Musei e media digitali 1498646352

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Musei e media digitali
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1' edizione, giugno 2.019 © copyright 2.019 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel giugno 2.019 da Digitai Team, Fano (PU)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 2.2.9 00186 Roma tel 06 42. 81 84 17 fax 06 42. 74 79 31

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N icolette Mandarano

Musei e media digitali

Carocci editore

@ Bussole

Indice Introduzione 1.

7

Tra storia e attualità: il contesto del libro

1.1. In principio era il CD-ROM

13

1.2. I musei e la comunicazione on site

17

1-3-

I musei e la comunicazione online

25

2.

On site

31

2.1. Totem e tavoli multimediali 2.2. App

31

36

2.3. Realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista 2..4. Videomapping 2..5. Chatbot

Online

47

56

65

3.1. I siti web museali in Italia e nel mondo 3.2.. Le piattaforme socia!

Nuove aperture

66

73

3.3. I feedback: in ascolto dei propri visitatori

4.

42.

51

2..6. Videogiochi

3.

13

109

113

4.1. Il museo fra on site e online

113

4.2. La trasformazione del museo: un'ultima riflessione

Bibliografia

116

119

s

Introduzione

L'lnternational Council of Museums (1coM) definisce il museo come «un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servi­ zio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che com­ pie ricerche riguardanti le testimonianze materiali dell'uomo e del suo ambiente, le raccoglie, le conserva, le comunica e soprattut­ to le espone ai fini di studio, di educazione, di diletto» (http:// www.icom-italia.org/definizione-di-museo-di-icom/). In questa molto nota, breve, ma puntuale definizione sono raccolte tutte le funzioni principali del museo, che, dunque, è da considerarsi un luogo di apprendimento, di diffusione della conoscenza e allo stesso tempo di svago, ma deve ricoprire anche l'importante ruolo di comunicatore, dando per scontato che esso comunica a partire dall'allestimento e dall'esposizione delle opere al suo interno, pri­ ma ancora che in altri modi. Il 21 febbraio 2018 è stato emanato dall'allora ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo (MiBACT, oggi MiBAC) il D.M. n. 113, Adozione dei livelli minimi uniformi di qualita per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale. Nell'Allegato I al decreto, relativo ai Livelli uniformi di qualita per i musei, la III Parte è, significativa­ mente, dedicata alla Comunicazione e ai rapporti con il territorio. In essa si legge: I musei hanno come finalità istituzionale quella di offrire alla collet­ tività un servizio culcurale fondaco essenzialmente sulla conservazione e valorizzazione delle loro collezioni. Strumenti fondamentali sono la comunicazione e la promozione del patrimonio.

E ancora: 7

Adeguato spazio va dato inoltre all'utilizzo delle tecnologie. L'impor­ tanza della rete come primo approccio conoscitivo fra l'utente/visita­ tore e gli istituti museali è stata più volte messa in evidenza. Pertanto, la disponibilità di informazioni online sull'accesso al museo, sulle col­ lezioni, sui servizi, sulle attività extra - inclusi socia! network, applica­ zioni, ecc. - e la loro efficacia in termini di aggiornamento ed esaustività delle informazioni, diventano di primaria importanza.

È ormai chiaro dunque, e finalmente anche per una formale presa di posizione da parte del MiBAC, che nell'analizzare oggi il tema della comunicazione e, di conseguenza, della valorizzazione e pro­ mozione del patrimonio culturale, non è più possibile prescinde­ re dalle tecnologie e dalle innovazioni tecnologiche, che peraltro ormai da tempo popolano musei e istituzioni culturali nazionali e internazionali; e tanto meno si può prescindere dall'utilizzo sem­ pre più diffuso della rete e dei social media. Il 22 maggio 2018 la Commissione europea ha pubblicato la Nuo­ va agenda europea per la cultura (European Commission, 2018) e fra gli obiettivi di sostegno all'innovazione, alla creatività, alla cre­ scita e alla creazione di posti di lavoro sostenibili sono sottesi due temi trasversali: la tutela e la valorizzazione del patrimonio cultu­ rale e la strategia digitale (Digital4Culcure). Viene sottolineato, anche in questo caso, come le tecnologie (nel documento definite ancora "nuove", ma spesso già di uso comune quando entrano a far parte dei prodotti a disposizione nei musei) e la comunicazione digitale stiano trasformando la società, lo stile di vita, i modelli di consumo e le relazioni economiche; è necessario quindi che i settori culturali e creativi si impegnino nel cogliere le opportunità del cambiamento digitale. Si può, dunque, affermare che i dispositivi tecnologici e le piatta­ forme per la comunicazione online si dimostrano fondamentali ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale perché, se uti­ lizzati in modo consapevole, forniscono all'istituzione strumenti utili per accrescere quel portato di conoscenza che si muove in­ torno a ogni opera d'arte - nella maggior parte dei casi deconte8

srualizzaca - e al contesto più generale dell'istituzione culturale, permettendo in tal modo al proprio pubblico di comprendere in maniera efficace ciò che sta guardando; si agevola così nei visita­ tori quell'esercizio di lettura e di interpretazione capace di ricrea­ re la relazione stretta che lega un manufatto al proprio contesto storico, socioeconomico e culturale, ma anche al territorio che lo custodisce, e alle vicende della sua conservazione e fruizione. Co­ municare si trasforma pertanto in valorizzare. Parliamo, dunque, di mezzi che, accostati ai tradizionali suppor­ ti analogici, forniscono la grande opportunità di moltiplicare le possibilità di espressione e comunicazione. Non si tratta, infatti, di preferire il digitale all'analogico, quanto piuttosto di sviluppare un sistema integrato di comunicazione che favorisca l'accesso al bene a un ampio pubblico, andando olcre il concetto di «museo quale sistema complesso di contenuti e nessi, sovente autoreferen­ ziali e referenziati, accessibili solo a coloro che posseggono le chia­ vi a stella per la comprensione sia del rapporto era lo spazio e le collezioni, sia dell'opera, della testimonianza in sé» (Mascheroni, 2016, p. 27). Ecco, dunque, che per superare questo ostacolo oggi possiamo con­ tare su una narrazione museale che può basarsi su più livelli e stru­ menti che, integrati fra loro, possono a loro volta rendere il museo realmente accessibile a cucci, un luogo realmente inclusivo. A una corretta comunicazione dei contenuti specificamente pensati van­ no, pertanto, affiancati i mezzi più adatti per veicolarli. Viviamo in un contesto sociale nuovo e in continua evoluzione, in cui non solo non è più possibile distinguere nettamente fra ana­ logico e digitale, ma in cui è anche cambiato il modo di entrare in contatto con le istituzioni culturali e con le opere d'arte in generale. E molti musei si stanno adeguando. Il Rijksmuseum di Amsterdam, ad esempio, ha colto l'occasione p er istituire un forte legame fra una delle sue opere più rappresen­ tative, la Ronda di notte di Rembrandt, e il proprio pubblico. L'ope­ ra deve essere restaurata - a quarant'anni dall'ultimo intervento 9

in occasione della mostra dedicata all'artista, prevista per il 2019, in coincidenza del 350° anniversario della morte. La direzione del museo ha deciso di eseguire il restauro nella sala in cui l'opera è solitamente esposta, collocandola in una camera di vetro. In tal modo potrà essere sempre visibile e si potranno mostrare le diverse fasi dell'intervento ai visitatori. Ma è stato facto un ulteriore passo avanti: una piattaforma digitale consentirà agli spettatori di tutto il mondo di seguire l'incero processo anche online. Da questo esempio si può facilmente evincere che la cultura del digitale sta cambiando anche l'aspetto dei musei e la modalità di dialogo con i visitatori, che grazie al digitale diventano sempre più protagonisti e partecipi del processo di produzione di contenuti. La stessa evoluzione degli strumenti, con la centralità degli smart­ phone e degli schermi touch, costringe a una nuova riflessione sul loro utilizzo e sull'esperienza d'uso, già a partire dalla visualizza­ zione. Essa impone, infatti, un cambio di paradigma rispetto alla visualizzazione mediante desktop dei contenuti cui siamo stati abituati per anni. Siamo arrivaci, dunque, a un momento in cui comprendere e dominare i mezzi, capire come utilizzarli nel percorso museale e come "farli parlare" è diventato fondamentale per affrontare la ri­ voluzione in atto. Ma quali sono oggi gli strumenti tecnologici migliori fra cui sce­ gliere? Come riconoscerne la reale efficacia comunicativa? Quale tipo di contenuti richiedono? E come strutturarli? E ancora: come dialogare con i visitatori? Come rispondere alle loro esigenze? Queste sono solo alcune delle domande a cui si cercherà di fornire una risposta. Con questo volume, infatti, si intende fare un punto sulle tecnologie, i siti web e le piattaforme socia! che possono es­ sere impiegate da un'istituzione museale per meglio comunicare e valorizzare le proprie collezioni e per incrementare il dialogo con i propri visitatori e con quelli potenziali. Ci si concentrerà anche sull'importanza dei feedback che i visitatori dei musei rilasciano IO

in rete, spesso preziose indicazioni per consentire all'istituzione di migliorare. Si focalizzerà poi l'attenzione su alcuni casi virtuosi, al fine di in­ dividuare le buone pratiche della comunicazione che possono ga­ rantire ai visitatori la possibilità di fruire il museo, le opere d'arte e il loro contesto nel modo più appropriato e corretto possibile. Il capitolo I è introdotto da una breve storia del rapporto fra isti­ tuzioni culturali e tecnologie, che ci permette di capire come sia­ mo approdati al contesto attuale e quali sono oggi le dinamiche di questo complesso rapporto. Il capitolo 2 è invece dedicato ali'ana­ lisi di tutti quei prodotti che possono essere impiegati all'interno dei percorsi museali, mentre il capitolo 3 tratta interamente della comunicazione museale online. Si parte dai siti web per arrivare all'analisi dei feedback dei visitatori su piattaforme di recensioni, passando per l'ormai diffuso - e indispensabile - utilizzo delle piattaforme social. Infine, il capitolo 4 propone una riflessione sulle modalità della fondamentale trasformazione digitale dei musei italiani. Si offre quindi una ricognizione che non ha la pretesa di essere esaustiva delle proposte comunicative esistenti, ma che vuole esse­ re, piuttosto, una riflessione sul corretto uso degli strumenti che possono veicolare una migliore conoscenza del museo in base a come vengono pensati e progettati in un percorso integrato di co­ municazione fra online e offiine.

Ringraziamenti Questo libro nasce anche dal dialogo e con il supporto di molte persone e per questo vorrei ringraziare Antonella Sbrilli, Carola Carlotti, Maria Elena Colombo; e poi Maria Stella Bottai, Giovanna Castelli, Paolo Ca­ vallotti, Marta Coccoluto, Valerio Eletti, Antonia Falcone, Alessia Muro­ n i, Paola Romi, Marco Vigelini, Fabio Viola. Ognuno di loro sa perché.

Il,

I.

1.1.

Tra storia e attualità: il contesto del libro

In principio era il CD-ROM

Si potrebbero scrivere molte scorie relative al rapporto fra tecno­ logie e beni culturali perché molteplici e diverse sono le tappe che lo hanno caratterizzato, ma qui ho deciso di segnalarne solo alcu­ ne - ne troverete altre all'interno del libro - che hanno contribui­ to, a mio avviso più di altre, all'evoluzione di questo rapporto sino a giungere allo stato attuale. Si tratta di momenti che con diversi mezzi (postazioni multimediali, ricostruzioni, supporti iperme­ diali, siti web ecc.) hanno visco coinvolti insieme contesti, fruitori e opere d'arte, fuori e dentro i musei. I994 La mia storia inizia a Roma nell'ottobre del 1994 alla Fon­ dazione Memmo, dove era stata organizzata la mostra Nefertari. Luce d'Egitto. In una delle sale era proposta un'esperienza cui all'e­ poca non si era per nulla abituati: visitare la tomba di Neferta­ ri come se ci si trovasse al suo interno, senza dover compiere un viaggio in Egitto. Tutto questo accadeva grazie a un dispositivo indossabile che permetteva di visitare virtualmente l'ambiente. Ciò che i visitatori potevano ammirare «era la tomba come l'a­ veva vista l'archeologo italiano Ernesto Schiaparelli al momento della sua scoperta nel 1904» (Antinucci, 2007, p. 5). Novant'anni dopo, dalle foto associate ai rilievi e ai disegni che erano stati ese­ guici all'inizio del Novecento, la tecnologia permetteva di genera­ re l'ambiente come lo aveva potuto vedere l'archeologo. La scoria inizia, dunque, con un primo passo molto significativo, una visita che contemplava un'immersione nella realtà virtuale, al­ l'epoca una delle punte avanzate della tecnologia, che veniva messa al ser vizio di una migliore comprensione di un bene culturale. 13

Sembrava, in effetti, l'inizio di una nuova era di dialogo fra le di­ scipline. Purtroppo non tutto procede sempre in maniera lineare e questa storia ha avuto alcune accelerazioni e molti momenti di sta­ si, non attribuibili all'evoluzione tecnologica ma, piuttosto, a una mentalità che era tutta da costruire e a un pregiudizio che vedeva le tecnologie come potenziali corruttrici della nobiltà dell'arte e come un fastidioso, se non dannoso, mezzo di distrazione nella relazione fra visitatore e opera d'arte. Ai fini strettamente storici è interessante notare che questi sono anche gli anni in cui vengono commercializzati i primi browser per la navigazione in Internet, Mosaic nel 1993 e, l'anno successivo, Netscape Navigator. Grazie ai browser sarà possibile accedere il 14 luglio del 1995 al sito web del Musée du Louvre (cfr. CAP. 3), uno dei primi musei a presentarsi in rete. La fortuna del sito web è tale che nel 1998 il Louvre viene visitato da 3,5 milioni di persone e, di que­ ste, il 9% dichiara di aver deciso di compiere la visita dopo aver visto il sito. Si apre così la strada alla diffusione della conoscenza storico­ artistica in rete e dal 1996 la nascita di siti web di istituzioni musea­ li si andrà incrementando costantemente. 1996 Altra tecnologia, altri formati e altri pubblici. Il 1996 è, in­ fatti, l'anno in cui Giunti Multimedia ed Edizioni la Repubblica fanno uscire in edicola il cosiddetto Cd'.Art, un CD-ROM dedicato a Van Gogh, primo di una collana di aree. Un momento impor­ tante perché sino ad allora l'editoria elettronica su CD-ROM aveva prodotto per lo più enciclopedie, dizionari, corsi di lingue ecc. e veniva venduta nei negozi di computer con costi piuttosto elevati (da 50.000 a 140.000 lire). In questo caso, invece, l'attenzione si focalizzava su una sorta di monografia ipermediale di un artista, da diffondere in edicola, a un prezzo accessibile a tutti. Il racconto dell'arte diventava così facilmente fruibile da PC ed entrava nelle case di tutti (Eletti, 2003). Ovviamente il CD-ROM aveva una serie di vantaggi rispetto a una stampa tradizionale: la possibilità di accogliere, a parità di prezzo, molte più immagini a una buona risoluzione grazie alla sua ca14

pienza; di zoomare sulle opere per vederne i dettagli e, cosa non crascurabile, contenere un ipertesto, in cui le parole attive riman­ davano ad altri contenuti specifici. Si assisteva così al passaggio dalla lettura sequenziale a quella trasversale, caratteristica peculia­ re della navigazione, ipertestuale e poi ipermediale, in rete. La Fondazione IBM contribuisce alla riapertura al pubbli­ co della Galleria Borghese di Roma, dotando il museo di un cilin­ dro multimediale a scomparsa (posto nell'area di accoglienza), at­ trezzato con nove postazioni, dalle quali si poteva accedere a una guida multimediale alle opere d'aree conservate nell'edificio, con la possibilità di visualizzare i gruppi scultorei a 360°. Un sistema che consentiva al visitatore di preparare meglio la visita prima di entrare nelle sale del museo. 1999

2002 Il Comune di Padova, in collaborazione con l'Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (ITABC) del CNR di Roma, lancia la nuova modalità di visita della cappella degli Scrovegni. Dopo il restauro si rende, infatti, necessaria una regolamentazione dell'afflusso di pubblico per motivi conservativi. La cappella è visi­ tabile per quindici minuti da gruppi di massimo venticinque perso­ ne e, solo, dopo alcuni minuti passati nella sala di climatizzazione. V isto il poco tempo a disposizione per la visita, viene pensato uno spazio dedicato all'approfondimento con installazioni multime­ diali dedicate agli affreschi, alla storia della cappella, ma anche alla ricostruzione del contesto storico-economico cittadino che aveva consentito la realizzazione dell'edificio nel Trecento. Una postazio­ ne include il Museo virtual� ddla cappella degli Scrovegni di Giotto, un ambiente in realtà virtuale per desktop in cui il visitatore può esplorare la cappella ricostruita in 3D (Pescarin, 2016, pp. 144-5).

Peter Greenaway mette in scena, alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, Le nozze di Cana. All'interno del refettorio palladiano, dove era originariamente conservata l'opera Le nozze di Cana di Paolo Veronese, oggi al Louvre di Pa-

2009

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rigi, Greenaway realizza una vera e propria rappresentazione tea­ trale, usando in modo integrato immagini, suoni, architettura, software e illuminazione, per dare vita all'affollatissima scena. Il lavoro viene fatto utilizzando un duplicato in scala 1: 1, frutto di 2.700 scatti ad altissima definizione stampati su cela di lino, dell'o­ pera di Veronese, realizzato nel 2007 da Adam Lowe e Factum Arte (spiegazioni tecniche e immagini sono reperibili in http:// www.factum-arte.com/pag/38/A-facsimile-of-the-Wedding-ac­ Cana-by-Paolo-Veronese). Mentre la replica a grandezza naturale dell'opera di Veronese si colloca in quella che Antonella Sbrilli (2012, pp. 139-40) definisce «tendenza dell'uso di immagini digitali di capolavori in absen­ tia », che consente di riallestire un contesto che non esiste più e mostrare come doveva essere il refettorio al tempo di Veronese, l'azione di Greenaway interviene per raccontare, attraverso suoni e scomposizioni grafiche, quello che l'artista rinascimentale aveva ritratto. Una sorta di rappresentazione aumentata che si distingue nettamente dall'opera originale e si trasforma in altro. Una nar­ razione utile, quindi, alla comprensione non solo di un contesto architettonico, ma soprattutto di una precisa epoca storica grazie a una studiata e "tecnologica" messa in scena. 20II Il 1 ° febbraio il team di Google lancia Google Art Project, oggi Google Arcs & Culture, una raccolta online di immagini ad alca risoluzione di opere conservate in diversi musei di tutto il mondo. Dalla piattaforma era possibile accedere anche a tour vir­ tuali per visitare le sale del museo in cui le opere erano - e sono esposte. Il progetto, che prese avvio con 17 musei, oggi si è ampliato ed evoluto: vi hanno aderito circa 1.500 istituzioni culturali e dalla piattaforma si può avere accesso a circa 6 milioni di immagini. 20IS Il Museo Marino Marini di Firenze lancia Playable Mu­ seum Award per selezionare idee «che abbiano la capacità di emozionare e coinvolgere i pubblici rendendoli protagonisti del museo» (hccps://museomarinomarini.it/playable/). 16

Vorrei chiudere, anche se è difficile mettere il punto a una storia quale quella del rapporto complesso fra tecnologie e patrimonio c ulturale che evolve molto velocemente, ricordando che a Mestre è stato inaugurato, a novembre 2.018, il Museo del Novecento (M9). Il museo, organizzato attorno a otto grandi sezioni tematiche, pone la multimedialità e l'interattività al servizio della narrazione storica mettendo a disposizione del pubblico sessanta installazio­ ni multimediali e interattive. Il visitatore si trova così immerso nei cambiamenti della cultura, degli stili di vita, dei paesaggi naturali e urbani, della scienza e del lavoro che hanno caratterizzato il No­ vecento, il tutto grazie a diversi dispositivi tecnologici, con l'idea che ogni visitatore possa trovare un proprio modo per approfon­ dire la scoria del "secolo breve". Che non si possa mettere un punto alla nostra storia lo si capisce anche da uno degli intenti dichiarati dei creatori del museo: Il Museo sarà un organismo vivo, in costante evoluzione, come voglio­ no anche le tecnologie adottate, rinnovato ogni anno, con la cultura e i metodi di un laboratorio aperto alle sollecitazioni dei mutamenti culturali, tecnologici, sociali e politici, nella consapevolezza che la sto­ ria viene sempre rivisitata partendo dai problemi di oggi, con l'occhio attento ai mutamenti che si aprono al futuro (https://www.m9digital. it/it/il-museo ).

Interessante è sottolineare che il museo si inserisce in un progetto più ampio di smart city, costituendosi come prima isola digitale della città di Mestre, in un rapporto continuo per storia narrata, metodologie di narrazione e innovazioni tecnologiche con il ter­ ritorio cittadino. 1.2.. I musei e la comunicazione on site S ono diversi i sistemi comunicativi che possiamo trovare oggi a ll'interno delle sale di un museo. Si va dai tradizionali sistemi a nalog ici quali le didascalie, i pannelli didattici o le schede di sala, 17

a quelli digitali, quali postazioni multimediali, app, videoproie­ zioni �cc., di cui parleremo più approfonditamente nel capitolo 2. L'importante è, però, che tutti vengano studiati e progettati in manièra integrata, e che vi sia una programmazione della strate­ gia comunicativa complessiva, che deve contraddistinguere e ca­ ratterizzare ogni museo. Nel momento in cui, come abbiamo vi­ sto nell'Introduzione, la comunicazione del patrimonio culturale viene - finalmente - riconosciuta come elemento essenziale del museo, al pari della tutela e della conservazione, si deve essere in grado di sviluppare un racconto unitario - creando una strategia comunicativa efficace - che permetta al museo di proporsi ai pro­ pri pubblici nel modo migliore. Sappiamo, infatti, che il pubblico di un museo è molto vario e può essere diviso, per sommi capi, fra quello che abitualmente o occasionalmente lo frequenta; quello potenziale che di solito non visita i musei, ma potrebbe essere interessato a farlo; quello di prossimità, che frequenta eventi collaterali al museo, ma poco interessato alla collezione permanente e, infine, il cosiddetto "non pubblico•: la fascia più lontana e difficilmente intercettabile per mancanza di interesse (Bollo, 2016, pp. 287-8). Definita una strategia comunicativa complessiva con i suoi obiet­ tivi e definito il pubblico, bisogna scardinare alcuni pregiudizi. Non bisogna aver paura delle tecnologie perché non sostituiscono mai - all'interno di un museo - gli oggetti esposti, e non vanno a impaccare (o non dovrebbero in nessun caso) con la possibilità di compiere una visita tradizionale, piuttosto si tratta di strumen­ ti che devono essere pensaci per amplificare l'esperienza di visita perché aiutano a contestualizzare e quindi a spiegare gli oggetti, a renderli maggiormente comprensibili e fruibili. Inoltre, le tecnologie possono essere una delle chiavi di accesso per raggiungere quelle generazioni (Millennial o generazione Y nati fra il 1980 e il 2000 e la generazione Z o Touch, i nati dopo il 2000, detti anche nativi digitali), ancora troppo spesso lontane dai musei, che sono abituate ad apprendere e a fare esperienza tramite i pro­ pri smarcphone su cui passano una buona parte del tempo libero 18

(s ull'approfondimento di questa specifica tematica cfr. Centro stu­ di Civita, 2.018, e in particolare il saggio di Pattuglia, ivi, pp. 71 -7, ma anche Viola, 2.018, in particolare pp. 2.9 2.-3 ) . Eppure, in Italia, un problema nei confronti del digitale lo abbia­ mo, se dall'ultimo rapporto ISTAT emerge che appena il 30% delle quasi 5.000 istituzioni culturali italiane offre un servizio digitale in situ (la parola "servizio" in questo caso è intesa in senso ampio perché comprende app, QR code, la presenza del wi-fi, ma anche le audioguide) e uno online (sito web, acquisto di biglietti, un ac­ count socia!). Certamente uno dei fattori di questo ritardo può essere la man­ canza di risorse economiche e umane (sulle professionalità torne­ remo più volte in questo libro), ma ancora troppo spesso si tratta di un problema di mentalità e di una mancanza di «consapevolez­ za rispetto a costi e benefici derivanti dall'innovazione digitale» (Agostino, Arnaboldi, Lorenzini, 2.018, p. 310 ) . Diventare consapevoH_dç_} valore aggiunto che una trasformazio­ ne del mQs.eo.in senso digitale può comportare è il primo passo per intraprendere una str�da di apertur\i e di accessibilità delle istitu­ zioni culturali verso il proprio pubblico. Prima di iniziare ad affrontare i diversi sistemi tecnologici voglia­ mo, per un momento, spostare l'attenzione su uno strumento co­ municativo che non rientra - forse - in questa trattazione, ma che è ancora uno dei sistemi di fruizione più apprezzati dai visitatori dei musei: l'audioguida. Le audioguide sono ormai capillarmente diffuse e riscuotono an­ cora molto successo, nonostante l'incremento e la diffusione delle app museali. Risultano gradite perché permettono ai fruitori di ampliare le proprie conoscenze su una determinata opera grazie a un'estrema semplicità di utilizzo. Digitato su un tastierino il nu­ mero corrispondente a un'opera, una voce ne narrerà la storia, i fatti salienti, il contesto in cui è stata prodotta. Il limite è certamente quello della scelta a priori delle opere, che è i ndipendente dagli interessi specifici del visitato re. Le opere 19

sono preselezionate e il fruitore non può fare altro che decidere se ascoltare o meno le informazioni su una determinata opera, ma non potrà mai ottenere dati su un'opera che non è stata inserita nel percorso di visita. Sottolineato questo indubbio, ma probabil­ mente superabile, svantaggio, le audioguide hanno però un loro mercato in Italia - ma anche all'estero - soprattutto fra i turisti stranieri, che spesso trovano in questo sistema una delle rare inter­ facce studiate per comunicare nella loro lingua d'origine. Spostando, invece, l'attenzione sulle tecnologie bisogna sottoli­ neare che sono numerosi gli strumenti che in questi anni hanno popolato le sale museali. Alcuni hanno avuto una vita brevissima, promossi, forse, più da una moda che da una reale sperimenta­ zione dell'utilità del prodotto, come, solo per fare un esempio, i Google Glass. Anche se, a questo proposito, una sperimentazione degna di nota, condotta nel 2013 al Museo egizio di Torino, è sta­ ta GoogleGlass4Lis, un sistema per permettere ai visitatori non udenti di visualizzare, grazie agli occhiali, le informazioni tradotte nella lingua dei segni da un avatar. Questa soluzione aveva il me­ rito di consentire al pubblico dei non udenti di fruire il museo in autonomia, senza l'ausilio di interpreti. Un sistema, dunque, per rendere il museo più accessibile. Ma oggi i Google Glass non sono più in uso e proprio il supera­ mento del loro utilizzo ci porta a fare una, forse ovvia ma neces­ saria, considerazione. La tecnologia a tutti i costi o fine a sé stessa non è mai la strada corretta da percorrere. Non è sufficiente inseri­ re un prodotw tecnologico in un museo per acquisire appeal e per dirsi digitali o al passo con i tempi. Ogni volta che si intende introdurre un'innovazione nel museo è fondamentale analizzare il contesto di riferimento, valutare e sce­ gliere le opere e le storie da raccontare e decidere come devono essere raccontate e attraverso quali mezzi è più opportuno farlo. Si deve ricordare sempre che «non esiste una storia da raccontare, ma uno sciame di racconti di ampiezza infinita, ciascuno dei quali può incantare qualcuno per un'ora: mettere al centro il visitatore, 20

fa r cantare le pietre è, anche questo, scegliere il racconto» (Dal Pozzolo, 2.018, p. 12.5). È poi necessario capire a quale tipo di visitatore ci stiamo rivol­ gendo e con quale linguaggio sia meglio farlo, affinché la nostra lingua sia sempre comprensibile e sia possibile stabilire una com­ pl icità con chi ci sta visitando. Tutti questi processi possono essere affrontati solo grazie alla col­ l aborazione fra tutte le figure professionali che operano all'inter­ no dell'istituzione museale (dal direttore ai conservatori, dagli al­ lestitori ai comunicatori). Sono necessarie una visione ampia, una programmazione che preveda una strategia comunicativa chiara e una progettazione adeguata - hardware, software e contenuti per ogni mezzo che si decide di impiegare. I contenuti di un qualsiasi prodotto multimediale sono ovvia­ mente la parte fondamentale, ma anche sui contenuti è necessario seguire delle regole. Troppe volte, infatti, si incontrano nei percor­ si museali testi poco comprensibili o eccessivamente lunghi, sia in analogico sia in digitale. Vorremmo a questo proposito citare alcune semplici norme - ri­ prese dalle sette regole dello storytelling museale, proposte da Margaret e Raymond DiBlasio (1983) canto tempo fa, ma sempre efficaci - che non bisogna dimenticare quando si affronta la stesu­ ra di un contenuto. Il cesto deve fornire al pubblico gli elementi essenziali per com­ prendere opera e contesto, deve quindi essere credibile, usare un lin guaggio possibilmente visuale, deve coinvolgere e sedurre e, aggi ungiamo, deve necessariamente essere sintetico. In merito a quest'ultimo punto bisogna rilevare che la nostra attenzione è se mpre più limitata, «meglio dunque essere brevi e puntare su po­ chi concetti e chiari, e il messaggio sarà più incisivo» (Dal Maso, 2.01 8a, p. 77 ). Una narrazione errata allontana i visitatori dal mu­ seo, e crea un danno che potrebbe essere peggiore rispetto a una mancata comunicazione. Lo strumento conta, ma altrettanto rile­ vanti sono i contenuti adeguati (Volpe, 2.018). 2.1

Ancora sui contenuti. Replicare o meno l'immagine in prossimità dell'opera all' interno di un museo è un dibattito ancora in corso. Per anni io stessa ho ritenuto che la vista dell'originale fosse suf­ ficiente e che il corredo di contenuti utilizzato per spiegarla non dovesse mai replicare l'immagine dell'originale. Poi, lavorando a stretto contatto con i visitatori, mi sono resa conto che a volte è difficile associare i contenuti all'opera corretta, come può accadere nel caso di gallerie, che vedono le opere disposte fittamente sulle pareti in più ordini. In questo caso la richiesta ripetuta era quella di avere materiali chiari che consentissero velocemente di ricono­ scere l'opera, anche tramite una sua replica. A un analogo risultato sono giunti al National Museum of Scot­ land di Edimburgo. Qui hanno deciso di lavorare su quanto emer­ geva dalle interazioni dei visitatori con le etichette digitali (pic­ coli schermi touch che il museo ha collocato in prossimità delle opere principali della collezione) e, da questa analisi, hanno sco­ perto che essi tendevano a leggere solo i contenuti esplicitamente correlati all'oggetto che stavano guardando attraverso la replica dell'immagine dell'oggetto. Quindi raccontare la storia e il signifi­ cato culturale di un oggetto è fondamentale, ma se non si riesce a creare una connessione visiva esplicita i visitatori potrebbero non comprendere la correlazione (Coulson, 2018). Ovviamente le cose possono cambiare da museo a museo, ma ascoltare il proprio pubblico, raccoglierne le opinioni, monitorare e osservarne i comportamenti può aiutare a costruire una comuni­ cazione più mirata. Oltre ai contenuti, dal punto di vista hardware e software, inve­ ce, sarebbe opportuno utilizzare sempre tecnologie già testate per non incorrere in spiacevoli imprevisti. Essere precursori non sem­ pre paga. Le tecnologie, poi, dovrebbero essere semplici da utilizzare e poco invasive, perché ancora oggi il digita! divide connota il nostro paese e tecnologie troppo complesse, oltre a distrarre il visitato­ re dall'opera e dal museo, che già sarebbe cosa piuttosto grave, 2.2.

ris chierebbero di creare nuove barriere cognitive, allontanando potenziale pubblico non avvezzo all'utilizzo di nuovi dispositivi per motivazioni anagrafiche, economiche o di livello di istruzio­ ne, perché il pubblico non si compone solo di nativi digitali o di digitali adattivi. Ancora. Il museo non dovrebbe rincorrere l'effetto "wow", perché non è la tecnologia a dover essere il polo attrattivo dell'istituzione, ma sempre l'opera. L'ottimale, quindi, sarebbe avvalersi di tecnologie testate e, se pos­ sibile, poco invadenti per il visitatore. Ovviamente il tutto, come già sottolineato, va valutato caso per caso, senza mai oscurare o trascurare l'opera d'arte, che rimane sempre il punto da cui partire. Tuttavia, sono in corso sperimentazioni interessanti anche per le istituzioni museali come, ad esempio, la tecnologia Wall++, in via di sviluppo grazie ai ricercatori di Disney Research e della Carnegie Mellon University, che permetterà alle pareti di una stanza di tra­ sformarsi in couchpad con l'uso di una vernice conduttiva e com­ ponenti elettroniche. Si tratta di un sistema in grado di percepire il tocco di una mano e rilevare il movimento delle braccia. In questo modo un muro di un qualsiasi ambiente museale - ad esempio, una sala di orientamento - può divenire interattivo consentendo di progettare nuovi modelli di comunicazione e fruizione. Nell'ambito del progetto Connecting Early Medieval European Collections (cEMEC) dell'ITABC del CNR, in collaborazione con Encoded Visions on Canvas (EVOCA), è in via di sperimentazio­ ne una vetrina olografica con la quale si intende ricostruire «la d imensione sensoriale intorno all'oggetto esposto al suo interno, attraverso una nuova forma di drammaturgia» (hccps://www. a re heomacica. i e/muse i/la-scatola-delle-s corie-verso-una-dram1n acurgia-dell-oggetto-museale-con-le-vecrine-olografiche). La verrina olografica è concepita come un piccolo palcoscenico d orato di controlli per la regia e la sincronizzazione di luci, audio e p roiezioni. Le opere sono quindi "supportate" da proiezioni ed effetti sonori ottenendo un risultato in mixed reality (realtà mi23

sta) (cfr. PAR. 2.3). In questo caso cambia radicalmente il modo di comunicare, dal momento che i contenuti digitali non sono più collocaci in spazi separati rispetto agli oggetti esposti nelle vetrine, ma sono proiettati nello spazio stesso dell'oggetto. La prima vetrina olografica è stata realizzata per narrare la storia di una spada appartenuta a un capo guerriero vissuto nella metà del VII secolo d.C. e conservata all'Hungarian National Museum di Budapest. L'esperienza creata attraverso l'ologramma è stata pen­ sata in ere fasi. Nella prima fase l'attenzione è concentrata sull'og­ getto esposto, con semplici didascalie digitali che ne trasmetto­ no i contenuti essenziali. Nella seconda fase viene rappresentato il processo di creazione dell'oggetto. Nella terza, infine, l'oggetto viene contestualizzato. Si tratta di un nuovo modo per proporre ai visitatori un'esperienza diversa che miri maggiormente al coin­ volgimento emotivo. In via di sviluppo sono anche i cosiddetti "sistemi di tracciamen­ to". Si tratta di piccoli oggetti di design - una clip o un braccia­ letto, ad esempio - che vengono dati al posto del biglietto come accade al Nationalmuseet di Copenaghen, oppure come gadget insieme al biglietto. Il sistema rende possibile "mappare" il per­ corso del visitatore all'interno dell'istituzione e di valutare anche il tempo passato davanti a un'opera o in una determinata sala. Questo consente alle istituzioni culturali di studiare allestimenti diversi, ad esempio mettere in evidenza un'opera che non viene adeguatamente valorizzata, e/o monitorare i flussi dei visitatori all'interno delle sale. Un passaggio ulteriore potrebbe permettere di collegare pacchetti informativi al dispositivo di tracciamento tramite l'inserimento di un codice univoco associato ad esempio al biglietto, in modo da consentire un ulteriore dialogo fra visi­ tatore e museo. Un'altra tecnologia per la fruizione è stata utilizzata nella mostra L'acqua microscopio della natura. Il Codice Leicester di Leonardo da Vinci organizzata dalle Gallerie degli Uffizi in collaborazione con il Museo Galileo di Firenze. I fogli del codice leonardesco sono 24

fruibili, nell'.Aula magliabechiana degli Uffizi, grazie all'innovati­ ,,0 sussidio multimediale Codescope, che permette al visitatore di sfogliare virtualmente i singoli fogli su schermi digitali, accedere alla trascrizione dei cesti, alle note e ricevere molteplici informa­ zio ni sui temi craccati. Le pagine molto complesse del manoscric­ co leonardesco diventano così accessibili ai visitatori e il codice riacquista cucco il suo portato comunicativo. In attesa dei sistemi del prossimo futuro, ci sono, tuttavia, molti dispositivi tecnologici che, grazie a numerose sperimentazioni e riscuotendo un buon successo, ormai rientrano a pieno titolo fra i prodotti tradizionali era cui scegliere per spiegare opere e contesti, come i totem e i cavoli multimediali; altri sono in via di sperimen­ tazione nel mondo museale come i chacboc, e altri ancora sono in continua evoluzione, con sempre nuove proposte narrative, come le app. Di tutto questo e di altro ancora parleremo più nel dettaglio nel capitolo 2.

1,3,

I musei e la comunicazione online

Se oggi qualcuno ancora pensa che la presenza online di un museo non sia così importante, gli dovremmo suggerire di partire dall'a­ nalisi dei rapporti dedicati all'utilizzo di Internet in Italia. Già nel 2016 nell'indagine realizzata dall'ISTAT sugli Aspetti della vita quotidiana si poteva leggere che il 63,2 % degli italiani utilizzava I nternet e che il 34 % lo faceva ogni giorno. Ma andando più nello spe cifico, analizzando i dari forniti ogni anno dall'agenzia interna­ zio n ale We Are Socia! in collaborazione con Hoocsuice si scopre che nel 2019 gli urenti Internet nel mondo superano i 4 miliardi, e ch e in Italia sono più di 54 milioni, con un tempo medio giorna­ lie ro speso su Internet di circa 6 ore (cfr. FIG. 1.1). In so mma, come ormai possiamo constatare quotidianamente, l ' i n fo rmazione non viene più recepita solo dai media tradizionali 1 a an che, a giudicare dai dati, sopraccucco dalla rete. n 25

FIGURA I.I

Indicatori statistici della diffusione del digitale in Italia (gennaio lOI9) POPOLAZIONE TOl.Alf

CONTRATTI MOùrlE

UTENTI INTERNET

UTENll A.TT!Vl SUI

UTENTI A'rT!VI SUI SOCIAL

59.25

85.92

54.80

35.00

31 .00

71 %

145%

92%

59%

52%

MILIONI UR�ANIZZA.!IONf

MILIONI

MILIONI �ENC!llA.llONf

SOCIAl MEOIA

MILIONI PCNfTtAlJOt-.f

MfOIA OA MOBl!E

MILIONI f'fNf!R.-710M

Fonte: hccps:/ /wearesocial.com/ic/digical-2019-icalia.

Tuttavia, insieme ai dati dell' incremento dell'utilizzo di Internet crescono anche quelli sui visitatori dei musei. Negli ultimi anni si è, infatti, assistito a un loro notevole incremento, come dimostra­ no i dati MiBAC, tanto che nel 2018 è stata superata la soglia dei 55 milioni, con un incremento rispetto all'anno precedente di circa 5 milioni (è possibile consultare i dati sui visitatori dei musei statali grazie alle statistiche pubblicate annualmente sul sito dell' Ufficio statistica del ministero dei Beni e delle attività culturali: http:// www.statistica.beniculturali.it/Visitatori_e_introiti_musei.htm). Proprio grazie a questi numeri favorevoli si è iniziato a parlare del­ le istituzioni museali più spesso anche sui media tradizionali, ma di certo un ruolo importante nell'aumento del pubblico dei mu­ sei è occupato, a nostro parere, anche dalla progressiva espansione della loro presenza in rete, grazie alla realizzazione ex novo o al restyling di alcuni siti web, ma anche grazie all'apertura di profili ufficiali sui principali social network. L'aumento del dialogo di alcune istituzioni museali con i pubblici online ha permesso di incrementarne la visibilità e di attirare l'at­ tenzione anche su luoghi che prima erano poco o parzialmente conosciuti.

C ertamente questo non è un discorso che coinvolge l'incero siste­ m a museale. Perché, se è vero che negli ultimi anni sono state pre­ se molte iniziative, grazie anche all'autonomia concessa ad alcune i stit uz ioni museali dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, detta Rifor­ ma Franceschini, moltissimo resta da fare soprattutto per quanto rig uarda realtà più piccole, p iù periferiche e/o che non hanno le risorse, economiche e di personale, per affrontare quanto r ichiesto dalla comunicaz ione digitale. A oggi sono ancora troppi i muse i, anche fra quelli statal i, che non sono dotati di un sito web o ne possiedono uno che non risponde a standard attuali adeguati. Da un' indagine ISTAT sui servizi d igitali più utilizzati dai musei nel 2015 emerge che il sito web è adottato dal 57% dei musei; men­ tre sono il 41% le istituzion i museali italiane che hanno aperto profil i social (Facebook , Twitter, lnstagrarn). Un'ulteriore analisi, effettuata dall' Osservatorio Innovazione di­ gitale nei beni e attività culturali del Pol itecnico di Milano, su un campione di musei nel 20 1 6 mette in evidenza un avanzamento verso l'util izzo dei social network : il 52% possedeva un account e la maggiore presenza veniva registrata su Facebook con il 5 1 % ; seguiva poi Twitter con il 3 1 % e, infine, Instagra rn con il 15%. E, come abbiamo già visto, anche il MiBAC ne ha riconosciuto la cen­ tralità dal punto di vista c omun icativo, attribuendogl i una fon­ damentale funzione legata al processo di valorizzazione. Investire nella comun icazione digitale è dunque oggi particolarmente im­ p ortante per promuovere un museo ma anche per intercettare un pubblico che si muove sempre più in rete, perché «Internet ha annullato il confine tra reale e digitale » e «per il settore culturale sott rarsi all'agorà digitale sign ifica oggi condannarsi all' irrilevan­ za » ( Coccoluto, 2019, p. 436). Dunque, per non essere irr ilevanti b isogna essere presenti, ed es­ sere p resenti è un'opportunità per attrarre visitatori e creare con lo ro un legarne che non si esaurisca nel tempo di una visita ma che contin ui nel tempo stabilendo un rapporto duraturo. Una strategia di comunicazione complessiva deve partire dalla de­ fin i zione di un' immagine coord inata dell 'ist ituzione, dalla crea2.7

zione di un logo, e deve poi esplicarsi in ogni forma comunicativaj dal!'analogico al digitale (carta intestata, biglietti da visita, banner pubblicitari, locandine, sito web, testate dei profili socia! ecc.); permettendo all'istituzione di avere una sua identità perfettamen• te riconoscibile in ogni sua declinazione. Dopo aver individuato l'immagine coordinata, una corretta stra­ tegia digitale online richiede per prima cosa la creazione di un sito web, che, come vedremo nel capitolo 3, è la fonte informativa principale per ogni istituzione. Solo dopo aver progettato un si­ to web efficace e funzionale si potrà pensare alla sua integrazio­ ne con i profili socia!. Oggi, tuttavia, come già notato da Aspro­ ni (2017 ) , alcune istituzioni aprono profili socia! senza avere un sito web. Emergono a questo proposito due ordini di problemi. In primo luogo, il pubblico che naviga in rete non è, o può non essere, lo stesso pubblico che è iscritto e utilizza i canali socia!. In secondo luogo, una comunicazione data sui socia! viaggia ve­ locemente, scorre sulle timeline degli utenti a volte senza essere vista, e per questo motivo anche la comunicazione sui socia! ha spesso bisogno di integrarsi con quella sul sito per fornire infor­ mazioni di maggiore dettaglio che durino il tempo necessario. Se, ad esempio, comunico via Twitter l'inizio di un laborato­ rio didattico dovrò, anche solo per questioni di spazio, dettate dai 2.80 caratteri di testo imposti dalla piattaforma, rimandare tramite un link alla pagina del sito web relativa alla didattica, dove ci sarà tutto lo spazio necessario per gli approfondimenti in merito. Realizzare un sito web adeguato e aprire i profili socia! è solo un primo passo ai fini di una valida comunicazione online; sono infatti il mantenimento continuo, la presenza quotidiana anche nell'interazione e la creazione di contenuti specifici che possono garantire un corretto posizionamento dell'istituzione sul web. E per fare questo è necessario molto impegno. Non può trattarsi di un impegno estemporaneo, ma piuttosto deve essere un lavoro

srruccurato che preveda la realizzazione di una strategia di comu­ nicazione digitale complessiva. Perché aprire un sito web che non viene costantemente aggiornato o creare un profilo sodai che poi viene abbandonato o mal gestito provoca solo un danno e di con­ seguenza una ricaduta negativa sul museo e sulla sua reputazione. Quindi, la presenza online è un'ottima cosa ma solo se viene ade­ guatamente curata. Ma è arrivato il momento di entrare più nel dettaglio.

29

2,.

On site

In questo capitolo affronteremo le tecnologie che si possono in­ contrare all'interno delle sale museali. Si va dalle postazioni mul­ ti mediali alle app, dai chatbot ai videogame, passando per la realtà virtuale, la realtà aumentata e la realtà mista. Tutti sistemi che in questi ultimi anni sono stati impiegaci per migliorare la fruizione del bene esposto e per consentire una maggiore accessibilità del patrimonio culturale in termini di conoscenza. Ma prima di iniziare la nostra analisi è doveroso fare alcune con­ siderazioni. Innanzitutto va detto che non sempre i progetti di cui si parla in questo capitolo sono facilmente classificabili, perché spesso si basano sull'integrazione di diversi sistemi tecnologici. Si è così tentata una suddivisione per macroaree, ma va da sé che alcuni progetti potrebbero essere compresi in più sezioni. Mi preme, poi, ribadire che questo libro non vuole - e non può essere una rassegna esaustiva delle tecnologie e dei sistemi comu­ ni c ativi esistenti nei musei e quindi, per ogni tecnologia analiz­ zata, verranno esaminati solo alcuni esempi utili a evidenziare le bu one pratiche che possono essere messe in atto per migliorare la comunicazione di una istituzione culturale. 2.1.

Totem e tavoli multimediali

I totem e i tavoli multimediali sono ottimi sistemi comunicativi p e r incrementare la conoscenza all'interno di un percorso musea­ l e. Possono essere pensati a bassa o alta interazione a seconda del punto in cui andranno collocati nel percorso espositivo. Prodotti a bassa interazione, con approfondimenti specifici su u n 'opera, possono essere collocati anche in prossimità delle opere 31

all'interno delle sale espositive. Non devono disturbare la visionti delle opere, ma essere utilizzati solo se si vuole conoscere anche il contesto di un oggetto d'arte specifico. Al contrario, prodotti ad alta interazione possono essere pensati e sviluppati per le sale di orientamento o accoglienza del museo, In un luogo neutro diverranno il punto di partenza della visita e potranno dare informazioni utili al visitatore a vari livelli. Po­ tranno segnalare le opere da non perdere, ma anche raccontare la storia del museo, del formarsi delle collezioni, degli artisti più importanti presenti ecc. Andranno studiate interfacce che con­ sentano un utilizzo semplice e di immediata comprensione, con una grafica accattivante e rispondente all'identità visiva dell'isti­ tuzione. Il prodotto dovrà essere pensato in relazione all'ambiente, ma an­ che e soprattutto in relazione all'intero apparato comunicativo che il museo offre. Tutto dovrà essere pensato per garantire la mi­ gliore esperienza di visita possibile. Ma quali caratteristiche devono avere i contenuti e soprattutto quanti offrirne ? Il rischio è quello di elaborare contenuti testuali eccessivamente lunghi senza tener conto anche solo della modali­ tà di fruizione. Dobbiamo infatti partire dal presupposto che un visitatore che accede ai contenuti di totem e/ o tavoli sarà in piedi, quindi bisogna progettare contenuti di lunghezza adeguata alla situazione. Inserire l'intero catalogo delle opere non può essere la scelta vincente. I testi andranno appositamente studiati e suddivi­ si in sezioni e resi accessibili con un solo click. Dovranno essere graficamente ben progettati, scritti con un ca­ rattere che ne permetta la lettura - magari con possibilità di in­ grandimento - e con un colore realmente accessibile (è, infatti, sempre opportuno utilizzare colori scuri su fondi neutri. L'ideale sarebbe il classico nero su bianco). Sarebbe opportuno, poi, per consentire una lettura più agevole, dividere i testi in brevi bloc­ chi, che dovrebbero essere autoconsistenti e conten ere ognuno

un'informazione fondamentale. I testi, comunque, non dovranno essere lunghi e dovranno essere scritti in maniera corretta e chiara, ri c ercando quella semplicità che permetta a tutti di comprendere quanto vogliamo comunicare. Bisogna anche riflettere sul fatto che mentre i tavoli oggi sono m ultiutente e quindi più persone possono accedere ai contenuti nello stesso momento, eseguendo anche scelte diverse in contem­ poranea, i totem richiedono una fruizione singola. Inserire, dun­ que, nei totem contenuti eccessivamente lunghi fa sì che ci possa essere una monopolizzazione del prodotto da parte di un singolo visitatore. Tutte le eventualità vanno quindi studiate in fase di progettazione per comprendere anche la tipologia di offerta che vogliamo fornire. Ormai totem e tavoli sono prodotti abbastanza diffusi nei musei nazionali e internazionali. Tavoli touch si trovano in diversi musei italiani e molti sono in via di sviluppo in questi mesi, ma sicura­ mente fra i migliori, dal punto di vista della fruizione, dell'intera­ zione e della ricchezza e chiarezza dei contenuti, vi sono quelli che s i trovano al Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum al 2 East 9 1" Street di New York. Il museo del design ha riaperto nel gennaio 2015 dopo una ristrut­ turazione durata tre anni. La chiusura ha consentito la digitalizza­ zione dell'intera collezione di 200.000 oggetti e lo sviluppo di una nuova strategia comunicativa interna. Insieme al biglietto d'ingresso su cui è riportato un codice viene data anche una penna digitale. L'idea è che ognuno possa salvare sul la propria penna le opere di maggiore interesse e che successi­ vam ente, una volta tornato a casa, possa rivederne le schede e le i111 magini, accedendo al sito del museo e inserendo il codice stam­ pa to sul biglietto. Per memorizzare le schede degli oggetti con re­ l at iv e immagini è sufficiente posare la penna su una croce posta v i ci no a ogni didascalia. Un modo semplice e intuitivo per creare u na propria collezione di opere e, perché no, "porta rsi" a casa un so uvenir del museo. 33

FIGURA 2.1

-· 1

Tavolo mulcimediale, Cooper H�wicc, Smichsonian Design Museum di New York

Fonte: foro dell'autrice.

Il museo è poi dotato di una serie di tavoli multimediali touch mul­ tiutente. Su ogni tavolo fluttuano, in maniera random, tutte le opere del museo. Ogni visitatore può trascinare e analizzare una qualun­ que delle opere. Tuttavia, esiste anche un altro accesso alla visualiz­ zazione delle opere attraverso il disegno libero. Le linee tracciate con la penna o con le dita attiveranno il database, che proporrà le opere la cui forma risponde a quella che si sta disegnando ( cfr. FIG. 2.1 ) . Al secondo piano del museo è stata poi allestita una immersion room in cui è possibile visionare ben 200 immagini di carte da parati a partire dalla fine del Settecento. Una volta selezionato il pattern che interessa, le immagini possono essere proiettate sulle pareti adiacenti. Ma, se ancora non soddisfatti, i visitatori possono disegnare a mano libera la propria tappezzeria e vederla riprodotta sulle pareti (cfr. F I G . 2 . 2 ) . 34

FIGURA 2..2.

Immersion room, Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York

Fonte: foto dell'autrice.

Il museo è molto frequentato da visitatori di tutte le età che in­ teragiscono con opere, tecnologie e fra loro senza alcun tipo di barriera. La tecnologia, ottimamente studiata e, soprattutto, ben integrata e non invasiva, è accessibile e molco semplice da fruire. Un modo intelligente per incrementare la conoscenza. Un attivatore dei sistemi mulcimediali del museo molto simile alla penna sviluppata dal Cooper Hewitt è la tazzina del Museo Lavaz­ za di Torino, un museo d'impresa ideato per ripercorrere la storia dell'azienda e della filiera del caffè. Ogni visitatore insieme al bi­ glietto riceve una tazzina - elemento fortemente identificativo che permette di attivare le installazioni e approfondire le temati­ che del museo attraverso materiali multimediali. La tazzina, come 3S

la penna, è dotata di un sensore che ritiene le informazioni e che permette a fine visita di ottenere, in questo caso via mail, il percor­ so compiuto all'interno del museo per conservarne la memoria. Un sistema che incrementa l'interazione e coinvolge il visitatore per tutta la durata della visita.

2.2.

App

Le app sono applicazioni software, solitamente mirate ad assolve­ re una funzione specifica, studiate per dispositivi di tipo mobile, quali smartphone o tablet. Esse possono essere suddivise in app native e in web app (Forbes, 10n). Le app native sono applicazioni sviluppate specificamente per un sistema operativo, quindi il linguaggio di programmazione sarà differente da un sistema operativo all'altro (si distinguono, infatti, app per ios e per Android, per citare solo i due sistemi principa­ li), e sono installate fisicamente sul dispositivo dell'utente, il quale può accedere allo store e scaricare tutte le app di suo interesse. Una web app, invece, è sostanzialmente un collegamento a un applicativo remoto. A differenza dell'app nativa, la web app non risiede fisicamente nel dispositivo con l'enorme vantaggio di non incidere sulla capacità di memoria dello stesso. Tuttavia, per fun­ zionare richiede un costante accesso a Internet e le prestazioni potranno essere determinate anche dalla qualità e, dunque, dalla velocità della connessione. È evidente che per decidere di utilizzare un sistema piuttosto che l'altro sia necessario prendere in considerazione una molteplicità di fattori anche ambientali. Se l'istituzione culturale per cui viene creata l'app non possiede un wi-fi ad accesso libero - situazione, questa, che purtroppo contraddistingue ancora molti musei ita­ liani - è difficile proporre ai visitatori di adoperare una web app, magari pensata per fruire di approfondimenti sulle collezioni. Per usare lo strumento i visitatori italiani dovrebbero decidere di connettersi utilizzando il proprio pacchetto dati personali e con-

sumare giga per servirsi dell'applicazione, mentre per gli stranieri sarebbe totalmente proibitivo per i costi cui sarebbero soggetti. Di contro, progettare un'app nativa avrebbe il vantaggio di non necessitare di una connessione, ma vorrebbe però dire che il visi­ tatore ha deciso di scaricare dagli stare l'app del museo sul pro­ prio smartphone prima della visita con conseguente occupazione di spazio. Affidarsi a un'app, poi, oggi vuol dire anche prevedere postazio­ rii_di ricarica per gli smartphone, visto che con l'aumentare delle funti.ani è diminuita la capacità di resa delle batterie. Al Rijksmu­ seum di Amsterdam, ad esempio, sono previsti armadietti di rica­ rica all'inizio di ogni galleria cui collegare il proprio smartphone indipendentemente dalla marca. Nonostante i problemi sopra citati, esistono anche dei vantaggi indiscussi per l'istituzione museale. Oggi, infatti, la maggior parte dei visitatori entra nel museo con il proprio dispositivo personale (device mobile) ed è disposto a utilizzarlo. Sfruttare la conoscenza che ognuno di noi ha del proprio dispositivo consente di mettere in atto pratiche abituali - aprire immagini, navigarle, leggere in­ formazioni, avviare video -, senza dunque quelle eventuali barrie­ re che un nuovo sistema potrebbe porre. Un ulteriore vantaggio è dato dal fatto che il museo viene sollevato dall'onere di acquisto, aggiornamento e manutenzione di eventuali dispositivi da dare in prestito ai visitatori (se uno strumento tecnologico ha già bisogno di molta manutenzione, tanto più ne viene richiesta nel caso di quelli che passano quotidianamente di mano in mano) ( Colom­ bo, 2016b, p. 378). Prima di entrare strettamente nel merito delle app con alcuni esempi specifici, è necessario aprire una parentesi sulle soluzioni di proximity marketing o marketing di prossimità. Si tratta di si­ stemi attraverso i quali è possibile avviare una comunicazione digi­ tale con persone poste fisicamente nel raggio d'azione del sistema stesso attraverso una microgeolocalizzazione. Più semplicemente, per fare un esempio pratico, si può inserire uno di questi sistemi 37

in prossimità di un quadro e quando il visitatore si troverà in quel determinato campo di azione riceverà una serie di informazioni sull'opera. Questi sistemi sono utilizzabili a supporto delle app. Tra gli strumenti di prossimità più noti ci sono i Beacon, attraver­ so i quali si riesce a veicolare contenuti in base all'esatta posizione dell'utente in un determinato raggio d'azione. Esistono poi i Near Field Communication (NFC), chip di connet­ tività bidirezionale a corto raggio. In questo caso è sufficiente pog­ giare lo smartphone, equipaggiato con tecnologia NFC, su un'e­ tichetta posta accanto all'opera per attivare la visualizzazione di informazioni e approfondimenti. Il sistema è in uso, ad esempio, ai Musei Capitolini di Roma (Toffoletti, Bendinelli, 2016, p. 321). Tuttavia, lo strumento più diffuso e di più semplice utilizzo è il Quick Response Code (QR Code), un codice bidimensionale che, inquadrato dallo scanner di uno smartphone, permette di accede­ re a contenuti di approfondimento e ottenere informazioni. Fatta questa breve precisazione, va detto che le app in ambito museale sono moltissime e di generi molto diversi e rivestono un ruolo particolare nella comunicazione perché possono essere clas­ sificate a metà strada fra l'on site e l'online. Esse infatti si possono adoperare all'interno delle istituzioni culturali - e questo è, forse, l'utilizzo più frequente -, ma spesso vengono usate anche a distan­ za ed è possibile realizzarle in modo che vengano impiegate prima, dopo o durante la visita, a seconda dell'obiettivo che l'istituzione culturale vuole raggiungere. Infine, possono essere sviluppate su commissione delle istituzioni museali, ma esistono anche app rea­ lizzate da terze parti, e che potremmo definire generaliste. Nel settembre 2018 Google Arts & Culture ha lanciato anche in Italia l'app Google Art Selfie. L'applicazione cerca la somiglianza tra un nostro selfie e le opere d'arte contenute nei musei partner di Google Arts & Culture. L'app si basa su una tecnologia di ri­ conoscimento facciale che deriva dal machine learning. Quando un utente scatta un selfie, quella foto viene confrontata con i volti delle opere presenti nei database dei musei partner. Dopo alcuni

attimi la propria foco viene associata a un ritratto, accompagna­ ta da una percentuale che stima la somiglianza visiva. Un modo diverso, secondo Google, di entrare in contatto con il mondo dell'arte e scoprire artisti che magari non si conoscono. A oggi non si hanno dati sul gradimento dell'app ma, in un mondo in cui il selfie è divenuto una delle principali modalità di comunicazio­ ne, sta destando curiosità. Tuttavia, il sistema pare eccessivamente semplice, olcre che approssimativo, e a mio parere è difficile pen­ sare che questa app possa superare il mero gioco di un momento per trasformarsi in un "gancio" che porci la persona a interessarsi realmente all'opera cui somiglia o al museo in cui è conservata. Smarcify è invece un'app gratuita, ormai piuttosto nota, che consente di identificare le opere d'arte semplicemente inqua­ drandole. Una volca riconosciuta l'opera, si può accedere a infor­ mazioni base o di approfondimento, e creare una galleria perso­ nale di opere d'arte indipendentemente dalla loro collocazione. Il software alla base dell'app effettua una scansione dell'opera per produrre un risulcaco. La fortuna dell'app dipende dagli accordi che i gestori riusciranno a realizzare con i musei e da quante ope­ re riusciranno a scansionare e catalogare, perché è evidente che l'app può avere successo solo se potrà aiutare i visitatori a rico­ noscere cucce le opere di un museo e non solo alcuni capolavori selezionaci. Second Canvas è un'app che può essere utilizzata prima, durante e dopo le visite al museo. È un prodotto della Madpixel e racco­ glie una selezione di importanti opere di diversi musei, fra que­ sti il Prado e il Thyssen-Bornemisza di Madrid, e il Mauricshuis a L'Aia. Second Canvas offre agli utenti immagini ad altissima risoluzione, permettendo di scoprire strati pittorici e dettagli di pennellate anche di dimensioni millimetriche, normalmente non visibili a occhio nudo. Si può, ad esempio, ammirare nel dettaglio l'orecchino della Ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer, con­ servato al Mauricshuis, fino a coglierne le cre nature. Grazie alla tecnologia a infrarossi si notano poi le incisioni presenti socco lo 39

strato pittorico e i "pentimenti" dell'artista. L'app è dotata a nche di un tour audio, realizzato con i conservatori dei musei, che aiu­ ta il visitatore a indirizzare lo sguardo verso aspetti importa nti dell'opera : dai personaggi alla simbologia, dalla tecnica alla firma dell'artista. A nche in questo caso, come in quello già citato di Smarcify, il suc­ cesso sarà determinato dagli accordi che la società riuscirà a fare con i musei per incrementare il numero di opere consultabili in alca risoluzione . Ma probabilmente la tipologia di app più diffusa in ambito mu­ seale è quella che mette a disposizione dell'utente il catalogo della collezione del museo, con immagini e schede di approfondimen­ to. Fra queste, Met App, lanciata dal Metropolitan Museum of Art (Met) di New York già nel 2014, è forse uno dei suppor ci più completi alla visita . Pensata per consentire ai visitatori di scoprire le opere della collezione - suddivise anche per aree tematiche -, le mostre temporanee e gli eventi, oggi permette di avere accesso a tutto il sistema informativo del museo, già presence sul sito, met­ tendo a disposizione anche le mappe della sede principale sulla 5 th Avenue e quelle dei Cloiscers, la sede dedicata all'arte medievale. Chiaramente, lo sviluppo di un sito web e di un'app esaustivi è stato possibile grazie all'investimento che il Mec ha facto sulla di­ gitalizzazione dell'incero patrimonio. Dello stesso tipo è l'app del British Museum di Londra, sviluppa­ ta in dodici lingue, che viene presentata proprio come una guida portatile al museo, con mappe interattive, la possibilità di selezio­ nare le opere per periodo storico o per temi e nonché di zoomare sulle immagini per approfondirne i dettagli. L'app del Cenere Pompidou di Parigi, dalla bella veste grafi.ca, pro­ pone invece una suddivisione in quattro sezioni : "Oggi al Cenere Pompidou•: per scoprire l'attività quotidiana del museo ; "Il mu­ seo"; "La cronologia"; "I percorsi ". Può essere utilizzata come una guida che accompagna il visitatore alla scoperta dei pia ni e delle collezioni del museo, con approfondimenti specifici su opere e te-

matiche, oppure si possono seguire i percorsi. La particolarità, in questo caso, è data dalla presenza di una timeline che contribui­ sce «a dare un orizzonte e dei punti di riferimento cronologici mettendo in relazione gli elementi della collezione con momenti storici significativi, quali la nascita di alcune tendenze, scuole, mo­ vimenti » (Colombo, 2016b, p. 380). Diversa come impostazione è, invece, l'app del Museum of Mo­ dero Art di New York, MoMA Audio. Già dal nome è possibile comprendere che il senso privilegiato dagli sviluppatori di questa app è l'udito. Si tratta di un prodotto multilingue e multitarget, utilizzabile sia prima sia nel corso della visita, come fosse una sorta di audioguida. L'app consente di avere una visione diversa delle opere della collezione e delle mostre temporanee grazie al raccon­ to che viene facto da curatori, allestitori e artisti. Una delle app più interessanti e innovative venne introdotta dal Museum of London nel 2010. Screetmuseum, attualmente non disponibile negli score, portava letteralmente il museo fuori dal museo. Basata sulla geolocalizzazione e la realtà aumentata, l'app consentiva di sovrapporre immagini storiche della città di Lon­ dra, conservate al museo e opera di famosi fotografi era cui Hen­ ry Grane, Wolfgang Suschizky, Roger Mayne e George Davison Reid, sulle vedute contemporanee. Il funzionamento era molto semplice: era sufficiente inquadrare una strada e poi cliccare su "Vista 3D" per vedere, in tempo reale, come era nel passato quel determinato punto. Alle immagini - circa 100, datate fra il 1863 e il 2003 - erano poi collegati contenuti testuali sulla storia di Londra e sulla sua evoluzione. Tuttavia, una delle sfide più interessanti è stata lanciata, nel mag­ gio del 2016, dal Brooklyn Museum di New York con Ask App. Al contrario delle app viste sino a ora, ricche di contenuti, ma so­ stanzialmente legate al concetto di guida tradizionale al museo, lo staff del Brooklyn Museum ha pensato di strutturarla come un momento di dialogo con i propri visitatori. Il nome Ask è molto significativo. Si invitano, infatti, gli utenti a porre do-

mande in modo diretto e di qualsiasi genere sulle opere esposte tramite l'app. Alle domande, che devono essere corredate dalla foto dell'opera su cui si vogliono maggiori informazioni, rispon­ de in tempo reale un gruppo di esperti del museo composto da un archeologo, un antropologo, storici dell'arte ed educatori . Il team, composto da cinque persone per turno, oltre a conoscere la propria area di competenza, deve avere grandi capacità nell'effet­ tuare ricerche in tempo reale e deve avere maturato un'esperien­ za nel rapporto con il pubblico . Il motto All questions welcome! fa capire l'intenzione del museo e i visitatori, cogliendo l'invito, pongono ogni tipo di domanda, da quelle di carattere iconografi­ co alla richiesta di maggiori informazioni su un artista o su un'o ­ pera (alcune delle domande sono pubblicate sul sito del museo nella pagina dedi cata all'app). Ovviamente questa tipologia di servizio richiede un grande inve­ stimento economico da parte del museo in termini non solo tec­ nologici, ma soprattutto di risorse umane. Oltre agli sviluppatori, infatti, in questo caso è presente un team dedicato al dialogo con i visitatori, ma l'investimento sembra ripagato dal successo dell'app, visto che gli utenti che l' hanno utilizzata dichiarano di sentirsi li­ beri di porre qualsiasi tipo di domanda senza alcun imbarazzo an­ che perché rimangono anonimi. Il museo, invece, può basarsi sui quesiti posti dai visitatori per comprendere dove, ad esempio, è necessario migliorare la comunicazione.

2.3. Realtà aumentata, realtà virtuale e realtà mista Prima di trattare l'argomento della realtà aumentata e della realtà virtuale nel campo dei beni culturali, è necessario analizzarne le definizioni per capire le di fferenze che caratterizzano i due sistemi informativi. La realtà aumentata (augmented reality, AR) è sostanzialmen­ te una realtà potenziata che non sostituisce la nostra visione ma piuttosto la arricchisce di informazioni in formati anche diversi 42

quali testi, immagini, video, animazioni. Il tutto avviene tramite dispositivi con lenti trasparenti che permettono di vedere la realtà che ci circonda ma allo stesso tempo di fruire di dati aggiuntivi; inoltre, la AR può essere anche fruita da dispositivi mobili qua­ li smartphone e tablet. La AR, solo per fare un esempio, potreb­ be essere utilizzata per "ricostruire" la parte mancante di un edi­ ficio in modo da fornire al fruitore l'idea dell'intero complesso architettonico. Per realtà virtuale (virtual reality, VR) si intende invece un am­ biente tridimensionale artefatto digitalmente che si sostituisce - e quindi non si sovrappone - alla realtà che di solito ci circonda, consentendo di interagire con esso come se ci si trovasse realmente al suo interno. Necessita di dispositivi che oscurano la visione rea­ le per "proiettarci" in una nuova realtà creata digitalmente; l'im­ piego è dunque molto più impegnativo rispetto alla AR. I disposi­ tivi indossabili, infatti, richiedono una manutenzione maggiore e non sempre sono graditi ai visitatori: alcuni dichiarano di trovarsi in imbarazzo nel metterli davanti ad altre persone, altri ne fanno invece una questione di fruibilità - le maschere sono scomode, pesanti, problematiche per chi porta gli occhiali ecc. Ovviamente anche queste considerazioni sono determinanti nel compiere la scelta di utilizzare una tecnologia piuttosto che l'altra. Per tornare all'esempio sopra citato, la VR potrebbe essere usata per ricollocare il complesso architettonico nel contesto originario in cui venne realizzato. Oltre alla AR e alla VR, oggi si può parlare anche di M R, ovvero mixed reality o realtà mista, laddove i due sistemi precedentemen­ te visti si fondono o affiancano nella creazione di un unico pro­ dotto che permetta di incrementare la conoscenza del patrimonio. Nel 2 0 1 4 il Museo nazionale scienza e tecnologia di Milano è stato tra le prime istituzioni culturali italiane a sperimentare, in attività educative rivolte al pubblico, il dispositivo Oculus Rifc per la VR immersiva. Dalla sperimentazione si è passati alla progettazione e allo sviluppo di un'esperienza immersiva a bordo del sottomari43

no S506 Enrico Toti. Nasce così Toti Submarine VR Experience, un'applicazione per smartphone con la quale è possibile immer­ gersi in un mondo tridimensionale grazie all'utilizzo di immagini fotografiche sferiche a 36 0° ed effetti sonori reali concessi in esclu­ siva al Museo dalla Scuola sommergibili della Marina militare ita­ liana. L'esperienza cala il giocatore all'interno di una situazione reale, mettendolo nei panni di un motorista imbarcato sul Toti. Un caso di M R è quello proposto da Zètema progetto cultura per la visita dell'Ara Pacis a Roma, dal titolo Ura com'era, dedicato alla valorizzazione dell'ara fatta realizzare da Augusto e consacrata solennemente nel 9 a.C. Il progetto, realizzato con la collaborazione scientifica della So­ vrintendenza di Roma Capitale, è stato pensato per far vivere agli utenti un'esperienza di visita arricchita, consentendo loro di rive­ dere i colori che in origine decoravano il monumento. Una prima sperimentazione era già stata proposta qualche anno fa grazie alla proiezione dei colori sul monumento, ma l'evoluzione delle tec­ nologie permette oggi di migliorare ulteriormente, con informa­ zioni nuove e diversificate, il contenuto della visita. A ogni visitatore viene consegnato un visore Samsung Gear VR che, insieme a uno smartphone Samsung S7, permette di accedere a nove points ofinterest (POI), alcuni fruibili in AR, altri in VR. Il siste­ ma AR consente di associare all'immagine reale ripresa dalla tele­ camera dello smartphone un ulteriore contenuto, in questo caso le immagini dei rilievi con l'aggiunta del colore. In VR sono inve­ ce fruibili alcuni filmati che presentano ricostruzioni in 3D e in computer grafica. A ogni POI si legano anche contenuti narrati­ vi che accompagnano il visitatore alla scoperta del monumento. Questo permette di far conoscere meglio l'opera in oggetto grazie alla ricostruzione di un contesto del quale oggi il monumento è, sostanzialmente, privo. VR e videomapping, di cui parleremo più approfonditamente nel paragrafo 2.4, sono le tecnologie adottate per la messa in valore del cantiere di restauro della Domus Aurea, la sontuosa reggia vo44

Iuta da Nerone a Roma. Durante la visita vengono proposte una proiezione sulla storia della Domus Aurea nella galleria d'ingres­ so e un'installazione in VR, fruibile tramite visori Oculus Rifc, all'interno della sala della Volta dorata. Ci si può così "immergere" all'interno della reggia del I secolo d.C., visitandone gli ambienti originari, il portico, le ricche stanze e il giardino. Nell'ambito dei beni culturali, la VR può essere utilizzata anche per un'interessante operazione legata all' "archiviazione" delle mo­ stre temporanee. Come salvaguardare la memoria di allestimenti di mostre del pas­ sato? Un esperimento è stato fatto nel 2017 al MACRO di Roma, dove per un giorno è stato possibile rivivere l'esperienza di visita­ re la mostra Dall'oggi al domani. 24 ore nell'arte contemporanea, chiusa nell'autunno precedente (Tanni, 2017 ). Attraverso visori Oculus Rifc ci si è potuti muovere per le sale, girare intorno alle opere e soffermarsi su di esse, così da riscoprire un valore aggiunto che le foto di un allestimento non riescono a restituire appieno: la collocazione di un'opera nello spazio e la sua relazione con lo stesso e con le altre opere. Esperimento analogo, ma più complesso nella realizzazione, per un maggiore coinvolgimento multisensoriale, è stato proposto a Londra dall'artista Mat Collishaw con Thresholds, una mostra itinerante in VR dedicata al "riallestimento" di una rassegna fo­ tografica del 1839, in cui lo scienziato britannico William Henry Fox Talbot esponeva per la prima volta le sue stampe fotografiche alla King Edward's School di Birmingham. La sala espositiva era stata ricostruita digitalmente e il visitatore poteva anche toccare le vetrine, mentre nell'aria si respirava un odore di riscaldamento a carbone. L'effetto sonoro di accompagnamento consentiva di ascoltare che cosa accadeva nel 1839 fuori dalle finestre della sala espositiva di Birmingham: ovvero la manifestazione dei cartisti. Gli esempi citati permettono di valutare la AR e la VR come stru­ menti molto utili soprattutto al fine di ricostruire una realtà non più esistente. Ne abbiamo visto l'uso per le mostre, ma certamen­ te sono dispositivi adatti, ad esempio, ai siti archeologici, laddove 45

è possibile intervenire digitalmente per far comprendere le emer­ genze architettoniche non più esistenti o per mostrare lo stato originario di un monumento o di una statua. Avere un'immagine reale a cui sovrapporne un'altra che riproduce come doveva essere quel luogo contribuisce sicuramente a incrementare la conoscen­ za di un visitatore, oltre che a stimolare un interesse di scoperta di luoghi, non sempre di facile lettura, se non per gli addetti ai lavori. Tali strumenti potrebbero poi anche sopperire all'esigenza di comunicare le diverse modifiche che hanno interessato un luo­ go o un'emergenza architettonica specifica, come ad esempio un edificio di culto o uno spazio urbano, nel corso dei secoli. Essendo, come visto in precedenza, strumenti utili per il raccon­ to della storia d�i luoghi, è interessante valutare l'impiego del 3D e della AR anche per ricostruire i cosiddetti "teatri di guerra". Un esempio in questo senso è Open Heritage di Google Arts & Culture, che permette di visitare virtualmente siti a rischio o che non esistono più. L'idea è dell'ingegnere iracheno Ben Kacyra che sta allestendo un archivio digitale dei patrimoni culturali mondiali in pericolo, con fini educativi ma anche per preser­ varne la memoria da ciò che potrà accadere in caso di conflitti, calamità naturali o interventi umani. Il progetto ha due finalità. In primo luogo offre l'opportunità di visitare virtualmente i luo­ ghi ricostruiti in digitale, in secondo luogo il laser scanner in 3D consente, grazie a millimetriche scansioni, di intervenire even­ tualmente per identificare aree danneggiate e supportare fasi di restauro. A oggi il progetto comprende 25 siti di interesse internazionale in tutto il mondo. Fra questi, quello di Bagan, capitale di antichi regni del Myanmar, danneggiato dal terremoto del 2016. Prima del sisma, che ha lesionato oltre 200 templi, era stato scansiona­ to e fotografato l'intero sito, all'interno e all'esterno, dal basso e dall'alto con l'aiuto dei droni. Grazie ai dati raccolti, sono stati ricostruiti tridimensionalmente tutti i principali monumenti, in modo da consentire di riviverli come fossero ancora in piedi, per-

sino "entrandoci" per mezzo di un visore di realtà virtuale, con una comoda fruizione da desktop. Un modo, questo, per salva­ guardare la memoria. 2.4.

Videomapping

Il videomapping è una tecnologia che consiste nel proiettare fasci di luce su superfici reali trasformando oggetti ed edifici in schermi per la proiezione di contenuti video. Il mapping può essere con­ siderato una forma di AR perché grazie alla proiezione alcera la visione reale, di un edificio o di una parete, arricchendola di con­ tenuti. Quello che può essere definito il fenomeno del videomapping ha preso piede negli ulcimi anni soprattutto nei contesti urbani: ne sono un esempio il Festival delle luci di Lione o di Berlino o le belle proiezionirealizzate in occasione del festival Lumiere intem­ porelle su una delle pareti esterne della cattedrale di Strasburgo, pensate per narrare un complesso viaggio attraverso la scoria con un sistema combinato di proiezioni ed effetti sonori. Così «Arte e tecnologia si fondono in veri e propri viaggi sensoriali urbani; le facciate degli edifici svaniscono, modificandosi, rimpiazzando gli schermi cinematografici, le piazze e gli spazi pubblici si tra­ sformano in platee, e le città diventano grandi teatri» (Lo Turco, l018, pp. 159-6 0). E ancora: «l'integrazione temporanea di instal­ lazioni virtuali può avviare processi di riqualificazione di luoghi urbani, rientrando in una strategia di rigenerazione dove spesso il completamento entra in empatia con il luogo rendendone leg­ gibile l'identità, attraverso l'evocazione di un passato pregno di scoria» (ivi, p. 158). Uno dei primi spettacoli a unire aree, architettura e proiezioni fu Monet son et lumiere, il progetto di Skertzo, risalente al 2004, che prevedeva di illuminare la facciata della cattedrale di Rouen. L'i­ dea trae ispirazione dalla serie di tele dedicate alla cattedrale da Claude Monet fra il 1892 e il 1894. In questi dipinti l'artista cat47

cura l'aspetto del monumento in ogni momento della giornata e in qualsiasi condizione atmosferica. La facciata della cattedrale, al calare della sera, come fosse una grande cela, subisce una metamor­ fosi grazie al sovrapporsi dei colori tratti dalle opere di Monet, e ricreando così i quadri dell'artista francese. Un geniale connubio che riproduce un contesto storico-artistico preciso: il momento in cui Monec soleva sedersi in un punto della piazza per ritrarre la cattedrale, nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Oggi il videomapping si esprime prevalentemente attraverso due vie: la performance artistica e progetti di storycelling, volei a rac­ contare la storia del luogo e degli edifici su cui avviene la videoproie­ zione. In questa sede, ci interessa analizzare la seconda via, che può essere utilmente impiegata per realizzare una narrazione del patri­ monio, garantendo un'alca efficacia comunicativa. Come per AR, VR e MR, precedentemente affrontate, anche in que­ sto caso i migliori esempi comunicativi sono quelli che permettono di ricreare un contesto non più esistente ed è per questo che la tec­ nologia è per lo più impiegata in ambito archeologico. Siamo in presenza di un modello di valorizzazione che può essere l'evoluzione di due sistemi di tipo analogico: la lastra di plexiglass serigrafata e le cosiddette ghost structures. Questi due sistemi ven­ gono solitamente utilizzati in siti archeologici in cui mancano i presupposti per installare soluzioni digitali poiché non dispon­ gono di allaccio alla corrente e di connessione. Le lastre di plexi­ glass serigrafate consentono di ricostruire l'aspetto originario del bene sfruttando lo « stesso principio su cui si basa il video mapping, ovvero l'anamorfismo, infatti ogni visitatore è invitato a posizionarsi in un punto preciso dell'installazione e guardan­ do attraverso il plexiglass [ ... ] vi sarà la coincidenza del disegno dell'edificio con ciò che rimane delle preesistenze» (Maniello, 2018, p. 442). Le ghost structures, invece, «evocano in ambiente tridimensionale i volumi che sono andati persi» (ivi, p. 446). Un esempio è l'operazione eseguita a Siponto, in P uglia, da Edoardo Tresoldi, che con una rete metallica ha "ricostruito" la basilic a di

Santa Maria Maggiore, rendendone così comprensibili al pubbli­ co i resti. Per ricreare parti mancanti di un manufatto o di un edificio può essere utilizzata anche la stampa 3D. Questa tecnologia ha un indubbio valore, soprattutto perché consente una maggiore ac­ cessibilità al patrimonio alle persone ipovedenti, come dimostra l'intensa e pregevole attività del Museo tattile statale Omero di Ancona e di tutti i progetti correlati (uno degli ultimi è quello, in collaborazione con Sapienza di Roma, relativo alla realizzazione, in 3D in resina bianca, di alcune parti della tomba di Giulio II, progettata da Michelangelo, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma), ma può essere utile anche per finalità di studio e ricerca e per la creazione di prodotti destinati al merchandising. Fra gli esempi "romani" di valorizzazione in cui viene impiegata la videoproiezione vanno menzionati i due progetti dell'area ar­ cheologica legati a Viaggio nei Fori, promossi da Roma Capitale, Assessorato alla crescita culturale - Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e prodotti da Zètema progetto cultura. La prima idea era legata alla valorizzazione del Foro di Augusto, cui successivamente si è aggiunta la valorizzazione del Foro di Ce­ sare. Mentre il progetto legato al Foro di Augusto prevede una sta­ ticità del visitatore, che "assiste" allo spettacolo seduto sugli spalti, l'esperienza che si volge all'interno del Foro di Cesare è piuttosto interessante perché itinerante. Il visitatore entra nell'area in prossimità della Colonna traiana e segue un percorso che attraverso la galleria sotterranea dei Fori imperiali raggiunge il Foro di Cesare, per poi arrivare fino alla Curia. Tale percorso, accompagnato da proiezioni, narrazioni so­ nore, illuminazioni selettive e multiproiezioni di luci, parte dalla scoria degli scavi realizzati per la costruzione di via dei Fori impe­ riali, per poi passare al tempio di Venere e alla Curia, consentendo di rivivere l'emozione della vita del tempo a Roma, quando fun­ zionari, plebei, militari, matrone, consoli e senatori passeggiavano sotto i portici del Foro, e, tra i colonnati rimasti, riappaiono anche 49

le antiche tabernae. I resti, solitamente di difficile interpretazione per i non addetti ai lavori, si trasformano, così, in narratori della propria scoria. Uno degli ultimi progetti in cui è stata impiegata la videoproie­ zione è quello proposto nella primavera del 2018 dal Parco archeo­ logico del Colosseo per il percorso di visita che coinvolge sette luoghi dell'area: il criptoportico neroniano, il Museo palatino, la Casa di Augusto e la Casa di Livia, l'Aula isiaca con la Loggia Mattei, il tempio di Romolo, e Santa Maria Antiqua con l'oratorio dei Quaranta Martiri e con la rampa di Domiziano. Nel contesto archeologico, videoproiezioni, illuminazioni selettive e narrazio­ ni sonore sono state integrate per permettere una maggiore com­ prensione delle emergenze monumentali. Ad esempio, nella Casa di Augusto una videoproiezione raccon­ ta l'evoluzione della residenza dell'imperatore, partendo dall'im­ pianto primitivo fino ad arrivare al palazzo del princeps. La visita è accompagnata da una voce narrante che descrive gli affreschi delle diverse stanze, messi in evidenza, di volta in volta, grazie all'illu­ minazione selettiva. A Santa Maria Antiqua l'illuminazione selettiva consente al visi­ tatore di scoprire, ma soprattutto di comprendere, la più impor­ tante serie di affreschi bizantini esistente a Roma. La chiesa, posta alle pendici del Palatino, conserva infatti un frammento di parete, in prossimità dell'abside, in cui è stato possibile individuare più strati di pittura databili a partire dal IV-V secolo e fino all'vm se­ colo d.C. Oggi questa complessa parete è resa accessibile a tutti i visitatori grazie all'illuminazione selettiva, che mette in evidenza, in sequenza, i diversi strati pittorici. Dagli esempi proposti, come già sottolineato, emerge con chia­ rezza che il campo in cui maggiormente vengono utilizzate le immagini stereoscopiche, grazie a tecnologie di videomapping, illuminazioni e proiezioni, è quello archeologico. I sistemi, infat­ ti, consentono un'efficace valorizzazione dell'emergenza archeo­ logica grazie a sovrapposizioni luminose, per nulla invasive e che so

non interferiscono con la conservazione del bene. Un ulteriore vantaggio rispetto alle tecnologie AR, VR o MR è dovuto alla frui­ zione svincolata da qualsiasi device, che permette estrema libertà di movimento al visitatore, consentendogli, comunque, di vivere un'esperienza di tipo immersivo. Anche in questo caso, dunque, la possibilità di far comprende­ re meglio un monumento che a prima vista può invece apparire frammentario, o quella di ricostruire un contesto ambientale o temporale, sfruttando il potere evocativo delle immagini e degli effetti sonori, rende piacevole e coinvolgente la visita e accresce le conoscenze del visitatore. 2.5. Chatbot I chatbot sono software che simulano una conversazione. Già l'u­ nione dei due termini chat e bot chiarisce che cosa si nasconde dietro il sistema: un dialogo che si intrattiene con un robot. Una sorta di assistente virtuale cui porre delle domande. Due esempi di assistenti virtuali piuttosto noti sono Siri per i sistemi Appie e Coreana apparsa su Windows 10. I chatbot si basano su app di messaggistica istantanea, come Te­ legram o Facebook Messenger. Il sistema avvia una conversazione automatica in cui l'utente viene guidato, attraverso opzioni prede­ finite, a trovare risposte alle proprie domande. In costante evolu­ zione, soprattutto dal punto di vista linguistico, da qualche tempo sono stati adottati anche all'interno dei musei. Già nel 2016 il Mare di Rovereto aveva lanciato Martmuseumbot: un percorso di visita tramite chatbot, in italiano e inglese, basa­ to inizialmente su Telegram e ora attivo anche su Messenger. La guida accompagna il visitatore dall'esterno all'interno del museo alla scoperta dell'architettura, delle collezioni permanenti e delle mostre temporanee. Avviando la conversazione si riesce, attraver­ so scelte progressive, a costruire un viaggio personalizzato e ogni volta diverso alla scoperta del museo. Immagini e contenuti arric-

chiscono e rendono stimolante l'esplorazione di un percorso che può essere seguito sia al museo, sia a distanza per prepararsi alla visita. In ogni momento è possibile disattivare il boe e scrivere un messaggio diretto al museo. Nel 1017 la Casa museo di Anne Frank ad Amsterdam ha lanciato, in collaborazione con Facebook, un chatbot basato su Messenger. Il boe, molto ricco di contenuti, è progettato per fornire al visi­ tatore informazioni sul museo, ma soprattutto per raccontare la storia di Anne Frank, contestualizzandola nella più vasta storia della Seconda guerra mondiale. Il chatbot è stato pensato come un mezzo per superare la dimensione strettamente fisica del mu­ seo e far conoscere la vita di Anne Frank al mondo incero, fornen­ do informazioni tramite il dialogo, in un modo più coinvolgente rispetto all'esplorazione di un sito web. In questo caso si tratta di uno strumento che supera il concetto di scoperta delle collezioni di un museo, per offrire la possibilità di seguire diversi percorsi storici, supportati, anche, da contenuti aggiuntivi, come ad esem­ pio le pagine del diario di Anne Frank. Il 18 marzo 1018 è stato invece presentato il chatbot del MAXXI. Il visitatore del museo può andare sulla pagina Facebook del MAXXI e inviare un messaggio diretto, una guida robotica forni­ sce la risposta. Si ricevono, in questo modo, tutte le informazioni necessarie alla visita, dalle curiosità architettoniche alle informa­ zioni pratiche, dalle note sulla collezione permanente ai dati sul­ le mostre in corso. Interessante notare che nel caso del chatbot del MAXXI è stata pensata una ricompensa per il coinvolgimento del visitatore. Utilizzando il bot durante la visita e rispondendo a semplici domande o scegliendo di approfondire alcuni temi, il visitatore ha la possibilità di guadagnare Museum Coin, mone­ te virtuali da spendere nel museo per acquistare beni e servizi, come sconci sui biglietti d'ingresso, cataloghi delle mostre o visi­ te guidate. Il chatbot del MAXXI è dotato di una componente di intelligenza artificiale che, stimolata dall'interazione diretta con i visitatori del museo, sarà col tempo sempre più in grado di ri-

spandere a domande dirette del pubblico. Quindi un'evoluzione importante rispetto alla possibilità di scegliere fra due sole opzio­ n i alla volta. Il chatbot risponde, rendendo sempre più facile l'accesso, la visita al museo e la richiesta di informazioni ma, se non dovesse essere sufficiente, il boe pensato dal MAXXI permette di entrare in con­ tatto con una persona dello staff. Un altro meccanismo di ricompensa per il visitatore è stato stu­ diato per l'utilizzo di Pierrot, il chatbot lanciato nei primi mesi del 2.018 dal Museion di Bolzano. Il boe si basa su Facebook Mes­ senger e può essere utilizzato sul proprio dispositivo mobile ma, anche, da una postazione all' interno del museo. Oltre alle infor­ mazioni pratiche sulla visita e a diversi approfondimenti tematici, il boe dà la possibilità di scegliere l'immagine di un'opera e di farla stampare gratuitamente in biglietteria. Un sistema di fidelizzazio­ ne con souvenir non molto diverso da quanto proposto dal Coo­ per Hewitt di New York. Il chatbot, se studiato con attenzione, può diventare una forma di interazione con le opere. Davanti a un ritratto, ad esempio, il vi­ sitatore potrebbe iniziare un dialogo con l'effigiato per conoscere la sua storia. Sarebbe, ai fini didattici, un'interessante interazione che permetterebbe di accedere in modo più naturale alla storia dell'opera e al suo contesto. È quello che si sta cercando di fare alla Pinacoteca do Estado de Sao Paulo, in collaborazione con IBM Watson, con The Voice of Art, un chatbot dotato di intelligen­ za artificiale che permette ai visitatori di porre domande, anche specifiche, di fronte alle opere conservate nel museo. L' idea è nata dalla scoperta che il 72.% dei brasiliani non aveva mai visitato il museo perché ritenuto "distante" e "inaccessibile". Così si è deciso di sperimentare un nuovo sistema di "accesso" alle sue collezio­ ni: i visitatori ritirano uno smartphone dotato di auricolare, su cui è installata l'applicazione The Voice of Art. Mentre si attra­ versa il museo si ricevono notifiche sulle opere quando si giunge in prossimità delle stesse e viene chiesto di porre domande nel 53

microfono dell'auricolare riguardo ai dipinti e alle sculture che più interessano. Per sviluppare la capacità del chatbot di rispondere alle domande, i programmatori IBM hanno lavorato per mesi con i curatori del museo fornendo al sistema migliaia di informazioni sulle opere esposte. Tali informazioni sono state ricavate dalle ricerche in cor­ so, dai testi ma anche da vecchi giornali, interviste e dal web, in base alla consapevolezza che la conversazione con il visitatore può spaziare da dati storico-artistici e tecnici alla relazione, ad esem­ pio, dell'opera con gli eventi contemporanei. Tue Voice of Art utilizza un chatbot cognitivo, in grado di com­ prendere il linguaggio umano, per rispondere in tempo reale alle domande dei visitatori. Ad agosto 2.018, invece, l'Akron Art Museum in Ohio ha presenta­ to Dot, la guida digitale in chatbot del museo. Dot ha gli occhiali scuri e i capelli rosa ed è stata progettata con l'intento non solo di raccontare le opere d'arte della collezione, ma anche per solle­ citare le conversazioni tra i visitatori del museo tramite l'utilizzo di Facebook Messenger. Il progetto è stato sovvenzionato dalla Knight Foundation di Miami, che ha l'obiettivo di incoraggiare i musei a utilizzare le tecnologie digitali come modo per entrare in dialogo con il pubblico dei più giovani, fortemente orientato verso il mondo digitale. L'Akron Museum ha deciso di investire i soldi della fondazione non per produrre nuovi video, ma piuttosto per incoraggiare quelle conversazioni che gli operatori vedevano instaurarsi fra i visitatori davanti alle opere d'arte. Il compito dichiarato di Dot è dunque quello di mettere in dialo­ go i visitatori con le opere d'arte ma anche fra loro. In un video in­ troduttivo al museo viene richiesto ai visitatori di aprire Facebook Messenger e accedere alla rete wi-fi dell'istituzione. Dot si presen­ ta come una guida che accompagnerà un gruppo di visitatori, in un tour di sei tappe, attraverso la collezione permanente del mu­ seo. Di fronte a ogni opera Dot fornisce curiosità e dati storico54

artistici, ma poi pone domande destinate agli utenti che vengono sollecitati a iniziare una conversazione tra loro. Un modo per crea­ re una comunità all'interno delle sale del museo. Come abbiamo visto, sono molteplici le possibilità di impiego di un chatbot e i musei stanno sperimentando diverse tecniche comunicative. Sarà interessante, fra qualche tempo, vederne i ri­ sultati per valutare il successo di questi sistemi fra i visitatori dei musei. Ma per fare delle considerazioni di carattere generale pos­ siamo senz'altro dire che dal punto di vista della fruizione è evi­ dente che i chatbot possono essere di utile supporto informativo al museo. Fornendo informazioni sul contesto, sulle opere, sulle modalità di visita, sul costo dei biglietti o sulle mostre in corso, solo per citare alcuni esempi, essi permettono al visitatore di or­ ganizzare al meglio la visita, se studiati per l'uso in remoto, o di fruire meglio del museo, se utilizzati all'interno del museo stesso. Trattandosi sostanzialmente di chat, vanno incontro al pubblico giovane, abituato al dialogo tramite smartphone con amici e coe­ tanei. Un sistema "amico", basato su testi brevi di messaggistica, appositamente pensati per l'istantaneità, che potrebbe quindi in­ coraggiarne l'utilizzo e avvicinare un determinato tipo di pubbli­ co al museo. Un altro vantaggio deriva dal fatto che il chatbot si basa su ap­ plicazioni già diffuse e molto conosciute, e non comporta quindi la necessità di scaricarne di nuove, che richiederebbero, magari, spazio in memoria, ma anche un ulteriore apprendimento. Dal punto di vista del museo, un chatbot può rappresentare una nuova forma di interazione e accessibilità di tipo diretto e collo­ quiale, ma soprattutto può permettere di ottenere informazioni importanti sugli interessi specifici del proprio pubblico, trovando risposta ad alcune semplici ma fondamentali domande come, ad esempio, quali sono le informazioni più richieste, su quali opere i visitatori si soffermano di più o quali non vengono prese in con­ siderazione. Un altro modo per comprendere i gusti del proprio

ss

pubblico e per capire se le opere e il contesto sono comunicati in modo adeguato.

2.6. Videogiochi Di videogiochi e arte si parla ormai da anni e ai videogiochi sono state dedicate dal 2000 a oggi anche numerose mostre, da Play. Il mondo dei videogiochi, tenutasi a Roma al Palazzo delle Esposizio­ ni nel 2002, all'ultima, Videogames: Design/Play Disrupt, al Victo­ ria and Albert Museum di Londra terminata a febbraio 2019. La mostra, incentrata sul processo di realizzazione dei giochi, anche presentando bozzetti e prototipi, è stata dedicata all'evoluzione avvenuta nell'ultimo decennio, un periodo storico in cui il mon­ do del gaming si è radicalmente trasformato, soprattutto grazie alla diffusione della banda larga, di nuovi software e all'arrivo dei socia! media. Oggi il numero dei giocatori si aggira intorno ai 2,2 miliardi. Un pubblico che non può essere trascurato. Ora, dopo essersi ispirati alle opere d'arte, essere stati progettati da artisti, essere diventati oggetto di mostra ed essere stati sele­ zionati per entrare nel 2012 nelle collezioni del MOMA, i video­ giochi divengono, nei musei, parte attiva nel coinvolgimento di determinati tipi di pubblico (cfr. Bottai, 2018b). Un medium interessante che intreccia cultura pop, intrattenimento e, nel no­ stro caso, arte. Già da qualche tempo presenti nel mondo dei musei in area anglo­ sassone, in questi ultimi due anni si è assistito, anche in Italia, a un notevole incremento di tali prodotti che vedono quali commit­ tenti le istituzioni museali tant'è che, in questo ultimo periodo, i videogiochi utilizzati in ambito culturale si sono moltiplicati. Qui prendiamo in considerazione proprio quei prodotti che hanno una correlazione molto forte con l'istituzione culturale o perché sono ambientati all'interno di un museo, o perché permettono di rivivere un contesto specifico partendo da reperti che nel museo sono conservati. 56

Già nel 2.0 10 il British Museum, per avvicinare il pubblico dei giovanissimi visitatori, compresi nella fascia d'età 9- 14 anni, ave­ va pensato al lancio di un videogioco dal nome evocativo Young Explorers, accessibile attraverso il sito web del museo. Un gioco di avventura che permetteva di viaggiare nel tempo con T ime Explo­ rer per scoprire antiche civiltà quali la Cina imperiale, il Messico azteco, l'antica Roma e l'antico Egitto. Il compito era quello di salvare dalla distruzione alcuni oggetti preziosi, oggi nella colle­ zione del British Museum, per restituirli alla popolazione locale. Il viaggio nel tempo consentiva ai ragazzi di conoscere meglio la storia e i contesti di riferimento. Nel 2012 il MoMA decide di presentare Destination Modem Art, un sito web dedicato ai bambini dai 5 agli 8 anni. Una sorta di gal­ leria espositiva interattiva per permettere loro di conoscere alcune delle opere principali del museo, con storie sugli artisti e giochi sulle tecniche e/o sulle iconografie. Nel 2015 il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid inaugura invece Nubia, un'avventura grafica ambientata in un mondo fantastico creato attraverso le immagini del museo e in cui il protagonista deve risolvere misteri e indovinelli per avanzare nella scoperta del­ la storia. In Italia il Museo nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vin­ ci di Milano è stato pioniere nell'inserimento di quelli che vengo­ no anche definiti serious games - perché non hanno come scopo unicamente l'intrattenimento, ma contengono una componente educativa - all'interno del museo. Già nel 20II viene allestito, nella sezione espositiva dedicata alla Chimica di base, il gioco ge­ stionale - su ispirazione di Sim City o di Farmville - Chimpeople, con l'idea di simulare la vita all'interno di un impianto chimico in modo da evidenziare le conoscenze e l'esperienza di coloro che la­ vorano negli impianti, con massima attenzione alla sicurezza, alla salute e all'ambiente. Nel 2.014, in occasione dell'apertura della nuova sezione dedicata allo spazio e all'astronomia, viene lanciato Space Mission, gioco in cui quattro giocatori/visitatori si sfidano S7

per la conquista dello spazio: l'obiettivo di ciascun giocatore è co­ struire il proprio satellite e metterlo in orbita battendo gli altri sul tempo. Qui si sono facci due esempi, ma l'intero museo è dissemi­ nato, nelle varie sezioni, di postazioni in cui è possibile visitare, giocare e apprendere. Uno dei videogiochi più noci, presentato in Italia nell'aprile del 2017, che ha avuto grande visibilità e di cui si è molco parlato, è certamente Father and Son, commissionato dal Museo archeolo­ gico nazionale di Napoli (MANN). Il successo di Father and Son ha permesso di attirare l'attenzione su un nuovo modello comunica­ tivo che sino a ora non era stato preso in considerazione nel cam­ po della fruizione museale in Italia se non per i musei scientifici. Paolo Giulierini, direttore del MANN, ha spiegato in un'intervista che uno degli obiettivi prefissaci con il lancio del gioco - in linea con il piano strategico del museo, consultabile online sul sito dell'i­ stituzione - era la connessione con il pubblico di visitatori del mu­ seo ma anche con il pubblico virtuale, aggiungendo: « in tutto il mondo si potrà interagire con i contenuti storici del nostro Istituto [ ... ] . Se prima erano le sole mostre a parlare del MANN in molce città estere, ora una straordinaria avventura digitale ci farà dialoga­ re con migliaia di potenziali, nuovi visitatori, amanti dell'arte, stu­ denti, soprattutto giovani » . E ancora: «Lo strumento videogame è chiaramente una nuova espressione della valorizzazione in chiave culturale e euristica delle straordinarie collezioni del MANN e degli aspetti storico-artistici di Napoli» (hccps://www.museoarcheolo­ giconapoli.ie/ ic/ facher-and-son-che-game). Il videogame viene visco dunque, correttamente, come una nuova forma di valorizzazione del museo e delle sue collezioni, ma anche del territorio e dell'intero contesto culturale di riferimento. Entrando nello specifico, Father and Son è un gioco narrativo in 2D a scorrimento laterale, con belle grafiche dipinte a mano dall'artista Sean Wenham e colonna sonora originale di Arkadiusz Reikowski, pensato per scoprire la città di Napoli e il Museo archeologico. Il gioco racconta la storia di Michael - in cui il giocatore si idencifì58

FIGURA 2..3

Schermata dal videogioco Father and Son

Per gentile concessione di Fabio Viola.

ca -, un giovane che si reca a Napoli dopo aver ricevuto una lettera dal padre, mai conosciuto, che lavorava come archeologo p resso il museo (cfr. FIG. 2.3 ) . Esplorando le strade di Napoli e le sale del MANN, il giocatore si troverà a vivere diverse storie att raverso varie epoche sto riche : si verrà così catapultaci nel 79 d.C. a Pompei nelle ventiquattro ore che p recedettero la devastante eruzione del Vesuvio, per poi ri­ tornare nel 2017 presso le rovine della città romana. Interessante è stata la scelta di non richiamare nel titolo del gioco il nome del museo per far rimanere autonomi gioco e istituzione pur nella loro fo rte interconnessione. Il progetto è stato sviluppato da Tuo­ Museo, con Fabio Viola (Electronic Arts Mobile, Vivendi Games Mobile), e ha avuto un successo inc redibile, canto da ottenere 3 milioni di download nel luglio del 2018 a poco più di un anno dal lancio (Viola, 2018, p. 298) . Progetto multilingue (oggi in set­ te lingue) scaricabile g ratuitamente dagli score, sia pe r ios sia p er Android, dopo pochi mesi è stato scelto da Apple come prodotto 59

FIGURA 2..4

Schermata dal videogioco Pastfar Future

Per gentile concessione di Fabio Viola.

della vetrina principale sul suo score digitale. A otto mesi dal lan­ cio, 12..000 visitatori si erano geolocalizzati al MANN durante la loro partita, riuscendo così a sbloccare i contenuti extra del gioco. Difficile sapere se quei 1 2..000 giocatori fossero visitatori nuovi o di ritorno, ma certamente il gioco ha contribuito a incrementare l'attenzione sul museo, tanto che è stato deciso di investire nello sviluppo di Father and Son 2 per il 2.019. Lo stesso team TuoMuseo ha lavorato a Pastfar Future, il nuovo vi­ deogioco del Museo archeologico nazionale di Taranto (MArTA), realizzato in collaborazione con il M iBAC e disponibile sugli score dal 2.1 dicembre 2.018. Un itinerario nella città di Taranto e fra le opere del MArTA che conduce il giocatore a scoprire la storia com­ plessa della città e del territorio, attraverso salti temporali e scelte che portano a finali alternativi (cfr. FIG. 2..4). Sempre nell'ambito della gamification si colloca l'idea del Mu­ seum of London di utilizzare Minecraft per ricreare la Londra del 1666, anno del Grande incendio che in quattro giorni di­ strusse gran parte della città. Minecraft è un videogioco di tipo 60

sandbox, ossia un gioco con una impostazione aperta che lascia al giocatore la possibilità di modificarne il mondo. Minecraft mette a disposizione dei giocatori dei mattoncini attraverso i quali è possibile creare diversi e potenzialmente infiniti scena­ ri. Con The Great Fire IOOO, creato in occasione del 3 5 0° anni­ versario dell'incendio, gli storici del Museum of London hanno lavorato con gli sviluppatori di Minecraft per costruire un mo­ dello virtuale dettagliato della Londra del XVII secolo. Il mo­ dello si ispira alle ricche collezioni del museo e vuole consenti­ re ai giocatori di Minecraft e ai visitatori del museo di esplorare Londra prima, durante e dopo l'incendio, per scoprirne le cau­ se, aiutare a combattere il fuoco e alla fine provare a ricostrui­ re la città. Un modo per aiutare giocatori e visitatori ad approfon­ dire la storia della città e del Grande incendio. Sempre Minecraft è protagonista di un'altra iniziativa nata in collaborazione con uno dei musei autonomi italiani: la Galleria nazionale delle Marche di Urbino. Il direttore Peter Aufreiter ha lavorato a stretto contatto con un team composto da Microsoft, Maker Camp e Apptripper per realizzare il progetto Raffaello in Minecraft (cfr. FIG. 2.5), un concorso, destinato agli alunni delle scuole elementari e medie, che ha l'obiettivo di accostare la cultura storico-artistica e il mondo dei videogiochi e far conoscere meglio la città natale del grande pittore e architetto rinascimentale Raf­ faello Sanzio, in occasione della ricorrenza dei cinquecento anni dalla morte che cadrà nel 2020. I giovani studenti saranno chiamati a ideare un contenuto per Mi­ necraft che racconti una parte della storia della vita di Raffaello a Urbino, creando una sorta di narrazione partecipata. Il direttore ha dichiarato che, lavorando sul nuovo allestimento del Palazzo ducale di Urbino, si voleva trovare un sistema efficace per attirare il pubblico dei giovanissimi - visto che ogni anno un terzo dei visitatori proviene dalle scuole - che «sono il pubblico da curare di più, quello del futuro. Così ci è venuta l'idea di usare Minecraft, 61

FIGURA l.5

Schermata di Raffaello in Minecraft per il contest organizzato dalla Galleria nazionale delle Marche

Per gemile concessione di Marco Vigelini.

a cui giocano anche i miei figli. Mi piace perché è creativo, ci inse­ gna qualcosa». E ancora: La proliferazione delle nuove tecnologie ha spinto la Galleria nazio­ nale delle Marche a riconsiderare la propria offerta trasformandosi in piattaforma interdisciplinare per la sperimentazione e l'apprendimento. Per il nostro museo è di fondamentale importanza poter contare su una varietà di soluzioni che permettano di differenziare l'offerta culturale e focalizzarsi su diversi segmenti di pubblico [ ... ]. Ai nostri giovani utenti possiamo far conoscere e apprezzare le bellezze del Palazzo Ducale e di Urbino anche attraverso strumenti digitali innovativi che consentono di stimolarne la partecipazione e l'interesse così che il rapporto con il museo non sia più a senso unico (http:/ /www.gallerianazionalemarche. it/raffaello-in-minecraft).

L'obiettivo del concorso è dunque far convergere l'interesse dei ragazzi sul periodo rinascimentale con una modalità divertente e

che già conoscono. Peter Aufreiter aggiunge: «Giocheranno, cer­ to, ma dovranno informarsi bene sulla storia, le usanze dell'epoca per creare un mondo davvero simile a quello di Raffaello» (ibid.). Un ulteriore passo dunque, anche in questo caso, verso l'utilizzo del videogioco quale ponte fra la cultura storico-artistica e le nuo­ ve generazioni. Dagli esempi fatti si può facilmente comprendere che il mondo dei videogiochi necessita di essere analizzato e compreso in tutta la sua complessità e nella sua potenzialità di diffusore di un mes­ saggio, perché, se ben utilizzato, potrebbe risultare molto utile per le istituzioni museali. Come abbiamo già avuto modo di dire, esso ha bisogno, come ogni altra tecnologia, non solo di persone capaci di creare un videogame, dal lato pratico, ma soprattutto di perso­ ne in grado di strutturare una storia credibile, ricca di contenuti, che sia in stretta connessione con l'istituzione museale per la quale viene realizzata. Ovviamente anche un progetto di gaming deve essere pensato e inserito all'interno della strategia comunicativa complessiva per non rischiare di mettere a punto una soluzione estemporanea, senza possibilità di sviluppo. Se ben progettato, un videogioco può, sicuramente, divenire uno strumento utile per coinvolgere una fascia di pubblico che è ma­ gari disposta a giocare ma è poco attratta dal mondo dei musei. Creare un gioco che funziona può voler dire, quindi, rendere il museo più attrattivo e più frequentato, e a questo proposito è in­ teressante la scelta di Father and Son di permettere di sbloccare alcuni dei livelli del gioco solo recandosi in visita al museo. Un gioco così concepito può, inoltre, essere un utile strumento per mantenere vivo il rapporto con il visitatore, consentendo un'inte­ razione anche nelle fasi pre e post visita. Attraverso il gioco, egli diventa protagonista attivo: le sue scelte influenzano l'esperien­ za portandolo a scoprire il patrimonio in modo diverso, ma non meno interessante.

3. Online

Questo capitolo è dedicato alla comunicazione online delle istitu­ zioni museali. Partiremo dall'analisi dell'importanza dei siti web, prima indispensabile ..vetrina" dell'istituzione in rete, per poi passare alle piattaforme social, analizzando quelle che, oggi, sono ritenute le più importanti ai fini comunicativi per diffusione e po­ polarità. Parleremo quindi di Facebook, Instagram, Twitter e You­ Tube, cercando di fornire indicazioni su come queste piattaforme possano essere utilizzate nella comunicazione museale, anche se va ricordato che il panorama della comunicazione social evolve mol­ to in fretta e presto potremmo avere a disposizione nuove piatta­ forme più efficaci e/o più popolari. Si proseguirà illustrando un altro pregio dei siti web e delle piatta­ forme social, cioè quello di "raccogliere" una serie di informazioni fondamentali per comprendere di più e meglio i propri pubblici. Dagli analytics del sito web o dei profili social si può, infatti, cono­ scere il pensiero dei "visitatori digitali", quali sono le tematiche e le opere che piacciono di più e quale sia il modo di raccontarle che coinvolge maggiormente e stimola l'interazione. Infine, l'ultimo paragrafo sarà dedicato aLfeedback che i visitatori rilasciano sulle istituzioni museali. I commenti pubblicati su Trip Advisor, ad esempio, sono ottimi indicatori al fine di comprende­ re la soddisfazione di un visitatore. Tutti i dati che emergono dagli analytics e dai feedback, se ana­ lizzati in modo puntuale, possono essere affiancati alle indagini osservazionali e ai questionari per permettere all'istituzione di co­ noscere meglio i propri pubblici on site e online.

3.1.

I siti web museali in Italia e nel mondo

Sono passati quasi venticinque anni dal 14 luglio 1995, anno dello sbarco in rete di uno dei musei più importanti del mondo: il Louvre. Véronique Petitjean, responsabile per quasi un decennio della comunicazione del museo francese, dichiarò che fra gli obiettivi della presenza in rete del museo c'era soprattutto la volontà di aprire le porte del Museo anche a coloro che non hanno la possibilità di visitarlo. Ma il Louvre ha voluto anche creare un'altra via di comunicazione con il proprio pubblico [ ... ] la co­ municazione è migliorata soprattutto perché il sito offre al pubblico un'altra modalità per entrare in contatto con il Museo e così i visitatori possono contare su risposte più rapide a tutte le loro domande (cit. in Galassi, 2.005-06).

Concetti di base, quelli espressi da Petitjean, che se adeguatamen­ te ricontestualizzati sono di certo tuttora validi. Attualmente, for­ se, la via più veloce per entrare in contatto con il pubblico digitale di un museo sono i social network, ma il sito web è l'imprescindi­ bile punto di partenza per qualsiasi istituzione che voglia iniziare il percorso di presenza online. Il sito web di un'istituzione è, infatti, ancora oggi il luogo in cui trovare informazioni strutturate ed esaustive, a cui tutti possono rivolgersi in prima istanza, e a cui possono fare riferimento an­ che coloro che non possiedono un profilo social. Rimane dunque il canale principale su cui lavorare e richiede un aggiornamento continuo. Oltre alle informazioni di tipo generale, dai contatti agli orari di apertura, dalle collezioni alla storia del museo, ogni mostra, conferenza, presentazione di libro deve essere tempestivamente comunicata. Così come vanno segnalate le opere in prestito o l'e­ ventuale temporanea chiusura di una sala. È fondamentale che i visitatori siano sempre aggiornati su ciò che accade e possano organizzare al meglio la propria visita. Se­ gnalare, ad esempio, che opere importanti della collezione del 66

museo sono in prestito è un modo trasparente per interfacciarsi con il proprio pubblico e per fare in modo che le persone sappia­ no in anticipo che cosa potranno trovare o non trovare. Questo consentirà loro di decidere se effettuare ugualmente la visita o destinarla a un altro momento. Allo stesso modo, sarà cura del museo comunicare eventuali scambi fra istituzioni che permet­ tono, ad esempio, di vedere opere che non fanno parte delle pro­ prie collezioni. Il sito web del museo dovrebbe accogliere tutta quella mole di contenuti, relativi al museo e alle opere, che richiedono molto tempo per essere fruiti. Infatti, un sito web ricco di contenuti e il più possibile esaustivo consentirebbe, a specialisti e non, di acce­ dere ad approfondimenti, indipendentemente dalla visita al mu­ seo, permettendo anche una migliore preparazione a una futura visita, o una riflessione a visita avvenuta. Dal l016 a oggi vi è stato un notevole cambiamento nel panorama dei siti web museali, a livello sia nazionale sia internazionale. Mol­ ti sono stati rinnovati e altri sono nati ex novo. A livello internazionale si è assistito al restyling dei siti del Rijksmuseum di Amsterdam, della Tate e del Victoria and Albert di Londra, del Met di New York; a livello nazionale sono nati, solo per citare alcuni esempi, i siti web della Pinacoteca di Brera a Milano, delle Gallerie nazionali di arte antica di Palazzo Barbe­ rini e Galleria Corsini, della Galleria nazionale delle Marche, del Museo archeologico nazionale di Napoli, degli Uffizi di Firenze e del Parco archeologico del Colosseo (uno degli ultimi, presen­ tato nel dicembre l018), mentre altri musei scanno lavorando in questa direzione. È interessante notare come questi siti web siano passaci dall'esse­ re per lo più testuali e concentrati soprattutto sulle informazioni pratiche ad avere una base sostanzialmente visuale, con un incre­ mento dell'offerta informativa e di servizi cale da comprendere ogni aspetto del museo (dalla didattica alla ricerca, dalla presenta-

zione delle mostre allo shopping online), fra cui quello fondamen­ tale della fruizione online delle collezion i. L'accesso illimitato al catalogo delle opere è oggi, giustamente, considerato il punto di forza di qualsias i s ito web museale e l'o­ biettivo primario per ogni istituzione. Tutti i siti web sopra citati sono ricchi di contenuti. Alcun i sono più facilmente navigabili di altri, e questo dato è basilare se si pen­ sa all'esperienza dell'utente. Chi entra in un sito deve, infatti, vi­ sualizzare una struttura che riporti, in modo chiaro, le varie sezio­ ni in cu i il s ito è suddiviso affinché si possano trovare velocemente le informazioni che si stanno cercando. In primo piano, possibilmente in home page, sarebbe importante segnalare le informazioni di base quali ind irizzo, orari di apertura, costo del bigl ietto ed eventuali avvisi, lasciando alle altre sezioni la presentazione dei contenuti che ogni istituzione museale ritiene più opportuno diffondere. Partendo da i due presupposti di facilità nella navigazione e di re­ perimento delle informazion i, è stato realizzato il già citato sito web delle Gallerie nazionali di arte antica Palazzo Barberini e Gal­ leria Corsini. Il principale obiettivo era quello della chiarezza, di grande impor­ tanza per un sito che doveva rappresentare due gallerie, con sedi diverse, che hanno un un ico catalogo, ma che sono sostanzialmen­ te molto differenti per storia e formazione. Si è deciso di persegui­ re l'obiettivo della chiarezza già a cominciare dalla scelta di utiliz­ zare un carattere bastone (senza grazie), nero su fondo bianco, per agevolare la lettura a tutti gl i utenti (molti s iti nati successivamen­ te hanno optato per questa opportuna scelta di leggibilità). Anche l'idea di ricondurre tutti i contenuti a sole sei sezioni prin­ cipali, nello stile dei siti web di area anglosassone, nasce nell'ottica di una maggiore navigabilità lato utente. Si è scelto, poi , di dare molta visibilità ai socia! dell'istituzione e, quindi, al coinvolgi­ mento e al dialogo con i pubblici, ponendo le icone delle piatta­ forme al centro della testata, fra le sezioni. 68

FIGU RA 3.1

L'home page del sito web del Metropolitan Museum di New York

Delacroix 1

At Tho Mot flfth Avenue Through January 6, 2019

Infine, si sono inserite in home page tutte le informazioni pratiche di base (indirizzo, orari, costi, avvisi e comunicazioni importanti), cercando di rispondere alle prime domande che un visitatore si pone quando approda su un sito web di un'istituzione museale. Il sito è in continua implementazione per quanto riguarda il catalo­ go digitale delle opere. Dal punto di vista della completezza di contenuti, uno dei siti più esaustivi è certamente quello del Met. La home page, con immagini a scorrimento delle mostre in corso, riporta gli orari delle diverse sedi, le mappe, gli eventi e le news del blog. In alto la testata con i colori del brand (bianco su rosso) è divisa in sette sezioni principali: "Visir", "Exhibitions", "Events� "Art", "Learn", "Join and Give•: "Shop". Sulla destra, la possibilità di acquistare i biglietti online e di accedere alla stringa di ricerca libera. Ognuna di queste sette sezioni permette la navigazione, grazie a menu a tendina, nei sottomenu. Così, ad esempio, nella sezione ''Art" si trovano le collezioni, la timeline e le pubblicazioni sul museo (cfr. FIG. 3 . 1 ) .

Oltre a tutte le indicazioni pratiche per raggiungere il museo ed ef­ fettuare la visita, alle informazioni relative agli eventi, alle mostre in corso o passate, o alla possibilità di acquistare biglietti o gadget online, il sito consente anche di consultare il database dell'intera collezione del museo. Alle opere si può accedere cronologicamen­ te (tramite una timeline), selezionando un'area geografica o, più semplicemente, cercando un artista o una tematica nella stringa di ricerca che appare cliccando su "The Met Collection". Cercando, ad esempio, Tiziano, la prima opera che compare è Venere e Adone. Cliccando sulla thumbnail dell'immagine o sul titolo si apre la scheda dell'opera. Per prima cosa appare un'im­ magine dell'opera, che può essere ingrandita e scaricata, corre­ data dei dati tecnici fondamentali. A seguire, grazie a menu a espansione, si ha la possibilità di avere informazioni di appro­ fondimento che raccontano la provenienza dell'opera, le citazio­ ni inventariali, la storia, l'iconografia, la bibliografia essenziale ecc. (cfr. FIG. 3.2.). La scelta comunicativa fatta dal Met appare davvero interessan­ te, perché l'idea stessa di caricare online una scheda molto detta­ gliata porta con sé il coinvolgimento di più pubblici. Un appas­ sionato potrà trovare le opere, consultare le immagini e leggerne una breve descrizione, mentre gli studiosi potranno avere a dispo­ sizione tutte le informazioni necessarie al proprio lavoro. Ognu­ no potrà scegliere il livello di interazione più consono al proprio modello di visita. Dietro questa scelta c'è ovviamente un lavoro di digitalizzazio­ ne delle opere, con relativa schedatura dell'intera collezione, che spesso è ancora parzialmente mancante in alcuni musei italiani. Quelli che hanno deciso di investire nella realizzazione di un nuo­ vo sito web sembra si stiano muovendo, anche se a piccoli passi, nella direzione operata dal Met. L'idea di base è quella di fornire all'utente tutta la collezione online. Alcuni musei forniscono l'immagine dell'opera, ingrandibile, cor­ redata di una breve scheda di carattere divulgativo, come accade 70

F I GU RA 3.2

Scheda opera dal sito web del Metropolitan Museum di New York Venus end Adoni$ Titlon (TWonoV«>dbo)(l!IWII\ Piove di Codotece. 1"85/901-1576 \lonlce) Dote:

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