Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita 9788815116123

Le politiche razziali del fascismo furono dettate esclusivamente da scelte di politica estera, e in particolare dall

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Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita
 9788815116123

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Giorgio Fabre MUSSOLINI RAZZISTA DAL SOCIALISMO AL FASCISMO*. LA FORMAZIONE DI UN ANTISEMITA

COLLEZIONE

STORICA

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GARZANTI

Il vero volto razzista dell’ideologia del duce. Dopo Mussolini razzista, il giudizio sul regime e sul suo ruolo è destinato inevitabilmente a cambiare.

€ 25,00 ISBN 88-1 1-69328-4

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Le leggi razziali costituiscono senza dubbio uno degli elementi chiave per valutare, prima ancora che le colpe, la natura del regime fa­ scista. Furono solo la terribile conseguenza dell’alleanza con Hitler e della subalternità dell’Italia al razzismo nazista? O invece si trattò davvero, come sostenne lo stesso Mus­ solini, del risultato coerente del razzismo che caratterizzò profondamente il fascismo e la sua dottrina? Era vero, come, su indicazione del duce, dichiarò ufficialmente il Partito fa­ scista nel 1938, che «tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del raz­ zismo»? Di certo, fino a quell’epoca il razzismo e Γan­ tisemitismo mussoliniani non erano sfociati negli accenti espliciti, esagitati e isterici del Mein Kampf e delle violenze naziste. Eppure, anche prima del 1938 l’azione razzista e anti­ semita di Mussolini fu ampia e talvolta violen­ ta, anche se per lo più segreta. Per valutare l’atteggiamento del duce è però necessaria un’attenta ricostruzione storica: è quella che conduce Giorgio Fabre in Mussolini razzista, risalendo fino agli anni della formazione ideo­ logica dell’agitatore e politico socialista, per individuare le fonti e le evoluzioni del suo pensiero. Il libro si concentra quindi sugli an­ ni dell’ascesa del giovane leader, sul profilarsi delle sue aspirazioni ideologiche, sulle sue al­ leanze, sui compromessi (talvolta finanziari) e sull’immagine internazionale che si andò creando. Particolare interesse assumono i rap­ porti con varie personalità di origine ebraica, tra cui Margherita Sarfatti, amica e partner in­ tellettuale; e Giuseppe Toeplitz, direttore del­ la Banca Commerciale e finanziatore del gior­ nale di Mussolini, «Il Popolo d’Italia». Il percorso ideologico e politico di Mussolini rivela una notevole tortuosità, ma anche una grande coerenza: da un lato emerge la solida continuità delle sue convinzioni razziste; dal­ l’altro, la scelta di non esplicitarle in pieno e la prudenza e l’opportunismo oculato con cui segue sull’altro risvolto

In sopraccoperta: Mussolini intorno al 1919-1920 (acs).

vennero applicate. Proprio con riferimento alle iniziative discriminatorie messe da lui in atto contro vari ebrei, sia nel periodo di «formazione» sia in quello immediatamente successivo, il libro porta alla luce molti epi­ sodi significativi. Tra questi, la sorprendente e inedita richiesta del certificato di battesimo di un bambino, figlio di un funzionario della Banca d’Italia, fatta qualche giorno dopo la firma del Concordato, il 1° marzo 1929. Ma questa è solo una - anche se particolar­ mente odiosa - fra le molte vicende che Giorgio Fabre ha ricostruito. La personalità del duce assume così nuove sfumature e la politica fascista della razza viene finalmente illuminata nelle sue radici più profonde: do­ po Mussolini razzista, il giudizio sul regime e sul suo ruolo è destinato inevitabilmente a cambiare.

Giorgio Fabre (1952) è storico e giornalista culturale di «Panorama». Tra i suoi saggi, Roma e Mosca (1990), sullo spionaggio fasci­ sta in URSS, LIelenco (1998), sulla censura fa­ scista e specificamente contro gli autori ebrei, in parte in corso di traduzione in Ger­ mania, e II contratto (2004), sui rapporti tra Mussolini e Hitler, che uscirà negli Stati Uni­ ti presso le edizioni Enigma Books.

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Progetto Fascismo 2019

Collezione storica

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Giorgio Fabre

MUSSOLINI RAZZISTA Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita

Garzanti

Prima edizione: giugno 2005

ISBN 88-11-69328-4

© 2005, Garzanti Libri s.p.a., Milano Printed in Italy www.garzantilibri.it

MUSSOLINI RAZZISTA

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Sigle

Archivi e fondi ACS - Archivio Centrale dello Stato, Roma; ACCM - Archivio della Camera di Commercio,

Milano;

ACGV - Archivio Contemporaneo Gabinetto G.P. Vieusseux, Firenze; AFM - Archivio Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori, Milano; AFT - Archivio Fondazione Filippo Turati, Firenze; AFVI - Archivio Fondazione II Vittoriale degli Italiani, Gardone Rivie­

ra (Bs); ANDM - Archivio Notarile Distrettuale di Milano; ASBI - Archivio Storico della Banca d’Italia; ASDMAE - Archivio Storico Diplomatico Ministero

degli Affari Esteri, Roma; ASI-BCI - Archivio Storico di Banca Intesa, patrimonio Banca Com­ merciale Italiana, Milano; ASMi - Archivio di Stato di Milano; ASPt - Archivio di Stato di Pistoia; ASTs - Archivio di Stato di Trieste; ASRoma - Archivio di Stato di Roma; ASUB - Archivio Storico dell’Università di Bologna; ASV - Archivio Segreto Vaticano; AUCEI - Archivio dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Roma; JAIA (fondo microfilmato in ACS) - Joint Allied Intelligence Agency; INV - Inštitut za Narodnostna Vprašanja, Ljubljana; UBISE, AR - Università Bocconi, Istituto di Storia economica, Archivio Rettorato, Milano; Ministeri, enti, uffici e fondi privati PCM - Presidenza del Consiglio dei Ministri; SPD - Segreteria particolare del duce; CO - Carteggio Ordinario; CR - Carteggio Riservato; MCP - Ministero della Cultura Popolare; MAE - Ministero degli Affari Esteri; MAI - Ministero dell’Africa Italiana;

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MG - Ministero della Giustizia; MI - Ministero dell’Interno; MPI - Ministero della Pubblica Istruzione; DGAC - Direzione Generale dell’Amministrazione Civile; DGAP - Direzione Generale Affari Politici; DGDR - Direzione Generale Demografia e Razza; DGIS - Direzione Generale Istruzione Superiore; DGPS - Direzione Generale di Pubblica Sicurezza; DGSE - Direzione Generale della Stampa Estera; DAGR - Divisione Affari Generali e Riservati; DPP - Divisione Polizia Politica; CPC - Casellario politico centrale; UCI - Ufficio Centrale d’investigazione (1916-1919); CCII - Consorzio delle Comunità Israelitiche Italiane (fino

al 1924); Gab. - Gabinetto; UC - Ufficio cifra; MRF - Mostra della rivoluzione fascista; CON - Contabilità generale 1895-1948; CpT - Copialettere Toeplitz; ST - Segreteria dell’Amministratore Delegato Giuseppe Toeplitz; FCG - Fondo Corrado Gini. AMGS - Archivio Margherita Grassini Sarfatti. Fonti a stampa biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia ita­ liana, Roma 1960 e ss.; DDI - Ministero degli Affari esteri. Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici, 1 documenti diplomatici italiani, La li­ breria dello Stato poi Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Li­ breria dello Stato, Roma anni vari; MOIDB - Franco Andreucci, Tommaso Detti (a cura di), Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, Editori Riuniti, Roma 1975-1979; O.O. - Benito Mussolini, Opera Omnia, Firenze, La Fenice, Volpe, Roma 1951-1980; PDI - «Popolo d’Italia»; RMI - «La rassegna mensile di Israel»; GU - «Gazzetta Ufficiale»; RD - Regio decreto. DBI - Dizionario

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Il duce, il bambino «ebreo», il prosciutto e altre storie

Negli ultimi anni, alcuni studi - senza particolare clamore, ma con molti e ineccepibili documenti - hanno notevolmente modificato la storiografia mussoliniana e fascista.1 In pratica grazie a questi studi è stato retrodatato, e di parecchio, l’avvio delle intenzioni razziste di Mussolini e in particolare delle sue concrete decisioni antisémite. Si è così giunti a individuare le prime iniziative razziste esplicite del duce contro gli ebrei, ita­ liani e non - ma anche a favore di un razzismo antinero - agli inizi degli anni Trenta. È il risultato di una ricerca non ancora conclusa, ma già certamente ricca di conseguenze. Da quanto sta emergendo, Mussolini e il fascismo, a modo lo­ ro, sul piano razzista provarono a essere concorrenziali rispetto al nazismo, che in quella fase saliva al potere e s’imponeva in Euro­ pa. Si è delineato in sostanza un fascismo italiano che - tra il 1932 e il 1934 - tentava di indicare a Hitler e al mondo una propria via razzista, probabilmente molto più politica e meno urlata di quel­ la nazista. Rispetto alle tesi che negano addirittura l’esistenza di un razzismo mussoliniano o sostengono invece che Mussolini avrebbe imparato da Hitler, si è delineata una realtà compietamente diversa, molto articolata e ricca di sfumature. Il razzismo mussoliniano preesisteva alla salita al potere di Hitler. In modo 1 Giorgio Fabre, Lelenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Zamorani, Torino 1998; Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2000; Annalisa Capristo, L’esclusione degli Ebrei dall’Accademia d’Italia, RMI, settembre-dicembre 2001, pp. 1-36; Gior­ gio Fabre, Quando iniziò in Italia la persecuzione?, «Panorama», 10 ottobre 2002, p. 261; Idem, Mussolini e gli ebrei alla salita al potere di Hitler, in Li­ liana Picciotto (a cura di), Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, RMI, gennaio-aprile 2003, pp. 204-218; Gior­ gio Fabre, Il contratto. Mussolini editore di Hitler, Dedalo, Bari 2004; Miche­ le Sarfatti, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Ei­ naudi, Torino 2005.

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autonomo, aveva trovato sue soluzioni persecutorie. Quando poi il nazismo conobbe una forte crescita politica, il razzismo mussoliniano ebbe un impulso nuovo: ovvero indurì le proprie posizio­ ni e, allo stesso tempo, acquistò una prospettiva più ampia. In altre parole, l’ascesa prodigiosa di Hitler, razzista integra­ le, incrociò un Mussolini che elaborava un complesso accordo internazionale, il Patto a Quattro, in cui si prospettava un’Eu­ ropa bianca, ricompattata e aggressiva (e in effetti l’Italia finì, di lì a poco, per essere l’unico paese che in quel periodo invase una nazione africana). Allo stesso tempo, Mussolini mise a punto una severa azione razzista e antisemita interna: in gran parte se­ greta (ma non del tutto), cautissima, ma anche piuttosto chiara e non priva di minacciosità più estese, seppure senza le asprez­ ze pubbliche e le violenze del nazismo. In base a quest’azione, nel giro di qualche anno l’Italia si sarebbe dovuta presentare al resto dell’Europa senza ebrei nei posti di comando. Mussolini razzista si lega a queste ricerche e ricostruzioni e ne costituisce una sorta di sviluppo, ma rivolto verso un passato più remoto. Vi viene infatti analizzata la fase di formazione del­ la mentalità, della politica e della strategia razzista di Mussolini, dalla giovinezza fino alla salita al potere. Su varie questioni ri­ sulterà molto chiaro come il successivo razzismo e antisemiti­ smo del capo del fascismo abbia avuto radici proprio in questi anni di formazione. Naturalmente non si trattò di un progetto preordinato, lineare e ben definito dal principio: ogni passaggio successivo potrebbe essere stato il frutto del precedente, ma an­ che di altri fattori, in una sequenza non prevedibile (e talvolta difficile da capire). Però Mussolini partiva da un pensiero di fondo elaborato molto per tempo. E ci fu una grandissima coe­ renza tra quel prima e il suo successivo e più noto razzismo, a proposito sia dell’idea di razza sia di quelle relative agli ebrei. Ma ci sono altre conseguenze ancora. Se finora la storia del raz­ zismo fascista era stata ricostruita soprattutto a partire dalla guer­ ra d’Etiopia o dal fatidico 1938, e in riferimento alla normativa specifica contro gli ebrei e i neri, ora andrà indagata in varie altre direzioni. Di qui insomma può prendere forma un’impostazione di studio più aperta e duttile e poi nuove vere e proprie linee di ri­ cerca, e persino una nuova idea di cronologia del fascismo.

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Innanzitutto, si dovrà iniziare a studiare come si è formata in Italia una mentalità pubblica nazionale razzista tra gli anni Ven­ ti e Trenta: perché il fascismo ebbe indubbiamente una base razzistico-discriminatoria. Poi andranno studiati gli atteggia­ menti e le decisioni fasciste e di governo relativi alle minoranze interne che, in una fase di complessa definizione del concetto di minoranza, avevano un fortissimo connotato razziale. Ancora: occorrerà ripercorrere i rapporti internazionali su questo punto, e non solo tra l’Italia e gli altri paesi, ma tra il Partito fascista e altri partiti stranieri e forse, in senso più generale, tra razzismo fascista e razzismo in altri paesi. La netta impressione che ormai emerge è che il fascismo, a proposito di razza, negli anni Venti abbia dato lezioni a tutta l’Europa e non solo ai nazisti bavaresi; e che abbia tentato di continuare a farlo, seppur con minor for­ tuna, anche negli anni Trenta. Che insomma sia stato a modo suo una guida politica di razzismo per quel continente che di lì a poco si sarebbe ricoperto del sangue delle razze «diverse». Ci sarà poi ancora da lavorare su Mussolini. Si dovrà ad esempio capire quando e come si affacciò davvero nella sua mente e nelle sue azioni il problema del razzismo antinero. Fi­ nora l’unica certezza in proposito è che per quanto riguarda il razzismo in colonia, Mussolini contribuì a emanare la legge or­ ganica per l’Eritrea e la Somalia del luglio 1933, che pose dei li­ miti ai requisiti che doveva possedere un «meticcio» per ottene­ re la cittadinanza italiana:2 3ma, come si vedrà, si trattava di una legge non del tutto innovativa e che era un esito diretto di quel­ le dell’Italia liberale. Invece, per quanto riguarda il razzismo metropolitano, nell’aprile 1934 il duce si esibì in un’eclatante azione di censura letteraria contro un romanzetto che parlava di un rapporto tra una donna bianca e un uomo nero e proprio per difendere la «dignità» della razza italiana.’ Si avvicinava la con­ quista d’Etiopia e questo ne era un annuncio. Ma non è detto che il problema del razzismo antinero non fosse stato da lui af­ frontato anche in precedenza. 2 Barbara Sorgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Liguori, Napoli 1998, pp. 91-114; Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 96. 3 Fabre, Lelenco..., cit., pp. 22-28.

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Cruciale invece, da subito, fu il suo antisemitismo e l’azione esplicita contro gli ebrei. Alla formazione dell’antisemitismo mussoliniano e al suo pri­ missimo dispiegarsi (anche nei fatti) questo libro dedica moltissi­ me pagine. Quest’introduzione, di seguito, ricostruirà invece ciò che si sa finora delle varie azioni contro gli ebrei di Mussolini uo­ mo di stato. Fino alle vere e proprie «leggi razziali», di cui Musso­ lini fu direttamente responsabile e ispiratore anche in vari dettagli. I tempi si accorciano, i vuoti si riempiono. Gli ultimi atti e ge­ sti antisemiti sicuri del giovane Mussolini rintracciati in questo libro sono della metà del 1923.1 primi atti concreti e ostili iden­ tificati in quest’introduzione sono dell’inizio 1929, ma si intravvedono elaborazioni e pensieri precedenti di diversi mesi. Le prime decisioni operativamente antisémite e in parte pubbliche che si conoscono (a parte una legge, su cui si dirà) risalgono al 1932-1933. Una certa continuità viene stabilita. Si trattava di una forma mentis, ma via via divenne continuità di scelte: caute, guardinghe, «politiche»; progressivamente sempre più dure e applicative. Ecco dunque questa sorta di piccola cronologia antisemita mussoliniana. Si usa, nelle prime pagine, documentazione nuo­ va e, di seguito, si riordinano le ricerche fin qui apparse.

Gli episodi del 1929

L’avvio è un episodio del febbraio 1929 che si riesce a rico­ struire qui per la prima volta. Riguardò un israelita, alto funzio­ nario di banca, Ugo Del Vecchio, preso di mira da Mussolini proprio perché ebreo.4 Il 12 febbraio 1929 Mussolini scrisse al governatore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher: «esigo l’im­ 4 Per le due lettere a Stringher, prima di Mussolini e poi di Chiavolini, cfr. ASBI, Carte Stringher, Pratiche, n. 22, f. 2, sf. 3 (ringrazio in proposito la cor­ tesia di Sergio Cardarelli e Anna Rita Rigano); l’ultima alludeva alla questione del «noto battesimo»; poi vedi ACS, PCM, Gabinetto, 1928-30, b. 1270, f. Del Vecchio Comm. Ugo. Direttore della Sede di Genova della Banca d’Italia (con la lettera di Stringher a Giunta dell’ll marzo 1929). Per un telegramma del prefetto di Genova al ministero dell’Interno del 20 febbraio 1929, in cui si

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mediato esonero del Direttore della filiale di Genova della Ban­ ca d’Italia». Una fonte che non conosciamo aveva accusato il di­ rettore di «disfattismo e antifascismo»: il giorno prima era stato firmato il Concordato e forse la vicenda aveva relazione con questo avvenimento, almeno stando a quel che riferì un infor­ matore della polizia. Di sicuro Mussolini sottolineò a Stringher che Del Vecchio era israelita. A quanto si può capire, il passo successivo fu un colloquio tra il governatore e Del Vecchio, che era uno dei funzionari a lui più legati. Ma mentre Del Vecchio, che in seconde nozze aveva sposato una vedova cattolica, non potè negare di essere israelita, negò di aver mai fatto del «di­ sfattismo e antifascismo» e affermò anche di aver fatto battezza­ re recentemente l’ultimogenito. E ciò fu anche quanto Strin­ gher riferì a Mussolini. Passo successivo, il 1° marzo Mussolini telegrafò di persona al prefetto di Genova:5 Mi accerti se sia vero che ultimo figlio direttore locale Banca d’Italia commendatore Del Vecchio sia stato battezzato et in quale Chiesa Cat­ tolica.

La risposta arrivò in due riprese. Il 5, con arrivo il 6, il pre­ fetto rispose con un cifrato in cui affermò che l’ultimogenito, Gianfranco Del Vecchio, era stato battezzato a Palmanova (Udi­ ne) «in forma privatissima luglio 1928». Si aspettava solo la con­ ferma telegrafica del podestà di Palmanova. Bastò questa co­ municazione, come il segretario di Mussolini Chiavolini fece su­ bito sapere a Stringher, e «lo stato d’animo del capo del Gover­ no nei confronti di Del Vecchio» sembrò subito «notevolmente migliorato». Il giorno dopo arrivò la conferma, sempre cifrata: spiegava che lo stesso Del Vecchio aveva chiesto tutela dalla diffamazione, dal momento che «il governatore istituto predetto lo ha chiamato per informarlo di avere avuto ordine promuovere contro di lui gravissimi provvedimenti per­ ché accusato di propaganda antinazionale e antifascista», cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1929, b. 11, f. Vecchio (Del) Ugo. Per le vicende biografiche di Del Vecchio e dei parenti, si veda la domanda di discriminazione con tutti gli alle­ gati in ACS, MI, DGDR, fase, personali, b. 65, f. 4664 Ben. Del Vecchio Ugo fu Enrico. Per le notizie di un informatore della polizia politica (26 febbraio 1929), ACS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 414, f. Del Vecchio Ugo. 5 Per i telegrammi, vedi: ACS, MI, UC, tei. in partenza, 1° marzo 1929 n. 7885; tei. in arrivo, 5 marzo 1929 n. 10432 e 6 marzo 1929 n. 10607.

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Gianfranco Del Vecchio era stato davvero battezzato nel duomo di Palmanova e la data che risultava era il 17 giugno 1928 (si tratta in realtà del 17 agosto, ma evidentemente non si andava ancora tanto per il sottile). A questo punto, la questione perse interesse e bastarono le garanzie di Stringher. Per Del Vecchio erano state svolte imme­ diatamente indagini sulla sua dichiarata assimilazione, che si sa­ rebbe manifestata col recente battesimo del figlio. Il dato più impressionante è quel palese telegramma di Mussolini: il capo del governo in persona chiese al prefetto i dati sul battesimo di un bambino di un anno e mezzo, dopo averne quasi licenziato il padre. Una vicenda davvero incredibile. Il prefetto che rispose, tra l’altro, venne messo anche lui, come Stringher, perfettamen­ te al corrente della situazione discriminatoria. La medesima situazione, cioè una sostanziale e profonda osti­ lità antiebraica, potrebbe essersi ripetuta poche settimane dopo (e dunque sempre poco dopo la ratifica del Concordato), quan­ do, tra il 15 e il 18 marzo 1929, si verificò la sorprendente man­ cata nomina, che fino all’ultimo era parsa certa, del matematico Federigo Enriques all’Accademia d’Italia.6 Nel caso di Enriques, c’è qualche dubbio che sia stato eliminato per antifascismo; però gli poteva essere stato applicato un principio diverso: non fare comunque entrare ebrei in quell’istituzione fascistissima e che in base alla legge costitutiva del 1926 doveva esaltare la «stirpe» ita­ liana. Tra l’altro, la mancata nomina di ebrei all’Accademia fu re­ sa nota anche all’estero da parte di una rivista antifascista e poi rimbalzò fino al famoso giornalista Emil Ludwig, che nel 1932 pose in proposito una domanda - elusa - a Mussolini. Attraverso gli archivi dell’amministrazione statale, anzi, in questo caso della polizia, passò poi un altro episodio emblema­ tico.7 Il 16 settembre 1929 Mussolini chiese al capo della polizia di accertare se era vero, come aveva saputo, che il provveditore agli studi della Campania, Aldo Finzi, aveva partecipato a una 6 Capristo, Lesclusione degli Ebrei..., cit., pp. 2-4. 7 ACS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 506, f. Finzi Prof. Aldo. Provveditore agli Studi. Per i dati biografici su Finzi, si vedano i Ruoli d’anzianità del ministero dell’Educazione nazionale (per esempio il volume del 1934, p. 95). Finzi era nato a Mantova il 26 dicembre 1878.

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delle manifestazioni a favore degli ebrei morti in quel periodo in alcuni scontri in Palestina. Per svolgere l’inchiesta fu impegnato un gruppo di fiduciari della questura di Napoli, che diedero ri­ sposte incerte e contraddittorie, anche se la questura propende­ va per il sì. Le riposte furono girate a Mussolini che, «vista tut­ ta» la documentazione, diede ordine di «non fare nulla». Se si vuole aggiungere una pennellata psicologica personale ad una vicenda che vide impegnato Mussolini direttamente con le sue ossessioni, si può ricordare l’episodio, avvenuto pochi giorni dopo, alla fine del 1929, del mancato matrimonio della figlia Ed­ da con Dino Mondolfi, un giovane ebreo figlio di un colonnello. L’ha raccontato la stessa Edda: prima la madre Rachele, a pranzo, per provocarlo, cercò di far mangiare al ragazzo del prosciutto come si sa vietato agli israeliti osservanti - poi lui, Benito, le spiegò «inferocito»: «Gli ebrei sono i miei peggiori nemici».8 Quanto al provveditore Aldo Finzi, rimase al suo posto a Na­ poli fino al novembre 1933 (ma la destituzione risaliva a set­ tembre), quando fu richiamato a Roma e messo a disposizione di una delle direzioni generali del suo ministero.9 Come è ormai noto e si tornerà a osservare in seguito, nello stesso periodo ven­ nero messe in atto alcune palesi eliminazioni di altri ebrei «di vertice». Finzi morì l’anno dopo, a neanche 56 anni d’età.10 Si era trattato di episodi di controllo su persone, ebrei. E di certo molto mirati. Precedente a questi episodi, è da segnalare comunque un più vasto controllo di polizia, richiesto senza 8 Edda Ciano, La mia vita, Mondadori, Milano 2001, p. 30. Per altri dettagli sulla vicenda cfr. Edvige Mussolini, Mio fratello Benito, La Fenice, Firenze 1957, pp. 122-123 e ACS, JAIA, bobina 109, 029682-3/A (resoconti di control­ li di polizia su Mondolfi nell’agosto-settembre 1929). La vicenda di Mondolfi è stata brevemente ricostruita in G. Fabre, Era bello ed ebreo il moroso di Ed­ da, «Panorama», 25 ottobre 2001, p. 225. 9 II decreto ministeriale di trasferimento e di nomina del nuovo provveditore era del 14 settembre 1933. Il decreto stabiliva la data d’inizio dei provvedi­ menti al 1° novembre. Si veda Ministero dell’Educazione Nazionale, Bolletti­ no Ufficiale. II. Atti di amministrazione, 8 febbraio 1934, p. 317. Per la natura improvvisa della decisione, tra il 12 agosto e il 14 settembre, vedi anche ACS, MPI, DG Personale e AA. GG. e amministrativi (1910-64), b. 461, f. 3014. Cammarosano Angelo. 10 Morì il 18 novembre 1934. Ministero dell’Educazione Nazionale, Bollettino Ufficiale. II. Atti di amministrazione, 22 novembre 1934, p. 3487.

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dubbio da Mussolini stesso. In particolare, in seguito a una fon­ damentale circolare di richiesta d’informazioni da parte del ca­ po della polizia, del 14 dicembre 1928, era stato passato al se­ taccio in pratica tutto l’ebraismo italiano (la circolare aveva do­ mandato una grande «larghezza d’indagini» che in effetti anda­ rono ben al di là dell’organizzazione sionista).11 E nel settembre 1929, con un altro telegramma, lo stesso Bocchini avrebbe chie­ sto un attento monitoraggio in tutto il paese proprio degli ebrei presenti alle manifestazioni sui morti in Palestina, la cerimonia a cui partecipò il provveditore Finzi. Come specificò una memoria riassuntiva di quell’indagine dell’aprile 1929 e stesa dalla Pubblica Sicurezza, all’origine di tutta questa vasta azione di controllo era stato il noto articolo anonimo, ma di Mussolini, Religione o Nazione?, del 29-30 novembre e uscito sul «Popolo di Roma».12 L’articolo si era concentrato su di un recente congresso dei gruppi sionistici italiani organizzato a Milano tra il 1° e il 4 novembre 1928. Mussolini aveva affrontato il tema della presenza degli ebrei italiani a quel congresso, in pratica ripetendo quanto aveva già detto - come si vedrà nel libro - nel 1920 e nel 1921 (in que­ st’ultimo caso in modo anonimo, come nel 1928). Neanche il motivo era molto diverso: Mussolini chiedeva conto sullo sta­ to dell’«assimilazione» degli ebrei italiani. A Religione o Na­ zione? era seguito un dibattito sullo stesso giornale, con la par­ tecipazione di diversi ebrei, in particolare fascisti e che aveva­ no dichiarato la propria fedeltà all’Italia e al regime. Lo stesso Mussolini aveva tratto le conclusioni, sempre in modo anoni11 Per tutta la questione di polizia trattata qui di seguito si fa riferimento a ACS, Gl, b. 18, f. Federazione Sionistica Italiana. 2° Fase. Il telegramma a proposito delle cerimonie era del 5 settembre 1929; la memoria riassuntiva della seconda metà dell’aprile 1929 (ma prima del 25). In proposito, si veda Vincenzo Pinto, Sionismo e «movimento ebraico». La percezione del nazionali­ smo ebraico nelle carte della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza con­ servate nell’Archivio Centrale dello Stato (1927-1939), RMI, settembre-dicem­ bre 2000, pp. 37-62; per la circolare del 14 dicembre 1928, pp. 43-44. 12 Vedere ora Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., pp. 77-78. Ma ancora utile: Umberto Nahon, La polemica antisionista del «Popolo di Roma» nel 1928, in Daniel Carpi - Attilio Milano - Umberto Nahon (a cura di), Scritti in memoria di Enzo Sereni. Saggi sull’Ebraismo Romano, Fondazione Sally Mayer, Scuola superiore di studi ebraici, Milano-Gerusalemme 1970, pp. 216-253. MI, DGPS,

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mo e sullo stesso giornale, il 15-16 dicembre: cioè il giorno dopo l’invio da parte di Bocchini della sua pesante circolare per il controllo di tutto l’ebraismo italiano. In Religione o Nazione? Mussolini aveva ripetuto varie volte che in Italia l’antisemitismo non c’era e così lo aveva evocato. La prima frase in questo senso ne ricordava da vicino altre da lui scritte negli anni Venti (e in particolare nel settembre 1921) ed era contenuta nella premessa del giornale, dove si chiedevano rassicurazioni sull’«assimilazione» e si diceva piuttosto minac­ ciosamente: Noi vogliamo subito dichiarare che non intendiamo iniziare dell’anti­ semitismo, nonostante il fatto che semiti siano quasi tutti i pesi massi­ mi deU’anti-fascismo mondiale [...] da Treves a Torrès [...] formuliamo piuttosto l’auspicio che l’anti-semitismo in Italia non venga provocato [...] dagli ebrei residenti in Italia.

Un secondo passo chiaramente ostile era all’interno dell’arti­ colo. Dopo aver ricordato che il fascismo aveva insegnato agli italiani a guardare in altro modo gli ebrei (a «fissare lo viso in fondo a tutte le realtà»), mostrava anche che in Italia c’è un altro popolo, il quale si dichiara perfettamente estraneo non solo alla nostra fede religiosa ma alla nostra nazione, al nostro po­ polo, alla nostra storia, ai nostri ideali. Un popolo ospite, infine, che sta tra noi come l’olio sta con l’acqua, insieme ma senza confondersi, per usare l’espressione del defunto rabbino fiorentino Margulies. La constatazione è grave.

Anche se il termine qui usato era «popolo», Mussolini faceva riferimento alla «razza ebraica» e al fatto che essa non si fonde­ va con il «nostro popolo». L’«elemento differenziale», che non permetteva la fusione, era la «religione». Anzi, Mussolini soste­ neva che erano proprio i sionisti a sottolineare la separatezza razziale di fondo, senza neanche riferimenti alla religione: Tutti i sionisti parlano di «un popolo ebraico», di «razza ebraica», di «nazione ebraica», di «ideali ebraici» senza la più lontana allusione al fatto religioso.

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Ma è interessante anche l’articolo conclusivo, del 15-16 dicem­ bre 1928, intitolato Replica ai Sionisti. Mussolini vi stilava una classifica delle categorie degli ebrei in Italia, da quelli «assimilati» a quelli meno, a quelli decisamente sionisti, internazionalisti e di cui non bisognava fidarsi. Scrisse poi che riteneva che gli ebrei sul territorio nazionale e nelle colonie fossero, sommati, molto più numerosi di quel che si potesse ipotizzare (almeno 80.000) e dun­ que più temibili e infine lasciò il «problema ebraico» compietamente senza soluzione. Però, scrisse, quantomeno erano final­ mente stati aperti «gli occhi agli italiani cristiani». «Il problema esiste e non è più in quella “zona d’ombra” dov’era stato confi­ nato astutamente dagli uni e ingenuamente dagli altri [rispettiva­ mente dagli “ebrei italiani” e dagli “italiani cristiani”, n.à.aff». A segno di una grande continuità, la questione della «zona d’om­ bra», tra l’altro, venne poi ripresa da Mussolini in un altro suo im­ portante articolo anonimo del 26 luglio 1938 sul «Popolo d’Ita­ lia»,13 in cui di nuovo il duce ripetè come i problemi del razzismo fossero stati portati alla luce grazie al fascismo. Su queste vicende del 1928 esiste anche una testimonianza ravvicinata, quella di Margherita Sarfatti che, come è noto,14 si preoccupò moltissimo per queste esternazioni mussoliniane. In proposito, Margherita, che disse di averne parlato più volte con il duce, scrisse alcune lettere al suo amico, il fisiologo Carlo Foà, che, sulla base di alcune di queste indicazioni, fu uno dei pro­ motori degli interventi degli ebrei «lealisti» sul «Popolo di Ro­ ma», oltre che autore lui stesso di uno scritto su quel giornale.15 Tra queste lettere di Margherita se ne segnalano due, del di­ cembre 1928, di cui era nota l’esistenza ma non il testo. La pri­ ma (scritta dalla figlia Fiammetta sotto dettatura) suggeriva a 15 Scoperta!, PDI, 26 luglio 1938 (O.O., XXIX, pp. 125-126). 14 Philip V. Cannistraro - Brian R. Sullivan, Margherita Sarfatti. Laltra donna del Duce, Mondadori, Milano 1993, pp. 384-387; quanto alle lettere subito dopo citate, esse sono indicate a p. 386. La seconda è stata attribuita da Can­ nistraro e Sullivan alla figlia Fiammetta (e in effetti in calce c’è la sua firma), mentre invece è senza il minimo dubbio di Margherita. I corsivi nell’origina­ le sono sottolineature dell’autrice. Entrambe in Carte Piero Foà, Michigan. Ringrazio molto Piero Foà, figlio di Carlo e persona di grandissima liberalità e cortesia. 15 A quando la risposta dei sionisti?, «Il Popolo di Roma», 4-5 dicembre 1928.

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Foà le linee di un articolo da pubblicare su «Gerarchia», il gior­ nale diretto dalla Sarfatti ma di proprietà di Mussolini. La se­ conda, di un paio di settimane dopo, riassumeva ciò che Mus­ solini aveva detto a Margherita (o lei aveva capito o lui le aveva voluto far capire), probabilmente subito dopo la pubblicazione di Replica ai Sionisti. La lettera del 5 dicembre contiene un’indicazione dei temi che secondo Margherita avrebbero convinto Mussolini sulla bontà della causa di ebrei fascisti come lei e Foà. Dopo una prima idea (espressa in una lettera del 4) che Foà scrivesse un articolo tutto politico, Margherita suggerì questo nuovo pezzo: Forse sarebbe meglio tu facessi la tua «Cronaca Scientifica», firmata, parlando della composizione biologica di un popolo e di una Nazio­ ne, venendo quindi a parlare anche dell’assimilazione degli Israeliti, e dimostrando 1 ) che la purezza della razza è un mito assurdo, date le sovrapposizioni dei millenni 2) che se anche fosse possibile, sa­ rebbe dannoso perché condurrebbe allhdn-breeding» [l’incrocio tra consanguinei, n.d.al\ 3) che la straordinaria vivacità e le continue mirabili rinascite del Popolo Italiano sono anche probabilmente do­ vute al fatto che nuovi strati vennero a sovrapporsi ed a rinnovare il sottostrato primitivo, il quale così può riposare e poi riaffiora vigo­ rosamente 4) l’estrema assimilabilità e occidentalità degli Ebrei, e la loro probabile affinità con molte stirpi che concorsero a formare la gente Italica «ab antico» (Sardi, Punici, Fenici, Etruschi, Arabi, ecc.) 5) conversioni nei primi secoli del Cristianesimo, da parte di Roma­ ni anche patrizi, indifferentemente al Cristianesimo od all’Ebraismo, ancora indistinti (Tacito parla di «superstizioni orientali»). 6) Fe­ deltà degli Israeliti alla loro religione, ma alle patrie adottate (così gli Ebrei di Cospoli dopo 400 anni continuano a parlar Spagnuolo). Sempre dire «Italiani di religione Israelita». Insistere sulla prolificità della razza sia per ragioni fisiche che per altissime ragioni teologiche. Possibilmente statistiche e cifre. Forse meglio ancora farne un articolo separato e mandarmelo per sottoporlo al Pres.[idente).

I temi erano quelli della razza cari a Mussolini e anche a lei stessa. Margherita pensava di portare la discussione su un terre­ no meno scivoloso ma più di fondo di quello politico. Formula-

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va anche un pensiero e una risposta a Mussolini sul punto cen­ trale della «razza». E cercava di affermare qualcosa che era evi­ dentemente l’opposto del pensiero del duce: l’«assimilabilità» degli ebrei, secondo lei razza da sempre molto vicina a quella de­ gli «occidentali». La frase di Mussolini sull’olio e l’acqua dell’ar­ ticolo del 29-30 novembre lascia pochi dubbi in proposito. An­ che questi erano pensieri che venivano da lontano, e lo si vedrà in questo libro. Per il capo del fascismo erano anzi fondativi. In ogni caso l’articolo proposto a Foà non venne mai scritto. Nella seconda lettera, qualche giorno prima del 25 dicem­ bre 1928 la Sarfatti invece riassunse un suo nuovo colloquio col duce. Facendo riferimento a quanto Foà stesso aveva scritto sul «Popolo di Roma» in polemica con i sionisti, e an­ nunciandogli un prossimo incontro con Mussolini, che poi ebbe davvero luogo dopo qualche giorno,16 Margherita rac­ contò: Io ho insistito nel chiedere quale deve essere il tuo contegno verso Dan­ te L.[attesi, dato che quel signore ha preso il tuo ultimatum molto sul serio, e il Duce crede che non sia opportuno, per ora, che i sionisti fac­ ciano un revirement così completo e assoluto, per due ragioni 1) che questo potrebbe riaprire la polemica tra Dante e il Pacifici 2) che suo­ nerebbe troppo come un opportunismo. Potrebbero invece sciogliersi come sionisti - dichiarando che il sionismo non ha ragione di esistere in Italia, e che sia inteso solo come senso di fratellanza verso gli ebrei op­ pressi - e mantenersi in questa linea, facendo ritornare il giornale Israel17 quello che era in origine, un giornale cioè rabbinico, esclusivamente religioso, togliendogli quel carattere di politicità e di nazionalità che in questi ultimi tempi D. L.[attesi, e soprattutto il Pacifici, gli ave­ vano impresso. Tutto questo va fatto, però, con una certa linea di dignità e di convinzione, e perciò con calma. Sono autorizzata a dirti tutte queste cose, perché le ho chieste per te e per la tua linea di condotta; credo però che sia meglio non far sapere che essa è dettata dall’alto. 16 Cfr. Nahon, La polemica antisionista..., cit., p. 252. Si veda anche la lettera di Foà a Mussolini del 22 febbraio 1929. Cfr. ACS, SPD, CO, b. 302, f. 16575. Foà Prof. Carlo. Milano. 17 Sulla successiva sospensione del settimanale «Israel», dal 28 febbraio al 30 maggio 1929, cfr. Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 78.

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Come si vede il problema posto in queste lettere (e dagli arti­ coli di Mussolini) non era il sionismo nell’eventuale suo rappor­ to con paesi stranieri; ma il fatto che questo movimento si po­ tesse radicare in Italia, fornendo agli ebrei italiani una vera e propria organizzazione (potenzialmente di genere ostile al regi­ me). Però dagli articoli di Mussolini - e dalle reazioni della Sarfatti, che la doveva sapere lunga anche se era reticente - si intrawede che il problema era il solito popolo «infido», «diver­ so», «separato», «non assimilato» dal punto di vista culturale, religioso nonché razziale. Anche in questo caso si riprendevano comunque questioni già affrontate in pubblico da Mussolini dal 1920-1921 (e da Margherita, in parte, perfino da prima). Quanto al dibattito già evocato sin dal 1921, su cui ci si soffermerà a lungo nel li­ bro, ora la differenza era il supposto diffondersi per la peniso­ la del movimento sionistico, che avrebbe potuto diventare «pericoloso» di lì a poco, come sottolineò anche il «prome­ moria» poliziesco dell’aprile 1929: Ridestare la coscienza nazionale e creare la volontà di una vita nazio­ nale - compito principale del Sionismo - significa galvanizzare la resi­ stenza degli ebrei alla assimilazione, stralciarli dalla vita della nazione nella quale vivono, attenuare o, addirittura annullare il senso dei loro doveri di cittadini. Gli ebrei italiani non dovrebbero sentirsi sopratutto [sic] italiani ma soprattutto ebrei e più vicini ai cittadini di altre Nazioni - se ebrei che ai cittadini d’Italia.

Dunque la polizia ripeteva che il sionismo era un fenomeno rilevante perché ingigantiva un pericolo ebraico già esistente. Bisogna poi notare un altro dato: nel dicembre 1928 stavano avanzando le trattative per il Concordato, che sarebbe stato fir­ mato 1Ί1 febbraio 1929. Come s’è visto, bordine di licenziare Ugo Del Vecchio partì il giorno dopo e forse per qualche diceria legata proprio a questo patto. E possibile che in quel momento la particolare sensibilità di Mussolini verso il problema religioso fosse assai vigile. In questo senso, la polemica del «Popolo di Ro­ ma» potrebbe essere nata da vari elementi: per esempio, come è 21

stato suggerito,18 proprio in quei giorni si stava concludendo nel Consorzio israelitico (l’organizzazione rappresentativa naziona­ le) il dibattito su un nuovo ordinamento legislativo da chiedere per l’ebraismo italiano; e gli articoli sul «Popolo di Roma» po­ trebbero essere stati una forma di pressione e di indirizzo. O forse c’era un desiderio di rassicurare la Chiesa sulle intenzioni del fascismo a proposito di questioni religiose. Già nel settembre 1921, lo vedremo, Mussolini aveva pubblicato un violento pezzo antiebraico (a cui era seguito un aspro dibattito di lettori ebrei, all’epoca però soffocato); e anche allora era in corso una fase di avvicinamento del fascismo alla Chiesa, poi conclusa a dicembre con alcune dichiarazioni programmatiche del PNF limitative del­ l’uguaglianza religiosa. E pure in quell’occasione aveva attaccato gli ebrei come sostanzialmente antifascisti. Nel 1929 potrebbe quindi essersi trattato, in una situazione nuova, di una ripetizio­ ne di un’operazione politica già sperimentata quando Mussolini era un semplice capopartito. Naturalmente c’era una bella differenza tra la situazione nel 1920-1921 e quella nel 1928. Sette-otto anni prima, Mussolini era il leader di una forza d’opposizione; ora era al governo e aveva a disposizione l’apparato dello stato. S’è detto della va­ sta indagine di polizia condotta tra il dicembre 1928 e l’aprile 1929 sugli ebrei italiani nel loro insieme, e che si riferì, come spiegò la relazione finale, «in genere, alla entità ed alla attività degli ebrei in ciascuna Provincia»; non solo: essa si concentrò anche sugli ebrei in altri paesi e nelle colonie. Fu quindi un’in­ dagine capillare e amplissima, che dopo circa quattro mesi ap­ prodò a conclusioni «confortanti», cioè che la massa degli ebrei era indifferente od ostile al sionismo. Ma evidentemente ciò non bastava. Tra l’altro, qualche effetto persecutorio fu avvertito anche nella comunità ebraica. Si segnalano ad esempio le parole del commediografo Sabatino Lopez ad una riunione del comitato direttivo del Consorzio, avvenuta il 5 marzo 1929. Lopez disse senza mezzi termini: «oggi è certo che tutto quello che è possi­

18 Ivi, p. 73.

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bile si fa per escludere gli ebrei; tutto quello che è possibile im­ pedire si impedisce agli ebrei.»19 C’è da chiedersi piuttosto quanto quell’indagine abbia influi­ to sull’apparato stesso di polizia. Almeno nel caso di Finzi, la polizia era stata testimone attiva di come Mussolini operasse a proposito di un ebreo (e malgrado tutte le rassicurazioni forni­ te alla Sarfatti). Del resto, erano sensazioni e testimonianze che si andavano diffondendo: il nazionalista Federzoni nel febbraio 1927 aveva registrato sul proprio diario il «suo [di Mussolini] a me ben noto antisemitismo».20 Fu un periodo di «formazione»: in questo caso non di Mus­ solini, ma dell’antisemitismo dei sottoposti più o meno diretti, e in particolare operativi. Le personali tendenze e idiosincrasie del duce diventarono in questa fase (e forse anche prima) una direttiva e un comando, magari implicito, ma forte, come può essere il desiderio di un capo. Se si vanno a guardare le carte più riservate dell’amministrazione, proprio in questo periodo, a par­ tire dal gennaio 1929, sono rintracciabili almeno tre informative spionistiche nei fascicoli della polizia politica, in cui la stessa po­ lizia, più o meno spontaneamente, segnalava la pericolosità di alcuni singoli ebrei, sottolineando appunto che si trattava di ebrei.21 Forse era il riflesso di un «naturale» antisemitismo già presente e già stimolato22 che ora veniva liberato per vie interne, burocratiche e amministrative. Ma le iniziative di Mussolini, i telegrammi ufficiali di Bocchini, le indagini a tappeto, probabil-

19 Cit. in Stefania Dazzetti, Gli ebrei italiani e ilfascismo: la formazione della leg­ ge del 1930 sulle comunità israelitiche, in Aldo Mazzacane (a cura di), Diritto, economia e istituzioni nell’Italia fascista, Nomos, Baden Baden 2002, p. 236. 20 Luigi Federzoni, 1927. Diario di un ministro del fascismo, Passigli, Firenze 1993, p. 92; cit. in Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 77. 21 Cfr. ACS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 1053, f. Pontecorvo Leone. L’infor­ mativa spionistica antisemita era del 17 settembre 1929; la richiesta d’infor­ mazioni da parte della polizia politica sull’«ebreo» Pontecorvo del 22 settem­ bre; e poi le informative, trasmesse ad alcune questure dalla polizia politica in ACS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 714 e 717, rispettivamente f. Levi Evelina (13 gennaio 1929) e f. Leoni Comm. Giuseppe (23 aprile 1929). 22 Si veda l’altra circolare a vasto raggio, del 23 maggio 1928, per il controllo degli ebrei entrati in Italia, in conseguenza di notizie sulla presenza di sionisti nella Ceka russa. Cfr. anche Pinto, Sionismo..., cit., p. 40.

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mente i colloqui personali del duce non potevano essere stati senza conseguenze.

Gli episodi del 1930 Qualche tempo dopo, nel maggio 1930,23 si può di nuovo os­ servare un Mussolini antisemita in azione. Un’altra informativa dalla sua polizia politica riferiva di un «Prof. Foà, professore di fi­ siologia all’Università di Venezia». Si trattava di Carlo Foà, amico di Margherita Sarfatti, collaboratore della rivista di Mussolini e Margherita, «Gerarchia», e a lui ben noto. Forse Mussolini, dato che l’informativa alludeva a un generico Foà, non aveva capito che si trattava proprio di lui, anche se è possibile il contrario. Il foglio riferiva che Foà, a bordo di un vaporetto, era stato col­ to da una spia in una conversazione col pittore Cadorin, mentre si accalorava parlando contro il «contadino» italiano, essere abbietto e dannoso che non sa che far figli e fornire carne da cannone (tutto ciò in contrasto con la nostra politica agraria e demografica). È l’ebreo che parla [quest’ultima frase fu poi cancellata da Mussolini, n.d.a.\. Poi incominciò a fare l’elogio di Crisma Murti [rz'd, di cui è entusiasta, chiamandolo il Re del pensiero, il Budda vivente ecc. Ritornando a parlare del «contadino» affermava che è un essere dan­ noso in quanto può procreare fino a tarda età ecc. rendendo più pro­ babile la guerra e nel caso migliore l’affamamento dell’umanità. Insomma esponeva la teoria sionistica per la distruzione del senso del­ la nazionalità. Il Cadorin taceva ma approvava. Mi si dice sia il Foà agente della Internazionale sionistica.

Mussolini fece trascrivere l’informativa, levando la frase che si riferiva all’«ebreo che parla» (anche se era chiaro che Foà era appunto ebreo) ma lasciando quella sulla «teoria sionistica». E ordinò che fosse inviata al ministro dell’Educazione nazionale Balbino Giuliano, superiore diretto di Foà. Non sappiamo in questo caso quale esito ebbe la lettera: forse nessuno, dal mo-25 25 ACS, MI, DGPS, DPP,

fascicolo improprio).

f. personali, b. 512, f. Foà Prof. Pio (ma inserito in un

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mento che il professore in questione non era chiaramente iden­ tificabile. Ma Mussolini stava mettendo sull’avviso il proprio ministro su quanto di pericoloso si andava dicendo e forse fa­ cendo tra i suoi dipendenti ebrei (un po’ come il ministero del­ l’Interno era stato messo al corrente su Finzi). Come al solito, l’intenzione era antisemita indirettamente e in modo contorto. E anche qui si ripeteva un modus operandi a proposito di queste faccende, che vedremo anche nel giovane Mussolini. Ma è interes­ sante anche una seconda osservazione: i due ebrei tenuti sotto os­ servazione erano uomini di cultura e dell’insegnamento, d’alto e altissimo livello. Quanto a Carlo Foà, come si vedrà, poco più di due anni dopo fu fatto fuori da Mussolini dal suo ruolo di preside d’università. E forse anche questo precedente aveva un suo peso. Altro episodio ancora. 9 settembre 1930. Da Roma, a firma di Bocchini capo della polizia, partì un telegramma per il prefetto di Firenze che domandava di verificare se un certo avvocato Alfredo De Zerbi, fiorentino, fosse «di religione israelita».24 Mussolini ave­ va precisamente chiesto a Bocchini di «domandare se sia “ebreo”». L’origine della vicenda era un telegramma del prefetto di Mila­ no del 7 settembre, in cui si raccontava che due fascisti avevano ascoltato in tram una conversazione di questo fiorentino. De Zer­ bi aveva parlato con una signora di un recente processo a Trieste che si era concluso con la condanna di alcuni slavi. Nel corso del­ la chiacchierata, aveva fatto riferimento a Guglielmo Oberdan, l’eroe italiano impiccato dagli austriaci nell’Ottocento e di cui sembra avesse detto: «che noi abbiamo fatto un Eroe». I due fa­ scisti l’avevano considerato un insulto antipatriottico e avevano trascinato l’avvocato in prefettura, dove era stato interrogato. Lui si era difeso dall’accusa di aver oltraggiato un eroe italiano, dando peraltro una risposta plausibile: aveva spiegato che intendeva di­ re che Oberdan era stato condannato secondo leggi austriache, ma era diventato un eroe italiano, e così pure gli slavi, condanna­ ti da leggi italiane, sarebbero stati considerati eroi in Jugoslavia. Il 24 ACS, MI, UC, tei. in partenza, 9 settembre 1930 n. 25857. Per il carteggio suc­ cessivo vedi ACS, MI, DGPS, Al, 1930-31, b. 27, f. Zerbi (De) Alfredo Salvato­

re Aw. L’annotazione con le parole del duce («S.E. il Capo del Gov.») è di Bocchini ed è segnata sul telegramma da Milano del 7 settembre.

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prefetto non aveva preso provvedimenti, ma aveva avvertito Ro­ ma. Come si è detto, Mussolini vide il telegramma e fece quella ri­ chiesta a Bocchini. La risposta da Firenze fu: De Zerbi «non ri­ sulta di religione ebraica». Bocchini, comunque, a quel punto gli fece comminare una pesante sanzione amministrativa, la diffida (dipiu pesante c’era il confino). E una vicenda singolare, che lascia affiorare un Mussolini davvero ossessionato e all’erta nei confronti degli ebrei e persi­ no a proposito di cognomi «ebraici» (De Zerbi tra l’altro non lo è). Il prefetto di Milano infatti non aveva fatto nessun cenno al­ la possibilità che l’avvocato fosse ebreo e si trattava dunque di un’illazione personale del duce. Il sospetto che si trattasse di un ebreo era soprattutto legato all’idea dell’insulto all’«italianità» (che forse non c’era nemmeno stato). E resta naturalmente il dubbio - o la certezza - che nel caso di un ebreo la pena sareb­ be stata aggravata. E altresì il forte sospetto che ciò possa esse­ re accaduto in altri casi.

Dopo il 1930 Passiamo ora, episodio per episodio, a ciò che è stato finora portato alla luce, per gli anni seguenti al 1930, a proposito dell’antisemitismo di Mussolini. Si analizzano qui le operazioni ne­ gative, le espulsioni dai posti di lavoro, le punizioni di vario tipo da lui ordinate, le varie indicazioni repressive. Come si è appena visto, Γantisemitismo mussoliniano aveva già fatto passi in avan­ ti in modo indipendente dal nazismo. La stessa legge istitutiva delle comunità israelitiche dell’ottobre 1930 sottolineava forte­ mente la separatezza tra gli ebrei e il resto della comunità nazio­ nale.25 Nel 1932 però il nazismo era in rapidissima ascesa. E la strategia mussoliniana diventò a sua volta sempre meno affidata a singoli episodi e interventi, e più strategica e operativa. E ora si riescono a intrawedere anche i diversi fili che l’attraversavano. 25 Le leggi furono due, il regio decreto n. 1731 del 30 ottobre 1930 e il n. 1561 del 19 novembre 1931. Per la ricostruzione ragionata degli eventi intorno a queste importantissime leggi, su cui la bibliografia è ingente, cfr. comunque Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., pp. 73-76.

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Mussolini incominciò a eliminare prima di tutto gli ebrei che aveva intorno a sé come collaboratori diretti. Come disse e ripetè al suo redattore capo Giorgio Pini anni dopo, ricordando la pre­ coce eliminazione nel 1932 di «quella signora», ovvero Margheri­ ta Sarfatti, dal «Popolo d’Italia»: «io sono sempre a posto in anti­ cipo».26 Come del resto Mussolini comunicò a Hitler, si trattava di eliminazioni che colpivano, in modo selettivo, gli ebrei che si tro­ vavano comunque nei «posti di responsabilità». Anche questa era una strategia modellata negli anni di formazione che considerere­ mo in questo libro. Inoltre, sempre nel periodo 1933-1934, si intrawede un altro progetto, rivolto al futuro: incominciarono a partire ordini anche per uno sbarramento nei confronti degli ebrei che intendevano accedere in seguito a posti di responsabilità. L’eliminazione non ebbe un andamento del tutto lineare. Qui non verranno ulteriormente segnalate, ma in questo periodo un Mussolini che al solito non voleva suscitare un manifesto antise­ mitismo pubblico prese almeno due importanti decisioni «in controtendenza» rispetto alle altre: nominò a Trieste un podestà e a Roma un senatore,27 entrambi ebrei. Ciò accadde nella se­ conda metà del 1933.1 contorni di queste due vicende non sono chiarissimi, ma entrambe risultano legate a questioni di denaro. Poi ci fu, il 25 marzo 1934, l’elezione di quattro deputati ebrei al­ la Camera, e anche in questo caso una ragione (e magari più di una) potrebbe esserci: e cioè che in quella fase era previsto che si sarebbe trattato di una Camera dalla vita istituzionale breve.28 Anche questo atteggiamento «oscillante» nei confronti degli ebrei (soprattutto se legati al mondo della finanza) è riscontra­ bile nelle vicende del primo Mussolini. Esisteva inoltre il pro­ blema degli ebrei fedeli al regime, e pure di ciò, ma solo in mo­ do limitato e su precisa richiesta dei collaboratori non ebrei, Mussolini tenne conto.29 Come del resto aveva fatto già nel pas26 Giorgio Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, Cappelli, Bologna 1950, p. 180. 27 Fabre, Il contratto..., cit., pp. 97-100. 28 7w',pp. 115-117. 29 Si veda in particolare la richiesta del prefetto di Varese il 6 maggio 1954 a proposito della candidatura di un ebreo fascista a podestà. Essa condusse alla revisione dei criteri fatta poi il 19 maggio. Fabre, Il contratto..., cit., pp. 112113.

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saio. Inoltre, mantenne fino al gennaio 1935 un ministro ebreo alle Finanze, Guido Jung, nominato nel luglio 1932, forse pro­ prio perché pensava che un ebreo gli potesse garantire rapporti migliori col mondo della finanza, italiana e straniera.30 O alme­ no, è un’ipotesi molto plausibile. In ogni caso, Mussolini tenne a confermare - lo fece pubbli­ camente con Ludwig nel 1932 - un atteggiamento benevolo da parte del fascismo verso gli ebrei e soprattutto ostile verso l’antisemitismo: cioè opposto a quello tenuto dal nazismo in Ger­ mania. E anche questo desiderio di rassicurare sull’antisemitismo, come s’è già visto più volte, era un modus operandi (ancor meglio, loquendi} che veniva da lontano. Fu un’affermazione che accompagnò in maniera bugiarda - ora lo si può dire - tut­ to il fascismo, anche nei momenti di repressione più dura.

Di seguito si prendono dunque in considerazione, a partire dal 1932, gli atti più manifesti e importanti contro gli ebrei, or­ dinati da Mussolini. Non sono tutti. Si sono tralasciati quelli se­ condari. Ma anche solo così, ha l’aspetto di un’attività vasta e senza requie. • Marzo 1932 (tra il 16 e il 21). Mussolini cancellò l’archeo­ logo Alessandro Della Seta tra i candidati per l’Accademia d’I­ talia e proprio in quanto ebreo.31 L’operazione si ripetè nel 1933. • Dicembre 1932. Eliminazione di Margherita Sarfatti dal «Popolo d’Italia», giornale del duce e della famiglia.32 Nel gen­ naio 1934 fu tolta anche da «Gerarchia». • 13 febbraio 1933. Nel corso di un colloquio con Giuseppe Renzetti, suo uomo di fiducia presso i nazisti, il duce disse,33 perché costui lo riferisse a Hitler, che «nel movimento antisemi­ ta bisogna procedere senza scosse violente ma con una elimina­ zione graduale degli ebrei dai posti di responsabilità». In un’oc30 Ivi, p. 94. 31 Capristo, Eesclusione degli Ebrei..., cit.; Fabre, Mussolini e gli ebrei..., cit., pp. 205-206. 32 Fabre, Mussolini e gli ebrei..., cit., pp. 205-206; Idem, Il contratto..., cit., pp. 93-94. 33 Fabre, Mussolini e gli ebrei..., cit., pp. 190 e 225.

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casione non meglio precisata34 Mussolini disse a Renzetti, a pro­ posito di Hitler, che esisteva «il pericolo [per la Germania e per i nazi] di dare troppo addosso agli ebrei»; il problema, disse Mussolini, «può venire risolto in altre maniere». • 28 febbraio 1933. Carlo Foà diede le dimissioni, costretto da Mussolini, da preside dell’Università di Milano.35 L’origine delle dimissioni fu una lettera che lo denunciava come ebreo, inviata a Mussolini e da costui inoltrata al ministro. Anche alcu­ ni studenti lo considerarono un allontanamento dovuto a moti­ vi razziali. • 8 marzo 1933. Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana e ritenuto generalmente un ebreo (ma era battezzato da decenni), fu costretto alle dimissio­ ni su ordine di Mussolini.36 • 30 marzo 1933. Mussolini chiese all’ambasciatore in Ger­ mania, Cerruti, di riferire a Hitler quanto segue:37 «Ogni regime ha non solo il diritto ma il dovere di eliminare dai posti di co­ mando gli elementi non completamente fidati ma per questo non è necessario - anzi può essere dannoso - di portare sul ter­ reno della “razza” - semitismo e arianesimo - quello che è inve­ ce una misura di difesa e di sviluppo della rivoluzione». L’occa­ sione era stata il recente annuncio del boicottaggio nazista dei negozi di ebrei. • A proposito di un altro incontro con Mussolini, il 18 apri­ le 1933 Renzetti annotò queste parole del duce (rivolte sempre a Hitler):38 «Vi sono tanti mezzi per ottenere l’epurazione de­ siderata dai nazi senza ricorrere alla forma esterna della perse­ cuzione». • Maggio 1933. Duri articoli antiebraici uscirono sul giorna­ le «Regime fascista» diretto da Roberto Farinacci e certamente furono permessi dal regime.39

" Ivi, pp. 188 e 223. ” Ivi, pp. 207-208. 36Iw, p. 212. ”Ivi,pp. 192-193 e 227. ™Ivi,pp. 193 e 233. 39 Iw, pp. 213-218.

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• 29 agosto 1933. Trasferimento di Guido Beer, capogabinetto della presidenza del Consiglio, alla prefettura di Venezia.40 In pre­ cedenza, una lettera anonima l’aveva denunciato come ebreo. • Il giorno dopo, 1° settembre 1933. Guido Artom venne tol­ to dall’ufficio stampa di Mussolini e inviato a lavorare a Bruxel­ les.41 Fu un avvicendamento in apparenza normale, ma prima era stato eseguito un controllo poliziesco sulla religione profes­ sata da Artom. In questo modo Mussolini non ebbe più colla­ boratori ebrei o con cognome ebraico. • 20 novembre 1933. Il ministero dell’Educazione nazionale pose dei limiti all’ingresso di studenti stranieri nelle università ita­ liane; i consoli italiani erano tenuti a dare il nulla osta evitando gli indesiderabili. Visto l’intenso afflusso di studenti ebrei sia dalla Germania che dalla Polonia, il riferimento a loro era palese.42 • 1° gennaio 1934. Gino Jacopo Olivetti diede le dimissioni da segretario dalla Confederazione generale fascista dell’indu­ stria, la Confindustria di allora.43 Mussolini, malgrado le pres­ santi richieste in contrario, tenne ferme queste dimissioni. Al posto di Olivetti fu nominato Alberto Pirelli, uno dei nuovi commissari nazionali corporativi (tutti diedero le dimissioni). Felice Guarnieri commentò: «Per sopprimere un ebreo hanno ammazzato dieci cristiani». In seguito, tra marzo e aprile 1934, e poi ad aprile, due altri ebrei, Camillo Ara e Edoardo Morpurgo, diedero le dimissioni o volutamente non si ricandidarono al vertice di altre organizzazioni economiche.44 • 12 febbraio 1934. Il ministero dell’Interno, sempre guidato da Mussolini, ordinò un censimento religioso degli agenti di borsa («eventuale appartenenza al culto israelitico»).45 • 30 e 31 marzo 1934. Tutti i giornali riportarono in prima pagina, con grandi titoli, l’arresto di alcuni ebrei (in realtà ese­ guito a partire da venti giorni prima), che erano anche definiti

40 iw,pp. 218-219. 41/w, pp. 219-221. 42 Fabre, Il contratto..., cit., pp. 94-95. 43 /w, p. 96. 44 Ivi, pp. 96-97. 45 Ivi, pp. 100-101.

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pubblicamente antifascisti.46 Le carte dicono che fu un’opera­ zione di polizia manovrata tutta in senso antiebraico. • 9 aprile 1934. Il capo della polizia, a nome dell’ufficio stam­ pa del duce, chiese alle prefetture di alcune grandi città e al questore di Roma i nominativi degli «ebrei» presenti nei gior­ nali di quelle città.47 La richiesta partiva da un’informativa in cui si denunciava che «il giornalismo italiano è molto dominato da ebrei». • 9 e 10 aprile 1934. Ordine del ministero dell’Interno ai pre­ fetti di chiedere, per le nomine future di podestà o vicepodestà o di presidi e vicepresidi delle province (i capi e i vice), la reli­ gione del nominando; e insieme fu richiesta la verifica della re­ ligione dei capi delle amministrazioni locali.48 L’ 11 aprile il sot­ tosegretario all’Interno Buffarmi Guidi aggiunse che la richiesta andava estesa anche a consultori municipali e rettori provincia­ li - gli attuali consiglieri comunali e provinciali - e ai responsa­ bili di opere pie ed enti locali di assistenza. • 16 aprile 1934. Il dato della religione fu richiesto anche per la nomina delle cariche corporative locali.49 Lo stesso giorno fu vietata la riconferma di Giacomo Beer, ebreo, vicepresidente della provincia di Ancona.50 • 19 maggio 1934. Mussolini tornò leggermente sui propri passi e ordinò che, per le nomine delle cariche negli enti locali, si procedesse «ad uno speciale esame, caso per caso», specifi­ cando che «la professione della religione ebraica non deve esse­ re considerata come l’elemento che determini sempre la incapa­ cità a coprire cariche pubbliche».51 • 10 giugno 1934. Mussolini, incontrando l’ambasciatore di Germania Ulrich von Hassell, in merito alla recente decisione nazista di far entrare anche degli ebrei nella rappresentanza olimpica tedesca, diede un «avvertimento a non cedere» e ag-

46 Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., pp. 90-93. 47 Fabre, Il contratto..., cit., p. 103. 48 Ivi, p. 108. 49 Ivi, pp. 104-105. 50 Ivi, p. 111. 51 Ivi, p. 113.

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giunse che verso gli ebrei «non bisognava mostrare nessuna de­ bolezza».52 • Settembre 1934. A proposito di una richiesta di Anita Levi Carpi, ex collaboratrice del «Popolo d’Italia», di essere inviata in Giappone come giornalista, Mussolini diede l’indicazione: «Non si manda in giro un’ebrea».53 • 30 novembre 1934. Divieto per un ebreo (ovvero ritenuto tale) di essere nominato a una carica corporativa a Genova.54 • 16-17 dicembre 1934. A Montreux un convegno di rappre­ sentanze fasciste europee organizzato dagli italiani - e in parti­ colare su impulso del duce - stabilì che esisteva una «questione ebraica», perché in molte nazioni «gruppi ebraici si sono instal­ lati come in un paese di conquista». Occorreva «combattere [...] questi elementi».55 • 24 gennaio 1935. Guido Jung sostituito al ministero delle Finanze.56 • 9 luglio 1935. In un’intervista al giornalista tedesco Sven von Müller (poi letta da Hitler) Mussolini sostenne che gli ebrei non potevano essere fascisti e per questo li aveva eliminati dalle cariche importanti.57 • 11 luglio 1936. Il prefetto di Ferrara ricordò al ministero dell’Interno58 che lui e il segretario federale del PNF stavano svolgendo da tempo «un’opera di sfaldamento» in merito ai po­ sti ricoperti da ebrei in cariche pubbliche; quest’opera, speci­ ficò in altri rapporti, era iniziata da tempo e anche dopo alcuni colloqui con Mussolini. • 20 novembre 1936. Il ministro degli Esteri Ciano (di sicuro col consenso del duce) fece redigere una comunicazione per va­ ri ministeri in cui chiedeva di non inviare in Germania in mis­ sione «connazionale di fede israelita».59 • 23 dicembre 1936. Mussolini comunicò al caporedattore 52 Fabre, Mussolini e gli ebrei... , cit., pp. 203-204,234-236. Idem, Il contratto..., cit., pp. 126-127. 54 Ivi, p. 114. ”iw,pp. 131-132. 56/w,p. 121. 57 Ivi, p. 129. 58 Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., pp. 110-111. 59 Ivi, p. 114.

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del «Popolo d’Italia» che non voleva articoli di ebrei sulla prima pagina del suo giornale.60 Il 20 gennaio 1937 comunicò che la ri­ chiesta era estesa a tutto il giornale e a tutti gli ebrei. • Fine marzo-inizio aprile 1937. Pubblicazione del libro di Paolo Orano Gli ebrei in Italia.61 • Subito dopo il 30 aprile 1937 il professor Mario Donati fu eliminato da una lista ormai chiusa di Cavalieri dell’Ordine ci­ vile di Savoia perché, come su richiesta deU’Interno confermò il prefetto di Milano, «israelita».62 • 17 giugno 1937. Il preside della provincia di Trieste conse­ gnò a Mussolini una lista con i nomi degli ebrei che nella città ricoprivano cariche politiche, amministrative, sociali identifica­ ti sulla base della «razza e non della religione professata».63 Era almeno il secondo di questo genere di elenchi che gli perveniva. • 15 novembre 1937. Alle scuole e accademie militari arri­ varono «superiori direttive» perché non vi fossero ammessi «israeliti».64 • 6 (ma probabilmente 5) febbraio. Mussolini discusse con Ciano della «soluzione» del «problema ebraico».65 • 11 febbraio 1938. Gino Olivetti si dimise dalle ultime cari­ che in campo economico.66 60 Fabre, Lelenco..., cit., p. 43. 61 Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., pp. 125-127. 62 ACS, MI, DG Personale, R. Ordine Civile di Savoia, b. 54, f. Nomine di Ca­ valieri 9/5/1937. La richiesta del ministero al prefetto era del 28. Un riferi­ mento in Giuseppe Monsagrati, Gli «amplessi di più splendida accoglienza»: Carlo Alberto, la politica delle onorificenze e l’Ordine civile di Savoia, in Marina Tesoro (a cura di), Monarchia, tradizione, identità nazionale. Germa­ nia, Giappone e Italia tra Ottocento e Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 138. 65 Giorgio Fabre, A proposito dell’antisemitismo amministrativo fascista dell'inizio del 1938, in Luciano Canfora (a cura di), Studi sulla tradizione classica per Mariella Ca­ gnetta, Laterza, Bari 1999, pp. 230,237-238; Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 131. Per il primo, del 1928, cfr. ACS, SPD, CR, b. 140, f. 169 R. Trieste comunità israe­ litica. 1. Trieste movimento ebraico. M Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani, Torino 1994, pp. 75 e 80. 65 Idem, La preparazione delle leggi antiebraiche del 1938. Aggiornamento critico e documentario, in I. Pavan - G. Schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra perse­ cuzione fascista e reintegrazione postbellica, La Giuntina, Firenze 2001, p. 35. 66 Fabre, A proposito..., cit., pp. 230, 238; Michele Sarfatti, La preparazione..., cit., p. 39.

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• 12 e 15 febbraio 1938. Mussolini fece controllare la presenza di cognomi ebraici fra gli ufficiali superiori delle forze armate.67 • 14 e 15 febbraio. Richiesta del ministero dell’Interno ai di­ rettori generali dello stesso ministero e ai prefetti di verificare nei vari uffici la presenza di impiegati «di religione israelita».68 • 16 febbraio 1938. Venne diffusa YInformazione diplomatica n. 14, redatta da Mussolini e definita dallo stesso dittatore «un capolavoro di propaganda antisemita».69 Nella nota si dichiara­ va che il governo fascista, non intenzionato ad adottare misure contro gli «ebrei in quanto tali», si riservava tuttavia di «vigila­ re sull’attività degli ebrei venuti di recente nel nostro Paese e di far sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazio­ ne non [risultasse] sproporzionata ai meriti intrinseci dei singo­ li e all’importanza numerica della loro comunità». • Febbraio 1938. Dopo averne letto alcuni appunti sul razzi­ smo, Mussolini convocò Guido Landra, un giovane antropologo, e lo incaricò di costituire un comitato per lo studio del razzismo e l’organizzazione della campagna razziale. Lo ricevette ancora il 24 giugno e gli impartì direttive precise sul «problema razziale». Na­ sceva il cosiddetto «manifesto del razzismo italiano».70 • 1° marzo 1938. Il gabinetto del ministero dell’Interno solle­ citò il prefetto di Ferrara a sostituire il podestà ebreo Ravenna, che si dimise due settimane dopo.71 • 18 marzo. Il ministero dell’Interno comunicò ai prefetti di «confine terra» il divieto di ingresso agli ex austriaci ebrei.72 Erano gli ebrei che scappavano dall’Austria invasa da Hitler. 67 Michele Sarfatti, Mussolini..., cit., p. 74; Fabre, A proposito..., cit., pp. 230, 238. 68 Fabre, A proposito..., cit., pp. 230, 238; Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 139; Idem, La preparazione..., cit., p. 39. 69 Michele Sarfatti, Mussolini..., cit., pp. 17-18; Idem, La preparazione..., cit., pp. 25-28, 40. 70 Mauro Raspanti, I razzismi delfascismo, in Documenti e immagini del razzi­ smo e dell’antisemitismo fascista a cura del Centro Furio Jesi, Grafts, Bologna 1994, pp. 74-75; poi si veda Mario Toscano [jr] (a cura di), Marcello Ricci: una testimonianza sulle origini del razzismo fascista, «Storia contemporanea», 5, ottobre 1996, pp. 879-897; e Michele Sarfatti, La preparazione..., cit., pp. 28-29. 71 Fabre, A proposito..., cit., pp. 231,239; Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 141. 72 Idem, Mussolini..., cit., p. 77.

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• 8 aprile 1938. Mussolini decise l’espulsione dei giornalisti ebrei da giornali e riviste.73 • 18 giugno 1938. Esclusione di qualsiasi ebreo dalle delega­ zioni alle manifestazioni culturali internazionali in rappresen­ tanza della presidenza del Consiglio; dal 21 luglio il principio valeva per tutti i dicasteri.74 • 14 luglio 1938. Venne pubblicato sul «Giornale d’Italia» Il fascismo e i problemi della razza, documento teorico del razzi­ smo di stato noto come II manifesto degli scienziati razzisti?5 re­ datto su precise indicazioni dello stesso Mussolini, sosteneva l’esistenza di razze umane fra loro biologicamente differenti e di una «pura razza italiana»: l’«antica purezza di sangue» di quest’ultima avrebbe costituito «il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana». La popolazione ebraica, «costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani», avrebbe rappre­ sentato l’unico gruppo che non si era mai «assimilato». Il testo ribadiva inoltre che gli italiani si dovevano dichiarare «franca­ mente razzisti» e che il concetto di razza veniva concepito in termini puramente biologici. La dichiarazione terminava con queste parole: «Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani». • 17 agosto 1938. Nessun ebreo poteva più ricoprire cariche pubbliche in enti dipendenti dal ministero dell’Interno, mini­ stero sempre guidato da Mussolini.76

Seguì la normativa persecutoria vera e propria, che è larga­ mente nota, così come è ormai noto il ruolo diretto che vi ebbe Mussolini. Il duce intervenne in vari momenti e in vari dettagli, a definire e precisare. Per fare un solo esempio, nell’agosto 1938 allargò il numero degli ebrei «stranieri» da espellere perché portò dal 1933 al 1919 la data in cui dovevano aver preso, per 75 Fabre, Lielenco..., cit., pp. 75-77. 74 Michele Sarfatti, Mussolini..., cit., p. 92. 75 Ivi, pp. 18-20. 76 Ivi, p. 76.

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non essere espulsi, la cittadinanza italiana.77 Non intervenne so­ lo per quanto riguardava le leggi, ma anche a proposito della normativa spicciola, quella affidata alle circolari dei ministeri, e addirittura fu all’origine di direttive che neanche vennero tra­ sformate in ordini scritti, ma rimasero solo indicazioni generi­ che, anche se vincolanti e tassative. Due casi: il ritiro di tutti i li­ bri di autori ebrei chiesto in maniera informale nell’agosto 193 978 e l’ordine al capo della polizia nel giugno 1943 di prepa­ rare un progetto di veri e propri campi di concentramento, poi non andato in porto per la caduta del regime.79 Inoltre, Mussolini prese decisioni a proposito di ebrei in nu­ merosi casi singoli. Per fare un solo esempio, nell’aprile 1943 diede di persona l’ordine che un ebreo malato («sacralizzazione della quarta vertebra lombare») potesse andare al Lido di Vene­ zia a fare una cura balneare solo se abitava a Venezia: «altri­ menti vada in luogo meno mondano se è per cura», ordinò.80 Tra l’altro si trattava di un ebreo fascista pluridecorato. E infine, dopo l’8 settembre 1943, si aprì il buco nero della concreta Shoà in Italia, ancor oggi oggetto di studi anche per quanto ri­ guardò il ruolo di Mussolini, che era da tempo al corrente dello sterminio in atto in Europa. E colluso con i nazisti. Nella società razzista europea era ormai solo un socio di minoranza, ma con­ tinuava a fare il proprio «dovere». Dal 1929 in poi la politica antisemita di Mussolini conobbe una notevole linearità e varie fasi. Emanazione diretta della «formazio­ ne» razzista e antisemita di cui si parla in questo libro, ebbe un forte connotato socio-politico: venne cioè applicato un controllo su gruppi e persone singole - dovuto quasi certamente all’idea del formarsi di un’organizzazione ebraica - a cui seguì qualche elimi­ nazione dai loro ruoli (in modo cauto, calibrato o segreto, eccete­ ra, ma in maniera sempre più sicura e circostanziata) dei cosiddet­ ti infidi «capi ebrei», i capi del «popolo della vendetta» come li 77 Ivi, p. 99. 78 Fabre, L’elenco..., cit., pp. 258-262. 79 Da ultimo si veda: Riccardo Bonavita - Gianluca Gabrielli - Rossella Ropa (a cura di), Loffesa della razza. Razzismo e antisemitismo dell’Italia fascista, Pa­ tron, Bologna 2005, pp. 144-145. 80 ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1943, b. 33, f. Errera Gilberto di Adolfo.

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aveva chiamati tempo addietro. Chiari erano stati i segnali, inviati già nel 1928, su come Mussolini supponesse una colleganza tra ebraismo e antifascismo (ma si vedrà, anche questo era un motivo nato prima della presa del potere). Probabilmente aveva stabilito anche una relazione tra il «pericolo» costituito dagli ebrei e il con­ temporaneo Concordato firmato con la Chiesa. Ai suoi occhi in­ vece contava meno o per nulla, sembrerebbe, il pericolo creato dalla Palestina e dalla tendenza a formarsi di uno stato ebraico. Era comunque assai in anticipo rispetto alle prime vittorie eletto­ rali del nazismo. In questa fase Mussolini regolava i suoi antichi conti personali e politici e li trasformava in una pulsione antisemi­ ta da trasferire a tutta Pamministrazione alle sue dipendenze. Ma erano «esperimenti» ancora più o meno segreti e a picco­ lo raggio. A partire dal 1932-1934, questa politica divenne un po’ più pubblica e allargata a un maggior numero di settori del­ la società. Venne espressa, in tendenza, anche in politica estera, prima con alcune esternazioni a Hitler, poi con un tentativo di aggregazione, sotto le insegne del fascismo, delle forze antisé­ mite europee: tentativo peraltro di poco successo. Il fascismo, atto dopo atto, diventava un regime vieppiù ostile in maniera aperta verso gli ebrei e dirigeva un paese sempre più palese­ mente povero, a vari livelli, di dirigenti ebrei. Era un’evoluzione che aveva un’evidente relazione con la crescita nel teatro euro­ peo di un nazismo antisemita che rubava la scena a Mussolini. Ma, come si è visto, il razzismo mussoliniano aveva anche pro­ prie originali radici, indirizzi e soluzioni. Poi ci si avviò verso un fascismo antisemita e persecutorio in maniera indiscriminata. L’allargamento dell’antisemitismo mus­ soliniano si vide bene già nel 1934, quando le eliminazioni via via raggiunsero i gradi più bassi dell’amministrazione e quando ven­ ne anche presa di mira una giornalista non molto nota. Ma ci fu anche un punto di svolta (magari all’inizio confuso), in cui Mus­ solini decise che si dovevano colpire indistintamente tutti gli ebrei in Italia, mettendo in moto un vero processo antisemita nazionale a questo punto del tutto pubblico. Si può supporre che questo cambio d’indirizzo sia da collocare intorno al giugno del 1935, come si spiegherà meglio nel libro, in base ad alcuni documenti e a una dichiarazione di Mussolini. 37

Dal giugno 1935 in poi, e cioè prima dell’avvicinamento po­ litico alla Germania, sembra quindi che Mussolini avesse deci­ so che l’antisemitismo e insieme a esso il razzismo dovessero coinvolgere tutto il paese, e che dovessero prendere avvio nel giro di un paio d’anni (e due in effetti furono). A quel punto probabilmente fu davvero impostata una strategia persecutoria con veri caratteri antisemiti e rivolta alla pubblica opinione. Quando, con il libro di Paolo Orano, alla metà del 1937, inco­ minciò un’autentica campagna stampa antisemita, le «opera­ zioni» erano in realtà in corso da almeno otto anni e program­ mate da due. Erano state all’inizio «politiche» e non violente; a carattere perennemente sussultorio; ma, grazie forse anche al segreto che le aveva circondate, ebbero una vastità e profondità notevoli. Nel 1938 lo sbocco persecutorio sul piano dei «dirit­ ti», come l’ha definito Michele Sarfatti - e cioè contro i diritti al lavoro, all’istruzione, al benessere, perfino al matrimonio de­ gli ebrei, italiani e non - fu un esito dunque ben rodato, oltre che scontato, come del resto all’epoca sottolineò più volte lo stesso Mussolini. E in molti, davvero moltissimi italiani ormai dovevano saperlo.

Per terminare, i ringraziamenti. Lungo il libro verranno rico­ nosciuti i molteplici e spesso grossi debiti di riconoscenza che ho verso molte persone. Voglio però qui, a parte, ringraziare quattro amici, che sono anche quattro eccellenti studiosi e a cui sono state sottoposte in anticipo queste pagine. Ciascuno di lo­ ro le ha lette e discusse in diverse fasi e talvolta subendo lo stra­ zio a più riprese. Sono Luciano Canfora, Annalisa Capristo, Mi­ chele Sarfatti e Cinzia Villani. A loro un grazie di cuore.

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Prologo

Una visita Poche settimane prima che Mussolini salisse al potere, in un giorno non ben precisabile del settembre 1922 venne a trovarlo a Milano, al «Popolo d’Italia», un brillante trentenne tedesco, Kurt Liidecke, poliglotta, uomo di mondo dai mille mestieri. Lo mandava, a quanto costui raccontò nelle memorie pubblicate quindici anni dopo in USA e Gran Bretagna, Adolf Hitler. Lii­ decke andò a Milano col preciso scopo di contattare il direttore del «Popolo d’Italia» per conto di Hitler. Mussolini, stando sempre a quelle memorie, lo ricevette e i due colloquiarono, per ben quattro ore, di vari argomenti. In quell’occasione, il futuro duce avrebbe sentito citare per la prima volta il nome del futu­ ro Führer, che era ancora un pressoché sconosciuto agitatore politico tedesco. Tra le altre cose, i due parlarono anche di ebrei e di ebraismo. Così poi Lüdecke raccontò:1 Toccando il tema della finanza internazionale, scoprii che i suoi [di Mussolini n.d.a.\ punti di vista erano paralleli a quelli di Hitler. Allora, 1 Si cita e si traduce da Kurt G.W. Ludecke, 1 knew Hitler. The Story of a Na­ zi Who Escaped The Blood Purge, Jarrolds, Londra 1938, p. 73 (che si trattas­ se di settembre, a p. 75). In precedenza (fine 1937) era uscita l’edizione ame­ ricana presso Scribner’s Sons. Il testo americano è identico. Il brano è stato ci­ tato anche da Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale in Italia, Comunità, Milano 1982, p. 42 e da Renzo De Felice, Mussolini e Hitler. I rapporti segreti (1922-1933), Le Monnier, Firenze 1983 (2a ed.), p. 28. Nonché da Philip V. Cannistraro - Brian R. Sullivan, Margherita Sarfatti. Laltra donna delDuce, Mondadori, Milano 1993, p. 383. Secondo Michaelis, il brano dimostra quanto, fin dal 1922, Mussolini fosse «fermamente intenzionato a mantenere buoni rapporti con l’“internazionale ebraica”». Per De Felice, invece, vi risulterebbe chiaro che il duce «si rifiutava di considerare la questione ebraica un problema reale per l’Italia».

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continuando sullo stesso argomento, parlai degli ebrei. Fu d’accordo con quanto sostenevo, ma fu evasivo sulle misure che sarebbero state necessarie. Mentre ammise di tenere sotto osservazione gli ebrei con grande cura [he admitted that he watched the Jews carefully}, notò che in Italia la questione ebraica non era un problema come in Germania. A quel tempo non sapevo che Marghareta [«?] Sarfatti, sua amica de­ vota nonché biografa, fosse ebrea o che uno dei suoi primi seguaci e importante uomo di relazioni, fosse un ebreo convertito. Quest’uomo [...] alla fine sposò una donna di un’importante famiglia cattolica, con la benedizione di un cardinale e divenne sottosegretario dell’Interno del governo Mussolini. Dopo lo scandalo Matteotti, che quasi tolse il potere a Mussolini, fu cacciato.

L’«ebreo convertito» di cui si parlava era Aldo Finzi, che nel febbraio 1923, dopo la marcia su Roma e dopo essere diventato sottosegretario dell’Interno del primo governo Mussolini, spo­ sò, con rito sia laico sia cattolico, Maria Luisa Clementi, nipote del cardinale Vannutelli. Si tratta, come è stato dimostrato,2 di memorie attendibili. Esse furono scritte quando in Italia non era ancora iniziata la pubblica campagna razzista, da un antisemita certo, e conosciu­ to come tale perfino dalla polizia italiana: «si dichiara ammira­ tore del fascismo italiano che, a suo dire, vorrebbe però veder schierato contro gli ebrei», così scrisse alla fine del 1923 il pre­ fetto reggente la questura di Roma. Su quanto Lüdecke disse a proposito di ebrei (e Mussolini, a quanto Lüdecke stesso poi raccontò, fu d’accordo), non si sa con esattezza; ma tutto lascia 2 Roland V. Layton, jr, Kurt Ludecke and I Knew Hitler: an Evaluation, «Cen­ tral European History», XII, 4, december 1979, pp. 372-386, in particolare pp. 373-375. Ma si veda anche Meir Michaelis, I rapporti tra fascismo e nazi­ smo prima dell’avvento di Hitler al potere (1922-1933). Parte Prima: 19221928, «Rivista storica italiana», settembre 1973, pp. 554-557. Quanto al con­ trollo da parte della polizia italiana, si veda ACS, MI, DGPS, DAGR, 1923, b. 32, f. Luedecke Curt Georg Wilhelm, dove è contenuto il rapporto del prefetto del 9 novembre 1923, ricavato dall’interrogatorio dell’interprete di Liidecke, Arthur Schmitz. Nel fascicolo è anche copia della «Legitimation» ufficiale di Hitler a Lüdecke del 21 agosto 1923 e valida fino alla fine dell’anno (l’origi­ nale in foto nei libro di Ludecke, tra le pp. 128-129). Già il 12 ottobre 1923 il diplomatico italiano Orsini Baroni aveva avvertito che Lüdecke era a Roma, dove aveva cercato di avere contatti con le autorità fasciste e Mussolini (DDI, s. VII, v. 2, p. 285).

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pensare che si trattò di qualche formulazione antisemita, come quelle delle pagine precedenti delle sue memorie, dove l’uomo di Hitler si lasciò andare a un’autentica requisitoria contro l’oc­ cupazione da parte degli ebrei dei posti di potere nella Germa­ nia postbellica? Più tardi il suo libro autobiografico arrivò, in entrambe le edizioni, al ministero italiano della Cultura Popolare. A Musso­ lini fu sottoposto un lungo riassunto in cui si faceva riferimento all’incontro in cui «l’autore parlò con il Duce del movimento hi­ tleriano, del fascismo, del bolscevismo e degli ebrei». Mussolini lesse quel riassunto (e, può darsi, anche il libro) forse già nell’a­ gosto 1938, di sicuro ai primi d’ottobre 1939. Ma non fece obie­ zioni e così il libro - vietato in Germania - non fu mai fermato dalla censura italiana.4 Nel libro, sembrerebbe, non c’era nulla che fosse utile o necessario smentire. In sostanza, Mussolini alla fine del 1922 si era espresso con Lùdecke in qualche forma antiebraica. Gli argomenti erano sta­ ti per lo meno due: la finanza internazionale e gli ebrei in gene­ rale. A proposito di Germania, aveva riconosciuto che in quel paese un certo «problema ebraico» esisteva; in Italia, aveva af­ fermato, esisteva pure - tanto che «teneva sotto osservazione gli ebrei con grande cura» -, ma in misura minore. Hitler, a sua volta, già da allora (fine 1922) venne a conoscenza delle idee an­ tisémite del futuro duce: Lùdecke riferisce nel suo libro che, al ritorno, fornì a Hitler «un dettagliato rapporto di tutto quanto Mussolini aveva detto»? Non conosciamo le reazioni sul momento del futuro Führer, ' In particolare, vedi Ludecke, I knew Hitler..., cit., pp. 40-41. 1 ASDMAE, MCP, DGSE, b. 451, f. I Knew Hitler. Ludecke G.W. Kurt. Al mini­ stero della Cultura Popolare ne arrivarono due copie, la prima dell’edizione americana (Scribner’s Sons), inviata dagli USA, dall’ambasciatore Suvich, il 4 gennaio 1938 e la seconda, inglese (Jarrolds) inviata nel maggio-giugno 1938; quest’ultima venne inserita nella cartella stampa quotidiana di Mussolini il 4 agosto 1938 e poi reinserita tra il 26 settembre e il 3 ottobre 1939. Per il di­ vieto tedesco del libro di Lüdecke, cfr. Liste des schädlichen und unerwünsch­ ten Schrifttums. Stand vom 31. Dezember 1938 und jahresltsten 1939-1941, To­ pos Verlag, Vaduz 1979. Il libro di Lüdecke (entrambe le edizioni) è nella pri­ ma lista, del 31 dicembre 1938, p. 88. ’ Ludecke, I knew Hitler..., cit., p. 80.

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ma è molto probabile che siano state d’apprezzamento. Rispet­ to ad altri esponenti del nazionalsocialismo come Alfred Rosen­ berg,6 che fu diffidente verso un fascismo sospettato d’essere «filogiudaico», Hitler, che aveva notizie più dirette, nel Mein Kampfe poi in seguito, espresse opinioni dal suo punto di vista favorevoli. Forse erano in polemica proprio con Rosenberg, perché sostenne che «l’Italia fascista» svolgeva una lotta «con­ tro le tre maggiori armi del giudaismo, forse inconsciamente (io però credo che la svolga consapevolmente)»;7 e poi che l’Italia e Mussolini erano i soli «fra i popoli e gli uomini risoluti a com­ battere l’internazionalismo giudaico massonico».8

Un comunicato Nel 1922, oltre a Hitler che mandava un suo emissario, Lùdecke, c’erano anche altri all’estero che prendevano le misure «razziste» al fascismo italiano: alcuni movimenti antisemiti eu­ ropei. Nell’agosto di quello stesso 1922, Léon Daudet sulla pri­ ma pagina del quotidiano «L’Action française»9 descrisse il fa­ scismo italiano come una sana reazione, dopo la guerra, a un 6 Per gli articoli sul filo-ebraismo del fascismo, pubblicati o fatti pubblicare da Rosenberg sul «Völkischer Beobachter» e altrove nel 1923-1924, cfr. Michae­ lis, Mussolini..., cit., pp. 56-57, 407. 7 Si cita da Adolfo Hitler, La mia battaglia, Bompiani, Milano 1938 (4a ed.), p. 360. La frase del Mein Kampf è stata notata da Wolfgang Schieder, Fascismo e nazionalsocialismo nei primi anni Trenta, in II regime fascista, Laterza, Bari 1995, p. 48. 8 Dal discorso del 30 marzo 1927 a Monaco, trascritto dalla rappresentanza di­ plomatica italiana e inviato a Mussolini. Cfr. ASDMAE, MAE, DGAP, 1919-30, Germania, b. 1174, f. 1927. Rapporti politici 1° e 2° semestre; ma si veda an­ che b. 1175, f. senza nome; in quest’ultimo, con il visto di Mussolini, è con­ servato il riassunto di un altro discorso, tenuto a Berlino il 13 luglio 1928, che contiene vari riferimenti antisemiti. Per i richiami di Hitler al fascismo anti­ giudaico, cfr. Schieder, Fascismo e nazionalsocialismo..., cit., pp. 47-48. Schie­ der si riferisce a due discorsi di Hitler, uno proprio quello del 30 marzo 1927 e un altro del 19 maggio 1928; per la posizione di Goring (1926) simile a quel­ la di Hitler, ivi, p. 48. 9 Léon Daudet, La leçon du Fascisme, «L’Action française», 14 agosto 1922. Un cenno al pezzo in: Cesare G. De Michelis, Il manoscritto inesistente. I «Protocolli dei savi anziani di Sion»: un apocrifo del XX secolo, Marsilio, Vene­ zia 1998, p. 223.

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«melmoso [vaseux] programma ebraico-germano-russo di espropriazione, spoliazione e internazionalismo». Anche Dau­ det aveva in mente il «complotto ebraico» ma, sosteneva, era in­ tervenuto il fascismo come baluardo. In questo senso, secondo Daudet, «l’energia della razza altera si era sollevata a combatte­ re per i suoi lari e le sue tradizioni». La «razza altera» italiana, con il fascismo, aveva iniziato a combattere il «complotto ebrai­ co». A questo punto, la formula del fascismo «baluardo contro il complotto ebraico» era piuttosto ben delineata. Poco dopo fu il turno degli antisemiti magiari. Questa volta si trattò di qualcosa di più di una semplice affermazione e i fasci­ sti, a loro volta, ne furono informati e intervennero. Successe a settembre, nei giorni in cui Mussolini riceveva Liidecke. Il 21 il «Messaggero», e subito dopo la «Voce repubblicana» e il socialista «Avanti!», pubblicarono la stessa notizia. Il «Mes­ saggero» riportava una propria corrispondenza da Budapest.10 l utti e tre i giornali riprendevano un pezzo di uno dei maggiori quotidiani ungheresi, il liberale «Pester Lloyd». La notizia ri­ guardava il deputato Istvan Friedrich - ex primo ministro e ca­ po del piccolo (appena dodici deputati) Partito nazionale cri­ stiano degli agricoltori e dei cittadini - «il quale», per citare l’«Avanti!», «anche recentemente si compiacque di far la parte dell’agitatore antisemita». Friedrich - aveva scritto l’«Avanti!» stava organizzando «un movimento fascista magiaro in stretto contatto con i fascisti italiani». I tre giornali italiani, citando dal «Pester Lloyd», intervenivano nello stesso modo: si stava par­ lando di antisemitismo. Il «Pester Lloyd» si era dilungato su Friedrich, annunciando che «sembrava» che uno dei capi magiari del suo movimento avesse stabilito dei rapporti con Mussolini. La faccenda era rile111 Gli articoli sono: Vivace movimento fascista in Ungheria, «Messaggero», 2021 settembre 1922 (il «nostro servizio» in prima pagina era firmato «Lajos» e datato 18); Fascismo ungherese, «Voce repubblicana», 21 settembre 1922, in prima pagina; Il fascismo in Ungheria. Accordi fra fascisti magiari ed italiani, «Avanti!», giovedì 21 settembre 1922 (la «corrispondenza particolare» datata Budapest 20 settembre era siglata «Rai»). Non c’è riferimento a questi artico­ li in Giorgio Rumi, Mussolini, “Il Popolo d’Italia” e l’Ungheria (1918-1922), «Storia contemporanea», dicembre 1975, pp. 675-696.

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sua diffusione e per la simpatia da esso dimostrata a più riprese per l’Italia». La forma però era quella di una risposta all’«Avanti! ». La «Voce repubblicana» venne in apparenza ignorata e co­ sì pure la più remota «Civiltà Cattolica». Ecco il comunicato apparso sul «Popolo d’Italia» e sul «Giornale d’Italia»: Il deputato ungherese Friedrich, fervente agitatore antisemita, stareb­ be organizzando nella sua patria un movimento fascista simile a quel­ lo italiano, con l’unica precisa differenza che il Fascismo ungherese non sarebbe dominato dagli ebrei mentre gli ebrei dirigerebbero quel­ lo italiano. In linea di fatto non varrebbe la pena smentire una panza­ na così colossale visto che nessuno dei componenti la Direzione del Partito e quasi nessuno tra i deputati fascisti sono [rz'd ebrei e dei due deputati italiani citati dal detto giornale uno non è neppure fascista. Ciò, a parte la considerazione che una questione ebraica non esiste nel nostro paese e speriamo non vi sarà mai almeno fino a quando il sio­ nismo non porrà gli israeliti d’Italia nel dilemma di scegliere fra la pa­ tria italiana e un’altra patria, protetta da una grande potenza straniera la cui politica non sempre collima con quella dell’Italia.

Il comunicato della Direzione del PNF venne ritenuto così ri­ levante da essere collocato sulla prima pagina del «Popolo d’I­ talia» (sul «Giornale d’Italia» fu impaginato invece in seconda). Era un vero documento politico. Mussolini il 20 settembre aveva tenuto un importante discor­ so a Udine, da dove la sera tornò a Milano; da Milano il 24 mat­ tina invece si recò a Cremona, dove tenne un altro discorso;16 si può quindi presumere con discreta certezza che il 22, il giorno in cui fu stilato il comunicato, si trovasse a Milano. Non abbia­ mo invece notizie che quel giorno ci sia stata alcuna riunione della Direzione del PNF, e quasi di certo non ci fu,17 anche se al16 Per i due discorsi, O.O., XVIII, pp. 421 e 546; la partenza avvenuta da Udi­ ne per Milano il 20 fu comunicata a Roma dal prefetto: ACS, MI, UC, tei. arrivo n. 24417, 20 settembre 1922; che il 24 mattina Mussolini arrivasse da Milano viene dichiarato da Roberto Farinacci in Squadrismo. Dal mio diario della vigi­ lia, Ardita, Roma 1933, p. 149. 17 La direzione già il 13 agosto si era riunita a Milano (Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano 1932, pp. 138-156; per la riunione del 13 agosto,

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clini componenti in quel momento in effetti si trovavano nel ca­

poluogo lombardo o non lontano. Una sola interpretazione sembra alla fine possibile: quel comunicato era frutto di una de­ cisione presa da Mussolini stesso, direttore del giornale su cui fu pubblicato e capo del partito; e solo e soltanto da lui.181 temi e lo vedremo lungo tutto questo libro - erano i suoi e pressoché solo suoi e la questione era assai grave; per non parlare della de­ cisione di collocare il commento sulla prima pagina del suo giornale, che non poteva essere stata presa che da lui. Però dal­ l’altra - e anche questo è di rilievo - quel testo non era diventa­ lo un articolo, ma un documento pubblico attribuito all’intero organismo direttivo del PNF. Anche il modo in cui il comunicato venne impostato e scritto era notevole. La notizia più importante data dal «Pester Lloyd» era che si stava creando un asse tra fascisti magiari e fascisti ita­ liani; sull’antisemitismo del partito il giornale ungherese solle­ vava dei dubbi. Nel comunicato della Direzione del PNF la que­ stione principale divenne quella degli ebrei e della loro presen­ za nella dirigenza fascista. La questione dell’asse privilegiato tra italiani e magiari venne invece trascurata. La risposta fu dunque che gli ebrei erano assenti dai vertici del partito. Addirittura le voci sulla loro presenza erano una «panzana colossale». Era vero: non c’erano ebrei tra i dirigenti effettivi del partito. Dei deputati, «quasi nessuno» era ebreo, so­ steneva il comunicato. Dal momento che uno dei due segnalati dall’«Avanti!» come ebrei e fascisti veniva escluso, perché non era «neppure fascista» - e si trattava evidentemente di Philipson, membro del gruppo parlamentare liberale della Destra na­ zionale - rimaneva solo Aldo Finzi, che era fascista e - l’imbapp. 138-142; Balbo non parla di una riunione del 22). La direzione era com­ posta all’epoca da Mussolini, Bianchi segretario, Bastianini, Balbo, Massimo Rocca, Postiglione, Dudan, Marinelli, Teruzzi, De Vecchi, Ciano. Cfr. G.A. < hiurco, Storia della rivoluzione fascista, v. IV. Anno 1922, p. I, Vallecchi, Fi­ renze 1929, p. 386. ' Secondo De Felice, l’antisemita Giovanni Preziosi in quella fase (settembreottobre) era «portavoce ufficioso della Direzione» (Renzo De Felice, «Gio­ vanni Preziosi e le origini del fascismo», in Intellettuali di fronte al fascismo, Bonacci, Roma 1985, p. 154). Non risulta però che Preziosi avesse nessuna re­ sponsabilità di «ufficio stampa» o di «portavoce».

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razzo era ed è tuttora percepibile - veniva ritenuto ebreo o pro­ babile tale. Inoltre, il comunicato della Direzione - e in questo era minac­ cioso - non escludeva affatto che in Italia, prima o poi, avrebbe potuto nascere una «questione ebraica». Anzi, annunciava che nel futuro per gli «israeliti d’Italia» si sarebbe creato un proble­ ma nel caso in cui il sionismo, protetto dalla Gran Bretagna, avesse posto sul tappeto il tema dello stato di Palestina. In questo senso, la Direzione del PNF - e Mussolini - non de­ scrivevano solo un’intenzione, come vedremo in seguito messa a punto da tempo, ma stabilivano, a proposito degli ebrei, un principio che avrebbe dovuto valere anche per il futuro. E lo fa­ cevano nella maniera più solenne. C’era da dare una rassicura­ zione pubblica a proposito di ebrei e fu scelta questa strada. Così forse anche la «Civiltà Cattolica» e gli antisemiti in genere avrebbero ricevuto una risposta. E pure Γantisemitismo euro­ peo aveva le sue rassicurazioni. Il fascismo italiano, a proposito di ebrei, interloquiva con i mo­ vimenti antisemiti europei e nazionali e, a quanto pare, ne era di­ ventato un punto di riferimento. La «Rivista di Milano», parlando di questo comunicato, scrisse: «Anche oggi ci son molti ambienti in Germania ed in Austria ed in Ungheria che credono che in Ita­ lia l’ebreo sia un po’ ai ferri corti col fascismo».19 E difatti, subito dopo la sua salita al potere, alcuni movimenti politici europei avrebbero tentato approcci ancor più ufficiali.20 A questo punto si devono fare alcune osservazioni sui due de­ putati italiani ed «ebrei» nominati dal «Pester Lloyd» (ma di nessuno dei due il «Popolo d’Italia» faceva i nomi, citati invece dall’«Avanti!»). La frase imbarazzata «quasi nessuno tra i depu­ 19 La Rivista, Fascismo e semitismo, «Rivista di Milano», 10 ottobre 1922, pp. 59-61. 20 II 17 novembre 1922 il delegato italiano a Bad Ems inviò a Roma un’infor­ mativa in cui scrisse che Hitler desiderava «prendere contatto diretto coi fa­ scisti italiani per averne delle direttive e delle indicazioni sul metodo da segui­ re» (DDI, s. VII, v. 1, pp. 79-80). Quanto a Friedrich, un rapporto diplomatico del 4 novembre da Budapest annunciò a Roma che stava tentando davvero di entrare in contatto con Mussolini e con il fascismo e uno del 23 dicembre 1922 annunciò invece la costituzione di un Fascio magiaro (DDI, s. VII, v. 1, pp. 32 e 175-176).

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tati fascisti» del comunicato del PNF si riferiva ad Aldo Finzi, eletto deputato nella tornata elettorale del 15 maggio 1921. Finzi all’epoca non aveva un ruolo preciso nel partito, anche se doveva essere vicino al capo fascista, come notò Lüdecke. In un’occasione, il 27 ottobre 1921, fu padrino di Mussolini in un duello.21 D’altra parte il futuro duce, secondo alcuni testimoni, gli doveva essere a sua volta legato dal punto di vista politico. Durante il conflitto Finzi era stato molto vicino a D’Annunzio, come sapevano anche gli ungheresi, e aveva compiuto con lui il celebre raid su Vienna. Oltre a essere un famoso eroe di guerra, medaglia d’oro al valor militare, figurò anche come una buona presenza e garanzia dannunziana nel partito e nel movimento fascista. Inoltre era un protagonista dell’aviazione, disciplina privilegiata da Mussolini in questo periodo, che avviò in propo­ sito perfino una rubrica sul suo giornale.22 Nell’occasione del duello di cui Finzi fu padrino, Mussolini lo definì «carissimo amico», ostentando il fatto che fosse stato ufficiale dell’eroica squadriglia dannunziana: al Comandante, tra l’altro, era sempre rimasto legato da un vero e solenne giuramento di fedeltà per­ sonale e dalle sue lettere traspaiono, almeno fino a un certo mo­ mento, affetto e soggezione.23 A Mussolini, Finzi aveva garanti­ to una certa entratura presso il Comandante, che era vitale per il f uturo capo del governo e per questo pare che Mussolini gli do­ vesse essere riconoscente.24 21 Si veda la cronaca di Sandro Giuliani in PDI, 28 ottobre 1921 (O.O., XVII, pp. 431-435) e poi Dopo il duello Mussolini-Cincotti. Una vivace lettera dell’on. Finzi, PDI, 30 ottobre 1921 (O.O., XVII, pp. 201-203), dove è riportata la fra­ se successiva sul «carissimo amico». ·'·’ Sulle varie iniziative anche giornalistiche di Mussolini in questo periodo Archivio generale, f. Finzi Aldo. ’’ È la tesi del biografo «ufficiale» di Finzi (ispirato forse dallo stesso biogra­ fato), Umberto Bottone, alias Auro D’Alba. Cfr. A. d’A., Aldo Finzi, Imperia, Milano aprile 1923. Cfr. le pp. 20-22 (per i rapporti con D’Annunzio) e 26-29 (per il matrimonio e i rapporti con la Santa Sede). D’Alba ripete, a proposito di Finzi, formule come «italiano di schietto metallo» (p. 7), «campione della stirpe» (p. 8), «buon sangue latino, buon sangue italiano» (p. 15). Si veda però anche Cesare Rossi, Trentatré vicende mussoliniane, Ceschina, Milano 1958, pp. 64-66. D’Annunzio si sentì «tradito» da Finzi solo dopo che questi entrò nel governo. Sul carteggio tra i due - e in particolare sul «tradimento» 21 AFVI,

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Dal punto di vista «razziale» e religioso, Finzi era nato da un matrimonio misto tra un ebreo e una donna cattolica, ma era sta­ to battezzato poco dopo la nascita.25 Insomma, era uno di quegli ebrei che Mussolini poteva considerare come «assimilati» dall’I­ talia. A leggere però le memorie del fratello Gino, che ha confer­ mato l’educazione cattolica dei ragazzi Finzi (lui stesso fu battez­ zato poco dopo la nascita),26 «il matrimonio con la nipote d’un Principe della Chiesa meravigliò un po’ coloro che ritenevano Al­ do fosse di religione ebraica»:27 molti dunque lo consideravano ebreo a tutti gli effetti. E da notare poi che anche sposando la ni­ pote del cardinal Vannutelli, Finzi - che nel frattempo era stato nominato sottosegretario al ministero dell’Interno - s’era reso uti­ le a Mussolini. Il futuro duce fu testimone a quelle nozze e nel­ l’occasione rinforzò i suoi rapporti personali con la Curia e diede un chiaro segnale pubblico, da lui stesso sottolineato,28 di voler impostare nuovi rapporti con la Chiesa. Inoltre questo matridella fine del ’22 - si veda Renzo De Felice, D’Annunzio politico. 1918-1938, Laterza, Bari 1978, p. 185; e ora Domizia Carafòli - Gustavo Bocchini Padi­ glione, Aldo Finzi. Ilfascista ucciso alle Fosse Ardeatine, Mursia, Milano 2004, pp. 80-83, 111-113. 25 Nato il 20 aprile 1891, fu battezzato nella parrocchia di S. Martino Vescovo di Legnago il 30 giugno 1891. Si veda il Registro dei Battesimi v. 1891, n. 26. Devo l’informazione al parroco don Silvano Mantovani, che mi ha inviato il certificato di battesimo; ringrazio anche don Alessandro Benini della parroc­ chia di Porto Legnago per l’aiuto fornitomi. Per la conferma della data (ma non è chiara la fonte), cfr. Carafòli - Bocchini Padiglione, Aldo Finzi..., cit., p. 7. 26 II 16 dicembre 1893. Ringrazio Dante Bellinati parroco di S. Giovanni Bat­ tista di Badia Polesine per avermi fornito la notizia. 27 Gino Finzi, Aldo Finzi mio fratello, Quaderni del Museo Civico “A.E. Baruffaldi”, Tip. Checchinato, Badia Polesine 1986, p. 16 (ringrazio Mara Barison del museo di Badia Polesine). Un’informativa al capo della polizia Crispo Moncada, di pochi giorni successiva al defenestramento di Finzi, parlò di Al­ do come di un «battezzato ebreo». ACS, MI, DGPS, DAGR, Atti speciali (18981940), b. 6, f. 33. Informazioni politiche speciali (1923-1926). 28 II discorso che il cardinal Vannutelli tenne in quell’occasione, del tutto favo­ revole a Mussolini, fu trasmesso dall’agenzia «Stefani» a tutti i giornali. Lo stesso Mussolini, con un telegramma, il 22 febbraio si preoccupò di sottoli­ nearne l’importanza alle rappresentanze diplomatiche all’estero. ASDMAE, MCP, DGSE, b. 295, f. Notiziari dal 1° luglio al 31 dicembre 1923. Pratiche relative ai notiziari [si tratta di un fascicolo con un’intestazione errata]; ivi anche le rispo­ ste da varie rappresentanze. Ma si veda anche DDI, s. VII, v. I, p. 385 e, per la ri­ sposta di Londra, p. 391. Cfr. anche Francesco Margiotta Broglio, Italia e San­ ta Sede dalla Grande Guerra alla Conciliazione, Laterza, Bari 1966, p. 115.

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monio poteva confermare un’idea di «assimilazione», per di più ili un «ebreo» in vista. In Italia e anche all’estero, e in ogni caso da diverse persone, Al­ do Finzi era ritenuto ebreo, l’ebreo più importante del fascismo, anche se non del partito, perché non aveva cariche. Si può dunque capire l’imbarazzo manifestato dal comunicato del 22 settembre. Una volta affrontato il tema «ebrei fascisti», Finzi era stato indica­ to come ebreo o quanto meno «incerto», lasciando quindi molti dubbi su ciò che si sapeva effettivamente (da parte dello stesso Mussolini) sulla sua «posizione razziale», o ancora meglio, religio­ sa. Di sicuro, Finzi aveva un evidente cognome «ebraico». In seguito, le nozze con rito cattolico misero probabilmente a tacere qualunque discussione. All’inizio del 1924 Finzi ebbe pu­ re un incarico, non proprio di partito, ma di notevole rilevanza politica:29 fece parte della «pentarchia» che doveva decidere i nomi del «listone» da presentare alle successive elezioni, con le quali ritornò deputato. Ben presto però, a partire dalla metà del 1924, non esistette più una «questione Finzi»: il sottosegretario rimase implicato nel «caso Matteotti», il 14 giugno 1924 diede le dimissioni dal governo, costretto dallo stesso Mussolini, e poi «compromise» in pratica il suo capo con un memoriale e dei te­ stimoni che ne diffusero le notizie.30 Odiatissimo, uscì per sem­ pre dalla vita pubblica fascista, anche se rimase deputato fino al 1928. Nel corso di un suo colloquio riservato con un alto funziona­ rio della Banca Commerciale, databile alla metà del 1925, Finzi lece un’affermazione perentoria, come riferì il funzionario:31 Mi ha detto che il Duce ha una idiosincrasia per gli ebrei ciò che ha costituito una pecca per lui la cui origine è ebraica.

Didier Musiedlak, Lo stato fascista e la sua classe politica. 1922-1943, Il Mu­ lino, Bologna 2003, p. 248. Mauro Canali, Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 359-361. E ora Carafòli - Bocchini Padiglione, Aldo Finzi..., cit., pp. 201-213. " ASI-BCI, ST, cart. 82, f. 4. Il memoriale sulla «Situazione politica» è criptato e fu steso probabilmente da Ugo Baracchi, rappresentante della Commercia­ le a Roma.

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Bisogna sottolineare il termine «idiosincrasia». Dopo il matri­ monio cattolico non avrebbero dovuto esserci più dubbi sulla re­ ligione di Finzi; ma evidentemente perfino l’«assimilazione» con­ fessionale per Mussolini aveva contato in maniera relativa. Dino Philipson era invece di sicure origini ebraiche, ed era sta­ to eletto deputato a Pistoia nelle file del Blocco nazionale (peraltro non nella componente fascista).32 In Parlamento aveva aderito al gruppo parlamentare demo-liberale. Per questo, ma forse non so­ lo, era inviso ai fascisti locali. Si trattava di un possidente bene­ stante e lo chiamavano «l’on. Soldino» ovvero «Re Mida» (non si sa se fosse una delle solite allusioni monetarie all’origine ebraica). All’inizio del 1923, Philipson fu attaccato da un giornale pi­ stoiese, «settimanale della Federazione circondariale fascista», «L’azione fascista»,33 il quale sostenne che aveva salito «le scale di Palazzo Chigi» e aveva contato «delle chiacchiere a S. E. Musso­ lini e alla Direzione del Partito» a proposito di questioni locali: il «Re Mida» Philipson era soprattutto accusato, come ex liberale, di essere troppo poco legato al partito locale e di non aver inve­ stito i suoi soldi a Pistoia. Mussolini, accortosi dell’articolo, ri­ batte con un telegramma al giornale, che seduta stante lo pub­ blicò. Nel telegramma Mussolini negò di aver mai conosciuto Philipson («non ho mai visto l’aw. Dino Philipson, deputato», cosa davvero strana); e aggiunse che lui non faceva ingoiare ai fa­ scisti «dei rospi che assolutamente non vogliono passar loro dalla gola»: «i rospi» li faceva ingoiare ai nemici, non «agli amici». In­ fine, per essere ancora più convincente, convocò il segretario del Fascio di Pistoia, il quale fu autorizzato a inviare, a nome del pre­ 32 Giorgio Petracchi, 28 ottobre 1922 e dintorni. La genesi delfascismo a Pistoia (1919-1925), «Storia contemporanea», a. XXIV, 5, ottobre 1993, pp. 674-675 e 684-685. 33 F. Civinini, Il Re Mida..., «L’azione fascista», 20 gennaio 1923. Seguì un ar­ ticolo del segretario del Fascio di Pistoia, Enrico Spinelli, Per chi non sapes­ se..., «L’azione fascista», 27 gennaio 1923. Il telegramma di Mussolini è ripro­ dotto in Contro la leggenda, «L’azione fascista», 10 febbraio 1923. A proposi­ to di «Azione fascista» ringrazio Alessandra Giovannini e Maurizio Vivarelli della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia. Per tutta la vicenda, si veda anche ACS, SPD, CO, b. 2371, f. 550.181. Philipson on. Dino ex deputato. Pistoia-Empoli. La lettera di Mussolini ai pistoiesi era del 6 febbraio 1923. Per i dati bio­ grafici su Philipson si veda il suo memoriale in ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 55, f. 4222. Dis. Philipson Dino fu Edoardo confinato politico.

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siderite, un amichevole saluto ai concittadini, subito pubblicato su «L’azione fascista».34 Mussolini presidente del Consiglio si schierò dunque con tutto il suo peso, in questa faida interna, con­ tro Philipson, con una netta presa di distanza e senza mezze mi­ sure. Si può aggiungere che nello stesso numero in cui veniva tra­ smesso il saluto (17 febbraio 1923), il medesimo giornale pubbli­ cava un articolo sulle recenti decisioni del Gran Consiglio a pro­ posito della messa al bando della massoneria, che sottolineava a lungo che Mussolini «non poteva ignorare che i cattolici formano la maggioranza dei regnicoli» e che dunque doveva tenerne conto. La vicenda è davvero singolare e si può sul serio pensare a moI ivi non strettamente politici. Dopo poco, Philipson subì varie ag­ gressioni e sgarbi, in apparenza del tutto ingiustificati, da parte di alcuni fascisti locali.35 E sempre con il consenso di Roma. Infine, venne escluso dal «listone» del 1924, che comprendeva anche i fa­ scisti, e secondo notizie apparse in seguito sui giornali36 ciò accad­ de per precisa decisione, di nuovo, di Mussolini in persona. Di lì a poco Philipson passò all’antifascismo e nel 1938 avrebbe subito una condanna al confino per atteggiamento ostile verso le leggi razziali (Finzi invece sarebbe stato internato, ma non come ebreo). Sia Finzi sia Philipson non erano propriamente amati da '4 Per la convocazione e il successivo telegramma di Enrico Spinelli ai pistoie­ si, si veda S.E. Mussolini e il Fascismo Pistoiese, «L’azione fascista», 17 feb­ braio 1923. Sullo stesso numero vedi Filippo Civinini, Fascismo e Massoneria, «L’azione fascista», 17 febbraio 1923. Per le aggressioni di vario tipo, a parti­ re dal 1923, cfr. il saggio di Petracchi, 28 ottobre 1922..., cit., completato con ACS, MI, DGPS, DAGR, 1923, b. 87, f. Gl. Fasci. Pistoia anno 1923. Per un paio di aggressioni subite da Philipson nel 1923 si veda anche: ASPt, Sottoprefettu­ ra, Gab., b. 68. " Una di queste aggressioni fu riferita dal «Popolo d’Italia» il 24 agosto 1923 (ma si veda la smentita il giorno dopo). Per la ricostruzione dell’errata notizia partita da Pistoia si veda il telegramma del sottoprefetto di Pistoia al prefetto di lirenze, del 25 agosto 1923, in ASPt, Sottoprefettura, Gab., b. 68, f. cat. 12.3 Or­ dine pubblico. Partiti e movimenti politici. Vigilanza ed informazioni riservate. Per queste notizie, comparse prima sulla «Nazione» di Firenze, si veda Spunti ed appunti, «L’azione», 11 ottobre 1924. «L’azione», erede di «Azione fascista», sostenne anche che Mussolini in un suo discorso (del 5 ottobre 1924) aveva alluso proprio a Philipson. Mussolini in realtà in quel discorso aveva parlato genericamente di «candidati che non sono entrati nel “listone” perché io li ho respinti» (O.O., XXI, p. 106). Per il confino e alcuni memoria­ li dello stesso Philipson, ACS, MI, DGPS, DAGR, Confinati politici, f. personali, b. 788, f. Philipson Dino.

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Mussolini. Per Finzi la situazione era migliore, probabilmente perché era un ebreo assimilato, ma, come s’è detto, esiste anche la sua precisa testimonianza di una prevenzione nei suoi con­ fronti e proprio perché era ebreo. Il comunicato del 22 settembre provocò diverse reazioni. Se ne indicano due, e di segno opposto, una antisemita, l’altra «fi­ lo-ebraica». Il 10 ottobre l’antisemita «Rivista di Milano», o an­ cora meglio il suo direttore Aristide Raimondi, pubblicò un lun­ go commento.37 Raimondi, a differenza di quanto si può imma­ ginare, criticò il comunicato per la parte in cui il fascismo, se­ condo lui, si dichiarava «deliziosamente agnostico e volutamen­ te nelle nuvole quando poi afferma che la questione dell’antise­ mitismo in Italia non esisterà giammai». Il comunicato non aveva detto affatto questo, ma a un antise­ mita integrale era sembrato in ogni caso troppo morbido. Per essere precisi, la «Rivista di Milano» scrisse: «la questione anti­ semita oggi è sul tappeto e va trattata e col ferro e col fuoco». Il giornale di Raimondi non prese in considerazione la parte vera e propria sugli ebrei nel partito, però poi del PNF sostenne che ha ai suoi margini questi uomini nuovi intemperanti delle disposizioni dei vari esecutivi più o meno centrali e, per natura stessa del loro gio­ vane entusiasmo, trattanti le teorie e praticanti delle medesime con un discreto spirito di ortodossia.

Insomma, si diceva certo che il manipolo di antisemiti nel PNF fosse consistente e vigoroso, anche se solo «ai margini». Come si vede, un comunicato già di per sé antiebraico produs­ se reazioni ancora più estreme. Di quel comunicato parlò, sempre a ottobre, un organo uffi­ ciale del sionismo, la tedesca «Jüdische Rundschau».38 Dal pun37 La Rivista, Fascismo e semitismo, «Rivista di Milano», 10 ottobre 1922, pp. 59-61. Per la «Rivista di Milano» in questo periodo, cfr. De Michelis, Il mano­ scritto inesistente..., cit., pp. 171, 223. 38 Faschismus und Antisemitismus. Eine offizielle Erklärung, «Jüdische Rund­ schau», 6 ottobre 1922. Un cenno all’articolo in M. Michaelis, Gli Ebrei ita­ liani sotto il regime fascista dalla marcia su Roma alla caduta delfascismo (19221945). V, RMI, gennaio-febbraio 1963, p. 22.

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to di vista formale il suo fu un resoconto oggettivo, ma nella so­ stanza già dal titolo (Faschismus und Antisemitismus} era un at­ to d’accusa. Il giornale scrisse che la Direzione del Partito fascista, di fronte alle accuse di antisemitismo sollevate dalla stampa e dalla pubblica opinione si è vista obbligata a emettere un comunicato ufficiale.

Secondo questo articolo, il comunicato sarebbe stato quindi inevitabile a causa delle accuse di antisemitismo che il fascismo aveva raccolto in precedenza. Subito dopo, la «Jüdische Rundschau» riferì una parte del testo del comunicato, ritagliandolo in modo che diventasse ancora più evidente l’avversione per gli ebrei. E infine aggiunse un’ulteriore osservazione, in apparenza neutra ma in sostanza di condanna: Commentando questo comunicato i giornali democratici e socialisti ci­ tano numerosi brani della stampa fascista i quali dimostrano chiara­ mente come le tendenze antisémite, pur non facendo parte del pro­ gramma fascista, siano fortemente diffuse nell’ambiente fascista.

Quali siano stati i giornali italiani «democratici e socialisti» che avrebbero citato brani antisemiti della stampa fascista a tutt’oggi non si sa, anche se ha tutta l’aria di essere una testimo­ nianza attendibile. La «Jüdische Rundschau» si teneva sulle ge­ nerali ma era dura e si dichiarava certa che l’ambiente fascista fosse impregnato d’antisemitismo. Era un’impressione destinata a durare, forse soprattutto all’estero. Sedici anni dopo, alla fine del 1938, uno studioso ebreo, Joshua Starr, ricostruendo in USA le tappe che avevano condotto alle leggi razziali fasciste, ebbe modo di scrivere a proposito di questo periodo: «Durante i tempestosi mesi precedenti alla marcia su Roma del novembre 1922 l’antisemitismo fu uno strumento utile nelle mani dei fa­ scisti».39 Qualcuno non dimenticò. '’Joshua Starr, Italy’s Antisémites, «Jewish Social Studies», v. 1, η. 1, gennaio 1939, p. 106. Starr ricordò gli interventi di Preziosi, della «Rivista di Milano» e del «Popolo d’Italia». Poco prima (p. 105) aveva detto che «Italian fascism has been tinged with antisemitism since its inception».

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In parallelo

Dai due episodi descritti nelle pagine precedenti emerge un Mussolini, in pieno 1922, antiebraico e antisemita. E, insieme a lui, un partito che si colorava delle stesse tinte. Il fatto era stato segnalato da alcuni giornali. E un’immagine storiografica del ca­ po del fascismo e del suo partito, per questo periodo, piuttosto insolita. Tuttavia questi episodi non furono casuali, ma giunsero dopo che Mussolini, a partire dagli inizi del secolo, su questi te­ mi aveva percorso un lungo e labirintico itinerario intellettuale. Il cammino procedette su diversi piani. Molto per tempo Mussolini elaborò, in parallelo ai pensieri sugli ebrei, una com­ plicata rete di riflessioni, di letture, di dichiarazioni e di gesti a proposito della razza e del razzismo, destinata a intrecciarsi con quelle stesse riflessioni e a completarle o a esserne completata. Questo libro vuole appunto ricostruire quell’insieme di dichia­ razioni, prese di posizione, letture e analisi e capirne gli esiti. Si tratterà di mettere a fuoco, quindi, in quale ambiente Mussolini si mosse, quali erano i suoi punti di riferimento e gli interlocu­ tori e come si svolgeva il dibattito e lo scontro intorno a lui: per­ ché una discussione, e piuttosto complessa, su come attrezzare il paese di un pensiero e di una politica razzista e antisemita, in quel periodo indubbiamente ci fu. Per far tutto questo, si procederà lungo due binari paralleli del ragionare e del fare politica di Mussolini: quello razzista e quello specificamente antisemita. Si seguirà inoltre un anda­ mento cronologico, dal Mussolini giovane fino alla presa del potere nel 1922. In questo modo, a un capitolo sull’evolversi delle riflessioni e talvolta delle azioni di Mussolini a proposito di ebrei (cap. 1), ne seguirà un altro, parallelo, relativo alle sue esternazioni sul razzismo (cap. 2). Poi ancora un capitolo sugli ebrei (cap. 3), uno sulla razza (cap. 4) e di nuovo uno sugli ebrei (cap. 6). Il cap. 7 proporrà un’analisi incrociata degli at­ teggiamenti di Mussolini e del fascismo su entrambi i temi, ma in particolare sugli ebrei, nell’anno della «marcia», il 1922. Il cap. 5 sarà invece dedicato ad alcune affermazioni fatte da Mussolini nel 1938 a proposito delle origini del razzismo fasci­ sta. In quel periodo gli si impose la necessità di una «ricostru­

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zione» storica e politica su quanto era successo trenta-quaran­ ta anni prima. Spesso, peraltro, le due questioni - razza ed ebrei - si intrecceranno anche all’interno dei singoli capitoli, proprio perché erano temi tra loro quasi sempre inestricabili. E poi si conside­ rerà l’evoluzione della carriera di Mussolini e proprio in rela­ zione ai cambiamenti dei ragionamenti razzisti. La politica sen­ za dubbio impresse un suo ritmo a quest’aspetto dell’elabora­ zione ideologica mussoliniana; ma vale anche l’inverso. Per i documenti da utilizzare, si sono incontrati alcuni osta­ coli. Di documentazione originale, diretta e personale sui «raz­ zisti» italiani, ce n’è poca. Il motivo di fondo è che nella secon­ da metà del Novecento il razzismo in toto è stato messo al ban­ do, e con difficoltà sono stati conservati o versati agli archivi pubblici fondi privati di «razzisti» acciarati o anche di intellet­ tuali e politici che, all’epoca, sul tema del razzismo condussero analisi, presero posizione, sostennero tesi. In questo senso, ad aggravare la situazione si è aggiunta anche la responsabilità di una «vulgata» storiografica che ha sostenuto che il razzismo in Italia all’inizio del secolo non è esistito, neanche in campo cul­ turale. Era una vulgata fortemente influenzata da uno storici­ smo marxista, De Felice compreso, che mal accettava il passag­ gio da un’interpretazione della politica come lotta di classe a una come lotta di razze: persino quando essa proveniva da mo­ vimenti e regimi «nemici» come fascismo e nazismo. Inoltre esprimeva la ferma intenzione di differenziare in modo marca­ to fascismo e nazismo sul piano del radicalismo ideologico (spesso confondendo gli esiti con le premesse). Quest’imposta­ zione ha influenzato tra l’altro, per quanto riguarda la storia d’Italia, uno studioso straniero di grande spessore e peso, George Mosse, ed è diventata una «vulgata internazionale», l utto ciò non ha certo favorito l’analisi e la conservazione del­ la documentazione «razzista». Per ciò che riguarda gli archivi di ministeri e istituzioni stata­ li, per quanto si sa non si conoscono fondi dell’inizio del Nove­ cento, a disposizione degli studiosi, e che rimandino al razzismo. Mancano per esempio quelli completi degli uffici ministeriali che si occuparono della questione a proposito dell’Africa; o, salvo 57

carte poco significative, il fondo archivistico del Consiglio Colo­ niale,40 istituito nel 1903 col compito di «pensare» tutta la mate­ ria coloniale e alle dipendenze prima del ministero degli Esteri e poi di quello delle Colonie. Per fare invece un esempio che ri­ guarda fondi ora disponibili almeno in buona parte, razzismo e antisemitismo non erano questioni su cui la Pubblica Sicurezza all’epoca indagasse in maniera specifica, perché non erano temi di rilievo sul piano giudiziario e politico. E quindi nella docu­ mentazione di PS non è dato trovare indicazioni generali in pro­ posito. Da singoli documenti, come vedremo, risulta però chiaro che la natura antisemita o razzista di alcuni avvenimenti non sfuggì agli uomini delle istituzioni. Detto questo, la documentazione da reperire, e quasi tutta da interpretare, resta moltissima, gli episodi da portare alla luce numerosi, gli errori palesi da dissipare tanti. Come pure più sfaccettate di quanto si sappia, e da ristudiare a proposito di questi argomenti, appaiono le mentalità e le azioni di molti per­ sonaggi più o meno noti. In questo libro si analizzeranno articoli, discorsi e saggi, mol­ ti dei quali sfuggiti alla scarsa attenzione degli storici o talvolta considerati minori o insignificanti. Si tratta invece per lo più di testi che adesso si riesce a intendere o a decifrare in modo mi­ gliore di prima e proprio perché letti con altri. Il caposaldo documentario per gli scritti veri e propri di Mus­ solini è ancora oggi Γ Opera omnia dei due Susmel, una raccolta che merita rispetto per la pazienza certosina con cui è stata por­ tata a termine e anche perché all’epoca ha usufruito di testimo­ ni viventi, tra cui lo stesso autore, di collezioni di giornali più fa­ cilmente disponibili eccetera. Duole anzi che non sia stata usata di più e meglio in passato. E però anche un’opera «religiosa», condotta da fedeli e seguaci del duce che ne volevano esaltare la memoria: in questo senso, mancano alcuni dei testi più sgrade40 Vincenzo Pellegrini - Anna Bettinelli, Per la storia dell’amministrazione co­ loniale italiana, Giuffrè, Milano 1994, pp. 16ss. Per tutta la materia si veda an­ cora Alberto Aquarone, Politica estera e organizzazione del consenso nell’età giolittiana. Il congresso dell’Asmara e la fondazione dell’Istituto Coloniale Ita­ liano, «Storia contemporanea», 1977, n. 1, pp. 57-119; n. 2, pp. 291-334; n. 3, pp. 549-570.

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voli e compromettenti della produzione mussoliniana, che van­ no perciò riportati alla luce. Inoltre, essa va integrata con un controllo dei singoli pezzi e con un’attenta lettura diretta e com­ pleta dei giornali di Mussolini, piccoli e talvolta minuscoli orga­ nismi editoriali dove la sua mano è visibile al di là degli scritti a lui attribuiti o attribuibili. Nell’insieme, quello di Mussolini, nel campo che si andrà a dissodare, fu un percorso tortuoso, perché era mobilissimo nel­ le scelte, tanto da risultare a volte un opportunista che assecon­ dava tendenze, mode culturali e sentito dire provenienti anche da altri paesi. Per paradosso, il nazionalista Mussolini fu un no­ tevole internazionalista della cultura. In effetti forse a partire dalla sua esperienza di emigrante, forse grazie alla discreta co­ noscenza di alcune lingue straniere, e forse soprattutto per l’in­ ternazionalismo socialista in cui fu immerso a lungo, era straor­ dinariamente attento a quanto succedeva altrove. Anche questo ne faceva un personaggio strano e propulsivo in un’epoca di violenta «mondializzazione» come quella che precedette e seguì la prima guerra mondiale e soprattutto in un paese ancora chiu­ so su sé stesso come il nostro. La continuità di quel percorso razzista, se seguito con molta attenzione, è impressionante. Si può perfino avanzare la tesi che Mussolini sia stato l’intellettuale del Novecento che in Italia e non solo ha scritto (e pensato) più a lungo in termini di razza e razzismo. E vero che ha avuto la fortuna di avere due esegeti fe­ deli come i Susmel, che hanno raccolto per anni tutto ciò che si poteva raccogliere dei suoi scritti. Ma è anche vero che non ri­ sulta che altri personaggi, Hitler compreso, abbiano scritto in maniera positiva, con la stessa continuità, ritmo e talvolta anche respiro, e per quasi quarant’anni, di razza e razzismo. Si tratta­ va di pensieri (e talvolta di azioni) «solidi» e duraturi.

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1. Pallidi giudei (1900-1918)

Popolo della vendetta

Mussolini aveva venticinque anni quando si avventurò in una interpretazione di Nietzsche, del Superuomo e della vo­ lontà di potenza, piuttosto complicata e pasticciata. La pubbli­ cazione del saggio, sulla rivista «Il pensiero romagnolo», av­ venne in tre puntate tra la fine di novembre e il dicembre 1908.1 L’occasione immediata fu un commento a caldo e rapi­ dissimo (la prima puntata uscì una settimana dopo) di una con­ ferenza tenuta a Forlì da uno dei capi del Partito socialista, l’o­ norevole Claudio Treves (che tra l’altro era di origine ebrai­ ca).2 Di sicuro, le tre puntate lasciano intrawedere un qualche precedente approfondimento su Nietzsche. «Mi stavo, allora 1908», disse a un biografo molti anni dopo,3 «definitivamente allontanando da Marx, da Stirner e da ogni suggestione anar­ chica. Nietzsche mi riempiva l’anima». Quanto al fatto che si trattò di una reazione alle parole di Treves, per valutarne bene la portata bisognerebbe disporre del testo della conferenza, che invece non si conosce. Qualche idea però ce la si può fare proprio dai commenti di Mussolini. E poi 1 Benito Mussolini, La Filosofia della forza. Postille alla conferenza dell’on. Tre­ ves, «Il pensiero romagnolo», 29 novembre, 6 e 13 dicembre 1908. O.O., I, pp. 174-184 (in particolare pp. 176-177). ■ Si veda: Conferenza della «Dante Alighieri», «Il pensiero romagnolo», 22 no­ vembre 1908, dove si dice che Treves avrebbe parlato al Teatro Comunale di borii sul tema La Filosofia della forza «stassera alle 20.30». Quel «stassera» ri­ ferito da un settimanale lascia un dubbio sulla data esatta della conferenza. Una citazione alla noticina, ma senza indicazioni bibliografiche, in O.O., I, p. 158. Peraltro De Begnac, riportando la testimonianza di Mussolini, parlò di «alcune conferenze» di Treves su Nietzsche (Yvon De Begnac, Palazzo Veneita. Storia di un regime, La Rocca, Roma 1950, p. 133); ma non s’è trovata trac­ cia di altre. ’ De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., p. 133.

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grosso modo si conosce, anche se non con estrema precisione, il pensiero di Treves in quel momento a proposito del Superuomo e di Nietzsche. Di sicuro, innanzitutto, riteneva la teoria del Superuomo semplicemente antidemocratica. L’aveva scritto nell’articolo commemorativo, in occasione della morte del filosofo.4 In sostanza Nietzsche sogna Cesare: un Cesare intellettuale; e la de­ mocrazia secondo lui, non fa che educare i servi su cui si assiderà Ce­ sare. E di ciò è lieto. È l’idolatra della forza - che tenta di raccogliersi in un sistema filosofico: ma non riesce né nuova né libera.

Qualche mese prima della conferenza di Forlì aveva invece ir­ riso, con qualche tratto di volgarità (sul rapporto tra quella teo­ ria e un supposto sviluppo degli organi sessuali dei tedeschi), la teoria del Superuomo e l’identificazione del germanesimo con essa.5 In proposito si era anche divertito a notare che proprio in quel periodo nella corte imperiale tedesca i giornali avevano «scovato» diversi omosessuali. Qualche tempo dopo (inizio 1913) Treves stesso attaccò il «vano linguaggio della dottrina nietzchiana [rzc] del “superuomo”» incarnato proprio da Mus­ solini, che in quel momento era direttore dell’«Avanti!».6 Al suo biografo De Begnac Mussolini ha lasciato un ricordo della conferenza di Treves come di una notevole occasione d’ap­ prendimento di cui si ricordava ancora diversi anni dopo.7 E forse Mussolini aveva davvero accolto qualche idea di Treves, come disse a De Begnac: per esempio quella che qualsiasi «ri­ voluzione» dovesse essere legata alla «ragione». E del resto il 4 Claudio Treves, Nietzsche, «Avanti!», 3 agosto 1900. 5 Furio, I quarti della nobiltà tedesca, «Il Tempo», 13 luglio 1908. 6 Claudio Treves, La politica della protesta, «Critica sociale», 16 gennaio - 1° febbraio 1913, p. 20. Ma per un articolo successivo di Treves si veda anche Emilio Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Laterza, Bari 1975, pp. 28-29. ' Yvon De Begnac, Taccuini mussoliniani, a cura di Francesco Perfetti, Il Mu­ lino, Bologna 1990, pp. 383-384. Nelle parole trascritte da De Begnac Musso­ lini parlava di «quattro giorni trascorsi a Forlì, nella primavera 1908, presso­ ché interamente allato di Claudio Treves impegnato a presentare Nietzsche e la sua opera ai forlivesi». Come sappiamo, era autunno.

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saggio di Mussolini si intitolava La Filosofia della forza, come la conferenza. In realtà il saggio su «Il pensiero romagnolo», che forse vole­ va essere prima di tutto un semplice «commento» della confe­ renza,8 esprimeva la deferenza necessaria di fronte a un perso­ naggio di quel calibro («ci permetta Ton. Treves...»). D’altra parte il dissenso era evidente e netto a proposito di varie que­ stioni, a partire dai concetti principali. Per esempio Mussolini non accettava l’idea che la «volontà di potenza» fosse l’unica nozione che., contasse nella filosofia di Nietzsche, e neppure l’immagine adolescenziale che Treves aveva dato, probabilmen­ te irridendolo, del filosofo tedesco. In altre parole, Mussolini non aveva accolto affatto bene l’interpretazione di Treves, nel suo insieme ostile verso Nietzsche e verso un’idea di élite «ari­ stocratica» che comanda. Su questo punto, Mussolini aveva al­ tre idee. E qui si coglie un tema su cui il futuro duce stava in effetti ri­ flettendo da qualche tempo: proprio la questione delle élites. Non era un pensiero ancora ben profilato, ma era riconoscibile. Per la precisione Mussolini la sua idea l’aveva già delineata in un saggio sul poeta tedesco (e il fatto che fosse tedesco era im­ portante) Friedrich Klopstock, appena pubblicato sulla rivista di Angiolo Olivetti, «Pagine libere», e scritto qualche mese pri­ ma. In quel saggio scrisse che le élites - e in seguito vedremo con precisione anche da chi gli veniva l’ispirazione - erano un elemento da esaltare.9 I «grandi uomini» in fondo sono conservatori reazionari. Il loro inge­ gno, la loro forma, l’essere in un dato momento i rappresentanti più eletti di una nazione, sono coefficienti che li conducono a dare una specie di atteggiamento profetico o dogmatico, categorico alle manife­ stazioni del loro spirito. Essi tracciano delle linee nell’avvenire dei po­ poli, fissano dei termini da non oltrepassare e quando i popoli vanno oltre, piovono le scomuniche, le maledizioni, le infamie.

N De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., p. 133. '' Benito Mussolini, Lm poesia di Klopstock dal 1789 al 1795, «Pagine libere», 1° novembre 1908. O.O., I, p. 173. Il saggio era datato «settembre 1908».

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I «grandi uomini» trascinavano i popoli che rappresentavano. A questo punto, nel commento di Mussolini si apriva l’ulte­ riore evidente punto di dissenso rispetto a Treves: sugli ebrei, considerati proprio come una «razza».10 Fino ad allora, a proposito di ebrei, negli scritti e nelle azioni di Mussolini è possibile rintracciare solo vaghi riferimenti, tra loro non del tutto concordi. Ci soffermiamo su di essi soprat­ tutto per identificarne l’origine, le influenze subite, le modifica­ zioni di tendenza. II 27 maggio 1903 (a vent’anni), emigrato, aveva partecipato a Berna in Svizzera (crogiolo di movimenti e idee di vario genere) a un comizio contro il pogrom di Kišinev, portando la solidarietà dei socialisti italiani.11 Ma dieci giorni dopo attaccò l’«alta Banca» e i Rothschild (noti ebrei) che fomentavano le guerre: «Gl’inte­ ressi dell’alta Banca spiegano molte strane situazioni», scrisse. Se non era un riferimento antisemita esplicito, molto gli somigliava. Nell’aprile 1907, in un tema di concorso in francese all’Univer­ sità di Bologna, parlò di Heine, dicendo di «amare» «quell’ebreo sfottente (moqueur)», ma allo stesso tempo considerando un gran libro anche la Vita di Gesù di Renan (che peraltro forse non aveva ancora letto per intero).12 Nel marzo 1908,13 *in15tema (nietzscheano) di grandi «sovverti­ tori», su Marx aveva scritto che era «dotato di quella misteriosa potenza di divinazione che la stirpe gli aveva trasmesso». E fu un «pensiero» destinato probabilmente a durare nella sua men­

10O.O.,i, p. 178. 11 Gaudens Megaro, Mussolini. Dal mito alla realtà, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1947, p. 92; per il riferimento, pubblicato su «Il Proletario» il 6 giugno 1903. O.O., I, p. 32. 12 ASUB, Carte riservate, f. Benito Mussolini. Su questo fascicolo si veda Gian Paolo Brizzi, Goffredo Coppola e l’Università di Bologna: uno scomodo caso di continuità istituzionale, «Quaderni di storia», 60, luglio-dicembre 2004, pp. 158-159. Solo il 4 giugno 1907 Mussolini chiese all’amico Alberto Calderara di procurargli due libri su Gesù, uno dei quali era proprio quello di Renan, Vita di Gesù (O.O., I, p. 219). Si trattava di Ernesto Renan, La vita di Gesù, Società Editrice Milanese, Milano s.d. (ma 1906). 15 Benito Mussolini, Karl Marx (Nel 25° anniversario della sua morte), «La Li­ ma», 14 marzo 1908 (O.O., I, p. 101). Di Marx un anno dopo scrisse: «Ha se­ gnato la via al proletariato, la via maestra che conduce alla meta» (M.B., Evo­ luzione sociale e lotta di classe, «L’Avvenire del Lavoratore», 11 marzo 1909. O.O., II, p. 31).

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te, visto che un testimone più tardi riferì che Mussolini diretto­ re deH’«Avanti!», in privato, alludeva a Marx come a «un teori­ co, ebreo e borghese suo malgrado».14 Nel maggio 1908, in un corsivetto sul giornale. «La Lima», aveva ragionato proprio di ebraismo, cristianesimo e romanità: sci mesi dopo avrebbe pubblicato il saggio sulla Filosofia della forzai Mussolini da un po’ di tempo girava intorno alle que­ stioni del cristianesimo delle origini. Sull’argomento avrebbe anche scritto un lungo saggetto andato però distrutto.16 Da buon socialista e bakuniniano, la sua idea del cristianesimo era improntata a una critica della sostanziale «debolezza» di quella religione. Mi sembra che il paganesimo, meglio del cristianesimo, sia riuscito nel suo tentativo di dare agli uomini la forza di resistenza attiva e passiva contro r«irrimediabile» o ritenuto tale.

Così nell’aprile 1907 aveva scritto in un altro tema, allo stes­ so esame all’Università di Bologna.17 Sulla «Lima» invece rispondeva a un contraddittore che so­ steneva che il socialismo avrebbe dovuto trar lezione dall’«evangelismo» cristiano. Il pezzetto del giovane Mussolini era un po’ confuso, frutto, tanto per cambiare, di letture disparate (ma non Nietzsche).18 Tra esse, il romanzo Jesus di Pierre Nahor, pseu­ donimo di un’attrice e autrice della Comédie Française, Emilie H Massimo Rocca (Libero Tancredi), Come il fascismo divenne una dittatura. Storia interna delfascismo dal 1914 al 1925 seguita da La fine e il socialismo di Mussolini, Eli, Milano 1952, p. 40. 11 Vero Eretico, Schermaglie, «La Lima», 9 maggio 1908, O.O., 1, p. 136. 16 De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., p. 132. Mussolini confermò a Giorgio Pi­ ni che l’episodio era autentico. Giorgio Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, ( '.appelli, Bologna 1950, p. 179. 17 ASUB, Carte riservate, f. Benito Mussolini. Invece non verificabile la notizia data da Torquato Nanni secondo cui lui e Mussolini avrebbero a lungo letto e commentato il libro sulla gnosi di G.R.S. Mead, Frammenti di una fede di­ menticata, Ars Regia, Milano 1909. Cfr. Torquato Nanni, Bolscevismo e fasci­ smo al lume della critica marxista. Benito Mussolini, Cappelli, Bologna 1924, np. 160-161. “ il 4 giugno 1907 Mussolini, oltre al libro di Renan, chiese a Calderara anche quello di Pierre Nahor, Jesus (O.O., I, p. 219). Si trattava di Pietro Nahor, Je­ sus. Romanzo, Roux e Viarengo, Torino 1904.

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Lerou,19 verso cui fu sicuro debitore dell’idea, che espresse poi anche altre volte,20 che il cristianesimo avesse avuto origine dal buddismo e dalle religioni dell’Estremo Oriente. Poi si ispirava a un recente libro di grande successo, Gesù Cristo non è mai esi­ stito, dell’avvocato svizzero Emilio Bossi, alias Milesbo:21 Bossi sosteneva che la figura di Cristo era solo il riflesso di un culto solare radicato nel Medio Oriente. Anche in questo modo, co­ munque, Gesù veniva sottratto all’influenza e all’origine ebrai­ ca. «Un’opera profonda, forte», avrebbe detto il giornale di Mussolini (e forse lui stesso) ancora nel maggio 1915.22 Se nel breve pezzo sulla «Lima» non tutto è chiaro, si capisce però almeno che Mussolini all’epoca considerava la religione di Cristo non solo debole e indebolente, ma conservatrice perché scrisse - essa «non ha costruito nulla ex novo». Inoltre, trovò anche modo di sostenere che la parola di Gesù aveva incontra­ to i «deliri religiosi nelle folle di Galilea». L’immagine delle fol­ le di Galilea «deliranti» gli veniva verosimilmente da Ernest Re­ nan, di cui l’anno prima aveva voluto leggere La vita di Gesù, quasi di certo affrontata in una traduzione popolare uscita da poco. Renan aveva anche scritto:23 Il sentimento delle idee intermedie, delle sfumature, rende l’uomo cortese e moderato; ora la mancanza di siffatte idee intermedie è ap­ punto uno dei caratteri più costanti dello spirito semitico. [...] A Ge­ sù, esente da quasi tutti i difetti della sua razza e la cui qualità domi­ nante fu appunto una delicatezza infinita, fu giuoco forza servirsi nel­ la polemica dello stile comune [e cioè senza moderazione n.d.a.].

Qualche mese dopo, alla stessa natura delle popolazioni di Galilea, «deliranti di misticismo e di fanatismo settario» e de­ 19 Per Pierre Nahor - Emilie Lerou, cfr. Catalogue Général de la Librairie Française, t. XIX, rédigé par P. Jordell, Librairie Nillson, Parigi 1909, ad vocem. 20 Cfr. Mussolini Benito, La Pasqua umana, «Il Popolo», 10 aprile 1909 (O.O., II, p. 70). 21 Cfr. Milesbo [Emilio Bossi], Gesù Cristo non è mai esistito, Società Edito­ riale Milanese, Milano 1904, pp. 278ss. Mussolini aveva citato Bossi nel suo dibattito col pastore Tagliatatela nel marzo 1904 (O.O., XXXI11, p. 35). 22 Un amico dell’Italia. Emilio Bossi, PDI, 24 maggio 1915 (anonimo, ma quasi di certo di Mussolini). 25 Renan, La vita di Gesù, cit., p. 187.

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scritte in questo modo da Renan, fece riferimento sull’«Avanti!» un noto pubblicista, Giovanni Bonagiuso. Il tema era delicato: la citazione, lo si vedrà, sollevò un vespaio. Mussolini non era proprio un isolato, anche se, sulla questione, autodidatta. Il suo anticristianesimo in questa fase era molto netto, mol­ to più deH’antisemitismo. E probabile anzi che ne sia stata una delle radici più robuste, ma a quanto sembra precisamente in questo senso: che il cristianesimo era sinonimo di debolezza politica e forse anche di corruzione e, laicamente, bisognava opporvisi.24 Agli ebrei, fino a quel punto, Mussolini aveva in­ vece fatto solo dei rapidi cenni. L’unica cosa che accomunava davvero i passi riferiti a essi era che descrivevano tutti i mem­ bri di quel popolo come dei «diversi», ribelli, capaci di ecces­ si, in qualche caso pericolosi e incontrollabili. In questo senso, Mussolini condivideva quelle tendenze dell’antisemitismo di si­ nistra che è stato indicato come «antisemitismo anticristiano» e che ebbe forti radici in Francia.25 La particolarità di Mussolini era però che dal cristianesimo separava - e lo fece anche in se­ guito - la figura di Cristo, che era in sostanza altra cosa dagli ebrei che avevano dato origine a quella religione. Nel novembre-dicembre 1908, discutendo la conferenza di Treves, invece, sugli ebrei si soffermò parecchio, anche se con qualche impaccio: forse perché era alle prime armi (aveva 25 an­ ni), forse perché il discorso che commentava, nel lungo saggio a puntate di cui s’è detto, era stato tenuto proprio da un ebreo, per di più importante dal punto di vista politico, come Claudio Treves; o forse perché il giovane socialista Mussolini non poteva non schierarsi dalla parte dei deboli, né poteva essere antisemi­ ta in modo esplicito. Treves nella sua conferenza («Treves ricordò questa colpa», scrisse Mussolini) doveva aver detto che Nietzsche aveva parla­ lo dell’«eterna vendetta» cercata dagli ebrei dopo la distruzione ilei Tempio e dopo l’inizio della diaspora; era quella la «colpa» ’ ' Si veda anche la conferenza che Mussolini tenne a Trento nel luglio 1909 (su ( iostantino e Giuliano l’apostata) di cui uscì un piccolo resoconto in «L’Awenire del Lavoratore», 14 fuglio 1909 (O.O., II, p. 293). ' Marc Crapez, La gauche réactionnaire. Mythes de la plèbe et de la race dans le sillage des Lumières, Berg international, Paris 1977, pp. 137-143.

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che il filosofo tedesco aveva gettato su quel popolo. Dalle paro­ le di Mussolini pare anche di capire, ed è più che plausibile, che Treves avesse respinto l’accusa di cercare la vendetta. Mussolini invece la ribadiva in senso solo negativo: L’inversione dei valori morali è stata l’opera capitale del popolo ebreo. I palestinici hanno vinto i loro secolari nemici rovesciandone le tavole dei valori morali. È stato un atto di vendetta spirituale conforme al temperamento sacerdotale del popolo ebreo. Treves ricordò questa colpa - se così può dirsi, che Nietzsche getta sulla nazione errante e melanconica - ma dimenticò di far risaltare che nel pensiero Nietz­ schiano è precisamente Gesù di Nazareth lo strumento, forse incon­ scio, della vendetta spirituale della sua razza e della conseguente in­ versione dei valori morali.

Il passo è sottile. Quel «se così può dirsi» sembra attenuare la concretezza della «colpa», pare un atto di cortesia nei confronti di Treves. Ma non c’è dubbio che si stesse parlando di una «col­ pa» oggettiva e concreta, un’«opera capitale» che si concluse con la «vittoria» dei «palestinici» contro «i loro secolari nemici». Nel 1937, commentando queste pagine con De Begnac, il duce ri­ cordò:26 «Nel conflitto tra il mondo romano ed il mondo cristia­ no, vedevo, con Nietzsche, il trionfo di Gerusalemme». Per la verità, le pagine nietzscheane sull’argomento non erano tutte negative e contro gli ebrei. Per esempio Nietzsche aveva illu­ strato in senso anche positivo il concetto di «eterna vendetta» del popolo ebraico, che provocava sì la sua «conquista» dell’Europa, ma per converso anche l’estrema civilizzazione del continente.27 All’interno della produzione nietzscheana su questo argomen­ to, il futuro duce finiva insomma per ritagliare con cura la parte interpretabile proprio come scritta contro gli ebrei.28 O addirit­ tura forzandola in questo senso. Era, si noti, un notevole cambia­ 26 De Begnac, Palazzo Venezia..., cit. p. 133. 27 Cfr. Friedrich Nietzsche, Aurora. Scelta di frammenti postumi (1879-1881), Adelphi, Milano 1964, pp. 150-152 («pensiero» 205). 28 Léon Poliakov, Storia dell'antisemitismo. IV. L’Europa suicida, 1870-1933, La Nuova Italia, Firenze 1990 (ed. or. 1977), pp. 9-12. Massimo Ferrari Zumbini, Le radici del male. L’antisemitismo in Germania da Bismarck a Hitler, Il Muli­ no, Bologna 2001, pp. 553ss., in particolare pp. 596-597.

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mento rispetto al recente riferimento ai «deliri religiosi nelle folle di Galilea», che richiamavano gli atteggiamenti incontrollabili de­ gli ebrei. La «razza» ebrea ora, dopo la lettura di Nietzsche, era diventata del tutto attiva e consapevole delle proprie tendenze. Il giudizio di Mussolini su quel popolo si faceva ancora più [lalese e grave nelle righe successive: I deboli trionfano sui forti e i pallidi giudei sfasciano Roma. - Ciò che era buono diventa cattivo.

Il termine «pallido giudeo» era stato usato in uno dei più noti Reisebilder {Impressioni di viaggiò) di Heinrich Heine,29 autore (ebreo) che, come sappiamo, Mussolini conosceva50 e citò nello stesso saggio, e che era stato punto di riferimento di Nietzsche. 1 leine, nella sua polemica anticristiana e filoclassica, aveva detto ili Cristo che, «bleicher Jude» («pallido giudeo»), si era presenta­ to «grondante sangue» con la corona di spine e la croce e aveva Il passo è nel viaggio-racconto Stadt Lucca (1830) nel volume dei Reisebilder. Cfr. Heinrich Heine, Werke, b. 6. Reisebilder II 1828-1831, a cura di ( .hrista Stöcker, Akedemie-Verlag Editions du Cnrs, Berlin-Paris 1986, p. 150. Per l’uso, in una traduzione, proprio di «pallido giudeo» si veda Enrico Hei­ ne, Reisebilder. Schizzi di viaggio, trad, di Antonino Cimino Foti, parte II, ( Illesa e Guidant, Milano 1894, p. 271. Nietzsche a sua volta fu un lettore at­ tento di Heine (cfr. Sander L. Gilman, Heine, Nietzsche and the Idea of the lew, in Jacob Golomb [ed.], Nietzsche and Jewish culture, Routledge, London New York 1997, pp. 76-100; a p. 83 il passo di Heine sul «pallido giudeo»). Per l’atteggiamento complessivo di Nietzsche verso Heine (con un elenco di citazioni tratte dal poeta, tra cui non c’è il passo di Stadt Lucca), vedi Hanna Spencer, Heine and Nietzsche, «Heine Jahrbuch», 1972 (11), pp. 126-161. Per il passo sui «pallidi giudei» si veda Luciano Canfora, Marx e Engels sulle clas­ si romane, «Quaderni di storia», gennaio-giugno 1975, p. 147. Di Heine sembra che Mussolini conoscesse in particolare il volume Deutsch­ land, letto forse in tedesco (vedi O.O., XXXIII, p. 26; O.O., I, p. 101 e, nello stes­ so saggio su Nietzsche, p. 179). Il giornale «La Giustizia» diretto prima da Pram­ polini e poi da Treves, nel numero del 18 marzo 1923 raccolse dal «Giornale di Koma» la notizia che da giovane Mussolini aveva tradotto i Reisebilder su richie­ sta di Prampolini stesso, e smentì solo il fatto che quest’ultimo fosse stato mai editore (si trattava di un’anticipazione della biografia di Beltramelli uscita poi da Mondadori; cfr. Antonio Beltramelli, Duomo nuovo, «Giornale di Roma», 17 marzo 1923; la frase era: «traduceva allora, credo per incarico di Prampolini, i Reisebilder di Heine», confermata poi nel libro). Con Pini, nel novembre 1938, in piena campagna razziale, Mussolini parlò di una traduzione solo di «poche poe­ sie» (Pini, Filo diretto..., cit., p. 179). Per un articolo su Heine rivoluzionario si ve­ da Maturino De Sanctis, Arrigo Heine e il socialismo, «Avanti!», 29 luglio 1908.

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rovinato il felice Olimpo degli dei pagani. Mussolini usava «palli­ di giudei» al plurale, dilatando la descrizione a tutta la «razza» e in senso negativo. E probabile che l’attrazione per questo autore gli venisse da Carducci, che ne fu un grande estimatore.31 L’idea di collegare gli ebrei alla malattia, al malessere o alla deformità fa­ ceva da tempo parte della tradizione narrativa e saggistica antise­ mita (e non solo italiana). Forse, in questo modo, Mussolini recu­ perava anche alcuni modi di dire diventati ormai popolareschi.32 Il risultato dell’azione dei «pallidi giudei» era stato pessimo e ne erano responsabili solo e soltanto loro, gli ebrei stessi: aveva­ no imposto le loro fisime morali, i loro «valori spirituali» astrat­ ti, originati dalla loro natura «rabbinica» e opposti a quelli con­ creti, terreni e organizzati dei romani. Ed erano riusciti a di­ struggere un impero. Soprattutto, tramite Cristo, la «razza ebraica» aveva compiuto la sua vendetta. Ancora una volta, come nell’articolo sulla «Lima» e come aveva scritto Nahor-Lerou, il suo Cristo veniva però sepa­ rato dagli ebrei stessi perché aveva imparato dagli asceti indiani. Nella Genealogia della morale Nietzsche aveva parlato della «grande politica della vendetta» degli ebrei;33 Mussolini tornava a 31 Cfr. Conversazioni e divagazioni heiniane (1871-1873) poi in Ceneri e faville, seconda serie (Opere di G.C., ed. naz., vol. XXVII, Zanichelli, Bologna 1938, pp. 119-157,371). 32 Per la tradizione antisemita che descrive gli ebrei come «isterici», «malati e diffonditori di malattie», si veda Sander Guman, The Jew’s body, Routledge, London - New York 1991, pp. 63, 96-97, 176 («il colore della pelle indicava che l’ebreo era diverso e malato»). Sugli ebrei e la malattia nella tradizione ita­ liana si veda anche Lynn M. Gunzberg, Strangers at Home. Jews in the Italian Literary Imagination, Berkeley, University of California Press, Los Angeles Oxford 1992, p. 196. Max Nordau in un famoso discorso al secondo congres­ so sionista del 1898 fece riferimento all’«ebreo da caffè», «pallido e smunto», contrapposto a quello «muscoloso», indicandoli come immagini popolari del­ l’ebreo. Cfr. George L. Mosse, Gli ebrei e la religione civica del nazionalismo, in Francesca Sofia - Mario Toscano (a cura di), Stato nazionale ed emancipa­ zione ebraica, Bonacci, Roma 1992, p. 150. 33 Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 2002, p. 24. Ma si veda anche p. 22, punto da cui Mussolini riprese il concetto della «vendetta sacerdotale». Stando a una recente ricostruzione, questo passo della Genealogia fu sottoposto a critica da Karol Wojtyla in una sua lezione universitaria del 1978 a Cracovia. Wojtyla, appoggiandosi a uno scritto di Max Scheier del 1915, negò che «il risentimento potesse essere al­ l’origine di un’“etica imposta dai deboli” per garantirsi la sopravvivenza». Francesco M. Cataluccio, Il patriota, «Diario», 8 aprile 2005, p. 14.

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ripetere quella parola, «vendetta», definendola come la caratteri­ stica principale di quella «razza», al di là di Cristo. ( lolla caduta di Roma, scompare una società di dominatori - l’unica torse - da che gli uomini lasciarono ai posteri memoria degli avveni­ menti che si svolsero sulla superficie del nostro pianeta. E Roma sentì nell’Ebreo qualche cosa come la contro-natura stessa, come il suo an­ titetico mostro.

Come si può vedere anche da un confronto con l’archetipo nietzscheano, per Mussolini nel 1908 l’antica Roma aveva già un valore autonomo di modello politico e gli ebrei ne erano i prin­ cipali, sotterranei, oppositori. Nella Genealogia della morale^ Nietzsche a proposito di Roma aveva invece scritto: I Romani erano invero i forti e i nobili, come non sono mai esistiti sul­ la terra di più forti e più nobili, e nemmeno mai sono stati sognati.

Per lo scrittore tedesco, Roma era un modello di società d’e­ poca classica, mentre la «società dei dominatori» era un’inven­ zione mussoliniana. Tutti questi passi, poi, sono ancora più pesanti se si pensa che erano rivolti a Treves, forse all’epoca del tutto inconsapevole di queste osservazioni.35 C’è qualcosa di davvero sgradevole in queste pagine rivolte a un capo socialista notoriamente di origine ebraica: gli dicevano, né più né meno, che egli apparteneva a una razza di «vendicatori» che devastava qualsiasi principio costruttivo. E non si trattava tanto di un’avversione verso il ribellismo «ebraico», quanto di un’ostilità contro quella vendetta, compiuta da un’inte­ ra razza, segnata dalle sue tradizioni anticlassiche e «sacerdotali». Per di più la Roma di cui si parlava era la Roma laica delle «ari­ stocrazie», e «le aristocrazie» erano il tema delle pagine di Nietz­ sche che Mussolini aveva letto e interpretato. Era questo il vero obiettivo della distruzione portata dagli ebrei e dal cristianesimo. M Ivi, p. 41. " Megaro raccontò la sorpresa di Claudio Treves, nel giugno 1933, quando seppe che una sua conferenza aveva provocato quel saggio. Cfr. Megaro, Mus\oltni..., cit., pp. 145-146.

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È dunque in una specie di caos, in una gigantesca Cariddi che sprofonda l’organizzazione statale della classe aristocratica.

Mussolini stava citando Nietzsche e il Superuomo (e forse ri­ sentiva anche di Bakunin,36 e soprattutto dell’intermediario Emilio Bossi, che aveva scritto una pagina quasi identica),37 ma a modo suo, alludendo ai ceti dirigenti. E un branco di biondi animali da preda - è una razza di signori e di conquistatori che si getta sulle popolazioni limitrofe, disorganizzate, deboli, nomadi.

Questi erano i termini usati da Nietzsche e citati da Mussoli­ ni per descrivere la nascita dell’organizzazione statale attraverso le nuove aristocrazie - di potere e razziali allo stesso tempo. Come s’è considerato nel pezzo a proposito di Klopstock, or­ mai Mussolini aveva in testa l’idea che le «aristocrazie» intese come ceti dirigenti fossero una buona cosa e che rappresentas­ sero al meglio e in svariati campi i loro popoli: l’anno successivo avrebbe parlato di «futura razza dei dominatori» a proposito dell’aviatore Louis Blériot38 che aveva attraversato la Manica in aereo. Non è un caso che, in quegli stessi giorni, H.G. Wells, proprio commentando l’impresa, avesse sostenuto che Blériot aveva decretato «la fine della democrazia naturale».39 36 Michele Bakounine, Dio e lo Stato, pref. di Filippo Turati e Leonida Bisso­ lati, Ed. della Rivista «L’università Popolare», Milano s.d. (ma 1914). La prima di numerose edizioni successive era del 1882. Tra le varie citazioni che Mus­ solini fece di Bakunin in relazione alla religione, si veda quella dell’agosto 1903 (O.O., I, p. 38); poi citò Dio e lo Stato in un articolo sulr «Avanti!» del 18 luglio 1912, riferendosi proprio alla prefazione di Bissolati (O.O., IV, p. 173). Per Bakunin erano tre gli elementi costitutivi del cristianesimo: la metafisica dei greci, la «brutalità» dell’impero romano e il dio degli ebrei (Dio e lo Stato, cit., pp. 128ss.); per lui non erano dunque stati in particolare gli ebrei, e tanto meno solo loro, a corrompere l’impero. 37 Cfr. Milesbo [Emilio Bossi], Gesù Cristo..., cit., pp. 286ss. a proposito della crisi dell’impero creata dal cristianesimo. 38 Benito Mussolini, Gli uomini del giorno. Blériot, «Il Popolo», 28 luglio 1909 (O.O., II, p. 194). Nello stesso articolo parlò anche del «genio e del coraggio latino». Per Mussolini e i «campioni» dell’aria, cfr. Mattioli, Mussolini aviato­ re..., cit., pp. 26-27. 39 George L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Bari 1998, p. 133.

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Si tornerà su questa terminologia, per analizzare gli articoli dove la questione è sviscerata con più chiarezza. Però una nota­ zione non può mancare: Mussolini stava sostenendo che gli ebrei e il cristianesimo avevano «corrotto», con i loro valori mo­ rali, il ceto dirigente dell’impero, la grande e laica «società di dominatori», che proprio in seguito a ciò era andata in pezzi. Diciassette anni dopo, nel giugno 1926,40 Margherita Sarfatti dedicò ben cinque sorprendenti pagine della sua biografìa ita­ liana, Dux, ai lontani articoli su «Il pensiero romagnolo» del 1908.41 Letto nel 1926, quando l’esaltazione di Roma era già lanciata sul piano ufficiale, quel testo doveva apparire ancor più antiebraico, persino nella pudica versione fornita da Margheri­ ta, la quale ne citò la parte un po’ criptica sui «pallidi giudei» che sfasciavano Roma, e cassò invece quelle sull’«inversione morale» e sull’ebreo «antitetico mostro»; parlandone comun­ que con gran disinvoltura. La prima originaria edizione di questa biografia era inglese e americana ed era stata diffusa nel settembre-ottobre 1925:42 si trattava di un’edizione assai diversa rispetto al testo italiano, uscito nove mesi dopo e in parte rifatto.43 E interessante notare che nell’edizione inglese, gli articoli del 1908 vennero descritti e commentati in sole due pagine e senza alcuna menzione della parte sui «giudei».44 Il rapporto tra «guerrieri», «warriors» (che non erano ariani), e «schiavi», «slaves», era altresì del tutto ge­ nerico e pressoché incomprensibile. Può darsi che fosse un ta­ 40 L’autorizzazione definitiva di Mussolini, che aveva scritto la prefazione, fu data per telegramma il 30 maggio. AFM, fondo Arnoldo, Autori, b. 93, f. Sar­ fatti Margherita. 16.7.23 - 19.8.30. 41 Margherita G. Sarfatti, Dux, Mondadori, Milano 1926, pp. 100-105 (in par­ ticolare p. 102). Per la datazione di Dux, che la Sarfatti iniziò a scrivere alla fi­ ne del 1923, cfr. Simona Urso, Margherita Sarfatti. Dal mito del Dux al mito americano, Marsilio, Venezia 2003, p. 160. 42 Margherita G. Sarfatti, The Life ofBenito Mussolini, Stokes, New York 1925 (l’ed. inglese di Butterworth è identica). 41 AFM, fondo Arnoldo, Autori, b. 93, f. Sarfatti Margherita. 16.7.23-19.8.30. Nel fondo, due lettere diverse, del 26 agosto e del 12 ottobre 1925, indicano entrambe che il testo italiano era «in composizione». Sembra di capire che, per motivi che non conosciamo, esso fu mandato in tipografia due volte o che fu fermato. 44 Margherita G. Sarfatti, The Life of Benito Mussolini, cit., pp. 141-142.

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glio voluto dal traduttore, ma intanto il riferimento agli ebrei era saltato. Inoltre, mentre nella versione in inglese alla Sarfatti quel lon­ tano saggio era sembrato «memorable» e indicativo delle future idee di Mussolini, in quella italiana, otto mesi dopo, era piaciu­ to sì e no; ma non tanto per il riferimento agli ebrei, quanto per­ ché il Superuomo di cui parlava Mussolini avrebbe avuto un’a­ nima violenta, trecentesca e non l’anima rinascimentale (e dan­ nunziana) che Margherita sognava per il suo duce. Nel frattem­ po, tra la fine del 1925 e l’inizio del 1926, erano state approvate varie leggi «fascistissime» e forse questo era un suo personale commento (o dissenso).45 La Sarfatti poi aggiungeva serafica (e forse in modo voluto), a proposito dell’uomo italiano del Tre­ cento e Cinquecento, che si trattava dei «due spiriti della stir­ pe». Italiana, ovviamente. Queste riflessioni, come si vedrà, venivano assai da lontano, ed erano, forse, perfino antecedenti rispetto a quelle analoghe di Mussolini. In ogni caso, quelli considerati sono brani del tut­ to omogenei all’appoggio per molti versi incredibile che questa notevole intellettuale continuò a dare per anni al suo mito in­ carnato, anche dopo che questi aveva fornito chiare e abbon­ danti manifestazioni pubbliche di antiebraismo e antisemitismo, sullo stesso giornale dove lei scriveva. Per quanto riguarda invece Mussolini stesso, un suo tardo commento agli articoli del 1908 è da intrawedere nelle pagine della biografia scritta da Yvon De Begnac, che a lungo e più vol­ te negli anni Trenta e Quaranta ebbe le sue confidenze persona­ li in vista della stesura di quel testo. Nel secondo volume, a que­ gli articoli del 1908 su Nietzsche furono dedicate ancora una volta ben cinque pagine di analisi, e poi essi furono ristampati per intero in fondo al libro:46 tutto su ordine preciso dato da 45 L’edizione italiana contiene un riferimento alle leggi «fascistissime [...] del­ l’autunno 1925, e dell’inverno 1926» che nell’edizione in lingua inglese ovvia­ mente non c’era (Margherita G. Sarfatti, Dux, cit., p. 284; ma cfr. Cannistraro - Sullivan, Margherita Sarfatti..., cit., p. 690). 46 Ivon De Begnac, Vita ai Mussolini. II. La strada verso il popolo, Mondadori, Milano 1937, pp. 101-105; in particolare p. 104; e poi 271-284. Un’origine del saggetto indicata nelle pagine di De Begnac sarebbe stata la reazione di Mus-

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Mussolini nel giugno 1935, e prevedendo la pubblicazione in capo a due anni (il libro in effetti uscì nel gennaio 1937). Non preoccupatevi della loro intonazione poco favorevole al Cristia­ nesimo in genere ed al Cattolicesimo in particolare. Mussolini è una cosa. Lo spirito dei Trattati Lateranensi un’altra. Nel 1937, spero si potrà parlare di cose accadute trent’anni prima, senza troppo urtare la suscettibilità dei contemporanei.

Si può aggiungere che Mussolini diede «il via ufficiale» all’inlera biografia di De Begnac il 21 giugno 1935, come lo stesso autore scrisse a Mondadori,47 proprio quando gli fece conse­ gnare, attraverso Ciano, quegli articoli: si può dunque pensare che sia stata una pubblicazione forse, addirittura pilotata, ma certo largamente pensata in previsione dell’evolversi della poli­ tica razzista del fascismo (difficile pensare a una prevista evolu­ zione, invece, nei rapporti con la Chiesa).48 Quelle pagine di De Begnac miravano a sostenere che dallo scritto del 1908 («profetico») sarebbe scaturito per intero il suc­ cessivo itinerario mussoliniano, che avrebbe identificato - scrisse la via della «ribellione che trascendeva l’individuo e si identifi­ cava nella razza».49 In più - e potrebbe essere stata un’altra osser­ vazione passata a De Begnac da Mussolini - veniva notato che era proprio questo (1908) il periodo della nascita in Europa (Germa­ nia, Francia) dei movimenti razzistico-imperialisti e del coloniali­ smo più marcato, e che il saggetto era stato in linea coi tempi. Era­ no pagine senza dubbio fortemente condizionate dal biografato. Tornando al 1908 e agli anni immediatamente successivi, Mussolini non si dimostrò in particolar modo antisemita, ma solini contro il pacifismo di Teodoro Moneta, il premio Nobel per la pace. Ma Mussolini scrisse contro Moneta solo in epoca successiva (1914). Vedi O.O., VI, pp. 171 e 316. ' AFM, fondo Arnoldo, Autori, b. 7, f. Begnac, Ivon de. La lettera era del 25 giugno 1935, il giorno in cui Mussolini chiamò De Begnac e gli restituì le boz­ ze dei primi due volumi della biografia «con pochissime correzioni nel testo, nessuna nei documenti». ' De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., pp. 133-134. Mussolini passò il testo a De Begnac attraverso Celso Luciano, capogabinetto della Stampa e Propaganda. " Cfr. De Begnac, Vita di Mussolini. II..., cit., p. 104.

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nella grana dei suoi scritti si percepisce verso gli ebrei come un’ostilità sedimentata - si può ben dire atavica - anche se con­ trollata. Sono dei guizzi, ma molto precisi. Come se fosse un suo netto e persistente pensiero. Così per una novella50 pennellò un poco piacevole personag­ gio, un «rigattiere ebreo» che viveva in un «ghetto» e aveva il «naso grifagno da semita autentico», secondo la tradizione po­ polare antisemita che Mussolini dimostrava di seguire. Di lì a poco, tra il gennaio e il maggio 1910, pubblicò a puntate sul giornale trentino del socialista Cesare Battisti, «Il Popolo», un romanzo d’appendice, Claudia Particella, l’amante del cardina­ le, dove di nuovo fece un’apparizione sintomatica un poco onorevole «naso adunco» di alcuni poco simpatici «legulei» di secondo piano e dove poi si legge una piccola tirata di sapore renaniano contro «i dottori della legge ebraica» che avrebbero rimproverato Gesù perché faceva miracoli il sabato.51 E infine vi si parla della «legge vecchia del popolo ebraico» che aveva condotto alla lapidazione di Maria di Magdala.52 Sono episodi limitati, marginali, che però sembrano confermare un dato che, come si è visto, affiorava già nel 1908: nell’antiebraismo mussoliniano di quel periodo sussisteva anche una vena popolare­ sca, forse condita con romanzi d’appendice e simili. Del resto, s’è visto che in questo campo le fonti mussoliniane certe erano davvero assai varie. Poco dopo Mussolini ribadì, peraltro in maniera ambigua, l’idea di Nietzsche {Al di là del bene e del male} che Cristo, que­

50 Mussolini Benito, Convegno supremo, «Il Popolo», 24 febbraio 1909, O.O., II, pp. 16-17. Quanto al «naso grifagno» e poi quello «adunco» come tipologia dell’«ebreo», cfr. The Jewish Nose di Sander Gilman, in Gilman, The Jew’s body, cit., pp. 169-193. Per la letteratura popolare sul «ghetto» vedi Gunzberg, Strangers at Home..., cit., pp. 184ss. 51 Si cita dall’edizione in O.O., XXXIII, pp. 50 e 60. 52 O.O., XXXIII, p. 96. Un monologo ai uno dei protagonisti del romanzo, il cardinal Mandruzzo, colloca il tentativo di lapidazione e l’intervento di Cristo durante la «festa di Purim». Il repubblicano Giovanni Bovio aveva scritto (1894) un dramma teatrale intitolato Cristo alla festa di Purim, ha detto Mario Toscano, «concepito in “funzione antiecclesiastica” con incidentali punte an­ tisemitiche» (Mario Toscano [jr], Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni, Angeli, Milano 2003, p. 35).

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sta volta definito «dallo squisito profilo semitico»53 - poteva es­ sere un riferimento preso, magari di seconda mano, da Cham­ berlain54 - era stato il principio della «rovina» per Roma, «la società dei forti». Poi citò con favore (maggio 1910) il libro di Paolo Orano, Cristo e Quirino?5 che aveva suggerito l’esisten­ za di una separazione netta e «inevitabile» tra cristianesimo ed ebraismo, ovvero, come Orano ripeteva, tra mondo della vita (cristiano) e mondo della morte (ebraico). Era un’altra sugge­ stione carducciana56 - e antisemita: «Addio, semitico nume! Continua / nei tuoi misterii la morte domina» era un celebre verso delle Odi barbare.51 Del resto, anche Nahor-Lerou e Bos­ si avevano suggerito una separazione (ma diversa) tra le due religioni. il libro di Orano fu una probabile fonte di ispirazione di altri scritti antiebraici, anche di autori «democratici».58 E comunque ' Mussolini Benito, La Pasqua umana, «Il Popolo», 10 aprile 1910 (O.O., li, np. 69-71). In quest’occasione citò anche il libro di Emilio Bossi. 1 Per la descrizione da parte di Chamberlain di un Cristo «ariano», ma con «tratti semiti», cfr. Geoffrey G. Field, Evangelist of Pace. The German Vision o) Houston Stewart Chamberlain, Columbia University Press, New York 1981, p. 183. In proposito Chamberlain scrisse un articolo, Christus eine Germane, «Die Zukunft», 23 gennaio 1904, pubblicato dunque dalla rivista di Maximi­ lian Harden. ” M., Andrea Costa in un libro di Paolo Orano, in «La lotta di classe», 21 mag­ gio 1909, O.O., III, p. 96 (Mussolini aggiunse: «libro che gli Accademici d’I­ talia fingono d’ignorare pour cause»). Il libro, uscito nel 1895 col titolo II pro­ blema del Cristianesimo, fu ripubblicato nel 1909 a Foligno, dall’editore Cam­ piteli col titolo Cristo e Quirino. Come ha riassunto De Felice, esso «dimostra perché gli ebrei sarebbero congenitamente pessimisti, paurosi della morte, afi1 itti da un senso di colpa, mistici, ecc.» (Renzo De Felice, Storia degli ebrei ita­ liani sotto ilfascismo, Einaudi, Torino 1993 [nuova ed. ampliata], p. 44). 1‘‘ Da In una chiesa gotica (1876); cfr. Opere di Giosuè Carducci, ed. naz., v. IV, Odi barbare e Rime e ritmi, Zanichelli, Bologna 1935, p. 39. Si veda anche An­ drew M. Canepa, Ilimmagine dell’ebreo nelfolclore e nella letteratura del postnsorgimento, RMI, maggio-giugno 1978, p. 390. Per Carducci, si vedano anche le Polemiche sataniche (Opere, vol. XXIV, Confessioni e battaglie, I serie, Zani­ chelli, Bologna 1937, p. 461). Mussolini aveva già citato le Odi barbare a proposito del «verbo di Gesù che re­ ca tristizia» nel saggio su Nietzsche sul «Pensiero romagnolo» (O.O., I, p. 182). Una tesi simile (amore cristiano contro ferocia ebraica) fu ripresa da Gu­ glielmo Ferrerò nel 1898 in L’Europa Giovane. Studi e viaggi nei paesi del Nord, Ireves, Milano 1898, p. 404. Cfr. anche Anna Rossi Doria, «Antisemitismo de­ mocratico» e «mito del bravo italiano»: alcuni esempi storici dell’intreccio fra due pregiudizi, «Rassegna italiana di sociologia», aprile-giugno 1996, p. 263.

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si trattò di un bel prodromo del futuro antisemitismo del suo autore, diventato assai noto dal 1937 in poi per aver a suo modo avviato, con il libro Gli Ebrei in Italia, la pubblica campagna an­ tisemita fascista. Mussolini si lasciò anche andare (luglio 1910) a una battuta greve e gratuita nei confronti del presidente del Consiglio e mi­ nistro dell’Interno Luigi Luzzatti: «è vecchio ed è ebreo», per intendere che aveva troppe e penalizzanti «preoccupazioni d’ordine morale»59 - come si ricorderà le stesse attribuite da Nietzsche agli ebrei nell’antica Roma. Luzzatti, come ministro, il 16 giugno aveva emesso una circolare contro le pubblicazio­ ni pornografiche che aveva condotto ad alcuni sequestri di libri e cartoline oscene.60 Per Mussolini si era trattato di un «ecces­ so di zelo puritano». Il suo «ebreo» a questo punto si connota­ va come un individuo le cui eccessive «fisime morali» finivano per disgregare la vita concreta. La formula secondo cui esisteva un’antica «astrazione semiti­ ca» avversa alla concretezza classica di greci e romani in Italia risaliva, anche questa, per lo meno a Carducci.61 Qui però si trattava di altra cosa, una critica alla «moralità» degli ebrei nel loro insieme. Un’idea pressoché identica - «un carattere nazio­ nale degli ebrei è lo spirito etico, la passione per la critica mora­ le della società e per la vivisezione delle sue menzogne»62 - l’a­ veva avanzata Gugliemo Ferrerò qualche anno prima, ma senza 59 Miscellanea, «La lotta di classe», 9 luglio 1910 (O.O., III, pp. 143-144). La circolare aveva fatto, secondo Mussolini, «l’interesse del clero» (l’«Avanti!» intervenne su queste circolari solo più tardi; vedi Guglielmo Alterocca, Le cir­ colari Luzzatti. La pornografia e la coscienza estetica, 14 novembre 1910). Pe­ raltro è da segnalare, di qualche mese dopo, il resoconto fatto da Mussolini di una conferenza dell’ebreo Fabio Luzzatto. Anche se aveva parlato in un’assise del Partito repubblicano, Luzzatto aveva mostrato una benevola condi­ scendenza verso i socialisti; e Mussolini lo ripagò scrivendone in maniera po­ sitiva (b.m., La conferenza Luzzatto, «La lotta di classe», 8 aprile 1911, O.O., III, pp. 345-348). Mussolini poi ricordò questo comizio in un anonimo Alle prode del Rubicone, «Avanti!», 22 ottobre 1913, molto aspro perché il repub­ blicano Luzzatto si era piegato a Casa Savoia. 60 «Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Interno», 1° luglio 1910, parte I, pp. 867-869. 61 Cfr. Mauro Raspanti, “Noi, nobile razza ariana”. Giosuè Carducci e il mito ariano, «Razzismo & Modernità», 1 (2001), p. 47. 62 Ferrerò, L’Europa giovane..., cit., p. 358.

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trasformarla in un tratto negativo e dissolvente, come stava fa­ cendo Mussolini. Ancora - maggio 1911 - Mussolini, nel corso di una confe­ renza su Marx di cui è sopravvissuto un riassunto,63 fece una strana esposizione della spiegazione data secondo lui dal filo­ sofo di Treviri dell’esistenza stessa dell·antisemitismo. Marx avrebbe sostenuto che si trattava di una pura «ragione d’inte­ resse e di rivalità economica». In questo caso non sembra che Mussolini avesse letto o capito davvero Marx, visto che questi, nella celebre Questione ebraica, aveva fatto del dato economi­ co proprio il punto di saldatura (e non quello di scontro) tra ebraismo e cristianesimo; e senza mai accennare all’antisemi­ tismo.64 Come è noto, ancora si discute sul perché Marx, ebreo e ni­ pote di rabbini, abbia scritto quel testo, che fu la risposta a un altro opuscolo, di Bruno Bauer.65 Ma se non è chiaro fino in tondo il perché, sono evidenti le conseguenze. La sostanza del­ lo scritto fu di indicare gli ebrei come origine della società mo­ derna in quanto società del denaro. L’identificazione compiu­ ta da Marx dell’«ebreo» col «denaro», il Geldmensch, era completa: «Il denaro è il generoso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere», era una delle celebri fra­ si del suo libretto.66 La conferenza fu tenuta a Cesena il 1° maggio 1911 e venne riassunta da «Il Cuneo», 6 maggio 1911 (O.O., III, p. 366). M Cfr. Karl Marx, La questione ebraica. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, Editori Riuniti, Roma 1998 (1“ ed. 1954), p. 45. Sulla na­ scita deU’antisemitismo economico - che non interessò Marx - cfr. Léon Po­ liakov, Storia dell’antisemitismo. III. Da Voltaire a Wagner, La Nuova Italia, Fi­ renze 1975, pp. 450-456. Su Marx si veda zw, pp. 483-493. Ma anche Massimo Massara, Studio introduttivo, in AA.W., Il marxismo e la questione ebraica, te­ sti scelti, presentati e annotati da M. Massara, Ed. del Calendario, Milano 1972, pp. 47-82. Cfr. anche Enzo Traverso, Les marxistes et la question juive. Histoire d’un débat (1843-1943), Kimé, Parigi 1997, pp. 37-47. Per lo studio fondamentale, cfr. Edmund Silberner, Was Marx an Anti-Se­ mite?, «Historia Judaica», aprile 1949, pp. 3-52, poi in Idem, Sozialisten zur ludenfrage. Ein Beitrag zur Geschichte des Sozialismus von Anfang des 19. Jahrhunderts bis 1914, Colloquium Verlag, Berlino 1962, pp. 107-142; si veda nure la bibliografia in Julius Carlebach, Karl Marx and the Radical Critique of Judaism, Henley, Routledge & Kegan, London-Boston 1978, pp. 438-449. ' Marx, La questione ebraica..., cit., p. 43.

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Non è chiaro a quale testo Mussolini alludesse nel maggio 1911, ma più che altro pare si riferisse alla tradizionale idea dell’antise­ mitismo nato dalla potenza economica ebraica e dalle frizioni che essa creava; e forse anche a una sua personale idea in proposito. I riferimenti di Mussolini agli ebrei in questo periodo erano disseminati qua e là nei suoi scritti, in modo piuttosto occasiona­ le, senza violenza, ma spesso con un tono acre. Di sicuro, non di­ mostravano mai la minima simpatia per il popolo della diaspora.

Cattolici, laici, socialisti

A proposito di antiebraismo e di antisemitismo, l’Europa a questo stadio aveva già conosciuto il caso Dreyfus, il pogrom di Kišinev e l’antisemitismo del borgomastro di Vienna, Karl Liiger. Manifestazioni pubbliche del genere in Italia non ci furono e ciò contribuiva a consolidare l’impressione di una generale e completa tolleranza. Invece non era così. In effetti all’epoca in Italia esisteva un diffuso antiebraismo sociale e politico. Non era un fenomeno caratterizzato da vio­ lenza, forse soprattutto a causa delle dimensioni modeste della comunità ebraica italiana. Ma lasciava lo stesso intrawedere una discreta virulenza, talvolta segnalata dagli organi di stampa «ebrei».67 Oggi se ne riescono a identificare abbastanza bene tre filoni per dir così «politico-culturali», uno cattolico, uno lai­ co e uno socialista. Quanto all’antisemitismo cattolico relativo al periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, comincia ormai a essere studiato e conosciuto.68 Diffuso a intermittenza ma piut67 Per una rassegna di manifestazioni antisémite e per le denunce in proposito degli organi di stampa «ebrei», in particolare il «Corriere israelitico», cfr. so­ prattutto Toscano [jr], Ebraismo e antisemitismo..., cit., pp. 33-47. 68 Per la bibliografia si veda innanzitutto Andrew M. Canepa, Cattolià ed ebrei nell’Italia liberale (1870-1915), «Comunità», aprile 1978, pp. 43-109. Dopo Ca­ nepa, per testi più recenti, si veda Les racines chrétiennes de ΐantisémitisme poli­ tique (fin XIX'-XX^ siècle), sous la direction de Catherine Brice et Giovanni Mic­ coli, Ecole française de Rome, Roma 2003, con ricca bibliografia (in particolare si segnala il saggio di Tullia Catalan, Le reazioni dell’ebraismo italiano all’antisemi­ tismo europeo, pp. 137-162). Per un caso particolare di stampa antisemita si veda

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tosto largamente nella pubblicistica,69 nella letteratura e nella politica, lascia supporre un certo consenso popolare. Dopo che alla fine dell’Ottocento sembrò indebolirsi, l’antisemitismo cat­ tolico conobbe nuove fiammate nel corso delle campagne per le elezioni politiche e amministrative, contro qualche candidato ebreo. Le manifestazioni erano diverse, dalle più becere (com­ preso il riferimento all’omicidio rituale compiuto dagli ebrei) a quelle un po’ più sofisticate, come l’accusa agli ebrei in blocco di essere massoni, filosocialisti, libertari, sovversivi. Il settore «laico» e per lo più liberale ebbe anch’esso, come scrisse all’epoca Dante Lattes, qualche «voce un po’ molesta» che sosteneva la nota «pericolosa» separatezza degli ebrei.70 An­ che in questo caso, la documentazione che possediamo ci dice che le fiammate antiebraiche emersero pubblicamente in parti­ colare nel corso delle campagne elettorali, che erano talvolta esasperate e dove gli insulti erano frequenti.71 Un’occasione che si dovette profilare come ghiotta per l’anti­ semitismo nostrano, soprattutto in vista della preparazione di una nuova guerra «nazionalistica», quella di Libia, fu, in appa­ renza, di portata modesta: la «missione anglo-ebraica» che, su mandato di alcune organizzazioni ebraiche, nel luglio 1908 cercò di verificare se era possibile una colonizzazione agricola in Cirenaica da parte di ebrei profughi dalla Russia. Tanto risultò alle autorità italiane, che seguirono la vicenda con notevole atperò Luigi Urettini, Stereotipi antisemiti ne «Il Mulo» (1907-1925), in Alberto Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia. 18701945, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 293ss. Per un articolo (1902) e un discorso (1906) di Alcide De Gasperi contro i «capitalisti-ebrei», cfr. Luigi Sardi, Battisti Degasperi Mussolini. Tre giornalisti all’alba del Novecento, Curcu & Genovese, Trento 2004, pp. 422,428-429. 111 In particolare Wiley Feinstein, The Civilization of the Holocaust in Italy. Poets, Artists, Saints, Anti-Semites, Fairleigh Dickinson University Press, As­ sociated University Presses, Madison-Teaneck-London 2003, pp. 153-155. " Così Dante Lattes (Uw commento della «Nuova Antologia», «Corriere israe­ litico», 1899, f. 6), a proposito di alcuni articoli della «Nuova Antologia» dell’agosto-settembre 1899. L’articolo di Lattes fu ristampato in Nel primo cente­ nario della nascita di Dante Lattes, RMI, settembre-ottobre 1976, pp. 56-61. 71 Si veda per esempio l’episodio di Borgotaro, nel corso della campagna elet­ torale del 1904, per cui la liberal-moderata «Gazzetta di Parma» attaccò il candidato conservatore proprio perché ebreo e quindi massone e anticlericale. Cfr. Canepa, Cattolici ea ebrei..., cit., pp. 70-71.

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tenzione.72 Alla fine si dimostrò una colonizzazione impossibile. I giornali reagirono l’anno seguente, quelli italiani nel mese di maggio.73 Fu una reazione di tipo nazionalistico, ostile all’intromissione inglese in una parte del Mediterraneo che avrebbe do­ vuto essere sotto influenza italiana (e di lì a poco ci fu in effetti l’invasione della Libia). Gli «ebrei», e cioè la Jewish Territorial Organisation che aveva promosso l’iniziativa (ma si parlò pure di Rothschild), venivano così accomunati agli inglesi in un’ope­ razione ostile verso l’Italia. Appare estremamente probabile che proprio questa polemica abbia a sua volta fornito qualche spunto all’avvenimento politi­ co più rilevante in cui, in quegli anni, l’antiebraismo emerse in Italia: e cioè alcune reazioni che si registrarono intorno al 19111912 nel movimento nazionalista, per la precisione nell’Asso­ ciazione nazionalista italiana, che ancora non era un partito ma una federazione politica. L’occasione fu la guerra di Libia contro la Turchia, quando alcuni giornali accusarono gli ebrei di fare il gioco dei turchi, sul piano sia politico sia finanziario. Il motivo sarebbe stato il sup­ posto appoggio fornito dalla «comunità ebraica internazionale» alla causa turca.74 E forse pesarono anche più recenti notizie, Gabinetto 1908-14, casella 39, f. 504. 1909. Banco di Roma azione inglese in Tripolitania e Cirenaica. Un cenno alla vicenda in Renzo De Felice, Ebrei in un paese arabo. Gli ebrei nella Libia contemporanea tra colo­ nialismo, nazionalismo arabo e sionismo (1835-1970), Il Mulino, Bologna 1978, p. 45. 75 Gli articoli comparvero sul «Daily Mail» il 2 aprile 1909, sulla «Yena Gazetta» il 15 maggio 1909; per l’Italia si veda La cessione della Cirenaica?, «Av­ venire d’Italia», 26 maggio 1909 e La Cirenaica affidata ad una Compagnia an­ glo-ebraica?, «Giornale d’Italia», 27 maggio 1909. 74 Per l’episodio di Coppola e l’«Idea nazionale» del 1911-1912, si veda: Fran­ cesco Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (1903-1914), Bonacci, Roma 1984, pp. 123-125 e 292-293; e Tullia Catalan, Lantisemitismo nazionalista italiano visto da un ebreo triestino. Carlo Morpurgo ed il «caso Coppola», «Qualestoria», aprile-agosto 1994, pp. 95-118. Il pezzo di Coppola (Israele contro l’Italia) uscì sull’«Idea nazionale» il 16 novembre 1911; il 25 novembre Cop­ pola rassegnò le dimissioni dall’Associazione nazionalista italiana; il 20 gen­ naio 1912 furono accolte. Il 23 aprile 1912 diede le dimissioni l’awersario di Coppola, Scipio Sighele. In proposito si veda anche M. Michaelis, Riflessioni sulla recente storia dell’Ebraismo italiano, RMI, maggio-giugno 1977, pp. 194195; e Rocco D'Alfonso, Guerra, ordine e razza nel nazionalismo di Francesco Coppola, «Il politico», ottobre-dicembre 2000, pp. 557ss. Per la campagna 72 ASDMAE, MAE,

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probabilmente di origine governativa, su due grandi prestiti che una banca francese e una tedesca, ma entrambe con dirigenza «ebraica», avevano concesso all’impero turco.75 Alcuni attacchi, per esempio sul «Giornale d’Italia» e sul «Cor­ riere della Sera», partirono anche prima della guerra: in partico­ lare, nell’agosto 1911, contro gli studenti ebrei che a Tripoli avrebbero abbandonato le scuole italiane a favore di quelle fran­ cesi.76 Sulla questione si mise poi in evidenza il nazionalista Fran­ cesco Coppola, che nel novembre dello stesso anno scrisse sulla rivista «Idea nazionale» un articolo dai toni violenti in cui accusò «l’alta finanza cosmopolita e israelita» di complottare contro l’I­ talia proprio nella guerra con la Turchia. Coppola s’ispirava a Charles Maurras, il leader del movimento nazionalista e antisemi­ ta Action Française. Due mesi dopo, all’inizio del 1912, il Comi­ tato centrale dell’Associazione nazionalista accettava a larga mag­ gioranza le dimissioni di Coppola dalla giunta esecutiva dell’or­ ganizzazione. Poco dopo si dimise Scipio Sighele, per motivi op­ posti.77 Un osservatore sempre attento come il politologo Robert Michels78 proprio in quel torno di tempo annotò che non «mancò al giovane nazionalismo italico, come veramente non mancò a nessun altro nazionalismo europeo ed asiatico, l’adesione di un numero cospicuo di ebrei». Ma non fu una convivenza molto semplice, vista l’accusa di internazionalismo e di mancanza di antiebraica in occasione della guerra con la Turchia, Stefano Caviglia, Liden­ tità salvata. Gli ebrei di Roma tra fede e nazione. 1870-1938, Laterza, Bari 1996, pp. 139-151; Toscano [jr], Ebraismo e antisemitismo in Italia..., cit., pp. 42-46; Simon Levis Sullam, Una comunità immaginata. Gli ebrei a Venezia (1900-1938), Unicopli, Milano 2001, p. 45; Daniela Franceschi, La guerra di Libia recò toni antisemiti nel “Corriere della Sera”, «Il tempo e l’idea», a. XI, nn. 18-20, settembre-ottobre 2003, p. 160. ' Si trattava della Banca regia ottomana (francese) e della Deutsche Bank. Cfr. ASDMAE, MAE, Gabinetto 1908-14, casella 46 bis, f. 702. Anno 1911-12. Pre­ stito ottomano. Per i due articoli, del 22 agosto, cfr. Franceschi, La guerra di Libia..., cit. Sulle idee antirazziste di Sighele (e in particolare sulla sua ostilità verso «le folle cementate dal vincolo di “razza”») si veda Niccolò Zapponi, Il tempo del­ la “Voce”: l’antipartito della cultura e la cultura come «prepartito», in Gaetano Quagliarello (a cura di), Il partito politico nella belle époque, Giuffrè, Milano 1990, p. 283. ' Roberto Michels, L’imperialismo italiano. Studi politico-demografici, Società Editrice Libraria, Milano 1914, p. 109 (ed. tedesca del 1912).

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sentimento patrio che gli ebrei - anche nazionalisti - dovettero subire da parte degli aderenti a quel movimento.79 Notevolmente violento fu in particolare un articolo finanzia­ rio sollecitato con probabilità da banche ostili alla Commercia­ le e al Banco di Roma, o forse anche da ambienti governativi, e pubblicato sotto pseudonimo da Carlo Scarfoglio sul «Matti­ no» il 9 settembre 1912.80 Era un’intera pagina antisemita con­ tro i banchieri «ebrei» (e, allo stesso tempo, peraltro, contro la «banca cattolica») che intervenivano in Libia. Come sappiamo, esistevano in questo senso i precedenti della missione «ebraica» per l’eventuale colonizzazione della Cirenaica. A Mussolini quest’ultimo articolo non sfuggì, anche se lo attri­ buì al padre di Carlo, il direttore del «Mattino» Edoardo.81 Ed è interessante che in quell’occasione, alludendo proprio alla Banca Commerciale, Mussolini abbia parlato soltanto di «capitale ban­ cario tedesco», non «ebreo», come Scarfoglio. Perfino un giorna­ le democratico come «L’Unità» di Gaetano Salvemini nella stessa occasione aveva attaccato l’«ebrea Banca Commerciale».82 Sulla discussione in campo socialista a proposito della «que­ stione ebraica» e sull’antisemitismo e antiebraismo socialista in Europa (Italia esclusa) Edmund Silberner, uno studioso oggi quasi dimenticato, ha fornito uno studio dettagliato e un’ingen­ te bibliografia.83 In effetti fenomeni simili (dichiarazioni e atti

75 Si veda ad esempio lo scambio di insulti tra Arturo Orvieto e Concetto Va­ lente nel numero del settembre-ottobre 1914 de «L’Arduo» di Bologna (in particolare p. 124), a proposito del fallimento del movimento nazionalistico. Valente aveva accusato gli ebrei di essere «rinnegatori di ogni sentimento pa­ trio» (cit. anche da De Felice, Storia..., cit., p. 46). 80 Cfr. Kim, La verità circoncisa. Riassunto delle origini della campagna ebraica contro l’Italia, «Il Mattino», 9-10 settembre 1912 (per lo pseudonimo di Kim cfr. Teodoro Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei. Dizionario bio-bibliografico, Napoli, Rovito 1922 [2a ed.], p. 356). In particolare l’attacco era contro il banchiere Ernest Cassel, ma anche contro la Commerciale. 81 Nel primo anniversario della guerra infame. Previsioni e realtà, «La lotta di classe», 14 settembre 1912. O.O., IV, pp. 213-214. 82 L’Unità, Un anno dopo, «L’Unità», 28 settembre 1912; fu ripreso su questo punto da Salvatore Foà, Per un aggettivo, «L’Unità», 9 ottobre 1912; citato an­ che da De Felice, Storia..., cit., p. 54. 83 Cfr. Silberner, Sozialisten zur Judenfrage..., cit. E poi, per la bibliografia, Ed­ mund Silberner, Western European Socialism and the Jewish Problem (1800-

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pratici) si registrarono allora nel socialismo europeo in Germa­ nia, Austria, Francia, Belgio, Gran Bretagna. In Germania alla fine del XIX secolo nella socialdemocrazia esi­ stette addirittura una corrente dichiaratamente antisemita, rap­ presentata prima da Eugen Dühring e poi da Richard Calwer e che faceva appello a un vero e proprio «socialismo nazionale».84 Persino lo storico di partito Franz Mehring, che pure per un certo periodo si batté contro l’antisemitismo, tra la fine del secolo e l’i­ nizio del Novecento passò a posizioni molto ostili verso gli ebrei. Per la Francia, bisogna ricordare il palese antiebraismo del­ l’esule russo Michail Bakunin. In una lettera agli «internaziona­ listi» di Bologna (ovvero ai socialisti emiliani e romagnoli) del dicembre 1871,85 Bakunin aveva attaccato a fondo proprio «l’e­ breo Marx» e gli altri «piccoli ebrei» che stavano intorno a lui nel movimento socialista, e descritti come un «popolo sanguisu­ ga», un «parassita collettivo» che aveva per di più un legame stretto con altri ebrei, i Rothschild dell’«Alta Banca».86 Per quanto riguarda la religione, di Bakunin fu la descrizione, in se­ guito di grande successo (forse anche presso Mussolini), della «brutale personalità del loro Jeova», il dio degli ebrei (come s’è detto, anche Carducci aveva detto qualcosa del genere). Anco­ ra: Bakunin se l’era presa con l’ebreo Marx come rappresentan­ te di un «pangermanesimo» che puntava al «dominio della raz1918). A Selective Bibliography, The Hebrew University - The Eliezer Kaplan School of Economics and Social Science, Jerusalem 1955. M Silberner, Sozialisten zurJudenfrage..., cit., pp. 199-203. Cfr. anche Roberto Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna. Studi sul­ le tendenze oligarchiche degli aggregati politici, Bocca, Torino 1912, pp. 278279. Per Dühring in particolare, vedi Ferrari Zumbini, Le radici del male..., cit., pp. 219-230. Una prima versione della lettera è stata pubblicata in Arthur Lehning (a cu­ ra di), Michel Bakounine et l’Italie 1871-1872. Deuxième partie. La première Internationale en Italie et le conflit avec Marx. Écrits et Matériaux, Champ Li­ bre, Paris 1974 (1° ed. 1963), pp. 105-118, in particolare p. 109. Ma cfr. pure Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano. I. Dalla Rivoluzione francese a Andrea Costa, Einaudi, Torino 1993, pp. 241-242. Cfr. anche Gian Mario Bra­ vo, Bakunin e il dibattito della prima Internazionale, «Studi storici», ottobredicembre 1966, pp. 795-801. Per l’antisemitismo di Bakunin, cfr. soprattutto Silberner, Sozialisten zur Judenfrage..., cit., pp. 270-278. “ Cfr. Bakounine, Dio e lo Stato, cit., p. 128. A p. 134 tornò invece a parlare della «passione mercantile» degli ebrei.

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za tedesca»;87 aveva insomma accomunato ebrei e pangermani­ sti in un’offensiva su più fronti. La lotta politica interna all’Internazionale socialista si esprimeva anche in questo modo. In Francia, la tradizione socialista antiebraica aveva una lun­ ga storia, a partire da Charles Fourier per proseguire con LouisAuguste Blanqui e Pierre-Joseph Proudhon.88 In seguito, anche poco prima del caso Dreyfus, la tendenza nel socialismo e in particolare nel Partito socialista francese fu del tutto manifesta. E persino dopo quel clamoroso punto di svolta, due dirigenti come Pierre Myrens e Victor Méric continuarono a essere pre­ giudizialmente ostili verso gli ebrei. Quest’ostilità era uno degli effetti più evidenti del processo di emancipazione politica e sociale che nell’Ottocento aveva coin­ volto molti ebrei nel continente europeo e che incontrò diffi­ coltà a essere accettato per intero dai non ebrei, forse soprattut­ to per ragioni d’inedita concorrenza professionale, politica, cul­ turale, soprattutto tra i ceti dirigenti. In questo senso, ha avuto ragione Silberner a sostenere che «Γantisemitismo socialista non costituisce un movimento autono­ mo, non possiede una specifica dottrina. Concettualmente non esiste».891 temi antisemiti che si ritrovavano nel mondo socialista in questo periodo in effetti non erano diversi da quelli di altri ambienti. Anche se, nel loro insieme, erano piuttosto singolari in quel contesto. Di sicuro, alcune sfumature, come quelle «religio­ se», erano meno rilevanti. Piuttosto importanti risultavano invece gli aspetti «razziali», le caratteristiche «di razza», per cui gli ebrei 87 Cfr. Lehning (a cura di), Michel Bakounine..., cit., in particolare p. 106. 88 Sul forte antisemitismo socialista in Francia prima della metà degli anni No­ vanta, cfr. innanzitutto Silberner, Sozialisten zur Judenfrage..., cit., pp. 65-89. Inoltre, vedi Stephen Wilson, Ideology and Experience. Antisemitism in Fran­ ce at the Time of the Dreyfus Affair, Fairleigh Dickinson University Press, As­ sociated University Presses, Rutherford, Madison-Teaneck-London-Toronto 1982, soprattutto pp. 333-338. Per i casi di Alphonse Toussenel, Auguste Chi­ rac, Gustave Tridone, Alfred Regnard cfr. Fiammetta Venner, Les socialistes et la question juive: notes sur l’antisémitisme de gauche (1845-1890), «Sexe et Ra­ ce», 1994, f. 9, pp. 15-26; poi in genere cfr. Crapez, La gauche..., cit., soprat­ tutto pp. 135-Î56. 89 Edmund Silberner, The Antisemitic Tradition in modern Socialism. Inaugu­ ral Lecture Delivered at the Hebrew University on January 4, 1953, s.e., Jerusa­ lem s.d., p. 18.

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venivano «separati» e considerati come un mondo a sé autoriproducentesi. Venivano inoltre messi in risalto i temi economici: I «ebreo» nel mondo socialista antisemita veniva indicato soprat­ tutto come il rappresentante incarnato del denaro (Rothschild) e del mondo capitalistico-padronale. Cioè del «nemico di classe». Se non era teoricamente diverso dall’altro antiebraismo, laico e religioso, con cui spesso si intrecciava, bisogna però ricordare alcune caratteristiche peculiari del fenomeno che cresceva in ambiente socialista. Innanzitutto aveva una forza di penetrazio­ ne notevole presso ceti e masse di livello basso, condizionate dal «vangelo del lavoro» e dell’impegno sociale. In secondo luogo, trovava ospitalità e veniva rielaborato in un ambiente molto po­ liticizzato: aveva modo quindi di raffinare le armi e di trasfor­ marsi in elemento politico. L’effettivo peso dell’antiebraismo nel mondo socialista è in realtà difficile da valutare. E invece possibile fare qualche os­ servazione su varie sfumature, per esempio a proposito della forte presenza ebraica nei partiti socialisti, in particolare in quello tedesco. L’alto numero di socialisti ebrei, soprattutto nel gruppo diri­ gente, fu segnalato e studiato da Robert Michels nel suo tratta­ to La sociologia del partito politico (prima edizione originale, 1910, trad. it. 1912).90 Michels dedicò diverse pagine agli ebrei nel socialismo e poi scrisse questa frase sintomatica: La via che conduce gli ebrei al socialismo è quasi sempre più breve di quella che deve percorrere per entrare nello stesso mondo d’idee l’in­ tellettuale «ariano». Ciò non toglie [corsivo mio, n.d.ai] che il partito socialista debba gratitudine agli intellettuali di razza giudaica.

I motivi dell’adesione sarebbero stati vari, soprattutto la spin­ ta all’emancipazione, secondo molti ebrei realizzabile nel socia­ lismo. Michels stesso, che notava il dato (e lo osservò anche per Michels, La sociologia del partito politico..., cit., pp. 274-280; per l’Italia, p. 276. In seguito, Michels sostenne che «sarebbe erroneo qualificare il partito socialista italiano, come è stato fatto da taluni, come partito ebreo». Roberto Michels, Storia critica del movimento socialista italiano, La Voce, Firenze 1926, p. 195.

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altri partiti), aveva però qualche perplessità, in particolare a proposito della facilità con cui gli ebrei diventavano socialisti. Alcune altre pagine dello stesso libro erano dedicate all’an­ tisemitismo che si era sviluppato nelle file del partito tedesco a partire dal 1870. Per Michels la causa era stata quello stesso al­ to numero di intellettuali ebrei tra i suoi dirigenti. Qualcosa del genere, si noti, in quello stesso periodo (1907) osservò pu­ re il giovane Stalin nel corso di un suo intervento a Londra, al congresso del Partito socialdemocratico russo: in quel caso Stalin aveva notato che era la frazione menscevica a essere co­ stituita in maggioranza di ebrei, mentre nella frazione bolsce­ vica, la sua, erano una minoranza, anche se consistente.91 A tutt’oggi non si sa con precisione se l’osservazione sull’alto nu­ mero di ebrei nella dirigenza socialista europea avesse qualche effettiva ragione numerica, in ogni caso, venne fatta con insi­ stenza e da varie parti. Per quanto riguarda l’Italia, per lo più è stato scritto che una «questione ebraica» nell’Ottocento-inizio Novecento non c’è stata; e tanto meno nel socialismo. Intanto, come abbiamo visto in vari testi, non è vero che non ci sia stato dell’antiebraismo nell’Italia liberale. E vero invece che un «problema» del genere non emerse come «questione» a sé, dibattuta in modo ampio, con risonanza, sui giornali e nella pubblicistica. Semmai allora sono da analizzare i motivi di quest’assenza (a parte il noto bas­ so numero di ebrei presenti in Italia) e perché l’avversione per gli ebrei rimase nelle pieghe della vita nazionale: così come del resto, in seguito rimase nelle pieghe dell’azione mussoliniana. Per ciò che riguarda il socialismo italiano tra la fine dell’Ot­ tocento e l’inizio del Novecento, sembra ormai di poter dire che esso ripetè lo schema diffuso altrove nell’Italia liberale: manife­ stazioni di antiebraismo collettivo non ce ne furono, mentre si possono cogliere singoli atteggiamenti antiebraici. Il pregiudizio in questo campo era ancora una volta, come in Francia e Ger­ mania, innanzitutto quello economico, che identificava l’ebreo con il denaro, la banca e l’usura. Ma ciò si incrociò anche da noi, per tempo, con una critica di tipo politico o partitico e an­ 91 Per il lungo passo si veda Massara, Studio introduttivo, cit., p. 156.

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che religioso (il crudele Jehova) e con qualche manifestazione concreta. Su questo fenomeno esistono alcune testimonianze, di parte ebraica, peraltro non sempre facilmente verificabili. Nel 1899 il triestino «Corriere israelitico» sostenne che a Padova, durante i comizi per le elezioni comunali, «clericali e socialisti» avrebbero chiesto entrambi di non dare il voto agli ebrei, ma solo ai cattoli­ ci.92 Nel 1904, durante il quarto convegno sionista, Roberto Asco­ li illustrò alcuni altri casi di antisemitismo in Italia:93 oltre a quel­ lo becero dispiegato ad Ancona (con scritte antisémite sulle vetri­ ne dei negozi), discriminazioni ci furono a Ferrara e a Mantova, dove le campagne elettorali dei partiti conservatori ebbero anche come obiettivo i candidati avversari in quanto ebrei. A Firenze in­ vece a tentare di discriminare (ma «vanamente») al proprio inter­ no sarebbe stata, disse Ascoli, la stessa «falange socialista», anche per decisione di qualche personaggio autorevole non identificato, un «tale che pur nel partito ha seguito e autorità». Su questi ultimi avvenimenti politici non ci sono ancora ri­ scontri documentari. E noto però qualche caso concreto in altre zone. In particolare quello delle elezioni politiche a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, nella seconda metà del 1892, so­ prattutto perché Antonio Labriola in persona si scomodò con una dura rampogna rivolta al capo socialista Camillo Trampoli­ ni, accusandolo di antisemitismo.94 Labriola aveva ragione, per­ 92 Notiziario. Italia, «Corriere israelitico», 31 luglio 1899. Citato anche da To­ scano [jr], Ebraismo e antisemitismo..., cit., p. 40. La relazione Antisemitismo in Italia di Roberto Ascoli fu pubblicata in Atti del IV Convegno sionistico italiano II Federale tenuto in Milano nei giorni 20 e 21 marzo 1904, «L’idea sionnista», marzo-aprile-maggio 1904, in particolare p. 45. Venne poi citato da Roberto Mazzetti, La questione ebraica in un secolo ai cul­ tura italiana, Società Tipografica Modenese, Modena 1938, si veda in partico­ lare p. 300. Secondo Ascon, a Firenze la «candidatura» di Alceste Della Seta fu «vanamente contrastata». Per il caso di Ancona cfr. Maria Teresa Pichetto, Al­ le radici dell’odio. Preziosi e Benigni antisemiti, Angeli, Roma 1983, pp. 13-14. ‘w Cfr. Antonio Labriola, Epistolario 1890-1895, introd. di Eugenio Garin, a cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 404ss. Labriola ne riferì a Engels in una lettera del 28 ottobre 1892, riportando anche la lettera che aveva scritto a Prampolini (e che questi non pubblicò, anche se vi fece riferimento). Labriola parlò del «più volgare antise­ mitismo». Cfr. anche Massara, Studio introduttivo, cit., pp. 93-94.

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ché il giornale di Prampolini, «La Giustizia», aveva condotto per più di un mese una campagna stampa antisemita contro tre candidati politici avversari, due ebrei e il terzo - sostenne - le­ gato da interessi ai primi due.95 Uno dei candidati ebrei era tra l’altro l’avversario di collegio dello stesso Prampolini. Le accuse furono varie: di rappresentare l’«alta banca», grande corruttri­ ce; di aver tradito la propria razza, cambiando addirittura nome (il Guastalla «si chiama Isacco, Elia, Michele, si vergogna del nome avuto dai suoi genitori e si fa chiamare Enrico»;, «è giun­ to a rinnegarla [la sua razza] dicendo [...] che si nasce ebrei co­ me si nasce maschio o femmina»); di essere infidi e poco credi­ bili per gli stessi cattolici. La formula adottata dal giornale «La Giustizia» - e che si vedrà ripetere spesso nel corso di queste pagine - era che quegli articoli non intendevano essere antise­ miti: «Non siamo antisemiti. Si può forse essere antisemiti quan­ do si è socialisti?». A dimostrare che non si trattava di una svista momentanea, il giornale di Prampolini anche qualche anno dopo (giugno 1895) si esibì in un’accusa simile e di nuovo contro due candidati ebrei, schierati sempre a favore del partito conservatore.96 In questo caso i candidati proposti dal partito cattolico venivano tacciati di essere infidi perché andavano a difendere un’altra re­ ligione. Non mancava un riferimento a un deicidio vagamente antisocialista compiuto dagli ebrei («inchiodavano il grande ri­ 95 Gli articoli comparsi sulla «Giustizia» (allora sottotitolata «Difesa degli sfruttati. Organo della Lega socialista») furono: una ripresa di un’intervista di «Le Figaro» a Rothschild (Minchionerie di un milionario, 18 settembre); una ripresa di un commento a quell’intervista (Sarà sempre così..., 25 settembre); entrambi questi articoli non contenevano la parola «ebreo», ma il riferimento al fatto che fosse ebreo era trasparente; Mario, La speculazione del grande elet­ tore (bozzetto dal vero), 9 ottobre; un corsivo senza titolo il 12 ottobre; Il cro­ nista, Guastalla e ipreti, 25 ottobre; Noi., Perché lo combattiamo, 30 ottobre (quest’ultimo articolo conteneva quasi di sicuro un riferimento alla lettera di Labriola, «un nostro amico carissimo...»; entrambe le citazioni nel testo ven­ gono da quest’articolo). In proposito si veda anche Antonio Zambonelli, Ebrei reggiani tra leggi razziali e shoah. 1938-1945, «Ricerche storiche», dicembre 2001, ff. 91-92, pp. 15 e 65 (che però ha circoscritto l’episodio). 96 Dove va a finire la religione?, «La Giustizia», 21 giugno 1895. Ha fatto un cenno a quest’articolo: Alberto Ferraboschi, Le trasformazioni del notabilato. Dalla rappresentanza sociale alla intermediazione politica: il caso di Ulderico Le­ vi, «Ricerche storiche», dicembre 1993, f. 73, p. 218.

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belle sul monte Calvario»), Ancora parecchi anni dopo la ten­ denza nella «Giustizia» di Reggio Emilia97 rimase viva, malgra­ do i numerosi collaboratori ebrei (Claudio Treves, Achille Lo­ ria, Paola Lombroso) e qualche articolo di simpatia (peraltro un po’ ambiguo) verso gli ebrei, in particolare i bambini, che veni­ vano isolati a causa del culto religioso diverso.98 Alla fine dell’Ottocento ci pensò di nuovo il giornale sociali­ sta nazionale «Avanti!» a dimostrare quanto gli ebrei venissero identificati, dal socialismo italiano, con l’alta finanza. Capitò in Italia nel corso del caso Dreyfus (ma con riverberi anche altro­ ve, per esempio a Trieste).99 Nel 1897 il giornale si schierò subi­ to e senza mezzi termini contro il capitano ebreo, perché costui laceva parte della «bancocrazia giudaica».100 Dopo la prima condanna di Dreyfus il giornale socialista pubblicò un articolo violentemente antisemita di Giuseppe De Lelice Giuffrida (de­ putato divenuto celebre per i movimenti di rivolta dei Pasci si­ ciliani). De Lelice Giuffrida, dopo essersi soffermato sulla «vo­ racità» e sull’«implacabile avarizia» degli ebrei, sosteneva che comunque non bisognava prendersela con loro, ma col capitaliSi veda! muratori e ilShylock... dileggio e Tromboni e Krumiri, del 1° e 22 marzo 1908 (contro Tromboni, il direttore ebreo di un giornale conservatore); Il dio quattrino (22 marzo 1908). Da segnalare anche l’articolo Ter gli ebrei. Antisemiti e socialisti (19 dicembre 1897) in cui «La Giustizia» riprese alcune osservazioni del «Resto del Carlino» (osservando che era diretto «da un israe­ lita») a proposito di un pogrom in Romania, e sostenendo che non si devono appoggiare «i più stolidi odii di religione e di razza» (per cui il giornale espri­ meva «sacro orrore») ma solo combattere il capitalismo. ,s Cfr. Linda Malnati, Ecco l’ebrea!... del 5 dicembre 1909. 'w Fu il caso di Riccardo Camber, socialista e poi espulso dal partito nel 1899 proprio per antisemitismo. Fondò un giornale triestino, l’«Avanti!», che an­ eli esso, tra il 1899 e il 1902, fu antisemita. Cfr. Ellen Ginzburg Migliorino, Ilantisemitismo e la comunità ebraica a Trieste nei primi anni del Novecento, in Giacomo Todeschini - Pier Cesare Ioly Zorattini (a cura di), Il mondo ebraico. ( Ili ebrei tra Italia nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all'Età con­ temporanea, Studio Tesi, Pordenone 1991, p. 436. Cfr. Gianfranco Tortorelli, L’affare Dreyfus e i socialisti italiani, «Società e sioria», gennaio-marzo 1986, in particolare pp. 112-117. Ma si veda anche Canepa, Cattolici ed ebrei..., cit., p. 101. E, per una panoramica d’insieme, I .milio Gentile, The Struggle for Modernity: Echoes of the Dreyfus Affair in Ita­ lian Political Culture, 1898-1912, «Journal of Contemporary History», Octo­ ber 1998, pp. 497-511. Diversi articoli furono pubblicati sull’«Avanti!» tra l’ottobre e il novembre 1897.

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smo che li aveva trasformati in strumenti.101 Solo molto tempo dopo, e in seguito al noto «J’accuse» di Zola e all’iniziativa del leader socialista Jaurès, l’«Avanti!» cambiò posizione e inco­ minciò a trattare le questioni «ebraiche» con più simpatia.102 Infine non si può non accennare a una cruda polemica già se­ gnalata che ebbe luogo proprio suU’«Avanti!».103 *Il105 noto anti­ clericale Giovanni Bonagiuso nell’agosto 1908, parlando di Re­ nan e della sua Storia del popolo d’Israele, aveva indicato gli ebrei di Giudea come «popolazioni ignoranti e deliranti di mi­ sticismo e di fanatismo settario» (Mussolini, a maggio, tre mesi prima, aveva parlato dei «deliri religiosi nelle folle d’Israele»), Un pubblicista ebreo, Raffaele Ottolenghi, aveva risposto sotto­ lineando, di contro, le radici ebraiche della civiltà cristiana e la polemica era continuata fino a dicembre, con varie citazioni nietzscheane e da Renan. In ogni caso, l’«Avanti!» aveva ospita­ to anche questi attacchi antiebraici, che non sempre avevano un carattere solo «storico». Come si vede il pregiudizio poteva essere forte anche in campo socialista. E si trattava, per di più, di antisemitismo autentico. In Italia un caso Dreyfus, che aveva separato l’antisemitismo dal socialismo come in Francia, non c’era stato. Ma l’analisi del comportamento di qualche personaggio può illuminare. Chi si esibì in questo periodo come intellettuale antiebraico fu Paolo Orano, di cui Mussolini aveva letto e citato Cristo e Quirino. Orano era stato un vero e proprio propagandista so­ cialista, autore addirittura di un prontuario militante, Con­ versazioni socialiste (1904). Dopo aver litigato con i sociali­ 101 De Felice Giuffrida, Contro il capitalismo, non contro la razza, «Avanti!», 20 settembre 1899. 102 Si veda per esempio come l’«Avanti!» seguì il processo in Russia per i fatti di Kišinev. Cfr. Il processo Kischineff, «Avanti!», 7 gennaio 1904; I fatti di Kiscineff, «Avanti!», 19 gennaio 1904. 105 G. Bonagiuso, Ernesto Renan e una grande opera che non fu scritta, «Avan­ ti!», 29 agosto 1908. Seguì R. Ottolengni, Sulle influenze Giudeo-Cristiane (al signor Bonagiuso), «Avanti!», 10 settembre 1908. L’ultimo articolo fu: Raffae­ le Ottolenghi, Lebraismo e la civiltà. Polemica col Sig. Bonagiuso, del 22 di­ cembre 1908. Su Bonagiuso e Ottolenghi (morto suicida nel 1917) si veda Al­ berto Cavaglion, Felice Momigliano (1866-1924). Una biografia, Il Mulino, Bo­ logna 1988, rispettivamente pp. 68-69, 34.

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sti104 si era avvicinato ai sindacalisti rivoluzionari e ad Angelo O. Olivetti, diventando però anche nazionalista e interventista. Nel 1911 Orano pubblicò invece sulla propria rivista, «La Lu­ pa» («la prima rivista antisemita italiana» come è stata definita da De Felice),105 una serie di attacchi contro gli ebrei: a causa ilei loro supposto legame con la massoneria, per il rapporto con il denaro, per la pratica dello «strozzinaggio». Fu l’origine, sempre nel 1911, di una violentissima polemica, che vide pro­ tagonista Orano e lo stesso Raffaele Ottolenghi. Quello del le­ game tra ebrei e massoneria era un tema che Orano aveva esposto già nel 1905, quando aveva definito quel popolo «stir­ pe meditabonda, triste e rivoluzionaria [...] sovversivi per ec­ cellenza dell’epoca nostra».106 104 * Nello stesso periodo, a proposito di ebrei, sotto il profilo politico è da registrare anche un’altra polemica. Il protagoni­ sta, aspro, esplicito e prestigioso, fu Georges Sorel. Sorel era anche lui da tempo vicino agli ambienti sindacalisti rivoluzio­ nari italiani, con cui collaborava e sui cui organi di stampa scri­ veva. Era redattore della rivista «Il divenire sociale», diretta da l '.nrico Leone e Paolo Mantica, che non era antisemita: tra i collaboratori annoverava Felice Momigliano e Achille Loria. A metà luglio 1910 Sorel pubblicò però proprio sul «Divenire sociale» un violentissimo articolo contro gli ebrei nel loro in­ sieme:107 e fu - tra parentesi - solo il primo di alcuni articoli ilei genere distribuiti da Sorel sui giornali italiani negli anni 104 Cfr. La querela del prof. Paolo Orano, «Avanti!», 29 luglio 1910. 101 De Felice, Storia..., cit., p. 44 (anche per la polemica). Poi cfr. Francesco ( ìerminario, Latinità, antimeridionalismo e antisemitismo negli scritti giovanili di Paolo Orano (1895-1911), in Burgio (a cura di), Nel nome della razza..., cit., in particolare pp. 112-114. Gli interventi di Orano furono commentati anche dal giovane Alfonso Pacifici. Cfr. Alfonso Pacifici, Noi ebrei e le modernissime cor­ renti di pensiero antidemocratico, «Corriere israelitico», 30 novembre 1910. Cfr. anche M. Michaelis, Gli Ebrei italiani sotto il regime fascista, dalla marcia su Ro­ ma alla caduta del fascismo (1922-1945). Vili, RMI, gennaio 1964, pp. 20-21. Paolo Orano, La Massoneria dinnanzi al Socialismo, Cenni, Firenze 1905, pp. 35-36. Giorgio Sorel, Gli ebrei, «Il divenire sociale», 16 luglio 1910, pp. 196-198. Per un cenno alle precedenti posizioni di Sorel, cfr. Gentile, The Struggle..., cit., p. 506. Assai rilevante l’articolo: Spect., Da un carteggio di Sorel. Il pro­ blema degli ebrei, «Il Resto del Carlino», 9 aprile 1931.

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seguenti.108 Erano scritti con prosa vivace e abilmente polemica. É, nell’insieme, efficaci. Lo spuftto era l’edizione della monumentale opera di Joseph Reinach [’Histoire de l’Affaire Dreyfus. Sorel non aveva accetta­ to l’andamento dell’«affaire» e lo considerava manifestazione di una «vera mania di persecuzione» degli ebrei. A proposito di questi ultimi aveva delle osservazioni precise da fare, prevenute e ostili: «Secondo un’espressione ben conosciuta da Renan, il semita non conosce altri doveri che verso sé stesso»; oppure «l’Ebreo» non sa realizzare «grandi creazioni». Poi formulò del­ le accuse vere e proprie, come quella secondo la quale di solito «l’Ebreo» «combatte le istituzioni»; e infine, riferendosi solo agli italiani: Oggi, che gli Ebrei pretendono esercitare una così grande influenza sul socialismo (soprattutto su quello italiano) era pur d’uopo richia­ mare l’attenzione del pubblico che riflette sulle aberrazioni che il deli­ rio di persecuzione, la vanità e la mancanza di veridicità produce nei più eminenti Ebrei.

Sorel non manifestava questi pensieri solo in pubblico. An­ che nei carteggi si espresse allo stesso modo e la sua influenza in questo senso dovette essere più vasta di quanto apparisse. Ad Agostino Lanzillo, all’epoca redattore del «Divenire sociale» e suo traduttore e interprete già assai incline aH’antisemitismo,109 nello stesso periodo Sorel illustrava concetti simili: nel maggio di quello stesso 1910, gli spiegò quello che secondo lui si profi­ 108 Gian Biagio Furiozzi, Sorel e l’Italia. Bibliografia ragionata, in Università de­ gli Studi di Perugia. Estratto degli «Annali della Facoltà di Scienze Politiche Anni Accademici 1968/70», n. 10 (nuova serie), s.e., s.d., pp. 144, 150, 153, 163, 169. 109 Cfr. Agostino Lanzillo, Colloquio con Pierre Lasserre, «La Voce», 27 gen­ naio 1910. Lasserre, membro dell’Action Française e redattore dell’omonimo quotidiano, spiegò che l’antisemitismo del movimento era dovuto al fatto che gli ebrei in Francia «uniti e forti rappresentano un organismo che quindi ha molta potenza nella vita pubblica del paese». Lanzillo commentò che il suo in­ terlocutore non era «così lungi dal vero». Da una lettera di Prezzolini a Lan­ zillo del 26 novembre 1910 si sa anche che lo stesso pezzo su Lasserre fu ri­ toccato e qua e là rifatto dallo stesso Prezzolini perché era «tirato giù». Archi­ vio Fondazione Luigi Micheletti, fondo G. Lanzillo, Album n. 5.

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lava in Italia come un oscuro insieme di organici interventi di ebrei socialisti all’interno di un nefasto «sistema economico nuovo» basato sul sistema delle cooperative.110 Gli ebrei insomma avrebbero infiltrato il sistema cooperativo, mettendo a disposizione del socialismo il loro fiuto negli affari e corrompendo pero le istituzioni con cui venivano in contatto, compreso lo stesso partito. Le idee e gli articoli di Sorel avevano una certa diffusione negli ambienti anticapitalistici del sindaca­ lismo rivoluzionario. E pesavano. Persino una rivista sindacali­ sta diretta da un ebreo come Olivetti, la luganese «Pagine libe­ re», in questa fase, con un articolo di Alceste De Ambris, si schierò - e proprio in chiave anticapitalista - contro gli ebrei. Parlando del caso Dreyfus e degli attacchi antisemiti dell’Action Française, De Ambris scrisse: «Non s'illudano però i democra­ tici: se la parte più avanzata della massa operaia di Parigi si de­ ciderà a muoversi ed a parteggiare nell’odierna contesa, non sarà certo a favore d’Israele».111 Senza dubbio anche lui subiva l’influenza soreliana. Un altro nodo affrontato nello stesso periodo da alcuni teori­ ci della politica fu il rapporto ebrei-socialismo. Se ne occupò a lungo il sociologo Robert Michels, che al tema dedicò circa tre pagine di un suo studio sul socialismo italiano (1908, il medesi­ mo anno del saggetto di Mussolini su Nietzsche).112 *Michels so­ stenne una tesi molto vicina a quella che sostenne poi per la so­ cialdemocrazia tedesca. Scrisse che «non piccola parte degli ebrei italiani» era «favorevole al socialismo» per la sua «passio­ ne rivoluzionaria», la «coerenza tra pensiero e azione» e «la spiccata tendenza al proselitismo»; di conseguenza, aveva anco­ ra detto Michels, «tra i capi del partito o della scienza socialisti­ ca in Italia troviamo non pochi ebrei». Rispetto al movimento nazionalista, gli ebrei vicini o dentro al socialismo gli appariva­ 110 Si veda la lettera del 30 maggio 1910 in Francesco Germinario (a cura di), “Cher Camarade”... Georges Sorel ad Agostino Lanzillo. 1909-1921, «Annali della Fondazione “Luigi Micheletti”», Brescia 1993-1994, p. 141. 111 Alceste De Ambris, Lantisemitismo alla riscossa, «Pagine libere», 15 marzo 1911, pp. 331-334. 112 Roberto Michels, Il proletariato e la borghesia nel movimento socialista ita­ liano. Saggio di Scienza Sociografico-Politica, Bocca, Torino 1908, pp. 190-191.

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no più numerosi e più presenti nei vertici decisionali. I toni era­ no assai moderati, ma come si vede l’osservazione sulla notevo­ le presenza di ebrei nel socialismo italiano venne fatta. Riassumendo, si può sostenere che in questo periodo l’antisemitismo politico riguardava da vicino i partiti cattolici e con­ servatori oltre che il movimento nazionalista. Le motivazioni «oggettive» addotte erano abbastanza semplici e sperimentate: da quella strettamente confessionale al cosmopolitismo antina­ zionale degli ebrei, il loro massonismo, la tendenza rivoluziona­ ria, e infine la questione finanziaria (gli ebrei come banchieri). Poi c’era, antisemita in vari versanti, anche il campo sociali­ sta. Qui l’affare Dreyfus s’era avvertito, ma non aveva avuto l’ef­ fetto dirompente di separare antisemitismo e socialismo, come in Francia. In Italia, piuttosto, aveva avuto effetto in altri sensi. Per fare un solo esempio, il giornale di Forlì su cui in questa fa­ se scriveva il padre di Mussolini, «Il Risveglio», nella condanna giudiziaria del capitano francese identificò solo una causa: la Violenza del militarismo contro la democrazia.113 Nel socialismo si era sensibili a vari dati di genere antiebrai­ co: oltre a riprendere alcuni temi presenti nella polemica catto­ lica e laica (l’anticapitalismo finanziario), tra i socialisti era rile­ vante la questione dei quadri politici. In pratica, da parte socia­ lista venivano denunciati come «traditori» della buona causa gli ebrei che si presentavano nelle file «clericali» e conservatrici. Era una fase in cui il mondo politico si allargava, nuovi ceti di­ rigenti si facevano avanti, e la concorrenza per il consenso au­ mentava; e così qualsiasi arma poteva servire, anche il fatto che i concorrenti fossero ebrei. In campo socialista quest’accusa fu usata con abbondanza. Altre accuse nello stesso campo sociali­ sta - e s’è visto Orano - erano di rivoluzionarismo eccessivo e incontrollabile, di massonismo, di poca affidabilità ideologica. Tutto ciò succedeva mentre veniva dichiarato che nel sociali­ smo internazionale, e anche in quello italiano, c’erano troppi ebrei tra i quadri dirigenti. Ricostruiti tutti questi precedenti, bisogna aggiungere che115 115 Cfr. La condanna di Dreyfus e 1 «Dreyfus» d’Italia, rispettivamente del 16 settembre e 14 ottobre 1899.

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non è del tutto chiaro da dove provenisse l’antisemitismo per­ sonale di Mussolini. Esso crebbe e si sviluppò, imboccando una strada culturale e politica. Però non è affatto escluso (anzi, sem­ bra verosimile) che avesse delle radici precedenti. Forse Musso­ lini partì davvero da un antisemitismo «di strada» (De Felice l’ha chiamato «fondo d’antisemitismo tradizionale»,114 115 ma non è chiaro a che cosa alludesse) e che potrebbe aver attinto dall’am­ biente famigliare e in particolare dal padre, socialista e uomo politico romagnolo. Di Alessandro Mussolini si conosce un’affermazione pubbli­ ca, su un giornale, contro i deicidi, le turbe di «manigoldi inu­ mani» che avevano perseguitato Cristo sul Calvario.115 Del pa­ dre, lo stesso futuro duce riferì invece a un biografo una battu­ ta antisemita di tipo politico. Essa era legata a quel Bakunin che, essendo stato, a quanto sembra, presente durante la rivolta anarchica in Emilia nell’agosto 1874,116 fu una sorta di faro per il movimento in quella regione e sicuro ispiratore di Alessandro, che sembra abbia partecipato agli stessi moti.117 Come s’è visto, Bakunin odiava Marx e gli ebrei, e con cura particolare quelli che operavano dentro il movimento socialista. Parlando a De Begnac Mussolini ricordò che Alessandro assicurava di essere in possesso di ritagli di giornali con alcune lettere di Bakunin. Bakunin avrebbe asserito con certezza che Marx lo aveva de­ nunciato alla polizia zarista. «Tale atteggiamento», così Musso­ lini a De Begnac, «Bakunin riferiva alla triplice posizione men­ tale di Marx: “tedesco, comunista, ebreo”».118 114 De Felice, Storia..., cit., p. 68. 115 Alessandro Mussolini, Fuori di Forlì, «La Rivendicazione», 24 maggio 1889 (la lettera da Dovia era datata 26 aprile); citata anche da Ivon De Begnac, La vita di Mussolini, I. Alla scuola della rivoluzione antica, Mondadori, Milano 1936, p. 159. 116 Pier Carlo Masini, Bakunin e la Prima internazionale in Emilia cento anni dopo, in Comune di Reggio Emilia. Assessorato alle Istituzioni Culturali. Bi­ blioteca Municipale «A. Panizzi», Bakunin e la Prima internazionale in Emilia. Mostra documentaria, s.e., Reggio Emilia 1977, p. 9. 117 Per la «tradizione orale» secondo cui anche il giovane Alessandro nell’ago­ sto 1874 era presente all’insurrezione di Prati di Caprara vicino a Bologna, cfr. Vittorio Emiliani, I tre Mussolini. Luigi, Alessandro, Benito, Baldini & Castol­ di, Milano 1997 (2a ed.), p. 22. 118 De Begnac, Taccuini..., cit., p. 8.

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Questo per il padre, che ebbe un peso sulla formazione anche politica del giovane Benito («il mio socialismo è nato bakuninista, alla scuola del socialismo di mio padre», disse senza mezzi termini al suo biografo).119 Poco si sa invece della madre, profondamente cattolica e forse anche interessata a questioni teologiche.120 Di lei molti anni dopo il duce disse solo che «ave­ va voluto che fossi educato nel grembo della santa romana Chiesa».121 Poco si sa anche dell’educazione ricevuta a scuola, ma Mus­ solini stesso, in alcuni frammenti autobiografici,122 ha racconta­ to di uno degli insegnanti del collegio salesiano di Faenza, che intorno al 1892 «scavava lentamente un abisso fra noi e gli altri, cioè gli eretici, i frammasoni [j/c], i nemici della chiesa». Tra «gli altri» non è escluso che ci fossero proprio gli ebrei. E, a proposito di ebrei, il suo biografo De Begnac, forse su in­ dicazione dello stesso biografato, ha segnalato una delle letture fatte proprio in quegli anni, intorno al 1893:123 si tratta del ro­ manzo Gli ultimi giorni di Gerusalemme, della romanziera cat­ tolica Antonietta Klitsche de la Grange, stampato da un editore anch’esso cattolico dopo l’Unità d’Italia.124 È un romanzo semi­ popolaresco (vi viene infilata perfino la vicenda dell’ebreo er­

119 Ivi, p. 9. Per il bakunismo del padre («del cui bakunismo mai ho dubita­ to»), cfr. anche ivi, p. 7. 120 II parroco Dario Appi, che la conobbe, ha testimoniato: «Ricordo come El­ la s’interessava dei problemi religiosi, che s’animava nei contrasti, si commo­ veva alle bellezze della Fede, elogiava le evangeliche spiegazioni del suo arci­ prete D. Ormisda Giunchi». Cfr. [D. Appi], 1905-1930. Nel 25° annuale del­ la morte di Rosa Maltoni-Mussolini. Impressioni e ricordi, Tip. Valbonesi, Forlì 1930, p. 7. Quanto a Ormisda Giunchi, nacque a Teodorano nel 1831 e morì il 18 settembre 1915. Fu parroco a San Casciano di Predappio dal 1871 alla morte. Per queste notizie ringrazio monsignor Gaspare Caselli e Sua Eccel­ lenza Vincenzo Zarri, vescovo di Forlì. 121 De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., p. 131. 122 Benito Mussolini, La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, in O.O., XXXIII, p. 228. 123 De Begnac, La vita di Mussolini, I..., cit., p. 186. 124 Si è consultata l’edizione di Pietro Marietti del 1893. Per la Klitsche de la Grange cfr. Carlo Catanzaro, La donna italiana nelle scienze, nelle lettere, nel­ le arti. Dizionario biografico delle scrittrici e delle artiste viventi, Biblioteca edi­ trice della rivista italiana, Firenze 1890, p. 90 e, per una correzione, l’edizione del 1892 (Appendice aggiunte e correzioni), p. 57.

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rante) ristampato numerose volte anche nel Novecento e narra la storia di due ebrei che riescono ad amarsi e a sposarsi e si convertono al cristianesimo grazie alla conquista di Gerusalem­ me da parte delle legioni di Tito. Senza dubbio non è un ro­ manzo filoebraico, anzi. Ma ciò che è più interessante è come vi viene disegnato il passaggio pressoché obbligato dall’ebraismo al cristianesimo, un tema su cui Mussolini tornò anni dopo, co­ sì come sulla distruzione di Gerusalemme. Sembra una buona conferma di quanto i temi assimilati da Mussolini possano aver avuto origine appunto letteraria e popolare. Fin da giovane Mussolini poteva aver respirato e assorbito con facilità una buona razione di antisemitismo «spontaneo». In se­ guito visse in ambienti socialisti attraversati da questa tendenza, mentre non sembra abbia avuto in questi anni contatti con am­ bienti cattolici. Inoltre Mussolini leggeva molto, affastellando opere di tutti i generi. Non risulta però che abbia mai citato né le pagine di Michels sugli ebrei, né il cruciale articolo di Sorel. Di si­ curo, d’altra parte, all’epoca conosceva i testi dello studioso tede­ sco,125 che era una figura di prima grandezza nel mondo intellet­ tuale socialista; ed è possibile che conoscesse l’articolo di Sorel: certo leggeva la rivista dove fu pubblicato, «Il divenire sociale». Nel saggetto su Nietzsche in fondo non disse cosa molto diversa da quanto sostenevano altri socialisti, e cioè che gli ebrei erano pericolosi in politica. Seguendo Nietzsche (e contestando Tre125 In un biglietto del 28 gennaio 1923 Mussolini scrisse a Michels: «Io La co­ nosco da un pezzo di fama e so che la sua seconda patria è l’Italia» (ACS, SPD, CO, b. 232, f. 1826. Michels Prof. Roberto; citato in Aldo G. Ricci, Michels e Mussolini, in Gian Biagio Furiozzi [a cura di], Roberto Michels tra politica e so­ ciologia, Centro editoriale toscano, Firenze 1984, p. 257). Mussolini all’epoca si riferì diverse volte a Michels: recensì positivamente il suo libro sulla coope­ razione («Il Popolo», 4 settembre 1909. O.O., II, pp. 248-249), definendo l’autore «noto socialista rivoluzionario tedesco e grande amico dell’Italia e de­ gli italiani»; in una conferenza del dicembre 1910 citò Michels a proposito del partito socialista tedesco (è possibile che citasse proprio dall’edizione tedesca della Sociologia del partito politico uscita quell’anno): si veda «Il Cuneo», 17 dicembre 1910; O.O., III, pp. 284-285; di Michels parlò anche l’articolo ano­ nimo Tribuna antimilitarista. Noi e gli altri, «La lotta di classe», 25 febbraio 1911; nel 1912 Mussolini citò invece la Storia del marxismo in Italia, pubbli­ cata due anni prima a Roma da Mongini («La Soffitta», 15 giugno 1912. O.O., IV, pp. 141-142).

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ves), erano tali perché portatori di una destabilizzante perenne «vendetta politica» che minava le certezze occidentali. Mussolini, invece evitava il tema degli ebrei banchieri, anche se nei suoi primi scritti qualche cenno all’ebreo-usuraio non manca. Sulla questione, esclusi alcuni episodi peraltro impor­ tanti, bisogna dire che il futuro duce rimase quasi sempre circo­ spetto anche se vigile. La finanza e le questioni economiche lo interessavano poco. Lo interessava molto di più la politica e in questo specifico campo, e in relazione con esso, gli ebrei si pro­ filavano come i suoi grandi nemici. In questo, in maniera con­ torta e coperta, fu più vicino a qualche personaggio dell·antise­ mitismo francese o tedesco (o a Bakunin), che a quelli italiani. Nel frattempo Mussolini dal gennaio 1910 divenne direttore del nuovo settimanale del socialismo forlivese, «La lotta di clas­ se» e segretario della federazione del PSI locale. Stava insomma seguendo un proprio cursus honorum all’interno del partito. Sensibile verso i personaggi di cui si è appena parlato, e che nel PSI erano sgraditi, in fin dei conti non mostrò personali cedi­ menti verso di loro. Se nel 1909 - si trovava a Trento - si era profuso in elogi verso Sorel, compresa una recensione entusia­ sta dell’edizione introdotta da Croce di Considerazioni sulla vio­ lenza,™ nel 1910, in veste ufficiale, partì invece lancia in resta sia contro di lui sia contro i sindacalisti rivoluzionari che, con un proprio congresso, avevano tentato di costruire un’alternati­ va al PSI .126 127 Mussolini rimaneva dentro il flusso del proprio par­ tito. Contro Sorel in questa nuova fase fu anzi aggressivo, per­ ché arrivò a scrivere, con un’improntitudine che gli vedremo ancora:128 «Non abbiamo mai creduto nel rivoluzionarismo di 126 «Il Popolo», 25 giugno 1909. O.O., II, pp. 163-168. Ma si considerino an­ che i grandi elogi a Sorel fatti da Mussolini nella recensione a un libro di Prez­ zolini su «Il Popolo» di Trento del 27 maggio 1909. O.O., II, pp. 126-127. 127 Si veda il suo violento articolo sul secondo congresso nazionale dei sindacali­ sti, Fine stagione, «La lotta di classe», 17 dicembre 1910; O.O., III, pp. 289-292. 128 Lultima capriola, «La lotta di classe», 26 novembre 1910; O.O., III, p. 272. La teoria di un Mussolini interamente soreliano e bergsoniano è di Gyôrgy Lukâcs (La distruzione della ragione, Einaudi Reprint, Torino 1974, pp. 31-33). Ma, a proposito di Sorel e Mussolini, cfr. soprattutto Megaro, Mussolini..., cit., pp. 244271; Ernst Nolte, Tre volti delfascismo (dalla 4“ ed., Mondadori, Milano 1978, p. 229).

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questo pensionato frugatore di biblioteche. Il suo sindacalismo non era che un movimento di reazione. Era una maschera». Continuò però a mantenere spalancata una porta verso il movimento politico a cui il pensatore francese in quel momen­ to guardava con simpatia: l’Action Française. Nell’aprile 1910, sulla «Lotta di classe» si può leggere un grande elogio sia del giornale che aveva lo stesso nome, «Action Française», sia del movimento antisemita e razzista di Charles Maurras, «uomo d’ingegno fervidissimo e di fiera coscienza», come scrisse.129 Il secondo caso è ancora più rilevante, perché riguardava un fido di Sorel, Agostino Lanzillo. Lanzillo, quando Mussolini diven­ ne direttore dell’«Avanti!», nel dicembre 1912, andò a collabo­ rare con lui e subito (marzo 1913) si produsse in una nuova esaltazione proprio dell’Action Française e del fatto che essa avesse sovvertito la situazione creatasi con il caso Dreyfus.130 Dunque strada sbarrata per Sorel, ma non per i soreliani, anche antisemiti. Forse fu il momento di maggiore adesione di Mussolini socialista alle logiche di partito. Tra l’altro, leggendo il suo «Avanti!» - dicembre 1912-novembre 1914 - si ha la netta sensazione che egli ne controllasse solo una parte, men­ tre un’altra parte era sottoposta al più vasto controllo di vari personaggi del partito. Mussolini era ben poco disponibile in quel momento verso il nazionalismo e i nazionalisti o verso fi­ gure intermedie come Paolo Orano, un ex socialista vicino ai sindacalisti rivoluzionari e favorevole alla guerra contro la Tur­ chia. Mussolini si schierò contro la guerra in Libia e non è strano che nel 1912 sia arrivato ad aggredire proprio l’inter­ ventista Orano a causa di quel Cristo e Quirino che appena due anni prima aveva considerato importante: «non è stato

129 Note e Letture, «La lotta di classe», 5 novembre 1910. Si trattava di una re­ censione all’ultimo numero di «Pagine libere», e in particolare a un articolo di Paolo Orano, La crisi repubblicana, «Pagine libere», 15 settembre - 1° ottobre 1910, pp. 343-348 (vi si parlava di Maurras e dell’Action Française). Nello stesso articolo della «Lotta di classe» veniva anche citato il pezzo di Mussoli­ ni sul «pangermanismo», pubblicato sullo stesso numero di «Pagine libere». 130 Agostino Lanzillo, Nuove tendenze di vita in Francia. L’«Action française», «Avanti!», 11 marzo 1913.

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preso in considerazione dai cristologi di vaglia», scrisse con di­ sprezzo nel 1912.131

Un fatto è sempre un fatto

Intanto - già allora - a proposito di ebrei Mussolini si lascia­ va le mani libere sul piano politico. In questa fase il suo pensie­ ro, forse non ancora perfettamente strutturato, poteva dimo­ strarsi perfino filosemita. Di lì a poco, sulla sua rivista (anch’essa socialista) «Utopia», Mussolini pubblicò due articoli, non suoi, di sostanziale denuncia dell’antisemitismo operante nel­ l’Europa orientale, in Russia e in Romania.132 Entrambi gli arti­ coli sostenevano che gli ebrei di quei paesi s’erano guadagnati il riscatto aderendo o promuovendo il socialismo o addirittura la rivoluzione. Del resto, in questa fase è attestato qualche suo rapporto di­ retto con alcuni ebrei. E certo quello con i due coniugi Sarfatti, Cesare e Margherita, che iniziò quando Mussolini divenne di­ rettore dell’«Avanti!» nel dicembre 1912. Come è certo quello

131 L’Homme qui cherche, Nel mondo deiRabagas, «La Folla», 18 agosto 1912 192). Mussolini più tardi (13 maggio 1929) dichiarò di aver letto entrambe le edizioni del libro di Orano; O.O., XXIV, p. 45. 132 Nino Levi, Ebrei e rivoluzione in Russia (10 dicembre 1913, pp. 23-27). Ro­ lando Balducci, La questione israelita in Rumania (15-28 febbraio 1914, pp. 112-116). Si cita dall’edizione reprint con presentazione di Renzo De Felice, Feltrinelli, Milano s.d. Ma si vedano anche tre articoli sull’«Avanti!»: quello di R. Ottolenghi, La santa Russia, del 23 luglio 1913 (sulla mancanza di libertà di movimento degli ebrei nel paese dello zar); Il processo d’Israele, «Avanti!», 9 novembre 1913 (denuncia contro il celebre processo Beilis a Kiev e che ri­ guardava un «delitto rituale»); e Lettere dalla Russia (Nostra corrispondenza particolare), «Avanti!», 25 febbraio 1914 (antisemitismo). Nino Levi, che ri­ mase socialista anche in seguito, fu attaccato dal PDI il 19 luglio 1922 (A ver­ bale/) perché aveva difeso Serrati, che durante il «carnovale elettorale» del 1919-1920 non aveva voluto farsi eleggere deputato. «Dopo il carnovale, la quaresima» era stato il commento irridente del giornale. Il 26 marzo 1945, in uno degli ultimi colloqui con Carlo Silvestri, Mussolini ricordò ancora Nino Levi, ma non si sa se Silvestri abbia riferito con precisione, perché sostenne che «gli fu vicinissimo nel 1914, all’epoca della separazione dal partito». Come si è visto Levi rimase socialista. Si veda, ACS, fondo Susmel, se. 8, f. Carlo Sil­ vestri, IX colloquio 1945 (Quad. 2). (O.O., IV, p.

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con l’ebreo Alceste Della Seta,133 un compagno di partito molto più anziano di lui che Mussolini trattava con deferenza, cercan­ do di tirarlo dalla propria parte: così, il 23 ottobre 1914 tentò, dopo la sua uscita dall’«Avanti!», di farlo dimettere dalla dire­ zione del PSI, senza riuscirci. Poi c’era il rapporto - a un certo punto conflittuale - con un’altra socialista, Angelica Balabanoff, che aveva conosciuto in Svizzera, e lo guidò e controllò all’interno della loro corrente politica e nella facitura dell’«Avanti!».134 Ma, si è detto, esisteva un forte condizionamento sul direttore da parte dell’organismo editoriale stesso e delle dinamiche di partito. Sarebbe stato dav­ vero difficile per Mussolini, circa sei-sette anni prima che si av­ vertissero in Italia le avvisaglie di un autentico antisemitismo organizzato, scrivere a tutto tondo contro gli ebrei. Eppure anche in questo periodo qualche lampo antiebraico e antisemita nel giornale di Mussolini affiora. Sono occasioni sparse, qualche volta chiarissime, qualche volta mimetizzate, ma ci sono. Inizia qui, in un giornale non facile da gestire, un modo di procedere quasi felino da parte di Mussolini sull’ar­ gomento ebrei. Ci si può riferire per esempio a un cenno sull’«Avanti!», brevissimo e anonimo, al libro - come si sa assai antiebraico di Otto Weininger, Sesso e carattere, «meravigliosa opera», ve­ niva detto, appena tradotta però in un pessimo italiano.135 Si 155 AFT, Carte Della Seta, b. 1. Nel fondo Della Seta esistono tre cartoline po­ stali di Mussolini, conservate in fotografia dallo stesso Della Seta: hanno la da­ ta del 18 luglio 1912, 20 luglio 1913 e 23 ottobre 1914. Quest’ultima, su carta intestata di «Utopia», riporta la successiva didascalia di Della Seta che spiega che venne scritta dopo l’adunanza di Bologna del 21 ottobre 1914 che segnò l’uscita di Mussolini dal partito. 134 Angelica Balabanoff, Il traditore Mussolini, L’Avanti!, Roma-Milano 1945, pp. 46-47. De Begnac, Taccuini..., cit., pp. 4-6, 11, 23; per altri ebrei frequen­ tati in giovinezza si veda anche p. 632. Ma per un episodio di irrisione della Balabanoff (a proposito della sua ortodossia marxista) si veda Francesco Bonavita, Mussolini svelato. Origine, sviluppo e finalità del pensiero mussoliniano, Sonzogno, Milano 1933 (1“ ed. 1924), pp. 74-75. 1351 libri che si stampano, «Avanti!», 24 gennaio 1913. E probabile che si trat­ ti di un breve scritto di Mussolini stesso, che ritornò anonimamente su Wei­ ninger venti anni dopo, parlando di un libro «semiscientifico, personalissimo, qua e là geniale», ma anche «pernicioso, disfattista, da vietare». Cfr. Sfasa­ menti, PDI, 12 settembre 1933. O.O., XXXVII. Appendice I (1978), p. 406.

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deve considerare inoltre una recensione, non di Mussolini, di alcune pubblicazioni sul tema «ebrei e capitalismo» (nemico numero uno del socialismo). Essa smentiva che gli ebrei aves­ sero avuto a che fare con le origini del capitalismo e confer­ mava però che «gli israeliti» avevano avuto una parte fondamentale nel suo «sviluppo»:136 tesi come s’è visto sostenuta dall’«Avanti!» qualche anno prima. Ma soprattutto si considerino i due violenti articoli anonimi del luglio e dell’ottobre 1913 contro due ebrei che si presenta­ vano come candidati alle elezioni locali a Venezia e Faenza, ma nelle liste «clericali».137 Mussolini non era l’autore di queste due corrispondenze, che riprendevano un genere di attacchi già condotti ad esempio dal socialismo prampoliniano. Ma era il direttore di un giornale che ormai da molti anni non aveva per­ messo manifestazioni di questo genere. A proposito del candidato a Venezia, Gino Ravà, un «milio­ nario», il giornale commentava con eleganza: Una volta era di... razza semitica: ora è di razza ... cristiana.

E quanto allo «Syloch» [Ve] di Faenza, Luigi Cavina, un ricco ebreo anche lui candidato, che avrebbe avuto difficoltà con le banche, con ancora più eleganza notava: Il gioco usuraio non è riuscito e Syloch per quanto si sia raffinato facen­ dosi cattolico, è rimasto nella trappola che si è da se stesso preparata.

Entrambi gli articoli trattavano i due ebrei come dei veri tra­ ditori della loro razza e religione. Ma in questo periodo probabilmente Mussolini covava anche altri pensieri e risentimenti. Trent’anni dopo, in piena RSI, par­ lando con Carlo Silvestri di quel periodo il duce si riferì con 136 Ettore Marchioli, Gli ebrei e il capitalismo, «Avanti!», 8 maggio 1914. Era una recensione a libri e saggi di Sombart, Epstein, Abrahams. Citato anche in Gherardo Bozzetti, Mussolini direttore dell’“Avanti!”, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 157-158, dove però stranamente è indicata la data del 14 maggio. 137 La riscossa clericale. Fradeletto ed Orsi liquidati, «Avanti!», 21 luglio 1913; «Syloch»... cattolico, «Avanti!», 9 ottobre 1913.

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precisione a un’altra ebrea, la compagna di Filippo Turati, Anna Kuliscioff:138 Il famoso «salotto», di Anna Kuliscioff, avendomi inflitto l’ostracismo più intransigente quando, nel ’13, venni a Milano a dirigere Γ «Avan­ ti!», mi ha indotto a reazioni di difesa che passarono il segno del «fat­ to personale» per diventare direttiva e azione politica.

Può darsi che il provinciale Mussolini avesse incontrato dif­ ficoltà a trovarsi a suo agio nel salotto della Kuliscioff, brillan­ te, cosmopolita, frequentato da qualche ebreo e nei fatti «cer­ vello regolatore della vita socialista e politica» di Milano, come lo descrisse Margherita Sarfatti.139 Altri, dall’amico d’infanzia Rino Alessi140 al figlio di Treves, Piero,141 hanno sostenuto che, viceversa, ci fu della diffidenza da parte di quel «salotto» ver­ so questo giovanotto strano e provinciale, dagli interessi appa­ rentemente bizzarri, secondo diversi testimoni ostico e aggres­ sivo. E che ci sia stata della diffidenza da parte della Kuliscioff è in effetti dimostrato;142 anche se nei primissimi giorni di di­ 138 Carlo Silvestri, Turati l’ha detto. Socialisti e democrazia cristiana, Rizzoli, Mi­ lano 1946, p. 35. Gli appunti a mano di questa parte delle conversazioni di Sil­ vestri con Mussolini non sono conservati tra le «carte Silvestri» del fondo Susmel all’ACS. Arnaldo Momigliano, che ha citato questo passo, ha elencato i «nemici ebrei» di Mussolini a Milano in questo periodo: tra essi considerava Angelica Balabanoff, Treves, Anna Kuliscioff, tutti socialisti. Vedi Arnaldo Mo­ migliano, recensione a Meir Michaelis, Mussolini ahd the Jews, «Journal of Mo­ dem History», 52 ( 1980), pp. 282-284, poi in Idem, Settimo contributo alla sto­ ria degli studi classici e del mondo antico, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1984, pp. 505-508 (in particolare pp. 506-507). Arnaldo Momigliano, scrisse, ebbe «in famiglia ben tre membri, Felice, Riccardo ed Eucardio Momigliano, con cui Mussolini ebbe rapporti personali non passeggeri, tutti finiti male». Idem, Pagine ebraiche, a cura di Silvia Berti, Einaudi, Torino 1987, p. 145. 139 Margherita G. Sarfatti, Acqua passata, Cappelli, Rocca S. Casciano 1955, p. 67. 140 Alessi ha ricordato che la «mentalità» di Mussolini «aveva insospettito il clan turatiano dove il sottilissimo ingegno semitico di Claudio Treves pontifi­ cava con giusta ragione di causa». Rino Alessi, Il giovane Mussolini rievocato da un compagno di scuola, Π Borghese, Milano 1970, p. 97. 141 Per la «mancata ammissione al cosiddetto salotto di Portici Galleria 23» cfr. Piero Treves, Antifascisti ebrei od antifascismo ebraico?, RMI, gennaio-giugno 1981, p. 147. 142 In una lettera della Kuliscioff a Turati del 20 dicembre 1912, quando Musso­ lini era da tre settimane direttore dell’«Avanti!», si legge: «Mussolini mi fece di­ re che verrebbe a trovarmi per parlarmi del giornale, ma mi sento molto imba-

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rezione dell’«Avanti!» proprio alla Kuliscioff Mussolini fece una «buonissima impressione» (2 dicembre 1912) ed ella ap­ provò i suoi tentativi di «mandare la democrazia sul marcia­ piede» (14 dicembre).143 E molto probabile in altre parole che Mussolini si sia dimostrato rapidamente meno malleabile di quanto Turati e la Kuliscioff sperassero; e del resto faceva rife­ rimento a un’altra e opposta corrente politica. Di qui la loro rapida e ferma ostilità. Trent’anni dopo Mussolini ricordava ancora che la sua rea­ zione a quegli atteggiamenti si era addirittura trasformata in «direttiva e azione politica». La «direttiva», sembra di capi­ re, era stata proprio di battere o di distruggere quel ceto po­ litico così diverso da lui. Per esempio si sa che Mussolini, di­ ventato direttore dell’«Avanti!», incominciò in maniera siste­ matica a cestinare gli articoli di Treves144 (e tra l’altro all’ini­ zio con la mezza approvazione della stessa Kuliscioff)145 e an­ che sul giornale affiorò un’evidente ostilità personale verso di lui. Poi, dopo essere stato direttore dell’«Avanti!» e membro del­ la direzione del partito, il 25 novembre 1914 Mussolini fondò un proprio giornale, il «Popolo d’Italia», e venne espulso dal PSI. Allora ebbe di nuovo l’appoggio, anche pubblico, di qual­ che ebreo, questa volta nazionalista come il giovane avvocato Arturo Orvieto e il professore universitario - futuro rettore Giorgio Del Vecchio.146 Orvieto gli manifestò subito un enturazzata di esprimere la mia opinione, perché così com’è fatto va malissimo». Fi­ lippo Turati - Anna Kuliscioff, Carteggio 111. 1910-1914, tomo II, raccolto da Alessandro Schiavi, a cura di Franco Pedone, Einaudi, Torino 1977, p. 838. 143 Cfr. Turati - Kuliscioff, Carteggio III..., cit., pp. 771 e 811. 144 Bonavita, Mussolini svelato..., cit., p. 82. Parlando di Tomaso Monicelli, ex collaboratore dell’«Avanti!», Mussolini lo descrisse come un giornalista asse­ tato di denaro e lasciando anche capire che gli accordi economici intercorsi tra Treves, direttore prima di Mussolini, e lo stesso Monicelli erano stati troppo esosi. In particolare, Benito Mussolini, Monicelliana, «Avanti!», 14 ottobre 1913 (O.O..V, p. 319). 145 Cfr. la lettera già citata del 2 dicembre 1912, in Turati - Kuliscioff, Carteggio III..., cit., p. 771. Cfr. anche G. Bozzetti, Mussolini direttore..., cit., pp. 81-82. 146 Si veda Arturo Orvieto, Contro l’Austria. Lettera d’un uomo libero a Benito Mussolini. Con prefazione di Giorgio Del Vecchio, Professore nella R. Uni­ versità di Bologna, Tip. Succ. Garagnani, Bologna 1914. L’opuscolo è stato ci­ tato da Bruno Di Porto in «Il "Vessillo Israelitico». Un vessillo ai venti di un’e­ poca tra Otto e Novecento, «Materia giudaica», VIl/2 (2002), p. 376.

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siasta apprezzamento per aver saputo spaccare e, secondo lui, rinnovare il socialismo italiano.147 Ma malgrado questi intrecci, Γantisemitismo emerse ancora una volta. Sono tracce più o meno palesi e da accostare a ulte­ riori manifestazioni, ma di deferenza, verso ebrei che invece sti­ mava o che stavano dalla sua parte o che Mussolini sperava di ti­ rare dalla sua: come Achille Loria, di cui disse che era «un uo­ mo dinanzi al quale mi inchino».148 Talvolta sembra che negli ar­ ticoli si riferisse alla religione «israelita», non alla razza «ebrai­ ca», ma tali termini continuavano ad avere un significato un po’ incerto e spesso si sovrapponevano. Per quanto riguarda le manifestazioni d’ostilità verso persona­ lità «ebraiche», si può segnalare per esempio la maniera in cui ad­ ditò con spregio quel «gruppo di banchieri ebrei»149 che avrebbe finanziato «L’Humanité» di Jean Jaurès, con il risultato che, disse un’altra volta,150 «per poco» quel denaro non l’avrebbe «ammaz­ zata» (lo stereotipo della «vendetta» funzionava sempre). Dal neonato «Popolo d’Italia» partirono poi nuove scara­ mucce contro i vecchi compagni ebrei socialisti (e ora neutrali­ sti), alcune assai violente. Mussolini, ex membro di quell’é/zte politica, pensò bene di rivolgersi, con le armi che conosceva, prima di tutto proprio contro quell’é/zte di cui aveva fatto parte. La «direttiva» a cui alluse tanti anni dopo con Carlo Silvestri ve­ niva subito messa in atto. Difficile da comprendere - ma violenta - fu l’aggressione an­ che a carattere antisemita con cui Mussolini nel marzo 1915 colpì proprio Claudio Treves,151 il deputato che nel 1908 aveva 147 Arturo Orvieto, La guerra non nazionalista, Cappelli, Bologna 1915, pp. 8-11. 148 Discorso all’Università Popolare di Genova, 28 dicembre 1914; O.O., VII, p. 99. 149 Mussolini, Chiodi e croce, PDI, 20 novembre 1914 (O.O., VII, p. 19). 150 Conferenza pronunciata il 17 febbraio 1914 a Torino, riassunta dal «Grido del Popolo»; O.O., VI, p. 99. 151 Per gli articoli di Mussolini contro Claudio Treves, «Palancagreca»!, PDI, 19 marzo 1915; L’on. Palancagreca, 24 marzo 1915; idem, 26 marzo 1915, Lon. Pa­ lancagreca e... compari, 28 marzo 1915, dove appare la frase sul ghetto successi­ vamente citata (O.O. VII, pp. 268-269, 278, 286, 287-289; ma si vedano anche l’intervento di Treves sull’«Avanti!» del 23 marzo 1915 e del 27 marzo 1915, al­ le pp. 483-486 e 486-487). A proposito di questo episodio, Leo Valiani, nella re­ censione alla prima e seconda edizione del libro di De Felice sugli ebrei, notò che si trattava del «primo sfogo antisemita di Mussolini»; secondo Valiani lo sfo-

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trattato con tanta cautela e con cui dopo, già da socialista, era entrato in conflitto. Gli attacchi, che culminarono in un aspro scontro alla spada, ruotavano intorno all’attribuzione da parte di Mussolini a Treves del soprannome, ingiurioso ma anche piuttosto criptico, di «palancagreca».’52 Dall’uso che Mussolini fece di questo termine qualche anno do­ po,153 sappiamo che per lui voleva dire qualcosa di simile a «soldo bucato» («palanche», «soldi» in veneziano e in altri dialetti), cioè «di nessun valore». E però pressoché certo che esso qui avesse a che fare con una supposta - tradizionalmente «ebraica» - avidità di soldi di Treves stesso e di cui Mussolini, come successore alla di­ rezione dell’«Avanti!», avrebbe avuto le prove: Treves cioè, come ex direttore, avrebbe preteso molti soldi di liquidazione, più di quelli guadagnati da Mussolini stesso.154 Peraltro bisogna anche go era motivato dal fatto che Mussolini aveva «istintivamente sentito» che sulla strada dell’interventismo «il filone ebraico del socialismo, impersonato in Italia con grande nobiltà da Treves, se lo sarebbe trovato sempre di fronte» (Leo Valiani, Persecuzioni. Gli antisemiti in ritardo, «L’Espresso», 18 febbraio 1962). Valiani faceva riferimento in particolare al modo in cui Mussolini aveva trattato Treves da «rigattiere avido di denaro, e straccione del ghetto». A quest’osserva­ zione, senza citare Valiani, De Felice replicò in una nota aggiunta nell’edizione successiva, la terza del 1972 (p. 235; stessa pagina anche nelle edizioni successi­ ve) e osservò solo che a proposito dell’«episodio Treves» «molto difficilmente si può parlare di antisemitismo». Di opposto avviso furono, in seguito, e proba­ bilmente in relazione proprio a quella nota di De Felice, Arnaldo Momigliano (recensione a Michaelis, 1980, cit., pp. 506-507) e il figlio di Claudio, Piero Tre­ ves (Antifascisti ebrei..., cit., p. 147); quest’ultimo parlò, a proposito della vio­ lenta polemica del 1915, della «volgarità antisemitica del romagnolo». 152 Mussolini stesso spiegò sul suo giornale, a un Treves che diceva di non ca­ pire; «Lo domandi a Venezia» (O.O., VII, p. 278). Nel noto dizionario vene­ ziano di Boerio non c’è nessun «palancagreca». Viene indicata però l’espres­ sione «l’è un grego», per intendere «uomo doppio, fallace, che ha due lingue» e «grecastro» per intendere «ebreo nato nella Grecia» (Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio. Seconda edizione aumentata e corretta. Ag­ giuntovi l’indice itafiano veneto già premesso dall’autore nella prima edizione, Cecchini, Venezia 1856; risi, anast. Aldo Martello, Milano 1971, rispettiva­ mente pp. 316 e 251). Per le «palànche», i soldi, Dino Durante - G.E Turato, Dizionario etimologico veneto-italiano, Erredici, Padova 1975, pp. 343-344. 153 Cfr. Mussolini, Malafede, PDI, 7 maggio 1921 (O.O., XVI, p. 308), dove scrisse di Turati che le sue «azioni» non valevano «una palancagreca». Che gli articoli ruotassero intorno alla questione del denaro (di Treves e della moglie: nell’articolo del 26 marzo, Don. Palancagreca - O.O., VII, p. 286 -, Mussolini specificava: «soprannominato per merito dotale “palancagreca”») è confer­ mato da Rossi, Trentatré vicende..., cit., p. 64. 154 Cfr. Don. Palancagreca e ... compari, cit. (O.O., VII, pp. 288-289); Treves

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notare che quando stava dando la scalata alla direzione dell’«Avanti!», sul giornale «La Folla» Mussolini sotto pseudoni­ mo aveva invece scritto che Treves, unico caso, aveva lasciato la di­ rezione delT«Avanti!», divenendone collaboratore, senza chiedere un’indennità, «senza i biglietti da mille, sangue del sangue prole­ tario».135 E sembra sia stato in ogni caso Mussolini a non voler ri­ spettare i precedenti contratti di Treves con l’«Avanti!».156 E comunque, a togliere i dubbi sul fatto che fosse un nomi­ gnolo da legare a una motivazione che aveva a che fare con gli ebrei, Mussolini spiegò l’ingiuria con un’altra, popolaresca, e cioè che Treves «ruba il linguaggio agli straccioni del “ghetto”».157 E sempre a proposito di duelli, Mussolini si imbarcò anche in un altro con un deputato socialista ebreo, Modigliani.158 E di nuovo il motivo fu un volgare insulto dal «Popolo d’Italia», questa volta non antisemita, ma di tipo privato («un Modigliani che è grande soltanto nell’onor del mento e della fronte»). Il non negò le cifre dichiarate da Mussolini, ma sostenne che «il lavoro si com­ pensa anche secondo il valore del lavoratore»; cfr. la risposta sull’«Avanti!» del 27 marzo 1915 (O.O., VII, pp. 486-487). Una testimonianza diretta sull’e­ pisodio (e non del tutto favorevole a Treves) in una lettera di Anna Kuliscioff a Turati del 1° dicembre 1912, primo giorno di direzione di Mussolini che, in­ sieme ad altri due esponenti del giornale, chiese la riduzione della cifra paga­ ta per il contratto di collaborazione dell’ex direttore dell’«Avanti!» (Turati Kuliscioff, Carteggio III..., cit., pp. 764-765). 155 Cfr. L’homme qui cherche, Indennità socialiste, «La Folla», 11 agosto 1912 (O.O., IV, p. 183). 156 Cfr. Bonavita, Mussolini svelato..., cit., pp. 82-83. Ma cfr. anche Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Einaudi, Torino 1965, pp. 139140. Secondo la sua stessa testimonianza, era stato Bonavita a ottenere «un’o­ norevole rinunzia di Claudio Treves al proprio diritto acquisito». 157 Questi articoli di Mussolini contengono diversi riferimenti indiretti all’ori­ gine ebraica di Treves. Cfr. anche il rimando all’«Ecce Homo!» riferito a Tre­ ves (O.O. VII, p. 288), forse ispirato di nuovo a Heine. 158 M., Gesto difede, PDI, 20 ottobre 1917 (edizione romana e milanese); O.O., IX, p. 277. La disputa fu pacificamente risolta dai padrini il giorno dopo (cfr. La vertenza Modigliani-Mussolini, PDI, 22 ottobre 1917; nell’edizione romana fu pubblicato il 23). A «velate allusioni di carattere intimo e famigliare» su Modigliani da parte di Mussolini ha fatto riferimento Cesare Rossi (Rossi, Trentatré vicende..., cit., pp. 66-67); peraltro Rossi accenna a una confusa spie­ gazione politica fornita dallo stesso Mussolini, a cui però Rossi stesso non cre­ dette; all’episodio si riferì anche la Kuliscioff; cfr. le lettere di A. Kuliscioff a Turati del 20-22 ottobre 1917 in Turati - Kuliscioff, Carteggio IV. 1913-1918, tomo II, cit., pp. 684, 690-691.

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duello poi non ci fu, ma le violente tirate del giornale contro Modigliani continuarono, con qualche forte sfumatura anti­ ebraica («un Modigliani, sia pure Emanuele», inizio 1918)159 e addirittura un auspicio di morte («Gli astrologhi hanno il dove­ re di crepar presto. Speriamo», giugno 1918).160 Si assistette così a qualche altra manifestazione dello stesso genere: a proposito dell’opportunismo di Sonnino, che venne definito insieme a Salandra «la figura ribalda degli usurai che sfruttano le sciagure altrui» (6 marzo 1915);161 e qualche giorno dopo veniva precisato: «diffama Machiavelli, e trae piuttosto la sua ispirazione da Shylok [«?]»·162 L’espressione, riferita a un personaggio con ascendenze e nome ebraici (ma di religione protestante) di quell’autorevolezza, a cui peraltro Mussolini in altre occasioni fu favorevole, era piuttosto provocatoria. Vista anche la robusta cornice ideologica in cui quegli insulti si collo­ cavano, era ben diverso da un - come è stato definito - «occa­ sionale sarcasmo antiebraico».163 Con la guerra, l’antisemitismo verbale del «Popolo d’Italia» in apparenza si attenuò (e tra l’altro, per quasi due anni il direttore fu assente dal giornale). Non fu una gran fatica comunque trova­ re in quel frangente un nuovo obiettivo e, ancora una volta, «di razza». Il nemico adesso lo si combatteva sui campi di battaglia, era la «razza tedesca» (ma anche quella «ungherese»),164 tratteg­ giata come «razza dominante», e caratterizzata dalla violenza. A questo proposito, particolarmente interessante fu l’apertura tra il settembre e l’ottobre 1916, sulle colonne del quotidiano (ma Mussolini era al fronte), di un breve dibattito sul tema - probabil­ mente inventato dalla propaganda - delle violenze sessuali di sol­ 159 Mussolini, Boicotto... [censura], PDI, 17 febbraio 1918. O.O., X, p. 331. 160 Nota di Montecitorio, PDI, 14 giugno 1918 (ed. romana e milanese). 161 Mussolini, «Necessità morale», PDI, 6 marzo 1915; O.O., VII, p. 236. Altri attacchi contro Sonnino, nell’agosto 1918, non contennero invece allusioni antisémite (O.O., XI, pp. 298-305). 162 Pedate ai neutri, PDI, 26 marzo 1915 (O.O., Vili, pp. 281-285). 163 Michaelis, Mussolini..., cit., p. 33. 1M Cfr. M., Postilla al commento, PDI, 13 gennaio 1918 (O.O., X, p. 225) e Mussolini, Colpi alternati, PDI, 5 aprile 1918 (O.O., X, p. 424), dove parlava sia dei tedeschi sia degli ungheresi. Si veda Rumi, Mussolini..., cit., p. 676 e so­ prattutto ora Angelo Ventrone, La seduzione totalitaria. Guerra, modernità, violenza politica (1914-1918), Donzelli, Roma 2004, pp. 107-125.

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dati tedeschi contro donne francesi e belghe. In partenza era in­ tervenuto il ginecologo genovese Luigi Maria Bossi, che aveva pro­ posto un referendum su ciò che quelle donne avrebbero dovuto fare se avessero concepito dei figli, in pratica se abortire oppure no.165 Erano seguiti diversi articoli sul «Popolo d’Italia» dal signi­ ficato inequivocabile: il problema era di evitare l’incrocio forzato delle due razze, in altre parole l’obiettivo era la «conservazione della specie».166 In un articolo167 venne anzi spiegato come uno dei mezzi di espansione della razza germanica sia precisamente il seminare di tedeschi il ventre delle donne appartenenti ai paesi di cui i pangermanisti pretendono il possesso per lo sviluppo economico e politico del loro paese.

Ovvia quindi anche la risposta formulata dallo stesso giornale. Come si è detto, Mussolini all’epoca era al fronte. Però è in­ teressante che, una volta tornato, egli riprese in mano la que­ stione. In questo senso è illuminante un brano dello stesso Mus­ solini168 anteriore di qualche giorno a Caporetto e che alludeva all’odio per i tedeschi169 non solo da parte delle popolazioni trentine, ma degli italiani in genere. L’odio contro la razza tedesca è così diffuso, così forte, così profondo che passeranno molte generazioni prima che le popolazioni straziate 165 II dibattito partì dalla lettera di Luigi M. Bossi pubblicata in Per la difesa del­ la donna. Un’altra brutale infamia tedesca, PDI, 25 agosto 1916. Seguirono inter­ venti il 27 agosto, il 2 settembre, il 5, il 16. Bossi aveva già pronunciato a Geno­ va, nel marzo 1915, una relazione sul tema: In difesa delle donne belghe e francesi violentate dai soldati tedeschi. Una grave questione d’eugenetica e di giustizia. Le risposte apparse sul «Popolo d’Italia», integrate da altri interventi, furono ripub­ blicate da Bossi sulla sua rivista, «Ginecologia moderna», nel 1917. Si veda Clau­ dia Mantovani, Rigenerare la società. Ueugenetica in Italia dalle origini ottocente­ sche agli anni Trenta, Rubettino, Soveria Mannelli (Cz) 2004, pp. 194-195. 166 F.M. Zandrino, Ancora in difesa della donna contro le violenze dell’antiuomo tedesco, PDI, 16 settembre 1916. 167 F.M. Zandrino, Per la difesa della donna dalla violenza dell’antiuomo. Ri­ sposta al “referendum” dell’on. L. M. Bossi, PDI, 2 settembre 1916. 168 M., Perfidia e impostura. Analisi dei documenti, PDI, 23 settembre 1917 (O.O., IX, p. 213). Contro la violenza propria della «razza tedesca», in parte ispirato (lo disse) dal «Popolo d’Italia», cfr. Vittorio Cian, Ricordi e commenti antitedeschi, estratto dalla «Rassegna italiana», f. V, 1918, pp. 1-15, in particolare p. 7. 169 Di «odio di razza» parlò anche Bottai nel suo diario, alla data 12 settembre 1915. Si veda Giuseppe Bottai, Quaderni giovanili 1915-1920, Fondazione Ar­ noldo e Alberto Mondadori, Milano 1996, p. 21. Ili

delle regioni invase e degli altri Paesi civili possano tornare a contatto, senza istintivamente rabbrividire, degli unni moderni.

A proposito di tedeschi «incriminabili», Mussolini invece non sfiorò, se non forse per alcuni vaghissimi cenni,170 uno dei «tedeschi» (ma in realtà polacco e di famiglia ebraica) più vitu­ perati del periodo: il potente amministratore delegato della Banca Commerciale, Giuseppe Toeplitz, con cui anzi condivise almeno un’iniziativa pubblica;171 si badi, Toeplitz in questo pe­ riodo veniva attaccato sia in quanto «tedesco»172 (anche se non lo era), sia in quanto «ebreo».173 170 In occasione di un’assemblea societaria della Commerciale che doveva eleg­ gere le nuove cariche, nel 1916, si scatenò sui giornali una guerra contro la non «italianità» della banca; ma il PDI intervenne solo con una blanda lettera di un professore di Pavia, suggerendo di rimandare le elezioni (Eteocle Lorini, Ilassemblea della Banca commerciale, PDI, 29 marzo 1916). Per tutti gli at­ tacchi, cfr. ASMi, Pref., Gab., 1° vers., cart. 532, f. Toeplitz Giuseppe Cittadi­ nanza. Di tedeschi «nelle Banche, nelle Industrie, nei Porti» eccetera Musso­ lini parlò di persona in II nostro «delenda Carthago», PDI, 6 novembre 1917 (O.O., X, p. 32) e poi ripetè la formula Γ8 dicembre (O.O., X, p. 125); ma sen­ za mai citare Toeplitz. Un redattore del giornale di Mussolini, Roberto Dino, ha in seguito sostenuto che in questo periodo l’amministratore del giornale, Manlio Morgagni, ricattava Toeplitz con la minaccia di «rivelazioni» sui suoi rapporti con i tedeschi (Roberto Battaglia, Vidi i rapporti inviati alla Russia da Mussolini, «l’Unità», 5 agosto 1959). Ma nulla è provato. 171 Mussolini e Toeplitz nel giugno 1918 fecero parte dello stesso comitato pro-studenti serbi finanziato dalla Banca commerciale (si veda l’annuncio sul PDI, 15 giugno 1918. O.O., XI, pp. 126-127). Su Mussolini e Toeplitz, Giorgio Fabre, Mussolini e le sovvenzioni della COMIT, «Quaderni di storia», gennaiogiugno 2003, pp. 281-299. 172 Toeplitz fu attaccato in una requisitoria contro la COMIT, nel corso di una riunione del Comitato d’azione per la resistenza interna, avvenuta il 10 luglio 1918. In quell’occasione anche «l’aw. Olivetti inveì contro l’opera subdola» del «tedesco» Toeplitz (si trattava di Angelo Oliviero Olivetti). Così il reso­ conto del prefetto, che riferì a Roma specificando però che Toeplitz era «rus­ so di nazionalità polacca nativo di Varsavia» e che aveva quasi ottenuto la cit­ tadinanza italiana con decreto reale già nel 1906 (ma la pratica all’ultimo mo­ mento non era andata in porto); e poi in via definitiva 1Ί1 gennaio 1912 (ASMi, Pref., Gab., 1° vers., cart. 532, f. Toeplitz Giuseppe Cittadinanza). ACS, MI, DGPS, DAGR, A5G, 1“ guerra mondiale, b. 106, f. 225, sf. 16, ins. Milano. Fascio rivoluzionario interventista. 4. Quanto al precedente amministratore delegato della Commerciale, Otto Joel, dopo le sollecitazioni del ministro degli Esteri Antonino Di San Giuliano, ottenne la cittadinanza italiana nel luglio 1910. ASDMAE, MAE, Gabinetto 1910-14, b. 40, f. 27/10 Comm. Joel. 173 Si veda l’attacco di Napoleone Colajanni, riferito dal PDI edizione romana il 15 giugno 1918 (Note di Montecitorio). Colajanni commentava una recente

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Tale «neutralità» verso il noto banchiere appare un dato strano, vista la violenza che Mussolini in quei mesi aveva dedicato ad altri «tedeschi». In proposito, è stato ipotizzato che l’atteggiamento quantomeno neutrale avesse motivi di carattere economico: che, in altre parole, il «Popolo d’Italia» fosse stato finanziato dalla ban­ ca.174 Renzo De Felice ha fatto il conto delle inserzioni pubblicita­ rie della Banca Commerciale presenti sul «Popolo d’Italia» tra il 1° luglio e il 4 novembre 1918 e ha scoperto che furono numero­ se, quasi il doppio di quelle dell’Ansaldo. Fino al termine dell’an­ no la loro quantità si mantenne alta, a differenza di quella di altre ditte. Tra l’altro, a causa di Toeplitz, nell’agosto 1918 Mussolini venne attaccato da un tal Siebaneck, componente di un comitato politico vicino al «Popolo d’Italia», e proprio perché il giornale non aveva voluto pubblicare un suo articolo contro il banchiere. Siebaneck aveva ritenuto che il giornale così avesse voluto fare «l’interesse della Banca Commerciale».175 A stranezza si aggiunge stranezza, se si pensa che nello stesso periodo (agosto 1918) Mus­ solini stava contrattando un finanziamento da parte del gruppo in­ dustriale avversario di Toeplitz, ΓAnsaldo dei fratelli Perrone.176 E un atteggiamento che s’è già visto e vedremo ripetersi - cautissimo con chiunque rappresentasse un potere autentico, tanto più se in­ gente e poco controllabile o contrastabile come quello bancario. S’è detto che, a proposito di ebrei, nella bibliografia mussoliniana di questo periodo c’è poco. E lui del resto, essendo al fronte, dall’agosto 1915 al luglio 1917 fu al giornale per pochis­ simo tempo. C’è però abbastanza su quelle colonne - e in ma­ niera ben visibile - per poter sostenere che i suoi interessi erano condivisi dai suoi collaboratori in modo netto e fermo. Che fosrisposta governativa sulla mancata dismissione di due società in parte di pro­ prietà della Banca Commerciale e quindi italiane. Colajanni disse: «Toeplitz, ebreo, [...] potrà essere polacco, turco, russo, slavo, tutto quel che si vuole, ma giammai né un galantuomo né un italiano». 174 De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., pp. 467-468. 175 L’episodio capitò nel corso, di un’altra riunione del Comitato il 9 agosto 1918, e fu riferito a Roma dal prefetto di Milano il 12. Si veda ACS, MI, DGPS, DAGR, A5G, 1“ guerra mondiale, b. 106, f. 225, sf. 16, ins. Milano. Fascio rivo­ luzionario interventista. 4. La lettera è stata citata, però con un grave errore, da De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 414. 176 Ivi, pp. 415-417 (in particolare p. 417).

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sero idee sue, o che ne condividesse con altri la formulazione sul «Popolo d’Italia», esse incontravano ormai qualche fortuna. Alcuni esempi: il 21 settembre 1916 «Jean Jacques», pseudo­ nimo di Ottavio Dinaie, sulla prima pagina del giornale attaccò gli ebrei in generale in quanto strumento della «penetrazione capitalistica pangermanica» (e aggiunse per di più una battuta antisemita sugli ebrei deicidi).177 Si sa, di quest’articolo peraltro non si può certo attribuire responsabilità diretta a Mussolini, che in quel periodo era al fronte. Però sappiamo anche che se­ guiva la rubrica di Jean Jacques con «interesse e piacere», come aveva scritto al titolare qualche giorno prima.178 In questa nota, ancora una volta, si intrawedeva l’ispirazione bakuniniana: era stato Bakunin a sostenere che Marx aveva realizzato l’alleanza tra ebrei e pangermanesimo. Tre mesi dopo, il 21 dicembre 1916179 - di nuovo non di Mussolini che era sempre al fronte - uscì un trafiletto anonimo davvero singolare, che elencava una serie di socialisti presenti alla conferenza neutralista di Zimmerwald. Era questa, diceva, la gente che «pugnalava alle spalle» gli italiani che combatteva­ no la guerra. E tutti «sono ebrei», affermava ancora il giornale. Si trattava per la precisione dei deputati socialisti Treves, Modi­ gliani, Musatti, del dirigente «Isacco Schweide», della Balabanoff. Il trafiletto si concludeva con questi concetti:

177 Jean Jacques, Filosofia rivoluzionaria. Israele e il Pangermanesimo, PDI, 23 settembre 1916 (ma la testata ha data sbagliata, si tratta del 21 settembre). Mussolini, parlando con Duilio Susmel, attribuì a Dinaie lo pseudonimo: vedi O.O., I, p. XII. Ma si veda anche l’informativa del 5 luglio 1918 in ACS, MI, DGPS, DAGR, Fi, b. 20, f. 40.43. Milano. Il Popolo d’Italia. L’articolo antisemi­ ta del PDI fu commentato e attaccato in un editoriale senza titolo di «Israel» dell’11-19 ottobre 1916, dove si sostenne che il «social-nazionalista Popolo d’Italia» imitava il giornale francese «Paris-Midi». Entrambi gli articoli sono segnalati, ma, con date errate, anche in Sergio I. Minerbi, LiItalie et la Palesti­ ne. 1914-1920, PUF, Paris 1970, p. 43. 178 La lettera a Dinaie, dell’ll settembre 1916, in O.O., XXXVIII, pp. 96-97. Mussolini era partito per il fronte il 2 settembre 1915 e si riferiva alla rubrica di prima pagina Filosofia rivoluzionaria. 179 Un fatto, PDI, 21 dicembre 1916; segnalato in Minerbi, ILItalie et la Palesti­ ne..., cit., p. 44. Un breve commento a questo articolo nell’editoriale di «Israel», Rabbie antisemitiche merce estera aa importare del 4 gennaio 1917.

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Questa constatazione non vuole avere alcun carattere di antisemiti­ smo. L’antisemitismo, per noi è un atteggiamento ingiusto ed incon­ cludente. Ma il fatto è sempre un fatto e merita di essere rilevato.

La questione dei dirigenti ebrei (sovversivi, rivoluzionari, pa­ cifisti, antinazionali) meritava attenzione. Si osservino anche i due aggettivi, «ingiusto» e «inconcludente». L’antisemitismo sa­ rebbe stato ingiusto (e in questo il giornale di Mussolini seguiva una parte della tradizione socialista). Ma anche inutile, perché non portava da nessuna parte. Resta da capire beninteso quale fosse invece un atteggiamento «concludente», e «concludente» in quale senso. Subito dopo, ancora sul «Popolo d'Italia» uscì un articolo180 - di nuovo non di Mussolini, che era ancora al fronte - sulla neonata associazione Pro Israele, costituita da vari intellettuali e politici con lo scopo di appoggiare un insediamento ebraico in Palestina. Era un pezzo favorevole all’ipotesi dell’insediamento, soprattutto per dar rifugio umanitario ai perseguitati di varie parti d’Europa. Di nuovo però affiorava una sfumatura molto negativa. Essa riguardava il problema sollevato dalla possibile nascita di uno stato ebraico, che avrebbe imposto enormi difficoltà agli ebrei d’Europa, venendo essi a disporre di una supposta doppia nazionalità e di due leggi da seguire, quella «rabbinica» e quella «nazionale». Anche in ambito ebraico era un problema posto da tempo; anzi, a sollevare la questione con grandissimo scandalo fu, nel lontano 1907, il no­ tissimo banchiere Jacob Schiff, una sorta di leader politico del­ l’ebraismo americano.181 Come si vede, anche se con grandi cautele, e prima dello svi­ luppo del bolscevismo, l’ostilità del suo giornale era sfumata ma 180 Giuseppe Restivo Alessi, Lemancipazione civile e politica degli israeliti, PDI, 30 gennaio 1917, anch’esso segnalato in Minerbi, L’Italie et la Palesti­ ne..., cit., p. 44. Cfr. anche AUCEI, fondo CCII, b. 17, f. 91. Pro Israele e Bol­ lettino. 181 Lo fece nel corso di un’assemblea della comunità ebraica americana, nel luglio 1907. Cfr. Naomi W. Cohen, Jacob H. Schiff. A Study in American Jewish Leadership, Brandeis University Press, Hanover (NH) - London 1999, pp. 180 e 284. Il discorso di Schiff fu riportato dal «New York Times» il 29 luglio 1907.

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di vario tipo: inequivocabile - e forte, il «fatto è sempre un fat­ to» - contro i capi ebrei-socialisti, con qualche insinuazione di filogermanesimo; dai contorni più incerti, poi, l’accenno aH’«ebreo-finanziere», ma non direttamente fatto da Mussolini; e infine, tenue e un po’ indeciso (e sempre non trattato da Mus­ solini), il tema dell’eventuale, forse inammissibile, «doppia na­ zionalità» nei grandi stati europei. La successiva ostilità contro gli «ebrei bolscevichi», come si vede, si sarebbe innestata su complicate avversioni già largamente impostate. Ancora più interessante è la completa indifferenza che il gior­ nale di Mussolini manifestò verso la nuova fiammata d’antise­ mitismo che s’accese sui giornali alla fine del 1916. Essa faceva perno sugli attacchi contro la «banca ebraica internazionale» e i suoi aiuti al nemico, la Germania. In proposito, in Italia si di­ stinse soprattutto il giornalista del «Mattino» Carlo Scarfoglio, già manifestatosi con il suo antisemitismo ai tempi della guerra di Libia;182 e poi l’economista liberista Maffeo Pantaleoni sulla «Vita italiana».183 La fonte di Scarfoglio e Pantaleoni fu soprattutto un lungo e importante articolo del «Times» di Londra di D. Thomas Cur­ tin, della fine di novembre 1916.184 L’articolo, su e contro Schiff, aveva sostenuto che il banchiere ebreo tedesco-americano, di cui si «ricostruiva» la ramificata influenza, era piuttosto perico­ loso per gli Alleati a causa delle sue origini tedesche e perché era un pacifista. Ma aggiungeva anche che nel gruppo Schiff 182 Di Scarfoglio si vedano i due articoli sulla prima pagina del «Mattino», fir­ mati con lo pseudonimo di Kim: Questioni bancarie (9-10 dicembre 1916) e Uno sguardo all’ingiro (25-26 dicembre 1916, da cui la citazione). Per un com­ mento molto irritato, cfr. Rabbie antisemitiche merce estera da importare, «Israel», 4 gennaio 1917 (editoriale che, come s’è detto, rispondeva anche al corsivo Unfatto, del PDI e dimostrava di sapere che Kim era lo pseudonimo di Scarfoglio). Un riferimento agli articoli del «Mattino» in Minerbi, LItalie et la Palestine..., cit., p. 44. 183 Cfr. il suo Le due mozioni alla Camera, quella degli «arrivisti» e quella dei «barbaro-giudaici», «La Vita Italiana», 15 dicembre 1916, in particolare p. 501. Citato in Michaelis, Mussolini..., cit., pp. 402-403. Si veda anche De Feli­ ce, Storia..., cit., p. 47. 184 D. Thomas Curtin, Men behind the U.S. Peace Intrigue. Mr. Schiff’s Aims. A Danger to the Allies, «Times», 29 novembre 1916, coll. 7a-c. Per il «Times» si veda anche Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., pp. 218-219.

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non tutti condividevano le stesse posizioni. Era quindi, tutto sommato, un pezzo insidioso ma abbastanza cauto. Traendo ispirazione dal «Times» di Londra, che aveva sferra­ to quel discreto attacco, nel dicembre 1916 Scarfoglio aggravò l’accusa e scrisse che i banchieri ebrei americani di origine tede­ sca, a partire proprio da Jacob Schiff, capo della banca Kuhn, Loeb & Co, appoggiavano la Germania e, con i loro rapporti ra­ mificati che includevano la proprietà dei giornali, condiziona­ vano gli USA. Poi il giornalista napoletano non mancava di se­ gnalare una situazione analoga a proposito della Banca Com­ merciale guidata da Giuseppe Toeplitz. «Dove c’è dell’ebreo c’è del tedesco», concludeva Scarfoglio. E si era in piena guerra ap­ punto contro la Germania. In realtà l’«accusa» di filogermanesimo, per quanto riguarda Schiff, non era del tutto infondata. Jacob Schiff, nato a Fran­ coforte, trasferitosi negli USA giovanissimo, una forte simpatia per la Germania l’aveva mantenuta anche dopo essere stato na­ turalizzato americano: era stato ricevuto dal Kaiser nel 1911 e si era schierato a favore del suo paese d’origine anche durante il conflitto, arrivando a elargire qualche finanziamento.185 Eppure, come s’è detto, il «Popolo d’Italia» (ma sempre senza il suo direttore), pronto a dare addosso agli ebrei per al­ tre questioni, in questo periodo non raccolsero tali insinuazio­ ni «finanziarie». Se si guarda alle date, anzi, si può ben con­ statare che più o meno mentre il «Times», Scarfoglio e Pantaleoni se la prendevano con gli «ebrei banchieri», il «Popolo d’Italia» preferiva scagliarsi contro le personalità ebraiche in vista nei partiti socialisti. Insomma, era una scelta ancora una volta politica. Ma Γ antisemitismo del giornale di Mussolini riemerse con la presa del potere da parte dei bolscevichi. E questa volta il diret­ tore c’era. Il 24 luglio 1917 Mussolini, da poco tornato alla direzione dall’ospedale dove era stato ricoverato per ferite, cercò di accu­ sare il socialismo in genere - e soprattutto quello italiano - di

185 Cfr. Cohen, JacobH. Schiff..., cit., pp. 46 (per l’incontro col Kaiser) e 193-195.

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essere finanziato dai grandi capitalisti, in particolare da Henry Ford e quindi senza specificare che parlava di un capitale «ebraico».186 Peraltro, alla fine dell’articolo Mussolini riusciva a infilare questa frase: «L’oro - diceva Arrigo Heine, poeta antite­ desco - è il dio del nostro tempo e Rothschild è il suo profeta». Erano le tradizionali interpretazioni anticapitaliste, questa volta rivolte contro i socialisti. Il riferimento agli ebrei forse lo si po­ teva leggere in trasparenza, ma non veniva esplicitato. Il giorno dopo, sempre sul «Popolo d’Italia», Mussolini ri­ prese il comunicato con cui il 22 luglio 1917 il neonato gover­ no socialista russo di Kerenskij aveva attaccato gli autori di un primo, supposto fallito colpo di stato bolscevico; e insieme la notizia del mandato d’arresto emesso contro i «golpisti», di­ versi dei quali avevano cognomi ebrei.187 E di nuovo l’allusione, visti i nomi, poteva essere evidente, ma anche in quell’occasio­ ne il «Popolo d’Italia» non avanzò in alcun modo interpreta­ zioni antiebraiche. In Russia nel 1917 gli ebrei avevano conosciuto, grazie alla ri­ voluzione socialista di febbraio, che aveva scalzato i Romanov, una chiara emancipazione e, per alcuni, una forte spinta verso il sionismo.188 Ma ciò - insieme alla presenza di diversi ebrei tra i rivoluzionari estremi189 - aveva anche rinforzato il tradizionale antisemitismo russo, presente pure nei partiti socialisti. Tra luglio e novembre, la presenza «ebraico-tedesca» tra i bolscevichi, sempre sulla base delle indicazioni dei giornali so­ cial-riformisti russi, era stata ribadita da vari organi di stampa occidentali. Un quotidiano italiano, il «Giornale d’Italia», in 186 Ford: un milione, PDI, 24 luglio 1917 (O.O., IX, pp. 71-73). 187 Per le vicende del governo Kerenskij, cfr. Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., pp. 205-206. Per il mandato d’arresto si veda anche l’«Avanti!» del 23 luglio (prima pagina). Per l’articolo di Mussolini, si tratta di M., Da Stürmer a Lénine, PDI, 25 luglio 1917 (O.O., IX, pp. 74-76). Peraltro nell’articolo c’era un passaggio sulle «bande dei seguaci del “purissimo” Oulianov, vulgo Lénine». Quel «purissimo» poteva però riferirsi alla supposta origine tedesca di Lenin. 188 In proposito si vedano i numerosi articoli su «Israel» del 19 luglio e 26 lu­ glio e nei numeri successivi. 189 In proposito, si veda Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., pp. 198200; per i giornali russi e poi per quelli occidentali (in particolare il «Times» dell’ll settembre 1917 e poi il «New York Times»), si veda Poliakov, ivi, pp. 204ss. e 228.

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una corrispondenza da Pietroburgo,190 proprio in quei giorni osservò che «la propaganda antisocialista [contro il «socialismo massimalista», cioè i bolscevichi] e antisemita guadagna quoti­ dianamente terreno». Qualcosa del genere diceva anche il corri­ spondente del «Messaggero».191 Quando la rivoluzione bolsce­ vica vera e propria maturò, il «Morning Post» (12 novembre), riportando quasi di certo dati dalla stampa russa, riferì192 che la situazione era governata da alcuni estremisti, guidati da gente col doppio cognome di origini tedesco­ ebraiche e che si fanno passare per russi, Lenin, Ulianoff, Zederblum, Trotsky-Bronstein, ed altri dello stesso genere.

La prima notizia che in Russia si era insediato il nuovo gover­ no bolscevico venne data dal «Popolo d’Italia» il 10 novembre 1917, in contemporanea con i giornali internazionali.193 Quel 10 novembre, Mussolini stese il primo articolo ostile, pubblicato l’indomani, a ridosso immediato degli avvenimenti.194 Scrisse che i bolscevichi erano dei traditori e li definì «tedeschi», longa 190 [Armando] Zanetti, Un’altra ora torbida in Russia, «Giornale d’Italia», 7 novembre 1917. 191 Virginio Gayda il 5 novembre inviò un articolo in cui scrisse che a Pietro­ burgo la folla, durante una cerimonia ortodossa, aveva chiesto al metropolita «Γeliminazione degli ebrei dalla direzione degli affari dello Stato»; Gayda commentò: «va crescendo il fermento del popolo, soprattutto contro gli israe­ liti, accusati, certo non sempre a ragione, di essere responsabili della sciagura della Russia» (V.G., Grave agitazione antisemita, «Il Messaggero», 8 novembre 1917). Gayda si era segnalato come giornalista antisemita durante la guerra di Libia. Cfr. Toscano [jr], Ebraismo e antisemitismo..., cit., p. 46. Dopo la guer­ ra arrivò ad approvare l’assassinio di Rathenau (V.G., La guerra a Israele in Germania, «Rivista di Milano», 10 settembre 1922, pp. 15-22). A proposito dell’antisemitismo in Russia si veda anche La propaganda antisemita della rea­ zione russa, «Israel», 16 agosto 1917. 192 German Jews in possession, «Morning Post», 12 novembre 1917, col. 8d. L’articolo riferiva che la «stampa russa» «denunciava gli ebrei al governo». 193 Come il Soviet si è impadronito del potere, PDI, 10 novembre 1917 (prima pagina). Il «Times» di Londra diede la notizia della caduta del governo Kerenskij lo stesso giorno (Scenes in Petrograd. Siege of the Winter Palace). Sem­ bra di capire che nelle interpretazioni di quanto succedeva in Russia l’avveni­ mento decisivo fu l’arresto del generale Kornilov (e di altri ministri) e la noti­ zia fu data dall’agenzia «Reuter» Γ8 novembre. 194 M., Avanti, il Mikado!, PDI, 11 novembre 1917 (O.O., X, p. 41). Quest’ar­ ticolo viene citato da Michaelis (Mussolini..., cit., p. 55), secondo cui con esso

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manus dell’impero del Kaiser e, ancora, nemici per antonoma­ sia: erano Lenin, [...] o - col vero nome di battesimo e di razza - Ceorbaum;

e poi Apfelbaum, Rosenfeld, Bronstein: siamo, come ognuno vede, in piena, autentica tedescheria,

era il commento. Si trattava di nuovo di nomi tutti «ebraici», ma con l’aggra­ vante di essere anche «tedeschizzanti». Mussolini non faceva esplicito riferimento ad appoggi economici tedeschi ai bolscevichi: del resto, le «notizie» in proposito affiorarono solo molto tempo dopo. Alludeva come al solito all’e/Ae, agli uomini, ai di­ rigenti e alle loro origini personali. In questo caso, parlava an­ cora di «tedescheria», non di «ebrei», a cui questa volta fece cenno però in modo indiretto, con quell’allusione chiarissima al «battesimo» («ebraico», senza dubbio) e alla «razza». Insomma, anche quando la rivoluzione bolscevica vera e pro­ pria esplose, anche allora a proposito di ebrei fu assai allusivo ma insieme cauto; a differenza del «Morning Post», che aveva parlato in modo esplicito di bolscevichi ebrei e traditori. L’antisemitismo di Mussolini si manifestò in maniera cruda una ventina di giorni dopo, quando i bolscevichi sembrarono fare il passo decisivo, in conseguenza dell’arresto di vari ministri del go­ verno Kerenskij e della nomina di un nuovo ministro della Guer­ ra. Il 3 dicembre 1917 pubblicò un corsivo dedicato a Nicolai Vassilievic Krylenko, nuovo commissario bolscevico alla Guerra.195 Era la fase in cui la Russia si stava ritirando dinanzi alle armate te­ desche. Anche Krylenko per Mussolini era da considerare un tra­ ditore del proprio paese: «si chiama Abram», osservò questa volta.

Mussolini «lanciò una violenta campagna contro il bolscevismo “giudaico-tedesco”». 195 11 Napoleone della viltà, PDI, 3 dicembre 1917 (O.O., X, p. 110). Ricordato anche da Michaelis, in I rapporti tra fascismo e nazismo..., cit., p. 584 e poi in Riflessioni..., cit., p. 200.

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Altro impasto di lettere che puzza di tedesco e di sinagoga.

Adesso il riferimento sprezzante era molto più limpido e di nuovo, come in precedenza, riguardava gli ebrei e la loro reli­ gione. La frase lasciava intendere senza ambiguità che non c’era tanta lontananza tra il nemico «tedesco» e l’«ebreo». Tra l’altro sembra proprio che si trattasse di un falso, perché Abraham era solo uno pseudonimo adottato talvolta dal commissario bolsce­ vico Krylenko, che non era ebreo.196 Né il suo nome comparve più nei vari elenchi di «ebrei-bolscevichi» che furono distribui­ ti in Occidente negli anni seguenti.197 La notizia antisemita su Krylenko anche questa volta veniva dalla Russia, di nuovo attraverso giornali antibolscevichi, ed era stata ripresa dall’agenzia «Reuter» e poi da alcuni giornali occi­ dentali come il «Morning Post», che aveva precisato: «The antiMaximalist Press declares that Krylenko’s real name is Aaron Abram».198 E poi era stata data da Mussolini: non invece da al­ tri giornali italiani, che non avevano identificato gli ebrei con i bolscevichi.199 196 Così Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., p. 206. Per una secca smentita si veda: S. Poliakoff, Qui entoure Lénin, «La Tribune Juive», 26 di­ cembre 1919, pp. 8-9. Per una biografia di Krylenko si veda la voce nella Great Soviet Encyclopedia, v. XIII, Macmillan, Collier Macmillan, New York London 1976, pp. 528-529. 197 Si veda l’elenco in Ancora l’internazionale ebraica, «La Vita Italiana», 15 set­ tembre 1920 che citava la pubblicazione «Documentation»; lo stesso testo fu pubblicato anche sul supplemento del numero di «Fede e Ragione» del 13 no­ vembre 1921, per l’elenco vedi p. 50. Ma cfr., per un altro elenco ancora ma suc­ cessivo, Louis Massoutié, judaïsme et Marxisme, Perrin, Paris 1939, pp. 124-125. 198 Russians to «cease fire», «Morning Post», 30 novembre 1917, col. 8b (tra­ scrizione di un dispaccio «Reuter» del 28). 199 Lo stesso giorno dell’articolo di Mussolini il «Giornale d’Italia» pubblicò una corrispondenza dalla Russia (Chi è Krylenko] in cui diceva che Krylenko nel 1905 «partecipò alla rivoluzione russa sotto il nome di compagno di Abraham». Per Trockij si veda invece «La Tribuna» dell’ 11 novembre che, riprendendo no­ tizie d’agenzia che sarebbero state attinte dalla polizia americana, sosteneva: «Trotsky è un agente tedesco»; il «Corriere della Sera» 1Ί1 dicembre 1917 ri­ prese la notizia: «Il capo dei massimalisti noto agente tedesco»; in questi artico­ li non veniva detto che era ebreo. Il giorno della nomina di Krylenko a coman­ dante in capo delle forze armate russe un editoriale del «Times» aveva com­ mentato: «Lenin and several of his confederates are adventurers of GermanJewish Blood and in German pay» (A Lenin Armistice·, cfr. «Times», 23 novem-

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All’epoca, in Italia un’indicazione antiebraica (o antisemita) era riscontrabile su diversi giornali: sul «Corriere della Sera» ad esempio, nei giorni di Caporetto, sulla scorta di notizie che sa­ rebbero state diffuse da giornali tedeschi, si sostenne che a Udi­ ne «in città erano giunti numerosi ebrei da Vienna e Budapest che si danno a un vero saccheggio».200 Quella tendenza era poi presente anche in ambiti governativi e di polizia201 e in qualche ambiente intellettuale.202 Tra questi casi è davvero rilevante una lettera scritta dallo statistico Luigi Bodio, senatore del Regno, all’altro statistico nonché eugenista Corrado Gini.203 E una ri­ sposta a una richiesta di Gini, che in quel momento (20 marzo 1917) stava conducendo ricerche sugli ebrei. Dopo aver indica­ to la bibliografia sul tema (Renan, David Castelli, Gaetano Ne­ gri ecc.), Bodio aggiunse: Io persisto a credere che sussiste la razza di Israele, per quanta sia stata la miscela dei sangui. Trovate ogni giorno nella strada e nei teatri delle figure che paiono staccate dai rilievi dell’Assiria. E faccia attenzione a quel carattere fisico decisivo, del sudore freddo e visci­ do nella palma della mano. Quando i nasi, gli occhi, i ginocchi, il collo, il piede, la pronuncia, la voce nasale non le fossero sufficien­ ti far riconoscere il tipo, lei stringa la mano della persona e sarà fis­ sato nella ricerca. Tutto ciò sia detto senza odio e senza spirito d’intolleranza. Ma sono essi che svegliano una certa diffidenza per una certa importunità e imbre 1917, col. 7b [la notizia in 6b]). A questo editoriale rispose qualche giorno dopo L.J. Greenberg, direttore del «Jewish Chronicle» e del «Jewish World» (The Bolsheviks and the Jews, «Times», 28 novembre 1917, col. 5f). La risposta fu riportata in Chi sono i bolsceviki, «Israel», 20 dicembre 1917. 200 Saccheggio di ebrei a Udine, «Corriere della Sera», 11 dicembre 1917. 201 Nei fondi dell’Ufficio Centrale d’investigazione del ministero dell’Interno è conservato un biglietto senza firma della fine dell’ottobre 1917 in cui veniva denunciato che il giornale «Israel» faceva «propaganda anti-italiana». La ra­ gione sarebbe stata che il direttore Dante Lattes proveniva da Trieste. Si veda ACS, MI, DGPS, UCI, b. 61, f. 1549. La denuncia non ebbe seguito. 202 Si veda la lettera di Gioele Solari a Luigi Einaudi del 1918, in cui lo studio­ so alluse con disprezzo alla «quintessenza dello spirito ebraico» del collega Adolfo Ravà, che aveva sposato «un’austriaca», «esponente del neutralismo ebraico». Citato in Angelo D’Orsi, Allievi e maestri. L’Università di Torino nell’Otto-Novecento, Celid, Torino 2002, p. 217. 203 ACS, FCG, Corrispondenza, se. 2, f. Bodio L.

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pudenza. Non è vero? Dipenderebbe da loro di far sparire codesta tal­ quale diffidenza e contrarietà.

Probabilmente si trattava di un vecchio antisemitismo sedi­ mentato, in particolare in ambienti colti. E forse episodi come quello della «colonizzazione» ebraica in Cirenaica avevano irro­ bustito la tendenza. Con l’inizio della guerra, Γantisemitismo si era poi talvolta mescolato con l’antigermanesimo (Bakunin aveva fatto scuola) e aveva condotto - in base soprattutto ai nomi - all’individuazione degli ebrei più «pericolosi» per l’Italia in quelli di origine o nome tedesco. Eppure, considerati tutti questi elementi, il rife­ rimento fatto da Mussolini alla dirigenza bolscevica rimaneva fuori dalla norma. Nello stesso periodo non si riscontrano altro­ ve frasi pubbliche così aggressive e mirate. Persino sul suo stes­ so giornale.204 In questo senso si può valutare meglio il peso che ebbe su di lui l’esperienza diretta nel Partito socialista, amplificata dalla lettura di Nietzsche. Il «Popolo d’Italia» aveva già messo in guardia, nel singolare trafiletto della fine del 1916, dai diri­ genti socialisti ebrei; e sul suo giornale era comparsa una pre­ cisa denuncia: gli ebrei erano sospettabili di essere filotede­ schi. Il vero attacco, violento e preciso, partì però quando gli «ebrei» arrivarono davvero al potere almeno in un paese, la Russia. Il cruccio per Mussolini era sempre più quello degli ebrei al «posto di comando» politico, Y élite che avrebbe potu­ to realizzare in grande stile la «vendetta» ebraica prospettata da Nietzsche. L’attacco proveniva da un ex dirigente socialista (e neanche del tutto ex, perché in questo periodo il «Popolo d’Italia» era un giornale che si definiva tale, perfino nella te­ stata), abituato a gestire una certa ostilità verso i suoi pari ebrei e che partiva all’attacco verso altri socialisti ebrei, i bolscevichi, che questa volta stavano facendo davvero una rivolu­ zione di portata mondiale. 204 Cfr. La doppiezza abituale di Trozky, PDI, 18 gennaio 1918 (ed. romana) scritto da un anonimo «socialista russo». Trockij veniva attaccato come ricco borghese spendaccione, ma senza essere indicato come ebreo.

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Ma vale la pena forse sottolineare le fonti di queste notizie. S’è ripetuto che Γantisemitismo contro i bolscevichi in Italia ed Europa traeva origine da alcuni giornali russi e in particolare so­ cialisti. Trockij nelle sue memorie ha ricordato che in Russia, in quegli stessi giorni, esisteva una pregiudiziale antisemita nei confronti del gruppo dirigente bolscevico.205 Lui stesso, in un colloquio con Lenin che risaliva a qualche giorno dopo il 25 ot­ tobre 1917, aveva affrontato l’ostacolo («l’arma supplementare della mia origine ebraica») che si sarebbe presentato nel caso di una sua nomina a ministro degli Interni. Lenin scartò irritato la questione, ma essa era davvero sul tappeto. A distanza di migliaia di chilometri Mussolini, in una manie­ ra contorta, aveva scagliato la stessa pietra. Resta da capire se avesse anche «fonti dirette». Non è da escludere. In questo pe­ riodo frequentava, come ha dichiarato Roberto Dino, suo colla­ boratore dell’epoca,206 diversi russi. Lui si appartava nel suo studiolo insieme con questi. Poi questi se ne andavano, sparivano, ritornavano.

Uno di questi russi, almeno fino al 1915, era l’ex console e probabile spia Matvei Gedenshtrom, che forse aveva anche fi­ nanziato il «Popolo d’Italia», e che sembra - ma non si sa quan­ do - avesse elaborato un’idea del «complotto mondiale» del bolscevismo simile a quella espressa da Mussolini.207 L’ispira­ zione a proposito dell’esistenza del «complotto giudeo bolsce­ vico» avrebbe potuto anche provenire da quegli ambienti. Questo «complotto» fu descritto, se si vuole dire così, nei fa­ mosi Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Il pamphlet era un fal­ so quasi sicuramente di origine russa o ucraina, costruito all’ini­ zio del Novecento e mostrava il supposto piano di conquista 205 Lev Trotskij, La mia vita, Mondadori, Milano 1976, p. 326. Devo la segna­ lazione del passo a Luciano Canfora. 206 Roberto Battaglia, Un redattore del «Popolo d’Italia» conferma le rivelazioni su­ gli appoggi e suifinanziamenti stranieri a Mussolini, «l’Unità», 31 luglio 1959. 207 Così risulta da un rapporto del 4 ottobre 1918 del console tedesco a Pie­ troburgo, a cui Gedenshtrom si era consegnato, raccontando anche le vicende relative a Mussolini. Si veda William A. Renzi, Mussolini’s sources offinancial support, 1914-1915, «History», v. 56, n. 187, June 1971, p. 204.

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del mondo da parte degli ebrei. Dopo venti secoli dall’inizio della diaspora, impossessandosi dei vertici della politica, dell’al­ ta finanza e della stampa mondiale, il popolo d’Israele avrebbe preso il controllo del pianeta, stabilendo una società gerarchica, governata da ebrei.208 Questo libretto ebbe il suo «lancio» internazionale proprio a partire da questo periodo. In proposito esiste anche una testi­ monianza importante: il leader sionista e futuro presidente d’I­ sraele, Chaim Weizmann, nelle sue memorie209 ha sostenuto di aver visto una copia dei Protocolli per la prima volta all’inizio del 1918. Era in Palestina con la commissione sionista che valu­ tava la portata dei nuovi insediamenti ebraici e gli fu riferito che tale copia proveniva dalla missione militare inglese che ope­ rava in Caucaso con il granduca Nicola. Molto probabilmente in questo periodo Mussolini non sape­ va che cosa fossero i Protocolli. Ma, come si vede, sempre atten­ to, era di un grande tempismo su queste vicende: un tempismo che si ripropose spesso rispetto al razzismo internazionale. Infine, un’ultima osservazione che riguarda il sionismo. Gli eventi della rivoluzione bolscevica furono conosciuti in Europa all’inizio del novembre 1917. La nota dichiarazione di Balfour, con cui il ministro degli Esteri inglese lord Arthur J. Balfour a nome del suo governo espresse a lord Lionel de Rothschild la sua simpatia politica per le aspirazioni del movimento sionista, fu firmata il 2 novembre di quell’anno. Furono avvenimenti cro­ nologicamente molto vicini. Ci si può chiedere quindi se Mus­ solini in questa fase reagisse a entrambi gli avvenimenti, colle­ gandoli tra loro. La dichiarazione Balfour in Italia ebbe una sorte che a po­ steriori può sembrare strana: venne diffusa dal giornale «Israel» (non sembra che altre testate allora l’abbiano fatto) il 22 novembre 1917.210 Ma tutto lascia pensare che in quei gior­ 208 La bibliografia in proposito è enorme. Si rimanda in ogni caso al libro di De Michelis, Il manoscritto inesistente..., cit. 209 Chaim Weizmann, Priai and error. The autobiography ofC.W., Harper & Broth., New York 1949, p. 218. 210 «Israel» la pubblicò completa nel numero del 22 novembre col titolo: Un importantissimo documento diplomatico. Per i giornali che si occuparono del-

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ni - era la fase più acuta della disfatta di Caporetto - venisse ignorata o presa sotto gamba dalla stampa non ebraica.211 Del resto, qualcosa del genere successe anche in Francia.212 L’inte­ resse aumentò solo quando il 9 dicembre un contingente in­ glese, con alcune truppe ebraiche, conquistò Gerusalemme, che era in mano ai turchi. Ma il giornale di Mussolini allora non si occupò della vicenda. In ogni caso l’articolo antisemita contro Krylenko uscì il 3 dicembre, prima della conquista di Gerusalemme e in un momento di disinteresse generale per la questione palestinese. Pare proprio dunque che si possa escludere l’ipotesi che ci sia stata una relazione tra l’antisemitismo degli attacchi anti­ bolscevichi di Mussolini e la Palestina. In altre parole, si può escludere che fin dal 1917 Mussolini avanzasse l’ipotesi che il grande «complotto ebraico» andasse dalla Palestina (di cui si disinteressava) alla Russia. Il suo antisemitismo era forte, pre­ sumeva un’idea di complotto, che tuttavia non era articolata e completa. Per un paragone, si tenga conto di come Maurice Barrés negli stessi giorni sul suo diario descrivesse quella che era secondo lui la situazione:213 La Russia scompare perché è stata infestata di Ebrei; la Romania scompare per la stessa ragione; Israele rientra a Gerusalemme; gli Ebrei spadroneggiano negli Stati Uniti e in Inghilterra. la dichiarazione Balfour e della Palestina cfr. Umberto Nahon, Gli echi della dichiarazione Balfour in Italia e la Dichiarazione Imperiali del maggio 1918, RMI, giugno 1968, in particolare pp. 334-335, 340-342. 211 Si veda ad esempio un commento ostile della «Stampa» di Torino a una di­ chiarazione di Israel Zangwill in riferimento alla dichiarazione Balfour («Zangwill l’ha detto, due tra i principali Governi alleati han promesso che Gerusalemme rivedrà gli splendori di Sion»); il commento però lasciava anche trasparire che l’autore non era a conoscenza della dichiarazione stessa. Cfr. Domenico Russo, Sion..., «La Stampa», 4 dicembre 1917. Il «Tempo» invece si preoccupò, nelle «Note vaticane», della reazione della Santa Sede (15 di­ cembre 1917; articolo cit. in M. Michaelis, Gli Ebrei italiani sotto il regime fa­ scista, dalla marcia su Roma alla caduta del fascismo (1922-1945). Vili, RMI, giugno-luglio 1964, p. 253). 212 Poliakov, Storia dell'antisemitismo. IV..., cit., p. 319. 213 Maurice Barrés, Mes cahiers, t. XI. Juin 1914 - Décembre 1918, Plon, Paris 1938, p. 290. Si cita e traduce dall’originale; il libro di Poliakov, Storia dell’an­ tisemitismo, IV..., cit., p. 318, è inesatto.

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Di più. Se il giornale di Mussolini non intervenne subito a pro­ posito della dichiarazione Balfour, lo fece però in modo tutto sommato favorevole sei mesi dopo, quando, con la dichiarazione dell’ambasciatore Guglielmo Imperiali, il governo italiano accettò la proposta politica del governo inglese. L’unica condizione che in quell’occasione il «Popolo d’Italia» prospettò come necessaria fu che nella commissione internazionale che doveva presiedere alla nascita della Palestina ci fosse anche un rappresentante italiano ebreo («l’aggregamento di qualche ebreo di origine italiana»).214 Si trattava della commissione sionista di studio presieduta da Weizmann, che proprio in quel periodo era partita per la Palesti­ na e a cui di lì a poco davvero si unirono due ebrei italiani,215 il co­ mandante Angelo Levi Bianchini e Giacomo Artom. Due mesi più tardi, invece, lo stesso «Popolo d’Italia» riportò in prima pa­ gina, e senza commenti, la notizia che il sottosegretario agli Este­ ri Borsarelli aveva ricevuto tre rappresentanti degli ebrei italiani che avevano ringraziato il governo per le dichiarazioni favorevoli all’istituzione di un centro nazionale ebraico.216 In ogni caso, la Palestina per il «Popolo d’Italia» della seconda metà del 1918 si presentava soltanto come una possibile zona d’in­ fluenza di cui l’Italia avrebbe dovuto occuparsi ponendosi nelle condizioni più favorevoli. Per evitare, diceva un altro articolo, ul­ teriori legami sospetti, che sarebbero stati da poco stabiliti tra ebrei e tedeschi (come si sa, noto refrain): e per questo esortava anche gli ebrei italiani a prendere un’esplicita posizione filo-intesa.217 214 La sistemazione della Palestina. Il Governo italiano favorevole al Sionismo, PDI, 23 maggio 1918 (ma non compare nell’ed. romana del giornale). Lo stes­ so concetto fu poi espresso dal PDI in un commento al congresso dei sionisti a Pittsburg (Il Congresso dei Sionisti d’America. L’Italia e la futura costituzione politica-economica della Palestina, PDI, 25 agosto 1918). I due trafiletti sono ci­ tati (ma il primo con data sbagliata) da Michaelis, Gli Ebrei italiani sotto il re­ gime fascista... Vili, cit., pp. 254-256 e poi (ma traendo da Michaelis, compre­ si gli errori) da Minerbi, L’Italie et la Palestine..., cit., p. 80. 215 Su Levi Bianchini in particolare si veda Sergio Minerbi, Angelo Levi Bianchi­ ni e la sua opera nel Levante. 1918-1920, Fondazione Sally Mayer. Scuola supe­ riore di studi ebraici, Milano 1967. Ora cfr. anche Andrea Gabellini, LItalia e l'assetto della Palestina (1916-1924), SeSaMO, Firenze 2000, pp. 54-56, 72-81. 216 Gli israeliti italiani in Palestina, PDI, 31 luglio 1918 (ed. romana). 217 n.t. [lettura incerta], Intrighi tedeschi circa gli Ebrei. Il dovere dell’Intesa, PDI, 14 giugno 1918 (ed. romana, a 4 pagine; in quella milanese, che quel

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A proposito di quest’ultimo articolo, forse non di Mussolini, ma che esprimeva la posizione del giornale, sono rilevanti due particolari. In primo luogo ribadiva le vecchie posizioni del «Popolo d’Italia» (rivendicandone l’originalità) sul tentativo tedesco di continuare ad usare degli Ebrei come di un’arma politica a proprio vantaggio. Già troppo il sistema è riuscito utile ai te­ deschi in Russia ed in Romania, per non dover denunziare al nostro Governo i nuovi intrighi. [...] Il nostro giornale è il primo, e finora il solo, che abbia dato in Italia, con diverse note e commenti, la maggio­ re cura a questa importante questione.

Il riferimento, visto che si parlava di «diverse note e com­ menti», non poteva che essere (o essere anche) ai precedenti ar­ ticoli antisemiti di Mussolini. In ogni caso questo pezzo riflette­ va il pensiero del giornale. Il secondo dettaglio è che il «Popolo d’Italia» prendeva posi­ zione per una Palestina sotto completa protezione dei grandi stati mediterranei. E perciò proponeva un convegno a Roma. A questo punto, la frase che seguiva era grave. Quale sede meglio di Roma d’onde partirono le legioni di Tito ad ese­ guire la distribuzione [per distruzione n.d.a] del regno di Gerusalem­ me, può essere adatta e propizia ad un Convegno che affermi la vo­ lontà degli ebrei di riavere, sotto la protezione dei grandi popoli del­ l’Europa mediterranea, la loro terra originaria?

Ricordando l’episodio dell’occupazione di Gerusalemme da parte dell’esercito dell’imperatore Tito e la distruzione del Tem­ pio (che la comunità ebraica mondiale ha sempre considerato una propria tragedia collettiva) il «Popolo d’Italia» ribadiva che la nuova Palestina degli ebrei avrebbe dovuto rimanere sotto il giorno era di due pagine, non comparve; nelle due copie che si sono consulta­ te dell’edizione romana la sigla è malamente leggibile). L’articolo citava per in­ tero (e poi commentava) una notizia della «Voce del Popolo» sulla nascita in Germania di una Pro-Israele tedesca. Un cenno in Minerbi, LItalie et la Pale­ stine..., cit., p. 80. La proposta del PDI fu commentata favorevolmente da «Israel». Cfr. Per un coordinamento del movimento palestinese coi popoli del­ l’Intesa, 27 giugno 1918.

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protettorato degli altri «popoli» mediterranei, compresi l’Italia e gli italiani. A parte il tono insultante, i problemi da questo lato, sem­ pre sul filo di un antisemitismo in parte manifesto e in parte sottinteso, sembravano però risolti. Il progetto era quello di una Palestina sotto il controllo delle potenze occidentali com­ presa ritalia. Per Mussolini restava, a proposito di ebraismo, davvero molto più acuto il problema dei capi ebrei (leader del socialismo e della rivoluzione bolscevica) rispetto a quello del sionismo. Per non parlare della solita sensibile indifferenza mostrata verso il prototipo dell’«ebreo finanziere». E verso il sionismo, che era già diventata all’epoca una questione cru­ ciale della politica internazionale, in particolare per la Santa Sede;218 ma Mussolini ignorava il dato o non gli interessava. Intanto, continuavano i rapporti di collaborazione con intel­ lettuali ebrei. Di suo pugno sono rimaste due lettere a Donato Bachi a proposito di alcuni articoli scritti da quest’ultimo per il «Popolo d’Italia» e da Mussolini accettati tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918.219 Un avvocato ebreo, Ermanno Jarach, seguì una sua pratica legale relativa alla sua ex amante, Ida Dalser;220 anche se forse fu più un avvocato del giornale (e poi del partito) che di Mussolini stesso e anche il suo entusiasmo nei confronti del fascismo è tutt’altro che dimostrato.221 Di sicuro, invece, al­ l’inizio del 1918 Mussolini scrisse un lungo pezzo per comme­ 218 Si veda Sergio I. Minerbi, Il Vaticano, La Terra Santa e il Sionismo, Bom­ piani, Milano 1988, pp. 184-187. 219 ACS, MI, DGPS, DPP, £. personali, b. 50, f. Bachi Rag. Donato. Di questi arti­ coli se n’è rintracciato uno, Il grande equivoco. Risalendo, PDI, 3 gennaio 1918. 220 II dato, comunicato dall’amante Ida Dalser, fu confermato dalla polizia. Si veda la lettera del 12 aprile 1918 del capo dell’UCI Giovanni Gasti, all’Ufficio riservato dell’Interno in ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1935, b. 18, f. Dalser Ida Irese [sic], 221 Da due relazioni diverse di carabinieri (4 aprile 1939) e prefettura di Mila­ no (5 marzo 1939) risulta che Jarach fu «legale del “Popolo d’Italia” dal 1916 al 1924» ma se ne ricavano anche due dati discordanti sull’iscrizione al PNF, che sarebbe avvenuta o «d’ufficio» nel 1923 o dopo la data della morte, il 1924, «ad honorem». ASMi, Pratiche ebrei, cart. 21, f. Jarach Giorgio fu Er­ manno. Per una pratica legale seguita da Jarach (una calunnia dell’«Avanti!» a proposito di un legame economico tra Mussolini e il questore di Milano), si veda la lettera di Jarach stesso sul PDI, 31 agosto 1919 (O.O., XIII, p. 395).

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morare Roberto Sarfatti,222 figlio di Cesare e Margherita, cadu­ to diciottenne in guerra. Ma non accennò al fatto che si trattas­ se d’un ebreo.223 Su questo periodo, ovvero dei primi anni di vita del «Popolo d’Italia», è stato detto che Mussolini venne finanziato da alcuni ebrei, e in particolare da Toeplitz e soprattutto, cosa assai nota, dal «commendator Elio Jona».224 Inoltre, si è parlato di due al­ tre fonti finanziarie «Israelite», Cesare Goldmann225 e la banca milanese J arach.226 Su Toeplitz, s’è già detto che non c’è nulla di provato per il pe­ riodo bellico. Solo per i mesi successivi alla prima guerra mon­ diale si conoscono con certezza alcuni finanziamenti che arriva­ rono ai Fasci: negli archivi della Banca Commerciale esiste un «Rendiconto» di alcune spese sostenute dal 9 aprile al 20 maggio 1919 dalla Commerciale insieme ad altre due banche (Sconto e Credito italiano) per appoggiare un’organizzazione che distri­ buiva denaro ai vari movimenti e manifestazioni antibolscevichi nel nostro paese.227 La cifra totale stanziata fu di 450.000 lire, la Commerciale ne mise 300.000. Ai Fasci di combattimento - che erano appena nati - pare siano arrivate 15.000 lire, che forse cor­

222 Mussolini, Roberto Sarfatti, PDI, 7 febbraio 1918 (O.O., X, pp. 305-306). Nel discorso di piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919, Mussolini elencò cin­ que eroi morti in guerra, ma non Roberto Sarfatti (O.O., XII, p. 322). 223 Nel 1938 Mussolini a proposito della Sarfatti disse a Bottai della «sua sor­ presa [corsivo mio, n.d.a.} nel vedere la tomba del figlio Roberto senza croce: segni, commenta, deU’invincibile carattere della razza». Giuseppe Bottai, Dia­ rio 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Rizzoli, Milano 1989, p. 134. Alla data 23 settembre 1938. Ma non si sa quando abbia visto quella tomba, e se di persona o in foto. 224 De Felice, Storia..., cit., p. 73. 225 De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 355. 226 Si veda anche Ilaria Pavan, Il Comandante. La vita di Federico ]arach e la memoria di un’epoca. 1874-1951, Proedi, Milano 2001, pp. 91-92; e poi I. Pa­ van, “Ebrei” in affari tra realtà e pregiudizio. Paradigmi storiografici e percorsi di ricerca dall’Unità alle leggi razziali, «Quaderni storici», dicembre 2003, p. 797. 227 ASI-BCI, ST, cart. 79, f. 2°. Affari diversi 1918-1923. Si veda Fabre, Mussoli­ ni e le sovvenzioni..., cit., pp. 284-285. Per l’organizzazione finanziata, l’Uffi­ cio tecnico di Propaganda nazionale, che poi passava i soldi a tutte le organiz­ zazioni antibolsceviche e anche ai Fasci, si veda ora Donato Barbone, Ancora sulle elargizioni della COMIT a fascisti (1919-1930), «Quaderni di storia», 58, luglio-dicembre 2003, pp. 260-265.

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rispondevano alle spese sostenute dal movimento nel corso del primo mese di vita. Peraltro il documento che li riguarda per­ mette anche di escludere che ci sia stato un finanziamento diretto della COMIT ai Fasci; il finanziamento arrivò invece a un’orga­ nizzazione intermedia che fungeva da collettore. Elio Jona era in effetti di origini ebraiche, si trattava di un semplice impiegato che lavorava in una società di infortunisti­ ca e non di un dipendente dell’Agenzia italiana di pubblicità che sostenne il «Popolo d’Italia».228 229 Fu un acceso interventi­ sta, e di lui e dei suoi comizi il giornale di Mussolini parlò al­ cune volte. Ma nulla di più. L’ebreo identificato per cinquant’anni come iniziale finanziatore per antonomasia del du­ ce non fu mai iscritto al PNF e non pubblicò mai nulla sul «Po­ polo d’Italia», giornale di cui era semplice lettore. Più tardi, con le leggi razziali, non venne neanche discriminato per be­ nemerenze speciali. Ironia della sorte - ed è davvero un detta­ glio di notevole crudeltà storica - l’unico documento indiriz­ zatogli da Mussolini, e da lui conservato per decenni, fu un ri­ fiuto di un suo pezzo per il giornale. L’identificazione di questo Jona proviene soprattutto da una relazione sull’uscita «scandalosa» di Mussolini dall’«Avanti!»: relazione elaborata per conto del Partito socialista (nella com­ missione che la stilò c’era anche Cesare Sarfatti, marito di Mar­ gherita e presente in rappresentanza di Mussolini) dopo la na­ scita del «Popolo d’Italia». Nel febbraio 1915 la commissione stabilì che i soldi per far nascere il giornale erano stati forniti dal finanziere Filippo Naldi tramite una società appena nata e di­ retta appunto da un «dott. Jona», senza indicazione del no-

228 Per i dati biografici di Elio Jona, ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 15, f. 1541/Ben. Jona Elio fu Rubens (la lettera di Mussolini di cui qui è conservata copia era del 24 marzo 1918). 229 La relazione sul PDI fu pubblicata dall’«Avanti!» il 27 febbraio 1915 (O.O., VII, pp. 475-480). De Felice cita l’edizione di questa relazione ripubblicata da De Begnac nella sua biografia del duce ( Vita di Mussolini. III. Tempo di attesa, Mondadori, Milano 1940, pp. 603-609). La relazione, sia nella versione pubbli­ cata da De Begnac, sia nella ripresa dell’Opera omnia, non attribuiva un nome a Jona. Però i due curatori dell’O.O. indicizzarono il nome come quello di Tlio Jona (O.O., XXXVI, p. 105) e De Felice riprese evidentemente di fi (riferendosi

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Il «doti. Jona» che in questo periodo collaboré con Mussoli­ ni, in realtà non si chiamava Elio ma Giuseppe, era allievo di Pareto (un po’ come Mussolini) e fu un tecnico imprenditore di sistemi pubblicitari.230 In proposito fondò anche una società di consulenza e un giornale, entrambi con il nome di «L’impresa moderna».231 Giuseppe Jona era nato il 30 ottobre 1881,232 era figlio di Giacomo, all’epoca presidente di sezione della Corte d’appello di Milano e, in seguito, nel 1919, procuratore genera­ le della stessa Corte. La madre era israelita così come, è presso­ ché certo, il padre. Amico da tempo del finanziere Filippo Naldi, fu probabilmente da questi aiutato a far nascere l’Agenzia italiana di pubblicità, che all’inizio funzionò anche da ufficio amministrativo e commerciale del «Popolo d’Italia».233 Si trattò, per qualche mese, di una semplice società (di natura non nota), trasformata in società per azioni il 13 marzo 1915, due settimainoltre, e ciò è davvero incredibile, a quel guazzabuglio che è Attilio Tamaro, "Venti anni di storia 1922-43, III, Tiber, Roma 1954, p. 304). De Felice ripetè l’at­ tribuzione del nome Elio anche negli indici del primo volume della biografia di Mussolini (De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 769). 230 Una breve biografia di Giuseppe Jona in Gino Pesavento - Antonio Palieri, Chi è in pubblicità, Ed. «L’ufficio moderno», Milano s.d. [1953?], p. 201. Perla vicenda di Jona che lasciò il giornale «L’Azione» per andare a lavorare per il «Popolo d’Italia», cfr. Giovanni Belardelli, «L’Azione» e il movimento naziona­ le liberale, in 11 partito politico nella belle époque, cit., p. 322. Per una ricostru­ zione dell’iniziale attività al «Popolo d’Italia» dell’Agenzia italiana di pubblicità si veda la descrizione di Filippo Naldi in Giorgio Bontempi, Edison Ansaldo e Fiat versano a Mussolini un milione, «Paese», 14 gennaio 1960, p. 8. 231 Per la costituzione della società «L’impresa moderna» «pel commercio di edizioni di periodici e libri» (5 gennaio 1915) e per il titolare Giuseppe Jona, cfr. ACCM, Ditte cessate, sezione postunitaria, f. ex 54594. 232 ACS, Min. Grazia e Giustizia, Direzione Generale Organizzazione Giudi­ ziaria e Affari Generali, fascicoli personali magistrati, b. 1074, f. 46504. Jona Giacomo. Per i dati «razziali», ACS, MI, DGDR, b. 124, f. 8214 Dis. Pugliese Emilia fu Leone (ved. Jona), in particolare il memoriale alla Demorazza della madre di Giuseppe, del 13 dicembre 1938. La parentela con il procuratore di Milano era nota anche alla polizia: si veda la relazione di Giovanni Pignatari del 12 febbraio 1917 (ACS, fondo V. E. Orlando, se. 50, f. 1495, sf. 2. “Popolo d’Italia e Fronte interno”). 233 Nella Guida di Milano e Provincia. 1917-1918, Savallo, Milano 1917 (introduzione del 12 maggio 1917) l’ufficio di pubblicità del «Popolo d’Italia» figurava presso l’amministrazione del giornale (p. 1133) mentre l’Agenzia ita­ liana di pubblicità aveva lo stesso indirizzo e numero di telefono dell’«Impresa moderna». Nelle edizioni del 1915-1916,1916-1917 l’Agenzia invece aveva sede presso il giornale.

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ne dopo la relazione socialista sul giornale.234 L’amministratore e maggiore azionista era appunto Jona, il secondo maggior azio­ nista era invece un uomo di Naldi. Già nel febbraio 1917 (e forse addirittura dal 1915) Jona ri­ sultava in rotta con il «Popolo d’Italia» e se ne era allontana­ to.235 Il giornale, del resto, appena un mese dopo la nascita era già in difficoltà finanziarie.236 Il litigio arrivò a prendere la forma (ma non si sa quando) di una causa legale contro Mussolini stes­ so (si tenga presente che il padre del pubblicitario era un po­ tente magistrato). Motivo della causa: i debiti che il «Popolo d’Italia» aveva accumulato nei confronti della sua società. Ma il 22 marzo 1918 Giuseppe Jona morì d’infarto, forse proprio per le preoccupazioni create dall’esposizione finanziaria.237 L’Agenzia comunque raccoglieva soldi altrui, cioè di grandi industriali (Edison, Unione Zuccheri, Agnelli, Perrone eccetera) che cercarono di indebolire, attraverso il finanziamento a Mus­ solini, il Partito socialista. In ogni caso, questo supposto finan­ ziatore, Jona, cercò di farsi restituire molti soldi dal giornale e alla fine, come si vedrà, dopo la sua morte la sua società ci riu­ scì. Pochi mesi dopo la nascita del «Popolo d’Italia» divenne quindi un avversario di Mussolini. 234 Per la costituzione in s.p.a. Archivio del Tribunale distrettuale di Milano, MG, ANDM, Raccolta n. 7013, Repertorio n. 14014. Jona possedeva 120 azioni su 200 per un capitale sociale di 200.000 lire; Oreste Sottocasa, amministratore del «Re­ sto del Carlino», ne possedeva 60. Per Sottocasa, ACS, MI, DGPS, DPP, f. persona­ li, b. 1289, f. Sottocasa Comm. 235 Nella relazione di Pignatari del febbraio 1917 c’era un cenno alla causa in corso tra Jona e il «Popolo d’Italia». La separazione, per risoluzione del con­ tratto da parte del giornale e per mancata liquidazione, potrebbe risalire al giugno 1915, quando un dipendente dell’Agenzia, G. Chierichetti, secondo la sua testimonianza, lasciò il «Popolo d’Italia» (Bontempi, Edison Ansaldo e Fiat..., cit.). Il dato avrebbe un riscontro nel rapporto del questore Casti del 4 giugno 1919 (vi si parla di un «Comm. Jona»), che, sulla base della peraltro di­ scutibile testimonianza di Ida Dalser (vi si ritornerà) sostenne che Jona era sta­ to allontanato molto per tempo (probabilmente nel giugno 1915) per non far­ gli sapere dei fondi segreti stranieri ricevuti dal giornale (De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 732; purtroppo il rapporto non è più materialmente rintracciabile). 236 Si veda la nota del 20 dicembre 1914 sul diario di Ferdinando Martini: Naldi era venuto a chiedere un aiuto per il giornale già in difficoltà. Ferdinando Martini, Dia­ rio. 1914-1918, a cura di Gabriele De Rosa, Mondadori, Milano 1966, p. 288. 237 F. G., Un uomo, «L’impresa moderna», marzo 1918, p. 75.

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Il contratto pubblicitario vero e proprio del «Popolo d’Italia» (che però nascondeva il finanziamento più grande e occulto) era di modestissime dimensioni. Stando a chi disse di averlo vi­ sto con i propri occhi, e cioè Margherita Sarfatti, era «tecnico­ pubblicitario» e di scarsa entità: «qualche anticipo sopra inser­ zioni future e quattro mila lire, a prestito su cambiale»:238 paro­ le tra l’altro confermate, sembrerebbe, da fonti di polizia, che parlano di «nemmeno mille lire al mese di pubblicità».239 La vicenda Jona, con i pasticci incredibili che si è trascinata dietro lungo i decenni, spiega in ogni caso come si debba sem­ pre procedere con i piedi di piombo nelle questioni di soldi e fi­ nanziamenti, prestiti, specie se hanno come protagonisti degli ebrei (magari solo supposti tali per il loro nome), che con disin­ voltura, e anche da parte di storici insigni, vengono collegati al denaro. Un altro «israelita» finanziatore sarebbe stato poi Cesare Goldmann,240 che risultò in relazione con Mussolini da un altro rapporto di polizia, del 12 febbraio 1917.241 Secondo questa fonte, il finanziere, presidente di alcune società petrolifere, avrebbe pagato in un momento difficile, «per non avere noie dal “Popolo d’Italia”». In altre parole, secondo il rapporto sarebbe stato ricattato come «tedesco». Ma anche in questo caso erano solo dei sentito dire. Così come un’altra notizia di polizia «per sentito dire», forse dell’aprile 1917,242 è quella che conferme258 Cfr. Margherita G. Sarfatti, Dux, cit., p. 163. Non è chiaro se anche Giulio Calabi a sua volta intervenne nell’operazione di finanziamento del «Popolo d’Italia», anche se sembra aver avuto solo un ruolo esecutivo. A un intervento di Calabi, in quanto direttore della filiale italiana delle Messaggerie francesi, alluse Giuseppe Pontremoli in Memorie del secolo. Un giornale e qualche uo­ mo, «Il mondo», 25 marzo 1950, p. 11. 239 Informativa di PS del 1° aprile 1915. ACS, MI, DGPS, DAGR, Fi, b. 20, f. 40.43. Milano. Il Popolo d’Italia. 240 Secondo un necrologio pubblicato da «La nostra bandiera», Goldmann era iscritto alla Comunità israelitica di Milano. Si veda Due Sansepolcristi scom­ parsi, «La nostra bandiera», 1-16 ottobre 1937, p. 2. L’articolo mi è stato se­ gnalato da Michele Sarfatti. 241 ACS, fondo V. E. Orlando, se. 50, f. 1495, sf. 2. «Popolo d’Italia e Fronte in­ terno». Anche in De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 355. 242 La notizia «confidenziale» - forse da fonte diversa dalla precedente - è di qualche giorno prima del 10 aprile 1917 (secondo questa notizia Jona sem-

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rebbe sia il pagamento di Goldmann (17.000 lire) sia il ricatto, che sarebbe stato messo in atto dal redattore Giuseppe De Fal­ co con la scusa di «risparmiare» al finanziere una campagnastampa ostile. In effetti varie altre fonti ci dicono che all’epoca Goldmann fu davvero sospettato, soprattutto per quel nome «ebreo-tedesco», di aver contrabbandato nafta al nemico. Ma da tutte quelle vicende usci pulito. Come si vede, sui finanzia­ menti di Goldmann al giornale di Mussolini si registrano voci, ma a tutt’oggi nulla è stato accertato con sicurezza. Lo stesso discorso vale per l’appoggio del «Banco Jarach & C.», banca milanese fondata nel 1901 da Emilio Jarach, fratello dell’industriale Federico e dell’avvocato Ermanno. Che sia esi­ stito un legame tra Mussolini e la banca fu dichiarato dall’a­ mante di Mussolini, la Dalser. Secondo costei la banca Jarach, in pratica, nel 1914 sarebbe stata il luogo di transito dei soldi (un milione di lire) di un noto finanziamento francese (peraltro con­ fermato) a Mussolini e al «Popolo d’Italia».243 Che la banca Ja­ rach sia stata il tramite è possibile, ma non certo. Lo stesso ispettore Gasti, che riferì tutta questa vicenda ai superiori del ministero, sostenne che a proposito del finanziamento «non fu mai possibile avere la prova del fatto», così come più tardi af­ fermò:244 brava lavorare ancora per il giornale di Mussolini, ma si trattava probabil­ mente di una notizia vecchia). Vedi ACS, MI, DGPS, DAGR, Fi, b. 20, f. 40.43. Milano. Il Popolo d’Italia. Quanto alle accuse e alle inchieste su Goldmann, che si svilupparono alla fine del 1915 (sarebbe stato «pubblicamente denun­ ziato come favoreggiatore di contrabbando di oli minerali esportati da Geno­ va per gli Imperi Centrali»), cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1917, b. 13, f. Al. Goldmann; ma anche ACS, MI, DGPS, DGAR, A4, b. 192, f. Kohler Roberto di Sigi­ smondo, f. 1. 245 Dichiarazione della Dalser a un poliziotto, fatta a Caserta dove era stata ap­ pena internata il 6 febbraio 1918. Secondo la Dalser, il finanziamento france­ se sarebbe stato depositato il 17 gennaio 1914, ma la data era evidentemente errata. Il verbale in ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1935, b. 18, f. Dalser Ida Irese [sic]. Più tardi, il 4 giugno 1919, l’ispettore di PS Giovanni Gasti trascrisse questo rapporto in uno nuovo. Cfr. De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 732; per la vicenda, p. 276. La transazione dei soldi francesi sarebbe av­ venuta nello studio di Ermanno Jarach, fratello di Emilio (in via Santo Spirito, 7, indirizzo fornito dalla Dalser). 2+4 Rapporto al ministero del 18 aprile 1918. ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1935, b. 18, f. Dalser Ida Irese [sic].

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Al nome di Morgagni Manlio, che è l’amministratore del Popolo d’I­ talia, trovansi fondi presso la Banca Jarach. Il Morgagni è molto ami­ co del banchiere Jarak. Non è stato possibile accertare la cifra deposi­ tata, risultando, pare, ciò da libri riservati in potere dello stesso Jarak.

Nulla ci dice con certezza neanche che la stessa banca fosse al corrente dell’origine dei soldi «francesi»; né tanto meno si ha notizia di un autonomo finanziamento diretto della stessa banca a Mussolini. Emilio Jarach medesimo nei documenti ufficiali e nei momenti difficili della successiva persecuzione contro gli ebrei non fece cenno a un aiuto fornito a Mussolini. In ogni ca­ so la sua iscrizione al PNF risaliva il 15 luglio 1924: non fu quin­ di un fascista della prima ora, anche se si iscrisse in piena bufe­ ra per il delitto Matteotti.245 Federico Jarach invece si iscrisse il 1° gennaio 1926.246 La famiglia Tarach ebbe quindi probabil­ mente della simpatia per il fascismo, ma il suo impegno nel mo­ vimento e nel partito fu modesto. Se si vuole sostenere che Mussolini sia stato in fondo così «amico degli ebrei» da essersi fatto finanziare da qualcuno di lo­ ro l’avvio del proprio giornale e del proprio movimento, a tutt’oggi non lo si può dimostrare. Mussolini usò invece, e di certo, banche con forte presenza «ebraica»; ma in ciò non c’era nulla di strano. Peraltro, in questa fase, una «questione ebraica», dal punto di vista politico, razziale, nazionale o da altri punti di vista, non esisteva. Inoltre, malgrado le sue inclinazioni antiebraiche, nate e sviluppate come s’è detto in ambito politico e contro i «capi», Mussolini aveva continuato come chiunque a frequentare «ebrei» e qualcuno di essi divenne collaboratore del giornale: come Margherita Sarfatti e un tal Vito Levi Lusena, che nel feb­ braio 1919 Mussolini accreditò come «corrispondente e rappre­ sentante» del «Popolo d’Italia» in Egitto, quindi lontano da Mi­ lano, in Oriente:247 sembra che in effetti nell’aprile-maggio del­ 245 ASMi, Pratiche ebrei, cart. 21, f. Jarach Emilio fu Moisé. 246 ASMi, Pratiche ebrei, cart. 21, f. Jarach Federico fu Moisé e famiglia. Ma si veda anche il flano col necrologio del padre degli Jarach, Moisé, pubblicato sul PDI del 17 marzo 1922. 247 La tessera di giornalista del «Popolo d’Italia», firmata da Mussolini e data-

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lo stesso anno abbia inviato qualche articolo da quel paese, an­ che se non sono firmati.248 Peraltro, dopo quella data, pur risie­ dendo in Italia fino al 1926, Vito Levi scomparve compietamente dalle colonne del giornale e dal fascismo in generale.249 Enrico Rocca invece, che era futurista e scrisse un ritratto assai elogiativo del direttore del «Popolo d’Italia»,250 non fu mai un suo redattore. Inoltre, s’è vista la cautela di Mussolini, fino a tutto il periodo della guerra, nel parlare proprio dei «finanzieri ebrei». Infine, dopo l’uso del Banco Jarach, sembra come puro intermediario finanziario, qualche finanziamento vero da banchieri cosiddetti «ebrei» incominciò ad arrivargli dopo la guerra, ma in maniera indiretta e per il semplice motivo che il fascismo stava prenden­ do una netta piega antibolscevica. In ogni caso Mussolini dove­ va ritenere di avere le mani libere a sufficienza da far comparire sul giornale le frasi che s’è visto.

ta «febbraio 1919», fu pubblicata come illustrazione dell’articolo di Nora Glynn, En Abyssinie avec les Italiens, sulla rivista «Images» probabilmente dei 1935. Un ritaglio dell’articolo fu accluso da Vito Levi nella domanda di di­ scriminazione (respinta), presentata al Cairo il 10 marzo 1939 (ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 192, f. 12146 Dis. Levi Vito [detto Lusena] fu Ulisse. Cairo). 248 A proposito degli articoli pubblicati dal PDI, ne parlò lo stesso Levi nella domanda di discriminazione del 10 marzo 1939, asserendo che erano stati scritti nel 1919, «dal marzo al maggio in 3 " pag». Gli articoli sul PDI di questo periodo e probabilmente di Levi sono: Eagitazione italiana a Malta, 5 maggio; Lettere dall’Egitto (dal nostro corrispondente particolare), 12 maggio; Per la nuova «charta» del Mediterraneo. LEgitto agli egiziani!, 22 maggio. 249 Dalla documentazione risultò iscritto per la prima volta al PNF il 7 ottobre 1935. 250 Si veda l’articolo: Enrico Rocca, Un uomo. Benito Mussolini, «Roma fu­ turista», 29 giugno 1919; riprodotto in O.O., XIII, pp. 386-388, in particola­ re p. 387. Rocca parlò di «amore per quest’uomo attento, vigile, intuitivo, cordiale».

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2. Idee di razza

Razzismi

Razza, razzismo. È ancora una vicenda tutta da studiare, ma alcune definizioni politico-razziste sono riscontrabili già all’e­ poca del primo Risorgimento. Alberto Banti, in proposito, ha indagato con acume,1 trovando, nella formazione del «discor­ so nazionale», varie tracce völkisch (Manzoni, Berchet) e di esaltazione del «genio italico» (Vincenzo Cuoco). Così come molto presto (anni Cinquanta dell’Ottocento) alcuni tra i pri­ mi ideologi della Nuova Italia (Massimo D’Azeglio, Cesare Correnti, Pasquale Stanislao Mancini) incominciarono a di­ scutere e a identificare la razza come elemento costitutivo del­ la nazione. Ma soprattutto bisogna ricordare il più famoso poeta e in­ tellettuale e maestro democratico, Giosuè Carducci, non pre­ cisamente un teorico dell’arianesimo, ma un sicuro esaltatore di «valori “ariani”».2 L’«arianesimo» di Carducci era anticat­ tolico e, in quanto tale, anche antiebraico perché l’ebreo Gesù aveva fondato la Chiesa;3 ma era anche avverso agli elementi antropologicamente non autoctoni. Non essendo gli ebrei da considerare «italiani autoctoni», in tal senso Carducci era ba­ nalmente antisemita. E potrebbe essere stato in questo senso uno dei maestri indiretti di Mussolini. Sotto questo profilo però è ancora più interessante che, di recente, siano stati por­ tati alla luce, di Leonida Bissolati, il primo direttore del socia­

1 Alberto M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore al­ le origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000, pp. 61-66, 156-164. 2 Mauro Raspanti, Il mito ariano nella cultura italiana fra Otto e Novecento, in Burgio (a cura di), Nel nome della razza..., cit., p. 81. 3 Raspanti, “Noi, nobile razza ariana’’..., cit., pp. 50-52.

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lista «Avanti!», alcuni scritti razzisti giovanili inneggianti alla «superiorità dell’ariano» sulle «razze inferiori».4 Infine bisogna anche considerare la produzione più propria­ mente tecnico-scientifica (di medici, antropologi, statistici, edu­ catori), che an eh’essa, alla fine dell’Ottocento e nei primissimi anni del Novecento, incominciò a far riferimento alla razza e al­ le razze.5 Erano scritti e interventi che sottolineavano la presen­ za sempre più forte di una cultura laica in un nuovo stato che cercava davvero di estendere il controllo su persone e gruppi. Definire materialmente una «razza» comune, e quindi un «cor­ po della nazione», era un modo per delimitare un terreno su cui un’intera, composita e allargata dirigenza poteva ragionare e operare concretamente. Erano spunti dispersi, ma anche molto solidi, sintomo di una mentalità che si stava formando. Ma, a parte le teorie, bisogna considerare la «pratica». Per quanto riguarda l’attività governativa e legislativa italiana, un sus­ sulto fortissimo al razzismo fu dato dall’«impresa africana» che ebbe luogo negli anni Novanta dell’Ottocento e che però fu stroncata dalla dura sconfitta di Adua. In questo periodo una cer­ ta ideologia razzista e colonialista mise radici anche nella politica e nella cultura di sinistra. Ciò avvenne in particolare dopo la guer­ ra d’Africa e in ritardo rispetto ad altri paesi d’Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania), dove il dibattito anche istituzionale sui rapporti coloniali con la «razza negra» era avviato da decenni.6 All’epoca (metà degli anni Ottanta dell’Ottocento) per l’Ita­ lia è da ricordare soprattutto una famosa polemica sullo stesso tema affrontato da Bissolati, i rapporti cioè tra razze «superio­ ri» e civili e quelle (africane, ma non solo) «inferiori» e barbare. Ne furono protagonisti due personaggi democratici di spicco iscritti al Partito repubblicano: Giovanni Bovio, schierato a fa­ vore della gerarchia delle razze e, su questa base, favorevole al­ l’intervento in Africa; e il geografo Arcangelo Ghisleri, contra­ 4 Raspanti, Il mito ariano..., cit., pp. 82-83. Si trattava di uno scritto del 1879. 5 Per questa parte si veda Gaetano Bonetta, Corpo e nazione. Ileducazione gin­ nastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Franco Angeli, Milano 1999 e Mantovani, Rigenerare la società..., cit., pp. 87-98. 6 Neil MacMaster, Racism in Europe, Paigrave, Houndmills - Basingstoke New York 2001, pp. 60-69.

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rio.7 Insieme a loro al dibattito parteciparono altri intellettuali della parte democratica come Napoleone Colajanni e Gabriele Rosa. La discussione fu poi raccolta in un libro, Le Razze Uma­ ne e il Diritto nella Questione Coloniale, pubblicato dapprima nel 1888 e poi, con l’aggiunta di altri testi, nel 1896. A quest’ultima pubblicazione seguirono altri interventi ancora sul medesimo argomento. Così nel 1898 il futuro esperto socialista di questioni coloniali (e più tardi fascista e razzista), Gennaro Mondaini, pubblicò un libro8 che discuteva il «Negro Problem» negli USA, e prospettava una possibile integrazione sociale tra bian­ chi e neri. Nell’introduzione, il sociologo Enrico Morselli però ri­ badì il principio della superiorità della razza bianca, trattando il te­ ma a lungo e in termini perfino di supposta «tolleranza» da parte dei bianchi verso i neri.9 E anche vero però che, più o meno negli stessi anni, sull’«Avanti!» si potevano leggere degli articoli di fon­ do10 che negavano con forza l’idea stessa dell’esistenza della razza: Non esistono delle razze diverse, ma solo dei popoli differenti. 7 La prima edizione in libro del dibattito avvenuto sulla rivista «Cuore e criti­ ca» fu stampata dalla tipografia Miralta di Savona, nel 1888. La seconda, del 1896 (con l’aggiunta di un capitolo su «Negri agli Stati Uniti»), dall’Istituto italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, editore anche dei libri di geografia di Ghisleri. Poi è stata ristampata da Mazzorati nel 1972. Su Ghisleri anche Alain Goussot, Alcune tappe della critica al razzismo. Le riflessioni di G. Mazzini, N. Colajanni e A. Ghisteri, in Burgio (a cura di), Nel nome della razza..., cit., pp. 140-142. Ma soprattutto si veda: Arcangelo Cibisleri e il suo «clandestino amo­ re», a cura di Emanuela Casti, Società Geografica Italiana, Roma 2001, pp. 200-204. Per alcune altre posizioni razziste sulla guerra d’Africa si veda Gio­ vanni Landucci, Darwinismo e nazionalismo, in La cultura italiana tra ’800 e '900 e le origini del nazionalismo, Olschki, Firenze 1981, pp. 146-148. 8 Gennaro Mondaini, La questione dei negri nella storia e nella società nordamericana, Bocca, Torino 1898. Per una biografia di Mondaini, Chi è? (4a ed.), Cenacolo, Roma 1940, pp. 623-624. Per le sue dichiarazioni al Terzo congres­ so coloniale nel 1937, con riferimento al «prestigio della razza dominante», cfr. Razzismo coloniale di stato, in La menzogna della razza. Documenti e im­ magini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Grafts, Bologna 1994, pp. 288-289. 9 Cfr. Enrico Morselli, Le razze umane e il sentimento di superiorità etnica, «Rivista Italiana di Sociologia», a. XV f., III-IV, maggio-agosto 1911, pp. 321360 (per gli afro-americani in particolare, p. 354). 10 Questione di razze, «Avanti!», 6 aprile 1901. Ma si veda anche s.n., Per un saggio di psicologia etnica, «Avanti!», 1° agosto 1901, teso a confutare resi­ stenza di una «razza ebraica».

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La discussione Bovio-Ghisleri è comunque per noi interes­ sante perché Mussolini, come vedremo, dimostrò di conoscerla e di averci in qualche modo ragionato sopra. Invece forse neppure conosceva un’altra, diversa elaborazio­ ne del concetto di razza che nel frattempo veniva messa a pun­ to e che in Italia conduceva alle prime leggi razziali vere e pro­ prie. Erano i temi sviluppati in ambito politico e giudiziario, a cui contribuirono, per quanto riguarda la tendenza razzisticodiscriminatoria, magistrati come il procuratore della Corte d’ap­ pello d’Asmara, Ranieri Falcone, e avvocati come G.B. Penne. Falcone, in un discorso ufficiale del 1905 alla Corte d’appello d’Asmara,11 che qualche anno dopo venne inserito negli atti parlamentari italiani, si espresse con grande durezza sui «sel­ vaggi» nativi, «i quali, come tutti quelli di razza inferiore, facil­ mente trascendono ad atti di violenza». E propose quindi misu­ re discriminatorie a proposito delle violenze e degli omicidi compiuti da costoro. Soprattutto, propose il divieto di matri­ monio tra donne bianche e uomini neri: la donna bianca che sposerà l’indigeno, scrisse, «ammoglierà a lui insieme alla di­ gnità propria, un po’ anche la dignità della propria razza»; «dif­ ficilmente la erede del gentil sangue latino si sottrarrebbe al danno e all’onta della civiltà inferiore». Nel caso di uomini bian­ chi e donne nere, essendo l’uomo autonomo nelle sue decisioni, la dignità di razza invece non sarebbe andata perduta. Quanto a Penne,12 accettò in pieno i princìpi di Falcone sulle 11 II discorso, tenuto il 23 gennaio 1905, fu pubblicato prima dalla tip. De An­ gelis ad Asmara; poi venne allegato alla relazione parlamentare di Ferdinando Martini sull’Eritrea pubblicata nel 1913, e da lì si cita. Cfr. Ranieri Falcone, Eamministrazione della giustizia nella Colonia Eritrea. Resoconto, in Atti Par­ lamentari. Legislatura XXIII, Sessione 1909-13, doc. LXII, v. II, all. 24, Tip. Ca­ mera dei Deputati, Roma 1913. Per il divieto nelle unioni, vedi pp. 320-323; qui in particolare si cita dalle pp. 312 e 322. Per quanto riguarda u progetto di codice civile fu pubblicato in: Disegno di codice civile da pubblicarsi nella Co­ lonia Eritrea con le modificazioni disposte dall’articolo e dalla legge 24 maggio 1903, Tip. dell’Unione Cooperativa Editrice, Roma 1905. 12 G.B. Penne si riferì alla relazione di Falcone in un lungo saggio, Eincrocio delle Razze in Eritrea, comparso inizialmente sullo «Spettatore» del 10 set­ tembre 1905 e poi in libretto a sé, Tip. Industria e Lavoro, Roma 1905 (si cita da pp. 1 e 20). L’ispirazione «ideologica», esplicitamente dichiarata, veniva da un discorso di Bovio al Parlamento del 29 aprile 1891.

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unioni miste, ma rincarandoli; infatti propose che venissero po­ sti «dei freni» non solo ai matrimoni tra donne bianche e uomi­ ni neri, ma anche tra uomini bianchi e donne nere. Per lui anche queste unioni erano lesive della dignità di razza. Si orientò in­ somma sulle direttrici indicate da Bovio a proposito della supe­ riorità razziale bianca e della necessità di limitare o vietare i rap­ porti sessuali interrazziali e i matrimoni misti. Tutto questo dibattito ruotava intorno al varo dei nuovi codici giudiziari per l’Eritrea, che venivano discussi e varati in quel pe­ riodo.13 Falcone in particolare spingeva per l’inserimento delle li­ mitazioni che s’è detto a proposito delle unioni miste e, in merito, la discussione istituzionale a Roma fu assai vivace, con posizioni contrapposte.14 Una delle origini della discussione, nonché uno dei motivi del fallimento di tale complesso tentativo di sistema­ zione delle idee coloniali italiane, fu la preoccupazione che un nuovo sistema giuridico così vasto andasse in qualche modo a in­ cidere direttamente sul sistema normativo metropolitano. Alla fine, il disegno di codice penale emanato per l’Eritrea espresse la necessità di tutelare «la nostra supremazia etnica e politica»: firmato dal presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, e poi da Tittoni e da Orlando e varato alla fine dal Parlamen­ to nel 1908, conteneva alcune norme razziste.15 Il codice però, 13 Luciano Mattone, Giustizia coloniale. Modelli e prassi penale per i sudditi d’Africa dall’età giolittiana al fascismo, Jovene, Napoli 2002, pp. 24ss. Ivi an­ che il complesso dibattito sul codice penale eritreo, che non divenne mai ese­ cutivo. A proposito della questione dei codici, cfr. Maria Letizia Sagù, Sui ten­ tativi di codificazione per la Colonia Eritrea, «Clio», ottobre-dicembre 1986, pp. 567-616. uIvi,pp. 592-593. 15 RD n. 485 del 14 maggio 1908 che approva il codice penale per la Colonia Eritrea con le disposizioni per l’applicazione del codice medesimo (GU, 29 agosto 1908). Si segnalano: l’art. 13, in cui la pena massima prevista per i cit­ tadini italiani o stranieri era, seguendo il codice Zanardelli, l’ergastolo, mentre per i «sudditi coloniali o assimilati» era la morte; l’art. 371, dove era prevista la pena per violenza carnale su minori con meno di 12 anni se le vittime ap­ punto dodicenni erano italiani o stranieri, ma con meno di 9 se le vittime era­ no invece «sudditi coloniali o assimilati»; l’art. 375, con pene per corruzione di minori solo se questi avevano meno di 16 anni se italiani o stranieri e meno di 9 se «sudditi coloniali o assimilati»; l’art. 385, che prevedeva pene per in­ duzione alla prostituzione se la donna «prostituita» aveva meno di 21 anni, nel caso di italiana o straniera, ma meno di 12 se «suddita coloniale o assimilata». Come si vede, si legalizzava la prostituzione dei minori indigeni.

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per molteplici motivi, tra cui quello formale della mancata tra­ duzione nelle lingue locali, arabo e aramaico, non entrò mai in vigore. Di lì a poco si pervenne all’annessione di una parte della Libia, che raccoglieva «razze indigene» diverse (arabi musulmani, ebrei), le quali sollevavano questioni ancora diffe­ renti da quelle d’Eritrea: tra l’altro la Libia poneva anche il problema dei riflessi che qualsiasi normativa avrebbe avuto sulla vicina Tunisia, dove la comunità italiana era molto consi­ stente. Seguì la guerra e ci fu una sorta di temporanea archiviazione. Nel dopoguerra da Roma non ci si pose più il problema e non fu più all’ordine del giorno per molto tempo. Per vari motivi, al­ cuni dei quali ancora non ben chiari, in territorio metropolitano il razzismo antinero, che progrediva in ampi settori dell’ammi­ nistrazione pubblica italiana legata alle colonie, fu dunque con­ gelato prima della guerra mondiale. All’epoca, con varie leggi e, in fondo, anche con l’approva­ zione dei codici eritrei, benché essi non fossero divenuti opera­ tivi, fu comunque messa ufficialmente agli atti una soluzione razzista per la politica coloniale. E ai magistrati che operavano in Africa venne comunque data un’indicazione di massima anch’essa razzista su come agire. E alcuni di essi, a quanto si sa, l’applicarono.16 Caratterizzato da tratti discriminatori fu per esempio l’Ordinamento giudiziario della Colonia Eritrea, firmato dal re il 2 luglio 1908,17 pochi mesi prima che Mussolini incominciasse a ragionare, alla sua maniera, di razza. In questa legge si defini­ 16 Per una sentenza «razzista» in Somalia, a proposito di uno stupro di un in­ digeno nei confronti di un’indigena, si veda quella emessa a Mogadiscio il 25 maggio 1912 e riportata in Guglielmo Ciamarra, La Giustizia nella Somalia. Raccolta di giurisprudenza coloniale con prefazione di Giacomo Agnesa, R. Tip. Francesco Giannini, Napoli 1914, pp. 64-72. Per il caso di alcune sen­ tenze razziste della Corte d’assise dell’Hamasien, vedi Martone, Giustizia co­ loniale..., cit., pp. 262-268. 17 RD 2 luglio 1908 n. 525, pubblicato sulla GU il 4 luglio 1908 n. 155 (si cita in particolare dagli artt. 2 e 9). Un riferimento in Ester Capuzzo, Sudditanza e cit­ tadinanza nell’esperienza coloniale italiana dell’età liberale, «Clio», gennaiomarzo 1995, pp. 72-73. Nel parallelo decreto per la Somalia italiana (RD 5 aprile 1908, n. 161, GU, 30 aprile 1908, n. 102) non vennero usati i termini «razza» o «stirpe».

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vano i «sudditi coloniali», cioè - semplificando - gli indigeni che non erano né sudditi italiani né stranieri. E vi si faceva chiara allusione alla «razza» e alle «stirpi», in riferimento a quelle africane. In questo caso erano indicate come «stirpi» sottocategorie della «razza», cioè di un gruppo etnico più va­ sto. Il termine «razza» era stato usato nel 1903, in senso più li­ mitato, vicino a quello di «tribù» o di «gruppi di tribù», in un’altra legge.18 Nel 1910, invece, in una relazione ministeria­ le,19 di nuovo il termine «razza» aveva indicato gruppi con ori­ gini comuni più vasti della tribù (per esempio «razza Suahili, Galla Boran, Arussi»). E lo stesso accadde nella relazione di Ferdinando Martini del 1913.20 Era un’azione che procedeva per approssimazioni e con qual­ che oscillazione. Ma una «gradazione» razziale a poco a poco veniva fissata. In primis tra «civiltà europea» e le altre civiltà. Si veda per esempio questa definizione di «assimilato» in una leg­ ge del 1908:21 lo straniero che appartenga a una popolazione la quale non abbia ci­ viltà in grado simile a quella europea.

Veniva quindi separata la popolazione con «civiltà europea» dalle altre, lasciando aperti però, con quell’aggettivo, «simile», molti margini di libertà d’interpretazione. E testimoniato che questa definizione creò problemi e malumori e ulteriori disposi­ zioni che a loro volta crearono altri malumori (tra l’altro da par­ 18 La legge del 24 maggio 1903, n. 205 («Legge portante fordinamento della Colonia Eritrea», GU, 4 giugno 1903, n. 130) all’art. 3 a proposito degli «indi­ geni» si riferiva alle «consuetudini locali, le religioni, le razze»; all’art. 4 parla­ va di «varie razze indigene od avventizie», cioè venute da fuori. 19 Cfr. Tommaso Cadetti, Relazione sulla Somalia italiana per l’anno 1907-1908 presentata dal ministro degli Affari esteri (Guicciardini) nella seduta del 19 mar­ zo 1910, in Camera dei Deputati, Legislatura XXII (1908-13), Raccolta degli At­ ti stampati per ordine della Camera, vol. II (Documenti), Tip. della Camera dei Deputati, Roma 1913, p. 28. 20 Ferdinando Martini, Relazione sulla Colonia Eritrea presentata dal ministro delle Colonie (Bertolini) nella seduta del 14 giugno 1913, in Atti Parlamentari. Legislatura XXIII, Sessione 1909-13, doc. LXII, vol. I, cit., pp. 44-45. 21 RD 2 luglio 1908, n. 325. Disposizioni applicative del RD n. 485 del 14 mag­ gio 1908.

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te di alcuni ebrei di Aden e dello Yemen, che si sentirono discriminati).22 Con un’altra legge ancora, sui funzionari coloniali in Eritrea, fu poi avviata un’autentica e concreta separazione «sessuale» tra bianchi italiani e indigeni: fu infatti stabilito il divieto per quei funzionari di vivere e poi di sposarsi con donne eritree e la preci­ sa esclusione dei «meticci» da alcuni ruoli coloniali.23 La «svolta» avvenne tra la fine del 1905 e la metà del 1909, epoca di quest’ultima normativa. Infatti nella similare legge per la Somalia, che però risaliva proprio al 190524 (RD 22 settembre 1905, n. 507, GU, 21 ottobre 1905, n. 24), l’articolo omologo a proposito dei requi­ siti richiesti per la nomina dell’«aiutante coloniale d’ultima clas­ se» parlava solo di «cittadinanza italiana» e non di razza. Erano notevoli e concreti passi in avanti «razzisti», e non passa­ rono sotto silenzio.25 Si trattava di decisioni elaborate dall’ammini­ strazione statale italiana e dimostravano, oltre a una forte evolu22 Giulia Barrera, The Construction of Racial Hierarchies in Colonial Eritrea. The Liberal and Early Fascist Period (1897-1934), in Patrizia Palumbo (a cura di), A Place in the Sun. Africa in Italian Colonial Culture from Post-Unification to the Present, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - London 2003, p. 107. 23 Si trattava del RD 19 settembre 1909, n. 839 (Ordinamento del corpo dei fun­ zionari coloniali dellEritrea, GU, 11 febbraio 1910, n. 34) e del RD 4 luglio 1910 n. 562 (Ordinamento amministrativo della Somalia italiana, GU, 18 agosto 1910, n. 192); che rispettivamente (arti. 43 e 65) vietavano ai funzionari coloniali la «coa­ bitazione» con «donne indigene»; e il RD 10 dicembre 1914, n. 1510 (Modifiche all’ordinamento del personale civile della Colonia Eritrea, GU, 25 marzo 1915, n. 76) che all’art. 42 vietava di nuovo ai funzionari coloniali la «coabitazione» con «donne indigene», ma anche il matrimonio (nel caso il funzionario avesse con­ tratto matrimonio «con indigena è considerato dimissionario»). All’art. 9 veniva detto che come condizione per essere nominati «aspiranti agenti coloniali» oc­ correva «essere cittadino italiano e non meticcio». Un cenno alle leggi del 1909 e del 1914 in Barbara Sorgoni, Etnografia e colonialismo. EEritrea e l'Etiopia di Al­ berto Pollerà. 1873-1939, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 101. 24 RD 22 settembre 1905, n. 507, GU, 21 ottobre 1905, n. 24. L’articolo citato era il 33. 25 L’Ascaro, Questioni coloniali, «Il carroccio», 15 ottobre 1910, pp. 5-6. Il giornale si soffermò sull’art. 43 dell’Ordinamento dei funzionari in Eritrea, e sostenne, contro la legge, che la «coabitazione con le madame» avrebbe avuto come risultato degli «eccellenti meticci che in cinquant’anni avrebbero dato alla Colonia una popolazione bianca e di sangue e di sentimenti italiani». Un ritaglio dell’articolo fu conservato nel Gabinetto del ministero dell’Africa Ita­ liana, ASDMAE, MAI, Gab., pos. 165.

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zione nella pratica «razzista», l’esistenza d’idee, tendenze, o addi­ rittura duna mentalità piuttosto definita in materia. Si assisteva co­ sì, a parte la questione dei codici, all’iniziale creazione di una nor­ mativa centralizzata simile a quella sulle limitazioni o sui divieti nelle relazioni sessuali interrazziali che in quello stesso periodo ve­ niva elaborata e imposta nelle colonie inglesi e tedesche.26 Del re­ sto, l’opinione pubblica in genere veniva influenzata dal nuovo cli­ ma, dal momento che persino la pubblicistica per ragazzi, come è stato notato,27 proprio nel 1907-1908 incominciava a produrre ar­ ticoli e racconti in cui i neri venivano descritti come inferiori e sel­ vaggi o, nei casi più «evoluti», civilizzabili da parte degli europei. In merito alle discussioni legate al tema del colonialismo, Mussolini - che, si vedrà, «volava alto» con il razzismo politico ed «europeo» di Nietzsche, Chamberlain e Gobineau - era pressoché ancora all’oscuro o indifferente.28 Non è da escludere che sia stato l’effetto disastroso della «formidabile impressio­ ne», come lui stesso ricordò più tardi, ricevuta da ragazzo dalla terribile sconfitta incassata dall’esercito italiano ad Adua nel 1896.29 Forse era stata un’«impressione» duratura che aveva stroncato, a lui come a tanti altri, qualche iniziale entusiasmo per l’impresa d’Africa30 e per il colonialismo in genere. Comunque Mussolini non avrebbe parlato di razzismo anti­ nero ancora per diversi anni. E un dato interessante. Il razzismo fascista ebbe diversi antecedenti, tra cui alcune leggi dei gover­ ni liberali precedenti di più di dieci anni la salita al potere del 26 Per le varie norme si veda MacMaster, Racism in Europe, cit., pp. 126-129. MacMaster riferisce di un’ordinanza tedesca del 1905; per il divieto di concu­ binaggio nell’impero inglese nel 1910 cfr. Anna Laura Stoler, Carnal Know­ ledge and Imperiai Power. Race and the Intimate in Coloniale Rule, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - London 2002, p. 49. Per un’or­ dinanza nelle isole Samoa (tedesche) lo stesso anno cfr. Giovanni De Martis, Dalle Samoa ad Auschwitz. Dal razzismo umanitario al razzismo biologico, «Quaderni di Olokaustos», gennaio 2005, p. 144. 27 Cfr. Rosalia Franco, Colonialismo per ragazzi. La rappresentazione dell’Afri­ ca ne “La domenica dei fanciulli” (1900-1920), «Studi storici», gennaio-marzo 1994, pp. 157-139. 28 Un riferimento all’avvocato Penne è in De Begnac, Vita di Mussolini II..., cit., p. 105. 29 Mussolini, La mia vita..., cit., in O.O., XXXIII, p. 235. 30 Benito Mussolini, Vita di Arnaldo scritta da suo fratello, in Arnaldo e Benito Mussolini, Vita di Sandro e di Arnaldo, Hoepli, Milano 1934, p. 93.

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fascismo. Furono avvenimenti sporadici, ma concreti. Eppure Mussolini non se ne accorse o non vi diede peso. Per quanto ri­ guarda il razzismo «antinero», arrivò con grande ritardo. Altrettanto interessante è un’altra palese lacuna nelle sue co­ noscenze razziste. Mussolini non citò mai, anche quando ce ne sarebbe stata occasione, colui che nel periodo fu forse il maggior intellettuale italiano nemico del concetto stesso di razza, cioè quel Napoleone Colajanni che già quindici anni prima, al tempo della preparazione della guerra d’Africa, si era schierato a favore di Ghisleri e contro la divisione in razze superiori e inferiori. Co­ lajanni scrisse in proposito un densissimo libro nel 1903, amplia­ to tre anni dopo.31 Lo scopo principale era di sostenere che le popolazioni del Sud d’Europa non erano inferiori agli anglosas­ soni da nessun punto di vista. Era quindi un testo nazionalista, ma si trattava anche del più completo manuale antirazzista che si fosse mai visto in Italia, perché Colajanni parlava, diffusamente e dal punto di vista politico, anche delle razze in generale. Mussolini era interessato evidentemente ad altro: a questioni teoriche, politiche, più che antropologiche, legislative, ammini­ strative. Infatti quegli stessi temi venivano affrontati anche in al­ tri ambiti. Avviata doveva essere - anche se in proposito abbia­ mo pochissima documentazione - la discussione negli ambienti politici irredentisti, che metteva in risalto le questioni delle raz­ ze e delle etnie, avendo presenti ovviamente quelle che, secondo la mentalità d’allora, costituivano l’impero asburgico. Nella stessa direzione dell’irredentismo operava il socialismo e in par­ ticolare quello rivoluzionario. Per esempio quello italiano di­ fendeva gli interessi degli emigrati in paesi come la Svizzera - o come l’America del Sud o gli USA, dove si distinse il sindacalista Edmondo Rossoni32 - e ancora una volta esaltando i temi delle nazionalità e della razza. 31 N. Colajanni, Razze inferiori e razze superiori. Latini e Anglosassoni, «Rivista popolare illustrata», Roma 1903. La2‘ ed., col titolo Latini e anglosassoni (raz­ ze inferiori e razze superiori), fu stampata dalle edizioni della «Rivista popola­ re» nel 1906. 32 Su Rossoni e il tema della razza in questo periodo cfr. John J. Tinghino, Ed­ mondo Rossoni. From Revolutionary Syndacalism to Fascism, Peter Lang, New York 1991, p. 60. Rossoni, che lavorò al «Popolo d’Italia» almeno fino al 1920 (O.O., XXXVIII, p. 123), nel 1923 fondò il giornale «La stirpe».

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Poi c’erano alcuni uomini politici, sia conservatori sia pro­ gressisti, che iniziavano a discutere di darwinismo, di darwini­ smo sociale, e comunque di razze.33 Anche negli ambienti della sinistra italiana, e più in piccolo nella sinistra intellettuale mar­ ginale in cui Mussolini era immerso all’inizio del secolo, per ciò che riguarda gli aspetti teorici l’appello positivo alla «razza» aveva avuto riscontri e buoni punti di riferimento. Prima di tutto, Georges Sorel. Proprio a proposito di razza, tra fine e inizio secolo sono da segnalare almeno un paio di pre­ cisi scritti in italiano di questo combattivo intellettuale,34 com­ parsi sulla rivista socialista di Saverio Merlino e in un libro usci­ to in Italia nel 1903. In entrambi, partendo da Marx, Sorel so­ stenne che nell’interpretazione storica e materialistica occorreva introdurre il concetto di «razza», perché esso aiutava a rappre­ sentare la realtà in maniera più autentica e variegata rispetto a un generico egualitarismo. I popoli non sono uguali a causa del­ la razza, perché essa li caratterizza - questa era l’idea. Di conse­ guenza, per ciascun popolo si impongono analisi e politiche so­ ciali e del lavoro differenziate. Sorel era però anche cauto o elusivo nel delimitare quel con­ cetto. Sembra che sia meglio di non sforzarsi di definire la razza e di limitar­ si a dire che esiste presso ogni popolo un fondo tradizionale solido, che difficilmente viene modificato dalle nuove istituzioni,

scrisse nel 1899.35 Insomma, aveva presente la questione in ter­ mini di determinismo razziale, anche se non arrivava a estreme conseguenze. In un’altra occasione parlò invece «di quel fondo misterioso che si chiama la razza storica»,36 per sostenere che la 33 Cfr. Landucci, Darwinismo e nazionalismo, cit., pp. 103-187. 34 Si veda J. David, Il socialismo e la teoria delle razze, «Rivista critica del so­ cialismo», luglio 1899, pp. 577-586, in particolare p. 586 (per l’attribuzione a Sorel dello pseudonimo di David si veda Gian Biagio Furiozzi, Giorgio Sorel e la «Rivista critica del socialismo», «Il pensiero politico», 1971, f. 1, p. 95); e inoltre L’influenza delle razze, in Giorgio Sorel, Saggi di critica del marxismo, pubblicati per cura e con prefazione ai Vittorio Racca, Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1903 (rit. anast. Samonà e Savelli, Roma 1970), pp. 95-108. 35 David, Il socialismo..., cit., p. 582. 36 Sorel, Saggi..., cit., p. 98.

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razza di cui parlava non era «genetica», ma condizionata dai processi storici. In ogni caso Sorel stabiliva anche che erano or­ mai in crisi gli «immortali principi» predicati dai partiti sociali­ sti ufficiali, soprattutto quello di uguaglianza. Il riferimento alla razza lo dimostrava in maniera inequivocabile. Mussolini, se non altro per obblighi di partito, doveva conosce­ re altri scritti di quello stesso periodo che affrontavano il tema del­ la razza: si allude ad alcuni articoli che una giovane Margherita Sarfatti - personaggio emergente37 tra i socialisti milanesi insieme al marito, noto avvocato - andò scrivendo sull’«Avanti!» a partire dal primo gennaio 1908. Spesso collocati in prima pagina, veniva­ no firmati con lo pseudonimo di «El Sereno».38 Erano articoli brillanti e vari, piuttosto dissonanti dal leggero grigiore del resto del giornale. E spesso erano di buona grana razzista. Su quel giornale qualche cenno al peso e al valore del­ la «razza» si era avvertito anche prima della collaborazione di El Sereno. Basta citare un articolo della fine del 1907,39 dove si so­ steneva che in Italia una parte delle «classi infelici della società» aveva «origini etniche, ossia di razza» mongolica, perché du­ rante il Medioevo nelle classi basse ci sarebbe stata «una note­ vole immissione di sangue mongolico». Il direttore dell’epoca era Enrico Ferri, che guidò l’«Avanti!» fino al 26 gennaio 190840 (qualche settimana dopo l’inizio della collaborazione della Sarfatti). Ferri era seguace di Cesare Lom­ broso41 e sostenitore dell’idea che le manifestazioni di un popolo «sono la risultante delle sue condizioni organiche (razza)». Di si­

37 Cfr. Urso, Margherita Sarfatti..., cit., pp. 29-42. Ma si vedano le pagine di ri­ cordi della Sarfatti: Acqua passata, cit., pp. 67-83. 38 Per lo pseudonimo, cfr. Chi è?, 2a ed., Formiggini, Roma 1931, pp. 676-677. Per alcuni di questi articoli cfr. Urso, Margherita Sarfatti..., cit., pp. 46ss.; del­ la stessa Urso cfr. la voce in DBI, vol. LVIII, pp. 703-707. 39 Dottor Ox, Gli schiavi di ieri e gli italiani ai oggi, «Avanti!», 23 dicembre 1907. 40 Cfr. Olga Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926 (scienze morali, storiche e filologiche), vol. I, Istituto di Studi Romani, Roma 1977, p. 72. 41 Per Ferri cfr. la voce di F. Andreucci in MOIDB, vol. II, pp. 242-248. Ma an­ che Luigi Cavazzoli, Politica e cultura in Enrico Ferri, Istituto per la storia del movimento di liberazione nel mantovano, Mantova 1984, in particolare pp. 69-103; da ultimo, Mantovani, Rigenerare la società..., cit., pp. 38-39.

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curo fu un personaggio molto apprezzato, anche in seguito, da Margherita.42 E non solo da lei. Allievo di Ferri all’Università di Roma alla fine dell’Ottocento fu ad esempio il futuro leader sio­ nista Vladimir Jabotinski.43 Non si sa esattamente se fosse un frutto dei suoi insegnamenti, ma anche Jabotinski scrisse (19111913) degli articoli che indicavano la «razza» come principio che definiva le «nazioni».44 Più tardi, nel 1927, il socialista Ferri si sa­ rebbe avvicinato al fascismo, avrebbe scritto un libro di esalta­ zione di Mussolini dal lato fisico (uomo dalla «tiroide ecceziona­ le») e sarebbe stato perfino nominato senatore nel 1929, poco prima di morire. Infine, a proposito di socialismo e temi razziali, occorre tener conto che in quello stesso periodo (febbraio 1908) il Partito so­ cialista italiano ancora unito avviò, per bocca di Feonida Bisso­ lati e in polemica con il Partito socialista tedesco, una prima apertura verso un «programma minimo di colonizzazione»:45 accolse cioè l’idea che si potesse collaborare col governo nella valorizzazione e nello sfruttamento delle colonie. Margherita a sua volta intraprese, a partire da questo perio­ do, e dalle colonne dell’«Avanti!», quell’itinerario che l’avrebbe portata, con una certa coerenza, a scrivere di lì a trent’anni pa­ gine e pagine razzistico-discriminatorie, soprattutto contro i ne­ gri e gli asiatici. Tali pagine non sono molto note, ma il loro to­ no e significato è indiscutibile e ora incominciano anche a esse­ re studiate.46 E da escludere che Mussolini all’epoca conoscesse di persona la corsivista del giornale: a quanto pare l’avrebbe in­ contrata solo alla fine del 1912. Ma quelle lunghe colonne 42 «Uomo d’ingegno, onestà e coltura indiscutibili». Così lo definì in Acqua passata, cit., p. 71. 4i Michael Stanislawski, Zionism and the Fin de Siècle. Cosmopolitanism and Nationalism from Nordau to jabotinsky, University of California University Press, Berkeley - Los Angeles - London 2001, p. 132. Si veda anche Vladimir Ze’ev Jabotinsky, Dialogo sulla razza. Scritti a cura di Vincenzo Pinto, M&B Publishing, Milano 2003, pp. 153-163. 44 Gideon Shimom, The Zionist Ideology, Brandeis University Press, Hanover London 1995, pp. 239-241. 45 La riunione della Direz, del Partito Soc. Bissolati e la politica coloniale del par­ tito. Per le sorti dell’«Avanti!», «Il Tempo», 4 febbraio 1908. 46 Vedi soprattutto LiAmerica, ricerca della felicità (1937), per cui cfr. Urso, Margherita Sarfatti..., cit., pp. 218-231.

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suH’«Avanti!» poteva averle lette e meditate. Margherita aveva scritto di Gobineau, di razzismo, e poi di Nietzsche e di Elisée Reclus,47 autori su cui Mussolini sarebbe tornato. Gobineau, insieme a Nietzsche, la Sarfatti lo citò nel primo ar­ ticolo della sua rubrica sull’«Avanti!», «Le ore della quindicina», uscito come s’è detto il 1° gennaio 1908. Era una rubrica di varia umanità, ricca di notizie, riflessioni di tutti i tipi, vero palcosceni­ co di letture disparate e irrituali. In quel primo pezzo parlò di raz­ zismo, per difendere i giapponesi e sostenere che essi, o almeno quelli tipologicamente più vicini alla «razza mediterranea», erano i veri dominatori del loro paese. Poi Margherita citò Gobineau per sostenere un’altra «verità»: che la «razza mediterranea» (e forse non solo quella) comprendeva anche gli ebrei. Semiti e europei e forse anche gli europei dai crani lunghi e dagli occhi azzurri, quegli europei gloriosi e vittoriosi che tanto Nietzsche quanto De Gobineau ricordavano, non sono che le branche della medesima famiglia etnica.

Gobineau rimase a lungo, e si direbbe per sempre, una passione di questa giornalista-intellettuale, una stella polare per lei indi­ spensabile - come scrisse nel 1923 - «per concatenare il mondo delle apparenze».48 Forse solo anni dopo, nel 1931, ebbe invece dei ripensamenti sull’evoluzione che nel frattempo aveva subito il «mi­ to mediterraneo», secondo lei malamente ispirato a Gobineau.49 La tendenza della Sarfatti ad assimilare dal punto di vista raz­ ziale gli ebrei agli europei era, come si vede, assai remota: «La nostra razza!», scrisse nell’agosto 1908 a proposito del «dolico­ cefalo bruno dall’occhio lampeggiante», il maratoneta Dorando Petri che aveva gareggiato e vinto (ma poi era stato squalificato) una drammatica e controversa corsa alle Olimpiadi di Londra.50 Così come veniva da lontano la sua convinzione sull’evoluzione 47 Ivi, pp. 46ss. Per le citazioni di Reclus si vedano le due rubriche della stessa Sarfatti del 1° gennaio 1908 e del 7 gennaio 1909. 48 Cfr. Margherita G. Sarfatti, Gobineau, «Nuova Antologia», 1° settembre 1923, pp. 40-44. 49 Margherita G. Sarfatti, Il mito dell’ubriacatura mediterranea, PDI, 3 gennaio 1931. 50 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina, «Avanti!», 2 agosto 1908.

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biologica delle razze, e neH’oggettività della loro mescolanza, che la portava a respingere «la supremazia del tipo fìsico tede­ sco» che «gli imperialisti tedeschi gettano ogni dì sul viso del­ l’Europa». Non è chiaro da dove venisse la sua interpretazione di Gobineau51 e poi anche di Nietzsche, ma le citazioni erano inequivocabili e ripetute, anche su altre questioni: come quella secondo cui erano di razza mediterranea («quasi fratelli a noi») anche i popoli dell’Africa del Nord.52 Insomma la Sarfatti-El Sereno in quei pezzi di bravura, con il suo modo vario e ciarliero, sosteneva con forza l’unità della razza bianca rispetto alle altre: si chiedeva cioè se occorresse utilizzare «la comunanza del colore» dei bianchi «per serrare le file in un blocco unico» contro i gialli e le altre razze (anche se la sua risposta, per la verità, era no).53 Tra i «bianchi» comprendeva anche gli ebrei. In questo senso, era rilevante la posizione di El Sereno verso i «negri autentici», di cui affermava l’assoluta «inferiorità», an­ che se - aggiungeva - andavano trattati con umanità, e non co­ me si faceva per esempio nelle colonie tedesche.54 Anche questo peraltro è un articolo che semplicemente conferma che allora, anche in campo socialista in Italia - e del resto pure altrove esistevano pulsioni «anti-negre». Basta leggere un piccolo arti­ colo anonimo del 1910 sempre sull’«Avanti!»,55 che a proposito 51 Simona Urso ha sostenuto che la fonte dell’interpretazione sarfattiana di Gobineau sia stato un libro di Alfred Dreyfus, La vie et les prophéties de com­ te de Gobineau, edito da Calmann-Lévy nel 1905 (Urso, Margherita Sarfatti..., cit., p. 47). Le fonti però potrebbero essere varie, non esclusa la lettura diret­ ta dello stesso Gobineau. 52 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina, «Avanti!», 15 gennaio 1908. 55 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina, «Avanti!», 2 aprile 1908. 54 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina, «Avanti!», 17 marzo 1908. La Sarfatti al­ ludeva a una recente disposizione di un governatore coloniale tedesco che vieta­ va agli indigeni di diventare proprietari terrieri e di spostarsi senza permesso. La Sarfatti parlava con un certo compiacimento dell’indigeno che «deve obbedire al biondo colono dagli occhi azzurri». In quel momento era in discussione la legge sull’ordinamento giudiziario della Colonia Eritrea, approvata poi in luglio. 55 Leggendo. Socialismo e Colonie, «Avanti!», 25 dicembre 1910. Commentava un articolo di E.H. Halford sul fascicolo di settembre di «The Socialist Re­ view». L’articolo - e l’«Avanti!» approvava - proponeva l’autonomia di ogni colonia e sosteneva che anche negli stati democratici esisteva l’«odio di razza». Per vari aspetti della discussione nella Francia socialista sulla «razza negra» cfr. Crapez, La gauche..., cit.

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di un’eventuale legislazione differenziata per i negri, sui crimini sessuali sosteneva che i negri erano largamente pacifici, ma che era anche una loro caratteristica non saper frenare gli stimoli sessuali tanto da costituire un pericolo per le donne bianche.

Era, come sappiamo, quanto sosteneva il procuratore di Asmara, Falcone, che sulla base di questi princìpi contribuì a ispirare la prima legislazione coloniale razzista italiana. In ogni caso, tornando alla Sarfatti, «gli uomini sono profon­ damente dissimili, per le loro qualità fisiologiche e quindi men­ tali»: così scriveva in un altro articolo (tra l’altro antislavo) del­ l’ottobre 1908 e sempre sull’«Avanti!».56 Infine, altro dato rilevantissimo era il riferimento della Sarfatti alle gerarchie. Si tornerà su questo punto, perché un paio d’anni dopo Mussolini si dimostrò assai interessato allo stesso tema. Con la solita levità, la Sarfatti aveva scritto di credere in modo fermo nelle gerarchie politiche e nella loro spesso sanguinosa sostituzio­ ne da parte di altri gruppi dirigenti: «Una gerarchia scompare, e l’altra le succede».57 Vedremo a chi si stava ispirando. Dunque quando Mussolini incominciò a scrivere di politica, il dibattito sulla razza, e talvolta anche un razzismo autentica­ mente discriminatorio, erano già penetrati negli ambienti socia­ listi ed erano arrivati addirittura sulle prime pagine dell’«Avanti ! ». Da che cosa fossero originati è però difficile dire. C’era di sicuro un gruppo di giovani che si era avvicinato al partito nel momento di maggior successo e che pensava di ave­ re armi intellettuali più moderne (il darwinismo, la teoria delle razze, l’antropologia sociale) per combattere (o scardinare) un apparato socialista non tanto riformista, quanto invecchiato e immobile. Parlare della «razza» comune poteva essere un modo per chiedere direttamente l’appoggio del «popolo». 56 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina (motivi balcanici), «Avanti!», 20 otto­ bre 1908. Ma si veda anche, contro il «quarto d’ora slavo», la rubrica del 16 febbraio. 57 Cfr. El Sereno, Le ore della quindicina, «Avanti!», 16 agosto 1908. Già cita­ to in Urso, Margherita Sarfatti..., cit., p. 54.

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Erano insomma armi in mano ai settori più inquieti, dinami­ ci o addirittura rampanti del PSI. Mussolini era un leader di que­ sti giovani e lo rivendicava. Lo affermò esplicitamente in un’in­ tervista al «Giornale d’Italia» pubblicata il 6 luglio 1914:58 Noi giovani abbiamo oggi una mentalità completamente diversa. Il mondo è cambiato. Le tavole della legge del 1892 [anno di fondazione del PSI, n.d.a.] devono essere rivedute ed adattate alla nuova realtà maturatasi durante questo tormentato ventennio.

Poi all’interno del socialismo covava una forte aspirazione nazionalista, che non si sapeva bene come gestire, ma la «razza» poteva tornar utile. In ugual modo era in crisi l’internazionalismo proletario che faceva riferimento alla socialdemocrazia te­ desca, che conteneva al suo interno fortissime tendenze nazio­ naliste. E, di nuovo, la «razza» poteva essere un collante che manteneva un senso di integrazione internazionale, perché di­ versi intellettuali e politici, in vari paesi, facevano riferimento al tema ritenendolo fondativo. Una sorta di Internazionale razzista stava timidamente prendendo forma. Fu in questo clima, raccogliendo in modo vario da questa e da quella fonte, che Mussolini, a più riprese, affrontò anche l’i­ dea della «razza», in parallelo con quella degli «ebrei», che con­ siderava comunque una «razza». Così cominciò a parlare a voce alta proprio di questi temi, di ebrei e antisemitismo, un po’ die­ tro alle premesse teoriche che si era dato e un po’ procedendo a strappi, introducendo ulteriori novità e andando anche per con­ to proprio. E in ogni caso del tutto comprensibile che usasse proprio quel termine, «razza», che a noi oggi - dopo la devasta­ zione sanguinaria del XX secolo - può fare un effetto solo nega­ tivo; ma che allora era adoperato dal punto di vista politico in maniera piuttosto disinvolta: anche se non innocente, visto che si mirava al cuore degli stessi princìpi del socialismo. Ma vediamo invece quale uso del termine il futuro duce ave­ va fatto fino ad allora. Mussolini lo aveva adoperato a proposi58 O.O., VI, p. 250. Ma si veda anche: L’homme qui cherche, Cavalcata para­ dossale. I. Caccia al “buon senso”, «La folla», 6 aprile 1913 (O.O., V, pp. 141 143).

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to della repressione subita dagli armeni a opera dei turchi;59 era il 1902 e Mussolini si riferiva in modo neutro a un «odio di raz­ za» tra i due popoli. Più rilevante è invece l’uso che ne fece a Losanna, nel marzo 1904, nel dibattito sulla divinità con il pa­ store evangelico Alfredo Tagliatatela.60 Il giovane socialista in­ tendeva spiegare come l’origine del principio religioso sia del tutto materiale, cioè risieda nel cervello e nella sua conforma­ zione fisica. Tra le altre cose osservò che il labirinto delle circonvoluzioni è più complicato nelle razze colte che nelle razze ignoranti.

Tra razza e razza prospettava una differenza biologica, basata sulle differenti conformazioni dei cervelli. La teoria, difesa da al­ cuni studiosi tra cui il teorico della razza Woltmann, era stata com­ battuta da altri. Poi contro di essa era intervenuta la pubblicistica politica, per esempio l’antirazzista Napoleone Colajanni, che ave­ va già criticato l’idea lombrosiana dell’importanza razziale delle circonvoluzioni del cervello.61 Ma Mussolini non ne tenne conto. E stato affermato che quest’ultimo scritto può essere inter­ pretato come un segnale che indica in che misura Mussolini cre­ desse già allora nella forza dell’ereditarietà e delta trasmissione genetica; invece non ci sono elementi per ipotizzare che in que­ sta sede - è stato di nuovo Aaron Gillette a sostenerlo - egli ventilasse anche l’idea che «le forze ambientali e spirituali, come la cultura, possono indurre cambiamenti biologici».62 È anche la 59 Benito Mussolini, Una caduta, «L’Avvenire del Lavoratore», 2 agosto 1902 (O.O., I, p. 10). 60 II discorso fu pubblicato in opuscolo dalla Cooperativa Tipografica Sociale di Lugano nel 1904. Poi in O.O., XXXIII, pp. 1-37. Per la citazione successiva, cfr. p. 11. 61 Cfr. Colajanni, Razze inferiori..., cit. (1903), pp. 13ss (con bibliografia). E poi Colajanni, Latini e Anglosassoni..., cit., pp. 19-20. Colajanni aveva già espresso concetti simili in Sociologia criminale (1889). Secondo la testimo­ nianza rilasciata a De Begnac (Taccuini..., cit., p. 30) Mussolini avrebbe cono­ sciuto alcuni testi di Colajanni durante «l’esilio in Svizzera». Peraltro, a pro­ posito di Colajanni, si veda il necrologio molto elogiativo, Limprovvisa morte di Napoleone Colajanni, PDI, 3 settembre 1921. 62 Entrambe le tesi espresse da Aaron Gillette, Racial Theories in Fascist Italy, Routledge, London - New York 2002, p. 33.

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prima indicazione che ci dice però come Mussolini senza dub­ bio credesse all’esistenza di una scala razziale, su cui erano col­ locate razze più o meno «elevate». Senza affermarlo chiaramen­ te, nel dibattito sull’esistenza o meno di razze superiori e infe­ riori Mussolini si era schierato a favore della gerarchia razziale. Qualche anno dopo invece, nel fatidico 1908 del saggio su Nietzsche, in un articolo sulla «Lima» di aprile dal titolo anch’esso molto nietzscheano («considerazioni inattuali»), il ter­ mine «razza» Mussolini lo adoperò per l’Italia e gli italiani nel loro insieme.63 Letta oggi, sapendo quanto egli scrisse in segui­ to, è una dichiarazione impressionante. L’agitatore socialista era tornato in patria, insegnava a Oneglia e parlava della corruzione dell’Italia giolittiana: L’Italia non è una. Sono diversi popoli male amalgamati da una ammi­ nistrazione ferocemente unitaria e accentrante. I vincoli d’ordine mo­ rale che uniscono un piemontese a un siciliano sono dubbi. I vincoli di razza più dubbi ancora.

È un passo da tener in mente per il prosieguo della narrazio­ ne. Intendeva fotografare solo la situazione, ma si vedrà come, a distanza di qualche anno, Mussolini sarebbe arrivato a sostene­ re l’esatto contrario. Considerato però che pochi giorni dopo Mussolini usò inve­ ce la parola «stirpe»64 per intendere «genere umano» nel suo in­ sieme e poi, qualche tempo dopo ancora, a proposito di Nietz­ sche tornò a parlare di «razza» come sinonimo di «popolo», si può pensare che per lui in questo periodo il termine, o i termi­ ni, non avessero un significato definito con esattezza. S’è già vi­ sto l’uso impreciso da parte della legislazione coloniale. L’oscil­ lazione nel significato dei termini era diffusa e comune a tutta l’Europa che discuteva di questi argomenti.65 Di certo c’era so­ 63 Vero Eretico, Inattuale momento politico (considerazioni inattuali), «La Li­ ma», 18 aprile 1908 (O.O., I, p. 119). 64 Vero Eretico, Intermezzo polemico, «La Lima», 25 aprile 1908 (O.O., I, p. 129). De Begnac ha alluso a questo passo come al primo riferimento nelle opere di Mussolini alla «stirpe italiana». Si veda De Begnac, Vita di Mussolini II..., cit., p. 72. 65 Mike Hawkins, Social Darwinism in European and American Thought, 1860-

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lo che la terminologia stabiliva l’esistenza di relazioni tra «grup­ pi naturali» di popolazione e dunque l’esistenza di divisioni. Quei gruppi però nella pubblicistica potevano volta a volta es­ sere definiti «razza» o «stirpe» e «razza bianca», «razza ariana» o «indoeuropea» o «razza italiana», «tedesca» eccetera. Spesso venivano affermate relazioni conflittuali o di supremazia tra i gruppi naturali, proprio in base alle origini razziali. Quel «vincoli di razza» in opposizione a «vincoli d’ordine morale» indica con certezza che Mussolini aveva già presente il tema degli incroci sessuali. Ed è da ribadire come nel 1908 so­ stenesse che in Italia questi ultimi legami fossero deboli o quan­ to meno «dubbi».

Élites

Qualcosa ancora cambiò, nelle concezioni razziali di Mussoli­ ni, grosso modo l’anno successivo, il 1909. A quanto si può giu­ dicare oggi, fu un periodo in cui fece diverse letture, tra cui le opere del noto «geografo anarchico» Elisée Reclus. Il futuro dit­ tatore in quel momento si trovava nel Trentino allora austriaco, dove rimase dal 6 febbraio al 26 settembre 1909:66 all’inizio con responsabilità sindacali e di partito (al vertice della camera del la­ voro), ma anche giornalistiche (si occupava del piccolo «L’Avve­ nire del Lavoratore»); in agosto divenne invece redattore capo del quotidiano socialista locale con cui aveva già collaborato, «Il Po­ polo», diretto da Cesare Battisti, geografo come il suo amico Ghisleri.67 Dopo poco, per la sua attività politica e soprattutto gior­ nalistica, fu però espulso dal paese.

1945. Nature as Model and Nature as Threat, Cambridge University Press, Cambridge 1997, p. 184. 66 Si veda Renato Monteleone, Il movimento socialista nel Trentino. 1894-1914, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 291-298; Umberto Corsini, Di Mussolini e di Trento nell’operetta di uno scrittore francese, «Studi trentini di scienze stori­ che», 1972, f. 2, p. 232. Per la nomina a redattore capo del «Popolo», O.O., II, p. 295. *’7 Gugliemo Macchia, Carteggio di Arcangelo Ghisleri e Cesare Battisti, «Bol­ lettino della Domus Mazziniana. Pisa», 1964, f. 2, pp. 7-38.

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Dopo l’esperienza d’emigrazione svizzera, Mussolini compì quella nel Trentino austriaco, dove la popolazione italiana era per lo più residente e stabile. A Trento era in una buona posizione, dal punto di vista sia logistico sia politico e professionale per os­ servare la situazione delle minoranze dell’impero asburgico e per parlare, secondo la terminologia considerata, di «razze» e di rela­ zioni «interrazziali», di «nazionalità» e di crisi dell’«internazionalismo socialista» (a parole era però ancora internazionalista).68 Sulla base della scarsa documentazione esistente, si può pensare che portò avanti un’«elaborazione» personale, anche se non è chiaro se condotta in solitudine o se fu supportata dal sostegno intellettuale di qualcuno, per esempio proprio di Battisti.69 Fu proprio sul giornale di Battisti (Mussolini non era anco­ ra redattore) che comparve un altro di quegli articoli che si possono definire di silenziosa svolta.70 Era dedicato a Charles Darwin, anzi, meglio a Darwin e Marx, Darwin e la lotta di classe; ed era involuto: il giovane socialista infatti voleva di­ fendere sia il socialismo e la lotta di classe sia Darwin e l’idea dell’esistenza delle razze, entrambi ormai suo patrimonio cul­ turale. Ma il darwinismo, con la sua idea delle razze che dove­ vano esistere ed essere omogenee al loro interno, si profilava come un nemico del socialismo e dell’idea stessa della «lotta di classe» e perciò era un’arma in mano agli «avversari del socia­ lismo». Ed ecco il modo in cui, secondo Mussolini, si poteva risolvere il conflitto: Ma essi [gli avversari del socialismo] dimenticano che la lotta per re­ sistenza cambia e che da lotta di interessi materiali - combattuta con mezzi di violenza - diverrà lotta d’interessi spirituali, combattuta coi mezzi civili della discussione, della ricerca, della persuasione. Oggi, af­ ferma Spencer, siamo in un periodo di trapasso fra la vecchia società a base di oppressione singola e collettiva, e la nuova società ordinata se­ condo giustizia. Non è lontano il giorno in cui alla «lotta» per la vita succederà l’«intesa», l’«accordo» per la vita. 68 Mussolini, L’Internazionale e la Patria, «L’Avvenire del Lavoratore», 12 ago­ sto 1909 (O.O., XXXV, p. 11). 69 Cfr. De Begnac, Taccuini..., cit., pp. 21-25. 70 Mussolini Benito, Centenario darwiniano, «Il Popolo», 11 febbraio 1909 (O.O., II, pp. 8-10 e in particolare 9-10).

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Non solo dunque sarebbe stato superato il momento della lotta di classe, trasformatasi ormai in semplice «discussione» e lotta di pensiero. Ma sarebbe anche stata eliminata - e presto ogni violenza. S’è detto di Cesare Battisti, ispiratore di Mussolini. E presso­ ché da escludere che Battisti possa aver suggerito a Mussolini la lettura di Darwin: peraltro Mussolini aveva citato in modo ge­ nerico il grande studioso già in uno dei suoi articoli nietzschea­ ni di due mesi prima («l’istinto di socievolezza è, secondo Darwin, inerente alla natura stessa dell’uomo»).71 E possibile invece che la conoscenza più approfondita del celebre geografo Reclus - e del suo «studio dell’uomo nella successione delle età e sulle diverse contrade del globo» e delle «forze etniche sem­ pre in movimento», come si espresse lo stesso Mussolini72 - fos­ se dovuto proprio al noto socialista e irredentista trentino (pe­ raltro Reclus era stato citato anche dalla Sarfatti sull’«Avanti!»). Era un ulteriore frammento - vagamente «scientifico» - che si aggiungeva alle altre cognizioni «etniche» del giovane socialista. Reclus fu un personaggio che Mussolini in seguito citò altre vol­ te, fino al 1942, e sempre considerandolo un maestro.73 Intanto faceva anche altre letture e scriveva. Notevole è pri­ ma di tutto un saggio pubblicato il 3 luglio 1909 dal «Popolo» di Trento (Mussolini non vi era ancora entrato come caporedat­ tore) su un altro scrittore tedesco amato da Carducci, August 71 Mussolini Benito, La filosofia della forza. Postille alla conferenza dell’on. Tre­ ves, «Pensiero romagnolo», 29 novembre 1908. O.O., I, p. 175. 72 Si cita dalla traduzione (con piccolo commento) che Mussolini fece della prefazione dell’opera di Reclus, LHomme et la Terre, uscita da qualche anno e postuma. Cfr. L’Uomo e la Terra, «Il Popolo», 9 agosto 1909 (dal 2 Mussoli­ ni era diventato redattore capo del giornale). Ringrazio Walter Leoni e il di­ rettore della Biblioteca civica di Rovereto, Gianmario Baldi, per avermi pro­ curato il testo. 73 L’opera di Reclus uscì in sei volumi tra il 1905 e il 1908 presso la Librairie Universelle, a Parigi. Si veda anche: Elisée Reclus, L’homme. Geografia sociale, a cura di Pier Luigi Errani, Angeli, Milano 1984 (alle pp. 193-195 il testo del­ la prefazione). Mussolini poi citò Reclus nel 1912 (Riscossa slava, «La lotta di classe», 9 novembre 1912. O.O., IV, pp. 225-228) come analista della intrica­ ta situazione razziale nei Balcani. E tornò a citarlo nel 1942 (O.O., XXXI, p. 5) in una discussione militare e diplomatica a proposito della spartizione territo­ riale della Francia, sostenendo: «La Corsica è terra italiana, come esplicita­ mente riconosce lo stesso grande geografo francese Elisée Réclus».

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Von Platen Hallermünde.74 È un pezzo il cui vero significato è ancora oggi incerto, perché non è chiaro se Mussolini intendes­ se offendere gli austro-tedeschi o volesse invece offrire loro un ramoscello d’ulivo.75 Forse si trattava di una via di mezzo: dare un riconoscimento solo all’autore tedesco che aveva a sua volta amato l’Italia. Anche questa volta il saggetto era in chiave «razziale», ma nel senso che Γitalianisant Von Platen veniva descritto come un grande estimatore che aveva reso omaggio alla «madre mediter­ ranea» (forse già una reminiscenza di Gobineau), cioè all’Italia. Quella descritta era però un’Italia ancora divisa, come nell’arti­ colo della «Lima» dell’aprile 1908, un po’ macchiettistica e che possedeva «nelle vene» sangui di diverso tipo, ma almeno tor­ nava ad avere come punto di riferimento Roma, che «come ai tempi del buon Augusto, è ancora la città verso cui muovono uomini di tutte le patrie». E soprattutto, nello stesso articolo tornava ad avere degli «eroi» come (era stata anche una «pas­ sione» della Sarfatti) il maratoneta Dorando Petri: L’Italiano accelera il passo nello stadio dove le Nazioni corrono la grande Maratona della supremazia mondiale. Gli eroi hanno lasciato il posto ai produttori.

Naturalmente quando questo pezzo fu ristampato anni dopo, tutta la parte che s’è detto sulla molteplicità delle Italie venne tagliata di netto. 74 Mussolini Benito, U« grande amico dell’Italia. Augusto Von Platen, «Il Po­ polo», 3 luglio 1909 (O.O., II, pp. 171-175). L’articolo fu ristampato (con i ta­ gli che s’è detto) come Benito Mussolini, Platen e l'Italia, in Siracusa ad Augu­ sto von Platen nel I centenario della morte, Società Tipografica di Siracusa, Si­ racusa 1935 (finito di stampare 3 dicembre 1935), pp. 4-14. In quest’ultimo (p. 14) si dice che l’articolo fu ripubblicato nel 1910 sulla rivista nazionalista fiorentina diretta da Vincenzo Morello, «Cronache letterarie» e poi in «Mez­ zogiorno» di Napoli, il quotidiano di Preziosi, il 5 luglio 1923. L’edizione Susmel, O.O., Π, p. 175, sostiene invece che fu ristampato, «parzialmente modi­ ficato», su «Cronache letterarie» il 10 luglio 1910. Ma non si è trovato quel­ l’articolo né su quel numero di «Cronache letterarie» né su altri numeri pre­ cedenti e successivi della rivista. Né su «Mezzogiorno». 75 In una lettera a Rino Alessi del 18 settembre 1913 Mussolini scrisse di aver tradotto di Platen «quel tanto che mi bastava per mostrarlo - in un articolo come un amico e un fervido amatore dell’Italia» (O.O., V, p. 360).

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Il 7 settembre 1909, invece, sempre sul «Popolo» Mussolini recensì uno studio del professore universitario di Jasy, in Roma­ nia, Alexandru Dimitriu Xénopol.76 Le idee di Xénopol erano di tipo evolutivo e si legavano a quelle di Reclus. Nel mondo, sosteneva Xénopol, l’uomo da sempre si era andato miglioran­ do. Alla fine però, dopo un «millenario lavoro evolutivo», era arrivata a pienezza di sviluppo una sola razza, la razza bianca: per il Xénopol dunque le razze di altro colore sono destinate alla de­ cadenza e alla morte,

così Mussolini riassumeva le conclusioni del professore rumeno. Davanti a questa tesi, il futuro duce, che era ancora un buon so­ cialista, manifestava qualche resistenza. Prima di tutto, diceva, era insostenibile una proposta di sviluppo umano di tipo solo linear­ mente evolutivo. La Cina aveva avuto una razza sviluppata assai prima di quella bianca, eppure era finita com’era finita, cioè male, e la razza cinese era stata sottomessa. Oppure c’era il Giappone. Oggi il Giappone, popolato da gialli, ha non solo assimilato rapida­ mente la nostra civiltà occidentale, ma tende a superarla e minaccia di conquistarla.

Era, quella della Cina, una citazione che in questo senso in Italia risaliva a Carlo Cattaneo, ma che a Mussolini poteva arri­ vare dalla trattazione che ne aveva fatto Arcangelo Ghisleri nel suo libretto antirazzista.77 E magari qui si avverte, a proposito del Giappone, anche un riflesso delle indicazioni fugaci della solita pseudonima Sarfatti sull’«Avanti!», che Mussolini in que­ sto periodo probabilmente leggeva. A proposito di «evoluzio76 Benito Mussolini, devoluzione sociale e le sue leggi, «Il Popolo», 7 settembre 1909 (O.O., II, pp. 250-252; per la citazione di Gobineau, p. 252). Il saggio re­ censito era: A.D. Xénopol, Le leggi dell'evoluzione sociale, «Rivista italiana di sociologia», marzo-aprile 1909, pp. 141-153. Riferimenti alla «patria mediter­ ranea» e simili si trovano in altri «articoli trentini» di Mussolini. Cfr O.O., II, pp. 64, 175. " A. Ghisleri, Le Razze Umane e il Diritto nella Questione Coloniale, Istituto italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1896 cit. (ed. 1896), pp. 26-29. Ivi anche le citazioni di Cattaneo.

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ne», Mussolini citò esplicitamente, dimostrando di conoscerlo già nel settembre 1909, il teorico della razza Gobineau: esiste il progresso nel senso xènopoliano o esiste invece il progresso del regresso come affermava paradossalmente Gobineau?

Non era detto, in altre parole, e ribadiva, che il progresso che aveva condotto allo sviluppo e alla superiorità della razza bian­ ca fosse continuo e lineare. E dunque non lo convinceva del tutto l’affermazione dello stesso Xénopol: «non verranno uomi­ ni superiori alla razza bianca». La questione dello sviluppo e della decadenza delle razze si andava a incrociare con quella della superiorità della razza bianca, la stessa affrontata nella di­ scussione tra Bovio e Ghisleri. Mussolini però in proposito non si esprimeva con chiarezza: la frase di Xénopol, scrisse, gli sem­ brava «troppo assoluta», la razza bianca, quindi, prima o poi avrebbe potuto essere messa in crisi. Erano formulazioni anco­ ra impacciate, ma tentavano già di abbracciare la tematica del potenziale pericolo di decadenza della razza. Si noti anche - ed è importante - la frase suH’«assimilazione», riferita al Giappone. Era la prima volta che a questo stadio si poteva cogliere, negli scritti di Mussolini, questo concetto: cioè che le relazioni e i conflitti tra razze possono passare attraverso r«assimilazione», anche aggressiva, di una civiltà verso l’altra. Era beninteso un’ipotesi puramente intellettuale: assimilazione in questo caso aveva il significato limitato di «processo di ap­ prendimento»; una civiltà poteva «assimilare» le cognizioni di un’altra. Grazie alle conoscenze apprese, però, essa poteva di­ ventare minacciosa nei confronti delle civiltà circostanti. Ma il saggetto non finiva lì; c’era un’altra parte interessante. Ci­ tando lo storico e politico nonché darwiniano Edgar Quinet (cita­ to a sua volta da Xénopol), Mussolini affrontava una seconda que­ stione: il rapporto tra le civiltà, o meglio le loro dirigenze, e i feno­ meni «evolutivi» razziali, ovvero le nuove «razze» che avanzavano e che distruggevano le precedenti: come i germani e gli ebrei du­ rante l’impero romano, gli arabi nei secoli successivi. Per Mussoli­ ni - a differenza di quanto pensava Quinet -, stando alle passate esperienze, i nuovi popoli non erano progrediti dentro vecchi 163

mondi inconsapevoli. Al contrario, i gruppi dirigenti dei vecchi mondi conoscevano le nuove razze «emergenti». Ma non sapeva­ no affrontarle, forse le sottovalutavano o addirittura non ne ave­ vano preso in considerazione la forza distruttrice. Così scrisse: Non sempre le élites dominatrici ignorano - così profondamente co­ me afferma Edgardo Quinet, - le nuove élites in formazione. Roma conosceva «Γimpercettibile nazione ebrea». Pompeo era entrato a Ge­ rusalemme da conquistatore. L’impero romano conosceva le tribù ger­ maniche. Basta leggere Tacito. Piuttosto il vecchio mondo ignora la potenza del nuovo mondo in formazione.

Mussolini continuava, dopo il saggio nietzscheano del 1908, a parlare di Roma e della disgregazione che l’aveva colpita at­ traverso la «nazione ebrea» e attraverso le «tribù germaniche». E soprattutto parlava delle élites. Come nel 1908, Roma veni­ va di nuovo identificata con i suoi gruppi dirigenti. Il discorso proseguiva e si approfondiva. Adesso quelle élites potevano essere deficitarie; quelle dell’antica Roma erano state per esempio incapaci di percepire la portata della disgregazione che nei loro stessi domìni veniva provocata dai popoli emer­ genti e nuovi. È probabile che, scritto in Trentino, l’articolo alludesse al so­ lito caso concreto dell’impero asburgico, dove i «tedeschi» sa­ rebbero stati avversari degli «italiani». E che quindi Mussolini stesse parlando per via di metafora delle minoranze di quell’im­ pero; anche perché sulla Roma storica - e sui fenomeni che la disgregarono - era piuttosto nebuloso. A ogni modo, Mussolini aveva intrapreso con decisione la strada della «storia razziale», accompagnandola all’idea che so­ no le élites a scriverla. La vicenda delle razze si profilava come un susseguirsi di conflitti vasti e squassanti: un po’ come i con­ flitti di classe, a cui ogni tanto il socialista Mussolini ancora ac­ cennava, seppure in maniera generica (ma non in questo saggio «razziale», dove non se ne parla affatto). Ed era sempre una sto­ ria di forti contro deboli. Nell’agone, il socialista Mussolini sta­ va con certezza, in base al punto di vista nietzscheano e darwi­ niano, dalla parte delle razze «forti» (il solito nuovo Superuo­

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mo), contro quelle «deboli» (come gli «schiavi» ebrei, redenti però dal «nuovo» cristianesimo): anche - come fece - a costo di arrivare a dichiarare in crisi o in forte pericolo la razza bianca di fronte a razze emergenti (e forti) come quella «asiatica». Nel 1909, l’acquisizione dell’idea che i popoli andavano rap­ presentati come razze si era completata. Ma Mussolini aveva an­ che assorbito l’altra idea: che tra queste razze esistevano delle contrapposizioni, e proprio in quanto diverse e di valore disu­ guale. Era una concezione non molto lontana da quella che Tzvetan Todorov ha chiamato «razzialismo» («volgare» o meno che fosse), cioè il puro «studio» delle questioni razziali.78 Comunque stiano le cose, però, alcuni elementi rendevano la posizione di Mussolini già allora non solo «razzialista», ma quan­ to meno preparatoria di un vero e proprio «razzismo», cioè di un atteggiamento e di un comportamento razzista. Innanzitutto in­ troducendo nel proprio pensiero una «convinzione» sempre più forte, che poco aveva a che fare con la «dottrina» (e Mussolini non era certo uno studioso). Questo voleva dire che era amplis­ simo lo spazio lasciato al semplice pregiudizio. Al suo interno ve­ niva messo in continuo rilievo il concetto di «dominio», sia che riguardasse il rapporto delle razze tra loro, sia, soprattutto, che si esprimesse come controllo da parte di un ceto dirigente di una razza sulle altre. Infine Mussolini esprimeva queste convinzioni nel contesto di quelle arti eminentemente pratiche, e con sbocchi pratici, che sono la politica e il giornalismo. All’idea razzista - e già dal 1908 - Mussolini aveva legato un costante darwinismo e un esasperato concetto di élite e in specie di élite politica, quella con cui davvero aveva a che fare. È diffi­ cile identificare con precisione coloro a cui il futuro duce in questo periodo fu debitore della teoria delle élites. Forse il geo­ grafo Arcangelo Ghisleri.79 Non sembra invece che all’epoca co­ 78 Tzvetan Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi, Torino 1991, pp. 107ss. Per Gobineau, si vedano le pp. 151ss. Todo­ rov considera Gobineau solo «razzialista» (ma «volgare») e non «razzista», perché non gli interessa che gli «studiosi» della razza definiscano anche i ter­ mini di una supposta «superiorità» e «inferiorità» razziale. 79 Mussolini stesso più tardi (1938) lo definì un maestro (De Begnac, faenti­ ni..., cit., p. 30) che si era schierato contro l’«immutabilità personale della ca­ sta al potere». Ma non si sa a quale testo o discorso alludesse.

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noscesse Gustave Le Bon, che citò solo a partire da un’intervista del giugno 1926.80 Una fonte importantissima, invece, forse la più importante di tutte, fu Vilfredo Pareto, di cui Mussolini nel maggio-giugno 1904 sembra avesse seguito alcune lezioni all’Università di Losanna;81 su di lui aveva anche già scritto in ma­ niera entusiasta. Pareto, in un’opera che Mussolini conosceva e citava, aveva parlato del rapporto tra razza ed élites. Nelle prime pagine dell’«Introduzione» a Les Systèmes Socialistes, Pareto aveva a lungo discusso dei processi di nascita e soprattutto d’estinzione delle «aristocrazie» nei sistemi politici antichi e moderni. Pare­ to sosteneva che tutta la politica era andata avanti grazie alle élites, che nascevano e poi morivano o venivano uccise (si ri­ cordi quanto aveva scritto in proposito la Sarfatti suIl’«Avanti !»). In qualche caso e in questo contesto, aveva ammesso, for­ se aveva contato anche la razza. Rifacendosi a un teorico-socio­ logo razzista a cui poi anche Mussolini si sarebbe riferito, Lapouge, Pareto aveva avanzato l’ipotesi che potesse sussistere un’identificazione di alcune élites con i «dolicocefali biondi», la razza nordica. Ma aveva aggiunto:82 Per ora, questo punto rimane oscuro, e lunghi studi sono ancora ne­ cessari prima di poter stabilire se le qualità psichiche delle élite si tra­ ducono in caratteri esteriori, antropometrici, e poter conoscere esatta­ mente quali sono questi caratteri.

80 Intervista a Pierre Chanlaine per il giornale «La Science et la Vie» (cfr. O.O., XXII, p. 156). 81 De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., pp. 37-38. Di Pareto, e in parti­ colare dei Systèmes Socialistes (due volumi, 1901 e 1902) aveva scritto in: Be­ nito Mussolini, Uomini e idee. «L‘individuel et le social», «Avanguardia socia­ lista», 14 ottobre 1904 (O.O., I, pp. 73-75, in particolare 74). In proposito, Emilio Gentile, Le origini..., cit., pp. 12, 48. Non risulta che allora Mussolini avesse letto o consultato il Cours d’économie politique (1896-1897). 82 Vilfredo Pareto, I sistemi socialisti, a cura di Giovanni Busino, Utet, Torino 1974, rist. 1987, p. 132. Su Pareto e il suo limitato uso del concetto di razza si veda: Corrado Malandrino, Pareto e Michels: riflessioni sul sentimento del pa­ triottismo in Corrado Malandrino - Roberto Marchionatti (a cura di), Econo­ mia, sociologia e politica nell'opera di Vilfredo Pareto, Olschki, Firenze 2000, pp. 365-370.

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Quello del peso evolutivo della «razza» era un concetto che però Pareto aveva espresso con chiarezza a proposito dei «te­ deschi». Risalendo addirittura a Tacito, aveva parlato del natu­ rale «istinto» guerresco della loro «razza».83 Invece, Pareto ave­ va lasciato nel vago la questione dei motivi per cui una razza aveva una determinata élite e si era dimostrato ancor più ostile verso la definizione di razze «superiori» e «inferiori»,84 affer­ mando però che c’era la possibilità che in un qualche futuro si riproponesse «la conquista ad opera di razze eugeniche stra­ niere» (e «inferiori»). Come era accaduto con i barbari, sareb­ be insomma potuto succedere di nuovo che alle singole razze s’imponessero gruppi dirigenti di altre razze. In questo modo Pareto aveva indicato la strada ciclica che se­ condo lui si era aperta per i nuovi gruppi dirigenti: Attualmente, nelle nostre società, l’apporto dei nuovi elementi indi­ spensabili all’élite per sussistere, viene dalle classi inferiori e princi­ palmente dalle classi rurali. Queste sono il crogiuolo nel quale si ela­ borano, nell’ombra, le élite future.

Per un socialista di origine contadina, come Mussolini più tardi tenne a sottolineare,85 e che stava facendo carriera nel PSI, quelle parole devono essere stata musica. Era il principio dei «grandi uomini» affermato nel saggio su Klopstock. Pareto ave­ va affrontato il rapporto razze-élite, «la più geniale concezione sociologica dei tempi moderni», come Mussolini la definì nel 1908. Per lui quindi la strada era tracciata.86

83 Pareto, I sistemi socialisti, cit., p. 139. 84 Pareto nel Cours si era schierato a favore di Ghisleri a proposito della di­ scussione sull’esistenza di razze «superiori» e «inferiori». Cfr. Giovanni Busi­ no, Quindici lettere di Vilfredo Pareto a Arcangelo Ghisleri, «Bollettino della Domus Mazziniana. Pisa», 1971, f. 1, p. 17. 85 La lapide dettata e fatta apporre da Mussolini il 29 luglio 1935 sull’ingresso della casa natale del padre diceva: «Dal 1600 al 1900 in questo podere chia­ mato “Collina” vissero e lavorarono le generazioni contadine dei Mussolini». La foto in Giuseppe Massani, La sua terra. Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo 1936, p. 14. 86 Vero Eretico, Intermezzo polemico, «La lima», 25 aprile 1908 (O.O., I, p. 128). Cfr. anche Gentile, Le origini..., cit., p. 13.

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Questi erano gli interessi «culturali» di Mussolini in quegli anni. Lo si vede bene da un altro intervento dello stesso perio­ do (settembre 1909). Lo spunto fu una recensione a un saggio all’interno di «Civiltà Cattolica»,87 la rivista dei gesuiti (ma non ci sono dati per sostenere che Mussolini ne fosse anche un lettore assiduo). In quest’occasione il giovane socialista parlò delle sorti future della «civiltà bianca», che erano legate, come scrisse, a «uno spopolamento progressivo delle nazioni civili», prodotto a sua volta di «una civiltà al tramonto», quella bor­ ghese. «Civiltà Cattolica» si era soffermata sulla crisi demografica dell’Europa e soprattutto della Francia (la popolazione italiana, grazie alla diminuzione dei morti, sarebbe stata invece in cresci­ ta); e ne aveva denunciato la causa, cioè le pratiche di «limita­ zione delle nascite». Da questa crisi avrebbe potuto scaturire aveva ipotizzato «Civiltà Cattolica» - un’«invasione asiatica». Di nuovo tutto ciò non scandalizzava Mussolini, anzi. Il recen­ sore accettava perfino che ci potesse essere quell’invasione. L’Europa, volle prevedere, si lascierà [«?] conquistare, demolire e rinnovare. Come il cozzo fra i barbari e l’impero romano non fu dannoso agli interessi della specie, così è probabile che l’urto fra i due continenti selezionando la razza coll’eliminazione de’ deboli, sarà favorevole allo sviluppo avvenire della pianta uomo.

Di nuovo Mussolini afferrava quel tema, la razza, e lo svilup­ pava. Anche a costo di «condannare» la razza bianca. Si noti un dettaglio: in questa fase Mussolini aveva presente la questione genetica, ma non si diceva contrario alle mescolanze razziali, che sarebbero state anzi il sale della storia del mondo. E quanto all’impero romano (pensando forse a quello austriaco) ribadì che la sua crisi aveva avuto degli aspetti positivi. 87 Mussolini, Finis Europae?, «Il Popolo», 3 settembre 1909 (O.O., II, pp. 246-247). Il saggio recensito, ricco di dati statistici, era: Lo spopolamento progressivo nelle nazioni civili, «Civiltà Cattolica», 21 agosto 1909, pp. 385401 (la seconda parte fu pubblicata nel numero del 18 settembre 1909, pp. 641-653).

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Pangermanesimo Siamo giunti a un’altra fase importante nella formazione mussoliniana sulla questione delle razze. Mussolini, tra i primi mesi del 1910 e l’inizio del 1911, cacciato dall’impero austriaco e tor­ nato a Forlì, si concentrò a scrivere sul Trentino, considerato dal punto di vista politico, etnico e linguistico. Giuseppe Prezzolini, direttore della «Voce», gli aveva fatto balenare la possibilità di pubblicare in proposito un libro, che poi in effetti scrisse e pub­ blicò, con il titolo 11 Trentino veduto da un socialista.™ Le con­ clusioni tratte in quella pubblicazione furono, dal suo punto di vista, «ottimistiche». Mussolini arrivò a sostenere che in Trenti­ no «l’unità etnica psicologica e linguistica italiana si rinsalda»;88 89 il motivo sarebbe stato che la comunità italiana era la più dina­ mica dal punto di vista economico, culturale e politico e ciò fa­ ceva ben sperare per il futuro. Quelle caratteristiche avrebbero facilitato la conservazione etnica e l’espansione linguistica. Il volume uscì nell’aprile-maggio 1911. Ma le pagine che qui interessano, e di cui si parla subito dopo, risalivano all’anno precedente. Un capitolo del libro, il primo, ebbe infatti un’ela­ borazione e una storia del tutto autonoma. Mussolini lo fece pubblicare sul giornale di Olivetti, «Pagine libere», con grande anticipo rispetto al volume, lasciando anche capire di voler ri­ tornare a occuparsi del tema.90 La rivista in quel preciso mo88 II Trentino veduto da un socialista (8° quaderno della «Voce», O.O., XXXIII, pp. 148-213). Quanto all’uscita del libro, il 30 aprile 1911 Mussolini ne chie­ deva alcune copie a Prezzolini (Emilio Gentile [a cura di], Mussolini e “La Vo­ ce”, Sansoni, Firenze 1976, pp. 54-55). La copia, con dedica, donata da Mus­ solini alla Biblioteca comunale «A. Saffi» di Forlì reca la data 24 maggio 1911 (ringrazio Vanni Tesei per avermela mostrata). 89 O.O., XXXIII, p. 173. 90 Benito Mussolini, Il pangermanismo, «Pagine libere», 15 settembre - 1° ot­ tobre 1910, pp. 389-400; un cenno alla pubblicazione in O.O., XXXIII, p. IX. Si veda la lettera a Prezzolini, senza data ma da ritenere del luglio-agosto 1910 (la data «febbraio-marzo 1911» attribuita da Emilio Gentile in Mussolini e “La Voce", cit., p. 51 è sicuramente sbagliata; in O.O., XXXVIII, p. 13 viene invece attribuita la data ipotetica di giugno 1910). In essa Mussolini diceva di aver spedito «30 cartelle sul Pangermanesimo» alla rivista «Pagine libere», «nell’i­ dea di fare su tale argomento una serie di articoli» (la lettera era già stata pub­ blicata in Mussolini e «La Voce». Lettere a Giuseppe Prezzolini. 1910-1912: La disputa fra Turati e Bissolati, «Il Borghese», 18 giugno 1964, p. 308, con la di-

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mento era però diretta da quel Paolo Orano che subito dopo avrebbe dato vita all’altro periodico, «La lupa», noto anche per le posizioni antisémite.91 Il saggetto, terminato nel luglio-agosto 1910, uscì, forse non per caso, subito dopo che Olivetti si era allontanato per motivi di polizia. Il titolo era: Il pangermanismo. Il tema, non così scon­ tato in quel periodo, era la pubblicistica che aveva esaltato il do­ minio assoluto della Germania e della razza tedesca. Quest’ultima era, secondo Mussolini, la vera ideologia che sorreggeva i paesi «germanici». Le prime tre pagine circa erano dedicate alla storia della co­ struzione ottocentesca della Germania come grande potenza po­ litica, militare e industriale. Però rapidamente Mussolini passava dal «fatto» alla «dottrina», dal pangermanesimo «degli armatori, dei mercanti, dei guerrieri» a quello «conscio degli intellettuali», gli ideologi veri, «i dottrinari principali»: i teorici razzisti. Si an­ dava dai precursori, come il francese Gobineau, che Mussolini aveva dimostrato di conoscere già dall’anno prima; e si arrivava all’altro francese Georges Vacher de Lapouge, noto anche a Pa­ reto. E con la sottolineatura che si trattava di francesi: è notevole tuttavia il fatto che i precursori del pangermanismo «tede­ sco» e i dottrinari principali del medesimo siano sbocciati dapprima sul bel suolo di Francia.

E poi Houston S. Chamberlain, il medico e zoologo Ludwig Woltmann, l’austriaco Joseph Ludwig Reimer. In pratica, era una lunga rassegna dei teorici del razzismo «germanico». Si trat­ tava, beninteso, di autori dalla recente notorietà. Anzi, per la precisione era stato il libro di Houston Chamberlain, Die citura di Prezzoline «senza data ma del 1910»). Diana Ruesch, responsabile dell’archivio Prezzolini presso la Biblioteca cantonale di Lugano, e che rin­ grazio, ha comunicato con email del 19 dicembre 2002 che il foglio non ha ef­ fettivamente data, ma Prezzolini in un secondo tempo ha segnato un «1910». 91 II primo numero della «Lupa», edito a Firenze dalla Casa editrice italiana, ha la data del 16 ottobre 1910. Olivetti aveva annunciato il suo ritiro dalla di­ rezione di «Pagine libere» nel numero del 5 maggio 1910 (p. 668) e ritornò col numero del 1° febbraio 1911. Cfr. anche Maddalena Carli, Nazione e rivolu­ zione. Il “socialismo nazionale” in Italia: mitologia di un discorso rivoluzionario, Unicopli, Milano 2001, p. 99.

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Grundlagen des Neunzehnten Jahrhunderts (I fondamenti del 19° secolo] - uscito a Monaco nel 1899 e impostosi presso il grande pubblico (con l’appoggio dell’imperatore Guglielmo) nei duetre anni successivi -, a innescare il grande successo del dibattito sul razzismo pangermanista.92 Il libro di Reimer, Ein Pangermanisches Deutschland, era invece uscito nel 1905. I due libri più noti di Woltmann, autore socialista impegnato nell’SPD che pe­ raltro non ebbe grandissima notorietà in vita, furono Die Ger­ manen und die Renaissance in Italien (1905) e Die Germanen in Frankreich (1907), uscito subito dopo la sua misteriosa morte in Italia.93 A proposito del saggetto su «Pagine libere», prima di scriverlo Mussolini aveva comunicato a Prezzolini di aver messo insieme «assai materiale».94 Di quest’articolo conosciamo la fonte prima­ ria, alcuni saggi di Ernest Seillière sulla «Revue des Deux Mon­ des».95 Mussolini li indicò con chiarezza, in una nota bibliografi­ ca che mise in fondo al saggio (però non la ripetè nel libro), tra i testi da leggere; e poi citò Seillière stesso all’interno del testo. Non si era invece ispirato per nulla, ancora una volta, a Napo­ leone Colajanni, che nel suo libro antirazzista aveva dedicato de­ cine di pagine al pangermanesimo di Woltmann, Gobineau, Lapouge e Chamberlain.96 Né si era ispirato al saggio di Ernesto Caffi, pubblicato nel 1910 su «Nuova Antologia» e citato an92 Per il successo del libro di Chamberlain (in particolare con l’edizione eco­ nomica del 1906) si veda Geoffrey G. Field, Evangelist of Race..., cit., pp. 225ss.; per Reimer, p. 230. 93 Marco Schütz, Ludwig Woltmann, «Sexe et race», 1997, f. 10, pp. 23-54. 94 Si veda la lettera s.d. riportata in Mussolini e “La Voce”, cit., p. 45. Emilio Gentile, che forse disponeva solo di una trascrizione dattiloscritta, parla di fra­ se incomprensibile (lo stesso in O.O., XXXVIII, p. 14 che trae dall'edizione di Gentile). Nell’originale essa è invece chiaramente: «Sul Pangermanesimo ho raccolto assai materiale». Cfr. ACGV, Vallecchi, fondo Prezzolini, f. Mussolini, dove è conservata anche la trascrizione dattiloscritta. 95 La fonte principale di Mussolini fu Ernest Seillière, Une école d’impérialisme mystique. Les plus récens théoriciens du Pangermanisme, «Revue des Deux Mondes», 1° marzo 1909, pp. 196-228. Ma deflo stesso autore e sulla stessa ri­ vista Mussolini utilizzò anche gli articoli sul pangermanesimo apparsi il 1° e il 15 dicembre 1903, il 1° gennaio 1904; il 15 novembre 1906. E - quasi sicura­ mente - anche quello di Edouard Rod, Limpérialisme. A propos d’ouvrages ré­ cens, apparso il 15 novembre 1907. 96 Colajanni, Latini e Anglosassoni..., cit., pp. 8-48; 140-151; 280-282.

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ch’esso nella nota bibliografica forse solo perché indicato da Prezzolini (che a sua volta si era guardato bene invece dal segna­ lare al corrispondente l’importante libro di Colajanni).97 Le ac­ cuse di plagio che Mussolini subì qualche tempo dopo,98 e cioè di aver copiato sia «Nuova Antologia» sia un recente libro di Scipio Sighele, erano ingiuste. L’unica sua fonte identificabile (e identificata) era stata la «Revue des Deux Mondes». Inoltre ave­ va scritto ciò che aveva scritto in maniera del tutto consapevole, incrociando anche propri precedenti pensieri. Seillière (1866-1955) era uno studioso di storia e cultura te­ desca, aveva frequentato Heidelberg e in seguito divenne acca­ demico di Francia. Si dedicò a lungo a quella che chiamava «la religione imperialista», cioè ai teorici razzisti che interessavano a Mussolini e di cui egli fu analista, come è stato detto, «oscillan­ te tra l’ammirazione e la critica».99 Nel 1903 aveva pubblicato un intero libro su Gobineau e l’«arianismo» e nel 1911 raccolse invece proprio questi saggi sulla «Revue» in un'Introduzione al­ la filosofia dell’imperialismo. Mussolini plagiò diversi passi di Seillière, alcuni li adattò al proprio caso, altri ancora li citò tra virgolette. È difficile dire che cosa il futuro dittatore in quest’occasione abbia attinto di­ rettamente dagli autori che citava in questa fase (Chamberlain, 97 Ernesto Caffi, Il pangermanismo intellettuale, «Nuova Antologia», 1° aprile 1910, pp. 516-524 (il capitolo del libro di Mussolini si intitolava invece 11 pan­ germanismo teorico. O.O., XXXIII, pp. 153-161). Per la probabile indicazione di Prezzolini a Mussolini, si veda: Gentile (a cura di), Mussolini e “La Voce”, cit., pp. 44-45. 98 Per l’accusa di Gino Mazzani sulla rivista «Pro Cultura» di Trento, che l’an­ no seguente segnalò che Mussolini aveva copiato da «Nuova Antologia», si ve­ da O.O., XXXIII, p. IX. L’accusa di aver plagiato, anche a proposito del pangermanesimo, il libro di Scipio Sighele Pagine nazionaliste (Treves, Milano 1910), fu sollevata nella recensione di G.C., Frontispizi, «Idea nazionale», 18 maggio 1911; ma Sighele aveva dedicato solo un capitolo al Trentino e senza mai accennare ai pangermanisti. Ma probabilmente gli attacchi derivavano dalla precedente pubblicazione di alcuni altri capitoli del libro sulla stessa «Voce» e dove Mussolini aveva tacciato gli italiani del Trentino di essersi in gran parte venduti agli austriaci; questa pubblicazione aveva già creato pole­ miche sui giornali trentini alla fine del 1910. Si veda in proposito Vincenzo Cali, Mussolini, Prezzolini e la trentinità. Una vivace polemica d’inizio secolo, «Bollettino del Museo trentino del Risorgimento», 1986, f. 1, pp. 33-47. 99 Schütz, Ludwig V/oltmann, cit., p. 50.

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Gobineau eccetera), ma di certo le citazioni dei loro testi ven­ gono per lo più proprio da Seillière. Probabilmente qualcosa conosceva in prima persona,100 come s’è visto citava en passant qualche brano che aveva orecchiato da qualcuno di questi auto­ ri, ma sembra proprio che direttamente avesse letto poco; se poi negli anni seguenti abbia perfezionato quelle letture non si sa, ma pare improbabile. Detto questo, però, non si può e non si deve nemmeno esse­ re severi con il plagiario, che semplicemente adoperò la propria fonte - dichiarata, almeno in un primo tempo - per i propri scopi. Da un confronto con gli articoli dello studioso francese si deduce che Mussolini usò solo parte delle sue letture, in special modo uno dei saggi di Seillière, intitolato Une école d’impériali­ sme mystique. Les plus récens théoriciens du Pangermanisme. Mentre nel saggio di Mussolini i fattori «religiosi» e «politici» del pangermanesimo analizzato da Seillière venivano ridotti ai minimi termini, rimasero in piedi, còme ritagliate, quasi solo le parti in cui Seillière aveva ripercorso e citato le teorie razziste vere e proprie. Entrambi poi le mettevano in relazione con l’a­ zione del Partito socialista. A tutto ciò Mussolini aveva aggiun­ to diversi tocchi personali, per lo più citazioni provenienti da al­ tre letture come Nietzsche e Pareto. La sua esposizione risultava fredda, «scientifica», senza tratti critici o ostili e forse, ma in maniera impercettibile, con qualche leggero accento ironico. Del resto un partecipato interesse per il razzismo tedesco in Italia circolava da un certo tempo. Lo stesso Prezzolini nel non lontanissimo 1904 aveva addirittura auspicato che arrivasse un Chamberlain per «la borghesia italiana».101 Ma esaminiamo più in dettaglio questo lungo saggio mussoli100 Mussolini aveva fatto richiedere il libro di Chamberlain (Le basi del XIX se­ colo} e I germani e la rinascenza italiana di Woltmann alla Biblioteca comuna­ le di Forlì. Si veda la cartolina postale del 28 luglio 1910 in Gentile (a cura di), Mussolini e “La Voce", cit., pp. 44-45 (per il timbro di partenza si veda però l’originale in ACGV, Vallecchi, fondo Prezzolini, f. Mussolini); e De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 77. Attualmente nella Biblioteca «A. Saf­ fi» di Forlì però non risulta nessuno dei due volumi. 101 La borghesia può risorgere? Risposta di Vilfredo Pareto e commento di Giusep­ pe Prezzolini, «Û Regno», gennaio 1904, poi Papini e Prezzolini, Vecchio e nuo­ vo nazionalismo, Volpe, Roma 1967 (ed. anast. di quella orig. del 1914), p. 55.

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niano dedicato all’esposizione delle idee dei vari teorici panger­ manisti. Per Gobineau, e anche per un altro teorico francese, Vacher de Lapouge, riassunti entrambi da Mussolini, in Europa esistevano due «razze» ben distinte e in lotta tra loro: una aria­ na «di conquistatori e di padroni», nordica, e una, sempre aria­ na, «di vinti e schiavi (i celti o alpini)», a sud; quest’ultima veni­ va definita anche «caotica». Con Gobineau e Lapouge si deli­ neava una netta divisione tra razza superiore e razza inferiore (entrambe però fondamentalmente europee), la prima «ariana» pura, la seconda «brachicefala», appunto «caotica». E si deli­ neava anche la necessità di conservare una separazione tra le due «razze». Intervenivano però a questo punto le «classi diri­ genti», che avrebbero mantenuto la purezza della classe supe­ riore grazie alla «selezione artificiale», a una conservazione for­ zatamente endogamica della razza. Nella storia dell’umanità il periodo di massima decadenza si era registrato con l’impero romano, quando erano sopraggiunte le mescolanze tra i popoli: «la corruzione delle stirpi dominatri­ ci al contatto troppo frequente e prolungato coi popoli inferio­ ri». «L’epoca tenebrosa [...] prende inizio dal miscuglio delle stirpi nella Roma postcesarea». Mussolini riprendeva in pratica il proprio saggio del 1908, e sottolineava che si trattava proprio di un «motivo nietzscheano». Inoltre aggiungeva: Non è già il cambiamento delle forme politiche - da repubblicane a monarchiche — che segna l’inizio della decadenza di Roma - ma è la cor­ ruzione delle stirpi dominatrici al contatto troppo frequente e prolun­ gato coi popoli inferiori. Nietzsche nella sua Genealogia della Morale spiega la caduta della potenza romana, col rovesciamento della tavola dei valori morali compiuto dal popolo ebraico, che Gobineau elenca ap­ punto fra quelli componenti il «caos mediterraneo». Gesù è il campione della razza inferiore che corrompe e vince la razza superiore.

A quella fase alla fine era stato posto termine dai padri della Chiesa. Dopo la vittoria del cattolicesimo era seguito un lungo periodo di decadenza, fino alla Riforma, «opera del Germani­ Smo» e che aveva riavviato la «marcia verso forme di vita supe­ riore» dello stesso germanesimo. 174

Accanto a Gobineau, Mussolini aveva inserito Nietzsche e la sua visione discriminatoria degli ebrei. Come si è visto, aveva già cominciato ad alludere «nietzscheanamente», almeno per l’e­ breo Luzzatti, all’idea del «rovesciamento» dei valori morali. Poco dopo ritornò a ripetere il concetto: a proposito di una sconfitta parlamentare di Luzzatti, il giornale (e quasi di sicuro lui stesso) scrisse che il primo ministro «fedele alle massime messianiche - porge agli schiaffeggiatori l’altra guancia».102 In questo senso però è forse anche più interessante la lunga citazione dalla Genealogia della morale di Nietzsche, che su «Pagine libere» Mussolini inserì proprio in questo punto, la­ sciandola però in tedesco, cioè incomprensibile ai più. Si parla­ va ancora di Cristo:103 Non ha raggiunto Israele, proprio per la via traversa di questo «redento­ re», di questo apparente oppositore e dissolvitore d’Israele, la meta estre­ ma della sua sublime avidità di vendetta? Non rientra nella occulta magia nera di una veramente grande politica della vendetta, di una vendetta lungimirante, sotterranea, che guadagna lentamente terreno ed è preveg­ gente nei suoi calcoli, il fatto che Israele stesso ha dovuto negare e met­ tere in croce dinanzi a tutto il mondo, come una specie di nemico mor­ tale, il vero strumento della sua vendetta, affinché «tutto il mondo», cioè tutti i nemici di Israele, potesse senza esitazione abboccare a quell’esca?

Il passo approfondiva il dissenso già espresso nel 1908 nei confronti di Treves: gli ebrei costituivano davvero il popolo del­ la «vendetta» e Cristo era stato il loro strumento. Erano righe quanto mai vicine all’idea dell’esistenza di un «complotto» ebraico, anzi di un «grande» complotto che realizzava una «grande» politica di «vendetta» storica. E contenevano una chiara accusa di deicidio. Allo stesso tempo però Mussolini era cautissimo: le pubblicava in tedesco, senza traduzione. Mesi più tardi, nel libro, le avrebbe del tutto eliminate. Dopo qualche capoverso, nel suo «ragionare» sul pangermanesimo il segretario di Forlì passava all’inglese Houston S. Chamberlain. A lui e alle sue opere, che definiva «paradossa­ 102 Luzzatti trombato, «La lotta di classe», 25 febbraio 1911. 105 Nietzsche, Genealogia..., cit., p. 24.

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li», trattandole con riguardo, dedicava lo spazio maggiore. Con Chamberlain il sangue contava meno. Il principio distin­ tivo tra le razze per lui era «prevalentemente spirituale». «L’incrocio dei sangui» (anche se «né a lungo né troppo di­ verso») era ammesso: e questa era una bella differenza rispet­ to al duo Gobineau-Lapouge. Per l’ideologo inglese, soprat­ tutto, contava la capacità d’influenza spirituale. Nel caso dei tedeschi - Chamberlain era sicuro - le «qualità “germane” dell’anima» avrebbero potuto venir estese ad altri popoli, co­ sì non i soli tedeschi avrebbero potuto essere «germani». L’Europa attuale si sarebbe divisa, per lui come per Gobi­ neau (ma con qualche differenza), in due razze entrambe aria­ ne: quella «germana» e quella «latina» o della «dissoluzione», del «caos», la «mediterranea». Il futuro però si sarebbe profilato come favorevole alla razza «germana», che avrebbe diffuso un nuovo vangelo, anticattolico ma cristiano. Rielaborando Seillière un poco nella forma, ma in profondità nel senso,104 Mussolini osservò: Per lui [Chamberlain, n.d.a.] Cristo è probabilmente un ariano; certo il suo temperamento era germanico.

Ancora una volta, negli scritti di Mussolini tornava la figura di Cristo, ebreo-non ebreo come tentò più volte di definirlo in questo periodo, usando diversi autori (Chamberlain, Nahor-Lerou, Bossi). Subito dopo aggiunse altre osservazioni in gran par­ te assenti in Seillière: la religione di Cristo non avrebbe avuto nulla in comune con la «monolatria» giudaica, incapace di far assurgere le anime ai rapimen­ ti del misticismo.

104 La frase di Seillière (Ernest Seillière, La Religion impérialiste. II. Les Capa­ cités religieuses des trois races occidentales, «Revue des Deux Mondes», 15 di­ cembre 1903, p. 876) era: «Si M. Chamberlain se contente d’insinuer que le Christ fut un Aryen, c’est bien ouvertement qu’il proclame impérialiste et exclusiviste le fondateur de l’Église universelle». Lo stesso concetto fu ripreso persino da Tolstoj. Cfr. Poliakov, Storia dell’antisemitismo. W..., cit., pp. 96-97.

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Inoltre Cristo sarebbe stato «imperialista» (termine di Seillière proveniente da Chamberlain), non «il profeta della rassegnazione, ma della conquista», e proprio quell’animo lo avrebbe condotto al­ la «negazione palese del fariseismo usuraio degli Ebrei» (questo «fariseismo usuraio» era una completa «invenzione» di Mussolini). Rispetto al saggetto nietzscheano del 1908 su questo punto il cambiamento era forte e l’ipotesi era tutta un’altra. Cristo non era «ebreo», ma si era distinto dagli ebrei perché aveva agito da dominatore e da «imperialista». Era il modo in cui Chamberlain - ma non solo lui, la tesi circolava in vari ambienti105 - aveva cercato di staccare il cristianesimo dall’ebraismo (descrivendo un Cristo «ariano») e Mussolini a sua volta a modo suo lo anda­ va affermando: Cristo e il cristianesimo ora non erano più sol­ tanto deboli e corrosivi. Sottrarre Cristo agli ebrei era un modo per affermare il completo carattere negativo di quella razza. A sua volta però la caratteristica di fondo degli stessi ebrei ora non era in particolare la «moralità» disgregatrice (cui Mussolini aveva accennato all’inizio del saggio), ma qualcosa di peggio: il legame con interessi spiccioli e troppo materiali, che non per­ metteva di toccare le vette del misticismo. A una caratteristica negativa ne aveva aggiunta un’altra. Questo è un punto impor­ tante di distacco dal laicismo carducciano. In fondo qualche tratto filocattolico in Mussolini era sempre rimasto. Poi, secondo Mussolini, nei testi pangermanisti la prevalenza dell’ascendenza «di sangue» si mescolava al legame con le tradi­ zioni «spirituali». La separazione tra le razze, grazie alla capa­ cità d’influenza spirituale dei «germani», si poteva attenuare. Chiunque si mostra e si prova germano coi suoi atti, è germano qua­ lunque sia il suo albero genealogico. [...] Tutti dunque, anche gli afri­ cani, purché facciano professione di fede germanica, potranno far par­ te della grande futura civitas germanica.

Così, forse con qualche ironia, riassumeva Mussolini. Quella della «mescolanza dei sangui» era però la questione fondamen­ 105 Su Cristo «ariano» in vari congressi internazionali parlò il professor Paul Haupt. Si veda una risposta sulla rivista «Il Marzocco» (prima pagina) da par­ te del rabbino H.P. Chajes, L’origine ariana di Gesù, 27 settembre 1908.

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tale posta da Chamberlain, e Mussolini ne prendeva atto. Non era tema da affrontare in termini assoluti, bensì in termini rela­ tivi. In questo senso, Chamberlain voleva «la fabbricazione di una razza eletta», anche eventualmente «favorendo l’incrocio dei sangui», ma «né a lungo né troppo diverso». Ciò avrebbe prodotto miglioramenti razziali.

Era un’eugenetica che arrivava alle conseguenze estreme di prevedere l’eliminazione, tramite gli incroci, delle razze più de­ boli. Sempre citando Mussolini: Per far scomparire la razza caotica e per trarre dal suo seno tutto quanto vi si racchiude di germano, le classe dirigenti applicheranno la selezione artificiale.

Mussolini ritrovava dunque in Chamberlain i due temi evo­ cati nel 1909: quello deU’«assimilazione» delle altre razze, e quello della possibilità (e pericolosità) della mescolanza dei «sangui». E ritrovava l’idea che si potesse arrivare agli estremi eugenetici. Come si vede, quella di Mussolini era un’esposizio­ ne, ma aperta a molte ambiguità. Per gli altri teorici, la parte di gran lunga più rilevante - e sempre tratta da Seillière - era dedicata alle teorie dell’austriaco Reimer sulla trasformazione della lotta politica in lotta di razza. Ovvero sulla trasformazione, che secondo Reimer si sarebbe ve­ rificata in Germania, della lotta «fra classe e classe» in lotta «fra razza e razza». Questo processo emergeva visibile nell’élite ope­ raia rappresentata dal socialismo tedesco, che sempre di più si avvicinava e s’identificava con \élite politica vera e propria. Sempre più, cioè, s’awicinava al potere e all’imperialismo pan­ germanista. Mussolini questa volta scriveva: È un’altra faccia dell’imperialismo, questo si combatte fra classe e clas­ se - l’altro fra razza e razza.

Stava citando in maniera un po’ approssimativa Seillière, che aveva scritto:106 106 Seillière, Une école d’impérialisme mystique..., cit., p. 222.

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C’est pourquoi, soucieux d’associer entre elles pour une commune ac­ tion des deux grandes forces morales de même origine à ses [di Rei­ mer, n.d.a.} yeux - impérialisme allemand de race, impérialisme prolé­ tarien de classe, - il demande instamment aux ouvriers allemands de renoncer à l’internationalisme sans restriction, tel qu’ils le compren­ nent en ce moment. Cet internationalisme égalitaire n’est a son [sem­ pre di Reimer, n.d.a.} avis qu’un «malsain universalisme», heritage dangereux de l’idéal catholique qui fut vainement poursuivi par le moyen âge.

Il proletariato tedesco doveva dimenticare l’originaria spinta internazionalista verso la «massa caotica» (cioè la razza «mediterranea»). Il Reimer stima che la rivoluzione operaia non sarà possibile se il pro­ letariato - in particolar modo il tedesco - non rinuncerà all’Interna­ zionalismo universale, pericolosa eredità dell’ideale cattolico che ab­ braccia anche le razze inferiori corruttrici delle superiori.

Di nuovo si noti la distinzione - attribuita a Reimer - tra raz­ ze «superiori» e «inferiori». Vale anche la pena sottolineare quella forma avverbiale «in particolar modo», incongrua rispet­ to al resto. Sia Reimer sia Seillière si riferivano solo al proleta­ riato e alla classe operaia tedesca, perché appunto di razza aria­ na.107 Non ad altri proletariati, come invece faceva Mussolini, al­ ludendo, non c’è dubbio, anche a quello italiano. La possibilità di un’identificazione tra imperialismo panger­ manista ed élite operaia tedesca per Mussolini - e da tempo veniva ritenuto un dato della realtà.108 Inoltre Mussolini sem­ brava non solo considerare l’alleanza tra politica imperialista e classe operaia come un dato di fatto, ma lasciava intendere che

107 Su questo punto cfr. Rod, Limpérialisme..., cit., pp. 392-394. kb jqe] maggio 1909 sj era rivolto ai socialisti tedeschi: «Carissimi compagni te­ deschi, non fate dunque del pangermanismo, o peggio dell'imperialismo lin­ guistico!». Si tratta di una sua «nota» in Corrispondenze. Bolzano, «L’Avveni­ re del Lavoratore», 19 maggio 1909. O.O., II, p. 120. Ancora più chiaro, si ve­ da Benito Mussolini, LInternazionale e la Patria, «L’Avvenire del Lavoratore», 12 agosto 1909 (O.O., XXXV, p. 11). In proposito, Richard J.B. Bosworth, Mussolini. Un dittatore italiano, Mondadori, Milano 2004, p. 87.

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tale connubio poteva avere delle conseguenze. E incrociava queste frasi con una teoria che già conosceva, quella delle élites di Pareto, la quale spiegava, tornò a dire, «la successione delle diverse classi al potere», vale a dire la loro ripetuta morte. Era un concetto che già aveva affascinato en passant la solita Mar­ gherita Sarfatti e che a Mussolini sarebbe rimasto impresso a lungo. A De Begnac venti-trent’anni dopo avrebbe ripetuto:109 «Per Pareto la storia era contrassegnata da ognora più ravvici­ nati e massicci cimiteri di élites». Ecco dunque perché il socialismo tedesco, secondo queste teorie, avrebbe potuto prendere davvero il potere, producendo un ricambio di classi dirigenti: perché era un nuovo gruppo di potere che poteva sostituire il precedente. Il tema delle élites torna varie volte in questo saggio del 19101911. S’era assistito alla corruzione delle «stirpi dominatrici» dell’antica Roma, a causa del contatto con i «popoli inferiori» (gli ebrei? i semiti?). Ora sopraggiungeva l’affermazione di una nuova élite. La élite germanica del proletariato arriverà al sommo grado della pi­ ramide sociale, purché sappia scindersi dalla massa caotica e sappia respingerla;

purché cioè sapesse separarsi dagli altri socialismi ed essere per intero nazionale. Il socialismo tedesco in quest’interpretazione diventava elitistico, anti-internazionalista e antilatino (tesi quest’ultima già di Bakunin), perché, aggiungeva Mussolini, solo così riusciva ad accedere al potere. Non si può affermare con certezza che in questo modo il socialismo tedesco diventasse un modello, eppure il futuro duce ne parlava come di uno degli ap­ prodi possibili del socialismo stesso. Con una Germania così forte e compatta si profilava un pericolo di guerra, ma ciò no­ nostante questo singolare socialista italiano faceva un grande sforzo di analisi «oggettiva». Mussolini stava mettendo insieme una serie di opzioni, anche se come al solito non tutte chiare e limpide. Esponeva e sem­ 109 De Begnac, taccuini..., cit., p. 109.

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brava non dare giudizi, salvo forse qualche modesta ironia tratta però anch’essa da Seillière - sull’idea della prevalenza as­ soluta dei «germani». Anche il riferimento al socialismo tedesco gli veniva da Seillière; di suo aggiungeva qualche marcato cenno antisemita e uno spasmodico interesse per la questione della di­ rigenza politica, con una tendenza a trasporre nel nostro paese le osservazioni sui tedeschi. Talvolta in queste pagine è difficile riuscire a distinguere quanto Mussolini semplicemente riportasse dal pensiero di al­ tri e quanto pensasse in proprio. Però la sovrapposizione con­ tinua di pensieri che aveva già esposto - e che per lo più pro­ venivano da pensieri altrui - a ciò che esponeva ora (tratto sempre da opere di altri) lascia pensare che fosse proprio un suo modo di procedere: andare avanti, via via facendo pro­ prio quanto leggeva e capiva e quindi via via identificando co­ me proprie idee non sue. Forse è il modo di procedere tipico dell’autodidatta, per di più alla ricerca disperata di un posto nel mondo. Nel suo caso, si trattava di un provinciale che cer­ cava spazio in un mondo ancora più vasto, addirittura interna­ zionale, quello difficile del socialismo. Forse era anche l’atteg­ giamento del politico di professione, che assimila quanto più può di ciò che gli sta intorno. In ogni caso è assai interessante che i temi delle razze e dell’arianesimo, incrociati con quello delle élites, rimanessero al centro di queste sue evoluzioni e costruzioni intellettuali.110 Se si vuole però concludere, come è stato fatto, che questo saggio sul pangermanesimo fu «un attacco contro i maggiori teorici della Razza Nordica»,111 bisogna dire che ciò non è vero, o solo in minima parte. Mussolini aveva illustrato un «panger­ manesimo» molto differenziato e flessibile e che non andava de­ monizzato. Di sicuro, e lo disse, c’era un pangermanesimo «nel senso politico e pericoloso della parola». Ma ce n’era un altro che non era «pericoloso». Lo scrisse nelle ultime righe dell’arti110 All’inizio del 1910 Mussolini aveva brevemente discusso (opponendosi) anche la tesi secondo cui l’«antimilitarismo» era «un fenomeno localizzato al­ le razze neo-latine ormai degenerate e sprovviste di sentimenti bellicosi» (L’an­ timilitarismo in Austria, «La lotta di classe», 26 marzo 1910. O.O., III, p. 54). 111 Gillette, Racial theories..., cit., p. 33.

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colo di «Pagine libere», dove promise un altro intervento che non ci sarebbe mai stato:112 Il pangermanismo è un pericolo per noi? Per le nazioni latine? La no­ stra risposta è negativa. In un altro articolo vi diremo perché.

Questo secondo articolo non venne probabilmente neppure scritto.113 Ma di certo, dopo il saggetto su «Pagine libere» la sua visione della questione razzista e lo stesso uso del termine «raz­ za» erano del tutto consapevoli. Mussolini non si esprimeva con estrema chiarezza sulle con­ cezioni che si era costruito, ma più volte aveva detto che l’idea che la civiltà fosse condizionata dalla «mescolanza dei sangui» era quella che lo convinceva di più; e proveniva da Chamberlain. La stessa separazione tra razza bionda, germanica, e quella del «caos», mediterranea, in questo modo sembrava assotti­ gliarsi. Forse non era ancora un’idea di un grande arianesimo, contenitore di varie razze europee, ma ci si avvicinava molto. E a loro volta le élites dovevano in qualche modo rappresentare le razze e in particolare quelle dominanti. Il saggio sul pangermanesimo apparso su «Pagine libere», che divenne di lì a pochi mesi, con alcuni tagli, il capitolo di te­ sta del libro sul Trentino, è un’esposizione piuttosto sistematica 112 II passo è naturalmente assente nel libro sul Trentino. Nella rassegna su questo articolo il suo giornale, «La lotta di classe», confermò che la risposta a quelle domande «sarà data dal nostro Direttore in un secondo articolo d’im­ minente pubblicazione sulla stessa rivista», cioè «Pagine libere». Vedi Note e Letture, «La lotta di classe», 5 novembre 1910. 113 Nell’ultimo volume della biografia, De Begnac (Ivon De Begnac, Vita di Mussolini, III, Tempo di attesa, Milano, Mondadori 1940, p. 486) in una no­ ta d’appendice fa riferimento all’esistenza di due puntate mussoliniane di «Pagine libere» sul pangermanesimo, la prima pubblicata nel novembre 1910 (invece fu pubblicata nel settembre-ottobre), la seconda a dicembre; ma quest’ultima non esiste. Può darsi che questo errore sia stato causato dal­ la notizia data da «Lotta di classe» a novembre. De Begnac, che non lesse «Pagine libere», non aveva capito che si trattava dello stesso saggetto pub­ blicato nel libro sul Trentino, su cui la Vita di Mussolini non si soffermò. In­ vece il saggio è stato individuato (salvo il titolo, sbagliato) da Marino Paren­ ti, Bibliografia mussoliniana. Volume primo. Serie cronologica delle edizioni a stampa degli scritti e dei discorsi di Benito Mussolini, Sansoni, Firenze 1940, p. 10.

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di teorie: erano di altri, ma lui tendeva via via ad appropriarse­ ne. In parte, sembrerebbe, il suo pensiero nell’insieme era arri­ vato a una certa completezza, soprattutto per quanto riguarda­ va la questione che la lotta tra le razze annichiliva la lotta di classe (un principio che Mussolini aveva affrontato da diversi mesi); e sull’altra questione, che la lotta di razza sarebbe stata gestita dalle élites. Invece il lungo passo sulla corruzione del ceto politico domi­ nante e su Nietzsche e gli ebrei «razza inferiore», presente nel­ l’articolo di «Pagine libere», venne espunto di netto dal libro edito dalla «Voce».114 Venne così eliminato tutto il passo in te­ desco sul «complotto ebraico» e la «vendetta». A che cosa fu dovuto questo taglio? Forse all’intervento di Prezzolini, che propose - e Mussolini accettò - alcune revisioni che non cono­ sciamo.115 Di sicuro in questo modo la fortissima intonazione antiebraica che lo scritto aveva sulla rivista, nel libro venne assai mitigata: una flessibilità, a proposito del proprio antisemitismo, di cui Mussolini diede prova diverse altre volte. Non restano dubbi però che nel 1910-1911 per lui la «questione ebraica» fosse incardinata dentro quella «razziale». Quanto al «pangermanesimo», o meglio, ai suoi «ideologi», si può intanto notare che nei confronti di Chamberlain Mus­ solini continuò anche dopo a mantenere interesse. Così nel lu­ glio 1912, a proposito della storia del Rinascimento, in un bre­ vissimo passo difese proprio Chamberlain e gli altri teorici «te­ deschi». E ciò accadeva sull’«Avanti!», dove Mussolini, vinci­ tore con la sinistra del partito a un recente congresso socialista (7-10 luglio), aveva iniziato a scrivere. I pangermanisti - so­ stenne, e pare senza alcuna ironia - avevano almeno il diritto 114 Mussolini, Il pangermanismo, cit., pp. 392-393. Per un confronto, a propo­ sito di questo brano, si veda: O.O., XXXIII, p. 154. Nel libro, rispetto alla rivi­ sta, ci furono due altri tagli sostanziosi: un intero brano in cui si diceva che l’imperatore Guglielmo II aveva finanziato il libro principale di Chamberlain e il brano iniziale sul «pangermanesimo politico». 115 Di «postille e osservazioni» fatte da Prezzolini, Mussolini parla in una let­ tera allo stesso Prezzolini del 19 febbraio 1911; il 28 febbraio gli scrisse di aver «fatto tesoro delle sue osservazioni e suggerimenti». Si veda Gentile (a cura di), Mussolini e “La Voce", cit., p. 50.

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di proporre l’idea che «la Rinascenza è fenomeno perfetta­ mente germanico».116 Nel settembre 1913 - Mussolini aveva fatto carriera, da di­ versi mesi era direttore dello stesso «Avanti!» - tornò in modo singolare ai temi passati. L’occasione fu la recensione sul quoti­ diano117 di un libro edito da Laterza (e tradotto da Luigi Salva­ torelli con lo stimolo di Croce), dell’archeologo e storico belga delle religioni Franz Cumont. E una strana recensione, siglata e non firmata, sostanzialmente ostile agli ebrei, ma di cui non si conosce e non si capisce bene il motivo, soprattutto in un mo­ mento in cui lo stesso giornale, per altre questioni, si schierava contro l’antisemitismo, per esempio quello degli zar. Non è neanche impossibile che si trattasse di un frammento di una po­ lemica interna di partito contro qualche capo socialista ebreo. Se è così, però, era una polemica sotto mentite spoglie. Quella fornita da Cumont era - riassunse il recensore - una descrizione dello sfacelo introdotto nella Roma imperiale dalle religioni provenienti dall’Oriente (forse ancora una reminiscen­ za della romanziera e attrice Nahor-Lerou e di Bossi) e dalla «diffusione dei culti semitici in Italia»; Mussolini continuava a tenersi nei pressi delle tesi del lungo saggio del 1908 e conti­ nuava a separare a tutti i costi ebraismo e cristianesimo. Varie erano le conseguenze di quello «sfacelo», ma una venne riassunta nell’articolo dell’«Avanti!» con maggiore precisione: L’immigrazione degli orientali degenera la razza, la indebolisce, la pro­ stra ai nuovi iddìi. 116 Benito Mussolini, Da Guicciardini a... Sorci, «Avanti!», 18 luglio 1912 (O.O., IV, p. 172). 117 M., Come periscono gli dei di Roma, «Avanti!», 6 settembre 1913 (O.O., V, pp. 278-283, in particolare pp. 279 e 281; in O.O. però non è riportata una bre­ ve biografia di Cumont presente in calce all’articolo). Il libro di Laterza era: Le religioni orientali nel paganesimo romano (Laterza, Bari 1913) ed era stato tra­ dotto da Luigi Salvatorelli, ma con il viatico di Croce. In proposito si veda Co­ rinne Bonnet, «Noi ora conosciamo il male di cui morirono gli dei della vecchia Roma». La réception en Italie des «Religions orientales dans le paganisme ro­ main» de Franz Cumont, «Hormos», 3-4 (2001-2002, ma in realtà 2004), pp. 247-300. La versione di Salvatorelli, nei punti indicati, è assai fedele all’edizione francese da cui è stata ricavata. Cfr. Franz Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, Leroux, Parigi 1906 (1907), pp. 32-33, 259-260.

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Poi, questa volta citando Cumont: La società romana sembra affetta da una specie di mania celebrale e colpita da incurabile sterilità [...] Rassomiglia a un organismo incapa­ ce di difendersi contro il contagio.

E di nuovo intervenendo in prima persona: Le ragioni economiche o fisiche [corsivo mio, n.d.a.} non spiegano il fenomeno che essendo religioso non si spiega che con cause morali.

I passi venivano proprio da alcune pagine del libro di Cu­ mont.118 Era stato Cumont a presentare l’ipotesi che l’incontro tra Oriente e Asia durante l’impero romano avesse provocato la corruzione della razza italica. In quest’idea, Mussolini ritrovava le tesi di Houston Stewart Chamberlain, lo scrittore di successo che lo studioso belga citava con una nota apposita: Si è sostenuto che l’immigrazione degli Orientali e specialmente dei Siri sarebbe stata abbastanza considerevole per provocare rapidamen­ te un’alterazione ed una degenerescenza delle robuste razze italiche e celtiche.

Come si vede, Mussolini aveva interpretato piuttosto bene: Salvatorelli aveva tradotto correttamente «un’alterazione e una degenerescenza» là dove Cumont aveva parlato di «une altération et une dégénérescence» (il traduttore inglese a sua volta tradusse «an alteration and rapid deterioration»).119 Il termine «dégénérescence» tra l’altro aveva un preciso signifi­ cato storicamente razzista e una solida tradizione alle spal­ 118 Cumont, Le religioni orientali..., cit., pp. 24-28. Il passo citato è a p. 27. La nota che fa riferimento a Chamberlain è a p. 221. Quanto a successive incli­ nazioni di Cumont, si veda la sua risposta a un censimento razziale italiano del 1938 (di non avere neanche «una goccia di sangue ebreo nelle vene») riporta­ ta in Annalisa Capristo, ^espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani, Torino 2002, p. 52. 119 Si cita da Franz Cumont, Oriental Religions in Roman Paganism, con in­ troduzione di Grant Showerman, Dover, New York 1956 (anastatica dell’ed. del 1911), p. 25.

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le.120 Cumont per primo era incline ad accogliere le dichiara­ zioni razziste di Chamberlain; però in maniera limitata (e si ten­ ga conto che si trattava di un volume in Italia pubblicato col consenso di Croce). Subito dopo aveva aggiunto: Tutto ciò è in parte vero [corsivo mio, n.d.a.p, pure le teorie da noi rias­ sunte procedono da una veduta inesatta delle cose; esse s’ispirano in realtà alla vecchia illusione dell’inferiorità dell’Asia sotto l’impero al­ l’Europa.

Per Cumont la degenerazione razziale ci poteva essere stata, ma solo «in parte» e per di più non aveva avuto neanche esiti del tutto negativi perché forse aveva moltiplicato - come disse subito dopo - «la varietà dei dissensi» nell’impero romano;121 la psicologia e la religione che daU’Oriente si erano inserite nel­ l’impero erano di un genere superiore: «questi culti [semitici, n.d.ai] rappresentano un tipo più avanzato delle antiche devo­ zioni nazionali».122 Per Mussolini, che stravolgeva del tutto il suo testo di riferi­ mento, l’arrivo dei «culti semitici» aveva invece rovinato Roma. Il titolo dell’articolo, allusivo e grave, era: Come periscono gli dei di Roma. Nient’altro. Era di nuovo la tesi del 1908 ed era anche la solita accusa agli ebrei - l’unica popolazione di quell’oriente a cui si potesse ancora fare riferimento - di esprimere un peri­ coloso eccesso di «moralità»; con in più, preciso, il riferimento agli incroci razziali e un rilievo dato alla «religione». Questi ultimi non erano in sé «le ragioni» vere della deca­ denza psicologica, che erano appunto «morali». In effetti, sa­ rebbero stati gli incroci «di sangue» a far «degenerare la raz­ za» (e qui Mussolini in Cumont ritrovava tesi di Chamberlain su cui aveva già scritto). Ma poi esistevano le «cause morali». 120 Si veda in particolare il Traité des dégénérescences de l'espèce humaine (1857) del fisiologo Bénédict-Augustin Morel. Cfr. Jean-Christophe Coffin, La théorie des dégénérescences et sa réception. 1857-1960, «Sexe et Race», Sémi­ naires 1990-1991 [1992], pp. 39-58. E naturalmente il ben più recente e cele­ bre Degenerazione di Max Nordau, tradotto in Italia nel 1893-1894 (edizione originale 1892-1893). 121 Cfr. Cumont, Le religioni orientali..., cit., p. 203. 122 Ivi, cit., p. 27.

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E questo «fenomeno» alle origini era - Mussolini lo diceva «religioso». In fin dei conti, il direttore dell’«Avanti!» continuava ad at­ tribuire la responsabilità della «decadenza» romana proprio al­ la religione (e prima che a quella cristiana, a quella ebraica). Ciò tanto più era evidente, dal momento che Cumont aveva soste­ nuto il contrario e cioè che i culti orientali a Roma costituivano un «avanzamento». Mussolini parlava di decadenza della razza dal punto di vista fisico (grazie all’incrocio con i semiti), ma poi aggiungeva - e sembrava più rilevante - la corruzione dal pun­ to di vista «culturale», ideologico e soprattutto religioso: ed era probabilmente ancora una conseguenza dell’originario laicismo carducciano e forse anche bakuniniano, che qui però cercava ri­ scontri in opere recenti e prestigiose. Infine, tutto ciò compari­ va su un giornale come l’«Avanti!». Sono frasi che occorrerà te­ ner ben presente per il futuro: perché già nel 1913 con molta chiarezza Mussolini, per quanto riguarda gli ebrei, sottolineava gli aspetti di «decadenza» creati dalla mescolanza della loro raz­ za con le altre; ma soprattutto la «corruzione» provocata dalla loro religione. Tenuto conto pure di quest’ultimo intervento, che discende­ va anch’esso, come si vede, dalle letture «pangermaniste», ritor­ nano utili (e sono ancora una volta sorprendenti) la testimo­ nianza e l’interpretazione fornite quindici-sedici anni dopo, e proprio su questo tema, dalla solita Margherita Sarfatti. Nella biografia di Mussolini, Dux, sia nella versione inglese sia italiana, la Sarfatti collegò le pagine di Mussolini sul pangermanesimo, che aveva letto nel libro sul Trentino (mentre sem­ brava ignorare la versione presente sulla rivista e la fonte Seillière), a quelle precedenti su Nietzsche. Intanto, e soprattutto nell’edizione in lingua inglese, Marghe­ rita osservò che Mussolini all’epoca non era stato proprio ostile al pangermanesimo. Il passo in inglese (1925) è piuttosto inte­ ressante se confrontato poi con quello in italiano (1926); ecco il testo del primo:123

123 Margherita G. Sarfatti, The life..., cit., p. 157; e poi si veda Dux, cit., p. 118.

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Una parte del libro è dedicata all’analisi della teoria del Pangermanesimo e agli scritti di Gobineau e degli altri esponenti del «puro ariane­ simo» come Houston Chamberlain. E assai interessante la nota di so­ brietà e di apertura mentale [open-mindedness] con cui Mussolini stu­ dia l’intera questione. Non manifesta nessuna intolleranza {.intoleran­ ce}, nessuna foga [heat] o disprezzo [scorn] per gli eccessi e le assur­ dità di questi Pangermanisti (a proposito, nessuno di essi di puro san­ gue germanico). Si capisce che si diverte, come in una partita, al gioco delle idee [play of ideas] e che gli piace riportarle alla fonte originale. Si è troppo immerso in Nietzsche per non essere attratto da una teoria che procede dal Super Uomo alla Super Razza.

Per i lettori anglosassoni Mussolini sarebbe risultato solo in­ teressato e divertito dal «gioco intellettuale» prodotto da quella dottrina. Il passo nell’edizione italiana è invece: Esamina sin dal primo capitolo le teorie dei pangermanisti, degli as­ sertori del «puro arianesimo», Gobineau, Lapouge, gli iniziatori fran­ cesi; e di Houston Chamberlain, inglese, Woltmann, semita, Reiner [rzc], viennese: non uno puro germanico, di questi germanisti freneti­ ci! La parola è metallo, al cui posto si riconosce, saggiandola, la tem­ pra schietta dell’anima; nessuno sdegno o irrisione, di fronte alle in­ temperanze più assurde; il buon nitciano si interessa alle ingegnose iri­ descenze delle idee, anche paradossali, e lo attrae il superomismo este­ so a un’intera stirpe di conquistatori-padroni di fronte alla plebe dei vinti-schiavi.

Margherita collegava (giustamente) il saggio su Nietzsche del 1908 (che citava a lungo) a quello del 1910; e di nuovo i «vinti­ schiavi», che poi erano innanzitutto ebrei, erano assenti nell’e­ dizione inglese; mentre comparivano nell’edizione italiana, ma senza che venisse specificato appunto che erano ebrei. Inoltre, a voler essere pignoli, la Sarfatti in italiano ignorava la «Super Razza» (ariana) che invece era presente nella versione inglese. Sui pangermanisti il passo in inglese era breve e tutto som­ mato rispettoso; in italiano, invece, era più tranchant, si soffer­ mava a elencarli, spiegando che non erano tedeschi («non un puro germanico, di questi germanisti frenetici!») e dicendo di uno, Woltmann, che era «semita» (Mussolini nel 1910 non ave­ va alluso a niente del genere e Seillière non l’aveva scritto; lo 188

aveva ritenuto solo «poco pangermanista»). Si poteva trattare di un adattamento funzionale del traduttore inglese, ma ancora una volta un riferimento agli ebrei in quell’edizione scompariva. Invece entrambe le versioni confermavano l’interesse di Musso­ lini verso la questione del razzismo (che del resto era, almeno per Gobineau, lo stesso della Sarfatti), ma nella versione italiana veniva rimarcata una certa qual neutralità.124 Insomma, le due diverse edizioni della biografia della Sarfat­ ti del 1925-1926 erano un bell’esercizio di equilibrismo tra quanto scritto davvero da Mussolini nel 1910 e la nuova inter­ pretazione di quindici anni dopo: il riferimento agli ebrei di quei vecchi scritti mussoliniani veniva il più possibile cancellato, soprattutto nel libro in inglese, ma anche in quello in italiano. E la critica al pangermanesimo veniva accentuata nell’edizione per l’Italia, mentre in quella per i paesi anglosassoni veniva sostenu­ to con benevolenza che si era trattato di un puro «gioco di idee». La Sarfatti stava creando una nuova immagine, in cui Mussolini risultava piuttosto ostile al pangermanesimo, inteso come ideologia esaltatrice della razza ariana e bionda. Ma con cautela e vari distinguo. Ma Mussolini nello scritto del 1910 (e poi ancor più nel 1913) aveva, sì, sparso un po’ di ironia, ma non era stato pro­ priamente ostile verso le teorie razziste, anzi. E perfino verso la «razza bionda», identità naturale delle élites, come aveva già detto nel 1908. In proposito anzi all’epoca aveva citato con fa­ vore Nietzsche, che gli era stato ugualmente maestro su alcune affermazioni distruttive sugli ebrei.125 Quello espresso da Margherita non fu dunque il pensiero autentico di Mussolini all’epoca, ma quello edulcorato illu­ strato dieci-quindici anni dopo, nel 1925-1926. E d’altra parte 124 L’anno dopo l’uscita di Dux, sulla rivista della Sarfatti Carlo Barduzzi, a proposito delle pagine sul pangermanesimo razzista, parlò di «larvato sarca­ smo mussoliniano». Carlo Barduzzi, Italianità atesina, «Gerarchia», agosto 1927, p. 584. 125 Nella sua «autobiografia» americana del 1928 (dovuta in realtà al fratello) scrisse in maniera generica, ma sembra riferendosi a Nietzsche e forse a qual­ che «pangermanista»: «Among foreign writers, I have meditated much upon the work of the German thinkers». Benito Mussolini, My Autobiography, Scribner’s Sons, New York 1928, p. 25.

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fu l’interpretazione che in seguito fece gioco al capo del fasci­ smo.126 Sei anni dopo l’uscita di Dux, nell’intervista rilasciata a Emil Ludwig, Mussolini riprese abbastanza da vicino, senza citarle, quelle pagine.127 Dopo aver espresso una buona ostilità - questa volta sì - verso il razzismo ariano dei tedeschi (in quel momento, prima metà del 1932, Hitler era in grande ascesa), osservò anche che i teorici del pangermanesimo (e citò pro­ prio Gobineau, Chamberlain, Woltmann, Lapouge) erano «tutti non germanici» (qualcosa del genere l’aveva scritto lui stesso nel 1910, ribadito da Margherita) e Woltmann era addi­ rittura «israelita» (e questo lo aveva invece sostenuto solo Margherita). La frase era a suo modo «greve», e non passò inos­ servata presso i razzisti tedeschi e infatti Fritz Lenz, futuro capo del Dipartimento Ereditarietà dell’istituto nazificato Kaiser Wilhelm di antropologia e genetica umana, reagì in modo pron­ to e secco, negando entrambe le cose.128 Si può anche aggiunge­ re che Lenz nel 1929 aveva scritto un articolo di esaltazione del­ le «concezioni demografiche di Mussolini», esprimendo la spe­ ranza che avrebbero «esteso la loro influenza salutare anche al popolo tedesco». Come si vede, le vecchie questioni del «pan­ germanesimo» erano destinate a ritornare nei discorsi del du­ ce. Magari con qualche variante dovuta all’«opportunità» del momento, ma erano ben radicate nella sua mente. 126 Nel suo primo libro biografico su Mussolini anche De Begnac seguì l’inter­ pretazione della Sarfatti, rafforzata forse dalle parole dette a Ludwig. De Begnac scrisse che Mussolini aveva fatto «una dotta confutazione delle teorie esposte dai vari germanisti, pei quali tutto quanto al mondo esisteva di grande era ne­ cessariamente germanico». Ivon De Begnac, Trent’anni di Mussolini. 1883-1915, Arti grafiche Menaglia, Roma 1934 (finito di stampare, 14 febbraio), p. 90. De Felice invece ha parlato dello scritto di Mussolini sul pangermanesimo addirit­ tura come di un testo «antirazzista» (De Felice, Storia..., cit., p. 68). 127 Emil Ludwig, Colloqui con Mussolini. Riproduzione delle bozze della pri­ ma edizione con le correzioni autografe del duce, Mondadori, Milano 1950, pp. 71-72. 128 [Fritz] Lenz, War Ludwig Woltmann ein Jude?, «Archiv für Rassen und Ge­ sellschafts Biologie Einschliesslich Rassen und Gesellschafts Hygiene», dicem­ bre 1932, pp. 112-113. L’articolo fu inviato subito a Mussolini. ASDMAE, MCP, DGSE, b. 478, f. Archiv für Rassen und Geselschafts [«?] Biologie. L’«Archiv» era la rivista di Alfred Ploetz. Su Lenz cfr. Liliane Crips, Sélection “radale" se­ lection sociale. Litinéraire du raciologue Fritz Lenz (1887-1976), «Sexe et Race», 1993, f. 8, pp. 53-76. La citazione dell’articolo di Lenz su Mussolini, a p. 63.

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Gli interessi «razziali» di Mussolini nei primi anni del secolo erano stati mirati e singolari. Si tenga presente che cosa succedeva nel frattempo. Il razzismo biologico pangermanista in Italia aveva suscitato accese reazioni. La «Nuova Antologia» nel 1905, ben prima dell’articolo di Caffi, lo aveva attaccato con asprezza defi­ nendolo antiegalitario e illiberale;129 poco prima del saggetto di Mussolini sul pangermanesimo, nel 1909, uno studioso di politica estera, Amedeo Alberti, aveva pubblicato un opuscolo dedicato allo stesso tema.130 Questo scrittore usò il termine «pangermane­ simo» per definire le mire politiche egemoniche dei governanti prussiani: insomma, come sinonimo di «nazionalismo politico te­ desco». E per quanto riguarda le teorie razziste, le liquidò come «inaudite esagerazioni». Mussolini invece era interessato con pie­ na, positiva consapevolezza proprio ai razzisti. La lettura «razzista» del pangermanesimo condotta da Musso­ lini aveva caratteristiche innovative. In questo senso è interessan­ te la parallela disponibilità dimostrata verso tali temi da un pro­ tagonista delle avanguardie intellettuali novecentesche come il di­ rettore della «Voce», Giuseppe Prezzolini. Di contro, s’è detto dell’articolo di Caffi su «Nuova Antologia» più o meno nello stes­ so periodo e che prendeva violenta posizione contro Chamberlain, Woltmann e gli altri pangermanisti: Caffi li aveva accusati di «chauvinismo» e di mancanza di «sano equilibrio intellettuale». In quegli anni altri personaggi «d’avanguardia» si appassio­ narono al «razzismo pangermanista», ma dopo Mussolini. Per esempio nel 1913, un altro intellettuale legato alla «Voce», Gio­ vanni Boine, affrontò, e con grande simpatia, il tema del «razzi­ smo» in Gobineau prima e in Chamberlain dopo e poi anche quello deH’antisemitismo.131 Sono anche da sottolineare gli osta­ 129 R. Paulucci Di Calboli, Ilfallimento delle teorie delle razze, «La Nuova An­ tologia», 16 novembre 1905, pp. 188-198. 130 Amedeo Alberti, Lltalia e il Pangermanismo, s.e., Genova 1909; la frase sui «razzisti tedeschi» è a p. 42. 131 Sugli interessi «razzisti» di Boine tra il 1913 e il 1916 (Gobineau, Chamberlain e Weininger) si veda: Giovanni Boine, Inediti. Appunti per un articolo sulla psico­ logia della religione e del misticismo. Traduzione ai un capitolo di Arische Weltan­ schauung, a cura di Bruno Ulian, Bulzoni, Roma 1987, in particolare p. 118. Ma cfr. anche Franco Contorbia, Renato Serra, Giovanni Boine e il nazionalismo ita­ liano, in La cultura italiana tra '800 e '900..., cit., pp. 206-208,213-216.

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coli che proprio Boine incontrò a pubblicare i suoi interventi e che forse non furono dovuti tanto alla difficoltà di trattare que­ stioni «razzistiche», quanto, ancor di più, a quella di affrontare, con équipes editoriali ostili, temi «germanici».132 Del futurista Umberto Boccioni, invece, anche lui collabora­ tore di riviste d’avanguardia, conosciamo i privati pensieri «raz­ zisti» che risalgono al 1908 (a proposito di Rembrandt, il «tondeggiamento informe della razza che lo ispirava»),133 nonché le pubbliche dichiarazioni del 1917:134 uno stile universale non soltanto per l’Europa ma per tutti gli uomini di razza bianca non può rifiorire altrove che in Italia; [...] uno stile [...] nasce e si sviluppa spontaneo dalla profonda volontà di una razza e sulle basi della sua fondamentale e caratteristica sensibilità.

Per non parlare dei riferimenti negativi di Boccioni alle varie altre razze e positivi al «genio italiano» (peraltro, già Mussolini nel 1909 scriveva: «La patria comune del genio fu ed è l’Ita­ lia»).135 Papini aveva ragione a dirgli:136 «c’è in te la stoffa del so­ ciologo alla Gobineau e alla Ferrerò che almanacca coi vecchi concetti delle razze». 152 Un articolo antisemita di Boine su Weininger venne respinto da due gior­ nali; poi fu pubblicato, in due puntate, dal «Resto del Carlino», nel luglio-ago­ sto 1914. Vedi Giuliana Benvenuti, Boine, Gobineau e la letteratura, in Burgio (a cura di), Nel nome della razza..., cit., p. 116. L’editore Sandron, invece, nel gennaio 1914 respinse la traduzione di Boine del libro di Gobineau, Essai sur l’inégalité des races (Giovanni Boine, Il peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti, a cura di Davide Puccini, Garzanti, Milano 1983, p. 517). 133 Da un passo del diario (1° febbraio 1908) riportato in Archivi delfuturismo. Raccolti e ordinati da Maria Drudi Gambillo e Teresa Fiori, vol. I, De Luca, Roma 1958, p. 230. 134 Umberto Boccioni, Dinamismo plastico, Istituto editoriale italiano, Milano s.d. [ma 1917]. Ma si veda poi la riedizione in: Umberto Boccioni, Gli scritti editi e inediti, a cura di Zeno Birolli, prefazione di Mario De Micheli, Feltri­ nelli, Milano 1971, pp. 17, 130, 163 e soprattutto il cap. «Trascendentalismo fisico e stati d’animo plastici», pp. 153-181. E inoltre la nota a p. 447. Ma cfr. Emilio Gentile, Il futurismo e la politica. Dal nazionalismo modernista al fasci­ smo (1909-1920), in Renzo De Felice (a cura di), Futurismo cultura e politica. Fondazione Agnelli, Torino 1988, pp. 111-112. 135 Mussolini Benito, Un grande amico dell’Italia. Augusto Von Platen, «Il Po­ polo», 3 luglio 1909 (O.O., II, p. 175). 136 Giovanni Papini, Cerchi aperti, «Lacerba», 15 marzo 1914. Vedi anche Ar­ chivi del futurismo, cit., p. 196.

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Sempre in ambito futurista, dichiarazioni molto simili a quel­ le mussoliniane si trovano in uno scritto di Vincenzo Fani, più noto come Volt, sulla Sociologia della guerra (fine ottobre 1917):137 alla base di questa sociologia c’era l’idea dell’esistenza di una «razza italiana» come risultato di una fusione di diverse razze; poi, come anche altri gruppi etnici, essa era stata sotto­ posta alla «coercizione di una razza conquistatrice»; non man­ cava anche, come in Nietzsche, un riferimento alla minaccia portata dallo «spirito ebraico» dissolutore al «concetto classico» e al cristianesimo. Non sappiamo se fossero dichiarazioni e mo­ di di pensare che avevano origine soltanto nel razzismo «pan­ germanista» (nel caso di Volt, di certo anche), ma ne riecheg­ giavano da vicino le affermazioni. Mussolini però aveva brucia­ to le tappe anche rispetto a questi intellettuali d’avanguardia, perché il suo saggetto era uscito parecchio tempo prima. Una notevole precocità, che forse spiega la discreta disinvoltura con cui, in seguito, affrontò sempre questi argomenti.

Socialisti

Fino al 1914 Mussolini rimase socialista e componente di pri­ mo piano dell’ala social-rivoluzionaria del PSI. Aveva alle spalle letture, meditazioni e scritti che avevano poco a che fare con lo «storicismo», arma teorica ormai piuttosto affermata del socia­ lismo, eppure era stato a pieno titolo accolto e promosso nel partito. La sua personale, appartata «distruzione della ragione» - frutto di letture disparate, forse poco omogenee, molto di se­ conda mano e che a noi possono sembrare «minori» e indirette, ma non insignificanti - egli la condusse per intero all’interno di un ambiente non solo «progressivo», ma anche politicamente organizzato. Tutto ciò successe in una fase in cui Mussolini aveva messo da parte l’analisi distruttiva della politica contemporanea con­ dotta da Sorel. In quella fase Sorel era ormai un avversario e 137 Giancarlo Scriboni, Tra nazionalismo e futurismo. Testimonianze inedite di Volt, Marsilio, Padova 1980, pp. 35-38, 43-45.

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Mussolini era sempre più uno dei leader dell’organizzazione po­ litica socialista; anzi nel Partito socialista, grado a grado, per di­ versi anni a partire dal 1902, aveva percorso un duro cursus ho­ norum, passando anche per la guida di un’importante federa­ zione come quella di Forlì e poi essendo presente nella ristretta direzione nazionale. Finché divenne, per un breve periodo — se non proprio, come è stato scritto,138 «il vero leader» o il «domi­ natore» del PSI -, in ogni caso un capo che disponeva di una no­ tevole influenza. Furono anzi, questi - la carriera, la leadership, il comando politico -, gli approdi più sostanziosi e chiari del suo pensiero e della sua interpretazione del superomismo nietz­ scheano. Era successo a Gabriele D’Annunzio una quindicina d’anni prima: allora la citazione - o il plagio - degli scritti di Nietzsche (in particolare quelli sul Superuomo) e di altri «teori­ ci» stranieri era stata propedeutica e funzionale alla costruzione della personalità pubblica e politica del futuro Vate.139 Ora ac­ cadeva a Mussolini. Quasi fosse una scorciatoia obbligata, in quei decenni, soprattutto per intellettuali-giornalisti della pro­ vincia italiana con interessi internazionali e politici. A parte la teoria delle élites e forse appunto l’idea del Supe­ ruomo,140 non sembra però che all’epoca in politica Mussolini abbia usato direttamente l’armamentario intellettuale, non marxista o antimarxista, che aveva messo insieme in quegli anni: Darwin, la sociologia e la geografia evolutiva o la stessa analisi razziale. In quel periodo Mussolini agiva da politico, con le stes­ se armi e sugli stessi terreni degli altri leader socialisti. Peraltro, quella congerie di letture e di conoscenze - che si manifestava­ no con rapide citazioni e qualche più insistito riferimento cultu138 pelqa prima, De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 171 (forse con­ dizionato da un’affermazione di Luigi Campolonghi); per la seconda, Megaro, Mussolini..., cit., p. 346. 139 Cfr. Giorgio Fabre, D'Annunzio esteta per l’informazione (1880-1900), Liguori, Napoli 1981, pp. 150-166. 140 A proposito di Nietzsche, si veda la corrispondenza di «Genosse» (Gusta­ vo Sacerdote) dalla Germania, Lettere d’operai tedeschi intorno a Nietzsche, «Avanti!», 4 ottobre 1913. Riferendo su un articolo-inchiesta di Max Adler sulla «Frankfurter Zeitung», Genosse sostenne che in Germania gli operai amavano molto Nietzsche e si identificavano in particolare con la teoria del Superuomo.

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rale - gli forniva un profilo intellettuale e politico piuttosto in­ solito, che si esprimeva nella forte tendenza «irrazionalista», nella sensibilità al tema delle nazionalità e dei popoli e infine nel «rivoluzionarismo» estremo. A proposito di ebrei, invece, Mussolini era cresciuto in un milieu socialista o meglio bakuniniano e il filone antisemita, in quanto anticapitalista, era ben presente in quell’ambiente e nel­ la pubblicistica che lo alimentava. Non è affatto strano che an­ che lui, a tratti, distribuisse accenni, battute, ragionamenti anti­ semiti, e già quando era socialista. Per questo la recensione a Cumont, nel momento in cui esisteva - anche se sotterranea una consapevolezza antiebraica nel Partito socialista, aveva un aspetto assai più grave del semplice intervento culturale. Senza dubbio il giovane direttore dell’«Avanti!» disponeva - o suppo­ neva di disporre - di un pubblico a cui rivolgersi e che capiva e apprezzava quelle frasi. Un pubblico, sembrerebbe, che conti­ nuò a seguirlo nel corso del tempo. Tutto ciò lo caratterizzava all’interno della dirigenza socialista, in particolare rispetto ai vecchi leader, contro cui infatti presto partì lancia in resta. Furono attacchi reiterati e che venivano co­ munque da una figura eminente come il direttore dell’«Avanti!». E i vecchi leader malamente se ne accorsero e poco seppero rea­ gire. «Religione? Magismo? Utopia? Sport? Letteratura? Ro­ manzo? Nevrosi? Certo non è socialismo», così commentò scon­ certato Turati.141 In pratica, quei leader rimasero disorientati. 141 Filippo Turati, Per ritornare al socialismo... (A proposito dei fatti di Milano e della loro interpretazione), «Critica sociale», 1-16 giugno 1913, p. 164. Tura­ ti alludeva alle reazioni dell·«Avanti!» a proposito del recente sciopero gene­ rale. Mussolini rispose il 1° luglio, rivendicando il diritto a «vedere le cose sub specie aetemitatis, a interessarci dei grandi problemi» (Intermezzo polemico. Dalla magia ... alla nevrosi, «Avanti!», 1 luglio 1913. O.O., V, pp. 208-212, in particolare p. 211 ). Ma si può citare anche un altro episodio. Si tratta di un re­ fuso, sull’«Avanti!» del 22 settembre 1914, e quindi ancora diretto da Musso­ lini, nel testo del «manifesto contro la guerra» pubblicato il 21 settembre. Il termine «odio di razza» che vi era usato fu trasformato in «odio di classe» e il refuso fu segnalato sullo stesso giornale il giorno dopo a p. 2, col. 4. L’episodio fu poi ricordato da Alceste Della Seta in una ricostruzione fatta nel 1940. Ve­ di Alceste Della Seta, Ricordi a zig-zag, in Leo Valiani, Il Partito socialista ita­ liano nel periodo della neutralità. 1914-1915, Feltrinelli, Milano 1977 (la ed. 1962), pp. 132-133.

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Allora, ma pure in seguito, se non forse alla fine degli anni Venti, nessuno di quei dirigenti socialisti colse o criticò i con­ cetti «razzisti» espressi direttamente da Mussolini o sui suoi giornali. Persino quando, e senza mezzi termini, li rivolgeva di persona contro loro stessi (fu il caso palese di Treves). Sono as­ senze di reazioni che, per certi versi, ancora oggi lasciano assai stupiti. A confronto, è invece interessante osservare che qualcun altro, in ben altra posizione, si accorse di quanto stava succe­ dendo: Angelo O. Olivetti, direttore di «Pagine libere», ebreo, ex socialista e sindacalista nonché personaggio rilevante di tutto questo periodo. Alla fine del 1910 Mussolini aveva pubblicato proprio su «Pagine libere» il suo saggetto 11 pangermanismo, ma in un mo­ mento in cui Olivetti era lontano dalla rivista. Nel primo nume­ ro in cui questi tornò a firmare come direttore, nel febbraio 1911, l’articolo di fondo fu tra le altre cose dedicato proprio al­ l’idea di razza - quella su cui si era più volte esercitato il suo maestro Sorel - e, pare evidente, a Mussolini.142 Il fulcro dell’articolo è l’analisi della differenza di fondo fra sindacalismo e movimento nazionalista. Il punto era proprio la questione della razza. Olivetti distinse tra i due movimenti, so­ stenendo che l’uno, in quanto nazionalista, si basava sull’idea della «supremazia della stirpe», mentre l’altro, il «suo» sindaca­ lismo, si fondava sull’idea dell’esistenza di una società dei pro­ duttori. E quindi erano movimenti tra loro incompatibili. Ora, Mussolini era stato l’ultimo a parlare di Gobineau e della razza sul suo stesso giornale. E Olivetti fu impietoso perché proprio a proposito di Gobineau e degli altri pangermanisti, che in fondo 142 Angelo O. Olivetti, Sindacalismo e Nazionalismo, «Pagine libere», 15 feb­ braio 1911, pp. 197-209. A proposito di questo articolo cfr. Carli, Nazione e ri­ voluzione..., cit., pp. 12-14. Di Olivetti a sua volta Mussolini pubblicò almeno un articolo. Si veda: Ausonio Semita, Note e Letture. Ancora la questione alba­ nese, «La lotta di classe», 10 giugno 1911. Mussolini ricordò più tardi a De Begnac che Olivetti, talvolta, su «Pagine libere» usava lo pseudonimo di «Au­ sonio Semita», come dire «italico ebreo» (De Begnac, Taccuini..., cit., p. 13). Esiste anche una lettera del 3 novembre 1904 in cui Olivetti raccomandava Mussolini a Ghisleri. Cfr. Willy Gianinazzi, Intellettuali in bilico. «Pagine li­ bere» e i sindacalisti rivoluzionari prima del fascismo, Unicopli, Milano 1996, pp. 144-145.

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erano piaciuti al futuro duce, scrisse senza mezzi termini che si trattava di «una cosa morta». Insomma, non si poteva confon­ dere sindacalismo e idea della razza. Peraltro Olivetti, facendo riferimento alle suggestioni di Sorel, sostenne che il fattore razziale in effetti pesasse sul destino dei popoli; ma poi aggiunse anche che quel fattore veniva tra­ volto dai rapporti sociali e dall’azione del sindacalismo. Come s’è detto, Olivetti non citava espressamente Mussolini, ma s’era reso conto di quanto andava scrivendo, e come lui altri. Tra l’altro Mussolini, seppure fu il personaggio più rilevante in Italia di quella generazione con un profilo intellettuale e un futuro «razzista», certo non fu il solo. Altri due personaggi raz­ zisti importanti in epoca fascista, Paolo Orano e Roberto Fari­ nacci (legato a Leonida Bissolati), seguirono un itinerario politi­ co simile (cioè in origine erano stati socialisti). Un terzo, Gio­ vanni Preziosi, era invece un prete e veniva dal cattolicesimo de­ mocratico. Il periodo che precedette la prima guerra mondiale fu d’incubazione per la futura intellettualità razzista. Poi c’era l’altra socialista Margherita Sarfatti, che alla fine non fu certo una protagonista del razzismo fascista, anzi, fu per­ seguitata come ebrea. Ma negli anni Trenta scrisse testi razzisti, in particolare in riferimento ai neri degli Stati Uniti.143 La Sar­ fatti era stata razzistico-discriminatoria già in alcuni articoli del 1908 e in questo senso potrebbe essere stata una precoce fonte «teorica» di Mussolini, anche se quest’ultimo aveva proceduto di sicuro largamente per proprio conto. Può restare invece il dubbio che la Sarfatti abbia svolto un autentico ruolo di «ispiratrice» o di controcanto, su questi temi - in modo diretto e personale - negli anni seguenti, quando i due si conobbero e collaborarono. E soprattutto fino alla salita al potere. Sono dubbi che oggi non è ancora possibile chiarire. Negli articoli della Sarfatti sul «Popolo d’Italia» di questo pe­ riodo, che sono in larghissima parte di critica d’arte, non risulta però che abbia mai affrontato direttamente temi «razzisti» o che abbia alluso alla «razza italiana» o aH’«italianismo», neanche

143 Urso, Margherita Sarfatti..., cit., pp. 218-227.

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quando scriveva di futurismo144 o simili; e questo proprio men­ tre Mussolini invece sviluppava gli stessi temi con frequenza e continuità. Che tra i due all’epoca ci sia stata qualche forma di osmosi intellettuale su questo punto (razza, razzismo, perfino il tema degli ebrei) è possibile. Ma è anche tutto da dimostrare; piuttosto con lei Mussolini agiva, anche rudemente, come un vero direttore.145 Non c’è dubbio, invece, che poi fosse Musso­ lini e solo lui a esporsi, ad andare avanti e a perfezionare tali questioni. Fu il Mussolini socialista e pre-nazionalista che incominciò a elaborare e a portare a una certa completezza un pensiero fon­ dato sulle divisioni e gli scontri razziali; lui - non il successivo Mussolini nazionalista e guerrafondaio. Ed era un Mussolini pa­ cifista (si batté, anche se forse in maniera un po’ inconsulta,146 contro la guerra di Libia) e seccamente anticolonialista: dure (e peraltro generiche) per esempio le sue requisitorie di questo pe­ riodo (fine 1912-inizio 1913) contro il «colonialista» Gennaro Mondaini (autore del libro sui neri in USA) e contro quella parte dei socialisti riformisti che aveva appena contribuito a espellere dal PSI e che prospettavano qualche «soluzione» coloniale.147 Poi la tematica della razza venne messa in un canto. Ma non 144 Si segnala in particolare Margherita G. Sarfatti, EEsposizionefuturista a Mi­ lano. I. Di alcuni principi generali, PDI, 4 aprile 1919, dove non veniva fatto neanche un cenno alle idee marinettiane sull·«italianismo». 145 In AMGS è conservato un biglietto di Mussolini a Margherita («cara amica») senza data, che lascia intendere come anche con lei il capo del fascismo si comportasse da direttore. E un rifiuto di una poesia da pubblicare (forse su «Ardita»). Ma nello stesso archivio è conservato anche un biglietto con un av­ viso dell’imminente pubblicazione della «vostra nota polemica». Non si sa a quale polemica alludesse. 146 Sulla poca serietà della posizione di Mussolini, cfr. Bozzetti, Mussolini diret­ tore..., cit., pp. 33-34. Invece, per le posizioni colonialiste di alcuni socialisti cfr. R. Michels, Storia critica..., pp. 400-410. Si ricordi che Togliatti nel 1915 discus­ se una tesi di laurea con Achille Loria sul tema: «Il regime fiscale nelle colonie». L’indicazione che il relatore della tesi era Loria si deve a Angelo D’Orsi. Cfr. Bruno Gravagnuolo, Laurea con bugia, «l’Unità», 10 dicembre 2004. 147 Per gli attacchi contro Mondaini si vedano i suoi due interventi sull’«Avanti!» del 18 dicembre 1912 (Ilprimo congresso dei “destri”. O.O., V, p. 25) e del 16 febbraio 1913 (Concretiamo il partito! Risposta a G.M. Serrati. O.O., V, pp. 99-100). Per le tesi procolonialiste di Mondaini (ispirate a Kautsky) si veda il suo Politica coloniale e socialismo, Tipografia ed. Nazionale, Roma 1911.

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del tutto, perché qualche tratto ogni tanto affiorava (s’è vista la recensione a Cumont sull’«Avanti!»). La vita politica di Musso­ lini si svolgeva dentro il Partito socialista, dove faceva carriera e non si permetteva espliciti atteggiamenti antisemiti o razzisti. All’epoca in cui Mussolini era dirigente del PSI aveva già inco­ minciato a circolare in Italia la nozione che nella storia di quel partito esistevano forme di separazione «razziale». Pareto nei Si­ stemi socialisti aveva accennato alle nuove élites, ma senza par­ lare di ebrei; s’è visto quanto invece avevano scritto Michels e Sorel sulla presenza degli ebrei nel Partito socialista (Sorel si era espresso contro di essa). Mussolini s’era già schierato, ma - an­ che se qualche accenno qua e là trapelava evidente - rimaneva molto cauto. Di fronte a un personaggio del genere, e di questa rilevanza, non si può sostenere che il razzismo politico italiano del Nove­ cento abbia avuto origine solo nel nazionalismo, che di solito viene ritenuto il responsabile per antonomasia di questo feno­ meno. O solo nel mondo cattolico, che invece era del tutto as­ sente come orizzonte di riferimento di Mussolini e lo sarebbe ri­ masto per molti anni ancora. Le radici erano molto intricate e affondavano anche nel mondo laico e - nel modo autonomo che s’è detto - nel movimento socialista con le sue diverse sfu­ mature. Anzi, dal momento che il socialismo era strutturato, più di altri movimenti, in un vero partito organizzato, si può sugge­ rire che le spinte antiebraiche che venivano dal suo interno fos­ sero robuste e fornite di respiro. Un leader come Mussolini era cresciuto in una dura scuola politica e l’avrebbe dimostrato: questa era una potenzialità di cui nessun altro «razzista» dispo­ neva come lui. Studi recenti hanno chiarito che posizioni simili a quelle di Mussolini (esistenza delle razze e loro contrapposizione, bontà dell’eugenetica, valore della quantità della popolazione) erano ben presenti, e da tempo, nel socialismo europeo.148 Il solito Bakunin, nella ricordata lettera agli «internazionalisti» di Bolo­ gna del dicembre 1871, aveva attaccato Marx come rappresen­ 148 MacMaster, Racism in Europe, cit., p. 56; sull’impegno «eugenetico» del so­ cialismo europeo: Hawkins, Social Darwinism..., cit., pp. 152-162.

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tante di un «pangermanesimo» che voleva «il dominio della raz­ za tedesca» con una conseguenza «liberticida e mortale per la razza latina e per la razza slava».149 Bakunin non fu un perso­ naggio «minore» per il socialismo italiano: il suo libro, Dio e lo Stato, letto anche da Mussolini, era stato presentato in modo en­ comiastico addirittura dal direttore dell’«Avanti!» Leonida Bis­ solati e da Filippo Turati.150 Quest’ultimo si era riferito senza mezzi termini alla «tuttora misteriosa stirpe “slava”» di Baku­ nin. Interessante, a questo proposito, è che Mussolini abbia fat­ to riferimento alla «stirpe slava» in un momento fondamentale della sua vita politica, e cioè quando in un’intervista, il 10 no­ vembre 1914, annunciò l’uscita del nuovo giornale, «Il Popolo d’Italia». Mussolini parlò proprio del «dissidio Marx-Bakunin, il dissidio tra la mentalità slava e tedesca» (e non ebrea, si noti) che aveva messo in crisi il primo internazionalismo.151 Poi più di recente posizioni eugenetiche erano state quelle di Herbert George Wells (varie volte lungo gli anni citato da Mus­ solini nei suoi scritti), dei Webb, di Bernard Shaw, cioè della scuola fabiana in Gran Bretagna. E se si guarda al socialismo te­ desco, anche li, nella seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento gli interessi «razziali» o social-darwinisti erano sviluppati; sono noti per esempio gli studi e gli interventi di Al­ fred PÌoetz in Germania.152 Mussolini era parte di un socialismo europeo che covava forti credenze e tendenze nazionaliste e che ne vedeva un esito possibile nella valorizzazione del concetto di razza. Lui però al confronto aveva sempre quella prerogativa: di essere un protagonista - in ascesa e poi di vertice - tutto interno all’organizzazione politica socialista. 149 Cfr. Lehning (a cura di), Michel Bakounine et l’Italie 1871-1872..., cit., in particolare p. 106. 150 Da Michele Bakounine, Dio e lo Stato..., cit., p. 11. La prefazione di Turati era tratta dal giornale «La Sperimentale» di Brescia, gennaio-febbraio 1887. 151 Mussolini riconferma la sua avversione alla neutralità. Il nuovo giornale sta per uscire, «Patria. Il Resto del Carlino», 11 novembre 1914. O.O., VI, p. 432. 152 Cfr. in particolare Paul Weindling, Health, race and German politics between unification and Nazism. 1870-1945, Cambridge University Press, Cambridge Ì989, pp. 61-106; Ferrari Zumbini, Le radici del male...., cit., pp. 527-529,548-549.

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La constatazione che fu in ambito socialista che Mussolini si formò un punto di vista razzista aiuta forse a spiegare le enormi resistenze che ci sono state tra gli storici a riconoscere la lonta­ na origine e la vera natura delle sue tendenze e analisi, che risa­ livano a molti anni - anche decenni - prima di quanto è stato fi­ nora prospettato. A proposito di razzismo, su questa fase della formazione culturale e poi della crescita politica mussoliniana, per esempio, Renzo De Felice è stato all’inizio (1961) piuttosto vago:153 sembra però di capire che allora avesse pensato che il giovane Mussolini fosse al massimo approdato, come Todorov ha definito questo tipo di pensiero, a una forma di «razzialismo», cioè alla semplice indagine storico-filosofica della storia umana sub specie razziale. In un secondo tempo, invece, è stato più drastico. Nel 1981 De Felice ha scritto che Mussolini fino agli anni Trenta «non era stato mai razzista e nemmeno antise­ mita».154 E ci si permette di sottolineare quel «mai». A De Felice si è poi allineato uno studioso di grande peso, George Mosse, che su varie questioni ha visto giustissimo ma, sembrerebbe, non su questa, o non del tutto.155 153 Si segnala in particolare la nota 3 di p. 68 della sua Storia..., cit., dove De Felice sembra considerare le posizioni di Mussolini, almeno fino al 1921, non razziste, e in qualche caso «antirazziste». Ma De Felice ha anche scritto: «Mussolini personalmente non aveva - e sostanzialmente non ebbe neppure dopo essere giunto al potere - vere prevenzioni antisémite; gli ebrei in genere non gli erano né particolarmente simpatici né particolarmente antipatici, [...] certo, egli non andava esente da alcuni spunti e pregiudizi antisemiti, questi non erano però in lui determinanti e non andavano oltre quel minimo comu­ ne un po’ a molti uomini della sua generazione e della sua formazione cultu­ rale». Cfr. De Felice, Storia..., cit., pp. 67-72. 154 Renzo De Felice, Mussolini il duce. II. Lo stato totalitario. 1936-1940, Ei­ naudi, Torino 1981, p. 312. 155 Si veda George L. Mosse, German and Jews. The Right, the Left, and the search for a “Third Force” in Pre-Nazi Germany, Fertig, New York 1970, pp. 27-28. Poi cfr. l’ultimo libro di George L. Mosse, The Fascist Revolution. Toward a general Theory of Fascism, Fertig, New York 1999 (si veda la 2a ed., in particolare il capitolo «Racism and Nationalism», pp. 55-68). Ma si veda anche il capitolo «Il nuovo uomo fascista», in Idem, L immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna, Einaudi, Torino 1997, pp. 205237. A p. 215 Mosse scrisse: «Il Nietzsche di Mussolini non era influenzato dal razzismo». Ma si veda anche l’ed. inglese, The Image of Man. The Crea­ tion of Modem Masculinity, Oxford University Press, New York - Oxford 1996, pp. 155-180.

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Quelle tendenze e credenze invece ci furono e crebbero e si alimentarono in un ambiente di sinistra e socialista, seppure spesso Mussolini, per altri versi, fosse in contrapposizione con molti settori del partito. D’altro lato teneva conto di elaborazio­ ni «razziste» che provenivano da altri personaggi del socialismo, come per esempio i sindacalisti. Come in Italia in questa fase operò un «socialismo nazionale» - e Mussolini ne fu a suo mo­ do un esponente - così pure esistette un «socialismo razzista» e di nuovo Mussolini ne fece parte. In questo senso, rispetto a Mosse e De Felice è più significa­ tivo, tutto sommato, quanto ha affermato A. James Gregor, uno storico americano molto sostenuto dalla destra fascista italiana postbellica, e ignorato dal resto della pubblicistica del nostro paese. Lo studioso ha avuto però anche un vantaggio ragguar­ devole: è stato per anni in stretto contatto con Corrado Gini, un intellettuale in qualche misura protagonista, negli anni VentiTrenta, dell’evoluzione dell’idea di razza mussoliniana e fasci­ sta.156 Si noti anche che negli anni Sessanta questo studioso americano ha a sua volta coltivato forti legami col Sudafrica bianco e razzista. Gregor, partendo da un’interpretazione in chiave tutta «na­ zionalista» del fascismo, ha accettato almeno in parte l’evidenza, perché ha scritto157 che (secondo lui dal 1918) Mussolini aveva con regolarità «fatto ricorso a locuzioni» che si riferivano alla «razza». Anche se poi, secondo Gregor, in queste locuzioni il termine «razza» era per lo più un sinonimo di «popolo» e «na­ zione»: si trattava, in altre parole, di una forma di «nuova co­ scienza nazionale», simile a quella espressa dai futuristi e da Marinetti, che è stato considerato proprio in questo senso un ispiratore di Mussolini.158 Si deve invece notare che Mussolini incominciò molto prima del 1918, dieci anni addietro e in anticipo su Marinetti, a parla­ re e a ragionare in termini più o meno sistematici di razza. Di 156 Cfr. il carteggio in ACS, FCG, Corrispondenza, se. 4, £. A. James Gregor. 157 A. James Gregor, The Ideology of Fascism. The Rationale of Totalitarism, The Free Press - Collier Mac Millan, New York - London 1969, pp. 242-252 e 432-435 (ed. it. Borghese, Milano 1974). 158 Gillette, Racial theories..., cit., p. 37.

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Marinetti si conoscono alcune dichiarazioni a sfondo razzista dell’agosto 1913 sulla rivista «Lacerba»:159 il futurismo è nazionalismo antitradizionale che ha per base il vigore inesauribile del sangue italiano.

E subito dopo: Il futurismo, meravigliosa formula del rinascere cosciente delle razze.

Lo stesso anno, a ottobre, in un manifesto politico del futu­ rismo, tra i punti all’ordine del giorno Marinetti mise anche questi:160 Espansionismo coloniale. Liberismo. Irredentismo. Panitalianismo. Primato dell’Italia.

Dove il «panitalianismo»161 era un evidente calco (non meglio spiegato) del termine «pangermanismo». Non risulta che Mussolini avesse avuto rapporti con Mari­ netti prima della guerra; né per lui aveva grande simpatia.162 En­ trambi però - come altri intellettuali che si muovevano su posi­ zioni vicine, si sono visti Boine e Boccioni - facevano riferimen­ to a una comune temperie culturale «trasversale» che si espri­ meva sulle riviste d’avanguardia, alcune delle quali scoprivano il razzismo europeo e se ne inventavano uno italiano. Mussolini ne era una punta avanzata perché ne scrisse molto per tempo e 159 Filippo Tommaso Marinetti, Lettera aperta al futurista Mac Delmarle, «La­ cerba», 15 agosto 1913. Riportato anche in Archivi del futurismo, cit., p. 26. Per la prima frase, vedi anche Gentile, Il futurismo e la politica..., cit., p. 111. 160 Marinetti più tardi riprese questo testo indicandolo come fondativtJ della dottrina fascista. Si veda Filippo Tommaso Marinetti, Futurismo e fascismo, in La civiltà fascista illustrata nelle dottrine e nelle opere, per cura di Giuseppe Luigi Pomba, Utet, Torino 1928, p. 173. La prefazione di Mussolini a questo volume aveva la data 17 dicembre 1927. 161 Di «panitalianismo» si parlava pure in un manifesto scritto 1Ί1 ottobre 1911 in occasione della presa di Tripoli. Ma esso fu pubblicato solo nel 1929. Cfr. Archivi delfuturismo, cit., p. 32. 162 «Il futurismo è a terra. E finito. Lo ha ucciso Marinetti». Così una sua let­ tera a Leda Rafanelli dell’aprile 1913 (O.O., XXXVIII, pp. 30-31).

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perché faceva carriera all’interno di un grande partito politico, quello socialista. Un punto di passaggio centrale per lui, a proposito di razza, erano state le dichiarazioni del razzismo classico europeo (Chamberlain, Gobineau eccetera), che s’ispiravano a princìpi biologici, intrecciati con quelli «spirituali». Forse fu precoce, ma che si fosse ispirato a idee razziste non è strano. In effetti le pubblicazioni sui temi della razza in quel pe­ riodo furono diverse e di tipo anche divulgativo. Un libro che in maniera non elementare illustrò l’esistenza di una «stirpe italica» fu quello, intitolato proprio Stirpe italica, scritto da Piero Giacosa e pubblicato dalla casa editrice Treves nel 1918 (tra parentesi, vi si parlava anche di razze «superiori» e «infe­ riori»).163 C’erano poi i testi di Giuseppe Sergi, antropologo e famoso sostenitore - peraltro non discriminatorio-razzista della forza di una vera e propria razza «mediterranea» rispet­ to a quella del Nord.164 Eppure questi libri e autori non risultano mai citati negli scritti conosciuti di Mussolini, anche degli anni e decenni suc­ cessivi; e ciò è tanto più rilevante rispetto alla conoscenza e al­ l’apprezzamento che aveva dimostrato verso Chamberlain e in parte verso Gobineau. Il fatto che Mussolini non abbia letto o citato libri del genere per contrasto può confermare come egli fosse se non altro indifferente, ma più probabilmente avverso, all’idea dell’esistenza di una «razza mediterranea» pura e sem­ plice su cui personaggi come Giacosa e Sergi insistevano; e fos­ se invece incline a credere (e già allora) all’esistenza di un ceppo mediterraneo di una razza ariana. E comunque era sempre inte­ ressato agli esiti politici di quelle elaborazioni. Il «razzismo» mussoliniano procedette dunque di pari passo con il suo antisemitismo, all’inizio piuttosto elementare, ma poi 163 Piero Giacosa, Stirpe italica, Treves, Milano 1918. La prefazione era datata agosto 1918; per le razze «superiori» e «inferiori» si veda per esempio p. 258. 164 Cfr. Sandra Puccini, Lantropologia a Roma tra Giuseppe e Sergio Sergi, «Ri­ vista di antropologia», 71 (1993), f. 2, in particolare pp. 233-235; si veda come nel 1893 il programma della Società romana di antropologia fondata da Sergi parlasse di «popoli» e non di «razze»; vedi anche Gillette, Racial theories..., cit., pp. 24-32.

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molto «arricchito». Quelle antiebraiche erano posizioni che Mussolini aveva articolato per tempo, in anticipo rispetto a quelle sulla «razza». Diversi indizi lasciano pensare che l’antiebraismo precedette o forse fu addirittura promotore delle acqui­ sizioni «razziste» vere e proprie. E ciò aveva un senso, in una vi­ sione italiana ed «eurocentrica» che, materialmente, di «razze» diverse dalla propria a disposizione aveva solo l’«ebrea» (e un poco, al massimo, quella «germanica»). In lui si manifestò da subito (1908), accanto all’idea dell’esi­ stenza delle razze, un principio che ne definiva la qualità seletti­ va; e un principio preclusivo - anche se all’inizio non dispiega­ to per intero - nei confronti almeno della «razza» ebrea. Ciò non aveva nulla a che fare con un’accezione puramente nazio­ nalistica del termine «razza». Poi si era sovrapposto uno «stu­ dio» un po’ più ravvicinato del razzismo intellettuale che aveva esaltato la razza nordica o tedesca; quello che veniva definito il pangermanesimo razzista. Anche questa fase non aveva avuto nulla a che fare con il nazionalismo vero e proprio. Risulta quindi anche abbastanza chiaro come la grande guer­ ra sia stata un punto di passaggio e di evoluzione nella formazio­ ne razzista di Mussolini, ma non fondamentale né tanto meno di avvio. È anche comprensibile però - e in questo ha ragione Gre­ gor - che durante quel periodo Mussolini facesse un uso diver­ so del termine «razza», con sfumature più nazionaliste, in so­ stanza «post-risorgimentali». D’altra parte la grande guerra, per quanto riguarda la razza, gli fece pure mettere a fuoco, per poi fargliele utilizzare strumentalmente, teorie che lui stesso aveva affrontato in precedenza. La parte «fisica» della questione raz­ ziale (il miglioramento della razza) peraltro restò un elemento permanente e primario nelle sue concezioni. Mussolini si era già occupato varie volte di razze «non bian­ che». Dopo la guerra di Libia ad esempio aveva pubblicato pez­ zi sugli arabi, che erano stati attaccati dagli italiani di Giolitti durante la guerra del 1911: «Poveri straccioni, noi socialisti vi amiamo!», aveva declamato «La lotta di classe» e forse lui stes­ so nel novembre 1912.165 165 Gli Arabi, «La lotta di classe», 30 novembre 1912.

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Tornò sull’argomento nel febbraio 1914 su «Utopia» - Mus­ solini era sempre socialista - in una recensione a un libro di Charles Dumas sull’Algeria e le colonie francesi in Africa.166 In quell’occasione dedicò una paginetta anche alla «razza araba» e alle sue relazioni con quella bianca e riprese i termini della vec­ chia questione «sul diritto delle cosiddette civiltà superiori di imporsi alle inferiori». Commentando: A La polemica Bovio-Ghisleri ha lasciato insoluto il problema.

Citava dunque proprio il dibattito Ghisleri-Bovio, che dun­ que dimostrava di conoscere. Già a proposito di Xénopol era stato incerto. Ora affermava chiaramente che non prendeva una posizione precisa. Però non si schierava accanto a Ghisleri per negare resistenza di razze «superiori» e «inferiori». In verità, a ben guardare Mussolini allora prese posizione. La polemica Bovio-Ghisleri non avrebbe risolto tanto la questione della gerarchia delle razze, quanto avrebbe lasciato aperto il problema a proposito del diritto delle civiltà superiori di «im­ porsi» su quelle inferiori. Il cuore del ragionamento di Mussoli­ ni in questo caso fu che però la civiltà araba era indubbiamente diversa e, in un certo senso, possiamo anche ammette­ re, inferiore.

Detto questo, se la «razza araba» era incapace di «assimilare» altre civiltà,167 e in particolare quella occidentale (e perciò non era una gran razza), era però in grado almeno di «adattarsi»: la maggior parte degli indigeni del Nord sono biondi, dalla carnagione

166 Benito Mussolini, Il regime coloniale in Algeria, «Utopia», 15-28 febbraio 1914, in particolare pp. 87-89.1 corsivi sono di Mussolini. 167 Di parere diverso era Piero Calamandrei. Si veda il suo "Visetti bruni e Vesti bianche, «Giornalino della Domenica», 13 febbraio 1913, citato in Franco, Co­ lonialismo per ragazzi..., cit., pp. 140-141. Calamandrei scrisse che le popola­ zioni del Nord Africa erano «una razza in decadenza», ma sensibile all’antica civiltà, tanto che le «antiche vestigia romane [...] fanno fermare il cavaliere be­ duino e lo rendono pensoso di un’antica potenza».

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rosea e dagli occhi azzurri [...] dolicocefali esattamente rassomiglianti alla razza nordica,

e quindi non pericolosi per gli europei. Erano insomma i soliti mediterranei di razza ariana. Qualcosa di simile lo aveva già scritto anche El Sereno-Margherita Sarfatti suU’«Avanti!» nel 1908. Nessun pericolo veniva da quel lato. La differenza era no­ tevole rispetto ai pericolosi ebrei-semiti di cui andava parlando Mussolini. Il pensiero che la «capacità di assimilazione» costituisse la vera forza di una razza era filtrato attraverso Chamberlain, e a quel punto era diventato ben saldo nei suoi scritti. Si parlava, come nel 1909, di un’«assimilazione» culturale: in altre parole, della capacità di assorbire conoscenze e modi di una civiltà da parte di un’altra. Ciò che colpisce di più nel saggio è però la difficoltà di Musso­ lini a schierare tutto sé stesso a favore della gerarchia delle razze. Anche se in sostanza credeva all’esistenza delle razze superiori e inferiori - e lo lasciava capire, quell’«inferiore» riferito all’araba era chiaro - non si avvicinava alle estreme conseguenze. Si ferma­ va prima di qualsiasi netta affermazione razzial-imperialista. Può darsi che fosse una conseguenza della formazione socialista, an­ che se a base «razzista». Per esempio anche Jabotinski, che co­ me sappiamo era stato allievo di Enrico Ferri, e ragionava in ter­ mini di differenza tra «razze», rifiutava come Mussolini la defi­ nizione di «razze superiori» e «inferiori», però poi, per quanto riguardava il «senso di sé, l’individualità, i valori», inseriva gli ebrei tra quelle «superiori».168 E poi Mussolini non si accostava mai al «razzismo coloniale», che era già in atto, ma di cui non mo­ strava di conoscere nulla. Nel primo Mussolini e per molti anni, la questione d’Africa, lo scontro tra razze e civiltà sul e del conti­ nente nero fu tema pressoché inesistente. Se talvolta affiorava, veniva trasformato e manipolato sulla base degli astratti e som-

168 Shimom, The Zionist Ideology, cit., pp. 240-241. Shimom cita da un feuille­ ton di Jabotinski che riporta un immaginario dibattito con un antisemita (Scambio di complimenti, 1911). Jabotinsky, Dialogo sulla razza, cit., in parti­ colare pp. 161-162.

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mari schemi del razzismo «antropologico» e «scientifico» che il giovane forlivese aveva assimilato, in pratica con soli riferimenti interni alle «razze» europee. L’interesse principale rimaneva ri­ volto all’Italia e all’Europa. Intanto si avvicinava la guerra e Mussolini lasciava il partito, an­ che se continuò a lungo a dirsi socialista. Incominciò allora a par­ lare in modo netto e intenso di nazione, come avevano fatto i pan­ germanisti ora nemici. Non era un rivolgimento completo, ma in­ tanto la «classe» si integrava nella nazione perché questa era com­ posta di «stirpi». Il direttore del nuovissimo giornale «Il Popolo d’Italia» lo disse in una conferenza a Genova alla fine del 1914:169 La classe è una collettività di interessi, ma la nazione è una storia di sentimenti, di tradizioni, di lingua, di cultura, di stirpi. Voi potete in­ nestare la classe sulla nazione, ma l’una non elide l’altra.

Parlava ancora di «stirpi» al plurale, dunque. Poi metteva a fuoco i problemi delle minoranze. Per il dopo­ guerra si prospettavano possibili spostamenti di confini e nuove relazioni, in Italia, con le minoranze presenti sul suo territorio. Mussolini in questo caso ci mise un po’ a trovare una strada, perché all’inizio era ostile all’idea di «assorbire» delle minoran­ ze non italiane. In questo senso si espresse ancora nel gennaio 1915»170 a pro­ posito del Sudtirolo, perché - sosteneva - bisognava evitare di accogliere nello stato italiano, portando il confine al Brennero, 100.000 tedeschi. Però nello stesso articolo appariva più possi­ bilista riguardo a Trieste, dove si diceva favorevole all’«assorbimento» di 100.000 slavi. Ma di nuovo, per la Dalmazia, era in­ vece fermo all’idea di lasciare una forte minoranza italiana in territorio serbo. Come nel 1908, Mussolini non sembrava (o non ancora) far riferimento a una qualche idea precisa di com­ pattezza e unitarietà «italiana». Piuttosto c’era un motivo di op­ portunità: le nuove minoranze sarebbero state fonte di proble­ 169 La conferenza fu tenuta all’Università Popolare il 28 dicembre 1914. O.O., VII, p. 101. 170 Dalla cronaca di un discorso tenuto a Milano. Si veda PDI, 25 gennaio 1915 (Ο.ο.,νπ, p. 148).

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mi, come Mussolini ben sapeva di persona, e questi ultimi era meglio evitarli, senza prendere una posizione univoca sulla que­ stione dell’assimilazione.

Guerra e demografia Con la preparazione della guerra e la guerra vera e propria, Mussolini lasciò l’«Avanti!» e passò nel campo degli interventi­ sti. Divenne quindi a sua volta una sorta di simbolo. A questo proposito è anzi piuttosto interessante cogliere una citazione di un suo testo, fatta proprio in questo periodo, in un libro france­ se sul socialismo e il pangermanesimo.171 La frase di un transfu­ ga dal socialismo come Mussolini fu richiamata da un esaltatore del socialismo nazionale, Edmond Laskine, quale esempio del modo in cui la Seconda Internazionale socialista si stava modifi­ cando per via «naturale», con esiti popolar-nazionalisti; la frase di Mussolini era questa: L’Internazionale è morta perché, oggi, di Internazionali ce ne sono al­ meno due. Quella dei popoli che aggredirono, quella dei popoli che si difendono.

Ma si veda anche l’evoluzione mussoliniana proprio sul tema del «pangermanesimo». Con la guerra che si avvicinava, il «pan­ germanesimo» era divenuto la bestia nera intellettuale di molti interventisti italiani e continuò a esserlo fino alla cessazione del conflitto (e per alcuni, anche dopo). Almeno in parte, si trattava di effetti della propaganda proveniente dalla Francia, dove il pensiero «anti-pangermanista» era stato elaborato in maniera più complessa;172 s’è visto, in fondo, il caso di Seillière. Altri po171 Mussolini, Per la storia del socialismo italiano. Dedicato ai comizianti locali, 1° maggio 1915 (O.O., VII, p. 363). Citato da Edmond Laskine, ldlnternationale et le Pangermanisme, H. Flory, Paris 1916, p. 447. Il libro fu poi re­ censito in maniera entusiasta in R. Boga Raiteri, «LInternationale et te Pan­ germanisme», PDI, 27 agosto 1916. 172 Si veda in particolare Ch[arles] Andler, II Pangermanesimo. Suoi disegni d’espansione nel mondo, Librairie Armand Colin, Paris 1915 (sul pangerma­ nesimo teorico, pp. 55-65). Pubblicato in Francia, fu tradotto in varie lingue PDI,

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lemisti invece tornavano ad attaccare il pangermanesimo, asso­ ciando nelle accuse (e anche in quelle di razzismo) la socialde­ mocrazia tedesca e perfino, su ispirazione bakuniniana, i capo­ scuola «tedeschi» Marx ed Engels.173 A questa forte pressione Mussolini, che a suo modo conosce­ va l’argomento soprattutto attraverso Seillière, reagì in maniera equilibrata. Abbiamo visto ancora nel 1913 i suoi interventi ispi­ rati dai «pangermanisti» e soprattutto da Chamberlain, e sull’«Avanti!». Anche in seguito evitò con cura e in modo mani­ festo di parlare male del pangermanesimo teorico razzista. Sem­ pre sull’«Avanti!» (in quel momento assai filo-tedesco) nell’ago­ sto 1914 scrisse:174 Noi abbiamo sempre distinto la razza tedesca dall’organizzazione mi­ litare dell’Impero tedesco. La razza tedesca ha recato il suo contribu­ to di opere immortali al patrimonio dello spirito umano.

Era tesi cara proprio ai pangermanisti. In altre parole, Mus­ solini aveva ben distinto il militarismo tedesco dal pangermane­ simo razzista vero e proprio. Poi Mussolini lasciò il Partito socialista e spiegò le vele verso l’interventismo. Nella sua nuova veste, e con quell’opportuni­ smo che gli si vedrà ancora in seguito, tornò a fare i conti con il «pangermanesimo», a cui presto dedicò un articolo sul suo nuo­ vo giornale, il «Popolo d’Italia».175 Questa volta, alla vigilia del­ la guerra (febbraio 1915), si trattò di un articolo polemico schie­ rato contro il pangermanesimo bellicista, che si era andato a in­ frangere contro le trincee francesi. L’Italia era in guerra con gli imperi centrali e il «tedesco» era il nemico. dalla stessa casa editrice francese. Ma cfr. anche Ventrone, La seduzione tota­ litaria..., cit., p. 116. 173 Si veda in particolare, per l’avversione dei pangermanisti marxisti verso gli altri «popoli» europei (slavi, italiani, francesi), Edmond Laskine, I socialisti del Kaiser (la fine d’una menzogna), Sonzogno, Milano s.d. (ma 19Ì6), pp. 87-98. Prefazione e traduzione erano di Massimo Rocca (con lo pseudonimo di «Li­ bero Tancredi»). 174 In tema di neutralità. Al nostro posto!, «Avanti!», 16 agosto 1914 (O.O., VI, p.332). 175 Mussolini, Il crepuscolo della Germania, PDI, 16 febbraio 1915 (0.0., VII, pp. 202-204, in particolare p. 203).

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Nell’occasione, Mussolini attaccò gli scritti di Maximilian Harden, direttore di una vivace rivista tedesca, «Die Zukunft». In particolare si riferì alle dichiarazioni di Harden sulla «supe­ riorità della razza germanica destinata a redimere il mondo». Più in generale aggiunse: Durante un secolo il tedesco è stato avvelenato dalla continua apologia della razza bionda, unica creatrice e propagatrice della Kultur in una Europa giunta al tramonto.

Quindi questa volta aggredì anche ciò di cui finora si era oc­ cupato solo con lieve ironia, la «continua apologia» della bion­ da razza. L’intervento si appaia alla perfezione a quello che fece nello stesso periodo, e cioè nel febbraio 1915, il suo amico Tor­ quato Nanni, all’interno della prima biografia di Mussolini usci­ ta in quegli stessi giorni, e certo non a caso. Nell’opuscolo, pub­ blicato dalle edizioni della «Voce», si parlava anche del delicato capitolo sul pangermanesimo del libro sul Trentino. Lo stesso pangermanesimo razzista, e in particolare Chamberlain, proprio in quei giorni era oggetto, tra l’altro, di una dura polemica sul nazionalista «Giornale d’Italia»,176 in particolare da parte di Ar­ turo Labriola: anche quest’ultimo però, dopo aver attaccato l’imperialismo razzista, aveva espresso ammirazione per l’«idea insieme originale e fecondissima» di Chamberlain, che «induce la razza alla consapevolezza dello appartenervi e al sentimento del dovere che ispira». Nanni scrisse senza mezzi termini che Mussolini in quel testo aveva additato il pangermanesimo come il movimento che aveva preparato i piani «che dovranno condurre la “eletta razza bion­ da” alla sua assoluta supremazia, specialmente in Europa». Co­ 176 La polemica fu avviata da una conferenza di Arturo Labriola (non reperi­ ta), a cui rispose Julius Beloch (9 febbraio); seguirono alcune repliche di La­ briola (11 e 13 febbraio, da quest’ultima la citazione) e poi (il 14) una messa a punto di Croce contro Woltmann. Quest’ultima ristampata in Benedetto Croce, Pagine sparse, v. I. Letteratura e cultura, 2a ed., Laterza, Bari 1960, pp. 405-406. Croce intervenne contro Woltmann e Chamberlain anche qual­ che mese dopo, in Postille. Studi e politica, «La critica», 20 gennaio 1916, p. 76 (poi in Benedetto Croce, Pagine sulla guerra, 2“ ed., Laterza, Bari 1928, vedi p. 75).

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me sappiamo, non era affatto così. Probabilmente si trattava in­ vece, dopo che il capo socialista si era schierato contro la Ger­ mania, di far dimenticare la passata condiscendenza.177 Ormai il direttore del «Popolo d’Italia» si situava dall’altra parte della barricata; in quella situazione bisognava cancellare rapidamente i precedenti imbarazzanti. Mussolini stava dunque un po’ mascherando i suoi scritti precedenti. Bisogna però aggiungere che, malgrado queste dif­ ficoltà oggettive, neanche in quest’occasione (e neppure nei mesi immediatamente successivi) Mussolini se la prese a fondo con il razzismo pangermanista.178 Altri lo fecero, ma non lui. E infatti, malgrado l’attacco che s’è visto, anche in questo scritto si può intrawedere uno spiraglio positivo: Il sogno che aveva ubbriacato [rzc] un popolo intero è finito e con es­ so è dileguato l’incubo che opprimeva noi, uomini nati e vissuti sulle rive del mediterraneo luminoso. E il sogno durava da un secolo. Per ciò era divenuto coscienza e volontà nazionale.

È una frase piuttosto ambigua: Mussolini considera il «pangermanesimo» razzista un «incubo» per i mediterranei; ma esso è stato allo stesso tempo anche un «sogno», quindi positivo, per i tedeschi. L’attacco ad Harden, in questo contesto, era singolare. Har­ den era di origine ebraica (ma non era sionista) ed è possibile che Mussolini lo sapesse.179 Tuttavia Harden aveva anche pub­ blicato sia scritti di Houston Chamberlain sia articoli in sua di­ 177 Torquato Nanni, Benito Mussolini, Libreria della Voce, Firenze 1915, p. 14 (l’opuscolo uscì poco prima del 27 febbraio 1915). 178 Per alcuni strali contro il razzismo pangermanista, si veda: Bruno Amante, Per l’assetto federativo delle nazioni latine. Arminio e Germanico, Pangermanesimo e Panlatinismo, Colitti, Campobasso 1917, in particolare pp. 52-53 (accuse contro il razzismo di Bismarck); P. Immanuel, Pangermanesimo e giu­ daismo, Fracchia, Milano 1917; la descrizione ironica («roba da clinica psi­ chiatrica!») in Ariel (F. Steno), Ilgermanesimo senza maschera, Treves, Milano 1917, pp. 33-36; il piuttosto violento A. Agresti, Questioni di razza ed albagia tedesca, «Tribuna», 23 novembre 1917. 179 De Begnac ha sostenuto che Mussolini l’avesse conosciuto di persona. Cfr. De Begnac, La vita di Mussolini, I..., cit., pp. 275-276. Ma il duce smentì a Pi­ ni (Filo diretto..., cit., p. 179).

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fesa180 e inoltre era un ebreo tedesco che credeva ferreamente nella possibile completa «assimilazione» del suo popolo alla Germania. Non si sa quindi se in quel riferimento di Mussolini all’esaltazione della «razza bionda» compiuta da Harden ci fos­ se anche della mirata ironia; o magari un non tanto nascosto ma perfido riferimento al solito nemico ebreo identificato con il te­ desco, e capo politico o ideologico. Se questo articolo dimostra ancora una volta qualcosa, è che le teorie «razziali» per Mussolini non erano state un’infa­ tuazione temporanea. La contrapposizione tra la razza ger­ manica e quella mediterranea tornava anche nei discorsi sulla guerra. Il pangermanesimo era stato un «incubo» (per gli ita­ liani), ma anche un «sogno» (per i tedeschi). Mussolini guar­ dava con una punta di invidia a quella capacità tedesca di sa­ per creare una «coscienza e volontà nazionale» che era man­ cata in Italia. A conferma, si può aggiungere che a luglio,181 a guerra scoppiata, e proprio citando il razzista Chamberlain, Mussolini ribadì il valore di quel movimento, che era «diven­ tato una fede religiosa professata da quasi tutta la popolazio­ ne, compresi i socialisti». Esaltava il nemico per spronare le proprie schiere. E a proposito di Chamberlain e della sua idea di una razza che si modificava nel tempo e nello spazio,182 si veda un altro ar­ ticolo. Un anno dopo, dicembre 1916, Mussolini affrontò la te­ matica del passaggio all’Italia del Tirolo meridionale e di come in quella regione la situazione avrebbe potuto evolvere nel do­ poguerra. Ritornò al noto concetto di «assimilazione» riscontra180 Field, Evangelist of race..., cit., pp. 227, 485. Per vari dettagli biografici e per un paio di lettere di raccomandazione di Chamberlain ad Harden, cfr. Harry F. Young, Maximilan Harden Censor Germaniae. The critic in opposition from Eismarck to the rise of nazism, Martinus Nijhoff, The Hague 1959, p. 129. 181 Mussolini, Chil’ha voluto!, PDI, 5 luglio 1915 (O.O., Vili, pp. 58-61, in par­ ticolare p. 58). 182 A dimostrazione di quanto Mussolini avesse presente le idee di Chamber­ lain, si veda come ne riprese la terminologia, en passant. Scrisse: «Il concetto di “borghesia” - come quelli ad esempio di razza, umanità ecc. - non è rigido, fisso, riconoscibile, identificabile in ogni tempo e in ogni luogo. Non è una ve­ rità geometrica, ma una verità ambientale». Cfr. Mussolini, Popolo e borghesia, PDI, 12 luglio 1915 (O.O., Vili, p. 71).

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to proprio nel razzista inglese,183 e che ormai - come altri, del resto - usava in modo disinvolto.184 Questa volta, alla fine del 1916, a differenza dell’anno prima, l’idea di partenza era che in una futura sistemazione della zona trentina, dopo la vittoria italiana, molti «tedeschi» sarebbero ri­ masti nel nostro territorio, perché i confini sarebbero arrivati al Brennero. A quel punto gli italiani avrebbero potuto e dovuto, in tempi più o meno lunghi, «assimilarli»: il termine usato era proprio e ancora quello. Gli italiani, diceva Mussolini, avrebbero seguito una politica precisa: per evitare un irredentismo tedesco bisogna patrocinare una politica di libertà e non di costrizione, massime in ciò che riguarda la politica scola­ stica. L’Italia non vuole italianizzare, alla guisa prussiana. La nostra razza è un’assimilatrice formidabile. Infatti, quattro secoli addietro Trento era per la metà tedesca, oggi è assolutamente italiana. L’elemento italiano va spingendosi verso il nord. Una politica saggia aiuterà questa specie di «lento moto», per cui, a poco a poco i popoli tendono a trovare un equi­ librio sempre meno instabile e un aspetto sempre più duraturo.

Ora a costruire una «razza», la «nostra razza», sarebbero sta­ ti gli «italiani», adesso classificati tra le razze privilegiate, capa­ ci di «assimilare». E soprattutto, la «nostra razza» era separata da quella tedesca. 183 Da un colloquio con il suo redattore Giuseppe De Falco (pseudonimo, «Le Réfractaire»), pubblicato sul PDI il 20 dicembre 1916 (Le condizioni per la pace. O.O., Vili, p. 251). 184 Cfr. anche M., Le formule e la guerra, PDI, 18 luglio 1917 (O.O., IX, pp. 5960). Nello stesso periodo (marzo 1916) il sionista Alfonso Pacifici faceva rife­ rimento aH’«assimilazione» degli ebrei da parte dello stato italiano, negando che le leggi emancipative occidentali avessero avuto come scopo proprio l’«assimilazione completa». Alfonso Pacifici, La questione nazionale ebraica e la guerra europea, ed. a cura del Comitato fiorentino “Pro Ebrei oppressi”, s.e., Firenze 1917 (si trattava di una lezione tenuta all’Università Popolare di Fi­ renze il 21 marzo 1916). Ma nella relazione del ministro Di San Giuliano per la presentazione del disegno di legge sull’ordinamento della Colonia Eritrea (24 gennaio 1911), parlando della mancata applicazione dei codici eritrei si diceva che si sarebbe attesa «l’assimilazione più completa dell’elemento indigeno per mezzo specialmente della nostra lingua, alla civiltà ed ai costumi europei» (Sagù, Sui tentativi..., cit., p. 588). Si trattava di un uso diverso del termine.

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Ma assimilazione voleva dire «italianizzazione», anche se rea­ lizzata con un «lento moto» e con una «politica saggia», senza «costrizione». Rispetto al 1909 e perfino rispetto al febbraio 1914 - lo scritto sull’Algeria - il termine «assimilazione» aveva cambiato significato. Da quello, in fondo passivo, di «appren­ dere conoscenze» era passato a quello di «inglobamento» degli altri popoli, e ora prevedeva perfino la possibile lenta cancella­ zione delle tracce culturali e antropologiche delle civiltà o razze così assimilate.185 Verosimilmente anche attraverso matrimoni e incroci. Era un altro bel salto concettuale. Oggi quelle frasi possono sembrare strane e perfino violente. Ma Mussolini all’epoca non era neppure il peggiore estremista. C’era qualcuno più radicale di lui. A proposito dei rapporti tra italiani e «tedeschi» in quello che sarebbe diventato l’Alto Adi­ ge erano affiorate affermazioni ben più drastiche. Nel dicembre 1914, in un opuscolo sui «confini della Patria», il pubblicista e agitatore Adriano Colocci aveva espresso l’idea che i tedeschi, in base al puro «diritto di nazionalità», potessero essere espulsi e, nel caso, deportati.186 Pochi mesi dopo alle stesse conclusioni arrivò il più noto «italianizzatore» del Sudtirolo, Ettore Tolomei, anche se questi aveva un’idea nella sostanza più vicina a quella di Mussolini: che i tedeschi andavano prima di tutto «as­ similati» dal punto di vista culturale. Per la discussione sui temi della razza in quello stesso perio­ do, basta pensare all’intervento che fece il giovane Gramsci nel marzo 1917 sull’edizione piemontese dell’«Avanti!». A un ebreo, Cesare Foà, che l’aveva rampognato per una sua presa di posizione contro una pubblicazione nazionalista, «Riscossa ita­ lica», Gramsci aveva risposto in modo molto rude ma anche molto significativo:187 185 Si veda P., Italiani e slavi, PDI, 12 agosto 1917. L’introduzione anonima, qua­ si di certo di Mussolini, sosteneva che l’autore dell’articolo «conosce la questio­ ne». Vi si sosteneva, facendo l’esempio del Brasile, che i popoli immigrati, anche di grande consistenza numerica, andavano «assorbiti» dagli «indigeni». 186 Si veda Maurizio Visintin, «Direttive Gagliardamente Italiane». Lettere di Ettore Tolomei ad Adriano Colocci (1911-1931), «Archivio Trentino», 1998, f. 1, pp. 85-86. 187 Stenterello risponde, «Avanti!», 14 marzo 1917, rist. in A. Gramsci, Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino 19723 (1‘ ed. 1958), pp. 97-98. Anche in

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Quando si parla di riscossa italica si pone implicitamente una que­ stione di stirpe, di sangue. Noi siamo tutt’altro che antisemiti. Car­ lo Marx era semita: molti nostri compagni, e fra essi alcuni dei più attivi ed intelligenti, sono semiti. Ma il socialismo ha superato la questione delle razze e dei sangui. Invece: italico ha un valore es­ senzialmente di razza. Italico è persino diverso da italiano. Italici erano i romani, gli osci, gli umbri, e non lo erano invece i liguri, i celti dell’Italia settentrionale, ecc., ciò che adesso non impedisce a tutti quelli che parlano italiano, e hanno affetti, volontà, sentimenti che si realizzano specificamente in Italia, di chiamarsi italiani. Ciò non impedisce anche ai semiti che lo vogliano di chiamarsi e sentir­ si italiani. Ma questa italianità è sostanziata di elementi ben diversi dal sangue e dalla stirpe. [...] Ora, la guerra europea, almeno in Ita­ lia, ha portato a questa curiosissima incongruenza: a parlare di virtù della stirpe italica, con maggiore sazievolezza, sono un paio di doz­ zine di semiti. E serio e intelligente ciò? [...] Nell’esercito di Mario, il vincitore dei Cimbri e dei Teutoni, non vi erano semiti: i semiti, tutt’al più, seguivano le legioni romane per offrire a buon prezzo, ai centurioni stanchi di strage, qualche bianca fanciulla dell’Arcipela­ go, o profumi e oli del Libano.

Nella «Riscossa italica», espressione della Lega d’azione anti­ tedesca di Torino, in effetti alcuni interventi avevano un preciso contenuto razzistico-discriminatorio di tipo «carducciano».188 Non si è al corrente delle cognizioni che Gramsci aveva in pro­ posito; né i nomi degli altri ebrei a cui alludeva e che si ritene­ vano di «stirpe» italica (però la Sarfatti sull’«Avanti!» anni pri­ ma aveva sostenuto qualcosa del genere citando Gobineau). Ma per lo meno l’articolo di Gramsci ci dice con notevole precisio­ ne quanto fosse radicata in questo periodo, in ambienti di sini­ stra, la consapevolezza che si stesse parlando di «razza» in senAA.VV., Il marxismo e la questione ebraica, cit., pp. 737-738. Quanto a «Ri­ scossa italica», si trattava del numero (quasi di certo unico) del marzo 1917. Gramsci riprese la questione nella rubrica «Sotto la mole» dell’«Avanti!» (3 aprile 1917), osservando che gli ebrei in altri paesi avevano mantenuto la loro «dignità di stirpe» (Antonio Gramsci, Sotto la mole (1916-1920), Einaudi, To­ rino 19712,p.3O5). 188 Si veda l’articolo anonimo Latin sangue gentile contro ilfuror teutonico, «Ri­ scossa italica», marzo 1917, che conteneva varie citazioni di «stirpi», «razze» e di passi in sintonia con questi temi, tratti da Carducci.

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so genetico. E che ci fosse una contrapposizione tra quel razzi­ smo e il socialismo ufficiale. Nei mesi successivi Mussolini, come anche a proposito degli ebrei, sulla questione della «razza» sfumò. Per tornarci sopra, invece, nei giorni di Caporetto. Fu anzi il momento in cui il suo pathos «razziale» divenne più accentuato.189 «Il dolore ci per­ cuote, ma non ci abbatte. Ci forgia. Qui si rileva la nobiltà della nostra stirpe», scrisse il 2 novembre 1917; dieci giorni dopo: «La razza, che ha dato gli uomini per trenta mesi della nostra terribile guerra, ne darà ancora». E da allora in poi, per un bel po’, come s’è detto, il nemico rimase la «razza tedesca»,190 la «razza» contro cui l’Italia combatteva. Addirittura, in quei gior­ ni arrivò ad attaccare, ma senza citarlo, Chamberlain, uno dei «teorici folli del pangermanesimo», come scrisse, che avrebbe voluto trasformare in tedeschi tutti i nostri geni.191 Se non si sbaglia, fu l’unica volta che lo fece. L’ex direttore dell’«Avanti!» si spinse molto lontano in dire­ zione «antigermanica» e arrivò al punto, dopo Caporetto, di scatenare una violenta campagna stampa contro i «tedeschi», soprattutto quelli che vivevano in Italia. E stava parlando di te­ deschi «di razza» dal punto di vista (grosso modo) «genetico»: come quel tale «Sigismund, tedesco di razza, naturalizzato ita­ liano, ma tedesco autentico dalla punta dei capelli alla radice dei piedi» (così scrisse), processato e condannato da un tribu­ nale nel dicembre 1917, dopo Caporetto,192 e che gli diede lo spunto per chiedere la revisione («radicale») delle naturalizza­ zioni. Sul suo giornale Mussolini andò tanto avanti su questa que­ stione che giunse al punto di domandare per i tedeschi l’intro­ 189 M., Sofferta, PDI, 2 novembre 1917 (O.O., X, p. 15) e M., No« dimenti­ chiamo!, PDI, 12 novembre 1917 (O.O., X, p. 47). 190 Da Herbert G. Wells e dal suo volume La guerra su tre fronti riprese invece il consiglio di «sfruttare le qualità della razza latina e anglosassone», contro quella tedesca, in funzione della guerra (discorso pronunciato a Bologna il 19 maggio 1918 e pubblicato su PDI il 24 maggio 1918. O.O., XI, p. 81). Quel ri­ ferimento alla «razza latina» è piuttosto raro in Mussolini (Ventrone, La sedu­ zione totalitaria..., cit., p. 152). 191 M., Il “bramito” del “boche”, PDI, 3 dicembre 1917 (0.0., X, p. 108). 192 M., Zona di guerra!, PDI, 8 dicembre 1917 (O.O., X, p. 125).

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duzione di un internamento duro e persecutorio (filo spinato, sentinelle, campi lontani dai centri abitati).193 Segnalò per la precisione la necessità di costruire in tre o quattro località remote e adatte una cinquantina o più di baracche, cintate da reticolati di filo di ferro, e in quelle - ve­ nuto il momento - si sarebbero raccolti tutti i sudditi nemici, uomini e donne.

Tra queste ultime c’era anche la sua ex amante «tedesca», Ida Dalser, madre di un figlio suo, per il quale avanzava anche con­ tinue richieste a Mussolini. Per lei proprio il giorno di quell’ar­ ticolo, il 9 gennaio 1918,194 con un telegramma Mussolini ri­ chiese al ministero dell’Interno, e in maniera del tutto ufficiale, addirittura l’«internamento oltre mare» (sembra che intendesse farla mandare in Sardegna). Sull’argomento internamento, ab­ binato a quello della confisca completa dei beni dei «sudditi ne­ mici», tornò anche più tardi, a guerra pressoché conclusa. Non si può non collegare questi scritti con successive misure repressive del fascismo, come il confino. Ma soprattutto non si può non aver presente qualcosa che Mussolini ordinò di perso­ na, o tramite i sottoposti, venticinque anni dopo, in piena per­ secuzione razzista e di nuovo nel pieno di un’altra guerra: si al­ lude alla proposta di costruire campi di concentramento per gli ebrei in «tre o quattro zone di assorbimento» avanzata il 17 giu­ gno 1943, su precisa indicazione di Mussolini, dal capo della 193 M., internamento o villeggiatura?, PDI, 10 gennaio 1918 (O.O., X, p. 211). Il «Comitato d’azione per la resistenza interna» nel maggio 1917 aveva pro­ posto il semplice internamento e il sequestro dei beni e le proposte erano sta­ te riprese dal «Popolo d’Italia» (De Felice, Mussolini il rivoluzionario..., cit., p. 349). Gli articoli di Mussolini a proposito dei tedeschi «traditori» in Italia so­ no numerosi. Nello stesso periodo (1917-1918) gli articoli dedicati dal PDI al­ l’argomento furono pressoché quotidiani. L’argomento dei «campi di concen­ tramento» «in luoghi remoti» per «tutti gli internati», con «chiusura di reti­ colati e alcune sentinelle» ritornò in Mussolini, Momento di agire, PDI, 6 ago­ sto 1918 (O.O., XI, pp. 253-254). Nello stesso articolo anche la proposta di confisca dei beni dei «sudditi nemici», ribadita il 25 e il 30 agosto 1918 (O.O., XI, pp. 306-308 e 320-321). 194 II telegramma in ACS, MI, DGPS, DAGR, Al, 1935, b. 18, f. Dalser Ida Irese [«?].

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polizia dell’epoca Renzo Chierici. In quel caso si trattava di un’altra «razza», quella «ebrea». Non è quindi neanche da escludere che quelle misure, nonché le successive di confisca dei beni, siano state emanate anche in base a un pensiero e a un ricordo personale.195 Mussolini - e questo libro lo dimostra aveva una fortissima memoria. Ma torniamo alla preparazione della guerra. Sappiamo che, da socialista, Mussolini aveva avuto una discreta attenzione per il tema della «salute dei popoli», che doveva essere tutelata in tutti i sensi. A un opuscolo di un medico zurighese da lui tra­ dotto nel 1904 e uscito nel 1906, e che esaltava l’opera di costui a favore degli operai e delle operaie italiane all’estero, aveva pre­ messo una nota196 in cui aveva accennato alla «cognizione che egli ha delle miserie, delle sofferenze fisiche e morali subite dal­ le nostre proletarie». In un articolo del marzo 1915 (aveva lasciato l’«Avanti!» da tre mesi),197 Mussolini si soffermò sul tema della «forza» delle razze, stabilita in base alla crescita o alla diminuzione della po­ polazione. Fu in questo ambito che Mussolini riprese il tema della salute (peraltro non solo fisica). I governanti saggi non hanno soltanto cura della salute fisica dei lo­ ro popoli, ma anche della salute «morale», perché non si vive di so­ lo pane.

195 Rossella Ropa, Appendice III, in La menzogna della razza. Documenti e im­ magini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Grafts, Bologna 1994, pp. 369-372. Per gli sviluppi della vicenda cfr. Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 186. Quanto all’ordine complessivo di confisca dei beni (30 novembre 1943), si veda: Commissione per la ricostruzione delle vi­ cende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, Rapporto generale, PCM. Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, Roma aprile 2001, p. 94. E poi tutto il Rapporto generale. 196 Fritz Bruphacher, Meno figli... meno schiavi, Mongini, Roma 1906, p. 26 (nota de «Il traduttore», cioè Mussolini stesso). Ringrazio David Bidussa, del­ la Biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, che ha messo a dispo­ sizione copia dell’opuscolo. Mussolini ricordò nella sua autobiografia di aver tradotto questo opuscolo, insieme a Maria Giudice, alla fine del 1904; si veda O.O., XXXIII, p. 258). 197 Mussolini, «Necessità morale», PDI, 6 marzo 1915 (O.O., VU, p. 237).

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Il tema «fisico» ebbe un altro sviluppo. Pochi giorni dopo, ma sempre prima della dichiarazione di guerra, uno spunto gli venne da Alfredo Oriani, che proprio in quel periodo il giovane Mussolini andava studiando.198 Nei suoi libri Oriani aveva ana­ lizzato le questioni relative alla popolazione in Europa, che «au­ menta da un secolo con nuova proporzione»: tesi opposta a quella espressa tempo addietro da «Civiltà Cattolica» e accetta­ ta da Mussolini. Oriani aveva posto quest’aumento in relazione con la volontà di potenza delle singole nazioni. La tesi era che maggiore popolazione voleva dire un esercito più grande e più forte e, dietro all’esercito, la possibilità di sviluppare una politi­ ca economica, culturale, diplomatica di potenza, la stessa pen­ sata dai «pangermanisti politici». Quello della crescita demografica sarebbe diventato un tema cruciale per il futuro duce. Eppure, prima di questa fase, fino al­ la metà del 1913, si era sì interessato alle statistiche demografi­ che, ma come buon socialista era stato, almeno fino a un certo punto, anche un malthusiano, schierato a favore del controllo delle nascite che avrebbe dovuto dare qualche chance in più alle classi popolari.199 Peraltro è interessante notare che in due suoi interventi pro-Malthus (1909 e 1913) Mussolini fece riferimento alla bontà del metodo del controllo delle nascite per ridurre an­ che la presenza di minorati - di «avariati», come li definì in quel­ l’occasione.200 La sua era già, anche se ancora malthusiana, una 198 Mussolini, Il monito di Oriani, PDI, 14 marzo 1915 (O.O., VII, pp. 253-255). Sulle letture orianesche di Mussolini in questo periodo, si veda la lettera di Mussolini a Mario Missiroli del 3 dicembre 1913, citata da De Felice, Musso­ lini il rivoluzionario..., cit., p. 187. 199 Di Mussolini probabilmente anche questa frase: «La questione medica c’in­ teressa, perché ci preme la salute del proletariato» (Cronaca cittadina. La que­ stione dei medici, «La lotta di classe», 23 luglio 1910; sul giornale vennero pubblicati anche vari dati demografici). Ma si veda soprattutto l’articolo Malthus, «La lotta di classe», 20 maggio 1911. Da direttore dell’«Avanti!» nel giugno 1913 rilasciò alcune dichiarazioni pro-malthusiane al giornale «L’Edu­ cazione Sessuale» (O.O., XXXV, p. 25), le sue ultime di questo tipo che si co­ noscano. L’inchiesta di «L’Educazione Sessuale», con un articolo ancora malthusiano, fu citata anche in Alfredo Poliedro - Luigi Berta, I problemi so­ ciali. Neomalthusianesimo e «vertuistes», «Avanti!», 2 luglio 1913 (Mussolini era il direttore). 200 B. Mussolini, Per l’educazione proletaria. Variazioni nel tema - Lamore, «L’Avvenire del Lavoratore», 8 aprile 1909 (O.O., II, p. 67); poi si veda la ri-

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timida eugenetica ma con forti tendenze selettive. La citazione di Chamberlain, con quel riferimento all’«incrocio dei sangui» e al­ la «fabbricazione di una razza eletta», era stata ben poco casua­ le. In Italia si erano già manifestate alcune forti tendenze antimalthusiane o addirittura favorevoli alla crescita demografica.201 E si erano ben presto incrociate con interpretazioni «razziste», «scientifiche» della storia italiana ed europea. Il futuro presi­ dente dell’lSTAT, lo statistico ed eugenetista Corrado Gini, in quel periodo sottolineava le differenze strutturali e razziali tra le varie nazioni. Nel 1911 aveva tenuto a Trieste - città «italiana» in territorio austro-ungarico, ma con forte presenza slava - una conferenza in cui aveva descritto il contrasto tra italiani e sla­ vi.202 Un paio di decenni dopo la discussione tra Bovio e Ghisleri sulle razze superiori e inferiori, Gini aveva attribuito agli slavi la definizione di «razza inferiore». Il punto per lui era di spiegare perché una razza [quella italiana, n.d.a.] ricca di intelligenza, fornita di censo, nutrita di nobilissime tradizioni, animata da alti ideali, non riesca ad espandersi degnamente e a trionfare di fronte ad un’altra razza [quel­ la slava, n.d.a.] intellettualmente più limitata, economicamente più po­ vera, a cui le glorie del passato non possono essere pungolo alle glorie dell’avvenire.

Gini aveva affrontato a Trieste, la città dell’irredentismo, lo sposta all’inchiesta di «L’Educazione Sessuale», dove chiese di «predicare a tutte le categorie di avariati più o meno pericolosi l’astensione dalla procrea­ zione» (O.O., XXXV, p. 25). Entrambi i brani sono ricordati in Mantovani, Ri­ generare la società..., cit., pp. 123, 129. 201 Cfr. Anna Treves, Le nascite e la politica nell’Italia del Novecento, LED, Mi­ lano 2001, pp. 33-34. Ma si veda tutta la parte prima di Mantovani, Rigenera­ re la società..., cit. 202 La conferenza fu tenuta alla sala della Società Minerva il 21 aprile 1911. Le «principali idee» furono pubblicate in Corrado Gini, Sui fattori demografici dell’evoluzione delle nazioni, «Rivista italiana di sociologia», settembre-ottobre 1911, pp. 530-535; il testo fu poi ripresentato in versione allargata l’anno se­ guente e questa si cita. Si veda: Corrado Gini, I fattori demografici dell’evolu­ zione delle nazioni, Bocca, Roma-Milano-Firenze 1912, pp. 3, 50-62, 102-106. Su questa fase del lavoro di Gini, cfr. Mantovani, Rigenerare la società..., cit. pp. 71-75.

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spinoso tema del rapporto tra gruppi etnici. La risposta che ave­ va dato alle difficoltà degli italiani di fronte agli slavi era stata la scarsa crescita numerica della popolazione italiana in genere, in specie nelle «basse classi sociali demograficamente più attive». A Trieste, diceva Gini, in piccolo stava succedendo qualcosa di simile a ciò che era accaduto nell·impero romano - il solito mo­ dello — che aveva subito la crescita delle nuove popolazioni bar­ bariche e poi era crollato. Un filone antimalthusiano - e razzista - era dunque avviato da qualche tempo, anche se all’epoca Mussolini non seguiva questi personaggi e tanto meno conosceva Gini. Eppure qualche avvisa­ glia antimalthusiana era da ricercare in ambienti non troppo lon­ tani da lui: sullo stesso «Avanti!» da lui diretto. Antimalthusiano era stato un articolo di Agostino Lanzillo del gennaio 1913, che aveva criticato il fenomeno della «depopulazione» in atto in Fran­ cia, pericoloso per la stessa «razza francese»;203 mentre qualche cenno alla «razza» era poi rintracciabile in altri articoli sparsi qua e là sullo stesso «Avanti!».204 Insomma, Mussolini procedeva con cautela. Il suo giornale, il quotidiano del socialismo italiano, pubblicava anche articoli con accenni antimalthusiani; ma lui no. Però di lì a poco cam­ biò. Nel periodo subito successivo, proprio sul «Popolo d’Ita­ lia», passò tra gli antimalthusiani veri e propri. Era un’altra con­ seguenza delle sue elucubrazioni sulla natura delle popolazioni e delle razze. E, come visto, venivano svolte in un periodo di personale forte evoluzione culturale. In proposito era disposto a fare davvero le capriole. 203 Agostino Lanzillo, Il diritto alla felicità!, «Avanti!», 10 gennaio 1913; ma poi anche La città del piacere, «Avanti!», 3 febbraio 1913, dove segnalava la «degenerazione della razza francese». Lanzillo in un suo libro di poco succes­ sivo (La disfatta del socialismo. Critica della guerra e del socialismo, La libreria della Voce, Firenze 1918, p. 15) giustamente rivendicò con precisione di aver scritto già nel 1913 contro il neomalthusianesimo sulle pagine dell’«Avanti!» dirette da Mussolini. 204 Si segnala in particolare Nicolò Fancello, Flutti di sangue italico..., «Avanti!», 6 marzo 1913 (contro l’emigrazione); S.V., Le sorprese della leva militare. Peggio­ ramento della razza, «Avanti!», 9 giugno 1913 (la parola «razza» era nel titolo, ma non nel testo, dove si osservava che erano aumentati gli scartati alla visita di leva); Le razze negli Stati Uniti, «Avanti!», 4 aprile 1914, anonimo, che rilevava la pre­ senza delle varie «razze» (italiani, ebrei, irlandesi eccetera) a Buffalo e New York.

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La guerra aveva esaltato in lui il «senso della razza». Il tema, nelle sue varie sfumature, rimaneva una traccia marcata e conti­ nua nel suo pensiero. In mezzo ai tempestosi avvenimenti di quella fase, e anche sulla spinta delle varie questioni montanti delle nazionalità, continuava a parlarne. Ciò del resto era successo in altri ambienti, per esempio quelli medici, che avevano incominciato a discutere degli effet­ ti della guerra sulla «razza» (la distruzione anche biologica del­ le sue élites, l’emergere «demografico» di nuovi strati sociali, la creazione di nuove «turbe» nazionali).205 206 A Mussolini non era­ no del tutto estranee la fisiologia e la medicina, ma le sue idee avevano origini del tutto diverse: culturali e politiche. Inoltre quel «senso della razza» lo aveva intravisto prima, molto prima, in maniera tutta politica (o addirittura geopolitica) e indipen­ dente dagli eventi bellici e, ancor di più, coloniali. Le trincee c’entravano davvero poco. In questo senso è interessante un confronto con Boccioni. L’«italianismo» di Boccioni, a suo mo­ do, come il «panitalianismo» di Marinetti, era un calco del «pangermanesimo», reinventato a favore del nostro paese.200 Però era, insieme, anche il prodotto della guerra, di una nuova «razza» che avrebbe portato a termine il suo risorgimento o, addirittura, avrebbe messo a punto un nuovo rinascimento, nelle arti, nelle scienze, nei rapporti intellettuali. Mussolini ave­ va tutt’altro itinerario alle spalle e tutto ciò non aveva una gran­ de importanza. Nella guerra interpretata dal futuro duce non era previsto che una razza o una nazione arrivassero con essa a definizione o a compimento. La razza a cui pensava esisteva in modo indipendente da qualsiasi avvenimento esterno: era quel­ la biologica definita dagli «scienziati» e allo stesso tempo aveva forti valenze politiche e culturali, che coinvolgevano partiti, ari­ stocrazie, capi.

205 A proposito delle idee sui cambiamenti della «razza italiana» provocati dal conflitto, cfr. Mantovani, Rigenerare la società..., cit., pp. 145-172 e 201-203. 206 Qualcosa del genere successe anche per l’idea del «panlatinismo». Cfr. Amante, Per l’assetto federativo..., cit.

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3. Ignorante e antisemita (1918-1919)

Un’adunata Alla fine della guerra, nel pensiero di Mussolini l’opzione raz­ zista e discriminatoria (non esplicitamente persecutoria, sia chiaro) era ormai radicata. Da tempo era stabile quella contro gli ebrei in generale, con uno speciale accanimento riguardo al­ la loro religione. In un pezzo del novembre 1918, a proposito della vittoria in guerra, Mussolini inserì una metafora sul «Tem­ pio». In prima battuta alludeva alla sconfitta politica subita dal pacifismo cattolico, ma giocava senza dubbio con il ricordo del­ la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei romani, forse con qualche allusione indiretta al «disfattismo ebraico» che avrebbe trovato - aveva scritto il «Popolo d’Italia» - una tribuna alla conferenza di Zimmerwald:1 Il Tempio crolla con fragore improvviso. Il soffio impetuoso della vit­ toria lo ha abbattuto. Pareva solido ed era fragile; pareva grande ed era meschino. Più bottega che tempio. Dalle macerie, lividi di paura, sbucano i preti.

Rimanevano gli ebrei singoli, verso cui aveva alternato mo­ menti di disprezzo, di ostilità e di cautela. Definita la differenza «razziale», su di essi non si era più accanito, anche se più volte era emersa la sua insofferenza. D’altra parte non era davvero l’unico antisemita in campo in quel momento, benché con il suo giorna­ le fosse, secondo l’occasione e il ghiribizzo, tra i più violenti. Dopo la prima guerra mondiale Mussolini diede avvio ai suoi più rilevanti attacchi antisemiti. Proprio in questo periodo in 1 Mussolini, «Non secondo ipiani!», PDI, 6 novembre 1918 (O.O., XI, pp. 462463).

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Italia si andava sviluppando, nella politica e nella cultura, quell’antisemitismo che si era affacciato prima della guerra e si era sedimentato durante il conflitto, e il cui bersaglio era il «potere eccessivo» esercitato in vari campi da alcuni ebrei. Pure tra af­ fermati studiosi di quel periodo erano diffuse le osservazioni in apparenza neutre - sull’alta presenza di ebrei ai gradi più elevati della Società in confronto della esiguità numerica della popolazione israelitica stessa,

come si espresse nel 1918 il demografo Livio Livi.2 A proposito d’antisemitismo, il personaggio forse più in evi­ denza di questa fase fu ancora una volta il nazionalista France­ sco Coppola, dal dicembre 1918 direttore della nuova rivista «Politica». Sul secondo numero del gennaio 1919, in un lungo saggio sulla sistemazione postbellica dell’Europa, Coppola ebbe delle parole minacciose sugli ebrei e l’ebraismo.3 Erano stati lo­ ro, insieme ai tedeschi della Riforma, scrisse, a tracciare i con­ torni della nefasta «democrazia politica», con i suoi conseguen­ ti miti negativi (egualitarismo, umanitarismo). Attingeva anche lui al solito Nietzsche della Genealogia della morale, ma forse anche a un più fumoso e antisemita Corradini, che nel 19071908 aveva parlato del principio disgregatore (il messianismo ri­ voluzionario) dell’ebraismo.4 Era stato l’ebraismo attraverso il cristianesimo («le sue origini non sono latine ma ebraiche») a minare l’impero romano; ebraiche erano state pure le radici dell’individualismo corrompitore («ebraica la tendenza all’astra­ zione universalistica [...] ebraico l’individualismo anarchico 2 Livio Livi, Gli ebrei alla luce della statistica. Caratteristiche antropologiche e patologiche ed individualità etnica, Libreria della Voce, Firenze s.d. [ma 1918], p. 7. A p. 219 Livi sottolineò che tra gli ebrei «corre un legame per lo meno eguale a quello che fa dire a Latini, a Tedeschi e a Slavi di appartenere alla me­ desima razza». 3 Francesco Coppola, Il mito democratico e l’imperialismo, «Politica», 19 gen­ naio 1919, pp. 165, 168, 170. 4 Si veda il passo sul «trionfo della Giudea» in: Nietzsche, Genealogia..., cit., p. 4L Per Corradini, si vedano i passi da La vita nazionale (1907) e IIombra del­ la vita (1908) riportati in Roberto Mazzetti, Lantiebraismo nella cultura italia­ na dal 1700 al 1900. Antologia storica, Società Tipografica Modenese, Modena 1939, pp. 253-258. Ma si veda anche De Felice, Storia..., cit., p. 45.

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contrapposto alla gerarchia organica dello Stato»), Ebraico infi­ ne il socialismo, «sino al bolscevismo, covato, fomentato, ca­ peggiato in Russia e in Germania da ebrei». C’è poi un altro dato davvero notevole da sottolineare: sullo stesso numero di «Politica» (sempre gennaio 1919) comparve un altro saggio che appoggiava queste tesi ed era piuttosto pre­ stigioso. L’aveva scritto Benedetto Croce,5 che aveva parlato, in un lungo testo contro la massoneria, dell’esistenza in proposito di una «questione semita» e del «connaturato messianismo» de­ gli israeliti, che li aveva avvicinati all’organizzazione segreta (tesi che, come si sa, girava da tempo). È anche da notare che, in ba­ se alla data che lo stesso Croce mise in calce al suo scritto, erano osservazioni che aveva steso ben sei mesi prima, nel giugno 1918. Nell’insieme erano concetti diffusi. Soprattutto ciò che scris­ se Coppola era stato anche già da tempo sostenuto in vari modi dal futuro capo del fascismo. Pure le fonti sembravano in gran parte identiche: Nietzsche soprattutto, un po’ di Carducci, gli storici delle religioni come Cumont, forse qualche notizia gior­ nalistica. Appare peraltro del tutto impossibile che Mussolini si possa essere ispirato per la sua nuova fase antisemita proprio a Francesco Coppola, un personaggio troppo conservatore e per il cui elitarismo più volte manifestò un autentico disprezzo.6 Più interessante, invece, è il fatto che alcuni riferimenti anti­ semiti si trovino in personaggi vicini a Mussolini, come il sinda­ calista rivoluzionario (e soreliano) Agostino Lanzillo, da anni suo collaboratore all’«Avanti!», al periodico «Utopia» e al «Po­ polo d’Italia», e in seguito, nel novembre 1919, candidato con i fascisti alle elezioni politiche. In un articolo del gennaio 1919, più o meno contemporaneo a quello di Coppola, a proposito delle nuove caratteristiche statuali, politiche e di posizione in5 Benedetto Croce, Postille politiche. La storicità e la perpetuità della ideologia massonica, «Politica», 19 gennaio 1919, pp. 211-212. IÎ saggio fu ristampato sul «Giornale d’Italia», 30 gennaio 1919 (con risposta di Nathan) e poi in Croce, Pagine sulla guerra, cit., pp. 259-260. 6 Nel luglio 1917 Mussolini attaccò Coppola come l’«uomo che ha bevuto e si è ubriacato di De Maistre» (M., Bandiere rosse, PDI, 5 luglio 1917; O.O., IX, p. 26); nell’agosto 1920 invece si riferì a lui come a un nazionalista misoneista che bloccava ogni rinnovamento (Mussolini, L’ora delfascismo!, PDI, 21 agosto 1920. Ο.Ο.,χν,ρ. 152).

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ternazionale che avrebbe potuto avere la Palestina del dopo­ guerra, Lanzillo affermò più o meno quanto aveva già detto il «Popolo d’Italia»,7 e cioè che il sionismo avrebbe potuto essere un fenomeno positivo. La condizione era che l’Italia mettesse anch’essa un piede in Palestina e - Lanzillo aggiungeva di suo riuscisse a fermare in questo modo la potenza della finanza ebraico-tedesca. Poi però volle sottolineare l’estraneità tra cri­ stiani ed ebrei: Noi cristiani non siamo in grado di penetrare appieno [questo popolo, n.d.a.], gli ebrei, da parte loro, non sono in grado di penetrare la com­ plessa e tormentata composizione spirituale della nostra civiltà roma­ na ed insieme cattolica.

Per questo, secondo Lanzillo, gli ebrei avevano «torto» quan­ do facevano dell’«anticlericalismo». Forse era ancora sotto l’in­ fluenza di Sorel, ma erano stati temi anche del «Popolo d’Italia» e, per altri versi, in modo specifico, «mussoliniani». Ancora più rilevante per una storia del razzismo è l’attività di un altro «antisemita storico» come Giovanni Preziosi, presso­ ché un coetaneo (aveva solo due anni in più) di Mussolini. Se­ condo una fonte, forse di polizia,8 poco prima del febbraio 1914 il Vaticano avrebbe addirittura chiesto all’ex prete Preziosi di separarsi da un suo collaboratore ebreo, un certo Foà: in quel periodo, quindi, sarebbe stato addirittura «amico degli ebrei». Non si sa se questa vicenda ebbe poi un qualche peso. Di si­ curo però durante la guerra mondiale Preziosi condusse una battaglia personale contro Giuseppe Toeplitz, amministratore 7 Agostino Lanzillo, La sistemazione della Palestina e gl’interessi italiani, «Ri­ vista di Milano», 20 gennaio 1919, p. 43. Per una risposta favorevole si veda però: Problemi ebraici nella stampa. La sistemazione della Palestina e gli inte­ ressi italiani, «Israel», 30 gennaio 1919. All’articolo di Lanzillo fa cenno Ro­ berto Bernardi, Agostino Lanzillo tra sindacalismo, fascismo e liberismo (19071952), Unicopli Cuesp, Milano 2001, p. 96. Ma ora si veda Francesco Germi­ nario, Liberismo e antisemitismo. Aristide Raimondi e la «Rivista di Milano» (1918-1926), «Il presente e la storia. Rivista dell’Istituto storico della Resi­ stenza e della società contemporanea in provincia di Cuneo», giugno 2003, f. 63, pp. 177-183. 8 II rapporto, datato 15 febbraio 1914, in ASDMAE, MAE, Gabinetto 1908-1914, casella 19, f. Dottor Preziosi. «La Vita Italiana all’Estero».

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delegato della Banca Commerciale, culminata in un paio di libri velenosi.9 L’attacco però - e non solo il suo10 - era riferito sem­ pre e soltanto al «tedesco» Toeplitz, non all’«ebreo» Toeplitz. Poi anche quella furia si attenuò. All’epoca un’informativa spio­ nistica dell’UCI, databile probabilmente a qualche tempo dopo il febbraio 1917,11 sostenne: mi si assicura da persona che lo sa in modo più che positivo che il prof. Preziosi abbia avuto dalla Banca Commerciale una forte somma per in apparenza cessare la campagna contro detta Banca, pare recon­ ditamente per assecondare detta banca in un’altra campagna già orga­ nizzata.

In sostanza comunque la rivista di Preziosi, «La Vita Italia­ na», che nei decenni successivi fu il ricettacolo dei più virulenti antisemiti nostrani, fino a circa la metà del 1920 non si schierò contro gli ebrei.12 *E* tanto meno il suo direttore. A proposito di antisemitismo in campo laico, vale la pena se­ gnalare, sempre per questo periodo, la posizione singolare di un altro liberale, ma di altro stampo, il giovanissimo Piero Gobet­ 9 Cfr. La Banca commerciale e la penetrazione tedesca in Francia e in Inghilter­ ra, pubblicato come supplemento della «Vita Italiana» del 15 aprile 1915; e La Germania alla conquista dell’Italia, apparso nelle edizioni della «Voce» nel 1916. Cfr. anche De Felice, «Giovanni Preziosi...», cit., pp. 133-135. 10 Si veda la relazione severissima sulla presenza «tedesca» nella banca, elabo­ rata dall’Ufficio Centrale d’investigazione (probabilmente dal dirigente, l’i­ spettore di PS, Giovanni Gasti) nel dicembre 1917, in ACS, MI, DGPS, UCI, b. 52, f. 1282. E poi: Ezio Maria Gray, Guerra senza sangue, Bemporad, Firenze s.d., con un lungo capitolo su «La banca tedesca in Italia». A proposito della campagna stampa contro il «tedesco» Toeplitz, cfr. Guido Montanari, Intro­ duzione, in Banca Commerciale Italiana. Archivio storico, r. 11, v. 1. Segreteria dell’amministratore delegato Giuseppe Toeplitz (1916-1934), s.e., Milano 1995, pp. XIX-XX. 11 ACS, MI, DGPS, UCI, b. 39, f. 740. Nell’archivio COMIT non si è trovato ri­ scontro (o non ancora) di un pagamento del genere. 12 Non è esatto quanto ha scritto Richard Bosworth (Mussolini..., cit., p. 491), che nell’agosto 1918 Preziosi sulla «Vita Italiana» attaccò l’imprenditore Al­ berto Fassini per aver condotto durante la guerra «trattative equivoche con uomini d’affari ebrei». L’articolo di Giovanni Preziosi, La ragione politica del­ le mie rivelazioni sul caso Fassini, «La Vita Italiana», 15 agosto 1918, pp. 170176 non indica mai come «ebrei» gli imprenditori con cui Fassini avrebbe avuto rapporti.

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ti.13 Tra il novembre e il dicembre 1918, quando la «questione Palestina» assunse una più ampia visibilità, la sua posizione fu di favorire il più possibile, anche dall’Italia, e anche nei ceti alti, l’emigrazione degli ebrei verso quel paese. L’esito di una forte emigrazione verso quel paese sarebbe stata una diminuzione deH’antisemitismo presso il «popolo», cioè il popolino: il popolo sarebbe lieto di vedere che se ne va l’oggetto delle sue anti­ patie e le classi dirigenti comprenderebbero subito la necessità e gli ideali della nazione ebraica.

Secondo Gobetti favorendo l’emigrazione ebraica verso la Palestina si sarebbe agevolata la pace sociale in Italia. Non era certo una posizione filosemita, anzi: lasciava intendere che in Italia esistesse un antisemitismo popolare che non veniva con­ dannato ma in qualche modo giustificato. Torniamo a Mussolini. Nel febbraio 1919 è significativa una piccola notizia sul «Popolo d’Italia» che riguarda la Polonia. Erano ormai avviate a Parigi le discussioni sul trattato di pace e insieme quelle sulle persecuzioni subite dagli ebrei nei paesi del­ l’Est.14 Il giornale di Mussolini riprodusse le dichiarazioni del ministro deU’Interno polacco,15 *che * * *aveva * * * 23appena assicurato che la popolazione israelita gode dei diritti civili nella medesima misura della popolazione essenzialmente polacca. 15 Cfr. Note e polemiche. Il problema politico ebraico, «Energie Nove», a. I n. 1, 1-15 novembre 1918, pp. 14-15 (anonimo ma di Gobetti come si deduce dal seguente); e Note e polemiche. Il problema politico ebraico, firmato «Un letto­ re israelita», «Energie Nove», a. I n. 1, 1-15 dicembre 1918, p. 45, seguito da una nota (da cui si cita), firmata p.g. Le dichiarazioni di Gobetti furono og­ getto di polemica sulla rivista bolognese «Azione studentesca». In proposito, Piero Gobetti, Carteggio 1918-1922, a cura di Ersilia Alessandrone Perona, Ei­ naudi, Torino 2003, pp. 30-31. 14 Si veda il documento, con allegato, inviato da Chaim Weizmann a Wilson il 23 gennaio 1919, in Arthur S. Link (a cura di), The Papers of Woodrow Wil­ son, V. 54. January 11 - February 7, 1919, Princeton University Press, Prince­ ton (NJ) 1986, pp. 231-232. 15 Tutti i cittadini polacchi sono uguali davanti alla legge, PDI, 27 febbraio 1919 (la notizia arrivava da Zurigo). Per l’opuscolo del Comitato nazionale polacco, Il ‘‘Ti­ mes’’ sui pretesi eccidi di Israeliti in Polonia, per cura della Missione del Comitato nazionale polacco, Roma 1918. Riprendeva un articolo del «Times» di Londra del 13 dicembre 1918 che affermava che le uccisioni di ebrei erano state casuali.

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Il «Popolo d’Italia» cercava di essere tranquillizzante sui po­ grom subiti dagli ebrei. Era una frase che sul giornale spuntava letteralmente dal nulla. In quello stesso periodo un non meglio identificato Comitato nazionale polacco sosteneva che alcuni recenti assassini di ebrei erano stati frutto solo di scontri sociali e non di antisemitismo. Forse quelle dichiarazioni facevano ri­ ferimento a posizioni del genere. Peraltro, dopo un terribile po­ grom a Lvov nel dicembre 1918, ne seguirono altri a Pinsk e a Vilnius ad aprile e a maggio.16 Pochi giorni dopo, il 16 marzo 1919, sullo stesso «Popolo d’I­ talia» arrivò un duro attacco antiebraico. Tra queste due date, esattamente il 2 marzo, come da noi riferì il «Giornale d’Italia»,17 la «delegazione delle Comunità ebraiche» aveva presentato a Pa­ rigi la richiesta di far nascere in Palestina uno stato ebraico sotto il mandato della Società delle Nazioni; nel frattempo aveva chie­ sto un riconoscimento ufficiale dello status e della protezione, come minoranza, per gli ebrei in tutti i paesi.18 Su pressione di

Sui massacri in Polonia nel 1918 e sulle reazioni del governo polacco cfr. Carole Fink, Defending the Rights of Others. The Great Powers, the Jews and internatio­ nal minority protetcion. 1878-1938, Cambridge University Press, Cambridge New York - Port Melbourne - Madrid - Cape Town 2004, pp. lOlss. 16 Ezra Mendelsohn, Zionism in Poland. The Formative Years. 1915-1926, Ya­ le University Press, New Haven - London 1981, pp. 88-91. Fink, Defending..., pp. 110-115, 173-186. All’epoca si parlò di centinaia di morti. 17 Per uno Stato israelita in Palestina, «Giornale d’Italia», 1° marzo 1919. Sul sionismo commentò che «quasi tutti [lo] credevano e molti credono ancora un’utopia». Il giornale, di proprietà di Sidney Sonnino, non era favorevole al­ la nascita di uno stato ebraico in Palestina. 18 Le delegazioni ebraiche il 2 marzo presentarono due memoranda sulla si­ tuazione complessiva degli ebrei in Europa e in particolare nei paesi dell’E­ st, firmati da Julian W. Mack, Louis Marshall e Stephen S. Wise. Cfr. Link (a cura di), The Papers of Woodrow Wilson, cit., v. 55. February 8 - March 16, 1919 (1986), pp. 369-385. Per gli aspetti giuridici dell’intervento della dele­ gazione ebraica si veda Nathan Feinberg, La question des minorités à la Conférence de la Paix de 1919-1920 et l’action Juive en faveur de la protection internationale des minorités, Rousseau, Paris 1929, pp. 76ss. Per alcuni ri­ cordi autobiografici, Weizmann, Trial and error..., cit., pp. 243-247. Sulle trattative da parte della delegazione ebraica cfr. ora Mark Levene, Nationa­ lism and its Alternatives in the International Arena: the Jewish Question at Paris 1919, «Journal of Contemporary History», July 1993 (28/3), pp. 511531; e Margaret Macmillan, Paris 1919. Six months that changed the world, Random House, New York 2002, pp. 410-426.

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quelle delegazioni, il 2 marzo 191919 Wilson stesso aveva dato l’assenso alla nascita di un «Commonwealth ebraico» in Palesti­ na, una sorta di proseguimento della dichiarazione di Balfour. Lo strappo politico internazionale, inevitabilmente, era stato forte.20 Sia del passo compiuto dalle delegazioni ebraiche sia della di­ chiarazione di Wilson «Il Popolo d’Italia» non diede notizia, ma il 16 marzo pubblicò un lungo commento ad alcune «lette­ re» di un certo capitano francese Sadoul comparse pochi giorni prima (10, 13 e 14 marzo) sull’«Avanti!».21 Jacques Sadoul era un ufficiale dell’esercito francese che aveva visitato la Russia du­ rante la guerra e ne era tornato filo-bolscevico; le sue «lettere» illustravano entusiaste i giganteschi risultati della rivoluzione. Mussolini colse l’occasione per sferzare sia i socialisti sia Sa­ doul, trattandoli tutti come dei «venduti». Per il direttore del «Po­ polo d’Italia» ciò che stava succedendo a Mosca si poteva riassu­ mere con le parole: «militarismo, burocrazia, polizia e ... fame». Ma qui interessa soprattutto una frase quasi inserita per incidens·. Il capitano Sadoul è un ebreo, legato con vincoli di razza con gli altri ebrei che esercitano in questo momento la loro feroce dittatura a Mosca.

I «dittatori» bolscevichi che un anno e mezzo prima, secondo Mussolini, rappresentavano la pura «tedescheria» di Mosca, ora 19 Le dichiarazioni di Wilson, immediatamente successive alla presentazione dei due memoranda della delegazione ebraica, sono pubblicate in Link (a cu­ ra di), The Papers of Woodrow Wilson, cit., v. 55 (1986), p. 386. 20 Notizie def genere sono in una serie di informative da Parigi ricevute da monsignor Umberto Benigni (ASV, fondo Benigni, b. 20, ff. 7074-8. Rapporti dal mondo). Sulla questione di «Israel» (nel senso di «ebrei») il 25 marzo 1919 veniva segnalata la presenza di molti ebrei nella delegazione di pace. E inoltre veniva riferito di un’intervista collettiva sul «Temps» del 28 febbraio 1919 in cui era stata avanzata la proposta di considerare gli ebrei di Polonia una «nazionalità». 21 Mussolini, Apologia o condanna? Il «documento» Sadoul, PDI, 16 marzo 1919 (O.O., XII, pp. 301-305). Quest’articolo non fu ripubblicato nella prima anto­ logia organica di scritti (senza discorsi) mussoliniani, Diuturna. Scritti politici, raccolti e ordinati da Arnaldo Mussolini e Dino Grandi, prefazione di Vincen­ zo Morello, Imperia, Milano 1924 (vedi anche Parenti, Bibliografia..., cit., pp. 61-66). Né nell’edizione organica «definitiva» degli scritti mussoliniani realiz­ zata vivente l’autore: Scritti e discorsi di Benito Mussolini. Edizione definitiva. II. La rivoluzionefascista (23 marzo 1919 - 28 ottobre 1922), Hoepli, Milano 1934.

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venivano descritti come «ebrei, legati con vincoli di razza con gli altri ebrei» (per esempio, francesi, come Sadoul). Si tenga presente che altri in Italia, nello stesso periodo, riba­ divano la presenza di ebrei tra le avanguardie comuniste che in Russia stavano conducendo e organizzando la rivoluzione: in particolare Angelo O. Olivetti,22 che non aveva mai fatto miste­ ro delle proprie origini ebraiche. Mussolini invece analizzava la presenza ebraica solo sotto l’aspetto del «tradimento» (come aveva insegnato Nietzsche) e, come al solito, per ciò che riguar­ dava i gruppi dirigenti: e in questo senso rimaneva un’avan­ guardia assai significativa dell’antisemitismo italiano.23 Qualun­ que fossero le sue fonti o i consiglieri.24 In questo senso è assai notevole l’indifferenza completa che il «Popolo d’Italia» ebbe, proprio in quel periodo, verso alcune manifestazioni di «nazionalismo» identitario ebraico che si regi­ strarono in alcuni paesi dell’Europa orientale, in specie l’Ucrai­ na e la Polonia.25 Mentre il giornale di Preziosi, «La Vita Italia­ na», si accorse quanto meno dell’esistenza di un problema, il giornale di Mussolini lo ignorò.26 Una settimana dopo l’articolo su Sadoul, il 23 marzo 1919, nella sala dell’Alleanza industriale e commerciale a Milano si

22 Si veda il suo Bolscevismo, comuniSmo e sindacalismo, Ed. «Rivista Naziona­ le», Milano 1919, p. 23 (la prefazione è datata aprile 1919): «Tra duecento mi­ lioni di rassegnati di ignoranti di mistici, la piccola schiera di Ebrei audaci vo­ litivi ed intelligenti che dirige la frazione massimalista poteva dare sola alla Russia un assetto sia pure provvisorio, perché sola parlava in nome di una dot­ trina assoluta ed agiva per forza di una volontà concreta». 23 A proposito di quest’articolo e del passo riportato, Alfredo Nicolau, nel suo violento libro antiebraico (LAllarme. Accuso! Il bolscevismo visto alla sua sor­ gente e nel suo fine, s.e., Milano 1920, p. 42) lo segnalò perché «il solo Mus­ solini ebbe il coraggio di dirgli [a Sadoul] parole di verità brucianti». 24 II principe russo Nicola Gewakhow, profugo dalla Russia e in seguito forte propagandista antisemita, approdò stabilmente in Italia solo nel 1920. Così ri­ sulta da un suo memoriale (giugno 1936) fatto recapitare a Mussolini. AGS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 577, f. Gewakhm [t/c] Nicola. Pare di capire che una sua precedente visita in Italia, a Bari, nel 1911 (De Michelis, Il manoscrit­ to inesistente..., cit., pp. 155 e 218) fosse stata temporanea. 25 Su questo «nazionalismo», in particolare in Polonia, cfr. Levene, Nationali­ sm..., cit., pp. 524-526. 26 Noi., Una dannosa e chimerica pretesa dei sionisti, «La Vita Italiana», 15 feb­ braio 1919 (p. 143).

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costituì il Fascio milanese di combattimento, avvenimento poi sempre considerato atto di nascita ufficiale del fascismo. L’evento peraltro metteva insieme personaggi di varia estra­ zione e in diversi casi facenti capo ad altre organizzazioni politi­ che. Venivano inoltre fusi tre ceppi «ideologici» diversi, fascisti veri e propri, arditi e futuristi, non del tutto omogenei tra loro e presto destinati in parte a dividersi. All’adunata parteciparono alcuni ebrei (o almeno, persone con nomi ebraici) segnalati, in­ sieme a parecchi altri, dal «Popolo d’Italia».27 Alcuni altri nomi «ebrei» furono invece indicati tra coloro che inviarono l’adesio­ ne al giornale. Gli «ebrei», ovvero persone con nomi ebraici che secondo il giornale risultarono partecipare all’adunata, furono cinque in tut­ to:28 «il sig. Goldmann» (il citato Cesare Goldmann), Eucardio Momigliano, l’on. Riccardo Luzzatto (ex deputato radicale, mor­ to poco dopo la salita al potere del fascismo),29 Piero Jacchia (in rappresentanza dei Fasci di Trieste) e l’«ing. Salvatore Attal». Dei cinque, quattro erano «convenuti», cioè presenti in sala co­ me spettatori e segnalati per questo. Goldmann, già preso in con­ siderazione come «finanziatore» (forse un po’ coatto) del «Popo­ lo d’Italia», era il gestore della sala affittata per l’occasione;30 è 27 La cronaca dell’«adunata» fu pubblicata dal PDI il 24 marzo 1919 (O.O., XII, pp. 337-340). 28 Di «almeno cinque ebrei» ha parlato De Felice (Storia..., cit., p. 73) ma senza indicare nomi e fonti; anche Michaelis {Mussolini..., cit., p. 403) ha parlato di cinque ebrei, indicando i nomi di Goldmann, Jacchia, Luzzatti, Momigliano, Enrico Rocca. Per il numero, la fonte (non indicata) di entrambi probabilmen­ te fu Guido Bedarida, Ebrei d’Italia, Società editrice Tirrena, Livorno 1950, p. 9, che indicò appunto il numero di cinque, senza peraltro nomi e ulteriori partico­ lari; dopo di lui la cifra è stata ripresa, identica e immotivata, in vari testi. 29 Di Riccardo Luzzatto si veda una breve intervista rilasciata, come rappresen­ tante del Partito democratico milanese, al PDI nel numero del 23 settembre 1922, in cronaca (Ilpensiero dell’on. Luzzattob Si trattava tra l’altro dello stesso numero dove venne pubblicato il comunicato del PNF sull’Ungheria, il fascismo e gli ebrei. Morì il 5 febbraio 1923. Cfr. il necrologio sul «Corriere della Sera» del 6. Meir Michaelis ha identificato Riccardo Luzzatto con il manager Riccardo Luzzatti (Mussolini..., cit., p. 403). Ma Luzzatti ebbe la tessera del Fascio «ad honorem» solo il 6 marzo 1926, senza aver mai partecipato alla fondazione dei Fasci di combattimento di Milano e fu deputato a partire dal 1934 (si vedano i dati trasmessi dal questore di Milano il 26 ottobre 1934 in ACS, MI, DGPS, DPP, f. personali, b. 744, f. Luzzatti Riccardo On. fu Emanuele. Milano). 30 Su Goldmann, morto il 10 ottobre 1937, si veda il ricordo già citato della

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possibile quindi che fosse presente innanzitutto per obblighi di ospitalità. Ma probabilmente non solo. Nel 1923 risultava essere ancora un «democratico» o «democratico-sociale», anche se diri­ gente della nuova casa editrice fascista Imperia, guidata da Dino Grandi.31 A quanto lo stesso Mussolini ricordò anni dopo, solo nel 1924 venne espulso da quel partito.32 La sua sembra una di quelle situazioni di adesione «plurima» abbastanza frequenti in epoche di rapide nascite e morti di partiti. Più tardi gli fu riconosciuto il «brevetto» di sansepolcrista, anche se non è chiaro se si sia mai iscritto davvero, di persona e spontaneamente, al PNF: cosa che peraltro sembra difficile.33 Che fosse massone è invece certo. Eucardio Momigliano, anche lui un ex socialista e collabora­ tore di Mussolini all’«Avanti!»,34 a sua volta rappresentava un altro movimento politico, l’Associazione democratica, così co­ me di un altro partito era Riccardo Luzzatto, anche lui «demo­ cratico». Momigliano in particolare non fu mai fascista, anche se per un certo periodo, come rappresentante del partito demo­ cratico, cercò un’alleanza con il movimento di Mussolini:33 in seguito anzi divenne antifascista; al contempo era sionista ma ostile alla formazione di uno stato d’Israele.36 «Nostra bandiera» (Due Sansepolcristi scomparsi, 1-16 ottobre 1937, p. 2). Nel 1935 Goldmann risultava presidente della Società italiana di credito. 31 Aristide Raimondi, Epurare l’Italia primo compito del fascismo, «Rivista di Milano», 10 gennaio 1923, p. 10. 32 De Begnac, Palazzo Venezia..., cit., p. 358. 33 Un paio di informative della polizia politica risalenti alla metà del 1935 rife­ rirono che al finanziere Cesare Goldmann era stato consegnato il brevetto di sansepolcrista, ma entrambe sollevavano dubbi sul suo fascismo. ACS, MI, DGPS, MI, DPP, f. personali, b. 615, f. Goldmann rag. gr. uff. Cesare. Peraltro la Federazione del PNF di Milano il 20 dicembre 1938 rilasciò alla figlia Silvia un certificato da cui risultava che il padre era stato iscritto al PNF dal 23 mar­ zo 1919 (quando il PNF non esisteva) al giorno della morte. Né Silvia né l’altro figlio Enrico nelle domande per ottenere la discriminazione fecero riferimen­ to ad aiuti di Goldmann a Mussolini o al suo giornale. Cfr. ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 83, f. 6306 Dis. Goldmann Silvia in Clerici fu Cesare; b. 123, f. 8206 Dis. Goldmann Enrico fu Cesare. Per la sua adesione alla massoneria, vedi Aldo A. Mola, Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano 1992, pp. 264 e 485. Peraltro non si conosce la data d’ingresso nella massoneria e se ci rimase in modo continuativo e fino a quando. 34 Cfr. ad esempio un suo articolo sul numero del 15 agosto 1913. 35 Si veda una sua lettera sul PDI del 27 ottobre 1919. 36 ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 234, f. 16176 Dis. Momigliano Aw. Eucardio.

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Poi c’era l’«ingegnere» Salvatore Aitai, che ricompare in un elenco di «sansepolcristi» del 1932 di cui si parlerà diffusamen­ te tra poco37 e che risultò figlio di «Salomone» e ancora iscritto al PNF. Aitai era nato Γ8 febbraio 1877 a Livorno, dove conti­ nuò a vivere.38 Più tardi fu discriminato dalla Demorazza anche grazie alla supposta iscrizione al PNF del 23 marzo 191939 e la sua firma figura in calce a una dichiarazione di fede fascista del 6 gennaio 1939 sottoscritta da alcuni ebrei livornesi.40 Era scrit­ tore e - effettivamente - «ingegnere industriale». Decorato du­ rante la guerra Ί5-Ί8, fu autore di vari libri, che andavano dal­ la storia della cabbaia a quella del francescanesimo, ma sempre con un taglio «esoterico». Venne inserito, di certo perché ebreo, nell’elenco degli «autori non graditi».41 Dunque il solo Jacchia, tra gli «ebrei» citati dal «Popolo d’Ita­ lia», rappresentava un’organizzazione davvero fascista e non era un «convenuto». Anzi, da quanto si può capire, fu il fondatore o uno dei fondatori del Fascio di Trieste.42 Per gli interventi di Momigliano a proposito d’Israele, si veda il suo articolo II sionismo di fronte alla realtà, «La Vita Internazionale», 20 gennaio 1918 e poi la sua dura polemica con «Israel» nella sua lettera pubblicata su quel giornale il 18 marzo 1918 (vi si dichiarò presidente del «Gruppo sionistico milanese»). Anni dopo Mussolini, ormai capo del governo, attaccò ferocemente Momi­ gliano quando si presentò in una lista elettorale avversa ai fascisti (Medaglioncini al cromo. Eucardio, PDI, 5 aprile 1924. O.O., XX, pp. 223-234). 57 ACS, JAIA, bobina 160, 046585-93. 38 Gennaro Vaccaro (a cura di), Panorama biografico degli italiani d’oggi, v. 1, Curcio, Roma 1956, p. 56. 39 Così nello schedario della Demorazza riversato su supporto elettronico in ACS. 40 Riprodotta in CDEC, Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945, Skira, Genève-Milano 2004, p. 139. 41 Fabre, Lelenco..., cit., p. 474. 42 II 3 aprile Jacchia aveva firmato il manifesto per l’istituzione del Fascio a Trieste e con programma di lotta contro il «bolscevismo anarchico» (Claudio Silvestri, Storia del Fascio di Trieste dalle origini alla conquista del potere (19191922), Istituto di storia medievale e moderna della Facoltà di Lettere e Filoso­ fia dell’Università di Trieste, Fascismo-Guerra-Resistenza. Fotte politiche e so­ ciali nel Friuli-Venezia Giulia 1918-1945, Libreria Internazionale «Italo Svevo», Trieste 1969, p. 13. Si veda anche Dario Mattiussi, Il Partito Nazionale Fascista a Trieste. Uomini e organizzazione del potere. 1919-1932, «Quaderni» dell’Isti­ tuto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 12 [2002], p. 6). Jacchia scrisse poi sul PDI un intervento di esaltazione dei Fasci; si veda Fasci di Combattimento, PDI, 9 aprile 1919; ma si veda anche la lettera di Jacchia (provvisorio «fiduciario del Fascio») a Michele Bianchi

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Questi erano i nomi apparsi sul giornale. Dieci anni dopo, in vista del decennale della rivoluzione fascista, la questione dei «sansepolcristi» fu ripresa per capire chi avesse partecipato dav­ vero all’evento. Per l’occasione, in due momenti successivi furono stese due liste, elaborate dal PNF e fatte pervenire a Mussolini.43 In quella più tarda, del settembre 1932, i «presenti» ricordati (che peraltro erano in parte davvero «presenti» e in parte solo «ade­ renti») risultarono 194. Tra questi, oltre ai cinque «ebrei» già in­ dicati, c’erano altre due persone - forse parenti tra loro - con co­ gnomi tipici di famiglie ebree: Ines Tedeschi Norsa e Vittorio Te­ deschi. Alla data del 1932 anche loro risultavano iscritti al PNF. Sappiamo anche che furono «aderenti»,44 cioè scrissero una lette­ ra di adesione all’iniziativa di piazza San Sepolcro, ma non è del tutto escluso che avessero pure partecipato all’adunata come la­ scia intendere l’elenco del 1932. In seguito (1942) invece quei no­ mi vennero cancellati.45 Null’altro finora si sa di costoro. Qualche tempo dopo, ad altri ebrei (anzi, ebree) «sansepol-

dell’ll aprile 1919 in ACS, MRF, b. 18, f. 112/72. Il Fascio di Trieste fu poi co­ stituito ufficialmente il 21 maggio e Jacchia era presente (Mario Giampaoli, 1919, Libreria del Littorio, Roma-Milano 1928, pp. 187-188). 43 Un primo «Elenco dei partecipanti alla storica adunata in costituzione dei Fasci di Combattimento», con l’indicazione «[ricevuto] dal partito marzo 1932», è contenuto in ACS, SPD, CR, b. 126, f. «I Sansepolcristi». Anche il se­ condo elenco (datato 5 settembre 1932) era conservato nello stesso fascicolo, ma attualmente non è reperibile e si deve ricorrere alla riproduzione in: ACS, JALA, bobina 160, 046585-93. Quest’ultima è stata la fonte di Michaelis (Mus­ solini..., cit., p. 403), che però ha indicato tra i soliti 5 nomi «ebrei» anche il giornalista Enrico Rocca, invece del commediografo Gino Rocca, che non era ebreo. Enrico Rocca s’iscrisse ai Fasci di combattimento dopo l’adunata di piazza San Sepolcro (ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 44, f. 3729 Dis. Rocca En­ rico di Ettore); ma ci sono dubbi che si sia iscritto come fascista vero e proprio e non come futurista. A piazza San Sepolcro fu citato da Mario Carli come uno degli «aderenti» all’adunata in quanto fondatore del Fascio futurista di Roma (Giampaoli, 1919, cit., p. 138). 44 Le varie adesioni, ricopiate dal PDI, sono state riportate da Giampaoli, 1919, cit. (in questo caso, vedi p. 116). 45 L’elenco «di coloro ai quali il P.N.F. ha concesso l’alto onore di considerar­ si partecipanti all’adunata» fu ripubblicato durante la guerra in Panorami di Realizzazioni del Fascismo. III-l. Dai Fasci al Partito Nazionale Fascista, Ed. Pa­ norami di realizzazioni del fascismo, Roma s.d. [ma 1942], p. 105.1 nomi era­ no 159; mancavano anche Attal, Jacchia e Momigliano, mentre c’erano Goldmann e Luzzatto.

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cristi» fece riferimento la rivista «La nostra bandiera»: vale a di­ re Giulia Marconi e Mary Nissim Rosselli. Neppure sulla Mar­ coni si conosce qualcosa di più, ma anche lei negli elenchi del 1919 figurò tra gli «aderenti».46 In merito alla Nissim,47 invece, il suo nome non compare in nessuno degli elenchi considerati e probabilmente non era affatto «sansepolcrista». Si sa per certo invece che era fascista nell’aprile 1921, quando partecipò di persona, con alcune altre studentesse, all’aggressione fisica di un maestro socialista ed ebreo, Carlo Cammeo, che in quell’oc­ casione (il 13 aprile 1921) fu ucciso a colpi di rivoltella.48 Negli elenchi ufficiali non figurano neanche Cesare e Margherita Sarfatti: ma mentre il primo con certezza non era presente, la se­ conda sostenne invece di esserci andata.49 La stima sulle presenze vere e totali all’«adunata» milanese è a tutt’oggi incerta: si trattò di una cifra tra 52 e circa 300 perso46 Per Giulia Marconi, cfr. La nobile figura di Giulia Marconi donna italiana ebrea, educatrice, sansepolcrista, «La nostra bandiera», 1° novembre 1936, p. 2. L’articolo mi è stato segnalato da Michele Sarfatti. Per l’«adesione», cfr. Giampaoli, 1919, cit., p. 120. 47 Per la Nissim Rosselli, si veda il già citato articolo su Goldmann. Ma vedi an­ che Carla Forti, Il caso Pardo Roques. Un eccidio del 1944 tra memoria e oblio, Einaudi, Torino 1998, pp. 88-89 e Michele Sarfatti, Gli ebrei..., cit., p. 25. 48 Per l’assassinio di Carlo Cammeo il 13 aprile 1921, si veda Bruno Di Porto, Gli ebrei a Pisa dal Risorgimento al fascismo. Tra identità e integrazione, in Mi­ chele Luzzati (a cura di), Gli ebrei di Pisa (secoli /X-XX). Atti del Convegno in­ ternazionale. Pisa, 3-4 Ottobre 1994, Pacini, Ospedaletto (Ps) 1998, pp. 330-331; e Paolo Nello, Liberalismo, democrazia e fascismo. Il caso di Pisa (1919-1923), Giardini, Pisa 1995, p. 50. Ma soprattutto B. Di Porto, 75 anni dal sacrificio di Carlo Cammeo, «Il tempo e l’idea», seconda metà di aprile 1996, pp. 39, 41-44. Cammeo aveva insultato le ragazze fasciste con un corsivo (Valkirie) sul giorna­ le locale «L’Ora nostra», contenente doppi sensi molto volgari e le ragazze ave­ vano reagito. Nessun giornale ebraico pubblicò nulla sull’assassinio. 49 Cannistraro - Sullivan, Margherita Sarfatti..., cit., p. 214. Sembra altresì una pura retrodatazione l’iscrizione al PNF del senatore Salvatore Segrè Sartorio, che in una tessera del PNF presentata per ottenere l’arianizzazione risultò iscrit­ to dal 23 marzo 1919 (la stessa data d’iscrizione figura anche negli archivi del Se­ nato: si veda Senato della Repubblica. Archivio storico, Il totalitarismo alla con­ quista della Camera alta. Inventari e documenti dell’Unione nazionale fascista del Senato e delle carte Suardo, con un saggio di Emilio Gentile, Rubettino, Soveria Mannelli [Cz] 2002, p. 137). Il suo nome peraltro non risulta in nessun elenco di sansepolcristi. Nel 1924 fu proposto a senatore dal nazionalista Corradini. Perla tessera: ACS, MI, DGDR, f. personali, b. 41, f. 4222. D. Citt. 3650 Segre Sartorio Salvatore. Per la nomina a senatore: ACS, PCM, Gab., Senatori del Regno 192434, b. 1, f. Segrè conte Salvatore.

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ne (compresi i semplici spettatori).50 Più probabilmente ancora, come dichiarò peraltro un testimone, Manlio Morgagni, e con­ siderate anche le dimensioni della sala, si trattava di un numero intermedio, circa 150 persone.51 I nomi «ebraici» d’ipotetici presenti che conosciamo sono dieci, ma più probabilmente era­ no da sei a otto, di cui da uno a tre (Jacchia, Aitai e la Sarfatti, se presente) erano davvero fascisti. Poi bisognerebbe tener conto di altri «nomi ebrei» che figurarono solo tra gli «aderenti»:52 tra essi c’era per esempio un Ernesto Finzi di cui nulla si sa e Vito Levi, il Vito Levi Lusena collaboratore del «Popolo d’Italia», ma non per molto ancora. Era, pur nell’incertezza di questi numeri, una percentuale no­ tevole. Però era anche una presenza quantitativamente «ragio­ nevole», tenuto conto che l’«adunata» era un’occasione politica e organizzativa piuttosto inedita (nasceva un movimento che fondeva intellettuali, ex combattenti, ex nazionalisti, ex sociali­ sti, futuristi e quant’altri), e tenuto conto che, in media, tra gli «ebrei» il numero di persone con forti interessi politici e intel­ lettuali era alto. Senza dubbio è più strano, in questa situazione, che appena una settimana prima sul «Popolo d’Italia» Mussolini avesse in­ filato quel riferimento antisemita (di piccola entità, a dire il ve­ ro) al capitano Sadoul, peraltro dopo un’altra serie d’interventi dello stesso tipo, distribuiti lungo gli anni. E probabile che quel­ l’accenno fosse passato pressoché inosservato, o forse non era ritenuto rilevante rispetto a quanto stava succedendo nel campo della politica. Però c’era stato. 50 L’analisi più attendibile sull’adunata in Emilio Gentile, Storia del partito fa­ scista. 1919-1922. Movimento e milizia, Laterza, Bari 1989, pp. 23-24. 51 Morgagni, che era presente, in un discorso del 1937-1938 parlò di 147 per­ sone (torse si riferiva a qualche lista da lui consultata). Cfr. il suo discorso ai forlivesi, 23 marzo 1919. Discorso pronunciato da Manlio Morgagni ai Fascisti della città del Duce nell’Annuale dei Fasci, s.e, s.d. Lo stesso Mussolini sosten­ ne che coloro che davvero aderirono al documento uscito dall’adunata furono 54 (Mussolini, My Autobiography, cit., p. 68). Ma forse alludeva ai 54 rappre­ sentanti dei vari Fasci locali citati dal «Popolo d’Italia». Conversando con Ni­ no D’Aroma nell’ottobre 1942 parlò invece di «pochi uomini e in più di scar­ so conto» (definizione peraltro assai interessante). Cfr. Nino D’Aroma, Mus­ solini segreto, Cappelli, Rocca San Casciano 1958, p. 256. 52 Giampaoli, 1919, cit., pp. 109, 117.

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Schiff e altri

I complici dal punto di vista temporale è il primo tra i testi mussoliniani antisemiti più complessi del dopoguerra. E piutto­ sto noto e comparve sul suo giornale il 4 giugno 1919.53 Il fatto stesso che Mussolini pubblicasse un articolo in larga parte dedi­ cato in modo esplicito agli ebrei, e contro di loro, era una no­ vità. Finora nei suoi articoli aveva lasciato cadere degli accenni, magari anche lunghi, ma mai tanto netti, insistiti e ostili. Che co­ sa era successo? II direttore del «Popolo d’Italia» fece del tutto propria la teo­ ria della natura ebraica sia del bolscevismo sia dell’alta finanza.54 Gli ebrei, sostenne Mussolini, a Mosca come a Budapest si prendono una rivincita contro la razza aria­ na che li ha condannati alla dispersione per tanti secoli.

Era il giugno 1919 e Mussolini usava il termine «razza» (in questo caso «ariana») in senso positivo. Gli ebrei, secondo que­ sta visione, si stavano, al solito, vendicando («si prendono una rivincita») dell’intera «razza ariana», che aveva imposto loro la diaspora. Il concetto, come si vede, era sempre quello espresso nel saggio di più di dieci anni prima. La «rivincita» si sarebbe realizzata in due tempi. Dapprima, il comuniSmo (ebraico) in Russia avrebbe aperto a nuovi investi­ menti capitalistici fatti da altri ebrei, europei e americani. 53 Mussolini, I complici, PDI, 4 giugno 1919 (O.O., XIII, pp. 168-170, in parti­ colare pp. 169-170). Renzo De Felice (Storia..., cit., pp. 69 e poi 72) ha identi­ ficato, per questo periodo, tre «prese di posizione» di Mussolini, a suo modo di vedere «le più significative». Si tratta di tre testi di discorsi o articoli di Mussolini pubblicati sul «Popolo d’Italia» prima della salita al potere e oggi largamente noti; oltre a quello appena citato, ci si riferisce a: Ebrei, bolscevi­ smo e sionismo italiano, PDI, 19 ottobre 1920 (O.O., XV, pp. 269-271); Rap­ presaglia, PDI, 25 giugno 1922 (O.O., XVIII, pp. 256-257). Come si vedrà, bi­ sogna aggiungerne una quarta, assai più dirompente delle precedenti. 54 L’articolo fu ripubblicato per intero nel libro antisemita (del 1920) di Alfre­ do Nicolau, L'Allarme..., cit., pp. 171-174. Non fu invece ripubblicato nella pri­ ma raccolta degli articoli di Mussolini, Diuturna, del 1924 (Parenti, Bibliogra­ fia..., cit., pp. 61-66) né nell’«edizione definitiva» degli Scritti e discorsi... (voi. Il), cit.

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La finanza mondiale è in mano agli ebrei [frase in neretto e ben vi­ sibile, n.d.a.]· Chi possiede le casseforti dei popoli, dirige la loro poli­ tica. Dietro ai fantocci di Parigi sono i Rotschild [r/c], i Warnberg [per Warburg, n.d.a.], gli Schyff [sic], i Guggeheim [«?], i quali hanno lo stesso sangue dei dominatori di Pietroburgo e di Budapest.

«Parigi» indicava appunto la sede delle discussioni sul tratta­ to di pace e i «fantocci» erano i governanti che discutevano, tra cui di sicuro Wilson. La massiccia introduzione di capitale avrebbe a quel punto (in un secondo tempo) condotto la vita russa a un livello paros­ sistico, cioè inflattivo, e lo stesso comuniSmo sarebbe crollato per implosione. E sarebbe arrivata al potere la vera «borghesia». Allora avrebbe potuto seguire una reazione terribile: E possibile che il bolscevismo affoghi nel sangue di un progrom [rzc] di proporzioni catastrofiche,

annunciava Mussolini. Il riferimento ai pogrom era davvero rac­ capricciante, perché proprio in quelle settimane e in quei giorni erano giunte in Occidente e anche in Italia le notizie di alcuni pogrom sanguinosi avvenuti in Ucraina e in quella Polonia su cui appena tre mesi prima il «Popolo d’Italia» aveva dato noti­ zie rassicuranti.55 Come si vede erano tesi piuttosto contorte, dove però qual­ cosa risultava chiaro: l’articolo sosteneva che alcuni ben identi­ ficati banchieri ebrei - americani ma non solo - avevano finan­ ziato i bolscevichi (anche loro «ebrei») perché scatenassero la rivoluzione, se possibile mondiale. Questa rivoluzione aveva ca­ ratteristiche «razziali». Era - diceva Mussolini - la vendetta contro la «razza ariana» intera, che aveva cacciato gli ebrei da Gerusalemme. A dimostrare una solida continuità di pensiero, Mussolini ripeteva il concetto espresso un mese e mezzo prima: «La razza non tradisce la razza». Subito dopo, autocitandosi quasi alla lettera, echeggiava addirittura il proprio testo del 1908 e poi «Pagine libere» del 1910, dove aveva a lungo citato 55 IIfallimento dell’Umanità e 11 pogrom di Vilna, «Israel», 19 e 29 maggio 1919.

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in tedesco Nietzsche e le sue espressioni sul «tradimento» degli ebrei. Nel libro sul Trentino del 1911 quel brano era stato ta­ gliato, ma evidentemente si era trattato solo di un taglio di «convenienza». Ora scriveva: Cristo ha tradito l’ebraismo, ma, opinava Nietzsche in una pagina me­ ravigliosa di previsioni, per meglio servire l’ebraismo, rovesciando la tavola dei valori tradizionali della civiltà elleno-latina.

Questo era il non semplice articolo. Solo due giorni prima dell’uscita, il 2 giugno, i vincitori della guerra, compresa l’Italia, avevano consegnato all’Austria una bozza del testo del trattato di pace, che fu poi sottoscritto il 10 settembre 1919 e sarebbe divenuto noto come trattato di Saint-Germain. Quella bozza fu pubblicata dai giornali e anche dal «Popolo d’Italia». L’articolo sulle minoranze diceva: I cittadini austriaci che appartengono a minoranze di razza, di religio­ ne e di lingua godranno della stessa protezione di tutti gli altri.

Quel riconoscimento alle «minoranze di razza, di religione» era volto a tutelarne diverse, ma di sicuro a Parigi era rimasta in primo piano l’azione delle delegazioni ebraiche di vari paesi56 (in un secondo tempo si associarono anche gli ebrei italiani) e che avevano discusso a lungo per ottenere clausole che, nei paesi d’Europa che avevano conosciuto i pogrom (e in specie in Polo­ nia), salvaguardassero più di prima gli ebrei. Tali clausole - e al­ cune specifiche per loro - furono inserite in quasi tutti i trattati stipulati, e cioè riguardanti Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Grecia, Austria, Bulgaria, Ungheria, Turchia.57 C’è stato anzi chi ha sostenuto - e sembra non del tutto a torto - che le clausole sul­ 56 Su questa composita rappresentanza - e anche sui dibattiti e scontri che ci furono al suo interno - cfr. David Vital, A People apart. The Jews in Europe. 1789-1939, Oxford University Press, New York - London 1999, pp. 733ss. Per alcune riflessioni sulle contrapposte posizioni sul «nazionalismo» ebraico, cfr. Levene, Nationalism..., cit., in particolare pp. 513ss. 57 Mark Mazower, Minorities and the League of Nations in Interwar Europe, «Daedalus. Tournai of the American Academy of Arts and Science», spring 1997 (voi. 126, n. 2), pp. 47-63.

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le minoranze furono il frutto principale delle trattative condotte proprio dalle delegazioni ebraiche;58 anche se poi in effetti erano pensate - è un’altra tesi, ma molto attendibile - soprattutto come mezzo di controllo da parte delle grandi potenze nei confronti de­ gli irrequieti piccoli stati europei nati dopo la guerra mondiale.59 Il continuo monitoraggio della situazione delle minoranze, questa era l’idea, avrebbe permesso di tenere sotto stretta osservazione gli stati in cui esse vivevano e quindi gran parte dell’Europa. Quanto agli ebrei italiani, che solo in un secondo tempo si as­ sociarono alle richieste di altre delegazioni per la protezione delle minoranze nei paesi dell’Est Europa,60 ebbero un solo rap­ presentante a Parigi, Anseimo Colombo e la sua azione fu mol­ to limitata. E interessante però che nei verbali della riunione plenaria di tutte le delegazioni ebraiche che ebbe luogo all’ini­ zio dell’aprile 1919 sia rimasta una dichiarazione di Colombo a proposito della Palestina che fece sapere che «gli ebrei italiani non temevano il termine “nazionale” perché ritenevano che il nazionalismo ebraico fosse essenzialmente religioso». Colombo aveva anche aggiunto che il primo ministro «Orlando ha appro­ vato l’affermazione secondo cui essi erano cittadini italiani di nazionalità ebraica».61 Che cosa volesse però dire questa formu­ la non è chiaro, ma non sembra molto felice. 58 Feinberg, La question des minorités..., cit., pp. 76-94. Ma cfr. anche Levene, Nationalism..., cit., p. 523. Ma ora soprattutto Fink, Defending..., cit., pp. 125130,193-202. 59 Cfr. Manley O. Hudson, «La protection des minorités», in Ce qui se passe réellement a Paris en 1918-1919. Histoire de la Conférence de la Paix par les délégués américains (a cura del colonnello Eduard M. House e di Charles Sey­ mour), Payot, Paris 1923, pp. 175-176. Hudson era il delegato americano che si occupava di minoranze. 60 Per gli italiani, si veda il memoriale firmato dai rappresentanti delle Univer­ sità israelitiche, della Federazione sionistica e della Federazione rabbinica, che si allineava in gran parte al memorandum del 2 marzo, chiedendo l’estensione alle minoranze nei paesi dell’Est di tutti i «diritti civili e politici» (Ilfronte uni­ co degli Ebrei d’Italia, «Israel», 29 maggio 1919). L’appello fu presentato con lettera del 7 maggio 1919 al ministro Sonnino. Insieme, il memoriale chiedeva il riconoscimento della Palestina «come sede nazionale ebraica». 61 Oscar I. Janowsky, The Jews and minority rights. 1898-1919, Columbia Uni­ versity Press, New York 1933, pp. 303-304. Janowsky ha tratto le frasi dai ver­ bali dell’incontro delle delegazioni avvenuto il 5-6 aprile 1919 nella Sala del Consistoire Israélite.

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Le trattative per arrivare a quel testo erano state lunghe, ma finalmente il 2 giugno il trattato di pace con l’Austria era stato reso pubblico in un primo abbozzo. Due giorni dopo, come sappiamo, arrivò l’accusa di Mussolini contro gli ebrei. E assai verosimile, anzi, che sia stato proprio il testo del futuro trattato - che tutelava le minoranze nei paesi ex austriaci, e quindi an­ che gli ebrei, ma creava malcontenti perché sanciva che Fiume non sarebbe passata all’Italia - il motivo fondamentale dell’arti­ colo del 4 giugno. Un’altra ragione di questo articolo, è stato notato,62 potrebbe essere stata l’ammirazione per Lenin e la Russia che proprio in quei giorni serpeggiava tra i fascisti. Mussolini cercava appunto di smontare questi entusiasmi, attaccando a fondo il comuniSmo e dichiarando che era intrecciato con il grande capitale ebraico. Una terza ragione potrebbe essere stata invece di carattere fi­ nanziario e riguardare la Banca Commerciale di Toeplitz, ma non solo. S’è visto che il finanziamento ai movimenti antibol­ scevichi da parte delle tre banche - ma ingente era soprattutto quello della COMIT - è attestato solo fino al 20 maggio, un paio di settimane prima di quest’articolo. A quanto sembra, in segui­ to s’interruppe. L’articolo del 4 giugno giunse poco dopo la fine dei finanziamenti e, guarda caso, attaccava proprio la cosiddet­ ta finanza «ebraica». Non si può escludere, di conseguenza, uno scopo ricattatorio o vendicativo. Peraltro, non si conoscono rea­ zioni di alcun tipo da parte di Toeplitz. Infine c’era un altro possibile motivo «finanziario». Proprio in quel periodo affiorò in pubblico la causa giudiziaria che Mussoli­ 62 E. Gentile (Storia del partito fascista..., cit., pp. 29-30) ha notato che quella di Mussolini poteva essere una risposta a un recentissimo documento dei fa­ scisti liguri di plauso per la Russia bolscevica. La sera del 3 giugno - lo stesso giorno in cui andò in pagina il pezzo - presso la sede dell’Alleanza degli indu­ striali a piazza San Sepolcro si tenne una riunione del Comitato centrale dei Fasci, con 13 persone e Mussolini; un telegramma del prefetto del giorno do­ po riferì che «fu deciso di far conoscere al Fascio di Genova che male inter­ pretava le direttive del Fascio Centrale plaudendo alla politica di Lenin» (ACS, MI, DGPS, DAGR, 1921, b. 102, f. Gl. Milano. Fascio di combattimento. I). La riunione di Genova del giorno prima era stata presieduta da Marinetti, ma non sembra essere stata particolarmente filo-bolscevica (si veda II convegno di Genova, PDI, 3 giugno 1919). Ciò in ogni caso non spiega la lunghissima par­ te antiebraica dell’articolo, né il precedente relativo al capitano Sadoul.

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ni aveva subito dall’Agenzia italiana di pubblicità di Giuseppe Jo­ na. Jona era morto nel 1918, ma la causa «per risoluzione di con­ tratto e per gestione della liquidazione della pubblicità» proseguì dopo la sua scomparsa (e si ricordi che il padre di Jona era pro­ curatore alla Corte d’appello di Milano). Pare quindi certo che il contratto sia stato sciolto per iniziativa del «Popolo d’Italia». Alla fine di aprile - inizio maggio 1919 ne parlò il giornale democrati­ co «Italia del Popolo» e il nuovo amministratore dell’azienda spiegò di che cosa si trattava.63 Era una causa piuttosto rilevante, che alla fine del 1919 terminò con la decisione di un giurì d’ono­ re e la restituzione all’Agenzia da parte del «Popolo d’Italia», tra­ mite cambiali, di un’ingente somma di denaro, un debito matura­ to dal giornale.64 Mussolini perse e pagò.65 Questa sconfitta bru­ ciante per un pezzo contribuì a mantenere il giornale indebitato. D’altra parte è interessante che l’altra società di Jona, «L’im­ presa moderna», dopo la morte del proprietario e dopo un cam­ bio societario,66 alla fine, nel gennaio 1922 fu rilevata da Filippo Filippelli,67 fascista e dipendente d’Arnaldo Mussolini e infine implicato nel delitto Matteotti. Pochi mesi dopo, nel novembre 1922, «L’impresa moderna» fu definitivamente liquidata.68 63 Dopo vari attacchi dell’«Italia del Popolo», lo stesso giornale il 3 maggio 1919 pubblicò una dichiarazione dell’amministratore dell’Agenzia italiana di pubblicità, Chierichetti, a proposito della causa in corso (O.O., XIII, pp. 372379 e in particolare, per Chierichetti, p. 379). 64 Si veda la Dichiarazione sulla conclusione della vertenza, cofirmata da Mus­ solini e Chierichetti, nella «Cronaca di Milano» del «Popolo d’Italia» del 13 dicembre 1919 (O.O., XIV, p. 504). La cifra di un milione pagata con cambia­ li è accennata da Chierichetti nel 1960 in un’intervista (Bontempi, Edison An­ saldo e Fiat..., cit.). 65 La restituzione di almeno una parte di questi soldi sembra attestata dai bi­ lanci dell’Agenzia, che a partire dal 1921 ed entro il 1924 mostrò un recupero di un credito di 800.000 lire (le altre 200.000 erano state versate probabil­ mente nel 1920). Cfr. Associazione fra le società italiane per azione, Roma, «Notizie statistiche», ed. IX, 1922, p. 1587; ed. XIII, 1932, p. 2578. 66 ACCM, Ditte cessate, sezione postunitaria, f. ex 66127. Con atto del 10 giu­ gno 1918 fu creata la nuova società «L’impresa moderna» di Grego Valente. 67 Per l’attività di Filippelli, si vedano le dichiarazioni nel suo memoriale del 30 ottobre 1924 (pp. 162-163). ASRoma, succ. Galla Placidia, Corte Assise Roma [Matteotti], b. 463, v. 53. 68 ACCM, Ditte cessate, sezione postunitaria, f. ex 79632. La nuova società fu costituita il 5 gennaio 1922 e sciolta il 29 novembre 1922.1 maggiori investi­ tori erano Filippelli e Francesco Pezzani.

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Entrambi i casi, che coinvolgevano due «ebrei» collegati a dei «soldi», Jona e Toeplitz, sono abbastanza problematici. Ma forse possono spiegare Γatteggiamento di Mussolini nel giugno 1919, con quella sua manifesta ostilità in prima persona verso gli ebreifinanzieri. Fu uno dei suoi rari attacchi espliciti di questo genere. E invece utile notare chi non influenzò Mussolini in questo periodo a proposito di ebrei: si intende parlare della Chiesa cat­ tolica, che in occasione delle discussioni sui trattati di pace con papa Benedetto XV era tornata a parlare del sionismo, esprimen­ do preoccupazione per i Luoghi santi. Il 10 marzo 1919 Bene­ detto XV aveva dedicato al tema un’allocuzione e nei giorni se­ guenti anche stampa e diplomazia cattolica s’erano rivolte nella medesima direzione.69 Ma Mussolini in quel periodo era ancora piuttosto clericale (anche se, s’è visto, con dei notevoli distinguo) e pressoché incurante del sionismo, tema che non compare per nulla nel suo giornale. In altre parole Γatteggiamento era quello stesso assunto nel 1917-1918: gli attacchi a proposito di ebrei erano rivolti - e in modo violento - contro i capi politici avver­ sari, mentre il sionismo e gli insediamenti ebraici in Palestina non costituivano per lui tema di informazione o di dibattito. Detto ciò, non è invece chiarissimo da dove Mussolini attin­ gesse le sue informazioni. A proposito del testo del 4 giugno 1919, De Felice ha scritto che per quanto riguarda il punto cen­ trale, l’idea del «complotto ebraico» - la collusione tra comuni­ Smo e finanza, entrambi ebraici -, Mussolini «appare tributario dalle più viete “teorie” dei nazionalisti e degli antisemiti in ge­ nere italiani ed europei», tra cui Orano e Sorel.70 Escluso forse il solo Sorel, non era così, e per più di un motivo. Gli ispiratori non erano certo stati i nazionalisti; e nemmeno Orano. Per quanto riguarda il fatto che si trattasse di teorie «viete»,71 biso­ gna tener conto che l’avvento del comuniSmo in Russia era re­ cente, e di ciò qui si parlava. Mussolini avrebbe potuto in teoria fare riferimento ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che accen­ 69 Minerbi, Il Vaticano..., cit., pp. 188-193. Gabellini, LItalia e l’assetto..., cit., p. 110. 70 De Felice, Storia..., cit., p. 72. 71 Per la critica all’aggettivo «vieto» usato da De Felice, vedi De Michelis, Il manoscritto inesistente..., cit., pp. 172 e 223.

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navano a un misterioso e confuso complotto mondiale ebraico: l’ideazione e la stesura dei Protocolli risaliva infatti a parecchi anni prima. Eppure la presa di conoscenza di questo testo in Italia avvenne solo nel 1920, come si vedrà. Ed è pressoché da escludere che Mussolini all’epoca ne conoscesse il contenuto, che è estraneo all’articolo 1 complici. Per sommi capi doveva aver presenti, invece, talune precise e concrete «teorie» formulate assai più di recente. Oggi sappiamo che in quel periodo da diversi mesi erano approdati in Occi­ dente alcuni esponenti di vario livello dell’ex governo zarista, che si erano impegnati a diffondere «notizie intossicate». Esse riguardavano proprio l’identità «ebraica» dei capi bolscevichi e (questa sembrava una specifica «informazione» fornita dagli za­ risti) i finanziamenti che venivano loro forniti da altri ebrei, i co­ siddetti padroni dell’«alta finanza» mondiale. Notizie di vario tipo erano state già trasmesse in USA ma anche altrove, e pure in Italia, quanto meno a partire dalla seconda metà del 1918.72 Al­ cune di tipo generico erano state raccolte da Marinetti sul suo diario nel settembre di quell’anno.73 Nel novembre 1918 al Dipartimento di stato americano ar­ rivò il cosiddetto «rapporto Brasol»:74 steso, sembrerebbe, da Boris Brasol, ex alto funzionario del ministero della Giustizia zarista (procuratore a Pietroburgo) il cui nome fu reso noto so­ lo nel 1960. Brasol era stato giudice inquirente al processo d’ap­

72 Per la trasmissione di queste «notizie» e dei Protocolli dei Savi Anziani si ve­ da Robert Singerman, The American Career of the Protocols of the Elders of Zion, «American Jewish History», September 1981, pp. 48-78, in particolare pp. 49-52. Per i cosiddetti «Sisson Papers», il falso pubblicato nell’ottobre 1918 dall’americano Committee of Public Information, cfr. Walter Laqueur, Russia and Germany. A Century of Conflict, Little, Brown and Co, Boston-To­ ronto 1965, pp. 90-91 e 338. Ma si veda anche Poliakov, Storia dell’antisemiti­ smo. IV..., cit., ρρ. 265-266. 73 Ci si riferisce alle «confidenze» fatte il 13 settembre 1918 a Marinetti da un colonnello dell’esercito, ex attaché militare in Russia: «la rivoluzione fu orga­ nizzata dagli ebrei con danaro inglese» (Filippo Tommaso Marinetti, Taccuini 1915-1921, a cura di Alberto Bertoni, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 343-345, in particolare p. 345). 74 II rapporto è datato 13 novembre. Per Γattribuzione, Singerman, The Ame­ rican Career..., cit., p. 57. Ma si veda anche Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., pp. 265ss.

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pello su un famoso caso giudiziario di «omicidio rituale» in Ucraina, il «caso Beilis»; in seguito patrocinò la traduzione in USA dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion e fu collaboratore di Henry Ford, altro antisemita d’acciaio. Il rapporto Brasol elen­ cava sia i banchieri «ebrei» che avevano appoggiato la rivolu­ zione russa, sia i capi bolscevichi che - secondo lui - erano «ebrei». L’idea del «complotto ebraico» avrebbe assunto così un risvolto concreto: si stava realizzando proprio in Russia, do­ ve si sarebbe saldata o rinsaldata l’allenza tra finanza e rivolu­ zione (ebraica, naturalmente). E questo era esattamente il tema dell’attacco mussoliniano del 4 giugno 1919. La precisa fonte di Mussolini (che fosse un informatore o un articolo) invece è a tutt’oggi sconosciuta. Ma certo il neo-lea­ der fascista stava trovando un posto di rilievo nella nuova tem­ perie antisemita internazionale sortita dalla guerra, al fianco dei diversi giornali europei che intervennero in proposito, rac­ cogliendo le varie notizie intossicate che giravano tra Europa e Stati Uniti. Si allude principalmente al giornale tedesco «Deutsche Tageszeitung», che nella prima metà dell’aprile 1919 aveva lanciato la notizia, a suo dire appresa a Stoccolma, che le banche inglesi, francesi e americane avevano operato per stabilire le relazioni diplomatiche tra Lenin e le potenze occidentali: la ragione riferita dal giornale era che a capo di quelle banche c’erano degli ebrei, ed ebrei erano i capi bol­ scevichi. A sua volta il «Times» (quotidiano recidivo d’antisemitismo e che l’anno successivo, ad agosto, con grande clamore, avrebbe procurato fama internazionale ai Protocolli} aveva ripreso la «notizia» della «Deutsche Tageszeitung»;75 e a questo punto es­ sa aveva fatto il giro del mondo. Il giornale di Londra il 17 apri­ le 1919 aveva riassunto: [La «Deutsche Tageszeitung», n.d.ai] dice che, con l’eccezione di Le­ nin, i capi del bolscevismo russo sono ebrei e che la propaganda in 75 Through German Eyes, «Times», 17 aprile 1919, p. llf. Per altri giornali che poi intervennero sulla stessa questione (in particolare il «Morning Post») cfr. invece Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., p. 236.

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Germania è condotta da ebrei e che lo Spartachismo è guidato da ebrei. Ammette che l’abolizione della proprietà non è un’idea ebraica, ma asserisce che gli ebrei la stanno usando per i propri scopi. Questi scopi, i perenni obiettivi degli ebrei, sono la rivoluzione e l’internazionalismo. Gli ebrei sono stati dietro a tutte le rivoluzioni europee, per la semplice ragione che le rivoluzioni aumentano sempre l’influenza degli ebrei, mentre una forma di governo ferma e aristocratica la limi­ ta. L’internazionalismo è il vizio naturale di un popolo emarginato e senza patria.

In seguito la «notizia» della collusione tra alta finanza occi­ dentale «ebraica» e bolscevismo era rimbalzata anche altrove. Oltralpe era stata data dal settimanale «Vieille France», diret­ to da quell’Urbain Gohier76 che l’anno successivo (1920) avrebbe tradotto i Protocolli in volume per le edizioni della stessa rivista. Dalla rivista di Gohier era poi rimbalzata sulla «Vita Italiana».77 Qualche particolare su queste notizie era anche filtrato nel cor­ so della Conferenza di pace a Parigi, sede in cui gli stessi Protocolli avevano fatto un’apparizione.78 Lo stesso presidente Wilson ne era stato anzi messo al corrente e aveva ordinato indagini.79 Di conseguenza, la comunità ebraica internazionale era entrata in 76 Autour de la Conférence. Le President Wilson et les Allemandes, «Vieille France», f. 120,14 maggio 1919, p. 3. Era un commento di un articolo di Pertinax, Voyage autour de sa chambre, «Echo de Paris», 28 aprile 1919, in cui si dava notizia dell’arrivo a Parigi del dirigente della Federal Reserve, Max War­ burg, e delle vaste ramificazioni delle sue conoscenze (i Warburg tedeschi, Schiff eccetera). Pertinax era lo pseudonimo di André Geraud. Peraltro sul­ l’articolo dell’«Echo» non compariva mai la parola «ebrei», né alcun riferi­ mento ai bolscevichi. 77 «La Vita Italiana», 15 maggio 1919, pp. 506-508. I banchieri citati erano Schiff, Rothschild, Reinach, Gruenbaum. In USA si ha notizia di alcuni artico­ li apparsi sul quotidiano «Public Ledger» il 27 e 28 ottobre 1919, in cui ven­ nero forniti degli estratti dei Protocolli, dove però al posto della parola,«ebrei» compariva «bolscevichi». Si veda Les Protocoles des Sages de Sion. II. Études et documents sous la direction de Pierre-André Taguieff, Berg International, Pa­ ris 1992, pp. 548-549. 78 II caporedattore del «Times» di Londra ha invece raccontato di aver avuto un incontro a Parigi il 22 marzo 1919 col colonnello House, consigliere di Wilson e di averlo convinto che i banchieri ebrei americani e tedeschi finanziavano i bol­ scevichi ebrei. Cfr. Poliakov, Storia dell’antisemitismo. IV..., cit., p. 234. 79 Singerman, The American Career..., cit., p. 70.

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agitazione.80 In Italia, infine, il contenuto del rapporto Brasol - che non pare peraltro gli americani abbiano condiviso con altri - a quel tempo non era stato comunicato per vie ufficiali ed era quasi di sicuro sconosciuto sia alla stampa sia al gover­ no italiano.81 Quasi in contemporanea alle notizie provenienti da Stoc­ colma riprese dal «Times», l’l 1 aprile 1919 un’«indiscrezione» sul banchiere ebreo-americano Schiff, che avrebbe dato la sua disponibilità ai bolscevichi, venne raccolta a Parigi, proprio in sede di Conferenza di pace, dal giornalista italiano Carlo Scarfoglio per la «Nazione» di Firenze. E venne ripresa poi da altri.82 Come si sa, Scarfoglio aveva già attaccato Schiff e i ban­ chieri ebrei durante la guerra di Libia, quando li aveva accu­ sati di manovre anti-italiane e nel 1916 di essersi messi a di­ sposizione dei tedeschi. Ora l’accusa era cambiata, ma in ge­ nerale l’obiettivo - i banchieri ebrei - e soprattutto alcuni pro­ tagonisti (Schiff) rimanevano gli stessi. E ancora una volta, l’i­ spirazione era di fonte anglosassone. 80 II 23 aprile 1919 il «Morning Post» di Londra pubblicò la nota «lettera dei dieci», firmata da Lionel de Rothschild e da altri esponenti di primo piano della comunità ebraica inglese, in cui costoro si dissociarono dalfe notizie da­ te dai giornali a proposito di ebrei e bolscevismo. Seguì un complesso dibatti­ to nella comunità stessa e sui giornali inglesi. Cfr. Sharman Kadish, «The Let­ ter of the “Ten’’». Bolsheviks and British Jews, «Studies in Contemporary Jewry». IV. The Jews and the European Crisis 1914-1921, a cura di Jonathan Frankel, Oxford University Press, New York - Oxford 1988, pp. 96-112. 81 Una notizia sul rapporto Brasol o su un rapporto del genere, ma sempre del «servizio segreto americano», fu fornita da G. Preziosi solo un anno dopo. Si veda Ancora l’internazionale ebraica, «La Vita Italiana», 15 settembre 1920, p. 198. Preziosi citava dalla non identificata pubblicazione parigina «Documen­ tation» del 6 marzo 1920. Lo stesso rapporto fu pubblicato anche sul supple­ mento del numero di «Fede e Ragione» del 13 novembre 1921. Cfr. pure Pichetto, Alle radici dell’odio..., cit., p. 118. 82 Si veda Carlo Scarfoglio, Gli affaristi, «La Nazione», 12 aprile 1919 (il pez­ zo era datato Parigi, 11 aprile). Scarfoglio scrisse tra l’altro che «Schiff era profondamente interessato nella politica antirussa, e diresse sempre la sua po­ litica finanziaria contro il Governo zarista, per ragioni di razza». L’articolo fu ripreso dall’«Idea nazionale» (Influenze finanziarie sulla politica di Wilson) il 14 aprile 1919. Il motivo della diffusione di questi «dati» era un supposto in­ vestimento di banchieri americani (ma non per forza ebrei) in Russia per 12 miliardi, e la notizia venne data a Parigi intorno al 3 aprile (vedi R. Forges Da­ vanzali, Il nuovo atteggiamento dei Soviety russi verso l’Intesa. Concessioni di 12 miliardi a capitalisti americani, «Idea nazionale», 4 aprile 1919).

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Ora l’accusa di Scarfoglio verso quegli stessi banchieri era di aver aiutato i bolscevichi. E questa volta, almeno per il perso­ naggio più noto, pare che non fosse vero: Jacob Schiff, una sor­ ta di capo politico della comunità ebraica americana, in effetti operò a favore degli ebrei perseguitati in Russia e contro lo zar. Ma vari documenti oggi sembrano dimostrare che non aiutò i bolscevichi, ma semmai i loro nemici, i «russi bianchi».83 La Conferenza di pace di Parigi era un palcoscenico adatto per dilatare a dismisura questi attacchi e sospetti e renderli ancora più insidiosi. Pure la delegazione italiana non era insensibile a sugge­ stioni del genere. Il «Bollettino confidenziale» della delegazione italiana, che conteneva dati raccolti dagli informatori in sede di Conferenza, il 13 maggio 191984 riportò una notizia («da fonte molto attendibile») sul presidente Wilson, che si sarebbe messo nelle mani del sindacato israelita tedesco-americano Schiff, Kurscor, Loeb, Fratelli Warburg ed altri, senza possibilità di liberarsene;

pure la questione di Fiume, secondo lo stesso «Bollettino», sa­ rebbe stata gestita dai banchieri ebrei:85 85 Cohen, Jacob H. Schiff..., cit., pp. 242-245; per la sua attività contro il go­ verno zarista cfr. invece pp. 124-152. Dalle ricerche della Cohen risulta che Schiff avesse finanziato, attraverso un agente in USA, A J. Sack, almeno un’or­ ganizzazione di russi bianchi, il Russian Information Bureau. Forse sperava che gli stessi «bianchi» mettessero fine ai loro pogrom. 84 Si trattava del «Bollettino» n. 112, del 13 maggio 1919. Cfr. ACS, fondo V. E. Orlando, b. 81, f. 1631. «Bollettino Confidenziale per uso della Delegazione ita­ liana per la Pace». Il «Bollettino» sosteneva che «un grande finanziere francese» (e suggeriva che fosse il barone De Hirsch) aveva detto che «l’alta banca inglese è più wilsoniana di Wilson per la questione di Fiume» e, in particolare, il capo del trust anglo-americano che si opponeva all’annessione di Fiume all’Italia era il banchiere Barnek. Poi aggiungeva le informazioni di un altro «fiduciario» (forse americano), che dava le notizie su Schiff e gli altri banchieri. Per il fortis­ simo finanziamento segreto da parte della presidenza del Consiglio del servizio informazioni alla Conferenza di pace, cfr. Antonio Fiori, Orlando, Colosimo e l’ordine pubblico nella primavera del 1919, «Clio», gennaio-marzo 2004, p. 35. 85 Nelle memorie V.E. Orlando ha sostenuto che la notizia sull’influenza dell’«alta banca» (ovvero ebraica) americana sulla questione di Fiume sarebbe stata invece lanciata da «qualche giornale» italiano. Lui stesso ne avrebbe par­ lato a «un grande banchiere americano», che gli avrebbe anche smentito la no­ tizia (Vittorio Emanuele Orlando, Memorie (1915-1919), a cura di Rodolfo Mosca, Rizzoli, Milano 1960, p. 409).

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Il cambiamento politico della Conferenza circa la questione di Danzica e l’ostinato rifiuto di dare Fiume all’Italia sarebbero dovuti all’in­ tervento di certo Otto Kuhn (?) intimo di Yagow [rzc] Schiff e rappre­ sentante sindacato.

È dunque possibile (e molto probabile) che qualcuna di que­ ste «notizie confidenziali» fosse anche «filtrata» proprio dalla delegazione italiana verso l’esterno. Nelle memorie pubblicate l’anno dopo, uno dei giornalisti americani presenti a Parigi ha lasciato un quadro piuttosto im­ pressionante dell’ostilità (a partire dalla sua) presente in sede di Conferenza verso gli ebrei distribuiti nelle varie delegazioni, e che, egli sostenne, erano numerosi e potenti oltre misura.86 D’al­ tra parte è vero che i paesi vincitori della guerra87 rivolsero gran­ de attenzione, a proposito degli articoli sulle minoranze nei trat­ tati per i vari paesi europei, proprio alle richieste delle delega­ zioni ebraiche: se non altro allo scopo di sanare le tragiche si­ tuazioni in Europa orientale. E poi Wilson stesso aveva rilascia­ to la sua «dichiarazione Balfour». Ma si è detto dell’articolo di Gohier sulla rivista «Vieille France». Da noi fu in parte riprodotto (in lingua originale) nel numero del 15 maggio 1919 della «Vita Italiana». E infine sempre in Italia seguì, quindici giorni dopo, ai primi di giu­ gno, proprio il lungo editoriale di Mussolini, sulla prima pa­ gina del suo aggressivo giornale, con ben altro rilievo rispetto alle piccole e disperse notizie apparse fino ad allora in Italia. Alcune di quelle notizie, tra l’altro, avevano cercato di attri­ buire i finanziamenti ai sovietici a fonti diverse dalla finanza 86 Per le varie pagine ostili - contro gli ebrei bolscevichi, quelli tedeschi e austriaci (tutti considerati spie) e soprattutto contro quelli presenti alla Conferenza - cfr. E.J. Dillon, The inside story of the Peace Conference, Har­ per & Bros, New York - London 1920, p. 130, 391, 496-499. Emile Joseph Dillon (1854-1933) era giornalista e scrittore e come tale seguì la Conferen­ za. Su questa presenza «numerosa» si veda anche Levene, Nationalism..., cit., p. 522. 87 Si veda in particolare il resoconto dell’incontro del Consiglio dei Quattro (ma l’Italia era assente) del 1° maggio 1919 in Link (a cura di), The Papers of Woodrow Wilson, cit., v. 58. Aprii 23 - May 9, 1919 (1988), pp. 284-288; e poi il memorandum del 15 maggio, ivi, v. 59. May 10-31, 1919 (1988), pp. 179-183.

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«ebraica»: per esempio al finanziere «russo ortodosso» Basii Zaharoff e al «tedesco» (non indicato come ebreo) Otto Joel.88 Come si vede, nell’articolo di Mussolini non c’era nul­ la di «vieto», ma si trattava di concreta e recente cronaca gior­ nalistica, anche se basata sul pettegolezzo, sul lavoro dei ser­ vizi segreti e sulla disinformazione. Il direttore del «Popolo d’Italia» era davvero un uomo di punta dell’antisemitismo mondiale, sempre interessato e informato su quanto succede­ va in quegli ambienti. Anche di recente89 è stata indicata una fonte ancora più pre­ cisa dell’antisemitismo dell’articolo di Mussolini del 4 giugno 1919: e cioè Giovanni Preziosi e la sua rivista. In realtà il futuro duce conosceva bene la rivista di Preziosi. Sul proprio giornale, per fare un esempio palmare dei suoi rapporti con quella rivista, «anticipò» proprio dalla «Vita Italiana» un lungo articolo di Preziosi contro Wilson (IZ tramonto degli dei. Woodrow Wilson} che era il pezzo d’apertura dello stesso numero dove venne pubblicata la notizia su Schiff tratta dalla «Vieille France».90 Però rispetto a Preziosi Mussolini si muoveva del tutto per con­ to proprio, con proprie fonti e con singolare violenza. Di sicuro non era «La Vita Italiana» (e del resto c’erano molte altre possi­ bili fonti) l’origine delle notizie dell’articolo del «Popolo d’Ita­ lia», che citava banchieri ebrei in parte diversi e circostanze in parte differenti. Il giornale di Preziosi, in un articolo di quindi­ ci giorni prima sui finanziamenti americani ai «Soviety», non aveva affatto accennato alla possibilità che si trattasse di finan­ ziamenti «ebraici».91 Più tardi (inizio 1921), quando l’antisemitismo fu uno dei mo­ tivi del successo della sua rivista, Preziosi tentò un po’ goffa­ mente di retrodatare al 1919 l’antiebraismo integrale della «Vita Italiana», che in effetti allora si era schierata contro la possibilità 88 Pietro Fuà, Idltalia non è la Russia, «Roma futurista», 4 maggio 1919. 89 Bosworth, Mussolini..., cit., p. 150. 90 L’articolo di Preziosi contro Wilson, comparso su «La Vita Italiana» il 15 maggio 1919, pp. 413-424, venne pubblicato il 19 maggio anche dal «Popolo d’Italia». 91 Alfredo Montero, L’imperialismo americano nella Russia del «Soviety», «La Vita Italiana», 15 maggio 1919, pp. 425-431.

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della doppia nazionalità degli ebrei.92 Ma in realtà nel febbraio 1919 «La Vita Italiana» non era ancora esplicitamente antisemi­ ta. A conferma, uno dei collaboratori ebrei, Emilio Beer, mesi dopo addirittura ricordò di aver conosciuto bene Preziosi e di averlo considerato «filosionista».93 Tra l’altro la notizia ripresa dalla rivista di Gohier venne subito rimbeccata sul giornale «Israel» proprio da Emilio Beer;94 e in seguito, forse proprio a causa di levate di scudi del genere, ancora per diverso tempo quella stessa notizia non ebbe effetti evidenti e richiami sulla stessa «Vita Italiana». E infine, per vari mesi, fino grosso modo all’aprile 1920, Preziosi avrebbe continuato a pubblicare articoli di autori ebrei - tra cui Beer - nonché addirittura a difesa del sionismo.95 Nel 1919 Mussolini aveva da diverso tempo fornito manife­ stazioni certe di ostilità verso gli ebrei in generale e in specie contro alcuni di loro. Se in quegli anni (1919-1920) ci fu un le­ game antisemita tra Mussolini e Preziosi, di certo esso proce­ dette da Mussolini, capo partito in crescita, verso Preziosi e 92 Secondo l’articolo 11 Sionismo e l’Internazionale ebraica, «La Vita Italiana», 15 gennaio 1921, la rivista avrebbe «denunziato» le «pretese» d’«Israele» già nel numero del 15 febbraio 1919, nel corsivo su cui già ci si è soffermati, inti­ tolato Una dannosa e chimerica pretesa dei sionisti e firmato «Noi.» (p. 143). Quel corsivo era innanzitutto contrario alla costituzione di stati «ebraici» in Galizia, Polonia, Lituania, proposta che, secondo l’articolo, sarebbe stata avanzata nel corso di un’adunanza (9 febbraio) della società «Pro Israele Ita­ liana». Poi suggeriva l’esistenza di un problema di doppia nazionalità nel caso di uno stato in Palestina. Peraltro il corsivetto era preceduto da un saggio proprio di Emilio Beer (Ilproblema Sionista e l’Italia. Ili, pp. 134-142) che ra­ gionava in positivo sulla nascita di uno stato d’Israele. In proposito, Pichetto, Alle radici dell’odio..., cit., p. 43. 93 Nei primi mesi (6 gennaio 1921) della campagna antiebraica della rivista, Beer scrisse a «La Vita Italiana», dicendo di Preziosi: «ricordo il suo filosioni­ smo e sono certo che non ha mutato idea sul popolo dell’esilio». La lettera venne pubblicata insieme ad altre in Mentalità ebraica, «La Vita Italiana», 15 settembre 1921, p. 254. 94 Emilio Beer, biniamola con le calunnie, «Israel», 29 maggio 1919. Beer nel testo non citò «La Vita Italiana» né altri giornali, ma forse si riferiva proprio al trafiletto su Gohier sulla rivista di Preziosi. 95 Si vedano due articoli economici di Oscar Sinigaglia su «La Vita Italiana», 15 gennaio e 15 aprile 1920 (pp. 102-112, 312-325). In quest’ultimo numero sarebbe anche apparso l’ultimo articolo del collaboratore sionista Emilio Beer. Per il non-antisemitismo di Preziosi prima del 1920, cfr. anche De Felice, Sto­ ria..., cit., p. 47.

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non viceversa. Anche negli anni successivi Mussolini mantenne sempre una primogenitura sull’argomento, oltre che una com­ pleta libertà d’azione; nonché, da quel che si capisce, una vi­ sione d’insieme molto più ampia e una retorica più sfumata. Come antisemita era più complesso, determinato ed efficace dell’ex prete ed ex democratico. Da una parte teneva in piedi e sviluppava le sue idee «razziali», e a quello stadio da parecchio aveva scritto contro gli ebrei, eversori storici, compresi quelli di Russia; e poteva permettersi in proposito addirittura riferimen­ ti a propri vecchi testi. Dall’altra, traduceva le sue tendenze in tesi politiche. Infine, continuava a prendersela con i suoi per­ sonali nemici politici (ebrei). In quel momento in Italia il personaggio meno - per usare il termine, s’è detto, adoperato ingiustamente da De Felice96 «tributario» verso altri a esclusione forse di Sorel, sull’argo­ mento «ebrei» era proprio lui, Mussolini. Al punto da arrivare perfino a incassare, e a quanto pare con tranquillità, l’accusa netta e senza fronzoli di essere un uomo con «inveterati pregiu­ dizi» e «ignorante e antisemita», come scrisse seduta stante, do­ po l’articolo I complici, sul giornale democratico «L’Italia del Popolo», Leone Carpi.97 Carpi aveva colto subito anche una mi­ naccia in quelle parole sui pogrom, la maligna profezia di un Progrom [rzc] di proporzioni catastrofiche.

Voleva essere uno schiaffo esplicito. Ma non ci fu risposta.

96 Ivi, p. 72. 97 Leone Carpi, I «complici ebrei», «L’Italia del Popolo», 7-9 giugno 1919. L’articolo è stato citato, con data sbagliata, da Michaelis, Mussolini..., cit., p. 403. Michaelis probabilmente ha ricavato questa datazione errata da un testo precedente, forse Scritti di Leone Carpi, che qui cito dall’estratto da Scritti in memoria di Leone Carpi, s.e., Gerusalemme 1967, p. 28. Ringrazio Daniel Car­ pi per avermelo procurato.

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UNA NOTA DELIA "INFORMAZIONE DIPLOMATICA.

Il razzismo italiano data dall'anno 1919 ed è base fondamentale dello Stato fascista

La prima pagina del «Popolo d’Italia» del 6 agosto 1938: Mussolini, alla vigilia delle leggi razziali, rivendica una ventennale coerenza razzista.

A sinistra: leader del Partito socialista e direttore dell’«Avanti!», Mussolini alla fine del 1912. Sotto: tre deputati socialisti ebrei nelle foto segnaletiche del Casellario politico centra­ le (circa 1928): da sini­ stra, Claudio Treves, Giuseppe Emanuele Modigliani, Alceste Della Seta (ACS; questa e le altre foto dell’Archivio centrale sono riprodotte con autorizzazione n. 532/05).

Una diciannovenne Margherita Grassini col marito, Cesare Sarfatti, in una foto del 1899 (per gentile concessione, AMGS).

La ricevuta (13 aprile 1921) del pagamento di Giuseppe Toeplitz Manlio Morgagni, amministratore del «Popolo d’Italia» (ASl-BCl)

Sopra: Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Banca Commerciale. A destra: Giuseppe Toeplitz e don Luigi Sturzo in un disegno satirico di Mario Sironi, pubblicato dal «Popolo d’Italia» il 7 febbraio 1922 (ASI-BCl).

Giuseppe Jona sulla copertina della sua rivista «L’impresa moderna» (1918).

Dante Lattes (Archivio privato, Venezia).

Sopra: da sinistra Ermanno, Federico, Ferruccio, Ines ed Emilio Jarach all’inizio del Novecento. A sinistra: Ivo Levi intorno al 1918 (per gentile concessione di Tamara Levi).

Sopra: sala dell’Alleanza industriale e commerciale a piazza San Sepolcro a Milano. Vi si svolse l’adunata del 23 marzo 1919. A sinistra, Vito Levi Lusena, collaboratore del «Popolo d’Italia» e aderente all’adunata (ACS).

Sopra: la scrivania di Mussolini nel «covo» del «Popolo d’Italia», rispettivamente nel 1919 e nel 1922, al momento della partenza per Roma. Il primo ambiente è una ricostruzione del 1932 (ACS). Sotto: la scrivania a Palazzo Venezia mentre Mussolini riceve Emil Ludwig per i famosi Colloqui (marzo-aprile 1932).

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Due momenti della commemorazione dei morti fascisti nell’eccidio di Modena, avvenuta il 29 settembre 1921. Accanto a Mussolini, con i baffi, si riconosce Roberto Farinacci (ACS).

In questa pagina e nella successiva quattro antisemiti italiani. Qui a destra, Maffeo Pantaleoni.

Paolo Orano.

Giovanni Preziosi.

Francesco Coppola.

Sopra: il matrimonio di Aldo Finzi, 21 febbraio 1923. Si intrawedono Mussolini e Giovanni Gentile. Sotto: il deputato Dino Philipson nella foto segnaletica del Casellario politico centrale scattata nel 1938 (ACS).

Tre ebrei che ebbero ruoli di rilievo durante il fascismo. Sopra da sinistra: il ministro Guido Jung e l’economista Gino Arias. Sotto: il fisiologo Carlo Foà (ACS).

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Lettera di Mussolini a Bonaldo Stringher, governatore della Banca d’Italia, 12 febbraio 1929 (per gentile concessione ASBl).

Ugo Del Vecchio e il figlio Gianfranco nella sede di Genova della Banca d’Italia (ACS).

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Telegramma N.

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Banca d'Italia commendatere Del Vecchio eia etato battezzato et In quale Shleea Cattolica

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De Luca ■ 1928 A. VI - Ord. 157 · 180.000.

Telegramma di Mussolini a Ettore Porro, prefetto di Genova, 1° marzo 1929 (ACS).

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