Manuale di sopravvivenza di un cattolico libero in Italia 8874700989, 9788874700981

Un libretto provocatorio, ironico e appassionato che per la prima volta mette a fuoco con un grande tema: come fa un cat

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Manuale di sopravvivenza di un cattolico libero in Italia
 8874700989, 9788874700981

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© 2009, Pagina soc. coop., Bari Prima ristampa, ottobre 2009

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma rivolgersi a: Edizioni di Pagina via dei Mille 205 - 70126 Bari tel. e fax 080 5586585 http://www.paginasc.it e-mail: [email protected]

www.clanDestinozoom.it Davide Rondoni Stefano Del Magno

Manuale di sopravvivenza di un cattolico libero in Italia

edizioni di pagina

È vietata la riproduzione, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Proprietà letteraria riservata Pagina soc. coop. - Bari Finito di stampare nell’ottobre 2009 dalla Serigrafia Artistica Pugliese Solazzo s.n.c. Cassano delle Murge (Bari) per conto di Pagina soc. coop. - Bari ISBN

978-88-7470-098-1

indice

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prefazione come cavarsela con i sassamaroni come cavarsela con i preti tediosi come cavarsela con la politica come cavarsela con i pregiudizi come cavarsela con i figli come cavarsela con il sesso come cavarsela con i soldi come cavarsela con l’aldilà come (non) cavarsela con Dio

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prefazione

Ecco un libretto provocatorio, ironico e appassionato. Che per la prima volta mette a fuoco con leggerezza un grande tema. Come fa un cattolico libero, in Italia, a cavarsela in mezzo a pregiudizi e incomprensioni? Certo un cattolico è in sé un uomo libero da idolatrie e clericalismi. Dunque non ci sarebbe bisogno di aggiungere nessun aggettivo al termine «cattolico». Ma tra tutti gli aggettivi che di solito in questi anni s’è visto appioppare (integralista, adulto, democratico, popolare, oscurantista, aperto, etc. etc.) ci pare il più adeguato, quasi come una tautologia. Come dire «acqua acquosa», o «caldo caldo». Il termine cattolico del resto sopporta tutti gli aggettivi. Anche l’aggettivo «peccatore», come l’aggettivo «santo». Perché non è un termine che indica una qualità morale, ma un modo di 7

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guardare il mondo. Che lega tutto all’avvenimento della presenza di Cristo. In Italia – per via della più acclarata presenza della Chiesa, non solo in termini di monumenti e chiese – essere cattolici sembra diventato da anni una sorta di strana ventura. Da parte di chi dice di amare la Chiesa e da parte di chi non ne sopporta l’esistenza. Quelli che Charles Péguy chiamava gli «opposti clericalismi», dei clericali-clericali e dei clericali anti-clericali. Si è sempre oggetto di polemica, di incomprensioni e di strumentalizzazioni. Il nostro libretto non vuole di certo trovare un modo per vivere invece in santa pace, ma un modo per vivere con letizia questa situazione inevitabile. Cercando se possibile di dare il giusto peso alle cose. L’ironia, infatti, è un’arma per valutare i pesi giusti. E per guardare l’essenziale. www.clanDestinozoom.it è un foglio settimanale on line di giudizio e commento ironico e poetico ai fatti della settimana. Chi firma questo libretto fa parte della redazione.

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come cavarsela con i sassamaroni

[N.d.R.: Il termine «sassamaroni» è un composto linguistico traducibile in tutti gli idiomi, creato contemporaneamente da diverse popolazioni a varie latitudini del globo, essendo comune l’esperienza sotto ogni cielo dell’incontro con esemplari indicabili con il suddetto. Esso indica un individuo di sesso maschile o femminile che pone in essere con parole e atti, o anche con atteggiamenti, azioni volte a sbriciolare, triturare e polverizzare in senso metaforico gli organi maschili individuati da ancestrali tradizioni come organi della forza. In questo caso i suddetti organi non conoscono distinzioni di genere e, pur tralasciando le infinite disquisizioni sul mascolino nel feminino e viceversa, valgono metaforicamente anche per le gentili signore o signorine. La azione del suddetto ottiene un defatigamento inutile, un senso mortale di noia e, nei casi più gravi, produce una si11

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tuazione di apatia e di soffocamento, blocco della salivazione, peso allo stomaco, pressione bassa, voglia di andare via.] [N.d.R.: Questo è il primo libro del mondo che inizia con una N.d.R., nota di redazione. Già per questo ha un valore da collezione...] Se incontri un/una sassamaroni non puoi che opporre prontamente una reazione fondata sull’allegria e su quel che gli ispanoparlanti chiamano agudeza. Devi fartene una ragione, insomma prenderla con ironia. Se in Italia dici che sei cattolico trovi sempre qualcuno che ti rompe i maroni. In viaggio in treno, o in un ufficio, o a volte anche in luoghi o momenti impensabili – può succedere in baite di montagna o persino con una bella ragazza che stai rimorchiando. Insomma capita di incontrare lo sguardo di uno o una che ti squadrano, e con parole magari un poco confuse ti fanno capire che ti considerano una persona non dico cattiva, no, ci mancherebbe, però insomma uno che, dài, ha qualcosa che... Insomma, un cretino. Poi fanno un sacco di giri di parole a dirti che «tu 12

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no, tu probabilmente sei una persona intelligente...». «Però dài, come si fa...». Dal momento in cui il tuo interlocutore fa la faccia del tipo «ma guarda un po’ ’sto pistola», al momento in cui ti attacca a parlare della «assurda posizione della Chiesa sui metodi anticoncezionali», puoi contare fino a 8. A 10 no, non si arriva. Alcuni riescono con prodigiosa e fulminante forza di sintesi a ridurre a una faccenda di «no ai preservativi» venti secoli di storia di fede, di pensiero, di arte e di società... Sarà per la proverbiale attenzione italica alle faccende di sesso, o per la proverbiale tendenza mondiale a dire minchiate, di fatto è così. Non si tratta di far le vittime. Ma la persecuzione di un rompimaroni e il suo assurdo compatimento a ogni angolo, a ogni tavolo, a ogni vacanza a volte possono essere una forma di martirio formidabile che speriamo venga calcolato qualcosa in paradiso. 13

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Non si aspira alla santità per questo stillicidio ma uno sconticino è dovuto, sì. A volte di fronte alla ottusità del o della sassamaroni che non sa niente di Gesù Cristo ma tutto (o presume di saper tutto) sulla posizione della Chiesa sul sesso, viene l’alto, dignitoso e dubitoso sconforto delle migliori menti laiche: «Ma com’è possibile?». Ci sarà una risposta adeguata? Prima occorre fare salve le doverose considerazioni sulla straordinaria varietà di superficialità* (vedi nota, non fare il furbo: non saltare...) diffuse nella specie umana. * Tra i diversi gradi di superficialità ne consideriamo almeno tre. Quella di chi proprio rimbalza. Nel senso che anche quando si impegna, per via di una deviazione ideologica che lo guida, non riesce nemmeno a scalfire un poco la superficie dell’argomento o dell’oggetto osservato. E ne rimbalza all’esterno. Poi c’è lo stile «budino». Cioè l’intelligenza – ridotta a stato viscoso, cremoso e pure un poco gelatinoso – si applica all’oggetto e, lentamente e con qualche fatica, lo penetra di poco e in modo difforme. Infine, c’è la superficialità del felice incosciente, che si differenzia da quello «che rimbalza» per il solo fatto che a identica assoluta superificialità da rimbalzo si associa un diverso grado di una specie di allegria. In questo caso è infatti una superficialità totale, inscalfibile, pienamente avvolta in un vuoto dove risuonano risate stupidissime e raggelanti.

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come cavarsela con i sassamaroni

Forse la Chiesa ha talmente rotto i maroni alla gente – riducendo venti secoli di storia di fede etc. etc. – che ne viene ripagata così. Però anche questo motivo forse non spiega proprio del tutto tale piaga. Naturalmente in Italia essa è più diffusa. Gli italiani hanno un notorio carattere di attaccabrighe. E poi c’è anche il famoso «peso» della Chiesa in Italia. Che più che peso politico o di quanto altro cianciano spesso i media, vedendo dei «richelieu» dovunque e sopravvalutando enormemente la capacità di strategia politica del 99, 9 % dei prelati, è appunto «peso sulle balle della gente». In quanto ai «richelieu», la maggior parte di preti, parrocchie e curie è talmente alla canna del gas dal punto di vista dei beni materiali (e spesso anche dei beni immateriali) che, se uno promette di rifare il tetto della canonica, gli fan la statua (di artista minore, perché i maggiori costano o non sanno nemmeno chi sono) con la figurina del benefattore ai piedi di un santo, a scelta del benefattore medesimo. Del resto è così anche in grandi capolavori dal Duecento all’Ottocento ammirati in tutti i musei e le cattedrali del mondo. Altro che strategie politiche. 15

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Naturalmente ci sono vari tipi di sassamaroni. Il più diffuso è il tipo: so-io-come-dovrebbe-essere-la-Chiesa. Insomma uno a cui uno stuolo di santi, papi, teologi, monaci e cardinali fanno un baffo, perché lui sì che lo sa. Naturalmente la Chiesa che costui immagina non è mai quella che c’è. E questo per lui chissà perché è un vanto. Un secondo tipo è quello che gli dev’essere successo qualcosa di brutto con un prete, una suora o un gruppo, insomma una esperienza negativa. Magari lui cercava comprensione da un prete e ha trovato la povera terra arida della umanità di quel povero peccatore. O detto più semplicemente ha beccato un testa di cazzo. O un gruppo non l’ha coinvolto come lui o lei desideravano. Lo hanno obbligato a cantare canzoni orrende. E, peggio ancora, orrende in lode di Dio. E questo secondo tipo è «impestato» come la rogna. Potresti levitare davanti a lui, o potrebbero scendere legioni di angeli dal cielo e cantargli Only you che quello se ne starebbe inrognito e acrimonioso. Venisse Gesù Cristo in persona a dirgli «ma dài, dacci un taglio, prova a perdonare e guardare oltre», lui o lei lo prenderebbero in disparte per fare una ramanzina al crocefisso. Sono quelli più antipatici, ma 16

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quelli a cui vuoi bene di più. Li guardi mentre vomitano rabbia e vorresti abbracciarli. Ma scatterebbero come se li attaccasse un rettile. E allora è meglio mettersi a parlare di sport o di piante. Il terzo tipo è uno che ridurrebbe anche la reputazione di sua madre a una che ha fatto affari e tirato a gabbare la gente, compresi marito e figli, per tutta la vita. Per costui o costei la fede, la Chiesa, i preti etc. è: tutto un imbroglio. Semplice: è tutto un imbroglio. Naturalmente si aspettava tutti lui. Qualcuno che svelasse finalmente quel che ha tenuto in scacco le menti obnubilate di Dante Alighieri, di Tommaso d’Aquino, di Agostino, di Francesco, di Pascal, di Manzoni, di H. Newman, di von Balthasar e alcuni miliardi di altre persone. Ma per lui – che deve aver letto qualche libro illuminante sull’argomento e che sicuramente, quello sì, sfugge alla universale legge dell’imbroglio – è tutta una camorra per fregare i soldi alla gente, per tenere i popoli soggiogati. Non ci si può far niente, meglio lasciarlo perdere, schiacciato com’è dal suo giudizio vanitoso. 17

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Bruciato dalla luce «intelligentissima» dei suoi occhi. Infine ci sono i sassamaroni seduttivi. Quelli che «almeno con te ci si può parlare, ma la maggioranza della Chiesa...». A parte che tale «maggioranza» non si sa in quale elezione o sondaggio sia stata misurata, il sassamaroni cerca sempre di passare per un decennale studioso della storia della Chiesa. L’insidia di quell’«almeno con te» è pari al morso del crotalo. Perché «parlare con te» significa che ci sono cattolici di razza superiore e molti, la maggioranza, di razza inferiore. E probabilmente questo raffinatissimo sassamaroni travestito da seduttore avrebbe trovato orripilante intrattenersi con Francesco d’Assisi – quello reale, non quello dei santini edulcorati – o con Caterina da Siena. O non le avrebbe stretto loro la mano se avesse davvero conosciuto madre Teresa di Calcutta o madre Cabrini o il medico san Pampuri. E dunque dicendo «almeno con te», e mettendoti dalla parte dei suoi «migliori», ti separa dalla compagnia dei veramente migliori... La tentazione di andare a genio ai salotti e ai circoli dei «migliori» della società e della cultura è una faccenda vecchia come il cristianesimo. La tentazione di «non far sorridere monsieur Voltaire». 18

come cavarsela con i sassamaroni

Il primo cristiano che fu ben accolto con un sorriso di benvenuto in un salotto di gente che conta fu un tizio che divenne molto famoso: di cognome faceva Iscariota.

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come cavarsela con i preti tediosi

Un giorno il gran giornalista popolare Gianni Brera disse a una cena con alcuni signori: «Voi mi piacete perché siete gli unici cattolici che conosco che non hanno il collo torto». Il collo torto, o lievemente spostato dall’asse, inclinato non si sa se per condiscendenza o raggiro, è uno dei segni del clerical style. Intendiamo quello stile da prete che è fatto di talune movenze e gestualità riconoscibili. E che fanno dire di ogni prete che non le ha: non sembra un prete! Lieve sfregamento delle mani che si rigirano, abbassamenti inspegabili del tono di voce. Pause nel discorso che lasciano con il dubbio d’esser scemi o troppo intelligenti. Uno dice: «sono cattolico» e subito si pensa: amico dei preti, baciapile, emissario di curie o associazioni 23

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dagli oscuri interessi, cresciuto tra le tonache, misogino, mezzo-monaco... Mica detto. Andate a chiederlo a Bonifacio VIII messo all’inferno nella sua Commedia da Dante, cattolico e terziario francescano. Magari è in paradiso, però tutti qua, grazie al cattolico Dante, continuano a pensarne il peggio possibile. Anche se è autore di uno dei pochi testi recitato in mondovisione e in tutti i luoghi del mondo almeno tutte le domeniche (l’Angelus). Insomma, bell’amico. Ma Dante è meraviglioso, talmente meraviglioso che uno quasi c’avrebbe piacere anche a farsi mettere all’inferno pur d’esserci dentro alla sua gran Commedia. O pensate ai tanti «don Abbondio» che hanno nel cattolicissimo Manzoni il loro fustigatore per l’eternità. Senza contare le infinite volte che cattolici laici e preti, prima e dopo la messa, son venuti quasi alle mani per discussioni di ogni genere, dalla politica ai soldi. Ma tant’è. In Italia persino nell’Inno nazionale si dà contro alla Chiesa, perché l’Italia pre-unitaria era governata in parte dai preti. Il che certo non era un bene, almeno dando retta al famoso senno-di-poi, col 24

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qual senno è abbastanza facile avere ragione, almeno fino al successivo senno-di-poi. Comunque è innegabile: i preti tediosi sono un problema per il cattolico. C’è una complicazione da considerare. Nella nostra epoca si fa fatica a pensare che un uomo abbia un ruolo senza che questo comporti vantaggi, potere e facilitazioni; ecco allora che il ruolo del prete lo si fa coincidere con l’esercizio di qualche potere. Il che, beninteso, accade. Un sacco di preti dimenticando di essere pastori che servono alla vita del gregge si trasformano in capi corrente, in affaristi (di terz’ordine in genere) o in fustigatori della morale, specie l’altrui. Preti come «suocere» della società. Cristo era visto come un suocero mentre girava per le strade di Galilea? Dunque il cattolico libero che vuole sopravvivere alla pretizzazione del cattolicesimo deve avere grande ironia e – il che è equivalente – avere grandi doti di slalomista. Correre sul filo che c’è e che rende differente la mancanza di piaggeria dalla mancanza di ri25

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spetto. Correre sul filo che c’è e che fa la differenza tra l’ossequio all’abito e alla funzione e la sottomissione alle bizzarrie tediose di personalità del clero. Insomma fare l’enorme sforzo di semplicità che occorre per riconoscere che un prete è un prete. Un famoso sacerdote un giorno si rivolse a una platea di suoi colleghi e li incitò dicendo: siate prima di tutto uomini! Si sparse un certo sgomento... Ma aveva ragione da vendere. Se non sei uomo fino in fondo non sarai mai un prete, ma un mezzo uomo con la veste. Un mezzo uomo con qualsiasi veste. Ci sono preti che fanno un gran bene alla gente, e per questo sono diventati anche famosi e riveriti... E altri che hanno svolto in silenzio il loro ministero. Entrambi sono preti che valgono. Il problema si ha quando la gente pensa che la Chiesa sia solo «preti che parlano». E solo quello di cui parlano i preti. Che a volte è importante e a volte no. Anche un uomo consacrato vescovo può dire minchiate. D’altronde se Dio voleva ministri perfetti doveva inven26

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tare qualcosa di diverso dall’uomo. Mica può farci così e poi lamentarsi. E infatti Dio non si lamenta. Piuttosto sono molti uomini (e molti media) che invece costruiscono cattedrali del lamento. Luna park del lamento. I giornali lo scovano sempre un prelato che su alcune cose dica fesserie. Lo trovi sempre un prete che pensando di non essere strumentalizzato parla al «Corriere della Sera» come se fosse un gruppo di pie parrocchiane. Lo trovi sempre un prete pittoresco. Probabilmente succederebbe uguale se cercassero tra gli architetti o gli idaulici. Di certo tale propensione al lamentio moralistico clericale, coniugata con il colore solitamente nero pur con varie gradazioni del vestiario sacerdotale, tira inevitabilmente a suggerire figure tra lo iettatore, il becchino e il killer. E non bastano centinaia di puntate di don Matteo o di libri su Padre Brown – preti poliziotti simpatici e arguti, più il secondo del primo – a rivalutare la categoria. E poi bando alla ingenuità: proprio nel momento in cui un grande prete come Papa Giovanni Paolo II aveva contribuito a umanizzare la figura dell’uomo di Chiesa e molti hanno cominciato a guardare alla 27

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Chiesa con meno pregiudizi, visto anche il crollo delle ideologie, è iniziata una formidabile campagna mediatica sulla Chiesa come setta oscura e sul fenomeno dei preti pedofili. Che sono (come tutti i pedofili, di qualsiasi categoria) un obbrobrio. La Chiesa ha preso dolorosa coscienza. Ma la campagna è stata così violenta e massiva da far guardare ormai ogni prete con un po’ di sospetto: come un potenziale pedofilo o un affiliato a sette oscure che aspettano il polpettone di Dan Brown per essere smascherate. Da Hollywood a Strasburgo le hanno sparate grosse. Alla seduzione dei media anche i preti tediosi come tutti noi comuni mortali faticano a resistere. Ma certo una maggior attenzione a sovraesporsi facendo il gioco dei media «creatori di suoceri» non sarebbe male. Non per questo ci sentiamo di sottoscrivere quanto dichiarato da un famoso regista italiano, il quale seduto comodamente al festival del cinema di Cannes in rappresentanza del nostro paese naturalmente se ne lamentava, come fanno tutti gli intellettuali chic e modesti. Diceva che quando accende la televisione in Italia vede sempre il Papa. 28

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Ah, lui in tv vede «sempre» il Papa... Non vede alcuni mattatori sempre in tv? Non certe starlette da salotti o reality show? No, lui vede sempre il Papa. Ma se ha tali traveggole, di che realtà parla questo regista quando fa i suoi film? Il cattolico libero sospetta sempre quando un prete tedioso chiama o si avvicina prendendolo sottobraccio per chiedergli un favorino. Sospetta dei trappoloni. Lotterie per la parrocchia. Pesche di beneficenza. Cose del genere. Per i preti tediosi i laici non servono molto per l’esperienza cristiana, per capire e vivere Cristo. Ma possono servire per imbiancare i muri della parrocchia. E così alcuni laici si sono specializzati in tali lavori di corollario ma essenziali per la vita materiale della Chiesa. E da quella posizione pensano di ricattarla. Ma il libero cattolico corre ogni volta che un prete degno di tale nome ha bisogno per qualcosa di importante. E soprattutto chiede al prete di fare il prete. Di celebrare i sacramenti, di fare delle omelie guardando in faccia Dio o degli interventi che introducano alla 29

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esperienza di Cristo. E che ci facciano «poche pugnette», come direbbe l’amico Cevoli. Se no, quando c’è l’omelia a messa ci tocca andar fuori a fumare. Che fa male un po’ ai polmoni ma almeno si evitano guasti maggiori all’animaccia nostra.

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come cavarsela con la politica

Secondo la pubblicistica dominante, il cattolico in politica dovrebbe essere una specie di monaco che passa per caso, svagato e impalpabile, in aule parlamentari o commissioni o dove si decidono le sorti del paese. Una specie di Alice nel paese delle meraviglie. Insomma, l’unico babbeo della brigata. Mentre gli altri lottano per interessi e con le armi della politica, lui dovrebbe fingere di essere in paradiso, non alzare mai la voce, non difendere nessun interesse e ogni tanto, semmai, tenere sermoni edificanti alla compagnia. Al più potrebbe occuparsi di leggi che riguardano i poveri e se proprio è buono la terza età. Stop. Per il resto in politica il cattolico deve principalmente non rompere le scatole. «Ma proprio tu che sei un cattolico!» 33

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Si scandalizzano se dimostri di avere un interesse. Mentre tengono in mano biglietti per le nomine, liste da chiudere, raccomandazioni da lobby di ogni genere, dai tabaccai ai produttori di cinema porno, ti invitano a fare politica da cattolico. Cioè da babbeo. «Pensa ai valori, difendi i valori...» Sussurrano parole dolci tanti colleghi del politico cattolico, mentre nascondono delibere dietro le spalle con dita grifagne. Come se i valori si difendessero in astratto, belle parole difese da altre belle parole. I cattolici più furbastri si sono adeguati al cliché. Recitano la parte del monaco, parlano quasi sempre come dei preti in temporanea trasferta parlamentare – e intanto maneggiano con cinismo e precisione le carte e le mosse del potere reale. Altri cattolici non ce la fanno a fare il monaco nemmeno per finta, e allora si attirano strali di ogni genere. Alcuni hanno tutte le debolezze umane contemporaneamente. E sono cattolici, come lo è anche un santo. 34

come cavarsela con la politica

In Italia sembra che il Vaticano abbia una longa manus per tutto. Per influenzare tutto: dalle abitudini sessuali alle nomine bancarie. Per governare il parlamento. Figuriamoci se una realtà secolare e attiva come la Chiesa in Italia non ha rapporti con la politica. Anche Erode, il politico più importante della zona, volle conoscere Gesù per vedere cosa era questo fenomeno strano. Pensare che non ci siano rapporti tra Chiesa e politica è da fessi almeno quanto pensare di sapere esattamente quali sono. Esistono le lobby dei coltivatori di patate delle pianure emiliane, non si capisce perché non dovrebbe esistere un lavoro di lobby da parte dei cattolici. Il grande problema dei rapporti tra Chiesa e politica in Italia si può sintetizzare così: «Ma cavolo, i cattolici votano!». Coloro i quali a ogni piè sospinto accusano la Chiesa di «ingerenza» nella politica dello Stato italiano non sopportano che tale ingerenza avvenga attraverso il meccanismo maledettamente laico del voto. Così, ogni volta che la maggioranza degli italiani o dei loro eletti prende decisioni che non sono «contro» la posizione della Chiesa, sbraitano come polli spennati. 35

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Ma la cosa veramente insopportabile è un’altra. È insopportabile pensare, come fanno in tanti che se la prendono per motivi politici con la Chiesa, che la gente abbia fede perché, che so, Andreotti ha avuto potere. Pensano, ’sti zulù, che abbia avuto più influenza sulla fede degli italiani il potere di un Arnaldo Forlani invece che la santa impotenza di Caterina da Siena. O di tanti cristiani ignoti. È questo che fa girare gli zebedei. Tutti lì a dirci che mischiamo la fede con la politica. Ma come? Sono proprio costoro che rifiutano di pensare che uno possa aver fede «prima» e «al di là» delle vicende politiche. Sono loro che mischiano la nostra fede con la politica, e poi ce ne accusano, furbastri. Come se uno si fosse convertito e seguisse (per come può) la Chiesa perché folgorato da un discorso di De Mita. O di Fanfani o di De Gasperi. Ma dài! Ma dài... Certo un bello stuolo di politici e politicanti ha provveduto a baciare acquasantiere, orli di vesti ecclesiali, si è sorbito messoni (messe lunghe, N.d.R.) papali e cardinalizi con la faccia di marmo riuscendo quasi a non far capire quanto si stesse mortalmente 36

come cavarsela con la politica

annoiando. O hanno usato slogan cattolici che sulle loro labbra suonavano come una canzone di Lou Reed cantata da Orietta Berti, pur di racimolare qualche voto. Ma l’ipocrisia è di tutti e l’innocente scagli la prima pietra. Più che con il moralismo certi fenomeni si arginano con l’ironia. E con la passione della testimonianza. Che è come dire: uno che non sta nella pelle per la cosa bella che gli è successa.

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come cavarsela con i pregiudizi

I pregiudizi, in fondo si tratta di questo. Di quella fretta che si ha nel dire di uno o di una: «Ma quello è... Ma quella è...». Che è la più grande delle violenze. Perché mettere tutta la vita di un uomo o di una donna sotto il brevissimo spazio di una etichetta è come chiudere un gattino in una gabbietta da grilli. Si dovrebbe spezzare il cuore. Invece è tutto un pregiudicare da matti. E del cattolico si dice, appunto, come un pregiudizio: «Ma lui è un cattolico». E così si chiude il discorso. Si chiude il discorso, la gabbietta. Se si parla, che so, del fatto che uno ha fatto più del mono-figlio che ora è la media nazionale (anzi è già un po’ troppo pure uno per la media...) ecco che si dice: «Ma lui, o lei, è un cattolico...». 41

manuale di sopravvivenza

Come se fosse una bazzecola fare più figli se uno è cattolico. Come se fosse meno gioioso, meno drammatico. Meno complicato da gioia e dolore. O se si dice che due restano sposati per sempre, si dice: «Ma sono cattolici», come se questo rendesse meno interessante la faccenda. Se dici che hai fatto quattro figli con la stessa donna ti guardano come se a quel tavolino del bar dove stai bevendo un caffè si fosse materializzato sulla tua sedia Obelix che canta l’ultimo successo di Michael Jackson. Due occhioni così. E poi sussurrano, un poco curvi in avanti per non farsi sentire da quelli intorno: «Ma tu sei cattolico?...». Sussurrano. Come se i litigi in una famiglia di cattolici si concludessero sempre con una recita del rosario sotto un baldacchino di gigli. O come se la fatica di tirare a campare coi soldi che mancano fosse resa lieve dalla visita di suor Rosina (che pure lei spilla qualche spiccio per le opere benemerite...). Insomma, con la bella invenzione di eti42

come cavarsela con i pregiudizi

chettare la gente come cattolica si produce quel che chiamiamo «effetto brodo tiepido». Sembra che mentre la vita degli altri è un saporito piatto di portate varissime, di prosciutti e salumi, di ogni tipo di verdure e frutta, la tua sia come quei pezzacci di lesso che galleggiano in un brodo intiepidito. Lo si dice anche nelle professioni, nelle arti. Dove l’etichetta di cattolico funziona come una tagliola. Se uno è un pittore nichilista, o un pittore banale, o un poeta sciatto va beh, ok, ci può stare. Ma se di uno dici «poeta cattolico» o pittore o cantante, ecco che l’etichetta la fan valere come: «poco interessante». I pregiudizi rendono tutto meno interessante. Infatti chi vive di pregiudizi si annoia. Perché pensa di sapere già tutto. Il che è una forma molto mediocre di narcisismo. Ci si mettono di buzzo buono anche i cattolici con la volontà di autoetichettarsi: un fiorire di associazioni cattoliche di insegnanti, belle etichettate, di medici, di imprenditori, di giornalisti... Addirittura si mettono a fare il rock cattolico. Che, appunto, è un rock in brodo tiepido. O le discoteche cattoliche. Sballo tiepido. Invece il cristianesimo è la cosa meno noiosa del mondo perché va sempre contro i pregiudizi. Sem43

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pre. Il fatto che Dio sta in un cielo lontano e la vitacccia degli uomini sta quaggiù irraggiungibile è il pregiudizio primario. E l’incarnazione continua a romperlo sempre. I pregiudizi tipici del moralismo sono messi in crisi dal cristianesimo. Infatti non per coloro che pensano di essere sani è venuto Dio a morire come un cane in croce, ma per i malati, i persi... Per i persi... La cosa migliore da fare con chi usa un pregiudizio è essere violentissimi. Non si tratta, naturalmente, di alzarsi e prendere a randellate quello là al tavolino del bar. O di ammollare un cazzotto ogni volta che ti etichettano. Ma un cazzotto ideale, e non al viso dell’interlocutore ma al ventre del pregiudizio. Come in certe scene di lotta, la soluzione è data dal prender per le palle l’avversario e farlo starnazzare fino all’esaurimento. Ecco, bisogna fare qualcosa di simile con il pregiudizio. Fargli uscire tutto il fiato che ha in gola, marcare fino in fondo la differenza, far sentire l’interlocutore pregiudizievole davvero quasi un balùba perché lui no, non 44

come cavarsela con i pregiudizi

è cattolico. Fargli venire una rabbia blu, perché lui non sa neanche di quali delizie si nascondono sotto la parola che lui come etichetta un poco dispregiativamente impiega. Non sa neanche quali delizie. E che sì, cavolo: lavorare cattolicamente è molto meglio, fare cattolicamente politica sì è molto meglio, e cantare cattolicamente, e peccare cattolicamente e confessarsi cattolicamente e viaggiare, e scopare e figliare e bere e fumare e guadagnare e spendere cattolicamente è una figata. Insomma si dovrà mostrare con esempi e ragionamenti che quella maledetta etichetta intesa come se fosse una specie di segno di inferiorità, una cosa che si può irridere e prendere in giro in ogni salotto o mostra d’arte, se la deve ingoiare... Perché la realtà è cattolica. Accidenti, sento già in sottofondo un crescendo di obiezioni... Ma come, un cattolicesimo così aggressivo! Non è la religione dei miti? degli umili? Non si può certo essere aggressivi... Gesù era così buono... Gesù era buonissimo ma aveva temperamento, e 45

manuale di sopravvivenza

quando c’era da arrabbiarsi o d’esser tagliente si faceva sentire senza tanti fronzoli. Anche con gli amici più vicini (vedi certi contropeli al caro Pietro). Ma cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Il pregiudizio, sia che si rivolga a un cattolico, come a chiunque uomo o donna, è il più odioso e pericoloso degli atteggiamenti. È sulla base di pregiudizi che la maggior parte delle guerre e delle persecuzioni si sono potute avverare. Il pregiudizio è sottile a volte ma feroce sempre. È una belva che sfregia il viso della vita. È uno dei casi in cui si può applicare la filosofia di Cassius Clay, abbracciata anche dalla grande scrittrice americana Flannery O’ Connor: quando una tigre entra nella tua stanza, non c’è molto da discutere. O tu o lei. O tu o la tigre. Se ti metti a discutere con il pregiudizio, a conversare amabilmente con la tigre, salvi le buone maniere ma non la pelle. Senza la quale le buone maniere sono un vaniloquio del vento. Una cuffietta di pizzo su un mucchietto di ossami. 46

come cavarsela con i figli

«I figli so’ piezz ’e core» (Mario Merola). Appunto: a brano a brano, la nostra progenie, dalla nascita fino a molto in là (anche se non sono i bamboccioni disdegnati da Padoa Schioppa), fa sussultare i nostri deboli ventricoli da genitore. A brano a brano. Piezz ’e core. Sarà che li accompagna – come una colonna sonora – il tum tum continuo delle nostre domande: Perché non nascono? (il tum che precede il primogenito), perché continuano a nascere? (il tum dopo il terzogenito), perché non dorme? / perché dorme troppo? perché è così abulico? perché l’unica cosa che non pratica (dopo il basket, il nuoto, la discoteca, la collezione di vinili e di farfalle) è la danza kabuki (tum tum tum del correre come un pacman per 49

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la città, a fagocitar e organizzar baby sitter, madri sostitute e padri surrogati), perché uno così bravo a scuola non va / perché è così somaro? (il tum tum tum – aritmia allo stato puro – fra astio vs. la professoressa e cazziatone alla prole). Loro si vendicano, e non ce la fanno passare liscia. D’altronde non sono meglio di noi, anche perché – nel loro misterioso eccoci – qualcosa di noi si tirano dietro. Se non altro (fortune o sfortune – per dirla alla Taine – di race, milieu, moment a parte) quello che diceva il profeta (Geremia, per l’esattezza): I padri hanno mangiato l’uva acerba e i denti dei figli sono rimasti allegati. Vale a dire: non sono meglio di noi perché noi non siamo meglio di loro. A dimenticarlo, si butta addosso ai suddetti tutta l’approssimazione cardiopatica del nostro tum tum tum, e poi la pretesa che siano bravi, buoni e intelligenti (il tum tum che chiamiamo – un po’ anfanati – amore). Essere cattolici, essere sinceri e leali difensori del valore della famiglia (provate a pensarci) non è una 50

come cavarsela con i figli

piana scappatoia a questo palpitare, non ci evita le doglie del parto e le doglie del dopo. Le doglie del dopo parto. Pensare che basti qualche orsù e qualche regola aurea di fronte al pianto di una giovane stizza o all’oscuro gelo di una ribellione è come pensare ad una surreale parabola del figliol prodigo: Il padre lo riaccolse a braccia aperte, dopo aver ricevuto apposita dichiarazione debitamente sottoscritta. Del resto l’uomo non è fatto per la famiglia, ma per la tribù. O meglio: la famiglia per un uomo e per una donna diventa la peggior causa di claustrofobia se non è immersa in una vita reale di tribù, di appartenenza (famiglia larga, borgo, parrocchia, associazione, fraternità, condominio…). La famiglia-monade (lui, lei, un figlio, un cane e le fette del Mulino Bianco) isolata da una vita di tribù è una mostruosità che non regge. E che può diventare sede di violenza. Da dove verranno le risorse, gli esempi del perdono, della ripresa, della speranza? Dalla tribù. E allora – in spregio all’epigrafe – coi figli non ce la caviamo? 51

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Possiamo farcela – come il padre evangelico – solo se accettiamo – tutto intero – il gioco della libertà, quel ritrarsi da padri e da madri di fronte all’altro che è un figlio (n.b.: ci si allontana per vedere meglio, non per fregarsene ed affidare il problema alla bambinaia, alla scuola, alla tv o – vista l’appartenenza – all’oratorio). Ci si allontana per vedere meglio. Siamo molto importanti ma, di fronte a quello che di loro sarà (senza perifrasi: destino), in nulla decisivi. Senza di me... è la dolce promessa del Capo, non una Sua trovata retorica. Allora il tum tum non sarà più angoscia e – noi, loro – ci aspetteremo sulla porta di casa vedendoci, reciprocamente, tornare.

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come cavarsela con il sesso

Per scrivere questo come cavarsela – confessiamo – abbiamo (cattolicamente) giocato a chi estrae la paglia più corta tra i due autori. Ha vinto il più adatto. Il cielo ci assiste in questa prova estrema. La prova del sorridere di noi e del mondo, senza essere ridicoli. Troppa era la paura di entrare nel maelström del problema; come se – da cattolici – si perdesse per manifesta inferiorità di fronte all’ostentazione normale di comportamenti e di epidermidi e all’esclusiva in materia di profeti giornalistici o televisivi. Osservare il sesto e il nono comandamento è sempre stata dura: lo fu per gli abitanti di Corinto, figuriamoci se non lo è oggi, dove tutto si riduce a denaro, a potere e a mutande. Che poi è versione masticata della profezia di Eliot: 55

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la rinuncia a Dio – poche chiacchiere, please – passa sempre da lì: usura, lussuria, potere. Seconda parola del terzetto: anche il cattolico non se la cava (almeno non a buon mercato). Avviene, infatti, uno strano qui pro quo: la potente attrazione che la natura fa scoccare a riguardo – e che vuole essere soddisfatta – si ferma lì. Cioè: uno pensa che quell’attrazione e quella sete possa essere placata perché ci si unisce (non solo con gli sbrindellati crismi di oggi ma anche con la buona e santa promessa dell’essere – per sempre – reciprocamente fedeli). Così al sesso si toglie il proprium per cui Cesare Pavese acutamente osservava: Il sesso è un incidente: ciò che ne riceviamo è momentaneo e casuale; noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo. Il sesso è solo un segno. O un idolo. Ben sapendolo, Dante porta alla cima della Commedia una perfetta metafora erotica per parlare del momento cruciale della sua visione: «ma non eran da ciò le proprie penne: / se non che la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne». E, co56

come cavarsela con il sesso

me sapeva un grande scrittore francese, se lo si vive senza prospettiva, senza legame con il desiderio di totalità, «il sesso è l’infinito dei cani». Se ci si ferma prima, morale o non morale, uomini di buona volontà o di debosciato volere, cattolici o animisti, è un bel casino. In sequenza: si confondono le soddisfazioni, e l’altro/a – così promettente ma caricato/a di questo basto di confusione – emerge (ovvio) come deludente e si passa a cercare un altro/a (oppure ci si rammarica di aver promesso di non passare). Scusate la franchezza (forse l’estrazione della paglia doveva essere più accorta): se va così, il piacere connesso non c’è più. Possiamo cavarcela? Se l’aria che tira conduce tutti alla prigione dell’istinto (con l’illusione di «ore d’aria» che – prima o poi – sfarinano nella noia), per i cattolici c’è da ripercorrere la strada del giudizio. Il giusto riproporre valori e costumi non è sufficiente. Mancano i recettori: due ragazzi che convivono cambieranno stile in virtù del (pur doveroso) corso per fidanzati in parrocchia? Serve «capire l’amore». 57

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...la strada del giudizio. Capire, cioè (ben sapendo che siamo tutti diretti discendenti degli amici di Gesù, quelli che dicevano che il linguaggio a riguardo era troppo duro), che l’uomo e la donna, avvinti fra loro, non esauriscono l’amore. Se lo chiedeva, affranto e stupendo, il poeta Rilke: «Amanti, a voi, placati l’uno nell’altro / io domando di noi. Vi avvincete. Ne siete sicuri? [...] È un po’ di sensazione. Ma per questo soltanto chi oserebbe già essere?». Perché c’è un Altro amore per il quale è bello e giusto fare la «follia» di ritrarsi, di dominare il proprio corpo e il proprio pensiero. Un amore più caldo. Più interessante. Poi si fa quel che si può.

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come cavarsela con i soldi

Ah, se almeno la Chiesa fosse povera... Esiste una schiera molto nutrita di persone che dichiarano di desiderare davvero esser cattolici ma proprio non ce la fanno perché troppo li scandalizza il male. È quel genere di persone che a Gesù (Vangelo alla mano) stavano molto sullo stomaco. Sono loro, di solito, a tirar fuori infine questo argomento: almeno fosse povera... È lo stesso argomento finale di Giuda, prima di alzarsi e andare a incassare i trenta denari sonanti per dare il suo amico in pasto al Sinedrio. Tali specialisti dello scandalo per la ricchezza (altrui) me li vedo far la fila per entrare in chiese mal riscaldate, su panche di legnazzo infimo, o mandare i proprio figli a prime comunioni con un saiettuccio ruvido ruvido sui petti teneri. 61

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Me li vedo entrare in gelide cattedrali medievali a cantare il Te Deum battendo i denti. «Ah, ma no, mica si tratta di tagliare il riscaldamento, ma tutti gli ori, i preziosi, i marcinkus e gli affaracci di denaro che il Vaticano fa coi soldi raccolti dalle vecchine inginocchiate davanti a padre Pio o raccolti per i preti in Amazzonia». Direbbero così, una volta assicurato il riscaldamento e magari anche il parcheggio comodo davanti alla parrocchia. Il riscaldamento, il parcheggio, per arrivare a Dio con comodo. A parte il fatto che Marcinkus è uno dei pochi banchieri che nei paraggi ha subìto una gogna mediaticae politica senza precedenti – forse perché non era, al pari di suoi colleghi italiani altrettanto intrallazzoni, padrone di qualche Corriere o di qualche quotidiano o tv – resta il fatto che certo, laddove emergessero malversazioni e cupidigie va corretta la rotta. La Chiesa povera e nuda è una cosa sognata solo dai ben vestiti. Da coloro che fanno finta d’aver capito san Francesco. O che fanno finta di aver capito madre Teresa di Calcutta. I quali, sia detto per chiarezza, chiedevano 62

come cavarsela con i soldi

a se stessi e ai propri confratelli di vocazione di esser sobri come Cristo e suoi imitatori fino al particolare di non avere né famiglia né proprietà che li ingombrasse, ma non si sognavano nemmeno di dire al Papa di vendere la Cappella Sistina o i Musei Vaticani. Francesco, Teresa... Naturalmente, chi è in genere per la povertà della Chiesa e del clero è a favore del matrimonio dei preti o della rinuncia alla castità. La tanto vituperata ricchezza per costoro non ha mai a che fare con il comfort di una bella famigliola o con il piacere di una bella scopata. La magnificenza del Duomo di Milano è il frutto delle offerte di tanta povera gente, come di una prostituta che offerse la propria mantella da vendere pur di vedere una grande cosa nella sua città in lode del Signore e casa per il popolo. La prostituta, la mantella... Com’è noto è abbastanza facile augurarsi la povertà altrui per aver più in pace la coscienza propria. Ma almeno il problema dei soldi per un cattolico è chia63

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ro. Solo il sopraffino e secolarmente consumato e vivo armamentario del linguaggio cattolico ha trovato due espressioni chiare per esprimere il rischio connesso al fascino della ricchezza. Si oscilla tra «lo sterco del diavolo» e «Mammona». Insomma, a poggiar la propria vita sui soldi si rischia di fare una vita di merda e di essere servi del signore sbagliato. Del resto è altrettanto noto che la povertà non rende migliori gli uomini. Allontanandosi dai soldi non si diventa automaticamente più vicini a Dio. La povertà è una dimensione del cuore che indirizza, con drammi e scelte non facili, l’animo all’essenziale. Il resto è folklore. Come quello messo in atto da certi cattolicissimi esponenti politici che esibiscono vetture modeste su cui salgono una volta all’anno davanti ai fotografi per andare a spasso con la famiglia, mentre tutto l’anno da auto blu governative gestiscono il futuro di banche e di poltrone dai ricchissimi cachet per amici e parenti. Quando se la prendono con il Papa perché è troppo ben vestito certi interlocutori disposti a spendere centinaia di euro per una camicia di Dolce e Gabbana fanno tenerezza. 64

come cavarsela con i soldi

La povertà è una dimensione del cuore. L’unico modo per cavarsela è spostare il discorso sullo scopo del denaro. Per che cosa lo si sta usando? La povertà è nell’uso non nella quantità. E ci son due modi di usare poveramente il denaro: per rispondere ai bisogni di chi ti è affidato dal destino (come i figli, i propri dipendenti, o come i fratelli in difficoltà) e per lodare Dio come unico Signore. La contabilità dei moralisti è sempre pelosa, pelosa la mano dell’esattore di moralità.

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come cavarsela con l’aldilà

«Beato te che credi che nell’aldilà, poi si sistemano le cose...» Dicono così, guardandoti come uno che ha in tasca una polizza assicurativa vinta alla lotteria. Come se una qualche certezza intorno all’esistenza dell’aldilà fosse garanzia per avere pazienza aldiqua. Come se si sopportasse di più l’idraulico che ti frega facendoti male i lavori o il barista che ti ciula portandoti roba scondita: il paradiso un luogo di tubi perfetti e di idraulici e camerieri gentili e economici. Come se la partita non si giocasse qui e ora ma solo dopo. Nei tempi supplementari ed eterni. L’aldilà salta sempre fuori a un certo punto nelle discussioni. Può saltar fuori quasi subito, con frasi tipo: «Io ai preti non ci credo però sento che di là qualcosa c’è...»: con l’aggiunta di qualche particolare lacrimo69

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so tipo apparizioni della vecchia amata nonna in sogno, o auspicio che ci sia però un posto dove ritrovare il buon vecchio cagnetto. O l’adorato criceto. I tempi supplementari ed eterni. Oppure salta fuori alla fine, quando l’interlocutore abbassando lo sguardo sentenzia: e poi io all’aldilà non ci credo. Frase certo drammatica, degna delle migliori fiction di seconda serata, e che nelle intenzioni di chi la pronuncia dovrebbe essere come scendere con il briscolone quando si gioca alle carte. Al che la cosa migliore e più giusta è dire, continuando a leccare un gelato o succhiando dalla cannuccia una aranciata: e chi se ne frega se non ci credi, mica è importante. Sì, certo non può che far piacere sapere che da qualche parte quando, come dicono i cow-boy, uno «tira le cuoia» c’è la sua nonna che lo aspetta coi biscottini che gli piacevano tanto. O sapere di rivedere di colpo la donna che si è amato bellissima, o che si può finalmente sedere davanti a una specie di tv-paradiso e guardarsi le partite di coppa con una birra in santa pace... 70

come cavarsela con l’aldilà

Il criceto. Le birre. Però il problema principale della fede riguarda l’aldiqua, non l’aldilà...Vale a dire che la fede mostra la propria spirituale e intellettuale «convenienza» come guida nelle cose di qua. Come potenziatore della vita terrena. La faccenda del centuplo, insomma. Gran trovata di tipo ecomico-spirituale da parte di Dio. Vista la qualità sindacale della controparte, cioè noi, esperti d’ogni tipo di richiesta, rotti ad ogni richiesta di benefit, di aggiunta, di scatto di carriera e di ogni riconoscimento salariale. Cento volte amore, cento volte gioia, cento volte perdono, cento volte figli, cento volte amici, cento volte profondità e bellezza... Gesù Cristo sapeva bene come siamo fatti noi. Era un Dio nelle trattative. Aveva a che fare – fin dai tempi dell’Antico Testamento – con un po’ di gente di cultura ebraica. Gente che sta attenta agli spiccioli. Cento volte amore. Se uno ci promette di pagare nel futuro, con un «pagherò» come si chiamavano le cambiali, mah, ci fidiamo fino a un certo punto. Qualche anticipo lo 71

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chiediamo. «Dài, vienimi incontro...» dicono i due mentre contrattano. Insomma preferiamo di veder qualcosa presto, piuttosto che tutto ma dopo un sacco di tempo. Ok, la vita di un uomo non è propriamente un sacco di tempo, però, insomma, a volte i giorni e le pene sembrano non passare mai... Il contratto con Dio prevede un bell’anticipo. Il centuplo. Ma siamo stati sempre inquieti sull’aldilà: il viaggio di Enea tra le ombre, il desiderio antico e moderno di sapere, i poemi, le indulgenze, Fellini che va dal mago Rol, le telefonate in diretta a maghe dai capelli stopposi... L’uomo sempre ha avuto l’ansia di sapere dove e cosa sarà dopo... Tale desiderio di scoprire l’eterno non lo si soddisfa cercando di sporgersi attraverso le feritoie (vere o presunte) che si aprono nella muraglia del tempo che ci tiene. Ne approfittano tanti ciarlatani, offrendo parapetti, terrazzini, binocoli, tavolini, aquiloni da dove secondo loro vediamo com’è fatto l’eterno e come sta la zia Maria. Difficile liberarsi di tutto un armamentario anche in salsa cattolica che prevede speciali gingilli che garantiscono portentosi collegamenti, pratiche evocati72

come cavarsela con l’aldilà

ve di anime, cianfrusaglie di gusto dolciastro dall’effetto ansiolitico. Ma chi critica il mondo cattolico, specie nelle sue espressioni popolari, colorite e mutanti, ha mai visto il vero e proprio circo di riti, di credenze, di bailamme e peracottari che s’aggira nei dintorni di chi non ha fede per placare le curiosità dell’aldilà? Fellini che va dal mago Rol... I capelli stopposi in diretta. Invece l’eterno è una dimensione dell’attimo presente. Una dimensione del tempo. Una verità già attuale. Non è una faccenda che inizio dopo le cerimonie di commiato e le pacche sulle spalle dei parenti. Per Dante l’eterno che visitò nella sua gran Commedia iniziava già nel viso di Beatrice, era il senso della sua bellezza. Non idolatrò la donna come fanno tanti di quelli che poi accoppano le amate nel tinello. Non puntò sull’eternità del suo sentimento, che è come puntare sulla durata della schiuma della birra, ma puntò sul sapore della birra. O lo gusti fin da ora, come una festa che traversa le strade profonde del paesino che è la nostra vita, o l’eterno somiglia a un sogno di un museo delle cere. 73

come (non) cavarsela con Dio

Storia vecchia, quella nostra (e strana) frenesia di tornare alla polvere che eravamo e a cui torneremo (il sano memento del Mercoledì delle Ceneri), a quel niente prima che Lui ci impastasse nella bella avventura della creazione. E storia altrettanto vecchia il Suo non lasciarci svanire così, e il Suo fermo sì sì, no no alla nostra diplomazia di sotterfugi e di forse. Cominciarono i due della colpa antica: combinato il patatrac, il cortocircuito originale della mela, del serpente e della presunzione (si chiede in anticipo venia agli esegeti), di fronte all’Amico con cui passeggiavano nel giardino, hanno tirato fuori la storia della nudità e della vergogna. Primo tentativo di cavarsela: la scusa di non essere più «presentabili» (colpa di lui, colpa di lei, e il contesto...). 77

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Si innalza subito, insuperabile, la muraglia dei rimorsi (così diversi dal pianto per un Amore tradito!), si invocano circostanze attenuanti di fronte ad un Pm dei cieli qualunque, ad un Togato inflessibile e ormai lontano. Esser presentabili... Oppure la lotta, l’illusione del braccio di ferro tra forzuti, tra pari categoria, da cui usciremmo indenni. Secondo tentativo di farla franca (anche questa è una storia di tanto tempo fa). Giacobbe – per un’intera notte – si è cimentato con Lui ed alla fine, paf, non se l’è cavata, è rimasto colpito all’anca e, per tutta la vita, ha zoppicato. Come il doctor House. I cazzotti del Contendente lasciano il segno, non sarai più il presunto (e presuntuoso) pugile di prima. Terzo tentativo di farla franca (anche qui mi scuso in anticipo con gli anzidetti esegeti): non riusciamo con il Padre e allora si tenta con il Figlio (errore/orrore, da consumare tutti i lapis blu e rossi: sono una cosa sola...). Anche con Gesù, infatti, ci abbiamo provato (e ci 78

come (non) cavarsela con Dio

proviamo): sottoponendolo a indovinelli bislacchi su mogli, eredità, precetti, adducendo tutte le istruzioni che rispettiamo (la menta e il cumino, il nostro sdegno per esattori e donne allegre, il nostro essere giovani retti e di buona stirpe) per non cedergli. Non ce la caviamo e non ce la caveremo mai, non si scappa. Intendiamoci, il Suo incombere non è quello di una Stasi celeste, che ci controlla nei pensieri e nelle azioni. Anzi, Dio non teme che noi – di straforo, quatti quatti o sbattendo le porte – Lo si lasci da solo (è già successo, a Cafarnao anche agli amici fu chiesto – senza retorica alcuna – se avevano l’intenzione – come tutti – di alzare i tacchi ed andarsene). Troppo rispetto, troppo amore per accettare, da ognuno di noi, un accordo al ribasso con qualche deogratias. Dio ha la memoria lunga: si ricorda di quel giardino e di quelle passeggiate, quando non c’era il problema di cavarsela da soli. Sa che è il nostro posto e ancora non si è stancato di ricordarcelo.

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La carta utilizzata per stampare questo volume proviene da foreste e piantagioni gestite in modo ecosostenibile secondo principi che garantiscono la loro sopravvivenza, la tutela degli animali che le abitano e i diritti delle popolazioni locali.