Misteri pagani Mistero cristiano
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EZIO ALBRILE

MISTERI PAGANI MISTERO. CRISTIANO

'"® MIMESIS

MIMESIS EDIZIONI (Milano- Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Spiritualità senza Dio?, n. Isbn: 97888s7553825

© 2019-MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19-20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 l 24416383

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INDICE

I NTRODUZIONE I. MISTERI 1. Gli spazi della morte 2. Avvicinamenti 3· La passione del dio 4· M isteri astrali 5· Astrali e gnostici 6. Eros e Thanatos 7· La liturgia misterica 8. I l viaggio astrale 9· Un'altra salvezza II. LO SPAZIO DEI MISTERI 1. Origini misteriche 2. Culti di salvezza 3· Epidemie misteriche 4· La dea misterica 5· L'Egitto a Roma III. ERM ETE L'EGIZIO 1. Libri ermetici 2. Ermete astromagico 3· Mistero e magia

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IV. CORPI IM MAGI NARI 1. Immortalità 2. Trasformazioni 3· L'esito ermetico

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v. NASCITA DELLE AN I M E 1. Animare i simulacri 2. Simulacri interiori 3· Esistenze smaterializzate 4· Fantasmi misterici 5· Le paure dell'anima 6. Parapsicologia antica 7· Un'altra anima 8. Anime cristiane

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VI. L'ANIMA IMMORTALE 1. Le vie all'immortalità 2. In cammino verso le stelle 3· Animali astrali

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VII . LA VITA OLTRE LA VITA 1. L'aldilà 2. Memorie liquide 3· Libri inferi 4· Purgatorio celeste 5· Il significato della metempsicosi

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VI II. EPILOGO

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RIFERIM ENTI BIB LIOGRAFICI

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per Flora

R I N G RAZ IAM E N T I

L'autore ringrazia il prof. Giancarlo Mantovani per l'aiuto prestato nella scrittura di parti del testo. Un ringraziamento particolare anche al dr. Hans­ Thomas Hakl, al prof. Luigi Berzano, al dr. Salvato­ re Amato (BNU Torino) e al dr. Giuseppe Muscoli­ no. Un saluto a Tony. Ezio Albrile Settembre 2018

I N T R O DUZ I O N E

Il cristianesimo è un mistero di salvezza per gra­ zia. Si è molto scritto, fantasticato, sulle "religioni di salvezza" ellenistiche, colorando i misteri anti­ chi in tinte cristiane. Ci si chiede quanto di "paga­ no" ci sia nel cristianesimo, quanto della religione antica sia rimasto nella nuova fede. Salvezza è intuizione. Quando si realizza il Sé, l'evento coincide con lo stesso non-essere di Dio. Il reale è simulacro. Occorre riconfigurare la per­ cezione rispetto alle appendici immaginative che si accumulano dentro. Abolendo le leggi e i costumi mondani, per ritornare a una condizione di giu­ stizia naturale. L'antinomismo è una forma di vita liberata che ricorda gli effetti della contestazione, l'ardente desiderio di un dio che salva e di una età aurea della pace; desiderio vivo e diffuso al sorgere della nuova era, anche se indistinto. Si deve mettere in chiaro che la salvezza promes­ sa nei misteri antichi consisteva indubbiamente in una "redenzione" legata alla natura da qui traspo­ sta nell'aldilà, ma in nessuna religione ellenistica figurava un dio che moriva e risorgeva per condurre i fedeli alla vita eterna.

La salvezza annunciata dal Cristo è altra cosa. Essa presuppone il peccato originale come fatto morale; è pertanto redenzione dalla colpa, dal male etico e teologico, e non liberazione dalla materiali­ tà della carne, che in qualche modo venga concepi­ ta come antitetica a Dio o malvagia. La redenzione cristiana è remissione dei peccati per mezzo della morte di Cristo in croce; quel che c'è di nuovo nel cristianesimo è la redenzione intesa come remis­ sione dei peccati. L'ellenismo è deterministico, con il futuro con­ tenuto in ogni istante del passato e pertanto pre­ vedibile e inesorabile, tutto quello che pensiamo di fare è un illusione, mentre il cristianesimo ha bisogno di "profanazioni" che restituiscano i nomi alle cose. Che disattivino i dispositivi narcotizzan­ ti del potere di turno. Proprio per ritrovare un uso incontaminato delle cose, verso le profondità dello spirito e restaurare l'Eden perduto. Profanare, se­ condo Giorgio Agamben, significa cancellare con­ fini e separazioni, ma la società senza classi predi­ cata dal Vangelo di allora fu una società che aveva perduto ogni memoria delle differenze di classe, per essere riconsegnata al mondo misterico, dove non ci sarebbe stato più nulla da separare o da abo­ lire. E come il peccato, anche la vita ridonata nel mistero cristiano risiede al di là d'ogni naturalità pura e semplice : è la "vita eterna", "nuova nascita" e "visione" in un senso non riscontrabile in nessuna testimonianza sulla pietà misterica. 12

Rinascere

Nei misteri abbiamo una rinascita individuale, sciolta da ogni legame e prospettiva storica ; in Pa­ olo invece la rinascita del singolo è spiritualmente connessa con il fatto storico della risurrezione di Cristo ed è inserita nella rigenerazione escatologi­ ca del tutto. Nella storia cristiana si incontra una cesura fondamentale, quella tra uomini e dèi. Sa­ pere è potere, potenziare la vita che è in noi. Nei misteri occorreva pure attuare le potenzialità ine­ spresse delle esistenze precedenti. La metempsico­ si era un dovere positivo. Mentre l'individuo quo­ tidianamente credeva di lottare contro l'entropia, cioè contro le illusioni consolatorie. Nei misteri l'unione con Dio resta all'interno della dimensione sensibile, mentre lo pneuma spi­ rituale del mistero cristiano libera quest'ultimo da ogni vincolo materiale. Bisognava far capire alla gente quello che non sapeva ancora di volere. Il ri­ sveglio è la smaterializzazione della cultura antica. La saggezza non è mai fine a se stessa, è un fare. Gesù, come un neo Siddharta insegnava l'imper­ manenza dell'essere, pertanto il qui e ora dell'a­ gire e dell'accadere. Un non voler sapere cosa sia la realtà, per capire invece come riuscire a distac­ carsene. Trovandosi ciascuno immerso nel flusso proveniente dal passato. Occorreva estinguerlo, dissolverlo. Nel sopprimere le modificazioni di coscienza, in questione era la possibilità stessa di 13

distinguere e di pensare. Le cose non sono stabili : è i l giudizio, la vecchia copula, che le rende stabili a posteriori. Prima si agisce, poi ci si definisce. È la logica del cristianesimo che crea distruggendo. Vi­ vere non è raggiungere una verità speculativa, ma liberarsi dall'attaccamento alle cose. Realizzarsi, derealizzando. Anche il dio misterico muore e rinasce, ma non in senso storico ; la celebrazione della resurrezione non è un memoriale ma un fatto ciclico, un evento che si ripete ogni anno. Il mistero cristiano della redenzione è dunque comprensibile solo in base alla nozione della figliolanza divina sovrannatura­ le smarrita con il peccato originale e riconquistata con la Croce; e il mistero della grazia è comprensi­ bile solo in base alla nozione, concepita escatologi­ camente, dell'aldilà che si realizza nell'immediata visione di Dio. Ma questi sono i dogmi cristiani di base, quali Gesù li ha annunciati e Paolo struttura­ ti. In essi l'essenza del mistero cristiano è qualcosa di assolutamente nuovo e qualcosa di diverso dai misteri antichi. n progetto del cristianesimo è stato di de-antologizzare il mondo. Se il dio-essere non è pensabile con il Logos, allora non-è, rovesciando in tal modo l'assunto parmenideo della bi-unità di essere e pensare. A differenza però del nichilismo gnostico che lascia cadere nell'indifferenza l'ogget­ to dio, il cristianesimo fa cadere il soggetto. Basta a Gesù appoggiarsi sulla constatazione del dolore e sulla sua neutralizzazione, in vista di una religione 14

senza dio (esterno), senza l'argomento antologico dell'essere e del pensare. Ecco in nuce un problema che diventerà impellente : la religione senza Dio. Ne consegue, che i risultati di qualsiasi storia com­ parata delle religioni non possono esimersi da un più approfondito riconoscimento dell'incompiua­ bilità del cristianesimo. Linguaggi di salvezza

La confessione del cristianesimo primitivo è la giustificazione per fede, e quindi la pace con Dio. Chi comprende queste parole, sa in che cosa con­ siste la particolarità, la diversità, in che la forza più intima del cristianesimo nascente ha rispetto a tutte le altre religioni e visioni del mondo che fio­ rivano a quel tempo. Nel verbo cristiano c'è il gran rifiuto al sistema della tarda antichità, alla vecchia catena di montaggio e dei doveri. All'antinomismo creativo segue la sistemazione dogmatica. L'essere non è (solo) linguaggio. Neanche il lin­ guaggio poetico o meditativo lo cattura. Il reale non si riduce al simbolico e all'immaginario, ma al suo contraccolpo. Dopo la distruzione del Tempio, come dopo Auschwitz, non è stato più possibile filosofare come prima. Però la kenosis, lo svuota­ mento di ogni verità stabile, è continuato. D'altra parte, tutto il processo di civilizzazione è stato un processo di addomesticamento e apparente spiri15

tualizzazione. A proposito degli aspetti smateria­ lizzanti, nell'alto Medioevo carolingio, gli angeli quali intermediari celesti, lasciano il posto a mo­ naci e vescovi quali strumenti di legittimazione del potere politico. La de-sostanzializzazione inversa dell'oggi, del cristianesimo che diventa mero ritua­ le, persegue medesimi fini. Per noi, il cristianesimo si manifesta ogni volta che c'è una crisi del sistema. Quanto alla storia delle religioni, il suo punto debole è la "comparazione": ma comparare rispetto a che cosa, questo il punto; bisogna avere delle idee, bisogna lasciare tracce, no­ nostante tutto. Capita di guardare senza vedere. Uno stuolo di pensieri, parole e riti, che prima, senza esaminarli nei particolari, sono stati definiti "prestiti" che il cristianesimo trasse dagli usi miste­ rici, divennè qualcosa di vivo nella vita della Chiesa antica, per una ragione che in verità non ha niente a che fare con una motivazione storica oppure ge­ netica, ma che parte dal basso, dall'identità corpo­ rea e spirituale di "pagani" e cristiani. Nei processi evolutivi che hanno portato al Sapiens, la facoltà immaginativa ha fatto la differenza con i bestioni di vichiana memoria. Ha guidato la mano nella ca­ pacità tecnica di manipolare strumenti e forgiare strumenti . Ha innescato come nella pratica, atti­ vità simbolizzanti, ha plasmato il senso del tempo, con le sue anticipazioni. Il dentro diventa il fuori e viceversa. Nel famoso papiro magico di Parigi, Helios-Mithra è la veste solare dell'Aion. Il risvolto 16

iniziatico della veste implica il battesimo del fuo­ co e un marchio degli iniziati con il fuoco stesso. Attivare un pathein e una certa esperienza fotica, significa non cancellarla più. Helios, Mithra, Aion sono immagini di Cristo e nel sacrificio estatico la figura di una prova iniziatica. Delle verità spirituali ogni religione si crea im­ magini sensibili, che chiamiamo "simboli". Anche la religione rivelata dell'uomo-Dio poté parlare solo in immagini umanamente comprensibili: sen­ za parabole la comunicazione era disturbata. E il contenuto sovrasensibile del suo annuncio si rive­ ste d'immagini umane primordiali : il padre, il re, la luce e le tenebre, l'acqua viva e il fuoco che brucia, la perla e il chicco di grano. Lo stesso si dica dei riti cultuali, che vengono costituiti in segno produttivo della grazia sovrasensibile: abluzione, pasto sacro, unzione e giudizio. Nozioni e forme simili compa­ iono anche nelle religioni misteriche dove l'uomo religioso deve tornare sempre a servirsi dei simboli primitivi forni tigli dalla natura, per esprimere quel che appartiene all'aldilà, ciò in cui crede, qualcosa di superiore. Quel che accomuna tutti gli uomini in questo campo consiste dunque nella propensio­ ne della natura umana al simbolismo. Poi, esten­ dendo il discorso, è sufficiente dire che tutto porta a normare un'immaginazione, considerata sempli­ cemente un auto-inganno? Sarebbe ingenuo ignorare nella genesi percettiva il proprio correlativo oggettivo : la veste di luce del 17

Salvatore è associata a profonde sinestesie, al pro­ fumo del mirto, al ricordo dell'Eden, a cromatismi abbaglianti, a una visione di se stessi, a un rito di passaggio verso nuove forme di vita etc . . . Ogni per­ cezione religiosa equivale a una percezione globale che svela un complesso solidale di esperienze, di corrispondenze, che non offuscano il dato, sovente opaco, della vita, ma lo potenziano. Occorre vedere nella immagine della veste un microcosmo. Dove il contenuto è più trasparente del contenente. Rispetto al dato positivistico, a questo serviva e serve la fenomenologia religiosa, di là dai punti di vista dei contesti in cui il dato ricorre. La cogni­ tio certa per ca usas è altra cosa ancora. Per questo nelle Facoltà teologiche si pratica(va) sistemati­ camente il metodo fenomenologico nell'ìnsegna­ mento. Nessuna meraviglia quindi se proprio oggi si riscopre, per così dire, il simbolismo paleocri­ stiano. Tutte le epoche in cui si torna a sentire pro­ fondamente l'esistenza e la consistenza d'un regno spirituale, forse dopo un periodo in cui ci si era ap­ piattiti nell'esteriore e nel visibile, volgendoci alla materia e ai suoi fenomeni, tutte queste epoche si compiacciono del simbolo. In questo si congiungo­ no le aspettative del mondo sensibile e del mondo spirituale, viene superata la tensione fra queste due dimensioni nelle quali l'uomo è immerso. La neonata Chiesa era immune da ogni precom­ prensione, attingeva a un patrimonio simbolico i cui antecedenti si trovavano già nelle Scritture. Nel 18

quinto libro degli Stromata Clemente Alessandri­ no fa una lunga digressione sul linguaggio simboli­ co in relazione ai culti misterici. Egli contrappone l'antica sapienza greca ed egizia al verbo cristiano : quella di Gesù è la "vera gnosi" contrapposta al più antico sapere misterico. Clemente Alessandrino è una fonte importante, egli stesso iniziato ai misteri eleusini, conosce in maniera approfondita il mondo misterico dell'E­ gitto ellenistico : vita antica ed esistenza cristiana in collisione, spazi culturali che produrranno van­ taggi evolutivi, una "sintesi passiva" che unirà due mondi. Senza escludere che l'atto religioso si pone per Clemente sempre sotto il segno del Logos. L'adepto estatico della liturgia di Mithra è infatti piuttosto loquace. Le forme religiose sono pratiche operative per il "pagano" quanto per il cristiano che spera nel tanto peggio tanto meglio apocalittico. Oc­ corre vedere non la fine del mondo, bensì la fine di un mondo. Di questo occorrerebbe discutere quan­ do si parla di metodo storico-comparativo, non di appartenenze conventicolari, di sociologi della reli­ gione e altre partizioni accademiche. Per la Scienza delle religioni siamo ancora alla preistoria. Molto di quello che s'è definito come prestito im­ mediato dai culti misterici, penetra nella vita cri­ stiana attraverso il patrimonio culturale che questa ha in comune con l'antichità greca. Ciò avviene già nei termini e negli usi cultuali con i quali i Greci configuravano i loro misteri: anche qui si creano

simboli, i cui elementi sono presi indubbiamente dalla vita quotidiana. Al tempo il cristianesimo è una "nuova" religione che s'installa sul vuoto del benessere evocato dal "paganesimo". Oltre il nulla

Ripeterà uno psicologo palesemente cnst1ano come Lacan che tutto ciò che abbiamo è un vuo­ to, che non abbiamo un'autenticità dentro di noi e che pure i desideri che abbiamo interiorizzato pro­ vengono da fuori. Abbiamo schemi per organizzare l'esperienza, ma si tratta di schemi vuoti. Gli adulti cambiano e sanno leggere il vuoto come una possi­ bilità d'essere. Anche per Lacan, come per Kierke­ gaard e per i Vangeli si riconosce che siamo capaci di un salto per diventare quello che saremo. Oltre la manipolazione politica dei linguaggi. C'è infatti un'attitudine fondamentale nel modo di pensare religioso : è una visione sbagliata consi­ derare le differenze incardinate su identità rigide, che poi sono quelle trasmesse dalla tradizione; perché le identità che contano sono quelle indivi­ duali, fluide e contestuali. Non da oggi, ma per la maggior parte delle persone, la parola religione è solo un'identità tra tante, non una categoria a sé stante, al contrario parte di una tessitura in conti­ nua negoziazione, perché in costante stato di spe­ rimentazione nella vita reale. Parlare con la gente 20

com'è nell'esempio di Gesù - serve a correggere un quadro deforme, quello dei poteri costituiti e delle ideologie. Capire questa eguaglianza profonda che accomuna tutti, aiuta a comprendere la diversità. Quando troviamo, tanto nel culto cristiano quanto in quello misterico, riti e parole, gesti e consacrazioni identici o simili, si deve parlare non tanto di assimilazione quanto di continuità. Se il mistagogo bacia l'altare, e se lo fa anche il sacerdo­ te cristiano; se ambedue varcano la soglia del san­ tuario col piede destro ; se nei misteri e nel rituale battesimale paleocristiano si amministrano all'i­ niziando latte e miele : tutto questo non va speso sul piano della pura comparazione e del "tutto che assomiglia a tutto", ma sul piano di una identità in cui si rivela la differenza. Il Novecento teologico ha ricamato su questa tela di fondo. Dal programma di demitologizza­ zione di Bultmann, alla religione come uscita dalla religione di Gauchet, al credere di credere di Vat­ timo, si è riconosciuta la natura individualizzante del Cristianesimo, del suo parlare alle coscienze in­ dividuali, del suo secolarizzarsi nelle forme di vita quotidiane. Breve il passo ai Lifestyles di Berzano. Proprio muovendo dal vuoto individuale congenito si osserva l'universale nel dettaglio. Non si tratta di decostruire la nozione di religione, ma di prendere atto soltanto di un cambio di paradigma. Il cristianesimo è segnato da un policentrismo culturale che nei secoli si accentuerà sempre di 21

più. Oltre il Tevere, il Giordano e il Gange, altri fiumi strariperanno. C'è una "sociologia misterica" che dev'essere ancora scritta: quanto più intime e commosse sono le convinzioni di un devoto, tanto più chiaramente la sua esperienza tende a sottrarsi alla pletora dei non iniziati. E a maggior ragione se esiste il pericolo che la massa dei profani violi il santuario. Risuona l'ammonimento di Gesù di "non dare le perle ai porci". . . Un tale "mistico silenzio" ha una storia presso i Greci. L'invito al silenzio è un tratto fondante la praxis ermetica ( Corp. Herm . 1, 16) . "Taci, o figlio", intima Hermes al proprio discepolo ( Corp. Herm . 8, s): impresa apparentemente facile per un neofi­ ta, ma che presuppone un raccoglimento interiore e una separazione dal mondo circostante difficili da conseguire. Un tacere sulle cose sacre, una di­ sciplina dell'arcano di origine pitagorica, imponeva ai discepoli un "silenzio di cinque anni", una cata­ basi nella "notte della parola" (Eus. Hist. ecci. 4, 7, 7) al fine di conseguire la coscienza della propria identità luminosa . Di fatto nelle cerimonie gnosti­ che l'ineffabilità iniziale di Dio era descritta come una syzygia, un appaiamento di Abisso e Silenzio (Hipp. Ref 6, 29, 3), di Bythos e Sige . Nella Proten noia Triforme, intricato manoscrit­ to di Nag Hammadi, la Voce segreta dimorante nel Silenzio infinito è in realtà il Salvatore che narra in forma mitica la propria catabasi al centro del mon­ do infero, l'Amente (NHC XIII, 1, 36, 1-3). La gnosi 22

ermetica del Bene è "silenzio divino" ( Corp. Herm . 1, 1; 10, 6), perfezione e identità con un principio di realtà inafferrabile ai profani. Il perentorio monito di Hermes : intra secreta pectoris divina mysteria silen tio tegite et taciturnitate celate (Asclep. 32 ) , esprime la cura del dio rivelatore di distogliere il discepolo da atti o azioni avventate. Solo il silenzio, il raccoglimento interiore, è la via verso la visione e la palingenesia. Il silenzio è purificazione dai moti irrazionali dell'anima e condivisione di una per­ fezione conosciuta solo da Dio. Un adagio orfico conferma la devozione misterica : " Parlerò a quan­ ti è lecito : chiudete le porte, profani" ( Fr. 247 [ 2 ] ; KERN 1922 Eus. Praep. ev. 3, 7, 97d ) . L'uomo di conoscenza, l'adepto ermetico, "non parla molto . . . , non ascolta molto", perché chi perde tempo a fare e ad ascoltare chiacchere . . . combatte con le ombre" (Corp. Herm. 10, g). Ammonimenti che diventano cristiani : per quanto l'annuncio evangelico sia pubblico, "miste­ ro predicato sui tetti", rivolto a tutti gli uomini, a partire dal terzo secolo deve difendersi dalla mas­ sificazione, dalla salvezza che da individuale diven­ ta collettiva; si rende necessaria quindi una vera e propria elaborazione di una disciplina dell'arcano che trova una compiuta elaborazione nei secoli suc­ cessivi. Solo così si può comprendere come i Padri della Chiesa che aderiscono al sentire filosofico del tempo, il neoplatonismo, un movimento che in un certo senso rappresenta la concretizzazione di ciò =

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che la filosofia platonica era andata teorizzando in forma più "astratta" attraverso i secoli, rielaborino il verbo cristiano in senso misterico. Una diversità "religiosa", interna ed esterna, che diventa il punto di partenza di ogni analisi sociale, una polidoxia . Vivere è scegliere, quindi niente di nuovo. Non è una banalizzazione, e banale sarebbe distinguere tra fede religiosa ( codificata ) e spiritualità antica, volatile. I Neoplatonici che si convertono hanno una grande sensibilità. L'equazione fede/religione, quando capita di semplificare, è un lascito infantile, il dilemma fra mistero ellenistico e fede cristiana. Ridurre così la Chiesa cattolica, significa ritornare alla separazio­ ne tra la lettera e la libertà dello Spirito, un criterio di giudizio che abbiamo ereditato dal neoplatoni­ smo. Anche la ribellione gnostica lo ha persegui­ to. Ciascuno ha una provenienza da cui non è dato sottrarci. Gli effetti di questa deriva infinita si chia­ ma ancora cattolicesimo, che ha avuto un inizio nel primo superamento della gnosi misterica, uno sviluppo, uno svuotamento e una riscrittura, mai compiuta una volta per tutte. Gli altri aspetti sono correlati. I misteri del battesimo e del sacrificio eu­ caristico presto si circondano di timore reverenzia­ le, contemporaneamente nelle chiese una barriera impedirà ai non iniziati di gettare anche un solo sguardo sul sancta sanctorum, l'iconostasi. Il neoplatonismo consegnerà il sapere misteri­ co, attraverso la tradizione dello Pseudo-Dionigi 24

Areopagita, al cristianesimo medievale. Anche qui sarà una adulterazione a muovere tutto : un falso Dionigi, finto discepolo di Paolo, vissuto intorno al soo d.C. confezionerà un adattamento cristiano della dottrina neoplatonica basato sulla Teologia platonica di Proclo, determinante nel manipolare in senso monoteistico le fonti neoplatoniche. Lo Pseudo-Dionigi ammonisce il cristiano iniziato, che ha percorso per intero la divina mistagogia, a non divulgarla.

Parole di luce

Nell'essenza della parola che diventa simbolo e nell'azione simbolica è implicito che il sensibile non è mai in grado di significare pienamente e in misura esaustiva ciò che viene pensato o creduto. L'esistenza è storicità. La "mutevolezza della vita" la rende più interessante, l'arricchisce, e insieme è il motore culturale. Il cristianesimo è storicità. L'uomo antico vive nella natura, mentre il cristia­ no vive nella storia, vive alla luce del primato del futuro (eschaton terreno e finale ) . Non esiste un Homo religiosus dato per natura o per la sua de­ bolezza mentale capace di fronteggiare l'angoscia della fine. Le religioni si risolvono e si dissolvono in arte, filosofia, vita pulsante, oppure in etichette strumentali. 25

L'autentico ethos del cristianesimo non si riduce alla pratica dell' Instrumentum Regni o all'apocalit­ tica, è una falsa distinzione quella tra mondo miste­ rico e spiritualità, una retorica associata a un con­ cetto vuoto. Il cristianesimo è un'idea di progresso, associata ad un nichilismo attivo. L'etica è una cosa, il moralismo ben altro. II simbolo conserva sempre un fondo segreto; è come un abito che rivela e nello stesso tempo nasconde le forme del corpo. La natu­ ra sensibile del simbolo è assolutamente necessaria per celare l'illuminazione del sovrasensibile e per dischiuderla soltanto a chi può contemplarla, a co­ lui che ne è degno. In ciò l'insegnamento misterico annuncia la teologia del simbolo al cristianesimo antico. La metafisica cristiana non equivale alla tra­ scendenza : il libro XII della Teologia di Aristotele è un centone neoplatonico. La storicità del cattolice­ simo non riguarda la pretesa contrapposizione tra tempo ciclico e lineare dei filosofi. Riguarda il con­ cetto di sviluppo del dogma, e la conseguente sto­ ricità del dogma; di qui il rapporto tra rivelazione e storia. I dogmi si sono trasformati in una normativa alienante. Anche il mito gnostico raccontato da Va­ lentino è un mito tragico, il che non significa pessi­ mismo, ma possibilità di riscatto. Le verità divine nella loro nudità celeste non sono contemplabili da occhio umano, e gli iniziati sanno che il vero non tollera nessuna spoglia rappresen­ tazione di sé. È nel discorso del tardo neoplatoni­ co latino Macrobio raccontare come i misteri siano

custoditi dal simbolo : quando parlano dell'anima e degli dèi, i filosofi lo fanno a ragion veduta, usano un linguaggio simbolico, non per divertirsi, ma per evitare che tali argomenti siano frantesi e degradati dai più. È l'avvertimento onirico che viene lancia­ to al medioplatonico Numenio di Apamea: per aver violato il silenzio sui misteri eleusini, egli vede in so­ gno le dee misteriche Demetra e Persefone trasfor­ marsi in prostitute (Macr. In somn. Scip. 1, 2, 17-19) . I n limpida sintonia, dal versante cristiano Clemente Alessandrino afferma l'esistenza di un metalinguag­ gio: sogni e simboli sono le immagini attraverso cui ritrovare la verità. Egli cita un frammento di una perduta tragedia di Sofocle: la natura di Dio è palese ai saggi che decodificano gli enigmi rivelatori, per gli altri, gli sciocchi, si tratta solo di un sapere inco­ gnito (Strom. 5, 4, 24, 2). Ma il retaggio è paolina, nella Prima Lettera ai Corinzi (2, 7) l'apostolo rivela una sapienza divina, misterica, nascosta da secoli, ignorata dagli Arconti di questo mondo. Una misteriosofia da cui sgorgherà l'esegesi al­ legorica della cosiddetta "Scuola di Alessandria': centro d'eccellenza dell'erudizione greca; in filoso­ fia essa rappresenta la propaggine più importante dell'Accademia di Atene, al punto da raccoglierne il lascito, dopo la definitiva sospensione dell'inse­ gnamento ad Atene intorno al 579 d.C. Le autorità cristiane non imposero alcuna riforma e non pensa­ rono, in un primo momento, neppure alla riduzione del programma didattico della Scuola, nella quale

l'obiettivo più alto restava l'interpretazione di Pla­ tone, considerata il culmine dell'indagine sulla ve­ rità. Si coglie quindi la volontà di condividere ogni antitesi: sogno e ignoranza, caos e ordine, Sophia e Achamoth, verità e oblio, storicità e nichilismo, per dissolverle e annientarle nell'esegesi allegorica. An­ che l'essere per la morte dei frammenti dello gnosti­ co Valentino, figura il mistero della doppia mente, dell'eros unito a thanatos, della distruzione creativa che muove la storia. Alla fine però avremo memoria, non della vacuità dell'ora, ma delle tracce future. La parola divina espressa nelle Scritture è un mistero, e dietro il senso percepibile delle parole e delle immagini, anzi dell'intera storia della salvez­ za, si nascondono incomparabili ricchezze dello spirito, inimmaginabili possibilità d'accesso a veri­ tà non rappresentabili. Chi solo per un istante ha potuto osservare que­ sta nuova realtà, s'è reso conto che il nostro mondo è solo una parodia di un mondo più vero, sovrasen­ sibile, quasi l'abbozzo di ciò che nell'infinità divi­ na è il vero approdo per l'uomo. Per chi osserva lo spettacolo incantato dell'oceano, tra i profumi dei boschi di eucalipto, la visione idillica che ha di fron­ te nient'altro è che una metafora della vera realtà . C'è un Aion eracliteo posto alla base di una ri­ flessione trinitaria : su una idea di eternità lon­ tana inurbata da un Essere che si svolge fuori dal tempo. Nell'istante in cui attraversiamo la porta del tempo, passato, presente e futuro divengono

tre sentieri infiniti che si incrociano e si dipanano in avanti e all'indietro. Tre variazioni sul nostro modo di intendere e di vivere la storia. Le origini cristiane furono anche un confronto e uno sviluppo della teologia del dio cosmico. Una storia infinita alla quale non possiamo sottrarci. L'uomo capace di tale percezione è il vero "gnostico", }"'iniziato" al mistero della parola divina. Regni in teriori

L'imperatore era il capo della comunità cristia­ na. Egli non aveva alcun bisogno di proclamarsi discendente di Eracle o di Apollo, perché possede­ va una nuova santità che gli annullava tutti i suoi precedenti peccati. Le sue mani ancora grondava­ no del sangue dei rivali, di suo figlio e persino di sua moglie : ma per il mondo egli era isapostolos, "Uguale agli Apostoli", anzi il tredicesimo di essi. E il suo prestigio spirituale era aumentato dall'ener­ gia che la madre Elena, l'ultima concubina bitinica di Costanzo Cloro, rivelò nella sua fortunata attivi­ tà di archeologa. Costantino l'aveva inviata a Geru­ salemme, dove, con un aiuto divino oggi ben rara­ mente concesso agli archeologi, ella trovò il luogo esatto del Calvario e dissotterrò la stessa Croce, le croci dei due }adroni, la lancia, la spugna e la coro­ na di spine e tutte le altre reliquie della Passione. Le ideologie postmoderne hanno sovvertito i cri-

teri del vero e del falso. Ogni impresa conoscitiva è un'affermazione di potere e la realtà un costrutto teoretico intersoggettivo. Che invece tra gli uni­ versi della comunicazione massificata spunti ogni tanto la realtà è ovvio. Che questa sia velata dai no­ stri modi di intendere le cose è altrettanto ovvio. Non percepiamo il tempo. Lo sentiamo come un vissuto o come una preoccupazione. Pure il senso comune non è mai scontato ; ormai schermato dai media. Tutto questo ha violato irrimediabilmente lo spazio simbolico cristiano, il mistero si è secola­ rizzato nel linguaggio dei giornali e della pubblici­ tà. C'è una barriera conoscitiva che ci impedisce di andare oltre le apparenze. Dove andiamo? Da dove proveniamo? Chi sia­ mo? Siamo liberi solo a metà ? Ogni cultura ha pro­ dotto le sue cosmologie e i suoi miti. Ogni gruppo ha avuto la sua storia delle origini, invocando tane sotterranee o montagne sacre da cui scendevano i fiumi della vita. Le domande sono rimaste le stesse, ma le risposte hanno preso altre strade : senza una direzione, senza scopo. Questo modo di risponde­ re non c'entra nulla con l'ateismo. Le verità scien­ tifiche sono provvisorie, incomplete, riguardano ambiti specifici. Non sono da collegare al nichi­ lismo odierno, ma ad una visione non positivista delle scienze. Sono i dilemmi del cristianesimo contemporaneo. Il mondo misterico "cristiano" resta sempre nei limiti della fede, del senso storico che si dà alla 30

Parola di Dio, della Chiesa visibile. Al contrario il mondo misterico classico intende salvare con la co­ noscenza, si svincola dalla parola scritta e si isola negli spazi angusti della conventicola. Ma anche questo non spiega tutto. Se c'è un disegno divino, non è dato vederlo con gli occhi della limitatissima intelligenza umana. La realtà esiste, ma non è sem­ plificabile e conformabile ai nostri gusti. Il cristianesimo non è solo la religione della pa­ rola scarna, del puro intelletto e dell'esigenza eti­ ca; è la religione della parola celata, della sapienza amorosa, della grazia che si nasconde nel simbolo sacramentale, e quindi anche la religione misterica in cui, dietro la semplicità delle parole e dei riti si disvela l'immensità di Dio. Ma l'elemento cristiano decisivo sta nell'affermare che solo Dio è il mista­ gogo e lo ierofante di tali misteri; solo attraverso l'assenso dello Spirito si può giungere alla contem­ plazione, così l'uomo diventa un epopta del miste­ ro cristiano. Al contrario, il tratto costitutivo del mondo mi­ sterico ha una struttura olistica, un tipo di intera­ zione in cui le parti rispondono a un tutto, dando forma a molteplici interpretazioni. Dio si vede nel dettaglio. Il mondo misterico vede solo la coscienza iconica, visiva. Ignora la sintesi dei tempi di cui è capace la coscienza agostiniana. È un medico abi­ tuato a prendere decisioni diagnostiche rapide. Ha una coscienza pragmatica, appiattita sul presente e crede che tutti siano come lui. Se la gente non è co31

sciente dei processi che passano per la testa, è pur sempre cosciente dei risultati, anche se il nostro ac­ cesso alle dinamiche previe resta limitato. L'umano, come l'animale che siamo, rimanda sempre a qual­ cosa di esterno al suo meccanismo. Ad una libertà che coincide con quell'essenziale incompletezza che costituisce il tratto inevitabile e per questo creativo della vita. Anche gli storici delle religioni lavorano ormai con un modello di mente fenomenologica, disinteressandosi dei processi di lunga durata: per chi prende atto delle risposte ateiste del momento, invece di interrogarsi sulle domande di fondo (gno­ stiche o meno), cioè sui contenuti storico-religiosi, è giunto il momento di interrogarsi sui programmi sistemici che li hanno guidati. Discrasie È chiaro il rapporto dissonante fra misteri e cri­ stianesimo : oggi sappiamo bene cosa siano le re­ ciproche interazioni fra religiosità, le chiamiamo "New Age", ma non percepiamo più cosa sia l'iden­ tità individuale. Forse un antro in cui riecheggiano tutte le voci e i volti che ci plasmano nella mimesi quotidiana. Il mondo non è solo un teatro, con il nostro io che recita se stesso, secondo la classica metafora neoplatonica. Molto di più, è un Sé mul­ tiplo, che non impedisce di estrarre un Sé critico o almeno dubitante di tanta molteplicità. Se uno non 32

sa raccontare il proprio disagio, non saprà neanche conoscerlo. Ci sono livelli intermedi. I sacerdoti frigi della Grande Madre contrapponevano le loro celebra­ zioni dell'equinozio primaverile alla festa cristiana della Pasqua, attribuendo al sangue asperso nel taurobolium quel potere redentivo che appartene­ va all'Agnello di Dio. È noto come gli stessi adepti ritenessero i cristiani contraffattori di quel mistero di riconciliazione nel sangue che celebrava il dies sanguinis (24 marzo). Una volta anche Agostino s'indignò, innanzi al suo pubblico, contro un sacerdote del culto di At­ tis, il quale nel far propaganda avrebbe sostenuto che anche il dio col berretto frigio era un cristiano. Nell'epoca più tarda le interpretazioni allegoriche dei miti, in base alle speculazioni della filosofia im­ perante, hanno potuto forse giovarsi qua e là anche dell'influsso cristiano, esercitato da un pensiero che coincideva con esse nella spiritualizzazione e nell'ap­ profondimento del contenuto religioso dei misteri. Forse gli insegnamenti cristiani sulla salvezza attra­ verso l'aspersione del sangue di Cristo, della libera­ zione dal peccato per il sangue dell'Agnello hanno interferito con il mondo misterico, una scissione tra le parole e le cose frutto di un incontrollato dinami­ smo mistico (RAHNER 1957; tr. it. 1971, pp. 59-61). Se guardiamo infine agli elementi di casualità, se ci soffermiamo sulle loro metamorfosi, troviamo sempre nuovi inizi. L'immagine più interessante è 33

quella della Sapienza che gioca. La Sapienza cre­ atrice di Proverbi Bao : una fanciulla divertita che danza sugli orizzonti del mondo. Giocava con le immagini variopinte per dare un certo ordine al cosmo, con un'ispirazione che evoca i miti plato­ nici. Del resto, il paradiso era visto come un giar­ dino dove prima del peccato si giocava. In questa tradizione, che ingloba quella gnostica e misterica, Sophia partecipava della danza celeste degli eoni, come una fanciulla spensierata prima di maritarsi . Sporgendosi oltre i suoi cerchi incantati, scopriva una vocazione trasgressiva, si ritrovava sola e con un figlio in arrivo (poi, abortito), il Demiurgo. Commedia e tragedia erano spesso contigue nei generi letterari ellenistici : già Euripide parodiava la commedia di Aristofane, senza citarla. A questo punto, si può vedere il Demiurgo come un giocat­ tolo divino che si rompe e si affaccia la tristezza, ma anche il rifiuto dell'infantilismo greco e biblico. Il Deus ludens dei filosofi greci è quella danza celeste che partecipa dell'armonia astrale, dove anche l'u­ manità è fatta di materia stellare (che ha dato ori­ gine alla vita sulla terra per molti astrofisici) . Per gli gnostici, la vita è un giocattolo in mano a signori astrali e arroganti. Eppure, il destino continuerà ad avere il volto eracliteo del fanciullo che gioca a dadi, e anche il Cristo docetico, che come quello terreno era molto conviviale, riderà della croce. E Agostino doveva ancora mettere in guardia i suoi fedeli contro gli ierofanti dei misteri, che nel34

le giaculatorie magiche mescolavano il nome di Gesù. Extra ironiam nulla salus: la reputazione è ciò da cui discende ogni insicurezza e la cosa a cui teniamo di più del nostro essere. Una finzione, un ricordo, come il Cristo che ride sulla croce. Occor­ reva, nelle litanie magiche, liberare il linguaggio dal controllo della volontà cosciente, facendo par­ lare i blocchi emotivi rimossi. Da qui le numerose note sui metodi di scrittura automatica come fe­ nomeno estatico, che manifestano la matrice sur­ realista. Apparentemente vale il principio che per definire il livello di normalità occorre cercare di rappresentare il suo contrario. Solo che nella valu­ tazione delle religiosità antiche la separazione tra normalità/anormalità non funziona. L 'Homo sa­ piens emerge da questa radice sognante e deliran­ te. Alla quale si ritorna ogni notte, ogni qual volta una crisi si spalanca improvvisa, alla ricerca di un modo per trasmutare le proprie ossessioni in uni­ versi condivisi. Vivendo questa realtà virtuale, che di giorno è per molti una finzione, e che ora rischia di diventare il solo reale che ci attende, come una latenza melanconica.

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l. M I S T E RI

Nel primo decennio del Novecento si moltiplica­ no gli studi sui culti astrali e sulle religioni orienta­ li, sugli oracoli e sul legame inestricabile tra sapere sovrannaturale e forza magica, che nell'ellenismo viene comunemente accettato (REITZENSTE IN 19273, IJ) . L'attenzione si focalizza sui riti misterici della tarda antichità, caratterizzati dalla ricerca di una unione immediata fra l'uomo e Dio, possibile solo agli "iniziati", fondata sull'azione di un inter­ mediario divino in grado di eliminare la distanza tra finito e infinito. Si scopre quanto sia diffusa nella tarda antichità, l'idea di una trasformazione magica - assente nelle religiosità "civili" - da conseguire attraverso intri­ cati rituali di "morte" e di "rinascita" a nuova vita. Si accentuano le affinità che esistono, a tal propo­ sito, tra i culti di Iside e di Mithra, le cerimonie cristiane e i misteri orfico-dionisiaci (DIETERICH 1910\ pp. 157-162) . In un terreno affine si collocano anche le ricerche di Robert Eisler, storico delle reli­ gioni austriaco : egli riteneva che esistessero cospi-

cue tracce della reale esistenza, in un lontanissimo passato dell'umanità, del mitico e "beato" Paradiso di cui si favoleggiava in numerosi luoghi letterari e mitologici di tutti i tempi. Questo passato beatifi­ co, era segnato da un elemento di "pacificazione" caratterizzato da una condizione umana "frugivo­ ra", vegetariana, del tutto esente dal carnivorismo e dalla crudeltà predatoria proprie dell'uomo mo­ derno. Tracce mitologiche, che per Eisler erano rinvenibili in primo luogo nel mito biblico del "Pa­ radiso terrestre" contenuto nel libro della Genesi, ma anche nelle mitologie di altri popoli e culture. Si trattava d'un Paradiso terrestre che era tale in quanto "Regno dell'abbondanza" materiale, quindi popolato essenzialmente da animali frugivori, in­ clusi Adamo ed Eva. Ora, un tale Regno del bengodi fu a un certo punto spazzato via da una carestia o da una cata­ strofe naturale, la quale lo impoverì drasticamente di risorse alimentari e indusse molti degli animali vegetariani, incluso l'uomo, a trasformarsi in feroci carnivori, ossia a compiere una repentina riconver­ sione alimentare che fu alla base di quello che si può definire l'autentico "Peccato originale". Eisler portava a sostegno della sua tesi alcuni famosi pas­ saggi della Genesi, i quali parlavano di un mitico e primigenio "patto di pace" fra uomini ed animali, infranto dal Peccato originale e dalla conseguente "Cacciata dell'uomo dal Paradiso terrestre".

Eisler insisteva sul tema del "vestire le nudità con le spoglie della preda" e citava l'esempio dei culti misterici di Dioniso, in cui le Baccanti e i cacciato­ ri maschi che le accompagnavano vestivano, come in trionfo, le loro nudità con le pelli degli animali uccisi e mangiati, esattamente come avrebbero fat­ to Adamo ed Eva che in seguito alla estromissione dall'Eden avrebbero avuto la necessità di vestire i loro corpi ignudi (EISLER 1925, pp. 29-32; 147-157). In definitiva, il mito del Peccato originale sarebbe stato legato a un rituale sacrificate carneo, solo tar­ divamente ricoperto dalla simbologia vegetale del "frutto". Queste nuove ricerche di "scienza delle religio­ ni" (ORSUCCI 1999, pp. 107-110) rivelavano come nel declinare del mondo antico i culti si rinnovassero in forme antichissime e imperiture ( D I ETERICH 19102, p. 108) . Non solo nel cristianesimo, ma in tutti i culti misterici, il "pasto sacro", una forma di comunione magica, aveva una importanza straor­ dinaria. Il devoto si purificava sia nei riti misterici di iniziazione, sia nelle liturgie cristiane interioriz­ zando la divinità, nutrendosi della sua essenza. La comunità dei credenti, non a caso, diventa nel Vangelo di Giovanni il "corpo di Cristo". Lo studioso del mondo tardo-antico - nota Albrecht Dieterich - non può ignorare, studiando i testi liturgici del tempo, come la totalità del pensiero religioso all'i­ nizio affondi la sua realtà nella concretezza e nella corporeità (DIETERICH 1910\ pp. 108-no) . E deve 39

saper osservare, coniugando storia religiosa ed et­ nologia, quanto sia importante la fede nella magia, che si nasconde nelle locuzioni all'apparenza me­ taforiche, delle formule religiose. I confini tra magia e religione non appaiono mai netti e precisi: i papiri magici affabulano di una "magia sacra" (hiera mageia) , il mago è un "uomo divino" (aner hosios) e Apuleio, parlando dei Magi persiani, definisce il mago come colui che comunica con gli dèi immortali e come colui "che da noi è il sacerdote" (Apul. Ap. 25-26). Non a caso il vocabo­ lo latino sacerdos si applica sia al sacerdote che al mago; basti pensare alla Massylae gentis sacerdos che esegue il rito magico per Didone nell'Eneide vir­ giliana (4, 483) . Nel 1904 Richard Reitzenstein pubblica l'inda­ gine sul Poimandres e sui testi ermetici : una ri­ cerca incentrata su di un tempo in cui "teologia e magia non erano separate" ( REITZE NSTEIN 1904, pp. I85-186). Nel libro si passano in rassegna le singolari coincidenze che avvicinano, nei primi secoli della nostra era, scritti religiosi greci, ebrai­ ci e cristiani. Per chiarire il terreno genetico del Poimandres e di scritti affini occorre quindi affrontare i docu­ menti della religione egizia in età ellenistica, cioè testi magici e raccolte di preghiere che si colloca­ no in una sfera di inerenza - rispetto ai testi pro­ priamente "teologici" - più "popolare". Studiando questo intersecarsi di influenze, d'altra parte, si 40

comprende - prosegue Reitzenstein - a qual punto il cristianesimo abbia seguito la mistica ellenistica, traendo motivi ermetici e riciclando culti misterici. Uno dei pionieri della scienza religiosa, Her­ mann Usener, nel 1902 ricordava come nelle con­ suetudini del cristianesimo primitivo le rituali­ tà dei misteri greci ne fossero state l'immediato esempio: nella Chiesa del VI secolo, ancora intenta ad utilizzare latte e miele nel convito eucaristico, si tramandava un rituale già presente non solo nel­ le pratiche di iniziazione ai Misteri di Mithra, ma addirittura nelle cerimonie funerarie del mondo omerico (USENER 1902, pp. 192-193) . È quindi merito indiscusso del Reitzenstein l'a­ ver fatto in modo che Ermete Trismegisto sia di­ ventato un personaggio di rilievo (ORSUCCI 1999, pp. n6-n7) , ben noto e assai dibattuto fra filologi e teologi in eterna competizione (BoussET 1979a, p. 97) . Proprio Reitzenstein è tra i primi, nel libro del 1904, a sottolineare sia pur fugacemente l'im­ portanza dell'ermetismo rinascimentale. Non si limita, infatti, ad accennare alle edizioni del Fici­ no e del Patrizi, ma passa in rassegna anche l'ope­ ra di Lodovico Lazzarelli, che nel Crater Hermetis utilizza copiosamente Filone, il Libro di Enoch, il Talmud e addirittura i più importanti scritti cab­ balistici (RE ITZENSTE IN 1904, pp. 319-322. ) . Anche Eugenio Garin, sommo storico del mondo rinasci­ mentale, terrà in gran conto le parole del Reitzen­ stein (GARIN 1979, p. 143). 41

Gli spazi della morte È di grande interesse sottolineare il retaggio ar­ caico del culto dei morti nella religiosità misterica, ascrivibile al mondo miceneo (PUG LIESE CARRA­ TELLI 1965, pp. 17-18 ) : nella beatitudine divina pro­ messa nell'aldilà agli iniziati pervenuti al culmine dell'esperienza mistica si riconosceva una sorte ch'era stata inizialmente privilegio dei dinasti divi­ nizzati post mortem nell'antichità micenea e, pri­ ma ancora, in vari paesi dell'Oriente classico. Una conquista culturale, una sintassi mitologica che va dal collettivo all'individuale. La storia della civiltà greca era dominata dall'antitesi tra la religione olimpica, che si era definita nella fase di transizione dal regno mice­ neo alla polis e aveva trovato il suo a raldo e custo ­ de in Apollo Pizio, nelle dottrine misteriosofiche che hanno avuto i loro centri di diffusione in san­ tuari demetriaci e nelle comunità orfiche e pita­ goriche. Il dio di Delfi esortava a non dimentica­ re i limiti posti dalla natura umana e a ricercare nella saggezza e nella norma sancita dai numi la via verso il divino : nei Delphika parangelm ata e nelle leggende di profeti iperborei quali Aristea di Proconneso o Abaris si esprimeva una dottrina che insisteva sull'abisso che divide va gli immor­ tali dai mortali, valicabile solo ai pochissimi che erano in grado di superare quanto li vincolava al destino di morte.

La religiosità misterica, invece, negava esplicita­ mente la diversità della natura umana dalla divina, ma rendeva privilegio degli iniziati il superamen­ to, per fede o per katharsis, dello iato esistente tra mondo terreno e mondo celeste. In modo singo­ lare, nelle dottrine ermetiche e gnostiche conflu­ irono questi due aspetti della religiosità ellenica apparentemente opposti; entrambi quindi hanno avuto nel mondo tardoantico, se non la loro patria, certo il momento più importante e singolarmen­ te propizio di diffusione, forse in virtù proprio del loro porsi come sintesi e soluzione ultima ad una condizione di angoscia sociale (DoDDS 1965; tr. it. Firenze 19972) . Un notevole antecedente sta nella cultura dell'E­ gitto faraonico e nel suo Libro dei Morti, che non è solo la rappresentazione plastica di ciò che sta al di là di un limite, bensì si configura come una reale esperienza di un mondo racchiuso in una sequela di mondi, un sogno conchiuso in un altro sogno. Noi siamo venuti al mondo per formarci - in que­ sta realtà - una chiara coscienza : che dobbiamo rinascere come uomini in questo mondo, per com­ prendere la nostra essenza di natura umana. Ma se il mondo ci cattura, se rimaniamo travolti da tutte le passioni che formano questa immensa corrente della vita comune, noi giungiamo sino alla morte senza capire perché siamo venuti in questo mondo. Ricordarlo non è simpatico. Osservando la realtà che scorre innanzi a noi, senza compiere sforzi, 43

stando fermi, raccolti, guardando gli eventi del mondo noi possiamo conseguire uno stato di pace e di serenità che ci permette di vedere in profon­ dità quel che normalmente non vediamo. Perché noi ci soffermiamo soltanto sugli effetti dei vari fe­ nomeni, che sono superficiali, che fanno presa sui sensi : vivere nei corpi, ma da liberati, non vincolati ai corpi, come un liquido che è in un recipiente, ma non unito ad esso. Il riferimento più trasparente è al ciclo delle reincarnazioni, che può essere abbreviato dall'ani­ ma iniziata ai misteri, ossia dall'anima che si "ri­ bella" al dominio che il corpo esercita su di lei. La scissione tra le parole e le cose ha raggiunto il cul­ mine: chi partecipa del mistero può sottrarsi alla ripetizione ciclica della sua vita. L'origine del termine "mistero" ( mysterion) non è mai stata definitivamente accertata ( DE RA­ CH EWILTZ 1982\ pp. 116-117). Può essere riferita al verbo greco mueo "istruisco, inizio". Nel lessico Suda è fatto derivare da muein to storna "chiudere la bocca", riferito al carattere di segretezza in cui tali cerimonie furono sempre avvolte : i misteri sono i teletai "iniziazioni"; si chiamano misteri perché coloro che comprendono chiudono la boc­ ca e non spiegano queste cose ad alcuno". Il Libro dei Morti (cap. 133) sembra illuminarci a riguardo : "Egli [ il defunto] non ha detto cosa ha visto, né ha ripetuto ciò che ha udito nella dimora del dio dal volto misterioso". E, qualche capitolo più avanti : =

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"Questo libro è un grandissimo mistero. Non farlo vedere ad alcuno : è cosa abominevole il divulgarlo. Nascondi la tua esistenza" (cap. 162 ) . Ancora : "Che nessun estraneo conosca ciò perché è un mistero che il popolo deve ignorare. Non rivelarlo ad alcu­ no fuorché a tuo padre, tuo figlio o te stesso. È un vero mistero sconosciuto da ogni uomo" (cap. 161). Awicinamenti

Attorno al soo d. C., il chimerico discepolo di san Paolo, il cosiddetto Pseudo-Dionigi Areopagita, confeziona un adattamento cristiano della discipli­ na misterica invocando la "Tenebra più che lumi­ nosa del Silenzio" entro la quale Dio rivela se stesso, negandosi. Il lessico è affine, e Dionigi invita chi vo­ glia darsi alle "contemplazioni mistiche" (mystika theamata) a oscurare i propri sensi e a rimuovere ogni pensiero razionale dalla mente, chiudendosi nel silenzio di un'ignoranza assoluta. È la katharsis, la "purificazione" misterica : si deve abbandonare tutto ciò che è impuro, ma anche ciò che è puro; ogni cosa, santità e maculazione, appagamento e dannazione. Ci si deve liberare gradualmente dall'influenza di tutto ciò che può essere conosciuto (LOSSKY 1944; tr. it. 19852, pp. 22-23). I misteri nell'Egitto antico, nonostante siano stati oggetto di numerosi studi, rimangono tutto­ ra un punto di controversia per quanto attiene alla 45

loro reale essenza. Vediamo di accostarci ad essa, per quanto possibile. Nel senso iniziatico il termine "mistero" è reso in egiziano con bes sheta (bs st3 : ERMAN, GRAPOW 19572, l, pp. 473-474) . Trattasi del geroglifico bes, rappresentato da un pesce, il Petrocephalus bane, munito di un paio di gambe umane (ERMAN, GRA­ POW 1957\ I, p. 474), che riunisce in sé i significati di "introdurre" e "iniziare qualcuno in qualche cosa". Letteralmente quindi bes sheta equivale a "inizia­ zione segreta" ed è riferito al nome del dio Bes, la grottesca divinità che vigila al limitare dello stato di sonno e che per tale motivo ornò della sua effige molti letti, tra cui quello di Tutankhamon al Museo del Cairo. Patrono della iniziazione egli è identifica­ to con il "Guardiano della Soglia" anche nelle tradi­ zioni posteriori (DE RAcH EWILTZ 19822, p. n8) . Il pesce trova inoltre riscontro nella simbologia misterica di varie civiltà rappresentando l'esse­ re in grado di muoversi nella corrente astrale. Ed è con tale significato che i sacerdoti babilonesi di Oannés, durante le cerimonie esorcistiche, vestiva­ no paramenti squamati a forma di pesce. Oannés è l'antropoide pisciforme creato dal dio Ea, abitante le onde del Golfo Persico, apportatore di civiltà alle popolazioni della Terra dei due fiumi (JEREM IAS, 1897-1902; repr. 1978, fig. 12, coli. 577-594). Secondo Beroso, Oannés insegnò agli uomini i rudimenti della civiltà, la scrittura, il modo di fon­ dare e costruire le città, la conoscenza delle lette-

re, delle discipline e delle arti, la costruzione dei templi e le interpretazioni delle leggi, la geometria. Oannes avrebbe inoltre rivelato agli uomini i se­ greti dell'agricoltura. Da allora in poi non sarebbe stato inventato più nulla. Oannes scrisse ancora di genealogia e di politica e consegnò poi il trattato contenente queste discipline agli uomini. Durante il giorno Oannes soggiornava sulla terra mentre la notte tornava in mare. Il neoplatonico Giamblico - su cui ci soffermere­ mo oltre - , parlando dei misteri egizi li accomuna ai rituali teurgici (De myst. I, n ) : sono azioni che comunicano l'inesprimibile attraverso simboli, così come la natura creatrice comunica le ragioni invi­ sibili attraverso le forme visibili, preparano l'uomo nuovo purificandone oppure dissolvendone le pas­ sioni. Gli autori antichi, in genere, si sono sempre astenuti dal dichiarare esplicitamente il contenuto esoterico dei "misteri" o delle "iniziazioni". A Pausa­ nia che intendeva commentare il mito di Demetra e descrivere il santuario ateniese legato ai misteri eleusini, apparve in sogno una visione che lo distol­ se da tale proposito (Paus. I, I4, 3-4) . Persino gli apo­ logeti cristiani come Clemente Alessandrino, pur svelando taluni miti esoterici, non osarono adden­ trarsi nell'esporre la liturgia delle iniziazioni. Esisto­ no tuttavia differenze anche notevoli nell'approccio che ogni singolo autore nutriva verso l'argomento. Omero evita ogni riferimento diretto alla disci­ plina misterica e sembra a tratti modificare leg47

germente le mitologie, quando queste appaiono dissonanti dalla sua visione della tradizione eroica (MURRAY 1960 ; tr. it. 1964, pp. 160-164.). Erodoto espone senza veli quanto aveva osservato nella cit­ tà di Sais, nei pressi del tempio di Atena, durante una celebrazione religiosa egizia (Herod. 2, 170171), ma, giudica inopportuno riferire il relativo mito che sta alla base della cerimonia, che è invece raccontato da Diodoro Siculo (1, 22, 6-7; 4, 6, 3). Il dio che Erodoto "non osa nominare", sembra chiaro che sia Osiride e le cerimonie che ne celebrano la passione siano in realtà i misteri. La passione del dio La testimonianza di

Erodoto è molto preziosa, poi­ ché l'antico etnografo nota la stretta affinità tra i mi­ steri greci e la "teologia" esoterica egizia, conferman­ do di fatto l'unità originaria delle diverse conoscenze misteriche elleniche (Herod. 2, 49; 123). Più esplicito sembra Plutarco, che narra come i misteri vennero istituiti alla dea Iside (DE SIMONE 2016, pp. 61-62) : la sorella e sposa di Osiride riteneva che il proprio dolore e i patimenti del marito smem­ brato dal fratello Seth non dovessero passare sotto silenzio, e fondò i misteri proprio a questo fine, af­ finché la drammatizzazione della "passione" del dio potesse in qualche modo allievare le angosce degli uomini (Plut. De Isid. et Osir. 3361 D-E [cap. 27] ) ;

quindi, come affermerà anche il neoplatonico e cri­ stiano Sinesio di Cirene, negli antichi misteri non si andava ad apprendere nulla, bensì si raggiungeva, attraverso un'emozione profonda, un'estasi sacra, la condivisione di un'esperienza unica, la morte e la ri­ nascita con il dio (Sin. Dion. 48) . I veri misteri in cui si rievocava intimamente la "passione" di Osiride, le sue sofferenze e la resur­ rezione, si celebravano a porte serrate, nell'inti­ mità del tempio (R. T. RUNDLE (LARK 1959 ; tr. it. 1969, pp. 151-152.), mentre l'azione scenica in cui il pubblico era ammesso, solo impropriamente pote­ va definirsi "misterica", in realtà si trattava di una drammatizzazione sacra in cui la stessa vicenda era rivissuta platealmente. Gli aspetti della rievocazione mitica erano so­ stanzialmente tre (DE R.ACH EWILTZ 19822, pp. 11912o) : una parte segreta, riservata ai soli iniziati e che si svolgeva nel più occulto recesso templare, una parte semipubblica in cui gli spettatori era­ no ammessi a partecipare come attori nella rap­ presentazione delle vicende di Osiride nella lotta contro il fratello Seth. Questa è simbolicamente raffigurata da un attacco al corteo dei partecipanti da parte degli accoliti di Seth. Infine la terza parte, consistente in uno spettacolo collettivo nel quale la partecipazione in massa del popolo restituiva alla celebrazione il primitivo carattere di rito agrario. Non bisogna infatti dimenticare che Osiride all'ini­ zio è un dio della vegetazione, di ciò che "rinasce" 49

ciclicamente e annualmente a nuova vita ( RuNDLE CLARK 1959; tr. it. 1969, pp. 91-97; GRIFFITHS 1980) : nella forma di Osiride-Nepri, incarnava l'antichis­ simo dio agricolo dello "spirito del grano". Pitture e bassorilievi templari, testi geroglifici, testimonianze greco-romane ci fanno conoscere svariate rappresentazioni sacre del mito osiriano che si svolgevano in pubblico o in segreto. Così, se­ condo la Stele di Ikhernofret (Berlin Museum ref. 1204), capo del tesoro di Sesostri III, si mimavano ad Abido, con piena partecipazione del popolo, i tre episodi più significativi della leggenda di Osiride. In animati combattimenti gli Osiriani sottraevano ai seguaci di Seth il corpo di Osiride, figurato da una statua di lapislazzuli e pietre preziose, quindi lo seppellivano nella sua tomba e alla fine lo intro­ nizzavano solennemente nel suo tempio (VANDIER 1944, pp. 187-189) . Il Papiro Bremner-Rhind, risa­ lente all'inizio dell'epoca greca, unisce materiali interessanti. È un rituale per la festa delle due "fem­ mine di nibbio", cioè di Iside e della sorella Nefti. Racconta quanto devono fare e recitare due donne vergini, che personificano le due dee in lacrime per la morte del fratello Osiride (DONADON I 1970, pp. 237-251). Stando a Minucio Felice (Octav. 21) , "Iside, con i suoi calvi sacerdoti e il Cinocefalo, piange il proprio figlio perduto, si lamenta, lo cerca e i mise­ ri adoratori di Iside si percuotono il petto cercando di eguagliare il dolore della sventurata madre: poi, so

ritrovato il pargolo, Iside gioisce, e allora i sacerdoti esultano". Il segreto mantenuto dagli iniziati, Apuleio non escluso, non permette di conoscere i riti che si svolgevano durante i misteri isiaci. Non si è, tuttavia, lontani dal vero se si pensa che, come in quelli di Eleusi, anche nei misteri di Iside doveva­ no esserci delle azioni, delle parole e delle visioni sacre ( ta dromena, ta legomena, ta deiknymena). I mysti facevano, dicevano, contemplavano qualco­ sa. Atenagora (Leg . 22) riferisce che "nei misteri ci si rivolge in questi termini a Iside a proposito del ritrovamento delle membra e dei frutti : '1\bbiamo trovato, siamo contenti"" (RAHNER 1957; tr. it. 1971, pp. 55-57) . Firmico Materno (De err. prof rei. 23), un apo­ logeta cristiano dell'ultima ora, raccontava di come durante la notte la statua di O siride venisse adagiata su di un letto funebre, e nel buio si udissero lamen­ tazioni e pianti. In seguito veniva portata una luce e il sacerdote ungeva la gola degli astanti pronuncian­ do la formula: "Rallegratevi, o mysti del dio salvato, l ci sarà per voi salvezza dalle pene". Da buon oppor­ tunista, Firmico commentava ironico : "Tu seppelli­ sci un idolo, piangi un idolo, togli dal sepolcro un idolo, e quando hai fatto questo gioisci, o infelice. Tu liberi il tuo dio, tu ne adagi sul giaciglio le mem­ bra di pietra, tu sollevi una pietra inerme". È sicuro che nei misteri isiaci doveva svolgersi una rappresentazione sacra della passione della 51

dea. Forse saranno state scene che mimavano il vagare della sposa che "instancabile cerca Osiride" (numquamque satis quaesitus Osiris), come affa­ bulava Ovidio (Met. 9, 692). Si sarà trattato di riti commemorativi nel senso pieno del termine, nei quali la fede dei mysti non si limitava a rievocare in maniera asettica e anonima i dolori della dea, ma li attualizzava e li riviveva nel corpo e nello spirito traendone esempio e sollievo. Il legame fra celebrazione misterica e rappre­ sentazione scenica diventerà palese in Grecia : Dioniso, dio misterico e insieme personaggio te­ atrale, appariva innanzi al pubblico nelle vesti di un enigmatico straniero, di un barbaro, di un gio­ vane maschio mollemente agghindato come una donna, di uno stregone che alterava la vista dei suoi interlocutori, facendo loro vedere e intende­ re ciò che voleva, compiendo prodigi che contrad­ dicevano ogni principio di realtà e ogni comune buon senso. Signore di ogni illusione, egli sapeva condurre le sue "vittime" - e i suoi spettatori - alle esperienze più stranianti, all'estasi, alla perdita di ogni controllo e di ogni censura, all'esplosione della violenza più cruda e selvaggia. Ma poteva anche mostrarsi nei panni di un ridicolo buffone, pavido e vigliacco, desideroso di cibo e di sesso, come accade nelle Rane di Aristofane. Un buffo­ ne che per darsi un tono e per rendersi temibile, può persino camuffarsi da personaggio mitico, tentando di assumere ridicolmente il costume e

le fattezze di Eracle, dell'eroe valoroso e forte per eccellenza. Sulla scena, dunque, Dioniso è il dio liquido e misterico che può diventare ogni cosa, vestendosi e svestendosi di costumi sempre diver­ si (SUSAN ETTI 2003, p. 23) . Osiride, del resto, appare in stretti rapporti con la terra, rappresentata da Geb, già nei Testi delle Piramidi. Un rito magico agreste è illustrato nel tempietto osirideo annesso a quello di Hathor a Dendera. I sacerdoti confezionavano statuette in sabbia e argilla su cui veniva seminato il grano. Queste statuette, composte nelle quattordici città dove, secondo la tradizione, Iside aveva trovato i frammenti del corpo dello sposo Osiride, venivano più tardi portate al tempio di Sokaris e seppellite nella locale necropoli il giorno in cui s'iniziavano i lavori agricoli per il nuovo anno. Il dramma di Osiride può quindi aver avuto origine come tema di un ciclo di riti della fertili­ tà, conservandone sempre il carattere agrario, ma questo è stato subordinato all'elemento misterico : il culto di questo dio si distingue fra tutti gli altri dell'antico Egitto per la vicenda di morte e di resur­ rezione, e per le sofferenze da lui patite. Misteri astrali

Il grano, germinando, figura il mistero della re­ surrezione, il mistero della morte di Osiride. Un 53

noto alchimista alessandrino, Olimpiodoro met­ te sulle labbra di Ermete un enigmatico aforisma (Hiera Tech . 24; BERTHE LOT, RUELLE 1888, Il, p. 83, s-6; ALBRILE 2008, p. 69) : La terra vergine si trova nella coda della Vergine.

L'universo simbolico di Olimpiodoro attinge a quel brulicame di miti e cosmogonie che è l'E­ gitto ellenizzato ; l'aforisma, che non ha riscontro nei testi ermetici a noi pervenuti, si spiega con una metafora astrale: osservando il cielo, dietro all'Orsa Maggiore, simile a un uomo che sta arando, si muo­ ve la stella Artofilace (Arktophylax) , letteralmente il "Guardiano dell'Orsa", nota anche come Boote (Bootes ) , il "Bovaro", sotto i suoi piedi si trova la costellazione della Vergine, che stringe in mano la luminosa Spiga (Arat. Phaen . 96-146) . Secondo il mito, ci fu un tempo in cui lei, immortale, viveva in mezzo agli uomini, che la chiamavano Giustizia (Dike) : in quel tempo non si conosceva la lotta né il fragore della battaglia, gli uomini vivevano con semplicità e, senza navigare, ricevevano dai buoi, dall'aratro e dalla Giustizia stessa tutto ciò di cui avevano bisogno. Così vissero finché la terra si trovò nell'età dell'o­ ro. Con l'età dell'argento la Giustizia cominciò a frequentare gli uomini più di rado, rimpiangendo la generazione precedente: scendeva dai monti sul far della sera e restava in disparte, rimproverandoli 54

per la loro perversità. Ma quando nacquero gli uo­ mini dell'età del bronzo, che per primi forgiarono la spada e mangiarono la carne dei bovini, la Giu­ stizia volò in cielo, insediandosi accanto al lumino­ so Boote, dov'è ancora visibile di notte. Nella costellazione della Vergine, nella "coda': troviamo quindi la Spiga (Stachys), la spiga di gra­ no, per confermare la metafora agraria e pastorale; questa stella - collocata a ridosso dell'eclittica - in virtù della sua grande luminosità è probabilmente l'elemento più antico della costellazione, dato con­ fermato anche dalla sua presenza nelle carte celesti babilonesi (LE BoEUFFLE 1977, p. 165) . Guardando il famoso Zodiaco di Dendera noteremo che la co­ stellazione della Vergine è effigiata nella dea Iside recante nelle mani il piccolo Horus (la costellazio­ ne della Spiga : BOLL, BEZOLD, GUNDEL 1931S, Taf. II. 3), il figlio di Osiride. Nel pargolo di Osiride si riconosce la Spiga, la costellazione che si trova ac­ canto alla Vergine - per essere più precisi al confine tra Vergine e Bilancia (al grado zero della Bilancia) - I'Iside dello Zodiaco di Dendera. Si afferma una specularità fra la Madonna e Iside ( LANCZKOWSKI 1956, pp. 14-32) e fra il bambin Gesù e Horus. Astrali e gnostici

Secondo gli gnostici Naasseni il figlio del Dio sommo, I'Anthròpos imprigionato nella creazione 55

oscura, è anche chiamato "spiga verde mietuta"; non solo, ma sempre secondo i Naasseni, gli adepti dei misteri eleusini mostrerebbero agli iniziati tale "mistero grande, meraviglioso, perfettissimo, da contemplare colà in silenzio; la spiga mietuta" è il phoster "astro': ma anche "illuminatore" - gran­ de e perfetto che proviene dall'Uomo senza figura (Hipp. Ref V, 8, 39-40). Il detto ermetico si colloca in tale tradizione esegetica : la "terra vergine" è una chiara allusione all'A nthropos; il ben noto gioco di parole, ripreso anche dai testi gnostici, tra l'e­ braico Adam, "Uomo", e Adamah, "Terra" ( QUISPEL 2oooa, p. 328) . Il tempo muta le forme grossolane dell'esisten­ za fenomenica agendo sulla prima materia alchi­ mica, la sostanza psichica del cosmo. Ed è questa, in via indiretta, a suscitare i cambiamenti che co­ stituiscono il grande spettacolo della natura e il suo moto incessante, senza meta apparente, al di là delle continue autonegazioni e autoaffermazio­ ni. È la chiusura dei contatti col mondo tangibile esteriore, la catarsi palingenetica. L'anima si river­ sa entro se stessa nella illusione terrena rappresen­ tata dal corpo, la "terra di trasmutazione"; la cassa rivestita di piombo di cui, in una delle versioni del mito di Osiride, ne è il simbolo. Esso è il corpo sostanziale, il soma hypostatikon, il "corpo dotato di esistenza individuale" o "che dà l'esistenza" (Hiera tech . 37; BERTHELOT, RUELLE, 1888, II, p. 91, n-12; ALBRI LE 2008, p. Bo), quello -

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che secondo Olimpiodoro gli Egizi chiamavano "piombo nero", molybdos melas, cioè la prima ma­ teria dell'opera. Tale mistero "che i profeti egiziani anelavano conoscere e gli oracoli dei demoni ave­ vano rivelato, erano le scorie e le ceneri di Maria" (Hiera Tech . 37; BERTHELOT, RUELLE 1888, Il, p. 9 1 , 12-14 ; ALBRILE 2008, p. 8o). Maria, la leggendaria alchimista ebrea (HAM M E R ]ENSEN 1921, pp. 55-60 ; PATAI 1994 ; tr. it. 1997, pp. 85-90) . In un ulteriore testo alchimico greco-alessan­ drino è detto che Osiride è molybdos kai theion "piombo e zolfo" (ma theion in greco significa an­ che "divino"), mentre il "corpo" o "piombo nero" è definito la "tomba di Osiride", la tomba che è lo stesso corpo. L'anima si sottrae così al soma che è sema, al corpo-tomba, inteso come un mero conte­ nitore, un involucro somatico trasformato in un'o­ scura prigione. Un tragitto intravisto da Euripide, che in un'opera perduta ( Fr. 68; NAUCK 1889) pro­ poneva l'arcano dilemma : "Chi sa se vivere non è morire e morire vivere?" (GuTH RIE 1952\ p. 264)'. Nel lessico alchimico l 'ambiguità di significato tra l'aggettivo theios, "divino", e il sostantivo theion, "zolfo" (MERTENS 1995, p. 163 .), origina un gioco di rimandi lessicali, uno scambio semantico tra signi­ ficante e significato con il fine di creare un effetto =

È il celebre verso riportato da Platone nel Gorgia ( 49 2 e ) , da collegare con l'insegnamento orfico sull'anima raccontato sempre da Platone nel Crati/o ( 400 c ) . 57

·

straniante : non a caso Zosimo ha dedicato alla pre­ parazione di quest'acqua miracolosa uno specifico trattato, il Peri tou theiou hydatos ("Sull'acqua divi­ na"). L'acqua divina di cui parla, il "mercurio" (ar­ gyreion hydor), è usualmente identificata con il sol­ furo di mercurio, il cinabro (kinnabaris), il "sangue del drago" dal caratteristico colore rosso purpureo, sinonimo sia della prima materia che dell'Uovo fi­ losofico (TURCAN 1961, p. 22; BERTHELOT, RUE LLE 1888, l, p. 81). Zosimo, come tutti gli alchimisti, ri­ tiene il mercurio la sostanza peculiare per trasmu­ tare ogni metallo in oro o argento. E questo non a caso, poiché, da un punto di vista meramente materiale e siderurgico, il mercurio ha la capacità di legarsi in modo ottimale secondo una sequenza che va dall'oro (il migliore amalgama) al ferro (l'ul­ timo in graduatoria). Il cristianesimo ricodificherà e "secolarizzerà" tutto questo simbolismo in una dimensione ecumenica. Eros e Thanatos

Secondo una delle versioni del mito, Osiride giace con Neftis ( moglie di Seth), suggerendo una delle vie più agevoli per la rigenerazione: il libero uso della sessualità. Nella crisi erotica, padroneg­ giando l'esperienza sottile, può verificarsi la con­ quista dell'immortalità. Hathor, dea dell'A more, riveste anche l'aspetto di Sekhmet, dea della Mor58

te. Nell'antichità ellenica, molti filosofi che amano dissertare sulla vacuità della vita, si rivelano buoni cono�citori di opere di natura pornografica : Cri­ sippo aveva scritto delle Epistole erotiche e molti altri versi "in tono scandaloso e turpe", tra cui assai noti erano quelli in cui giustificava l'incesto (Diog. Laert. 7, 187-189) ; il suo maestro Cleante si era ab­ bandonato, nel trattato Sul piacere, a una lasciva "descrizione" (ekphrasis) di un dipinto particolar­ mente osceno (Cic. De fin. 2, 69) . Più in generale, erotikoi logoi erano attribuiti a tutti i massimi esponenti dello stoicismo, inclu­ so Zenone. Lo stesso Aristotele avrebbe affron­ tato tematiche erotiche o addirittura pornogra­ fiche in più di un'opera, a partire da Sulle etere a ten iesi, un trattato molto scollacciato (Athen. 13, 567a) sulle tecniche amatorie delle prostitute da lui abitualmente frequentate ( D E MARTINO 1996, pp. 302-305 ; 315-318) . Eros e Thanatos sono argomenti prediletti nelle dispute filosofiche, uno strascico di vitalità per descrivere la finitu­ dine dell'esistenza. Si ricordi inoltre che in Egitto il geroglifico di­ segnato da un membro eiaculante ( m t) ha anche il significato di "veleno" ( m tw. t: ERMAN, GRAPOW 19572, II, p. 169), pozione mortale. La morte di Osiride e l'attesa della sua rinascita figurano il mi­ stero del coito e della sua attesa (DE RAcH EWILTZ 19822, p. 179). 59

Osiride, nella sua cassa, è gettato nelle acque del Nilo, in un fiume in movimento, è immerso nel flusso di una "corrente" che tutto trasforma. È lo scorrere imprevisto degli eventi in cui viene a tro­ varsi l'iniziato ai misteri. È la "discesa agli Inferi", la ka tabasis eis Aidou nei vari miti antichi. L'eter­ na coniugazione di principio e fine che gli Egizi effigiano nelle fattezze del Serpente Ouroboros. Il Serpente che si mangia la coda, il ciclico, inesora­ bile fluire dell'eternità e il limite spazio-temporale tra ciò che gli Egizi chiamavano N un ( il Caos) e l'esistente. Iside, la "forza attrattiva", il "magnete" degli al­ chimisti alessandrini, non conosce ostacoli e ri­ trova il corpo. Evita cioè che esso venga "disperso". Il corpo dell'Ouroboros è il luogo in cui è celato il principio della trasmutazione, ciò che gli alchimi­ sti chiamano hygra ousia, !"'essenza liquida" vir­ tualmente racchiusa in ogni corpo, il "magnesio" o "magnete" (Olympiod. Hier. tech . 47; BERTHE­ LOT, RU ELLE 1888, Il, pp. 98, 8-10; ALBRI LE 2008, p. 88-89). Nella prima materia, il piombo, è racchiusa la sostanza trasmutativa universale, la magnesia dai molteplici significati; da quello del metallo propriamente detto a quello di "magnete, calami­ ta" ( Diosc. 5 , 130 ; Orph. Lith . 307) ; ed è probabile che in senso traslato esso designi un peculiare stato di "attrazione" di forze divine. Olimpiodo­ ro, citando il sublime Zosimo, dice : "Abbando=

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nati e quieta le passioni; facendo così atti rerai a te l'essere divino e l'essere divino che si trova ovunque verrà a te. Quando conoscerai te stesso, allora conoscerai anche il solo Dio esistente; così facendo arriverai alla verità e alla natura, allon­ tanandoti con disprezzo dalla materia" (Hiera tech . 26; BE RTH ELOT, RUELLE 1888, I l, p. 84, 7-11 ; ALB R I L E 2008, p. 71) . Seth, l'Avversario, il principio "tifonico", sco­ pre (a causa della luce lunare, cioè nel sogno ordinario) , il corpo di O siride nel luogo segreto ove era stato posto, e ne fa scempio. Lo smembra in quattordici parti (ossia 7+7, la doppia sequen­ za planetaria ) che disperde le une lontane dalle altre . È l'isolamento delle singole potenzialità dal reciproco rapporto di interdipendenza, la di­ sgregazione della personalità fittizia. Il fallo di Osiride è divorato da un pesce, animale che vive nella "corrente", nel flusso del divenire . Iside, la forza attrattiva, cerca e ritrova le sparse membra dello sposo. L'identità dell'iniz iato, disaggrega­ ta nelle singole illusorie identità, è man mano ricostruita . Iside, trovati i frammenti delle membra di Osi­ ride e riunitili, concepisce Horus. Iside, la forza at­ trattiva, dopo aver vinto la "corrente" del divenire, dopo la "discesa agli Inferi", dopo aver "ricostruito" il corpo di Osiride, fa sì che lo stesso marito-fra­ tello possa risorgere nell'apoteosi cosmica dell'im­ mortalità. Una di tali manifestazioni è Sokaris/ 6t

Seker, il Sole notturno, il dio che nel culto fune­ rario menfita è ritenuto manifestazione di Osiride risorto (DE(ONICK 2012, p. 20; 00RESSE 1960; repr. 1986, pp. 51; 274). La liturgia misterica

Restando nell'Egitto ellenistico e spostando l'attenzione sul più lungo dei papiri magici a noi pervenuti, scritto su ben 36 pagine (PGM IV, 475732; PREISENDANZ 1928; n . ed. 1974, pp. 66-180 ; 1931; n. ed. 1974, pp. 88-97) , osserviamo il conte­ nuto del cosiddetto Grande papiro magico di Pa­ rigi. Si tratta di un brano liturgico, senza connes­ sione con gli altri testi del papiro, che il Dieterich riteneva una liturgia legata ai misteri di Mithra . Uno scritto che narrava l a rigenerazione spirituale di un generico adepto o myste conseguita attra­ verso un viaggio celeste dell'anima e l'unione con il principio sommo. Un rituale estatico definito dal Dieterich "Litur­ gia mithriaca", dal momento che lo studioso teu­ tone pensava che esso fosse funzionale ai misteri di Mithra. Tale ipotesi, corroborata dal fatto che il nome del dio compariva all'inizio e da una serie di altri elementi (teologia solare, ascesa dell'anima attraverso i sette pianeti ) era totalmente illusoria . Franz Cumont, il grande studioso belga, rivelò l'infondatezza di tale congettura, sottolineando

al contrario le affinità con la gnosi ermetica, in particolare con il tredicesimo trattato del Corpus Hermeticum. In effetti, il nostro testo si distingue da paralleli contesti magici per la centralità che ha il tema del­ la rigenerazione, la palingenesia, la nascita di un uomo nuovo, spirituale e quindi immortale: già in questa vita, grazie all'estasi in cui si abbandona il corpo, l'anima ascende in cielo fino a congiungersi col dio assoluto, precorrendo le sorti ultime. Un anelito espresso con immagini, simboli, mi­ tologie estrapolate da almeno tre differenti ambiti religiosi : egiziano, iranico e greco-ellenistico. Una prassi palingenetica, un "mistero" collocato in un contesto magico : l'incontro con dio, che in genere è ritenuto lo scopo del rituale, è qui asservito a fini ora co lari. Inizialmente, il myste si rivolge a due entità che in realtà sono uno : l'anima del mondo, che a partire dal Timeo di Platone figura l'elemento intermedio rispetto al dio supremo, e la pronoia o provviden­ za, che è la reale presenza del dio nel governo del mondo. La voce narrante proclama di aver ricevuto i misteri dal sommo dio grazie ad un suo mediato­ re; inoltre, invoca le potenze affinché gli conceda­ no l'immortalità. La prima preghiera evoca gli elementi che all'ini­ zio formano il corpo del dio cosmico : attraverso di essa il myste ritrova in se stesso frammenti di una creazione spirituale dimenticata nelle profondità

del proprio io. L'esperienza estatica gli permetterà di far rivivere in sé il mondo smarrito degli dèi, edi­ ficando un corpo spiritualizzato e immortale. La "grazia" concessa dal Dio sommo è il dono recato al myste per compiere un viaggio verso una nuova identità, verso la palingenesi. L'estasi è suscitata attraverso specifiche tecniche respiratorie : esiste un rapporto sostanziale tra lo pneuma o soffio individuale e il respiro cosmico; la tecnica respiratoria stabilisce un nesso diretto fra lo pneuma dell'uomo e lo pneuma cosmico, la ma­ teria di cui sono composti i corpi superiori . Il viaggio astrale

La prima stazione di questo viaggio è collocata nel mondo sublunare, dove dominano i venti e va­ gano gli astri luminosi. Per impedire che gli dèi ce­ lesti si volgano contro, contrastandone l'ascesa, il myste ricorre a una formula magica : allontanata la minaccia, può giungere nel suo viaggio celeste alla stazione successiva. Dopo aver dichiarato la propria natura astrale, gli si fa incontro una frotta di stelle, che in real­ tà sono anime inviate da Helios, il Sole, il grande luminare celeste che le ha create. Riconosciuta l'i­ dentità stellare, il myste eleva una terza preghiera per poter superare la barriera delle porte di fuoco.

Le varie invocazioni sono indirizzate al Sole in quanto demiurgo, rivelandone gli attributi princi­ pali, quali la potenza del soffio, la natura di fuoco, la forza luminosa e spirituale e così via. Un serie di epiteti che fanno di Helios un sinonimo di Ai6n, espressione della demiurgia nella sua estensione spazio-temporale (BoussET 1979b, pp. 192-230 ; LE GLAY 1981, p. 405; Musso 1994, pp. 134 b-142 a; CA­ sAmo 1997, pp. 45-62). Ai6n è durata infinita, saeculum, eternità, ma anche ciclo cosmico in perpetuo rinnovamen­ to. Un incantesimo invoca Helios quale padre dell'A i6n rigenerantesi: ho Pater tou palingenous Aionos (LEISEGANG 1949, col. 145) ; come il nuovo Ai6n la cui presenza ritornerà nella figura di Gesù Cristo, dispensatore di quel "lavacro di rigenera­ zione e rinnovamento" (loutron palingenesias kai anakainoseos) attraverso il quale giungere alla sal­ vezza ( Tit. 3, 5; Clem. Alex. Paed. I l , 9, 81, 3). Il transito della soteriologia aionica dall'elleni­ smo alla cristianità antica ha quale diversificazione e contrasto sempre il problema dell'anima. Anche qui il retaggio misterico è evidente: l'alternativa paolina tra Lettera e Spirito è risolta nell'eternità. Nel nostro papiro magico, dopo la lunga giacula­ toria, le porte si apriranno grazie al possesso dei nomi segreti di Dio. Una volta entrato nella corte infuocata del dio He­ lios, il myste si concentra nuovamente: ed ecco che gli appare un giovane dio, figlio del Sole, che farà da 6s

mediatore tra lui e il padre. Dalle profondità fanno poi la loro comparsa sette coppie di fanciulli, sette vergini dal volto serpentino chiamate le "sette Ty­ chai del cielo", con in mano degli scettri aurei e sette divinità maschili dal volto taurino, indiademati con corone d'oro e chiamati "Signori del polo del cielo". Chi sono questi personaggi? La parola Tyche ha il senso di "destino': "caso": "Zeus, che devo dire? Che vegli sui mortali oppure questa è una vana credenza, ed è il caso ( la tyche) che domina le vicende umane?", si chiede Taltibio nell'Ecuba di Euripide ( Ec. 488-490) . D i fatto, innanzi allo spettacolo delle catastrofi tragiche, innanzi a ciò che può apparire contrario alla pietà e alla logica, la Tyche e gli dèi si costitui­ scono come principi opposti e alternativi di una re­ altà incomprensibile. L'assenza di finalità trasfor­ ma il divenire in una dimensione in cui la presenza del divino è latente : "perché se c'è la tyche - dice un personaggio della perduta Ipsipile euripidea allora non c'è bisogno degli dèi, ma se all'opposto il potere è degli déi, la tyche non è più nulla" ( Fr. 64 BON D; SUSAN ETTI 2003, p. 122) . Ed è in quest'ulti­ mo significato, di lontananza del divino, del vero Dio, dal mondo, che la cosmologia del nostro papi­ ro magico ha recepito le sette Tychai celesti, richia­ mando l'idea del Destino soggiogato ai sette poteri planetari; un'idea affine alla gnostica Heimarmene creata e fatalmente determinata da quelle creazioni 66

negative e planetarie chiamate Arconti (WELBURN 1978, pp. 241 - 254; GI LHUS 1985) . Al contrario, nei sette dèi "Signori del polo del cielo", custodi dell' axis m undi, riconosciamo le sette stelle della piccola e grande Orsa in movi­ mento attorno al polo (Arat. Phaen. 26-44), cia­ scuna con la testa di fronte alla coda dell'altra; secondo la leggenda furono loro a proteggere il pargolo Zeus, in una grotta sul monte Ida mentre i Cureti distraevano Kronos. Le due costellazioni sono chiamate rispettiva­ mente Cinosura (Kynosoura) ed Elice (Helike), una più piccola dell'altra . Kynosoura, letteralmente "Coda di cane", è probabilmente il nome più antico che i Greci diedero all'odierna Orsa Minore, assi­ milando le sue stelle allineate alla coda drizzata di un cane (L E BoEUFFLE 1977, p. 90) ; Helike era la denominazione più diffusa per l'odierna Orsa Mag­ giore : il nome è derivato da helix "spirale", di cui è sinonimo,e rispecchia il movimento della costella­ zione attorno al Polo Nord ( L E BOEUFFLE 1977, p. 84; KIDD 1997, p. 188) . In mezzo alle due Orse serpeggia il primo gran­ de Drakon : la testa di Elice è vicina alla coda, quella di Cinosura è circondata dalle spire, che l'attornia­ no fino alle zampe, per poi allontanarsi all'indietro; due stelle marcano le tempie del Drago, altre due gli occhi e una il mento; la testa, inclinata verso la coda di Elice, passa sotto l'orizzonte (Arat. Phaen. 45-62) .

Vicino alla testa del Drago ruota una figura enig­ matica (LE BOEUFFLE 1977, pp. 100-102 ; MARTIN 1998, p. 4), simile a un uomo affaticato : nessuno sa dire chi sia né cosa stia facendo, ma viene sem­ plicemente chiamato Engonasin, l"'Inginocchiato", perché piegato sulle ginocchia, sembra affannar­ si; le sue braccia si allargano in direzioni opposte, mentre il piede destro è sopra la testa del Drago (Arat. Phaen . 63-70 ) ; alcuni lo identificano con Eracle intento a combattere il Drago che custodisce il Giardino delle Esperidi (Eratosth. Cat. 4; apud Hyg. Astr. 2, 6, 1) . Alle spalle dell'Engonasi ruota la Corona Boreale, che Dioniso ha collocato nel cielo in onore di Arianna (Arat. Phaen . 71-73 ) . Vi­ cino alla testa deli'Engonasi si trova quella dell'O­ fiuco (Ophiouchos), il "Serpentario", le cui mani si affannano per trattenere l'animale, che si avvolge attorno ai fianchi dell'uomo ; il serpente si dibatte fra le sue mani, soprattutto dalla parte della sinistra (Arat. Phaen . 74-90 ) . Nel cielo le due Orse ( Ursa major e Ursa mi­ nor) , formate da sette stelle, sono i Septem trio­ nes, i "Sette buoi" da lavoro immortalati nell'atto di trebbiare (Cicer. Arat . Fr. 6 Cicer. Nat. deor. 2, 105; PELLACANI 2015, pp. 44 ; 6R-69; ROSS I 2018, p. 154). L'immaginazione popolare avrebbe assimila­ to il lento movimento delle sette stelle attorno al polo a sette buoi che si muovono in cerchio per battere il grano ( L E BOEUFFLE 1977, pp. 87-88) ; peraltro, il passaggio dal lessico agricolo a quello =

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astronomico è all'o rigine del greco Hamaxa "Car­ ro", l'altro nome designato per indicare le Orse: il "Carro" trainato dai buoi celesti ( LE BOEUFFLE 1977, p. 8s ) . Poiché sopra il polo e la regione delle stelle fisse, domina il dio supremo che si manifesta per ultimo in tutta la sua maestà. Il dio assume quindi idealmente la posizione della Stella Pola­ re al centro del firmamento ; I'axis m u n di che un frammento del Piritoo (Peirithous), una perduta tragedia euripidea a sfondo cosmologico, non a caso dipinge nelle fattezze delle due Orse, due asterismi che forniti di ali e in perenne apparen­ te rotazione vegl iano il polo celeste = Atlante ( 88 B 18 D I E LS-KRANZ = Clem. Alex. Stro m . 5, 35 [ I I , 349, 18 ] ) . Astrotesie che trovano conferme nel più antico racconto zoroastriano sulla creazione, trascritto nel Bundahisn iranico ( anche conosciuto come "Grande Bundahisn" ) . In esso è insegnato come l'ecumene sia ripartita in sette regioni chiamate kiswar ( < avestico karsvar) , annodate con fili in­ visibili alla costellazione dell'Orsa maggiore ( ave­ stico Hapt6iringa- > pahlavi Haft6ring ; PANAINO 1998, p. 71 ) , la costellazione circumpolare dai "set­ te segni" (AirWb, col. 1767; 0UC H ESNE-GUI LLE­ MIN 1986, p. 237) . Nel mito, i kiswaréin avrebbero tratto origine dalla prima pioggia (Bundahisn 8, 1 ) che, bagnando la terra, l'avrebbe suddivisa in sette parti. Ancora, nella più antica cosmografia

iranica i Dodici Segni dello Zodiaco e le altre stel­ le e costellazioni sono schierate per contrastare l'attacco demonico dei Pianeti (Bundahisn V, 4 ; BRUNNER 1987, pp. 865 b-866 a ) . I quattro astri che custodiscono i quadranti della volta celeste O rsa Maggiore (Haftoring) , Sirio ( Tistar) , Pesce australe (Sadwes) e Vega ( Wanand) - vegl iano sulle diverse parti del cielo, agli ordini della Stella Polare (Mex i giih ) . L'esperienza visionaria del myste s i chiude con un'ultima preghiera, oscura nei particolari, anche se riusciamo a cogliere un significato di fondo : in possesso di una vita rinnovata, egli può affrontare le avversità del fato e la morte del corpo terreno che in realtà sancirà l'inizio di una nuova esistenza. Un 'altra salvezza

Pur inserito in un contesto magico, questo testo rivela un'idea di salvezza sostanzialmente diffe­ rente. Il benessere terreno è secondario ed è legato alla natura e alle funzioni del corpo materiale, vin­ colato alle mutazioni della triste e ineluttabile ne­ cessità. Il senso ultimo di ciò che può definirsi un "mistero di rigenerazione", è l'acquisizione di una identità salvifica attraverso un'esperienza estati­ ca che anticipa già in questa vita il futuro destino dell'iniziato ; rendendo possibile il recupero del­ la vera realtà dell'uomo, di un corpo perfetto e di 70

quei principi spirituali concepiti in una dimensio­ ne primordiale e "altra", e che riaffiorano, come da lontane e dimenticate profondità, nella coscienza del myste nella forma di una nuova vita che non teme più la morte. D'altro canto è indubbio che l'esperienza esta­ tica sia profondamente intrisa di spunti e fasci­ naziQni magiche : nella mantica estatica l'anima si separa dal corpo (RoHDE 19074, tr. it. 1916, p. 6o, 3), rendendo possibile addirittura la trasmigrazione, o la telecinesi del corpo medesimo ; si tratta di eventi visionari che riflettono rituarie e liturgie estatiche praticate nelle cerchie gnostiche, implicanti una separazione dal mondo corporeo ed una anasta­ sis beatifica; qualcosa di simile alla anagoge della teurgia "caldaica" e neoplatonica o alla "discesa" nella merkabiih del misticismo giudaico. Le tecniche di concentrazione e di controllo del respiro esposte nella "Liturgia mithriaca" rimanda­ no al principio di empatia cosmica : gli antichi ma­ estri dell'arte medica greca immaginavano che lo sperma, proveniente dal midollo spinale, fosse un fluido igneo e luminoso, lo pneuma, il soffio vivi­ ficante. Queste speculazioni mediche affondavano le proprie radici in mitologie arcaiche presenti an­ che nella cultura indo-iranica. La base di questi in­ segnamenti era che l'elemento più elevato e prezio­ so del corpo umano era il fuoco : l'uomo, in quanto microcosmo, era formato di quattro elementi, la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco. L'anima, la psyche, 71

era un soffio infuocato, di conseguenza anche lo sperma era una sostanza ignea, considerato come lo pneuma di cui era il ricettacolo. Quindi, per la corrispondenza esistente tra macrocosmo e micro­ cosmo, il Sole, la Luna e gli astri erano anch'essi composti di una sostanza affine al pyr, al fuoco : di lassù proveniva l'identità spirituale dell'uomo e las­ sù quindi ritornava. A partire dallo pneuma indivi­ duale, l'uomo aveva quindi la possibilità di richia­ mare e di unirsi al soffio universale che animava il cosmo. In seconda battuta, le formule magiche permettevano di superare le varie "barriere cosmi­ che" e di avere accesso alla corte divina. Troviamo esperienze affini nelle visioni gnosti­ che dei Libri di /eu, nei quali Gesù aiuta i discepoli ad attraversare una svariata serie di "tesori" nel viag­ gio celeste verso la luce del pléroma; psicogeografie che hanno un compimento visuale nel "Diagramma degli Ofiti': il più famoso cosmogramma gnostico "reinventato" sulla base delle testimonianze di Cel­ so e di Origene ( EVANS 2015, pp. 79-81). Sostanzialmente il diagramma era formato da una serie di cerchi tracciati a rappresentare una mappa delle regioni celesti e sovracelesti, uniti con altre immagini e figurazioni nelle quali si potevano forse riconoscere i sigilli e i caratteri magici pro­ piziatori all'"ascesa" celeste. Quello che sappiamo di certo è che il Diagramma era accompagnato dai nomi e dalle descrizioni dei sette Arconti planetari, adoperati quali lasciapassare cosmici; la sua fruibi-

lità magica e rituale poteva quindi essere contem­ plativa, psicogeografica oppure mnemonica. In al­ tre parole avrebbe potuto servire da strumento di catarsi estatico-contemplativa, come mappa per i viaggiatori degli spazi interiori, oppure come una carta per memorizzare parole e cifre magiche da recitare o da mostrare agli Arconti posti a sorve­ glianza di ogni livello planetario. Iniziazioni estatiche ( BURKERT 1972, pp. 120-126; CULIANU 1980, pp. 290-295) che presentano singo­ lari analogie etnografiche con il culto mesoameri­ cano del peyotl: il peyotl non è solo una pianta dal­ le virtù psicoattive utilizzata dai nativi Huicholes nelle trance sciamaniche, ma la personificazione di un'entità cosmica che guida l'iniziato al rito estati­ co verso una differente modalità di esistenza, una " rea l ta' separata" 2• Questo testo della cosiddetta "Liturgia mithria­ ca", ripropone in una sorta di sintesi estatica, gran parte delle tematiche che siamo andati esponendo: mescolato a quel intermondo mentale che è la re­ altà; anche lo Spirito è relazionale e dipende dalla materia. L'elemento estatico viene da sé. In altre parole, lo stesso estrarre il virtuale dal reale è costi­ tutivo della vita. Perché la realtà primaria è quella fonte desiderante partecipe delle molte dimensioni dell'Essere. Non siamo organi senza corpi. 2

La frase è presa a prestito dal famoso romanzo di Car­ los Castaneda ( CASTANEDA 197 1; tr. it. 1 97 2 ) . 73

I l. L O S PAZ I O D E I M I S T E R I

Il De mysteriis d i Giamblico è uno scritto basila­ re per la comprensione dell'antica disciplina miste­ dca. Un mistero che diventa sacramento, e che ha una storia a partire dal devoto discepolo di Plotino, Porfirio. Porfirio è il sistematore - oggi diremmo editore - dell'opera di Plotino, il sommo maestro neopla­ tonico ; con il maestro egli condivideva la visione mistica della realtà, l'unione con il divino che sor­ geva da un risveglio e da una intima necessità dell'a­ nima (SAFFREY, SEGONDS 2013, p. X) . Su posizioni alquanto differenti era l'altro grande neoplatonico, Giamblico : predicava la magia e la teurgia come vie unitive verso Dio, e contava un gran numero di se­ guaci in una celebrata scuola ad Apamea in Siria. Nato probabilmente intorno al 223 d. C. durante l'impero di Alessandro Severo nella Siria che dal tempo dell'energica Giulia Domna, moglie di Set­ timio Severo, e poi della sorella Giulia Mesa, non­ na e ispiratrice del mistico e debosciato Elagabalo, tanta influenza esercitava sulle sorti dell'impero,

Porfirio fu discepolo ad Atene del retore neoplato­ nico Cassio Longino, in seguito consigliere di Ze­ nobia, regina di Palmira, della quale seguì. la sorte, condannato da Aureliano per consiglio datole di resistergli. I culti solari siriaci, che con il rituale mistico, esotico e stravagante, erano stati imposti a Roma dalle donne dei Severi, il platonismo ateniese che si andava svolgendo verso interpretazioni simboliche e allegoriche inclini alla demonologia, furono tutti elementi decisivi per la sua formazione (ALTH EIM 1957; tr. it. 2007, pp. 113-121 ) . L'approdo a Roma nel 263 alla scuola di Plotino, gli ultimi bagliori della filosofia antica codificata nelle Enneadi, rappre­ sentarono infine la logica e naturale conclusione del suo percorso culturale. Sono gli anni oscuri dell'impero di Gallieno, quando con l'anarchia mi­ litare la crisi era al culmine. Il caos era quotidiano : in questo tragico tramon­ to, il rude Gallieno e la moglie Salonina seguivano ammirati le lezioni dell'egiziano di Licopoli e so­ gnavano con lui la repubblica filosofica di Platano­ poli ( Porph. Vi t. Plot. 12 ) . Il sistema metafisica plo. tiniano culminava infatti in un principio assoluto, buono e potente, l'Uno, che veniva a più riprese chiamato "sovrano" ( basileus) , dinasta di un impe­ ro interiore. L'imperatore di questo mondo poteva allora venir pensato, non solo metaforicamente, come il riflesso del "sovrano" metafisica (VEGETTI 2010, pp. 353-366 ) . Una filosofia apparentemente 76

impolitica e antimondana poteva così offrire una legittimazione ideologica al potere imperiale. Da queste certezze era estasiato il siriaco Podi­ rio, nutrito da un culto del Sole capillarmente dif­ fuso nella sua terra (ALTHEIM 1957; tr. it. 2007, pp. n8-uo); gli anni trascorsi in Sicilia e a Cartagine lo ritemprarono dopo la crisi spirituale che lo portò vicino al suicidio. Quando il 25 dicembre del 274 Aureliano consacrava un tempio al dio Sole a Roma e ne rendeva ufficiale il culto, Porfirio ritornava a Roma. Sembrava che la teocrazia fallita all'imberbe Elagabalo si instaurasse : le folle sconvolte da guer­ re civili, peste e carestie, rinvenivano nei culti mi­ sterici orientali la speranza di salvezza e di riscatto. Porfirio visse questa esperienza e ne interpretò le aspirazioni nella sua prolifica opera (77 titoli, in gran parte perduti) . La sua filosofia si svolge in ter­ mini mistici e simbolici, in antitesi con le acqui­ sizioni della teurgia, tentando una conciliazione tra platonismo e cristianesimo, in difesa dell'antica tradizione religiosa, spiegata razionalmente. Mosso dalla necessità di difendere la posizione plotiniana e stabilire le distanze dall'interpretazio­ ne teurgica di Giamblico (Museo LINO 2017, pp. 7579) , egli decide di scrivere una lettera aperta. Per accostarsi al suo avversario in modo amichevole ed evitare tutta una serie di schermaglie polemiche, Porfirio escogita una finzione calata nel tempo, indirizzando la sua lettera a un inesistente sacer­ dote egiziano, inventato per l'occasione e chiamato 77

Anebo. La filologia contemporanea c'insegna che il nome è forse derivato da quello del dio dei morti dalla testa di sciacallo Anubi ( 'npw, Anpu : SODA­ NO 1984, pp. 30-31), oppure da un costrutto che in egiziano suonerebbe come "Grande [-è] -il suo-ma­ estro", riferito al tre volte grande Ermete Trismegi­ sto, genio religioso di tutto il neoplatonismo e del­ la teurgia (SAFFREY, SEGONDS 2013, p. XXIV) . Nei territori della finzione letteraria si svolge quindi la contesa tra i due sommi maestri. Origini misteriche

Nell'immaginario neoplatonico, l'Egitto è rite­ nuto la patria degli dèi che hanno rivelato ai loro sacerdoti i segreti della vera religione e dei culti sacri. Oltre al fascino enigmatico che emanavano i geroglifici, i neoplatonici furono attratti dalle an­ tichità egizie anche e soprattutto per le concezioni sull'anima, molto fluide e incentrate sulla sopravvi­ venza nell'aldilà (RINGGREN 1979 ; tr. it. 1991, p. 69) . L'Egitto è sicuramente alla base di molte rappre­ sentazioni che la cultura Occidentale ha fatto pro­ prie (BONGIOANN I 1995, pp. 32-41), in primo luogo quelle filosofiche, anche se è abbastanza difficile isolare il concetto di "filosofia" nel quadro della tra­ dizione faraonica. Se per filosofia s'intende il pen­ siero espresso da Platone nelle sue opere e fiorito intorno al V-IV secolo a·. c. in Grecia, si deve rico-

noscere che l'Egitto faraonico ha però ben poco da spartire. Impossibile trovare nella cultura egizia un qualcosa di simile ai trattati filosofici noti a partire dalla tradizione platonica. Si è sempre discusso di un ipotetico viaggio e soggiorno di Platone in Egitto, dove questi sareb­ be stato istruito e indottrinato dai sacerdoti locali. Non sappiamo se questo viaggio sia realmente av­ venuto, e in caso positivo dovrebbe comunque col­ locarsi intorno al 388-387 a.C., in un'epoca di poco precedente la stesura dei dialoghi della maturità. Ora, dal momento che Platone parla spesso dell'E­ gitto soprattutto nelle ultime opere, in particolare Timeo e Crizia, ci si deve domandare: come mai non ne ha fatto menzione nei dialoghi precedenti? Forse perché l'immagine che ci dà Platone dell'E­ gitto è quella usuale e diffusa nella cultura ateniese del tempo ? In altre parole : ciò che leggiamo nei dialoghi platonici è la percezione classica, diffusa ad esem­ pio da Erodoto (che fu in Egitto nel 450-440 a.C.), di una terra ritenuta depositaria di un sapere anti­ chissimo e straordinario? Si scriveva per diventare mistici, per capire il senso spirituale delle cose, e il viaggio in Oriente - allora come oggi - assomiglia­ va all'antologia dell'attualità, all'esigenza di vivere nel presente, tagliando i ponti con il peso della sto­ deità e degli insegnamenti ricevuti. Quindi l'immagine dell'Egitto trasmessa da Pla­ tone andrebbe vistosamente ridimensionata. Altri 79

pensatori greci, come Talete o Pitagora, soggiorna­ rono forse in tempi diversi in Egitto ; ma è solo con l'avvento della dinastia saitica, intorno al 6oo a.C., che la cultura greca penetra nella terra dei Faraoni. Infatti l'ascesa al potere di Psammetico, originario della città di Sais, fu resa possibile anche grazie a un nutrito gruppo di mercenari greci e ciprioti. Per ricompensa dell'aiuto prestatogli, Psamme­ tico offrì a molti di loro la possibilità di trattenersi nel paese, e in breve tempo la nuova comunità ac­ crebbe di numero e d'importanza. Quando, tempo dopo, si verificarono improvvisi rigurgiti di vio­ lenza xenofoba il re Amasi prese i dovuti provve­ dimenti, concentrando tutti gli stranieri nella città di Naucrati, destinata a divenire col tempo la via obbligata di transito per tutte le merci in arrivo o in partenza dall'Egitto. Migrazioni extracomunitarie del tempo. Solo così, con una nutrita colonia di stanziati greci, si spiega il naturale e fecondo contaminarsi in Egitto delle due culture, l'ellenica e l'egiziana; manifestazioni rilevanti di tale incontro saranno le espressioni artistiche, soprattutto nel campo della scultura, e gli scambi a livello culturale e religioso che saranno alla base della nascita delle religioni cosiddette "misteriche". Prenderanno corpo dopo la controversa epoca di dominazione persiana e la successiva impresa di Alessandro Magno che adotterà usi e costumi tipici del faraone. I migranti ignorano le loro origini, dimenticano di avere una So

madre, sono vite ignare del nuovo, gravide di me­ morie perché sempre in competizione e sempre più effetto delle nuove ideologie. Con l'immaginato e l'accaduto che si equivalgono. Dentro di esse resi­ stono solo i nomi, non gli oggetti della discussione. Culti di salvezza

I culti misterici sono le prime vere religioni di salvezza individuale ad affacciarsi sulla sce­ na del mondo antico, preconizzando l'ascesa del cristianesimo, che di fatto può dirsi una loro pro­ paggine; si diffondono rapidamente, a partire dall'Ellenismo, in tutta l'area mediterranea. Com­ pongono il variegato panorama delle divinità mi­ steriche molte rappresentative personalità delle culture religiose d'Oriente, tra queste Mithra, Ci­ bele, Attis oltre le egizie Iside, Osiride, Arpocrate, tutte naturalmente rivisitate alla luce della nuova epoca. La matrice ellenica dei riti di iniziazione ammanta di sé e fornisce significati nuovi a divini­ tà antichissime come Iside o del tutto recenti come Serapide, creazione dei primi Tolemei, che vollero da un lato richiamarsi alla propria terra d'origine, dall'altro rinsaldare il legame con i sudditi egiziani. In questo contatto tra Occidente e Oriente è da cogliere il formarsi della leggenda di Alessan­ dro quale sovrano universale. Plutarco lo descrive come signore del cosmo (De Alex. Fort. 2, 13 : ton tes 81

oikoumenes basilea kai kyrion), un inviato divino, mediatore e unificatore dell'universo, il Saosyant iranico, il Salvatore della religione di Zarathustra. Una figura che lo zoroastrismo condivide con la religiosità dell'India antica : nell'induismo si parla infatti degli Avatara quali manifestazioni, incar­ nazioni cicliche del dio Vi�IJU. C'è sempre un pas­ sato che salva, a patto che sia sempre eguale e che si ripeta come un'ossessione liturgica. Il Saosyant, il Salvatore zoroastriano, è simile al Cristo, perché chi perde la propria anima la salva e solo la follia delle illusioni sarà capace di creare il Regno di Dio sulla terra. La sua figura ripete le avventure della verità, dove tutto è al tempo stesso falso e assoluta­ mente vero, senza cessare di essere folle come chi vuole alludere alla follia della croce. Alla morte del Macedone i successori, i cosid­ detti diadochi, faranno proprio quest'aspetto rega­ le e salvifico nelle loro titolature. Primi fra essi i potentissimi Seleucidi. Antioco VII Evergete (138129 a.C.) si ritiene inviato della "stella di Iside" (to astron to tes Isidos) , cioè di Sothis Sirio (a Canis Majoris). Antioco VI II Gryphius (125-95 a.C) è no­ minato come Epifanes, e si rivela quale "manifesta­ zione" di Zeus Ouranios, lo Zeus che ordina e pre­ siede al movimento degli astri, il signore del cielo, riflesso del Baal Shamim semitico. Più esplicita è la dinastia lagide che controlla l'Egitto : i Tolemei portano infatti la titolatura ufficiale di Soter; si ri­ tengono Redentori, incarnazioni umane di dinasti =

celesti, Theoi Soteres "Dèi salvatori". Nel Ponto, Mithridate I e suoi successori traggono il nome direttamente dal potente dio iranico Mithra. La nascita di Mithridate Eupatore è annuciata da una stella, che ne segna anche la grandezza e la natura divina e redentrice ( theon kai sotera), messianica (Iun. Iust. 37, 2, 1-3; Plutar. Quaest. conviv. 1, 6, 2). L'attesa di un Salvatore celeste, dopo aver con­ taminato la Grecia e l'Oriente ellenizzato tracima nel mondo latino. È il noto tema della IV Egloga virgiliana, che parla dell'avvento di un p uer, di un dio bambino, incontro fra iranismo e apocalittica latina. Virgilio ha in mente una divinità salvatrice, la stessa che un altro grande aedo imperiale, Ora­ zio, invoca nelle fattezze di un Ottaviano Augustus (Odi I, 2 ) : Roma è nel caos dopo la consumazione di un delitto nefando (Caesaris ultor al v. 44) , un mondo fluido in cui prendono forma aspettative apocalittiche; si auspica l'avvento di un Salvatore che riporti nell'Urbe i fasti dell'età aurea. Questa attesa di un Salvatore giunge con i disordini e le calamità suscitate dall'assassinio di una figura ca­ rismatica, Giulio Cesare. La fine di un tiranno collima con le aspettative di un rinnovamento, il ritorno di un mondo aureo che avrà le fattezze di un monarca (Augusto) non a caso nato negli auspici del Capricorno (Svet. Div. Aug. 94, 12) , cioè al Solstizio d'inverno, nella ricor­ renza del Sol invictus (RAH NER 1957; tr. it. 1971, pp. 147-150) . Ma la data di nascita svela una manipola-

zione politica: il futuro imperatore era nato in re­ altà sotto gli auspici di un altro segno, quello della Vergine, all'Equinozio. Ma il messaggio forte che s'imporrà sarà quel­ lo di un Augusto Stella salvatrice giunta per la sal­ vezza del mondo. L'unicità divina di Augusto pas­ serà nei successori Tiberio (''Signore della terra e del mare, salvatore del mondo"), Caligola (''Nuovo Sole") e nel "divino" Claudio. Epidemie misteriche

I nuovi culti, favoriti nello sviluppo dal cosmo­ politismo ellenistico, dilagarono ben presto al di fuori dei rispettivi spazi originari, configurandosi quali prodotti spirituali d'esportazione, di notevole successo. Nel caso egiziano, i culti di Iside e Serapi­ de si diffusero inizialmente nelle isole dell'Egeo : se ne trovano vestigia nell'antica Thera, dove le mis­ sioni archeologiche teutoni d'inizio secolo hanno identificato specifici luoghi di culto, oppure a Delo negli spazi della celebre terrazza dedicata alle divi­ nità orientali. Quest'ultima isola, sacra per tutti gli abitanti dell'Ellade, è in realtà un centro primario di irradiazione per le devozioni misteriche, che a poco a poco giungono a lambire anche il suolo ita­ lico. Ciò si realizza in due momenti distinti, il pri­ mo che risale all'epoca repubblicana quando sono i ceti popolari ad aderire in massa ai nuovi culti, il

successivo che si attua in epoca imperiale col favore del principe e su tre principali direttrici che origi­ nano dai porti di Ostia, Pozzuoli e Aquileia. Lungo le vie fluviali del Tevere e del Po oppure nell'imme­ diato entroterra campano sorgono così numerosi Isei e Serapei (a Roma, Pompei, Benevento come a Verona oppure Industria, l'odierna Monteu da Po, nei pressi di Torino), e altri edifici sacri dedicati alle divinità orientali. L'Egitto è recepito nel mondo romano come par­ te di un Oriente misterioso e immaginario, e solo i più colti e avvertiti tra i sudditi sanno comprendere appieno le differenze esistenti tra queste credenze esotiche. D'altronde non era fatto divieto ad alcuno di potersi iniziare, anche contemporaneamente, a più di un culto misterico e solo nei grandi centri urbani come Roma si differenziavano templi e per­ sonale sacerdotale per questa o quella devozione orientale. La battaglia di Azio del 31 a.C., che chiude defi­ nitivamente per l'Egitto il periodo di indipenden­ za, figura nella percezione romana come la vittoria dell'Occidente repubblicano, virtuoso, religioso sull'Oriente, considerato dispotico e decadente. L'astiosa propaganda antiegiziana di Roma, che culmina nel veto posto da Tiberio alla celebrazione dei culti isiaci e comporta di conseguenza la demo­ lizione anche del primitivo Iseo dal Campo Mar­ zio, rallenterà forse ma non potrà certo arrestare la diffusione, nei territori dell'Impero, delle credenze ss

religiose provenienti dall'Egitto. Gli imperatori ro­ mani, da Claudio in poi, estesero il loro consenso al culto isiaco e ne fecero addirittura una delle com­ ponenti religiose predominanti nel tessuto socia­ le imperiale. Ne è testimone attento e suggestivo l�puleio delle Metamorfosi (libro XI : TURCHI 1938, pp. 738 b-739 a), che descrive l'iniziazione isiaca come una cerimonia imitativa della morte e risur­ rezione di Osiride (SCARPI, RossiGNOLI 2002, pp. 218-223 [C21-C23] ; pp. 236-239 [E2] ) . Attraverso un linguaggio metaforico, Apuleio esplicita come l'e­ lemento erotico e sessuale avesse una parte rilevan­ te nell'iniziazione misterica. Non a caso nella fase di maggiore propagazione del culto le sacerdotes­ se erano note anche e soprattutto come prostitute ( HARTMANN 2001, col. 454; FAUTH 1988, pp. 24-39) . Così, in vesti di lino con il nodo allacciato sul pet­ to a mostrare i seni nudi, il sistro e gli altri emble­ mi della dea, venivano rappresentate in statuine e terrecotte (ARSLAN 1997, p. 101). Ciò spiega anche le misure repressive adottate dal Senato romano a partire dal 59 a.C. contro i culti di Iside. La dea misterica n primo imperatore a favorire apertamente i

culti orientali fu Caligola , che tra i suoi consiglieri annoverava un egiziano di nome Elicone, di cui si sa ben poco. Caligola, mostrando particolare predì86

lezione per i culti egiziani, farà riedificare in forme monu�entali l'Iseo Campense - che noi oggi cono­ sciamo attraverso il rifacimento domizianeo, docu­ mentato dalla Forma Urbis severiana -, ispirandosi all'antico Santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina. In questa località laziale, dove un tem­ po sorgeva l'etrusca Praeneste, sacra al culto delle acque sorgive, si ha notizia di un sincretismo Iside­ Tyche già dal II secolo a.C., nonché della vasta dif­ fusione della cultura cosiddetta "orientalizzante". A questi due celebri complessi cultuali di Roma e Palestrina va ricondotto anche l'Iseo del municipio romano di Industria, oggi Monteu da Po, nei pres­ si di Torino, per le evidenti affinità planimetriche, come più recenti scavi hanno rivelato. Nell'Iseo ci­ salpino comparirà in seguito anche un Serapeion, cioè un sacello del dio Serapide, in greco Sarapis, crasi di Osiride e Api. Api era il toro sacro venera­ to a Menfi quale incarnazione del dio Ptah; dopo la morte diventò un Osiride, quindi un Osiris-Apis Osorapis - Sarapis. Presente già al tempo di Ales­ sandro Magno, il culto di Serapide (Macrob. Sat. 1, 20; Plut. Alex. 76; Arr. Anab. 7, 26, 2; Suda s. v. Sarapis) venne introdotto ufficialmente ad Alessan­ dria da Tolemeo I quale divinità dell'oltretomba con attributi solari e poteri taumaturgici ( STAM BAUGH 1972). Il suo culto seguì quello della sua "sposa" Isi­ de. Sempre a Industria si venerava anche un altro dio egizio, forse il più importante : Ammone, cioè Amon-Ra, il dio solare identificato con Zeus. Nel

332 a.C. i sacerdoti del dio, nell'oasi di Siwa, procla­ marono Alessandro Magno suo figlio. Ma chi introdusse questa congerie di dèi alloge­ ni nello spazio urbano di Industria? Oculate ricerche hanno provato che responsabili dell'importazione di questi culti furono due fami­ glie, due gentes, membri dell'aristocrazia munici­ pale, gli Avi/Iii e i Lollii. Una serie di testimonianze epigrafiche attestano appartenenti a queste due famiglie tra i mercanti italici dediti al culto delle divinità egizie attestati nell'isola di Delo e a Roma. Ma la mercanzia trattata dai nostri era di un genere un po' particolare, umana: le due gentes erano in­ fatti note come famiglie di mercanti di schiavi de­ voti della dea egizia. La loro presenza nella Gallia Cisalpina si spiega prima che per ragioni religiose, per motivazioni strettamente mercantili : ad attira­ re la famiglia degli Avi/Iii fu infatti la schiavizzazio­ ne di massa della popolazione indigena e ligure dei Salassi , l'etnia sconfitta venduta da Terenzio Var­ rone nel mercato di Eporedia in numero di 36.ooo tra uomini, donne e bambini (Strab. 4, 6, 7), e mol­ to probabilmente utilizzati sia per l'estrazione di materie prime minerarie di cui lo stesso territorio alpino era ricco e sia per la costruzione di un pon­ te di proporzioni ragguardevoli all'imbocco della valle di Cogne in Val d'Aosta (tuttora conservato) che venne inaugurato nell'anno 3 a.C. Il ponte non serviva solo come via di passaggio, ma era funzio­ nale allo scorrimento delle acque utili alle fonde88

rie dei metalli. È probabile che gli Avi/Iii si fossero aggiudicati l'appalto del distretto minerario e si servissero del ponte per portare a valle il metallo grezzo, stagno, rame e piombo, che andava a for­ mare quel bronzo che serviva a foggiare gli ex-voto di Iside e di Serapide. Gli ex-voto di potenti divinità misteriche che venivano poi venduti nel santuario di Industria. Una mercificazione del sacro che ha radici antichissime e che nel nostro caso si unisce a un processo di schiavizzazione di una intera etnia. L 'Egitto a Roma

Nerone, che progettò ma non realizzò mai un viaggio in Egitto, ebbe come maestro in gioventù il sacerdote egiziano Cheremone, lo ierogramma­ teus di Iside e filosofo stoico, che nell'Al essandria del I sec. d.C. tradusse i geroglifici spiegando come la Fenice ogni 7006 anni si recasse in terra d'Egitto per esalare l'ultimo respiro (RAM ELLI 2007, p. 689) . Presenza egizia che ritroveremo nel sacerdote e mago Cerimon evocato nel Pericles, uno degli ulti­ mi drammi di William Shakespeare. Molti autori latini manifestarono vistoso dis­ senso verso le mode misteriche greco-orientali, preferendo conservare dell'Oriente, e dell'Egitto in particolare, un'immagine stereotipata, favolosa e lontana, riconducibile per certi versi alle narra­ zioni di un Erodoto o di uno Strabone. Fanno ecce-

zione il filosofo Seneca, che in Egitto si recò negli anni della sua formazione intellettuale, e il geogra­ fo Pomponio Mela, forse il primo vero "egittolo­ go" in senso lato. Entrambi tentarono con umiltà di avvicinarsi alla cultura egizia, distinguendo un Egitto primitivo, faraonico da quello reinventato nei culti misterici di epoca tolemaica. Roma cono­ sce l'Egitto attraverso il filtro dell'ellenismo e con il concorso di molteplici sovrapposizioni culturali. Giustamente, decidendo l'egemonia culturale da imporre, Roma diventa portatrice di una continua dissoluzione di quanto nella società era ideologia. Con l'età degli Antonini un rinnovato interesse investe la cultura egizia a Roma; esponente di spic­ co di questa rinascita è Adriano, coinvolto emotiva­ mente nel soggiorno in Egitto, in virtù anche della tragica vicenda che vede protagonista il giovane amante e futuro erede Antinoo, morto affogato nel Nilo. Le passioni artistiche e culturali dell'impera­ tore, si ritrovano plasticamente effigiate negli spazi della cosiddetta Villa di Tivoli, un notevole esem­ pio è il Canopo, una valletta artificiale che ripete nelle forme l'originale struttura sacra dell'omoni­ mo centro portuale egiziano ad est di Alessandria, sede di un famoso tempio di Serapide. Saranno un nugolo di letterati greci d'origine ma latini d'adozione, più liberi da condizionamenti, e tra questi Plutarco, Apuleio ed Elio Aristide, a for­ nire maggiori ragguagli sui costumi religiosi egizi alla coeva società romana. Plutarco, nel De Iside et

Osiride, tenterà di dare una spiegazione coerente alle diverse versioni del mito osiriano, "razionaliz­ zando" in un certo senso il pensiero mitologico egi­ zio. Apuleio, nel romanzo più noto celebrerà i fasti isiaci, mentre il sofista Elio Aristide si recherà in terra nilotica alla ricerca dell'iniziazione misterica. L'Egitto, da tempo provincia romana, condivide­ rà con l'Urbe la difficile transizione dalla religione antica al nascente cristianesimo. La soppressione per decreto di Giustiniano nel 565, di tutti i templi "pagani", compreso l'ultimo santuario sull'isola sa­ cra di File, sancirà anche la fine dei culti egizi nella terra d'origine. Presto svanirà anche la memoria della scrittura geroglifica, e dell'antico idioma re­ sterà solo qualche traccia nella lingua copta, la lin­ gua dei cristiani d'Egitto, detentori del potere tem­ porale sino alla conquista araba, che porterà alla definitiva islamizzazione del territorio egiziano. A partire dalla tarda antichità, lungo tutto il Me­ dioevo, i rapporti fa occidente latino ed Egitto sono sporadici, anche se i contatti con il mondo arabo e le Crociate sono evidenti . La riscoperta manife­ sta dell'antico sapere egizio si realizza però com­ piutamente nella Firenze rinascimentale alla corte di Lorenzo de' Medici, attraverso il recupero della cultura neoplatonica ed ermetica con Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. E proprio un giovane Marsilio Ficino, nell'aprile del 1463 compirà la prima fortunata traduzione dei libri ermetici, portati da poco dalla Macedonia da 91

fra' Leonardo da Pistoia ( GARIN 1966, pp. 378-379) . Si rifarà alla tradizione ermetica anche Giordano Bruno, per propria asserzione "appassionato culto­ re e studioso della religione egiziana", ovviamente di quella che lui crede di riconoscere come tale ai suoi tempi.

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I I I. E R M E T E L' E G I Z I O

S'è detto che nell'immaginario neoplatonico, l'E­ gitto è ritenuto la patria degli dèi. C'è una storia, incestuosa e tutta egiziana, che parla delle origini dei libri ermetici, legata alla spregiudicata regina Arsinoe I l , mossa da sfrenata cupidigia di potere, ma tanto esaltata dai poeti di corte dopo la morte. Arsinoe da giovinetta era servita quale strumen­ to di politica espansionistica egiziana nel Mediter­ raneo. Nel 3oo a.C. all'età di appena sedici anni era stata mandata in Tracia a sposarsi l'anziano re Li­ simaco e vi aveva governato come regina. Quando il vecchio rimbambito morì, cioè nel 280, dovette rifugiarsi in Egitto presso il fratello Tolemeo I I , che tre anni dopo la sposò, da cui l'eponimo di "Filadel­ fo" = "Fratello-amante" (CAPOVI LLA 1963, p. 152). Per le sue nozze vennero composti diversi car­ mi: da Callimaco e da Posidippo, che più tardi farà parte del gruppo numeroso dei Telchini. Anche Eratostene celebrò il fausto e incestuoso even­ to con un dialogo in onore di Dioniso (Athen. 7, 276 ) . Alla triste notizia della sua morte, nel luglio del 270, Callimaco compose la Ektheosis Arsinoes,

celebrandone l'apoteosi, la divinizzazione ( Pap. Ber. 13417c Fr. 228), immaginandola rapita in cielo dai Dioscuri, accolta tra le stelle dell'Orsa Maggiore (asterian hyp ' hamaxan) mediante il so­ lito artifizio poetico del catasterismo (CAPOVI LLA 1962, pp. 62-63). Qualcosa di simile capiterà ad un'altra regina d'Egitto, Berenice II sposa di To ­ lemeo III Evergete, assassinata e divinizzata dal figlio, e la cui treccia di capelli - offerta in voto nel tempio del dio Canopo - sarà trasformata in una costellazione del cielo boreale, la "Chioma di Berenice" appunto. Morta la sorella-sposa, sappiamo che il Filadel­ fo fece costruire in onore di lei un monumento di culto principesco, sul quale erano scolpite due cor­ nucopiae associate. Qualche tempo dopo iniziò a circolare la voce - sempre più insistente - che i due fratelli-amanti fossero entrati in possesso di uno scritto molto prezioso, il "Libro magico di Thoth", che permetteva di agire sul divenire, superando le facoltà umane, avvicinandosi alle divinità median­ te formule e rituali incantatori. Figli e successori cercheranno affannosamente questo libro meravi­ glioso (FOWD EN 1986, pp. 45-74). Le loro vicende sembrano ricalcare la storia demotica di Setne e di Neferkaptah alla ricerca del libro esoterico scritto dal dio Thot ( DONADO­ NI 1970 , pp. 542-547; REITZENSTEI N 1906, pp. 112117) . Un classico della letteratura magica dell'A n­ tico Egitto, la cui fama si unisce alla nascita della =

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filosofia ermetica e del suo genio tutelare, Ermete Trismegisto, l'Ermete "Tre volte grande" equiva­ lente di Thot, il dio egizio dalla testa di ibis, patro­ no della sapienza e della scrittura (BOYLAN 1922, pp. 99-101) . Nel primo capitolo del Libro dei Morti il sacer­ dote nell'accompagnare la mummia al sepolcro si identificava con il dio Thot : egli nel rituale si im­ pegnava ad eseguire per il defunto tutto ciò che il dio - in un tempo anteriore e mitico - aveva fatto per Osiride, traendolo a nuova vita, facendolo ri­ sorgere dopo la morte. Il dio Thot sovrintendeva inoltre alla pesatura del cuore del defunto su una bilancia che sull'altro piatto reggeva la dea Maat, la Verità. Se la bilancia si assestava in una posi­ zione di equilibrio, il defunto era salvo e andava ad abitare nella dimora dell'eternità ; in caso con­ trario un mostro vicino alla bilancia, la "Grande divoratrice", si avventava sul morto e ne faceva scempio (BOYLAN 1922, pp. 137-141) . In u n sarcofago d i alabastro del faraone Seti I (Sethos I) vi sono delle incisioni che raffigurano i morti occupati a produrre cibo celeste : alcuni por­ gono le piante di grano, altri lo mietono ; le spighe di grano sono le membra di Osiride e la pianta è la pianta Maat. Osiride era il dio grano, ma anche la personificazione della Verità. Il defunto viveva nel corpo del suo dio e lo mangiava quotidianamente come grano e come Verità. 95

Anche grazie al Filadelfo, gli Ebrei stabilitisi in frotta nella terra d'Egitto ebbero l'onore di veder tradotti in greco i cinque libri della Torah , nucleo iniziale della versione della Bibbia cosiddetta dei Settanta, indispensabile agli Ebrei ellenizzati che ormai avevano smarrito ogni legame con l'idio­ ma originario. Questi e altri fatti contribuirono ad aumentare il prestigio culturale della dinastia Lagide; così, molto dopo la loro composizione, qualcuno si preoccupò di vergare negli Aigyptiaka di Manetone una dedica apocrifa a Tolemeo Fil­ adelfo, raccontando come Manetone non avrebbe fatto altro che trascrivere i libri storici di Agata­ demone, chimerico figlio del secondo Ermete, il quale li avrebbe tradotti personalmente dalle is­ crizioni lasciate dal primo Ermete nei tempi an­ teriori al Diluvio. Manetone godeva di una così vasta fama presso gli accoliti di Ermete che essi composero sotto il suo nome anche un poema as­ trologico (Syncell. Chron . 72-74; MOSSHAM M E R 1984, pp. 40, 26-41, 28) . M a gli interessi ermetici del Filadelfo non sono un caso isolato : egli è noto anche come estimatore del poema astronomico di Arato di Soli, i Fenomeni, scritto verso la metà del I I I sec. a.C. e che tanta fortuna ebbe nell'Oriente greco quanto nell'Occidente latino ( K I D D 1997, p. 36) ; un successo sorprendente testimoniato, fin da subito e fra gli altri, dall'elogio di Callimaco (Epigr. 27; PFE IFFER 1953). g6

Libri ermetici

"Ermetismo" è dunque un termine moderno per indicare uno stuolo di scritti di natura pseu­ depigrafa, vergati in epoca ellenistica e attribuiti a Ermete Trismegisto, il "Tre volte grande", esito dell'incontro fra Hermes, il dio greco della scrittu­ ra, dell'interpretazione e del furto, e l'egizio Thot, al quale appunto si attribuiva una florida lette­ ratura magica ( BOYLAN 1922, pp. 124-135; KROLL 1912, coll. 792-823) . Anche la dea Iside è più volte associata a un libro, anzi, è autrice del Libro delle respirazioni copiato dallo scriba divino Thot, il te­ sto più importante (BOTTI 1968, pp. 223-230) della tarda letteratura funeraria, fiorita particolarmente a Te be fra il IV secolo a.C. e il II secolo d.C.• Dio delle comunicazioni e del commercio, non­ ché delle astuzie e dei furti, il figlio di Maia e Zeus, Hermes, dovette godere di una capillare diffusione nelle mercantili città costiere dell'A sia Minore - in particolare Efeso e Clazomene - specie in un'ep­ oca di rivoluzioni economiche e sociali quale fu 1

A un primo Libro delle respirazion i edito da P.}. De Horrack (DE HORRAC K 1877) , da porre presso il cuore del defunto, se ne aggiunse un secondo (CHASSI NAT 18 95 , pp. 3 12- 3 1 4 ) , in cui si conservava i l Nome e che doveva essere posto sotto la testa del defunto ( PE LLE­ G R I N I 1 9 04b, pp. 8 7-10 4 ; 19 03 , pp. 3 10- 3 21; 1 9 04a, pp. 49 - 57 ; 147-1 5 8 e tav. ) ; si vd . ora GOYON 197 2, pp. 183 3 17; H E R B I N 1999 , pp. 149 -22 3 . 97

la seconda metà del VI sec. a.C. Quindi non deve meravigliare il suo assimilarsi al dio Thot in spazi geografici attigui all'antico Egitto. Hermes compare spesso nei versi di Ipponatte, un poeta giambico cioè satirico -, di frequente in bocca a malfattori e poveracci (NERI 2004, pp. 176-177) ; è il dio che rubò ancora in fasce la mandria del fratello Apollo, celebrato da Ipponatte come "strozzacani" e "com­ pagno dei ladroni" (NERI 2004, p. 178 [testo 35 Fr. 2, D EGANI 199e] ) . Dopo aver rubato i l gregge d i Admeto, Hermes lo condusse sino a Pilo di Messenia; qui, sacrificò due giovenche e ne fece dodici parti, una per cias­ cuna delle dodici divinità. Poi, dopo aver nascosto il bottino, ritornò alla grotta natale. Nell'entrarvi, scorse una tartaruga; la prese, ne vuotò il guscio e tese, sulle estremità, delle corde fabbricate con le interiora delle giovenche sacrificate. Aveva inven­ tato un nuovo strumento musicale, la lira. Apollo, adirato del furto, cercò ovunque gli ar­ menti affidatigli da Admeto : scoperto l'inganno del fratello, dopo una contrattazione, gli lasciò il maltolto in cambio della lira, l'arpa che diverrà il suo strumento oracolare. Qualche tempo dopo Hermes inventerà la siringa - il flauto di Pan - e nuovamente baratterà la sua invenzione con Apol­ lo in cambio del caduceo, il bastone magico con cui ipnotizzare i mortali nel tragitto verso gli inferi; il medesimo bastone che utilizzerà per uccidere Argo, il gigante dai cento occhi custode di Io, sac=

erdotessa di Hera bramata da Zeus e trasformata in mucca. Traendo delle conclusioni, si può dire che attor­ no al 150 a.C. venne compulsata, ad opera di sudditi dei Tolemei, una serie di libri, la cui autorevolez­ za era garantita dalla loro origine divina. Ispirati, come s'è detto, da Ermete Trismegisto, il detentore di tutte le scienze, il tre volte grandissimo, omo­ logo greco di Thot (BoYLAN 1922, pp. 102-103). Questi scritti erano espressione di una sapienza universale, trasmessa dalle generazioni passate e comprensibile solo agli eletti, i teleioi. Essi ci sono noti soprattutto in adattamenti posteriori, quan­ do diedero origine, agli albori del III sec. a.C., a un movimento esoterico, che univa concezioni sull'a­ nima di derivazione orfico-pitagorica con elementi attinti allo stoicismo e affiancati a tradizioni di ori­ gine iranico-mesopotamica. Di probabile origine ermetico-alessandrina (QUISPEL 2ooob, p. 152; VAN DEN BROEK 2000, pp. 83-86) è per esempio un insegnamento che trovia­ mo in un trattato gnostico, il Secondo Libro di !eu, dove un Gesù mago : "Comandò che [i discepoli] stringessero nelle mani il numero dei sette suo­ ni, che è 9879" (II }eu 46; SC HMI DT, MACDERMOT 1978, p. 109, 6-14). Il numero 9879 corrisponde al copto thooth che altro non è che una variante lin­ guistica dell'egizio Thot (nelle fonti greche men­ zionato come Thoth oppure Thouth: BOYLAN 1922, pp. 1-10), le cui vicende iniziatiche e profane abbia99

mo visto strettamente relate all'eponimo fondatore della disciplina ermetica. Nei libri ermetici di particolare rilievo è il ruo­ lo assunto dall'astrologia che, nella latenza delle tradizionali voci oracolari, offriva la possibilità di predire il destino di ciascuno con esattezza quasi matematica. L'accostamento di elementi religiosi e scientifici, che caratterizzava l'astrologia, rivela in realtà un'origine remota, risalente già al primo ellenismo e legata a interpretazioni particolari, so­ prattutto delle ultime opere platoniche. Gli astri "anonimi", a cui nel decimo libro delle Leggi Pla­ tone attribuisce una natura divina, si trasformano nella lettura di Filippo di Opunte, il presunto auto­ re dell'Epinomide platonico, negli dèi dell'Olimpo tradizionale, diventando misura, sapienza numeri­ ca che lega il cielo a tutte le cose animate. Ermete astromagico

Il Trismegisto era l'ultimo Ermete, che attra­ verso una lunga trafila avrebbe ricevuto la sapienza geroglifica dal primo Ermete. Secondo il perduto Kitab al-u/Uf di Abii Ma'shar, Ermete/Mercurio, il profeta di I:Iarran, di tempo in tempo si sareb­ be manifestato in triplice forma (mu.talla.t: CARUSI 1992, p. 179, n. 13) : all'inizio prendendo le fattezze del primo eroe e legislatore iranico Hòsang ( S HAH ­ BAZI 2004, pp. 491 b- 492 a), poi del patriarca ebra100

ico Enoch ( Ukhnukh : (HWOLSOHN 1856, pp. 637639; 787-790) e infine del profeta islamico Idrls (cioè Andreas, il cuoco di Alessandro Magno che la tradizione riteneva avesse conseguito l'immor­ talità fisica; ma la tradizione coranica poteva aver attinto anche dalla figura dell'apostolo Andrea) . In altre versioni, il primo Ermete era identificato con Enoch vissuto in Egitto; il secondo, babilonese, era il Mercurio dei Caldei (Nabu/Nebo) ; e il terzo, egi­ ziano, padre dell'alchimia, era il "tre volte grande" Trismegisto, summa dei due precedenti (PI NGREE 1968, pp. 14-18) , le numerose scienze e tecniche conosciute prima del diluvio universale sarebbero quindi state salvate, scolpite in forma geroglifica sulle mura delle piramidi (FODOR 1970, pp. 335363) . Il mago Bitys, secondo Giamblico, scoprì a Sais dei geroglifici scritti da Ermete-Thot, li tra­ dusse e li fece conoscere al faraone Ammon (De myst. 8,s; w , 7) . Una tradizione raccontata a molti. Se prendiamo un testo classico di magia rituale (THORNDIKE 1923, pp. 227-228), la Clavicula Salomonis, composta nella seconda metà del XIII sec., e la cui versione più antica (VÉRONÈSE 2008, pp. 193-223) è posse­ duta dalla Bibliotheca Philosophica Hermetica di Amsterdam (Ms. 114, pp. 74-138, XV sec. ex. )2, nella prima prefazione i ncontriamo i classici modelli di 2

Altra copia antica alla Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 7 162, ff. 14 1. 101

rivelazione ermetici ( GILLY 1999, p. 228) : dopo la morte di Salomone, i rotoli della Clavicula furono riposti in uno scrigno d'avorio e collocati nel suo sepolcro. Con il passare dei secoli vennero ritrova­ ti da Toz ( corruttela di Thoth ) Greco, o Mercurio di Babilonia, che riuscirà a decifrarli dalla versione ebraica originaria grazie all'aiuto di un angelo. La magia rituale salomonica appare come un dono e i destinatari di questa conoscenza sono uomini fuo­ ri dal comune, cioè i filosofi. Una modalità di rivelazione ermetica ( FILORA­ MO 1974-1975, pp. 69-70}, che troviamo ben defi­ nita nel Liber planetarum ex scientia Abel, un testo astromagico rilevante, menzionato nello Specu­ lum astronomiae, un apocrifo fraudolentemente attribuito ad Alberto Magno, che tra i numerosi materiali ermetici registra anche scritti di magia "salomonica"J. Il Liber planetarum ex scientia Abel è suddiviso in sette trattati, collegati da presupposti teorici e operativi uniformi e da frequenti rimandi interni ( PERRONE COM PAGN I 2001, pp. 40-42) : Liber Lu­ nae, Liber Solis, Liber Mercurii, Liber Veneris, Li ber Martis, Liber Iovis, Liber Saturni. Il testo circolò in

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Speculum astronomicum de libris licitis et illicitis, in Tabula tractatuum Parvorum naturalium A/berti Ma­ gni, impensa heredum quondam domini Octauiani Scoti ciuis Modoetiensis ac Sociorum, Venezia 1 5 17 , pp. 2JOV-2JJV. 102

latino molto presto : il Uber Lunae e il Uber Solis furono tradotti da Adelardo di Bath e da Roberto di Chester, dopo il n44· Dalla traduzione di Adelardo fu tratta la recensione più breve, conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Ms. I l . I I I . 21 4) . I Uber Martis, Uber Iovis e Uber Saturni sono conservati in due redazioni leggermente dif­ ferenti, ma non si può stabilire con certezza se si tratti di due traduzioni diverse (LUCENTI NI, PER­ RONE COM PAGNI 2001, pp. 66-68)4• L'intera collezione è ordinata secondo la successio­ ne Luna-Sole-Mercurio-Venere-Marte-Giove-Satur­ no, e il prologo del Liber Lunae ne traccia la storia, intessuta di reminiscenze arcaiche. Dopo il diluvio, Ermete Trismegisto era giunto a Ebron, la città dove avevano vissuto Adamo, suo figlio Abele e la maggior parte dei saggi antidiluviani. Qui aveva riscoperto una serie di lapidi marmoree scolpite e nascoste dagli antichi filosofi; tra queste, erano venute alla luce le pietre alle quali Abele aveva affidato la memoria della dottrina dei talismani o praestigiorum scientia, la pri­ ma e la più perfetta di tutte. Ermete racconta di aver rinvenuto prima la stele relativa al tredicesimo tali­ smano del Liber Lunae, di averne seguito le istruzioni e di averne constatato l'efficacia; avrebbe poi ritrovato le pietre contenenti le istruzioni per gli altri dician4

Si vedano i n o ltre i mater i a l i raccolti in http : / /www. mirabileweb. i t / t i t l e / l i b e r- s e p te m - p l a n e t a r u m - ex­ scientia-abel/16 9 1 9 8 .

nove talismani dello stesso libro e successivamente quelle dei rimanenti sei libri. La raccolta espone una forma di magia talismanica basata sulla determinazione del momento astrologi­ co, sull'incisione di un'immagine su metallo, per lo più prezioso e non legato alla classica omologia pla­ netaria, sull'iscrizione di specifici nomi o simboli in varie parti dell'immagine e su un suffumigio, duran­ te il quale procedere all'evocazione incantatoria, cioè alla dichiarazione dell'intento, alla pronunzia di uno o più nomi di entità angeliche e a una invocazione. Successivamente l'immagine dev'essere sepolta oppure riposta con una ulteriore invocazione; tal­ volta invece dev'essere appesa al collo oppure cinta al fianco. Il rituale nella sua interezza è descritto nel Liber Lunae, salvo la prassi del seppellimento, che è esposta nel Liber Saturni; tutti gli altri libri si limi­ tano a fornire i dettagli e le modifiche da apportare alla rituaria stabilita nel Liber Lunae. Le istruzioni astrologiche sono essenziali: i venti talismani del Li­ ber Lunae richiedono semplicemente l'osservazione della congiunzione della Luna con un altro pianeta oppure la sua collocazione in un particolare Segno Zodiacale o nei Nodi Lunari ( Caput e Cauda dra­ conis) ; i dodici talismani del Liber Solis si devono fabbricare quando il Sole si trova in uno specifico segno zodiacale; i talismani degli altri cinque libri presuppongono invece non solo la collocazione del rispettivo pianeta in uno specifico segno, ma anche una sua particolare posizione rispetto alla Luna. 10 4

Mistero e magia

Si può dire che la magia sia nata da uno di que­ sti effetti di post-verità. Si va nel bosco, si accende un fuoco, si recita una preghiera e ciò che si vuole si realizza. Col tempo si perdono le capacità di ri­ trovare il posto giusto nel bosco, la stessa memoria di quella preghiera, il mago sparisce nella foresta, però l'incantesimo, anche se incomprensibile, con­ tinua a funzionare. Quando sparisce l'oggetto resta il nome, il rotolo scritto, le cantilene del mago. Ri­ cordiamo come uno dei miracoli più sorprendenti noti nella tradizione magica latina, fosse la deduc­ tio lunae. Infatti proprio questo prodigio ( DANESI MARION'I, 1982, pp. 117-119), esibito davanti agli oc­ chi attoniti dei partecipanti, doveva essere il banco di prova dell'abilità della strega latina : in Tibullo 1, 2, 41-43 il poeta, che vuoi dimostrare alla sua donna l'efficacia del potere della maga alla quale si è rivol­ to, prima di enumerare le consuete manifestazioni di tale potenza, asserisce di aver visto discendere dal cielo l'astro lunare (hanc ego de caelo ducen tem sidera vidi). Tibullo ha osservato questo miracolo e sembra disposto a credere al resto. Anche Ovidio afferma di avere assistito agli incantesimi esercitati dalla strega ruffiana Dipsas sugli astri e sulla Luna, che vede ruzzolare dal cielo grondante sangue ( Ovid. Am. 1, 8, n ) . Per effetto degli incantesimi la Luna, costretta a scendere dal cielo, diventa rossa color

sangue (Ovid. Am. 2, 1, 33) . La deductio lunae è un fenomeno complesso, difficile da interpretare, probabilmente si pensava che attraverso di essa la divinità triforme Diana-Luna-Ecate (Artermide­ Selene-Hekate) si facesse presente al rito, confe­ rendo ad esso particolare potenza ed efficacia. Un immaginario lunare che ritroveremo nelle fanfaronate del Barone di Miinchhausen (17201797) : la Luna è un'isola lucente abitata da grandi esseri che cavalcano avvoltoi con tre teste; sulla Luna si trovano anche altri personaggi - dalla stra­ na fisionomia - provenienti da Sirio, un astro che - vedremo - molto importante nella cosmologia antica. Gli abitanti della Luna germogliano sugli al­ beri, chiusi in grandi gusci simili a noci. Solo quan­ do le grandi noci sono gettate in acqua bollente, gli esseri lunari, i seleniti, nascono. Sono esseri mo­ dulari, le cui parti del corpo paiono smontabili, e quando invecchiano non muoiono come i terrestri, ma il loro corpo si dissolve nell'aria, evaporando come fumo (BDRGER 1839; tr. it. 2006, pp. 99-102).

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I V. C O R P I I M MAG I NA R I

L'ispirazione egizia del Corpus Hermeticum ri­ chiama sia l'apporto sapienziale che il dio Thot ha nella cultura faraonica, sia la raffigurazione sote­ riologica che ne dà - in una prospettiva sincretisti­ ca - la Storia Fen icia di Filone di Biblo, uno scritto interessante per capire le interazioni fra antichità egizie ed ellenismo ( STRICKER 1953, p. 21 ) . Filone di Biblo ha nel II sec. a.C. una posizione polemi­ ca assai aspra e decisamente ostile al carattere e alla tendenza innovatrice, in fatto di mitologia, degli antichi autori greci, a cominciare da Esiodo e dai poeti ciclici; accusandoli di appropriarsi del­ la maggior parte dei miti cosmogonici (ta pleista exidiosanto), deformando la verità, specie intorno ai fatti della Teogonia, della Gigantomachia e della Titanomachia e mirando piuttosto ad abbellirli con eventi che rechino piacevole impressione ( CAPO­ VILLA 1960, pp. 36-37) . Sfogo, questo, di un intellettuale, quale appare Filone, imbevuto ed entusiasta delle più antiche teorie cosmogoniche orientali, il quale non può

ammettere le velleità innovatrici, a base estetiz­ zante, dei poeti greci ritenuti dei "novellini". Filo­ ne è un personaggio che sembra conoscere a fondo tutti i segreti delle cosmologie orientali, e le sue parole suonano come invettiva mista a indignazio­ ne a stento repressa (Fr. 28 ) contro Esiodo e i poeti ciclici contraffattori della verità. Il libro di Filone, restituito in frammenti, è in gran parte basato sull'opera dello storiografo feni­ cio Sanchuniathon di Berytos, vissuto nel XIV sec . a.C., sulla cui figura gettano luce soprattutto alcuni passi della Praeparatio evangelica di Eusebio di Ce­ sarea (1, 9, 20-10, 55) e del De abstinen tia di Porfirio ( 2, s6) . Secondo Eusebio, fonte diretta di Sanchu­ niathon dovrebbero ritenersi i Memorabili di Hie­ rombalos sacerdote del dio Iam; ma la lezione nel testo ha Ieuo ritenuta corrotta e letta Iam, dio feni­ cio, come ha proposto a suo tempo Otto Eissfeldt (CAPOVI LLA 1960, p. 35) . Eusebio si sofferma sulla teoria cosmogonica del fenicio Sanchuniathon, che aveva parlato del dio Taautos, corrispondente all'egizio Thouth, all'alessandrino Thoth e futuro Trismegisto. Dopo aver parlato di Chousor, di Misor e Sydyk, osserva che da Misor nacque Taautos inventore delle lette­ re dell'alfabeto, mentre da Sydyk ebbero origine i Dioscuri, Coribanti e Samotraci inventori dell'arte della navigazione (CAPOVI LLA 1960, pp. 39-40) . Egualmente istruttiva è la testimonianza del me­ . desimo Eusebio che riferisce dalla sua fonte - forse �

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Porfirio - le parole di Taautos sulla natura divina, ignea e "pneumatica" del Serpente; un'identità sa­ crale concordemente ammessa da Fenici ed Egizia­ ni, che lo chiamano Kneph. Il Serpente è "infinito nel tempo" (polychron iotatos), eterno, rinascente e rigenerantesi a nuova vita, e "quando ha raggiunto una età prestabilita si autodivora". Il Serpente è im­ mortale e "si risolve in se stesso" (Euseb. Praep. ev. l, 10, 46-48; BAUMGARTEN 1981, pp. 20-21; 245-246); è l'Ouroboros celebrato dagli alchimisti, il Serpen­ te avvolto su se stesso, che inghiotte e divora la pro­ pria coda ( PREISENDANZ 1940, pp. 194-209; SHEP­ PARD 1962, pp. 83-96; LUCK 1986; tr. it. 1999, pp. 258-259; 372). Una digressione serpentina che offre a Eusebio lo spunto per trattare del dio Ophion, di cui si era occupato Ferecide di Siro, desumendo l'argomento dalla Storia Fen icia di Filone di Biblo. Immortalità

Le innovazioni e le libertà promesse nei culti misterici agiscono anch'essi come strumento di integrazione e di imprigionamento ; fulgido esem­ pio di come si può formare una "tradizione", anche se eversiva, d'altronde a ben pensare tutte le tra­ dizioni sono eversive, a partire da quella cristiana. La stessa tradizione che nella ricerca di un signi­ ficato conduce gli adepti ermetici ad occuparsi di "anime" come di un fatto religioso, di un avvicina10 9

mento che è simile al corpo di Cristo che è exista­ nai l"'uscire dal corpo" nel momento della croce­ fissione, ma anche gnostico se pensiamo al Libro di Baruch dello gnostico Giustino, dove è grazie al diavolo-serpente che Gesù si libera (un tema ripre­ so ne Il Maestro e Margherita di Bulgakov) . Ma da dove nascono queste nuove percezioni? La morte, scissione definitiva con il mondo vi­ sibile e "vivente", era ritenuta dagli antichi egizi un elemento fondamentale nelle modalità e nelle forme che regolano i rapporti fra macrocosmo e microcosmo ( D E RA.CH EWI LTZ 1982\ pp. 52-55 ) . Questa oscillazione tra l'unità del mondo divino e la molteplicità delle individualità corporee (HoR­ NUNG 19935, pp. 166-179) - che ritroveremo rifor­ mulata secoli e secoli dopo nelle teorie dei neo­ platonici - è il momento saliente di una religiosità indirizzata a sciogliere gli enigmi dell'aldilà. Si può facilmente obiettare che questo sia un proble­ ma di tutte le religioni, ma nel caso egizio la "vita oltre la vita" si pone come una sorta di conquista culturale subordinata a specifiche condizioni. Tale conquista può essere definita una "seconda nascita" e può configurarsi in tre distinti livelli di ordine storico e sociale. Il primo è figurato nelle vicende del Faraone che - in quanto dio - era immortale e dunque ve­ niva sepolto in modo da durare, in un edificio indi­ struttibile. La durata fisica, poi, è perseguita con la mummificazione. Di fatto, nelll\ntico Regno siano

mo già in presenza degli elementi più caratteristici di tutte le forme religiose che si svilupparono più tardi in terra d'Egitto (JuNKER 1949, capp. IV-V) . Le piramidi della IV dinastia a Giza presso Men­ fi, sono ineguagliate per mole e per accuratezza di lavorazione. La piramide è enorme rispetto alla camera sepolcrale che si trova nel suo interno e allo stretto corridoio di accesso : le dimensioni e la forma ne fanno un segno - ingrandito all'infini­ to - della presenza del Faraone. La consacrazione che lo rendeva signore dell'Alto e del Basso Egitto, esprimeva nel rito il dualismo fra la sua figura e le forze cosmiche alle quali egli attingeva, un colle­ gamento fra macrocosmo e microcosmo. Grazie a questi rituali, il Faraone diveniva un Horus ( Horo ), riflesso terreno dell'antico Dio solare, conferman­ do così l'avvenuta unione tra la sua persona e la di­ vinità permeante l'universo. Attorno alla piramide del Faraone sorgevano le tombe - a "mastaba" - dei parenti e funzionari del defunto, edificate per condividere il privilegio di­ vino dell'immortalità. All'ombra delle piramidi, i sudditi e i legati del Faraone si facevano seppellire per conseguire anch'essi il dono della vita eterna. Siamo qui in presenza del secondo livello di candi­ dati all'esenzione dalla morte, quelli che più tardi si trasformeranno negli "iniziati" ai riti misterici ( DE RACHEWILTZ 1982\ p. 54 ) ; coloro i quali già du­ rante la propria esistenza terrena "avevano vinto la morte", affrancati dalla catena delle trasmigrazioHl

ni, uniti a una individualità non soggetta a ulteriori mutazioni, solidali all'essenza stessa della divinità. A tale condizione di esistenza può ascriversi una formula ricorrente in numerose stele funerarie e che nomina il defunto come "realmente giustifica­ to in terra". L'identità di "giustificato" è attribuita, nella prassi funeraria, al morto dopo che questi ha felicemente superato il giudizio del tribunale pre­ sieduto dal dio Osiride. Di conseguenza la "giusti­ ficazione in terra", di cui parla la formula, induce a pensare che l'esperienza del trapasso sia già sta­ ta sperimentata "sulla terra" ( tep ta) , cioè durante la vita del personaggio in questione. Ipotesi che si lega a quanto leggiamo nel cap. 19 del Libro dei Morti, tarda opera papiracea di epoca tolemaica, dove appare una "Corona di Giustificazione" ( m3}:1 n m3' }Jrw mah en maa kheru), manifestazio­ ne visibile del trionfo sulla morte conseguito nel Duat, nell'Aldilà ( RIGGS 2005, pp. 81-82). Nelle vi­ gnette che illustrano la scena, la corona è dipinta come un'aureola sprizzante raggi, segno di una rag­ giunta identità solare. In pratica ciò si realizzava sottoponendo la mummia - prima della sepoltura - a un giudizio preliminare analogo a quello che il defunto avrebbe dovuto subire innanzi al tribunale di Osiride. Ovviamente il pronunciamento era fa­ vorevole e, alla conclusione, la mummia riceveva la coroncina o ghirlanda floreale. Protagonista egli stesso dei tardi misteri isiaci, Apuleio nelle Metamorfosi racconta la strana storia =

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di Lucio trasformato da una maga in asino. L'un­ dicesimo libro del romanzo descrive l'iniziazione isiaca come una cerimonia imitativa della morte e risurrezione di Osiride. La precedono un bagno di purificazione, digiuni, preghiere con la continua assistenza di un sacerdote isiaco. L'adepto, a com­ pimento dell'iniziazione, viene adornato di una fulgente "stola olimpica", di una corona e fatto se­ dere sopra un trono, esposto alla venerazione degli astanti, come un nuovo Osiride-Sole. La "corona di giustificazione" che l'iniziato cinge, è la stessa ghirlanda di rose che 11\sino-Lucio strappa dalle mani del sacerdote di Iside per mangiarsela e trasformarsi nuovamente in uomo (Met. n, 13). Trasformazioni

Le certezze dell'Antico Regno paiono tramonta­ re con la fine della VI dinastia, cui segue un perio­ do di divisione politica e di disordine sociale detto "primo periodo intermedio" ( ca. 2200-2000 a.C. ) . È in tale segmento temporale che si dovrebbe collo­ care il terzo livello di candidati all'immortalità. La crisi sociale comporta infatti una decisiva trasfor­ mazione nel concepire la vita ultraterrena. Se pri­ ma si confidava di sopravvivere grazie a un rappor­ to privilegiato con il Sovrano ritenuto Dio, ora che questa figura appare sbiadita e messa in dubbio, prende piede un altro tipo di religiosità, accentrato 113

sul dio Osiride e sulla sua vicenda di morte e di re­ surrezione, ampliando le speranze di immortalità a un più vasto uditorio. Il defunto deve presentarsi innanzi al tribunale di Osiride per essere giudicato sulla base di quanto ha fatto in vita. Quindi il sarcofago viene ricoperto di testi ma­ gici che aiutano il defunto a superare le prove che lo attendono nell'aldilà. Una sorta di "democratiz­ zazione" dell'accesso alla vita eterna, basata non più sul collegamento con il Faraone, ma sul com­ portamento individuale. Una più vasta pletora di candidati alla sopravvivenza nell'A ldilà si fa quindi avanti ; è il resto del popolo, per cui il rituale fu­ nerario diventa una necessità imprescindibile: il desiderio di possedere già in vita una tomba con le sue dotazioni magiche e cerimoniali atte a garanti­ re un'esistenza eterna, si unisce a una complessa e precisa indagine sulle componenti infime dell'ani­ ma umana. L'analisi di tali elementi, che negli insegnamenti egizi configuravano l'individuo, è complicata dalla mancanza di un preciso lessico da impiegare nel­ la traduzione dei testi originali (DE R.AcH EWI LTZ 1982Z, p. 56) . La mentalità contemporanea non è certo nelle migliori condizioni per afferrare l'intera gamma di significati impliciti in un determinato segno o serie di segni geroglifici. Il voler raziona­ lizzare secondo parametri obbligati, la complessa psicologia di chi viveva nella società dell'Egitto an­ tico, porta a risultati non sempre allineati alla reale 11 4

comprensione di ciò che si va studiando. La logica del presente non ha valore assoluto e tende a trova­ re le soluzioni per approssimazioni successive; ciò spiega anche perché c'è un'archeologia egizia o una "egittologia" e non una eguale filologia. Con la morte, il corpo umano è mutato in ca­ davere, termine che in geroglifico è reso con khat (ERMAN, GRAPOW 19572, III, p. 356; 359) e che si trova già impiegato nei Testi delle Piramidi. Il khat designa il cadavere soggetto alla decomposizione - il soma sarkos dei Greci -, il q uale attraverso il rituale dell'imbalsamazione viene reso incorrutti­ bile. Il senso del Khat è quello dell'anima fluttuan­ te attorno al cadavere, nell'attesa che la mummi­ ficazione renda possibile la riunificazione dei due elementi e il conseguimento di una condizione di immortalità. Un nuovo e più elevato stato di esistenza desi­ gnato come sahu (s' l).w: E RMAN, GRAPOW 1957\ IV, p. 51) ; una parola che oltre a significare un conse­ guito grado di elezione e di "nobiltà" ( ERMAN, GRA­ POW 19572, IV, p. 49), indica la mummia in quan­ to tale. È quindi palese l'effetto miracoloso che la mummificazione ha operato sul cadavere: il de­ stino del morto era la decomposizione, mentre le manipolazioni degli imbalsamatori hanno reso al corpo uno stato di "dignità" indipendente dal ran­ go aristocratico che il defunto aveva in vita. Un pas­ saggio da un livello di esistenza a un altro, eterno e incorruttibile. Nel Libro dei Morti uno specifico ns

capitolo è dedicato alla costruzione del sahu, entro il quale il trapassato condivide i privilegi di Ra, il "primogenito degli dèi", acquisendo una forma di esistenza incarnata e dilatata nel tempo ( cap. 145). L 'esito ermetico

Trasferiamoci per un momento in un periodo successivo della storia religiosa egizia, quello che ha visto la nascita delle discipline ermetiche, e alla loro espressione cosmologica più evidente, l'alchi­ mia. Se prendiamo uno dei primi alchimisti stori­ camente attestati, Zosimo di Panopoli, e leggiamo la sua opera "Sulla virtù. Sulla composizione delle acque" tenendo ben presente quanto abbiamo det­ to sul rito della mummificazione, possiamo com­ prendere quanto di "mistica dei corpi" vi fosse nel pensiero degli antichi Egizi . Zosimo descrive una complessa metamorfosi corporea, nella quale un minuscolo anthroparion, un homu nculus, a un cer­ to punto afferma : Ciò che stai vedendo è l'entrata, l'uscita e la tra­ sformazione .. . È il luogo dell'opera chiamata ta ri­ cheia . Gli uomini che vogliono conseguire la virtù entrano qui e diventano spiriti fuggendo dal corpo." (Peri Aretes 1, 3 ; TO N E LLI 1990, pp. 54-55 ; M E RTENS 1995. p. 37) .

n6

La parola greca taricheia designa un prepara­ to conservante, una salamoia (Diod. 19, 99, 3), nel senso di imbalsamazione o mummificazione (STEPHANUS 1848-1854, coli. 1842-1843), e con lo stesso significato ricorre anche nel commento di Olimpiodoro, esegeta neoplatonico, al Kat ' energe­ ian, "Sulla forza", un altro libro di Zosimo (BRISSON 2000, coli. 1187-1188; LINDSAY 1970; tr. it. 1984, pp. 368-374). Un commento enigmatico e complesso che esordisce proprio nell'affermare l'identità fra la taricheia e I'operatività alchimica : il fine del sa­ piente sarebbe proprio conseguire questa "mum­ mificazione della forza" (Hiera tech . 1; ALBRILE 2008, p. 51) . Il verbo taricheuo, in latino macerare, indica un metodo di conservazione degli alimenti, la salamo­ ia appunto; nell'interpretazione della Mertens, il termine si svilupperebbe dal senso figurato di "con­ sumare, corrodere" (MERTENS 1995, p. 221, nota), al sostantivo che trova applicazione nell'esprimere la decomposizione del metallo messo a macerare in un liquido corrosivo ; il che simbolicamente equi­ vale a rappresentare le pene e le sofferenze inflit­ te a un uomo per renderlo migliore e purificarlo, con l'intento di liberarne lo spirito dalla prigione corporea. Personalmente ritengo questa una forza­ tura : il significato di taricheia è quello di una pra­ tica conservativa, il "mettere sotto sale" nel senso di sottrarre il liquido a un corpo, "consumare" per rendere imperituro lo stesso. È la pratica della im-

balsamazione raccontata da Erodoto (2, 86, 1-6) ed eloquentemente accennata da Platone nel Fedo­ ne (Bo c) : "Se un corpo è consumato e disseccato, come lo sono le mummie degli Egiziani, si conser­ va quasi interamente per un tempo illimitato". All'inizio del XVII secolo, un umile ciabattino di Gorlitz nella Slesia, Jakob Bohme, ricodificherà questo sapere nel quadro di un'alchimia spirituale e cristiana : il possesso di un corpo rappresenta una forma di perfezione, il Genesi descrive una secon­ da creazione, un'azione riparatrice. Adamo, come Gesù, era androgino "vergine maschio", la caduta lo scinde in due polarità opposte, lo rinchiude nella Materia, che significa un arresto nel progresso del Male: ecco perché la vita corporea rappresenta un bene in sé. I demoni non possono crearsi un corpo, donde la ragione dei loro tormenti. Non è l'anima o lo spirito a giungere alla salvezza, ma l'uomo nella propria integralità. Dio stesso è dotato di una vita corporea. Per Bo hm e la forma esteriore di un corpo è già "linguaggio", espressione di un'essenza ; ogni essere parla attraverso le sue "qualità". Il mondo in­ tero non è altro che parola di Dio: egli, simile ad un punto, ha bisogno di una circonferenza per esistere; il mondo esprime la "Figura" (Figur) della divinità. L'opera alchemica è intesa come sospensione della vita, in una forma di immortalità stretta­ mente relata alla conservazione del corpo; cioè il corpo è il supporto necessario affinché gli spiriti si possano liberare . Le esperienze visionarie dei neon8

platonici condividono un medesimo sentire: Psello esorta a non abbandonare il corpo terrestre, poi­ ché nell'esercizio estatico è necessario un sostegno materiale; l'anima stessa è avvolta in una serie di vestimenti invisibili che fanno da leganti con il cor­ po (DELLI 2007, pp. 224-226) . Probabilmente con il medesimo significato l'opera era recepita dagli gnostici, che demonizzavano tale pratica nel Se­ condo Libro di /eu (cap. 43 : SCHMI DT, MACDERMOT 1978, p. wo, 25-26) facendo di Taricheas una poten­ za diabolica, cosa più che logica dal momento che gli gnostici predicavano una forma di immortalità anticosmica e immateriale. Tornando alle concezioni egizie, preme ricordare che un'altra parola usata per designare il "cadavere" è djet, nella quale si ritrova il significato del corpo contrapposto all'anima (DE RACHEWI LTZ 1982\ p. 59) ; ma non solo, poiché lo stesso geroglifico è im­ piegato nel caso delle statue divine, ritenute il cor­ po e la dimora del dio (E RMAN, GRAPOW 1957\ V, p. 503). Un aspetto importante che ritornerà quando parleremo degli insegnamenti ermetici e teurgici sull'animazione dei simulacri marmorei degli dèi.

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v. NAS C I TA D E L L E A N I M E

Nell'uomo egizio coesistevano due principi non fisici, il ka e il ba, che sicuramente attrassero l'im­ maginazione dei filosofi greci sin dall'epoca pla­ tonica (HASENFRATZ 1990, pp. 193-216) . Il ka era il doppio dell'uomo, formato dal dio Khnum alla nascita, era la forza vitale, che continuava a vive­ re nella tomba grazie ai doni sacrificali : "andare al proprio ka" significava morire, ma anche sopravvi­ vere in una vita larvale nel sepolcro (HASENFRATZ 1990, pp. 205-208). Plasticamente il ka è figurato come immagine dell'individuo in vita : nasce con lui e ha il mede­ simo aspetto somatico. Nelle scene in cui è rappre­ sentata la nascita del Faraone, si assiste parimenti alla nascita del suo ka nell'aspetto di fanciullo. Il ka cresce in ragione dello sviluppo del corpo fisi­ co, ma una volta raggiunto l'aspetto di adulto, il ka sembra stabilizzarsi in tale condizione senza in­ vecchiare ulteriormente, sottraendosi alla fase di declino nella vita della persona. Il segno geroglifico che lo designa, attestato sin dall'epoca più antica, è rappresentato dalle braccia alzate, forse anche per

alludere a un senso di tutela e di protezione eserci­ tati sull'individuo (DE RA.CH EWI LTZ 1982\ pp. 6o62). Solo il ka del Faraone può venir rappresentato in vita : esso figurava l'incarnazione nel Faraone del dio-falco Horus, quindi del principio solare (GIE­ DION 1964, pp. 263-294) . Una volta assicurata l'indistruttibilità del corpo fisico, il defunto aveva garantita perpetuamente la vita del ka . La continuazione della vita del ka pre­ supponeva una base fisica, quindi era necessaria la conservazione del cadavere tramite imbalsa­ mazione, ma anche una statua del defunto poteva servire allo scopo. Un percorso nella costruzione di una identità soggettiva. Il riconoscimento del ra­ dicamento corporeo dello psichico, della reciproca influenza fra i due ambiti, soprattutto come i due ambiti rappresentino modalità espressive specifi­ che, non mette solo in discussione il rigido duali­ smo corpo vs. anima, ma introduce anche un punto di vista sul corpo più complesso. Si tratta di un punto di vista che considera cor­ po e mente come due modi di espressione dell'or­ ganismo. In base a ciò possiamo dire che il corpo attraverso il suo linguaggio simbolico esprime emozioni, pensiero, informazioni. Proprio il corpo rappresenta il luogo dove gran parte delle trasfor­ mazioni che coinvolgono la vita nell'aldilà transita­ no. I rituali teurgici di animazione delle statue pos­ sono quindi trovare in tale percorso identificativo una loro giustificazione. 122

Animare i simulacri

Parliamo della cosiddetta "telestica" neoplatoni­ ca, l'arte di consacrare e vivificare le statue, che in sé era soltanto un'applicazione di specifici aspetti della teurgia (BOYANCÈ 1955, pp. 189-209; DODDS 1965; tr. it. 1997\ pp. 361-367) . La telestica era ben nota a Proclo, il quale nel commentario alla Re­ pubblica platonica (In Remp . I, 120, 12 ss.) parlava dell'animazione della statua di Eracle, mostrando di avere ben presenti rituali diffusi sia in Egitto che in Babilonia (CHIODI 1994, pp. 23-32), mentre nel commentario al Timeo rapportava la telestica addi­ rittura all'arte di sciogliere l'anima dai legami e dai condizionamenti mondani che l'avviluppavano (In Tim . III, 300, 13 ss. ) . Ed è forse in quest'ambito che bisognava collocare l'episodio riferito a Massimo di Efeso, mentore dell'imperatore Giuliano, il quale animò la statua della dea Hekate facendole appari­ re un sorriso sul volto, mentre una fiamma scaturi­ va dalle torce che ella recava tra le mani. Tutto ciò era qualcosa di più di un semplice aneddoto. Eusebio di Cesarea - forse seguendo Porfirio riteneva che Orfeo avesse portato dall'Egitto l'arte dei teletai sulla edificazione delle statue ( Eus. Pra­ ep. ev. 10, 44 [test. 99 a, KERN 1922] ) . La Suda, il più famoso lessico tardoantico, attribuiva a Orfeo un poema sugli Hierostolika, cioè "Sull'arte di adorna­ re le statue sacre" (BOYANCÈ 1955, p. 201), mansio­ ne portata a termine dagli Hierostolistai (CUMONT 123

1937; tr. it. 2003, p. 147), il corpo sacerdotale addet­ to alla vestizione dei simulacri divini. Ancora, la Suda aggiungeva che questi Hierosto­ lika erano kleseis kosmikai, ovverossia le formule magiche che secondo la telestica neoplatonica permettevano di animare le statue "cosmiche". Enunciare parole equivale a suscitare immagini, le immagini suscitate dalle parole e quelle implicite nella visione o nel sogno hanno un carattere comu­ ne : le parole, come il sogno o la visione, quando siano accompagnate da una forte carica emoziona­ le, possono apparire forme intensificate di realtà, oppure di una "surrealtà" misteriosa, esistente in un qualche modo o in un qualche "dove" (SEPPILLI 1962, p. 52) . La parola, poiché evocatrice di imma­ gini, sovrappone le stesse all'oggetto reale, e in tal modo crea un'identità nuova, una nuova realtà che può trasformare il corso naturale degli eventi (SEP­ PILLI 1962, p. 53) . Da un altro versante, quello più propriamente "caldeo", le statue viventi dei teurghi evocano l'an­ tica Mesopotamia e un momento fondamentale nel culto delle sue divinità, il lubustu. Così in acca­ dico era noto il rituale della "vestizione", in abiti di lana di pecora e di lino, dei simulacri degli dèi; un rito che introduceva alla celebrazione di numero­ se altre cerimonie del calendario liturgico annuale (ZAwADZKI 2oo6, cap. III). Gli dèi mesopotamici si cambiavano d'abito seguendo un preciso calenda­ rio cultuale (ZAWADZKI 2006, cap. VII), che iniziava 12 4

con il mese di Addaru ed era suddiviso in due sta­ gioni di sei mesi, ciascuna delle quali era poi ripar­ tita in due periodi di tre mesi, di cui solo nel primo si celebrava il rituale di lubustu . L'abbigliamento si adattava alla personalità e alle funzioni di ciascun dio: per esempio, nel tem­ pio Ebabbar della città di Sippar, il colore delle vesti di Samas, dio del Sole e della luce, non poteva che essere il bianco. In Egitto si consultavano le statue degli dèi e qùeste rispondevano con movimenti e con la voce: come narra un'iscrizione, la statua di Amon avrebbe ordinato alla regina Hatshepsut di allestire una spedizione navale al fine di reperire l'incenso necessario al culto divino (SE PPILLI 1962, pp. 87-88). Tornando ai riti neoplatonici, le incertezze si chiariscono ancora di più prendendo in considera­ zione un frammento di un poema orfico trasmesso da Macrobio (Sat. I, 18, 21= Fr. 238 KERN 1922; MA­ RINONE 1987\ p. 272), che descriveva l'arte di abbi­ gliare il simulacro di Dioniso (sacra Liberi patris), assimilato al dio Sole : il soma theou, il "corpo del dio", era adornato di buon mattino con splendide vesti che effigiano il percorso del Sole attraverso la volta celeste. Ma la telestica non si limitava all'am­ bito della statuaria, bensì coinvolgeva ogni oggetto o cosa manipolata dall'uomo, poiché era nella ma­ teria che poteva rivelarsi la forza degli dèi e la loro influenza decisiva sulla vita di tutti gli esseri. La telestica consisteva nella piena comprensione della 125

catena che univa fra loro gli esseri superiori a quelli inferiori e nel capire il senso in cui gli anelli più alti erano uniti a quelli più bassi e viceversa. Simulacri in teriori

Nella storia del pensiero antico i teurghi erano stati preceduti da Democrito, per il quale i sogni erano degli eidola, delle "immagini", delle specie di statue mentali. Da ogni oggetto proveniva un ef­ fluvio di atomi che ne riproduceva i contorni : gli eidola emanavano sia dagli esseri viventi sia dagli oggetti inanimati e penetravano nel corpo attra­ verso i pori della pelle, per contatto "impressiona­ vano" gli atomi simili dei nostri organi sensoriali, producendo la percezione, che da sensoria si tra­ sformava in mentale. Gli eidola avevano quindi una natura onirica e "fantasmatica" (CAM BIANO 198o, pp. 437-450 ; Ro­ TONDARO 1998, pp. 78-85) ; essi riproducevano non soltanto la figura, bensì pure l'attività emozionale e mentale dei soggetti da cui erano stati emessi, che dunque in forza di tale principio agivano nei sogni, e dei quali si potevano così conoscere i progetti e gli intenti; ma nel loro tragitto accadeva che subisse­ ro delle mutazioni, onde si spiegava come accanto ai sogni nitidi e veritieri ne esistessero di confusi e fallaci ( Frr. 77; 136 DIELS-KRANZ) . Una percezione analoga era attribuita da Diogene Laerzio ai Magi 126

zoroastriani : un'idea che rimanda al gyan wenisn, }"'occhio dell'anima", cioè agli insegnamenti dei Magousaioi riguardanti la visione interiore (GNo­ LI 1979, p. 419, n. 162). Una congettura in perfetto accordo con le ascendenze iraniche del pensiero di Democrito (HERRENSC H M I DT 1996, pp. 115-143) . Ma, poco prima di Democrito, l'apologetica pi­ tagorica e la poetica di Pindaro dipingono l' eidolon come una reale presenza oltretombale : di fatto la scissione dell'entità umana in due elementi distinti si realizza non soltanto alla morte, ma anche quoti­ dianamente nell'esperienza onirica del sonno. Du­ rante il sonno, il soggetto senziente, l' autos, l'indi­ viduo cosciente, resta inerte e l'eidolon - modellato a immagine del corpo - agisce autonomamente (JESI 1962, p. 270 ) . Se leggiamo Pindaro ( Th reni, fr. 2) apprendiamo che tale eidolon è una guida oni­ rica viva e attiva che conduce verso la ricompensa e il castigo dispensati dagli dèi. Qualcosa di molto simile al tribunale infero presieduto da Osiride. La stessa epica omerica è reinterpretata in tale prospettiva. Secondo i pitagorici, l'Elena cattura­ ta da Paride in realtà era un eidolon, un'immagine fantasmatica di defunta (SEPPILLI 1962, pp. 339346). Tradizioni che ritroviamo in Stesicoro e in Euripide, narrano infatti di un soggiorno della bel­ lissima figlia di Zeus in Egitto (JESI 1965, pp. 56-69) mentre gli ignari greci e troiani combattevano per il SUO eido/on (DETI ENNE 1957, pp. 129-152; 1962, p. go; ]ESI 1961, pp. 141-159; DAN EK 1998, pp. 101-107). 127

Nell'Elena, Euripide segue il racconto presente in Stesicoro (Frr. 192-193; DAVIES 1991) : la moglie di Menelao non si sarebbe mai recata a Troia e sareb­ be dunque del tutto innocente; a Paride la dea Hera avrebbe dato solo un eidOlon, un simulacro fatto d'a­ ria perfettamente simile all'eroina. La scelta di tale versione permetteva, inoltre, in termini di politica culturale, ad Euripide di denunciare l'assurdità della guerra, della violenza scatenata da un'azione di fatto "mai compiuta" (SUSANETTI 2003, p. 23) . Nell'iconografia essa è unita alle figure dei Dio­ scuri, Castore e Polluce, i "figli di Zeus", i figli del Cielo, divinità guerriere e agonistiche, raffigurate a cavallo oppure accanto a cavalli (BIANCO 1960, pp. 122 b-127 a). Secondo il mito (Ps.-Apoll. Bibl. 3, 10, 6 ss. ; n, 1 ss. ; 13, 7 ss. ; Horn. Od. n, 298 ss. ; Il. 3, 236), uno dei Dioscuri, Castore, nella lotta contro i cu­ gini Afaridi (FuRTWANGLER, 1884-1886; repr. 1978, coli. n59-n6o; GRIMAL 1979 ; tr. it. 1987, p. 187 a) Ida e Linceo per la spartizione del bestiame rubato in Arcadia, venne ucciso e finì agli inferi. Mentre Zeus decise di innalzare Polluce al cielo. Ma Polluce ri­ fiutò l'immortalità offerta dal padre, a meno che il fratello non fosse liberato dall'Ade. A questo punto Zeus concesse ad entrambi di soggiornare fra gli dèi, ma a giorni alterni. L'eternità "dimezzata" dei Dioscuri divisi tra il cielo e gli inferi, ne precisa sia il carattere funera­ rio, che quello astrologico o astronomico (NI LSSON 19884, pp. 495-497) , poiché i due cavalieri sono 128

opposti come Phosphoros a Hesperos, la Stella del Mattino a quella della Sera. Sono infatti note le rappresentazioni dei Dioscuri con il Sole, la Luna e le Stelle; principalmente con due stelle ( H ERMARY 1986, pp. 567 b ; 579 a [# 141] ) , cioè il pianeta Vene­ re recepito come due astri distinti (NI LSSON 1920, pp. 34-38; SC HADEWALDT 1956; repr. 1970, pp. 16- q ; CAHN 1984, pp. 917 a-919 b), il Venere sorgente a Oriente, chiamato Phosphoros, e quello tramon­ tante a Occidente chiamato Hesperos (ALBRILE 2016, pp. 71-73). Si deve quindi affermare l'attribuzione a Elena e ai Dioscuri un carattere astrale, proprio degli ap­ partenenti a un mondo superiore, il quale in Elena si identifica come "lunare" grazie alla diffusa eti­ mologia del nome, basata sull'assonanza fonetica tra Helene e Selene, e alla sua connessione con la dea Artemide (JESI 1961, pp. 152-153). Di fatto la morte di Elena è documentata dalla scissione della sua figura in un eidolon che si separa dall'identi­ tà individuale; qualcosa di simile capita anche alla dea egizia Iside (Isi) di cui sono noti i legami con la morte e in particolare con la sorte dei defunti. Nel Lamen to di Iside e Neftis - nelle versioni to­ lemaica e romana - si tende a stabilire un concre­ to legame tra la morte e le vicende del trapassato nell'Aldilà (JESI 1961, pp. 154-15) . Esso comporta una prima parte caratterizzata da manifestazioni di lutto e dolore, cui fanno seguito esternazioni erotiche verso il defunto - identificato con Osiride 12 9

-, sfocianti nel "richiamo" e nell'"elogio" dello stes­ so, in conseguenza dei quali si attua la riunione fra "spirito" e cadavere; attuando quel conseguimento di vita imperitura auspicata dalla mummificazio­ ne. Iside - in qualità di sposa di Ò siride - si presen­ ta quindi come una figura determinante nell'unio­ ne tra principio corporeo e identità fantasmatica, il ka, cioè nella complessa e chimerica opera di "rivi­ vificazione" del cadavere. Esistenze smaterializzate

Nelle vicende fantasmatiche di Elena, si possono riconoscere i cascami di un rituale misterico la cui finalità era proprio la costruzione di un "doppio", di un "corpo psichico". Telemaco, in viaggio per avere notizie del padre Odisseo, raggiunge la dimora di Menelao, a Sparta. È ricevuto dal dinasta, che in suo onore appronta un banchetto. Dopo che Menelao ha riconosciuto in Telemaco il figlio di Odisseo e ha pianto con lui evocando il passato, Elena versa nelle bevande dei convitati un pharmakon misterioso, il nepenthes, una pozione narcotica capace di liberare gli animi da ogni afflizione, donatagli da Polidamna, moglie del re d'Egitto ( Od. 4, 219-235; Schol. ad Od. 4, 221; DINDORF 18s5, p. 194, 6-7) . E mentre il vino mescolato con il pharmakon rasserenante viene servito agli astanti, Elena narra 13 0

un'impresa compiuta da Odisseo al tempo dell'as­ sedio di Troia - una vicenda dai tratti inferi (JESI 1965, pp. 62-63) . L'avventura di Odisseo cela una antica esperienza di morte e di resurrezione, e la bevanda ha la facoltà di infondere in chi lo beve una serenità estranea alla vita. Libando la pozione, gli ascoltatori del racconto di Elena non si trovano nella condizione di viventi, suscettibili di dolori e tristezze, e neppure in quella che Omero attribuisce ai morti, pieni di tristezze e rimpianti. Tale strana e aliena condizione è pro­ vocata da un elemento giunto dall'Egitto, terra di filtri magici e di guaritori. E in tale bevanda pos­ siamo riconoscere la potenza narcotica del Papa­ ver somniferum - meglio conosciuto come oppio (NENCINI 2004; LATIM ER, GOLDBERG 1981; tr. it. 1983, pp. 29-31; ALBRILE 2009, pp. 15-41) - , un filtro capace di rendere acholos, "privo di collera", ogni uomo (AB RAM 1985, p. 13) . La circostanza e la lettura di acholos come po­ zione a base oppiacea sono confermate da un passo parallelo di Plinio secondo cui Elena avrebbe por­ tato dall'Egitto una panacea di erbe taumaturgi­ che, tra le quali il celebrato nepen thes, trascrizione latina del termine egiziano che designa l'oppio, la sostanza oblivionem tristitiae veniamque adferens (Plin. Nat. hist. 25, s. 12; jONES 1980\ p. 144) . Una dolce percezione di finitudine comunicata da una rituaria ipnotica : "un dolce sonno, che possa ormai ristorare" (Od. 4, 295). 13 1

Da quanto sin qui detto, possiamo intuire che i neoplatonici abbiano cosmicizzato e universalizzato un concetto e una pratica che in origine l'escatologia egizia confinava in un ambito puramente individua­ le, legato al ka e alla sua sopravvivenza nella tomba. Fantasmi misterici

Appare evidente come il ka appartenga a un livel­ lo di esistenza "fantasmatico" e terreno, soprattutto se paragonato agli altri componenti la vita psichica dell'uomo egizio; esso si configura in una posizione intermedia, partecipando nello stesso tempo della vita corporea e di quella divina o "spirituale" (DE RAcH EWI LTZ 1982\ pp. 63-64) . L'esistenza del ka è condizionata a quella del corpo mummificato e al nutrimento recato dalle offerte funebri, oppure dalle immagini delle stesse dipinte o scolpite sulle pareti degli spazi sepolcrali (TRAUNECKER 1993; tr. it. 1994, pp. 26-28). Di fatto le pitture dei cibi e del­ le bevande erano "animate" dalla voce del Khery­ Heb, un sacerdote preposto alla lettura di formule magiche la cui vibrazione le rendeva viventi su di un piano invisibile, percepibile unicamente al si­ mulacro fantasmatico del defunto, il ka . Questo rituale poneva però dei problemi di or­ dine magico, poiché per effetto delle formule pro­ nunciate dal sacerdote tutte le immagini dipinte nella camera sepolcrale venivano animate, anche 13 2

quelle riprodotte nei geroglifici. Ma, nel sistema geroglifico, vi erano segni che, impiegati necessa­ riamente per il loro valore fonetico, riproducevano le fattezze di animali nocivi come serpenti, scor­ pioni e quant'altro. Un grande pericolo per il ka : i segni in questione, animatisi per effetto del rituale magico, si trasfor­ mavano sul piano invisibile nelle corrispondenti entità malefiche, rappresentando un reale rischio fantasmatico per il ka del defunto, che poteva su­ bire danni occulti anche irreparabili. D'altro canto i segni stessi erano necessari alla trascrizione delle formule incantatorie. Verisimilmente, per porre ri­ medio a tale incognita rituale, in numerose camere sepolcrali pare fosse stata adottata la seguente pro­ cedura : i geroglifici corrispondenti alle creazioni dannose venivano abrasi o scalpellati subito dopo la lettura. Cessata la funzione di complementi fo­ netici, le entità nocive raffigurate erano soppresse : il pericolo non aveva quindi più ragion d'essere ( LACAU 1914, pp. 1-64; 1926, pp. 69-81). Un'ipotesi molto credibile, estendibile all'intera sfera di esistenza del ka : ciò che valeva per le offerte funebri, animate dal rituale magico, valeva anche per le scene di vita quotidiana, sempre dipinte sul­ le pareti delle camere sepolcrali. Anch'esse - con il medesimo rituale incanta torio - erano animate sul piano di esistenza invisibile del ka, il quale perma­ neva in una condizione di esistenza fantasmatica simile a quella condotta nella vita terrena. 133

La vita nell'oltretomba, chiusi nel sacello funera­ rio, è quindi la prosecuzione di quella condotta sulla terra. Ma la necessità di alimentare il ka, determinò incertezza nel controllo di appetiti e desideri ad esso collegati, gli stessi dell'essere vivente che aveva in­ carnato; cioè il timore che qualora tali impulsi non fossero stati pienamente appagati, il ka sarebbe sta­ to costretto ad aggirarsi fuori dal sepolcreto, distur­ bando i viventi. Inoltre, qualora fossero mancate le offerte funerarie o altre possibilità di alimentazione, il ka avrebbe dovuto attingere ai rifiuti oppure a cibi immondi. Così numerosi capitoli del Libro dei Morti (52; 53; 189) mettono in guardia da tale pericolo, esi­ bendo formule apotropaiche. La paura di incappare in manifestazioni negati­ ve da parte del ka, spiega la necessità di attrezzare lo spazio sepolcrale con tutte le comodità possibili, fornendogli tutto ciò di cui avrebbe potuto sentire la mancanza . È palese che l'intento fondamentale di tale armamentario funebre fosse il desiderio del trapassato di poter beneficiare degli agi della vita terrena anche nell'Al dilà.

Le paure dell'anima

Una condizione d'essere spettrale all'origine di molte paure antiche : nel quindicesimo libro del­ le Satire, il poeta latino Lucilio (147-101 a.C.) sca­ gliandosi contro la superstizione, deplorava chi fra 134

i Romani coltivava il credo in una pletora di enti­ tà miracolose, tra le quali annoverava per impor­ tanza le terriculae e le lamiae (DELLA CORTE 1974, pp. 3-4) . La prima, la terricu/a, era il fantasma, il mormolykeion, lo spettro che aveva dimora presso i sepolcri (Apul. Apol. 64) ; la /arnia, invece, corri­ spondeva al "vampiro", attestata per la prima volta nell'opera poetica di Lucilio, ed è vocabolo greco (Aristoph. Vesp. 1177) . La /arnia oppure /amo è demone (Schol. in Ari­ stoph. Eq. 62) che abita nel profondo della terra (Dion. Hai. De Thucid. iud. 6) oppure su alte tor­ ri (Tertull. Adv. Valent. 3). Poco frequenti nell'età classica, ma indubbiamente presenti nei riti magi­ ci, le terriculae e le lam iae appartengono alla schie­ ra delle streghe o strigae ( < strix, "civetta") e sono ritenute creazioni spettrali che si aggirano attorno a sepolcri e luoghi in cui sono inumati cadaveri; figurate ora come donne reali ora come fantasmi con aspetto femminile, sono dotate di poteri stra­ ordinari e svolgono opere di magia nera, sempre a danno dei comuni mortali e a vantaggio solo di chi le sa invocare e propiziare. Siamo nella sfera d'inerenza di quella che in greco è la goeteia, sinonimo di magia nera, incli­ ne a manipolare le anime che non si danno pace, tormentate nell'illusione di appartenere ancora al regno dei vivi. Un altro poeta latino, Marco Anneo Lucano, scomparso nel 65 d.C. vittima dell'intolleranza di 135

Nerone, ha lasciato una vivida testimonianza di queste pratiche magiche e necromantiche nel sesto libro dei Farsalia ( vv. 413-830) , uno scritto che do­ cumenta la guerra civile romana ( Bellum civile) . Nel farsi del poema, gli eserciti cesariani e pompe­ iani raggiungono la Tessaglia, regione la cui fama è legata soprattutto ai prodigi delle maghe che la infestano (BALDINI MOSCADI 1976, pp. 142-151; DA­ NESE 1992, pp. 197-263). Lucano indugia ampiamente sui prodigi delle maghe tessale, per presentare infine la più potente e straordinaria di tutte, Eritto (BALDINI MoscADI 1976, pp. 158-162). Un'eccezionale necromante che rifiuta i riti e gli incantesimi delle colleghe come troppo blandi e ne introduce di nuovi, ben più ef­ ferati ( vv. 507-509). Lo scenario di cui la maga si circonda è a dir poco abominevole: creatura ripu­ gnante, abita i sepolcri abbandonati e le fosse da cui ha scacciato le anime; inoltre, pur essendo viva, frequenta i convegni delle anime, conosce le dimo­ re dello Stige e i segreti di Dite (vv. 510-522) . Dopo aver reso u n primo pauroso quadro del­ la potenza di Eritto, il poeta passa a elencare e a descrivere i suoi ingredienti magici, singolari nel loro orrore : parti di cadaveri o di oggetti che sono stati a contatto con il morto, residui della pira fu­ nebre. Tutti elementi molto ricercati dai goetes, gli stregoni propriamente detti: in Tibullo (1, 2, 46) la necromante di turno tepido devocat ossa rogo; se­ condo Properzio (3, 6, 30) , fra gli ingredienti per un =

incantesimo erotico compare anche tincta funesto lanea vitta rogo; Orazio (Sat. 1, 8, 22) presenta le maghe Canidia e Sagana intente a procurarsi ossa funerarie; stessa insana abitudine ha la Medea di Ovidio (Epist. 6, 90) . L'idea è quella di catturare l'a­ nima fantasmatica e irrequieta di un trapassato e di farla propria per i personali usi magici. Quando si tratta di violare un sepolcro per car­ pirne ossa e ceneri, è ovvio che le mete preferite dai necromanti siano i sepolcri dei poveri, poiché incustoditi (Hor. Epod. 17, 47-48) . Ma gli obiettivi prediletti dai goetes sono i cadaveri freschi, intatti: Apuleio (Met. 2, 21, 30) narra le sfortunate vicis­ situdini di Telifrone mutilato dalle streghe tessale perché creduto morto. A chi si chiede come mai le maghe raccolgano tali materiali cadaverici e a quale uso li destinino, si può rispondere in prima battuta che l'antica cre­ denza che l'anima resti legata al corpo fa sì che il possessore di parti del cadavere o di oggetti rima­ sti a contatto col defunto conferisca un particolare potere sull'anima dello stesso, in modo da poterla evocare facilmente e asservire ai propri intenti; di riflesso, il morto sembra essere dotato di una sor­ ta di magnetismo tale da attirare anche il viven­ te nel mondo infero (CuMONT 1949, pp. 104-110) . Tramite ossa, ceneri e altre reliquie, quindi, s i può consacrare il vivente agli dèi oltretombali, una pra­ tica testimoniata da Tacito riguardo alla morte di Germanico (Ann. 2, 69, 4). Un mondo fluido, dove 137

ogni cosa è passibile di tramutarsi in un'altra, dove perfino la morte è una metamorfosi : somiglianze formali ed emozionali mettono sulle tracce di un processo psichico associativo (SEPPILLI 1962, p. 93) . Parapsicologia antica

Muovendo da Cicerone (De nat. deor. 28, 71) e dalle sue considerazioni sulla "superstizione", si può dire che superstitiosus sia colui che ha un po­ tere di conoscenza dell'oscuro e penetra nell'invisi­ bile (BELARDI 1976 ) ; cosa che i comuni mortali di solito non fanno. La superstitio - comunque la si voglia intendere - rientrerebbe quindi nella sfera semantica del "conoscere", ed è in tale area di si­ gnificazione che va ricercato il rapporto tra l'esi­ stenza invisibile del ka e le pratiche di evocazione fantasmatica dei trapassati. Entrambi agiscono sul labile velo che separa i vivi dall'Aldilà; una tenue patina motivante processi conoscitivi come la chia­ roveggenza e la preveggenza. Da antiche pratiche di magia astrale, apprendia­ mo inoltre come ogni parte o elemento corporeo sia connesso al mondo stellare e planetario con un vincolo indissolubile: quindi agire sulle parti del corpo umano equivarrebbe ad agire sull'intero meccanismo cosmico. L'esercizio di questa nefasta arte pare rechi migliori e più eccellenti risultati nel caso di cadaveri di aoroi, cioè di morti prematuIJ8

ramente (NocK 1950, pp. 129-141; repr. 1972, pp. 712-719) , poiché essi devono transitare sulla terra, come anime erranti, per un lasso di tempo uguale alla parte di esistenza di cui sono stati privati (Tert. De anim. s6; REMUS 1982, p. 139). Per questo si pos­ sono evocare più facilmente e più facilmente di­ vengono schiavi dei goetes. Non solo, ma divengo­ no anche i fantasmi per eccellenza, invocati, al pari dei demoni e delle divinità infere, per opere di goe­ teia . Tertulliano (De anim. 57) testimonia una vasta letteratura a riguardo (BALDINI MosCADI 1976, pp. 163-164). Egli ha infatti fra le mani una mole di libri sull'argomento: scritti attribuiti a Ostanes il Per­ siano (ALBRILE 2005, pp. 1069-1083), a Nectabi l'E­ giziano e ad altri illustri maghi dell'antichità, tutti colmi di rituali evocanti i morti prematuramente o insepolti (CUMONT 1949, pp. 303-309) . I papiri magici e soprattutto il grande papiro ma­ gico di Parigi, attestano una capillare diffusione di tali invocazioni. In particolare PGM IV, 2577-2578 consegna una esecrabile ricetta per un incantesimo lunare (Agoge pros Selenen) a base di umori cada­ verici di una vergine e di un cuore strappato ad un morto prematuramente (ichor parthenou nekras kai kardia aorou). Non è quindi un caso che Eritto si preoccupi di trarre gli ingredienti per i suoi in­ cantesimi da cadaveri di persone morte ante diem (Phars. 583-549). Ma la necessità di approvvigionarsi di sempre nuovi resti mortali istiga la maga al vero e proprio 139

delitto. Ciò che spinge Eritto all'assassinio è il de­ siderio di procurarsi il sangue, uno fra gli elemen­ ti più peculiari (come dirà il Mefistofele del Faust) per i riti della necromanzia. Il sangue, ritenuto sede della vita, esercita un forte potere di attrazione sulle anime dei trapassati : la credenza nella sua energia vitale era anche alla base delle rituarie, soprattutto cerimonie funebri, che contemplavano immolazio­ ni di vittime umane (CUMONT 1949, pp. 30-37). Si accusavano i goetes di uccidere i fanciulli e di strappare feti umani dal seno materno per i loro sortilegi. Cicerone accusa Vatinio, neopitagorico e quindi "mago", di usare l'infanticidio a scopi magici ( Vatin . 6, 14) , mentre Ammiano Marcellino (29, 2, 17) presenta il tribuno Numerio intento a estirpare dal ventre di una partoriente il nascituro quale ne­ fando ingrediente per riti infernali; un crimine che si mormora praticato anche dall'imberbe Elagabalo (Cassio Dione 79, n ) . Anche in PGM IV, 2579 si par­ la del sacrificio di un neonato (embryon gynaikos) . I n sintonia con l e mostruosità praticate dai goetes, Eritto strappa ai giovani morti e moribon­ di le "floride guance" (J/os gena e) e le folte "chio­ me" (coma), per usarle nei suoi abominevoli riti (Phars. 6, 562-569) . I capelli, come il sangue, sono da sempre ritenuti pregni di potere magico, in virtù di quella relazione fra macro e microcosmo che li rende sede di forza vitale (CUMONT 1949, p. 31 ) . Il timore che il corpo mummificato - il supporto del ka - potesse andare distrutto (DE RA.CH EWI LTZ

1982\ pp. 70-71), spinse gli antichi egizi a trovare un succedaneo, un supporto materiale che lo so­ stituisse, una statua del "doppio", che raffigurasse il più fedelmente possibile i tratti del defunto, in modo che il ka vi si potesse facilmente identifica­ re. In base allo stesso principio di identificazione, anche i sarcofagi antropomorfi riproducevano fe­ delmente le fattezze del trapassato, imitandone la capigliatura, i tratti somatici e i dettagli orna­ mentali, sì da costituire dei veri e propri ritratti. La "democratizzazione" della vita oltretombale, impostasi con il Nuovo Regno, portò a una più am­ pia diffusione di queste tecniche sostitutive del ka, attraverso un generalizzato impiego di modellini di sarcofagi, riproduzioni in scala dei gemelli mag­ giori (STEINDORFF 1911, pp. 152-159) . Un 'a ltra anima

Sempre su questa frequenza era il concetto di ba (greco bai: ERMAN, GRAPOW 1957\ l, pp. 411-412) , tradotto per l o più con "anima", che però sotto mol­ ti aspetti può suscitare erronee associazioni (HA­ SENFRATZ 1990, pp. 200-203). Il segno geroglifico che Io rappresenta è quello della cicogna (ciconia nigra), e durante il Nuovo Regno appare nella fi­ gura di uccello antropocefalo, sovente in atto di tornare a visitare la mummia nella camera sepol­ crale posandosi sul suo petto e dispiegando le ali 141

in segno di protezione (DE RAcHEWILTZ 1982\ pp. 83-85 ) . Esprime inoltre una facoltà che costituisce un'estensione dell'efficacia delle parole : pronun­ ciate, esse attraversano lo spazio e provocano una emozione o una reazione materiale in chi le ascol­ ta. La nozione di ba implica un trasferimento di energia attraverso lo spazio, senza contatto fisico (TRAUNECKER 1993; tr. it. 1994, p. 29) . Anche nel caso del ba si ritrova il medesimo processo di "democratizzazione" della vita nell'ol­ tretomba già riscontrato nel caso del ka . I privilegi dinastici originari si allargano nel Nuovo Regno a un numero più esteso di aspiranti all'immortalità, un favore che gli dèi sembrano dispensare a una cerchia pur ristretta di comuni mortali (ZABKAR 1968, pp. 126-142) . La parola ba è talvolta usata in contrapposizione a quella di corpo, specie quando per corpo si desi­ gna il cadavere. Il ba non dimora nel sepolcreto, ma si reca a visitare la mummia, talvolta recando nel­ le mani un ventaglio a forma di vela e uno scettro, evidentemente per esprimere la propria funzione di apportatore di vita e di regalità (ZABKAR 1968, pp. 51-89 ) . L'acquisizione del ba, nei Testi delle Pi­ ramidi equivale a una divinizzazione. È l'anima che brama dentro di sé, che deve riconoscersi nel Sé, capace di sfuggire al vuoto dell'oggettività reificata e ritornare nei corpi, anche mummificati ; al pari del ka, esso doveva ricevere nutrimento, cioè rein­ tegrarsi per sopravvivere. Molte scene raffigurano

il ba nell'aspetto di uccello antropocefalo, mentre si abbevera al sacro lago, oppure nell'atto di riceve­ re cibi e bevande dalla Dea dell'Albero; anch'esso, quindi, era legato a una sfera di esistenza terrena. Anime cristiane

C'è nel cristianesimo dei primi secoli una me­ moria di tali pratiche funerarie nelle cosiddette se­ polture ad sanctos, nate dalla convinzione che dai corpi santi e dalle loro reliquie emanasse un potere salvifico impregnante i corpi sepolti nelle vicinan­ ze, santificandoli e garantendo loro l'unione con Dio (PICARD 1992, pp. 21 a-22 a). La pratica si ma­ nifesta a Roma e in Africa già nel III sec., quando le sepolture dei fedeli iniziano a raggrupparsi attorno a quelle dei martiri; si sviluppa poi nel IV sec. con la pace della Chiesa e quindi con l'imporsi del culto dei santi nella religiosità cristiana. Nei riti funebri un ruolo peculiare è svolto dalla commemorazione dei defunti, che assume sovente la forma del banchetto - dai tratti spesso orgiastici; esso è celebrato dalla famiglia sulla tomba o presso di essa, nell'anniversario del decesso (PICARD 1992, pp. 18 a-20 a). Agostino (Ep. 22, s-6 [PL 33, 92] ) ritorna più volte sull'argomento, censurando gli eccessi di tali pratiche attuate in coemeteriis ebrietates et luxu­ riosa comitia. I resti di alimenti e di manufatti da 143

cucina e da mensa ritrovati negli strati associati ai banchetti ne provano l'effettivo uso per i pasti; ma l'alimentazione era facilmente estendibile al regno dei morti e la frequente presenza nelle sepolture di fori comunicanti con l'interno delle tombe indica inoltre la persistenza dell'uso delle offerte di cibo al defunto. Resti di vasellame, tracce di fuoco nelle tombe, testimoniano l'assunzione di cibo e di vino all'atto delle esequie, e rientra verisimilmente in tale sfe­ ra di significato anche la deposizione di vasi e bic­ chieri - talvolta di bottiglie o di veri e propri servizi per bere - all'interno delle sepolture; si ripropone quindi nel mondo cristiano la vicenda dell'anima - o parte di essa - che sopravvive fantasmatica­ mente nella tomba oppure che riceve nutrimento quale aiuto nel cammino intrapreso per riunirsi al principio divino. In entrambi casi permane l'idea di una vita oltretombale "alimentata" attraverso i rituali funerari, i soli che possono garantire una so­ pravvivenza "cosciente" nell'aldilà. Per esattezza si tratta dei parentalia, riti funebri in forma di banchetti che si celebravano ogni anno dal 13 al 21 febbraio presso le tombe dei familiari defunti. Di fatto questo sincretismo portava con sé una pericolosa credenza, quella che i morti potes­ sero ritornare a visitare i vivi, di giorno, ma soprat­ tutto di notte, in sogno. Agostino, in una lettera, cita il caso di alcuni suoi amici, viros sanctos, con cui aveva parlato in sogno, e tutto ciò che essi dis144

sero si avverò (Ep. 158, 8). Ma erano soprattutto i sogni in cui apparivano amici e parenti defunti ad avvalorare la credenza, contro cui lottava Agostino, che i morti potessero ritornare; talvolta, chi aveva perso una persona cara, la implorava di apparire in sogno per poterla rivedere (BERTOLAN I 2001, p. 59) . In questa tipologia onirica i morti appaiono in sogno per fare qualche importante rivelazione ad una persona cara, generalmente un parente. Spes­ so chiariscono anche i dubbi di un cristiano in ma­ teria dottrinale, oppure predicono il futuro, con una attenzione particolare al momento della mor­ te. Era poi frequente che i dormienti chiedessero ai defunti apparsi in sogno se sarebbero vissuti a lun­ go, perché si riteneva che la condizione della morte implicasse la conoscenza del futuro. Tuttavia, nel caso delle apparizioni di martiri, Agostino (De c u r. mort. 13, 16) stesso era disponibile ad una deroga, un miracoloso intervento dall'alto, al principio che stabiliva una distanza incolmabile fra il mondo dei trapassati e quello dei vivi . Egli riteneva lecito domandarsi se in quelle apparizioni, in luogo dei defunti, non intervenissero piuttosto degli angeli sotto le sembianze del morto. Recentemente il ba è stato definito come "pla­ smabilità" e conseguentemente "incarnazione", "aspetto". Sembra in origine definisse la capacità divina di apparire (ZABKAR 1968, pp. 92-96). Spes­ so ba definiva la manifestazione di un dio : il suo riflesso umano abbandonava il corpo al momen1 45

to della morte in forma di uccello. Abbiamo una primitiva attestazione del mito centrale del Fedro platonico (246 a-257 e), dove l'anima fornita di ali sale al mondo divino. Secondo Platone, l'anima ormai "perfetta e alata attraversa i cieli e governa il cosmo" (246 c) . Ciò è possibile poiché "le anime che sono chiamate immortali, quando sono giun­ te al sommo del cielo, si dilatano librandosi sulla volta celeste ... e contemplano quanto sta fuori dal cielo" (247 b). Un motivo centrale della predicazio­ ne teurgica. Il ba egizio fungeva inoltre da tramite tra il de­ funto nella tomba e i vivi. Era l'elemento mobile dell'anima che poteva assumere molteplici forme animali, e non solo : da un lato il defunto esisteva come ba polimorfo, dall'altro il ba viveva insieme al corpo unendo in sé la forza divina (HASENFRATZ 1990, pp. 208-210).

VI. L'AN I MA I M M O RTA L E

Nella antica antropologia egizia, le due forme di sopravvivenza nel post mortem, il ka e il ba, si com­ pletavano con la costruzione di un akh, un corpo in­ visibile immortale ( HASENFRATZ 1990 , pp. 212-213). L'akh è l'elemento più perfetto nella costruzio­ ne dell'individuo, la "forza divina", lo "spirito" pro­ priamente detto (ERMAN, GRAPOW 1957\ I, p. 15) , geroglificamente figurato nell'uccello ibis (DE RA­ CH EWI LTZ 19822, pp. 85-87). Etimologicamente akh può essere ricondotto al significato di "glorioso" o "splendente", ma è anche utilizzato nei termini "tempio", "necropoli", "orizzonte orientale": l'in­ tento linguistico è quello di cogliere nella parola il momento in cui l'anima funge da intermediario fra il divino e l'umano (ERMAN, GRAPOW 19572, l , p. 13) . Originariamente prerogativa dei soli dèi e quindi di riflesso del Faraone, l' akh è dispensato - in pe­ riodo più tardo - anche a una cerchia ristretta di comuni mortali. Attraverso i riti funebri il defunto diventava un akh, un trasfigurato e come tale conduceva un'esi-

stenza beata nell'Aldilà, paradisiaca : "l' akh in cie­ lo, il cadavere nella terra" era detto nei Testi delle Piram idi (474 a) . In un primo momento il defunto vive nella tomba. Là accetta i doni dei vivi, la sua ulteriore esistenza dipende da queste offerte sacri­ ficali. Quando vengono collocate nella tomba con lui dovrebbero assicurare la sua esistenza e facilita­ re la sua vita larvale. Nello stesso tempo vive come akh negli spazi dei divini trasfigurati . Così il Libro dei Morti (cap. wo; 129) celebra il perfezionamento dell'akh, affinché l'anima possa proseguire il viag­ gio sulla "barca di Ra" verso la divinizzazione. Le vie all'immortalità

Si può quindi affermare come l' akh sia il punto più alto della teoresi egizia sull'anima, e in esso si consegue una tale intensità di concentrazione che si ha la netta sensazione di essere sopra - oppure oltre - il tempo. Per essere più precisi il tempo vie­ ne riconosciuto come una estensione del corpo ; in quel momento il tempo si rapprende in se stesso. L'uomo si trova al limite tra una salita e una di­ scesa. I soggetti più forti trascorrono la maggior parte del loro tempo nel segmento più alto dell'e­ sistenza. L'uomo è una creatura della mente e in quanto tale se vuole liberarsi deve "costruire" un'a­ nima che gli permetta di vivere nella vera realtà, nell'esistenza reale, cioè di apprezzare realmente

i doni che lo spirito della divinità gli ·reca. È que­ sto, in fondo, il senso di una gerarchia dell'anima ripartita nei tre livelli di ka, ba e akh, cioè nei tre modi del pensiero, scanditi in corpo, mente e spi­ rito. Qualcosa di simile accade nello gnosticismo : solo la "gnosi", la conoscenza dei misteri divini, la conoscenza cioè della propria situazione cosmica e del destino che lo attende, potrà liberare lo spi­ rito dell'eletto, il teleute, dal mondo. Non tutti gli uomini sono "scelti" per la conoscenza salvifica, rispetto alla quale essi - secondo i Valentiniani si scindono in tre livelli, conseguenza della tripar­ tizione antropica in corpo (hyle sarx), psyche e pneuma. L'uomo, o lo gnostikos, è composto dall'io spirituale, detto anche nous, pneuma, humectatio luminis, dall'anima, la pysche, collocata in uno spa­ zio onirico, e dal corpo, sede delle potenze demo­ niache avverse a Dio. Dietro questa tripartizione affiora uno schema dicotomico, poiché la psyche, sede dell'intermon­ do astrale e planetario, appartiene più alle tenebre che alla luce. È dentro la mente che si sconfigge il nemico: ci sono due "io': uno che si esteriorizza, che crea il mondo come lo conosciamo, e l'altro che si interiorizza, che ci porta, nello sforzo concen­ trativo e visionario, a contemplare ciò che il primo "io" ha creato. In tale "credo" nella realtà ne deriva la consapevolezza di un male onnipresente e anni­ pervadente. Per lo stesso fatto di essere incarnato, l'uomo soffre sprofondato nell'ignoranza e chiuso =

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nella prigione del mondo, dimentico dell'origine celeste della propria anima, particella di luce con­ sustanziale al Dio trascendente. L'acquisizione dell'akh significa forse conseguire ciò che nelle tradizioni greco-latine è l'apotheosis, una condizione di immortalità e di identità con il divino riservata a pochi eletti. Di fatto la più anti­ ca rappresentazione di una apotheosis in un mo­ numento del culto ufficiale romano è un altare del Museo Vaticano, dedicato dal Senato ad Augusto ancora vivente, in una scena dove un personaggio ­ probabilmente Giulio Cesare - è portato da un car­ ro di cavalli alati verso il cielo, dove campeggiano la personificazione di Caelus e un altro carro, quello del Sole. Altre volte l'anima è accompagnata in cielo da volatili come colombe o aquile, oppure da altri animali o dai venti, entrambi alati ( CuMONT 1942, pp. 140-176) . Ma è ad Helios e agli dèi a lui assimi­ lati - in particolare Hermes - che verrà riservata la funzione di anagogo, di "guida celeste", per la vasta diffusione di una teologia solare propagata in tutto l'ellenismo e di chiara matrice misterica e orientale. Apollo stesso annuncia alla folla la morte di Tra­ iano, in un testo trasmesso da un papiro : "Vengo a te, o gente, dopo essermi innalzato con Traiano sul carro di bianchi destrieri. Io, Febo, dio non ignoto, per annunziarvi il nuovo signore di tutti, Adriano, a cui tutto è sottomesso grazie alla sua virtù e alla fortuna (tychè) del suo divino padre" (CuMONT 1949, p. 292) . La parola tyche deriva dal verbo

tynchano, "incontrare, conseguire", da cui l'intran­ sitivo "ottenere in sorte, accadere", cioè la "fortuna"; tutto il bene e il male che accade a qualcuno o av­ viene senza la sua attiva partecipazione, per questo anche "destino", "caso". Tyche è una delle Oceanidi (Hesiod. Theog. 360), ovvero la più potente delle Parche (Pind. Fr. 41 [SNE LL] ) . Come abbiamo visto nel tempo la sua figura acquisì sempre più rilievo, trasformandosi in una dea onnipossente (RUHL, WASER 1916-1924; repr. 1978, coli. 1309-1380; HERZOG-HAUSER, ZIE­ GLER 1943, coli. 1643-1696; SZILÀGYI 1966, pp. 1038 a-1041 a). Le immagini conservatesi di Tyche si mol­ tiplicano a partire dall'epoca ellenistica. Si pensi ai casi in cui i sovrani .o imperatori o membri delle loro famiglie compaiono sotto forma di Tyche, come sul­ le cosiddette brocche dei Tolemei del primo elleni­ smo o sulle monete dell'età imperiale (L/MC VIII/2, pp. 85-89) . Un serto regale la cui eredità trasmigra nel mondo iranico, nel diadema murale dei dinasti parti e sasanidi (CALMEYER 1977, pp. 186-187; BAUER 1975, p. 100, tav. 74 [figg. 1a-8b] ; 102-103, tavv. 75-76; PECK 1993, pp. 410 b-416 a, pl. XXII).

In cammino verso le stelle

I neoplatonici spiegavano che il "veicolo" ( ochema) attraverso cui le anime risalivano al Sole era il sim­ bolo dell'attrazione esercitat� dai raggi dell'astro (DI 151

PASQUALE BARBANTI 1998, pp. 42-49); ma la neces­ sità di tradurre in immagini concrete l'apoteosi del defunto, trasformava una simbologia eterea e me­ tafisica in una serie di figurazioni plastiche. Così quando l'ascensione sul carro solare verrà dispensata anche ai defunti di umili origini, sulla loro tomba potremmo scorgere una quadriga, e su un semplice altare funebre romano potremmo significativamente leggere: Sol me rapuit (CIL VI, 29954) . Neopitagorici e neoplatonici riscrivono la vicen­ da in una dimensione psicagogica (AUJOULAT 1986, p. 229) : l'anima, pura "essenza intellegibile" (noete ousia), è racchiusa in un involucro ineffabile, lo (pneuma psychikon) il "soffio dell'anima", il suo "veicolo" o "guida" (heniochos), il corpo luminoso che per gli Oracoli calda ici è il "tenue veicolo dell'a­ nima" (psyches lepton ochema) . Secondo Porfirio lo ochema è l'entità pseudocorporea a metà fra anima e involucro somatico, l'"anima pneumatica, con la quale si colgono le immagini delle realtà materiali" (De regr. anim. Fr. 2; BIDEZ 1913, p. 28, 6 ; G I RGEN­ TI, MUSCOLINO 2011, p. s8 [290 F] ; D I PASQUALE BARBANTI 1998, pp. 112-116), il baccello dell'anima o anima irrazionale, il guscio onirico attraverso cui l'invisibilità del nous comunica con il corpo. I neoplatonici, in particolare Porfirio e Proda, si riferiscono ad esso come a uno pneuma. Proda in particolare distingue fra un symphue ochema, un "veicolo congenito" che mantiene l'anima nel cir­ cuito cosmico, e un secondo ochema genesiourgon,

un "veicolo creatore", simile a una conchiglia, ostreodes, il veicolo che rende l'anima terrestre (AUJOULAT 1986, p. 241). L'anima è un denso grumo di concrezione astra­ le, ciò si può cogliere nel Corpus Hermeticum, se­ condo il quale lo pneuma sarebbe un aggregato psichico di natura eterica, legato agli influssi pla­ netari, che l'uomo rilascia alla morte ( Corp. Herm. 10, 13-16; RAMELLI 2005, pp. 262-264) . Ci sono pas­ sioni provenienti dalla hyle, la materia terrena, e altre dovute agli astri, le energeias astrali che, se­ condo il Poimandres ermetico, l'anima abbandone­ rebbe nel passaggio attraverso i sette pianeti, spo­ gliandosi via via dei vari "temperamenti", i sette vizi ( Corp. Herm. 1, 24-25; RAMELLI 2005, p. 86) ; le sette inclinazioni malvagie conosciute nelle antropogo­ nie gnostiche (Ir. Adv. haer. 1, 29, 4) . Al contrario, il "veicolo" o "corpo astrale" è ac­ quisito dall'anima durante la discesa dal cielo : così Porfirio spiega la natura e le funzioni dello pneuma, un composto di aither che transitando nei pianeti si ispessisce e si oscura assorbendo umidità dallo spa­ zio atmosferico circostante (Porphyr. Sent. 29; LAM­ BERZ 1975, p. 18, 6; Ad Gaur. 11, 3; (HIOSSONE 2015, p. 42; SIMONINI 1986, pp. 124-125). Macrobio, nel Com­ mento al sogno di Scipione, parlando della quintes­ senza luminosa aither - sostanza base dell'anima in Critolao ed Eraclide Pontico -, asserirà che secon­ do Eraclito essa sarebbe un frammento astrale, una scintilla stellaris essen tiae (Macr. In somn. 1, 14, 19) . =

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L'essenza celeste che, discesa nel mondo terreno, si mescola agli influssi psichici, trasformandosi in pneuma psichikon o "anima pneumatica". Nei frammenti sopravvissuti del De regres­ su animae, Porfirio fa esplicito riferimento ad un"'anima spirituale" contrapposta a un"' anima in­ tellegibile" (GI RGENTI, MUSCOLINO 2011, p. 51-83) ; una distinzione che non ha nulla a che vedere con il significato che diamo oggi al termine "spirito": qui pneuma è inteso come un aggregato corporeo, invi­ sibile e psichico, collegato alle mutazioni plastiche dell'immaginazione (phantasia), un insegnamento che trova le sue radici in Platone. L'anima pneuma­ tica è una forma di anima inferiore che è all'origine della conoscenza sensibile e della vita passionale. Attraverso di essa si configurano i molteplici lega­ mi con il mondo della materia. Nel momento del trapasso, quando l'anima si separa dal corpo, essa ritrova il veicolo pneumati­ co o corpo astrale, al quale resta congiunta sino al ritorno alle sfere planetarie (Sines. De insomn. 140 d; TH EILER 1942, pp. 42-47; DI PASQUALE BARRAN­ TI 1998, pp. 157-162) . Pochi eletti, grazie a peculiari doni noetici sviluppati nella contemplazione e nella quiete, riusciranno nella epistrophe conseguendo la revulsione dal piano dell'esistenza somatica, cioè la liberazione definitiva; agli altri non resteranno che le pratiche teurgiche per agire sullo pneuma psy­ chikon e liberare dalle parti più grevi il veicolo dell'a­ nima, conducendolo alle soglie della risalita astrale. 15 4

È l'insegnamento impartito nel De regressu animae,

nel quale Porfirio, lontano dalle frattaglie filosofiche plotiniane, riconosce validità ai riti teurgici, efficaci però solo sullo pneuma psychikon. Il destino dello pneuma dopo la morte dipende dalla condotta seguita nell'esistenza terrena. Una vita trascorsa nella continenza e nella contemplazione porta l'anima a indossare nel post mortem uno pneu­ ma eterico, quasi incorporeo. Chi più si è maculato in vita con la hyle, rimarrà vincolato ad essa, in una sequela di esistenze oscure prive della gnosi divina. In un passo del Fedone Platone parla dell'anima in termini di pneuma (Phaed. 70 a). È un indizio im­ portante, poiché permette di rintracciare lo svilup­ po di un'idea di anima molto concreta e molto cor­ porea: l'anima è il respiro cosmico che nutre la vita individuale (MOLINA MORENO 2008, pp. 6n-6u). I neoplatonici, al pari del Poimandres ermetico, ritengono gli aggregati dell'anima riflesso di un'at­ tività psichica autonoma (Corp. Herm . l, 25-26) . Sta all'anima, secondo Porfirio, scegliere un corpo etereo disponendosi nella purità; un corpo solare, passando dal ragionamento all'immaginazione; un corpo lunare, indugiando nei piaceri, effeminan­ dosi nel bruciante desiderio per le forme; vanifi­ cate queste scelte, all'anima non rimane altro che il corpo terreno, cioè la caduta in un involucro pro­ dotto dalla condensazione di un'atmosfera satura di vapori umidi (Porphyr. Ad Gaur. 6, 1; C H i asso­ NE 2015, p. 37; De abst. 2, 42) . 1 55

Animali astrali

Volatili realmente esistenti (aquile, pavoni, colombe) o immaginari (grifoni) sono emblemi dell'ascesa dell'anima al cielo. L'antico poema scrit­ to da Aristea di Proconneso, collegava i grifoni ad Apollo e al paese degli Iperborei. Aristea è senza dubbio il viaggiatore estatico la cui figura è stata meglio delineata dalla tradizione, in primo luogo a causa della fortuna del suo "Po­ ema Arimaspeo" (Arimaspeia epea) , che gli autori più tardi non hanno letto, poiché era scomparso prima della fondazione della Biblioteca di Alessan­ dria (BOLTON 1962, pp. 217-214). Aristea, secondo Massimo di Tiro (10, 2 e; 38, 3d BERNABÉ 1988, p. 150 ( fr. 1] ; COLLI 1990, pp. 334335• 6 [B 4] b), era in grado di cacciare fuori dal corpo l'anima, che in volo, libera nell'etere, come un uccello attraversava la terra (WEST 2003, p. 57) . Divinità pari solo ad Apollo (Ps.-Erath. Catast. 41; O LIVI E RI 1897, pp. 47-49; Schol. ad Arat. Phaen. 449; MARTIN 1974, p. 282, 3-13), egli nelle sue mi­ grazioni spazio-temporali assumeva le sembianze di un uccello caro al dio oracolare, il Corvo (Korax) . Il Korax è una delle prime costellazioni dell'emisfe­ ro australe. Al confine tra i due emisferi, rappresenta una sorta di vegliante infero, tenendo ovviamente presente la concezione antica che localizzava l'A­ de nell'emisfero australe (ALBRILE 2003, pp. 74-76). Arato di Soli è esplicito nel descrivere l'immagine del =

Corvo (eidolon Korakos) che lambisce con il becco il Kreter, il Cratere (Phaen. 448-449) ; anche Igino parla di un Corvo "tutto proteso verso la coppa" (Astr. 2, 40, 1), il Cratere in cui viene libata la pozione enteogena, la ambrosia recante la vita imperitura, il kykeon eleu­ sino che permette la catabasi infera. Il "Poema Arimaspeo" era un vivido resoconto utopico e visionario. Aristea affermava di essere giunto ai limiti del mondo, nelle lontane terre de­ gli Arimaspi, dei Grifoni (Grypes) e degli Iperborei (ALBRILE 2018, pp. 5-36) . Ad eccezione degli Iper­ borei, tutte queste popolazioni si facevano con­ tinuamente guerra, a cominciare dagli Arimaspi (TOMASCHEK 1888, p. 757), in perenne lotta con i Grifoni per il possesso del più sublime e prezioso dei metalli, l'oro (Herod. 3, n6, 1-2). I Grifoni erano descritti come uccelli favolosi (BORGES, GUERRERO 1967; tr. it. 1979, pp. 85-86) con la testa fornita d'un becco d'aquila, ali potenti e corpo leonino ( Paus. 1, 24, 6) ; consacrati ad Apol­ lo, del quale custodivano i tesori contro gli attacchi degli Arimaspi (Paus. 1, 24, 6), vivevano nel deserto di Scythia, in uno spazio impenetrabile e posto ai confini della terra, luogo affine al regno dei morti (BISI 1965) .

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VI I. LA VITA O LT R E LA V I TA

Nelle concezioni misteriche sulla vita nell'aldi­ là si mescolano elementi di varia provenienza, in cui l'apporto egizio appare determinante. Talvolta queste visioni sembrano contraddittorie, persino incompatibili (RINGGREN 1979; tr. it. 1991, p. 70) . Tuttavia esiste una coerenza interna in tale esca­ tologia, figurata su diversi livelli di esistenza ul­ traterrena : l'anima infatti può sopravvivere nella tomba sotto forma di ombra psichica, fantasma­ tica ; può liberarsi dal corpo sotto forma di uccello o di altro animale e vivere una forma di esistenza parallela in un mondo invisibile, ma può anche svincolarsi totalmente dal divenire trasfigurando­ si e ritornare alla origine divina. Una molteplicità di possibili esistenze si dischiudono per l'anima accolta nei penetrali dell'aldilà; una escatologia multiforme che sicuramente ha influenzato e con­ dizionato il platonismo dalle sue origini sino agli ultimi sviluppi teurgici.

L'aldilà

Cruciale nell'attraversamento della soglia che separa la vita dalla morte, o meglio da una forma di vita ad un'altra, sono le istruzioni recate in quel va­ demecum per il viaggio oltretombale che è il tardo Libro dei Morti. Le sue favole rivivono nelle origini egizie della gnosi ermetica : Hermes psychopompos conduce le anime dei defunti nello spazio paradi­ siaco degli Elisi (makaron Helysion pedion), una distesa corporea e beata simile ai mondi funerari in cui vive il ka egizio. Il nome stesso del Signore di questo bengodi oltretombale, Rhadamanthys (Radamante) si può ricondurre alla formula egizia Rhe Amen tis, col significato di "Signore del mondo sotterraneo", cioè dell'Amenti (CAPOVI LLA 1958, p. 90) ; non a caso Rhadamanthys era conosciuto dalla tradizione mitica a Creta come principe di Phai­ stos, da lì sarebbe stato cacciato per rifugiarsi poi in Beozia, regione che attesta le interferenze cultu­ rali tra i due universi religiosi, quello greco e quello egizio. Basterà ancora ricordare con Pausania (5, 15, 7) la figura di Hermes Parammon, il dio "libico", nell'interzona fra l'Egitto e le Sirti, al quale si face­ vano sacrifici in Olimpia. Da remote credenze mediterranee deriva anco­ ra il concetto informatore circa gli Elisi di Rhada­ manthys corrispondenti ai "Campi di Iaru" degli Egizi (CAPOVI LLA 1959, pp. 45-46). Secondo Plutar­ co, gli eidOla, le "ombre" omeriche che camminano a 160

gran passi sui prati di asfodelo, si trovano sulla faccia superiore dell'astro lunare, che guarda verso il cielo, mentre quella rivolta verso la terra si chiama "Anti­ terra" (Antichthon) di Persefone (Plut. De fac. 944 c) . Si noti che l'eidolon, immagine fantasmatica del trapassato, ha un riscontro nel "luminoso" ka egizio, che conserva le dimensioni del vivente, come l'om­ bra di Patroclo appare ad Achille dormiente (Plut. De fac. 944 f) . In Egitto assistiamo alla fedele rap­ presentazione dell'ombra, del ka del defunto nella sua tomba, come si può osservare in quella del fara­ one Seti I. Sempre gli Egizi - nella testimonianza di Diodoro Siculo - chiamavano "case eterne" (aidious oikous) le loro tombe, al contrario delle abitazioni private, che erano ritenute delle semplici katalyseis, dimore passeggere, luoghi di sosta nel difficile cam­ mino dell'esistenza ( Diod. 1, 51, 2) . Nella credenza religiosa greca dell'Oltretomba, l'anima immortale, abbandonato con la morte l'in­ volucro del corpo doveva raggiungere il suo nuo­ vo soggiorno, ma necessitava di una guida divina che le mostrasse la via : tale funzione di pedagogo è stata assunta dall'araldo degli dèi per eccellenza, Ermete, che ha così preso il nome di "traslatore di anime" (psychopompos). Lo stesso dio, però, ha avuto successivamente, nella sua identità infera e "sotterranea" (chthonios) , anche la funzione di la­ tore degli oracoli dei morti (nekyomanteia), per la sua immagine era sovente riprodotta nei formulari sacri (ABT 1908, pp. 226-230) .

Nei più antichi insegnamenti orfici e pitagorici vi erano delle guide scritte, con formulari generali e particolari di propiziazione verso le divinità in­ fere e i nekyodaimones, i demoni oltretombali. Ri­ cordiamo i piccoli foglietti d'oro meglio noti come "lamine orfiche" (PUGLIESE CARRATELLI 2001; TOR­ TORELLI GHIDINI 2006; BERNABÉ, jiMÉNEZ SAN CRIST6BAL 2008). Scritte a lettere minutissime e poste nelle tombe, esse contenevano saluti, invo­ cazioni e suggerimenti per il viaggio oltretombale. Le anime dovevano farne tesoro prima d'intrapren­ dere il viaggio ultraterreno verso il regno dei beati. L'elemento che esse avevano in comune è la spe­ ranza di ottenere, grazie all'"iniziazione" (muesis), la liberazione da ulteriori esperienze esistenziali, inevitabilmente dolorose, e di raggiungere una condizione di perenne beatitudine, antitetica in ogni caso alla vita terrena ; una speranza propria di tutte le religioni di salvezza (PUGLI ESE CARRATELLI 2001, p. 17) . Memorie liquide

Svariati esemplari di questi aurei foglietti sono pervenuti fino a noi. Alcuni sono stati trovati in Tessaglia (Farsalo, Pelinna), altri nell'Italia meri­ dionale (Hipponion, Turi, Petelia), e nell'isola di Creta ( molto probabilmente ad Eleuterna), uno nelle vicinanze di Roma. Gli esemplari di Farsalo,

Pelinna e dell'Italia meridionale sono del IV secolo a.C. (quello di Hipponion può risalire, forse, alla fine del V) , quelli di Creta del III secolo a.C., quello di Roma - il più recente - del II o del III secolo d.C. Alla formazione di questi testi, quasi tutti redatti in esametri, sembrano aver contribuito, oltre a una generica religione "orfica", in particolare il pitago­ rismo e il platonismo. Alcuni dei testi, e precisamente quelli di Farsa­ lo, di Hipponion, di Petelia, di Creta, suggeriscono l'itinerario che l'anima deve percorrere nell'aldilà. II più significativo, giunto nella sua integralità, è sicuramente quello di Hipponion ( PuGLIESE CAR­ RATELLI 1983; repr. 1990, p. 379; 2001, pp. 39-41; TORTORELLI GHIDINI 2006, pp. 62-64) . Nei momenti che precedono il trapasso, l'inizia­ to si prepara a varcare i confini del regno di Ade: sulla destra vede una fonte e accanto a essa un ci­ presso bianco; questo è il luogo dove si accalcano le anime per trovare ristoro e refrigerio e per "rina­ scere". Il poeta "orfico" continua affermando che, dopo aver evitato questa fonte (si tratta della fonte di Lethe, o dell'oblìo), l'anima ne troverà un'altra, quella di Mnemosyne, o del Ricordo, sorvegliata da severi "custodi" (phylakes) . Proprio quest'acqua dovrà bere per giungere alla felicità. Ma i custodi gliela daranno soltanto dopo che avrà giustificato la propria presenza nel mondo oscuro di Ade; la risposta, suggerita dalla lamina aurea, sarà quindi : "Sono figlia della terra e del cielo stellato, di sete

sono arso e vengo meno; orsù datemi presto da bere la fredda acqua del lago di Mnemosyne !". Secoli dopo, nel declinare del mondo tardoan­ tico, la preziosa silloge enciclopedica di Isidoro di Siviglia, le Etymologiae, narrava di come in Beozia sgorgassero due fonti meravigliose, una che risve­ gliava la memoria, l'altra che recava l'oblio (Etym . 13, 13, 3). La notizia era attinta da Plinio, il quale accennava ai nomi di queste due fonti (Nat. h ist. 31, n), e traeva a sua volta la notizia da Pausania (9, 39, 7-8). Ora, Pausania - che è il testimone più antico - riferisce che queste fonti scaturivano presso l'oracolo di Trofonio, il leggendario titolare dell'omonimo oracolo di Lebadeia (oggi Livadia) ancora attivo in epoca cristiana, e narra come co­ loro che s'apprestavano a interrogare il dio dove­ vano compiere determinati rituali; prima di tutto bere dell'acqua del Lethe per dimenticare le cure e gli affanni, e subito dopo libare dell'acqua della fonte di Mnemosyne, affinché potessero ricordare tutto quanto sarebbe stato loro rivelato durante il seppellimento in una camera buia, a volte per giorni e giorni. Dopo aver bevuto la miracolosa acqua di Mnemosyne l'anima dell'iniziato si incammine­ rà nella "via sacra", in cui procedono i mystai e i bakchoi. Altra formula utilizzata nelle lamine au­ ree (Turi III-V) , è la risposta che l'anima dell'inizia­ to fornisce alla regina infera Persefone: "Vengo tra i puri, o pura regina degli inferi ... anch'io apparten-

go alla vostra stirpe beata !" ( PUGLI ESE CARRATELLI 2001, pp. 100-111; TORTORELLI GHIDINI 2006, pp. 74-78) . Un indizio di vita paradisiaca che troviamo nella biografia di Zenone di Cizio : il filosofo, reca­ tosi dall'oracolo per sapere cosa fare per vivere me­ glio, avrebbe infatti ricevuto l'enigmatica risposta che "doveva rendersi simile ai morti" (Diog. Laert. 7, 2) ; vaticinio da lui però interpretato - e totalmen­ te frainteso - nel senso che bisognava recuperare la sapienza anteriore e immergersi nella lettura degli autori antichi (DEL CORSO 2005, p. 37) . Libri inferi

Nel mondo etrusco troviamo i rotoli di papi­ ro tenuti in mano dal morto o dalla Lasa, divini­ tà femminile, talvolta rappresentata alata, il cui compito era quello di discernere le opere assolte in vita dal defunto. Tutti questi prontuari, con le istruzioni per il viaggio nell'Al dilà, erano tratti da specifiche e più estese trattazioni analoghe al Libro dei Morti egizio, ma che differivano, secondo gli in­ segnamenti misterici professati dal defunto. Nel mondo ellenico c'è infatti il ricordo di un ana­ logo "Libro dei morti", una Katabasis eis Aidou, una "Discesa agli inferi': che sembra fosse una guida ge­ nerica per tutte le anime professanti le dottrine pi­ tagoriche (WEST 1983; tr. it. 1993, pp. 12-18; BERNABÉ 2005, pp. 263-267; TURCAN 1956, pp. 136-137) .

Orfeo in prima persona cantava il pericoloso viaggio nel regno delle ombre intrapreso per salva­ re la propria sposa (GRAF, I LES jOHNSTON 2007, pp. 165-172). Questi materiali tanatologici erano ben noti nella Grecia del V sec. a.C. : Euripide conosce­ va tali scritti e li utilizzava nell'A /cesti ( vv. 357-362) ; così faceva anche Sofocle (El. 62-69; KERN 1922, p. 304), mentre rappresentazioni plastiche della vi­ cenda affiorano nella ceramica attica - e di riflesso in quella apula (ZIEGLER 1942, col. 1392) . Pur ignorando i modi e le forme in cui questi scritti si sono trasmessi, fonti tarde parlano di un Epigene, grammatico forse del 1 1 1 - 1 1 sec. a.C., il quale in un'opera intitolata Sulla poesia di Orfeo spiegava la simbologia orfica attribuendo la Discesa all�de, la Katabasis eis Aidou, a Cercope, un qua­ si ignoto discepolo di Pitagora (Clem. Alex. Strom. l , 21, 131, 5; KERN 1922, test. 222). Ciò fa a pensare che gli accoliti della cerchia pitagorica non fossero estranei alla creazione e alla divulgazione di certa letteratura escatologica (TuRCAN 1956, p. 136; RI­ EDWEG 2002; tr. it. 2007, pp. 134-138), se non a veri e propri "apocrifi orfici" (BURKERT 1961, pp. 16-43; 226-246; RI EDWEG 2002; tr. it. 2007, pp. 192-196) . Già nel V sec. a.C. Ione di Chio, il noto poeta e tragediografo (36 B 2 DIELS-KRANZ), in una sua opera, i Triagmi, affermava che Pitagora aveva at­ tribuito ad Orfeo alcuni scritti (Diog. Laert. 8, 8; Clem. Alex. Strom. l , 21, 131, 4; RIEDWEG 2002; tr. it. 2007, pp. 109-110) . Lo stesso Pitagora si narra 166

sia disceso agli inferi, dove - secondo Ieronimo di Rodi, discepolo di Aristotele (Fr. 42 ; WEH RLI 1959) - avrebbe intravisto l'anima di Esiodo incatenata a una colonna di bronzo e l'anima di Omero oscil­ lare appesa a un albero, pericolosamente avvolta da serpenti (Diog. Laert. 8, 21) . La trasformazione oltretombale di Esiodo in uno schiavo e di Omero in una sorta di caduceo umano era, secondo Iero­ nimo, la punizione per ciò che essi avevano detto e scritto riguardo agli dèi. Questi testimonia fanno ritenere la narrazione sulla discesa agli inferi originaria di una cerchia pi­ tagorica. Le peregrinazioni infere di Pitagora diffe­ rivano in parte a guide infere più specifiche, perso­ nali, come è dimostrato dalla Minyade, attribuita a Prodico di Focea, un'opera che cantava lo scontro fra Eracle e i Mini, la distruzione della città di Or­ comeno e le imprese di Teseo e Meleagro. Eraclide Pontico ha narrato ancora queste espe­ rienze catagogiche in un perduto Peri ton en Ai­ dou, un libro sulla geografia dell'Ade, nel quale forse oltre alla figura dell'anima guidata da Erme­ te compare quella di Charon/Caronte che rimane ad attenderla sulla prora della barca oltretombale (GOTTSCHALK 1980, p. 109); il naviglio infero mu­ nito talvolta di occhi apotropaici per scongiurare i pericoli del viaggio, in funzione quasi di fari lu­ minosi, per rischiarare il tragitto oscuro, come si può osservare dipinto sulla lekythos, l'ampolla di unguenti o profumi a uso funerario, conservata

nel Museo Nazionale di Atene (RIEZLER 1914, I, pp. 104-106; II, tav. 26) . È verisimile che i l nome stesso d i Charon proven­ ga dall'Egitto (Diod. 1, 92, 96), poiché il geroglifico Karo (kr) rimanderebbe sia al significato di "barca", che di "nocchiere" della medesima (ERMAN, GRA­ POW 1957\ V, p. 134) ; il riferimento più prossimo sono le barche solari scoperte presso la piramide di Cheope (Khufu, IV dinastia). Secondo un'attendibi­ le ricostruzione (CAPOVI LLA 1958, p. 89), il vocabolo egizio arrivò al mondo greco e latino per mediazione anatolica e più tardi etrusca (Charu). Tale composizione schematica delle vicende di traslazione dell'anima nell'aldilà, la psychopompe, si è mantenuta costante, indubbiamente anche grazie alle prescrizioni rituali che i libri funera­ ri stabilivano nelle fasi successive del viaggio del morto; così anche l'iconografia - nel caso del tra­ passo di una donna - di un Ermete barbuto, con il classico copricapo, il petaso provvisto di alette, e con nelle mani il kerykeion, il "caduceo", ritratto mentre volge dolcemente lo sguardo alla defunta, che accompagna prendendola per il braccio, come la sposa nella marcia nuziale, la agoge, nello stes­ so modo in cui accompagnava la pulzella Kore nella sua anodos, l'uscita dal regno degli inferi, la "risalita" della fanciulla deflorata al cielo, dove talvolta la dea Hekate agitando la torcia (daidou­ chos) precedeva la coppia, illuminando il cammi­ no sulla via tenebrosa. 168

Sullo scorcio del IV secolo Massimo di Torino predicando l'intercessione da parte dei martiri cri­ stiani, parlerà in modo tutto particolare di quelli la cui comunità possiede le reliquie, e specificherà il valore della sepoltura ad sanctos, la sola che po­ trà assicurare ai defunti una guida che attraverso le tenebre conduce alla salvezza (dum illis Christus inluminat, a nobis tenebrarum caligo diffug iat) . La presenza del martire sacralizza lo spazio e guida l'anima nell'aldilà; il canovaccio del personaggio divino che illumina la via del defunto tra i pericoli dell'Ade è quindi riscritto e a suo modo "secolariz­ zato" nella storia cristiana secondo un modulo in­ terpretativo che priva la vicenda di gran parte del supporto mitologico ( Maxim. Taur. Serm. De pass. ve[ nat. 12, 12; MUTZENBEC H E R 1962, p. 41; PICARD 1992, p. 53 a). I libri e i prontuari che insegnano a viaggiare nell'aldilà sembrano scomparire o di poca utilità di fronte alla figura di Gesù che è egli stesso un "libro vivente" per conseguire la via verso l'im­ mortalità.

Purgatorio celeste

Anche l'eracliteo Empedotimo sarebbe stato secondo la testimonianza di Varrone (In Verg. Ge­ org. 1, 34; 3, 141; TH I LO r887) - apoteizzato (a qua­ dam potestate divina mortalem aspectum detersus) e rapito in cielo fra i segni dello Zodiaco. Egli de-

scrive la Via Lattea (COULIANO 1986, p. 46) come la via delle anime che traversano l'Ade nei cieli (Phi­ lop. Ad Arist. Meteor. 1, 8). Proclo narra una storia analoga attribuita a Cle­ arco di Soli, discepolo di Aristotele, sulla morte apparente di un certo Cleonimo d'Atene ( Procl. In Remp. I I ; KROLL 1901, pp. 113, 1-15). La sua anima, ormai libera dal corpo, si slancia negli spazi side­ rali contemplando la terra dall'alto. Lì lo raggiunge un siracusano, estatico anche lui ; entrambi poi os­ servano il giudizio delle anime punite e purifica­ te nello spazio atmosferico sotto il controllo delle Erinni (BOLTON 1962, pp. 148-152 ; PUGLIESE (AR­ RATELLI 1992, pp. 14-17). L'anima aveva un'essenza luminosa (photoeides: STANZEL 1998, col . 374) e scorreva nel fiume di splendore per eccellenza, la Via Lattea ( DAEBRITZ 1912, col. 476; GUNDEL 1912, col. 564). L'insegna­ mento sarà fatto proprio da Numenio di Apamea, che definirà la Via Lattea come "luogo delle anime" corrispondente all'Ade (Fr. 35 ; DEs PLACES 1973, p. 86, 27-28) . Il libro di Numenio diventerà un clas­ sico fra i neoplatonici, che vi trarranno linfa vitale per le loro concezioni cosmografiche (Porphyr. De an tr. 22; SIMONINI 1986, p. 66, 3-14; BU FFIÈRE 1956, pp. 419-423) . Clemente Alessandrino riporta non a caso una dottrina attribuita a Zoroastro (BIDEZ, CuMONT 1938; repr. 1973, p. 109) secondo la quale l'anima scendeva e risaliva il kyklos attraverso il tracciato zo-

diacale (Orph. hymn. 12, 12; Serv. In Verg. Aen . 6, 39s; Ioh. Lyd. De mens. 4, 67) . Ad essa allude Porfirio nel De abstinentia (4, 16) ; ma più specifico è nel De an­ tro nympharum (10; SIMONINI 1986, pp. SO-SI). È un dato di fatto che l'Ade celeste nel Medioevo abbia subito una rinnovata sistemazione. In questa nuova geografia dell'aldilà, lo spazio viene organiz­ zato in tre luoghi principali : Inferno, Paradiso, più un luogo intermedio, incarnazione di una trasfor­ mazione spirituale, di una purificazione, ossia il Purgatorio. Coloro che posero le basi teoriche del nuovo luogo dell'aldilà furono, però, Gregorio Ma­ gno e, soprattutto, Agostino il quale nella preghie­ ra scritta nel 397-98 (Conf g, 13), dopo la morte di Monica, affermava l'efficacia dei suffragi per i mor­ ti (BERTOLANI 2001, pp. 6 0 -6 1 ) . Pur non essendo un esposto dottrinale, que­ sto testo contiene indicazioni importanti intorno all'efficacia dei suffragi per i morti. Dopo Agosti­ no, l'altro padre del Purgatorio è, come s'è detto, Gregorio Magno. Egli fu chiamato, nel sgo, al so­ glio di Pietro in circostanze drammatiche: il Tevere in piena aveva inondato la città fra segni terribili, soprattutto una spaventosa epidemia di peste (la prima peste nera, detta di Giustiniano) decimava la popolazione. Gregorio, persuaso che la fine del mondo fosse imminente, si dedicò a salvare il po­ polo cristiano, esercitando la sua passione escato­ logica anche oltre la morte : tra i cristiani da salvare potevano esserci anche dei morti "recuperabili". 17 1

Ma la nascita del Purgatorio, sancita a livello dog­ matico prima nel 1254 da una lettera ufficiale (sub catholicae) di Innocenza IV, e poi, nel 1274, dal II Concilio di Lione, ebbe, tra gli altri effetti, quello di modificare il sentimento e la concezione del tem­ po attorno alla morte. Questo aldilà intermedio e provvisorio, infatti, veniva a colmare la durata del tempo che intercorreva tra la morte individuale e il Giudizio collettivo. Il tempo del Purgatorio era dun­ que "storico", simile a quello terrestre e, in quanto tale, misurabile, divisibile, legato ad uno spazio anch'esso transitorio (LE GoFF 1981; tr. it. 1982) . Il nuovo regno colmava quello spazio vuoto che si era venuto a creare nel sentire tardoantico fra beatitudine paradisiaca e condanna eterna, quello spazio che era il luogo entro cui le anime espian­ ti si reincarnavano attraverso cicli cosmici; quindi rendeva più labile il confine tra la vita terrena e la sopravvivenza in un aldilà che ne era in qualche modo la continuazione, e contribuiva a dramma­ tizzare quel periodo di tempo che precede e segue immediatamente la morte. Il significato della metempsicosi

Qualsiasi cosa siamo, non siamo i nostri corpi. C'è invece una parte immortale in noi, l'essenza, ed è quanto si reincarna. Di conseguenza, in ciascuna persona coesistono due nature che non sono capa-

ci di riconoscersi a vicenda: l'essenza e la persona­ lità. Le peripezie dell'anima nelle stazioni zodiaca­ li seguono un itinerario affannoso, aiutate oppure ostacolate da speciali entità demoniche, i Decani, in numero di 36, uno per ogni dieci gradi dello Zo­ diaco, tre per ogni segno ( BoucH É-LECLERCQ 1899, pp. 215-235; BOLL 1903, pp. 336-337) . E i pianeti sono i loro mutevoli "volti" (p rosop a ) : così sono rappresentati nel Planisfero Bianchini o Tabula Bianchini, dal nome dello studioso italiano che la fece inizialmente conoscere. Questa tavola astro­ logica fu rinvenuta a Roma sull'Aventino nel 1705 e successivamente traslata al Louvre da Napoleone. In essa i pianeti si trovano sul bordo più esterno, rappresentati sotto forma di busto nimbato, so­ pra al decano corrispondente (CUMONT 1919; tr. it. 2012, pp. 37-39) . I decani non sono una produzione dell'astrolo­ gia cosiddetta "caldea", bensì egizia. Nascono da una vicenda "notturna": secondo gli antichi Egizi, nel viaggio attraverso le "ore" della notte, il Sole avrebbe incontrato una serie di entità malevole, sorta di ostacoli sul proprio cammino. Grazie alla recitazione di formule magiche e incantesimi, le influenze negative venivano neutralizzate. Paralle­ lamente sorse la convinzione che tali creazioni ma­ levole abitassero su determinate stelle o asterismi. I maghi antichi sono quindi assillati dal ricer­ care una verità fra le stelle, tanto più se resa cor­ porea, incarnata. Nei papiri magici il sacro scriba 173

Pnouthis ansima un incantesimo per ottenere un paredros, un "aiutante" celeste (CIRAOLO 1995, p. 285) : i paredroi sono ritenuti alla stregua di "dèi", "demoni" o "angeli" ( theoi, daimones, angeloi) . In PGM I, 1-42 PGM l , 30 il paredros è invocato come il "santo Orione, dimorante nel Nord"; la co­ stellazione di Orione agisce e dà forma all'esistenza umana su molteplici livelli (BETZ 1985, p. 3). Un rilievo importante, se si tiene presente che la stella Sothis - cioè a Can is Majoris Sirio, il capo dei decani celesti - è collocata nella stessa costel­ lazione. L'anno cosmico egizio cominciava sotto il segno del Cancro, al levare eliaco della stella Sirio : sunanatellei toi Helioi, provocando così un ulterio­ re accrescimento di calore ; astro della "canicola", ri­ ferimento stellare nel ritmarsi delle piene del Nilo e quindi apportatrice di fertilità (Hipparch. 2, 4, 1; Gemin. q, 39) . Nella mitologia antica la stella Sirio è considerata la dimora degli antenati, la patria ce­ leste da cui provengono gli dèi, un astro fondamen­ tale anche nella cosmologia iranica (AUTRAN 1934, pp. 529-544 ; ALBRILE 1995, pp. 140-143). Il paredros nell'incantesimo di Pnouthis (PGM l , 42-195; BETZ 1985, pp. 4-8) è ancora una astrotesia, ma più che una costellazione sembra una stella, di identità ignota. Qui il paredros è un'entità indivi­ duale che abita i cieli. È l'antenato di una dottri­ na cara all'astromagia ermetica medievale, che si presentava come il tentativo di catturare lo "spiri­ to" che discendeva dalle stelle sulla terra, concre=

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tizzandolo in una imago e indirizzandone l'azio­ ne verso un conseguimento mondano (PERRONE COM PAGN I 2003, p. 516). L'esito dell'azione magica era l'attrazione di un'energia che prendeva dimora nel talismano e per suo tramite modificava la real­ tà. Sulla natura di questa forza o virtù, tuttavia, gli scritti ermetici latini erano reticenti e vaghi ; di cer­ to c'era solo che, sollecitando con strumenti magici tale entità indefinita, !"'immagine" era vivificata'. Nei papiri magici il paredros è un'entità astra­ le che, scendendo sulla terra, da stella subisce una metamorfosi trasformandosi in angelo (PGM I, 7577; BETZ 1985, p. 5 ) ; la sua dimora permanente è lo spazio atmosferico, anche se freme per ritorna­ re nella sua patria celeste. Quando il mago porta a termine l'evocazione, il paredros ne raccoglie le parole, quando il mago muore, il p aredros ne reca lo spirito nell'aria assieme a lui. E un dato di fat­ to che il cristianesimo con la sua "invenzione del Purgatorio" ha disabilitato un sentire escatologico arcaico, ricodificandolo secondo i parametri di una religiosità che sin dalle prime rivelazioni manife­ stava i germi della secolarizzazione.

Così recita il De imaginibus septem planetarum (Bi­ blioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1196, f. 16 5 r) ci­ tato in PE RRONE COM PAGNI 2003, p. 5 17 · 175

VI I I. EPILOGO

I misteri cristiani spiegano, come se fossero al­ goritmi, cosa siano le disgiunzioni e le relazioni; se l'inferno e il paradiso sono alla nostra portata, l'E­ den sembra fare del tutto per censurare la dissiden­ za e riaffermare modelli di pensiero pre-costituiti. Il cristianesimo è deragliato in processioni di pa­ ese dove si verificavano raptus improvvisi. Chierici imprecanti, mentre si scivolava sull'infiorata del Corpus Domini, con il baldacchino che oscillava paurosamente : una situazione pirandelliana. Oggi si scopre che le librerie laiche catalogano sotto un'unica etichetta libri di religione, spiritua­ lità ed esoterismo. Dimenticando che nelle librerie cattoliche troviamo gli stessi titoli, rubricati in tre settori strettamente affiancati, con in più lo scaf­ fale dedicato al satanismo e agli esorcisti. Una re­ cente omelia a S. Pietro ha ribadito la condanna di astrologi, chiromanti, cartomanti e terapeuti con fiori di Bach. Paradossalmente, nel momento in cui il Magistero ecclesiastico si defila, almeno sotto il profilo dottrinale, si fanno più forti le voci apoca­ littiche e intransigenti dei novelli Savonarola. Ma,

l'attacco più duro è contro il misticismo naturale, reo di aver messo insieme Vedanta, percezioni al­ terate di Huxley e forme teiste di mistici in odore di eresia. Gli storici delle religioni, è cosa nota, non hanno il senso teologico. È come se dicessero che i metodi di orazione e di disciplina della mente dagli esicasti agli esercizi spirituali - non abbiano la loro matrice nei misteri pagani. Non lo possono dire. È disdicevole. Di qui la distinzione tra mistica e misticismo. Più elegante la formula di questa col­ lana : "Spiritualità senza Dio?". Accoglie tutti, ma recide la testa al toro. Bea ti Pauperes Spiritu . L'obbedienza è tipica di una società chiusa, dove l'individuo agisce come parte di un tutto. La sua religiosità è quella basata su miti e dogmi, utile a rafforzare i legami sociali. Il dinamismo mistico invece è una conseguenza della forza creatrice del­ la vita stessa, promuove gente energica come San Francesco o Santa Caterina. L'umanità, concludeva Bergson nel suo libro del 1932, Le due fonti della morale e della religione (tr. it. BERGSON 1950), ha urgente bisogno di genì mistici, gli unici in grado di fornire la prova per dimostrare l'esistenza di Dio. L'anno dopo sarebbe arrivato al potere il Nazismo, con la sua mistica politica. Ad Auschwitz il Santo rimase silente. Questo è solo uno dei tanti frain­ tendimenti che il genere mistico può addurre a conferma di se stesso. Gli gnostici, muovendo dalle esperienze visio­ narie battesimali, hanno fatto parlare di un Gesù 178

mistico, cioè estatico, con equivalenza all'estasi pagana di Platino. D'altronde, chiunque guardasse in alto diventava un estatico. Chiunque guardava una tomba vuota si immaginava un corpo misti­ co. L'atto eucaristico avrebbe finito per costituirsi come perdita di un corpo. L'Occidente, sia esso scolastico o aristotelico, poi cartesiano o kantiano, non ha mai avuto un vocabolario adeguato per cer­ te esperienze mentali; solo i mistici hanno tentato di formarne uno, che a sua volta risulta tracimante metafore.

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