Metafora e vita quotidiana
 9788845233609

Table of contents :
Indice......Page 221
Frontespizio......Page 3
Il Libro......Page 2
INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA......Page 8
PREFAZIONE......Page 11
RINGRAZIAMENTI......Page 13
1. I CONCETTI CON CUI VIVIAMO......Page 16
2. LA SISTEMATICITÀ DEI CONCETTI METAFORICI......Page 19
3. LA SISTEMATICITÀ METAFORICA: METTERE IN LUCE E NASCONDERE......Page 22
4. METAFORE DI ORIENTAMENTO......Page 25
4.1 Le metafore sono basate sull’esperienza......Page 28
5. METAFORA E COERENZA CULTURALE......Page 31
6.1 Metafore di entità e di sostanza......Page 34
6.2.1 Superfici territoriali......Page 37
6.2.3   Eventi, azioni, attività e stati......Page 38
7. PERSONIFICAZIONE......Page 41
8. METONIMIA......Page 43
9.1   Un’apparente contraddizione metaforica......Page 48
9.2   Coerenza vs consistenza......Page 50
10. ULTERIORI ESEMPI......Page 53
11. LA NATURA PARZIALE DELLA STRUTTURAZIONE METAFORICA......Page 57
12. COME È FONDATO IL NOSTRO SISTEMA CONCETTUALE?......Page 60
13. LE BASI DELLE METAFORE STRUTTURALI......Page 64
14.1   Manipolazione diretta: il prototipo della causalità......Page 70
14.3 Sommario......Page 73
15.1   Gestalt fondate sull’esperienza e dimensioni dell’esperienza......Page 75
15.2   Cosa significa per un concetto corrispondere a un’esperienza?......Page 81
15.3   Strutturazione metaforica vs sottocategorizzazione......Page 82
16.1   Aspetti specializzati di un concetto......Page 85
16.2   Coerenza all’interno di una singola metafora......Page 87
16.3 Coerenza fra due aspetti di un unico concetto......Page 89
17. COERENZE COMPLESSE ATTRAVERSO METAFORE......Page 94
18. ALCUNE CONSEGUENZE PER LE TEORIE DELLA STRUTTURA CONCETTUALE......Page 102
18.1   Inadeguatezza dell’astrazione......Page 103
18.2   Inadeguatezza dell’omonimia: omonimia forte......Page 106
18.3 Omonimia debole......Page 107
19. DEFINIZIONE E COMPRENSIONE......Page 110
19.1   Gli oggetti della definizione metaforica: tipi naturali di esperienza......Page 111
19.2   Proprietà interazionali......Page 113
19.3 Categorizzazione......Page 116
19.4   Sommario......Page 119
20.1   Più forma vuol dire più contenuto......Page 120
20.2   La vicinanza è potenza di effetto......Page 121
20.3   L’orientamento io-per-PRIMO......Page 124
20.5   Perché “con” indica sia strumento sia compagnia......Page 125
20.6   La “logica” del linguaggio......Page 126
20.8   Regolarità della forma linguistica......Page 127
21. NUOVI SIGNIFICATI......Page 130
22. LA CREAZIONE DELLA SIMILARITÀ......Page 137
23. METAFORA, VERITÀ E AZIONE......Page 145
24.1   Perché preoccuparsi di una teoria della verità?......Page 148
24.3   Il ruolo della proiezione nella verità......Page 149
24.4   Il ruolo della categorizzazione nella verità......Page 150
25.5   Come si capisce che una frase semplice è vera?......Page 154
24.6   Come si fa a capire che una metafora convenzionale è vera?......Page 157
24.7   Come comprendiamo che le nuove metafore sono vere?......Page 159
24.8.1 Comprensione diretta e immediata......Page 162
24.8.2 Comprensione indiretta......Page 163
24.9   L’approccio esperienziale alla verità......Page 165
24.10   Elementi della comprensione umana nelle teorie della “verità oggettiva”......Page 167
25.1   Le scelte offerte dalla nostra cultura......Page 170
25.2   Il mito dell’oggettivismo......Page 171
25.3   Il mito del soggettivismo......Page 172
25.4   La paura della metafora......Page 173
25.5   La terza possibilità: una sintesi basata sull’esperienza......Page 176
26.1   La nostra critica al mito dell’oggettivismo......Page 179
26.2.1   Il significato è oggettivo......Page 181
26.2.2   Il significato è autonomo......Page 182
26.2.3   Fare corrispondere le parole al mondo senza l’intervento della comprensione umana......Page 183
26.2.5   Il significato è indipendente dall’uso......Page 184
26.2.7   L’oggettivismo permette la relatività ontologica senza la comprensione umana......Page 185
26.2.8   Le espressioni linguistiche sono oggetti: la premessa della linguistica oggettivista......Page 186
26.2.9   La grammatica è indipendente dal significato e dalla comprensione......Page 187
26.2.10   La teoria oggettivista della comunicazione: una versione della metafora del canale......Page 188
26.2.11   Come sarebbe una teoria oggettivista della comprensione......Page 189
27. COME LA METAFORA RIVELA I LIMITI DEL MITO DELL’OGGETTIVISMO......Page 192
27.1   La descrizione oggettivista della metafora convenzionale......Page 193
27.2.1 La posizione basata sulla similarità......Page 195
27.2.2   La rinuncia oggettivista: “Non è affar nostro”......Page 196
27.2.3 L’irrilevanza, ai fini umani, della filosofia oggettivista......Page 198
27.2.4   Modelli oggettivisti al di fuori della filosofia oggettivista......Page 199
27.3   Sommario......Page 202
28. ALCUNE INSUFFICIENZE DEL MITO DEL SOGGETTIVISMO......Page 203
29.1   Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni dell’oggettivismo......Page 205
29.2   Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni del soggettivismo......Page 206
30. LA COMPRENSIONE......Page 208
30.1 La comunicazione interpersonale e la comprensione reciproca......Page 209
30.2   L’autocomprensione......Page 210
30.3   Il rituale......Page 211
30.5   La politica......Page 213
NOTA CONCLUSIVA......Page 215
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI......Page 216

Citation preview

George Lakoff & Mark Johnson

METAFORA E VITA QUOTIDIANA Edizione italiana a cura di Patrizia Violi

strumenti Bompiani

George Lakoff, professore di linguistica alla University of California, Berkeley, è autore di Women, Fire, and Dangerous Things, pubblicato dalla University of Chicago Press. Mark Johnson, professore di filosofia alla Southern Illinois University, Carbondale, è autore di The Body in the Mind, pubblicato dalla University of Chicago Press.

Titolo originale Metaphors We Live By Traduzione di Patrizia Violi Progetto grafico di Laura Carenzi © 1980 by The University of Chicago University of Chicago Press, Chicago. Illinois, USA © 1998 R.C.S. Libri S.p.A. - Milano I edizione Strumenti Bompiani novembre 1998 ISBN 88-452-3819-9

INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA PREFAZIONE RINGRAZIAMENTI 1. I CONCETTI CON CUI VIVIAMO 2. LA SISTEMATICITÀ DEI CONCETTI METAFORICI 3. LA SISTEMATICITÀ METAFORICA: METTERE IN LUCE E NASCONDERE 4. METAFORE DI ORIENTAMENTO 4.1 Le metafore sono basate sull’esperienza 5. METAFORA E COERENZA CULTURALE 6. METAFORE ONTOLOGICHE 6.1 Metafore di entità e di sostanza 6.2 Le metafore del contenitore 6.2.1 Superfici territoriali 6.2.2 Il campo visivo 6.2.3 Eventi, azioni, attività e stati 7. PERSONIFICAZIONE 8. METONIMIA 9. CRITICHE ALLA COERENZA METAFORICA 9.1 Un’apparente contraddizione metaforica 9.2 Coerenza vs consistenza 10. ULTERIORI ESEMPI 11. LA NATURA PARZIALE DELLA STRUTTURAZIONE METAFORICA 12. COME È FONDATO IL NOSTRO SISTEMA CONCETTUALE? 13. LE BASI DELLE METAFORE STRUTTURALI 14. CAUSALITÀ: IN PARTE EMERGENTE E IN PARTE METAFORICA 14.1 Manipolazione diretta: il prototipo della causalità 14.2 Estensioni metaforiche della causalità prototipica 14.3 Sommario 15. LA STRUTTURAZIONE COERENTE DELL’ESPERIENZA 15.1 Gestalt fondate sull’esperienza e dimensioni dell’esperienza 15.2 Cosa significa per un concetto corrispondere a un’esperienza? 15.3 Strutturazione metaforica vs sottocategorizzazione 16. LA COERENZA METAFORICA 16.1 Aspetti specializzati di un concetto 16.2 Coerenza all’interno di una singola metafora 16.3 Coerenza fra due aspetti di un unico concetto 17. COERENZE COMPLESSE ATTRAVERSO METAFORE 18. ALCUNE CONSEGUENZE PER LE TEORIE DELLA STRUTTURA CONCETTUALE 18.1 Inadeguatezza dell’astrazione 18.2 Inadeguatezza dell’omonimia: omonimia forte 18.3 Omonimia debole 19. DEFINIZIONE E COMPRENSIONE 19.1 Gli oggetti della definizione metaforica: tipi naturali di esperienza 19.2 Proprietà interazionali 19.3 Categorizzazione 19.4 Sommario 20. COME LA METAFORA PUÒ DARE SIGNIFICATO ALLA FORMA 20.1 Più forma vuol dire più contenuto 20.2 La vicinanza è potenza di effetto

20.3 L’orientamento IO-PER-PRIMO 20.4 Coerenza metaforica nella grammatica: uno strumento è un compagno 20.5 Perché “con” indica sia STRUMENTO sia COMPAGNIA 20.6 La “logica” del linguaggio 20.7 Sfumature di significato 20.8 Regolarità della forma linguistica 21. NUOVI SIGNIFICATI 22. LA CREAZIONE DELLA SIMILARITÀ 23. METAFORA, VERITÀ E AZIONE 24. LA VERITÀ 24.1 Perché preoccuparsi di una teoria della verità? 24.2 L’importanza della verità nella nostra vita quotidiana 24.3 Il ruolo della proiezione nella verità 24.4 Il ruolo della categorizzazione nella verità 25.5 Come si capisce che una frase semplice è vera? 24.6 Come si fa a capire che una metafora convenzionale è vera? 24.7 Come comprendiamo che le nuove metafore sono vere? 24.8 Comprendere una situazione: sommario 24.8.1 Comprensione diretta e immediata 24.8.2 Comprensione indiretta 24.8.3 La verità è basata sulla comprensione 24.9 L’approccio esperienziale alla verità 24.10 Elementi della comprensione umana nelle teorie della “verità oggettiva” 25. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO E DEL SOGGETTIVISMO 25.1 Le scelte offerte dalla nostra cultura 25.2 Il mito dell’oggettivismo 25.3 Il mito del soggettivismo 25.4 La paura della metafora 25.5 La terza possibilità: una sintesi basata sull’esperienza 26. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO NELLA FILOSOFIA E NELLA LINGUISTICA OCCIDENTALI 26.1 La nostra critica al mito dell’oggettivismo 26.2 Come le teorie standard del significato sono radicate nel mito dell’oggettivismo 26.2.1 Il significato è oggettivo 26.2.2 Il significato è autonomo 26.2.3 Fare corrispondere le parole al mondo senza l’intervento della comprensione umana 26.2.4 Una teoria del significato è basata su una teoria della verità 26.2.5 Il significato è indipendente dall’uso 26.2.6 Il significato è componenziale - La teoria dei blocchi 26.2.7 L’oggettivismo permette la relatività ontologica senza la comprensione umana 26.2.8 Le espressioni linguistiche sono oggetti: la premessa della linguistica oggettivista 26.2.9 La grammatica è indipendente dal significato e dalla comprensione 26.2.10 La teoria oggettivista della comunicazione: una versione della metafora del CANALE 26.2.11 Come sarebbe una teoria oggettivista della comprensione 27. COME LA METAFORA RIVELA I LIMITI DEL MITO DELL’OGGETTIVISMO 27.1 La descrizione oggettivista della metafora convenzionale 27.2 Che cosa c’è di sbagliato nella posizione oggettivista 27.2.1 La posizione basata sulla similarità 27.2.2 La rinuncia oggettivista: “Non è affar nostro”

27.2.3 L’irrilevanza, ai fini umani, della filosofia oggettivista 27.2.4 Modelli oggettivisti al di fuori della filosofia oggettivista 27.3 Sommario 28. ALCUNE INSUFFICIENZE DEL MITO DEL SOGGETTIVISMO 29. L’ALTERNATIVA ESPERIENZIALE: DARE NUOVO SIGNIFICATO AI VECCHI MITI 29.1 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni dell’oggettivismo 29.2 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni del soggettivismo 30. LA COMPRENSIONE 30.1 La comunicazione interpersonale e la comprensione reciproca 30.2 L’autocomprensione 30.3 Il rituale 30.4 L’esperienza estetica 30.5 La politica NOTA CONCLUSIVA RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

Nell’ambito delle scienze umane non c’è forse nessun altro argomento che abbia ricevuto, fin da quando gli esseri umani hanno cominciato a riflettere sulla natura del pensiero e del linguaggio, un’attenzione così diffusa e generale come la metafora; filosofi, psicologi, studiosi della poesia e del linguaggio, hanno guardato alla metafora come a uno dei luoghi privilegiati, e al tempo stesso più problematici, per la verifica delle proprie ipotesi. Data l’ampiezza degli studi in proposito, è legittimo chiedersi cosa differenzi il libro di Lakoff e Johnson da altri lavori e in cosa consista il suo interesse specifico. Consideriamo innanzitutto chi ne sono gli autori: Mark Johnson un filosofo e George Lakoff un linguista. Già la compresenza di questi due approcci, quello filosofico e quello linguistico, anche se ovviamente giustificata dal carattere di “frontiera” fra pensiero e linguaggio proprio della metafora, non è forse tuttavia così scontata, soprattutto negli ambienti accademici americani cui appartengono i due autori. In particolare può stupire, per chi ne conoscesse i precedenti lavori, un libro sulla metafora da parte di un linguista come George Lakoff, formatosi nella tradizione della grammatica generativa trasformazionale, forse la tradizione linguistica che più di ogni altra si presenta come un modello formale di elevata astrazione e complessità tecnica, quasi inaccessibile per i non addetti ai lavori. Rispetto a una tale tradizione la scelta stessa dell’argomento si presenta come uno spostamento “eterodosso” di oggetto, a cui si accompagna un analogo spostamento di metodo nella scelta di un registro discorsivo volutamente non specialistico, anche là dove vengono affrontati alcuni fra i problemi centrali della riflessione filosofica occidentale. Spostamenti questi indicativi di un ampio processo di ripensamento, tuttora in corso nella linguistica americana contemporanea, nei confronti di modelli altamente formali e sintattici di analisi linguistica. Ma anche uno spostamento di sguardo rispetto a una certa tradizione di studi sulla metafora. Talvolta infatti la metafora è stata considerata solo come puro ornamento del linguaggio, abbellimento della forma linguistica, certamente rilevante per la creazione poetica, ma generalmente confinabile nell’ambito della stilistica. Lakoff e Johnson rifiutano con decisione una simile impostazione, e mostrano come la metafora, ben lontano dall’essere

soltanto una figura di linguaggio, sia soprattutto una forma di pensiero, uno strumento cognitivo che ci permette di categorizzare le nostre esperienze, strumento senza il quale sarebbe impossibile qualsiasi nostra operazione concettuale, dalla formulazione di modelli scientifici, che (come dice Black) in fondo altro non sono che complesse metafore con cui interpretiamo fenomeni di vario genere, alle nostre più banali azioni quotidiane (discutere con qualcuno, commentare il tempo che passa, parlare di soldi). La metafora è ovunque, ci dicono Lakoff e Johnson, nel nostro pensiero in primo luogo, ma anche nelle nostre azioni (noi agiamo anche metaforicamente!) e, ovviamente, nel nostro linguaggio. Che la metafora non fosse solo una caratteristica del linguaggio poetico, ma fosse presente in tutte le nostre espressioni linguistiche, non è una posizione nuova in assoluto negli studi sull’argomento: una lunga tradizione ha sempre sottolineato la sua presenza diffusa in ogni forma del nostro linguaggio. Ma il libro di Lakoff e Johnson, pur ponendosi all’interno di una tradizione già assestata, ne porta forse più a fondo di ogni altro le ipotesi implicite. Individuare strutturazioni metaforiche anche all’interno delle espressioni linguistiche apparentemente più univoche e letterali, conduce a mettere in crisi il concetto stesso di significato; “letterale”, che viene a dissolversi in una gerarchia di livelli metaforici dove non è possibile individuare nessun significato “ultimo”, nessun primitivo, ma dove ogni termine può venire compreso e interpretato solo sulla base di altri termini e altre categorie concettuali, in un processo senza soluzione di continuità, che ricorda molto da vicino ciò che Peirce aveva definito “semiosi illimitata”. La metafora diviene così il punto di partenza per una ridiscussione della natura e della forma del significato stesso delle espressioni linguistiche, che in una tale prospettiva non può certo essere adeguatamente rappresentato all’interno della logica combinatoria di un approccio sintattico-formale. Per comprendere come il linguaggio “significhi” per noi, diviene necessario andare, per così dire, “al di là” del linguaggio stesso, alle radici delle nostre esperienze e del nostro modo di categorizzarle, investigando i nessi fra linguaggio e strutture cognitive da un lato, e gli usi culturalmente determinati dall’altro, dal momento che le nostre strutture cognitive dipendono in parte dalla nostra cultura. Per questo motivo si potrebbe dire che il libro di Lakoff e Johnson non è solo un libro sulla metafora, ma un libro sulla metafora americana. Dato che

la metafora è soprattutto uno strumento cognitivo che ci permette di categorizzare le nostre esperienze e dare così un senso alla nostra vita quotidiana inevitabilmente il nesso fra cognizione e linguaggio acquisterà specificazioni diverse all’interno di linguaggi, e quindi culture, differenti. E questo è in fondo anche uno dei motivi di maggiore interesse di questo studio sulla metafora che, attraverso una ricognizione delle manifestazioni linguistiche, ricostruisce una mappa del senso comune che regola, in forma implicita, l’agire e il parlare, quotidiano di una certa cultura, in questo caso quella americana. Queste conoscenze di senso comune vengono a costituirsi come le presupposizioni culturali e cognitive al di fuori delle quali è impossibile una rappresentazione del significato e, conseguentemente, delle forme metaforiche. In base a questa considerazione, due scelte erano possibili per la traduzione: mantenersi il più possibile fedeli all’originale, conservando il senso “americano” di molte metafore, anche nel caso in cui esse non corrispondano completamente e perfettamente alle nostre modalità di esperienza e categorizzazione concettuale, o trovare analoghi corrispettivi nella nostra diversa cultura. Si è optato per la prima soluzione, dal momento che la seconda avrebbe implicato di riscrivere un altro, e differente, libro: un libro, questa volta, sulla metafora italiana. Gli esempi sono quindi stati modificati solo nella misura necessaria alla loro completa comprensione per il lettore italiano, eliminando (quando già vi erano altri esempi convincenti) qualche espressione assolutamente intraducibile e riducendo così a pochissimi casi l’esigenza di una nota esplicativa. Per quanto riguarda invece la resa dei “concetti metaforici” soggiacenti alle espressioni linguistiche, ci si è attenuti fedelmente al testo originale; nella maggior parte dei casi non vi è uno scarto rilevante fra i concetti metaforici individuati da Lakoff e Johnson e i nostri, là dove un qualche scarto è possibile, sarà forse interessante per il lettore stesso individuare analogie e dissomiglianze fra culture diverse, immaginando magari nuove possibili corrispondenze o incompatibilità. In questa ipotesi di lettura il libro di Lakoff e Johnson potrebbe diventare anche una stimolante occasione per riflettere sul relativismo culturale dei nostri, e altrui, stereotipi di pensiero e di linguaggio. Patrizia Violi

PREFAZIONE

Questo libro è nato da un interesse, di entrambi gli autori, per come la gente comprende il proprio linguaggio e la propria esperienza. Quando ci incontrammo per la prima volta, all’inizio del gennaio 1979, scoprimmo che avevamo in comune, oltre al resto, l’impressione che le concezioni del significato dominanti nella filosofia e nella linguistica occidentale siano inadeguate, che il “significato” in queste tradizioni abbia poco a che vedere con ciò che la gente trova significativo nella propria vita. Eravamo uniti da un comune interesse per la metafora. Mark aveva scoperto che la maggior parte delle posizioni filosofiche tradizionali riconoscono alla metafora un ruolo molto limitato, o forse inesistente, nella comprensione del nostro mondo e di noi stessi. George aveva scoperto prove linguistiche che mostravano che la metafora è diffusa ovunque nel pensiero e nel linguaggio quotidiano, prove che non corrispondevano a nessuna contemporanea teoria angloamericana del significato né in linguistica né in filosofia. La metafora è stata tradizionalmente considerata in entrambi i settori come una questione di interesse periferico. Noi condividevamo l’intuizione che essa è, invece, una questione di importanza centrale. forse la chiave per dare un’adeguata descrizione della comprensione. Poco dopo il nostro incontro, decidemmo di collaborare in quello che pensavamo sarebbe stato un breve articolo capace di dare qualche evidenza linguistica per mostrare le lacune nelle recenti teorie del significato. In una settimana scoprimmo che certe assunzioni della linguistica e della filosofia contemporanea che erano state prese per buone nella tradizione occidentale fin dal tempo dei greci ci impedivano perfino di sollevare il tipo di problemi di cui volevamo occuparci. Il problema non era di estendere o riadattare qualche teoria del significato già esistente, ma di rivedere le assunzioni centrali nella tradizione filosofica occidentale. In particolare ciò significava rifiutare la possibilità di qualunque verità oggettiva è assoluta e un gran numero di assunzioni ad essa correlate. Significava anche offrire una descrizione alternativa in cui l’esperienza e la comprensione umane, piuttosto che la verità oggettiva, giocassero il ruolo centrale. Nel processo, abbiamo elaborato elementi di un approccio basato sull’esperienza, non solo per problemi riguardanti il linguaggio, la verità e la comprensione, ma per questioni concernenti la significatività della nostra esperienza quotidiana.

Berkeley, California 1 luglio 1979

RINGRAZIAMENTI

Le idee non cascano dal cielo. Le idee generali presenti in questo libro rappresentano una sintesi di varie tradizioni intellettuali e mostrano l’influenza dei nostri maestri, colleghi, studenti e amici. Inoltre, molte idee specifiche sono derivate dalle discussioni con centinaia di persone. Non siamo in grado di riconoscere adeguatamente tutte le tradizioni e le persone a cui siamo debitori. Tutto quello che possiamo fare è elencare alcune di esse e sperare che le rimanenti sappiano che ci sono e che noi le apprezziamo. Quelle che seguono sono fra le fonti delle nostre idee generali. John Robert Ross e Ted Cohen hanno dato forma alle nostre idee sulla linguistica, sulla filosofia e sulla vita in molti modi. Pete Becker e Charlotte Linde ci hanno fatto capire il modo in cui le persone creano coerenza nelle proprie vite. Il lavoro di Charles Fillmore sulla “frame semantics”, le idee di Terry Winograd sui sistemi di rappresentazione della conoscenza e la concezione di Roger Schank delle sceneggiature (scripts) hanno fornito le basi per l’originaria concezione di configurazioni linguistiche, che abbiamo generalizzato vedendole come configurazioni basate sull’esperienza. Le nostre posizioni sulle somiglianze di famiglia, sulla teoria della categorizzazione basata sui prototipi e sulla nebulosità nella categorizzazione, derivano da Ludwig Wittgenstein, Eleanor Rosch, Lotfi Zadeh e Joseph Goguen. Le nostre osservazioni su come il linguaggio può riflettere il sistema concettuale dei suoi parlanti derivano in gran parte dal lavoro di Edward Sapir, Benjamin Lee Whorf e altri che hanno lavorato in quella tradizione. Le nostre idee sulla relazione fra metafora e rituale derivano dalla tradizione antropologica di Bronislaw Malinowski, Claude Lévi-Strauss, Victor Turner, Clifford Geertz e altri. Le nostre idee sul modo in cui il nostro sistema concettuale è formato dal nostro costante agire con successo nell’ambiente fisico e culturale vengono in parte dalla tradizione di ricerca nello sviluppo umano cominciata da Jean Piaget e in parte dalla tradizione in psicologia ecologica nata dal lavoro di JJ. Gibson e James Jenkins, in particolare come è rappresentata nel lavoro di Robert Shaw, Michael Turvey e altri.

Le nostre posizioni sulla natura delle scienze umane sono state influenzate in modo significativo da Paul Ricoeur, Robert McCawley e dalla tradizione continentale in filosofia. Sandra McMonis Johnson, James Melchert, Newton e Helen Harrison e David e Ellie Antin ci hanno messo in grado di vedere il filo comune nell’esperienza estetica e in altri aspetti della nostra esperienza. Don Arbitblit ha richiamato la nostra attenzione sulle implicazioni politiche ed economiche delle nostre idee. Y.C. Chiang ci ha permesso di vedere la relazione fra l’esperienza corporea e i modi di vedere se stesso e il mondo. Abbiamo inoltre un debito molto importante con quegli autori contemporanei che hanno elaborato in grande dettaglio le idee filosofiche a cui noi ci stiamo opponendo. Noi rispettiamo il lavoro di Richard Montague, Saul Kripke, David Lewis, Donald Davidson e altri, come importanti contributi alle tradizionali concezioni occidentali del significato e della verità. E la loro chiarificazione di questi tradizionali concetti filosofici che ci ha permesso di vedere dove noi ci differenziamo dalla tradizione e dove manteniamo elementi di essa. Le nostre affermazioni si basano in larga misura su esempi linguistici. Molti, se non la maggior parte di essi, sono derivati da discussioni con colleghi, studenti, amici. John Robert Ross, in particolare, ci ha costantemente fornito esempi per telefono e per cartolina. Il grosso degli esempi nei capitoli 16 e 17 viene da Claudia Brugman, che ci ha anche dato un’inestimabile assistenza nella preparazione del manoscritto. Altri esempi sono venuti da Don Arbitblit, George Bergman, Dwight Bolinger, Ann Borkin, Matthew Bronson, Clifford Hill, D.K. Houlgate III, Dennis Love, Tom Mandel, John Manley-Buser, Monica Macauley, James D. McCawley, William Nagy, Reza Nilipoor, Geoff Nurnberg, Margaret Rader, Michael Reddy, Ron Silliman, Eve Sweetser, Marta Tobey, Karl Zimmer e da numerosi studenti della University of California, Berkeley, e del San Francisco Art Institute. Molte delle idee individuali in questo lavoro sono emerse da discussioni informali. Vorremmo ringraziare particolarmente Jay Atlas, Paul Bennaceraf, Betsy Brandt, Dick Brooks, Eve Clark, Herb Clark, J. W. Coffman, Alan Dundes, Glenn Erickson, Charles Fillmore, James Geiser, Leanne Hinton, Paul Kay, Les Lamport, David Lewis, George McClure, George Rand, John Searle, Dan Slobin, Steve Tainer, Len Talmy, Elizabeth Warren e Bob

Wilensky.

1. I CONCETTI CON CUI VIVIAMO

La metafora è da molti considerata come uno strumento dell’immaginazione poetica, un artificio retorico, qualcosa insomma che ha più a che vedere con il linguaggio straordinario che con quello comune. Non solo, la metafora è anche tipicamente considerata come caratteristica del solo livello linguistico, una questione di parole piuttosto che di pensiero o di azione. Per questa ragione molti pensano di poter fare benissimo a meno della metafora. Noi abbiamo invece trovato che la metafora e diffusa ovunque nel linguaggio quotidiano, e non solo nel linguaggio ma anche nel pensiero e nell’azione: il nostro comune sistema concettuale, in base al quale pensiamo e agiamo, è essenzialmente di natura metaforica. I concetti che regolano il nostro pensiero non riguardano solo il nostro intelletto, ma regolano anche le nostre attività quotidiane, fino nei minimi particolari; essi strutturano ciò che noi percepiamo, il modo in cui ci muoviamo nel mondo e in cui ci rapportiamo agli altri. Il nostro sistema concettuale gioca quindi un ruolo centrale nella definizione delle nostre realtà quotidiane. Se abbiamo ragione a ipotizzare che il nostro sistema concettuale è in larga misura metaforico, allora la metafora viene a rivestire un ruolo centrale nel nostro pensiero, nella nostra esperienza e nelle nostre azioni quotidiane. Normalmente però noi non siamo consapevoli del nostro sistema concettuale; nella maggior parte delle piccole azioni che quotidianamente compiamo, noi semplicemente pensiamo e agiamo in modo più o meno automatico, seguendo certe linee di comportamento. La difficoltà risiede proprio nel definire cosa sono queste linee. Una possibilità per individuarle è prendere in considerazione il linguaggio; infatti, dal momento che la comunicazione è basata sullo stesso sistema concettuale che regola il nostro pensiero e la nostra azione, il linguaggio costituisce un’importante fonte per determinare come è fatto questo sistema. Basandoci fondamentalmente sulla evidenza linguistica, abbiamo scoperto che la maggior parte del nostro normale sistema concettuale è di natura metaforica. Abbiamo inoltre trovato un modo per cominciare a identificare in dettaglio quali sono le metafore che strutturano la nostra

percezione, il nostro pensiero e le nostre azioni. Per dare un’idea di che cosa significa dire che un concetto è metaforico e che esso struttura una nostra 1 attività quotidiana, consideriamo l’esempio del concetto discussione e della metafora concettuale LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA. Questa metafora è riflessa in una grande varietà di espressioni presenti nel nostro linguaggio quotidiano. LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA Le tue richieste sono indifendibili. Egli ha attaccato ogni punto debole nella mia argomentazione. Le sue critiche hanno colpito nel segno. Ho demolito il suo argomento. Non ho mai avuto la meglio su di lui in una discussione. Non sei d’accordo? Va bene, spara! Se usi questa strategia, lui ti fa fuori in un minuto. Egli ha distrutto tutti i miei argomenti.

Ciò che è importante sottolineare è che noi non soltanto parliamo delle discussioni in termini di guerra, ma effettivamente vinciamo o perdiamo nelle discussioni: noi vediamo la persona con cui stiamo discutendo come un nemico, attacchiamo le sue posizioni e difendiamo le nostre, guadagnarne o perdiamo terreno, facciamo piani e usiamo strategie, se troviamo una posizione indifendibile, la abbandoniamo e scegliamo una nuova linea di attacco. Molte delle cose che noi facciamo durante una discussione sono in parte strutturate dal concetto di guerra. Sebbene non ci sia un combattimento fisico, c’è tuttavia un combattimento verbale, che si riflette nella struttura della discussione: attacco, difesa, contrattacco ecc. In questo senso la metafora LA DISCUSSIONE è una guerra è una di quelle metafore con cui viviamo in questa cultura: essa struttura le azioni che noi compiamo quando discutiamo. Provate a immaginare una cultura in cui le discussioni non siano viste in termini di guerra, dove nessuno vinca o perda, dove non ci sia il senso di attaccare o difendere, di guadagnare o perdere terreno. Una cultura in cui una discussione è vista come una danza, i partecipanti come attori, e lo scopo è una rappresentazione equilibrata ed esteticamente piacevole. In una tale cultura la gente vedrà le discussioni in modo diverso, le vivrà in modo diverso, le condurrà in modo diverso e ne parlerà in modo diverso. Ma dal nostro punto di vista, questa gente, probabilmente, non starebbe discutendo ma starebbe semplicemente facendo qualcosa di diverso. Sarebbe strano perfino definire la loro azione come una discussione. Forse il modo più

neutro per descrivere questa differenza fra la nostra cultura e la loro, sarebbe il dire che noi abbiamo una forma di discorso strutturata in termini di combattimento mentre loro ne hanno una strutturata in termini di danza. Questo è un esempio di ciò che significa dire che un concetto metaforico, e precisamente LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, struttura (almeno in parte) ciò che facciamo e come comprendiamo ciò che stiamo facendo nel corso di una discussione. L’essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa in termini di un altro. Le discussioni non sono sottospecie di guerre. Le discussioni e le guerre sono cose diverse - discorsi verbali e conflitti armati - e le azioni che vengono compiute sono diverse. Ma una discussione è parzialmente strutturata, compresa, eseguita e definita in termini di guerra. Il concetto è strutturato metaforicamente, l’attività è strutturata metaforicamente, e conseguentemente il linguaggio stesso è strutturato metaforicamente. Inoltre questo è il modo consueto di avere una discussione e di parlarne: normalmente, se parliamo di attaccare la posizione di un altro usiamo precisamente le parole “attaccare la posizione”. Il nostro modo convenzionale di parlare delle discussioni presuppone una metafora di cui non siamo quasi mai consapevoli; tale metafora non è soltanto nelle parole che usiamo, ma nel concetto stesso di discussione. Il linguaggio con cui definiamo la discussione non è né poetico, né fantasioso, né retorico; è letterale: ne parliamo in quel modo perché la concepiamo in quel modo, e ci comportiamo secondo le concezioni che abbiamo delle cose. Il concetto più importante che abbiamo sviluppato finora è che la metafora non è solamente una questione di linguaggio, cioè di pure parole. Sosterremo al contrario che i processi di pensiero umani sono largamente metaforici, ed è questo che intendiamo quando diciamo che il sistema concettuale umano è strutturato e definito in termini metaforici. Le metafore come espressioni linguistiche sono possibili proprio in quanto nel sistema concettuale di ciascuno vi sono metafore. Quindi ogni volta che in questo libro parliamo di metafore, come LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, deve essere chiaro che per metafora diamo concetto metaforico.

2. LA SISTEMATICITÀ DEI CONCETTI METAFORICI

Le discussioni normalmente seguono determinati schemi, in altri termini, in una discussione tipica, ci sono alcune cose che noi facciamo o non facciamo. Il fatto che noi concettualizziamo in parte le discussioni in termini di combattimenti, influenza in modo sistematico la forma che le discussioni vengono ad assumere e il modo in cui noi parliamo di ciò che facciamo quando discutiamo. Dato che il concetto metaforico è sistematico, anche il linguaggio che noi usiamo per parlare di quell’aspetto del concetto è sistematico. Abbiamo visto nel caso della metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA che le espressioni tratte dal vocabolario riferentesi alla guerra, come: attaccare una posizione, indifendibile, strategia, nuova linea di attacco, vincere, guadagnare terreno ecc., rappresentano un modo sistematico di parlare dell’aspetto bellico che caratterizza le discussioni. Non è un caso che queste espressioni significhino ciò che significano quando le usiamo per parlare delle discussioni. Una porzione del sistema concettuale che caratterizza ciò che è un combattimento, caratterizza ugualmente una parte del concetto discussione, e il linguaggio segue tale organizzazione concettuale. Dal momento che, nel nostro linguaggio, le espressioni metaforiche sono connesse in modo sistematico ai concetti metaforici, possiamo usare le espressioni metaforiche linguistiche per studiare la natura dei concetti metaforici e per ottenere una comprensione delia natura metaforica delle nostre attività. Per avere un’idea di come le espressioni metaforiche nel linguaggio quotidiano possono farci intuire la natura metaforica dei concetti che strutturano le nostre attività quotidiane, consideriamo il concetto metaforico IL TEMPO È DENARO. IL TEMPO È DENARO Stai facendomi perdere del tempo. In questo modo risparmieremo alcune ore. Non ho tempo da dedicarti. Come avete impiegato il vostro tempo in questi giorni? Questa gomma a terra mi è costata un’ora. Ho sprecato un sacco di tempo per lei. Non ho abbastanza tempo da dedicare a ciò.

Avete esaurito il tempo a disposizione. Devi pianificare il tuo tempo. Vale il tempo che ci perdi. Avete ancora un po’ di tempo? Non stai usando il tuo tempo in modo proficuo. Ho perso un sacco di tempo quando sono stato malato. Grazie per il tempo che mi hai concesso.

Il tempo nella nostra cultura è una merce pregiata, una risorsa limitata che utilizziamo per conseguire i nostri scopi. Per il modo in cui il concetto del lavoro si è sviluppato nella moderna cultura occidentale, in cui il lavoro è tipicamente associato con il tempo che esso richiede, e questo tempo è precisamente quantificato, è diventato abituale pagare le persone a ora, a settimana, a mese o ad anno. Nella nostra cultura IL TEMPO È DENARO in molti modi diversi: negli scatti delle telefonate, nei salari a ore, nelle tariffe delle camere d’albergo, nei bilanci annuali, negli interessi sui prestiti, e nel pagare il proprio debito alla società scontando una condanna. Tutte queste pratiche sono relativamente recenti nella storia della razza umana, e non sono assolutamente comuni a tutte le culture. Esse si sono costituite nelle moderne società industriali e oggi strutturano le nostre fondamentali attività quotidiane in modo molto profondo. Nello stesso modo in cui noi agiamo come se il tempo fosse una merce pregiata e una risorsa limitata, così concepiamo il tempo allo stesso modo. In tal modo comprendiamo e viviamo il tempo come qualcosa che può essere speso, perso, pianificato, investito saggiamente o male, risparmiato o sprecato. IL TEMPO È DENARO, IL TEMPO È UNA RISORSA LIMITATA, IL TEMPO È UNA MERCE PREGIATA, sono tutti concetti metaforici, dal momento che noi utilizziamo la nostra esperienza quotidiana con il denaro, le risorse limitate e le merci pregiate per concettualizzare il tempo. Tale concettualizzazione del tempo non è necessariamente l’unica possibile per gli esseri umani; essa dipende dalla nostra cultura. Vi sono culture in cui il tempo non è nessuna di queste cose. I concetti metaforici IL TEMPO È DENARO, IL TEMPO È UNA RISORSA e IL TEMPO È UNA MERCE PREGIATA formano un unico sistema basato su una sottocategorizzazione, dal momento che nella nostra società il denaro è una risorsa limitata e le risorse limitate sono merci pregiate. Queste relazioni di sottocategorizzazione caratterizzano relazioni di implicazione fra le metafore: IL TEMPO È DENARO implica che IL TEMPO È UNA RISORSA LIMITATA, che a sua volta implica che IL TEMPO È UNA MERCE PREGIATA.

Stiamo qui adottando la pratica di usare il concetto metaforico più specifico, in questo caso IL TEMPO È DENARO, per definire l’intero sistema. Di tutte le espressioni considerate sotto la metafora IL TEMPO È DENARO, alcune si riferivano specificamente al denaro (spendere, investire, fare un bilancio, costare), altre alle risorse limitate (usare, avere abbastanza, esaurire), e altre ancora al concetto di merce pregiata (avere, dare, perdere, ringraziare per). Questo è un esempio del modo in cui le implicazioni metaforiche possono caratterizzare un sistema coerente di concetti metaforici e un corrispondente coerente sistema di espressioni metaforiche per questi concetti.

3. LA SISTEMATICITÀ METAFORICA: METTERE IN LUCE E NASCONDERE

La sistematicità stessa che ci permette di comprendere un aspetto di un concetto nei termini di un altro (ad esempio, comprendere un aspetto della discussione in termini di combattimento) finisce necessariamente col nascondere altri aspetti di quello stesso concetto. Infatti concentrando l’attenzione su un aspetto di un dato concetto (l’aspetto “combattivo” di una discussione) un concetto metaforico può impedirci di mettere a fuoco altri aspetti dello stesso concetto che sono incompatibili con quella data metafora. Per esempio, nel mezzo della più accesa discussione, quando pensiamo solo ad attaccare le posizioni del nostro oppositore o a difendere le nostre, possiamo perdere di vista l’aspetto cooperativo della discussione. Chi sta discutendo con noi può infatti essere visto come una persona che ci sta dando il suo tempo, una merce pregiata, in uno sforzo di mutua comprensione. Ma quando siamo presi dagli aspetti combattivi, spesso perdiamo di vista quelli cooperativi. Un caso più sottile di come un concetto metaforico può nascondere un aspetto della nostra esperienza è rappresentato da quella che Michael Reddy ha chiamato “metafora del canale”. Reddy ha osservato che il nostro modo di parlare del linguaggio è approssimativamente strutturato secondo la seguente metafora complessa: LE IDEE (O I SIGNIFICATI) SONO OGGETTI LE ESPRESSIONI LINGUISTICHE SONO CONTENITORI LA COMUNICAZIONE È L’ATTO DI SPEDIRE QUALCOSA

Il parlante mette le sue idee (oggetti) in parole (contenitori) e li spedisce (lungo un canale) a un ascoltatore, che tira fuori le idee/oggetti dalle parole/contenitori. Reddy illustra questa metafora con più di cento espressioni inglesi, che secondo i suoi calcoli rappresentano il 70% di tutte le espressioni usate per parlare del linguaggio. Ecco alcuni esempi: Io ti ho dato quella idea. È difficile mettere in parole le mie idee. Quando hai una buona idea, cerca di catturarla immediatamente in parole. Cerca di concentrare più pensieri in meno parole. Il significato è proprio qui nelle parole.

Le sue parole hanno poco significato. L’introduzione ha un elevato contenuto concettuale. Le tue parole suonano vuote. La frase è senza significato. L’idea è nascosta in paragrafi terribilmente oscuri.

In esempi come questi è assai più difficile rendersi conto che c’è qualcosa nascosto dalla metafora, o addirittura riconoscere qui presenza di una qualsiasi metafora. Questo è infatti a tal punto il nostro modo convenzionale di pensare al linguaggio che riesce difficile immaginare che esso non corrisponda alla realtà. Ma se guardiamo alle implicazioni della metafora del CANALE, vediamo chiaramente come in essa alcuni aspetti del processo comunicativo siano occultati. Innanzitutto l’aspetto della metafora del CANALE per cui LE ESPRESSIONI LINGUISTICHE SONO CONTENITORI DEL SIGNIFICATO, implica che le parole e le frasi siano dotate di significato in se stesse, indipendentemente dal contesto e dal parlante. La parte della metafora per cui I SIGNIFICATI SONO OGGETTI, implica a sua volta che i significati abbiano un’esistenza indipendente dalle persone e dai contesti. Queste metafore sono appropriate in tutte quelle situazioni in cui le differenze di contesto non hanno alcun rilievo e tutti i partecipanti alla conversazione comprendono le stesse frasi nello stesso modo. Queste due implicazioni sono esemplificate da espressioni come: Il significato è proprio qui, nelle parole,

che, secondo la metafora del CANALE, possono correttamente venire applicate a qualsiasi frase. Ma ci sono molti casi in cui il contesto diviene rilevante, come nel famoso esempio registrato da Pamela Downing durante una conversazione reale: Per favore siediti al posto del succo di mela.

Questa frase, considerata isolatamente, non ha alcun significato, dal momento che l’espressione “il posto del succo di mela” non rappresenta un modo convenzionale per riferirsi ad alcun tipo di oggetti. Ma la frase diviene perfettamente dotata di significato se considerata nel contesto in cui venne effettivamente pronunciata. Un ospite era sceso per fare colazione. C’erano quattro posti apparecchiati, tre con un bicchiere di succo d’arancia, e uno con un succo di mela; a quel punto era chiaro cosa era il posto del succo di mela.

Anche il mattino seguente, in cui non c’era nessun succo di mela, era tuttavia ancora chiaro quale era il posto del succo di mela. Oltre alle frasi che non hanno significato al di fuori del loro contesto vi sono casi in cui la stessa frase può significare cose diverse per persone diverse. Consideriamo una frase come: Abbiamo bisogno di nuove fonti alternative di energia.

La frase significa cose molto diverse per il presidente della Mobil Oil o per il presidente degli Amici della Terra. Il significato non è lì, nelle parole, ma dipende in gran parte da chi pronuncia o ascolta la frase e dalla sua posizione politica e sociale. La metafora del CANALE non si adatta ai casi in cui il contesto deve venir preso in considerazione per determinare se la frase è dotata di significato e, in caso affermativo, di quale significato è dotata. Questi esempi mostrano che i concetti metaforici che abbiamo considerato ci forniscono solo una comprensione parziale di ciò che sono la comunicazione, la discussione o il tempo, nascondendo altri possibili aspetti di questi stessi concetti. È importante sottolineare che la strutturazione metaforica qui implicata è solo parziale e non totale. Se fosse totale, un concetto coinciderebbe completamente con un altro, e non sarebbe soltanto compreso in termini di un altro. Ad esempi, il tempo non è realmente denaro. Se noi spendiamo il nostro tempo cercando di fare qualcosa e non ci riusciamo, non possiamo riavere indietro il nostro tempo. Non ci sono banche del tempo. Io posso sprecare molto del mio tempo, per te, ma tu non puoi restituirmi quello stesso tempo, anche se puoi sprecare a tua volta la stessa quantità di tempo per me, e così via. Una parte del concetto metaforico quindi non si adatta né può adattarsi alla situazione reale. D’altro lato i concetti metaforici possono venire estesi oltre all’ambito del loro comune impiego letterale a quello che possiamo definire come pensiero e linguaggio poetico, figurato e fantastico. Ad esempio, se le idee sono oggetti, possiamo abbellirle, manipolarle, metterle in ordine in modo chiaro e preciso ecc. Quindi, quando diciamo che un concetto è strutturato da una metafora, intendiamo dire che è parzialmente strutturato e che può venire sviluppato in alcuni modi ma non in altri.

4. METAFORE DI ORIENTAMENTO

Finora abbiamo esaminato quelle che definiremo metafore strutturali, in cui un concetto è metaforicamente strutturato in termini di un altro. Ma vi è un altro tipo di concetti metaforici, che invece di strutturare semplicemente un concetto in termini di un altro, organizzano piuttosto un intero sistema di concetti in termini di un altro. Chiameremo queste metafore metafore di orientamento, dal momento che molte di loro hanno a che vedere con l’orientamento spaziale: su-giù, dentro-fuori, davanti-dietro, profondosuperficiale, centrale-periferico. Questi orientamenti spaziali derivano dalla costituzione stessa del nostro corpo e dal suo funzionamento nell’ambiente fisico che ci circonda. Le metafore di orientamento danno al concetto un orientamento spaziale: ad esempio, contento è su. Il fatto che il concetto contenuto sia orientato nella direzione su, determina espressioni come “Oggi mi sento su di morale”. Questi orientamenti metaforici non sono arbitrari, in quanto hanno una base nella nostra esperienza fisica e culturale. Ma, sebbene le opposizioni sugiù, dentro-fuori ecc., siano di natura fisica, le metafore di orientamento basate su di esse possono variare da cultura a cultura. Ad esempio, in alcune culture il futuro è davanti a noi, mentre in altre è dietro di noi. Considereremo ora la metafora spaziale su-giù, studiata diffusamente da William Nagy (1974); per ogni gruppo di esempi daremo un breve accenno di come ogni concetto metaforico può essere derivato dalla nostra esperienza fisica e culturale, senza la pretesa che tali accenni siano definitivi, ma solo stimolanti e plausibili. CONTENTO È SU, TRISTE È GIÙ Mi sento su di morale. Ciò mi ha sollevato di morale. Il loro morale è alto. Mi sento già. Sono depresso. Il suo morale è proprio basso in questi giorni. Sono caduto in una fase di depressione, n mio morale è a terra.

Basi fisiche: la posizione a capo chino si associa generalmente con l’idea di tristezza e depressione, la posizione a testa alta invece con uno stato emotivo positivo. CONSCIO È SU, INCONSCIO È GIÙ

Alzarsi, svegliarsi sono già su. Egli si alza presto al mattino. Cascare dal sonno. È sotto ipnosi. È sprofondato nel coma.

Basi fisiche: gli esseri umani e molti fra i mammiferi dormono sdraiati e si alzano in piedi quando si svegliano. LA SALUTE E LA VITA SONO SU, LA MALATTIA E LA MORTE SONO GIÙ È all’apice della salute. Lazzaro si è levato dalla tomba. È al culmine della sua forma. È caduto ammalato, ^declinando rapidamente. È andato molto giù con quella influenza. La sua salute sta declinando.

Basi fisiche: le malattie gravi ci costringono a sdraiarci fisicamente. Quando si è morti si è fisicamente nella posizione giù. AVERE CONTROLLO O FORZA È SU, ESSERE SOGGETTI AL CONTROLLO O ALLA FORZA È GIÙ Io ho il controllo su di lei. Sono al culmine della situazione. Lui è in una posizione superiore. È al culmine del suo potere. È nelle alte sfere di comando. È nel più alto livello. Il suo potere sta crescendo. La sua forza è superiore alla mia. È sotto il mio controllo. È decaduto dal potere. Il suo potere è in declino. Egli mi è socialmente inferiore.

Basi fisiche: le dimensioni fisiche sono generalmente correlate con la forza fisica e il vincitore nella lotta è generalmente sopra al vinto. PIÙ È SU, MENO È GIÙ Il numero dei libri stampati ogni anno sta salendo. Il suo numero di matricola è alto. Le mie entrate sono salite lo scorso anno. La quantità delle attività artistiche in questo paese è scesa nello scorso anno. Il numero di errori che ha fatto è incredibilmente basso. Le sue entrate sono crollate lo scorso anno. È al di sotto del limite di età. Se avete troppo caldo, abbassate il riscaldamento.

Basi fisiche: se si aggiunge una maggiore quantità di una data sostanza in un recipiente o più oggetti in un mucchio, il livello sale. LA CONDIZIONE SOCIALE ELEVATA È SU, LA CONDIZIONE BASSA È GIÙ Egli ha una posizione elevata. Arriverà in alto. È al culmine della sua carriera. Sta facendo la sua scalata sociale. Ha poco mobilità verso Volto. È al fondo della gerarchia sociale. È decaduta.

Basi fisiche e sociali: la condizione sociale è correlata con il potere (sociale) e il potere (fisico) è su. BUONO È SU, CATTIVO È GIÙ L’anno scorso abbiamo raggiunto una punta massima, ma quest’anno stiamo andando giù. Ho un’alta opinione di te.

Egli ha fatto un lavoro di alto livello.

Basi fisiche per il benessere personale: la felicità, la salute, la vita e il controllo - cioè tutto ciò che principalmente caratterizza ciò che è buono per una persona - sono tutti su. LA VIRTÙ È SU, LA DEPRAVAZIONE È GIÙ Egli è un uomo di alta moralità. Lui ha elevati sentimenti. Lei ha alti standard. Questo e uno scherzo di bassa lega. Non mi abbasserei a questo. Cadde in un abisso di depravazione. È stata una bassa azione.

Basi fisiche e sociali: BUONO È SU per una persona (su basi fisiche), congiunto con una metafora che discuteremo in seguito LA SOCIETÀ È UNA PERSONA (nella versione in cui noi non ci identifichiamo con la nostra società). Essere virtuosi significa agire secondo gli standards stabiliti dalla società/persona per il tuo benessere. LA VIRTÙ È SU perché le azioni virtuose sono correlate con il benessere sociale dal punto di vista della società/persona. Dal momento che le metafore socialmente fondate sono parte della nostra cultura, è sempre il punto di vista della società/persona quello che conta. RAZIONALE È SU, EMOTIVO È GIÙ La discussione è scaduta a un livello emotivo, ma poi si è risollevata sul piano razionale. Abbiamo accantonato i nostri sentimenti e abbiamo avuto una discussione di alto livello intellettuale sulla questione. Non è riuscito a superare la sua emotività.

Basi fisiche e culturali: nella nostra cultura le persone si percepiscono come dotate di controllo su animali, piante è ambiente fisico circostante, ed è precisamente la capacità razionale che solo gli esseri umani posseggono a dare loro un controllo su gli altri animali. IL CONTROLLO È SU fornisce quindi le basi per L’UOMO È SU e quindi per IL RAZIONALE È SU. Sulla base degli esempi considerati, proponiamo le seguenti conclusioni a proposito del fondamento legato all’esperienza, della coerenza e della sistematicità dei concetti metaforici: - La maggior parte dei nostri concetti fondamentali sono organizzati in termini di una o più metafore spaziali. - Vi è una sistematicità interna a ogni metafora spaziale. Ad esempio. CONTENTO È SU definisce un sistema coerente piuttosto che un numero di espressioni isolate e casuali. (Un esempio di sistema incoerente sarebbe un sistema in cui dire “Mi sento su” significasse “Mi sento contento”, ma “Il mio morale è più alto” significasse “Sono diventato più triste”.) - Vi è una sistematicità esterna complessiva fra le varie metafore spaziali che definisce la coerenza

fra di loro. Così BUONO È SU da un orientamento su al benessere in generale, e questo orientamento è coerente con casi particolari come CONTENTO È SU, LA SALUTE È SU, IL CONTROLLO È SU. LO STATUS SOCIALE È SU è coerente con IL CONTROLLO È SU. - Le metafore spaziali sono radicate nell’esperienza fisica e culturale e non sono arbitrariamente stabilite. Una metafora può servire da veicolo per comprendere un concetto solo in virtù del suo fondamento nell’esperienza. (Alcune delle complessità delle basi empiriche della metafora sono discusse nei prossimi capitoli.) - Vi sono diverse possibili basi fisiche e sociali per la metafora. La coerenza con il sistema complessivo sembra essere una delle ragioni per cui una metafora è preferita a un’altra. Ad esempio, la felicità è anche correlata fisicamente al sorriso e a un generale sentimento di espansività. Ciò potrebbe, in linea di principio, costituire la base per una metafora come CONTENTO LARGO, TRISTE È STRETTO, e infatti ci sono espressioni metaforiche minori come “mi sento espansivo”, che focalizzano un differente aspetto della felicità, rispetto a quanto fa l’espressione Mi sento su. Ma la più rilevante metafora nella nostra cultura è CONTENTO È SU, c’è una ragione per cui noi parliamo da vertice dell’estasi, piuttosto che dell’ampiezza dell’estasi, CONTENTO È SU è coerente al massimo grado con BUONO È SU, LA SALUTE È SU ecc. - In alcuni casi la spazializzazione è parte così integrante del concetto che è difficile per noi immaginare un’altra metafora alternativa che possa strutturare lo stesso concetto. Nella nostra società uno di questi concetti è “elevata condizione sociale”. Altri casi, come “felicità”, sono meno chiari. Il concetto di felicità è indipendente dalla metafora CONTENTO È SU, o la spazializzazione su-giù della felicità è parte del concetto? Noi riteniamo che sia parte del concetto in un dato sistema concettuale. La metafora CONTENTO È SU colloca la felicità all’interno di un sistema metaforico coerente, e parte del suo significato deriva proprio dal suo ruolo in quel sistema. - I cosiddetti concetti puramente intellettuali, come ad esempio i concetti in una teoria scientifica, sono spesso - o forse sempre - basati su metafore che hanno una base fisica e/o culturale. L’alto in “particelle di alta-energia” è basato su PIÙ È SU, l’alto di “funzioni di alto livello”, in psicologia fisiologica, è basato su RAZIONALE È SU, il basso di “basso livello fonologico” (che si riferisce a circostanziati aspetti fonetici del sistema dei suoni di una lingua) è basato su REALTÀ TERRENA È GIÙ (come in “coi piedi per terra”). L’attrazione intuitiva che una teoria scientifica può esercitare ha a che fare con la capacità che hanno le sue metafore di riflettere la nostra esperienza. - La nostra esperienza fisica e culturale fornisce molte possibili basi per le metafore di spazializzazione; ogni cultura può sviluppare in modo diverso queste possibilità, determinando quali vengono scelte e sviluppate fino a divenire dominanti. - È difficile distinguere fra le basi fisiche e quelle culturali di una metafora, dal momento che la scelta di una base fisica fra varie altre possibili dipende proprio dalla coerenza culturale.

4.1 Le metafore sono basate sull’esperienza Dal momento che non sappiamo molto su come le metafore siano fondate sulla nostra esperienza, finora abbiamo descritto le metafore separatamente, e solo in seguito abbiamo aggiunto alcune riflessioni speculative sul loro possibile legame con la nostra esperienza diretta. Questa pratica è stata dettata più da ragioni di ignoranza che da ragioni di principio, ma in realtà abbiamo l’impressione che nessuna metafora possa essere compresa o adeguatamente rappresentata prescindendo dalle sue connessioni con l’esperienza. Ad esempio, PIÙ È SU è basata sull’esperienza in modo molto

diverso da quanto non lo siano metafore come CONTENTO È SU o RAZIONALE È SU. Anche se il concetto SU è lo stesso in tutte queste metafore, le esperienze su cui le metafore su sono basate sono assai differenti. Ciò non significa che ci siano differenti SU, ma piuttosto che la dimensione della verticalità attraversa la nostra esperienza in molti modi diversi, e pertanto dà luogo a molte diverse metafore. Un modo di sottolineare la inseparabilità delle metafore dalle loro basi nell’esperienza sarebbe di incorporare queste basi nelle rappresentazioni stesse. Allora invece di scrivere PIÙ È SU e RAZIONALE È SU, potremmo avere più complesse relazioni come dal diagramma:

Una tale rappresentazione metterebbe in evidenza come le due parti di ogni metafora siano connesse solo attraverso il loro fondamento nell’esperienza, e che è solo per via di questo fondamento che la metafora ha un ruolo nei nostri processi di comprensione. Non useremo però una tale rappresentazione, ma solo perché sappiamo troppo poco su come le metafore siano basate sulla esperienza. Continueremo quindi a usare il termine “è” per descrivere metafore come PIÙ È SU, ma questo dovrebbe essere considerato come un’abbreviazione per designare un qualche insieme di esperienze su cui la metafora basata, e mediante il quale siamo in grado di comprenderla. Il fatto che le metafore siano basate sull’esperienza ha un ruolo importante per capire il funzionamento di quelle metafore che non si combinano fra loro proprio perché sono basate su differenti tipi di esperienze. Consideriamo per esempio una metafora come L’IGNOTO. È SU, IL NOTO È GIÙ. Esempi sono: “Ciò è nell’aria”, “Le mie opinioni si sono sedimentate” o “Un ragionamento terra terra”. Tale metafora è basata sull’esperienza in modo molto simile alla metafora CAPIRE È AFFERRARE, come in “Non sono riuscito ad afferrare la sua spiegazione”. Nel caso di oggetti fisici, se noi

possiamo afferrare un oggetto e tenerlo nelle nostre mani, possiamo guardarlo attentamente e quindi avere una comprensione ragionevolmente buona di esso. Ora è più facile afferrare qualcosa e guardarla attentamente se essa è per terra o comunque in una posizione fissa piuttosto che svolazzante nell’aria (come una foglia o un pezzo di carta). La metafora L’IGNOTO È SU, IL NOTO È GIÙ, è coerente con CAPIRE È AFFERRARE. Ma IGNOTO È SU non è coerente con metafore come BUONO È SU e FINITO È SU (come in “I’m finishing up”). Infatti ci si aspetterebbe che FINITO si combinasse con NOTO, e NON FINITO con IGNOTO. Ma, per lo meno per quanto riguarda le metafore della verticalità, ciò non si verifica, la ragione è che IGNOTO È SU è basato sull’esperienza in modo molto diverso da quanto lo sia FINITO È SU.

5. METAFORA E COERENZA CULTURALE

I valori più fondamentali in una data cultura saranno coerenti con la struttura metaforica dei concetti più fondamentali di quella cultura. Consideriamo ad esempio alcuni valori culturali nella nostra società che sono coerenti con le metafore di spazializzazione SU-GIÙ e i cui opposti non lo sarebbero. “Più è meglio” è coerente con PIÙ È SU e BUONO È SU. “Meno è meglio” non è coerente con essi. “Più grande è meglio” è coerente con PIÙ È SU e BUONO È SU. “Più piccolo è meglio” non è coerente con essi. “Il futuro sarà migliore” è coerente con IL FUTURO È SU e BUONO È SU. “Il futuro sarà peggiore” non lo è. “Ce ne sarà di più in futuro” è coerente con PIÙ È SU e con IL FUTURO È SU. “Il vostro status sarà più alto in futuro” è coerente con UNO STATUS SOCIALE ELEVATO È SU e con IL FUTURO È SU.

Tutti questi sono valori profondamente radicati nella nostra cultura: “il futuro sarà migliore” è un’asserzione del concetto di progresso; “ce ne sarà di più in futuro” comprende, come casi speciali, l’accumulazione dei beni e l’inflazione salariale; “il vostro status sociale sarà più alto in futuro” è un’asserzione a proposito del carrierismo. Tutti questi concetti sono coerenti con le nostre attuali metafore di spazializzazione, mentre i loro contrari non lo sarebbero. Sembra quindi che i nostri valori non siano indipendenti ma formino un sistema coerente con i concetti metaforici con cui noi viviamo. Con questo non si vuol dire che tutti i valori culturali coerenti con un sistema metaforico esistano effettivamente, ma soltanto che quelli che esistono, e sono profondamente radicati, sono tutti coerenti con il sistema metaforico. Tutti i valori elencati in precedenza sono validi nella nostra cultura in linea di massima, a parità di condizioni; ma dato che questa parità di condizioni generalmente non si verifica, vi sono spesso conflitti fra questi valori e di conseguenza conflitti fra le metafore ad essi associate. Per spiegare tali conflitti di valori (e delle loro rispettive metafore), dobbiamo individuare le differenti priorità attribuite a questi valori e metafore dalle varie subculture che li usano. Ad esempio, PIÙ È SU sembra avere sempre la più alta priorità dal momento che ha le più evidenti basi fisiche. La priorità di PIÙ È SU su

BUONO È SU può essere vista in esempi come “L’inflazione sta salendo” e “La criminalità è in crescita”. Assumendo che l’inflazione e la criminalità siano concetti negativi, queste frasi hanno il significato che hanno, perché la metafora PIÙ È SU ha sempre priorità assoluta. In generale la gerarchia delle priorità è in parte dovuta alla specifica subcultura in cui uno vive e in parte dipende da valori personali. Le varie subculture di una cultura dominante condividono alcuni valori di base, ma attribuiscono loro differenti priorità. Ad esempio, PIÙ GRANDE È MEGLIO può essere in conflitto con CE NE SARÀ DI PIÙ IN FUTURO, quando si deve decidere se comprare una nuova automobile più grande, con un pagamento a rate che inciderà sul nostro futuro salario, oppure comprarne una più piccola e più economica. In alcune subculture americane si compra l’automobile più grande senza preoccuparsi del futuro, in altre invece le considerazioni riguardo il futuro hanno la precedenza e si acquista l’automobile piccola. C’è stato anche un periodo (prima dell’inflazione e della crisi energetica in cui possedere una automobile piccola indicava uno stato sociale elevato, all’interno di una subcultura in cui LA VIRTÙ È SU e RISPARMIARE RISORSE È VIRTUOSO avevano la priorità sul valore PIÙ GRANDE È MEGLIO. Oggi il numero di proprietari di piccole automobili è cresciuto enormemente perché vi è un’assai ampia subcultura in cui RISPARMIARE DENARO È MEGLIO ha priorità su PIÙ GRANDE È MEGLIO. Oltre alle subculture, vi sono gruppi caratterizzati dal fatto di condividere alcuni importanti valori che sono in conflitto con quelli della cultura dominante. Ma anche in questi casi certi altri valori dominanti sono preservati, se pure in forme meno ovvie. Consideriamo ad esempio un ordine monastico come i trappisti. In questo caso MENO È MEGLIO e PIÙ PICCOLO È MEGLIO sono validi in relazione al possesso di beni materiali che sono visti come ostacolo a ciò che è realmente importante, cioè servire Dio. I trappisti condividono il valore dominante LA VIRTÙ È SU, anche se vi attribuiscono la massima priorità e ne danno una definizione molto diversa, PIÙ È MEGLIO resta ancora valido, anche se applicato alla virtù, e lo status è ancora su, sebbene non ci si riferisca a questo mondo, ma a un altro più elevato, il regno di Dio. Inoltre IL FUTURO SARÀ MIGLIORE è vero in termini di crescita spirituale (SU) e, alla fine, di salvazione (realmente SU). Tutto ciò e tipico di gruppi che sono completamente al di fuori dalla cultura dominante; la virtù, il bene, lo status possono venire ridefiniti in modo

radicalmente diverso, ma sono sempre valori su, e continua a essere preferibile avere una maggiore quantità di ciò che è considerato importante, IL FUTURO SARÀ MIGLIORE in relazione a ciò che è importante, e così via. Relativamente a ciò che è importante per un gruppo monastico, il sistema di valori è dotato sia di coerenza interna che di coerenza con le maggiori metafore di orientamento della cultura dominante, naturalmente rispetto a ciò che è importante per il gruppo. I singoli individui, come i gruppi, differiscono nell’attribuire le loro priorità e nelle loro definizioni di ciò che è buono o virtuoso; in questo senso essi costituiscono sottogruppi formati a una sola entità. Relativamente a ciò che essi considerano importante, i loro sistemi di valori individuali sono coerenti con le principali metafore di orientamento della cultura dominante. Non tutte le culture attribuiscono la nostra stessa priorità all’orientamento SU-GIÙ; vi sono culture in cui il concetto di equilibrio o di centralità gioca un ruolo molto più importante di quanto non avvenga nella nostra cultura. Un altro esempio significativo è dato dall’orientamento non spaziale attivopassivo. Per noi ATTIVO È SU e PASSIVO È GIÙ nella maggior parte dei casi. Ma in altre culture la passività è valutata molto più che l’attività. In generale i principali orientamenti su-giù, dentro-fuori, centrale-periferico, attivo-passivo ecc. sembrano attraversare tutte le culture, ma ciò che varia da cultura a cultura è il modo specifico in cui questi concetti sono orientati e quali di questi orientamenti sono i più importanti.

6. METAFORE ONTOLOGICHE

6.1 Metafore di entità e di sostanza Le orientazioni spaziali come su-giù, davanti-dietro, dentro-fuori, centrale-periferico, vicino-lontano forniscono una base estremamente ricca per la comprensione dei concetti in termini di orientamento. Ma l’orientamento ha dei limiti. La nostra esperienza degli oggetti fisici e delle sostanze fornisce un’ulteriore base per la comprensione, una base che va al di là del puro orientamento spaziale. Comprendere infatti le nostre esperienze in termini di oggetti e di sostanze ci permette di selezionare parti della nostra esperienza e di considerarle come entità discrete o sostanze di tipo uniforme. Una volta che abbiamo identificato le nostre esperienze come entità o sostanze, possiamo riferirci ad esse, categorizzarle, raggrupparle e quantificarle, e in questo modo possiamo riflettere su di esse. Anche quando gli oggetti fisici non sono precisamente delimitati e definiti, noi tuttavia fi categorizziamo come se lo fossero, ad esempio parlando di montagne, angoli di strada, siepi ecc. Un tal modo di guardare i fenomeni fisici è dettato dalla necessità di soddisfare certi propositi che noi abbiamo, come stabilire la posizione delle montagne, incontrarci agli angoli di strada, potare le siepi. Gli scopi umani in genere richiedono di imporre limiti artificiali ai fenomeni fisici in modo tale da renderli discreti, così come noi lo siamo: entità limitate da una superficie. Come le fondamentali esperienze dell’orientamento spaziale umano danno luogo alle metafore di orientamento, così le nostre esperienze con gli oggetti fisici (in particolare con i nostri corpi) forniscono le basi per una gamma estremamente ampia di metafore ontologiche, cioè modi di considerare eventi, necessità, attività, emozioni, idee ecc. come entità e sostanze. Le metafore ontologiche servono a vari scopi, e la varietà di tali scopi è riflessa nella varietà delle metafore di cui ci serviamo. Consideriamo ad esempio l’esperienza dell’aumento dei prezzi, che può essere vista metaforicamente come un’entità attraverso il nome inflazione, che ci dà la possibilità di riferirci all’esperienza stessa:

L’INFLAZIONE È UN’ENTITÀ L’inflazione sta abbassando il nostro livello di vita. Se vi sarà ancora un aumento di inflazione, non riusciremo più a sopravvivere. Abbiamo bisogno di combattere l’inflazione. L’inflazione ci sta mettendo con le spalle al muro. L’inflazione sta falciando i redditi. Comprare appartamenti è il modo migliore per far fronte all’inflazione.

In questi casi vedere l’inflazione come un’entità ci permette di riferirci ad essa, di quantificarla, di identificarne un particolare aspetto, di considerarla come una causa, di agire rispetto ad essa, e forse perfino di credere che riusciamo a capirla. Metafore ontologiche come questa sono necessarie perfino per tentare di affrontare in termini razionali le nostre esperienze. La gamma delle metafore ontologiche che utilizziamo per questi scopi è enorme. La lista seguente dà un’idea del tipo di scopi per cui le metafore ontologiche sono utilizzate, insieme ad alcuni esempi di esse. Riferirsi La mia paura degli insetti sta facendo diventare matta mia moglie. È stato un bel colpo. Stiamo lavorando per la pace. La classe media è una potente forza silenziosa nella politica americana. In questa guerra è in gioco l’onore del nostro paese. Quantificare Ci vorrà un sacco di pazienza per finire questo libro. C’è talmente tanto odio nel mondo! DuPont ha molto potere politico nel Delaware. Avete suscitato troppa ostilità nei vostri confronti. Identificare aspetti Il lato negativo del suo carattere viene fuori nei momenti critici. La brutalità della guerra disumanizza tutti noi. Non riesco a tenere il passo con il ritmo della vita moderna. La sua salute emotiva si è deteriorata recentemente. Non abbiamo mai sentito il brivido della vittoria in Vietnam. Identificare le cause Il peso delle sue responsabilità ha causato la sua crisi. È fuori di sé dalla rabbia. La nostra influenza nel mondo è in declino per la nostra mancanza di statura morale. A causa del dissenso interno hanno perduto l’egemonia. Stabilire gli obiettivi e motivare le azioni Egli venne a New York in cerca di successo e fortuna. Ecco quello che dovete fare per garantirvi la sicurezza economica. Sto cambiando il mio modo di vita in maniera da poter trovare la vera felicità.

L’FBI agirà prontamente di fronte a una minaccia alla sicurezza nazionale. Lei vede il matrimonio come una soluzione ai suoi problemi.

Come nel caso delle metafore di orientamento, molte di queste espressioni non sono nemmeno percepite come metaforiche, in parte perché le metafore ontologiche, come quelle di orientamento, servono a un numero molto limitato di scopi, come riferirsi, quantificare ecc. Di per sé il puro fatto di considerare un concetto astratto come un’entità o una sostanza non è sufficiente per comprendere meglio tale concetto; ma le metafore ontologiche possono venire ulteriormente elaborate. Consideriamo due esempi di come la metafora ontologica LA MENTE È UN’ENTITÀ è elaborata nella nostra cultura. LA MENTE È UNA MACCHINA La mia testa oggi non funziona. Oggi sono un po’ arrugginito. Abbiamo lavorato su questo problema tutto il giorno e ora stiamo perdendo energia. LA MENTE È UN OGGETTO FRAGILE Il suo io è molto fragile. Bisogna trattarlo con delicatezza da quando è morta sua moglie. Ha ceduto sotto interrogatorio. Lei è facilmente annientata. Quella esperienza Io ha distrutto. Sto andando a pezzi.

Queste metafore specificano tipi diversi di oggetti e ci danno modelli metaforici diversi di ciò che la mente è, permettendoci quindi di mettere a fuoco aspetti diversi dell’esperienza mentale. La metafora della MACCHINA ci dà un’idea della mente come dotata di stati acceso-spento, di un livello di efficienza, di capacita produttiva, di un meccanismo interno, di una fonte di energia e di condizioni di funzionamento, La metafora dell’OGGETTO FRAGILE non è altrettanto ricca e ci permette soltanto di riferirci alla forza psicologica. Comunque vi è un ambito di esperienze mentali che possono essere concepite in termini di entrambe le metafore; gli esempi che abbiamo in mente sono: Lui è esaurito (LA MENTE È UNA MACCHINA). Lui è andato a pezzi (LA MENTE È UN OGGETTO FRAGILE).

Le due metafore tuttavia non focalizzano esattamente lo stesso aspetto della esperienza mentale. Quando l’energia di una macchina è esaurita, essa semplicemente smette di funzionare. Quando un oggetto fragile si rompe, i

suoi pezzi volano in aria, con possibili conseguenze pericolose. Quindi, ad esempio, quando qualcuno impazzisce e diventa selvaggio e violento, sarebbe appropriato dire “è andato a pezzi”. D’altra parte, se qualcuno diventa apatico e incapace di funzionare per ragioni psicologiche, sarebbe più opportuno dire “Lui è esaurito”. Metafore ontologiche di questo tipo sono così naturali e così diffuse nel nostro pensiero, da venire normalmente considerate come autoevidenti, descrizioni dirette dei fenomeni mentali; la maggioranza di noi non si rende nemmeno conto che si tratta di espressioni metaforiche. Noi consideriamo asserzioni come “ha ceduto sotto la pressione” come direttamente vere o false. L’espressione fu infatti usata da vari giornalisti per spiegare perché Dan White si recò armato al Municipio di San Francisco e sparò, uccidendolo, al sindaco George Moscone. Spiegazioni di questo tipo sembrano perfettamente normali alla maggioranza di noi. La ragione è che metafore come LA MENTE È UN OGGETTO FRAGILE sono parte integrante del modello che nella nostra cultura noi abbiamo della mente, ed è sulla base di un tale modello che la maggior parte di noi pensa e agisce. 6.2 Le metafore del contenitore 6.2.1 Superfici territoriali Noi siamo esseri fisici delimitati e separati dal resto del mondo mediante la superficie della nostra pelle e l’esperienza che abbiamo del resto del mondo è di qualcosa di esterno a noi. Ognuno di noi è un contenitore con una superficie che ne delimita i confini e un orientamento dentro-fuori. Noi progettiamo il nostro stesso orientamento dentro-fuori su tutti gli altri oggetti fisici che sono delimitati da superfici e li concepiamo quindi come contenitori dotati di un interno e di un esterno. Le stanze e le case sono ovviamente contenitori, muoversi da una stanza all’altra significa muoversi da un contenitore all’altro, cioè andare fuori da una stanza e dentro in un’altra. Noi attribuiamo perfino agli oggetti solidi questo orientamento, come quando rompiamo un pezzo di pietra per vedere cosa c’è dentro. Analogamente imponiamo questo orientamento al nostro ambiente naturale: una radura in un bosco è vista come dotata di una superficie che la delimita e noi possiamo pensarci come nella radura o fuori dalla radura, nel bosco o fuori dal bosco. Una radura in un bosco ha qualcosa che può essere percepito come un limite

naturale, la zona indefinita dove gli alberi si diradano fino a scomparire e comincia la radura. Ma anche quando non vi è nessun confine fisico naturale che possa contribuire a definire un contenitore, noi imponiamo dei confini, delimitando un territorio in modo tale che esso abbia una parte interna e una superficie esterna, sia esso un muro, una siepe, una linea o un piano astratto. Pochi istinti umani sono più elementari della territorialità. Questo modo di definire un territorio, ponendo un confine attorno ad esso, è un atto di quantificazione. Gli oggetti delimitati, siano essi esseri umani, rocce o superfici di terreno, hanno delle dimensioni, quindi possono venire quantificati nei termini della quantità di sostanza che essi contengono. Il Kansas, ad esempio, è un’area delimitata - un CONTENITORE - e questa è la ragione per cui possiamo dire “C’è molta terra nel Kansas”. Le sostanze stesse possono essere viste come contenitori. Consideriamo ad esempio una vasca d’acqua: quando si entra nella vasca, si entra nell’acqua; sia la vasca sia l’acqua sono viste come contenitori, ma di tipo diverso. La vasca è un OGGETTO-CONTENITORE, mentre l’acqua è una SOSTANZA-CONTENITORE. 6.2.2 Il campo visivo Noi concettualizziamo il campo visivo come un contenitore e ciò che vediamo come interno ad esso. Perfino il termine “campo visivo” suggerisce questa interpretazione. Tale metafora è di tipo naturale e deriva dal fatto che quando noi guardiamo un qualunque territorio (terra, pavimento ecc.) il nostro campo visivo definisce un limite a tale spazio, e precisamente la parte che noi possiamo vedere. Dato che uno spazio fisicamente delimitato è un CONTENITORE e che il nostro campo visivo è correlato con questo spazio delimitato, il concetto metaforico i CAMPI VISIVI SONO CONTENITORI ne consegue naturalmente. Così possiamo dire. Sta entrando nel mio campo visivo. Non posso vederlo, ci sono degli alberi in mezzo. È fuori di vista ora. È nel centro del mio campo visivo. Non c’è nulla in vista.

6.2.3 Eventi, azioni, attività e stati

Noi usiamo metafore ontologiche per comprendere eventi, azioni, attività e stati. Eventi e azioni sono concettualizzati metaforicamente come oggetti, le attività come sostanze, gli stati come contenitori. Una gara di corsa, ad esempio, è vista come un evento, che a sua volta è considerato come una entità discreta. La gara ha luogo in un tempo e in uno spazio definiti, con precisi confini, e viene quindi percepita come un OGGETTO CONTENITORE, che ha al suo interno dei partecipanti (che sono oggetti), degli eventi, come la partenza e l’arrivo (che sono oggetti metaforici), e l’attività del correre (che è una sostanza metaforica). Quindi di una gara di corsa si può dire: Eri nella gara domenica? (gara come OGGETTO CONTENITORE). Sei andato alla gara? (gara come OGGETTO). Hai visto la gara? (gara come OGGETTO). L’arrivo della gara è stato davvero entusiasmante (la fine come un OGGETTO EVENTO dentro un OGGETTO CONTENITORE). Non avevo più molto scatto alla fine (lo scatto come una SOSTANZA). A metà della gara, ero senza più energia (la gara come un OGGETTO CONTENITORE). È fuori gara ormai (la gara come un OGGETTO CONTENITORE).

Le attività in generale sono viste metaforicamente come SOSTANZE e quindi come CONTENITORI: Nel lavare i vetri, ho rovesciato l’acqua sul pavimento. Come se l’è cavata Jerry nel lavare i vetri? Oltre al lavare i vetri, cos’altro hai fatto?

Le attività dunque sono viste come contenitori per le azioni e per altre attività da cui sono composte. Inoltre sono viste come contenitori per l’energia e per i materiali che esse richiedono, e per i loro sottoprodotti, che possono essere visti come interni ad esse, o come derivati da esse: Ho messo un sacco di energia nel lavare i vetri. Ho ricavato una grande soddisfazione dal lavare i vetri. Vi è un sacco di soddisfazione nel lavare i vetri.

Vari tipi di stati possono venire concettualizzati come contenitori, ad esempio: È in crisi. Siamo fuori dai guai ora. Sta uscendo dal coma.

Sto lentamente tornando in forma. È entrato in uno stato di euforia. È caduto in una depressione. È finalmente uscito dallo stato catatonico in cui era dal momento in cui ha finito gli esami.

7. PERSONIFICAZIONE

Forse i più ovvi esempi di metafore ontologiche sono quelli in cui gli oggetti fisici sono ulteriormente specificati come se fossero persone. Ciò ci permette di comprendere un’ampia serie di esperienze con entità non umane in termini di motivazioni, caratteristiche e attività umane. Ad esempio: La sua teoria mi ha spiegato il comportamento dei polli allevati in fattoria. Questo fatto mette in discussione le normali teorie. La vita mi ha ingannato. L’inflazione sta mangiando i nostri profitti. La sua religione gli impone di non bere vini francesi di marca. L’esperimento di Michelson-Morley ha dato vita a una nuova teoria fisica. Il cancro alla fine ha avuto la meglio su di lui.

In ognuno di questi casi qualcosa di non umano viene visto come umano. La personificazione tuttavia non è un singolo e unificato processo generale, ma ogni volta vengono considerati aspetti umani diversi, ad esempio: L’inflazione ha attaccato le basi della nostra economia. L’inflazione ci ha messo con le spalle al muro. Il nostro maggiore nemico in questo momento è l’inflazione. Il dollaro è stato distrutto dall’inflazione. L’inflazione mi ha derubato dei miei risparmi. L’inflazione l’ha fatta in barba alle migliori menti economiche del nostro paese. L’inflazione ha fatto nascere una generazione che sta più attenta ai soldi.

In questi casi l’inflazione è personificata, ma attraverso una metafora che non è semplicemente L’INFLAZIONE È UNA PERSONA, ma, più precisamente, L’INFLAZIONE È UN AVVERSARIO. Tale metafora non rappresenta solo un modo di pensare all’inflazione, ma determina anche le forme della nostra azione nei confronti dell’inflazione, essa diventa così un avversario che ci può attaccare, colpire, derubare e perfino distruggere. La metafora L’INFLAZIONE È UN AVVERSARIO produce e giustifica quindi particolari azioni politiche ed economiche da parte del governo, come dichiarare guerra all’inflazione, stabilire degli obiettivi, fare appello allo spirito di sacrificio, instaurare una nuova gerarchia di comando. La personificazione è insomma una categoria generale che copre un ampio numero di metafore, ognuna delle quali seleziona differenti aspetti di una persona, o differenti modi di considerare una persona.

Ciò che tutte queste metafore hanno in comune è di essere estensioni di metafore ontologiche e di permetterci di dare un senso a fenomeni del mondo in termini umani, cioè in termini che siamo in grado di comprendere sulla base delle nostre stesse motivazioni, azioni, scopi e caratteristiche. Per la maggior parte delle persone l’unica possibilità di dare un senso a un concetto astratto come l’inflazione risiede nel potere esplicativo della metafora che ci fa vedere l’inflazione in termini umani. Quando soffriamo gravi danni economici dovuti a complessi fattori politici ed economici che nessuno riesce realmente a capire, la metafora L’INFLAZIONE È UN NEMICO ci dà almeno una descrizione coerente del perché stiamo soffrendo questi danni.

8. METONIMIA

Nei casi di personificazione che abbiamo ora considerato noi attribuiamo qualità umane a cose che non sono umane, come teorie, malattie, inflazione ecc. In questi casi non c’è nessun preciso essere umano a cui ci si riferisce. Quando diciamo “l’inflazione mi ha derubato dei miei risparmi”, noi non utilizziamo il termine “inflazione” per riferirci a una persona. Questi esempi vanno distinti da altri casi, come “il panino al prosciutto sta aspettando il conto”, in cui l’espressione “panino al prosciutto” viene usata per riferirsi a una persona reale, quella che ha ordinato il panino. Questi casi non sono esempi di metafore di personificazione, dal momento che non stiamo attribuendo qualità umane al “panino al prosciutto” per comprenderne il concetto, ma usiamo invece un’entità per riferirci a un’altra che è ad essa collegata. Questo è un esempio di metonimia. Ecco altri casi: A lui piace leggere il Marchese de Sade (= gli scritti del marchese). Lui è nel cinema (= nella professione del cinema). L’acrilico è subentrato nel mondo dell’arte (= l’uso del colore acrilico). Il Times non è ancora arrivato alla conferenza stampa (= l’inviato del Times). Mrs. Grundy disapprova i blue jeans (= il fatto di indossare i blue jeans). Dei tergicristalli nuovi lo faranno contento (= il fatto di avere dei tergicristalli nuovi).

Consideriamo come un caso particolare di metonimia quella figura che la retorica classica ha chiamato sineddoche, in cui la parte sta per il tutto, come negli esempi seguenti: LA PARTE PER IL TUTTO L’automobile sta intasando le nostre strade (= la massa delle automobili). Abbiamo bisogno di due braccia robuste per la nostra squadra (= una persona forte). Ci sono molti buoni cervelli all’università (= persone intelligenti). Abbiamo bisogno di nuova linfa nell’organizzazione (= nuove persone).

In questi casi, come negli altri casi di metonimia, una entità viene usata per riferirsi a un’altra. Metafora e metonimia sono due diversi tipi di processi: la metafora è fondamentalmente un modo di concepire una cosa in termini di un’altra e la sua funzione principale è la comprensione; la metonimia invece ha soprattutto una funzione referenziale, cioè ci permette di usare una entità che sta al posto di un’altra. Ma la metonimia non è puramente un dispositivo referenziale, essa adempie anche la funzione di fornire comprensione. Ad esempio, nel caso della metonimia LA PARTE PER IL TUTTO vi sono

diverse partì che possono stare per il tutto. La scelta di una di esse piuttosto che un’altra, determina su quale aspetto del tutto ci concentriamo. Quando diciamo che abbiamo bisogno di “buoni cervelli” per il progetto di ricerca, usiamo l’espressione “buoni cervelli” per “persone intelligenti”; ma il punto non è solo di usare una parte qualsiasi (la testa) per riferirsi al tutto (la persona), ma piuttosto di selezionare una particolare caratteristica della persona, e precisamente l’intelligenza, che è associata con la testa. Lo stesso procedimento vale per altri tipi di metonimia. Quando diciamo “Il Times non è ancora arrivato alla conferenza stampa” usiamo l’espressione “Il Times” non soltanto per riferirci a un giornalista invece che a un altro, ma anche per suggerire l’importanza dell’istituzione che quel giornalista rappresenta. Quindi l’espressione “Il Times non è ancora arrivato alla conferenza stampa” significa qualcosa di diverso da “Steve Roberts non è ancora arrivato alla conferenza stampa” anche se Steve Roberts può essere il giornalista del Times in questione. La metonimia quindi serve alcuni degli stessi scopi della metafora, e in un certo senso nello stesso modo, ma essa ci permette di focalizzare in modo più specifico certi aspetti di ciò a cui ci stiamo riferendo. Come la metafora, essa non è un puro strumento poetico o retorico, né è una pura questione di linguaggio. I concetti metonimici (come LA PARTE PER IL TUTTO) sono parte del nostro quotidiano e abituale modo di pensare, agire e parlare. Ad esempio, nel nostro sistema concettuale abbiamo un caso particolare della metonimia LA PARTE PER IL TUTTO, e precisamente LA FACCIA PER LA PERSONA: Lei è solo un bel faccino. Ci sono un sacco di orrende facce fuori in attesa. Abbiamo bisogno di facce nuove.

Questa metonimia è particolarmente attiva nella nostra cultura: tutta la tradizione dei ritratti, sia in pittura che in fotografia, è basata su di essa. Se mi chiedete di mostrarvi una fotografia di mio figlio, e io vi mostro una fotografia della sua faccia, vi considerate soddisfatti e ritenete di aver realmente visto una sua fotografia; se vi mostrassi una foto del suo corpo senza faccia, lo trovereste strano e non ne sareste soddisfatti. In questo caso potreste perfino chiedere: “Ma qual è il suo aspetto?”. La metonimia LA FACCIA PER LA PERSONA non è quindi puramente una questione di linguaggio. Nella nostra cultura noi guardiamo la faccia di una persona,

piuttosto che il suo atteggiamento o i suoi movimenti, per ricavare le fondamentali informazioni su come è quella data persona. Quando percepiamo una persona nei termini della sua faccia e ci comportiamo sulla base di queste percezioni, stiamo funzionando sulla base di una metonimia. Come le metafore, le metonimie non sono occorrenze casuali e arbitrarie, che possono essere trattate come manifestazioni isolate; anche i concetti metonimici sono sistematici, come si può vedere dai seguenti rappresentativi esempi che esistono nella nostra cultura. LA PARTE PER IL TUTTO Muovi il culo da qui. Non assumiamo capelloni. La Nazionale ha bisogno di piedi buoni. IL PRODUTTORE PER IL PRODOTTO Prenderò una Löwenbräu. Ho comprato una Ford. Ha un Picasso nel suo studio. Odio leggere Heidegger. L’OGGETTO USATO PER L’UTENTE Il sassofono ha l’influenza oggi. Il panino al prosciutto ha lasciato una mancia scarsa. Il tennis italiano ha bisogno di buone racchette. Oggi gli autobus sono in sciopero. IL COMANDANTE PER IL COMANDATO Nixon ha bombardato Hanoi. Ozawa ha dato un terribile concerto l’altra sera. Napoleone ha perso a Waterloo. Una Mercedes mi ha tamponato. L’ISTITUZIONE PER LE PERSONE RESPONSABILI Esso ha nuovamente alzato i prezzi. Non riuscirete mai a fare accettare all’università le vostre proposte. L’Esercito vuole reistituire la leva obbligatoria. Il Senato pensa che l’aborto sia immorale. Io non approvo le azioni del governo. IL LUOGO PER L’ISTITUZIONE La Casa Bianca non si pronuncia. Washington è insensibile alle necessità della gente. Il Cremlino ha minacciato di boicottare il prossimo incontro per il SALT. Parigi sta lanciando le gonne lunghe per la prossima stagione. Hollywood non è più quello che era un tempo. Wall Street è in preda al panico. IL LUOGO PER L’EVENTO

Non lasciamo che la Thailandia diventi un altro Vietnam. Ricordatevi di Alamo. Pearl Harbor pesa ancora sulla nostra politica estera. Watergate ha cambiato la nostra politica.

Concetti metonimici come questi sono sistematici allo stesso modo dei concetti metaforici; le frasi precedenti non sono casuali, ma sono esempi di certi concetti metonimici generali sulla cui base organizziamo i nostri pensieri e le nostre azioni. Tali concetti metonimici ci permettono di concettualizzare una cosa per mezzo delle sue relazioni con qualcos’altro. Quando pensiamo a un Picasso, non ci riferiamo a un capolavoro isolato, in sé e per sé, ma lo poniamo in relazione con l’artista, cioè con la sua concezione dell’arte, la sua tecnica, il suo ruolo nella storia dell’arte ecc. Ci comportiamo con rispetto nei confronti di un Picasso, fosse pure uno schizzo fatto quando era ragazzo, a causa della sua relazione con l’artista. Questo è un modo in cui la metonimia IL PRODUTTORE PER IL PRODOTTO incide sia sul nostro pensiero che sulla nostra azione. Analogamente quando una cameriera dice “Il panino al prosciutto vuole il suo conto”, essa non è interessata alla persona in quanto persona, ma solo in quanto cliente, e per questo l’uso di una espressione del genere è disumanizzante. Nixon non ha sganciato personalmente le bombe su Hanoi, ma attraverso la metonimia IL COMANDANTE PER IL COMANDATO, non solo noi diciamo “Nixon ha bombardato Hanoi” ma anche pensiamo a lui come colui che ha effettivamente compiuto l’azione e lo consideriamo responsabile di essa. Anche in questo caso ciò è possibile a causa della natura della relazione metonimica nella metonimia IL COMANDANTE PER IL COMANDATO, che mette in rilievo la responsabilità. Quindi, come nel caso delle metafore, i concetti metonimici strutturano non solo il nostro linguaggio, ma anche i nostri pensieri, le nostre attitudini, le nostre azioni. Inoltre, come i concetti metaforici, anche quelli metonimici sono basati sulla nostra esperienza, e generalmente in una forma più evidente, dal momento che la metonimia comunemente implica dirette associazioni di tipo fisico o causale. La metonimia LA PARTE PER IL TUTTO ad esempio deriva dalla nostra esperienza di come in genere le parti sono relate con il tutto. IL PRODUTTORE PER IL PRODOTTO è basato su una relazione causale (e tipicamente fisica) fra il produttore e il suo prodotto, IL LUOGO PER L’EVENTO è radicato nella nostra esperienza sulla collocazione fisica

degli eventi, e così via. Il simbolismo culturale e religioso rappresenta un caso particolare di metonimia. Per i cristiani, ad esempio, vi è la metonimia LA COLOMBA PER LO SPIRITO SANTO, un simbolismo che, come è tipico delle metonimie, non è arbitrario, ma è basato sulla concezione della colomba nella cultura occidentale e sulla concezione dello Spirito Santo nella teologia cristiana. Vi è un motivo per cui è la colomba a simbolizzare lo Spirito Santo e non, poniamo, il pollo, l’avvoltoio o lo struzzo. La colomba è percepita come bella, amichevole, mite e, soprattutto, portatrice di pace; in quanto uccello il suo habitat naturale è il cielo, che sta metonimicamente per il paradiso, il luogo naturale dello Spirito Santo. La colomba è un uccello che vola in modo aggraziato, plana silenziosamente ed è tipicamente vista come qualcosa che scende dal cielo fra gli uomini. I sistemi concettuali delle culture e delle religioni sono metaforici nella loro natura. Le metonimie simboliche sono dei legami cruciali fra l’esperienza quotidiana e i sistemi metaforici coerenti che caratterizzano le religioni e le culture. Le metonimie simboliche che sono basate sulla nostra esperienza fisica forniscono un mezzo essenziale per comprendere i concetti religiosi e culturali.

9. CRITICHE ALLA COERENZA METAFORICA

Finora abbiamo mostrato come metafore e metonimie non siano casuali ma formino invece sistemi coerenti sulle cui basi concettualizziamo la nostra esperienza. È facile tuttavia trovare apparenti incoerenze nelle espressioni metaforiche del linguaggio quotidiano. Pur non avendo fatto uno studio completo di tutti questi casi, quelli che abbiamo considerato in dettaglio non si sono rivelati per nulla incoerenti, sebbene sembrassero tali in un primo momento. Consideriamo due esempi. 9.1 Un’apparente contraddizione metaforica Charles Fillmore ha osservato (in una conversazione) che in inglese sembrano esservi due modi contraddittori di organizzare il tempo. Nel primo il futuro è di fronte e il passato è di dietro: Nelle settimane che abbiamo davanti… (futuro). Tutto ciò è alle nostre spalle… (passato).

Nel secondo caso il futuro è dietro e il passato è di fronte: Nelle settimane seguenti… (futuro). Nelle settimane precedenti… (passato).

Questa sembra essere una contraddizione nell’organizzazione metaforica del tempo. Inoltre le metafore apparentemente contraddittorie possono venire combinate insieme senza danno come in: Davanti a noi stavano le settimane seguenti.

In questo caso davanti organizza il futuro davanti, mentre seguenti lo organizza dietro. Per individuare la coerenza in questo caso, dobbiamo prima di tutto considerare alcuni fattori concernenti l’organizzazione davanti-dietro. Alcune cose, come le persone o le automobili, hanno nella loro struttura un’inerente organizzazione in termini di davanti-dietro; altre, come gli alberi, non ce l’hanno. Una roccia può ricevere una organizzazione davanti-dietro in certe circostanze.

Supponiamo di guardare un masso di media misura e che vi sia una palla fra noi e quel masso, a circa trenta centimetri dal masso. In un caso come questo è appropriato dire “la palla è davanti al masso”; il masso ha ricevuto un orientamento davanti-dietro, come se avesse davvero una parte anteriore che ci sta di fronte. Tutto ciò non è universale, perché vi sono delle lingue, come ad esempio lo hausa, in cui il masso riceverebbe un orientamento opposto e sarebbe corretto dire che la palla è dietro al masso nel caso in cui essa fosse fra l’osservatore e la roccia. Gli oggetti che si muovono generalmente ricevono un orientamento davanti-dietro tale che il davanti è nella direzione del movimento (o in quella che si può considerare come direzione canonica di movimento, per cui una automobile che procede a marcia indietro mantiene il suo davanti). Un satellite sferico, ad esempio, che non ha un davanti, lo acquisisce qualora lo si consideri nella sua orbita, a causa della direzione in cui si sta muovendo. In italiano o in inglese il tempo è strutturato in termini della metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE, in cui il futuro si muove verso di noi: Verrà un tempo in cui… Se n’è ormai andato il tempo in cui… Il tempo dell’azione è arrivato.

Il proverbio “il tempo vola” è un esempio della metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE. Dal momento che siamo rivolti verso il futuro, abbiamo espressioni come: Previsto nelle settimane a venire… Sto aspettando con ansia l’arrivo del Natale. Abbiamo davanti a noi una grande possibilità e non vogliamo lasciarcela sfuggire.

Per mezzo della metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE, il tempo riceve un orientamento davanti-dietro nella direzione del movimento, come ogni altro oggetto in movimento. Il futuro quindi è di fronte a noi e si muove verso di noi, come si può vedere da espressioni quali: Non posso guardare in faccia il futuro. Il volto degli avvenimenti a venire… Guardiamo in faccia il futuro.

Ora, mentre espressioni come davanti a noi e prima di noi orientano il tempo rispetto alle persone, espressioni come precedente e seguente lo

orientano rispetto al tempo stesso. Abbiamo così: La prossima settimana e la settimana seguente.

ma non: La settimana seguente me…

Dal momento che i tempi futuri sono rivolti verso di noi, i tempi che li seguono sono più lontani nel futuro, e tutti i tempi futuri seguono il presente. Per questo motivo le settimane seguenti sono la stessa cosa delle settimane davanti a noi. Lo scopo di questo esempio non era solo mostrare che non vi è contraddizione fra le varie metafore, ma anche mettere in luce tutti i sottili dettagli implicati; la metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE, l’orientamento davanti-dietro attribuito al tempo in base al fatto di essere un oggetto che si muove, e l’uso consistente di espressioni come seguente, precedente e in faccia applicate al tempo sulla base della precedente metafora. Tutta questa dettagliata e consistente struttura metaforica è parte del nostro linguaggio quotidiano riguardo il tempo, così abituale per noi che ci riesce difficile notarlo. 9.2 Coerenza vs consistenza Abbiamo mostrato che la metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE si MUOVE è dotata di un’interna consistenza. Ma vi è un altro modo in cui noi concettualizziamo il passare del tempo: IL TEMPO STA FERMO E NOI CI MUOVIAMO ATTRAVERSO DI ESSO Avanzando negli anni… Procedendo oltre negli anni Ottanta… Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno.

Abbiamo qui due sottocasi di IL TEMPO CI SUPERA: in un caso noi ci muoviamo e il tempo è fermo, nell’altro è il tempo a muoversi e noi restiamo fermi. Ciò che è comune, è il concetto di movimento relativo rispetto a noi, in cui il futuro è davanti a noi e il passato dietro. Vi sono quindi due sottocasi della stessa metafora, come si può vedere nel diagramma:

In altri termini si potrebbe dire che le due metafore hanno una principale implicazione in comune, in quanto entrambe implicano che, dal nostro punto di vista, il tempo ci supera dal davanti verso dietro. Sebbene le due metafore non siano consistenti (cioè non formano un’unica immagine), esse tuttavia “si combinano insieme” grazie al loro essere sottocategorie di una stessa categoria principale e quindi all’avere in comune un’implicazione fondamentale. Vi è una differenza tra le metafore che sono coerenti fra loro (cioè “si combinano insieme”) e quelle che sono consistenti; secondo la nostra analisi le relazioni fra metafore implicano più frequentemente coerenza che consistenza. Consideriamo ad esempio un’altra metafora: L’AMORE È UN VIAGGIO Guarda come siamo andati lontano. Siamo a un bivio. Ora abbiamo solo da separare le nostre strade. Non possiamo tornare indietro ora. Non credo che questo rapporto stia andando da nessuna parte. Dove siamo? Siamo bloccati. È stato un lungo cammino accidentato. La relazione è in un vicolo cieco. Il nostro matrimonio sta andato a picco. Siamo su un binario morto. La nostra relazione sta affondando.

In questo caso la metafora fondamentale è quella del VIAGGIO; vi sono poi vari tipi di viaggi che uno può fare: in macchina, in treno, in nave.

Anche in questo caso non vi è un’unica immagine consistente, che si combina con tutte le metafore del VIAGGIO; ciò che rende tutte queste metafore coerenti è il fatto che esse sono tutte metafore di VIAGGIO, sebbene si riferiscano a diversi mezzi di trasporto. Qualcosa di analogo avviene con la metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE dove sono presenti diverse modalità di movimento, come il tempo vola, il tempo scorre, il tempo passa veloce. In generale i concetti metaforici non sono definiti in termini di immagini concrete (volare, scorrere, andare per strada ecc.), ma in termini di categorie più generali, come il passare.

10. ULTERIORI ESEMPI

Abbiamo detto che le metafore strutturano parzialmente i nostri concetti quotidiani e che questa struttura si riflette nel nostro linguaggio. Prima di procedere a una discussione generale delle implicazioni filosofiche di una tale posizione, dobbiamo considerare altri esempi. Per ognuno di essi indicheremo la metafora e un elenco di espressioni comuni che rappresentano, casi speciali di quella metafora. Le espressioni italiane sono di due tipi: semplici espressioni letterali e frasi idiomatiche che si combinano con la metafora e che fanno parte del nostro modo quotidiano di parlare di quel dato argomento. LE TEORIE (E GLI ARGOMENTI) SONO COSTRUZIONI Sono queste le fondamenta della tua teoria? La teoria ha bisogno di maggiore sostegno. L’argomento è traballante. Abbiamo bisogno di più fatti, o il nostro argomento crollerà. Abbiamo bisogno di costruire un solido argomento per questo. Non ho ancora stabilito quale sarà la forma dell’argomento. Ecco alcuni fatti che possono puntellare la teoria. Dobbiamo rafforzare la teoria con solidi argomenti. La teoria starà in piedi o crollerà a seconda della forza di questo argomento. L’argomento è crollato. Hanno distrutto la sua ultima teoria. Mostreremo che questa teoria è senza, fondamenta. Finora abbiamo costruito l’impalcatura della nostra teoria. LE IDEE SONO CIBI Quello che lui ha detto mi ha lasciato in bocca un sapore amaro. Tutto quello che c’è in questo articolo sono crudi fatti e idee precotte. Ci sono troppi dati qui perché io li possa digerire tutti. Quella richiesta non riesco a mandarla giù. Questo argomento sa di stantio. Lasciamolo maturare, per un po’. Questa teoria è pane per i tuoi denti. Dobbiamo filtrare criticamente questa idea. Questo è cibo per le nostre menti, È un lettore vorace. Ha divorato quel libro. Non dobbiamo imboccare gli studenti. Lasciamo cuocere questa idea a fuoco lento per un po’. Questa è la parte più succosa dell’articolo. Questa idea ha fermentato per anni.

Rispetto alla vita e alla morte le IDEE SONO ORGANISMI, sia nel senso di PERSONE che di PIANTE. LE IDEE SONO PERSONE La teoria della relatività ha fatto nascere molte nuove idee in fisica. Egli è il padre della moderna biologia. Da quale cervello è nata questa idea? Guarda cosa hanno generato queste idee. Queste idee sono morte nel Medioevo. Le sue idee vivranno per sempre. La psicologia cognitiva è ancora nella sua infanzia. Bisognerebbe far rivivere questa idea. Dove avete tirato fuori questa idea? Egli ha infuso nuova vita in quella idea. LE IDEE SONO PIANTE Finalmente le sue idee hanno dato frutti. È una teoria che sta germogliando. Ci vorranno anni prima

che questa idea maturi. Secondo lui la chimica ha le radici nella fisica. La matematica ha molti rami. I semi di questa grande idea furono piantati nella gioventù. Lei ha una fertile immaginazione. Questa è un’idea che vorremmo radicare nelle vostre menti. Ha una mente fertile. LE IDEE SONO PRODOTTI State davvero sfornando nuove idee. Abbiamo generato molte idee questa settimana. Egli produce nuove idee con una facilità incredibile. La sua produttività intellettuale è diminuita negli ultimi anni. Dobbiamo: sgrossare quella idea, affinarla, smussarla. È un’idea grezza che ha bisogno di essere rifinita. LE IDEE SONO MERCI È importante il modo in cui confezionate le vostre idee. Quest’idea non paga. C’è sempre un mercato per le buone idee. È un’idea che non vale niente. Egli è stato una fonte di idee preziose. Questa idea non vale un soldo bucato. Le tue idee non hanno possibilità nel mercato intellettuale. LE IDEE SONO RISORSE Siamo rimasti senza idee. Quel libro è una miniera di idee. Non sprecare le tue idee in progetti di poco conto. È un uomo pieno di risorse. Abbiamo consumato tutte le nostre idee. Questa è un’idea inutile. Questa idea farà strada. LE IDEE SONO SOLDI È ricco di idee. Ha una grande ricchezza di idee. LE IDEE SONO STRUMENTI TAGLIENTI Questa è un’idea incisiva. Ciò va dritto al cuore della questione. Quella fu un’osservazione tagliente. Lui è acuto. La sua intelligenza è come un rasoio. Ha una mente penetrante. Lei ha fatto a fettine la sua argomentazione. LE IDEE SONO MODE Questa idea è passata di moda da anni. Ho sentito che la sociobiologia molto di moda adesso. Il marxismo è molto di moda nell’Europa occidentale. Questa idea è vecchio stile. Questa è un’idea superata. Quali sono le nuove tendenze nella critica inglese? Le nozioni vecchio stile non hanno più posto nella società d’oggi. Egli si tiene al corrente leggendo la New York Review of Books. Berkeley è un centro di pensiero d’avanguardia. La semiotica e diventata piuttosto chic. L’idea della rivoluzione non è più in voga nell’unione Sovietica. La mania della grammatica trasformazionale ha colpito gli Stati Uniti nella metà degli anni Sessanta e sta ora diffondendosi in Europa. CAPIRE È VEDERE; LE IDEE SONO SORGENTI DI LUCE; IL DISCORSO È UN CONDUTTORE DI LUCE Vedo la contraddizione. Ciò appare diverso dal mio punto di vista. Qual è la tua prospettiva su questo punto? Io la vedo diversamente. Ora ha il quadro completo. Lascia che ti mostri qualcosa. Questa idea è illuminante. Quella fu un’osservazione brillante. L’argomento è chiaro. È stata una discussione oscura. Potete chiarificare le vostre obiezioni? È un argomento trasparente. L’AMORE È UNA FORZA FISICA (ELETTROMAGNETICA, GRAVITAZIONALE, ECC.) Potevo sentire l’elettricità fra noi. Sono volate scintille. Ero attratto magneticamente da lei. Sono reciprocamente attratti in modo incontrollabile. Gravitarono uno verso l’altro immediatamente. Tutta la sua vita ruota attorno a lei. L’atmosfera attorno a loro è sempre carica. C’è un’incredibile energia nella loro relazione.

L’AMORE È UN PAZIENTE Questa relazione è malata. Essi hanno un forte e sano matrimonio. Il matrimonio è morto, non lo si può far rinascere. Il loro matrimonio sta migliorando. Ci stiamo rimettendo in piedi. Il loro rapporto è davvero in buona forma. Il loro matrimonio sta tirando gli ultimi. È un rapporto stanco. L’AMORE È FOLLIA Sono pazzo di lei. Lei mi fa uscire di senno. Lui farnetica continuamente su di lei. Sta diventando matto per lei. Sono stravolta per Harry. Sono fuori di me per lei. L’AMORE È MAGIA Lei mi ha ammaliato. La magia se n’è andata. Sono rimasto incantato. Lei mi ha ipnotizzato. Mi ha fatto cadere in uno stato di trance. Mi ha estasiato. Sono affascinato da lei. Lei mi ha stregato. L’AMORE È GUERRA Egli è famoso per le sue numerose rapide conquiste. Lei ha lottato per lui, ma alla fine ha vinto l’amante. È scappato alle avances di lei. Lei lo sta inseguendo in modo inesorabile. Lui sta lentamente guadagnando terreno su di lei. Ha conquistato la sua mano. Lui la opprimeva. Lei è assediata dai corteggiatori. Lui deve schivarli. Lui ha ottenuto l’appoggio degli amici di lei. Si è fatto un alleato nella madre di lei. LA RICCHEZZA È UN OGGETTO NASCOSTO. Sta cercando fortuna. È un cacciatore di fortuna. Lui ha perso le sue fortune. Sta cercando la ricchezza. CIÒ CHE È SIGNIFICATIVO È GRANDE È un grande uomo nel settore dell’abbigliamento. È un gigante fra gli scrittori. Questa è la più grande idea per far colpo in pubblicità, da anni. È una spanna al di sopra di ogni altro nell’industria. Era solo un piccolo crimine. Sono rimasto sbalordito dalla enormità del crimine. È stata solo una piccola innocente bugia. Quello fu uno dei più grandi momenti nella storia del paese. Le sue qualità dominano troneggiano su quelle degli uomini da meno. VEDERE È TOCCARE; GLI OCCHI SONO MEMBRA Non posso toglierle gli occhi di dosso. Si è seduto con gli occhi incollati alla televisione. I loro occhi si incontrarono. Lei non stacca mai gli occhi dalla sua faccia. Ha fatto scorrere gli occhi su ogni cosa nella stanza. Vuole ogni cosa a cui può arrivare con gli occhi. GLI OCCHI SONO CONTENITORI DELLE EMOZIONI Potevo vedere la paura nei suoi occhi. I suoi occhi erano pieni di rabbia. C’era passione negli occhi di lei. I suoi occhi mostravano la sua compassione. L’amore è evidente nei suoi occhi. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime. L’EFFETTO EMOTIVO È CONTATTO FISICO La morte di sua madre lo ha colpito duramente. Quell’idea mi ha steso. Quella ragazza è uno schianto. Fui colpito dalla sua sincerità. Ciò mi ha realmente fatto molta impressione. Egli ha lasciato la sua impronta nel mondo. Sono rimasto colpito dalle sue osservazioni.

GLI STATI FISICI ED EMOTIVI SONO ENTITÀ INTERNE ALLA PERSONA Ha un dolore alle spalle. Non attaccarmi l’influenza. Il raffreddore mi è andato dalla testa al petto. I suoi dolori se ne sono andati. La sua depressione è ritornata. Tè caldo e miele ti libereranno dalla tosse. Egli poteva a stento trattenere la sua gioia. Il sorriso abbandonò il suo viso. Togli quel sogghigno dalla tua faccia! Le sue paure tendono a ritornare. Devo scuotermi di da capo questa depressione, continua a starmi attaccata. Se hai preso il raffreddore, bere molto tè lo farà andare via. Non c’è nessuna traccia di vigliaccheria in lui. Non c’è un briciolo di onestà in lui. LA VITALITÀ È UNA SOSTANZA Lei trabocca di energia e vigore. È straripante di vitalità. È privo di energia. Non mi resta nessuna energia alla fine della giornata. Sono prosciugato. Ciò mi porta via molto delle mie forze. LA VITA È UN CONTENITORE Ho avuto una vita piena. La vita è vuota per lui. Non è rimasto molto nella vita per lui. La sua vita è piena di attività. Ricava più che puoi dalla vita. La sua vita racchiude una gran dose di dolore. Vivi la tua vita nel modo più pieno che puoi. LA VITA È UN GIOCO D’AZZARDO Correrò i miei rischi. Le probabilità sono contro di me. Ho un asso nella manica. Sta tenendosi tutti gli assi. È un fare a testa o croce. Se giochi bene le tue carte, puoi farcela. Ha vinto alla grande. Egli è un vero perdente. Dovresti scoprire le tue carte. Questo è il mio asso nella manica. Sta bluffando. Apriamo “al buio”. Rilanciamo! La posta in gioco è alta.

Nell’ultimo gruppo di esempi abbiamo una collezione di cosiddette “frasi fatte”, o espressioni dalla forma prefissata. Esse funzionano, sotto molti aspetti, come singoli termini, e se ne possono trovare migliaia nel linguaggio. Negli esempi che abbiamo dato, un insieme di tali frasi fatte è coerentemente strutturato da un unico concetto metaforico. Anche se ognuna di queste espressioni è un’esemplificazione della metafora LA VITA È UN GIOCO D’AZZARDO, esse sono generalmente usate per parlare della vita e non del gioco d’azzardo. Esse rappresentano modi normali di parlare di varie situazioni di vita: usare il termine “costruire” è un modo normale per parlare delle teorie. È in questo senso che includiamo queste espressioni in quelle che abbiamo definito espressioni letterali strutturate da concetti metaforici. Se voi dite “Le probabilità sono contro di noi” o “dobbiamo prendere i nostri rischi “, voi non considerereste tali espressioni metaforiche, ma forme normali del linguaggio quotidiano appropriate alla situazione; tuttavia il vostro modo di parlare, di pensare e perfino di vivere la vostra situazione sarebbe strutturato metaforicamente.

11. LA NATURA PARZIALE DELLA STRUTTURAZIONE METAFORICA

Finora abbiamo descritto il carattere sistematico dei concetti definiti metaforicamente. Tali concetti sono compresi sulla base di differenti metafore (ad esempio, IL TEMPO È DENARO, IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE ecc.). La strutturazione metaforica dei concetti è necessariamente parziale ed è riflessa nel lessico della lingua, comprese le frasi fatte, che includono espressioni stereotipate come “essere senza fondamenta”. Poiché i concetti sono strutturati metaforicamente in modo sistematico, ad esempio LE TEORIE SONO COSTRUZIONI, è possibile per noi usare espressioni (costruire, fondamenta) appartenenti a un ambito (COSTRUZIONI) per parlare dei concetti corrispondenti nell’ambito definito metaforicamente (TEORIE). Ad esempio, ciò che significa il termine fondamenta nell’ambito definito metaforicamente (TEORIA), dipenderà in dettaglio da come il concetto metaforico LE TEORIE SONO COSTRUZIONI è usato per strutturare il concetto TEORIA. Le parti del concetto COSTRUZIONE utilizzate per strutturare il concetto TEORIA sono le fondamenta e l’involucro esterno, mentre il pavimento, le stanze interne, le scale e i corridoi sono parti di un edificio che non vengono utilizzate come parti del concetto TEORIA. La metafora LE TEORIE SONO COSTRUZIONI comprende quindi una parte “utilizzata” (fondamenta e struttura esterna) e una “inutilizzata” (stanze, scale ecc.). Espressioni come costruire e fondamenta sono esempi della parte utilizzata di questo concetto metaforico e fanno parte del nostro comune linguaggio letterale a proposito delle teorie. Ma cosa si può dire delle espressioni linguistiche che riflettono la parte “inutilizzata” di una metafora come LE TEORIE SONO COSTRUZIONI? Consideriamo quattro esempi: La sua teoria ha migliaia di piccole stanze e lunghi tortuosi corridoi. Le sue teorie si rifanno al Bauhaus nella loro semplicità pseudofunzionale. Egli predilige imponenti teorie gotiche coperte di guglie. Le teorie complesse generalmente hanno problemi con l’impianto idraulico.

Queste frasi non appartengono all’ambito del consueto linguaggio

letterale, ma piuttosto di quello che normalmente viene definito come linguaggio “figurato” o “fantasioso”. Quindi sia le espressioni letterali (“Egli ha costruito la teoria”) che le espressioni figurate (“La sua teoria è coperta di guglie”) possono essere esempi della stessa metafora generale (LE TEORIE SONO COSTRUZIONI). Possiamo qui distinguere tre diverse sottospecie della metafora fantasiosa (o non letterale): Estensioni della parte usata di una metafora, come “Questi fatti sono il cemento e i mattoni della mia teoria”. Qui ci si riferisce all’involucro esterno dell’edificio, mentre la metafora LE TEORIE SONO COSTRUZIONI è più generale e non entra nei dettagli dei materiali usati. Esempi della parte non utilizzata della metafora letterale, come “La sua teoria ha migliaia di piccole stanze e lunghi tortuosi corridoi”. Esempi di una nuova metafora, cioè una metafora non utilizzata per strutturare parte del nostro consueto sistema concettuale, ma come un modo nuovo di pensare a una determinata cosa. Ad esempio: “Le teorie classiche sono patriarchi che generano molti figli, la maggior parte dei quali litigano fra loro io continuazione”. Ognuna di queste sottospecie si colloca al di fuori della parte utilizzata di un concetto metaforico che struttura il nostro abituale sistema concettuale.

Osserviamo di passaggio che tutte le espressioni linguistiche che abbiamo dato per caratterizzare concetti metaforici generali sono figurate, come IL TEMPO È DENARO, IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE, IL CONTROLLO È SU, LE IDEE SONO CIBI, LE TEORIE SONO EDIFICI ecc. Nessuno di questi casi è letterale: ciò è una conseguenza del fatto che solo una parte di essi viene utilizzata per strutturare i nostri usuali concetti. Dal momento che queste espressioni necessariamente contengono parti che non sono utilizzate nei nostri concetti usuali, esse si estendono al di là dell’ambito letterale. Ognuna delle espressioni metaforiche che abbiamo considerato finora (il tempo verrà, noi costruiamo una teoria, attaccare un’idea) è usata all’interno di un intero sistema di concetti metaforici, concetti che costantemente usiamo per vivere e per pensare. Queste espressioni, come ogni altro termine e frasi idiomatiche nel linguaggio, sono determinate in modo convenzionale. Oltre a questi casi, che sono parti di interi sistemi metaforici, vi sono espressioni metaforiche idiosincratiche isolate, che non sono impiegate in modo sistematico nel nostro linguaggio o nel nostro pensiero, come le ben note espressioni i piedi della montagna, il collo della bottiglia, la gamba del tavolo ecc. Queste espressioni sono esempi isolati di concetti metaforici in cui vi è un solo esempio della parte utilizzata (o al massimo due o tre). Così i piedi della montagna è la sola parte utilizzata della metafora LA MONTAGNA È UNA PERSONA: normalmente noi non parliamo di testa, spalle o tronco di

una montagna, sebbene in contesti particolari è possibile costruire nuove espressioni metaforiche basate su queste parti inutilizzate. Vi è infatti un aspetto della metafora LA MONTAGNA È UNA PERSONA per cui gli alpinisti parleranno di spalle della montagna (precisamente una cresta vicina alla cima) e di conquistare, combattere e perfino venire uccisi dalla montagna. E vi sono convenzioni grafiche nei cartoni animati per cui le montagne divengono animate e le loro cime diventano teste. Il fatto comunque è che vi sono metafore, come LA MONTAGNA È UNA PERSONA, che sono marginali nella nostra cultura e nel nostro linguaggio; la loro parte utilizzata può consistere di una sola espressione linguistica convenzionalmente fissata, ed esse non interagiscono in forma sistematica con altri concetti metaforici perché solo una loro minima parte è utilizzata. Ciò le rende relativamente poco interessanti per i nostri propositi; ma non completamente, dal momento che possono sempre venire estese alle loro parti inutilizzate, creando nuove espressioni metaforiche, giochi di parole ecc. La nostra capacità di estenderle alla loro parte inutilizzata, indica che, sebbene marginali, esse esistono tuttavia. Esempi come i piedi della montagna sono idiosincratici, non sistematici e isolati, essi non interagiscono con altre metafore, non ricoprono alcun ruolo di particolare interesse nel nostro sistema concettuale, e quindi non sono metafore con cui viviamo. L’unico segno di vita che possiedono è che possono venire estese in certe subculture e che le loro parti inutilizzate servono come base per nuove metafore (relativamente poco interessanti). Se vi sono espressioni metaforiche che meritano di essere definite “morte”, queste lo sono senza dubbio, anche se possiedono ancora una minima traccia di vita nel loro essere parzialmente comprese in termini di concetti metaforici marginali come LA MONTAGNA È UNA PERSONA. È importante distinguere questi casi isolati e non sistematici dalle espressioni metaforiche sistematiche che abbiamo discusso. Espressioni come perdere tempo, attaccare le posizioni, separare le proprie strade ecc. riflettono concetti metaforici sistematici che strutturano le nostre azioni e i nostri pensieri. Esse sono “vive” nel senso più fondamentale del termine sono metafore con cui noi viviamo. Il fatto che siano convenzionalmente fissate all’interno del lessico non le rende per questo meno vive.

12. COME È FONDATO IL NOSTRO SISTEMA CONCETTUALE?

Abbiamo sostenuto che la maggior parte del nostro normale sistema concettuale è strutturato in forma metaforica, cioè che la maggior parte dei concetti è parzialmente strutturata in termini di altri concetti. Ciò solleva un importante problema a proposito delle basi del nostro sistema concettuale. Vi sono concetti compresi direttamente, senza nessuna metafora? Se non ci sono, come è possibile, in generale, la comprensione? I concetti che più probabilmente sono compresi in modo immediato sono quelli spaziali, come su. Il nostro concetto spaziale di su deriva direttamente dalla nostra esperienza spaziale: noi abbiamo un corpo e stiamo in posizione eretta; praticamente ogni movimento che facciamo implica un programma motorio che o modifica il nostro orientamento su-giù, o lo mantiene o lo presuppone o lo prende in considerazione in qualche modo. Tutta la nostra continua attività fisica nel mondo, perfino quando dormiamo, rende l’orientamento su-giù non soltanto rilevante, ma assolutamente centrale nell’organizzazione dei nostri movimenti. La centralità dell’orientamento sugiù nel nostro programma motorio e nell’attività quotidiana potrebbe far pensare che non ci sono possibili alternative a questo concetto di orientamento. Obiettivamente, tuttavia, vi sono molte altre possibili forme per l’orientamento spaziale, incluse le coordinate cartesiane, che non hanno in se stesse un orientamento su-giù. I concetti spaziali umani comunque includono SU-GIÙ, DAVANTI-DIETRO, DENTRO-FUORI, VICINO-LONTANO ecc. Sono questi concetti a essere rilevanti per il nostro quotidiano funzionamento corporeo, e da ciò deriva la loro priorità su altre possibili forme di strutturazione dello spazio per noi. In altri termini la struttura dei nostri concetti spaziali emerge dalla nostra continua esperienza spaziale, cioè dalla nostra interazione con l’ambiente fisico. I concetti che emergono in questa forma sono concetti con cui noi viviamo nel più fondamentale dei modi. Quindi su non è compreso puramente in termini autonomi ma emerge a sua volta dall’insieme delle funzioni motorie costantemente praticate e che si riferiscono alla nostra posizione eretta relativamente al campo gravitazionale in cui viviamo. Immaginiamo un essere sferico che viva al di fuori di ogni

campo gravitazionale senza nessun’altra conoscenza né possibilità di immaginare qualsiasi altro tipo di esperienza. Che significato potrebbe avere su per un essere del genere? La risposta a una simile domanda dipenderebbe non solo dalla fisiologia di questo essere sferico, ma anche dalla sua cultura. In altri termini ciò che chiamiamo “diretta esperienza fisica” non è mai il puro e semplice fatto di avere un corpo di un certo tipo; piuttosto ogni esperienza ha luogo all’interno di un vasto retroterra di presupposizioni culturali. Può quindi essere fuorviante parlare di diretta esperienza fisica come se vi fosse un nucleo di esperienza immediata, che noi poi “interpretiamo” in termini del nostro sistema concettuale. Le assunzioni culturali, i valori, le attitudini non sono un rivestimento concettuale che noi possiamo a nostra scelta sovrimporre o meno all’esperienza. Sarebbe più corretto dire che tutta la nostra esperienza è completamente culturale e che noi facciamo esperienza del nostro “mondo” in modo tale che la nostra cultura è già presente perfino nell’esperienza stessa. Comunque, anche ammesso che ogni esperienza implica presupposizioni culturali, possiamo ancora fare l’importante distinzione fra esperienze che sono “più” fisiche, come il fatto di tenersi eretti, e altre “più” culturali, come partecipare a una cerimonia di nozze. Quando parleremo, in seguito, di esperienze “fisiche” in opposizione a esperienze “culturali”, useremo i termini in questa accezione. Alcuni dei concetti fondamentali sulle cui basi i nostri corpi funzionano, come SU-GIÙ, DENTRO-FUORI, DAVANTI-DIETRO, LUCE-BUIO, CALDO-FREDDO, MASCHIO-FEMMINA ecc., sono più precisamente delineati di altri. Anche se la nostra esperienza emotiva è altrettanto fondamentale della nostra esperienza spaziale e percettiva, le esperienze emotive sono tuttavia assai meno precisamente delineate di quelle che abbiamo con i nostri corpi. Mentre per quanto riguarda lo spazio una struttura concettuale precisamente definita emerge dal nostro stesso modo di funzionare percettivo e motorio, non si può dire lo stesso per quanto riguarda le emozioni, perché nessuna definita struttura concettuale emerge direttamente dal funzionamento emotivo stesso. Dal momento che vi sono sistematiche correlazioni fra le nostre emozioni (come la felicità) e le nostre esperienze senso-motorie (come la posizione eretta), queste formano le basi dei concetti metaforici di orientamento (come CONTENTO È SU). Tali metafore ci permettono di concettualizzare le nostre emozioni in termini più specificamente definiti e anche di collegarle con altri concetti che hanno a

che vedere con il benessere in generale (ad esempio SALUTE, VITA, CONTROLLO ecc.). In questo senso possiamo parlare di metafore emergenti e di concetti emergenti. Ad esempio, i concetti OGGETTO, SOSTANZA E CONTENITORE emergono direttamente. Noi ci viviamo come entità, separate dal resto del mondo - come contenitori con una parte interna e una esterna. Facciamo anche esperienza delle cose esterne a noi come entità - spesso anche come contenitori a loro volta dotati di una parte interna e una esterna. Facciamo esperienza di noi stessi come fatti di sostanze - ad esempio carne e ossa - e degli oggetti esterni come fatti di vari tipi di sostanze - legno, pietra, metallo ecc. Attraverso la vista e il tatto percepiamo numerose cose come dotate di confini precisi, e quando le cose non hanno tali precisi confini noi spesso proiettiamo dei confini su di esse, concettualizzandole come entità e spesso come contenitori (ad esempio foreste, radure, nubi ecc.). Come nel caso delle metafore di orientamento, anche le fondamentali metafore ontologiche sono basate su correlazioni sistematiche interne alla nostra esperienza. Abbiamo visto ad esempio che la metafora IL CAMPO VISIVO È UN CONTENITORE è fondata sulla correlazione fra ciò che vediamo e uno spazio fisico delimitato. La metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE è fondata su una correlazione fra un oggetto che si muove verso di noi e il tempo che impiega per raggiungerci. La stessa correlazione fornisce le basi per la metafora IL TEMPO È UN CONTENITORE (come in “Egli lo ha fatto in dieci minuti”), in cui uno spazio delimitato attraversato da un oggetto è correlato con il tempo che l’oggetto impiega per attraversarlo. Eventi e azioni sono correlati con intervalli limitati di tempo, e ciò li rende OGGETTI CONTENITORI. L’esperienza con gli oggetti fisici ci fornisce le basi per la metonimia. I concetti metonimici infatti derivano dalla correlazione nella nostra esperienza fra due entità fisiche (ad esempio LA PARTE PER IL TUTTO, L’OGGETTO PER L’UTENTE) o fra un’entità fisica e qualcosa metaforicamente concettualizzata come un’entità fisica (come IL LUOGO PER L’EVENTO, L’ISTITUZIONE PER LA PERSONA RESPONSABILE). Forse ciò che è più importante sottolineare a proposito del modo in cui le metafore sono fondate è la distinzione fra una esperienza e il modo in cui la concettualizziamo. Non intendiamo assolutamente sostenere che l’esperienza fisica sia in alcun modo più fondamentale di altri tipi di esperienze, siano esse

emotive, mentali, culturali, o di qualunque altro tipo. Tutte queste esperienze possono essere altrettanto fondamentali delle esperienze fisiche. Ciò che intendiamo asserire a proposito delle basi della metafora è piuttosto che noi generalmente concettualizziamo il non fisico in termini del fisico, cioè concettualizziamo ciò che è meno chiaramente delineato in termini di ciò che è più chiaramente delineato. Consideriamo l’esempio seguente: Harry è in cucina. Harry è in Marina. Harry è in uno stato di euforia.

Queste frasi si riferiscono a tre diversi ambiti di esperienza: spaziale, sociale ed emotiva. Nessuno di essi ha una priorità di esperienza sugli altri, sono tutti tipi di esperienza egualmente fondamentali. Ma vi è una differenza rispetto alla strutturazione concettuale. Il concetto IN nella prima frase deriva direttamente dall’esperienza spaziale in modo chiaramente delineato, esso non rappresenta un esempio di un concetto metaforico. Le altre due frasi invece sono esempi di concetti metaforici: la seconda è un esempio della metafora i GRUPPI SOCIALI SONO CONTENITORI, sulla cui base è strutturato il concetto di gruppo sociale. Questa metafora ci permette di “inquadrare” il concetto di gruppo sociale per mezzo della spazializzazione. Il termine “in” e il concetto IN sono gli stessi in tutti e tre gli esempi, non abbiamo tre diversi concetti di IN o tre termini omofoni “in”, ma un concetto emergente IN e un termine per esso, e due concetti metaforici che definiscono parzialmente i gruppi sociali e gli stati emotivi. Questi esempi mostrano che è possibile avere tipi di esperienze egualmente fondamentali, pur avendo concettualizzazioni delle stesse che non sono egualmente fondamentali.

13. LE BASI DELLE METAFORE STRUTTURALI

Le metafore basate su concetti fisici semplici - su-giù, dentro-fuori, oggetto, sostanza ecc. - che sono le più fondamentali nel nostro sistema concettuale e senza le quali non potremmo muoverci nel mondo, né potremmo ragionare o comunicare, non sono tuttavia di per se stesse molto ricche. Dire che qualche cosa è percepita come un OGGETTO CONTENITORE con un orientamento DENTRO-FUORI, non ci dice granché sull’oggetto stesso. Ma, come abbiamo visto nella metafora LA MENTE È UNA MACCHINA e nelle varie metafore di personificazione, noi possiamo elaborare le metafore di spazializzazione in termini molto più specifici. Ciò ci permette non solo di elaborare un concetto (come la MENTE) in notevole dettaglio, ma anche di trovare mezzi appropriati per mettere in luce alcuni aspetti e nasconderne altri. Le metafore strutturali (come LA DISCUSSIONE RAZIONALE È UNA GUERRA) costituiscono la fonte più ricca per tale elaborazione, esse infatti ci consentono di fare molto di più del semplice orientare i concetti, riferirsi ad essi, quantificarli ecc., come avviene nel caso delle semplici metafore ontologiche e di orientamento. Inoltre le metafore strutturali ci rendono possibile utilizzare un concetto altamente strutturato e chiaramente delineato per strutturarne un altro. Come le metafore di orientamento e quelle ontologiche, le metafore strutturali sono basate su correlazioni sistematiche all’interno della nostra esperienza. Per vedere che cosa ciò significhi in dettaglio, consideriamo come la metafora LA DISCUSSIONE RAZIONALE È UNA GUERRA potrebbe essere fondata. Questa metafora ci permette di concettualizzare che cosa sia una discussione razionale in termini di qualcos’altro che noi comprendiamo più immediatamente, e precisamente un conflitto fisico. Il combattimento si trova ovunque nel regno animale, soprattutto fra gli animali umani. Gli animali combattono per ottenere ciò che vogliono, cibo, sesso, territorio, controllo ecc., perché vi sono altri animali che vogliono le medesime cose o che tentano di impedirne l’ottundimento. Lo stesso vale per gli animali umani, eccetto che noi abbiamo Sviluppato tecniche più sofisticate per raggiungere i nostri scopi. Essendo “animali razionali” abbiamo istituzionalizzato i nostri combattimenti in vari modi, uno dei quali è la

guerra. Anche se, nel corso del tempo, abbiamo istituzionalizzato il conflitto fisico e impiegato le nostre menti migliori per sviluppare mezzi più efficaci per affrontarlo, la sua struttura di base non è essenzialmente cambiata. Nella lotta fra due animali bruti, gli scienziati hanno osservato la pratica di emettere segni di sfida per intimorire l’avversario, di stabilire e difendere un territorio, di attaccare, di difendere, di controattaccare, di ritirarsi e di arrendersi. Il combattimento umano comporta le stesse pratiche. È tuttavia parte dell’essere animali razionali cercare di ottenere ciò che vogliamo senza assoggettarci ai rischi di un reale combattimento fisico. Come risultato noi esseri umani abbiamo sviluppato l’istituzione sociale della discussione verbale. Abbiamo continuamente discussioni per cercare di ottenere ciò che vogliamo, e talvolta esse “degenerano” in violenza fisica. Tali battaglie verbali sono in larga misura comprese negli stessi termini delle battaglie fisiche. Consideriamo, ad esempio, un litigio domestico. Marito e moglie cercano entrambi di ottenere ciò che reciprocamente vogliono: fare accettare all’altro un determinato punto di vista sopra una certa questione o almeno agire in conformità con questo punto di vista. Ognuno dei due vede se stesso come qualcuno che ha qualcosa da vincere e qualcosa da perdere, un territorio da stabilire e un territorio da difendere. In una discussione in cui tutto è lecito, si attacca, ci si difende, si contrattacca ecc., usando tutti i mezzi verbali che si hanno a disposizione - intimidendo, minacciando, appellandosi all’autorità, insultando, sminuendo, contestando l’autorità, evadendo l’argomento, contrattando, lusingando e perfino cercando di dare “ragioni razionali”. Ma tutte queste tattiche possono essere, e spesso lo sono, presentate come ragioni; ad esempio: …perché io sono più grande di te (intimidazione). …perché se tu non lo fai, allora io… (minaccia). …perché io sono il capo (autorità). …perché tu sei stupido (insulto). …perché di solito tu sbagli (sminuire). …perché io ho gli stessi diritti che hai tu (contestare l’autorità). …perché se tu lo fai… allora io (contrattare). …perché ti amo (evadere l’argomento). …perché tu sei molto più bravo in questo (lusingare).

Le discussioni che usano tattiche di questo genere sono le più comuni nella nostra cultura e, dal momento che esse fanno così parte della nostra vita quotidiana, talvolta non le notiamo nemmeno. Vi sono tuttavia importanti e potenti settori della nostra cultura in cui queste tattiche sono, almeno in linea

di principio, disapprovate, in quanto considerate “irrazionali” e “scorrette”. Il mondo accademico, quello legale, quello diplomatico, quello ecclesiastico e quello del giornalismo sostengono di offrire una forma ideale o “più elevata” di DISCUSSIONE RAZIONALE in cui tutte queste tattiche sono proibite. Le sole tattiche permesse in questa DISCUSSIONE RAZIONALE consistono, apparentemente, nello stabilire premesse, fornire prove a loro sostegno, e ricavare conclusioni logiche. Ma anche nei casi più ideali, dove tutte queste condizioni sono rispettate, la DISCUSSIONE RAZIONALE è ancora compresa ed eseguita in termini di guerra. Vi è sempre una posizione che dev’essere stabilita e difesa, si può vincere o perdere, si ha un avversario di cui si attacca la posizione e che si tenta di distruggere e di cui si cerca di abbattere gli argomenti. Se si ha un completo successo, si può annientare l’avversario. Il punto fondamentale di questa discussione è che non solo la nostra concezione di una discussione, ma anche il modo in cui la portiamo a termine, è basato sulla nostra conoscenza ed esperienza del combattimento fisico. Anche se non avete mai fatto a pugni in vita vostra, né tantomeno combattuto una guerra, ma avete avuto discussioni fin dal momento in cui avete cominciato a parlare, continuate a concepire ed eseguire le discussioni secondo la metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, perché tale metafora è fondata nel sistema concettuale della cultura in cui vivete. Non soltanto tutte le discussioni “razionali” che sembrano tener fede all’ideale di DISCUSSIONE RAZIONALE sono concepite in termini di GUERRA, ma praticamente tutte contengono, in forma nascosta, proprio quelle tattiche “irrazionali” e “scorrette” che una discussione razionale nella sua forma ideale dovrebbe trascendere. Ecco alcuni tipici esempi: È plausibile assumere che… (intimidazione). Chiaramente… Ovviamente… Non sarebbe scientifico fallire nel… (minaccia). Dire ciò significa commettere la fallacia di… Come ha mostrato Descartes… (autorità). Hume osservò che… Nota 374: cfr. Verchiugenbeimer, 1954. Il lavoro manca del necessario rigore per… (insulto). Definiremo una tale teoria razionalismo “ristretto”. In uno sfoggio di “obiettività erudita”… Questo lavoro non porterà a una teoria formalizzata (sminuire). I suoi risultati non possono essere quantificati. Pochi oggi condividono seriamente questa posizione.

Se non vogliamo cadere negli errori degli approcci positivisti… (critica dell’autorità). Il behaviorismo ha condotto a… Egli non presenta alcuna teoria alternativa (evadere l’argomento). Ma ciò è una questione di… L’autore presenta alcuni fatti stimolanti, benché… La tua posizione è corretta fino a questo punto… (contrattare). Se si assume una posizione realistica, si può accettare l’argomento che… Nel suo stimolante articolo… (lusingare). Il suo articolo solleva alcuni interessanti problemi…

Esempi come questi ci permettono di far risalire le nostre discussioni razionali attraverso quelle “irrazionali” (= le discussioni della vita quotidiana) fino alle loro origini nel combattimento fisico. Le tattiche di intimidazione, minaccia, appello all’autorità ecc., sebbene espresse, forse, in frasi più ricercate, sono altrettanto presenti nella discussione razionale quanto nel litigio quotidiano o nella guerra. Sia che ci troviamo in un contesto scientifico, accademico o legale e aspiriamo all’ideale di una discussione ragionale, sia che semplicemente tentiamo di far prevalere la nostra opinione nei battibecchi familiari, il modo in cui concepiamo, portiamo a termine e descriviamo le nostre discussioni è fondato nella metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA. Consideriamo ora altre metafore strutturali importanti nella nostra vita: IL LAVORO È UNA RISORSA E IL TEMPO È UNA RISORSA. Entrambe queste metafore sono culturalmente fondate nella esperienza che noi abbiamo delle risorse materiali, che sono generalmente materie prime o risorse di carburante. Entrambe sono considerate utili per fini specifici. Il carburante può essere usato per riscaldamento, trasporto o come energia nella produzione di un prodotto finito. Le materie grezze generalmente confluiscono direttamente nei prodotti. In entrambi i casi le risorse materiali possono venire quantificate e può essere loro attribuito un valore, in entrambi i casi è il tipo di materiale, e non la particolare parte o quantità di esso, a essere importante per ottenere un certo scopo. Ad esempio, non importa quale particolare pezzo di carbone riscalda la nostra casa purché sia il giusto tipo di carbone. In entrambi i casi il materiale viene progressivamente consumato per ottenere il fine. Riassumendo: Una risorsa materiale è un tipo di sostanza a) che può essere quantificata in maniera abbastanza precisa, b) le può essere attribuito un valore per unità di quantità, c) che serve a un fine specifico, d) si consuma progressivamente nel conseguire lo scopo.

Consideriamo il semplice caso, ricavare un prodotto da una materia

prima: ciò richiede una certa quantità di lavoro e generalmente, più lavoro viene fornito, maggiore è la produzione. Assumendo che ciò sia vero - cioè che il lavoro sia proporzionale alla quantità del prodotto - possiamo assegnare valore al lavoro in termini del tempo richiesto per produrre una unità di prodotto. Il modello perfetto di tale processo è la catena di montaggio, dove il materiale grezzo entra a una estremità, viene eseguito del lavoro in fasi progressive, la cui durata è stabilita dalla velocità della catena stessa, e i prodotti finiti escono all’altra estremità. Ciò fornisce una base per la metafora IL LAVORO È UNA RISORSA secondo le seguenti linee: Il lavoro è un tipo di attività (nota: UN’ATTIVITÀ È UNA SOSTANZA) a) che può essere quantificato in maniera abbastanza precisa, b) a cui può essere assegnato un valore per unità, c) che serve a un fine specifico, d) che si consuma progressivamente nel conseguire lo scopo.

Quando viviamo secondo le metafore IL LAVORO È UNA RISORSA e IL TEMPO È UNA RISORSA, come facciamo nella nostra cultura, tendiamo a non percepirle nemmeno come metafore. Tuttavia, come si è visto dalla precedente descrizione del modo in cui esse sono radicate nella nostra esperienza, entrambe sono metafore strutturali fondamentali per le società industriali occidentali. Queste due complesse metafore strutturali impiegano entrambe metafore ontologiche semplici. IL LAVORO È UNA RISORSA utilizza UN’ATTIVITÀ È UNA SOSTANZA; IL TEMPO È UNA RISORSA utilizza IL TEMPO È UNA SOSTANZA. Queste due metafore di SOSTANZA rendono possibile che tempo e lavoro siano quantificati, cioè misurati, percepiti come progressivamente “consumabili” e dotati di un valore monetario: esse inoltre ci permettono di vedere tempo e lavoro come elementi che possono venire “usati” per vari fini. IL LAVORO È UNA RISORSA e IL TEMPO È UNA RISORSA non sono affatto universali; emergono naturalmente nella nostra cultura a causa del modo in cui noi concepiamo il lavoro, della nostra passione per la quantificazione e della nostra ossessione per fini specifici. Queste metafore illuminano quegli aspetti del lavoro e del tempo che sono di importanza centrale nella nostra cultura. Nel far ciò esse nascondono o diminuiscono l’importanza di altri aspetti del lavoro e del tempo. Possiamo renderci conto di ciò che entrambe le metafore nascondono esaminando ciò che mettono a fuoco. Nel vedere il lavoro come un tipo di attività, la metafora assume che il lavoro possa essere

chiaramente identificato e distinto da altre attività che non sono lavoro. Inoltre si assume che si possa distinguere il lavoro dal gioco e fattività produttiva da quella non produttiva. Naturalmente molto spesso queste assunzioni non corrispondono alla realtà, eccetto forse nel caso della catena di montaggio e dei lavori forzati. La concezione del lavoro puramente come un tipo di attività, indipendente da chi lo compie, come lo vive, e cosa significa nella sua vita, nasconde altri aspetti, ad esempio se il lavoro è personalmente significativo, soddisfacente e umano. La quantificazione del lavoro in termini di tipo, insieme alla concezione del tempo come utile per fini specifici, induce la nozione di TEMPO LIBERO, che è parallela al concetto di TEMPO DI LAVORO. In una società come la nostra, in cui l’inattività non è considerata un fine specifico, si è sviluppata un’intera industria dedicata alle attività del tempo libero. Come risultato anche IL TEMPO LIBERO, diviene a sua volta una RISORSA che può essere spesa in modo produttivo, usata saggiamente, risparmiata, programmata, sprecata, perduta ecc. Ciò che la metafora della RISORSA nasconde a proposito del lavoro e del tempo, è il modo in cui i concetti del LAVORO e del TEMPO influenzano il concetto di TEMPO LIBERO, trasformandolo in qualcosa di notevolmente vicino al LAVORO. Le metafore della RISORSA applicata al lavoro e al tempo nascondono ogni genere di concezioni di tempo e lavoro che esistono in differenti culture e in certe subculture della nostra stessa società: l’idea che il lavoro può essere gioco, l’inattività produttiva e che molto di ciò che definiamo come LAVORO non serve a nessuno scopo definito e valido.

Le tre metafore strutturali che abbiamo considerato in questo capitolo LA DISCUSSIONE RAZIONALE È UNA GUERRA, IL LAVORO È UNA RISORSA e IL TEMPO È UNA RISORSA - hanno tutte solide basi culturali. Esse emergono naturalmente in una cultura come la nostra perché gli aspetti che mettono in luce corrispondono strettamente alla nostra esperienza collettiva, mentre gli aspetti che rimangono in ombra vi corrispondono pochissimo. Tali metafore tuttavia non sono soltanto basate sulla nostra esperienza fisica e culturale, ma a loro volta influenzano la nostra esperienza e le nostre azioni.

14. CAUSALITÀ: IN PARTE EMERGENTE E IN PARTE METAFORICA

Abbiamo visto finora nella nostra discussione sulle basi della metafora che vi sono concetti emergenti direttamente (come SU-GIÙ, DENTROFUORI, OGGETTO O SOSTANZA ecc.) e concetti emergenti metaforicamente sulla base della nostra esperienza (come IL CAMPO VISIVO È UN CONTENITORE, UN’ATTIVITÀ È UN CONTENITORE ecc). Sulla base del limitato numero di esempi che abbiamo considerato potrebbe sembrare che vi sia una precisa distinzione fra i concetti emergenti direttamente e quelli emergenti in modo metaforico, e che ogni concetto debba essere o di un tipo o dell’altro. Ciò è falso. Perfino un concetto basilare come quello di CAUSALITÀ non è né puramente emergente né puramente metaforico, ma sembra piuttosto possedere un nucleo emergente direttamente e successivamente elaborato in modo metaforico. 14.1 Manipolazione diretta: il prototipo della causalità Le teorie standard del significato assumono che tutti i nostri concetti complessi possono venire analizzati in primitivi non ulteriormente scomponibili. Tali primitivi sono considerati come i “blocchi da costruzione” finali del significato. Il concetto di causa è spesso considerato come uno di questi blocchi da costruzione finali. Noi crediamo che le teorie standard siano fondamentalmente sbagliate quando considerano i concetti di base come primitivi non ulteriormente scomponibili. Conveniamo che la causalità è un concetto umano di base, uno dei concetti più spesso usati dagli uomini per organizzare le loro realtà fisiche e culturali. Ma ciò non significa che esso sia un primitivo non ulteriormente scomponibile. Vorremmo invece sostenere che il concetto di causalità è meglio compreso come una gestalt basata sull’esperienza. Una corretta comprensione del concetto di causalità richiede che esso sia visto come un raggruppamento di altri componenti; ma tale insieme forma una gestalt - un tutto che noi esseri umani consideriamo più fondamentale che le sue singole parti. Possiamo vedere nel modo più chiaro questo concetto nei bambini

piccoli. Piaget ha avanzato l’ipotesi che il primo apprendimento del concetto di causalità avvenga quando il bambino si rende conto di poter direttamente manipolare gli oggetti attorno a sé - scostare le coperte, gettare il biberon, buttare, per terra un giocattolo. Vi è infatti una fase in cui i bambini sembrano “praticare” queste manipolazioni, ad esempio continuando ripetutamente a far cadere per terra il loro cucchiaio. Queste manipolazioni dirette, perfino da parte dei bambini piccoli, comportano alcuni tratti comuni che caratterizzano la nozione di causalità diretta, elemento così integrante di tutte le nostre azioni quotidiane nell’ambiente, da quando premiamo l’interruttore della luce, abbottoniamo la camicia, apriamo una porta ecc. Sebbene ognuna di queste azioni sia differente, la stragrande maggioranza di esse ha in comune alcune caratteristiche di quello che possiamo chiamare il caso “prototipico” o “paradigmatico” di causalità diretta. Queste caratteristiche comuni includono: L’agente ha come scopo un qualche cambiamento di stato nel paziente. Il cambio di stato è fisico. L’agente ha un “piano” per realizzare tale scopo. Il piano richiede da parte dell’agente l’uso di un programma motorio. L’agente è in primo luogo responsabile per l’esecuzione del piano. L’agente è la fonte di energia (cioè l’agente dirige le sue energie verso il paziente) e il paziente è l’obiettivo di quella energia (cioè il cambiamento nel paziente è dovuto a una fonte esterna di energia). L’agente tocca il paziente o con il suo corpo o con uno strumento (cioè vi una sovrapposizione spazio-temporale fra ciò che fa l’agente e il cambiamento nel paziente). L’agente porta a termine con successo il suo piano. Il cambiamento nel paziente è percepibile. L’agente controlla il cambiamento nel paziente attraverso la percezione sensoriale. Vi è un singolo specifico agente e un singolo specifico paziente.

Questo insieme di proprietà caratterizza le manipolazioni dirette “prototipiche”, e questi sono tutti casi di causalità per eccellenza. Stiamo qui usando il termine “prototipico” nell’accezione utilizzata da Rosch nella sua teoria della categorizzazione umana (1977). I suoi esperimenti dimostrano che le persone categorizzano gli oggetti non in termini di teoria degli insiemi, ma in termini di prototipo e di somiglianze di famiglia. Ad esempio piccoli uccelli che volano e cantano, come passeri, pettirossi ecc., sono uccelli prototipici. Polli, struzzi e pinguini sono uccelli, ma non sono membri centrali della categoria - sono uccelli non prototipici. Nondimeno essi sono uccelli, però mantengono una sufficiente somiglianza di famiglia con il prototipo, cioè hanno in comune con il prototipo sufficienti proprietà rilevanti per poter essere classificati dalla gente come uccelli. Le undici proprietà elencate precedentemente caratterizzano un prototipo

del concetto di causalità in quanto si ripresentano insieme ripetutamente azione dopo azione durante la nostra vita quotidiana. Noi ne facciamo esperienza come di una gestalt, cioè il complesso delle proprietà che si verificano insieme è più fondamentale per la nostra esperienza di quanto non io siano le loro occorrenze separate. Attraverso il loro ripetersi continuo nel nostro agire quotidiano, la categoria di causalità emerge con questo insieme di proprietà che caratterizza la causalità prototipica. Altri tipi di causalità meno prototipici sono quelle azioni o eventi che mantengono una sufficiente somiglianza di famiglia con il prototipo, come ad esempio azioni compiute a distanza, agenti non umani, l’uso di un agente intermediario, l’occorrenza di due o più agenti, un uso involontario o incontrollato del programma motorio ecc. (Nel concetto di causalità fisica l’agente e il paziente sono eventi, una legge fisica sostituisce il piano, lo scopo e l’attività motoria, e tutti gli aspetti tipicamente umani decadono.) Quando la somiglianza di famiglia con il prototipo è insufficiente, noi cessiamo di caratterizzare ciò che succede in termini di causalità. Ad esempio, in una situazione in cui vi fossero molteplici agenti e le loro azioni fossero remote nel tempo e nello spazio dal cambiamento del paziente, e non vi fosse né desiderio, né piano, né controllo, allora probabilmente non definiremmo la situazione come un esempio di causalità, o per lo meno avremmo alcuni dubbi a definirla in questi termini. Sebbene la categoria di causalità abbia limiti imprecisi, essa è chiaramente delineata in un grande numero di casi. L’efficacia del nostro agire nel mondo richiede l’applicazione del concetto di causalità a ogni nuovo ambito di attività, attraverso l’intenzione, la pianificazione, la deduzione di inferenze ecc. Il concetto è stabile proprio perché continuiamo ad agire con successo in base ad esso. Partendo dal concetto di causalità che emerge dalla nostra esperienza, possiamo poi applicarlo ai concetti metaforici; ad esempio in “Harry ci ha tirato su di morale raccontandoci delle barzellette”, abbiamo un esempio del concetto di causalità in quanto Harry ha fatto sì che il nostro morale andasse su, come nella metafora CONTENTO È SU. Anche se il concetto di causalità, così come lo abbiamo definito, è fondamentale nell’attività umana, esso non è tuttavia un “primitivo” nel senso usuale dei blocchi da costruzione (elementi minimi di significato), cioè non analizzabile e non ulteriormente scomponibile. Dal momento che esso è definito in termini di un prototipo caratterizzato da un insieme ricorrente di proprietà, il nostro concetto di causalità è allo stesso tempo olistico

scomponibile analiticamente in quelle proprietà e soggetto a un’ampia gamma di variazioni. I singoli termini in cui il prototipo di causalità è analizzato (cioè controllo, programma motorio, volontà ecc.) sono probabilmente a loro volta caratterizzati mediante prototipi e suscettibili di un’ulteriore analisi. Ciò ci permette di avere concetti che sono allo stesso tempo fondamentali, olistici e indefinitivamente analizzabili. 14.2 Estensioni metaforiche della causalità prototipica Semplici esempi di fabbricazione di oggetti (come un aeroplanino di carta, una palla di neve, un castello di sabbia) possono essere visti come casi speciali di causalità diretta. Tutti questi casi infatti richiedono una prototipica manipolazione diretta dotata di tutte le proprietà che abbiamo elencato precedentemente. Ma essi possiedono anche un’ulteriore caratteristica che li identifica separatamente come esemplificazioni dell’atto di fare. Come risultato della manipolazione noi vediamo l’oggetto come un tipo diverso di cosa: ciò che prima era un pezzo di carta ora è diventato un aeroplanino. A questo punto noi categorizziamo l’oggetto in modo differente; esso ha una diversa forma e una diversa funzione. È essenzialmente questo che identifica gli esempi del fare, come distinti e separati da altri tipi di manipolazione diretta. Perfino un semplice cambiamento di stato, come il passaggio dall’acqua al ghiaccio, può essere considerato come un esempio del fare, dal momento che il ghiaccio ha una funzione e una forma diverse dall’acqua. Abbiamo quindi esempi come: L’università di Chicago fu il luogo di nascita dell’età nucleare. Edward Teller è il padre della bomba a idrogeno.

Tutti questi sono esempi della metafora generale LA CREAZIONE È UNA NASCITA, che ci fornisce un altro esempio in cui un caso particolare della causalità è concettualizzato metaforicamente. 14.3 Sommario Come abbiamo visto, il concetto di CAUSALITÀ è basato sul prototipo di MANIPOLAZIONE DIRETTA, che emerge direttamente dalla nostra esperienza. Il nucleo prototipico è successivamente elaborato attraverso

metafore fino a produrre un ampio concetto di CAUSALITÀ, che ha molti casi speciali. Le metafore impiegate a questo scopo sono L’OGGETTO ESCE DALLA SOSTANZA, LA SOSTANZA ENTRA NELL’OGGETTO, LA CREAZIONE È UNA NASCITA e LA CAUSA (di un evento da uno stato) È UN’EMERSIONE (dell’evento/oggetto dallo stato/contenitore). Abbiamo anche visto che il nucleo prototipico del concetto di CAUSALITÀ, e precisamente la MANIPOLAZIONE DIRETTA, non è un primitivo semantico non ulteriormente scomponibile, ma piuttosto una gestalt composta di proprietà che si manifestano naturalmente insieme nella nostra esperienza quotidiana delle manipolazioni dirette. Il concetto prototipico di MANIPOLAZIONE DIRETTA è fondamentale e primitivo nella nostra esperienza, ma non nel senso richiesto da una teoria degli elementi minimi di significato “dei blocchi da costruzione”. In tali teorie ogni concetto è un elemento ultimo di significato, o può essere scomposto in elementi ultimi di significato in uno e un solo modo. La teoria che noi proporremo nel prossimo capitolo suggerisce invece che vi siano dimensioni naturali dell’esperienza e che i concetti possano venire analizzati secondo queste dimensioni in più di un unico modo. Inoltre all’interno di ogni dimensione i concetti possono spesso venire ulteriormente analizzati in relazione alla nostra esperienza, in modo tale che non sempre vi sono elementi ultimi di significato. Vi sono quindi tre aspetti secondo i quali il concetto di CAUSALITÀ non è un primitivo inanalizzabile: - Esso è caratterizzato in termini di somiglianze di famiglia con il prototipo della MANIPOLAZIONE DIRETTA. - Il prototipo della MANIPOLAZIONE DIRETTA è in se stesso una gestalt indefinitivamente analizzabile di proprietà che co-occorrono naturalmente. - Il nucleo prototipico di CAUSALITÀ è elaborato metaforicamente in svariati modi.

15. LA STRUTTURAZIONE COERENTE DELL’ESPERIENZA

15.1 Gestalt fondate sull’esperienza e dimensioni dell’esperienza Finora abbiamo sempre parlato dei concetti metaforici come modi di strutturare parzialmente un’esperienza nei termini di un’altra. Per vedere in dettaglio cosa è implicato nella strutturazione metaforica, dobbiamo avere un’idea più precisa di cosa significa dire che un’esperienza o un insieme di esperienze sono coerenti grazie al fatto di avere una struttura. Ad esempio, abbiamo suggerito che una discussione è una conversazione parzialmente strutturata dal concetto di GUERRA (che ci fornisce la metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA). Supponiamo di stare sostenendo una conversazione e di accorgerci a un tratto che essa si sta trasformando in una discussione: cos’è che fa di una conversazione una discussione, e cosa ha questo a che vedere con la guerra? Per cogliere la differenza fra una conversazione e una discussione, dobbiamo prima vedere cosa significhi essere impegnati in una conversazione. Il tipo più elementare di conversazione richiede due persone che si parlino l’un l’altra. In una conversazione tipica uno dei due partecipanti inizia a parlare e i due si alternano nel conversare su un argomento, o un insieme di argomenti comuni. Per alternarsi nella conversazione e per attenersi all’argomento (o per cambiarlo in modo accettabile) è richiesto un certo livello di cooperazione; qualunque siano gli altri scopi che una conversazione può avere per i suoi partecipanti, essa generalmente serve allo scopo di una educata interazione sociale. Anche in un caso semplice come un’educata conversazione fra due persone, possono venire rilevate alcune dimensioni nella sua struttura: Partecipanti. I partecipanti sono di un certo genere naturale, cioè precisamente persone che assumono, in questo contesto, il ruolo di parlanti. La conversazione è definita da ciò che i partecipanti fanno e gli stessi partecipanti hanno un ruolo in tutta la conversazione. Parti. Le parti di una conversazione consistono di un certo tipo naturale di attività, e precisamente il parlare. Ogni turno nella conversazione

rappresenta una parte della stessa, intesa come un tutto, e queste parti devono essere combinate in un certo modo per dare luogo a una conversazione coerente. Stadi. Le conversazioni tipiche hanno un insieme di condizioni iniziali, e quindi attraversano vari stadi, che includono almeno un inizio, una parte centrale e una fine. Vi sono quindi alcune cose che sono dette per iniziare la conversazione (“Ciao”, “Come va?” ecc.), altre che sviluppano la parte centrale, e altre ancora che la concludono. Sequenza lineare. I turni dei partecipanti nel prendere la parola sono ordinati in una sequenza lineare, con la limitazione generale che i parlanti debbono alternarsi. Certe sovrapposizioni sono permesse e si possono dare intervalli in cui un parlante non prende la parola e l’altro continua a parlare. Senza queste costrizioni nella sequenza lineare delle parti, si avrebbe un monologo o un miscuglio di parole, ma non una conversazione. Causalità. La fine di un turno di conversazione normalmente produce l’inizio del turno successivo. Proposito. Le conversazioni possono servire a differenti ti propositi, ma tutte le conversazioni tipiche hanno in comune il proposito di mantenere un’educata interazione sociale, in modo ragionevolmente cooperativo. Molti altri dettagli potrebbero venire aggiunti per caratterizzare in modo più preciso una conversazione, ma queste sei dimensioni di struttura ci danno le principali caratteristiche di ciò che è comune nelle conversazioni tipiche. Se siete impegnati in una conversazione (che è dotata almeno di queste sei dimensioni di struttura) e percepite che essa sta trasformandosi in una discussione, cosa è esattamente che percepite oltre al fatto che state conducendo una discussione? La differenza fondamentale è la sensazione di avere ingaggiato un combattimento. Vi rendete conto che avete un’opinione che è importante per voi e che l’altra persona non accetta. Almeno uno dei partecipanti vuole che l’altro rinunci alla sua opinione e ciò crea una situazione in cui c’è qualcosa da vincere o da perdere. Sentite di trovarvi in una discussione quando trovate le vostre posizioni attaccate, o quando sentite la necessità di attaccare le posizioni dell’altro. La discussione diviene una discussione vera e propria quando entrambi i partecipanti dedicano la maggior parte della loro energia conversazionale nel tentativo di screditare le posizioni dell’altro, mantenendo le proprie. La discussione continua a essere una conversazione, anche se

l’elemento di educata cooperazione nel mantenere la struttura conversazionale può risultare difficile se la discussione si fa accesa. Il senso di stare combattendo una battaglia deriva dalla sensazione di trovarsi in una situazione simile alla guerra, anche se non c’è alcun reale combattimento - dal momento che si continuano a mantenere le formalità della conversazione. Vivete l’interlocutore come un avversario, attaccate le sue posizioni, cercate di difendere le vostre, e fate quello che potete per far arrendere l’altro. La struttura della conversazione assume alcuni aspetti della struttura della guerra, e voi agite di conseguenza; le vostre azioni e percezioni corrispondono in parte alle azioni e percezioni di qualcuno impegnato in una guerra. Possiamo vedere ciò più in dettaglio nella seguente lista di caratteristiche proprie di una discussione: Abbiamo un’opinione a cui teniamo (avere una posizione). L’altro partecipante non è d’accordo con la nostra opinione (ha una differente posizione). È importante per uno o per entrambi i partecipanti che l’altro rinunci alla sua opinione (resa) e accetti la nostra (vittoria). (Egli è il nostro avversario.) La differenza di opinione diventa un conflitto di opinione (conflitto). Si pensa come si può convincere l’altro del nostro punto di vista nel modo migliore (pianificare la strategia) e si considera quali prove si possono addurre a sostegno dei nostri argomenti (schierare le forze). Soffermandosi su ciò che si considera il punto debole nella posizione dell’altro, si fanno domande e si sollevano obiezioni con lo scopo di forzarlo, alla fine, a rinunciare alla sua posizione e ad accettare la nostra (attacco). Si cerca di cambiare le premesse della conversazione in modo tale da trovarsi in posizione di vantaggio (manovra). In risposta alle domande e alle obiezioni dell’altro, cerchiamo di mantenere la nostra posizione (difesa). A seconda dello sviluppo della discussione, per mantenere le nostre posizioni generali, possono essere necessarie delle revisioni (ritirata). Si possono sollevare nuovi problemi e obiezioni (contrattacco). O ci si stanca e si decide di sospendere la discussione (tregua), o nessuno dei due riesce a convincere l’altro (stallo), o uno dei due cede (resa).

Ciò che dà coerenza a questo elenco di elementi che segnano il passaggio da una conversazione a una discussione, è il fatto che essi corrispondono a elementi del concetto di GUERRA. Ciò che il concetto di GUERRA aggiunge al concetto di CONVERSAZIONE può essere visto in termini delle stesse sei dimensioni di struttura che abbiamo indicato per la struttura della conversazione.

Partecipanti

Il tipo di partecipanti sono persone o gruppi di persone. Essi hanno il ruolo di avversari.

Parti

Le due posizioni Pianificazione della strategia Attacco Difesa Ritirata Manovre Contrattacco Stallo Tregua Resa/vittoria

Stadi

Condizioni iniziali: i partecipanti hanno posizioni diverse. Uno o entrambi vogliono che l’altro si arrenda. Ogni partecipante ritiene di poter difendere le proprie posizioni. Inizio: un avversario attacca. Parte centrale: combinazioni di difesa, manovre, ritirata, contrattacco. Fine: tregua, o stalla o resa/vittoria. Stato finale: pace, il vincitore ha il predominio sul perdente.

Sequenza lineare Causa

Scopo

Ritirata dopo l’attacco Difesa dopo l’attacco Contrattacco dopo l’attacco L’attacco si risolve in difesa, o contrattacco o ritirata o fine. Vittoria

Per comprendere una conversazione come una discussione bisogna essere in grado di sovrimporre la struttura multidimensionale di parte del concetto di GUERRA alla corrispondente struttura CONVERSAZIONE. Queste strutture multidimensionali caratterizzano delle gestalt basate sull’esperienza, cioè modi di organizzare l’esperienza in un tutto strutturato. Nella metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, la gestalt per CONVERSAZIONE è ulteriormente strutturata mediante corrispondenze che selezionano elementi della gestalt per GUERRA. Di conseguenza un’attività, il parlare, è compresa nei termini di un’altra, il combattimento fisico. Ciò che rende coerente la nostra esperienza è proprio il fatto di essere strutturata sulla base di tali gestalt multidimensionali: non viviamo una conversazione come la discussione quando la gestalt GUERRA corrisponde alle nostre percezioni e azioni nella conversazione. Comprendere tali gestalt mutidimensionali e le loro reciproche relazioni è la chiave per comprendere la coerenza nelle nostre esperienze. Come abbiamo detto precedentemente, le gestalt basate sull’esperienza sono un tutto strutturato su più dimensioni; tali dimensioni, a loro volta, sono definite in termini di concetti direttamente emergenti. Cioè le varie dimensioni (partecipanti, parti, stadi ecc.) sono categorie che emergono direttamente dalla nostra esperienza. Abbiamo già notato che CAUSALITÀ è un concetto direttamente emergente, e anche le altre dimensioni sulla cui base categorizziamo la nostra esperienza sono molto chiaramente basate sulla esperienza: Partecipanti. Questa dimensione deriva dal concetto di SÉ, come un attore distinguibile dalle azioni che compie. Distinguiamo inoltre fra vari tipi di partecipanti (ad esempio persone, animali, oggetti). Parti. L’esperienza che abbiamo di noi stessi è di esseri composti di varie parti (braccia, gambe ecc.) che possiamo controllare indipendentemente una dall’altra. Analogamente l’esperienza che abbiamo degli oggetti fisici è o sulla base delle parti di cui naturalmente essi sono composti, o delle parti che noi attribuiamo ad essi, sia in base alla nostra percezione o interazione con essi, che in base all’uso che ne facciamo. Analogamente sovrapponiamo una struttura parte-tutto sugli eventi e le attività. Infine, come nel caso dei partecipanti distinguiamo fra vari tipi di parti (ad esempio tipi di oggetti, tipi di attività ecc.). Stadi. Le nostre più semplici funzioni motorie richiedono la conoscenza di dove siamo e in quale posizione ci troviamo (condizioni iniziali), inoltre esse richiedono che noi cominciamo a muoverci (inizio), eseguiamo la funzione motoria (parte centrale), e infine ci fermiamo (fine), in uno stadio finale. Sequenza lineare. Anche in questo caso il controllo delle più semplici funzioni motorie richiede che noi le poniamo nella corretta sequenza lineare. Proposito. Fin dalla nascita (e anche prima) abbiamo bisogni e desideri, e ci rendiamo conto ben presto che possiamo compiere certe azioni (piangere, muoverci, manipolare oggetti) per soddisfarli.

Noi classifichiamo le nostre esperienze in questi termini, percepiamo coerenza in esperienze di tipo diverso quando possiamo categorizzarle in termini di gestalt dotate almeno di queste dimensioni. 15.2 Cosa significa per un concetto corrispondere a un’esperienza? Ritorniamo ora all’esperienza di una conversazione che si trasforma in una discussione. Come abbiamo visto, trovarsi in una conversazione è una esperienza strutturata: non appena noi ci troviamo nella situazione di una conversazione, automaticamente e inconsciamente stiamo già classificando la nostra esperienza nei termini delle dimensioni naturali della gestalt CONVERSAZIONE: Chi sta partecipando? A chi tocca parlare? (= quale parte?) In quale stadio ci troviamo? E così via. Proprio in quanto imponiamo la gestalt CONVERSAZIONE a ciò che sta succedendo, siamo in grado di percepire le azioni di parlare e ascoltare come un tipo particolare di esperienza, e precisamente come una conversazione. Quando percepiamo le dimensioni della nostra esperienza come corrispondenti alla gestalt GUERRA, diveniamo consapevoli che stiamo partecipando a un altro tipo di esperienza, cioè una discussione. E in questo modo che noi classifichiamo esperienze particolari, e abbiamo bisogno di classificare le nostre esperienze per poterle comprendere, e quindi sapere quello che dobbiamo fare. A questo punto dobbiamo distinguere fra: 1) l’esperienza in se stessa, così come noi la strutturiamo e 2) i concetti che impieghiamo per strutturarla, cioè le gestalt multidimensionali come CONVERSAZIONE e DISCUSSIONE. Il concetto (poniamo CONVERSAZIONE) specifica certe dimensioni naturali (ad esempio: partecipanti, parti, stadi ecc.) e il modo in cui queste dimensioni sono correlate. Esiste una correlazione, dimensione per dimensione, fra il concetto CONVERSAZIONE e gli aspetti della reale attività del conversare. Questo è ciò che intendiamo quando diciamo che un concetto corrisponde a un’esperienza. È concettualizzando le nostre esperienze in questo modo che noi selezioniamo gli aspetti “importanti” di un’esperienza, e selezionando ciò che è “importante” nell’esperienza, possiamo poi categorizzarla, comprenderla e ricordarla. Se vi dicessimo che ieri abbiamo avuto una discussione, vi diremmo la verità se il nostro concetto di ciò che è una DISCUSSIONE, con noi come partecipanti, corrisponde all’esperienza che abbiamo avuto ieri, dimensione per dimensione.

15.3 Strutturazione metaforica vs sottocategorizzazione Nella nostra analisi del concetto DISCUSSIONE, abbiamo assunto una precisa distinzione fra sottocategorizzazione e strutturazione metaforica. Da un lato abbiamo considerato “Una discussione è una conversazione” come un esempio di sottocategorizzazione, perché una discussione è fondamentalmente un tipo di conversazione. Lo stesso genere di attività, e precisamente il parlare, è presente in entrambe, e una discussione ha tutte le caratteristiche strutturali fondamentali di una conversazione. Quindi i nostri criteri per la sottocategorizzazione sono stati: a) lo stesso genere di attività, b) sufficienti tratti strutturali in comune. D’altro lato abbiamo invece considerato LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA come metafora, perché una discussione e una guerra sono fondamentalmente due differenti tipi di attività, e la DISCUSSIONE è parzialmente strutturata in termini di GUERRA. Una discussione è un tipo diverso di attività perché richiede di parlare invece di combattere; la struttura è parziale in quanto vengono utilizzati solo elementi selezionati del concetto GUERRA. I nostri criteri per la metafora sono dunque stati: a) differenza nel tipo di attività e b) strutturazione parziale (uso di certe parti selezionate). Ma non sempre è possibile distinguere sottocategorizzazione e metafora sulla base di questi criteri. La ragione è che non sempre è chiaro quando due attività (o due cose) sono dello stesso tipo o di tipo diverso. Consideriamo, ad esempio, LA DISCUSSIONE È UNA LOTTA: è questa una sottocategorizzazione o una metafora? La questione è se lottare e discutere appartengono allo stesso tipo di attività, e non è una questione semplice. Lottare è un tentativo di raggiungere una posizione di dominio che normalmente richiede di colpire, infliggere dolore, recare danno ecc. Ma esiste sia un dolore fisico che un dolore psicologico, un dominio fisico e uno psicologico. Se il nostro concetto di LOTTA include egualmente dolore e dominio psicologico e fisico, allora possiamo vedere LA DISCUSSIONE È UNA LOTTA come una sottocategorizzazione piuttosto che una metafora, dal momento che entrambe le attività implicherebbero il conseguimento di una forma di dominio psicologico. In questa prospettiva una discussione sarebbe un tipo di lotta, strutturato in forma di conversazione. D’altra parte, se invece consideriamo la LOTTA come puramente fisica, e il dolore psicologico come dolore solo in senso metaforico, allora LA DISCUSSIONE

È UNA LOTTA può essere interpretata in senso metaforico. Il fatto è che sottocategorizzazione e metafora sono i due estremi di un continuum. Una relazione della forma A è B (ad esempio, UNA DISCUSSIONE È UNA LOTTA) sarà un chiaro esempio di sottocategorizzazione se A e B appartengono allo stesso tipo di cose o attività; sarà invece una metafora se essi sono senza ambiguità tipi diversi di cose o attività. Ma quando non è del tutto chiaro se A e B appartengano allo stesso tipo di cose o attività, allora la relazione A è B si colloca in qualche punto intermedio di questo continuum. Ciò che è importante sottolineare è che la teoria delineata nel capitolo precedente può spiegare questi casi meno chiari altrettanto bene di quelli più precisamente delineati. I casi meno chiari richiederanno lo stesso tipo di strutture (con le stesse dimensioni e le stesse possibili complessità) degli altri casi. In un caso poco chiaro della forma A è B, sia A che B saranno entrambi gestalt che strutturano certi tipi di attività (o di cose), e il solo problema sarà se le attività o le cose strutturate da queste gestalt siano dello stesso tipo. Abbiamo finora caratterizzato la coerenza in termini di gestalt basate sull’esperienza, dotate di varie dimensioni, che emergono direttamente dall’esperienza. Alcune di queste gestalt sono relativamente semplici (CONVERSAZIONE) mentre altre sono estremamente elaborate (GUERRA). Vi sono pure gestalt complesse, parzialmente strutturate in termini di altre gestalt. Queste sono quelle che abbiamo chiamato concetti strutturati metaforicamente. Alcuni concetti sono strutturati quasi interamente in modo metaforico. Ad esempio il concetto AMORE è strutturato prevalentemente in termini metaforici; L’AMORE È UN VIAGGIO, L’AMORE È UN MALATO, L’AMORE È UNA FORZA FISICA, L’AMORE È FOLLIA, L’AMORE È GUERRA ecc. Tale concetto ha un nucleo che è minimamente strutturato dalla sottocategorizzazione L’AMORE È UN EMOZIONE e da connessioni con altre emozioni come, ad esempio, la simpatia. Ciò è tipico dei concetti emotivi, che non sono chiaramente delineati nella nostra esperienza in alcun modo diretto, e devono quindi essere compresi principalmente in modo indiretto, attraverso una metafora. Ma la coerenza è qualcosa di più di una strutturazione in termini di gestalt multidimensionali. Quando un concetto è strutturato da più di una sola metafora, le differenti strutturazioni metaforiche normalmente si combinano insieme in maniera coerente. Considereremo ora altri aspetti della coerenza,

sia all’interno di una singola strutturazione metaforica sia in due o più metafore.

16. LA COERENZA METAFORICA

16.1 Aspetti specializzati di un concetto Finora abbiamo considerato il concetto DISCUSSIONE abbastanza in dettaglio da avere il senso della sua struttura complessiva generale. Come molti altri dei nostri concetti generali, il concetto DISCUSSIONE ha aspetti specializzati che vengono utilizzati in determinate sottoculture o situazioni. Abbiamo visto ad esempio che nel mondo accademico, legale ecc. il concetto DISCUSSIONE è specificato in termini di DISCUSSIONE RAZIONALE, distinta dalla quotidiana discussione “irrazionale”. Nella DISCUSSIONE RAZIONALE le tattiche sono, in teoria, ristrette allo stabilire alcune premesse, fornire elementi che le sostengano e ricavare conclusioni logiche. In pratica, come si è visto, le tattiche che caratterizzano la discussione quotidiana (intimidazione, richiamo all’autorità ecc.) compaiono nelle reali discussioni “razionali” in forma nascosta o elaborata. Queste restrizioni supplementari definiscono la DISCUSSIONE RAZIONALE come una sottospecie particolare del concetto generale di DISCUSSIONE. Inoltre lo scopo della discussione è ulteriormente ristretto nel caso della DISCUSSIONE RAZIONALE, perché, nel caso ideale, la vittoria nella discussione è vista come funzionale al più elevato proposito della comprensione. Nella DISCUSSIONE RAZIONALE stessa vi è poi un’ulteriore specificazione: dal momento che il discorso scritto esclude la forma del dialogo propria della discussione a due, si è sviluppata una forma speciale di discussione con un solo partecipante. In questi casi la parola è sostituita dalla forma scritta e l’autore si rivolge non a un reale avversario, ma a un insieme di avversari ipotetici, oppure ad avversari reali che non sono presenti a difendere le loro posizioni, contrattaccare ecc. Ciò che abbiamo in questo caso è il concetto specifico di DISCUSSIONE RAZIONALE CON UN SOLO PARTECIPANTE. Infine vi è una distinzione fra una discussione come processo (l’atto dell’argomentare) e una discussione come prodotto (ciò che è stato scritto o detto nel corso dell’argomentazione). In questo caso il processo e il prodotto sono aspetti intimamente connessi dello stesso concetto generale, nessuno dei

due può esistere senza l’altro e ognuno dei due può venire messo in rilievo. Quindi noi parliamo dello stadio di una discussione riferendoci indifferentemente sia al processo sia al prodotto. Una DISCUSSIONE RAZIONALE CON UN SOLO PARTECIPANTE è un ramo specializzato del concetto generale DISCUSSIONE/ARGOMENTAZIONE e, come tale, ha alcuni vincoli speciali: dal momento che non è presente alcun avversario particolare, un avversario ideale deve essere ipotizzato. Se lo scopo della vittoria deve essere mantenuto, si tratterà di una vittoria su questo avversario ideale non presente. L’unico modo di garantirsi la vittoria è quello di riuscire a sconfiggere tutti i possibili avversari e portare sulle proprie posizioni le parti neutrali. Per far ciò è necessario anticipare le possibili obiezioni, difese, attacchi ecc., affrontarli man mano che si procede nella discussione. Dal momento che si tratta di una DISCUSSIONE RAZIONALE, tutti questi punti devono venire sviluppati non tanto per vincere quanto per soddisfare il più elevato proposito della comprensione. Le ulteriori restrizioni riguardanti la discussione razionale con un solo partecipante richiedono di dedicare una particolare attenzione a certi aspetti della discussione che non sono così importanti (o forse nemmeno presenti) nelle discussioni di ogni giorno. Fra questi elementi vi sono: Contenuto, Dovete avere sufficienti elementi a sostegno delle vostre tesi e dire sufficienti cose corrette per sostenere le vostre posizioni e sconfiggere ogni possibile obiezione. Progresso. Bisogna iniziare con premesse generalmente accettate e muovere, poi, in modo lineare verso una conclusione. Struttura. Una DISCUSSIONE RAZIONALE richiede appropriate connessioni logiche fra le varie parti. Forza. La capacità che una data argomentazione ha di resistere alle critiche dipende dalla forza dell’evidenza e dalla tenuta delle connessioni logiche. Importanza. Alcuni punti sono più importanti da sostenere e da difendere di altri, dal momento che successive argomentazioni saranno basate su di essi. Evidenza. In ogni argomentazione vi saranno alcuni elementi che non sono evidenti; essi devono venire identificati ed esaminati sufficientemente in dettaglio. Linearità. La forza di un’argomentazione può dipendere da quanto linearmente ci si muove dalle premesse alle conclusioni. Chiarezza. Ciò che si sta sostenendo e i nessi fra i vari punti devono essere sufficientemente chiari perché il lettore possa comprenderli.

Questi sono aspetti della discussione razionale con un solo partecipante che non sono necessariamente presenti in una comune discussione di tutti i giorni. Il concetto CONVERSAZIONE e la metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA non focalizzano tali aspetti, che sono invece cruciali nella

DISCUSSIONE RAZIONALE idealizzata. Come risultato il concetto di DISCUSSIONE RAZIONALE è ulteriormente definito attraverso altre metafore che ci permettono di mettere a fuoco questi importanti aspetti: UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO, UN’ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE e UN’ARGOMENTAZIONE È UNA COSTRUZIONE. Come vedremo, ognuna di queste metafore ci ricollega ad alcuni dei precedenti aspetti del concetto DISCUSSIONE RAZIONALE. Nessuna di esse, isolatamente, è sufficiente per darci un’estesa, completa e consistente comprensione di tutti questi aspetti, ma, considerate nel loro insieme, esse ci permettono una comprensione coerente di ciò che è una discussione razionale. Affronteremo ora il problema di cosa significa per varie differenti metafore, ognuna delle quali struttura parzialmente un concetto, fornire congiuntamente una comprensione coerente del concetto inteso come un tutto. 16.2 Coerenza all’interno di una singola metafora Possiamo farci un’idea del meccanismo della coerenza all’interno di una singola strutturazione metaforica cominciando dalla metafora L’ARGOMENTAZIONE/DISCUSSIONE È UN VIAGGIO. Questa metafora ha a che vedere con lo scopo della discussione, con il fatto che ci deve essere un inizio, uno sviluppo in forma lineare e un progresso nei differenti stadi per conseguire lo scopo finale. Ecco alcuni esempi di tale metafora: L’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO Siamo partiti dalla premessa che la natura della luce è ondulatoria. Quando arriveremo al prossimo punto, vedremo che la filosofia è morta. Fino a questo punto, abbiamo visto che nessuna delle attuali teorie è convincente. Procederemo passo per passo. Il nostro scopo è dimostrare che i colibrì sono essenziali per la difesa militare. Questa osservazione ci indica la strada per un’elegante soluzione. Siamo arrivati a delle conclusioni imbarazzanti.

Una cosa che sappiamo riguardo ai viaggi è che UN VIAGGIO DEFINISCE UN PERCORSO. UN VIAGGIO DEFINISCE UN PERCORSO Ha smarrito la strada. Sta prendendo la direzione sbagliata. Essi ci stanno seguendo.

Sono perso.

Combinando assieme UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO e UN VIAGGIO DEFINISCE UN PERCORSO, otteniamo: UN’ARGOMENTAZIONE DEFINISCE UN PERCORSO Ha deviato dalla linea dell’argomentazione. Stai seguendo il mio argomento? Ora stiamo nuovamente prendendo la direzione sbagliata. Sono perso. Stai girando in circolo. Inoltre i percorsi sono concepiti come superfici (si pensi a un tappeto che si srotola man mano che noi avanziamo, tracciando un percorso dietro di noi): IL PERCORSO DI UN VIAGGIO È UNA SUPERFICIE Abbiamo coperto un sacco di strada. È sulle nostre tracce. Ha deviato dalla traccia. È tornato indietro sulle stesse tracce.

Dato che UN’ARGOMENTAZIONE DEFINISCE UN PERCORSO E IL PERCORSO DI UN VIAGGIO È UNA SUPERFICIE, abbiamo: IL PERCORSO DI UN’ARGOMENTAZIONE È UNA SUPERFICIE Abbiamo già coperto questi punti. Abbiamo coperto molto terreno nella nostra discussione. Ritorniamo ancora sopra questo argomento. Stiamo andando fuori tema. Sei veramente arrivato a qualcosa. Siamo sulla strada di risolvere questo problema.

Abbiamo qui un insieme di casi che rientrano nella metafora UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO. Ciò che li rende sistematici sono due implicazioni metaforiche basate su due caratteristiche proprie del viaggio. Caratteristiche del viaggio: UN VIAGGIO DEFINISCE UN PERCORSO IL PERCORSO DI UN VIAGGIO È UNA SUPERFICIE Implicazioni metaforiche: UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO UN VIAGGIO DEFINISCE UN PERCORSO Quindi UN’ARGOMENTAZIONE DEFINISCE UN PERCORSO UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO

IL PERCORSO DI UN VIAGGIO È UNA SUPERFICIE Quindi IL PERCORSO DI UN’ARGOMENTAZIONE È UNA SUPERFICIE

Qui le implicazioni metaforiche caratterizzano la sistematicità interna della metafora UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO, cioè esse rendono coerenti tutti gli esempi che rientrano in quella metafora. 16.3 Coerenza fra due aspetti di un unico concetto UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO è solo una delle metafore per le discussioni, e precisamente quella che usiamo per focalizzare e parlare dello scopo, della direzione e del procedere di una discussione. Quando invece vogliamo parlare del contenuto di una discussione, usiamo la metafora strutturalmente complessa UN’ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE. I contenitori possono essere visti come qualcosa che definisce uno spazio limitato (con una superficie che li delimita, un centro e una parte periferica) e che contiene una sostanza (che può variare in quantità e che può avere una parte centrale situata nel centro). Quando vogliamo illuminare alcuni di questi aspetti di una discussione, usiamo la metafora UN’ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE. UNA ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE La nostra argomentazione non ha un gran contenuto. Tu non hai molti argomenti, ma le sue obiezioni hanno ancor meno sostanza. La tua argomentazione è vuota. Sono stanco del vostro vuoto argomentare. Non troverai quella idea nella sua argomentazione. Quella conclusione è esterna alla mia argomentazione. Questi punti sono centrali alla discussione, gli altri sono marginali. La vostra argomentazione fa acqua. Non sono ancora arrivato al cuore della sua argomentazione.

Dal momento che gli scopi delle metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE sono differenti, in quanto sono utilizzate per mettere a fuoco aspetti diversi di ciò che è una argomentazione (scopo e avanzamento contenuto), non ci si può aspettare che queste metafore si sovrappongano completamente. Vi sono tuttavia casi in cui si possono focalizzare contemporaneamente entrambi gli aspetti del VIAGGIO (progresso) e del CONTENITORE (contenuto), presenti in una argomentazione. In questi casi otteniamo metafore miste che mostrano allo stesso tempo entrambi gli aspetti.

Sovrapposizione fra le metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE: A questo punto la nostra argomentazione non ha più un gran contenuto. In ciò che abbiamo fatto fino qui, abbiamo delineato il nucleo della nostra argomentazione. Se continuiamo per la strada che abbiamo intrapreso, riusciremo a far entrare tutti i dati nella nostra teoria.

Ciò che rende possibile queste sovrapposizioni è che le metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE hanno alcune implicazioni in comune. Entrambe le metafore ci permettono di distinguere la forma di una argomentazione dal suo contenuto. Nella metafora del VIAGGIO, il percorso corrisponde alla forma della discussione e il terreno coperto corrisponde al suo contenuto. Quando si gira in circolo, possiamo anche fare un lungo percorso, ma non copriamo molto terreno, cioè la nostra argomentazione non ha un gran contenuto. In una buona argomentazione, comunque, ogni elemento formale è utilizzato per esprimere un qualche contenuto. Nella metafora del VIAGGIO, più lungo è il percorso (più lunga l’argomentazione), più terreno viene coperto (l’argomentazione ha maggiore contenuto). Nella metafora del CONTENITORE, la superficie che delimita i confini del contenitore rappresenta la forma dell’argomentazione, e ciò che è nel contenitore corrisponde al “contenuto” dell’argomentazione. In un contenitore progettato e utilizzato nel modo più efficiente possibile, tutte le superfici che lo delimitano rinserrano una porzione di contenuto. Idealmente, più superficie c’è (più lunga la argomentazione), più sostanza vi è nel contenitore (più contenuto nella argomentazione). Man mano che si dispiega il percorso di un viaggio, si produce una sempre maggiore superficie definita da quel percorso, così come si crea una sempre maggiore superficie del contenitore. La sovrapposizione delle due metafore è dunque la progressiva creazione di una superficie. Come la argomentazione copre più terreno (attraverso la superficie VIAGGIO), acquisisce più contenuto (attraverso la superficie CONTENITORE). Ciò che caratterizza questa sovrapposizione è una implicazione in comune, che si forma nel modo seguente: Implicazione non metaforica riguardo i viaggi: Quando facciamo un viaggio, viene creato un percorso maggiore. UN PERCORSO È UNA SUPERFICIE. Quindi, quando facciamo un viaggio, viene creata una superficie maggiore. Implicazione metaforica riguardo le argomentazioni (basata sui viaggi): UN’ ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO.

Quando facciamo un viaggio, viene creata una superficie maggiore. Quindi, quando facciamo un’argomentazione, viene creata una superficie maggiore. Implicazione metaforica riguardo le discussioni (basata sui contenitori): UN’ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE. Quando facciamo un contenitore, viene creata una superficie maggiore. Quindi, quando facciamo un’argomentazione, viene creata una superficie maggiore.

In questo caso le due implicazioni metaforiche hanno la stessa conclusione, come si può vedere nel diagramma seguente.

È questa sovrapposizione di implicazioni fra le due metafore che definisce la coerenza fra esse e fornisce le connessioni fra la quantità di terreno che una discussione copre e la quantità di contenuto che possiede. È su questa base che esse possono “combinarsi assieme”, anche se non sono completamente consistenti, cioè non esiste una “unica immagine” che si combina completamente con entrambe le metafore. La superficie di un contenitore e la superficie del terreno sono entrambe superfici per virtù di comuni proprietà topologiche. Ma la nostra immagine della superficie del terreno è molto diversa da quella dei vari tipi di superfici di un contenitore. Il concetto topologico astratto di superficie che costituisce la sovrapposizione fra queste due metafore, non è abbastanza concreto da formare un’immagine. In generale, quando le metafore sono coerenti ma non consistenti, non ci dovremmo aspettare che esse formino immagini consistenti. La differenza fra coerenza e consistenza è di importanza cruciale. Ogni metafora mette a fuoco un aspetto del concetto DISCUSSIONE, in questo senso ognuna è funzionale a un unico proposito. Inoltre ogni metafora ci permette di comprendere un aspetto del concetto nei termini di un concetto più chiaramente delineato, ad esempio, VIAGGIO O CONTENITORE. La ragione per cui abbiamo bisogno di due distinte metafore è che non esiste

un’unica metafora in grado di soddisfare queste condizioni, tale cioè da permetterci di collegarci contemporaneamente sia sulla direzione della argomentazione sia sul suo contenuto. Questi due scopi non possono venire conseguiti simultaneamente con una sola metafora. Qualora gli scopi non possano venire combinati assieme, nemmeno le corrispondenti metafore lo potranno; in caso contrario otterremo esempi di inaccettabili metafore miste, risultanti dall’impossibilità di una sola metafora chiaramente delineata, che soddisfi contemporaneamente entrambi i propositi. Ad esempio, noi possiamo parlare della direzione di una discussione e del contenuto di una discussione, ma non della direzione del contenuto né del contenuto della direzione della discussione. Non possiamo perciò avere frasi come: Possiamo ora seguire il percorso del nucleo della discussione. Il contenuto della discussione procede nel modo seguente. La direzione della sua discussione non ha sostanza. Sono disturbato dal vuoto percorso della sua discussione.

Le due metafore sarebbero consistenti se vi fosse un modo di soddisfare completamente entrambi i propositi con un unico concetto chiaramente delineato. Invece possiamo ottenere coerenza fra le metafore, dove si trova parziale soddisfazione di entrambi i propositi. Ad esempio, la metafora del VIAGGIO illumina sia la direzione che l’avvicinamento allo scopo. La metafora del CONTENITORE illumina il contenuto con rispetto alla sua quantità, densità, centralità e confini. L’aspetto progresso della metafora del VIAGGIO e l’aspetto quantità della metafora del CONTENITORE possono essere contemporaneamente attivati in quanto la quantità aumenta man mano che la discussione progredisce. Come abbiamo già osservato, ciò si può vedere in metafore miste accettabili. Finora abbiamo considerato la coerenza fra due strutturazioni metaforiche del concetto DISCUSSIONE, e abbiamo evidenziato i seguenti punti: - Le implicazioni metaforiche giocano un ruolo essenziale nel connettere tutti gli esempi di una singola strutturazione metaforica di un concetto (come nei vari esempi della metafora UNA DISCUSSIONE È UN VIAGGIO). - Le implicazioni metaforiche giocano pure un ruolo essenziale nel connettere due diverse strutturazioni metaforiche di un unico concetto (come nelle metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE per la DISCUSSIONE). - Un’implicazione metaforica in comune può stabilire una corrispondenza attraverso metafore differenti. Ad esempio la comune implicazione QUANDO FACCIAMO UNA DISCUSSIONE, VIENE

CREATA UNA SUPERFICIE MAGGIORE, Stabilisce una corrispondenza fra la quantità di terreno coperto in una discussione (che è nella metafora del VIAGGIO) e la quantità di contenuto nella discussione (che è nella metafora del CONTENITORE). - Le varie strutturazioni metaforiche di un concetto servono a scopi diversi, illuminando differenti aspetti di un concetto. - Qualora si dia una sovrapposizione di scopi, si verifica una sovrapposizione di metafore e quindi una coerenza fra loro. Le metafore miste accettabili si collocano proprio in questa sovrapposizione. - In generale, una completa consistenza attraverso metafore diverse è rara; la coerenza, d’altra parte, è invece tipica.

17. COERENZE COMPLESSE ATTRAVERSO METAFORE

La strutturazione metaforica di un concetto, ad esempio la metafora del VIAGGIO nel caso della discussione, ci permette di collegarci a un aspetto di quel concetto. Una metafora quindi funziona quando soddisfa un dato scopo, e precisamente la comprensione di un aspetto di un dato concetto. Quando due metafore soddisfano con successo due scopi, allora le sovrapposizioni nei reciproci scopi corrisponderanno alle sovrapposizioni nelle metafore stesse. Secondo la nostra prospettiva tali sovrapposizioni possono essere caratterizzate in termini di implicazioni metaforiche in comune e delle corrispondenze fra metafore da esse stabilite. Nel capitolo precedente abbiamo visto un semplice esempio di questo funzionamento; vorremmo ora mostrare come gli stessi meccanismi sono all’opera in esempi complessi. Vi sono due cause per tale complessità: (1) spesso vi sono numerose metafore che strutturano parzialmente un unico concetto e (2) quando discutiamo un concetto, noi utilizziamo altri concetti che sono essi stessi compresi in termini metaforici e ciò produce ulteriori sovrapposizioni di metafore. Possiamo ora isolare i fattori che producono tali complessità esaminando più dettagliatamente il concetto ARGOMENTAZIONE. In generale le argomentazioni svolgono una funzione di comprensione: costruiamo argomentazioni quando abbiamo bisogno di mostrare le connessioni fra cose che sono ovvie, che noi prendiamo per buone, e altre cose che non sono ovvie. Facciamo ciò mettendo insieme delle idee e queste idee costituiscono il contenuto dell’argomentazione. Le cose che noi prendiamo per buone sono il punto di partenza dell’argomentazione. Le cose che vogliamo mostrare sono gli obiettivi che dobbiamo raggiungere. Come procediamo verso questi obiettivi, progrediamo con lo stabilire delle connessioni. Le connessioni possono essere forti o deboli e la rete delle connessioni ha una struttura complessiva. In ogni argomentazione certe idee e connessioni possono essere più fondamentali di altre, certe idee saranno più ovvie di altre. Un’argomentazione sarà migliore a seconda del suo contenuto, della forza delle sue connessioni, di quanto direttamente stabilisce le connessioni e di quanto le connessi sono facili da comprendere. In breve le diverse metafore dell’ARGOMENTAZIONE servono allo scopo di fornire

una comprensione dei seguenti aspetti del concetto: contenuto progresso struttura forza

importanza evidenza linearità chiarezza

Nel capitolo precedente abbiamo visto che la metafora del VIAGGIO mette in rilievo almeno il contenuto e il progresso, che la metafora del CONTENITORE mette in rilievo almeno il contenuto e che vi è una sovrapposizione basata sulla progressiva accumulazione di contenuto. Ma queste due metafore servono a più di uno scopo e sono implicate in coerenze anche più complesse. Possiamo vederlo considerando una terza metafora per le argomentazioni: UNA ARGOMENTAZIONE È UNA COSTRUZIONE Abbiamo trovato l’intelaiatura per un solido argomento. Se non sostieni il tuo argomento con solidi fatti, il tutto crollerà. Egli sta tentando di puntellare il suo argomento con un sacco di fatti irrilevanti, ma è ancora così traballante che cadrà facilmente sotto il peso delle critiche. È un argomento solidamente basato.

Insieme, la metafora del VIAGGIO, del CONTENITORE e della COSTRUZIONE mettono in rilievo tutti i precedenti aspetti del concetto ARGOMENTAZIONE come mostra l’elenco seguente: VIAGGIO

CONTENITORE

COSTRUZIONE

contenuto

contenuto

contenuto

progresso

progresso

progresso

linearità

importanza

importanza

evidenza

forza

forza

chiarezza

struttura

Ecco alcuni esempi di come noi comprendiamo ognuno di questi aspetti nei termini delle metafore: VIAGGIO Fino a questo punto non abbiamo fatto molta strada (progresso, contenuto). Questo è un argomento circolare (linearità).

Abbiamo bisogno di andare oltre su questo punto, per vedere chiaramente cosa è implicato (progresso, evidenza). CONTENITORE Nella vostra argomentazione ci sono tutte le idee giuste, ma non è ancora trasparente (contenuto, progresso, chiarezza). Queste idee formano il nucleo solido dell’argomentazione (forza, importanza). COSTRUZIONE Abbiamo le basi dell’argomentazione, ora abbiamo bisogno di una solida intelaiatura (importanza, forza, struttura). Abbiamo così costruito la maggior parte della argomentazione (progresso, contenuto).

Abbiamo visto nel capitolo precedente che il fatto che sia il viaggio sia il contenitore definiscano delle superfici era la base per la sovrapposizione fra le metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE. Il fatto che anche una costruzione abbia una superficie, e precisamente le fondamenta e l’involucro esterno, rende possibili ulteriori sovrapposizioni con la metafora della COSTRUZIONE. In ognuno di questi casi la superficie definisce il contenuto, ma in modi diversi: Viaggio. La superficie definita dal percorso dell’argomentazione “copre una parte di terreno” e il contenuto è il terreno coperto dall’argomentazione. Contenitore. Il contenuto è dentro il contenitore, i cui limiti sono definiti dalla sua superficie. Costruzione. Le superfici sono l’involucro esterno e le fondamenta, che definiscono una parte interna della costruzione. Ma nella metafora della COSTRUZIONE, diversamente che nella metafora del CONTENITORE, il contenuto non è nell’interno; piuttosto le fondamenta e l’involucro esterno costituiscono il contenuto. Possiamo vedere ciò in esempi come: “Le fondamenta della vostra argomentazione non hanno abbastanza contenuto per sostenere le vostre affermazioni” e “l’intelaiatura della vostra argomentazione non ha abbastanza sostanza da resistere alle critiche”.

Chiamiamo queste superfici “superfici che definiscono il contenuto”. La nozione di una superficie che definisce un contenuto non è sufficiente per descrivere la maggior parte delle coerenze che noi troviamo fra le metafore. Ad esempio, vi sono esempi di sovrapposizione metaforica basati sulla nozione di profondità. Dal momento che anche la profondità è definita relativamente alla superficie, sarebbe logico pensare che la superficie che definisce la profondità per ciascuna metafora sia la stessa della superficie che definisce il contenuto. Tuttavia non sempre questo si verifica, come mostrano gli esempi seguenti: Questo è un argomento superficiale: ha bisogno di più fondamenta (COSTRUZIONE). Non avete ancora raggiunto i punti più profondi, quelli che sono il nucleo dell’argomento (CONTENITORE).

Sia nella metafora della COSTRUZIONE che in quella del VIAGGIO, la superficie che definisce la profondità è il livello del terreno. Nella metafora del CONTENITORE, è di nuovo la superficie del contenitore. VIAGGIO Superficie che definisce il contenuto

superficie creata dal percorso (la copertura)

CONTENITORE

COSTRUZIONE

superficie del contenitore

fondamenta e involucro

Superficie livello del superficie del livello del che terreno contenitore terreno definisce la profondità Prima di passare alle coerenze, è importante rendersi conto che qui operano due diverse nozioni di profondità. Nelle metafore della COSTRUZIONE e del CONTENITORE, ciò che è più profondo è più importante. Le parti più importanti dell’argomentazione sono le più profonde: le fondamenta e il nucleo. Invece nella metafora del VIAGGIO i fatti profondi sono quelli che non sono ovvi. I fatti che non sono sulla superficie sono nascosti alla vista immediata; è necessario andare dentro di essi in profondità. Gli scopi di un’argomentazione includono di trattare certi argomenti (concludendoli), e, inoltre, di occuparsene con la necessaria profondità. Il progresso in un’argomentazione non è puramente questione di coprire argomenti, richiede anche di andare sufficientemente in profondità. Addentrarsi nell’argomento alla profondità richiesta è parte del viaggio: Quando siamo entrali più profondamente nell’argomento abbiamo scoperto: Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo esplorare i problemi a un livello più profondo.

Dal momento che la maggior parte di un viaggio è sulla superficie della terra, è quella superficie che definisce la profondità degli argomenti da toccare. Ma come entriamo in profondità in un argomento, lasciamo una traccia (superficie) dietro di noi, come facciamo con tutte le parti del viaggio. È nel lasciare questa superficie dietro che noi copriamo un argomento a una

certa profondità. Ciò spiega le seguenti espressioni: Siamo entrati in profondità in molti argomenti. Andando avanti, considereremo questi punti in profondità. Abbiamo coperto tutti gli argomenti ai livelli appropriati.

Quindi l’orientamento metaforico di profondità corrisponde all’importanza nelle metafore della COSTRUZIONE e del CONTENITORE, ma alla mancanza di ovvietà nella metafora del VIAGGIO. Dal momento che la profondità e il progresso sono aspetti molto diversi di un’argomentazione, non vi è la possibilità di un’immagine consistente in nessuna delle metafore dell’ARGOMENTAZIONE. Ma in questo caso, come prima, sebbene la consistenza non sia possibile, vi è coerenza metaforica. Avendo chiarito la distinzione fra superfici che definiscono il contenuto e superfici che definiscono la profondità, siamo nella posizione di vedere un numero di altre coerenze complesse. Come nel caso della coerenza fra le metafore del VIAGGIO e del CONTENITORE, vi è coerenza fra tutte e tre le metafore basate sul fatto che tutte e tre hanno superfici che definiscono il contenuto. Con il procedere dell’argomentazione, si crea più superficie e quindi l’argomentazione acquista più contenuto. Questa sovrapposizione fra le tre strutturazioni metaforiche del concetto permette metafore miste del tipo seguente: Finora abbiamo costruito il nucleo dell’argomentazione. Qui “finora” deriva dalla metafora del VIAGGIO, “costruire” dalla metafora della COSTRUZIONE e “nucleo” da quella del CONTENITORE. Si noti che possiamo proprio dire la stessa cosa usando il concetto di costruzione “fondamenta” o il concetto neutrale “la parte più importante” al posto di “nucleo”: Finora abbiamo costruito le fondamenta dell’argomentazione. Finora abbiamo costruito la parte più importante della nostra argomentazione.

Ciò è possibile perché la profondità caratterizza l’importanza in entrambe le metafore della COSTRUZIONE e del CONTENITORE. Entrambe hanno una parte più profonda, cioè più importante: nella metafora del CONTENITORE è il nucleo, nella metafora della COSTRUZIONE sono le fondamenta. Abbiamo quindi una corrispondenza fra le due metafore. Ciò si

può vedere negli esempi seguenti, dove le metafore del CONTENITORE e della COSTRUZIONE possono essere liberamente mischiate per virtù di tale corrispondenza. Questi punti sono centrali per la nostra argomentazione e forniscono le fondamenta per tutto quello che verrà. Possiamo minare l’argomentazione mostrando che i suoi punti centrali sono deboli. Le idee più importanti, su cui si basa tutto il resto, sono il nucleo dell’argomentazione.

La corrispondenza in questo caso si basa sull’implicazione in comune: UN’ARGOMENTAZIONE È UNA COSTRUZIONE Una costruzione ha una parte più profonda. Quindi, UN’ARGOMENTAZIONE HA UNA PARTE PIÙ PROFONDA. UN’ARGOMENTAZIONE È UN CONTENITORE Un contenitore ha una parte più profonda.

Quindi, UN’ARGOMENTAZIONE HA UNA PARTE PIÙ PROFONDA. Dal momento che la profondità caratterizza l’importanza in entrambe le metafore, la parte più profonda è la parte più importante. Il concetto LA PARTE PIÙ IMPORTANTE, quindi, ricade nella sovrapposizione delle due metafore ed è neutrale fra esse. Poiché lo scopo di un’argomentazione è fornire comprensione, non è sorprendente che la metafora CAPIRE È VEDERE si sovrapponga con le varie metafore dell’ARGOMENTAZIONE. Quando viaggiate, voi vedete più cose man mano che procedete. Questo riporta alla metafora UN’ARGOMENTAZIONE È UN VIAGGIO. Come procedete nell’argomentazione, voi vedete di più e, dato che CAPIRE È VEDERE, voi comprendete di più. Ciò spiega espressioni come: Abbiamo osservato che l’Aquinate usava certe nozioni platoniche. Essendo giunti fino a questo punto, siamo ora in grado di vedere dove Hegel sbagliava.

Poiché in un viaggio ci può essere una guida che indica le cose di interesse lungo la strada, abbiamo anche espressioni come: Mostreremo ora che Green ha male interpretato la spiegazione di Kant della volontà. Notate che X non segue da Y senza ulteriori assunzioni. Dovremmo indicare che una tale prova non è stata ancora trovata.

In questi casi l’autore è la guida che ci conduce attraverso

l’argomentazione. Parte della metafora del VIAGGIO richiede di entrare in profondità in un argomento. La metafora COMPRENDERE È VEDERE si applica anche in questo caso. In una argomentazione i punti superficiali (quelli sulla superficie) sono ovvi, facili da vedere e da capire. Ma i punti più profondi non sono ovvi. Rivelarli in modo che possiamo vederli richiede uno sforzo, uno scavo. Andando più in profondità dentro a un problema, noi sveliamo di più, il che ci permette di vedere di più, cioè di comprendere di più. Ciò spiega espressioni come: Scava più a fondo nella sua argomentazione e vi scoprirai molta sostanza. Possiamo vedere ciò solo se approfondiremo la questione. Le argomentazioni superficiali sono praticamente inutili, dal momento che non ci mostrano granché.

La metafora CAPIRE È VEDERE si sovrappone anche alla metafora della COSTRUZIONE, dove ciò che è visto è la struttura (sagoma, forma, contorno ecc.) dell’argomentazione. Possiamo ora vedere il profilo dell’argomentazione. Se guardiamo attentamente alla struttura dell’argomentazione…

Infine la metafora CAPIRE È VEDERE si sovrappone alla metafora del CONTENITORE, dove ciò che vediamo è il contenuto (attraverso la superficie del contenitore) come in: Questo è un argomento notevolmente trasparente. Non avevo visto questo punto nella vostra argomentazione. Dal momento che la tua argomentazione non è molto chiara, non posso vedere dove vuoi arrivare.

Un’altra coerenza attraverso metafore diverse appare nel discutere la qualità di un’argomentazione. Molti degli aspetti di un’argomentazione, messi in luce dalle varie metafore dell’ARGOMENTAZIONE, possono essere quantificati, ad esempio contenuto, chiarezza, forza, linearità ed evidenza. La metafora PIÙ È MEGLIO si sovrappone a tutte la metafora dell’ARGOMENTAZIONE e ci permette di vedere la qualità in termini di quantità. Quindi abbiamo esempi come questi: Non c’è molta sostanza nel tuo argomento. La vostra argomentazione non ha nessun contenuto. Non è un’argomentazione veramente buona, perché non fa molta strada. Quest’argomentazione non va, non è abbastanza chiara. Il vostro argomento è troppo debole per sostenete i loro attacchi.

L’argomento è troppo indiretto, nessuno sarà capace di seguirlo. La vostra argomentazione non copre il soggetto in questione con sufficiente profondità.

Tutti questi casi stabiliscono qualità in termini di quantità. Ma non abbiamo assolutamente esaurito tutte le coerenze fra metafore diverse riguardanti le metafore della ARGOMENTAZIONE. Consideriamo, ad esempio, l’estesa rete di coerenze basate sulla metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA. Qui è possibile vincere o perdere, attaccare e difendere, pianificare e perseguire una strategia ecc. Qui gli argomenti possono essere rinforzati attraverso la metafora della COSTRUZIONE, così che possiamo lanciarci su o attaccare un’argomentazione, farla a pezzi e distruggerla. Le argomentazioni possono anche essere missili, attraverso la metafora del CONTENITORE. Quindi possiamo lanciare la sfida “Spara!” e l’argomentazione in risposta può centrare il bersaglio e colpire nel segno. Per difendervi potete tentare di abbattere l’argomentazione del vostro avversario. Dovrebbe a questo punto essere chiaro che gli stessi tipi di coerenza trovati in esempi semplici, capitano anche in casi molto più complessi del tipo che abbiamo esaminato finora. Quelle che possono apparire in un primo momento come espressioni metaforiche casuali e isolate, ad esempio, coprire questi punti, puntellare il vostro argomento, arrivare al nucleo, scavare più in profondità, attaccare una posizione e stroncare, si rivelano niente affatto casuali. Piuttosto esse sono parte di interi sistemi metaforici che insieme servono al proposito complesso di caratterizzare il concetto di un’argomentazione e di una discussione in tutti i suoi aspetti, come noi li concepiamo. Sebbene tali metafore non ci forniscano un’unica consistente immagine concreta, esse sono nondimeno coerenti e si combinano insieme solo quando vi sono implicazioni sovrapposte. Le metafore provengono dalle nostre esperienze chiaramente delineate e concrete e ci permettono di costruire concetti altamente astratti ed elaborati come quello di argomentazione.

18. ALCUNE CONSEGUENZE PER LE TEORIE DELLA STRUTTURA CONCETTUALE

Ogni teoria adeguata del sistema concettuale umano dovrà specificare come i concetti sono 1) fondati, 2) strutturati, 3) collegati gli uni con gli altri, 4) definiti. Finora abbiamo fornito una spiegazione provvisoria di come i concetti siano fondati, strutturati e collegati (sottocategorizzazione, implicazione metaforica, parte, partecipante ecc.) per quelli che abbiamo considerato come casi tipici. Abbiamo inoltre sostenuto che la maggior parte del nostro sistema concettuale è strutturata metaforicamente e abbiamo dato una breve spiegazione di cosa ciò voglia dire. Prima di considerare le implicazioni delle nostre posizioni per quanto riguarda il problema della definizione, è necessario analizzare le due più importanti strategie che sono state utilizzate dai linguisti e dai logici quando si sono occupati, pur senza fare alcun riferimento alla metafora, di ciò che noi abbiamo chiamato concetti metaforici. Le due strategie sono l’astrazione e l’omonimia. Per vedere come queste posizioni differiscano dalla spiegazione che noi abbiamo avanzato, consideriamo il termine puntello in “Egli ha puntellato il muro” ed “Egli ha puntellato il suo argomento con più dati”. Secondo la nostra spiegazione, noi comprendiamo puntellare nella frase “Egli ha puntellato il suo argomento” in termini del concetto PUNTELLO, che è parte della gestalt COSTRUZIONE. Dal momento che il concetto ARGOMENTO è parzialmente compreso in termini della metafora UN ARGOMENTO È UNA COSTRUZIONE, il significato di “puntellare” nel concetto ARGOMENTO dipenderà dal significato che esso ha nel concetto COSTRUZIONE, più il modo in cui la metafora COSTRUZIONE struttura in generale il concetto ARGOMENTO. In tal modo noi non abbiamo bisogno di una definizione indipendente per il concetto PUNTELLO nella frase “Egli ha puntellato il suo argomento”. Contro tale punto di vista, la posizione basata sull’astrazione sostiene che vi è un unico concetto di PUNTELLO, molto generale e astratto, che è neutro rispetto al “puntello” di COSTRUZIONE e quello di ARGOMENTO. Secondo questa posizione “Egli ha puntellato il muro” ed “Egli ha puntellato il suo argomento” sono entrambi casi speciali dello stesso concetto molto astratto.

L’omonimia assume una posizione opposta: invece di sostenere che vi è un unico concetto per PUNTELLO, astratto e neutrale, essa pensa che vi siano due concetti diversi e indipendenti, PUNTELLO1 e PUNTELLO2. Si può distinguere fra una omonimia forte, secondo la quale PUNTELLO1 e PUNTELLO2 sono completamente differenti e non hanno nulla a che vedere uno con l’altro, dal momento che uno si riferisce a oggetti fisici (parti di una costruzione) e l’altro a un concetto astratto (una parte di un argomento), e una omonimia debole, secondo la quale pure vi sono due, concetti distinti e indipendenti, PUNTELLO1 e PUNTELLO2, ma che ammette che i loro significati possano essere simili per qualche aspetto, e che i concetti siano collegati sulla base di tale similarità. Tale posizione nega comunque che ognuno dei due concetti sia compreso nei termini dell’altro; tutto ciò che sostiene è che i due concetti abbiano qualcosa in comune, e precisamente un’astratta similarità. Da questo punto di vista la omonimia debole ha un elemento in comune con l’astrazione, dal momento che questa astratta similarità avrebbe precisamente le proprietà di nucleo concettuale centrale, come ipotizzato dalla teoria basata sull’astrazione. Vorremmo ora mostrare che né la teoria basata sull’astrazione quella basata sull’omonimia possono dare ragione di quel genere di fatti che ci ha condotto a postulare la teoria dei concetti metaforici - in particolare i fatti che riguardano i tipi metaforici (orientazionali, fisici e strutturali) e le loro proprietà (sistematicità interna ed esterna, fondamenti e coerenza). 18.1 Inadeguatezza dell’astrazione La teoria dell’astrazione è inadeguata da parecchi punti di vista. Innanzitutto sembra non essere in grado di assegnare alcun significato alle metafore di orientamento SU-GIÙ, come FELICE È SU, CONTROLLO È SU, PIÙ È SU, LA VIRTÙ SU, IL FUTURO È su, LA RAGIONE È SU ecc. Quale singolo concetto generale dotato di un qualche contenuto potrebbe rappresentare un’astrazione per concetti come PESO, FELICITÀ, CONTROLLO, PIÙ, VIRTÙ, FUTURO, RAGIONE, NORD combinandoli tutti assieme in modo preciso? Inoltre sembrerebbe che SU e GIÙ non possano venire collocati allo stesso livello di astrazione, dal momento che SU si applica al FUTURO, mentre GIÙ non si applica al PASSATO. Noi siamo in grado di dare ragione di questa strutturazione metaforica parziale, ma nella

prospettiva suggerita dalla teoria dell’astrazione, il concetto SU sarebbe in qualche misura più astratto del concetto GIÙ, e ciò non sembra molto ragionevole. In secondo luogo la teoria dell’astrazione non farebbe alcuna differenza tra metafore della forma A è B e metafore della forma B è A, poiché sosterrebbe che vi sono termini neutri che coprono entrambi gli àmbiti. Ad esempio, in inglese o in italiano abbiamo la metafora L’AMORE È UN VIAGGIO, ma non I VIAGGI SONO AMORE. L’astrazione negherebbe che l’amore è compreso in termine di viaggio, e sosterrebbe la posizione controintuitiva che amore e viaggi sono entrambi compresi in termini di qualche concetto astratto, neutrale fra essi. In terzo luogo, metafore differenti possono strutturare differenti aspetti di uno stesso concetto: ad esempio L’AMORE È UN VIAGGIO, L’AMORE È GUERRA, L’AMORE È UNA FORZA FISICA, L’AMORE È FOLLIA. Ognuna di queste metafore fornisce una diversa prospettiva sul concetto di AMORE e struttura uno dei vari aspetti di tale concetto. L’ipotesi basata sull’astrazione cercherebbe un unico generale concetto di amore abbastanza astratto da poter coprire tutti questi aspetti. Anche se ciò fosse possibile, si verrebbe comunque a perdere l’idea che tutte queste metafore non caratterizzano congiuntamente un nucleo centrale del concetto AMORE, ma caratterizzano separatamente differenti aspetti dell’AMORE. In quarto luogo, se consideriamo le metafore strutturali della forma A è В (L’AMORE È UN VIAGGIO, LA MENTE È UNA MACCHINA, LE IDEE SONO CIBI, UN ARGOMENTO È UNA COSTRUZIONE), troviamo che В (il concetto che definisce) è più chiaramente delineato nella nostra esperienza e generalmente più concreto di quanto non sia A (il concetto che viene definito). Inoltre nel concetto che serve a definire vi è sempre qualche elemento in più che non viene trasferito sul concetto che deve essere definito. Consideriamo LE IDEE SONO CIBI. Possiamo aver crudi fatti e idee precotte, ma non vi sono idee rosolate, stracotte о affogate. In UN ARGOMENTO È UNA COSTRUZIONE solo le fondamenta e le parti esterne sono utilizzate nella metafora, non le stanze interne, i corridoi, il tetto ecc. Abbiamo già spiegato questa asimmetria nel modo seguente: i concetti meno chiaramente delineati (e generalmente meno concreti) sono parzialmente compresi sulla base dei concetti più chiaramente delineati (e generalmente più concreti), direttamente fondati sulla nostra esperienza. L’astrazione non ha spiegazioni per questa asimmetria, dal momento che non

può spiegare la tendenza a comprendere il meno concreto sulla base del più concreto. In quinto luogo, nella prospettiva suggerita dall’astrazione non vi sono affatto concetti metaforici, e quindi non vi è alcuna ragione di aspettarsi il tipo di sistematicità che noi abbiamo trovato. Così, ad esempio, non vi è alcuna ragione di aspettarsi un intero sistema di concetti connessi al cibo che possa applicarsi alle idee, o un intero sistema di concetti connessi agli edifici che possa essere applicato agli argomenti. Né vi è ragione di attendersi il tipo di compatibilità interna che abbiamo riscontrato nei casi come IL TEMPO È UN OGGETTO CHE si MUOVE. In generale l’astrazione non è in grado di spiegare nessun fenomeno di sistematicità interna. L’astrazione inoltre fallisce anche nello spiegare la sistematicità esterna. La nostra impostazione dà ragione del modo in cui le varie metafore riferentesi a un unico concetto (ad esempio le metafore del VIAGGIO, COSTRUZIONE, CONTENITORE e GUERRA per gli argomenti) si sovrappongono nel modo che sappiamo. Ciò è dovuto a propositi e implicazioni comuni ai concetti metaforici. Il modo in cui i singoli concetti (come NUCLEO, FONDAMENTA, COPERTURA, DEMOLIRE) si combinano l’un l’altro è prevedibile sulla base degli scopi e delle implicazioni comuni all’intero sistema metaforico. Dal momento che la teoria dell’astrazione non ha alcun sistema metaforico, essa non può spiegare perché le metafore possono combinarsi nel modo in cui si combinano. Sesto, poiché l’astrazione non ha strutturazione parzialmente metaforica, non può spiegare le estensioni metaforiche a parti generalmente non utilizzate di una metafora come nella frase “La tua teoria è una costruzione di pastafrolla” e in molti altri casi che ricadono in settori inusuali della metafora LE TEORIE SONO COSTRUZIONI. Infine l’ipotesi dell’astrazione assume, ad esempio nel caso di L’AMORE È UN VIAGGIO, che vi sia un insieme di concetti astratti, neutrali rispetto all’amore e al viaggio, che possono “combinarsi” o “applicarsi” a entrambi. Ma perché tali concetti astratti possano “combinarsi” o applicarsi all’amore, il concetto di AMORE deve essere strutturato indipendentemente, in modo tale che si possa dare tale “combinazione”. Come mostreremo fra breve, l’AMORE non è però un concetto dotato di una struttura chiaramente delineata; qualunque sia la sua struttura, essa può essere definita soltanto attraverso metafore. Ma l’astrazione, che non possiede metafore per organizzare la strutturazione, deve assumere che per il concetto AMORE

esista indipendentemente una struttura altrettanto chiaramente delineata quanto lo sono gli aspetti rilevanti dei viaggi. È difficile immaginarsi come. 18.2 Inadeguatezza dell’omonimia: omonimia forte L’omonimia è l’uso della stessa parola per concetti differenti, come nel caso del letto del fiume e del letto in cui dormiamo. Secondo una teoria forte dell’omonimia, nel tipo di esempi che siamo andati considerando la parola “attaccare” in “Essi hanno attaccato il forte” e “Essi hanno attaccato il mio argomento” rimanderebbe a due concetti completamente diversi e non correlati. Il fatto che sia utilizzato lo stesso termine “attaccare”, sarebbe considerato puramente accidentale. Analogamente la parola “in” di “in cucina”, “in Marina” e “in uno stato di euforia” rimanderebbe a tre concetti interamente diversi, indipendenti e non collegati, e sarebbe nuovamente per caso che a essere utilizzata sia la stessa parola. Secondo una tale posizione, in italiano vi sarebbero dozzine di concetti separati e non collegati, tutti casualmente espressi dal termine “in”. In generale l’omonimia forte non può dare ragione delle relazioni che noi abbiamo identificato nei sistemi di concetti metaforici; essa cioè vede come accidentali tutti quei fenomeni che noi spieghiamo in termini sistematici. In primo luogo l’omonimia forte non può spiegare alcun tipo di sistematicità interna che noi abbiamo descritto. Ad esempio, in un tale approccio sarebbe possibile che “i sento su” significhi “sono felice” e contemporaneamente che “il mio spirito si sta risollevando” significhi “sto diventando più triste”. Né d’altra parte una tale posizione è in grado di spiegare perché l’intero sistema dei termini usati per la guerra dovrebbe applicarsi in modo sistematico alle discussioni o perché il sistema della terminologia dei cibi dovrebbe sistematicamente applicarsi alle idee. In secondo luogo, l’omonimia forte presenta gli stessi problemi rispetto alla sistematicità esterna, cioè non può spiegare la sovrapposizione delle metafore e la possibilità di un loro combinarsi assieme. Ad esempio, non può spiegare perché il “terreno coperto” di una discussione può riferirsi alla stessa cosa del “contenuto” di una discussione. Ciò si applica in generale a tutti gli esempi di metafore miste che abbiamo dato. Terzo, l’omonimia forte non può spiegare l’estensione di parti utilizzate (o non utilizzate) di una metafora, come nella frase “Le sue teorie sono gotiche e coperte di pinnacoli”. Poiché tale teoria non possiede alcuna

metafora generale del tipo UNA DISCUSSIONE È UNA COSTRUZIONE, deve considerare questi casi come casuali. 18.3 Omonimia debole L’ovvia inadeguatezza generale della omonimia forte è che essa non può dare ragione di nessuna di quelle relazioni sistematiche che noi abbiamo trovato nei concetti metaforici, dal momento che considera ogni concetto non solo indipendente ma anche non collegato in alcun modo con gli altri concetti espressi dalla stessa parola. L’omonimia debole è superiore a quella forte precisamente perché permette la possibilità di tali relazioni. In generale essa ammette che i vari concetti espressi da un singolo termine possono in molti casi essere collegati da similarità, e considera tali similarità come date, assumendo che esse siano sufficienti per spiegare tutti i fenomeni che abbiamo considerato, sebbene non faccia uso di alcuna strutturazione metaforica. La più ovvia differenza fra la posizione dell’omonimia debole e la nostra è che in essa non vi è nessuna nozione di come un concetto possa essere compreso in termini di un altro, e quindi manca ogni riferimento a una generale strutturazione metaforica. La ragione di ciò è da ricercare nel fatto che molti di coloro che condividono una tale posizione non sono affatto interessati a come il nostro sistema concettuale sia fondato nell’esperienza, e a come la comprensione derivi proprio da tali basi. La maggior parte delle inadeguatezze che possiamo riscontrare nella posizione della omonimia debole hanno a che vedere con questa mancanza di attenzione ai problemi della comprensione e delle sue basi. Le stesse inadeguatezze, naturalmente, si applicano anche alla versione forte dell’omonimia. In primo luogo, abbiamo sostenuto che vi è una direzionalità nella metafora, cioè che noi comprendiamo un concetto in termini di un altro. Più precisamente noi tendiamo a strutturare i concetti meno concreti e intrinsecamente più vaghi (come quelli per le emozioni) in termini di concetti più concreti, che sono più chiaramente delineati nella nostra esperienza. L’omonimia debole negherebbe che noi comprendiamo l’astratto in termini di concreto o che comprendiamo concetti di un tipo in termini di concetti di un altro tipo. Essa sostiene solo che noi possiamo concepire somiglianze fra i vari concetti e che tali somiglianze spiegano l’uso dello stesso termine per i diversi concetti. Ma essa negherebbe, ad esempio, che il

concetto PUNTELLO, quando parte del concetto ARGOMENTO, è compreso nei termini del concetto fisico PUNTELLO, utilizzato in COSTRUZIONE. Tale teoria sosterrebbe che vi sono due distinti concetti, nessuno dei quali è usato per comprendere l’altro, ma che si trovano ad avere un’astratta somiglianza. Analogamente si considererebbe che tutti i concetti per in о su non sono modi per comprendere parzialmente dei concetti in termini di orientamento spaziale, ma sono piuttosto concetti indipendenti collegati da similarità. Secondo una tale prospettiva sarebbe solo un caso che la maggior parte delle coppie di concetti che esibiscono “similarità” consistano di un concetto relativamente concreto e di uno relativamente astratto (come nel caso di PUNTELLO). Nella nostra impostazione il concetto concreto viene utilizzato per comprendere il concetto più astratto; nell’altra non vi è alcuna ragione per cui vi debbano essere più somiglianze fra un concetto astratto e uno concreto piuttosto che fra due concetti astratti о fra due concetti concreti. In secondo luogo, è molto discutibile anche il sostenere che tali similarità esistano. Ad esempio, quali potrebbero essere le possibili similarità fra tutti i concetti che sono orientati su? Quale similarità potrebbe esistere fra su, da un lato, e FELICITÀ, SALUTE, CONTROLLO, COSCIENZA, VIRTÙ, RAZIONALITÀ, PIÙ ecc., dall’altro? Quali similarità (che non siano in se stesse metaforiche) si potrebbero trovare fra MENTE e OGGETTO FRAGILE, о fra IDEE e CIBI? Cosa vi è di non metaforico in un istante di tempo in se stesso, tale da dargli quell’orientamento davanti-dietro che abbiamo osservato nella nostra discussione della metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE? Nella prospettiva dell’omonimia debole tale orientamento davanti-dietro deve essere considerato come una proprietà inerente agli istanti di tempo, se si devono spiegare espressioni come “seguire”, “precedere”, “affrontare il futuro di petto”, “fronteggiare il futuro” ecc., sulla base di un’inerente similarità concettuale. Finora, come possiamo vedere, non vi è alcuna ragionevole teoria a proposito delle inerenti similarità che possa spiegare questi casi. Terzo noi abbiamo fornito una spiegazione delle basi metaforiche in termini di corrispondenze sistematiche nella nostra esperienza, come ad esempio prevalere in una lotta ed essere fisicamente in posizione eretta. Ma vi è una differenza fra corrispondenze nella nostra esperienza e similarità, in quanto le corrispondenze non hanno bisogno di essere basate su alcuna similarità. Sulla base di tali corrispondenze nella nostra esperienza, noi siamo

in grado di dare ragione della serie delle possibili metafore. L’omonimia debole non ha alcun potere predittivo e neppure lo ricerca: essa tenta semplicemente di fornire una spiegazione a posteriori di cosa siano le similarità. Quindi, nei casi in cui possono venir trovate delle similarità, l’omonimia debole ancora non ci dice perché proprio quelle similarità dovrebbero trovarsi in quel punto. Per quanto ci risulta, nessuno esplicitamente sostiene le posizioni dell’omonimia forte, secondo le quali i concetti espressi dallo stesso termine (come i due sensi di “puntello” o i molti significati in “in”) sono indipendenti e non hanno relazioni significative. Coloro che sostengono l’omonimia tendono a identificarsi con le posizioni di una omonimia debole, dove le interdipendenze e interrelazioni osservate fra i concetti vengono spiegate dalle similarità basate sull’intrinseca natura del concetto. Comunque, a quanto ci risulta, nessuno ha mai tentato di fornire una dettagliata descrizione di una teoria della similarità che possa applicarsi all’ampia serie di esempi che abbiamo discusso. Sebbene virtualmente tutti i teorici dell’omonimia sposino la versione debole, in pratica sembrano esservi solo teorie di omonimia forte, dal momento che nessuno ha tentato di fornire quella dettagliata descrizione della similarità necessaria per mantenere la versione debole della teoria. E vi è un buon motivo per cui non è stato fatto alcun tentativo di spiegare il tipo di esempi che siamo venuti discutendo: il motivo è che tale tentativo richiederebbe di affrontare il problema di come noi concepiamo e comprendiamo aree di esperienza che non sono ben definite nei loro termini e devono essere colte in termini di altre aree di esperienza. In generale, filosofi e linguisti non si sono interessati di tali problemi.

19. DEFINIZIONE E COMPRENSIONE

Abbiamo visto che la metafora è diffusa in tutto il nostro sistema concettuale normale. Infatti, dal momento che moltissimi concetti importanti per noi sono astratti o non chiaramente delineati nella nostra esperienza (emozioni, idee, tempo ecc.), abbiamo bisogno di coglierli per mezzo di altri concetti che possiamo comprendere in termini più chiari (orientamenti spaziali, oggetti ecc.). È questa necessità che conduce alla definizione metaforica nel nostro sistema concettuale. Abbiamo tentato, attraverso esempi, di dare un’idea di quanto esteso sia il ruolo che la metafora ha nel nostro modo di funzionare, di concettualizzare la nostra esperienza e di parlare. La maggior parte delle nostre prove sono venute dal linguaggio - dal significato di termini e frasi e dal modo in cui gli uomini attribuiscono un senso alle loro esperienze. Finora gli studiosi del significato e i curatori dei dizionari non hanno ritenuto importante tentare di avanzare una spiegazione generale di come la gente comprenda concetti comuni in termini di metafore sistematiche come L’AMORE È UN VIAGGIO, LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, IL TEMPO È DENARO ecc. Ad esempio, se guardiamo nel dizionario sotto “amore”, troviamo voci che menzionano affetto, tenerezza, devozione, infatuazione e perfino desiderio sessuale, ma non vi è traccia del modo in cui noi comprendiamo l’amore per mezzo di metafore come L’AMORE È UN VIAGGIO, L’AMORE È FOLLIA, L’AMORE È GUERRA ecc. Se consideriamo espressioni come “Guarda dove siamo arrivati” o “Dove siamo ora?” non ci sarebbe nessun modo di sapere da un normale dizionario o da qualsiasi teoria standard del significato, che queste espressioni sono modi normali di parlar dell’esperienza dell’amore nella nostra cultura. Cenni dell’esistenza di tali metafore generali possono venir dati nei significa secondi o terzi di altre parole. Ad esempio una traccia della metafora L’AMORE È FOLLIA può mostrarsi nel terzo senso del termine “pazzo” (= “smodatamente innamorato, infatuato”), ma questo accenno fa parte della definizione di “pazzo”, piuttosto che della definizione di “amore”. Ciò ci fa pensare che i curatori di dizionari e gli altri studiosi del significato abbiano interessi diversi da quelli che abbiamo noi. Noi siamo in primo luogo interessati al modo in cui la gente comprende le proprie

esperienze, e vediamo il linguaggio come una fonte di dati che ci permettono di avvicinare i principi generali della comprensione. Tali principi generali richiedono interi sistemi di concetti piuttosto che termini individuali o concetti individuali; abbiamo inoltre trovato che questi principi sono spesso di natura metaforica e implicano che un tipo di esperienza sia compresa nei termini di un altro tipo di esperienza. Tenendo in mente ciò, possiamo vedere la principale differenza fra la nostra impresa e quella dei curatori di dizionari e degli altri studiosi del significato. Sarebbe molto strano trovare in un dizionario “follia” o “viaggiare” come significati di “amore”, infatti essi non sono significati di “amore” più di quanto “cibo” sia uno dei significati di “idea”. Le definizioni di un concetto sono concepite come caratterizzanti le cose che sono inerenti al concetto stesso. Noi, d’altro lato, siamo invece interessati a come gli esseri umani arrivano ad afferrare un concetto, come lo comprendono e come agiscono in base a quello. La follia e i viaggi ci aiutano ad afferrare il concetto di amore, come i cibi il concetto di idea. Questo interesse per come noi comprendiamo l’esperienza richiede un concetto di definizione assai diverso da quello usuale. La questione principale di tale approccio alla definizione è che cosa viene definito e che cosa lo definisce. È di questo problema che ci occuperemo ora. 19.1 Gli oggetti della definizione metaforica: tipi naturali di esperienza Abbiamo visto che le metafore ci permettono di comprendere un dato ambito di esperienza in termini di un altro. Ciò suggerisce che la comprensione ha luogo in termini di interi ambiti di esperienza e non in termini di concetti isolati. Il fatto che siamo stati indotti a ipotizzare metafore come L’AMORE È UN VIAGGIO, IL TEMPO È DENARO, LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, ci suggerisce che la definizione vada focalizzata a livello di ambiti di esperienza fondamentali come l’amore, il tempo, la discussione. Tali esperienze vengono quindi concettualizzate e definite in termini di altri ambiti fondamentali di esperienza, come viaggi, il denaro e la guerra. La definizione di sottoconcetti, come FARE UN BILANCIO DEL TEMPO e ATTACCARE UN ARGOMENTO, dovrebbe derivare come conseguenza del fatto che i concetti più generali (TEMPO, DISCUSSIONE ecc.) sono definiti in termini metaforici. Ciò solleva un problema fondamentale: cosa costituisce “un ambito

fondamentale di esperienza”? Ogni ambito di tal genere è un insieme strutturato, contenuto nella nostra esperienza, concettualizzato secondo quella che abbiamo chiamato una gestalt fondata sull’esperienza. Tali gestalt sono fondamentali rispetto all’esperienza perché caratterizzano insiemi strutturati all’interno di esperienze umane ricorrenti; esse rappresentano organizzazioni coerenti delle nostre esperienze in termini di dimensioni naturali (parti» stadi, cause ecc.). Gli ambiti di esperienza organizzati come gestalt in termini di tali dimensioni naturali ci sembrano essere tipi naturali di esperienza. Essi sono naturali per la seguente ragione: questi tipi di esperienza sono il prodotto di: i nostri corpi (apparato percettivo e motorio, capacità mentali, carattere emotivo ecc.); la nostra interazione con l’ambiente fisico (muoversi, manipolare oggetti, mangiare ecc.); la nostra interazione con altre persone nella nostra cultura (in termini di istituzioni sociali, politiche, economiche e religiose). In altri termini questi tipi “naturali” di esperienza sono prodotti della natura umana. Alcuni di essi possono essere universali, mentre altri varieranno da cultura a cultura. Secondo noi, i concetti impiegati nelle definizioni metaforiche corrispondono a tipi naturali di esperienza. Sulla base dei concetti definiti dalle metafore finora esaminate, i seguenti sarebbero esempi di concetti connessi con tipi naturali di esperienza, nella nostra cultura: AMORE, TEMPO, COMPRENSIONE, DISCUSSIONE, LAVORO, FELICITÀ, SALUTE, CONTROLLO, STATUS, MORALITÀ ecc. Questi sono concetti che richiedono una definizione metaforica, dal momento che non sono delineati in maniera sufficientemente chiara in termini autonomi da poter soddisfare gli scopi del nostro agire quotidiano. Analogamente suggeriremmo che i concetti utilizzati nelle definizioni metaforiche per definire altri concetti, corrispondono pure a tipi naturali di esperienza. Esempi di questo genere sono ORIENTAMENTO FISICO, OGGETTI, SOSTANZE, VEDERE, VIAGGI, GUERRA, FOLLIA, CIBI, EDIFICI ecc. Questi concetti connessi con tipi naturali di esperienza e con oggetti sono strutturati in modo sufficientemente chiaro e sono sufficientemente dotati della giusta struttura interna da poter essere utilizzati per definire altri concetti. Cioè essi forniscono il giusto tipo di struttura che ci

permette di cogliere quei tipi naturali di esperienze che sono meno concreti o meno chiaramente delineati in termini autonomi. Da ciò deriva che alcuni tipi naturali di esperienza sono parzialmente di natura metaforica, dato che la metafora gioca un ruolo essenziale nel caratterizzare la struttura dell’esperienza. La discussione è un ovvio esempio, dal momento che fare l’esperienza di certe attività come il parlare e l’ascoltare definendole in termini di una discussione richiede già almeno in parte la struttura che viene data al concetto DISCUSSIONE dalla metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA. L’esperienza del tempo è un tipo naturale di esperienza che è quasi interamente compresa in termini metaforici (attaverso la spazializzazione del TEMPO e le metafore IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE e IL TEMPO È DENARO). Analogamente tutti i concetti (come CONTROLLO, STATUS, FELICITÀ) che sono orientati dal concetto SU-GIÙ e da altri concetti spaziali sono basati su tipi naturali di esperienza parzialmente compresi in termini metaforici. 19.2 Proprietà interazionali Abbiamo visto che il nostro sistema concettuale è basato sulle nostre esperienze nel mondo; sia i concetti direttamente mergenti (come SU-GIÙ, OGGETTO e MANIPOLAZIONE DIRETTA) sia le metafore (come FELICE È SU, GLI EVENTI SONO OGGETTI, LA DISCUSSIONE È GUERRA) sono basati sulla nostra costante interazione con l’ambiente fisico e culturale. Allo stesso modo le dimensioni su cui strutturiamo la nostra esperienza (parti, stati, propositi) emergono naturalmente dalla nostra attività nel mondo. Il tipo di sistema concettuale che abbiamo dipende dal tipo di esseri che siamo e dal modo in cui interagiamo con l’ambiente fisico e culturale. Il nostro interesse per il modo in cui comprendiamo le nostre esperienze ci ha condotto a vedere la definizione in una forma molto diversa dal solito. La prospettiva consueta cerca di essere “obiettiva” e assume che esperienze e oggetti abbiano proprietà intrinseche e che gli esseri umani li comprendano unicamente in termini di queste proprietà. Secondo questa posizione oggettivista la definizione si risolve nell’elencare quali sono le proprietà intrinseche fornendo le condizioni necessarie e sufficienti per l’applicazione del concetto. “Amore”, in una prospettiva oggettivista, ha vari significati, ognuno dei quali può essere definito in termini di proprietà intrinseche come

tenerezza, affetto, desiderio sessuale ecc. Contro una tale posizione, noi sosteniamo invece che l’amore è solo in parte compreso attraverso tali proprietà intrinseche; per la maggior parte la nostra comprensione dell’amore è metaforica, e avviene essenzialmente attraverso concetti che rimandano ad altri tipi di esperienza naturale: VIAGGI, FOLLIA, GUERRA, SALUTE ecc. Poiché i concetti utilizzati per definire (VIAGGI, FOLLIA, GUERRA, SALUTE) emergono dalla nostra interazione con altri individui e con il mondo esterno, il concetto che attraverso di essi viene definito metaforicamente (cioè AMORE) sarà compreso nei termini di quelle che chiameremo proprietà interazionali. Per avere un’idea più chiara di ciò che in generale sono le proprietà interazionali, consideriamo le proprietà interazionali di un oggetto. Prendiamo il concetto PISTOLA. Si potrebbe pensare che un tale concetto sia interamente definito nei termini delle proprietà intrinseche dell’oggetto stesso, ad esempio la sua forma, il suo peso, come sono composte assieme le sue parti ecc. Ma il nostro concetto PISTOLA va al di là di questo, in un modo che risulta immediatamente chiaro se si applicano differenti modificatori al concetto. Ad esempio consideriamo la differenza fra i modificatori NERO e FALSO quando applicati a PISTOLA. La differenza principale, in una spiegazione oggettivista della definizione, è che UNA PISTOLA NERA è una PISTOLA, mentre una PISTOLA FALSA non è una PISTOLA. NERO è visto come qualcosa che aggiunge una proprietà supplementare a PISTOLA, mentre FALSO è visto come qualcosa che si applica al concetto PISTOLA per ottenere un altro concetto che non è una sottocategoria di PISTOLA. Questo è più o meno tutto quello che viene detto dalla posizione oggettivista. Da ciò derivano le implicazioni: Questa è una pistola nera

Questa è una pistola falsa e

Questa è una pistola falsa

Quindi, non è una pistola

Ciò che una simile impostazione non ci dice, è cosa in realtà è una pistola falsa. Ad esempio, non può spiegare implicazioni come: Questa è una pistola falsa

Quindi, non è una giraffa Questa è una pistola falsa Quindi, non è un piatto di tagliatelle con salsa di fagioli.

E così via… Per dar conto di una simile lista infinitamente lunga di implicazioni, abbiamo bisogno di una dettagliata analisi di come FALSO modifica il concetto PISTOLA. Una falsa pistola deve assomigliare abbastanza a una pistola per gli scopi che si prefigge, cioè deve avere le proprietà percettive di una pistola richieste dal contesto. Bisogna che sia possibile eseguire con una pistola falsa un sufficiente numero delle appropriate manipolazioni fisiche che si potrebbero eseguire anche con una pistola vera (ad esempio, tenerla in mano in un certo modo). In altre parole una pistola falsa deve mantenere quelle che potremmo definire come proprietà di attività motoria proprie di una pistola. Inoltre lo scopo di avere una pistola falsa è quello di poterla utilizzare per alcuni dei propositi per cui verrebbe utilizzata una pistola vera (spaventare, essere mostrata ecc.). Ciò che rende falsa una pistola falsa è che essa non può funzionare come una pistola, se potesse sparare sarebbe una vera pistola. Infine essa non può nemmeno essere stata originariamente costruita come una pistola: infatti una pistola rotta o inservibile non è una pistola falsa. Quindi il modificatore FALSO preserva alcuni tipi delle proprietà delle PISTOLE e ne nega altri. Riassumendo: FALSO preserva:

le proprietà percettive (una pistola falsa assomiglia a una pistola vera) le proprietà di attività motoria (la si impugna come una pistola vera) le proprietà finalizzate (essa serve ad alcuni degli stessi scopi di una pistola vera)

FALSO nega:

le proprietà funzionali (una pistola falsa non spara) la storia della sua funzione (se è stata costruita per essere

una vera pistola, allora non è una falsa pistola) Questa analisi di come FALSO modifica il concetto PISTOLA, indica che il concetto di PISTOLA possiede almeno cinque dimensioni, di cui tre sono preservate da FALSO, e due sono negate. Ciò fa pensare che noi concettualizziamo una pistola in termini di una gestalt multidimensionale di proprietà le cui dimensioni sono PERCEZIONE, ATTIVITÀ MOTORIA, INTENZIONE, FUNZIONE ecc. Se noi consideriamo cosa sono le proprietà percettive, di attività motoria e finalizzate, possiamo vedere che esse non sono inerenti alle pistole stesse, ma hanno piuttosto a che vedere con il modo in cui noi interagiamo con le pistole. Ciò dimostra che il concetto PISTOLA, come è normalmente inteso dalla gente, è almeno in parte definito da proprietà interazionali che hanno a che vedere con la percezione, l’attività motoria, gli scopi, la funzione ecc. È quindi chiaro che i nostri concetti degli oggetti, come i nostri concetti di eventi e attività, sono caratterizzati da, gestalt multidimensionali le cui dimensioni emergono naturalmente dalla nostra esperienza nel mondo. 19.3 Categorizzazione Dal punto di vista oggettivistico standard, possiamo comprendere (e quindi definire) un oggetto interamente sulla base di un insieme di proprietà intrinseche. Ma, come abbiamo appena visto, almeno alcune delle proprietà che caratterizzano il concetto che noi abbiamo di un certo oggetto, sono di tipo interazionale. Inoltre tali proprietà non formano puramente un insieme, ma piuttosto una gestalt strutturata, con dimensioni che emergono naturalmente dalla nostra esperienza. Vi è un’altra ragione per cui la posizione oggettivista sulla definizione è inadeguata a spiegare i processi di comprensione. Secondo tale posizione, una categoria è definita in termini di teoria degli insiemi: essa è caratterizzata dall’insieme delle proprietà intrinseche delle entità contenute nella categoria. Ogni cosa nell’universo è o all’interno o all’esterno della categoria; le cose che sono all’interno di una categoria sono quelle che possiedono tutte le proprietà intrinseche richieste. Se una cosa non ha una o più di queste proprietà intrinseche, non appartiene alla categoria. Tale concezione della categoria in termini di teoria degli insiemi non corrisponde al modo in cui le

persone categorizzano cose ed esperienze: per gli esseri umani infatti la categorizzazione è in primo luogo un mezzo per comprendere il mondo e come tale deve servire allo scopo in modo sufficientemente flessibile. La categorizzazione in termini di teoria degli insiemi è un modello di categorizzazione umana che non mette in luce i seguenti punti: 1. Come è stato dimostrato da Rosch (1977), noi categorizziamo le cose in termini di prototipi. Una sedia prototipica, per noi, ha uno schienale ben definito, un sedile, quattro gambe e (facoltativi) due braccioli; ma vi sono anche sedie non prototipiche: sedie a sacco, sedie a dondolo, sedie girevoli, sedili anatomici, sedie da barbiere ecc. Noi identifichiamo le sedie non prototipiche come sedie, non nei loro stessi termini, ma sulla base della loro relazione con una sedia prototipica. 2. Noi identifichiamo le sedie a sacco, le sedie da barbiere e sedili anatomici, come sedie, non perché esse abbiano in comune con il prototipo un insieme stabilito di proprietà che le definiscono, ma piuttosto perché condividono una sufficiente somiglianza di famiglia con il prototipo. Una sedia a sacco può assomigliare a una sedia prototipica in modo diverso da una sedia da barbiere; non c’è alcun bisogno di postulare un nucleo prefissato di proprietà per una sedia prototipica, che debba essere condiviso sia dalla sedia a sacco sia dalla sedia da barbiere: esse sono entrambe sedie perché entrambe, ognuna a suo modo, sono sufficientemente simili al prototipo. 3. Le proprietà interazionali sono dominanti fra i tipi di proprietà rilevanti per determinare una sufficiente somiglianza di famiglia. Le sedie hanno in comune con gli sgabelli e con altri tipi di sedili la proprietà applicativa di permetterci di sedere, ma l’insieme delle ATTIVITÀ MOTORIE consentite dalle sedie è generalmente diverso da quello di sgabelli e di altri tipi di sedili. Quindi le proprietà interazionali rilevanti per la nostra comprensione delle sedie, includeranno proprietà percettive (che aspetto hanno), proprietà funzionali (permetterci di sedere), proprietà di attività motoria (quali azioni compiamo con i nostri corpi quando ci sediamo, ci alziamo o stiamo seduti) e proprietà finalizzate (rilassarsi, mangiare, scrivere lettere ecc.). 4. Le categorie possono venire sistematicamente estese in vari modi a 2 seconda di differenti scopi. Vi sono dei modificatori, chiamati “hedges” (cfr. Lakoff 1975), che estrapolano il prototipo di una data categoria e definiscono vari tipi di relazioni rispetto ad esso. Ecco alcuni esempi: PER ECCELLENZA: questo modificatore presceglie membri prototipici

di una categoria. Ad esempio, un pettirosso è un uccello per eccellenza, ma polli, struzzi e pinguini non sono uccelli per eccellenza. A RIGOR DI TERMINI: questo modificatore presceglie casi non prototipici che normalmente vengono classificati all’interno della categoria. A rigor di termini, polli, struzzi e pinguini sono uccelli, anche se non sono uccelli per eccellenza. Pescecani, pesci palla, pesci gatto e pesci rossi non sono pesci per eccellenza, ma sono pesci a rigor di termini. LIBERAMENTE PARLANDO: questo modificatore presceglie cose che normalmente non sono all’interno della categoria perché mancano di alcune proprietà centrali, ma che di essa condividono abbastanza proprietà da far sì che, per certi scopi, potrebbe essere ragionevole considerarle membri della categoria. A rigor di termini, una balena non è un pesce ma, liberamente parlando può esserlo considerato in determinati contesti. A rigor di termini, un ciclomotore non è una motocicletta, tuttavia liberamente parlando possono venire inclusi fra le motociclette. TECNICAMENTE: questo modificatore circoscrive una categoria relativamente ad alcuni scopi tecnici. Se qualcosa è tecnicamente in una data categoria oppure no, dipende da quale scopo abbiamo nel classificarlo: per gli scopi di un’assicurazione un ciclomotore non è tecnicamente una motocicletta, ma per gli scopi del pagamento del pedaggio su un ponte, esso lo è. Altri “hedges” comprendono: in una importante accezione, a tutti gli effetti un normale…, un vero…, nella misura in cui, solo un certo aspetto, e molti, molti altri. I vari “hedges” ci permettono di situare oggetti, eventi ed esperienze in un ampio numero di categorie a seconda dei nostri scopi, ad esempio fare distinzioni pratiche in modo ragionevole, fornire nuove prospettive, attribuire, senso a fenomeni apparentemente disparati. 5. Le categorie sono illimitate. Le definizioni metaforiche possono fornirci nuovi spunti per cose ed esperienze che abbiamo già categorizzato, oppure possono portare a una ricategorizzazione. Ad esempio, considerare l’AMORE come GUERRA PUÒ dare un senso a certe esperienze che noi consideriamo come esperienze di AMORE di un certo tipo o di un altro, ma che non potremmo far coesistere assieme in nessuna maniera significativa. La metafora l’AMORE È GUERRA ci porta inoltre a categorizzare come esperienze d’AMORE certe esperienze che non avremmo precedentemente considerato come tali. Anche gli “hedges” mostrano la natura illimitata delle nostre categorie, cioè, uno stesso oggetto può spesso essere visto come

appartenente a una categoria o no, a seconda degli scopi che abbiamo nel classificarlo. Sebbene le categorie non abbiano limiti, la categorizzazione non è casuale, poiché sia le metafore che gli “hedges” definiscono (o ridefiniscono) le categorie in forma sistematica. 19.4 Sommario Abbiamo sostenuto che per spiegare come la gente comprende le proprie esperienze è necessario ripensare alla definizione in un modo molto diverso dall’approccio tradizionale standard. Una teoria della definizione basata sull’esperienza ha una concezione diversa di ciò che deve essere definito e di come funziona l’elemento che definisce. Secondo la nostra prospettiva i concetti individuali non vengono definiti in forma isolata, ma piuttosto nei termini del ruolo che essi rivestono nei tipi naturali di esperienze. I concetti non sono definiti esclusivamente in termini di proprietà intrinseche ma piuttosto, in primo luogo, in termini di proprietà interazionali. Infine, la definizione non consiste nel dare un insieme fisso di condizioni necessarie e sufficienti per l’applicazione di un concetto (anche se ciò può essere possibile in certi casi particolari, come in ambito scientifico o in altre discipline tecniche, sebbene anche in questi casi ciò non sia sempre possibile); i concetti sono invece definiti dai prototipi e da vari tipi di relazioni fra prototipi. Più che essere rigidamente definiti, i concetti che provengono dalla nostra esperienza sono illimitati. Le metafore e gli “hedges” sono dispositivi sistematici per definire ulteriormente un concetto e per modificarne l’ambito di applicabilità.

20. COME LA METAFORA PUÒ DARE SIGNIFICATO ALLA FORMA

Noi parliamo in ordine lineare; in una frase diciamo alcune parole prima di altre. Poiché il parlare è collegato con il tempo e il tempo è concettualizzato metaforicamente in termini di spazio, è per noi naturale concettualizzare metaforicamente il linguaggio in termini di spazio, e tale concettualizzazione è rafforzata anche dal nostro sistema di scrittura. Scrivere una frase ci consente di concettualizzarla ancora più immediatamente come un oggetto spaziale, con le parole che si susseguono in un ordine lineare. Quindi i nostri concetti spaziali si applicano in modo naturale alle espressioni linguistiche: noi sappiamo quale parola occupa la prima posizione in una frase, se due parole sono vicine l’una all’altra o lontane, se una parola è relativamente lunga o corta. Poiché concettualizziamo la forma linguistica in termini spaziali, è possibile per certe metafore spaziali applicarsi direttamente alla forma di una frase, come noi la concepiamo spazialmente. Ciò può darci connessioni automatiche e dirette tra forma e contenuto, basate su metafore generali del nostro sistema concettuale. Tali connessioni rendono la relazione tra forma e contenuto tutt’altro che arbitraria, e parte del significato di una frase può essere dovuto precisamente alla forma che quella frase assume. Quindi, come ha mostrato Dwight Bolinger (1977), è normalmente impossibile un’esatta parafrasi, perché le cosiddette parafrasi sono espresse in forme diverse. Possiamo ora dare una spiegazione a questo fenomeno: a) noi spazializziamo la forma linguistica; b) le metafore spaziali si applicano alla forma linguistica in quanto spazializzata; c) le forme linguistiche sono esse stesse dotate di contenuto in virtù delle metafore di spazializzazione. 20.1 Più forma vuol dire più contenuto Ad esempio, la metafora del CANALE definisce una relazione spaziale tra forma e contenuto: LE ESPRESSIONI LINGUISTICHE SONO CONTENITORI e i loro significati sono il contenuto di tali contenitori. Quando vediamo contenitori reali di piccole dimensioni, ci aspettiamo che anche il loro contenuto sia piccolo; quando i contenitori sono di grandi

dimensioni, normalmente, ci aspettiamo che il loro contenuto sia grande. Applicando ciò alla metafora del CANALE otteniamo la previsione: PIÙ FORMA VUOL DIRE PIÙ CONTENUTO. Come vedremo, questo è un principio molto generale che sembra essere presente in tutti i linguaggi del mondo. Sebbene la metafora del CANALE sia molto estesa, non sappiamo ancora se sia universale. Ci si può aspettare comunque, che una qualche spazializzazione metaforica del linguaggio sia presente in ogni lingua, e, indipendentemente dai particolari, non sarebbe sorprendente trovare in ogni lingua tali correlazioni quantitative. Un esempio italiano di PIÙ FORMA VUOL DIRE PIÙ CONTENUTO, è l’iterazione “egli corse e corse e corse e corse”, che indica più corsa del semplice “egli corse”. Analogamente, “egli è molto molto molto alto”, indica che egli è più alto di quanto non indichi la frase “egli è molto alto”. Estendere la lunghezza di una vocale può produrre lo stesso effetto. Dire “egli è gra-a-a-a-ande!” indica che egli è più grande di quanto non faccia la frase “egli è grande”. Molte lingue usano in questo modo il dispositivo morfologico della duplicazione, cioè la ripetizione di una o due sillabe di una parola, o della intera parola. Per quanto ne sappiamo, tutti i casi di duplicazione nelle varie lingue del mondo, sono casi in cui PIÙ FORMA sta per PIÙ CONTENUTO. I più tipici di questi dispositivi sono: 1) la duplicazione applicata ai nomi trasforma il singolare in plurale o in collettivo; 2) la duplicazione applicata ai verbi indica continuazione o completamento; 3) la duplicazione applicata agli aggettivi indica intensificazione o aumento; 4) la duplicazione applicata a un termine usato per qualcosa di piccolo, indica diminuzione. La generalizzazione è la seguente: Un nome sta per un oggetto di un certo tipo. La ripetizione del nome sta per più oggetti di quel tipo. Un verbo sta per un’azione. La ripetizione del verbo sta a indicare un aumento di quella azione (forse fino al completamento). Un aggettivo sta per una proprietà. Una ripetizione dell’aggettivo sta per un aumento di quella proprietà. Una parola sta per qualcosa di piccolo. Una ripetizione della parola sta per qualcosa di più piccolo.

20.2 La vicinanza è potenza di effetto In italiano e in inglese si può trovare un esempio più sottile del modo in

cui la metafora dà significato alla forma. (Forse ciò accade anche in altre lingue, sebbene non siano stati ancora fatti studi dettagliati in questo senso.) In italiano e in inglese si ha la metafora convenzionale: LA VICINANZA È POTENZA DI EFFETTO. Quindi la frase “Chi sono gli uomini più vicini a Komeini?” significa “Chi sono gli uomini che hanno la più grande influenza su Komeini?”. Qui la metafora ha puramente un effetto semantico, e ha a che vedere con il significato del termine “vicino”. Comunque la metafora può anche essere applicata alla forma sintattica di una frase. La ragione è che una delle cose che la sintassi della frase indica è quanto VICINE due espressioni siano l’una all’altra. La VICINANZA è vicinanza di forma. Questa metafora può applicarsi alla relazione tra forma e significato nel modo seguente: Se il significato della forma A ha effetto sul significato della forma B, allora PIÙ VICINA è la forma A alla forma B, PIÙ FORTE sarà l’EFFETTO del significato di A sul significato di B.

Ad esempio, una negazione quale non ha come effetto di negare il predicato come in “John non partirà fino a domani”, dove la forma non ha l’effetto di negare il predicato partirà. Vi è una regola, che in inglese è talvolta chiamata negative transportation, che ha l’effetto di collocare la negazione più lontano dal predicato che essa logicamente nega. Ad esempio in “Maria non pensa che egli partirà fino a domani”, il non nega logicamente partire piuttosto che pensare, e la frase ha più o meno lo stesso significato di “Maria pensa che egli non partirà fino a domani”, eccetto che nel primo caso, dove la negazione è PIÙ LONTANA da partire, la sua forza di negazione è PIÙ DEBOLE. Nella seconda frase, dove la negazione è PIÙ VICINA, la negazione è PIÙ FORTE. Karl Zimmer (comunicazione personale) ha osservato che lo stesso principio regola la differenza fra “Harry non è felice” e “Harry è infelice”. Il prefisso negativo in è più vicino all’aggettivo felice di quanto non lo sia il termine separato non. La negazione ha un effetto più forte in Harry è infelice che in Harry non è felice. Infelice significa triste, mentre non felice lascia adito a interpretazioni più neutre, né felice né triste, ma qualcosa di intermedio. Ciò è tipico della differenza fra negazione e affissi negativi, sia in italiano che in altre lingue. In questi casi l’effetto della sintassi è di indicare quanto diretta è una data esperienza, e la VICINANZA indica la POTENZA DI tale EFFETTO. Questo fenomeno in inglese è stato studiato in dettaglio da

Borkin. La stessa metafora opera in esempi come “Sam ha ucciso Harry” contro “Sam ha causato la morte di Harry”. Se la causa è un evento singolo, come nella prima frase, il rapporto di causalità è più diretto, mentre nella seconda frase tale rapporto è più indiretto e remoto; la morte di Harry e ciò che Sam ha fatto per produrla sono due eventi separati. Se si vuole indicare una causa ancora più indiretta, si può dire: “Sam ha fatto si che Harry morisse”. L’effetto che la sintassi ha in queste frasi è di indicare quanto diretto è il nesso causale fra ciò che ha fatto Sam e ciò che è accaduto a Harry. Il principio che opera è il seguente: PIÙ VICINA è la forma che indica CAUSA alla forma che indica EFFETTO, PIÙ FORTE e il nesso causale.

In Sam ha ucciso Harry, vi è un’unica forma - la parola uccidere - che indica sia la CAUSA, che l’EFFETTO (morte). Le due forme per questo significato sono il più vicino possibile: una sola parola le include entrambe. Ciò indica che anche il nesso causale è il più forte possibile: un unico evento. In Sam ha causato la morte di Harry vi sono invece due termini distinti, causare e morte, che indicano causa ed effetto. In questo caso il nesso causale non è così forte come potrebbe essere, la causa e l’effetto non sono parte dello stesso evento. In Sam ha fatto sì che Harry morisse, vi sono due proposizioni separate: Sam ha fatto sì che Harry morisse, che indica un nesso causale ancora più debole. Riassumendo, in tutti questi casi una differenza nella forma indica una sottile differenza di significato. Che cosa siano queste sottili differenze ce lo dice la metafora LA VICINANZA È POTENZA DI EFFETTO, dove VICINANZA si applica agli elementi della sintassi della frase, mentre POTENZA DI EFFETTO si applica al significato della frase. La VICINANZA ha a che vedere con la forma, mentre la POTENZA DI EFFETTO ha a che vedere con il significato. Quindi la metafora LA VICINANZA È POTENZA DI EFFETTO, che è parte del nostro normale sistema concettuale, può funzionare sia in termini puramente semantici, come nella frase “Chi sono gli uomini più vicini a Komeini?”, o può connettere forma e significato, poiché la VICINANZA si può applicare alla relazione tra due forme in una frase. Le sottili sfumature di significato che abbiamo visto negli esempi precedenti non sono quindi conseguenze di speciali regole della lingua italiana, ma di una metafora che è nel nostro sistema concettuale e che

si applica naturalmente alla forma del linguaggio. 20.3 L’orientamento IO-PER-PRIMO Cooper e Ross (1975) hanno osservato che l’immagine che la nostra cultura ha di un suo membro prototipico determina un orientamento dei concetti all’interno del nostro sistema culturale. La persona canonica rappresenta un punto di riferimento concettuale e un gran numero di concetti nel nostro sistema concettuale sono orientati a seconda che essi siano più o meno simili alle proprietà della persona prototipica. Dal momento che in genere le persone stanno in posizione eretta, si muovono e guardano bifronte a loro, passano la maggior parte del tempo compiendo azioni, e si percepiscono come essenzialmente buone, ciò costituisce una base nella nostra esperienza per rappresentarci noi stessi più su che GIÙ, più DAVANTI che DIETRO, più ATTIVI che PASSIVI, più BUONI che CATTIVI. Poiché noi siamo dove siamo ed esistiamo nel presente, concepiamo noi stessi come QUI piuttosto che LÀ e ORA piuttosto che ALLORA. Ciò produce quello che Cooper e Ross hanno chiamato orientamento IO-PER-PRIMO: SU, DAVANTI, ATTIVO, BUONO e ORA sono tutti orientati verso la persona prototipica GIÙ, DIETRO, PASSIVO, LÀ e ALLORA divergono dal prototipo. Questo orientamento culturale si collega con il fatto che in italiano certe sequenze di termini sono più normali di altre: PIÙ NORMALE su e già davanti e dietro attivo e passivo buono e cattivo qui e là MENO NORMALE giù e su dietro e davanti passivo e attivo cattivo e buono là e qui

Il principio generale è: la parola il cui significato è PIÙ VICINO alle proprietà della persona prototipica viene PRIMA. Tale principio stabilisce una correlazione tra forma e contenuto e, come gli altri principi che abbiamo

considerato finora, è una conseguenza di una metafora nel nostro usuale sistema concettuale: IL PIÙ VICINO VIENE PER PRIMO. Supponiamo ad esempio che stiate indicando qualcuno in una fotografia. Se dite: “la prima persona alla sinistra di Bill è Sam”, intendete dire che “la persona che è alla sinistra di Bill e che è la più vicina a lui è Sam”. Riassumendo: dal momento che parliamo in ordine lineare, dobbiamo continuamente scegliere quali parole dire per prime. Data una scelta altrimenti casuale fra su e giù e giù e su, noi scegliamo automaticamente su e giù. Dei due concetti SU e GIÙ, SU è orientato PIÙ VICINO al parlante prototipico. Dal momento che la metafora IL PIÙ VICINO VIENE PER PRIMO fa parte del nostro sistema concettuale, noi collochiamo la parola il cui significato è PIÙ VICINO (e precisamente su) in PRIMA posizione. L’ordine delle parole su e giù è quindi più coerente con il nostro sistema concettuale dell’ordine giù e su. Per un’analisi dettagliata di questo fenomeno e una discussione di apparenti contro esempi, si veda Cooper e Ross (1975). 20.4 Coerenza metaforica nella grammatica: uno strumento è un compagno È comune, per un bambino che gioca, comportarsi con il suo giocattolo come se questo fosse un suo compagno parlandogli, tenendoselo vicino sul cuscino alla notte ecc. Le bambole sono giocattoli costruiti esplicitamente per questo scopo. Un simile comportamento è riscontrabile anche negli adulti, che trattano certi strumenti significativi come automobili e pistole come se fossero compagni, dando loro nomi, parlando ad essi ecc. Analogamente vi è, nel nostro sistema concettuale, la metafora convenzionale UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO, che si riflette negli esempi seguenti: UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO Io e la mia vecchia Chevrolet abbiamo visto gran parte del paese insieme. D: Chi mi fermerà? R: Io e questa mia vecchia Betsy (detto dal cowboy mentre impugna la sua pistola). Domenico sta facendo una tournée con il suo preziosissimo Stradivarius. Sleezo il Mago e la sua Armonica Magica si esibiranno questa sera al Rialto.

20.5 Perché “con” indica sia STRUMENTO sia COMPAGNIA

La parola con, in italiano, indica COMPAGNIA, come in “Sono andato al cinema con Sally” (compagno). Il fatto che sia con e non qualche altra parola a indicare COMPAGNIA è una convenzione arbitraria dell’italiano; in altre lingue, altre parole (o dispositivi grammaticali come le desinenze dei casi) indicano COMPAGNIA (ad esempio avec in Francese). Ma, dato il fatto che in italiano con indica COMPAGNIA, non è poi casuale che con indichi anche STRUMENTO come in “ho affettato il salame con un coltello” (strumento). La ragione per cui ciò non è una coincidenza arbitraria è che il nostro sistema concettuale è strutturato dalla metafora UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO. È quindi un fatto sistematico e non accidentale dell’italiano che la stessa parola che indica COMPAGNIA indichi anche STRUMENTO. Questa caratteristica grammaticale dell’italiano è coerente con il sistema concettuale dell’italiano. Si dà il caso che questa non sia una caratteristica propria solo dell’italiano: con poche eccezioni il seguente principio vale per tutte le lingue del mondo, compreso naturalmente l’inglese: Il termine o il dispositivo grammaticale che indica COMPAGNIA indica anche STRUMENTO.

Dal momento che le esperienze su cui la metafora UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO è basata sono probabilmente universali, è naturale che questo principio grammaticale valga nella maggior parte delle lingue. I linguaggi per cui vale questo principio sono coerenti con la metafora, quelli per cui non vale non lo sono. Nei casi in cui la coerenza determinata da UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO non compare nel linguaggio, qualche altra coerenza concettuale normalmente compare al suo posto. Vi sono così linguaggi in cui lo STRUMENTO è indicato da una forma del verbo usare, o dove la COMPAGNIA è indicata dalla parola che sta per e. Questi sono altri modi, non metaforici, in cui la forma può essere coerente con il contenuto. 20.6 La “logica” del linguaggio L’uso della stessa parola per indicare STRUMENTO e COMPAGNIA ha un senso preciso, in quanto costituisce i legami tra forma e contenuto coerenti con il sistema concettuale del linguaggio. Analogamente l’uso di termini spaziali come in e a per esprimere il tempo (come: in un’ora, alle dieci) ha senso, dato che il TEMPO è concettualizzato metaforicamente in termini di SPAZIO. Le metafore nel sistema concettuale indicano relazioni coerenti e

sistematiche fra concetti. L’uso degli stessi termini o dispositivi grammaticali per concetti che hanno sistematiche correlazioni metaforiche (come TEMPO e SPAZIO) è uno dei modi in cui le corrispondenze tra forma e significato in una lingua sono “logiche” piuttosto che arbitrarie. 20.7 Sfumature di significato È possibile la parafrasi? Possono mai due frasi diverse significare esattamente la stessa cosa? Dwight Bolinger ha passato la maggior parte della sua carriera a dimostrare che ciò è praticamente impossibile e che quasi ogni cambiamento in una frase, sia esso un cambiamento nell’ordine delle parole, nel vocabolario, nell’intonazione o nella costruzione grammaticale, modifica il significato della frase, sebbene spesso in modo sfumato. Siamo ora in grado di capire perché ciò accada. Noi concettualizziamo metaforicamente le frasi in termini spaziali, con elementi della forma linguistica che veicolano proprietà spaziali (come lunghezza) e relazioni (come vicinanza). Quindi le metafore spaziali intrinseche al nostro sistema concettuale (come LA VICINANZA È POTENZA DI EFFETTO) saranno automaticamente relazioni di struttura tra forma e contenuto. Mentre alcuni aspetti del significato di una frase sono conseguenze di certe convenzioni relativamente arbitrarie del linguaggio, altri aspetti del significato derivano dal nostro naturale tentativo di rendere ciò che vediamo coerente col nostro sistema concettuale. Ciò include anche la forma di ciò che noi diciamo, poiché tale forma è concettualizzata in termini spaziali. 20.8 Regolarità della forma linguistica Abbiamo visto che le metafore rivestono un ruolo importante nel caratterizzare regolarità della forma linguistica. Una di tali regolarità è l’uso della stessa parola per indicare sia strumento che compagnia. Questa regolarità è coerente con la metafora concettuale GLI STRUMENTI SONO COMPAGNI. Molte di quelle che percepiamo come regolarità “naturali” della forma linguistica sono regolarità coerenti con metafore del nostro sistema concettuale. Consideriamo ad esempio il fatto che le domande, generalmente, terminano con un’intonazione che noi percepiamo come “ascendente”, mentre le affermazioni in genere terminano con un’intonazione

che percepiamo “discendente”. Questo fenomeno è coerente con la metafora di orientamento L’IGNOTO È SU, IL NOTO È GIÙ. Questa metafora concettuale si può vedere in esempi come: Ciò è ancora campato in aria. Vorrei sollevare alcuni interrogativi a questo proposito. Ciò mette a posto la faccenda. Mettiamo giù una conclusione.

Generalmente, le domande indicano ciò che è sconosciuto, quindi l’uso dell’intonazione ascendente in esse è coerente con la metafora SCONOSCIUTO È SU. A sua volta l’uso dell’intonazione discendente nelle asserzioni è coerente con NOTO È GIÙ Infatti le domande con intonazione discendente sono interpretate come domande retoriche che stanno per una affermazione, e non come domande reali. Ad esempio “Riuscirai mai a imparare?”, detto con intonazione discendente, è un modo di dire, indirettamente “Tu non imparerai mai”. Analogamente, affermazioni con intonazione ascendente indicano incertezza o impossibilità di comprendere l’esatto significato di qualcosa. Ad esempio “Il tuo nome è Fred”, detto con intonazione ascendente, indica che non siamo sicuri e che vogliamo una conferma. “La Juventus ha venduto Cabrini”, detto con intonazione ascendente, indica un’incapacità a dare un senso a qualcosa, che non si collega con quanto sappiamo. Questi sono tutti esempi dell’uso dell’intonazione ascendente e discendente in maniera coerente con la metafora IGNOTO È SU, NOTO È GIÙ. Incidentalmente, in inglese le WH3 questions hanno intonazione discendente, ad esempio: “Who did John see yesterday?” (Chi ha visto ieri John?). La nostra ipotesi per spiegare tale fenomeno è che la maggior parte del contenuto delle WH-questions è noto, e solo una singola parte di informazione è considerata ignota. Ad esempio “Chi ha visto ieri John?” presuppone che John abbia visto qualcuno ieri. Come si poteva prevedere, le lingue tonali generalmente non usano affatto l’intonazione per marcare le domande, e fanno invece uso di particelle interrogative. Nel complesso, nei casi in cui l’intonazione serve a indicare la differenza tra domande e asserzioni, l’intonazione ascendente si accompagna alle domande di cui non si conosce la risposta (sì-no), l’intonazione discendente con ciò che già si conosce (asserzioni). Esempi come questi mostrano che le regolarità della forma linguistica non possono essere spiegate nei soli termini formali, ma che molte di esse sono

comprensibili solo quando vengono viste in termini di applicazione di metafore concettuale alla nostra concettualizzazione spaziale della forma linguistica. In altri termini la sintassi non è indipendente dal significato, e in particolare dagli aspetti metaforici del significato. La “logica” del linguaggio si basa su coerenza tra la forma spazializzata del linguaggio e il sistema concettuale, specialmente gli aspetti metaforici del sistema concettuale.

21. NUOVI SIGNIFICATI

Le metafore che abbiamo discusso finora sono convenzionali, sono cioè metafore che strutturano il sistema concettuale comune della nostra cultura, che è riflesso nel nostro linguaggio quotidiano. Vorremmo ora considerare le metafore che sono esterne a tale sistema concettuale convenzionale, metafore immaginative e creative. Tali metafore sono capaci di darci una nuova comprensione della nostra esperienza, quindi possono dare nuovo significato al nostro passato, alla nostra attività quotidiana e a ciò che sappiamo e crediamo. Per vedere come ciò sia possibile, consideriamo la nuova metafora L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE. Questa è una metafora che noi personalmente troviamo particolarmente potente, illuminante e appropriata, data la nostra esperienza come membri della nostra generazione e della nostra cultura. Il motivo è che rende le nostre esperienze d’amore coerenti, conferisce loro un senso. Vorremmo suggerire che le nuove metafore danno un senso alla nostra esperienza nello stesso modo in cui lo fanno le metafore convenzionali: esse forniscono una struttura coerente, illuminando alcuni aspetti e lasciandone altri in ombra. Come le metafore convenzionali anche le nuove metafore hanno implicazioni che possono includere sia altre metafore sia espressioni letterali. Ad esempio, le implicazioni di L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE provengono dalle nostre opinioni e dalle nostre esperienze su ciò che significa, per qualcosa, essere un’opera d’arte fatta in collaborazione. Il nostro personale modo di vedere l’opera d’arte dà luogo ad almeno le seguenti implicazioni per questa metafora: L’amore è lavoro. L’amore è attivo. L’amore richiede cooperazione. L’amore richiede dedizione. L’amore richiede compromesso. L’amore richiede disciplina. L’amore implica responsabilità comuni. L’amore richiede pazienza. L’amore richiede valori e scopi comuni. L’amore richiede sacrificio. L’amore regolarmente si accompagna a frustrazioni.

L’amore richiede comunicazione istintiva. L’amore è un’esperienza estetica. L’amore ha valore di per se. L’amore implica creatività. L’amore richiede un’estetica in comune. L’amore non si può ottenere applicando una formula. L’amore è unico in ogni sua realizzazione. L’amore è espressione di ciò che sei. L’amore crea una realtà. L’amore riflette il modo in cui tu vedi il mondo. L’amore richiede la più grande onestà. L’amore può essere passeggero o duraturo. L’amore ha bisogno di investimenti. L’amore produce, da sforzi comuni, una soddisfazione estetica comune.

Alcune di queste implicazioni sono metaforiche (ad esempio “L’amore è un’esperienza estetica”), altre non lo sono (ad esempio, “L’amore implica responsabilità in comune”). Ognuna di queste implicazioni può a sua volta averne altre, il risultato è una larga e coerente rete di implicazioni che può, nel suo complesso, corrispondere o meno alle nostre esperienze d’amore. Quando ciò si verifica, le esperienze formano un tutto coerente come esempi della metafora. Ciò di cui facciamo esperienza con una tale metafora è una sorta di riverbero attraverso la rete delle implicazioni che riattiva e connette i nostri ricordi delle passate esperienze d’amore e ci serve da possibile guida per quelle future. Cerchiamo ora di essere più precisi riguardo a ciò che intendiamo con il termine “riverberi” nella metafora L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE. Innanzitutto la metafora mette in luce certi tratti e ne lascia altri in ombra. Ad esempio, il lato attivo dell’amore è messo in primo piano attraverso la nozione di OPERA, sia in OPERA FATTA IN COLLABORAZIONE sia in OPERA D’ARTE. Ciò implica che vengano messi in ombra certi altri aspetti dell’amore visti come passivi. Infatti gli aspetti emotivi dell’amore non sono quasi mai visti come elementi sotto il controllo attivo degli amanti, nel nostro convenzionale sistema concettuale. Perfino nella metafora L’AMORE È UN VIAGGIO, la relazione è vista come un veicolo che non è sotto l’attivo controllo della coppia, dal momento che può andare fuori strada, o sugli scogli, o non andare da nessuna parte. Nella metafora L’AMORE È FOLLIA (“diventare matto”) si verifica l’estrema perdita di controllo. Nella metafora L’AMORE È SALUTE, in cui la relazione è un paziente (“È una relazione sana”, “È una relazione malata”, “Il loro rapporto sta

riprendendosi”), la passività che in questa cultura è attribuita alla salute è trasferita all’amore. Quindi la nostra metafora, focalizzando vari aspetti dell’attività (OPERA, CREAZIONE, PERSEGUIRE GLI SCOPI, COSTRUZIONE, AIUTO ecc.), fornisce un’organizzazione per importanti esperienze d’amore che il nostro convenzionale sistema concettuale non rende disponibile. In secondo luogo la metafora non implica puramente altri concetti, come OPERA/LAVORO O PERSEGUIRE SCOPI COMUNI, ma anche aspetti molto specifici di questi concetti. Non si tratta di un lavoro qualsiasi come, ad esempio, lavorare a una catena di montaggio di automobili; si tratta di un lavoro che richiede uno speciale equilibrio di controllo e spontaneità appropriato alla creazione artistica, dal momento che lo scopo che ci si prefigge non è uno scopo qualunque, ma un comune scopo estetico. Inoltre, sebbene la metafora possa eliminare gli aspetti di perdita di controllo propri della metafora L’AMORE È FOLLIA, essa mette però in luce un altro aspetto, e precisamente il senso di possesso quasi demoniaco che vi è dietro al nesso che nella nostra cultura associa genio artistico e follia. In terzo luogo, poiché la metafora illumina e rende coerenti importanti esperienze d’amore, mentre ne lascia in ombra altre, essa dà all’amore un nuovo significato. Se quegli elementi che sono implicati dalla metafora rappresentano per noi gli aspetti più importanti delle nostre esperienze d’amore, allora la metafora può acquisire lo statuto di una verità: per molte persone l’amore è un’opera d’arte fatta in collaborazione, e poiché lo è, la metafora può avere un effetto di feedback, guidando le nostre future azioni in accordo con la metafora. Quarto, le metafore dunque possono essere appropriate perché sanzionano azioni, giustificano interferenze, e ci aiutano a stabilire degli obiettivi. Ad esempio, certe azioni, interferenze e scopi sono suggeriti dalla metafora L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE, ma non dalla metafora L’AMORE È FOLLIA. Se l’amore è follia, io non mi concentro su quello che devo fare per conservarlo; ma se è lavoro, allora è anche attività, e se è fatto in collaborazione, allora è anche un fenomeno più ristretto e specifico. Quinto, il significato che una metafora può avere per me, sarà in parte determinato culturalmente, in parte connesso alle mie esperienze passate. Le differenze culturali possono essere enormi, perché ognuno dei concetti nella metafora in discussione - ARTE, LAVORO, COLLABORAZIONE E

AMORE - possono variare grandemente da cultura a cultura. Quindi L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE significherebbe cose molto diverse per un romantico europeo del XIX secolo e per un eschimese nella Groenlandia della stessa epoca. Vi saranno anche differenze all’interno della stessa cultura, a seconda dei diversi modi in cui gli individui vedono il lavoro e l’arte: L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE significherà qualcosa di molto diverso per due quattordicenni al loro primo appuntamento o per una matura coppia di artisti. Come esempio di quanto il significato di una metafora possa variare radicalmente all’interno di una cultura, consideriamo alcune implicazioni della metafora per qualcuno che abbia un’idea dell’arte molto diversa dalla nostra. Qualcuno che valuti l’opera d’arte non in se stessa, ma soltanto come un oggetto da mettere in mostra e che pensi che l’arte crei solo un’illusione, non una realtà, potrebbe vedere gli esempi seguenti come implicazioni della metafora: L’amore è un oggetto da mettere in mostra. L’amore esiste per essere giudicato e ammirato dagli altri. L’amore crea un’illusione. L’amore richiede l’occultamento della verità.

Poiché la concezione dell’arte di questa persona è diversa, anche la metafora avrà per lui un significato diverso. Se poi la sua esperienza dell’amore è molto simile alla nostra, allora la metafora semplicemente non si adatterà, sarà infatti grossolanamente inappropriata. Quindi la stessa metafora che dà alla nostra esperienza nuovo significato, non lo darà alla sua. Un altro esempio di come una metafora può creare un nuovo significato ci è stato fornito per caso. Uno studente iraniano, poco dopo il suo arrivo a Berkeley seguì un seminario sulla metafora fatto da uno di noi. Fra le mirabili cose che egli trovò a Berkeley, vi era un’espressione che egli sentiva ripetere di continuo, e che interpretò come una metafora perfettamente ragionevole. L’espressione era “la soluzione dei miei problemi” - che egli si figurò come una grande massa di liquido, ribollente e fumante, contenente tutti i suoi problemi, sia dissolti in forma di precipitati, con catalizzatori che continuamente dissolvevano alcuni problemi (temporaneamente) e ne facevano precipitare altri. Egli rimase terribilmente deluso quando scoprì che gli abitanti di Berkeley non avevano assolutamente in mente una simile metafora chimica. E aveva ragione, perché la metafora chimica è sia bella che

illuminante: essa ci dà un’immagine dei problemi come cose che non scompaiono mai completamente e che non possono essere risolte una volta per tutte. Tutti i nostri problemi sono sempre presenti, solo che possono essere o dissolti e in soluzione, o in forma solida. Il meglio che si può sperare è di trovare un catalizzatore che dissolva un problema, senza fame precipitare un altro. Dal momento che non avete completo controllo su ciò che succede nella soluzione, trovate continuamente che vecchi e nuovi problemi precipitano, e problemi presenti si dissolvono, in parte a causa dei vostri sforzi, in parte a dispetto di qualunque cosa facciate. La metafora CHIMICA ci dà una nuova immagine dei problemi umani; essa è appropriata all’esperienza di scoprire che quei problemi che una volta pensavamo fossero “risolti” si ripresentano di continuo. La metafora CHIMICA. Ci dice che i problemi non sono il tipo di cose che si possono far scomparire per sempre. Considerarli come cose che possono venire “risolte” una volta per tutte è inutile. Vivere secondo la metafora CHIMICA vorrebbe dire accettare il fatto che mai nessun problema scompare per sempre. Piuttosto che impiegare le energie a risolvere una volta per tutte i vostri problemi, le dirigereste a individuare quali catalizzatori possano dissolvere i problemi più pressanti per il periodo di tempo più lungo possibile, senza fame precipitare altri peggiori. La ricomparsa di un problema è vista come un evento naturale piuttosto che come un fallimento da parte vostra nel trovare “il giusto modo di risolverlo”. Vivere secondo la metafora CHIMICA significherebbe far assumere ai nostri problemi un tipo diverso di realtà. Una soluzione temporanea costituirebbe un successo piuttosto che un fallimento, i problemi farebbero parte dell’ordine naturale delle cose piuttosto che essere elementi di disordine da “curare”. Il modo in cui comprenderemmo la nostra vita quotidiana e il modo in cui agiremmo in essa sarebbero diversi se vivessimo secondo la metafora CHIMICA. Possiamo vedere questo come un chiaro esempio del potere che la metafora ha di creare una realtà piuttosto che semplicemente concettualizzare una realtà preesistente. Questo non dovrebbe sorprenderci: come abbiamo visto nel caso della metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, vi sono tipi naturali di attività (come, ad esempio, il discutere) che sono di natura metaforica. Ciò che la metafora CHIMICA ci mostra è che il nostro abituale modo di affrontare i problemi è un altro tipo di attività metaforica. Attualmente la maggior parte di noi affronta i problemi secondo quella che

potremmo chiamare metafora INDOVINELLO, in cui i problemi sono INDOVINELLI per cui, generalmente, vi è una soluzione corretta e che, una volta risolti sono risolti per sempre. La metafora I PROBLEMI SONO INDOVINELLI caratterizza la nostra presente realtà, uno scarto verso la metafora CHIMICA caratterizzerebbe una nuova realtà. Ma non è affatto semplice cambiare le metafore con cui viviamo. Una cosa è essere consapevoli delle possibilità presenti nella metafora CHIMICA, ma un’altra cosa completamente diversa e molto più difficile è vivere in base ad essa. Ognuno di noi ha, consciamente o inconsciamente, identificato centinaia di problemi, e noi continuamente ci sforziamo di trovare una soluzione per la maggior parte di essi, attraverso la metafora INDOVINELLO. Una tale parte della nostra attività quotidiana inconscia è strutturata in termini della metafora INDOVINELLO che non sarebbe possibile un rapido e facile spostamento sulla metafora CHIMICA sulla base di una decisione volontaria. Molte delle nostre attività (discutere, risolvere problemi, programmare il tempo ecc.) sono di natura metaforica. I concetti metaforici che caratterizzano queste attività strutturano la nostra realtà attuale. Le nuove metafore hanno il potere di creare una nuova realtà. Ciò può avvenire quando cominciamo a comprendere la nostra esperienza in termini di una metafora, e diventa una realtà più profonda quando cominciamo ad agire in base ad essa. Se una nuova metafora entra nel sistema concettuale su cui sono basate le nostre azioni, essa modifica tale sistema concettuale e le percezioni e azioni originate da quel sistema. Molte trasformazioni culturali nascono dall’introduzione di nuovi concetti metaforici e dalla perdita dei vecchi. Ad esempio, l’occidentalizzazione delle culture di tutto il mondo è in parte dovuta all’introduzione della metafora IL TEMPO È DENARO in quelle culture. L’idea che le metafore possano creare realtà va contro la maggior parte delle tradizionali teorie sulla metafora. Il fatto è che la metafora è stata tradizionalmente vista come una questione puramente linguistica, invece che in primo luogo come un mezzo per strutturare il nostro sistema concettuale e i tipi di attività quotidiana che noi compiamo. È piuttosto ragionevole assumere che le parole, da sole, non cambiano la realtà. Ma i cambiamenti nel nostro sistema concettuale cambiano ciò che è reale per noi e influiscono sul modo in cui percepiamo il mondo e agiamo in base a queste percezioni. L’idea che la metafora sia solo un fatto che riguarda il linguaggio e possa,

nel migliore dei casi, solo descrivere la realtà proviene dalla convinzione che ciò che è reale è totalmente esterno, e indipendente da come gli esseri umani concettualizzano il mondo, come se lo studio della realtà fosse appunto lo studio del mondo fisico. Tale immagine della realtà - la cosiddetta realtà oggettiva - esclude gli aspetti umani della realtà, in particolare le reali percezioni, concettualizzazioni, motivazioni e azioni che costituiscono la maggior parte delle nostre esperienze. Ma gli aspetti umani della realtà sono la parte più rilevante di ciò che conta per noi, e variano da cultura a cultura, dal momento che culture diverse hanno sistemi concettuali diversi. Inoltre le culture esistono in ambienti fisici, alcuni dei quali sono radicalmente diversi fra loro: giungle, deserti, isole, tundre, montagne, città ecc.; in ogni caso vi è un ambiente fisico con cui noi interagiamo, con più o meno successo. I sistemi concettuali delle varie culture dipendono in parte dagli ambienti fisici in cui esse si sono sviluppate. Ogni cultura deve elaborare un modo, che può essere più o meno coronato da successo, di interazione con il suo ambiente, sia adattandosi ad esso sia trasformandolo. Inoltre ogni cultura deve definire una realtà sociale al cui interno le persone abbiano ruoli per loro significativi e sulla cui base esse possano agire socialmente. Non è sorprendente che la realtà sociale definita da una cultura influenzi la sua concezione della realtà fisica. Ciò che è reale per un individuo in quanto membro di una cultura è il prodotto sia della sua realtà sociale che del modo in cui quest’ultima modella la sua esperienza del mondo fisico. Dal momento che gran parte della nostra realtà sociale è compresa in termini metaforici, e che la nostra concezione del mondo fisico è parzialmente metaforica, la metafora gioca un ruolo molto significativo nel determinare ciò che è reale per noi.

22. LA CREAZIONE DELLA SIMILARITÀ

Abbiamo visto che molte delle nostre esperienze e attività sono di natura metaforica e che gran parte del nostro sistema concettuale è strutturato dalla metafora. Poiché noi vediamo le somiglianze in base alle categorie del nostro sistema concettuale e dei tipi naturali di esperienze che abbiamo (entrambi i quali possono essere metaforici), ne consegue che la maggior parte delle somiglianze che noi percepiamo sono il risultato di metafore convenzionali che sono parte del nostro sistema concettuale. Abbiamo già visto questo fenomeno nel caso delle metafore di orientamento. Ad esempio, l’orientamento PIÙ È SU e FELICE È SU produce una somiglianza che noi percepiamo fra PIÙ e FELICE, mentre non vediamo nessuna somiglianza fra MENO e FELICE. Anche le metafore ontologiche rendono possibili alcune similarità. Abbiamo visto, ad esempio, che il vedere metaforicamente il TEMPO e il LAVORO come SOSTANZE uniformi ci permettono di considerarli entrambi simili alle risorse fisiche e quindi simili fra loro. Quindi le metafore IL TEMPO È UNA SOSTANZA e IL LAVORO È UNA SOSTANZA. Ci permettono di concepire il tempo e il lavoro come simili nella nostra cultura, poiché entrambi possono essere quantificati, a entrambi può essere assegnato un valore per unità, entrambi possono servire per un utile scopo e si esauriscono progressivamente. Poiché queste metafore hanno un ruolo nel definire ciò che è reale per noi in questa cultura, la similarità fra tempo e lavoro è sia metaforica sia reale per la nostra cultura. Pure le metafore strutturali nel nostro sistema concettuale producono similarità. Così la metafora LE IDEE SONO CIBI instaura una similarità fra le idee e il cibo. Entrambe le cose possono essere digerite, mandate giù, divorate e riscaldate, ed entrambe possono nutrirci. Queste similarità non esistono indipendentemente dalla metafora. Il concetto di digerire cibi è indipendente dalla metafora, ma il concetto di digerire idee si ricava solo in virtù della metafora. In effetti la metafora LE IDEE SONO CIBO è basata su metafore ancor più fondamentali. Ad esempio, è basata in parte sulla metafora del CANALE, secondo la quale LE IDEE SONO OGGETTI e noi possiamo procurarcele dall’esterno. Essa è anche connessa alla metafora LA MENTE È UN CONTENITORE, che stabilisce una similarità fra la mente e

il corpo, essendo entrambi CONTENITORI. Insieme con la metafora del CANALE, otteniamo una metafora complessa in cui LE IDEE SONO OGGETTI CHE ENTRANO NELLA MENTE, proprio come i bocconi di cibo sono oggetti che entrano nel corpo. È su questa similarità metaforicamente creata fra idee e cibo che è in parte basata la metafora LE IDEE SONO CIBO. E, come abbiamo visto, la similarità stessa è una conseguenza della metafora del CANALE e della metafora LA MENTE È UN CONTENITORE. La metafora LE IDEE SONO CIBO corrisponde alla nostra esperienza in parte a causa di questa similarità indotta dalla metafora; essa è quindi parzialmente basata attraverso le metafore del CANALE e LA MENTE È UN CONTENITORE. Come conseguenza della metafora LE IDEE SONO CIBO, otteniamo nuove (metaforiche) similarità fra IDEE e CIBO: entrambe le cose possono venire mandate giù, digerite e divorate, entrambe possono nutrirci. Questi concetti alimentari ci danno un mezzo per comprendere processi psicologici che non abbiamo modo di concettualizzare in maniera diretta e ben definita. Infine possiamo vedere la creazione di similarità anche nelle nuove metafore. Ad esempio, la metafora I PROBLEMI SONO DEI PRECIPITATI IN UNA SOLUZIONE CHIMICA è basata sulla metafora convenzionale I PROBLEMI SONO OGGETTI. Inoltre la metafora CHIMICA aggiunge I PROBLEMI SONO OGGETTI SOLIDI, che li identifica come precipitati in una soluzione chimica. Le similarità così instaurate fra i problemi, come comunemente li viviamo e i precipitati in soluzione chimica hanno entrambi una forma percepibile e quindi possono essere identificati, analizzati e trasformati. Queste similarità sono indotte dalla parte della metafora CHIMICA che dice I PROBLEMI SONO OGGETTI SOLIDI. Inoltre, quando un precipitato si dissolve, sembra che sia scomparso perché non ha più una forma percepibile, e quindi non può essere identificato, analizzato e trasformato. Ma esso può ricomparire nuovamente, ad esempio ripresentandosi in forma solida, esattamente come può ripresentarsi un problema. Noi percepiamo questa similarità fra problemi e precipitati come risultato del resto della metafora CHIMICA. Un esempio più sottile delle similarità create da una nuova metafora può essere visto in L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE. Questa metafora illumina alcuni aspetti dell’esperienza d’amore, ne mette in secondo piano altri, e ne nasconde altri

ancora. In particolare mette in secondo piano quelle esperienze che corrispondono alla metafora L’AMORE È UNA FORZA FISICA. Per “mettere in secondo piano” intendiamo che essa è consistente con, ma non si focalizza, su esperienze d’amore che potrebbero ragionevolmente essere descritte da “Vi è magnetismo fra noi”, “È scoccata una scintilla” ecc. Inoltre essa nasconde quelle esperienze d’amore che corrispondono alla metafora L’AMORE È GUERRA, perché non è possibile una consistente sovrapposizione fra le due metafore. Gli aspetti collaborativi e cooperativi di L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE sono inconsistenti e quindi nascondono gli aspetti aggressivi e orientati al dominio delle nostre esperienze d’amore, quali potrebbero essere descritte da “Lei è la mia ultima conquista”, “Egli si è arreso a lei”, “Lei mi ha distrutto” ecc. In questo modo la metafora L’AMORE È UN OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE accantona alcune delle nostre esperienze d’amore e ne privilegia altre che vengono messe in rilievo come se fossero le nostre sole esperienze d’amore. Nel far ciò essa induce un insieme di similarità fra le esperienze d’amore che mette a fuoco e le esperienze, reali o immaginate, di un’opera d’arte fatta in collaborazione. Queste similarità indotte sono rappresentate nel nostro elenco di implicazioni: “L’amore è lavoro”, “L’amore è un’esperienza estetica” ecc. Nell’insieme delle esperienze d’amore enfatizzate dalla metafora, ogni esperienza corrisponde ad almeno una delle similarità che abbiamo elencato nella lista delle implicazioni, e probabilmente nessuna di esse corrisponde a tutte le implicazioni. Ad esempio, un episodio particolarmente frustrante corrisponderebbe a “L’amore regolarmente implica frustrazione”, ma potrebbe non adeguarsi a “L’amore è un’esperienza estetica” o a “L’amore ha un valore di per sé”. Ogni implicazione quindi stabilisce una similarità fra certi tipi di esperienze d’amore da un lato e certi tipi di esperienze di opera d’arte fatta in collaborazione dall’altro. Nessuna implicazione mostra una totale similarità fra l’intera gamma delle esperienze d’amore messe in luce e la gamma delle esperienze implicate nella produzione di un’opera d’arte in collaborazione. È solo la metafora nel suo complesso, con il suo intero sistema di implicazioni, che mostra le similarità fra tutta la gamma delle esperienze d’amore messe in luce e tutta la gamma delle esperienze della produzione di un’opera d’arte in collaborazione. Inoltre vi è una similarità indotta dalla metafora che va al di là delle pure

somiglianze fra le due gamme di esperienze. La similarità addizionale è una similarità strutturale che implica il modo in cui comprendiamo come le esperienze individuali messe in luce si combinano assieme in modo coerente. La coerenza è fornita dalla struttura di ciò che noi sappiamo riguardo alla produzione di un’opera d’arte in collaborazione ed è riflessa nel modo in cui le implicazioni si combinano insieme (ad esempio, alcune sono implicazioni di LAVORO, alcune sono implicazioni di ARTE, alcune sono implicazioni di LAVORO FATTO IN COLLABORAZIONE ecc.). È solo questa struttura coerente che ci mette in grado di comprendere cosa le esperienze messe in rilievo hanno a che vedere le une con le altre e come le implicazioni sono collegate le une alle altre. Quindi, per merito della metafora, la gamma delle esperienze d’amore messe in luce è vista come simile, nella sua struttura, alla gamma delle esperienze della produzione di un’opera d’arte in collaborazione. È questa somiglianza strutturale fra le due gamme di esperienze che ci permette di trovare una coerenza nella gamma delle esperienze d’amore messe in luce. Allo stesso modo è per merito della metafora che la gamma delle esperienze messe in rilievo è individuata come coerente. Senza la metafora questa gamma di esperienze non esisterebbe per noi come un insieme identificabile e coerente di esperienze. Concettualizzando invece L’AMORE come UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE esse vengono inquadrate assieme in un tutto coerente. Inoltre la metafora, dando una struttura coerente a una gamma di nostre esperienze, crea similarità di un nuovo tipo. Ad esempio, indipendentemente dalla metafora, noi potremmo vedere un’esperienza d’amore frustrante come simile a una esperienza frustrante nel produrre un’opera d’arte assieme a qualcuno, dal momento che entrambe le esperienze sono frustranti. In questo senso un’esperienza d’amore frustrante sarebbe simile a qualsiasi altra esperienza frustrante. Ciò che la metafora aggiunge alla comprensione di un’esperienza d’amore frustrante è che il tipo di frustrazione implicata è simile a quella implicata nel produrre un’opera d’arte in collaborazione. La similarità è una similarità rispetto alla metafora. Quindi l’esatta natura della similarità fra una esperienza d’amore frustrante e una esperienza artistica frustrante e percepita solo se si comprende l’esperienza d’amore in termini di esperienza artistica. Comprendere l’esperienza amorosa nei termini di ciò che è implicato dalla produzione di un’opera d’arte in collaborazione significa, secondo la nostra

definizione, comprendere quella esperienza in termini del concetto metaforico L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE. Possiamo ora riassumere i modi in cui le metafore creano similarità: 1. Le metafore convenzionali (di orientamento, ontologiche e strutturali) sono spesso basate su correlazioni che noi percepiamo nella nostra esperienza. Ad esempio, in una cultura industriale come la nostra, vi è una correlazione fra la quantità di tempo richiesta da un certo compito e la quantità di lavoro necessaria per svolgere quel compito. Questa correlazione è parte di ciò che ci permette di vedere metaforicamente TEMPO e LAVORO come RISORSE e quindi di vedere una somiglianza fra loro. È importante ricordare che le correlazioni non sono similarità. Le metafore che sono basate su correlazioni nella nostra esperienza definiscono i concetti nei cui termini noi percepiamo le similarità. 2. Le metafore convenzionali del tipo strutturale (come le idee sono cibo) possono essere basate su similarità che derivano da metafore di orientamento e ontologiche. Come abbiamo visto, ad esempio, le idee sono cibo è basata su le idee sono oggetti (ontologica) e la mente è un contenitore (ontologica e di orientamento). Una similarità strutturale fra idee e cibo è indotta dalla metafora e dà luogo a similarità metaforiche (idee e cibo possono essere mandati giù, digeriti e divorati, possono fornire nutrimento eco.). 3. Le nuove metafore sono prevalentemente strutturali. Esse possono creare similarità allo stesso modo delle metafore convenzionali che sono anche strutturali, cioè esse possono essere basate su similarità che derivano da metafore ontologiche e di orientamento. Come abbiamo visto, i problemi sono dei precipitati in soluzione chimica si basa sulla metafora fisica i problemi sono oggetti solidi. Questa metafora crea somiglianze fra i problemi e i precipitati, dal momento che entrambi possono essere identificati, analizzati e trasformati. La metafora i problemi sono precipitati crea nuove similarità, e precisamente suggerisce che i problemi possono sembrare scomparsi (dissolversi in soluzione) e più tardi riapparire (precipitare). 4. Le nuove metafore, a causa delle loro implicazioni, selezionano una gamma di esperienze dando loro rilievo, ponendole in secondo piano o nascondendole. In tal modo la metafora caratterizza una similarità fra l’intera gamma delle esperienze messe in luce e qualche altra gamma di esperienze. Ad esempio, L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN

COLLABORAZIONE seleziona una certa gamma di esperienze d’amore e definisce una similarità strutturale fra l’intera gamma delle esperienze poste in rilievo e la gamma delle esperienze richieste dalla produzione di un’opera d’arte in collaborazione. Vi possono essere similarità isolate fra l’amore e l’esperienza artistica che sono indipendenti dalla metafora, ma la metafora ci permette di trovare coerenza in queste similarità isolate nei termini di una completa similarità strutturale indotta dalla metafora. 5. Le similarità possono essere similarità rispetto alla metafora. Come abbiamo visto, la metafora L’AMORE È UN’OPERA D’ARTE FATTA IN COLLABORAZIONE definisce un unico tipo di similarità. Ad esempio, un’esperienza d’amore frustrante può essere compresa come simile a una frustrante esperienza artistica non solo a causa del fatto che è frustrante, ma per il peculiare tipo di frustrazione implicata dal produrre insieme un’opera d’arte. La nostra idea che la metafora possa creare similarità è in contrasto con la classica e ancora ampiamente diffusa teoria della metafora e precisamente la teoria della comparazione. Tale teoria dice: 1. Le metafore riguardano il linguaggio e non il pensiero o l’azione. Non esistono cose come il pensiero o l’azione metaforica. 2. Una metafora della forma “A è B” è un’espressione linguistica il cui significato è lo stesso di una corrispondente espressione linguistica della forma “A è come B rispetto a X, Y, Z…”. “Rispetto a X, Y, Z…” caratterizza ciò che noi abbiamo chiamato “similarità isolate”. 3. Di conseguenza una metafora può soltanto descrivere similarità preesistenti, ma non può creare similarità. Sebbene abbiamo fornito argomenti contro gran parte della teoria della comparazione, accettiamo quella che consideriamo come l’intuizione fondamentale, e precisamente che le metafore possono essere basate su similarità isolate. Ci differenziamo dalla teoria del confronto in quanto sosteniamo che: 1. La metafora è in primo luogo una questione di pensiero e azione e solo in modo derivato una questione di linguaggio. 2 a. Le metafore possono essere basate su similarità, sebbene in molti casi queste similarità siano esse stesse basate su metafore convenzionali che non sono basate su similarità. Le similarità basate su metafore convenzionali sono nondimeno reali nella nostra cultura, dal momento che le metafore convenzionali definiscono in parte ciò che noi consideriamo reale. 2 b. Sebbene la metafora possa essere in parte basata su similarità isolate, noi consideriamo che le similarità rilevanti siano quelle create dalla metafora,

come descritto in precedenza. 3. La funzione principale della metafora è di fornire una comprensione parziale di un tipo di esperienza in termini di un altro tipo di esperienza. Ciò può implicare preesistenti similarità isolate, la creazione di altre similarità, e altro ancora. È importante tenere in mente che la teoria della comparazione nella maggior parte dei casi si accompagna a una filosofia oggettivista, in cui tutte le similarità sono oggettive, cioè sono similarità intrinseche alle entità stesse. Noi sosteniamo al contrario che le sole similarità rilevanti per la metafora sono quelle derivanti dall’esperienza. La differenza fra similarità oggettive e similarità basate sull’esperienza è assolutamente fondamentale, e sarà discussa in dettaglio nel cap. 27. Brevemente, un oggettivista direbbe che gli oggetti hanno le proprietà che hanno, indipendentemente dal fatto che qualcuno ne faccia esperienza; gli oggetti sono oggettivamente simili se hanno in comune quelle proprietà. Per un oggettivista non avrebbe alcun senso parlare della metafora come “creatrice di similarità”, dal momento che ciò richiederebbe che le metafore fossero in grado di trasformare la natura del mondo esterno, portando alla luce similarità oggettive che prima non esistevano. Noi siamo d’accordo con gli oggettivisti su un punto fondamentale: che le cose nel mondo hanno un ruolo nel vincolare il nostro sistema concettuale. Ma esse esercitano questo ruolo solo attraverso l’esperienza che noi ne abbiamo. Le nostre esperienze (1) differiscono da cultura a cultura e (2) possono dipendere dal fatto che noi comprendiamo un tipo di esperienza in termini di un altro, cioè le nostre esperienze possono essere di natura metaforica. Tali esperienze determinano le categorie del nostro sistema concettuale. Le proprietà e le similarità, noi sosteniamo, esistono e possono essere oggetto di esperienza solo relativamente al sistema concettuale. Quindi l’unico tipo di similarità rilevanti per la metafora sono quelle basate sull’esperienza, non quelle oggettive. In generale la nostra posizione è che le metafore concettuali sono basate su correlazioni all’interno della nostra esperienza. Queste correlazioni basate sull’esperienza possono essere di due tipi: concorrenze basate sull’esperienza e similarità basate sull’esperienza. Un esempio di concorrenza basata sull’esperienza sarebbe la metafora PIÙ È SU. PIÙ È SU è basata sulla concorrenza di due tipi di esperienze: aggiungere una maggiore quantità di una sostanza e vedere il livello della sostanza salire. Qui non vi è nessuna similarità basata sull’esperienza. Un esempio invece di similarità basata

sull’esperienza è LA VITA È UN GIOCO D’AZZARDO, dove si ha un’esperienza delle azioni nella vita come giochi d’azzardo e le possibili conseguenze di queste azioni sono percepite come un vincere o un perdere. Qui la metafora sembra essere fondata su una similarità basata sull’esperienza. Quando una tale metafora viene estesa, possiamo fare esperienza di nuove similarità fra la vita e il gioco d’azzardo.

23. METAFORA, VERITÀ E AZIONE

Nel capitolo precedente abbiamo suggerito i seguenti punti: (a) le metafore hanno implicazioni attraverso le quali mettono in luce e rendono coerenti certi aspetti della nostra esperienza; (b) una data metafora può essere il solo modo per mettere in rilievo e organizzare coerentemente proprio quegli aspetti della nostra esperienza; (c) le metafore possono creare delle realtà per noi, specialmente delle realtà sociali, e in tal modo essere guida per le nostre future azioni. Tali azioni, naturalmente, corrisponderanno alla metafora. Ciò, a sua volta, rinforzerà il potere della metafora di rendere l’esperienza coerente. In questo senso le metafore possono essere profezie che si autodeterminano. Ad esempio, di fronte alla crisi energetica il presidente Carter dichiarò “l’equivalente morale della guerra”. La metafora della GUERRA generava una rete di implicazioni: vi era un “nemico”, una “minaccia alla sicurezza nazionale”, che richiedeva di “individuare dei bersagli”, “riorganizzare priorità”, “stabilire una nuova catena di comando”, “elaborare nuove strategie”, “raccogliere informazioni”, “schierare le forze”, “imporre sanzioni”, “richiedere sacrifici” e così via. La metafora della GUERRA metteva in rilievo certe realtà e ne nascondeva altre. La metafora non era puramente un modo di vedere la realtà, ma autorizzava cambiamenti nella linea politica e azioni politiche ed economiche. Il fatto stesso di accettare la metafora forniva le basi per certe inferenze: che vi era un nemico esterno, straniero, ostile (rappresentato dai caricaturisti con un copricapo arabo); che bisognava dare all’energia la massima priorità; che la popolazione doveva fare sacrifici; che se non avessimo affrontato la minaccia, non saremmo sopravvissuti. È importante rendersi conto che questa non era la sola metafora disponibile. La metafora della GUERRA usata da Carter dava per scontato il nostro abituale concetto di cosa è l’ENERGIA e concentrava l’attenzione sul modo per ottenerne a sufficienza. D’altra parte Armory Lovins (1977) ha osservato che vi erano due modi o linee fondamentalmente diverse per far fronte alle necessità energetiche. Egli le caratterizzò metaforicamente come LINEA DURA e MORBIDA. La LINEA ENERGETICA DURA usa le riserve energetiche, che sono

non flessibili, non rinnovabili, che richiedono difesa militare e controllo geopolitico, che distruggono in modo irreversibile l’ambiente e che richiedono un alto investimento di capitale, alta tecnologia e lavoratori altamente specializzati. Esse includono combustibili fossili (gas e petrolio), centrali nucleari e massificazione del carbone. La LINEA ENERGETICA MORBIDA usa risorse energetiche, che sono flessibili, rinnovabili, che non richiedono difesa militare o controllo geopolitico, che non distruggono l’ambiente e che richiedono solo un basso investimento di capitale, bassa tecnologia e lavoro non qualificato. Esse includono l’energia solare, il vento, l’energia idroelettrica, l’alcool bioderivato, i residui fluidi ottenuti dalla combustione di carbone e altri materiali combustibili e un gran numero di altre possibilità comunemente disponibili. La metafora della LINEA MORBIDA DI ENERGIA di Lovins mette in luce la struttura tecnica, economica e socio politica del sistema energetico, che gli fa concludere che la linea energetica “dura” - carbone, petrolio ed energia nucleare - conduce a confini politici, privazioni economiche e danno per l’ambiente. Ma Jimmy Carter è più potente di Armory Lovins. Come Charlotte Linde (in conversazione) ha osservato, quelli che hanno il potere impongono le loro metafore, sia nella politica nazionale che nell’interazione quotidiana. Le nuove metafore, come le metafore convenzionali, possono avere il potere di definire la realtà. Esse fanno ciò attraverso una rete coerente di implicazioni che mettono in luce alcuni tratti della realtà e ne nascondono altri. Accettare una metafora che ci costringe a focalizzare solo quegli aspetti della nostra esperienza che essa mette in luce ci porta a considerare le implicazioni della metafora come vere. Queste “verità” possono essere vere, naturalmente, solo relativamente alla realtà definita dalla metafora. Supponiamo che Carter annunci che la sua amministrazione ha vinto una importante battaglia energetica. Questa affermazione è vera o falsa? Perfino porsi questa domanda richiede che si accetti almeno la parte centrale della metafora. Se non si accetta l’esistenza di un nemico esterno, se si pensa che non vi è una minaccia esterna, se non si riconosce un campo di battaglia, obiettivi, forze avverse chiaramente definite, non si può porre il problema della oggettiva verità o falsità. Ma se voi vedete la realtà come definita dalla metafora, cioè se vedete la crisi energetica come una guerra, allora potete rispondere alla domanda se le implicazioni metaforiche corrispondono alla realtà. Se Carter, per mezzo di sanzioni politiche ed economiche utilizzate in

modo strategico, ha costretto le nazioni dell’OPEC a ridurre della metà il prezzo del petrolio, allora diremo che egli ha davvero vinto un’importante battaglia. Se d’altra parte la sua strategia ha prodotto soltanto un temporaneo congelamento dei prezzi, potremmo non essere sicuri e piuttosto scettici. Anche se le domande sulla verità si pongono per le nuove metafore, le domande più importanti sono quelle che riguardano un’azione appropriata. Nella maggior parte dei casi il problema non è la verità o falsità della metafora, ma le percezioni e inferenze che da essa derivano, e le azioni che sono sancite dalla metafora. In tutti gli aspetti della vita, non solo in politica e in amore, noi definiamo la nostra realtà in termini di metafore e quindi agiamo sulla base delle metafore. Deduciamo inferenze, stabiliamo obiettivi, prendiamo impegni ed eseguiamo piani, tutto sulla base del modo in cui strutturiamo la nostra esperienza, consciamente o inconsciamente, in parte per mezzo della metafora.

24. LA VERITÀ

24.1 Perché preoccuparsi di una teoria della verità? Le metafore, come abbiamo visto, sono di natura concettuale, sono fra i nostri principali strumenti di comprensione e rivestono un ruolo centrale nella costruzione della realtà politica e sociale. Eppure esse sono generalmente considerate in filosofia come questioni di “puro linguaggio” e le discussioni filosofiche sulla metafora non si sono interessate della loro natura concettuale, del loro contributo alla comprensione, o della loro funzione della realtà culturale. I filosofi hanno invece avuto la tendenza a vedere le metafore come espressioni linguistiche, poetiche e immaginative, fuori dal comune, e le loro discussioni si sono concentrate sul problema se queste espressioni linguistiche possono essere vere. La loro preoccupazione nei confronti della verità deriva da una preoccupazione nei confronti dell’obiettività: verità, per loro, significa verità oggettiva, assoluta. La tipica conclusione filosofica è che le metafore non possono direttamente asserire delle verità, e che, se possono in qualche modo farlo, è solo indirettamente attraverso qualche parafrasi “letterale” non metaforica. Noi non crediamo che esista la verità oggettiva (assoluta e incondizionata), sebbene l’idea che essa esistesse sia stata per lungo tempo accettata dalla cultura occidentale. Noi crediamo che vi siano delle verità, ma pensiamo che l’idea di verità non debba essere legata alla posizione oggettivista. Riteniamo che l’idea che vi sia una verità oggettiva e assoluta è non soltanto sbagliata ma anche politicamente e socialmente pericolosa. Come abbiamo visto, la verità è sempre relativa a un sistema concettuale che è in larga misura definito dalla metafora. La maggior parte delle nostre metafore si sono evolute nella nostra cultura attraverso un lungo periodo di tempo, ma molte ci sono imposte da coloro che detengono il potere, capi politici, religiosi, economici, pubblicitari, media ecc. In una cultura in cui il mito dell’oggettivismo è molto vivo e la verità è sempre una verità assoluta, le persone che arrivano a imporre le loro metafore nella cultura arrivano a definire ciò che noi consideriamo vero - assolutamente e oggettivamente vero. È per questa ragione che consideriamo importante dare una descrizione

della verità che sia libera dal mito dell’oggettivismo (secondo il quale la verità è sempre una verità assoluta). Poiché consideriamo la verità basata sulla comprensione e vediamo la metafora come il principale mezzo di comprensione, pensiamo che una spiegazione di come le metafore possono essere vere rivelerà il modo in cui la verità dipende dalla comprensione. 24.2 L’importanza della verità nella nostra vita quotidiana Noi basiamo le nostre azioni, sia fisiche che sociali, su ciò che consideriamo vero. Tutto sommato, la verità è importante per noi perché ci permette di sopravvivere e agire nel mondo. La maggior parte delle verità che noi accumuliamo riguardo i nostri corpi, le persone con cui interagiamo, il nostro ambiente fisico e sociale immediatamente circostante, hanno un ruolo nel funzionamento quotidiano. Vi sono verità così ovvie che è necessario uno sforzo di volontà per divenire consapevoli di esse: dov’è la porta di casa, che cosa potete e non potete mangiare, dov’è il più vicino distributore di benzina, quali negozi vendono ciò di cui avete bisogno, come sono i vostri amici, che cosa li offenderebbe, quali responsabilità avete. Questo piccolo campione dà un’idea della natura e dell’estensione dell’ampio insieme di verità che rivestono un ruolo nella nostra vita quotidiana. 24.3 Il ruolo della proiezione nella verità Per acquisire e usare tali verità, abbiamo bisogno di una comprensione del nostro mondo sufficiente per i nostri bisogni. Come abbiamo visto, parte di questa comprensione è organizzata in termini di categorie che emergono dalla nostra esperienza diretta: categorie di orientamento, concetti come OGGETTO, SOSTANZA, PROPOSITO, CAUSA ecc. Abbiamo anche visto che, quando le categorie che emergono direttamente dalla nostra esperienza non possono venire applicate, noi talvolta proiettiamo queste categorie su aspetti del mondo fisico di cui abbiamo meno esperienza diretta. Ad esempio proiettiamo un orientamento contestuale davanti-dietro su oggetti che non hanno di per se stessi un davanti e un dietro. Data una roccia di medie dimensioni nel nostro campo visivo e una palla fra noi e la roccia, diciamo a 30 centimetri da essa, percepiremo la palla come davanti alla roccia. Gli hausa fanno proiezioni diverse dalle nostre e direbbero che la palla è dietro alla roccia. Quindi un orientamento davanti-dietro non è una

proprietà intrinseca di oggetti come le rocce, ma piuttosto un orientamento che noi proiettiamo su di essi, e i modi di questa proiezione variano da cultura a cultura. Relativamente ai nostri scopi possiamo distinguere gli oggetti del mondo in contenitori e non contenitori; ad esempio possiamo concepire una radura in una foresta come un CONTENITORE e noi stessi come DENTRO la radura o FUORI di essa. L’essere un contenitore non è una proprietà intrinseca di quel luogo nel bosco in cui gli alberi sono meno fitti, è una proprietà che noi proiettiamo su di esso in relazione al nostro modo di agire rispetto ad esso. Relativamente ad altre percezioni e scopi possiamo vedere il resto della foresta esterno alla radura come un differente contenitore e percepire noi stessi come DENTRO la foresta. Possiamo anche fare entrambe le cose contemporaneamente e parlare di USCIRE FUORI DA la foresta DENTRO alla radura. Allo stesso modo anche l’orientamento su-giù emerge dalla nostra diretta esperienza con il terreno, il pavimento e altre superfici orizzontali. Tipicamente noi siamo sulla terra, sul pavimento ecc., se siamo in piedi in posizione eretta. Proiettiamo questo orientamento su-giù anche sui muri, e percepiamo una mosca come qualcosa che sta sul muro se le sue gambe sono in contatto con esso e la sua testa non è orientata verso il muro Lo stesso vale per una mosca sul soffitto: anche in questo caso la percepiamo come sul piuttosto che sotto il soffitto. Come abbiamo già visto, noi percepiamo inoltre varie cose nel mondo naturale come entità, spesso proiettando su di esse confini e superfici, quando non esiste di natura nessuna superficie o confine precisamente delineato. Possiamo così concepire un banco di nebbia come un’entità che può essere sopra alla baia (che pure percepiamo come un’entità) e davanti alla montagna (concepita come un’entità con orientamento davanti-dietro). A causa di queste proiezioni una frase come “c’è nebbia davanti alla montagna” può essere vera. Come avviene generalmente nella nostra vita quotidiana, la verità è relativa alla comprensione, e la verità di quella frase è relativa al modo normale in cui comprendiamo il mondo proiettandovi sopra un orientamento e la struttura di una entità. 24.4 Il ruolo della categorizzazione nella verità Per comprendere il mondo e muoversi al suo interno, noi dobbiamo categorizzare, in un modo che sia per noi dotato di senso, le cose e le

esperienze in cui ci imbattiamo. Alcune delle nostre categorie emergono direttamente dall’esperienza, dato il modo in cui i nostri corpi sono fatti e la natura delle nostre interazioni con le altre persone e con l’ambiente fisico e sociale. Come abbiamo visto nella discussione a proposito dell’esempio riguardante la PISTOLA FALSA nel cap. 19, vi sono dimensioni naturali nelle categorie che utilizziamo per gli oggetti: percettive, basate sulla concezione dell’oggetto per mezzo del nostro apparato sensorio; di attività motoria, basate sulla natura delle interazioni motorie con gli oggetti; funzionali, basate sulla nostra concezione delle funzioni dell’oggetto; finalizzate, basate sugli usi che possiamo fare di un certo oggetto in una data situazione. Le nostre categorie per i vari tipi di oggetti sono quindi delle gestalt dotate di almeno queste dimensioni naturali, ognuna delle quali specifica delle proprietà interazionali. Analogamente vi sono delle dimensioni naturali sulla cui base categorizziamo eventi, attività e altre esperienze come un tutto strutturato. Come abbiamo visto nella nostra analisi di CONVERSAZIONE e DISCUSSIONE, queste dimensioni naturali includono partecipanti, parti, stadi, sequenza lineare, proposito e causalità. Una categorizzazione è un modo naturale per identificare un tipo di oggetto o esperienza mettendo in luce certe proprietà, mettendone in secondo piano altre e nascondendone del tutto altre ancora. A ogni dimensione corrispondono proprietà che sono messe in luce. Per mettere in rilievo certe proprietà è necessario metterne in secondo piano o nasconderne altre, che è ciò che succede ogni volta che noi categorizziamo qualcosa: focalizzando un certo insieme di proprietà si distoglie l’attenzione da altre. Ad esempio, nelle nostre descrizioni quotidiane usiamo categorizzazioni per focalizzare certe proprietà che si adattano ai nostri scopi. Ogni descrizione mette in rilievo, trascura e nasconde - ad esempio: Ho invitato una bionda sexy alla nostra cena. Ho invitato una famosa violoncellista alla nostra cena. Ho invitato una marxista alla nostra cena. Ho invitato una lesbica alla nostra cena.

Sebbene la stessa persona possa corrispondere a tutte queste descrizioni, ogni descrizione illumina aspetti diversi di quella persona. Descrivere qualcuno che si sa essere fornito di tutte quelle proprietà, come una “bionda sexy”, significa mettere in secondo piano il fatto che essa è una famosa violoncellista e una marxista, e nascondere il fatto che è lesbica. In generale le asserzioni vere che noi facciamo sono basate sul modo in

cui categorizziamo le cose e quindi su ciò che è messo in luce dalle dimensioni naturali delle categorie. Nel fare un’asserzione noi scegliamo alcune categorie perché abbiamo dei motivi per focalizzare alcune proprietà e trascurarne altre. Ogni asserzione vera quindi necessariamente tralascia ciò che è messo in secondo piano o nascosto dalle categorie utilizzate. Inoltre, dal momento che le dimensioni naturali delle categorie (percettive, funzionali ecc.) derivano dalle nostre interazioni con il mondo, le proprietà derivate da queste dimensioni non sono proprietà degli oggetti in se stessi, ma piuttosto proprietà interazionali, basate sull’apparato percettivo umano, sulle concezioni umane di funzione ecc. Ne consegue che le asserzioni vere, fatte in termini di categorie umane, generalmente non predicano proprietà degli oggetti in se stessi, ma proprietà interazionali che hanno senso solo in relazione al funzionamento umano. Nel fare un’asserzione vera dobbiamo scegliere le categorie di descrizione e tale scelta implica le nostre percezioni e i nostri scopi in quella data situazione. Supponiamo che voi mi diciate: “Avremo una riunione stasera, e ho bisogno di quattro sedie in più. Le puoi portare?” Io dico: “Certo”, e arrivo con una sedia normale, una sedia a dondolo, una sedia a sacco e un cuscino. Lasciandole nel soggiorno, vado in cucina e dico: “Ho portato le quattro sedie che volevi”. In una situazione del genere la mia affermazione è vera, perché i quattro oggetti che io ho portato servono allo scopo di sedie per una riunione informale. Ma se mi aveste invece chiesto di portare quattro sedie per una cena formale e io fossi arrivato con gli stessi quattro oggetti e avessi fatto la stessa affermazione, voi non sareste stati certo grati e avreste trovato la mia affermazione ingannevole o falsa, dal momento che un cuscino, una sedia a sacco e una sedia a dondolo non sono adatte come “sedie” per una cena formale. Ciò dimostra che le nostre categorie (ad esempio SEDIA) non sono rigidamente fissate in termini di proprietà intrinseche agli oggetti stessi. Ciò che vale come esempio di una categoria dipende dai nostri scopi nell’usare quella categoria. Questa è la stessa posizione che abbiamo sostenuto precedentemente, a proposito del concetto di definizione, dove abbiamo mostrato che le categorie sono definite, ai fini della comprensione umana, da prototipi e da somiglianze di famiglia fra questi prototipi. Tali categorie non sono fissate una volta per tutte, ma possono venire ristrette, ampliate o modificate a seconda dei nostri scopi e di altri fattori contestuali. Dal momento che la verità di un’affermazione dipende dall’adeguatezza delle

categorie in essa utilizzate, tale verità sarà sempre relativa al modo in cui la categoria è intesa ai nostri fini in un dato contesto. Vi sono molti esempi famosi che mostrano come le frasi, in genere, non sono né vere né false, se considerate indipendentemente dai fini per cui sono usate: La Francia è esagonale. Il Missouri è un parallelogramma. La terra è una sfera. L’Italia ha la forma di uno stivale. L’atomo è un minuscolo sistema solare con il nucleo al centro e gli elettroni che gli ruotano attorno. La luce consiste di particelle. La luce consiste di onde.

Ognuna di queste frasi è vera in relazione a certi fini, per certi aspetti e in certi contesti. “La Francia è un esagono” e “Missouri è un parallelogramma” possono essere vere per un ragazzino che deve disegnare una mappa approssimata, ma non per un cartografo professionista. “La terra è una sfera” è vero in senso generale, ma non lo è se si deve tracciare in modo preciso l’orbita di un satellite. Nessun fisico degno di questo nome ha creduto, a partire dal 1914, che l’atomo sia un minuscolo sistema solare, ma ciò è vero per la maggior parte di noi, relativamente alla nostra attività quotidiana e alle nostre conoscenze di matematica e fisica. “La luce consiste di particelle” sembra contraddire “La luce consiste di onde”, ma entrambe sono considerate vere dai fisici a seconda di quali aspetti della luce sono selezionati dai diversi esperimenti. Tutto ciò ci mostra che la verità dipende dalla categorizzazione nei seguenti quattro modi: - Un’asserzione può essere vera solo in relazione a una qualche interpretazione di essa. - La comprensione implica sempre una categorizzazione umana, che è una funzione di proprietà interazionali (piuttosto che di proprietà intrinseche) e di dimensioni derivate dalla nostra esperienza. - La verità di un’asserzione è sempre relativa alle proprietà messe in rilievo dalle categorie utilizzate nell’asserzione. (Ad esempio, “La luce consiste di onde” mette in rilievo quelle proprietà della luce che sono simili alle onde e nasconde le proprietà simili a particelle.) - Le categorie non sono né fisse né uniformi; esse sono definite dai prototipi e dalle somiglianze di famiglia fra i prototipi e sono modificabili nel contesto, a seconda dei vari fini. La verità di un’asserzione dipende

dall’adeguatezza della categoria in essa utilizzata e questa a sua volta varia con gli scopi umani e con altri aspetti del contesto. 25.5 Come si capisce che una frase semplice è vera? Per capire che una frase è vera, dobbiamo innanzitutto capire la frase. Analizziamo parte di ciò che è implicato nella comprensione di una frase semplice come “C’è nebbia davanti alla montagna” e “John ha sparato un colpo di pistola a Harry”. Frasi come queste sono sempre enunciate all’interno di discorsi di un qualche tipo, e quindi comprenderle nel contesto discorsivo implica complicazioni tutt’altro che banali, che noi dobbiamo qui ignorare dati i nostri scopi. Ma anche senza tener conto delle complessità derivanti dal contesto discorsivo, per comprendere queste frasi sono necessari molti elementi. Consideriamo quali sono le condizioni che ci permettono di comprendere “C’è nebbia davanti alla montagna” come vera. Come abbiamo detto prima, dobbiamo considerare “la nebbia” e “la montagna” come entità, attraverso una proiezione, e dobbiamo proiettare sulla montagna un orientamento davanti-dietro, orientamento questo che varia da cultura a cultura, è dato solo relativamente a un osservatore umano e non è intrinseco alla montagna. Dobbiamo quindi determinare, a seconda dei nostri scopi, se ciò che vediamo come “la nebbia” è decisamente fra noi e ciò che selezioniamo come “la montagna”, più vicino alla montagna, e non a lato della montagna o sopra di essa ecc. Vi sono qui tre proiezioni sul mondo, più alcune determinazioni pragmatiche relative alle nostre percezioni e scopi, come ad esempio se la relazione davanti a è più appropriata di altre possibili relazioni. Quindi capire se “C’è nebbia davanti alla montagna” è vera, non è puramente questione di (a) selezionare entità preesistenti e ben definite nel mondo (la nebbia e la montagna) e (b) vedere se alcune proprietà intrinseche (indipendenti da ogni osservatore umano) si applicano a quelle entità ben definite. È invece questione di proiezione e giudizio umani, relativamente a dati scopi. “John ha sparato un colpo di pistola a Harry” solleva altri problemi. Bisogna ovviamente individuare le persone denominate John e Harry, l’oggetto adeguato alla categoria PISTOLA, capire cosa significa sparare un colpo di pistola e spararlo a qualcuno. Ma la comprensione di frasi come questa non avviene in vacuo, bensì in relazione a certe più ampie categorie di esperienze, come ad esempio sparare a qualcuno, spaventare qualcuno,

eseguire un numero in un circo, o far finta di fare una di queste cose in una commedia, in un film o per scherzo. Sparare un colpo di pistola può essere un esempio di ognuno di questi casi e dipenderà dal contesto stabilire quale. Ma vi è solo una ristretta gamma di categorie di esperienza cui corrisponde “sparare un colpo di pistola”, la più tipica delle quali è SPARARE A QUALCUNO, dal momento che vi sono numerosi modi tipici per spaventare qualcuno o per eseguire un numero in un circo, ma solo un modo normale per sparare a qualcuno. Possiamo quindi vedere SPARARE A QUALCUNO come una gestalt basata sull’esperienza e dotata più o meno di queste dimensioni: Partecipanti John (sparatore), Harry (bersaglio), la pistola (strumento), la pallottola (strumento, missile). Parti Puntare la pistola sul bersaglio. Sparare un colpo di pistola. La palla colpisce il bersaglio. Il bersaglio è ferito. Stadi Precondizioni Lo sparatore ha una pistola carica. Inizio Lo sparatore punta la pistola sul bersaglio. Parte centrale Lo sparatore spara un colpo di pistola. Fine La pallottola colpisce il bersaglio. Stato finale Il bersaglio è colpito. Causa L’inizio e la parte centrale rendono possibile la fine. La parte centrale e la fine causano lo stato finale. Proposito Scopo Stato finale. Piano Soddisfare le precondizioni, eseguire l’inizio e la parte centrale.

La frase “John ha sparato un colpo di pistola a Harry” normalmente evoca una gestalt SPARARE A QUALCUNO di questo tipo, o, in altri contesti, potrebbe evocare altre gestalt fondate sull’esperienza ugualmente complesse (ad esempio, ESEGUIRE UN NUMERO IN UN CIRCO). Ma la frase non è praticamente mai compresa in se stessa senza che venga evocata una qualche gestalt più ampia che specifichi la gamma normale delle dimensioni naturali (ad esempio scopo, stadi ecc.). Qualunque sia la gestalt che viene evocata, noi comprendiamo assai più di quanto è direttamente espresso nella frase. Ognuna di queste gestalt fornisce un background per comprendere la frase in termini per noi dotati di senso, cioè in termini di una categoria della nostra cultura basata sull’esperienza. Oltre alla più ampia categoria di esperienza che la frase evoca, noi categorizziamo anche SPARARE e PISTOLA in termini di prototipi ricchi di informazione. A meno che il contesto non ci induca a fare altrimenti, noi comprendiamo la pistola come una pistola prototipica, con le consuete

proprietà prototipiche di tipo percettivo, motorio, funzionale e finalizzato. Salvo che il contesto non specifichi in altro modo, l’immagine evocata non è quella di una pistola-ombrello o una pistola ad acqua, e il programma motorio richiesto per sparare consiste nel tenere la pistola orizzontale e premere il grilletto, che è il normale programma motorio che si adatta sia a SPARARE che a PISTOLA. A meno che il contesto sia truccato, noi non immaginiamo un meccanismo alla Agatha Christie in cui il grilletto è legato con una corda alla maniglia di una porta. Noi comprendiamo la frase secondo il modo in cui queste si combinano insieme, sia le gestalt “più piccole” (PISTOLA, SPARARE, PUNTARE ecc.), sia quelle “più ampie” (SPARARE A QUALCUNO O ESEGUIRE UN NUMERO IN UN CIRCO). Solo relativamente a tali modalità di comprensione si può porre il problema della verità. Tale questione è semplice quando la nostra comprensione della frase in questi termini corrisponde abbastanza precisamente alla nostra comprensione degli eventi che sono successi. Ma cosa succede quando si verifica una discrepanza fra la nostra normale comprensione della frase e quella degli eventi? Immaginiamo, ad esempio, che John, con un ingegnoso trucco alla Agatha Christie, sistemi la pistola in modo tale che sia puntata nella direzione dove Harry, a un certo punto, si verrà a trovare e che quindi leghi una corda al grilletto. Consideriamo due casi: A. John si gratta l’orecchio e ciò fa sì che la pistola spari a Harry; B. Harry apre la porta e ciò fa sì che la pistola spari a Harry. Nel caso A l’azione di John è responsabile dello sparo, mentre, nel caso B, è responsabile l’azione di Harry. Ciò fa sì che A sia più vicino di B alla nostra normale comprensione della frase. Quindi potremmo essere portati a dire che è il caso che A anche dove sarebbe vero dire “John ha sparato un colpo di pistola a Harry”. Il caso B, comunque, è così lontano dalla nostra comprensione prototipica dell’atto di sparare, che probabilmente non saremmo disposti a dire che è vero che “John ha sparato un colpo di pistola a Harry”. Ma non potremmo nemmeno dire che ciò è falso in modo assoluto, dal momento che John è stato in origine il responsabile dello sparo. Vorremmo piuttosto spiegare, e non rispondere soltanto con “vero” o “falso”. Questo è ciò che generalmente succede quando la nostra comprensione degli eventi non corrisponde alla nostra normale comprensione della frase, a causa di qualche deviazione dal prototipo. Possiamo riassumere i risultati di questa sezione nel modo seguente: 1. Comprendere una frase come vera in una data situazione richiede di

avere una comprensione della frase e una comprensione della situazione. 2. Noi comprendiamo una frase come vera quando la nostra comprensione della frase corrisponde in modo abbastanza preciso alla nostra comprensione della situazione. 3. Avere una comprensione della situazione tale da poter corrispondere alla nostra comprensione della frase può richiedere: a. Proiettare un orientamento su qualcosa che non ha di per se stesso un orientamento intrinseco (ad esempio, vedere la montagna come dotata di un davanti). b. Proiettare la struttura di un’entità su qualcosa che non è delimitato in nessun modo preciso (come la nebbia, la montagna). c. Fornire un background in base al quale la frase abbia senso, cioè attivare una gestalt basata sull’esperienza (come SPARARE A QUALCUNO, ESEGUIRE UN NUMERO DA CIRCO) e comprendere la situazione in termini di quella gestalt. d. Arrivare a una “normale” comprensione della frase in base alle sue categorie (come PISTOLA, SPARARE), come definite dal prototipo e cercare di comprendere la situazione sulla base delle stesse categorie. 24.6 Come si fa a capire che una metafora convenzionale è vera? Abbiamo visto ciò che è richiesto per comprendere che una frase semplice (senza metafora) è vera. Vogliamo ora sostenere che l’aggiunta di metafore convenzionali non cambia nulla, e che noi le comprendiamo come vere fondamentalmente nello stesso modo. Prendiamo una frase come “L’inflazione è salita”. Capire che una situazione è tale per cui in essa questa frase potrebbe essere vera, richiede due proiezioni. Dobbiamo selezionare esempi di inflazione e vederli come costituenti una sostanza, che può quindi essere quantificata e perciò vista come qualcosa che può aumentare. Inoltre dobbiamo proiettare su questo aumento un orientamento su. Queste due proiezioni costituiscono due metafore convenzionali L’INFLAZIONE È UNA SOSTANZA (metafora ontologica) e PIÙ È su (metafora di orientamento). Vi è una differenza principale fra le proiezioni sulla situazione in questo caso e nel caso precedente, cioè “C’è nebbia davanti alla montagna”.

Nel caso della nebbia, noi comprendiamo qualcosa di fisico (la nebbia) sul modello di qualcosa d’altro, sempre fisico ma più chiaramente delineato un oggetto fisico delimitato. Nel caso di davanti noi comprendiamo l’orientamento fisico della montagna in termini di un altro orientamento fisico, quello dei nostri corpi. In entrambi i casi noi comprendiamo qualcosa che è fisico in termini di qualcosa d’altro che è pure fisico. In altri termini, comprendiamo una cosa in termini di un’altra dello stesso tipo. Nella metafora convenzionale invece noi comprendiamo una cosa in termini di qualcos’altro di tipo diverso. In “L’inflazione è salita”, ad esempio, noi comprendiamo l’inflazione (che è astratto) in termini di una sostanza fisica, e un aumento di inflazione (che è pure astratto) in termini di orientamento fisico (su). L’unica differenza consiste dunque nel fatto che la nostra proiezione implichi gli stessi tipi di cose o differenti tipi di cose. Quando noi comprendiamo una frase del genere “L’inflazione è salita” come vera, compiamo le seguenti operazioni: 1. Comprendiamo la situazione attraverso una proiezione metaforica in due modi: a. Vediamo l’inflazione come una SOSTANZA (attraverso una metafora ontologica). b. Vediamo PIÙ come orientato su (attraverso una metafora di orientamento). 2. Comprendiamo la frase sulla base delle stesse due metafore. 3. Questo ci permette di fare corrispondere la nostra comprensione della frase alla nostra comprensione della situazione. Quindi una comprensione della verità in termini di proiezione metaforica non differisce essenzialmente da una comprensione della verità in termini di proiezione non metaforica. La sola differenza è che la proiezione metaforica richiede che un tipo di cose venga compreso in termini di un altro tipo di cose, cioè essa implica due diversi tipi di cose, mentre la proiezione non metaforica ne implica solo un tipo. Lo stesso vale anche per le metafore strutturali. Consideriamo la frase “John ha difeso la sua posizione durante la discussione”. Come abbiamo visto precedentemente, l’esperienza della discussione è parzialmente strutturata sulla gestalt GUERRA, per mezzo della metafora UNA DISCUSSIONE È UNA GUERRA. Dal momento che la discussione è un tipo metaforico di esperienza, strutturato dalla metafora convenzionale UNA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, ne deriva che una situazione in cui vi è una discussione può

essere compresa in questi termini metaforici. Per comprendere una situazione di discussione dovremo vederla contemporaneamente sia nei termini della gestalt CONVERSAZIONE che in quelli della gestalt GUERRA. Se la nostra comprensione della situazione è tale per cui una parte della conversazione corrisponde a una difesa coronata da successo nella gestalt GUERRA, allora la nostra comprensione della frase corrisponderà alla nostra comprensione della situazione e considereremo la frase come vera. Sia nel caso metaforico che in quello non metaforico la nostra descrizione del modo in cui comprendiamo la verità dipende da quella del modo in cui comprendiamo la situazione. Dato che la metafora è di natura concettuale piuttosto che una questione che riguarda il “puro linguaggio”, è per noi naturale concettualizzare le situazioni in termini metaforici. Poiché noi possiamo concettualizzare le situazioni in termini metaforici, è possibile che le frasi che contengono delle metafore siano prese come corrispondenti alle situazioni così come noi le concettualizziamo. 24.7 Come comprendiamo che le nuove metafore sono vere? Abbiamo appena visto che le metafore convenzionali si adattano alla nostra descrizione della verità nello stesso modo delle frasi non metaforiche. In entrambi i casi comprendere che una frase è vera in una data situazione richiede di adattare la nostra comprensione della frase alla nostra comprensione della situazione. Poiché la nostra comprensione della situazione può implicare metafore convenzionali, le frasi che contengono metafore convenzionali non sollevano problemi particolari per la nostra descrizione della verità. Ciò suggerisce che la medesima descrizione sia valida anche per le metafore nuove o non convenzionali. Perché ciò sia più chiaro, consideriamo due metafore correlate, una convenzionale e una non convenzionale: Dimmi la storia della tua vita (convenzionale). La vita è una favola raccontata da un idiota, piena di urla e furore, che non significa nulla (non convenzionale). Cominciamo con “Dimmi la storia della tua vita”, che contiene la metafora convenzionale LA VITA È UNA STORIA. Questa è una metafora profondamente radicata nella nostra cultura: si assume che la vita di ognuno sia strutturata come una storia e tutta la tradizione biografica e autobiografica

è basata su questa assunzione. Supponiamo che qualcuno vi chieda di raccontargli la storia della vostra vita. Cosa fate? Costruite una narrazione coerente che comincia dalla vostra infanzia e arriva fino al presente. Normalmente la narrazione avrà le seguenti caratteristiche: Partecipanti Voi stessi e le altre persone che hanno “giocato un ruolo” nella vostra vita. Parti Preparazione, fatti significativi, episodi, e stati significativi (compreso lo stesso presente e qualche stato originario). Stadi Precondizioni Preparazione per l’inizio. Inizio Lo stato iniziale seguito da episodi nello stesso quadro temporale. Parte centrale Vari episodi e stati significativi in ordine temporale successivo. Fine Stato presente. Sequenza lineare Varie connessioni temporali e/o causali fra stati ed episodi successivi. Causalità Varie relazioni causali fra episodi e stati. Proposito Scopo Uno stato desiderato (che può essere nel futuro). Piano Una sequenza di episodi cui voi date inizio e che hanno un nesso causale con lo scopo. Oppure: un evento o un insieme di eventi che vi pongono in uno stato significativo, così che possiate raggiungere lo scopo attraverso una serie di stadi naturali.

Questa è una versione ipersemplificata di quella che è una tipica gestalt basata sull’esperienza e usata per dare coerenza alla vita di qualcuno intesa come una STORIA. Abbiamo tralasciato varie complessità, come il fatto che ogni episodio può in se stesso essere una sotto narrazione coerente con una struttura simile. Non tutte le storie di vita conterranno tutte queste dimensioni di struttura. Si noti che la comprensione della propria vita in termini di una storia coerente implica che certi partecipanti e certe parti (episodi e stati) siano messi in luce e altri siano ignorati o nascosti. Inoltre richiede di vedere la propria vita in termini di stadi, nessi causali fra le parti e piani intesi a raggiungere certi scopi o insiemi di scopi. In generale la storia di una vita impone una struttura coerente su elementi della propria vita che vengono messi in rilievo. Se raccontate una storia di questo tipo e quindi dite “Questa è la storia della mia vita”, voi giustamente penserete di dire la verità se realmente considerate i partecipanti e gli eventi messi in rilievo come quelli significativi e li percepite come coerentemente combinati assieme nel modo specificato dalla struttura della narrazione. Il problema della verità in questo caso è se la

coerenza fornita dalla narrazione corrisponde alla coerenza che voi vedete nella vostra vita. Ed è questa coerenza che voi vedete nella vostra vita che le dà senso e significato. Chiediamoci ora cosa è implicato nel comprendere come vera una metafora non convenzionale. “La vita è una favola raccontata da un idiota, piena di urla e furore, che non significa nulla.” Questa metafora non convenzionale evoca la metafora convenzionale LA VITA È UNA STORIA. L’elemento più rilevante nelle storie raccontate da un idiota è che esse non sono coerenti. Esse iniziano come se fossero storie coerenti con stadi, nessi causali e propositi complessivi, ma a un tratto cambiano direzione e ripetutamente modificano la loro struttura, rendendo impossibile trovare una coerenza all’interno delle loro parti o nell’intero insieme. Una storia di questo genere non avrebbe per noi una struttura coerente e quindi non fornirebbe senso o significato alle nostre vite. Non ci sarebbe modo di mettere in luce alcuni eventi della nostra vita come significativi, cioè come utili per un certo fine, dotati di una connessione causale con altri eventi significativi, corrispondenti a certi stadi ecc. In una vita vista come una favola, episodi “pieni di rumore e di furia” rappresenterebbero periodi di delirio, di tormentoso conflitto e forse di violenza. In una tipica storia di vita tali eventi sarebbero considerati come particolarmente gravi e importanti, perché traumatici, o catartici o disastrosi o preliminari al momento cruciale. Ma il modificatore “che non significano nulla” nega tutte queste possibilità di significato, suggerendo invece che gli episodi non possono essere visti in termini di connessioni causali, propositi o stadi identificabili in un tutto coerente. Se noi realmente vediamo la nostra vita e quella degli altri in questo modo, allora considereremo la metafora come vera. Ciò che rende possibile per molti di noi vedere la metafora come vera è il fatto che noi generalmente comprendiamo le nostre esperienze di vita in termini della metafora LA VITA È UNA STORIA. Continuamente cerchiamo un significato nella nostra vita, tentando di trovare coerenze che possano corrispondere a un qualche tipo di coerente storia di una vita. E costantemente raccontiamo storie di questo tipo e viviamo nei loro termini. A seconda del mutare delle circostanze delle nostre vite, continuamente rivediamo le storie delle nostre vite cercandovi una nuova coerenza. La metafora LA VITA È UNA FAVOLA RACCONTATA DA UN IDIOTA può adattarsi bene alle vite di quelle persone le cui circostanze di vita cambiano così radicalmente, rapidamente e inaspettatamente che per esse

nessuna storia coerente sembra mai possibile. Sebbene abbiamo visto che le nuove metafore non convenzionali corrispondono alla nostra generale descrizione della verità, dovremo sottolineare anche che il problema della verità è uno dei meno interessanti e rilevanti fra quelli posti dallo studio della metafora. Il reale significato della metafora LA VITA È UNA STORIA RACCONTATA DA UN IDIOTA è che, nel farci tentare di comprendere come potrebbe essere vera, essa rende possibile una nuova comprensione delle nostre vite. Essa mette in rilievo il fatto che noi continuamente agiamo sulla base dell’aspettativa di far corrispondere le nostre vite a una qualche storia coerente, ma che questa aspettativa può essere costantemente frustrata quando le più salienti esperienze nelle nostre vite, quelle piene di rumore e di furia, non si compongono in nessun modo in un tutto coerente, e quindi non significano nulla. Normalmente quando costruiamo la storia della nostra vita eliminiamo molte esperienze estremamente importanti per il desiderio di trovare una coerenza. Ciò che la metafora LA VITA È UNA FAVOLA RACCONTATA DA UN IDIOTA fa, è di evocare la metafora LA VITA È UNA STORIA, che implica il vivere con la costante aspettativa di far combinare gli episodi importanti in un tutto coerente, come dovrebbe essere in una buona life story. L’effetto della metafora è di evocare questa aspettativa e dimostrare che, in realtà, essa può essere costantemente frustrata. 24.8 Comprendere una situazione: sommario In questo capitolo abbiamo sviluppato gli elementi di una descrizione della verità basata sull’esperienza. La nostra descrizione della verità è basata sulla comprensione. Centrale in questa teoria è la nostra analisi di cosa significhi comprendere una situazione. Ecco un sommario di ciò che finora abbiamo detto sulla questione: 24.8.1 Comprensione diretta e immediata Vi sono molte cose che noi comprendiamo direttamente dal nostro diretto coinvolgimento fisico come parte inseparabile del nostro ambiente immediato. Struttura di entità. Noi comprendiamo noi stessi come entità delimitate e facciamo direttamente

esperienza di certi oggetti con cui entriamo direttamente in contatto in quanto entità delimitate. Struttura di orientamento. Noi comprendiamo noi stessi e altri oggetti come dotati di certi orientamenti relativi all’ambiente in cui ci muoviamo (su-giù, dentro-fuori, davanti-dietro ecc.). Dimensioni di esperienza. Vi sono alcune dimensioni dell’esperienza sulla cui base noi funzioniamo quasi sempre nelle nostre interazioni dirette con gli altri e con il nostro immediato ambiente fisico e culturale. Sulla base di queste categorie noi categorizziamo le entità che incontriamo direttamente e le esperienze dirette che abbiamo. Gestalt basate sull’esperienza. Le nostre categorie di oggetto e sostanza sono gestalt che hanno almeno le seguenti dimensioni: percettive, di attività motoria, parte/tutto, funzionali, finalizzate. Le nostre categorie di azioni, attività, eventi ed esperienze dirette sono gestalt che hanno almeno le seguenti dimensioni: partecipanti, parti, attività motorie, percezioni, stadi, sequenze lineari (di parti), relazioni causali, propositi (scopo/piano per le azioni e fine degli stati per gli eventi). Queste costituiscono le dimensioni naturali della nostra esperienza diretta. Non tutte queste giocheranno un ruolo in ogni tipo di esperienza diretta, ma, in generale, la maggior parte di esse avranno un qualche ruolo. “Background”. Una gestalt basata sull’esperienza normalmente servirà come background per comprendere qualcosa che noi viviamo come un aspetto di quella gestalt Così una persona o un oggetto può essere compreso come un partecipante in una gestalt, e un’azione come parte di una gestalt. Una gestalt può presupporre la presenza di un’altra, che a sua volta può presupporne la presenza di altre ancora e così via. Il risultato generalmente sarà una struttura di background incredibilmente ricca, necessaria per una piena comprensione di qualsiasi situazione. La maggior parte di questa struttura di background non sarà mai notata» dal momento che è presupposta in un numero così ampio delle nostre attività ed esperienze quotidiane. Mettere in luce. Comprendere una situazione come un esempio di una gestalt basata sull’esperienza implica che vengano selezionati elementi della gestazione come corrispondenti adeguati alle dimensioni della gestalt, ad esempio selezionare aspetti dell’esperienza come partecipanti, parti, stadi ecc. Ciò mette in luce quegli aspetti della situazione, e ne mette in secondo piano o ne nasconde altri che non corrispondono alla gestalt Proprietà interazionali. Le proprietà, che noi direttamente viviamo come appartenenti a un oggetto o evento, sono il prodotto delle nostre interazioni con esse nel nostro ambiente. Cioè esse possono non essere proprietà intrinseche dell’oggetto o dell’esperienza, ma, piuttosto, proprietà interazionali. Prototipi. Ogni categoria è strutturata in termini di un prototipo, e qualcosa vale come membro della categoria a causa delle somiglianze di famiglia che essa ha con il prototipo.

24.8.2 Comprensione indiretta Abbiamo ora descritto il modo in cui noi comprendiamo gli aspetti di una situazione delineati in maniera abbastanza precisa nella nostra esperienza diretta. Ma abbiamo visto in tutto questo libro che molti aspetti della nostra esperienza non possono essere chiaramente delineati in termini di dimensioni dell’esperienza naturalmente emergenti. Questo è quanto succede normalmente per le emozioni umane, i concetti astratti, le attività mentali, il tempo, il lavoro, le istituzioni umane, le pratiche sociali ecc., e perfino per gli oggetti fisici che non hanno limiti o orientamenti intrinseci. Sebbene molte di queste cose possano essere direttamente vissute, nessuna di esse può essere

interamente compresa in se stessa. Piuttosto dobbiamo comprenderle in termini di altre entità ed esperienze, normalmente altri tipi di entità ed esperienze. Come abbiamo detto, comprendere una situazione in cui vediamo che la nebbia è davanti alla montagna ci richiede di vedere la nebbia e la montagna come entità. Ci richiede inoltre di proiettare sulla montagna un orientamento davanti-dietro. Queste proiezioni sono fondate sulla nostra stessa percezione. Noi percepiamo la nebbia e la montagna come entità e percepiamo la montagna come dotata di una parte anteriore, con la nebbia davanti ad essa. L’orientamento davanti-dietro che percepiamo per la montagna è ovviamente una proprietà interazionale, come lo status di entità attribuito alla nebbia e alla montagna. Qui abbiamo un caso di comprensione indiretta, dove comprendiamo fenomeni fisici in termini di altri fenomeni fisici più chiaramente delineati. Ciò che facciamo nella comprensione indiretta è utilizzare le risorse della comprensione diretta. Nel caso della nebbia e della montagna, usiamo strutture di entità e strutture di orientamento. In questo caso ci manteniamo all’interno di un singolo àmbito, quello degli oggetti fisici, ma la maggior parte della nostra comprensione indiretta richiede la comprensione di un tipo di entità o esperienza in termini di un altro tipo, cioè la comprensione attraverso metafora. Come abbiamo visto, tutte le risorse usate nella comprensione diretta e immediata sono utilizzate nella comprensione indiretta attraverso la metafora. Struttura di entità. La struttura di entità e di sostanza è imposta attraverso la metafora ontologica. Struttura di orientamento. La struttura di orientamento è imposta attraverso la metafora di orientamento. Dimensioni di esperienza. La metafora strutturale implica la strutturazione di un tipo di cose o esperienze in termini di un altro tipo, ma le stesse dimensioni naturali di esperienza sono usate in entrambi (ad esempio parti, stadi, propositi ecc.). Gestalt basate sull’esperienza. La metafora strutturale implica che parte della struttura di una gestalt venga imposta su un’altra. Background. Le gestalt basate sull’esperienza hanno il ruolo di background nella comprensione metaforica, esattamente come avviene nella comprensione non metaforica. Mettere in luce. La sottolineatura metaforica funziona secondo lo stesso meccanismo di quella per le gestalt non metaforiche. Cioè la gestalt empirica sovraimposta alla situazione attraverso la metafora seleziona elementi della situazione come corrispondenti alle sue dimensioni, seleziona i suoi propri partecipanti, parti, stadi ecc. Queste sono le cose che la metafora mette in luce, e ciò che non è messo in luce è messo in secondo piano o nascosto. Dal momento che le metafore mettono in rilievo cose che non sono usualmente messe in rilievo dalla nostra normale struttura concettuale, esse sono divenute i più classici esempi di sottolineatura. Proprietà interazionali. Tutte le dimensioni della nostra esperienza sono di natura interazionale, e tutte le gestalt basate sull’esperienza implicano proprietà interazionali. Ciò vale sia per i concetti metaforici sia per quelli non metaforici.

Prototipi. Entrambe le categorie metaforiche e non metaforiche sono strutturate in termini di prototipi.

24.8.3 La verità è basata sulla comprensione Abbiamo visto che gli stessi otto aspetti del nostro sistema concettuale che agiscono nella comprensione diretta e immediata delle situazioni giocano un ruolo parallelo nella comprensione indiretta. Questi aspetti del nostro normale sistema concettuale sono usati sia che comprendiamo una situazione in termini metaforici che non metaforici. È perché comprendiamo situazioni in termini del nostro sistema concettuale che possiamo comprendere asserzioni utilizzando quel sistema di concetti come vero, cioè come corrispondente o meno alla situazione come noi la comprendiamo. La verità è quindi una funzione del nostro sistema concettuale. È perché molti dei nostri concetti sono di natura metaforica, e perché noi comprendiamo le situazioni in termini di quei concetti che le metafore possono essere vere o false. 24.9 L’approccio esperienziale alla verità Noi comprendiamo che un’asserzione è vera in una data situazione quando la nostra comprensione dell’asserzione corrisponde alla nostra comprensione della situazione in modo abbastanza preciso per i nostri scopi. Questa è la formulazione della nostra teoria “esperienziale” della verità, che ha le seguenti caratteristiche. Primo, la nostra teoria ha alcuni elementi in comune con la teoria della corrispondenza. Secondo la più rudimentale teoria della corrispondenza, un’asserzione ha un significato oggettivo, che specifica le sue condizioni di verità. La verità consiste in una diretta corrispondenza fra un’asserzione e un certo stato di affari nel mondo. Noi rifiutiamo questo quadro semplicistico essenzialmente perché ignora il modo in cui la verità è basata sulla comprensione. La posizione basata sull’esperienza che noi proponiamo è una teoria della corrispondenza nel senso seguente. Una teoria della verità è una teoria di che cosa significa comprendere che un’asserzione è vera o falsa in una certa situazione. Ogni corrispondenza fra ciò che diciamo e un dato stato di cose è sempre mediata dalla nostra comprensione dell’asserzione e dello stato di cose. Naturalmente la nostra comprensione della situazione risulta dalla nostra interazione con la

situazione stessa. Ma noi siamo in grado di fare affermazioni vere (o false) sul mondo perché è possibile che la nostra comprensione di un’asserzione corrisponda (o non corrisponda) alla nostra comprensione della situazione in cui l’asserzione è fatta. Dal momento che noi comprendiamo situazioni e asserzioni in termini del nostro sistema concettuale, la verità per noi è sempre relativa a quel sistema concettuale. Allo stesso modo, e dal momento che una comprensione è sempre parziale, noi non abbiamo accesso alla “intera verità”, né ad alcuna descrizione definitiva della realtà. In secondo luogo, per capire una certa cosa, dobbiamo collocarla in uno schema coerente, in relazione a un sistema concettuale. Quindi la verità dipenderà sempre parzialmente dalla coerenza. Ciò ci fornisce elementi per una teoria della coerenza. Terzo, anche la comprensione richiede una base nell’esperienza. Da un punto di vista esperienziale, il nostro sistema concettuale emerge dal nostro continuo agire con successo nel nostro ambiente fisico e culturale. Le nostre categorie di esperienza e le dimensioni sulle quali esse sono costruite non solo sono derivate dalla nostra esperienza, ma sono continuamente verificate dal successo delle azioni di tutti i membri della nostra cultura. Ciò ci fornisce gli elementi per una teoria pragmatica. Quarto, la teoria esperienziale della verità ha alcuni elementi in comune con il realismo classico, ma questi non includono l’insistenza sulla verità assoluta propria del realismo. Piuttosto si considera come dato che: Il mondo fisico è ciò che è. Le culture sono ciò che sono. Le persone sono ciò che sono. Le persone interagiscono con successo nei loro ambienti fisici e culturali. Esse interagiscono continuamente con il mondo reale. La categorizzazione umana è limitata dalla realtà, dal momento che essa è caratterizzata in termini di dimensioni naturali di esperienza continuamente verificate dall’interazione fisica e culturale. Il realismo classico concentra l’attenzione sulla realtà fisica piuttosto che su quella culturale e personale. Ma le istituzioni sociali, politiche, economiche e religiose, e gli uomini che vi operano all’interno, sono meno reali degli alberi, dei tavoli o delle rocce. Dal momento che la nostra descrizione della verità si occupa della realtà sociale e personale come di quella fisica, essa può essere considerata un tentativo di estendere la tradizione realista. La teoria esperienzialista si differenzia dal classico realismo oggettivo fondamentalmente nel modo seguente: i concetti umani non corrispondono a proprietà intrinseche delle cose, ma solo a proprietà interazionali. Ciò è naturale, dal momento che i concetti possono essere di natura metaforica e possono variare da cultura a cultura.

Quinto, persone con un sistema concettuale molto diverso dal nostro possono comprendere il mondo in maniera molto diversa dalla nostra. Quindi

possono avere un insieme di verità molto diverse da quello che abbiamo noi e perfino criteri diversi per la verità e la realtà. Dovrebbe essere chiaro da questa descrizione che non vi è nulla di radicalmente nuovo nella nostra trattazione della verità. Essa include alcune delle fondamentali intuizioni della tradizione fenomenologica, come il rifiuto del fondamentalismo epistemologico, il rilievo alla centralità del corpo nella strutturazione della nostra esperienza e l’importanza di questa struttura nella comprensione. La nostra posizione inoltre è in accordo con alcuni degli elementi chiave della filosofia del tardo Wittgenstein: la descrizione della categorizzazione sulla base di somiglianze di famiglia, il rifiuto della teoria del significato come immagine, il rifiuto di una teoria del significato sulla base di blocchi da costruzione, e l’enfasi sul significato come relativo al contesto e al sistema concettuale di ciascuno. 24.10 Elementi della comprensione umana nelle teorie della “verità oggettiva” Una teoria della verità basata sulla comprensione non è ovviamente una teoria della “verità puramente oggettiva”. Noi non crediamo che la verità assoluta esista, e crediamo sia inutile tentarne una teoria. Tuttavia nella filosofia occidentale è tradizionale assumere che la verità assoluta è possibile e si tenta di dame una teoria. Vorremmo mostrare come i più rilevanti approcci contemporanei al problema abbiano incorporati aspetti della comprensione umana che pretendono di escludere. Il caso più ovvio è la descrizione della verità data in approcci basati su una teoria dei modelli, ad esempio nelle tradizioni di Kripke e Montague. I modelli sono costituiti da un universo di discorso che è considerato come un insieme di entità. Relativamente a questo insieme di entità, possiamo definire stati del mondo, in cui sono specificate tutte le proprietà che le entità hanno e tutte le loro relazioni. Si assume che questo concetto di stato del mondo sia sufficientemente generale da applicarsi a ogni situazione concepibile, incluso il mondo reale. In un tale sistema frasi come “C’è nebbia davanti alla montagna” non porrebbero problemi, perché vi sarebbe un’entità corrispondente a la nebbia, un’entità corrispondente a la montagna, e una relazione davanti a che collega le due entità. Ma questi modelli non corrispondono al mondo in se stesso, al di fuori della comprensione umana, dal momento che non vi sono nel mondo entità ben definite corrispondenti a

la montagna e a la nebbia, e non vi è un davanti intrinseco alla montagna. La struttura di entità e l’orientamento davanti-dietro sono imposti per mezzo della comprensione umana. Ogni tentativo di descrivere la verità di “C’è nebbia davanti alla montagna” in termini modellistici non sarà una descrizione della verità oggettiva e assoluta, in quanto implica che elementi della comprensione umana siano assunti dentro ai modelli. Lo stesso si può dire dei tentativi di fornire una teoria della verità che tengono conto delle restrizioni della classica definizione della verità data da Tarski: “S” è vero se e solo se S…

o, nella versione più aggiornata, “S” è vero se e solo se p (dove p è un’asserzione in qualche linguaggio logico universalmente applicabile).

Il prototipo di tali teorie, l’abusato “La neve è bianca” è vero se e solo se la neve è bianca,

sembra abbastanza ragionevole, dal momento che si potrebbe ragionevolmente pensare che vi è un senso in cui la neve è oggettivamente identificabile e in cui è intrinsecamente bianca. Ma che dire di “C’è nebbia davanti alla montagna” è vera se e solo se c’è nebbia davanti alla montagna.

Dal momento che il mondo non contiene le entità chiaramente definibili la nebbia e la montagna, e dal momento che le montagne non hanno un davanti intrinseco, la teoria può funzionare soltanto relativamente a qualche comprensione umana di ciò che è il davanti di una montagna e di qualche descrizione di nebbia e montagna. Il problema è anche più complesso dal momento che non tutti gli esseri umani hanno lo stesso modo di proiettare un davanti sulle montagne. In questo caso alcuni elementi della comprensione umana devono venire introdotti per poter rendere operante la definizione di verità. Vi è un’altra importante differenza fra la nostra descrizione della verità in termini di comprensione e i tentativi standard di fornire una descrizione della verità libera da ogni elemento di comprensione umana. Le differenti descrizioni della verità determinano differenti descrizioni del significato. Per

noi il significato dipende dalla comprensione. Una frase non può significare niente per voi a meno che non la comprendiate. Inoltre il significato è sempre significato per qualcuno. Non vi sono cose come il significato di una frase in se stessa, indipendentemente da qualunque persona. Quando parliamo del significato di una frase, è sempre il significato della frase per qualcuno, una persona reale o un tipico membro ipotetico di una comunità di parlanti. Qui la nostra teoria differisce radicalmente dalle teorie standard del significato. Le teorie standard assumono che sia possibile dare una descrizione della verità in se stessa, indipendentemente dalla comprensione umana, e che la teoria del significato sia basata su di una tale teoria della verità. Noi non vediamo alcuna possibilità che un tale programma possa funzionare e pensiamo che la sola risposta consista nel basare sia la teoria del significato sia quella della verità su una teoria della comprensione. La metafora, sia convenzionale sia non convenzionale, riveste un ruolo centrale in tale programma. Le metafore sono essenzialmente strumenti per la comprensione e hanno poco a che vedere con la realtà oggettiva, ammesso che essa esista. Il fatto che il nostro sistema concettuale sia intrinsecamente metaforico, il fatto che noi comprendiamo il mondo, pensiamo e funzioniamo in termini metaforici, e il fatto che le metafore possono non solo essere puramente comprese, ma anche significative e vere, tutti questi fatti suggeriscono che un’adeguata descrizione del significato e della verità può essere basata solo sulla comprensione.

25. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO E DEL SOGGETTIVISMO

25.1 Le scelte offerte dalla nostra cultura Abbiamo dato una descrizione del modo in cui la verità è basata sulla comprensione. Abbiamo sostenuto che la verità è sempre relativa a un sistema concettuale, che ogni sistema concettuale umano è principalmente di natura oggettiva, incondizionata o assoluta. Per molte persone cresciute in una cultura scientifica o in altre subculture dove la verità assoluta è data per scontata ciò sembrerà una resa alla soggettività e all’arbitrarietà, alla idea di Humpty-Dumpty che qualcosa significa “proprio ciò che io scelgo che significhi, né più né meno”. Per la stessa ragione quelli che si identificano con la tradizione romantica possono vedere ogni vittoria sull’oggettivismo come un trionfo dell’immaginazione sulla scienza, un trionfo dell’idea che ogni individuo crea la sua propria realtà, libero da ogni restrizione. Entrambe queste posizioni costituirebbero un equivoco basato sull’erronea assunzione culturale che la sola alternativa all’oggettivismo sia una radicale soggettività, cioè o voi credete nella verità assoluta, o potete fare il mondo a vostra immagine. Se non siete oggettivi, siete soggettivi, e non vi è una terza possibilità. A noi sembra di offrire una terza possibilità fra il mito dell’oggettivismo e quello del soggettivismo. Tra parentesi, non stiamo assolutamente usando il termine “mito” in senso peggiorativo. I miti forniscono mezzi per comprendere l’esperienza; essi danno ordine alle nostre vite. Come le metafore, i miti sono necessari per dare un senso a ciò che succede attorno a noi. Tutte le culture hanno miti e le persone non possono funzionare senza miti più di quanto non possano fare senza metafore. E allo stesso modo in cui noi spesso prendiamo le metafore della nostra propria cultura come verità, così spesso prendiamo i miti della nostra propria cultura come verità. Il mito dell’oggettivismo è particolarmente insidioso in questo senso. Non solo esso pretende di non essere un mito, ma rende sia i miti che le metafore oggetto di spregio: secondo il mito oggettivista i miti e le metafore non possono venire presi sul serio perché non sono oggettivamente veri. Come vedremo, il mito dell’oggettivismo non è esso stesso oggettivamente vero. Ma ciò non lo rende disprezzabile o ridicolo. Il mito dell’oggettivismo è parte del modo

quotidiano di operare di ogni membro di questa cultura, e deve essere esaminato e compreso. Noi pensiamo anche che esso debba essere integrato non dal suo opposto, il mito del soggettivismo, ma da un nuovo mito esperienziale, che pensiamo si adegui meglio alle realtà delle nostre esperienze. Per rendere chiaro ciò che dovrebbe essere un’alternativa esperienziale, dobbiamo in primo luogo esaminare in dettaglio i miti dell’oggettivismo e del soggettivismo. 25.2 Il mito dell’oggettivismo Il mito dell’oggettivismo dice che: 1. Il mondo è fatto di oggetti. Essi hanno proprietà che sono indipendenti da chiunque ne abbia esperienza. Prendiamo, ad esempio, una roccia. È un oggetto a sé stante ed è duro. Anche se nessuna persona o nessun altro essere esistesse nell’universo, sarebbe sempre un oggetto a sé stante e sarebbe sempre duro. 2. Ricaviamo la nostra conoscenza del mondo attraverso l’esperienza che facciamo degli oggetti in esso e attraverso la conoscenza delle loro proprietà e del modo in cui gli oggetti sono in relazione gli uni con gli altri. Ad esempio, scopriamo che una roccia è un oggetto a sé stante guardandola, toccandola, girandole attorno ecc. Scopriamo che è dura tastandola, cercando di schiacciarla, dandole un calcio, battendola contro qualcosa di più tenero ecc. 3. Comprendiamo gli oggetti nel nostro mondo in termini di categorie e di concetti. Queste categorie e concetti corrispondono alle proprietà intrinseche degli oggetti e alle relazioni fra gli oggetti. Quindi abbiamo una parola “roccia” che corrisponde al concetto ROCCIA. Data una roccia, possiamo dire che è nella categoria ROCCIA e che un piano, un albero o una tigre non vi sarebbero. Le rocce hanno proprietà intrinseche indipendentemente da ogni essere: sono solide, dure, compatte, si trovano in natura ecc. Noi comprendiamo ciò che una “roccia” è in termini di queste proprietà. 4. Vi è una realtà oggettiva e noi possiamo dire su di essa cose che sono oggettivamente, assolutamente e incondizionatamente vere e false. Ma, in quanto esseri umani, siamo soggetti all’errore umano, cioè illusioni, errori di percezione, errori di giudizio, emozioni e pregiudizi personali e culturali. Non possiamo fare affidamento sui giudizi soggettivi delle persone

individuali. La scienza ci fornisce una metodologia che ci permette di superare le nostre limitazioni soggettive e di raggiungere la comprensione da un punto di vista universalmente valido e imparziale. In definitiva la scienza può darci una descrizione corretta, definitiva e generale della realtà e attraverso la sua metodologia essa progredisce costantemente verso l’obiettivo. 5. Le parole hanno significati fissi, cioè il nostro linguaggio esprime i concetti e le categorie nei cui termini noi pensiamo. Per descrivere correttamente la realtà abbiamo bisogno di parole chiare e precise, parole che corrispondono alla realtà. Queste possono essere parole che si presentano naturalmente o termini tecnici in una teoria scientifica. 6. Le persone possono essere oggettive e parlare oggettivamente, ma solo se usano un linguaggio chiaramente e precisamente definito, che sia semplice e diretto e che possa corrispondere alla realtà. Solo parlando in questo modo la gente può comunicare in modo preciso sul mondo esterno e fare asserzioni che possono essere giudicate in modo oggettivo vere o false. 7. La metafora e altri tipi di linguaggio poetico, retorico o figurato possono sempre essere evitati nel parlare in modo oggettivo, ed essi dovrebbero essere evitati, dal momento che i loro significati non sono chiari e precisi e non corrispondono alla realtà in alcun modo evidente. 8. Essere oggettivi è generalmente una cosa buona. Solo la conoscenza oggettiva è vera conoscenza. Solo da un punto di vista oggettivo e incondizionato noi possiamo veramente capire noi stessi, gli altri e il mondo esterno. L’oggettività ci permette di superare i pregiudizi e i preconcetti personali, di essere corretti e di assumere una visione del mondo imparziale. 9. Essere oggettivi è essere razionali; essere soggettivi è essere irrazionali e arrendersi alle emozioni. 10. La soggettività può essere pericolosa, perché può portare a perdere contatto con la realtà. La soggettività può essere scorretta, perché assume un punto di vista personale e può quindi essere affetta da pregiudizi. La soggettività è indulgente verso se stessa, perché esagera l’importanza dell’individuo. 25.3 Il mito del soggettivismo Il mito del soggettivismo dice che: 1. Nella maggior parte delle nostre attività pratiche noi ci affidiamo ai

nostri sensi e sviluppiamo intuizioni di cui ci possiamo fidare. Quando si presentano questioni importanti, indipendentemente da quanto gli altri possano dire, i nostri stessi sensi e le nostre stesse intuizioni sono la nostra guida migliore per l’azione. 2. Le cose più importanti nelle nostre vite sono le nostre sensazioni, sensibilità estetiche, pratiche morali e coscienze spirituali. Queste sono puramente soggettive; nessuna di esse è puramente razionale o oggettiva. 3. L’arte e la poesia trascendono l’oggettività e la razionalità e ci pongono in contatto con la più importante realtà delle nostre sensazioni e intuizioni. Noi raggiungiamo questa consapevolezza attraverso l’immaginazione piuttosto che la ragione. 4. Il linguaggio dell’immaginazione, in particolare la metafora, è necessario per esprimere gli aspetti unici e più significativi, a livello personale, della nostra esperienza. Nelle questioni di comprensione individuale il consueto significato che le parole hanno e su cui normalmente ci troviamo d’accordo non vale più. 5. L’oggettività può essere pericolosa, perché in essa si perde ciò che è più importante e significativo per i singoli individui. L’oggettività può essere, scorretta, dal momento che essa deve ignorare i più rilevanti àmbiti delle nostre esperienze in favore dell’astratto, dell’impersonale e dell’universale. Per la stessa ragione l’oggettività può essere disumana. Non vi sono mezzi oggettivi e razionali per accedere alle nostre sensazioni, sensibilità estetiche ecc. La scienza non è di alcuna utilità quando si arriva alle cose più importanti nelle nostre vite. 25.4 La paura della metafora L’oggettivismo e il soggettivismo hanno bisogno uno dell’altro per esistere. Ognuno dei due definisce se stesso in opposizione all’altro e vede l’altro come un nemico. L’oggettivismo prende come suoi alleati la verità scientifica, la razionalità, la precisione, la correttezza e l’imparzialità. Il soggettivismo prende come suoi alleati le emozioni, le intuizioni, l’immaginazione, i sentimenti, l’arte e una verità “più alta”. Entrambi dominano il proprio àmbito e lo vedono come il migliore dei due. Essi coesistono, ma in àmbiti separati. Ognuno di noi ha un àmbito della propria vita in cui è appropriato essere oggettivi e uno in cui è appropriato essere soggettivi. Le parti delle nostre vite governate dall’oggettivismo e dal

soggettivismo possono variare grandemente da persona a persona e da cultura a cultura. Alcuni di noi tentano perfino di vivere tutta la propria vita completamente secondo uno di questi due miti. Nella cultura occidentale nel suo complesso, l’oggettivismo è di gran lunga il mito più potente che afferma di governare, almeno nominalmente, il mondo della scienza, della legge, del governo, del giornalismo, della moralità, degli affari, dell’economia e della cultura. Ma, come abbiamo detto, l’oggettivismo è un mito. Fin dal tempo dei greci, vi è stata nella cultura occidentale una tensione fra verità, da un lato, e arte dall’altro, dove la verità era vista come un’illusione e accomunata, attraverso i legami con la poesia e il teatro, alla tradizione della pubblica oratoria persuasiva. Platone vedeva la poesia e la retorica con sospetto e metteva al bando la poesia dalla sua Repubblica utopica perché essa non dà verità in se stessa, eccita le emozioni e quindi impedisce all’umanità di vedere la vera verità. Platone, nel tipico modo degli scrittori persuasivi, sosteneva la sua idea che la verità è assoluta e l’arte una pura illusione attraverso l’uso di un potente strumento retorico, l’Allegoria della Caverna. Da quel giorno le sue metafore hanno dominato la filosofia occidentale, fornendo una sottile ed elegante forma espressiva alla sua idea che la verità è assoluta. Aristotele, d’altro lato, vedeva la poesia come dotata di un valore positivo: “È senza dubbio cosa di grande pregio fare un corretto uso delle forme poetiche […], ma la cosa di gran lunga di maggior pregio è l’essere abili nella metafora” (Poetica, 1459a); “le parole comuni ci comunicano solo quello che noi già sappiamo; è dalla metafora che noi possiamo cogliere qualcosa di nuovo” (Retorica, 1410b). Sebbene la teoria di Aristotele su come funzioni la metafora sia la teoria classica, il suo elogio del potere della metafora di produrre intuizioni non è mai stato sviluppato nel moderno pensiero filosofico. Con lo sviluppo della scienza empirica come modello per la verità il sospetto nei confronti della poesia e della retorica è divenuto dominante nel pensiero occidentale e la metafora e le altre figure retoriche sono divenute ancora una volta oggetto di disprezzo. Hobbes, ad esempio, trova le metafore assurde ed emotive in modo fuorviarne; esse sono “ignes fatui, e il ragionare su di esse è un farneticare fra innumerevoli assurdità e il loro fine disputa e sedizione, o disprezzo” (Leviathan, parte 1, cap. 5). Hobbes trova un’assurdità “l’uso di metafore, tropi, e altre figure retoriche, al posto delle parole corrette. Poiché, anche se è lecito dire, ad esempio nel linguaggio comune, la strada conduce,

o porta, qua o là; il proverbio dice questo o quello, mentre le strade non conducono, né i proverbi parlano; tuttavia nei ragionamenti, e nella ricerca della verità, questi modi di parlare non dovrebbero essere consentiti” (ibid.). Locke, continuando la tradizione empirista, mostra lo stesso disprezzo per il discorso figurato, che egli vede come uno strumento della retorica e un nemico della verità: se vogliano parlare delle cose come esse sono, dobbiamo riconoscere che tutta l’arte della retorica, a parte l’ordine e la chiarezza, tutti gli usi artificiali e figurati delle parole che l’eloquenza ha inventato non hanno nessun altro scopo che quello di insinuare idee errate, di eccitare le passioni e quindi di fuorviare il giudizio, e sono invero dei perfetti imbrogli, e quindi, per quanto lodevoli e leciti li possa rendere l’oratoria nelle arringhe e nei discorsi popolari essi certamente devono essere completamente evitati in tutti i discorsi che mirano a informare o istruire, e dove la verità e la conoscenza sono implicate essi non possono essere visti che come un grave difetto, o del linguaggio o della persona che ne fa uso […] È evidente quanto gli uomini amano ingannare ed essere ingannati, dal momento che la retorica, questo potente strumento di errore e inganno, ha insediato professori, è pubblicamente insegnata ed è sempre stata tenuta in grande reputazione (Saggio sull’intelletto umano, libro 3, cap. 1).

La paura della metafora e della retorica nella tradizione empirista è paura del soggettivismo, paura dell’emozione e dell’immaginazione. Le parole sono viste come dotate di “un senso proprio” nei cui termini la verità può essere espressa. Usare le parole metaforicamente significa usarle in un senso improprio, suscitare l’immaginazione e quindi le emozioni ed essere così sospinti lontano dalla verità e verso l’illusione. La sfiducia e la paura empirista nei confronti della metafora è magnificamente riassunta da Samuel Parker: Tutte quelle teorie in filosofia che sono espresse solo in termini metaforici, non sono reali verità, ma puri prodotti dell’immaginazione, addobbati (come bambini) in poche vuote parole ornate di lustrini […] Quindi le loro eccessive e sfrenate fantasie che si arrampicano sul letto della ragione, non solo lo contaminano con abbracci lascivi e illegittimi, ma, invece che con vere concezioni e nozioni delle cose, impregnano la mente con null’altro che strani e surrettizi fantasmi (Free and Impartial Censure of the Platonick Philosophy, 1666).

Man mano che la scienza si fece più potente attraverso la tecnologia, e la rivoluzione industriale divenne una realtà disumana, vi fu una reazione fra poeti, artisti e filosofi occasionali: lo sviluppo della tradizione romantica. Wordsworth e Coleridge furono ben lieti di lasciare la ragione, la scienza, l’oggettività ai disumani empiristi ed esaltarono l’immaginazione come un mezzo più umano per raggiungere una verità superiore, in cui l’emozione era una guida naturale all’autocomprensione. Scienza, ragione e tecnologia avevano alienato l’uomo da se stesso e dal suo ambiente naturale, o almeno

così asserivano i romantici; essi vedevano la poesia, l’arte e il ritorno alla natura come un mezzo per l’uomo di ritrovare la sua umanità perduta. L’arte e la poesia erano viste non come prodotti della ragione, ma come “lo spontaneo dilagare di potenti sentimenti”. Il risultato di questa posizione romantica fu l’alienazione dell’artista e del poeta dalla società dominante. La tradizione romantica, abbracciando il soggettivismo, rinforzò la dicotomia fra verità e ragione da un lato, e arte e immaginazione dall’altro. Rinunciando alla razionalità i romantici fecero il gioco del mito dell’oggettivismo il cui potere è continuato ad aumentare da allora. I romantici comunque crearono un àmbito per se stessi, in cui il soggettivismo continua a mantenere il suo potere. È un àmbito impoverito al confronto con quello dell’oggettivismo. In termini di potere reale nella nostra società - nella scienza, nella legge, nel governo, negli affari e nei media - il mito dell’oggettivismo regna supremo. Il soggettivismo si è ritagliato un proprio ambito in arte e forse in religione. La maggior parte delle persone in questa cultura lo vedono come un complemento all’àmbito dell’oggettivismo e un luogo riservato alle emozioni e all’immaginazione. 25.5 La terza possibilità: una sintesi basata sull’esperienza Quello che noi offriamo nel nostro approccio della comprensione e della verità è un’alternativa che nega che l’oggettività e la soggettività siano le nostre sole scelte. Rifiutiamo la convinzione oggettivista che vi sia una verità assoluta e incondizionata, pur senza adottare l’alternativa soggettivista della verità raggiungibile solo attraverso l’immaginazione e non limitata da circostanze esterne. Il motivo per cui abbiamo così tanto concentrato l’attenzione sulla metafora è che essa unisce ragione e immaginazione. La ragione implica, quanto meno, categorizzazioni, implicazioni e inferenze. L’immaginazione, in uno dei suoi numerosi aspetti, implica il vedere un tipo di cose in termini di un altro, ciò che abbiamo chiamato pensiero metaforico. La metafora è quindi razionalità immaginativa. Dal momento che le categorie del nostro pensiero quotidiano sono ampiamente metaforiche e i nostri ragionamenti quotidiani richiedono implicazioni metaforiche e inferenze, la normale razionalità è quindi per sua stessa natura immaginativa. Data la nostra comprensione della metafora poetica in termini di implicazioni metaforiche e inferenze, possiamo vedere che i prodotti dell’immaginazione poetica sono, per la stessa ragione, di natura parzialmente razionale. La

metafora è uno dei nostri strumenti più importanti per cercare di comprendere parzialmente quello che non può venire compreso totalmente: i nostri sentimenti, le esperienze estetiche, le pratiche morali e la coscienza spirituale. Questi sforzi dell’immaginazione non sono privi di razionalità: dal momento che usano la metafora essi impiegano una razionalità immaginativa. Un approccio esperienziale ci permette anche di superare lo scarto fra il mito oggettivista e quello soggettivista a proposito dell’imparzialità e della possibilità di essere corretti e oggettivi. Le due scelte offerte dai due miti sono l’assoluta oggettività da un lato e la pura intuizione soggettiva dall’altro. Noi abbiamo visto che la verità è relativa alla comprensione, che significa che non vi è alcun punto di vista assoluto da cui ottenere verità assolute e oggettive sul mondo. Ciò non significa che non vi siano verità; significa solo che la verità è relativa al nostro sistema concettuale che è fondato su, e continuamente verificato da, le nostre esperienze e quelle di altri membri della nostra cultura nelle nostre interazioni quotidiane con altre persone e con i nostri ambienti fisici e culturali. Sebbene non ci sia un’oggettività assoluta, vi può essere un tipo di oggettività relativa al sistema concettuale di una cultura. La questione dell’imparzialità e della correttezza nelle questioni sociali consiste nell’innalzarsi al di sopra dei rilevanti pregiudizi individuali. La questione dell’oggettività nella sperimentazione scientifica sta nell’eliminare gli effetti dell’illusione e dell’errore individuali. Ciò non vuol dire che noi possiamo sempre, o forse neppure qualche volta, eliminare con successo i pregiudizi individuali per raggiungere una completa oggettività relativamente a un sistema concettuale e a un insieme culturale di valori; ma vuol dire soltanto che la pura intuizione soggettiva non è sempre la nostra unica risorsa. Né ciò significa sostenere che i concetti e i valori di una particolare cultura costituiscono il metro di giudizio finale per la correttezza in quella cultura. Vi possono essere, e generalmente vi sono, concetti e valori transculturali che definiscono un criterio standard di ciò che è corretto in modo molto diverso da quanto fa una particolare cultura. Ciò che era giusto o sbagliato nella Germania nazista, ad esempio, non lo è agli occhi della comunità mondiale. Più vicino a noi, vi sono casi giudiziari che continuamente sollevano il problema di stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in subculture con valori in conflitto. Qui la cultura dominante generalmente arriva a definire ciò che è giusto o sbagliato relativamente ai suoi valori, ma questi valori culturali dominanti cambiano nel tempo e sono spesso soggetti alla critica da parte di

altre culture. Ciò che entrambi i miti dell’oggettivismo e del soggettivismo non colgono è il modo in cui comprendiamo il mondo attraverso le nostre interazioni con esso. Ciò che l’oggettivismo non considera è che la comprensione, e quindi la verità, è necessariamente relativa ai nostri sistemi concettuali e culturali e che non può essere inquadrata in nessun sistema concettuale assoluto o neutrale. All’oggettivismo inoltre sfugge che i sistemi concettuali umani sono di natura metaforica e richiedono una comprensione immaginativa di un tipo di cose in termini di un altro. Ciò che il soggettivismo specificamente non considera è che la nostra comprensione, anche quella più immaginativa, è data in termini di un sistema concettuale che è basato sul nostro modo di operare con successo nei nostri ambienti fisici e culturali. Inoltre non considera il fatto che la comprensione metaforica richiede un’implicazione metaforica, che è una forma immaginativa di razionalità.

26. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO NELLA FILOSOFIA E NELLA LINGUISTICA OCCIDENTALI

26.1 La nostra critica al mito dell’oggettivismo Il mito dell’oggettivismo ha dominato la cultura occidentale, e in particolare la filosofia occidentale, dai presocratici a oggi. La convinzione che noi abbiamo accesso a verità assolute e incondizionate riguardo al mondo è il fondamento della tradizione filosofica occidentale. Il mito dell’oggettivismo è fiorito sia nella tradizione razionalista sia in quella empirista, che da questo punto di vista differiscono soltanto nelle loro descrizioni di come noi arriviamo a tali verità assolute. Per i razionalisti solo la nostra innata capacità di ragionare può farci conoscere le cose come realmente sono. Per gli empiristi tutta la nostra conoscenza del mondo deriva dalla percezione dei nostri sensi (sia direttamente che indirettamente) ed è costruita sulla base degli elementi ricavati dalla sensazione. La sintesi kantiana di razionalismo ed empirismo ricade anch’essa all’interno della tradizione oggettivista, a dispetto della sua affermazione che non vi è alcuna conoscenza delle cose in sé. Ciò che rende Kant un oggettivista è l’affermazione che, relativamente ai tipi di cose di cui tutti gli esseri umani possono fare esperienza attraverso i loro sensi (la sua eredità empirista), noi possiamo avere una conoscenza universalmente valida e leggi morali universalmente valide attraverso l’uso della nostra ragione universale (la sua eredità razionalista). La tradizione oggettivista nella filosofia occidentale si è conservata fino a oggi nei discendenti del positivismo logico, nella tradizione di Frege, in quella di Husserl e, in linguistica, nel neorazionalismo che discende dalla tradizione chomskiana. La nostra spiegazione della metafora va contro questa tradizione. Noi vediamo la metafora come essenziale per la comprensione umana e come un meccanismo per creare nuovo significato e nuove realtà nelle nostre vite. Questo ci mette in contrasto con la maggior parte della tradizione filosofica occidentale che ha visto la metafora come un agente del soggettivismo e quindi sovversiva per la ricerca della verità assoluta. Inoltre le nostre idee a proposito della metafora convenzionale, cioè che essa è presente in tutto il nostro sistema concettuale ed è un meccanismo fondamentale per la

comprensione, ci pongono in contrasto con le posizioni contemporanee sul linguaggio, il significato, la verità e la comprensione che dominano la recente filosofia analitica anglo-americana e che non sono poste in discussione né in gran parte della linguistica moderna, né in altre discipline. Quella che segue è una lista rappresentativa di queste assunzioni sul linguaggio, il significato, la verità e la comprensione. Non tutti i filosofi e linguisti oggettivisti le accettano tutte, ma le figure più rappresentative sembrano accettare la maggior parte di esse. La verità consiste nel far corrispondere le parole al mondo. Una teoria del significato per i linguaggi naturali è basata su una teoria della verità, indipendentemente dal modo in cui le persone comprendono e usano il linguaggio. Il significato è oggettivo e autonomo, indipendente dalla comprensione umana. Le frasi sono oggetti astratti con strutture intrinseche. Il significato di una frase può essere ottenuto dal significato delle sue parti e dalla struttura della frase. La comunicazione consiste nella trasmissione di un messaggio da parte del parlante con un significato fisso per l’ascoltatore. Come una persona comprende una frase e che cosa essa significhi per lui è una funzione del significato oggettivo della frase e di ciò che la persona crede riguardo al mondo e riguardo al contesto in cui la frase è pronunciata.

La nostra spiegazione della metafora convenzionale è incompatibile con tutte queste assunzioni. Il significato di una frase è dato nei termini di una struttura concettuale. Come abbiamo visto, la maggior parte della struttura concettuale di un linguaggio naturale è di natura metaforica. La struttura concettuale è basata nell’esperienza fisica e culturale, come sono le metafore convenzionali. Il significato quindi non è mai autonomo o oggettivo ed è sempre basato sull’acquisizione e sull’uso di un sistema concettuale. Inoltre la verità è sempre data relativamente a un sistema concettuale e alle metafore che lo strutturano. La verità quindi non è assoluta o oggettiva, ma è basata sulla comprensione. Le frasi non hanno significati intrinseci, oggettivamente dati, e la comunicazione non può essere puramente la trasmissione di tali significati. Non è affatto evidente perché la nostra spiegazione di questi problemi sia così differente dalle posizioni standard in filosofia e in linguistica La ragione fondamentale è che tutte le posizioni standard sono basate sul mito dell’oggettivismo mentre la nostra spiegazione della metafora è incompatibile con esso. Una tale radicale divergenza dalle teorie dominanti su questioni così fondamentali richiede una spiegazione. Com’è possibile che una spiegazione della metafora metta in discussione le fondamentali assunzioni

sulla verità, il significato e la comprensione che sono emersi dalle principali linee di ricerca nella tradizione filosofica occidentale? Una risposta a questa domanda richiede una descrizione molto più dettagliata delle assunzioni oggettiviste riguardo al linguaggio, la verità e il significato di quella che abbiamo dato finora. Richiede di specificare in maggior dettaglio a) quali sono le assunzioni oggettiviste, b) come sono motivate e c) quali sono le loro implicazioni per una descrizione generale del linguaggio, della verità e del significato. Lo scopo di questa analisi non è solamente di distinguere le nostre posizioni sul linguaggio da quelle standard, ma di mostrare con esempi quanto sia influente il mito dell’oggettivismo nella cultura occidentale in modi di cui normalmente non ci rendiamo conto. Più importante, vogliamo suggerire che molte aree problematiche della nostra cultura possono derivare da una cieca accettazione del mito dell’oggettivismo, e che vi è un’altra alternativa senza far ricorso alla soggettività radicale. 26.2 Come le teorie standard del significato sono radicate nel mito dell’oggettivismo Il mito dell’oggettivismo, che è la base della tradizione oggettivista, ha conseguenze molto specifiche per una teoria del significato. Vorremmo mostrare proprio quali siano queste conseguenze, come derivino dal mito dell’oggettivismo, e perché non siano sostenibili da un punto di vista esperienziale. Non tutti gli oggettivisti condividono le posizioni che seguono, ma è normale per gli oggettivisti condividere la maggior parte di esse, in una forma o nell’altra. 26.2.1 Il significato è oggettivo L’oggettivista caratterizza il significato puramente in termini di condizioni di verità o falsità oggettiva. Dal punto di vista oggettivista le convenzioni del linguaggio assegnano a ogni frase un significato oggettivo che determina oggettive condizioni di verità, dati certi elementi del contesto chiamati “indessicali”: chi è il parlante, quale è l’udienza, il tempo e il luogo dell’enunciazione, gli oggetti a cui ci si riferisce con le parole “quello”, “questo” ecc. Quindi il significato oggettivo di una frase non dipende dal modo in cui può capitare che una data persona la comprenda, o addirittura dal

fatto che la comprenda o meno. Ad esempio, un pappagallo potrebbe venire addestrato a dire “Sta piovendo” senza comprendere affatto il significato di ciò in italiano. Ma la frase ha lo stesso significato oggettivo sia che sia detta da un pappagallo o da una persona, e sarà vera se si dà il caso che stia piovendo, o falsa se non sta piovendo. Data la spiegazione oggettivista del significato, una persona capisce il significato oggettivo di una frase se capisce le sue condizioni di verità. L’oggettivista assume non solo che esistano condizioni di verità e falsità assoluta, ma anche che le persone abbiano accesso ad esse. Questo è considerato evidente. Guardate attorno a voi: se vi è una matita sul pavimento, allora la frase “Vi è una matita sul pavimento” è vera e, se voi parlate italiano e potete percepire la matita sul pavimento, allora considerate correttamente la frase come vera. Si assume che tali frasi siano oggettivamente vere o false e che voi abbiate accesso a innumerevoli verità di questo tipo. Dal momento che le persone possono comprendere le condizioni di verità oggettive di una frase, è possibile che il linguaggio abbia convenzioni in base alle quali questi significati oggettivi sono assegnati alle frasi. Quindi, dal punto di vista oggettivista, le convenzioni che il linguaggio ha per abbinare frasi a significati oggettivi dipenderanno dal fatto che i parlanti di una lingua siano capaci di comprendere la frase come dotata di quel significato oggettivo. Perciò quando l’oggettivista parla di comprensione del significato (letterale) di una frase, egli sta parlando della comprensione di ciò che rende una frase oggettivamente vera o falsa. In generale il concetto oggettivista di comprensione è limitato alla comprensione delle condizioni di verità o falsità. Questo non è quello che noi abbiamo inteso con “comprensione”. Quando diciamo che l’oggettivista vede il significato come indipendente dalla comprensione stiamo usando “comprensione” nel nostro senso e non nel suo. 26.2.2 Il significato è autonomo Dal punto di vista oggettivista, il significato oggettivo non è un significato per qualcuno. Si può dire che le espressioni in un linguaggio naturale hanno un significato oggettivo solo se quel significato è indipendente da qualunque cosa facciano gli esseri umani, sia parlando che agendo. Cioè il significato deve essere autonomo. Frege, ad esempio, distingue il “senso” (Sinn), il significato oggettivo di un segno, dall’“idea”, che deriva

dalle memorie e dalle impressioni dei sensi che io ho avuto e dagli atti, sia interni che esterni, che io ho compiuto […] L’idea è soggettiva […] Alla luce di ciò, uno non deve avere scrupoli nel parlare semplicemente del senso, mentre nel caso dell’idea uno deve, a rigor di termini, aggiungere a chi appartiene e in quale momento (Frege, 1966, pp. 59-60).

Il “senso” di Frege è il significato oggettivo e autonomo. Ogni espressione linguistica in una lingua ha un significato autonomo associato ad essa. Ciò ricorda la metafora del CANALE, dove “Il significato è proprio qui nelle parole”. La tradizione fregeana continua fino ai nostri giorni nel lavoro dei seguaci di Richard Montague e di molti altri. In nessuno di questi lavori sulla semantica il significato di una frase è fatto dipendere in alcun modo da come le persone lo capirebbero. Secondo le parole di Montague, “Come Donald Davidson io vedo la costruzione di una teoria della verità - o piuttosto di una più generale nozione di verità secondo una interpretazione arbitraria - come lo scopo fondamentale di una seria sintassi e semantica” (1974, p. 188). Le parole importanti in questo passo sono “interpretazione arbitraria”. Montague assumeva che le teorie del significato e della verità sono imprese puramente matematiche e il suo scopo era di mantenere una “interpretazione arbitraria”, non contaminata da nulla che abbia a che vedere con gli esseri umani, specialmente questioni di psicologia e comprensione umana. Egli pensava che il suo lavoro fosse applicabile a qualsiasi tipo di essere nell’universo e fosse libero da qualunque limite imposto dalla forma particolare di ogni essere. 26.2.3 Fare corrispondere le parole al mondo senza l’intervento della comprensione umana La tradizione oggettivista vede la semantica come lo studio del modo in cui le espressioni linguistiche possono corrispondere direttamente al mondo senza l’intervento della comprensione umana. Forse la più chiara esposizione di questa posizione è data da David Lewis: I miei propositi inoltre non saranno conformi alle aspettative di coloro che, analizzando il significato, si volgono immediatamente alla psicologia e sociologia degli utenti del linguaggio: alle intenzioni, all’esperienza sensibile, e alle idee mentali o alle regole, convenzioni e regolarità sociali. Io distinguo due oggetti di indagine: primo, la descrizione di possibili linguaggi o grammatiche come sistemi semantici astratti per mezzo dei quali i simboli sono associati con aspetti del mondo; secondo, la descrizione dei fatti psicologici e sociologici per cui uno in particolare di questi astratti sistemi semantici è quello usato da una persona o popolazione. Solo confusione deriva dal confondere questi

due oggetti di indagine (Lewis 1972, p. 170).

Qui Lewis segue la pratica di Montague nel tentare di fare una descrizione di come il linguaggio può corrispondere al mondo - “come i simboli sono associati ad aspetti del mondo” - in modo sufficientemente generale e sufficientemente arbitrario da poter essere adeguato a qualsiasi concepibile fattore psicologico o sociologico riguardante l’uso e la comprensione del linguaggio. 26.2.4 Una teoria del significato è basata su una teoria della verità La possibilità di una descrizione della verità oggettiva, indipendente da ogni comprensione umana, rende possibile una teoria del significato oggettivo. Dal punto di vista di una descrizione oggettivista della verità è possibile che una frase in se stessa corrisponda o meno al mondo. Se corrisponde è vera, altrimenti è falsa. Ciò dà direttamente origine a una descrizione oggettivista del significato basato sulla verità. Di nuovo David Lewis lo dice nel modo più chiaro: “Un significato per una frase è qualcosa che determina le condizioni di verità della frase” (1972, p. 173). Un tale approccio è stato generalizzato per attribuire significati alle frasi performative, come ordini e promesse, tramite la tecnica proposta in Lakoff (1972) e Lewis (1972). La tecnica usa la definizione di verità in termini di “corrispondenza con il mondo”, che è tecnicamente definita dalle condizioni di soddisfazione in un modello. Le condizioni di felicità degli atti linguistici sono analogamente definite in termini di condizioni di soddisfazione o di “corrispondenza con il mondo”. Quando più oltre parleremo di “verità” e “falsità” deve essere chiaro che stiamo parlando in termini di condizioni di soddisfazione e che stiamo includendo sia gli atti linguistici sia le asserzioni. 26.2.5 Il significato è indipendente dall’uso La spiegazione oggettivista della verità richiede che anche il significato sia oggettivo. Se il significato deve essere oggettivo, esso deve escludere tutti gli elementi soggettivi, cioè tutto ciò che è peculiare di un particolare contesto, o cultura, o forma di comprensione. Come dice Donald Davidson: “Il significato letterale e le condizioni di

verità possono essere assegnate alle parole e alle frasi indipendentemente da ogni particolare contesto di uso” (1978, p. 33). 26.2.6 Il significato è componenziale La teoria dei blocchi Secondo il mito dell’oggettivismo il mondo è composto di oggetti; essi hanno proprietà intrinseche ben definite, indipendenti da qualunque essere che ne faccia esperienza, e con relazioni fisse. Questi aspetti del mito dell’oggettivismo danno origine a una teoria del significato a blocchi da costruzione. Se il mondo è fatto di oggetti ben definiti, noi possiamo dar loro nomi in un linguaggio. Se gli oggetti hanno proprietà intrinseche ben definite, possiamo avere un linguaggio con predicati a un posto corrispondenti a ognuna di queste proprietà. E se gli oggetti sono in relazioni fisse gli uni con gli altri (almeno in un qualsiasi momento dato), possiamo avere un linguaggio con predicati a più posti corrispondenti a ogni relazione. Assumendo che il mondo sia fatto in questo modo e che noi abbiamo un tale linguaggio, possiamo, usando la sintassi di questo linguaggio, costruire frasi che possono corrispondere direttamente a ogni situazione nel mondo. Il significato dell’intera frase saranno le sue condizioni di verità, cioè le condizioni alle quali la frase può essere fatta corrispondere a una qualche situazione. Il significato dell’intera frase dipenderà interamente dal significato delle sue parti e dal modo in cui si combinano insieme. Il significato delle parti specificherà quali nomi possono individuare, quali oggetti e quali predicati possono individuare, quali proprietà e relazioni. Le teorie oggettiviste del significato sono tutte di natura componenziale cioè sono tutte teorie a blocchi da costruzione - e tali devono essere. La ragione è che, per l’oggettivista, il mondo è fatto di blocchi da costruzione: oggetti definibili e proprietà e relazioni intrinseche chiaramente delineate. Inoltre ogni frase del linguaggio deve contenere tutti i pezzi da costruzione necessari in modo che, insieme con la sintassi, non sia necessario null’altro per fornire le condizioni di verità della frase. Il “qualcosa di più” che è escluso è ogni tipo di comprensione umana. 26.2.7 L’oggettivismo permette la relatività

ontologica senza la comprensione umana I positivisti logici (ad esempio Carnap) tentarono di portare a termine un programma oggettivista cercando di costruire un linguaggio formale (logico) universalmente applicabile che avesse tutte le proprietà dei blocchi da costruzione menzionate in precedenza e tutte le altre caratteristiche che abbiamo discusso finora. Richard Montague (1974) sostenne di aver costruito una “grammatica universale” in grado di rappresentare i linguaggi naturali in un tale linguaggio formale universalmente applicabile. Quine, reagendo a tale tesi universalista, sostenne che ogni linguaggio include la sua propria ontologia e ciò che costituisce un oggetto, una proprietà o una relazione può variare da linguaggio a linguaggio. Questa posizione è conosciuta come la tesi della “relatività ontologica”. È possibile mantenere una tesi di relatività ontologica all’interno dei confini del programma oggettivista senza alcun ricorso alla comprensione umana o alle differenze culturali. Una tale posizione relativista rinuncia alla possibilità di costruire un unico linguaggio logico universalmente applicabile in cui tutti i linguaggi naturali possano essere adeguatamente tradotti. Sostiene invece che ogni linguaggio naturale ritaglia ciò che è nel mondo in modi diversi, sempre selezionando oggetti che esistono realmente e proprietà e relazioni che esistono realmente. Ma dal momento che linguaggi diversi possono includere ontologie diverse non vi è garanzia che due qualsiasi linguaggi siano, in generale, commensurabili. La versione relativista della descrizione oggettivista del significato, quindi, sostiene che il significato e le condizioni di verità sono date oggettivamente non in termini universali, ma solo relativamente a un dato linguaggio. Questo oggettivismo relativista si attiene ancora al mito dell’oggettivismo nel sostenere che la verità è oggettiva e che vi sono oggetti nel mondo con proprietà intrinseche. Ma, secondo l’oggettivismo relativista, le verità espresse in un linguaggio possono non essere traducibili in un altro, dal momento che ogni linguaggio può ritagliare il mondo in modi diversi. Ma qualunque entità il linguaggio prescelga, essa esiste oggettivamente nel mondo come entità. La verità e il significato sono ancora oggettivi in questo approccio (sebbene relativamente a un dato linguaggio), e la comprensione umana è ancora esclusa come irrilevante per il significato e la verità. 26.2.8 Le espressioni linguistiche sono oggetti:

la premessa della linguistica oggettivista Secondo il mito dell’oggettivismo gli oggetti hanno proprietà in e per se stessi, e stanno in relazione gli uni con gli altri indipendentemente da ogni essere che li comprenda. Quando le parole e le frasi sono scritte, possono essere subito considerate come oggetti. Questa è stata la premessa della linguistica oggettivista dalle sue origini nell’antichità fino a oggi: le espressioni linguistiche sono oggetti che hanno proprietà in e per se stesse e che stanno in relazioni fisse le une con le altre, indipendentemente da ogni persona che le parla o le comprende. In quanto oggetti esse hanno parti, sono costruite da blocchi: le parole sono fatte di radici, prefissi suffissi, infissi; le frasi sono fatte di parole e locuzioni; i discorsi sono fatti di frasi. In un linguaggio le parti possono stare in varie relazioni le une con le altre, a seconda della loro struttura a blocchi di costruzione e delle loro proprietà intrinseche. Lo studio della struttura a blocchi di costruzione, delle proprietà intrinseche delle parti e delle relazioni fra esse, è stata tradizionalmente chiamata grammatica. La linguistica oggettivista vede se stessa come il solo approccio scientifico alla linguistica. Gli oggetti devono poter essere analizzati in e per se stessi, indipendentemente dai contesti o dalle persone che li comprendono. Come nella filosofia oggettivista così anche in linguistica vi sono tradizioni empiriste e razionaliste. La tradizione empirista, rappresentata dallo strutturalismo americano più recente di Bloomfield, Harris e dei loro seguaci, considerava i testi i soli oggetti di studio scientifico. La tradizione razionalista, rappresentata dagli strutturalisti europei come Jakobson e da autori americani come Sapir, Whorf e Chomsky, vedeva il linguaggio come dotato di una realtà mentale e le espressioni linguistiche come oggetti mentalmente reali. 26.2.9 La grammatica è indipendente dal significato e dalla comprensione Abbiamo appena visto come il mito dell’oggettivismo dà origine a una visione del linguaggio in cui le espressioni linguistiche sono oggetti con proprietà intrinseche, una struttura a blocchi, e relazioni fisse fra gli oggetti. Secondo il mito dell’oggettivismo gli oggetti linguistici che esistono - e la loro struttura a blocchi, le loro proprietà, le loro relazioni - sono indipendenti

dal modo in cui le persone li comprendono. Da questa visione delle espressioni linguistiche come oggetti segue che la grammatica può essere studiata indipendentemente dal significato o dalla comprensione umana. Questa tradizione è compendiata nella linguistica di Noam Chomsky che ha fermamente continuato a sostenere che la grammatica è una questione di pura forma, indipendente dal significato o dalla comprensione umana. Ogni aspetto del linguaggio che implica la comprensione umana è, per Chomsky, esterno per definizione dallo studio della grammatica in questo senso. L’uso chomskiano del termine “competenza” come opposto a “esecuzione” è un tentativo di definire certi aspetti del linguaggio come i soli legittimi oggetti di ciò che egli considera la linguistica scientifica, cioè ciò che noi abbiamo chiamato linguistica oggettivista nella forma razionalista, che include solo questioni di pura forma ed esclude tutte le questioni della comprensione umana e dell’uso del linguaggio. Sebbene Chomsky veda la linguistica come una branca della psicologia, è per lui una branca indipendente, in nessun modo dipendente da come le persone comprendono effettivamente il linguaggio. 26.2.10 La teoria oggettivista della comunicazione: una versione della metafora del CANALE Nella filosofia e linguistica oggettivista i significati e le espressioni linguistiche sono oggetti che esistono autonomamente. Una tale posizione dà origine a una teoria della comunicazione che corrisponde molto da vicino alla metafora del CANALE: I significati sono oggetti. Le espressioni linguistiche sono oggetti. Le espressioni linguistiche hanno dei significati. Nella comunicazione un parlante invia un significato fisso a un ascoltatore attraverso l’espressione linguistica associata con quel significato.

Sulla base di questa descrizione è possibile dire in maniera oggettiva ciò che voi intendete, e i fallimenti nella comunicazione sono questione di errori soggettivi: dal momento che i significati sono oggettivamente proprio lì nelle parole, o voi non avete usato le parole giuste per dire quello che volevate, o siete stati fraintesi.

26.2.11 Come sarebbe una teoria oggettivista della comprensione Abbiamo già dato una descrizione di ciò che l’oggettivista intende come comprensione del significato letterale oggettivo di una frase, e precisamente la comprensione delle condizioni di verità di una frase. Gli oggettivisti riconoscono comunque che una persona può comprendere una frase in un dato contesto come significante qualcosa d’altro dal suo oggettivo significato letterale. Questo altro significato è normalmente chiamato il “significato del parlante” (speaker’s meaning) o “significato dell’enunciatore” (utterer’s meaning) e gli oggettivisti generalmente riconoscono che ogni descrizione completa della comprensione deve dare ragione anche di questi casi (Grice, 1957). Consideriamo ad esempio la frase “Lui è un vero genio”, pronunciata in un contesto in cui il sarcasmo è chiaramente indicato. Secondo la spiegazione oggettivista vi è un significato oggettivo della frase “Lui è un vero genio”, e precisamente che quella persona ha grandi poteri intellettuali. Ma nell’enunciare la frase sarcasticamente il parlante intende comunicare il significato opposto, e cioè che egli è un completo idiota. Il significato del parlante qui è il contrario del significato oggettivo della frase. Questa spiegazione del significato del parlante potrebbe essere rappresentata, nell’appropriato contesto sarcastico, come segue: (A) Nell’enunciare la frase S (S = “Lui è un vero genio”), che ha il significato oggettivo M (M = egli ha grandi poteri intellettuali), il parlante intende comunicare all’ascoltatore il significato oggettivo M’ (M’ = egli è un vero idiota).

Questo è il modo in cui il significare per qualcuno può essere spiegato all’interno di un approccio oggettivista. La frase (A) è qualcosa che potrebbe essere oggettivamente vera o falsa in un dato contesto. Se (A) è vera, allora la frase S (“Lui è un vero genio”) può significare lui è un vero idiota sia per il parlante che per l’ascoltatore, se l’ascoltatore riconosce le intenzioni del parlante. Questa tecnica, che fu iniziata con i teorici degli atti linguistici, è stata adattata alla tradizione oggettivista come un modo per trasmettere significato a qualcuno al di fuori del significato oggettivo della frase, cioè al di fuori delle sue condizioni di verità o falsità oggettive. Il trucco tecnico qui consiste nell’usare due significati oggettivi, M e M’, insieme con la frase (A), che pure ha un significato oggettivo, in modo tale da ottenere una descrizione del

significato del parlante e di quello dell’ascoltatore, cioè del significato per qualcuno. Ciò naturalmente implica il riconoscere le intenzioni del parlante come oggettivamente reali, cosa che qualche oggettivista potrebbe negare. L’esempio che abbiamo dato era quello del sarcasmo, dove M e M’ hanno significati opposti, cioè opposte condizioni di verità. Il parlare letteralmente è un caso in cui M = M’. Il programma oggettivista considera questa come una tecnica generale per descrivere tutti i casi di significato per una persona, specialmente quando il parlante dice una cosa e intende qualcos’altro: esagerazione, sottovalutazione, allusione, ironia e tutti i linguaggi figurati, e in particolare la metafora. Condurre a termine il programma implicherebbe la formulazione di principi generali che rispondessero alla seguente domanda: Data la frase S e il suo significato letterale oggettivo M, e data la rilevante conoscenza del contesto, quali principi specifici ci permettono di prevedere quale sarà il significato del parlante M’in quel contesto?

In particolare questo si applica nel caso della metafora. Ad esempio, “Questa è una teoria di pastafrolla” avrebbe, secondo la spiegazione oggettivista, un significato letterale oggettivo (M) che è falso, e cioè “questa teoria è fatta di materiale friabile”. Il significato letterale oggettivo è falso perché le teorie non sono fatte con materiale fisico. Comunque, “Questa è una teoria di pastafrolla” potrebbe avere un significato “inteso” dal parlante (M’) che potrebbe essere vero, e precisamente questa teoria è debole. In questo caso il problema sarebbe di dare dei principi generali di interpretazione in base ai quali l’ascoltatore potesse muoversi dalla frase S (“Questa è una teoria di pastafrolla”) al significato M’ inteso dal parlante (questa teoria è debole) attraverso il significato oggettivo M (questa teoria è fatto di materiale friabile). L’oggettivista vede tutte le metafore come casi di significato indiretto, in cui M≠M’. Tutte le frasi che contengono metafore hanno significati oggettivi che sono, nel caso tipico, sia palesemente falsi (ad esempio “La teoria è di pastafrolla”) sia palesemente veri (“Attila era un animale”). Comprendere una frase come metaforica richiede sempre di comprenderla indirettamente come veicolante un significato oggettivo M’ che è diverso dal significato oggettivo letterale M. La spiegazione oggettivista della comprensione è quindi sempre basata sulla sua spiegazione della verità oggettiva. Essa include due tipi di comprensione, diretta e indiretta. La comprensione diretta è la comprensione del significato letterale oggettivo di una frase in termini delle sue condizioni

di verità oggettiva. La comprensione indiretta implica di individuare quando il parlante sta usando una frase per comunicare un significato indiretto, dove il significato veicolato può essere compreso direttamente in termini di condizioni di verità oggettiva. Vi sono quattro conseguenze automatiche della descrizione oggettivista della metafora: Per definizione non vi può essere un concetto metaforico o un significato metaforico. I significati sono oggettivi e specificano le condizioni di verità oggettiva. Essi sono per definizione modi di caratterizzare il mondo come esso è o dovrebbe essere. Le condizioni di verità oggettiva semplicemente non forniscono modi per vedere una cosa in termini di un’altra. Quindi i significati oggettivi non possono essere metaforici. Dal momento che la metafora non può essere una questione di significato, essa può solo essere una questione di linguaggio. Una metafora, nella prospettiva oggettivista, può al massimo fornirci un modo indiretto per parlare di qualche significato oggettivo M’ usando il linguaggio che sarebbe usato letteralmente per parlare di un qualche altro significato oggettivo M, normalmente falso in modo palese. Di nuovo per definizione non vi possono essere cose come metafore letterali (convenzionali). Una frase è usata letteralmente quando M = M’, cioè quando il significato del parlante è il significato oggettivo. Le metafore possono verificarsi solo quando M≠M’. Quindi, secondo la definizione oggettivista, una metafora letterale è una contraddizione in termini, e il linguaggio letterale non può essere metaforico. La metafora può contribuire alla comprensione solo con il farci vedere similarità oggettive, cioè similarità fra i significati oggettivi M e M’. Queste similarità devono essere basate su proprietà intrinseche comuni agli oggetti, proprietà che gli oggetti realmente hanno, in e per se stessi.

Quindi la descrizione oggettivista del significato è completamente all’opposto di tutto quello che abbiamo sostenuto in questo libro. Questa visione del significato e della metafora è stata comune fin dal tempo dei greci. Essa corrisponde alla metafora del CANALE (“Il significato è proprio qui nelle parole”) e al mito dell’oggettivismo.

27. COME LA METAFORA RIVELA I LIMITI DEL MITO DELL’OGGETTIVISMO

Il nucleo della tradizione oggettivista in filosofia deriva direttamente dal mito dell’oggettivismo: il mondo è fatto di oggetti distinti, con proprietà intrinseche e relazioni fisse fra essi a ogni dato momento. Noi sosteniamo sulla base dei dati linguistici (specialmente della metafora), che la filosofia oggettivista fallisce nel descrivere il modo in cui noi comprendiamo la nostra esperienza, i nostri pensieri, il nostro linguaggio. Un’adeguata descrizione, secondo noi, richiede di: - vedere gli oggetti solo come entità relative alle nostre interazioni con il mondo e alle nostre proiezioni su di esso; - vedere le proprietà come interazionali piuttosto che intrinseche; - vedere le categorie come gestalt empiriche definite attraverso prototipi piuttosto che vederle come rigidamente fissate e definite per mezzo di una teoria degli insiemi. Consideriamo i problemi attinenti al significato nei linguaggi naturali e al modo in cui le persone comprendono sia il loro linguaggio che le loro esperienze come problemi empirici piuttosto che come questioni relative ad assunzioni e argomentazioni filosofiche a priori. Abbiamo scelto la metafora, e il modo in cui la comprendiamo, fra gli altri possibili dati che potrebbero essere connesse con questi problemi per le seguenti quattro ragioni: Nella tradizione oggettivista la metafora è, nel migliore dei casi, di interesse marginale, ed è del tutto esclusa dallo studio della semantica (significato oggettivo). Essa è vista come solamente marginale per una descrizione della verità. In secondo luogo, abbiamo scoperto che la metafora è diffusa ovunque, non solo nel nostro linguaggio, ma nel nostro sistema concettuale. Ci sembra inconcepibile che un fenomeno così fondamentale per il nostro sistema concettuale possa non essere centrale in una descrizione della verità e del significato. Abbiamo osservato che la metafora è uno dei meccanismi più fondamentali che abbiamo per comprendere la nostra esperienza. Ciò non si concilia con l’idea oggettivista che la metafora sia solo di interesse periferico in una descrizione del significato e della verità e che ricopra al massimo un

ruolo marginale nella comprensione. Abbiamo scoperto che la metafora poteva creare un nuovo significato, creare similarità, e quindi definire una nuova realtà. Non vi è posto per una tale posizione in una descrizione oggettivista standard del mondo. 27.1 La descrizione oggettivista della metafora convenzionale Molti dei fatti che abbiamo discusso sono stati a lungo noti nella tradizione oggettivista, ma di essi è stata data un’interpretazione completamente differente dalla nostra. I concetti metaforici convenzionali, che noi abbiamo considerato come strutturanti il nostro sistema concettuale quotidiano sono visti dagli oggettivisti come non esistenti. Le metafore, per essi, sono una questione puramente linguistica, non esistono i concetti metaforici. Le parole e le espressioni che noi abbiamo preso come esempi dei concetti metaforici (ad esempio, digerire in “Non posso digerire tutti questi fatti”) non sarebbero affatto considerate da un oggettivista come esempi di una metafora viva. Per esse la parola digerire avrebbe due diversi e distinti significati letterali (oggettivi), digerire1 per i cibi e digerire2 per le idee. In questa prospettiva, ci sarebbero due termini digerire che sono omonimi, come le due parole lotto (gioco del lotto e lotto di terreno). Un oggettivista potrebbe ammettere che digerire un’idea era, un tempo, una metafora ma sosterrebbe che non è più metaforico. Per lui è una “metafora morta”, una metafora che è divenuta convenzionalizzata e ha il suo proprio significato letterale. Che è come dire che vi sono due termini omonimi digerire. L’oggettivista probabilmente ammetterebbe che digerire1 e digerire2 hanno significati simili e che la somiglianza è alla base della metafora originaria. Ciò spiega, egli direbbe, perché la stessa parola è usata per esprimere due diversi significati; una volta c’era una metafora, essa è divenuta una parte convenzionalizzata del linguaggio; è morta e si è congelata, prendendo il suo vecchio significato metaforico come un nuovo significato letterale. L’oggettivista osserverebbe che le somiglianze su cui la metafora morta era basata possono in molti casi essere ancora percepite oggi. Secondo la descrizione oggettivista la metafora originale era una

questione di uso e di significato del parlante, non di significato letterale oggettivo. Avrebbe dovuto essere stata generata dalla formula generale per il significato del parlante applicata a questo caso (in cui digerire si riferisce solo al cibo). Nel pronunciare la frase S (S = “Io non potevo digerire le sue idee”) con il significato letterale oggettivo M (M = lo non potevo trasformare le sue idee, attraverso un’azione chimica e muscolare nel tubo digerente, in una forma che il mio corpo potesse assimilare), il parlante intende comunicare all’ascoltatore il significato del parlante M’ (M’ = Io non potevo trasformare le sue idee, attraverso un’azione mentale, in una forma che la mia mente potesse assimilare).

Due cose devono essere vere perché questa descrizione oggettivista sia valida. Primo, il significato inteso dal parlante M’, riferentesi alle idee, deve essere un significato oggettivamente dato, avente oggettive condizioni di verità. In altre parole, ciò che segue deve essere oggettivamente vero per la mente e le idee, sulla base delle loro proprietà intrinseche. Le idee devono, sulla base delle loro proprietà intrinseche, essere il tipo di cose che hanno una forma, che sono trasformate e assimilate nella mente. La mente deve, sulla base delle sue proprietà intrinseche, essere il tipo, di cosa che può eseguire azioni mentali, trasformare idee, e assimilarle entro di sé.

Secondo, la metafora deve essere stata originariamente basata su preesistenti similarità fra M e M’. Cioè la mente e il tubo digerente devono avere proprietà intrinseche in comune, proprio come le idee e il cibo devono avere proprietà intrinseche in comune. Per riassumere: la descrizione di digerire in termini di metafora morta sosterrebbe che: la parola digerire originariamente si riferiva al concetto di cibo. Con una metafora “viva” il termine digerire venne trasferito a un oggettivo significato preesistente nel campo delle idee, sulla base di oggettive similarità preesistenti fra cibo e idee. Infine la metafora “morì” e l’uso metaforico di digerire un’idea divenne convenzionale. Digerire quindi acquistò un secondo significato letterale oggettivo, quello presente in M’. Ciò è visto, nella prospettiva oggettivista, come un tipico modo di fornire parole per significati preesistenti che mancano dei termini per esprimerli. Tutti questi casi sarebbero considerati omonimi.

In generale un oggettivista dovrebbe trattare tutti i nostri dati riguardanti le metafore convenzionali o secondo la posizione basata sull’omonimia (generalmente la versione debole) o secondo la posizione basata sull’astrazione. Entrambe queste posizioni dipendono dall’esistenza di precedenti similarità basate su proprietà intrinseche.

27.2 Che cosa c’è di sbagliato nella posizione oggettivista Come abbiamo visto, la descrizione oggettivista della metafora convenzionale richiede o una posizione basata sull’astrazione o una posizione di tipo omonimico. Inoltre la descrizione oggettivista di entrambe le metafore, convenzionali e non convenzionali, è basata su preesistenti similarità intrinseche. Abbiamo già presentato dettagliati argomenti contro tutte queste posizioni. Questi argomenti acquistano ora una particolare importanza. Essi mostrano non solo che la visione oggettivista della metafora è inadeguata, ma anche che l’intero programma oggettivista è basato su assunzioni erronee. Per vedere dove la descrizione oggettivista della metafora è inadeguata richiamiamo alla memoria le parti più importanti dei nostri argomenti contro l’astrazione, l’omonimia e la similarità, nella forma in cui essi riguardano la descrizione oggettivista della metafora convenzionale. 27.2.1 La posizione basata sulla similarità Abbiamo visto nella nostra discussione della metafora LE METAFORE SONO CIBI che, sebbene la metafora fosse basata su similarità, le similarità stesse non erano intrinseche, ma erano basate su altre metafore, in particolare su LA MENTE È UN CONTENITORE, LE IDEE SONO OGGETTI, e la metafora del CANALE. L’idea che LE IDEE SONO OGGETTI è una proiezione dello status di entità su fenomeni mentali attraverso una metafora ontologica. L’idea che LA MENTE È UN CONTENITORE è una proiezione dello status di entità con un orientamento dentro-fuori sulla nostra capacità cognitiva. Queste non sono proprietà intrinseche oggettive delle idee o della mente. Sono proprietà interazionali, e riflettono il modo in cui concepiamo i fenomeni mentali per mezzo della metafora. Lo stesso vale nei casi dei nostri concetti di TEMPO e AMORE. Noi comprendiamo frasi come “Il tempo dell’azione è arrivato” e “Abbiamo bisogno di pianificare il nostro tempo” in termini, rispettivamente, delle metafore IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE e IL TEMPO È DENARO. Tuttavia, secondo una spiegazione oggettivista non vi sarebbero tali metafore. Arrivare e pianificare, in queste frasi, sarebbero metafore morte

cioè omonimi, derivati storicamente da metafore un tempo vive. Queste metafore un tempo vive sarebbero state basate su similarità intrinseche fra il tempo e gli oggetti che si muovono, da un lato, e il tempo e il denaro, dall’altro. Ma, come abbiamo visto, tali similarità non sono intrinseche, esse stesse sono create attraverso metafore ontologiche. È perfino più difficile trovare un caso per l’analisi di una similarità intrinseca per espressioni che implicano il concetto di AMORE, come “La relazione non sta andando da nessuna parte”, “C’era magnetismo fra noi” e “La relazione sta morendo”. Il concetto AMORE non è intrinsecamente ben definito. La nostra cultura ci offre modi convenzionali di vedere le esperienze d’amore attraverso metafore convenzionali, come L’AMORE È UN VIAGGIO, L’AMORE È UNA FORZA FISICA ecc., e il nostro linguaggio le riflette. Ma, secondo la descrizione oggettivista (basata o sulla metafora morta, omonimia debole, o sull’astrazione), il concetto AMORE deve essere sufficientemente ben definito in termini di proprietà intrinseche per veicolare similarità intrinseche con i viaggi, i fenomeni elettromagnetici e gravitazionali, le persone malate ecc. Qui l’oggettivista deve non solo affermare che l’amore ha proprietà intrinseche simili alle proprietà intrinseche dei viaggi, dei fenomeni elettromagnetici, delle persone malate, ma deve anche sostenere che l’amore è definito in modo sufficientemente chiaro in termini di quelle proprietà intrinseche, così che esistano quelle similarità. Riassumendo, le usuali spiegazioni oggettiviste di questi fenomeni (metafora morta, omonimia con similarità, o astrazione) dipendono tutte da preesistenti similarità basate su proprietà intrinseche. In generale, le similarità esistono, ma non possono essere basate su proprietà intrinseche. Le similarità derivano come risultato di metafore concettuali e devono essere considerate similarità di proprietà interazionali, piuttosto che intrinseche. Ma l’ammissione di proprietà interazionali è incompatibile con la premessa fondamentale della filosofia oggettivista. Equivale a rinunciare al mito dell’oggettivismo. 27.2.2 La rinuncia oggettivista: “Non è affar nostro” La sola alternativa che rimane all’oggettivista è di rinunciare a ogni tentativo di descrivere le relazioni fra i due sensi di digerire, quello legato al CIBO e quello legato alle IDEE, in termini di similarità (includendo la

negazione che ci fosse mai stata una metafora) e volgersi a una posizione di omonimia forte. Secondo questa posizione vi è una sola parola digerire, con due significati completamente diversi e non collegati, così come sono diversi i due significati di ratto (di fogna e delle Sabine). Come abbiamo visto (nel cap. 18), la posizione di omonimia forte non può spiegare: La sistematicità interna. La sistematicità esterna. L’estensione della parte utilizzata della metafora. L’uso dell’esperienza concreta per strutturare l’esperienza astratta. Le similarità che noi di fatto vediamo fra i due sensi di digerire, basate sulla concettualizzazione metaforica delle idee in termini di cibo.

Naturalmente un filosofo o un linguista oggettivista potrebbe ammettere che egli non può spiegare adeguatamente tali sistematicità, similarità e modi di comprendere il meno concreto in termini del più concreto. Ciò potrebbe non disturbarlo nel modo più assoluto. Dopotutto, egli potrebbe sostenere, spiegare queste cose non è affar mio. Queste cose sono questioni di competenza dello psicologo, del neurofisiologo, del filologo o di qualcun altro. Una simile posizione sarebbe nella tradizione della distinzione sostenuta da Frege fra “senso” e “idee” e di quella di Lewis fra “sistema semantico astratto” e “fattori psicologici e sociologici”. Essi potrebbero sostenere che la posizione dell’omonimia è adeguata per i loro specifici propositi di oggettivisti, cioè fornire le condizioni di verità oggettive per le espressioni linguistiche e dare una descrizione del significato letterale oggettivo in termini di esse. Essi credono che ciò potrebbe essere fatto indipendentemente per i due sensi di digerire senza dover dare ragione della sistematicità, similarità, comprensione ecc. In una tale prospettiva gli usi metaforici convenzionali di digerire implicano puramente omonimi e non metafore, vive o morte. Le sole metafore che essi riconoscono sono le metafore non convenzionali (come “Le vostre idee sono fatte di pastafrolla” o “L’amore è un’opera d’arte fatta in collaborazione”). Dal momento che queste, direbbero loro, sono questioni che riguardano il significato del parlante, e non il significato letterale oggettivo della frase, i problemi della verità e del significato che tali frasi pongono devono essere risolti dalla descrizione del significato del parlante data in precedenza. Riassumendo, il solo modo internamente consistente di vedere la metafora convenzionale se si è oggettivisti sarebbe di dire che quei problemi

di cui noi ci siamo soprattutto occupati - le proprietà delle metafore convenzionali e il modo in cui noi le usiamo nella comprensione - sono semplicemente all’esterno del loro ambito di analisi. Essi insisterebbero nel dire che non sono responsabili di tali questioni e che nessun fattore di questo tipo riguardante la metafora convenzionale potrebbe avere alcun rilievo nel programma oggettivista o in quello che essi, come oggettivisti, credono. Tali oggettivisti potrebbero perfino ammettere che le nostre ricerche sulla metafora correttamente mostrano che le proprietà interazionali e le gestalt empiriche sono di fatto necessarie per spiegare come gli esseri umani comprendono le loro esperienze per mezzo della metafora. Ma anche ammettendo ciò, essi potrebbero ancora continuare a ignorare tutto quello che noi abbiamo fatto sulle seguenti basi: essi potrebbero semplicemente dire che «gli esperienzialisti» sono puramente interessati al modo in cui gli esseri umani comprendono la realtà, dati tutti i loro limiti, mentre l’oggettivista è interessato non al modo in cui le persone comprendono qualcosa come vero, ma piuttosto a che cosa significa, per qualcosa essere effettivamente vero. La risposta oggettivista mette perfettamente in luce la differenza fondamentale fra oggettivismo ed “esperienzialismo”. Essa si riduce a una riaffermazione della loro fondamentale preoccupazione per la “verità assoluta” e per il “significato oggettivo”, in modo completamente indipendente da qualunque cosa che abbia a che vedere con il funzionamento o la comprensione umana. Contro ciò noi abbiamo continuato a sostenere che non vi è ragione di credere che vi sia una verità assoluta o un significato oggettivo. Piuttosto crediamo che sia possibile dare una descrizione della verità e del significato solo relativamente al modo in cui la gente agisce nel mondo e lo comprende. Noi siamo semplicemente in un universo filosofico diverso da quello di tali oggettivisti. 27.2.3 L’irrilevanza, ai fini umani, della filosofia oggettivista Siamo invece nello stesso universo filosofico, e abbiamo reali disaccordi, con quegli oggettivisti che pensano che vi può essere un’adeguata descrizione oggettivista della comprensione umana, del nostro sistema concettuale e del linguaggio naturale. Abbiamo dimostrato dettagliatamente che la metafora convenzionale è diffusa ovunque nel linguaggio umano e nel sistema concettuale umano, e che è un mezzo fondamentale per la comprensione.

Abbiamo sostenuto che una descrizione adeguata della comprensione richiede proprietà interazionali e gestalt basate sull’esperienza. Dal momento che tutte le descrizioni oggettiviste richiedono proprietà intrinseche e la maggior parte di esse richiedono una descrizione della categorizzazione in termini di teoria degli insiemi, esse falliscono nel dare una descrizione adeguata di come gli esseri umani concettualizzano il mondo. 27.2.4 Modelli oggettivisti al di fuori della filosofia oggettivista La matematica classica comprende un universo oggettivista. Essa ha entità chiaramente distinte le une dalle altre, come i numeri. Le entità matematiche hanno proprietà intrinseche, ad esempio tre è dispari, e vi sono relazioni fisse fra queste entità, ad esempio nove è il quadrato di tre. La logica matematica si sviluppò come parte del progetto di fornire i fondamenti per la matematica classica. Anche la semantica formale si sviluppò da quel progetto. I modelli usati in semantica formale sono esempi di ciò che noi chiameremo “modelli oggettivisti”, modelli appropriati a universi di discorso in cui vi sono entità distinte che hanno proprietà intrinseche e dove vi sono relazioni fisse fra le entità. Ma il mondo reale non è un universo oggettivista, specialmente quegli aspetti del mondo reale che hanno a che vedere con gli esseri umani: l’esperienza umana, le istituzioni umane, il linguaggio umano, il sistema concettuale umano. Essere un oggettivista “duro” significa sostenere che vi è un modello oggettivista che corrisponde al mondo come esso è realmente. Abbiamo per l’appunto sostenuto che la filosofia oggettivista è empiricamente scorretta in quanto fa false previsioni riguardo al linguaggio, alla verità, alla comprensione e al sistema concettuale umano. Sulle basi di ciò abbiamo sostenuto che la filosofia oggettivista fornisce basi inadeguate per le scienze umane. Tuttavia molti matematici, logici, linguisti, psicologi e informatici notevolmente brillanti hanno creato modelli oggettivisti impiegati nelle scienze umane. Stiamo forse dicendo che tutto questo lavoro è privo di interesse e che i modelli oggettivisti non hanno spazio alcuno nelle scienze umane? Non sosteniamo ciò. Noi crediamo che modelli oggettivisti come le entità matematiche non debbano necessariamente essere connessi a una filosofia oggettivista. Si può credere che i modelli oggettivisti hanno una funzione, perfino una funzione importante, nelle scienze umane, senza adottare la

premessa oggettivista che vi è un modello oggettivista che corrisponde in modo completo e accurato al mondo come esso realmente è. Ma se rifiutiamo questa premessa, quale ruolo rimane per i modelli oggettivisti? Prima di poter rispondere a questa domanda dobbiamo considerare alcune delle proprietà delle metafore ontologiche e strutturali. Le metafore ontologiche sono fra gli strumenti più importanti che abbiamo per comprendere la nostra esperienza. Ogni metafora strutturale ha un insieme consistente di metafore ontologiche come sottocomponenti. Usare un insieme di metafore ontologiche per comprendere una data situazione significa imporre una struttura di entità sopra una situazione. Ad esempio, L’AMORE È UN VIAGGIO impone all’amore una struttura di entità che include un inizio, una destinazione, un percorso, il punto a cui si è nel percorso, e così via. Ogni singola metafora strutturale è internamente consistente e impone una struttura consistente al concetto che essa struttura. Ad esempio, la metafora LA DISCUSSIONE È UNA GUERRA, impone la struttura internamente consistente di GUERRA al concetto di DISCUSSIONE. Quando noi comprendiamo l’amore solo in termini della metafora L’AMORE È UN VIAGGIO, noi imponiamo una struttura VIAGGIO internamente consistente sul concetto AMORE. Sebbene varie metafore per lo stesso concetto non siano in genere consistenti le une con le altre, è possibile trovare insiemi di metafore che sono consistenti le une con le altre. Chiamiamoli insiemi consistenti di metafore. Poiché ogni singola metafora è internamente consistente, ogni insieme consistente di metafore ci permette di comprendere una situazione in termini di una struttura di entità ben definita con relazioni consistenti fra le entità. Il modo in cui un insieme consistente di metafore impone una struttura di entità (correlate) può essere rappresentato da un modello oggettivista. Nel modello, le entità sono quelle imposte dalle metafore ontologiche e le relazioni fra le entità sono quelle date dalle strutture interne delle metafore strutturali.

Per riassumere: tentare di strutturare una situazione nei termini di un tale insieme consistente di metafore è in parte come tentare di strutturare quella situazione in termini di un modello oggettivista. Ciò che è escluso sono le basi empiriche delle metafore e ciò che le metafore nascondono. La logica domanda da fare, quindi, è se effettivamente la gente pensa e agisce in termini di insiemi consistenti di metafore. Un caso particolare in cui ciò avviene è nella formulazione delle teorie scientifiche, diciamo in biologia, psicologia o linguistica. Le teorie scientifiche formali sono tentativi di estendere consistentemente un insieme di metafore ontologiche e strutturali. Ma, oltre alla teorizzazione scientifica, ci sembra che le persone cerchino effettivamente di pensare e agire in termini di insiemi consistenti di metafore in un ampio numero di situazioni. Questi sono casi in cui si può pensare che le persone stiano cercando di applicare modelli oggettivisti alle loro esperienze. Vi è un ottimo motivo per cui le persone cercano di vedere una situazione

di vita secondo un modello oggettivista, cioè secondo un insieme consistente di metafore. La ragione è semplicemente che se noi possiamo fare ciò, possiamo fare inferenze sulla situazione che non sono in conflitto le une con le altre. Cioè saremo in grado di inferire aspettative non conflittuali e suggerimenti per il comportamento. Ed è confortante, estremamente confortante, avere una visione consistente del mondo, un insieme chiaro di aspettative e nessun conflitto riguardo a quello che dovremmo fare. I modelli oggettivisti hanno una reale attrattiva, e per il più umano dei motivi. Noi non vogliamo sminuire questa attrattiva. Essa è analoga a quella di trovare coerenza nella nostra vita o in alcuni ambiti di esperienze di vita. Avere una base per le aspettative e per l’azione è importante per sopravvivere. Ma una cosa è imporre un singolo modello oggettivista in alcune situazioni limitate e agire secondo quel modello, forse anche con successo, un’altra è concludere che il modello riflette accuratamente la realtà. Vi è una buona ragione per cui i nostri sistemi concettuali hanno metafore inconsistenti per un singolo concetto. La ragione è che non vi è alcuna metafora che potrebbe assolvere il compito: ognuna dà una certa comprensione su un aspetto del concetto e ne nasconde altri. Operare solo sulla base di un insieme consistente di metafore significa nascondere molti aspetti della realtà. Per agire con successo nelle nostre vite quotidiane sembra necessario un continuo cambio di metafore. L’uso di molte metafore che sono incompatibili le une con le altre sembra esserci necessario se vogliamo comprendere i dettagli della nostra esistenza quotidiana. Un vantaggio evidente per lo studio di modelli oggettivisti formali nelle scienze umane è che essi ci possono permettere di comprendere, in parte, la capacità di funzionare e ragionare nei termini di un insieme consistente di metafore. Questa è un’attività comune, ed è molto importante comprenderla. Inoltre ci può permettere di vedere che cosa ci può essere di erroneo nell’imporre un requisito di consistenza, vedere che ogni insieme consistente di metafore molto probabilmente nasconderà infiniti aspetti della realtà, aspetti che possono essere messi in luce solo da altre metafore incompatibili con esso. Un ovvio limite dei modelli formali è che, per quanto possiamo immaginare, essi non danno modo di includere le basi empiriche per la metafora e quindi non forniscono un mezzo per descrivere come i concetti metaforici ci consentono di comprendere la nostra esperienza. Vi è un

corollario a quanto detto, che ha a che vedere con il problema se un computer potrebbe mai comprendere le cose come le comprendono le persone. La risposta che noi diamo è no, semplicemente perché, per capire, è necessaria l’esperienza, e i computer non hanno corpi e non hanno esperienze umane. Comunque lo studio dei modelli computazionali potrebbe nondimeno dirci molto riguardo alle capacità intellettuali umane, specialmente nei campi in cui le persone ragionano e funzionano parzialmente secondo modelli oggettivisti. Inoltre le tecniche formali correnti in informatica lasciano intravedere la possibilità di fornire rappresentazioni di insiemi inconsistenti di metafore. Ciò potrebbe ragionevolmente portare a intuizioni sul modo in cui la gente ragiona e funziona secondo concetti metaforici coerenti, ma inconsistenti. I limiti dello studio formale sembrano essere nell’àmbito delle basi empiriche del nostro sistema concettuale. 27.3 Sommario La nostra conclusione generale è che il programma oggettivista è incapace di darci una descrizione soddisfacente della comprensione umana e di ogni problema che richiede tale descrizione. Fra questi problemi vi sono: - il sistema concettuale umano e la natura della razionalità umana; - il linguaggio e la comunicazione umani; - le scienze umane, specialmente psicologia, antropologia, sociologia e linguistica; - i valori morali ed estetici; - la comprensione scientifica, attraverso il sistema concettuale umano; - ogni caso in cui le fondamenta della matematica hanno una base nella comprensione umana. Gli elementi fondamentali di una descrizione esperienziale, proprietà interazionali, gestalt basate sull’esperienza, e concetti metaforici, sembrano essere necessari per ogni adeguato trattamento di questi problemi umani.

28. ALCUNE INSUFFICIENZE DEL MITO DEL SOGGETTIVISMO

Nella cultura occidentale la principale alternativa all’oggettivismo è stata tradizionalmente considerata il soggettivismo. Abbiamo sostenuto che il mito dell’oggettivismo è inadeguato per descrivere la comprensione umana, il linguaggio umano, i valori umani, le istituzioni umane, sociali e culturali, e ogni cosa che abbia a che vedere con le scienze umane. Quindi, secondo la dicotomia che la nostra cultura ci impone, ci rimarrebbe solo la soggettività radicale, che nega la possibilità di ogni descrizione scientifica che assomigli a una legge per le realtà umane. Ma abbiamo detto che il soggettivismo non è la sola alternativa all’oggettivismo, e abbiamo avanzato una terza possibilità: il mito “esperienzialista”, basato sull’esperienza, che secondo noi rende possibile una adeguata base filosofica e metodologica per le scienze umane. Abbiamo già distinto questa alternativa dal programma oggettivista, è ora ugualmente importante distinguerla dal programma soggettivista. Consideriamo brevemente alcune posizioni soggettiviste su come le persone comprendono le loro esperienze e il loro linguaggio. Queste posizioni derivano principalmente dalla tradizione romantica e possono venire rintracciate nelle interpretazioni contemporanee (o forse fraintendimenti) della recente filosofia continentale, specialmente nelle tradizioni della fenomenologia e dell’esistenzialismo. Queste interpretazioni soggettiviste sono in gran parte delle volgarizzazioni che selezionano e scelgono elementi della filosofia antioggettivista continentale, spesso ignorando ciò che rende alcuni orientamenti del pensiero europeo dei seri tentativi di fornire una base per le scienze umane. Queste posizioni soggettiviste, elencate qui sotto, possono essere caratterizzate tutte insieme come “fenomenologia da caffè”. Esse includono: Il significato è privato: il significato è sempre questione di ciò che è significativo e rilevante per una persona. Le cose che un individuo trova significanti e ciò che esse significano per lui sono questioni di intuizione, immaginazione, sensazione ed esperienza individuale. Ciò che qualche cosa significa per un individuo non può mai essere pienamente conosciuto o comunicato a nessun altro. L’esperienza è puramente olistica: non vi è nessuna naturale strutturazione della nostra esperienza. Ogni struttura che noi o altri sovrimponiamo alla nostra esperienza è completamente artificiale. I significati non hanno una struttura naturale: il significato per un individuo è questione dei suoi

personali sentimenti, esperienze, intuizioni e valori. Questi ultimi sono puramente olistici; non hanno una struttura naturale. Quindi i significati non hanno una struttura naturale. Il contesto non è strutturato: il contesto necessario per comprendere un enunciato, il contesto fisico, culturale, personale e interpersonale, non ha struttura naturale. Il significato non può essere naturalmente e adeguatamente rappresentato: ciò è una conseguenza del fatto che i significati non hanno struttura naturale, che essi non possono mai essere completamente conosciuti o comunicati a un’altra persona, e che il contesto necessario per comprenderli non è strutturato.

Queste posizioni soggettiviste fanno tutte riferimento a una assunzione fondamentale e precisamente che l’esperienza non ha struttura naturale e che quindi non vi sono limitazioni esterne naturali per il significato e la verità. La nostra replica discende direttamente dalla nostra descrizione di come il sistema concettuale è fondato. Abbiamo detto che la nostra esperienza è strutturata olisticamente in termini di gestalt empiriche. Queste gestalt hanno una struttura che non e arbitraria. Invece le dimensioni che caratterizzano la struttura delle gestalt emergono naturalmente dalla nostra esperienza. Ciò non significa negare la possibilità che ciò che qualche cosa significa per me, può essere basato su tipi di esperienze che io ho avuto e che voi non avete avuto e che quindi io non sarò in grado di comunicare a voi quel significato in modo completo e adeguato. Comunque la metafora fornisce un modo per comunicare parzialmente esperienze che non sono in comune, ed è la struttura naturale della nostra esperienza che rende ciò possibile.

29. L’ALTERNATIVA ESPERIENZIALE: DARE NUOVO SIGNIFICATO AI VECCHI MITI

Il fatto che i miti dell’oggettivismo e del soggettivismo abbiano resistito così a lungo nella cultura occidentale indica che entrambi assolvono una qualche importante funzione. Ognuno dei due miti è motivato da preoccupazioni reali e ragionevoli, ed entrambi hanno una base nella nostra esperienza culturale. 29.1 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni dell’oggettivismo La preoccupazione fondamentale del mito dell’oggettivismo è il mondo esterno all’individuo. Il mito correttamente enfatizza il fatto che vi sono cose reali che esistono indipendentemente da noi, che limitano sia il modo in cui noi interagiamo con esse sia il modo in cui le comprendiamo. L’attenzione oggettivista sulla verità e sulla conoscenza fattuale è basata sull’importanza di tale conoscenza per muoversi con successo nel nostro ambiente fisico e culturale. Il mito è anche motivato da una preoccupazione per la correttezza e l’imparzialità nei casi in cui ciò è importante e può essere conseguito in modo ragionevole. Il mito basato sull’esperienza, così come lo abbiamo tratteggiato, condivide tutte queste preoccupazioni. Esso si differenzia comunque dall’oggettivismo su due punti fondamentali: Vi è una verità assoluta? È necessaria la verità assoluta per affrontare i problemi precedenti, quello della conoscenza che ci permette di funzionare con successo e quello della correttezza e della imparzialità?

L’esperienzialismo risponde di no a entrambe le questioni. La verità è sempre relativa alla comprensione, che è basata su un sistema concettuale non universale. Ma ciò non impedisce di soddisfare le legittime preoccupazioni riguardo la conoscenza e l’imparzialità che hanno motivato per secoli il mito dell’oggettivismo. L’oggettività è ancora possibile, ma assume un nuovo significato. L’oggettività richiede ancora di distaccarsi dai pregiudizi individuali, sia in questioni di conoscenza che di valori. Ma dove l’oggettività

è ragionevole, non richiede un punto di vista assoluto, universalmente valido. Essere oggettivi è sempre relativo a un sistema concettuale e a un insieme di valori culturali. Una ragionevole oggettività può essere impossibile quando vi sono sistemi concettuali conflittuali o valori culturali conflittuali, ed è importante essere in grado di ammetterlo e di riconoscerlo quando succede. Secondo il mito esperienziale, la conoscenza scientifica è ancora possibile. Ma rinunciare all’affermazione della verità assoluta potrebbe rendere la pratica scientifica più responsabile, dal momento che vi sarebbe una generale consapevolezza che una teoria scientifica può nascondere tanto quanto mettere in rilievo. Un generale riconoscimento del fatto che la scienza non produce una verità assoluta cambierebbe senza dubbio il potere e il prestigio della comunità scientifica così come le pratiche di finanziamento del governo federale. Il risultato sarebbe una più ragionevole valutazione di ciò che è la conoscenza scientifica e di quali sono i suoi limiti. 29.2 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni del soggettivismo Ciò che legittimamente motiva il soggettivismo è la consapevolezza che il significato è sempre significato per qualcuno. Ciò che è significativo per me dipende da cosa ha rilevanza per me. E ciò che è significativo per me non dipenderà solo dalla mia conoscenza razionale, ma dalle mie esperienze passate, valori, sensazioni e intuizioni. Il significato non è qualcosa di definito e incontrovertibile, è una questione di immaginazione e di costruzione di coerenza. L’enfasi oggettivista sul conseguimento di una prospettiva universalmente valida perde di vista ciò che è importante, ricco di intuizioni e coerente per l’individuo. Il mito esperienzialista riconosce che la comprensione implica tutti questi elementi. La sua enfasi sull’interazione e sulle proprietà interazionali mostra come il significato è sempre significato per una persona. E la sua enfasi sulla costruzione della coerenza attraverso gestalt basate sull’esperienza fornisce una descrizione di ciò che significa per qualcosa essere significativo per un individuo. Inoltre dà una descrizione di come la comprensione usa le risorse fondamentali dell’immaginazione attraverso la metafora e come è possibile dare all’esperienza un nuovo significato e creare nuove realtà. Dove l’esperienzialismo si discosta dal soggettivismo è nel suo rifiuto dell’idea romantica che la comprensione immaginativa è completamente

priva di vincoli. Riassumendo, noi consideriamo il mito esperienziale capace di soddisfare le reali e ragionevoli preoccupazioni che hanno motivato sia il mito dell’oggettivismo sia quello del soggettivismo, ma senza né l’ossessione oggettivista per la verità assoluta, né l’insistenza soggettivista che l’immaginazione è totalmente senza limiti.

30. LA COMPRENSIONE

Noi vediamo un’unica motivazione umana dietro entrambi i miti dell’oggettivismo e del soggettivismo, e precisamente una preoccupazione per la comprensione. Il mito dell’oggettivismo riflette la necessità umana di comprendere il mondo esterno per potere essere in grado di funzionare in esso con successo; il mito del soggettivismo concentra l’attenzione sugli aspetti interni della comprensione, quello che gli individui trovano significativo e quello che rende la loro vita degna di essere vissuta. Il mito esperienzialista suggerisce che queste non siano preoccupazioni contraddittorie, e offre una prospettiva da cui entrambe possano essere affrontate allo stesso tempo. I vecchi miti condividono una comune prospettiva: l’uomo come separato dal suo ambiente. Nel mito dell’oggettivismo, la preoccupazione per la verità deriva da quella per il funzionamento coronato da successo. Data l’idea dell’uomo come separato dal suo ambiente, il funzionamento coronato da successo è concepito come dominio su l’ambiente, da cui le metafore oggettiviste LA CONOSCENZA È POTERE e LA SCIENZA FORNISCE CONTROLLO SOPRA LA NATURA. Il tema principale del mito del soggettivismo è il tentativo di superare l’alienazione che deriva dal vedere l’uomo come separato dall’ambiente e dagli altri uomini. Ciò implica di concentrarsi sulla soggettività, sull’individualità e sulla fiducia nei sentimenti personali, nell’intuizione e nei valori. La versione romantica implica l’abbandonarsi ai sensi e alle sensazioni e tentare di raggiungere l’unione con la natura attraverso un apprezzamento passivo di essa. Il mito esperienzialista assume la prospettiva dell’uomo come parte del suo ambiente, non separato da esso. Esso concentra l’attenzione sulla costante interazione con l’ambiente fisico e con le altre persone, e ritiene che questa interazione con l’ambiente implica una trasformazione reciproca. Voi non potete funzionare nell’ambiente senza trasformarlo o essere da esso trasformati. Con il mito esperienzialista, la comprensione emerge dall’interazione, dalla costante negoziazione con l’ambiente e con le altre persone. Essa emerge nel modo seguente: la natura dei nostri corpi e del nostro ambiente

fisico e culturale impone una struttura alla nostra esperienza, in termini di dimensioni naturali del tipo che abbiamo discusso. Esperienze ricorrenti ci portano alla formazione di categorie, che sono gestalt empiriche con quelle naturali dimensioni. Tali gestalt definiscono la coerenza nella nostra esperienza. Noi comprendiamo la nostra esperienza direttamente quando la vediamo come coerentemente strutturata in termini di gestalt che sono emerse direttamente dall’interazione con e nell’ambiente. Noi comprendiamo l’esperienza metaforicamente quando usiamo una gestalt da un ambito di esperienza per strutturare l’esperienza di un altro ambito. Dal punto di vista esperienzialista, la verità dipende dalla comprensione, che emerge dall’agire nel mondo. È attraverso tale comprensione che l’alternativa basata sull’esperienza fa fronte alla necessità oggettivista di una descrizione della verità. È attraverso la strutturazione coerente dell’esperienza che l’alternativa esperienzialista soddisfa la necessità soggettivista per il significato personale. Ma l’esperienzialismo fornisce più che una semplice sintesi rispondente alle preoccupazioni che hanno motivato l’oggettivismo e il soggettivismo. La descrizione esperienzialista della comprensione fornisce una più ricca prospettiva su alcune delle più importanti aree di esperienza nelle nostre vite quotidiane: La comunicazione interpersonale e comprensione reciproca L’autocomprensione Il rituale L’esperienza estetica La politica Abbiamo l’impressione che sia l’oggettivismo che il soggettivismo forniscano visioni impoverite di tutte queste aree, perché ciascuno trascura le motivazioni dell’altro. Ciò che sfugge a entrambi in tutti questi campi è una comprensione basata sull’interazione e creativa. Consideriamo ora una descrizione esperienzialista della natura della comprensione in ognuna di queste aree. 30.1 La comunicazione interpersonale e la comprensione reciproca Quando le persone che si parlano non hanno in comune la stessa cultura, conoscenza, valori e assunzioni, la comprensione reciproca può essere

particolarmente difficile. Tale comprensione è possibile attraverso la negoziazione del significato. Per negoziare il significato con qualcuno, voi dovete diventare consapevoli di, e rispettare, le differenze nei rispettivi backgrounds e capire quando queste differenze sono importanti. Avete bisogno di sufficiente diversità di esperienze culturali e personali per essere consapevoli che esistono visioni divergenti del mondo, e per sapere come esse possono essere. Avete bisogno inoltre di pazienza, di una certa flessibilità nella visione del mondo e di una generosa tolleranza per gli errori, come pure di talento, per trovare la giusta metafora per comunicare le parti rilevanti delle esperienze non condivise o per mettere in rilievo le esperienze comuni lasciando in secondo piano le altre. L’immaginazione metaforica è una capacità cruciale nel creare rapporti e nel comunicare la natura delle esperienze non condivise. Questa capacità consiste, in larga misura, nell’abilità di modificare la vostra visione del mondo e adattare il modo in cui voi categorizzate le vostre esperienze. I problemi di comprensione reciproca non sono fatti rari; essi si pongono in tutte le conversazioni in cui la comprensione è importante. Quando esso è davvero importante, il significato non è quasi mai comunicato secondo la metafora del CANALE, in cui cioè una persona trasmette a un’altra una proposizione chiara e precisa per mezzo di espressioni in un linguaggio comune, dove entrambi gli interlocutori hanno tutta la conoscenza comune rilevante, le assunzioni, i valori ecc. Quando è importante capirsi, il significato è negoziato: lentamente voi individuate ciò che avete in comune, di che cosa si può parlare tranquillamente, come si può comunicare un’esperienza non condivisa o creare una visione comune. Con abbastanza flessibilità nel modificare la vostra visione del mondo e con fortuna e abilità potrete raggiungere una qualche comprensione reciproca. Le teorie della comunicazione basate sulla metafora del CANALE si trasformano da patetiche in dannose quando vengono indiscriminatamente applicate su larga scala, ad esempio nella sorveglianza statale o negli schedari computerizzati. In quei casi ciò che è più cruciale per la comprensione reale non è quasi mai incluso, e si assume che le parole negli schedari abbiano un significato in se stesse, un significato autonomo oggettivo, comprensibile. Quando una società vive su larga scala secondo la metafora del CANALE, fraintendimento, persecuzione e anche peggio saranno i probabili prodotti. 30.2 L’autocomprensione

La capacità di autocomprensione presuppone la capacità di comprensione reciproca. Il senso comune ci dice che è più facile capire noi stessi che capire gli altri. Dopotutto noi siamo portati a pensare di avere accesso diretto solo ai nostri sentimenti e idee. L’autocomprensione sembra precedere la comprensione reciproca, e in qualche modo è così. Ma ogni comprensione realmente profonda del perché facciamo ciò che facciamo, sentiamo ciò che sentiamo, cambiamo nel modo in cui cambiamo e perfino crediamo ciò che crediamo, ci porta a superare noi stessi. La comprensione di noi stessi non è diversa da altre forme di comprensione; essa deriva dalle nostre costanti interazioni con il nostro ambiente fisico, culturale e interpersonale. Come minimo le capacità richieste per la comprensione reciproca sono necessarie anche per ottenere l’autocomprensione. Come nella comprensione reciproca noi continuamente cerchiamo gli elementi di esperienza comuni quando parliamo con altre persone, così nell’autocomprensione cerchiamo sempre ciò che unifica le nostre stesse diverse esperienze per dare coerenza alle nostre vite. Così come cerchiamo metafore per mettere in luce e rendere coerente ciò che abbiamo in comune con qualcun altro, allo stesso modo cerchiamo metafore personali per mettere in luce e rendere coerente il nostro stesso passato, le nostre attività presenti e anche i nostri sogni, speranze, scopi. Una gran parte dell’autocomprensione è la ricerca di metafore personali appropriate che diano un senso alle nostre vite. L’autocomprensione richiede un’interminabile negoziazione e rinegoziazione del significato delle vostre esperienze per voi stessi. In terapia, ad esempio, molto dell’autocomprensione implica un riconoscimento conscio di metafore precedentemente inconsce e di come noi viviamo secondo esse. Esso implica la costruzione continua di nuove coerenze nella vostra vita, coerenze che danno nuovo significato a vecchie esperienze. Il processo di autocomprensione è lo sviluppo continuo di nuove storie per la propria vita. L’approccio esperienzialista al processo di autocomprensione implica: Sviluppare una coscienza delle metafore con cui viviamo e una coscienza di dove esse entrano nelle nostre vite quotidiane e di dove esse non entrano. Avere esperienze che possano formare le basi per metafore alternative. Sviluppare una “flessibilità basata sull’esperienza”. Impegnarsi in un processo illimitato in cui si vede la propria vita attraverso nuove metafore alternative.

30.3 Il rituale

Noi eseguiamo continuamente rituali, da rituali casuali, come fare il caffè al mattino secondo la medesima sequenza di gesti e guardare alla televisione sino alla fine il notiziario delle undici di sera (dopo averlo già visto alle otto), fino ad andare alle partite di calcio, ai cenoni di Natale e alle conferenze universitarie, e così via fino alle più solenni pratiche religiose. Tutte sono pratiche strutturate e ripetute, alcune consapevolmente organizzate nei dettagli, alcune eseguite più consciamente di altre, e alcune nate spontaneamente. Ogni rituale è un aspetto ripetuto, coerentemente strutturato e unificato della nostra esperienza. Nell’eseguirli noi diamo struttura e significato alle nostre attività, minimizzando il caos e la disparità delle nostre azioni. Nei nostri termini un rituale è un tipo di gestalt basata sull’esperienza. Esso è una sequenza coerente di azioni, strutturata in termini delle dimensioni naturali della nostra esperienza. I rituali religiosi sono generi di attività tipicamente metaforici, che normalmente implicano metonimie, in cui oggetti del mondo reale stanno per entità nel mondo definito dal sistema concettuale della religione. La struttura coerente del rituale è comunemente considerata come corrispondente a certi aspetti della realtà, come si vede attraverso la religione. Anche i rituali quotidiani personali sono gestalt esperienziali che consistono di sequenze di azioni strutturate secondo le dimensioni naturali dell’esperienza; una struttura parte-tutto, stadi, relazioni causali, e mezzi per ottenere scopi. I rituali personali sono quindi tipi naturali di attività per individui o per membri di subculture. Essi possono o meno essere tipi metaforici di attività. Ad esempio, a Los Angeles è comune impegnarsi nell’attività rituale di fare in macchina il giro delle case dei divi di Hollywood. Questo è un tipo di attività metaforica basata sulla metonimia LA CASA STA PER LA PERSONA e sulla metafora LA VICINANZA FISICA È VICINANZA PERSONALE rituali quotidiani, sia metaforici che non, forniscono gestalt basate sull’esperienza che possono essere la base di metafore, ad esempio, “Non sai a chi stai aprendo la porta”, “Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro” ecc. Suggeriamo che: Le metafore con cui viviamo, sia culturali che personali, sono parzialmente preservate nel rituale. Le metafore culturali, e i valori da esse implicati, sono diffuse attraverso i rituali. Il rituale costituisce una parte indispensabile della base empirica per il nostro sistema metaforico culturale. Non vi può essere cultura senza rituale.

Analogamente non vi può essere coerente visione del sé senza rituale

personale (generalmente del tipo casuale che emerge spontaneamente). Allo stesso modo in cui le metafore personali non sono casuali, ma formano sistemi coerenti con le nostre personalità, così i nostri rituali personali non sono casuali ma sono coerenti con la nostra visione del mondo e di noi stessi e con il nostro sistema di metafore e metonimie personali. Le concezioni implicite e generalmente inconsce di noi stessi e i valori secondo cui viviamo si riflettono forse nel modo più forte nelle piccole cose che noi facciamo continuamente, cioè nei rituali casuali che emergono spontaneamente nelle nostre vite quotidiane. 30.4 L’esperienza estetica Secondo la prospettiva esperienziale, la metafora è una questione di razionalità immaginativa. Essa permette di comprendere un tipo di esperienza in termini di un’altra, creando coerenze per mezzo dell’imposizione di gestalt strutturate dalle dimensioni naturali dell’esperienza. Le nuove metafore sono capaci di creare nuove comprensioni e, quindi, nuove realtà. Ciò dovrebbe essere chiaro nel caso della metafora poetica dove il linguaggio è il mezzo attraverso il quale vengono create nuove metafore concettuali. Ma la metafora non è puramente una questione di linguaggio; è una questione di struttura concettuale. E la struttura concettuale non è puramente questione di intelletto, essa richiede tutte le dimensioni naturali della nostra esperienza, inclusi gli aspetti della nostra esperienza sensoriale: colore, forma, consistenza, suono ecc. Queste dimensioni strutturano non solo l’esperienza prosaica, ma anche l’esperienza estetica. Ogni forma artistica seleziona certe dimensioni della nostra esperienza e ne esclude altre. Il lavoro artistico fornisce nuovi modi per strutturare la nostra esperienza in termini di queste dimensioni naturali. Esso fornisce nuove gestalt empiriche e quindi nuove coerenze. Dal punto di vista esperienziale l’arte è in genere una questione di razionalità immaginativa e un mezzo per creare nuove realtà. L’esperienza estetica non è quindi limitata al mondo ufficiale dell’arte. Essa può verificarsi in ogni aspetto delle nostre vite quotidiane, ogni volta che ci accorgiamo, о creiamo per noi stessi, nuove coerenze che non sono parte del nostro modo convenzionale di percepire о di pensare. 30.5 La politica

Il dibattito politico è generalmente interessato ai problemi di libertà e di economia. Ma uno potrebbe essere sia libero che sicuro dal punto di vista economico e condurre un’esistenza completamente vuota e senza significato. Noi vediamo i concetti metaforici di LIBERTÀ, EGUAGLIANZA, SICUREZZA, INDIPENDENZA ECONOMICA, POTERE ecc. come modi diversi di arrivare indirettamente ai problemi di un’esistenza significativa. Questi sono tutti aspetti necessari per una discussione adeguata del problema, ma, per quanto ne sappiamo, nessuna ideologia politica affronta direttamente il problema centrale. Infatti molte ideologie sostengono che le questioni di significatività personale o culturale sono secondarie o devono essere poste in un secondo tempo. Ogni ideologia di questo tipo è disumanizzante. Le ideologie politiche ed economiche sono inquadrate in termini metaforici. Come tutte le altre metafore anche le metafore politiche ed economiche possono nascondere aspetti della realtà. Ma, nel campo della politica e dell’economia le metafore sono più importanti, perché esse vincolano le nostre vite. Una metafora in un sistema politico o economico, per virtù di ciò che essa nasconde, può portare alla degradazione umana. Consideriamo un solo esempio: IL LAVORO È UNA RISORSA. La maggior parte delle teorie economiche contemporanee, sia capitaliste che socialiste, considerano il lavoro come una risorsa naturale o una merce, alla pari delle materie prime, e parlano negli stessi termini del suo costo e offerta. Ciò che è nascosto da questa metafora è la natura del lavoro. Non viene fatta nessuna distinzione fra lavoro significativo e lavoro disumanizzante. Per tutte le statistiche sul lavoro, non ve ne è alcuna sul lavoro significativo. Quando accettiamo la metafora IL LAVORO È UNA RISORSA e assumiamo che il costo delle risorse così definite debba essere mantenuto basso, allora il lavoro a buon mercato diviene una cosa buona, come la benzina a buon mercato. Lo sfruttamento degli esseri umani attraverso questa metafora è soprattutto evidente nei paesi che si vantano di “risorse virtualmente inesauribili di lavoro a buon mercato”: un’affermazione economica apparentemente neutrale che nasconde la realtà della degradazione umana. Ma in pratica tutte le maggiori nazioni industrializzate, sia capitaliste che socialiste, usano la stessa metafora nelle loro teorie economiche e nella loro politica. La cieca accettazione della metafora può nascondere realtà degradanti, siano esse lavori impiegatizi e manuali privi di senso (nelle società “avanzate”), o di virtuale schiavitù (nel resto del mondo).

NOTA CONCLUSIVA

Collaborare a questo libro ci ha dato l’opportunità di approfondire le nostre idee non solo insieme, ma letteralmente con centinaia di persone, studenti e colleghi, parenti conosciuti e perfino sconosciuti seduti al caffè accanto a noi. E, dopo aver elaborato tutte le conseguenze che potevamo immaginare per la filosofia e per la linguistica, ciò che più risalta secondo noi sono le metafore stesse e le intuizioni che esse ci hanno dato sulle nostre esperienze quotidiane. Ancora reagiamo con profondo stupore quando ci accorgiamo che noi stessi e le persone attorno a noi stiamo vivendo con metafore tipo IL TEMPO È DENARO, L’AMORE È UN VIAGGIO, I PROBLEMI SONO INDOVINELLI. Continuiamo a considerare importante rendersi conto che il modo in cui siamo stati portati a percepire il nostro mondo non è l’unico e che è possibile vedere al di là delle “verità” della nostra cultura. Ma le metafore non sono puramente cose da oltrepassare. Infatti uno può vedere al di là di esse solo usando altre metafore. È come se la capacità di comprendere l’esperienza attraverso la metafora fosse un senso, come la vista o l’udito o il tatto, dove le metafore forniscono i soli modi di percepire e di vivere gran parte del mondo. La metafora è tanto parte del nostro funzionamento quanto il nostro senso del tatto, e altrettanto preziosa.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Bolinger, Dwight 1977 Meaning and Form, London: Longman’s Borking, Ann (in stampa) Problems in Form and Function, Norwood, NJ.: Ablex Cooper, William E., e Ross, John Robert 1975 “World Order”, in Robin E. Grossman, L. James San e Timothy J. Vance (eds.), Functionalism, Chicago: Chicago Linguistic Society (University of Chicago) Davidson, Donald 1978 “What Metaphors Mean”, Critical Inquiry 5, 31-47 Frege, Gottlob 1965 “Senso e significato”, in Logica e aritmetica, Torino, Boringhieri, 1966 Grice, H.P. 1957 “Meaning”, Philosophical Review 66: 377-388 Lakoff, George 1972 “Linguistics and Natural Logic”, pp. 545-665, in Donald Davidson e Gilbert Harman (eds.), Semantics of Natural Language, Dordrecht: D. Reidel 1975 “Hedges: A Study in Meaning Criteria and the Logic of Fuzzy Concepts”, pp. 221-271, in Donald Hockney et al. (eds.), Contemporary Research in Philosophical Logic and Linguistic Semantics, Dordrecht: D. Reidel 1977 “Linguistic Gestalts”, in Proceedings of the Thirteenth Annual Meeting of the Chicago Linguistic Society, Chicago: Chicago Linguistic Society Lewis David 1972 “General Semantics” pp. 169-218, in Donald Davidson e Gilbert Harman (eds.), Semantics of Natural Language Lovins, Amory B. 1977 Soft Energy Paths, Cambridge: Ballinger

Montague, Richard 1974 Formal Philosophy, a cura di Richmond Thomason, New Haven: Yale University Press Nagy, William 1974 “Figurative Patterns and Redundancy in the Lexicon”, Ph.D. diss., University of California di San Diego Reddy, Michael 1979 “The Conduit Metaphor”, in A. Ortony (ed.), Metaphor and Thought, Cambridge, Cambridge University Press Rosch, Eleanor 1977 “Human Categorization”, in N. Warren (ed.), Advances in Cross-Cultural Psychology, vol. 1, New York: Academic Press

Note

[←1] Il termine inglese è argument, che può significare sia discussione sia argomentazione o argomento. Noi useremo questi diversi termini a seconda del significato di volta in volta richiesto dal contesto, senza ulteriori specificazioni, ma il lettore dovrebbe tener presente che in inglese è sempre lo stesso termine argument ad avere contemporaneamente tutte queste accezioni. [N.d.T.]

[←2] In inglese, letteralmente, “siepi” o “barriere”.

[←3] In inglese si definiscono WH-questions tutte le domande che cominciano con “wh”, come who, which, what, where ecc. (chi, quale, cosa, dove, quando ecc.). [N.d.T.]

.

Frontespizio Il Libro INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA PREFAZIONE RINGRAZIAMENTI 1. I CONCETTI CON CUI VIVIAMO 2. LA SISTEMATICITA DEI CONCETTI METAFORICI 3. LA SISTEMATICITA METAFORICA: METTERE IN LUCE E NASCONDERE 4. METAFORE DI ORIENTAMENTO 4.1 Le metafore sono basate sull’esperienza 5. METAFORA E COERENZA CULTURALE 6. METAFORE ONTOLOGICHE 6.1 Metafore di entità e di sostanza 6.2 Le metafore del contenitore 6.2.1 Superfici territoriali 6.2.2 Il campo visivo 6.2.3 Eventi, azioni, attività e stati 7. PERSONIFICAZIONE 8. METONIMIA 9. CRITICHE ALLA COERENZA METAFORICA 9.1 Un’apparente contraddizione metaforica 9.2 Coerenza vs consistenza 10. ULTERIORI ESEMPI 11. LA NATURA PARZIALE DELLA STRUTTURAZIONE METAFORICA 12. COME E FONDATO IL NOSTRO SISTEMA CONCETTUALE? 13. LE BASI DELLE METAFORE STRUTTURALI 14. CAUSALITA : IN PARTE EMERGENTE E IN PARTE METAFORICA 14.1 Manipolazione diretta: il prototipo della causalità 14.2 Estensioni metaforiche della causalità prototipica 14.3 Sommario 15. LA STRUTTURAZIONE COERENTE DELL’ESPERIENZA 15.1 Gestalt fondate sull’esperienza e dimensioni dell’esperienza 15.2 Cosa significa per un concetto corrispondere a un’esperienza? 15.3 Strutturazione metaforica vs sottocategorizzazione 16. LA COERENZA METAFORICA 16.1 Aspetti specializzati di un concetto 16.2 Coerenza all’interno di una singola metafora 16.3 Coerenza fra due aspetti di un unico concetto 17. COERENZE COMPLESSE ATTRAVERSO METAFORE 18. ALCUNE CONSEGUENZE PER LE TEORIE DELLA STRUTTURA CONCETTUALE 18.1 Inadeguatezza dell’astrazione 18.2 Inadeguatezza dell’omonimia: omonimia forte 18.3 Omonimia debole 19. DEFINIZIONE E COMPRENSIONE 19.1 Gli oggetti della definizione metaforica: tipi naturali di esperienza 19.2 Proprietà interazionali 19.3 Categorizzazione 19.4 Sommario 20. COME LA METAFORA PUO DARE SIGNIFICATO ALLA FORMA 20.1 Più forma vuol dire più contenuto 20.2 La vicinanza è potenza di effetto 20.3 L’orientamento io-per-PRIMO 20.4 Coerenza metaforica nella grammatica: uno strumento è un compagno 20.5 Perché “con” indica sia strumento sia compagnia 20.6 La “logica” del linguaggio 20.7 Sfumature di significato 20.8 Regolarità della forma linguistica 21. NUOVI SIGNIFICATI 22. LA CREAZIONE DELLA SIMILARITA 23. METAFORA, VERITA E AZIONE 24. LA VERITA 24.1 Perché preoccuparsi di una teoria della verità? 24.2 L’importanza della verità nella nostra vita quotidiana 24.3 Il ruolo della proiezione nella verità 24.4 Il ruolo della categorizzazione nella verità 25.5 Come si capisce che una frase semplice è vera? 24.6 Come si fa a capire che una metafora convenzionale è vera? 24.7 Come comprendiamo che le nuove metafore sono vere? 24.8 Comprendere una situazione: sommario 24.8.1 Comprensione diretta e immediata 24.8.2 Comprensione indiretta 24.8.3 La verità è basata sulla comprensione 24.9 L’approccio esperienziale alla verità 24.10 Elementi della comprensione umana nelle teorie della “verità oggettiva” 25. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO E DEL SOGGETTIVISMO 25.1 Le scelte offerte dalla nostra cultura 25.2 Il mito dell’oggettivismo 25.3 Il mito del soggettivismo 25.4 La paura della metafora 25.5 La terza possibilità: una sintesi basata sull’esperienza 26. IL MITO DELL’OGGETTIVISMO NELLA FILOSOFIA E NELLA LINGUISTICA OCCIDENTALI 26.1 La nostra critica al mito dell’oggettivismo 26.2 Come le teorie standard del significato sono radicate nel mito dell’oggettivismo 26.2.1 Il significato è oggettivo

3 2 8 11 13 16 19 22 25 28 31 34 34 37 37 38 38 41 43 48 48 50 53 57 60 64 70 70 73 73 75 75 81 82 85 85 87 89 94 102 103 106 107 110 111 113 116 119 120 120 121 124 125 125 126 127 127 130 137 145 148 148 149 149 150 154 157 159 162 162 163 165 165 167 170 170 171 172 173 176 179 179 181 181

26.2.2 Il significato è autonomo 26.2.3 Fare corrispondere le parole al mondo senza l’intervento della comprensione umana 26.2.4 Una teoria del significato è basata su una teoria della verità 26.2.5 Il significato è indipendente dall’uso 26.2.6 Il significato è componenziale - La teoria dei blocchi 26.2.7 L’oggettivismo permette la relatività ontologica senza la comprensione umana 26.2.8 Le espressioni linguistiche sono oggetti: la premessa della linguistica oggettivista 26.2.9 La grammatica è indipendente dal significato e dalla comprensione 26.2.10 La teoria oggettivista della comunicazione: una versione della metafora del canale 26.2.11 Come sarebbe una teoria oggettivista della comprensione 27. COME LA METAFORA RIVELA I LIMITI DEL MITO DELL’OGGETTIVISMO 27.1 La descrizione oggettivista della metafora convenzionale 27.2 Che cosa c’è di sbagliato nella posizione oggettivista 27.2.1 La posizione basata sulla similarità 27.2.2 La rinuncia oggettivista: “Non è affar nostro” 27.2.3 L’irrilevanza, ai fini umani, della filosofia oggettivista 27.2.4 Modelli oggettivisti al di fuori della filosofia oggettivista 27.3 Sommario 28. ALCUNE INSUFFICIENZE DEL MITO DEL SOGGETTIVISMO 29. L’ALTERNATIVA ESPERIENZIALE: DARE NUOVO SIGNIFICATO AI VECCHI MITI 29.1 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni dell’oggettivismo 29.2 Che cosa l’esperienzialismo preserva delle motivazioni del soggettivismo 30. LA COMPRENSIONE 30.1 La comunicazione interpersonale e la comprensione reciproca 30.2 L’autocomprensione 30.3 Il rituale 30.4 L’esperienza estetica 30.5 La politica NOTA CONCLUSIVA RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

182 183 184 184 185 185 186 187 188 189 192 193 195 195 196 198 199 202 203 205 205 206 208 209 210 211 213 213 215 216