Metodi matematici per l'insegnamento delle scienze fisiche

Table of contents :
Metodi matematici per l'insegnamento delle scienze fisiche
Colophon
Indice
Prefazione
Prefazione all’edizione riveduta
Introduzione
Capitolo 1 Dalla storia dell’astronomia: misurazione e approssimazione successiva
Sezione I. Misurazione
1.1.1. Il traforo
1.1.2. Misurare, triangolare
1.1.3. Quant’è lontana la Luna?
1.1.4. Perché insegnare la triangolazione?
Sezione 2. Misurazioni astronomiche
1.2.1. Aristarco di Samo
1.2.2. Il raggio della Terra: Eratostene
1.2.3. Cosmologie rivali
1.2.4. L’orbita di Venere
1.2.5. Tycho Brahe e Keplero
1.2.6. L’anno di Marte
1.2.7. L’orbita di Marte
1.2.8. Una parola al lettore più interessato
1.2.9. Il problema di Newton sul cammino di una cometa
Sezione 3. Approssimazioni successive
1.3.1. Prima applicazione
1.3.2. Estrazione di radici quadrate
Sezione 4. Il metodo d i Newton delle approssimazioni successive
1.4.1. li metodo generale di Newton
1.4.2. La formula di Newton
1.4.3. Radice di a
1.4.4. Radice cubica di a
1.4.5. Radice quinta di a
Capitolo 2 Dalla storia della Statica
Sezione 1. Stevino ed Archimede
2.1.1. Il piano inclinato
2.1.2. La leva
Sezione 2. Vettori
2.2.1. Il piano inclinato
2.2.2. La carrucola
2.2.3. La leva
2.2.4. Una applicazione di Archimede della legge della Leva
2.2.5. (-)·(-) = ( +)
2.2.6. Il triangolo di volo di Von Mises
Capitolo 3 Dalla storia della dinamica
Sezione 1. Galileo
3.1.1. I corpi più pesanti cadono più in fretta?
3.1.2. Non «perché» ma «come?»
3.1.3. Come cadono i corpi pesanti?
3.1.4. La dinamica del piano inclinato
3.1.5. La conservazione dell’energia
3.1.6. La legge di inerzia
3.1.7. La traiettoria di una palla di cannone
Sezione 2. Newton
3.2.1. Mele, palle di cannone e la Luna
3.2.2. Non c’è fumo senza fuoco
3.2.3. I pianeti hanno una accelerazione verso il Sole
3.2.4. Che cos’è la Legge di Gravitazione Universale?
3.2.5. Moto circolare uniforme: l’odografa di Hamilton
3.2.6. La scoperta di Newton della Legge di Gravitazione Universale
3.2.7. Attitudine scientifica: la verifica
3.2.8. Congetture e senno di poi
Sezione 3. Il pendolo
3.3.1. Il test dimensionale
3.3.2. Il periodo di oscillazione del pendolo semplice
3.3.3. Determinazione di g mediante l’esperimento del pendolo
3.3.4. Il pendolo conico
Sezione 4. Velocità di fuga
3.4.1. La velocità orbitale
3.4.2. A proposito di velocità di fuga
3.4.3. La forza di gravità
3.4.4. Come la Terza Legge di Keplero sia conseguenza della Legge di Gravitazione di Newton
3.4.5. Massa planetaria
3.4.6. La velocità di fuga
3.4.7. Rapporto tra la velocità di fuga e la velocità orbitale
Capitolo 4 Il ragionamento fisico in matematica
Capitolo 5 Le equazioni differenziali e il loro uso in campo scientifico
Sezione 1. Primi esempi
5.1.1. Fluido in rotazione
5.1.2. Galileo: la caduta libera
5.1.3. La catenaria
5.1.4. Caduta in attrito
Sezione 2. Formule approssimate: serie di potenze
Introduzione
5.2.1. Radice cubica di 28
5.2.2. Ancora sulla caduta con attrito
5.2.3. Quant’è fondo il pozzo?
5.2.4. Il pendolo: piccole oscillazioni
Sezione 3. Analogie fisiche
Sezione 4. Cos’è un’equazione differenziale?
5.4.1. Un esempio
5.4.2. Campi vettoriali
5.4.3. Campi di direzioni

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CM COLLANA CM1

DI

MATEMATICA

P6/ya Metodi matematici per l'insegnamento delle scienze fisiche

George Polya METODI MATEMATICI

PER L'INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE FISICHE

Titolo originale Copyright©

Mathematical Methods in Science

1 977

by Mathematical Association of America, Washington

Traduzione di Bianca Rosa Bellomo Bove Revisione di Giulio Cesare Barozzi Copyright ©

1 979

Nicola Zanichelli S.p.A., Bologna

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. Realizzazione grafica e copertina di Raimondo Biscaretti Redazione di Guido Piacentini

Prima edizione: settembre

1 979

Ristampe:

5 4 3

2

1 980

198 1

Finito di stampare a Bologna nel settembre 1 979 dalla Tipostampa Bolognese

1 982

1 983

con i tipi della Monograf, via Collamarini 5 per conto della N. Zanichelli Editore S.p.A. via Imerio 34, 40 1 26 Bologna

1 984

GEORGE POLYA

METODI MATEMATICI PER L'INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE FISICHE

ZANICHELLI

Indice

VII

VIII IX

P refazione

Prefazione all'ed izione riveduta I n troduzione Capitolo 1

Dalla storia dell'astronomia : m isurazione e approssi­

mazione successiva

Sezione

I.

M i surazione

2.

M i surazioni astronomiche

1.1.1. li traforo 1 .1.2. Misurare, triangolare 1.1.3. 1.1.4. Perché insegnare la triangolazione?

8

Sezione 1.2.1.

Quant'è lontana la Luna?

Aristarco di Samo 1.2.2. Il raggio della Terra: Eratostene 1.2.3. Co­ smologie rivali 1.2.4. L'orbita di Venere 1 .2.5. Tycho Brahe e Keplero 1.2.6. L'anno di Marte 1.2.7. L'orbita di Marte 1 .2.8. Una parola al let­ tore più interessato 1.2.9. Il problema di Newton sul cammino di una cometa

29

Sezione 1 .3.1.

33

43 43 54

3. Approssi mazion i successive Prima applicazione 1.3.2. Estrazione di radici quadrate

Sezione

4.

Jl metodo d i Newton delle approssimazioni successive

1.4.1. li metodo generale 1.4.4. --Va 1 .4.5. fla Capitolo

Sezione

2.1.1 . 11

Sezione

2.2.1. li

2

di Newton

1.4.2.

La formula di Newton

1 .4.3.

ya

Dalla storia della Statica

I.

S tevino

2.

Vettori

ed Archi mede

piano inclinato

2. 1 .2.

La leva

piano inclinato 2.2.2. La carrucola 2.2.3. La leva 2.2.4. Una applicazione di Archimede della legge della Leva 2.2.5. ( ) ( ) ( +) 2.2.6. Il triangolo di volo di Von Mises -

-

-

=

v1

77 77

99

Indice Capitolo

3

Dalla storia della dinamica

Sezione 1. Galileo corpi più pesanti cadono più in fretta? 3. 1 .2. Non «perché» ma «come? » 3. 1 .3. Come cadono i corpi pesanti? 3. 1 .4. La dinamica del piano inclinato 3.1 .5. La conservazione dell'energia 3.1.6. La legge di inerzia 3.1.7. La traiettoria di una palla di cannone

3. 1 . 1 . I

Sezione 2.

Newton

3.2. 1 . Mele, palle di cannone e la Luna 3.2.2. Non c'è fumo senza fuoco 3.2.3. I pianeti hanno una accelerazione verso il Sole 3.2.4. Che cos'è la Legge di Gravitazione Universale? 3.2.5. Moto circolare uniforme: l'odo­ grafa di Hamilton 3.2.6. La scoperta di Newton della Legge di Gravita­ zione Universale 3.2.7. Attitudine scientifica: la verifica 3.2.8. Congetture

e senno di poi

1 18

1 30

Sezione 3. Il pendolo test dimensionale 3.3.2. 1 1 periodo di oscillazione del pendolo semplice 3.3.3. Determinazione di g mediante l'esperimento del pendolo 3.3.4. li pendolo conico 3.3.1. l i

Sezione 4. Velocità d i fuga La velocità orbitale 3.4.2. A proposito di velocità di fuga 3.4.3. La forza di gravità 3.4.4. Come la Terza Legge di Keplero sia conseguenza della Legge di Gravitazione di Newton 3.4.5. Massa planetaria 3.4.6. La velocità di fuga 3.4.7. Rapporto tra la velocità di fuga e la velocità orbitale

3.4.1.

1 49 1 50

Capitolo 4

Capitolo tifico

5

Il ragionamento fisico in matematica

Le equazioni differenziali e il loro uso in campo scien­

150

Sezione 1. Prim i esempi 5.1.1. Fluido in rotazione 5.1 .2. Gali leo: la caduta li bera 5.1.3. La cate­ naria 5.1 .4. Caduta in attrito

1 80

Sezione 2. Formule approssimate : serie di potenze Introduzione 5.2. 1 . {/28 5.2.2. Ancora sulla caduta con attrito t'è fondo il pozzo? 5.2.4. li pendolo: piccole osci llazioni

5.2.3.

Quan­

208

Sezione 3.

212

Sezione 4. Cos'è un'equazione differenziale ? 5.4.1. Un esempio 5.4.2. Campi vettoriali 5.4.3. Campi di direzioni

Analogie fisiche

Prefazione

« Mathematical Methods in Science » è il titolo di un corso che ho tenuto numerose volte alla Stanford University, per insegnanti, o futuri insegnanti, di matematica e scienze. Le pagine che seguono rispecchiano quei capitoli di tale corso il cui contenuto non è stato incluso in un precedente volume ( v. Mathemat ics and the Plausible Reason i ng 1, voi. I, in particolare i capitoli III, VIII e IX). La presentazione che segue è dovuta al Professor Leon Bowden , della University o.f Victoria, che ha sostanzialmente seguito una registrazione del corso su nastro magnetico, ma ha aggiunto numerosi dettagli ed espressioni pittoresche. A lcune particolarità dell'esposizione orale sono state conservate: ne risulta una certa ampiezza di respiro ed alcune tracce di improvvisazione. Una delle tendenze essenziali del corso consiste nel puntare alla storia di alcuni elementari fatti scientifici come spunto per un insegnamento efficace. Molti dettagli storici sono un poco distorti: alcuni intenzionalmente, per poterli portare al livello della scuola secondaria, ma altri, temo, non inten­ zionalmente. Un co11fronto accurato tra ciò che è pedagogicamente appro­ priato e ciò che è storicamente corretto, sarebbe altamente desiderabile, ma non è stato possibile entro i limiti di tempo e di energie a mia disposizione. Anche alcuni dettagli non di carattere storico sono stati trattati un po' all'ingrosso, per ragioni di spazio e di pedagogia. Spero che le pagine che seguono possano essere utili, anche se non vanno considerate come espressioni compiute dei punti di vista esposti. I miei più sen titi ringraziamenti al Professor Bowden.

GEORGE P6Ly A

Stanford University, Luglio 1 963

1 . L'opera, in due volumi, è stata pubblicata nel 1954 dalla Princeton University Press. Una seconda edizione del secondo volume è apparsa nel 1968. (N.d.R.)

Prefazione all'edizione riveduta

Questa edizione lascia sostanzialmente invariata l'edizione originale. Tuttavia sono stati corretti molti errori di stampa e piccole sviste, sono stati migliorati alcuni dettagli dell'esposizione, parti dei sottoparagrafi 1.2.6, 3.1.3, 3.4.3, 5.1.1 e 5.1.3 sono state riscritte, ed è stato aggiunto un paragrafo finale dal titolo Cos'è un'equazione differenziale?». Sulla base dell'esperienza in classe (da parte mia, del Prof Bowden e di numerosi colleghi) è opportuno non discostarsi dalla concezione generale dell'opera così com'è stata concepita originariamente. Nella prefazione alla prima edizione abbiamo accennato alla difficoltà di conciliare ciò che è peda­ gogicamente appropriato con ciò che è storicamente corretto. Anche questo delicato equilibrio non è stato toccato. Il Prof Bowden ed io siamo molto grati alla Professoressa Anneli Lax per aver accettato questa edizione riveduta nella New Mathematical Library, per i numerosi miglioramenti apportati al testo, sia sostanziali che di dettaglio, e per la competenza editoriale che ha molto alleviato il pesante lavoro di revisione. «

G. P.

Stanford, Ottobre 1976

Introduzione

In queste pagi ne d i scuteremo : ( I ) Alcuni problemi fisici o pre-fisici molto sem plici ; pro blemi che po­ trebbero essere d i scussi a l ivel lo di scuola secondaria s u periore. (2) La relazione della matematica con la fisica e della fisica con la mate­ matica. Questa relazione è una strada percorri bile in entrambi i sensi . N o n è sempre la matematica che viene appl icata alla fisica, anche se ciò è più frequente ; c'è t raffico anche nella d i rezi one opposta. Un buon guidatore tiene d 'occhio anche i l t raffico che gl i viene i ncontro. (3) Alcune quest i o n i elementari d i calcolo differenziale e i n tegrale, perché senza u n po' di calcolo è i mpossibile farsi un' idea adeguata del modo con c u i la matematica viene appl icata alla fisica. Come i n d icato dal t i tolo, q ueste pagine rispecchieran no le mie idee c i rca i metod i . Lasciatem i d i re che non esiste un metodo d ' i nsegnamento che sia metodo ; ci sono tanti buoni metod i quanti sono i buoni inse­ gnanti . Per poter i nsegnare efficacemente, un docente deve sv i l u ppare una concezione personale del l 'argomento da t rattare ; non può far sentire agl i studenti l a vital ità d i una questione se prima l u i stesso non l'ha sentita. Egl i non può condividere u n entusiasmo che non c'è. l i modo con c u i mette a fuoco u n a questione è altrettanto importante quanto la questione i n sé ; egl i deve per pri m o percepi rne l ' i mportanza e svi lu ppa re la propria personal ità. Nella mia presentazione i o seguirò, a grandi l i nee, il metodo genetico. L'idea essenziale d i questo metodo è che l 'ord i ne con cui la conoscenza è stata acquisita dalla razza umana è val ido anche per l 'acq uisizione da parte del l ' i nd ividuo. Le scienze si sono svil uppate in un certo o rd i ne , ordine determinato dal l ' i nteresse umano e dalle difficoltà i ncontrate. La m ate­ matica e l 'astronomia furono le prime scienze degne di questo nome ; più tard i vennero la meccan ica, l ' ottica e così via. Ad ogn i stad i o del suo svi­ l uppo l a razza umana h a avuto un certo clima cultu rale, un certo m odo d i vedere concettualmente i l mondo. Ogn i barlume d i n u ova com prensione dovette scaturire da ciò che era già stato compreso. Ogni passo avanti , ogn i battuta d 'arresto, ogni passo i ncerto, ogni progresso, s i svil upparono

il

x

Introduzione

secondo le modalità d i avanzamento del la razza i n quel certo momento. Questo vale per l a razza u mana come per i l bambino. Questo non significa che l'insegnamento scientifico debba ripetere i m i l l e errori del passato ed ogni passo i n d i rezi one sbagliata. Significa soltanto che la sequenza con cu i fu rono com p i u t i i maggiori balzi in avanti è val ida anche a i fi n i del­ l ' i nsegnamento. l i metodo genet ico è una guida, e non u n sostituto, del buon senso.

Capitolo 1 Dalla storia dell'astronomia: m1suraz1one e appross1maz1one successiva .

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Sezione 1. 1 . 1.1.

Misurazione

Il traforo

G l i astronomi hanno m i s u rato la d i stanza del Sole dalla Terra e perfino la d istanza delle stel le fisse. Com'è stato l oro possibi le ? Non certo andand o a gironzolare per l o spazi o con un doppio deci metro. La d i sta nza d i l uogh i che non s i possono raggiu ngere viene calcolata med iante la d istanza d i post i che s i possono raggiu ngere. Per misu rare l a d i stanza delle stelle noi scendiamo sulla Terra ; l ' i ndagi ne cosmol ogica ha una base terrest re. Occupiamoci di un problema ti picamente terrestre. A ca usa dell 'au­ mento del la popolazione, una ci ttà dell 'ant ica Grecia si trovò ad avere una provvista d 'acqua i n s ufficiente. Venne così deciso di sfruttare una sorgente che si trovava sulle vicine montagne. Dal momento che, sfort u­ natamente, proprio in mezzo, s i ergeva una gra nde col l i na, si rese neces­ sario il traforo. Lavorando dai d ue lat i della col l i n a , gl i operai si i ncon­ t rarono a metà, come era stato previsto. Si veda la Fig. I .I. Come avevano potuto, i progettist i , determi nare la giusta d i rezi one i n modo d a essere sicuri che l e d ue squad re si sarebbero i nco n t ra t e ? Come risolvereste, voi , il problema ? Tenete presente che i Greci non potevano usare segnali rad i o o i l telescopio perché non l i possedevano. N onostante ciò furono in grado di escogitare un metodo e ri uscirono a fa r sì che i d ue trafori s i i ncontrassero a l l ' i nterno della col l i na. Pensateci sopra . Natural mente s e l a sorgente n o n s i fosse t rovata a d u n l i ve l l o p i ù alto rispetto alla c ittà, la gravità n o n sarebbe stata d 'ai uto per far scorrere l'acqua attraverso l'acquedotto. Comunque, per poterci concentrare sulla parte più i m portante del problema, trascuriamo le compl icazi o n i dovute alla differenza d i l ivel l i . Il problema è essenzial mente questo. Come pos­ siamo determinare l a d i rezione del segmento congi ungente d u e punti com­ planari C e S quando vi è una col l i n a di mezzo ? Si veda la Fig. 1 .2. Siamo d i fronte ad un problema d i geometria appl icata. Come possiamo costruire i segmenti CC' , SS' della retta CS senza congi ungere C con S ? Non s i può attraversare la parte ombreggi ata. Quello che non si può congi u ngere d i rettamente s i può solo congi un­ gere indirettamente. Sia O (O sta per = esterno) u n punto da cui

outside

2

Capitolo 1

Figura 1 . 1 .

siano v i s i b i l i s i a C c h e S. Congi u ngo O c o n C e c o n S c i t roviamo nella s i t uazi one del la Fig. l . 3 . Sicuramente q uesta figura d e v e s uggerire l 'appl icazione della geometria del triango l o . In che modo possiamo descrivere u n t riangol o ? Certamente m i s u rando i s u o i ango l i e i s u o i lat i . E qual i ango l i sono m i s u rabi l i nella Fig. 1 . 3 ? L'angol o in O può essere m i s u rato perché da O sono visi bi l i s i a C che S. � cosa possi a m o d i re sugl i ango l i i n Ce i n S? N o n possiamo m i s u rare O CC' dal m o mento che l a col l i na s i t rova pro­ prio t ra Ce S, e q u i n d i n o n con osci amo l a d i rezi one di CC' . Per la stessa ragione n o n s i a m o i n grad o d i m i s u rare O SS' , o la l u nghezza d i CS. Così quel l o che possiamo m i s u rare è cost i t u i t o da O S, O C e dal l 'ango l o i n O - d ue lat i e l 'ango l o com preso - suffici e n t i per descri vere i n modo u n ico i l t r i a ngol o O CS. ----.

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Figura 1.2.

Figura 1.3.

Dalla storia dell'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

3

S upponiamo che la l unghezza d i OC sia 2 migl ia, OS sia 3 m igl ia, e che la m isura di COS sia 53°. Possiamo disegnare u n modello i n scala con 01 C1 l u ngo, diciamo, 20 pol lici, 01S1 3 0 pollici e, naturalmente, con l'angolo compreso C1� S1 = 53°. E dal momento che t riango l i s i m i l i hanno gli angol i ugual i , segue che OIT' (ossia OCS) = 01C:s1 , e OSS' (ossia OSè) = o ;s;c1. Si veda la Fig. 1 .4. li problema è risolto.

Figura 1.4.

I l lettore attento si è già reso con to che si può ded urre faci l mente la l u nghezza del t raforo e di conseguenza la quantità d i lavoro per ciascuna sq uad ra. Dato che sono state determi nate le d i rezi oni d i CC' e d i SS' s i possono misurare le loro l u nghezze ; dalla l u nghezza di C1S1 nel trian­ golo ausil iario s i può dedurre, mediante una sempl ice p roporzione la l u nghezza d i CS : l a l u nghezza del t raforo è la d i fferenza tra la lu nghezza 1 di CS e l a somma di CC' e SS' . 1 .1.2.

Misurare, triangolare

Parl iamo brevemente del l'i mportante problema pratico di eseguire delle misure. Come misuriamo u n angol o ? Oggi s i procede essenzialmente nello I . Si veda B . L . van d e r Waerden: Science Awakening; p. 1 02-1 04, l i traforo di Samo; si veda anche l a Tabella 14: vi troverete dettagli storici mol to più accurati . (li volume ora citato è stato pubblicato da Noordhoff, Groningen, nel 1954. N.d.R.).

4

Capitolo 1

stesso modo i n c u i p rocedevano i G reci d ue m i l a a n n i fa. Il moderno teo­ d o l i te ha una più grande prec i s i o ne, è cost r u i t o m egl i o ; i l pri ncipio s u c u i s i basa n o n è certo m ig l iore, è l o stesso, essenzialmente u n rapportatore (go n iomet ro). Che cos'è un rapportatore ? È costi t u i t o da u n arco d i cer­ c h i o o da una i n tera c i rconferenza d i v i sa i n parti ugual i . Si veda la Fig. 1 . 5. Nel cambi are l a d i rezi one d a OC a OS, s i ruota attraverso un certo numero di s u d d i v i s i o n i dell 'arco c i rcolare. Dato che l a rotazione eseg u i ta è p ropor----.. zionale a questo n u mero, i l n u mero è u n a m i s u ra d i COS. Per convenzione, fin dai tem p i dei Bab i l o n es i , a una rotazione com pleta si att r i b u isce l a m i s u ra di 360 grad i , e q u i n d i l ' i n tera c i rconferenza viene d i visa i n 360 part i ugual i. Quando è richiesta u n a maggiore acc u ratezza e i l rapportatore è abbastanza grande per permettere u l teriori s u d d i v i s i o n i , ogni parte viene d i visa in 60 parti che cost i tu isco n o u n sessan tes i m o di grado ( m i n u t i), e, a sua volta, ogn i m i nuto è sudd iviso i n 60 part i che cost i t u i scono, ciascuna, u n sessantes i m o di---m- i n uto (secon d i). Per m i s u rare COS con u n a grande accu ratezza s i devo n o con oscere con precisione le d i rezi o n i OC e OS. La prec i s i o n e è raggi u n ta con l 'a i uto di u n filo sott i le (per ese m p i o u n cape l l o) messo att raverso l a parte fi nale di un t u bo c i l i n d rico m o ntato in O. Un raffi namento moderno è l ' i ngrand i ­ mento ottenuto med iante i l telescop i o . S i veda la Fig. 1 .6. Com u n q u e s i a n o i v a r i raffinament i , l 'errore è i nevitab i l e . Così i l topografo d i oggi , proprio come i l to pografo d i d ue m i l a a n n i fa, esegue molte m i s u re d i u n ango l o e p o i fa l a med ia. La m i s u razi one d i u n ango l o rimane u n a opera­ z i o ne fo ndamentale. Il lettore che, d i l ettandosi di falegnameria, cerca di cost r u i re u n a cor­ n ice senza l 'a i u t o di un giunto ad ango l o retto sa, con d o l o re, come sia d iffici l e fare bene i l q uarto angolo. La sua t ri ste esperienza può i ndurlo a pensare che u n a accurata m i s u razi one è p i ù faci le per le l unghezze p i ut­ tosto che per gl i ango l i . Non è vero . Quando si arriva a m i s u razi o n i topo­ grafiche la m i s ura di un ango l o è una operazione relat i vamente precisa. e

s

Figura 1.5.

s

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Figura 1.6.

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

5

Stabilire una l i nea d i base l unga u n m igl i o o due è, i nvece, una opera­ zione difficile (e costosa), e deve essere eseguita i n modo estremamente preciso. Una u lteriore d i fficoltà consiste nel fatto che gli strumenti di misu­ razione possono sub i re delle variazioni i n l unghezza a causa della tempera­ tura . Un'altra difficoltà è che la l inea deve essere dritta. La persona che ha costruito a Stanford l'acceleratore l i neare l u ngo d ue miglia vi potrebbe d i re che misurare gl i ango l i è molto più facile che costruire una l i nea dritta. Una volta che sia stata stabi l ita una l i nea di base AB, la vista di u n q ua­ l u nque oggetto d i stante ma evidente, C, per esempio il campanile di una chiesa o la cima d i una montagna, rende possibile la misurazi one degl i ango l i ABC, BA C e d i q u i i l calcolo, med iante l a trigonometria, d i A C e BC. Queste, a loro volta possono essere usate come l i nee d i base da c u i s o n o visibi l i altri evidenti p u n t i topografici C1 , C2 , c h e rendono possi bile la con oscenza d i A C1 , CC1 , CC2 , BC2 e q u i ndi i l loro util izzo ul teriore come l i nee di base, ecc. Si veda la Fig. 1 .7. I n q uesto modo, da cui deriva i l nome d i si p u ò misurare una i n tera regione o un i ntero conti nente.

triangolazione,

C

-------,.

/

I

/

I

/

I

I

C2

B Figura 1 . 7.

1 .1.3.

Quant'è lontana la Luna ?

Dal la Terra passiamo al cielo. Com'è possi bile misurare la distanza Terra-Lu na ? Dato che non s i può fare una misura d i retta d i tale d i stanza, è necessaria una misura indiretta ; ciò può essere fatto solamente mediante il calcolo di distanze che si possono misurare. Abbiamo q u i n d i bisogno di una l i nea di base. Sostanzialmente abbiamo ancora u n problema d i trian­ golazione. Esiste u n legame tra q uesto problema e quel l o del triangolo ABC del la Fig. 1 .7 ? Dal l'esame del la Fig. 1 . 8 si p u ò dedurre che la risposta è affermativa se siamo i n grado d i determ i nare la l u nghezza del segmento AB e l a m i sura degl i angoli rx. ' e {J'. Supponendo che l a Terra s i a sferica, s e è stata misurata l a d i stanza AB s u l l a s uperficie terrestre (lunghezza d i u n arco) e se O è noto, allora è possibile calcolare la l unghezza d i OA ( o , i n­ versamente, se è noto OA al lora è possibile calcolare O). Di q u i sfruttando il fatto che il triangolo OAB è i soscele, si calcola la lunghezza del seg­ mento AB. Ma come è possibile determ i nare rx.' ? L'angolo OAB può essere calcolato dal triangolo OAB, i n modo che, n oto rx., sarà noto rx. ' . E rx., che angolo è ? rx. è l 'angolo che la congiungente Terra-Lun a forma con la ver­ ticale per A . E la verticale come viene determ i nata ? Mediante un filo a piombo. A nalogamente s i determina {J' mediante l a m i surazione d i {J.

6

Capitolo I Luna

Terra

Figura 1 . 8 .

Il legame di cui si parlava esiste proprio! Osservate che una l i nea d i base è i ndispensabi le ; i Greci, q u i nd i , prima di poter misurare la d istanza Terra­ Luna dovevano con oscere la forma e la grandezza della Terra (ossia i l raggio o l a circonferenza) 1. Rimane u n ostacol o : la Luna si m uove rispetto alla Terra. Se fJ viene misurato i n B dopo u n certo tem po rispetto al momento in cui è stato misurato IX in A, a l l ora fJ non è l 'angolo formato con la verticale i n B quando l a Luna si t rova nella posizione C ; è l 'angolo formato quando la Luna si t rova i n una posizi one successiva, d iciamo i n C ' . A l posto del triangolo con i vert ici in A, B, C dobbiamo considerare il quadri latero con i vert ici i n A, B, C, C', e i l metod o non fu nziona. Per sfruttare la triangola­ zione i punti C e C' dev,rno essere coi ncident i : IX e fJ devono essere misu rat i s i m u ltaneamente. Ma come fa , chi compie la misurazione in B, a saper il momento i n c u i viene fatta la misurazione i n A ? S e i d ue punt i A e B sono d istanti poche migl ia basterebbe usare u n segnale l u m i noso, ma una l i nea d i base così corta non porta ad una triangolazione accurata. Si ricord i che l a l unghezza d i A C e d i B C è dell 'ord i ne d i decine d i migl iaia d i miglia. Teori­ camente una l inea d i base dovrebbe avere l o stesso ordine d i grandezza o al meno dovrebbe essere dell 'ord i ne d i centinaia di m iglia. Ricordate anche che i Greci non avevano apparecchi rad io con cui t rasmettere i segnali e non avevano neppure orologi precisi (venivano usate le clessidre). Non sembra che il l oro problema sia i nsormontabile ? Certamente ; eppure riu­ scirono a s u perarlo. In che modo ? Esterniamo ora un desiderio, d iciamo, un po' bizzarro : che peccato che i Greci non avessero potuto mandare un uomo s u l l a Luna a cooperare con segnalazio n i ! Il suo segnale avrebbe I. Se A e B sono sullo stesso meridiano e la Luna i punti O, A, B e C sono complanari.

è

nel piano del meridiano,

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

7

dovuto essere visibile da A e da B nello stesso momento. Lasciando da parte la fantasia, chi doveva compiere le misurazioni doveva aspettare che sulla Luna accadesse qualche cosa visibile dalla Terra. Che cosa poteva acca­ dere ? Una eclisse lunare. Si veda la Fig. 1 .9. L'eclisse fornisce quattro event i distinti osservabili simultaneamente da A e da B: ( 1 ) il momento i n cu i la Luna incomincia ad entrare n e l cono d'ombra della Terra, (2) i l mo­ mento i n cui la Luna è completamente entrata nel cono d'ombra, (3) i l momento i n cui incomincia a uscire e (4) i l m omento i n c u i è completamente uscita dal cono d'ombra. Avete apprezzato l'utilità dell'eclissi ? Confron­ tate questa i dea con quella relativa al punto O della Fig. 1 . 3. L'ingegnosità umana non è una cosa piena di fasci no ?

Figura 1.9. 1 . 1 .4.

Perché insegnare la triangolazione ?

Passiamo per un momento dalla triangolazione all'insegnamento. Per­ ché lo studente medio dovrebbe essere i nteressato a questi orribili trian­ gol i ? Non ha già degli altri i nteressi real i ? Il baseball, la televisione, e la ragazza della porta accanto ? Dopo tutto egli è soltanto una persona umana. Già, proprio perché è umano, ha degli interessi umani, e una umana curio­ sità. Perché la materia non dovrebbe essere presentata in modo da i nteres­ sarlo veramente ? Fino a che non abbia sviluppato un qualche l ivello d i sofisticazione n o n può condividere i nteressi sofisticati . Deve essere portato a rendersi conto che senza la conoscenza dei triangoli non c'è la trigono­ metria e che senza trigonometria mettiamo i ndietro l 'orologio dei millenni per arrivare all'età delle tenebre prima dei greci .

8

Capitolo I

Sezione 2.

1.2.1.

Misurazioni astronomiche

Aristarco di Samo

Aristarco, famoso matematico e astronomo greco, vide la l uce nel l ' isola d i Samo verso il 3 1 0 a.C. e m orì verso i l 230 a.C. , fu q u i n d i contempo­ raneo d i Euclide. La sua fama è dovuta alla sua teoria eliocentrica, teoria secondo la quale l a Terra e i pianeti si muovono l u ngo orbite i ntorno al Sole. Dire « teoria » è forse una parola troppo forte, dato che le prove sulle qua l i s i basava erano piuttosto debol i ; l a sua fu com unque una grande idea, risvi l uppata poi , secol i più tard i , da Copernico. Sebbene Aristarco non conoscesse l e d istanze Terra-Luna e Terra-Sole, fu in grado d i sti marne il rapporto. l i suo metodo si basa su una i dea est re­ mamente i ngegnosa. Per megl i o apprezzarne l ' i ngegnosità, fermatevi un po' e pensatec i . Che metodo usereste ? La sua idea si formò dalla com pren­ sione di come si s uccedono le fasi l u nari . Per quale ragione qualche volta osserviamo una Luna piena, altre volte una mezza Luna e quando c'è una Luna n uova, non ved iamo n u l la ? Dato che l a Luna non ha luce propria ma riceve l uce dal Sole solo metà del la sua superficie sferica viene i l l uminata, l 'altra metà è oscura (più precisamente, dato che il Sole è a grandissima di stanza dal la Lu na il fascio di luce che i l l um i n a la Luna è praticamente u n fascio d i raggi parallel i che i l l umina poco più d i un emisfero). Si veda la Fig. I.IO. U n osservatore posto in P1 (teoricamente trasparente per n o n ostacolare la l uce solare) dovrebbe vedere i l l u m inato un intero emisfero, ci rca, ossia la Luna piena. E i n P2 , che cosa vede ? I l suo campo visivo comprende ora qualcosa di meno E'

Figura I.IO.

Dalla storia dell'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

9

del l 'emisfero i l lumin ato e qualcosa dell ' emisfero n o n i l luminato e quin d i i nvisibile. Vede l a Lun a sotto u n a forma u n p o ' più grande d i u n semi­ cerchio. In P3 i l suo campo visivo comprende una piccola parte dell'emi­ sfero i lluminato e gran parte dell'emisfero non i l luminato. Dato che è visibile solo l 'emisfero i lluminato, vede l a Lun a crescente. I n P4 il suo campo visivo non comprende affatto la parte i l luminata, n o n vede assolutamente l a Luna : s iamo al l ' inizio della Lun a nuova. I n quale posizione (rispetto al Sole e alla Luna) u n osservatore vede proprio una mezza Lun a ? N o n v i sembra chiaro che u n osservatore vedrà metà emisfero i l l um inato e metà non i l l u m i nato (e qui n d i vedrà una mezza Luna) solo quando s i trova sul la retta EE ' ? I n breve, s e c i riferiamo a l l a Fig. 1 . 1 1 , u n osservatore sulla Terra ved rà una mezza Luna quando fis è un angolo retto. L(una) S(ole)

Figura I.li.

T(erra)

Se le condizi o n i atmosferiche sono favorevol i , talvolta l a Luna è visi­ bile anche durante i l giorno, specialmente a l l 'alba e al tramonto. Così , qualche volta, sono contemporaneamente visibi l i l a Luna e i l Sole, e qual ­ che volta (sebbene meno spesso) la Luna e i l Sole� n o visibil i quando S i ha l a fase della mezza Luna. Davvero ? M isurate LTS quando questo suc­ cede. Questo è proprio ciò che fece Aristarco. Osservate, prima d i tutto, che, anche senza fare alcu n a misurazione, dato che l ' ipotenusa di un triangolo rettangol o è il l ato più grande, pos­ siamo dedurre, come fecero i grec i , che i l Sole d ista dalla Terra più d i q uanto disti l a Luna. Osservate poi che l a misura d i cx determina l a mi sura del terzo angolo (il complementare di cx) . In questo modo è n ota la forma del triangolo TLS ma n o n la sua estensione, e quin d i , sebbene non sia nota l a lunghezza di ogni lato, è noto i l rapporto di ogni coppia di Iati. Dall a defi nizione d i coseno, segue i mmedi atamente c h e i l rapporto delle d istanze : LT (Luna-Terra) e ST (Sole-Terra) è dato da

LT ST

=

cos cx

IO

Capitolo 1

Dopo aver misurato o::, Aristarco doveva calcolare cos o::; sfortunata­ mente non aveva tavole da consultare . Il suo risultato era piuttosto i m­ preciso per due ragioni. Prima d i tutto o:: è circa 90° e, vicin o a 90° anche un piccolo errore è decisivo ; secondariamente non si può d i re, con preci­ sione, guardando solamente, quando si ha la fase della mezza Lun a : c'è sempre u n errore nell'approssimazione, i n difetto o in eccesso. Nonostante ciò, Aristarco ebbe una grande idea. Dato che i l Sole è molto più l ontano del l a Luna nella fase di mezza Luna, e dato che l a d istanza Sole- Luna vista dalla Terra rimane piuttosto costante, è senz'altro corretta la ded uzione che il Sole è, in ogni caso, più lontano dal la Terra di quanto non l o sia la Luna. 1 .2.2.

Il raggio della Terra : Eratostene

Poco fa, d i scutendo un problema più i n teressante, quel lo della distanza della Lu na dalla Terra, abbiamo notato che è necessario conoscere preli­ mi narmente le d i mensioni della Terra. C i t roviamo così d i fronte ad una altro i m porta problema : qual è i l raggio del la Terra ? Nel l 'attribuire un raggio alla Terra, c i compromettiamo nei confron t i del la sua forma. Quale forma ? Certamente quella sferica. M a è corretto ? No, oggi sappiamo che la Terra è l eggermente schiacciata ai pol i : è pi uttosto s i m i l e ad uno sferoide oblato. Trattarla come se fosse una sfera è buona approssi mazione, anche se le buone approssi mazioni spesso si possono migl i orare. La determi nazione del raggio della Terra è dov uta pri nci pal mente ad Eratostene. Geografo e astronomo, lavorava nella famosa biblioteca d i Alessandria, la p i ù grande bibli oteca, allora, del mondo civi l i zzato. Visse dal 280 al 1 95 ci rca a.C. , ma queste date non sono certamente sicure. Con la d i struzione della biblioteca n o n è ri masto u n alessandri no i n c u i cercare notizie. Sebbene ci siano dei d ubbi s u l le date che riguar­ dano la sua vita, fortunatamente n o n ce n e sono sul suo metodo. Poniamo così l'inevitabile d omanda : i n che modo lo svil uppò ? Le circostanze sono le seguent i . I l fiume N i lo scorre approssimativa­ mente da sud a n ord , i n modo tale che i l più breve percorso per andare da Siene (oggi Assuan), posta sulle rive del fiume, e Alessandria, sul delta, è un grande arco di cerchi o. Ossia, Siene ed Alessand ria si t rovano (quasi) s u l l o stesso meridiano ; u n cerchi o o una cintura che unisca i pol i e passi per Sierre, passa anche per A lessandria. Di più l' Egitto è un paese civile, c'è una strada che unisce Sierre ad A lessandria, e la sua l u nghezza è n ota : 5000 stad i . S i veda la Fig. 1 . 1 2. I n breve, l 'arco d i cerchi o AS m isura 5000 stadi. Se fosse noto l 'angol o e che, a l centro della Terra, sottende questo arco, s i potrebbe sapere i n che rapporto sta l'arco AS con la cir­ conferenza del la Terra. Il vero problema è determi nare O. Eratostene sapeva che a Sierre vi era u n pozzo molto profondo la c u i acqua veniva i l l uminata d a l Sole a mezzogiorno d e l p i ù l u ngo giorno del­ l'ann o , cioè, quando il Sole era proprio allo zen ith. Così, a mezzogiorno di u n giorno di mezza estate m i surò l'inclinazione del Sole r ispetto alla

Who

Who's

Dalla storia dell'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

11

Figura I. 13.

Figura 1 . 12.

verticale di Alessandria. Natural mente non aveva bisogno di un orologio per sapere quando l ' i ncl i nazione del Sole, rispetto alla verticale, era m i nima ; al contrario, si servì del la m i n ima i ncli nazione per determi nare i l mezzo­ giorno. Trovò che l 'angolo era d i 7° 1 2' . Dato che, per la lontananza, i raggi del Sole s i possono considerare paral lel i , ci si trovava nella cond i­ zione del l a Fig. 1 . 1 3 . Considerando dunque parallel i i raggi del Sole, gli angol i i n O e i n A, corrispondent i , sono uguali . Abbiamo e qu i n d i

o= 7° 1 2'

o

360

7° 1 2' I . = 50 dt u n angolo giro . 3600

Conseguentemente ASè 1 /50 della circonferenza terrestre. M a la l u nghezza d i A S era d i 5000 stad i , per cu i la circonferenza del la Terra doveva essere di 250 000 stad i e il suo " 250 000 . ragg10 = � sta d 1 •

Sfortunatamente non sappi amo quale stad io, tra i m ol t i usat i a quei tempi , servì da un ità ad Eratostene. Uno stad i o è 600 pied i grec i , ma i Greci usavan o molti pied i , per esempio, l o stad i o Attico equivale a 607 pied i i ngles i , quel l o Olimpico a 630,8 . S e consideriamo i l primo stad io, i l raggi o della Terra diventa 350 000



X

607 5280

R:!

. . 4600 mtglta .

Data l a forma della Terra, oggi s i è accertato che i l raggio a l l'equatore è 3963 miglia, mentre i l raggio polare è 1 3, 5 migl i a d i meno. A d ogni modo, il fatto che il risultato d i Eratostene non sia esatto non togl ie nulla alla grandezza del l a sua impresa. È il suo metodo che suscita la n ostra ammirazione. Un gigante, non misurerebbe forse l a Terra circon-

12

Capitolo 1

dandola con le braccia e confrontando l a circonferenza con i l suo palmo ? Cosa fece i nvece Eratostene, piccolo pigmeo ? Ad Alessandria, a mezzo­ giorno di un certo giorno lontano di mezza estate, osservò l'ombra proiet­ tata da un piccolo bastone e usò i l suo goniometro. Proprio solo un'ombra e una idea costituiscono la sostanza che fece d i u n pigmeo u n gigante i n grad o d i m i s u rare la Terra. 1 .2.3.

Cosmologie rivali

Siamo in grad o, senza orologio, di sapere che ora è ? Certamente, guardando una meridiana. L'o mbra proiettata dal Sole s u l la meridiana ci dà una i nd icazione dell 'ora. Anche se u n orologio ha d ue lancette mentre una mediana ne ha una sola, u n orologio è i n realtà u na meridiana. Pen­ satec i . L' « ombra » o la posizione della lancetta dei m i n ut i (letta assieme alla posizi one della lancetta delle ore sostituisce l 'ombra del Sole. Un orol ogio nel momento in cui ci d ice l ' ora (per essere precisi, l'ora solare) ci indica anche la nostra posizione rispetto al Sole. A l buio, però n o n si vede n u l la ; certamente, l'uomo primitivo si alzava a lavorare a l levar del Sole e si ri posava a l t ramonto. La vita era governata dall'orologio della natura. E come m i suriamo l 'età ? Jn a n n i . Ma cos'è u n anno ? Il tempo che t ra­ scorre prima che la Terra si trovi di n uovo nella stessa posizione relati­ vamente a l Sole. E come determiniamo q uesto fatto ? Riferendoci alla posizione delle stelle fisse. Man mano che la posizione della Terra cambia rispetto al Sole, i giorni d iventano più lungh i , poi s i accorciano, poi si allungano di n u ovo. C'è un ciclo d i stagioni, arriva i l tempo del la semina poi quel lo del raccolto. Non sono d unque, le nostre vite, regol ate dal l'orologio e dal calen­ dario ? E l a n ostra esistenza, non d ipende forse, dalla rotazione della Terra i n torno al Sole ? Senza il Sole saremmo i mmersi in una notte senza fine, non avrebbe senso il giorno, la settimana, il mese, l 'anno ; non ci sarebbe un tem po per seminare né quello per raccogl iere. La sorte degli uomin i d i pende dal ciel o ; non è quindi u n passo naturale supporre che i l destino di ogn i persona sia governato dalle stel l e ? Una maggiore conoscenza del cielo, non potrebbe portare forse alla conoscenza del n ostro destino ? Benché fi n o ad oggi l'astrologia non sia stata una utile applicazione del­ l 'astronomia, pure è servita a qualcosa. Ha fornito u n maggiore stimolo all 'astronomia ; h a dato, inoltre i l suo contributo a pratici motivi , per lo stud i o del le stel le, come la determinazione del calendario e un metodo d i navigazione. È palese, n e l nostro l inguaggio, una speciale attenzione rivolta alle stel le mobi l i , i pianet i : Domenica, in Inglese Sunday, è il giorno del sole ; Lunedì, il giorno del la luna, Martedì, il giorno d i Marte, Mercoledì, i l giorno d i Mercurio, Giovedì, il giorno d i Giove ; Venerdì, i l giorno d i Venere e Sabato, i n Inglese Saturday, il giorno d i Saturno. Per l 'uomo primitivo la natura rappresentava una i ncertezza piena di funeste sorprese. Perfino per i Greci, d ietro ad ogni cespugli o e sotto ad ogni pietra s i n ascondeva un dio dall'imprevedibile umore. I cammini dei

Dalla storia del!'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

13

pianeti rappresentavano l a confortante s icurezza dell'esistenza d i qualche cosa di certo i n un mondo di i ncertezza. Queste stelle mobil i , come i Greci chiamavan o i pianet i , contrapponendoli alle stelle fisse, semb ravan o prede­ stinati a segui re dei percorsi fissi. Era evidente che i pianeti riapparivano nelle stesse posizio n i (relativamente alle stel le fisse) ad i n terva l l i regolari . Contrariamente alla generale casualità della n atura, alcu n i event i erano preved i bi l i : s i poteva fa re affidamento sul l oro manifestarsi . Nello stud i o del le applicazio n i d e l l a matematica all 'astronomia ved iamo i l pri mo ten­ tativo di scoprire le uniformità in n atura. Le stel le for n i rono all' uomo la prima sci n t i l la d i una grande idea, il convincimento che c i sono delle uni ­ formità c h e devono essere ri velate. È pi uttosto d iffici le esagerare l'impor­ tanza di questo cam biamento di ved ute ; il nuovo punto di v i sta costit uisce la nascita della scienza. Aristotele (384-322 a. C.) ded usse che un pianeta si m u ove d i moto uniforme lungo una c i rconferenza. Come ragionava ? 1 pianet i sono neces­ sariamente dei corpi perfett i , quindi sono delle sfere e, dato che sono perfetti , si devono m uovere d i moto perfetto, quind i , d i moto un iforme l ungo del le ci rconferenze. State sorridend o : non lo fecero certo i suoi contemporanei . Per m i l le an n i Aristotele non ha mai fatto sorridere. Le sue affermazioni resistettero senza far sorgere il m i n i m o d ubbio fino al Med i o Evo. Aveva parlato il fondatore della zool ogia, della meteorologia e della l ogica ; agl i uom i n i minori venne lasciato il compito d i segui re sui suoi passi il maestro e c i tare la sua autorità. La c i rcolarità delle orbi te dei pianeti era una i potesi prima d i Aristotele ; dopo Aristotele d ivenne una certezza. Il problema ora diventava : q ual è i l centro ? Sembrava allora naturale che i l Sole ruotasse attorno alla Terra, ven ne q u i n d i accettata la teoria di Ipparco ( 1 60- 1 25 a.C.), svil uppata poi da Tolomeo ( 1 30 a.C.) che tutti i pianeti ruot i n o attorno alla Terra . L'osservazione, com unque, n o n confermava appieno la teoria . Così , dal punto d i vista dei Greci, se un pianeta n o n si muove lungo una circon­ ferenza, allora il suo moto deve essere una combi nazi one d i moti ,...,_,

circo-

Figura 1 . 14.

Figura 1 . 15.

14

Capitolo 1

lari. Si veda l a Fig. 1 . 1 4 : viene rappresentata una combinazione d i moti circolari . Mentre P si muove lungo la circonferenza d i centro Q, Q si muove lungo la circonferenza di centro C. Il percorso di P (circolare relativamente a Q) viene detto epicicl o . Ancora, se una tale combinazione non confer­ mava precisamente quanto realmente si osservava, venivano tentat i , suc­ cessivamente, epicicl i di epicicli. Si veda la Fig. 1 . 1 5. Viene illustrata una combi nazione d i tre moti circolari . Mentre P si muove lungo l 'epiciclo di centro Q e Q s i muove lungo l 'epiciclo d i centro R, R si m u ove lungo la circonferenza d i centro C . Ecco un p u nto importante per la comprensione del la scienza : complicando sufficientemente l e i potesi possiamo ottenere abbastanza flessibilità per farle combaciare con i dati osservabili. È chia­ ramente molto più interessante avere una conferma dei dat i facendo delle ipotesi semplici . Ricordiamo una teoria rivale : quella d i Aristarco di Samo. La sua teoria era che la Terra e i pianeti si m uovono l u ngo orbite circolari intorno al Sole. Sebbene la maggior parte d i t utti i dat i allora osservabi l i confermasse piuttosto bene l a sua teoria, essa fu rifiutata da tutti ; fu rifiutata anche da Archi mede (287-2 1 2 a.C.) il più grande matematico, fisico e inventore del l 'antichità. Perché venne rifiutata da tutti ? In parte, senza d ubbio, fu proprio perché Archi mede l 'aveva rifiutata. Dobbiamo proprio ricordare che l 'orgoglio e il pregiudizio possono i nfluenzare il n ostro pensiero. Poco fa, i nfatti ,

Figura 1 . 16.

Sistema geocentrico d i Tolomeo.

Dalla storia de/l'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

Figura 1 . 1 7.

15

Sistema eliocentrico d i Aristarco.

ci siamo chiesti : quanto d i sta la Luna dalla Terra ? Non abbiamo certo d omandato : quanto d ista la Terra dalla Luna ? Entrambe le domande devono avere la stessa risposta, e allora perché abbiamo formulato la prima e non l a seconda ? Quando vogliamo intraprendere un viaggio, necessariamente il punto di partenza è quel lo dove ci troviamo. La prima d o manda non è dunque più natu rale ? Mentre si è fermi i n mezzo alla nebbia s u una barca a rem i , non viene naturale pensare che una barca vicin o vada alla deriva dietro alla nostra, pi uttosto che la nostra dietro quella ? Non è d unque più naturale l'ipotesi i n c u i la Terra è al centro piuttosto d i quella in cui i l Sole è al centro ? La Fig. 1 . 1 6. i l lustra l'ipotesi geocentrica (la Terra al centro) d i Tolomeo ; la Fig. 1 . 17. m ostra la teoria eliocentrica (il Sole a l centro) da t utti rifiutata (notiamo a nche che la Luna r uota i ntorno alla Terra). Quasi d iciassette secoli più tard i , i l sistema eliocentrico d i Aristarco venne riscoperto da Copernico ( 1473- 1543) . Allora era de rigueur riferirsi ad una autorità del passato, Aristotele di preferenza, e, dato che Aristo­ tele non si era pronunciato a favore di questa teoria, Copernico citò Ari­ starco (in seguito, comu nque, non lo citò più). Dato che conosceva i l lavoro d i Aristarco, è più corretto d ire che risviluppò, piuttosto che riscoprì,

16

Capitolo I

la teoria eliocentrica. Con pazienza e perseveranza la controllò riferendosi a m olte osservazioni, sue proprie e d i altri astronomi . Sebbene fosse un uomo d i i m menso coraggio intellettuale così come d i energia, fu molto prudente. Sapendo che la gente non ama anche i l più piccolo turbamento al p roprio modo di pensare, o a quel l o di n on pensare affatto, ritardò la pubblicazione delle sue scoperte per trent'anni circa fino a che n on si t rovò quasi s u l letto di morte. Concordemente alla sua cautela caratteri­ stica, non affermò che l a Terra e i pianeti in realtà si m uovevano intorno al Sole ; s i accontentò di dimostrare come una ipotesi e l i ocentrica era migl iore di una geocent rica : la prima rich iedeva un n u mero m i nore di epicicl i . 1.2.4.

L'orbita d i Venere

Una precedente teoria era stata proposta da Eraclide che visse nel quarto seco lo a.C. Stud iò con Platone e probabil mente con l o stesso Ari­ stotele. La sua teoria è a metà strada t ra quella tolemaica e q uella coper­ nicana. Secondo Eraclide, Mercurio e Venere si m u ovevan o l u ngo orbite circolari intorno al Sole, mentre i l Sole stesso e gli altri pianeti si m uo­ vevano intorno alla Terra. La stella lumi nosa spesso visibile al tramonto del Sole era n ota come Stella della sera ; la stel la l u m i nosa spesso visibile a l l 'alba era nota come Stella del matt ino. Sebbene q uest i nomi non suscitino alcuna sorpresa , sicuramente d i sorpresa ce ne fu molta a l la scoperta che la Stella del mat­ tino era proprio la Stella del la sera. Questa stel la è Venere. I suoi sposta­ ment i , mentre p resentavano una certa regolarità destavano anche perples­ sità. Lunghe osservazioni mostravano che alla fine riappariva nel l o stesso posto (relativamente alle stel le fisse) ; si trovava sem pre relativamente vici n o a l Sole, i noltre q ualche volta sembrava c h e si muovesse rapidamente nella stessa d i rezione del Sole mentre altre volte lentamente in d i rezione oppo­ sta. M a senza d ubbio, corpi perfett i , delle sfere, devono descrivere delle figu re perfette, del le ci rconferenze, con un m oto perfetto, uniforme. Quale

Venere si sposta rapidamente

Figura 1 . 18.

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

17

poteva essere l a ragione per questa apparente differenza ? Un'occhiata alla Fig. 1 . 1 8 rende l a spiegazione i mmediatamente ovvia. I l guaio c o n la scienza del poi è che ci i m ped isce d i apprezzare l a acutezza del la preveg­ genza. La spiegazione è d i Eracl ide. Quel lo che n o i ora sappiamo, cioè che l 'orbita di Venere non è esattamente circolare né che il suo moto è proprio u n iforme, n o n togl i e n u l la al la sua i ngegnosità. La cosa stupefa­ cente è che la sua i potesi conferma pi uttosto bene i dat i . L a buona precisione della prima approssimazione del l ' i potesi d i Era­ c l ide rende ragionevole la domanda : qual è i l raggio dell 'orbita di Venere attorno al Sole ? Questa domanda fa sorgere un'altra domanda : come pos­ siamo determi nare questo raggio ? Come fareste ? Bene, i ncom i nciamo a studi are con attenzione la Fig. 1 . 1 9.

Figura 1 . 19.

Osservate che l 'angolo rx111 tra la retta che congi u nge Venere alla Terra e SE, cambia man mano che Venere si muove nella sua orbita. I n part i­ colare notate che :

SEVI= SEV{ SEv2 = SEV� SEV;i ----

=

SEv� ----

SEV,,, = SEV,11 Jn breve, cresce fino a ragg i ungere i l massi mo quando Venere è i n Vm. (m sta per massimo) poi decresce. Dove si trova V ? Considerate l e corde successive V1V{, V2 V� V3 V�; d i ventano sempre più corte. Ovviamente et.

,

,,,

EVrn è la posizione l i m ite tangente a l ---cerchio. Conseguentemente rx è u n massimo, chiamiamolo rx,,,, quando SV'"'E è u n angolo retto. Considerate la Fig. 1 .20.

18

Capitolo 1

Figura 1 .20.

Dato che

SV

e

SVm

e dato che l 'a ngolo

sono raggi dell 'orbita ci rcolare

---...

SV,11E

sv

svm

SE

SE '

del triangolo

svm s1

SE

.

= Slll

SV,11E

è u n angolo retto,

(X/Il ;

ha q u i n d i

sv SE

.

= Slll

(Xm



J I raggio dell 'orbita d i Venere è i l prodotto d i sen rxm per la distanza t ra la Terra e i l Sole. N o n abbiamo, natural mente, dati sufficienti per deter­ minare le d i stanze effettive, solo i l l oro rapporto. Ad ogni modo, ancora una volta, non è sorprendente quel l o che si può fare, usando parti estre­ mamente elementari della geometria e della t rigonometria ? Per applicare l a nostra form ula abbiamo b isogno del valore numerico effettivo d i rxm. Come lo possiamo ottenere ? Osservando Venere quando si trova nella posizione ��n ? Ma come possiamo sapere il momento esatto ? Dicendo « quando a � massimo » n o n si fa altro che dare i l problema come già risolto. Il punto è che non possiamo ottenere rx m mediante una sola osservazione, e non possiamo avere questa i nformazione in cambio di n iente, dobbiamo meritarcela facendo regolarmente delle misure al t ra­ monto e all'alba, giorno dopo giorno. Senza un certo numero d i osserva­ zioni , come potremm o d i re quando rx n o n cresce più ed i ncomincia a decrescere ? I passi i n avant i , nella scienza, richiedono, parimenti , per­ severanza e idee brillan t i .

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

1.2.5.

19

Tycho Brahe e Keplero

Tycho B rahe ( 1 546- 1 60 1 ) era un ricco nobile danese, che possedeva molta terra, molt i servi e una certa d isposizione alle l i t i . La sua d isposi­ zione, da giovane, si risolse in un d uello, nel l a perdita del naso, nel l a sosti­ t uzione con u n o d'argento, e i n u n a accent uata tendenza ad evitare la società. Senza dubbio questa successione d i eventi fece in modo da accre­ scere la sua attrazione verso l'astronomia (certamente u n a scienza che n o n richiede com pagn i a). Ad ogn i modo s i svi l u ppò i n l u i una sorta d i osses­ sione verso la cont i n ua ed esatta osservazione delle stel le, questa os­ sessione sta a l l a base del l a sua fama. N o , certamente non propose nuove teorie. Era ricco, i noltre era a nche a iutato econom icamente da molti prin­ c i p i , fu quindi i n grado d i costru ire, con assol uta noncuranza del costo, strument i enorm i , fatti con c u ra , che cambiarono il l i vello di precisione nel le osservazi oni . Ogg i , quando l 'accuratezza ha raggi unto l i vel l i elevat i trascuriamo i l contributo vitale d i Brahe a l l 'astronomia e a l l o svil uppo del l 'attitud ine scientifica . Keplero ( 1 57 1 - 1 630) era i nvece molto povero. A quei tem pi c'erano pochissime catted re d i astronomia e l 'a i uto dei pri ncipi era essenziale. U n tale a i uto ven iva spesso dato a l l 'astrologia pi uttosto che a l l 'astronomia, e Keplero si guadagnava l a sua misera vita con l a prima per poter studiare la seconda. Come egl i stesso osserva, l 'astrologia è figl ia dell 'astronomia, e non è gi usto che l a figl i a si occupi del la madre ? Keplero era u n uomo d i gen io. li suo lavoro segna i l passaggio tra l a mentalità medioevale e quella moderna. Per q uesta ragi one, viene chia­ mato, da Koest ler, « Lo spartiacque », i n un l i bro che porta q uesto titolo. Da Keplero l a storia del pensiero rifluisce attraverso un miscugl i o d i chiaro pensiero scientifico, di astrologia, di misticismo e su perst izione dei tem pi dei babi lones i , verso il moderno modo d i pensare. l suoi stessi scri tti sono u n a mistura d i entrambi . Non avendo il denaro per comprare strumen t i precisi ( e q u i n d i costosi) c o n c u i fare personal mente le osservazioni , final­ mente i ncontrò Tycho B rahe ed ered itò l a sua vasta raccolta d i dati , precisi ad u n punto tale che i G reci avrebbero giud icato i ncred i bi le. L'ambizione di Keplero era di descrivere con precisione l 'orbita d i Marte. Tentò in­ fruttuose combi nazi o n i d i epicicl i , u n a dopo l 'a l tra. Alla fine dopo 14 fati­ cosi i n successi , arrivò alla concl usione che l'orbita non era u n cerch i o né u n a com binazione d i cerc h i . Doveva essere qualcosa d 'altro. La concl u­ sione di Keplero possedeva u n a novità sorprendente ; dalle affermazio n i d i Aristotele, sempre, per c i rca 1 7 seco l i , i l moto a epicicl i e r a stato consi­ derato come assiomatico. La sua rott ura con l a t radizione aristotelica costi tuì i l passaggio del l o spartiacque. Senza mai stancars i , con coraggio, con t i n u ò a fare calcol i s u calco l i p e r contro l lare altre ipotesi ; soltanto a l l a fine, l ' i nvenzi one dei l ogarit m i faci l itò i l suo lavoro. Final mente formulò l'i potesi c h e M arte s i m u ove d i m o t o non u niforme l ungo u n a e l l i sse, c o n i l S o l e i n u n o dei suo i fuoch i . Eretico. Assol utamente eretico. Come potrebbe i l Sole essere i n un fuoco p i uttosto che in un a ltro ? Come potrebbe un pianeta muoversi d i un moto

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Capitolo I

che n o n sia un iforme ? Come potrebbe, l ' Un iverso, essere così imperfetto ? I dati osservati calzavano sull 'ipotesi come u n guanto. L'ideale degl i Elementi d i Euclide, che i teoremi sono necessarie con­ seguenze dell 'ipotesi , tende a trarci i n i ngann o nell'i ndurci a s upporre che l o sviluppo della scienza debba essere i n teramente razionale. N ul la po­ t rebbe essere più lontano dal la verità. Da nessuna parte, come nel la storia dell 'astronomia, l ' irrazionalità si manifesta più chiaramente ; e, nell 'astro­ nomia, in nessun pu nto è più evidente l o scontro tra pregi udizio e realtà come nel la nozione, tenacemente ideata, d i corpi perfetti i n moto perfetto. La nuova teoria astronomica portò un cambiamento di pensiero, u n n uovo punto di partenza, u n a n u ova civi l izzazi one. Perfino nell 'era pre­ Sputnik, alcu ni apprezzamenti di questi svi l uppi entravano necessaria­ mente come i ngredienti nel senso com une, ed ucato in un certo modo. Sicuramente gli studenti vorranno saperne d i più. U na buona i ntrod u­ zione si t rova nel testo di Morris K l i ne « Mathematics : A Cui turai A p­ proach ». U n altro l i bro utile è i l vasto volume d i Koest ler « The Sleep­ wal kers » (I sonnambuli), di c u i « The Watershed » (Lo spartiacque) è u n (l u ngo) capitolo. Il titolo « I sonnambu li » è molto appropriato, perché, come un sonnambulo t rova, con gli occhi chi usi, la strada su i tetti , così Aristarco congetturò il suo sistema eliocentrico : i dati in suo possesso erano pochi ; conosceva così poco che i suoi occhi erano chi usi , t uttavia si m uoveva guidato da un sicu ro istinto. Più tard i gl i ast ronomi chi usero gli occhi davanti alla realtà. Siamo di fronte ad una storia così fantastica d a appari re fantasia romanzesca , raccontata c o n affasci nante abil ità. 1.2.6.

L'anno di Marte

Ritorniamo a Keplero : Come ri uscì a scopri re l 'orbita corretta d i M arte ? Mediante qual i osservazioni ? E sulla base di quali presupposti ? La sua i potesi d i lavoro era che M arte e la Terra si m uovessero nel l o stesso piano, ciascu n pianeta l ungo un'orbita circolare, di m o t o u n iforme, i ntorno al Sole. Sappiamo ora, come del resto sapeva anche Keplero , che ciò non è affatto corretto : le orbite non sono complanari , né circolari e i l moto non è per n u l l a u n iforme. La sua i potesi era soltanto una pri ma approssimazione che rese t rattabile, senza sovrasempl ificazion i , i l suo p ro­ blema. U na appropriata prima approssimazione costituisce un pri mo passo verso approssimazioni progressivamente migl iori . Una conseguenza del l'i potesi d i Keplero è che Marte si troverà, ad i nter­ val l i regolari , nella stessa posizione siderea relativa al Sole (determi nata cioè rispetto alle stelle fisse). La l unghezza di questo intervallo, tempo richiesto per percorrere un'orbita completa i n torno al Sole, viene detto anno (sidereo) di Marte. In modo analogo, natural mente, il tempo impie­ gato dal la Terra per percorrere u n'orbita com pleta i ntorno al Sole, viene detto anno (sidereo) del la Terra. Considerando l'anno terrestre come un ità di misura, i l pri m o scopo d i Keplero fu quel l o d i determinare l 'a n n o di Marte. Sebbene Marte e la Terra si m uovano intorno al Sole nella stessa d i re-

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successirn

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zione, si m u ovono c o n velocità angolari d i verse. Come conseguenza, i l S o l e e Marte dovranno essere, p e r u n i stante, esattamente opposti, l ' u n o rispetto a l l'altro, r ispetto alla superficie d e l l a Terra, con una differenza, per quanto riguarda la longitud i ne, di 1 80 gradi . Quando accade ciò, s i d ice che il Sole e Marte sono in S i veda la Fig. 1 .2 1 .

opposizione.

E

M

Figura l. 2 1.

Una oppos1 Z1one è osservabile con grande accu ratezza . Ricordatevi che u n giorno com pleto di 24 ore è l ' i ntervallo di tempo fra d ue consecutivi passaggi del Sole al suo zen ith, in modo che, a causa della rotazione u n i ­ fo r m e d e l l a Terra i ntorno al suo asse, d o d i c i ore dopo mezzogiorno, ossia a mezzanotte, i l Sole è proprio sulla parte opposta della Terra. Così , se a mezzanotte Marte è d i rettamente sul meridiano, allora abbiamo una opposizi one. l i Sole, d iciamo, viene osservato per ded uzi one. La Fig. 1 . 2 1 può essere considerata come i l q uad rante di un orologio celeste ; ma le lancette non sono quella delle ore e q uella dei m i n uti : SE è l a lancetta « terrestre », mentre SM è la lancetta « marziana ». Suppo­ niamo noto Te , l 'anno terrestre, tempo impiegato dalla lancetta terrestre a fare un gi ro com pleto : i Babi lonesi l 'avevano determi nato con grande acc uratezza . Se SM fosse ferma, a l l ora, ovviamente, le lancette si sovrappor­ rebbero, d i n uovo, dopo una rivoluzione completa della lancetta terrestre, ossia Te sarebbe i l periodo (ind ichiamolo con P) tra due opposizi o n i con­ secut ive. Se SM ruotasse nella stessa d i rezi one di SE e con la stessa velocità angolare, all ora c i sarebbe con t i n uamente una opposizi one ; l ' i ntervallo P, t ra d ue opposizi o n i consecutive sarebbe zero. È ugual mente ovvio che se SM ruotasse con la stessa velocità angolare, ma i n d i rezione opposta, al lora ci sarebbe una opposizione dopo che SE (e SM) hanno completato una mezza rivol uzi one, ossia dopo u n tempo ( l /2) T;; . Non è chiaro che P, l ' i nterval lo t ra d ue consecutive sovrapposizion i delle lancette del nostro orologi o, è collegato alle loro velocità angolari , ossia che P d i pende da Te e T,u ? Detto i n u n altro mod o : non è, P, legato l ogicamente a Te e TM ? T I punto cruciale nel problema della determi nazione d i TM consiste proprio nello specificare q uesta relazi one t ra T;; , P e TM . I l nostro orologio celeste è pi uttosto particolare, dato che l e velocità

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Capitolo 1

angolari delle due lancette non sono nella proposmone I : 1 2, anche se sono in proporzione costante. Questo comporta una sostanziale differenza nel problema ? No, naturalmente no. La posizione delle l ancette, corrispondente ad una opposizione, così come appare in Fig. 1 .2 1 , verrà indicata, per brevità, come posizione ini­ ziale. Che cosa accade poi ? Dato che l a l ancetta terrestre ruota più velo­ cemente, essa, necessariamente, completa una rivoluzione in un tempo minore di quell o i mpiegato dall a lancetta marziana. I n q uesto modo, quando SE arriva alla posizione i n iziale, SM ha completato solo i n parte una rivoluzione. Si veda la Fig. 1 .22.

Retta Ei_-- -M�iniziale

Figura 1 . 22.

Figura 1 .23.

Dimenticate, per i l momento, che la situazione descritta in Fig. I .22 deriva da quella i n Fig. 1 .2 1 . Concentratevi s u quell o che segue dal la Fig. 1 .22. La s i tuazi one che ne deriva è analoga a quel la d i una corsa con penalizzazione : E, sulla posizione (iniziale) di partenza, ha un handicap rispetto a M, che parte avvantaggiato nella posizione M1 . M a, dato che la velocità angolare di SE è maggiore d i quella d i SM, prima o poi, E rag­ giungerà M. Supponiamo che questo accada quando SE ha compi uto una rotazione d i u n angolo IX (misurato, naturalmente, a partire dalla posizione i n i ziale). Così, alla fine della corsa, c i troviamo nel la situazione i l lustrata dal la Fig. 1 .23. Mentre SM è passata, ruotando, da SM1 a SM2 , SE è ruotata d i u n angolo cx dal la posizione i niziale fino a SE2 • Riconsideriamo ora l a Fig. 1 .2 1 . Durante l'intervallo i n tercorso tra una opposizione e l a successiva, SM è passata, ruotando, dal la posizione iniziale SM2 , ossia è ruotata di u n angolo cx . Ricordiamoci che SE, prima d i iniziare l a corsa con penalizzazione, ha completato una rivoluzione. Concl udiamo che, se nel periodo P, tra d ue consecutive opposizioni, SM ruota di IX , al lora SE ruota di 360° + cx . Facciamo u n passo i ndietro. Questa concl usione non è i mmediata­ mente ovvia, una volta visto come vann o l e cose ? Noi ora sappiamo qual è i l modo g i u sto d i affrontare i l problema ; subito dopo i l verificarsi d i una opposizione, l a l a ncetta terrestre SE si porta in testa, e dovrà ruotare di 360° in più rispetto alla l ancetta marziana per poterla raggiungere.

Dalla storia de/l'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

23

Il resto è facile . Tabulando i n ostri dati relativi a Marte e alla Terra, abbiamo I n terval lo

Angol o d i rotazione

di Tempo

n e l l ' i n terval l o d i tempo

Marte

p

IX

Terra

p

3 60 + IX

3 60

TM

3 60

TE

Ma per una rotazione (d i una lancetta) con velocità angolare un iforme, il tempo di rotazione è d i rettamente proporzionale all 'angolo d i rotazione. Quindi dai dati di Marte abbiamo

p

(I)

TM

IX . 360

Mentre, dai dati della Terra : p

TE

(2) Per legare

TM

a

T.,

360 + IX 360

e a P, non ri mane altro che elimi nare IX. Da (2) :

Di q u i , da ( I )

Abbiamo stabilito l 'espressione esplicita del la relazione tra TM , P e TE . Dato che TE è noto, rimane solo da m isurare P per ottenere TM . P era stato m i surato dai Greci, Keplero calcolò TM . 1 .2.7.

L'orbita di Marte

Ricordando che l'ambizione d i Keplero era di determinare con preci­ sione l 'orbita d i Marte, i l lettore attento vorrà chiedere : i n che modo, la determinazione d i TM , serve a questo scopo ? Consideriamo la Fig . 1 .24. Quando Marte s i trova i n M, nella d i rezione i nd ividuata dal Sole S e da una stella fissa S0 , supponiamo che la Terra sia i n E1• Proprio dopo un tempo TM , Marte ha completato u n'orbita i ntorno al Sole, e si trova ancora in M, ma, dato che la lancetta terrestre del nostro orologio celeste ruota più rapidamente della lancetta marziana, la Terra avrà percorso più d i una rivoluzione completa e si troverà in E2 •

24

Capitolo I

s

/

/

/

/

/

� - - - - -- - - - -----�

M' -.... -....

......

....

......

Figura 1 . 24.

Sebbene M a rte sia di nuovo nella sua posizione iniziale relativamente alle stelle fisse, osservato dal Sole (ossia è s u l la d i rezione di S0) , si trova i n u n a posizione d i fferente, relat ivamente alle stelle fisse, osservato dalla Terra . I n izial mente Marte è sulla stessa d i rezi one i nd ivid uata dalla Terra e s; ; d o po un tempo TM , si troverà sulla d i rezione ind ivid uata dalla Terra e S� . M a, anche se Marte, i n M, appare, relativamente alle stelle fisse, in posizioni d i fferent i , q uando la Terra si t rova in E1 e E2 , dato che l'anno di Marte è TM , noi sappiamo, per deduzione, che si t rova nel la stessa posi­ zione. Possiamo ded u rre molto d i più. Dato che Tt: è noto, è n ota la veloci tà angolare della nostra celeste lancetta terrestre, così che, può essere cal­ colato l 'angol o di rotazione d opo il tempo TM : possiamo determi nare E�2 • E, considerato noto i l raggio dell 'orbita terrestre, vengono de­ term i n at i , nel t riangolo i soscele E1 SE2 , la l u nghezza della base E1E2 e l 'ampiezza degl i angoli adiacen t i alla base. Di cosa abbiamo ancora bisogno per calcolare SM ? Quali sono le cose più sem plici d a m i surare con accuratezza ? Certamente gli ango l i . Consideriamo o r a la Fig. 1 .25. L a posizione del la Terra rispetto a l Sole e a l l e stelle fisse era stata stud iata con cura fin dai tempi dei Babilonesi ; Tycho B rahe aveva fatto delle osservazi o n i ancora p iù esatte. Questi dati perm isero a Keplero di determinare la stel la fissa S 1 , nella stessa d i rezione, o al meno l a più vici na alla stessa d i rezione, del Sole e della Terra quando, per esempio, la Terra era in E1 . A bbiamo già osservato che, sebbene i l Sole non sia visibile all'astronomo terrestre che si trova i n E1 mentre os­ serva S1 , cionond i meno è « osserva � per deduzione ». In questo modo Keplero fu in grado di misurare S1E1 M (il prolu ngamento di S1E1 passa per S) quando la Terra era in E1 e, analogamente, s2fi;M (i l prolu nga­ mento di S2E2 passa per S) quando, i n un secondo tempo, la Terra era

Dalla storia de/l'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

25

Fi![ura 1 . 25.

in E2 (non si confonda la stella fissa S1 della Fig. 1 .25 con S� del la Fig. 1 .24 . S1 è s u l l a stessa retta d i E1 e S ; S� è s u l la stessa retta d i E1 e M . l noltre, neppure S2 deve essere identificata con S� . Che uso si può fare d i questi ulteriori dati ? L'angolo E2E1 M è supplementare della somma degl i angol i , noti, s"fi;E2 , s1E;M , e quindi è determinato. 1 n modo analogo è determi nato l 'angolo E1/i; M. Così , nel triangolo E1E2 M sono noti d ue ango l i e un lato (E1E2) , quindi, usando una form u l a nota dal l a t rigonometria (legge del ---seno), si arriva al calcolo ...... d i E2 M. D'al tra parte, gl i angoli SE2 E1 e E1E2 M sono entrambi not i , quind i , n e l t riangolo si;M conosciamo l 'angolo sfi;M e i l a t i ad iacenti ;

usando ancora una formula trigonometrica (legge del coseno) viene cal­ colato SM. Ricordate che l ' ipotesi di l avoro di Keplero i ncludeva la s upposizione che Marte ripete, con regolarità, la sua orbita ; i ndipendentemente dalla sua posizione orbitale in u n particolare i stante, s i t roverà d i nuovo nella stessa posizione dopo un i nterval l o T,11 • Così i l metodo precedente è appl icabi le

26

Capitolo 1

al calcolo della lunghezza della lancetta marziana, del nostro orologio celeste, in una qual unque posizione. In questo modo il calcolo di TM servì a Keplero per determinare l'orbita di Marte attorno al Sole. Dopo aver calcolato molti « raggi » dell'orbita d i Marte, Keplero, con energia pari al suo entusiasmo, cercò di adattare la teoria alla realtà. Le osservazio n i ricevute in eredi tà da Tycho Brahe, gli avevano fornito dati con una accuratezza sconosciuta ai Greci , e conseguentemente resero p i ù d i ffic i l e tutto il suo lavoro. Alla fi ne, al suo q uattordicesimo tentativo, l 'orbita teorica, calcolata in base ai suoi i potetici epicicli , approssimò piuttosto bene l 'orbita effettiva ; c'era u n a discrepanza d i soli otto m i nuti d 'arco, una accuratezza sconosciuta ai Grec i . Ma una tale approssimazione, che sarebbe stata più che abbastanza buona per soddisfare i Greci , venne scartata da Keplero. E, con essa, scartò l a nozione di ciclo ed epiciclo, armi e bagagl i . Era nauseato per il forte disgusto che provava nei con­ fronti d i epicicl i sovrapposti ad altri epicicli ; il dogma del moto perfetto era diventato un'ossessione celeste. La sua i potesi conclusiva fu che Marte si m uoveva l u ngo una e l l isse, con i l Sole in un fuoco : funzionava. Jn questo modo, a grandi l i nee, Keplero scoprì la prima legge matema­ t ica del l 'astronomia. Li berato dal dogma che i pianeti si m uovono secondo figure perfette, ossia ci rconferenze, fu faci le respingere anche la roman­ zesca i potesi che si m uovono con velocità uniforme. Le lancette del nostro o rologio celeste ruotano a velocità variabile. Le osservazio n i di Tych o Brahe lo resero pi uttosto evidente. In realtà era n o t o anche ai Greci che, q uanto più la Terra era vici no al Sole, tanto più rapido era il m ovimento ; occorreva però la mente d i u n genio per scopri re la legge. Si veda la Fig. 1 .26.

Figura 1 . 26.

Keplero s i m i l mente si accorse che, q uanto più Marte era l ontano dal Sole, tanto più lento era il suo movimento. Alla fine scoprì la legge che si accordava alla realtà. Marte si m uove, nella sua orbita, i n modo che i l raggio vettore S M « spazza » aree uguali i n temp i uguali . Per analogia, Keplero estese l e sue due leggi , ottenute per Marte, agl i altri pianet i . I dati a d isposizi one concordavano. Molti anni più tardi scoprì una terza legge. Ricord iamo che i pianet i , presi nel l 'ord i ne, seguendo la l oro distanza d a l Sole, sono Mercurio ( i l più vici no), Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno ( i l più lontano). S i h a p ure che, tanto più u n pianeta è l ontano d a l Sole, tanto più l ungo è i l tempo necessario p e r completare l'orbita. Keplero dapprima suppose c h e T,

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

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l 'anno del p ianeta, fosse proporzio nale a R, i l suo raggio medio attorno a l S o l e . l n breve s i accorse c h e T cresce m o l t o p i ù rapidamente rispetto ad una proporzionalità d i retta ; ad un R d oppi o corrispondeva un tempo T più grande del doppi o . La legge era u n po' riposta ; alla fine Keplero l a t rovò. I l quadrato d i T è proporzionale a l cubo d i R. Quel lo che Keplero pubbl icò è u n a mistura d i astronomia, astrologia, geometria, teol ogia e u n a miscel lanea d i altri argoment i : s i trovava pro­ prio a cavallo del lo spartiacque. Eppure è piuttosto i nteressante che, d i versamente d a quello che accadde per Gali leo e Newton , egl i non tentò affatto di coprire l e sue t racce. Le sue congetture, i fa l l i ment i , i success i , g l i errori, i p u n t i d i vista, le superstizion i , le ossession i , tutto viene rivelato co n d i sarmante franchezza . Ness un altro uomo di gen i o è stato così aperto riguardo ai propri sbandament i . Ma l'opera di Keplero era così piena d i i dee contrastanti che si d ovette arrivare a Newton per separare i l grano dalla pula, per disti nguere l ' i m portanza di quel lo che Keplero stesso non apprezzò i n pien o : le sue t re legg i . 1 .2.8.

Una parola al lettore più interessato

In cosa consiste, principal mente, l ' i m portanza dell 'opera d i Keplero per c h i stud ia la matemat ica e i l suo ruolo nella scienza ? Pri ma d i t utto nel fatto che ci sono delle applicazi o n i della t rigon ometria su vasta scala. La trigonometria, come abbiamo visto, rese poss i b i le il calcolo del raggio vettore di M arte. Cosa avrebbe potuto fare, pers i n o u n Keplero, senza la matematica ? I n secon d o l uogo, ved iamo i l ruolo d i quel metod o che, d i sol ito, ma­ lamente descritto come « tentati vo ed errore », viene in m igl ior modo i nd icato come Keplero, ricord iamo, partendo d a l l ' i potesi di lavoro di moto ci rcolare u niforme determi n ò l'anno di Marte T.i solo per concl udere, alla fine, che il moto d i M a rte non è né circolare né u n iforme, ma el l i tt ico e non u n iforme. Non sembra u n paradosso ? L'i potesi i n i ziale, che la Terra e M arte hanno un moto c i rcolare u n iforme, è sbagl iata, eppure costituisce una buona approssi mazione della verità. Osservate che i l calcolo del periodo non viene i nval i dato dal fatto che le orbite del la Terra e di M arte non sono ci rcolar i : la sovrapposizione delle nostre lancette celesti , è i n d i pendente dalla variazione delle l oro l u nghezze e d i pende solo dalle velocità di rota­ zione. A ncora , come volle la sorte, la variazione della velocità angolare della lancetta terrestre è m i n ore di quel la della lancetta marziana, in modo che, una buona approssi mazione dell 'orbita terrestre, dimostra, a suffi­ cienza, che non è accettabile una analoga ipotesi per l 'orbita di M arte. Una osservazi one più accurata del l 'orbita terrestre porta ad una più accu­ rata determi nazione dell'orbita d i M arte.

approssimazione successiva .

1.2.9.

II problema di Newton sul cammino di una cometa

Conclud iamo questo paragrafo con u n problema. N o n avrete bisogno di altra matematica se n o n di u n po' d i trigonometria. Oltre a l suo m onu-

28

Capitolo 1

Principia,

mentale Newton s i prese la briga di scrivere un l i bro s u quell a che ora n o i chiamiamo algebra per la scuola superiore . E qual è i l punto principale del testo di algebra di Newton ? Lo stesso di quello di Cartesio : risolvere problemi descritti a parol e richiedendo, così, tra l e altre cose, la piena comprensione necessaria alla t raduzione d i problem i , dall a loro posizione in prosa, alla matematica. Un problema di Newton è il seguente : « Determinare i l percorso d i una cometa che si muove u niformemente i n l i nea retta, mediante t re osservazioni ». L a Fig. 1 .27 i llustra i l problema. /'

Verso una Stella fissa

/

/� Verso / � ------- t '------,_,, �

una

_,, -"'

Stella fissa

o

Figura 1 . 2 7.

Newton sapeva perfettamente che una cometa non si m uove un iforme­ mente e, neppure, si muove lungo una retta. Qual è i l camm i n o d i una cometa ? Sì, certo, ancora una ellisse. M a non vedete che una retta cost i­ tuisce una prima approssimazione ? Qui sta il primo passo i n una sequenza d i approssimazioni s uccessive. Che cosa è osservabile ? O sta per O osserva la cometa i n A , in B e in C e nota in ogn i posizione, la stel la a c u i s i sovrappone, o a c u i è più vicino. Gli angol i sotto cui, da O, si vedono le stelle fisse, vengono m isurat i , ossia w e w ' sono not i . Ancora, O osserva l a cometa si trova in A, in B e i n C, i n modo che sono noti i tempi t e t ' i mpiegati dalla cometa per passare da A a B e da A a C. I n breve, dati w , w ' , t, t ' e, sapendo che i l moto della cometa è un iforme, ci si chiede di trovare la direzione di A BC. Questo viene determi nato, nel modo più conveniente, trovando {3. Concl udiamo con un suggeri mento : per trovare {3 d obbiamo, per prima cosa, t rovare una funzione trigono­ 1 metrica d i {3 : l a migl iore è la cotangente .

osserva­

tore.

quando

I. Si veda Mathematical Discovery, P61ya, Voi . I , p. 54, problema 2.63. ( L'opera ora citata è stata pubbl icata da J. Wiley, New York nel 1 962 (voi . I) e nel 1 964 (voi . 1 1 ), [N.d .R.J.)

Dalla storia de/l'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

Sezione 3.

29

Approssimazioni successive

fncominciamo ribadendo un punto : è i mportante. Keplero partì dal­ l ' i potesi che la Terra e Marte s i m uovono di moto perfettamente ci rcolare e uniforme attorno al Sole, come centro, e arrivò, alla fine, alla conclu­ sione che Marte non s i muove lungo una circonferenza, né i l suo moto è u n iforme e i l Sole non è affatto al centro dell'orbi ta. Ai non i n iziat i , i l suo ragionamento, come la stessa orbita d i Marte, appare come un circol o chi uso. Ma gli addetti ai lavori abitualmente ragionano i n questo modo : da una i potesi di lavoro data dalla p roposizione (} , siamo condotti alla concl usione « n on e » (ossia è falsa e). Questa proced u ra viene spesso descritta come il metod o della falsa posizione. Da un punto di partenza « falso » (non accurato) proced iamo fino ad arrivare ad una conclusione « vera » (accurata) : incominciando con q ualcosa che è corretto solo appros­ s i mativamente, per s uccessive d i m i n uzioni dell'errore, raggiungiamo, se non un risultato perfettamente accurato, una approssi mazione molto migli ore. I l metod o è ben i l l ustrato dal modo con cui cerchiamo un vocabolo, per esempio : confìance, in un d izionario francese. Se la pagina non con­ tiene parole che i ncomi nciano con la lettera C , allora la nostra stima è stata cattiva ; abbiamo giud icato i n modo falso la posizione della parol a ; abbiamo fatto una falsa partenza. Ma una stima mal fatta può costituire u n passo per arrivare ad una migliore ; una posizione falsa può portare ad una posizione più gi usta (più accu rata). Supponiamo che l a nostra prima stima ci avesse portato ad una pagina piena d i parole che incomi nciavano con la lettera B; pensiamo di d over procedere di 5 o 6 pagine. Facendo questo arriviamo, per esempio, a parole che i ncominciano con le lettere CA . Siamo arrivat i ad una posizione migliore . M a noi vogl iamo che C sia se­ guita da O, non da A ; abbiamo t rovato la parola corretta per q uanto ri­ guarda la prima lettera, ma non la seconda. Se la nostra stima successiva c i porta a CO . . abbiamo t rovato la parola giusta in almeno due lettere : altri ment i , se l ' i nizio fosse, per esem pio, CL, proced iamo ancora, se fosse CZ, torniamo i ndietro. Bene, voi sapete come usare un dizionario in modo efficiente. M a vi siete accort i che i l modo in c u i lo usate è una applica­ zione del metodo della falsa posizione, o, detto in un modo più appro­ priato, i l metodo delle approssimazioni successive ? E non è proprio l ' idea generale che sta sotto a metod i del t i po di quel lo seguito per calcolare suc­ cessivamente la radice quad rata di un numero fi n o a una, poi a d ue, a t re, q uattro, . . . cifre decima l i ? N o n si può apprezzare appieno u n metodo matematico parlandone e basta, ma soltanto med iante u n uso intel ligente d i esso. Applichiamo i l metodo e ved iamo l 'idea i n azi one. .

1 .3. 1 .

Prima applicazione

Consideriamo il seguente problema comprensibile anche ad un bam­ b i n o di 8 an n i . Se i l p rezzo di un pan i n o è un quarto di dollaro (25 cente-

30

Capitolo 1

s i mi) più i l prezzo d i mezzo panino, qual è i l prezzo d i u n pani no ? Lo potete fare a mente ? Provateci. Sia x centesim i il p rezzo d i un panino, allora X =

25

da c u i X =

+2, X

50 ,

u n pan i n o costa mezzo dol laro. Per i nostri scopi, com u nque, c'è un metodo molto più istruttivo per farlo. Per evitare a n o i stessi d i entrare troppo profondamente nel caso particolare del problema, generalizziamo considerando, i nvece dei 25 cen­ tesimi, a centesi mi. Questo cotituisce un enorme passo avanti che ci per­ mette di t rattare in blocco un'intera famigl ia di problem i ; i l nostro p ro­ blema, i suoi fratel l i , sorelle, cugin i e zie. li problema, generalizzato, d i ­ venta : t rovare x , sapendo c h e (1) Ovviamente, l a sol uzione è x = 2a ; m a una persona con l a mentalità d i un prat ico i ngegnere può essere spi nta ad affrontare i l nostro problema nel modo seguente, complicato, certo, m a più i ngegnoso : x/2 è m i n ore di x , così lo t rascuriamo e la nostra approssi mazi one i n i ziale x0 è data da x0 = a .

(2)

Ovviamente questa approssimazione è t roppo grossolana, ma costituisce soltanto un primo tentativo. Siamo in grado, sicuramente, di far megl i o ? Che cosa accade quando sostituiamo (2) al secondo membro d i ( I ) ? Ve­ diamolo. La nostra nuova approssi mazi one x i (denomi nata in modo con­ veniente « la prima ») è data da Xi =

a

+ Tx0

=

a a + 2.

Abbiamo ottenuto un miglioramento, così ri pet iamo i l proced i mento, ossia consideriamo una seconda approssimazione x2 , i n modo che X2

=a+

ossia X2 =

a

+2

x1

approssimazione precedente 2

=

a

+ 2 (a 2a) a + 2a + 4a . I

+

=

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

31

Ancora megl io. U n successo n e chiama u n altro. Qual è l 'espressione di x3 ? x2 I

a + 2 = a + 2 (a + 2a + 4a) = a + 2a + 4a + 8a Accontentatevi d i +a a a+ a X3

=

X4 =

a

l+4+S

·

16 .

Possiamo ri petere questo proced i mento tante volte q uante vogl iamo. A nche se non raggi ungeremo mai i l vero valore, possiamo andarci sem pre più vicino. Lo si vede subito nel modo seguente. Rappresentate su una retta i n u meri real i , i n m o d o c h e sia rappresentato da un p u n t o d i ascissa (rispetto ad una certa un ità d i misura). Si veda la Fig.

a

ol

1 . 2 8.

Xo

x,

'X2

X3

t:i

t:i

+

t:i

+

I

a

I I I I

+

N i t:>

Fi1 l t:i -l:> l t:i

+

OO l t:i

a)a/2 a/4) 2a, 2a,a + a/2) a 2a, a + 2a. 2a, + a/2 + a/4 + a/8) 2a, 2a). consideriamo lasciata da parte; lasciamo da parte metà,

Osservate che x0 (ossia è a metà tra O e x 1 (ossia è a metà tra x0 e x2 (ossia è a metà tra x 1 e e x3 ( ossia -1+ rn altre parole, x1 si ottiene ag­ è a metà tra x2 e giu ngendo la metà della d istanza tra x0 e x2 aggi u ngendo la metà della d i stanza t ra x 1 e e così via. Nel calcolare l 'n-esima approssi mazi one xn , consideriamo metà della d istanza precedente (ossia distanza t ra x,,_ 1 e Dato che una metà soltanto, al lora una metà viene dal momento che ne a dest ra ci sarà sempre una metà. Così , i n d i pendentemente da quanti passi successivi si possono fare, non otteniamo mai l 'esatta sol uzione d i ( I ), ma ogn i passo costituirà una approssi mazione migliore, rispetto al precedente. Osser­ vate che x1 è m i nore di x2 è mi nore di x3 è m i nore, x4 è minore. Ma quest i denomi natori sono potenze d i Scrivendolo espl icitamente abbiamo

a/ 16

2a,

a/2

a/4 2, 4, 8, 16,2a,... a/8

a + -a2 = 2a - -2a a a a X2 = a + 2 + 22 = 2a - 22 a a a a 3 = a + 2 + 22 + 23 = 2a - 23 a a a a a x4 = a + 2 + 22 + 23 + 2.4 = 2a - 2.4

x1 =

X

2.

32

Capitolo 1

Conc l u d i a m o che

Xn

(3)

a a a a = a + l + 22 + 2,3 + . . . + n +

2

2a � a

La nostra algebra conferma l a nostra geo met ria. Quest o r i s u l tato i n vita ad u n a genera l i zzazi one. Qual è la configura­ zione in c u i si presenta la seq uenza dei term i n i di x 1 1 ? Ogn i term i n e (eccetto nat u ra l mente il pri m o) è 1 /2 del precedente. Ma la nostra seq uenza sem­ p l i ficherebbe a ncora q uesta configurazione se, i n vece di essere I /2, il rap­ porto di un term i ne rispetto a l precedente, q uesto fosse 1 /3 , o 4/5, o 1 1 /9. Genera l i zzando, s i a r il rapporto di ogn i term i n e rispetto a l precedente. l i pri m o term i n e è a ; qual è il secondo ? Certo, ar 1 , e il terzo term i n e è ar2. Qual è l 'n-es i m o term i n e ? Ci sono n I term i n i dopo i l p r i m o ; e, con ciasc u n o , viene aggi u n t o u n a l t ro fattore r , così che l 'n-es i m o term i n e 1 è ar 1 1 S i a S11 la somma d i /1 term i n i , a l l o ra s n = a + ar + ar 2 + ar 3 + . . . + ar n - 2 + ar n - J .

(4)

Ogn i seq uenza con q uesta configurazione, i n c u i è costan te i l ra pporto d i u n term i n e con i l preced ente, viene detta progressione geometrica. Da t o c h e ogn i term i ne s i può ot tenere m ol t i pl ica n d o per r i l prece­ dente, segue che, se molt i pl i c h i a m o ciasc u n o degl i n term i n i per r, ot te­ n ia m o u n a seq uenza di /1 term i n i che i ncomi ncia con i l seco n d o e fi n i sce c o n l '(n + I )-es i m o . A bbiamo sn = a + (ar + a r 2 + ar 3 + . . . + ar n - 2 + ar n - l ) r · s = (ar + ar 2 + ar 3 + . . . + ar n - 2 + ar n -I ) + ar n . n

Sot t raen d o ,

(I 1 11

(5)

- r ) Sn = a + ( O + O + O + . . . + O + O) - ar n

modo che

I - rn sn = a . -1-- . -r La ( 5) concorda con la (3) ? Se i n ( 4) p o n i a m o

r =

I /2, abbiamo

Confrontando con la (3) n o t i a m o che x n ha u n term i ne in più, oss ia, (11 + I ) term i n i : per rendere appl ica b i l e (4) e (5) dobbiamo scri vere n + l a l posto d i n . Così face n d o i n (4) e (5), (nat u ra l mente con r = 1 /2), ed uguagl iando,

Dalla storia de/l'astronomia : misurazione e approssimazione successira

abbiamo

33

+i Sn+ 1 = a + la + 22a + . . . 2n-1a + 2an = a . I -I -( I ;2r 1/2 = 1�2 ( 1 - 2�+ 1 ) = 2a (1 - 2L1 ) = 2a - 2n . +

!!_

Concorda. La sol uzione del nostro piccol o pro blema, rel a t i vo a l costo d i u n pa n i n o , med i a n te il metodo pratico di a pprossi mazi o n e successiva, h a portato a l la scoperta della form u l a per la somma d i una p rogress ione geo metrica. Oh , certamente, senza d u bb i o , è già stata scoperta m igliaia di volte, ma c i ò n o n s m i n u i sce il fatto che i l risultato s i a u n a conseguenza nat u rale delle nostre considerazi o n i . 1.3.2.

Estrazione d i radici quadrate

Consideriamo u n a l t ro ese m p i o d i appr o ssi ma z i o n e s uccess iva : Vi. Forse l a con oscete a memoria ti n o a q ualche dec i n a d i c i fre deci mal i , e probabi l mente avete i m parato a sc uola i l « metodo standard dei l i bri d i testo », per est rarre la rad ice q u ad rata . Voi sa pete i l metod o a c u i m i rife­ risco : part i t e d a l l a " i rgola e d i videte, a d ue a d ue, le c i fre c h e si t ro v a n o , ri spet to a l la v i rgo la, pri ma e dopo. Po i d a l n u mero p i ù a s i n i s t ra , o s s i a i l n u mero i nd i v i d uato d a l l a c i fra o d a l le d ue cifre d e l l a pri ma « co ppia », sot t raete il più grande q uad rato perfet t o che n o n la s u pe ra , p o i . . . bene, sapete come s i va avan t i . Nat u ral mente potete usare q uesto metodo se i n sistete : l'ho dovuto su b i re ci rca setta n t 'an n i fa . N o n ne capivo la ragi one, così, nei s u o i confro n t i , provavo dci se n t i me n t i di od i o . Pe rd u ra n o a ncora . M a potete usare u n metod o d i ffere n t e ; p i ù i n teressa n t e , perc h é è d i i m me­ d iata com prensione ; p i ù u t i l e perc hé ha una i m portante gen e ra l i zzazione. Praticamente è u n po' p i ù lento nel l ' uso rispetto a l « metodo standard dci l i bri di testo », ma, p i ù veloce se c i s i a i uta con u n ca lcolat o re da tavo l o . Dovete decidere se preferite u n calco l o ra p i d o o un metod o c h e v i porta ad un q ualche risu ltato. Per evi ta re d u pl icazi one di materiale, s i ri manda il let t o re a l metod o « d i v i d i e fai l a med i a » pe r t rovare rad ici q uad rate. S i veda, per esempio Unit pag. U n i vers i t y of I l l i n o i s Press, U rbana pag. Yale U n ivers i t y Press , N e w Haven ,

High School Mathematics, First Course in3,Algehra,1 21-130,304-307, 1960; 1960.

Sezione 4.

,

I l metodo di Newton delle approssimazioni successive

I l metodo d e l l e a pprossi mazi o n i successive è u n i m portante metodo matemat ico ; è l a vera essenza della sci en za . A nche se, q uasi sem pre , n e l l a scienza, dobbiamo i ncomi nciare con quel l a c h e è solo u n a approssi mazi o n e

34

Capitolo 1

d e lla verità, non è n ecessario accon tentarsi . Una appross i m azione grosso­ lana può essere tale d a portare a d una approssi mazione m e n o grossolana ; una buona a pprossimazione, ad u n a m ig l iore. I l fatto che l a nozione d i approssi mazi one successiva costi t u i sca u n a chiave per u n a con oscenza più esatta, fa sì che valga l a pena studiarla. 1.4.I .

I l metodo generale di Newton

Newton ideò un metodo generale per t rovare le rad ici d i u n a eq ua­ zione, ossia, per t rovare i valori di x per cui .f(x) = O. Pri m a di t utto, per avere u n a q ualche idea della l ocal izzazione del le radici , abbozziamo il grafico della fu nzione y = f(x) . S u pponiamo che una parte della nostra c u rva s i a q uella che appare i n Fig. Osservate che i n P la c u rva attra­ versa l 'asse d e l l e x; i l valore di y, o l 'ord i nata, è zero, in modo chef(x) = O. Così , i n a l t re parole, i l va l o re d i x, o l 'ascissa d i P, è u n a rad ice dell 'equa­ zione. I l problema consiste nel modo di ottenere s t i m e , successivamente m igl i o r i , d i q uesta ascissa. N at u ral mente, è sufficiente considerare una sola rad ice del l 'eq uazi one, perché, u n a volta ch iarito il metod o , s i po­ t ra n n o t rovare, le a l t re rad ici .

1 . 29 .

y

mutatis mutandis,

Figura 1 . 29. l i nostro grafico ci dà la possibi l i tà di part i re, ossia ci fo rnisce u n a s t i m a i niziale. Su ppon iam o che l a nostra s t i m a dell 'ascissa d i P sia x 0 ( è u n a n otazi one, i nfatt i , l ' i n d ice O, può essere m e m o rizzato c o m e approssima­ zione La sti ma x0 è abbastanza accurata ? È possibile, ma gene­ ral mente non possiamo aspettarc i di essere così fortunat i . Proviamo. Sost i t uendo x0 a x, troviamo f(x0) * O. Da qui segue che x0 è solo una approssi mazi one della rad ice. E poi , cosa dobbiamo fare ?

originale).

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successirn

35

y

o

Figura 1 .30.

Newton ci d ice d i fare qualcosa di sempl ice ed efficace. I n P0 , p u n t o d i coordi nate (x0 , f(x0)) t racciamo l a tangente a l l a c u rva. Suppo n i a m o che q uesta tangente i ncontri l 'asse d e l l e x i n u n p u n t o A 1 , d i ascissa x1 ; s i vede, a l l ora, che x1 cost i t u isce u n a m igli ore ap prossi mazi one. Si ved a l a Fig. S uccessivamente, i n P1 , p u n t o del l a c u rva, con l a stessa ascissa, x1 , d i A1 , t racciate la t angente alla curva che tagl ierà l 'asse delle x i n u n p u n t o A 2

1 . 30.

y

Figura 1.31.

Capitolo I

36

d i ascissa x 2 • Ripetete i l procedimento. I n P2 , p u n t o s u l la curva con l a s tessa ascissa, x 2 , d i A 2 , t racciate l a tangente alla c u rva c h e tagl i erà l 'asse delle x i n un punto A 3 , di ascissa x3 • È p i u ttosto chiaro che la sequenza d i p u n t i che n e deriva : A0 , A 1 , A 2 , A3 , sono s uccessivamente sem pre più vici n i a P, in modo che x0 , x 1 , x 2 , x3 cost i t u i scono progressivamente delle m igl i o r i approssimazi o n i della rad ice r ich i esta. S i veda l a Fig. Ma, a nche se è evidente che, in l i nea d i princi pio, il proced i mento può essere r i pet uto fi n o a che non s i ottiene un certo grado di acc u ratezza richiesta, in prat ica c'è un l i m ite a l n u mero di ri pet izi o n i possi bi l i , se s i usa u n a mat i ta e carta d a grafici . N e l n ostro d i agramma, la grossezza del t ratto del la mat i t a per l a tangente in P3 va o l t re u n ' u l teriore accu ratezza . Il ruolo della geometria è i l l ustrare il metod o ; per la sua appl icazione, senza restri­ z i on i , abbiamo bisogno di u n a formula.

1 .31.

1 .4.2.

L a formula di Newton

Nel t riangolo A0 A 1 P0 , s i veda l a Fig.

(I)

tg r

=

alzata verticale d i stanza orizzontale

1.32, A0 P0

= A 1 A0

E qui il calco l o d i fferenziale d i venta u t i le, i n fa t t i , tg r cost i t u i sce a nche la pe ndenza , in P0 , della ta ngente alla c urva y = f(x) . Ricord iamo che l a pendenza di q uesta c u rva, nel punto P0 (x0 , f(x0) ) è uguale al valore del l a deri vata dy/dx calcolata per x = x0 , oppure, usando u n a n otazi one y

/

/

/

/

/

"/

/ O-t-Ao -------• x �--- --r""----'-�"--------L..+-...._ /

I

_______,__ Xo-----��

I

I

I

/

/

/

/

Figura 1 . 32.

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

37

alternativa, il valore d i f'(x) quando x = x0 . L' u l t i m a affermazione si esprime, con conven iente compattezza d i notazi one : f'(x0). Così in b reve

(2)

Da ( 1 ) e

(2)

tg T

=

f'(x0) .

da cui f( xo)

f' ( xo)

=

Xo - X1

r n m od o che

Dato x0 , q uesta form u l a ci permette d i calcolare x 1 • M a l 'efficacia del metodo di Newton è l a sua general ità : x2 verrà calcolata m ed i a n te x1 , e x3 m ediante x2 , propri o nel l o stesso modo i n c u i x1 è stato calcolato a part i re d a x0 • Ossia, i n modo a n a l ogo abbiamo

X2 = Xi - /(x1) f'(X1) ' x2 X:1 = X2 - ff(( 2)) ' ' x e

la fa m osa form u l a d i N ewton , nella sua general ità Xn + l

=

è

Xn - f'f((xxnn)) .

A nche se sussistono d e l l e ott i me basi i nt u i t i ve per s u pporre che la fo r­ m ul a d i Newton fu nzion i e che le s uccessive approssi mazio n i s i a n o d e l l e approssimazi o n i sem pre m igl i or i , c i o n o n d i me n o è p r u d e n t e control lare. Andare cau t i con ciò che non s i è provato, esitare ad accettare ciò che n o n s i è d i m ostrato, costi tuisce i l pri m o req u i s i t o d i u n a att i t u d i n e scientifica . Bene, ved i a m o d i speri m entarla. 1.4.3.

va

Suppo n i a m o d i voler t rovare ya, radice pos i t i va d i

f( x) Si ha,

=

x2 - a =

f'(x)

=

2x ,

O .

38

Capitolo I

così che, applicando l a for m u l a d i Newt o n , i l secondo membro del l 'equa­ zione richiesta è x2 - a X -



.

Ricordando d i apporre gl i i n d ic i necessar i , l 'eq uazi o n e completa è

Xn+l = Xn Di qui

-

-a . -x;;2-Xn

a Xn a Xn+ l = Xn - 2 + 2xn = 2 + 2xn Xn

Xn

Ma

+2 / n ax

= a Xn · Xn a

/

così che, se x,, è u n a s t i m a per eccesso d i ya, a l l ora a xn è u n a s t i m a per d ifetto, e viceversa . Queste considerazi o n i sono i n accord o col fatto che x ,, 1 1 , med ia arit met ica d i x,, e a/x , è u n a approssi mazione di y'a m igl i ore n d i q u a n t o l o sia x,, , ma n o n l o p rovano. Ven i a m o d u nque a l sodo. Supponiamo di voler t rovare v'2, e che la nostra grossolana approssi mazione = I , in i n iziale (x n , con n = O) s i a x0 = A l l ora a xn = a x0 = modo che

2.

Così

2 4 3/2 3 3/2 + 4/3 1 7 X2 = 2 J2 " 2 24 a 17/ 1 2 - U ' 17/12 + 24/17 577 . X3 = 408 2 a

X1

e

Quindi

X2

e

/

/

2/2

Dalla storia dell'astronomia : misurazione e approssimazione successiva

39

Le nostre successive approssi mazioni x0 , x1 , x2 , x3 sono

2 , 3/2 , 17/12 , 577/408

i c u i quadrati sono I

2 + 2 , 2 + 1;22 , 2 + 1;122 , 2 + 1/4082 •

fatti parlano da sé.

t .4.4.

{la

Per control lare ancora la formula di Newton , supponiamo di voler t rovare la radice cubica di a , l o zero (reale) d i f(x) = x 3 - a .

Si ha

f' (x) = 3x2

in modo che x� - a Xn+1 = X n - � ·

Quindi X n+I = X n =

3

Xn

-

+ 3x;a

2 xn + a 3 3x; 2xn + a/x; 3

A questo p unto è i l l u minante considerare un esempio nu merico. Suppo­ niamo di voler calcolare ossia di voler t rovare lo zero reale d i

V'26,

26 . Evidentemente 3 è una approssimazione migliore d i quell o che possono essere I , 2, 4, oppure 5, così partiamo da 3. Segue che a/x5 = 26/9. Dato che 3 . 3 . 3 = 27 26 3 è maggiore di V'26, ma osservate che 26 . (3 . 3) = 26 = V'26 (V'26 · V'26) . 9 26/9 è m i n ore d i V'26. Ma 26/9 = 2 + 8/9, i n modo che V'26conseguenza è già contenuta strettamente tra 2 + 8/9 e 3. f(x) = x3 -

>

Di

40

Capitolo 1

Alternativamente, se consideriamo, per esempio, x0 = 5, allora a/x6 = = 26/25 per cui -iY26 è compresa tra 1 + 1 /25 e 5, con , per così dire, un a

certa abbondanza di spazio per m uoversi . Ci siamo convinti della conve­ nienza di una approssimazione iniziale buona. Ritornando al n ostro calcolo, con x 0 = 3, troviamo che 2x3

+3 26/9

80 27 '

i n modo che a xi

(

Ma

)

26 (80/27) 2

26 . 80 . 80 = 26 (80/27) 2 27 27

·

= -iY-26 = ( -iY26-

.a;·v

26 )

i n modo che, se 80/27 è una stima troppo grande d i V' 26, allora 26/(80/27)2 è troppo piccola, e viceversa. Ma 80 X1 2 , 962 . . . 27

= =

2 = 26/(80/27) 2 = 2,96 1 . ..

X1 a

i n modo che -iY 26 è già strettamente contenuta t ra 2,962 e 2,96 1 , e quindi 2,96 è tale che l e d ue cifre decimali sono proprio corrette. Procedendo nel calcolo, abbiamo

X

2

=

2 X 80/27 + 26/(80/27) 2 2x 1 + a/xi = 3 3

Viene lasciato al lettore mostrare che -iY 26 sta t ra x 2 e a/xL e calcolarla servendosi del loro valore numerico, con tante cifre significative quant'è possibile. t.4.5.

{la

Sebbene ci sia u n a formula algebrica per la soluzione delle equazio n i genera l i d i secondo grado, e formule complicatissime p e r l e equazioni d i terzo e quarto grado, è i mpossibile avere una tale formula per equazioni genera l i d i grado 5 o d i grado più alto. Nella vita reale, per risolvere pro­ blemi pratici , siamo obbligati a procedere per approssimazioni , mediante procedure numeriche che forniscono delle approssimazioni successiva­ mente m igli ori . Per concludere l e nostre prove del la formula d i Newton , troviamo {la,

Dalla storia de/l'astronomia: misurazione e approssimazione successiva

ossia risolviamo Qui

41

f(x) x5 - a f' (x) 5x4 f(xn)) Xn - 5x!- a . Xn+l Xn -f'(x n Xn+l Xn - Xn + 5x!a 4xn + 5x!a 4xn +5 a/x! =

=

O .

=

r n m o d o che

=

=

Quindi

=

=

x�

S

5

Tutti fanno degl i errori : nessuno è infallibile. A nche se non possiamo evitare di fare degl i errori , possiamo esegui re dei control l i per evitare di lasciarli nascosti e qui nd i non corretti . Le n ostre formule per nei casi {fa, fl71, f/a, mostrano u na qualche sorta di configurazione ? Certa­ mente, la configurazione che, per ya, d iventa

xn + I ,

E q uesta u n iformità non accresce l a fid ucia nel nostro modo di lavorare ? Procedendo come nelle occasi o n i precedent i , abbiamo

:4

n



(Xn . Xn . Xn . Xn) a =

= {la . (f/a . {la · {fa · {la ) .

xn x11+I xn a/x!,

xna/x! a/x!.

Osservando ciò, è evidente che, se è maggiore d i {la allora è mi­ nore d i e viceversa. Conseguentemente {la deve stare t ra e E, i n modo analogo, se cfa f!a, allora la radice deve stare anche tra e Supponiamo ora che allora >

a, xn+I a/x!+i in modo che

ossia (1)

·

42

Capitolo 1

Ma si ha anche

e quindi

(2) Da ( I ) e

(2) segue che xn+ I sta t ra 1

Xn

Xn+l

-

e

I

a/x� .

D i più, per ( I )

> Xn

(3)

.Ja afx!

af x! +1

I

Xn + t

Figura 1 . 33.

xn+I xn xn+a/x'f.I +i

Che cosa possiamo concludere da queste considerazioni ? Se è una approssimazione per eccesso, la situazione è come è stata i l l u strata dalla Fig. 1 . 33. Dato che {/ii sta dentro l ' i nterval lo più i nterno, è, necessariamente, una approssimazione per eccesso migliore di e Stiamo così approssi ­ è una approssi mazione per d ifetto m igliore d i m a n d o {lii , p e r eccesso e p e r difetto, c o n accuratezza crescente.

a/x'f. .

Capitolo 2 Dalla storia della Statica

La meccan ica è lo stud i o del l 'azione delle forze s u i corpi . Quel la parte della meccan ica che riguarda i corpi a ri poso e, conseguentemente, forze in equ i l i brio, viene detta Statica i n contrapposizione con l 'altra parte, Dinamica, che riguarda forze che non sono in equ i l i brio e, conseguente­ mente, corpi non a riposo. Ci occuperemo ora della parte più sempl ice e che, dal p unto di vista storico, si è svi l uppata pri ma, la statica, che trova una sua opportuna i n trod uzione considerando i contri buti di Stevi no ed Archi mede. Sebbene i pri mi risultati concreti siano dovuti ad Archi mede e fu rono anteriori a Stevi no di molti secol i , preferisco i ncomi nciare ad occuparm i di quest'ultimo.

Sezione l .

Stevino e d Archimede

Stevi no visse, i n Olanda, nel sedicesimo secolo, fu quindi contempo­ raneo di Cartesio, un secolo, o quasi, prima di Newton , Leibniz e l ' i nven­ zione del calcolo differenziale. Era un matematico applicato piuttosto bril­ lante ed era ri masto affascinato dall ' u t i lità della matematica : per Stevi no, la matematica, per essere buona, doveva essere buona per qualche cosa. Fu uno dei primi ad usare le frazioni decimali e mise i n evidenza la loro utilità nella vita di tutti i giorn i , i nventò il primo carro senza caval l i , e costruì d ighe che, ancora oggi , in Olanda, sono in funzione. Per commemorare le sue i mprese gli è stata i n nalzata una statua nella sua città natale, Briigge. Se mai v i recherete i n quella città, datele un'occhiata. Nel frattempo occu­ piamoci di come Stevi no arrivò alla Legge del Piano l nclinato. 2. 1 . 1 .

Il piano inclinato

Perfin o l 'esperienza di tutti i giorn i , banale, casuale e i nevitabile, pre­ senta, a chi per sua natura è un po' curioso, dei problem i . I nfatti, quanto più l 'esperienza è semplice, tanto più è difficile evitare di imbattersi i n pro-

44

Capitolo 2

blc m i ad essa perti nenti . I ndipendentemente dal fatto che l a cosa susc1tt o no il nostro i nteresse, noi tutti sappiam o che è più difficile spingere i n su un oggetto l u ngo un piano i ncli nato ripido, piuttosto che spingerl o lungo u n piano i nclinato meno ripido : quanto più ripido è i l piano i nclinato, con tanta più fatica dobbiamo spingere. Un piano i nc l inato, formato da u n a coppia d i ass i , ci rende possibile far scivolare, dentro ad un vagone ferroviari o, un t ronco t roppo pesante da sol levare, e per l a stessa buona ra­ gione, il bi rraio carica il suo carro, facendo rotolare, in su, l ungo una rampa, i bari l i d i bi rra . I l cervello riesce a rendere mi nore la necessità della forza m uscolare : questa macc h i n a semplice ha i l vantaggio che i l piano i ncli­ nato porta una parte del peso. Al curioso, natural mente, sorge il problema : dato che spingere i n su è meno faticoso che sollevare, p recisamente qual è i l risparmi o nello sforzo ? Dipende da molte cose. Certo, ma qual i ? Ste­ vino era curioso. Dopo aver pensato a questo argomento, Stevino formulò i l problema in un nuovo contesto. « Come si può confrontare l o sforzo di trazione (o d i spinta) i mpiegato per m uovere, verso l'alto, un corpo pesante l ungo un piano i ncli nato, con l a forza necessaria per sollevarlo direttamente ? » Tale d omanda ven ne posta i n relazione alla situazione i l lustrata qui i n Fig. Dato che l a tensione w della fune equilibra l a forza che agisce l u ngo i l piano i ncli nato, i l rapporto con lo sforzo per un sol levamento d i retto è Il' : W. Ma un piano vertical e è un caso speciale d i un piano i ncli­ nato, così che l a situazione che sta sotto è quella i l l ustrata i n Fig. e il relat ivo problema, se siamo in situazione di equi l i brio, è: qual è il rap­ porto di w a W?

2 .1.

2.2.

Figura 2.1.

Figura 2.2.

La n ostra esperienza di tutti i giorn i , banale e poco critica, è sufficiente per i ncom i nciare a dare u n a risposta. Sappiamo che, quanto più forte è l a pendenza, tanto più grande sarà l a tensione. Quando l 'angolo d i inclina­ zione è zero, n o n è necessaria nessuna forza orizzontale per mantenere W i n equi l i brio : quando l 'angolo di i nclinazione è è necessaria u n a forza verticale W. Consideriamo i vari casi di i nclinazione crescente i l lu strati i n Fig. Sicuramente, per angoli intermed i , verranno richieste forze i ntermedie. Se w e W fossero uguali , i l corpo sul piano inclinato più ripido (a destra in Fig. eserciterebbe una forza più grande e conseguente­ mente scivolerebbe giù. Si deve concludere che, affinché c i sia equilibrio, w deve essere minore d i W. Certo, m a di quanto ? Rimandiamo per ora questo problema, per considerare parecch i fatti i mportanti sollevati da quanto appena detto. Prima d i tutto si è visto che

2.3 .

90°,

2 . 2)

Dalla storia della Statica

45

w

w

w

ffilETI]---- o Figura 2.3.

·. 1. 1 .

la variazione dei dat i cost ituisce u n i ngrediente i m portante per concl udere qualche cosa. Con questo metodo abbiamo focal izzato la nostra attenzione sul fatto che la forza necessaria per mantenere u n corpo in equ i l i brio su un piano i ncli nato, d i pende dalla ripidità del l ' i ncli nazione. Come seconda cosa, guardando i n di etro, vengono alla l uce molte tacite supposizion i . Sappiamo t utti che, quando usiamo una rampa per caricare un tronco pesante s u un vagone ferroviario, se ci fermiamo per prendere fiato, non necessariamente i l t ronco riscivola giù. L'attrito può essere suf­ ficiente per i mpedi re l o scivolamento, una volta che abbiamo smesso d i spingere. Non abbiamo detto nulla sul l 'attrito. Considerate, poi , l a situa­ zione i l l u strata in Fig. È stato trascu rato il fatto che il piano i ncli nato si può deformare, anche se leggermente, sotto il peso E si è trascurato anche che l 'attrito dell 'asse della carrucola possa opporre resistenza allo svolgersi della fune, e q u i n d i al suo movimento ; che la fune abbia un peso, e q u i n d i è i m portante la sua l u nghezza da entrambe le part i della carru­ cola ; che la fune n o n sia completamente omogenea, ma abbia una densità variabi le ; che non sia completamente flessibile, ma opponga resistenza allo scorrere sulla carrucola ; che la parte d i fu ne tra e la carrucola non sia perfettamente paral lela al piano i ncli nato, ma, in relazione alla sua densità e flessibil ità, si i nc u rvi u n po'. La natura è i nfi n i tamente complessa ; per rendere possibile un qual un­ que studi o , occorre rid u rre la sua complessità a proporzioni trattabi l i . L'attrito della rampa, c h e serve per caricare i l nostro vagone ferroviario, può essere d i m i n uito rendendo l a sua s uperficie sempre più l i scia e usando del lubrificante di qual ità sempre m igl i ore. Infine, con l 'attrito ridotto ad una quantità quasi t rascurabi le, i l caso pratico approssimerà i n man iera piuttosto buona i l caso ideale di mancanza d 'attrito. Analogamente, usando una fune più sottile, più flessibile e più u niforme, u n piano più rigido e più l i scio, e una carrucola d i m igli ore quali tà, n oi m i nimizziamo l ' i nfluenza delle circostanze n e i casi del la Fig. 2. 1 . Quanto più i I caso pratico sarà vici no allo stato idealizzato, tanto più precisamente possiamo verificare la teoria che segue dal l a nostra idealizzazione. Come terza cosa consideriamo i l seguente punto, così spesso trattato dai fi losofi nelle l oro d issertazioni sul l a n atura della scienza : la fisica è una scienza osservabile. Certo, l o è . Ma non l asciamoci mettere fuori strada nel supporre che Stevin o , come prima cosa, si pose a risolvere il suo pro­ blema con misurazi o n i corrette e osservazioni critiche. N o . Prima di poter

2.1 .

W.

W

46

Capitolo 2

fare u n uso i ntel ligente delle misurazioni , ha dovuto decidere d i quali misu­ razioni avrebbe potuto far uso con i ntell igenza. A l contrario, egli risolse i l suo problema pensando in modo corretto al fatto sempl ice, banale. Il suo vero problema era concettuale : doveva decidere quali circostanze erano r ilevant i , quali irrilevanti, e fra quelle rilevant i , quelle che erano di im­ portanza maggiore e quel le che, ragionevolmente, potevano essere t rascu­ rate. Ed è proprio in questo uso controllato del l 'immaginazione, in questa costruzione, per astrazione dall 'esperienza, d i u na situazione ideali zzata, che si trova la chiave per la scoperta scientifica. Stevino, fino a che non ebbe u na teoria, n o n ebbe una teoria da verificare : la necessità, che poi ebbe, di misurazi oni corrette fu u n a conseguenza del la sua teorizzazione. Ritorniamo al problema del piano i ncli nato . Nelle circostanze ideali , considerata l a Fig. qual è i l rapporto t ra w e i n situazione d i equi­ l i brio ? Pensando a fondo su questo problema, Stevi no si convi nse che, senza attrito, l 'equilibrio è indipendente dalla forma dei corpi w e Che siano di forma c u bica o di forma cilind rica, è un fatto estraneo alla q uest ione. Anche se è così, non è certo un esercizio banale dell ' i mmagina­ zione s u pporre che i cubi o i cilindri posson o essere sostituiti da corde o catene. Consideriamo la Fig. Si suppone che ABC sia una catena d i quelle d ' una volta. Per catene « d i una volta », noi non i ntendiamo una caten a d i oggi, sott i le, c o n gl i anel l i allungat i , ma u n a catena grossa, c o n anel l i c h e s i con nettono strettamente, del tipo d i quelle che abbellivano l 'orologio e i l panciotto del nonno. Questa, i dealizzata, è una fune d i metal lo per­ fettamente flessibile e di densità uniforme. Così i pesi W e w di AB, BC, vengono considerati proporzionali alle loro l u nghezze, in modo che i l rapporto t ra W e w è quell o che i n tercorre tra A B e Così i l nostro problema, ora, è trovare quest'ultimo rapporto. Nel procedere in questo modo, sussiste u na qualche prospettiva p ratica ? Sembra che abbiamo fatto u n passo in d i rezione sbagliata.

2. 2 ,

W,

W.

2. 4 .

BC.

B

Figura 2.4.

Figura 2.5.

La statura di un gigante si misura dai suoi passi : Stevino aveva gli sti­ vali delle sette leghe. Immaginò, e questo pochissimi t ra noi l'avrebbero fatto, una catena chiusa. Consideriamo la Fig. La catena, flessibile, omogenea, chiusa, appesa al triangolo, può essere i n moto oppure n o. Supponiamo che l o sia, e supponiamo, per esempio, che s i muova nella

2.5.

Dalla storia della Statica

47

d i rezione A BC. Consideriamo una particella del la catena che, per esempio, si t rova nel punto C. Dato che s i sta m uovendo verso il basso, ci deve es­ sere u n a forza in quella direzione che agisce su di essa. Una volta mossa, il suo posto, i n C, verrà preso d a una particella identica. Ed ora, cosa ab­ biamo ? La catena, globalmente, continua ad occupare l a posizione che aveva prima ; anche se ogn i particella s i è spostata di u n po', è stata, sem­ pre, r i m piazzata da una particel la identica : la situazione complessiva è ri masta i m m utata. Siamo i ndotti a riconoscere che, se originariamente c'era una forza che agiva verso i l basso, sulla catena, nel punto C, all ora c'è ancora. Di conseguenza, se la catena originariamente era in moto, a l lora rimane i n moto per sempre. Ma i l moto perpet uo, una sorgente l i bera i nesauribile di energia, costituisce sicuramente una delle vane speranze del fi losofo. G l i olandesi san no che dal n u l la non viene n u l la ; Stevino era olandese. Supponiamo che la catena sia in equ i l i brio. E, dato che l ' i ntera catena è in equi l i brio, lo è anche la parte più bassa A DC. Di più, essendo la catena completamente flessibi le, non c'è resistenza allo scorrimento né in A né i n C, in modo che pende in modo simmetrico sotto A C. Con­ seguentemente è uguale la forza verso il basso che agi sce sulle particelle A e C ; e q u i n d i , una volta che s i è ri mossa la parte i nferiore DC, la parte superiore A BC si manterrà in equ i l i brio. Questa si tuazione è i l l ust rata dalla Fig.

A

2. 6.

A

� �A C

A'

C'

Figura 2 . 7.

Figura 2.6.

2.7.

Ovviamente l 'equi l i brio della catena ABC rimarrà i nalterato se viene esteso il prisma triangolare su cui s i appoggia. Si veda la Fig. Non è quindi i mportante se A C è u n o spigolo d i base del prisma oppure non l o è. Quello che conta è il fatto che AC è orizzontale. Supponiamo, facendo riferimento alla Fig. che ciò non accada. Non essendo più, A C, oriz­ zontale, la parte i nferi ore della catena n o n pende i n modo sim metrico sotto A C, in modo che non sono ugual i le forze che agiscono verso i l basso sulle particel le A e C. Conseguen temente, una volta r imossa la parte infe­ riore, la parte su periore A BC n o n sarà affatto in equ i l i brio. ABC è i n equi­ l ibrio se e solo se AC è orizzontale. I n breve, la Fig. forni sce la r i sposta al problema della Fig. Dato che, i n Fig. A C è parallelo ad A ' C ' , i lati del triangolo A' BC' sono d ivisi in segmenti p roporzional i ,

2. 5 ,

2 . 72., 7

2.4.

BC AB

BC' A'B '

48

Capitolo 2

E, dato che la catena è d i densità uniforme, si ha BC AB Quindi (1)

IV

W

IV



BC' A' B '

I l rapporto dei pesi è uguale a quel l o delle l u nghezze dei piani i nclinati s u cui i pesi agiscono. D i più, si ha questa conclusione indipendentemente dalla (arbitraria) i ncli nazione dei lati A ' B e BC' rispetto al lato orizzontale. Questa situa­ zione è i l l u strata dalla Fig. 2.8. Si ha BC' . = si n a . A' B Per cu i dalla ( 1 ) (2) quindi

(3)

1V/ W = s i n a

IV = W sin a .

B

Figura 2.8.

Rimane solo da osservare che le tensi on i , uguali e contrarie, agent i s u B , e, di conseguenza, l 'equ i l ibrio d e l sistema, rimarrebbero i nalterate se la catena omogenea fosse rimpiazzata da u n a fune senza peso con , attaccati, u n peso W a sin istra e u n peso IV a destra. Si arriva alla conclu ­ sione che l a (2) forni sce l a risposta al problema i llustrato dal l a Fig. 2. 1 . e alla d omanda fatta all'i nizio : « In che modo lo sforzo d i tensione (o di spinta), necessario a muovere verso l 'alto u n corpo pesante lungo un piano i nclinato, si può paragonare con l a forza necessaria a sollevarlo diretta­ mente ? ». È sempre prudente control lare l e conclusion i . Dalla (3) quando a = 0°, s i n a = O, quindi IV = O, mentre se a = 90°, sin a = 1 , quindi IV = W.

Dalla storia della Statica

49

La form ula di Stevino è corretta per piani verticali e orizzontal i . Abbiamo raggiunto l o stadio, successivo alla formulazione d i una teoria in cui, per verificare i risultati teorici nei casi intermedi , è proprio adatta una precisa misurazione sperimentale. A questo punto Stevi no aveva una teoria da control lare e fece il controllo. La teoria soddisfò l 'esaminatore. La sua soluzione, ovvia una volta che si è trovata , richiede la preveg­ genza di un gen io. Non possiamo costri ngere noi stessi ad avere idee altret­ tanto bri l lant i . Questa descrizi one storica d e l piano i ncli nato, così come i l paragrafo seguente sulla leva, sono stat i , i n sostanza, presi dal l i bro di Ernst M ach Princip/es of Mechanics di cui è dispon ibile una buona trad uzione i nglese ( 1 893) dall 'origi nale edizione tedesca ( 1 883). M ach , oltre ad essere u n ottimo fisico i l cui lavoro sperimentale sul s u o n o viene ricordato dal l ' unità d i misura che prende i l suo nome, fu i l più importante fi losofo della scienza del suo tempo. Per scrivere il suo trattato aveva letto i n precedenza Arch i­ mede, nel greco origi nale, Gali leo in i tal iano, Stevino i n olandese e altri autori i n latino. Specialisti modern i affermano che ci sono alcu n i punti i n c u i equivocò i testi origi nal i , ma, s e ricordiamo che egli era un filosofo e un fisico più che un l i nguista, occasional i interpretazi oni sbagl iate erano senz'altro da prevedere. I nd i pendentemente da difett i d i carattere minore, il suo l i bro è u n'opera notevole : per quanto mi riguarda è il l i bro più affa­ scinante che io abbia mai letto, perché l ' h o letto al momento giusto, quando ero giovane, ma non troppo. La sua lettura rich iede ben poca matematica, ma abbastanza buon senso. M erita di essere letto molte volte. 2.1.2.

L a leva

Siamo degl i i nd ivid ui molto i ngi usti . Anche se Archimede (287-2 1 2 a.C.) è stato riconosci uto come i l più grande matematico greco, d i solito non gli si attri buisce quel lo che i n realtà fece, mentre gli si attri buiscono cose che non fece. I suoi i ngegnosi metod i per il calcolo delle aree e dei vol umi portarono la matematica su lla sogl ia del calcolo i ntegrale, che i l i bri d i testo attri buiscono completamente a Newton e Leibniz. Archimede diede i n izio alla scienza della meccan ica, scoprendo le condizioni d i equil ibrio d i una leva, ma, spesso, si dice che egl i scoprì proprio la leva, e ciò contro i I fatto che i costruttori delle piramidi egiziane avevano usato le leve mi­ gliaia d 'an n i pri ma della sua nascita. Quel lo che mi propongo di fare qui non è altro che i ntrod u rre il lettore allo svi l uppo del pensiero che sta sotto la scoperta, da parte d i Archimede, delle condizioni di equilibrio di una leva. Per u n completo resoconto storico della sua teoria delle leve, si legga il l i bro di Mach . Anche se, nel considerare pesi sospesi mediante fun i ad u n'asta o una leva i n equi librio rispetto ad un fulcro, Archimede in realtà non l o disse mai , dal contesto appare c hiaro che suppose l a leva rigida e senza peso mentre le fun i , senza peso e flessibi l i . Troviamo un'inevitabi le idealizza­ zione. Il suo stile è matematico : i ncomincia con una esposizione esplicita d i ulteriori ipotesi , da l u i poste e non i mplicate contestualmente. La prima

Capitolo 2

50

d i queste, considerata così ovviamente vera da essere posta i n term i n i as­ siomatici è Assioma

I.

Pesi ugual i a d istanza ugua l i sono i n equilibrio 1 .

2. 9 .

Si capisce, naturalmente, che l e d istanze sono misurate dal fulcro e che i pesi sospesi si t rovano da part i opposte. La Fig. i l lustra questo assioma.

• w

zs F

� w

.·.·.·.·.·.

Figura 2. 9.

L'assi oma fa sorgere d ue d omande. La prima : ci cred iamo veramente ?

È propri o questa la regola relati va al l 'equ i l i brio d i pesi ugual i ? Pensateci un momento. Non ci potrebbe essere u n a regola corretta o una regola n o n corretta s e non ci fossero affatto del le regole. l n questo m o d o sorge u n'altra domanda, la seconda, anche se, l ogicamente, dovrebbe essere la prima : sussistono delle regole ? S i è tentat i d i replicare : « Natural mente ci devono essere delle regole ». Naturalmente ? Devono ? N o n c'è nulla che ce l o indich i . Non lo sappiamo. Però, senza regole, non ci potrebbe essere nu lla che s i possa propriamente indicare come scienza, e, senza scienza da i nda­ gare, non sarebbe possibile alcuna i n dagi ne scientifica. Che la scienza sia possibile, che ci siano delle regole, l o accettiamo con u n atto d i fede. Ritorniamo alla prima d omanda : l 'assioma 1 costituisce la regola corretta per l 'equi librio d i pesi ugual i ? Ovviamente, Tutti noi sappiamo come pesare una l i bbra d i pancetta servendoci d i una bi lancia con bracci ugua l i . Archi mede non ha fatto altro che formulare i n m odo chiaro l a nostra c o m u n e esperienza. Così questa regola è « ovvia » nel senso c h e s i a m o familiari c o n le s u e esemplificazi on i . Nello stesso m o d o t u t t i n o i abbiamo famil iarità c o n i l fatto c h e l 'acqua, mentre bolle, s i muta i n vapore : ovviamente l 'acqua che bolle prod uce vapore. Quello che accade è ovvi o ; n o n è ovvio perché accade. Che l 'assioma 1 si applichi alla bilancia è ovvio, non l o è i l perché. E ciò ci porta a l Pri ncipi o della Ragione Sufficiente, o, se preferite, I ns ufficiente. Questo pri ncipio è i l lustrato dalla storia dell 'asino di Buri­ dano. B uridano fu u n fi losofo scolastico che, oggi , viene ricordato per merito del suo asino, anche se n o n è affatto sicuro che l a storia del l 'asin o d i Buridano s i a storia d i Buridano. Comun que, indipendentemente da c h i n e fosse i l padrone, i l povero asi no si trovò nella situazione di essere equi­ distante da due identiche bal le d i fieno. Dato che s i t rovava, simmetricaI. The Works of Archimedes, edito da T. L. Heath ( Dover), p . 1 89. (li l ettore ital iano può consultare : Archimede, Opere, a cura di A. Frajese, UTET, Torino, 1 974, N.d.R.)

Dalla storia della Statica

51

mente, tra queste pietanze ugualmente profumate, i l povero asino aveva ugua l i motivi per andare prima da una o prima dall 'altra, e n o n ne aveva affatto per decidersi se andare prima dal l 'una che dall 'altra. E quindi , come conseguenza del Pri ncipio del la Ragione Sufficiente, o Insufficiente, m orì d i fame. Dal l 'asi no d i Buridano passiamo alla leva di A rc h imede. Essendo la leva, le fu ni e i pesi situati sim metricamente rispetto al fulcro, perché i l peso d i dest ra s i abbassi c i sono gli stessi motivi per c u i s i abbassi quello di s i n i stra. Suppon iamo che si abbassi i l peso di destra. M a qual è i l peso di destra ? Guardate la leva dall 'altro lato, e il lato che prima avete i ndi­ cato come destro, deve essere ora descritto come sinistro. Così una regola che privi legia la parte destra è i ncoerente. In modo analogo lo è quella che privi legia la parte sinistra. Tal i regole dipend ono dal punto di vista del l'osservatore, mentre per la leva non è importante se viene osservata o no. L' un ica al ternat iva coerente è l 'Assioma I . Archi mede fece u n a seconda i potesi espl icita. Può essergl i stata sugge­ rita dalla seguente esperienza comune. Noi t utti sappiamo portare una scala ; se si è a iutat i è più facile che farlo da sol i . Senza ai uto d ovete soste­ nere sulle vostre spalle tutto il peso ; con aiuto dividete il peso con altre spalle. Supponete d i portare una scala, tutta uguale, i nsieme ad un am ico ; ciascuno ad un estremo. C h i porta i l peso più grande ? Cambiatevi di posto. Per q uel lo che vi possono d i re le vostre spalle state portando l o stesso peso di pri ma ; avete suddiviso il peso in modo uguale. Siamo così portat i ad arguire che, nel caso ideale i n cui i portatori di scala sono gemel l i , con spalle della stessa al tezza rispetto al suolo ecc . , la sit uazi one è perfetta­ mente sim metrica, così che ogn i coppia di spal le porta esat tamente metà del peso della scala. Se portate la scala senza aiuto all ora vi mettete con le spalle nel mezzo per bi lanciarla. Storn iamo la nostra attenzione dalle spalle che portano i l peso e rivol­ giamola verso i pesi che vengono portat i . Concl udiamo che l 'eq u i l i brio di una scala senza peso, una sbarra o u n'asta, con u n peso W sospeso da ogn i lato, rimarrà inalterato se rim piazziamo entrambi i pesi con u n u n ico peso 2 W sospeso nel punto di mezzo. E viceversa : natural mente un peso 2 W, che si trova proprio a metà, può essere rimpiazzato da u n peso W ad ogn i estremo, senza al terare l 'eq u i l i brio. Questa è (essenzialmente) la seconda i potesi d i Archi mede. U na volta capito il contesto, possiamo porlo chiara­ mente nel modo seguente : (A)

W ad ogn i estremo

=

2 W nel mezzo

( i n condizion i di equ i l i brio)

Questa i potesi è i l l ustrata dalla Fig. 2. 1 0.

�---1

w

_ _ _, I I I I L---- - - - -- .1

2W

• w

.. -1.,

I I I I I I L. - - --"

Figura 2 . 1 0 .

w

...1.,

I I o I o I �--- �

w

52

Capitolo 2

Dal l 'Assioma I e dall'Ipotesi (A), o piuttosto da una generalizzazione del primo, è deducibile la Legge di Archi mede della Leva. Vi descriverò alcune parti del metod o d i d i m ostrazione per il caso generale, considerand o esempi specifici . Studiamo, per prima cosa l a Fig. 2. 1 1 . S i su ppone che i ci nque pesi uguali siano posti ad uguale d istanza l ' u n o dal l 'altro, per esempio a di­ stanza unitaria. L'i n tero s istema è simmetrico rispetto a l fulcro e q u i nd i , per i l principio del la ragione i nsufficiente, è i n equi l i brio. A bbiamo u n ragionamento al ternativo. Dato che, per l 'Assi oma I , i pes i d i A e A ' assicurerebbero, i n assenza d i tutt i g l i altri pes i , l 'equi l i brio, mentre i n modo analogo, i pesi i n B e B ' dovrebbero, i n assenza d i tutti gl i altri pesi assicurare l 'eq u i l i brio, così come s i può fare il d i scorso per il peso in concl udiamo che i pesi A , A ' , B, B ' e tutti i n sieme, assicurano l 'eq u i ­ l i brio.

F,

F,

B

A

B'

F

A'

• • • • • w

w

w

w

w

Figura 2. 1 1 .

Studiate, poi , l a Fig. 2. 1 2. Dal l ' I potesi (A), l 'equi l i brio del segmento A B della leva ri mane i m m utato quando W, i n A , e W, i n B, vengono rimpiaz­ zat i con 2 W in C; di conseguenza l 'equ i l i brio gl obale della leva rimane i nal terato. e

A

I I I �-.&. -, I

I

I

I

I

F

B'

A'

w

w

w

I I

I

L - - · · -'

B





2W

,. _ .1. _ , I I I I L- --�

Figura 2. 12.

F,

Ed i nfine stud iate la Fig. 2. 1 3 . U sando di nuovo l ' I potesi (A), l 'equi­ e W i n A ' , vengono rim­ l i brio d i FA ' ri mane i nalterato quando W i n piazzati da 2 W in B' ; di conseguenza l 'eq u i l i brio del l ' i n tera leva rimane i nalterato. In breve conclud iamo che u n peso di 2 W applicato ad u n a d istanza d i 1 , 5 dal fulcro F, b i lancerà un peso d i 3 W appl icato alla d i ­ stanza d i una u n i tà dal l 'altro lato. (I) ossia

2 W·

l ,5

=

3 W· I ,

peso · d istanza dal fulcro = peso · d i stanza dal fulcro

Dalla storia della Statica

53

A'

B'

----1

I ,. - 1 -, I I I I L-- -J

,. -

,

I I I I L -- -J

2W Figura 2. 1 3.

Consideriamo u n a l t ro ese m p i o speciale. S i veda la Fig. 2. 1 4. Per s i m ­ met ria, oppure usa n d o l 'Assioma I , concl udiamo che l a leva è i n eq u i l i brio. B'

B

A



. , ..

� .....

i -...I

A'

· --· ·

w

Figura 2. 14.

A ncora, si veda l a Fig. 2. 1 5. Per l ' I potesi (A), l 'eq u i l i b rio di BA ' ri mane i n al terato quando W in B, e W in A ' , vengo n o r i m p i azzat i d a 2 W in B ' ; d i conseguenza l 'eq u i l i br i o del l ' i ntera leva ri mane i na l terato . Così W che agi sce ad u n a d i stanza d i 3/2 dal fu lcro bi lancia 3 W che agi sce alla d i stanza d i 1 /2 dal fu lcro. M a

W · 3/2 = 3 W · 1 /2

(2) oss i a , d i n u ovo

peso · d istanza = peso · d i stanza . B'

B i w

I �

I

·

I

·

F

r .1.. , I I L.. - .J

Notate che, mol t i p l ica n d o (2) per 2 otten iamo ( 1 ), oppu re =

I

r .L. , I I 1... - .J

Figura 2. 15.

W · (2 · 3/2)

A'

3 W · ( 2 · 1 /2)

Capitolo 2

54

cioè W · 3 = 3 W· l . I l l ustrate q uesta ulteriore i nterpretazione ed usate lAssioma d i A rchimede per dimostrare che s i ottiene eq u i l i brio. Possiamo fare l'ipotesi che per l'eq u i l i brio delle leve valgono le stesse condizio n i in generale.

Sezione 2.

Vettori

La nozi one d i vettore viene fuori i n modo pi uttosto naturale, è basilare per la fisica e i nd i spensabi le alla matematica appl icata. l i fatto che, fin dal­ l ' i n izio, appaia chiaro che i vettori servono a qualcosa, fa sì che l 'argo­ mento si possa i nsegnare rapidamente ad un l i vello elementare. l i fatto che i vettori stiano d iventando parte del programma della scuola superi ore costituisce un effettivo passo avan t i . I ncomi nciamo c o n u n esem pio. U n u o m o deve attraversare un fi u m e d a l l a riva s i n i stra a quella destra. Troppo pigro p e r remare, usa u n a barca a motore. Se il motore non riesce a parti re nel momento scel to per sal pare, si lascerà trasportare l u ngo il fiume dalla corrente. Supponiamo che an­ dando alla deriva, percorra AB nel l'un ità di tempo. Si veda la Fig. 2. 1 6.

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B

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