salvo che nelle posizioni intransigenti di Jinnah, che era in effetti una specie di nazionalista musulmano, visto che non era, indubbiamente, un credente dal punto di vista religioso. Ed è anche piuttosto certo che la gran parte dei comuni musulmani pensava in termini di comunità e non di nazione, cosi come non avrebbe certamente inteso il concetto di autodeterminazione nazionale come qualcosa di confacente alla fede in Allah e 1 suo Profeta. 1

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Indubbiamente oggi i Pakistani si percepiscono come appartenenti a una nazione (islamica) separata, al pari dei cittadini del Bangladesh, ma questo perché hanno vissuto in uno Stato separato per un certo periodo. Anche i Bosniaci o i musulmani cinesi si percepirebbero come una nazionalità se i loro governi li trattassero come tali. Ma anche in questo caso, come del resto in molti altri che rientrano nell'ambito del fenomeno storico- della nazione, si tratterebbe, e si è trattato, di uno sviluppo ex post facto. Nonostante l'identificazione religiosa dei musulmani con l'islam sta molto forte, nella vasta zona in cui l'islam confina con altre religioni sembrano esserci pochi, per non dir nessuno, movimenti protonazionali o nazionali esclusivamente connotati dall'islamismo, ad eccezione di quello- iraniano. Il fatto poi che, al. giorno d'oggi, potrebbero svilupparsi in contrapposizione a Israele o nelle repubbliche sovietiche centroasiatiche, è una questione di tutt'altra natura. In definitiva: i rapporti tra religione e identificazione protonazionale o nazionale restano complessi e assai poco chiari e, in ogni caso, non sono suscettibili di generalizzazione. Tuttavia, come sottolinea Gellner* il collegamento di un popolo con una cultura più vasta, specie se si tratta di cultura dotata di opere Scritte, cosa che avviene spesso per l'intermediario della conversione •a una qualche fede religiosa di estensione mondiale, consente ai gruppi etnici di acquisire un patrimonio e una posizione che, in seguito, può aiutarli a trasformarsi in nazione e a strutturarli in quanto tali.. Co-melo stesso Gellner ha dimostrato in maniera convincente, i gruppi africani che hanno- realizzato un simile collegamento sono in, una posizione migliore, rispetto agli altri, per sviluppare il nazionalismo; come per esempio nel Corno d'Africa, dove gli Amhara, cristiani, e i Somali, musulmani, si sono potuti trasformare con maggior facilità in «popoli-Stato» perché sono «popolo del libro», sebbene, secondo l'espressione di Gellner, sulla, base di, due diverse e rivali edizioni dello stesso. Tesi che sembra abbastanza plausibile, solo che si vorrebbe anche sapere quanto peso la conversione alle varianti della cristianità abbia avuto nel caso degli unici altri fenomeni politici subsahariani che assomiglino- in qualche modo al moderno nazionalismo di massa, ossia la secessione del, Biafra nel 1967 e il South African National Congress.

Il protonazionalismo popolare

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Se la religione non rappresenta un contrassegno necessario del protonazionalismo - sebbene si possa capire perché lo sia stato nel caso dei Russi del secolo XVII sottoposti sia alla pressione dei Polacchi cattolici, sia a quella dei Turchi e dei Tatari musulmani -, le sacre icone, invece, ne costituiscono una componente fondamentale, come del resto- lo sono del moderno nazionalismo. Esse infatti rappresentano il simbolo e il rituale, o la comune pratica collettiva che sola è in grado di fornire una realtà palpabile a una comunità per altro verso immaginaria. Si può trattare 'di immagini da condividere, come erano appunto le icone, o di pratiche, come la preghiera che i musulmani debbono recitare cinque volte al giorno, o anche di frasi e parole rituali come VAllah Aìzba? dei musulmani o il Shema Yisroel degli ebrei. Può trattarsi di immagini con un nome che le assimila a un territorio sufficientemente ampio da costituire una nazione, come per esempio la Vergine di Guadalupe in Messico o la Vergine di Montserrat in Catalogna. Può trattarsi di feste periodiche o di manifestazioni che riuniscono gruppi dispersi, come i giochi di Olimpia dell'antica Grecia o, in epoca più recente, quelli analoghi inventati dai nazionalisti, come i Catalan Jocs Florals, il Welsh Eisteddfodau, ecc. L'elevato valore significante delle sacre icone è del resto testimoniato dall'uso uni-. versale di semplici pezzi di stoffa colorata, cioè di bandiere, quali simbolo delle nazioni moderne, e dal fatto che compaiano puntualmente \ in occasioni rituali cariche di richiami profondi come gli atti di culto. Tuttavia, come già nel caso della religione, le «sacre icone» di qualsiasi forma e qualità, possono risultare o troppo ampie o troppo ristrette per fungere da simboli della protonazione. La Vergine Maria pura e semplice è difficile da confinare in una sola e ristretta area del mondo cattolico, e, per ciascuna Vergine locale diventata simbolo a livello protonazionale, ce ne sono centinaia rimaste patrone di comunità piuttosto ristrette o, in qualche modo, inutilizzabili a tal fine. Da un punto di vista protonazionale, le icone che più si prestano' alla bisogna sono ovviamente quelle specificamente associate con uno Stato, ossia, nella fase prenazionale, con un re o un imperatore divini o pervasi di divinità il cui reame abbia a coincidere con una futura nazione. I governanti che sono ex officio capi delle rispettive Chiese, come in Russia, si prestano per cosi dire naturalmente a questa associa-

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Capitolo' secondo

, i zione, ma la regalità magica dell'Inghilterra e della. Francia ha dimoj J strato il suo grande valore potenziale anche nel caso di separazione j tra Stato e Chiesa'". Poiché ci sono relativamente poche teocrazie con reali possibilità di creare una nazione, è difficile stabilire con esattezza se la pura, e semplice autorità divina sia sufficiente. Si tratta, di un problema da sottoporre agli esperti di storia mongola e tibetana o, in zona più vicina all'Occidente, agli esperti di storia degli Armeni in epoca medievale. Sappiamo invece con certezza che non fu sufficiente nell'Europa, del secolo xix, come poterono verificare a proprie spese i neoguelfi italiani quando tentarono' di dar corpo a un nazionalismo italiano basato sul papato: fallendo nell'impresa nonostante il papato fosse di fatto un'istituzione italiana, e anzi, prima del 1860, l'unica veramente tale in tutta, la penisola. Tuttavia, era piuttosto improbabile che la Santa Madre Chiesa si trasformasse in un'istituzione ben determinata dal punto di vista nazionale, per non dire nazionalistico, e tantomeno sotto Pio I X . Che cosa poi un'Italia unificata all'insegna della bandiera papale nel secolo xix avrebbe potuto precisamente essere, è un'ipotesi sulla quale non vale la pena, di perdersi in congetture. Col che giungiamo all'ultima e forse più decisiva caratteristica del protonazionalismo: la coscienza di appartenere o di essere appartenuti a una entità politica permanente". Il più efficace cemento' proto' [nazionale che si conosca è senza dubbio costituito dal fatto di-essere > 1 quello che il gergo del secolo xix chiamava una «-nazione storica», I 'soprattutto se lo Stato che costituiva la struttura, d e l a futùrà~. Ein Beitrag tur Gescbkhte des Sozialdarwinismus in Frankreich, Freiburg in Bretsgau 1975. Cfr. per esempio sulle Filippine: Land of 100 tongues and not a single hngtmge, in «NewYork Times », 2 dicembre 1987. Per i problema in generale, cfr. J. Fishman, The sociology of language: an inlerdisciplinary social sciente approacb io language in society, in T. Sebeok (a cura di), Current Trend' in Linguistics, Den Haag - Paris 1974, voi. XII. K. Renner, Der Selbstbestimmungsrecht der Nationen in besonderer Anwentbme aufÓsterreich, Leipzig-Wien 1918, p. 65. Si tratta della seconda edizione, interamente riatta, di Der Kampf deròsterreicben Nationen um den Staat (1902), opera di un austro-marxista figlio di un contadino tedesco 'di origine morava. «Molte comunità linguistiche creavano e coltivavano miti e genealogie relative a origine e sviluppo delle versioni di base [della loro lingua] al fine di sminuire le numerose componenti di più recente data in esse presenti (...) Le diverse versioni ricevevano un'investitura storica in seguito all'associazione con un movimento o una tradizione di grande portata ideale o nazionale» (Fishman,, The Soàoiogj of Language cit., p. 164). W. A. Macartney, Tèe Habsburg Empire, London 1971, p. 661. P. Burian, The state language problem in Old Austria, in «Austrian Htstoiy Yearbook», 1970-71, n. 6-7, p. 87. N. Thomas, The Welsb- Extremists: Welsb Politics, Literature and Society Today, Talybont 1973, p. 83.

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Renner, Staat und Nation cit., p. 13. E. Brix, Die Umgangssprache in Aitosterreicb zwischen Agitation und Assimilation. Die Sprachenstatistik in den zisleitbanischen Volkszdblungen, 1880-1910, Wiera-KSln-Graz 1982, p. 76. Quanto si dice in queste pagine a proposito dei dibattiti di statistica è tratto da questa opera. Cfr. F. Wambaugh, A Monograph on Plebisàtes. With a Collection of Officiai Documenti, Camegie Endownient for Peace, New York 1920, in particolare p. 138. *' Nordmann, Dos limites d'État aux frontière; nanonaU- cit., p. 52. Ibid., pp. 55,56. Brix, Die Umgangssprache cit., p. 90. R. Boeckh, Die siaiistische Bedeutmsg der Volkssprache ab Kennzeicben der Nationalitat, in «Zeitschrift fuer Volkerpsychologie und Sprachwissenscbaft», 1866, n. 4, pp. 259-402; I d , Der deutschen Vo&szabl uni Spracbgebiet in den ettropàischen Staaten, Berlin 1869. Anche Hider faceva una distinzione tra Tedeschi del Reich e «tedeschi nazionali» (Volksdeutsche) che vivevano oltre frontiera, ma ai quali doveva essere assicurata la possibilità di ritornare «a casa» nel Reich. Brix, Die Umgangssprache cit., p. 94. * Ibid., p. 114.

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C a p i t o l o quarto L a trasformazione del nazionalismo, 1870-1918

Raggiunto un. certo grado dello sviluppo- europeo-, le comunità linguistiche e culturali -dei popoli, dopo una silenziosa maturazione nel corso dei secoli, emergono dal mondo dell'esistenza passiva dei popoli (passiver Vdìkheii). Essi acquistano coscienza di essere una forza con un destino storico. Essi chiedono di poter esercitare un controllo sullo Stato, in quanto massima leva del potere, e prendono a battersi per l'autodeterminazione politica. La nascita di questa idea politica della nazione e l'anno di nascita di questa nuova -coscienza fu il 1789, l'anno della Rivoluzione francese".

A duecento anni di distanza dalla Rivoluzione francese non c'è storico minimamente serio né, spero-, ci sarà a questo punto alcun lettore del presente libro, che consideri affermazioni del genere di quella appena citata, nient'altro che esercitazioni nel campo della .mitologia. E tuttavia si tratta di affermazioni piuttosto tipiche di quel « principio di nazionalità» che sconvolse il panorama politico europeo dopo il 1830. creando un certo numero di nuovi Stati che corrispondevano, almeno nella misura -del possibile, con quella parte dell'appello di Mazzini che preconizzava « u n o Stato per ogni nazione», sebbene un p o ' meno con l'altra richiesta dello stesso di « u n unico Stato per l'intera nazione» . In particolare, le citate affermazioni sono tipiche sotto cinque punti di vista: in quanto pongono l'accento sulla comunità linguistica e culturale, che costituì un'innovazione del secolo xix ; in quanto pongono l'accento sul nazionalismo che mirava a formare o a impadronirsi dello Stato piuttosto che sulle «nazioni» già esistenti in quanto Stati; per il tipo di storicizzazione del fenomeno e relativo richiamo alla missione storica; per la rivendicazione della paternità del. 178-9; per la retorica e l'ambiguità termmologica, che non costituiscono certo un aspetto irrilevante. 2

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Capitolo quarto

A prima vista la citazione sembrerebbe tratta da Mazzini, in realtà fu scritta settantanni dopo le rivoluzioni del 1 8 3 0 , e da un. socialista marxista di origine morava che fece queste affermazioni in un libro dedicato ai problemi dell'Impero asburgico. Insomma: sebbene si presti a esser confusa col «principio di nazionalità» che sconvolse l'Europa tra il 1 8 3 0 e gli anni 1 8 7 0 , in realtà appartiene a una fase più tarda e diversa della storia del nazionalismo europeo. 1 II nazionalismo del periodo 1 8 8 0 - 1 9 1 4 differiva sotto tre aspetti j principali dalla fase mazziniana del nazionalismo. Primo: abbandonò 1 il « principio della taglia minima » che, come abbiamo visto, aveva co\ stituito un elemento centrale del nazionalismo dell'epoca liberale. Sicché qualsiasi popolo che si ritenesse una «nazione» rivendicava il diritto all'autodeterminazione che, in ultima analisi, significava il diritto a uno Stato separato, sovrano e indipendente a delimitazione del proprio territorio'. Secondo, e conseguentemente a questa moltiplicazione di nazioni potenzialmente « non storiche » : etnia e lingua diventarono il criterio basilare, quindi vieppiù decisivo, e talvolta persino unico, dell'eventuale nazionalità. Il terzo mutamento riguardò non tanto i movimenti nazionali non statali, che nel frattempo diventarono sempre più numerosi e ambiziosi, bensì il sentimento nazionale nell'ambito degli Stati-nazione, che, con una svolta radicale, diventò paladino del diritto politico della nazione e della bandiera, dando luogo a quello che, con termine specificamente coniato nell'ultimo (ultimi) decennio del secolo xix, fu battezzato «nazionalismo». La citazione tratta da Renner è rappresentativa dei primi due cambiamenti, ma, provenendo da sinistra, non ha nulla a che fare col terzo. ' Ci sono tre motivi per cui spesso non ci si è resi conto di quanto tardivamente il criterio etni co-linguistico sia diventato effettivamente preminente in ordine a l a definizione della nazione. Primo: i due principali movimenti nazionali non statali della prima metà del secolo xix erano sostanzialmente basati su comunità di persone istruite, e accomunate, all'interno dei confini geografici e politici, dall'uso consolidato di una lingua di cultura e di elevata tradizione letteraria. Infatti, nel caso dei Tedeschi e degli Italiani, la lingua nazionale non era né un semplice strumento di comodo a fini amministrativi, né un mezzo per unificare la comunicazione nell'ambito del territorio stata-

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le, come si era verificato in Francia dall'epoca dell'ordinanza di Villers-Cotterets del 1539, né, nemmeno, un'escogitazione rivoluzionaria per diffondere universalmente la verità della libertà, della scienza e dei progresso presso tutti, assicurando il permanere dell'uguaglianza tra i cittadini e impedendo il ristabilimento delle gerarchie dellVl»cien regime, come fu appunto nelle intenzioni dei giacobini . Si trattava, invece, addirittura di qualcosa di più del veicolo di una letteratura raffinata e del modo di esprimersi generalizzato degli intellettuali. Costituiva infatti l'unico elemento in base al quale gli Italiani erano Italiani e i Tedeschi Tedeschi investendosi cosi dell'identità nazionale in misura assai maggiore di quanto non lo fosse, per esempio, nel caso -di chi scriveva e parlava inglese. Insomma: per le classi medie liberali italiane e tedesche la lingua costituì una motivazione centrale, in ordine alla creazione di uno Stato nazionale unificato, in un modo che non trova corrispondente nella realtà della prima metà^del secolo xix. Le rivendicazioni di indipendenza politica della Polonia o del Belgio non si basavano infatti sulla lingua, come del resto non lo erano le ribellioni di diversi popoli balcanici contro l'Impero ottomano, che peraltro portarono alla creazione di Stati indipendenti. E nemmeno lo era il movimento irlandese in Gran Bretagna. Inversamente, dove dei movimenti a base linguistica avevano assunto rilevanza politica, come nei territori in cui si parlava ceco, l'autodeterminazione nazionale, intesa in opposizione al semplice riconoscimento sul piano culturale, non era ancora al'ordine del giorno, e k possibilità di istituire uno Stato separato non era presa in seria considerazione. 4

Tuttavia, a partire dagli ultimi anni del secolo xvin, e in gran parte in seguito all'influenza esercitata dai Tedeschi, l'Europa fu percorsa da un'ondata -di passione romantica per il mondo contadino puro, semplice e incontaminato: riscoperta folclorica del « p o p o l o » per la quale i dialetti da questo parlati erano di importanza fondamentale. Tuttavia, anche se questa rinascita culturale di stampo populistico servì alla fondazione di molti movimenti nazionalisti posteriori, tanto da venir giustamente classificata come la prima fase, «fase A » , dello sviluppo di tali movimenti, lo stesso .Hroch precisa che non si trattava ancora in nessun senso di un movimento politico popolare, né che vi fossero implicazioni di tipo politico a livello di programma o di aspi-

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Capitolo quarto

razioni. Di fatto, poi, nella maggior parte dei casi, la scoperta della tradizione popolare e la stia trasformazione in «tradizione nazional e » di qualche popolo contadino dimenticato dalla storia, era opera di entusiastici sostenitori provenienti dalle classi dominanti o élite (straniere), come nel caso dei Tedeschi per quanto riguarda i Firmi baltici e degli Svedesi per quanto riguarda i Finlandesi. La società letteraria finlandese fu fondata nel 1803 da Svedesi, i verbali delle sue riunioni venivano stesi in lingua svedese e, a quanto sembra, tutti gli scritti del maggior ideologo del nazionalismo culturale finlandese sono in lingua svedese'. Sebbene nessuno possa ragionevolmente negare la diffusione dei movimenti di revival culturale e linguistico europei nel periodo tra gli anni 1780 e 1840, non è però' legittimo confondere quella che Hroch ha definito la « fase A » con la « fase B », che vide comparire un certo numero di attivisti impegnati nell'agitazione politica in favore de!T«idea nazionale», e lo sarebbe ancor meno con quella che sempre Hroch ha chiamato «fase C » , cioè quella in cui si manifesta un'adesione di massa ali'«idea nazionale». Come mostra il caso delle Isole britanniche, può benissimo non esserci una connessione necessaria tra movimenti di revival culturale di questo genere e le successive agitazioni « nazionali» o i movimenti ispirati al nazionalismo politico. D'altra parte, simmetricamente, questi movimenti nazionalisti possono, nella fase iniziale, avere poco o punto a che fare con queste forme di revival culturale. La Folklore Society (1878) e il revival della canzone popolare in Inghilterra non erano più nazionalisti della Gypsy Lore Society. La terza motivazione riguarda l'identificazione etnica più che politica. E va individuata nell'assenza, per buona parte del secolo, di teorie di rilievo, o pseudoteorie, che parlassero delle nazioni in termini di genetica. Ritorneremo più oltre su questo punto. La crescente importanza della « questione nazionale» nel corso del quarantennio precedente il 1914 non la si misura semplicemente sulla base della sua maggior ricorrenza nell'ambito dei vecchi imperi multinazionali quali quello asburgico o turco. Era diventata infatti un elemento importante della politica interna praticamente in tutti gli Stati europei. E anche nel Regno Unito non si riduceva più al solo problema irlandese, sebbene poi anche il nazionalismo irlandese,

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precisamente sotto questo nome, crescesse in portata e dimensioni il numero dei giornali che si presentavano come «nazionali» o « n a zionalisti» passò da 1 nel 1871, a 13 nel 1881, a 33 nel 1891 ' - , sino a diventare politicamente esplosivo nel panorama britannico. Tuttavia si è spesso trascurato che questo fu anche il periodo in cui si verificò il primo riconoscimento ufficiale degli interessi nazionali gallesi - il Welsh Sunday Closing Act del 1881 è stato definito « il primo Atto del Parlamento specificamente gallese»'; mentre per quanto riguarda la Scozia si ebbe la creazione di uno Scottish Office e, per il tramite della cosiddetta «Góschen Formula», l'assegnazione di una quota garantita della spesa pubblica del Regno Unito. Il nazionalismo interno poteva anche crescere, come in effetti si verificò in Italia, Francia e Germania, sotto' forma di movimenti di destra, a proposito dei quali fu in effetti coniato in quel periodo il termine « nazionalismo », oppure, in linea più generale, sotto forma di xenofobia politica che trovò nell'antisemitismo la. sua più deplorevole ma non certo ufflca espressione. Per altro, uno Stato cosi tendenzialmente tranquillo come la Svezia dovette subire, proprio in questo periodo, la secessione della Norvegia (1907), che nessuno si sarebbe neppure sognato di proporre prima degli anni 1890: evento che si può ritenere: almeno altrettanto significativo della, paralisi della politica asburgica in seguito alle agitazioni dei nazionalismi rivali. Inoltre, è ancora questo il periodo in cui assistiamo alla moltiplicazione .di movimenti nazionalisti in aree dov'erano rimasti sino ad allora sconosciuti, in seno a popoli che in precedenza avevano suscitato esclusivamente l'interesse degli studiosi di folclore, e anche, per la prima volta, a livello teorico-concettuale, nel mondo non occidentale. In che misura i nuovi movimenti antimperialisti si debbano considerare diversi dai movimenti nazionalisti è questione tutt'altro che acclarata, sebbene poi l'influenza esercitata sui loro esponenti di maggior spicco da parte dell'ideologia nazionalista occidentale sia innegabile, come per esempio nel caso dell'influenza irlandese sul nazionalismo indiano. Tuttavia, anche limitando la nostra indagine alla sola Europa e dintorni, possiamo constatare che un gran numero di movimenti attivi nel 1914 esistevano' in forma appena larvata, o addirittura non esistevano del tutto, ancora nel 1870: tra. gli Armeni, i

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Georgiani, i Lituani e altri popoli baltici; tra gli Ebrei, sia nella versione sionista che in quella non sionista; tra Macedoni e Albanesi nei Balcani; tra Ruteni e Croati nell'Impero asburgico - il nazionalismo croato non va infatti confuso col preesistente appoggio croato al nazionalismo iugoslavo o « illirico »; tra i Baschi e i Catalani; tra i Gallesi; nel Belgio, dove si sviluppò un movimento fiammingo estremamente radicale; ira una regione come la Sardegna, dove si verificarono degli inattesi sussulti di nazionalismo locale. Sempre in questo stesso periodo possiamo registrare le prime avvisaglie del nazionalismo arabo in seno all'Impero ottomano. i Come abbiamo già accennato, la maggior parte di questi movi'menti poneva ora l'accento sull'elemento linguistico e/o etnico che, (come non è difficile dimostrare, era anche nello stesso tempo, in moliti casi, un elemento di novità. Prima della fondazione della Gaelic " League (1893), che inizialmente non aveva intenti politici, la .lingua irlandese non era presa in considerazione dal movimento nazionale irlandese. Non se ne faceva menzione nemmeno in occasione deU'O'Connell's Repeal, sebbene il Liberatore fosse un abitante del Kerry di lingua gaelica, né nel programma feniano. Il primo serio tentativo di creare una lingua irlandese caratterizzata da. una. certa uniformità, traendola dal variegato complesso dei dialetti, non ebbe luogo prima del 1900. II nazionalismo finlandese riguardava la difesa dell'autonomia del Gran Ducato sotto gli zar, e i liberali finlandesi, che emersero dopo il 1848, dicevano di rappresentare un'unica nazione bilingue. Il nazionalismo finlandese non acquisi una base sostanzialmente linguistica, e tra l'altro piuttosto improvvisamente, prima degli anni 1860, quando un Rescritto imperiale incrementò l'uso del finlandese a spese dello svedese negli affari pubblici; tuttavia, sino agli anni 1880, la lotta, linguistica rimase ampiamente una lotta di classe interna tra Finlandesi, che appartenevano a l e classi inferiori, e rappresentati dai fennomen che preconizzavano un'unica, nazione in cui si parlasse finlandese, e una minoranza di Svedesi, appartenenti a l e classi superiori, rappresentati dagli Svecomen, che sostenevano che nel paese coesistevano due nazioni e pertanto dovevano esserci due lingue. Solo dopo il 1880, quando lo zarismo si adeguò a l a moda nazionalistica intensificando il processo di russificazione, la lotta per l'autonomia prese a coincidere con quella linguistica e culturale . 8

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Parimenti, il catalanismo, come movimento linguistico-culturale (conservatore), n o n i o si rintraccia prima degli anni 1850: solo nel 1859, infatti, fu ripristinata la festa delle J o c s Florals, analoga alla gallese Eisteddfodau. La lingua non fu standardizzata dall'alto prima del secolo xx*, mentre il regionalismo catalano rimase estraneo' alla questione linguistica sin verso la metà o la fine degli anni 1880 . Il nazionalismo basco, com'è stato sostenuto, si sviluppò lentamente con una trentina d'anni di ritardo rispetto al movimento catalano', sebbene, poi, la svolta sul piano ideologico dell'autonomismo basco;, che passò dalla difesa o richiesta di restaurazione degli antichi privilegi feudali all'assunzione di posizioni linguistico-razziai, sia invece avvenuta repentinamente: nel 1894, a meno di vent'anni di distanza dalla fine della seconda Guerra carlista, Sabino Arana fondò-il Partito nazionale basco (Pnv), inventando per l'occasione il nome basco del paese Euskadi - di cui non si era mai sentito parlare in precedenza . All'altra estremità dell'Europa, i movimenti nazionali dei popoli baltici uscirono' a poco a poco dalla prima fase - quella culturale - a partire dall'ultimo terzo del secolo; mentre nei remoti balcani, dove la questione macedone risollevò il capo insanguinato dopo il 1870, l'i- .• dea che le varie nazionalità che vivevano in questo territorio dovesse- ì ro distinguersi in base a l a lingua, veniva buon ultima rispetto alle nu- 1 merose altre che si agitavano in Serbia, Grecia, Bulgaria che, appunto, si contendevano questo territorio con la Sublime Porta". Gli abitanti della Macedonia li si differenziava in base alle diverse fedi religiose, oppure ai diversi diritti o rivendicazioni territoriali in relazione a un passato storico che andava dal medioevo all'antichità, oppure, ancora, sulla scorta di argomentazioni di tipo etnografico relative ai costumi e alle pratiche rituali comuni. Cosila Macedonia non diventò un campo di battaglia per i filologi slavi prima del secolo xx, quando i Greci, non potendo competere su questo terreno, cercarono di recuperare mettendo l'accento su un'etnia frutto d'immaginazione. Nello stesso tempo, repentinamente, nella seconda metà del secolo, il nazionalismo etnico fu enormemente rafforzato, in pratica, dalle sempre più massicce migrazioni di popolazioni e, sul piano teorico, dalla trasformazione di un concetto centrale della scienza sociale del secolo xix: quello di « r a z z a » . Da una parte, infatti, la 'divisione ormai m

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consolidata del genere umano in poche « r a z z e » differenziate in base al colore della p e i e veniva riformulata in una serie di differenze « razziali» che distinguevano tra gente che aveva all'in circa la stessa pelle chiara, come « A r i a n i » e « S e m i t i » , oppure, all'interno degli «Arian i » , tra Nordici, Alpini e Mediterranei. D'altra parte, l'evoluzionismo darwiniano, appoggiato da ciò che si sarebbe poi chiamato genetica, corredò il razzismo con quella che si presentava come una serie di robuste motivazioni «scientifiche» per tenere a, debita distanza e, come in effetti anche accadde, espellere o assassinare gli stranieri. Tutte cose che si verificarono relativamente tardi. L'antisemitismo acquisi un carattere «razziale», cioè non basato su motivazioni di tipo religioso o culturale, solo intorno al 1880, e i massimi profeti del razzismo tedesco e francese, Vacher de Lapouge, Houston Stewart Chamberlain, appartengono agli anni 1890; i « N o r d i c i » entrarono a far parte del vocabolario razzista, come del resto di qualsiasi altro, sol lo intorno al 1900 1

I I legami tra, razzismo e nazionalismo erano dati per scontati. • « R a z z a » e lingua venivano facilmente confuse e scambiate come « A r i a n i » e « Semiti», con grande indignazione di uno studioso serio come Max Muller, che ribadiva come la « r a z z a » , concetto di tipo genetico, non potesse comunque mai inferirsi dalla lingua, che non è un elemento di tipo ereditario. Inoltre, esiste un'evidente analogia tra insistenza, dei razzisti sull'importanza della purezza razziale, e relativo orrore della mescolanza, e insistenza da parte di molte (ma si sarebbe tentati di dire della maggioranza) varietà di nazionalismo linguistico sulla necessità di purificare la lingua nazionale dalle influenze straniere. Nel secolo xix gli Inglesi erano quasi unici a vantare le proprie origini miste - bretoni, anglosassoni, scandinave, normanne, scozzesi, irlandesi, ecc. - e a gloriarsi della miscela filologica di cui si componeva la loro lingua. Avvicinò ulteriormente « r a z z a » e «nazione» l'abitudine di utilizzarle pressoché come sinonimi, generalizzando in maniera indiscriminata il carattere « razziale » / « nazionale », com'era, appunto di moda. Sicché, prima dell'Enterite Cordiale del 1904 tra Inglesi e Francesi, com'è stato fatto osservare da un autore francese, un accordo tra i due paesi era stato ritenuto impossibile a causa della «inimicizia ereditaria» tra le due razze".. Insomma, nazionalismo linI guistico ed etnico si rafforzavano a, vicenda.

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Non è poi molto sorprendente che il nazionalismo conquistasse il. campo cosi rapidamente tra gli anni 1870 e il 1914. Ciò si verificò infatti in. funzione di cambiamenti sia, politici sia sociali, per tacere di una situazione internazionale che offriva un sacco di pretesti per manifesti ostili nei confronti degli stranieri. Sul piano sociale tre elementi preparano il terreno all'esercizio di nuove invenzioni in merito alla trasformazione di comunità, tanto «immaginarie» quanto reali, in nazionalità: la resistenza di gruppi tradizionali minacciati di scomparsa in seguito all'incipiente modernità; classi e strati sociali di tipo nuovo e non tradizionali in rapida crescita in seno a l e società in via di urbanizzazione dei paesi sviluppati; migrazioni di massa senza precedenti che dettero luogo a una molteplice diaspora un po' dappertutto nel mondo, dove tutti si sentivano stranieri nei confronti di tutti, cioè sia nei confronti degli autoctoni, sia degli altri gruppi di immigrati, e, inoltre, in assenza di convenzioni e abitudini di convivenza. La dimensione e la velocità del cambiamento realizzatosi in questo periodo basterebbero da sole a spiegare come mai in simili circostanze si moltiplicassero le occasioni di frizione tra i diversi gruppi, anche senza bisogno di prendere in considerazione gli scossoni della « G r a n d e Depressione» che in questi anni si ripercossero assai spesso sulla vita di chi era povero o si dibatteva in una situazione economica modesta e precaria. La. condizione che occorreva soddisfare affinché il nazionalismo facesse il suo ingresso nell'agone politico era che i gruppi di uomini e donne che, per qualsiasi motivo, si consideravano Ruritani, oppure erano visti come tali dagli altri, si disponessero ad accogliere l'argomento che il loro malcontento era in qualche misura causato da un cattivo trattamento, spesso peraltro innegabile, da parte di altre nazionalità, o da parte di uno Stato o una classe dominante non turitana, oppure che era peggiore rispetto a quello riservato ad altre nazionalità. In ogni caso, nel 1914, gli osservatori mostravano una certa sorpresa davanti a una popolazione europea che rimanesse del tutto fredda agli appelli fondati sulla nazionalità, sebbene poi ciò non implicasse, d'altra parte, una necessaria adesione a un programma di tipo nazionalistico. I cittadini degli Stati Uniti ivi immigrati non chiedevano al Governo federale alcuna concessione alla loro nazionalità né sul piano linguistico né su qualsiasi altro; tuttavia, come sapevano ; :

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perfettamente tutti gli esponenti del Partito democratico in ambiente cittadino, gli appelli agli Irlandesi in quanto Irlandesi, o ai Polacchi in quanto Polacchi, risultavano puntualmente paganti. Come abbiamo già visto, i maggiori mutamenti politici che trasformarono la potenziale ricettività all'appello nazionale nella grande udienza che adesso di fatto aveva fu la democratizzazione della vita politica in un numero sempre crescente di Stati e la creazione del moderno- Stato amministrativo in grado di mobilitare e insieme di influenzare i cittadini. Tuttavia, la nascita e la diffusione della politica di massa può' semmai aiutarci a riformulare la domanda in merito all'adesione popolare al nazionalismo, ma molto meno a risponderle. Perché ciò che interessa determinare è che cosa precisamente gli slogan nazionalisti significhino in termini politici, se significhino la stessa cosa per le diverse componenti della società, come cambiarono, in quali circostanze si combinarono o risultarono incompatibili con altri slogan suscettibili di mobilitare i cittadini, e come prevalsero o come non riuscirono a prevalere. L'identificazione di nazione e lingua aiuta a rispondere a tali domande, perché il nazionalismo linguistico richiede in sostanza il controllo dello Stato' o, se non altro, l'ottenimento di un riconoscimento ufficiale della lingua. Cosa che non è però ugualmente importante per tutti gli strati o gruppi appartenenti a un certo Stato o nazionalità, né per tutti gli Stati o nazionalità. In ogni caso, sono problemi di potere, di status, di carattere politico-ideologico, e non di lingua o cultura, quelli che costituiscono il nocciolo del nazionalismo della lingua. Se i problemi di comunicazione o di tipo culturale avessero costituito l'elemento cruciale, allora i nazionalisti ebrei (sionisti) non avrebbero optato come movimento per una lingua ebraica moderna non parlata da nessuno e, in più, secondo una pronuncia, diversa da quella in uso presso le sinagoghe europee. Forse non avrebbero escluso Io yiddish, parlato dal 95 per cento degli Ebrei ashkenaziti dell'Europa orientale e di quelli di loro che erano immigrati in Occidente; cioè la lingua parlata da una consistente maggioranza dell'intero mondo ebraico. Come è stato del resto osservato, nel 1935, stante l'ampia, varia ed elevata produzione letteraria rivolta ai dieci milioni di persone che lo parlavano, lo yiddish era «una d e l e principal lingue "letterarie"

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dell'epoca»". Né il movimento nazionalista irlandese si sarebbe lanciato, dopo il 1900, nell'impossibile campagna di riconversione dell'irlandese in una lingua oramai incomprensibile alla maggioranza degli Irlandesi, e imparaticela per quegli stessi che presero a insegnarla ai propri concittadini". Per contro, come mostra l'esempio dello yiddish, e conferma quella rtà dell'oro delle letterature dialettali che fu il secolo xix, l'esistenza di un idioma diffusamente parlato e anche scritto non genera necessariamente un nazionalismo basato sulla lingua. Simili lingue e • •letterature possono considerarsi ed essere considerate come supplementari più che in competizione con qualche lingua egemonica sul piano generale della cultura e della comunicazione. La componente di tipo politico-ideologico risulta evidente in quei' processi di costruzione di una lingua che consistono nella semplice «correzione» e standardizzazione di lingue di cultura o letterarie già esistenti, oppure nella elaborazione di tali lingue sulla base dei dialetti più o meno simili normalmente in uso, o possono addirittura risuscitare lingue morte o in via di estinzione arrivando in pratica alla vera e propria invenzione di una nuova lingua. Perché, contrariamente al mito nazionalista, la lingua di un popolo non è affatto la base della coscienza nazionale, bensì, secondo l'affermazione di Einar Haugen, è un «artificio culturale»' . Il modo in cui si è andata sviluppando la lingua popolare moderna degli Indiani lo mostra molto' chiaramente. La intenzionale sanscritizzazione del bengali letterario che emerse nel corso del secolo xix come lingua di cultura, non si limitò a creare una separazione tra classi elevate, alfabetizzate, e masse popolari, ma indirizzò anche l'alta cultura bengali, determinando cosi l'abbassamento del livello sociale delle masse musulmane del Bengala; in compenso si notò una certa desanscritizzazione della lingua parlata nel Bangladesh - Bengala orientale - a partire dalla separazione. Ancora più istruttivo fu il tentativo di Gandhi di sviluppare e mantenere un'unica lingua hindi basata sull'unità del movimento nazionale; ossia per impedire che indù e musulmano, varianti della comune lingua franca dell'India settentrionale, si ritraessero ciascuna nella propria parte, e anche nell'intento di costruire un'alternativa nazionale alla lingua inglese. Tuttavia, i sostenitori dell'hindi che si ispiravano a una 7

Capitolo quatto

visione ecumenica della faccenda incontrarono l'opposizione di un gruppo accanitamente prò indù e anti musulmano (perciò anti urdù) che, negli anni 1930, riusci a conquistare il controllo dell'organizzazione creata dal National Congress per diffondere la lingua, con la conseguenza che Gandhi, Nehru e altri esponenti di spicco del National Congress rassegnarono le dimissioni da questa organizzazione chiamata Hindi Sahitya Samuelan 0 H S S . Nel 1942 Gandhi ritornò al suo antico progetto di creare un « largo hindi ». Nel frattempo la H S S aveva creato un hindi standardizzato a propria immagine e somiglianza, istituendo dei centri dove si potevano sostenere gli esami per ottenere diversi gradi di diplomi in questa lingua, che era stata standardizzata con intenti di insegnamento, con tanto di Ufficio per la terminologia scientifica che portò all'ampliamento del suo lessico nel 1950, e a una Enciclopedia hindi che fu iniziata a partire dal 19-56'". In sostanza, le lingue diventano dei veri e propri esercizi di ingegneria sociale quanto più il loro significato simbolico prevale sull'uso effettivo, come testimoniato dai vari movimenti per indigenizzare o rendere più genuinamente «nazionale» il lessico; tentativi di cui la lotta dei governi francesi contro il franglais* costituisce il miglior esempio recente. Le passioni che si celano dietro questi tentativi sono facilmente comprensibili, ma non hanno- nulla a che fare col parlare, lo scrivere o il comprendere una lingua, né con un qualche spirito letterario. Il danese influenzato dal norvegese resta ancor sempre il miglior strumento della letteratura norvegese. La reazione ad esso contraria che si ebbe nel secolo x i x era di tipo nazionalistico. Come già risulta chiaramente -dal tono, l'affermazione del padiglione tedesco di Praga che, negli anni 1890, sosteneva che imparare il ceco, ossia la lingua parlata dal 9 3 % della popolazione d e l a città, era un tradimenio non era precisamente una presa d'atto della realtà nel campo della comunicazione. I fanatici della lingua gallese che vanno ancor oggi inventandosi dei toponomi gallesi per luoghi che non ne hanno mai avuti di simili, sanno abbastanza bene che chi parla gallese ha esattamente lo stesso bisogno -di «gallesizzare» il nome di Birmingham che quello di Bamako o qualsiasi altra città straniera. In ogni caso, quale che sia il motivo della costruzione pianificata di una lingua e della sua {Cfr. nota p. 65].

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manipolazione, e quale che sia il grado di trasformazione cui s'intende sottoporla, resta che il potere statale è essenziale per questo genere di operazioni. Senza potere statale, come avrebbe potuto il nazionalismo rumeno sottolineare, nel 1863, le proprie origini latine, in contrapposizione ai confinanti Magiari e Slavi, scrivendo e stampando in lettere romane invece che in cirillico normalmente usato sino ad allora? Il conte Sedlnitzky, capo della polizia asburgica sotto Mettermeli, tentò un'analoga operazione pofitico-linguistica elargendo dei contributi per la pubblicazione di un'opera religiosa ortodossa in lettere romane in contrapposizione al cirillico al fine di scoraggiare le tendenze panslaviste presso gli Slavi dell'Impero asburgico . Senza l'aiuto concreto delle autorità disposte a introdurli nel campo dell'educazione e deU'amministrazione pubblica, come avrebbero potuto idiomi limitati all'uso domestico o alle campagne venir trasformati in lingue capaci di competere con altre nettamente prevalenti a livello nazionale o in campo culturale, per non parlare di quelle lingue che si affermarono pur essendo in pratica inesistenti? Quale futuro avrebbe potuto avere l'ebraico se il. Mandato britannico del 1919 non lo avesse contemplato come una delle tre lingue ufficiali della Palestina, in un'epoca in CTÌ la gente che utilizzava quotidianamente questa lingua non raggiungeva le 20 000 unità? E quale posto se non di terzo o quart ordine, nell'ambito dell'istruzione, avrebbe potuto garantire al finlandese il fatto che una radiografia, che fissasse la stratificazione linguistica della. Finlandia della fine del secolo xix, avrebbe rilevato che « l a proporzione degli intellettuali che parlavano svedese era assai maggiore di quella della gente comune che parlava questa lingua»; cioè che i Finlandesi istruiti continuavano a ritenere lo svedese uno strumento' migliore della loro madrelingua? . 20

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Sebbene la lingua, avesse più che altro valore 'di simbolo nell'ambito delle aspirazioni nazionali, resta pur sempre vero che le lingue si prestano a un numero considerevole di usi pratici e sociali tra loro differenziati, sicché si ha una differenza di atteggiamenti nei confronti d e l a (delle) lingua scelta a fini amministrativi, di pubblica istruzione o 'di altro tipo. E ricordiamo' ancora una volta, in proposito, che l'oggetto della controversia è la lingua scritta, o la lingua parlata nel-

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Capitolo quarto

l'ambito àeW ufficialità. La lingua (lingue) parlata nella sfera della comunicazione privata non solleva problemi particolari anche se coesiste (coesistono) con una lingua ufficiale, perché ciascuna ha una sua precisa collocazione, come del resto ben sanno i bambini che debbono passare dal linguaggio parlato coi genitori a una lingua che consenta loro di parlare con gli insegnanti e gli amici. Inoltre, sebbene la straordinaria mobilità sociale e territoriale di questo periodo costringesse, o comunque spingesse, un numero assolutamente senza precedenti di uomini - e anche di donne, nonostante la segregazione nella sfera del privato - ad apprendere nuove lingue, tale fenomeno, di per se stesso, non pose necessariamente dei problemi di tipo ideologico, salvo che non ci fosse un preciso intento di respingere una lingua per sostituirla con un'altra: generalmente, ma sarebbe meglio dire pressoché in tutti i casi, al fine di accedere a una cultura o a una classe sociale più elevate identificate con quest'altra lingua. Casi del genere sembrano essersi verificati spesso nell'ambito della classe media degli Ebrei ashkenaziti dell'Europa centrale e occidentale, che quasi andavano orgogliosi di non parlare e nemmeno comprendere lo- yiddish, e rientrano, probabilmente, nella storia di famiglia di numerosi nazionalisti tedeschi particolarmente appassionati e di altrettanti nazionalsocialisti dell'Europa centrale i cui cognomi tradiscono un'evidente origine slava. In genere, però, vecchia e nuova lingua vivevano in simbiosi avendo ciascuna una sua propria sfera. La classe media istruita veneziana che sapeva parlare italiano non aveva perciò smesso di parlar veneziano nell'ambito delle pareti domestiche o sulla piazza del mercato; analogamente, il bilinguismo non suscitava in Lloyd George l'idea 'di tradimento del gallese natio. Insomma, la lingua che si parlava normalmente non costituiva un qualche problema politico di rilievo né presso gli strati 'elevati della società, né presso la massa del popolo lavoratore. Gli appartenenti alle classi più elevate parlavano una lingua di cultura diffusa, e se la lingua d e l a loro nazionalità o quela familiare non coincidevano con una di queste lingue di cultura, gli esponenti maschili di tali classi - a partire all'incirca d a g l anni 1900 anche quel! femminili - imparavano una o due di queste lingue a seconda d e l e necessità. Costoro parlavano la lingua nazionale standard in modo «istruito», magari con

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inflessione regionale o un pizzico di lessico locale, ma in generale in un modo che consentiva di riconoscerli come appartenenti a quel ben determinato strato sociale . Il fatto che fossero in grado o meno di parlare i vari dialetti o lingue popolari degli strati inferiori coi quali avevano occasione di entrare in contatto, dipendeva dalle origini familiari, dal luogo di residenza, dal tipo di formazione, dalle convenzioni vigenti nella loro classe di appartenenza e, naturalmente, dal tipo di esigenze di comunicazione nei confronti di questi strati inferiori, che potevano richiedere la conoscenza della lingua (lingue) parlata da costoro oppure di una specie di lingua mista creata ad hoc come per esempio il creolo o 'àpidgin. Lo status ufficiale di tutte queste lingue non era rilevante, in quanto, quale che fosse la lingua usata nell'ufficialità o quella di cultura, costoro erano in grado di padroneggiarla. Per quanto riguardava gli analfabeti delle classi popolari, il mondo della parola era esclusivamente orale, sicché la lingua dell'ufficialità, come del resto qualsiasi altra lingua scritta, non aveva molta importanza, salvo nel ricordar loro sempre più frequentemente quanto fossero destituiti di cultura e di potere. La richiesta dei nazionalisti albanesi di scrivere la loro lingua in caratteri latini, cioè né in arabo né in greco, cosa che avrebbe costituito un segno di inferiorità sia nei confronti dei Greci sia dei Turchi, non era ovviamente molto rilevante per la gente del popolo che non sapeva né leggere né scrivere. In seguito all' intensificazione dei rapporti tra gente di diversa provenienza, e alle accresciute esigenze di comunicazione delle campagne, il problema di trovare una lingua comune che consentisse la comunicazione si fece serio - meno urgente per le donne confinate in ambienti ristretti, e quasi inesistente per quelle che lavoravano nei campi o accudivano al bestiame —. e il modo più facile per risolverlo era quello di imparare sufficientemente la (o una) lingua nazionale in modo da potersi arrangiare. Tanto più quando le due grandi istituzioni dell'istruzione di massa, ossia la scuola elementare e l'esercito, fecero si che una qualche nozione della lingua ufficiale entrasse in ogni casa". Non c'è quindi da stupirsi se l'uso di lingue puramente locali o socialmente ristrette perse terreno rispetto alle lingue di vasto impiego. D'altra parte non vi sono prove di sorta che questo genere di cambiamenti e 2

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di adattamenti sul piano della lingua incontrasse qualche forma di resistenza dal basso. Come succede normalmente tra due lingue, quella usata più ampiamente presenta degli evidenti vantaggi, e nessun apparente svantaggio, se non vi sono intenti di impedire l'uso della madrelingua a chi parla una sola lingua. Resta però il fatto che i Bretoni che conoscevano solo il bretone si trovavano in difficoltà al di fuori della propria regione originaria o alle prese con lavori e mestieri diversi da quelli per loro tradizionali. In questo caso, l'uomo o la donna si trovavano in una situazione non molto diversa da quella di un animale incapace di articolar verbo: -diventavano un muto fascio muscolare. Dal punto di vista dei diseredati in cerca di lavoro e di migliorare le proprie condizioni economiche in una società di tipo moderno, non c'era niente di male se il contadino trasformato in Francese, Polacco o Italiano di Chicago cercava di imparare l'inglese e desiderava diventare cittadino americano. Se i vantaggi di conoscere una lingua non strettamente locale erano evidenti, ancor più evidenti e innegabili risultavano quelli derivanti dal saper leggere e scrivere in una lingua di ampia circolazione e, soprattutto, di una lingua a dimensione mondiale. Richieste e rivendicazioni del genere di quelle che vengono avanzate in America latina per un insegnamento in qualche lingua vernacolare india priva di scrittura, non sono appunto avanzate dagli Indi, bensì dalla intelligencija inàigenista. Parlare e conoscere una sola lingua vuol dire essere impedito, a meno che la lingua locale che si conosce non sia anche de facto una lingua a dimensione mondiale. In Belgio, i vantaggi provenienti dalla conoscenza del francese erano tali, tra il 1846 e il 1910, che un numero molto maggiore di individui di madrelingua fiamminga diventò bilingue rispetto a quello dei cittadini di madrelingua francese che si presero la briga di imparare il fiammingo *. Il declino delle lingue locali o a circolazione ristretta che esistevano ai margini delle •lingue maggiori non richiede necessariamente, per essere spiegato, l'ipotesi di un'oppressione della lingua di una nazionalità. Per contro, dei tentativi meritori e sistematici per mantenere in vita queste lingue, spesso condotti con grandi mezzi finanziari, non hanno sortito altro effetto -che quello di rallentare il regresso del sorabo parlato dai Vendi o Sorabi di Lusazia, del retoromanzo (romancio/ladino), del gaeli2

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co parlato nelle Ebridi e sulle highlands scozzesi. Nonostante le frecciate velenose lanciate da certi intellettuali sostenitori della lingua vernacolare contro certi insegnanti poveri di spirito che gliene avevano vietato l'uso a scuola, ammettendo solo l'inglese o il francese, non ci sono prove che i genitori degli allievi di queste classi preferissero a furor di popolo un insegnamento impartito unicamente nel proprio vernacolo. Ovviamente, il dover sottostare all'obbligo di ricevere un'istruzione esclusivamente in una lingua diversa dalla propria e di limitata circolazione - per esempio in rumeno invece che in bulgaro deve aver incontrato una resistenza assai maggiore. Per questi motivi il nazionalismo linguistico non suscitò particolari entusiasmi né presso l'aristocrazia o la grande borghesia da una parte, né presso operai e contadini dall'altra. La grande bourgeoisie non si senti in quanto tale particolarmente coinvolta da nessuna delle due varianti del nazionalismo che vennero alla luce intorno alla fine del secolo xix, cioè lo sciovinismo imperialista e il nazionalismo populistico, e lo fu ancor meno dallo zelo linguistico perla lingua parlata da una nazionalità ristretta. La borghesia fiamminga di Gand e di Anversa era, e probabilmente ancor oggi rimane, fieramente francofona e anti Flamingant. Gli imprenditori polacchi, che per la maggior parte si consideravano Tedeschi o Ebrei più che Polacchi", chiaramente ritenevano più conforme ai propri interessi economici rifornire un mercato panrusso o comunque sovranazionale, e lo ritenevano con tale convinzione da trarre in inganno Rosa Luxemburg sulla reale forza del nazionalismo polacco. Gli uomini d'affari scozzesi,' per quanto orgogliosi della loro « scozzesità », avrebbero considerato qualsiasi proposta dì abrogazione dell'Unione del 1707 come un'idio-j' zia sentimentaloide. -, Come abbiamo visto, le classi lavoratrici non erano proprio nella posizione di infiammarsi per la lingua in quanto tale: la lingua, semmai, poteva servire come un simbolo di altri tipi di frizioni tra i gruppi. La maggior parte degli operai di Gand e Anversa abbisognavano di una traduzione per poter comunicare coi loro compagni di Liegi o Charleroi, cosa che però non impedi che tutti insieme formassero un unico movimento dei lavoratori, in seno al quale la lingua suscitò cosi pochi problemi che un'importante opera sul socialismo belga scritta 1

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nel 1903 non fa in pratica riferimento alla questione fiamminga: cosa che oggi sarebbe inconcepibile*. Nel Galles meridionale, si ebbe una confluenza degli interessi progressisti della borghesia e della classe operaia in opposizione ai tentativi del liberalismo' nazionalistico del Galles settentrionale, guidati dal giovane Lloyd George, di identificare la «gallesità» con la gallesità linguistica e il Partito liberale con la difesa della stessa. Negli anni 1890 riportarono la vittoria in questa impresa. Le classi che sostennero, essendone direttamente coinvolte, l'uso ufficiale di una determinata lingua vernacolare scritta, appartenevano agli strati intermedi di modesta posizione sociale ma dotati di un certo qua! grado di istruzione, di cui facevano tra l'altro parte quelli che erano riusciti ad acquisire lo status di bassa classe media proprio grazie al fatto di svolgere dei lavori non manuali che richiedevano un certo grado di scolarizzazione. I socialisti dell'epoca, che raramente impiegavano' il termine «nazionalismo» senza accompagnarlo dalla qualifica di « piccolo borghese», sapevano molto bene di chi parlavano. Le trincee di prima linea del nazionalismo linguistico erano saldamente occupate da giornalisti di provincia, maestri di scuola elementare e aspiranti a impieghi subalterni nella pubblica amministrazione. Le battaglie che caratterizzavano' il panorama politico asburgico, quando l'antagonismo delle nazionalità rese metà dell'Impero austriaco praticamente ingovernabile, venivano combattute intorno all'uso della lingua negli istituti di istruzione secondaria o alla nazionalità dei capistazione. In questo modo gli attivisti ultranazionalisti e pangermanisti dell'impero di Guglielmo II potevano reclutare a piene mani presso le persone con un elevato grado di istruzione, ma più nell'ambito degli Oberiehrer che in quello dei professori, e presso chi aveva ricevuto un'istruzione media nell'ambito di una società in espansione caratterizzata da una certa mobilità sociale. Non intendo ridurre il nazionalismo linguistico a una questione di posti di lavoro, un po' come i materialisti volgari progressisti avevano l'abitudine di ridurre le guerre a una questione di profitti d e i e industrie di armamenti. Tuttavia mi sembra che non lo si possa capire pienamente, e ancor meno si possa capire l'opposizione ad esso, se non si considera la lingua come un investimento, tra gli altri, delle classi in-

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feriori in funzione della loro promozione sociale. Inoltre, quanto' più si conferisce veste ufficiale a una determinata lingua vernacolare, specialmente promuovendola a lingua dell'insegnamento, tanto più si moltiplica il numero delle donne e degli uomini che possono partecipare agli utili di tale investimento'. La creazione di province su base essenzialmente .linguistica nell'India che aveva raggiunto' l'indipendenza, e la resistenza all'imposizione di una lingua vernacolare, nella fattispecie l'hindi, in quanto lingua nazionale, riflettevano entrambe questo tipo di situazione: all'interno della provincia Tamil, il saper leggere e scrivere in lingua tamil offriva, ampie possibilità di carriera nella pubblica amministrazione, mentre il mantenimento dell'inglese non poneva in una posizione di svantaggio, sul piano nazionale, chi aveva ricevuto un'istruzione in tamil rispetto a chi aveva ricevuto un'istruzione in qualsiasi altra lingua vernacolare. Perciò il momento' cruciale della, trasformazione di una lingua in possibile iiwestimento vantaggioso' non è dato dalla sua introduzione quale lingua dell'istruzione elementare, sebbene cosi si crei automaticamente un vasto corpo docente, a livello elementare, di insegnanti di lingua in generale; bensì dalla sua. introduzione quale lingua dell'istruzione secondaria, come appunto si verificò nelle Fiandre e in Finlandia negli anni 1880. Perché in questo modo, come ben compresero i nazionalisti fin- j ìandesi, la mobilità sociale veniva strettamente connessa alla lingua i vernacolare e, di conseguenza, alla nazionalità linguistica. « A d Anversa e a Gand si verificò su vasta scala, che una nuova generazione molto pragmatica che aveva ricevuto un'istruzione secondaria in scuole private in lingua fiamminga (...) facesse registrare nelle sue file un gran numero di individui e gruppi che elaborarono e sostennero' la nuova ideologia, F!ammgant» . ;

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Creando degli strati intermedi in qualche modo legati a una lingua vernacolare, l'evoluzione linguistica venne ad accentuare l'inferiorità, la precarietà e il risentimento che già caratterizzavano i bassi strati intermedi, rendendo tra l'altro particolarmente interessante ai loro occhi il nuovo nazionalismo. Infatti, in questo modo, la nuova classe istruita in fiammingo si trovò come sospesa nel vuoto tra le masse fiamminghe, da una parte, i cui elementi più dinamici erano attratti dal francese dati i vantaggi pratici, offerti dalla conoscenza di questa

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lingua, e i livelli superiori dell'amministrazione pubblica, della cultura e degli affari, dall'altra, che continuavano a essere irremovibilmente francofoni . Il dato molto concreto che, per accedere al medesimo impiego, un Fiammingo doveva essere effettivamente bilingue mentre chi era di madrelingua francese abbisognava semplicemente di una conoscenza molto approssimativa dell'altra lingua, indicava chiaramente l'inferiorità della lingua di minoranza, come si verificherà in seguito in Quebec. (Perché gli impieghi per i quali occorreva un. bilinguismo reale, per cui chi parlava anche la lingua di minoranza si trovava in qualche modo in una posizione di vantaggio, erano però normalmente impieghi di tipo subalterno). Ci si sarebbe aspettato che i Fiamminghi, come del resto gli abitanti del Quebec, avendo la demografia, dalla loro, guardassero al futuro con una certa fiducia. Dopo tutto, sotto questo punto di vista, erano in una posizione assai più favorevole rispetto a chi parlava idiomi rurali antichi e in declino come irlandese, bretone, basco, frisone, retoromanzo e persino gallese, che, abbandonati a se stessi, non costituivano dei veri competitori nella lotta darwiniana per l'esistenza tra le lingue. Fiammingo e franco-canadese non si potevano ritenere in nessun senso lingue minacciate di scomparsa, ma chi le parlava non poteva costituire una élite sociolinguistica; mentre, inversamente, chi parlava la lingua dominante non riconosceva come élite quelli, che, pur istruiti, parlavano una lingua vernacolare. Ad esser minacciata, insomma, non era tanto la lingua bensì lo status e la posizione sociale dei Flamingani e degli abitanti del Quebec che appartenevano agli strati intermedi. E solo una qualche protezione politica poteva elevare il loro status. In sostanza, la situazione era piuttosto analoga quando la questione detta lingua si configurava come difesa di un idioma in declino che, spesso, come nel caso del basco e del gallese, era sulla soglia dell'estinzione nei nuovi centri industriali urbani del. paese. Non c'è dubbio che la difesa dell'antica lingua significava anche difesa di antichi modi e tradizioni di un'intera società dalla sovversione della modernità: donde l'appoggio del clero cattolico romano a Bretoni, Fiamminghi e Baschi. Sotto questo particolare aspetto, infatti, non si trattava -di puri e semplici movimenti da classe media. Tuttavia, il nazio25

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nalismo linguistico basco non Io si poteva considerare alla stregua di un movimento tradizionalista delle campagne, dove appunto la gente continuava a parlare quella lingua che Pispanofono fondatore del Partito nazionale basco (Pnv), al pari di molti militanti per la lingua basca, avrebbero dovuto apprendere da adulti. I contadini baschi mostravano in effetti scarso interesse per il nuovo nazionalismo. Che, infatti, aveva le sue vere radici « negli ambienti conservatori cattolici e piccolo-borghesi» delle aree urbane e costiere , che volevano arginare i pericoli e le minacce dell'industrializzazione e il socialismo ateo degli immigrati proletari che questa si era portati appresso, e anche in parte contrapporsi a l a borghesia basca i cui interessi la legavano a filo doppio alla monarchia spagnola. A differenza dell'autonomismo catalano, il Pnv riceveva scarso sostegno da parte della borghesia. E i richiami all'unicità linguistica e razziale, sulla quale il nazionalismo basco si basava, costituiscono un ritornello molto familiare a chi conosca l'estrema destra piccolo-borghese: i Baschi erano superiori agli altri popoli grazie alla loro purezza razziale, come dimostra l'unicità della loro lingua, segno, appunto, del rifiuto 'di mescolarsi con altri popoli, e in primo luogo con Arabi ed Ebrei. Perlopiù le stesse cose si possono' dire dei movimenti ispirati a un nazionalismo croato di tipo esclusivo che vennero alla luce per la prima volta, a livello di piccoli gruppi, negli anni 1860 - « c o l sostegno della, piccola borghesia e, in primo luogo, di piccoli commercianti e bottegai» - e si diffusero nuovamente, presso gli stessi strati inferiori di classe media in situazione di ristrettezza economica, durante la Grande Depressione della fine del secolo xix. Esso «rispecchiava l'opposizione della piccola borghesia al'iMirianismo in quanto ideologia della ricca borghesia». In questo caso, poiché non erano disponibili né una lingua né una razza a far .da contrassegno al popolo eletto in opposizione al resto, una missione storica della nazione croata a difesa della cristianità contro l'invasione da Oriente servi bene a provvedere del dovuto senso di superiorità interi strati sodali in preda all'incertezza e all'insicurezza . 29

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Gli stessi strati sociali costituirono il nocciolo di quella sottospecie di nazionalismo rappresentata dai movimenti politici antisemiti che fanno la loro comparsa negli ultimi due decenni del secolo, in

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particolare in Germania (Stòcker), Austria (Schònerer, Lueger), Francia (Drumont, affare Dreyfus). Incertezza relativa al proprio status e alla propria collocazione; insicurezza propria di ampi strati situati tra quelli che costituiscono gli inequivocabili figli del lavoro manuale e quelli che appartengono, altrettanto inequivocabilmente, alle classi alte e agli strati superiori della classe media; compensazione realizzata tramite le rivendicazioni di unicità e superiorità minacciate da qualcuno in particolare o dagli altri in generale: su queste basi si istituisce il legame tra gli strati intermedi più modesti e il nazionalismo militante, che può in qualche modo definirsi come una risposta a questo genere di minacce, recate dagli operai, dagli Stati o da individui stranieri, dagli immigrati, da capitalisti e uomini della finanza cosi disinvoltamente identificati con gli Ebrei, che erano anche visti, su un altro versante, come agitatori rivoluzionari. Perciò questi strati intermedi si sentivano come in prima linea ed esposti a ogni genere di pericoli. La parola chiave del vocabolario politico della destra francese negli anni 1880 non era né la «famiglia», né l'«ordine», né la «tradizione», né la «religione», né la «moralità»: era, come sostengono i suoi studiosi, la «minaccia»' . Nell'ambito degli strati intermedi di livello più basso-, il nazionalismo si trasformò pertanto da concetto associato al liberalismo e a i a sinistra, in movimento di destra sciovinista, imperialista e xenofobo, o più precisamente di estrema destra: spostamento già verificabile nell'uso ambiguo di termini quali « patria » e « patriottismo » intorno al 1870 in Francia . Lo stesso termine «nazionalismo» fu coniato in relazione all'emergere di questa tendenza, in particolare in, Francia e poco più tardi in Italia, dove la lingua romanza si prestò a questa operazione . A l a fine del secolo sembrava trattarsi quasi di una novità. Tuttavia, anche dove si registrava una certa continuità, come nel caso d e l a Turner. l'organizzazione ginnica di massa del nazionalismo tedesco, la conversione a destra degli anni 1890 può essere rilevata sulla scorta d e l a diffusione dell'antisemitismo dal'Austria a l e sezioni tedesche; d e l a sostituzione col tricolore imperiale, nero, bianco- e rosso, del tricolore Hberal-nazionale del 1848, nero, rosso e oro; del nuovo entusiasmo per l'espansionismo imperiale ". È ancora oggetto di discussione sino a che punto, in direzione dell'alto, si possa colocare 1

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nell'ambito della scala sociale della classe media il centro di gravità di. tali movimenti, cioè «questa ribellione di gruppi di piccola e media borghesia urbana contro ciò che essi percepivano come un proletariato in ascesa e ostile» ; cosa che tra l'altro portò al coinvolgimento dell'Italia nella prima Guerra Mondiale. Tuttavia gli studi sulla composizione sociale dei fascismi italiano e tedesco non lasciano dubbi che questi movimenti traessero la propria forza dagli strati intermedi *. Inoltre, benché negli Stati-nazione consolidati e nelle grandi potenze lo zelo patriottico di tali strati intermedi trovasse buona accoglienza presso governi impegnati nell'espansione imperiale e in rivalità nazionali con altri Stati dello stesso genere, abbiamo' però potuto constatare che tali sentimenti avevano una loro origine autonoma e, pertanto, non erano completamente manipolabili dall'alto. Anche alla vigilia del 1914, pochi governi erano altrettanto sciovinisti dei nazionalisti ultra che facevano pressione su di loro. Ciò nondimeno, anche se i governi non erano in grado di esercitare un completo' controllo sul nazionalismo', e se d'altra parte quest'ultimo non era in grado di controllare i governi, l'identificazione con lo Stato era essenziale per il nazionalismo piccolo borghese e gli strati inferiori della classe media. E se per il momento non disponevano di uno Stato, l'indipendenza nazionale gli avrebbe fornito quella piattaforma di cui avvertivano la necessità. Predicare il ritorno dell'Irlanda .alla sua antica lingua non sarebbe più stato uno slogan rivolto a uomini e donne che studiavano i rudimenti del gaelico nelle scuole serali di Dublino per prontamente insegnare ad altri militanti ciò che avevano appena imparato. Ma, come dimostra la storia dell'Irish Free State, ciò si sarebbe trasformato in una specie di qualificazione per accedere a tutti e non solo ai più subalterni impieghi della pubblica amministrazione, sicché superare gli esami di irlandese sarebbe diventato un parametro di appartenenza alle classi professionali e intellettuali. Se invece questi strati sociali già vivevano in Stati-nazione, il nazionalismo conferiva loro quella identità sociale che i proletari potevano trarre dal loro movimento di classe. Si potrebbe sostenere che l'autodefinizione delle classi medie inferiori - sia per quella parte composta da artigiani e da bottegai privi di difese, sia per quegli strati sociali che 35

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costituivano una novità al pari degli operai, data l'espansione senza, precedenti di colletti bianchi con elevato grado di istruzione e di occupazioni di tipo professionale — non avveniva tanto sulla base della classe, ma come insieme dei più zelanti e fedeli, cosi come dei più «rispettabili» figli della patria. Quale che fosse la qualità del nazionalismo alla ribalta nei cinquantanni precedenti il 1914, resta il fatto- che tutte le sue versioni sembrano avere un elemento in comune: l'ostilità nei confronti dei movimenti proletari socialisti, e non solo perché si trattava di proletari,, ma anche perché questi si pro-clamavano, in maniera tanto- -esplicita quanto combattiva, internazionalisti 0, comunque, non nazionalisti '". Nulla sembrerebbe più logico, pertanto, che considerare gli, appelli del nazionalismo e del socialismo come reciprocamente esclusivi, e l'avanzata -dell'uno- quale smammo- dell'arretramento- dell'altro. E, in proposito, l'opinione canonica degli storici è appunto che, in questo periodo, il nazionalismo di massa trionfò sulle ideologie rivali, in particolare sul socialismo di classe, come dimostra la dichiarazione di guerra del 1914, rivelatrice della reale inconsistenza dell'internazionalismo socialista, e come altresì dimostra l'incontrastato trionfo del «principio di nazionalità» nei trattati di pace seguiti alla fine di questa stessa guerra. Invece, contrariamente a quanto perlopiù si crede, i vari elementi di principio- cui ci si appellava per mobilitare politicamente le masse, ossia, in particolare, la classe nel caso dei socialisti, la religione nel caso delle diverse confessioni, la nazionalità nel caso dei nazionalisti, non erano di tipo reciprocamente esclusivo. E anzi non esisteva nemmeno una netta linea di demarcazione tra l'uno e l'altro, nemmeno nel caso in cui le due parti sottolineassero, per cosi dire, un'incompatibilità ex officio,, come nel caso- della religione e del socialismo ateo. Uomini e donne non sceglievano un tipo di identificazione collettiva allo stesso modo- di un, paio di scarpe, cioè con la consapevolezza che se ne può calzare un solo paio per volta. Ma conservavano, e continuano a conservare, diverse adesioni e fedeltà n e l o stesso tempo, ivi compresa quella alla nazionalità, e sono interessati contemporaneamente ai molteplici aspetti della vita, ciascuno dei quali può, in determinati momenti, prendere il sopravvento nei loro pensieri, a seconda 5

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delle occasioni. È possibilissimo' che per un certo tempo, anche piuttosto lungo, queste adesioni non risultino tra loro incompatibili, sicché un individuo può' non avere alcun genere di problemi pur' essendo figlio 'di un irlandese, marito di una tedesca, appartenente a una comunità mineraria, operaio, tifoso di una squadra di calcio, progressista, metodista, patriota inglese, probabilmente repubblicano, sostenitore dell'Impero britannico. Solo quando queste diverse adesioni o fedeltà entrano in diretto conflitto sorge il problema della scelta alternativa tra loro. La minoranza rappresentata dai militanti politici a tempo pieno, invece, sarà naturalmente molto più sensibile a questo genere di incompatibilità, sicché si può tranquillamente affermare che l'agosto 1914 fu un'esperienza assai meno traumatica per la maggior parte dei lavoratori inglesi, francesi e tedeschi che non per i leader dei loro partiti socialisti, semplicemente perché, per i motivi già esaminati in precedenza (cfr. cap. ni, pp. 103-5), sostenere il proprio governo in guerra sembrò, al comune lavoratore, abbastanza compatibile conia coscienza di classe e l'ostilità nei confronti dei padroni. I minatori del Galles meridionale, che lasciarono di stucco i propri leader sindacalisti e internazionalisti precipitandosi al richiamo della bandiera, meno di un anno prima, con la stessa disinvoltura, avevano paralizzato la produzione mineraria in seguito a uno sciopero, rimanendo perfettamente sordi all'accusa di antipatriottismo lanciata contro di loro. Del resto, anche i militanti sono talvolta in grado di combinare felicemente cose che i teorici ritengono affatto incompatibili: per esempio, il nazionalismo francese con la totale fedeltà all'Unione Sovietica, come dimostrato dai militanti del Partito comunista francese. A guardar bene, proprio il fatto che i nuovi movimenti politici di massa, nazionalisti, socialisti, confessionali o altro, si trovassero spesso in competizione per la conquista delle stesse masse, fa pensare che i loro potenziali sostenitori fossero in qualche modo disponibili a ri-,, spondere a tutti questi tipi di appelli. L'alleanza tra nazionalismo e religione è fin troppo scontata, soprattutto in paesi come l'Irlanda o la. Polonia. Ma chi viene per primo? E qui la risposta è tutt'altro che > scontata. Molto più sorprendente e trascurata è la vasta coincidenza che si può realizzare tra gli appelli al malcontento sociale e a quello '

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nazionale, che Lenin, col suo abituale intuito politico, avrebbe posto come un fondamento della politica comunista rispetto al mondo coloniale. I ben noti dibattiti internazionali in campo marxista sulla «questione nazionale», non riguardano semplicemente il richiamo esercitato dagli slogan nazionalisti sulla classe operaia che avrebbe dovuto mostrarsi sensibile unicamente all'internazionalismo e alla classe; vertevano, invece, e forse anche in maniera più immediata, sufi'atteggiamento da adottare nei confronti dei partiti della classe operaia che avanzavano nello stesso tempo delle richieste di tipo socialista e nazionalista' . In più, sebbene fosse una questione che allora non ebbe molta parte nei dibattiti, risulta oggi piuttosto evidente che 8

; | furono, almeno nuzialmente, i partiti socialisti a essere o a diventare il \ principale veicolo dei movimentinmiowaìtdei loro popoli; proprio come ci furono dei partiti contadini decisamente orientati in senso sociale, per esempio in. Croazia, che acquisirono come naturalmente una dimensione nazionalista. In breve: quell'unità di socialismo e di liberazione nazionale che Connolly sognava per l'Irlanda, e che non riusci a condurre a buon fine, si stava effettivamente realizzando in qualche altro posto. Ma non basta. La combinazione di rivendicazioni sociali e nazionali in un tutt'unico si mostrò assai più efficace, ai fini di mobilitare per l'indipendenza, che non l'appello puramente nazionalistico, che si limitava a. raccogliere il malcontento degli strati inferiori della classe media, e, pertanto, solo per questi strati poteva fungere da sostituto, o apparire come tale, di un programma sia politico sia sociale. La Polonia costituisce un esempio significativo in proposito. La restaurazione dell'integrità del paese, dopo un secolo- e mezzo di spartizione, non la si. realizzò all'insegna di nessun movimento politico a ciò esclusivamente votato, bensì sotto la bandiera del Partito socialista polacco, il cui leader, il maresciallo Piìsudski, diventò il « L i beratore» del proprio paese. In Finlandia, fu il Partito socialista a diventare de facto il partito nazionale dei Finlandesi, raggiungendo' il 4 7 % dei voti nelle ultime elezioni libere prima della Rivoluzione bolscevica del 1917. In Georgia, la stessa funzione fu svolta da un altro partito' socialista: quello dei menscevichi; mentre in Armenia lo fu. dalla Federazione rivoluzionaria nota come Bashnyakis, aderente all'Internazionale socialista '. 1

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Presso gli Ebrei dell'Europa orientale l'ideologia socialista era predominante in seno alle organizzazioni nazionali, sia quelle non sioniste (bundiste) sia quelle sioniste. Né questo fenomeno era .limitato all'Impero zarista, dove pressoché qualsiasi organizzazione e ideologia che mirasse al cambiamento doveva proporsi in primo luogo come rappresentante della rivoluzione politica e sociale. I sentimenti nazionali di Gallesi e Scozzesi nel Regno Unito non trovarono espressione in partiti specificamente nazionalisti, ma. nei grandi partiti di opposizione a livello dell'intero paese: dapprima il liberale poi il laburista. Nei Paesi Bassi, ma non in Germania, lo spiccato, per quanto ridotto, sentimento nazionale del popolino si convogliò principalmente nel radicalismo di sinistra. Di conseguenza i Frisoni risultano un p o ' sovrarappresentati nella storia della sinistra dei Paesi Bassi, analogamente a quanto lo sono Scozzesi e Gallesi in quella della sinistra britannica. Il leader più eminente del primo Partito socialista olandese Pieter Jelles Troelstra (1860-1930), iniziò la sua tarderà come poeta in lingua frisone e capo della. Giovane Frisia, un gruppo di revival frisone*. Anche in armi recenti si è potuto osservare un fenomeno analogo, per esempio nel Galles, Euskadi, Fiandre e altrove, consistente nel tentativo di indossare l'abito alla moda, della rivoluzione sociale e del marxismo, benché sulla scorta' di un accomodamento con le tendenze dei vecchi partiti e movimenti nazionalisti espressione della piccola borghesia e originariamente associati con le ideologie destrorse anteriori al 1914. In ogni modo, il DMK, che è stato il maggior tramite della rivendicazione nazionale tamil in India, nacque come partito socialista regionale a Madras, e analoghi scivoloni in direzione dello sciovinismo singalese si possono purtroppo rintracciare in seno alla sinistra in Sri Lanka .. 41

Questi esempi non sono intesi a valutare in qualche modo il grado di relazione esistente in seno a tali movimenti tra elementi di socialismo e di nazionalismo che, com'è ben comprensibile, preoccupava e agitava l'Internazionale socialista. Bensì sono intesi a mostrare come i movimenti di massa possano esprimere simultaneamente aspirazioni che ai nostri occhi appaiono radicalmente alternative e che movimenti che si richiamavano in via primaria a una forma di rivoluzionamento sociale potevano, in effetti, costituire la matrice di un futuro eventuale movimento nazionalista di massa.

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Inoltre, il caso per eccellenza sempre citato a riprova inconfutabile della assoluta preminenza del richiamo alla nazione rispetto a quello della classe, in realtà dimostra, prima di tutto, la complessità delle relazioni tra l u n a e l'altra. Grazie ad alcune eccellenti ricerche, siamo infatti oggi piuttosto ben informati in merito a questo caso di importanza fondamentale per comprendere e valutare tali conflitti ideali, ossia il caso dell'Impero asburgico- in cui convivevano nazionalità diverse . E in" proposito, riassumo, nette pagine seguenti, 'un'interessante disamina condotta da Peter Hanàk e relativa a un numero notevole di lettere, scambiate tra soldati e famigliari, oggetto di confisca o censura, nel corso della prima Guerra Mondiale, a Vienna e Budapest". Nei primi anni di guerra non figurava molto nazionalismo né ostilità alla monarchia in questa corrispondenza, salvo- nei casi degli irredentisti, come per esempio i Serbi, e in particolar modo quelli provenienti dalla Bosnia e dall'Erzegovina, che, in quanto Serbi, erano dei sostenitori incondizionati del regno serbo e, in quanto Slavi e di fede ortodossa, della Santa Russia; sentimenti irredentisti emergevano poi nelle lettere degli Italiani e, dopo l'entrata in guerra della Romania, dei Rumeni. La base sociale dell'ostilità serba nei confronti dell'Austria era chiaramente popolare; invece, la grande maggioranza delle lettere scritte da Italiani e Romeni provenivano da appartenenti alla classe media e all'intelligencija. L'unica altra opposizione nazionalista di un qualche rilievo la si ritrovava tra i Cechi; almeno a giudicare dalle lettere dei prigionieri di guerra che tra l'altro comprendevano un discreto numero di disertori per motivi patriottici. Tuttavia, più della metà dei nemici dichiarati degli Asburgo, e i volontari dei reparti cechi in Russia, provenivano dalla classe media e dall'intelligencija. Le lettere ai prigionieri provenienti dalla Boemia erano molto caute e pertanto poco istruttive. 42

Col passare -degli anni di guerra e con la prima Rivoluzione russa, in particolar modo, si ebbe un incremento netto del contenuto politico della corrispondenza intercettata. E, in effetti, i rapporti dei censori in merito a quello che pensava la gente sottolineavano unanimemente che la Rivoluzione russa costituiva il primo avvenimento politico , dopo lo scoppio della guerra, le cui ripercussioni sì erano fatte sentire anche ai livelli popolari più bassi. Presso gli esponenti attivi di 1

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alcune nazionalità oppresse, come per esempio Polacchi e Ucraini, la Rivoluzione russa suscitò speranze di riforma e forse anche di indipendenza. In ogni caso si può dire che aleggiava un generale desiderio di pace e di trasformazione sul piano sociale. Le opinioni politiche che cominciano a emergere anche nelle lettere di salariati, contadini e donne lavoratrici, si possono riassumere convenientemente sulla scorta di tre coppie di opposti: ricco-povero (o proprietario terriero - contadino, padrone-operaio), guerra-pace, ordine-disordine. Almeno per quanto riguarda le lettere in questione i collegamenti sono molto chiari: il ricco se la spassa e non fa il servizio militare, la gente povera è alla mercé di ricchi," potenti, autorità statali, esercito, ecc. La novità non risiede solamente nell'incremento di recriminazioni e malcontento, dovuti al fatto che, seppur in diversa maniera, i poveri sotto le armi sono ugualmente maltrattati di quando sono a casa loro; bensì anche nell'aspettativa rivoluzionaria di cambiamenti radicali, che ora risulta realmente alternativa all'accettazione passiva di un destino. Il tema fondamentale nella corrispondenza dei poveri era la guerra come sconvolgimento e distruzione dell'ordine della vita e del lavoro. Di conseguenza, il desiderio di ritornare a una vita decentemente ordinata s'accompagna sempre di più all'ostilità nei confronti della guerra, del servizio militare, dell'economia di guerra, ecc., e a un auspicio di pace. Ma ancora una volta possiamo vedere che recriminazioni e malcontento si trasformano in resistenza. « Se solo il buon Dio volesse riportarci la p a c e » diventa: « n e abbiamo abbastanza» o « s i • dice che i socialisti faranno la p a c e » . Il sentimento nazionale rientra solo indirettamente in questi discorsi, soprattutto perché, per citare Hanàk: «sino al 1918 il senti- , mento nazionale non si era ancora cristallizzato, presso larghe masse popolari, sotto forma di coscienza permanente; o anche perché la , gente del popolo non era ancora sufficientemente consapevole della '•-/ divergenza tra fedeltà allo Stato e fedeltà alla nazionalità o, se non al- * tro, non aveva ancora operato- una precisa scelta tra i due » La nazionalità compare invece più spesso nell'ambito del conflitto che oppone ricchi a poveri, specie quando appartengano a nazionalità diverse. Ma anche quando ci troviamo in presenza della massima accentuaziov

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ne della nazionalità, come nel caso delle lettere di Cechi, Serbi e Italiani, il desiderio di trasformazione sociale prevale decisamente. Non seguirò' qui l'esame dettagliato dedicato dai censori austroungarici ai cambiamenti di opinioni e stati d'animo verificatisi nel corso dell'anno 1917. Ma l'analisi di Hanàk, condotta su un campione di 1500 lettere scritte 'tra metà novembre 1917 e metà marzo 1918, ossia dopo la Rivoluzione d'ottobre, è molto istruttivo. I due terzi di tali lettere furono scritte da operai e contadini, un terzo da intellettuali, e per quanto riguarda i rapporti numerici tra nazionalità corrispondono ali'incirca alla percentuale che si aveva nei territori della monarchia asburgica. Il 1 8 % di tali lettere si riferisce in via primaria alla tematica sociale, il 1 0 % è caratterizzato dal desiderio di pace, il 1 6 % tratta della questione nazionale e dell' atteggiamento nei confronti d e i a monarchia, il 5 6 % una delle seguenti combinazioni: pane e pace, se posso semplificare, per il 29%' ; pane e nazione 9 % , pace e nazione 1 8 % . Sicché, la tematica sociale compare nel 5 6 % delle lettere, quella della pace nel 5 7 % , quella nazionale nel 4 3 % . L'aspetto sociale, e in definitiva rivoluzionario, è particolarmente sottolineato nelle lettere di Cechi, Ungheresi, Slovacchi, Tedeschi e Croati. La pace, che un terzo delle lettere spera di ottenere grazie alla Russia, un terzo grazie alla rivoluzione e un altro 20% dalla loro combinazione, naturalmente corrispondeva alle aspirazioni di tutte le nazionalità, e con una caratterizzazione che vorrei sottolineare. Tra le lettere che affrontavano la tematica d e i a nazionalità, il 60% mostrava ostilità nei confronti dell'Impero e un auspicio più o meno marcato di indipendenza, il 40% esprimeva fedeltà, o meglio, se escludiamo Tedeschi e Ungheresi, il 28% esprimeva questa fedeltà all'Impero. Il 3 5 % delle lettere «nazionaliste» si aspettava l'indipendenza in seguito- a l a vittoria degli Àleati, mentre un 1 2 % la riteneva ancora possibile nel quadro della monarchia. 1

Come ci si poteva aspettare, il desiderio di pace e di rivoluzione sociale andavano a braccetto, specialmente presso Tedeschi, Cechi, Ungheresi. Ma pace e aspirazioni nazionali non erano facilmente compatibili, anche perché l'indipendenza nazionale sembrava piuttosto strettamente dipendente dalla vittoria d e l e potenze Alleate. In effetti, in concomitanza con i negoziati di Brest-Litowsk, molte lette-

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re di nazionalisti non erano d'accordo con un'immediata conclusione della pace proprio per questo motivo. Lo si può particolarmente notare nelle lettere di appartenenti all'elite ceca, polacca, italiana e serba. Il periodo di massimo impatto della Rivoluzione d'ottobre corrispose con un periodo 'di massima presenza dell'elemento- sociale nei pensieri e nelle aspettative della gente; fu però anche quello in cui, come .affermano sia Zeman sia Hanak, l'elemento nazionale e quello sociale nella prospettiva della rivoluzione iniziano a divergere nettamente e a entrare in conflitto. I grandi scioperi del gennaio 1918 segnarono- un punto di svolta. In certo- qual modo, come osserva Zeman, decidendo di reprimere l'agitazione rivoluzionaria e di proseguire una guerra ormai persa, i reggitori della monarchia asburgica mirarono ad assicurarsi che l'Europa sarebbe stata wilsoniana e non sovietica. Ma anche quando, nel corso del 1918, la tematica nazionale fini per diventare dominante nella coscienza popolare, non era né disgiunta, né contrapposta alla tematica sociale. Per la maggior parte dei diseredati, le due mete sarebbero state raggiunte assieme, -col crollo della monarchia. Che cosa, possiamo- concludere dopo -questo breve esame? Primo: che sappiamo ancora molto poco su che cosa effettivamente significhi la coscienza nazionale per le masse. E per venirne in chiaro non abbiamo solo bisogno 'di un gran numero di opere di cui costituisce un esempio .l'analisi approfondita di Hanak, ma, ancor prima, può essere utile uno sguardo freddo e demistificatore .alla terminologia e all'ideologia connesse alla «questione nazionale» in questo periodo, particolarmente nella sua variante .nazionalistica.. Secondo: che in questo periodo l'acquisizione di una coscienza nazionale non può andar disgiunta dall' acquisizione di .altre forme di coscienza politica e sociale in questo periodo; perché in questo periodo procedono a braccetto. Terzo: che le linee di sviluppo della coscienza nazionale, ad eccezione di quelle classi e di quei casi che si identificano con un nazionalismo integralista o di estrema destra, oltre a non essere affatto lineari, non procedono necessariamente a spese di altri elementi di coscienza, sociale. Guardando con là prospettiva che si offri nell'agosto del. 1914, si poteva ben concluderne che nazione e Stato-nazione avevano trion1

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fato su tutte le fedeltà politiche e sociali concorrenti. Ma si sarebbe potuto dure la stessa cosa nella prospettiva offerta dal 1917? Il nazionalismo riportò la vittoria, presso quelle nazionalità dell'Europa belligerante che già erano indipendenti, nella misura in cui i movimenti che riflettevano i reali interessi della gente povera dell'Europa furono sconfitti nel 1918. Quando ciò si verificò, gli strati medi e medio-bassi delle nazionalità oppresse erano nella posizione favorita per diventare le élite dominanti dei nuovi staterelli wilsoniani indipendenti. L'indipendenza nazionale senza rivoluzione nazionale, sotto l'ombrello della vittoria degli Alleati, poteva rappresentare una specie di onorevole ritirata agli occhi di chi aveva sognato di realizzarle entrambe. Ma negli Stati belligeranti del tutto o parzialmente sconfitti non c'era possibilità di simili ritirate onorevoli. La sconfitta portò alla rivoluzione sociale. I soviet, e anche le repubbliche sovietiche di breve durata, non le si troveranno presso i Cechi o i Croati, bensì in Germania, Germania austriaca, Ungheria; mentre la loro ombra incombeva sull'Italia. E in questi paesi, il nazionalismo non ritornerà a galla come blando sostituto della rivoluzione sociale, bensì come mobilitazione di ex ufficiali e civili della classe media e medio-bassa per la controrivoluzione. Riemergerà come matrice del fascismo.

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K. Renner, Staat uni Nailon, "Wien 1899, p. 89. Ibid., p. 9. Cfr. Tri. Scheìder, Typologie una Erscheinungsformen des Naiionalstaals, in H. A. Winkler (a cura di), Natianalismus, Kònigstein im Taunus 1985, p. 128. «Tutti gli appartenenti al [popolo] sovrano possono ricoprire tutti gli incarichi [pubblici] ed è auspicabile che lo facciano a rotazione prima di ritornare alle loro occupazioni agricole o meccaniche. Tale stato di cose ci mette davanti alla seguente alternativa: se questi incarichi vengono assolti da persona incapace di esprimersi o di scrivere correttamente la lingua nazionale, allora come potranno i diritti del cittadino essere garantiti da documenti recanti errori terminologici, concetti imprecisi; in altre parole se recheranno tutù i sintomi dell'ignoranza? Ma, d'altro canto, se tale ignoranza dovesse portare all'esclusione di qualcuno dagli incarichi pubblici, allora assisteremmo alla pronta rinascita di quell'aristocrazia che in passato usava il paioli quale segno di affabilità paternalistica rivolgendosi a coloro che sprezzantemente chiamava '" il popolino" (lespetites gens). Prontamente di nuovo la società sarebbe infettata dalle "persone come si deve" {gens camme ilfaut). Tra due classi separate una. sorta di gerarchia si stabilirebbe di per ciò stesso. Perciò, l'ignoranza della lingua costituisce un rischio per il benessere, oppure annulla l'uguaglianza» (Dal Rapport delTAbbé Grégoire, cit. in F. Brtmot, Histoire de la langue franfaise, Paris 1930-48, voi. XL-'i, pp. 207-8).

* E. Jurtikala e K. Prrinen, A Hàtoty qfFinland, Helsinki 1975, p. 176.

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Debbo questi dati., tratti dagli annuari dei giornali di quegli anni, alle ricerche inedite di Mar)' Lou Legg del Birkbecfe College sulla stampa di provincia irlandese tra gli anni 1852 e 1892. Cfr. Report ofthe Commissioners appointed ta inquire into the operatìon ofthe Sunday Closing (Wales) Act, 1881, in «Parliamentary Papers ». H.o.C, voi. XL del 1890; K. O. Morgan, Wales, Rebirth of Nailon 1880-1980, Oxford 1982, p. 36. Jurtikala e Pirinen, A History qfFìnland cit., pp. 176-86. ' C. Riba, Cent anys dedefensa y illustracio de l'idioma a Catahtnya, in «L'Avene.», 1984, n. 71, pp. 54-62: testo di una conferenza tenuta nel 1938. F. Vallverdù, El calala alseglexac, ivi 1980, n. 27, pp. 30-36. H.-J. Puhle, Baskischer Nationalismus im spanischen Kontexl, in H. A. Winkler (a cura di), Nationalismus in der Welt von Beute, Góttingen 1982, p. 61. Camegie Endowment for International Peace: Report ofthe International Commission to Enquire into the Cause and Conduci ofthe Baìkan Wars, Washington 191:4, p. 27. J. Romeo, The Watershed ofTwo Eros: Europe in 1900, Middletown 1978, p. 108. La razza «nordica» appare per la prima in quanto tale nelle classificazioni anrropologidhe del 1898 (QEDSupplement: nordici. Il termine sembra essere stato coniato dal. Deniker, Races et petiples de la terre, Paris 1900, e i razzisti se ne impadronirono prontamente in quanto a loro avviso adatto ala caratterizzazione ci quella razza bionda e dolicocefala che associavano alla superiorità. I

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J. Finot, Race Prejudice, London 1906, pp. v-vi. L. Glinert, Viewpoint: the recovery ofHebrew, in «Times Literary Supplement», 17 giugno 1983, P- 634-

" Cfr. D. Kiberd. Synge and the Irish Language, London 1979, ™ particolare p. 223. " E. Haugen, Language Conflicts and Language Planning: The Case of Modem Norwegian, Den Haag 1966; Id., The Scandinavian Languagesas cultural arifaets, in J. A, Fishman, A. Ferguson e j . Das Gupta (a cura di), Language Problemi ofDevehping Nations, New York - London - Sidney - Toronto 1968, pp. 267-84. J. Bhattachatyya, Language, class and community in Bengal, in «South Asia Bulletin», VII (1987), n. 1-2. pp. 56-63; S. N. Mukherjee, Bhadrahk in Bengali Language and Literature: an essay on the language of class and status, in «Bengal Past and Present », 1976, n. 95/2, pp. 225237; J. Das Gupta e J. Gumperz, Language, communication and control in Norie India, in Fishman, Ferguson e Das Gupta (a cura di), Language Problemi cit., pp. 151-66. B. Suttner, Die Badenischen Sprachenverordnungen von 189/, Graz-Kòln. 1960-65, voi. II, pp. 86-88. J. Fishman, The sociohgy of language: an interdisciplinare approach, in T. E. Sebeok (a cura •di), Current Trends in Linguistici, Den Haag - Paris 1974, voi. XII, p. 1755. Juttikala e Pirinen, A History ofFinland cit., p. 176. Nessun autista di tasi viennese, sentendo parlare il dialetto di Gcfas von Lerchenau, anche senza vedere in faccia chi lo parla, sarà sfiorato dal minimo dubbio in merito allo status sociale di costui. Già nel 1794, l'Abbé Grégoire poteva notare con una punta di soddisfazione, che «in linea generale il francese viene parlato net nostri battaglioni»; presumibilmente perché vi facevano parte soldati di diversa origine regionale. A. Zolberg, The making ofFlemings and Walloons: Belgium 1830-1914, in «Journal of Interdisciplinary History», 1974, n. 5/2, pp. 210-15. W. Dlugoborski, Daipolnìiche Burgertum vor 1918 in vergìeichenderPerspektive, inJ. Kocka (a cura di), Burgertum im 19. Jahrhundert: Deutschland im europàischen Vergleicb, Mùncben 1988, voi. I, pp. 267-89. J. Desrrée e E. Vandervelde, LeSocialisme e» Belgique, Paris 1903, ma in realtà 1898. A esser 18

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Capitolo quarto pignoli le quarantotto pagine dì bibliografia contengono un litico titolo relativo alla questione fiamminga: si «atta dì un pamphlet per le elezioni.

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Zolberg, The making ofFlemings cit., p. 227,

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ibid., pp. 209 sgg.

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Puhle, Baskiscker Naiionalismus cit., pp. 62-65. M. Cross, Croatian national-integrationalideolagiesfrom the end oflllyrism to the creation of Yugoslavia, in « Austrian History Yearbook», 1979-80, n. 15-16, pp. 3-44, in particolare p. iS; n. 20-21, p. 34 (recensione di A. Suppan).

'* A. Prosi, Vocabulaire da prodamations électorales de 1881,1885 et 1889, Paris 1974, p. 37. 52

J. Dubois, Le vocabulaire sodai et politique ex France de 186931872, Parts s.d. ma 1962, p. 65. Il termine « nationalisme » con vi è ancora registrato e rimane assente dal Vocabulaire des prodamations elettorale! di Antoine Prost che prende in esame lo spostamento verso destra del vocabolario «nazionale» in questo periodo top. cit., in particolare pp. 52,53, 64, 65).

B

Per la Francia cfr. Z. Sternbei, Maurice Barrès et le nationalisme frangati, Paris 1972; per l'Italia S. Valitutti, Origini e presupposti cultural: del nazionalismo in Italia e F. Perfetti, La dottrina politica del nazionalismo italiano: origini e sviluppo fino al primo conflitto mondiale in R, Lifl e F. Valsecela (a cura di), Il nazionalismo in Italia e Germania sino alla Prima guerra mondiale, Bologna 1983, pp. 75-128,187-232.

M

H.-G. John, Potiiik and lumen: die deutsche Turnerscba/t als nationde Beweguttg in detttschen Kaiserreich non 1871 bis 1914, Ahrensburg bei Hamburg 1976, pp. 41 sgg.

35

J. Petersen in W. Scbieder (a cura di), Faschimm als soziale Beweguttg, Gòttingen 1983, p. 122, che cita una fonte del 1923.

M

M. Kater, The Nazi Party:.a social profile ofmembers and leaders 1915-1945, Cambridge: (Mass.) 1983, fa particolare p. 236. J. Petersen, Elettorato e base sodale del fascismo negli anni venti, in «Studi Storici», xvi (1975), n. 3, pp. 627-69.

" Argomento preso in esame nel cap. iv di E. J. Hobsbawm, Worlds o/Labour, London 1984 [tiad. it. Lavoro, cultura e mentalità industriale, Roma-Bari 1986], e ld., Working-class internationalism, in F. van. Holthoon e M. van der Linden (a cura dì), bttematmnalèm in the Labour Movement, Leiden. - New York - Copenhagen - Kòln 1988, pp. 3-16. " Per un rapido riassunto, cfr. G. Haupt in G. Haupt, M. Lowy e C. Weill, Les Marxista et la question nationale, Paris 1974, pp. 39-43. La questione polacca era quella principale, ma non certo unica, sotto questo punto di vista. '"" Sul fallimento del nazionalismo finlandese nella sua lotta con il Partito socialista, cfr. D. Kirby, Rank-and-file attitudes in the Fintsish Social Demacratic Party (1905-1918), .in «Fast and. Present», 1986, n. i n , in particolare p. 164. Per Georgiani e Armeni, cfr. R. G. Suny (a cura, di), Transcaucasia: Natianalism andSodal Cbange, Ann Arbor 1983, in particolare, nella parte II, i saggi di R. G. Suny, Anahide Ter Minassian e Gerard}. Libaradian. 40

A. Fejtsma, Histoire et siluatmn actueUe de la knguefrisonne, in «Pluriel», 1982, n. 29, pp. 21-3,4.

" Per un rapido resoconto della spostamento dall'ultra sinistra allo sciovinismo singalese nel movimento JVP (Janatha Vinrjkti Peramuna) che portò ala sollevazione della, «gioventù» rurale di sinistra, cfr. K. Jayawardene, Etbnic andClass Conflicts in Sri Lanka, Behiwala 1985, pp. 84-90.

La trasformazione del nazionalismo, 1870-19:18 Cfr. Z. A. Zeman (a cura di), TbeBreak-up ofthe Habsburg Empire, London 1961 e la serie di studi che va sotto il titolo Die Auflasung des Habsburgerreicbes. Zusammenbruch und Neuorientierung im Domuraum, Wien 1970, voi. IH. P. Hanak, Die Volksmeinung wdbrend des letzten Kriegsjahres in Ósierreicb-Ungam, in Zeman (a cura di), Die Auflósung cit., pp. 58-66. Ibid., p. 62.

Capitofo quinto L ' a p o g e o del nazionalismo, 1918-1950

Il «principio di nazionalità» del secolo xix ebbe il suo momento trionfale alla fine della prima Guerra Mondiale, nonostante ciò non rientrasse né nelle previsioni in linea generale, né nelle intenzioni dei futuri vincitori in linea particolare. In effetti si trattò' della conseguenza di due eventi davvero imprevisti: la caduta dei grandi imperi multinazionali dell'Europa centrale e orientale; la Rivoluzione russa. Eventi che portarono gli Alleati a giocare la carta wilsoniana contro la carta bolscevica. Infatti, come abbiamo visto, ciò che sembrava mobilitare le masse nel 1917-18 'era la rivoluzione sodale più che non l'autodeterminazione nazionale. Si potrebbero anche avanzare delle ipotesi su che tipo di effetto avrebbe sortito una rivoluzione vittoriosa in tutt'Europa sulle diverse nazionalità del continente, ma si tratterebbe, appunto, di pure ipotesi; perché, in realtà, ad eccezione della Russia sovietica, l'Europa non fu ricostruita sulla, base della politica, bolscevica in merito alla «questione nazionale». E diventò sostanzialmente, per la prima e l'ultima volta nella sua storia, un mosaico di Stati definiti, salvo rare eccezioni, sia come Stati-nazione sia come una qualche specie di democrazia parlamentare borghese. Situazione che fu di brevissima durata. L'Europa tra le due guerre vide altresì un trionfo di quell'altro, aspetto della nazione « b o r g h e s e » che abbiamo analizzato nel primo| capitolo' 'di quest'opera: la nazione come « economia nazionale »... Ben- '\ che molti economisti, uomini d'affari e governi occidentali sognassero un ritorno all'economia mondiale del 1913, ciò si dimostrò impossibile. E del resto, anche ammesso che si fosse realizzata una qualche forma di ritorno, questo non avrebbe potuto essere un ritorno all'economia dell'impresa privata della libera concorrenza e del libero

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Capitolo' quinto

commercio che aveva costituito l'ideale, e in parte ne era anche stata la realtà, dell'economia mondiale nei giorni felici della supremazia britannica a -livello globale. ' Intorno' al 1913, le economie capitalistiche stavano già muovendosi in 'direzione di grandi gruppi di imprese concentrate, sostenute, protette, e in certa misura anche dirette, dai governi. La guerra, poi, aveva notevolmente accelerato questo' spostamento verso un capitalismo' in qualche modo gestito dallo Stato e, talvolta, persino pianificato dallo Stato. Quando Lenin pensò alla futura economia socialista pianificata, problema che i socialisti non avevano praticamente nemmeno preso in considerazione prima del 1914, assunse a modello l'economia di guerra pianificata della Germania negli anni 1914-17. Naturalmente, anche 1 ritorno a questa economia di grandi affari all'ombra dello Stato non avrebbe ristabilito il quadro internazionale del 1913, stante la radicale ridistribuzione del potere economico e politico determinata dalla guerra, nel mondo occidentale.. In. ogni caso, qualsiasi tipo di ritorno al 1913 si rivelò una speranza, utopistica. Le crisi economiche nel periodo tra le due guerre rafforzarono in maniera addirittura clamorosa le «economie nazionali» autosufficienti. Per qualche anno lo stesso sistema economico mondiale sembrò essere sull'orlo del crollo, quando i grandi fiumi dell'emigrazione internazionale in pratica si essiccarono, le barriere del controllo dei cambi resero quasi impossibili i pagamenti internazionali e gli stessi investimenti internazionali diedero momentaneamente segni di crollo. Quando poi, persino la Gran Bretagna abbandonò il Free Trade, nel 1931, risultò inequivocabile che gli Stati stavano ripiegando, almeno nella misura del possibile, su posizioni protezionistiche cosi difensive da avvicinarsi di molto a una politica di vera e propria autarchia, mitigata unicamente da accordi bilaterali. In sostanza: quando il vento più gelido s'abbattè sull'economia del globo, il capitalismo mondiale si chiuse negli iglù delle sue economie di Stati-nazione e relativi imperi. Non avrebbe potuto avvenire diversamente? In teoria si. Dopo tutto, .almeno per il momento, non si sono verificate analoghe ritirate in risposta .alle tempeste dell'economia mondiale degli anni 1970 e 1980. E tuttavia è proprio quanto si verificò nel periodo tra le due guerre. La situazione venutasi a creare tra le due guerre ci fornisce pertanto l'opportunità, piuttosto eccezionale di valutare limiti e potenziale

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del nazionalismo e degli Stati-nazione. Tuttavia, prima di prenderli in [ esame, consideriamo brevemente il reale assetto del sistema di Stati- \ nazione in cui fu fatta rientrare l'Europa dal trattato di pace di Ver- • sailles e da quelli ad esso correlati; aggiungendovi, per pertinenza e 1 convenienza, anche il trattato anglo-irlandese del 1921. E basta un. rapido sguardo a questa realtà per' rendersi immediatamente conto dell'impraticabilità del principio' wilsoniano di far coincidere frontiere * statali e frontiere di nazionalità e lingua. Infatti, i trattati di pace posteriori al 1918 applicarono effettivamente questo principio, almeno \ f nella misura del possibile, salvo nel caso di alcune decisioni di tipo j I politico-strategico relative a l e frontiere d e l a Germania, più alcune , concessioni piuttosto riluttanti al'espansionismo del'Italia e d e l a Polonia. In ogni caso, né in Europa né in qualsiasi altro luogo, è mai stato fatto;, né prima né dopo, un analogo sistematico tentativo di ridisegnare la cartina, politica sulla scorta dei tracciati nazionali. Solo che, molto semplicemente, la cosa non funzionò. Perché ine- viabilmente, stante quella distribuzione dei popoli, la maggior parte ' dei nuovi Stati edificati s u l e rovine dei vecchi imperi risultarono al- ' trettanto « multinazionali » d e l e vecchie « prigioni d e l e nazioni » che avevano' sostituito.. Rientrano' in questa categoria, Cecoslovacchia,'ri Polonia, Romania e Iugoslavia, Mentre le minoranze tedesche, slove- i ne e croate del'Italia vennero per cosi dire a prendere il posto d e l e minoranze italiane nel'Impero asburgico. Cosi il cambiamento più rilevante consistette nel fatto che gli Stati erano adesso mediamente più piccoli, e che i « popoli oppressi » al loro interno, adesso li si chia- , mava «minoranze oppresse». La conseguenza del tentativo di creare un continente armoniosamente suddiviso in un sistema coerente di Stati territoriali, ciascuno abitato da popolazioni omogenee e caratteristiche proprie' sul piano etnico e linguistico, fu l'espulsione in massa e Io sterminio d e l e minoranze... Questa, in sostanza, fu la. crudele reductio ad absurdum del. nazionalismo nela sua versione territorialistica, sebbene non se ne sia avuta completa dimostrazione sino a g i anni 1940. Tuttavia, ai confini meridionali del'Europa, l'espulsione in massa e 1 genocidio cominciarono già durante e subito dopo la prima Guerra, Mondiale: non appena i Turchi inaugurarono la poKtica di estirpazione in massa degli Armeni nel 1915 e, in seguito a l a guerra

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greco-turca del 1922, 'espulsero tra il milione e trecentomila e il milione e mezzo 'di Greci dalle terre 'die abitavano dall'epoca di Omero . Successivamente, Adolf Hitler, applicando sino alle estreme conseguenze i principi del nazionalismo wilsoniano, pianificò il trasferimento in Germania dei Tedeschi che non vivevano all'interno dei confini della madrepatria, come per esempio quelli del Sudtirolo italiano, e, com'è noto, avviò a soluzione finale l'eliminazione degli E b r d . Dopo la seconda Guerra Mondiale, verificatasi in pratica la scomparsa degli Ebrei da quella vasta fascia di territorio europeo compresa tra la Francia e l'interno dell'Unione Sovietica, venne .il turno dei Tedeschi a. essere espulsi in massa, in particolare dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia. Cosi, la nazione territorialmente omogenea risultò un programma la cui realizzazione poteva essere opera esclusivamente di barbari o, se non altro, avvenire solo con gli strumenti della barbarie. Un dato paradossale rispetto alla constatazione che gli Stari e le nazionalità non possono mai coinddere in tutto e per tutti, fu che le frontiere dell'assetto territoriale derivato da Versailles, per quanto potessero sembrare assurde in applicazione dei parametri wilsoniani, si rivelarono invece durature, ad eccezione dei casi in cui gli interessi delle grandi potenze ne richiesero il cambiamento: cioè gli interessi della 'Germania prima del 1940 e quelli dell'Unione Sovietica dopo il. 1945. Nonostante i vari tentativi di scarso successo di ridisegnare le frontiere degli Stati emersi dalla disgregazione degli Imperi austriaco e turco, in linea generale le odierne frontiere sono ancora quelle definite dopo la prima Guerra Mondiale, almeno a Sud e a Est dei confini sovietici, e con la sola eccezione del trasferimento di alcune zone adriatiche che erano state incorporate dall'Italia sottraendole alla Iugoslavia. Ma .il sistema wilsoniano ebbe anche alcune altre conseguenze significative e inattese. In primo luogo dimostrò, infatti, senza peraltro grande sorpresa, che il nazionalismo delle piccole nazioni mal tollerava le minoranze proprio come quello che Lenin aveva chiamato « l o sciovinismo da, grande nazione», Cosa che in realtà non poteva costituire una. scoperta almeno per chi avesse analizzato con la dovuta attenzione il caso dell'Ungheria asburgica. Più nuova, e anche più si1

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gnifìcativa, fu la scoperta che f « i d e a nazionale», quale formulata dai suoi campioni ufficiali, non coincideva necessariamente con la reale autoidentificazione del. popolo interessato. I plebisciti organizzati dopo il 1918 in varie zone di composizione nazionale mista per decidere a quale dei due Stati-nazione rivalli gli abitanti intendessero appartenere, mostrarono che gruppi significativi di gente che parlava una determinata lingua optò per lo Stato in cui se ne parlava un'altra. Fatto che in parte si può anche spiegare con il ricorso alla pressione politica e .al broglio elettorale, o anche minimizzare imputandolo alla pura immaturità, o sprovvedutezza politica: ipotesi non del tutto strampalate. Tuttavia non era neanche possibile negare che esistevano pur dei Polacchi che avevano preferito vivere in Germania che , non nella rinata Polonia, o degli Sloveni che avevano scelto l'Austria 1 invece della nuova Iugoslavia; per quanto- poi questo- genere di cose 'risultasse già a priori inspiegabile a chi credeva alla necessaria identificazione tra, gli appartenenti a una nazionalità e lo Stato territoriale che se ne proclamava l'incarnazione. Va detto tuttavia a loro discolpa che si trattava di una, teoria in fase di rapida espansione, tanto che, una ventina d'anni dopo, avrebbe portato il governo britannico a internare in blocco la maggior parte dei residenti tedeschi nel Regno Unito, ivi compresi Ebrei e antifascisti dell'emigrazione politica, in base al ragionamento che chiunque fosse fiato in 'Germania doveva essere sospettato di una. fedeltà a. prova di. bomba nei confronti del suo paese. Una discrepanza anche più netta tra i-dea e realtà si verificò in Irlanda, dove, nonostante Emmett e Wolfe, le comunità di maggioranza di sei contee dell'Ulster non volerò considerarsi «irlandesi» aiostesso modo d e l a gran massa degli, abitanti d e l e ventisei contee, e anche d e l a piccola minoranza protestante al confine meridionale. L'assunzione dell'esistenza di un'unica nazione Irlandese nel'amhito -di un'unica Irlanda, o, meglio, che tutti gì abitanti del'isola aspiravano come un sol uomo a un'Irlanda feniana unica, unita e indipendente, si era rivelata un errore e, sebbene per cinquantanni dopo- la costituzione delTrish Free State, poi Repubblica, i feniani e i loro simpatizzanti abbiano- respinto la. divisione del paese come una trama imperiale britannica e sostenuto che gì Unionisti del'Ulster erano degli, ingenui j

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manovrati dagli agenti britannici, gli ultimi ventanni hanno mostrato piuttosto chiaramente che le radici della divisione dell'Irlanda non si trovano a Londra. Analogamente, l'istituzione di un regno slavo meridionale mostroche i suoi abitanti non possedevano quella coscienza unitaria iugoslava postulata dai pionieri (Croati) dell'illirianismo al'inizio del secolo xix, e potevano più facilmente mobilitarsi, al richiamo di slogan abbastanza convincenti da determinare massacri, come Croati, Serbi e Sloveni. E a dire il vero, una coscienza nazionale croata a livello di massa sembra essersi sviluppata solo dopo la creazione della Iugoslavia e contro il nuovo regno; o, meglio, in opposizione al preteso predominio serbo al suo interno . Mentre all'interno della nuova Cecoslovacchia, gli Slovacchi cercarono a lungo di sottrarsi al fraterno abbraccio dei Cechi. Analoghi sviluppi si sarebbero verificati a maggior ragione in molti Stati creatisi in seguito alla liberazione nazionale e coloniale, e per ragioni analoghe. I popoli non si identificavano in quele «nazioni» secondo le modalità previste dai loro leader e esponenti politici. L'Indian National Congress, cui era stato affidato un subcontinente unico e unificato, fu costretto ad accettare la divisione dell'India nel 1947, come il Pakistan, nato quale unico stato per i musulmani dello stesso subcontinente, dovette a sua volta accettare di dividersi nel 1971. Una volta che il panorama politico indiano smise di essere monopolizzato da una ristretta élite altamente anglicizzata e occidentalizzata, dovette venire a patti con la richiesta di Stati su base linguistica, ai quali inizialmente il movimento nazionale non aveva nemmeno pensato, benché alcuni comunisti indiani avessero iniziato a prendere in considerazione la faccenda già alla vigilia della prima Guerra Mondiale*. Le rivalità linguistiche avrebbero fatto si che l'inglese diventasse la lingua ufficiale dell'India, e continui a -esserlo, nonostante sia parlato da una esigua minoranza dei 700 milioni di abitanti del paese, perché gli altri Indiani non erano disposti ad accettare il predominio dell'hindi, parlato dal 40% della popolazione. 2

L'assetto realizzato a Versailles comportò un altro fenomeno di tipo nuovo: la diffusione sul piano geografico -dei movimenti nazionali, e la divergenza di questi movimenti di tipo nuovo rispetto al quadro europeo. Dato l'imprimatur ufficiale delle potenze vincitrici al nazio-

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nalismo di stampo wilsoniano, era piuttosto naturale che tutti pretendessero di parlare nel nome di qualche popolo oppresso o misconosciuto - e .in. quanto tali cercarono udienza presso i supremi artefici della pace ricorrendovi in gran numero -, naturalmente in. termini di principio nazionale, specie in quanto diritto aU'autodeterminazione. Tuttavia, non si trattava semplicemente di argomenti da far servire alla causa. I leader e gli ideologi dei movimenti di liberazione coloniale e semicoloniale parlavano in tutta sincerità il linguaggio del nazionalismo europeo, che avevano spesso appreso in o dall'Occidente, anche quando non s'adattava alla loro reale situazione. E quando il radicalismo della. Rivoluzione russa si sostituì a quello della Rivoluzione francese nel ruolo di ideologia, portante dell'emancipazione a livello mondiale, il diritto ai'autodeterminazione, ora incarnato negli scritti •di Stalin, conquistò anche chi aveva fatto parte delle schiere di Mazzini. La liberazione di quello che allora non era ancora chiamato Terzo Mondo era vista un po' dappertutto come «liberazione nazionale» o, nell'ambito dei marxisti, come «liberazione nazionale e sociale». Ma ancora una volta la pratica, non si sarebbe conformata alla teoria. Infatti la reale e crescente forza della liberazione era costituita dal risentimento nei confronti dei conquistatori, dominatori e sfruttatori, die risultavano facilmente identificabili come stranieri per via del colore della pelle, dei costumi e delle abitudini, oppure nei confronti di chi sembrava agire in loro nome e alle loro dipendenze. Insomma si trattava di sentimenti antimperiali. Mentre nella misura in cui agivano delle identificazioni di tipo protonazionale, ossia etnico, religioso o simili, nei'ambito della gente comune, si trattava, salvo errore, di ostacoli più che di aiuti a l a coscienza nazionale, e tra l'altro facilmente mobilitabili da, parte dei padroni .imperiali contro i nazionalisti; donde I ripetuti ininterrotti attacchi alle politiche imperialistiche del divide et impera, contro l'incoraggiamento, da parte imperialista, del tribalismo, del comunitarismo [commuttalism] e di qualsiasi altra cosa che dividesse popoli che dovevano essere, anche se ancora non lo erano, uniti in una singola nazione. Inoltre, a parte alcune entità politiche caratterizzate da più o meno lunga permanenza storica, come Cina, Corea, Vietnam e, forse, Iran e Egitto che, se si fossero trovate in Europa sarebbero state con1

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siderale « nazioni storiche », le unità territoriali per le quali i cosiddetti movimenti nazionali cercavano- di ottenere l'indipendenza, erano per la stragrande maggioranza recenti creazioni della conquista imperiale, talvolta risalenti a non più di pochi decenni, o altrimenti costituivano- delle aree culturali-religiose più che non qualcosa di analogo a ciò' -che in Europa si sarebbe definito «nazione». Chi lottava per la liberazione poteva considerarsi «nazionalista» unicamente perché si richiamava a un'ideologia che aveva funzionato ottimamente per scacciare governi stranieri, ma, anche in questo caso, si trattava perlopiù di esigue minoranze indigene «evolute». Movimenti culturali e geopolitici tipo il panarabismo, il panlatinoamericanismo o il panafricanismo, non li si poteva considerare nazionalisti nemmeno in questo senso ristretto, in quanto erano chiaramente sovranazionali; benché non vi sia dubbio che le ideologie dell'espansione imperialista nate nel cuore dell'Europa nazionale, come per esempio il pangermanesimo, presentassero una certa affinità con il nazionalismo. Insomma si trattava di costruzioni puramente intellettuali che non avevano a disposizione nulla di simile a uno Stato o a una nazione su cui basarsi. I primi nazionalisti arabi 1 si sarebbe trovati nella Siria ottomana, che non aveva la più pallida parvenza di un paese, invece che in Egitto, per esempio', dove i movimenti erano assai più orientati in senso egiziano. In sostanza, questi movimenti si limitarono a confermare il fatto che individui istruiti in una lingua di cultura particolarmente diffusa sono linguisticamente qualificati a svolgere dei lavori di tipo intellettuale nell'intera area culturale di tale lingua: cosa che ancora favorisce gli intellettuali latinoamericani -che, per la gran maggioranza, debbono attendersi prima o poi qualche anno di esilio nel corso delle loro normali vite; oppure i laureati palestinesi che possono facilmente trovar posto di lavoro nella vasta area che va dal Golfo Persico al Marocco. D'altra parte, i movimenti dì liberazione a base territoriale non potevano non costruirsi su fondamenti che consistevano in quegli elementi comuni di cui erano stati in qualche modo dotati i loro territori proprio dal potere o dai poteri coloniali, perché spesso costituivano l'unica unità o caratteristica nazionale in possesso del futuro paese. L'unità imposta dalla conquista e dall'amministrazione coloniale po-

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teva talvolta, sul lungo periodo;, formare un popolo che si percepiva come una « nazione », un po' come l'esistenza di Stati indipendenti ha talvolta finito per creare un sentimento di patriottismo del cittadino. L'Algeria non ha in quanto paese alcunché di comune ad eccezione dell'esperienza di dominazione francese a partire dagli anni 1830 e, cosa più interessante per noi, la lotta contro questa dominazione; tuttavia si può- ben ritenere che il suo carattere di nazione sia almeno altrettanto consolidato, oggi, di quanto lo è quello delle unità politiche «storiche» del Magreb, dalla Tunisia al Marocco. Ed è persino più evidente che la comune esperienza degli insediamenti sionisti e della conquista ha creato un nazionalismo palestinese correlato a un territorio che, sino al 1918. non aveva nemmeno un'identità regionale di effettiva rilevanza all'interno della Siria meridionale alla quale apparteneva. Tuttavia, queste cose non sono sufficienti a definire gli Stati creatisi in seguito alla decolonizzazione, soprattutto dopo il 1945, come «nazioni», né i movimenti che portarono alla loro decolonizzazione, ipotizzando che questi fossero una risposta immediata o anticipata a pressioni in tal senso, come movimenti «nazionalistici». Prenderemo comunque in esame in seguito i più recenti sviluppi della questione nell'ambito del mondo dipendente. Nel frattempo ritorniamo nella casa natale del nazionalismo; cioè in Europa. Qui, la ricostruzione della carta geografica sulla base delle direttrici nazionali sottrasse al nazionalismo il suo contenuto di liberazione e di unificazione, visto che per la maggior parte delle nazionalità sino ad allora in lotta questi scopi erano stati sostanzialmente raggiunti. In certo qual modo, la situazione europea veniva cosi ad anticipare quella della decolonizzazione politica del Terzo Mondo a partire dalla seconda Guerra Mondiale, e si faceva assai simile a quella del laboratorio ante-litteram del neocolonialismo: il Latinoamerica. Dunque, l'indipendenza politica degli Stati territoriali era stata ampiamente raggiunta. Di conseguenza non era più cosi facile come prima semplificare, o in qualche modo conciliare, i problemi futuri rinviandone esame e ipotesi di soluzione a dopo il compimento dell'indipendenza o dell'autodeterminazione, che, come era diventato più che evidente, non coincideva affatto con la loro automatica soluzione.

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E che fine aveva fatto il vecchio' nazionalismo della liberazione e dell'unificazione? Da una parte, e per la maggioranza delle nazionalità, rimanevano delle minoranze irredente al di fuori delle frontiere dello Stato nazionale, come gli Ungheresi di Romania o gli Sloveni d'Austria; da un'altra parte, rimaneva l'espansionismo nazionale di simili Stati nazionali a spese degli stranieri o delle minoranze interne. Naturalmente c'erano ancora delle nazionalità prive di Stato sia nell'Europa orientale sia in quella occidentale: per esempio i Macedoni e i Catalani. In ogni modo: se prima del 1914 i movimenti nazionali tipici erano diretti contro gli Stati o gli agglomerati politici che si presentavano come multinazionali o sovranazionali, come per esempio gli Imperi asburgico e ottomano, dopo il 1919 questi furono diretti, nel loro complesso, in Europa, contro gli Stati nazionali. Si trattava pertanto, almeno da un punto di vista definitorio, di movimenti separatisti più che non di. unificazione; per quanto poi le aspirazioni separatiste potessero essere mitigate dal realismo politico o, come nel caso degli unionisti dell'Ulster, dovessero trovare una forma di compromesso con l'attaccamento a qualche altro paese. Ma questa non era una novità. La novità era data, invece, dal! 'emergere di simili aspirazioni in Stati nominalmente nazionali, ma in realtà plurinazionali, dell'Europa, occidentale, sotto forma più politica che non culturale, sebbene poi un paio almeno di tali nuovi raggruppamenti nazionalisti, come per esempio i partiti nazionali gallese e scozzese formatisi nel periodo tra le due guerre, ancora mancassero di sostegno di massa, essendo appena entrati nella «fase B» della loro evoluzione. Insomma: lasciando' da parte il caso. dell'Irlanda, i nazionalismi minori dell'Europa occidentale erano piuttosto striminziti prima del 1914. Il Partito nazionale basco, che godette di un certo sostegno di massa dopo il 1905 e in pratica sbaragliò il campo alle elezioni amministrative del .1917-19, salvo che nel caso del voto operaio di Bilbao, era infatti eccezionale nel panorama dell'epoca. I suoi giovani militanti si ispirarono 'direttamente al nazionalismo rivoluzionario irlandese del periodo 1916-22, e la, sua base popolare andò rafforzandosi durante e grazie a l a dittatura accentratrice di Primo de Rivera e, definitivamente, in seguito alla repressione ancor più spietata e centralizzatrice del generale Franco. Il catalanismo, invece, rimaneva ancora in primo

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luogo un affare delle classi medie locali, dei notabili e degli intellettuali che abitavano nelle piccole città di provincia, perché la combattiva classe operaia, prevalentemente anarchica, sia nella sua componente catalana sia in quella dell'immigrazione, continuava a guardare con sospetto il nazionalismo adducendo motivazioni di classe. Gli scritti del movimento anarchico venivano pubblicati intenzionalmente in spagnolo. E anche in questo caso sinistra e destra regionali confluirono' sotto Primo de Rivera in. una. specie di fronte popolare contro la monarchia madrilena sulla comune base dell'autonomia della Catalogna. La Repubblica e la dittatura di Francisco Franco contribuirono a incrementare il seguito di massa del catalanismo che, negli ultimi anni della dittatura e dopo la morte di Franco, fece registrare un'ampia conversione di queste masse sul piano linguistico, nel senso dell'adozione di quello che non era ormai solo più un idioma parlato', bensì una lingua di cultura stabilizzata e istituzionalizzata ; anche se, ancora nel 1980, un uso consolidato del catalano lo si aveva sostanzialmente solo presso gli intellettuali e sulle pagine dei giornali della classe media, particolarmente fiorenti. Sempre nello stesso anno, comunque, solo il 6,5% della stampa quotidiana di Barcellona era in catalano . Inoltre, mentre l'8o% degli, abitanti della Catalogna parlava catalano, cosi come il 9 1 % degli abitanti della Galizia, che pur aveva un movimento regionalistico molto meno attivo, parlava gallego, solo il 30% degli abitanti del paese basco parlava basco nel 1977 (e i dati posteriori sembrano immutati ): cosa che forse ha una qualche relazione con .la grande accentuazione posta, dai nazionalisti baschi sull'indipendenza, in contrapposizione atta semplice autonomia. La differenziazione tra i nazionalismi basco e catalano, di cui quella appena citata costituisce un esempio, si accrebbe col passar del tempo molto probabilmente perché il catalanismo diventò, e del resto non avrebbe potuto fare altrimenti, una forza di massa solo grazie al fatto di orientarsi a sinistra al fine di poter in qualche modo incorporare un, movimento dei lavoratori fotte e indipendente; mentre il nazionalismo basco si affermò grazie all'isolamento, e talvolta alla vera e propria eliminazione, dei movimenti socialisti che esprimevano tradizionalmente la classe operaia: realtà che la fraseologia marxistico-rivoluzionaria dei separatisti dell'ETA non basta a nascondere. Forse non è nemmeno 4

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cosi stupefacente che il catalanismo abbia ottenuto un clamoroso successo nell'opera di assimilazione degli immigrati, perlopiù operai, nel suo paese, molto più del movimento basco che trovava un collante nella xenofobia. Del resto, nel 1 9 7 7 , 1 5 4 % degli abitanti della Catalogna di origine forestiera parlava catalano, mentre solo l'8% degli abitanti del paese basco di origine forestiera parlava basco; anche se bisogna tenere nel dovuto conto la maggior difficoltà di quest'ultimo . Un altro- nazionalismo dell'Europa occidentale che sarebbe diventato una considerevole forza politica, cioè il movimento- fiammingo, attraversò- una fase particolarmente scabrosa nel 19.1,4, quando una parte dei suoi esponenti collaborò coi Tedeschi che avevano occupato quasi tutto il Belgio. E, sempre coi Tedeschi, collaborarono anche più strettamente durante la seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, fu solo alcuni anni dopo il 1945 che il nazionalismo fiammingo mostrò di poter porre in serio pericolo l'unità belga. Gli altri piccoli movimenti nazionalisti dell'Europa occidentale ebbero invece una. diffusione trascurabile. I partiti nazionali scozzese e gallese ebbero un qualche ruolo minore sulla'scena politica solo negli anni della depressione economica tra le due guerre; ma, appunto, rimanendo sempre molto marginali, come può confermare tra f altro il fatto che il fondatore del Plaid. Cymru era, per affinità elettiva, piuttosto simile a un reazionario del panorama politico continentale del genere di Charles Maurras e, per giunta, un cattolico romano'. In ogni caso nessuno di questi due partiti ottenne un 'effettivo successo elettorale prima del secondo dopoguerra. La maggior parte degli altri, movimenti del genere incontrarono perlopiù difficoltà ad andare oltre il tradizionalismo folclorico o risentimenti di tipo provincialistico. 6

Tuttavia resta ancora qualcosa da dire a proposito del nazionali' smo posteriore al 1918, nell'ambito di un discorso che si colloca - e lo colloca - al di fuori della sua area, tradizionale, fatta di dispute di frontiera, di elezioni o plebisciti, di rivendicazioni sul piano linguistico. In questo periodo, infatti, l'identificazione nazionale acquisi nuovi mezzi di espressione nell'ambito di società moderne, urbanizzate e tecnologizzate. E in proposito vanno ricordati due punti cruciali. Primo, --che non ha bisogno di grandi chiose: nascita e sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, quali stampa, cinema e radio. Grazie all'im-

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piego di tali mezzi, le ideologie popolari potevano essere standardiz-' zate, omogeneizzate, trasformate e anche, s'intende, utilizzate a fini dichiaratamente propagandistici da parte di interessi privati o dello Stato. (Il primo rriinistero preposto esplicitamente alla «propagand a » e alla «istruzione del popolo», ossia il Reichsministerium fur Volksaufklarung und Propaganda, fu istituito in Germania nel 1933 dal nuovo governo di Adolf Hitler). Tuttavia, la propaganda vera e propria si rivelò meno 'efficace della capacità dei mezzi di comunicazione 'di massa di creare quelli che, di fatto, erano dei veri e propri sìmboli nazionali nell'ambito della vita di ciascun individuo, annullando cosi la separazione tra sfera privata e locale, in cui era confinata l'esistenza della maggior parte dei cittadini, e sfera pubblica e nazionale. La trasformazióne della famiglia reale britannica in un'immagine tanto domestica quanto pubblica dell'identificazione nazionale sarebbe stata impossibile in assenza dei moderni media, e la sua espressione rituale fu intenzionalmente concepita per la radio, salvo posteriori adattamenti televisivi, nel 193.2, con la. trasmissione natalizia « regale». Il fossato che separava pubblico e privato fu anche colmato dallo, sport. Tra le due guerre, lo sport come spettacolo di massa fu. trasfor- ì mato e trasferito in' un'interminabile serie di contesti gladiatori tra : persone e squadre che simboleggiavano Stati-nazione, cosa oggi en-. trata a far parte della vita quotidiana a livello planetario. Sino ad allora, infatti, avvenimenti sportivi come i Giochi olimpici o gli incontri di calcio internazionali avevano interessato principalmente un pubblico da. classe media - benché i Giochi olimpici avessero cominciato a svolgersi in una certa atmosfera da competizione internazionale già prima del 1914 -; mentre le competizioni sportive internazionali venivano ora organizzate nell'intento di integrare le diverse componenti nazionali degli. Stati multinazionali. In questo modo diventavano un simbolo' dell'unità nazionale, e, in quanto confronto amichevole tra le nazionalità che componevano questi Stati, rafforzavano' il senso della comune appartenenza grazie all'istituzionalizzazione di contesti « r e golati» che costituivano un'ottima valvola di sfogo delle tensioni tra i gruppi, che appunto si stemperavano in pseudoscontri di tipo simbolico. Risulta piuttosto difficile non cogliere un aspetto' di defusione ri-

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tuale nei primi incontri di calcio internazionali organizzati nel continente europeo e, in particolare, in quelli tra Austria e Ungheria'. E si sarebbe proprio tentati di considerare l'estensione degli incontri internazionali di rugby dall'Inghilterra e la Scozia a Galles e Irlanda, verificatasi negli, anni 1880, come una reazione all'intensificarsi dei sentimenti nazionali nella Gran Bretagna di allora. Nel periodo tra le due guerre, in ogni caso, lo sport diventò, come riconobbe prontamente George Orwell, espressione della lotta nazionale, e gli arieti che rappresentavano la nazione o lo Stato diventarono l'espressione per eccellenza delle loro comunità frutto d'immaginazione. Fu questo il periodo in cui il. Tour de France fu dominato dalla, competizione tra squadre di diverse nazioni; quello in cui la Mitropa Cup mise a diretto confronto- le migliori squadre dell'Europa centrale; quello in cui la Coppa del mondo fu introdotta in campo calcistico; quello in cui, come 'emblematicamente dimostrato nel 1936, i Giochi olimpici diventarono occasione di autoaffermazione nazionale. E ciò che rese lo sport più efficace di qualsiasi altra cosa, almeno nell'ambito dei maschi, in quanto mezzo per inculcare sentimenti nazionali, fu la facilità con la quale, grazie ad esso, gli individui anche meno interessati alla vita pubblica e politica potevano identificarsi con una nazione simboleggiata da giovani che eccellevano in qualcosa che, in pratica, tutti gli uomini avrebbero desiderato saper fare, in un momento o nell'altro della loro vita. Una comunità di milioni di individui frutto' dell'immaginazione sembra più reale sotto forma di undici persone con nome e cognome. E l'individuo, anche quello che si limita a fare il tifo, diventa, un simbolo della propria nazione. Chi scrive ricorda ancora il nervosismo' col quale si ascoltava la radiocronaca del primo incontro internazionale di caldo- tra Austria e Inghilterra, disputatosi a Vienna nel 19.29, nella casa di certi suoi amici che gli avevano promesso -di rifarsi su. di lui qualora l'Inghilterra avesse battuto l'Austria, cosa che, tra l'altro, sembrava piuttosto prevedibile. In quanto unico ragazzo inglese presente ero diventato l'Inghilterra; cosi come loro erano l'Austria... (Fortuna che la partita, si. concluse con un pareggio!) In questo' modo il ragazzo dodicenne estendeva il suo concetto di fedeltà alla squadra a fedeltà atta nazione. 1

L'elemento dominante del nazionalismo europeo tra le due guerre fu costituito dal nazionalismo degli Stati-nazione consolidati e dal

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relativo irredentismo. In seno agli ex belligeranti, il nazionalismo si era naturalmente rafforzato con la guerra, soprattutto dopo il riflusso della marea rivoluzionaria, nei primi anni 1920. Fascismo e altri movimenti di destra l'avrebbero prontamente sfruttato, in primo luogo, per mobilitare gli strati intermedi, e chi in generale era spaventato dalla rivoluzione sociale, contro il pericolo rosso che, in. particolare n e l a sua versione bolscevica, poteva facilmente identificarsi con l'internazionalismo militante e, cosa che sembrava coincidere, con l'antimilitarismo reso ancor più marcato dall'esperienza di .guerra del 191,41918. L'appello di questa propaganda nazionalista risultava tanto più efficace, anche presso i lavoratori, nella, misura, in -cui .imputava sconfitta e debolezza ai nemici esterni e ai traditori interni. E c'erano un sacco di sconfitte e debolezze che dovevano' trovar giustificazione. Forse è eccessivo' affermare che tale nazionalismo militante non era nulla più che il riflesso di una certa disperazione, sebbene- poi furono chiaramente la sconfitta, la frustrazione e fi risentimento' a. spingere molta gente ad aderire al Partito nazista, o ad altri movimenti di destra oltranzisti un po' dappertutto in Europa negli anni della Grande Depressione. Tuttavia, resta interessante la. diversa reazione alla sconfitta da. parte dei Tedeschi dopo il 1918 e dopo il 19.45. Durante la. Repubblica 'di Weimar, tutti i tedeschi, in pratica, erano profondamente convinti dell'iniquità assoluta del Trattato di pace di Versailles, tanto che la lotta contro questo trattato costituì uno dei massimi elementi di mobilitazione delle masse sia a sinistra che a. destra. Eppure le clausole imposte alla Germania dopo il 1945 erano incomparabilmente più dure e anche più arbitrarie di quelle del 1919. Inoltre, la Germania Federale ospitava milioni di Tedeschi pieni di risentimenti nazionalistici e di ogni tipo per essere stati espulsi brutalmente da. certe regioni dell'Europa centrale e orientale, essendo nel contempo poco convinti che questa fosse una giusta punizione per i trattamenti ben più terribili cui i nazisti, avevano sottoposto altri popoli Ciò nondimeno, il revancismo politico ebbe un ruolo modestissimo e tra l'altro sempre più secondario nel panorama politico della Repubblica Federale Tedesca. Al di là di tutto, però, la differenza tra Weimar e Bonn non è poi cosi difficilmente spiegabile; perché nella Repubblica Federale le cose presero ad andare assai bene per la maggio-

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ranza della gente già a partire dalla fine degli anni 1940, mentre Weimar precipitò in una depressione economica cosi terribile che rese difficile, per un mezzo decennio, tirarsi fuori dalla sconfitta, dalla rivoluzione, dal crollo- economico- e daE'inflazione galoppante. Anche se non si ritiene questa nuova manifestazione di nazionalismo attivistico come puro e semplice riflesso di una certa disperazione, resta il fatto- che riempi in qualche modo il vuoto creato dal fallimento, dall'impotenza e dall'apparente incapacità delle altre ideologie, o progetti politici, o programmi, di realizzare le speranze degli uomini. E fu l'utopìa di chi aveva visto svanire le utopie dell'età dell'illuminismo; il programma di chi aveva smarritola fiducia negli altri programmi; il sostegno di chi aveva perso quello fornito in precedenza da altre certezze di tipo politico e sociale. Ma ritorneremo ancora su questo punto. Tuttavia, come già abbiamo cercato di mostrare nel capitolo precedente, il nazionalismo non può, né poteva in questo periodo, identificarsi o ridursi a quelli per i quali costituiva un imperativo- politico di tipo esclusivo, esaustivo e, per cosi dire, totalizzante. Perché, come abbiamo appunto visto, questa non era l'unica forma in cui si concretizzava il sentimento di identità nazionale o, per dirlo nei termini dei diritti e dei doveri dei cittadini, il patriottismo. È importante infatti distinguere tra nazionalismo esclusivo proprio degli Stati o dei movimenti politici destrorsi, che, in quanto tale, si sostituisce a qualsiasi altra forma di identificazione politica e sociale, da quell'insieme di coscienza nazional-cittadina-sociale che, negli Stati moderni, costituisce quel particolare terreno dal quale nascono tutti gli altri sentimenti politici. E, in questo senso, «nazione» e « c l a s s e » sono difficilmente separabili. Se riteniamo che la coscienza di classe abbia in pratica una dimensione civico-nazionale e che, d'altra parte, questa coscienza civico-nazionale, o 'etnica, abbia dimensione di tipo sociale, allora non ci sembrerà impossibile che la radicalizzazione delle classi lavoratrici, nell'Europa del primo dopoguerra, abbia potuto rafforzare la loro potenziale coscienza nazionale. Del resto, come potremmo altrimenti spiegare lo straordinario successo della sinistra, nei paesi non fascisti, proprio nell'opera di riappropriazione del sentimento nazionale e patriottico nel periodo

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della lotta antifascista? Anche perché risulta piuttosto -difficile negare che la lotta di resistenza alla Germania nazista, specie nel corso d e l a seconda Guerra Mondiale, non facesse appello sia a sentimenti nazionali sia a l e speranze di rinnovamento e di Iberazione sul piano sociale. Non c'è infatti dubbio che, verso la metà degli, anni 1 9 3 0 , 1 movimento comunista abbia inteso rompere esplcitamente con una tradizione, che risaliva ugualmente a l a Prima e a l a Seconda Internazionale, e che era in pratica consistita nel'abbandonare i simboli del patriottismo, ivi compresi q u e l ! più intimamente collegati al passato rivoluzionario e persino socialsta, come per esempio la Marseillaise", a g i Stati borghesi e ai politici piccolo-borghesi. H tentativo di riappropriarsi di tali simbol e, per cosi dire, di non lasciare a g i eserciti del demonio le armi migMori, assunse degli aspetti persin bizzarri, almeno- se visti dal di fuori e in retrospettiva, come quando per esempio 1 Partito comunista degli Stati Uniti d'America dichiarò, senza sortire effetto alcuno e con gran stupore -dei pochi che lo rilevaronq^che il comunismo era l'americanismo del secolo xx. Ciò nondimeno, il ruolo avuto dai comunisti in seno a l a Resistenza, antifascista conferi notevole plausibilità a l e loro rivendicazioni di patriottismo, in particolare dopo 1 1 9 4 1 ; e certamente in misura sufficiente da preoccupare 1 generale De C a u l e "'. Inoltre, tanto- all'interno quanto al'esterno del movimento, la combinazione tra bandiera rossa e nazionale risultò corrispondere a l e genuine attese popolari. Se poi si sia trattato di un'effettiva ondata di sentimento nazionale nel'ambito d e l a sinistra, oppure semplicemente del fatto che 1 tradizionale patriottismo rivoluzionario di matrice giacobina aveva avuto ancora una volta la possibilità di venire a l a ribalta dopo esser stato relegato dietro le quinte cosi a lungo dal'antinazionalismo e d a l ' antimilitarismo ufficiali della sinistra, è una domanda di difficile .risposta. Anche perché ci sono state poche ricerche in materia, che non sarebbe affatto immeritevole di serio approfondimento benché la documentazione politica del'epoca serva poco, come in genere serve a poco in questi argomenti la memoria dei contemporanei. Sicché l'unica cosa evidente è che 1 rinnovato matrimonio tra rivoluzione sociale e sentimento patriottico è un fenomeno estremamente complesso. In attesa di studi che approfondiscano la materia, possiamo tuttavia cercare di individuare alcuni di questi elementi complessi.

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Primo: il nazionalismo antifascista si manifestò- nel contesto' di una guerra civile a base ideologica e internazionale, nella quale numerose classi dirigenti nazionali optarono per uno schieramento politico internazionale di destra e per gli Stati che ne costituivano la forza portante. Questi partiti della destra interna buttarono pertanto a mare l'appello al patriottismo xenofobo che pur aveva reso in precedenza ottimi servizi. Come diceva un'affermazione francese: «Meglio Hitler di Leon Blum ». La frase poteva anche benissimo voler significare meglio un tedesco' di un ebreo; ma poteva anche facilmente essere letta come: meglio un paese straniero del mio paese. Cosa che facilitò l'appropriazione, da parte della sinistra, di quella bandiera nazionale sulla quale la destra aveva molato la presa. Cosi, in Gran Bretagna, nell'opposizione alla politica di concessioni a Hitler, le cose si ponevano molto più semplicemente per la sinistra che non per i conservatori che non potevano non considerarlo, abbastanza giustamente, più un vigoroso baluardo contro il bolscevismo che una minaccia incombente sull'Impero britannico'. In certo qual modo, pertanto, la nascita e la diffusione del patriottismo antifascista rientrava in qualcosa che poteva legittimamente considerarsi come trionfo di una forma di internazionalismo. Secondo: sia i lavoratori sia gli intellettuali fecero una scelta di tipo internazionalistico che, tuttavia, portò a un rafforzamento del sentimento nazionale. Ricerche piuttosto recenti sul comunismo britannico e italiano negli anni 1930 hanno evidenziato come i giovani, sia operai sia intellettuali, fossero particolarmente ricettivi nei confronti della mobilitazione antifascista, soprattutto in riferimento alla Guerra civile spagnola". Ma in questo caso il sostegno della Spagna non si configurava come un semplice atto di solidarietà internazionale, come potevano esserlo le campagne antimperialiste in favore dell'India o del Marocco che, tra l'altro, suscitavano un'adesione molto più limitata. Infatti: se in Gran Bretagna la lotta contro il fascismo e la guerra riguardava da vicino i cittadini britannici, cosi come in Francia quelli francesi, dopo il luglio 1936 il fronte principale di tale lotta antifascista si spostò nelle vicinanze di Madrid. Insomma, la particolare congiuntura storica fece si che una partita politica che riguardava direttamente la politica interna di molti paesi si combattesse sui campi

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di battaglia di un paese cosi lontano e sconosciuto alla maggior parte dei lavoratori che, in pratica, per il cittadino britannico medio;, poteva significare un unica cosa; ossia che si trattava di una lotta che lo riguardava, Inoltre, poiché fascismo e guerra erano identificati con determinati Stati stranieri, cioè la Germania e l'Italia, la posta in gioco in questa lotta non era solo più il futuro assetto interno della Gran Bretagna o della Francia, e nemmeno, più in generale, la pace o la guerra, bensì la difesa delle nazioni francese e britannica contro i Tedeschi. Terzo: il nazionalismo antifascista era chiaramente impegnato in una duplice battaglia che riguardava sia il piano sociale sia quello nazionale; come diventò particolarmente evidente a partire dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Sia per I Britannici, sia per i movimenti di resistenza attivi sul continente europeo, vittoria e trasformazione sul piano sociale erano inseparabili. Tanto che la guerra si concluse in Gran Bretagna con la sconfitta elettorale di WinstonjChurchill, amato e stimato condottiero della guerra e simbolo del patriottismo britannico, e con la corrispondente grande vittoria del Labour Party: dato di fatto che costituisce una conferma indiscutibile di tale inseparabilità; tanto più che, in assenza di quell'euforia per la liberazione che può aver influito su altre situazioni, le elezioni politiche britanniche del 1945 furono l'espressione, altrettanto indiscutibile, della scelta meditata dell'opinione pubblica. Conservatori e laburisti si erano ugualmente impegnati per la vittoria, ma solo uno dei due partiti si era formalmente impegnato per la vittoria e per la trasformazione sociale. Inoltre, per molti lavoratori britannici era la guerra stessa a rivestire una dimensione sociale. Non è un caso;, infatti, che l'attacco della Germania all'Unione Sovietica, nel 1941, abbia suscitato una grande ondata di filosovietismo, a livello di massa, nel'ambito dei lavoratori britannici in divisa e no: ammirazione che non fu in pratica intaccata dal comportamento del'Unione Sovietica e dei comunisti britannici tra 1 settembre 1939 e 1 giugno 1941. E non si trattò semplicemente del fatto che, finalmente, la Gran Bretagna non sarebbe stata più sola a combattere: chi abbia vissuto questa svolta come semplice militare di'truppa in reparti a composizione prevalentemente operaia del'esercito britannico, sa molto bene che la stragrande maggioranza dei 1

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soldati dotati di coscienza politica, ossia in pratica i simpatizzanti del Labour Party e i sindacalizzati, continuavano a pensare, almeno in questi reparti, all'Unione Sovietica come, in certo qual modo, uno « Stato dei lavoratori ». Persino un leader sindacale cosi fermamente e smaccatamente anticomunista come Ernest Bevin continuava a pensarla in questo modo quando già la seconda Guerra Mondiale era stata dichiarata da un pezzo . Sotto questo aspetto, la stessa guerra sembrava presentare le caratteristiche di una guerra sia tra classi sia tra Stati. Dunque, nel periodo antifascista, nazionalismo e sinistra istituirono degli stretti rapporti sulla base di un'associazione che si sarebbe ulteriormente rafforzata in concomitanza con le esperienze di lotta antimperialista nei paesi coloniali. Infatti, le lotte dei paesi colonizzati avevano vari e molteplici collegamenti con la sinistra internazionale, e i loro alleati politici nei paesi metropolitani li si doveva cercare, puntualmente, in questa direzione. Le teorie dell'imperialismo, cioè delT'antimperialistno, sono state a lungo parte integrante del pensiero socialista. Il fatto che la Russia sovietica fosse in gran parte un paese asiatico e vedesse il móndo in una prospettiva in gran parte non europea - e a dire il vero tra le due guerre prevalentemente asiatica -, non poteva non infiammare gli attivisti politici provenienti da quello che ancora non si chiamava Terzo Mondo. D'altra parte, da quando Lenin prese a sostenere che la liberazione dei popoli coloniali oppressi costituiva un elemento importante nella prospettiva della rivoluzione mondiale, i rivoluzionari comunisti si diedero un gran da fare per le lotte di liberazione coloniale che, in ogni caso, suscitavano il loro interesse sulla base del fatto che tutto ciò che gli imperialisti d e i a metropoli aborrivano doveva per contro- essere accolto favorevolmente da parte dei lavoratori. 12

Ovviamente, le relazioni tra sinistra e nazionalismo dei paesi dipendenti erano più complesse di quanto non possa riassumersi in una formuletta. Abbastanza indipendentemente dalle loro scelte ideologiche, i rivoluzionari antimperialisti, per quanto internazionalisti sul piano teorico, erano più che altro interessati a conquistare l'indipendenza dei propri paesi e a null'altro. E restavano piuttosto sordi a eventuali inviti a posticipare o a modificare i propri obiettivi nell'ime-

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resse di altri più ampi, magari di respiro mondiale, come poteva essere la vittoria sulla Germania nazista o sul Giappone, cioè sui nemici dei loro imperi che, sulla scorta di un-tradizionale principio feniano, essi perlopiù consideravano come alleati della propria nazione, specie in quegli anni nei quali la vittoria sembrava quasi assicurata per questi « nemici ». Dal punto di vista della sinistra antifascista, un personaggio come Frank Ryan risultava di difficile collocazione: un combattente repubblicano irlandese cosi orientato a sinistra da accorrere nelle Brigate Internazionali per battersi a favore della Repubblica spagnola, che, però, dopo essere stato catturato dalle forze del generale Franco-, ricomparve improvvisamente a Berlino dove si diede un gran da fare per trattare al meglio l'appoggio delTIRA alla Germania in cambio dell'unificazione tra Irlanda settentrionale e meridionale dopo l'eventuale vittoria tedesca". Invece, dal punto di vista tradizionale dei repubblicani irlandesi, Ryan poteva essere visto come qualcuno che cercava di realizzare una politica efficace, anche se nella fattispecie poteva esserci un errore di valutazione in proposito. C'era poi il caso scabroso di Subhas C. Bose (Netaji), campione delle masse bengalesi, e già importante figura di rivoluzionario all'interno dell'Indian National Congress, che passò dalla parte dei Giapponesi organizzando un Esercito Nazionale Indiano, in funzione antibritannica, formato dai prigionieri di guerra dei contingenti indiani al servizio degli Inglesi nei primi mesi del conflitto. Tuttavia, è indiscutibile che, nel 1942, gli Alleati considerassero come assai più auspicabile la possibilità di vincere la guerra in Asia, anche perché un'invasione vittoriosa dell'India da parte del Giappone sembrava una cosa tutt'altro che improbabile. D'altra parte, dobbiamo ricordare che, all'epoca, molti leader di movimenti antimperialisti consideravano la Germania e il Giappone come un buon tramite per sbarazzarsi di Britannici e Francesi, specie sino al 1943. Ciò nondimeno;, soprattutto a partire dal 1945, il generale movimento di indipendenza e decolonizzazione veniva immediatamente identificato con l'antimperialismo- social-comunista, ed è forse questa la ragione per cui un numero cosi grande di Stati decolonizzati e di nuova indipendenza, e non solo quelli in cui socialisti e comunisti avevano avuto una parte importante nella lotta di liberazione, si qua-

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liticarono in qualche modo «socialisti ». La liberazione nazionale era diventato uno slogan della sinistra. Cosi, paradossalmente, i rinnovati movimenti etnici e separatisti dell'Europa occidentale presero ad adottare una fraseologia rivoluzionaria e marxista-leninista che risultava del tutto stonata in rapporto alle loro origini ideologiche che risalivano alla destra oltranzista del periodo precedente il 1914, come del resto col passato filofascista e, nel corso- della guerra, persino collaborazionista di alcuni loro vecchi militanti". Il fatto- poi che giovani intellettuali della sinistra del tutto subito si siano precipitati in questi movimenti dopo che il 1968 non era riuscito a instaurare il nuovo Millennio, conferì ulteriore impulso alla trasformazione della retorica nazionalista, in base alla quale anche i vecchi popoli cui ancora veniva impedito di esercitare il diritto all'autodeterminazione venivano ribattezzati « c o l o n i e » in fase di liberazione dallo sfruttamento imperialistico. Si può sostenere che, nel periodo compreso tra gli anni 1930 e 1970, il discorso dominante in tema di emancipazione nazionale riecheggiava le teorie della sinistra e, in particolare, quanto avveniva nell'ambito del marxismo del Comintern. II. fatto che l'altra modalità di espressione delle aspirazioni di tipo nazionale sia stata totalmente screditata dalla sua associazione col fascismo, sino al punto da. sparire dalla bocca -e dagli scritti della, gente per circa una generazione, non fece altro che rendere ancora più incontrastata l'egemonia del discorso di sinistra. Sembrerebbe pertanto che Hitler e la decolonizzazione abbiano in qualche modo riannodato quell'alleanza tra nazionalismo e sinistra che era apparsa quasi naturale prima del 1848. E solo con gli anni 1970 l'altra legittimazione del nazionalismo potè riemergere alla luce del sole, In campo occidentale, le maggiori agitazioni nazionaliste di quegli anni, in quanto dirette .in. prima istanza, contro regimi comunisti, fecero ritorno a forme più semplici e più viscerali di affermazione nazionale, anche quando- non respingevano in tutto e per tutto qualsiasi forma di ideologia proveniente dai partiti comunisti al potere. Per quanto riguarda il Terzo Mondo, invece, la nascita dell'integralismo religioso, in particolare nella versione islamica, ma anche secondo altre varianti religiose, come per esempio il buddismo presso gli estremisti singalesi in Sri Lanka, servi da fondamento sia per il na-

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zionalismo rivoluzionario sia per la repressione nazionale. Cosi, vista retrospettivamente, l'egemonia ideologica della sinistra a partire dagli anni 1930 può anche presentarsi come un intermezzo, se non addirittura come un'illusione. Resta ancora una domanda importante cui rispondere: che conseguenza ebbe sul nazionalismo la diffusione di sentimenti e movimenti nazionalistici oltre i confini geografici all'interno dei quali aveva fatto la sua apparizione? Benché gli osservatori europei degli anni 1920 avessero cominciato a prendere sul serio il nazionalismo nell'ambito del mondo dipendente, in particolare in Asia e nei paesi islamici, e l'avessero fatto in modo più serio di quanto non si sia fatto noi retrospettivamente", non ritennero tuttavia che richiedesse dei riaggiustamenti di quella che era stata l'analisi europea. Il maggior insieme di Stati indipendenti al di fuori dell'Europa, ossia le repubbliche latinoamericane, suscitarono ben poca attenzione salvo che negli Stati Uniti, sicché il nazionalismo, in quest'area, era considerato una specie di facezia ruritana, oppure assimilato aWindigenismo, ossia alla riscoperta culturale di esemplari civiltà e tradizioni indie, sinché certi gruppi, negli, anni 1930 e 1940, non mostrarono- certe simpatie per il fascismo europeo, guadagnandosi cosi il diritto- a finire prontamente nel dimenticatoio. Il Giappone, poi, benché chiaramente sui generis, lo si poteva considerare una specie di potenza imperiale occidentale ad honorem, e perciò uno Stato nazionale e nazionalistico sulla falsariga dei suoi modelli occidentali. Ad eccezione dell'Afghanistan e, forse, del Siam. (Thailandia), il resto dell'area afro-asiatica, non posseduto o amministrato dalla metropoli presentava una sola entità statale che potesse prestarsi a manovre indipendentistiche: la. Turchia postirnperiale. In linea generale, tutti i movimenti antimperialisti di varia portata e significato sembravano potersi classificare, e nelle metropoli in effetti lo erano, sotto una delle seguenti tre rubriche: élite istruite locali che si ispiravano alla «autodeterminazione nazionale» di tipo europeo, come per esempio in India; xenofobia popolare antioccidentale (rubrica buona a tutti gli usi -di ampia applicazione particolarmente in Cina); naturale fierezza di tribù marziali, nel caso dei deserti marocchino e arabico. Nell'ultimo caso, gli amministratori imperiali e gli in-

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tellettuali, non dimentichi della possibilità di reclutare tali robusti, e in genere spoliticizzati, soggetti negli eserciti imperiali, tendevano a mostrarsi indulgenti, conservando tutta la loro ostilità per gli agitatori urbani, specie per quelli dotati -di un qualche grado di. istruzione. Resta comunque che nessuno di questi casi sembrava richiedere un. qualche approfondimento sul piano- teorico-, nonostante l'esempio dei movimenti popolari nei paesi islamici, e lo stesso appello di Gandhi alle masse indiane, dovessero pur far pensare a una maggior funzione mobilitante della, religione rispetto- a quanto si era normalmente verificato nell'Europa contemporanea,. Forse, la prima -cosa -che sarebbe dovuta venire in mente in relazione al nazionalismo del Terzo Mondo - ad eccezione di quello che si ispirava alla sinistra rivoluzionaria - avrebbe dovuto essere proprio uno scetticismo -di fondo sulla, pretesa applicabilità universale del concetto «nazionale». Agli osservatori imperiali, questo sembrava infatti un concetto di importazione nell'ambito del mondo dipendente, fatto proprio da minoranze di évolués senza reale rapporto con le masse dei propri compatrioti, le cui idee di comunità e di lealtà politica erano piuttosto diverse. Considerazioni spesso azzeccate, sebbene poi tendessero a far si che i governanti imperiali dei coloni europei non si. rendessero conto- della nascita e diffusione di una identificazione nazionale di massa, quando questa in effetti si verificava, come accadde in particolare ai sionisti e agli Ebrei di Israele nel caso degli Arabi palestinesi. Nel periodo tra le due guerre, le riflessioni più interessanti sulla «questione nazionale» nel mondo dipendente ebbero luogo- in seno al movimento- internazionale comunista, sebbene non uscissero dal quadro piuttosto rigido del marxismo-leninismo, quale codificato negli anni della, guerra. In ogni caso, il principale punto di interesse per i marxisti era costituito dai rapporti di classe, ivi compresi quelli che vigevano nella lotta di classe tra borghesia e proletariato di un paese coloniale, .nell'ambito dell'ampio movimento antimperialista per la liberazione nazionale e sociale; cosa che, nella, misura in cui. le società, coloniali .indigene erano dotate di una struttura, di classe che si prestava all'analisi .in. termini in qualche modo di derivazione occidentale, poneva problemi di maggior complessità all'analisi marxista. Mentre la definizione di «nazioni che combattono per la propria libertà».

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d'altra parte, veniva generalmente ripresa da tali movimenti nazionalisti bell'e fatta e senza andare a guardare troppo per il sottile. Cosi la nazione indiana era costituita dalla popolazione del subcontinente indiano, come proclamato dall'Indian National Congress; mentre la nazione irlandese era queia -che i feniani ritenevano tale ". Ma, per attenerci al nostro fine più specifico, dobbiamo sospendere qui .l'esplorazione di questo interessante campo d'indagine. Poiché pochi movimenti « nazionali » antimperiali del Terzo Mondo coincidevano con entità etniche o politiche preesistenti all'arrivo degli imperialisti, si è avuto un ampio sviluppo del nazionalismo, secondo la connotazione assunta dal termine in Europa nel corso del secolo xix, a partire dalla decolonizzazione, cioè, in sostanza, dal 1945. La maggior parte di questo nazionalismo, però, non aveva come bersaglio l'oppressore imperialista, forestiero, bensì gli Stati da poco emancipati che pretendevano- di possedere un'omogeneitàjiazionale in realtà inesistente. In altre parole, la protesta era rivolta contro la poca credibilità « nazionale », cioè 'etnica o culturale, dei territori nei quali l'epoca imperiale aveva suddiviso il mondo -dipendente; sebbene, poi, talvolta, nel mirino di questa protesta ci fosse anche la poca credibilità, delle ideologie di provenienza, occidentale cui si. ispiravano le élite modernizzataci che avevano- ereditato il potere politico. Ma c'è da chiedersi se fosse - e sia - possibile avanzare delle rivendicazioni nel nome di qualcosa che corrisponde al vecchio « principio di nazionalità» e alla richiesta di autodeterminazione. Sotto certi aspetti, infatti, è chiaro che costoro riutilizzavano questo stesso linguaggio, sebbene non, più derivato in linea diretta 'da Mazzini ma, in. via indiretta, dal marxismo tra le due guerre, che esercitò- la massima influenza, a livello ideologico, sugli intellettuali appartenenti ad ampie zone del mondo dipendente: come mostra chiaramente il caso di Sri Lanka, sia tra i Singalesi sia tra gli estremisti Tamil, benché il comunitarismo- [communalism] singalese si rifacesse anche a certi ideali linguistico-razziali -del secolo xix in Occidente intesi a dimostrare la superiorità degli Ariani . Da tutto ciò, però, non deriva che, conflitti e rivalità tra comunità, al pari dell'autoaffermazione del gruppo etnico nella realtà del Terzo Mondo, si comprendano meglio alla luce di questa prospettiva, cioè, in sostanza, considerandoli dei movimenti 1

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che, almeno potenzialmente, mirano- alla creazione di uno- Stato, come se il loro sbocco naturale fosse appunto l'istituzione di Stati territoriali. Del resto, l'incapacità del «tribalismo», che peraltro gode di ampio seguito in molte zone dell'Africa, a «.insorgere contro gli apparati costrittivi di Stati anche piuttosto rudimentali» , basterebbe a suscitare un attimo di perplessità in proposito. E, per vedere il rovescio della medaglia:: come potrebbero aree cosi frammentate nelle comunità che le abitano, come per esempio nel caso del Libano, mantenere in piedi qualcosa che, anche solo lontanamente, si presentì come Stato-nazione o qualsiasi altra forma statuale? Ovviamente, gli Stati creati ex novo dal 1945 in poi sono stati suddivìsi sulla base di uno spartiacque che separa un piccolo numero- di regioni, diciamo tre o quattro, marcatamente -diverse dal punto di vista della struttura socio-politica, della cultura e dell'etnia, o, comunque, di altre caratteristiche rilevanti sul piano politico. Talvolta, all'interno- di queste .linee di frattura può verificarsi un'ulteriore suddivisione, anche se non per quanto riguarda il. contesto internazionale, come nel caso del Pakistan orientale e occidentale, oppure di Cipro divisa tra Greci e Turchi. Il Sudan e il Chad, con gli Arabi e i musulmani a Nord e i cristiani e gli animisti neri a Sud; la Nigeria, coi musulmani e gli Hausa a. Nord, gli Yoruba, a Sud-ovest e gli Ibo a Sud-est sono altri casi che rientrano in questa categoria. Tuttavia, è piuttosto significativo che la situazione nigeriana sia stata almeno in apparenza resa, meno esplosiva, dopo il fallimento detta secessione Ibo nel Biafra nel 1967, realizzando un. vero e proprio scioglimento delle comunità e la. sostituzione detta precedente suddivisione tripartita con diciannove staterelli, da cui tra l'altro emerse che Hausa, Yoruba e Ibo non arrivano a costituire il 60% della popolazione nigeriana. È altresì chiaro che la situazione interna degli Stati è piuttosto instabile quando il potere si identifica con una singola comunità egemonica, specie se questa è ancora impegnata nel tentativo- di imporre il proprio dominio sull'intero territorio- statale. Come sembra stia verificandosi in Etiopia, dove la nascita e lo- sviluppo di un. .impero basato su una comunità cristiana di minoranza - chi parla aratnaico rappresenta il 2 5 % di una. popolazione che si compone del 40% di cristiani, 40% di musulmani e 20% di altri - furono ostacolati da un breve periodo di colonizza11

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zione italiana, cui segui la restaurazione di un ampio impero e la rivoluzione del 1974. Tuttavia, l'unità territoriale di questo paese sfortunato-, devastato dalla carestia e dalla guerra, non sembrò- correre dei seri rischi salvo che in. seguito al tentativo di incorporarsi l'Eritrea, che era invece nella, condizione di poter seguite un proprio e separatoiter politico, sulla base di una propria identità territoriale, già in quanto colonia italiana e, poi, sotto l'amministrazione britannica, ossia, ben prima di essere aggregata, per motivi di convenienza internazionale, all'Etiopia, a l a quale non era mai appartenuta in precedenza. Naturalmente-ci sono un mucchio di tensioni di tipo etnico, tribale o tra comunità, in un gran numero di Stati di recente indipendenza, sia in Africa, sia .in. Asia - con l'eccezione dei paesi che, a quanto sembra, sarebbero riusciti a realizzare una specie di modus vivendi. muìtietnico in grado di funzionare -; ciò nonostante non è affatto detto che tutti i popoli coinvolti in queste tensioni, e nemmeno i loro leader o esponenti politici, mirino a d e l e forme di separatismo sul piano- statale. II vero problema che riguarda i gruppi etnici e le comunità, specie queii che debbono far fronte a radicai -cambiamenti socio-economi' ci ai quali non sono storicamente preparati, sembra essere di ben. altra natura. Nel senso che sembra piuttosto diverso dai problemi che sì pongono in rapporto a l a formazione di nuove nazioni, e invece piuttosto simile ai problemi che si pongono in relazione ai movimenti migratori -di massa nel'ambito dei paesi di vecchia e nuova industriaMzzazione: cioè ai problemi di adattamento al « nuovo mondo » costituito da una società multietnica. E ovvio che questi immigrati, come abbiamo già visto, sono come naturalmente portati ad aggregarsi con gl altri « d e l vecchio paese» o di « c a s a nostra», sia per insicurezza e nostalgia, sia per fornirsi reciproco aiuto, sia come forma di reazione all'ostilità del mondo esterno costituito, perlopiù, da fette di popolazione simile a l a loro-, sia, e non in ultima istanza, per so-iecitazione dei potenti strumenti organizzativi d e l a politica elettorale, almeno dove questi funzionano. Come ben sanno gli .amministratori, locali nordamericani, si tratta di gente pronta a rispondere agli appelli di tipo etnico e a sostenere qualsiasi cosa si presenti come favorevole alla

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causa nazionale dei loro paesi d'origine specialmente quando l'immigrazione abbia anche motivazioni politico-ideologiche: così gli Irlandesi saranno- propensi a sostenere TIRA, gli Ebrei a mostrare ostilità nei confronti di Yasser Arafat, i Lettoni alla restaurazione degli Stati baltici. Tuttavia, come ben sa qualsiasi politico, ripetere il giusto ritornello a proposito del Sinn Fein, dell'OLP o dello stalinismo non costituisce che l'elemento minore nell'ambito delle incombenze politiche dei rappresentanti di un simile elettorato, l'elemento maggiore essendo costituito dalla cura e dalla rappresentanza dei loro interessi in quanto Americani o Canadesi. In società multietniche o composte di diverse comunità, ciò consiste essenzialmente nel saper contrattare, negli interessi del gruppo- rappresentato, la spartizione delle risorse disponibili in un determinato Stato in opposizione agli altri gruppi, difendere il proprio gruppo contro la discriminazione e, più in generale, massimizzare le opportunità dei suoi appartenenti e minimizzarne gli svantaggi. Come si vede, il nazionalismo nel senso della rivendicazione di uno Stato territoriale separato, e persino in quello- dell'autonomia linguistica, non ha molto a che fare con tutte queste cose, ancorché possa essere di conforto alla diaspora. Il caso dei neri nordamericani illustra la questione con particolare chiarezza, sia perché la razza caratterizza la loro situazione di gruppo, sia perché, nonostante l'elevato grado di segregazione o ghettizzazione sociale, il separatismo territoriale sembra evidentemente da escludersi nel loro caso, anche a prescindere dalla sua impraticabilità, sia sotto forma di esodo in massa in qualche altro paese (africano), sia sotto forma di assegnazione esclusiva di una parte del territorio degli Stati Uniti d'America. La prima ipotesi ha talvolta suscitato un certo entusiasmo presso i neri dell'emisfero occidentale, ma, al di là di questo, non è mai stata considerata un programma realmente realizzabile salvo che da esaltati di estrema destra che farneticavano di espulsione in massa («rimpatrio») degli immigrati di colore. La seconda ipotesi venne, seppure per breve tempo, 'effettivamente ventilata, sulla scorta di un'applicazione rigorosa della dottrina «deffautodeterminazione nazionale», dall'Internazionale comunista. Ricostruendo la cartina delle contee degli Stati del Sud del paese che, sulla base dei censimenti, registravano maggioranze di popola-

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zione nera, risultava in effetti possibile costituire una fascia, più o meno continua, almeno sulla carta, che, nonostante un certo numero di enclave e di sconfinamenti, poteva essere rivendicata quale «territorio nazionale » dei neri americani e, pertanto, suscettibile di dar luogo a una repubblica nera". L'aspetto più assurdo' di questa fantasia cartografica era forse costituito dall'assunzione che il problema rappresentato dal vivere negli Stati Uniti d'America a predominanza bianca avrebbe potuto in qualche modo essere eliminato dall'esistenza dei neri americani grazie al separatismo. Inoltre, era altrettanto evidente che, pur data e non concessa la possibilità di impiantare una repubblica nera in qualche parte nella zona del blues del paese, questa avrebbe avuto ben poche ripercussioni sui ghetti urbani del Nord e dell'Ovest dove i neri si stavano ormai riversando. La concentrazione nelle città, dove nel 1970 viveva il 97% dei neri non meridionali (un terzo dei neri del Sud abitava ancora nelle campagne), ha fornito ai neri degli Stati Uniti una notevole leva elettorale, grazie alla quale sono riusciti a ottenere alcuni vantaggi, ma, in sostanza, unicamente limitati all'acquisizione, da parte del loro gruppo etnico, di una maggior quantità di risorse e servizi socialmente disponibili. La separatezza territoriale dei ghetti nelle società di tipo pluralistico può- costituire una forza addirittura formidabile di coesione etnica, come testimoniano tanto Belfast quanto Beirut; ma, nello stesso tempo, elimina le prospettive dell'autodeterminazione mediante la formazione di Stati territoriali, salvo che in casi eccezionali.. Inoltre, urbanizzazione e industrializzazione, in quanto implicano movimenti massicci e di vario tipo, migrazioni e trasferimenti di persone, fanno in pratica cadere anche l'altro elemento di base del nazionalismo, cioè quello del territorio abitato sostanzialmente da una popolazione omogenea dal punto- di vista etnico, culturale e linguistico. La reazione marcatamente xenofoba o addirittura razzista della popolazione autoctona dei paesi o delle regioni ospitanti davanti all'afflusso massiccio degli «stranier i » è, purtroppo, un elemento ricorrente, negli Stati Uniti, dagli anni 1890 e, in Europa, dagli anni 1950. Ma xenofobia e razzismo sono sintomi, non terapie. Nelle società contemporanee, comunità e gruppi etnici sono fatalmente destinati a coesistere, al di là di qualsiasi retorica sognante il ritorno a una nazione esente da miscugli razziali. Elimi-

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nazione fìsica di massa e espulsione in massa («rimpatrio'») hanno semplificato drasticamente la mappa europea e non è escluso che possano essere messe in pratica altrove. Tuttavia, gli spostamenti della gente hanno nuovamente ricostituito quella complessità etnica che la barbarie aveva cercato di toglier di mezzo. E oggi, la tipica minoranza nazionale nella maggior parte dei paesi di immigrazione è un arcipelago composto di tanti isolotti più che non una consistente terraferma. Otto Bauer può rivestire un certo interesse in relazione a questi problemi; non certo Mazzini. In linea generale questa è anche la situazione in cui si trovano i gruppi etnici negli Stati multietnici e composti da diverse comunità nell'ambito del Terzo Mondo, ossia nella maggior parte degli Stati ex coloniali di dimensioni un. po' più estese di quelle delle isolette caraibiche; ma anche in alcuni Stati di ridottissime dimensioni. I gruppi etnici e le 'diverse comunità vi sono in genere fortemente organizzati proprio in quanto tali: principalmente, negli Stati di nuova formazione, per il tramite di partiti politici e di gruppi di pressione che si pongono di fatto come portavoce di interessi etnici. L'accedere a posti nell'amministrazione statale o nei servizi pubblici costituisce, in molti di questi Stati, la via. maestra in direzione d e i a ricchezza e dell'acquisizione di capitali per chi non sia dotato di moderne capacità imprenditoriali - l'esercizio di queste ultime era in precedenza riservato ad alcune comunità di minoranza e ai bianchi™ -, e costituisce di conseguenza l'obiettivo principale cui si mira. Nella misura in cui questo accesso lo si conquista sulla base della scolarizzazione, con l'eccezione dei rari casi di colpi militari non realizzati da ufficiali superiori, «i gruppi etnici contendenti - come ha osservato Fredrick Barth con l'usuale acutezza - si differenziano in rapporto al livello di istruzione e mirano a controllare o a monopolizzare la pubblica istruzione» . 3

Nella misura in cui questa competizione tra gruppi riguarda l'accesso o il controllo di posti nell'ambito d e i a macchina dello Stato (territoriale), ci si trova in presenza di un. contesto' etnico che ha. qualche elemento in comune con la nascita e lo sviluppo del nazionalismo «piccolo borghese» di cui abbiamo parlato nel capitolo iv. In casi estremi può in effetti portare al separatismo, come presso i Tamil in Sri Lanka: una minoranza (parzialmente separabile sul piano geogra-

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fico) che si trovava ad essere sovrarappresentata nella pubblica amministrazione sotto gli Inglesi e, probabilmente, ai livelli più elevati dell'istruzione, e che, da allora, aveva dovuto subire vari generi di pressione da parte della maggioranza singalese che faceva sentire tutto il proprio peso, per esempio, con l'adozione del singalese quale unica lingua ufficiale nazionale nel 1956. (Se l'hindi fosse stata la lingua del 7 2 % della popolazione invece che del 40%, la tentazione di eliminare la lingua inglese dall'ufficialità sarebbe stata molto maggiore, come molto maggiore sarebbe stato il pericolo incombente sul separatismo tamil e qualsiasi altro in tetra indiana) . Resta tuttavia il fatto che il nazionalismo su base territoriale costituisce un caso particolare e limitato. Nello stesso Sri Lanka, le aspirazioni separatiste sostituirono quelle federaliste solo circa venticinque anni dopo l'indipendenza. In linea generale, invece, ci si trova in presenza di una coesistenza di tipo competitivo, puntellata, quando sia il caso-, da diverse specie di decentramento e autonomia. E quanto più una società è urbanizzata e industrializzata, tanto- più appaiono artificiosi i tentativi di tracciare dei confini realmente applicabili a comunità etniche che si trovano a operare in un contesto più ampio- di quello del territorio natio. Il tentativo -della Repubblica del Sud Africa -di istituire tal genere di confini non rientra per nulla nella classica costruzione di una nazione, nella fattispecie per gli Africani, ed è invece un piano per perpetuare l'oppressione razziale. 22

Del resto, come sottolinea ancora Barth", in queste società complesse, caratterizzate dalla molteplicità delle etnie e delle comunità, i rapporti tra i vari gruppi sono insieme diversi e meno stabili di quelli che tendevano a istituirsi nelle società di tipo tradizionale. In primo luogo: i gruppi che entrano in una società moderna o- di • tipo ancor più avanzato, avrebbero a disposizione tre strategie possibili, e forse neppure nettamente separabili. I loro appartenenti possono- ricercare l'assimilazione o, per cosi dire, di « passare » da appartenenti a una società avanzata, col risultato che a qualcuno questa operazione può riuscire, ma, nel contempo, la comunità nel suo insieme « sarebbe deprivata delle sue possibilità di cambiamento dall'interno rimanendo pertanto di tipo conservatore sul piano culturale ( ) cioè un gruppo di basso livello nell'ambito del sistema sociale allargato».

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Oppure, potrebbero accettare lo status di minoranza cercando nel contempo di ridurre gli impedimenti che pesano sulle minoranze, mantenendo però- le caratterizzazioni specifiche « i n settori non cruciali», In questo caso non si avrebbe, come conseguenza, la precisa configurazione di una società organizzata strettamente su basi multietniche e, nel caso di società industrializzate, he conseguirebbe, probabilmente, l'assimilazione. Oppure, infine, il .gruppo potrebbe scegliere di accentuare la propria identità 'etnica, « i n modo da elaborare nuove posizioni e modelli (...), non reperibili in precedenza nella sua società o non adeguatamente sviluppati, per il raggiungimento dei nuovi obiettivi». Secondo Barth, quest'ultima posizione è quella che .ha le maggiori probabilità di dar luogo a un nazionalismo- etnico postcoloniale e alla creazione di uno Stato; sebbene, come ho già avuto occasione di sottolineare, quest'ultimo non costituisca il normale obiettivo né sia, nemmeno, un'implicazione necessaria di tale scelta strategica. In ogni caso, non giova all'analisi far rientrare tutti questi modi -di sopravvivenza del gruppo- nell'unica rubrica 'di « n a z i o n e » e « nazionalismo » : dagli abitanti del Quebec, agli immigrati greci e baltici, agli indiani Algonchini, agli Inulti eschimesi, agli Ucraini e agli Angloscozzesi, per non citare che un caso specifico di multietnicità. In secondo luogo: i rapporti, tra le etnie di tipo tradizionale si stabilizzavano spesso, e probabilmente nella maggioranza dei casi, nella forma di una divisione sociale del lavoro molto segmentata, in modo che Io « straniero » aveva una ben precisa e riconosciuta funzione, sicché quali che fossero « le nostre frizioni conia sua comunità, risultava in una posizione di complementarità, più che di competitività nei. "nostri" confronti». Lasciati a. se stessi, questi modelli di servizi e di mercati di lavoro segmentati su base -etnica si sviluppavano e si mantenevano per via naturale, anche nell'ambito dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione occidental, in parte anche perché in tal genere di mercati sussistono sempre delle nicchie particolari che attendono 'di essere riempite, ma, soprattutto, perché la rete informale di aiuto reciproco che collega gli immigrati da una. determinata regione riempie queste nicchie sulle basi dell'amicizia, parentela e clientela già operanti in patria... Perciò- ancor oggi, a New York, ci si aspetta di vedere dei volti coreani tra i negozianti di frutta e verdura; un numero

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molto elevato di indiani Mohicani tra gli operai che lavorano alla costruzione dei grattacieli; venditori di giornali {come del resto a Londra) di origine indiana, mentre il personale dei ristoranti indiani sarà prevalentemente composto da immigrati dalla zona di Sylhet nel Bangladesh. Visto che «i sistemi tradizionali multietnici sono spesso- marcatamente economici» (Barth), stupisce che i movimenti basati sull'Identità etnica e attivi, negli Stati in cui convivono- più comunità, si mostrino cosi raramente interessati a questo genere di divisione sociale su base economica, e lo siano, invece,, e molto, alla competitività del proprio gruppo nell'ambito d e l a «Hbera lotta» tra comunità, etniche di un determinato Stato. La maggior parte di ciò che viene solitamente rubricato come nazionalismo postcoloniale sembra essere più che altro Il riflesso del'instabiltà dei rapporti tra i gruppi in quanto non basati su una divisione etto-economica del lavoro bensì su una sorta di bilanciamento, che non esclude la preponderanza, del potere p o i tlco. I conflitti e le frizioni -etniche e tra comunità risultano perciò piuttosto facilmente riscontrabili anche al di fuori d e l e zone originarie del nazionalismo, e possono esser considerate, se non altro- in qualche misura, corrispondenti al m o d e i o «nazionale». Tuttavia, va ripetuto ancora una volta, che ciò non rientra, in quella «questione nazionale» intorno alla quale discutevano i marxisti, e in base ala, quale venivano elaborate le cartine geografiche. O, se si preferisce, possiamo dire che l'estensione del « n a z i o n a l s m o » al -di fuori d e l a sua terra d'origine lo sottrae a l a portata di quela che ne costituì l'analisi originaria, come del resto- testimonia la germinazione spontanea di nuovi termini nel'intento di cogHere meglio il fenomeno, come per esempio la parola, etknie - per indicare «gruppo etnic o » o ciò che in passato si sarebbe chiamato «nazionalità» - che sembra essere entrata, nel'uso abbastanza recentemente". Cosa che del resto si era capita da tempo, sebbene poi i primi osservatori del nazionalismo non occidentale, per quanto consapevoli « c h e ci si trova davanti a un fenomeno- piuttosto diverso dal nazionalismo europeo », ritenessero «irrlevante» evitare l'uso del termine «visto- che viene adottato -da tutte le p a r t i » . In ogni modo, si usi o non si usi il. termine 3

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nazionalismo il fenomeno solleva molti problemi sotto molteplici aspetti. Uno di questi può essere rapidamente preso in considerazione nelle pagine conclusive del presente capitolo: intendo l'aspetto della lingua. Non c'è dubbio che il quadro caratteristico del nazionalismo .linguistico - cioè quello costituito dalla trasformazione di un idioma etnico in lingua letteraria «nazionale» standard utile a tutti gli. usi e destinata a diventare quella ufficiale - può in effetti rimanere immutato. (Anche se all'interno di lingue del genere da tempo stabilizzate, si è verificata una recente tendenza alla disgregazione, nel senso di utilizzarne delle varianti minori o dei dialetti per l'insegnamento scolastico;, come per esempio nel caso del black English o dello joual, cioè il francese fortemente anglicizzato parlato dalle classi basse nei sobborghi di Montreal). Tuttavìa, sul piano pratico , il multilinguismo si presenta oggi come inevitabile nella maggior parte degli Stati; sia perché i movimenti migratori riempiono le città del mondo occidentale di colonie « etniche »; sia perché oggi la. maggior parte degli Stati di nuova costituzione presentano al loro interno un numero così ampio di lingue parlate reciprocamente incomprensibili che, strumenti atti a consentire la comunicazione nazionale, e sempre più preferibilmente quella internazionale, appaiono indispensabili, senza contare, poi, le più ristrette lingue franche. (La Nuova Guinea Papua, con le sue settecento lingue per una popolazione di circa due milioni e mezzo di abitanti, costituisce forse il caso estremo). Ma, in questa situazione, risulta piuttosto chiaro che le lingue più accettabili dal punto di vista dell'equilibrio politico sono quelle «costruzioni comunicative» che non si prestano a nessuna identificazione etnica locale, come il pidgin o il bahasa Indonesia, oppure le lingue straniere (preferibilmente quelle di estensione culturale mondiale), tra le quali in special modo l'inglese, in quanto non presentano alcun vantaggio o svantaggio particolare per nessun gruppo etnico. Questo tipo di situazione - che spiegherebbe « quella che sembra essere una notevole flessibilità della élite indonesiana, al pari di un'assenza di intensa partecipazione emotiva alia "madre-lingua" »* - non ha evidentemente molto a che fare con la realtà resaci familiare dai movimenti nazionalisti europei. E, analogamente, poco simile a questa, realtà è la scelta politica che 1

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ispira i contemporanei censimenti multietnici in Canada, come può risultare dal confronto con la politica in materia adottata a suo tempo dal vecchio Impero asburgico (cfr. pp. 113-15). Infatti - ben sapendo che gli appartenenti ai gruppi etnici di immigrati, posti davanti a l a scelta tra etnia e «canadesità», si dichiaravano Canadesi, e sapendo anche quale attrazione l'inglese esercitasse nei loro confronti - i gruppi di pressione etnica si opponevano a che nei censimenti figurassero domande relative a l a Hngua o al'autodefinizione etnica; sicché, sino ad epoca recente, il censimento si basava su una dichiarazione di origine etnica patrilineare, e escludeva come non pertinente la risposta « C a n a d e s e » o «Americano», salvo che per gM Amerindiani. Questa appartenenza 'etnica fratto di un «artificio da censimento'», originariamente sollecitato dai Franco-canadesi per dilatare le proprie file anche al di fuori del'area per loro centrale del Quebec, corrispondeva ugualmente ai desiderata dei leader d e l e comunità etniche e di immigrati, in quanto consentiva di metter la sordina al fatto che, dei 315 000 individui che risultavano di origine polacca in base al censimento, solo 135 000 indicavano nel polacco la propria madrelingua e non più di 70 000 dicevano di parlarla in famiglia. Dati analoghi risultavano anche per gli Ucraini . In breve: nazionalismo etnico e razionalismo linguistico possono divergere e, al giorno d'oggi, possono entrambi aver perso la loro relazione di dipendenza da un potere statale di tipo nazionale. Q u e l o che si può chiamare multilinguismo non competitivo o bilinguismo s u l a base di un modello relazionale analogo a q u e l o che caratterizzava, nel secolo xix, 1 rapporto tra lingua ufficiale di cultura/Stato, da una parte, e dialetti e patois dall'altra, continua ad essere piuttosto comune. La tendenza a conferire a l e lingue vernacolari uno status ufficiale accanto a l e lingue di cultura nazionali/internazionali - lo spagnolo in America latina, il francese in alcune zone del'Africa, e in maniera più generale l'inglese, che è la lingua nela quale s'impartisce l'istruzione secondaria n e l e Filippine, come del resto lo è, o almeno lo era sino a l a rivoluzione, in Etiopia - non deve suggerire d e l e ipotesi errate . Infatti non è pensable che il m o d e l o possa ancora rimanere q u e l o d e l a lotta per la supremazia, come in Quebec, e non si accinga a diventare, invece, q u e l o d e l a divisione d e l e funzioni, come in Pa17

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raguay, dove sia lo- spagnolo sia il guarani sono normalmente utilizzati

epriiidatia élite £ b L , s a k o L i o spagnolo è u d l i ^ » nella comumcazione scritta di qualsiasi tipo, ad eccezione, forse, delle belles lettres. Analogamente, è piuttosto poco probabile che il quechua, che in. Perù si è visto riconoscere uno status ufficiale di uguaglianza, a l o spagnolo dal 1975, .intenda sostituire quest'ultimo nel campo, diciamo, della stampa quotidiana o dell'università; com'è altrettanto poco probabile che, quale che sia l'impronta di ufficialità che contrassegna alcune lingue vernacolali nelle ex colonie britanniche dell'Africa o del Pacifico, l'accesso all'istruzione, alla ricchezza e al potere non continui a passare per la lingua inglese '. Ma queste osservazioni ci invitano ad alcune riflessioni conclusive sul futuro di nazioni e nazionafismo. 2

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Cfr. C. A. Macartney, Refugees, in Encyclopedia o/the Socia!Sciences, New York 1934, voi XÌ1I, pp. 200-5: C. B. Eddy, Greece ani the Greck Refugees, London 1931. Per obiettività va ricordato che i Greci espulsero 400 000 Torchi. M. Gross, Ott the integration of the Croatian nation: a case stuày in nation building, in «East European Quatterly», 1.981, n. 15, p. 224. Cfr. G. Adhikari. Pakistan andlndmn National Vnity, London 1942, passim, ma in particolare pp. 16-20. Abbandonando quella che era la linea del Partito comunista, favorevole, al pari di quella dell'lndian National Congress, all'adozione deM'hindustani quale unica lingua nazionale; cfr. R. Palme Dutt, India To-day, London 1940, pp. 265,266. « L e Monde»,, 11 gennaio 1981. H.-J. Puhle, Baskischer NationaMsmtts im spanischen Konfext, in H. A. Winkler (a cura di), Nationalùmus in der Welt von Heute, Gottingen 1982, pp. 53,, 54. Per la contrapposizione radicale tra pratiche linguistiche e punti di vista catalani e baschi, sulla scorta di indagini campione, cfr. M. Garda Ferrando, Regionalismo y autonomias en Espana, Madrid 1982 ; E. Lopez Aranguren, La condendo regional eri elproceso autonomia} espanol, Madrid 1983. ' Cfr. E. Shetrington, Welsh Nationalism, the Premi Revolution and the infiuence of the Frencb tight, inD. Smith (a cura di),/I PeopleandaProletariaf: Essaysin theHistory ofWales 1780-1980, London 1980, pp. 127-47. E. J. Hobsbawm, Mass-Pmdudng tradition, in Id. e T. Ranger (a cura di), The Invention of Tradition, Cambridge ,1983, pag. 300,301 [trad. it. Tradizioni e genesi dell'identità di massa in Europa, 1870-1914, in L'intenzione della tradizione, Torino 1987, pp. 289, 290]. * Per la sostituzione della Marsigliese con l'Internazionale sia in Germania sia, in Francia, cfr. M. Dommanger, Eugène Pottier, Paris 1971, cap. ni. Per l'appello patriottico, cfr. tra gli altri M. Thorez, Trance To-day and the Peopk's Front, London 193,6, pp. 174-85, in particolare pp. 180,181 [M. T., (Euvres ckoisies en trois volumes, Paris 1965-67, voi. I, pp. 190-296,348-53]., '° C. De Gaulle, Mémoires de Guerre. Paris 1956, voi. II, pp. 291,292 [trad. it. Memorie di guerra, Milano 1959, voi. II, pp. 329,33,0]. Per gli Stati Uniti d'America, cfr. E. Browder, The People's Front in the United States, London 1936, in particolare pp. 187-96, 249-69. 2

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L'apogeo del nazionalismo, 1918-1950

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H. Francis, MmersAgainstFascism: Wales and the Spanish Cimi War, London 1984; P. Soriano, Storia del Partito comunista umiliano, Torino 1970, voi. Ili, cap. iv. Discorso del 1941, cit. in A. BuDocfc, The Life andTimes of Ernest Bevin, London 1967, voi. II, p. 77. H. Peling, The Labour Gmemments, 1943-51, London 1984, p. 120. Cfr. S. Cronin, Frank'Ryan. The Search for the Republic, Dubita 1980, e anche F. Ryan (a cara di), The Book ofthe XVBrigade, Newcastle on Tyne 1975, prima ed. Madrid 1938. Per .il collaborazionismo di moiri attivisti « etnici » .in Francia, cfr. W. R. Beer, The social class ofetbnic activists in conlemporary France, in M... J. Esman (a cura di), Etbnic Conflict in the Western World, Ithaca 1977, p. 157. H. Kohn, History ofNationalism in the East, New York 1933 e Id., Nationalism andlmperialism in the Hiiker East. New York 1932, pubblicati per la prima volta in Germania rispettivamente nel 1928 e nel 1930, costituiscono probabilmente la prima trattazione di un certo respiro sull'argomento. È probabile che l'autore sia stato indotto a focalizzare la propria attenzione su questa area, dall'interesse per il sionismo. Die nationale Froge und Oesterreichs Kampfum seme Unabbangigkeit: Ein Sammelband, con prefazione di J. Koplening, Paris 1939, fornisce la documentazione della principale eccezione: l'Austria. I suoi abitanti di lingua tedesca, erano stati -considerati da parte dei. marxisti come appartenenti ala nazione tedesca, cosa che -costituiva il principale motivo dell'interesse del Partito socialdemocratico austriaco all'unione eoo la Germania, suscitando non pochi problemi allorché Hider s'impadroni della Germania. Mentre i socialdemocratici restarono su tali posizioni, tanto- che Karl Renner, in seguito primo presidente della Seconda repubblica austriaca, accolse favorevolmente YAitschlttss nel 1938, i comunisti austriaci elaborarono una teoria della separatezza della nazionalità austriaca che li trasse d'imbarazzo. K. Jayawardene, Etbnic and Class Conflicts in Sri Lanka, Dehiwala 1985; Id.,, The national question and the left movement in Sri Lanka, in « South Asia Bulletta», VII -(1:977), n. 1-2, pp. 11-22; J . Uyangoda, Reinterpreting Tamil and Sinhala nationalism, ivi, pp. 39-46; R. N. Kearney, Etbnic conflict and the Tamil separatisi: movement in Sri Lanka, in «Asian Survey», 1985, n. 25, pp. 898-917. F. Bardi (a. cura di), Etbnic Groups and Boundaries, Boston 1989, p. 34. « Il partito intensificò la lotta a favore dell'uguaglianza dei diritti dei neri e per il diritto all'autodeterminazione sino a ri-comprendervi l'obiettivo dela secessione dela * fascia nera" » (Die Kommunistiscbe Internationale vor dem VII Weltkongress, Moskva-Lentagrad 1935, p. 445, rapporto sulle risoluzioni dell'autunno 1930). Sulle «profonde divergenze», in merito ala parola d'ordine della -creazione di una repubblica nera riservata -ala popolazione statunitense di pelle nera, emerse nel corso dela discussione in seno al'impottante sottocommissione del VI Congresso dell' Internazionale nel 1928, cfr. gli interventi di For e Jones allo stesso congresso (Compte-Rendu Sténographique du VI' Congrès de l'Internalianale Communùte 17 Juillet - l'seplembre 1928, in «Correspondence Internationale», 1928, n. 125, pp. 1292,1293 e n. 130, p. 1418. Queste minoranze, ovviamente, godevano anche di un accesso privilegiato ai posti in ambito statale. Cfr. Bardi (a. cura -di), Etbnic Groups cit., pp. 34-37. Cfr. ,'S. Bastian, University admission and the national question e C. Abeysekera, Etbnic representation in the bighe' state services, in Ethnieity and Social Change in Sri'Lanka (Papere presented at a seminar arganizedby the Sodai Scientists" Association, dicembre 1.979), Dehiwala 1985, pp. 22,0-32, 233-49. Barth (a cura di), Ethnk Groups cit, pp. 33-37. Il Trésor de la Langue Francaise (Paris 1980, voi. VHI), pur registrando il termine etèrne nell'anno 1896, sostiene che non entrò nell'uso prima del 1956. A. D. Smith, The Etèrne Origins of Nations, Oxford 1986, usa ampiamente il termine, considerandolo però sempre come un neologismo francese non ancora del tutto entrato nell'uso inglese. Per quanto mi riguarda 1

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Capitolo quinto dubito che compaia, salvo che come una specie di solecismo, nella discussione in merito alla nazionalità prima della fine degli anni i960. J. H. Kautsky, An essay in fhepolitics of development, in Id. (a cura di), Politicai Cbange in Underdeveloped Comtries: Nationalism and Communism, New York - London 1962, p. 33. N. Tarmer, Speech and society among the Indonesian elite, in J. B, Pride e J. Homes (a cura di), Sodok'nguistics, Harmondsworth 1972, p. 127. R. F. Harney, «So great beritage as ours». Immigration and the Canadian polity, in «Dedali»», 1988, n. 117/4, pp. 68, 69, 83, 84. Sull'importanza dell'inglese, cfr. F. Grosjean, Life untò Ttoo Languages, Cambridge (Mass.) 1982, che ricorda che, nel 1974, vi erano solo 38 Stati in cui l'inglese non avesse riconoscimento ufficiale. E in 20 Stati in cui non si parlava inglese, questa lingua era tuttavia quella ufficiale, mentre in altri 36 costituiva la lingua giudiziaria e quella usata principalmente nel campo dell'istruzione scolastica (cfr. p. 114). Per quanto riguarda la competizione con l'inglese, cfr. anche L. Harris, The nationalhation or Swahili in Kenia, in «Language and Society », 1976, a. 5» PP-153-64. In qualche modo, i mezzi di comunicazione di massa, sia orali sia visivi, « che non richiedono la difficile scalata per il raggiungimento del'alfabetizzazione » (D. Riesman, « Introduzione » a D. Lerner, TbePassing ofTraditional Society, New York 1958, p. 4) hanno ridotto l'utilità di una scrittura vernacolare per chi parla una sola lingua, perché costui non è più escluso, come prima, dalla informazione relativa ad aree più estese del suo mondo ristretto. Le radio a transistor hanno costituito il massimo agente ci questa rivoluzione culturale. Cfr. in particolare H. Handelman, Strugglein tbeAndes: Pessanl•Politicai'Mobilization in Perù, Austin 1974, p. 58. Fu José Maria Arguedas, all'inizio degli anni 1962, a richiamare per la prima volta la mia attenzione nei confronti di questa rivoluzione, egli infatti sottolineò il moltiplicarsi delle radio locali in lingua quechua rivolte a un'utenza di immigrari. a Lima; emittenti locali che, inoltre, trasmettevano' perlopiù in ore in cui solo i lavoratori indi erano svegli.

C a p i t o l o sesto Il nazionalismo alla fine del secolo xx

Vorrei concludere con alcune osservazioni sul nazionalismo negli ultimi anni del secolo- xx. A prima vista risulta un'avanzata trionfale su scala mondiale del «principio di nazionalità». Tutti gli Stati del globo sono oggi ufficialmente «nazioni»; tutti i movimenti di liberazione tendono a essere movimenti di liberazione «nazionale»; agitazioni nazionali minacciano antichi Stati-nazione in Europa, come in Spagna, Francia, Regno Unito e, persino, sebbene in misura asSai modesta, in Svizzera, ma anche i regimi socialisti dell'Est, gli Stati del Terzo Mondo emersi dalla caduta del colonialismo, addirittura gli Stati federali del Nuovo Mondo, dove il Canada resta lacerato e, negli Stati Uniti d'America, si registrano crescenti pressioni affinché l'inglese diventi la lingua esclusiva dell'ufficialità, in risposta all'immigrazione in massa degli Ispano-americani, che si presentano come il primo flusso migratorio a non gradire l'assimilazione linguistica. Ma, soprattutto, dove vi è conflitto di ideologie, il richiamo alla comunità frutto di immaginazione della nazione sembra aver sbaragliato gli eventuali contendenti. Che cos'altro, infatti/se non la solidarietà di un « n o i » frutto di immaginazione contro un simbolico « l o r o » avrebbe potuto trascinare Argentina e Gran Bretagna in un conflitto insensato per qualche acquitrino e magro pascolo in una regione sperduta dell'Atlantico meridionale? Tuttavia, benché nessuno possa negare il crescente e talvolta fortissimo impatto delle politiche basate sulla nazionalità o sull'etnia, c'è almeno un aspetto principale sotto cui il fenomeno presenta un diverso meccanismo di funzionamento rispetto al «nazionalismo» e alle «nazioni» nel contesto storico del secolo xix e dei primi anni del xx. Il fatto è che non si tratta più di un elemento trainante e di prima im1

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portanza dello sviluppo storico. Nel mondo «sviluppato» del secolo xix, la creazione di un certo numero di «nazioni», che combinavano Stato-nazione e economia nazionale, fu puramente e semplicemente un dato centrale della trasformazione sul piano storico; essendo inoltre visto consapevolmente in quanto tale. Nel mondo «dipendente» d e l a metà del secolo xx e, per ovvie ragioni, in. modo particolare nele sue aree colonizzate, i movimenti di liberazione nazionale e in, favore dell'indipendenza rappresentavano il principale strumento di emancipazione poltica neia maggior patte del globo; cioè a dire per sbarazzarsi dell'amministrazione imperiale e, cosa ancor più importante, del dominio militare diretto d e l e potenze imperiali: congiuntura storica che sarebbe stata addirittura inconcepible non più di cinquantanni prima . Come abbiamo visto-, questi movimenti di Iberazione nazionale attivi nel Terzo Mondo erano, in teoria, modelati sul nazionalismo occidentale, ma, in pratica, gli Stati .ala cui, costruzione miravano, erano, come abbiamo altresì visto, perlopiù l'opposto di quele entità omogenee sul piano etnico e Inguistico che si presentavano come la forma standard assunta d a l o Stato-nazione in Occidente. Tuttavia, anche tenendo conto di ciò, finivano per avere, di fatto, più elementi di somiglianza che non di differenziazione con .il nazionalismo occidentale del'epoca liberale. Ed erano, in maniera tipica, nello stesso tempo unificatori ed emancipatori, sebbene, nel secondo caso-, i risultati non potessero coincidere con le speranze altrettanto frequentemente di quanto era avvenuto nel primo. 1

I tipici movimenti nazionalsti d e l a fine del secolo xx sono essenzialmente negativi o, piuttosto, volti a l a divisione. Donde l'insistenza sull'etnia e s u l a lingua in quanto differenza, talvolta combinate, singolarmente o assieme, con la religione. Sicché, in certo qual senso, possono essere considerati i successori,, e talvolta i veri e propri eredi, dei movimenti d e l e piccole nazionalità che lottarono contro gli Imperi asburgico, zarista o ottomano-, ossia contro qualcosa che veniva ritenuto un tipo di ordinamento poltico storicamente obsoleto, e nel nome di un modello, non è -detto sempre rettamente inteso-, di modernità politica: lo Stato-nazione. In un, .altro senso, invece, la maggior parte di questi movimenti nazionalsti sono un p o ' l'opposto, e anzi, si potrebbe dire, costruiti sul rifiuto d e l e modalità di ordinamento po-

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litico moderne, sia sul piano nazionale sia su quello sovranazionale. Molto spesso sembrano essere reazioni dettate dalla debolezza e dalla paura, tentativi di erigere barricate a difesa dagli assalti del mondo moderno, richiamando, sotto questo aspetto, i risentimenti dei Tedeschi di Praga spaventati davanti all'«invadente» immigrazione ceca, più che non quelli dei Cechi in fase di avanzamento. E questo non si verifica solo nel caso di piccole comunità linguistiche facilmente vulnerabili da mutamenti anche modesti sul piano demografico, come nel. caso delle scarsamente popolate colline e coste del Galles dove la gente parla ancora gallese, o dell'Estonia, dove il milione o poco più di in-dividui che parlano estone sono in una posizione in -cui, dato appunto il numero cosi ristretto, risulta piuttosto problematico mantenere viva e attuale una cultura linguistica a tutti i livelli. Sicché non c'è da stupirsi che il dato più esplosivo in queste due aree sia costituito dai'immigrazione incontrolata di gente che parla un'unica lingua: rispettivamente inglese e russo. Ma il fatto è che reazioni analoghe a queUe citate le si trovano presso popolazioni assai più numerose, la cui sopravvivenza linguistico-culturale non è, né sembra poter essere, minacciata in alcun modo. Sotto questo aspetto, l'esempio più incredibile sembra fornirlo il movimento, che raggiunse il proprio culmine verso la fine degli anni 1980 negH Stati Uniti d'America, inteso a ottenere che l'inglese fosse dichiarato unica lingua ufficiale degli Usa. Infatti, sebbene l'immigrazione ispanofona sia, in certe zone degli Stati Uniti, cosi imponente da rendere 'auspicabile, e talvolta semplicemente necessario, che ci si rivolga a questa popolazione neia sua lingua, l'idea che la supremazia dell'inglese negH Stati Uniti sia, o sembri, in qualche modo, in pericolo, appartiene più che altro- alla paranoia politica. Ciò- che alimenta queste reazioni difensive, sia nei confronti di minacce reali sia frutto del'immaginazione, è la combinazione tra spostamenti -di popolazione a livello internazionale e trasformazioni socio-economiche rapidissime, drastiche e senza precedenti che caratterizzano così marcatamente l'ultimo quarto' del nostro secolo. Quanto è successo in Canada col francese può servire a mostrare che cosa produca questa miscela composta di nazionalismo linguistico piccolo-borghese in forma particolarmente condensata e di shock suscitato

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dall'irruzione di nuove masse. Almeno sulla carta, la lingua francese sembra piuttosto al sicuro: è infatti parlata, come lingua d'origine, da un quarto della popolazione del Canada, una comunità che ammonta all'incirca alla metà di quella costituita dai Canadesi la cui lingua originaria è l'inglese; questa lingua, inoltre, è protetta dal bilinguismo ufficialmente riconosciuto dallo Stato federale, può contare sul solido retroterra costituito dalla cultura francese nel mondo e, nel 1988, su 130 000 e più studenti nelle università francofone. Ciò nonostante, la posizione assunta dal nazionalismo del Quebec è quella di una specie di precipitosa ritirata davanti a forze storiche che minacciano di sommergerlo:' un movimento che sembra attestarsi più su posizioni di debolezza che avanzare in qualche prospettiva di successo . In effetti, il nazionalismo del Quebec ha di fatto- abbandonato- le consistenti minoranze francofone del New Brunswick e dell'Ontario per barricarsi, come in se stesso, nella provincia autonoma e persino separatista del Quebec. La dimensione dell'insicurezza dei Canadiens è beo significata dalla convinzione che l'attuale « pluriculturalismo » ufficiale del Canada non sia in realtà altro che un complotto inteso a « soffocare le particolari e specifiche esigenze della Francophottie sotto il peso politico della "pluricultura" » ' ; convinzione ovviamente rafforzata dall'aperta preferenza accordata alla lingua inglese, per l'istruzione -dei propri figli, da parte dei tre milioni e mezzo di immigrati in epoca posteriore al 1945, offrendo, l'inglese, molte più prospettive di carriera, in Nord America, che non il francese. Senza contare che, almeno sulla carta, la minaccia dell'immigrazione incombe di più sul Canada anglofono che non su quello francofono, visto che, tra il 1946 e il 19-71, solo circa un I J % di nuovi arrivati si è stabilito in Quebec. 2

Ma il timore e l'insicurezza dei Franco-canadesi sono chiaramente suscitati dal cataclisma sociale la cui dimensione è rivelata dal rapido crollo della Chiesa cattolica in un paese da gran tempo cattolico, conservatore, clericale e -di elevata natalità non solo nelle campagne ma anche nelle città. A quanto sembra, negli anni i960, nell'intera provincia, la partecipazione religiosa cadde da un buon 80% e oltre al 2 5 % , mentre il tasso di natalità del Quebec diventò uno dei più bassi dell'intero Canada . In ogni caso, quali che fossero i motivi di questa impressionante trasformazione nei costumi del Quebec, non poteva4

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no non dar luogo a una generazione disorientata e estremamente bisognosa di nuove certezze da sostituire alle vecchie ormai tramontate. Ed è stato persiti sostenuto che la nascita di un separatismo- militante fosse una specie di surrogato del perduto cattolicesimo tradizionale. Questa ipotesi, sebbene difficilmente passibile di smentita o conferma, non è del tutto priva di plausibilità; se non altro per chi, come l'autore, abbia avuto- l'avventura di assistere all'emergere, in seno a •una generazione più giovane della sua, in una zona del Galles settentrionale, di una militanza nazionalistica gallese del tutto non tradizionale e, anzi, almeno per quanto- riguarda la predilezione per alcolici e birrerie, addirittura contraria alla tradizione, che comportò- lo svuotamento- delle chiese, il fatto che predicatori e eruditi locali non fossero più la voce della comunità, il tramonto della generale abitudine alla temperanza; ossia che spazzò via le modalità più evidenti che gli individui avevano adottato per dimostrare la propria appartenenza alla comunità e .a una cultura puritana. Naturalmente, la mobilità a livello di massa della popolazione rafforza questo disorientamento, come del resto i mutamenti, economici, alcuni dei quali non sono del tutto estranei alla nascita del nazionalismo localistico'. In qualsiasi società urbanizzatavi sono luoghi in cui entriamo in contatto con. stranieri: uomini e donne privi di radici che ci rammentano la fragilità 0 il vero e proprio disseccamento delle nostre radici familiari. Che cosa hanno in. comune, ammesso che abbiano qualcosa in comune, tali reazioni etnico-nazionalistiche con la recente crescita e diffusione del « fondamentalismo » in molte zone del globo? Quel fondamentalismo che è stato definito come un appello «a gente che non sopporta di condurre un'esistenza caratterizzata da incertezza e mancanza di regole, e in condizioni -di poca chiarezza [per cui] spesso segue chi offre delle visioni del mondo esaustive, tutte d'un pezzo e di tipo fantastico»*. Che è considerato come « sempre reattivo, reazionario». Per cui: «una qualche forza, tendenza o nemico deve essere percepito, in atto o in potenza, come erosivo, corrosivo o dannoso per un movimento e per ciò che gli sta a cuore ». I «fondamenti » che il fondamentalismo sottolinea e difende « derivano sempre da qualcosa di precedente, che si presume primario e puro (...) stadio della prò-.

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pria storia sacralizzata». Tali fondamenti « s o n o usati per tracciare confini, per farvi rientrare certe cose e per escluderne d e l e altre, per istituire delle linee di demarcazione ». E confermano la vecchia affer. mazione di George Simmel per cui: ;

I grappi e le minoranze, specialmente, che vivono situazioni conflittuali (...) spesso rifiutano- approcci e .anche atteggiamenti di tolleranza da. parte degli altri. La caratteristica di chiusura della loro posizione, senza la quale non potrebbero continuare a combattere, ne risulterebbe vanificata (...) Nell'ambito di certi gruppi, ci potrebbe persino essere un pizzico di saggezza politica nel contemplare la presenza di un nemico al fine di rendere effettiva l'unità degli appartenenti al gruppo e, per quanto riguarda quest'ultimo',, al fine di mantenerne la coscienza dell'unità come interesse vitale'.

Le somiglianze con un certo numero di recenti fenomeni etniconazionalistici sono evidenti, specialmente quando siano connessi, o cerchino di stabilire un qualche legame, con una fede religiosa specifica del gruppo: come presso gli Armeni cristiani che si oppongono ai turchi Azeri musulmani, o nella recente fase marcatamente anticotestamentaria del sionismo del Likud in Israele, cosi diversa dalla ideologia dei fondatori del movimento, che era invece decisamente secolare e persino antireligiosa*. Per cui è più che probabile che il nostro visitatore extraterrestre sarebbe portato a considerare l'esclusivismo e la conflittualità etniche, al. pari della xenofobia e del fondamen^ talisrno, quali aspetti dello stesso fenomeno di ordine generale. Tutta\ via occorre fare un'importante distinzione. Il fondamentalismo, quale che sia la sua versione religiosa, fornisce un programma concreto e ; dettagliato sia .all'individuo sia atta società, anche se poi, in. quanto tratto -dalla tradizione o- dagli antichi testi, non risulta di cosi facile applicazione sullo scorcio del secolo xx ormai al tramonto. Che cosa costituisca una reale alternativa all'attuale società, degenerata -e -demoniaca, non è un problema particolarmente urgente: le donne le si. nasconderà ancora, una volta alla vista, oppure a. quelle sposate verranno rasati i capelli; i ladri si continuerà a punirli col taglio delle mani o delle gambe; le bevande alcoliche e tutto ciò che è proibito dal rituale sarà messo al bando; il Corano, la Bibbia o qualsiasi altro compendio dell'eterna, sapienza, fornirà una guida, esaustiva in tutti i campi, sia sul piano della pratica sia. su quello- della, morale, secondo l'interpretazione di quelli cui compete l'interpretazione.

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Invece, il richiamo all'etnia o alla lingua non offre alcuna guida per il futuro. E si configura come una mera protesta contro lo status quo o, più precisamente, contro « g l i altri» che minacciano il gruppo etnicamente definito. Infatti, a differenza del fondamentalismo che, per quanto ristretto e settario sia il suo appello concreto, trae la sua forza, pur sempre, dalla, rivendicazione di una verità universale, valida, almeno in teoria, per tutti, il nazionalismo esclude per definizione dal proprio campo tutti quelli che non appartengano alla sua propria «nazione», cioè la grande maggioranza del genere umano. Inoltre, mentre il fondamentalismo è in grado, almeno in certa misura, di fare appello a quanto sopravvive dei costumi e delle tradizioni genuine, o alla pratica passata in quanto incarnata nella pratica religiosa, il nazionalismo, come abbiamo visto, è, di per se stesso, ostile alle modalità caratteristiche del passato, quando, invece, non emerga addirittura dalle loro rovine. Per altri aspetti, però, il nazionalismo presenta un vantaggio rispetto- al fondamentalismo, perché la sua vaghezza e la sua mancanza di contenuto programmatico gli assicurano un appoggio- praticamente universale nell'ambito della comunità di cui è espressione, Mentre, ; ad eccezione delle società veramente tradizionali che si trovano a reagire contro l'iniziale impatto della modernità, il fondamentalismo sii presenta, da un punto di vista più universale, come un fenomeno di " minoranza, Realtà che può essere in qualche modo celata sia dal potere di regimi in grado di imporlo al proprio popolo, piaccia o non piaccia, come per esempio in Iran, sia dall'abilità delle minoranze fondamentaliste nell'influenzare voti d'importanza realmente strategica nell'ambito dei sistemi democratici, come per esempio' in Israele o negli Stati Uniti d'America. Ma possiamo esser certi che l'odierna «maggioranza morale» non è una reale maggioranza (elettorale), proprio come la «vittoria morale», cioè il tradizionale eufemismo per indicare la sconfitta, non è una vittoria reale. Mentre l'appello all'etnia è in grado di mobilitare l'ampia maggioranza della comunità -di riferimento, a patto che rimanga sufficientemente vago o di scarsa rilevanza sul piano concreto. Non c'è dubbio che la maggior parte degli Ebrei che vivono al di fuori dei confini di Israele siano « p e r Israele»; che la maggior parte degli Armeni sostengano che il Nagomyj Kara-

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bacìi debba essere sottratto al'Azerbaijam a favore dell'Armenia; che la. maggioranza dei Fiamminghi faccia di tutto per non parlare francese. Ma tale unità si sbriciola non appena la causa nazionale smetta di configurarsi in generalità, di questo tipo- per concretizzarsi .in parole d'ordine più specifiche e concrete: per cui non si tratta più di essere per Israele, bensì di concordare con, la politica di Begin, Shamir o Sharon; non più di essere genericamente per il Galles, bensì per la supremazia della lingua gallese; non più per la «fiamminghità» in contrapposizione a un'altrettanto generica «francesità», bensì di schierarsi per un ben determinato partito nazionalista fiammingo'. Sotto questo aspetto, movimenti e partiti legati a un programma specificamente « nazionalista », e perlopiù separatista, saranno probabilmente espressione di interessi settoriali o di minoranza, oppure politicamente fluttuanti e instabili. I rapidi cambiamenti della composizione e delle fortune elettorali che hanno caratterizzato, da vent'anni a questa parte, partiti nazionalisti quale quello scozzese, gallese e del Quebec, e probabilmente molti altri, esemplificano bene tale instabilità. Questi partiti, come al solito, amano farsi passare per quelli che esauriscono in sé il senso di separatezza della collettività, l'ostilità verso di « l o r o » e quella «comunità frutto di immaginazione» che, con ogni probabilità, vengono percepiti da quasi tutti gli appartenenti alla «nazione»; sebbene poi sembri in realtà piuttosto improbabile che siano l'espressione di questo «consenso» nazionale. Il declino- del significato- storico del nazionalismo è oggi in qualche modo dissimulato non solo dalla evidente proliferazione dette agitazioni etnico-linguistiche, bensì anche dall'illusione di tipo semantico originata dal fatto che oggi tutti gli Stati sono ufficialmente «nazion i » , benché molti non abbiano chiaramente nulla in comune con. cièche il termine «Stato-nazione» dovrebbe normalmente significare. Tanto che: tutti i movimenti volti alla conquista, dell'indipendenza si presentano come intesi a fondare nazioni anche quando- chiaramente i non si -comportano -di conseguenza; tutti i movimenti che sostengono \ interessi regionali, locali e persino settoriali, in contrapposizione alX l'accentramento e atta burocrazia statali, sono desiderosi, non appena f possibile, di vestire i. panni alla moda dei costume nazionale. Insom1 ma: nazioni e nazionalismo appaiono molto più influenti e onnipre-

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senti di quanto in .realtà non siano, Gli Àruba, intendono separarsi dal resto delle Indie occidentali olandesi perché non vogliono essere aggiogati a Curacao. Col che, nascerà, una nazione? Oppure lo saranno Curacao, o Suriname, che già fa parte delle Nazioni Unite? Gli abitanti della Cornovaglia hanno la fortuna di saper dipingere molto bene il loro malcontento regionalistico coi piacevoli colori deia. tradizione celtica, rendendolo in tal modo assai più chiaramente percepibile; resta però il. fatto che, su quest'onda, alcuni sono arrivati, a inventarsi una lingua che non si parla più da. un paio di secoli, mentre, d'altra parte, l'unica tradizione popolare pubblica dotata di vere radici, nel loro paese, è il metodismo wesleyano. Sono pur sempre più fortunati del Merseyside, per esempio, che, in difesa di interessi locali ugualmente, se non maggiormente, conculcati, può solo mobilitare il ricordo dei Beatles, di generazioni di filodrammatici, e la gloriosa tradizione dette sue rivaleggianti squadre di calcio, facendrxperò nel contempo ben attenzione a non sfiorare nulla che ricordi, ai suoi abitanti i colori arancione e verde simbolo di tante divisioni interne. Insomma, il Merseyside non può proprio dar fiato alle trombe nazionali; la Cornovaglia invece si. Ma le situazioni foriere di malcontento in una zona sono proprio sostanzialmente diverse da quelle che producono analogo malcontento nell'altra? In pratica: nascita e diffusione di agitazioni separatiste ed etniche sono parzialmente dovute al fatto che, contrariamente a quanto si è soliti ritenere, il principio sul quale si basa la creazione degli Stati a partire dalla seconda Guerra Mondiale, a differenza di quello che valse dopo la prima Guerra Mondiale, non ha proprio nulla a che fare con l'autodeterminazione nazionale di stampo wilsoniano. Si presenta infatti come la risultante di tre forze: decolonizzazione, rivoluzione e, naturalmente, intervento delle potenze straniere. Poiché meno della metà degli Stati attualmente esistenti sono tali da meno di quarant'anni, è ovvio che l'incidenza su di loro del «principio di nazionalit à » tradizionale è stata piuttosto scarsa. Grosso modo, la decolonizzazione significa che si ebbe creazione di Stati indipendenti in zone già sottoposte ad amministrazione coloniale, e quindi, att'interno di frontiere tracciate dal colonialismo. Cioè, ovviamente, tracciate senza alcun riguardo, e talvolta, in perfet1

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ta ignoranza di chi le abitava; sicché non potevano rivestire alcun significato né nazionale, né nemmeno protonazionale, per la popolazione, salvo per quelle minoranze locali istruite dal colonialismo e occidentalizzate, la cui consistenza può variare da luogo a luogo, restando però sempre numericamente limitata. Per altro verso, quando queste aree erano troppo piccole e disperse, come per esempio nel caso di molti arcipelaghi colonizzati, allora venivano aggregate e disaggregate sulla base degli interessi del momento o delle politiche locali. Donde il ripetuto, e spesso vano, invito dei capi di questi nuovi Stati a superare il «tribalismo», il «comunitarismo» [communalism], o qualsiasi altra forza disgregante ritenuta responsabile dell'incapacità dei nuovi abitanti detta Repubblica dì X di sentirsi, in primo luogo, cittadini della patria X, invece che appartenenti a questa o quella collettività. In breve: la maggior parte di queste «nazioni» e movimenti « n a zionali» si richiamava a qualcosa che era l'esatto contrario di quel nazionalismo che cerca di istituire dei saldi legami tra tutti coloro che si ritiene abbiano una comune etnia, lingua, cultura, passato storico e tutto il resto. E, in realtà, si trattava di una forma di internazionalismo. Internazionalismo dei leader e dei dirigenti dei movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo che appare più chiaramente nei casi in cui questi movimenti ebbero una funzione trainante in ordine a l a Iberazione dei loro paesi, mentre lo risulta meno nei casi in cui la decolonizzazione avvenne dall'alto, perché il croio, in epoca posteriore al raggiungimento dell'indipendenza, di quanto in. precedenza operava, o sembrava operare, come movimento unitario del « p o p o l o » assume un aspetto più clamoroso. Talvolta, poi, come nel caso dell'India, l'unità, del movimento era già andata in frantumi ancor prima del'indipendenza. Di solito, però, si determinano ben presto, dopo il raggiungimento del'indipendenza, d e l e tensioni tra le componenti del movimento per l'indipendenza, come per esempio, in Algeria, tra Arabi e Berberi; oppure tra le popolazioni che vi parteciparono attivamente e quelle che rimasero in disparte; oppure, ancora, tra un secolarismo emancipato e non settario dei leader, da una parte, e i sentimenti dette masse, dal'altra. Tuttavia, anche se i casi di divisione, o di possibile

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imminente rottura, verificatisi nell'ambito degli Stati multietnici e abitati da comunità diverse, hanno ovviamente suscitato maggior attenzione - si pensi alla divisione del subcontinente indiano nel 1947, alla separazione del Pakistan, alla richiesta separatista tamil in Sri Lanka -, non bisogna mai dimenticare che si tratta pur sempre di casi molto particolari in un mondo in cui la norma è invece costituita da Stati multietnici e abitati da comunità diverse. Un'affermazione che risale ormai a trent'anni or sono resta sostanzialmente esatta: «Paesi che comprendevano molte lingue e diversi gruppi culturali, come per esempio la maggior parte di quelli africani e asiatici, non sono andati in frantumi; mentre quelli ritagliati su una parte di un unico gruppo linguistico, come gli Stati arabi e il Nordafrica, non si sono (...) unificati» . 10

L'intervento delle potenze straniere, infine, fu ovviamente di tipo non nazionalistico sia per gli intenti sia per gli effetti sortiti, salvo che per puro accidente. Si tratta di cosa talmente evidente da non richiedere esemplificazione. Tuttavia, di tipo analogo furono anche gli effetti della rivoluzione sociale, benché in maniera meno marcata. I rivoluzionari di matrice socialista sono sempre stati molto consapevoli della forza del nazionalismo, come del resto favorevoli all'autonomia nazionale già al livello delle idee, anche quando non sia di fatto auspicata, come nel caso dei Sorabi di Lusazia o Vendi, la cui lingua slava è in via di estinzione nonostante gli ammirevoli tentativi messi in atto dalla Repubblica Democratica Tedesca per salvaguardarla. L'unica forma di ordinamento costituzionale presa seriamente in considerazione da parte degli Stati socialisti, sin dal 1917, fu quella attinente la federazione e l'autonomia nazionali. Altre carte costituzionali, anche dove vigevano, ebbero una validità più che altro teorica, mentre l'autonomia nazionale costituì, in pratica, il vero e costante criterio ispiratore sul piano operativo. Tuttavia, nella, misura in cui questi regimi non intendono, almeno in linea di principio, identificarsi con nessuna nazionalità particolare tra quelle sottoposte al loro governo , e, d'altra parte, ritengono gli interessi di ciascuna secondari rispetto a un più elevato fine comune, è evidente che si debbono definire non nazionali. 11

Perciò, come possiamo constatare con uno sguardo retrospettivo venato di una certa amarezza, fu una grande impresa dei regimi co-

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munisti quella di limitare gli effetti disastrosi del nazionalismo nei paesi composti da più nazionalità. La Rivoluzione iugoslava, infatti, si è mostrata capace di impedire il massacro tra le nazionalità comprese nelle sue frontiere per il periodo certamente più lungo della loro storia e, sebbene questa grande realizzazione attraversi oggi una fase molto critica,, ancora a tutto il 1988, almeno, le tensioni nazionali non avevano causato una sola vittima' . Non, cosi nell'Unione Sovietica, dove il potere disgregante delle diverse nazionalità, dopo essere stato a lungo tenuto a bada, salvo che nel corso della seconda Guerra Mondiale, può oggi trasparire in seguito alla glasnost', appunto. Tuttavia, la «discriminazione», e anche l'«oppressione», contro cui protestano dall'estero i vari campioni dei diversi nazionalismi sovietici, è molto minore di quella che ci si poteva aspettare in conseguenza della caduta del potere sovietico. L'antisemitismo ufficiale dello Stato sovietico, di cui esistono tracce innegabili sin d a l a fondazione dello Stato di Israele nel 1948, va anche visto in rapporto a l o sviluppo di un antisemitismo popolare dacché la mobilitazione politica, ivi compresa quella dei reazionari, è stata nuovamente possibile; per tacere dei massacri di Ebrei, su notevole scala, da parte di elementi locali, negli Stati baltici e in Ucraina, quando i Tedeschi iniziarono l'invasione, ma prima dell'inizio della strage sistematica degli Ebrei da parte dei Tedeschi". Si può pertanto sostenere che l'attuale ondata di agitazioni etniche e microetniche si presenta come una risposta alla preponderanza del principio di formazione statale non nazionale e non nazionalistico nella maggior parte del mondo nel secolo xx. H che, peraltro, non significa che tale reazione di tipo etnico possa in qualche modo fornire un principio alternativo per la ristrutturazione politica del > mondo nel secolo xxi. 2

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I Un terzo ordine di osservazioni conferma questo panorama. Og| gi, la «nazione» è visibilmente in fase di, perdita, di parte delle sue f classiche funzioni e, in particolare, quella di rappresentare un'« ecoj nomia nazionale» territorialmente ben definita, che era, a sua volta, j un ben determinato elemento costitutivo detta più ampia « economia ; mondiale », se non altro nelle aree sviluppate. A partire dalla seconda. Guerra Mondiale, e in particolare dagli anni i960, si assiste a un ridi; mensionamento e persino a una messa in discussione del ruolo delle

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« economie nazionali », in seguito ad alcune importanti trasformazioni nell'ambito della divisione intemazionale del lavoro, le cui unità di base sono imprese transnazionali o multinazionali di molteplici dimensioni, e anche in seguito al corrispondente sviluppo di centri e reti internazionali delle transazioni economiche che, per ragioni molto concrete, sono al di fuori del controllo dei governi degli Stati. Il numero delle organizzazioni internazionali intergovernative è passato dalle 123 del 1951 alle 280 del 1972, alle 365 del 1984; mentre quello delle organizzazioni internazionali non governative è passato dalle 832 del 1951 alle 2173 del 1972, per più che raddoppiare, 4615, nei dodici anni seguenti". E probabile che quella giapponese sia l'unica «economia nazionale» funzionante nel tardo secolo xx. Le vecchie (e sviluppate) «economie nazionali» non sono solo state sostituite, in quanto elementi costitutivi fondamentali del sistema mondiale, da più ampie federazioni o associazioni di «Statinazione» quali ad esempio la Comunità europea, oppure dà enti internazionali controllati collettivamente come potrebbe essere il Fondo monetario internazionale, sebbene poi anche la nascita di questi tipi -di organizzazione sia già di per sé un sintomo del fatto che il mondo delle «economie nazionali» sta battendo in ritirata. Ma a questo bisogna aggiungere che parti importanti del sistema delle transazioni internazionali, come per esempio il mercato dell'Eurodollaro, non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo da parte degli Stati. Tutte queste cose, naturalmente, sono state rese possibili sia da rivoluzioni tecnologiche nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, sia da un lungo periodo di liberi spostamenti dei fattori di produzione nell'ambito di una vasta area creatasi a partire dalla seconda Guerra Mondiale. Ciò ha anche determinato quella enorme ondata migratoria a livello internazionale e intercontinentale, praticamente la più ampia dopo quella verificatasi nei decenni precedenti il 1914, che, tra l'altro, ha sia acuito le frizioni tra comunità, facendo- assumere loro la forma del razzismo, sia dato luogo a un mondo di territori nazionali «appartenenti» esclusivamente agli autoctoni che tengono al loro posto gli stranieri, anche se questa sembra una scelta più realistica nel secolo xx di quanto non lo sarà probabilmente nel xxi. Stiamo cosi vivendo in una strana miscela di tecnologia da fine secolo xx, di libero 1

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mercato da secolo xix e di rinascita di una specie di centri interstiziali caratteristici del mondo commerciale medievale. Città-Stato come Hong Kong e Singapore rifioriscono, « zone industriali» extraterritoriali, che ricordano gli StaMèófe anseatici, si moltiplicano all'interno di Stati-nazione solo formalmente sovrani, in modo da costituire dei paradisi fiscali d'altomare su isole altrimenti affatto prive di valore e la cui unica funzione è. precisamente, quella di sottrarre le transazioni economiche al controllo degli Stati-nazione. È ovvio che l'ideologia della nazione e del nazionalismo non ha nulla a che fare con questo genere 'di realtà. ,11 che non sta a significare che le funzioni economiche degli Stati siano in via di riduzione o addirittura di scomparsa. Al contrario, sia negli Stati capitalisti sia in quelli non capitalisti, queste sono cresciute, nonostante la tendenza in entrambi i campi a incoraggiare l'impresa privata, o comunque non statale negli anni 1980. Abbastanza, indipendentemente dall'importanza che continua ad avere la direzione, la pianificazione e la gestione statale anche .in paesi teoricamente ispirati al neoliberalismo, il puro e semplice volume costituito dalle entrate e dalla spesa pubblica nell'ambito delle economie degli Stati, ma, soprattutto, la funzione crescente da questi esercitata, in quanto autori di sostanziali ridistribuzioni del reddito per il tramite del meccanismo fiscale come di quello del benessere sociale, ha probabilmente trasformato lo Stato in un demento ancor più centrale che in passato in ordine al tipo di esistenza della popolazione mondiale. Le economie nazionali, sebbene ridimensionate dall'economia transnazionale, coesistono e s'intrecciano con quest'ultima.. Tuttavia, salvo i casi di quelle più, rinchiuse in se stesse - e c'è da, chiedersi a quante si siano effettivamente ridotte, visto che anche il Burma sembra voler riconsiderare il proprio reingresso nel mondo - e, al polo opposto', probabilmente quello del Giappone, la vecchia «economia nazionale» non è più quella di una volta. Persino gli Stati Uniti che, ancora negli .anni 1980, sembravano cosi giganteschi e dominatori da affrontare i loro problemi economici infischiandosene di sapere che cosa facevano gli altri, già alla fine di questi stessi anni. Ottanta, si sono resi conto che: « è stato ceduto un notevole controllo sulla loro economia a investitori stranieri [... che] ora hanno il potere di contribuire alla crescita

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dell'economia statunitense, oppure di contribuire a precipitarla nella, recessione»". Analogamente, le economie di tutti i piccoli Stati e, in pratica, anche di quelli medi, hanno- semplicemente smesso di essere autonome; ammesso, s'intende, che in precedenza lo fossero. Sorge poi spontaneo un terzo ordine di considerazioni. I conflitti politici di fondo che probabilmente decideranno i destini del mondo odierno hanno- ben poco a. -che fare con lo Stato-nazione, perché per un buon mezzo secolo non ci si è trovati in presenza di un sistema internazionale di Stati sul tipo di quello europeo del secolo xix, bensì di un mondo sostanzialmente bipolare organizzato intorno a l e due superpotenze. Dal punto di vista politico, dopo- il 1945, il mondo non ha vissuto un processo di unificazione bensì di bipolarizzazione e di organizzazione intorno a due superpotenze che, al massimo, si potranno definire nazioni di dimensione gigantesca ma, in nessun caso, possono essere fatte rientrare in. un sistema internazionale di Stati del tipo del secolo X I X o del periodo precedente il 1939. Infatti, nel migliore dei casi, tutti gli altri Stati, allineati o non allineati con una delle due superpotenze, avevano la possibilità di agire da freno nei confronti della politica delle stesse, sebbene non ci siano poi prove in.co.nfutabil nemmeno del fatto che questa azione abbia sortito un grande effetto nel. corso degM ultimi quarant'anni. In più, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, ma, almeno parzialmente, anche in quello dell'Unione Sovietica, 1 conflitto di fondo è stato -di tipo ideologico, per cui il. trionfo della «giusta.» ideologia doveva coincidere con la supremazia della «corrispettiva» superpotenza. Dopo il 1945 la politica mondiale è stata sostanzialmente una politica, della rivoluzione e della controrivoluzione, con i problemi nazionali che intervenivano unicamente a far da coro, stonato o intonato, rispetto al tema centrale. Verso la fine degli anni 1980 incominciarono a manifestarsi dei sintomi della perdita, di validità di questo schema, se non altro perché entrambe le superpotenze erano diventate economicamente troppo deboli per continuare a sostenere il. precedente ruolo, e anche perché il modello di un mondo diviso in seguito alla Rivoluzione d'ottobre non sembrava più molto adatto ala. realtà del tardo secolo xx. Un sistema intemazionale a dimensione più multilaterale si era nel frattempo riprospettato.

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Tuttavia, anche in un sistema del genere, la funzione delle nazioni non si presentava come centrale, perché i veri giocatori della partita sarebbero state delle unità ben più ampie di quegli Stati che le agitazioni nazionali del tardo secolo xx, in quanto caratterizzate proprio dal separatismo, intendevano o potevano formare. Ma proviamo a supporre, in via di pura ipotesi astratta, che una nuova « E u r o p a delle nazioni», nel senso wilsoniano dell'espressione, venga a l a luce; oppure un'Asia o un'Africa d e l e nazioni. (Il panorama latino-americano è molto meno variegato dal punto di vista 'di nazioni etnico-linguistiche). Insomma: la Spagna si vedrebbe i confini ridotti in seguito a l a secessione di Euzkadi e Catalogna; la Gran Bretagna .in. seguito a quela di Scozia e G a l e s , la Francia per queia d e l a Corsica, mentre il Belgio si scinderebbe in due paesi distinti e, più a Est, gli Stati attualmente nella sfera di influenza del'Unione Sovietica, se ne andrebbero ciascuno per la propria strada, magari con la separazione d e g l Slovacchi dai Cechi, o con i balcani nuovamente suddivisi tra Sloveni, Croati, Serbi ciascuno con un proprio Stato, accanto' a q u e l o albanese, un po' ampHato. per finire s u l e coste del Baltico con la ricomparsa di Lettonia, Estonia e Lituania indipendenti. Ma si può' credere seriamente che una simle balcanizzazione, magari estesa su scala mondiale, avrebbe la possibiltà di garantire una sistemazione politica stable e funzionante? Tra l'altro, per prima cosa, la maggior parte degli Stati di questa Europa ipotetica avanzerebbe, con ogni probabilità, una richiesta di ammissione a l a Comunità economica, europea che ne limiterebbe nuovamente i diritti sovrani, riportandoli cosi, sebbene con modalità diverse, a l a precedente situazione. Infatti, a dispetto d e l a grande insistenza del generale De G a u l e sul fatto che la Comunità economica europea era un, consesso' di nazioni sovrane, la logica d e l a integrazione economica ha spinto la Comunità ad accentuare 1 proprio carattere sovranazionale. Insomma: nemmeno un sistema mondiale veramente multilaterale e altrettanto' veramente dominato da un'oligarchia composta dagli Stati più importanti, quale del resto era stato concepito il Consiglio di sicurezza all'epoca d e l a sua istituzione, finirebbe per costituire un sistema internazionale in cui la maggior parte d e l e nazioni e d e g l Stati-nazione svolgerebbe una. funzione significativa.

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Il nazionalismo odierno è un po' il riflesso della crisi del programma e della vecchia ideologia wilsoniano -leninista ; crisi dovuta al suo fallimento sul piano politico e alla drastica riduzione dell'importanza di «nazioni» e «Stati-nazione» nella struttura economica e politica globale. Il nazionalismo, per quanto possa essere efficace il richiamo emotivo di far parte di una «comunità frutto dell'immaginazione», non è nulla senza la creazione di Stati-nazione; solo che un mondo composto di simili. Stati, rispondenti ai. criteri di nazionalità su base etnico-linguistica, non costituisce al giorno d'oggi una prospettiva credibile. Probabilmente, infatti, sia il governo di Dublino, sia quello di Londra, sarebbero disposti a convenire sulla auspicabilità (relativa) di una singola Irlanda unita; ciò nondimeno, ben pochi, anche all'interno della Repubblica d'Irlanda, considererebbero una tale unione niente di più che la soluzione meno peggiore nell'ambito delle cattive soluzioni del problema. Viceversa, se in questa evenienza l'Ulster si dichiarasse indipendente tanto dalla Gran Bretagna che dMTManda, molti protestanti dell'Ulster vedrebbero questo estremo rifiuto opposto al Papa come un male minore. In sostanza: solo un pugno di fanatici, si può ben dirlo, guarderebbe a una simile conclusione dell' autodeterminazione nazionale-comunale come a qualcosa di enormemente migliore rispetto a uno status quo decisamente insoddisfacente. Esistono oggi molti più movimenti nazionali di quelli che possiamo qui ricordare, che in pratica hanno lasciato cadere la. rivendicazione della completa indipendenza a livello statale; almeno in Europa che, per altro, è stata tradizionalmente la culla del principio di nazionalità. In Europa, .infatti, la maggior parte di questi movimenti si pie-, sentano come forme di reazione all'accentramento statale - in altre parole quindi alla lontananza dei centri di potere economico e culturale - e alla burocratizzazione; inoltre possono anche essere espressione di varie forme di malcontento di origine locale o settoriale che si prestano a venir avvolte in variopinte bandiere . Ed è significativo, sotto questo aspetto, il fatto che gli Stati sconfitti nella seconda. Guerra Mondiale, cui fu imposto un notevole processo di decentramento, presumibilmente come reazione all'accentramento fascista, non abbiano fatto registrare quasi nessuno di quei movimenti separatisti 17

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operanti in altre parti dell'Europa occidentale, benché, sulla carta, regioni quali la Baviera o la Sicilia si presentino come dei terreni di coltura, di questi movimenti, almeno altrettanto fertili -di quanto lo siano la Scozia e le aree francofone del Giura bernese. Invece, .il movimento separatista che si diffuse in Sicilia a partire dal 1943 fu di breve durata, benché vi sia. ancora chi ne rimpiange la scomparsa come « l a fine della, nazione siciliana » *, e fu di fatto decapitato dalla autonomia regionale del 1946. Né c'è di che stupirsi. Infatti, quella specie di difesa tradizionalistica che scattava all'avvicinarsi della modernità, e che in passato aveva, coagulato gran parte della, base sociale di quella che è .la «fase B» del nazionalismo secondo Hroch, non aveva, più molta possibilità di perpetuarsi nell'Europa degli anni 1950 e seguenti, cioè in queio che si può- ritenere il periodo più rivoluzionario nella, storia economica del mondo. Quel genere di classi medie di provincia che in passato avevano sperato di trarre beneficio dal nazionalismo linguistico, al. presente non potevano normalmente aspettarsi nulla, 'di più, da questo tipo di nazionalismo, se non dei vantaggi a. livello esclusivamente provinciale. Nell'Europa occidentale fu il crollo di più ampie speranze e aspirazioni, .al pari della crisi di potere degli Stati macronazionali, non importa se questo potere fosse più apparente che reale, a mettere il nazionalismo nella posizione di dover colmare il vuoto che era venuto a crearsi negli animi degli intellettuali e dei militanti. Insomma: un sostituto di sogni svaniti. E talvolta, addirittura, nemmeno questo, come nel caso della voga, passeggera dell'« occitania » in Francia, negli anni 1970; o della, conversione di un buon, numero di valenti intellettuali della sinistra -.al nazionalismo scozzese proprio nel corso dello stesso decennio; oppure detta grande attenzione, votata a tutto ciò che veniva proclamato appartenere all'identità nazionale valenciana, da parte di intellettuali, della sinistra spagnola nei primi anni 1980. Altre volte, invece, questo nazionalismo esprime un malcontento popolare più. serio e più esteso, come nel caso del rinnovato interesse per il nazionalismo scozzese negli ultimi anni 1980, determinato sìa da una. reazione a un. governo nazionale britannico appoggiato solo da una ristretta minoranza di scozzesi, sia da un partito di opposizione nazionale britannico caratterizzato dall'impotenza politica.

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Tuttavia, l'elemento che più colpisce in .relazione alle nuove campagne del nazionalismo politico nei paesi occidentali, è proprio la loro instabilità e episodicità, soprattutto- se confrontate alla forza e a l a stabilità dei sentimenti di identità nazionale che proclamano di rappresentare. La cosa, risulta evidente se prendiamo in esame le .alterne fortune dei partiti nazionalisti scozzese e galese, o quele di. organizzazioni xenofobe come 1 Front National francese. Le fluttuazioni del. sostegno scozzese a l a poMtica del nazionalsmo scozzese sembrerebbero suggerire che il sentimento di identità scozzese, d e l a separatezza dall'inglese, come .1 risentimento nei confronti del'Inghilterra, sono andati rimbalzando in alto e in basso in maniera piuttosto asistematica a partire dal'ultima guerra. Solo che non ci sono prove per affermarlo. Del resto- è possibile individuare una, crisi d e l a coscienza, naziona-, le anche neie vecchie nazioni, e per ragioni analoghe. Questa co- * scienza, quale si. manifestò- nel'Europa del secolo xix, si colorava al-. l'interno del quadrilatero definito dai. quattro punti costituiti da Popolo-Stato-Nazione-Governo. In teoria, questi quattro -elementi costitutivi coincidevano. Nella, nota affermazione di Hitler, la, Germania si componeva di «Ei» Volk, em Reich, ein Fuebrer», cioè, vistoche la parola Volk stava sia per « popolo» che per «nazione»: di un popolo/nazione, di uno Stato, di un governo. In pratica, i concetti di Stato e governo si tendeva a definir! s u l a scorta di criteri politici tipici del periodo iniziatosi con le grandi rivoluzioni del secolo xvin; mentre i concetti di « p o p o l o » e «nazione» venivano ampiamente definiti sulla base di criteri prepostici, che si prestavano particolarmente alla, creazione d e l a « -comunità frutto dei'immaginazione ». La poltica tese costantemente ad assumere e rimodefiare tali elementi prepolitici per fari servire ai propri scopi. La connessione organica tra i quattro elementi era. data per scontata. Ma. ciò non è più possibile per gl Stati-nazione di ampie dimensioni da tempo consoldati o con a l e spali È un'affermazione -che si può ilustrare sulla, base -di un'inchiesta condotta nel 197.2 nela Repubblica Federale Tedesca È chiaro che si tratta di un caso molto particolare, perché la Germania è passata da quella che, almeno- in teoria, si presentava come la massima concretiz:

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zazione dell'imita politica pangermartica, sotto Hitler, a una situazione in cui si ha coesistenza di due Stati ciascuno dei quali rivendica di costituire in tutto o in parte la nazione tedesca. Tuttavia, è proprio questa particolare situazione che ci consente di cogliere le incertezze e le ambiguità che passano per la testa della maggior parte dei cittadini quando riflettono sulla «nazione». Il primo dato che emerge da questa indagine è la notevole incertezza. L ' 8 3 % dei Tedeschi occidentali dichiarano di sapere che cosa sia il capitalismo, mentre il 78% non ha dubbi sul socialismo, ma solo il 71 % azzarda un'opinione sullo Stato e il 34% non ha la minima idea, 'di come si possa definire o descrivere la «nazione». Nell'ambito dei meno istruiti l'incertezza è ancor maggiore. Il 90% dei Tedeschi, con un titolo di studio superiore si ritenevano informati su tutt' e quattro i termini in oggetto, ma solo il 5 4 % dei Tedeschi che non erano- andati oltre l'obbligo scolastico ritenevano di sapere che cosa fosse lo «Stat o » , e solo il 4 7 % di sapere che cosa fosse la. «nazione». Si tratta di un'incertezza che deriva direttamente dalla, perdita di quella omogeneità che caratterizzava « p o p o l o » , «nazione» e « S t a t o » . Alla domanda: « La nazione e Io Stato sono la stessa cosa, oppure ci riferiamo a due cose diverse? »; il 4 3 % dei Tedeschi occidentali che saliva all'81% nel caso di quelli con elevato grado di istruzione fornivano la risposta piuttosto ovvia che non si trattava della stessa cosa visto che c'erano -due Germanie. Tuttavia, il 3 5 % riteneva, che nazione e Stato fossero inseparabili, sicché, come sembra piuttosto logico, il 3 1 % degli operai - il 3.9% tra quelli al di sotto dei. quarant'anni - concludeva chela Repubblica Democratica Tedesca costituiva una diversa, nazione in quanto era un diverso- Stato. Vorrei anche far presente che il gruppo che mostrava la più salda convinzione dell'identità tra Stato e nazione, cioè il 4 2 % , si componeva di operai qualificati; mentre il gruppo che mostrava la più salda convinzione che la Germania fosse 'una. sola nazione divisa in due Stati, si componeva di 'elettori socialdemocratici. Ti 5 2 % di costoro sosteneva questo punto di vista a fronte di un 36% di elettori cristianodemocratici. Si potrebbe pertanto dire che, a cent'anni di distanza dall'unificazione d e i a Germania, il concetto di «nazione» appartenente alla tradizione del secolo xix sopravviveva in maniera particolare nell'ambito d e i a classe operaia.

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I risultati della citata indagine suggeriscono che l'idea di «nazione»,, una. volta estratta, come un mollusco, dal guscio apparentemente duro dello « Stato-nazione», assume forme mutevoli. Naturalmente non si tratta del fatto che i Tedeschi abbiano smesso di ritenersi Tedeschi. Bensì che la. loro incertezza verte, e con buone ragioni, sulle implicazioni politiche e di altro tipo della «germanicita». E si può sospettare che inchieste analoghe condotte in. altri Stati-nazione storici susciterebbero analoghe confuse risposte. Per esempio: qual è esattamente la relazione tra «francesità» e francophonieì (termine che tra l'altro non esisteva nemmeno sino a poco tempo fa, essendo stato registrato per la prima volta nel 1959). Che lo sapesse o meno, il generale De Gaulle era del tutto fuori strada rispetto a quella che abbiamo visto essere la. definizione tradizionale e non linguistica -di. «francesit à » , quando- si rivolgeva agli abitanti del. Quebec considerandoli dei Francesi all'estero. Dal canto loro, i nazionalisti del Quebec avevano « più o meno lasciato da parte il termine patrie e si erano impegolati in interminabili discussioni sui vantaggi e gli svantaggi di termini quali nazione, popolo, società e Stato» ". Sino agli anni i960, la «britannicit à » , in termini di legislazione e amministrazione, era una semplice questione di essere nati da genitori britannici o in terra britannica, di aver sposato un cittadino britannico, oppure di essere naturalizzati Oggi invece è diventata una questione piuttosto complicata. II che non significa che il nazionalismo non occupi una. posizione di rilievo nella politica mondiale odierna, o che oggi questo rilievo sia inferiore -che in passato. Anzi, quello che vorrei sostenere è che, nonostante questa posizione di grande rilievo, il nazionalismo è storicamente meno importante. Non è più un programma politico di tipo globale, come invece direi sia stato nel secolo xrx e nei primi decenni del xx. Perché al massimo oggi sembra un elemento di complicazione, oppure un catalizzatore di altri processi storici. È possibilissimo presentare la storia del mondo eurocentrico del secolo xix come quella, della «costruzione della nazione», come ha appunto fatto Walter Bagehot. E ancora presentiamo la storia dei maggiori Stati europei dopo il 1870 in questa prospettiva, come conferma il titolo di Eugene Weber Peasants info Frenchmen '. Ma sembra davvero possibile scrivere in una prospettiva, analoga la storia mondiale del tar2

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do secolo xx e degli, inizi del x x i ? Direi che sembra piuttosto irnpro' babile. .Al contrario, mi sembra, per cosi dire inevitabile che la si. dovrà scrivere come la storia di un. mondo che non è più possibile contenere nei. confini delle « nazioni » e degli « Stati-nazione » come si soleva definirli in passato, né dal punto di vista politico, né economico, né culturale e nemmeno linguistico. In questa storia, gli «Stati-nazione» e le « nazioni » o gruppi etnico-linguistici saranno visti dapprima in una prospettiva, di arretramento, quindi di resistenza, di adattamento, oppure di assorbimento e dislocazione, nei confronti e da parte della nuova ristrutturazione sovranazionale del globo terrestre. Nazioni e nazionalismo continueranno a essere presenti in. questa storia, ma in funzione subordinata e spesso piuttosto secondaria... Il che non significa che storia e cultura, nazionali non conserveranno il proprio peso, che anzi potrà persino- accrescersi rispetto al. passato, nel sistema, educativo di determinati paesi, specie quelli più piccoli.; né che non possano fiorire localmente .in. un. quadro 'di più ampia estensione sovranazionale: come per esempio potrebbe essere il caso d e i a cultura catalana oggi indubbiamente fiorente, ma col tacito sottinteso che i Catalani comunicheranno col resto del mondo servendosi d e l o spagnolo o dei'inglese, perché sono molto pochi i non residenti .in Catalogna a poter comunicare in lingua catalana". Come ho già fatto presente, « nazione » e « nazionalismo » non soi no più termini adeguati per descrivere, quindi men che meno per analizzare, le entità politiche che si presentano come tali, e nemmeno\ lo sono per descrivere quei sentimenti che 'una volta erano associati a. ì queste parole. Non è impossibile che il nazionalismo declini col decli? nare dello Stato-nazione; in. assenza del quale, essere Inglesi, Irlande; si o- Ebrei, oppure una combinazione di tutt'e tre, non è che 'uno- dei ) tanti modi che la gente p r ò utilizzare per indicare la propria, identità a, \ seconda delle circostanze . Sarebbe assurdo pretendere che questo ; giorno sia. atte porte. Tuttavia, mi auguro che almeno lo si metta in : conto. Dopo tutto, il fatto che gli storici abbiano se non altro comin/ ciato a fare qualche progresso nello studio- e nell'analisi di nazioni e nazionalismo fa pensare che, come spesso avviene, il fenomeno abbia superato la sua fase acuta. Come dice Hegel, la nottola -di Minerva, :

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che reca la sapienza, prende a volare sul far della sera. È un buon auspicio che adesso stia aggirandosi dalle parti di nazioni e nazionalismo.

' Le guerre scatenate su. vasta scala dalle superpotenze, con ricorso ad ogni genere di armi ad eccezione di quelle nucleari, e forse chimico-biologiche, si risolsero perlopiù in. clamorosi insuccessi, che, tra l'altro, la storia precedente ala prima Guerra Mondiale non avrebbe fatto supporre, rame per esempio to Corea e Vietnam. L.Dion, The mistery 0/Quebec, in « Daedalus », 1988, .n. 117/4, PP- 283-3.18, chiarisce bene la questione: «Questa nuova generazione non mostra lo stesso ardente desiderio dei suoi predecessori di correre in difesa dela lingua francese, sia perché si sente in qualche modo protetta (...) dalla Freno Language Charte (...) sia perché i Canadesi anglofoni, al pari di quelli che parlano altre lingue, si sono fatti molto più tolleranti nei confronti del francese» (p. 310). R. F. Harney, «Sogreatberitageasours». Immigration andtbesurvwalofthe Canadian polity, ivi, p... 75. * G... Peletier, Quebec; different bui in step witk North America's, ivi, p. 271; Harney, «So great keritage as ours» cit., p. 62. Nel corso degli anni 1970 il nazionalismo del Quebec determinò un ampio esodo j j : attività imprenditoriali da. Montreal, sino ad allora massi—a città canadese e centro economico del paese, verso Toronto. « La città deve ora adattarsi al destino assai più modesto di. centro regionale del Quebec e del. Canada orientale». Ciò nonostante,, l'impatto notevolmente inferiore dele lingue dele minoranze .che si registrò nel caso di Montreal rispetto a quello dele .altre città, non sembra aver affievolito la militanza, linguistica, A Toronto e Vancouver, per esempio, i «bianchi anglosassoni e protestanti» .non costituiscono più la maggioranza dela. popolazione, mentre a Montreal i Franco-canadesi rappresentano' .ancora il 66% della popolazione (cfr. A. F, J. Artibise, Canada as an urlar, nation, ivi, pp. 237-64). 2

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M. E. Matty, Funiamentaiism as a socialphenomenon, in « Bulletta of the .American Academy of Arts and Sciences», 1988, n, 42/2, pp. 15-29. Ibid., pp. 20, 21. Non è molto chiaro in che misura l'ortodossia religiosa ebraica rigorosamente fedele alla tradizione, e, pertanto, ovviamente contraria all'istituzione 'di uno Stato ebraico in Israele prima, del ritorno del Messia, abbia attenuato, se non addirittura lasciato del tutto cadere, la propria opposizione al sionismo. In ogni caso, i coloni ebrei dei territori occupati, che esibiscono tutto l'apparato dela pratica religiosa, non debbono essere automaticamente assimilati con l'altra aia, probabilmente in espansione, del fondamentalismo ebraico che sta tentando di retmporre l'intero rigore del rituale a una società secolarizzata. * Tra il 1958 e 11974,, i maggiori partiti belgi, nella versione fiamminga, non scesero' mai al di sono deli'82%, dei voti in Fiandra. Cfr. A. Zolberg in M. Esman (a cura di), Etbnic Conflict in the Western World, Ithaca 1977, p. 118. "° J. H. Kautsky, An essay in the policies of development, in Id. (a cura di), Politicai Change in Underdepelaped Connine;: Nationalism and •Communìsm, New York - London 1962, p. 35. La politica di rumenizzazione messa in atto da Ceaucescu .in Romania costituisce una rata eccezione, e .rompe con la tradizione dei complicati .compromessi in ordine ^l'autonomia nazionale realizzati dai. comunisti quando presero il potere dopo la seconda Guerra Mondiale. Situazione di fatto che mi fu segnalata dal professor Bogdan Denitch dela City University di New York e, sebbene da .allora in poi d siano stati dei motti, si tratta pur sempre di. qualcosa degno di nota, soprattutto se confrontato con quanto verificatosi in altri confitti etnieonazionali negli anni 1988-89. I

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II

a

Capitolo' sesto Constatazione che non va intesa come una specie di assoluzione o sottovalutazione dei trasferimenti in massa di intere popolazioni, nel nome della nazionalità, che ebbero luogo nel corso della guerra, Si tratta infatti di una cosa inammissibile in qualsiasi tipo di situazione, salvo quella in cui l'intento sia di salvare una popolazione dallo sterminio. A. Mayer, Why Did the Heavens not Darken? The «Final Solution» in History, New York 1989, pp. 257-62. D. Heid, FareweU nation state, in «Marxisai Today», dicembre 1988, p. 15. «The Wall Street Journal», 5 dicembre rgSS, p. 1. «La composizione di classe dei leader-piti attivi [del Movimento occitano] rivela che le cause del malcontento non risiedono tanto in un ritardato sviluppo economico della regione, bensf in una situazione di disagio avvertita da professionisti e colletti bianchi (...) un po' dappertutto in Francia» (cfr. W. R. Beer, The Social class of ethnic aciivists in contemporary Trance, in Esman (a cura di), Ethnic Conflict cit., p. 158). M. Cimino, Fine di una nazione, Palermo 1977; G. C. Marino, Storia del separatismo siciliano 1943-1947, Roma 1979. Bundesministerium fur innerdeutsche Beziehungen, Materialien zum Bericbt zar Lage der Nation, Bonn 1971-72, 1974, voL HI, pp. 107-13, in particolare p. 112. Dion, The mystery of Quebec cit., p. 302. La versione del generale De Gaulle in merito al «francesismo» del Quebec, quale fu illustrata in. una riunione di Gabinetto del 31 luglio 1967, sosteneva in sostanza che la Francia non poteva « disinteressarsi, né al presente né in futuro, del destino di una popolazione discendente dal suo stesso popolo e esemplarmente fedele al proprio paese d'origine; cosi come non poteva considerare il Canada un paese straniero alla stessa stregua 'di tutti gli altri» (cfr. «Canadian News Facts», 1967, n. 15,, p. 114). 1

E. Weber, Peasantslnto Frenchman: TbeModemization ofRuralFrance, 1870-1914, Stanford 1976. Negli anni 1970, i due terzi dei Catalani all'estero si consideravano «Spagnoli ». Cfr. M. Garda Ferrando, Regionalismo y autonomias en Espana, Madrid, 1982, tab. 11. Uno dei pochi teorici che sembra condividere i miei dubbi sull'effettiva forza e sul carattere di valore dominante del nazionalismo è John Breuifly nella sua opera Nationalism and State. Egli tra l'altro critica sia Gellner sia Anderson in quanto danno quasi per scontato « che l'evidente successo del nazionalismo significhi che il nazionalismo è profondamente radicato nelle idee e nel comportamento della gente» (cfr. « Phiìosophy and Social Science», 1985, n. 15/1, p. 73).

Indice

analitico

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Sloveni in, vidi Sloveni.

vedi ambe asburgico, Impero. Austria-Ungheria, austroungarico, Impero, vedi asburgico. Impero, austro-marxisti, 9 , 3 9 . Azeglio, Massimo Taparelli d', 30. Azerbaijan, 200. Bagehot, Walter, 3, 3, 15 n, 16 n.28. 30,51 n, 213. BAGLI, S.., 92 n. ^ Babasa Indonesia, 109, no. Balibar, I., 31 n, 91 n. Banac, 1 , 5 3 n, 6 8 , 9 0 n, 91 n, 93 n, 53. Bangladesh, 79, 80, n.% :R86. Barcellona, 163. Balère de Vieuzac, Bertrand, 25,2.6. Barili, F-, 91 n, 184-87,191 ni. Baschi, 7 8 , 9 2 n, 125: lingua, 61.138,139,165,166 n.. nazionalismo e protonazionalismo: sino al 1 8 9 4 , 3 9 , 4 8 , 4 9 , 7 3 , 9 2 a. dal 1894,124,123,138,139.

pedi anche Euskadi. Bastian, S., 191 n. Bauer, O t t o , 4,16 n, 49,184. Beer, W. R., 191 n, 216 n. Belgio: nazionalismo , 2 8 , 3 5 , 4 1 , 9 9 , 1 2 1 . 1

vedi max Fiamminghi. Bentham, Jeremy, 52 n. .Berberi, 74. Berr.olàk, A n t o n, 64. Bemstein, E . , 33 n. Barin, .Ernest, 174. Bha-acharyya, )., 151 n. Bìafra, 80, i l o . Blasdike, J . , 32 n. Bloch, Marc, 31 n, 23,9.2 n. Block, M, 31 m. Blum, Leon, 172. BocHi, Richard, 2 6 , 0 4 , N8 n. Boemia, 84, no, 146. bolscevismo e nazionalismo,, 133,169; pedi anche comunismo. Borst, A, 90 n, 91 n. Bose, Subhas Chandia («Netaji»), 157. Bosnia, Bosniaci, 80,146.

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Indice analitico

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j£o,

Ciirnes, J. E . , 31, 52 n. Canada: Franco-canadesi, 189: e Francia, vedi Francia. nazionalismo del Quebec, 138,190,195-97, °> 213,21; n, 216 n. immigrati, 1S2,189. Camnan, Edwin, 32, 52 n. Carey, Henry Charles, 34. Carlo X, re di Francia, 27. cartismo', cartisti, 104. Castiglia, 53 n. Catalogna, Catalani, 4S, 49,81,125,139,164-64, 208, 214,216 n: Toes Fiorali, 81,125. lingua, 61,165,166. Cavour, Camillo Benso conte di, 35,114. Ceausescu, Nicolas, 215 n. Cechi, 38,40,41 n. 121,208: lingua, é j , no, in, «20, ut n. nazionalSsrno, 65, 146-49,160. n e M m p e r o asburgico, n o , m, 130,146.. pedi anche Cecoslovacchia. Cecoslovacchia, 157-60,195; vedi anche Cechi. Cel)e, rau censimento, lingua e, 96,97, uy.6. Certeau, M. de, JI n, 91 n. Ceylon, vedi Sri Lanka. Chad, 1S0. Chaxnberlain, Houston Stewart, 126. 20

Chartier, R., 89 n. Chturan, N., 117 a. C'r.emkvsky, Michael, 58, 59, 89 n, 90. ChevaBer, Michel, 32,52. Churchill, Winston, 173. Cimino, M-, 216 n. Cina, 7 j , 76,78,79,92 n„ 161, 162,177: lingue, 66, 70,109, no. Cipro, S?. 1S0.

CLOUGH, S. B., 91 n. Cohn, Gustav, 36,52 n. Cole, John W., 6,91 n, 93 n. C o i e y , L., 17 n, 53 n, 06 n. comunismo: e nazionalismo, 144,171-77,183,191 n, 204.

vedi anche bolscevismo, Lenin, marxismo, socialismo. Comunità economica europea, 205, 208. Congressi intemazionali di statistica e problema linguistico', 26', 48,112-14. Oonnolly, James, 144. Coornaert, E., 90 n. Corea, Coreani, 75,92 n, 161,162,186. Corea, guerra di, 2x5 n. Corsica, 208. Cosacchi, 55, 74, 84. cristianesimo, vedi religione e nazionalismo. Croati, 38,79,148,137,208: e nazionalismo illirico', 124,139,152 n, 160. lingua, 64; pedimde serbo-croato (lingua). nazionalisn», 50, 85, 86,93 n, 124,139,144, IJI n, 190 n. vedi anche Iugoslavia. Cronin, S.. 191 n. Cunningharn, H . , irò n. Curacao',201. Curdi, 73. C-urne de Sainte Petaye, L . , 51 n. Danimarca, 113. Dann, O - , 51 n. Danzica, 37. Das Gupta, J., 151 n. Davis, H . B.,i6in. De Mauro, T., 53 n, 91: n. DerJker. J, 151 n. Denitch, B.. 216 n. Desttée,J.., i j i n . Deutsch, Karl W . , 5,16 n, n6 n. Devleeshouwer, R., -90 n. Dickinson, G . Lowes, 44,33 n. Dinwidy, J., 5r n. Dion, L., 213 n, 216 n. DIugoborski, W., 131 m. Dommanger, N . , 190 n. Dreyfus, Alfred. 27,140. Dnimont, Edouard, 140. Dubois, A . , 152 n. Durharn, Edith, 63, 90 n. 1

ebraico' (linguai , vedi Ebrei. Ebrei, 26, 27, 80,114,115,128,129,132, .144, .145, 200:: antisemitismo, 26,, 27,45,123,159, 204: in Austria, 45, 72,140. in. Francia, 26,27,45,126,139,140. in. Germania, 26,27,126,140,141,138, nell'Impero asburgico, 140,141. in Urss, 204... in Usa, 182. lingua: ebraico, 6% 69,128,131, yiddish, 26, 27,114,128,129,132. nazionalismo, 57, 73,77,, 86,124,144,145: e religione, 57, 77, So,19S, 199. sionismo', 77, 86,124,128,144,14J, 198, 2ij n: e nazionalismo palestinese, 163,178. vedi anche Israele.

Indice analitico economia nazionale, 32-35,155,156,204-6;, vedi anche liberalismo e nazionaìisrno'.. Egitto, 77, NSI, 162. Emmet Robert, 159. Engels, Friedrich, 39,40, 46,4,9,30,33 n. Eritrea, 1S0,181. Erodoto, 68,91 n. Esman, M. J., r9i n, 213 N. Esperanto, 44. Estonia, Estoni, 58, 193, 208. Etiopia, 180, r8l, 189,, 190,, etnia: nazionalismo e, 72-76,109: dal 1870 al 1918,120-24, —6.127. dal 1918,179-87,189,191 n. 194,198,199, e razza: «nordica», 126,151 n. «semitica», 126. ethme, 187,191 N. vedi anche xenofobia. Euripide, 91 n. Euskadi, 123,143,, 208;, vedi anche Baschi evoluzionismo darwiniano, 43,126, \ Falkland, isole (Malvinas), 87,193, fascismo, 141,130,169,170-73!, 177. Federico H 2 Grande, re ili Prussia, 84. Fejtsma, A . , 152 N. feniani, vedi Irlanda, feniani. Ferguson, A . , 151 n. Ferro, M . , n6 a. Fiamminghi: lingua, 41,42,90 n, ua„ 134,-38. nazionalismo: sino ai 1914» .41,42,48,4,9,92 n, rrz, 134,13.3,137, 138. dal 1914,143,166, 200, 215 n. Ficker, Adolf, 05. Filippine, isole, 109,, no, 189. Finlandia, 102,124,144: lingua, 122,124,131,137. Finot, J., 131 n. Fischman, J. A., 6, 90 n, rr? n, 131 n. Flora, P., mS n. Mores Galindo, A., 92 n. folclore, e nazionalismo, ox, X23,. fondamentalismo, 197-99. Francesco H, imperatore del Sacro Romano Impero, 84,83. francese (lingua), 64,63,70, 115, ngn in Africa, 189. in Canada, 189: vedi anche Canada, Franco-canadesi. nation e patrie, 20, 21,102,-7, M ° . nazionalismo francese e, vedi 'Francia, nazionalismo e lingua. Francia, 97: antisemitismo, vedi Ebrei, antisemitismo in Francia. Franco-canadesi e. 2x3,,216 n. lingue e dialetti, 22,, 41,42,61; vedi anche francese (lingua). nazionalismo, 21,3,9,, 42,43, 82,83,106,143, 2n:

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antifascista, 171-73. etnia e, 73,, 108,126,19m; vedimele Ebrei,, antisemitismo in Francia. lingua e, 23,26,63,70,113-15.130. monarchia e, 27, 81, 82. Reno' come «frontiera naturale», 107,114. Rivoluzione francese e, 23,, 25-27; vedi amie giacobini. vedi anche, Baschi, Bretoni, 'Corsica,, Occitania. Francis, H.,, 191 n. Franco, Francisco, 164,165. Frasheri, N a t o , 63. Frisoni, vedi Paesi Bassi, Frisoni. gaelico (lingua): irlandese, 121,124,128,13.8,141. scozzese. 134,135. G a j , Ljudeirit, 64. Galizia, 165. Galles, 36, 39, 41,48, 49, 81,143: lingua, 40,41,61,65, m, 112,13,0,132,136,138. nazionalismo: sino al 1918, 78,123,124,136,, 145,, 168. dal 1918 al 1950,164,166. dal 1950, H2,130,195, E97, 200, 208, 2H. Gand,, 13.5, «37. Gandhi, Mohandas Karamchand, 94,^0,178. Garda Ferrando, M . , 190 n, 216 n. G a r d a i Sevifla, L., 50 n. Garnier-Pagès, Etienne-Joseph-Louis, 35,52 n, 92 n. Gaulle, Charles de, 171,191 n, 208,, 213,, 216 n. Gellner, Ernest, 6, N-RJ, r7 N, 80,87,9,2 N, RR? N, 216 n. Gennaro', santo, vedi Napoli, miracolo di san Gennaro'., 'Georgia, Georgiani, 123,124,144,152 n. Germania, 190 n, 191 n. sino al 1918,68, 69, 97, rr4,156':: antisemitismo, 26, 27,126, r39~4i, nazionalismo, 22, 34-36, 39,40,100,136: e lingua, 26, 27,4T-43,67,70, n o , 114,120,121. dal 1918 al 1949,157,158,175, 204: antisemitismo, 158. nazionalismo, 141,150,167,169, 211. dal 1949, vedi Repubblica Democratica Tedesca, Repubblica Federale Tedesca. Tedeschi al di fuori della, 56-58. vedi anche tedesco (lingua). Ghana, 76. giacobini, 104,121; pedi anche Francia, Rivoluzione francese. Giappone, 75,76,92 n, 175, 177, ,205,206. G i b b , H. A. R., 92 n. Giorgio UT, re di Hannover e di Gran Bretagna e Irlanda, 99. Giovanna d'Arco, 83. Giuseppe II, imperatore del Sacro Romano Impero, no. Gladstone, William, 101. Glatter, 113. Glinert, L., 151 n. Gobineau, Jc^eph-Arthur, conte de, 83. Godechot, J., 116 n.

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Indice analitico

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R

a

n

Hong Kong, 206. Hroch, Miroslav, 5,6,14,121,210. hussitismo, 84. icone, 81: Vergine di Montserrat, 81. V a g i n e Maria, 56,81. pedi anche monarchia. illirtanismo, nazionalismo illirico, 64,124,139; vedi anche Iugoslavia. Indi: del centro e sud America, vedi America Latina, del Nordarnerica, rS6. India, Indiani: divisione (1947), 79, 80, :6c, r8o, 203. emigrazione negli Usa, 186. Esercito Nazionale Indiano, 175. lingue, '70,109,129,130,137, .160,183,190 n. movimento antimperialista, 79,80,123,172,177-79, 202. Tamil, vedi Tamil. vedi anche Pakistan. Indie occidentali olandesi, 201. Indonesia, 109,188. Inghilterra, vedi Gran Bretagna, inglese (lingua): come lingua «universale», 44,188-90,192 n. In India, 70,109, K9,130,137,160,185. .in Usa, 134,193,195. nascita dell'inglese letterario, 64, 65. Innsbruck, 72. Iran, 78, 80,102, tèi, 162, 200. Iraq, 102, ntì n. Irish Free State, 3,7,141,159; vedi md>e Irlanda. Irlanda, Irlandesi, n6n: lingua, vedi gaelico., nazionalismo, 15, 35,42,101,123, 209: degli emigrati, 127,128, IJJ. feniani, 42,124,159,179. influsso' su altri nazionalismi, 122,123,164. lingua e, 121,124,127-29,141. religione e, 60,76-78,, 143. sport e, 168. nella, seconda Guerra Mondiale, 175. trattato anglo-irlandese (1921), 157. 'unionisti dell'Ulster, 159,160,164. vedi anche Irish Free State, islam., vedi religione e nazionalismo.. Islandesi, 65. Israele, 57,77,163, X78,198, 200. Istria, 67.. Italia, 97,, 114, n6 n, 132,1.57,172,173: fascismo, 141,150. nazionalismo nel secolo xtx, 43, 71, 82, 99, 140, 141: e papato, 82. unificazione nazionale, 28, 38, 50, nó n, 120,121. vedi anche Italiani, italiano (lingua), Sardegna, Sicilia. italiano (lingua), 12,43,70,120,121,132. Italiani: nell'Impero asburgico, 146-49. vedi anche Italia, italiano (lingua).

Indice analitico Iugoslavia, 38,157-60,. 204, 21611: lingua, vedi serbocroato '! lingua). vedi arnie, SBrJnxismOk nazionalismo illirico. Iwan, Emerys ap, rrz. Jaurae, L., 51 n. Jayawardene, K., 152 n, 191 n. Jinnah, 79. John, FL-G., 152 n. Johnson, Samuel, 65,102. Julia, D., jr n, 91 n. Jutrikala, E . , 150 n, 151 n.

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Lloyd George, David, 132,136. Lopez Aranguren, E-, 190 n. Lòrinczi Angìoni, M . , 90 n, 92 n. Lorwìn, V. R-, 91 n. Lowy, M.. 16 n, 52 n, 53 n. 152 n. Lueger, Karl, 139,140. Lussemburgo, 37. Luxemburg, Rosa, 4,50,135. Lynch, N., 92 n. Macartney, C. A . , 190 n. Macartney, W. A . , 117 n. Macedonia, Macedoni, 50,03,124,125. Mack Smith, D.„ 52 n. Madras, 145. Magiari, «A'Ungheresi. magiaro (lingua), vedi ungherese (lingua). Malvine, vedi Falklands, isole. Manzoni, Alessandro, 91 n. Marino, G. C, 216 n. Marocco, 162,163,172,178. Marsigliese, 171,190 n. Marty, M. E . , 215 n. Marx; Karl, 46,49,50. marxismo, e nazionalismo, 4,9,38,50,144,160,161, 176,178,179; vedi anche comunisros. Mauritius, isola, 67. Maurras, Charles, 166. Mayer, A . , 216 n.

Kahk, J., 89 n. Kantorowics, Ernst, 90 n. Karadzic, Vulc, 69. Kaier, N . , 152 n. Kautsky, J. H . , 192 n, 215 n. Eautsky, Karl,. 4,41,44,47,50, Keamey, il N.. 16 n, 191 n. Kelc. Christian, 58. Ketrik'ioen, A., 16 n. Kiberd, D.., 151 n. Kitby, D . , 132 n. B o s s , H., 90 n. Kocka, ].., 131 n. Kohn, Hans, 4,16 n, 191 n. Kolokotrones, T . , 27. Koplening, J„ 191 a. Kristan, E . , 52 n.

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ladino (lingua), 134,135; v^à: anche, retoromanzi, dialetti. Laici, J.J., 51 n. 32 n. Laporte, D . . 31 n, 91 n. Latham, E . , 33 n. Lavisse, Ernest, 103, 117 n. Legg, M. L., 151 n. Lenin, Vladimir Die Ut'janov, detto, 4,46,50,144,156, 138,174. Lerner, D . , 192 n. Lettonia, Lettoni, 38,182, 208: lingua, 63. Lévy, P., 51 n, 90 n. Libino, 102,180. liberalismo, e nazionalismo, 29-50,90,140; vedi anche economia nazionale. Licbtenstein, 37. Liegi, 135. Lima, 92 n, 192 n. Iill,R.,i52n. lingua: nazionalismo e, 60-72,109-16: sino ai 1870, 24-27,40-45, 47,48,64. nn-16. dal 1870 al 1918, 00-22,124-3;, W> 5.- '66. da! 191S, 8,12,160,566,185,188-90,195-97. «nazione», 19-22,106,140. progetto di una lingua universale, 44,188-90. Lipschutz, A., 92 n. List, Friedrich, 34,-36,43,52 n. Lituania, Lituani, 38, 74,78,123,124, 208: lingua, 63. tó

Mazzini, Giuseppe, 35-37, S°> 9> 179. '34Messico, 81. Mill, John Stuart, 15 n, 30,51 n, 52 ri, 53, n: sull'Irlanda, 35. su nazioni e nazionalismo, 4, 24,25, 29,37,39,49, 50. Moldavia, 38, Marinari, Gustave de, 33,52 n. monarchia, e nazionalismo, 27,58-60,82,83,100,167; vedi anche icone. Mongoli, 74, 82. Montenegrini, 73,91 n. Montreal, 188,215 n; vedianche Canada, nazionalismo' del 'Quebec. Moravia, 45,66, n o . Momer, M . . 92 n. Morgan, K. O . , 131 n. MuHierjee, S. N, 151 n. Muller, Max, 126. Musil, Robert, 101. musulmani, religione, islam. Nagel, G . , rr/ n. Nagornyj Karabach, 200. Nairn, Tom, 101, ufi n. Napoleone IH Bonaparte (Charles-Louis Napoleoni, imperatore dei Francesi, 114. Napoli, miracolo di san Gennaro, 56. nazionalismo, 3-15: sino al 1870,19,20. dal 1870 al 1918,119-50. dal 191:8 al 1950,155-90. dal 19.50,193-215.

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Indice analitico

antifascista, 170-75. arabo, vedi arabo, nazionalismo. coloniale, 160-63,174-82,184,185, 201-3. guerra e, coli guerra e nazionalismo. liberalismo e, vedi economia nazionale; Eberalismo e nazionalismo. istruzione e, 96,106-n, 134. linguistico, vedi lingua e nazionalismo., me22i di comunicazione di massa e, réfi, 167,192 n. monarchia e, vedi monarchia. nella prospettiva dei governanti, 95-nti. nel Terzo Mondo, vedi Terzo. .Mondo. origine del termine, 140, 141. propaganda e, vedi nazionalismo e mezzi di comunicazione di massa. protonazionalismo popolare, 55-89. religione e, vedi religione. sport e, vedi sport e nazionalismo. vedi anche comunismo, etnia, guerra, patriottismo, socialismo', nazione: definizioni, 6-10. principio della taglia minima, 36,37,42,120; vedi anche Renan, Ernest, sulla dimensione delle nazioni. vedi anche nazionalismo. Nehni, Jowahrlal, 13,0. N e w Brunswick, 196. N e w York, 186. Nicola I, zar di Russia, 99. Nigeria, :So. .Vizza, 114. Nora, P., n6 n, B7 n. Nordmann, D . , 137 n, n8. Norvegia, 4,8,123: lingua, 64,130. Nossiter, T. J., 16 n. Notz, W . , 52 n. Occitania, 210, 216. O'Connell, Daniel, 124. Offher, A., n6 n. Olanda, vedi Paesi Bassi. Olimpiadi, Giochi olimpici, Si. 167,168; vedi anche nazionalismo e sport. 'Ontario, 196. Orwell, George, 168. Ossio, J. M . , 92 n. ottomano, Impero, 79: movimenti nazionalisti: sino al 1870, 28, 36, 43, 74. dal 1870 al 1918,28,, 48,121,122,124,125,157. vedi anche Turchia. Paesi Bassi, 2.9, 42,102: Frisoni: lingua, 138. nazionalismo, 145. lingua, 22, 65. Paine, Thomas, 25. Pakistan, 79,160,180,203; vedi anche Bangladesh, India. Palestina, Palestinesi, 132,162,178.

Palme B u t t , R., 190 n. Papua Nuova Guinea, 188. Paraguay, 77,190. Parma, Gran Ducato di, 29,42. Pashto, 74. patrie., 102-7,140. partiottismo, 55,84,85,88,89,100-9, t4°-4 , >7 ; vedi anche nazionalismo. Peiettier, G . , 215 n. Pelling, H.., 191 n. Perfetti, F., 152 n. P e r i , 92n, 190. Petetsen, J., 152 n. PhiBpps, E . , 51 n. Pichler, Arnold, 45, 53 n. pidgin, 188. Pìlsudski, Jozef, 50,144. Pio IX, papa, 82. Pirinen, K., 150 n, 151 n. Polacchi: in Germania, 68,69,159. in Russia, 74. in Usa, 128. nell'Impero asburgico, 68, m, 147,149. Polonia, n6 n: indipendenza (1918), 158. nazionalismo, 38,43,48,50,83,135,146,14.7,149: lingua e, 121. religione e, 76, 77,143. rivolte (1830 e 1863), 28. verso lo Stato socialista, 144. Potter, B., 53 n. Potter, George Richardson, 33. Potter, Boy, 90 n. Portogallo, 35. Praga, 130,195. Pride, J. B.„ 192 n. Primo de Rivera y Orbaneja, Miguel, 164,165. Prost, A . , 152 n. protonazionalismo popolare, vedi nazionalismo. Puhle, H.-J., 151 n, 152 n, 190 n. Pujmège, G. de, 117 n. 2

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'Quebec, vedi Canada. Quetelet, Lambert-Adolphe-Jacques, na. Rae;, John, 29,30,32,, 34,52 n. Ranger, Terence, 6,117 n, 190 n. razza, razzismo, vedi etnia. Regnault, E . , 52 n. Regno' Unito, vedi Galles, Gran Bretagna, M a n d a , Scozia, religione: e nazionalismo, 76-82,143,176-78,194,, 198,199: cristianesimo, 55, 56, 58-60, 76-82-196-99. ebraismo, 57,77, 81-102-198,199. islam, 77-81, ic2,176,177,198,199. Renan, Ernest, 4,9, ijen, 17 n, 49,50,51 n, 103: sulla dimensione delle nazioni, 29, 42. Rentier, Karl, 16 n, 117 n, n8 n, 119,120,150 n, 191 n. Reno, 107,114, 05. Repubblica Democratica Tedesca, 203.

Indice analiticoRepubblica Federale Tedesca, 169, X70, 212, 213. retoromanzi, dialetti, 13,5; vedi anche ladino, lingua. ReveI, J., 51 n, 91 n. Riha, C, 151 n. Richardson Potter. G . . 52 n. Riesman. D., .1192 n. Rivoluzione francese, e nazionalismo, tedi Francia, nazionalismo e Rivoluzione francese; giacobini. Robbins, Lord, 33, jz n. Rodinson, M . , 92 n. » Rokkan, S., 16 n. romancio, dialetto, 134,135; vedi anche retoromanzi, dialetti. Romania, Rumeni, 73,157,164: nazionalismo, 28, 38,131,146,213 n. Romein, J., 151 n. Roos, H., 53 n. Rosdolsky, R., 53 n. Roth, Josef, 67, 90 n. Rousseau, Jean-Jacques, 46,100,101. Russia: e Finlandia, 102. nazionalismo, 42, 43, 74,144,145. monarchia e, 59, 60, 81, 83, 99. religione e, 58-60, 77,78, Si. Rivoluzione d'Ottobre, 146,148,161. pedi anche Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ruteni, 38,124. Ryan, Frank, 175,191 n. sahariana, nazione, 87. Samuel, R., 17 n, n6 n. Sardegna, 124. Savoia, 114. Say, Jean-Baptiste, 33. Scbeider, Th,, 130 n. Schieder, W . , 152 n. Schiller, F . , 91 n. Schleswig-Holstein, r y . Schonberg, Gustav, 31,32,52 n. Schónerer, Georg von, 139,140. Schumpeter, )., 52 n. Scott, Walter, 53 n, 106. Scozia, Scozzesi, 40,41,47-49,53 n, 74,78,106: lingua, 134,135. nazionalismo: sino al 19:8.123,145,168. dal 1918,164,167, 2O0>, 208,210, i n . Sedlnitzky, Josef von, 131. Senegal, 76. Serbia, Serbi, 28, 38,50,73,79,91 n, 125,208: lingua, 64,69; vedi anche serbo-croato (lingua), nazionalismo e protonazionalsmo, 85,146-48,160. vedi anche Iugoslavia. serbo-croato (lingua), 64, 69. Seton-Watson, H . , 91 n, :ntì n. Shakespeare, William, 85. Sherrington, E . . 190 n. Siam, vedi Thailandia. Sicilia, Siciliani, 36, 210. Strame], George, 198.

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Singalesi, vedi Sri Lanka. Singapore, 206. sionismo, vedi Ebrei. Siria, 77,162,163. Slavi di. Lusazia, nei" Vendi. Slesia, 68. Slovacchi, 38,148, rèe, 208: lingua, 64, 91 n. Sloveni, 157,159,164,208: in Austria, 138,164. lingua, m. nazionalismo, 160. nell'Impero asburgico, 39, 66, 69, rrr. vedi anche Iugoislavia. Smith, Adam, 29, 32. Smith, A . D . , 3,6,15 n, 190 n„ 192 n. Smina, D . , 53 n. Snellman, Tonar. Wilhelm. 122. socialismo, e nazionalismo, 49,50, 98, 99,142-50,156, 172-76, 203; vedi anche comunismo. Somala, 73,, 80. Sorabi di Lusazia, vedi Vendi. Sorella, A . , 17 n. Spagna, n6 n: nazionalismo, 19-21, 43, 82, n6 n. Guerra civile, 172,275. w vedi anche Baschi, Catalani, Galizia, spagnolo (lingua), Valencia, spagnolo (lingua), 19-21: in America latina, 189,190. Spira, L., 91 n. sport e nazionalismo, 168: Mitropa Cup, itìB. Tour de France, 168. Spriano, F., 191 n. Sri Lanka: Singalesi, 8,145, rr6,177, r79,185. Tamil, vedt Tamil. Stalin, losif Vissarionovic Dzugasvili, detto, 4,7,16 n, 50,161. Stati Uniti d'America, 171,199,206,, 207: inglese (lingua), 134,193,195. immigrati, 63,127,128,134,181-84, rS6,193,195. nazionalismo, 23,25, 26,34,88,103Steinberg, J., 90 il Sternhdl, Z . , 152 a. StScker, Adolf, 139,140. Strauss, E . , 52 n. Stur, Ludovit, 64. Sud Africa, 185: South Africa Naaonal Congress, So. Sudan, 67,180. Sulioa, vedi Albanesi. Suny, R. G . , 152 n. Suppan, A . , 152 n. Scrinarne, 201. Suttner, B., 15: n. Svezia, Svedesi, 48,12.2,123,131. Svizzera, 42,46,74,99, rr6 n: lingue, 61,67, 91 n. Sziics, Jeno, 6,93 n.

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Indice analitico

Taguieff, P. A., BJ a. TaUandia, 177. Tamii: in India, 137,145,185. in Sri Lanka, 8, 9,179,185, 203, Tanner, N.„ 192 n. Tatari, sedi MongeJi. tedesro (lingua): Nation, 21,22. nazionalismo e, 26, 41-43,67,70, n o , 113-15,120,121. parlato in Svizzera, 61, 67, 91 n,. Terzo Mondo,, nazionalismo' nel, 161-63, 174-82,, 184, 185, 201-3. Thernstrom, S., 90 n. Thomas, N , n ? n . Thompson, Edward P., 104. Thompson, J. M,„ 117 n. Thorez, M . , 190 n. Tibetani, 82. Tilly, C, 6. I o n e , Theobald Wolfc, 159. Toronto, 213' n. Transilvania, 38. Tioelstra, Piter JeBes, 145'. Tunisia, 163. Torchia, Turchi, 87,158,177,180,1981; vedimcbe ottomano, Impero. Tirolo, j8,60,74,86,158: rivoba contadina contro i Francesi (1809K 60,74,8486. Ucraina, Ucraini, 63,74, '77,78,146,14,7,204. ungherese (lingua), 62,63,113. nj. Ungheresi, 62,73, 83: di Romania, 164. pedi anche ungherese (lingua), Ungheria. Ungheria, 94,148: nazionalismo, 83, n.3, n j , 150,158,159,168. vedi anche asburgico, Impero; ungherese (lingua), unificazione mondiale, idea dela, 36,44.-46. Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, 80, 155,173,174,195, 204, 207;, vedi anche Azerbaifan, Estonia, Georgia, Lettonia, Lituania, Russia. Uyangoda, J., 191 n. Vacher de Lapogue, George, 126,. Valacchia, Valacchi, 3,8, 74. Valencia, 210. Valitutti, S, 152 n. Vallverdu, F., 151 n. Valseochi, F . , 152 n. Vancouver, 215 n. Van der Linden, M . , 16 n, 152 n. Van der Mehden, F. S.. 92 n. Vanderrelde, E . , 15: n. Van Holthoon, F., 16 n, 152 n. Vendi, 22,134,135,203. veneziano, dialetto, 132. Verdam, J., 51 n. Versailles, pace di (1919), 157-60,169. Verwijs, E . , 51 n.

Vida! de la Bianche, Paul, 106,117 n. Vienna, 45,146,168. Vietnam, 1S1,162, 215 n. Vilar, Pierre, 25, 51 n. Villers-Cotterets,, ordinanza di (1539), 120,121. Vincent, G . . H7 n. Vowodina, 146. Tambaugh, F, n8 n. Wassetpolacken, 68. Wéber, E , , 214,216 n. Wehler, H.-U, 53 n, 91 n, 117 n. WeiU, C . , 16 n, 52 n, 53 n, 152 n. Wergeland, Henrick Arnold, 64. Williams, G w v n A . , 6,92 n, n6 n. Wilson, Thomas Woodrow, principio di nazionalità di, 3,7, ,46,150,153,157, Ij8,160,161. Windische, 65. Winkler, H. A., 130 n, 151 n, 190 n. Wolf, Erich, 6,91 n, 93 n. xenofobia, 106,123,183,198; vedi anche etnia. yiddish, vedi Ebrei, lingua. Zedler, Johann Heinrich, 22,51 n. Zeidm, T., 91 n. Zeman, Z. A.., 149,152 n. Zenone, 91 n. Zimmern, A., 52 n, Zolberg, A , , 151 n, 152 n, 215 n.