Mithra. Il dio della luce
 9788864961880

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KETHER 8

STELIO w. VENCESLAI

MITURA IL DIO DELLA LUCE

[Autore si assume ogni responsabilità in ordine alla paternità dei contenuti e alle valutazioni riportati nella memoria del libro.

ISBN 978-88-6496-188-0

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INDICE

- IL MITO E LA SPERANZA 1 . 1 . La sacralità dei luoghi 1 .2. La funzione del mito 1 .3. Morte e resurrezione

CAPITOLO l

pag. ,

7 7

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CAPITOLO II- IL PERCORSO DEL MITHRAISMO

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2. 1 . 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

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17 17 21 23 26 28 29 32 35

Nascita del Mithraismo I l periodo vedico Il perido zoroastriano Il periodo del Mazdeismo Il periodo persiano Il periodo caldeo Il periodo ellenistico Il periodo greco-romano

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CAPITOLO III- Gu ELEMENTI DEL cuLTO

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3. 1 . Un culto misterico 3.2. Liniziazione rituale 3.3. I gradi iniziatici del Mithraismo 3.3. 1 . Liniziazione 3.3.2. Il corvo 3.3.3. La crisalide 3.3.4. Il soldato 3.3. 5 . Il leone (leo) 3.3.6. Il Persiano 3.3.7. Il messaggero solare 3.3.8. Il Padre 3.4. I mithrei 3 . 5 . La tauroctonia

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41 41 43 44 44 49 50 50 51 52 53 54 55 57

CAPITOLO IV- Gu ATTRIBUTI DEL DIO 4. 1 . I l Dio celeste 4.2. Il Dio della giustizia 4.3. Il Dio della natura 4.4. Il Dio della speranza 4 . 5 Il Dio dell'amicizia

pag. 6 1 61 64 65 66 68 , , ,

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CAPITOLO v- LEVOLUZIONE IMPERIALE

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5 . 1 . La coesistenza di culti diversi 5 .2. I.: adattamento del Mithraismo 5 .3. Il passaggio all'istituzione

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CAPITOLO

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6. 1 . 6.2. 6.3. 6.4.

VI- LA QUESTIONE CRISTIANA La polemica sul Mithraismo La competizione cristiana La rottura degli equilibri politici Concordanze e discordanze

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VII- IL DIO UNICO Le origini mitiche del Dio Lantropizzazione di Dio La rivelazione La trascendenza I.: alternativa alla centralità di un Dio La salvazione

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CAPITOLO

7. 1 . 7.2. 7.3. 7.4. 7. 5 . 7.6.

APPENDICE-

LA GENESI DEL SOLSTIZIO

BIBLIOGRAFIA

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69 69 71 73 77 77 79 83 86 89 89 92 94 95 96 97

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CAPITOLO I IL MITO E

LA

SPERANZA

1 . 1 . LA SACRALITÀ DEI LUOGHI Esistono luoghi magici, da millenni dedicati al culto, dove fol­ le in genere distratte vanno a visitare monumenti, resti arche­ ologici, arredi, vanno a vedere pitture, sculture o rilievi, non sempre percependo le vibrazioni delle anime dei credenti che, un tempo, pregavano le loro divinità.

I megaliti- di Stonehenge

Queste percezioni sfuggono ai più, ma sono l'essenza, in fondo, di questi luoghi sacri, tramandatici nel tempo, che fu­ rono sede di divinità aduse a preghiere e sacrifici e ora neglette o considerate come curiose testimonianze di un remotissimo passato da visitatori distratti, incommensurabilmente diversi dai loro antichi fedeli. 7

Se le si sa ascoltare, queste fredde immagini di pietra levi­ gate o scolpite, corrose dal vento, hanno vibrazioni sottili che pervadono l'anima, perché in questi luoghi, già sacri ai morta­ li, si congiungeva l'anima dei fedeli a Dio. È solo quando si avverte questa sensazione che si percepisce realmente la magia dei luoghi sacri dove, per millenni, si sono avvicendati uomini e donne a testimoniare la loro fede, a pre­ gare e a chiedere grazie, a implorare risposte o miracoli, a com­ piere i loro pellegrinaggi, celebrando sacrifici graditi ai loro Dei. Un patrimonio immenso di fede si è stratificato in questi luoghi spesso ridotti solo a rovine, deserti, oppure stravolti da altri miti e da altre credenze. Il turista distratto annota o foto­ grafa per acquisire dei ricordi effimeri che porterà a casa e che, probabilmente, neppure cercherà di rivedere. Lo stupiranno la fastosa concezione del progetto, la grandezza dell'architettura o la perfezione di certe sculture, la straordinaria capacità evocativa degli artisti di un tempo, ma difficilmente entrerà nella fede che ha ispirato quei manufatti. Nessuno gli dirà che in quei luoghi, un tempo sacri, le celebrazioni religiose avevano lo stesso con­ corso di gente di oggi, rispondevano a bisogni reali (ma ormai così lontani nel tempo da considerarsi leggendari) , erano luoghi di culto per rendere grazie alle divinità per le vittorie ottenute, o per le pestilenze scampate, o per i benefici ottenuti. È facile considerare superstizioni o leggende o solo mitiche narrazioni le credenze del passato. Ma coinvolgevano la mente e il cuore degli uomini di allora come, ancora oggi, gli esseri umani credenti si coinvolgono nelle loro credenze attuali. Per questo, la ricerca di ciò che è stato non può essere di­ sgiunta da un grande rispetto e da una comprensione profonda dei sentimenti che hanno ispirato la costruzione di questi luoghi. La fede in un mito, lo sviluppo di una narrazione mitologi­ ca volta a spiegare, talvolta simbolicamente, i misteri del cre­ ato e della fede, sono stati l'espressione più profonda dell'in­ telletto umano nella sua spiritualità affiorante, che trovava nel culto la risposta ai propri interrogativi esistenziali. 8

Il Mithraismo, nella sua lunghissima e complessa evoluzio­ ne storica, ha rappresentato per centinaia di generazioni tut­ to questo, una strada verso la salvezza dell'uomo, la superiore necessità di un ordine e della giustizia fra gli uomini, in un mondo difficile e sanguinario, la vittoria del bene sul male. Conosciamo pochissimo della liturgia e della teologia mi­ thraica, una religione misteriosa nei suoi riti ma misterica e, quindi, chiusa ai non iniziati. Ma ciò non deve farci dimen­ ticare che se tra diecimila anni dei ricercatori volessero capi­ re, dalle rovine di una chiesa, corrose dal tempo o dalla furia degli uomini, la resurrezione di Lazzaro o un miracolo di S. Francesco, si troverebbero nelle stesse difficoltà per capirne la storia, spiegarne il significato trascendente, che attraeva folle di credenti, magari pensando che si trattava di gente semplice e non smaliziata dalla modernità. Le vibrazioni che vengono da luoghi sacri possono aiutare a percepire quanto di fede e di forza spirituale emanasse da questi luoghi, consacrati al culto di un Dio. La paura della morte e l'alternanza dei cicli della vita ve­ getale e animale hanno spinto l'uomo a cercare un interlocu­ tore possibile. Non trovandolo, lo si è creato, addobbandolo in vario modo, ad esso imputando le fortune o le sventure del mondo e cercando si stabilire, per il suo tramite, una connes­ sione fra l'uomo e il mistero. Il tentativo di dare una risposta ai molteplici e crescenti interrogativi esistenziali dell'uomo ha originato la necessità di una fede in un qualcosa di superiore, anche se misterioso, per­ ché inspiegabile, ma comunque rassicurante per il semplice fatto di esistere, ad esso attribuendo una potenza e una cono­ scenza pressoché infinite e una particolare predilezione per la creatura umana che avrebbe creato. La speculazione intellettuale che si è sviluppata nel corso dei millenni ha cercato di dare un senso di razionalità a questa primordiale necessità umana di un punto di riferimento astra­ le, connesso alla volta stellata, alla benefica funzione del sole, 9

al movimento degli astri e alla loro presunta influenza sul de­ stino degli uomini. La religione è stata intesa come la sapienza della divinità, sapienza che la divinità stessa avrebbe rivelato agli uomini con il mito, con l'osservazione del movimento de­ gli astri, con la costruzione di una mitologia parafrasata sulle azioni dell'uomo. Il buio della conoscenza è stato rischiarato dalla fede molto prima che dalla filosofia. E di questo siamo tutti debitori al mito ' .

1 .2. LA FUNZIONE DEL MITO Il mito2 è una narrazione investita di sacralità relativa alle ori­ gini del mondo o alle modalità con le quali il mondo stesso e le creature viventi hanno conseguito il loro assetto, relativa­ mente stabile, in un determinato contesto ambientale, o in una popolazione con caratteri socio culturali relativamente co­ muni. In genere, il mito racconta eventi connessi a personaggi che identificano in un contesto sacrale figure di divinità o di eroi ma anche di antenati, di animali o di creature mostruose3• La creazione del mito risponde al bisogno inconscio di cer­ care un'interpretazione plausibile a ciò che non è spiegabile4• 1 A questo proposito si leggano le pagine illuminanti di BIANCHI, Ugo: Teogo­ nie e cosmogonie, Editrice Studium, Roma ( 1 960) , pag. 5 e sgg. . 1 Dal greco J1U9�, mythos, che significa parola, discorso, racconto. 'LOxford Emglish Dictionary definisce il mito come un racconto di pura fantasia che descrive persone, azioni ed eventi soprannaturali e che esprime credenze popolari su feno­ meni naturali o storici, comprendendo in sé elementi fantastici. ·1 Come è stato fatto notare dall'antropologo Malinowski: "Il mito non soddisfo

un interesse scientifico, ma rappresenta la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfareprofondi bisogni religiosi, esigenze morali. Esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguarda e rafforza la moralità; garantisce l'efficienza del rito e contiene regole pratiche per la condotta dell'uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo". 1 Secondo Eliade: " . . . il mito racconta una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini È dunque sempre il racconto di una creazione: si narra come qualcosa è stato prodotto, come ha . . .

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Le vicende connesse al mito si riferiscono sempre a un' epo­ ca precedente alla storia scritta e fanno parte della tradizione orale dei vari popoli. Tradizionalmente, la credenza nel mito doveva garantire la fertilità della terra o la prosperità dei regni. Il mito, dunque, come racconto sacro, ma anche come trasfigurazione poetica di avvenimenti reali del mondo della natura e delle prime società umane, è la storia dell'esistenza di entità simili all'uomo, spesso immortali e onnipotenti, che vissero avventure e compirono azioni fantastiche, interessan­ dosi a ciò che avveniva tra i mortali e modificando il mondo con il loro intervento . . Come si è già detto, i personaggi del mito non sempre sono divinità (dei o semi dei) ma anche esseri umani (eroi o super eroi) , dotati di capacità non comuni, spesso assistiti o protetti dagli Dei, che davano all'uomo comune il senso del meravi­ glioso e un modello comportamentale da seguire. Tutta la let­ teratura antica è permeata da queste figure e dalle loro storie. Due sono gli elementi caratteristici del mito: il tempo, cui si riferisce, e il luogo, nel quale si svolge. Il tempo in cui si svolgono gli avvenimenti è sempre in­ definito, precedente alla scrittura, collocato addirittura prima della comparsa degli uomini (in ilio tempore, olim, c'era una volta) . Questo è la prima caratteristica del tempo mitico: è eternamente presente. Il tempo del mito è sacro e gli eventi si ripetono secondo un ordine sacro, stabilito in principio dagli Dei. Non a caso in latino il termine tempus è molto simile a quello di templum, il luogo sacro dove si celebravano i riti religiosi. Lo spazio del mito è altrettanto indefinito, ma connesso alla cosmogonia del tempo. Non sempre è caratterizzato dagli stessi elementi. Al centro del mondo, di solito, si trova un luogo sacro, una montagna, un fiume, un cratere, un totem. La sacralità del luogo è data dal fatto che ad esso si attribuiva la cominciato a essere. " Cfr. ELIADE, Mircea: Arpects du Mythe, Gallimard ed. , Paris ( 1 963).

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funzione di punto di congiunzione e di via di comunicazione fra l'uomo e la divinità. Per questo lo spazio dove sorgono i templi è sacro, come è sacro ogni luogo, ogni albero, ogni pie­ tra, ogni corso d'acqua, dove, in illo tempo re, si è manifestata una presenza divina. Il racconto, sempre più favolistico, diventa tradizione ora­ le, punto di riferimento culturale di un popolo. Spesso, poi, si trasfigura, in un componimento lirico, una saga, una ballata, un poema, diventa metastoria, archetipo, identità. Talvolta, crea un linguaggio scritto, interpretabile in occasioni parti­ colari, magari drammatizzato in chiave teatrale, a ricordo e monito perenne dell'imperscrutabilità divina e della fragilità umana. In tal modo diventa il substrato identitario della struttura culturale di un popolo che, prima ancora d'identificarsi in una nazione, ad esso attribuisce le origini della propria storia. Questa ricerca di una dimensione spirituale, che ha poi prodotto il senso del divino e dato luogo al fenomeno religio­ so e allo sviluppo dei culti è, forse, il retaggio più importante che ci proviene da un lontanissimo passato5• Diversamente dal mito che, in un certo senso, si sviluppa all'esterno, come un fatto sociale che trae origine da leggende fino a diventare, poi, tessuto connettivo delle tradizioni comu­ ni di un popolo, lo Sciamanesimo segna un altro percorso, fon' Per una visione d'insieme della letterarura sul tema del mito, si vedano: BAR­ THES, Roland: Miti d'oggi, Einaudi ed., Torino ( 1 994); CITATI, Pietro: La luce della notte. l grandi miti nella storia del mondo, Mondadori ed. , Milano ( 1 996); Eneida,

Topi: L'Amore di Narciso e altri racconti . . . !!libro dell'archetipo dedicato ai genitori e ai ragazz i, Il Sirente ed., Fagnano Alto 82009); FRAZER, ]ames George: Il ramo d'oro, Newton ed., Roma (1992); GALIMBERTI, Umberto: l miti del nostro tempo, Feltrinel­ li ed. , (2009); GRAVES, Robert: l miti greci ( 1 955); ]AMES, Edwin Oliver: Gli eroi del mito, Il Saggiatore ed., Milano ( 1 996); LEACH, Edmund: 1he structural study of myth and totemism, Tavistock ed., London ( 1 967) , tradotto in italiano dall'origina­ le inglese con il titolo: Strutturalismo del mito e del totemismo, New Compton ed., Roma ( 1 975); LÉVI STRAUSS, Claude: Mito e significato, Il Saggiatore ed. , Milano ( 1 980); Locc HI , Giorgio: Mito e Comunità ( 1 98 1 ); PAGE, R. 1.: Miti scandinavi, Mondadori ed. , Milano ( 1 995); PRIMICERIO, Elena: Il Kalevala. Finlandia, terra di eroi, Giunti ed., Firenze (2008). -

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dato nell'uomo, nel senso che si sviluppa da un affinamento e da un approfondimento delle sue qualità spirituali e sensoriali. Ciò permette allo Sciamano di dialogare con il mondo ester­ no visibile (un albero, una montagna, un animale, un corso d'acqua) e con le sue manifestazioni spirituali. La caratteristica comune a tutti gli Sciamani, infatti, è il viaggio spirituale in una realtà che va oltre la persona e il quotidiano.

La resurrezione dei morti nel Giudizio Universale di Michelangelo

In questa realtà non ordinaria e non visibile, gli Sciamani entrano in contatto con entità spirituali (gli alleati), che in­ contrano per lo più sotto forma di animali (animali guida) o di maestri spirituali (antenati, figure mitologiche, saggi) . Que­ sti alleati gli conferiscono il potere e la conoscenza necessari per aiutare e guarire se stesso, gli altri e il mondo. Le principali funzioni religiose dello Sciamano sono la gua­ rigione e la divinazione, ottenute mediante la possessione spi­ ritica o il trasferimento dell'anima dello Sciamano fino al cielo o agli inferi.

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1 .3.

MoRTE E RESURREZIONE

Morte e resurrezione simboleggiavano la morte e la rinascita della natura. Progressivamente, l'analogia evidente fra la sor­ te degli uomini e la morte e la rinascita del mondo vegetale divenne la base della speranza in una vita ultraterrena. Se le piante e la natura tornavano a vivere dopo il periodo inverna­ le, perché ciò non poteva essere così anche per l'uomo? Fin dall'antichità è presente, infatti, la ricerca di un fine ultimo al di là della morte, con miti e culti post mortem, rin­ tracciabili già presso gli antichi Egizi o presso gli Etruschi. Tali raffigurazioni rituali sono piuttosto pessimistiche e tendono a vedere in modo cupo la vita oltre la vita. L'escatologia, già presente nel pensiero ebraico (Antico Testamento) , fu reinterpretata nel Nuovo Testamento; l'esca­ tologia cristiana contempla la resurrezione dei morti, la vita eterna, il giorno del giudizio e l'Aldilà6• Questa è una credenza molto diffusa secondo la quale non solo l'anima sopravvive alla morte ma può, addirittura, tra­ smigrare da un corpo a un altro, assumendo una forma esterna fisica visibile. La diversità tra l'unicità della vita storica dell'uomo e la periodicità metastorica degli eventi naturali era interpretata da personificazioni mitiche, per le quali la forza vitale della natu­ ra era rappresentata dalla madre e i frutti della natura diventa­ vano, a seconda dei casi, figlia, figlio, nipote, marito, amante e così via. Questa figura, che dopo la morte tornava in vita con la resurrezione, infondeva nell'iniziato, che s'identificava in questa immagine, la speranza di una vita oltre la morte, an­ che se non necessariamente doveva trattarsi di una vita fisica. Ma l'accesso a una vita futura, a una "resurrezione" (del corpo? dello spirito?) era cosa talmente grande che non poteva 1' La prima venuta di Cristo (il Redentore) è considerata come un fondamentale evento escatologico, che ridà la speranza ai Cristiani. La seconda venuta di Cristo dovrebbe ponare all'instaurazione definitiva del Regno di Dio.

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essere di tutti. Solo gli iniziati, coloro che seguivano un per­ corso di prove, di sacrifici, di iniziazioni successive, potevano meritarsi questa speranza che, alla fine del percorso, quando erano "ammessi", si trasformava in una certezza. Ciò portava non alla diffusione del culto fra gli uomini, ma alla selezione, al rigore e al mistero. Solo pochi erano o potevano essere gli eletti in grado di aspirare alla rinascita. Per questo il segreto era essenziale.

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CAPITOLO II IL PERCORSO DEL MITHRAISMO

2. 1 . Nascita del Mithraismo Quel che sappiamo del Mithraismo è molto poco, se confron­ tato con la sua vita plurimillenaria: poco più di 600 brevi iscri­ zioni, per lo più dedicatorie, circa 300, spesso frammentarie, monumenti quasi identici e spesso ridotti a un cumulo di ru­ deri, alcuni riferimenti casuali nella patristica cristiana. Le prime tracce documentate del Mithraismo primitivo ri­ salgono a circa mille e cinquecento anni prima dall'era cristia­ na. Le fonti dirette per la storia dell'origine del Mithraismo sono i testi iranici relativi al Mazdeismo e i bassorilievi 1 dei santuari mithraici.

Bassorilievo raffigurante un re di Mitanni

La testimonianza più antica è data da una tavoletta di ar­ gilla in cui si riporta un trattato del XIV secolo a.C., fra il re 1 Il più importante, forse, di questi bassorilievi è quello che si trova a Konjica. in Bosnia.

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hurrita di Mitanni, Mutawaza2, e il re hittita, Suppiluliuma3, nell'area sud occidentale del lago Van, in Armenia. In questo trattato, Mithra è citato assieme ad altre divinità indiane (cin­ que Dei indo-iranici: Indra, Mithra, Varuna e due cavalieri, i gemelli Ashvin o Nasatyache) che fungevano da divinità ga­ ranti dell'osservanza del patto e della buona fede dei contraen­ ti. Gli Hurriti, infatti, erano guidati da una casta aristocratica guerriera che adorava questi Dei. Nel mondo primitivo il cielo, le rocce e i corsi d'acqua era­ no le realtà immutabili che conoscevano i pastori e i viandanti, quali punti di riferimento essenziali per le popolazioni nomadi. Secondo il mito, probabilmente il più antico, il Dio delle rocce sarebbe stato scoperto da pastori ignari che avrebbero assistito alla nascita del fanciullo divino.

Bassorilievo raffigurante Mithra che uccide il toro

� Gli Hurriti, antico popolo dell'Oriente, si stanziarono nella Mesopotamia settentrionale dopo la fine del III millennio a.C. e guidati da una casta guerriera indoeuropea, nell600 a. C. , fondarono l'Impero di Mitanni, che divenne una delle potenze maggiori dell'area nei secoli XVI e XY a.C.. · ' Suppiluliuma il Grande ( 1 380 circa- 1 347 a.C.) fu il più importante dei so­ vrani hittiti. Riuscì a sconfiggere il regno di Mitanni, sul cui trono insediò il figlio Mutawaza ( 1 334) . Estese il suo impero confederale, il cui centro era in Cilicia e in Cappadocia, dal Ponto Eusino all'Oronte e al medio Eufrate, su tutta la Anatolia, la Siria e la Palestina fino a Gerusalemme.

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Un giorno, sul far dell'alba, presso un albero sacro, accanto a un fiume, un gregge si era disperso fra le rocce. Inseguito dai pastori, quando i raggi del sole illuminarono le pietre, da una di queste sarebbe scaturito il corpo di un adolescente, ben svi­ luppato, adorno di un berretto frigio4 e di un pugnale5• Dalla forza delle rocce e dalla luce del sole sarebbe nato un nuovo Dio cui i pastori offrirono frutti e doni, venerandolo. Mithra, dunque, avrebbe un'origine pastorale. Il Dio fanciullo sarebbe stato, poi, accompagnato da due personaggi minori, anch'essi vestiti da pastori, che sottoline­ ano il carattere cosmico del Dio: i Tedofori o Dadofori (por­ tatori di fiaccole), Cautes e Cautopates, della cui funzione s'ignora pressoché tutto. Questi suoi due aiutanti hanno una presenza costante a fianco di Mithra, specie nel processo d'iniziazione mithraica. Sono tipologicarnente affini al Dio, insieme al quale costitui­ scono una sorta di trinità.

Bassorilievo raffigurante Mithra affiancato dai Tedofori Cautes e Cautopates 1 Il berretto, copricapo perenne eli Mithra, probabilmente era usato dagli arcie­ ri persiani, e attribuito, tradizionalmente, alle Amazzoni della Frigia. Esso, forse, simboleggiava le caratteristiche guerriere dei Frigi e eli chi lo indossava. Fu ampia­ mente usato dai sans-culots durante la Rivoluzione francese. � Il pugnale era lo strumento del Dio Sole, un'entità misteriosa e suprema da cui dipendeva la vita e la morte delle piante e degli uomini, destinato a uccidere il toro e a rigenerare il mondo.

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Essi rappresentano, infatti, nel corso della giornata, rispet­ tivamente il sole dell'aurora, del mezzogiorno e del tramonto mentre, nel ciclo annuale, alludono alla primavera, all'estate e all'autunno e, simbolicamente, all'intero ciclo della vita. Sono sempre raffigurati in dimensioni minori rispetto all'immagine del Dio, forse a significarne la centralità religiosa6• Cautes, a dicembre, è rappresentato con la fiaccola acce­ sa rivolta verso il basso, (lo spegnimento del mondo vitale) , Cautopates, a giugno, con la fiaccola rivolta verso l'alto (la rinascita della vita) .

Rappresentazione della Dea Anahita

Secondo altre versioni mitiche, invece, il Dio sarebbe nato da una roccia con una fiaccola e un pugnale tra le mani. Con un colpo di freccia avrebbe fatto scaturire da una rupe l'acqua, simbolo della vita. Mithra, poi, avrebbe iniziato ai propri mi­ steri il Sole, da cui è distinto (ma al quale, al tempo stesso, è strettamente associato) , con un patto fra le due divinità che siedono assieme a un banchetto sacro per poi salire sul carro solare verso il cielo. '' Cfr. AGNISOLA, Giorgio: La Tauroctonia nel Mitreo di S. Maria Capua ltétere, in LertereArtiScienze, Vol. 1 1 , II serie, 20 1 0, pag. 1 64.

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Nell'età ellenistica7 mutò ancora l'origine leggendaria del Dio, che non sarebbe più nato dalla roccia al battere del primo sole. Sarebbe, invece, il figlio di Anahita (o Anai"tis) , una Dea con molti parallelismi con le divinità-madri del vicino Orien­ te: una vergine, chiamata madre di Dio8• Di ciò fa fede il più grande tempio di culto mithraico se­ leucide, nell'Iran occidentale (c. 200 a. C.), dedicato appunto ad Anahita, la Dea delle acque, l'immacolata vergine madre del signore Mithra, miracolosamente fecondata dal dio Ahri­ man.

2.2 - IL PERIODO VEDICO A quanto è dato di sapere, la venerazione per Mithra9 risale, probabilmente, a circa 4000 anni prima di Cristo, passando dall'India in Persia, favorita dall'esistenza di una lingua madre arcaica probabilmente comune. Nella religione indiana Mithra è connesso a Varuna, for­ mando una coppia divina. Mithra è la luce, benigna agli uomi­ ni, mentre Varuna è la notte, un Dio misterioso e trascendente. Negli inni vedici, Mithra è sempre invocato assieme a Varu­ na, tanto che le due divinità spesso hanno un nome comune: Mithravaruna. Varuna è anche il Signore del ritmo cosmico delle rotazioni delle sfere celesti, mentre Mithra genera la luce all'alba. Si è anche ipotizzato che Mithra s'identificasse con il sorgere del sole e Varuna con il tramonto, oppure, Mithra con il cielo di giorno e Varuna con quello della notte, oppure, è Cfr. MERKELBACH, Reinhold: Mithra, il signore delle grotte, ECIG ed. , Genova ( 1 988), pag. 53 e sgg. " Nel terzo secolo d. C. l'imperatore di Persia, Ardashir, della dinastia dei Sas­ sanidi, dopo aver riunificato l'impero, fece riscrivere in 2 1 libri l'Avesta perduto, e trasformò il Mithraismo in religione di Stato, cosl come fecero gli Imperatori romani. L 'Avesta fu di esempio anche a Maometto per la stesura del Corano. '' Conosciuto in Europa e in tutta l'Asia con i nomi di Mithra, Mithra, Meitros, Mihr, Mehr, Meher e Mirra.

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ancora, rispettivamente, con il sole e con la luna. In ogni caso, Mithra era luce solare1 0•

Varuna

Nel più tardo rituale vedico è prescritta una vittima bianca per Mithra e una nera per Varuna. Anche nello Shatapatha Brahmana, poi, l'uno è appaiato all'altro e sono descritti come il Consiglio e il Potere. Nell'antico iranico e in sanscrito il sostantivo mithra signi­ fica: patto. Non sappiamo se questo nome è la sostantivizza­ zione del nome del Dio o, piuttosto, se da questo sostantivo derivasse il nome del Dio. Sta di fatto che Mithra era conside­ rato anche il Dio del diritto e dell'ordine, colui che controllava la lealtà, la verità e la buona fede delle parti contraenti. D'altro canto, questo termine è anche strettamente con­ nesso con il sostantivo persiano moderno mirh, che significa sole. Mithra, dunque, era legato al sole e alla luce, si poneva addirittura al di sopra del Dio indiano Varuna (o Veruna), una divinità celeste che regnava sull'intero universo1 1 • 1°

Cfr. 0LDENBERG, Henri: Die &ligion das �da. Berlin (1894). Dei nomi Mithra, in Persia, e Varuna, in India, si trovano tracce fin dall400 a.C. nei testi sacri indiani del lùg �da. ma è possibile che questa divinità sia an­ teriore. Gli Ari lo tenevano in grande considerazione. Mithra, con il nome di Bel, compare anche nell400 a.C. tra gli Dei dell'Impero dei Mitanni in Mesopotamia, 11

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Questa religione plurimillenaria, di ongme indo-iranica, durerà per molti secoli, ben oltre l'avvento del Cristianesimo.

2.3. IL PERIODO ZOROASTRIANO In un periodo imprecisato, tra l'VIII e il VI secolo a. C., poco prima della predicazione del Buddha, compare Zarathustra12, che esercitò un'influenza decisiva sulla religione iranica, ap­ portando con il suo insegnamento profetico modifiche im­ portanti al culto mithraico originario, con un orientamento religioso che ancor oggi non è chiaro se fosse realmente un'an­ ticipazione del monoteismo, così come lo intendiamo noi oggi o, piuttosto, una riforma del sistema religioso esistente13•

Zarathustra dove veniva festeggiato il 25 dicembre con la festa del Son (in babilonese: il Sole) invincibile: era considerato figlio del Sole e Sole egli stesso. Verona, divinità celeste, ma non l'unico Dio del mondo indo-iranico, divenne poi in greco Uranòs (cielo) e in latino, Uranus. 1 2 Zarathustra, nato all'incirca nel 7 1 4 a.C. in Persia, combatté il politeismo dei popoli nomadi e favo d la nascita di un codice di leggi civili e morali, valido per una popolazione che da nomade stava diventando agricola e stanziale, affermando, per la prima volta, i valori della cultura. Dai suoi detti, pensieri e insegnamenti fu tratto il libro sacro Avesta, già noto ad Alessandro Magno. Sulla figura di Zarathu­ stra si veda: VARENNE, Jean: Zarathustra, storia e leggenda di un profeta, Convivio -Cardini ed. , Firenze ( 1 99 1 ) . 1.1 Secondo l'Avesta, i l seme d i Zoroastro è stato deposto i n fondo a u n lago dove, a mille anni di distanza, tre vergini si bagneranno, partorendo tre eroi che rinnoveranno il mondo. Lultimo, Saoshyant, distruggerà il male, instaurerà il re­ gno della giustizia e resusciterà i morti.

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Nato nella Battriana, Zarathustra è stato, forse, il perso­ naggio più significativo della storia delle religioni antiche, il primo a diffondere una religione divinamente rivelata14• All'età di circa quarant'anni, avuta appunto una rivelazione divina, Zarathustra si rapportò a nuova divinità suprema del Bene: Ahura Mazda (o Ormuzd), il Saggio Signore, in peren­ ne contrasto con Aingra Mainyu (o Ahriman), la principale divinità del male, instaurando il principio del dualismo fra bene e male, luce e tenebre, che da allora sarà sempre presente nelle varie concezioni religiose dell'epoca e anche successive al

Cristianesimo. Questa rivelazione, secondo quanto ci è stato tramandato, consisteva in un campo di battaglia nel quale si fronteggiavano le forze del bene, vestite di bianco e con "armi di luce", e quel­ le del male, vestite di nero, con "armi di dubbio e d'inganno". La vittoria del bene comporterà un mondo nuovo, trasfigura­ to da una luce divina.

Bassorilievo raffigurante Ahura Mazda

11

Il suo messaggio ha influenzato egualmente il successivo Mithraismo, l 'Ebrai­ il Cristianesimo, 11slamismo, il Buddh ismo, il Manicheismo, i miti pagani nor­ vegesi. Oltre la metà del mondo ha accettato una parte significativa dei suoi precet­ ti sotto l'apparenza di una o l'altra di queste fedi.

smo,

24

Egli profetizzava un culto universale, essenzialmente mo­ noteista, fondato sui tre principi: giusto sentire, giusto parlare, giusto operare. Questo nuovo credo ebbe un'enorme influenza sulle successive religioni monoteiste, quali l'Ebraismo 1 \ il Cri­ stianesimo e l' Islamismo. I.: idea guida era la rivolta contro l'eccessivo ritualismo sa­ crificale e lo sviluppo delle caste sacerdotali, restaurando un rapporto diretto e personale tra il fedele e la sua divinità. Zarathustra predicava la libertà di scelta dell'uomo. Nella sua visione etica il saggio è dalla parte dell'ordine, della verità, della giustizia, con un'intonazione fondamentalmente positiva nei confronti della vita quotidiana 1 6• Con l'espansione dello Zoroastrismo, si verificò un notevole cambiamento teologico sulle credenze vediche. Richiamando­ si all'antico culto del Dio Sole, Zarathustra fece confluire Mi­ thra nel nuovo credo assieme ad altre divinità, non più come un Dio, ma come un personaggio venerabile (il più grande degli Ytlzata, una specie di arcangeli creati da Ahura Mazda per aiutarlo nella distruzione del male e nell'amministrazione del mondo) , subordinato, quindi, ad Ahura Mazda, e facente parte del regno del bene. In origine Mithra avrebbe avuto questa posizione subor­ dinata ad Ahura Mazda (Ohrmadz) , ma con il tempo il suo ruolo divenne dominante con la trasformazione dell'antica re­ ligione iranica nelle popolazioni della Cappadocia. La riforma di Zarathustra, nonostante il suo apparente mo­ noteismo, mantenne molte divinità del più antico pantheon indo-iranico 1 7, pur riducendole di numero, in una complessa gerarchia le cui qualifiche erano sottoposte alla tutela del su" Le leggi mosaiche furono introdotte nel Deuteronomio nel 62 1 a.C. e sono quindi successive all'insegnamento di Zarathustra. 1 6 Cfr. PR6NAY (von) , Alexander: Mithra. Un antico culto misterico tra religione ed astrologia, Convivio Cardini ed. , Firenze ( 1 99 1 ) , pag. 20. 1 7 Per questo motivo è forse più ragionevole pensare che l'insegnamento di Zarathustra preparasse l'avvento del monoteismo piuttosto che fosse monoteista egli stesso.

25

premo Ahura Mazda, padrone del cosmo, del bene e del male. In tal modo lo zoroastrismo catturava riti e culti più antichi, facendoli propri.

Bassorilievo raffigurante Mithra che uccide il toro

L'espansione dello Zoroastrismo fu agevolata dal favore di alcuni sovrani dell'Impero sassanide1 8, che ne fecero la loro religione di Stato e furono portatori convinti del nuovo credo, anche con le armi. Anche secondo Zarathustra, infatti, occor­ reva combattere il male e i falsi Dei, sempre e comunque.

2.4.

lL PERIODO DEL MA.zDEISMO

L'esperienza religiosa sassanide, tuttavia, apportò dei cambia­ menti importanti all'ormai antico credo zoroastriano, sia nei confronti del Magismo19, da alcuni assimilato allo Zoroastrismo e da altri, invece, ritenuto ad esso contrario, sia portando alla '" Fu Kartèr, ministro del culto dei primi tre Imperatori (Ardeshìr, Shapur e Vahran l), a giustiziare Mani, il vero, strenuo difensore del dualismo zoroastriano, tre secoli dopo l'avvento del Cristianesimo, e fu il suo successore alla corte di Shapur Il, Aturpat, a offrire le teste mozzate dei martiri cristiani alla Dea avestica Anahira. Cfr. VARENNE, op. cit., pag. 54. ''' I Magi erano una classe sacerdotale di questo culto e saranno accolti nella tradizione del Natale cristiano come annunciatori della nascita del Messia.

26

formazione di un culto relativamente nuovo, il Mazdeismo (da Ahura Mazda) . Nel suo nuovo ruolo Mithra era preposto alla giustizia, alla salvaguardia della verità, protettore e garante dei contratti, si­ gnore della luce diurna, sempre strettamente collegato al Sole, elargitore di prosperità ai singoli e ai popoli e protettore delle greggi. Perseguitava i bugiardi e gli empi e assumeva, in que­ sto, un ruolo guerriero, di tradizione zoroastriana, con il quale garantiva la vittoria dei popoli giusti, osservanti dei patti. In tarde parti dell'Avesta, Mithra è anche chiamato giudice delle anime, come protettore della verità e nemico dell'errore. Era quindi una divinità di verità e di legalità e, nel trasferi­ mento al regno fisico, un Dio dell'aria e della luce. Come nemico degli spiriti del male e delle tenebre, pro­ teggeva le anime e le accompagnava in paradiso (con il ruolo di psicopompo: il conduttore di anime, concetto e parola di origine persiana) . Poiché la luce è accompagnata dal calore, era anche il Dio della vegetazione e della crescita: compensava il bene con la prosperità e combatteva il male. Mithra era on­ nisciente, infallibile, sempre attento e insonne (colui che mai

riposa) . Il Dio restava celibe per tutta la vita e predicava tra i suoi discepoli il controllo di se stessi, la rinuncia e l'astinenza dalla sessualità. Mithra, in tal modo, rappresentava un sistema etico di per se stesso, a ben vedere, straordinario per quei tempi. Non è ancora chiaro quanto vi sia in comune fra questi culti orientali originari e le trasformazioni in seguito introdotte con lo Zoroastrismo, con i culti astrologici babilonesi ed, infine, con il mondo greco-romano, ma esiste certamente un filo condut­ tore che, con tutta una serie di trasformazioni e di adattamenti, è giunto nella romanità, fino a diventare uno dei culti maggior­ mente seguiti nell'Impero per oltre trecento annF0• 2" Restano testimonianze della religione mithraica in Gran Bretagna, Italia, Romania, Germania, Ungheria, Bwgaria, Turchia, Persia, Armenia, Siria, Israele e nell'Africa del nord.

27

2 . 5 . IL PERIODO

PERSIANO

Mithra divenne una divinità preminente anche nel culto del primo impero persiano2 1 • Nomi regali incorporano quello del Dio (Mitridate) e compaiono nell' onomastica dei Parti e degli Armeni, nonché in Anatolia, Ponto e Cappadocia. Nell'Asia Minore, il suo culto si estese prima con l'impero persiano e, poi, si propagò, con l'avvento di Alessandro Magno, per tutto il suo impero e in quello dei suoi successori (i Diadochi) . Anche per la mitologia persiana, e secondo i suoi credenti, Mithra rappresentava la luce del mondo, simbolo di verità, di giustizia e di lealtà, il mediatore (come lo chiama Plutarco) tra il cielo e la terra. Per gli adoratori di Mithra, il paradiso era celestiale e l'Ade infernale. Essi credevano che i poteri benefici del Dio avrebbe­ ro agito contro le sofferenze umane, garantendo, al momento della morte, la giustizia, l'immortalità e la salvezza eterna. Cre­ devano nel giorno del giudizio, che avrebbe visto resuscitare i morti, e nella possibilità di un conflitto finale nel corso del quale sarebbe stato distrutto l'ordine esistente di tutte le cose per ottenere il trionfo della luce sulle tenebre. Il credente doveva purificarsi con il rito del battesimo, per prendere poi parte a una cerimonia in cui beveva vino e man­ giava pane per simbolizzare il corpo e sangue del Dio. Dopo aver compiuto la sua missione terrena, con il sacrifi­ cio del toro, prima di salire in cielo con il carro del sole, il Dio partecipava all'ultima cena con i suoi discepoli, che si conclu­ deva con la stretta di mano tra i fedeli, fratelli del Dio. Questa complessa ritualità religiosa si rifaceva alla divinità indo-iranica Mithra, presente sia nella religione indiana, spe­ cie nel periodo vedico, sia nello zoroastrismo persiano, in una sintesi determinata dal trascorrere del tempo. La nascita di Mithra veniva celebrata al solstizio d'inverno, chiamato in persiano shab-e yalda, luce del Dio. n

Cfr. MERKELBACH, op. cit, pag. 21

e

28

sgg.

Mithra era il Dio incluso fra gli Dei di Stato dall'Impero mesopotamico degli lndoeuropei Mitanni. Era identificato con il Sole (figlio del Sole e Sole egli stesso) già nel 1 400 a. C. Lo si festeggiava proprio il 25 dicembre, appena dopo il solsti­ zio d'inverno, quando il sole, riprendeva la sua ascesa celeste. Il giorno della rinascita del Dio Sole aveva valore magico, pro­ piziatorio e simbolico: era la luce da contrapporre alle tenebre delle lunghe notti invernali.

2.6.

IL PERIODO CALDEO

Con la conquista persiana di Babilonia22, il Mithraismo entrò in relazione con le religioni mesopotamiche ed ebraiche (gli Ebrei erano in esilio a Babilonia e i Persiani ne furono i liberatori23). Nella Mesopotamia, dove magia e divinazione erano essen­ ziali, Mithra, Dio della luce in India, fu facilmente identificato con Shamash, Dio del sole e della giustizia, che aveva più o meno le stesse caratteristiche del Dio, considerato un combattente e un giudice, così come Ohrmadz divenne l'equivalente di Bel. I culti mesopotamici24 ebbero una forte influenza sulla ve22 Su Babilonia e la società caldea, si vedano: WINCKLER, Hugo: La cultura spi­ rituale di Babilonia, Rizzoli ed. , Milano ( 1 982); WoLLEY, Leonard: Ur dei Caldei,

Einaudi ed., Torino ( 1 958). Babilonia, con Nabucodonosor fu il centro dell'uni­ verso e l'ombelico del mondo di allora. Cfr. PETIINATO, Giovanni: Babilonia centro dell'universo, Rusconi ed. , Milano ( 1 988), pag. 1 39 e sgg. 2·1 In tal modo, molte delle concezioni mithraiche entrarono a far parte del patrimonio culturale ebraico e, successivamente, cristiano. 24 Per una visione generale del mondo mesopotamico si vedano: D'AGOSTINO, Franco: Gilgames alla conquista dell'immortalità, Piemme ed. , Casal Monferrato ( 1 997); FALES, Mario F. e LANFRANCHI, Giovanni B: Lettere dalla corte assira, Mar­ silio ed. , Venezia ( 1 992); GuRNEY, O. R.: Gli Ittiri, Sansoni ed. , Firenze ( 1 958); MosCATI, Sabatino: Le antiche civiltà semitiche, Feltrinelli ed. , Milano ( 1 96 1 ) e, sempre dello stesso Autore: Antichi Imperi d'Oriente, Newton & Compton ed., Roma ( 1 978); PETTINATO, Giovanni: Babilonia, centro dell'universo, Rusconi ed., ( 1 988); SAPORETTI, Claudio: Antiche leggi: i Codici del vicino Oriente antico, Ru­ sconi ed. , Milano ( 1 998); SCHMOKEL, Hartmut: I Sumeri, Sansoni ed., Firenze ( 1 958): WINCKLER, Hugo: La cultura spirituale di Babilonia, Rizzoli ed., Milano ( 1 982); WooLLEY, Leonard: Ur dei Caldei, Einaudi ed. , Torino ( 1 958).

29

nerazione tradizionale di Mithra. In quanto Dio della luce, il suo culto era legato al sole e, quindi, venne in contatto con l'astrologia caldea, nonostante il fatto che la religione di Babi­ lonia fosse improntata al culto locale di Marduk, ai culti pla­ netari e astrologici babilonesF5, ma soprattutto al culto lunare. A questo proposito, va considerato un elemento mol­ to importante: il passaggio dal nomadismo allo sviluppo di un'agricoltura di tipo stanziale. È, questo, l'aspetto più tipico della società assira e babilonese rispetto a quella semitica26• Per il nomade, infatti, il sole era un nemico e la vita di quelle popolazioni era regolata dalle fasi lunarF. Al contrario, per l'agricoltore, il sole era la luce, il calore, la vita per le proprie colture. Di qui, l'importanza crescente dei culti solari. Tutto ciò, inoltre, era fortemente influenzato dall'osserva­ zione del movimento degli astri e dalla profondità delle co­ noscenze e degli studi astronomici caldei. All'epoca, infatti, la terra era considerata immobile e al centro d'una sfera cor­ rispondente all'universo. La volta celeste girava attorno alla terra, trascinando con sé il sole. Ma, con il trascorrere dei secoli, gli equinozi e i solstizi si spostavano senza un motivo apparente. Questa anomalia della p recessione degli equinozi fu notata molto più tardi dall'astro­ nomo greco Ipparco di Nicea, nel 1 28 a.C., ma risultava in­ spiegabile agli astronomi caldei con le conoscenze e gli stru­ menti di allora28, se non con l'intervento di un Dio, Mithra, appunto, che sarebbe stata la potenza celeste capace di causare tale fenomeno29• 2' 26

Cfr. PR6NAY, op. cit. , pag. 3 1 . Cfr. MosCATI, op. cit. , pag. 4 1 e sgg.

r "La Luna muore e rinasce continuamente: essa è l 'immagine della vita immor­ tale. Il Sole è apportatore di morte Questo pensiero, concepito in termini puramente astronomici, è il fondamento della dottrina babilonese, che pone in primo piano la Luna, opponendosi, per esempio, alla dottrina dell'Egitto, dove è esaltato il culto del Sole, culto cheperò mostra anche tutte le caratteristiche d'una trasposizione della conce­ zione lunare." Cosl il WINCKLER, op. cit. , pag. 65. 2" Cfr. ULANSEY, David: I misteri di Mithm, Edizioni Mediterranee, Roma

(200 1 ) , op. cit., pag. 1 50 e sgg. 2" Cfr. ULANSEY, op. cit. pag. 9 1 e sgg.

30

La componente astrologico-scientifica della nuova conce­ zione di Mithra rese ancora più credibile e diffuso il suo culto, inteso come una religione cosmologica e planetaria adatta a dare una spiegazione ai fenomeni celesti osservati dagli astro­ nomi del tempo30• In tal modo, Mithra presiedeva ai cambia­ menti delle stagioni e al movimento del cielo.

Rappresentazione della terra piatta secondo Tolomeo

Nell'uccisione del toro si rappresentava la precessione de­ gli equinozi, perché Mithra, rappresentato dalla costellazione del Perseo, muoveva l'intero universo. Cambiava la posizione della sfera celeste, uccidendo la costellazione del Toro e muo­ vendo la terra verso la costellazione dell'Ariete all'equinozio della primavera. La festa per il cambiamento delle stagioni era celebrata allo stesso modo sia in Oriente sia in Occidente: l'equinozio della ·10 I Babilonesi furono dei grandi matematici, con due sistemi di numeri, de­ cimale e sessagesimale, calcolavano radici e potenze fino al 3o grado, risolvevano equazioni di I e II grado, misuravano corpi e superfici. Le osservazioni astrologiche babilonesi sono tuttora strabilianti, considerando gli strumenti di cui potevano disporre. Un testo, in scrittura cuneiforme, databile al 419 a.C., definisce per la prima vota lo Zodiaco, con i 12 segni tradizionali.

31

primavera (Nou-roz), l'equinozio dell'autunno (Mehregan), il solstizio d'inverno (Shab-Yazda) e il solstizio d'estate. Oltre agli aspetti celesti e solari, l'originaria personalità del Dio, connessa con la giustizia, assunse, quindi, anche una connotazione cosmogonica e soteriologica, mirante cioè alla salvezza dell'uomo31• Molti templi furono eretti al Dio in Armenia, che rimase una delle ultime roccaforti del culto zoroastriano di Mithra, almeno fino a quando l'Armenia non divenne ufficialmente il primo regno cristiano. Successivamente, questo culto, dopo aver assorbito le dot­ trine babilonesi, si estese32 a est, in Cina, attraverso l'India e, a ovest, filtrando lungo l'intera frontiera romana, dalla Scozia al deserto del Sahara, dalla Spagna al Mar Nero.

2. 7.

IL PERIODO ELLENISTICO

Il culto mithraico si sviluppò, poi, forse a Pergamo, nel II se­ colo a. C. Altri, invece, ne localizzano l'origine in Cilicia, nei pressi di Tarso33• Secondo Plutarco3\ il Mithraismo ebbe origine tra i pirati della Cilicia, sulla costa sud-orientale dell'Asia Minore. Diversamente da quanto si è portati a credere, questi pirati, sconfitti da Pompeo nel 67 a.C., in realtà, erano una piccola nazione di circa 20.000 persone, con strutture piuttosto si­ mili a quelle di uno Stato, e una potenza militare navale assai consistente: "con oltre mille navi, e quattrocento furono le città di cui s'impadronirono". Abituati a navigare osservando il cielo e le stelle, essi veneravano molti Dei tra i quali, soprattutto, Mithra, date le implicazioni astrologiche e religiose connesse a tale figura. ·"

Cfr. ULANSEY, op. cit., pag. 9 1 e sgg. " Cfr. MERKELBACH, op. cit., pag. 26 e sgg. "Cfr. ULANSEY, op. cit. , pag. 75 e sgg. ''' Vissuto tra il 46 e il 1 20 circa d. C..

32

I pirati furono tra gli alleati di Mitridate VI Eupatore, Re del Ponto3\ nelle tre guerre che egli condusse contro i Romani fino alla sua sconfitta definitiva da parte di Pompeo nel 66 a.C. In Cilicia, però, e in particolare, nella sua capitale, Tarso36, il culto predominante era quello dell'eroe Perseo, nato in una caverna ipogea, raffigurato anch'egli con un berretto frigio37 e ritenuto il fondatore della città stessa, oltre che Ikonion, come lo raffigurano monete risalenti al I secolo a.C. La figura di Perseo era associata anche a quella del Dio Apollo, con il quale è spesso raffigurato, così come quella di " Mitridate (dato da Mithra), si vantava di discendere da Perseo, con il quale è raffigurato nella monetazione locale e dagli antichi Persiani, anche se nessuna connessione etimologica sembra esistere fra Perseo e i Persiani. l(, Questa città, che fu luogo di nascita di S. Paolo, era già un importante con­ tro durante l'Impero hittita, nel II millennio a.C. . Fu assoggettata dagli Assiri nel IX secolo a.C., dai Persiani nel VI secolo a.C., e da Alessandro Magno nel 333 a.C.. Infine, con i Seleucidi, si trasformò in un importante centro culturale ellenistico, di tendenza stoica. ·'7 Il mito di Perseo è piuttosto complesso e richiama, in parte, la storia di Mosè. Il Re di Argo, Acrisio, ebbe solo una figlia, Danae. Non sapendo a chi lasciare il regno, interrogò l'oracolo che gli predisse la morte per mano del nipote. Il Re, allora, rinchiuse Danae in una torre inaccessibile. Ma Giove, invaghitosi della fan­ ciulla, riuscl a possederla trasformandosi in una pioggia d'oro. Il padre Acrisio non le credette e uccisa la nutrice, richiuse il piccolo Perseo con la madre in una cassa di legno che fece gettare in mare. La cassa approdò sulla riva dell'isola di Serifo e fu trovata da un pescatore di nome Ditti, fratello del tiranno dell'isola, Polidete. Vedendo la cassa e credendo che contenesse qualcosa di prezioso, la portò a riva. Apertala, vi trovò Danae e Perseo ancora miracolosamente vivi. Il pescatore li aiutò a riprendere le forze e li condusse al cospetto del Re che, preso da pietà per i due naufraghi, offrì loro ospitalità. Più tardi il Re s'invaghì di Danae che lo rifiutò, per amore materno verso Per­ seo che, nel frattempo, era cresciuto. Il Re, allora, fece finta di voler sposare un'altra donna, Ippodarnia, e chiese, tra gli altri, a Perseo, come regalo di nozze, di portargli in dono la testa della Medusa, il cui sguardo pietrificava gli astanti. Con l'astuzia Perseo riuscl a recidere il capo alla Medusa e, nel viaggio di ritorno, conobbe An­ dromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, di cui s'innamorò. Ma a Serifo il Re aveva continuato a insidiare Danae e Perseo lo pietrificò con la testa della Medusa. Perseo tornò ad Argo con Danae e Andromeda e rassicurò il nonno Acrisio che non gli portava rancore. Ma il destino si compì lo stesso perché Perseo, partecipando ai giochi, lanciò il disco che il vento deviò, abbattendolo su Acrisio. Minerva pose la testa della Gorgone sul suo scudo e, alla morte di Perseo, lo trasformò assieme a Cefeo e ad Andromeda, in costellazioni.

33

Mithra appare associata al Dio Sol (o Helios) . Sembrerebbe che l'Apollo di Tarso sia stato adottato dal Mithraismo in una forma astralizzata, enfatizzando l'aspetto solare di Apollo. Da un punto di vista astrologico3x, poi, la figura del toro si riferisce alla costellazione omonima, che è sovrastata dalla co­ stellazione di Perseo, con il suo berretto frigio. Nel passaggio delle stagioni la costellazione del Toro rappresenta il nuovo momento delle stagioni. Perseo-Mithra che uccide il toro se­ gna in Mesopotamia l'avvento della nuova stagione (febbraio), il segnale astrologico dell'anno agricolo, caratterizzato dalla se­ mina primaverile. Anche le armi con le quali è ucciso il toro sembrano essere le stesse: una daga o una spada (l' harpe), con un'altra lama ri­ curva, e ambedue, Perseo e Mithra, distolgono lo sguardo dal sacrificio taurino.

Perseo e Andromeda

Un altro elemento indicativo è dato dall'emblema della cit­ tà di Tarso: un leone, a volte associato con la figura di Perseo39, .1• La prevalente concezione stoica, anche per effetto della tradizione astrologica babilonese (con Diogene di Babilonia, 240- 1 52 circa a.C.), identificava il cosmo e i corpi celesti come esseri viventi. Cfr. ULANSEY, op. cil., pag. 79 e 82 . .1'> Il mito di Perseo, a sua volta, certamente importato dai Greci, si era sovrap­ posto e s'identificò con quello di un Dio locale, di origine hittita, Sandan, venerato sin dai tempi più antichi dai Cilici.

34

che attacca un toro. Molte sono le monete del periodo che ri­ portano questo insieme. In tutta l'area medio orientale questo era un mito molto comune e diffuso. Probabilmente questa fu l'origine della tauroctonia, anche se, come vedremo, il suo significato astrologico nei confronti di Mithra probabilmente è diverso e più complesso.

2 . 8 . IL PERIODO GRECO-ROMANO In Occidente, e soprattutto nell'Impero romano, il culto di Mithra acquistò caratteristiche diverse per le quali il culto del Dio divenne essenzialmente di natura misterica. Plutarco, nella Vita di Pompeo, asserisce che furono i pirati della Cilicia (67 a.C.), considerati a quel tempo il terrore dei mari, sconfitti da Pompeo, e deportati in massa a Pozzuoli, allora, il porto più importante di Roma e, successivamente, a Ostia40, che praticavano strani sacrifici e culti misteriosi. Sarebbero stati loro a diffondere il culto del Dio nel mondo romano, con caratteristiche, però, quasi certamente diverse da quelle originarié1• Ciò nonostante, le origini del culto mithraico nell'Impero romano non sono molto chiare. Quel che è certo è che il culto solare di Mithra fu introdotto a Roma nel corso del cinquan­ tennio precedente la nascita di Cristo, portato probabilmente dalle legioni reclutate in Siria e dagli schiavi orientali.

10 Ostia nacque circa dopo in secolo. ma fu soprattutto alla foce del Tevere che il culto di Mithra trovò l'ambiente adatto, tra le ciurme e i mercanti di ogni Paese, che seduceva, convertiva e, dopo un percorso iniziatico in sette tappe, battezzava, promettendo loro la salvezza eterna. 41 Va ricordato, a tale proposito, che è stata soprattutto la tauroctonia ad attirare l'attenzione degli archeologici, divisi fra una concezione tendenzialmente iranica delle origini del sacrificio (secondo il Cumont) e quella avanzata da altri studiosi (K. B. Stark, John Hinnells e R. L. Gordon, oltre allo stesso Ulansey) sulla origine più recente, forse romana se non addirittura cilicia, dell'uccisione del toro. Sulla questione e sulla controversia che ne segw, cfr. ULANSEY, op. cit., pag. 1 6 e sgg.

35

Resti dell'accampamento romano della X Legione Fretensis nelle vicinanze di Masada

Questo culto, ormai diverso dalle precedenti trasforma­ zioni mesopotamiche42, si diffuse nella Roma imperiale, con riti che saranno poi assorbiti dal Cristianesimo (dal battesimo, alla comunione, alla stretta di mano). Il culto, preso piede a Roma, si propagò attraverso tutto l'Impero e, in seguito, alcu­ ni Imperatori lo trasformarono addirittura in religione ufficia­ le ma, stranamente, non attecchì mai in Grecia43• Nel mondo romano, pur accentuando la sua connotazione solare, Mithra s'identificò anche con Apollo, Helios ed Hermes. Il Mithraismo si diffuse soprattutto fra i militari, perché predicava la fratellanza, la giustizia e la solidarietà. Nei suoi precetti la stretta di mano era un patto pressoché indissolubile, caratteristico dei seguaci del culto. Tra militari, schiavi e mer­ canti, questa religione non poteva non avere un grande succes­ so: era tutta gente senza fissa dimora, costretta ad attraversare continuamente l'immenso Impero romano, persone sradicate dai loro affetti, che potevano fidarsi dei propri compagni di viaggio solo se avevano la stessa fede. A venerare Mithra, infatti, furono intere legioni di soldati, ai 11

Cfr. MERKELBACH, op. cit. pag. 8 1 e sgg. Curiosamente Erodoto (Il secolo a.C.) parla di Mithra come di una divinità femminile. 41

36

quali il culto prometteva la vita eterna, anche se i suoi fedeli, alla fine, furono perseguitati e le loro cripte sepolte sotto le chiese cristiane. Mithra era il Dio della luce, ma anche della giustizia e, quindi, della vittoria dei giusti. Il soldato non poteva non essere convinto di rischiare la propria vita per una causa giusta che, in sé e per sé, era rappresentata dalle fortune di Roma. Mithra prometteva la resurrezione dopo la morte, un'altra vita e un paradiso per i giusti. Rischiando la vita, nell'ipotesi di essere uccisi in combattimento, il Mithraismo dava ai legio­ nari romani un'iniziazione e una fede, ma, soprattutto, una speranza. La religione mithraica si diffuse progressivamente anche tra le classi più elevate fino ad arrivare ai funzionari di rango dell'Impero e allo stesso Imperatore. Ma ancor prima di di­ ventare una religione ufficiale, il Mithraismo ebbe un'ampia fortuna, oltre che nell'esercito, soprattutto tra le classi più mo­ deste della società: schiavi, liberti, operai, artigiani, impiegati e piccoli commercianti44• Il culto misterico determinava tra i fedeli forti rapporti di fiducia, di amicizia, di fraternità, una religione per soldati, perché Mithra era preposto alla fedeltà, alla virilità e al corag­ gio, ma non soltanto per loro. I primi a propagarlo furono certamente i soldati al servizio dell'esercito romano, commercianti e schiavi, tutti provenien­ ti dalle regioni dell'Asia occidentale e centrale. A partire dal I secolo a.C., con successive modifiche o in­ terpretazioni, il Mithraismo, una volta arrivato in Italia, si dif­ fuse tra popolazioni e culti diversi, attraverso i presidi militari imperiali sul Danubio, soprattutto in Germania, dove ebbe il maggior numero di seguaci, sino al limes segnato fra Romani e Germanici, tra il Reno e il Danubio, dopo la battaglia di Teotoburgo, nell'anno 9 d.C. Questo culto si spinse poi dal Reno alla Gallia e alla Britan-

;; Cfr. MERCHELBACH, op. cit. , pag. 1 53

37

e

sgg.

nia e raggiunse persino la Spagna, trovando fedeli nell'intero territorio dell'Impero Romano, ad eccezione dell'area greca. La communitas mithraica non era soltanto una congregazio­ ne religiosa. Molto probabilmente costituiva anche un corpus sociale e legale, visto che aveva decemprimi, magistri, curatores, defensores e patroni. Il legame segreto tra i suoi membri era un forte elemento di coesione sociale, tale da determinare, pro­ babilmente, una vera e propria communitas da cui, peraltro, erano escluse le donne.

Cibele e Adone in un bassorilievo in metallo

Quasi certamente queste avevano altre forme di communi­ tas di culto nei confronti di Ana!tis o di Cibele, ma è dubbio che fossero associate direttamente con il Mithraismo. In questo senso, era un culto ecumenico maschile. In conclusione, il culto a Roma sembra essere stato una sintesi originale di culti greco-romani e indo-iranici. Il mo­ numento funebre di Antioco II Commagene (69-34 a. C.) presenta, infatti, una grande varietà simbolica che raccoglie elementi raffigurativi tratti da diverse tradizioni religiose.

38

Statua in

marmo

di Cibele del I sec. a. C.

39

CAPITOLO III GLI ELEMENTI DEL CULTO

3. 1 .

UN

CULTO MISTERICO

Questo Dio solare non celebrava i propri misteri alla luce del giorno, ma in piccoli antri o grotte oscure, i cosiddetti mith­ rei, possibilmente con delle mini sorgenti d'acqua sotterranea. Probabilmente l'idea guida era quella di un ritorno alla Madre Terra, nel cui alveo celebrare i misteri mithraici. Come i tori potessero essere portati per il sacrificio in antri così angusti è tuttora un mistero, sempre che l'uccisione del toro non fosse meramente simbolica. I misteri di Mithra si possono accostare ad altri culti miste­ rici solo formalmente. Sia la loro origine sia la loro sostanza dif­ feriscono notevolmente dai misteri sviluppatisi nella tarda an­ tichità, cui il Mithraismo, peraltro, è debitore di vari elementi 1• Questo Dio, che nello Zoroastrismo era un inviato della po­ tenza del bene Ahura Mazda, divenne, nella evoluzione del suo culto, una divinità trascendente autonoma, cui si faceva risalire l'origine del cosmo e la possibilità di redenzione per gli uomini dalle forze del male. Secondo la visione mithraica del mondo, ogni volta che nasce un uomo, un'anima immortale scende attraverso le sfere 1 Scrive in proposito l'Ulansey, proprio all'inizio del suo libro: "Dei molti enig­ mi /asciatici dall'antichità, nessuno appare più intrigante di quello dell'antica religione romana conosciuto come misteri mithraici. . . In quanto segreti gli insegnamenti del cul­ to, per quel che ne sappiamo, non vennero mai messi per iscritto . . . Ma allo stesso tempo, poiché i templi mithraici furono spesso costruiti nel sottosuolo, il loro contenuto, inclusa un'iconografia estremamente ricca, si è conservato in modo sorprendente, facendo del Mithraismo uno dei fenomeni dell'antichità archeologicamente meglio documentato.

"

Cfr. ULANSEY, op. cit. , pag. 1 3 .

41

dei pianeti verso la terra. Ma in questa discesa si contamina sempre di più. Durante il periodo di prova della vita terrena, l'anima ha la possibilità di liberarsi dalle impurità della ma­ teria con il conseguimento della conoscenza e con un retto comportamento morale. Alla morte dell'uomo, quando ha luogo la lotta per la con­ quista dell'anima tra gli Spiriti della Luce e quelli delle Tene­ bre, il Dio Mithra interviene a favore dei suoi adepti, in modo che le loro anime possano librarsi verso l'alto. I giorni sacri erano le domeniche e il sedicesimo giorno d'ogni mese. La nascita del Dio veniva celebrata annualmente il 25 dicembre, il Natalis lnvicti, giorno della rinascita del sole invernale, vittorioso sui rigori della stagione. Dopo aver compiuto la sua missione sulla terra, prima di salire in paradiso per proteggere per sempre dall'alto il creden­ te, il Dio partecipava all'ultima cena con i suoi discepoli.

Bassorilievo rappresentante Mithra al centro e in alto a sinistra il Sol Invictus

42

Componenti essenziali della religione di Mithra erano la salute dell'anima e l'immortalità. Il culto conosceva un batte­ simo e una specie di pasto sacro, consistente in pane, acqua e vino, a ricordo dell'ultimo pasto di Mithra che, dopo averlo consumato come atto sacrificale, salì al cielo portato dal carro del Sole per unirsi al Sole stesso. Il mito racconta che Mithra stringeva sempre in mano una torcia, che rappresentava la luce e il calore che effondeva sul mondo. È da queste origini che risale la tradizione del ceppo nata­ lizio, ceppo che doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio, e doveva bruciare nelle case per dodici giorni consecutivi. Da come bruciava si presagiva come sa­ rebbe stato l'anno futuro. Il ceppo natalizio ai nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi e strade.

3.2.

LINIZIAZIONE RITUALE

Nella religione mithraica esistevano sette gradi iniziatici, in forza dei quali il fedele raggiungeva la completa fratellanza. I primi tre erano dei veri e propri gradi d'iniziazione progres­ siva. Gli altri quattro, probabilmente, erano funzioni d'im­ portanza crescente nella liturgia e nell'organizzazione ammi­ nistrativa mithraiche. Per accedere a ognuno dei sette gradi era, però, necessario sottoporsi a prove di pazienza e di coraggio, non sappiamo esattamente di che tipo. Ciò che si può arguire è che per conseguire la conoscenza e la verità era necessario che l'uomo comune aggiungesse alle sue capacità naturali, al proprio buon senso, qualcosa di più che umano. l:adepto doveva rinascere a una nuova vita, puri­ ficato dal male. Qui si dimostrava la capacità del precettore, che doveva essere non solo la guida spirituale, ma anche l'esploratore delle 43

potenziali risorse spirituali dell'adepto, in modo da aiutarlo a comprendere l'essenza interiore dei misteri e a elevarne lo spirito. Tutto ciò doveva avvenire per gradi, così da testare le qualità dell'adepto e portarlo al punto giusto di esaltazione mistico-spirituale. Le sette fasi dell'iniziazione rappresentavano, assieme, un percorso gerarchico di liberazione e di esaltazione dell'uomo, che doveva prima spogliarsi dei propri timori, delle proprie impurità e, poi, ritrovato il suo nudo spirito, diventare padre, e cioè, maestro di vita per se stesso e per gli altri, secondo una metodologia molto simile a quella in uso nell'apprendimento delle arti militari. Il vero soldato di Mithra doveva abbandonare tutto ciò che riguardava la sua vita passata per essere tale. Solo con un riu­ scito percorso di battaglie vinte, di assalti e di risultati vittorio­ si, soprattutto con se stesso, egli poteva ascendere ai gradi più alti dell'esercito del Dio. Per questo motivo il culto mithraico si diffuse principal­ mente tra i soldati, cui era congeniale, i quali invocavano la protezione di Mithra anche durante le battaglie.

3.3.

l

GRADI INIZIATICI DEL

MITHRAISMO

3.3. 1 . I.:iniziazione Il culto di Mithra si celebrava in grotte, caverne o sotterra­ nei, anche artificiali. Questi luoghi, concettualmente oscuri, rispondevano all'esigenza di occultare la conoscenza al mondo esterno, quello spiritualmente oscuro, perché la conoscenza è luce splendente. È immaginabile che in questi luoghi si celebrassero anche interpretazioni sceniche simboliche sulla vita di Mithra e sui suoi miracoli, e delle processioni, con offerta di doni votivi. Ma il fulcro era dato dal processo d'iniziazione, che prevedeva 44

il battesimo con l'acqua santa e un'agape comune, con la con­ divisione del pane e dell' acqua2, fonte della vita.

Mitreo di Santa Maria Capua Vetere

Anche il vino faceva parte della ritualità come bevanda consacrata al Dio3• Poco o nulla si sa della liturgia sacramentale vera e propria celebrata nello spelaeum mithraico. Forse, consisteva in un'aga­ pe a base di pane, vino e altri cibi consacrati, durante la quale venivano intonati inni o canti di natura liturgico propiziatoria. Ciò che sappiamo del Mithraismo ci viene dalle numerose iscrizioni o epigrafi, ritrovate un po' in tutta Europa e, so­ prattutto, nell'area del Mediterraneo, dai resti dei numerosi mithrei tuttora esistenti, dai reperti archeologici, dalle pitture parietali e dalle figure scolpite.

1 Per un'analisi più dettagliata dei gradi iniziatici, si veda PR6NAY (von), op. cit., pag. 69 e sgg. .l Cfr. ARcELLA, Stefano: Il Mithraismo romano fra tradizione e innovazione spi­ rituale. Un ponte fra oriente ed occidente, pag. 48 e sgg., in Atti del Convegno di Studi di S. Maria Capua Vetere (29 maggio 20 1 0) . 50. Si veda anche, dello stesso Autore: l misteri del Sole, Controcorrente ed. , Napoli (2002) .

45

Linterno di un Mithreo

La letteratura mithraica è inesistente, ad eccezione degli ex voto o delle iscrizioni funerarie. Troppo poco per dedurre. Tracce di riferimento si trovano in numerosi scrittori greci e latini, che, peraltro, parlano in modo sommario di cose larga­ mente note ai loro contemporanei. La letteratura cristiana dei primi secoli, invece, è un po' più esaustiva, ma con una forte vis polemica, data la competizione esistente fra i due culti e, quindi, non fornisce elementi conoscitivi probanti. Tutto ciò che conosciamo sui riti d'iniziazione e della loro simbologia si riferisce essenzialmente all'ultima fase dell'evo­ luzione del culto mithraico nell'area dell'Impero romano. Certamente vi fu un nucleo centrale liturgico, che veniva dall'Oriente, cui si aggiunsero, probabilmente, elementi ritua­ li locali, al punto da trasformare questo culto in modo più rispondente alla tradizione e alla mentalità romane. Si discute, in proposito, tra gli studiosi, su due ipotesi di­ verse. La prima, secondo la quale il complesso della liturgia mithraica sarebbe stato concezione di una o più persone, parti­ colarmente erudite in materia di culto (forse sacerdoti mithrai­ ci), che avrebbero trasferito il corpus delle norme e dei concetti mithraici nel mondo romano, salvo successivi aggiustamenti. La seconda, invece, più largamente seguita, tenderebbe a con­ siderare il fenomeno dell'espansione mediterranea del culto 46

come un fenomeno spontaneo, derivante dai mercanti, dai pi­ rati, dai soldati e dagli schiavi che, provenendo dall'Oriente, attraccavano sulle coste romane, diffondendo le loro credenze. Qualunque ne sia stata l'origine, comunque, il Mithraismo conobbe un'espansione notevole, al punto da diventare reli­ gione di Stato, cambiando financo il nome in Sol Invictus.

Bassorilievo raffigurante il Sol lnvictus

Come si è già detto, i membri di un mithreo erano divisi in sette categorie, corrispondenti ai gradi del percorso iniziati­ co, assimilati a una simbologia di tipo astrale planetario (della quale molto ci sfugge} . La simbologia di questi gradi iniziatici sembra relativamen­ te certa, ma il suo significato resta molto oscuro. Poiché molti simboli diversi sono presenti per lo stesso grado, è praticamen­ te impossibile stabilire le connessioni tra loro. Ad esempio, quali rapporti potevano esserci fra l'usignolo, il delfino e il treppiede, nel grado del Persiano, oppure, in quello dell'He­ liodromo, fra il gallo, la palma e la torcia? Probabilmente questa simbologia sovrabbondante è deriva­ ta dal passaggio del Mithraismo in diverse regioni, assorbendo e stratificando su di un nucleo originario indo-iranico consue­ tudini o tradizioni religiose locali. Ma è solo una supposizione. 47

Non sappiamo, tra l'altro, in che cosa consistessero le pro­ ve, forse di valore o di tenacia, che dovevano affrontare i ne­ ofiti per passare da un grado a un altro, né quanto durasse il percorso iniziatico. A un'analisi più approfondita sembrerebbe che si dovesse seguire un vero e proprio percorso spirituale, volto a trasfor­ mare l'interessato in un autentico seguace di Mithra. Un probabile interrogativo riguarda il processo d'iniziazio­ ne in se stesso e, cioè, se comportasse il raggiungimento di quello stato di estasi\ tra l'altro frequente nella celebrazione dei misteri religiosi, che per molte tradizioni filosofiche e re­ ligiose indica lo stato di comunione o identificazione con il divino raggiunto dall'individuo. Come frutto di esperienza mistica, l'estasi rappresenta, in­ fatti, la tappa culminante di un processo che conduce a Dio attraverso il progressivo abbandono di ogni esperienza sensi­ bile e intellettuale. Almeno apparentemente, tutti i membri superavano la prova fino al quarto grado (i primi quattro gradi, forse, sim­ boleggiavano il progresso spirituale) , ma solo pochi raggiun­ gevano i gradi più elevati. Per alcuni studiosi, probabilmente, a questi gradi superiori erano connesse funzioni specifiche, forse di tipo amministrati­ vo, nella gestione del mithreo. 4 Dal greco ékstasis (uscire fuori di sé) . Nella teologia cristiana patristica e scola­ stica l'estasi è considerata ora come la forma più alta di contemplazione (Bernardo di Clairvaux, Ugo e Riccardo di San Vittore), ora come la condizione escatologica di deificazione cui tende l'intero creato, considerato neoplatonicamente nel suo processo di ritorno verso la quiete divina (Scoto Eriugena). La preparazione all'estasi da parte del singolo presuppone un rigoroso esercizio di purificazione morale; in alcuni autori è presente la convinzione che essa sia raggiungi­ bUe attraverso una congiunzione intima con il principio divino che abita nell'anima umana (la scintilla animae di Johannes Eckhart); in altri si insiste sulla gratuità della visione estatica, e si sottolinea U suo carattere di dono eccezionale da parte di Dio (Agostino, Conftssiones, IX). Nella filosofia contemporanea U termine è usato da M. Heidegger per indicare le tre dimensioni del tempo (Essere e tempo, par. 65), in quan­ to la temporalità è l'essere «fuori di sé>• (proiettato verso U mondo presente, o verso U passato e U futuro) dell'«esserci», cioè dell'uomo. Cfr.: CENTINI, op. cit.

48

3.3.2. Il corvo (corax, l'uccello nero)

È noto che, nella tradizione parsi, i cadaveri erano esposti sulle torri funerarie (le torri del silenzio) perché fossero divorati dai corvi. Il corvo, simbolo della morte, si ritrova anche su alcune carte dei tarocchi. Nell'iconografia cristiana rappresentava, spesso, il catecu­ meno o la sua anima; in quella ellenistica, invece, era uno dei simboli della morte'. È, dunque, un simbolo presago di fine, la dissoluzione dell'essere esistente in attesa della catarsi, quello che per gli alchimisti era l'opera al nero, il buio della mente che perde la conoscenza del mondo e di se stesso, scoprendo la propria cecità interiore. Segnando l'avvio del percorso dell'iniziazione, rappresentava la morte dell'uomo comune, per poter rinascere come adepto del culto, aprendosi a una nuova vita interiore. Il Corvo era associato al pianeta Mercurio, simboleggiato dal caduceo, e da un piccolo vaso rituale che, forse, rappresen­ tava il vaso delle acque lustrali nelle quali doveva purificarsi l'adepto per essere introdotto, morendo e rinascendo a nuova vita, nel sacro cosmo dell'iniziazione. Questo primo grado iniziatico simboleggiava, dunque, la morte del neofita. Gli veniva assegnata una preghiera (un mantra) da ripetere, secondo l'uso zoroastriano (il suono, le vibrazioni della preghiera fanno piacere al Signore) . I suoi pec­ cati venivano lavati nell'acqua, con il battesimo. Il neofita si risvegliava, dunque, da un lungo sonno di molti anni per una nuova esperienza dell'essere. Apriva le porte dell'io per spo­ gliarsi ed entrare nudo nella luce. Il grado del Corvo, come s'è detto, era sotto la protezione di Mercurio. I simboli di questo grado erano il corvo, il cadu­ ceo, l'ariete, la tartaruga, la lira e il vaso6• ' Cfr. : AGNISOLA: La tauroctonia . . , cit., pag. 1 64 . 6 Questo simbolo è raffigurato nei mithrei d i S. Prisca a Roma e d i Dura­ Europa sull'Eufrate, in Siria, oltre che in molti altri siri. .

49

3.3.3. La crisalide (nymphus, kryphios o il nascosto) Questo secondo grado iniziatico era quello della nuova na­ scita, lo schiudersi dell'iniziato alla sua ricerca interiore dopo aver cancellato se stesso e il mondo esterno. Come le farfalle nascono dalle larve e volano via, così l'adepto non poteva vedere la luce della verità finché il velo della realtà non si fosse alzato. Il Nymphus era lo sposo mistico, tutelato dal pianeta Vene­ re e simboleggiato da un diadema; con questo, forse, si allude­ va alle simboliche nozze che l'iniziato doveva celebrare con sé stesso, riunendo in un'armonia di tipo androginico le opposte tensioni maschili e femminili del proprio essere. Promosso al culto, doveva restare casto per almeno la dura­ ta di questa fase. Era lo sposo (amante) di Mithra. Offriva alla statua del Dio una coppa di acqua: la coppa era il suo cuore e l'acqua il suo amore. Il grado della Crisalide era sotto la protezione di Venere (l'amore?) e i suoi simboli erano il serpente, il diadema e la lucerna7• 3.3.4. Il soldato (miles) Il Miles era il terzo grado iniziatico, che rappresentava la bat­ taglia, probabilmente tra il vecchio mondo e il nuovo che si schiudeva davanti al neofita. Questi cominciava la vera batta­ glia contro se stesso e le proprie pulsioni negative che gli veni­ vano dal suo passato, non totalmente rimosso. Doveva essere un vero soldato per combattere realmente contro il proprio nemico, forse superando prove iniziatiche di tipo guerresco, visto che gli emblemi ad esso associati erano l'elmo, la lancia e una specie di bisaccia (o otre) . Il simbolo della crisalide è presente sulla pietra tonda di Salona (Dalmazia) e sul rilievo di Eros e Psyche a Capua, oltre che in molti altri siri. c

so

Si trattava di un altro stadio preparatorio che gli iniziati oltrepassavano rapidamente, superando gli ostacoli interiori8• Simbolicamente, questa fase rappresentava la liberazione dell'adepto dalla materialità del mondo. Rimossa dalla testa la corona, la metteva sulla spalla, dicendo: Mithra è la mia sola corona. Ciò significava la rinuncia al proprio giudizio perché, a partire da questo grado iniziatico, egli doveva essere guidato solo da Mithra9• La fase del Miles era molto importante per­ ché consentiva la formazione di un'etica guerriera ed elitaria nella quale si ritrovavano gli adepti di Mithra. Il grado di Miles era sotto la protezione di Marte e i suoi simboli erano lo scorpione, il gambero, l'elmo, la lancia, il berretto frigio e la bisaccia 10• 3 . 3 . 5 . Il leone (leo) Il quarto grado iniziatico rappresentava simbolicamente il fuoco, personificato dal leone. Era il passaggio necessario per entrare nella porta dell'oltre, del non commensurabile. All'iniziato si doveva dischiudere una nuova visione del mondo, quella fenomenico, cui si poteva accedere solo con un atto di forza e di vigore interiore. Simboleggiava il risveglio dell'istinto e della consapevolezza. Ai Leoni non erano permesso di toccare l'acqua durante il " Terrulliano racconta che il candidato doveva combattere contro un uomo con la spada per conquistare la corona. Il neofìta doveva inginocchiarsi (sottomissione all'autorità religiosa), nudo (simbolo dell'abbandono della vecchia vita), bendato e con le mani legate. Offettagli una corona sulla punta di una lancia, una volta incoro­ nato, veniva tolta la benda e le corde andavano tagliate con un solo colpo di lancia.

" " . . . In occttsione dell'iniziazione all'interno di una grotta, che è davvero un ac­ campamento nelle tenebre, a questo (soldato di Mithra) si offre una corona, servendosi di una spada. Quindi, una volta che la corona gli è stata posta sul capo, lo si invita a levarsela dalla testa, respingendo/a con la mano e a farla scivolare, se del cttso, sulla spalla, a.fformando che la sua corona è Mithra: E subito lo si crede soldato di Mithra se getterà via la corona e dirà che essa è nel suo Dio. Da allora in poi non si incorona più; e questo è per lui un segno d'identificazione, cttso mai dovesse darprova difedeltà al suo giuramento di soldato " Cfr. : TERTULLIANO, La corona, 1 5, 3-4. 10 Il simbolo del Mi/es è presente sia nel mithreo delle sette pone di Ostia che . . .

sugli altari di Heddernheim oltre che in molti altri siti.

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rituale, ma si offriva loro il miele per lavarsi le mani e ungersi la lingua. I Leoni portavano il cibo per il pasto rituale prepa­ rato dai gradi inferiori. I loro impegni includevano il controllo del fuoco sacro sull'altare e il banchetto rituale, costituito da pane e vino, l'ultima cena di Mithra con i suoi compagni, prima della sua ascesa in cielo sul carro del Sole. Tra i vari simboli era poi il sistro, un oggetto rituale che fa pensare al culto romano della Magna Mater (Grande Madre) , per la quale il leone era animale sacro e la cui figura, forse, era legata alla protezione del mystes mithraico. Il grado del Leone era astralmente sotto la protezione di Giove: i suoi simboli erano il cane, il cipresso, l'alloro, la fol­ gore, l'aquila e la vespa 1 1 • 3.3.6. Il Persiano (Perses) In realtà, i Persiani non furono il primo popolo che avesse adorato Mithra, ma così forse credevano i Persiani. Anche per l'immaginario collettivo romano, il culto veniva dalla Persia. È quindi probabile che questo grado sia stato introdotto nella tradizione religiosa romana, probabilmente non facendo rife­ rimento ai Persiani, loro nemico tradizionale, ma piuttosto, alla costellazione di Perseo 1 2• Questo grado era rappresentato da una spada ricurva (o da una falce) e dalle spighe di grano, ed era sotto la tutela della Luna, simbolo connesso alle vicende iniziatiche del my­ stes, sottoposto a un ciclico percorso di morte e di rinascita. La Luna rappresentava così la tappa obbligata del processo di rigenerazione spirituale dell'iniziato. 11

Un importante affresco per capire la rilevanza di questo grado è presente nel

mithreo di S. Prisca, a Roma.

u La costellazione di Perseo (Perseus) è una costellazione settentrionale, dal nome dell'eroe greco, figlio di Danae (la pioggia d'oro) e di Zeus, che avrebbe ucciso la Medusa. È una delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo, ed è anche una delle 88 costellazioni conosciute.

52

L'emblema di questa fase era anche un'arpa, usata da Perseo per decapitare la Gorgona, simbolizzando la distruzione degli aspetti deteriori della personalità dell'iniziando. Questi era purificato con il miele, perché sotto la protezio­ ne della luna. Il miele era associato alla purezza e alla fertilità della luna13• Simboleggiava il pastore con la torcia abbassata e la consapevolezza dell'inevitabile morte. Come si è detto, il grado di Perses era sotto la protezione della Luna: i suoi simboli erano l'arco, la faretra, il bastone, la falce di luna, la civetta, l'usignolo, gli archi, la brocca, il delfi­ no, il treppiede e la spiga 1 4• 3.3.7. Il messaggero solare (Heliodromos) Si trattava del sesto grado iniziatico, simboleggiato dalla frusta usata da Mithra nel condurre la quadriga del Sole (del quale era alleato e messaggero) , dalla corona raggiante e dalla fiacco­ la, emblema della miracolosa nascita del Dio. Il rappresentante dell'Heliodromos era il diadophorus Cau­ tes, che, sollevando la torcia, preannunciava il sorgere del Sole, la nascita della coscienza e il viaggio quotidiano del Dio attor­ no alla terra. Simboleggiava il pastore con la fiaccola in alto e la rinascita dell'essere nuovo, che ha visto in faccia la morte (dello spiri­ to?) e l'ha accettata senza timore. Nel grado di Heliodromos, l'iniziato imitava il sole al ban­ chetto rituale. Si sedeva accanto a Mithra (il padre) , vestito di rosso, il colore del sole, del fuoco e del sangue della vita. Mithra banchetta assieme a Helios con la carne del toro. Un leone beve il suo sangue, un serpente e uno scorpione si dissetano ai suoi genitali e dalla coda del toro spuntano spighe di grano u

Nell'antico Iran la luna era considerata la fonte del miele. Lespressione

luna di miele denotava, infatti, non il primo periodo nuziale, ma la continuazione dell'amore e della fertilità nella vita matrimoniale. 11 Il grado del Persiano è ben rappresentato nel rilievo di Dieburg, s!Ùla faccia posteriore.

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Questo grado era, ovviamente, sotto la protezione di Sole. I suoi simboli erano i sette raggi del sole (la corona raggiata, un simbolo, poi, adottato dai cristiani per indicare la divinità) , la torcia, la sferza, la spiga, il globo, il gallo, la lucertola, il coc­ codrillo e la palma 1 ' . 3 . 3 . 8 . I l Padre (il Pater) Questo era il settimo e il più elevato grado iniziatico, sotto la protezione di Saturno, e rappresentava la mitica età dell'oro, la luce del paradiso personificato. Con un cappello rosso e i pantaloni rossi svasati, di tipo persiano, portando un bastone, simbolo del suo incarico, egli era il Maestro della congregazione, potendo insegnare agli altri il percorso spirituale da compiere per il semplice fatto d'averlo compiuto egli stesso Come s'è già detto, probabilmente si tratta di un'aggiunta romana all'originale rito mithraico. Alcuni Patres venivano an­ che chiamati Pater Patrum o Pater Patratus o Pater felicissimus. Alcune iscrizioni riportano anche il termine Pa.Pa., utilizzato molto prima dei Cristiani che lo adottarono solo parecchi se­ coli dopo per indicare il primato della Chiesa di Roma. Simboleggiato dal berretto frigio di Mithra, questo grado finale concludeva il percorso iniziatico, nel quale il mystes mi­ thraico si identificava e si trasfigurava nell'immagine del Dio, assimilandosi nelle sue funzioni di demiurgo e di traslatore di anime (psicopompo); attributi simboleggiati anche dalla bacchet­ ta magica (rabdos) e dall'associazione con il pianeta Saturno. La funzione del Pater era molto importante, come maestro di vita e come guida spirituale. I..: autorità del rango, il merito della santità e della natura, come scriveva Cornelio Agrippa a suo tempo, sono gli elementi costitutivi della figura del sa­ piente. La segretezza della verità e dei processi che consentono 11 Anche questo grado è rappresentato nel rilievo di Dieburg, sempre sulla faccia posteriore.

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di raggiungerla era saldamente connessa alla distinzione fra uomini "divini" e comuni mortali. Il grado di Pater era sotto la protezione di Saturno, il Dio della mitica età dell'oro 16• Nondimeno, la tolleranza mithraica permetteva che il Pater fosse anche cultore o, addirittura, sa­ cerdote di altri culti. In nuce, questo principio sincretico tendeva a valorizzare l'importanza della divinità, indipendentemente dalla diversità del nome o del rito. Ma, forse, questo è un principio troppo moderno per essere stato all'epoca pienamente avvertito.

3.4. I MITHREI I misteri mithraici venivano officiati in luoghi consacrati al culto, i mithrei. Si tratta di piccole cripte, talvolta anche grot­ te, spesso attigue alle catacombe cristiane, denominate antrum, spelaeum o spelunca. Tutti i mithrei sono orientati da Oriente a Occidente. La struttura era, all'incirca, la stessa: una forma allungata, chiusa in fondo a uno dei lati brevi da un'abside con l'altare; sui lati lunghi si trovano, invece, delle panche in pietra per i partecipanti al rito, un portico (porticus), una sala (pronaos), una sacrestia (apparatorium) e l'ambiente per il culto vero e proprio (crypta). Questa struttura architettonica, poi, era abbellita dalla vol­ ta del soffitto dipinta in blu e punteggiata di stelle, mentre l'arco sovrastante e l'abside (istoriato con rilievi raffiguranti Mithra nell'atto di sacrificare il toro) riportavano dipinti i se­ gni dello Zodiaco. Tale simbolismo cosmico-astrale era completato dalle raf­ figurazioni del Sole e della Luna e da una sorgente d'acqua, situata nell'antro. Lo spelaeum mithraico rappresentava simbo'" Nel mithreo di S. Prisca il Pater è seduto sul trono e gli iniziati gli sfilano innanzi.

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licamente il cosmo, immagine del mondo nel quale si mani­ festava il Dio, portando la luce della conoscenza e della vita. Non c'erano finestre, ad eccezione di una serie di cappelle, con piccole aperture nel soffitto, per far entrare la luce di alcune stelle in particolari periodi dell'anno. Ma non per questo si deve pensare che fossero luoghi oscuri. Anzi, il contrasto dell'ombra con i raggi di luce che battevano sul soffitto colorato, sugli arre­ di e sulle persone, doveva evocare dei giochi di luci e sensazioni cromatiche adeguati al tipo di cerimonia che si celebrava. Nel mithreo un fuoco sacro ardeva in modo perenne 1 7 e vi si bruciava ritualmente incenso. Tre volte al giorno i fedeli dovevano pregare il sole volgendosi verso il suo percorso, a est, sud, ovest, secondo l'ora della preghiera 1 H .

I.:interno di un Mithreo

In ogni mithreo romano il posto d'onore era dedicato alla rap­ presentazione di Mithra nell'atto di sgozzare il toro sacro. Il Dio 17 Se ne può arguire una sorta di culto del fuoco sacro, comune a molti popoli indoeuropei, dal culto indiano di Agni a quello analogo degli Iranici, dal culto ro­ mano di Vesta a quello greco di Hestia e che, in fondo, è sopravvissuto con il fuoco di Olimpia. Cosi: ARcELLA Stefano: I Misteri . . ci t., pag. 97. 1� I mithrei, dove si celebrava il culto di Mithra, possono dare un'idea di quanti potessero essere i seguaci del Dio. Solo nella porzione di scavi relativi a Ostia an­ tica sono stati ritrovati 1 8 mithrei su 60 ettari. Ognuno di essi poteva ospitare dai venti ai trenta fedeli. Facendo una proporzione si può ipotizzare che nella zona del porto di Roma, su 50.000 abitanti, almeno 1 .200 fossero seguaci di Mithra. I mithrei a Roma, invece, sono stimati tra i mille e i duemila, per un totale di oltre cinquantamila fedeli. E altri mithrei sono stati trovati, praticamente, in ogni angolo dell'Impero. .

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è raffigurato come un giovane uomo, con un berretto frigio, una corta tunica che s'allarga sull'orlo, pantaloni e un mantello che gli sventola alle spalle. Il mantello, all'esterno, è rosso, all'interno è azzurro, costellato da stelle d'oro, dai pianeti o dallo wdiaco. Mithra afferra con forza il toro, portandogli la testa all'indietro mentre lo colpisce al collo con una piccola daga. Il volto di Mithra guarda altrove, con un'espressione di do­ lore, come se soffrisse del sacrificio che è costretto a compiere. Un serpente sembra bere dalla ferita del toro (rappresentata da gocce di sangue che stillano) ; uno scorpione, invece, cerca di morderne i testicoli. Due animali che, tra l'altro, danno nome alle costellazioni che si trovano sull'equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro. Nelle rappresentazioni di Mithra tauroctono, poi, general­ mente sono accanto alla divinità i due geni, Cautes e Cauto­ pates (i Diadophori), uno dei quali solleva una fiaccola mentre l'altro l'abbassa. Insieme a Mithra, che indossa il caratteristico berretto frigio, si possono trovare rappresentati esseri ed ele­ menti simbolici: la figura con la testa di leone raffigura il tem­ po, quella intera del leone simboleggia il fuoco. Poi ci sono la caldaia o l'anfora, l'acqua, il serpente e la terra.

3 . 5 . LA TAUROCTONIA C'è, poi, la questione del toro. Il rituale principale consisteva nel sacrificio di un toro, in commemorazione del gesto di Mithra tauroctono (che uccide il toro) 1 9• Nella concezione mithraica il toro era un animale sacro, dal cui sangue scaturivano la resurrezione e la vita e quelle piante officinali che erano così importanti per la medicina dell'epoca, compresa quella sciamanica.

'" Cfr. AGNISOLA: La tauroctonia

. . .

cit. pag. 81

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e

sgg.

Il sacrificio carattensuco del nuovo culto, assente in quell'indo-persiano, fu l'uccisione del toro, animale sacrifica­ le, ma anche il più importante per le mandrie e per gli alle­ vatori, il cui sacrificio rappresentava, effettivamente, un costo importante da offrire alla benevolenza del Dio. Secondo il mito tradizionale, Ahura Mazda aveva creato un toro selvaggio che Mithra doveva inseguire, domare e trascina­ re nella sua caverna. Tutto ciò simboleggiava la lotta dell'uo­ mo contro il male sulla terra. Nel mito, però, il toro fugge. Allora Ahura Mazda invia a Mithra un corvo con un messaggio con il quale gli ordina di trovarlo e di ucciderlo. Mithra a malincuore obbedisce, cerca e trova il toro, lo riporta nella caverna e lo uccide con un pu­ gnale o con una daga. Dal corpo del toro morente esce il sangue che darà la vita a tutte le piante officinali e a tutte le erbe che coprono la terra, dal suo midollo spinale germoglierà il mais, dal suo sangue origina la vite e si forma la Via Lattea, permettendo alle anime umane di nascere e di tornare in cielo dopo la morte. La coda del toro, una volta che fosse stato macellato, sim­ boleggiava covoni di grano, che sarebbero stati sparsi in tutto il mondo. Mithra, secondo il mito, cattura e uccide il toro primordiale (tauroctonia) e benedice con il sangue della vittima tutta l'uma­ nità. In tal modo diventa strumento e creatore della salvezza. Nella tradizione religiosa indo-iranica la pratica fondamen­ tale consisteva nel sacrificio20, dominato dall'idea che per pro­ piziarsi gli Dei occorresse rinunciare a se stessi o almeno, a una parte dei propri beni. Per una società pastorale il toro era un animale particolarmente importante per la sua forza e per la sua capacità di riproduzione. Era un simbolo di vita. Deciderlo significava rinunciare a qualcosa di prezioso da offrire agli Dei. La teologia dell'epoca, frammista ad aspetti filosofici, ri2°

Cfr. VARENNE:

op. cit. , pag. 1 7 .

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vestì di particolari minuziosi il sacrificio che, comunque, si riassumeva nel fuoco, uno dei tanti simboli del sole, in segno, al tempo stesso, di annullamento (distruzione) e di purezza. Il latte offerto era versato sul fuoco, la carne degli animali, cotta, in parte era consumata dai fedeli e in parte bruciata, regola seguita dai seguaci di Mithra.

Gilgamesh rappresentato in un bassorilievo

Il fuoco veicola, secondo un'espressione vedica, la preghie­ ra dell'uomo ed è un mezzo per arrivare agli Dei. Lo stesso Zarathustra, nella sua riforma tendenzialmente monoteistica, aveva fatto del fuoco l'elemento centrale del suo culto. L uccisione sacrificale del toro ricorda, sotto molti aspetti, la saga di Gilgamesh, cara ai Mesopotamici. Anche qui il sangue del toro stimolava il ritorno della vegetazione e del frumento, con particolare riferimento alle piante officinali, tradizionali strumenti della medicina del tempo2 1 • Come si vedrà più oltre, il significato reale di questa simbo­ logia iniziatica, che si desume dai resti dei mithrei, è prevalen­ temente ricostruito a posteriori, ma resta tuttora incerto. Questo sacrificio rituale ha dato luogo, infatti, anche a una diversa interpretazione cosmogonica della tauroctonia, colle!I

Cfr. PR6NAY (voN),

op. cir., pag. 45.

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gando il fenomeno della precessione degli astri all'età del Toro e, quindi, al passaggio delle stagioni sulla terra.

Il Dio Mithra

Molto probabilmente, la scena di Mithra che uccide un toro rappresentava proprio quell'inspiegabile precessione degli equi­ nozi che fu notata da Ipparco di Nicea. Non a caso il festeggia­ mento per il mutamento delle stagioni sembra che avvenisse tra i fedeli di Mithra tanto in Occidente quanto in Oriente. Se la precessione degli equinozi oggi è un fenomeno astrono­ mico ben spiegato, 2000 anni fa per comprenderlo era possibile solo immaginare l'intervento di un Dio, e questo Dio poteva essere solo Mithra, l'unica divinità celeste in grado di spostare l'Universo, facendo ruotare l'intera volta celeste. Per questo pre­ siedeva ai cambiamenti delle stagioni e ai movimenti del cielo22• L'uccisione del toro rappresentava simbolicamente lo spo­ stamento dell'equinozio di primavera dalla costellazione del Toro a quella dell'Ariete. Mithra appartiene, dunque, a un pa­ radiso fuori dall'universo e spiega ai suoi fedeli cosa c'è oltre le stelle, oltre la volta celeste. 11

Di particolare importanza per i seguaci di Mithra sarebbe stato anche il fatto che il suo nome derivasse, per alcuni, da meitras, che nella numerologia greca si riferiva al numero 365, l'ultimo giorno dell'anno solare nel solstizio d'inverno.

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CAPITOLO IV Gu ATTRIBUTI DEL Dio

4 . l . IL Dm CELESTE Figlio delle stelle, Mithra è, per eccellenza, un Dio celeste, come molte altre figure mitologiche, legato ai fenomeni natu­ rali, al passaggio delle stagioni, ma, soprattutto, al movimento astrale e al fluire della luce del sole e del riverbero lunare. Nel mondo mithraico romano la connessione con la volta celeste, sempre presente nei mithrei, è talmente evidente che non si può prescindere da questo fortissimo collegamento sto­ rico e mitologico.

L"interno di un Mithreo

I mithrei hanno tutti una copertura del soffitto, quasi sem­ pre a volta, intonacata d'azzurro dove sono disegnate le stel­ le, a imitazione della volta celeste. L'azzurro-blu del dipinto è 61

spesso molto rovinato, ma pressoché comune a tutti i ritro­ vamenti. In un certo senso, è il colore attribuibile a Mithra1 • Il cielo è, dunque, non solo una costante occasione pit­ torica, ma un preciso riferimento fisico e trascendentale allo stesso tempo. È il cielo da cui proviene e dove annualmente ritorna il Dio, sul carro fiammeggiante del Sole, ma è anche il riferimento metafisico del credente che aspira al cielo e alla corte dei buoni attorno a Mithra. Questa dimensione celeste si gioca, infatti, su due piani diversi: la sede reale del Dio e il punto d'arrivo del credo mithraico, con la salvazione. Cosa fosse la salvazione non è dato di sapere. Limmorta­ lità, forse, oppure il passaggio a una nuova vita, nella resurre­ zione dalla morte? Qui le interpretazioni possono essere tutte legittime quanto arbitrarie. La resurrezione dei corpi era mol­ to più familiare all'epoca che quella delle anime, propugnata dal Cristianesimo che, peraltro, parla anche della resurrezione dei corpi, in modi e forme e tempi quanto mai indecifrabili. Dalle iscrizioni funerarie mithraiche si evince un rapporto di affidamento al Dio, in attesa della realizzazione di una pro­ messa fatta al credente. Oltre è difficile andare. Lessenza celeste del Dio è costante. Non si mescola con le vicende umane, non è un Giove o una Venere, è un Dio "men­ tale", astratto, la cui origine sconfina nel mito, ma la cui esi­ stenza è nel cuore degli uomini, non nelle loro vicende umane, se non come un Dio di giustizia. Creatura del cielo, trascende e ispira. Non combatte, non ama, non soffre, è asessuato. È al di fuori e al di sopra. È il Signore celeste di tutta l'umanità. Questa posizione, nel pantheon pagano, è piuttosto singo­ lare, perché gli Dei sono stati sempre considerati, in genere, come figure soprannaturali quanto ai loro poteri, ma sempre 1 Viene quasi fatto di pensare, anche se si tratta di un'associazione mentale del tutto gratuita, al Pelle Blu, come è chiamato Krishna, l'infinitamente affascinante. Il culto di Krishna prese forma in India, nel Distretto di Nadia, nel Bengala occiden­ tale, attorno al XV-XVI secolo d.C., con il Movimento per la coscienza di Krishna. In esso è possibile trovare un collegamento con l'antico culto di Mithra.

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strettamente connesse all'esperienza umana. Mithra, invece, realizza un concetto astratto della divinità e, come tale, è più difficile da capire, ma anche il più "divino" da seguire. Non sappiamo se siano mai esistiti dei testi su quella che, oggi, potremmo definire una teologia mithraica, con il tenta­ tivo di rispondere ai possibili, numerosi interrogativi posti da questa figura. Probabilmente, l'abitudine alle religioni miste­ riche impediva la ricerca di una possibile razionalizzazione del mito di Mithra. Ma, certamente, questa essenza astratta della figura del Dio aveva una forza d'attrazione ben più importante di quella relativa agli Dei venerati da altri culti. Lo stesso mito originario della nascita favorisce questa in­ terpretazione trascendente. Un raggio di sole che all'alba col­ pisce una roccia da cui scaturisce il Dio fanciullo, figlio del sole e della terra, espressione divina della natura e del cosmo. La raffigurazione della morte e della rinascita delle stagioni, connessa alla vicenda terrena del Dio, ricordano, sotto cer­ ti aspetti, anche la morte e la resurrezione di Attis nel mito, appunto, di Cibele. Ma Mithra è un Dio asessuato cui non si possono attribuire avventure terrene o debolezze fisiche o sentimentali nei confronti del genere umano.

Bassorilievo di Mithra affi ancato dai Tedofori

Più tardi, in una versione successiva, il Sole sarà suo padre o, in un'interpretazione coerente con la simbologia religiosa 63

del tempo, sarà figlio di una vergine, regina delle acque, le quali sono, di per se stesse, in un mondo di pastori, di deserti e di montagne rocciose, l'origine della vita. In senso traslato, dunque, Mithra sarà il portatore della vita, come espressione del sole e della luce benefica che irradia sul mondo.

4.2. IL DIO DELLA GIUSTIZIA Garante dell'osservanza dei patti, Mithra viene invocato nella stesura di accordi "internazionali", ma non soltanto. Qui si esplica una funzione importante, che si riflette non solo nei rapporti, per così dire, pubblici, ma altresì in quelli privati. In secoli di ferro, come quelli che attraversava il cul­ to mithraico, l'esigenza di un nume tutelare che assicurasse la protezione divina all'osservanza dei patti, rappresenta un fenomeno relativamente nuovo, anche perché, connessa alla giustizia, è la percezione di ciò che è giusto o ingiusto, classi­ ficando i buoni, osservatori dei patti, e i cattivi, violatori degli stessi, con conseguenze specifiche in materia di salvazione. Ma ancora più importante è che l'uomo dell'epoca avver­ tisse il bisogno di una protezione celeste, punto di riferimento di una valutazione e di un giudizio superiore, non più sempli­ cemente umano. Ciò significa che la giustizia fra gli uomini era considerata possibile, ma assolutamente incerta, al pun­ to da dover essere riferita a un'entità superiore, riconosciuta come tale dalle parti. La nozione di giustizia è sempre stata molto soggettiva. L'incontro della volontà delle parti, com'è noto, dipende dalla discrezionalità del loro giudizio. In assenza di norme precise, soprattutto anticamente, mol­ to dipendeva da un rapporto sottostante di costrizione, ces­ sato il quale era possibile tornare sulle proprie decisioni. Solo molto più tardi, nel diritto romano, fu sancito il principio che pacta sunt servanda, ma non certo ai tempi dell'originario culto di Mithra. 64

La trasposizione di un principio astratto di giustizia, co­ dificato da un patto, rappresenta una forma insolita di tra­ scendenza del diritto che ha fatto di Mithra il Dio che tutela l'osservanza dei patti e, quindi, il Dio della giustizia. Si può di­ scutere se si tratti di trascendenza, nel senso tecnico del termi­ ne, e, se di trascendenza del diritto o del principio di giustizia codificato o previsto dal diritto. La soluzione più ragionevole è quella di pensare alla trascendenza della giustizia, fors'anche intesa in dissociazione dall'allora diritto positivo. Basterà ricordare, a questo proposito, quanto in epoca mol­ to più tarda sosteneva Cicerone: summus ius summa iniuria, il che stava a significare come la pura e semplice osservanza delle regole potesse tradire il significato etico della giustizia e portare a risultati perfettamente legali, ma sommamente iniqui. Questa funzione del Dio è particolarmente singolare e, per quel che se ne sa, piuttosto unica, data la forza dell'astrazione intellettuale o spirituale che era alla base delle motivazioni dei fedeli di Mithra. Dal senso della giustizia scaturiva inoltre il giudizio sui buoni e sugli empi, con la punizione finale di questi ultimi, che non sarebbero stati salvati e non avrebbero avuto accesso né alla resurrezione né al paradiso.

4.3. IL DIO DELLA NATURA Molto più concretamente, la funzione di Mithra si esplica come Dio preposto alla vegetazione, all'agricoltura e alla pastorizia. Il mito mithraico della morte di Mithra trova il suo culmi­ ne nel solstizio d'inverno, quando bisognava liberare la luce dalle tenebre che tendevano a sopraffarla e quando la natura reagisce negativamente alle poche ore disponibili di luce e di calore. La resurrezione del Dio, all'approssimarsi della prima­ vera, faceva sì che la sua funzione, facilmente intelligibile, fos­ se direttamente legata al ciclo vegetativo, così fondamentale 65

per l'agricoltore e per il pastore, i protagonisti delle attività economiche assolutamente prioritarie dell'epoca. Nel mito originario Mithra ha un'origine pastorale. Al suo emergere dalla roccia, colpita dal sole, sono presenti alcuni pastori che gli offrono frutti, è assistito da due personaggi mi­ nori, vestiti anch'essi da pastori, i Tedofori (Cautes e Cautopa­ tes) , e il suo animale sacrificale è il toro, un animale da sempre considerato essenziale per le mandrie e gli allevatori. Ma il toro è anche simbolo di fertilità e simboleggia la pri­ mavera. Il Dio presiedeva, dunque, ai fenomeni stagionali del­ la natura, in una religione di natura cosmica. Il sacrificio di un animale così importante era considerato il modo migliore con il quale propiziarsi il Dio, privandosi della cosa per loro più preziosa. Le carni, arrostite dal fuoco, in parte erano date in pasto ai fedeli e in parte bruciate sul fuoco sacro, in offerta, come pasto simbolico, al Dio stesso; il fuoco, come veicolo di preghiera e di contatto con la divinità, come sostenuto da Zarathustra2• Con il sangue del toro, considerato fonte di vita, venivano aspersi i fedeli e i novizi; dal sangue versato nascevano non solo le piante officinali, così preziose per la farmacopea scia­ manica e magica di allora, ma anche tutte le altre erbe, la vite e la Via Lattea. Ma dall'insieme del corpo del toro sacrificato discenderanno altre piante: il mais, dal suo midollo spinale e, dalla coda, una volta macellato, covoni di grano.

4.4. I L DIO DELLA SPERANZA Mithra prometteva la resurrezione dopo la morte, un'altra vita e un paradiso per i giusti, mentre condannava senza speranza gli iniqui e gli empi. Questa era la grande certezza per i suoi 2 Ma, come s'è già detto, un conto è il simbolismo dell'uccisione del toro e un altro è il sacrificio incruento che era celebrato nei mithrei, probabilmente limitato all'uso del pane, dell'acqua e del vino.

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fedeli, contrapposta all'incerto destino previsto, dopo la mor­ te, dagli altri culti pagani. Non conosciamo nessuna elaborazione teorica di questa certezza e di questa speranza, ma la quantità delle iscrizioni funerarie che invocano Mithra dà la misura di quanto forte e convinta fosse la convinzione dei suoi seguaci sulla loro sal­ vezza eterna. Certo, era resurrezione o reincarnazione? E in che specie di paradiso? Che tipo di vita veniva preconizzato al di là della morte? Tutti questi interrogativi, probabilmente, resteranno sem­ pre senza una risposta adeguata. Ma quel che interessa, a distanza di millenni, è che su questa speranza di salvazione, ricalcata sull'esempio della resurrezione del ciclo vegetativo, come una forma di ciclo e riciclo della vita umana, doveva ave­ re una forte presa nelle coscienze degli uomini legati al culto del Dio. Era la risposta, allo stesso tempo probabile e incerta, ai loro dubbi e al loro timore che tutto finisse dopo la morte. Mithra insegna che ciò che accade nella natura può accadere anche nella vita umana, che della natura fa parte. Nella concezione mithraica, a ogni nascita c'è la discesa sulla terra di un'anima immortale. La vita terrena la può con­ taminare, ma l'anima potrà purificarsi. Se . ciò non accadrà, probabilmente si perderà. La purificazione è data dal progre­ dire della conoscenza e da un retto comportamento morale, conforme ai principi del diritto naturale. Tutto ciò dipenderà dalla libera volontà dell'uomo. Con parecchi secoli d'anticipo, questa concezione richiama alla mente la teoria della predestinazione in conflitto con quella del libero arbitrio, di cristiana memoria. La salvazione è, dunque, l'obiettivo finale del culto, per le piante, che rifioriranno, per gli animali, che si riprodurranno e infine, per gli uomini, che troveranno un'altra vita dopo la morte.

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4.5. IL DIO DELL'AMICIZIA Un altro elemento caratteristico del culto mithraico è espresso dal legame che la fede veniva a creare tra i diversi seguaci. Esaltando i valori della virtù, dell'ubbidienza e della fedeltà, si palesava come un culto severamente morale, capace di eser­ citare una grande forza di attrazione soprattutto sugli uomini legati da un giuramento di fedeltà all'Imperatore e uniti, in battaglia, da un comune destino di vittoria o di morte. Ciò spiega l'enorme influenza che il Mithraismo esercitò sul mon­ do militare romano In genere, la maggior parte dei culti pre-cristiani sviluppa­ va forme associative limitate fra i ministri del culto stesso (la casta sacerdotale) , le vergini dedite al culto (tipo le Vestali) e i Collegia3, con funzioni diverse, tra le quali anche quelle religiose. Il culto di Mithra, rigorosamente limitato agli uomini, sviluppò forme associative importanti, creando legami sociali significativi tra gli adepti, specie nell'esercito romano, in cui divenne, rapidamente, il culto prevalente. Il fatto di appartenere alla stessa fede dava un senso di sicu­ rezza e permetteva legami di amicizia e di solidarietà tra perso­ ne diverse, provenienti dalle più disparate regioni dell'Impero. Il Mithraismo fu un collante molto forte soprattutto per quei credenti che erano costretti a spostarsi da una regione a un'al­ tra, dove potevano trovare persone che celebravano gli stessi riti e praticavano la medesima fede. Il fatto di essere seguace di Mithra implicava la possibilità di potersi fidare e di avere un punto di riferimento sicuro.

-' A Roma i Colkgia svolsero importanti funzioni soprattutto in materia di culto, oltre che di interpretazione del diritto. I principali Colkgia erano quello dei Pontifices, quello degli Augures, dei Duoviri sacris fociundis, dei Quindecemviri e quello degli Epulones. Due furono i Colkgia minori: quello dei Flamines e quello dei Fetiaks. Un altro Collegium, assai più antico, di composizione esclusivamente femminile, fu quello delle Vesta/es. 68

CAPITOLO v LEVOLUZIONE IMPERIALE

5 . 1 . LA COESISTENZA DI

CULTI DIVERSI

Rispetto alla plurimillenaria storia di Mithra, che ha avuto molteplici evoluzioni, il culto romano è quello relativamente più noto, anche se il più tardivo. La varietà dei culti praticati nell'Impero denota sia una par­ ticolare tolleranza in materia religiosa sia

un

diffuso cosmopo­

litismo intellettuale che portava a una forma di sincretismo cultuale. I Romani furono, con ogni probabilità, sostanzial­ mente indifferenti ai molteplici culti pagani che provenivano sia dalle loro antiche tradizioni sia da quelle dei popoli assog­

gettati nelle altre province dell'Impero.

Busto di Demetra

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Il rapporto con la divinità si ricollegava a quella pietas che era il segno caratteristico della personalità del civis romanus, motivo per il quale poteva, al tempo stesso, senza problemi di "concorrenzà', venerare divinità diverse, dai Lari e dai Penati domestici a Giove o Demetra o Iside, fino lo stesso Mithra. L uno non escludeva l'altro e, forse, questa molteplicità di cul­ ti nella stessa persona del credente ne accresceva la pietas e la considerazione da parte degli altri. La coesistenza di questi culti permise altresì la loro soprav­ vivenza nel tempo, anche se essi non ebbero né la fortuna né la forza di compararsi con il culto di Mithra, in netta espansione nell'Impero. Non fu per caso, infatti, che questo diventasse prevalente, come culto del Dio Sole, nel quale venne a iden­ tificarsi il relativamente nuovo culto dell'Imperatore (il Dio vivente) , traslato anche dalla religiosità egizia. La crescente influenza del culto del Sol Invictus portò, di fatto, a una concezione predominante di tale culto, perché pubblico, considerando tutti gli altri, nel solco della tradizio­ ne di tolleranza religiosa romana, alla stregua di culti privati. Ciò che era davvero importante era sacrificare all'Imperatore, simbolo dell'Impero e della potenza di Roma. Quando il culto solare di Mithra si affiancò e si trasfuse, in un certo senso, con quello del Sol Invictus, divenne a sua volta un culto pubblico, predominante. Una sorta di monoteismo condiviso che metteva in secondo ordine tutti gli altri culti. Questo nascente monoteismo, non ancora ben definito, non poteva non scontrarsi con un nuovo e ben diverso concorrente quale il Cristianesimo. La sovrapposizione fra il culto del Sol Invictus e quello di Mithra, probabilmente, permise una reciproca influenza nella quale la liturgia mithraica, ben più antica e consolidata, ebbe certamente la meglio. Non conosciamo le reciproche ritualità, ma è certo che il Mithraismo conservò la propria, anche se, forse, arricchita da elementi più recenti, attinti all'esperienza plurireligiosa romana. 70

D'altro canto, non conosciamo la ritualità del Sol Invictus, ma solo il suo momento cruciale, quello del sacrificio all'Impe­ ratore. Troppo poco, ed è da dubitare che tutto il culto inizias­ se e finisse con questo solo atto sacrificale, spesso simbolico, come quello dell'uccisione del toro, senza un sistema liturgico che lo accompagnasse e una classe o una corte sacerdotale. L'adesione dei neofiti, caratterizzata anch'essa dal lavacro del sangue, invece, probabilmente fu ripresa da altri antichis­ simi riti, in uso anche a Roma, come quello connesso al culto di Cibele, la Grande Madre.

5 .2. L'ADATTAMENTO DEL MITHRAISMO Una questione fondamentale è perché questo antichissimo culto sia sopravvissuto per millenni e non sia, piuttosto, scomparso, come tanti altri. Se una prima risposta è possibile, è che questo culto aveva alcune valenze molto importanti e significative. Il Mithraismo si adattò nel tempo, modificandosi in parte, almeno sugli elementi mitici e rituali, ma non nella sostanza. La sua evoluzione, dal mondo indo-iranico alla rivoluzione zoroastriana, e da questa al mondo mesopotamico dei grandi astrologi e scienziati caldei, fino ad aggredire il pantheon gre­ co-romano, gli permise di attirare folle di credenti e di devoti, sino alle più alte dignità dell'Impero. Questa intelligente duttilità non fu tipica soltanto del Mithraismo, ma è quella che ha permesso a questo culto di sopravvivere per millenni rispetto ad altri culti, certamente meno duttili. La credenza nella salvazione esercitò una forza d'attrazione profonda rispetto alla caducità dell'uomo e alle asperità della vita. Il Mithraismo riuscì a costituire un sistema etico a sé stante, discutibile forse, con il metro dell'uomo di oggi, ma coeren­ te con l'obbiettivo della salvazione del giusto. In un mondo composto da grandi civilizzazioni, ma di ferro e di morte, la 71

dicotomia fra il bene e il male, antico presupposto dell'inse­ gnamento indiano e zoroastriano, fu resa in modo evidente dalla possibilità della salvazione dell'uomo giusto, in un para­ diso indefinito, con la punizione dell'empio. Elevare a tutela del diritto o di un trattato un Dio, signifi­ cò portare ordine e certezza, almeno morale e, soprattutto, la speranza. Per milioni di uomini si trattò di una fede convinta e ap­ passionata che dette luogo non solo a costruzioni e a opere d'arte ma che rispondeva ai bisogni delle loro anime. Il Dio della luce, identificatosi poi con il Dio della giustizia e con il Sol Invictus, il culto imperiale romano, accompagnava gli uomini nella vita terrena, dando loro la speranza di un al­ dilà che altri culti non potevano dare. Il Mithraismo, inoltre, nella misura del possibile, ha inter­ pretato i fenomeni zodiacali, dando al tessuto religioso una specificità scientifica e astronomica tale da soddisfare le esi­ genze speculative del tempo che rispondevano a esigenze pri­ marie di carattere intellettuale oltre che spirituale. Non a caso si parla di religione cosmogonica. Del pari, il Mithraismo ha probabilmente trasmutato un sa­ crificio barbarico in un sacrificio simbolico, in un'agape quasi mistica, che affratellava i propri seguaci facendoli sentire non figli, ma fratelli del Dio, partecipi della sua forza e della sua capacità di sceverare il bene dal male. I fedeli di Mithra credevano di vivere in beatitudine dopo la morte fino a quando il Dio non avesse aperto loro il paradi­ so e non fosse giunto sulla Terra a uccidere con il fuoco tutti i malvagi, i rifiutati e i non battezzati. La visione mithraica del mondo non era perfetta, ma sod­ disfaceva le esigenze spirituali dell'uomo comune, assicuran­ dogli quell'ordine, quella giustizia e quella pace che probabil­ mente auspicava sulla terra e che certamente avrebbe trovato nel paradiso.

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5.3. IL PASSAGGIO ALL'ISTITUZIONE La più gran parte dei legionari romani e dei loro generali pro­ fessava il Mithraismo. Molti degli Imperatori che salirono al comando dell'Impero venivano dall'esercito e dalla fede in Mithra e si elevarono a divinità essi stessi. A partire dal 270 d.C. il loro titolo divenne, ufficialmente, dominus et deus. Il Mithraismo diventò religione ufficiale dell'Impero du­ rante il regno di Aureliano (270-275 d.C. ) . Sia Commodo ( 1 80- 1 92), sia Diocleziano (284-305), ne sostennero la causa e quest'ultimo, in particolare, nel 307, cercò d'identificarlo con quello del Sol Invictus delle legioni imperiali, proclaman­ do Mithra protettore dell'Impero. Quando Diocleziano si proclamò figlio di Giove, divini­ tà planetaria protettrice di un grado d'iniziazione mithraico (quello del Leone) , ciò andava nel senso del Mithraismo impe­ rante, ma non certo del Cristianesimo rigidamente monoteista.

Busto di Commodo

Il culto cristiano subì per questo una persecuzione anco­ ra più feroce delle precedenti mentre quello di Mithra trovò l'apogeo nell'incontro tra gli Imperatori, Diocleziano e Massi73

miano, Licinio e Galerio, a Carnuntum, in Dalmazia, nel 307 d.C., quando, trovato l'accordo tetrarchico, restaurarono il lo­ cale tempio di Mithra, incidendo sulla pietra la loro dedizione al Dio foutor imperi sui4• Va detto che la spiritualità connessa al culto greco-romano di Mithra, almeno per quel che è dato di capire, non sembra che sin dall'inizio sia stata conflittuale con il Cristianesimo. Anzi, è da pensare che i due culti convivessero in modo neu­ tro, avendo molte affinità tra loro, dalla nascita alla morte, fino alla resurrezione del Dio. La stessa presunta nascita di Mithra dalla vergine Anahita ricorda in modo impressionante quella di Cristo, anche se è ben diverso il senso del sacrificio simbolico, là dove il Cristianesimo ricorda e celebra una morte vera, rispetto a quella del toro sacrificale. Solo quando il culto di Mithra diventò ufficiale e imperia­ le, sfumando in quello del Sol Invictus, si manifestò in modo evidente il contrasto con il Cristianesimo. Il Cristianesimo ebbe la sua prima, grande vittoria, con la presunta conversione dell'Imperatore Costantino, nel 3 1 0, se­ guita dal suo Editto di Milano del 3 1 3, che garantiva la libertà di culto per tutte le religioni, compreso il Cristianesimo.

Convito di Giuliano l'Apostata 1

Cfr. PRÒNAY (voN) ,

op. cir., pag. 1 5 1 .

74

D'altro canto, la pressione crescente delle conversioni al

Cristianesimo ne aveva sancito una legittimità di fatto. Se le persecuzioni rafforzarono il Cristianesimo e la fede in Cristo, probabilmente anche molti dei fedeli di Mithra furono attratti da questa nuova religione, che parlava tanto agli uomini quan­ to alle donne, ma soprattutto alla povera gente, e che aveva ritualità e principi molto similari. Nel 3 1 3 d.C. , l'Imperatore Costantino stabilì la data del 25 dicembre per festeggiare la nascita di Gesù 'i. Il giorno del sabato ebraico divenne la domenica, il giorno del Sole, un al­ tro elemento tratto dal culto di Mithra. La Chiesa cristiana abbandonò il sabato ebraico in favore del giorno mithraico del sole. D'altro canto, anche i Greci celebravano il compleanno di Apollo, il Dio-sole, al solstizio d'inverno.

Sant'Ambrogio converte Teodosio

L'imperatore Giuliano, l'Apostata per i Cristiani (33 1 -363) , cercò di riportare in vita il culto pagano, ma senza riuscire a far risorgere il Mithraismo come avrebbe voluto. Questo generoso s A suo tempo, l'Imperatore Aureliano aveva stabilito che il 25 dicembre fosse considerato il giorno della nascita di Mithra.

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tentativo di restaurare la gloria dell'Impero rimettendo in auge i culti pagani fu interpretato dagli apologeti cristiani come una manovra mortale contro il Cristianesimo piuttosto che contro la sua crescente arroganza. Anche il Mithraismo ne trasse dei benefici, ma durò troppo poco per assicurare una convivenza tra sistemi religiosi diversi, tanto più auspicabile in quanto operante in una società plura­ listica e plurietnica come quella imperiale. La fine avvenne quando l'Imperatore Teodosio (379-395) nel 380 condannò il Mithraismo assieme agli altri culti non cristiani e consolidò il dominio cristiano una volta per tutte. Una serie di quattordici Editti mise fuori legge tutte le creden­ ze pagane, ordinando la distruzione dei loro templF'. E Mithra non ebbe martiri per competere con quelli che morirono per Cristo. Con Teodosio e la soppressione di tutti i culti pagani, e non vi furono martiri pagani, il Cristianesimo aprì una pagina nuova nel mondo di allora, preparando il dominium Ecclesiae.

" Il più noto di questi provvedimenti ponò alla distruzione del famoso Tempio di Serapide ad Alessandria.

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CAPITOLO VI LA QUESTIONE CRISTIANA

6. 1 . LA POLEMICA

SUL

MITHRAISMO

La fama e il fascino del Mithraismo, quale forma finale e più raffinata del Paganesimo, furono argomenti di discussione da parte dello storico greco Erodoto, del biografo Plutarco, del filosofo neo platonico Porfirio, dell'eretico gnostico Origene e di S . Geremia Padre della chiesa. Molti storici moderni fanno riferimento al Mithraismo per le sue molteplici e sorprendenti affinità con il Cristianesimo. Ma del Mithraismo, in realtà, non sappiamo molto. Le fonti autentiche sono molto poche e scarsamente significative. Tut­ to, praticamente, è stato distrutto. Della plurimillenaria storia di questo culto, in fondo, co­ nosciamo relativamente bene, nel senso che ci è meno oscura, l'ultima evoluzione, quella registrata nella Roma imperiale, almeno in apparenza, in concorrenza con il Cristianesimo na­ scente. Ma, appunto perché misterica, questa religione ha dei connotati difficilmente interpretabili, con riferimenti simboli­ ci il cui significato può essere tanto antico da sfuggirei o tanto moderno (e, cioè, romano) da indurci in inganno. Inoltre, la contemporaneità fra questo culto venuto dall'Oriente e il nascente Cristianesimo tende a dare un senso di competizione o di primato all'una o all'altra religione. Ciò distoglie, spesso, l'attenzione dal significato profondo che il Mithraismo ha avuto nella storia dell'uomo e sul ruolo che ha esercitato. La competizione sui rituali o sulle date di nascita non serve né a spiegare la fortuna del Mithraismo né a garantire l'origina77

lità dell'uno o dell'altro culto. In realtà, si ha più la sensazione di una polemica sterile nella quale, quindici secoli dopo, si af­ frontano ancora questi temi con l'intento di dimostrare che il Cristianesimo ha copiato gli elementi caratteristici del Mithrai­ smo o, al contrario, che il Mithraismo ha cercato di adeguarsi alla spiritualità cristiana, uscendone però soccombente. Le persecuzioni imperiali non potevano certo fare del Cri­ stianesimo un modello per altri culti, anche perché il mondo cristiano, come quello mithraico, era un mondo sotterraneo per forza di cose, anche se per ragioni diverse. La conoscenza dei reciproci segreti doveva essere molto più difficile di quanto oggi comunemente si possa pensare. Si trattava di due spiritualità fondamentalmente diverse. Il Mithraismo era connesso a una tradizione antichissima ma compatibile, perché adattata con lungimiranza ai culti paga­ ni dominanti. Il Cristianesimo, invece, sia pur nel solco della grande tradizione ebraica, aveva in sé una forza esplosiva, per l'intensità e la novità del messaggio cristiano rivolto alle co­ scienze degli uomini e delle donne, auspicando proprio quella non discriminazione di genere sulla quale poggiava invece il

Mithraismo. Tendenzialmente monoteista il primo, specie con la sovrap­ posizione del culto primario del Sol Invictus, istituzionalmente monoteista il secondo, almeno nei primi secoli, confluivano ambedue nell'indifferenza crescente rispetto agli Dei pagani e nel bisogno montante di una spiritualità forte, fondata sulla speranza della salvezza. I tempi dell'Impero non erano certamente sereni e la ma­ estosa costruzione di Roma cominciava a scricchiolare in vari punti. Lincertezza del futuro, la percezione di un tramonto lontano, ma non tanto, induceva comunque alla ricerca d'una spiritualità collettiva.

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6.2. LA COMPETIZIONE

CRISTIANA

Rispetto al Cristianesimo, poi, è da supporre che il Mithraismo sia stato, forse, solo un suo precursore rituale. Le coincidenze che molti Autori si sono affrettati a notare non devono trarre in inganno. Oltre a Cristo e a Mithra, infatti, molti altri Dei (Osiri­ de, Tammuz, Adone, Balder, Attis e Dionisio) si credette che fossero morti e poi resuscitati, così come molte figure eroiche classiche (Ercole, Teseo, Perseo) si credeva che fossero nate da una vergine madre. Come accaduto per il culto di Mithra, che nel tempo assor­ bì credenze e ritualità di altre venerazioni, così, virtualmente, tutte le celebrazioni e festività pagane religiose che non si po­ tevano abolire furono gradualmente incorporate nei nuovi riti cristiani, a mano a mano che il Cristianesimo si diffondeva in Europa e nel mondo. Ad esempio, il Sacro Cuore di Gesù, oggetto di particolare culto cristiano, non è altro che la trasfigurazione di un culto antichissimo che risale al mito di Dionisio, figlio di Giove e Semele' . Anche la storia e il culto di Krishna hanno fortemente in­ fluenzato le religioni posteriori, compreso il Cristianesimo2• La

1 Nell'agguato tesogli dai Titani, dopo averlo fatto a pezzi con dei coltelli, i Ti­ tani fecero bollire il suo corpo e lo divorarono. Giove, furibondo per l'assassinio del figlio prediletto, condannò i Titani a una lunga agonia, prima di ucciderli, e fab­ bricò poi una statua in cui pose il cuore di Dioniso. E ciò divenne il simbolo della resurrezione, perché, non appena Giove l'ebbe terminata, il fanciullo rinacque. 2 Krishna nasce nel V secolo a.C. da una vergine; chi la feconda lo fa sotto forma di luce, è perseguitato da un tiranno che ordina l'uccisione di migliaia di bambini, é la seconda persona della trinità indiana, è denominato il Dio pastore, fa miracoli e ascende al cielo. . . . la volontà dei Devafo compiuta; tu concepisti nella "

purezza del cuore e dell'amore divino. Vn;gine e madre, salve! Nascerà da te un figlio e sarà il Salvatore del mondo. Ma foggi, poiché il re Kama ti cerca per forti morire col tenero frutto che rechi nel seno. I nostri fratelli ti guideranno dai pastori, che stanno alkfalde del monte Meru . . . ivi darai al mondo ilfiglio divino . . . " Cfr. ScHuRÉ, E: I grandi iniziati, Bari, 1 94 1 . 79

radice del suo nome è similare a quella di Cristo\ e la vita di Krishna è ricchissima di particolari che ritroviamo nei Vangeli.

Statua di Dionisio

Nato millenni prima del Cristianesimo, il Mithraismo, al momento della sua massima fortuna, nel periodo di Caracalla (2 1 0-2 1 7 d.C.), si scontrò con il nascente mondo cristiano che, in vari modi, mutuava alcuni dei suoi riti e dei suoi miste­ ri. Non c'è da scandalizzarsi per questo. Tutti i nuovi culti, per penetrare fra le masse, hanno cercato di non essere oppositori di tutto il precedente, ma di adattare alle loro regole consue­ tudini inveterate. Ancora oggi si discute se il Cristianesimo sia stato una co­ pia migliorata del Mithraismo e, addirittura, qualcuno parla di Mithra come sosia di Cristo. Una polemica del tutto inutile. Il Mithraismo è scomparso e il Cristianesimo è divenuta la reli­ gione dominante in Europa. Questi sono i fatti. Il successo della predicazione cristiana fu anche dovuto al fatto che la nuova religione, più che essere un'alternativa al paganesimo, si compenetrò progressivamente con esso, mu­ tuando e trasformando riti e credenze tradizionali, adattan1 Il nome completo di Gesù Cristo fu definito ufficialmente nel 325 d.C. al Concilio di Nicea.

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dosi a quanto già conosciuto. Il suo successo, oltre a questa sua duttilità, dipese, essenzialmente, dal fatto di parlare un linguaggio facilmente comprensibile agli schiavi, ai liberti, alla povera gente, al sotto mondo dell'Impero, predicando la pace, la tolleranza, la mansuetudine, in attesa del regno dei cieli, testimoniato dal sacrificio umano di Cristo.

Osiride (Libro dei morti)

Che poi il presepe in una grotta ricordi i mithrei, che la corona raggiata sul capo di Mithra sia divenuta l'aureola di Santi o Madonne o del Bambin Gesù, che attorno all'equi­ nozio d'inverno si fissi in modo arbitrario la nascita di Cristo, come lo fu per Mithra, e che, infine, taluni dei riti d'iniziazio­ ne cristiana fossero, probabilmente, ricalcati su alcuni aspetti di quelli mithraici, in fondo, non è poi così importante. Le festività pagane, in un modo o in un altro, e non solo a livello locale, sono diventate festività religiose cristiane. La gente era abituata a festeggiare queste giornate. Non avrebbe capito perché toglierle. Bastava ribattezzarle.

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Conversione di Paolo di Tarso (Caravaggio)

Il pragmatismo di Costantino, che si scontrò con Massen­ zio issando i simboli di Mithra e la croce, nella decisiva batta­ glia di Ponte Milvio\ fu praticato anche dal mondo cristiano, una volta che il Cristianesimo divenne la religione dominante. Il Cristianesimo alessandrino e di Paolo di Tarso doveva adattarsi alla mentalità e alla cultura greco-romana, se voleva essere una religione significativa per i Gentili. Sono noti gli scontri, anche fisici, che ebbero luogo fra la comunità ebraico­ cristiana di Gerusalemme, incentrata sull'insegnamento di Pietro, e quella, molto più cosmopolita di Alessandria, sensi­ bile al messaggio ecumenico di Paolo. Se fosse prevalsa la visione di Pietro, il Cristianesimo non avrebbe fatto molti passi in avanti, ma sarebbe rimasto una delle tante conventicole ebraiche che, a quel tempo, prolifera­ vano attorno al Tempio .

., Può essere interessante ricordare che l'esercito di Costantino era composto prevalentemente di pagani mentre quello di Massenzio aveva forti contingenti cri­ stiani che si sbandarono, quando videro la croce sugli stendardi di Costantino.

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6.3. LA ROTTURA DEGLI

EQUILIBRI POLITICI

Come si è più volte detto, nessun testo sacro mithraico, para­ gonabile al Vecchio o al Nuovo Testamento, è sopravvissuto al tempo e alle persecuzioni cristiane. La dottrina è interpretata, praticamente, solo dall'arte espressa dal Mithraismo. Ovviamente, nessuna comparazione "competitiva'' può es­ sere fatta. Non è possibile confrontare un culto, vecchio di 4000 anni di tradizioni liturgiche e sincretiche, con il Cristianesimo, che nasceva e si consolidava sotto le persecuzioni imperiali. Il Cristianesimo era troppo giovane e in sé, assolutamen­ te rivoluzionario rispetto ai tempi nei quali operava. Basterà pensare a tutta l'apologetica cristiana, al lavoro intenso e com­ plesso dei primi Concili, alla patristica nel suo insieme, per comprendere l'immenso lavoro intellettuale che ha comporta­ to la definizione di una teologia cristiana, con la sua diversità salvifica ed escatologica. La questione politica è sempre stata fondamentale per il Cristianesimo, fin dal principio. Il detto evangelico del dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, nella sua concisa chiarezza, in realtà, incontrò difficoltà estreme nella sua applicazione in un Impero, multinazionale, multi religio­ so, multilingue, che si apriva a tutti i culti purché, in cambio, si accettasse il culto dell'Imperatore, elevato al rango di Dio. Il che non era assolutamente possibile per un cristiano, anche a costo della vita. Il Cristianesimo non si presentava in linea di principio come sovvertitore dello Stato romano ma, nei fatti, si poneva come antagonista al sistema imperiale. Ciò poneva fuori legge il Cristianesimo primitivo, tollerato dapprima come una delle tante sette o conventicole di estra­ zione giudaica e, sostanzialmente, ristretto a quel mondo. Ma il Cristianesimo di Paolo era in funzione dei Gentili, non sol­ tanto degli Ebrei, come credevano o volevano Pietro e gli altri 83

discepoli. Lecumenismo paolino ruppe gli schemi della tol­ leranza romana perché andava a smuovere dei fattori cardini della struttura imperiale. Alcuni aspetti sono fondamentali: il Cristianesimo si rivol­ geva a tutti gli uomini e a tutte le donne, indipendentemente dalla loro condizione giuridica, economica o sociale, ricono­ scendo a ognuno di essi un'anima e un diritto alla salvazione, il che li rendeva tutti eguali davanti agli occhi di Dio. È facile comprendere come nel sistema imperiale, gesti­ to molto spesso da Imperatori legibus soluti, fondato su una sostanziale discriminazione fra uomini e donne, economica­ mente basato sulla schiavitù, applicata, molto probabilmente, sul piano concreto, nel modo peggiore, in un clima di guerra pressoché permanente non solo alle frontiere esterne, l'intro­ duzione dei princìpi cristiani rappresentasse un vulnus mor­ tale. Lunico collante del sistema era il culto dell'Imperatore. Linvolontaria minaccia del Cristianesimo era una minaccia fatale e ben lo comprese il potere romano, che scatenò a più riprese sanguinose persecuzioni per reprimerlo. La Chiesa nascente si rivolgeva ai poveri, che erano una moltitudine enorme, ai gladiatori, che vendevano la loro vita nelle arene, agli schiavi e ai prigionieri delle navi romane, ai forzati, ai condannati a morte, alle donne, dalle umili ancelle alle liberte e alle libere, oltre che agli uomini, fossero essi sol­ dati, senatori o mercanti. Un cocktail mortale. Tutti eguali, tutti liberi, tutti accomunati nella speranza della salvazione. Una catastrofe per un Impero così concepito. La questione politica, coma la vedeva il potere romano, era troppo importante per poter apprezzare o, almeno, per tol­ lerare quella religiosa. Ma il Cristianesimo, la sua questione religiosa non poteva fare a meno di trasformarla in politicas , 1 E questa sarà, nei tempi che seguirono, l a condanna e la fortuna della Chiesa. La condanna, perché là dove trovò un potere politico forte fu costretta a scontrarsi con esso e a subirne le persecuzioni, e la fortuna, perché le permise di colmare il vuoto dell'Occidente cristiano gallo-romanico quando Bisanzio non riuscl più a reggere il peso delle invasioni barbariche, creando i presupposti per il Sacro Roma-

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pur pagando un prezw sanguinoso per il trionfo della propria fede. Nulla di tutto questo per il Mithraismo, che s'inserì gra­ dualmente nella societas romana sino ai più alti livelli, trasfor­ mandosi fino a identificarsi con il culto del Sol Invictus che era, poi, il culto dell'Imperatore, collegandosi all'idea politica della Roma imperiale, mentre il Cristianesimo era subordinato a un ideale trascendente. Il Mithraismo non divenne religione di Stato, nel senso mo­ derno ed esclusivo del termine. Ma fu ammesso con gli altri culti permessi dall'Impero, acquistando facilmente uno spazio prevalente rispetto alle altre credenze religiose, data la sua ca­ pacità di penetrazione nell'esercito e tra i funzionari dell' am­ ministrazione imperiale. Il Mithraismo si rivolgeva solo agli uomini, non sollevava gli schiavi e non liberava le donne dalla loro condizione sociale sostanzialmente minoritaria, le quali, invece, molto probabil­ mente, erano legate ad altri culti, specie di Cibele o di lside. Come tutti gli altri culti pagani s'inserì nel variopinto panthe­ on greco-romano, manifestando una propria tolleranza che gli derivava da millenni di evoluzione tra i popoli più disparati.

Cristo alla guida del carro del dio-sole Helios/Sol Invictus no Impero, la lotta per le investiture, lo scisma d'Oriente e cosl via, sino ai tempi moderni.

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6.4. CoNCORDANZE E DISCORDANZE Tuttavia, molti sono gli elementi di somiglianza con il Cristia­ nesimo, forse anche troppi e, francamente, sconcertanti. La polemica, che fu feroce, se il Cristianesimo prese dal Mithraismo o viceversa, a distanza di millenni, è ormai priva di significato, anche se, a suo tempo, accese profondamente l'animo dei fedeli. Zoroastrismo e Mithraismo avevano evidenziato il conflitto tra il vizio e la virtù, inteso come una rivalità cosmica tra Dio e Satana. Il Dio zoroastriano era Almra Mazda e la figura di Satana era quella di Ahriman. Il mondo era pieno di angeli buoni e cattivi (i diavoli o deva) . La visione cristiana parte, invece, dalla concezione biblica di un Paradiso terrestre (l'età dell'oro?) dal quale furono scac­ ciati Adamo ed Eva, avendo infranto la legge di Dio (peccato originale) . Di qui il ruolo di Satana e la necessità della reden­ zione. Entrambi, però, hanno sottolineato la fondamentale im­ portanza dell'anima immortale che sopravvive al corpo, pre­ vedendo un giorno del giudizio, quando l'umanità, una volta per tutte, sarà giudicata e accolta o destinata all'inferno. Simbolicamente, secondo il Mithraismo, tutta l'umani­ tà sarebbe stata costretta ad attraversare un ponte per essere giudicata. I peccatori avrebbero perso l'equilibrio e sarebbero caduti negli inferi, i virtuosi avrebbero potuto attraversare il ponte senza cadere e sarebbero ascesi in cielo. A differenza di altre religioni primitive, che ritenevano che i morti fossero tutti in un mondo sotterraneo, sia il Cristiane­ simo sia lo Zoroastrismo e il Mithraismo collocavano l'inferno nel mondo sotterraneo e nel cielo la sede di Dio e dei virtuosi. Il culto di Mithra aveva origini arcaiche rispetto a quelle cristiane, richiamandosi ad altre divinità come Dioniso, Ado­ ne, Osiride e Serapide, tutte legate al rito sacrificale della pri­ mavera, o mutuando tradizioni e rituali da questi culti pagani. 86

Il messaggio di Cristo si fonda, invece, sul Vecchio Testa­ mento, con innovazioni profonde, al punto che il Vangelo non è riconosciuto come il Nuovo Testamento dal mondo ebraico. Sia Mithra sia Cristo sarebbero stati concepiti senza alcuna unione sessuale tra uomo e donna. Mithra, secondo la tradizione più antica, non avrebbe mai avuto né padre né madre, ma sarebbe emerso come un ado­ lescente da una roccia, colpita da un raggio del sole dell'alba. Secondo una tradizione successiva, invece, sarebbe nato dalla vergine Anàhita. La tradizione cristiana fa di Cristo il figlio di Dio e di una vergine, Maria. Per Mithra il settimo giorno della settimana era sacro, per­ ché dedicato al Dio Sole. Il Cristianesimo ha utilizzato lo stesso giorno, dedicandolo al Signore (la domenica) . Mithraismo e Cristianesimo celebrano la nascita del loro Dio al solstizio d'inverno, il 25 dicembre, secondo il calen­ dario giuliano. La data di nascita di Cristo, originariamente stabilita per il 6 gennaio fu, poi, spostata dalla Chiesa al 25 dicembre, molto probabilmente per ragioni politiche, essendo l'Impero abituato a celebrare quella festa in quel giorno. Sia Mithra che Cristo sono sempre stati raffigurati come giovani, entrambi nel ruolo di pastori, votati alla salvezza degli uomini mediante il sacrificio. Mithraismo e Cristianesimo hanno sottolineato la redenzio­ ne dell'umanità tramite la morte sacrificale del Dio, cui segue l'ascensione in cielo. Entrambe le resurrezioni passano attra­ verso il sacrificio. Nel caso di Cristo, fu il Dio stesso (nella persona di suo figlio) ad essere sacrificato. Nel caso di Mithra, il sacrificio simbolico avveniva con l'uccisione del toro. Entrambi sono legati a una cena connessa a un sacrificio di sangue, simbolicamente rappresentato dal pane e dal vino, condizione di salvezza per tutti i fedeli. Dopo aver ucciso il toro, Mithra festeggia con il Dio sole e gli altri fedeli, prima di salire al cielo sul carro del Dio sole. 87

Nel Nuovo Testamento, invece, l'Ultima Cena precede la crocifissione, prima dell'ascensione in cielo. Entrambi hanno sottolineato la necessità della purificazio­ ne attraverso il battesimo, che i seguaci di Mithra praticavano lavandosi con il sangue del toro sacrificato. Per i Cristiani, il battesimo era l'unico modo per accede­ re alla Chiesa, ma il problema della purificazione fu molto complesso, passando da una visione ebraica, ossessionata dalla purezza, al mondo dei Gentili, trasformandosi in una purifi­ cazione spirituale. Il Mithraismo si è fondato sul mito dell'equinozio di pri­ mavera, nell'ambito di una concezione astrologica che non è presente nel Cristianesimo. I loro luoghi di culto erano situati sottoterra. Per i Cristiani, probabilmente, fu una necessità temporanea, dovuta all'esi­ genza di evitare le persecuzioni, ma per i seguaci di Mithra fu un'istituzione permanente, la cui ragione è piuttosto oscura. Entrambi incoraggiavano l'ascetismo. I seguaci di Mithra dovevano dominare la loro sensualità e astenersi dal mangiare alcuni alimenti. La concezione cristiana in materia di rapporti sessuali è nota e l'astensione dalle carni o il digiuno erano re­ gole fino a qualche tempo fa. Entrambi propugnavano la carità verso il prossimo. Mithra era il Dio che aiutava i suoi protetti in ogni difficoltà della loro vita. Il messaggio evangelico invita gli uomini a comportarsi con amore verso gli altri, soprattutto verso i nemici. Il Mithraismo sottolineava le virtù del coraggio e della ge­ nerosità, rispetto alla carità e all'amore, propugnati dal Cri­ stianesimo. Per questo attirava i suoi fedeli soprattutto negli avamposti militari fuori d'Italia, mentre il Cristianesimo si svi­ luppava nel Mediterraneo, nel cuore dell'Impero.

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CAPITOLO V II II Dio UNico

7. 1 . LE ORIGINI MITICHE DEL CULTO Tutte le religioni sono partite dal mito, è inutile negarlo. Il mito ha secolarizzato l'incredibile e dato lo spunto alle più diverse variazioni, ma nella sostanza ha generato e continua a generare le illusioni necessarie alla vita dello spirito dell'uomo. Esiste un filo conduttore unitario in tutte le correnti reli­ giose che si riallaccia alle primitive e primarie questioni fonda­ mentali dell'uomo su chi è, da dove viene, dove andrà, quale sarà il suo percorso e perché tutto ciò accada in un modo o in un altro. L invenzione di un Dio parte sempre dall'osservazione della natura e dei suoi cicli, le uniche cose che l'uomo primitivo po­ teva constatare senza grandi speculazioni intellettuali. Il Sole o la Luna erano i segni primordiali che, con la loro apparizione e la loro scomparsa, determinando il giorno e la notte e la suc­ cessione delle stagioni, cadenzavano la vita delle piante, degli animali e degli uomini stessi. Poca differenza fa se preminente era la Luna rispetto al Sole o, piuttosto, il contrario. I..:alternanza e il rigore delle stagio­ ni hanno segnato nei popoli il prevalere del culto solare o di quello lunare. Gran parte delle origini mitiche di un Dio si avvale di que­ sta concezione. La sua inspiegabilità logica nasce proprio dal fatto che la Divinità è diversa, origina da una situazione im­ possibile, perché tutto, nella sua essenza, la rende divina e, quindi, superiore e diversa da tutti gli uomini del creato. Gli uomini dell'antichità pensavano a una Terra piatta, a 89

una volta stellata fissa, a mò di copertura, a un mondo che aveva dei limiti, nel mare o nelle montagne, e che finiva lì, sul bordo dell'Universo. I..:osservazione astronomica, tuttavia, registrava mutazioni impercettibili che, a distanza di secoli, si rendevano evidenti. Ciò poneva un grande punto interrogativo. Chi e perché pote­ va fare questo? Logico pensare a Dio così potente da stralunare il cielo, dove probabilmente risiedeva. Quando la speculazione umana si spinse più oltre, eviden­ ziando il conflitto tra il Bene e il Male, tra la Luce e l'Oscurità, un nuovo problema occupò la mente di chi si poneva questi problemi.

Il mito dell'età dell'oro

Perché esiste il Male? Come può un Dio accettare l'Oscu­ rità, che non può non provenire da lui, perché è il padrone e il creatore dell'Universo? Il concetto di libero arbitrio era troppo raffinato perché potesse essere considerato una risposta sufficiente. Di qui l'idea, che ricorre anche in molte credenze moderne, di una caduta degli Angeli, della ribellione d'un An­ gelo al Dio, di una lotta finale fra il Bene e il Male che dovrà inevitabilmente concludersi con la vittoria del Bene (l'Arma­ geddon) per dar luogo ad un periodo finale, ma infinito, di benessere e di serenità per tutti gli uomini. 90

In questo contesto s'inserisce la vicenda di un Età dell'Oro primigenia, che si sarebbe perduta per colpa o per la stupidità di qualcuno, con la cacciata dal Paradiso del ribelle (Satana o Prometeo) o dei disubbidienti (Adamo ed Eva) , e la condanna dell'umanità intera al lavoro e al dolore. Questa visione rende­ va più tollerabile agli esseri umani l'intollerabilità del lavoro e del dolore, perché intesi come punizione divina, in taluni casi eterna e a tutti comune (il peccato originale) . La speranza, implicita e diffusa, di una reincarnazione in un mondo più equilibrato e più giusto ha animato il deside­ rio degli uomini in tutte le epoche, con varianti diverse, ma tutte volte ad assicurare una speranza nella vittoria definitiva del Bene. Ma perché, poi, dovrebbe vincere il Bene? Solo per un'esigenza, diremmo oggi, di civile convivenza. Nessuno ha potuto rispondere alla domanda del perché la Divinità dovrebbe (?) emanare delle anime da purificare nelle loro vite successive da colpe oscillanti a seconda dei diversi costumi dei popoli per poi tornare, monde di responsabilità morali, alla Divinità stessa. Un percorso logicamente incom­ prensibile. Ma, ciononostante, ogni religione, grosso modo, ha il suo Paradiso e infinite sono le varianti del suo Inferno, dall'Ade alla Gheenna, dal giudizio negativo della Dea egizia Path alla reincarnazione in una pietra.

I.:Ade, il regno dei morti

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7 .2. LANTROPIZZAZIONE DI DIO Da un altro punto di vista, la concezione di un Dio immu­ tabile e responsabile della vita rendeva impotenti addirittura nel pensarlo a immagine e somiglianza dell'uomo stesso, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni. La sua nascita doveva essere un unicum per giustificarne la straordinarietà dei poteri. Solo da una vergine, fecondata da un raggio di luna o di sole, oppure da una pioggia d'oro o da un cigno o, comunque, da un intervento soprannaturale, poteva discendere, natura/iter, ma non tanto, un essere divino. E Giove è un adultero, un bigamo, un vendicativo, un pas­ sionale.

Triade divina: Osiride, lside e Horus

Questo Dio poteva essere una creatura astratta, quasi ases­ suata, immune dalle debolezze umane oppure, al contrario, di queste debolezze poteva essere invece l'espressione divina, in tutto e per tutto simile all'uomo, ma slegato da qualunque 92

vincolo, perché supremo reggitore delle cose. Ovviamente, si tratta di una differenza sostanziale, ma solo apparente. Nel primo caso subentra un barlume di spiritualità, che sfuma tal­ volta nella sensazione dell'indifferenza degli Dei alle vicende umane; nel secondo, invece, è piuttosto la ricerca di una com­ prensione divina delle debolezze umane, perché il Dio biblico degli Ebrei è uno sterminatore Perché questa differenza, no­ nostante tutto, è solo apparente? Come in ogni costruzione umana, anche il disegno creativo della Divinità risponde a un bisogno consolatorio: un Dio indifferente o astratto è lontano e non s'immette nelle vicende terrene, perché di poco conto rispetto alla grandezza dei suoi poteri; un Dio per tanti versi simile a noi è come un Padre burbero e rude ma che, in fondo, comprende le colpe degli uomini perché sa di cosa si tratta e quelle colpe le ha anche lui. L'effetto di attribuzione alla Divinità di ciò che è universal­ mente comune e riconosciuto, in un certo senso, "naturale", ha portato poi a considerare la Divinità come una struttura di tipo parentale (una famiglia, una moglie, una Dea anch'essa) , dei figli (Dei o semi Dei) oppure associativo (una specie di triumvirato celeste) . La questione del rapporto trinitario ricorre sia nell'antico culto egizio (la triade di Iside, Osiride e Horus) , sia nell'Hin ­ duismo (con la trimurti di Brahma, Shiva e Vishnu) sia nel Cristianesimo (con la trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) , con la variante postuma del culto della Madonna che si riallaccia, a sua volta, alla tradizione di Cibele, Iside e della Mater Matuta, la Grande Madre, la Dea primigenia della Fe­ condità, forse in tempi antichissimi oggetto di culto primario in una società dominata dall'elemento femminile. Anche nel culto mithraico, in forma attenuata, esiste una triade rappresentata, oltre che dal Dio, dai due Diadofori, Cautes e Cautopates. Come si vede, c'è una sostanziale linea di continuità nell'immaginario cultuale, variamente motivata e gestita dal clero. 93

7.3. LA RIVELAZIONE In tempi relativamente più vicini a noi, l'evoluzione intellet­ tuale del credente ha portato, poi, a concepire la rivelazione quale fonte dell'imprinting religioso. Nei sistemi cultuali che si considerano di origine divina, la rivelazione (o anche, l'illuminazione) è una comunicazione con la quale si manifesterebbe la Divinità, esprimendo la sua volontà a colui che (profeta, messaggero o veggente) sarà inca­ ricato di comunicarla al popolo dei credenti. In un dato momento della storia, essa si manifesta a un uomo scelto per particolari caratteristiche, magari prima del tutto ignote. Il Dio preesiste e si manifesta. Questa illumi­ nazione vale per Zoroastro quanto per Mosé, per Maometto quanto per i Testimoni di Geova o Ron Hubbard. La rive­ lazione mette tutti in ginocchio. Ma qual è quella vera, am­ messo che possa essercene una di vera? La più antica o la più recente? La più essenziale o la più complessa? È difficile dare una risposta.

Mosè (Rembrandt)

Non è qui il caso di analizzare questa credenza o di dubitare del suo messaggero. La fede è cosa troppo delicata per trattarla 94

razionalmente. Sta di fatto che questo processo generatore di culto è il fondamento di molte credenze, soprattutto mono­ teiste, e ha origine antica. Si pensi, ad esempio, all'irrompere del culto di Aton, il disco solare, che in sé riassumeva tutte le altre divinità del pantheon egizio, durante il regno di Amenofi IV e Nefertiti 1 • In Mithra la rivelazione è soltanto fisica; i pastori lo scopro­ no sul nascere, ne percepiscono l'essenza divina, gli offrono doni e sacrifici. Lo venerano. In altri culti ciò avviene in modi diversi, ma sempre di rivelazione si tratta.

7.4. LA TRASCENDENZA Per meglio centrare la figura e l'importanza del Dio Mithra c'è, poi, da considerare un ulteriore elemento, quello della tra­ scendenza2. Tutti i culti, legati all'esperienza della morte e del supera­ mento delle sue barriere fisiche, tendono in modo confuso a un processo di trascendenza. Sia pure nell'incertezza delle fon­ ti, in Mithra si può sostenere che, sull'esperienza profetica zo­ roastriana, la trascendenza assume un significato più evidente. Il processo di purificazione degli adepti, l'ultima cena, il battesimo dei fedeli, il trasporto delle anime dei buoni in un'altra dimensione, fanno supporre una visione e una finali­ tà trascendentali che sono le prime manifestazioni cultuali di questo tipo di cui si abbia conoscenza.

1 La nuova fede monoteistica fu di breve durata ( 1 8 anni) e fece addirittura cambiare il nome al Faraone, da Amenophis (pace di Amon) in Akhenaton (colui che è utile ad Aton) e alla Regina, da Nefertiti (la bella è arrivata) in Neferneferua­ ten-Nefertiti (Aton è raggiante perché la bella è arrivata). 2 La trascendenza (termine antitetico a quello d'immanenza) indica in filosofia e in teologia una realtà concepita come ulteriore, oltre il mondo sensibile, cui si affianca secondo una concezione, al solito, di tipo dualistico che, generalmente, si riferisce a ciò che è al di sopra dell'esperienza fisica e della percezione umane, come ad esempio la Divinità.

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Akenaton offre doni al Dio Aton

Le pressoché analoghe manifestazioni sciamaniche hanno anch'esse un principio di trascendenza, perché lo Sciamano è anch'egli uno psicopompo, ma si riferiscono solo ai vivi, non ai morti.

7.5.

LALTERNATIVA ALLA CENTRALITÀ DI UN DIO

Alla fine di questo processo c'è il non Dio. Nel silenzio di un creato che sfugge all'immaginazione umana e nell'incapacità di definire un senso della vita, s'insi­ nua una concezione che ripiega sull'uomo. In fondo, ciò che interessa, non è tanto il problema del Bene o del Male, pro­ blema astratto (cosa è il Bene e cosa è il Male?) , quanto il conseguimento di un obiettivo concreto: allontanare il dolore che tanta parte ha nel percorso dell'umanità. A quel punto, si tratta di applicare una tecnica di rimozione e non più un culto. Il Buddhismo ripiega sulla centralità dell'uo­ mo come alternativa alla centralità di un Dio indefinibile, non conoscibile e frutto solo di una specie di auto dialogo umano. Il karma è l'idea, la reincarnazione il suo iter, 1' annullamen­ to dell'essere umano nel cosmo il suo obiettivo. La maggior parte dei culti orientali valorizza, in tal modo, 96

le qualità etiche dell'uomo, esaltandone il risultato finale, l'allontanamento dal dolore. Alcuni insegnano le tecniche da applicare (Jainismo, Taoismo) , altri si limitano a impartire in­ segnamenti per ben vivere e bene operare nella società ( Confo­

cianesimo, Shintoismo) . Ma è soprattutto la concezione buddhista, nelle sue pur molteplici varianti, che ha esaltato la necessità di rimuovere il dolore esistenziale concentrandosi su tecniche di meditazione e di purificazione molto complesse.

7.6. LA SALVAZIONE Il culto di Mithra, nella sua vita plurimillenaria, ha più o meno percorso tutte queste fasi. La diversità evidente è nel fatto che nel mithraismo c'era un'idea della salvazione degli uomini in un'altra vita, non definibile. Questa era la grande novità di tale culto, almeno nella sua fase finale che conosciamo meglio, quella romana. Se l'idea della salvazione era più o meno sottostante ai vari culti miste­ dci praticati nella Roma imperiale, nel mithraismo si trattava di qualcosa, per così dire, di concreto, di più costruito. I..:identificazione del culto solare con quello del Sol Invic­ tus non solo riconosceva una preminenza del culto mithraico su tutti gli altri, ma in quanto culto dell'Imperatore, proba­ bilmente, anticipava l'idea di un monoteismo imperiale che, forse, era addirittura nella testa di Giuliano, quando si accin­ se alla riforma del sistema pagano, finita miseramente con la morte dell'Imperatore. La sostanziale indifferenza religiosa romana portava all' ac­ cettazione di tutti i culti, da quelli tradizionali a quelli più re­ centi, di provenienza egizia o orientale. Implicita era l'idea che la pietas romana fosse omnidirezionale, nel senso che non era importante quale culto si professasse ma che se ne professasse almeno uno. Di qui alla concezione dell'unicità di un Dio, in97

dipendentemente dal suo nome, dal suo culto, dal suo rituale, il passo sarebbe stato molto breve. Limpatto con il Cristianesimo mandò in frantumi questo processo di aggregazione religiosa, che si concluse nel V seco­ lo, con la morte di lpazia e la chiusura delle Scuole filosofiche di Atene e di Alessandria. Il nuovo culto, divenuto religione di Stato, spazzò via le residue resistenze pagane. Si aprì un perio­ do di oscurantismo religioso in nome di un sistema teologico complesso che si andava faticosamente formando nel mondo cristiano, tra eresie, sette e scismi che caratterizzarono la Chie­ sa in quel periodo. Il Dio della Luce era morto al momento del suo massimo fulgore. Lessere diventato il simbolo o il credo del Dio Impe­ ratore fu fatale al mithraismo. Non a caso da religione proibita divenne religione scomparsa e pressoché ignorata.

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APPENDICE

LA GENESI DEL SOLSTIZIO

Il solstizio d'inverno, trasfigurato nei suoi significati più pro­ fondi, anche se in forme diverse, caratterizza nella spiritualità tutte le religioni del mondo sin dai primordi dell'umanità. Questo evento astronomico, che segnava l'avvio di un cam­ biamento delle stagioni, così importante nella vita dell'uo­ mo primitivo, fu celebrato presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna, di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda, o dalle incisioni rupestri di Bohuslan, in Iran, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e protostorica 1 • Lo stesso fenomeno, fu invariabilmente atteso e magnifica­ to dall'insieme delle popolazioni indoeuropee2• Intorno alla data del 25 dicembre, quasi tutti i popoli han­ no sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini o sopran­ naturali3. Nei secoli il solstizio d'inverno ha sempre rappre­ sentato occasione di festività di vario genere: il Sol Invictus per 1 In letteratura, inoltre, ispirò il frammento 66 dell'opera di Eraclito di Efeso (560/480 a.C.) e fu allegoricamente cantato da 0MERO (Odissea 1 33, 1 37) e da VIRGIUO (VI libro dell'Eneide). ' I Gallo-Celti lo denominarono: Alban Arthuan (rinascita del Dio Sole) ; i Germani: Yulè (la ruota dell'anno); gli Scandinavi: fu/ (ruota solare); i Finnici: ]uly (tempesta di neve); i Lapponi: ]uvla; i Russi: Karatciun (il giorno più corto) . .l In Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus e del padre, Osiride, che si credeva fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nascevano il Dio Quetzalcoath e l'azteco Huitzilopochtli; Bacab nello Yucatan; il Dio Bacco in Grecia, nonché Ercole e Adone o Adonis; il Dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dalle genti del Nord; Zarathustra in Azerbaigian; Buddha, in Orien­ te; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; in Persia, si celebrava il Dio guerriero Mithra, detto il Salvatore, e a Babilonia vedeva la luce il Dio Tammuz, l'unico figlio della Dea Ishtar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con un'aureola di dodici stelle intorno al capo.

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i Pagani, i Saturnalia per i Romani, Kwanzaa per alcuni Afroa­ mericani, il Natale per il Cristianesimo, Yule per i Neo-Pagani4• Ma la festa ha origini ancora più antiche: il solstizio d'inver­ no, o festa del Sole, nella tradizione millenaria di molti popoli, coincide con la nascita di un Salvatore. In origine, c'era la festa del Fuoco e del Sole. Fin dall'antichità l'uomo ebbe una sorta di riverenza verso il sole, quale divinità creatrice, e poi verso il fulmine, che considerava una manifestazione irata del divino, ma dal quale trasse il fuoco. Ed è forse per questo motivo che lo si considera sempre, in un qualche modo, parte del divino. Risalgono ai tempi più remoti, infatti, le tradizioni collegate alla rinascita del sole che, dopo essere apparso nei giorni pre­ cedenti nel punto del massimo declino, nella sua fase più de­ bole di luce e di calore, dal 22 al 24 dicembre sembra fermarsi in cielo (solstitium significa: sole fermo) per riprendere subito dopo il suo percorso verso l'alto, ogni giorno di più, fino al sol­ stizio d'estate quando, invece, comincerà il fenomeno inverso. Tracce di celebrazioni legate a queste vicende cosmiche, alla nascita cioè dell'anno nuovo, si trovano intorno alla data del 25 dicembre presso le primitive religioni persiane, fenicie, siriane, peruviane, messicane e indù. Nella Persia antica il solstizio invernale era celebrato cantan­ do l'inno che narrava la nascita del mondo. Nelle regioni ira­ nico-caldee, la divinità era partorita da una Dea vergine, come Horus, partorito da Iside in Egitto, e Thammuz, partorito da Mylitta, o Ishtar. Queste tradizioni, giunte a Roma, furono poi inglobate ed espresse nell'adozione del culto di Mithra. Nell'antico Egitto, nello stesso periodo astronomico, si commemorava la nascita di Aion, o Horus, che si riteneva che fosse anch'egli nato da una vergine, e si festeggiava con la na­ scita del dio-Sole. A Heliopolis (la città del sole) , negli stessi anni, intorno al 1 400 a.C. , tra il 24 e il 25 di dicembre, si cele'' Anche il solstizio d'estate, rappresentando ne l'inizio stagionale, è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha del Neopaganesimo e la natività cristiana di Giovanni Battista.

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brava la festa del Sole, che era la festa (astronomica) solstiziale e, nello stesso tempo, nella simbologia sacerdotale, la festa di Ra (poi Aton) , figlio del Dio supremo: anche lui figlio del Sole e Sole egli stesso. Ad Alessandria ebbe la sua più completa espressione, prima dell'era cristiana, la grande festa del Natale di Horus. Le statue della Dea madre Iside, con il piccolo in grembo o attaccato al seno (prefigurazione delle statue della Madonna con il Bam­ bino) , erano portate in processione di notte verso i campi al lume delle torce. E la folla rivolgeva all'immagine una serie d'invocazioni, le cosiddette litanie di Iside che, nella versione greca, sembrano concordare perfettamente con le successive litanie in onore della Madonna cristiana. I Germani identificavano il periodo che andava da 1 2 gior­ ni circa prima del solstizio d'inverno al solstizio stesso, come il periodo che rappresenta la rinascita della vita, con la festa di Yule, la loro festa principale collegata al culto di Odino. Per i Celti, il solstizio d'inverno cadeva tra la lunazione di Dumannios (Tempo delle Profonde Tenebre) e Riuros (Tem­ po del Freddo) e le forze legate al ghiaccio e al gelo, considera­ te generatrici di vita. La morte aveva la funzione di necessaria equilibratrice per il ritorno della vita. I Celti festeggiavano il solstizio d'inverno con la raccolta del vischio da parte del sa­ cerdote druido, una pianta considerata sacra, cui seguiva un grande fuoco propiziatore. Il Cristianesimo è riuscito a impossessarsi di queste pratiche religiose, con un'operazione sincretica molto ben riuscita, in­ terpretando la nascita del sole con la nascita di Cristo e la luce solare con la luce divina del Figlio di Dio. È stato così che la notte tra il 24 e il 25 dicembre, la nox post-solstiziale, che coincideva con l'occasione in cui da secoli si festeggiava una luminosa genesi astrale, divenne anche la notte della nascita di Cristo. Fra il IV e il V secolo la Chiesa romana, preoccupata della straordinaria diffusione dei culti solari e, soprattutto, dal Mi1 01

thraismo, che con la sua morale e spiritualità, non dissimile dal Cristianesimo, poteva frenare, se non arrestare la diffusione del Vangelo, pensò di celebrare nello stesso giorno del Natale del Sole (Sol Invictus) quello del Cristo, come vero Sole spirituale. In realtà la data della nascita di Cristo è sconosciuta. Non se ne conosce esattamente l'anno5 e, tanto meno, il mese. Neppure i Vangeli la segnalano con precisione, ma Luca al­ lude a circostanze che fanno pensare a un periodo diverso da quello invernale (le greggi erano al pascolo intorno alla grotta della natività e questo non poteva avvenire d'inverno, perché i pastori ebrei partivano per i pascoli con la prima luna piena di primavera, tornando in autunno) . Solo nel IV secolo d. C. si consolida la tradizione di festeg­ giare la natività il 25 dicembre, mentre fino ad allora si era festeggiata in diverse date, il 28 marzo, il 1 8 aprile o il 29 maggio, più accettabili storicamente, o il 6 gennaio (l'Epifania significava l'apparizione del Cristo) . Il 25 dicembre è dunque una data convenzionale, scelta in ragione di passaggi ciclici stagionali e frutto di un processo sincretico. Questa sovrapposizione sulle tradizioni popolari preesi­ stenti, portata a termine dal Cristianesimo, non riguardò solo il Natale, ma anche molte altre ricorrenze pagané.

' In base ad avvenimenti storicamente accertati (censimento indetto dall'Impe­ ratore Augusto nel 4 a.C., data della morte di re Erode) si ipotizza che la natività di Cristo possa essere avvenuta tra il 4 e il 7 a. C . . '' Ad esempio, l a festa d i San Giorgio h a sostiruito l'antichissima festività della Parilia; i festeggiamenti di San Giovanni Battista hanno sostituito la festa dell'ac­ qua, che era celebrata a mezz'estate; la festività dell'Assunzione della Vergine ha oc­ cupato il posto delle celebrazioni di Diana; la Pasqua cade la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, proprio come l'antica festività legata all'equino­ zio in cui si festeggiava la primavera, il Ferragosto (feriae Augusti) è dedicato alla Madonna, Samhain è diventata la festa di Ognissanti e via di seguito. Anche al giorno del riposo settimanale (primo giorno della settimana - festa di stato introdotta da Costantino nel 32 1 ) che si chiamava giorno del sole, (dies solis) fu cambiato il nome in Domenica, giorno del Signore. Ma nei paesi anglosassoni rimase il nome che Wulfrida l'ariano (creatore della lingua tedesca) aveva introdotto e mu­ tuato dal latino: in inglese, infatti, rimase Sun-day e in tedesco Son-tag.

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Non a caso il Natale, originato da antiche cerimonie de­ dicate al Dio Sole, nonostante siano trascorsi molti secoli, conserva molti dei suoi antichi significati. Infatti, è il fuoco, un simbolo universale, l'elemento fondamentale di numerosi rituali natalizi europei ed extraeuropeF. Nelle tradizioni e ritualità della festa del Sole troviamo an­ che molti altri elementi in comune con il Cristianesimo, che ne fece tesoro. I collegamenti tra il Cristianesimo e i culti pagani, infatti, vanno ben oltre la semplice coincidenza. Basterà pensare al battesimo e al pasto sacro (dopo averlo consumato Mithra sale al cielo col carro del Sole) , al banco di pietra davanti l'abside, l'altare, dove veniva esposto il disco solare, all'ascesa in cielo per gli eletti. Poi c'era l'atto delle mani giunte, che nel Parsismo (Zoro­ astro) era in uso per invocare i supremi spiriti dello Spenta Mainyu (o Amesha Spenta) , i Santi immortali che circondano il Dio buono e supremo, creatore e giudice del mondo, che guidano umilmente le anime. Infine, altri oggetti e compor­ tamenti: la stola, il copricapo dei vescovi (si chiama ancora mitra) , le vesti, i colori, l'uso dell'incenso, l'aspersorio, i lumi accesi davanti all'altare, le genuflessioni, e la stessa architettura delle basiliche. Non ultimo, l'oggetto più rappresentativo che domina il rito cristiano: l'ostensorio in cui si pone l'ostia consacrata per esporla all'adorazione dei fedeli e che è un disco da cui si di­ partono dei raggi solari8• La liturgia cristiana conservò anche l'abbassamento del capo, perché nei primi riti egizi all'aperto di Aton, non era

' A Natale, come per tutte le feste intorno alla fine dell'anno (S. Lucia, S. Nicola, S. Antonio, Capodanno, Epifania) ancora oggi si usa fare fuochi, falò e fiaccolate, i famosi "botti" natalizi. 8 Contrariamente a quello che si crede, l'ostensorio della liturgia cristiana non prese il nome dall'ostia, ma accadde il contrario. Il termine esisteva un millennio prima di Cristo: ostiare corrispondeva a un etimo egizio (che si traslò anche nel lati­ no) che significava mostrare, fare vedere il disco solare ai fedeli, ma anche mostrare la vittima del sacrificio.

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proibito, ma sconsigliato di guardare il sole. Era solo un accor­ gimento, perché fissando il sole, specie in prossimità dell'equa­ tore, si rischia di perdere la vista. Nei successivi riti trasferiti all'interno dei templi, i sacerdoti di Aton ricorsero a un disco d'oro con i raggi attorno, appunto l'ostensorio, elevato in alto (elevazione) . Rimase l'abitudine di chinare il capo, che fu poi traslata, assieme all'ostensorio, nel rito cristiano9•

Spenta Mainyu

Per sradicare questi residui delle religioni solari occorse quasi un millennio. Risolse il problema un monaco, dottore della Chiesa, S. Bernardino da Siena ( 1 380- 1 440) , che al cen­ tro dell'altare, invece del disco lucente, pose una teca con den­ tro il simbolo dell'eucaristia, il pane. Così Bernardino conciliò '' Un Papa, S. Leone Magno (nel 460 d.C.), piuttosto preoccupato, dopo che erano passati quasi centotrenta anni dal bando del culto solare da parte di Costan­ tino (pur essendo l'Imperatore, fino alla morte, rimasto un cultore del Dio Sole), scriveva: . . . È così tanto stimata qw:sta religione del Sole che alcuni Cristiani, prima "

di entrare nella basilica di San Pietro apostolo, dedicata all'unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all'atrio superiore, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell'astro fulgente ·: . . .

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e accontentò sia l'adorazione solare dei Pagani che l' adorazio­ ne dei Cristiani. L'ostia consacrata risale, invece, alla fine del XV sec, mentre la forma dell'ostia fu stabilita all'epoca del Concilio di Tren­ to, quando furono sancite la dottrina della presenza reale del Cristo, della messa come sacrificio e la concezione della con­ sacrazione dell'ostia.

Giovanni Evangelista

La consacrazione (la cerimonia pagana del sacrificio) era un rituale presente in tutti i riti arcaici delle antiche religioni poli­ teistiche, monoteistiche e anche dei riti pagani più lontani nel tempo. Con l'offerta sacrificale e la distribuzione ai presenti, la consacrazione era concepita come portatrice di speciali forze che andavano ad agire sui presenti sacrificanti e, per questo, chiamata communio (dividere una cosa con gli altri) . La cena, il pasto o la semplice assunzione di un frammento dell' ogget­ to del sacrificio costituivano il rito necessario per ricevere le speciali forze. L'accostamento di Cristo al Dio Sole Mithra (culto più an­ tico dell'Antico Testamento di quasi 500 anni) fu abbastanza 1 05

facile. Giovanni nel Nuovo Testamento affermava: " . . . in Lui

era la vita e la vita era la Luce, la Luce che splende nelle tenebre, la Luce vera che illumina ogni uomo10 ". Tertulliano, che scrisse su quasi tutti i problemi che agi­ tavano la Chiesa del tempo, e che coniò molti concetti che dovevano poi essere alla base della dottrina della Trinità e della cristologia, scriveva: " . . . ritengono che il Dio cristiano sia il Sole

perché è un fotto notorio che noi preghiamo orientati verso il Sole che sorge e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia, a dir il vero per una ragione del tutto diversa dall'adorazione del Sole1 1 ". Con queste parole Tertulliano tornava all'Antico Testa­ mento, nel quale il Messia veniva preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Isaia scriveva: " . . . ìl popolo che camminava

nelle tenebre vide una grande Luce e su coloro che abitavano la terra tenebrosa una Luce rifùlse1 2 ". Altrettanto scriveva Malachia: . . . sorgerà con raggi benefici il Sole di giustizia. ''� 3 "

1° 11 1' u

Cfr. GIOVANNI 1 ,4-5 e 9. Cfr. TERTULLIANO: Ad Nationes I, 1 3 . Cfr. ISAIA, 9 . l . Cfr. MALACHIA, 3.20.

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Finito di stampare nel mese di febbraio 20 1 5 presso Creative Artworks - Reggio Calabria