Max Scheler. Fondazione fenomenologica dell'etica dei valori 8822117476

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Max Scheler. Fondazione fenomenologica dell'etica dei valori
 8822117476

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA

ANTONIO LAMBERTINO

MAX SCHELER F o n d a z io n e fe n o m e n o lo g ic a d e ll’e tic a d e i v a lo ri

LA NUOVA ITALIA EDITRICE - FIRENZE

LA NUOVA ITALIA

MAX SCHELER F O N D A Z IO N E F E N O M E N O L O G IC A DELL’ E T IC A D EI VALORI

ANTONIO LAMBERTINO

© Copyright 1996 by La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze) Prima edizione: febbraio 1996 Progetto grafico e copertina: Marco Capaccioli (C.D. & V.), Firenze Fotocomposizione: Editografica, Rastignano (Bologna) Stampa: Sograte, Città di Castello (Perugia) L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (AIDROS), via delle Erbe, 2 - 20121 Milano, telefono 02/8643091, fax 02/89010863. Una precedente edizione dell’opera è apparsa nel 1977 nelle «Pubblicazioni della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Parma».

Lambertino, Antonio

Max Scheler. Fondazione fenomenologica dell’etica dei valori. — (Biblioteca di cultura ; 206). — ISBN 88-221-1747-6 1. Fenomenologia I. Tit. 142.7

IND ICE

Presentazione di Manfred S. Frings

ix

Prefazione

xm

Prefazione alla seconda edizione I Note introduttive alla fenomenologia 1. L’intenzionalità come apprensione deH’alterità nel­ l’ambito dell’immanenza 2 . L’epoché trascendentale dell’affermazione esistenziale del dato empirico e dell’io psicologico 3. Suggerimenti per alcuni spunti critici

xvii

1

3 14 22

II

Scheler e il movimento fenomenologico

31

1. L’incontro con Husserl e la sua incidenza sul pensie­ ro di Scheler 2. La visuale fenomenologica di Scheler nel suo pro­ gressivo distacco dall’indirizzo husserliano

32

V

47

INDICE

3. La prospettiva fenomenologica di Scheler condizio­ nata dalle altre fonti della sua formazione spirituale

58

III

Gli scritti morali di Scheler

73

IV

Analisi fenomenologica del concetto di bene ine­ rente alle cose e del concetto di valore v A priori formale e a priori materiale

93 101

VI

Struttura gerarchica dei valori

125

1. Tipi di gerarchizzazioni aprioriche dei valori

125 138

2 . Proprietà distintive delle modalità di valore VII

Analisi fenomenologica del rapporto essere-valore

149

vili

Alogismo dei valori e loro percezione affettiva

161

1. Analisi storica del rapporto scienza-etica 2. La ‘sintesi vivente’ di Urteil e Wertung 3. Il Fühlen e il correlato intenzionale del valore

161 169 181

IX

Esperienza vissuta degli atti emozionali dell’anteporre-posporre e dell’amare-odiare

189

X

Fenomenologia della vita emozionale

199

XI

Caratterizzazione dei valori morali e disamina di ermeneutiche insufficienti 1. Valori del bene e del male morale 2. Analisi fenomenologica della Gesinnung 3. Critica di Scheler alla concezione kantiana della Ge­ sinnung 4. Ermeneutiche insufficienti dei dati-di-fatto morali VI

209 209 218 226 232

INDICE

XII

Irriducibilità dell’etica axiologica all’etica teleolo­ gica

257

XIII

Etica dei valori ed etica del risultato 1. Analisi fenomenologica del contenuto del volere nei suoi rapporti con l’agire 2. Milieu umano e mondo axiologico; sensazione e pro­ cessi vitali del Leib

263 263 272

XIV

Etica axiologica ed etica deontologica 1. Analisi fenomenologica del dover-essere (Sollen) e del dovere (Pflicht) 2. ‘Potere’ morale e dover-essere ideale 3. Etica imperativa e valenza morale dell’amore 4. Autonomia dell’axiologia e dell’etica dalla dimensio­ ne del ‘sacrificio’ 5. Analisi conclusiva delle critiche mosse da Scheler al­ l’imperativo kantiano

279 279 295 300 305 312

XV

Etica axiologica ed etica eudemonologica 1. Autonomia del fenomeno del valore dalla relazione col sentimento di piacere. Critica a Kant e allo psico­ logismo 2 . Correlazione tra valore morale e stato affettivo 3. Valutazione della critica scheleriana all’eudemoni­ smo 4. Definizione del rapporto tra sanzione e agire morale

319 319 327 332 342

XVI

Relatività e storicità delle valutazionimorali 1. Coscienza morale e discernimento morale 2 . Oggettivismo axiologico e teoria del ‘bene in sé per me’ 3. Storicità dei giudizi di valore e delle valutazioni mo­ rali 4. Scheler e l’etica della situazione VII

355 355 360 365 379

INDICE

XVII

Rilevanza axiologica ed etica della persona

385

1. Analisi fenomenologica della persona 2. Correlazione tra persona e valore morale 3. La teoria dei modelli personali

385 402 406

XVIII

Significato e limiti della dimensione ontologica dell’etica scheleriana 1. L’oggettivismo eidetico e axiologico di Scheler e le interpretazioni platonica e idealistica 2. La relazione ontologica nella gnoseologia scheleriana e in quella tomistica

417 417 426

XIX

L’etica e il problema di Dio

-,

1. Metafisica ed esperienza religiosa 2 . L’axiologia e il problema teologico

3. Etica, metafisica dell’essere assoluto ed esperienza religiosa 4. Il problema di Dio nell’ultimo Scheler e sue implicanze per la tematica axiologica

441 442 450 464 475

Bibliografia

483

Indice dei nomi

499

PRESENTAZIONE

Valutando le molteplici correnti filosofiche del nostro secolo ormai al declino, risulta assai evidente non solo che letica, la scienza più vicina all'uomo, è stata nel suo insieme trascurata, ma soprattutto che l’inda­ gine intorno alla sua fondazione è stata promossa soltanto da rari studiosi, come Max Scheler, Nicolai Hartmann, Hans Reiner. Hanno invece fortemente prevalso interessi per la filosofia analitica, la feno­ menologia, la filosofia socio-politica, la logica, la filosofia dell’essere e infine il 'de-costruzionismo’. Non è solo per questo che l’opera di Antonio Lambertino sulla fondazione fenomenologica dei valori in Scheler, ora alla sua seconda edizione, riempie di gioia tutti quelli che in questo secolo hanno preso a cuore lo studio dell’etica. Ma ancora di più perché questo volume presenta una tesi originale intorno alla fondazione dell’etica dei valori, tale da aprire nuovi itinerari nell'ulteriore ripresa della fenomenologia applicata all’etica e nella riassunzione del suo diritto ad elevarsi a vera indagine filosofica. L'opera di Lambertino, pertanto, si inserisce con pieno merito negli studi del nostro secolo dedicati al fondamento dell’etica. Manfred S. Frings (Presidente della Max-Scheler-Gesellschaft) Albuquerque (New Mexico), gennaio 1996 IX

A Samuele, che mi ha coinvolto nell’«Erlebnis» della sua esistenza.

PREFAZIONE

Il rapporto dei valori vitali con quelli del piacevole e dell’utile, da una parte, e con quelli dello spirito [...] e della persona, dall'altra, è divenuto forse il problema etico più caratteristico della nostra epoca. (Ethik, in Frühe Schriften, p. 388)

Con un’affermazione non scevra di fondatezza il fenomenologo Hildebrand ha ravvisato nella riflessione etica di Scheler «l’opera di gran lunga più significativa apparsa da molto tem­ po». Scheler ha fatto dell’antropologia il centro dell’interesse filosofico europeo contemporaneo e a lui si deve, secondo una persuasione comunemente accreditata, la prima antropologia del nostro secolo dal tempo di Lotze. La ricchezza straordinaria del suo spirito, la vivacità del suo genio gli permisero di accostarsi a molteplici interessi, dall’antropologia all’ontologia, dalla psicologia alle scienze na­ turali, dal problema gnoseologico a quello etico e a quello religioso. Non è facile individuare l’aspetto originario e il punto d’incontro caratterizzanti la vitalità polimorfa dei suoi interes­ si culturali: potrebbe essere il problema dell’uomo, nella com­ plessità del suo essere conoscitivo, volitivo, morale, emoziona­ le, psichico, corporeo, nella sua dimensione individuale e in quella sociale, nella sua assolutezza e nella sua storicità, so­ prattutto nella sua tensione spirito-impulso e nella sua costitu­ tiva apertura alla sfera dell’assoluto axiologico. Nel contesto di una originale interpretazione dei proceXIII

PREFAZIONE

dimenti metodologici e dei contenuti dell’analisi fenomenolo­ gica, quasi sempre la posizione di una tematica è, in lui, pro­ vocata e ampliata da una problematica di carattere morale. L’analisi fenomenologica dell’esperienza morale, propo­ sta da Scheler, è tra le più fertili nell’ambito del pensiero contemporaneo. Nella problematica dell’etica contemporanea la sua proposta si inserisce come tentativo di superamento per un verso del pragmatismo e del positivismo etico, per un altro verso dell’intellettualismo e del volontarismo, che intendono ricondurre il fenomeno etico a strutture puramente razionali o comunque soggettive (nominalismo, psicologismo, formalismo kantiano, idealismo neokantiano). L’intento di rivendicare l’irriducibilità del valore al giudizio di valore, minacciata dalle teorie criticate, approda a una dimensione ontologica dell’axiologia, nel cui orizzonte l’essenza del fenomeno etico è intrinsecamente correlata allo spirito assoluto, oltre che all’es­ sere della persona, cioè alla sua attitudine connaturale a co­ gliere il valore nella percezione affettiva mediante l’amore. L’etica pertanto riveste una dimensione contraddistinta dal personalismo, dall’intuizionismo emozionale e dall’apriorismo contenutistico. Ad alimentare il disagio del lettore nell’accostare la mul­ tiforme opera di Scheler, emergono anche insidie di carattere ermeneutico. Spirito inquieto e passionale, complesso e insta­ bile, intuitivo più che analitico, Problemdenker anziché do­ gmatico, sensibile alle suggestioni e alle oscillazioni dell’am­ biente culturale in cui viveva, Scheler non era troppo docile a una costante rigorosa disciplina metodologica e rifuggiva per temperamento da ogni trattazione sistematica dei problemi. La lettura interpretativa del suo pensiero risulta restia a inter­ pretazioni univoche e non di rado si imbatte in affermazioni che, almeno apparentemente, sembrano ambigue, incoerenti e certe volte perfino contraddittorie. La larga messe delle più svariate e contrastanti interpretazioni testimonia, del resto, in modo ineludibile, della difficoltà di un approccio ermeneutico e critico di Scheler. La nostra ricerca ha come suo aspetto tematico la tratta­ zione scheleriana dell’etica dei valori, alla luce della particola­ re visuale fenomenologica in cui essa si muove e nella peculia­ re prospettiva della sua fondazione critica. Il nostro intento, per essere insieme esegetico e critico, non poteva non prende­ re l’avvio da una chiarificazione informativa (talvolta non priXIV

PREFAZIONE

va di digressioni, alle quali così spesso indulge l’autore) del pensiero di Scheler, attraverso un procedimento puntualmen­ te ancorato ai testi. La ricerca vorrebbe assumere, pertanto, nell’ambito di una precisa delimitazione tematica, il significa­ to di una ricostruzione teoretica e critica del pensiero scheleriano, fatta attraverso il fluire progressivo della sua maturazio­ ne e, quando occorre, attraverso il confronto con le discussio­ ni suscitate dalla critica. La traduzione delle citazioni riportate è nostra e segue l’edizione dei Gesammelte Werke curata da Maria Scheler.

XV

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P R E F A Z IO N E ALLA S E C O N D A E D IZ IO N E

L’attualità mai sopita del pensiero di Scheler è testimoniata dal persistente interesse che le tematiche da lui trattate conti­ nuano a riscuotere nei dibattiti della cultura contemporanea. Basterebbe richiamare l’attenzione dedicata ancor oggi alla filosofia della vita e dell’esperienza vissuta, alla dimensio­ ne morale e insieme emozionale del sapere, oppure alla di­ mensione epistemologica, oltre che psicologica, presente nel­ l’intuizione del mondo come autorivelazione e rivelazione del­ la trascendenza. Come le tematiche scheleriane di vita interpersonale quali l’incidere del modello capitalistico sullo ‘spirito borghe­ se’, la preminenza originaria del valore, della cultura e della fruizione vitale sulla tecnica e sul lavoro -, così le sue proble­ matiche di carattere morale continuano ad essere familiari al­ l’analisi teoretica contemporanea. Si pensi alla corresponsabi­ lità dell’agire morale, alla preminenza della disposizione d’ani­ mo radicale sul singolo comportamento, alla dialettica tra re­ gole universali e concretezza della situazione esistenziale, non­ ché all’essenzialità della corporeità nell’espressione compiuta della vita dello spirito. Né è da trascurare l’interesse, fatto proprio dalla teoria psicoanalitica, per l’originarietà della vita XVII

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

emozionale, per il primato del contatto vissuto e dell’amore sulla percezione conoscitiva e sul volere, o per le illusioni mi­ stificatorie dell’agire umano. Il persistere nella cultura contemporanea di tali proble­ matiche tipicamente scheleriane, nonché il lesto esaurirsi della prima edizione del presente volume, seguito da sollecite ri­ chieste da parte di studiosi italiani di Scheler e dall’interesse di case editrici straniere, rendono legittima questa nuova edi­ zione, riveduta e aggiornata nella letteratura critica. Parma, gennaio 1996

XVIII

I N O T E IN T R O D U T T IV E ALLA F E N O M E N O L O G IA

La fenomenologia non pretende né si presta, per la sua natura de-teorizzante, a una definizione in senso rigoroso. E «un’as­ surdità pretendere una definizione oggettiva della fenomeno­ logia» e «forse non c’è una vera essenza» di essa1. Lo stesso

1 F. Jeanson, La fenomenologia, tr. it., Milano 1962, pp. 32 e 44. Il ter­ mine fenomenologia appare - sembra per la prima volta - nel Neues Organon di J.H. Lambert. La Phänomenologie è il titolo della quarta parte del saggio e insegna a riconoscere «den Schein in den Erscheinungen» e a separare «das Wahre und den Schein». Kant adopera il termine Phänomenologie come titolo della quarta parte dei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft. Essa costituisce quella parte della dottrina del movimento che determina il movimento o la quiete della materia «bloss in Beziehung auf die Vorstellungs­ art oder Modalität, mithin als Erscheinung äusserer Sinne» (ibidem, ed. Aka­ demie, IV, p. 477). Il termine è ripreso da Hegel, in Phänomenologie des Gei­ stes, come analisi descrittiva delle esperienze della coscienza nella elevazione dello spirito dalla individualità della sensazione alla universalità della ragione. In Eduard von Hartmann la Phänomenologie des sittlichen Bewusstseins tende ad analizzare l’esperienza morale per approdare induttivamente ai principi morali. Per uno studio completo della polivalenza del termine nell’evolversi storico, cfr. H. Driesch, Die Phänomenologie und ihre Vieldeutigkeit, in vii Congrès int. de Philosophie, Oxford 1930, pp. 151-58 e A. De Waelhens, Signification de la phénoménologie, in «Diogène», 1954, pp. 49-70.

1

NOTE INTRODUTTIVE ALLA FENOMENOLOGIA

significato storico conferitole non è univoco e la corrente feno­ menologica ha via via assunto sfumature diverse, talvolta perfi­ no contraddittorie, da Husserl a Heidegger, da Scheler a Mer­ leau-Ponty, da Fink a Ricouer23.In un manoscritto pubblicato postumo, Scheler precisa che la fenomenologia, lungi dal for­ mare un ‘sistema’, è soltanto un movimento che ispira una particolare ‘cerchia culturale’ di pensatori, la cui affinità è debitrice, non a comuni tematiche o a una comune visuale del mondo, ma soltanto a una peculiare direzione e a un particola­ re metodo di ricerca. La sua unità si sarebbe sempre più smar­ rita dopo la morte di Adolf Reinach (1917)'. La multiforme ricchezza del suo metodo ha ispirato e alimentato una molte­ plicità di visioni della vita e di filosofie, fino a determinare autentiche secessioni dalla fonte primigenia. Si spiegano per­ tanto, anche se non sempre si giustificano, certe divergenti e talora contrapposte valutazioni che si sono date di essa, da quella di realismo puro a quella di idealismo assoluto, da quel­ la di analisi della soggettività trascendentale a quella di ontolo­ gismo platonico, da quella antipragmatica a quella marxista; alle volte è stata intesa come filosofia dell’esistenza, alle volte come filosofia delle essenze; per un verso è apparsa intellettua­ lismo radicale, per un altro verso vitalismo metarazionale. La stessa genuina interpretazione del pensiero di Husserl è conte­ sa dagli sviluppi storici e dalla documentazione postuma dei suoi scritti, tanto più che sembra peculiare al tentativo di com­ prendere Husserl un’interpretazione ‘a ritrosoM, nella misura in cui il significato di certe sue tematiche riesce definibile soltanto alla luce di analisi svolte in opere successive. Al compito della nostra indagine preme qui fissare, in una scarna panoramica, le principali articolazioni della feno­ menologia, quali affiorano dal pensiero del suo ideatore, in una visione unitaria più che genetica, allo scopo di collocare la problematica scheleriana nel suo contesto storico e di indi­ viduare, nel corso della sua esposizione, gli aspetti ereditati e quelli originali. 2 Cfr. H. Spiegelberg, The Phenomenological Movement. A Historical Introduction, 2 voll., The Hague 19652. 3 M. Scheler, Zusätze aus den nachgelassenen Manuskripten, in Die deutsche Philosophie der Gegenwart, in Wesen und Formen der Sympathie, p. 327. P. Thévenaz, La fenomenologia, tr. it., Roma 1969, p. 29.

2

NOTE INTRODUTTIVE ALLA FENOMENOLOGIA

Sarà anche superfluo ricordare che l’orizzonte della fe­ nomenologia è così tipicamente complesso e insieme così uni­ tario che non è facile scindere, seppure metodologicamente, i vari aspetti che la caratterizzano. Necessità d’ordine espositi­ vo ci inducono a trattare tali aspetti in modo contiguo, anche se ognuno di essi assume la sua vera connotazione nella misu­ ra in cui richiama gli altri in una visuale unitaria. i.

l ’in t e n z io n a l it à c o m e a pp r e n s io n e d e ll ’alterità n e l l ’a m b it o d ell ’im m a n en za

E preoccupazione costante di Husserl reperire una «nuova fondazione della logica pura 1e della teoria della conoscenza»5, una fondazione radicale della scienza come tale, minacciata sia dalle interpretazioni psicologistiche delle leggi logiche e della verità, tendenti a ricondurre il significato delle essenze a semplici stati di coscienza,! sia dal formalismo logico, tendente a svuotare l’oggetto logico di ogni contenuto e a caratterizzar­ lo come mera categoria formale-simbolica67. Il concetto di intenzionalità permette a Husserl di sot­ trarre la dimensione della verità a una riduzione soggettivisti­ ca e insieme a un astratto razionalismo, tutelando per un ver­ so l’autonomia delle essenze dall’attività psicologica del sog­ getto e correlando per un altro verso l’attività della coscienza all’oggetto'. 5 Logische Untersuchungen, I, Husserliana XVIII, p. 7. Le opere di Husserl verranno citate secondo tale edizione, eccetto che per la seconda parte delle Logische Untersuchungen, non ancora inserita in Husserliana, e per la quale ci serviremo della l a ed.. Halle 1901. Avvertiamo anche fin d ’ora il lettore che le sottolineature e le parentesi (tranne quelle quadre) del testo sono sempre da attribuire all’autore cui si riferiscono. 6 Se è possibile rilevare in Philosophie der Arithmetik elementi che sottendono un certo empirismo psicologistico (il numero, per esempio, de­ pauperato di ogni validità concettuale e oggettiva, è ridotto a semplice rappre­ sentazione) - così come suggerisce la feroce critica mossa dal formalista G. Frege, che indusse lo stesso Husserl a un ripensamento - è certo che tale posizione fu decisamente e costantemente superata dalla concezione posterio­ re. Analogamente, è possibile rilevare nei Prolegomeni! zur reinen Logik delle Logische Untersuchungen qualche venatura formalistica non ancora dissipata. 7 L’istanza dell’autonomia della verità dall'attività psicologica, in una visione antipsicologistica della logicai era già presente nell’orientamento an­ tikantiano e antiidealistico di Bolzano. È indubbio che la sua concezione

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NOTE INTRODUTTIVE ALLA FENOMENOLOGIA

Intenzionale è un termine già familiare alla filosofia sco­ lastica, presso la quale denota il tendere come carattere pecu­ liare dell’agire:1«intentio [...] significai in aliquid tendere; in aliquid autem tendit et actio moventis et motus m obilisi. Sarà opportuno precisare il significato che tale termine assume ori­ ginariamente nella visione realistica (di un realismo non inge­ nuo, ma critico) del problema epistemologico, per fare meglio trasparire l’aspetto originale della posizione fenomenologica9. In Tommaso d’Aquino la tensione tipica della conoscenza ha per fine-termine Tessere-oggetto, posseduto rappresentativa­ mente, cioè in un modo d ’essere non reale-fisico, ma appunto intenzionale. Mentre la res non è formalmente relazionata alla coscienza - tranne a quella divina10 - Yobjectum è ciò che sta di fronte alla mente, come termine della tensione conoscitiva, e che pertanto è essenzialmente relazionato alla coscienza:

della verità e della rappresentazione oggettiva («an sich») influì su Husserl, il quale ebbe modo di conoscere Bolzano attraverso le lezioni viennesi di Brentano. L ’oggetto in sé di Bolzano va tuttavia ricollegato, in Husserl, al concetto di intenzionalità. Sull’influsso esercitato da Bolzano su Husserl, cfr. G. Preti, I fondamenti della logica formale pura nella Wissenschaftslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchungen di E. Husserl, in «Sophia», 1935, pp. 187-92 e 361-75. 8 Summa theologiae, I II, q. 12, a. 1, 5; cfr. anche ibidem, q. 1, a. 2. 9 Sull’intenzionalità nella Scolastica e in particolare in Tommaso d ’Aquino cfr. A. Hayen, L'intentionnel selon S. Thomas, Paris-Bruxelles 1954* 2*8, utile per la panoramica storica in cui viene inserita la tematica dell’in­ tenzionalità (Agostino, Avicenna, Averroè) e per l'analisi dei molteplici signi­ ficati del termine intentio-, A A .W ., La Phénoménologie, in Journées d ’études de la societé thomiste, Juvisy 1932; H.D. Simonin, La notion d"intentio dans l ’oeuvre de S. Thomas d ’Aquin, in «Revue des Sciences philosophiques et théologiques», 19 (1930), pp. 445-63; S. Vanni Rovighi, Una fonte remota della teoria husserliana dell’intenzionalità, in Omaggio a Husserl, a cura di E. Paci, Milano 1960, pp. 49-65; S. Cerri, Per una fenomenologia della intenzio­ nalità in S. Tommaso, in «Rivista di Filosofia Neo-scolastica», 58 (1966), pp. 395-426. Sul raffronto san Tommaso-Husserl, cfr. E. Stein Husserls Phä­ nomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas von Aquin, Halle 1929; A. Anzenbacher, Die Intentionalität hei Thomas von Aquin und E. Husserl, München 1972; G. Van Riet, Réalisme thomiste et phénoménologie husserlienne, in «Revue philosophique de Louvains», 1957, pp. 58-92; S. Cerri, La nozione di intenzionalità in Husserl e in S. Tommaso: appunti per un esame comparativo, in «Rivista di Filosofia Neo-scolastica», 59 (1967), pp. 700-25. 10 San Tommaso distingue espressamente un ordo della res «ad intellectum a quo dependet secundum suum esse», cioè relativo all’intelletto divino, e un ordo della res «ad intellectum a quo cognoscibilis est», cioè relativo all’intelletto umano (Summa theologiae, I, q. 16, a. 1).

4

NOTE INTRODUTTIVE ALLA FENOMENOLOGIA

l’ente è objectum non in quanto considerato in sé, ma in quan­ to è conosciuto, in quanto si riferisce al soggetto; nella stessa misura in cui il soggetto è tale (conoscente) in quanto è corre­ lato all’oggetto. L’intenzionalità, in tale contesto gnoseologi­ co, intenderebbe armonizzare l’istanza soggettiva della cono­ scenza con quella oggettiva, in una concezione realistica rifles­ siva. La conoscenza rivelerebbe un’istanza soggettiva nella mi­ sura in cui l’intelligenza non può cogliere l’ente nel suo essere se non mediante un movimento di riflessione su se stessa: «secundum hoc cognoscit veritatem intellectus quod supra seipsum reflectitur»n. La conoscenza sarebbe oggettiva in quanto evidenzia alla mente la ricchezza ontologica dell’essere nel suo riflesso intelligibile. La verità «supra ens fundatur», la scienza è «de rebus»112, in quanto denota la coincidenza, anzi l’identità tra rappresentazione conoscitiva e visione dell’essere13. L’esse­ re e il pensiero esprimerebbero pertanto una correlazione es­ senziale («ens et verum convertuntur; anima est quodammodo omnia»), senza che si verifichi una loro identificazione di tipo parmenideo. La coscienza - quella umana - sarebbe non co­ stitutiva, ma disvelativa dell’essere nella sua consistenza onto­ logica; l’essere verrebbe colto nella sua alterità, anche se im­ manentemente alla coscienza e per essa. La coscienza sarebbe costitutiva non del vero ontologico, ma del vero logico14, sa­ rebbe misura non dell’essere, ma del senso dell’essere o del­ l’essere in quanto esperito, nella misura in cui, conferendo significato alle essenze, le tradurrebbe, scoprendole, in termi­ ni logici. Soltanto in tal modo, anzi, verrebbe tutelato il carat­ tere correlativo dell’intenzionalità: se infatti la coscienza si li-

11 De Ventate, q. 1, a. 9; cfr. anche «eadem operatione intelligo intel­ ligibile et intelligo me intelligere» (In I Sententiarum, d. 1, q. 2, a. 1, ad 2). 12 De Ventate, q. 10, a. 12, ad 3; Summa theologiae, I, q. 76, a. 2, ad 4. Il rapporto tra vero ontico ed essere e tra vero logico ed essere è cosi definito: «verum autem, quod est in rebus, convertitur cum ente secundum substantiam; sed verum, quod est in intellectu, convertitur cum ente ut manifestativum cum manifestato» (ibidem, q. 16, a. 3, ad 1). 13 «Intellectum in actu non est aliud ab intellectu intelligente actu, sed idem» (In I Sententiarum, d. 35, q. 1, a. 1, ad 3). 14 «Ratio veri ab intellectu ad rem intellectam derivatur, ut res etiam intellecta vera dicatur, secundum quod habet aliquem ordinem ad intellec­ tum» (Summa theologiae, I, q. 16, a. 1); «licet veritas intellectus nostri a re causetur, non tarnen oportet quod in re per prius inveniatur ratio veritatis» (ibidem, ad 3).

5

NOTE INTRODUTTIVE ALLA FENOMENOLOGIA

mitasse a conferire significato all’essere, si darebbe una rela­ zione reciproca tra coscienza ed essere; ma se la coscienza fosse anche costitutiva dell’essere, la relazione diventerebbe unilaterale, com’è proprio del modello creativo. Né la conoscenza verrebbe intesa in senso psicologisti­ co, come conoscenza della rappresentazione soggettiva del­ l’ente, ma in senso ontologico, come manifestarsi dell’ente stesso, anche se mediante un possesso concettuale: «ipsa co­ gnita per intellectualem visionem sunt res ipsae et non rerum imagines»15167.Verrebbe attinto l’essere stesso della cosa, non la sua risonanza logica o psicologica; l’ente sarebbe attinto non come mero ente pensato ma come ente reale, anche se tramite una forma rappresentativa. L’attività psicologica del soggetto non si esaurirebbe nell’ambito di un contenuto rappresentati­ vo ideale, ma sarebbe correlata a un contenuto realelb. Il feno­ meno non si identificherebbe pertanto con l’attività della co­ scienza, pur essendo ad essa immanente, in quanto il cogitatum non sarebbe Y«id quod cognoscitur» ma Y«id quo cognoscitur res». Per quanto concerne poi l’essere della coscienza, Tommaso d’Aquino è alieno da ogni sua ipostatizzazione, nel­ la misura in cui l’autocoscienza non si costituirebbe immedia­ tamente, ma tramite la sua dimensione intenzionale: «mens nostra non potest seipsam intelligere ita quod seipsam immedia­ te apprehendat; sed ex hoc quod apprehendit alia devenit in suam cognitionem»11.

15 De Ventate, q. 10, a. 4, ad 1. Cfr. anche l’esempio addotto: «lapis non est in anima, sed species [...]: et tarnen lapis est id quod intelligitur, non autem species lapidis, nisi per reflexionem intellectus supra seipsum: alioquin scientiae non essent de rebus, sed de speciebus intelligibilibus» (Sum­ ma theologiae, I, q. 76, a. 2, ad 4). 16 Anche in Agostino la verità mira ad armonizzare l’istanza disvelativa con quella ontologica: «veritatem, quae ostendit id quod est» (De vera religione, XXXVI ). 17 De Ventate, q. 10, a. 8. Desta non pochi interrogativi un’afferma­ zione che Husserl avrebbe fatto nel 1935 a proposito del rapporto di affinità tra fenomenologia e tomismo. Tale affermazione, fatta da Husserl in una conversazione con alcuni suoi allievi, sarebbe stata riferita da Edith Stein ed è riportata da De Miribel nella sua monografia sulla pensatrice tedesca, da cui citiamo: «dès le commencement j’ai cru - et aujourd’hui ce n ’est plus foi, mais science - que c’est ma phénoménologie, et elle seule qui est la Philosophie que l’Eglise peut utiliser: elle seule converge vers le thomisme, et elle prolonge le thomisme» (E. De Miribel, Edith Stein 1891-1942, Paris 1954,"p. 73). Dato che nella medesima conversazione Husserl avrebbe detto

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NOTE INTRODUTTIVE ALEA FENOMENOLOGIA

Nel pensiero moderno il termine intenzionalità è ripreso, com’è noto, da Brentano, che afferma di averlo riscontrato in Aristotele, ricorrendo, per la definizione, ai termini scolasti­ ci18. Egli, accantonando il significato di intenzionale come e si­ stenza mentale del dato nel soggetto, ne accentua il significato di «rapporto a un contenuto, direzione verso un oggetto»19. L’intenzionalità costituirebbe la caratteristica di ogni fenome­ no psichico, cioè ogni rappresentazione - in antitesi con l’in­ dirizzo della psicologia berkelyana - sarebbe rappresentazione di un dato, che, in quanto intenzionato, sarebbe immanente all’attività psichica e insieme distinto da essa. Il dato sarebbe la ‘cosa’ stessa, non la sua rappresentazione, anche se per cosa «non è necessario intendere una realtà»20. Husserl approfondisce, trasfigurandolo, il concetto di inten­ zionalità, nella preoccupazione di fugare ogni ipostatizzazione del pensiero e dell’essere. Come in Brentano, anche in Hus-

«ma mission, à moi, est seulement la Science. Par elle je veux servir les deux confessions chrétiennes» (ibidem), è forse utile ricordare che per Husserl soltanto la filosofia sarebbe sorgente di verità, per cui il sentimento religio­ so, il cui oggetto sarebbe l’irrazionale, non sarebbe in grado di adombrare l’assolutezza propria della filosofia. E noto che la Stein, per molti anni assi­ stente di Husserl, tentò una interpretazione critica del pensiero aristotelicotomistico alla luce del metodo fenomenologico. Di tale tentativo è testimo­ nianza il suo saggio Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heili­ gen Thomas von Aquin, già citato. La trasposizione del tomismo nella pro­ blematica della fenomenologia sarà, come vedremo, motivo di nuove atten­ zioni e di polemiche anche in cene interpretazioni del pensiero di Scheler. 18 E. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, Leipzig 1889, p. 14, nota 19. 19 Idem, Psychologie vom empirischen Standpunkt, 1, Leipzig 19242, p. 115. Sul tema della intenzionalità in Brentano, ci limitiamo a segnalare il primo capitolo del saggio di A. Bausola, Conoscenza e moralità in F. Brenta­ no, Milano 1968, dove è anche possibile reperire una esauriente bibliografia. Sull’interpretazione brentaniana e husserliana del concetto scolastico di in­ tenzionalità, cfr. H. Spiegelberg Der Begriff der Intentionalität in der Schola­ stik, hei Brentano und bei Husserl, in «Philosophische Hefte», v, 1936, pp. 75-91. All’analisi comparativa del concetto di coscienza e di intenzionalità in Brentano, in Husserl e in Scheler è dedicato il saggio di F.J. Brecht, Be­ wusstsein und Existenz. Wesen und Weg der Phänomenologie, Bremen 1948. 20 F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt, cit., p. 115. In Von der Klassification der psychischen Phänomene (Leipzig 1911), che è una riedizione accresciuta di Psychologie (pubblicata a Vienna nel 1874), Brentano ritiene invece che l’oggetto dell’intenzionalità è sempre reale.

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seri il carattere intenzionale è proprio non soltanto dell’atto strettamente conoscitivo, ma anche del sentimento e della vo­ lontà21: Husserl tuttavia estende ulteriormente la problematica descrittiva del fenomeno brentaniano a quella della sua allusi­ vità significante, rivestendo la nozione di intenzionalità di una dimensione meno psicologistica e più risolutamente epistemologico-ontologica2223. La coscienza diventerà, in Husserl, il co­ stitutivo del senso della realtà, non più il campo dove si speri­ menta effettivamente la realtà. Mentre per il positivismo psicologistico ogni fatto o atto di coscienza comporta la risoluzione del contenuto di coscien­ za nell’attività della coscienza, per Husserl ogni fatto di co­ scienza - sia di natura conoscitiva sia di natura affettiva - è un atto intenzionale, avente cioè correlazione dinamica col dato nella sua dimensione di alterità: è un ‘mirar a’ (abzielen)2ì, un movimento tendenziale, l’aprirsi della coscienza verso ciò che essa non è. Il termine della coscienza (noema)24 non è il costi­ tutivo della coscienza, ma ciò di cui si ha coscienza o verso cui la coscienza tende; è il suo correlato oggettivo, l’oggetto pre­ sente, il dato in quanto rivelato, l’idea come ideata, il significa­ to dell’ente. Il costitutivo della coscienza è invece l’atto (noesi) nella sua dimensione Menzionante, in quanto significante. Il dato è dunque distinto dall’attività della coscienza, anche se l’intenzionalità comporta una reciproca correlazione tra dato e attività. L’atto è pertanto essenzialmente proteso verso il suo termine-oggetto in una dimensione di alterità, così come la

21 Cfr., per esempio, Logische Untersuchungen, il, 5, Halle 1901, pp. 386 s., 392, 395 e Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänome­ nologischen Philosophie, I, ed. cit. 111, pp. 237-39. Sul rapporto BrentanoHusserl, ci limitiamo a segnalare M. Brück, Über das Verhältnis E. Husserls zu Franz Brentano, Würzburg 1933. 22 Per quanto concerne la fondatezza o meno dell’accusa di psicolo­ gismo mossa a Brentano, cfr. i primi due capitoli del saggio citato di Bau­ sola. 23 Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Beilage xx zu § 39, ed. cit. VI, p. 470. 24 Noema. com’è ovvio, viene da voctv, e per Husserl questo si iden­ tifica con 1'unmittelbare Sehen come tale: «Das unmittelbare 'Sehen' (voctv), nicht bloss das sinnliche, erfahrende Sehen, sondern das Sehen überhaupt als originär gebendes Bewusstsein welcher Art immer, ist die Rechtsquelle aller vernünftigen Behauptungen» (Ideen zu einer reinen Phänomenologie, 1, ed. cit. III,* p. 44).

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coscienza è essenzialmente intenzionalità oggettivante. Dirà giustamente Scheler: «secondo Husserl, il ‘noema' e la ‘noesi si condizionano reciprocamente nella loro modalità qualitati­ va»25. La categoria della correlazione essenziale tra coscienza e oggetto noematico sembra così costituire l’essenza della feno­ menologia. Conseguentemente, l’oggetto verso cui la coscienza è in­ tenzionata, come non si identifica con la coscienza, così non ha una consistenza ontologica trascendente l’ambito della co­ scienza (non è la res). Ogni problema concernente il rapporto ontologico del noema con una realtà trascendente la coscienza è uno pseudoproblema. La preoccupazione costante di Hus­ serl è proprio quella di cogliere ogni contenuto di coscienza nella sua relazione intenzionale con la coscienza. L’oggetto esprime un significato in quanto puro correlato della coscien­ za. Misura di ogni significato è il contenuto di coscienza nella stretta dimensione in cui esso si svela alla coscienza, come dato, come ‘fenomeno’. Il ‘fenomeno’ viene contrapposto non alla realtà come tale, all’essere, ma alla realtà non percepita o non intenzionata dalla coscienza, al non-fenomeno, all’essere in sé ipostatizzato fuori dall’attinenza con la coscienza. Il fenomeno è «un reale ‘vero’ essere (wirkliches ‘wahrhaftes’ Sein)»26, è l’essere come vero, l’essere in sé manifestato alla coscienza, il cogitatum qua cogitatum. Mentre precedentemen­ te la filosofia e le scienze agitavano, intorno all’essere, proble­ mi inerenti all’esistenza, all’apparenza, alla possibilità, all’oggettività, la fenomenologia husserliana si preoccupa dell’essere in quanto intenzionato dalla coscienza e che come tale riveste un significato, a prescindere se l’essere inteso dalla coscienza sia fittizio, illusorio o incarnato in una reale entità spazio-tem­ porale27. Com’è facile rilevare, la differenziazione dalla interpre-

25 M. Scheler, Der Formalismus, p. 408, nota 1. 26 Ideen zu einer reinen Phänomenologie, I, ed. cit. III, p. 48. 27 «Das Eidos, das reine Wesen, kann sich intuitiv in Erfahrungsge­ gebenheiten, in solchen der Wahrnehmung, Erinnerung usw., exemplifizie­ ren, ebensogut aber auch in blossen Phantasiegegebenheiten. Demgemäss können wir, ein Wesen selbst und originär zu erfassen, von entsprechenden erfahrenden Anschauungen ausgehen, ebensowohl aber auch von nicht-erfah­ renden, nicht-daseiner/assenden, vielmehr 'bloss einbildenden Anschauun­ gen» (ibidem, p. 16).

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fazione scolastica della intenzionalità è ben definita. Uobjectum non è più il riflesso intelligibile della res, ma l’essere ideato, disimplicato da ogni problematica di adeguazione a una realtà trascendente la coscienza. Il costitutivo della verità non è, per la fenomenologia, l’essere in sé che è presente alla coscienza, ma l’essere in sé in quanto è presente alla coscienza: «tutto ciò che esiste per me può attingere il suo senso di essere {Seinssinn) esclusivamente da me, dalla sfera della mia coscienza»28. La coscienza non si limita a scoprire, designare, manifestare, denotare la realtà o anche significarla nell’acce­ zione di esplicitarne il senso, ma si assume il compito di signi­ ficare il senso della realtà nell’accezione di costituirne il signi­ ficato, divenendo insieme il campo rivelativo, significativo e costitutivo del fenomeno, «unico Fondamento di validità (Gel­ tungsgrund) di ogni valore e di ogni fondamento oggettivo»29. Mentre per la filosofia scolastica la coscienza era disvelativa dell’essere e costitutiva del vero logico, per la fenomenologia essa è costitutiva dell’essere, nella sua accezione fenomenica. E, mentre gli scolastici si preoccupavano di tutelare l’assolu­ tezza dell’essere con la considerazione della trascendenza del suo contenuto ontologico, la fenomenologia si preoccupa di rivendicare la medesima istanza eliminando un preteso conte­ nuto al di là del puro dato fenomenologico, contenuto che secondo l’interpretazione fenomenologica - resterebbe, in quella prospettiva, attingibile dalla coscienza non nella sua inseità ma nella sua rappresentatività. Se, per un verso, la co­ scienza è concepita dalla fenomenologia come rapporto all’es­ sere, per un altro verso l’essere è costituito dalla sua attinenza alla coscienza, è il ‘puro fenomeno’. «Le monde phénoménologique - osserva Merleau-Ponty - n’est pas l’expficitation d’un ótre préalable, mais la fondation de Tètre, la philosophie n’est pas le reflet d’une vérité préalable, mais comme l’art la réalisation d’une vérité»30. Conseguentemente, l’intenzionalità ontologica assume, nella filosofia scolastica e in quella feno­ menologica, una diversa accezione: mentre per la prima Tesse­ re dato alla coscienza è l’ente esistente (in atto o potenzial-

28 Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, ed. cit. I, p. 176. 29 Ibidem, p. 65. 50 M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris 1945,

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mente) circoscritto da una essenza, per la seconda esso è il significato intenzionale, il puro significato, cioè l’essenza co­ me tale, rapportata solo contingentemente alla sua potenziali­ tà esistenziale. Anche rispetto alla visuale kantiana e fenomenistica in genere il fenomeno husserliano, pur nell’ambito della costitu­ zione dell’oggetto da parte della struttura della coscienza, ri­ veste una diversa accezione, in quanto non sottende un reali­ smo agnostico, non è fenomeno di un noumeno. Il fenomeno, per Kant, è manifestazione dell’essere in un suo apparire con­ trapposto al suo essere in sé, mentre per Husserl esso è mani­ festazione dell’essere in sé. Husserl, a differenza di Kant, af­ ferma la conoscibilità dell’essere in sé, ma, mentre Husserl per ‘essere in sé’ intende l’essere in sé rapportato alla coscien­ za, Kant intende l’essere come l’al di là dell’esperienza, in una diversa prospettiva ontologica. La fenomenologia pretende al­ l’assolutezza della verità proprio nella misura in cui si pone come superamento del fenomenismo. In una più esplicita indagine, il fenomeno husserliano è la ‘figura ideale’ {eidos), Hessenza’ {Wesen), la struttura tipica, il quid, la condizione di possibilità, il significato intenzionale dell’essere individuale. La filosofia si configura come scienza dell’essenziale, discosta sia dall’atteggiamento naturalistico che coglie i dati di fatto nella loro individualità ontico-empirica, sia da quello psicologistico che ravvisa nell’essenza una valenza soggettivistica. L’essenza husserliana, nella sua dimen­ sione universale e immutabile, non è generalità astratta, né legge formale, ma totalità e universalità concreta, neutra sia rispetto al riferimento esistenziale sia rispetto al riferimento psicologico’1. La coscienza coglie le essenze in una visione immediata, intuitivamente. L’intenzionalità è ‘visione delle essenze’ {We­ sensschau) e la fenomenologia è studio delle idealità viste in­ tuitivamente. Come tale, l’universale intuito è un a priori inte­ so non in un’accezione formale-categoriale, ma in un’accezio­ ne eidetica, materiale o contenutistica.31

31 Tutte le essenze costituiscono, per Husserl, universali concreti, aventi o un valore universale (le essenze formali-categoriali, non realizzabili sensibilmente) o un valore specifico (le essenze materiali, realizzabili sensi­ bilmente).

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La nota che caratterizza l’intuizione e informa l’intenzio­ ne significativa della coscienza è l’evidenza, «la forma generale per eccellenza dell’intenzionalità»,2. «L’assoluta datità (Gege­ benheit) è un criterio ultimo (ein Letztes)», così come l’autotrasparenza o autodisvelamento (Selbstgegebenheit) è «l’ultima norma (letzte Norm)»”. La realtà, nella misura in cui è cogitatum, è sempre evidente, anche se in modo inadeguato. L’evi­ denza è quella del cogito di fronte al suo cogitatum, non esten­ sibile a una realtà trascendente la coscienza. L’evidenza, e con­ seguentemente la verità, cui fa appello l’analisi fenomenologi­ ca si attua quindi su un piano pre-logico e pre-discorsivo, è la presenza dell’immediato anteriormente a ogni tematizzazione scientifica. L’apodittico husserliano è anteriore a ogni pensie­ ro predicativo, nel tentativo di pervenire, in una radicale criti­ cità, a un sapere originario, fondativo del sapere logico e di­ scorsivo. In quanto visione pre-teoretica della realtà, l’eviden­ za non si oppone al pensiero, ma ne è il fondamento. Il giudi­ zio è vero non in quanto attribuisce un predicato a un sogget­ to, ma in quanto sintesi derivata di intuizioni di essenze’4. Il criticismo husserliano, seguendo l’istanza cartesiana del ricominciamento radicale e della riduzione della filosofia a scienza del fondamento assoluto” , mira a chiarire il problema epistemologico mediante la ricerca dei dati originari che stan­ no a fondamento della conoscenza, secondo un «procedimen­ to veramente libero da pregiudizi o puramente positivo (sach-3245

32 Formale und transzendentale Logik, ed. cit. XVII, p. 166. Sul con­ cetto di evidenza in Husserl e sul suo rapporto con la verità, cfr. P. Valo­ ri, II metodo fenomenologico e la fondazione della' filosofia, Roma 1959, pp. 111-28. 33 Die Idee der Phänomenologie, ed. cit. II, p. 61. 34 Cfr. E. Lévinas, La théorie de l’intuition dans la Philosophie de Husserl, Paris 1930. 35 De Waelhens pone in rilievo certe affinità tra Cartesio e Husserl, quali il rifiuto di accettare la storia della filosofia, la fiducia assoluta nella ragione purificata dal peso delle teorie, la concezione unitaria del sapere e del metodo, l’atteggiamento di superiorità tipico del matematico (A. De W ae­ lhens, De la phénoménologie à l’existentialisme, in Le choix, le monde, l’existence, Grenoble-Paris 1948, p. 42). Sulla diversa posizione dei due filosofi di fronte alla ricerca del principio, cfr. P. Thévenaz, La question du point de départ radicai chez Descartes et Husserl, in Prohlèmes actuels de la phénoméno­ logie, a cura di H.L. van Breda, Bruxelles 1952, pp. 15 ss.; S. Vanni Rovighi, Il «cogito» di Cartesio e il «cogito» di Husserl, in Cartesio, suppl. al voi. XX della «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 1937, pp. 767-80.

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lich)»',b. Esso intende recuperare il senso dell’essere e il senso della conoscenza, deformati sia dall’ideale sperimentale-scien­ tifico di verità che riduceva le leggi logiche ai condizionamenti psicologici, sia dalle sovrastrutture teorizzanti che avevano perduto il contatto con la realtà. Per Husserl, come per Carte­ sio, il sapere viene ricondotto a una visione. Il ritorno all’ori­ ginario, al non inferito, alle ‘cose stesse’ (zu den Sachen selbst), la ‘conversione all’oggetto’ (Wendung zum Objekt) denotano il tentativo di ricondurre la conoscenza a una visione dell’im­ mediato. Il «principio di tutti i principi» è «che ogni visione originariamente offerente (originar gebende Anschauung) è una sorgente legittima della conoscenza, che tutto ciò che ci si dà originariamente nell’intuizione’ (per così dire, in carne ed ossa) è da assumere non solo semplicemente come si presenta, ma anche soltanto nei limiti nei quali si presenta»3637. Il proble­ ma epistemologico è ritorno all’originario, nella misura in cui la conoscenza viene concepita limitatamente alla presenza visi­ va, alla lettura, alla descrizione delle essenze irriducibili che si autodisvelano, e rimane aliena da ogni suggestione di spiega­ zione e di sistematizzazione teoretica. L’intuizione fenomenologica è pertanto lontana dall’in­ tuizione empirica cui si richiama l’esperienza positivistica, atta a cogliere il dato immediato nella sua esistenza effettiva, come fatto ontico, nella sua fattualità non-significativa. L’intuizione fenomenologica non è esperienza di un fatto, ma apprensione dell’essenza o del significato del fatto, in quanto esso si autodà alla coscienza; essa, pur presupponendo l’intuizione del concreto, la trascende, in quanto coglie l’aspetto disindivi­ duante del dato, lo significa, lo considera indice di una visione eidetica. Se si vuole, per intuizione fenomenologica si può anche intendere l’esperienza di un fatto, purché per ‘fatto’ si 36 Ideen zu einer reinen Phänomenologie, I, ed. cit. III, p. 44. Nel ritorno husserliano all’esperienza dei significati e delle cose, è possibile in­ travedere, in una certa misura, anche il peso di talune istanze dell’empiri­ smo inglese. Ci limitiamo a ricordare A. Brunner, La personne incarnée. Elude sur la phénoménologie et la Philosophie existentialiste, Paris 1947, p. 10 s.; G. Berger, Husserl et Hume, in «Revue Internationale de Philoso­ phie», 1939, pp. 342-53. E noto che Husserl ravvisò nel Treatise di Hume «der erste systematische Entwurf zu einer reinen, obschon nicht eidetischen Phänomenologie» (Ideen zu einer reinen Phänomenologie, III, Nachwort 6, ed. cit. v, p. 155). 37 Ideen zu einer reinen Phänomenologie, I, ed. cit. III, p. 52.

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intenda il dato originario correlato alla coscienza, e non il fatto oggetto di indagine delle scienze positive. L'eidos husser­ liano, nella stessa misura in cui non è configurabile come uni­ versale ipostatizzato né come universale nominale né come universale rappresentativo astratto dalla singolarità e afferma­ to successivamente nel giudizio, non è neppure configurabile come singolarità assoluta vincolata a una individuazione spa­ zio-temporale38. 2.

l ’e p o c h é tra scen den ta le d ell ’a ffe r m a z io n e

ESISTENZIALE DEL DATO EMPIRICO PSICOLOGICO

e d ell ’io

L’approfondimento dell’intenzionalità mira a conquistare «in modo definitivo il libero orizzonte dei fenomeni trascenden­ talmente purificati»39. La purificazione trascendentale com­ porta, in una inscindibile correlazione, che il dato passi dalla sfera ontica, effettiva, empirica a quella trascendentale e la

38 II ‘vero positivismo’ con cui Husserl ama contraddistinguere la fenomenologia (detto anche ‘empirismo radicale’) non ha nulla in comune proprio a causa della sua radicalità - con il positivismo o con l’empirismo tradizionali, nel senso che in Husserl il ‘positivo’ assume la connotazione di «quanto è comprensibile nel suo significato originario». L’esperienza cui si richiama Husserl non è l’esperienza compiuta dall’io empirico né verte su un dato fattuale. Le Sachen «sind nicht ohne weiteres Natursachen, W irk­ lichkeit im gewöhnlichen Sinne nicht ohne weiteres Wirklichkeit über­ haupt». «Also der Erfahrung substituieren wir das allgemeinere ‘An­ schauung’, und somit lehnen wir die Identifikation von Wissenschaft über­ haupt und Erfahrungswissenschaft ab.» «Sagt ‘Positivismus’ soviel wie abso­ lut vorurteilsfreie Gründung aller Wissenschaften auf das ‘Positive’, d.i. ori­ ginär zu Erfassende, dann sind wir die echten Positivisten.» Mentre per gli empiristi tutti gli assiomi sono espressioni di dati-di-fatto empirici, «wir doch in voller Einsicht erkennen, dass dergleichen Sätze Gegebenheiten ei­ detischer Intuition zum explikativen Ausdruck bringen» (Ideen zu einer rei­ nen Phänomenologie, i, ed. cit. m, pp. 43, 44, 46). Oltre che dall’empirismo ingenuo, la fenomenologia di Husserl si differenzia daH’empiriocriticismo di Avenarius e di Mach, nella misura in cui questo, pur volendo costruire una filosofia rigorosamente scientifica, aliena da ogni incidenza della metafisica e della tradizione e che descriva i tratti essenziali della reine Erfahrung, non si pone tuttavia il problema di una costitutività dell’esperienza, non trascende ì’ambito della sensazione e afferma il carattere indifferenziato dell’io e del mondo empirico, del mondo esterno e del mondo interno. . 39 Ideen zu einer reinen Phänomenologie, I, introd., ed. cit. III, p. 5.

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coscienza dall’attività empirica e psicologica a quella trascen­ dentale. Tale passaggio si verifica operando Yepoché della realtà esistenziale, del dato empirico e degli schemi e delle torme psicologiche dell’attività della coscienza. L ’epocbé è anzitutto la sospensione della tesi esistenziale o effettiva della realtà. Non è soppressione, negazione o dub­ bio, ma astrazione, omissione, ‘riduzione’ (Reduktion), un ‘porre fuori valore’ (Aussergeltungsetzen), un ‘inibire’ (Inhi­ bieren)\ una ‘neutralizzazione’ (Ausschaltung), una ‘messa tra parentesi’ (Einklammerung) o ‘fuori uso’ (ausser Aktion) di ogni affermazione e teoria relative all’‘esistenza del mondo dell’esperienza’ (Sein der Erfahrungswelt)*0. La riduzione fenomenologica, in quanto metodo pura­ mente ed essenzialmente visivo, mira alla ri-conduzione del dato alla sua originarietà tramite la rimozione di ogni pregiu-' dizio (Voraussetzungslosigkeit) alterante, di ogni persuasione di senso comune o scientifica, del tradizionale, del codificato, del concluso, del non proiettabile come figura ideale possibi­ le, dell’astratto, del non vissuto o non percepito, del non sen­ sato, del pre-dato e come tale del non-posto. La riduzione fenomenologica è proposta come l’unico metodo d ’indagine atto a rivendicare l’autonomia delle essen­ ze e a risolvere la problematica del fondamento radicale. Lun­ gi dall’essere una tecnica o un metodo astratto, essa è insita nel processo stesso della conoscenza come intenzionalità. Più che un momento propedeutico alla visione delle essenze, essa è la visione stessa delle essenze nella misura in cui questa è, negativamente, astensione dalla visione della fattualità conclu­ sa e insignificante. E un ‘portone d’accesso’ alla fenomenolo­ gia, non propriamente nel senso di un’attività antecedente la visione delle essenze, ma nel senso che ne costituisce la condi­ zione concomitante, in una correlazione che sembra richiama­ re - trasposta dal piano morale a quello epistemologico - la kantiana dimensione negativa della libertà come presupposto40

40 Cfr. Cartesianische Meditationen, ed. cit. I, p. 59 s.; Ideen zu einer reinen Phänomenologie, I, ed. cit. 111, p. 65 s. Scheler attenua - a nostro avviso, con scarsa fondatezza - la dimensione della riduzione husserliana della tesi esistenziale, definendola un ‘prescindere’, un ‘lasciar lì’, un ‘porre tra parentesi’ i ‘modi di esistere’ (Daseinsmodi), non Inesistenza stessa’ (Da­ sein selbst) (Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 86, nota 2).

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di quella positiva. Come tale, la riduzione è una metodologia che coinvolge intrinsecamente una filosofia, ed è già essa stes­ sa filosofia, filosofia del significato radicale della realtà, ‘filo­ sofia prima’4142. Non è una teoria filosofica, ma un atteggiamento dello spirito, una pratica intellettuale e insieme morale, un’ascesi liberatrice, tendente a sottrarre l’uomo allo smarrimento del senso del mondo (Weltverlorenheit) mediante un ‘rivolgi­ mento totale’ (totale U m stellung1, una radicale metanoia nell’accedere alla visione offerente della realtà. E una scepsi del significato, ardua perché vincolata al rigore intuitivo e descrittivo della realtà «soltanto nei limiti nei quali si presen­ ta»43. È «un compito infinito»44, che rimette in discussione ogni definitività e invita a ricominciare sempre di nuovo a imparare a vedere il mondo. La riduzione, come la verità, rimane per la coscienza finita un limite ideale, un t ÉXo en I laag 1969. In tale saggio, il cui intento c, come nell'opera precedente, quello eli offrire un’analisi fenomenologica comparata di tematiche affini ai due filosofi, l'autore, alla luce di due lettere di Heidegger, ricorda che questi inviò una copia di Sem und Zeit a Scheler, ritenendolo, se non l’unico, uno dei |KX'hi atti a giudicare del valore dell’opera. Heidegger del resto aveva avuto già occasione di parlare della sua problematica con Scheler tra la fine del 1927 c l’inizio del 1928. Ancora a Scheler Heidegger dedicava nel 1929 Kant und das Problem der Metaphysik. Secondo Frings, inoltre, il primo I leidegger, contrariamente alla usuale interpretazione, sarebbe stato più vi­ cino alla tematica di Scheler che a quella di Husserl. Tra le affinità poste in luce dall’autore ci limitiamo a segnalare quella esistente tra la natürliche Weltanschauung di Scheler c la Alltäglichkeit di Heidegger. Secondo la no-

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tutto personale: non tanto per sottoporsi, lui dalla mente così esuberante, alla rigorosa disciplina metodologica della ridu­ zione eidetica come fine a sé stante, quanto perché il metodo fenomenologico deve essergli sembrato lo strumento più ido­ neo per evidenziare e potenziare la ricchezza del metodo di intuizione che aveva già largamente attinto dalla lettura di Bergson12e per superare in una dimensione realistica il forma­ lismo del metodo trascendentale, nonché per sottrarre la co­ scienza a quelle illusioni, alimentate dalla teoria psicologistica, che precludevano di instaurare un contatto diretto col mon­*il

stre opinione, bisognerebbe ancor di più evidenziare come Heidegger, pur nel contesto di certe tematiche comuni anche a Schcler, tenti di rivendicare il carattere esistenziale c storico del soggetto personale c la ricerca del 'senso dell'essere’, che come tali non erano stati sufficientemente valorizzati da Schcler o avevano avuto in lui una diversa connotazione. Inoltre Heidegger, pur essendosi accostato alla tematica del significato ontologico del valore, non nutre particolari simpatie per la filosofia dei valori come tale, in quanto essa non sarebbe che «l’ultima e più compiuta espressione» dello spostarsi della verità dell’essere verso la soggettività (M. Heidegger, Holzwege, Frank­ furt 1952, p. 223). E, ancora, mentre Heidegger si accosta alla visione del­ l’uomo con intenti prevalentemente ontologici, Scheler infonde a tale acco­ stamento un carattere prevalentemente etico. Ricoeur legittima ampiamente l’originalità di Schcler nell’ambito del movimento fenomenologico: «ce pcnseur étonnamment douc, d’une intelligence passionnée et d’une sensibilità frémissante et mobile, ne hit jamais enclos dans unc discipline méthodologique fixe, ni d’aillcurs dans un sccteur déterminé ile rcchcrchc» (P Ricoeur, Quelques figures Je la Philoso­ phie allemande conlentporaine. in llisloire de la philosophie allemande di E. Bréhier, appendice. Paris 195-4 **, p. 197). Nota ancora Spicgclbcrg: «In Munich Scheler found thè method which was congenial to him [...]. What attractcd him to phcnomenology was not thè analysis and Separation ol thè phenomcna carricd out in strictest discipline, which had tound its most incorruptiblc model in Alexander Pfänder. Schcler. who rushed ahead with his charactcristic brilliance, was not madc for chccking and counter-checking. For him something different was essential in phenomenology: he had discovcrcd in it a method ol Intuition. Actually, Scheler had been aware of thè importance of intuition in phylosophy even belore he went to Munich. For it was he himself [...] who had discovered Bergson» (H. Spicgclbcrg, The Phenomenological Movement, cit., p. 236). Anche di questo parere fu Nicolai Hartmann: nel circolo di Monaco Scheler «land ein Rüstzeug, das seiner intuitiven Denkart entsprach» (N. Hartmann, Max Scheler, in «Kant­ Studien», 33, 1928, p. XII). Per i rapporti tra Schcler c la scuola fenomeno­ logica in generale, cfr. H. Noack, Scheler und die phänomenologische Schule, in H. Noack, Die Philosophie Westeuropas im zwanzigsten Jahrhundert. Bascl-btuttgart 1962, pp. 224-43.

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MlUXKR F. Il MOVIMENTO FKNOMI.NOUXIICO

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ilo". In ultima analisi, più che un metodo, la fenomenologia doveva sembrargli Io strumento più atto a promuovere una nuova Weltanschauung, un nuovo stile di vita sperimentato in modo de-simbolizzante". Mancando nelle opere di Scheler una trattazione sistematica ed esaustiva dei problemi metodologico e gnoseologico, ci li­ miteremo a passare in rassegna i principali saggi in cui tali problemi vengono discussi, con l’intento di offrire in un primo momento i motivi per lo più consoni all’ispirazione husserlia­ na e in un secondo momento quelli che se ne allontanano. Prima dell’incontro con Husserl, le opere giovanili Bei­ träge zur Feststellung der Beziehungen zwischen den logischen

" A proposito di certe esigenze di carattere morale c religioso che avrebbero condizionato e provocato l’accostamento di Scheler al tipo di evidenza proprio del metodo fenomenologico, Dupuy si domanda «si c’cst d'abord la nostalgie d une ccrtainc attitude religieuse et morale singulicremcnt oublicc de nos jours qui a poussé Scheler dans Ics voies de la phénoménologic, ou si c’est au contrairc l’assimilation sans prévention de cene méthode de commerce immédiat avee la conscience. Ics ctres et Ics choscs, qui a préparé la critique morale. Mais cotte alternative doit ótre rejetéc: aucun des deux factcurs cnvisagés n’est absolument premier, ils constituent plutót fune et l'autrc deux expressions, cn des domaines différents, d’une mème alfirmation fondamentale». E per quel che concerne in panicolare il tipo umano vagheggiato da Scheler: «la philosophic phénoménologiquc n'est pas le principe proprement dit du jugement sevère que Scheler pone sur son epoque. Ce jugement procède d'autres raisonì plus activcs [...] qui seraicnt certainement parvenues à s’explicitcr et à se formuler avee le con­ cours d une autre méthode. Mais si, en venu mime de la parente qui unissait intimement aux yeux de Scheler Tattitudc’ phénoménologiquc, et les vertus essentielles du type humain qu’il opposait à l'homme moderne, l’expcrience progressive de phénoménologue est venue corrohorer les intuitions du moraliste, certe justification, [xiur n’ctre pas la source dirette de ces intuitions, n’est pas disqualifiéc de ce seul lait et mcritc que on l'examinc pour elle-mèmc, cn dépit de ce qu’clle peul avoir de prémédité. Bref, l’alliancc de la phcnomcnologie et d'un certain ethos, alliancc qui confère aux ouvrages les plus connus de Scheler l'apparence d'une phcnomcnologie suspectc parce qu’’engagéc’ nous parait souvent ètre le fait d'un ’recoupement’, et non le resultai d ’un asservissement, plus o moins conscient d ’une méthode scientifique à une option morale» (M. Dupuy, La philosophte de Max Scheler. Son évolution et son unite. I, Paris 1959, pp. 105-107). 14 Ciò non esclude che Scheler si sia occupato espressamente anche di problemi inerenti alla teoria tcnomenologica come tale. Cfr., per esem­ pio, Phänomenologie und Erkenntnistheorie e Lehre von den drei Tatsachen, in Nachlass, I; Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen.

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SCHLLLK 1. IL MOVIMI.NTO fT_\< >MHNC)U k ;|C< I

und ethischen Prinzipien (dissertazione tenuta a Jena nel 1897 e pubblicata nella stessa città nel 1899) e Die transzendentale und die psychologische Methode. Eine grundsätzliche Erörter­ ung zur philosophischen Methodik (tesi di abilitazione discus­ sa a Jena nel 1899 e pubblicata a Lipsia nel 1900), scritte sotto la guida di R. Eucken, enunciano già la ricerca di una fonda­ zione gnoseologica della filosofia, soprattutto il secondo sag­ gio, in cui vengono criticati sia il metodo trascendentale kan­ tiano e neokantiano sia il metodo psicologistico di Wundt e di Lipps. Ma il metodo ‘noologico’, auspicato già da Hucken e presentato come sintesi dei due metodi, non riflette ancora i caratteri del metodo fenomenologico1’. È solo nel 1911-12 che, nel saggio Lehre von den drei Tatsachen, seguito nel 1913-14 da Phänomenologie und Er­ kenntnistheorie (entrambi pubblicati postumi), affiora una prima acerba enunciazione del metodo fenomenologico. De­ gna di rilievo la precisazione, d’ispirazione husserliana, che la fenomenologia è un atteggiamento e non un metodo (Ich sage 'Einstellung , nicht Methode) e che «il vissuto e l’intuito sono ‘dati’ soltanto nello stesso atto vivente e intuente»1*. L’articolo Versuche einer Philosophie des Lehens (pub­ blicato nel 1913 nella rivista «Die Wcissen Blätter», I, 3; ri­ pubblicato, con aggiunte di rilievo, nel 1915 e inserito nella raccolta Abhandlungen und Aufsätze, per poi essere definitiva­ mente collocato nel 1919 in Vom Umsturz der Werte), nel tentativo di riscontrare un’armonia tra la Philosophie des Le­ bens propugnata da Nietzsche, Dilthey e Bergson e gli intenti dell atteggiamento fenomenologico, conferma l’istanza che la fenomenologia si traduca in una relazione immediata di vita vissuta col mondo.15 15 Przyuara vede nella tesi di abilitazione di Scheler «das erste Anhau­ chen» del metodo fenomenologico (E. Przvuara, Religionshegriindung Max Schcler-j.il. Newman, Freiburg i. B. 1923, p. 7). Dello stesso parere c Dupuy (M. Dupuy. Im philosophie de Max Scheler, l, cit., p. 97). A noi pare che non manchino, nel saggio, tematiche che verranno riprese successivamente da Scheler (critica del formalismo, a priori materiale, irriducibilità dello spirito, rapporto essenziale tra spirito e datità-alterità, teoria degli atti dello spirito, importanza del fattore storico come testimonianza della pluralità di culture ecc.), ma non ci sembra che esso rifletta già la metodologia specificamente fenomenologica, anche se questa si porrà il compito di sopperire alla deficien­ za dei metodi trascendentale e psicologico. • 16 Phänomenologie und Erkenntnistheone, in Nachlass, I, p. 380.

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m;iiu j :r e il mi »viment«) h :nmknMENOLOGICO

sn iic- ricondotto all’assoluto della coscienza trascendentale, costitutivo della struttura del mondo intenzionato: «la struttui .i ilei mondo e la struttura dello spirito formano [...] un rap­ inino di essenza ed è escluso che la struttura del mondo venga considerata come una semplice ‘formazione’ (Formung) da parte dello spirito, o come una semplice conseguenza della nostra legge espericnziale di un mondo o della legge esperien/iale da parte di uno spirito in generale»*65. In ultima istanza Sclieler, nel definire la riduzione fenomenologica, si preoccu­ pa si di tutelare la riduzione eidetica, con l’eliminazione di ogni carattere di fattualità del dato e di relatività dell’atto conoscitivo, ma nello stesso tempo intende connotare il rap­ porto spirito-mondo come correlazione essenziale e reciproca, in un contesto che vuole rivendicarne il carattere ontologico: ■■il rapporto di essenza e le essenzialità hanno in tal senso sempre, fin dall’inizio, un significato ontologico (ontische Be­ deutung). E in questo senso Xontologia (Ontologie) dello spiri­ to e del mondo precede sempre ogni teoria della conoscen­ za»64. Lo spirito in generale non è pertanto produttivo, ma ostensivo deH’essere65, anche se il passaggio dalla filosofia al-

lileiht und durch intellektuelle Akte überhaupt nicht erfassbar ist» (Vom l.teigen im Menschen, pret. alla 2“ cd., p. 17); c ciò anche per lo spirito assoluto, in quanto l'esistenza trascende essenzialmente ogni sapere e ogni coscienza (Idealismus-Realismus, in Späte Schriften, pp. 186, 20-1). M Phänomenologie und Erkenntnistheorie, in Nachlass, I, p. 394 s. ■Wie die Wesenheiten, so sind auch Zusammenhänge zwischen ihnen 'gege­ ben, und nicht durch den ‘Verstand’ hervorgebracht oder ‘erzeugt’. Sic sind erschaut, und nicht ‘gemacht’» (Der Formalismus, p. 86). Osserva, a tale proposito, Ricoeur: «la recherche d'unc origine radicale du còte d ’un l.go transccndantal lui est elle absolument étrangère; les questions de possibililé prcalablc, qui nourrissent toute philosophic transcendantalc, le tourhent moins que l'investigation ile cela qui est donné» (P. Ricoeur, Quelques /igures de la philosophic allemande contemporaine, cit., p. 198). M Phänomenologie und Erkenntnistheorie, in Nachlass, I, p. 396. In un contesto preheideggeriano, Vontisch in Schclcr non viene contrapposto al mondo ontologico, ma esprime la radicalizzazionc nel mondo oggettivo del­ l’essere. 65 Osserva Hessen: «Zugleich hat er die Phänomenologie von dem erkenntnistheorctischcn Idealismus, mit dem Husserl sie verquickt hatte, losgelöst und sic auf den Boden einer realistischen Erkenntnistheorie ge­ stellt» (J. Hessen, Max Scheler. Eine kritische Einführung in seine Philoso­ phie, cit., p. 20). Sulla mancanza in Schclcr - a differenza di 11usseri della funzione ‘costitutiva’, nel senso di ‘costruttiva’ o ‘produttiva’ dell’og­ getto da parte del soggetto intenzionantc, cfr. E. Stein, Welt und Person,

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St'HFI IH l; IL MUVIMKNTt) FLNOMKNOLllGICn

l’esperienza religiosa imporrà - come vedremo - nuovi oriz­ zonti a tale tematica. Non solo, ma, siccome il «centro concre­ to di atti» o la «totalità concreta» dello spirito è data dalla persona66, è lecito affermare che, mentre in Husserl la ricerca fenomenologica sfociava nella costituzione del contenuto di esperienza da parte della coscienza trascendentale, in Scheler essa assume sempre più una valenza personalistica, in quanto il correlato dell’esperienza oggettiva delle essenze è dato dal­ l’essere stesso della persona, la qual cosa potrebbe consentire, in una certa misura, a Scheler di iniziare l’accostamento della tematica fenomenologica ad alcuni contenuti della filosofia esistenziale. Tale accostamento trova anche un ulteriore ri­ scontro nell’intento di Scheler - assai più accentuato che in Husserl - di armonizzare, pur in un contesto essenzialistico qual è quello fenomenologico, l’istanza dc\Yepoche con la sto­ ricità delle strutture dello spirito umano: «non posso separare la teoria della conoscenza dai grandi problemi che pone la storia delle strutture dello spirito umano»67, anche se, per un altro verso, la riduzione fenomenologica dell’ultimo Scheler assumerà nei riguardi della realtà una funzione gnoseologica decisamente più negativa che in Husserl. Anche il ‘coefficiente di realtà’ assume una connotazione di­ versa, più estesa che in Husserl. Non denota soltanto il mondo esistenziale e contingente, ma coinvolge anche la Umwelt o il milieu biologico dell’uomo, con l’esclusiva funzione di rispon­ dere ai bisogni vitali dell’organismo corporeo umano66. Il reale diventa pertanto, oltre che il non-essenziale, e quindi l’inattingibile intuitivamente, il correlato del Leib, cioè del corpo uma­ no vivente. Conseguentemente, il mondo che caratterizza 1’‘at­ teggiamento naturale’ (natürliche Weltanschauung), proprio di una adesione ai fatti espressi in una struttura tolemaica, e

cit., p. 11, ove l’ex assistente di Husserl pone in rilievo il carattere ontologi­ co della fenomenologia di Scheler, in contrasto con ‘l’abbandono’ del rivol­ gersi all'oggetto e con il ritorno al kantismo e all’idealismo trascendentale, propri dell’ultimo Husserl. 66 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 85. 67 Der Formalismus, pref. alla 3‘ ed., p. 22. Tale intento trova confer­ ma nella pref. a Die Wissensformen und die Gesellschaft. 68 Cfr., per esempio, Phänomenologie und Erkenntnistheorie, in Nachlass, I, pp. 434 ss. 52

SCIILLtlt E n. MOVIMENTO FENOMENOIiXilCO

quello ‘scientifico’ (wissenschaftliche Weltanschauung), pro­ prio di una adesione ai fatti codificati da una struttura coper­ nicana, è costituito non più esclusivamente dal wirklich, dalla persuasione cioè «che le cose, quando noi lasciamo la stanza, rimangono sul tavolo così come stanno»69, oppure dalla «co­ noscenza per simboli»70, ma anche dal mondo ambientale dell’uomo in quanto essere biologico71*75. In attesa di soffer­ marci più esplicitamente sulla natura del milieu e sull’impor­ tanza che esso riveste nella fenomenologia scheleriana, ci li­ mitiamo ora a rilevare che il ‘reale’ passerà facilmente da una lase di contingenza e di incomprensibilità alla fase di ‘resi­ stenza’ (Widerstand). La realtà verrà data in modo originario nell’esperienza vissuta della resistenza attiva, come correlato vissuto dell’attività'2. La realtà verrà opposta all’oggcttualità (Realsein ist nicht Gegenstandsein), per cui non potrà essere provata e rimarrà inaccessibile all’intelletto, alla rappresenta­ zione, al pensiero «come il colore all’udito, il numero tre al gusto e all’odorato»7’. In tal senso Scheler, come si opporrà a ogni forma di deduzione razionale idealistica del momento della realtà, così si opporrà a ogni forma di inferenza raziona­ le di esso, propugnata per esempio dal ‘realismo critico’ di ( ). Kiilpe. La realtà potrà essere soltanto ‘vissuta’ (erlebt) co­ me «resistenza all’attività spontanea sia volontaria sia invo­ lontaria, caratterizzata cioè sia come volontà sia come impul-

w Lehre von den drei Tatsachen, ibidem, p. 451 ; Phänomenologie und Erkenntnistheorie, ibidem, pp. 402 ss. 70 Phänomenologie und Erkenntnistheorie, ibidem, pp. 411 ss. «1° Der phänomenologische Gegenstand ist ‘selbstgegeben’. 2° Der Gegenstand der natürlichen Weltanschauung ist symbolisch gegeben, stellt sich aber selbst dar’. 3° Der Gegenstand der Wissenschaft ist nur symbolisch ge­ meint und wird durch ein künstlich gesetztes Zeichen dargestellt» (Lehre von den drei Tatsachen, ibidem, p. 461). 71 Cfr., per esempio, Lehre von den drei Tatsachen, ibidem, p. 436. 12 Cfr., per esempio, Der Eormalismus, pp. 149 ss.; Ordo Amons, in Nachlass, I, p. 356; Vom Ewigen im Menschen, pp. 17, 93, 187 s., 215 ss. 75 Erkenntnis und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 363 s. «Es gibt für den Wirklichkeitscindruck nicht eine besondere angebbarc Sensation (hart, fest, etc.). Auch die Wahrnehmung, die Erinne­ rung, das Denken und alle möglichen perzeptiven Akte vermögen uns die­ sen Eindruck nicht zu verschaffen: was sie geben, ist immer nur das (zufälli­ ge) Sosein der Dinge, niemals ihr Dasein» (Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 42 s.).

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SCHI J.LR K II. MOVIMKNTO CKN< »MKISK»LOGICO

so»7\ La riduzione fenomenologica implicherà pertanto una nuova modalità, cioè la rinunzia alla propria volontà realizza­ trice. Nell’ultimo Scheler, infine, lo spirito verrà caratterizza­ to come impotente, come originariamente privo di ogni atti­ vità ed energia, ovvero di ogni capacità volitiva realizzatrice, e l’esperienza della realtà si tramuterà in esperienza di resi­ stenza a un impulso biologico originario, presente negli esseri vegetali come nello spirito747576. La realtà sarà il correlato del­ l’impulso vitale, così come l’essenza sarà il correlato dello spirito. La riduzione fenomenologica non si dovrà più limitare, come in Husserl, a sospendere il giudizio di esistenza della realtà, ma dovrà essere intesa come eliminazione dell’‘ango­ scia del terrestre’, come ‘de-realizzazione’ o come ‘abrogazio­ ne’ della stessa realtà (e, con essa, della caratterizzazione del­ l’individualità e della posizione spazio-temporale), cioè del­ l’impulso vitale fonte di ogni resistenza Lo spirito potrà ac-

74 Erkenntnis und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 364. In ciò Schelcr si dichiara d ’accordo con le istanze presenti in Duns Scoto, Berkeley, Reid, Jacobi, Maine de Biran, Schelling, Schopenhauer, ma soprattutto si ispira a Dilthey, cui peraltro rimprovera sia di aver concepito l’attività riduttivamente come attività volontaria cosciente, sia di aver conce­ pito la ‘resistenza’ come particolare ‘sensazione di resistenza’ ( Widerstands­ empfindung) (ottica, acustica) a discapito dell’immediatezza dell’esperienza vissuta da parte della propria attività centrale: non sono le ‘sensazioni’ che resistono, ma le ‘cose stesse’ (ibidem, pp. 365, 370). Per Scheler, in partico­ lare, non è da una soggettività già prefigurata - come in Husserl - che si perviene all'ammissione di una realtà diversa dall'io, ma, al contrario, è ‘un sapere estatico’ (ekstatisches Wissen), prc-riflessivo, anteriore all’autoco­ scienza dell’io e nel quale le cose si posseggono senza averne coscienza (come nei bambini c negli animali), che genera la resistenza del reale e quindi un actus-reflexivus che fa assumere consapevolezza di ogni forma conoscitiva e del suo riferirsi all’io. L’immanenza alla coscienza c pertanto conseguente (cfr. Idealismus-Realismus, in Späte Schriften, p. 188 s.; Er­ kenntnis und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 370). 7’ Cfr. Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, pp. 44, 52. 76 «Was heisst es, die Welt ‘entwirklichen’ oder die Welt ’idcicren' Fs heisst nicht, wie Husserl meint, das (schon in jeder natürlichen Wahr­ nehmung liegende) Existenzurteil zurückhaltcn; das Urteil ‘A ist real’ for­ dert ja in seinem Prädikat selbst eine Erlebnis/r///i/«g, wenn ‘real’ nicht ein leeres Wort sein soll. Es heisst vielmehr, das Realitätsmoment selbst ver­ suchsweise (für uns) aufbeben, jenen ganzen, ungeteilten machtvollen Realitätseindruk mit seinem affektiven Korrelat annihilieren - heisst, jene ‘Angst

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sa n im i t il. movimento 11 nomiinolixìico

cedere al mondo delle essenze soltanto se, contrapposto al­ l’impulso, ne vincerà la resistenza, fonte del momento della realtà. Un particolare rilievo riveste la concezione scheleriana della riduzione fenomenologica in quel che caratterizza il suo ac­ cento prevalentemente morale. Tale prospettiva consente a Scheler di accentuare ulteriormente il distacco dall’interpreta­ zione, logica e teoretica, di Husserl. Le fonti principali ci ven­ gono offerte fin dai primi scritti, da Liebe und Erkenntnis, da Orda Amoris, da Probleme der Religion e da Vom Wesen der Philosophie und der moralischen Bedingung des philosophi­ schen Erkennern“. Il conoscere, pur essendo contraddistinto da una relazione ontologica, non riveste una funzione riduttivamente teoretica, ma c mosso dall’amore, che è «forza uni­ versale», «azione elevatrice immanente al mondo e ad esso trascendente», atta a «suscitare (die Weckerin) il conoscere e

iles Irdischen' beseitigen, die, wie Schiller sagt, ‘dahin’ nur ist ‘in jenen Regionen, wo die reinen Formen wohnen’. Denn alle Wirklichkeit, schon weil sie Wirklichkeit ist, und ganz gleichgültig, was sie ist, ist für jedes lebendige Wesen zunächst ein hemmender, beengender Druck und die ‘rei­ ne’ Angst (ohne jedes Objekt) ihr Korrelat. Dieser im Grunde asketische Akt der Entwirklichung kann, wenn Dasein ‘Widerstand’ ist, nur in der Aufhebung, in der Ausserkraltsetzung eben jenes Lehensdranges bestehen, im Verhältnis zu dem die Welt vor allem als Widerstand erscheint» (ibidem, p. 4) s.); cfr. anche Idealismus-Realismus, in Späte Schriften, pp. 207 s„ 222 s., 251; Probleme einer Soziologie des Wissens, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 138. 77 Cfr. anche in Phänomenologie und Erkenntnistheorie l’accenno al ‘vissuto’ che può coinvolgere anche atti di sentimento, di amore, di volontà e di fede (in Nachlass, I, p. 384). Per quanto concerne la datazione della stesura c della pubblicazione dei saggi citati, Liebe und Erkenntnis apparve nel 1915 in «Die weissen Blätter», II, 8; quindi fu inserito nel 1916 nella raccolta Krieg und Aufbau e infine nel 1923 in Schriften zur Soziologie und Weltanschauungslehre', Orda Amoris risale al 1916, anche se fu pubblicato postumo in Schriften aus dem Nachlass (cfr. nota di Maria Scheler in Nach­ lass, 1, p. 516); Probleme der Religion fu pubblicato nel 1921, ma era stato iniziato fin dal 1915-16 (cfr. pref. alla 1* ed. di Vom Ewigen im Menschen, p. 8, la relativa nota di Maria Scheler in Anmerkungen zu Text und Fussnoten, p. 463, la nota 298 a p. 595 di Der Formalismus c soprattutto l’intera storia del testo redatta da Maria Scheler in Vom Ewigen im Menschen, pp. 451-58); Vom Wesen der Philosophie apparve nel 1917 in «Summa», II, e quindi raccolto in Vom Ewigen im Menschen (per la storia del testo, cfr. la nota di Maria Scheler in Vom Ewigen im Menschen, p. 453).

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SCHUM* E IL MOVIMENTO lUNOMENOUXHCO

il volere»78. «Il sapere (Wissen) è una relazione ontologica (Seinsverhältnis) [...]. E il rapporto di partecipazione di un ente all’essenza di un altro ente [...]. La molla del compimen­ to degli atti che conducono a una qualche forma di tale parte­ cipazione può essere soltanto quell’atto di prendere parte, tra­ scendendo se stessi e il proprio essere, che noi chiamiamo ‘amore’ nel suo significato più proprio»7’. Se il conoscere è anteriore al volere - in ciò d’accordo con la teoria tomistica tuttavia con Agostino e con Pascal, e in opposizione alla con­ cezione tomistica, Scheler riafferma il primato dell’amore sia sul conoscere sia sul volere8“. «Dappertutto l’amante precede il conoscente»81*. A tale tesi fa riscontro la tesi del condizionamento mora­ le della conoscenza del bene: «l’acquisto della capacità sogget­ tiva di comprendere il bene è legato alla eliminazione dei moti­ vi d’inganno, cioè soprattutto delle forme di vita consistenti in un agire e in un volere oggettivamente cattivi e abitudinari»87. E, dato il rapporto tra comprensione del valore e comprensio­ ne dell’essere, tale condizionamento si estende ‘indirettamen­ te’ anche alla comprensione dell’essere8’. L’atteggiamento mo­ rale diventa così condizione dell’atteggiamento fenomenolo­ gico e si configura come ‘slancio morale’ (moralischer Auf­ schwung), considerato non come funzione di un aspetto del­ l’uomo, ma in armonia con «l’antica esigenza platonica, in virtù della quale tutto l’uomo deve cercare nella filosofia la partecipazione all’essenzialità»84*.Non che tale slancio concer­ na il risultato della ricerca o il contenuto della filosofia, secon­ do l’errata affermazione fichtiana per la quale «la filosofia che

78 Ordo Amons, in Nachlass, I, p. 355 s. 79 Erkenntnis und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 203. Cfr. anche Probleme der Religion, in cui l’amore è definito «Urbedingung aller philosophischen Erkenntnis» (in Vom Ewigen im Menschen, p. 298). 80 Cfr. Uehe und Erkenntnis, in Schriften zur Soziologie, pp. 92-95. «Der Mensch ist, ehe er ein ens cogitans ist oder ein ens volens, ein ens amans» (Ordo Amoris, in Nachlass, I, p. 356). 81 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 81. Cfr. anche Der Formalismus, p. 273. 87 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 79. 81 Cfr. ibidem, p. 82. * 84 Ibidem, p. 85.

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SCHLLER L IL MOVIMENTI) IT-NOMENOUXÌICO

si ha dipende daH’uomo che si è»81*85, ma soltanto «l’origine della condotta filosofica dello spirito e l’intenzione unitaria che es­ senzialmente le appartiene»86. Più propriamente, esso consiste nel «tentare di estrarre fattivamente il centro attivo del proprio spirito dalla sua interdipendenza psico-fisica e biologico-umana» e, in ultima analisi, nel «trascendere se stessi» regolando il centro attivo del proprio spirito secondo l’idea di Dio. Lo slancio morale attinge pertanto una duplice polarità: «una im­ mediata unione dell’essere proprio con l’essere dell’elemento essenziale» e la ricerca concomitante di «divinizzare se stesso o diventare simile a Dio (secondo l’affermazione di Platone)», con un collocarsi in una prospettiva conoscitiva divina87. Tale disposizione morale si può conseguentemente esprimere me­ diante tre atti fondamentali: «l’amore dell’intera persona spiri­ tuale verso il valore e l’essere assoluti; l’umiliazione del proprio io naturale; l’autodominio e, soltanto tramite esso, l’oggettivazione degli impulsi della vita, vissuta come dato ‘corporeo’ e corporalmente fondato, impulsi che contribuiscono sempre e necessariamente a condizionare la percezione sensitiva natura­ le»88. È pertanto lo ‘slancio morale’ che consente di svincolarci

81 ìbidem. 86 ìbidem, p. 87. 87 ìbidem, p. 86 s. 88 ìbidem, p. 89. L’esigenza dell’umiltà è anche descritta in Zur Reha­ bilitierung der Tugend, pubblicato nel 1913 in «Die weissen Blätter», I, -4, inserito successivamente nella raccolta Abhandlungen und Aufsätze (1915), e poi definitivamente in Vom Umsturz der Werte (1919). Essa costituisce «ein stetiges inneres Pulsen von geistiger Dicnstbcrcitschafi im Kerne unserer Existenz, von Dienstbereitschaft gegen alle Dinge» (in Vom Umsturz der Werte, p. 17), così come il ‘rispetto riverenziale’ (Ehrfurcht) consente, esso solo, l’accesso a «das Geheimnis der Dinge und die Werttiefe ihrer Exi­ stenz» (ibidem, p. 26). Anzi il ‘perdersi’ per ‘guadagnarsi in Dio’ «das ist im Sittlichen die Demut und im Intellektuellen die reine ‘Intuition’» (ibidem, p. 23). La medesima esigenza deU'umiltà è richiesta da Schclcr per accedere al ‘punto di partenza' di ogni filosofia, costituito dalla prima delle evidenze fondamentali, la quale significa che qualcosa in generale è (Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 93). Tale meraviglia che in generale qualcosa sia e non piuttosto il nulla, e che riassume la questione circa l'essenza del mondo in sé esistente e della causa prima che la condizio­ na, cioè la ‘questione metafìsica per eccellenza’ (Probleme der Religion, ibi­ dem, p. 134), richiede come presupposto essenziale la disposizione morale dell’umiltà che cancella il carattere di ‘ovvietà’ del fatto deH’esscrc (Vom Wesen der Philosophie, ibidem, p. 93), nella misura in cui soltanto l’umile è consapevole, in un atteggiamento estatico, che tutto ciò che c potrebbe non

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SOIHLllR li IL MOVIMENTO PHNOMliNDLfX'.ICO

dalla relatività dell’essere biologico umano e dalla contingenza deH’esserc-oggetto. Si rende così evidente come «la tecnica spirituale conoscitiva di questo capovolgimento della persona stessa deve precedere i procedimenti esclusivamente logici di astrazione», tendenti a cogliere l’essenzialità, «procedimenti che ultimamente E. Husserl ha chiamato riduzione fenomeno­ logica»"9. Ciò denota che la stessa riduzione fenomenologica, in Scheler, prima di essere un’operazione logica, è anzitutto un metodo morale. Non solo, ma tale estensione dell’orizzonte della fenomenologia - anche se certe intuizioni di esso risulta­ no presenti, come abbiamo riferito, in certi scritti inediti di Husserl - può consentire a Scheler di fondare la fenomenolo­ gia dei valori come un ambito del tutto nuovo, irriducibile a quello della logica, nella misura in cui l’intenzionalità non è soltanto quella riduttivamente teoretica e intellettuale, ma an­ che quella emozionale e alogica, pur in un contesto rigorosa­ mente fenomenologico. In tal senso Scheler integra, o almeno potenzia, l’orizzonte husserliano della fenomenologia: egli non si limita a significare il mondo, ma propone di preferirlo e di amarlo nelle sue modalità a seconda del loro grado di elevatez­ za axiologica. La riduzione eidetica diventa per lui uno stru­ mento metodologico per la percezione affettiva e la preferenza dei valori, sollecitate dall’amore, così come la tematica del significato diventa via d’accesso alla tematica dei valori. 3.

LA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA DI SCHELER CONDIZIONATA DALLE ALTRE FONTI DELLA SUA FORMAZIONE SPIRITUALE

La peculiarità che caratterizza la collocazione della prospetti­ va di Scheler nel contesto del movimento fenomenologico e, esserci, cioè che l’essere di ogni esistente è dato quale "stupenda copertura dell’abisso del nulla assoluto’, e che - in una ulteriore intuizione, la quale coglie l’evidenza dell’essere assoluto - l'ente contingente riceve daH’assoluro l'essere che gli compete (ibidem, p. 95). Non meno imperativo sarà l’accen­ no all’esigenza dell'umiltà e della propria Nichtigkeit, a proposito della ‘drammatica’ e 'misteriosa' attribuzione della spiritualità all’i'wr a se nel­ l'ambito dell’esperienza religiosa (Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 183). 89 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen tm Menschen, p. 86, nota 2. 58

SCHELER E IL MOVIMENTO n:N()M ENOI.(X'.ICO

in particolare, l’autonomia che essa riveste nei confronti di M-iic posizioni husserliane, sono in larga misura debitrici olire che alla spiccata originalità e genialità del temperamento, .ill.t personalità poliedrica dell’autore e alla concretezza e alla n.itura dei problemi da lui affrontati, etici e religiosi in parti­ colare‘,n - ai mondo culturale che aveva alimentato il substrato della formazione e lo sviluppo spirituale del suo spirito. Un’attenta lettura di Scheler fa soprattutto emergere - per

1,0 Per Ortega y Gasset, Schclcr sarebbe, nell’ambito del movimento fenomenologico, «el primer hombrc de genio, Adàn del nuevo Paraiso» (J. rtega y Gasset, Max Scheler. Un emhriagado de esencias (1874-1928). in ••Rovista de Occidente», 20, 1928, p. 404; in Ohras Completas, IV, Madrid 1966, p. 510). Scusandoci col lettore per la lunga citazione, ci sembra degno di menzione il modo incisivo c icastico con cui Heinemann ritrae la perso­ nalità di Scheler pensatore: «der philosophische Gedanke tendiert wenig­ stens zu einem neuen Ansatz, der Natur und Geschichte, Trieb und Geist, Mensch und Gort in einem Blick umlasst. Scheler war eine überragende Potenz, von reicher Wirkung auf die breitesten Kreise der Wissenschaft und Bildung, dadurch Glied der europäischen Geistes- und Mcnschcngcschich te, begabt mit einer geradezu staunenswerten Plastizität und Aufnahme­ fähigkeit des psychischen Apparates, einem Gehirn von ungeheurer Reizbar­ keit und einer Empfänglichkeit für feinste Nuancen und Schattierungen, das mit unglaublicher Schnelligkeit die Eindrücke verarbeitete, das Wesent­ liche bildhaft erfasste und in neuer Beleuchtung zurückstrahlte. Dadurch ein grosser Anreger, Bahnbrecher, schenkender Geist, dem Leben Philoso­ phieren aus der Fülle war: eine grosse philosophische Natur, ich möchte sagen das grösste ‘animal philosophicum’ der Zeit [...]. Daher jene tiefe Zeitverbundenheit, die nicht die Ewigkeit wählt, obwohl sich ihm die Ewig­ keit öffnete, sondern die Zeit, die Forderung der Stunde, den Augenblick, das Neue, das Neueste bis an die Grenze der Mode [...]. Er war das glän­ zende Sprachrohr des Augenblicks [...]. Ein dämonisches, durch die Sta­ dien seiner Existenz gehetztes Wesen, cine bestia cupidissima rerum nova­ rum, die sich nie bei der sic umgebenden Wirklichkeit beruhigt, sondern immer begierig, die Schranken ihres ‘Jetzt-Mier-So-Seins’ und ihrer Umwelt zu durchbrechen, darunter ihre eigene jeweilige Selbstwirklichkcit [...]. Aus diesen Grundcharaktcr [...J ergibt sich die Stärke seiner Schriften, Lebens­ nähe, Reichtum an Problemen und Gedanken, Feinfühligkeit für alle Zu­ stände des menschlichen Seelenlebens und der Kultur, Originalität der Fas­ sung und Analyse des Wesentlichen, reichstes Wissen auf allen Gebieten mit stetiger Verarbeitung des Neuesten, so dass seine Schriften von un­ schätzbarem Wert sind, dabei aber mehr Umrissskizzen als detaillierte Zeichnungen, keine gewachsenen organischen Werke, sondern Sammelbän­ de von Essays mit heterogenem Inhalt, wobei die Masse des Hinzuströmen­ den jeden Rahmen explosiv sprengt» (F. Heinemann, Neue Wege der Philo­ sophie. Geist-Leben-Existenz. Eine Einführung in die Philosophie der Gegen­ wart, Leipzig 1929, p. J49 s.).

SCH1XER E II. MO\TMENTO ITNOMKNfUiXJKX)

quel che concerne l’angolo visivo della nostra tematica un’incidenza di non lieve portata operata dalla tradizione platonica-agostiniana-pascaliana (anche in quel che concerne la sua eco in Malebranche) e da richiami nietzschiani, diltheyani e bergsoniani, oltre che, specie nei primissimi saggi, da influs­ si desunti dal maestro Eucken. Riservandoci di evidenziare in misura più analitica i richiami ai diversi autori suaccennati e ad altri di minore rilievo, in occasione della ricostruzione criti­ ca del pensiero morale di Scheler, ci sia consentito in questa fase della ricerca, dopo aver già richiamato l’influsso di Hus­ serl, richiamare altresì sinteticamente le ispirazioni fondamen­ tali che fecero presa - condizionandoli - sulla genesi e sull’evolversi della tematica scheleriana. Scheler discute la dissertazione e la tesi di abilitazione con Eucken, di cui pone spesso in evidenza i meriti, soprattutto nel saggio Die deutsche Philosophie der Gegenwart. E attraver­ so il contatto col maestro che egli matura l’intento di restituire dignità e autonomia alla metafisica e di offrire una nuova vi­ sione della vita. In particolare Scheler si dichiara debitore a Eucken - e in parte al neokantiano Otto Liebmann - per la presa di posizione antinaturalistica, alimentata del resto anche alla scuola di Dilthey a Berlino91. Come il maestro aveva opta­ to per una «vita spirituale fondata su se stessa e sottoposta a finalità proprie»92, così Scheler in Die transzendentale und die psychologische Methode sostiene, in polemica con lo psicologi­ smo che riconduceva il giudizio a un puro fatto di coscienza, la tesi della inoggettivabilità dell’atto spirituale e, in particola­ re, che è essenziale alla vita dello spirito che gli atti colgano, in una unità indivisibile, la realtà nella sua alterità con pretesa

91 Cfr. Die deutsche Philosophie der Gegenwart, in Wesen und For­ men der Sympathie, p. 27-4 s. Tale presa di posizione fu diretta inoltre nei riguardi di E. Hacckcl (uno dei professori seguiti da Scheler), come risulta anche dal saggio Zur Idee des Menschen (1915), dedicato alla difesa della spiritualità dell'uomo contro la teoria positivistica e pragmatistica. Partico­ larmente appassionata risulterà la difesa scheleriana della natura spirituale dell'atto di amore, in polemica con Freud e con la teoria naturalistica (cfr. Wesen und Formen der Sympathie, pp. 175-208). 92 R.Ch. Eucken, Der Kampf um einen geistigen Lebensinhalt, Leip­ zig 18%, p. 27.

SCHELER E II. M( >V1MENTO FEN< >MEN< JLCXilCO

ili validità (Gültigkeitsanspruch)'*'. Nello stesso saggio Scheler, seguendo l’indirizzo del maestro, rifiuta il metodo trascenden­ tale, adottato dalla scuola di Marburgo e soprattutto da Co­ hen, perché esso, pur ammettendo l’irriducibilità dello spirito, non dà spazio all’apporto del divenire storico culturale e per­ che, a causa del suo apriorismo formale, non può non sfociare in un oggettivismo logico**. Non meno insoddisfacente gli ap­ pare il metodo psicologico, adottato soprattutto da Wundt e ila Lipps, nella misura in cui non salvaguarda l’autonomia dello spirituale dallo psicologico. Nell’attingere espressamente da Eucken il metodo ‘noologico’ come sintesi dei due metodi, Scheler intende inserire nel contenuto della vita dello spirito ogni sviluppo storico della cultura, quell Arbeitswelt che de­ nota «l’insieme delle realizzazioni comunemente riconosciute dalla cultura umana»95. Non mancano tuttavia in Scheler espressioni di dissenso da alcune posizioni di Eucken. Scheler, per esempio e per

9> «Unter geistigem Leben aber verstehen wir hier alle Wirklichkeit, ilie in ihrer Form des Seins zugleich über sich selbst hinausdeutet auf ein là was, was sie selbst nicht ist, und in diesem Übersichselbsthinausdcutcn mit ihrer Wirklichkeit ein Recht, eine Gültigkeit zu einer untrennbaren Ein­ heit verbindet» (Die transzendentale und die psychologische Methode, in Frü­ he Schriften, p. 321 ). 94 La sterilità del metodo trascendentale è denunziata anche da Win­ delband c da Rickert. Quest’ultimo intende fondare la cultura sulla dimen­ sione spirituale dell’uomo e su un sistema axiologico apriorico, mediante una riflessione che sia insieme psicologica e trascendentale. Non mancano affinità con certe istanze scheleriane, anche se Scheler, nel definire il sapere come ‘relazione ontologica’, criticherà la gnoseologia di Rickert, che basava l'essenza della conoscenza sulle «Formen der Materie der Anschauung» (Er­ kenntnis und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 202), cosi come ripudierà la sua concezione imperativa del dovcr-cssere (Der For­ malismus, p. 218). 95 Die transzendentale und die psychologische Methode, in Frühe Schriften, p. 334 s. Scheler osserva che Eucken, nel fondare il suo ‘idealismo della vita dello spirito’, si sarebbe in larga misura ispirato all'idealismo prati­ co di Fichte (cfr. Die deutsche Philosophie der Gegenwart, in Wesen und Formen der Sympathie, p. 274). È possibile che Fichte, tramite la mediazione di Eucken, abbia influito in qualche modo su Scheler, per esempio a propo­ sito della caratterizzazione della persona come ‘centro di atti’, o del duali­ smo antropologico tra persona e essere psichico-naturale o della partecipa­ zione della persona all'assoluto. Esamineremo successivamente la dimensio­ ne di tale possibilità e vedremo, in particolare, che non si potrà parlare, in Scheler, di uno sbocco idealistico.

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SOILLLK t IL MOVIMENTO FENOMENOLOGICO

quanto concerne la nostra tematica, non condivide la tesi del maestro - propria anche di Windelband e di Natorp - relativa alla dipendenza della religione dalla morale'*, ed arriva ad attribuire alla sua filosofia una connotazione gnostica, per la mancata distinzione tra religione e metafisica . Divergente anche la concezione della libertà: in Scheler la libertà non è intesa, come in Eucken e in Lutero, come dono della grazia divina, il che pregiudicherebbe l’autonomia dell’etica natura­ le, anche se Scheler non ammetterà alcuna spontanea libertà di fronte a Dio*. Abbiamo già sottolineato come l’atteggiamento fenomenologi­ co sia sorretto, secondo Scheler, da certi condizionamenti di carattere morale, soprattutto da quello slancio amoroso, inte­ so come pura forma di eros, che è «amore per l’essenziale»", che consente di ‘partecipare’ dell’essenza di un altro ente me­ diante un atto non riconducibile alla pura tcoreticità e che, quale espressione di tutta la persona, asceticamente purificata dalla contaminazione con la relatività dell’essere biologico umano e con la contingenza dell’oggetto, consente di cogliere la sfera metafisica e di diventare simili a Dio. In tale visuale il richiamo a Platone è quanto mai tangibile, anche se l’assolu­ tezza del mondo delle essenze cui si intende pervenire assume in Scheler una modalità nettamente fenomenologica, nella mi­ sura in cui viene intenzionalmente correlata all’atto del sog­ getto, e anche se Scheler non può non ripudiare il principio razionalistico platonico che risolve la conoscenza non concet­ tuale come tale in una conoscenza di natura sensibile. Del9678

96 Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 304, nota 1. 97 Die deutsche Philosophie der Gegenwart, in Wesen und Formen der Sympathie, p. 275. 98 «Das Freisein der Person vom Zwang aller Sachlaktorcn ist [...] der Habitus der Person, der den Aktus des Sichöffncns der Person in der Richtung auf mögliche göttliche Sclbstmitteilung notwendig setzt und den Eintritt der Gnade notwendig macht» {Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, in Nachlass, 1, p. 236). Da notare che nella tesi di abilitazione la libertà è intesa, in senso restrittivo, non come attitudine o disposizione {An­ lage), ma come possibilità (Möglichkeit) di scelta tra bene e male, di compie­ re o meno l’atto costitutivo della spiritualità; tale teoria non fa che riecheg­ giare il principio secondo cui la persona non è sostanza e, come tale, non possiede facoltà anteriori alla posizione di atti spirituali concreti. ■ 99 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 67.

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SCHÜLER E IL MOVIMENTO ITNOMLNC )L( XIICO

testo la stessa «tecnica di de-realizzazione del mondo e del­ I io», cioè la riduzione fenomenologica, viene indicata da Scheler come un'espressa istanza platonica: «ciò ben lo sapeva Piatone, quando faceva dipendere la visione delle idee dal distacco dell’anima dal contenuto sensibile delle cose e dal ntorno su se stessa, per ritrovarvi le ‘origini’ delle cose»1"11. I a tesi del primato fondativo dell’amore sul conoscere e sul volere, cui Scheler si richiama nel definire il rapporto tra Yens mgitans, Yens volens e Yens amans, viene espressamente rico­ nosciuta da Scheler come tesi d’ispirazione agostiniana e pascaliana*101. Agostino e Pascal sarebbero tra i pochi pensatori che avrebbero intuito l’originarietà della vita emozionale, ri­ scattandola sia da ogni contaminazione col mondo della sensi­ bilità sia da ogni assimilazione alle leggi della ragione, il che costituirebbe il presupposto fondamentale per configurare la lesi di un’etica che voglia essere insieme assoluta ed emozio­ nale"12. Sant’Agostino, in particolare, sarebbe stato il primo a recuperare l’amore da ogni ibridismo intellettualistico, pre­ sente nei greci non meno che in Tommaso d’Aquino10’. L’agostinismo di Scheler non è tuttavia del tutto omoge­ neo e sempre evidente, il che ha dato adito a non poche con­ troversie tra i critici"11. Scheler del resto, conformemente alla

wo ß 1(. Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 42. 101 Cfr., per esempio, Uehe und Erkenntnis, in Schriften zur Soziolo­ gie, pp. 92-95 e Ordo Amons, in Nachlass, I, p. 356. IW Cfr. Der Formalismus, p. 260 e Ordo Amoris, in Nachlass, 1, p. 362. 101 La psicologia tomistica viene definita da Scheler ‘intellettualisti­ ca’. nella misura in cui concede all'amore «soltanto un ruolo del tutto su­ bordinato» (Uehe und Erkenntnis, in Schriften zur Soziologie, p. 92). Sui limiti della fondatezza di tale interpretazione, cfr. la nota 2 del cap. 8° del presente lavoro. I(M Mentre, per esempio, Przywara (Religionsbegriindung. Max Sche­ ler-] H New man, cit., pp. 24 s., 57 s., 66 s., 213 s., 226, 262) nega, almeno parzialmente, il carattere agostiniano della filosofia religiosa di Scheler, Hes­ sen (Max Scheler. Etne knitsche Einführung in seine Philosophie, cit., pp. 23, 55) lo trova giustificato e legato al platonismo. Secondo 1leinemann, Scheler fa suo il neoplatonismo agostiniano, almeno in quanto vede nel mondo delle idee esistenti in Dio il supremo modello cui il soggetto umano deve confor­ marsi; in tal senso si tratterebbe di «eine Wendung vom Husserlschen Pia lonismus zu einem augustinischen Neoplatonismus» (F. 1leinemann. Neue Wege der Philosophie, cit., p. 356). Geyser, a sua volta, giudica priva di

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SCHUL LR L II. MOVIMLNTO ITJSOMLNCHXX'.ICC)

carenza di certe sue informazioni storiche, suole interpretare Agostino senza citarlo fedelmente. In lui egli ha visto il primo filosofo genuinamente cristiano e, nel fare ciò, se per un verso ha tratto giovamento per avallare il peso della propria filosofia cristiana mediante l’autorità del santo, per un altro verso ha interpretato l’autore alla luce della propria filosofia ancorata alla fenomenologia. Scheler ha così staccato sant’Agostino dal suo contesto storico e in particolare dall’influsso neoplatoni­ co, per farne emergere alcune tesi consone alle proprie analisi fenomenologiche, quali la priorità dell’amore sulla conoscen­ za, l’amore come costitutivo dell’essenza divina e dell’atto creativo e redentivo, la risposta d’amore al messaggio divino, l’abbandono all’essere, l’amore della persona come amore in Deo, la relazione del mondo delle essenze con lo spirito infini­ to (anche se, come vedremo, in Scheler tale relazione è intesa, costitutivamente, in modo reciproco). Per quanto concerne l’intuizione del mondo come autorivelazione naturale da parte dell’oggetto, e in ultima analisi come rivelazione di Dio, essa assume, in Agostino come in Scheler, una dimensione episte­ mologica oltre che psicologica. Altrettanto d ’ispirazione ago­ stiniano-platonica è la tesi della dimensione morale della co­ noscenza. Per quanto concerne poi il problema dell’esistenza di Dio, Scheler, che non può non giudicare inadeguate le pro­ ve razionali tomistiche, fa sua l’istanza agostiniana di conosce­ re Dio mediante un contatto personale, anche se non ne ac­ cetta la prova della verità10’. Il richiamo alla Philosophie des Lebens o a una certa Erlebnis­ philosophie, espresso in Versuche einer Philosophie des Lebens e in Vom Wesen der Philosophie, pone inoltre in evidenza il rapporto che lega l’atteggiamento fenomenologico scheleriano all’atteggiamento filosofico propugnato in particolare da Nietz­ sche, Dilthey e Bergson106. La conoscenza, anche per Scheler, è

fondatezza l’interpretazione schcleriana di sant’Agostino (J. Geyser, Augustin und die phänomenologische Religionsphilosophie der Gegenwart mit besonde­ rer Berücksichtigung Max Schelers, Münster 1923, cap. III). 105 Cfr. E. Przywara, Religionshegründung. Max Scheler-].H. Newman, cit., p. 66, nota 1. 106 Cfr. H.U. von Balthasar, Apokalypse der deutschen Seele, lil. Die Vergöttlichung des Todes, Salzburg-Leipzig 1939, p. 84, per quanto concer­ ni: l’influsso subito da Scheler («seine lebendigsten Wurzeln») da parte di

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SCHÜLER E II. MOVIMENTO FENOME.NK HiKIIOO

du intendersi come ‘partecipazione’ (Teilnahme) alle essenze, come incontro di vita vissuta con l’essere. Scheler tuttavia, per evitare un facile fraintendimento, si affretta a precisare che la partecipazione vitale, lungi dall’assumere una connotazione di ebbrezza dionisiaca’1"', non può non rivestire un carattere intenzionale di natura esclusivamente conoscitiva. «La filosofia e conoscenza (Erkenntnis) e il filosofo è colui che conosce»10*; anche se il ‘dato’ particolare che sta alla base della conoscenza lilosofica non sempre è dovuto a funzioni conoscitive dello spirito (come nel caso del sentimento estetico o di quello mora­ le o di quello religioso, propri di particolari scienze), l’atto*1078il

Bergson, Nietzsche, nonché di Dostoevskij, (quest’ultimo, in particolare, per il concetto di solidarietà umana). Per l’influsso da parte di Solov’èv, relativamente al problema mctalisico della vita e all’affermazione dell’asso­ luto come dato immediato della coscienza nell’attuazione del mondo e della storia cfr. H. Dahm, Vladimir Solov’èv und Max Scheler Ein Beitrag zur (ìeschichtc der Phänomenologie im Versuch einer vergleichender Interpreta­ tion, München-Salzburg 1971. 107 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 69. 108 Ibidem, p. 68. Sotto un profilo ‘metodologico’ o ‘formale’, ogni possibile filosofia c ‘intellettualistica’, qualunque sia il suo risultato in quan­ to al contenuto (ibidem, p. 69). Scheler con ciò esclude che la sua filosofia (H>ssa essere caratterizzata come intellettualismo contenutistico, secondo cui ogni contenuto materiale delle essenze debba essere necessariamente oggetto di conoscenza intellettiva. Si potrebbe dare intatti un modo di partecipazio­ ne alle essenze più immediato c più perfetto di quello della conoscenza intellettiva o filosofica o rappresentativa (per esempio, mediante la fede); in tal caso la filosofia, che non sarebbe più l’unico né il più perfetto veicolo per partecipare alle essenze, farebbe da preambolo a una partecipazione non conoscitiva, pur conservando un suo procedimento autonomo, benché limi­ tato (cfr. ibidem, p. 71). Anche l’essere del valore (Wertsein), come vedremo successivamente - come del resto la realtà in quanto tale - non sarà attingi­ bile mediante una riflessione intellettiva (in quanto oggetto non rappresen­ tabile), anche se la persona rimane in Scheler il polo unitario trascendentale ili tutti gli atti intenzionali, in quanto concreta unità ontologica di atti diver­ si per essenza (Der Formalismus, p. 382). A proposito di questa restrizione della conoscenza intellettiva a un ambito peculiare dell’essere, all’essere og­ getto di rappresentazione, Ferretti osserva opportunamente: «egli si è chiusa la possibilità di cogliere l’intelletto come la facoltà dell’essere in quanto tale [...]. È certamente irrazionalismo ipotizzare, e poi effettivamente sostenere, come farà Scheler nell’ultima fase della sua filosofia, che l'assoluto possa essere costituito da una realtà totalmente opaca al pensiero, anzi ad esso metafisicamente contrapposta, concludendo, così, che ad esso si deve parte­ cipare in un modo totalmente inaccessibile alla riflessione teoretica» (G. F’crretti, Max Scheler. Fenomenologia e antropologia personalistica, Milano 1972, p. 74).

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1 SCHKLUt i: 11. M OVIM IOTO ITiNOMHNOIXKJICn

f ilo s o f ic o tu tta v ia , in d e fin itiv a , c o m e r ifle s s io n e su tu tti i p o s s i­ b ili atti (r e lig io s o , e s t e t i c o , m o r a le ), n o n p u ò e s s e r e c h e u n a tto d i c o n o s c e n z a (Erkenntnisakt) d e l l ’o g g e t t o (allein durch den Gegenstand) d o v u t o alla to ta lità c o n c r e ta d e lla p e r s o n a 11” . A n c h e la te s i s c h e le r ia n a d e lla p r e c lu s io n e d e l d a r si d e lla rea ltà a u n a t te g g ia m e n to d im o s tr a tiv o o r a z io n a le , è d e b itr ic e - n o n o s t a n t e c e r t e r ise r v e - s o p r a t tu t to a ll’in flu s s o d i D i l ­ t h e y 11“, c o s ì c o m e la p a r tic o la r e a t t e n z io n e c h e S c h e le r riserva alla sfer a v ita le d e l l ’u o m o e al s u p e r a m e n to d e llo ‘s p ir ito b o r ­ g h e s e ’, e r e d e d e l m o n d o c a p it a lis t ic o , m e d ia n t e u n n u o v o m o ­ d e llo d i u o m o c o n s c io d e l p r o p r io v a lo r e e in c o n t a t t o v is s u to c o l m o n d o , n o n p u ò n o n r ise n tir e d e l l ’in flu s s o d i N ie t z s c h e ; e , m e n tr e in u n a p r im a fa s e il m o n is m o b io lo g ic o d i q u e s t ’u ltim o v ie n e c o n f u t a t o d a S c h e le r m e d ia n t e u n a v is io n e v ita listic a s u ­ b o r d in a ta a u n a s e r ie d i v a lo r i s u p e r io r i, l’u ltim a fa se e v o lu tiv a d e l p e n s ie r o s c h e le r ia n o è d i n u o v o p e r v a sa d a u n a c a r a tte r iz ­ z a z io n e d e l l ’a s s o lu t o , o lt r e c h e d a p a r te d e llo s p ir ito , d a p a r te d e lla v it a -im p u ls o (Drang), in u n a c o r r e la z io n e e s s e n z ia le tra rea ltà e im p u ls o c h e s e m b r a a n c o r a r ie v o c a r e c e r te in tu iz io n i n ie t z s c h ia n e . A n c h e a ltr e te s i n ie t z s c h ia n e , c o m e il d a rsi d i u n a m o lte p lic ità d i v a lo r i e il r ife r im e n to a lla c o n c r e ta in d iv i­ d u a lità d e i v a lo r i d i p e r s o n a , v e n g o n o a p p r e z z a te d a S c h e le r , p u r n o n m a n c a n d o - c o m e v e d r e m o - a m p ie r ise r v e su n o n p o c h e a ltr e t e o r ie , p e r e s e m p io s u ll’in te r p r e ta z io n e n o m in a li­ s tic a d e i v a lo r i o s u ll’e q u ip a r a z io n e d e lla m o r a le c r istia n a alla m o r a le b o r g h e s e f o n d a ta su l ‘r is e n tim e n t o ’ " 1.*10

KN Cfr. Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 85. 110 Cfr. Idealismus-Realismus, in Späte Schriften, pp. 209 ss. 111 È noto che a Scheler fu attribuito da Troeltsch l'appellativo di ‘Nietzsche cattolico’ (E. Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme, in Gesammelte Schriften, III, Tübingen 1922, p. 609). Anche sc Gurvitch so­ stiene che tale appellativo è affetto da ironia (G. Gurvitch, Lei tendances actuelles de la philosophie allemande, Paris 1949, risi, dell’cd. del 1950, p. 73), a noi pare che esso possa pretendere, in una certa misura, a una sua fondatezza, in quanto il fattore vitale riveste ncll'antTopologia e nella metafi­ sica scheleriana. soprattutto nella sua ultima fase, un'importanza decisiva. Se invece si tengono presenti altri aspetti (come il superamento del vitalismo nietzschiano da parte di Scheler, la sua critica all’intcrpreiazione nietzschia­ na dell’etica cristiana, il deciso rifiuto dcH''ateismo postulatorio' sempre d’ispirazione nietzschiana), può sembrare non privo di motivazioni il giudi­ zio di Frings che vede in qucH'appcllativo «al least a gross exaggeration» (M.S. Frings, Max Scheler, cit., p. 95).

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sRMALL l

A P R IO R I

MATLK1ÀLI

comportano un più ricco dato materiale di intuizione, sono materiali2425*. Così, per esempio, la proposizione universale 2 + 2 = 4 è formale rispetto a due coppie di qualsivoglia ogget­ ti sommati2’. L'a priori si distingue dunque, per Scheler, in a priori formale e in a priori materiale, fino alla possibilità di concepire essenzialità concernenti un solo oggetto, cioè un a priori del tutto materiale2'1. Tale distinzione non mancherà di avere - come vedremo - una rilevante applicazione nell’inda­ gine sulla struttura dei valori, a proposito del discernimento delle essenze proprio di un solo individuo. Lo stesso principio di non-contraddizione, assolutamente formale nella misura in cui è applicabile a ogni essere, e sul quale si fondano le leggi i Iella logica formale, è valido a condizione che «esso stesso abbia come fondamento un contenuto di intuizione»27, cioè in virtù di un discernimento fenomenologico. II principio di non-contraddizione «non vale per l’essere perché vale per il pensiero dell’essere, ma vale per il pensiero dell’essere perché la correlazione-di-essenza che lo realizza è attuata in ogni ‘es­ sere’ (ivi compreso il pensiero effettivo)». In ultima istanza, è il dato-di-fatto dell’« jm ' che «in virtù della sua essenza» esclude che le proposizioni ‘A è B’ e ‘A non è B’ siano simul­ taneamente vere2*, dato-di-fatto che è colto nell’intuizione. L’errata identificazione delizi priori col formale avrebbe, se­ condo Scheler, indotto Kant a intendere riduttivamente il ma­ teriale o il dato come contenuto sensoriale, riservando all’apriorico l’ambito del ‘razionale’ (Rationales)*’. Tale erronea assimilazione scaturirebbe dal presupposto humiano, eredita-

24 Cfr. Der Formalismus, p. 72 s. 25 Anche nelle proposizioni aventi valore esclusivamente a posteriori, cioè recettivo-indultivo, si darebbero una ‘forma logica’ (la strutturazione in soggetto, predicato, copula) e un ‘contenuto materiale' (quanto viene infor­ mato) (cfr. ibidem, p. 73). 2,1 Alla possibilità di un a priori del tutto materiale è legata ('alferma/tone di Scheler che nega l'indissolubilità del rapporto universalità-apriorità sancito da Kant, per cui la validità universale non ha nulla a che vedere con l'apriorità. L'universalità non appartiene in nessun modo all'essenzialità, per cui si danno anche essenzialità individuali. Cfr. ibidem, pp. 68, 94; Phäno­ menologie und Erkenntnistheorie, in Nachlass, I, p. 3%. 27 Der Formalismus, p. 72 s. Ibidem, p. 101. ** Cfr. ibidem, p. 81.

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r A P R IO R ]

FORMAI.* K A

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MATI RIALE

to «del tutto ciecamente da Kant», secondo cui il dato sareb­ be soltanto un caos di sensazioni, e dal presupposto hobbesiano secondo cui l’uomo sarebbe un caos di mozioni istintuali, onde l’esigenza di affidare Va priori all’attività spontanea della ragione teoretica e di quella pratica“'. Per Scheler il presuppo­ sto è privo di qualunque fondamento, e con esso il conseguen­ te formalismo e razionalismo di Kant, in quanto ciò che è dato immediatamente dalla sensibilità presenta un ordine axiologico proprio, anteriore a ogni attività induttiva. Come lo spazio c il tempo, così i concetti di cosa e di realtà, la verità, i valori come tali, in tanto potrebbero eludere, in Kant, un contenuto di ordine sensoriale, soggettivo e relati­ vo alla particolare struttura dell’uomo, in quanto prodotto esclusivo dell’attività informatrice ed elaboratrice dello spiri­ to. E, mentre sul piano gnoseologico il dato sensoriale sarebbe inteso come la risultanza dell’azione esercitata dalle cose sulla recettività, sul piano etico esso verrebbe concepito come lo stato affettivo sensoriale di piacere e di dispiacere con cui le cose affettano il soggetto“ . Per ovviare a tale indebita conversione del dato in dato senso­ riale e alla convertibilità del concetto di esperienza in quello di recettività o di esperienza sensibile (fonte dell’erronea con­ trapposizione kantiana tra a priori e a posteriori), Scheler ope­ ra un’analisi fenomenologica della sensazione. Per ‘contenuto ,0 Cfr. ibidem, p. 84 s. Nella concezione kantiana dell'uomo come mero «aggregato meccanico di tendenze», incapace di concepire l'amore al di là delia sfera dcll’amor proprio, sarebbe ben visibile, secondo Scheler, un atteggiamento affettivo strutturale di ‘ostilità radicale' e di ‘angosciosa diffi­ denza’ di fronte al mondo, alla natura umana e al dato come tale. 11 dato sarebbe il caos da organizzare, il ‘nemico da dominare’. In tale atteggiamen­ to trasparirebbe chiaramente, sul piano storico, l’influsso del puritanesimo, che, assieme a una profonda sfiducia nelle pulsioni naturali sottratte al con­ trollo razionale, inculcava la sfiducia dell’uomo nei riguardi dell'uomo, su­ perata esclusivamente mediante rapporti legalitari. La teoria del ‘male radi­ cale’ non farebbe che comprovare tale disposizione di spirito kantiana (cfr. ibidem p. 85 s.). La medesima preoccupazione ili lare del dato un caos di sensazioni si riscontrerebbe nella teoria che vede nell a priori una ‘potenza’ (Kraft) scoperta per inferenza dall'osservazione intcriore o esteriore. Anche questa teoria, tacciata da Scheler di ‘mitologia’, non larcbbe che ravvisare nella priori, sotto un diverso profilo, un'attività informatrice o sintetica (cfr. ibidem, p. 72). ' *■ Cfr. ibidem, p. 73.

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sensoriale' (Empfindungsinhalt) in senso fenomenologico si in­ tende «ciò che è immediatamente dato come contenuto di un sentire (Empfinden) [...], la cui apparizione e sparizione pro­ ducono una qualunque variazione nel nostro stato corporeo vissuto»’2. Il concetto di sensazione, sotto il profilo teoretico, non definisce affatto ciò che determina il contenuto come tale, ma soltanto la ‘maniera’ con cui si presenta un contenuto, per esempio un suono o un colore con i propri caratteri fenome­ nici. «Non c’è nulla di sensoriale nel colore o nel suono»”. La sensazione non è dunque un oggetto determinato né un con­ tenuto di intuizione, ma la «relazione variabile che esiste tra uno stato corporeo e i fenomeni del mondo esteriore o inte­ riore». Il suo contenuto è «il punto terminale di questa rela­ zione». Quindi la sensazione pura non è mai data: «è una x da determinare o meglio un simbolo con cui descriviamo quella tale dipendenza»’4. Scheler si preoccupa, così, attingendo alla teoria della Gestallpsychologie, di subordinare la sensazione alla visione di un dato essenziale, a una intuizione categoriale, e di riscattare il dato immediato da ogni risoluzione sensuali­ stica e meccanicistica, presente in Newton non meno che in Kant, pur ponendo in evidenza lo stretto legame, per un esse­ re strutturato organicamente, tra contenuto intuitivo e sensi­ bilità. Il compito della filosofia non sarebbe «quello di co­ struire ipoteticamente i contenuti intuitivi a partire dalle sen­ sazioni, ma, al contrario, di purificare, per quanto possibile, i contenuti intuitivi dalle sensazioni organiche che le accompa­ gnano sempre e che sono, esse sole, le autentiche sensazio­ ni»”. Quanto trascende il quid del dato farebbe parte di quei presupposti che non interessano l’ambito strettamente inten­ zionale, così come non interessa alla visione del rosso la circo­ stanza che chi vede «possiede un polmone e due gambe»’6. u Ibidem p. 77. Le modificazioni organiche ‘sentite’ sono, per esem­ pio, la fame, la sete, il dolore, il benessere, la stanchezza. Invece i suoni, i colori, le qualità olfattive e gustative, proprie dell’intuizione esteriore, pos­ sono chiamarsi ‘sensazioni’ soltanto «per comodità di linguaggio», nella mi­ sura in cui, pur non essendo sensazioni, sono regolarmente accompagnate ila sensazioni autentiche, cioè da alterazioni nell'organismo corporeo (cfr. ibidem). ” Ibidem, p. 74. M Ibidem, p. 78. *’ ìbidem. ,h Ibidem, p. 79.

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Vedremo successivamente in quale misura la sensazione viene depauperata, in Scheler, di ogni dimensione propriamente gnoseologica, per rivestire una valenza vitalistico-utilitaristica, in funzione del proprio corpo (Leib). Per quanto concerne, in particolare, la riduzione, sul piano etico, del dato materiale della volontà alla risonanza di esso sull’affettività sensoriale, più precisamente all’esperienza del piacere o del dispiacere, Scheicr ribadisce il tentativo di inversione dell’ordine reale delle cose operato da Kant. Non è la volontà a essere determinata dall’esperienza del piacere o del dispiacere, ma è l’esperienza del piacere o del dispiacere a presupporre la determinazione della volontà da parte di un contenuto materiale a priori, in tal caso del valore del piacevo­ le. Analogamente, quando è la legge a determinare la volontà pura, è la stessa legge a proporsi come contenuto della volon­ tà. Pertanto «ogni volere si fonda su contenuti materiali (Ma­ terien) a priori», cioè su «qualità di valore»1'. Lo stato affetti­ vo sensoriale di piacere o di dispiacere riveste, in seno al mon­ do dei valori in cui c incorporato, il ruolo di semplice «feno­ meno concomitante del tutto secondario»'*1. Risulta pertanto erronea l’identificazione dell’or priori col ‘pen­ sato’ (Gedachtes). Nessuna dottrina avrebbe così a lungo ‘pa­ ralizzato’ la teoria della conoscenza come quella che «parte dal presupposto secondo cui un fattore della conoscenza deb­ ba essere o un ‘contenuto costitutivo sensoriale’ o un ‘pensa­ to’» ’**9. Tale alternativa pregiudicherebbe la possibilità di con-

,7 Ibidem, p. 81. ,B Ibidem, p. 79. L'analisi di certi fatti confermerebbe la falsità del presupposto kantiano. Un atto volitivo, per esempio, quanto più è energico c appassionato (sino al culmine dell'eroismo) tanto più ci trascina in uno stadio in cui ‘ci si perde’ nel valore progettato e nel contenuto immaginativo da realizzare, fino a far cessare la stessa rappresentazione della risonanza dell’azione sul sentimento. Il dato che emerge, in tal caso, e costituito dalla nostra volizione del contenuto, mentre l'affettività sensoriale (per esempio, la stanchezza, il dolore) viene emarginata. Anzi è tale la distinzione tra l’elemento materiale della volontà e la sua risonanza affettivo-scnsorialc, che la ricerca o la rappresentazione del sentimento sensoriale produce un effetto ‘essenzialmente negativo c selettivo’ sulla volizione del contenuto materiale, in quanto l’inibisce, la limita o l’arresta del tutto (cfr. ibidem, pp. 79 ss.). ’9 Ibidem, p. 81 s. Traduciamo il termine Gehalt con ‘contenuto costitutivo’. Scheler adopera, spesso a breve distanza l’uno dall’altro, sia il

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ferire un contenuto ai concetti di cosa, di realtà, di spazio, di tempo, di qualità, soprattutto ai concetti axiologici. Tali con­ cetti, infatti, e le loro connessioni o verrebbero interamente costruiti (erdacht), tratti cioè dal nulla per mezzo di un'attività pensante, oppure avrebbero un contenuto sensoriale soggetti­ vo e relativo alla particolare struttura dell’uomo. Privi di ogni contenuto oggettivo, si ridurrebbero a fattori puramente logi­ ci, a semplici relazioni, a relazioni del nulla. A tale teoria Scheler oppone l’unica soluzione ‘soddisfacente’, secondo la quale i concetti si fonderebbero su un dato intuitivo il cui contenuto non sia affatto sensoriale. L a priori quindi sarebbe un dato intuitivo immediato, e le proposizioni ‘pensate’ nei giudizi desumerebbero il loro contenuto dai fatti dell'espe­ rienza fenomenologica*40. Le incidenze dell’assimilazione della priori all’ambito della ragione sono ancora più deleterie sul piano etico. Con tale indebita limitazione Kant avrebbe sottratto l’originarietà a tutta la vita emozionale. Considerando la volontà semplice campo di applicazione della logica, egli avrebbe dissolto l’au­ tonomia dell’etica e, non potendo ricondurre nell’alveo della ragione la vita emozionale, l’avrebbe emarginata dall'etica, commettendo la ‘mostruosità’ di intendere la vita emozionale (inclusi la percezione affettiva e l’amore dei valori) come affet­ tività sensoriale, come ‘deviazione’ nell'empirismo, che affida la discriminazione del bene e del male alla natura dell’wowo41. In tale procedimento Kant si sarebbe limitato a seguire «l’antico pregiudizio secondo cui lo spirito umano è consuma­ to dall’opposizione tra ragione e sensibilità», creando un dua­ lismo che misconosce la specificità (Eigenart) di tutti gli ambi­ ti degli atti42*. E compito dell’analisi fenomenologica riscattare dall’incidenza determinante dell’esperienza sensoriale, oltre che l’attività conoscitiva e volitiva, la vita emozionale, eviden­ ziandone il contenuto originario mediante la tesi deH 'apriori­ smo dell’emozionale’4\ Emergerà da tale analisi che la vita

termine Gehalt sia il termine Inhalt. È a quest'ultimo che compete semplice­ mente il significato di 'contenuto'. 40 Ibidem. 41 Ibidem, p. 83. 42 Ibidem. 41 Ibidem, p. 84.

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emozionale non è ‘specificamente umana’, che è irriducibile a ogni forma di psicologia o di antropologia, nella misura in cui è «indipendente, nella sua essenza e nel suo contenuto, dalla fattualità della struttura organica dell’uomo»44. Non solo, ma Scheler va oltre: è l’apriorismo dell’emozionale, in particolare dell’amore e dell’odio, a costituire ‘il fondamento ultimo’ (das letzte Fundament) di ogni apriorismo, sia di quello relativo ai dati conoscitivi sia di quello relativo ai dati della volontà4’. La radice della distorsione interpretativa kantiana della priori, starebbe, a detta di Scheler, nella concezione trascendentale di esso, secondo la quale «le leggi degli oggetti dell’esperienza e della conoscenza (come della volontà) sono orientate secon­ do le leggi dell’esperienza e della conoscenza (o della volontà) degli oggetti»46. In tale prospettiva - osserva giustamente Scheler - l’intelletto non potrebbe prescrivere leggi alla natu­ ra, in quanto le leggi non sarebbero leggi della natura, nella stessa misura in cui la ragione pratica non potrebbe imporre la sua forma agli istinti se questi per loro natura iossero caoti­ ci. I principi e i concetti che non trovino la pienezza del loro compimento in contenuti essenziali apriorici evidenziati nelle cose stesse (in den Sachen selbst), vengono così da Scheler destituiti al rango di puri ‘segni convenzionali’ e la filosofia a quello di pura ‘sapienza verbale’4'. Scheler addirittura, negan­ do la presunta originarietà e immutabilità delle leggi lunzionali dello spirito, ritiene che «tutte le leggi funzionali si rifanno a un’esperienza oggettuale originaria o a un’esperienza dell’essenza»4’1. Non che egli neghi che le leggi aprioriche dell’ogget­ to debbano essere orientate secondo le leggi degli atti, ma nega che tale nonna sia da intendersi in modo ‘unilaterale’4'*.

44 Ibidem, p. 82 s. 45 Cfr. ibidem, p. 83, nota 2. 46 Ibidem, p. 90. 47 Cfr. ibidem, p. 91. 48 Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 198. 4S Der Formalismus, p. 91. La fenomenologia inoltre integrerà tale relazione riduttiva distinguendo tre forme di correlazioni-di-cssenza: quella concernente le essenzialità (c le loro correlazioni) delle qualità e degli altri contenuti inerenti alle cose, itati negli atti (SachphdnomenologieY, quella con­ cernente le essenzialità degli atti e le loro fondazioni (Akt- oder Ursprungspbänomenologie); e infine quella che intercorre tra le essenzialità degli atti c

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L’orientamento scheleriano assume pertanto connota­ zioni diverse da quello dell'apriorismo kantiano. Per la feno­ menologia, in ogni esperienza induttiva, in ogni intuizione na­ turale e in ogni esperienza scientifica, le correlazioni-di-essen­ za continuano ad attuarsi (erfüllt bleiben), nella misura in cui le cose, i beni e gli atti effettuali continuano a essere orientati secondo il contenuto apriorico dell’esperienza. Ma «questa legge fondamentale che lega l’essenza alla realtà effettuale non ha nulla a che vedere con l’erronea rivoluzione copernicana di Kant!»*’. In ultima istanza, altro è il ‘compimento’ delle es­ senzialità nei beni cosali, o l’‘orientamcnto’ di questi secondo le leggi e le connessioni delle essenzialità, altro la ‘produzione’ delle leggi dell’esperienza da parte dell’intelletto. Potrebbe allora la gnoseologia kantiana essere tacciata di sog­ gettivismo? Scheler lo nega soltanto nella misura in cui Kant non ritiene evidente e immediata esclusivamente la percezione interna, così come vorrebbe sostenere la teoria psicologistica. Kant non ha infatti assimilato l’attività razionale a un’esperien­ za psichica. Scheler ritiene anche che egli sfugga a una inter­ pretazione antropologistica dell’zz priori, almeno in etica’1. Tuttavia la valenza trascendentale da lui conferita all a priori riveste ugualmente - secondo Scheler - un carattere soggettivistico, almeno nel senso che affida l'a priori alla neces­ sità c alla validità universale del giudizio e, sul piano etico, del volere. E, per quanto pretenda sorreggere l’oggettività median­ te l’originarietà dei principi cui rinviano i giudizi, tale oggetti­ vità assume una connotazione ‘negativa’, nella misura in cui si limita a concepire il necessario come «tutto ciò il cui contrario è impossibile»’2. Per Scheler, invece, l’oggettività è demandata a un discernimento apriorico di dati-di-fatto (Tatsachenein­ sicht), dato originariamente nell’intuizione, e come tale ‘positi­ vo’” . Come si vede, è il termine objektiv che assume, nelle due prospettive noetiche, una pregnanza di significato e di fonda­

le essenzialità inerenti alle cose (per esempio il fatto che i valori siano dati soltanto nella percezione affettiva, i colori nella visione ecc.) (ibidem, p. 90). ,n Ibidem, p. 92. 51 O r. ibidem, p. 90, nota 1. w Ibidem, p. 92. ” Cfr. ibidem, p. 90 s.

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mento totalmente eterogenea. È quanto Scheler avverte con un'altra sfumatura di linguaggio, concernente la ‘sede’ dell’a priori-, «la sede propria di ogni a priori axiologico - come di ogni a priori morale - è la conoscenza dei valori ( Wert­ Erkenntnis) o intuizione dei valori (Wert-Erscbauung)»u, men­ tre Kant «deriva Va priori dalla funzione giudicatrice, anziché dal contenuto deH’intuizione che è alla hase di ogni giudi­ zio»” . In ultima istanza, se Scheler riscontra e lamenta una valenza soggettivistica nell a priori kantiano, non è per accede­ re a una visuale oggettivistica nel senso del realismo ingenuo, avulsa cioè da una connaturale correlazione dinamica del dato con l’intuizione. Scheler infatti rifiuta recisamente ogni concet­ to o principio apriorico predato (vorgegeben), che non trovi il suo pieno compimento in un dato di fatto intuitivo. Se il dato fosse ipostatizzato, ci si troverebbe di fronte al non senso di un oggetto assolutamente inconoscibile nella sua struttura essen­ ziale, o esso assumerebbe appena la parvenza di un segno convenzionale’6. In questo tentativo suggestivo di svincolare la fenomenologia da ogni interpretazione soggettivistica non me­ no che oggettivistica - non diciamo ‘oggettiva’ o ‘ontologica’ risiede, come vedremo ampiamente, l’aspetto originario e fe­ condo della prospettiva scheleriana. Non avrebbe, almeno, Kant validi motivi per rintuzzare le obiezioni mossegli da Scheler, deplorandone la valenza empi­ ristica, desumibile dal discernimento di ‘dati-di-fatto’? Scheler non se ne adombrerebbe. Come per I lusserl «noi siamo i veri positivisti»’7, così per Scheler «chi vuole chiamare ciò empiri­ smo, può farlo. La filosofia fondata sulla fenomenologia è in questo senso empirismo»’8. Si affretta però ad avvertire che i dati di fatto, contrapposti alle ‘costruzioni’ o ai ‘progetti’ del­ l’intelletto, sono fatti fenomenologicamente ‘puri’ o ‘assoluti’ (irriducibili cioè ai fatti ai quali si perviene attraverso una serie di osservazioni) e quindi gli unici a essere dati ‘in se stessi’ o nella loro evidenza. L’esperienza intuitiva dell’essenza

.

M Ibidem, p. 87. 55 ibidem, p. 88. 5 Ibidem, p. 71 s. *557* Cit. ’* Der Formalismus, p. 71.

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- dirà in Probleme der Religion - è «radicalmente ed essenzial­ mente diversa da ogni esperienza di fatti casuali, che è sempre essenzialmente anche esperienza sensibile»” . I: sempre questa preoccupazione di ordine ontologico - nel­ l’accezione che tale terminologia assume nel contesto del ca­ rattere intenzionale della conoscenza - che induce Scheler a opporsi a ogni forma di soggettivismo trascendentale. L’a prio­ ri non può scaturire dalla legge degli atri di un Io, in qualun­ que modo esso venga inteso. L’egoità come tale, anche a pre­ scindere da ogni individualità e da ogni contenuto di coscien­ za, è pur sempre «un contenuto positivo di intuizione, non un semplice correlato di un ‘soggetto logico’, né ha come predica­ ti esperienze vissute di carattere empirico»M >. L’Io non è il punto di partenza’ della comprensione delle essenzialità, mol­ to meno la loro ‘causa efficiente’ (der Produzent). Né è una essenzialità che ‘fonderebbe’ (fundierte) - unilateralmente - le altre essenzialità, seppure limitatamente alle essenzialità degli atti. Così, nell’ambito etico, l’Io si configura semplicemente come ‘portatore dei valori’, non come ‘un presupposto’ di essi o come «un soggetto che costituisce i valori (ein 'wertendes' Subjekt), per mezzo del quale i valori si darebbero o sarebbero intuibili»“ . Sarà inoltre, come vedremo, il soggettivismo tra­ scendentale a misconoscere la possibilità di una coscienza mo­ rale individuale, che cioè una certa dimensione del bene possa valere per un individuo e soltanto per esso. Scheler non limita ai valori la caratterizzazione apriorica, ma la estende alle ‘correlazioni-di-essenza’ (Wesenszusammenhän­ ge) che intercorrono tra essi. Anche nell’ambito delle correla­ zioni aprioriche si danno inoltre sia correlazioni puramente (ormali, fondate cioè sulla natura dei valori in quanto tali, sia correlazioni materiali, che dipendono dalle modalità e dalle qualità di valori o dai loro portatori“ . L’insieme delle correlazioni aprioriche puramente for­ mali costituisce una ‘axiologia pura’, che si situa accanto alla*60

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Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 198. Der Formalismus, p. 94 s. Ibidem, p. 95. Cfr. ibidem, p. 99.

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logica pura, intesa come logica degli oggetti in generale61. Appartengono, per esempio, all’essenza dei valori, indipen­ dentemente cioè da ogni percezione affettiva, la loro divisio­ ne in valori positivi e in valori negativi (per esempio, buono­ cattivo, bello-brutto, piacevole-spiacevole), e la relazione del­ l’essere (Verhältnis des Seins) a tale divisione (per esempio «l’esistenza di un valore positivo è essa stessa un valore posi­ tivo», «la non esistenza di un valore negativo è essa stessa un valore positivo»)6*. A tale axiomatica, già elaborata da Brentano, Scheler aggiunge altre correlazioni-di-essenza, quale quella che inter­ corre tra i valori e l’obbligazione ideale, secondo cui spetta esclusivamente ai valori il dover-essere o il dover-non-essere, e quella per la quale uno stesso valore non può essere insieme positivo e negativo. Né tale principio è una mera applicazione dei principi di non-contraddizione e del terzo escluso, non concernendo esso correlazioni tra proposizioni ma correlazio­ ni tra essenze. Di particolare rilievo è anche l’affermazione di Scheler secondo cui tali correlazioni-di-essenza «non sono le stesse correlazioni-di-essenza che intercorrono tra l’esistenza (Sein) e la non esistenza (Nichtsein), quasi che nel nostro caso si trattasse semplicemente dell’esistenza e della non-esistenza dei valori». Le correlazioni qui considerate concernono piut­ tosto «i valori in se stessi (selbst), del tutto indipendentemente dalla loro esistenza o non esistenza (ob sie sind oder nicht sind)»6’. Questa precisazione servirà a meglio chiarire la natu­ ra della valenza ontologica dell’axiologia scheleriana. Per quanto concerne le correlazioni-di-essenza aprioriche dipendenti dai loro portatori, i valori estetici sono valori di oggetti. I valori etici, invece, denotano un rapporto essen­ ziale ‘originario’ con la persona, e si riferiscono agli atti e ai comportamenti soltanto nella misura in cui per essi viene co­ inteso l’agire della persona: «originariamente (ursprünglich) possono essere buone o cattive soltanto le persone; il resto

H L’’axiologia pura’ comporta, oltre alla pura teoria dei valori in quanto tali, una pura teoria delle ‘valutazioni dei valori’ (Werthaltungen). Appartengono a questa, per esempio, il principio secondo cui è impossibile ritenere positivo e negativo un medesimo valore (cfr. ibidem, pp. 100 ss.). # M Ibidem, p. 100. M Ibidem. 118

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può esserlo soltanto in riferimento alle persone»**. Viceversa, una persona non può mai essere ‘piacevole’ o ‘utile’, qualità queste che ineriscono per essenza alle cose o agli avvenimenti. Conseguentemente, la persona e l’atto non possono essere da­ ti come oggetti: Poggettivabilità li sottrarrebbe a ogni visione intuitiva. Inoltre i valori etici appartengono per essenza a por­ tatori dati come reali (als real) (non a puri oggetti immaginari, per i quali la ‘parvenza’ subentra alla posizione di realtà, come potrebbe verificarsi per i valori estetici), o anche a portatori pensati' (gedachte Träger)6667*. Si dà ancora una correlazionedi-essenza apriorica tra i valori vitali e gli esseri viventi. I valo­ ri vitali, disattesi da Kant, formano una unità categoriale irri­ ducibile a ogni genere di ‘cosalità’. Si danno infine correlazioni-di-essenza aprioriche, le più importanti e fondamentali, tra le stesse modalità di valore, cioè tra le unità ultime delle serie-di-qualità axiologiche, nella misura in cui sono correlate secondo una strutturazione gerar­ chica. Sono tali correlazioni che formano propriamente Va priori materiale del nostro discernimento axiologico“ . Compi­ to precipuo dell’etica è precisamente quello di «stabilire l’or­ dine dei valori, secondo la loro superiorità o inferiorità, fon­ dato sulla loro stessa essenza, in quanto indipendente da ogni possibile sistema positivo di beni e di fini»'’''. Tali correlazioni essenziali aprioriche tra le modalità di valore verranno appro­ fondite nella disamina fenomenologica della struttura gerar­ chica dei valori. Dopo aver precisato, attraverso la critica mossa da Scheler a Kant, le differenti connotazioni che il termine a priori assume nei due filosofi, non ci pare oziosa la domanda se Scheler abbia veramente colto il pensiero di Kant e se sia riuscito a scalfirne i principi basilari. Tale domanda concerne, per il momento, esclusivamente la questione relativa alla priori, ri­ servandoci di riformularla quando toccheremo successiva66 Ibidem, p. 103. 67 Cfr. ibidem, p. 104. Anche in un’opera d’arte i portatori dei valori etici devono essere dati ‘come’ reali, senza che ciò pregiudichi la circostanza che tali portatori dati come reali tacciano parte dell’oggetto immaginario di carattere estetico. ** Cfr. ibidem, p. 122. hs Ibidem, p. 117.

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mente altri spunti critici mossi da Scheler a Kant. L’interroga­ tivo c sollecitato anche dal fatto che una nutrita letteratura, anche se per lo più ispirata a principi kantiani o neokantiani, ha lamentato in Scheler una distorsione interpretativa del pen­ siero di Kant70. A noi pare che Scheler non si sia limitato a cogliere gli aspetti marginali del pensiero kantiano, ma ne abbia colto gli aspetti essenziali, come appunto la funzione puramente for­ male assegnata all 'a priori. In particolare, non ci pare fondata l’osservazione di Herrmann, secondo cui Scheler avrebbe in­ terpretato Va priori kantiano in modo psicologico-funzionale, come semplice coordinatore del caos delle sensazioni, a disca­ pito della funzione trascendentale che esso riveste, quale con­ dizione della possibilità dell’oggetto di esperienza. Scheler in­ fatti allude espressamente al «significato trascendentale della priori» kantiano e ne apprezza, pur sottoponendola a una se­ vera disamina, la «profondità»'1. Ne egli si stanca di porre in evidenza come, per merito dell’intuizione kantiana della prio­ ri, sia stata superata in modo irreversibile la teoria psicologi­ stica dell’etica e quella, non meno erronea, che pretende desu­ mere la sua validità dal mondo relativo e contingente dei beni. Sotto tale profilo, sia Kant sia Scheler hanno cercato di confe­ rire all’etica il carattere di scienza pura, ma, mentre il primo ne ravvisa il fondamento nella dimensione trascendentale del­ la Vernunft, il secondo radica la sua purezza in una gerarchia di valori assoluti, il cui carattere ontologico non viene sminui­ to dall’essenzialità del rapporto intenzionale con la persona. Scheler del resto, secondo noi, non deprezza di per sé il carattere trascendentale della conoscenza, ma la dimensione soggettivistica (anche se non in senso empirico) che essa rive70 Ricordiamo, fra gli altri, J. Herrmann, Die Prinzipien der formalen Gesetzesethik und der materialen Wertethik Max Schelers Beitrag zum Pro­ blem des Verhältnisses zwischen Psychologie und Ethik, Breslau 1928, pp. 21-26; I. Heidemann, Untersuchungen zur Kantkritik Max Schelers, cit., pp. 45-49, 119-26, 137-44. Inoltre l'intera opera di A. Altmann, Die Grundlagen der Wertethik: Wesen, Wert, Person. Max Schelers Erkenntnis- und Seinsleh­ re in kritischer Analyse, Berlin 1931 e quella di K. Alphéus, Kant und Sche­ ler. Phänomenologische Untersuchungen zur Ethik zwecks Entscheidung des Streites zwischen der formalen Ethik Kants und der materialen Wertethik Schelers, St. Georgen 1936, sono dedicate al raffronto integrale delle due prospettive filosofiche, fatto da un punto di vista kantiano. • 71 Der Formalismus, p. 92.

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ste nella filosofia kantiana, la quale non consente di configura­ re quel mutuo rapporto essenziale tra atto e oggetto che solo può esprimere una interpretazione fenomenologica del pro­ cesso gnoseologico; ne può condividere il carattere imperso­ nale della coscienza kantiana che vanifica la natura concreta e personale dello spirito, le cui esigenze nell’ambito morale po­ trebbero, secondo Schcler, essere legate al soggetto singolare e all’istanza dell’ora. Che Scheler non nutrisse, di per sé, av­ versioni contro i criteri trascendentali della conoscenza po­ trebbe trovare una valida conferma in una nota di Der Forma­ lismus, in cui egli ritiene che la correlazione essenziale tra essenza dell’atto e essenza dell’oggetto, tra persona e mondo delle essenze è tale da «meritare il posto attribuito da Kant all’appercezione trascendentale»72, con applicazioni valide an­ che per l’ambito morale. In altri termini, sempre secondo il nostro parere, mentre presso gli scolastici il carattere trascen­ dentale investiva l’essere nei suoi predicati unum, verum, bonum\ mentre secondo Kant «questi presunti predicati trascen­ dentali delle cose non sono altro che esigenze logiche e criteri di ogni conoscenza delle cose in generale» ', per cui il concet­ to trascendentale della tradizione scolastica deve volgersi ver­ so la possibilità della conoscenza esperienziale, in Scheler il carattere trascendentale investe il mutuo rapporto tra atto e oggetto, inteso come Wesenzusammenhang. A noi pare per­ tanto che l’appercezione trascendentale kantiana rivesta una dimensione così radicalmente diversa da quella schelcriana ca­ ratterizzante la correlazione tra atto e oggetto, tra persona e mondo delle essenze, da rendere la seconda alternativa della prima. La coscienza dell’io puro infatti è, in Kant, principio [ormale unificante e fondamento della possibilità delle catego­ rie, ed è in ogni coscienza una e identica. Le correlazioni essenziali cui si riferisce Scheler, invece, non rivestono una (unzione unificante (le essenzialità sono evidenti per se stes­ se), molto meno formale. Inoltre non vediamo come la co­ scienza in generale (überhaupt) kantiana, descritta in Prolegornena come coscienza logica impersonale che perviene a rap­ porti validi universalmente e necessariamente, riveli una ben­ ché minima affinità con le tesi scheleriane dello spirito con-

72 Ibidem, p. % , nota 3. 71 Kritik der reinen Vernunft, cd. Akademie,

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III, p .

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s.

A PRIORI H «MALI: t A PRIORI MATERIALI.

creto, delle essenzialità individuali e del discernimento delle essenze proprio di un solo individuo. Oltre a ciò, l’atto con cui la persona coglie il mondo delle essenze è, per Scheler, di carattere intuitivo, così come il mondo delle essenze correlato alla persona concerne l’essere così com’è, non la sua parvenza. L’unica nota che potrebbe forse alimentare parzialmente l’ipotesi di una degna sostituzione risiederebbe nel fatto che l’unità trascendentale della coscienza in Kant non va confusa con l'unità empirica e analitica della medesima. Non ci pare per altro fondata l’interpretazione che Sche­ ler dà della teoria kantiana della conoscenza, «secondo cui un fattore della conoscenza debba essere o un ‘contenuto senso­ riale’ o un ‘pensato’», per cui i concetti verrebbero «intera­ mente costruiti (erdacht)» o tratti dal nulla per mezzo di un’attività pensante74. A nostro avviso, Kant richiederebbe sia l’intuizione ricettiva (rivendicando l’istanza della ricettività sensoriale, specie nei riguardi di Leibniz) sia la condizione trascendentale del costituirsi stesso delle cose come oggetti di esperienza. Solo che l’ambito dell'oggetto viene ristretto da Kant a quanto può far parte della nostra esperienza possibile, che è di natura fenomenica, e, in secondo luogo, il nostro modo di conoscere, delimitante la conoscenza apriorica delle cose, non ci consente di conoscere se non l’aspetto formale (o i rapporti) delle cose stesse. Inoltre, è vero che in Kant la struttura categoriale dell’intelletto, che è il modo in cui esso pensa o unifica in oggetti il materiale sensibile intuito, fa assu­ mere all’oggetto d ’esperienza la forma propria dell’intelletto, fino al punto che la struttura dell’intelletto diviene la struttura medesima della natura (e la metafisica diviene scienza della struttura apriorica dell’intelletto in quanto fonda la struttura della stessa realtà di esperienza); ma l’oggetto non è erdacht dall’intelletto: è soltanto un materiale empirico raccolto in unità (non psicologica, e come tale non soggettiva). La catego­ ria avrebbe una funzione unificante, e non creatrice, come penserebbe Scheler, anche se l’unità dell’oggetto come tale trova il suo fondamento sull’unità stessa deil’intelletto. Ecco in che senso lo stesso Kant adopera per l’intelletto il termine ‘legislatore della natura’. Invece ci sembra che Scheler abbia colto il vero pensiero .

4 Cit.

122

A PRIORI H JRMALK E A PRIORI MATERIALE

ili Kant nel tacciarlo di soggettivismo, in quanto questi affide­ rebbe Va priori alla necessità e alla validità universale del giu­ dizio e, nell’ambito etico, della volontà. Infatti è vero che la necessità del giudizio si radica, per Kant, nella necessità delle categorie, la quale c del tutto autonoma dal singolo soggetto. Analogamente, concordiamo col giudizio di Martinetti, secon­ do il quale è una «stolta accusa» il rimprovero di soggettivi­ smo rivolto alla morale kantiana, nella misura in cui «la deci­ sione è sempre presa dall’individuo [...], ma facendo appello a ciò che vi è in lui di universale, non accettando come morale se non ciò che può valere come una norma fissa e universa­ le»7’. La legge morale infatti concerne «un’azione necessaria per se stessa»757678,ha come ‘motivo oggettivo’ (Bewegungsgrund) il «principio oggettivo del volere», non il ‘movente soggettivo’ ( Triebfeder) o «principio soggettivo del desiderio» regolato «secundum principia generalia, non universalia» \ Ma, ciò premesso, e concedendo che il soggettivismo in cui incorre Kant non sia un soggettivismo di carattere empirico, anche a noi pare che Kant non riesca a evadere dall’ambito della sog­ gettività, anche se pura. Infatti per Kant il modo di pensare necessario è rappresentato dalle categorie, cioè da determina­ te strutture mentali eterne e immodificabili, che sono peculia­ ri dell’essere razionale umano e che, anziché essere rivelative della struttura della realtà, sono concetti fondamentali della ragione pura; l’esperienza dell’oggetto, conseguentemente, mutua le proprie leggi dalle strutture del pensiero. La necessi­ tà delle categorie, in ultima analisi, non c il riflesso della ne­ cessità dell’essere, non è necessità assoluta nel senso originario che il contrario implichi contraddizione, ma è necessità sol­ tanto relativamente alla possibilità di una esperienza umana, che è di carattere fenomenico. Il rapporto di necessità può, sì, presentarsi negli oggetti (e non nella pura loro apprensione da parte del singolo soggetto), ma solo in quanto radicato in un modo di pensare necessario. Ecco perche Scheler, nel porre l’istanza di un’esperienza pre-concettuale e correlata all’essen-

75 p. 153. 7fc 77 78

P. Martinetti, Kant, Milano 1968, ned. della 2* ed. del 1946, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, Ibidem, p. 427. Die Metaphysik der Sitten, VI, p . 215 s.

123

IV, p . 4 1 3 .

A PRIORI H )RMALE E A PRIORI MATERIALE

za-oggetto, si preoccupa di riscattare l’implicanza necessitante del contenuto apriorico da ogni forma di fenomenismo. E forse soltanto nell’ambito etico che, secondo noi, Kant perviene alla fondazione di una più radicale universalità. Infatti è la natura come «universale concetto di un essere ra­ zionale in generale» ’ che costituisce il principio normativo morale. E, mentre nell’ambito della conoscenza, la natura di­ vina si differenzia da quella umana in quanto conosce la realtà nella sua noumenicità, nell’ambito morale «anche una volontà perfettamente buona sarebbe sotto il dominio (würde unter­ stehen) di leggi oggettive». La volontà divina differisce così dalla volontà umana soltanto per il fatto che essa «è già di per sé necessariamente concorde con la legge»"0, cioè in modo spontaneo e non conflittuoso. Se pertanto anche l’essere asso­ luto è ‘sottoposto’ alla legge morale, perché essere assoluta­ mente razionale, la razionalità attinge, nel contesto della mo­ ralità, non più un carattere peculiare della struttura dell’essere razionale umano, ma un carattere veramente universale. Tut­ tavia, nonostante tali considerazioni, Scheler rifiuterebbe ugualmente una necessità assoluta radicata nella struttura del­ la volontà razionale, anche se universale, nella misura in cui anche in tale ipotesi la necessità deriverebbe da una struttura del soggetto, dall’Io considerato ‘punto di partenza’ e ‘causa efficiente’*1 dell’agire morale.

w Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, m Ibidem, p. 414. . *' Der Formalismus, p. 95.

124

IV, p .

412.

VI STRUTTURA GERARCHICA DEI VALORI

I.

TIPI DI GERARCHIZZAZIONI APRIORICHE DEI VALORI

I valori sono dotati di una struttura gerarchica (Rangord­ nung), inerente alla loro essenza, in virtù della quale un valo­ re è superiore o inferiore a un altro. Si danno due tipi di gerarchizzazioni aprioriche dei valori: il primo si richiama ai portatori essenziali dei valori; il secondo si richiama alle loro modalità. In base al primo tipo di gerarchizzazione, i valori di persona (Personwerte), cioè i valori che ineriscono immediata­ mente alla persona, come i valori morali e religiosi, sono es­ senzialmente superiori ai valori inerenti alle cose (Sachwerte), quali i beni materiali, i beni vitali, i beni di cultura. I valori inerenti agli ‘atti’ (atti di vedere, di conoscere, di volere, di amare ecc.) sono più elevati dei valori inerenti alle ‘funzioni’ (vedere, udire, gustare, prestare attenzione, funzione della percezione affettiva vitale ecc.)1 ed entrambi prevalgono sui 1 La distinzione tra (unzioni perccttivo-affcttive c atti emozionali emerge dal fatto che, mentre le funzioni appartengono all'ambito del movi-

125

STRUTTURA GERARCHICA DEI VAU )RJ

valori inerenti alle ‘reazioni di risposta’ (simpatia, vendetta ecc.). Lo stesso vale per i valori che ineriscono aH’‘orientamento di fondo’ (Gesinnungswerte) rispetto a quelli inerenti al ‘comportamento’ (Handlungswerte), così come sono ugual­ mente gerarchizzati i valori inerenti alCintento’ (Absicht), al ‘proponimento’ (Vorsatz), alla ‘decisione’ (Entschluss), alT‘esecuzipne’ (Ausführung)*2. È anche evidente che i valori esperiti in modo vissuto­ intenzionale sono preminenti rispetto a quelli vissuti mediante ‘stati affettivi’ (Zustände) sensoriali e corporali, nella misura in cui questi non in-tendono un dato intuitivo vissuto, ma si limitano a denunciare un atteggiamento effettuale1. Per quanto concerne poi i valori interpersonali, questi ineriscono alla totalità di una ‘comunità’ (Gemeinschaft), vis­ suta intenzionalmente da tutti i suoi membri, la quale pertan-

mento psichico dell’io (Ichfunktionen) verso l'oggetto o verso lo stesso io, coinvolgono il Leib e il mondo ambientale, dipendono dalla successione temporale c possono essere motivo di oggettivazione da parte della perce­ zione interna o della comprensione riflessiva, gli atti ineriscono essenzial­ mente all'ambito spirituale della persona, non implicano l'incidenza del Leib e del mondo ambientale, sono aperti alla Well, dalla persona irrompono nel tempo e sono restii a ogni oggettivazione. Gli atti emozionali inoltre sono rivelativi di un maggior movimento dinamico verso l’oggetto, anche se le funzioni del percepire affettivo sono anch’esse, a differenza degli stati affet­ tivi, orientate intenzionalmente (cfr., per esempio Der Formalismus, pp. 265 s., 387 s.; Wesen und Formen der Sympathie, pp. 150 ss.; Die Idole der Selbsterkenntnis, in Vom Umsturz der Werte, pp. 233-37, ove vengono esa­ minate le teorie di Brentano, di S. Alexander c di C. Stumpf). Tali distinzio­ ni, che Schclcr riassume con estrema chiarezza c puntualità in Der Formalis­ mus (p. 387), sembrano stridere con l’estensione che egli, sempre in Der Formalismus (p. 124), fa delle funzioni percettivo-affettivc alla sfera spiritua­ le (Funktionen des geistigen Fuhlens). Può darsi che il termine Funktionen adoperato in quest’ultima accezione non rivesta quel significato rigoroso e tecnico usato abitualmente da Schcler. 2 Cfr. Der Formalismus, pp. 117-26. * Ci riesce altrettanto difficile armonizzare l’affermazione di Scheler secondo cui i sentimenti spirituali non possono mai essere ‘stati’ (Der For­ malismus. p. 344) con l’altra affermazione, sempre in Der Formalismus (p. 125), in cui si parla di ‘stati’ propri dei valori spirituali e, a fortiori, con quella che fa riferimento a ‘stati’ di ‘beatitudine’ c di ‘disperazione’, propri del valore del sacro (ibidem, p. 126). Forse, nella prima affermazione Schc­ ler vuole mettere in evidenza che i sentimenti spirituali non sono riconduci­ bili a ‘stati’ dcll’/cA, mentre nella seconda affermazione si vuole alludere al riflesso effettuale che i valori attuati possono avere, cioè alla risonanza sog­ gettiva dell’esperienza dei valori.

126

STRinniRA OILRARCHICA l)i:l VALORI

to non è unità di fatto, artefatta, di carattere concettuale, di meri rapporti ‘oggettivi’. Il concetto di ‘comunità’ è dunque irriducibile a quello di ‘società’ (Gesellschaft), i cui portatori ili valore non formano una totalità vissuta intenzionalmente, ma una pluralità di classi di carattere concettuale. infine - sempre assumendo l’avvio dai portatori axiologici - i ‘valori-per-sé’ (Selbstwerte) sono preminenti su quelli ‘consecutivi’ (Konsekutivwerte), in quanto i primi sono auto­ nomi, nel loro carattere axiologico, da altri valori, mentre i secondi ne sono axiologicamente dipendenti. Sono per esem­ pio ‘consecutivi’ i valori tecnici, come l’utile, e i ‘valori-di-sim­ bolo’, come le res sacrae. Il secondo tipo di gerarchizzazione apriorica dei valori si ri­ chiama alle loro ‘modalità’, cioè alla sistemazione qualitativa dei valori materiali in unità ultime e irriducibili, secondo un criterio di preminenza sempre più ascendente. Con la sua vi­ suale assolutistica della struttura gerarchica dei valori, ci sem­ bra che Scheler voglia superare, per un verso, il fanatismo axiologico, che, privilegiando e assolutizzando un valore a de­ trimento degli altri, disconosce una pluralità gerarchizzata di valori; per un altro verso, il relativismo axiologico, che si limi­ ta a descrivere le diverse modalità axiologiche, collocandole su un medesimo piano di validità, senza essere in grado di vederne il peculiare grado di elevatezza intrinseca: per esso l’amante del godimento, l’eroe, l’uomo di scienza e il santo sarebbero sul medesimo piano axiologico'1.*

* Alfred Sterri così critica l'assolutismo della struttura gerarchica dei valori prospettato da Scheler: «Scheler tire de son ‘évidence intuitive de préférer' ou de scs 'lois aprioriques de prcferer' le caracterc ahsolu de sa hicrarchic axiologiquc [...]. Si la hiérarchie de Scheler reprcscntait vraiment un ordre apriorique, on ne pourrait lui cn opposer sensément aneline autre (...]. Nous sommos donc ici en face d ’un de ces actes de violcnce par les­ quelles les absolutistes de l’axiologie cherchent à nous imposer un ordre ahsolu des valcurs qu’ils se voient dans l’impossibilitc de Jcmonlrer» (A. Stem, Le prohlème Je l'ahsolutisme et du relatwisme axtologtque et la Philo­ sophie allemande, in «Revue internationale de philosophic», I (1939), p. 720 s.i. A parte il fatto che non è dall'evidenza intuitiva di preferire che Scheler deriva il carattere assoluto della gerarchia axiologica, ma, al contrario, è in questa che egli intende radicare la prima, ci pare privo di ogni significatività il riferimento fattuale e non critico che Stem la ad altre prospettive axiologi­ che storicamente diverse da quella di Scheler (edonismo, Nietzsche) per

1 27

STRUTTURA CìKRARCHHlA DU VALORI

L’infima modalità axiologica della serie, così duramente avversata da tante prospettive filosofiche, è formata dai valori sensoriali, le cui estreme espressioni sono il ‘piacevole’ (das Angenehme) c lo ‘spiacevole’ (das Unangenehme). Tale moda­ lità è ‘relativa’ all’essenza della natura sensibile in generale, ma, nell’ambito di essa, non lo è nei riguardi di una sua deter­ minata struttura organica. La differenza poi tra il valore del piacevole e quello dello spiacevole è assoluta e apriorica (an­ che se una cosa può risultare piacevole per un essere sensitivo e spiacevole per un altro), così com’è dell’essenza dei valori sensoriali e della percezione affettiva sensoriale che il piacevo­ le sia preferibile allo spiacevole’. A questa prima modalità corrispondono, infine, la funzione della percezione affettiva sensoriale (con i modi del godere e del soffrire) e gli stati affettivi sensoriali (piacere e dolore dei sensi) e certi valori consecutivi (quali i valori ‘tecnici’ produttivi di beni piacevoli, convergenti nel valore dell’utile, detti anche ‘valori della civil-*il

dcdurrc la fondatezza o meno di quest'ultima. Che poi Schcler non riesca a 'dimostrare' l’assolutezza della struttura gerarchica dei valori, questo è vero se per 'dimostrare' si intende il riferimento a una prova razionale. È proprio intatti della tenomenologia 'mostrare' il dato fenomenologico, intuito nella sua essenzialità. Ma con ciò non si può rimproverare a Schcler un’assoluta carenza di riferimento ontologico, nella misura almeno in cui intende riporre il criterio dell'evidenza nel possesso dell’essere, nel contatto ontologico vis­ suto con le cose ( Versuche einer Philosophie des Lehens, in Vom Umsturz der Werte, p. 328). Per il fatto poi che l’evidenza sia ex parte ohjecti, non si esclude - secondo quanto eletto sul criterio di evidenza tenomenologica in generale - l’errore di fatto da parte del fenomenologo, quando questi - come inculcava Musscrl - non assume il dato «soltanto nei limiti nei quali si presenta» (Ideen, 1, ed. cit. Ili, p. 52). Sotto tale profilo non ci sembra dirimente la sorpresa di Stern per il fatto che Schelcr, in virtù del criterio di evidenza, abbia potuto sostenere, in Der Genius des Krieges und der deutsche Krieg, la preminenza della nazione, in particolare di quella tedesca, sull'umanità (art. cit., p. 721 s.). Anche Benedetto Croce, partendo da pre­ messe ideologiche del tutto opposte a quelle di Scheler, giudica - in maniera fin troppo sommaria - «sospese nel cielo» le leggi di preferenza e la gerar­ chia dei valori in Scheler (B. Croce, ree. a Max Schcler, Crisi dei valori, tr. it. di R Sternheim, Milano 1936, in «La Critica», 35 (1937), p. 136). 5 Questo - va da sé - a parità di condizioni. Se, per ipotesi, determi­ nati esseri sensitivi dovessero preferire Io spiacevole, ciò sarebbe dovuto o al fatto che essi trovano piacevoli o spiacevoli cose diverse da quelle ritenute comunemente tali, o al fatto che essi, cercando un valore superiore scono­ sciuto agli altri, preferiscono per accidens lo spiacevole, oppure a una per­ versione istintuale.

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strir m ira clrarchica i»: i valori

tà', e i valori destinati al godimento dei beni, detti anche ‘va­ lori del lusso’). Si noti che il valore dell’utile viene collegato nella prima parte di Der Formalismus e in Ethik al valore del piacevole, per di più quale suo valore consecutivo'1. Nella se­ conda parte di Der Formalismus e in Vorbilder und Führer, invece, Scheler eleverà i quattro valori fondamentali (designati da Aristotele come tre, TÒ r;8u, TÒ ^pr^ipiov, t Ò ^aXóv) a cinque sfere axiologiche, precisamente alla sfera del piacevole o ai valori del lusso, alla sfera dell’utile o ai valori della civiltà, alla sfera del nobile o ai valori vitali, alla sfera dei valori spiri­ tuali, alla sfera del sacro o ai valori religiosi'. l.a seconda, superiore unità modale axiologica, irriducibile a ogni altra, è costituita dall’insieme dei ‘valori del percepire affettivo vitale’, implicati nell’opposizione del ‘nobile’ (das F.dle) e del ‘comune’ o ‘volgare’ (das Gemeine o das Schlechte)\ Ai valori vitali corrispondono la funzione della percezione af­ fettiva vitale, gli stati affettivi vitali (quali il senso del vigore o ilei declino, della freschezza o della pesantezza, la salute o la malattia ecc.), i valori consecutivi concernenti la sfera del ‘be­ nessere’ o della ‘prosperità’, le risposte reattive di carattere affettivo (soddisfazione o insoddisfazione di sé ecc.), le rispo­ ste reattive di carattere impulsivo (coraggio, angoscia, collera ecc.). Scheler, collocando il piano dei valori vitali in una sfera originaria, ha inteso rivendicarne la specificità, disattesa sia da Kant che li aveva ricondotti ai valori sensoriali del piacevole e dello spiacevole, sia dagli utilitaristi che li avevano assimilati ai valori dell’utile, sia dai razionalisti che li avevano riportati ai valori dello spirito''. In tale intento egli ricalca il tentativo ope­ rato già da Fouillée e da Guyau, e si pone in polemica con789

fc Clr. ibidem, p. 121 s.; Ethik, in brühe Schriften, p. 385. 7 Cfr. Der Formalismus, p. 494; Vorbilder und Führer, in Nachlass, I, p. 268.

8 Scheler assimila anche il termine ‘nobile’ a ‘buono1 (das Gute) nel­ l’accezione di ‘valente’ (das Tüchtige), opposto a ‘insignificante’ o ‘scadente’ )das Schlechte), così come riscontra, anche sul piano linguistico, un’applica­ zione dei termini ‘nobile’ e ‘comune’ soprattutto ncM'ambito dei valori vitali (albero, razza ecc.). Solo analogicamente si parla, per esempio, di ‘pietra nobile’, di ‘vino nobile’ (cfr. Der Formalismus, pp. 104 c 123). 9 Cfr. ibidem, p. 123.

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STRUTTURA (il-RAKCUKA DU VAI KI

l’etica utilitaristica (specialmente con la teoria spenceriana, la quale aveva voluto assimilare il fenomeno vitale a un semplice epifenomeno del processo di ‘conservazione’ dell’individuo, la simpatia c l'istinto di solidarietà a una semplice modalità del­ l’egoismo), nonché con l’etica nietzschiana che aveva risolto il valore vitale nell ’accrescimento di sé’. E vero che egli condi­ vide la loro preoccupazione di non dedurre o costituire il valo­ re vitale, c la norma morale corrispondente, tramite i valori spirituali, nella misura in cui la relazione tra il valore vitale e il valore sensoriale implica di per sé una gerarchia e una obbli­ gatorietà di carattere morale1". Ma nello stesso tempo supera il riduzionismo biologico, comune ai predetti pensatori, cioè l’elevazione della vita a valore supremo e l’assimilazione del­ l’universo axiologico a semplice modalità del valore vitale, e propone invece la fondazione di un’etica che subordini i valo­ ri vitali ai valori-di-persona. Come nota Heinemann, «i poli del pensiero scheleriano sono la vita concreta, traboccante di vitalità, temporale, e lo spirito eterno contrapposto a tale vi­ ta»". Sarebbe proprio questo il problema etico ‘più caratteri­ stico’ della nostra epoca: relazionare i valori vitali, per un verso, ai valori del piacevole e dell’utile, e, per un altro verso, a quelli dello spirito e della persona1012.

10 «Aus dem Verhältnis der Finhcit des Lebens, des Lebensgefühls und der allem Leben immanenten Tendenz zu sinnlichen Gefühlen und Antrieben geht in der Tat gleichfalls schon eine Rangordnung sowie ein Bewusstsein des Sollcns. der Verpflichtung und gewisser Normen hervor, für deren Konstitution und Ableitung es keinerlei Hinblicks auf die spezi­ fisch geistigen Akte, ihre Gesetzmässigkeit und ihre Daseinsform, die Per­ sönlichkeit, bedarf» (ibidem, p. 282). 11 F. Heinemann, Neue Wege der Philosophie, cit. p. 351. 12 Ethik, in Frühe Schriften, p. 388. Un'accurata esposizione dell’eti­ ca vitalistica viene latta da Scheler nella -1* parte del suddetto saggio (in Frühe Schriften, pp. 388-%). Scheler non ha dillicoltà a ricondurre il vitali­ smo spenceriano a una dimensione edonistica e utilitaristica, nel contesto di una teoria axiologica che, prendendo le mosse da Bacone, ravvisa nel princi­ pio del l^bensmaximum c nei l^ehensgefühlc soltanto sentimenti di piacere o di dispiacere. Sarebbe solo con A. Fouillce, J.M. Guyau, Fr. Nietzsche, H. Driesch c H. Bergson che la vita assumerebbe una nota non più edonistica o utilitaristica, ma originaria (Urphà'nomen), anche se a essa continuano a es­ sere subordinati i valori morali. Per Guyau, in particolare, l'idea della vita rappresenterebbe la 'prima e ultima esperienza’, fonte impellente dcll’cpifenomeno della coscienza, della ricerca del piacere, ilei pensiero, dcH’amore (soprattutto altrui), dell'attività come tale. La stessa origine della coscienza

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STRUTTURA (iCRARC.fMCA Ohi VALORI

Infatti, secondo Scheler, soltanto se si presuppone il darsi di valori superiori, trascendenti la pura dimensione del vitale, si può ritenere valida l’alfermazione della supremazia dell’uomo sull’universo terrestre. Sotto il profilo puramente biologico, l’uomo, anziché essere il più pregevole degli esseri viventi - come opinerebbero i vitalisti - si rivela il più dipen­ dente, a causa della sua più alta differenziazione e dell’urgen­ za di fattori più specifici per la conservazione della sua esi­ stenza. La stessa capacità ‘intellettiva’ di produrre utensili, utili all’instaurarsi della ‘civilizzazione’, è indice del carattere stagnante e ‘fisso’ dello sviluppo vitale, di una carenza della potenza vitale di formare un organo atto a realizzare determi­ nati valori. «Un animale che sostituisca la carenza di denti validi e di artigli con la semplice astuzia non è certamente ‘superiore al restante mondo biologico»1’. «Se non si ammet­ te un valore superiore ai valori biologici, bisogna definire l’uo­ mo, a dispetto della sua civilizzazione, un animale divenuto malato»M. La ragione - come già aveva avvertito Kant - anzi­ ché rivelarsi, da un punto di vista biologico, strumento prege­ vole, esercita una azione nociva sugli istinti psicofisici orienta­*il14

tici dovere sarebbe da ascrivere all’esperienza dell’eccedenza di un ‘potere’ (Können) o di una ‘forza’ (Kraft) di carattere vitale. Del resto ogni idea, nella misura in cui è perfetta, sarebbe un progetto che non può non tradursi automaticamente in un fare, senza bisogno di stimoli esteriori, inclusi quelli ilei piacere. Non priva di significato è l’attenzione che Scheler riserva al Drang che, in Guyau, contraddistingue il fenomeno della vita. Scheler inol­ tre non lesina di porre in evidenza i meriti di Nietzsche, come l'antimilitari­ smo non meno che l'antirazionalismo che animano la sua filosofia della vita, il che consente di rendere irriducibile e originario il valore vitale, e soprat­ tutto la teoria del risentimento, come una delle più potenti leve interpretati­ ve di non poche illusorie valutazioni axiologiche. Non manca tuttavia ili criticare la pretesa nominalistica nietzschiana di vedere nei valori una sem­ plice ‘istituzione umana' (menschliche Satzung), l’impossibilità di trascende­ re l'ambito axiologico vitalistico (affermazione, questa, a torto suffragata da un, preteso o vero, abuso nel riconoscimento dei valori metavitali), l'equipa­ razione della morale cristiana fondata sull’amore, all'etica della compassione invocata da Schopenhauer o al cosiddetto ‘umanitarismo’ moderno, e so­ prattutto la teoria de\Y Übermensch. 11 Zur Idee des Menschen, in Vom Umsturz der Werte, p. 184. In diverse occasioni Scheler giudica erroneo c contrario all'ordine cosmico il principio che vede nello strumento artificiale un prolungamento dell’orga­ no. Cfr., per esempio. Das Ressentiment im Aufhau der Moralen, ibidem, p. 142 s.; Zur Idee des Menschen, ibidem, p. 18} s. 14 Der Formalismus, p. 289 s.

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1 STRUTTURA C.IRARCMICA DEI VALORI

ti verso la vita. E benché l’uomo, rispetto agli altri animali, riesca ad allargare il campo del suo agire artificiale, il suo milieu qualitativo rimane stabile1’. Anzi, in una prospettiva riduttivamente biologica, non si dà alcuna definibilità essen­ ziale dell’uomo: anziché darsi una linea di demarcazione es­ senziale e axiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, si dà, sul piano della genetica e della sistematica, una perfetta conti­ nuità. L’unica linea discriminante è quella che separa la perso­ na dall’organismo e dallo stesso io psichico, l’essere spirituale dall’essere vivente: «Ciò che fa sì che l’uomo sia veramente ‘uomo’ non è un nuovo stadio della vita - e neppure di una delle sue manifestazioni, la ‘psiche’ - ma è un principio oppo­ sto a ogni forma di vita in generale e anche alla vita dell’uo­ mo»^. Soltanto la discriminazione che insorge da «una so­ vrabbondanza di attività spirituale» può conferire all'uomo una nuova unità di attitudini morali, caratterizzata dall’amore, che come tale non può inerire a un’erica biologica1'. E l’attitu­ dine a trascendere i valori vitali, la direzione verso il supremo valore religioso, e non la struttura psicosomatica, a connotare la humanitas nel suo significato pregnante. «Quando io affer­ mo che l’uomo c il portatore di una tendenza che trascende tutti i possibili valori vitali e che si dirige verso il ‘divino’, o, in breve, che egli è il cercatore di Dio, con ciò non affermo affatto un attributo avente per soggetto una unità già esistente e definibile dell’uomo, sia essa di natura biologica che di natu­ ra psicologica. È precisamente tale unità che io rifiuto espres­ samente. L’uomo è piuttosto, per essenza, soltanto la x viven­ te di tale ricerca, x che, considerata secondo tutte le possibili strutture psicofisiche, deve essere pensata come interamente variabile, cosicché la struttura effettiva dell’uomo terrestre

15 Alcune osservazioni di Schcler rivelano una certa venatura pessi­ mistica che solo talvolta è fondata: per esempio, che l’odorato dell'uomo regredisca sempre piu. che la ‘civilizzazione’ causi più malattie di quante non riesca a debellarne, che la fecondità umana diventi sempre più labile, anche se viene prolungata l'esistenza (cfr. ibidem, p. 292). 16 Die Stellung des Menschen tm Kosmos, in Späte Schriften, p. 31; cfr. anche Der Formalismus, p. 294. E bene sottolineare che per Schcler il processo fisiologico e quello psichico sono rigorosamente identici dal punto di vista ontologico c diversi solo da un punto di vista fenomenico (cfr. Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 58). • 17 Der Formalismus, p. 293.

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STRUTTURA (itKARCHKlA D tl VALOR]

non rappresenta che una possibilità realizzata tra tutte quelle alle quali la x concede un campo infinito. Se un pappagallo svelasse una tale tendenza, esso ci sarebbe più ‘comprensibile’ che quel membro di un popolo primitivo cui mancasse quel trascendimento dei valori vitali. Quel pappagallo pertanto, malgrado la sua differente struttura organica, meriterebbe con maggior diritto di esser chiamato ‘uomo’ che quel membro di un popolo secondo natura privo della tendenza verso il divino, partendo dal quale individuo noi potremmo trovare in tutti i casi un passaggio continuativo verso l’animale, mentre il voler tracciare confini tra lui e l’animale sarebbe soltanto un atto arbitrario del nostro intelletto»18. Un altro passo significativo lo troviamo in Zur Idee des Menschen; data la ricchezza del suo contenuto e il significato che esso riveste per l’antropolo­ gia scheleriana, aperta essenzialmente all’orizzonte dell’asso­ luto, lo riferiamo, anch’esso, per intero. «L’animale malato, l’animale intelligente e capace di costruirsi utensili - cosa in­ dubbiamente assai brutta - diventa subito magnifico, grande e nobile se si considera che questa medesima cosa, proprio in virtù di quell’attività (che, relativamente alla ‘conservazione della vita’ e ai suoi fini, appare così estremamente risibile) è anche o può divenire un essere che trascende ogni forma di vita e, in essa, anche se stesso. L’uomo, inteso in questo senso del tutto nuovo, è l’intenzione e il gesto della ‘trascendenza’ stessa, l’essere che prega e cerca Dio. Anzi, non ‘l’uomo pre­ ga’, ma l’uomo è la preghiera della vita al di sopra di se stessa; non ‘lui cerca Dio’, ma lui è quella x vivente che cerca Dio! [...] Egli è solo un ‘tramite’, una ‘frontiera’, un ‘passaggio’, una ‘epifania di Dio’ nel flusso della vita, un eterno andare della vita ‘al di là’ di se stessa»19. Fra l’altro, una concezione riduttivamente vitalistica del­ l’uomo, che volesse conferire un valore supremo al valore bio­ logico, non potrebbe giustificare il fatto che interi popoli muoiono per la libertà e per l’onore, con particolare sacrificio delle vite più forti e più nobili. Nell’ipotesi biologica, del re­ sto, l’omicidio verrebbe ricondotto, per gradazione axiologica e come valore qualitativo, alla semplice soppressione dell’uo­ mo (non della personalità) o addirittura di un qualunque esse-

Ibidem, p. 296. Isl Zur Idee des Menschen, in Vom Umsturz der Werte, p. 185 s.

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STRlrjTl'RA (.IRAKCHICA DKI VALORI

re vivente2*’. Non si dà pertanto, secondo Scheler, un’etica infraumana, nella quale i valori morali vengano assimilati a semplici modalità del valore vitale, ma un’etica la quale, all’in terno della hutnanitas, fa trasparire modalità di valori e di atti propri di «un ambito ‘sovrumano’ (übermenschlich) e, nel suo senso positivo, ‘divino’ (göttlich)»11. La terza, superiore, originaria modalità axiologica è costituita dai ‘valori spirituali’, la cui caratteristica è data dall’autonomia dalla sfera del Leih e del mondo ambientale, e sono così pre­ minenti sui valori precedenti da pretendere il loro sacrificio. Di essi fanno parte i valori estetici, i valori giuridici (autonomi dall’idea consecutiva di legge, dall'idea di stato e di comuni­ tà-di-vita), i valori della ‘pura conoscenza della verità’, che la filosofia, a differenza della scienza positiva dominatrice dei fenomeni, si prefigge di realizzare. Diversamente dalla cono­ scenza (Erkenntnis), la verità (Wahrheit) - come avremo mo­ do di approfondire in seguito - non sarebbe tuttavia un valo­ re. Sono consecutivi ai valori spirituali i ‘valori di cultura’ (tesori artistici, istituzioni scientifiche ecc.), che per natura fanno parte della sfera axiologica dei beni. Inoltre, la ‘funzio­ ne’ e gli ‘atti’ rispondenti al piano dei valori spirituali sono, rispettivamente, la percezione affettiva spirituale e gli atti spi­ rituali della preferenza c della subordinazione, dell’amore e dell’odio, mentre gli stati affettivi correlati costituiscono tutta una scala di sentimenti (quali la gioia e la tristezza spirituali), che si contraddistinguono fenomenalmente come stati dell’io non sorretti dalla mediazione del Leih e indipendenti dalle modificazioni della sfera affettiva sensoriale e vitale. Fanno parte, infine, della sfera dei valori spirituali certe risposte reat­ tive, quali il compiacimento, l’approvazione, la stima, la sim­ patia spirituale22. Ancora più nettamente si eleva sulle altre la modalità axiolo­ gica del ‘sacro’ (das Heilige), non definibile come tale e intui­ bile esclusivamente in oggetti della sfera dell’assoluto inten­ zionati come tali. Tale modalità è del tutto svincolata dalle201

20 Clr. Dir Formalismus, p. 315. 21 Ibidem, p. 279. 2ì Cfr. ibidem, p. 124 s.

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S T R im T ’RA GERARCHICA DEI VAIifRJ

concrezioni storiche che ne sono state fatte presso i diversi popoli (dal feticismo a oggi), dato che queste concernono non ‘la teoria apriorica’ del valore e della gerarchia dei valori, quanto ‘lo stato positivo’ dei beni rispondenti a tale sfera a xiologica*21. Quel che preme per il momento porre in rilievo è l’at­ tenzione posta da Scheler, in Der Formalismus, sul presuppo­ sto della personalità come caratterizzazione della sacralità e sulla dimensione dell'amore come caratterizzazione della sua intuizione. L’atto originariamente intuitivo del sacro è diretto essenzialmente a esseri dalla forma personale (auf Personen, d.h. auf etwas von personaler Seinsform), qualunque possa es­ sere il concetto di persona: il sacro è essenzialmente un valoredi persona. E evidente che in un contesto puramente filosofi­ co non si può approdare che all'idea del sacro come persona, e quindi come persona delle persone; non è pertanto coinvol­ ta la sua connotazione esistenziale né, in genere, la connota­ zione di Dio nel senso forte del termine, legata alla compren­ sione dei suoi attributi positivi. Il sacro è l’assoluto axiologico. E anche da anticipare che nell’ultima fase della sua specula­ zione filosofica Scheler negherà all’idea di Dio l’idea della personalità. L’atto intuitivo del sacro poi è un particolare atto di amore il cui orientamento axiologico precede e definisce ogni rappresentazione immaginativa e concettuale degli ogget­ ti sacri"”. Stati affettivi correlati sono i sentimenti religiosi di ‘bea­ titudine’ e di ‘disperazione’, del tutto irriducibili a quelli spiri­ tuali della ‘felicità’ e della ‘infelicità’, e che «misurano, per così dire, nell’esperienza vissuta la vicinanza o la lontananza del sacro»2’. Risposte reattive sono la fede o l’incredulità, l’adorazione ecc. Valori consecutivi sono gli oggetti di culto e le forme di venerazione date nel culto: si tratta di veri valoridi-simbolo (Symbolwerte) e non di semplici simboli-di-valore ( Wertsymbole). 2) Ibidem, p. 125 s. Il giuramento, osserva Scheler, c una promessa latta in riferimento al valore ilei sacro, a prescindere rial modo in cui questo ha avuto una sua attuazione storica. 24 Un’esposizione sistematica della teoria del sacro in Scheler è stata fatta in maniera intelligente da |. P. Chevrolet, Le sacre Jans la philosophie de Max Scheler, l-nbourg 1970. 21 Der Formalismus, p. 126.

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STRUTTURA Gl .RANCI MCA DUI VALORI

Questa serie gerarchica ascendente dei valori, inoltre, rappor­ tata all’idea di persona dà luogo ai modelli personali o ai tipi puri di persona: l'amante del godimento in riferimento ai va­ lori sensoriali del lusso, lo spirito promotore del progresso civile in riferimento ai valori dell’utile, l’eroe per i valori vitali, il genio in riferimento ai valori dello spirito nelle varie forme di artista, legislatore, giudice, filosofo, saggio, e il santo in riferimento ai valori religiosi. In Der Formalismus Scheler ne dà solo un cenno, sia in questo momento, a proposito delle relazioni gerarchiche aprioriche tra le modalità di valore, sia successivamente e in maniera più estesa a proposito dell'idea di una gerarchia dei tipi puri di persona26278. Un’analisi più ap­ profondita della tematica si trova in Vorbilder und Führer21. In attesa di tematizzare in un secondo tempo con maggiore am­ piezza di respiro tale problema, ci limitiamo qui a osservare che per Scheler «si danno tanti modelli tipo quanti sono i valori fondamentali»2". Già in Der Formalismus tuttavia - do­ ve le sfere axiologiche sono, rispettivamente, quattro nella pri­ ma parte e cinque nella seconda - i modelli-tipo proposti so­ no cinque, il che verrà confermato in Vorbilder und Führer, dove anche l’utile - come abbiamo già osservato - acquista, tra le modalità axiologiche, una sua originaria specificità29. Se invece viene rapportata all’idea di ‘comunità’ (Ge­ meinschaft), la serie gerarchica dei valori dà origine ai tipi puri di modi comunitari, dalla semplice forma di ‘società’ (Gesellschaft) alla ‘comunità-di-vita’ (di cui Io stato rappre­ senta la forma tecnica), alla ‘comunità culturale’ e ‘giuridica’, alla ‘comunità d’amore’ (di cui la Chiesa rappresenta la for­ ma tecnica)’0. Approfondendo ulteriormente il problema concernente la struttura gerarchica dei valori, Scheler si allontana dalla teoria di Brentano, secondo cui la relazione gerarchica ‘superiore-in­ feriore’ caratterizzante i valori sarebbe riconducibile a quella ‘positivo-negativo’. Il piacevole, benché inferiore al vitale, non

26 27 28 29

Cfr. ibidem, pp. 126 e 568-80. Vorbilder und Führer, in Nachlass, I, pp. 255 544. Ibidem, p. 268. Ibidem. Q r. Der Formalismus, p. 126.

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STRUTTURA GFRAROHCA DEI VALORI

è per Scheler un valore negativo. Né un valore è preminente su un altro perché ‘somma’ di valori, come opinerebbe ancora Brentano: il principio aritmetico non può valere per i principi axiologici, né una quantità illimitata del piacevole può valere un lembo di un valore vitale. Anche la tesi che devolve a una relatività storica la strutturazione materiale dei valori non vie­ ne condivisa da Scheler'1. Per quanto concerne poi il criterio conoscitivo per at­ tingere la superiorità o l’inferiorità di un valore, esso è affida­ to a un particolare atto di conoscenza di carattere intuitivo, il preferire’ (Vorziehen) e il ‘posporre’ (Nachziehen): «la supe­ riorità di un valore è data, in virtù della sua essenza, soltanto nel preferire»*2. Su tale argomento ritorneremo diffusamente, quando tratteremo della fenomenologia della vita emozionale. Qui ci limitiamo a rilevare che la strutturazione gerarchica dei valori è data mediante una evidenza di carattere intuitivo, tramite gli atti apriorici del ‘preferire’ e del ‘posporre’, al di là sia delle pretese razionalistiche alimentate dal metodo de­ duttivo, sia delle pretese empiristiche alimentate dal metodo induttivo. Né si dà - di nuovo in polemica con Brentano una risoluzione della preminenza di un valore nella sua preferibilità, quasi che la preferenza sia costitutiva della superiori­ tà di un valore: la preferenza è soltanto ‘la via d’accesso’ (der Zugang) al valore superiore, mentre la superiorità è una ‘rela­ zione’ (Relation) situata nell’essenza stessa del valore". Per questo, mentre le regole preferenziali sono suscettibili di evo­ luzione storica, la struttura gerarchica dei valori rimane asso­ lutamente invariabile14.

H C'.fr. ibidem, p. 104 s. Ibidem, p. 105. ” Ibidem, p. 105 s. M Desta un certo interesse psicologico un rilievo mosso da Scheler a proposito della diversa prospettiva che si verifica quando il valore A viene preferito al valore B c quando il valore B viene posposto al valore A. La struttura gerarchica colta è la medesima nei due casi, ma le due modalità rivestono una diversità radicale. È possibile rilevare ciò, per esempio, nella caratteriologia, secondo cui i caratteri morali ‘critici’ realizzano prevalente­ mente la preminenza di un valore mediante un alto di ‘posposizione’, in un contesto ascetico in cui la virtù assume la valenza di lotta contro il vizio, mentre i caratteri morali ‘positivi’ amano porre atti di ‘prelerenza’, in un contesto in cui il vizio è reiteratamente sommerso dalla virtù. Analogamen­ te, un identico atto di preferenza può essere attuato da due modalità di

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STRUTTURA CilRARf MICA DI I VALORI

2.

PROPRIETÀ DISTINTIVE DELLE MODALITÀ DI VALORE

Ncll’enuclearc ulteriormente la ricchezza della natura delle correlazioni essenziali tra le diverse modalità di valore, Scheler offre anche un criterio indicativo della loro superiorità o inferiorità, desumendolo da certe proprietà distintive correla­ tive. 1 valori sono tanto più elevati quanto più sono durevoli, quanto meno sono estensibili e divisibili, quanto meno sono londati su altri valori, quanto più profonda è la soddisfazione che accompagna la loro percezione affettiva, quanto meno re­ lativa è la loro percezione affettiva alla posizione dei portato­ ri. L’analisi è quanto mai ricca e asseconda una conoscenza più approfondita delle correlazioni essenziali delle diverse modalità. Una prima proprietà distintiva è la durata. «I valori infe­ riori sono essenzialmente anche i più fugaci, mentre quelli su­ periori sono nello stesso tempo eterni»". Ma per questo oc­ corre purificare il concetto di estensibilità temporale. Non si tratta di una estensione nel ‘tempo obiettivo’: la brevità di questo tipo di durata non sottrae nulla all’elevatezza di un valore, così come una maggiore estensione temporale non gli conferisce ulteriore validità. La durata, al di là di ogni conta­ minazione di origine humiana, è una qualità intuibile al di fuori di ogni fenomeno di successione e - nella sua natura di fenomeno temporale assoluto e qualitativo - tale da «riempire il tempo come la successione»'6. Solo in tale prospettiva ci si può sottrarre a quella distorsione interpretativa che ha indotto Spinoza a una morale panteistica, per la quale il sommo bene è da riporre nella fuga dal perituro. Il valore è invece ‘durevo­ le’ nella misura in cui «ha in sé il fenomeno del poter-esistere-attraverso-il-tempo»17, qualunque sia la durata effettiva del suo portatore, a differenza del bene cosale che affida a fattori estranei e contingenti la sua tensione all’esistenza. Né tale fe­ nomeno di persistenza investe soltanto i valori, ma si estende realizzazione diverse, a seconda che si tratti di un preferire ‘automatico’ e ‘istintivo’ di fronte alla superiorità di un valore che si presenta ‘come da se stesso’, o si tratti invece di una elaborazione ponderata e magari sofferta di fronte a valori poco evidenti nella loro preminenza (dr. ibidem, p. 106 s.). 15 ìbidem, p. 1IO. ** ìbidem, p. 108. ’ *7 ibidem, p. 109.

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STRI r m ’RA C.LRAKCHICA DU VALORI

anche agli atti. Appartiene, per esempio, all’essenza dell'atto di amore autentico il sub specie quaderni aeterni. E, come è contraddittoria l’espressione «ti amo per adesso o per un de­ terminato periodo», così la correlazione essenziale tra il valore (e l’atto) dell’amore e la persistenza temporale sussiste a pre­ scindere dal tempo effettivo e obiettivo del rapporto d’amore. Sintomo di tale atemporalità dell’amore è il rilievo che, quan­ do subentra una frattura in un legame amoroso, si suole ad durre, come giustificazione allusiva, una valutazione errata dei propri sentimenti o una valutazione errata del valore della persona amata. Viceversa, una scarna comunione ili interessi o una semplice situazione abitudinaria, anche se di fatto può godere di una maggiore dimensione temporale rispetto a un legame d’amore, c, in virtù della sua natura, più fugace e come tale di valore inferiore. La persistenza temporale, retta­ mente intesa, di un valore e dell’esperienza vissuta che lo co­ glie instaura, conseguentemente, un criterio indicativo del grado di elevatezza dei sentimenti corrispondenti. La beatitu­ dine e la disperazione godono di una più radicata stabilità rispetto ai sentimenti spirituali della felicità e dell’infelicità, così come è propria della felicità e dell’infelicità una maggiore persistenza rispetto ai sentimenti psichici della gioia e della sofferenza, mentre questi ultimi si sottraggono al fluttuare ine­ rente agli stati di piacere e di dispiacere’". In secondo luogo, un valore è tanto più elevato quanto meno è partecipabile per divisione. 11 gradevole sensoriale, per esempio, possiede un carattere essenzialmente estensivo e le esperienze vissute relative a esso sono localizzate corporal­ mente: la sua percezione affettiva da parte di una pluralità di esseri comporta quindi una frazione e una menomazione del suo supporto. 11 valore dei beni materiali, di conseguenza, varia secondo la grandezza ilei supporti e non può non provo­ care l’insorgere di divisioni e di conflitti d’interesse. 1 valori spirituali, invece, e i sentimenti a essi correlativi, non essendo limitati da restrizioni spaziali né dalla morsa della divisibilità, non pongono confini a una loro percezione affettiva. (.ìli stessi valori estetici, benché condizionati fisicamente dalla limitata accessibilità dei portatori, sono essenzialmente partecipabili in ’8 Cfr. ibidem, pp. 107-10.

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STRUTTURA liEKAIU'JflCA 1)1.1 VALORI

modo indiviso. Il valore del sacro poi, svincolato da ogni in­ carnazione materiale, è il meno divisibile e, per tale caratteri­ stica, ‘proprietà’ di tutti. Esso lega tutti in modo unitario più di ogni altro valore: certe discrepanze conflittuali attestate dalla storia concernono non la ricerca intenzionale del sacro come tale, ma i suoi ‘simboli’ e le sue ‘tecniche’” . Altra proprietà distintiva delle modalità di valore, atta a costi­ tuire un criterio indicativo del loro grado di elevatezza, è l’at­ titudine fondativa che un valore può rivestire nei riguardi di un altro. L’importanza che tale attitudine riveste nella dinami­ ca della definizione del rapporto che lega l’axiologia al pro­ blema dello spirito in generale, e dell’assoluto in particolare, ci autorizza ad approfondire la natura di tale proprietà, anche se una risposta definitiva a tale problema potremo darla sol­ tanto quando, alla fine della nostra analisi, ci accosteremo alla tematica del rapporto tra l’etica e il problema di Dio. Un valore ‘fonda’ (ist fundierend) un altro valore se, in virtù di leggi essenziali, ne condiziona la datità. Come il valore del piacevole ‘fonda’ il valore dell’utile, in quanto l’utile si presen­ ta intuitivamente come mezzo per qualcosa di piacevole40, così il valore vitale ‘fonda’ e ‘regge’ il valore del piacevole. Ma la questione diventa più problematica quando Scheler intende attribuire ai valori spirituali l’attitudine fondativa nei riguardi dei valori vitali, pur nell’ambito di una originale specificità e inconvertibilità insite in ogni serie axiologica. Riportiamo per disteso l’argomento addotto, dato che esso ci sembra rivestire un’importanza fondamentale per quel che concerne non solo il problema fondante dell’axiologia, ma anche la natura stessa del problema fenomenologico: «infatti la vita come tale (in ogni sua estensione), solo in quanto è portatrice di valori che occupano un determinato grado di una gerarchia axiologica assolutamente oggettiva, ha di fatto tali valori. Ora una tale ‘struttura gerarchica’ è comprensibile (erfassbar) soltanto me­ diante atti spirituali, che non siano a loro volta vitalmente condizionati [...]. Solo in quanto si danno valori e atti spiri-

’9 Cfr. ibidem, p. 110 s. ■*’ Confessiamo di non riuscire a vedere l’evidenza intuitiva che sca­ turirebbe dall'utile inteso come mezzo per qualcosa di piacevole. L’utile non ci pare di per sé necessariamente correlato al fenomeno del piacevole.

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str it it RA gerarchica di:i valori

diali che li comprendono, la vita come tale - a prescindere dalla differenziazione reciproca delle qualità axiologichc vitali - possiede un valore. Se i valori fossero ‘relativi’ alla vita, la vita stessa non avrebbe alcun valore: sarebbe un essere axiologicamente indifferente»41. La forza persuasiva dell'argomentazione, meglio dell’ostensione fenomenologica, verte sul fatto che i valori vitali rimangono privi del carattere di assoluta oggettività se non si danno atti e valori superiori di natura spirituale. Senza tali valori, la vita stessa non rivestirebbe il valore che le compete. Come tale, un’axiologia puramente biologica peccherebbe di relativismo e di soggettivismo. Nel tentativo di dare una spie­ gazione all’analisi di Scheler, è bene anzitutto premettere l’as­ sunto fondamentale della fenomenologia: a ogni atto intenzionante dello spirito deve corrispondere oggettivamente un es­ sere intenzionato, e viceversa a ogni essere oggettivo deve cor­ rispondere un atto intenzionante dello spirito; conseguente­ mente, a ogni essere axiologico oggettivo deve corrispondere una valutazione intenzionante dello spirito. E questo il princi­ pio fondamentale della correlazione tra oggetto (anche di ca­ rattere axiologico) e atto. È pertanto lo spirito, col suo carat­ tere intenzionale, a condizionare il carattere di assoluta ogget­ tività del valore vitale, a svincolarlo dalla semplice dimensione del soggettivismo biologico42. Ciò premesso, se non andiamo errati, l’interpretazione da dare al testo sarebbe la seguente. La vita come tale - a prescindere cioè dai singoli valori vitali differenziati, quali il

1,1 Ibidem, p. 113. Sarà tale fondazione che consentirà a Scheler di confutare la teoria della relatività di tutti i valori alla vita: «Weit ernster zu nehmen wäre der Satz von der Subjektivität und der Relativität der Werte dann, wenn man ihn in dem Sinne interpretierte, es sei alles Wertsein über­ haupt (also auch die sittliehen Werte) relativ aut das Leben und es gäbe für einen reinen Geist, d. h. einen solchen, der sich nicht innerhalb einer mögli chen Organisation des Lebens betätigte, überhaupt keine Werte» (ibidem, p. 280). 42 Ciò non esclude che resistenza oggettiva’ (objektive Existenz) dei valori sensoriali c vitali possa essere colta per esperienza vissuta soltanto da modalità di atti c di funzioni proprie dell esperienza sensoriale e vitale, c ciò sempre in virtù della correlazione essenziale tra oggetto e atto. Ma sarebbe soltanto un atto proprio della percezione affettiva pura, indipendente cioè dall’essenza della sensibilità c della vita, a conferire Ìoro il carattere di ‘asso­ luta oggettività’ (ibidem, p. 114 s.).

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STRUTTURA (.IRAKCHIUA DUI VAI.ORJ

senso della salute, la nobiltà di razza - possiede il suo signifi­ cato axiologico soltanto se un atto spirituale (che ha come correlato un valore spirituale) è capace di coglierlo come valo­ re, cioè di valutarlo positivamente, e di inserirlo nello stesso tempo in una struttura gerarchica axiologica. La vita diventa valore, cioè acquista il suo senso, soltanto se viene percepita da un atto spirituale, che la inserisca in una scala di valutazio­ ni eidetiche. Il puro piano del virale rimane axiologicamente indifferenziato se non subentra il piano valutativo dello spiri­ tuale. Senza un atto valutativo, di carattere spirituale, e quindi senza i valori spirituali che sono i suoi correlati, il vitale reste­ rebbe cosa vitale e non avrebbe il senso del vitale, così come avviene per gli animali o per coloro che vivono senza significa­ re la vita. Senza l’ambito axiologico spirituale la vita sarebbe, ma non varrebbe. 1 valori vitali quindi desumono la loro allusi­ vità dall’attività spirituale e dai valori a essa confacenti, e con tale ‘fondazione’ essi si collocano in un grado gerarchico infe­ riore ai valori fondanti e superiore al valore del piacevole. In un contesto fenomenologico, la correlazione dell’am­ bito dei valori inferiori con l’ambito dei valori spirituali non dovrebbe offrire difficoltà: come il significato eidetico invoca e pretende la correlazione essenziale con l'atto intuitivo, così il significato axiologico invoca e pretende la correlazione essen­ ziale con l’atto valutante dello spirito. Sotto questo profilo non si è di fronte a una novità assoluta: anche per una certa filosofia classica - pur se in una prospettiva ideologica e in un criterio metodologico diversi - il bonum qua bonum esprime una relazione essenziale con un atto spirituale valutativo. Ma è anche necessario integrare tale interpretazione. La forza persuasiva del testo citato gravita infatti sull’esigenza scheleriana di rivendicare la dimensione ‘assolutamente ogget­ tiva’ dei valori vitali, inserita in una struttura gerarchica anch’essa ‘assolutamente oggettiva’. È chiaro che i valori vitali sono ‘relativi’ a una struttura organica vivente, dagli atti della quale soltanto sono esperiti in modo vissuto'". Dio, per esem­ pio, può ‘comprendere’ (verstehen) tali valori, senza ‘percepirli affettivamente’ (fühlen) in modo vitale. Tuttavia, non perché

4) I valori spirituali e religiosi sono invece ‘assoluti’, possono cioè essere dati a una percezione affettiva ‘pura’, dal momento che non sono correlativi a una struttura sensibile e a una struttura organica vivente.

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STRUTTURA CiI.RAR< MICA IJK1 VALORI

relativi a una struttura organica vivente cessano di essere ‘og­ gettivi’, cioè irriducibili all’attività o allo stato soggettivo di chi li percepisce affettivamente e indipendenti dalla particolare struttura del loro soggetto. Ma, affinché tale oggettività venga affermata in modo assoluto, si richiede un’attività superiore di carattere spirituale (e quindi si richiedono valori spirituali), non condizionata vitalmente, l’unica atta a conferire un carat­ tere intenzionale di assoluta oggettività. In altri termini, i valori vitali possono rivestire il carattere di assoluta oggettività sol­ tanto se sono il termine intenzionale di un particolare atto conoscitivo-intuitivo, proprio di una percezione affettiva ‘pu­ ra’, in ultima istanza se rinviano alla persona. Tale urgenza dell’assoluta oggettività spiega, a nostro avviso, l’allusione ope­ rata da Scheler: che un uomo sia il più pregevole tra tutti i viventi diventa un fatto non semplicemente antropomorfico (valido esclusivamente per il giudizio umano) soltanto se il valore di tale valutazione non c relativo all'uomo, ma esprime una verità indipendente da lui; analogamente, il vitale acquista la dimensione di un valore assolutamente oggettivo soltanto se richiama un piano axiologico che trascenda il piano del mero vitale. Per Scheler, la vita come tale non riesce ad acquisire una dimensione assolutamente oggettiva se viene sottratta alla fon­ dazione da parte dell’attività e dei valori spirituali; i valori vitali non denotano di per sé una valenza di assoluta oggettività, nella misura in cui il puro stato vitale non è in grado di signifi­ care l’assoluta oggettività del valore vitale, allo stesso modo in cui un giudizio umano conserva una significanza puramente umana, e quindi relativa, se resta ancorato al puro piano antro­ pologico. Per Scheler risulta quindi fondamentale il principio intuitivo secondo cui la vita desume il suo specifico senso axiologico soltanto se, tramite una valutazione ‘assolutamente oggettiva’ di ordine spirituale, può essere inserita in un rappor­ to gerarchico, axiologico anch’esso oggettivo. In altri termini, una valutazione ‘assolutamente oggettiva’ non solo impliche­ rebbe, per Scheler, l’attività e i valori dello spirito, ma anche un atto di differenziazione oggettiva o una peculiare collocazio­ ne in una scala axiologica. Senza una struttura gerarchica asso­ lutamente oggettiva non sarebbe possibile cogliere formalmen­ te il valore vitale, e in tale struttura gerarchica esso si trovereb­ be fondato dai valori spirituali. Si tratta evidentemente di una correlazione apriorica, intuitiva, che non potrebbe risultare certamente familiare a certe suggestioni nietzschiane. L’axiolo1 43

STRUTTI IRA GIURARCI IK1A DM VALORI

già spiritualistica schclcriana desume con ciò la sua evidenza dalla fondazione della significanza dei valori inferiori, o, se si vuole, i valori inferiori desumono il loro senso axiologico dai valori dello spirito. Non si tratta - si badi - di una inferenza dello spirituale dal vitale significato, né di una deduzione del vitale dallo spirituale. Il carattere fondativo dell’attività dello spirito nei riguardi dei valori vitali offre così all’axiologia schelcriana una connotazione assolutamente originale. Scheler non saprebbe appellarsi, per esempio, a una prova preliminare ten­ dente a dimostrare che l’atto conoscitivo oggettivante compor­ ta una autotrasparenza, rivelativa del caratere immateriale e spirituale dell’intuizione. A nostro parere, torna qui ancora puntuale la domanda radicale che può farsi intorno alla dimensione del carattere fondativo dell’attività dello spirito, e sulla quale torneremo in seguito: si tratta di una fondazione semplicemente gnoseologi­ ca, rivelativa cioè del significato dei valori, o anche di una fondazione costitutiva del loro essere? La relazione con lo spirituale significa, evidenzia, o anche costituisce il valore vita­ le? Noi riteniamo che la ‘fondazione’ cui si rifa Scheler non sia costitutiva nel senso che il valore vitale - come del resto ogni altro valore - derivi dall’atto e dal corrispettivo valore spirituale: si tratta infatti di una correlazione in cui lo spirito così come nei riguardi della verità - non crea, ma evidenzia l’assoluta oggettività delle essenze axiologiche, e in tal senso ne condiziona la datila axiologica, cioè fa sì che i valori venga­ no compresi così come sono. In definitiva, si tratta di una fondazione di carattere gnoseologico, cioè appunto fenomeno­ logico, non ontologico. Se si vuole adoperare il termine ‘costi­ tutivo’, lo si può nei riguardi della significanza o della presen­ zia la del valore nella sua assoluta oggettività, cioè sempre in funzione gnoseologica*1. Un’autorevole conferma di tale inter-

44 «Ich sage, dass der Wert von der Art h den Wert von der Art a 'fundiere', wenn ein bestimmter einzelner Wert a nur gegeben sein kann, sofern irgendein bestimmter Wert b bereits gegeben ist: und dies wesensgesctzlich» (Der Formalismus, p. 112). Sc è vero che l'analisi fenomenologica si trova in difficoltà quando tenta di superare la soglia di una semplice fondazione descrittiva, ci sembra tuttavia privo di fondatezza - secondo quanto abbiamo cercato di dimostrare - il giudizio della Kanthack, secondo cui la tesi della struttura gerarchica dei valori, lungi dal trovare una giustifi­ cazione su basi teoretiche, si radica in decisioni «die aus irrationaler I iefe

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STRUTTURA UllRARCHICA DHI VALORI

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prelazione ci viene da un passo di Der Formalismus, in cui Scheler, volendo configurare lo spirito, accosta l’atto e l’inten­ zionalità al ‘compimento di significato’ (Sinnerfülltheit)-, col termine spirito si intende «l’intera sfera degli atti, volendo in tal modo indicare tutto quanto l’essere ha di atto, di intenzio­ nalità e di compimento di significato»4’. L’intenzionalità del­ l'atto si limita pertanto a costituire il significato, a compierlo, cioè a tradurlo in concretezza ed espressività. E tale fondazio­ ne di carattere gnoseologico che può permettere ai valori vitali di restare «indipendenti dalla serie dei valori propriamente spirituali»*. Una diversa interpretazione non potrebbe non pregiudicare l’irriduttibilità delle diverse modalità axiologiche. Ciò è anche confermato daH’affermazione di Scheler se­ condo cui si dà una gerarchia tra valore vitale e valore piace­ vole, la cui ‘costituzione’ (Konstitution) e ‘deduzione’ (Ableit­ ung) non abbisogna assolutamente dell’attività spirituale47; la superiorità del vitale sul piacevole sarebbe inerente all’essenza stessa di tali valori. Dopo aver ‘fondato’ i valori vitali sui valori e sugli atti dello spirito, nella misura in cui questi consentono loro di essere inseriti in una gerarchia axiologica assolutamente og­ gettiva e di acquisire il significato axiologico che loro compe­ te, Scheler cerca di ‘fondare’ tutti i valori, inclusi quindi i valori spirituali e i valori morali, sul valore di uno spirito per­ sonale infinito: «tutti i valori possibili sono ‘fondati’ sul valore di uno spirito personale infinito e del 'mondo dei valori che gli sta di fronte. Gli atti che comprendono i valori in tanto com­ prendono valori assolutamente oggettivi in quanto vengono compiuti 'in lui, e i valori sono valori assoluti soltanto in quanto appaiono in tale regno»48. Il testo presenta un’ampia e complessa problematica, che tratteremo a parte quando ci ac­ costeremo in maniera specifica al problema del rapporto tra I’axiologia, il problema dell’assoluto e la filosofia della religio-

der Seele heraus erfolgten» (K. Kanthack, Max Scheler. Zur Krisis der Ehr­ furcht. cit., p. 124). Del resto, emerge sempre la domanda che ci siamo posti sin dall’inizio: entro quale misura la fenomenologia può e deve ricercare una soluzione di tipo metafisico? ° Der Formalismus, p. 388. 46 Ibidem, p. 112 s. 47 Ibidem, p. 282. 4K Ibidem, p. 113.

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STRUTTURA (ilJtARCHICA DUI VAI.ORI

ne, e amplieremo la tematica con testi tratti da Probleme der Religion. In questa fase dell’analisi - dopo aver ricordato che lo Scheler del passo citato di Der Formalismus attribuisce a Dio, inteso come idea, soltanto l’idea della personalità, men­ tre ancora nello stesso Der Formalismus e soprattutto successi­ vamente, in Vom Ewigen im Menschen, ne attribuisce resi­ stenza personale reale alla rivelazione - interessa porre in rilie­ vo che l’assoluto axiologico, cioè il valore del sacro, ‘fonda’ tutti i valori, nella misura in cui consente loro di essere ‘com­ presi’ nella loro assoluta oggettività, in quanto il ‘suo’ regno di valori costituisce l’orizzonte in cui ogni valore assoluto deve apparire. E questo avviene in una dimensione squisitamente filosofica. Si dà inoltre una correlazione essenziale tra la superiorità di un valore e la profondità della soddisfazione concomitante la sua percezione affettiva, anche se è fuori dubbio che la su­ periorità di un valore non consiste in tale proprietà distinti­ va. La soddisfazione è un’esperienza vissuta di compimento del valore, data dalla quieta percezione affettiva e dal pieno possesso emozionale di esso, e come tale non è convertibile nel piacere - anche se non lo esclude come sua possibile conseguenza - né è legata a una tensione preliminare da at­ tuare4'. La soddisfazione è più profonda di un’altra nella mi­ sura in cui non dipende dalla percezione affettiva del valore proprio di quest’ultima. E così che i piaceri sensoriali non possono soddisfare pienamente quando si imbattono in una insoddisfazione del nostro essere interiore più profondo, dal­ la quale insoddisfazione anzi scaturisce, in modo direttamcn-

^ Potrebbe destare un certo interesse ricordare che anche san Tom­ maso amava insistere sulla quies o quietano come connotazione essenziale della delectatio concomitante il conseguimento di un valore. In particolare, commentando Aristotele (Etica Nicomacbea, C. li, 1153 a, 10-17; C 1-1, 1153 b, 12-13; C 15, 1175 b, 33-56), egli precisava che il termine quies non implica nel soggetto inattività, inerzia, pura ricettività. La quies della delcctatio è cessazione di una tensione, a causa del conseguimento del bene, ma non per questo l'attività cessa. Anzi la Jelectatio è motus (evep^Eta in Ari­ stotele), attività acquietante: «licet ergo in eo qui iam consecutus est bonum, in quo delectatur, cessct motus executionis, quo tendit ad finem, non tarnen cessat motus appetitivac partis, quae sicut prius desiderabat non habitum, ita postea delectatur in habito» (Summa theologiae, I-II, q. 31, a. I).

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STRUTTURA(illRARCHICA DUI VALORI

le proporzionale, una ricerca insonne e vana di valori gode­ recci’0. I. ultima proprietà distintiva, assolutamente originaria, che manifesta il senso profondo del grado di elevatezza di un va­ lore, e dalla quale traggono fondamento i criteri precedenti, è ipiella dell’assolutezza o della relatività dei valori. Mentre la modalità del valore vitale è ‘relativa’ agli esseri viventi e quel­ la del piacevole è relativa agli esseri sensitivi, si danno valori ‘assoluti’, confacenti cioè a una percezione affettiva ‘pura’ (come gli atti di preferenza e di amore), ossia «indipendente nella sua modalità e nelle sue leggi funzionali dall’essenza della sensibilità e della vita»’1. Sono i valori spirituali, morali e religiosi. Nell’atto di amore puro, per esempio, il valore della persona amata è colto come valore assoluto, autonomo ila ogni correlazione con l’affettività o con il sentimento vita­ le di chi ama. Ma, come abbiamo già detto, la ‘relatività’ dei valori sensoriali e vitali non significa che essi siano ‘soggettivi’. Tutti i valori sono ‘oggettivi’, nella misura in cui sono ‘dati di fatto’ ( Tatsachen o Talbestände), non assimilabili né a una esperien­ za interna, a una funzione o attività psichica (psicologismo), né a una tacita convenzione (nominalismo), né a una modifi­ cazione della sensibilità (Kant), né a una ‘particolare’ struttura organica o spirituale, e neppure a un giudizio di valore da parte dell’io empirico o trascendentale’2. La percezione poi dell’assolutezza o della relatività dei valori è data anch’essa immediatamente, con evidenza origina-

w O r. Der Formalismus, p. 113 s. ” Ibidem, p. 115. Ricordiamo che mediante la percezione affettiva ‘pura’, non legata cioè alle funzioni affettive proprie dell'essere sensoriale o dell'essere vivente, c possibile ‘comprendere’ - anche se non ‘percepire af­ fettivamente' - i valori relativi. Così Dio può comprendere il dolore senza esperirlo. Scheler rileva ancora opportunamente che la relatività concernen­ te alcune modalità axiologiche è diversa dalla relatività concernente le mo­ dalità dei beni, i quali, essendo portatori di tali valori, sono ‘relativi’ alla peculiare fattuale struttura psico fìsica degli esseri esistenti. Il pervertito, per esempio, può trovare piacevole quanto per un individuo normale c spiacevole. Tale relatività non è pertanto assimilabile alla relatività concer­ nente il darsi di certi valori. Questa, del resto, è intuibile immediatamente, quella solo tramite l’esperienza empirica. Basterà ricordare ibidem, pp. 77 s., 122, 178 s. 195.

147

STRUTTURA GERARCHICA DEI VALORI

ria, preliminarmente cioè a ogni giudizio o atto riflessivo: «vi è in noi una profondità in cui sempre segretamente sappiamo che cosa ne è dei valori da noi vissuti in quanto alla loro relatività, per quanti sforzi possiamo fare per nasconderla ai nostri occhi tramite giudizi, paragoni e induzioni». Come sul piano noetico è scettico o ‘antropologista’ colui che sente di non sapere propriamente nulla (non certamente neH’allusività socratica), così è scettico sul piano etico colui che non riscon­ tra assolutezza alcuna nei suoi valori” .

Ibidem, p. 116.

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VII ANALISI FEN O M E N O L O G IC A DEL R A PPO RTO ESSERE-VALORE

L'analisi fenomenologica scheleriana intorno alla natura del valore mira a rivendicare l’irriducibilità del valore alla catego­ ria dell’essere, senza che per questo si intenda incorrere in una sua valenza psicologistica. Conseguentemente a tale tesi, Schelcr intende tutelare l’inaccessibilità del valore al pensiero (Denken) o all’intelletto (Verstand), potendo il valore venire colto soltanto tramite una percezione di carattere affettivo (Fühlen). Ripromettendoci di trattare, per esigenze metodologi­ che, in un capitolo a parte della critica mossa da Scheler al­ l’interpretazione psicologistica, cioè in occasione della defini­ zione del rapporto tra il fenomeno del valore e il sentimento concomitante di piacevolezza che può scaturire dal suo conse­ guimento1, e riservandoci di trattare della irriducibilità del Fühlen al Denken nel prossimo capitolo, ci soffermiamo per il momento a definire il rapporto tra la categoria del valore e quella dell’essere. Per tale analisi ci serviremo soprattutto del­ la lettura di Beiträge zur Feststellung der Beziehungen zwischen Cfr. il cap. «Etica axiologica cd etica cudcmonologica». '

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analisi

HM( )Mi ;n o u k ;ica

dui . rapporto lssukl valori :

den logischen und ethischen Prinzipien, cioè della dissertazione dottorale presentata a Jena nel 1897 e ivi pubblicata due anni dopo2*, di Der Formalismus e di Vom Ewigen im Menschen. Cercheremo, in particolare, di esaminare se e in quale misura l’irriducibilità tra essere e valore, affermata nella dissertazio­ ne, sia stata smentita o attenuata nei saggi posteriori e se essa comporti anche una opposizione tra i due concetti. Nella dissertazione Scheler prende lo spunto dalla polemica con Ehrenfels e con Meinong; col primo, per avere egli conce­ pito il valore come ‘un sentimento oggettivato’ (ein objekti­ viertes Gefühl) di piacere; col secondo, per aver questi ravvi­ sato nel valore una ‘proprietà’ (Eigenschaft) dell’oggetto, così come potrebbero esserlo l’impenetrabilità e il colore, col ri­ schio di assimilare in tal modo il valore all’esistenza (Existenz) della cosa. Entrambi i tentativi avrebbero falsato, secondo Scheler, la vera natura del problema axiologico, nella misura in cui tutti e due, sotto profili diversi, avrebbero preteso di ricondurre la categoria del valore a quella dell’essere (Sein)*. La domanda ‘che cosa è il valore’ in generale, e quello morale in particolare, non riveste alcun significato, secondo Scheler, se il termine ist, anziché assumere la valenza di una semplice copula, pretende assumere la valenza di essere, nelle varie accezioni adoperate da Scheler (Existenz, Realität, Seien­ des, Sein). In questa seconda valenza «il valore non è in nes­ sun modo»4, e i tentativi di considerare il valore come ‘cosa’ (Ding) o come ‘proprietà’ (Eigenschaft) o come ‘attività’ (Tä­ tigkeit), lungi dal chiarire l'indefinibilità del valore, lo snature­ rebbero, relegandolo nella categoria dell’essere. Come i con­ cetti e i giudizi logici non sono collegati (in Verbindung) con la categoria dell’essere così inteso, in quanto, sovrastando il piano psicologico della esistenza fattuale, pretendono di ‘vale­ re’ (gelten), di valere sempre, a prescindere dal fatto che ven­ gano compresi o meno, similmente i valori non sono, ma val­ gono. Il valore e l’essere sono «concetti del tutto coordinati

2 La dissertazione, pur essendo diretta a stabilire i rapporti Ira i principi logici c quelli etici, concerne anche lo studio dei valori come tali. ’ Beziehungen zwischen Jen logischen und ethischen Prinzipien, in Brühe Schriften, l, pp. 96-98. 4 Ibidem, p. 98.

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a n a l isi f e n o m e n i >lo c ; ica d e l rapi *

«T I > e s s e r e VALORE

(koordinierte Begriffe)», ma, proprio per questo, non si posso­ no ‘dedurre’ (ableiten) l’uno dall’altro’. Secondo una tesi già Iumiliare a 1lermann Lotze, e in antitesi ai principi della Logik di Sigwart, per Scheler il Gelten è pertanto un concetto origi­ nario e ultimo. Non solo egli condivide, in contrapposizione alla metodologia spinoziana, il procedimento kantiano che non deduce la ‘realtà’ dal concetto axiologico di un essere perfettissimo, ma sostiene anche che «una cosa, per il fatto che è, per quanto spesso e per quanto tempo possa essere, non ha con ciò, neppure lontanamente, valore alcuno. Come il valore non rende esistente una cosa, così neanche l’esistenza rende una cosa più ricca di valore»6. Del resto la non coestensività del valore e dell’essere è confermata dal fatto che anche quanto non è accaduto, e che tuttavia doveva accadere (facienilum erat), ‘aveva’ valore. Il valore dunque non è, nella stessa misura in cui l’essere non vale. L’irriducibilità del valore al­ l’essere non coimplica tuttavia che il valore non sia oggettivo. Il valore riveste una validità oggettiva non inferiore a quella inerente all’essere, perché l’oggettività non è proprietà esclusi­ va dell’essere. Per oggettività infatti si intende soltanto l’indi­ pendenza dal pensiero e dal desiderio . In Der Formalismus - come abbiamo in parte già visto - Sche­ ler si sofferma non poche volte sull’indipendenza intrinseca del valore dal Ding, dalla Sache, e dal supporto in genere, in virtù della sua apriorità e idealità, anche se i valori, intesi come ‘oggetti ideali’, si manifestano e divengono in tal senso ‘reali’ soltanto nel bene fattualmente esistente. Il valore come tale si contrappone all’essere fattuale e non deriva da esso la sua idealità; l’esistenza è indifferente al darsi del valore, l’esse­ re di per sé non ‘vale’ né il valore può considerarsi una moda­ lità o qualità dell’essere. Come la conoscenza del valore non dipende dalla conoscenza dell’essere, così il valore non può venire equiparato all’essere. «Né l’esperienza del valore né il suo grado di adeguazione e di evidenza [...] dipendono in qualche modo dall’esperienza dei supporti di detto valore»".

’ 6 7 *

Ibidem. ìbidem. ìbidem, p. 99. Der Formalismus, p. 40.

151

ANALISI FKNMKNOL(X,lCA DEI. HAPIORTl ) ESSEREVALORI

«Nessuna axiologia filosofica [...] ha il diritto di porre come presupposto i beni, molto meno le cose» e ciò in virtù della sua apriorità1'. Lo stesso si potrebbe affermare per le correla­ zioni tra i valori (per quanto concerne la loro positività o negatività): le correlazioni-di-essenza «concernono i valori stessi, in modo del tutto indipendente dalla loro esistenza o dalla loro non esistenza (oh sie sind oder nicht sind)»'0. E, come Socrate avrebbe erroneamente connotato il bene come grado supremo dell’essere e il male come privazione di essere, così i razionalisti avrebbero non meno erroneamente assimila­ to l’assolutamente perfetto all’ens realissimum, senza tener conto che lo stesso concetto di perfezione rinvia di per sé al concetto di valore". In Der Formalismus Scheler aveva pertan­ to chiaramente affermato l’autonomia e l’anteriorità della co­ noscenza del valore su quella dell’essere e l’indeducibilità del valore dall’essere, inteso nella sua particolare accezione di ‘esistenza’. In particolare aveva rifiutato l’equiparazione tra valore ed essere operata dai razionalisti. In tale contesto aveva anche affermato l’originarietà della conoscenza di carattere emozionale del valore sommo del divino e aveva riservato la conoscenza della sua realtà a una rivelazione positiva persona­ le divina. In Vom Wesen der Philosophie emergono alcune affermazioni che valgono a precisare e ad attenuare la natura del conflitto tra l’axiologia e la tematica dell’essere, emerso nelle opere anteriori, in quanto inseriscono espressamente la tematica del­ l’essere in generale. A proposito della contrapposizione tra co­ noscenza teoretica dell’essere e comprensione emozionale dei valori, Scheler fa notare che il rapporto tra conoscenza del valore e conoscenza deH’essere è tale che «siano date anzitutto le qualità e le unità di valore, prima di ciò che appartiene allo strato dell’essere privo di valore (wertfrei), in modo tale che nulla di esistente completamente senza valore possa diventare originariamente oggetto di percezione, di ricordo, di attesa, di910

9 Ibidem, p. 45. 10 ìbidem, p. 100. 11 Cfr. ibidem, pp. 177 e 269. Cfr. anche ibidem, pp. 207 ss. e, per quanto concerne altre opere, Probleme einer Soziologie des Wissens, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 109 s.

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ANALISI nWOMKNOUXilCA OKI. RAPPORTO LSSHRK VALORE

pensiero, di giudizio, senza che le sue qualità di valore o la sua relazione di valore a un altro (uguaglianza, differenza ecc.) ci siano già date prima in qualche modo (in cui il ‘prima’ non include necessariamente successione temporale e durata, ma soltanto Yordine (Ordnung) della successione della datità o della durata). Ogni esistenza priva di valore o indifferente al valore c tale sempre in base a un’astrazione più o meno artifi­ ciale, con cui prescindiamo dal suo valore, che non solo è sempre con-dato, ma anche sempre dato prima»'2. Tale legge essenziale investe «ogni progresso della conoscenza nella sto­ ria» e pretende che «gli oggetti dovevano essere amati o odiati prima di venire conosciuti intellettualmente (intellektuell er­ kannt), analizzati e giudicati». In breve «dappertutto l’amante precede il conoscente, e non vi è campo dell’essere (si tratti di numeri, di stelle, di piante, di interdipendenze reali storiche, di cose divine) il cui esame non abbia una fase enfatica prima di entrare nella fase di analisi priva di valore, una fase coinci­ dente per lo più con una specie di metafisicizzazionc dell’og­ getto (con una sua errata elevazione a valore ‘assoluto’)»1’. Tali precisazioni puntualizzano che il concetto di essere po­ sposto, nell’ambito della conoscenza, a quello di valore si rife­ risce al concetto restrittivo di essere già astratto da ogni valen­ za axiologica, cioè de-valorizzato, ipostatizzato quasi come puro ens rationis e comunque allusivo o all’essere inerente a un’accezione positivistica, depauperata di ogni eideticità, o al­ l’essere inerente a una accezione metafisico-razionalistica astratta. È solo in tali limiti che Scheler opta per l’anteriorità epistemologica di quello che potremmo chiamare strutturali­ smo axiologico su uno strutturalismo ontologico. Tale interpretazione viene suffragata dail’ulteriore preci­ sazione, secondo cui dall’anteriorità della conoscenza del va­ lore su quella dell’essere non si desume «una priorità in sé (eine an sich bestehende Priorität)» del valore rispetto all’esse­ re (Sem), ma una priorità quoad nos (das für uns Frühere). E il motivo è facile da reperirsi: a tutte le qualità, benché esse12 12 Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 79 s. Evidente l'affinità con quanto era stato affermato già in Der Formalismus, a proposito dello psicologo che, senza esserlo nel senso integrale del termine, volesse analizzare i fatti psichici in modo axiologicamcnte neutro (cfr. Der Formalismus, pp. 206-10). u Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen im Menschen, p. 81.

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ANALISI lENOMKNOMXHCA DLL RAPPORTO LSSKR1 VALORI:

quanto alla loro datila siano distinte o separate (gesondert) dai loro portatori e godano di un ordine autonomo fondato essen­ zialmente sul loro contenuto, «appartiene un essere sussistente (ein subsisttcrcndes Sein) cui esse in e risc o n o » S i darebbe dunque una priorità oggettiva dell’essere, in quanto soggetto portante, sul valore, inteso come qualità. Un'ultima conferma atta a definire il significato positivo attribuito da Scheler all’essere, quando questo viene sottratto alla ‘metafisicizzazione’ o alla de-valorizzazione, la si può re­ perire nella lettura degli ‘assiomi formali ultimi’ concernenti la relazione tra l’esistenza (Dasein) e il valore. Secondo essi: «omne ens est bonum», nel senso che ogni ente c un ‘valevole in generale’ ( Werthafles überhaupt) a prescindere dalla com­ prensione fattuale da parte degli uomini; «l’esistenza (Exi­ stenz-Dasein) di un valore è essa stessa un valore», nel senso (già spiegato in Der Formalismus) che l’esistenza di un valore positivo è un valore positivo, l’esistenza di un valore negativo è un valore negativo; «ogni valore (come qualità) è proprietà di un soggetto esistente, conosciuto o meno»15. L’esistenza pertanto, in tanto può continuare ad acquisire una valenza axiologica, in quanto incarna già un valore. La tematizzazione del rapporto tra essere e valore assume, tuttavia, una decisiva chiarificazione quando Scheler, sempre nel saggio Vom Wesen der Philosophie, tratta delle «tre evi­ denze metafisiche fondamentali», quando cioè, accostandosi al problema del «punto di partenza di ogni filosofia», lo indi­ vidua nel problema dell «essere delle cose in se stesso» o me­ glio - come si evince più chiaramente dal titolo originario dedicato nel manoscritto alla sezione del saggio - nel proble­ ma dell’«essere in se stesso (das Sein in sich selbst)»'6. Dal­ l’analisi della prima evidenza fondamentale si deduce che l’an­ teriorità della comprensione del valore sulla conoscenza del­ l’essere, affermata precedentemente, non vale per la conside­ razione dell’essere in quanto tale. La prima evidenza fonda­ mentale - come tale non verificabile, perché fondamento di

'•* Ibidem, p. 82. ■’ Probleme der Religion, ibidem, p. 306. 16 Vom Wesen der Philosophie, ibidem, p. 92, con relativa nota di Maria Scheler a p. -464.

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analisi h :nomkn ()U x ; o

dui. rapporto ksseri- valori .

ogni altra intuizione - è data inlatti daH’intuizione «che qual­ cosa in generale sia (dass überhaupt Etwas sei)». Essa pertanto precede ogni altra «categoria subordinata (untergeordnetere) dell’essere», quale «l’essere essenziale e l’essere esistenziale, l’essere della coscienza e l’essere della natura, l’essere reale e l’essere ideale oggettivo, l’essere dell’oggetto e l’essere dell’at­ to, l’essere di valore (Wertsein) e l’essere ‘esistenziale’ indiffe­ rente al valore»17. Non si dà conseguentemente un rapporto di contrapposizione tra valore ed essere in generale o essere come tale (all’essere si può contrapporre soltanto il nulla asso­ luto), ma un rapporto di ‘subordinazione’ del valore all’essere, il quale concetto integra, in tal modo, il concetto di ‘coordina­ zione’ espresso precedentemente nella dissertazione a propo­ sito del rapporto tra valore ed essere fattuale'*.

17 Ibidem, p. 93. Il concetto delPcssere in generale’ non è evidente­ mente riconducibile al concetto dell’essere assoluto divino, ma è un concetto trascendentale onniesaustivo, comprendente anche l’essere divino. Tale irri­ ducibilità c espressamente affermata in un frammento pubblicalo postumo, Faith und Absolutsphäre. Il concetto dell’essere come tale infatti c presente «come momento in ogni essere in generale», «è indifferente a ogni forma (indifferentes und formloses Sein)», nel senso che «può recepire ogni forma ili essere (für jede Seinsform empfänglich)» in quanto «'il' puro essere è la pienezza e la totalità di ogni essere». 11 ‘puro essere’ comprende pertanto «sia Dio sia il mondo» (Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, in Nachlass, l, p. 251 s.). Tale precisazione non esclude, secondo Schcler, che il concetto di Ens a se abbracci, come suoi generi (als Arten), sia il Wertsein sia il Dasein, in modo tale che questi ultimi concetti trovino in quello «la loro ultima e suprema unità». Se infatti esiste un valore ‘supremo’, si deve anche dare l’esistenza del portatore di tale valore, cosi come, se esiste un Ens a se, la cui esistenza c data in virtù della sua essenza, tale esistente deve essere anche il portatore di un valore assoluto (Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 306). Nel primo caso si tratterebbe del concetto anche se non vuoto, secondo l’infondato timore di Hegel - del puro essere, onnicomprensivo di ogni essere possibile; nel secondo caso, dell’E»J a se colto in quella dimensione ontologica che attua in se la pienezza dell’essere. 18 Cfr.. a tale proposito, l’intelligente critica mossa da Ferretti all’in­ terpretazione data da Dupuy, relativa all’anteriorità, in Dio, dell'attributo della santità su quello della sua assolutezza (G. Ferretti, Max Scheler. Filoso­ fia della religione, Milano 1972, p. 209). Condividiamo pienamente anche la preoccupazione di Ferretti, tendente a «sfatare l’obiezione, spesso mossa contro Scheler, di aver contrapposto essere e valore» (G. Ferretti, Fenome­ nologia e antropologia personalistica, cil., p. 323), anche se ci permettiamo di dissentire dall’osservazione dell’attento studioso di Scheler, secondo la quale «il concetto scheleriano di essere ci pare si avvicini molto all'autenti­ co concetto classico-scolastico, se non propriamente a quello tomista» (ibi-

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analisi

n:N( >Mi:N(H. DfcJ VALOKI

I.ORO l'LRI :LZIONi: Al I LTTIVA

mine sinonimo di ‘intuizione eidetica', così come 1lusserl ave­ va parlato di ‘astrazione ideatrice’ (ideierende Abstraktion)'1. Scheler ha posto in giusto rilievo che il razionalismo as­ soluto - il Xóyot; o la ratio o la Vernunft intesi in una accezio­ ne riduttiva e caratterizzanti «sempre l’aspetto unicamente lo­ gico dello spirito» ' - non può render conto del giudizio di valore. Se per valore in genere, infatti, intendiamo quanto, in virtii della sua ricchezza, è richiamo di apprezzamento e di amore, quanto è connaturale al dinamismo radicale dell’uoinii, ci rendiamo conto che esso, benché in quanto bene orni­ ci» sia radicato nell’essere, è costituito anche in modo essen­ ziale e trascendentale dalla tendenza affettiva. Il dinamismo del soggetto deve pertanto intervenire affinché il termine ‘va­ lore abbia un significato, in quanto il valore esprime la conso­ nanza connaturale tra dinamismo dell’oggetto e dinamismo del soggetto. Il valore non può essere oggettivamente colto senza l’implicanza del movimento tendenziale e delle reazioni attuali o potenziali dell’affettività umana. Conoscere un valore è conoscere un bene ontico nella sua consonanza radicale con l’inclinazione del soggetto, la quale inclinazione non si risolve in oggetto di conoscenza, anche se è vissuta in modo coscien­ te. Nessun ideale, per quanto pregnante possa essere la ric­ chezza ontologica che esso denota, può venire avvertito ed elevato a motivo di apprezzamento se non assurge a ideale sollecitante, a proprio ideale. Ciò posto, Scheler ha giustamen­ te riliutato la validità di una conoscenza puramente razionale del valore, priva di ogni complicità della tensione affettiva. I hia conoscenza del valore avulsa dal dinamismo sollecitante del valore stesso sarebbe una contradictio in adjecto. Scheler ha anche posto in giusta evidenza che i valori non sono oggetto di un potere conoscitivo di carattere con­ templativo, ma di un potere estimativo o valutativo. In suffra­ gio di tale tesi, basterebbe ricordare che, mentre il vero è inteso a manifestare l’essere, il valore è inteso a promuovere l’uomo. L’errore metodologico consiste, a nostro avviso, nel­ l'avere operato un passaggio illegittimo dal piano di distinzio-

,7 Q r., per esempio. Logische Untersuchungen, il, 5, Halle 1901, |>. 392; ibidem. 11, 2, p. 163. ’8 Der Formalismus, p. 82; cfr. anche Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 32.

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AMXilSMO DUI VAIjORI I- LORO PKRCIZIONL Al H-TTIVA

ne a quello di contrapposizione c nel tentativo di sottrarre il giudizio di valore a ogni implicanza del giudizio apprensivo, o meglio nell’inglobare la funzione apprensiva nello stesso giu­ dizio di valore, facendo derivare l’elemento logico da quello etico. Dal fatto che il giudizio di valore non è desumibile dalla scarna teoreticità, Scheler ne inferisce che esso è per natura alogico. Tale conclusione ci sembra valida - come abbiamo cercato di dimostrare - soltanto nella misura in cui alla tcoreticità viene sottratta ogni valenza eidetica. Ma se la teoreticità include la dimensione della significatività - e con essa il carat­ tere essenziale espresso dal concetto e affermato nel giudizio allora il giudizio di valore non può non presupporre come autonomo, pur trascendendolo, il giudizio di conoscenza. Al valore non si può accedere se non attraverso una sua ostensio­ ne fenomenologica di intelligibilità e tale ostensione ci è nota attraverso la significamo intelligibile dei suoi contenuti. Per attenerci all’esempio addotto da Scheler, è vero che l’omicidio è un disvalore e non un semplice dato ontico o una pura astrazione; tuttavia tale disvalore non può essere colto e valu­ tato nella sua negatività dal Wertgefühl senza che venga mani­ festato il contenuto intelligibile di ciò che è l’omicidio, della sua quiddità. La valutazione axiologica è valutazione di un contenuto essenziale anteriormente intuito. Ora la modalità di essere dell’omicidio non può venire colta che da un intus-legere, di carattere intuitivo, né il contenuto significante può esse­ re sostituito da un contenuto di valore. Con ciò non affermia­ mo che la valutazione negativa della modalità di essere del­ l’omicidio si risolva in una conoscenza apprensiva', il concetto etico di omicidio presuppone o coinvolge il suo concetto eide­ tico dovuto a un intus-legere, ma non si risolve in esso. Se Scheler opina che la 'forza costruttiva’ che infonde il contenu­ to essenziale e oggettivo al concetto di omicidio è da reperire nel Wertgefühl, fa ciò perché parte dal presupposto gratuito che contrappone al concetto elaborato dal Wertgefühl un con­ cetto intellettivo puramente formale o esclusivamente psicolo­ gico o semplicemente classificatorio o, comunque, depaupera­ to di ogni carattere essenziale’9. Inoltre la sua affermazione,

È anche vero che il valore postula una risposta intesa come parte­ cipazione libera ili carattere affettivo. Ma la risposta libera e risposta a una manifestazione eidetica di un contenuto sollecitante. Né vale il rilievo di

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Ali Xi ISMO DI I VALORI L LORO l’EJUEZIONE

Al LUTTIVA

secondo cui il Wertgefühl non si aggiunge in modo additivo a ««incetti già formati, ma interviene esso stesso nella formazione «li l concetto infondendogli ‘valore oggettivo’ ed elaborandolo, i ischierebbe, a nostro avviso, di conferire al sentimentale (pur se in un’accezione apriorica) una nota di assolutezza tale da compromettere la valenza ontologica del valore. Non per nul­ la lo Scheler più maturo di Der Formalismus, dove il metodo Kiuimenologico assume un’incidenza non rilevabile nella dis­ sertazione, si premurerà di precisare chiaramente che il Wertgefiihl non ‘crea’, ma ‘svela’ l’universo axiologico, pur conti­ nuando ad assegnare al Fühlen la capacità di cogliere le essen­ ze in quanto predicati axiologici. Occorre anche richiamare che - come vedremo subito Scheler concepisce la percezione affettiva (Fühlen) come un sentire di natura apprensiva (aufnehmendes) o comprensiva Ierfassendes) o intuitiva (Anschauung). La percezione affettiva e pertanto espressamente intesa come una peculiare forma di conoscenza intuitiva. Se quindi egli contrappone all’intelletto il Wertgefühl è perché dà una funzione restrittiva all’intelletto, perché concepisce Xintus-legere di tale facoltà o come una mediazione di successione, che instaura un processo mentale astrattivo attraverso forme percettivo-rappresentative e asso­ ciative che non consentono una comprensione immediata, in­ tenzionale, e come tale oggettiva, dell’universo axiologico, o perché assegna al Verstand una funzione puramente logicolormale e anche discorsiva, ma priva di ogni proprietà ap­ prensiva. Il potere di apprendimento assegnato da Scheler al Verstand concerne soltanto la realtà fattuale e contingente ed e in ogni modo mediato da forme percettivo-rappresentative, secondo un pregiudizio che vede ogni tipo di rappresentazio­ ne soggetto a una forma mediativa e che vede accomunati in una medesima modalità la rappresentazione, l’associazione e il pensiero propriamente detto'10. Soltanto l’intenzionalità pro-

Schcler secondo cui, mentre la scienza c spassionata, il fenomeno etico c vissuto. Anche la scienza morale, in quanto scienza, è spassionata: altro è l'etica, o scienza dei valori morali, altro c la morale o vita morale propria­ mente «letta, nella quale soltanto intervengono in minio vissuto la partecipa­ zione affettiva c l'opzione libera; altro il valore indagato, altro il valore vissuto. 4,1 L’errore metodologico di Scheler è pertanto quello di adoperare come prototipo di ‘rappresentazione’ la rappresentazione nell’accezione em-

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AU x;ISMO DU VALORI l; LORO PERCEZIONE AHITTIVA

pria della percezione affettiva potrebbe offrire «correlazioni di comprensione c di significati non empiriche e contingenti e non dipendenti dalla causalità psichica inerente agli indivi­ dui»*1. Così, secondo Scheler, mentre il concetto ‘scientifico’ di omicidio potrebbe pervenire semplicemente a connotare l’omicidio come pura soppressione materiale di un uomo - di per sé anche involontaria, cioè come semplice Tötung o Totschlag - legata essenzialmente alle circostanze contingenti che accompagnano la sua attuazione storica (incidente, rissa ecc.), il concetto ‘etico’ di omicidio sarebbe l’unico idoneo a connotarlo come soppressione cosciente e intenzionale della persona - cioè come Mord - legata alle qualità caratterizzanti essenziali42. Come si vede, è il timore infondato di naturalizza­ re in senso positivistico l’universo axiologico, depauperandolo dei suoi contenuti essenziali, che induce Scheler a staccare totalmente il valore dal riferimento all’intelligenza e ad anco­ rarlo a un sentire emozionale, il cui carattere diventa, così, intuitivo proprio nella misura in cui è anti-intcllettivo. Se ci pare fondata la preoccupazione di Scheler di ribadire l'ante­ riorità dell’intuizione sul concetto e sulla definizione e di rifiu­ tare il presupposto che per intelligenza si debba intendere il potere di un processo astrattivo-classificatorio (peggio ancora, logico-formale), non ci pare sufficientemente suffragato il suo rifiuto di conferire all’intelligenza la capacità di emarginare gli elementi non caratterizzanti l’essenza del valore in generale e

piristica, secondo la quale le qualità intuibili sono concepite come «Wirkun­ gen der Dinge auf die sogenannte 'Seele', die auf Grund völlig unfassbarer ‘Vermögen’ (echte ‘okkulte’ Qualitäten) auf gewisse Bewegungen hin diese Inhalte vorstcllt und sic dann (‘fälschlich’) nach aussen projiziert. Diese [...J Ixhrc ist nur eine nachträgliche metaphysische Konstruktion» (Der Formalis­ mus, p. 268). Basterebbe solo accennare a cosa intende per ‘rappresentazio­ ne’ san Tommaso, per intuire quanto qucst'ultima differisca da quella cui si riferisce Scheler: «ipsa cognita per intellcctualcm visionem sunt res ipsae et non rerum imagines [...]; objectum intcllcctus est ipsa rei essentia, quamvis csscntiam rei cognoscat per eius similitudinem, sicut per medium cogno scendi, non sicut per objectum in quo primo fertur eius visio» (De Veniale, q. 10, a. 4, ad 1); «alioquin scientiac non csscnt de rebus, sed de spcciebus intelligibilibus» (Summa theologiae, I, q. 76, a. 2, ad 4), «species intellcctiva secundario est id quoti intclligitur. Sed id quod intelligitur primo est res, cuius species intclligibilis est similitudo» (ibidem, q. 85, a. 2, in c.). 41 Der Formalismus, p. 264. 4J Cfr. Beziehungen zwischen Jen logischen und ethischen Prinzipien, in Frühe Schriften, pp. 106-108. 178

A U T IS M O Df'J VAI.* >RJ I. I jOMO P tR C tZ K »Ni: AFFETTIVA

ilei fenomeno etico in particolare. Tale prerogativa egli la ri­ serva esclusivamente a un’intuizione di carattere emozionale*'.

4} Per Altmann l’intuizionismo costituisce uno dei punti più deboli della filosofia schelcriana. Non condividiamo tuttavia certe sue preoccupa /ioni, quali il pericolo che la filosofia di Scheler si risolva in una filosofia mistica dell’esperienza o che il carattere emozionale del Fühlen comporti, assieme al rischio di ridurre la fenomenologia a ‘psicologia empirica’, che «der Sinn der Welt ist ein irrationaler» (A. Altmann, Die Grundlagen der Wertethik: Wesen, Wert, Person, cit., pp. 27, 29, 47 s.). Kühler sostiene che l'emozionalismo di Scheler non fa che fondare l'etica sul misticismo c sul soggettivismo (O. Kühler, Wert. Person, Gott, cit., p. 20). Anche Temuralp e del parere che Scheler conceda largo spazio all'irrazionalità, sia a quella inerente all’essere (ontologische Irrationalität), dovuta alla separazione del­ l ente in Dasein c in Sosein e all'inconoscibilità ilei Dasein, sia a quella inerente alla persona, dovuta all'inoggcttivabilità degli atti (T. Temuralp, liher die Grenzen der Erkennbarkeit hei Husserl und Scheler, cit., pp. 83­ 1741. Mentre Enzo Paci giudica i valori prospettati da Scheler «assoluta­ mente irrazionali» (E. Paci, Nota sull'etica di Max Scheler, in «La Nuova Italia», 13, 1938, p. 30), il neoscolastico Wittmann, in un saggio in cui analizza le visuali etiche di Kant, Windelband, Rickert c Messer, sostiene la tesi che l’intuizionismo dei valori proposto da Scheler sfocia in un tipo di irrazionalismo affine a quello presente nei suddetti autori (M. Wittmann, Max Scheler als Ethiker. Ein Beitrag zur Geschichte der modernen Ethik, Düsseldorf 1923). Allo stesso modo si esprimono M. Schneider, Max Sche­ ll r's Pbenomenological Philosophy ofValues, Ph. D. Diss., Catholic Univer­ sity, Washington 1951, p. 176, e R. D. Sweeney, Max Scheler s Philosophy oj Yalnes, Ph. D. Diss., I’ordham University, New York 1962. Il tentativo di ;u costare l’etica dei valori di Scheler alla cosiddetta 'filosofia dei valori’ ci sembra non tenga in debito conto la dimensione oggettiva dei valori su cui Scheler insiste così vigorosamente. Condividiamo pertanto la critica mossa da flildebrand all’interpretazione di Wittmann (1). von Hildebrand, Max Scheler als Ethiker, in «Hochland», 21, I, 1923-24, p. 630 s.) c il tentativo operato da Blessing di non tacciare di ‘irrazionalismo’ l’etica di Scheler (E. lìlessing. Das Ewige im Menschen. Die Grundkonzeption der Religionsphilo\ophic Max Schelers, cit., p. 38). Se col termine ‘irrazionalismo’ si vuole porre in evidenza l’irriducibilità, anzi la contrapposizione o Vantinomia stabi­ lita da Scheler tra ratio c Fühlen, allora si adoperi pure questo termine. Ma se con esso si vuole intendere una riduzione del Fühlen a una percezione empirica e psicologica, allora ricordiamo che Scheler ha espressamente rifiu­ tato tale riduzione e, con essa, Pirrazionalismo' della Gefühlsethik dei filo­ sofi inglesi che a essa si ispirava, preferendo denotare la sua etica come alogica'. Del resto il carattere intenzionale del Fühlen verrebbe a fugare ogni dimensione irrazionalistica ispirata a questa seconda interpretazione. A giudicare poi dal paragone addotto da Scheler (i valori sono inaccessibili all'intelletto «come lo sono i colori all’orecchio e all'udito») si dovrebbe concludere che il Fühlen, più che venire positivamente contrapposto alla ratio, e al di là di essa, è mctalogico, quasi che il Fühlen e la ratio fossero due strumenti conoscitivi che non hanno alcunché in comune. Per un altro

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Al (X;iSM< ) DPI VAIJORI E IjORO PERCEZIONE AFFETTIVA

Con ciò siamo ben lontani dall’affermare che le condizioni gnoseologiche che accompagnano l’intelligenza dei valori non debbano coinvolgere caratteristiche che, secondo Scheler, sa­ rebbero peculiari del Fühlen, quali l’evidenza o la compren­ sione del valore nella sua unità e totalitarietà indivisibile. Concludiamo con un’ultima osservazione, che vorrebbe ulteriormente puntualizzare i limiti dell’avversione nutrita da Scheler nei riguardi della ratio. A nostro parere, egli era forte­ mente preoccupato che i termini Vernunft e ratio venissero intesi riduttivamente come caratterizzanti «sempre e soltanto l’aspetto logico dello spirito»44, a discapito dell’ambito dell’af­ fettività che, in quella ipotesi, non avrebbe mai potuto reperi­ re una nota di valore. E per questo che egli ai termini restritti­ vi Vernunft e ratio preferisce il termine «più comprensivo» Geist e, come sua espressione concreta, Person, il quale termi­ ne «pur abbracciando il concetto di ‘ragione’, contiene an­ che, accanto al ‘pensiero ideativo’, un certo genere di intuizio­ ne [...] di contenuti essenziali e di atti volitivi ed emoziona­ li»41. Dal che si desume che Scheler non intendesse contrap­ porre la Person alla ratio o alla Vernunft come tali, ma soltan­ to a quella ratio e a quella Vernunft riduttivamente compren­ sive soltanto dell’aspetto logico e razionale dello spirito. Un altro passo di Der Formalismus avvalora tale nostro giudizio: in esso Scheler ripudia i termini Vernunft e ratio «soprattutto se opposti alla cosiddetta sensibilità»46, cioè se intesi in un contesto kantiano. Tale pregiudizio qualificante la natura del­ la ratio lo ha così indotto, per un verso, a rifiutare ogni forma di razionalismo etico - inglobando in esso anche l’intellettuali­ smo etico - e per un altro verso a reperire una certa forma unitaria delle funzioni superiori dello spirito (‘pensiero ideati­ vo’ e ‘intuizione emozionale’) nell’essere onnicomprensivo

verso, a giudicare dal riferimento che Scheler fa alla «scoperta di forti oppo­ sizioni (Gegensätze) nella nostra vita c nel nostro pensiero», si dovrebbe concludere che il Fühlen viene positivamente contrapposto alla ratio. In ogni caso è manifesta Tirriducibilità del Fühlen alla ratio e l’intento di Sche­ ler di superare l’irrazionalismo corredando il Fühlen di ‘principi’ (Gründe) «veramente equivalenti in dignità e importanza» ai principi razionali, e del tutto originari rispetto a essi. +• Cit. Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 32. Der Formalismus, p. 82.

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ALCX'ilSMO DtJ VALORI HLORO PERCEZIONI AI-TKTTIVA

della persona. Ma, se l’intuizione di carattere emozionale è intesa come esperienza vissuta contrapposta alla conoscenza intellettiva, dubitiamo che Scheler riesca a salvaguardare in modo efficace la visione unitaria della persona, nonostante che egli - come precisa in Vom Wesen der Philosophie, a pro­ posito dell’analisi dello ‘slancio morale’ quale atto personale di tutto l’uomo - ravvisi il compito del filosofo nel ‘reintegra­ re’ (reintegrieren) nel centro della persona le varie forme di intuizione che nelle diverse modalità del sapere si trovano in uno stato differenziato. 3.

IL

FÜHLEN

E II. CORRELATO INTENZIONALE DEL VALORE

La fase della nostra indagine ci sollecita a precisare il signifi­ cato di quella singolare modalità di esperienza che è peculiare della vita emozionale ed è inaccessibile all’intelligenza. Quella, e soltanto quella, sarebbe in grado di porci immediatamente in presenza di «autentici oggetti obiettivi (echte objektive Ge­ genstände), disposti secondo un ordine eterno, che sono ap­ punto i valori»*1. Si tratta di una esperienza affidata a un par­ ticolare ‘sentire’ (Fühlen), di carattere conoscitivo-apprensivo (aufnehmendes-, cognitive Funktion) o intuitivo (fühlende A n­ schauung), intenzionale (intentionales), assolutamente origina­ rio (ursprüngliches), irriducibile a ogni sentimento di natura statico, e pur tuttavia di carattere emozionale (emotionales)**. E a tale ricchezza di contenuto che ci riferiamo quando tradu­ ciamo il termine Fühlen con percezione affettiva o sentire in­ tenzionale. Mentre le essenze in generale sono colte mediante un’intuizione, le essenze-di-valore sono colte da una particola­ re intuizione, di carattere emozionale. Il Fühlen è contraddi­ stinto da un originario riferirsi (Sichbeziehen) o indirizzarsi (Sichrichten) verso la peculiare realtà oggettuale dei valori (auf ein Gegenständliches, auf Werte)*'*. L’originarietà di tale riferi­ mento consiste nella sua intrinsecità immediata, che rinnega

47 ìbidem, p. 261. 4,1 Cfr. ibidem, pp. 261, 262 nota, 270. Giustamente Ricoeur propo­ ne di tradurre il Fühlen di Scheler con il pascaliano ‘coeur’ (P. Ricoeur, Quelques /teures de la Philosophie allemande contemporaine, cit., p. 199). 44 Cfr. Der Formalismus, p. 262 s.

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a u x ;ismo

nt:i

valori i . loro purclzioni : afitttiva

ogni connessione rappresentativa o mentale, di carattere mec­ canico e contingente. Il Fühlen ha verso il suo correlato axiologico «lo stesso rapporto che ha la ‘rappresentazione’ (Vor­ stellung) col suo oggetto, cioè un rapporto intenzionale»™, nella misura in cui è atto a «in-tendere (meinen) un oggetto c a fare apparire (erscheinen) nel suo effettuarsi una realtà og­ gettuale»’1. Nel ‘sentire’, tuttavia, l’oggetto è più intimamente legato al soggetto di quanto non avvenga nella sua rappresen­ tazione’2. Inoltre è il Fühlen, quale esperienza vissuta di carat­ tere emozionale, e non la rappresentazione, a cogliere qualità axiologiche: «soltanto le esperienze vissute emozionali costi­ tuiscono precisamente, nel senso più stretto, la percezione af­ fettiva dei valori»” . In ultima istanza, la vita emozionale pos­ siede, essa stessa, un contenuto costitutivo (Gehalt) intenzio­ nale per quanto concerne la sfera axiologica” . La percezione affettiva non verte pertanto intorno (über) a qualcosa, nella misura in cui non si sovrappone a una comprensione già data, ma è un Fühlen di o per (von) qualcosa, proprio in quanto coglie immediatamente e rende presenti gli oggetti, non a tito­ lo di oggetti percepiti, ma quali predicati axiologici. 11 Fühlen quindi non è oggettualmente cosciente, non abbisogna di una mediazione rappresentativa o mentale, anche se può successi­ vamente divenire oggetto di comprensione riflessiva o di per­ cezione interna: esso è di per sé un ‘atto obicttivante’, che non abbisogna dei cosiddetti atti obicttivanti della rappresentazio­ ne e del giudizio. Il tentativo psicologistico di ridurre quanto si percepisce affettivamente del costitutivo axiologico del mondo a un fenomeno di percezione interna o a un atteggia­ mento rappresentativo è privo di ogni fondamento fenomeno­ logico” .

,l> Ibidem, p. 263. 51 Ibidem, p. 264. Cfr. ibidem, p. 334. 5) Ibidem. M Cfr. ibidem, p. 267. 55 Anzi, avverte Scheler, uno studio intorno alla genesi dell’intuizio­ ne naturale del mondo, delle unità di significato del linguaggio dei bambini, dell’evolversi del significato della parola c delle strutture sintattiche porreb­ be in evidenza che sono le unità di percezione alfettiva c le unità axiologiche a fondare e a regolare il linguaggio volto a esprimere l’intuizione del mondo (ibidem, p. 265).

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AUKilSMO ULI VALORI L LORO PIJtCLZIONÜ AITLTTIVA

Anche se geneticamente i Wertgefühle rivelano una dimi-nsione psicologica, in quanto sono dati-di-fatto psicologici, essi diventano significativi dal punto di vista axiologico, rive­ stono cioè una dimensione normativo-ideale, soltanto in quan­ to sorretti da una ‘significatività metapsicologica’ (iiherpsychoIfìgtscbe Bedeutung), il che avviene soltanto in virtù del loro nlerirsi a ‘valori di natura oggettiva’ ( Werte objektiver Art), tu lio stesso modo in cui i concetti, anche se di natura logica, i quali sono dati-di-fatto psichici in quanto fenomeni di co­ scienza, diventano normativi soltanto se riferiti a contenuti necessariamente validi. L’axiologia scheleriana si sottrae per­ tanto chiaramente a ogni interpretazione di carattere soggetti­ vistico, e ciò sin dalla dissertazione dottorale: «come noi non vogliamo produrre (machen) la verità, ma soltanto cercarla I \uchen), così tendiamo a ‘esperire in modo vissuto’ (erleben) i valori e non a produrli (produzieren) mediante i sentimenti»56. l-.merge conseguentemente, in modo evidente, la differenza ita il Fühlen e gli stati affettivi (Gefühlszustände). Si dà un sentire’ che originariamente, cioè da se stesso, intenzional­ mente, è relazionato all’oggetto, come il Fühlen della bellezza di un panorama. Si tratta della «classe delle funzioni intenzio­ nali percettivo-affettive»5', che comprende la funzione della

Beziehungen zwischen Jen logischen und ethischen Prinzipien, in Frühe Schriften, p. 101. Si delinca pertanto chiaramente la differenza dalla posizione di Lotzc. Questi, nel suo Mikrokosmos (Leipzig 1856-58, I, p. 267) e in GrunJzüge der praktischen Philosophie (Leipzig 1887, S 7), aveva, per un verso, riconosciuto al Gefühl, con cui si colgono i valori, una dimensione melapsicologica. Ma, per un altro verso, aveva praticamente identilicato il Wert con il piacere (Lust), sottraendo così ai valori quella gegenständliche Bedeutung’ loro essenziale. In ultima istanza, il Gefühl non riusciva di fatto, in Lotze. a superare la dimensione di un semplice fatto psichico. Per Scheler il Wertgefühl, oltre a essere un fatto psicologico quan­ to alla sua origine (Entstehung), deve essere insieme un Wertorgan. Inoltre Scheler apprezza in Ixnzc la considerazione che il Gefühl non c relegato iicll’amhito della sensibilità, ma è una modalità della Vernunft, anche se qucst’ultima parte dell'affermazione non può evidentemente da lui essere condivisa (cfr. ibidem, p. 101 s.). Anche nella prefazione alla 2* edizione di Wesen und Formen der Sympathie, Scheler tornerà a porre in rilievo il tenta tivo di Lotze di conferire un ‘carattere intenzionale’ alla vita affettiva, ma (ale tentativo - a detta di Scheler - rimane senza eco, nella misura in cui non viene approfondita la teoria della logica del cuore. ,7 Der Formalismus, pp. 12-4, 264 s.

AU XJ ISMO D U VALORI L LORO PLRCLZIONL A FFLITI VA

percezione affettiva sensoriale per i valori sensoriali, la funzio­ ne della percezione affettiva vitale per i valori vitali e la fun­ zione della percezione affettiva spirituale per i valori spirituali, mentre i valori religiosi vengono colti da un particolare tipo di atto di amore. Ci sono invece sentimenti legati all’oggetto estrinsecamente (äusserlich), mediante la percezione o la rap­ presentazione o l’associazione, cioè tramite una mediazione di successione. In tal caso il sentimento «non apprende nulla, nulla si ‘muove’ verso di esso e nulla in esso giunge ‘a me’. In nessun modo gli sono immanenti l’in-tendere (Meinen) e la direzione (Gericbtetsein)»™. In tale ipotesi i sentimenti si pre­ sentano come stati affettivi, tra i quali sono necessariamente da collocare i sentimenti sensoriali. Gli stati affettivi si esauri­ scono in manifestazioni-di-contenuti statiche, morte, prive di ogni evento significante (sinnvolles Geschehen) e di ogni fun­ zione dinamica apprensiva, propria del percepire affettivo in­ tenzionale. L’irriducibilità del Fühlen a semplice stato affetti­ vo emerge, in particolare, nel caso in cui entrambi coesistano o quando il Fühlen è indirizzato verso uno stato affettivo: altro è lo stato del dolore sensoriale, altro è la funzione della percezione affettiva di esso, nella varietà del ‘soffrire quel do­ lore’ o del ‘sopportarlo’ o del ‘subirlo’, pur nel persistere del medesimo stato di dolore e della medesima osservazione per­ cettiva di esso. Altro è il dolore ‘osservato’ o costatato nel suo contenuto statico e nella sua situazione fattuale, altro il dolore colto come sofferto mediante la funzione della percezione affettivo-intenzionale. Il primo denuncia in modo reattivo, il secondo ‘indica’. Lo stesso crescendo di intensità del Fühlen avente per oggetto lo stato di dolore non è riconducibile al crescendo di intensità dello stato di dolore’9. Lo stato affettivo si presenta piuttosto, oltre che come possibile oggetto del Fühlen, come risonanza soggettiva dell’esperienza dei valori o come «sintomo dell’armonia o della disarmonia del nostro mondo di amore e di odio col processo e con il successo dei58*

58 Ibidem, p. 262. ” Cfr. ibidem, pp. 261-64. Talora, pur permanendo inalterata la sen­ sibilità, il Fühlen indirizzato a uno stato affettivo può avvicinarsi alla soglia zero: un’emozione intensa di terrore, per esempio, può provocare una scom­ parsa quasi totale del Fühlen o una indifferenza paralizzante. Solo quando il sentimento neU'accczione di ‘stato’ diminuisce di intensità, esso può diveni re oggetto di un vero Fühlen.

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ALOGISMO DEI VALORI E LORO PERCEZIONE AFFETTIVA

nostri desideri e dei nostri atti volitivi»“ . Il fatto poi che uno stato affettivo, collegato abitualmente con determinate situa­ zioni esteriori o con esperienze vissute di alterazione del cor­ po umano, possa erigersi a ‘indice’ di tali fenomeni - come un dolore nei riguardi di una malattia - non significa che esso si risolva in una percezione affettiva intenzionale: tale stato aflettivo sintomatico è già mediato dall'esperienza induttiva e da connessioni associative, e presuppone comunque una per­ cezione affettiva autenticamente intenzionale che giustifichi il segno di qualcosa’'’1. La percezione affettiva può inoltre presentare diversi gradi di intenzionalità, dalla percezione affettiva di sentimenti nell’accezione di ‘stati’ alla percezione affettiva di certi carat­ teri oggettuali ed emotivi dovuti all’umore (per esempio, la tristezza di un paesaggio). Ma, nell’ambito di tali percezioni Difettive, soltanto il Fühlen dei valori attua l’intenzionalità nel suo significato più pregnante. Soltanto esso, inoltre, perviene ■i una funzione conoscitiva (cognitive Funktion)**. Né la funzione intenzionale affettiva si differenzia sol­ tanto dagli stati affettivi, ma anche dalle ‘emozioni’ (Affekte) e dai ‘sentimenti reattivi’ (Antwortsreaktionen). L’emozione (per esempio l’ira) insorge e si consuma dentro di noi, coglie l’oggetto non intenzionalmente e originariamente, ma tramite la percezione (Wahrnehmung), la rappresentazione o il pen­ siero. In essa l’oggetto è percepito, ma non è ‘davanti’ (vor), alletto cioè radicalmente da un predicato axiologico. L’ira non ‘comprende’ (erfasst) di per sé nulla, presupponendo anzi la percezione affettiva di determinati mali6’. Le reazioni di risposta sono, a loro volta, pretese da qualità axiologiche af­ fettivamente percepite: la morte di una persona cara esige la tristezza, e una tale esigenza non compiuta è di per sé causa di costernazione. Ma, benché tali sentimenti reattivi siano sorret­ ti da una ben definita direzione, essi tuttavia non sono inten­ zionali nell’accezione stretta del termine, che intende ‘appren­ dere’ il mondo degli oggetti, ‘manifestarlo’, ‘significarlo’, ‘aprirsi a esso’.6012

60 61 62 6)

Orda Amons, in Nachlass, I, p. 371. Cfr. Der Formalismus, pp. 262 c 269. Cfr. ibidem, p. 262, nota 1. Cfr. ibidem, p. 263 s.

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A U T IS M O l)»:i VALORI L LORO PKRCLZIONL AFFKTTIVA

La fenomenologia della vita emozionale per quanto concerne la percezione affettiva si muove quindi secondo due intenti intimamente connessi. Per un verso, essa intende riscattare l’autonomia della vita emozionale di carattere conoscitivo-intenzionale da ogni tentativo di risoluzione in una modalità di pensiero. Per un altro verso, e proprio per questa sua irriduci­ bilità, vengono affidate alla percezione affettiva le funzioni conoscitive atte ad attingere il mondo dei valori. Tale proble­ matica, concernente la sfera funzionale conoscitiva della per­ cezione affettiva, è a sua volta sorretta da una visione che intende sottrarre il valore alla riduzione a una semplice moda­ lità dell’essere. L’intimo legame tra i due aspetti di una mede­ sima tematica - quello gnoseologico e quello ontologico - tro­ va conferma nell’analisi critica di alcune teorie intorno ai valo­ ri mossa da Scheler. Rifacendosi all’analisi storica della teoria del sentimento e del valore svolta da Hildebrandw, Scheler dà la precisa dimensione della propria prospettiva, misurandola con quella di altri pensatori. I razionalisti, pur attribuendo alla vita emozionale il carattere di significatività e di intenzio­ nalità, le avevano negato ogni carattere ultimo e originario, così come avevano negato l’irriducibilità dei fenomeni axiologici: come la percezione affettiva e l’amore venivano equipara­ ti a un conoscere confuso di carattere razionale, così i valori venivano ricondotti, tramite il concetto di perfezione, a sem­ plici gradi dell’essere. Gli empiristi, a loro volta, come aveva­ no assimilato le qualità a semplici azioni delle cose sull’anima, così avevano interpretato la conoscenza come rappresentazio­ ne di determinati contenuti proiettati successivamente e sur­ rettiziamente fuori dalla coscienza. Kant invece, pur avendo ammesso l’irriducibilità della vita emozionale alla sfera del pensiero, aveva relegato l’insieme della vita alogica nei puri stati affettivi, negando così il darsi di sentimenti intenzionali. La psicologia contemporanea, infine, darebbe della vita del cuore una interpretazione semplicemente descrittiva e causal­ mente esplicativa, riservando all’attività vitale un carattere te­ leologico - certi fenomeni, quali la stanchezza, avrebbero una funzione indicatrice di determinate situazioni - che è assai lontano dalla funzione conoscitivo-intenzionale, nella misura

w D. Von I lildebrand, Die Idee der sittlichen Handlung, in «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», 1916, pp. 126-252.

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ALOGISMO DU VALORI E LORO PERCEZIONE AFFETTIVA

in cui il segnale come tale non-intende alcunché, si fonda su lu ssi associativi ed e sempre mediato da una percezione affet liva autenticamente intenzionale6’. A tale critica, concernente il rapporto tra ‘sentimenti del valore’ e stati affettivi in genera­ le, farà seguito - come vedremo a proposito del rapporto tra I agiologia e il problema eudemonologico - una critica più specifica, diretta contro coloro che mirano a ricondurre i sen­ i unenti del valore a stati affettivi di piacere e i sentimenti del disvalore a stati affettivi di dispiacere.

M Cfr. Der Formalismus, pp. 267-70.

187

- «*}< I

.

IX ESPERIENZA VISSUTA DEGLI ATTI EM O ZIO N A LI D E L L A N T E P O R R E -P O S P O R R E e d e l l ’a m a r e - o d i a r e

I ;i vita emozionale, oltre a comprendere le funzioni affettive proprie del Fühlen, comprende gli atti emozionali dell’‘anteporre’ e del ‘posporre’ (Vorziehen, Nachsetzen) e deH’‘amare’ e dell’‘odiare’ (Lieben, Hassen). Questi atti costituiscono, ri­ spetto al Fühlen, un piano superiore della vita emozionale e intenzionale, così come l’amore e l’odio costituiscono, nel­ l'ambito degli atti emozionali, il grado supremo della vita emozionale, quello che maggiormente si distanzia dallo ‘stato’ allettivo. Gli atti dell’anteporre (o del preferire) e del posporre appartengono, come le funzioni del Fühlen, al piano della co­ noscenza intuitivo-emozionale dei valori, sono anch’essi ‘orientati’, ‘significanti’ e intenzionali in senso stretto, ma, a differenza delle funzioni, colgono i valori nella loro peculiarità essenziale, cioè nella loro struttura gerarchica: l’evidenza in­ tuitiva della superiorità o inferiorità dei valori è opera esclusi­ va degli atti spirituali di preferenza e di posposizione, propri della percezione affettiva ‘pura’. Tale loro proprietà vale a evidenziare ulteriormente la loro specifica originarietà, nella misura in cui, a differenza della percezione affettiva, implica­ no il riferimento intenzionale a una pluralità di valori. Gli atti 189

ESPERIENZA VISSUTA DEGLI ATTI EMO'/K INALI

dell’anteporre-posporre pertanto non si riducono a un sempli ce atteggiamento percettivo-affettivo, ma vertono su contenuti axiologici percepiti nella loro struttura gerarchica. Non che gli atti dell’anteporre e del posporre suppongano la percezio­ ne affettiva di più valori: basta che sia concomitante la consa­ pevolezza di un poter anteporre o posporre diversamente. Si­ milmente la consapevolezza della superiorità di un valore non comporta che il valore ritenuto inferiore sia effettivamente dato: è sufficiente che questo venga indicato in una determi­ nata ‘coscienza di orientamento’. L’atto preferenziale ‘deciso’ di un valore si differenzia da quello ‘esitante’ appunto nella misura in cui la superiorità di un valore appare in modo evi­ dente, mentre gli altri valori della serie affiorano appena nella loro datità1. Dal fatto che i valori sono essenzialmente gerarchizzati e la struttura gerarchica è intuibile soltanto nell’anteporre-posporre, segue anche che non sono l’anteporre e il posporre che si aggiungono, quasi atto secondo, alla percezione affetti­ va dei valori, ma è, anzi, questa che ‘si fonda’ (ist fundiert) sull’anteporre e sul posporre. Lungi dal sovrapporsi alla com­ prensione affettiva dei valori, gli atti dell’anteporre e del po­ sporre estendono o riducono l’ambito dei valori percepiti: «le rispettive strutture dell’anteporre e del posporre delimitano dunque le qualità dei valori che noi percepiamo affettivamen te»12. L’anteporre e il posporre sono quindi essenzialmente le gati al costituirsi del regno gerarchizzato dei valori. Molto meno gli atti emozionali dell’anteporre e del po­ sporre sono assimilabili all’atto di ‘scelta’ (Wahl). Questo, in­ fatti, è un atto tendenziale, che non può realizzarsi al di fuori della sfera di una serie axiologica e trae la sua origine dalla conoscenza pre-data della preminenza di un valore, mentre l’atto preferenziale è un atto conoscitivo, estraneo a ogni in­ tenzione tendenziale, elettiva e volitiva. «Posso affermare di anteporre la rosa al garofano senza pensare a una scelta»’. E, mentre la scelta concerne esclusivamente l’agire, l’anteporre 1 O r. Der Formalismus, pp. 106 c 265. 2 Ibidem, p. 107. ’ Ibidem, p. 105. ln Ethik Scheler critica il tentativo operato da Her mann Schwarz, nella sua Psychologie des Willens (Leipzig 1900), di ricon durre il Vorziehen a una Willenshetätigung c a un Wählen (Ethik, in Frühe Schriften, p. 404).

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KSPUULNZA VISSI TA nHII.I ATTI IMOZIONAU

(tiiCt rapportarsi sia ai beni (preferire empirico) sia ai valori (preferire apriorico). L’atto di scelta, inoltre, è condizionato il.n contenuti immaginativi di un fine o di uno scopo, mentre gli atti dell’anteporre e del posporre vertono direttamente sul materiale axiologico, che come tale è autonomo dai suoi por­ tatori cosali e da ogni contenuto immaginativo"1. I amore e l’odio, infine, formano il grado più elevato della vita emozionale di carattere intenzionale e a essi Scheler dedi­ i a non poche analisi di carattere fenomenologico, soprattutto m Der Formalismus, in Wesen und Formen der Sympathie, in Liehe und Erkenntnis e in Ordo Amoris. Pur facendo parte, iDine l'anteporre e il posporre, della sfera degli atti emoziona­ li in opposizione alle funzioni intenzionali della percezione affettiva - l’amore e l’odio non sono tuttavia assimilabili aiI anteporre e al posporre, secondo l’errata interpretazione di llicntano. Basterebbe tener presente che, mentre l’anteporre e il posporre intendono una pluralità di valori, l’amore e l’odio possono vertere su un unico valore e, soprattutto, che, mentre ■il preferire e il posporre appartengono alla sfera della cono­ scenza dei valori (e più propriamente, della conoscenza della loro gerarchia), l’amore e l’odio non sono da annoverare tra gli atti di carattere conoscitivo»’. Parimenti l’amore e l’odio non sono riconducibili alla sfera delle semplici ‘emozioni’ (Af­ fekte) né a quella degli ‘stati affettivi’, come erroneamente viene inculcato da una certa carente cultura che contraddi­ stingue la nostra epoca. Si ama e si odia qualcosa, non ‘intor­ no’ (über) a qualcosa. L’amore e l’odio non sono infatti ‘rea­ zioni di risposta’ all’essere preminente o inferiore dei valori, dato nell’atto preferenziale*. * Cfr. Der Formalismus, p. 265. 1 Wesen und Formen der Sympathie, p. 151. Non ci soffermiamo ■(illusamente sui rapporti tra l’amore e l’odio, da una parte, e la percezione nClrttiva e la vita tendenziale, dall'altra. Di ciò, come dell'analisi fenomeno­ logica dei caratteri propri dell’amore e dell'odio, Scheler tratta diffusamente in Wesen und Formen der Sympathie (pp. 150-64); il saggio Liehe und F.rFmntnis invece offre una vasta tematica sul rapporto tra amore c conoscen­ za. essere e valore, nelle diverse soluzioni apportate dal cristianesimo, dal pensiero indiano e dal pensiero greco. 6 Der Formalismus, p. 266. Ci sembra pertanto errata l’intcrpretazionc di Virasoro, secondo cui l’amore in Scheler sarebbe una risonanza passi­ va dell'universo axiologico; «corno cl àmbito pasivo de rcsonancia de los

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LSPI.RILNZA VISSI TA DttiLI ATTI LMOZK INALI

L’amore e Podio, invece, sono atti mediante i quali si Ini l’esperienza vissuta di una ‘espansione’ (Erweiterung) o di un ‘restringimento’ (Verengerung) del regno dei valori. Non nel senso che l’amore e l’odio siano in grado di creare (schaffen), produrre (machen) o distruggere (vernichten) l’universo axio logico, a discapito di quella autonomia ontologica dei valori ‘esistenti per sé’ (an sich bestehende Werte) - così fermamente affermata da Scheler7. Ma piuttosto nel senso che l’amore e l’odio, lungi dall’orientarsi verso determinati valori come ‘ri sposta’ statica a un già avvenuto movimento percettivo-affetti vo e preferenziale, rivestono, nel medesimo atto comprensivo e preferenziale dei valori, quel momento ‘disvelativo’ (die ent deckerische Rolle) di carattere dinamico e intenzionale che consente, esso solo di far ‘risplendere come in un baleno' (aufleuchten und aufblitzen) i valori più alti di un oggetto non ancora noti. «Mentre l’amore è un movimento che si dirige dai valori inferiori ai valori superiori, in virtù del quale il vaio re superiore di un oggetto o di una persona ci si impone tutt’u un tratto come un’ispirazione, l'odio rappresenta un movi mento in senso inverso»". L’amore e l’odio non seguono dun que, ma ‘precedono’ e ‘fondano’ il momento percettivo-affet tivo e quello preferenziale «come loro pioniere (Pionier) e guida (Führer)» '. In ultima istanza, non è l'essere dei valori a venir posto o creato dall’amore, ma è l’ambito o l’angolo pro spettico, che in ognuno di noi circoscrive il regno dei valori, a valores» (M.A. Virasoro, La conception del amor en Max Scheler, in «Uni versidad Pontificia Bolivariana», 1946, p. 29). La tesi dell’elevazione del l'amore al di là di ogni stato affettivo e, in modo più specifico, la difesa della natura spirituale dell’atto di amore, in polemica con Freud e con Ir teorie naturalistiche, sono ben visibili in Wesen und Formen der Sympathie, pp. 175-208. 7 Basterà per tutti un testo scevro di ogni ambiguità: «Eben darin, dass Liebe eine Bewegung ist in der Richtung auf ‘Höhersein des Wertes’ liegt ihre (gleichfalls durch Platon schon erkannte) schöpferische Bedeu tung. Das heisst nicht, die Liebe schaffe erst die Werte selbst oder das Höhcrscin der Werte. Durchaus nicht! Aber bezogen auf alles mögliche Wcrtfühlcn und Wertnehmen, ja selbst auf alles Verziehen [...J lässt sie für diese Gcgcbcnhcitssphärcn völlig neue und höhere Werte ins Dasein treten. D. h. Liebe ist ‘schöpferisch’ für ein auf diese Sphären relatives ‘Dasein’» ( Wesen und Formen der Sympathie, p. 157). 8 Ibidem, p. 155. 9 Der Formalismus, p. 266 s.; Wesen und Formen der Sympathie, p. 15f>.

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HSl'KRILN'ZA V1SSI.TA HLC.LI ATTI EMOZIONALI

riv ii' «Interminato dall’amore. Come, dunque, gli atti dell’aniii|ii»re e del posporre fondano l’ambito della percezione afIrim ,i dei valori - la quale a sua volta precede e orienta la vita li ndi ii/iale - così l’amore e l’odio precedono, guidano e fonil.uio il momento percettivo-affettivo e quello preferenziale. Al vertice di tutto il dinamismo intenzionale della vita emozio­ nali sia l'amore ed è esso che permea ogni singolo momento i uiioseitivo-intuitivo dell’universo axiologico, nella misura in i ni e rivelativo del valore preminente. Non solo, ma l’apriori,iini dell’amore e dell’odio costituisce addirittura il fondamen­ ti ultimo e il principio unitario sia deH’apriorismo concernen­ ti la comprensione conoscitivo-emozionale dei valori (l’inten.-mnullità del Fühlen) sia deH’apriorismo concernente i conte­ ntili del volere'“. Questa affermazione, del resto, non farebbe t I h * esprimere la legge del primato fondativo dell’amore sul conoscere e sul volere, secondo cui è l’amore che trae alla conoscenza delle qualità eidetiche ed è l’amore che induce il volere alla loro attuazione".

111 «Ja in letzter Linie [...] der Apriorismus des Liebcns und Hassens ■iiH.tr das letzte Fundament alles anderen Apriorismus, und damit das ge­ meinsame Fundament sowohl des apriorischen Scinscrkcnncns, als des apriorischen Wollens von Inhalten. In ihm [...] finden die Sphären der I licorie und Praxis ihre letzte phänomenologische Verknüpfung und Ein­ heit» (Der Formalismus, p. 83, nota 2). 11 Per quanto concerne la bibliografia sulla tematica dell'amore in Schcler, ci limitiamo a suggerire: E. Holzen, Liehe und Sein. Zum Problem ,1er Metaphysik in der Emotionalphilosophie Max Schelers, Heidelberg 1953; A. Plack, Die Stellung der Liehe in der materialen Wertethik. Eine systemati­ sche Auseinandersetzung im Anschluss an Max Scheler, Nicolai Hartmann und Dietrich von Hildehrand, Landshut 1963; R. J. Haskamp, Spekulativer und phänomenologischer Personalismus. Einflüsse }.G. Fichtes und R. Eucken aut Max Schelers Philosophie der Person, Freiburg-München 1966, pp. 73­ 82. 98-109; H. Leonardy, Liehe und Person. Max Schelers Versuch eines phänomenologischen' Personalismus, Den I laag 1976; O. Must, Zur Idee der I lebe, in «Vierteljahresschrift für wissenschaftliche Pädagogik», 27 (1951), pp. 1-12, 88-193; H. Furstner, Schelers Philosophie der Liehe, in «Studia Philosophica», 17 (1957), pp. 23-48; J. Malik, Wesen und Bedeutung der Liehe im Personalismus Max Schelers, in «Philosophisches Jahrbuch», 71 11963), pp. 102-31. Ci sembra, in particolare, stimolante la crìtica mossa da ( icvser alla funzione affidata da Scheler alla vita emozionale per la compren­ sione dei valori. Dato che l’amore non è un semplice impulso sensitivo, ma un atteggiamento spirituale cosciente, non avrebbe senso - osserva l’autore - affermare la priorità dell’amore sulla conoscenza. In particolare «freilich ist erforderlich, dass dieser Geist bereits wisse, was Lieben heisst» (J. Gey-

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i> pi:rilnza vissuta lh:c; li aiti emozionali

Tale analisi fenomenologica ci autorizza ad affermare che l’etica di Scheler affonda il suo nucleo primordiale e In più profonda radice interpretativa, non solo nei rapporti apriorici e ncll’originarietà delle modalità dei valori e della loro struttura gerarchica, ma, ancor di più, nel dinamismo emozionale e intenzionale dell’amore e dell’odio, pur nella rivendicazione della consistenza ontologica dell’universo axio logico, cui essi sono correlati. E ciò non potrà non avere una risonanza nella fenomenologia dell’atto morale e del rapporto tra etica e leggi dell’amore: la gioia e l’amore sono «le fonti originarie più profonde di ogni essere e di ogni agire mora le»12; «ogni etica troverebbe la sua compiutezza (würde sub vollenden) nella scoperta delle leggi dell’amore e dell’odio, le quali, in quel che concerne il grado dell’assolutezza, del l’apriorità e deH’originarietà, sovrastano (überragen) le leggi della preferenza c le leggi concernenti i rapporti delle qualità axiologiche a quelle corrispondenti»11. Mentre l’originarietii delle modalità dei valori e della loro struttura gerarchica vale a infondere una dimensione oggettiva, anzi ontologica, all’eti ca scheleriana, la funzione esplicata dall’amore vale a instaura re l’accesso soggettivo più compiuto all’universo axiologico. Nell’attribuirc all’amore un ruolo così decisivo per feti

ser. Max Schelers Phänomenologie der Religion, cit., p. 109). Non è nostro intento accostarci, nell'attuale ricerca, a una tematica cosi complessa. ( I permettiamo soltanto accennare che ci sembra vano volere ipostatizzare, nel l’unità della nostra vita spirituale, l'amore da una parte e il conoscere dall'al tro. Come non è possibile amare senza l’acquisizione conoscitiva dei conte nuli dell’amore, così non ci pare sia possibile conoscere senza una tensione amorosa verso l'oggetto. Come l’amore c per natura sua cosciente c quindi libero, così la ricerca conoscitiva è per natura sua amorosa e selettiva. I.a curiositas è di per se stessa sorretta dinamicamente dalla cuptditas, così come la cupiditas è tensione verso un oggetto appreso intenzionalmente, seppure in una presenza ancora vaga e oscura. La viziosità di principio si evita sol tanto se ci si decide a declinare il preconcetto di volere a ogni costo risenti trarc una priorità assoluta c originaria dell’amore sul conoscere o viceversa È quello che aveva intuito Agostino neH'aflcrmare «verbum est cum amore notitia» (De Trinitate, IX, 11, 16), cui farà riscontro la dottrina di Tommaso d ’Aquino, secondo cui il verum coimplica un appetitus naturalis della ratto verso il bene della verità che e il proprio oggetto formale, così come l ’apprli tio coimplica una certa percezione cosciente (Summa theologiae, I, p. 16, a 4, ad 1; q. 82, a. 4, ad 1; De ventate, q. 10, a. 9, ad 3). 12 Der Formalismus, pref. alla 2J ed., p. 15. , 15 Ibidem, p. 267.

1 94

ESPIIKIUNZA VISSI TA DKGl.l ATTI rMO/IONALI

. i i|ii.il è quello di disvelare ed estendere il mondo dei valori l>m .liti ruolo che in Scheler sostituisce la funzione affidata ■l.i .litri all’òp-Sòc; Xóyoc; o alla recto ratio o alla reine Vernunft ti .il sentimento o al canone sociale - Scheler si premura subito di schivare ogni interpretazione soggettivistica e relativistica, nrla/umando Yordo amoris proprio del soggetto a un ordina­ li« iito oggettivo e assoluto dell’amore, rispondente a sua volta .1 un ordinamento oggettivo e assoluto dell’universo axiologiiii In Orda Amoris Scheler si pone il problema se il movimen­ ti i ilei cuore, delle passioni, delle inclinazioni e degli interessi, milici itato dal mondo sensibile e spirituale e che condiziona 1agire, il volere e le scelte di ogni uomo, sia sostenuto da un litio ordinamento oggettivo. Tale interrogativo è tanto più impellente in quanto l’ordinamento dell’amore e dell’odio co.iin lisce il nocciolo fondamentale dell 'ethos di un individuo, ili una famiglia, di un popolo, di un’epoca, cioè di quel siste­ ma ili valutazioni e di preferenze effettuali che evidenzia la Imo rispettiva Weltanschauung e il loro rispettivo modo esem­ plare ili agire: «colui che possiede l’orbo amoris di un uomo, possiede l’uomo stesso»". La risposta di Scheler conferma gli intenti ontologici che caratterizzano lo snodarsi della sua fonila/ione fenomenologica dell’etica. L ordo amoris infatti, oltre i In- assumere un significato ‘effettivo e descrittivo’, atto a di­ svelare i costumi, le consuetudini, i modi di comportamento morale propri di un soggetto, di una famiglia, di una nazione, assume anche un significato ‘normativo’, che è quello che per­ mette di conoscere l’ordinamento intrinseco di amabilità dei valori, che è tale in quanto non lo si può ‘porre’ (setzen), • ti are’ (schaffen) o ‘produrre’ (machen)1'. Ed è propriamente onesto il «problema centrale di ogni etica»14*1617. L ordo amoris •lei soggetto è quindi normato da un ordinamento oggettivo tlell'amore, che esprime una correlazione col valore intrinseco ilell’universo axiologico. A sua volta, Yordo amoris normativo Uova la sua più alta attuazione nell’idea di Dio1’, in quanto 14 Orda Amoris, in Nachlass, I, p. 348. ” Ibidem, pp. 347, 351. Ih ìbidem, p. 347. 17 Tale attuazione, com è ovvio in un contesto di pura lenomcnoloyi.i filosòfica, non dipende invece dall’esistenza di Dio: «Vom Satze des I t.iseins (ìottcs ist die Idee des objektiven ordo amoris indes nicht abhängiM- (ibidem, nota 1). Sarà in Vom Ewigen tm Menschen, quando Scheler

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ESPERIENZA VISSUTA DfcXìLI ATTI \ M ( )Z1()NALI

l’ideale supremo che l’uomo può realizzare è amare le cose ‘come le ama Dio’, collocandosi nella stessa prospettiva divi na18. Il riferimento all’amore di Dio è così essenziale che l’uni­ formarsi alla struttura gerarchica dei valori e l’amare secondo la prospettiva divina sono espressioni di un’unica realtà: l’amore retto consiste nella «conformità (übereinstimmen) alla struttura gerarchica dell’amabilità dei valori [...], cioè a dire (wir können auch sagen) nel sentirsi e nel sapersi all’unisono (eins) con l’amore con cui Dio ha già amato l’idea del mondo c il suo contenuto costitutivo prima ancora di crearlo»1’'. L’etica filosofica schclcriana è pertanto intessuta di mol teplici inscindibili articolazioni. L’universo axiologico viene colto nella sua consistenza ontologica dal momento percetti vo-affettivo, mentre viene colto nella sua strutturazione gerar chica dagli atti emozionali dell’anteporre e del posporre, che hanno il compito di ‘fondare’ il momento percettivo-affettivo e di delimitare le qualità axiologiche percepite affettivamente. Entrambi tali momenti conoscitivi sono tuttavia orientati, in quel che concerne l’ambito disvelativo ed estensivo dei valori, dal movimento intenzionale dell’amore e dell’odio, che costi­ tuiscono il nucleo spirituale più autentico e radicale della per­ sona. L’ordo amorts del soggetto è correlato, a sua volta, a un ordo amoris normativo, selettivo di quanto è meritevole dell’at­ tenzione amorosa. L’amore normativo infine viene personifi­ cato, nella sua esemplarità, dalla misura dell’amore divino. Ciò posto - e riservandoci di definire successivamente con una più larga trattazione il rapporto che lega l’universo axiologico alla persona come tale, all’idea di Dio c alla sua esistenza reale non riteniamo possibile scindere e privilegiare uno o più aspetti del complesso della vita emozionale-intenzionale. Ci compirà l’analisi fenomenologica dell’atto religioso, che l'ordo amoris coim plicherà l’esistenza reale di Dio, attinta tramite la rivelazione. In tale ipotesi verrà posto il problema di una valenza religiosa dell’etica. la In tal senso «also ist der ordo amoris der Kern der Weltordnung als einer Gottesordnung» (Orda Amoris, in Nachlass, I, p. 356). Scheler afferma espressamente la coincidenza di tale teoria con quella scolastica: «die Liebe in Gott (das ‘amare Deum et mundum in Deo’ der Scholasti ker)» (Zur Rehabilitierung der Tugend, in Vom Umsturz der Werte, p. 21). Ci sembra superfluo aggiungere che la concezione degli Scolastici era assai lontana da quella risonanza pancnteistica che caratterizzerà il pensiero del­ l’ultimo Scheler. ,1’' Ordo Amoris, in Nachlass, l, p. 357.

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ESPERIENZA VISSUTA DECILI ATTI EMOZIONALI

limin.imo a osservare, nella fase attuale dell’indagine, che la imi trapazione all’orbo amoris di Dio sembra esprimere la i oihpiutczza di tutto il movimento ascensionale che assume I avvio dalla percezione affettiva del mondo axiologico, in un i Cfr. ibidem, p. 334; Zu einer philosophischen Lehre von Schmerz und Leiden, in Schriften zur Soziologie, p. 331. 4 Cfr. Der Formalismus, p. 334 s.

IliNOMÜNOInUIA OIXLA VITA I MÖZIONAU!

Una lettura critica della disamina fenomenologica comparati­ va dei sentimenti, operata da Scheler, ci aiuterà a meglio com­ prendere il peculiare riferirsi dei sentimenti all’io e alla perso­ na, e la loro diversità di grado. 1 sentimenti sensoriali, quali il dolore e il piacere dei sensi, sono estesi e localizzati in parti del Leib circoscritte e attigue. Pur essendo legati a un oggetto, non sono in nessun modo intenzionali. I sentimenti sensoriali non sono pertanto dati né come funzioni né come atti, ma come semplici stati affettivi. Non soltanto essi non denotano alcun riferimento alla persona, ma si riferiscono all’io psichico soltanto indiret­ tamente: in quanto inerenti a una determinata parte del cor­ po, si riferiscono tramite essa, e quindi indirettamente, all’io unitario del corpo (Leihich), il quale, essendo il ‘mio corpo’, è fenomenologicamente in rapporto con l’io psichico (das seeli­ sche Ich). Altro carattere peculiare del sentimento sensoriale è l’attualità temporale della sua presenza. Tali caratteri non consentono che esso sia ‘risentito’ (es gibt kein Wiederfühlen), ‘pre-sentito’ (Vorfühlen), ‘post-sentito’ (Nachfühlen) e ‘parte­ cipato per simpatia’ (Mitfühlen)'. Se ne possono rivivere e richiamare cause ed effetti, non il sentimento sensoriale come tale: un tentativo del genere approderebbe a un sentimento sensoriale del tutto nuovo. E, mentre l’amore prescinde dalla presenza dell’oggetto amato, il piacere sensoriale pretende la presenza, almeno rappresentata, dell’oggetto. Inoltre il senti­ mento sensoriale è privo di ‘continuità di significato’, cioè di una correlazione di realizzazione diversa dal tendere verso se stesso: non esige nulla né - diversamente per esempio dalla speranza - realizza, come sua conseguenza, un’altra funzione emozionale. Un’altra nota che contraddistingue il sentimento sensoriale è data dal minor pregiudizio che esso subisce, ri­ spetto agli altri sentimenti, dall’attenzione che gli si presta. Mentre la tensione eccitante dei sentimenti vitali è inversa­ mente proporzionale all’irrompere dell’attenzione, e i puri ’ Del piacere o del dolore sensoriale altrui si danno soltanto un sape­ re (ili natura giudicatoria) e una certa riproduzione di analoghe situazioni e sentimenti propri provati anteriormente, ma non un fühlen immediato: non c’è una ‘simpatia sensoriale’ (sinnliche Sympathie), ma tutt’al più un ‘conta­ gio’ (Ansteckung) prodotto da sentimenti sensoriali (ibidem, p. 247). Per integrare tale teoria, è opportuno richiamare anche la natura e le differenzia­ zioni‘del Mitleid, in Wesen und Formen der Sympathie, pp. 142-44.

KLNOMKNOUXHA D K I.U VITA EMOZIONALI-

M-ntimcnti psichici addirittura si dissolvono alla presenza di essa, il sentimento sensoriale cresce in intensità con l’acuirsi dell'attenzione. Infine - il che sarà di maggior rilievo per Ten­ ia - i sentimenti sensoriali sono, rispetto agli altri, maggior­ mente modificabili dall’azione del volere, proprio nella misura m cui sono i meno profondi. Mentre il piacere e il dolore sensoriale possono con facilità essere provocati da adeguate eccitazioni o neutralizzati da agenti anestetici, ogni incidenza da parte della volontà diventa sempre più sterile man mano che ci si avvicina ai sentimenti più elevati6. I sentimenti concernenti il proprio corpo (Leib) e quelli vitali manifestano la propria specificità e autonomia - a differenza di quanto sostiene per esempio Wundt - in quanto sorretti da caratteri irriducibili a quelli propri dei sentimenti sensoriali7. A differenza di questi, essi si presentano come fenomeni estesi unitari dell’io corporeo (Leibich), cioè della coscienza totalita­ ria o unitaria del Leib\

•* Cfr. Der Formalismus, pp. 335 38 c 410 s. 7 Contro la teoria di Wundt, che vede nel sentimento vitale una 'lunzione’ dei sentimenti sensoriali, Schclcr fa giustamente rilevare che il senso della fiacchezza può non coesistere con il dolore, e che può anzi coesistere con uno stato di intenso piacere sensoriale. s Scheler parla, oltre che di un io psichico (seelisches Ich), anche di un io corporeo (Leihich) inteso come coscienza unitaria del proprio corpo (ibidem, p. 340). L’io privo di ulteriori specificazioni è l’io della sfera psichi­ ca. L’appartenenza dell’io corporeo all’io psichico rimane, tuttavia, piutto­ sto problematica, più affermata che evidenziata. L'autore si limita ad affer­ mare che il Leibich ‘appartiene’ o è ‘relazionato’ all’io psichico per il fattodi relazione che esso è il 'mio corpo’ (dr. ibidem, pp. 336 c 344). L’io psichico è colto immediatamente per esperienza vissuta, mentre l’unità del proprio corpo ci è data come totalità intuitiva immediata, fatta di costitutivi materialmente identici, indipendente da ogni separata percezione interna ed esterna o dalla scoperta dell’ordine costante nei fenomeni di percezione interna ed esterna del proprio corpo. All’unità del l*eih si contrappone co­ me essenziale correlato (Gegenglied o Gegensatz) la Umwelt (mondo am­ bientale), mentre all 'Ich si contrappone, oltre che il ‘tu’, VAussenwelt (mon­ do esteriore), e all’anima (Seele) l’io corporeo (cfr. ibidem, p. 157, nota). La persona a sua volta, in quanto unità psicofisicamente indifferenziata dei propri atti, si oppone (steht-gegeniiher) al corpo unitario vivente e ha come correlato, da parte degli oggetti, non la Umwelt, ma la Welt o mondo delle essenze. Ma - ci domandiamo - può l’io corporeo avere da sé una ‘coscien­ za unitaria’ del corpo? E, se essa è mutuata dall’io psichico, come si può propriamente parlare di ‘io corporeo'? Non meno problematico rimane il

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FMNOMLNOUXilA DtLLA VITA LMOZIONAI I

Il senso di freschezza o di spossatezza, per esempio, non sono peculiari di un organo specifico. In quanto sentimenti del Leib, i sentimenti vitali si riferiscono soltanto indiretta­ mente all’io psichico, in virtù dell’appartenenza del Leib all’io psichico, anche se in modo meno indiretto rispetto ai senti­ menti sensoriali, in quanto partecipano globalmente del­ l'estensione del corpo. L’autonomia dei sentimenti vitali dalla sfera statica dei sentimenti sensoriali è anche avvalorata dal carattere funzionale e intenzionale che essi possono rivestire: nel sentimento vitale ci è data, nella sua presenza intimamente vissuta, la vita stessa, nel suo crescere o nel suo decadere. Ciò consente anche di cogliere i costitutivi axiologici del mondo ambientale (come la vitalità della natura), di ‘pre-sentire’ e ‘ri-sentire’ i sentimenti e, soprattutto, di ‘parteciparli per sim­ patia’, il che contribuisce, ancor prima di attingere il mondo dei sentimenti spirituali, a fondare la coscienza di ‘comunità’ (Gemeinschaft)\ In virtù di tale carattere intenzionale, il senti­ mento vitale (come l'appetito, l’avversione, la paura) può chiaramente e immediatamente assurgere a vero ‘indice segna­ letico’ del significato axiologico vitale di eventi e di procedi­ menti, anticipando il senso di pericoli e di vantaggi organici che sfugge a ogni forma rappresentativa o concettuale. Me­ diante il sentimento vitale siamo già in presenza del valore di tali fenomeni, prima ancora che questi ci siano dati, con la possibilità anzi di poterli suscitare o reprimere. Il sentimento sensoriale invece è un fenomeno attuale, legato a circostanze spazio-temporali presenti, e che accompagna processi vantag­ giosi o nocivi per l’organismo soltanto in quanto presuppone già uno stimolo adeguato; come tale, esso può fungere da indice segnaletico soltanto con la mediazione di nessi associa­ tivi empirici (come avviene per il bambino nell’apprendere a temere il fuoco)10. È evidente, infine, che i sentimenti vitali

tema dell’unità psichico-spirituale-personale. dato che non soltanto i senti­ menti sensoriali e vitali non esprimono alcun riferimento alla persona, ma gli stessi sentimenti psichici ineriscono all’io e non concernono i valori della persona. Su tale argomento ritorneremo quando tratteremo esplicitamente della tematica della persona. v Cfr. anche su tale argomento Wesen und l-ormen der Sympathie, pp. 48-61.

10 ln Zu einer philosophischen Lehre von Schmerz und Leiden Sche indica efficacemente col termine begleitendes Zeichen l'indice segnaletico

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i :nomkn () i .(x ; ia

d ella

vita em ozionale

subiscono con maggiore difficoltà, rispetto ai sentimenti sen­ soriali, il dominio e la morsa del volere, nella misura in cui, a differenza di quelli, impregnano tutto quanto l’impeto dell’or­ ganismo vitale“. I sentimenti psichici puri, come la gioia e la felicità, si stacca­ no nettamente dai sentimenti del Leib e da quelli vitali e sono sorretti da leggi autonome di variazione, anche se la diversità e la mutevolezza dei sentimenti del Leib e di quelli vitali pos­ sono provocare in essi una diversa c mutevole sfumatura. Non essendo estesi, essi ineriscono direttamente all’io psichico, sia come suoi stati sia come sue funzioni. Tale inerenza può esse­ re più o meno prossima all’io, come può emergere dalla varie­ tà delle espressioni ‘mi sento triste’, ‘sono triste’: soltanto quest’ultima modalità di esperienza vissuta si impadronisce di tut­ to quanto l’essere psichico. Inoltre, ancor più dei sentimenti vitali, essi godono di una ‘continuità-di-significato’ e possono essere ‘pre-sentiti’, ‘ri sentiti’ e ‘partecipati per simpatia'. Pos­ sono presentare anche il carattere di funzione intenzionale per quanto concerne i valori dell’io e, soprattutto, permeano così intimamente la totalità dei contenuti di coscienza dell’io da essere poco docili - assai meno dei sentimenti vitali - a una eventuale provocazione o repressione da parte del volere: lo sono soltanto nell’angusta misura in cui presentano il caratte­ re di ‘sentimenti reattivi’ di fronte a determinati beni suscetti­ bili di essere prospettati o rimossi“. Ma è prerogativa esclusiva dei sentimenti spirituali, espressi dalla ‘beatitudine’ e dalla ‘disperazione’ e caratterizzanti lo strato più profondo della vita emozionale, di presentare sem­ pre il carattere dell’intenzionalità. Essi sono, non soltanto del tutto autonomi dalla struttura corporeo-vitale, ma anche irri­ ducibili ai sentimenti psichici puri". I sentimenti spirituali so­ no relazionati esclusivamente ai valori della persona. Erom-

dei sentimenti sensoriali e con Vorzeichen quello relativo ajtli altri sentimenti (in Schriften zur Soziologie, p. 332). 11 Cfr. Der Formalismus, pp. 540 44. 12 Cfr. ibidem, p. 344. IJ II sentimento della beatitudine è del tutto ‘indipendente’ da quello della felicità (ibidem, p. 126).

205

h

.\m i :nL< K.IA DFJJ.A VITA KM( )ZI( )NAU:

sentimenti-di-sé metafisici e religiosi per eccellenza (die meta­ physischen und religiösen Selbstgefühle katexochen)»'1. Tenendo presente che i sentimenti della beatitudine e della disperazione corrispondono alla serie axiologica dei va­ lori del sacro e del profano, i quali appaiono negli oggetti intenzionati propri della ‘sfera dcU’assoluto’ - il che non coin­ cide con le valutazioni storicamente differenziate date del sa­ cro e del profano - è possibile concludere che per Schcler i sentimenti spirituali rivelano un nesso inscindibile tra l’idea di Dio - o, se si vuole, del divino - e l’essere stesso della persona considerata come valore morale. Il valore del sacro, inerente alla sfera dell’assoluto e colto originariamente in un particola­ re atto di amore, realizza, in una correlazione col sentimento concomitante di beatitudine, il valore morale dell’essere stesso della persona. Viene pertanto affermato che il primato axiologico della persona, emerso nell’esame dell’ordinamento dei valori rispetto al loro soggetto portatore e nella disamina del valore etico dell’amore, è indissociabile dal riferimento alla slera dell’assoluto colta in un particolare atto di amore. In attesa di additare a parte la problematica della conno­ tazione unitaria della persona umana - quando tratteremo espressamente del problema della persona - ci sia anche con­ sentito di porre in luce che Schcler, nel definire la stratifica­ zione della vita emozionale, parte da certi presupposti di ca­ rattere metodologico-formale che non potranno non rendergli precaria e di difficile riscatto l’affermazione dell’unità della persona umana. Egli considera il Leib, YIch e la persona come aventi una certa configurazione a sé stante. Conscguentemen­ te ritiene i sentimenti sensoriali, quelli vitali e quelli psichici non inerenti alla persona in se stessa. Il sentimento della tri­ stezza, per esempio, coinvolgerebbe Ylcb, non la persona co­ me tale. Tali presupposti non potrebbero pertanto consentire i he la persona umana possa affermare di sé: io sono (anche se non riduttivamente) il mio corpo.17

17 Ibidem.

207



.

XI C A R A TTER IZZA ZIO N E DEI VALORI MORALI E DISAM INA DI E R M E N E U T IC H E IN SU F F IC IE N T I

I.

VALORI DEL BENE E DEL MALE MORALE

I valori morali non fanno parte, secondo Scheler, della strut­ tura gerarchica dei valori, in quanto contraddistinti da carat­ teri a sé stanti. Essi tuttavia appaiono in riferimento all’ordine gerarchico degli altri valori. In polemica col formalismo etico, Scheler ritiene che il bene e il male morale siano «valori mate­ riali, di tipo specifico, chiaramente percepibili affettivamente, in nessun modo definibili, come del resto tutti i fenomeni axiologici ultimi»1. Soltanto il vissuto intenzionale potrebbe rivelarci qualcosa intorno alla loro natura. È possibile, tutta­ via, interrogarci intorno alle condizioni del loro apparire, in­ torno ai loro soggetti portanti gerarchicamente ordinati e in­ torno alla peculiarità delle reazioni provocate dal loro darsi. I valori morali, anzitutto, emergono esclusivamente se riferiti a un ordine gerarchico di valori materiali. I valori del bene e del male morale in senso assoluto appaiono nell’atto realizzante un valore che, conformemente al grado di cono1 Der Formaltsmas. p. 47.

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CARATTIJUZZAZJI INI DU ''ALI >RI MORALI

scenza, è rispettivamente il più alto e l’infimo2. 1 valori del bene e del male morale in senso relativo appaiono nell’atto realizzante un valore che, in una determinata prospettiva axio­ logica, è rispettivamente superiore e inferiore. Onde l’assioma: «il bene è il valore che nella sfera del volere aderisce alla realizzazione di un valore superiore; il ma­ le è il valore che nella sfera del volere aderisce alla realizzazio­ ne di un valore inferiore»**. Sotto un altro aspetto convergente, poiché il grado di un valore è dato nell’atto conoscitivo di preferenza o di subordi­ nazione, si può intendere per moralmente buono «l’atto rea­ lizzante un valore la cui materia axiologica intesa coincide col valore ‘preferito’ e contrasta con quello ‘posposto’; moral­ mente cattivo, invece, è l’atto la cui materia axiologica intesa contrasta col valore preferito e coincide col valore posposto»'1. Un secondo criterio è costituito dal riferimento ai valori positivi e negativi. 11 bene è il valore annesso all’atto volitivo che, aH’interno del livello axiologico superiore, realizza il valo­ re ‘positivo’, mentre il male inerisce all’atto che realizza il valore ‘negativo’’.

2 II piacevole, che è il valore infimo, diventa motivo di realizzazione del male assoluto soltanto se anteposto agli altri valori, come criterio assolu­ to di scelta. Diversamente è in sé un valore positivo. ’ ibidem, p. 48. * Ibidem, p. 47. ’ Ibidem, p. 47 s. Com’è ovvio, l’ordine dei valori secondo un i gra­ dazione di superiorità o di inferiorità non è assimilabile all’ordine riferito alla natura positiva o negativa del valore. Quella comporta un rapporto tra due gradi diversi; questa è propria di ogni grado gerarchico e dà luogo a certi assiomi, quali: l’esistenza (die Existenz) di un valore positivo è essa stessa un valore positivo; la non esistenza di un valore positivo è essa stessa un valore negativo, l'esistenza di un valore negativo e essa stessa un valore negativo; la non esistenza di un valore negativo è essa stessa un valore positivo (ibidem, p. 48). Non sarà del tutto inutile ricordare che il criterio che in Schclcr ispira la caratterizzazione del bene c del male morale desume la sua validità dal carattere di evidenza che contraddistingue l’analisi di ogni dato fenomenologico. Tale evidenza che caratterizza l'intuizione c informa l’intenzione della coscienza, è di natura oggettiva, è un’evidenza ex parte ob/ecti, nella misura in cui la fenomenologia, come ‘antepone la daiità del­ l’essere stesso alla verità del giudizio, cosi ripone l’evidenza nel 'possesso deH’csscre’, nel contatto ‘ontologico’ vissuto con le cose (Versuche einer Philosophie des Lebens, in Vom Umsturz der Werte, p. 328). Ci pare pertan­ to infondata l'accusa di tautologia mossa da A. Stem nei riguardi della definizione scheleriana del bene «chcz lui le ‘bicn’ est defini par la ‘valcur

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CAKATTKRI//A/ION1: 1)111 VALORI MORALI

La correlazione gerarchica che caratterizza i valori mate­ riali instaura quindi una correlazione essenziale tra i valori morali e tutti gli altri valori e consente la fondazione di un’eti­ ca materiale che discrimini moralmente le realizzazioni axiologiche. I valori del bene e del male morale, come non sono in correlazione essenziale rispettivamente col mondo cosale dei beni e con quello dei mali, ma coi valori materiali in essi espressi, così neppure appaiono nella semplice realizzazione di questi valori, ma soltanto in riferimento al loro ordine gerar­ chico desunto dalla loro stessa essenza. Mentre l’etica che ele­ va i beni e i mali inerenti alle cose a criterio discriminante di moralità differenzia l’attività morale mediante il contenuto empirico, l’etica scheleriana differenzia l’attività morale a se­ conda della realizzazione o meno di valori gerarchicamente ordinati, per cui l’attuazione di un medesimo valore, come è un bene nella prospettiva axiologica in cui esso è da preferire (per esempio il benessere rispetto ai valori sensoriali), così è un male nella prospettiva axiologica in cui è da posporre (il benessere rispetto ai valori spirituali)*6. l enendo presente che la gerarchia dei valori si rifà a un contenuto, che c da preferire o da posporre a seconda del suo grado di elevatezza, non ci pare fondata l’interpretazione di I lerrmann, che vede nel riferirsi del valore morale all’ordine

positive' oli ‘préleréc’, quoique la valcur ‘positive’ et 'preferée' ne soit délinissable qtic par le bicn (...]. I,“explication’ schelcriennc du ‘bien’ comme valcur positive’ ou comme ‘valcur préleréc’ est, à mes yeux, la plus pure des t.iuiologies» (A. Stem, I x prohleme de l absolutisme et du relativisme axiolot;h/uc et la philosophie allemande, in «Revue internationale ile pliilosophie», I. 1939. p. 719 s.). In Scheler infatti i valori del bene e del male morale ili »limono la loro fondazione dallo stesso essere del valore, che, nella misura in cui è più o meno ricco, ispira la preferenza o meno di esso. 6 Ci sembra priva di londatcz/a la critica mossa a tale concezione da I lildebrand, secondo il quale «der auf der Objektseite stehende Wert durchaus nicht als ein 'höherer' gegeben und intendiert zu sein braucht» il> von Mildebrand, Max Schelcr als Elhiker, in «Hochland», 21, 1, 1923i t p. 628, nota). Intatti ogni valore, in virtù della sua essenza, non può non essere correlato agli altri valori, come ogni modalità di essere rispetto alle altre modalità, per cui l'atto morale può attuare un valore soltanto a condi /ione che questo non venga anteposto a valori dati c ritenuti come superiori. I vero che il valore vitale è un valore in sé e per sé e che non è costituito onginariamente dalla relazione con altri valori, ma è anche vero che esso è per natura subordinato a quei valori che esprimono una maggiore dignità ontologica.

CARATTLRJZZAZIONI DEI VALOR] MORALI

gerarchico dei valori un criterio formale (ein formales Gesetzes­ prinzip)1. È infatti, in ultima istanza, il contenuto delle relazioni essenziali intuite nel dato axiologico a fondare i giudizi axiologici in genere e quelli morali in particolare. È esso che instaura la differenza e il punto di convergenza tra l’axiologia e l’etica. La valutazione axiologica e la valutazione etica hanno nei valo­ ri un «punto comune di partenza». Ma, mentre l’axiologia è soltanto scienza dei valori riferita alle azioni, l’etica riferisce l’azione alla ‘direzione radicale’ (Gesinnung) della volontà. L’etica è, così, ‘subordinata’ all'axiologia, nella misura in cui dipende dai valori in essa dati, e l’axiologia «deve aver esaurito il suo compito quando ha inizio retica»*. Ma, nello stesso tempo, l’etica conserva una sua ‘indipendenza’ (Selbständig­ keit) in quanto riveste una significatività metaaxiologica789. Per lo stesso motivo ci pare altrettanto priva di fonda­ tezza la critica rivolta dal neoscolastico Michael Wittmann101, secondo cui Scheler, nel prescindere dalla natura specifica del valore morale e nel volerla dedurre dal concetto più generico di valore, porrebbe a fondamento dell’etica presupposti «del tutto astratti e privi di contenuto», validi soltanto per una teoria generica del valore". A nostro avviso infatti i valori, in cui axiologia ed etica hanno per Scheler il loro punto comune di partenza, concretizzano una definita modalità materiale e sono sufficienti di per sé, nella loro struttura gerarchica, a instaurare una scienza della struttura integrale dell’uomo, nel­ la misura in cui intendono correlarne gli aspetti infraspirituali e quelli spirituali. Molto meno poi i valori morali verrebbero ‘dedotti’ (abgeleitet) dalle leggi essenziali che regolano i valori

7 Cfr. J. I lerrmann. Die Prinzipien der formalen Gesetzesethik Kants und der materialen Wertethik Schelers, cit., p. 33. 8 Beziehungen zwischen den logischen und ethischen Prinzipien, in Frühe Schriften, p. 95 s. 9 «Erst soweit eine Handlung aus Gesinnung hervorgeht, fanden wir sie ethisch bedeutsam und übcraxiologisch» (ibidem, p. 114). 10 M. Wittmann, Max Scheler als Ethiker, cit., p. 45 s. 11 In particolare ci convince poco una delle motivazioni più specifi­ che addotte, cioè che una teorìa generale dei valori non può condurre alla comprensione della peculiarità dei valori morali, se accanto ai valori spiri­ tuali pone anche valori materiali. Infatti questi ultimi - ricordiamo - porreb­ bero secondo Scheler essere perseguiti e preferiti soltanto se subordinati a quelli spirituali. La loro presenza, in particolare, servirebbe a riscattare la corftpletezza dei valori umani.

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CARATTI-JUZZAZK >N!L DT.I

VALORI MORALI

ni generale; il riferimento (Verhältnis) infatti non è una dedu­ zione, anzi la esclude positivamente. Hildebrand del resto, prendendo le difese del maestro, avverte che l’interpretazione di Wittmann ha frainteso il pensiero di Schelcr, nella misura in cui essa non pone in evidenza che Scheler per ogni modalii.i di valore, e in particolare per i valori di natura morale, esige una peculiare intuizione, così come si esige, per cogliere il i o s s o , una particolare intuizione di esso, non deducibile dal­ I intuizione dell’essenza del colore in genere o degli altri colori specifici (a nostro parere, anzi, l’irriducibilità tra valore mora­ le e le altre modalità di valore è più radicale, in quanto il valore morale non è una loro specie, come potrebbe essere per il colore rosso rispetto al colore come tale). E come ogni intuizione di un colore particolare non può non tener conto delle leggi generali che regolano la comprensione dell’essenza del colore, così la comprensione del valore morale non può non presupporre una teoria generale del valore. In tal senso una teoria generale dei valori non può non rivestire un signifi­ cato di validità per l’etica, così come l’ontologia non può non rivestire un significato di validità per la conoscenza dei singoli campi dell’essere12. I. già possibile fin d’ora puntualizzare alcune dimensioni che connotano affinità e discrepanze tra l’etica scheleriana e deter­ minate istanze kantiane. Scheler condivide pienamente la pre­ occupazione kantiana di non affidare la discriminazione del bene e del male morale alla semplice realizzazione del conte­ nuto di un valore materiale: per Scheler, non meno che per Kant, «la realizzazione di un determinato valore materiale non e mai in se stessa buona o cattiva»1’. Ma tale affermazione è insieme trascesa da Scheler, né può pretendere a una converti­ bilità in una valenza di carattere formalistico, superando egli ogni presunta implicanza empiristica mediante il riferimento del contenuto del valore realizzato a una gerarchia desunta non già dai beni effettuali ma dalla stessa eidcticità dei valori. I il riferimento alla gerarchia dei valori, e non a quella dei beni cosali, che permette la realizzazione di valori materiali

u D. von Hildebrand, Max Scheler als Ethiker, in «Hochland», 21, 1 11923-24), p. 633 s. n Der Formalismus, p. 47.

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( BRATTIJUZZAZIONi:

d e i va lo ri m o rali

moralmente differenziata, e consente quindi un’etica contenu­ tistica o materiale che non pregiudichi la sua connotazione apriorjca. E anche largamente recepita da Scheler la sollecitazione kantiana nel contestare al semplice contenuto del bene e del male la pretesa di costituire la materia dcll atto volitivo. Non si tratta di ‘volere’ un contenuto morale, ma di ‘realizzarlo’ (realisieren), pena la degenerazione in un atteggiamento da fariseo, preoccupato solo di sembrare buono a se stesso". Un contenuto morale di tal genere non potrebbe assurgere a valo­ re morale. La prospettiva kantiana, tuttavia, è radicalmente diversa da quella di Scheler: mentre per Kant il concetto di bene si traduce in quello di dovere ed è costituito da un atto volitivo (e in ciò rovinerebbe anch’egli in un atteggiamento farisaico), per Scheler il valore morale appare (erscheint) nel­ l’atto volitivo che realizza un valore positivo superiore, ma, proprio per questo, non può mai costituire il contenuto mate­ riale di tale atto né può essere oggetto inteso da un atto di volontà. In ciò la posizione di Scheler ci sembra lontana tanto dalla valenza essenzialmente volontaristica dell’etica kantiana quanto da quella fondamentalmente intellettualistica dell’etica platonica. Date tali premesse, la posizione scheleriana non avverte l’urgenza di convertire il valore morale in valore formale, ori­ ginariamente costituito dalla sola volontà. La realizzazione di un valore positivo superiore, dato nella preferenza, non è in­ fatti riconducibile alla realizzazione di beni e di mali cosali, o di cose di valore (Wertdinge), secondo il timore espresso da Kant. I valori morali sono valori materiali, ma con ciò non accedono a una valenza empiristica né comportano una defi­ nizione per inferenza. Tale premessa, secondo Scheler, giusti­ fica la possibilità della fondazione di un’etica materiale, men­ tre da Kant essa è ritenuta inverificabile, nella misura in cui ogni valore non ‘dedotto’ da una legge formale verrebbe assi­ milato al concetto di ‘cosa’ stimolatrice di piaceri sensoriali.14

14 Al fermerà Nicolai Hartmann, d'accordo con Scheler: l'agente mo­ rale non nutre l’intenzione di vedersi in qualche modo 'ornato' di un predi­ cato di valore: nella relazione tra valore morale e atto, il valore intenzionato è ‘fondante’, il valore dell’intenzione c ‘fondato’ (N. Hartmann, Ästhetik, Berlin 1955, p. 338).

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IVr quanto concerne poi la questione relativa ai soggetti por­ tanti dei valori morali, l’atto volitivo realizzante un valore, non è - come opinerebbe Kant - il soggetto portante origina­ rio (der ursprüngliche Träger) del bene e del male morale. Anziché l’atto volitivo singolo, e indipendentemente da esso, è la persona, l'essere della persona, a meritare originariamente le connotazioni buono e cattivo-, «‘buono’ e ‘cattivo’ sono valoii di persona (Personwerte)»". E, proprio perché la persona non è una ‘cosa’ (Ding) né un ‘oggetto’ (Gegenstand), i valori morali differiscono essenzialmente da tutti gli altri valori ma­ teriali, suscettibili di inerire ai ‘beni’ e ai ‘mali’, cioè alle ‘cose di valore’. Mentre quindi per Kant il valore della persona viene contraddistinto esclusivamente dal valore moralmente dirimente della volontà, dall’attività ‘impersonale’ (unpersön­ lich) della ragione pura pratica, per Scheler16 il valore della volontà è un derivato del valore della persona. Riteniamo che col termine ‘impersonale’ Scheler dovrebbe limitarsi a rimpro­ verare alla morale kantiana la carenza di ogni carattere indivi­ duale. Per Kant infatti, a nostro avviso, l’attività della Ver­ nunft è l’unica a pretendere di essere personale e, proprio per questo, non potrebbe essere individuale. Ma è chiaro che l’ac­ cezione dei termini risente della diversa prospettiva che inve­ ste il concetto di persona presso i due filosofi. Soggetti portanti dei valori morali sono, in secondo luo­ go, le ‘virtù’ e i ‘vizi’, cioè «le direzioni del ‘potere’ morale della persona, in riferimento al potere di realizzazione dei vari domini del dover-essere ideale»17. Come si può rilevare, virtù e vizi vengono essenzialmente relazionati all'essere della perso-

n Der Formalismus, p. 49. 16 Scheler pone in rilievo nel saggio F.thik che egli e Dietrich von llildchrand concordavano, contro il volontarismo etico kantiano, nel non i ili-nere la volontà unico o privilegiato soggetto portante di valori morali, e in 11'attribuire tale attitudine anzitutto all'essere della persona come tale c ■liiindi ad atti peculiari (non riconducibili necessariamente ad atti di volon­ tà i c alla stessa azione (cfr. Ethik, in Frühe Schriften, p. 403 e D. von HildcIh.iikI, Die Idee der sittlichen Handlung, Halle 1916). «Sittlich gut alles Snn von Personen und Verhalten, Wollen und Handeln von Personen ist» Il’rohleme der Religion, in Vom F.u-igen im Menschen, p. 301). 17 Der Formalismus, p. 50. Cfr. anche: «Beschaffenheiten der Person, nlcrn sic (nach Regeln) abhängig von der Güte der Person variieren, heissen I ugcndcn; Laster, sofern sic abhängig von ihrer Bösheit variieren» (ibidem, P 103).

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CARATTERIZZAZIONE DEI VALORI MORALI

na. A noi pare non del tutto impertinente una certa analogia tra la ‘direzione’ che, secondo Scheler, caratterizza la virtù e la ‘disposizione’ che in Aristotele caratterizza la virtù etica, come modo abitudinario di vita che è dovuto a un’attività reiterata e che di riflesso qualifica l’azione singola (rapporto tra rj-Sotr] e è-So2 Cfr. ibidem, p. 132. Sotto tale profilo, Scheler rifiuta di suffragare la tesi herhartiana, d’indole pragmatistica, secondo cui la Gesinnung, può divenire oggetto di processi educativi. Ciò rischierebbe di dissimulare fari­ saicamente la Gesinnung autentica e presupporrebbe la convertibilità di essa in una stabile disposizione del volere e dell'agire, o che la Gesinnung sia un mero ‘residuo’ di singoli comportamenti. Al contrario, è la Gesinnung che ‘regge’ (regiert) le azioni, incluse quelle che hanno lo scopo di dissimularla. Anche secondo Kant le buone intenzioni innestate in una cattiva Gesinnung producono ‘reboanti apparenze' (ibidem). » Ibidem. ,4 Ibidem, p. 132, nota.

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CARATTKRI7ZAZIONK DEI VALORI MORALI

1 1 attandosi di fenomeni apriorici irriducibili e ultimi, evidenti in se stessi. Se «il valore morale della Gesinnung è di fonda­ mento (ist fundierend) per il valore morale dell’azione»15, que­ sta non potrebbe a sua volta costituirla, come per esempio in mi contesto tipicamente aristotelico potrebbe avverarsi medi.inte una reiterata propulsione dell’attività. Anzi la posizione di singoli atti morali nel mondo situazionale, in cui si attua I orientamento della Gesinnung, non dovrebbe neppure arric■Iure o potenziare l’atteggiamento autoctico della Gesinnung. t erto non ci sembra agevole armonizzare tale visuale con I esperienza umana della laboriosità nel pervenire a un atteg­ giamento stabile dell’animo di fronte al mondo axiologico e eoli l'alternarsi di conquiste e di recessioni che contraddistin­ gue il mondo vissuto dell’ascendere umano.

Nella direzione della nostra domanda ci sembra pregnante di ricchezza l’analisi fenomenologica che Scheler conduce per evidenziare il tipo di rapporto reciproco che si instaura tra la ( a \innung e l’azione. Per un verso, la Gesinnung è di ‘fonda­ mento’ per il valore morale dell’azione - senza una buona ( n sinnung non si darebbe una buona azione - la ‘regge’, ne determina e seleziona il ‘possibile’ campo materiale apriorico. Per un altro verso, una buona azione, nell’‘aggiungersi’ (Hin■utreten) con la sua peculiare qualità a una buona Gesinnung, i ippresenta «un nuovo soggetto portante di valore morale, non Minora contenuto nella Gesinnung»ib. Occorre allora precisare i he la Gesinnung, in tanto può permeare moralmente il conte­ nuto dei vari gradi del volere e tutta quanta l’azione, in quanto nein è moralmente indifferenziata, in quanto cioè è dotata di una sua ‘materiale specificazione’ che fa si che i vari gradi del volere e l’azione siano correlati a essa: solo così si supererebbe I inflessione nella teoria calvinista, secondo cui non è possibile t scontrare differenza alcuna tra la condotta degli eletti e quel­ la dei reprobi’7. Conseguentemente, se si può ritenere che tra i valori-di-atti la Gesinnung rappresenta il soggetto portante del lutto originario del valore morale, esso non è l’unico, in quan­ to anche gli altri gradi dell’atto volitivo e la stessa azione rive-

*’ Ibidem, p. 129. ,é Ibidem, p. 130. ,7 O r. ibidem.

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caratterizzazioni : dei valori

MORALI

stono un certo valore morale originario, pur nella dipendenza dalla discriminazione morale insita nella Gesinnung. Oltre a rappresentare un ‘valore di simbolo’ (Symbolwert) nei riguardi della Gesinnung, essi detengono un ‘valore proprio’ (Eigen­ w e r t ) Kant avrebbe disatteso tale peculiarità, assegnando, almeno implicitamente, ogni valenza morale alla sola Gesin­ nung, nella misura in cui, secondo la sua teoria, quanto deriva, nell’ambito operativo, dalla Gesinnung si aggiungerebbe a essa in virtù di un semplice ‘procedimento naturale’, che privereb­ be gli ulteriori gradi dell’atto volitivo e l’azione di ogni novità autonoma nell’ambito di un’axiologia morale1'. Conseguente­ mente, per i fautori dell’‘etica della Gesinnung o della pura intenzionalità, l’atteggiamento morale di un paralitico che, im­ potente, volesse effettuare un salvataggio, sarebbe del tutto identico all’atteggiamento di chi, non affetto da paralisi, po­ nesse in atto la volontà salvifica. Scheler invece, pur ravvisan­ do nei due atteggiamenti una medesima valenza morale in quanto alla Gesinnung, non attribuisce un identico significato morale all’atto di volontà, trattandosi nel primo caso di un semplice desiderio di agire, nel secondo di un effettivo compi­ mento. Anche se il paralitico non ha nulla da rimproverarsi, a lui non può spettare parte del merito e dell’encomio morale riservati all’ambito operativo. Chi sostenesse il contrario, e volesse affidare esclusivamente alla Gesinnung la fonte dei va­ lori morali, farebbe ciò - conclude Scheler - perché affetto da ‘risentimento’ per la carenza di certe attitudini411. Un altro carattere che emerge dalla ‘stabilità’ dell’orientamen­ to della Gesinnung e dalla sua capacità di penetrare con la propria materia axiologica tutte le sequenze dell’attività ope­ rativa, è l’attitudine ad ‘apparire’, a esser data intuitivamente nell’azione, nei desideri, nei sogni, nella vita immaginativa, nei fenomeni espressivi meccanici (quali il sorriso, i gesti), nella stessa abulia e aprassia di tipo patologico. I fenomeni espressi­ vi meccanici, anzi, possono testimoniare semiologicamente l’orientamento della Gesinnung in modo più chiaro di quanto non possano farlo le parole e le azioni, nella misura in cui

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,8 Cfr. ibidem, p. 134. ,9 Cfr. ibidem, p. 129 s. 40 Cfr. ibidem, p. 134 s.

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ETICA nEONTl >l.< X'.KA

riconosciuto espressamente da Scheler. Per Socrate e per Sclicler la volontà morale si radica nella conoscenza del bene; come all’adeguazione perfetta o all’evidenza assoluta del valo­ re non può non seguire, per Scheler, l’essere stesso del volere, così per Socrate la scienza del bene non può non sfociare nella virtù. Evidentemente la configurazione della conoscenza e ben diversa nei due filosofi: in Scheler è percezione affettiva, sradicata dalla sfera teoretica del giudizio, per cui il giudizio si realizza soltanto nel valore dato nella percezione affettiva; in Socrate, invece, la conoscenza è pur sempre di carattere teore­ tico. Secondo Scheler, pertanto, al sapere teoretico di ciò che c bene non corrisponderebbe la percezione affettiva del valo­ re, così come il volere potrebbe essere determinato non dal concetto intellettualistico del bene, ma dalla presenza intuitiva ilei valore. Ciò premesso, non possono non insorgere alcuni interro­ gativi. Noi non ci soffermeremo sul fatto che una perfetta visione del valore, cui corrisponda in modo ‘necessario’ il por­ si dell’atto volitivo, debba necessariamente compromettere il darsi della libertà: l’evidenza adeguata e perfetta del valore seppure dovesse darsi - sarebbe inlatti anch’essa dovuta all’in­ cidenza dell’attività libera e dell’attitudine morale. Ci doman­ diamo invece: quanti sono in grado di pervenire a un discerni­ mento del valore ‘perfettamente adeguato’, ‘idealmente perfet­ to’, ‘assolutamente evidente’, così da far scaturire in modo spontaneo e connaturale il corrispondente atto volitivo? E, nel caso che tale discernimento fosse parzialmente carente, ci si potrebbe appellare - quasi recuperandolo e investendolo di una valenza morale - al carattere obbligatorio, o almeno al dover-essere ideale del bene? Scheler lo ritiene - forse a malin­ cuore - possibile, a condizione naturalmente che il dover-esse­ re coinvolga un discernimento morale acquisito*4. A noi invece pare che sia quest’ultima la dimensione più connaturale alico­ rno nella sua concreta forma di esistenza storica, mentre l’etica

M L'affermazione secondo la quale prescrizioni e proibizioni sareb­ bero medicine, per cui farne un nutrimento morale normale sarebbe un controsenso’ (ibidem , p. 222), se per un verso è la riprova che il comporta­ mento della persona moralmente sana deve ispirarsi esclusivamente al perletto discernimento del valore, è indicativa, per un altro verso, del latto che l'incidenza del discernimento perfettamente adeguato del bene e della con­ seguente forza dinamica dell’amore non è sempre e per tutti efficace.

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1 ETICA AXIOM XilCA IT) ETICA D M )N T()M X ‘,1CA

axiologica, se intesa nella purezza scheleriana, ci sembra un ideale cui soltanto pochi soggetti morali privilegiati potrebbe­ ro pervenire, e sempre in modo contingente. Non ci pare che la natura umana storicamente esistente propenda di per sé, in modo connaturale e dietro la dinamica di un amore sponta­ neo, verso l’attuazione di ogni forma di valore. Certamente l’etica deontologica, animata dal discernimento axiologico, è in assoluto un’etica meno perfetta. L’etica, in ogni modo, deve tradurre fedelmente l’istanza che vuole non univoco l'atteggia­ mento dello spirito di fronte all’esperienza morale e che preve­ de forme diverse di adeguazione al valore morale, a seconda delle diverse strutture psicologiche, dei diversi modi di sentire il valore morale, delle diverse vocazioni morali. Uno dei motivi - per lo meno inconscio - per cui, oggi soprattutto, un preteso ancoraggio a categorie psicoanalitiche vorrebbe ratificare la ritrosia connaturale alle voci ‘etica impe­ rativa’ o ‘etica normativa’ o ‘etica prescrittiva’, e che di rifles­ so instaura un sentimento di predilezione per le voci etica dell’‘amore’ o dei ‘valori’ o del ‘desiderio’, ci sembra sia da riporre nel meccanismo inconscio di associare i termini ‘impe­ rativo’, ‘normativo’, ‘prescrittivo’ all’accezione ‘ingiunto da un’autorità esterna’, come tale lesiva della libertà interiore e dell’iniziativa morale. Una corretta analisi fenomenologica dei suddetti termini potrebbe, invece, facilmente indurre a richia­ mare la loro costitutiva affinità coi termini ‘esigenza’, ‘istanza’, ‘urgenza’ etica, categorie queste che fanno appello di per se all'interiorità e all’autonomia. Ogni autentico dovere infatti non può insorgere che dall’interno della coscienza. Sarebbe assurdo concepire che l’istanza del dovere possa urgere dal­ l’esterno (seppure da Dio) senza il presupposto costitutivo che esso corrisponda a un’esigenza della coscienza: la coscien­ za dell’obbligatorietà emerge soltanto là dove emerge una ri­ spondenza tra la legge e la struttura della coscienza, anche quando la fondazione dell’obbligatorietà è riposta nell’assolu­ to. Se pertanto il fenomeno etico viene indissolubilmente lega­ to al concetto di ‘non facoltativo’, di ‘ciò che pretende all’at­ tuazione’ in quanto emergente dalla struttura interiore dell’es­ sere finito, non si vede come esso possa essere eteronomo e lesivo della libertà interiore. E infine: se Schcler si è giustamente preoccupato di sot­ trarre l’axiologia a una sua connotazione come momento deri­ vato dalla deontologia e di fare scaturire dall’intuizione imme294

KTICA AXIOLOCICA III) I.TK A DMONTOUX.IC-A

•liiitu del valore la traduzione di questo nell’ambito della opei.itività, senza il bisogno di una prioritaria mediazione norma­ tiva, ci sembra nondimeno lecito sollevare il problema se sia propriamente l’axiologia a rivestire un ruolo assolutamente primigenio. A noi pare che sia piuttosto l’agatologia a rivendii are una priorità assoluta non solo rispetto alla valenza deon­ tologica dell’etica, ma anche rispetto alla stessa valenza axiologtea di essa. Non solo un’idealità deve tradursi in essere perché e un bene, ma anche un’idealità vale, e come tale merita di essere attuata, perché è un bene. E la categoria del bene onto­ logico, in ultima istanza dell’essere, la categoria veramente in­ derivata dell’etica e fonte di ogni ulteriore determinazione, nxiologica o normativa. Né l’esigenza di una espansione del bene o di una sua istanza cogente verrebbe sovrapposta alla natura del bene: è il bene in quanto tale che, nella misura in mi viene intuito, non può non provocare, in modo cogente, I apprezzamento, il movimento dinamico c l’assenso pratico, non può non muovere all’opzione.

i.

‘po t e r e ’

m o ra i .e e d o ver - essere ideale

I a dimensione axiologica dell’etica varrebbe anche a proietta­ re, secondo Scheler, una retta e adeguata configurazione del mncetto di virtù. La virtù, intesa come «coscienza immediata ili potere realizzare ciò che è vissuto come doventc-esscre ideale»” , troverebbe la sua ragione d ’essere come categoria etica autonoma, irriducibile a una mera disposizione a com­ piere il dovere, soltanto nel presupposto che si diano entram­ be le esperienze vissute immediate del dover-essere ideale e del potere (Können), l una indipendente dall’altra, ambedue originarie, irriducibili, fondate su intuizioni ultime. Scheler utilità, pertanto, per un verso le teorie seguite da Aristotele, I utero, Spinoza, Guyau, e per un altro verso quella di Kant*6. I primi avrebbero ricondotto il dover-essere alla coscienza di un ‘potere’, variamente inteso come Können o Vermögen o

*’ Ibidem, p. 24-1. Cfr. anche p. 213. Il vizio consisterebbe, consc«iicnlcmcntc, nel cogliere immediatamente il non-potcrc nei riguardi di ■lu.into c dato idealmente come dovente-essere. ,fc Cfr. ibidem, pp. 242-45.

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ETICA AXIOM (CICA ED ETICA DM INTOUXiU-A

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reale Potenz o Tüchtigkeit o Macht-, il secondo avrebbe dedot­ to il potere o la libertà dal dover-essere. In Guyau, in partico­ lare, si avrebbe una assimilazione della coscienza dell’obbliga zione alla coscienza di potere compiere azioni axiologicamente superiori a quelle intese dalle attuali tendenze volitive, alla coscienza cioè di un ‘potere superiore’ (höheres Können) a quello che si manifesta nella media effettiva dell’agire umano, di una ‘potenza’ (Macht) o di una ‘forza’ (Kraft) di carattere vitale non ancora presente nell’attuale gioco delle motivazioni umane17. Aristotele aveva già definito il bene in generale ciò verso cui un essere possiede una ‘capacità (Vermögen) e, nel caso specifico dell’uomo, una capacità di agire secondo ragio­ ne: il bene consisterebbe, pertanto, nell'attività razionale, in una riduzione del dover-essere a un ‘potere Nell età mo­ derna Spinoza accentuerebbe tale carattere riduttivo, nella mi­ sura in cui assimilerebbe il male a mancanza di potere e di libertà e la bontà assoluta all’onnipotenza, comprensiva dell« posizione del male come parte del possibile. La stessa felicità non verrebbe intesa come ricompensa alla virtù, ma come 1« virtù stessa, cioè come la suprema coscienza della potenza c

*7 Sull’esposizione ilei pensiero di Guyau e sul rapporto valore vita Ic-coscienza del dovere, cfr. anche Ethik, in I riihc Schriften, pp. 390-92. A noi non pare che in Aristotele ci sia una riduzione ilei dover-esse re a una 'potenza' (Jass alles Sollen auf ein Können zurückgeführt werden muss). Riteniamo invece che questa presupponga già la teoria del bene oome realtà ontologica, anche se entro il rigido principio della (inalila (nella misura in cui il bene supremo tende a identificarsi con la ricerca della felicità), in una prospettiva in cui la tensione al fine è condizionala dal fine in atto, rinvia cioè a una causa finale assoluta, a un bene ontologico realissimo. L'attività morale inoltre è costituita, secondo Aristotele, dall’esercizio o dall'attività della ra gione, pertanto non in virtù «.iella potenza, ma dell’atto. Per quel che conce» ne, in particolare, il problema deontologico, benché il principio assoluto dcll'obbligazionc non sia chiaramente stabilito da Aristotele, a noi pare tutta­ via che il concetto ili dovere non sia sostanzialmente alieno dalla sua moralr anche se in essa l'agatologia è intrinsecamente correlata con l’cudemonold già. 11 male morale viene severamente proibito, anche a scapito della vita, non soltanto perche xaxóv, ma anche perché atT/pÓv. Il termine ‘dovere’ vient classificato tra quelli ‘omonimi’, che si applicano analogamente a oggetti diversi, implicando ora una necessità fisica, ora una esigenza morale (Elenchi sofistia 4, 165 b 35-38) c trova una sua chiara esplicitazione nei termini Sei, 7Ó Séov, tot Scorra. 11 dovere richiede anche una norma: «ciò awieti* # perché godono di ciò che non si deve o più di quanto si deve [...] o non comf si deve» (Etica Nicomachea I' 13, Il 18 h 23-24).

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ETICA AXKHXXilCA CD ETICA DL.(>NT()|.()UCA

tifila libertà”. Anche la filosofìa religiosa di Lutero, stabilito il principio «a debere ad posse non valet consequentia», intende­ rebbe il dover-essere morale come conseguenza della nuova coscienza del potere nata dalla fede in Cristo Redentore. Tut­ te le suddette concezioni avrebbero smarrito il pieno significa­ lo della virtù morale, riducendola a una semplice ‘abilità’ I lüchtigkeit) svincolata da ogni riferimento al dover-essere ideale e da ogni dato-di-fatto di esperienza vissuta'1*1. Per un altro verso - ma sempre a causa della medesima carenza di un contenuto intuibile nell’esperienza immediata del potere' o di un qualcosa che si possa realizzare (ein Ge­ konntes), dato come realtà-di-fatto di ‘potere qualcosa’ - Kant perverrebbe a una posizione antitetica. La libertà diventereb­ be. nel suo significato positivo di ‘poter’ qualcosa, la conse­ guenza postulatoria della coscienza del dovere data immedia­ tamente, ma essa non sarebbe contenuto di una esperienza immediata vissuta. In Kant la virtù sarebbe, conseguentemenu destinata a perdere il suo significato di categoria etica auto­ noma e verrebbe ricondotta a una ‘disposizione’ (Disposition) o a quel tipo di ‘abitudine’ (Gewohnheit) cui vengono equipa­ rile le attitudini acquisite. A noi pare legittimo osservare inci­ dentalmente che Scheler ha dato un’interpretazione riduttivamcntc psicologica della libertà intesa da Kant, fino al punto da imiproverargli «l’assurdità di imporre una prescrizione o un divieto a un essere nella cui sfera di potere (Könnensbereich) non si trova ciò che è comandato o proibito», e da ritenerlo quasi immemore del fatto elementare che se non si impongono leggi morali agli animali è proprio perché essi non possono lealizzarle41. A noi sembra che il piano in cui si muove l’analisi kantiana sia del tutto diverso da quello in cui si articola l’anali.1 fenomenologica scheleriana, e che, in particolare, la libertà abbia in Kant una valenza esclusivamente pratica. E noto, in-

,g Tale principio morale avrebbe i suoi riflessi anche sul piano pedaIC'gico: l'educazione consisterebbe non nello sradicare i vizi, ma nel fare iidestare le forze latenti dell’educando, il suo poter-fare, per cui il principio ilcH educazionc non sarebbe il ‘tu devi', ma ‘il tu puoi’, in un’accezione l»>siliva e non normativa dell’iniziativa. William James, nell’instaurarc la sua n oria dell’educazione della volontà, non farebbe che assecondare tale prinopio (cfr. Der Formalismus, p. 241). 40 Cfr. ibidem, pp. 21} e 241-44. 41 Ibidem, p. 244.

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k t ic a a x k ) U k ; k a k d i t i c a d k >n t o l c x 'i I(: a

fatti, che Kant, dopo aver stabilito la problematicità teoretici! della libertà, ne rifiuta espressamente la definizione tradizio naie (definitio hybrida), intesa come «facoltà che avrebbe il soggetto ragionevole di poter operare una scelta contraria alla propria ragione»42 o come psychologische Freiheit, la quale sa­ rebbe «libertà secondo i principi empirici» e che «in sostanza non sarebbe di meglio che la libertà di un girarrosto che, una volta caricato, si muove da sé»4'. Tralasciato, pertanto, il me todo psicologico dell’analisi introspettiva dei fatti di coscienza, propria di un’intuizione legata al mondo fenomenico, e non potendo l’uomo disporre di un’intuizione intellettuale, Kanl intende la libertà morale come ‘proprietà’ di un essere dotato di ragione e di volontà e, conseguentemente, «come indipen denza dalle cause determinanti del mondo sensibile»44. La li­ bertà, così intesa, è libertà pratica a priori, l’unica atta a rende­ re «possibile una legge morale»4’. Tale deduzione «dalla deter­ minabilità del nostro arbitrio mediante la legge come cornati do incondizionato»46 e la conseguente identificazione della li­ bertà con l’autonomia della volontà ci fanno anche intendere che il ‘potere’ dedotto, come ratio cognoscendi, dalla legge morale, non è un potere di natura psicologica, un Können nell’accezione tradizionale, ma un potere che, quale ratio essendi della moralità, non può attuarsi se non nella direzione dell’adesione incondizionata alla legge morale. 11 ‘se devo sono libero’ è un passaggio dalla fattualità indimostrabile e incondi­ zionata della legge morale all’alfermazione di una dimensione della libertà da concepirsi soltanto come assoluta autonomia, c non come lihertas indifferentiae o come capacità di scelta tra bene c male. Quindi non è che la legge morale - come presu­ merebbe Scheler - si imponga in Kant senza che nel ‘potere’ del soggetto morale «si trovi quanto è comandato», ma, pro­ prio perché la libertà pratica a priori è l’unica libertà atta il salvaguardare la natura della legge morale, si attua una perfet ta identità tra autonomia o immanenza della legge e libertà. Ci sembra anche non pienamente pertinente il rimprovero mosso4

4i 4’ 44 45 46

Die Metaphysik der Sitten, VI, pp. 226 s. c 231, noia. Kritik der praktischen Vernunft, V, pp. 94 e 96 s. Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, IV, p . 452. Kritik der praktischen Vernunft, V, p . 97. Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft, VI, p. 50,

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ITKIA AXIOM XilCA HD ETICA DKONTOMXÜCA

Kant di non essere pervenuto al porsi della libertà mediante mia coscienza immediata o un’esperienza vissuta di essa: le premesse teoretiche, infatti, non potevano consentirglielo'17. Concludendo, possiamo così riassumere la posizione di Vlieler concernente il rapporto fra il ‘potere’ e il dover-essere iileale di un contenuto, c il rapporto tra il ‘potere’ e il doveressere normativo di un contenuto. In quanto al primo, devono >1

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•*' Nonostante ciò, è possibile reperire nella lettura ili Kant testi che ii appellano all 'esperienza della libertà’, anche se tale esperienza non può assumere evidentemente, oltre che una connotazione di carattere empirico, una connotazione fenomenologica. Noi non intendiamo qui sollevare la ininplessa problematica. Ci limitiamo a riportare qualche indicazione tciiuale. «Was sehr merkwürdig ist, so findet sich sogar eine Vemunftidee 11lic an sich keiner Darstellung in der Anschauung, mithin auch keines theoiruschen Beweises ihrer Möglichkeit fähig ist) unter den Thatsachen; und das ist die Idee der Freiheit, deren Realität r...l sich durch praktische Gewi/.e der reinen Vernunft und diesen gemäss in wirklichen Handlungen, mithin in der Erfahrung darthun lässt» (Kritik der Urteilskraft, ed. cit., V, p 468). «...das unter den drei reinen Vemunftideen [...], die der Freiheit ilei einzige Begriff des Übersinnlichen ist, welcher seine objective Realität I I an der Natur durch ihre in derselben mögliche Wirkung beweiset» hindern, p. 474). L’idea della libertà è «die einzige unter allen Ideen der ieinen Vernunft, deren Gegenstand Tatsache ist und unter die scibilia mit Mdechnet werden muss» (ibidem, p. 468). C’.fr. anche in Kritik der reinen Vernunft-, «die praktische Freiheit kann durch Erfahrung bewiesen werden» UM. p. 521); cfr. anche ibidem, p. 524. Schcler inoltre polemizza con Kant per la cosiddetta ‘infinità del dovere’ (Unendlichkeit der Pflicht), secondo i m non si darebbe qualcosa di intermedio tra quanto è conforme e quanto è i murario al dovere, c per cui sarebbero da rimuovere i concetti di ‘meritono' e ili ‘permesso’. Scheler intende per ‘meritorio’ (verdienstvoll) quel che ili idealmente obbligatorio viene compiuto con un contenuto che superi in i dure il contenuto delle norme universalmente valido; per ‘permesso’ Urlaub!) l’atto dato come non dovente-essere, sorretto da un immediato imtere-di-non’, tale però da non contraddire le norme universalmente vali­ di Il ripudio di tali concetti sarebbe, secondo Schcler, giustificato soltanto ■i il carattere del dover-essere ideale, anziché scaturire dal discernimento uhicttivo dei valori, gravitasse sulla necessità interiore della legge del dovere li Ir. ibidem, p. 214). A noi pare che - a parte il problema della mcritorictà, ni cui ritorneremo - Kant, date le premesse deontologiche, non potesse non i neuere che fra una buona e una cattiva intenzione, secondo cui bisogna «indicare la moralità dell’azione, «non vi è via di mezzo». Nell’ambito mora­ li , che c quello deontologico, non si può dare pertanto, per Kant, un'azione indifferente', cioè priva di ogni rapporto con la legge (Die Religion, V, p 25, nota). Al di fuori dell’ambito del dovere, e quindi della moralità, si imo dare invece un’azione «moralmente indifferente (indifferent, adiaphoiii«, res merae facultatis)» e come tale «soltanto permessa» (Die Metaphysik der Sitten, VI, p. 225).

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FTICA AXIOM XilCA IO) ETICA DEONTnEOiaCA

darsi sia l’esperienza vissuta immediata del dover-essere ideale sia l’esperienza vissuta immediata del ‘potere’ quel che si deve idealmente - che cioè il dover-essere ideale sia esperito come facente parte dell’ambito del ‘potere’ - entrambe originarie, indipendenti l’una dall’altra, fondate su intuizioni ultime. In vece il dover-essere normativo e il conseguente carattere ob­ bligatorio della legge presuppongono l’esperienza vissuta del ‘potere’ relativo all’attuazione di un contenuto imposto dalla legge: «ogni dovere (Pflicht) e norma (Norm), cioè tutti i con tenuti che si impongono alla persona con un carattere impera­ tivo, presuppongono una possibile esperienza vissuta di poter attuare un contenuto che si esprime sotto la forma di un im perativo»',s. 3.

ETICA IMPERATIVA E VALENZA MORALE DELL AMORE

Inoltre, una configurazione imperativa dell’etica compromet­ terebbe, secondo Scheler, la possibilità di recuperare la valen­ za morale dell’amore. L’estensione del carattere obbligatorio e normativo dall’ambito del voler-fare a quello dell’amore, cosi come della fede, tanto familiare a non pochi apologisti cristia­ ni, sarebbe un controsenso. Altro è affermare, osserva Sche­ ler, che è doveroso collocarsi interiormente, tramite una parti­ colare disposizione del volere, in una prospettiva che indirizzi e fermi l’attenzione sul contenuto della fede, come presuppo­ sto dell’atto di fede, altro è il dovere di credere; allo stesso modo, altro è esigere una tensione per penetrare maggiormen­ te nell’essere axiologico di una persona, come presupposto dell’atto di amore, altro è il dovere di amare. Gli atti di amore e di fede non possono essere del resto assimilati a certe mani­ festazioni esteriori e visibili, quali, rispettivamente, la benevo­ lenza e la beneficenza, o gli atti di culto e determinate opere. In tale prospettiva si collocherebbe l’erronea interpretazione data dai cattolici e dai luterani alla legge dell'amore inculcata da Cristo. I cattolici errano nell’interpretare tale legge alla stregua di una legge che prescrive l’amore, anche se intesa come superiore a ogni altra norma: una tale prescrizione sa­ rebbe, infatti, contraddittoria. Per un altro verso errano i lute■"* Der Formalismus, p. 2-45.

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uni che, volendo tutelare la funzione redentrice della sola fides e interpretando anch’essi la legge dell’amore come legge i he prescrive l’amore, lo collocano tra le ‘opere della legge’, mine tali prive di valore salvifico. Agli uni e agli altri sarebbe »fuggito il senso genuino della legge dell’amore inculcata da l trova in Le Senne. Nel La: Senne di O bstacle e t valeur (Paris 1934) intatti non mancano, rispetto al Le Senne di L e d evotr (Paris 1930), motivi clic indurrebbero ad accostare l’autore a uno spiritualismo personalista c a un oggettivismo axiologico. Ci pare significativa la sua premessa alla 2‘ ed. di L e D evotr (Paris 1930), nella quale, accennando alla tesi limitata di Le Di votr, afferma: «en effe! l’effort humain pourrait-il prétendre au succès san» unc convcnancc profonde entre lui et le monde, cntre Tesprit particulier et l’Esprit universe), qui nous anime et nous deborde? [...] Nous devions doni par la suite déboucher de la considcration du devoir dans celle des valeur»; et s’il est evident qu’aucune valeur ne peut ctre qu'un mirage et une perfidie si elle n’est pas la manitestation d’une origine métaphvsiquc et absoluc, nous devions ctre conduit de force à la reconnaissance de la Valeur su prème, comme source de toutes les valcurs dérivécs, humanisécs, cornine i’Esprit pur» (ib id em , p. vili). Noi non intendiamo definire i rapporti, pur interessanti, tra il pensiero lesenniano c quello schclcriano. Ci limitiamo semplicemente a far presente che nel la: Senne di O bstacle et valeur Tosta colo continua a mantenere una sua funzione, anche se non assolutizzata, e che il binomio contraddizione-dovere si limita a cedere il posto al binomio ostacolo-valore. Ostacolo e valore restano correlativi, in quanto il valore senza l’ostacolo resterebbe un mero ideale, così come l’ostacolo acquista significato mediante il valore, per cui il valore, sostituendosi al dovere, ani ma l’intero movimento dialettico caratterizzante la vita morale. Infine non et sembrano fondati i rilievi mossi da Le Senne alla strutturazione gerarchica dei valori proposta da Scheler. Le Senne ritiene che non si possa determina re oggettivamente un ordine se non mediante la quantità, il che si opporreb bc al carattere qualitativo e quindi all’intrinseca incomparabilità dei valori (cfr. R. la: Senne, Trattato d i m orale generale, tr. it. a cura ili G. Morra, Milano 1969, p. 668). Non vediamo, per esempio, come la superiorità del valore del sacro sul valore ilei piacevole debba comportare un'implicanza di carattere quantitativo; se così tosse, non si potrebbe neppure attermare che Dio è il valore supremo. Similmente ci pare privo di giustificazione l’alt m timore di Le Senne, secondo cui la gerarchia dei valori che culmini in un valore supremo finirebbe per rendere quelli inferiori semplici strumenti di quest’ultimo e finirebbe per autorizzare il valore supremo a sostituirsi ai valori interiori (cfr. ibidem ). Da quanto è emerso attraverso un'attenta Icttu ra di Scheler, né il valore del sacro si sostituisce agli altri valori, né questi sono suoi strumenti, nella misura in cui Scheler si è sempre preoccupato di rivendicare Pinderivabilità di un valore dall’altro. Né, ancora, corrisponde »

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ETICA A X lO U X iklA ED ETICA DE< >NT( >U XIICA

Come conclusione dell analisi fenomenologica dei con­ cetti di valore e di dovere, Scheler tenta di collocare nella loro esatta dimensione i limiti del cosiddetto ‘rigorismo kantiano’. Intende anzitutto, e giustamente, dissipare l’errata illazione contenuta nel famoso distico di Schiller, dal quale scaturireb­ be che per Kant sarebbe carattere essenziale dell’azione mora­ le l’agire contro (gegen) ogni forma di inclinazione. Infatti «secondo i principi fondamentali di Kant può darsi che non solo il contenuto dell’inclinazione e quello del dovere coinci­ dano (ciò che c evidente) ma anche che una condotta corri­ spondente a una inclinazione sia data nello stesso tempo come latta per dovere (aus Pflicht)». Se traluce, qua e là, qualche locuzione atta a favorire un’interpretazione più rigida, ciò si deve «più al tono e al pathos dell’esposizione kantiana che al senso reale delle sue affermazioni»'’’. Kant si sarebbe preoccu­ pato, piuttosto, di evincere da un modo di agire contrario alla vita dei sentimenti una maggiore certezza attinente al darsi effettivo della moralità, anche se la sua eccessiva preoccupa­ zione di infondere la coscienza della moralità (il che per Sche­ ler non riveste di per sé alcun valore morale) comportava un certo gusto a infierire contro le proprie inclinazioni, elevato, per una sorta di illusione axiologica, a motivo di moralità. Ci induce invece a una certa riserva l affermazione di Scheler che ritiene possibile, in seno al rigorismo kantiano, «la coesistenza di una condotta fatta per (aus) dovere e per (aus) inclinazio­ ne»70. A noi pare che in Kant il senso del dovere, come unico motivo propulsivo dell’agire, debba escludere la presenza del­ la vita affettiva come motivo concomitante (aus). Chi agisce per il senso del dovere non può, nel contesto kantiano, inten­ dere «anche altri motivi»71 o «motivi concorrenti»72 - tutti di ordine empirico - né in via subordinata né in via concomitan­ te né, molto meno, in via integrativa. Anche se tali moventi danno adito ad «azioni buone secondo la legge», l’uomo è ugualmente ‘cattivo’, essendo la sua «maniera di pensare corverità l’affermazione Icsenniana secondo cui i valori del piacevole e del vita­ le, in Scheler, non sono oggettivi (cfr. ib id em , p. 665). m D er F orm alism us, p. 234. 70 Ibidem , p. 235. 71 D ie R eligion, vi, p. 29 s. 11 Ü ber den G em einspruch: « Das mag in der Theorie richtig sein, laugt aber nicht fü r d ie Praxis », VIII, p. 284 s.

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ETICA AXKHjTXSICA ed

etica

DEONTTOUKiK a

rotta in radice», essendo la massima «contraria alla legge» «ogni massima che non può essere qualificata come legge uni versale è contraria alla morale»7'1. Che se poi Scheler riscontra nella lettura di Kant espressioni che indulgono a compiere il dovere ‘volentieri e di buon cuore’ (gern und willig) o ‘con gioia’ (freudig), esse, a nostro avviso, non concernono 1'aus ma il mit, cioè non il motivo, seppure concomitante, dell’azione, ma il modo d’agire1'. 5.

ANALISI CONCLUSIVA DELLE CRITICHE MOSSE DA SCHELER ALL’IMPERATIVO KANTIANO

La critica mossa da Scheler all’etica imperativa kantiana ci induce ad annettere qualche spunto critico a quelli mossi pre­ cedentemente in maniera incidentale. La lettura critica di al­ cuni aspetti dell’etica kantiana, operata da Scheler, ci sembra in parte legittima, in parte affetta da qualche distorsione inter­ pretativa. Kant ha profondamente avvertito, a nostro avviso, la supremazia del valore morale su ogni altra dimensione della realtà e lo ha riposto nel guter Wille, che è tale se agisce aus Pflicht1*. La morale, così intesa, trascende ogni modalità eteronoma, quale quella insita nell’etica empirica, nell’etica del­ l’ontologia perfettiva e nell’etica teologica. La legge morale si presenta, per Kant, come proprietà della volontà deH’essere razionale in quanto tale, mentre la coscienza dell’obbligazione si presenta come un Faktum della ragione, coinvolgente la libertà. L’impcratività che qualifica la legge morale, non po­ tendo avere come correlato un contenuto empirico - pena lo sfociare in una valenza induttiva - prescrive soltanto la forma dell’universalità, la possibilità cioè di volere che il principio soggettivo dell’agire divenga legge universale. La buona vo­ lontà si traduce in volontà che rispetta la legge per se stessa.756

75 D ie R eligion, Vi, p. 30 s. 74 D ie M eta p h ysik der S itten , vi, p. 226.

77 Di tale problema ci siamo a lungo occupati in II rigorismo etico in Parma 1970, 2* ed., soprattutto pp. 278-81; 287-306. 76 «Es ist überall nichts in der Welt, ja überhaupt auch ausser dersel­ ben zu denken möglich, was ohne Einschränkung für gut könnte gehalten werden, als allein ein guter W ille » (G rundlegung zu r M etaphysik der Sitten, IV, p. 393). K ant,

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LTK-A AXIOUX.ICA ED ETICA D tt JNTOUXiKlA

Con una seconda modalità di formulazione, Kant determina il valore morale mediante la relazione d d l’agire con la natura dell’essere razionale, considerata come «valore assoluto avente fine in se stesso» 7. Il termine ‘valore’ ( Wert) è pertanto fami­ liare a Kant e assume nell’etica una connotazione di assolutez­ za in opposizione alla ‘relatività’ dei principi soggettivi ispirati alle inclinazioni. C’è tuttavia da precisare che il valore deriva all’essere razionale dalla sua capacità di autodeterminarsi in funzione della legge del dovere, cioè dall’autonomia del vole­ re: «l’autonomia è il fondamento (der Grund) della dignità della natura umana e di ogni natura razionale»7“. In ultima istanza, anche se l’ideale della ragione rimane un ‘regno di lini’ (terza modalità di formulazione della legge morale), il rispetto della dignità dell’essere razionale si radica nel rispetto della legge per se stessa. Da tale nostra succinta panoramica emerge il limite della fondazione del valore morale inerente all’etica kantiana. Af­ finché, infatti, la conformità alla legge per se stessa possa in­ staurare il valore morale supremo, occorre, a nostro avviso, l’urgenza o la convenienza (di carattere morale) di ubbidire alla legge; occorre cioè ulteriormente fondare il valore morale ilella conformità alla legge, anzi lo stesso valore della legge. Né la legge può desumere il suo valore dalla pura forma della universalità, perché se con ciò si intende espungere il criterio soggettivo di valutazione, allora il valore morale viene riposto nella convenienza dell'attività con la ragione, non in quanto vuota forma di universalità ma in quanto natura coinvolgente una connotazione universale. In altri termini, il valore del­ l’universalità non può non implicare il riferimento al valore superiore della razionalità nella sua caratterizzazione universa­ le. In ultima istanza, la legge non può non desumere il suo valore dal bene della razionalità, al quale viene indirizzato l’agente morale e da cui dipende il valore dell’universalità. L'avere disatteso, almeno esplicitamente, tale riferimento con­ ferisce al formalismo etico la sua carenza fondamentale: per7

77 L’uomo, e in generale l’essere razionale «hat an sich selbst einen absoluten Wert, was, als Zweck an sich selbst, ein Grund bestimmter Ge­ setze sein könnte [...]. Alle Gegenstände der Neigungen haben nur einen bedingten Wert» (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, IV, p . •428). 7R Ibidem, p. 436. 313

ETICA AXKH A K iO LD ETICA D KO N TO U K iK\A

essa, come la conoscenza del mondo intelligibile è puramente negativa e non è di carattere intuitivo, così il valore morale può venire definito soltanto negativamente, espungendo cioè ogni criterio soggettivo di valutazione, e astrattamente. Se, in particolare, la legge astrae dal valore verso cui essa orienta il soggetto morale, la libertà non può non essere concepita con una connotazione essenzialmente limitativa, e a ragione Sehe ler avvertirebbe che in tale contesto l’etica sarebbe negativa, correlata cioè al non essere di un valore positivo. Né si riusci rebbe a spiegare il fatto che, anteriormente a ogni formulazio ne di legge, si danno comportamenti che in sé e per sé sono moralmente positivi o negativi: ciò significa che lì dove il vaio re morale sollecita l’agire in virtù della legge, l’imperativo in­ serisce, sì, l’agire nell’ambito della moralità, ma non ne costi tuisce la ragione ultima. Come conseguenza della non affer­ mata priorità del valore o dell’essere della razionalità sulla forma dell’universalità della legge, il dover essere per se stesso diventa, inoltre, esaustivo della sfera della moralità, con pre giudizio della valenza morale della vita affettiva e dell’integralità della natura umana, e a discapito dell’aspetto individuale (non soggettivistico) della vocazione morale. Tali carenze nella fondazione del valore morale, inerenti all’etica kantiana, da noi suggerite, concordano - crediamo con certe riserve mosse da Scheler, soprattutto con la sua esigenza fondamentale secondo cui ogni deontologia diventa legittima nella misura in cui si fonda sull ’essere’ autonomo dei valori. Ci si consenta, tuttavia, di dissentire da certi aspetti della critica mossa da Scheler, secondo la quale il rispetto kantiano per la legge sarebbe ‘cieco’, depauperato di ogni ri­ ferimento al dover-essere ideale e al valore della persona; con­ seguentemente, mentre l’etica deontologica in generale po­ trebbe legittimamente derivare l’idea del bene da quella del dovere nella misura in cui rinvia al valore corrispondente al dover-essere ideale, l’etica kantiana sarebbe ‘ingiustificata’ e il dovere ‘immaginario’. Contro tale rigida presa di posizione, a noi sembra che - anche se secondo le espresse affermazioni di Kant non è il valore della persona ma quello della legge per se stessa a instaurare il criterio ultimo della moralità - la legge morale, secondo Kant, scaturisca tuttavia dalla volontà dell’es­ sere razionale come tale, in virtù del suo carattere autonomo. In ultima istanza, proprio perché «l’autonomia è il fon­ damento della dignità [...] di ogni natura razionale», il valore

RT10.A AXIOUK.ICA F.D ETICA DF.ONT( HXXINIA

lidia natura razionale è, almeno implicitamente, coinvolto nel­ la legiferazione. Il carattere dell’essere razionale è pertanto il punto di gravitazione che impedisce al dovere di essere ‘cieco’ r immaginario’. Come si vede, il concetto kantiano di autono­ mia applicato all’etica differisce, per certi aspetti, da quello siheleriano: in Kant l’autonomia è sinonimo di libertà assoluta della volontà, in Scheler è sinonimo di oggettività axiologica, anche se per entrambi l’autonomia comporta il ripudio di ogni incentivo di carattere empirico. Comprendiamo bene come Scheler affidi la legittimità dell’etica imperativa a un con-presente, implicito discerni­ mento del valore morale, di carattere intuitivo ed emozionale. Sotto tale riguardo, Scheler è coerente nel ritenere destituito di fondamento l’imperativo kantiano, anche se a nostro avviso tale imperativo non è dissociato da un implicito riferimento a ima certa dimensione axiologica (non di carattere fenomeno­ logico), in particolare al valore incondizionato della ‘buona volontà’ o dell’essere razionale in quanto tale. E questo impli­ cito riferimento che, a nostro parere, consente di modificare l'allusione scheleriana di ‘cecità’ con quella di perentorietàn. Ma, oltre a ciò, ci sembra che qualche istanza connotativa dell’etica scheleriana trovi un certo riscontro anche nell’etica kantiana. Per esempio, la coscienza dell’obbligazione morale si presenta in Kant come fattualità immediata di coscienza, come un Faktum teoreticamente inspiegabile, ‘singolare’, ‘in­ contestabile’, «mediante il quale la ragione si manifesta origi­ nariamente (ursprünglich) legislativa»7980, fatto che è anche principio di libertà: «questo fatto è legato inseparabilmente alla coscienza della libertà della volontà, anzi è identico a es­ sa»81. Anche se Scheler lamenta che la libertà in Kant venga 79 Contro l’accusa di ‘cecità’ mossa da Scheler all’etica kantiana, cfr. k. Alphéus, Kant und Scheler, cit., p. 84, il quale arriva perfino ad affermare che «der Schelersche Versuch, sie als blinde Pflichtethik hinzustellen, ist so vollständig misslungen, dass er gewiss nicht gegen Kant, wohl aber gegen Scheler sprechen dürfte». Noi, evidentemente, non condividiamo la seconda parte dell’osservazione. Un raffronto sul concetto di personalità morale in Kant e in Scheler, utile per cogliere la radice di certe distorsioni interpretati­ ve del pensiero kantiano da parte di Scheler, si trova in J. Herrmann, Die Prinzipien der formalen Gesetzesethik Kants und der materialen Wertethik Schelers, cit., pp. 45-53. Kritik der praktischen Vernunft, V, p. 3 1 . 1,1 Ibidem, p. 42.

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ETICA AXIOLOGICA ED LUCA UE( >NTOLI.( X .KA

o di lina persona e il fascino che tale bellezza esercita sul mio sguardo sono esperienze vissute chiaramente differenti, delle quali la prima è di fondamento per la seconda. La bellezza non ‘è’ («/) un’azione efficace del paesaggio (privo di valore) esperita in modo vissuto; al contrario è la sua bellezza che agisce efficacemente, ed è la sua azione efficace che attua il mutamento di uno stato affettivo»". La valenza ontologica dei valori è dunque chiaramente affrancata, in Scheler, sia dal riferimento causale al mondo empirico oggettuale sia dal rife­ rimento causale allo stato affettivo in genere, e a quello senso­ riale in particolare. Nel tentativo di sottrarre l’axiologia a intenti psicologi­ stici, nello stabilire cioè l’irriducibilità deH’esperienza vissuta del valore all’esperienza vissuta relativa alla sfera soggettiva, Scheler trova anche un’autorevole esplicita conferma in Ari­ stotele, che avrebbe «eccellentemente stabilito» nc\\'Etica Nicomachca la distinzione tra bene in sé e bene avente valore a causa della sua risonanza sull’affettività. Tale distinzione del resto viene anche avvalorata da un’analisi fenomenologica del linguaggio che differenzia nettamente il valore insito in un oggetto (valore in sé) dal valore conferito all’oggetto da un movente affettivo (valore di affezione)7.

affettivi alle qualità inerenti alle Sachen stesse, l.a cecità axiologica, in tal caso, considera il mondo circostante esclusivamente come sorbente di stimo­ li. (.osi per l’ammalato il cibo diventa privo di gusto soltanto perche egli è indisposto, e l’ottimista vede tutto roseo soltanto perché egli trabocca di gioia. 6 Der Formalismus, p. 253. 7 Cfr. ibidem, p. 249. C’è tuttavia da osservare che nella prefazione alla 3* edizione di Der Formalismus Scheler rifiuterà il tentativo di Nicolai Hartmann di accostare l'etica materiale dei valori, proposta da Scheler, a quella aristotelica. Per Scheler l’etica di Aristotele rimane un'etica dei beni e dei fini 'statica', incapace di distinguere ‘rigorosamente’ il valore dal bene; anzi Aristotele avrebbe ignorato il concetto stesso di valore, subordinandolo a quello dell'essere c mortificandone l'originalità (Der Formalismus, p. 19). In questa sede non ci è consentito approfondire una tematica così stimolan­ te. Ci limitiamo incidentalmente a rilevare che, se l’etica di Scheler e axiologica e quella di Aristotele teleologica, la teleologia è intesa in questi - come trasparirà nel corso del presente capitolo - non in un'accezione empirica, ma in un’accezione in cui il fine-bene ultimo è dotato di ‘pienezza’, di ‘compiutezza’ e di 'perfezione' (Etica Nicomachea, A 5, 1097 a 28, h 5), è caratterizzato da permanente ‘attività’ (évépYeia) (ibidem, A 6 1098 a 16) ed c-oggetto della facoltà specificamente umana. La distinzione tra il piacere 322

ETICA AXIOLCKÌICA ED ETICA H m LM ONOUK.KA

In una fase immediatamente anteriore o contemporanea a Scheler, la tematica del valore - come avemmo modo di anticipare - aveva già costituito motivo di ricco interesse pres­ so una vasta cerchia di studiosi, da Friedrich Fries a Friedrich Fduard Beneke, a Brentano e, soprattutto, a Christian von Fhrentels e ad Alexius Meinong. In genere - tranne in Brenta­ no, che aveva propugnato il darsi di valutazioni axiologiche e ili evidenze morali aprioriche - la teoria dei valori aveva as­ sunto, almeno di fatto, una connotazione psicologistica8. Scheler è fortemente in polemica con loro, soprattutto con Meinong e con Fhrenfels, e vuole assumere le distanze anche nel nome: alla loro ‘teoria dei valori’ (Werttheorie) oppone la propria ‘teoria della valutazione’ (Wertungstheorie), che inda­ ga sul modo in cui si compie l’esperienza vissuta dei valori9. E fin dal primo saggio morale, cioè fin dalla dissertazio­ ne del 1897, che Scheler ribadisce che il «concetto di Wertge­ fühl è da distinguere qualitativamente dal sentimento di piace­ re e di dispiacere»11’. Basterebbe rilevare - osserva Scheler -

«onesto che corris|x>nde all’azione virtuosa» e il piacere «perverso che cor­ risponde a un'azione cattiva» [ibidem, K 5, 1175 h 27-28) c la differenza tra «il vivere secondo ragione» c «il vivere secondo passione» o tra «l’aspirare al hello» c «l’aspirare a ciò che sembra utile» [ibidem, l, 8, 1168 b 30-31) esprimono che altro è il bene del piacere o dcH'utile. altro il valore normati­ vo della razionalità. Infine «la sapienza realizza la felicità [...], la prudenza concorre, assieme alla virtù morale, al compimento dell’opera, perché la virtù rende retto lo scopo e la prudenza adatta i mezzi al fine» (ibidem, Z 13, I N4 j 4-9). Ciò denota che il valore in Aristotele, anche se come tale non è formalmente tematizzato, è di fatto operante come attività razionale. Sarà anche utile ricordare che, sulla scia di Aristotele, san Tommaso pun­ tualizza non meno chiaramente la fondazione del piacere sul possesso co­ sciente di un valore, sul banum: «delcctatio est quietano appetitus in bono» [Summa theologiae, MI, q. 2, a. 6, ail 1); «in assccutione perfcctionis est quaedam quietano» [In IV Sententiarum, il. 49, q. 3, a. 1, s. 1, in c.). * Basterà ricordare che la ‘scuola austriaca’, il cui centro culturale era Vienna e alla quale aderivano, oltre a Meinong e a Ehrcnfels, Karl Mengcr, Friedrich von Wicser, Eugen von Böhm-Bawcrk, era detta toutmuri ‘scuola psicologica’. 9 Cfr. Beziehungen zwischen den logischen und ethischen Prinzipien, in brühe Schriften, p. 99. 10 Ibidem, p. HX). La critica alle teorie ili Meinong c di Ehrenfels verrà ribadita anche - secondo quanto accennammo nell'analisi del saggio in Ethik (in Frühe Schriften, p. 583 s.), in cui Scheler fa notare che il Wert­ gefühl era già stato distinto dal Lustgefühl a opera di Meinong (in Psycho­ logisch-ethische Untersuchungen zur Werttheorie, Graz 1894), così come la

ETICA AXic IU KlICA ED ETICA El.'DEMONOUXJKA

ETICA AXIOUXaCA ED ETICA Et IDEM* INOLI V .ICA

l’eterogeneità tra i sentimenti sensoriali e i sentimenti che su­ bentrano al compimento del dovere, e il fatto che possono coesistere sentimenti di dispiacere con sentimenti di valore positivo. Si darebbe inoltre una essenziale differenza anche per quel che concerne l’oggetto: mentre il piacere e il dispia­ cere sono connessi con contenuti di sensazioni, di percezioni e di immagini, i Wertgefühle sono connessi direttamente con contenuti di concetti e di giudizi e solo indirettamente con gli oggetti cui quelli si riferiscono. C’è una grande differenza psi­ cologica e morale se si presta soccorso perché la percezione provoca direttamente un sentimento di compassione o se l’aiuto viene dato perché, in seguito alla percezione, viene emesso un giudizio legato al Wertgefühl negativo dell’abban­ dono e al Wertgefühl positivo del soccorso. In tale giudizio si prescinde dalle circostanze legate alla persona, al luogo e al tempo. Ehrenfels, in particolare, presumendo di dare una spie-

^azione genetica e insieme strutturale del valore, lo aveva con­ cepito come un ‘sentimento oggettivo’ (ein objektiviertes Ge­ fühl) di piacere o di dispiacere. Tale teoria richiama a Scheler i limiti insiti nella teoria psicologistica della proiezione della sensazione, nella misura in cui la pretesa oggettivazione del valore presupporrebbe anzitutto una certa presenza di esso nel soggetto e, in secondo luogo, una sua oggettivazione tra­ mite un’attività da parte del soggetto empiricamente non veri­ ficabile. Se si definisce il valore «il rapporto, erroneamente oggettivato dal linguaggio, di una cosa con un desiderio uma­ no indirizzato verso di essa», non si vede - secondo Scheler come un semplice rapporto con una cosa da parte del sogget­ to, che di per sé non c oggettivato, possa divenire oggettivato. In tale ipotesi, bisognerebbe ammettere che anche le cose ab­ biano un sentire vissuto (Fühlen). Inoltre, a parte l’incom­ prensibilità dell’‘errore’ cui allude Ehrenfels, non si vede - sempre secondo Scheler - come, per esempio, il colore pos­ sa consistere in un rapporto erroneamente oggettivato. In realtà, il valore e la sensazione possono rivestire un significato soltanto se ‘fin dall’inizio’ (von vornherein) vengono conside­ rati ‘oggettivi’ (objektiv)". Altrettanto erronea sarebbe la pretesa di Meinong di ravvisare nel valore una ‘proprietà’ dell’oggetto, in un atteg­ giamento feticistico che assimilerebbe il valore alla semplice esistenza della cosa112.

Gefühlstheone di costui e irriducibile alla Begehrungstheorie di Enrcnfcl», anche se entrambi vengono criticati per non avere del tutto superato una concezione psicologistica del valore. C’è tuttavia da ricordare che Meinong, nell’articolo Für die Psychologie und gegen den Psycbologismus in der allge­ meinen Werttheorie, apparso in «Logos» nel 1912 (un anno prima cioè della pubblicazione della prima parte di Der Formalismus), aveva superalo la posizione psicologistica sostenuta in Psychologisch-ethische Untersuchun gen zur Werttheorie, al quale fa riferimento Schcler. In quell'articolo Mei nong, sotto l’influsso di Brentano e in una prospettiva di carattere fenomc nologico, aveva dileso, assieme al darsi di essenze aprioriche svincolate da ogni riferimento esistenziale e psicologico, il darsi di valori oggettivi e asso luti, colti in una 'emotionale Präsentation'. Meinong, come teneva rigorosa mente distinta la scienza dell’oggetto puro dalla psicologia, così si preoccu pava di fondare una axiologia che, almeno nei suoi intenti, voleva dirsi rigorosa. A noi pare che, se è indubbio l’abbandono della posizione psico logistica, nella psicologia di Meinong permanga, assieme al tentativo di te nere rigorosamente distinta la scienza dell'oggetto puro dalla psicologia, una qualche affinità con certe forme di neocriticismo. Sul mutamento del pensiero di Meinong, cfr. A. Stern, Le prohlème de l'ahsolutisme et du relètivisme axtologique et la philosophie allemande, in «Revue internationale da Philosophie», l (1939), pp. 727-30; per una esauriente trattazione del suo pensiero, soprattutto per la natura del rapporto tra coscienza e oggetto, cfr, M. Lenoci, La teoria della conoscenza in Alexius Meinong, Milano 1972, in cui si tenta anche una rivalutazione del filosofo nei riguardi dei giudi»! solitamente accreditati dalla storiografia. Per un'ampia disamina critica del­ l’intero indirizzo psicologistico, ci limitiamo a rinviare a F. Orestano, / valo­ ri umani, 2 voli., Milano 19422.

11 Beziehungen zwischen den logischen und ethischen Prinzipien, in / ruhe Schriften, p. 96 s. 12 Cfr. ibidem, p. 97 s.; cfr. anche Der Formalismus, p. 38. n Felix Krüger (1874-1948), di cui Scheler ricorda Der Begriff des absolut Wertvollen als Grundbegriff der Moralphilosophie (Leipzig 1898), e ili cui loda il tentativo, seppure insoddisfacente, di superare, in una visione iixiologica, la concezione psicologistica, descrittiva e realistica del fenomeno riico (cfr. Ethik, in Frühe Schriften, p. 381), tratta i problemi fondamentali tlt-lLi filosofia adottando come metodo rigoroso il riferimento alla realtà psichica. In particolare si dichiara contro ogni ipostatizzazione di concetti ugge-trivi e normativi, e a favore della descrizione e dell’analisi comparativa del dato immediato. Hans Cornelius (1863-1947), di cui Scheler cita Psycho­ logie als Erfahrungswissenschaft (Leipzig 1897) e Einleitung in die Philoso­ phie (Leipzig 1901), e al quale riserva gli stessi elogi non incondizionati (cfr. Der Formalismus, p. 42 e Ethik, in Frühe Schriften, p. 381), riconduce ogni

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Diversa la posizione di Krüger e di Cornelius1’. Essi all’axiolo-

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resto, secondo Scheler, in virtù del sentimento di solidarietà morale di tutti verso ciascuno, tutti abbiamo la ‘corresponsa bilità’ (Mitverantwortung) del bene e del male commessi da una singola persona; ognuno di noi condiziona il grado di elevatezza morale della comunità, così come è condizionato da essa; tutti siamo ‘con-colpevoli’ e ‘con-meritevoli’1*1. Molto meno, poi la punizione potrebbe avere come motivazione mo­ ralmente significativa la tutela della comunità e la prevenzione del male, proprie del valore dell’utile*1. La pretesa di attribuire a Dio la giustizia rimuneratrice e punitrice non troverebbe - secondo Scheler - riscontro, nel suo significato essenziale, in un’idea purificata di Dio, ma in un’idea corrosa da rappresentazioni biologiche. Attribuire alla divinità un impulso alla retribuzione costituirebbe un errore non meno grave di quello commesso dagli ebrei nell’attribuir le un impulso vendicativo. Dio, che per essenza è amore, può invece ‘rimettere la colpa’ (vergeben) e con ciò cancellare la malvagità commessa (il che sarebbe diverso dal semplice ‘per­ donare’ umano, che cancella la malvagità soltanto nei riguardi di chi perdona). «E può anche, in virtù della sua essenza che trascende ogni esigenza retributiva, non dico ‘punire’ (vergel­ ten), ma semplicemente, col non rimettere la colpa, abbando­ nare il malvagio alle esigenze e alle leggi della punizione»82. Se*812

8,1 D er Vormalismus, pp. 364 c 367 s.; cfr. anche ibidem , pref. alla 2* ed., p. 15; W esen u n d F orm en der Sym pathie, p. 166 c Das R essen tim en t im A u fb a u der M oralen, in V om U m sturz der W erte, p. 119 s. 81 In polemica con la teoria riduttiva positivistica, in special modo di Bentham, Scheler ritiene che, nel sottoporre la punizione a linalità sociali, quali la prevenzione del male o il progresso dcN'umanità mediante Tintimi dazione, l'uomo sarebbe semplice oggetto c strumento ili una misura di sicurezza (cfr. D er Form alism us, pp. 364-66). A noi pare che il rischio di una strumentalizzazione (quel che Scheler chiama «disprezzo delTuomo in quan to persona umana») possa svanire soltanto se si intende tutelare il bene della società come bene di una comunità di persone, in modo tale che l'istanza di tutelare la personalità morale della comunità possa coinvolgere anche la persona del colpevole. Ciò si potrebbe verificare solo se la pena potesse rivestire anche per il colpevole una funzione di prevenzione per mali futuri. 82 «Aber er kann ihr [der bösen Person] vermöge seines über alle Vergeltung erhabenen Wesens nicht ‘vergelten’, sondern allein sic den For­ derungen und Gesetzen der Vergeltung durch N ichtvergebung überlassen» (ib id e m , p. 368). Come si desume da questo passo. Scheler adopera talvolta il termine V ergeltung non nella sua accezione generica di 'retribuzione', valevole tanto per l'aspetto rimunerativo quanto per quello punitivo, ma in

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I.TICA AXIOLtX'.ICA F.D FTICA CUDt-Mt ÌNKH.OGICA

abbiamo ben compreso, Dio rimetterebbe la colpa per amore, eliminando con ciò ogni presupposto di retribuzione punitiva; quando, per mancanza di disponibilità da pane dell’uomo, non potesse aver luogo la remissione della colpa, Dio si limite­ rebbe a lasciare agire le leggi della punizione. Tale concezione pone degli interrogativi. Ci domandiamo, infatti, quale senso possa rivestire l’affermazione, secondo cui, nella mancata re­ missione della colpa da parte di Dio, questi «abbandona il malvagio alle esigenze e alle leggi della punizione». A quale giustizia punitiva verrebbe affidato il malvagio? Non certa­ mente a quella divina, come si deduce dal contesto, dato che essa sarebbe priva di ogni allusività significante. Se poi si vo­ lesse alludere a quella ‘umana’, giustificata in Scheler soltanto dall’esigenza della prosperità vitale della comunità, essa, a no­ stro parere, potrebbe colpire tanto colui cui c stata rimessa la colpa da Dio quanto colui cui non è stata rimessa, non dispo­ nendo la comunità di un criterio di discernimento per stabili­ re se la colpa è stata rimessa o meno da Dio. Né, infine, riteniamo che Scheler in questo brano alluda alla punizione costituita dal sentimento di infelicità del malvagio, dato che per ipotesi, secondo Scheler, a tale sentimento non si può applicare la dimensione di una punizione. Ma cerchiamo di valutare in una panoramica più globale la posizione scheleriana. È evidente in essa il tentativo di sottrar­ re la dimensione della retribuzione, e della sanzione in genere, a ogni correlazione genetica ed eziologica con l’istanza etica e con quella della stessa giustizia. Riaffiorano, nell’intento scheleriano di rifiutare all’essenza etica il momento escatologico retributivo, non poche movenze che avevano caratterizzato le

quella specifica di ‘punizione’. È anche da osservare che la retribuzione divina, benché non sia significativa come istanza filosofica, originata cioè daW'idea di Dio, viene tuttavia ammessa da Scheler tramite quella speciale esperienza religiosa che si ha nella rivelazione positiva - così come avviene per l'esigenza della legislazione divina - cioè dopo avere accettato il presup­ posto dell'esistenza reale di Dio: «Das Postulat eines Gesetzgebers x dieses ( iesetzes und eines den Anspruch auf Vergeltung erfüllenden sittlichen Welt­ ordners x greift in die leere Luft, wenn an Stelle dieses x nicht schon eine positive unii inhaltsvolle - und zwar religiös inhaltsvolle - Idee von Gott und ferner die Realität eines dieser Idee entsprechenden Gegenstandes vorgege­ ben is t » (Problem e der R eligion, in V om E w igen im M enschen, p. JOD.

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ITK.A A XIOI.Ul.il . i;D KTll A KUDKMONOUXIICA

articolazioni dell’etica di Guyau, anche se in un diverso conte­ sto noetico. Del resto, in Scheler come in Guyau, la scissione tra morale e istanza retributiva non fa che seguire il rifiuto del carattere obbligatorio-normativo dell’etica. Pur essendo del tutto alieni dal dare una configurazione esaustiva a un problema così complesso da meritare una trat­ tazione a sé, non possiamo esimerci da una lettura critica del l’analisi fenomenologica compiuta da Scheler. Abbiamo la chiara impressione che le motivazioni di fondo che in Scheler sorreggono le perplessità nei riguardi dell’etica eudemonistica alimentino anche il rifiuto dell’istanza retributiva come istanza inerente all’etica. Lì come qui egli si preoccupa che i principi etici non vengano compromessi, non solo dal peso di una implicanza utilitaristica, ma neppure dal rischio di una com plementarietà estrinseca tra momento etico e momento retri butivo. Nella stessa misura in cui prima aveva voluto afferma­ re la purezza del principio morale, sottraendola a ogni movi­ mento teleologico, così ora intende eludere ogni momento re­ tributivo, perché lesivo dell'intrinsecità del valore morale. La vita emozionale in Scheler riveste, sì, la funzione di ‘sorgente propulsiva’ della tensione volitiva e di componente ‘concomi­ tante’ dell’attuazione del valore, ma «forse addirittura proprio per questo»8’ non potrebbe esplicare né la funzione di ‘fine’ o di ‘scopo’ né quella di coronamento retributivo della vita mo rale*\ Tale funzione verrebbe poi inibita dal presupposto che*

*> Cit. ** Quel che sorprende, nel rifiuto di Scheler a concepire la beatitudi ne come momento retributivo del fenomeno morale, è che egli stesso, pur avendo tematizzato la correlazione essenziale tra moralità e felicità, concepì sce la beatitudine come unico sentimento che «non può essere né prodotto (hervorgebracht) né meritato dal nostro comportamento (durch unser Verbal ten I ] verdient)» (Der Formalismus, p. 345), anche sc si affretta a spiegare che con ciò non intende coinvolgere una spiegazione di carattere religio«) metafisico (come in Lutero). Anche se Scheler insiste nel ritenere la beatitll dine un sentimento che esplode in modo spontaneo ósiìl'essere stesso morale della persona, e non, per esempio, da un atto volitivo o conoscitivo o da una semplice azione, ci chiediamo tuttavia se, per Scheler, la beatitudine, non potendo essere ‘meritata dal nostro comportamento’, non debba essere data gratuitamente (anche se non in un contesto religioso) da Dio. Ma tale ipotc si non infirmerebbe la ripulsa scheleriana a voler concepire la beatitudine come 'ricompensa'? E se non è ila concepire come ricompensa, perché non è da ascrivere a ‘merito’ della condotta morale? Che cos’c l'essere (Sem) della persona morale se non espressione ontologica del suo comportamento

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ETICA AXKHXX.ICA ED ETICA EUDEMONOIXX^ICA

nessuna ‘ricompensa’ potrebbe eguagliare il valore della bontà morale della persona e il sentimento di beatitudine che ne scaturisce, così come nessuna ‘pena’ potrebbe eguagliare il valore della malizia morale della persona c il sentimento di disperazione che ne deriva. In ciò, si badi, Scheler non è mos­ so dall’intento di dissociare la morale dalla religione: tutt’altro. In primo luogo perché egli rifiuta ogni forma di retribu­ zione, sia umana sia divina. In secondo luogo, l’istanza ultima ilei personalismo etico richiede che, poiché la bontà morale è un valore di persona, e poiché Dio è la persona di sommo valore, il riferirsi a Dio costituisca anche l’attuazione più alta del bene morale. La moralità, nel suo grado più elevato di realizzazione dei valori supremi, non può quindi non essere correlata alla religione. Un volere morale perfetto è per natura riferito a Dio, non - come aveva bene avvertito anche Kant per fondare la legge morale sulla volontà di Dio, in senso cioè cartesiano, molto meno per derivare il valore morale dal riferi­ mento a una ‘ricompensa’ o a una ‘punizione’ divina, ma uni­ camente perché nell’attuazione più alta del valore morale si realizza la tensione di prender parte alla santità morale della persona divina. Il velie o amare in Deo consentono una parte­ cipazione immediata all’essenza della divinità, e fanno di per sé scaturire quel senso di beatitudine che rende superflua, anzi nociva - in quanto periferica - ogni altra esigenza di ricompensa’. A noi sembra che le argomentazioni suggerite da Scheler non riescano a giustificare il suo rifiuto della valenza etica della retribuzione. A prescindere da ogni concrezione storica ilei problema, ci sembra che il coronamento retributivo della vita morale possa essere reclamato dalla stessa vita morale, non come suo complemento appositivo e arbitrario - come temerebbe Scheler - ma come momento inerente all’espleta­ mento dell’attività morale, come sua risultanza naturale, e ciò senza che venga infirmata l’autonomia del valore morale. CoiVerhalten)? Non per nulla Scheler ritiene che «sittlich ({ut alles Sein von Personen und Verhalten, Wollen und Mandeln von Personen ist» (Probleme Jcr Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 301). Può anche darsi che Scheler tema che il ‘merito’ renda estrinseco e non spontaneo il sentimento della beatitudine. Ma anche tale timore ci pare infondato, radicato com’è nella premessa gratuita di un conflitto tra meritorietà da una parte e morali­ tà e beatitudine dall'altra.

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ETICA AXIOLOCICA T.D ETICA El.'DEMC >NOLOC«lCA

me tale, la sanzione morale assume una valenza diversa dalla sanzione puramente giuridica. L’urgenza della retribuzione morale nasce non dall’esigenza che il valore morale trovi nella beatitudine il suo incentivo complementare, molto meno sup­ pletivo, né dalla pretesa che la pena possa compensare il male: il valore morale, in quanto non riconducibile al valore dell’uti­ le, ripone in se stesso la sua ragione d ’essere e la sua forza cogente, né una pena, attinente alla natura, potrebbe mai ade­ guare quanto è attinente alla libertà. Neppure ci sembra che la retribuzione possa essere ricondotta a una «esigenza vital­ mente condizionata», in un riferimento estraneo all’attività morale. Essa invece sorge come esigenza naturale di armonia tra il valore morale attuato e un certo sentimento naturale, in virtù della quale armonia c giusto e conveniente che il virtuo­ so meriti di godere del frutto delle sue opzioni morali, di fruire cioè in modo quanto più definitivo del conseguimento del valore morale. 11 merito è dovuto alla virtù proprio perché il virtuoso ha cercato la virtù per se stessa, così come la pena è dovuta al malvagio proprio perché costui ha rifiutato di asse­ condare la tensione fondamentale del suo essere morale. La retribuzione consente di attuare, nel momento escatologico, una unità terminale - che non è riduzione o identità - tra valore morale e vita emozionale, unità che ci sembra in stretta correlazione con quella unità iniziale che Scheler ammette nel ritenere il sentimento positivo ‘sorgente propulsoria’ dell’at­ tuazione del valore morale. La ricerca della beatitudine che fissi l’incontro col supremo valore morale attuato, e che venga intesa come risposta ex parte Dei all’anelito dell’uomo verso la visione dell’infinito, non attuabile nella dimensione inframon(lana dell’uomo, risponde al dinamismo naturale della volontà. Tale beatitudine è nell’orizzonte di ogni attività morale, in quanto il valore morale, oltre ad avere una valenza oggettiva, è valore perfettivo, è bene della persona, della quale non può non sollecitare le pulsioni soggettive. La beatitudine, nella mi­ sura in cui, per un verso, presuppone il conseguimento del supremo valore morale c nella misura in cui, per un altro verso, consente al soggetto morale di fruire della perfettività di esso, attua la più completa unità tra valore morale e appaga mento ed è l’unica dimensione che consenta alla persona di essere penetrata nel suo essere più profondo dal valore morale attuato. Tale sentimento è adeguato non nella misura in cui si limita ad ‘accompagnare’, come vorrebbe Scheler, il compi350

ETICA AXK H.tKilCA ED ITU'.A EUDENtt >N< >L( KÌICA

mento del valore morale, ma nella misura in cui scaturisce come conseguenza essenziale di esso; conseguenza che non è coronamento estrinseco del supremo valore morale, anche se non si identifica con il conseguimento di esso. A noi pare, in particolare, che il sentimento di beatitudi­ ne cui si rifa Scheler non riesca a stabilire in modo sufficiente quella correlazione essenziale tra moralità e felicità che egli intende rivendicare. Non sempre infatti tra la mera attuazione del supremo valore morale della persona c la beatitudine in­ tercorre di fatto una tale correlazione concomitante. Né ciò si deve a un’anomalia psichica: anzi sembrano peculiari al genio morale, a causa dcll’acuirsi della sua sensibilità, il non sentirsi completamente sicuro del valore morale della sua attività e il non provare soddisfazione per il suo operato, poiché egli av­ verte dentro di sé una frattura tra l’idealità e la propria con­ crezione storica del valore morale. Al contrario, per chi pro­ muove un disvalore, il sentimento di insoddisfazione sembra spesso diventare sempre più evanescente man mano che si irrobustisce in lui l’assuefazione al male. Inoltre l’attuazione del valore morale talvolta può comportare l’oblazione della vita stessa, e in tale ipotesi è difficile armonizzare l’incidenza della beatitudine con la nuda attuazione del valore morale, pur non esaurendosi la beatitudine in una successione di natu­ ra temporale. Ma, a prescindere da ciò, quanti, nel prospetti­ vismo delle vocazioni morali individuali, dispongono di quella pienezza di maturità affettiva e di maturità morale da riporre il senso più profondo della loro beatitudine nella semplice attuazione del valore morale? E, come ritenere del tutto satu­ rante il concetto scheleriano di beatitudine se essa può coesi­ stere con strati periferici insoddisfatti dell’essere della perso­ na? La natura composita dell’essere umano non sembra infatti consentire così facilmente una fruizione totalitaria - qual è propria della beatitudine - della «partecipazione immediata all’essenza di Dio neW'amare c velie in Deo», poiché essa, ben­ ché destinata a investire tutto l’essere della persona morale, sembra poter pervadere soltanto le facoltà superiori dell’uo­ mo, non di rado in conflitto con quelle inferiori. In altri termi­ ni, non vediamo come la beatitudine, se intesa in senso rigoro­ so, possa coesistere con altri sentimenti di insoddisfazione, detti da Scheler ‘relativamente negativi’ e caratterizzanti lo strato ‘periferico’ dell’essere umano. In ogni modo, la beatitu­ dine prospettata da Scheler, nella misura in cui verte sulla 35 1

ITTICA AXIOM X. ICA HD ETICA EIUH'AK iNOLCXilCA

positività del fenomeno morale untano e si limita a investire lu dimensione inframondana dell’essere umano, ci sembra fin troppo angusta, non avendo di per se come oggetto il posses so stabile deH’essere infinito, ma quel tipo di partecipazione immediata all’essenza di Dio che scaturisce dall’esperienza contingente di amare e volere come ama e vuole Dio, esperien za che, radicata com’è in un fenomeno morale finito, ci sem bra fin troppo inadeguata rispetto alla tensione verso l'infinito propria dell’essere umano. Una lettura attenta dei motivi che possono aver indotto Scheler a ripudiare, in particolare, il concetto di giustizia retri butiva applicato a Dio pone in evidenza la sua preoccupazio ne di non deturpare con essa l’idea della divinità, che in tale contesto verrebbe sottoposta a una proiezione antropologica, peggio ancora biologica, quasi che il concetto di giustizia re tributiva coimplichi necessariamente la conpresenza del senti mento della vendetta. Se così fosse, ciò non potrebbe non contrastare con l’essenza di Dio contraddistinta dall’amore. A noi non pare metodologicamente corretta tale trasposizione, secondo la quale il concetto di retribuzione punitiva divina ni radicherebbe nel modello ideale di punizione che investe In prassi giuridica umana. La punizione comminata dalla società civile, infatti, non mutua - a parer nostro - la sua genesi immediata òà\\'essenza stessa della colpa, ma viene inflitta al colpevole da una giurisdizione esteriore, appositiva, attraverso un procedimento che di per sé trascende la fattualità della colpa. La società umana in tanto giustifica l’aggiungersi della pena alla colpa - che eviti una inutile duplicazione di un male - in quanto, oltre alla finalità di purificare l’atteggiamento del colpevole di fronte alla legge, avverte il diritto-dovere di tute lare l’ordine oggettivo della comunità, caratterizzato come he ne di natura personale e morale, e non vitale (come vorrebbe Scheler) e neppure originariamente giuridico. La retribuzione punitiva divina, invece, fluisce in modo connaturale dall'es senza della colpa né ha per sé come finalità la difesa del bene morale comune. Oltre a ciò, a parte il fatto che Scheler descrive in modo riduttivo il problema della retribuzione, ponendo l’attenzione su un aspetto unilaterale di essa, quello punitivo - il quale i* invero il più problematico e che diventa intelligibile, almeno in parte, soltanto se si assume l’avvio da quello rimunerativo a-noi pare che anche la retribuzione punitiva non sia di per *>li Scolastici amavano anche denotare la synderesis come ratio naturalis o come scintilla animai- o come sàntilla conscicntiae (cfr. O. Lottin, Syndcrèse et conscience aux Xlf et Xlif siccles, in Psychologie et morale aux Xif et x u f siècles, il, Cìcmbloux 1948, pp. 103-349). E ovvio che la prospettiva di un habitus, qual c quello inerente alla synderesis, non può essere recepita da un contesto fenomenologico, molto più se esso viene intesti in una valenza razionale. 15 Der Pormahsmus, p. 325 s. 16 Ibidem, p. 331. 17 Ibidem, pp. 325 e 327.

359

RKunvrrA t storicità dhili: vai.utazioni morali

soprattutto di espungere dalla valutazione dei valori morali ogni ombra di soggettivismo.

2.

OGGETTIVISMO AXIOLOGICO E TEORIA DEL ‘BENE IN Si5. PER ME’

Analizzando ulteriormente la misura in cui la coscienza mo­ rale può fungere da torma-di-economizzazione individuale del discernimento morale, Scheler precisa che essa assolve ta le compito soltanto in quanto «è indirizzata al bene in sé ‘per me’»"1. La prospettiva del ‘bene in sé per me’ (das ‘fiir-mich' an sich Gute) infonde una luce nuova all’oggettivismo axio logico scheleriano e gli consente una armonia con la dimen­ sione, non meno ineludibile, del bene proprio della persona individuale e di un irripetibile momento storico della sua vo cazione morale. Tale teoria, lungi dal rivestire un carattere secondario nell’etica scheleriana, è «strettamente connessa» al personalismo rigoroso che di tale etica costituisce il carat tere essenziale19. Per dissipare ogni equivoco, è bene precisa re subito che Scheler, col discernimento morale del ‘bene in se per me’ affidato alla coscienza, non intende sostituire nc eliminare il discernimento morale del bene comune a tutti gli esseri personali c dei principi universali da esso derivati. Vengono ribaditi entrambi con «pari rigore e oggettività». La coscienza morale, intesa come forma-di-economizzazione in dividuale del discernimento morale, anziché opporsi al di scernimento morale di principi universalmente validi - rite nuto da Scheler ‘necessario’ - costituisce propriamente quel l’ambito morale che è un di più rispetto ai principi universali ,K Ibidem, p. 327. Nello stesso anno ili pubblicazione della 1* parte di Der Formalismus (1913) un altro pensatore, Georg Simmel, si occupava del problema di armonizzare la legge universale con quella individuale (cfr. Das individuelle Gesetz, in «Logos», IV, 2, 1913). Scheler lo ricorda in Ethik Tuttavia il tentativo simmeliano di riscattare l'eticità di un individuelles Sol len c di lede konkrete Situation verrebbe Irustrato, a detta di Scheler, dal latto che l'autore inserisce tale tematica all'interno delle premesse kantiane, nella misura in cui fonda il Gute su un Gesolltes. Scheler non nasconde pertanto le sue perplessità sulla possibilità di rivendicare, in tale contesto, una streng objektive Gewissensevidenz (cfr. Ethik, in Frühe Schriften, p. 382, nota 2). Cfr. anche Der Formalismus, pp. 214, 481, 485. • 1,1 Der Formalismus, pref. alla 2‘ cd., p. 15.

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R F J x n v rrA

e st k a i . i

c* che non può essere recepito o regolato da essi, e al quale si può accedere esclusivamente per esperienza personale. Di conseguenza la coscienza morale, nel presupporre e insieme nel trascendere ogni principio universale, riscatta il «diritto dell’inviduo morale in quanto individuo», prospettandogli «qualcosa di diverso per una stessa situazione (Situationl»20, e soltanto in tale misura instaura l’esatta dimensione della ‘li­ bertà di coscienza’. La teoria del ‘bene in sé per me’ non ci sembra pertanto comportare una contraddizione. Infatti, nel chiaro intento di tutelare l’oggettività dell’universo axiologico personale, il ‘per me’ non denota la personale esperienza vissuta del singolo, ma la ‘direzione’ verso il suo essere morale, verso la sua irripetibi­ le situazione nell’universo morale, così come l’‘in se’ denota che il valore è tale indipendentemente dal sapere del singolo. La teoria del ‘bene in sé per me’ non intende quindi negare o adombrare i valori e i principi universali, bensì stabilire che ogni apprezzamento morale dell’essere personale è veritiero nella misura in cui non soggiace soltanto a valori universal­ mente validi o all’immagine astratta che ognuno ritrae di se stesso, ma è comprensivo dell’intenzionalità fondamentale pro­ pria di ogni essenza individuale, l’unica atta a offrire l'immagi­ ne axiologica ideale concreta di ogni singola condotta persona­ le. Ché anzi, lungi dall’instaurarsi un conflitto tra valori uni­ versali e valori individuali - comprensibili, questi ultimi, anche dei valori propri di una individualità collettiva spirituale, quali quelli di una cerchia culturale, di una famiglia, di un popolo la piena evidenza del bene in sé e la visione d ’insieme della totalità della vita non possono aver luogo se non in una pro­ spettiva ‘correlativa’ o in una ‘interpenetrazione’ di ambedue le istanze21. Non soltanto, quindi, le qualità axiologiche indivi­ duali e il darsi di morali storicamente differenziate non arreca­ no pregiudizio ai valori universali e non minano l’universalità dei valori morali, ma anzi «appartiene all’essenza dei valori in sé di poter essere pienamente realizzati soltanto attraverso una diversità di individui singolari e di individui collettivi e attra­ verso una diversità di gradi di sviluppo concreti e storici»; «la pienezza integrale del regno dei valori [...] non può esser data a

20 Ibidem, p. 327 s. 21 Cfr. ibidem, p. 484.

3 61

kllativitA c

sn >kk :itA olili: valutazk >ni morali

un unico individuo né a un unico popolo né a un'unica nazione né a un’unica situazione storica»22*. La teoria scheleriana del ‘bene in sé per me’ conferisce anche una nuova dimensione alla valenza del termine ‘oggetti­ vo’ (objektiv). Mentre il formalismo kantiano aveva riduttivamente assimilato la valenza oggettiva del bene morale a quella dell’universalmente valido e la coscienza alla voce della ragio­ ne universale, Scheler si preoccupa di estendere l’oggettività dei valori morali anche ai valori propriamente individuali e di concepire la coscienza come veicolo di discernimento di valori propri di una comunità o di un solo individuo21. Il discerni­ mento morale è pertanto oggettivo, per Scheler, nella misura in cui è autonomo dall’esperienza induttiva, dalla realtà del supporto del valore, dall’evoluzione biologica e dalle modifi­ cazioni dell’attività del soggetto. Kant, nel teorizzare l’attitudi­ ne della massima operativa alla universalizzazione, come costi­ tutivo dell’atto morale, aveva conclamato la contraddittorietà di una enunciazione della coscienza che vincoli l’individuo come tale. Per Scheler, invece, non solo è possibile che «un individuo abbia una piena evidenza di un contenuto deonto logico soltanto nell’applicarlo a se stesso e soltanto in un unico caso»24, ma, ancora di più, «un discernimento morale intorno ai valori morali puri e assoluti di un essere e di un comporta mento, nella misura in cui è più adeguato (cioè più ‘oggetti vo’), deve portare con sé sempre e necessariamente il carattere di essere limitato a individui»25. Non soltanto quindi vengono tutelati il carattere deontologico e quello originario ‘oggettua le’ (gegenständlich) del discernimento della persona individua le, ma esso è addirittura necessario in occasione del discerni mento «ultimo, evidente e pienamente adeguato del bene as soluto»26. La divergenza noetica da Kant non poteva venire espressa con accenti più radicali: mentre Kant aveva applicato

22 ìb id e m , p. 485.

21 F. pertanto priva di fondamento l’accusa mossa da Troeltsch, *r condo cui Scheler avrebbe disatteso le esigenze proprie dell’individualità (li. Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme, in Gesammelte Schriften, II, Tübingen 1922, pp. 60} ss.), fi lo stesso Scheler a lamentarsene (cfr. Drr Formalismus, pref. alla 3* ed., p. 24). 24 Der Formalismus, p. 279. . 21 Ibidem, p. 322. 2h Ibidem, pp. 279 e 322.

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relatività l storicità d illi : valita / ioni morali

in uguale misura la legge morale a tutti gli esseri razionali, Scheler non ritiene di fatto - per parlare in termini kantiani tutti gli uomini ugualmente razionali, anzi, nell’evocare l’esi­ genza di una molteplicità di vocazioni morali, riserva esclusi­ vamente a pochi eletti la possibilità di accedere in modo ade­ guato all’intuizione del bene assoluto. Ci sembra che quest’ultima intuizione possa essere colle­ gata con la tesi scheleriana dell’antiegalitarismo e dell’aristocratismo, che non può non richiamare l’analoga posizione di Nietzsche, anche se nella visuale scheleriana il valore supremo è costituito non dal vitale ma dal sacro. E, a questo proposito, pregnante di significato quanto Scheler afferma nel saggio Na­ tion und Weltanschauung: «ritengo un principio etico, atto a essere severamente fondato, che gli uomini debbano essere tanto più uguali quando si tratti di valori positivi meno elevati e tanto più ineguali quando si tratti di valori più elevati [...]. Pertanto [...] gli individui e i gruppi devono essere più uguali nel possesso di tutte le cose utili e piacevoli anziché in materia di libertà di diritto e di potere politico; in quest’ultimo ambito devono essere più uguali che nel loro valore morale e nella loro formazione spirituale. ‘Davanti a Dio’ poi (così io credo) gli uomini sono infinitamente ineguali e d ’ineguale valore, dunque assolutamente ‘insostituibili’. Mi pare pertanto che debba darsi un’aristocrazia crescente nella direzione del ‘cie­ lo’ e una democrazia crescente nella direzione della terra»27. Questo stesso principio sembra anche rivelare una certa affi­ nità tra la tesi di Scheler, secondo cui i valori quanto più sono elevati tanto meno sono suscettibili di essere attuati da parte della volontà, e quella di Nicolai Hartmann, secondo cui le categorie etiche inferiori sono dotate di maggiore efficacia ri­ spetto a quelle superiori2". bd è proprio la tendenza del singolo a cercare un appoggio comunitario per convalidare le proprie scelte morali che, se­ condo Scheler, darebbe origine allo scetticismo etico. Questo è così diffuso, più di quanto non lo sia lo scetticismo teoreti­ co, perché l’uomo inclina a sopravvalutare la risonanza socia­

27 Nation und Weltanschauung, in Schriften zur Soziologie und Welt­ anschauungslehre, p. 160. 2K Cfr. Der Formalismus, pret. alla 3* cd., p. 19, nota 2.

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RIJ-AT1VITÀ E STORICITÀ D I3 JJ: VALUTAZIONI MORALI

le dei propri giudizi morali, a cercare ansiosamente nel com­ portamento positivo altrui un incentivo per assecondare la voce del proprio discernimento positivo e nel comportamento negativo altrui una scusante per legittimare le proprie aberra­ zioni morali. Una sorta di carenza di autonomia nella proble­ matica morale, la consapevolezza più o meno inconscia di una umana impotenza ad attuare i valori, e la conseguente delu­ sione per non incontrare tanto facilmente una comunanza di atteggiamenti, costituirebbero pertanto la spiegazione - che potremmo chiamare di natura psicoanalitica - del diffondersi dello scetticismo etico e della teorizzazione della soggettività dei valori. L’assimilazione kantiana dell’oggettività del com­ portamento morale alla soggettività universale non sarebbe che una riprova di tale insonne e infantile ricerca umana di un consenso generale. Un maggiore impegno di carattere voli­ tivo e un maggiore disinteresse richiesti dall'intuizione dei va­ lori morali rispetto alla semplice conoscenza di carattere teo­ retico renderebbero poi ancora più comprensibile l’insorgere dello scetticismo etico rispetto a quello teoretico21. Scheler, tuttavia, non tiene presente, a nostro parere, che Kant non ripone il valore morale nell’attitudine della massima a essere semplicemente generalizzata, ma nell’attitudine di essa a esse­ re universalizzata de jure, secondo quanto esige l’essere razio­ nale come tale: anzi Kant afferma la legittimità dell’istanza morale nonostante che, come egli propende a credere, di fat­ to «mai forse l’uomo può aver praticato il suo dovere [...] in modo del tutto disinteressato», anche se «non si può neppure*

** Cfr. ibidem, pp. 321-23. Ci sia lecito, inoltre, riportare per intero un'acuta osservazione desunta da Ethik: «zeigen sich die historischen Va riationen der sittlichen Wertschätzungen durchaus nicht grösser, sondern eher kleiner als jene der logisch-theoretischen Urteile (z. B. des I limmclsbildes), und nur das stärkere menschliche Interesse, ethische absolute Sätze und daraus folgende Verbindlichkeiten von sich abzuwälzen, scheint auf ethischem Boden diese Differenzen stärker empfinden zu lassen» (Ethik, in Frühe Schriften, p. 386). Rispetto alla pura conoscenza teoretica, il discerni­ mento morale riesce poi più difficile anche perché, come già aveva avvertito Aristotele, l'attitudine al discernimento morale presuppone una vita moral­ mente qualificata, anche se questa, per un altro verso, presuppone il discer­ nimento morale. Si ha, così, una certa reciproca dialetticità tra vita e discer­ nimento morali. Soltanto un modo di essere moralmente positivo sottrae la persona a quelle sorgenti di illusioni nel discernimento morale che non hanno luogo nella scepsi teoretica (cfr. Der Formalismus, p. 330).

364

RELATIVITÀ E STORICITÀ DEI 11 VALUTAZK )NI MORALI

affermare con sicurezza che la natura umana non consenta tale purezza»’".

3.

STORICITÀ DEI GIUDIZI DI VALORE

E DELLE VALUTAZIONI MORALI

Affrontando, infine, la tematica della storicità dei giudizi di valore in generale e delle valutazioni morali in particolare, ricordiamo anzitutto che anche per Scheler si danno valori relativi’ a una struttura corporeo-sensibile, senza che essi ces­ sino di essere ‘oggettivi’, e come tali non soggetti all’evoluzio­ ne biologica dell’uomo. Scheler riserva una particolare attenzione a confutare la tesi del relativismo etico, secondo cui non soltanto le valuta­ zioni axiologiche, ma i valori stessi e la loro struttura gerarchi­ ca sottostanno a una intrinseca evoluzione. Per confutare tale tesi, occorre, secondo Scheler, uno studio della comprensione storica delle valutazioni morali che consenta di collocare in una giusta prospettiva la dimensione della loro relatività. Bisogna, in primo luogo, tenere nettamente distinte le valutazioni axiologiche in generale, e quelle morali in partico­ lare, dal grado di discernimento e di formazione intellettuale e dalla tecnica dell’agire, il che può comportare una diversità di comportamento pur nell’identità di una visuale axiologica. Se presso un determinato popolo il fumo veniva punito con la pena capitale, ciò può desumere la sua spiegazione non da una deviazione dalle comuni valutazioni axiologiche, ma dalla con­ siderazione che presso quel popolo il fumo veniva considerato veleno mortale. Si sarebbe trattato pertanto di un errore di giudizio, non di una mancata intuizione axiologica. Analoga­ mente la scoperta di certe superstizioni e di certe illusioni di discernimento potrebbe eludere una superficiale illazione a favore della tesi del relativismo etico. Da ciò, per altro, non sarebbe lecito arguire che il progresso ascensionale nella varia­ zione delle valutazioni morali e della percezione affettiva dei valori sia direttamente proporzionale al grado elevato di cultu­ ra intellettuale: «una cultura intellettuale estremamente svilup,0 I. Kant, Über Jen Gemeinspruch: «Das mag in der Theorie neblig san. taugt aber nicht für die Praxis», ed. cit., vili, p. 284.

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rhijm-ivitA f storicità dfjjt valutazioni morali

pata e differenziata può essere legata a una grande primitività della percezione affettiva dei valori morali, e viceversa»'1. In un’analisi storica di un fatto morale occorre, in parti­ colare, chiedersi se si tratti di una variazione concernente l’universo axiologico come tale oppure soltanto di una varia­ zione concernente il mondo dei beni. Tale distinzione riveste una rilevanza primaria. Il mondo dei beni rappresenta, infatti, il campo in cui i valori si manifestano storicamente e divengo no reali, mentre il mondo axiologico è costituito da oggetti ideali, come tali assoluti. Mentre il mondo dei beni è legato all’iniziativa umana, a un determinato materiale utilizzato, a precise tecniche adoperate, che gli consentono variazioni nel­ l’ordine storico, il mondo axiologico in quanto tale rimane inalterato. Al di là del mondo dei beni e della sua struttura storicamente condizionata si dà un a priori, il valore, che si esprime nel bene senza venirne condizionato nella sua ideali­ tà. I valori assoluti non si danno al di là di variabili condizioni storiche e tuttavia non dipendono da esse. La stessa variazione delle ‘norme’ etiche non comporta neces­ sariamente una variazione nell’ambito axiologico. «Tutti glt imperativi e tutte le norme possono variare, sia storicamente sia in seno alle diverse comunità, pur rimanendo costante il riconoscimento dei medesimi valori»'2. Il dovere normativo infatti presuppone non solo il riferimento a contenuti del dover-essere ideale fondati sul valore, ma anche una direzione axiologica originaria della tendenza istintiva che sia opposta al

" Der Formalismus, p. 301 s. Cfr. anche Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 320, in cui Schcler, per dimostrare come culture elevatissime sono spesso, nel decorso della storia, legate a forme di ethos di scarso valore, ricorre alla testimonianza della guerra mondiale. L'autonomia del valore morale dallo sviluppo culturale c confermata da Scinder in Ethik, in occasione della critica mossa al relativismo evoluzionisti co di W. Wundt, il quale elevava a valore supremo la promozione della cultura spirituale. «Wie häufig zeigt die Geschichte höchste geistige Kultur blute mit allgemeinem sittlichem Tiefstand verknüpft! I...] Auch wäre e« unserem sittlichen Bewusstsein völlig widerstreitend, anzunchmen, dass all jene Menschen, ja ganze Völker, deren geistige Kultur endgültig zugrunde gegangen ist und keine Nachwirkung auf die unsere mehr besitzt, darum auch ihrer sittlichen Werte verlustig gegangen seien» [Ethik, in Frühe Schnf len, p. 379). • 52 Der Formalismus, p. 222.

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RKlXriVITA E STORICITÀ

d e l l e v a l u t a z io n i

MORALI

dover-essere ideale. Se si parte dal presupposto che ogni nor­ ma imperativa appare soltanto là dove all’obbligazione morale si oppone una direzione axiologica, si può spiegare il mutare storico di tanti imperativi, nonostante il permanere dei valori e dei principi del dover-essere ideale in essi sottesi, appunto perché può darsi una diversità di norme per popoli diversi dovuta a disposizioni originarie diverse; ciò per altro non do­ vrebbe coimplicare che i vari popoli e le varie razze, o i singoli membri di essi, non riconoscano i medesimi valori. Così il principio «il valore proprio è uguale al valore altrui» può in­ durre all’imperativo di prendersi anzitutto cura dei valori al­ trui nell’ipotesi che si sia restii ad accedere a tali valori, men­ tre può indurre all’imperativo di prendersi anzitutto cura di se stessi nell’ipotesi che si sia propensi, quasi per una sete pato­ logica di oblatività, a dimenticare se stessi. L’unicità divina, per esempio, sarebbe stata imposta con rigorosa severità a Israele perché il popolo giudaico tendeva in modo inconteni­ bile verso il politeismo”. La varietà delle norme, dunque, nel persistere dei medesimi valori morali, non depone a favore della tesi dello scetticismo o del relativismo etico né costitui­ sce alcuna obiezione contro l’assolutezza e l’identità dei valori morali. Del resto in Scheler le norme non costituiscono gli elementi originari e irriducibili della vita morale, implicando esse il riferimento a idealità axiologiche. Il compito dello storico dei fatti morali è pertanto quello di «smascherare i travestimenti di cui la storia ha circondato la sfera dei valori morali»'4, per scoprire il materiale da cui tra­ spaia la vera dimensione della relatività delle valutazioni mo­ rali, irriducibile a ogni forma di relativismo e di storicismo. AM’intemo di tale materiale Scheler distingue cinque strati fondamentali: le variazioni dell 'ethos, le variazioni dell 'etica di un determinato periodo, le variazioni della morale, le variazio­ ni della moralità pratica e le variazioni dei costumi e delle consuetudini. Tale distinzione è fondamentale per sottrarre il fenomeno etico a ogni forma di relativismo. Notevole importanza assume, anzitutto, la storicità dclI ethos, che Scheler ama qualificare come «la storia più centra-

” Cfr. ibidem, p. 222 s. M Ibidem, p. 303.

367

RI-XATIVITA F. STt MtlUTA D L lJ .r VALITAZK >NI MC >RAl.l

le in seno a ogni storia»” . Per ethos si intende la struttura della percezione affettiva e della preferenza dei valori, propria di una persona, di una comunità o di una nazione. La variabi­ lità di esso incide in maniera più radicale di ogni altra sulla variabilità delle valutazioni morali. I fautori del relativismo morale, nell’estendere l’evoluzione ai valori e alla loro struttu­ ra gerarchica, pretenderebbero applicare ‘retrospettivamente’ a un passato storico valori morali desunti da valutazioni axiologiche a loro contemporanee, ricostruendo così arbitraria­ mente, mediante un processo di intropatia dell’esperienza vis­ suta della loro epoca nei tempi passati, l’insieme della storia, come se si trattasse di un semplice adattamento progressivo a determinati valori ipostatizzati. Si tratterebbe invece, per Scheler, di variazioni nell 'ethos, cioè nei contenuti costitutivi della coscienza axiologica, nelle regole preferenziali, anzi, non soltanto nelle applicazioni degli ideali morali, ma - cosa disat­ tesa dagli stessi relativisti - addirittura negli stessi ideali etici. Se i romani prima di Ennio consideravano l’usura più riprove­ vole del furto, ciò era dovuto a una regola preferenziale pro­ pria di quell’epoca“\ 11 fluire esistenziale e storico dell 'ethos è commensurato quindi dalla essenzialità originaria del valore, e non viceversa. Dalla relatività storica dell 'ethos, pertanto, non è legittimo arguire una relatività inerente agli stessi valori e alla loro struttura gerarchica: «la ‘struttura gerarchica dei va­ lori’ è assolutamente invariabile, mentre le ‘regole preferenzia­ li’ sono fondamentalmente variabili nel corso della storia»'7. ” Ibidem, p. }09. Già Otto Hügel aveva sottolineato - in Dai Ich und die sittlichen Ideen im Ij-hcn der Völker, Langensalza 1885 - l’importanza della distinzione tra variazione dei giudizi-di-valore storici c variazione dei valori come tali. Scheler gliene dà atto in Ethik, lodando il ‘modo egregio’ con cui era stata condotta tale trattazione (cfr. Ethik, in Frühe Schriften, p. 386). ,h Cfr. Der Formalismus, pp. 305-307. ” Ibidem, p. 106. La variazione delle ‘regole preferenziali' c anche chiamata, in Ethik, variazione della Fühlfähigkeit für Werte (dipendente dal­ la struttura organica psico-fisica) oppure variazione della Ausbildung des Fuhlens für Werte seihst (Ethik, in Frühe Schriften, pp. 384, 386). Sul rap­ porto tra relativismo dei valori e variazione àeW'ethos in Scheler, cfr. L. Closs, Sittlicher Relativismus und Schelers Wertethik, cit., pp. 51-69; utile, del medesimo saggio, il 1" cap., dedicato allo sviluppo storico del relativismo etico, con particolare attenzione a 1lerder, Dilthey, Nietzsche c al relativi­ smo sociologico. A una più vasta trattazione del rapporto tra assolutezza e relatività-storicità dei valori in Scheler è dedicato l’intero saggio di A. Dee­ ken’ Process and Permanence in Ethics. Max Schelers Moral Philosophy, cit.

368 ■

KLI.ATIVITA I'. STORICITÀ DLI.U: VALUTAZIONI M< »KALI

È invece legittimo dedurre che un’adeguata esperienza vissuta dell’universo axiologico e un «etica assoluta rettamen­ te intesa» postulano una molteplicità di ethos, una coopera­ zione di torme diverse di ethos», un «prospettivismo axiologi­ co, di carattere emozionale, delle varie unità temporali e so­ ciali», che non precludano «l’apertura originaria òcW'ethos stesso a una progressiva formazione»w. Non si dà pertanto un regno assoluto di valori aperto una volta per sempre a tutte le singole persone e a tutti i singoli popoli, ma un regno di valori che si apre solo in modo successivo e secondo determinate strutture di preferenza axiologica. Il relativista, assolutizzando 1ethos di un dato periodo storico, lungi dal poter comprende­ re un passato morale, si preclude, a causa dell’angustia che caratterizza il suo orizzonte axiologico morale e della presun­ zione di conferire il carattere di evidenza esclusivamente alle proprie valutazioni axiologiche, la possibilità di comprendere gli ethos di epoche diverse dalla propria. Anche l’etica forma­ listica denuncia, seppure in una diversa angolatura prospetti­ ca, il proprio limite strutturale nella comprensione del senso morale del mondo, nella misura in cui il suo carattere assoluti­ stico e l’unicità del suo principio le impediscono di recepire ogni pur minima variazione deIIV/Aen dürfen, eine einzige, absolut gültige und alle möglichen ethischen Werte umfassende Formel an irgendeinem Zeitpunkt der Geschichte autzustcllen. Der ethische Absolutismus schliesst es durchaus nicht aus, ja fordert cs vielmehr, dass die ganze Fülle der sittlichen Werte [...] dem Menschen erst sukzessiv und all­ mählich und gleichsam von verschiedenen Seiten her und mit besonderen, der Volksveranlagung je entsprechenden Durchblicken zu fühlbarem Be­ wusstsein komme und eben dieser Prozess niemals als abgeschlossen gelten kann» (Ethik, in Frühe Schriften, p. 386 s.) w Der Formalismus, p. 308. Il ‘divenire e crescere’ (Werden und Wachsen) della ragione stessa è posto ila Schcler in correlazione con la teoria della ‘funzionalizzazione delle essenze’, già da noi accennata, secondo cui il dato essenziale rilevato nel dato empirico può divenire ‘forma del sapere’, regola di applicazione e strumento di analisi applicato agli oggetti di esperienza. Essendo Va priori un dato materiale c non una funzione logica, Scheler può combattere il principio kantiano dcH’idcnlità logica dello spiri-

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RFLATIVITA F. STORICITÀ F)tLLr VAUTAZIONI MORALI

relativismo etico, finisce per ignorare la storicità dn\\'ethos*". L’etica materiale invece, pur senza abdicare al suo carattere assoluto, vede nell’umanesimo razionale kantiano appena «un momento nella storia dello spirito umano»41. La dimensione più radicale in cui si realizza la variazio­ ne dell ethos è dovuta al crescere del movimento dell’amore, che consente di scoprire valori superiori a quelli esistenti. È il genio morale-religioso che apre una nuova prospettiva axiologica e che, nell’instaurare un nuovo rapporto preferenziale tra i valori, relativizza il precedente regno axiologico c rende ‘vizi splendenti’ quanto una volta era virtù. Il ‘discorso della mon­ tagna’ rimane per Scheler «la più grandiosa testimonianza»

to razionale presso tutti i gruppi umani, pur nella salvaguardia deH'apriontà delle intuizioni essenziali: «Denn da ilio Tatsachenkreise von 'matters oi fact’ für alle Menschen und Gruppen verschiedene sind, so können - unbe­ schadet der Apriorität, Evidenz und geltungsmassigen Unzerstörbarkeit der gewonnenen Wesenseinsichten - auch die Gruppen der Wesenseinsichten verschiedener Subjekte (Völker, Rassen usw.) verschiedenartige sein. Ihr Geltungswcrt wird dadurch nicht um eine Spur geringer, ihre apriorische Geltungsart wird nicht im geringsten verletzt, ihr streng objektiver Charak­ ter nicht geschmälert» (Probleme der Religion, in Vom F.u'tgen im Menschen, p. 198 s.). Utile il rilievo storico di Altmann: «I (istoriseli an Schleiermacher anknüpfend, stellt Scheler das Rechi des individuellen Ethos, die Idee der individuellen Aufgabe in das Zentrum der ethischen Problematik, während er die allgemeingültige Sittlichkeit, die bei Kant im Rahmen der rationalisti­ schen Einstellung allein anerkannt wurde, an die Peripherie des Interesses rückt». (A. Altmann, Die Grundlagen der Wertethik: Wesen, Wert, Person, cit., p. 2). 4U Kant, in particolare, avrebbe commensurato la ragione pura uni­ versale secondo Yethos di una determinata epoca della storia prussiana (Der Formalismus, pref. alla 1* ed., p. 10). ■" Ibidem, pref. alla V ed., p. 20. Scheler condivide, invece, con Kant l'autonomia del dover-cssere dalla relazione al futuro, potendo il dover-essere ugualmente concernere il presente e il passato e non essendo legato dii ef­ fettualità della realizzazione. In ciò Scheler (xilemizza con quanti, in un contesto evoluzionistico, assimilano il dover-cssere alla direzione di uno svi­ luppo effettivo c il dover-non-cssere a quanto la contraddice, sia che la tendenza evolutiva venga intesa come tendenza del mondo (E. von Hart­ mann) sia che venga intesa come tendenza vitale (Spencer) sia che venga intesa come tendenza della cultura (W. Wundt). Il concetto di 'direzione' infatti, già presuppone un dover-essere, ne. d'altra parte, la direzione di uno sviluppo coinvolge ili per sé la presenza del progresso o del valore o di una finalità; non per nulla, contrariamente a quanto ritiene Rickcrt, si dan no nella storia decadenze di valori positivi c sviluppi di valori negativi (cfr. ibidem, p. 215). 370

KILAIIVITA L STORICITÀ DI-I.I.K VALUTAZIONI M< >RAL1

della scoperta di un intero ambito di nuovi valori: la stessa formula adoperata ‘ma io vi dico’ attesta la «relativizzazione della ‘legge’ antica»42. Alla dimensione dell’amore si aggiunga­ no la variazione dei rapporti preferenziali tra le qualità di una medesima modalità axiologica o tra valori diversi correlati ai loro supporti (cioè il differenziarsi della percezione affettiva dei valori e delle valutazioni) e la variazione del grado di ‘for­ mazione morale’. Ciò non significa, evidentemente, che le va­ riazioni dell 'ethos comportino di per sé un’evoluzione ascen­ sionale o che sottendano semplici errori di valutazione circa i supporti dei valori. La storia infatti non è avara di ‘illusioni axiologiche’ e di illusioni preferenziali’, gravide di ‘falsifica­ zioni’ e di ‘sovversioni’ dell’ordine gerarchico dei valori4', co­ me è testimoniato dall’uomo del risentimento: il risentimento - afferma Scheler - «può dominare tutta una ‘morale’ e per­ vertire le regole preferenziali presenti in essa, così da fare apparire ‘bene’ quanto prima era ‘male’»4445. Per etica di un determinato periodo Scheler intende «la for­ mulazione verbale - sotto torma di giudizi - dei valori e delle loro relazioni gerarchiche, dati nelle intenzioni emozionali, nonché dei principi valutativi e normativi fondati sui medesi­ mi; tali principi vengono poi scoperti mediante un procedi­ mento di riduzione logica, come quelle proposizioni generali da cui è logicamente deducibile il contenuto dei singoli atti valutativi c normativi»4’. Occorre tuttavia distinguere l’etica applicata, propria della intuizione naturale-pratica del mondo, che si esprime nel linguaggio naturale, nei proverbi e nelle massime, dall’etica scientifica, che tende a giustificare l’etica applicata e a fondarla su principi superiori. Mentre l’etica nel­ la prima accezione c un fenomeno costante di ogni ethos, l’eti­ ca come riflessione scientifica sulle formulazioni etiche con­ crete è un fenomeno relativamente raro, che insorge e cresce nella misura in cui ì'ethos si deteriora. Di fatto però l’etica scientifica, più che fondare l’etica applicata, si limita a svolge-

42 Ibidem, p. 309, nota I. 41 O r. ibidem, p. 310. 44 Das Ressentiment im Aufbau der Moralen, in Vom Umsturz der Werte, p. 70. 45 Der Formalismus, p. 311.

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Ria.atività p storicità d f i . i . f. VAi.irrazioni morali

re una funzione sintetica delle regole valutative concrete, a formulare cioè le opinioni morali comunemente dominanti, senza essere in grado di sottoporle ad alcuna critica. Potrem­ mo chiamarla una formulazione generale, puramente logica, della normativa morale, con carattere prettamente induttivo. Se in qualche principio essa si dovesse trovare in contrasto con l’etica applicata, occorrerebbe modificare il principio, in quanto errato. Soltanto l’etica filosofica nell’accezione più pre­ gnante del termine è in grado di dedurre da principi l’etica concreta, di sottoporla a un esame critico sulla base delle evi­ denze circoscritte dall 'ethos del tempo e di sottoporre a critica la supposta evidenza dello stesso ethos, partendo dall’autodarsi dei valori morali. Come non si ha il diritto di arguire \ethos dall’etica (potendo esserci dissonanze tra i contenuti dell’uno e dell’altra), così occorre ricordare che una aberrazione sia nell’ambito dell’etica applicata sia in quello dell’etica scientifi­ ca sarà sempre meno erronea deH”illusione’ inerente all 'ethos di un’epoca, che dà luogo a una sovversione dei valori autenti­ ci e all’imporsi di pseudovalori'“’. 11 relativismo etico potrebbe trovare un motivo fecondo, per giustificare la sua teoria, nel rivolgere l’attenzione a certe va­ riazioni della morale, cioè a quelle azioni o istituzioni (quali il furto, l’omicidio, il matrimonio), le quali nei diversi ordina­ menti positivi hanno dato luogo a contrastanti caratterizzazio­ ni morali. La poligamia, per esempio, fu un tempo ritenuta legittima. Una retta valutazione di tali variazioni pretende, se condo Scheler, che non si scindano tali unità tipiche da quel che costituisce la loro ‘identità tipica’, che non è dovuta alle svariate e spesso contraddittorie definizioni date nel corso della storia dal diritto positivo o dal costume vigente, ma alla loro essenza. «Il furto e l’omicidio, se si considera esclusiva mente la loro essenza, appaiono sempre riprovevoli a un ethos genuino»^. È l’essenza che infonde a tali istituzioni una deter minata struttura axiologica originaria, cioè, in ultima istanza, è l’etica filosofica e non l’opinione dominante che deve decide re, per esempio, che cosa è l’omicidio nella sua essenza. Le variazioni delle semplici unità tipiche, cioè le variazioni della*•

46 Cfr. ibidem, pp. 51115. • 47 Ibidem, p. 515. 372

KLLATIVtTA F. STORICITÀ

d f l l f v a l u t a z io n i m o r a li

‘morale’, alle quali corrisponde una variazione della ‘scienza morale’4’1, sono pertanto variazioni di definizioni positive, che non avvalorano la tesi del relativismo etico. Se si definisce l’omicidio semplicemente come uccisione materiale di un uo­ mo - come potrebbe essere per un’etica di carattere biologico non si coglie l’essenza di esso, e sarebbe giustificato l’appel­ lo di Wilhelm Wundt alla circostanza che interi popoli hanno ritenuto l’omicidio motivo di gloria, per corroborare la tesi della variabilità della coscienza morale. E quindi quanto mai opportuno il richiamo scheleriano a non assolutizzare l’etica attuale, a non accostarsi cioè alla storia con denotazioni di peculiari unità tipiche che valgono solo per la nostra epoca, così come è necessario sceverare di volta in volta la concezio­ ne morale e giuridica propria di un popolo o di un’epoca. Fatte tali premesse, non sarebbe legittimo tacciare di omicidio quei popoli antichi che facevano sacrifici umani agli dèi: tale rito, lungi dall’intenzionalità di annientare l’essere della perso­ na umana, si radicava nella legge preferenziale che subordina­ va i valori del vitale ai valori del sacro, e nella persuasione superstiziosa di rendere un servizio d’amore non soltanto agli dèi ma anche alla vittima, che veniva ‘traslata’ in una sfera più elevata dell’essere e del valore. Del resto la stessa nozione di sacrificio denota la positività axiologica del dono («un sacrifi­ cio che annienta la vittima è una contradictio in adiecto»)4‘'( il che induceva a scegliere le vittime tra i più giovani e i più nobili. Analogamente, l’uccisione dello straniero o del prigio­ niero di guerra non era dettata dall’intenzionalità di annienta­ re la persona umana, ma da una pretesa esigenza di diritto, e come tale non era reputata omicidio. Ciò appare ancora più evidente dal fatto che l’omicidio perpetrato per motivi di inte­ resse o di piacere «era rifiutato e proibito nell 'ethos di tutti i tempi»’0, e lo stesso sacrificio rituale volto ad attirare i favori degli dèi veniva considerato iniquo. Si può pertanto conclude­ re che l’omicidio nella sua essenza è T’annientamento’ (Ver­ nichtung) intenzionale, per motivo di odio, dell’essere c del

■"l O r. ibidem, p. 303. *‘l Ibidem, p. 317. Cfr. anche l'analisi fenomenologica del concetto di s.Kriticio, latta da Schelcr in Vom Sinn des Leides, in Schriften zur Soziolo­ ge, pp. 40 ss. 50 Dir Formalismus, p. 316.

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RI'J.ATIVITA E STORICITÀ D tl.u : VALUTAZIONI MORALI

valore della persona’1. Il recupero tenomenologico dell’essen­ za dell’omicidio, colto come disvalore, consente di situare nel­ la sua esatta dimensione anche l’antica consuetudine indiana di bruciare le vedove, considerate prive di personalità perché proprietà del marito, o, presso i Romani, il diritto del pater familias di uccidere i figli e il diritto del libero di uccidere gli schiavi. Lo stesso vale per la soppressione, presso certi popoli antichi, dei neonati, per esigenze demografiche o per conser­ vare un certo equilibrio numerico tra i sessi, nella misura in cui il neonato veniva considerato non ancora partecipe della personalità o come semplice parte dell’unità propria della fa­ miglia, della tribù o dello stato; lo stesso si dica dell’aborto, ritenuto sia ieri sia oggi una eliminazione non della persona umana, ma dell’essere vivente umano. In tutti i predetti casi «manca il presentarsi del fatto dell'omicidio nel suo profilo axiologico (der Wertsachverhalt des Mordes)»'2. Il tentativo scheleriano di recuperare fenomenologica­ mente l’essenza dell’omicidio desta non poche perplessità. Sorprende nella lettura di Scheler, per esempio, la legittima­ zione della pena di morte - non reputata, pertanto, omicidio nell’accezione pregnante ed etica del termine - nell’ipotesi che «si ammetta intuitivamente (senza dimostrazione) come data la sopravvivenza della persona». La pena capitale sareb­ be pertanto connotata come omicidio se avesse per fine il benessere della società; non lo sarebbe se, con la sottrazione della vita, non si intendesse sopprimere la persona come tale del condannato e se venisse assicurato, «con la realizzazione dell’ordine giuridico, anche alla sua persona il suo diritto»".

’■ «Was den ethischen Kern des Wertsaehverhaltcs ausmacht, das ist faktisch die Willensintcntion einer Person auf Vernichtung des Person wer tes einer anderen» [ibidem, p. 320). Sul rapporto tra ‘omicidio intenzionale' (Mord), ‘sentimento ilei disvalore ((jefühl des Unwertes) c semplice ‘ucci sione materiale' (Tötung o TutschLig), cfr. Beziehungen zwischen den logt sehen und ethischen Prinzipien, in Frühe Schriften, pp. 106-108. 52 Der Formalismus, p. 319. Che, nel contesto del pensiero schcleria no, l’aborto non possa essere ritenuto un omicidio c di fatto comprensibile, in quanto Scheler - come vedremo meglio nel capitolo dedicato alla persimi - parte da determinate premesse caratterizzanti l’essenza della personalità Ma ciò, ci sembra, non autorizza l'autore a generalizzare la persuasione che l’aborto non sia omicidio, ritenendola di comune acquisizione. ” Ibidem, p. 317. Per chi volesse approfondire le diverse sfumature che enucleano il concetto di ‘sopravvivenza’ in Scheler, rinviamo al saggio

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RELATIVITÀ L STORICITÀ DliU.T. VAI.LTTA7JONI MORALI

La stessa linea interpretativa affiora nel tentativo scheleriano di legittimare l’uccisione dell’eretico, nella misura in cui essa avrebbe mirato non soltanto a garantire la salute spirituale della collettività, ma anche a facilitare la purificazione della sua anima54. Ancora più singolare appare la tesi di non repu­ tare uccisione della persona la soppressione della vita umana in guerra («anche in quella d’aggressione»!) e nel duello, co­ me se si potesse abdicare in queste circostanze alla dimensio­ ne della personalità. Nella guerra, in particolare, il singolo «è dato soltanto come membro della cosa collettiva (als Glied des Kollektivdings) che è il ‘nemico’, come di un complesso di potenza vitale»55. La tesi ci pare tanto più singolare se si tiene presente che Scheler non ritiene lecito l’odio della persona che fa parte di uno stato straniero, mentre quest’ultimo può essere oggetto di odio e di vendetta; la persona nemica, anzi, può essere apprezzata nella misura in cui lotta con coraggio56. Che Scheler, infine, possa pervenire mediante un'analisi di tipo fenomenologico alla tesi secondo cui l’aborto non com­ porta l’annientamento dell’essere e del valore della persona, ma soltanto dell’essere umano biologico, a noi pare per lo meno gratuito. A nostro parere, questa e le precedenti prese di posizione tendenti a negare nei casi suddetti la caratterizza­ zione dell’omicidio come tale, trovano la loro spiegazione nel­ la peculiare concezione scheleriana della persona e nella ca­ renza fondamentale di carattere metafisico ivi sottesa, in ulti-

Tod und tortleben, citato più volte in Der Formalismus, ma apparso postu­ mo. fisso tu composto, parte tra il 1911 c il 1916, parte tra il 1922 e il 1923. w Cfr. Der Formalismus, p. 317, nota 3. ” Ibidem, p. 317. ,h Cfr. ibidem, p. 314. listila dal nostro compito un ulteriore accen­ no, seppure fugace, alla concezione della guerra in Scheler, ribadita in nu­ merosi scritti. Facciamo, invece, presenti certe considerazioni scheleriane concernenti il martirio, considerazioni che tanno meglio trasparire l’indagi­ ne scheleriana intorno all'essenza dell'omicidio. Mentre il suicida, nel confe­ rire alla vita come tale un valore supremo cui contrasta la povertà della 'sua' vita, mira aH'annicntamento della sua persona, il martire, nel sacrificare la sua vita a un valore superiore (quali i valori del sacro o i valori spirituali), allenila c conserva la propria persona spirituale, pur nella perdita del Leib. Poste tali connotazioni del martirio, Scheler non riscontra dilterenza alcuna tra il martire che si la uccidere e il martire che si uccide di sua iniziativa: anziché di suicidio, si dovrebbe parlare semplicemente di autoeliminazionc ilei /A’tb (cfr. ibidem, p. 319, nota).

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RELATIVITÀ L STI «IOTA DELLE VALUTA/!! )NI M( *Al.l

ma istanza nel dualismo spirito-corpo, che caratterizza la per­ sona esclusivamente come essere spirituale e come unità attua­ le di atti intenzionali, e relega conseguentemente l’elemento corporeo in costitutivo non essenziale di essa. Relative aW'ethos del tempo, e da esso dipendenti, sono le variazioni della moralità pratica, cioè dell’effettivo comporta­ mento degli uomini rispondente alle regole preferenziali da essi riconosciute. Un giudizio di valore sul comportamento di un uomo non può prescindere dalla conoscenza dell ethos e delle unità tipiche proprie dell’epoca in cui egli vive. Tale comprensione avviene per simpatia, il che non comporta che vengano condivisi i principi dell’azione. Può tuttavia accade­ re che un comportamento accertato in una data epoca sia stato in sé positivo, anche se non lo era relativamente alYethos del tempo. È il caso del genio morale, che, nella misura in cui coglie per la prima volta valori trascendenti quelli usuali, opera secondo un ethos superiore a quello del suo tempo, da cui tuttavia viene legittimamente condannato. I grandi periodi di trasformazione di un ethos sono pertanto dominati da figure che sono necessariamente vittime della di­ mensione tragica dell’evoluzione morale e di una sorta di col­ pa irresponsabile, il che impone allo storico di inibire ogni facile biasimo morale1'. Si danno, infine, variazioni nell’ambito dei costumi e delle con­ suetudini, cioè di quelle attività radicate esclusivamente nella tradizione. Pur non denotando necessariamente un carattere morale positivo, essi si riconducono quasi sempre a origini di una certa immediata allusività morale e riflettono la funzione e la misura selettiva dell 'ethos. Per questo, pur potendo essi trasmettere valori negativi, non è lecito sottrarsi alle loro di­ rettive, a meno che si abbia un preciso discernimento di valori superiori a quelli consueti’**. La disamina fenomenologica operata da Scheler appare uno

57 Cir. ibidem, p. 303 s. Per il concetto di colpa ‘irresponsabile’ e ‘tragica’ rinviamo, con Scheler, al saggio Zum Phänomen des Tragischen, in Vom Umsturz der Werte, pp. 149-69. • 58 Cfr. Der Formalismus, p. 304 s.

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RELATIVITÀ e s t o r ic it à d k i .e e v a l u t a z io n i m o rali

dei più felici tentativi per armonizzare le esigenze dell’assolu­ tezza dei valori morali e quelle, non meno imperiose, del loro radicarsi nella dimensione antropologica, storica, esistenziale e sociale. Quel carattere esistenziale e storico, che nella gno­ seologia schcleriana era stato, almeno in parte, adombrato dall'urgenza dell'epoché, assume una maggiore incisività nel­ l’analisi fenomenologica della storicità dell 'ethos. «Anche co­ me essere spirituale l’uomo respira soltanto nella storia e nella società [...]. lo non potrei separare l’etica dalla storia delle forme dell’ethos». In polemica con Nicolai Hartmann, Scheler vede lo sviluppo ulteriore dell’etica materiale dei valori orientarsi «piuttosto verso una filosofia della coscienza mora­ le che si evolve nella storia e nella società»” . La stessa preoc­ cupazione di conferire una dimensione personale all’etica, pur nel permanere di principi ideali universali, è anche una ulteriore riprova del superamento scheleriano dell’idealismo59

59 Ibidem, pref. alla }‘ ed., p. 22. Un'ottima esposizione del tentativo scheleriano di armonizzare la concezione classica (scolastica) dell'assolutez­ za e dell'invariabilità dei valori con l'istanza moderna della loro dimensione storica si trova nel saggio di L. Closs, Sittlicher Relativismus und Schelers Wertethik, cit. Interessante l’attenzione rivolta dall'autore a un testo di san Tommaso, secondo cui la legge naturale «in paucioribus potcst delicere et quantum ad rcctitudinem propter aliqua particularia impedimenta, et etiam quanium ad notitiam; et hoc propter hoc quod aliqui habent depruvutum rationem ex passione, seu ex maia consuetudine, seu ex mala habitudinc naturae; situi apud Germanos olim latrocinium non reputabatur iniquum, cum tarnen sit expresse contra legem naturae» (Summa theologtae, I II, q. 94, a. 4). Mentre per san Tommaso, osserva Closs, la legge naturale come tale rimane assoluta e immutabile, ed eventuali sue modilicazioni avvenute nella storia sarebbero da addebitare a una carenza nella conoscenza o nel com portamento dell'uomo, per Scheler tali modilicazioni sarebbero dovute «al­ l'essenziale variabilità deWethos». E conclude: «Zur Lehre der traditionellen Philosophie dar! bemerkt werden, dass der historische Wandel der sittli­ chen Anschauungen nicht allein aus dem Einfluss der Leidenschaften er­ klärt werden muss. Der Reichtum und die Vielgestaltigkeit der menschlichen Natur bringt es mit sich, dass gewisse Forderungen und Konzequenzen des Naturgesetzes zu bestimmten Zeiten unerkannt bleiben, sich aber später hcrausentwickcln können, was ja die Geschichte bestätigt [...] Scheler hat von beiden Auffassungen, sowohl von der traditionellen Philosophie wie auch von den modernen Richtungen wesentliche Gedanken übernommen: von der Scholastik die Notwendigkeit der Absolutheit und Unwandelbar­ keit der sittlichen Werte und Forderungen, von der modernen Philosophie die Gebundenheit des Menschen an die Geschichte und das in ihr lebendig wirkende Ethos» (ibidem, pp. 96, 97, 99).

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r ela t iv it à f. s t o r ic it à

n n j .F vai .u ta z k >ni m o ra li

etico, così come era avvenuto mediante il concetto di ‘verità personale’“ . L’importanza conferita da Scheler al momento storico­ esistenziale di una intuizione axiologica è confermata dalla teoria generale scheleriana, secondo cui ogni momento storico possiede una sua «originalità e dignità singolare». In una con­ cezione antihegeliana della storia, Scheler ritiene in Arbeit und Ethik che «ogni popolo, nel suo tempo, possiede una distin­ zione (Bestimmung) peculiare e un conseguente compito, la cui attuazione gli incombe in un modo determinato, secondo un principio oggettivo, e in particolare esso non può mai ap­ prendere dalla storia la conoscenza della retta attuazione del­ l’esigenza dell’ora»6061. E in armonia con tale rifiuto del ricorso al giudizio della storia per legittimare o per sconfessare un dato momento storico, che Scheler vede nella «esigenza del­ l’ora» cui si richiamava Goethe «una categoria essenziale del­ l’etica»62.

60 «Noch schärtcr weisen wir zurück die sich über |.G. l ichte bil­ dende. bei Hegel völlig deutliche Lehre einer realen Identität der Vernunft (Wcltvernunft) in allen Menschen, eine Ix'hre, durch die der schon bei Kant angelegte pantheistischc Averroismus vollständig wurde. Wir setzen viel­ mehr diesen Lehren eine pluralistische Anschauung auch von den ursprüng­ lichsten Besitztümern des vernünftigen Menschengeistes entgegen» (Proble­ me der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 199, nota). 61 Arbeit und Ethik, in Frühe Schriften, p. 195. w Der Formalismus, p. 485, nota 2. Stupisce che uno dei giudizi più impietosi (anche se implicitamente lusinghieri) dati su Scheler provenga da un pensatore della personalità di Benedetto Croce. Né vale, ad attenuare lo stupore, il presupposto che Croce parta da intenti storicistici. Ci limitiamo a stralciare quanto il filosofo italiano osserva a proposito del tentativo schclcriano di armonizzare la diversità delle morali con l'assolutezza dei valori: «si può scorgere da ciò quanto poco abbia inteso, non solo della filosofia morale, ma della storia umana, nel suo nesso c svolgimento e nella sua compatta unità, e quanto poco ne conosca i documenti e sia in grado d ’interpretarli [...]. Ora, perché mai in un tempo come il nostro in cui più che mai si ha il dovere di procurare di ravvivare il vigore c la sensibilità della coscienza morale, e di ricordare e riaffermare l’unità della storia umana c il carattere sacro del suo glorioso e faticoso svolgimento, si c sentito il bisogno di tradurre in italiano questo volume, privo di ogni metodo c valore crìtico e uno dei molti segni dell'indebolimento intellettuale e del confusionismo mo­ rale, accaduto in Germania, più che altrove, durante c dopo la guerra [...]? Perché, dunque, il libro di un cervello così fiacco e di una cultura così imperfetta è stato tradotto in italiano? Probabilmente perché in taluni uni versitari italiani sopravanza quella riverenza per ogni cosa stampata in lede-

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kj.i .ativit A k storicità d il l i : valutazioni morali

4

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SCHELER E L ETICA DELLA SITUAZIONE

L’indagine sulla relatività e storicità delle valutazioni axiologiche, e in particolare il tentativo di armonizzare il momento concreto e storico dell’esperienza morale con i contenuti etici apriorici, sembrano giustificare il nostro interrogativo se e en­ tro quale misura alcune articolazioni della problematica scheIeriana rivelino certe affinità con le proposte dcll”ctica della situazione’, che andava maturando negli ultimi anni della vita di Scheler*6'. Come è noto, Pctica della situazione’, detta an­ che ‘etica dell’istante’ o ‘etica esistenziale’, si inserisce nella problematica della filosofia esistenziale, in particolare di quel­ la cristiana, sia protestantica sia cattolica. 1 pensatori prote­ stanti64, ripudiando i concetti di essenza e di natura e conse­ guentemente una legge morale naturale valida universalmente c dotata di valore normativo assoluto - che per alcuni contraste­ rebbe addirittura col principio sovrano della volontà divina tanno leva sul dato di fatto irripetibile inerente a ogni situa­ zione etica, intesa come risultante concreta di tutti i fattori di tempo e di luogo in cui si inserisce la libertà umana e come momento esistenziale individuale creato e illuminato da Dio, il cui appello individuale pretende una risposta responsabile e altrettanto individuale da parte dell’uomo. I pensatori cattoli­ ci65, invece, volgono i loro intenti a integrare la concretezza

sco che si formò or è un secolo, quando queste cose si chiamavano i libri di Kam e di Hegel» (B. Croce, ree. a Max Scheler, Crisi dei valori, tr. it. di F. Siernhcim, Milano 1936, in «La Critica», 35, 1937, pp. 135-38). Contro la validità di tale giudizio, leggi E. Paci, Nola sull'etica di Max Scheler, in «La Nuova Italia», 13 (1938), pp. 50-53. 61 Com e noto, l‘‘ctica della situazione’ aveva trovato una sua certa tormulazione nel capitolo Die grosse Störung ilei Riimerhrief (Bcm 1919) di Karl Barth, ma è solo nel 1928, anno della morte di Scheler, che essa troverà la sua piena strutturazione filosofica a opera di E. Grisebach, nel saggio (iegenwart. Eine kritische Ethik, Halle 1928. M Oltre ai già citati Barth e Grisebach, ci limitiamo a ricordare E. Brunner, Das Gehet und die Ordnungen. Entwurf einer protestantischen Ethik, Tübingen 1932; H. Thielicke, Theologische Ethik, l, Tübingen 1951; P. Lehmann, Ethik als Antwort, München 1966. 6’ Cfr. E. Michel. Ehe. Eine Anthropologie der Geschlechtsgemein­ schaft, Stuttgart 1948; Th. Steinbüchel, Existentialismus und christliches Ethos, Heidelberg 1948; Idem, Christliche Lebenshaltungen in der Krisis der Zeit und des Menschen, Frankfurt a.M. 1949; A. Schüler, Verantwortung. Vom Sein und Ethos der Person, Krailling b.M. 1948; J. Fuchs, Situation und

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RELATIVITÀ E STORICITÀ DELLE VALUTAZIONI MORALI

della situazione storica in cui si radica la decisione responsabi­ le dell’individuo con l’esigenza della validità oggettiva e uni­ versale della legge morale. La responsabilità morale, in tale contesto, anziché contraddire la legge naturale, mirerebbe a sviluppare la dimensione tradizionale di coscienza, inserendo­ la in un rapporto personale e diretto con Dio: l’individualità darebbe origine alla realizzazione originale concreta della leg­ ge naturale. Nell’esaltazione dell’autorità della coscienza individuale e nell’intento di sostituire all’universalità di un contenuto eti­ co l’individualità di un atteggiamento vocazionale determina­ to dalla (atticità della situazione, luetica della situazione’, so­ prattutto nella prospettiva protestantica, presenta non pochi elementi che inducono a caratterizzarla come inficiata di sog­ gettivismo, di relativismo e di positivismo morale, nonché di formalismo etico esistenziale. Ciò non toglie tuttavia che essa, al di là di un radicale attualismo etico, abbia posto in giusto rilievo il valore della verifica della situazione concreta come fattore essenziale dell’atto morale, la dimensione personale dcll’agire morale e l’ineffabilità della vocazione etica. Nella sfera della tensione dialettica tra legge naturale e storicità, la Situationsethik ha evocato l’esistenza di una morale indivi­ duale d’indole positiva che non può e non deve trovare una sua adeguata ed esaustiva tematizzazione in un’etica materiale generale. Richiamate tali note introduttive, si può considerare Max Scheler fautore delP’etica della situazione’? Tenendo conto della compresenza, nell”etica della situazione’, di fattori contraddistinti non sempre omogenei, ci pare che non poche considerazioni autorizzino a non dare una risposta recisa alla domanda. Scheler, preoccupato di rivendicare l’oggettività dei valori e degli atti con cui essi vengono colti, ha riposto l’istan­ za suprema e ultima dell’intuizione dei valori morali non nella coscienza individuale, ma nel discernimento oggettivo, nell’autodatità degli stessi valori. Ciò c confermato dal ripudio di una malintesa soggettività o libertà di coscienza. La stessa prospettiva del ‘bene in sé per me’, lungi dal sostituirsi al

Entscheidung, Franktun 1952 (con bibliografia). Sugli ultimi sviluppi della tematica, cfr. K. Rahner, Zur ‘Situationsethik' aus ökumenischer Sicht, in Schriften zur Theologie, VI, Einsiedeln 1965, pp. 537-44.

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RELATIVITÀ I STORICITÀ DLLLL VAU.'TAZIONI MORALI

discernimento oggettivo del bene comune e ai principi univer sali, li presuppone come ‘necessari’ e con ‘pari rigore e ogget­ tività'. Se Scheler ha evidenziato con tanto vigore le variazioni storiche in seno all 'ethos, alle norme etiche e alle ‘unità tipi­ che’, ha anche messo in guardia dalle illusioni della coscienza e dagli pseudovalori inerenti all 'ethos di un’epoca e distinto opportunamente la variazione del mondo dei beni concreti dalla variazione delle idealità axiologiche, la relatività e la sto­ ricità delle valutazioni axiologiche dal relativismo e dallo sto­ ricismo etico. L’aver attidato all 'etica filosofica’ il compito di una verifica critica della supposta evidenza òeW'ethos e l’aver ricuperato fenomenologicamente l’essenza delle ‘unità tipiche’ attestano chiaramente che si ritiene essenziale la discrimina­ zione del bene dal male, indipendentemente da qualsiasi si­ tuazione e dalla stessa volontà divina. L’intenzione retta, il principio di coerenza interna o di lealtà non sarebbero pertan­ to esaustivi o sostitutivi dell’ordine oggettivo della moralità. D’altra parte, non mancano nelle articolazioni della fe­ nomenologia personalistica referti e accenti che richiamano non pochi aspetti della tematica dell’etica esistenziale. A parte il rilievo che in Scheler la decisione della coscienza si ispira all’intuizione della persona anziché alla ragione e rifiuta ogni etica dell’autorità, si possono distinguere nella sfera dell’atto umano concreto, prospettato dalla sua etica, due aspetti: un aspetto tematizzato nell’ambito dei principi morali universali e uno strettamente individuale che, pur non essendo in con­ trasto con quelli, li supera, come un di più che non può essere regolato da essi. Tale aspetto individuale è motivo di esperien­ za personale e, come tale, può risultare incomprensibile per gli altri. Scheler ha più volte ribadito il darsi di principi etici che non hanno validità universale, che sono peculiari non sol­ tanto a una razza, a un popolo, a una comunità di persone, ma a un solo individuo, e per di più soltanto in un determina­ to momento evolutivo della sua storia morale o in una deter­ minata situazione esistenziale. L’universo axiologico non vie­ ne colto una volta per sempre e non è aperto a tutti gli esseri personali. E la teoria del ‘prospettivismo axiologico’, che non ha nulla da condividere con il ‘prospettivismo etico’ propu­ gnato da Ortega y Gasset, secondo il quale non si dà una normativa universalmente valida ed «è un errore considerare la morale come un sistema di proibizioni e di doveri generici, uguali per tutti gli individui. Questa è una astrazione. Sono 381

ri :i .ati\ tt A r. storicità d i .i .u vai ittazioni morati

assai poche, seppure ve ne sono, le azioni assolutamente catti­ ve o assolutamente buone»; conseguentemente «quello che è bene per un uomo è male per un altro»“ . Secondo Scheler, pertanto, la coscienza morale, intesa come forma-di-economizzazione individuale del discernimen­ to morale, nella misura in cui trascende i principi universali e si sottrae a un criterio statico, immutabile e astratto, riscatta il diritto dell’individuo morale in quanto individuo. C’è anche di più: Scheler non solo ammette una storicità nei contenuti costitutivi della coscienza axiologica, nelle norme etiche, nelle regole preferenziali e negli stessi ideali etici, a seconda del variare del movimento dell’amore e del grado differenziato di discernimento e di formazione intellettuale e morale; non solo ammette che la condotta del genio morale può dissociarsi dal­ la morale consueta, ma ritiene addirittura che la piena eviden­ za di un contenuto deontologico-axiologico la si percepisca soltanto nella misura in cui ognuno applica a se stesso tale contenuto «e soltanto in un unico caso»” . Lo stesso discerni­ mento pienamente adeguato dei valori morali puri e del bene assoluto è accessibile a poche individualità. In ultima istanza, la teoria scheleriana del ‘bene in se per me’ consente di pro­ spettare «qualcosa di diverso per una stessa situazione»“ , contemplando così la possibilità di condotte morali diversifi­ cate e addirittura tra di loro contrarie, pur non in contraddi­ zione con le esigenze etiche naturali e generali'’1. Concluden­ do, a noi pare che il personalismo etico scheleriano sia alimen­ tato da non poche istanze proprie dell 'etica esistenziale’ d’ispirazione cattolica7“, nella misura in cui tenta di armoniz-

^ I. Ortega y Gasse!, Ohras completai, Madrid 1950-62*2*, voi. Il, pp. 407, 409. H Cit. « Cit. M O r. anche Orda Arnoris, in Nachlass, 1, p. 351. Dietrich von Hil debrand, invece, uno ira gli studiosi di Scheler che maggiormente risentì della lettura di Der Formalismus, rifiutò decisamente i principi dell’etica della situazione. Ma, se si legge attentamente la sua critica, ci si accorge facilmente che essa non intacca minimamente la misura interpretativa data ai principi dell’etica della situazione da Max Scheler (cfr. D. von Hilde brand, Veri e falsi principi di morale, tr. it., Brescia 1962, pp. 149-75). 70 A noi non preme accostarci al problema concernente la misura in cui l’etica di Scheler denoti aspetti affini al protestantesimo o al cattolicesi mo. Di -ciò si è occupata già una larga e nota letteratura tedesca, maggior

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RIXATIVITA IL ST< WIC1TÄ DKI.I.K VAI.UTAZH )M M( »KAM

zare l’ampiezza del cosmo etico con la singolarità della voca­ zione personale. Siamo anche personalmente persuasi che, as­ sieme agli universali assoluti che regolano l’agire morale co­ mune, si diano alcuni universali che potremmo chiamare ‘rela­ tivi’, come Io sono i ‘tipi’, più consoni al Dasein concreto che all’uomo astratto. Ogni uomo, nella misura in cui è una irripe­ tibile individualità morale e non una semplice realizzazione dell’essenza astratta ‘uomo’, possiede, assieme agli ideali mo­ rali assoluti, un suo etotipo, caratterizzato dalla struttura irri­ petibile della sua coscienza morale, dalla sua peculiarità psico­ somatica e dal suo grado di maturazione morale, il che confe­ risce una dimensione ineffabile alla sua vocazione morale. mente interessata a tale tematica. A noi pare che in Scheler modi di pensare vicini al cattolicesimo si intreccino facilmente con modi di pensare propri del protestantesimo, nella stessa misura in cui l’antropologia e l’etica impli­ cano in lui non rare volte tematiche di carattere soprannaturale (per esem­ pio, la caratterizzazione cristiana dell’arnore. la (unzione di certi uomini religiosi, l'esperienza di Cristo come 'santo originario’, l'incidenza della rive­ lazione per cogliere alcuni attributi divini ecc.l. Concordiamo sostanziai mente con F.klund (come si esprime in Evangelisches und Katholisches in Max Schelers Ethik, Uppsala 1932), secondo cui la concezione della Chiesa come comunità di amore c il principio di solidarietà morale sono d’ispira­ zione cattolica (pp. 56-64, 268-309), mentre il dualismo natura-spirito (p. 49 s.), l'accentuazione della relazione di ‘discepolo’ come espressione fonda­ mentale dell'atteggiamento morale (pp. 132-38, 151-53), il primato del valo­ re morale della persona sulle opere (pp. 118-27), un'aspirazione a rinnovare l’atto di amore divino così accentuata da prevalere sulla ricerca di un bene ontologico (pp. 104-107) richiamano tesi protestantiche. Non ci pare tutta­ via - come ritiene il suddetto studioso - che la coscienza individuale sia per Scheler l'organo supremo della conoscenza dei valori morali e la fonte del­ l’atto religioso, quasi che la libertà personale venga esaltata a discapito dei valori universali (pp. 217, 221 s.). Sarà anche, forse, utile riferire che, secon­ do Hcinemann, Scheler «im Cìrunde seines Wesens war niemals ganz Kat­ holik» (F. Meinemann, Neue U/ege der Philosophie, cit., p. 350). Di parere opposto è invece il discepolo Mildebrand, il quale conclude la sua ricerca (.Vfax Schelers Stellung zur katholischen Gedankenwelt, in «Der katholische ( icdanke», 1, 1928, pp. 445 59) con l'affermazione che Scheler, fino al 1922, si sentì pienamente cattolico, anche se non visse oggettivamente da vero cattolico e nonostante le sue stesse dichiarazioni posteriori con cui egli affermò di non essere mai stato cattolico fino in fondo (cfr. Christentum und Gesellschaft, in Schriften zur Soziologie, p. 224). Nello stesso modo si espri­ me Messen, amico di Scheler (J. Hessen, Max Scheler Eine kritische Einfüh­ rung in seine Philosophie, cit., p. 134, n. 4). Sull’argomento in questione cfr. anche R. Schacffler, Die Werke, die Religion und das Christentum. Max Scheler und die katholische Theologie, in Die Wechselbeziehungen zwischen Philosophie und katholischer Theologie, Darmstadt 1980, pp. 142-86.

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XVII RILEVANZA AXIOLOGICA ED ETICA DELIA PERSONA

I.

ANALISI FENOMENOLOGICA DELLA PERSONA

Nella prefazione alla seconda edizione di Der Formalismus (1921) Scheler rileva l’importanza del principio che «subordi­ na ogni valore ai valori di persona», il che gli consente di intendere l’etica come ‘personalismo rigoroso’ (strenger Perso­ nalismus)'. Nicolai Hartmann ha ravvisato giustamente nel problema antropologico il fulcro unitario del pensiero scheleriano12, il che è convalidato dallo stesso Scheler: «il problema 1 Der Formalismus, pref. alla 2* ed., p. 14 s. 2 «Im Grunde ist es ein einziges zentrales Problem, das ihn auf allen seinen verschlungenen Wegen zeitlebens geleitet hat: das Problem des Menschen. Psychologie und Metaphysik, Erkenntnistheorie und Soziologie, Ethik und Ontologie - sie alle konvergierten ihm in dem einen Gegenstän­ de, dem Eernsten und zugleich Nächsten. Von dieser gross angelegten Kon­ vergenz Rechenschaft zu geben, war der Plan seiner Anthropologie»: cfr. N. Hartmann, Max Scheler, in «Kant-Studien», 33 (1928), p. XVI. Non di­ versamente si esprimono altri critici: per Peter Wust «so laufen gleichsam alle Radien dieser Philosophie in dem einen Mittelpunkt der spekulativen Anthropologie zusammen» (P. Wust, Max Schelers Lehre vom Menschen, in «Das Neue Reich», 11, 1928-29, p. 102); per Fritz Heinemann nasce con

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Rll.KVÀNZA AXlOUXilCA I I) ITTICA DI 1.1.A 1*1 RS< )NA

‘che cos’è l’uomo e qual è il suo posto nell’essere’ mi ha essen­ zialmente occupato più di ogni altro problema filosofico fin dal primo nascere della mia coscienza filosofica»*; «in un cer­ to senso tutti i problemi centrali della filosofia possono essere riportati alla domanda che cosa è l’uomo e quale situazione e posto metafisico egli occupa in seno alla totalità dell’essere, del mondo e di Dio»456. Con tale interesse egli ha acuito non poco il riversarsi di tutta la filosofia contemporanea sulla te­ matica dell’uomo, e, nel ravvisare nella nostra «la prima epoca in cui l’uomo è diventato a se stesso ‘problematico’ in modo pieno e senza riserve»’, sembra rivivere con accenti moderni l’agostiniano «quaestio magna factus sum mihi» e preludere alla problematica heideggeriana dell’uomo in quanto essere befragtes''. I limiti della nostra indagine ci esimono dall’urgen-

Schclcr «die erste Anthropologie des neuen Zeitalters seit Lotzc» (I*. Hei­ nemann, Neue Wege der Philosophie, eit., p. 363), secondo Eürich Rothaeker, l’uomo, nel pensiero evolutivo di Schclcr, «wird [...] als Treffpunkt von Trieb und (ieist das eigentliche Thema der Metaphysik» (F. Rothaekcr, Schelers Durchbruch in die Wirklichkeit. Bonn 1949, p. 20). Concludiamo col giudizio di uno dei più fedeli discepoli di Schclcr, Landsberg: «à l’origi­ ne d’une philosophic il y a toujours unc Situation intolérablc, il faut en sortir [...]. L’intolérable pour Schclcr, c’cst qu'il n’y a pas d’ordre dans cet univers auqucl il s’est abandonne, qu’il ne connait ni sa place dans cet univers, ni sa vcritablc relation avee l’univcrs et avee Dieu. La vérité qu'il cherche tonte sa vie, c’est la place de l'homme dans le cosmos, c esi sa propre place dans le cosmos» (P.L. Landsberg, Prohlemes du personnalisme, Paris 1952, p. 171 s.). 5 Die Stellung des Menschen im Kosmos, pref. alla I* ed., in Späte Schriften, p. 9. 4 Zur Idee des Menschen, in Vom Umsturz der Wirte, p. 173. ’ Mensch und Geschichte, in Philosophische Weltanschauung, in Späte Schriften, p. 120. 6 f leidegger definisce l’interpretazione fenomenologica della persona data da Husserl c da Schclcr «più radicale e penetrante» rispetto a tutte le correnti del ‘personalismo’ derivanti da Dilthey c da Bergson e a tutte le tendenze orientate nel senso dell’antropologia filosofica (M. Heidegger, Sein und Zeit, $ 10, Tübingen 1953', p. 47). A sua volta Martin Buber considera l’antropologia di Schelcr, dopo quella di Heidegger, «il secondo grande tentativo del nostro tempo di trattare il problema dell’uomo come problema filosofico autonomo, uscito fuori dalla scuola di Husserl [...]. A differenza di Heidegger, Seheler si rifiuta dall’astrarre dalla concretezza dell’uomo, quale si presenta nella sua integralità, per limitarsi a considerare l ‘esistenza’, cioè il suo comportamento nei confronti ilei proprio essere come il solo elemento metafisicamente essenziale. Per lui, si tratta di una concretezza senza residui c senza parzialità: in altri termini, secondo la sua concezione,

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RILKVANZA A X IO U X atjA I U LTK.A IH.I-l-A PliRSONA

za di dare un’analisi esauriente delle ricche articolazioni che animano l’antropologia schcleriana. intesa come scienza della struttura essenziale dell’uomo, sia in quanto ens amans, sia nel suo rapportarsi con la comunità sociale, con il mondo spiri­ tuale, psichico e fisico, e con l’ultimo fondamento filosofico. Per il momento a noi preme stabilire il rapporto che intercor­ re, in Scheler, tra l’etica e il ‘personalismo rigoroso’. Se, per­ tanto, assumeremo l’avvio dalla «concezione teoretica della persona in generale»7*,faremo ciò esclusivamente nella misura in cui alcuni cenni di tale trattazione giovano a illuminare la rilevanza axiologica ed etica della persona". Lo stesso Scheler non ebbe il tempo di offrirci una trattazione sistematica di tale antropologia. Noi ci limiteremo a coglierne alcuni aspetti fondamentali, stralciandoli soprattutto, oltre che da Der For­ malismus, dalla lettura di Wesen und Formen der Sympathie, Tod und Fortlehen, Die Idole der Selbsterkenntnis, Vorbilder und Führer, Vom Ewigen im Menschen, Die Stellung des Men­ schen im Kosmos. L’antropologia schcleriana si muove tra due piani, che inten­ dono rivendicare, per un verso, l’originarietà del senso del­ l'uomo, irriducibile a ogni interpretazione positivistica, natu­ ralistica e biologistica e, per un altro verso, la rilevanza del­ l’elemento infraspirituale, come parte essenziale di quello che Scheler definisce la «struttura della nostra esistenza umana integrale»9. E la dimensione spirituale che, secondo Scheler, funge da elemento unificatore di ogni attività tipicamente umana, così come l’io è la forma unitaria dei fenomeni psichici o degli oggetti della percezione interiore e il Leib, o corpo vivente umano, è la forma unitaria delle sensazioni organiche. Per spirito (Geist) Scheler intende la dimensione che trascende la

ciò che distingue l'uomo dagli altri viventi dev’essere compreso soltanto in connessione con ciò che l'uomo ha in comune con essi; e questo deve essere trattato in modo tale che ciò che v’c di comune renda riconoscibile quanto v'è di specifico nell’uomo» (M. Bubcr, Il problema dell'uomo, tr. it. a cura di l'.S. Pignagnoli. Bologna 1972, p. 167 s.). 7 Cfr. Der Formalismus, pp. 370-469. * «I.a glorificazione delle persone [...] rimane il significato morale di tutto l’ordine etico» (Der Formalismus, p. 495). 9 Ibidem, p. 334.

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RIU VANZA A X m u X U C A F.D ETICA DI.1.1.A PERSONA

sfera del vitale e si configura come l'insieme degli atti intenzionanti. di carattere emozionale, teoretico e volitivo11'. Tale caratterizzazione originaria dello spirito non verrà mai smenti­ ta dall’autore11, neppure nella fase finale del suo pensiero, in cui, contrariamente a quanto sostenuto precedentemente1012*1456, verrà negato ogni carattere di personalità all’essere infinito”. L’indipendenza dal mondo organico-vitale consente, in parti­ colare, allo spirito una radicale apertura al ‘mondo’ (Welt), cioè alla totalità delle essenze, disancorato da ogni riferimento esistenziale, dotato di validità oggettiva e apriorica e, come tale, irriducibile al ‘mondo ambientale’ (Umwelt) che assorbe l’ambito operativo dell’animale. «La caratteristica fondamen­ tale di un essere spirituale [...] consiste nel suo sottrarsi esi­ stenziale a ciò che è organico, nella sua libertà, nella capacità che esso, o meglio il centro della sua esistenza, ha di svincolar­ si dal potere, dalla pressione, dal legame con la ‘vita’ [...]. Un essere spirituale non è più pertanto legato alla tendenza c all’ambiente, ne è ‘libero’ e perciò ‘aperto al mondo’»”. Anzi «tale capacità di separare l’essenza e l'esistenza costituisce il carattere fondamentale dello spirito umano, che è di fonda­ mento per ogni altro carattere»1’. Da tale capacità dipenderà il potere dello spirito di essere ‘autocosciente’ o ‘sovracosciente’ (überbewusstes Sein) - come si esprime in Über Scham und Schamgefühl'1’ - e di essere insieme ‘inoggettivabile’, cioè di trascendere gli atti con cui oggettivizza la propria psiche e il proprio corpo e, in genere, il mondo cosale e oggettuale lega to alla categoria spazio-temporale, e di caratterizzarsi come assoluta soggettività: «lo spirito è l’unico essere che è incapace di essere esso stesso oggetto; esso è pura attualità e ha il suo essere esclusivamente nel libero compimento dei propri atti»'1.

10 Col termine spirito si intende «die gesamte Sphäre der Akte [...I, alles was das Wesen von Akt, Intentionalität und Sinnerfülltheit hat» (ibi dem, p. 388). 11 Cfr. ibidem, pref. alla 3* ed., p. 17. 12 Cfr.. per esempio, ibidem, pref. alla 2‘ ed., p. 16. 15 Cfr. per esempio. Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Spile Schriften, p. 32. 14 Ibidem. 15 Ibidem, p. 42. 16 Uber Scham und Schamgefühl, in Nachlass, l, p. 151. ’ 17 Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 39.

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RILEVANZA AXIOUXilCA KD LTICA DELLA PERSONA

A differenza dell’io e del Leib, l’atto, inerente allo spirito, non può essere anche un oggetto; esso può essere «vissuto soltanto nel compimento» ed essere «dato soltanto nella riflessione». «Un atto non può dunque mai divenire oggetto di un secondo atto in un certo modo retrospettivo»1*. La ‘riflessione’, pur rendendo possibile la conoscenza dell’atto, non lo rende tutta­ via ‘oggetto’. Si tratta di una attività concomitante, non ogget­ tivante. La struttura fenomenologica della persona è inserita da Scheler in quella più generale dello spirito. Contro ogni concezio­ ne trascendentalista della persona, egli affida a essa il compito di conferire concretezza e forma esistenziale allo spirito. Lo spirito diventa concretamente individuale e soggettivamente irripetibile soltanto in quanto si esprime come persona. La persona è «la forma di esistenza (Existenzform) dello spirito essenzialmente necessaria e unica nella misura in cui si tratta di spirito concreto»lv; è il «centro attivo (Aktzentrum) concre­ to dello spirito»*20. A essa Scheler attribuisce inoltre il compito di unificare la molteplicità e la differenzialità essenziale degli atti. La persona, così, in tanto è spirito concreto in quanto è «concreta unità ontologica (Seinseinheit), essa stessa essenzia­ le, di atti diversi per essenza»21, cioè la concretezza dello spiri­ to si traduce in concretezza unitaria di atti. I due aspetti sono espressione di una medesima istanza nella misura in cui la persona incarna la concretezza ontologica dello spirito, unifi­ ca gli atti differenti per essenza. E in virtù di tale originaria concretezza unitaria, di ca­ rattere ontologico, che «l’essere (das Sein) della persona ‘fon­ da’ (fundiert) tutti gli atti essenzialmente diversi» e «precede di per sé (non quindi per noi) ogni differenza essenziale degli atti»22. Nessun atto, inclusi gli atti della percezione esterna, può pretendere all’intenzionalità e al compimento nell’ambito della riduzione fenomenologica se non in quanto trova il suo

'* Der Formalismus, p. 374. Ctr. anche Über Scham und Schamgefühl, in Nachlass, l, p. 151. w Der Formalismus, p. 389. 20 Vom Wesen der Philosophie, in Vom F.wigen im Menschen, p. 85; dr. anche Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 39. 21 Der Formalismus, p. 382. 22 Ibidem, p. 382 s.

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KllJlVANZA AXKHXXJICA ED ETICA IMJJ.A PI.KM )NA

«punto di partenza unitario»2’ nella persona. Le essenze degli atti divengono ‘concrete’, cioè riferibili al loro poter essere e al loro compimento, e come tali si sottraggono a un carattere di astrattezza, solo se riferite a una unità ontologica anch’essa concreta, a un loro ‘agente’ ( Vollzieher) individuale: «soltanto con l’appartenenza all’essenza di questa o di quella persona individua gli atti si concretizzano in essenzialità concrete»*2425*. Tale configurazione è del resto confermata dalla dimensione attribuita da Scheler alla Gesinnung, intesa come mondo axiologico della persona2’, e, per quanto concerne l’ambito stretta­ mente morale, dalla tesi secondo cui non è l’atto volitivo ma Yesserc della persona a meritare originariamente le connota­ zioni ‘buono’ e ‘cattivo’2*’. Scheler intende così rifiutare la riducibilità della persona sia a ogni forma di coscienzialismo trascendentale sia a ogni forma di coscienzialismo psicologistico. Anticipando un raf­ fronto che verrà sviluppato ampiamente in un momento suc­ cessivo, non possiamo non arguire che l’interpretazione scheleriana della persona, anche se questa viene intesa come ‘cen­ tro di atti’, differisce sostanzialmente dalla concezione fichtiana dell’Io, sia perché Scheler intende conferire allo spirito la dimensione di concretezza propria della persona individuale, sia perché l’atto in Scheler non è prodotto dallo spirito, ma soltanto ‘fondato’ in esso, in un’accezione - come vedremo in cui la fondazione assume una dimensione gnoseologico-intenzionale di correlazione a un oggetto che è irriducibile all'at­ to. Per motivi in parte affini, la concezione scheleriana della persona è anche lontana dalle ambiguità idealistiche presenti in Husserl: pur condividendo con questi il carattere intenzio nante della persona, Scheler infatti conferisce a essa un carat tere concreto-esistenziale chiaramente ontologico27.

2* Vom Wesen der Philosophie, in Vom Ewigen int Menschen, p. HV 24 Der Eormalismus, p. 383. 25 Cfr. ibidem, p. 171. 2h A tale proposito Scheler ritiene che l’unità dell’uomo, a differenza di quella degli animali, è ‘con-costituita’ (mitkonstituiert) dal discernimento morale, il quale pertanto non c da considerarsi un semplice predicato ilei l’uomo (cfr. Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, in Nachlass, I, p. 198 e Der Formalismus, p. 294). 27 Giustamente Brecht, nel definire il problema della 'coscienza in tcnzionalc’ nella teoria della persona in Scheler e in Husserl, rileva la

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RILEVANZA AXK >LNA

Nella misura in cui la persona esiste esclusivamente in quanto agente concreto che compie atti. Scheler intende inol­ tre superare ogni concezione sostanzialista: «appartiene all'es­ senza della persona che essa esista e viva esclusivamente nel compimento di atti intenzionali»*11*'-, «lo spirito è [...] pura attua­ lità e ha il suo essere esclusivamente nel libero compimento dei suoi atti»2*-, «l’essenza della persona è in concreto intenzione e atto, ed essa non è né una cosa né una sostanza che ‘abbia’ o ‘compia’ una intenzione»*0. Da ciò emerge che la sostanzialità della persona rifiutata da Scheler è quella intesa come un ‘sub­ strato’ di fenomeni di carattere causale avente autonomia indi­ pendentemente dagli atti, che Scheler giustamente ravvisa nel­ la concezione cartesiana e, a nostro avviso erroneamente, an­ che in quella aristotelica; ma non viene rifiutata la sostanzialità intesa come autonomia esistenziale in sé e per sé, attuantesi negli atti. Entro questi limiti, egli applica talvolta il termine ‘sostanza’ alla persona". Scheler intende infine superare una particolare teoria attualistica della persona, secondo la quale la persona sarebbe soltanto «la x di un semplice ‘punto di origi­ ne’ di atti», ‘vuoto’ punto di origine di atti astratti, anzi totalità puramente formale rispetto alle parti’2. L’appartenenza degli atti alla persona individua concre­ ta e il darsi della persona soltanto nell’esperienza vissuta del compimento degli atti non comportano tuttavia che la perso­ na si identifichi con ogni singolo atto concreto. Essa, pur esKonkretisierung ilei primo rispetto al reines Bewusstsein del secondo (F’.J. Brecht, Bewusstsein und Existenz Wesen und Weg, der Phänomenologie, eit., pp. 50, 73). 2K Der Formalismus, p. 389. 24 Die Stellung des Menschen im Kosmos, in Späte Schriften, p. 39; ctr. anche l’espressione «kontinuierliche Aktualität» adoperata in Der For­ malismus, p. 103, nota 1. Tod und Fortlehen, in Nachlass, l, p. 47. Su tale argomento cfr. M. IA'hner, Das Suhstanzprohlem im Personaltsmus Max Schelers, Weida in Umringen 1926; W. Hartmann, Das Wesen der Person Suhstanzialität-Ak­ tualität. Zur Personlehre Max Schelers, in «Salzburger Jahrbuch für Philoso­ phie», 10 11 (1966-67), pp. 151-68. 11 Le persone «sind die einzigen Fälle 'selbständigen Daseins’ (Substanzen), die ausschliesslich in sich selbst individuici! sind» {Wesen und l ormen der Sympathie, p. 76). I,'autonomia intesa da Scheler è [XTtanto tale che ogni persona è individua in virtù della sua stessa essenza. O r., inoltre, ibidem, p. 131; Der Formalismus, pp. 383, 499 s. Der Formalismus, p. 383.

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RILEVANZA AXIOLOCilCA F.D ETICA DELLA PERSONA

sendo «tutta intera in ogni atto pienamente concreto», non ‘si esaurisce’ in nessuno di essi (ohne dass ihr Sein aufginge), in quanto li ‘fonda’ e li ‘precede’. Proprio perché si sottrae al­ l’identificazione con i singoli atti o con la somma di essi, la persona «varia tutta intera in ogni atto e mediante ogni atto», senza per altro che ciò comporti una sua adulterazione né una implicanza di successione temporale” ; essa, cioè, si modifica nella successione dei propri atti, senza con ciò divenire essa stessa successiva come i contenuti dei propri atti. In ultima istanza, l’identità della persona è data dalla sua natura dinami­ ca, di carattere intenzionale, dal suo rapportarsi essenziale al compimento degli atti; né il modificarsi compromette l’identi­ tà della persona, proprio perché è un modificarsi della stessa persona, nel quale permane il rapportarsi reciproco tra atto e persona. In ciò Scheler sembra situarsi tra due posizioni estre­ miste: tra una certa concezione classica che intendeva propu­ gnare l’immutabilità della sostanza e un certo esistenzialismo - e, in parte, il secondo Husserl - che tendeva a temporalizzare l’identità della persona. Volendo ulteriormente definire la dimensione caratterizzante della personalità, occorre precisare in che misura la persona si differenzia dal mondo dell’anima (Seele) o dell’io (Ich) e dal mondo del corpo (Leib), e in quale rapporto si pone col mon­ do (Welt). Il concetto di persona non è anzitutto assimilabile al concetto di uomo in quanto tale. La personalità è prerogati­ va dell’uomo che, pervenuto a un certo grado di maturità, può intenzionalmente vivere i propri atti in una unità signifi­ cante, il che si verifica nella condizione della sanità mentale, in quella della maggiore età (Mündigkeit) - che prescinde dal le determinazioni che ne dà il diritto positivo - e in quella della padronanza del proprio corpo’4. La personalità come tale deve pertanto negarsi al pazzo, al minorenne, ancora inet to a svincolarsi dal contagio psichico e dalla tradizione, e allo schiavo, il quale, non vivendosi e non sentendosi padrone del proprio corpo, non può disporre tramite esso delle cose este­ riori e diviene pertanto ‘cosa’ altrui. In quanto unità totalitaria di atti intenzionanti, la perso*•

Ibidem, p. 384. •M O r. ibidem, pp. 469-75. 392

RILEVANZA AXIOLIXIICA F.D ETIltA DELLA PERSONA

na si differenzia anche dall’io psichico che, quale forma unita­ ria delle percezioni interiori, non è soggetto agente, non può percepire alcunché, ma è puro oggetto della percezione inte­ riore, nei cui atti esso si manifesta. Come tale, l’io ha una sua individualità originaria, che consente ai fenomeni psichici, a differenza di quelli fisici, una reciproca compenetrabilità e una certa autonomia dalla successione temporale e dal riferi­ mento al corpo, anche se essi, in quanto vissuti, non possono non apportare una variazione nel Leib e non possono darsi nella loro effettività se non in quanto mediati dai sensi. Inol­ tre, mentre il correlato della persona è la Welt, il mondo psi­ chico si contrappone al ‘tu’ e al mondo esteriore'5. Per quanto concerne il rapporto della persona col mon­ do del Leib, cioè col corpo umano, un’analisi fenomenologica ili quest’ultimo pone in evidenza la sua originarietà, che lo diversifica sia dal mondo della persona sia da quello psichico sia da quello del corpo fisico (Körper). La peculiarità origina­ ria del fenomeno del Leib è data dal fatto che ogni uomo ha insieme la coscienza interna della presenza del proprio Leib e la percezione esterna di essa, in un contesto che dà luogo a una unità di identità (Identitätseinheit) che non consente una riduzione del Leib all’una o all’a ltr a E s s o assolve la funzione di «forma fondamentale che lega tutte le sensazioni organiche e fa sì che esse siano sensazioni di tale corpo umano e non di un altro»'7, mediando l’insieme delle percezioni interiori ed esteriori c causando l’insorgenza della natürliche Weltan­ schauung, cioè l’intervento sul mondo degli ‘oggetti pratici’ in (unzione delle esigenze organico-biologiche. L’originarietà del Leib, come del resto quella dell 'Ich, non vieta tuttavia a Scheler di tentare di risolvere in modo unitario il problema della struttura esistenziale umana: «il nes­ so tra Ylch e il Leih è per ogni coscienza finita un nesso essen­ ziale e non un nesso induttivo empirico o associativo»'", è cioè un nesso che si può cogliere soltanto tramite una intuizione essenziale. Tale collegamento ritrova per altro la sua definitiva15*7

15 OY. Die Idole der Selbsterkenntnis, in Vom Umsturz der Werte, pp. 237, 239; Der Formalismus, p. 409 s. ,fc Cfr. Der Formalismus, p. 399. 17 ibidem, p. 401. '* Ibidem, p. 402.

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RIUA'ANZA AXIOLI Kill A U ) ITICA IMll-A PNKM1NA

fondazione soltanto nella persona: «è alla medesima concreta persona unitaria che appartiene sia Vlch sia il Leih [...]. Sia Ylch sia il Leib trovano ia loro ultima individuazione nell'ap­ partenenza vissuta alla persona unitaria» Mentre poi la per­ sona perfetta è esclusivamente spirituale e i suoi atti si sottrag­ gono a ogni orizzonte del processo organico-vitale del Leih, il Leib appartiene alla persona umana in modo essenziale, anche se tale appartenenza non vieta alla persona, nel vivere il suo essere spirituale assolutamente inoggettivabile, di trascendere il Leib in quanto oggetto da esso intenzionato c di aprirsi a un mondo di dati-di-fatto puri (Welt)*3, tra cui i valori, e alla sfera dell’assoluto, la cui comprensione è svincolata dalla rela­ zione con il Leih*41. Non intendiamo sollevare la complessa problematica che il rapporto pcrsona-lch-Leib potrebbe suscitare. Ci limitia­ mo a osservare che, se per un verso Scheler riconosce espres­ samente l’essenzialità dell’appartenenza dell’io psichico e del corpo vivente alla persona umana, per un altro verso non eli­ mina del tutto ogni ombra di dualismo, nella misura in cui tutti gli atti, incluse le percezioni interne ed esterne, sono atti esclusivi della persona. Il Leib in particolare esercita, sì, una funzione mediatrice tra persona e mondo pratico, condizio-

w Wesen und Formen der Sympathie, p. 237. 4,1 O r. Der Formalismus, p. 392 s. Nella caratterizzazione di Dio come persona perfetta, non siamo dell’avviso di Temuralp. secondo cui Scheler adotterebbe un concetto di persona che prescinde dalla realtà psi­ chica e corporea soltanto per poter applicare tale concetto a Dio (cfr. T. Temuralp, Über die Grenzen der Erkennbarkeit hei Husserl und Scheler, cit., p. 1MÌ). Infatti, secondo Scheler, Dio non è semplicemente persona, ma persona perfetta, ed è tale perche esclusivamente spirituale. 41 L’appartenenza essenziale ( Wesenszusammengehörigkeit) del Leih alla persona è tale che, secondo Scheler, l’ipotesi della sopravvivenza della persona umana alla dissoluzione del corpo postula anche una certa con-pre senza del corpo (cfr. Tod und Fortlehen, in Nachlass, I, pp. -47-49). Du ricordare anche che per Scheler l’esperienza vissuta del poter fare mediante il Ijeih è considerata prerogativa costitutiva della personalità (c come tale e negata allo schiavo): «Person ist also da und nur da gegeben, wo ein Tunkön nen [...] ‘durch’ den Leib hindurch vorliegt» (Der Formalismus, p. 473). Non mancano, tuttavia, altri testi che non aiutano a dare un’interpretazione chiara e univoca del problema. Valga per tutti un passo tratto da Die Stellung des Menschen im Kosmos, in cui Scheler afferma che ciò che fa sì che l’uomo sia veramente ‘uomo’ c «un principio opposto (ein entgegengesetztes Prinzip)» alla vita dell’uomo c alla stessa sfera psichica (in Späte Schriften, p. 31).

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RILEVANZA AXK >Leriodo di Der Formalismus l’amore per il divino configurerebbero infatti l’essenza della persona (cfr. ibidem, pp. 21 s., 75 ss.). In particolare il dualismo etico, attualistico e metafisico tra personalità (Person), costituita dall'atto sorretto da un a priori alogico, ed essere psichico naturale umano (Mensch), che si differenzierebbe dall’animale solo per gradi, assieme alla tesi della partecipazione all’assoluto, sarebbe ereditato dall’idealismo attivo fichtiano, anche se filtrato dal neo­ idealismo attivo di Rucken (cfr. ibidem, pp. 25 s., 184 ss.). Questo parere sarebbe, almeno in parte, condiviso da H. Ileimsoeth, il quale nell’appendi­ ce al Lehrbuch der Geschichte der Philosophie di W. Windelband (Tübin­ gen Leipzig 195715, p. 661), osserva: «Grundsätzliche Intentionen der Fichteschen Lehre von der ‘Tathandlung’ [...] sind hier im Thema der Person fortgeführt worden». Noi ci limitiamo a osservare che l’atto conoscitivo porta, fin dallo Scheler della dissertazione, all’apparirc dclP’essere extramen­ tale’ (c questo, in verità, è ammesso dallo stesso Haskamp a p. 24). L'atto di amore inoltre non è riconducibile alla potenza volitiva dello spirito propria di Fichte, nella misura in cui è anteriore a ogni atto di conoscenza e di volontà. Infine la partecipazione scheleriana all’amore divino avviene, tranne che nell’ultima fase, in una prospettiva teistica. Osserva ancora Scheler: «Sieht man unsere Kantianer, Fichteaner usw., kurz alle jene die das Erken­ nen ‘formen’, ‘produzieren’, ‘gestalten’ lassen, näher an, so bemerkt man bald, dass gerade ihnen aller praktische Wcltkontakt meist völlig fehlt. Kein Wunder! Was brauchen sie zu wollen, zu handeln, zu formen, zu gestalten, ila sic ja schon durch Erkennen leisten zu können, ja zu müssen glauben, was Sache ausschliesslich des Wollcns und Handelns ist. Ihr erkenntnistheoretischcr Voluntarismus hebt echtes Wollen aut» (Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 1%, nota). Tra coloro che, invece, negano la legittimità di un’interpretazione di carattere idealistico, ricordiamo: H. Cietzeny, Um die Rchgionsphilosophie Max Schelers, in «Hochland», 21,1 (1923-24), p. 588 s.; J. Hessen, Max Scheler. Eine Kritische ein/iihrung seme Philosophie, cit., p. 20; |. Heber, Das Problem der Gotteserkenntnis in der Rehgionsphilosophie Max Schelers, cit., p. 8 s. Costoro sono unanimi nel ritenere che Scheler, pur prendendo l’avvio da Husserl, abbia una propria concezione della fenomenologia, lontana da ogni cadenza idealistica. 15 Der Formalismus, p. 393.

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SK.NII ICATO L LIMITI l U U DIMI \ * l ( INI: ONTOIX KIICA »IIU/ITH'-A SCIITI 1JUANA

so eidetico e axiologico e le correlazioni tra le essenze, ma, al contrario, sono le leggi dello spirito a radicarsi in correlazioni essenziali di carattere materiale e intuitivo. Che la fenomenologia non debba ex natura sua compor­ tare una risoluzione di carattere idealistico è chiaramente af­ fermato da Scheler anche nella sua polemica con Husserl: «la tesi di Husserl che le ‘essenze immanenti’ precederebbero le ‘essenze trascendenti’ e che conseguentemente le leggi eideti che della ‘coscienza di qualcosa’ dovrebbero divenire anche le leggi degli oggetti della coscienza [...] è in ogni caso una tesi che non deriva in alcun modo dal procedimento della riduzio­ ne»“’, per cui la ricerca di Scheler non intende assumere una valenza «immanente alla coscienza e idealistica (come adesso in 1lusserl), ma ontologica e realistica»17. l'ale connotazione viene anche confermata dalla teoria del ‘bene in sé per me’, che, pur perdendo di significato nel­ l’ipotesi della non esistenza della persona individuale, è tutta­ via ‘bene in sé’, e dall’altra teoria secondo cui non l’universo axiologico come tale, ma la percezione affettiva di esso può essere suscettibile di una maggiore o minore relatività e varia­ bilità storica. Sotto tale angolo prospettico, non c’è contraddizione, in un contesto fenomenologico, tra universo axiologico intenzio­ nato - come tale non separabile dall’atto intenzionante - e mondo di ‘valori esistenti in sé’ (an sich bestehende Werte), cioè oggettivi e indipendenti, nella misura in cui P‘in sé’ inten­ de precludere una concezione soggettivistica o relativistica del valore, non il carattere intenzionale che lo caratterizza. L’esi-

,fc Idealismus-Realismus, in Späte Schrifiten. p. 208; ctr. anche Du deutsche Philosophie der Gegenwart, in Wesen und Formen der Sympahtie, p. 311. L’osservazione di Scheler da noi riportata rivela una significativa consonanza con il suggerimento dato da L. Baudin: «i donner plus d’atten tion aux méthodes des phénomcnologues qu a leurs doctrines, partant olus d ’importance aux Logische Untersuchungen qu’aux Ideen et aux Meditations. (l'est en effet Ics mélhodes d ’analyse des csscnccs qui me paraissent l’essentiel du mouvement. et ce quo le relie le plus directement au travail philosophique du moyen àge» (li. Baudin, La Phénomenologte. in Journces d'etudes de la socteté thomiste, cit., p. 971. Restereblie comunque da vedere se una filosofia [xissa essere semplicemente un metodo o se essa non impli­ chi una visione teoretica. *' Die transzendentale und die psychologische Methode, pref. alla 2* ed. (L922), in Frühe Schriften, p. 201.

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sK.NII l( ATO E I IMITI DELLA DIMI NMONI: ONTOI.tXilCA DELIVkTK \ MHi l l RIAMA

stenza in sé del valore è in armonia, pertanto, con la sua ‘sog­ gettività’, intesa come espressione della sua correlazione essen­ ziale con la percezione affettiva della persona: «Cosa si vuole intendere quando si parla di soggettività dei valori ? Questo principio può significare che appartiene alla necessità essenzia­ le di tutti i valori una particolare forma di ‘coscienza di’, me­ diante la quale essi siano dati, che è precisamente la ‘percezio­ ne affettiva’. In questo senso l’espressione è esatta»"1. Si tratta quindi di un carattere ontologico relazionato e non di un ca­ rattere ontologico ipostatizzato: «la concezione fondamentale e reciproca tra atto e oggetto implica che non si possa presup­ porre anche una esistenza oggettiva (objektive Existenz) di va­ lori o di modalità di valori [...] se non si trovano modalità di atti e di funzioni appartenenti all’esperienza vissuta di tali mo­ dalità axiologiche»1''. Si spiega così come per un essere privo di sensibilità «non esiste alcun valore del piacevole», anche se egli è consapevole del dato di fatto che ci sono esseri dotati di sensibilità atti a percepire il valore del piacevole’1. Quando pertanto Scheler afferma che «il valore logico ‘valeva’ già pri­ ma del suo esser pensato» e che il bene in sé «c tale nel senso che esso è indipendente dal mio sapere»’1, a noi pare che egli si preoccupi di evitare una risoluzione di tipo idealistico quasi che le essenze siano enti logici - lesiva di quel carattere

■* Der Formalismus, p. 270. Non condividiamo, di conseguenza, le preoccupazioni di Luporini, il quale, nel tar notare, assieme alla tendenza 'oggettivistica' presente in Scheler, una «più nascosta, ma non meno efficace [...] opposta tendenza, mirante a rilevare l'aspetto creativo [...] dell’attività soggettiva», teme che le due tendenze non riescano sempre ad «accordarsi ed equilibrarsi» (C. Luporini, l.’ctica di Max Scheler, in «Studi Germanici». I, 1955, p. 522). Anzi, a nostro parere, per un contesto tenomenologico l'una c inseparabile dall'altra, nel senso appunto precisato da Scheler. E proprio tale sua precisazione ci induce, inoltre, a non accettare l'interpreta­ zione dello stesso Luporini, che vede nella tendenza soggettiva 1aspetto creativo’, a meno che questo termine non venga adoperato in un'accezione rigorosa. Infatti la persona, per Scheler, nel presentarsi come ‘coscienza di', come soggetto di percezione affettiva e come attività ‘compitrice’ di atti, non è principio della costituzione radicale del dato axiologico. ma semplice­ mente soggetto portante del valore, agente di compimento del significato iSinnerfüUtheit). Solo se intesa in tale accezione, l'attività soggettiva riesce ad «accordarsi ed equilibrarsi» con quella 'oggettivistica'. 19 Der Formalismus, p. 114 s. 2,1 Ibidem. 21 Cit. 425

sic, m u t a t o u u m it i d i :u .a d im i .n sio n i o n t i >i .( x ; iNli ONTOUKilCA DH.I. ITICA SCIIIIUUANA

tur ah mtellectu humano est [...] objectum; et secundaria cognoscitur ipse actus quo cognoscitur objectum et per objectum cognoscitur ipse intellectus»". Ma, poste tali premesse, diventa essenziale la distinzione operata da san Tommaso tra intelletto da cui la res intellecta «dependet secundum suurn esse» e intel­ letto «a quo lres] cognoscibilis est»*'. Mentre il pensiero divino è «causa rerum»*', cioè costitutivo inderivato, attuale e neces­ sario di ogni essere e conseguentemente di ogni verità, il pen­ siero umano è causa, non dell’essere, ma della conoscenza dell’essere. E, proprio nella misura in cui il pensiero umano produce nel giudizio la conoscenza dell’essere, produce anche la verità, non più in un senso originario e necessario, ma in un senso contingente e consecutivo o iterante rispetto al pensiero divino. Anche per l’uomo quindi la verità, pur desumendo il suo contenuto dall’essere - «verum fundatur in ente»*2 - in tanto è verità in quanto è pregnante di un rapporto trascen­ dentale con l’intelletto umano (ciò che viene espresso anche dal principio per cui la realtà è una natura sua intelligibile), secondo il principio «ratio veri ab intellectu ad rem intellectam derivatur, ut res etiam intellecta vera dicatur, secundum quod habet aliquem ordinem ad intellectum»*'. Si può conseguente­ mente affermare, nel tentativo di chiarire il rapporto intenzio­ nale tra atto e oggetto, che per san Tommaso il pensiero uma­ no è costitutivo della verità, ma soltanto in quanto ostensivo e disvelativo del fondamento della verità, cioè dell’essere, per cui non conferisce il significato originario a una struttura eide­ tica, ma si limita a evidenziarlo. È tale diversificazione fonda­ mentale tra attività dello spirito divino e attività dello spirito umano che ci sembra carente nel contesto noetico scheleriano, almeno nell’ambito in cui esso non è sorretto dalla fede, cui Schelcr demanda, in ultima istanza, la posizione della tra­ scendenza della causa prima, dell’essere personale divino real-

w Summa theologiae, I, q. 87, a. 3. 4,1 Ibidem, q. 16, a. 1. 41 Ibidem, q. 1-1, a. 9, ad 3. 42 Ibidem, q. 16, a. 3. 41 Ibidem, q. 16, a. I. Il principio di un rapporto essenziale, anche se (Hitenziale, dell'essere con la mente umana (principio dell’intelligibilità dclI essere) è presente anche in Scheler, nella misura in cui questi accenna al darsi di un mondo eidetico non ancora colto dalla comprensione della per­ sona umana e che tuttavia non le è precluso.

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SUINDICATO t LIMITI DUXA DIMENSIONI-: ONTOUX'.ICA OELLimCA SO Ila J JUANA

mente esistente e della libera volontà creatrice. Non che Scheler neghi una distinzione radicale tra lo spirito divino e quello umano, ma la distinzione da lui posta non impedisce - come vedremo successivamente in maniera più esplicita - che lo spirito divino sia, oltre che costitutivo del mondo eidetico, costituito da esso. Riteniamo ancora opportuno richiamare un altro aspetto di­ vergente in quel che concerne il carattere intenzionale della conoscenza. L’atto conoscitivo, pur esprimendo nella gnoseo­ logia tomistica una essenziale correlatività tra pensiero ed es­ sere, denuncia anche, per quel che riguarda l’atto conoscitivo umano, il carattere prioritario e fondante dell’essere sul cono­ scere, esprimibile mediante il concetto di ‘adeguazione’. Nella teoria tomistica l’essenza rappresenta il modo circoscrivente in cui l’essente fa parte dell’essere, per cui l’essere diventa l’ultimo fondamento di ogni essenza. Ciò posto, l’atto cono­ scitivo si limita a scoprire l’essere dell’essente, a collocare Tes­ sente nelTorizzonte dell’essere, inglobante in sé tutte le possi­ bili efflorescenze dei modi di essere. L’atto conoscitivo non fa che rendere consapevole o riflesso il fondamento dell’essenza sull’essere, svelando Tessere come fondamento dell’essenza e quindi della conoscenza di essa, fino al rinvio definitivo all’es­ sere spiritualmente sussistente44. Nell'analisi fenomenologica dell’intenzionalità del conoscere compiuta da Scheler non ve­ diamo assegnata all’essere una siffatta funzione prioritaria e fondativa; ciò non toglie che l’analisi rimanga in un contesto

w Com e noto, il fondamento metodologico e ontologico ilei rinvio del carattere contingente crcaturalc all'assoluto è dato, in Tommaso d’Aquino, dal principio di causalità, cui viene conferito un carattere metafisico. Anche a tale proposito si nota una radicale divergenza metodologica c teore­ tica dalla posizione filosòfica di Scheler. Secondo questi intatti, come già avemmo modo di accennare, l'essere in generale non solo c l'oggetto «.Iella prima e più immediata intuizione, ma anche l'oggetto della prima ‘meravi­ glia filosofica', mediante la quale, in un presupposto teoretico c morale di umiltà, l'uomo riesce anche a intuire che nulla gli e dovuto, riesce cioè a intuire la propria contingenza. Tale intuizione verrebbe |xii integrata dalla seeonda evidenza fondamentale secondo cui gli esseri non assoluti trovereb­ bero la loro fonte nell'essere assoluto. Per san Tommaso un'affermazione ilei genere non potrebbe costituire un principtum per se notum, e come tale sarebl>c del tutto gratuita, a causa della carenza dell'esperienza del carattere potenziale o diveniente (e quindi di effetto) dcH'essere-non-assoluto.

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SK 1NIII K_AT< ) E M M m OEM.A OIMI.NVK »NE NH>l.< XiK:A DM-LETICA SCHM.KR1ANA

decisamente ontologico, che assume una connotazione origi­ nale, non riconducibile cioè ad altre dimensioni conferite al termine ‘essere’ al di fuori del movimento fenomenologico'1’. La correlazione tra atto e oggetto, in Scheler, è più descritta che fondata o, se è fondata nella misura in cui la verità «pre­ senta sempre un carattere di recettività (Empfangen), non un carattere di produzione (Leisten), di fattività (Machen), di for­ mazione (Gestalten)»4h, non viene tuttavia posto con pari chiarezza e vigore il rapporto tra oggetto-essenza ed essere fondante. Anche se Scheler attribuisce alla percezione affetti­ va soltanto la funzione di «‘coscienza di’, mediante la quale essi fi valori] sono dati»47, le attribuisce cioè la funzione di manifestatività o datità e non di produzione del contenuto ontologico e axiologico, e anche se egli intende il fenomeno come «datità dell’essere stesso», tuttavia, nella misura in cui il fenomeno è il punto di incontro tra l 'inteso’ c il ‘dato’, non si vede chiaramente se l’essere si esaurisca nel ‘dato’ essenziale o se il ‘dato’ postuli una ulteriore fondazione di carattere onto­ logico. E indubbio che la prima evidenza fondamentale, quel­ la dell’essere in generale, è prioritaria rispetto a qualsiasi mo­ dalità dell’essere (essenza ed esistenza, essere come oggetto ed essere come atto, essere reale ed essere ideale, essere divino ed essere mondano, essere di valore ed essere privo di valore); ma in ciò Scheler sembra rimanere su un piano di puri rap­ porti di essenze, senza riuscire a definire chiaramente il prin­ cipio della fondazione del mondo eidetico sul piano dell’essere in generale, molto meno poi su quello dell’essere spirituale assoluto. Del resto rimane sempre da chiedersi se tale proble­ matica sia inerente alla natura della teoria fenomenologica ilella conoscenza; a noi pare che, in un contesto puramente fenomenologico, le essenze non si possano indagare al di là della loro immediata presenza e che pertanto il problema on-

•’ La denotazione di 'realismo ingenuo’ data da alcuni interpreti al­ l'ontologia scheleriana (cfr. J. f feber, Das Problem der Gotteserkenntnis in der Religtonsphtlosopbie Max Schelers, cit., p. 78 s.; A. Altmann, Die Grund­ lagen der Wertethik: Wesen. Wert, Person, cit.. p. 19) ci pare non tenga in debito conto la correlazione essenziale tra atto c oggetto inerente all'analisi lenonienologica del dato, limitandosi a evidenziare il carattere di indipen­ denza c ili trascendenza del dato rispetto alla coscienza. 46 Der Formalismus, p. 197, nota 2. 47 Ibidem, p. 270.

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SANIFICATOI LIMITI DU.1ADIMENSIONEONTOUX.ICADIILI.‘ETICASCHIXLKIANA

tologico della loro fondazione sia di per sé estraneo alla loro datità. 11 fenomeno infatti - come verrà ancora precisato da Heidegger - si limita essenzialmente a indicare se stesso, ad autosvelarsi, senza la pretesa di un autotrascendimento o di un rinvio ad altro da sé; è fenomeno di sé e quindi fenomeno ultimo c definitivo. Se si vuole coinvolgere la tematica dell’es­ sere, questa coincide di per sé con la tematica dell’essenza-fenomeno. Inserita in tale prospettiva, la teoria fenomenologica non può non trovarsi in difficoltà quando vuole instaurare il passaggio dal carattere ostensivo a quello costitutivo-fondativo. Scheler - lo vedremo ancora - si è posto di fatto la temati­ ca della fondazione ontologica delle essenze oggettive, ma lo ha fatto con estremo disagio da un punto di vista squisitamen­ te filosolico-fenomenologico, e non andando al di là di una relazione costitutiva reciproca tra spirito assoluto e mondo del­ le essenze, relazione che pertanto finisce per essere soltanto di natura gnoseologico-intenzionale"1. E emerso tuttavia chiara­ mente che l’interpretazione da lui data al fenomeno riveste una valenza decisamente ontologica, che la rende assai disco­ sta dall’interpretazione husserliana, per la quale le essenze so­ no il termine intenzionale dell’atto conoscitivo nell’orizzonte costitutivo della coscienza trascendentale'1''.

4X A proposito del rapporto tra ontologia e deismo in Scheler, Kuhn ha creduto di ravvisare nell'ontologia di Scheler una thcistischc Ontologie non molto lontana dalla metafisica tomistica (il. Kuhn, Max Scheler im Rückblick, in «Hochland», 51, 1958-59, p. 529). A noi pare che rafferma zione di una originaria conoscenza immediata dell'esistenza di Dio per rive­ lazione - anche se da intendere in un contesto fenomenologico, cioè come intuizione immediata di una essenza nel dato deH’espcrienza o tramite il rivelarsi di Dio nella relazione simbolica che le cose finite hanno con lui, e pertanto al di là di ogni tesi ontologistica - sia assai lontana dalla tesi tomi­ stica della dimostrabilità razionale dell'esistenza di Dio c della negazione di una intuizione immediata di essa. Di questo parere sono anche, per esem­ pio, K. Eschweilcr, Religion und Metaphysik. Zu Max Schclers «Vorn Ihrigen tm Menschen», in «Hochland», 19, 1 (1921-22), pp. 470-76; .1. Geyser, Max Schclers Phänomenologie der Religion, cit., pp. 46-55; Idem, Augustin und die phänomenologische Religionsphilosophie der Gegenwart, cit., pp. 167-72; G.I’r. Klcnk, Wert, Sein, Gott ihre Beziehungen wertphilosophisch und neo­ scholastisch geschaut, cit., pp. 187-99. ** Solo in tal senso condividiamo la recisa affermazione di Hessen: «Scheler war durch und durch Metaphysiker» (J. Hessen, Max Scheler. Eine kritische Einführung seine Philosophie, cit., p. 110).

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SKiNIIKIATO I. I.IM m DU.1.A DIMENSIONI; ONTOUK'.ICA DEI.I.ETICA SCIIIXUUANA

Inoltre, mentre per Tommaso d’Aquino l’atto conoscitivo è opera della facoltà intellettiva, per Scheler esso è un atto di partecipazione sorretto da ciò «che noi chiamiamo amore nel suo senso più proprio» e che è la sorgente di ogni atto dello spirito. 11 concetto di partecipazione non è di per sé alieno dalla gnoseologia tomistica: lo stesso Scheler ricorda che per san Tommaso, come già per Aristotele, l’anima «est quodamrnodo omnia»"10. Ma si tratta pur sempre di una partecipazione di carattere razionale. Lo stesso carattere intuitivo, ostile a ogni mediazione rappresentativa, col quale, nella visuale fenomenologica, ven­ gono colte le essenze, stride col carattere rappresentativo della conoscenza, inerente alla visuale tomistica. Anche se per Tommaso d’Aquino la species non è «id quod intelligitur», di modo che «ipsa cognita per intellectualem visionem sunt res ipsae et non rerum imagines»", tuttavia - come ci ricorda an­ cora Scheler5-’ - l’atto conoscitivo, in quel contesto noetico, coglie la res nella sua rappresentazione e non in un contatto intuitivo immediato e diretto. Gli stessi primi principi, benché posseduti potenzialmente dalla mente umana, passano allo stato attuale in dipendenza dall’esperienza e sempre mediante le «species a sensibilibus abstractas»". La divergenza dalle istanze fondamentali della gnoseologia scheleriana non poteva essere più evidente: Scheler non conferisce alla sensazione un carattere intenzionale, riconducendola a semplice modifica­ zione organica con funzione vitale pratica, così come non ac­ cetta il principio di un’astrazione che abbia una connotazione rappresentativa, anche se solo come veicolo e non come «id quod cognoscitur». L’astrazione eidetica’ (eidetische Abstrak­ tion) di cui parla Scheler50512*45o quella ‘ideatrice’ (ideierende Ab­ straktion) cui accenna Husserl” non hanno pertanto nulla da condividere con l’astrazione tomistica, in quanto sono sinoni50 Die Formen des Wissens und die Bildung, in Philosophische Welt­ anschauung, in Späte Schriften, p. 90. 51 De Ventate, q. 10, a. 4, ad 1. 52 «[...] etwas als [...] objcctiv bestehende Formen der Dinge abbil­ den» (F.rkenntms und Arbeit, in Die Wissensformen und die Gesellschaft, p. 201 s.l. ” Ctr. De Ventate, q. 10, a. 6, in c. ’4 Der Formalismus, p. 378. 55 Cfr., per esempio. Logische Untersuchungen, II, 5, Halle 1901, p. 392; ibidem, 11, 2, p. 163.

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SIGNIFICATI) I. LIMITI D LIIA DIMISSIONI: UNTI)l.. Né riteniamo che la fondazione rivesta un siIbidem, p. 113. A noi pare che Scheler riesca a evitare ogni soluzione di carattere ontologistico, almeno nel senso tradizionale del termine. Egli infatti, pren­ dendo le distanze da Malebranche, precisa che per una visione filosofica noi non conosciamo le cose ‘in Dio’, quasi che egli sia ‘il luogo delle idee’ o 'la x intesa come soggetto delle idee’, ma conosciamo le essenze nelle cose e dalle cose stesse (in und an den Dingen selbst)-, soltanto da una posizione di fede religiosa «wir dürfen und sollen [...] unsere Erkenntnis der Wesenheiten als Erkenntnis einer göttlichen Idee von den Sachen nachträglich deuten» (Pro­ bleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 297). Nella medesima prospettiva religiosa «stellt jede geistige Seele ihrem Was und Wesen nach eine ewige Idee Gottes dar» (Wesen und Formen der Sympathie, p. 132). La

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MÌTICA 11 IL PR( MILIZIA DI Ilio

gnificato di carattere ontologico: essa ci pare di carattere esclusivamente gnoseologico-intenzionale40, e questo stesso soltanto in relazione alla intuizione del carattere assolutamen­ te oggettivo dei valori^1. I ra essenze, oggetto di studio della

stessa conoscenza immediata di Dio per rivelazione è da intendersi in un ambito fenomenologico, cioè come intuizione del ‘ripresentarsi’ di Dio negli homincs religiosi cui Egli si c personalmente ‘autodato’, o tramite il suo rivelarsi nella ‘relazione simbolica’ che le cose rinite hanno con lui. In altri termini, non è la realtà di Dio che viene colta immediatamente in sé e per sé, ma le persone o le cose che, nella misura in cui ‘indicano' Dio come loro ‘segno’ allusivo, rinviano intuitivamente a lui. Schclcr ilei resto afferma espressamente che «unser Geist besitzt weder eingeborene, noch angeborene Ideen. Auch die Idee Gottes ist nicht eingeboren. Sogar die Idee des Ens a sc setzt die Erkenntnis irgendeines kontingenten Seiendes voraus und wird nur an solchem Beispiel als evidente Bedingung jeglichen kontingenten Seins crschaubar» (Probleme der Religion, in Vom liwigen im Menschen, p. 195). E poco prima si era espresso ugualmente: «Die Ebenbildlichkeit mit Gott ist also dem menschlichen Geiste - ohne dass er das Urbild selbst auf natürliche Weise zur Feststellung dieser Ebenbildlichkeit gewahren müsste selbst eingeschrieben» (ibidem, p. 191). Ciò è valido, anche se, per quanto concerne l’intuizione ilei divino, lo stesso Scheler è consapevole di far pro­ prio il ‘nocciolo di verità’ che pervade l’ontologismo. Di esso rifiuta l’implicanza dell’esistenza di Dio nel senso di una «sostanziale realtà», in quanto non recepibile in una prospettiva fenomenologica, ma ne accetta il principio secondo cui in tutte le idee oggettive di carattere religioso si dà «un elemen­ to ultimo di natura immediata c intuitiva». Altro motivo di discrepanza dall'ontologismo storico è che, mentre questo ravvisa l’elemento ultimo in­ tuitivo del divino nell'idea dell’infinito o di un’essenza perfetta, Scheler lo vede come valore sommo, come il valore del sacro. Il carattere axiologico non e il predicato di una idea già data di Dio, ma il suo «nocciolo ultimo» (cfr. Der Formalismus, p. 298), anche se successivamente, in Probleme der Religion, Scheler ammetterà che è nel concetto di lins a se, non contrappo­ sto al valore, che trovano la loro definitiva unità sia la sfera ontologica sia la sfera axiologica (Probleme der Religion, in Vom Ewigen im Menschen, p. 63). Sull’inconsistenza dell’accusa di ontologismo rivolta a Scheler, cfr. fra gli altri: E. Przywara, Religionsbegründung. Max Scheler-J.Il Newman, cit., p. 106; U. Gctzcny, Um die Religionsphilosophic Max Schelers, in «H och­ land», 21, 1 (1923-24), p. 591; II. Ncwe, Die religiöse Gotteserkenntnis und ihr Verhältnis zur metaphysischen hei Max Scheler, cit., p. 130; J. Geyser,

Augustin und die phänomenologische Rehgionsphitosophie der Gegenwart, cit., p. 170 s. 4,1 II Dupuy propende per la prima interpretazione, nella misura in cui asserisce categoricamente che «Ics valcurs ont leur fondement en Dicu» c che «l’étre des valeurs n'a donc nulle ascité, il est fait d ’unc partecipation à la valeur intime» (M. Dupuy, La philosophie de Max Scheler, il, cit., p. 595 s.).

• 41 L'osservazione di Wittmann che vede una contraddizione tra la

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L ITICA i: IL l’ROHIiAIA DI DIO

fenomenologia, non si danno infatti relazioni di causalità, ma soltanto relazioni di essenza**. La fonte testuale più illuminante e eapaee di esprimere più adeguatamente il pensiero di Scheler ci pare desumibile da Probleme der Religion, là dove Scheler riprende «uno dei te­ mi fondamentali della filosofia» sviluppati in Der Pormalismtts*', concernente la relazione essenziale bilaterale tra l’og­ getto e l’atto spirituale che lo coglie, e in genere tra mondo e spirito. La tematica verte sul rapporto tra i dati essenziali in genere e lo spirito assoluto, e quindi è comprensiva del rap­ porto tra valore essenziale e valore dello spirito assoluto. Si tratta di un procedimento volto ad attribuire a Dio la spiri­ tualità mediante la consapevolezza dell’uomo di «possedere la sostanza del proprio essere nello spirito»4'1. La metafisica può pervenire, con proprie vie metodologiche, ad attribuire la spi­ ritualità all'Ens a se, ma non può avvalersi di questa via ’ana-

‘londazione’ del mondo axiologico sul valore di uno spirito infinito e il latto che tale mondo steht vor Gott non ci pare pertanto pertinente, in quanto per Scheler la ‘fondazione’ consiste proprio nella presenza intenzionale e correlativa dei valori allo spirito infinito. Allo stesso modo, non ci pare contraddittorio - come vorrebbe sostenere il medesimo critico - che i valori siano '(ondati’ su Dio e che insieme siano colti nelle cose come qualità originarie (cfr. M. Wittmann, Max Scheler als Hthiker, cit., p. 14 s.). L’origi narietà inlatti di una modalità o di una sfera dell’essere denota, in Scheler, la sua irriducibilità a una modalità o a una sfera diversa. 42 Oltre al passo già citato di Der Formalismus, in cui Scheler spiega in che senso un dato valore è di ‘fondamento’ per un altro valore (p. 112), cfr. l’aggiunta Reirte Tatsache und Kausalheziehung al saggio postumo Ix-hre con Jen drei Tatsachen (in Nachlass, I, p. 475), in cui si afferma che la correlazione di fondazione’ (Fundierungszusammenhang) per quanto con­ cerne gli atti e le essenze è una ‘correlazione di essenza' ( Wesenszusammen­ hang) c non una ‘relazione di causalità’ (Kausalbeziehung). Senza lo spirito assoluto le essenze in generale non potrebbero essere date nella loro assolu­ ta oggettività, cioè non potrebbero rivestire un carattere assolutamente og gettivo. Per quanto concerne i valori, in particolare, essi, senza lo spirito assoluto, sarebbero relativi a una valutazione umana, inetta a conferire un carattere di assolutezza. Con ciò non intendiamo sottovalutare la perplessità che deriva dalla carenza di una fondazione di tipo ontologico quando si presume che una intenzionalità ‘fondante’ conferisca alle essenze il carattere di ‘assoluta oggettività'. 4’ Cfr. Der Formalismus, p. 174 s. 44 Probleme der Religion, in Vom Eiligen im Menschen, p. 180.

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L'ETICA E II. PKt >HI I MA DI Dl( )

logica' che, partendo dall’esperienza della spiritualità umana e «afferrando nello spirito umano un’immagine primaria (Urbild) dello spirito in generale, e nel rapporto dello spirito umano col mondo una relazione essenziale tra spirito e mon­ do in generale», perviene a cogliere di Dio, «già prima noto come esistente», una spiritualità radicalmente diversa da quel­ la umana'1’. Per questa via analogica si richiede una ‘certezza religiosa’. Il principio generale dell’argomentazione afferma che a ogni atto intenzionale dello spirito deve corrispondere un es­ sere (al conoscere corrisponde un essere intenzionale, al­ l’amore un essere axiologico, al volere un essere resistente), così come a ogni essere deve corrispondere un atto intenzio­ nale dello spirito; come è contraddittorio un essere inconosci­ bile, così è contraddittoria un’intenzione dello spirito cui non corrisponda un essere-oggetto. Questo fondamentale princi­ pio afferma pertanto che c’è una mutua relazione essenziale tra il mondo come tale (ogni possibile mondo, sia esteriore sia interiore) e lo spirito come tale o «l’essenza eterna di uno spirito in generale (eines Geistes überhaupt)», del quale l’uo­ mo è un’immagine primaria e che egli coglie parzialmente nell’esperienza di sé: «ogni possibile ente extraspirituale sta in dipendenza (reciproca) con un possibile ente spirituale»*. D’al­ tra parte tale rapporto essenziale, capace di ‘costituire’ insie­ me Io spirito e il mondo come tali, non può dipendere dal­ l’esperienza ‘fortuita’ (zufällig) propria dello spirito umano, a fortiori dèi singolo spirito umano47, anche se si trova in cia­ scun atto di esso. Si ha cioè una radicale indipendenza di ogni ente dallo spirito dell’uomo, cioè una radicale ‘trascen­ denza’ di ogni oggetto di fronte a esso: «questo mondo, nel suo essere, è indipendente (unabhängig) dall’esistenza del mio atto spirituale e dall’esistenza di qualsiasi atto della stessa es­ senza; ciascuno dei loro oggetti è solo in parte e inadeguata­ mente immanente a un tale (possibile) atto spirituale»4". La 4’ Ibidem, p. 183. 4fl Ibidem, p. 181. 47 Tale esperienza si contrappone all’«etemo indistruttibile legame» ira l'essenza dell'atto intenzionantc dello spirito in generale e l’essenza del­ l’oggetto (ibidem, p. 18-41. 48 Ibidem, p. 182. [-'‘immanenza’ dell'universo eidetico allo spirito assoluto, cui Schelcr accenna in questo passo, non riveste certamente un’acccziQne idealistica, ma vuole denotare semplicemente l'essenzialità della pre-

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conclusione è che l’immanenza adeguata di ogni oggetto allo spirito e la sua dipendenza da esso esigono uno spirito radi­ calmente diverso da quello umano: «L’essere che è indipen­ dente dall’essere dello spirito umano esige nello stesso tempo, sulla base della dipendenza essenziale dell’essere da uno spiri­ to in generale, l’assoluta dipendenza dell’essere da uno spirito x, che per impossibilità essenziale non può essere quello uma­ no»4’'. In altri termini, l’uomo coglie nella relazione del suo spirito col mondo la dipendenza essenziale del mondo dallo spirito in generale e, a causa di questa dipendenza essenziale, vede anche che lo spirito adeguato al mondo come tale non è lo spirito umano, ma quello divino. In tal modo il rapporto che intercorre tra lo spirito di Dio e il mondo come tale non è uguale’ ma ‘analogo’ a quello che intercorre tra lo spirito umano e il ‘suo ambiente’’". Scheler deve avere avvertito la laboriosità della tesi per ricorrere all'insufficienza assoluta’ del linguaggio umano o al­ l 'incredibile misterioso dramma’ o alle ‘grandi difficoltà’ nell’attuare quel peculiare atto religioso mediante il quale sorge la ‘certezza religiosa’ che il santo Ens a se debba essere ‘spiri­ to’’1. Noi, tentando di reperire nella lettura dello stesso Sche-

senza del mondo eidetico allo spirito divino, presenza che non intende vani­ ficare il carattere ontologico c l'altcrità dell’oggetto. Basterebbe richiamare un altro passo in cui Scheler dichiara espressamente di non conferire alla ricerca filosofica un carattere «bewusstseinsimmanent und idealistisch (wie letzt bei Husserl), sondern ontologisch und realistisch» (Die transzendentale und die psychologische Methode, pref. alla 2* ed. (1922), in Frühe Schriften, p. 2 0 1 ) .

J‘' Probleme der Religion, in Vom F.wigen im Menschen, p. 182. w Widern L’affermazione della spiritualità di Dio trae con sé l'affer­ mazione della libertà e della creatività: «clic absolute Freiheit oder Selbstbe­ stimmung des göttlichen Geistes, ein Prädikat, das erst jetzt, da Gott als Geist erkannt ist, zum Begrift des Ens a se hinzutritt. Das lins a sc wird erst hierdurch Ens per se. Und erst damit kann die Art seines Wirkens und Kr-wirkcns als analog zum Wollen und seine Allkausalität als die geistartige Kausalität der Schöpferfreiheit und Schöpfermacht verstanden werden» (ibi­ dem, p. 186 s.). Pertanto, se le essenze del mondo sono il correlato obicttivo del pensiero di Dio, l'esistenza c la realtà contingente di esso sono il correla­ to lidia libera volontà creatrice ili Dio. Scheler ammette, di per se, che la metafisica possa contribuire concretamente ad attribuire a Dio la volontà e l'attività creatrice (cfr. ibidem, pp. 213-19), ma c solo con l'atto religioso che si perviene alla causalità della libertà creatrice. 51 Ibidem, p. 183.

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ler l’ermeneutica della fondazione del mondo delle essenze, ci limitiamo a qualche riflessione. In un orizzonte di natura fenomenologica si dà, secondo Scheler, una correlazione es­ senziale tra lo spirito proprio di Dio e il mondo come tale. Precisiamo ulteriormente che tale correlazione è sostanzial­ mente diversa dalla correlazione tra lo spirito umano e il mondo: in quest’ultima infatti non si dà un ‘eterno indistrut­ tibile legame’ né una ‘immanenza adeguata’ dell’oggetto al­ l’atto, e l’essere del mondo è «evidentemente indipendente dall’esistenza hic et mtne [...] di qualsiasi individuo», dato che la relazione con lo spirito umano «né pone (setzt) né an­ nulla (aufhebt) l'essere di un ente». Come la relazione con lo spirito umano non pone l’essere dell’oggetto, così l’assenza di essa non lo vanifica. «Questa verità ci è data in maniera evi­ dente in ogni atto di conoscenza, anzi in ogni atto spirituale in generale. Essa è inseparabile dal senso della parola ‘essere’ e ‘oggetto’»’2. Lo spirito proprio di Dio ‘pone’ l’essere - e come tale può conferirgli ‘assoluta oggettività’ - lo spirito umano no” . Mentre, in un contesto fenomenologico che in­ tende correlare la noesi al noen/a, lo spirito umano pone l’at­ to comprensivo del mondo eidetico in modo tale che questo non dipenda in modo essenziale ( Wesensunabhängigkeit) da quello, lo spirito proprio di Dio ‘pone’ l’essere eidetico nel senso che si dà una ‘dipendenza’ essenziale tra oggetto e spi­ rito, dipendenza essenziale che è sinonimo di ‘relazione es­ senziale’ (Wesensrelation). Affermare pertanto che lo spirito umano non ‘pone’ l’essere è affermare che il mondo è indi­ pendentemente da lui o che la relazione tra lo spirito umano e il mondo non è di carattere essenziale, così come affermare che lo spirito divino ‘pone’ l’essere è affermare che il mondo come tale dipende essenzialmente da lui mediante una corre­ lazione essenziale: «noi dobbiamo separare l’ordine axiologi-

5- Ibidem, p. 180. " La distinzione tra spirito umano e spirito assoluto viene ribadita, anche se in un contesto diverso, in occasione della critica mossa ila Scheler a Nicolai Hartmann, nella prelazione alla V ed. di Der Formalismus (1926): «Überhaupt muss ich einen von Wesen und möglichem Vollzug lebendiger geistiger Akte ganz 'unabhängig' bestehen sollenden Ideen- und Werthim­ mel - 'unabhängig' nicht nur von Mensch und menschlichem Bewusstsein, sondern von Wesen und Vollzug eines lebendiges Geistes überhaupt - prinzi­ piell.schon von der Schwelle der Philosophie zurückweisen» (p. 21).

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