Moro: L' Inchiesta senza Finale 9788884213129

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Moro: L' Inchiesta senza Finale
 9788884213129

Table of contents :
INDICE
NOTA INTRODUTTIVA
NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI
CASO MORO, IERI E OGGI
DOCUMENTI
REAZIONI E COMMENTI
INDICE DEI NOMI

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STUDI E SAGGI 80

Qualunque cosa sia, e quali che siano le fonti da cui sono partite le dicerie, delle dicerie non sono delle prove”, però “l’Italia era preparata a credere a tutto ciò che accusava le classi dirigenti. Hans Magnus Enzensberger, Politica e gangsterismo, Savelli, Roma, 1979, p. 169

NELLE NOSTRE EDIZIONI

Odissea nel caso Moro di Vladimiro Satta

Fabio Lavagno e Vladimiro Satta

Moro L’inchiesta senza finale

In copertina: Aldo Moro L’editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri per l’illustrazione di copertina di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile contattare l’avente diritto.

© Edup S.r.l. Via Quattro Novembre, 157 – 00187 Roma Tel. +39.06.69204359 www.edup.it • [email protected] facebook.com/edizioniedup Grafica e impaginazione Giuseppe Merini Prima edizione digitale maggio 2018 ISBN 978-88-8421-312-9

INDICE

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NOTA INTRODUTTIVA RIFLESSIONI

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Nuova Commissione, vecchi fantasmi di Fabio Lavagno I Cinquantacinque giorni: una “vicenda” e non un “caso”, p. 11; La legge istitutiva della Commissione, p. 19; Le relazioni. Opera in tre atti senza finale, p. 26; Vecchi fantasmi, p. 36; Un’occasione mancata, p. 58.

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Caso Moro, ieri e oggi di Vladimiro Satta Cenni introduttivi, p. 63; Lineamenti dell’ultima relazione della Commissione Moro-2, p. 66; Il “negoziato politico-giudiziario” e la “verità dicibile”, p. 68; Carte da scoprire, p. 105; Il massacro di via Fani e il sequestro di Moro si potevano prevenire?, p. 113; La dimensione internazionale, p. 120; Il fuggiasco, p. 140; I sospetti sul bar Olivetti, p. 146; La coppia smascherata, p. 157; Falsi misteri risolti, p. 165; I costi dell’inchiesta parlamentare, p. 171.

175 217 238 240

DOCUMENTI Resoconti approvazione relazione dicembre 2017 in Commissione Moro-2 e in assemblea Camera Deputati. Cosa diceva la Commissione Moro-1 (estratti). Cosa diceva la Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia P2. Cosa diceva la sentenza giudiziaria del 25 gennaio 1983 (estratti).

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REAZIONI E COMMENTI Lettera aperta inviata dal giudice Rosario Priore al presidente della Commissione d’inchiesta sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Articoli di stampa.

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INDICE DEI NOMI

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NOTA INTRODUTTIVA

Questo libro, essendo stato scritto in coincidenza di due eventi, vale a dire il quarantesimo anniversario della vicenda Moro e la fine di una nuova inchiesta parlamentare condotta da un’apposita commissione, ha una struttura composita. La prima delle tre sezioni del volume è dedicata alle Riflessioni degli autori, il deputato Fabio Lavagno e lo storico Vladimiro Satta, mentre la seconda è costituita da Documenti e la terza comprende una selezione di Reazioni e commenti relativi alla recente inchiesta svolta da Camera e Senato Nella prima sezione Fabio Lavagno, che è stato membro della commissione parlamentare Moro-2 e ha maturato un punto di vista diverso da quello della maggioranza della commissione stessa, pubblica il testo che egli avrebbe presentato al termine dei lavori dell’organismo parlamentare se quest’ultimo avesse consegnato una vera e propria relazione finale, come inizialmente era previsto, invece di una serie di relazioni periodiche. Vladimiro Satta, a sua volta, analizza la relazione di dicembre 2017 approvata dalla commissione Moro-2 e dalla Camera dei Deputati che, in pratica, ha fatto le veci della relazione finale mancante, e confronta le tesi della commissione Moro-2 con le risultanze delle inchieste giudiziarie, parlamentari e storiografiche del passato. La seconda sezione si apre con i resoconti delle sedute in cui è stata discussa l’ultima relazione della commissione Moro-2. Di seguito, si mostrano ai lettori pagine significative di documenti elaborati nei decenni scorsi in sede parlamentare e giudiziaria che, data la loro origine estranea al mercato editoriale, finora non hanno avuto il rilievo che avrebbero meritato. 9

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

Nella terza sezione, spicca la lettera aperta indirizzata alla presidenza della commissione Moro-2 dal giudice emerito Rosario Priore, per anni titolare delle inchieste della Procura di Roma sulla vicenda Moro. A completamento di questa sezione, una breve rassegna di come la stampa ha commentato la conclusione dell’inchiesta parlamentare 2014-2017. Il titolo del libro, Moro, l’inchiesta senza finale, si riferisce in primo luogo all’esito interlocutorio dell’inchiesta parlamentare. Più in generale, il concetto di “inchiesta senza finale” è applicabile all’incompiutezza, per non dire inconcludenza, dei quarantennali tentativi di contrapporre un’alternativa alla ricostruzione giudiziaria della vicenda Moro, formatasi nel 1983 e condivisa dalla commissione parlamentare dell’epoca nonché dai più autorevoli studi storiografici in materia.

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RIFLESSIONI

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI Fabio Lavagno I CINQUANTACINQUE GIORNI: UNA “VICENDA” E NON UN “CASO” È pienamente legittimo chiedersi se a quattro decenni da Via Fani abbia ancora senso raccontare e indagare sui fatti legati al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro. Certamente sì. Non perché il Parlamento nella XVII legislatura si sia cimentato in una nuova Commissione d’inchiesta o perché magistrati proseguano le proprie indagini, ma perché vi è un’esigenza nel Paese, magari non dominante nelle preoccupazioni quotidiane, ma che è quella più elementare e fondamentale del vivere civile ed è una richiesta di trasparenza e verità. È una domanda che alberga, pena la malafede, anche nelle tracce di un più vivo e vitale, per quanto a tratti morboso e autocompiacente, interesse di chi si occupa di queste vicende con spirito dedito alla dietrologia o alla cospirazione. Quando osservatori, commentatori ed anche studiosi, a vario titolo chiamati in causa, si riferiscono ai fatti relativi al rapimento, alla detenzione e all’uccisione di Moro da parte delle Brigate rosse, utilizzano, quasi esclusivamente, l’espressione “caso”, o ancora meglio “Caso Moro”. La locuzione viene intesa nella sua accezione più propria: caso diventa sinonimo di avvenimento fortuito, accidentale e imprevisto. Affiancato alla versione degenerativa di affaire, non esiste definizione più comune per indicare l’insieme delle vicende che vanno dal 16 marzo 1978 al 9 maggio dello stesso anno. Un termine generico e a volte inadeguato che identifica i cinquantacinque giorni di prigionia di Moro e allo stesso tempo riassume fatti e ricostruzioni circa le ipotesi, spesso discordanti, a essi connessi. Gli stessi cinquantacinque giorni che intercorrono dall’agguato di via Fani (nel quale un gruppo di brigatisti rapisce il 11

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

politico democristiano uccidendo gli agenti della scorta) sino al ritrovamento del cadavere in via Caetani, a bordo di una Renault 4 di colore rosso. Questa stessa definizione, riferita alla casualità di quegli eventi, ed entrata ormai a far parte dell’opinione pubblica in modo prevalente, sembra escludere la possibilità di una sua piena comprensione e risoluzione, proprio perché ritenuta fortuita e inaspettata. Una dimensione che sembra consegnare la vicenda a una dinamica estranea al contesto nazionale, imprevista ed imprevedibile. A ben vedere non è così. Basterebbe, a tale proposito uno studio e un’acquisizione chiara dei fenomeni, e della cultura politica che hanno caratterizzato gli anni Settanta in Italia1. Affrontare lo studio del rapimento e della morte di Aldo Moro è quanto mai importante per approfondire un periodo della storia del nostro Paese. Un momento che si pone come spartiacque, anche emotivo, tra un prima, un dopo, e le relative conseguenze. Per fare questo in modo serio, occorre certamente prendere in esame le sue date fondamentali e i suoi spazi tragicamente simbolici come via Fani – luogo dell’agguato in cui persero la vita gli agenti di scorta Domenico Ricci, oreste Leonardi, Giulio Rivera, Francesco zizzi e Raffaele Iozzino – via Montalcini – sito della detenzione di Moro individuato come tale solo quattro anni dopo i fatti – e via Caetani – sede del ritrovamento del cadavere nel portabagagli della Renault 4 rossa. È altrettanto necessario, però, riferirsi anche a un contesto di dinamiche, soprattutto e quasi esclusivamente nazionali, ben più ampio, precedente e successivo a quel drammatico scenario. Perdendo una tale visione d’insieme si rischia di “sclerotizzare” il tema senza aggiungere molto di nuovo o di rilevante. È indubbiamente vero che l’Italia, come la totalità dei Paesi europei, si trovasse in una situazione ben definita all’interno di blocchi d’influenza successivi al secondo conflitto mondiale, ma è bene ricordare che essa sviluppò dinamiche e peculiarità politiche pro1

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Cfr. M. LAzAR, M.A. MATARD-BoNUCCI, Il libro degli anni di piombo. Storia e memoria del terrorismo italiano, Rizzoli, Milano 2010.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

prie (spesso tali da essere definite anomale, rispetto a un contesto internazionale ed europeo) e questo accadde anche nel campo delle lotte sociali2. In questo quadro nazionale si inserisce anche l’azione delle Brigate rosse legata alla vicenda Moro3. Essa fu una delle tante azioni condotte nella strategia brigatista di lotta armata nell’arco di quasi quindici anni, prima e dopo il 1978. Quello stesso periodo, in cui irrompe nella vita pubblica la generazione demograficamente rilevante del dopo-guerra, è stato caratterizzato da intensi momenti di crisi, da processi di ristrutturazione dei sistemi produttivi, contestazioni, avanzamenti sul piano dei diritti civili e un’evoluzione del sistema politico, funestato dallo stragismo. Le stesse Br, d’altra parte, non sono che uno dei molti gruppi armati (di certo il più organizzato) sviluppatisi negli anni Settanta sorti nell’alveo dei movimenti di contestazione, pronti a usare la violenza per perseguire i loro scopi. Quello che in modo piuttosto netto Giorgio Bocca4 descrisse come: La nebulosa terroristica [che individua come] la valvola di sfogo della contestazione giovanile che non crede più nei partiti, non ha fiducia nel riformismo, trova nella violenza organizzata o sporadica il solo motivo per sentirsi viva (Bocca 1979, p. 109).

Raramente in questi quarant’anni la vicenda Moro è stata analizzata secondo questo profilo di più ampio respiro e per lo più è stata trasmessa secondo un filone di impianto dietrologico. Chi persegue tesi complottiste difficilmente arriverà a un punto finale di 2

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Sulle peculiarità politiche del “caso italiano”, cfr. L. MoRLINo, M. TARCHI, Partiti e caso italiano, Il Mulino, Bologna 2006; P. IGNAzI, Il potere dei partiti. La politica in Italia dagli anni Sessanta a oggi, Laterza, Bari 2002. Su “anomalia sociale italiana”, cfr. S. CoLARIzI, Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni 1943-2006, Laterza, Bari 2007; F. LUSSANA, G. MARRAMAo, L’Italia Repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Culture, nuovi soggetti, identità, Rubettino, Napoli 2001. Cfr. M. CLEMENTI, La Pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Milano 2006, pp. 53-130 [1^ ed. 2001, odradek]. G. BoCCA, Il terrorismo italiano 1970-1978, Rizzoli, Milano 1979. 13

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

indagine, perché la finalità della dietrologia non è la soluzione di un mistero, ma spesso la creazione di esso e di un altro contenuto al suo interno, in una dinamica ciclica fatta di infinite ed inutili spirali. Agostino Giovagnoli (2005, p. 9) non solo ci invita a non indulgere sulla dietrologia, ma giustamente ci ricorda che “a causa di eccessi dietrologici l’indagine sulla realtà è passata talvolta in secondo piano, facendo prevalere ipotesi fantasiose”5. Seppur breve nella sua fase unitaria e ancor più in quella repubblicana, il nostro Paese ha una lunghissima storia, ma una memoria dannatamente corta, spesso faziosa, quasi mai condivisa. Di fronte a ciò, ogni sforzo di approfondimento storico è un tentativo apprezzabile. Non si vuole in questo modo affermare che si debba pervenire a unica, inoppugnabile e omologata interpretazione storica: coesistano pure il confronto e le diverse sensibilità, ma senza sconti rispetto alla serietà delle documentazioni. Non si tratta solo di un elemento imprescindibile dal punto di vista storiografico, ma anche di un rispetto, doveroso nel trattare queste vicende, che oltre ai risvolti storici e giudiziari, hanno elementi legati a fatti umani e dolorosi. Per le stesse ragioni non è possibile continuare a perpetuare un racconto di quei fatti come qualcosa di indeterminato, casuale di cui sfugge la possibilità della sua comprensione, oggetto ancora oggi di speculazione politica o al più oggetto di interesse giudiziario e quasi mai consegnato alla sua pienezza storica. La logica ossessiva del “caso”, di fatto schiaccia e comprime – portandola a identificarsi con il suo rapimento – la stessa figura storica di Moro, impedendo una piena valutazione della sua lunga azione politica. Concentrarsi ossessivamente solo sui giorni del sequestro, in altre parole rischia di consegnare Moro a una memoria agiografica (a volte ipocrita) come se fosse un’imposizione a causa del martirio subito6.

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A. GIoVAGNoLI, Il Caso Moro, una tragedia repubblicana, Il Mulino, Bologna 2005. “Parlare degli ultimi cinquantacinque giorni di Aldo Moro senza restituirgli i sessant’anni precedenti, e in particolare gli ultimi venti, significa abbandonarsi a un’altra patologia del ricordo” MoRo G. (2007), Anni Settanta, Einaudi, Torino, p. 94.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

La tentazione di accostare la morte dell’esponente democristiano a quella di John F. Kennedy significa presupporre che un fatto tragico della storia repubblicana debba, per forza di cose, concludersi nel buio, e con un’assenza di verità. Certamente, come l’assassinio avvenuto a Dallas nel 1963, anche l’assassinio di Aldo Moro fu un omicidio politico. Forse il più eclatante della storia repubblicana, ma difficilmente può essere paragonato ad altri omicidi politici o ai regicidi della storia. Si tratta di una questione di non poco conto se consideriamo che addirittura tra le tracce per i temi della maturità del 2013, quella di ambito storico-politico associava la morte dello stesso Moro a quelle di grandi omicidi politici del Novecento che ebbero come oggetto Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, Giacomo Matteotti e (appunto) Kennedy7. Esso va letto nell’ottica brigatista8. Pianificato come atto di forza e di efficienza organizzativa, in cui l’azione e la “gestione del sequestro” (i cui fini di propaganda e di trattativa) risultano estremamente più importanti rispetto al tragico epilogo. Sequestrare, proteggere il luogo di detenzione, “processare” politicamente l’ostaggio, tentare di innescare una trattativa volta a garantire il riconoscimento politico, gestire mediaticamente l’azione attraverso i comunicati e la diffusione delle lettere del prigioniero, sono e restano attività ben più complesse rispetto ad un più comune omicidio puntuale. Per quanto erronea, la valutazione dei brigatisti in merito all’atteggiamento dei partiti – Democrazia cristiana e Partito comunista in primis – e al comportamento delle istituzioni, dobbiamo ammettere che il rapimento e il suo “processo” fossero azioni premeditate, non per forza la sua uccisione. L’epilogo di questa tragica vicenda è quasi per paradosso iscritta nella stessa impostazione politica di Moro, volta dare forma all’idea berlingueriana (formulata pochi anni prima) di “compromesso storico9” (secondo uno schema già utilizzato con i socialisti 7

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Tracce integrali disponibili al seguente link: http://www.istruzione.it/ esame_di_stato/Secondo_Ciclo/tracce_prove_scritte/2013/allegati/P000.pdf (ultimo accesso: 2 febbraio 2018). Cfr. M. CLEMENTI, P. PERSICHETTI, E. SANTALENA, Brigate rosse. Dalle fabbriche alla campagna di primavera, vol. I, DeriveApprodi, Roma 2017. Cfr. C. VALENTINI, Enrico Berlinguer, Feltrinelli, Milano 2014, p. 221 e seguenti. 15

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

nel decennio precedente). I due principali partiti sulla scena politica italiana, oggetto di questo avvicinamento, rifiutarono (per reciproca interdizione) una trattativa peraltro difficilmente ricevibile con le Br. Il Partito socialista di Bettino Craxi, invece, che intendeva scardinare la strategia di avvicinamento tra Dc e Pci, si adoperò ricercando contatti con i brigatisti, perseguendo questa linea per ragioni umanitarie, o molto più probabilmente collocandosi con spregiudicatezza in uno spazio politico lasciato libero. L’idea che un’eventuale negoziazione avrebbe potuto salvare la vita di Moro resta, però, una teoria ricorrente nella narrazione dei cinquantacinque giorni. Nel sostenere questa posizione non si tiene, infatti, in debito conto di un oggettivo errore di valutazione dei brigatisti, non solo sull’atteggiamento di Dc e Pci, ma di un più diffuso effetto nella società italiana a seguito della loro azione. Sul piatto di questa contrattazione è ormai noto che non vi fosse alcun cedimento rispetto al riconoscimento politico, ma offerte di natura economica. Veniva cioè offerta alle Br l’unica cosa di cui non avevano immediato bisogno: denaro. A tale proposito è bene ricordare che le risorse economiche di un miliardo e mezzo di lire ottenute come riscatto del sequestro di Pietro Costa (rapito a Genova il 12 gennaio 1977 e tenuto prigioniero dalle Br sino al 3 aprile dello stesso anno) non solo furono sufficienti all’organizzazione del sequestro Moro, ma sostennero l’attività brigatista anche per un periodo successivo piuttosto lungo10. Solo tardivamente, e forse strumentalmente, la trattativa ebbe come oggetto la scarcerazione di detenuti, ritenuti dalle Br “prigionieri politici”. Molto lucidamente Guido Bodrato (che all’epoca del sequestro faceva parte della segreteria politica della Dc) audito dalla Commissione il 20 marzo 2017, sull’ipotesi che prevedeva un canale di dialogo rispetto alla scarcerazione di Paola Besuschio11, ha affermato: 10

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“Un miliardo e mezzo sono un sacco di quattrini. Ci andremo avanti per una vita [...] Il miliardo e mezzo di Costa ci bastò per quattro anni, praticamente fino al mio arresto dell’81” M. MoRETTI, C. MoSCA, R. RoSSANDA, Brigate rosse. Una storia italiana, Baldini & Castoldi, Milano 2000 pp. 105106 [1^ ed. 1994, Anabasi]. Brigatista in carcere a seguito dell’arresto avvenuto nel 1975.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

[…] per quello che risultava a noi, gli atti umanitari non erano quello che chiedevano le Brigate rosse. Le Brigate rosse chiedevano un riconoscimento politico e non a caso si rivolgevano, immaginandola proprietaria dello Stato, principalmente alla Democrazia cristiana […]12.

Nel merito della stessa audizione sollecitato, a esprimersi sulle ragioni che fecero venire meno la linea della fermezza sul sequestro di Ciro Cirillo13, Bodrato ha replicato che cio avvenne semplicemente perché in quel caso i rapitori accettarono il denaro. Più che una trattativa, quindi, un dialogo tra sordi, e avente come oggetto elementi inaccettabili per entrambe le parti, in cui l’esito sembrava già determinato. Su questo tema sono ancora oggi valide le parole del già citato Giovagnoli: Le conoscenze acquisite finora indicano che Moro è morto perché le Brigate rosse avevano deciso di ucciderlo e perché non intervenne alcun elemento che riuscisse a fermarle. […] Per quanto ci è dato sapere, Moro fu assassinato per gli stessi motivi per cui era stato rapito, vale a dire non per ciò che egli era veramente, per ciò che aveva fatto davvero e per una reale convenienza politica dei brigatisti a rapirlo o a ucciderlo, ma per il valore che questi attribuirono alla sua morte nella lotta contro lo Stato imperialista delle multinazionali, dentro una logica che confondeva il piano della realtà con quello dei simboli, anche se l’assassinio di Moro fu un evento tragicamente reale (Giovagnoli, 2005, p. 259).

Un altro quesito che va posto riguarda le modalità su come affrontare lo studio di un evento che ha attraversato plurime vicende 12

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 130a della Commissione del 4 aprile 2017, ALLEGATo, p. 24 Esponente campano della Dc venne rapito a Napoli il 27 aprile 1981 da un gruppo di brigatisti capeggiati da Giovanni Senzani. Il 24 luglio fu rilasciato dopo che le Brigate rosse ne avevano annunciato la liberazione il giorno precedente perché era stato pagato un riscatto di un miliardo e 450 milioni di lire. 17

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

giudiziarie, tre Commissioni d’inchiesta parlamentari, che a vario titolo si sono occupate della vicenda, ma che non sembra attestarsi in termini di percezione generale ad una conoscenza piena e completa, per quanto già più di vent’anni fa uno dei protagonisti dei fatti, Mario Moretti, nel libro intervista con Carla Mosca e Rossana Rossanda, affermasse che una percentuale pressoché totale degli avvenimenti fosse già accertata dai passaggi giudiziari14. Basta quella presunta e dichiarata residua percentuale per inventarsi puntualmente nuove sensazionali scoperte, nuovi complotti, che dopo poco cadono nel ridicolo quando non nell’accusa di calunnia? oppure la strada non è quella di un metodo serio, rispettoso della ricostruzione del contesto, delle dinamiche politiche e sociali che si concentrarono per tutti gli anni Settanta? D’altra parte dobbiamo anche chiederci: una qualsiasi eventuale novità di carattere giudiziario, per quanto certamente importante sotto il profilo della giustizia, quanto aggiungerebbe alla conoscenza storica nelle sue linee generali e alle valutazioni in merito alla vicenda Moro? Sarebbe estremamente utile che si affacciasse (in parte sta avvenendo) e si potesse affermare una nuova generazione di ricercatori, in grado di ripercorrere lo studio della nostra storia recente e di queste vicende, in particolare. Non si tratterebbe solo di un fatto generazionale (sarebbe limitante affermare questo) ma di una vera e propria emancipazione rispetto a modelli precedenti ampiamente consolidati. Con l’allontanarsi dagli eventi studiati sarebbe auspicabile attendersi un naturale e doveroso aumento di autonomia intellettuale, una maggiore propensione allo studio neutro delle documentazioni, conseguente all’abbandono della necessità di adesioni ideologiche o programmatiche. A oggi però questo processo è atteso, ma non ancora realizzato, contraddistinto da un’assunzione di maturità fondamentale e per nulla scontata.

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Cit. M. MoRETTI, C. MoSCA, R. RoSSANDA, pp. 124-125.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

LA LEGGE ISTITUTIVA DELLA COMMISSIONE Come ampiamente noto, l’articolo 82 della Costituzione italiana conferisce alle Camere il potere di istituire commissioni di inchiesta su “materie di pubblico interesse” procedendo “alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria”. Nel 2013, a trentacinque anni dai fatti, su questo fondamento normativo, vengono presentate varie proposte di legge per l’istituzione di una Commissione “sul rapimento e la morte di Aldo Moro”, che si inseriscono nell’attività della XVII legislatura. Le motivazioni politiche che giustificano tale istituzione sono contenute nella relazione illustrativa alla proposta di legge a prima firma Fioroni (che, tra le altre presentate, verrà poi approvata) che definisce i cinquantacinque giorni che separano l’agguato di via Fani dal ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani come “ancora una pagina densa di misteri e di enigmi”, di cui si denuncia una “reticenza generale” a parlare. Lo stesso atteggiamento deriverebbe da “un senso di colpa su quello che lo Stato poteva e doveva fare per la liberazione dello statista democristiano”. I trentacinque anni trascorsi dai fatti sono stati caratterizzati da una produzione sovrabbondante di saggi, scritti, pubblicazioni di vario genere, opere cinematografiche e documentari televisivi. Purtroppo la stessa amplissima produzione non sempre si è dimostrata essere ispirata al rigore storiografico. Risulta ancor più avvilente che, laddove esista invece una certa qualità di tale materiale, questo non sia direttamente proporzionale né alla diffusione nel pubblico, né alla capacità di creare una memoria e una cultura diffusa. Gli scritti più autorevoli vengono, infatti, spesso sommersi da opere che puntano ai più variegati teoremi oppure a scandagliare presunti misteri, qualora non siano espressamente frutto d’invenzione. Tale sovrabbondanza ha condizionando il giudizio e costruito uno scenario fatto di ombre e misteri.

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MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

La politica non è immune da queste suggestioni. Molto spesso, anzi, per proprie finalità, non ha fatto altro che alimentarle. È dunque sulla scorta di una “verità incompleta” che (dopo, cinque processi con relative condanne, due Commissioni parlamentari che si sono occupate della vicenda) vede la luce una nuova Commissione d’inchiesta, la cui legge istitutiva viene approvata dal Parlamento il 30 maggio 2014. L’approvazione avviene dopo i necessari passaggi nelle Commissioni di competenza dei due rami del Parlamento e dopo un lavoro di coordinamento per rendere omogenei i testi presentati a Camera e Senato. Per quanto riguarda il dibattito nelle sue varie fasi e per quanto riguarda le fonti, non sempre solidissime, come per i lavori di Ferdinando Imposimato (2013)15, si rimanda ad una più ampia trattazione e al valido resoconto che ne fa Vladimiro Satta (2016, pp. 591-600)16, che in modo puntuale, rispetto alla legge istitutiva della Commissione si incarica di analizzarne “la spinta propulsiva” e le addotte ragioni che motiverebbero una nuova Commissione. Il testo della Legge risulta piuttosto essenziale, come peraltro si addice a questo genere di organismi parlamentari. Esso si limita a dichiararne le funzioni, la durata, la composizione, i poteri e i limiti (anche per quanto riguarda le audizioni a testimonianza e gli obblighi del segreto) e l’organizzazione dei lavori. Riferimenti più precisi rispetto a quest’ultimo punto sono contenuti nel regolamento interno approvato nella seduta del 15 ottobre 2014. Vengono demandati a questo regolamento anche le parti relative alle funzioni del Presidente, dei Vice Presidenti e dei Segretari (che compongono l’Ufficio di Presidenza), allo svolgimento dei lavori (convocazioni, ordine del giorno, numero legale, deliberazioni, pubblicità dei lavori), alle modalità procedurali e agli strumenti operativi dell’inchiesta.

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F. IMPoSIMATo, I cinquantacinque giorni che hanno cambiato l’Italia, Newton Compton, Roma. Cfr. V. SATTA, I nemici della Repubblica, Rizzoli, Milano 2016.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

Le funzioni della Commissione, partendo dall’assunto di una “verità incompleta”, non possono che configurarsi nell’accertamento di eventuali nuovi elementi e responsabilità. Il termine dei lavori era stato fissato per legge in ventiquattro mesi, come previsto dal secondo articolo. Tale termine è stato prorogato, nel 201617, sino al termine della legislatura. Lo stesso articolo prescriveva alla Commissione una relazione annuale sulle attività svolte e una relazione finale sulle risultanze delle indagini, con la possibilità di presentare relazioni di minoranza. Se le relazioni, cosiddette intermedie, sono state puntualmente trasmesse al Parlamento (e nel caso della prima e della seconda sono state anche votate da entrambi i rami, mentre la terza è solo stata approvata dalla Camera), non altrettanto è avvenuto per quanto riguarda la relazione conclusiva. La Commissione ha, così, abdicato all’ambizione di giungere a una relazione finale e dare la possibilità di presentare eventuali relazioni di minoranza. Nel dicembre 2016 l’esito del referendum costituzionale aveva posto lo scenario di uno scioglimento anticipato delle Camere come variabile possibile; un anno dopo, la fine della legislatura era un fatto naturale. La scadenza che indicava il termine dei lavori e di vita della Commissione, era segnata sul calendario. Alla redazione di un documento organico e finale, però, si è preferito, ancora una volta, produrre un resoconto dell’attività svolta, il terzo. È vero che in qualunque inchiesta ci si trova da un lato a dover fare i conti con i limiti del tempo a disposizione e dall’altro, a non sapere in anticipo come l’inchiesta stessa si svilupperà. Questo non 17

Testo del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, coordinato con la legge di conversione 25 febbraio 2016, n. 21, recante: “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio 2016, n. 47 Art. 12-bis Proroga del termine dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro 1. “Il termine per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, previsto dal comma 1 dell’art. 2 della legge 30 maggio 2014, n. 82, è prorogato sino alla fine della XVII legislatura”. 21

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

comporta, però, la rinuncia a formulare conclusioni che siano formalmente tali, sebbene ovviamente esse valgano per il momento in cui sono esplicitate e non per il futuro. La decisione di non giungere ad una relazione finale appare poco spiegabile se consideriamo che l’organismo parlamentare è stato prorogato, aumentando di oltre un terzo la durata originariamente prevista per legge. Risulta piuttosto avvilente il confronto con la prima Commissione Moro che, pur partendo da zero e in una legislatura, l’VIII, terminata con un anno in anticipo, aveva prodotto una sua compiuta relazione. In un contesto in cui, nell’Italia attuale, dilagano spinte antipolitiche e un alto tasso di discredito delle istituzioni, si tratta davvero non di un grande progresso e soprattutto quanto di più lontano dalle dichiarazioni d’intento iniziali di fornire quelle risposte da cui “potranno venire gli insegnamenti giusti per fare dell’Italia una democrazia ancora più piena, libera, responsabile e compiuta18”. Di fronte ad un risultato tanto deludente, appaiono piuttosto ironiche, e per come si sono conclusi i lavori, anche fuori luogo, le parole del deputato Andrea Martella, che prendendo la parola in Aula alla Camera in occasione della discussione generale sull’istituzione della Commissione, pretendeva che essa fosse votata alla stessa “visione di Aldo Moro [che] era ispirata alla volontà di escludere le cose mediocri per fare posto a grandi cose”. Non solo la mancanza di grandi passi avanti, ma anche la modalità di operare e la rinuncia a redigere una relazione finale, non possono certamente inserire la Commissione in quella volontà di escludere la mediocrità per far posto alla grandezza19. La Commissione dell’VIII legislatura, così come la successiva “Stragi” (che nonostante l’impianto più vasto iniziale, si occupò 18

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Cfr. Relazione illustrativa, Camera dei Deputati, Proposta di legge n°. 1843, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, 25 novembre 2013. Camera dei Deputati, Resoconto stenografico dell’Assemblea, seduta n. 191, 17 marzo 2014, p. 47.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

quasi esclusivamente, sotto la presidenza di Giovanni Pellegrino, della vicenda Moro, senza arrivare a una relazione conclusiva) furono entrambe di carattere bicamerale e composte da quaranta membri. La nuova Commissione (inizialmente prevista di carattere monocamerale, poi divenuta bicamerale20) ha visto aumentare considerevolmente il numero dei propri componenti, fissati in sessanta, ovvero trenta senatori e trenta deputati, in proporzione – come prescritto dall’articolo 82 della Costituzione – al numero dei componenti dei gruppi parlamentari. Non possiamo non rilevare che, nonostante questo innalzamento, la partecipazione ai lavori sia stata piuttosto scarsa. Con l’eccezione di una fase iniziale e in occasione dell’approvazione delle Relazioni intermedie sulle attività svolte, la partecipazione ai lavori raramente ha superato le dieci unità, compreso il Presidente. Analogamente possiamo riferirci ad una delusione per quanto riguarda il carattere del dibattito. occorre infatti osservare che, esaurite le richieste di natura più complottista del Movimento cinque stelle – i cui componenti richiedevano, tra l’altro, l’audizione dell’ex-Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger – esso sia avvenuto quasi esclusivamente tra i componenti del Partito democratico o i membri fuoriusciti da questo gruppo a seguito della formazione del Movimento democratici progressisti. I restanti articoli della legge istitutiva ricalcano, in conformità al già menzionato articolo 82 della Costituzione, la disciplina tipica della composizione delle Commissioni parlamentari d’inchiesta. Non è ovviamente escluso il richiamo ai vincoli di segretezza ed il riferimento ad esso connesso con il Codice Penale. Tale obbligo rispetto a determinati atti che siano coperti da segreto investe:

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Nella relazione del testo di disegno di legge presentato al Senato il fatto che la Commissione fosse prevista di impianto monocamerale viene stigmatizzato come “conventio ad escludemndum nei confronti del Senato” e “uno sgarbo istituzionale” a cui è necessario “correggere il tiro” con un impianto che coinvolga l’intero Parlamento. Cfr. Senato della Repubblica, Disegno di legge n. 1030, Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sull’uccisione di Aldo Moro, 10 settembre 2013. 23

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I componenti la Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio21.

Nonostante questa puntuale consegna, in più di un’occasione i contenuti dei lavori della Commissione, o le sue documentazioni, sono stati oggetto di succulente anticipazioni o relazioni giornalistiche. Citeremo in tale senso, a titolo esemplificativo, due episodi, in cui le attività secretate della Commissione hanno avuto un’eco pubblica. Nel novembre del 2015 ebbe un certo rilievo sulla stampa nazionale l’escussione di Raffaele Cutolo, avvenuta nel carcere di Parma da parte di consulenti della Commissione. In particolare il quotidiano La Repubblica dedicò due articoli, caratterizzati da titoli roboanti e occhielli che promettevano novità sensazionali22. Lo storico esponente camorrista, in carcere definitivamente dal 1979 dove sconta 13 ergastoli, non è nuovo a prestarsi a “rivelazioni” sul rapimento Moro. Puntualmente nel tempo, queste versioni sono risultate contraddittorie per quanto riguarda le responsabilità, i referenti, i nomi e le date. Le parole di Cutolo sulla vicenda Moro sono da decenni agli atti giudiziari e parlamentari e non hanno mai portato a nulla. Quando chi scrive decide di inviare al direttore de La Repubblica un comunicato stampa23 in contrasto con le tesi contenute negli articoli si apre una polemica con il giornale. In questo scambio,

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Cfr. art.6, Legge 30 maggio 2014, n. 82, “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 31 maggio 2014, n°. 125. Paolo Berizzi, “La verità di Cutolo: Pronto a collaborare vi svelerò i segreti del sequestro Moro” La Repubblica (17 novembre 2015); Paolo Berizzi, “La versione di Cutolo sul Caso Moro: Rapito con le armi della ‘ndrangheta” La Repubblica (18 novembre 2015). “Caso Moro: Lavagno (PD), Dichiarazioni Cutolo? No ad inesattezze”, AdnKronos, Roma (18 novembre 2015).

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piuttosto acceso, viene dichiarato che le fonti che hanno ispirato gli articoli sarebbero interne alla Commissione. Presumendo non si tratti solo di millanteria e nel pieno rispetto della riservatezza delle fonti giornalistiche, questo fatto non diminuisce la gravità di chi possa aver eventualmente veicolato all’esterno notizie ed informazioni che erano riservate ai lavori della Commissione. Altrettanto esemplificativo il caso dell’audizione di Pietro Modiano (ex direttore generale di Intesa Sanpaolo ora presidente di Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi). Modiano viene audito dalla Commissione il 5 settembre 2017 in forma segreta, secondo quanto richiesto espressamente dallo stesso. In questo caso, se possibile, i fatti superano addirittura quelli dell’episodio descritto in precedenza. Il contenuto dell’audizione di Modiano, non solo viene rivelato e confermato poche ore dopo, ma addirittura anticipato da due lanci d’agenzia dell’Ansa24. L’episodio (di cui si tratterà più estesamente in seguito) rilancia l’ipotesi di partecipazioni di ambienti malavitosi all’azione delle Brigate rosse, un tema caro ai sostenitori dell’eterodirezione brigatista e della collaborazione di questi con ambienti malavitosi in particolare della ‘ndrangheta. In questi, come in altri casi in cui il vincolo di segretezza pare essere stato violato non si è mai proceduto, per quanto noto, se non attraverso generici richiami da parte dell’Ufficio di Presidenza, a verificarne puntualmente la fonte (o le fonti), né la loro natura (cioè se avvenissero da parte dei commissari o dei collaboratori). Un’assenza di rigore formale che spesso ha fatto il paio con un’analoga assenza di rigore metodologico.

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“Moro: Modiano, don Curioni mi disse, “De Vuono uccise Moro” Audizione del presidente di Sea in commissione a San Macuto, Ansa, Roma (5 settembre 2017, 17:37). 25

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LE RELAZIONI. OPERA IN TRE ATTI SENZA FINALE La Commissione d’inchiesta sul rapimento Moro è stata ufficialmente costituita il 2 ottobre 2014 e in un periodo di poco superiore ai tre anni ha prodotto tre relazioni dell’attività svolta. La prima è stata approvata all’unanimità dalla Commissione il 12 dicembre 2015 e trasmessa al Parlamento il giorno successivo che ha provveduto analogamente ad approvarla. Il 20 dicembre dell’anno seguente è stata approvata la seconda relazione, ma incontrando l’astensione in Commissione da parte di chi scrive (voto reiterato nell’Aula della Camera e annunciato da una dichiarazione di voto in dissenso dal proprio gruppo25). Il 6 dicembre 2017 viene approvata la terza relazione. In questo caso il voto di chi scrive è di natura contraria non condividendo le metodologie, l’impianto 25

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“FABIo LAVAGNo: Le due relazioni sull’attività della Commissione non costituiscono ancora un’interpretazione complessiva della vicenda Moro in un quadro organico, esse sono piuttosto una prospettazione. Basterebbero queste parole pronunciate in quest’Aula lunedì scorso, dal presidente Fioroni, per spiegare le ragioni del mio intervento. Nei lavori della Commissione esiste una pluralità politica che, seppure minoritaria, grazie all’equilibrio del presidente, ha avuto cittadinanza. La vita dalla legislatura dirà se vi sarà la possibilità di una relazione finale, ma nell’attuale situazione, non mi sento di non dare segno e conto, attraverso il mio voto di astensione, già espresso in Commissione, a questi che rischiano di essere gli ultimi atti votati rispetto ai lavori svolti. Si è rinunciato alla tentazione di fare una sorta di storiografia parlamentare sul caso Moro, e questo è quanto mai positivo. Purtroppo riscontri oggettivi e incontrovertibili, come la ricostruzione della scientifica di via Fani o delle ricerche sul Dna, hanno avuto ed hanno poca evidenza, preferendovi testimonianze spesso contraddittorie che rischiano di strizzare l’occhio a quella pubblicistica definita giustamente sovrabbondante, talora omissiva, talora interessata a promuovere artificiose novità, che rischia di disorientare il discorso pubblico e la consapevolezza dei cittadini. Allo stesso tempo, non basta una non dissomiglianza per farci suggestionare sulle presenze in via Fani. Quella parte di opinione pubblica interessata ad una triste e tragica pagina dalla nostra storia repubblicana, come il rispetto per le vittime e per il dolore dei familiari, ci impongono rigore, metodologia e di non abdicare a quella possibilità, probabilmente l’ultima, di chiudere dal punto di vista politico, e non solo giudiziario o storico, quella stagione.” Camera dei Deputati, Resoconto stenografico, seduta n.730 del 25 gennaio 2017.

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istruttorio della Commissione e soprattutto valutando in modo negativo la mancanza di volontà di arrivare ad una relazione finale. È doveroso segnalare che l’ultima relazione ha avuto anche un voto di astensione (per quanto le motivazioni non siano state dichiarate) e che a differenza delle altre due che hanno impegnato nella discussione entrambi i rami del Parlamento questa ultima ha interessato solo la Camera (lo scioglimento anticipato delle camere, infatti, non ha permesso la calendarizzazione della discussione del documento al Senato). Non è mancata occasione che ciascuna relazione, una volta trasmessa al Parlamento, venisse accompagnata da una conferenza stampa, indetta dal Presidente a cui erano invitati a partecipare (ed eventualmente a prendere parola) tutti i commissari. Dobbiamo considerare innanzitutto le tre relazioni prodotte dalla Commissione non come un corpus unico e omogeneo: esse sono e rimangono infatti tre parti separate, poco o per nulla raccordate tra loro e con notevoli differenze, non solo stilistiche, ma anche metodologiche. Nelle conclusioni della terza si legge che essa: Non si presenta […] come una relazione complessiva, ma deve essere letta insieme alle due precedenti. Proprio il complesso delle tre relazioni disegna una complessiva revisione di diversi aspetti della vicenda del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro26.

Nonostante questo preteso disegno generale, occorre tenere ben presente che si tratta di tre documenti concepiti come resoconti annuali delle attività della Commissione in ossequio a quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 2 della legge istitutiva.

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 11. 27

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Le prime due relazioni risultano piuttosto simili nella struttura. Entrambe sono composte da una parte iniziale in cui si dà conto (in ordine cronologico e per tipologia) delle audizioni effettuate dalla Commissione. Per quanto piuttosto didascaliche, rappresentano la parte più oggettiva delle due prime relazioni, trattandosi prevalentemente di sintesi di resoconti delle sedute. Le seconde parti, invece, riguardano le aree di indagine. In queste sezioni si trova tutto ciò che non è stato chiuso e verificato. Trovano spazio in queste sezioni varie ipotesi, ma raramente si riscontra qualcosa di concreto, spesso si tratta di considerazioni generiche e indefinite, quando non solo suggestive. La struttura della terza relazione differisce da questo impianto. In essa si percepisce il tentativo nelle parti iniziali di uscire dal modello dal mero resoconto, tentando di dare, in capitoli organici, omogeneità alle risultanze su alcuni temi. Di segno opposto invece i capitoli successivi (con l’eccezione di un capitolo riservato ad attività tecniche dei Ris) che appaiono allusivi, generici, se non addirittura insinuanti. Che le due parti siano il frutto di contributi redazionali differenti è evidente. Nella terza relazione compare anche il tentativo di un embrione di conclusione di natura più politica. Tali parti conclusive erano presenti anche nei precedenti documenti approvati dalla Commissione, ma erano poco più che un abbozzo. La conclusione di natura politica, per quanto contraddittoria al proprio interno e anche rispetto le risultanze delle indagini, nella terza relazione assume una sua dimensione più estesa rispetto agli esempi precedenti. Queste conclusioni della terza relazione, di cui ci occuperemo in modo più esteso, non rappresentano solo l’ultimo capitolo della terza relazione, ma, di fatto anche della vita della Commissione stessa. Nell’ultimo capoverso si riporta che: “La Commissione consegna […] al Parlamento e al Paese un lavoro che non è esaustivo, ma che corrisponde alla logica della legge istitutiva27”. 27

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 273.

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Una frase che risulta esplicita e corretta nella sua prima parte (la Commissione fallisce il suo obiettivo di completare i propri lavori redigendo e approvando una relazione finale), ambigua in modo inquietante nella seconda parte (quale era la logica della legge istitutiva?). È più che lecito chiedersi quale fosse l’obiettivo della Commissione se non concludere la propria attività con un documento organico, permettendo di produrre eventuali relazioni di minoranza. Nello stesso capitolo, se non la logica della legge istitutiva, si chiarisce quale fosse il presupposto dell’inchiesta, assunto come dato di fatto: Presupposto dell’inchiesta è dunque il fatto che, nonostante i tanti anni trascorsi dai tragici avvenimenti che videro la morte di Aldo Moro e dei cinque agenti di scorta, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Salvatore Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, permanga una mancanza di verità rispetto a aspetti importanti della vicenda28.

In più di un’occasione si è dichiarato che la Commissione non si sarebbe cimentata in “una sorta di storiografia parlamentare” della vicenda Moro (espressione enigmatica, ma utilizzata a più riprese negli anni di vita della Commissione stessa29). Nonostante questa dichiarazione d’intenti, già nel definire il programma di audizioni del primo anno di lavoro si era ritenuto di concentrarsi, tra le varie aree di interesse, proprio sulla ricognizione dell’attività svolta dagli organismi parlamentari, che si sono occupati della vi28

Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 269.

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L’espressione è utilizzata ad esempio dal senatore Paolo Corsini nel corso del dibattito sull’istituzione della Commissione d’Inchiesta (cfr. prima relazione, p. 15); dal Presidente Fioroni in dichiarazioni giornalistiche (tra cui “L’ultimo segreto del sequestro Moro – le Br inviarono le carte ai palestinesi”, La Stampa, 22 dicembre 2016); traccia dell’espressione di ritrova anche nelle conclusioni della terza relazione, p. 269. 29

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cenda Moro nelle passate Legislature. In tale senso, infatti, sono state anche svolte audizioni di presidenti, vice presidenti ed esponenti particolarmente “attivi” di precedenti Commissioni d’inchiesta. È su questa “rilettura sistematica” che la Commissione arriva a dichiarare: Che la ricostruzione storico-politica e giudiziaria di uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana è ancora fortemente condizionata da una verità affermatasi tra gli anni ’80 e i primi anni ’90, che ha poi trovato un parziale accoglimento in sede giudiziaria. Una verità fortemente legata alle interazioni tra le culture politiche all’epoca prevalenti e ad una diffusa volontà di voltare rapidamente pagina rispetto alla stagione del terrorismo. Ciò, peraltro, risulta di palmare evidenza dalle pagine dedicate in questa relazione all’analisi del percorso dissociativo di Valerio Morucci e Adriana Faranda e alla influenza che questo esercitò sui giudicati penali30.

La relazione, in questa parte, sembra abbracciare una prospettiva radicalmente differente rispetto al suo impianto quando afferma che il “Caso” avrebbe potuto essere evitato attraverso una “semplice lettura combinata dei documenti programmatici delle Brigate rosse”. Questa affermazione avrebbe anche avuto un suo valore se la necessaria lettura dei documenti brigatisti non fosse stata immediatamente accostata (in modo un po’ raffazzonato e ambiguo) ad informative provenienti dal Medio oriente. In realtà non si tratta di un cambio di passo e nemmeno di valutazioni delle oggettive debolezze dimostrate all’epoca dai sistemi di polizia, quanto di un generico rimpianto rispetto alla sottovalutazione delle Br. Della sottovalutazione del fenomeno della lotta armata e dell’approssimazione della risposta dello Stato si trova ampia analisi da molti anni e bene descrive questa assenza di strategia Carlo Mastelloni31: 30

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 269. C. MASTELLoNI, Cuore di Stato, Mondadori, Milano 2017.

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Si è sempre sospettato che le Br fossero “eterodirette”, come se qualcuno, un’entità esterna a esse, le manipolasse. Io mi sono formato la convinzione che non è soltanto della possibile eterodirezione delle Br – l’orgoglio brigatista l’ha sempre negata – che dovremmo discutere. Ancor oggi resta da indagare un’eterodirezione strisciante delle Istituzioni dell’epoca, avvertibile più che nelle indagini puntuali, nei tempi e nei modi delle stesse. Si fecero, è vero, ogni giorno perquisizioni a tappeto, ma come atto dovuto, come “operazioni di servizio”, cioè spettacolari e in quanto tali non produttive. Mancava tuttavia una strategia di fondo, una direzione precisa delle indagini. E quando è assente una strategia, ogni centrale di potere gioca il proprio ruolo. È opportuno poi tenere a mente che, durante il sequestro, le forze dell’ordine non avevano strumenti tecnici adeguati. I posti di blocco venivano fatti dai carabinieri con bombe a mano di sabbia. La conoscenza inoltre del fenomeno terroristico era senza dubbio inadeguata. Patrizio Peci arriverà due anni dopo l’omicidio Moro a spiegare agli uomini del generale dalla Chiesa e al giudice istruttore di Torino Caselli che cosa fossero le Br […]. Insomma, nel 1978, quanto a comprensione del fenomeno eravamo quasi a quota zero. […] È difficile affermare che le forze dell’ordine siano state in occasione del sequestro Moro, all’altezza della situazione (Mastelloni 2017, pp. 155-158).

Nelle conclusioni, uno dei luoghi simbolo dei cinquantacinque giorni come via Fani viene citato solo per trovare lacune nella ricostruzione del cosiddetto “Memoriale Morucci” ed introdurre le trame di cui sarebbe stato teatro il bar olivetti32. Nessun accenno 32

L’esercizio commerciale che si trova all’incrocio tra via Fani e via Stresa, prospiciente al luogo dell’agguato brigatista. Il bar chiuso molto tempo prima del rapimento (nonostante si sia ripetutamente preteso fosse aperto la mattina 16 marzo 1978) è stato accertato essere luogo di frequentazioni malavitose e di traffici illeciti. La Commissione si è concentrata in particolare sulla figura di Tullio olivetti (uno dei titolari dell’esercizio) che era noto all’epoca alle forze dell’ordine per una storia di traffico d’armi per la quale non venne mai incriminato. Lo stesso olivetti, inoltre, risulta presente a Bologna nei giorni della strage del 2 agosto 1980. Per quanto inquietanti e per quanto questi fatti non fossero stati oggetto d’indagine prima che lo facesse la Commissione, non si è dimostrato alcun collegamento tra il bar e il rapimento di Aldo Moro. 31

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viene fatto per ricordare l’encomiabile lavoro svolto nel primo anno di attività della Commissione da parte della Polizia scientifica che attraverso una ricostruzione balistica e computerizzata conferma in buona parte la descrizione dell’agguato per come fatta in questi anni in sede giudiziaria e dalla versione brigatisti (occorre segnalare che questo importante contributo, ospitato in tono minore nella prima relazione, non verrà più citato nei successivi documenti). La novità più rilevante riportata non riguarda né l’agguato, né i giorni del sequestro o i fatti a esso connessi, ma il luogo dove Prospero Gallinari, da latitante, nell’autunno del 1978 (quindi svariati mesi dopo il sequestro Moro) trovò ospitalità. Ecco in sintesi come questo fatto viene riportato: Le indagini compiute hanno consentito di identificare due persone, allora conviventi in via Massimi 91, che hanno riconosciuto di aver ospitato, per diverse settimane, nell’autunno 1978, Prospero Gallinari in un’abitazione sita nel complesso33.

Le due persone, ritenute affidabili dai brigatisti, allo stesso tempo avevano profili sociali e lavorativi tali da garantire un’adeguata copertura. È bene segnalare che nel suo libro di memorie, Gallinari34, nel ripercorrere l’abbandono dell’appartamento di via Montalcini dopo l’estate del ’78 (a seguito di indagini che sembravano stringersi su Anna Laura Braghetti), ricordava qualcosa di molto simile: Io non posso tornare a vivere in quella casa [riferendosi all’appartamento di via Montalcini]. Sarebbe davvero troppo rischioso. Scegliamo [Gallinari e Braghetti] di separare temporaneamente i nostri percorsi. Io vengo ospitato da due persone pulite, marito e moglie, che per la loro posizione sociale assicurano una buona copertura (Gallinari 2006, p. 201).

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 266. GALLINARI P. (2006), Un contadino nella metropoli, Bompiani, Milano.

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Appaiono piuttosto ovvie le motivazioni per cui Gallinari non abbia menzionato il luogo della latitanza né i nomi delle persone che lo ospitarono. Le nuove informazioni, però aggiungono davvero poco sul piano storico alla vicenda Moro, dal momento che la Commissione riconosce che “allo stato, non è stato possibile accertare, per il periodo del sequestro Moro, l’operatività brigatista delle due persone che favorirono la latitanza di Gallinari35”. Le conclusioni della terza relazione proseguono con l’enfatizzazione delle criticità dell’uccisione di Moro nel garage di via Montalcini. A tale proposito viene citato il lavoro svolto dai Ris di Roma (che hanno effettuato nel garage di via Montalcini prove di sparo e di ingombro), le cui attività tecniche confermano, per quanto in un contesto difficoltoso, che l’ipotesi più probabile sia quella che Moro sia stato attinto dai colpi di arma da fuoco nel portabagagli della Renault 4 (assumendo una posizione supina dopo aver ricevuto i primi colpi in posizione seduta)36. Avviandosi alla sua parte finale, il capitolo delle conclusioni diventa un’antologia di temi ampiamente ricorrenti (spesso contraddittori e sempre ininfluenti nel determinare i contorni della vicenda Moro) in questi quarant’anni, come l’infiltrazione della P2 nei massimi apparati dello Stato, i servizi segreti, i contesti internazionali (in particolare mediorientali), la scuola Hyperion, il ruolo del Superclan, i presunti infiltrati nelle Br e la circolazione delle carte di Moro. Se consideriamo le dichiarazioni iniziali volte a riscrivere la vicenda Moro, dopo anni di lavoro, ci troviamo di fronte ad un risultato, consegnato al Parlamento e al Paese, piuttosto misero in cui

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 267. Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, p. 231 e seguenti. 33

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le novità accertate sono davvero minime e che non cambiano molto il contesto e l’analisi dei cinquantacinque giorni. La Commissione, nell’arco dei suoi tre anni di attività ha svolto un lavoro in cui la quantità sembra preponderante rispetto alla qualità. Nell’introduzione alla terza relazione vengono infatti riportati i numeri di questo lavoro: Nel complesso la documentazione acquisita ammonta a 2.250 unità documentali, per un totale di 700.000 pagine. […] Complessivamente, […] sono stati affidati oltre 440 incarichi e sono stati svolte 256 escussioni, delegate a collaboratori della Commissione. […] Per quanto attiene alle attività, si ricorda infine che nel complesso sono state svolte 164 sedute plenarie e 130 riunioni dell’ufficio di presidenza, per complessive 251 ore e 15 minuti, ai quali si aggiungono 7 ore e 40 minuti di audizioni svolte nel corso di missioni37.

I lavori della Commissione avranno anche evitato di produrre una “storiografia parlamentare” dei drammatici e tragici cinquantacinque giorni, ma hanno mancato nel possibile salto qualitativo e storico che avrebbe permesso una comprensione non equivoca della vicenda, ponendo punti fermi e indicando con precisone l’angolo di lettura. L’auspicio è che la grande mole di documentazione raccolta e resa disponibile secondo quanto previsto dalla Deliberazione38 ap37

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.29. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2017, pp. 12-13. Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 165a della Commissione del 22 febbraio 2018, ALLEGATO, p. 6. Deliberazione sulla pubblicità di atti e documenti formati o acquisiti dalla Commissione. La Commissione stabilisce di rendere pubblici i documenti formati o acquisiti dalla Commissione entro la data dello scioglimento delle Camere e comunque ad essa inviati fino alla data di cessazione dell’attività della

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provata il 22 febbraio 2018, venga fruita da quanti più cittadini possibile. Si tratta di un patrimonio documentale eterogeneo, ma che costituisce la base per una conoscenza dei fatti più approfondita, non basata sulla narrazione dietrologica di questi decenni, costellata di ipotesi funamboliche, di eterodirezioni, infiltrazioni, servizi deviati, presunte presenze malavitose, tutte mai riscontrate, in una confusione di probabili e naturali omissioni con misteri e connivenze indicibili. Commissione, ad eccezione di: 1. atti e documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini, qualora permangano le ragioni della segretezza, in relazione allo stato del procedimento; 2. atti formalmente classificati (da riservati in su) dall’autorità amministrativa o di Governo che li ha trasmessi e la cui classificazione non sia stata modificata dall’autorità predetta entro 60 giorni dalla comunicazione inviata a tal fine; 3. atti su cui la Commissione ha posto il segreto funzionale; 4. documenti anonimi o apocrifi; 5. atti provenienti da privati (persone fisiche, persone giuridiche ed enti di fatto) che abbiano fatto richiesta di uso riservato; 6. documenti il cui contenuto non è direttamente connesso all’oggetto dell’inchiesta. Sono altresì pubblici i resoconti stenografici delle sedute della Commissione e delle riunioni svolte da delegazioni della Commissione nel corso di missioni, con esclusione di quelle (o delle parti di quelle) sottoposte a regime di segretezza o recanti audizioni o interventi di soggetti che abbiano formulato la richiesta, a suo tempo espressa e accolta dalla Commissione, di uso riservato. La pubblicità degli atti formati dall’autorità giudiziaria, da organi di polizia giudiziaria, da autorità amministrative o di Governo sarà preceduta in ogni caso da una verifica sull’esistenza o sul permanere di eventuali vincoli di segretezza o ragioni di riservatezza. La Commissione stabilisce di mantenere segreti i processi verbali delle sedute della Commissione e delle riunioni dell’Ufficio di presidenza. La Commissione stabilisce che gli atti per i quali si sia accertato il permanere del vincolo di segretezza o di riservatezza resteranno assoggettati al proprio regime di classificazione per anni venti, decorrenti dalla data di cessazione dell’attività della Commissione (cioè dal giorno antecedente a quello della prima riunione delle Camere della XVIII legislatura), salvo che la normativa vigente non preveda limiti ulteriori. Si dà mandato agli Uffici di segreteria della Commissione di custodire gli atti e i documenti formati o acquisiti e di provvedere al loro versamento – 35

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VECCHI FANTASMI I fantasmi attraversano tutte le culture del mondo, in tutte le epoche, divenendo spesso un topos narrativo. Nella cultura occidentale dai miti di orfeo ed Euridice a quello di Polissena (che viene sacrificata sulla tomba di Achille su insistente richiesta del suo spettro) passando per i fantasmi shakespeariani di Amleto e Macbeth e i romanzi anglosassoni ottocenteschi si arriva sino ai più recenti Giganti di Luigi Pirandello. Fantasmi, spettri, entità che a vario titolo agiscono nella realtà dando origine a fatti inspiegabili o divenendo essi stessi motivazione e spiegazione di ciò che poco ha a che vedere con la razionalità, arrivando, a volte, nei racconti per bambini ad assumere anche un ruolo positivo. Henry James in Giro di vite39, ghost story per eccellenza, utilizza diversi strumenti per rendere verosimile il suo racconto. Di volta in volta cita le fonti e utilizza una precisione al limite del pedante

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in forma cartacea e digitale – all’Archivio storico della Camera dei deputati, compresi quelli che pervenissero a decorrere dalla data della presente delibera e fino al giorno antecedente quello della prima riunione delle Camere della XVIII legislatura. La Commissione stabilisce inoltre che la documentazione pervenuta oltre tale termine sia restituita al mittente. Le sopradette attività dovranno essere svolte nel rispetto del regime degli atti entro e non oltre il 31 dicembre 2018. Allo scopo di rendere la documentazione fruibile nei tempi più brevi, la Commissione dispone di trasferire la documentazione all’Archivio storico della Camera con versamenti parziali, iniziando da atti e documenti classificati come «liberi». Per l’attuazione di quanto stabilito nella presente delibera collaboreranno con la segreteria della Commissione, a supporto di tale attività, il generale nella riserva dell’Arma dei Carabinieri Paolo Scriccia, il primo dirigente della Polizia di Stato Laura Tintisona, il colonnello dell’Arma dei carabinieri Leonardo Pinnelli, il colonnello della Guardia di finanza Paolo occhipinti, l’assistente capo della Polizia di Stato Luca Benni, il dottor Angelo Allegrini. Collaboreranno inoltre con la segreteria della Commissione, a supporto di tale attività, il maresciallo aiutante Andrea Casertano, il maresciallo aiutante Bonifacio Stoduto, il maresciallo aiutante Giovanni Maceroni e il maresciallo capo Fulvio Cicalese. Tutti gli altri incarichi di collaborazione decadono a far data dall’approvazione della presente delibera. Cfr. H. JAMES, Giro di vite, Milano, Einaudi 2005 [1^ ed. originale 1898].

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per elencare date, particolari, luoghi, rendendo così la storia più simile a una cronaca che ad un’opera narrativa. L’impianto del racconto utilizzato è lo stesso su cui si basano, ancora oggi, le cosiddette leggende metropolitane, fatti che di solito accadono “a un cugino di un amico”, “a una ragazza che abitava da queste parti”, citare le fonti, vere o presunte, è elemento fondamentale per dare spessore a una storia di fantasmi. Questo si addice a storie di fantasmi, a opere narrative. Si tratta di escamotage che non si prestano, certamente, né al dibattito politico, né tanto meno alla storiografia. Eppure esiste nella storia italiana un passaggio, un periodo di cinquantacinque giorni, in cui i fantasmi, le entità, le presenze abbondano e le modalità della sua narrazione non si discostano molto dalle ghost story. Si tratta proprio del “Caso Moro”. Abbiamo già visto come la politica non sia rimasta immune da queste suggestioni e come su queste basi, dopo quasi quattro decenni dai fatti, cinque processi con relative condanne, due Commissioni parlamentari che si sono occupate della vicenda – nella XVII legislatura prenda vita la nuova Commissione d’inchiesta. I primi “fantasmi” sono gli stessi commissari che, come abbiamo visto, spesso hanno disertato le sedute. Se nella discussione sulle linee generali per l’approvazione della legge, l’intervento del deputato Gero Grassi40 si configura come un florilegio delle tesi portate a lungo avanti dal senatore Sergio Flamigni, è il deputato Giuseppe Fioroni (primo firmatario della legge e poi Presidente della Commissione) ad evocare in fase di dichiarazione di voto finale scenari fatti di “verità nascoste” e “nebbie da diradare41”.

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Camera dei Deputati, Assemblea, Resoconto stenografico. XVII legislatura, seduta n.191, 17 marzo 2014. Camera dei Deputati, Assemblea, Resoconto stenografico. XVII legislatura, seduta n.193, 19 marzo 2014. 37

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

La relazione sul primo anno di attività della Commissione si incarica di dichiarare in modo esplicito, non solo quali siano le motivazioni che ne hanno favorito la nascita, ma l’intero impianto da cui muove: Dall’esigenza di fare luce sugli aspetti non ancora chiariti della tragica vicenda, che presenta profili di straordinario rilievo nella storia della nostra Repubblica.” – subito dopo si precisa che – “ancora oggi, infatti, malgrado le numerose inchieste condotte a livello giudiziario e parlamentare, permangono incoerenze e zone d’ombra, che non trovano piena risposta nella versione riferita dai brigatisti che parteciparono alla strage di via Fani e alle successive fasi del sequestro o da altri protagonisti della vicenda. Il caso Moro continua, peraltro, ad essere tuttora oggetto di indagine da parte della magistratura, a seguito delle periodiche «rivelazioni» contenute in dichiarazioni di persone a vario titolo coinvolte nella vicenda, in pubblicazioni, in notizie di stampa o in scritti anonimi. Nella stessa opinione pubblica è diffusa la convinzione che le conoscenze sinora acquisite in merito alle responsabilità e alla dinamica dei fatti siano, quanto meno, incomplete e non definitive42.

Il riferimento è esplicito a quell’opinione pubblica, di cui abbiamo scritto in precedenza, condizionata da una pubblicistica sovrabbondante, imprecisa e più interessata a una narrazione evocativa che non ad una comprensione del fenomeno della lotta armata e alla precisa ricostruzione dei fatti. I lavori della Commissione e la loro cronaca sono stati pertanto improntati a focalizzare l’attenzione su ipotesi fantasiose, fantastiche e fantasmagoriche e d’altra parte a minimizzare, come vedremo, i pochi, ma importanti riscontri di carattere più scientifico e oggettivo. ogni poema che abbia a che fare con l’aldilà, dall’Eneide alla Divina Commedia, non solo evoca gli spiriti, ma per dare credibilità 42

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p.7.

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alla propria narrazione, usa spesso l’espediente della profezia, rigorosamente post eventum. Per quanto riguarda la vicenda Moro, la profezia più famosa è quella dell’annuncio del rapimento, prima che questo si fosse verificato, da parte di Radio Città Futura. Nonostante la Commissione sia tornata su questa nota vicenda che coinvolse il direttore della radio, Renzo Rossellini, non è arrivata oltre a quanto già noto e Clara Giannettino (che dichiarò di avere ascoltato, circa 45 minuti prima dell’evento di via Fani, notizia giudicata di palese poca affidabilità già all’epoca) resta l’unica testimone ad aver ascoltato l’annuncio in anteprima. Se la profezia di Radio Città Futura è in anticipo di circa quarantacinque minuti rispetto l’agguato di via Fani, c’è un documento che sposterebbe l’anticipazione della conoscenza degli eventi addirittura a quattordici giorni prima. Si tratta del documento esibito da Antonino Arconte agli inizi degli anni Duemila. Sedicente agente della “Gladio delle Centurie”, eventualità destituita da ogni fondamento nel 2000 dall’allora Ministro della Difesa Sergio Mattarella43, Arconte, dopo più di vent’anni dai fatti, esibisce un documento il cui testo autorizzerebbe a prendere contatti con “gruppi del terrorismo medio orientale al fine di ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell’on. Aldo Moro”. Imposimato – un passato da magistrato e senatore e, prima della recente scomparsa, anche legale di Maria Fida Moro44 – è stato pronto a scommettere sull’autenticità del documento datato 2 marzo 1978. I quattordici giorni di anticipo, ispirano chi è afflitto da tendenze complottiste, non a metterne in dubbio l’autenticità, ma a sostenere, anzi, che vi fosse una diffusa consapevolezza in determinati ambienti, meglio se legati ai Servizi segreti, sull’immediatezza dell’azione. Durante l’audizione avvenuta in Commissione, il senatore Imposimato a tale proposito si spinge ben al di là di quanto affermato 43

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V. SATTA, Il caso Moro e i suoi falsi misteri, Rubettino, Soveria Mannelli 2006, p. 303. Maria Fida Moro, figlia primogenita di Aldo, è stata Senatrice della Repubblica durante la X legislatura. 39

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

nel suo già citato scritto (nel quale, d’altra parte, in modo apodittico asserisce che “non sempre la logica coincide con la realtà”45), arrivando a sostenere che la sua convinzione rispetto all’autenticità del documento risieda nella sua decennale esperienza di magistrato. Nulla di meno oggettivo, cioè, di una convinzione basata sull’esperienza personale. Audito nel marzo 2015, dopo un acceso scambio con il senatore Maurizio Gasparri e dopo aver difeso le teorie più inverosimili contenute nel suo scritto, rispetto alla profezia di cui Arconte è stato latore dichiara: Intendo dire che c’è stata una liquidazione di un documento che io personalmente ritengo vero – lo ripeto tre volte – perché è impossibile che un marinaio qualsiasi, che ha fatto quel viaggio (è partito da La Spezia il 6 marzo del 1978 ed è tornato dopo la strage di via Fani e il sequestro di Aldo Moro), possa avere inventato. Non poteva avere gli strumenti tecnici per attuare una falsificazione di quel tipo. È impossibile. Più o meno una certa esperienza ce l’ho, conosco come operano i falsari, ma quello non è un falso46.

A una richiesta di risposta scritta da parte di chi scrive, fatta pervenire a Imposimato (agli atti della Commissione47), circa gli elementi di scientificità a suffragio delle sue affermazioni, egli risponde genericamente citando le precedenti indagini, che fondamentalmente datano il documento come “più vecchio di tre anni” e incapaci quindi di attestarne l’autenticità. Imposimato sembra non avere molta propensione alle perizie scientifiche. Fu infatti lui, che in veste di magistrato, inviò, nel 1978

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Cit. Imposimato (2013, p. 96). Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 12a della Commissione del 25 marzo 2015, p. 29. Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 12a della Commissione del 25 marzo 2015, p. 45.

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il parabrezza del motorino dell’Ingegner Alessandro Marini all’ufficio corpi di reato, dove è rimasto fino al 1997 senza che fosse sottoposto ad alcun rilievo scientifico. Proprio quel parabrezza che doveva essere la prova principe che avessero sparato a quello ritenuto il testimone chiave di via Fani e per cui è stata emessa una condanna per tentato omicidio La testimonianza, o meglio le testimonianze, dell’ingegnere, ultimamente si sono rivelate piuttosto fallaci, tali da non rendere così fuori luogo la dichiarazione di Valerio Morucci, secondo cui Marini “andava arrestato per falsa testimonianza48”. All’indirizzo “dell’ingegnere in motorino” possiamo oggi affermare che non sarebbe stato sparato nessun colpo di arma da fuoco. Si tratta di un piccolo merito della Commissione, che però al riguardo tende sempre a ribadire che sul punto vi è una sentenza passata in giudicato, ma grandissimo risultato è stato ottenuto da giovani studiosi come Nicola Lofoco49 e Gianremo Armeni50, che hanno ben chiarito, in loro recentissimi scritti, questo punto. La prova di questo risiede nella documentazione fotografica di via Fani, evidenziata da Paolo Persichetti51, disponibile da sempre e che mostra le reali condizioni del motorino e in particolare il parabrezza non colpito da colpi d’arma da fuoco dopo l’agguato di via Fani. All’ingegner Marini dobbiamo la presenza di altri fantasmi: quelli a bordo della moto Honda di colore blu. A volto scoperto o celato, prima davanti, ora dietro, due figure rinvenute anche nella memoria ad orologeria di Giovanni Intrevado (allora guardia di Pubblica sicurezza, in servizio al I Reparto celere, si trovò casualmente a essere

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 22a della Commissione del18 giugno 1997, p. 864. Cfr. N. LoFoCo, Cronaca di un Delitto Politico, Les Flaneurs, Bari 2016. Cfr. G. ARMENI, Questi Fantasmi, il Primo Mistero del Caso Moro, Tra le righe, Roma 2015. Paolo Persichetti, “L’affare Moro: chi vide davvero la moto Honda?”, Il Garantista (12 marzo 2015). 41

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

testimone degli avvenimenti di via Fani. Le sue testimonianze rese nel tempo relative alla moto si arricchiscono progressivamente52). Per il testimone Luca Moschini, la moto cambia nelle caratteristiche non più blu, ma bordeaux; così come muta la sua collocazione temporale, passando prima dell’agguato. Nel 1993 Bruno Barbaro (un altro tra i testimoni di via Fani) parlerà, invece, di una moto senza precisarne le caratteristiche. Appurato che quanto raccontato da Marini è eufemisticamente poco attendibile e che Intrevado arma i due centauri qualche decennio dopo, restano tutte le altre testimonianze che non vedono moto, così come il racconto dei brigatisti che non solo la escludono dalla scena, ma in generale dal loro modus operandi. È soprattutto

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 81a della Commissione del 13 aprile 2016 p. 20. FABIo LAVAGNo. [rivolgendosi a Giovanni Intravedo] Provo a fissare delle date, dei momenti. Il 16 marzo succede quell’evento drammatico e tragico a cui lei ha assistito. Il 5 aprile lei riferisce al suo superiore, a Spinella e al magistrato. Poi c’è il Moro uno e poi nel 1994 il Moro quinquies. […] C’è un’escalation di informazioni che lei ci fornisce, di fatto. Il 16 marzo lei, per sua ammissione […] non dice nulla in forma ufficiale. Il 5 aprile riferisce a tre persone, ossia a due superiori e a un magistrato, e fondamentalmente riduce molto il campo della sua testimonianza. Fondamentalmente ci dice che stava a via Fani per accompagnare la fidanzata al lavoro, ci dice il luogo in cui ha assistito alla scena, ci descrive il cancelletto inferiore, […] e la moto che sfreccia e va quasi a chiudere il convoglio. Dopodiché, più andiamo avanti, più aumentano le informazioni e cambia anche la funzione della moto. La moto non le passa semplicemente a tre metri di distanza, come lei poi dice, ma assume quell’aspetto circospetto per cui guarda, controlla e quindi “sgasa” e va, come ci ha detto anche oggi. Di fronte a una scena che la lascia legittimamente sconvolto e di cui non è in grado di ricostruire un identikit né alcun tratto somatico, nemmeno di dirci il colore dei capelli […] arriviamo nel 1994, qualche annetto dopo, a tirar fuori un particolare piuttosto rilevante, che è il caricatore che spunta tra la pancia del passeggero e la schiena del guidatore. Comunque, spunta il caricatore. Mi sembra che ci sia una tendenza nelle dichiarazioni ad aumentare il grado di particolari, mentre in natura di solito avviene il contrario. Più ci si distanzia nel tempo, più i particolari diminuiscono. Invece, qui i particolari aumentano e sono volti a fornire una chiara lettura di una funzione attiva della moto.

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una perizia della polizia scientifica presentata alla Commissione nel giugno 2015 che, se da un lato esclude la possibilità di determinare se una motocicletta sia passata prima, dopo o durante l’operazione brigatista, dall’altro esclude di certo che questa abbia avuto una qualsiasi funzione attiva nella sparatoria53. Questo non significa che la moto – o più moto – debbano essere escluse dallo scenario di via Fani, ma che, quantomeno, a queste debbano essere escluse funzioni attive nella sparatoria. La moto è stato il veicolo sulla cui sella, negli anni, hanno trovato posto in molti. Agenti stranieri, membri della RAF, esponenti dell’autonomia romana, sparatori di grande perizia; tutti, a turno, a bordo della misteriosa motocicletta. Tra le presenze anche alcuni agenti dei Servizi, agli ordini del Colonnello Camillo Guglielmi, con il compito di coprire i brigatisti nella loro azioni. Questa ultima narrazione proviene da una lettera anonima inviata nel 2009 al quotidiano La Stampa e redatta, in punto di morte da un sedicente motociclista che sarebbe stato presente in via Fani. Nonostante il canovaccio risulti simile, al limite dell’imbarazzante, a quello di una pellicola cinematografica ad alta concentrazione complottista come Piazza delle Cinque Lune – non a caso tra i consulenti del regista Renzo Martinelli troviamo anche Imposimato – la vicenda ha interessato le Procure di Torino e di Roma ed ovviamente i lavori della Commissione.

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 38a della Commissione del 10 giugno 2015, p. 31. “FABIo LAVAGNo. Riformulo, per chiarezza, la domanda: la moto Honda è compatibile rispetto ai rilievi fatti dalla scientifica? PRESIDENTE. Ricordiamoci che la moto Honda è una verità processualmente accertata con sentenza definitiva passata in giudicato. FEDERICo BoFFI. Se posso rispondere, chiaramente noi abbiamo messo tutto ciò di cui abbiamo evidenza. La moto può essere passata, ma non ha lasciato per noi tracce evidenti. Per noi, per la ricostruzione della dinamica, è impossibile posizionare questa motocicletta. Rispetto alle traiettorie che abbiamo determinato non c’è alcuna traiettoria che potrebbe essere compatibile con dei colpi esplosi da un veicolo in movimento rispetto alle posizioni che abbiamo già identificato”. 43

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Sulla vicenda sono stati auditi i procuratori Gian Carlo Caselli e Luigi Ciampoli, e naturalmente l’ispettore di polizia Enrico Rossi, il quale nel 2001 sentì il dovere di rendere pubblica la vicenda, per motivi di coscienza e di rispetto verso i morti, attraverso un’intervista – suggerita da Maria Fida Moro – al giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli54. In una conversazione informale avuta da chi scrive con l’allora direttore del quotidiano torinese Mario Calabresi – e con il giornalista che era stato incaricato di indagare sulla vicenda una volta che la lettera anonima era stata consegnata alla Digos – è giustificata l’impressione di una vicenda non connessa alla vicenda Moro e legata a vicende private e personali di alcuni protagonisti, tra cui la signora Tiziana citata nel testo della lettera. Al netto del risentimento tra i procuratori Marini e Ciampoli (che aveva avocato a sé l’indagine) e di molto inchiostro speso, la vicenda della lettera anonima non sembra avere prodotto molti risultati se non quella di aver lanciato lo stimolo per il dispiegarsi di nuove ombre con vecchi personaggi (il colonnello Guglielmi), assolutamente non dimostrate. La perizia della polizia scientifica, a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza rispetto alla motocicletta, è stata presentata in una lunga ed impegnativa seduta notturna della Commissione avvenuta il 19 giugno 2015, e rappresenta uno di quei rari casi in cui la Commissione ha prodotto fatti apprezzabili dal punto di vista oggettivo. Poiché le risultanze, però, sono risultate troppo attinenti alla ricostruzione brigatista o aderenti a scritti recenti, lo stesso organismo parlamentare ha faticato a valorizzarne i risultati. La ricostruzione dell’azione avvenuta analizzando i bossoli, le loro traiettorie, e le precedenti perizie balistiche e con un’accurata ricostruzione tridimensionale della scena di via Fani, avvenuta

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 12a della Commissione del 27 novembre 2014, p. 30.

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dopo rilievi fatti sul posto, ci dice cose molto semplici e forse scontate. La complessa e articolata attività della Polizia scientifica viene, infatti, sintetizzata dai seguenti punti: a) nell’agguato sono stati esplosi certamente 93 colpi di arma da fuoco, due dei quali provenienti dall’arma dell’agente Iozzino; b) la prima fase dell’agguato è iniziata con colpi esplosi, da sinistra verso destra, a colpo singolo sulla Fiat 130 su cui viaggiava Moro, ancora in movimento; c) sono seguite le raffiche contro l’Alfetta di scorta da due posizioni differenti (sempre dal lato sinistro rispetto al senso di marcia) con l’autovettura ancora in movimento; d) la Fiat 130 ha lievemente urtato la Fiat 128 con targa diplomatica e, a sua volta, è stata tamponata dall’Alfetta della scorta; e) i colpi contro la Fiat 130 sono stati esplosi successivamente anche da una posizione ravvicinata, sempre da sinistra verso destra, direttamente attraverso il finestrino laterale anteriore sinistro ed in rapida sequenza; f) ulteriori colpi – due all’indirizzo di Rivera (calibro 7.65), due contro la seduta del posto anteriore destro della Fiat 130 (pistola Smith & Wesson), sicuramente sparati in una fase successiva – sono stati esplosi da destra verso sinistra all’indirizzo degli uomini della scorta, da vicino e a colpo singolo55.

In altre parole l’azione si svolge con spari sul lato sinistro rispetto alle auto. Gli sparatori sono posizionati sul lato del bar olivetti. L’azione non inizia con il tamponamento tra le auto, ma da colpi singoli all’indirizzo dell’auto su cui viaggiava Moro. L’azione prosegue sull’Alfetta, con un movimento contrario a quello del percorso del corteo. Gli unici colpi esplosi da parte della scorta sono

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p. 87. 45

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i due provenienti dall’arma dell’agente Iozzino e gli unici colpi esplosi sul lato destro sono stati sparati sicuramente in una fase successiva. Una ricostruzione scientifica che non prevede, quindi, la presenza di sparatori sul lato destro. Di fronte all’evidenza scientifica, però, i fantasmi riappaiono e questa volta hanno pure una nazionalità. Abbiamo già segnalato come questa ricostruzione coincida con la versione data, nel tempo, dai brigatisti e questo può risultare piuttosto indigesto a chi si fa suggestionare dalle teorie che prevedono sparatori sul lato destro, allenati al tiro incrociato, all’eterodirezione dell’azione o quanto meno ad un aiuto “esterno”. L’on. Grassi infatti nell’arco di un intervento a commento dell’esposizione fatta dichiara: Questa è la tesi brigatista, ma non è una tesi suffragata in trentasette anni di indagini e processi, perché nelle dichiarazioni del 16 marzo c’è già qualcuno che dice che c’era qualcuno dall’altra parte e voi sapete che le divise in alcuni processi vengono indicate come un mezzo per riconoscersi tra persone che non si conoscevano. Ciò significa che con i brigatisti ci può essere qualcuno che i brigatisti non conoscono. A me – ma questo non conta, fino a quando le persone non hanno il coraggio o la dignità umana di andare a parlare a un magistrato – questa scena è stata ricostruita in maniera completamente diversa. […] la persona che spara i quarantanove colpi sta dall’altra parte e non è italiana, né è europea, ma sta dall’altra parte. Non è italiana e non è europea, ma sta dall’altra parte56.

Retorica classica da ghost story e da leggenda metropolitana. In questo senso è fondamentale fare attenzione al richiamo delle fonti (“nelle dichiarazioni del 16 marzo c’è già qualcuno che dice che c’era qualcuno dall’altra parte”) con dettaglio di precisione (la data) ma indefinite rispetto al soggetto (che infatti non viene identifi-

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta n.38 del 10 giugno 2015, p. 36.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

cato). Nell’evocare una seconda fonte e per conferire attendibilità alla dichiarazione questa viene posta in relazione di stretta prossimità nei confronti di chi parla (“a me” non ad un altro!). ovviamente, a oggi, non è stato assegnato un nome né tantomeno una nazionalità al fantasma sconosciuto ai brigatisti e che eventualmente sparò dal lato destro. I richiami a queste asserzioni, espressi durante la seduta da parte di chi scrive e del Presidente, sono risultati un fatto doverosamente scontato quanto inutile. Altro punto acquisito dalla polizia scientifica “riguarda la messa in crisi dell’idea che a via Fani abbia operato un super killer. È vero infatti – viene sintetizzato – che vi fu una bocca di fuoco che sparò da sola quarantanove colpi, ma è stato dimostrato che ciò avvenne con una precisione non particolarmente elevata (da quell’arma soltanto sei colpi andarono a bersaglio, attingendo l’agente Iozzino)57”. Questa ricostruzione sottostima ulteriormente l’efficacia del preteso super killer. Satta (2006, p. 12) attraverso una deduzione matematica arrivava a stimare tra i 7 e i 14 colpi a segno, la relazione presentata alla Commissione li porta a soltanto 6. Questa frase sul preteso super killer e le affermazioni precedentemente riportate sull’assenza di sparatori sul lato destro, poiché condotte in modo scientifico, avrebbero dovuto eliminare la suggestione di due entità lungamente evocate e mai dimostrate. Puntualmente, però sono giunte due ricostruzioni contrarie, volte a minimizzare o contraddire le conclusioni della Polizia scientifica: una a cura del senatore Federico Fornaro e una seconda sottoscritta dai Deputati Grassi, Marco Carra e Caterina Pes. Per quanto queste

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p. 88. 47

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ricostruzioni siano state nuovamente destituite di fondamento da controdeduzioni della Polizia scientifica, l’idea che in via Fani abbia agito un soggetto dotato di grande dimestichezza con le armi e che qualcuno abbia sparato dal lato destro restano dei topos del racconto che difficilmente potranno essere cancellati. Possiamo accennare anche alla base di via Gradoli che – essendo legata alla più nota e inverosimile seduta spiritica della storia della Repubblica58 – può agevolmente stare in una narrazione di ombre e fantasmi. La Commissione ha affidato ai Ris di Roma accertamenti sui profili genetici rinvenuti su taluni reperti, ritrovati in via Gradoli, nel sito brigatista che tanto ha fatto discutere di sé a partire da quando venne individuato il 18 aprile 1978. Il riscontro sui profili genetici evidenzia che essi appartengono a quattro persone, due uomini e due donne, e nessuno di essi è compatibile con quello di Aldo Moro. Nel 1993, durante l’intervista realizzata da Rossanda e Mosca e pubblicata l’anno successivo come volume59, Mario Moretti a una precisa domanda su chi avesse abitato nell’appartamento di via Gradoli affermava: Un sacco di gente, in periodi diversi. All’inizio Carla [Carla Maria Brioschi] e Rossino [ossia Franco Bonisoli]. Per un poco anche Morucci e Faranda, prima del sequestro Moro, quando salta la base dove abitavano. Durante il sequestro Moro ci abitiamo Barbara Balzerani e io. Barbara è un dirigente di colonna e vi fa base fissa, io ci sono saltuariamente, e per pochissimo tempo ogni volta (Moretti 2000, p. 114).

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Romano Prodi il 4 aprile 1978 si presentò, nella sede della Dc, e comunicò a Umberto Cavina, capo ufficio stampa di Benigno zaccagnini di aver avuto un’indicazione su Gradoli, riguardante la prigione di Moro. Disse anche che l’informazione arrivava da una seduta spiritica, versione poi ribadita negli interrogatori a partire dall’ottobre 1978. Moretti, Mosca, Rossanda (2000). Prima edizione del 1994.

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Quello dei Ris è un riscontro facilmente prevedibile se dobbiamo immaginare che prima del 16 marzo frequentasse altri luoghi e se vogliamo dare credito sempre alle parole di Moretti che nel medesimo scritto esclude altri luoghi di detenzione durante i cinquantacinque giorni. Credito motivato dal fatto che in quattro decenni d’indagine, non solo sono stati identificati altri luoghi di detenzione oltre a via Montalcini, ma che questa eventualità dovrebbe essere esclusa dalla logica nella gestione di un sequestro tanto complesso. Tra i reperti sottoposti ad accertamento da parte dei Ris di Roma vi sono anche varie audiocassette rinvenute in vari siti (via Gradoli, viale Giulio Cesare e via delle Nespole). In nessuna risulta essere stata incisa la voce di Moro, principale ragione per cui sono state ascoltate ed analizzate. Su un nastro, però è presente “la registrazione delle dichiarazioni di una donna, denominata convenzionalmente Camillo, interrogata da un uomo apparentemente appartenente ad apparati di sicurezza60”. Così viene descritta la vicenda nella prima relazione sulle attività della Commissione e bisognerà aspettare sino alla seconda relazione per apprendere che la voce della donna appartiene a Susanna Chiarantano. Non una grande scoperta dal momento che il nominativo era facilmente individuabile nello scritto di Casazza (2013)61 che a sua volta, riprendendo un’intervista di Gad Lerner pubblicata su Il Lavoro del 15 aprile 1980, ricostruisce le modalità con cui la Chiarantano entra in contatto con il capitano dei carabinieri Gustavo Pignero – uno degli uomini del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che contribuì nel 1974 all’infiltrazione nelle Br di Silvano Girotto – che nella registrazione veste i panni dell’interrogante. Un piccolo mistero tenuto in caldo per qualche

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p. 69. A. CASAzzA, Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse, DeriveApprodi, Roma 2013. 49

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mese, dal momento che l’esplicitazione di queste informazioni, peraltro pubbliche, erano state segnalate da chi scrive durante la fase di redazione della prima relazione62. La Commissione non sembra fare a meno dei fantasmi o meglio delle presenze. Il più noto è il già citato colonnello Camillo Guglielmi, la cui evocazione è stata rinvigorita dalla storia della lettera anonima recapitata a La Stampa. Guglielmi è stato oggetto a vario titolo di molte audizioni, congetture e considerazioni senza che si andasse oltre la già nota storia dell’invito, in compagnia della moglie, presso l’abitazione, in via Stresa, dell’amico e collega Colonnello Armando D’Ambrosio. I lavori della Commissione sono stati indirizzati anche da suggestioni proposte da cosiddette “fonti aperte”. Una di queste suggestioni era riferita a un generico “funzionario dei Servizi” e muoveva dalla teoria che una persona raffigurata in alcune foto era stranamente presente nell’immediatezza di eventi di straordinaria importanza: il 16 marzo 1978 in via Fani dopo la strage; il 9 maggio 1978 in via Caetani; il 3 settembre 1982 in via Carini a Palermo poco dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa. Si è verificato che non si tratta della stessa persona. La Commissione ha infatti accertato che l’uomo ritratto in via Fani è il dottor Giuseppe Pandiscia, funzionario di Polizia, all’epoca dirigente del Gabinetto interregionale di Polizia scientifica. Per quanto riguarda la persona fotografata a Palermo si tratta, invece, del dottor Antonino Wjan, dirigente della Polizia scientifica di Palermo, mentre la scarsa qua-

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico. XVII legislatura Seduta 63a della Commissione del 9 dicembre 2015, p. 13. FABIo LAVAGNo. […] Vedo, infine, che scompare il nome della Chiarantano e mi chiedo perché. PRESIDENTE. Per damnatio memoriae, visto che è ancora viva. FABIo LAVAGNo. Capisco. Tuttavia, visto che la vicenda è abbastanza nota, c’è un volume di due anni fa di Andrea Casazza che vi dedica decine di pagine e il dibattito pubblico rispetto a questa figura è abbastanza ampio. […] Lo stesso Casazza ci dice che il nome con cui veniva beffardamente indicata era «l’agente Camilla». Questo in qualche modo fa il paio con quanto noi abbiamo ascoltato.

NUOVA COMMISSIONE, VECCHI FANTASMI

lità della foto scattata in via Caetani, non ha consentito di giungere ad un’identificazione certa63. Altre “fonti aperte” hanno segnalano la presenza anomala di un’altra persona, un uomo con un eskimo che sarebbe raffigurato in due fotografie. In una di queste sembrerebbe affacciato su un terrazzo al primo piano dell’edificio sito in Fani, 109. Per quanto possa sembrare ironico, si è verificato che il palazzo da cui sarebbe affacciato è privo di terrazzi64. Tra le presunte strane presenze in via Fani, vanno annoverate anche quelle di Antonio Nirta e Giustino De Vuono. Il primo, Antonio Nirta (attestato che non si tratta dell’omonimo zio, nato nel 1919, poiché incompatibile con la figura di un giovane dai capelli ricci ritratto in alcune foto – simile a molti volti noti, da Lucio Battisti a Ninetto Davoli, solo per restare in un immaginario anni Settanta), è un po’ la fissazione di chi ipotizza la presenza della ‘ndrangheta in via Fani. Esponente di una famiglia potente della nota organizzazione criminale, Nirta, viene accreditato come presente in via Fani soprattutto dalla testimonianza del pentito Antonio Morabito. Questa testimonianza viene messa in relazione con una telefonata intercettata il 1 maggio 1978 tra Benito Cazora (all’epoca deputato della Dc) e Sereno Freato (uno dei più stretti collaboratori di Moro). Il contenuto della telefonata si riferisce alla necessità di reperire foto che ritrarrebbero la presenza di un personaggio “noto a loro”, cioè agli esponenti della malavita con cui Cazora tentava un canale di trattativa per la liberazione di Moro. La vicenda era già stata definita come “bufala” all’inizio degli anni Novanta, quando Alfonso Pecoraro Scanio (deputato dei Verdi) sviluppò un’indagine – compresa una visita nel carcere di Car-

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Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p. 98. Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.10. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 5, p.99. 51

MORO. L’INCHIESTA SENZA FINALE

niola, dove Nirta era detenuto – chiarendone l’estraneità alla vicenda Moro65. La Commissione, tuttavia perseguendo la suggestione della presenza della ‘ndrangheta in via Fani, prende sostanzialmente come conferma la sibillina conclusione dei Ris, che a seguito di un’indagine su varie fotografie non ne esclude una non dissomiglianza con le fotosegnalazioni di Nirta66. Spiace, purtroppo, constatare che invece, analoga indagine comparativa e con altrettanta cura non sia stata eseguita su un altro soggetto, già militante di Lotta continua, ma soprattutto infermiere e residente in prossimità di via Fani (due elementi che sono piuttosto compatibili con l’eventualità che si potesse trovare la mattina del 16 marzo tra la folla dei curiosi intervenuti in via Fani dopo il rapimento). In questo caso l’indagine si è limitata al reperimento di un fotosegnalamento avvenuto in occasione di un suo fermo per questioni non legate alla sua precedente militanza politica né alla lotta armata. La somiglianza nel confronto tra la fotosegnalazione di Nirta quella di quest’altro soggetto è impressionante anche a un occhio non attento. A riprova di questo le caratteristiche somatiche salienti del volto riportate nella documentazione acquisita sono identiche.

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La Repubblica (19 ottobre 1993). Camera dei Deputati. Senato della Repubblica. Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Relazione sull’attività svolta. Doc. XIII N.23. XVII legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 20 dicembre 2016, p.192 “Queste le conclusioni del Ris: «Gli elementi in comparazione risultano non sufficienti ad esprimere un giudizio scientificamente affidabile riconoscendo, tuttavia, nei reperti analizzati, l’assenza di elementi di netta dissomiglianza che, qualora presenti, sarebbero indicativi di un’esclusione dell’identità del soggetto della foto con Antonio Nirta. Alla luce di quanto sopra, il livello statistico di compatibilità calcolato per la valutazione antropometrica (1