Mangiare sano, bere sano, vivere sano. La guida all’alimentazione dell’Harvard Medical School 9788852091599

In questo libro, un vero e proprio classico dell'alimentazione, troverete tutto quanto c'è da sapere per viver

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Mangiare sano, bere sano, vivere sano. La guida all’alimentazione dell’Harvard Medical School
 9788852091599

Table of contents :
Indice......Page 525
Indice delle ricette......Page 520
Frontespizio......Page 5
Il libro......Page 3
Gli autori......Page 4
Prefazione di Feanco Berrino......Page 6
Mangiamo per vivere......Page 12
Semplici passi......Page 14
Abbondanza di consigli......Page 20
Le raccomandazioni ufficiali......Page 21
Influenze indebite......Page 23
La piramide cresce......Page 24
Un’iniezione di scienza e lo sgretolamento della piramide,......Page 28
Un esperimento mediterraneo......Page 29
Via con il nuovo: la Healthy Eating Pyramid......Page 31
La piramide USDA cambia look......Page 33
Dalla piramide al piatto......Page 35
Linee guida per l’alimentazione 2015-2020: molte ingerenze,......Page 37
Altri test su piramidi, piatti e linee guida alimentari......Page 39
Linee guida migliori e diete migliori: come ci ripagano......Page 42
3 Diete: a che cosa credere?......Page 43
Sostituire le stime approssimative con le prove......Page 44
Le contraddizioni sono inevitabili......Page 45
La sfida di lavorare con persone vere......Page 46
Metodi diversi per problemi diversi......Page 47
Interpretare le notizie mediche......Page 57
In conclusione......Page 60
4 Un peso salutare......Page 61
L’epidemia di obesità......Page 63
Qual è il peso salutare?......Page 64
Le attuali linee guida sul peso possono essere troppo indulgenti......Page 67
Mantenere l’IMC nel range salutare......Page 68
La bilancia ai tempi dell’università......Page 69
Mele e pere......Page 70
Perché aumentiamo di peso?......Page 72
Per l’energia, una caloria è una caloria......Page 76
Anche la qualità delle calorie conta......Page 77
Misurarsi con la “forma” delle calorie aiuta a dimagrire?......Page 78
Le diete a ridotto contenuto di grassi non sono la soluzione......Page 79
Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare......Page 80
Le diete a basso indice glicemico possono essere una scelta eccellente......Page 82
La densità energetica non è una guida affidabile......Page 83
Mangiare sano aiuta a dimagrire......Page 84
Scegliete la via mediterranea......Page 85
Tre mosse per controllare il peso......Page 86
La verità sulle diete popolari......Page 97
Diete a ridotto contenuto di grassi......Page 99
Diete a ridotto contenuto di carboidrati......Page 100
Diete a corretto contenuto di carboidrati......Page 101
Proporzioni perfette e combinazioni corrette......Page 103
E la densità energetica?......Page 104
Mangiate come nel 100.000 a.C.......Page 105
Le prove sulle diete......Page 106
Fate da soli......Page 108
5 Parlare chiaro sui grassi......Page 110
Tipi di grasso......Page 111
Grassi omega 3: un particolare beneficio......Page 116
La confusione sugli omega 6......Page 118
Grassi trans: una particolare preoccupazione......Page 120
Certi grassi fanno bene......Page 122
Come le linee guida alimentari hanno distorto la verità sui grassi......Page 123
Le linee guida più semplici non sempre sono migliori......Page 125
Sostituire i grassi con i carboidrati crea un nuovo problema......Page 126
I benefici di consumare grassi insaturi invece che grassi saturi......Page 127
Effetti dei grassi alimentari sulla salute......Page 128
Abbondanza di prove sui benefici dei grassi insaturi......Page 137
Grassi saturi: notizie che confondono le idee......Page 138
Consigli sugli omega......Page 139
Grassi alimentari e cancro: una relazione debole......Page 141
Scegliere grassi salutari......Page 146
Sostituire i grassi non salutari con altri più salutari......Page 149
6 Carboidrati nel bene e nel male......Page 153
I carboidrati del tipo sbagliato fanno più male che bene......Page 155
Non solo “semplici” contro “complessi”......Page 156
Perché i carboidrati contano......Page 157
Il problema dell’in­sulino-resistenza......Page 160
Le diete ricche di carboidrati fanno particolarmente male alle persone in sovrappeso......Page 162
L’indice glicemico: l’effetto dei carboidrati sugli zuccheri nel corpo......Page 163
Carico glicemico: anche la quantità dei carboidrati conta......Page 166
Che cosa determina l’indice glicemico e il carico glicemico di un cibo?......Page 168
Cereali intatti, cereali integrali e cereali raffinati......Page 170
I cereali integrali proteggono dal diabete......Page 173
I cereali integrali migliorano anche la salute del tratto gastrointestinale......Page 174
Che cosa rende migliori i cereali integrali e intatti?......Page 175
Separare il grano dal loglio......Page 176
In conclusione......Page 180
Che cosa sono le proteine?......Page 184
Di quante proteine si ha bisogno?......Page 186
Proteine e salute umana......Page 188
Fate attenzione al pacchetto......Page 193
Lo scoop sulla soia......Page 195
La soia ha un lato oscuro?......Page 198
In conclusione......Page 199
8 Mangiare molta frutta e verdura......Page 205
Prima di tutto, che cosa sono esattamente la frutta e la verdura?......Page 206
Famiglia nutrizionale......Page 208
Un arcobaleno di cibi......Page 209
USDA e altri: una guida inadeguata......Page 210
Frutta e verdura prevengono le patologie cardiovascolari.........Page 211
... Le patologie dell’occhio.........Page 214
... E il controllo del peso......Page 215
Ma proteggono dal cancro?......Page 216
Fibre: quando essere indigeribili è un pregio......Page 220
Fitonutrienti al lavoro......Page 222
La nostra salute dipende dai vegetali......Page 224
Troppo di una cosa buona......Page 225
In conclusione......Page 227
La patata è una bomba inesplosa......Page 229
9 Siamo quello che beviamo......Page 232
Acqua......Page 235
Succo di frutta e di verdura......Page 237
Bevande gassate e zuccherate......Page 239
Latte......Page 242
Caffè......Page 249
Alcolici......Page 253
In conclusione......Page 259
10 Calcio: una finta emergenza......Page 261
Perché abbiamo bisogno di calcio?......Page 262
Di quanto calcio abbiamo bisogno?......Page 263
Concentriamoci sulle ossa fratturate......Page 267
Oltre le ossa......Page 270
Se non il calcio, allora che cosa?......Page 271
In conclusione......Page 275
11 Integratori multivitaminici: una sicurezza in più......Page 278
La vitamina A......Page 280
Le tre B: B6, B12 e B9 (acido folico)......Page 282
Carotenoidi: betacarotene, licopene & Co.......Page 290
Vitamina C......Page 291
Vitamina D......Page 293
Vitamina E......Page 298
Vitamina K......Page 303
Calcio......Page 304
Ferro......Page 305
Magnesio......Page 307
Potassio......Page 308
Sodio......Page 310
Selenio......Page 313
Zinco......Page 315
In conclusione......Page 316
Tre questioni fondamentali......Page 325
Produzione alimentare sostenibile......Page 328
Come contribuire allo sforzo globale?......Page 331
In conclusione......Page 336
13 Tiriamo le somme......Page 338
I benefici di questa strategia alimentare......Page 339
Diete tradizionali: miti e realtà......Page 341
La dieta mediterranea e oltre......Page 342
Le tradizioni culinarie si adattano bene ai trasferimenti......Page 345
Quanto costa mangiare sano?......Page 346
L’alimentazione sana a livello mondiale......Page 350
In conclusione......Page 351
Gravidanza......Page 352
Ipertensione......Page 354
Diabete......Page 356
Ipercolesterolemia......Page 357
Ictus e infarto......Page 358
Cancro......Page 359
Celiachia......Page 360
Perdita di memoria......Page 361
15 Consigli per acquisti, menu e ricette......Page 364
Scegliete alimenti ricchi di nutrienti......Page 365
Elenco dei cereali integrali o intatti......Page 367
Consigli per la cottura e la conservazione dei cereali integrali......Page 378
La spesa salutare......Page 379
Leggere le etichette......Page 381
La salute in cucina......Page 383
Menu settimanale......Page 385
Antipasti e bevande......Page 394
Pane e cereali......Page 402
Portate principali......Page 415
Portate principali vegetariane......Page 433
Zuppe e stufati......Page 453
Contorni......Page 466
Dessert......Page 484
Note......Page 496
Referenze iconografiche......Page 518
Ringraziamenti......Page 523

Citation preview

Il libro

I

n questo libro, un vero e proprio classico dell’alimentazione, da anni

bestseller negli Stati Uniti, troverete tutto quanto c’è da sapere per vivere a lungo e in salute.

Considerato da molti il “nutrizionista più famoso al mondo”, Walter Willett ha iniziato il primo grande studio prospettico sul cibo quarant’anni fa e da allora ha continuato a occuparsi di alimentazione. “Ho scritto Mangiare sano, bere sano, vivere sano nel 2001, per dire basta alla confusione imperante nel settore della dietetica. Fondando il libro sulle prove scientifiche più affidabili di quegli anni, ho dato raccomandazioni su come mangiare e bere in modo sano. Diciassette anni e migliaia di studi scientifici dopo, le raccomandazioni di questa nuova edizione restano sostanzialmente le stesse, sebbene sostenute da prove più numerose e corroborate da importanti nuovi dettagli. In fatto di alimentazione i consigli si sprecano e sono per lo più fuorvianti. Credetemi, la strada verso la buona salute non è costellata di privazioni e piatti insipidi. Al contrario, è semmai lastricata di cibi gustosi, soddisfacenti e in quantità.” Seguendo la “Piramide del mangiar sano” e il “Piatto del mangiar sano”, concepiti entrambi a partire dalla miglior scienza nutrizionale disponibile, il dottor Willett ci insegna a liberarci dalle abitudini non propriamente sane in cui si rischia di cadere e a controllare l’appetito. Ma non è solo una questione di peso, perché i consigli del dottor Willett per un’alimentazione sana possono proteggere dall’insorgenza di una lunga lista di malattie diffuse, comprese cardiopatie, ictus, diabete di tipo 2, molti tumori fra i più comuni, cataratta, osteoporosi, demenza senile e altre patologie legate all’età. Con oltre 70 ricette e menu, Mangiare sano, bere sano, vivere sano è una guida completa e indispensabile per orientarsi nel mondo della nutrizione e vanta tra i suoi estimatori il dottor Franco Berrino che ha curato la revisione scientifica della traduzione italiana.

Gli autori Walter C. Willett è professore di Epidemiologia e Nutrizione presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health e professore di Medicina alla Harvard Medical School. Ricercatore di fama mondiale, è uno dei massimi studiosi del Nurses’ Health Study e dell’Health Professionals Follow-up Study e ha ricevuto numerosi premi, tra cui la Medaglia d’Onore della American Cancer Society. Patrick J. Skerrett è stato direttore di Harvard Health Publications. Ora è editor di First Opinion su STATnews.com

Walter C. Willett con Patrick J. Skerrett

MANGIARE SANO, BERE SANO, VIVERE SANO La guida all’alimentazione della Harvard Medical School In collaborazione con la Harvard T.H. Chan School of Public Health

Prefazione

Negli ultimi vent’anni la conoscenza sul rapporto fra il cibo e la salute dell’uomo è cresciuta moltissimo e buona parte di questo progresso è dovuto ai grandi studi di Walter Willett e dei suoi collaboratori all’università di Harvard sui lavoratori della sanità negli Stati Uniti d’America. Quarant’anni fa l’équipe del professor Willett ha iniziato il primo studio prospettico su cibo e salute reclutando 120.000 infermiere che da allora ogni quattro anni compilano questionari sul loro stile di vita, su quello che mangiano e sul loro stato di salute. 80.000 di queste infermiere sono tuttora in vita e continuano a essere seguite nel tempo per esaminare che differenze c’erano, prima della malattia, fra chi poi si ammala e chi non si ammala, fra chi muore e chi sopravvive. Questi studi consentono di valutare, per esempio, se, a parità di età e di altri fattori di rischio, un certo cibo o un certo stile alimentare è associato a un maggiore o minore rischio di ammalarsi o di morire di diabete, di infarto, di cancro, di malattie neurodegenerative ecc., e anche di calcolare quanti casi potrebbero teoricamente essere prevenuti adottando un’alimentazione sana. Il mondo della nutrizione è inquinato da interessi economici enormi, dalla pubblicità, dalle pressioni dell’industria alimentare sui governi, dai conflitti di interesse delle agenzie regolatrici, da ricercatori e società scientifiche sedotti da guadagni carenti di etica, da studi inaffidabili, anche volutamente sbagliati, dall’ignoranza dei legislatori, dall’incapacità di valutare la qualità degli studi, da sedicenti esperti che non conoscono gli studi, da ciarlatani che millantano straordinarie proprietà di integratori e cibi “funzionali”. Per ora noi umani siamo ancora più attratti dall’interesse personale che dal bene comune. Nel suo libro, Willett analizza a fondo le pressioni dell’industria zootecnica sulle agenzie governative americane per difendere il mercato della carne spostando l’attenzione

dalle carni rosse ai grassi. Troviamo manovre simili dell’industria alimentare anche nei ministeri italiani e nell’Agenzia europea di sicurezza alimentare (EFSA ) che ospitiamo a Parma, che spesso cedono alle pressioni. Il libro di Willett è quanto di più affidabile sia disponibile oggi, le sue raccomandazioni poggiano su studi solidi e quando mancano studi solidi hanno pur sempre una solida base di buon senso. Sono raccomandazioni coerenti con quelle del Codice europeocontro il cancro (www.cancer-code-europe.com) redatto da un gruppo di lavoro dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC ), un organismo dell’OMS , per conto della Comunità europea, e pubblicato nel 2014: consumate abbondantemente cereali integrali, legumi, verdura e frutta; limitate il consumo di carni rosse ed evitate il consumo di carni lavorate; limitate il consumo di cibi ad alta densità calorica ed evitate il consumo di bevande zuccherate; limitate il consumo di bevande alcoliche; limitate il consumo di sale e di cibi conservati sotto sale. Si tratta di raccomandazioni per la prevenzione delle neoplasie, ma nello studio EPIC , che segue 500.000 persone reclutate in dieci Paesi europei, abbiamo mostrato che chi le rispetta muore meno, sì, di cancro, ma ancor meno di malattie di cuore, di malattie dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, e anche di malattie infettive. Sono raccomandazioni, come quelle del dottor Willett, che ci rendono probabile, se vorremo seguirle, una longevità in salute, senza necessità di farmaci per sopravvivere, senza invalidità, e sono raccomandazioni del tutto compatibili con una gastronomia eccellente, che richiede però di tornare in cucina. È la dieta mediterranea di una volta, o le splendide ricette del dottor Willett, che ha trovato il tempo di tornare in cucina con la sua sposa. Se vogliamo, abbiamo il tempo di tornare in cucina. Evitiamo di sprecare il nostro tempo a guardare improbabili chef che cucinano in televisione.

Willett è prudente e raccomanda solo ciò che gli studi, non solo i suoi, dimostrano chiaramente. Un’eccezione è il suo invito ad assumere quotidianamente, “per prudenza”, una pillola multivitaminica (a basse dosi). Le prove scientifiche che ciò sia utile sono modeste. Verosimilmente chi mangia come raccomanda Willett, con una varietà di verdura, frutta, semi integrali, e occasionalmente un po’ di pesce o carne bianca, non ha bisogno di un sovrappiù di vitamine, ma alcuni studi hanno mostrato che chi mangia cibo spazzatura, chi ha uno stile alimentare che favorisce le malattie croniche può beneficiarne. Un’integrazione di vitamine, purché a basse dosi, difficilmente potrebbe far male, ma “per prudenza” non rischierei di essere mal interpretato e che qualcuno possa pensare che una pillola con una dozzina di vitamine sia equivalente alle migliaia di sostanze che otteniamo mangiando una varietà di cibi vegetali. Oggi in realtà la varietà delle verdure, della frutta, dei cereali e dei legumi si è ridotta molto, di dieci-cinquanta volte a seconda dei prodotti, rispetto a prima dell’agricoltura industriale. L’agroindustria coltiva le varietà più produttive, più redditizie, e ostacola la biodiversità imponendo leggi sulla registrazione dei semi. Non accontentiamoci di quello che troviamo al supermercato, cerchiamo i contadini che rispettano la terra e ancora producono le varietà antiche, che non costringono i campi a produrre quello che richiedono i mercati, bensì continuano a produrre quello che la terra è in grado di dare senza violentarla con fertilizzanti e veleni. Willett raccomanda di comprare dai mercati contadini, dai gruppi di acquisto solidali. Accordiamoci con i produttori affinché ci forniscano tutta la varietà dei cibi stagionali, diventiamo coproduttori! Troveremo i produttori di cui possiamo fidarci su www.laguidanomade.it, che sta mettendo in rete gli indirizzi delle realtà italiane di produzione e ristorazione etiche. Un aneddoto sulla “prudenza” di Willett. Era il febbraio del 2001. La IARC aveva convocato un gruppo di lavoro per riesaminare tutti gli studi sul rapporto fra sovrappeso, obesità e cancro. Eravamo una quarantina di ricercatori, metà provenienti dagli Stati Uniti, metà europei. Si concluse che molti

tumori, fra cui quelli dell’endometrio, della mammella (dopo la menopausa), del colon, della colecisti, del rene, sono favoriti dall’obesità. Nella stesura del rapporto finale proposi di menzionare il ruolo del cibo spazzatura (fast food e soft drink) nel causare l’obesità, ma nessuno fu d’accordo. Insistetti commentando la maggiore prevalenza di obesità in America rispetto all’Europa. Anche i ricercatori americani del gruppo di lavoro erano mediamente più in sovrappeso rispetto agli europei (con l’eccezione del chairman, Walter Willett, alto e snello). Dopo una mezz’ora di dibattito Willett troncò la discussione dicendomi: «Ok, Franco, abbiamo ben compreso il tuo punto di vista, io stesso tendo a essere d’accordo che il cibo spazzatura che si mangia in America fa ingrassare, ma devi riconoscere che nessuno studio scientifico lo ha dimostrato». Effettivamente gli studi disponibili allora erano di tipo “trasversale” (cross-sectional), cioè studi in cui si confrontavano le abitudini alimentari dei grassi e dei magri. Gli studi sullo zucchero, per esempio, mostravano sistematicamente che i grassi ne mangiano meno dei magri. L’industria dello zucchero gongolava, ma si trattava della cosiddetta “causazione inversa”: contrariamente agli scienziati, che credono solo a quello che è dimostrato, i grassi sapevano bene che lo zucchero fa ingrassare e cercavano di ridurlo (o dichiaravano comunque che ne mangiavano meno, magari dimenticando di segnalare nei questionari quello che mangiavano di notte!). Occorrevano studi prospettici che reclutassero persone sane, non in sovrappeso, che raccogliessero le loro abitudini alimentari e che le seguissero nel tempo per registrare chi poi sarebbe ingrassato e chi no. Il primo studio, sui bambini americani, fu pubblicato su “The Lancet” proprio mentre eravamo riuniti a Lione. Mostrava che il rischio di diventare obesi aumentava del 60% per ogni lattina di bevande zuccherate consumata al giorno. In seguito il gruppo di Willett analizzò il rischio di obesità nei tre studi prospettici di Harvard sui lavoratori della sanità. Tutti e tre gli studi mostrarono che i cibi che più fanno ingrassare sono, nell’ordine: le patatine, le patate, le carni lavorate (hamburger, hot dog, salumi), le

bevande zuccherate, i prodotti di panetteria/pasticceria a base di farine raffinate, anche (ma molto meno) i succhi di frutta non zuccherati, mentre cereali integrali, verdure, frutta, noci, nocciole, mandorle (anche se molto caloriche!) e lo yogurt aiutano a non ingrassare. Ora anche il “prudente” dottor Willett raccomanda di evitare il cibo spazzatura. Fidiamoci del dottor Willett! Franco Berrino Presidente dell’associazione La Grande Via già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano

Mangiare sano, bere sano, vivere sano

A Gail

1

Mangiare bene è importante

Mangiamo per vivere È una semplice, ovvia verità: abbiamo bisogno di cibo per compiere le azioni necessarie come pompare sangue, muovere muscoli, formulare pensieri... Quello che mangiamo e beviamo, però, può anche contribuire a farci vivere meglio e più a lungo. Con le scelte giuste, possiamo evitare problemi che siamo abituati a considerare un inevitabile tributo al tempo che passa. Mangiare bene – insieme a mantenere un peso adeguato, fare regolare attività fisica e non fumare – può prevenire l’80% degli attacchi cardiaci, il 90% delle forme di diabete di tipo 2 e il 70% dei tumori del colon-retto. 1 Può anche proteggervi da ictus, osteoporosi, stipsi e da altri disturbi dell’apparato digerente, dalla perdita di memoria e dalla demenza. E i benefici non saranno soltanto futuri. Una dieta sana può darvi energia e farvi sentire meglio già da oggi. Fare scelte alimentari poco avvedute – eccedere con i cibi sbagliati e trascurare quelli giusti, o semplicemente mangiare troppo – può portarvi sulla strada sbagliata, aumentando le probabilità di sviluppare una o più patologie croniche o di morire prematuramente. Un regime alimentare scorretto durante la gravidanza potrebbe causare difetti congeniti al nascituro e condizionare la sua vita persino quando sarà adulto e anziano. Venendo alle diete, distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è non è sempre facile. L’industria alimentare spende miliardi di dollari l’anno per orientare le nostre scelte, per lo più nella direzione sbagliata. I guru delle diete promuovono effimeri regimi dimagranti, di solito tutt’altro che salutari, mentre i media ci servono quasi quotidianamente notizie antitetiche. Anche i supermercati e i fast food ci consigliano tutto e il contrario di tutto, come del resto fanno le confezioni di cereali e le migliaia di siti, blog, pagine Facebook e tweet. Il governo, che con le sue immagini di piramidi e piatti (Food

Guide Pyramid, la Piramide alimentare; MyPyramid, La mia Piramide; MyPlate, Il mio piatto) intendeva mettere ordine in questo caos, ha finito per dare raccomandazioni fuorvianti e spesso poco salutari (vedi capitolo 2), che favoriscono più l’agricoltura nazionale e le aziende alimentari che la salute della popolazione. Se la dieta base americana è ancora molto lontana dal potersi definire sana, va detto che negli ultimi decenni è migliorata, nonostante la babele di informazioni nutrizionali. Insieme a numerosi colleghi ho studiato le diete di quasi 34.000 persone, che tra il 1999 e il 2012 hanno partecipato alla National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES , Indagine nazionale su salute e nutrizione). L’indagine, ripetuta a cadenza annuale, raccoglie dati su dieta, salute e stato nutrizionale di un campione di popolazione statunitense (adulti e bambini). Abbiamo valutato il regime alimentare di ogni partecipante usando una procedura da noi sviluppata che assegna punteggi più alti agli elementi salutari della dieta (per esempio cereali integrali e grassi insaturi) e punteggi più bassi agli elementi non salutari (come carni rosse e bevande zuccherate). Il punteggio più alto, 110, indica la migliore dieta possibile. Con grande soddisfazione, abbiamo scoperto che tra il 1999 e il 2012 la qualità della dieta americana è considerevolmente migliorata. 2 Il consumo di grassi trans, nocivi per le arterie, si è ridotto dell’80-90%, e il consumo di bevande zuccherate del 25% circa. In media, le persone consumano una quantità leggermente più alta di frutta, cereali integrali e grassi insaturi sani. Lo studio ha riscontrato che il regime alimentare dell’americano medio non è ancora ottimale – totalizza 48 punti dei 110 disponibili – e che la popolazione più povera e meno istruita ha una dieta meno sana di quella più abbiente e preparata. E pare che questo divario nel tempo stia aumentando. Questi modesti miglioramenti nella qualità della dieta hanno avuto un impatto sorprendente sulla salute della nazione. Secondo le nostre stime, tra il 1999 e il 2012 hanno evitato 1.100.000 morti premature per infarto, ictus, cancro e altre cause, nonché 3 milioni di casi di diabete di tipo 2. Ma c’è ancora molto da fare, visto che la “dieta americana media” non è risultata poi così valida. Le strategie presentate nel libro

vi aiuteranno a costruire una dieta perfetta per raccogliere questi e molti altri benefici.

Semplici passi Ho scritto Mangiare sano, bere sano, vivere sano nel 2001, per dire basta alla confusione imperante nel settore della dietetica. Fondando il libro sulle prove scientifiche più affidabili di quegli anni, ho dato raccomandazioni su come mangiare e bere in modo sano. Sedici anni e migliaia di studi scientifici dopo, le raccomandazioni di questa nuova edizione restano sostanzialmente le stesse, sebbene sostenute da prove più numerose e corroborate da importanti nuovi dettagli. È incoraggiante perché significa che, con una scrupolosa attenzione alla tipologia e all’efficacia della ricerca, si riescono a trarre conclusioni nutrizionali che resistono alla prova del tempo e di un approfondito scrutinio scientifico. Tuttavia il libro doveva essere aggiornato, perché troppi hanno ancora le idee confuse su ciò che costituisce una dieta sana e sono alla ricerca di informazioni valide. Ancora più incoraggiante è che le raccomandazioni dietetiche nazionali, le cosiddette Dietary Guidelines for Americans 3 (Linee guida per l’alimentazione degli americani) si siano avvicinate a ciò che consigliavo nel 2001 e consiglio tuttora. Non posso competere con la brevità del food writer Michael Pollan, che ha espresso il suo credo nutrizionale in sei parole: “Mangiate cibo. Non troppo. Soprattutto vegetali”. 4 È una visione accettabile, ma che non offre una vera guida. Ed è proprio questo che vorrei invece darvi. Ecco il quadro riassuntivo di consigli semplici – che si possono facilmente seguire – per mangiare sano e che in seguito spiegherò nei dettagli: mangiate in abbondanza verdura e frutta, ma limitate i succhi di frutta e il mais, e contenete il consumo di patate; mangiate più grassi buoni (che derivano principalmente dai vegetali) e meno grassi cattivi (che derivano principalmente dalla carne e dai latticini);

mangiate più carboidrati derivati da cereali integrali e meno carboidrati derivati da cereali raffinati; scegliete fonti di proteine sane, limitate il consumo di carni rosse e non mangiate carni lavorate; bevete più acqua. Caffè e tè vanno bene, bibite zuccherate e altre bevande no; bevete alcolici con moderazione, se ne bevete; assumete un multivitaminico per sicurezza, nel caso non stiate ricavando la necessaria quantità di vitamine e minerali dal cibo. Assicuratevi che contenga almeno 1000 unità internazionali di vitamina D . Dall’ultima edizione del libro, numerosi studi hanno sostenuto i benefici di una dieta basata principalmente sui vegetali. Questo non significa che dobbiate diventare vegani o vegetariani. Anche un parziale allontanamento da un regime incentrato su carne e latticini in direzione di fonti proteiche vegetali è un passo importante per la salute, sia la vostra sia quella del pianeta (vedi capitolo 12). Se abolire la carne non fa al caso vostro, prendete in considerazione la dieta VB6 (Vegan Before 6, Vegani fino alle 18.00), proposta dal food writer del “New York Times” Mark Bittman. Oppure fate un tentativo con il popolare “lunedì senza carne”, cioè un giorno a settimana – scegliere il lunedì lo rende solo più facile da ricordare, ma va bene un giorno qualsiasi – non mangiate carne. Se molti esperti di alimentazione (tra cui Pollan, Bittman e io stesso) concordano sulla bontà di una dieta fondamentalmente vegetale, l’USDA (United States Department of Agriculture, Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America), non sposa del tutto questa teoria. E lo si capisce da MyPlate, l’infografica non esattamente “salutare” che l’USDA ideò per condensare nell’immagine di un piatto le raccomandazioni dietetiche delle Dietary Guidelines for Americans del 2010 (vedi capitolo 2). Per contrastare il diffondersi di queste informazioni imprecise, io e numerosi colleghi della Harvard T.H . Chan School of Public Health (Scuola T.H . Chan di specializzazione in salute pubblica dell’università

di Harvard), in collaborazione con la Harvard Health Publications, sintetizzammo il meglio della ricerca nutrizionale nell’Harvard Healthy Eating Plate (Piatto del mangiar sano di Harvard). Questa guida visiva, basata su solidi risultati scientifici, facilita la scelta delle opzioni più sane e si propone come un’alternativa importante all’ingannevole MyPlate dell’USDA (vedi capitolo 2). Il messaggio principale dell’Harvard Healthy Eating Plate, come della sorella maggiore Healthy Eating Pyramid (Piramide del mangiar sano), è concentrarsi sulla qualità della dieta. Preferite la verdura e la frutta: riempitene metà del piatto. Ricercate il colore e la varietà. Rammentate che le patate non sono verdura (vedi “La patata è una bomba inesplosa” a p. 240). Prediligete i cereali integrali: circa un quarto del piatto. I cereali integrali e intatti, come la farina di frumento integrale, l’orzo, il grano in chicchi, la quinoa, il riso integrale e i prodotti che li contengono, rispetto al pane bianco, al riso bianco e ad altri cereali raffinati hanno un effetto più blando sullo zucchero ematico e sull’insulina (vedi capitolo 6).

Fig. 1 L’Harvard Healthy Eating Plate è stato creato per colmare le carenze del MyPlate (USDA ). È una guida semplice ma dettagliata che aiuta a compiere scelte alimentari ottimali.

Scegliete dei “pacchetti” di proteine sane: circa un quarto del piatto. Pesce, pollame, legumi, soia e frutta secca sono tutte fonti proteiche salutari e versatili. Limitate le carni rosse ed evitate quelle lavorate come gli insaccati (vedi capitolo 7). Usate oli vegetali, come olio di oliva, di canola (che si ottiene dai semi di una varietà di colza), di soia, di mais, di girasole, di arachidi, con moderazione. Evitate i cibi con grassi parzialmente idrogenati, perché contengono grassi trans artificiali e nocivi (vedi “Grassi trans: una particolare preoccupazione” a p. 117). Se amate il sapore del burro o dell’olio di cocco, usateli quando sono essenziali nella ricetta ma non come condimento principale.

Ricordate che “magro” o “a ridotto contenuto di grassi” non significa “salutare” (vedi capitolo 5). Bevete acqua, caffè o tè. Evitate le bevande zuccherate. Se vi piace il latte, non bevetene più di due bicchieri al giorno (vedi capitolo 9). Se bevete alcolici, non esagerate: non più di due bicchieri al giorno per gli uomini e non più di un bicchiere al giorno per le donne. Fate attività fisica. È importante per la salute in generale e per tenere sotto controllo il peso. Seguire lo schema proposto dall’Harvard Healthy Eating Plate è un buon metodo per migliorare la dieta. Però a me preme anche farvi comprendere le prove scientifiche su cui si fonda. Tutto sarà spiegato nel dettaglio nei capitoli compresi tra il 4 e l’11: le ricerche classiche e d’avanguardia che hanno definito e perfezionato i modelli alimentari più salutari; nuove informazioni sui carboidrati a digestione lenta; che tipo di frutta e verdura è particolarmente importante includere nella dieta; quali proteine sono salutari e quali no; come trarre più vantaggio dai grassi omega 3 presenti nel pesce e in alcuni vegetali; quali sono i potenziali rischi dell’eccessivo consumo di latte e latticini; perché è giusto assumere quotidianamente un complesso multivitaminico. Il libro vi aiuterà a trasformare queste informazioni in pasti e spuntini, suggerendovi dei sistemi per comprare cibi sani e nutrirvi in modo “difensivo” in un mondo alimentare che vi spinge a consumare prodotti che potrebbero accorciarvi la vita. Anche le persone con esigenze nutrizionali speciali troveranno consigli utili per ottenere il massimo beneficio da quello che mangiano. Parleremo di donne in gravidanza, anziani fragili, malati di celiachia e soggetti affetti da – o a rischio di – patologie cardiache, diabete, ipertensione e altri disturbi cronici. E, alla fine del libro, troverete più di settanta gustose ricette sperimentate. Queste informazioni non intendono sostituirsi ai consigli del vostro medico, specialmente se soffrite di malattie che richiedono una dieta specifica. Al contrario, vi incoraggio a discutere di diete con chi si occupa della vostra salute e a condividere con lui o con lei ciò che

avete appreso dal libro. Così sarete sicuri di intendervi. Ricordate che la maggior parte dei futuri medici impara ben poco di nutrizione, sia all’università sia in seguito. E con le pressioni a cui sono sottoposte la medicina e l’assistenza sanitaria moderne, spesso i medici hanno poco tempo persino per aggiornarsi, figuriamoci per parlare con i pazienti di scelte alimentari sane. Potrebbe addirittura capitare che ne sappiate di più del professionista che si occupa della vostra salute. Non molto tempo fa, il mio livello di colesterolo ha cominciato lentamente a salire. Con mia grande costernazione, il medico mi ha raccomandato di adottare una dieta povera di grassi: un consiglio degli anni Ottanta, oggi considerato inefficace. Questo libro vi aiuterà a mantenervi in salute e, se necessario, anche ad ampliare le conoscenze del vostro medico.

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Piramidi, piatti e linee guida per l’alimentazione

Per gran parte della storia dell’uomo, la vita media relativamente breve della nostra specie (all’epoca dell’Impero romano l’aspettativa di vita alla nascita era inferiore a trent’anni) si è tradotta in uno scarso interesse per la qualità del cibo: non importava quello che si mangiava, purché garantisse calorie sufficienti a sopravvivere. La stragrande maggioranza dei Romani non viveva abbastanza a lungo da sviluppare patologie correlate all’alimentazione, come la cardiopatia coronarica, il diabete di tipo 2, il cancro. Le cose sono cambiate. Oggi l’americano medio vive circa ottant’anni, quindi quello che mangia ha la stessa importanza di quanto mangia. Non veniamo al mondo con la capacità innata di scegliere alimenti sani. Molti di noi hanno bisogno di aiuto, soprattutto in un’epoca in cui siamo bombardati da pubblicità sul cibo, consigli sul cibo e abbondanza di cibo. Considerate questo libro la vostra guida personale per navigare nel vasto mare dell’informazione, della disinformazione e dell’informazione ingannevole che circonda tutti noi.

Abbondanza di consigli I consigli sull’alimentazione sana non sono mai mancati. Più di duemila anni fa, il medico e filosofo greco Ippocrate considerava la dieta (e l’esercizio fisico) il fulcro della buona salute e la base di ogni terapia. Ecco una delle sue raccomandazioni, che suona familiare ancora oggi: le giuste verdure, cotte o crude, devono essere mangiate in abbondanza. Pigiamo il tasto dell’avanzamento veloce e arriviamo a quindici secoli dopo, quando la durata della vita media stava aumentando. Subito dopo l’invenzione della macchina da stampa, verso la metà del XV secolo, il testo di Bartolomeo Platina De honesta voluptate et

valetudine divenne un best seller in tutta l’Europa. Con l’intento di coniugare buona salute e piacere di mangiare, mescolava consigli medici e ricette tratte da altri libri pubblicati. 1 Attorno al 1860, la dieta povera di carboidrati studiata dall’impresario di pompe funebri londinese William Banting 2 ebbe un successo così clamoroso che il termine banting fu usato per anni in Europa e negli Stati Uniti come sinonimo di dieta. Oggi vengono pubblicati ogni anno centinaia di libri di dietetica, che si affiancano a innumerevoli siti web, pagine Facebook, blog di cucina e alimentazione. Gran parte delle raccomandazioni offerte da questi canali è fuorviante o erronea. Forse pensate di potervi rivolgere al governo, per avere informazioni nutrizionali accurate e sicure. Vi sbagliate.

Le raccomandazioni ufficiali Il governo degli Stati Uniti entrò nel giro delle raccomandazioni alimentari nel 1894. Fu in quell’anno che il Dipartimento dell’agricoltura pubblicò Foods: Nutritive Value and Cost (I cibi: valore nutrizionale e costo) di W.O. Atwater. 3 Da lì in poi, l’USDA continuò a sfornare raccomandazioni in serie per tutto il XX secolo. Negli anni Sessanta e Settanta, due diverse tendenze accesero un rinnovato interesse per la dieta e l’alimentazione negli Stati Uniti. Da un lato c’era la crescente preoccupazione per il problema della fame e della malnutrizione, portato alla ribalta dall’impressionante inchiesta di CBS News Hunger in America (1968). Dall’altro, c’era il numero sempre più consistente di americani che si ammalavano e morivano per patologie cardiovascolari. In risposta, il senatore del South Dakota George McGovern istituì la United States Senate Select Committee on Nutrition and Human Needs (Commissione speciale del Senato degli Stati Uniti per la nutrizione e i bisogni umani). Nel 1977, la commissione diffuse un rapporto, intitolato Dietary Goals for the United States (Obiettivi di sana alimentazione per gli Stati Uniti) e noto anche come rapporto McGovern, che esortava gli americani a consumare meno grassi, meno

colesterolo, meno zuccheri raffinati ed elaborati, più carboidrati complessi e più fibre. Fu questo rapporto a preparare il terreno per le prime Dietary Guidelines for Americans (1980). Secondo l’USDA , il documento forniva “a tutti i cittadini di età superiore ai 2 anni autorevoli raccomandazioni sulle abitudini alimentari che possono favorire la salute e ridurre il rischio di gravi patologie croniche”. 4 Fortunatamente, la legge che autorizzava le Dietary Guidelines for Americans aveva compreso che la scienza è un processo in divenire e che i risultati cambiano nel tempo, e pertanto stabilì che le linee guida fossero aggiornate ogni cinque anni. Ogni aggiornamento quinquennale comincia con la selezione di una commissione scientifica consultiva composta da esperti di alimentazione e nutrizione provenienti da tutto il Paese. Il loro incarico è revisionare i dati disponibili sull’alimentazione. In teoria, da questa revisione dovrebbe uscire un compendio imparziale dei risultati scientifici. Ma l’industria della carne e dei latticini si è data da fare per garantirsi che alcuni membri della commissione rappresentino i suoi particolari interessi. Dopo che la commissione ha redatto il rapporto, l’USDA e il Department of Health and Human Services (Dipartimento della salute e dei servizi umani) lavorano a porte chiuse per tradurre la revisione in linee guida ufficiali. Il meccanismo lascia aperti molti canali ufficiosi, che i poteri economici e politici sfruttano per distorcere e rielaborare le prove scientifiche. Per esempio, nell’aggiornamento 2015-2020 la commissione consultiva raccomandò di limitare il consumo di carni rosse. Le linee guida presentate al pubblico americano, però, non lo riportavano, e invece raccomandavano di consumare carne magra. Ciò che dovrebbe essere un processo accademico e scientifico spesso si trasforma in una zuffa tra lobbisti dei grandi produttori agricoli, dell’industria alimentare e di altri gruppi di interesse. Le Dietary Guidelines for Americans dovrebbero aiutarci a scegliere cibi salutari e a stare alla larga da quelli che non lo sono. Purtroppo le loro raccomandazioni sono state troppo spesso fumose o decisamente ingannevoli. Le linee guida del 2010, per esempio, esortavano gli

americani a evitare i “grassi solidi”, ma non dicevano a chiare lettere che il modo per farlo è ridurre il consumo di carni rosse e latticini. Le lacune delle linee guida sono deplorevoli, perché milioni di persone le considerano un modello di dieta sana. Per di più il loro raggio d’azione non è limitato alle scelte del singolo individuo: costituiscono anche la base delle politiche di alimentazione federali, per esempio dello Special Supplemental Nutrition Program for Women, Infants, and Children (Programma speciale di nutrizione integrativa per donne e bambini della prima e seconda infanzia), delle mense scolastiche, dei pasti serviti nelle strutture governative come le basi militari e le prigioni.

Influenze indebite Uno dei grandi problemi delle Dietary Guidelines for Americans e delle popolarissime e influenti icone che ne derivano (ne parleremo più diffusamente in seguito) è che provengono dall’USDA con qualche input del Department of Health and Human Services. Ciò che è buono per i coltivatori e gli allevatori americani non è necessariamente buono per la salute degli americani. Pensate solo a quanto sono riluttanti a formulare la frase “mangiate meno carni rosse”, che sarebbe grandiosa per la salute ma catastrofica per gli allevatori e la potente industria della carne. (L’USDA non è l’unico ente a esercitare una funzione di controllo su interessi in evidente conflitto. La Nuclear Regulatory Commission (Commissione di regolamentazione per il nucleare), per esempio, ha la responsabilità duplice e spesso contraddittoria di promuovere l’energia nucleare e disciplinarne l’utilizzo.) IN BREVE COME LA COSTITUZIONE DEGLI USA INFLUENZA L’ALIMENTAZIONE Una volta, a Roma, pranzai con George McGovern, l’allora delegato degli USA per il World Food Programme (Programma alimentare mondiale), che con la sua opera al Senato statunitense aveva preparato il terreno alle Dietary Guidelines for Americans. Fu lui a farmi comprendere in che modo la Costituzione statunitense, che riconosce due senatori a ogni Stato, eserciti una pesante influenza sulle politiche agricole. La scarsa

popolazione degli stati occidentali, con grandi ranch e altri interessi agroalimentari, ha un ruolo sproporzionato nel Congresso, che controlla il budget dell’USDA e le nomine direttive. Non c’è da stupirsi che le Dietary Guidelines for Americans, inspiegabilmente sottoposte all’autorità dell’USDA , non promuovano un regime dietetico fondato sui prodotti vegetali.

L’influenza dell’USDA – per non parlare di quella delle potenti lobby che operano nel congresso e che gli si rivolgono direttamente – ha plasmato le raccomandazioni alimentari federali quanto, se non di più, della scienza stessa. Secondo una celebre favola di Rudyard Kipling, Il piccolo elefante, gli elefanti originariamente non avevano la proboscide, solo un prominente naso nerastro grande quanto una scarpa. Cambiarono aspetto quando un elefantino curioso finì nel bel mezzo di un terribile tiro alla fune, con un coccodrillo attaccato al naso e un pitone attorcigliato alle zampe. È da un simile tiro alla fune che prendono forma le Dietary Guidelines for Americans e le loro icone rappresentative, strattonate da potenti interessi in conflitto che raramente hanno la nostra salute come obiettivo centrale. Parliamo dell’Associazione nazionale industria lattiero-casearia, dell’Associazione dei produttori di bibite, dell’Associazione americana per l’industria delle bevande analcoliche, dell’Istituto dei produttori di carni del Nordamerica, dell’Associazione nazionale allevatori, dell’Istituto per il sale, del Consiglio per i prodotti del grano e così via. Il risultato finale di questo tiro alla fune tra industria alimentare e scienza della nutrizione è in genere una serie di raccomandazioni positive, tranquillizzanti e generalizzate che snaturano quello che dovrebbe essere un importante strumento per migliorare la salute dell’individuo e della nazione: le linee guida per un’alimentazione sana.

La piramide cresce Nel 1992 l’USDA presentò al mondo la piramide alimentare. L’obiettivo era rendere più accessibili le Dietary Guidelines. Fu creata con il contributo del gigante delle pubbliche relazioni Porter Novelli,

che tra i suoi attuali e precedenti clienti annovera McDonald’s, the Snack Food Association, Krispy Kreme, Johnnie Walker e Masterfoods USA , il produttore degli M&M’s. La piramide alimentare avrebbe dovuto trasmettere semplicemente e visivamente i principi fondamentali delle Dietary Guidelines for Americans, che già di per sé erano sbagliate. La piramide mise in luce questi errori. Raccomandava di: mangiare una grande quantità di carboidrati, in gran parte poco salutari e molto lavorati, come il pane bianco e il riso bianco; mangiare un po’ di frutta e verdura, comprese le patate (che sono principalmente carboidrati ricchi di amido); scegliere carne, latte e formaggio come fonti di proteine; non mangiare nessun tipo di oli o grassi (nemmeno quelli sani). Usare una piramide per veicolare raccomandazioni alimentari fu, dal punto di vista del marketing, un vero colpo di genio. Una piramide colloca i cibi “buoni”, da consumare in grande quantità, alla base; quelli “cattivi”, da consumare in piccole quantità, al vertice; tutto il resto nel mezzo. Trasmette anche il messaggio subliminale che le sue raccomandazioni siano concrete e durature come solida roccia, e si erge sulla giungla di affermazioni fuorvianti e contraddittorie. In realtà, quella piramide alimentare offriva solo consigli insulsi e scientificamente infondati su un tema di importanza vitale: che cosa mangiare. THE USDA’S ORIGINAL FOOD GUIDE PYRAMID (LA PIRAMIDE ALIMENTARE ORIGINALE USDA)

Usate la piramide alimentare per aiutarvi a mangiare meglio ogni giorno, seguendo le linee guida per l’alimentazione. Cominciate con un abbondante consumo di pane, cereali, riso e pasta; verdura; frutta. Aggiungete 2-3 porzioni del gruppo dei latticini e 2-3 porzioni del gruppo della carne. Ciascuno di questi gruppi alimentari fornisce alcuni dei nutrienti di cui avete bisogno, ma non tutti. Nessun gruppo alimentare è più importante di un altro: per stare bene vi servono tutti. Andateci piano con grassi, oli e dolci, gli alimenti raccolti sulla cima della piramide. Fonte: US Department of Agriculture/US Department of Health and Human Services Fig. 2 Piramide USDA , 1992-2005. Nonostante i profondi mutamenti della scienza dell’alimentazione sana, questa piramide, difettosa fin dall’inizio, è rimasta immutata per tredici anni.

A volte certe raccomandazioni dietetiche e nutrizionali sono sbagliate perché si fondano su informazioni inadeguate o incomplete. Non era il caso della piramide USDA , le cui raccomandazioni erano sbagliate perché ignoravano solide prove scientifiche e ambivano a compiacere varie lobby del settore alimentare.

I concetti più pericolosi della piramide erano questi: tutti i grassi sono cattivi: sbagliato. Alcuni grassi sono buoni e persino essenziali per la vita (vedi capitolo 5). L’esortazione della piramide alimentare a fare un uso moderato dei grassi contribuì ad alimentare la fobia dei grassi e indusse molti americani a buttare via il bambino con l’acqua sporca; tutti i carboidrati complessi sono buoni: la piramide alimentare ignorava il fatto che certi tipi di carboidrati sono molto meno salutari di altri (vedi capitolo 6). Mangiare troppi carboidrati del tipo sbagliato e troppo pochi del tipo giusto può farvi cadere nella trappola dell’eccesso di peso, del diabete di tipo 2, delle cardiopatie; tutte le fonti proteiche sono ugualmente buone: vero. Le proteine di una bistecca e di un trancio di salmone sono piuttosto simili, ma il “pacchetto” che veicola le proteine è molto diverso (vedi capitolo 7). Alcuni cibi ricchi di proteine arrivano corredati da numerose sostanze non particolarmente sane come grassi saturi, colesterolo e sale. Altri apportano grassi sani e, in aggiunta, nutrienti salutari – come fibre, vitamine e minerali – e una nutrita schiera di composti fitochimici (letteralmente, sostanze chimiche prodotte dai vegetali); i latticini sono essenziali: non è vero. Abbiamo bisogno di calcio, non di latte. I latticini sono una buona fonte di questo minerale, ma apportano anche una grande quantità di calorie e grassi saturi. Se vi serve più calcio, ci sono modi più economici, facili e sani di assumerlo che non attraverso i latticini (vedi capitolo 11); non una parola su peso, attività fisica, alcolici e vitamine: come la Sfinge, la piramide alimentare tace su quattro questioni sulle quali dovreste invece essere ben informati: l’importanza di tenere sotto controllo il peso, la necessità di fare attività fisica quotidianamente, i potenziali effetti benefici di una bevanda alcolica al giorno e quello che potreste ottenere dall’assunzione quotidiana di un multivitaminico.

Un’iniezione di scienza e lo sgretolamento della piramide Non appena la piramide alimentare fu presentata, la ricerca scientifica di tutto il mondo cominciò a eroderla a tutti i livelli. I risultati di studi grandi e piccoli ne scalfirono le fondamenta (i carboidrati), i piani centrali (carne e latte) e la cima (grassi). Già alla fine degli anni Settanta, molti colleghi e io ci eravamo resi conto che esistevano poche prove certe sulle quali incardinare delle indicazioni nutrizionali corrette. Vedemmo un’opportunità di cambiare questo stato di cose nel Nurses’ Health Study, lo Studio sulla salute delle infermiere (vedi “Elogio delle infermiere e dei professionisti sanitari” a p. 46), una ricerca cominciata nel 1976 per indagare sulle conseguenze a lungo termine dei contraccettivi orali. Pochi anni dopo, intraprendemmo noi stessi un analogo studio a lungo termine sulla salute dei professionisti sanitari di sesso maschile. Grazie a questi due studi, siamo riusciti a seguire per parecchi decenni il tipo di alimentazione, le abitudini di vita e lo stato di salute di migliaia di donne e uomini (per altri dettagli, vedi capitolo 3). Questa miniera di dati ci ha permesso di scoprire benefici e rischi di diversi schemi alimentari e di stabilire relazioni tra i vari cibi e il cancro, il diabete, le malattie cardiovascolari, l’osteoporosi e altre patologie croniche. Ciò che emerse abbastanza precocemente, dal nostro lavoro e dalle ricerche di altri colleghi di ogni parte del mondo, fu che una dieta sana era ben diversa da come la rappresentava la piramide USDA . Decidemmo di verificare se le persone che seguivano le Dietary Guidelines for Americans e la relativa piramide godessero realmente di migliori condizioni di salute e di una maggiore aspettativa di vita rispetto a coloro che non le seguivano. A questo scopo, i miei colleghi e io utilizzammo l’Healthy Eating Index (HEI , Indice di sana alimentazione). 5 Questa scala fu ideata dal Center for Nutrition Policy and Promotion (Centro per la politica e la promozione della nutrizione, un’agenzia dell’USDA ) allo scopo di “misurare quanto gli americani si conformassero ai modelli di sana alimentazione raccomandati”. L’indice assegna un punteggio da 0 a 10 per ciascuno dei dieci punti cardine della piramide alimentare originaria e delle Dietary Guidelines del 1995: il numero di porzioni quotidiane di cereali,

di verdura (comprese le patate), di frutta, carne e latticini; il ridotto consumo di grassi totali, di grassi saturi, di colesterolo alimentare e di sodio; la varietà della dieta. Un punteggio di 100 significa la perfetta aderenza alle raccomandazioni USDA , mentre un punteggio di 0 rappresenta la loro totale inosservanza. Ricavammo le informazioni sui modelli alimentari dai questionari che una popolazione di 135.000 infermiere e professionisti sanitari di sesso maschile compilava ogni quattro anni da più di un decennio. Utilizzando questi dati, calcolammo per ciascun individuo il punteggio relativo all’Indice di sana alimentazione. Chi aveva i punteggi più alti – cioè seguiva diligentemente le raccomandazioni USDA – dimostrò di avere le stesse probabilità di sviluppare una malattia importante o di morire nell’arco di tempo osservato (dodici anni) di chi aveva punteggi più bassi. Solo gli infarti erano leggermente meno comuni tra tali soggetti. 6 Questi risultati deludenti non dovrebbero sorprendere, dato che l’USDA ha costantemente ignorato il vasto corpus di prove scientifiche che stabilisce un’associazione tra alcuni modelli alimentari e la buona salute a lungo termine. Consideratelo un avvertimento: seguire i consigli dell’United States Department of Agriculture potrebbe non aiutarvi a vivere meglio o più a lungo.

Un esperimento mediterraneo Una parte di queste prove scientifiche arrivava dalla Grecia. Negli anni Ottanta, gli uomini greci vivevano mediamente quattro anni di più degli uomini americani e avevano un tasso di cardiopatie notevolmente più basso, nonostante un sistema di assistenza sanitaria carente. Pensammo che la loro dieta avesse qualcosa a che vedere con questi risultati. (Attenzione: il termine “cardiopatia” comprende una vasta gamma di patologie che vanno dal dolore toracico alle alterazioni del sistema elettrico del cuore fino all’incapacità del miocardio di pompare sangue. In questo libro il termine “cardiopatia” si riferisce alla malattia coronarica che deriva dall’ostruzione di una o più arterie che fanno affluire il sangue al cuore).

I miei colleghi e io avviammo una collaborazione congiunta con scienziati che si intendevano di cucina greca tradizionale ed esperti di Oldways, l’associazione che, ispirandosi alla tradizione, si propone di creare alternative più sane alla piramide alimentare USDA . Insieme, nel 1993, creammo una piramide che rappresentava la dieta mediterranea tradizionale. 7 Alla base c’erano cereali integrali, frutta, verdura, legumi e grassi sani. All’epoca fu ampiamente criticata dalla comunità di nutrizionisti perché era molto ricca di grassi, soprattutto di olio di oliva. Da allora, prove emerse da vari filoni di ricerca hanno confermato che l’olio di oliva è una fonte di calorie salutare (vedi capitolo 5). Antonia Trichopoulou e suo marito, Dimitrios Trichopoulos, i colleghi e amici greci che ci aiutarono, in seguito intrapresero uno studio più formale sull’alimentazione greca. Idearono un semplice sistema di punteggio per rappresentare i modelli alimentari tradizionali del loro Paese. Il punteggio maggiore corrispondeva a un elevato consumo di olio di oliva, verdura, legumi, frutta e frutta secca, cereali e pesce; a un minore consumo di carne, pollame e latticini; a un moderato consumo di alcol. Testarono il punteggio su una popolazione di 22.000 uomini e donne greci, dei quali vennero seguite la dieta e le condizioni di salute tra il 1994 e il 1999. Tra coloro che avevano aderito più strettamente alla dieta tradizionale, la probabilità di morire prematuramente, e di morire per patologie cardiache e cancro, si mostrò meno elevata. 8 Successivi test del punteggio alimentare mediterraneo in altre popolazioni del mondo confermarono la sua relazione con l’insorgenza di molte malattie croniche e con un’inferiore mortalità. Dieci anni dopo, alcuni colleghi spagnoli misero alla prova la dieta mediterranea con uno studio randomizzato denominato PrevenciÓn con Dieta Mediterránea (PREDIMED , Prevenzione con la dieta mediterranea). 9 Divisero circa 7500 uomini e donne in due gruppi: a uno assegnarono una dieta mediterranea con porzioni aggiuntive di frutta secca e olio di oliva, all’altro una dieta a ridotto contenuto di grassi. Dopo un periodo medio di cinque anni, chi aveva seguito la dieta mediterranea manifestava un rischio di cardiopatia inferiore del

30%. Da ulteriori analisi emerse che nello stesso gruppo si riscontravano anche tassi più bassi di diabete e cancro al seno e una migliore funzionalità cognitiva.

Via con il nuovo: la Healthy Eating Pyramid Gli americani meritano un’informazione più accurata, più utile e meno partigiana di quella offerta dal governo federale. Per raddrizzare le storture della piramide alimentare USDA , nel 2000 i miei colleghi e io utilizzammo i dati in nostro possesso, avvalorati dalle ricerche svolte in Grecia, per mettere a punto la Healthy Eating Pyramid (vedi a p. 24). Le sue fondamenta sono l’attività fisica quotidiana e il controllo del peso. Su queste basi abbiamo collocato i “mattoni” di una dieta sana, e il materiale di ogni singolo mattone è definito non solo dai risultati dei nostri studi, ma anche dalla migliore ricerca scientifica mondiale. I mattoni della Healthy Eating Pyramid comprendono: oli vegetali come olio di oliva e olio di canola come fonte principali di grassi; frutta e verdura in abbondanza, escluse patate e mais; cereali integrali nella maggior parte dei pasti; fonti proteiche sane come legumi, frutta secca, semi, pesce, pollame e uova; un integratore di calcio quotidiano o latticini una o due volte al giorno; un complesso multivitaminico quotidiano; una moderata quantità di alcol, per chi ne beve; carni rosse, pane bianco, patate, bevande gassate e dolci solo occasionalmente, o anche mai. La Healthy Eating Pyramid, a differenza di quella alimentare USDA , non specificava quanti grammi o millilitri di un particolare alimento si dovessero consumare quotidianamente. Questo dipende dalla corporatura e dall’attività fisica. Non includeva nemmeno la

percentuale di calorie da ricavare dai grassi, dai carboidrati o dalle proteine, perché non ci sono basi scientifiche su cui stabilire numeri precisi e, per di più, è molto difficile per chiunque capire se si stia superando una certa percentuale. Questi cambiamenti facevano della Healthy Eating Pyramid uno strumento più pratico della piramide USDA . C’era una sola indicazione cruciale da ricordare: scegliere più alimenti dalla parte bassa che dai piani alti della piramide. Mangiare in prevalenza cibi poco lavorati e integrali scelti dalla base assicura l’equilibrio dei nutrienti di cui una persona ha bisogno e limita i cibi nocivi per la salute. Sottoponemmo la Healthy Eating Pyramid agli stessi test applicati alla piramide USDA . Prima di tutto, mettemmo a punto un Alternate Healthy Eating Index (Indice di sana alimentazione alternativo), basato sulla nostra piramide. Tra gli indicatori c’erano il consumo di verdura, frutta, frutta secca, fibre dei cereali, grassi trans e alcol, l’utilizzo di multivitaminici, il rapporto tra carni bianche e rosse e quello tra grassi insaturi e saturi. Usando le stesse informazioni ottenute dalle 135.000 persone (donne e uomini) descritte in precedenza, calcolammo dei punteggi individuali basati sull’Indice alternativo di sana alimentazione. Le donne e gli uomini con punteggi alti (che seguivano le strategie alimentari rappresentate nella Healthy Eating Pyramid) sostanzialmente manifestavano un minor rischio di sviluppare importanti patologie croniche – soprattutto cardiopatie o ictus – rispetto a chi aveva punteggi bassi. 10 HEALTHY EATING PYRAMID (LA PIRAMIDE DEL MANGIAR SANO DI HARVARD)

Fig. 3 La Piramide del mangiar sano di Harvard. Questa piramide, basata su solide prove scientifiche, offre una guida alimentare più sicura delle raccomandazioni USDA .

I miei colleghi e io ci rallegrammo per questi risultati, ma non ne fummo del tutto sorpresi, perché ogni mattone della Healthy Eating Pyramid era fatto con materiale di cava della più alta qualità: solide prove scientifiche accumulate dai ricercatori di tutto il mondo. A distanza di diciassette anni, la piramide resiste alla prova del tempo e la sua struttura esce rinforzata da sempre nuove prove.

La piramide USDA cambia look

Prendendo spunto dai reality show televisivi, nel 2005 il governo federale rinnovò drasticamente il look della piramide alimentare. Nel farlo, perse l’occasione di analizzare e correggere i difetti di quella originaria. Avvalendosi nuovamente della consulenza di Porter Novelli, ribaltò la piramide, la dipinse con un arcobaleno di strisce dai colori brillanti che si diramavano in verticale dalla punta alla base, e vi cesellò sopra un pimpante omino stilizzato che saliva una scala sul fianco sinistro. Nient’altro: nessuna etichetta, nessun testo, nessuna legenda che aiutasse a decifrarne il significato. Per capire che cosa consigliasse la nuova piramide, ribattezzata MyPyramid, ci volevano un computer e una connessione internet. LA NUOVA MYPYRAMID USDA

Fig. 4 Nel 2005, l’USDA rimpiazzò la nota piramide alimentare con un nuovo modello di sicuro effetto ma povero di informazioni.

MyPyramid non riparava i danni procurati dalla sorella maggiore e nemmeno offriva vere informazioni per aiutarci a fare scelte sane. Ed era un peccato, considerando che nel 2005 persino le Dietary Guidelines si erano avvicinate ai modelli alimentari descritti dalla nostra Healthy Eating Pyramid. Le linee guida del 2005 riconoscevano gli effetti nocivi dei grassi trans e il ruolo benefico degli oli vegetali, e sottolineavano l’importanza dei cereali integrali. Però continuavano a porre un limite generale all’assunzione di grassi e a incentivare il consumo di grandi quantità di amido. Nella migliore delle ipotesi, MyPyramid rappresentò un’opportunità mancata di migliorare la salute di milioni di persone.

Nella peggiore, le informazioni lacunose o scorrette che veicolava incrementarono il sovrappeso, le malattie e le inutili morti premature tra la popolazione. Ancora una volta gli interessi particolari delle lobby avevano assunto il comando, ricacciando la scienza nell’angolo.

Dalla piramide al piatto Piegandosi alle critiche di chi sosteneva che MyPyramid era vaga e confondeva le idee, l’USDA la sostituì nel 2011 con MyPlate. La colorata immagine di un piatto da portata diviso in quattro parti dice una cosa importante e salutare: dovete riempire metà del piatto di frutta e verdura. Rispetto all’altra metà, dice solo: mangiate più cereali che proteine. Nulla sulla qualità dei carboidrati (cereali), nessuna distinzione tra fonti proteiche sane (come legumi, pesce e pollame) e meno sane (come carni rosse e carni lavorate). Raccomanda latte e latticini a ogni pasto, anche se esistono poche prove scientifiche che un elevato consumo di latte e latticini protegga dall’osteoporosi e, al contrario, ci sono prove concrete che possa essere dannoso. Non invita a consumare oli salutari, che fanno bene al cuore, alle arterie e al resto del corpo. E tace scandalosamente sulle bevande zuccherate, che forniscono una quantità esagerata di calorie vuote. MYPLATE (IL MIO PIATTO)

Fig. 5 L’USDA lanciò MyPlate nel 2011.

Come avevamo fatto con la piramide alimentare, i miei colleghi e io studiammo un’alternativa a MyPlate basandoci sulle ricerche più aggiornate. L’Harvard Healthy Eating Plate offre una guida alimentare dettagliata, che integra la Healthy Eating Pyramid e la contestualizza in un pasto. Come spiegherò nei capitoli seguenti, potrà aiutarvi a migliorare la qualità della dieta. Nello specifico, l’Harvard Healthy Eating Plate raccomanda di consumare cereali integrali invece che raffinati, definisce le fonti proteiche sane, che non comprendono le carni rosse, elimina le patate dal gruppo delle verdure, guida alla scelta dei grassi sani e invita ad accompagnare ogni pasto con acqua o altre bevande salutari invece che con latte. Pensate all’Harvard Healthy Eating Plate come a una guida semplice per preparare pasti salutari ed equilibrati, adatti sia a essere serviti su un piatto che chiusi in un contenitore portapranzo. È complementare alla Healthy Eating Pyramid, che può essere più utile come lista della spesa. Riempite il carrello con i prodotti che trovate alla base: verdura, frutta, cereali integrali, oli sani e altre fonti proteiche salutari, come frutta secca, legumi, pesce e pollo. Andateci

piano con quelli che stanno ai piani più alti: pane bianco e carboidrati molto lavorati, bevande zuccherate e altri dolci. Poi, quando tornate a casa, preparate un pasto ispirato all’Harvard Healthy Eating Plate. L’Harvard Healthy Eating Plate (vedi fig. 1 a p. 8) oggi è disponibile in decine di lingue diverse, e ne esiste anche una versione per i bambini. Troverete tutte le versioni all’indirizzo www.hsph.harvard.edu/nutritionsource/healthy-eating-plate/.

Linee guida per l’alimentazione 2015-2020: molte ingerenze Con le Dietary Guidelines for Americans 2015-2020, l’USDA e il Department of Health and Human Services americano fecero uno sforzo in più per ridurre al minimo i conflitti d’interesse dell’industria. Selezionarono per la commissione consultiva scienziati liberi da legami con le lobby. Stabilirono anche più specifiche regole di revisione degli studi pubblicati per assicurarsi che questi scienziati includessero tutte le prove scientifiche pertinenti, secondo il metodo della revisione sistematica. I membri della commissione lavorarono per due anni, tutti a titolo volontario, e svilupparono un esaustivo rapporto di 571 pagine incardinato su basi scientifiche. 11 Le raccomandazioni di quel rapporto erano molto vicine a ciò che Mangiare sano, bere sano, vivere sano raccomandò per la prima volta nel 2001 e raccomanda tutt’oggi. La Dietary Guidelines Advisory Committee (Commissione consultiva per le linee guida nutrizionali) evidenziò dei modelli dietetici generali benefici per la salute, tra cui un regime di tipo mediterraneo, un regime vegano e un’eclettica dieta americana salutare. Un cambiamento importante rispetto alle linee guida precedenti fu l’abolizione del tetto per il consumo dei grassi totali, dapprima fissato al 30 e poi al 35% dell’apporto calorico. Mi congratulo con la commissione consultiva per aver correttamente concluso che non esiste alcuna prova a sostegno di uno specifico limite. Questo è un passo importante, perché in passato il tetto al consumo di grassi totali aveva incentivato il consumo di cibi ricchi di carboidrati, composti soprattutto da amido e zuccheri raffinati.

Ultimata la revisione delle numerose, nuove prove scientifiche, la commissione consultiva per le linee guida del 2015-2000 raccomandò esplicitamente di: limitare il consumo di carni rosse, per la salute degli individui e del pianeta; ridurre il consumo di zucchero a meno del 10% delle calorie totali; ridurre drasticamente il consumo di bibite e altre bevande zuccherate. L’industria del bestiame e delle bevande gassate si infuriò. Mise al lavoro le sue potenti lobby a Capital Hill. Il risultato furono alcune parole incastonate nel progetto definitivo di stanziamento del governo, che sostanzialmente proibivano all’USDA di includere nelle Dietary Guidelines for Americans qualunque riferimento alle ripercussioni delle scelte alimentari sull’ambiente. I lobbisti avevano anche un sostenitore interno all’USDA , il suo capo, il segretario Tom Vilsack. Questo ex governatore dello Iowa ha legami di lunga data con l’industria del mais e dei suini. Sebbene il Congresso avesse autorizzato l’USDA ad accogliere la prima raccomandazione della commissione consultiva (limitare il consumo di carni rosse e carni lavorate), le linee guida finali non ne fecero menzione. Invitarono invece gli americani a consumare carni rosse purché fossero magre: una conclusione priva di prove scientifiche. Anche la limpida e inequivocabile raccomandazione di ridurre il consumo di bevande zuccherate fu notevolmente annacquata. Il processo di stesura delle Dietary Guidelines 2015-2000 mise in piena luce lo strapotere dell’industria agroalimentare sulle raccomandazioni nutrizionali. Il rapporto della commissione consultiva fu censurato. Lo alterarono “traducendolo” nelle Dietary Guidelines for Americans, il documento ufficiale su cui si fonda la politica alimentare federale e che i nostri figli studiano a scuola. La Commissione consultiva per le linee guida nutrizionali del 2015-2020 rappresentò un importante passo avanti nella volontà di allineare le raccomandazioni nutrizionali ai risultati scientifici.

Tuttavia, c’era ancora spazio per miglioramenti futuri. La commissione era stata invitata a conformare le proprie indicazioni alle dosi giornaliere raccomandate (recommended dietary allowances, RDA ) dall’Institute of Medicine (Istituto di Medicina), oggi rinominato National Academy of Medicine (Accademia nazionale della medicina). Questo costituisce un problema, perché le dosi giornaliere raccomandate sono spesso basate su prove frammentarie e, rispetto a certi nutrienti, decisamente superate. Un altro limite di formulare raccomandazioni nutrizionali basate sulle RDA è che i benefici di un cibo non dovrebbero essere definiti semplicemente dalla quantità dei singoli nutrienti in esso contenuti. Questo ha portato a raccomandare il consumo di un’elevata quantità di latte, aspetto che sarà discusso nei capitoli 9 e 10. La Commissione consultiva per le linee guida nutrizionali del 2015-2020 seguì la strada segnata dai suoi predecessori continuando a includere le patate tra le verdure, nonostante le numerose prove che il consumo di patate ha sulla salute implicazioni ben diverse dal consumo di altri vegetali (vedi “La patata è una bomba inesplosa” a p. 240). Alcuni esperti contestarono la scelta della commissione di non enfatizzare l’importanza di limitare il colesterolo alimentare e le uova, questione di cui parlerò nel capitolo 5. Detto questo, alla commissione va riconosciuto il grande merito di aver redatto per la prima volta un rapporto scientificamente fondato. È stato un vero peccato che le sue raccomandazioni, basate su prove oggettive, non siano state fedelmente tradotte nelle linee guida finali, che orientano la politica e plasmano le abitudini alimentari di milioni di americani.

Altri test su piramidi, piatti e linee guida alimentari Nel 1995, lo USDA elaborò il cosiddetto Indice di sana alimentazione. Il punteggio, basato su 10 indicatori, intendeva stabilire se gli americani mangiassero in modo sano. I primi cinque indicatori verificavano quanto fedelmente la dieta di un individuo si conformasse alla piramide alimentare rispetto al consumo di cereali,

verdura, frutta, latte e carne. I successivi quattro calcolavano l’apporto di grassi totali, grassi saturi, colesterolo e sodio della dieta. Il decimo indicatore ne misurava la varietà. Ogni indicatore attribuiva da 0 a 10 punti: più alto era il punteggio complessivo, più un individuo rispettava le linee guida alimentari dello USDA . I miei colleghi e io, dopo aver messo in luce le gravi carenze delle raccomandazioni nutrizionali USDA , applicammo questo Indice di sana alimentazione alla popolazione di infermiere e professionisti sanitari che avevano partecipato ai relativi studi. I soggetti con i punteggi più alti evidenziavano una probabilità solo lievemente più bassa di essere stati colpiti da infarto o ictus, e non si riscontrava alcuna riduzione dei casi di cancro. In altre parole, chi seguiva più fedelmente le raccomandazioni governative non se la passava molto meglio di chi non lo faceva. Ma cosa sarebbe accaduto se un analogo strumento di valutazione dietetico avesse operato una distinzione tra grassi insaturi sani e grassi saturi nocivi, o tra le fonti principali di carboidrati e proteine? Fu così che nel 2002 mettemmo a punto il nostro Indice di sana alimentazione alternativo. 12 Si basava su nove indicatori: porzioni quotidiane di verdura, frutta e frutta secca o proteine della soia; grammi di fibre ricavate dai cereali; rapporto tra carni bianche e carni rosse; quantità di grassi trans; rapporto tra grassi polinsaturi e grassi saturi; assunzione di un multivitaminico; consumo giornaliero di alcolici. Come l’Indice di sana alimentazione, attribuiva dei punti per ogni indicatore, e i punteggi più alti rappresentavano le scelte più salutari. Quando mettemmo a confronto i due indici sfruttando i dati provenienti dai nostri studi di follow-up su infermiere e professionisti sanitari, il nostro Indice di sana alimentazione alternativo si dimostrò più efficace dell’indice USDA nel prevedere l’insorgenza di patologie cardiovascolari e altre malattie croniche. 13 Questo significa che, seguendo un regime alimentare basato su prove scientifiche invece che su indicazioni fornite dal governo, possiamo ridurre ulteriormente il rischio di patologie cardiovascolari, cancro e altre malattie croniche. Nuove prove sulla correlazione tra dieta e salute spinsero me e i

miei colleghi ad apportare dei piccoli aggiustamenti al nostro indice alternativo. Con il più recente aggiornamento del 2010, integrammo nell’indice la limitazione delle bibite gassate e di altre bevande zuccherate come strategia di alimentazione sana. Ripetemmo il test per stabilire se le donne e gli uomini con una dieta aderente al modello descritto dall’indice – sovrapponibile alle raccomandazioni di questo libro – godessero di una migliore salute a lungo termine, e poi lo confrontammo con una versione aggiornata dell’Indice di sana alimentazione USDA , che era diventato più simile al nostro indice alternativo. Come previsto, entrambi gli indici rappresentano raccomandazioni nutrizionali e modelli alimentari in linea con un ridotto rischio di morte prematura o insorgenza di malattie cardiache, diabete di tipo 2 e altre patologie croniche. Riconosciuto questo, il nostro indice alternativo si è dimostrato più efficace dell’indice USDA . 14 Altre indagini hanno elaborato indici con gli stessi elementi di base, e li hanno messi alla prova su popolazioni diverse e in relazione a una grande varietà di effetti sulla salute. Tutti sono risultati predittivi di un maggior benessere fisico. Questa convergenza di prove scientifiche provenienti da molte fonti diverse rafforza la mia speranza che le raccomandazioni alimentari di questo libro vi aiutino a scegliere una dieta in grado di proteggere la vostra salute lungo tutto l’arco della vita. A dispetto dei pochi bastian contrari pronti a sostenere che i nutrizionisti non sono capaci di concordare su nulla, 15 la convergenza tra l’indice alternativo di Harvard e l’indice elaborato dallo USDA suggerisce che sia maturato un ampio consenso sugli elementi fondamentali di una dieta sana. La Piramide e il Piatto del mangiar sano non sono scolpiti nella pietra, e dalla ricerca futura emergeranno probabilmente altri dettagli utili. Per esempio, molti lettori resteranno sorpresi dalle nuove scoperte sugli effetti delle verdure descritti nel capitolo 8. Tuttavia possiamo affermare con un elevato grado di sicurezza che l’attuale quadro di una dieta sana sia destinato a durare nel tempo.

Linee guida migliori e diete migliori: come ci ripagano Nonostante le titubanze della scienza, le fuorvianti linee guida alimentari dello USDA , il giornalismo sensazionalistico e la deliberata disinformazione, la dieta dell’americano medio sta migliorando. Dagli anni Sessanta, il raddoppiato consumo di grassi polinsaturi, il calo nell’apporto di grassi saturi e la riduzione del 40% del consumo di carne ha contribuito ad abbassare del 60% la mortalità per malattia coronarica e ha aggiunto anni alla vita media. Curiosi di scoprire altri cambiamenti potenzialmente positivi della dieta americana, i miei colleghi e io applicammo l’Indice di sana alimentazione alternativo ai modelli dietetici emersi da un sondaggio nazionale. Rilevammo miglioramenti costanti tra il 1999 e il 2012. I cambiamenti con i riflessi più positivi sulla salute erano la quasi totale eliminazione dei grassi trans dannosi per le arterie e il calo del 25% del consumo di bevande gassate e zuccherate. C’erano anche modesti incrementi nel consumo di frutta, verdura, cereali integrali e grassi insaturi. 16 Stimammo che, tra il 1999 e il 2012, questi miglioramenti dietetici avessero evitato più di un milione di morti premature e il 12% dei casi di diabete. Subito dopo il nostro rapporto, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC, Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie) riferirono che per la prima volta le nuove diagnosi di diabete erano in calo, e non solo: si erano abbassate di un significativo 20%, che rispecchiava la riduzione del consumo di grassi trans e bevande gassate. Nonostante la qualità della dieta manifestasse un trend orientato nella giusta direzione, il punteggio medio era ancora inferiore a 50 punti su 110, e questo indicava un importante margine di miglioramento residuo. Nelle pagine seguenti spiegherò come dare una spinta al proprio punteggio e portarsi sulla cima, o vicino alla cima, della scala, dove i vantaggi per la salute possono essere enormi.

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Diete: a che cosa credere?

La ricerca in ambito alimentare e nutrizionale si contraddice con irritante regolarità. Smettete di usare il burro, cominciate a spalmare margarina e poi venite a sapere che è altrettanto nociva. E, subito dopo, che il burro non è nocivo come si pensava. Passate ai muffin di crusca per colazione, perché si dice che una dieta ricca di fibre prevenga il cancro del colon, e un grande studio non riscontra alcuna protezione della fibra nei confronti del cancro al colon. Secondo uno dei primi studi, bere caffè aumentava le probabilità di sviluppare il cancro del pancreas, ma le scoperte più recenti mostrano che bere caffè non fa male e potrebbe persino avere effetti benefici. Secondo alcune ricerche, mangiare pesce previene l’infarto; secondo altre, no. Questi dietrofront sono così frequenti e sconcertanti che una volta, in occasione di un rapporto negativo sugli effetti della vitamina E e del betacarotene, la giornalista del “Boston Globe” Ellen Goodman scrisse: “Pare che oggi nell’informazione medica esista una sorta di obsolescenza programmata. La cura di oggi è l’esca avvelenata di domani. La ricerca ha una data di scadenza più breve di quella impressa sulla scatola dei cereali”. 1 La quantità stessa delle informazioni non aiuta. Cinquant’anni fa, la nutrizione era una placida insenatura d’acqua stagnante nel mare della ricerca medica. Per fare un esempio, il più lungo studio sulla salute condotto negli Stati Uniti, il leggendario e ancora attivo Framingham Heart Study (Studio di Framingham), quando esordì nel 1949 non raccoglieva praticamente nessun dato sull’alimentazione. Negli anni, però, il rigagnolo di informazioni sul rapporto tra dieta e salute è diventato un impetuoso torrente in piena. È naturale che le persone vogliano aggiornarsi sulle scoperte più recenti (spesso confuse con le più importanti), se sono alla ricerca di un sistema per perfezionare la propria dieta, o di quell’unico ingrediente magico – il cibo, la vitamina, l’integratore – in grado di

promettere una vita quanto possibile lunga e sana. I media alimentano questo interesse e ci servono informazioni nutrizionali a getto continuo. Il problema è che i giornali, la televisione, la radio, i blog, i siti web e le app tendono a trasformare i piccoli passi della ricerca scientifica in grandi progressi, scoperte fondamentali e possibili cure, o a mettere in evidenza sconcertanti contraddizioni quando capita che uno studio smentisca il precedente. Per questo seguire le notizie di salute e benessere è un po’ come leggere pagine strappate a caso da un libro o, ancora peggio, costellate di errori di stampa.

Sostituire le stime approssimative con le prove Un’altra spiegazione di questi dietrofront è che i primi consigli nutrizionali si basavano spesso su prove esigue. Dietro quelle prime raccomandazioni c’era il pensiero che le persone, bene o male, avrebbero comunque mangiato, e che pertanto una raccomandazione basata su stime approssimative era meglio di nulla. In effetti è un approccio ragionevole, quando le prove scientifiche scarseggiano. Purtroppo, però, le vecchie raccomandazioni non avevano un’etichetta con sopra scritto: “Stima approssimativa, soggetta a modifiche”. Quelle stime approssimative tendevano a essere ripetute migliaia di volte, finché non acquistavano il sapore della verità. Quando la ricerca cominciò a comprendere i potenziali pericoli dei grassi saturi, per esempio, molti raccomandarono di sostituire il burro, ricco di grassi saturi, con la margarina, che ne conteneva meno. Era un consiglio sensato, anche se non esistevano studi a comprovare che le persone avvezze a mangiare margarina avessero meno infarti di quelle che mangiavano burro. Poi, però, nuove ricerche riscontrarono che i consumatori di margarina, quanto a infarti, se la passavano anche peggio dei consumatori di burro. La scoperta fu corroborata da studi a breve termine sui grassi trans (di cui molte margarine erano ricche), che per il colesterolo ematico si dimostrarono ben più nocivi dei grassi saturi. Per uno scienziato, questa è la normale strada del progresso: una

raccomandazione basata su stime ragionate viene verificata e soppiantata da un’altra fondata su migliori prove scientifiche. Per il resto del mondo, però, è solo una contraddizione frustrante. Sia la quantità che la qualità della buona informazione in campo nutrizionale sono enormemente cresciute negli ultimi trent’anni. Questo rende le attuali raccomandazioni fondate su prove scientifiche più sicure e meno esposte a radicali cambiamenti di quanto non fossero tre decenni fa. Poiché la ricerca di un sapere nutrizionale nuovo e migliore continua, anche le raccomandazioni dei giorni nostri andranno inevitabilmente incontro a qualche ritocco, ma è improbabile che il quadro generale possa cambiare in maniera apprezzabile.

Le contraddizioni sono inevitabili L’impressione è che in campo nutrizionale la ricerca produca risultati oltremodo contraddittori. Questo, in parte, si deve al fatto che la nutrizione – argomento di interesse pubblico – gode di una speciale attenzione da parte dei media, mentre la chimica organica, la geologia e molte altre discipline sfuggono a questo minuzioso esame quotidiano. Altro motivo è che la scienza medica ha un suo ritmo particolare, che mal si adatta all’esigenza dei media di raccontare storie semplici e accattivanti. I tentativi di presentare articoli equilibrati citando opinioni opposte a volte confondono ulteriormente le cose. Nella ricerca nutrizionale, il ritmo è più quello di un cha cha cha – due passi avanti e uno indietro – che di una marcia. Se si osservano i risultati giorno per giorno, come fossero punteggi sportivi e non esiti di una ricerca scientifica, è normale chiedersi perché gli scienziati non centrino mai l’obiettivo al primo colpo. Non possono farlo, perché conflitti e contraddizioni sono il metodo di lavoro della scienza. Accade in ogni campo, dall’archeologia alla zoologia, dalla fisica nucleare alla nutrizione. Uomini e donne svolgono ricerche e riportano risultati. Le prove si accumulano e, messe sul piatto di una bilancia a due bracci, hanno un peso che

gradualmente fa pendere il piatto a favore di un’idea piuttosto che di un’altra. Solo quando questo accade è il momento di modificare qualcosa nella nostra vita. La “pesantezza” delle prove, chiaramente, fa la differenza. Come spiegheremo più avanti (vedi alle pp. 41-49), molti studi sono come granelli di sabbia o piccoli ciottoli. Ben pochi pesano come macigni.

La sfida di lavorare con persone vere I nutrizionisti di solito non esercitano sui soggetti delle loro ricerche lo stesso tipo di controllo dei chimici o degli zoologi. Devono lavorare con individui imprevedibili, indipendenti, per lo più incontrollabili: le persone. Ecco alcune delle sfide che un nutrizionista si trova ad affrontare. Le persone non mangiano pasto dopo pasto del semplice cibo per umani. Al contrario, la loro alimentazione cambia di giorno in giorno, di settimana in settimana, di stagione in stagione. Quello che siamo soliti mangiare oggi probabilmente è un po’ (o magari molto) diverso da quello che mangiavamo due anni fa o mangeremo tra due anni. È il riflesso naturale di mutamenti del gusto e della cultura, di innovazioni in campo agricolo e tecnologico, di cambiamenti di vita professionale e familiare. Anche le malattie e l’invecchiamento possono modificare il nostro regime alimentare. Molte ricerche dipendono dal fatto che la gente riferisca accuratamente ciò che mangia. Non è un compito facile: provate a ricordare esattamente che cosa avete mangiato un giorno della settimana scorsa. Stante questa difficoltà, le persone sono piuttosto precise nel descrivere i propri modelli alimentari a lungo termine. Ma non essendo perfette, c’è quasi sempre qualche imprecisione che incide sulla possibilità di interpretare correttamente la relazione tra dieta e malattia. Il cibo che mangiate quotidianamente contiene migliaia di diverse sostanze chimiche naturali, alcune note e ben studiate, altre note ma

poco studiate, molte completamente sconosciute e attualmente non misurabili. Per il momento, abbiamo compreso l’effetto sul corpo solo di una piccola percentuale di queste sostanze. E poi ci sono gli additivi artificiali: conservanti, stabilizzanti, esaltatori del sapore e così via. Negli studi che mettono in relazione cibo e malattia, questo rende più difficile arrivare a conclusioni definitive su una particolare vitamina, su un certo minerale o su altre molecole. Sapere esattamente cosa contengano diversi alimenti, come interagiscano gli additivi e che effetto combinato abbia il complesso di queste sostanze sul corpo sono obiettivi importanti per il futuro. Calcolare i nutrienti che una persona ricava dai cibi che mangia – quanti grassi saturi, quante fibre, quanta vitamina E ecc. – è complicato, perché dipende da informazioni a volte sommarie e non del tutto veritiere sulla composizione degli alimenti. Quasi tutti consumano grassi, fibre, zucchero, amidi, frutta, verdura, vitamine e così via. Questo significa che per ognuna di queste sostanze i ricercatori hanno il difficile compito di stimare la quantità assunta con la dieta, non solo se ne fa parte. Cardiopatia, cancro, diabete, osteoporosi, cataratta e altre malattie croniche quasi sempre si sviluppano nel corso di anni o persino di decenni. Hanno anche cause estranee alla dieta, tra cui i geni, l’attività fisica, il fumo, lo stress e altri fattori ancora da identificare.

Metodi diversi per problemi diversi Per superare questi problemi, i nutrizionisti ricorrono a svariati metodi di ricerca. 2 Studi randomizzati

Sono spesso considerati i gold standard (gli studi sperimentali di riferimento più accurati) sulla base dei quali giudicare la validità di altre ricerche. In questo tipo di studi accuratamente controllati, la

dieta o il trattamento sperimentale viene assegnato per selezione casuale alla metà di un gruppo di volontari, mentre all’altra metà viene assegnata una dieta o un trattamento di confronto (il cosiddetto “controllo”), o anche nessun trattamento. Dopo un tempo stabilito, il numero di persone del gruppo sperimentale che ha sviluppato l’endpoint (esito) predeterminato – morte, infarto, frattura dell’osso dell’anca e così via – viene comparato con il numero di persone che ha sviluppato l’endpoint nel gruppo di controllo. Per esempio, ipotizziamo che vogliate sapere se la vitamina C previene la perdita di memoria correlata all’età. Dovreste raccogliere un nutrito gruppo di volontari, selezionare a caso quelli a cui somministrare quotidianamente una compressa di vitamina C e somministrare agli altri una compressa identica che contiene un ingrediente inattivo con lo stesso sapore della vitamina C (placebo). Dopo dieci o vent’anni, dovreste mettere a confronto la percentuale di persone che ha manifestato un calo di memoria nel gruppo “vitamina C ” e la percentuale di persone che ha manifestato lo stesso problema nel gruppo “placebo”. Questo tipo di studi ha molti vantaggi. Se è abbastanza ampio, il processo di randomizzazione ha il pregio di garantire che le persone del gruppo sperimentale siano molto simili a quelle del gruppo di controllo in termini di età, stato di salute, livello di attività fisica e di altri fattori potenzialmente importanti. In questo modo, l’unico elemento che differenzia i due gruppi è la dieta o il trattamento. Sfortunatamente, gli studi randomizzati sono spesso impossibili da realizzare in campo nutrizionale. Ottenere che le persone si preparino e consumino pasti particolari nel lungo periodo è difficile. È difficile anche ottenere che prendano regolarmente una pastiglia di vitamina C o un placebo per dieci anni o più. Dato il grande numero di volontari richiesti, il costo di gestione di uno studio randomizzato può essere astronomico. Prendiamo per esempio la Women’s Health Initiative (Iniziativa per la salute della donna), che negli anni Novanta testò gli effetti di alcune modifiche dietetiche (ridurre i grassi alimentari al 20% delle calorie totali e incrementare il consumo di frutta e verdura) sull’insorgenza di cancro al seno, cardiopatie e altre malattie croniche.

La ricerca costò più di 2 miliardi di dollari e non fornì risposte chiare, in parte a causa della differenza veramente minima tra la quantità di grassi assegnata alle donne del gruppo sperimentale e la quantità di grassi consumata dal gruppo di confronto, invitato a seguire la solita dieta. Altro grosso limite degli studi randomizzati sulle vitamine e sugli integratori nutrizionali è che molti dei soggetti reclutati – o addirittura la maggior parte – potrebbero già assumere con la dieta una quantità sufficiente dell’elemento che si intende studiare. In questa situazione sarebbe facile non rilevare un importante beneficio per le persone che normalmente ne assumono meno. Per esempio, gli studi randomizzati sull’integrazione di acido folico condotti negli Stati Uniti dopo che la FDA (Food and Drug Administration, Agenzia per gli alimenti e i medicinali) aveva richiesto alle aziende alimentari di fortificare la farina con questa importante vitamina del gruppo B , riscontrarono un debole effetto generale sul rischio di malattie cardiovascolari. Ma uno studio condotto in Cina, dove i livelli di assunzione di acido folico erano generalmente bassi, evidenziò una significativa riduzione dei casi di ictus. 3 Questo rende probabile che, anche negli Stati Uniti, una certa quantità di persone con una dieta povera di acido folico potrebbe trarre beneficio dall’assumerne di più. La possibilità che gli studi randomizzati producano risultati ingannevoli è vividamente rappresentata dal loro fallimento nel mostrare i benefici derivanti dall’abbandono del fumo, probabilmente il passo più importante che una persona possa compiere per la propria salute. 4 Proprio questo accadde in uno studio classico noto come Multiple Risk Factor Intervention Trial. Perché lo studio non riuscì a individuare i vantaggi di abbandonare il vizio del fumo? Quasi sicuramente perché molti partecipanti che avevano smesso di fumare in seguito ricominciarono, e perché lo studio, durato sette anni, non si protrasse abbastanza a lungo da registrare i benefici ottenuti da chi aveva davvero smesso in maniera permanente. Studi di coorte

Un altro metodo efficace richiede di seguire vasti gruppi di “esseri

umani che vivono in libertà” – persone normali come voi – per lunghi periodi di tempo. Uno studio di coorte comincia con un gruppo di individui che spesso hanno qualcosa in comune, per esempio la professione o il luogo di residenza. Di ciascuno si raccolgono informazioni in merito a dieta, abitudine all’alcol o al fumo, istruzione, professione, stato di salute e altri elementi potenzialmente pertinenti. Poi il gruppo viene seguito per un certo periodo di tempo, idealmente per un decennio o più, sia direttamente – tramite check-up occasionali e questionari inviati per posta – che indirettamente, attraverso i certificati di morte. Quando lo studio si è protratto abbastanza a lungo, i ricercatori possono esaminare le informazioni accumulate per verificare una varietà di ipotesi. Possono, per esempio, stabilire se le persone della coorte che consumano più fibre hanno una diversa incidenza di cancro del colon rispetto a coloro che ne consumano meno, oppure se chi integra più folati, importanti vitamine del gruppo B , ha un tasso di cardiopatie inferiore rispetto a chi ne integra meno. È proprio da studi a lungo termine di questo tipo che sono emerse alcune delle più valide conoscenze sul legame tra dieta e salute. Raccogliendo informazioni all’inizio, prima che siano insorte patologie specifiche, gli studi di coorte evitano i ricordi alterati che a volte caratterizzano gli individui che hanno una certa malattia e che vorrebbero trovare una spiegazione del perché si sono ammalati. Gli studi di coorte come il Nurses’ Health Study, l’Health Professionals Follow-up Study (Studio di follow-up sui professionisti sanitari), l’Adventist Health Studies (Studi sulla salute degli avventisti) e altri (vedi “Fondamentali studi di coorte” a p. 43) usano questionari accuratamente testati per stabilire quello che mangiano i partecipanti. Gli studi sulle infermiere e sui professionisti sanitari, condotti entrambi dal mio gruppo di ricerca, sono unici nel loro genere, perché i partecipanti rispondono a questionari sull’alimentazione numerose volte nel corso dello studio. Questo è importante nei follow-up a lungo termine, perché le diete nel tempo si modificano profondamente a causa di scelte individuali e cambiamenti nella disponibilità di cibo.

Gli studi randomizzati controllati a volte sono esibiti come la prova migliore. Ma gli studi di coorte possono fornire una risposta a questioni impossibili da affrontare negli studi randomizzati, per esempio gli effetti a lungo termine della dieta. Gli studi randomizzati non possono valutare quali effetti abbiano la dieta e il peso in età infantile o adolescenziale sulla salute in età adulta o avanzata. Non possono nemmeno testare sostanze potenzialmente nocive, come i grassi trans: non sarebbe etico condurre uno studio randomizzato in cui a metà dei partecipanti viene assegnata una dieta ricca di grassi che occludono pericolosamente le arterie. Fondamentali studi di coorte

Decine di studi di coorte su alimentazione e salute sono attualmente in corso. Ci hanno già fornito informazioni importanti sul rapporto tra cibo e malattie, e negli anni a venire produrranno una valanga di dati. Tra questi citiamo: American Cancer Society (Associazione americana per la ricerca sul cancro) Nel 1992 l’American Cancer Society varò il Cancer Prevention Study II-Nutrition Cohort (Secondo studio sulla prevenzione del cancro - Coorte nutrizionale), che da allora monitora le condizioni di salute di 132.000 uomini e donne per esplorare la possibile incidenza dell’assunzione di alcolici, dell’attività fisica, della dieta e di altri fattori sullo sviluppo del cancro. Il Cancer Prevention Study III, cominciato nel 2006, ha reclutato altri 300.000 partecipanti, incrementando le differenze razziali ed etniche. Adventist Health Studies (Studi sulla salute degli avventisti) Comprendono studi su 27.658 individui di sesso maschile e femminile appartenenti alla Chiesa avventista del settimo giorno della California, un gruppo scelto perché molti seguaci di questa religione sono vegetariani. Il più recente Adventist Health Study2 sta monitorando 96.000 membri della stessa Chiesa in tutti gli Stati Uniti e in Canada. Black Women’s Health Studies (Studi sulla salute delle donne di

colore) Questo studio di coorte, varato nel 1995, sta seguendo 59.000 donne di colore per comprendere perché abbiano, rispetto ad altre donne, più probabilità di sviluppare ipertensione, cancro al seno precoce, diabete, ictus e lupus. European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition Study (EPIC ) (Studio prospettico europeo su cancro e nutrizione) Si tratta di uno studio collaborativo cominciato nel 1993 in nove Paesi europei. Sono stati reclutati complessivamente 440.00 uomini e donne. Health Professionals Follow-up Study (Studio di follow-up sui professionisti sanitari) Uno studio su 51.529 professionisti sanitari di sesso maschile (dentisti, veterinari, farmacisti, optometristi, osteopati e podologi) che nel 1986 avevano un’età compresa tra 40 e 75 anni. Come le partecipanti al Nurses’ Health Study, questi uomini compilano questionari di aggiornamento sulla salute, sulla dieta e sullo stile di vita ad anni alterni. Iowa Women’s Health Study (Studio sulla salute delle donne dell’Iowa) È uno studio condotto su 41.836 donne dell’Iowa in postmenopausa, che avevano un’età compresa tra i 55 e i 69 anni nel 1986. È stato ideato per esaminare gli effetti di diversi modelli alimentari e stili di vita sullo sviluppo del cancro. Mexican Teachers’ Cohort (Studio di coorte sugli insegnanti messicani) Questo studio sta monitorando più di 115.000 insegnanti di sesso femminile che risiedono in Messico, reclutate alla fine del primo decennio del 2000, per indagare sugli effetti dello status socioeconomico, della storia riproduttiva, dello stile di vita e dei fattori dietetici sullo sviluppo di patologie croniche e disturbi mentali. Multiethnic Cohort Study on Diet and Cancer (Studio di coorte multietnico sulla dieta e il cancro) Ambizioso studio cominciato nel 1993 che comprende 215.000 uomini e donne in rappresentanza di cinque differenti gruppi etnici: bianchi, afroamericani, nippoamericani, latinoamericani e hawaiani nativi. NIH-AARP Diet and Health Study, progetto comune del National Cancer Institute (Istituto nazionale per il cancro) e dell’AARP

(American Association of Retired Persons, Associazione pensionati americani). Questo studio di coorte è cominciato nel 1995 per esplorare la relazione tra dieta, stile di vita e cancro. Nurses’ Health Study e Nurses’ Health Study II (Studio sulla salute delle infermiere e Studio sulla salute delle infermiere II) Questi studi stanno monitorando la salute e il benessere di oltre 200.000 infermiere dal 1976 (vedi “Elogio delle infermiere e dei professionisti sanitari” a p. 46). Shanghai Women’s and Men’s Studies (Studi sulle donne e sugli uomini di Shanghai) Queste coorti comprendono oltre 130.000 uomini e donne di Shanghai, Cina, che avevano un’età compresa tra i 40 e i 75 anni tra il 1986 e il 1989. Lo studio è focalizzato sui fattori ambientali, genetici e dietetici che potrebbero causare il cancro. Gli studi statunitensi che si focalizzano su popolazioni diverse per razza ed etnia offriranno informazioni importanti a tutti gli americani. Gli studi in corso in Asia e Messico forniranno dati preziosi su una più vasta gamma di modelli alimentari. L’Africa e il Sudamerica sono ancora pagine bianche nella ricerca su alimentazione e salute, perché non sono ancora stati varati studi di coorte significativi. Studi casi-controlli

In questo tipo di studi, i ricercatori raccolgono informazioni da un gruppo di persone che hanno sviluppato una particolare malattia (i casi) e da un gruppo di persone simili che non hanno sviluppato quella stessa malattia (i controlli). Poi mettono a confronto i due gruppi per far emergere le differenze nella dieta, nel livello di attività fisica o in qualunque altra variabile a cui siano interessati. Gli studi casi-controlli sono strumenti efficaci quando la variabile è ben definita: per esempio, il fumo o la professione. Non funzionano altrettanto bene sull’alimentazione, quando è probabile che emergano modeste differenze tra individuo e individuo. Gli studi casi-controlli sono molto più soggetti a errori e distorsioni rispetto agli studi di coorte.

Poiché gli studi casi-controlli si possono realizzare in fretta e con poca spesa, da lì sono arrivate le prove scientifiche alla base delle prime raccomandazioni alimentari. Man mano che emergono informazioni dagli studi di coorte, però, scopriamo che le conclusioni degli studi casi-controlli erano spesso, e prevedibilmente, lontane dal vero. Studi di alimentazione controllata

Sono una tipologia di studio randomizzato a breve termine realizzato con volontari, a volte ospitati in particolari reparti ospedalieri, che consumano pasti appositamente preparati. In questa condizione controllata è possibile capire quali cibi o nutrienti incidano sul livello di colesterolo o di altri marcatori biochimici nel sangue. Questi studi, però, sono troppo piccoli e poco protratti nel tempo per permettere di misurare l’effetto sul rischio di malattia. E non possono nemmeno valutare come l’alimentazione reale influisca sulle persone che vivono nel molto più caotico e libero mondo reale. ELOGIO DELLE INFERMIERE E DEI PROFESSIONISTI SANITARI Nel 1976, il dottor Frank Speizer (Channing Laboratory del Brigham and Women’s Hospital) e la Harvard School of Public Health vararono il Nurses’ Health Study. Lo scopo iniziale era indagare sulle potenziali conseguenze a lungo termine dei contraccettivi orali, all’epoca utilizzati da migliaia di donne. Le infermiere furono scelte come popolazione-campione perché, grazie alla loro formazione professionale, avevano buone conoscenze sanitarie e la capacità di fornire informazioni complete e accurate su diverse patologie. Il team di ricercatori reclutò 121.700 infermiere diplomate in età compresa tra i 30 e i 55 anni. Da allora, gli obiettivi dello studio si sono allargati per osservare gli effetti dell’alimentazione e di altri fattori correlati allo stile di vita, su cancro, cardiopatie, salute mentale e su altre condizioni di interesse medico. Ad anni alterni, le partecipanti compilano un questionario di follow-up per aggiornare i dati su molteplici fattori di rischio, e ogni quattro anni un questionario sull’alimentazione. L’ex segretario del Department of Health and Human Services Donna Shalala lo definì “uno degli studi più significativi mai condotti sulla salute delle donne”. Per celebrarne il quarantennale, l’“American Journal of Public Health” dedicò un intero

numero alla presentazione dei suoi numerosi contributi. 5 Altri studi sono in corso. Il Nurses’ Health Study II, varato nel 1989, include 116.000 infermiere più giovani. Inoltre, 15.000 figli di queste infermiere stanno partecipando allo studio Growing Up Today (Crescere oggi). Il Nurses’ Health Study III sta reclutando sia donne che uomini, e prende in esame anche la dieta e lo stile di vita in giovane età; viene condotto interamente online. Poiché gli studi sulle infermiere originariamente includevano solo donne, io e un nutrito gruppo di colleghi varammo nel 1986 l’Health Professionals Follow-up Study, con l’obiettivo di esaminare gli effetti della dieta sulle patologie croniche nell’uomo. Inizialmente includeva 51.529 dentisti, farmacisti, optometristi, osteopati, podologi e veterinari di sesso maschile. Con la loro dedizione, queste infermiere, questi figli e questi professionisti sanitari ci hanno aiutato enormemente a comprendere la relazione tra cibo e salute. Il nostro libro è un riflesso del tempo e dell’impegno che loro stessi hanno investito nel progetto.

Studi ecologici

Una forte spinta alla ricerca nutrizionale, nonché alcuni precoci indizi di ciò che avrebbe potuto essere importante, giunse da studi che mettevano a confronto diete e incidenza di malattia in diverse aree geografiche. Uno degli studi ecologici determinanti fu il Seven Countries Study (Studio dei sette Paesi), condotto dal dottor Ancel Keys e dal suo gruppo di collaboratori negli anni Sessanta. Questi ricercatori reclutarono circa 1000 uomini in quattordici diverse aree di sette Paesi e li seguirono per un decennio per documentarne il tasso di incidenza di infarti. Ottennero una decina di valori diversi, il più basso dei quali si riscontrava sull’isola greca di Creta e in Giappone. Keys e colleghi mostrarono anche che da tutte le quattordici aree emergeva una relazione tra il consumo di grassi saturi e il tasso di cardiopatie coronariche. 6 Nel contempo, altri scienziati stavano riscontrando che gli uomini immigrati da Paesi come il Giappone – in cui l’incidenza di cardiopatie era bassa – negli Stati Uniti – dove invece era alta – avevano più probabilità di sviluppare una cardiopatia degli uomini che non espatriavano. Questi dati ebbero una profonda importanza

perché mostrarono chiaramente che l’elevata incidenza di cardiopatie coronariche negli Stati Uniti non era dovuta a fattori genetici e non era inevitabile. Il punto debole degli studi ecologici è che molti fattori, oltre all’alimentazione, differiscono da una regione geografica all’altra. Il Seven Countries Study non permetteva di concludere che i grassi saturi erano la causa fondamentale della cardiopatia. Evidentemente c’era bisogno di indagare più a fondo, ma le prove emerse diedero slancio alla ricerca nutrizionale, perché, in linea di principio, tutte le popolazioni avrebbero potuto raggiungere la bassa percentuale di cardiopatie rilevata a Creta anche senza l’ausilio di una sofisticata scienza medica. Parallelamente al lavoro di Keys e colleghi, altri scienziati stavano conducendo studi ecologici sul cancro al seno e su altri tumori molto diffusi. Arrivarono a conclusioni simili: grandi differenze nei tassi da Paese a Paese, aumento dell’incidenza del cancro al seno contestuale all’immigrazione negli Stati Uniti, forte relazione con fattori alimentari. Studi di randomizzazione mendeliana

Questo approccio, che prende il nome da Gregor Mendel – il monaco del XIX secolo considerato il padre della genetica – è una novità nel panorama dei disegni di studio. Si avvale di nuove tecnologie che identificano variazioni del DNA praticamente in ciascuno dei nostri 30.000 geni. Se un esteso studio epidemiologico collega una variante genetica coinvolta nella metabolizzazione di uno specifico fattore alimentare a un particolare rischio di malattia, questo corrobora fortemente l’ipotesi di una relazione causa-effetto tra quel fattore alimentare e quella malattia. Revisioni sistematiche, meta-analisi e analisi pooled (combinate)

Se sono stati condotti numerosi studi su un particolare argomento – per esempio l’effetto dell’alcol sulla salute cardiovascolare – può essere utile fare un passo indietro e ricavarne una visione d’insieme.

Una revisione sistematica passa al vaglio la letteratura medica per identificare tutti gli studi pertinenti e quindi trarre conclusioni fondate su tali studi. Una meta-analisi assembla statisticamente i risultati pubblicati da una revisione sistematica per ottenere un bilancio complessivo. Un problema delle meta-analisi è che raccolgono dati da ricerche pubblicate e quindi non intercettano le informazioni dagli studi negativi, che tendenzialmente non vengono pubblicati. Un altro problema è che chiunque di noi, con un computer e una connessione internet, può eseguire una meta-analisi. Ma farlo bene, su un argomento complesso come il rapporto tra dieta e salute, richiede una profonda conoscenza della materia. Per esempio, gli studiosi che hanno condotto una meta-analisi di grande impatto mediatico concludendo che sostituire i grassi saturi con i grassi insaturi non aveva effetti benefici sul rischio di cardiopatia 7 evidentemente non conoscevano a fondo la letteratura pubblicata, il disegno degli studi inclusi e nemmeno la definizione delle variabili alimentari utilizzate. In un’analisi pooled, i ricercatori inseriscono dati grezzi, sia pubblicati sia non pubblicati, e li analizzano complessivamente. L’analisi risulta più completa e dettagliata perché si ricorre ai dati grezzi e non solo a quelli tratti da studi pubblicati. Anche le analisi pooled hanno dei limiti, perché sono valide tanto quanto lo sono gli studi che includono. Per combinare i dati di diverse ricerche, di solito è necessario usare solo le variabili comuni a tutti gli studi, per esempio una sola valutazione dietetica di base.

Interpretare le notizie mediche I giornalisti scrupolosi cercano di collocare i nuovi studi nella giusta prospettiva. Però è impossibile comprimere un contesto così articolato in 30 secondi o 250 parole, quindi spesso al pubblico non restano altro che frasi a effetto o titoloni. Oltre a sapere come funziona la ricerca, per riconoscere le notizie nutrizionali che meritano la vostra attenzione può essere utile qualche consiglio. Studi sulle persone. Sapere come i cibi, i nutrienti e gli additivi

agiscono su topi, cani e scimmie è un filo prezioso nel tessuto della ricerca nutrizionale. Gli effetti, però, possono essere completamente diversi sulle persone. Gli studi sugli animali possono spianare la strada alla ricerca futura, ma raramente forniscono un motivo per cambiare dieta. Studi eseguiti nel mondo reale. Gli studi eseguiti in ospedale o in particolari centri di ricerca hanno prodotto informazioni importanti sulla risposta del corpo a diversi cibi e nutrienti. Tuttavia non osservano direttamente il rischio di malattia ma solo i suoi marcatori intermedi, quindi non possono prevedere in modo affidabile le conseguenze di diverse abitudini o strategie alimentari su ciò che conta realmente: la vostra salute. Studi che osservano le malattie, non i loro marcatori. Dal momento che le malattie croniche si instaurano in tempi lunghi, molti studi usano i marcatori intermedi, per esempio il restringimento delle arterie cardiache o i cambiamenti della densità ossea, come surrogati della malattia. Queste alterazioni però non si traducono necessariamente in patologie conclamate. Date più credito alle ricerche che hanno preso in esame problemi di salute reali, come infarti o fratture ossee. Studi ampi. Nella scienza, il ruolo del caso è un vero problema. Più allargato è lo studio, minore è la possibilità che sia solo il caso a spiegare differenze potenzialmente importanti tra due gruppi. Gli studi più ampi hanno anche maggiore probabilità di individuare relazioni significative che, in studi meno estesi, passerebbero inosservate. Il peso dei risultati. La prova più persuasiva che un effetto sia reale proviene da studi eseguiti da ricercatori diversi in tempi diversi, usando metodi diversi e coinvolgendo gruppi di persone diversi. È un po’ come in tribunale, dove si prendono in esame e si valutano molte prove per stabilire con un elevato grado di certezza se un individuo è colpevole. (Il tribunale è un esempio di situazione in cui si prendono decisioni importanti senza ricorrere a studi randomizzati.) In campo nutrizionale, se non sono disponibili o utilizzabili dati emersi da studi randomizzati, la prova decisiva è la rilevazione, in numerosi e ben configurati studi di coorte e di alimentazione controllata, di una

relazione tra un fattore alimentare e una patologia. Come descritto nel capitolo 5, è così che i grassi trans furono “condannati” per aver incrementato il rischio di malattia coronarica. Un buon esempio di “prova concreta” è la relazione tra un moderato consumo di alcol e la riduzione del rischio di malattia coronarica. I possibili effetti benefici dell’alcol si ipotizzano da più di duemila anni. Alla fine del Settecento, William Heberden, il medico inglese che per primo descrisse il dolore toracico oggi noto come angina, scrisse che “il vino e i liquori procurano un notevole sollievo dall’angina”. 8 Nel corso del XX secolo apparvero sporadici rapporti sui positivi effetti dell’alcol nel prevenire l’ostruzione delle arterie, ma spesso questi erano controbilanciati da altri rapporti che documentavano gli effetti nocivi di un consumo smodato. Dal 1974, però, decine di studi casi-controlli e di coorte, eseguiti in diverse aree geografiche e su diverse bevande alcoliche, mostrano che le persone abituate a bere un paio di bicchieri di alcol al giorno hanno meno probabilità di subire infarti o di morire per malattie cardiache di coloro che non bevono per nulla o bevono molto. 9 La relazione persiste anche dopo l’aggiustamento statistico dei risultati che integra fumo, attività fisica e altre variabili potenzialmente diverse tra bevitori e non bevitori. Queste osservazioni sono state ulteriormente corroborate da prove di laboratorio, ricerche su animali e studi di alimentazione controllata su esseri umani, che hanno riscontrato come l’alcol aumenti il livello di colesterolo ematico protettivo HDL e riduca la formazione di coaguli, entrambi fattori comunemente associati a un minor rischio di cardiopatie. Con il metodo della randomizzazione mendeliana si è mostrato che una variante genetica coinvolta nella metabolizzazione dell’alcol è associata al rischio di infarto, e solo tra coloro che consumano alcolici. 10 Questa serie di prove porta alla conclusione certa che un moderato consumo di alcol riduce il rischio di cardiopatie. Uno studio randomizzato in corso dovrebbe offrire ulteriori informazioni su rischi e benefici connessi al consumo di alcolici. Indipendentemente dai risultati di questi diversi filoni di prove,

qualsiasi decisione sul bere dovrebbe tenere in considerazione l’intera gamma di effetti benefici e nocivi del consumo di bevande alcoliche (vedi capitolo 9).

In conclusione Data l’abbondanza di dati prodotti della ricerca nutrizionale, il mio consiglio è di non apportare importanti cambiamenti qualitativi o quantitativi alla dieta basandovi su un solo studio. Se un risultato è veritiero, sarà comprovato da altri studi. E alla lunga non importerà molto se introdurrete il cambiamento (come prendere una vitamina o consumare più grassi monoinsaturi) domani o tra sei mesi. In realtà, oggi come un secolo fa, vale il cinico e laconico commento di Mark Twain: “State attenti a leggere libri sulla salute. Potreste morire per un errore di stampa”. Nei capitoli seguenti descriverò i risultati scientifici che sorreggono le conclusioni fondamentali di questo libro e che, per il vostro benessere, possono fare una grande differenza.

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Un peso salutare

Il mio scopo in questo libro è offrirvi semplici e sensati consigli di salute e nutrizione basati sulle migliori informazioni disponibili. Comincerò da qui. Se il vostro peso è compreso nel range “sano”, mantenetelo (vedi fig. 6 a p. 54). Se siete in sovrappeso, cambiate il vostro modello di alimentazione e attività fisica per non prendere altri chili, e magari perderne qualcuno. Questa non è un’idea nuova e certamente non farà di me il prossimo guru della dieta presentato al The Dr. Oz Show. Tuttavia, i numeretti che vi fissano dalla bilancia sono una misura importantissima per la vostra salute futura. Per il benessere fisico a lungo termine, mantenere quel valore nel range “sano” conta ben più della tipologia e della quantità di antiossidanti presenti nella dieta o del rapporto proporzionale tra grassi e carboidrati. Quanto mangiate è fondamentale per stabilire se ingrasserete o dimagrirete. È questo il punto chiave del capitolo. Però, il tipo di cibo che mangiate – la qualità della dieta – influisce sulla quantità, e proprio per questo prenderò in esame la qualità del cibo e non solo la quantità. Spero vi conforterà sapere che la dieta ottimale per la salute è la stessa che vi aiuterà a tenere sotto controllo il peso. Il peso è come un ragno al centro di un’intricata, ingarbugliata ragnatela di salute e malattia. Tre elementi correlati al peso – il rapporto-peso altezza, la circonferenza addominale e i chili presi dopo i 20 anni – influenzano fortemente le probabilità di avere (o di morire per) un infarto, un ictus o un altro tipo di malattia cardiovascolare; di soffrire di ipertensione, ipercolesterolemia o diabete; di sviluppare un cancro al seno dopo la menopausa, oppure un cancro alla prostata, all’endometrio, al colon, al pancreas, all’esofago o ai reni; di avere l’artrite; di essere sterile o di avere problemi di erezione; di sviluppare calcoli biliari o cataratta; di soffrire di apnee notturne; di sviluppare l’asma in età adulta; e altro ancora. Come evidenzia la fig. 6, nel

Nurses’ Health Study il peso è direttamente correlato a svariate malattie. Questi dati indicano che con l’aumento dell’indice di massa corporea – un parametro che mette in relazione il peso e l’altezza – il rischio di cardiopatie, ipertensione, calcoli biliari e diabete di tipo 2 cresce costantemente, anche tra coloro che si collocano nel range di peso salutare. Se l’indice di massa corporea è superiore a 30, ovvero al punto limite tra sovrappeso e obesità, il rischio cresce. Tendenze analoghe sono state rilevate nello Health Professionals Follow-up Study.

Fig. 6 Peso e malattia. Tra le donne del Nurses’ Health Study, la probabilità di sviluppare una qualsiasi tra quattro patologie comuni aumenta di pari passo con l’aumentare dell’indice di massa corporea.

Data l’importanza del peso per mantenersi in salute, evitare di menzionarlo per due interi decenni – nella piramide alimentare USDA , nella MyPyramid e nel MyPlate – è stata una grave omissione. E le raccomandazioni sul peso delle attuali Dietary Guidelines sono

impostate su valori troppo alti per molti individui, e potrebbero erroneamente far pensare che un aumento di peso, anche significativo ma che non sfora dal range “sano”, sia perfettamente accettabile (vedi a p. 61). Come mostrano i risultati scientifici, non lo è.

L’epidemia di obesità Avere dei chili di troppo è un problema molto personale. Può riflettersi sulla percezione che avete di voi stessi e sul trattamento che gli altri vi riservano. Ha un effetto diretto sulla vostra salute attuale e futura. Ogni anno comporta (a voi, o almeno alla vostra compagnia assicurativa) costi extra di decine di migliaia di dollari in spese mediche. 1 E, per quanto personale, l’eccesso di peso è anche un importante problema di salute pubblica. I primi due decenni del XXI secolo potrebbero essere chiamati i decenni dell’obesità. Dall’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso la percentuale di americani in moderato sovrappeso è rimasta la stessa, e corrisponde a circa un terzo della popolazione. Quello che è drasticamente cambiato, però, è il numero degli obesi. Adesso più di un terzo degli adulti 2 ricade in questa categoria, una percentuale quasi tripla rispetto ai primi anni Sessanta. 3 Anche l’obesità tra i bambini in questo periodo è drammaticamente cresciuta, quasi quadruplicata, ed è una tendenza allarmante se si considera che l’obesità infantile favorisce l’insorgenza del diabete e di patologie cardiovascolari in giovane età. Nonostante la percentuale di bambini con obesità si sia stabilizzata negli ultimi anni, il numero complessivo rimane pericolosamente alto. Gli Stati Uniti spendono più di 200 miliardi di dollari l’anno in cure mediche 4 per l’obesità e le sue complicanze. La situazione non è molto migliore nel resto del globo. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS ) definisce l’obesità un’epidemia mondiale. E se fame e carestie riempiono i titoli dei giornali, sovrappeso, obesità e relative conseguenze sulla salute hanno già rimpiazzato la denutrizione e le infezioni come principali cause di morte prematura e disabilità in molti Paesi in via di sviluppo. 5

Qual è il peso salutare? Sembra una domanda semplice, ma rispondere si rivela molto complicato. Il problema è duplice. Prima di tutto, un peso di 80 kg potrebbe essere perfettamente adeguato per una persona alta 1,80 m, ma è di gran lunga eccessivo per una alta 1,60 m. E poi c’è la persistente confusione generata dal modo in cui si definiva il peso salutare in passato. Il numero chiamato indice di massa corporea (IMC ), o indice Quetelet, risolve il primo aspetto del problema. È un dato biometrico che mette in relazione peso e altezza, e stabilisce che le persone più alte tendono a pesare di più di quelle basse. Per definire il normopeso sono stati fissati i parametri esaminando il tasso di mortalità in numerosi gruppi di individui, e poi scegliendo gli IMC con il più basso tasso di mortalità. La maggior parte degli studi ha mostrato che tale range si colloca tra 18,5 e 24,9. Se vi piace la matematica, potete calcolare così il vostro IMC : dividete il vostro peso (in chilogrammi) per il quadrato della vostra altezza (in metri). Nel 2013, un gruppo di statistici dei Centers for Disease Control and Prevention pubblicò un’analisi che collocava il range salutare – inteso come tasso di mortalità più basso – tra le persone in sovrappeso (IMC tra 25 e 29,9). Dall’analisi emergeva che nei periodi esaminati la percentuale di mortalità era stata più bassa tra le persone in sovrappeso che non tra quelle in peso forma (IMC tra 18,5 e 24,9). Come in altri studi, i soggetti molto magri o gravemente obesi avevano una percentuale di mortalità più elevata. Il rapporto, pubblicato dal “Journal of the American Medical Association”, 6 ebbe una vasta eco sulla stampa, che sfornò titoli come Le maniglie dell’amore possono aiutare a restare in salute, Nuove sorprendenti ricerche mostrano che il sovrappeso può evitare una morte prematura e Qualche chilo in più potrebbe proteggere il cuore.

Trovate l’altezza nella prima colonna di sinistra e il peso nella prima riga in alto. L’incrocio di altezza e peso è il vostro IMC .

Questi risultati non avevano senso. Come poteva il sovrappeso – che accresce la probabilità di sviluppare diabete di tipo 2, cardiopatie, tumori e altre malattie croniche (tutte note per ridurre l’aspettativa di vita) – essere preferibile al peso forma in termini di sopravvivenza? Sebbene lo studio dei CDC fosse molto grande e includesse più di 2,8 milioni di persone, non teneva nel debito conto informazioni cruciali che alteravano i risultati. Il problema di quello studio, e di altri simili eseguiti in precedenza, è che comprendeva nel campione fumatori e persone affette da patologie croniche senza prendere pienamente in considerazione gli effetti di queste variabili. I fumatori tendono a essere più magri dei non fumatori (a volte fumare riduce l’appetito). Le persone che fumano molto sono tendenzialmente più magre di quelle che fumano poco. Dal momento che il fumo è un fattore di rischio che incide fortemente sulla mortalità, questo instaura una relazione apparente tra magrezza e scarsa salute. Inoltre, in una qualsiasi ampia popolazione di individui, quelli più magri rappresentano un mix di persone magre che sono riuscite a trovare un equilibrio tra apporto e consumo calorico più quelle affette da malattie che comportano calo di peso (per esempio tumori, cardiopatie, enfisema, più fragilità – cioè presenza contemporanea di varie patologie – nei soggetti anziani). In altre parole, la magrezza non è necessariamente causa di morte prematura, piuttosto è spesso l’effetto di una malattia – diagnosticata o meno – che risulterà fatale. Questi fattori fanno sì che il gruppo “magri” manifesti una maggiore probabilità di morte prematura a confronto del gruppo “sovrappeso”, che mostrerà una minore probabilità. Esistono due strategie per ovviare a questo inconveniente: includere solo non fumatori; non calcolare le morti che si verificano nei primi due anni di follow-up, escludendo in tal modo i soggetti affetti da tumore o da altre patologie preesistenti, non diagnosticate e potenzialmente responsabili del basso peso. Facemmo precisamente questo io e i miei colleghi in un’analisi del 2016 che accorpava i dati di 239 studi di coorte su oltre 10 milioni di

uomini e donne di ogni parte del mondo e di età compresa tra i 35 e gli 89 anni. Osservammo che, in un periodo di follow-up della durata media di quindici anni, i tassi di mortalità più bassi interessavano i soggetti con IMC compreso tra 18,5 e 24,9, proprio come ci aspettavamo. 7 Tra i soggetti con IMC superiore a 25, maggiore era il peso più elevato era il rischio di morte nel periodo in esame. La relazione tra peso e mortalità era simile in tutte le regioni del mondo. Un’altra meta-analisi che includeva oltre 30 milioni di persone 8 giungeva alla stessa conclusione.

Le attuali linee guida sul peso possono essere troppo indulgenti Le Dietary Guidelines for Americans 2015-2020 fissano il peso salutare in corrispondenza di un IMC compreso tra 18,5 e 24,9. Gli indici di massa corporea superiori a 25 sono definiti non salutari (vedi fig. 7 a p. 61). Nell’individuare questo valore-soglia, la Commissione consultiva per le linee guida nutrizionali ha cercato un punto di equilibrio tra prove scientifiche da un lato e politica e percezione pubblica dall’altro. È un compito arduo, perché non esiste una precisa linea di demarcazione tra peso salutare e non salutare. I membri della commissione hanno concordato che il rischio di cardiopatia, diabete e ipertensione si incrementa a partire da un IMC di circa 22. Tuttavia, scegliere come discriminante un valore così basso non è parso giustificato, perché avrebbe significato includere nella fascia di “sovrappeso” la grande maggioranza della popolazione degli Stati Uniti. Hanno invece individuato in un IMC di 25 il limite superiore del peso salutare, basandosi sui risultati degli studi che indicano chiaramente che il rischio di morte prematura, sopra quel punto, si incrementa. (La commissione per le linee guida non ha tenuto conto dello studio effettuato dai Centers for Disease Control and Prevention nel 2013 descritto a p. 56.) Questo significa che quasi tutti i soggetti con un IMC superiore a 25 – fatta eccezione per i bodybuilder estremamente muscolosi – sarebbero più sani con un IMC più basso, ma molti di coloro che hanno un IMC compreso tra 23 e 25 non hanno

un peso ottimale. Anche così, fissare il valore-soglia a 25 equivale a dire che due terzi degli americani adulti sono in sovrappeso oppure obesi. Un altro problema di fissare il range di IMC salutare tra 18 e 25 è che questo “autorizza” ad aumentare di peso in maniera consistente restando comunque all’interno dell’intervallo ideale. Per esempio, una donna di 30 anni in perfetta salute, con una statura di 1,70 m e un peso di 60 kg (IMC 21) potrebbe mettere su 11 kg (IMC 25) e mantenersi ancora all’interno del range di peso forma. Eppure questo peso aggiunto comporta sicuramente dei rischi per la sua salute. Che cosa dire di un IMC inferiore a 18,5 che, secondo la tabella ufficiale, non è salutare? Potrebbe realmente indicare un peso non consigliabile, specialmente se il soggetto è dimagrito di recente o soffre di un disordine alimentare. Ma le persone che mantengono un IMC basso da anni, alimentandosi in modo sano e facendo attività fisica, di solito stanno bene e non c’è motivo per cui debbano ingrassare.

Mantenere l’IMC nel range salutare Ecco la morale della favola: se il vostro peso corrisponde a un IMC inferiore a 25, fate tutto quello che potete per mantenerlo così, mangiando in modo sano e facendo esercizio fisico, anche se potreste aumentare di qualche chilo senza uscire dal range di peso forma. Se il vostro peso corrisponde a un IMC superiore a 25, farete un enorme favore a voi stessi cercando di non farlo salire e, se possibile, di ridurlo. Se vi collocate all’estremità inferiore della curva dell’indice di IMC e il vostro peso non ha subito variazioni, ottimo. Se avete visto il vostro peso calare, non siete a dieta e non state cercando in altro modo di dimagrire, consultate il medico per verificare che cosa sta succedendo.

Fig. 7 Linee guida alimentari per un peso salutare.

La bilancia ai tempi dell’università Se poteste tornare indietro nel tempo e guardare voi stessi a 20 anni, come vi vedreste ora? Più vecchi e più saggi, sicuramente. Ma per quanto riguarda la circonferenza addominale o il peso sulla bilancia del bagno? Non è una domanda retorica: l’entità del cambiamento di peso o di girovita rispetto ai 20 anni ha una grossa ricaduta sulla probabilità di stare bene o di sviluppare una malattia cronica. In età adulta, mettere su qualche chiletto sembra un fatto abbastanza innocuo. Sono i chiletti che definiamo simpaticamente “pancetta della mezza età”, e un tempo erano considerati indice di

prosperità e di successo. L’impressione è che siano una conseguenza inevitabile dell’età. In realtà, prendere peso in età adulta non è inevitabile né innocuo. In molte culture ingrassare non è affatto la norma. In Giappone, per esempio, gli uomini e le donne – specialmente queste ultime – tendono a mantenere lo stesso peso anche in età matura. Girando per il Giappone, ho chiesto spesso che cosa succederebbe se una donna giapponese, invecchiando, ingrassasse. La risposta sconcertata che ho ricevuto il più delle volte è: «Sarebbe una delle cose peggiori, per lei». Anche in Svezia e in Francia le donne restano magre, con tassi di obesità inferiori al 10%, molto più bassi che tra le donne americane, obese nel 40% dei casi. Persino all’interno degli Stati Uniti rileviamo, tra gruppi diversi, evidenti differenze. Per esempio, minore è il livello d’istruzione, maggiore è la probabilità di essere in sovrappeso o obesi, specialmente se uomini. 9 I tassi di obesità variano molto anche tra le diverse zone del Paese. Prendere più di qualche chilo dopo i 20 anni può spingervi sulla strada della patologia cronica. Più aumenta il peso, più forte è la spinta. Nei noti studi sulle infermiere e sui professionisti sanitari, gli uomini e le donne di mezza età interessati da un incremento di peso compreso tra 4 e 15 kg hanno manifestato una più alta probabilità di sviluppare cardiopatie, ipertensione, diabete di tipo 2 e calcoli biliari rispetto ai partecipanti che avevano mantenuto l’incremento sotto i 3 kg. 10 Più importante era l’aumento di peso, più alta la probabilità di sviluppare queste patologie. Questi e altri studi sulla relazione tra peso e invecchiamento mettono pertanto in luce la seguente contraddizione del “range salutare”: una persona che era magra a 30 anni – diciamo con un IMC corrispondente a 20 – può ingrassare di oltre 11 kg e mantenersi all’interno del range anche se questo aumento di peso ha serie conseguenze sulla salute.

Mele e pere Alcuni immagazzinano gran parte del grasso intorno alla vita e al torace; altri intorno ai fianchi e alle cosce. Queste due diverse forme

del corpo sono state definite “a mela” e “a pera”. Articoli di riviste e siti web fanno un gran parlare di queste categorie arbitrarie, e molti siti le utilizzano come elemento chiave per determinare il profilo di salute e il rischio di insorgenza di cardiopatie. Il grasso che si accumula attorno alla vita e al torace (spesso chiamato adiposità addominale) può comportare più problemi di salute del grasso accumulato attorno ai fianchi e alle cosce. Il grasso addominale è stato correlato a ipertensione, ipercolesterolemia, iperglicemia e cardiopatia. Questo grasso, specialmente se interno all’addome, potrebbe generare più ormoni e sostanze chimiche dannosi rispetto al grasso immagazzinato altrove. È possibile che non sia così, ma comunque si tratta di un indicatore di rischio che la sola conoscenza di peso e altezza non riuscirebbe a evidenziare. In un’analisi pooled di studi di coorte che includevano 650.000 uomini e donne, il girovita più grande si è rivelato predittivo di un elevato rischio di morte prematura, qualunque fosse l’IMC . 11 Dov’è, esattamente, la vita? Per gli stilisti è la parte più stretta del busto. Per gli scienziati che studiano gli effetti del grasso corporeo sulla salute è la regione prossima all’ombelico, dove in genere si deposita il grasso. Il miglior sistema per misurare il girovita è seguire il procedimento in due fasi che utilizzano i ricercatori della National Health and Nutrition Examination Survey: premere delicatamente la mano sull’osso dell’anca destra per trovare il suo punto più alto, posizionare un metro da sarto proprio sopra quel punto e farlo girare intorno all’addome, mantenendolo parallelo al pavimento (vedi fig. 8 a p. 65). Nella maggior parte delle persone la sommità dell’osso dell’anca di solito è in linea con l’ombelico. Qualcuno potrebbe aver bisogno di tirare il metro un po’ in giù per trovare la coincidenza con l’osso dell’anca. Misurarsi il girovita può essere utile perché molti – in particolare gli uomini – si ritrovano a convertire i muscoli in grasso addominale man mano che avanzano nella mezza età. Non è escluso che il peso rimanga stabile, ma un girovita in crescita può essere un campanello d’allarme. Quindi, usate il girovita come una specie di dispositivo di biofeedback a bassa tecnologia: un allargamento di 5-7 cm nel corso

degli anni vi avvisa che occorre rivalutare le abitudini alimentari e il livello di attività fisica. Un girovita di 88 cm per le donne e di 100 cm per gli uomini è un segno preoccupante. Come per il peso, se il girovita sta aumentando è meglio prendere provvedimenti prima di raggiungere questi valori limite. Alcuni ricercatori raccomandano di calcolare il rapporto vitafianchi. Questo significa dividere la misura del girovita per la misura della circonferenza dei fianchi. Un rapporto vita-fianchi superiore a 0,9 per gli uomini a 0,85 per le donne può indicare potenziali problemi di salute. Tuttavia, è probabile che la semplice misurazione del girovita sia altrettanto utile. Molti studi hanno riscontrato che questo valore da solo è efficace quanto il rapporto vita-fianchi nel valutare le probabilità di insorgenza di una patologia cronica. Ed è anche molto più facile da rilevare.

Perché aumentiamo di peso? Il peso dipende da un’equazione semplice, che però si sbilancia facilmente: le sue variazioni corrispondono alla differenza tra apporto e dispendio calorico nel corso del tempo. Bruciate tante calorie quante ne introducete e il peso non cambierà. Introducetene più di quante ne bruciate e il peso aumenterà. Stare a dieta rappresenta l’altra possibilità: bruciare più calorie di quante se ne introducono. Il vostro peso dipende da una combinazione di elementi: che cosa e quanto mangiate, geni, stile di vita e cultura. La dieta. Che cosa e quanto mangiate incide sul peso. Ne parleremo in tutto il resto del libro. I geni. In parte potete incolpare o ringraziare i vostri genitori se il peso e la forma del vostro corpo sono come sono. Gli studi sui gemelli cresciuti separatamente mostrano che i geni hanno una forte influenza sul prendere peso e sull’essere in sovrappeso, il che significa che alcuni individui sono geneticamente predisposti a ingrassare. L’ereditarietà ha un ruolo nella tendenza ad accumulare grasso intorno al torace, alla vita o alle cosce. È

possibile che alcune persone siano più sensibili di altre alle calorie derivanti da grassi e carboidrati, anche se le prove scientifiche sono scarse. Tuttavia, devo sottolineare la frase “in parte potete incolpare...”, perché l’influenza genetica non può spiegare il rapido incremento dell’obesità osservato negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni e le notevoli differenze dei tassi di obesità in diversi Paesi. È probabile che i nostri antenati preistorici abbiano plasmato la nostra risposta fisiologica e comportamentale al cibo. Per gli uomini primitivi era normale avere un giorno troppo e il giorno dopo troppo poco. Poiché era impossibile prevedere quando sarebbe “apparso” un pasto decente – magari un boschetto di bacche mature o un’antilope di passaggio – mangiare il più possibile quando c’era cibo disponibile poteva essere il segreto per sopravvivere ai tempi di magra. Questo adattamento a fini di sopravvivenza significa che complesse interazioni chimiche tra corpo e mente, evolute millenni fa per far fronte ad abituali periodi di fame, potrebbero spingerci a mangiare ogni volta che possiamo. Il che, in questa era di abbondanza, significa sempre.

Fig. 8 Misurare il girovita. Per misurare il girovita, avvolgete il metro da sarto attorno al busto, nel punto in cui si incava lateralmente. Di solito è alla stessa altezza dell’ombelico. Assicuratevi di mantenere il metro parallelo al pavimento.

Lo stile di vita e l’attività fisica. Se mangiare rappresenta il lato piacevole e voluttuoso dell’equazione sul peso, metabolismo e attività fisica sono la controparte di duro lavoro. Il metabolismo a riposo (basale) è l’energia che ci serve per respirare, pompare e far circolare il sangue, inviare messaggi dal cervello al corpo, mantenere costante la temperatura, digerire il cibo e conservare la giusta quantità di tensione nei muscoli. Di norma corrisponde al 60-70% del dispendio energetico quotidiano. L’attività fisica copre tutto il resto. Se fate un lavoro sedentario e camminate solo per spostarvi dalla macchina all’ufficio e viceversa, probabilmente bruciate una quantità ridicola di calorie giornaliere. La cultura. La nostra è la cultura del vivere alla grande, di appetiti smisurati in cui la quantità spesso vince sulla qualità. L’indulgenza è tollerata, persino riverita. Amore è cibo e cibo è amore: immaginate vostra nonna che vi sollecita a prendere un’altra porzione, o il mugolio compiaciuto e l’allentamento della cintura che concludono molti pasti delle feste e quotidiani. Queste non sono tendenze universali. In Francia e in gran parte dell’Asia la cucina mette l’accento sulla qualità e sulla presentazione, non sulla quantità di cibo che si riesce ad ammassare nel piatto o nella pancia. In molte culture, le persone credono persino che sia inappropriato o decisamente maleducato mangiare finché non ci si sente sazi, e insegnano ai loro figli a mangiare fino al 70% della loro capacità. La famiglia e gli amici. In un libro intitolato Thinfluence, 12 che ho scritto in collaborazione con Dan Childs e Malissa Wood, cardiologa ed esperta di promozione della salute, abbiamo descritto gli ambiti sociali che, a molti livelli, ci spingono verso un miglior controllo del peso o, al contrario, ce ne allontanano. La famiglia, gli amici, il luogo in cui lavoriamo e trascorriamo il tempo libero e altri fattori sociali influenzano fortemente la qualità e la quantità di ciò che mangiamo. Fare scelte alimentari sane può essere molto difficile se tutti attorno a noi si rimpinzano di bibite zuccherate e di pizza, e non ci sono in vista cibi salutari. Thinfluence spiega come i singoli individui possano modificare o

arginare i fattori che remano contro la loro salute, favorendo non solo il proprio benessere ma anche quello di chi li circonda. Il microbiota. Miliardi di batteri, funghi, virus e altri microbi – definiti complessivamente microbiota – vivono silenziosamente all’interno del nostro intestino. Ci aiutano a digerire il cibo, ci proteggono dai microbi che possono causare malattie, producono vitamine come la B 12, la tiamina e la riboflavina, e altro ancora. È possibile, ma non è provato, che il proprio microbiota contribuisca a regolare il peso. 13 Sembra che alcuni tipi di batteri intestinali siano più abili a estrarre calorie dai cibi o a scatenare infiammazioni, ed entrambi i processi possono tradursi in un aumento di peso. Tuttavia non sappiamo ancora se il microbiota sia la causa dell’aumento di peso o se, al contrario, sia l’aumento di peso a modificare il microbiota. In aggiunta a tutto questo c’è, come lo chiamo io, il problema dell’iperproduzione. Gli agricoltori statunitensi producono l’equivalente di circa 4000 calorie di cibo al giorno per abitante americano (uomo, donna e bambino). 14 È grosso modo il doppio di ciò che mediamente occorre a una sola persona. La conseguenza pressoché inevitabile di questo surplus è un sistema che incoraggia un consumo vorace. I produttori di generi alimentari aspirano a un maggior consumo della propria merce e gareggiano per sfruttare la nostra debolezza. L’industria alimentare spende miliardi di dollari l’anno per studiare strategie che invoglino a comprare e mangiare di più. Fa continuamente leva sul nostro acuto senso del dolce e del salato, uno strumento innato che un tempo ci serviva per sopravvivere (il gusto per le cose dolci, per esempio, aiutava gli uomini primitivi a selezionare le foglie più tenere e con una riserva di energia più prontamente disponibile). Il contenuto di zucchero e di sale dei prodotti è stato incrementato per accrescere le nostre aspettative di dolcezza e sapidità e farci mangiare – e comprare – di più. Ad aggravare il problema c’è il fatto che il cibo si può acquistare dappertutto: i distributori di benzina vendono brioche e panini, nelle

librerie e nei grandi magazzini troviamo dolci e caffè, allo stadio o a un concerto possiamo riempirci la pancia con un pasto completo. I ristoranti danno il loro contributo aumentando le porzioni. Gli eterei piatti della nouvelle cuisine sono stati eclissati da portate gigantesche, e non è raro che un pasto contenga 1500-2000 calorie, poco meno di quante ne servirebbero per un giorno intero. Questa incredibile facilità di accesso al cibo e la varietà pressoché illimitata delle scelte mettono a dura prova anche la forza di volontà del consumatore più assennato. Unite alla scarsa attività fisica, sono la ricetta sicura per ingrassare. E poiché il controllo del peso – dopo il fumo – è il fattore di salute più importante, mangiare troppo può comportare seri rischi.

Per l’energia, una caloria è una caloria Noi mangiamo per due ragioni fisiologiche: rifornirci di energia e fare scorta di sostanze chimiche fondamentali. La quantità di energia che un certo cibo può trasmettere ai mitocondri – i piccoli motori che azionano le nostre cellule – si misura in calorie. Tecnicamente, una caloria alimentare è la quantità di calore necessaria per aumentare la temperatura di un litro d’acqua da 14,5 °C a 15,5 °C. In pratica, una caloria alimentare è più o meno la quantità di energia che una persona di circa 70 kg brucia ogni minuto quando dorme. Se leggete libri sull’alimentazione o vi mantenete aggiornati con le notizie su salute e nutrizione, probabilmente avete sentito parlare molto di “calorie dei grassi” e “calorie dei carboidrati”. L’idea che le calorie derivanti dai grassi siano diverse da quelle derivanti dai carboidrati proviene da ricerche condotte in condizioni estreme, per esempio il consumo di carboidrati, proteine o grassi puri. In queste situazioni il corpo converte il grasso alimentare in grasso corporeo in modo un po’ più efficiente di quanto non faccia con i carboidrati o con le proteine. In una dieta normale, però, il corpo converte in energia carboidrati, grassi e proteine, tutti alla stessa velocità. Se si parla semplicemente di generare energia, una caloria è una caloria. (Le calorie assunte con i

grassi trans potrebbero costituire un’eccezione, ma di questo parleremo più approfonditamente in seguito.) Questa “cecità” delle calorie è l’elegante soluzione con cui alcuni dei primi abitanti della Terra hanno affrontato un problema spinoso: come far funzionare il corpo con carburanti diversi. Invece di avere sistemi intracellulari differenziati per gestire grassi, carboidrati, proteine, alcol e così via, le cellule del nostro corpo utilizzano alternativamente due diverse fonti energetiche: il glucosio e il grasso. Gran parte di quello che mangiate è (o può essere all’occorrenza) convertito nella valuta energetica del reame: lo zucchero a sei atomi di carbonio chiamato glucosio. Quando mangiate, parte del glucosio immesso nel sistema circolatorio è utilizzato immediatamente dalle cellule. Parte, invece, si lega in lunghe catene di molecole (il glicogeno) e viene immagazzinato nei muscoli e nel fegato. Quello che avanza è convertito in grasso e conservato in speciali cellule di deposito che rivestono i fasci muscolari. Se il glucosio è come denaro contante in tasca, pronto per essere speso in caso di necessità, il glicogeno è come denaro in banca, disponibile con poco sforzo, e il grasso è denaro investito in azioni o fondi comuni. Comunque, la conversione del glucosio in grasso è una strada a senso unico: il grasso non può essere riconvertito in glucosio. Così, se è vero che le vostre cellule normalmente funzionano a glucosio, quando non ne avete a sufficienza potete cambiare modalità di alimentazione e bruciare grassi, sia derivati direttamente dal cibo che recuperati dalle riserve del corpo. Le cellule cerebrali sono un’eccezione: funzionano solo a glucosio.

Anche la qualità delle calorie conta Se a livello cellulare una caloria è decisamente una caloria, i cibi che si mangiano per ricavarne calorie possono avere una ricaduta importante sulla salute. La fonte di calorie può influenzare il senso di sazietà percepito dopo il pasto. Alcuni cibi, come la mela, possono riempire lo stomaco e lasciarvi soddisfatti per ore, mentre una bibita gassata con il doppio

delle calorie difficilmente placherà la vostra fame. Un buon approccio è introdurre meno calorie mangiando cibi ad alto contenuto di fibre come mele o carote. In questo modo, qualità della dieta e quantità di cibo risultano strettamente intrecciate, con ricadute positive sia sul peso che sulla salute a lungo termine. Un’altra possibile differenza nelle calorie è evidenziata nel libro Always Hungry? del mio collega David Ludwig, che mette in luce un annoso paradosso: alcune persone hanno centinaia di migliaia di calorie in eccesso immagazzinate sotto forma di grasso, e tuttavia hanno fame esattamente come le persone magre. Come mai gli individui in sovrappeso e obesi non possono attingere alle calorie immagazzinate quando hanno fame, invece di mangiare di più? Ludwig fornisce la prova che un elevato livello di insulina, stimolata principalmente dal consumo di carboidrati rapidamente digeribili e assorbibili, è un segnale metabolico cruciale che reindirizza le calorie nei depositi sotto forma di grasso, e lì le mantiene bloccate e inaccessibili. Questo è un motivo per cui ha senso seguire una dieta a basso carico glicemico (vedi capitolo 6). Se avere molti chili di troppo è una seria minaccia per la salute, è importante non perdere di vista il fatto che la dieta condiziona la salute in molti modi non necessariamente correlati al peso. Sono aspetti da tenere in considerazione, quando si pianifica una dieta a lungo termine finalizzata al controllo del peso. Per esempio, tra le donne del Nurses’ Health Study la scadente qualità della dieta incideva quanto il sovrappeso sul rischio di cardiopatie. 15

Misurarsi con la “forma” delle calorie aiuta a dimagrire? Quasi tutti i tipi di dieta possono aiutare a perdere peso, almeno per qualche mese. Alcune delle diete più assurde mai pubblicate hanno testimonial pronti a giurare, esibendo lucide foto a colori, che la dieta li ha aiutati a dimagrire. Questo accade perché persino la dieta più bizzarra porta a fare attenzione a quanto si mangia invece di buttare giù tutto quello che capita ogni volta che capita. Spesso questa consapevolezza basta a ridurre la quantità complessiva delle calorie

giornaliere, e limitare le calorie è il provvedimento più efficace in qualunque strategia di controllo del peso. A dare una mano intervengono anche la monotonia e la scarsa appetibilità di queste diete. Ma, alla lunga, la maggior parte delle diete-lampo fallisce. E, a dire il vero, lo stesso accade per molte diete equilibrate e di buon senso. La dieta perfetta è quella che propone pasti e spuntini capaci di farvi sentire in breve tempo piacevolmente sazi (condizione che si sperimenta durante il pasto), di ritardare la ricomparsa degli stimoli della fame (condizione che si prova prima del pasto), di gratificare il palato, di soddisfare le esigenze organiche di energia e nutrienti, di contribuire alla prevenzione di patologie croniche. Non è facile. Sono stati scritti un’infinità di libri che garantivano, in tutto o in parte, il raggiungimento di questo nirvana alimentare. Molti promettevano più di quanto potessero mantenere. Le diete, di solito, si misurano con la “forma” delle calorie concentrandosi su un singolo “cattivo” o un singolo “eroe” alimentare. I protagonisti più comuni sono i grassi, i carboidrati, le proteine, l’indice glicemico e la densità energetica.

Le diete a ridotto contenuto di grassi non sono la soluzione Un filo conduttore comune ma assolutamente falso di molte diete è l’idea che il grasso del cibo produca grasso nel corpo. Limitate le “calorie grasse”, recita questa teoria, e riuscirete a tenere sotto controllo il peso. Nonostante la piacevole simmetria di tale logica, non esistono prove che colleghino i grassi alimentari con l’eccesso di peso. In realtà, molte prove dimostrano che un’elevata percentuale di calorie derivate dai grassi non produce aumento di peso né sovrappeso, e le prove tendono anzi nella direzione opposta. Ecco perché la piramide e l’Harvard Healthy Eating Plate non vietano i grassi. Al contrario, li trattano come un importante fattore nutrizionale della dieta. Parlerò di quali grassi scegliere e di quanti consumarne nel capitolo 5.

Certo è che alcuni Paesi in cui il consumo di grassi è elevato contano molte persone in sovrappeso. Negli Stati Uniti, per esempio, l’individuo medio ricava circa un terzo delle calorie quotidiane dai grassi (una percentuale relativamente alta), e quasi due terzi della popolazione è in sovrappeso o obesa. Eppure non molto tempo fa, in certe zone del Sudafrica dove il 60% delle persone era in sovrappeso, i grassi apportavano a malapena un quarto delle calorie. In altre parole, fattori diversi dai grassi alimentari influenzano sovrappeso e obesità. Non sto cercando di assolvere i grassi alimentari né di sminuire il loro potenziale effetto sul peso o sull’aumento di peso. I grassi alimentari incidono sull’energia, sulle riserve di grasso e sul peso. Ma non esistono prove che le calorie derivanti dai grassi contribuiscano di più all’aumento di peso delle calorie derivanti dai carboidrati o da altre fonti. Al contrario, se mantenete un giusto equilibrio tra le calorie introdotte con il cibo e le calorie bruciate, soprattutto se bruciate con l’esercizio fisico, seguendo una dieta composta per il 35-40% o più da calorie grasse non aumenterete di peso. E se consumate il giusto tipo di grassi, vi proteggerete dalle cardiopatie e da altre patologie croniche.

Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare Per anni i nutrizionisti più in voga hanno bollato il regime ipoglucidico proposto dal dottor Robert Atkins come pericoloso per la salute. Come mai quel regime ricco di proteine e grassi e povero di carboidrati avrebbe potuto essere dimagrante, se tutti sapevano che i grassi erano il demone dell’alimentazione? Quando la dieta Atkins poté difendersi davanti alla corte – la corte dell’accurato esame scientifico – il buon medico dimostrò di avere, almeno in parte, valide argomentazioni. L’idea di ridurre i carboidrati non è nuova. A metà del 1800, il già citato William Banting, impresario di pompe funebri britannico obeso, si imbatté in una dieta a ridotto contenuto di carboidrati. La seguì per qualche mese e notò con gioia che i chili sparivano senza che lui

provasse la fame assillante e le voglie che si erano sempre accompagnate ad altre diete. La sua Letter on Corpulence, Addressed to the Public, scritta nel 1863, 16 divenne così popolare che la gente cominciò a usare il termine to bant invece di to diet (essere a dieta). Mangiare pollo, carne, pesce, legumi e altri alimenti proteici fondamentali nelle diete povere di carboidrati rallenta il transito del cibo dallo stomaco all’intestino tenue. Rallentare lo svuotamento gastrico significa sentirsi sazi più a lungo e ritardare il ritorno della fame. In secondo luogo, il delicato e costante effetto delle proteine sulla glicemia modera gli alti e bassi di glucosio-insulina causati dalla digestione di carboidrati rapidamente assorbibili come il pane bianco, il riso bianco o le patate arrosto (vedi “Perché i carboidrati contano” a p. 157) e dilata gli intervalli senza fame. Allora gli hamburger senza il pane sono il segreto del dimagrimento? Studi affidabili come il Dietary Intervention Randomized Controlled Trial (DIRECT, Trial randomizzato e controllato di intervento dietetico), che descrivo a p. 78, dicono che le diete ipoglucidiche possono aiutare le persone in sovrappeso a perdere chili. Sembra che le diete povere di carboidrati, come la Atkins, siano più facili da seguire di quelle povere di grassi e che, contrariamente agli ammonimenti degli esperti, di solito non inducano alterazioni pericolose dei livelli di colesterolo ematico pur contenendo una quantità di grassi piuttosto elevata, sebbene questo dipenda dal tipo e dalla fonte dei suddetti grassi. Una delle preoccupazioni dei nutrizionisti era che mangiare molte proteine fosse dannoso per le ossa. La digestione delle proteine produce acido. Produrre troppo acido potrebbe, in teoria, spingere il corpo a richiamare calcio dalle ossa per neutralizzarlo. Però non sembra che le cose stiano proprio così. Un massiccio apporto proteico può anche richiedere uno sforzo supplementare ai reni. Forse non è un problema per la maggior parte delle persone, ma potrebbe esserlo per chi soffre di una lieve insufficienza. Gli ipertesi spesso rientrano in questa categoria. Tuttavia consumare una quantità illimitata di carne, insaccati, burro e formaggio – come suggeriva la dieta Atkins originale – non è

una buona idea per la salute in generale. Ci sono modi migliori per tagliare i carboidrati non salutari. Mangiare più frutta secca, legumi, derivati della soia, pesce, pollame, frutta e verdura non amidacee, cereali integrali e oli vegetali – come raccomandato dalla piramide e dall’Harvard Healthy Eating Plate – può contribuire al controllo del peso mentre riduce il rischio di cardiopatie, diabete e diversi tipi di cancro. Anche Atkins procedeva in questa direzione al momento della sua prematura scomparsa nel 2003, dato che il suo ultimo libro si era avvicinato a questa interpretazione della dieta povera di carboidrati.

Le diete a basso indice glicemico possono essere una scelta eccellente Quando mangiate un cibo ricco di carboidrati come il pane o il riso, la glicemia sale. Quanto sale dipende dal cibo, da quanto ne mangiate, dalla quantità di insulina che il vostro corpo produce in risposta e dalla possibilità che siate resistenti (e se sì, quanto resistenti) agli effetti dell’insulina. Il pane bianco, i cornflakes e altri carboidrati molto lavorati, ma anche le patate bianche, innescano un notevole e rapido aumento della glicemia (livello di glucosio). I cereali integrali o minimamente lavorati, i legumi e la maggior parte della frutta e della verdura generano aumenti più lievi e più lenti (vedi capitolo 6). I cibi facilmente digeribili che producono bruschi picchi di glicemia stimolano anche una corrispondente produzione di insulina. Più insulina viene immessa nel flusso sanguigno, più rapidamente il glucosio viene rimosso. Un improvviso calo di glucosio, insieme ad altri cambiamenti ormonali, genera nuovi segnali di fame. Secondo un raffinato studio condotto su una decina di ragazzi in sovrappeso del Boston Children’s Hospital, i soggetti che cominciavano la giornata con una colazione speciale arricchita di carboidrati facilmente digeribili facevano, nel corso della mattinata, quasi il doppio degli spuntini di quelli che consumavano una colazione con un apporto calorico identico ma veicolato da carboidrati a lenta digestione. 17 L’indice glicemico e il carico glicemico (vedi a p. 166) misurano il

diverso effetto dei cibi sulla glicemia. Da anni, le persone affette da diabete si affidano all’indice glicemico e al carico glicemico per mettere a punto pasti e spuntini che producano la minima elevazione dei livelli di zucchero ematico. Sono diventati strumenti dietetici molto diffusi e costituiscono entrambi un’utile guida alla scelta dei carboidrati. Non c’è bisogno di attenersi scrupolosamente alle tabelle dell’indice e del carico glicemico per prepararsi un pasto o uno spuntino. Esistono semplici regole generali: evitare le fonti di carboidrati molto lavorati come pane, pasticcini, cereali, cracker e altri cibi fatti con farina bianca; il riso bianco; le bibite zuccherate. Mangiate invece più cereali non raffinati e più cibi che li contengono, oltre a frutta, verdura e legumi.

La densità energetica non è una guida affidabile Secondo molti libri di dietetica popolari, i cibi che contengono relativamente poche calorie per boccone, come il minestrone o la zucca arrostita, saziano più velocemente dei cibi che veicolano più calorie, come la carne o la frutta secca, e pertanto aiutano a dimagrire. Questo concetto si chiama densità energetica. Le mele, le patate, il riso cotto e la lattuga hanno una bassa densità energetica, soprattutto perché sono fatti per la maggior parte di acqua. La frutta secca, i panini lievitati come i bagel, i biscotti, le fette croccanti e altri cibi asciutti ad alto contenuto di fibre hanno un’alta densità energetica. Come concetto, la densità energetica non è necessariamente utile alla dieta. I cibi a bassa densità energetica, come il pane bianco e le patate bianche, non aiutano per nulla a dimagrire ma molto a ingrassare, mentre certi alimenti ad alta densità energetica, come la frutta secca e l’olio di oliva, possono contribuire al controllo del peso. La prova più concreta che la densità energetica non incide sul peso arriva dal già citato studio PREDIMED . In questo studio diverse migliaia di individui non hanno subito alcun aumento di peso pur avendo integrato in una dieta di tipo mediterraneo razioni supplementari di olio di oliva e frutta secca, due degli alimenti con maggiore densità

energetica che conosciamo.

Mangiare sano aiuta a dimagrire Come ho già detto, c’è una solida relazione tra l’alimentazione sana e il dimagrimento. Prove convincenti che mangiare in modo sano contribuisca a far perdere peso provengono dal primo e secondo studio sulla salute delle infermiere e quello di follow-up sui professionisti sanitari. I miei colleghi e io abbiamo analizzato il consumo di specifici alimenti in relazione ai cambiamenti di peso, lungo un periodo di ventiquattro anni, su 120.877 donne e uomini di queste coorti che non erano inizialmente in sovrappeso. 18 Tra i cibi associati a maggior incremento di peso sono stati individuati: bibite gassate (nel complesso, la voce più importante perché associata a un consumo molto frequente), patate in tutte le forme, carni rosse, cereali raffinati, dolci, succhi di frutta. Tra i cibi associati a minor incremento di peso sono stati individuati: verdura, frutta, cereali integrali, frutta secca, yogurt. Il latte (sia intero che scremato) e le bibite dietetiche non evidenziavano una relazione apprezzabile con l’aumento di peso. A meno che non crediate nella magia, non dovrebbe sorprendervi sapere che nessun cibo o nessuna bevanda aveva, di per sé e

singolarmente, una ricaduta importante sull’aumento di peso. Però, sommando i contributi di questi cibi e bevande con altri, la qualità complessiva della dieta incideva notevolmente sull’aumento di peso. È interessante notare che gli schemi alimentari associati al minore ingrassamento ricalcavano molto da vicino la dieta mediterranea e una dieta in linea con il nostro Indice di sana alimentazione alternativo, entrambi regimi correlati a condizioni di buona salute a lungo termine, dimagrimento o controllo del peso.

Scegliete la via mediterranea La prova più impressionante dei benefici della dieta mediterranea sul controllo del peso a lungo termine proviene dal Dietary Intervention Randomized Controlled Trial. In questo studio, a 322 uomini e donne con moderata obesità fu assegnata a caso una di queste tre diete: una a ridotto contenuto di grassi (ipolipidica) da circa 1500 calorie al giorno per le donne e 1800 per gli uomini; una dieta mediterranea di uguale apporto calorico; una dieta a ridotto contenuto di carboidrati senza limiti calorici ma con un apporto di carboidrati predefinito (solo 20 g al giorno per i primi due mesi, e poi un aumento graduale fino a un massimo di 120 g al giorno). Tra i partecipanti che portarono a termine i due anni di sperimentazione, chi aveva seguito la dieta ipolipidica perse mediamente 3 kg, chi aveva seguito la dieta mediterranea perse 4,5 kg, chi aveva seguito quella povera di carboidrati perse 5,5 kg. I cambiamenti più favorevoli nei livelli di colesterolo furono osservati nei gruppi “a ridotto contenuto di carboidrati” e “mediterraneo”, mentre i cambiamenti più favorevoli nei livelli di glucosio furono osservati nel gruppo “mediterraneo”. 19 Quando i ricercatori ricontrollarono i partecipanti a distanza di quattro anni dalla sperimentazione, coloro che originariamente erano stati inseriti nel gruppo “ipolipidico” avevano recuperato tutto il peso perso, mentre i soggetti del gruppo “mediterraneo” avevano mantenuto il dimagrimento; il gruppo “a ridotto contenuto di carboidrati” si collocava nel mezzo. Nel gruppo “mediterraneo” erano stati anche

mantenuti i positivi cambiamenti metabolici. 20 Probabilmente una delle ragioni per cui il regime mediterraneo aveva prodotto un dimagrimento importante e duraturo è che i partecipanti si ritenevano molto soddisfatti della varietà e dei sapori del loro nuovo modo di mangiare e non provavano alcun senso di privazione.

Tre mosse per controllare il peso Data la facilità di mettere su qualche chilo e le tentazioni alimentari che ci bombardano, come evitare di ingrassare, o come dimagrire, se necessario? Io raccomando questa strategia in tre mosse: 1.

se non fate attività fisica, cominciate. Se la fate, cercate di farne di più; 2. trovate una strategia alimentare che faccia al caso vostro. Quelle proposte in questo libro sono un buon punto di partenza; 3. diventate mangiatori consapevoli e difensivi. Vorrei potervi dare una serie più precisa di istruzioni garantite per tenere sotto controllo il peso, però non posso, e credo che nessun altro possa. Date la colpa alla meravigliosa diversità della razza umana. Le persone sono uniche come i fiocchi di neve. Hanno corporatura e forma diversa, metabolismo diverso, predilezioni e idiosincrasie per sapori e consistenze differenti. Pertanto, non esiste una singola strategia di dimagrimento che possa andare bene per tutti. Dovete cercare quella che funziona per voi e rispettarla, facendovi guidare dalla bilancia e dal girovita. Quello che sicuramente posso fare è suggerirvi strategie, che hanno funzionato per altri e che forse funzioneranno per voi. Muovetevi

Anche se fin qui mi sono concentrato sul lato delle entrate, nell’equazione del bilancio energetico il lato delle uscite è di importanza cruciale.

L’attività fisica conta moltissimo per la salute. L’attività fisica è essenziale per conquistare la buona salute, per mantenerla e per tenere a bada le patologie croniche. È molto più che un modo per dimagrire o tenere sotto controllo il peso. Una regolare attività fisica: 21 aumenta le probabilità di vivere più a lungo e in migliori condizioni di salute; aiuta a prevenire l’insorgenza di cardiopatia e delle sue ancelle: ipertensione e ipercolesterolemia; aiuta a prevenire l’insorgenza di certi tipi di tumore, come quello del colon e quello del seno; aiuta a prevenire il diabete di tipo 2; aiuta a prevenire l’artrite e può alleviare dolori e rigidità articolare nei soggetti che ne soffrono; aiuta a prevenire l’insidioso impoverimento osseo conosciuto come osteoporosi; riduce i rischi di caduta negli anziani; allevia i sintomi della depressione e dell’ansia e migliora l’umore; aiuta a prevenire la disfunzione erettile; tiene sotto controllo il peso. Aumentare la massa muscolare, bruciare il grasso. L’attività fisica brucia calorie che altrimenti finirebbero immagazzinate sotto forma di grasso. Aumenta anche la massa muscolare, o per lo meno la conserva, fattore spesso ignorato ma assolutamente fondamentale nel controllo del peso. Anche se state dormendo, i muscoli consumano costantemente energia. Quando camminate, correte, sollevate pesi, ballate, giocate a tennis, pulite la casa o vi muovete in qualsiasi altro modo, i muscoli bruciano ancora più calorie. L’attività fisica stimola le cellule dei muscoli a crescere e a dividersi, aumentandone la forza e il volume. Più muscoli avete, più calorie bruciate, anche a riposo. Senza attività fisica, il grasso sostituisce i muscoli. Se non fate attività fisica, i muscoli gradualmente deperiscono. È lo stesso tipo di atrofia che si verifica quando portate il gesso su un braccio o su una gamba

per qualche settimana, solo che il processo è centellinato negli anni e pertanto è impossibile da vedere o percepire. Meno muscoli avete, meno energia consuma il vostro corpo a riposo e più facile è ingrassare. A peggiorare le cose, i muscoli persi di solito sono sostituiti da grasso (vedi fig. 9). Questo innesca un circolo vizioso difficile da interrompere. Per un cinquantenne non fisicamente attivo, un aumento di 4,5 kg spalmato negli anni può indicare in realtà una perdita di 2 kg di muscoli e un acquisto di 6,5 kg di grasso. PESO SALUTARE

Fig. 9 Cambiamenti associati all’età in assenza di attività fisica. Il peso complessivo, la massa di muscoli e di grasso e il numero delle calorie che il corpo brucia a riposo tendono a cambiare con l’età (supponendo che non ci sia nessun incremento di attività fisica). La massa muscolare declina a causa di una diminuita produzione di ormoni sessuali e della crescita. La riduzione della massa muscolare comporta che il corpo a riposo consumi meno energia e accumuli più grasso. Un incremento dell’attività fisica può rompere questo circolo vizioso.

A differenza del tessuto muscolare, il grasso consuma poco glucosio e brucia poche calorie. Poiché l’equilibrio tra muscoli e grasso si sposta sempre più a favore del grasso, il metabolismo a riposo rallenta ulteriormente. Dal momento che il corpo richiede sempre

meno energia per provvedere ai suoi bisogni fondamentali, sempre più cibo finisce nelle riserve di grasso. L’eccesso di peso può anche costituire una barriera fisica o mentale all’esercizio, cosa che riduce ancor più il metabolismo a riposo. In altre parole, la trasformazione dei muscoli in grasso favorisce l’ingrassamento, rende più difficile mantenere il peso e incrementa il rischio di cardiopatie e diabete. Una mia collega una volta andò dal medico per una visita di controllo, quelle che si fanno in occasione dei compleanni importanti. Andava tutto bene, con un’eccezione: aveva la pressione troppo alta. Quando il medico le disse che doveva perdere circa 15 kg per riportarla entro il limite, la mia collega rispose: «Ma dov’era lei mentre io prendevo tutti questi chili?». È una domanda importante. I cambiamenti fisici e fisiologici prodotti dalla riduzione della massa muscolare e dall’aumento di peso sono difficili da contrastare, e in certi casi potrebbero essere irreversibili. Grammi di prevenzione sono meglio di chili di cure. È più facile prevenire un aumento di peso che perdere peso. In realtà ingrassare rende il corpo più ricettivo a futuri aumenti di peso e doppiamente difficile liberarsi dei chili di troppo. Come se non bastasse, alcune conseguenze di un peso eccessivo, come il diabete, le cardiopatie o l’ictus, potrebbero non scomparire del tutto nemmeno dopo un dimagrimento ottimale. I due grandi interrogativi sull’attività fisica sono: quanta attività fisica fare ogni giorno? E qual è l’attività fisica migliore? Camminare per stare bene. Gli esperti un tempo pensavano che servisse un vigoroso esercizio fisico per mantenere in forma il cuore e l’apparato circolatorio. Non è così. Camminare di buon passo è benefico quasi quanto sudare in una palestra rumorosa o fare jogging per il quartiere. IN BREVE CHE COSA VUOL DIRE, ESATTAMENTE, VELOCE? Il passo definito “veloce” corrisponde a una camminata abbastanza rapida da far accelerare il battito cardiaco e la respirazione, ma non tanto da impedirci di sostenere una normale conversazione. Un po’ come se fossimo in ritardo per un appuntamento importante. Se preferite contare o misurare, sappiate che la camminata veloce

corrisponde più o meno a 100 passi al minuto o a circa 5-6 chilometri orari.

Per molti camminare è un’eccellente forma di attività fisica perché non richiede un’attrezzatura speciale, si può praticare sempre e dovunque, e generalmente è piuttosto sicura. Un esercizio più vigoroso, come la corsa o il ciclismo, concentra lo stesso allenamento cardiovascolare in un tempo più breve e assicura anche un livello di forma più elevato. Sebbene le attività più intense della camminata veloce offrano qualche beneficio in più, per prevenire le patologie croniche si può già ottenere molto con una bella passeggiata quotidiana. Tra le partecipanti al Nurses’ Health Study si è evidenziata una relazione molto marcata tra l’abitudine a camminare e la prevenzione delle cardiopatie: in un periodo di osservazione di otto anni, le donne che facevano mediamente tre ore di camminata veloce a settimana manifestavano una probabilità di infarto del 35% inferiore rispetto a quelle che camminavano meno spesso. 22 L’esercizio fisico più intenso aveva un effetto protettivo analogo. La camminata veloce riduceva in maniera sostanziale anche il rischio di diabete; l’esercizio più intenso era associato a un rischio anche minore. Fare almeno trenta minuti di attività fisica al giorno. Abbiamo bisogno di bruciare intenzionalmente almeno 2000 calorie a settimana per raccogliere davvero i benefici dell’attività fisica. È una quantità difficile da calcolare. La maggior parte delle raccomandazioni sul tema la traduce in “tempo”: trenta minuti di attività fisica quasi tutti, se non tutti, i giorni. Potete star certi che un’attività di questa frequenza è molto meglio dell’inattività. Trenta minuti di attività quotidiana non sono molti, se pensate a quanto si muovevano i nostri avi contadini. Oggi, persino chi fa otto chilometri di corsa al giorno di solito resta seduto per il resto del tempo. Quindi considerate questi trenta minuti di attività come il minimo per mantenere il peso e la buona salute. E la maggior parte delle persone otterrà benefici anche maggiori muovendosi di più. A questo punto, un avvertimento: anche l’intensità dell’esercizio è importante. Fare un giretto di un quarto d’ora al centro commerciale è meglio che restare seduti – e forse fa bene alle ossa e all’umore – ma

non è molto utile per il cuore, i polmoni e l’apparato circolatorio. Perché l’attività contribuisca alla salute del sistema cardiovascolare, deve accelerare il battito cardiaco e la respirazione. Deve essere veloce. Riducete il tempo che passate seduti. L’americano medio passa più della metà della giornata seduto: lavora al computer, fa il tragitto casalavoro su un mezzo di trasporto, guarda la TV o svolge altri compiti che non comportano movimento. Tutta questa sedentarietà non fa bene al corpo. Una meta-analisi del 2015 su quarantasette studi con oltre 800.000 partecipanti complessivi ha riscontrato che più le persone stavano sedute, più elevato era il rischio che morissero durante il periodo di osservazione o che sviluppassero patologie cardiovascolari, cancro e diabete di tipo 2. 23 E questo valeva persino per chi praticava regolarmente attività fisica. Se restate seduti per la maggior parte della giornata, pensate a qualche modo per alzarvi e muovervi. Fate qualche passo mentre state parlando al cellulare o mentre in TV passano gli spot pubblicitari. Imponetevi di alzarvi e sgranchirvi le gambe dopo ogni ora che avete passato seduti. Oppure prendete in considerazione una scrivania per lavorare in piedi. Rendete più attiva la vostra giornata. Ci sono molti modi per fare un’iniezione di attività alla giornata. Alcuni scelgono di abitare vicino al posto di lavoro per poterci andare a piedi, di corsa o in bicicletta. Compiere un tragitto abituale con le proprie gambe ha effetti positivi non solo sulla nostra salute ma anche su quella degli altri, perché riduce la congestione del traffico e l’inquinamento dell’aria. Da una giornata tipo si possono ricavare “briciole di attività” che contano. Tra le possibilità ricordiamo: fare le scale a piedi invece di prendere l’ascensore; lasciare l’auto in fondo al parcheggio e arrivare a piedi alla meta; scendere dal treno o dall’autobus un paio di fermate prima e fare il resto della strada a piedi; usare il rastrello invece del soffiafoglie o la pala invece dello spazzaneve meccanico. Divertitevi. Molti trasformano il camminare in un’attività sociale, un’opportunità di incontrarsi con il partner o con gli amici più volte a settimana. Ad altri piace cimentarsi con nuove sfide, per esempio imparare a fare canottaggio o a giocare a tennis. Se trasformate

l’esercizio fisico in divertimento, troverete sicuramente il modo di inserire nella giornata trenta minuti di movimento, tutti di fila o distribuiti in tante piccole fasi. Forse vi aiuterà considerare questo esborso di tempo come un solido investimento che assicura un eccellente profitto, in termini di salute a lungo termine per voi e di benessere per chi dipende da voi. Scoprite la dieta che fa per voi

Se vi mantenete stabilmente nel range di peso salutare, è chiaro che state facendo la cosa giusta per quanto riguarda la quantità di cibo che mangiate. Detto questo, probabilmente c’è ancora spazio per qualche aggiustamento che renda la vostra dieta più sana. La piramide, l’Harvard Healthy Eating Plate e le informazioni dei prossimi capitoli, vi aiuteranno a scegliere i cibi giusti per migliorare ulteriormente la vostra salute. Se invece il vostro peso tende ad aumentare gradualmente o siete già in sovrappeso, l’ordine è cambiare rotta. I punti principali sono: introdurre meno calorie e bruciarne di più. Molti si abbandonano. Alcuni trascurano l’attività fisica, elemento cruciale per dimagrire e non riprendere peso. Altri finiscono travolti dalla marea di diete e libri di dietetica, non riescono a seguire un certo regime, oppure ne provano uno e non funziona. Un vero peccato, perché praticamente per tutti esiste un modo per dimagrire o, quanto meno, per smettere di ingrassare. Una dieta deve funzionare per voi. Sepolta tra i dati degli studi di nutrizione c’è una conclusione certa: gli individui rispondono in maniera diversa alle strategie di dimagrimento. Prendiamo le diete a ridotto contenuto di carboidrati. Nel complesso chi le segue perde in media da 4,5 a 6,5 kg nel corso del primo anno. Questa media nasconde ciò che realmente accade a ciascun individuo. C’è chi perde più di 11 kg, chi ha un calo di peso meno importante, chi non dimagrisce per nulla e chi, addirittura, ingrassa. Queste differenze, che probabilmente sono dovute a una combinazione di fattori genetici, ambientali, psicologici e sociali sono, in realtà, una buona notizia. Dimostrano che esiste una strada praticamente per tutti quelli che

vogliono dimagrire. Le differenze individuali sono una delle ragioni per cui questo libro non definisce l’alimentazione sana per mezzo di una rigida ripartizione percentuale delle calorie derivate da proteine, carboidrati e grassi. Piuttosto fornisce molte informazioni con l’obiettivo di aiutare ciascuno di voi a identificare il proprio piano alimentare ottimale. Se siete tra i fortunati che hanno avuto successo alla prima dieta, ringraziate i vostri geni, la vostra psiche e la vostra famiglia. Se però provate una dieta e non funziona, non arrendetevi! Potrebbe non essere adeguata a voi per ragioni di metabolismo, di abitudini alimentari, di contesto sociale. Sperimentate altre strategie di controllo del peso, purché sottolineino l’importanza di reperire grassi, carboidrati e proteine da fonti sane e includano un regolare programma di attività fisica. Dovreste riuscire a trovare quella giusta per voi. Ridotto contenuto di grassi 43 hanno completato lo studio • Istruzione: ridurre la dieta quotidiana di 500 calorie e contenere le calorie derivate da grassi sotto il 30%.

Ridotto contenuto di carboidrati 44 hanno completato lo studio • Istruzione: consumare meno di 30 g di carboidrati al giorno.

Fig. 10 Una grande differenza. La risposta individuale a un anno di dieta è estremamente variabile. In uno studio controllato, i soggetti hanno perso – o preso – peso sia con una dieta povera di carboidrati che con una povera di grassi.

Le diete povere di carboidrati raffinati spesso sono le più efficaci. Per anni abbiamo sentito dire che le diete povere di grassi e ricche di carboidrati sono la via migliore per dimagrire e mantenere in forma l’apparato cardiovascolare. Per molti, probabilmente per la maggior

parte delle persone, è vero il contrario. Come spiegherò nel capitolo 6, solo chi è magro e attivo può tollerare molti carboidrati. Per tutti gli altri, troppi carboidrati favoriscono l’aumento di peso. La dieta Atkins, quella di South Beach, la Dukan e altre diete povere di carboidrati vi chiedono di prendere misure drastiche, perlomeno all’inizio, e di abolire praticamente tutti i carboidrati. Se non finite per ingozzarvi di cibi poveri o privi di carboidrati ma pieni di grassi saturi e grassi trans, limitare o eliminare i carboidrati raffinati è una scelta valida. Ricordate, però, che le diete crash puntano al dimagrimento rapido, mentre il vero obiettivo dovrebbe essere trovare uno schema alimentare sano, che vi aiuti a tenere sotto controllo il peso negli anni. Le strategie descritte in questo libro hanno esattamente questo scopo. Rinunciare ai carboidrati raffinati per rimpiazzarli con cereali integrali, verdura, frutta e fonti salutari di proteine e grassi ridurrà i picchi di glucosio e insulina che stimolano la fame e vi assicurerà vitamine, minerali, fibre e altri fitonutrienti importanti. Operare questo cambiamento può anche ridurre il rischio di ipertensione, diabete di tipo 2 o cardiopatie. Abolire i grassi trans, ridurre i grassi saturi e consumare più grassi monoinsaturi e polinsaturi potrà migliorare i livelli di colesterolo, prevenire trombi, permettere alle arterie di lavorare in modo più efficace e incrementare la risposta dei muscoli all’insulina. Non mangiare carni rosse e carni lavorate e sostituirle con pesce, frutta secca, legumi e pollame ridurrà il rischio di cancro al colon, cancro alla prostata, cancro al seno in premenopausa, diabete e cardiopatie, anche se consumerete ugualmente un’elevata quantità di grassi totali. Scegliete una dieta globale sana. Un programma alimentare che attinga a piene mani dalla dieta mediterranea e da altre diete tradizionali garantisce una base nutrizionale sicura. Molta verdura, moderate quantità di cereali integrali intatti e porzioni relativamente modeste di carni rosse possono aiutare a sentirsi soddisfatti con meno calorie. L’abbondanza di verdura e cereali integrali, come anche la percentuale relativamente alta di grassi (il 30% o più delle calorie totali, derivato soprattutto da olio di oliva e altri oli vegetali) mitiga

l’impatto dei cibi sulla glicemia. Altrettanto importante è il fatto che queste diete diano spazio all’interpretazione creativa. Potrete incorporare ricette di ogni parte del mondo, e anche vostre creazioni personali, in uno schema alimentare tanto vario e appetitoso che difficilmente vi stancherà. Praticate un’alimentazione difensiva

Nella nostra società relativamente sedentaria, la maggior parte delle persone per evitare di ingrassare deve abituarsi a tenere d’occhio le calorie man mano che l’età avanza. Questo implica non solo scegliere certi cibi e un particolare tipo di dieta, ma anche imparare a non mangiare troppo. È quella che io chiamo alimentazione difensiva. Ecco alcuni suggerimenti che vi aiuteranno a diventare mangiatori difensivi. Imparate a fermarvi prima di essere pieni. Riconoscete di essere vittime della nostra cultura, che esalta l’eccesso. Siate selettivi. Non mangiate solo perché vi trovate davanti del cibo. Scegliete piccole porzioni quando mangiate fuori. Le porzioni dei ristoranti sono spesso sovradimensionate e un solo pasto può coprire il fabbisogno calorico di una giornata. Provate a ordinare un solo piatto e a condividerne un altro. Mangiate lentamente e prestate attenzione al cibo. Quando ingurgitate il cibo, in realtà ignorate l’intricata serie di segnali di sazietà che l’apparato digerente è predisposto a generare. Mangiare lentamente dà allo stomaco e all’intestino il tempo di inviare questi messaggi al cervello, e al cervello il tempo di reagire. Guardatevi dai dessert. Una sola fetta di cheesecake di una nota catena di ristoranti contiene più di 700 calorie e l’incredibile quantità di 29 g di grassi saturi, ovvero quasi il 50% in più di quelli che l’individuo medio dovrebbe assumere in un giorno. Ed è una delle scelte migliori: una porzione di torta di carote ha il doppio delle calorie (1550) e altrettanti grassi saturi. Molti hanno l’abitudine di mangiare un dolce ipercalorico dopo un pasto completo. Se avete voglia di un goloso dessert, condividetelo con i vostri compagni di tavolo. Ancora meglio, fate un pasto sano e concludetelo con ciò che io

chiamo Le tre delizie: un po’ di frutta secca, un frutto e un pezzetto di cioccolato fondente (vedi a p. 513). Create piatti ipocalorici per dimostrare che ci tenete davvero. Non amate la vostra famiglia e i vostri amici al punto di rimpinzarli di calorie di cui non hanno bisogno. Guastatevi l’appetito. Fate uno spuntino, un piccolo aperitivo o mangiate un pezzetto di cioccolato fondente prima di mettervi a tavola. Ricordate la terribile frase “Ti rovinerà la cena!” che vostra madre pronunciava quando le chiedevate un biscotto o dei popcorn nel tardo pomeriggio? Aveva ragione (naturalmente). Sfruttate questo principio a vostro vantaggio. Riducete al minimo le tentazioni. Molti di noi fanno fatica a ignorare i cioccolatini, i biscotti, le patatine, il gelato o altre golosità che stanno in bella vista su un ripiano o nel frigo. E non metterli in vista non significa necessariamente dimenticarsene. Lasciare gli snack ipercalorici fuori di casa è un deterrente molto più efficace. Al loro posto, tenete a portata di mano degli spuntini poco calorici come mele, carote o cracker integrali per i momenti in cui sentite veramente il bisogno di sgranocchiare qualcosa. State all’erta. L’industria alimentare vi tiene nel mirino, vuole sfruttare le vostre debolezze e distruggere le vostre difese. Dovete essere furbi per evitare le sue trappole. Preferite le cose semplici. Ecco un’ovvietà che deriva dalla ricerca sugli animali: i topi nutriti con mangime per topi o le scimmie nutrite con mangime per scimmie non ingrassano quanto gli animali che possono scegliere tra una grande varietà di cibi. Lo stesso probabilmente vale per gli umani. Pensate all’ultima volta in cui siete entrati in un self-service ben rifornito, e probabilmente vi ricorderete di aver ammucchiato sul vassoio più cibo di quanto ne mangiate di solito. È fuori discussione che la varietà sia necessaria nella dieta. Cibi diversi offrono nutrienti diversi, e tutti essenziali per la buona salute. Nei singoli pasti, però, la semplicità potrebbe essere una strategia vincente. Se il pranzo è costituito da un piatto unico di pollo con verdure, mangerete meno di quanto fareste se fosse composto da diverse appetitose portate. Questa semplificazione è in conflitto con le

tendenze del mercato, perché l’industria alimentare offre una varietà di cibi sempre più ampia e allettante. Però potrebbe essere utile per invertire la tendenza all’espansione del vostro girovita. Fate attenzione alle calorie liquide. Le bibite gassate dolcificate e le bevande alla frutta sono una fonte importante di calorie aggiuntive invisibili che potreste facilmente eliminare dalla dieta. Un piccolo bicchiere di succo la mattina va benissimo. È un modo rinfrescante per cominciare la giornata e fornisce un certo quantitativo di vitamine e minerali. Bere succo durante la giornata, invece, significa aggiungere centinaia di calorie extra. Ricordate che dovreste mangiare due o tre arance per integrare le stesse calorie di un bicchiere di succo d’arancia. Ancora peggio va con le bibite gassate dolcificate, perché non apportano altro che calorie vuote. Fate della cucina o del mangiare sano un’attività socializzante. La vita sociale influenza la quantità e la qualità di ciò che mangiamo. Invitate i vostri amici a preparare insieme un pasto salutare – sperimentare qualche ricetta di questo libro potrebbe essere un motivo per ritrovarsi – oppure unitevi a un gruppo già organizzato a questo scopo. La Weight Watchers ha creato un’industria attorno al sostegno di gruppo e alle interazioni sociali finalizzate a migliorare le abitudini alimentari. Tenere sotto controllo il peso non è impossibile, e nemmeno deve essere sinonimo di privazione o di dieta noiosa e ripetitiva. Con impegno e creatività consapevole, la maggior parte delle persone può mantenere nel tempo un peso adeguato, con una dieta piacevole ma ragionevole e un’attività fisica pressoché quotidiana.

La verità sulle diete popolari Secondo la leggenda, re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda andavano invano alla ricerca del sacro Graal. Oggi, milioni di persone sono alla ricerca del suo equivalente dietetico: l’unica, vera combinazione di cibi che li aiuterà a dimagrire o a mantenersi in salute. Come re Artù, quasi tutti cercano invano. Si smarriscono grazie alle false promesse di libri che si sfidano a vicenda, di notizie nutrizionali in conflitto. Così, finiscono frustrati... e ancora in

sovrappeso. Restare delusi da una dieta non dovrebbe essere una sorpresa. Parte del problema deriva dall’idea che esista una sola dieta giusta per tutti, e che una dieta efficace per un amico lo sarà anche per voi... Concetti mitici come il Graal. I geni, la famiglia, gli amici, l’ambiente e molti altri fattori influenzano quello che mangiate, quanto, in che modo e perché. Un problema anche maggiore è che tutti possono ideare una dieta. Non serve sapere nulla di medicina, di nutrizione e nemmeno di fisiologia. Serve solo un’idea e la faccia tosta di promuoverla e venderla. Il cimitero delle diete lampo è la silenziosa testimonianza dei loro difetti ideativi. Ricordate la dieta della zuppa di cavolo, secondo la quale più zuppa di cavolo si mangiava, più si dimagriva? E la rigida dieta Scarsdale, che prometteva un dimagrimento di mezzo chilo al giorno limitando l’apporto energetico a 1000 calorie quotidiane con l’aiuto di specifiche quantità di frutta, verdura e fonti proteiche principalmente magre? L’elenco può continuare: la miracolosa dieta di Hollywood, quella del pompelmo, la Subway, dell’aeronautica russa, del sidro di mele, le diete di una schiera di pseudocelebrità presto dimenticate e infinite altre. Il punto è che praticamente ogni dieta funziona – almeno per un po’ – se aiuta ad assumere meno calorie. E raggiunge l’obiettivo in due modi: definendo i cibi “buoni” che dovreste mangiare (come nella dieta del pompelmo) e quelli “cattivi” che dovreste evitare (pensate alle diete povere di grassi o prive di carboidrati); modificando il vostro modo di agire, pensare e rapportarvi al cibo. La maggior parte delle diete restrittive nasce portando dentro di sé il seme del fallimento che sta già germogliando. La fame che deriva dal mangiare di meno, per non parlare della limitazione o addirittura dell’esclusione dei cibi più comuni o che ci piacevano di più, scatena voglie incontrollabili che possono spingere a barare. Da questo scaturisce un senso di fallimento e impotenza. Che, a sua volta, mina

l’entusiasmo e l’impegno necessari per rispettare una dieta. Il dimagrimento è solo un raggio nella ruota della buona salute. Potreste fare la dieta dell’hot dog e quasi sicuramente dimagrire. Ma non durerà e alla lunga non vi farà bene. Quello che veramente vi serve è un programma sostenibile per anni; che faccia bene al cuore, alle ossa, al cervello, al colon e alla psiche oltre che al girovita; caratterizzato da un’ampia scelta, poche restrizioni e pochi cibi speciali: esattamente quello che raccomando io in questo libro. Come reggono il confronto le diete del momento con questi parametri? Diamo un’occhiata alle più popolari.

Diete a ridotto contenuto di grassi I due concetti chiave delle diete povere di grassi, o ipolipidiche, sono: i grassi fanno ingrassare e i grassi fanno male al cuore. Nessuno dei due concetti corrisponde a verità. Una delle diete ipolipidiche più conosciute è il programma “Mangia di più, pesa di meno” del dottor Dean Ornish. L’idea di “mangiare di più” deriva dal fatto che i grassi contengono 9 calorie al grammo mentre i carboidrati ne contengono 4. Passando da cibi ricchi di grassi a quelli ricchi di carboidrati, specialmente frutta e verdura, potete raddoppiare la quantità di cibo senza aumentare le calorie. Il programma prese slancio da uno studio condotto dal dottor Ornish – su 48 uomini e donne affetti da cardiopatia – 24 che riscontrò che una dieta ipolipidica vegetariana e ricca di cereali integrali, unita all’esercizio fisico, a una corretta gestione dello stress e al sostegno di un gruppo, contrastava il restringimento dei vasi cardiaci più di altri cambiamenti meno drastici. Il beneficio poteva derivare dalla riduzione dei grassi. Ma poteva anche derivare dagli altri cambiamenti. Considerate che fare la Ornish significa sostituire i cereali raffinati con quelli integrali. Significa anche praticare attività fisica. Consumare carboidrati senza fare movimento può far salire i trigliceridi e ridurre il colesterolo HDL protettivo: nessuna delle due possibilità va a vantaggio del cuore. Contenere lo stress è un’altra parte essenziale del

programma. Non c’è dubbio che seguire una dieta povera di grassi possa far dimagrire, almeno nel breve periodo. C’è chi riesce ad attenersi a queste diete per un sacco di tempo. Richiedono, però, un grosso impegno, perché una dieta povera di grassi tende a essere meno gustosa di altre strategie alimentari e più restrittiva nelle scelte, specialmente quando si esce a cena. Può anche lasciare con una latente sensazione di fame, ed è uno dei motivi per cui di solito richiede cibi ad alto contenuto di fibre, che danno senso di sazietà, e spuntini tra i pasti. Le diete ipolipidiche hanno fama di fare bene al cuore: un retaggio di epoche in cui molti esperti erano convinti che tutti i grassi fossero deleteri per il cuore. Questa credenza è svanita con la scoperta che i grassi insaturi possono migliorare i livelli di colesterolo, abbassare la pressione ed eliminare aritmie cardiache potenzialmente mortali. Il succo della faccenda. Con le diete ipolipidiche alcuni dimagriscono e restano magri; altri dimagriscono ma riprendono peso; altri non dimagriscono affatto. In media, i risultati nel lungo periodo sono meno felici con queste diete che con regimi più ricchi di grassi (vedi “Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare” a p. 73). 25 Può essere difficile attenersi per lungo tempo alle diete ipolipidiche, perché limitano la varietà e la tipologia di cibo, e perché i grassi esaltano il sapore degli alimenti. Se decidete di seguirne una, privilegiate i cereali integrali, la frutta, la verdura, i legumi e altri cibi ricchi di carboidrati a digestione lenta.

Diete a ridotto contenuto di carboidrati Negli anni Novanta, i carboidrati sostituirono i grassi nel ruolo di demone dell’alimentazione. Grazie al dottor Robert Atkins (La rivoluzione dietetica del Dr. Atkins) e al dottor Arthur Agatston (The South Beach Diet), milioni di americani rinunciarono al pane, alla pasta, al riso e ad altri carboidrati innominabili nella loro odissea per perdere peso. I più recenti libri La dieta zero grano (del dottor William Davis e altri), La dieta intelligente (del dottor David Perlmutter) e La

dieta Dukan (del dottor Pierre Dukan) hanno continuato a gettare benzina sul rogo dei carboidrati. Le diete povere di carboidrati tendono a essere più efficaci di quelle povere di grassi, per chi vuole dimagrire. Il problema fondamentale è con che cosa rimpiazzare i carboidrati. Molti scelgono hamburger, bistecche e insaccati. Questi alimenti contengono molti grassi saturi, che possono neutralizzare i benefici metabolici derivanti dalla riduzione dei carboidrati. Le opzioni ad alto contenuto di proteine e grassi sono alternative migliori, ed è buona cosa includere anche pesce e pollame. Non mangiare cereali integrali, frutta e vegetali può tradursi in un insufficiente apporto di fibre, grassi salutari, vitamine e minerali: tutte carenze che gli integratori non possono colmare. Nel Nurses’ Health Study, il più basso rischio di cardiopatie e diabete si riscontrava in donne che seguivano diete povere di carboidrati e ricche di proteine e grassi di origine vegetale: sarà bene ricordarlo, se intendete tenere sotto controllo il peso con una dieta a ridotto contenuto di carboidrati. 26 Il succo della faccenda. La dieta povera di carboidrati per alcuni funziona e aiuta a perdere chili più velocemente della dieta ipolipidica, forse anche a mantenere il dimagrimento più a lungo. È potenzialmente costosa: in diete come la Atkins e la South Beach, rispettare gli ingredienti e le porzioni potrebbe far lievitare il conto della spesa. Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati che fa ampio ricorso a grassi e proteine di origine vegetale peserà meno sul budget familiare.

Diete a corretto contenuto di carboidrati Invece di bandire i carboidrati, diete come quella della rivoluzione del glucosio, la zero grano e la Sugar Busters! accolgono i carboidrati “corretti” respingendo quelli “dannosi”. Questo significa mangiare molta frutta, verdura e cereali integrali (ma non frumento, nel caso della dieta zero grano) e ridurre gli zuccheri raffinati (zucchero bianco, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, miele, melassa

ecc.) e i cereali lavorati. Le diete a corretto contenuto di carboidrati fanno molto affidamento sull’indice glicemico e sul carico glicemico (vedi alle pp. 166-171). Questi strumenti misurano l’effetto dei cibi sui livelli di glucosio e insulina. Le diete a corretto contenuto di carboidrati sono incentrate su cibi che incrementano lentamente i livelli di glucosio e insulina, ovvero cereali integrali, legumi, verdura e frutta. In teoria, i cibi con un basso indice glicemico, che producono modesti ma costanti incrementi dei livelli di glucosio, aiutano a tenere a bada la fame, mentre i cibi con un alto indice glicemico generano incrementi importanti ma transitori, che fanno suonare presto il campanello d’allarme della fame. Non esistono sufficienti ricerche per confermare l’efficacia delle diete a corretto contenuto di carboidrati sul controllo del peso. Uno studio della durata di sei mesi ha mostrato che ridurre l’indice glicemico ha modesti effetti benefici sul dimagrimento. 27 Sarebbe molto utile che un team di ricerca progettasse uno studio allargato della durata di due anni per analizzare gli effetti delle diete a basso indice glicemico sul controllo del peso. Il succo della faccenda. In generale, una dieta a corretto contenuto di carboidrati favorisce un’alimentazione salutare perché privilegia frutta, verdura e cereali integrali. Il riferimento costante all’indice glicemico può complicare la scelta dei cibi, specialmente se si mangia fuori casa. Anche con le diete che proibiscono completamente gli zuccheri raffinati, rispettare il regime e mangiare in modo sano diventa più complesso del necessario. Ridurre i cibi che contengono carboidrati raffinati e zuccheri aggiunti è sicuramente una scelta saggia. Le diete mediterranee tradizionali hanno un impatto relativamente basso sulla glicemia perché utilizzano molta frutta e verdura, sono relativamente ricche di grassi e relativamente povere di carboidrati facilmente digeribili. Quindi preferite queste, che sono in linea con la Healthy Eating Pyramid e l’Harvard Healthy Eating Plate (vedi alle pp. 24 e 8). Il loro benefico effetto sul controllo del peso deriva da molteplici fattori, che comprendono anche il basso impatto glicemico.

Proporzioni perfette e combinazioni corrette Molte diete popolari si basano sul concetto che specifiche proporzioni di nutrienti o particolari combinazioni di cibi siano essenziali per dimagrire. Secondo la dieta Zona, per esempio, raggiungere il corretto equilibrio di carboidrati, proteine e grassi in ogni spuntino o pranzo crea un equilibrio ormonale che si traduce in dimagrimento, maggiore energia e altri benefici. Si raggiunge “la Zona” confezionando pasti e spuntini che contengono 9 g di carboidrati ogni 7 g di proteine e 1,5 g di grasso (40% di carboidrati, 30% di grassi, 30% di proteine). Il risultato potrebbe essere una dieta salutare, ma anche no; dipende dalle fonti di carboidrati, proteine e grassi. E, per di più, esistono poche prove che un approccio alimentare così rigido sia necessario o persino utile per dimagrire. È un metodo che rende difficile mettersi a tavola con i membri della famiglia che non seguono il programma, e anche mangiare fuori casa. Se però vi piacciono gli schemi e le regole, allora la Zona potrebbe fare al caso vostro. La dieta del gruppo sanguigno parte da un presupposto anche più bizzarro e meno scientifico, cioè che il gruppo sanguigno determini quello che dovremmo mangiare (per non parlare dell’attività fisica che dovremmo praticare, degli integratori che dovremmo prendere e del nostro tipo di personalità). Secondo questo programma, le persone di gruppo 0 hanno bisogno di un regime ricco di proteine, povero di carboidrati e che ci vada cauto con frumento e legumi, mentre quelle di gruppo A hanno bisogno di un regime ricco di proteine, povero di carboidrati, che contenga molto pesce e legumi ma eviti carni rosse, latticini e frumento. Per seguire questa dieta bisogna ricordare molte informazioni dettagliate, tra cui elenchi di cibi positivi e negativi per il proprio gruppo sanguigno... e i gruppi sanguigni dei familiari. Non è una dieta equilibrata che fornisce tutti i nutrienti necessari, e lo si capisce già dalla lunga lista di integratori raccomandati a cui si accompagna. E di sicuro non giova all’armonia familiare: nella maggior parte dei casi, i membri di una famiglia hanno gruppo sanguigno diverso, il che significa pasti differenziati per i diversi membri della famiglia.

Il succo della faccenda. Proporzioni precise o specifiche combinazioni di alimenti possono aiutare a dimagrire. Se simili diete hanno successo, è quasi certamente perché obbligano a mettere a fuoco quello che si sta mangiando, nonché a mangiare di meno, giorno dopo giorno. Non dipende da qualche segreto della nutrizione o della fisiologia scoperto dagli sviluppatori della dieta. Gli effetti a lungo termine sulla salute non sono stati studiati.

E la densità energetica? Un altro approccio al dimagrimento punta alla densità energetica, la concentrazione di calorie in ogni porzione di cibo (vedi “La densità energetica non è una guida affidabile” a p. 76). La dieta volumetrica cerca di manipolare il senso di sazietà, cioè i segnali con cui il corpo comunica di aver assunto una quantità sufficiente di cibo, raccomandando cibi che riempiono la pancia senza apportare troppe calorie. Tendenzialmente sono cibi ricchi di acqua come la frutta, la verdura, il latte scremato, i cereali cotti, i legumi, le carni magre, il pollame e il pesce. Le minestre, gli umidi, gli stufati, la pasta con verdure e i dessert a base di frutta ottengono il via libera, mentre i cibi ricchi di grassi, come le patatine fritte, e quelli asciutti e densi di calorie come i brezel, i cracker e i biscotti senza grassi sono vietati. Il succo della faccenda. È probabile che la strategia di mangiare cibi che saziano senza veicolare molte calorie aiuti a dimagrire sfruttando un meccanismo comune alla maggior parte delle diete: limitano la possibilità di scelta, riducendo in tal modo le calorie giornaliere. Per quanto il principio della dieta volumetrica sia accattivante, e molti dei cibi raccomandati siano da considerare salutari, è troppo semplicistica. Per esempio, una lattina di Coca-Cola ha una bassa densità energetica, ma fornisce un pieno di calorie che fanno ben poco per indurre il senso di sazietà e ritardare lo stimolo della fame. Il pane bianco derivato da frumento lavorato e deprivato di molte vitamine, minerali e fibre ha una bassa densità energetica, mentre i crostini integrali ricchi di fibre hanno un’alta densità energetica. Il concetto di densità energetica non tiene conto della rapidità di digestione e assorbimento

di un alimento, fattore che può avere un grosso impatto sul ritorno della fame.

Mangiate come nel 100.000 a.C. Le paleodiete sono una novità relativa del panorama dietetico. Ci incoraggiano a mangiare come facevano i nostri antenati del Paleolitico, migliaia di anni prima dell’avvento dell’agricoltura. Seguire una paleodieta significa alimentarsi con ciò che un uomo primitivo avrebbe potuto raccogliere o cacciare – foglie, radici, bacche e frutti, frutta secca, semi, carne, volatili e pesci – ed evitare i cereali lavorati, il latte e i latticini, gli zuccheri raffinati, i cibi e gli oli lavorati e il sale. Una dieta che vi tiene lontano dai cereali raffinati, dallo zucchero e dai cibi lavorati è un passo nella giusta direzione del mangiar sano. Tuttavia, un paleo-approccio da cacciatore, che raccomanda di mangiare molte carni rosse, alla lunga non può far bene alla salute e nemmeno alla salute del pianeta (vedi capitolo 12). Se tutti cercassero di seguire questa dieta, la maggior parte degli oltre 7,5 miliardi di abitanti di questo mondo avrebbe fame: occorre così tanta terra e così tanta energia per produrre carne che sarebbe impossibile nutrire anche solo un miliardo di terrestri secondo i principi della paleodieta. Un approccio vegetale da raccoglitore, che invita al consumo di cibi alla base della catena alimentare – molta frutta, verdura, cereali integrali, noci, semi e simili – è sicuramente preferibile alla dieta americana media. Recentemente ho partecipato a un dibattito con S. Boyd Eaton, il radiologo che con il suo articolo del 1985 Paleolithic Nutrition: A Consideration of Its Nature and Current Implications (Alimentazione paleolitica: analisi sulla sua natura e sulle attuali implicazioni) pubblicato nel “New England Journal of Medicine” ha ispirato il concetto di paleodieta. 28 Afferma che l’idea di una paleodieta da raccoglitore – basata su alimenti di origine vegetale piuttosto che sulla carne – sarebbe un adattamento perfetto.

Cambiare comportamento Alcune strategie di dimagrimento si concentrano sul come, perché e quando mangiare non meno che sul che cosa mangiare. Non è un’attenzione del tutto mal riposta. Alcuni usano il cibo per consolarsi. Mangiano troppo perché sono tristi, soli, frustrati, nervosi, annoiati, depressi o per un’infinità di altri motivi. Interrompere questa insana relazione con il cibo può aiutare queste persone a dimagrire. Il succo della faccenda. Non c’è dubbio che le abitudini, i comportamenti e le relazioni, con gli altri e con il cibo, si ripercuotano sulla capacità di dimagrire o mantenere un peso stabile. Alcuni possono trarre beneficio dal riconoscere il problema e cercare sostegno psicologico. Non tutti gli individui in sovrappeso, però, hanno abitudini o rapporti disfunzionali. La verità è che tutti, in sovrappeso o no, hanno bisogno di tenere d’occhio quello che mangiano e quanto mangiano, e di fare attività fisica.

Le prove sulle diete Sebbene la pletora di piani dietetici privi di fondamento non dia segni di declino, negli ultimi quindici anni abbiamo imparato qualcosa sulle strategie di controllo del peso. Ecco due cose che sappiamo per certo sulle diete dimagranti: quasi tutte le diete funzionano per un po’, nessuna dieta funziona per tutti. Come ho detto prima, chiunque può ideare e far circolare una dieta. Nessuna legge esige che prima venga sperimentata. Alcuni promotori di diete testano i loro programmi su se stessi, sulla famiglia, sugli amici. Quelli che dimagriscono diventano casi di successo propagandati nei libri. Ma raramente esistono valutazioni rigorose sulla percentuale di persone che iniziano la dieta e la rispettano, o su quanti dimagriscono e mantengono il risultato raggiunto. Indizi importanti sulla natura individuale del dimagrimento provengono dal National Weight Control Registry (Registro nazionale

per il controllo del peso). È un “club” selezionato di oltre 10.000 donne e uomini che hanno perso mediamente 14 kg e hanno mantenuto il risultato per almeno un anno. Qual è il loro segreto? Non ce l’hanno. 29 Una prima occhiata al registro degli iscritti evidenzia che: il 45% afferma di essere dimagrito senza aiuti esterni; gli altri si sono affidati a qualche tipo di programma. È interessante notare l’analogia con l’esperienza di chi smette di fumare: la maggior parte lo fa senza aiuto, di punto in bianco, presumibilmente motivata dall’accumulo di informazioni sui pericoli di continuare a fumare; il 98% ha cambiato modo di mangiare, di solito riducendo le calorie quotidiane; il 94% ha fatto più attività fisica, di solito camminando. Uno dei messaggi principali del registro è: un dimagrimento riuscito è in gran parte un’impresa condotta “a modo proprio”. “Consumer Reports” ha svolto un’indagine su oltre 32.000 soggetti che seguivano una dieta. I risultati riecheggiano quelli del registro. Un quarto degli intervistati ha perso almeno il 10% del peso di partenza e ha mantenuto il risultato per almeno un anno. La maggior parte ha attribuito il proprio successo all’aver mangiato meno e all’aver fatto più attività fisica. 30 La grande maggioranza ci è riuscita mettendo a punto un proprio sistema, senza ricorrere a programmi di dimagrimento commercializzati o a farmaci dimagranti. È interessante notare che i soggetti “vincenti” dell’indagine di “Consumer Reports” hanno tendenzialmente adottato un regime povero di carboidrati e ricco di proteine, non una dieta ipolipidica. Ciò che accomuna il campione del registro e quello di “Consumer Reports” è l’attenzione alle calorie giornaliere e all’attività fisica. In altre parole, ha successo chi impara a dosare l’energia in entrata e l’energia in uscita allo scopo di dimagrire o mantenere il peso. Un secondo filone di prove scientifiche sulle diete proviene da studi randomizzati controllati come il DIRECT (vedi a p. 78) e altri analoghi. Come ho già detto, sono il gold standard della ricerca medica. Questi studi hanno mostrato che chi segue un regime povero di

carboidrati o una dieta mediterranea tende a dimagrire più in fretta di chi segue una dieta ipolipidica. Sebbene alcuni di questi soggetti consumino una notevole quantità di carne e latticini ricchi di grassi che si traduce in un incremento del colesterolo LDL dannoso, è interessante notare che in generale beneficiano, rispetto a chi segue una dieta ipolipidica, di una più marcata riduzione dei trigliceridi potenzialmente pericolosi e di un più marcato aumento del colesterolo HDL protettivo. Cercando di ottenere altri dati sull’efficacia delle diete ipolipidiche e iperlipidiche, con un nutrito gruppo di colleghi abbiamo valutato cinquantatré studi clinici randomizzati che mettevano a confronto l’impatto dei due diversi tipi di dieta in un periodo di osservazione di almeno un anno. Quando la consulenza professionale e il monitoraggio avevano la stessa puntualità e frequenza, le diete ricche di grassi e povere di carboidrati contribuivano al dimagrimento in modo leggermente più efficace delle diete povere di grassi. 31 Ma la conclusione sepolta sotto i dati di questi studi è che le persone rispondono in modo diverso a diete diverse. Per qualcuno la dieta povera di carboidrati funziona bene. Per qualcun altro quello che ci vuole è una dieta povera di grassi. Ecco la lezione importante: la cosa giusta è sperimentarle su voi stessi. Se fate del vostro meglio con una particolare dieta e dopo qualche mese vi rendete conto che non funziona, è possibile che non sia quella giusta per voi, per il vostro metabolismo e/o la vostra situazione. Non scoraggiatevi e non incolpatevi perché una dieta “che aveva funzionato per tutti” non ha dato nessun risultato a voi. Provatene un’altra. Farete tutto il bene del mondo al vostro corpo se sarà basata su cibi che forniscono grassi, carboidrati e “pacchetti” proteici salutari: esattamente quello che raccomandano la piramide e l’Harvard Healthy Eating Plate.

Fate da soli Invece di seguire la dieta dimagrante di qualcun altro, mettete a punto la vostra. Fondatela su una dieta di tipo mediterraneo, che è quella che funziona meglio per il controllo del peso a lungo termine e

per la salute in generale. Con le informazioni fornite in questo libro, potrete giocare con gli elementi fondamentali della dieta mediterranea tradizionale, incorporare alimenti e sapori di altre cucine e culture e integrarli con i vostri gusti personali. Una buona dieta dovrebbe prevedere un’ampia scelta, relativamente poche restrizioni e nessun elenco di cibi speciali o integratori, a volte costosi. Dovrebbe far bene al cuore, alle ossa, al cervello e al colon tanto quanto al girovita. E dovrebbe essere sostenibile per anni. I principi di alimentazione sana presentati in questo libro possono costituire le fondamenta del vostro programma. Non promettono soluzioni rapide. Però garantiscono qualcosa di più: una vita intera di scelte sane e ricche di sapore, che faranno bene a voi nella vostra interezza, non solo a qualche parte di voi.

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Parlare chiaro sui grassi

Pochi messaggi veicolati dalla sanità pubblica sono stati potenti e persistenti quanto il falso “i grassi fanno male”, che ha dominato per decenni il dibattito sulla dieta americana. A cominciare dagli anni Settanta, i grassi sono diventati il nemico pubblico numero uno dell’alimentazione, temuti per la loro capacità di provocare malattie e persino di uccidere. Come nazione, abbiamo preso sul serio il messaggio. L’americano medio adesso consuma una minore percentuale di calorie derivate dai grassi rispetto a quarant’anni fa. Spendiamo miliardi di dollari l’anno in biscotti a ridotto contenuto di grassi, in condimenti senza grassi, in pillole che bloccano l’assorbimento dei grassi, in diete e ricettari antigrassi. Non per questo, però, siamo diventati più sani. In realtà per molti versi siamo peggiorati. Una sbalorditiva percentuale di americani adulti, cioè i due terzi, è in sovrappeso. E più di metà rientra tra gli “obesi”. 1 In questo arco di tempo il numero di persone affette da diabete è notevolmente cresciuto. La guerra ai grassi non ha ridotto in modo apprezzabile il tasso di cardiopatie e tumori correlati all’obesità, le due principali ragioni per cui la guerra era stata intrapresa. Che cosa è andato storto? La guerra ai grassi alimentari ha ignorato il semplice fatto che il corpo ha bisogno dei grassi (vedi “Utilizzare i grassi” a p. 107). Alcuni tipi di grasso sono essenziali ed è importante includerli nella dieta. Parliamo dei salutari grassi insaturi che si trovano negli oli vegetali come l’olio di oliva, di canola, di soia e mais, e nel pesce. Abolirli è una pessima idea. I grassi veramente cattivi sono i grassi trans e i grassi saturi. I grassi trans – prodotti da lavorazioni industriali di parziale idrogenazione – non dovrebbero far parte di nessuna dieta (vedi a p. 117). Per quanto riguarda i grassi saturi, derivati da carni rosse, latticini e oli tropicali, sarebbe molto meglio sostituirli con gli insaturi ovunque sia ragionevolmente possibile.

Tipi di grasso Da un punto di vista chimico, la famiglia degli acidi grassi – il termine tecnico corretto per definire ciò che la maggior parte della gente chiama “grassi” – appartiene al grande clan dei lipidi. Tutti i membri della famiglia degli acidi grassi sono composti da una catena di atomi di carbonio legati ad atomi di idrogeno, magari con una spolverata di atomi di ossigeno. Tutto qui: niente azoto, ferro o altri elementi. Quasi tutti gli acidi grassi della dieta sono trigliceridi: tre acidi grassi legati insieme da una colla chiamata glicerolo. Ne esistono di quattro principali categorie: saturi, monoinsaturi, polinsaturi e trans (vedi “Tipi di grasso alimentare” a p. 108). Da qui in avanti farò riferimento agli acidi grassi chiamandoli semplicemente grassi, ovvero con il termine usato sulle etichette alimentari. Fino alla metà del XX secolo si pensava che i grassi avessero principalmente un ruolo nell’organismo: quello di carburante per le cellule. Oggi sappiamo che hanno molte altre funzioni importanti. Forniscono la materia prima per la costruzione della membrana cellulare, la pellicola delicata ma resistente che avvolge le cellule e controlla ciò che vi entra e ciò che ne esce. Compongono l’involucro che riveste e protegge i nervi. Il corpo ne trae la materia prima per sintetizzare ormoni e sostanze chimiche che controllano la coagulazione del sangue e la contrazione dei muscoli. Il corpo umano può ricavare molti dei grassi di cui necessita da altri presenti nella dieta. Se il corpo ha più bisogno di un certo tipo di grasso monoinsaturo per una funzione specifica, può produrlo dal grasso saturo. Può anche produrlo dai carboidrati. Alcuni grassi, però, non possono essere sintetizzati dall’organismo: si chiamano grassi essenziali e devono arrivare direttamente dal cibo. IN BREVE UTILIZZARE I GRASSI Il corpo dipende dai grassi per una serie di funzioni. Sono un’importante fonte di energia per le cellule. Costituiscono il grasso corporeo (tessuto adiposo), che immagazzina energia, riveste e protegge gli organi vitali, assicura l’isolamento. Molte persone pensano che il colesterolo sia un grasso, ma non lo è, perché è composto da

anelli di atomi di idrogeno e carbonio, non semplicemente da catene (vedi “Tipi di grasso” a p. 106). Il corpo non scompone il colesterolo per produrre energia ma piuttosto lo usa per costituire le membrane cellulari, di importanza cruciale per il rivestimento dei nervi. Inoltre le sue molecole sono i mattoni che servono al corpo per costruire la vitamina D e molti ormoni. Prima di esplorare gli effetti dei grassi alimentari sulla salute, diamo un’occhiata alla tipologia di questa importante componente del cibo.

Ecco una veloce panoramica dei tipi di grasso che troviamo nei cibi e del loro effetto sul corpo. Grassi saturi. Il termine “saturi” significa che gli atomi di carbonio di una catena trattengono il massimo numero di atomi di idrogeno possibile. Questo accade solo quando ogni atomo di carbonio è legato agli atomi di carbonio vicini da legami singoli. I grassi saturi hanno l’aspetto di catene lineari. Tipi di grasso alimentare Tipo di grasso

Fonti importanti

Stato a temperatura ambiente

Effetto sul colesterolo rispetto ai carboidrati

Monoinsaturo

Olive e olio di oliva, Liquido di canola, di arachidi; anacardi, mandorle, arachidi e la maggior parte della frutta secca; burro di arachidi; avocado

Abbassa LDL ; aumenta HDL

Polinsaturo

Olio di mais, di soia, di semi di cotone; pesce

Abbassa LDL ; aumenta HDL

Saturo

Latte intero, burro, Solido formaggio e gelato; carni rosse; cioccolato; cocco, latte di cocco e olio di cocco

Aumenta sia LDL che

La maggior parte delle margarine; shortening per cucinare (oli vegetali

Aumenta LDL a

Trans

Liquido

Solido o semisolido

HDL

solidificati); oli vegetali parzialmente idrogenati; fritti dei fast food; la maggior parte dei prodotti da forno in commercio

In natura esistono circa una ventina di diversi grassi saturi. Abbondano nella carne e nei grassi animali, nel latte, nei latticini e in pochi oli vegetali come l’olio di palma e di cocco. A temperatura ambiente i grassi saturi sono più solidi che liquidi, cosa che potete verificare lasciando che il fondo di cottura della pancetta o di un hamburger si raffreddi in padella. Per quanto riguarda i loro effetti sul colesterolo e sul processo di ostruzione delle arterie noto come aterosclerosi, i grassi saturi hanno diversi gradi di nocività. Quelli del burro e di altri latticini fanno aumentare notevolmente il colesterolo LDL nocivo (vedi “I tipi di colesterolo e il cuore” a p. 112). I grassi saturi della carne non sono altrettanto potenti nel fare aumentare le LDL , e quelli del cioccolato e del burro di cacao hanno un impatto anche inferiore. I grassi saturi dell’olio di cocco danno una spinta anche al colesterolo HDL protettivo, cosa che ha fatto conquistare all’olio di cocco una sorta di aureola, tanto che spesso viene incensato come alimento miracoloso per il cuore, la pelle e altri organi. Ma qualsiasi spinta possa dare alle HDL non compensa il suo effetto incrementante sul livello di LDL . Grassi monoinsaturi. Il prefisso greco móno – che significa “unico” – suggerisce la struttura di questi grassi. A un certo punto dello scheletro carbonioso, due atomi di carbonio presentano un doppio legame. Questo cambiamento strutturale apparentemente minimo porta a tre differenze fondamentali: riduce di due il numero di atomi di idrogeno che la catena può contenere, cambia la forma della molecola che da catena lineare assume l’aspetto di un’asta deviata, e rende liquido il grasso a temperatura ambiente. I grassi monoinsaturi sono i grassi principali degli oli vegetali, tra cui l’olio di oliva, di arachidi e di canola. L’avocado e la maggior parte della frutta secca sono un’eccellente fonte di questi grassi salutari. Se consumati in

luogo dei carboidrati o dei grassi saturi, i grassi monoinsaturi riducono le LDL dannose. Grassi polinsaturi. Sono grassi con uno o più doppi legami. Contengono anche meno atomi di idrogeno dei grassi monoinsaturi con lo stesso numero di atomi di carbonio. Ingranditi migliaia di volte, assomigliano a un’asta con due o più deviazioni. Sono liquidi a temperatura ambiente e possono essere suddivisi in due gruppi: omega 3 e omega 6. (Omega significa “fine”, e il numero indica se il doppio legame è tra il terzo e il quarto atomo di carbonio dalla fine della catena oppure tra il sesto e il settimo.) Ciascun tipo gioca diversi ruoli nel corpo. L’organismo non produce grassi polinsaturi, quindi abbiamo bisogno di ricavare questi elementi essenziali da oli vegetali come olio di mais e di soia, da semi, cereali integrali e pesci grassi, come le sardine, il salmone e il tonno. Come per i grassi monoinsaturi, consumare grassi polinsaturi in luogo di carboidrati e grassi saturi riduce il colesterolo LDL dannoso. Sono necessari per la crescita delle cellule, l’attività cerebrale e l’adeguato funzionamento del sistema immunitario, e contribuiscono anche a mantenere la regolarità del ritmo cardiaco. GRASSI E COLESTEROLO NEL SANGUE Per trasferirsi dall’apparato digerente alle cellule che ne hanno bisogno, i grassi devono passare attraverso il sangue. E non è facile come sembra. Come l’olio e l’acqua, i grassi e il sangue non si mescolano. Se l’intestino o il fegato scaricassero semplicemente i grassi digeriti nel sangue, questi si aggregherebbero in inutilizzabili bolle oleose. I grassi vengono invece racchiusi all’interno di particelle rivestite di proteine che si mescolano facilmente con il sangue ed entrano in circolo. Queste particelle sono chiamate lipoproteine (lipidi più proteine). Nel comporre il “pacchetto”, l’organismo aggiunge del colesterolo perché sia trasportato alle cellule e nel contempo contribuisca a stabilizzare le particelle. Come sulla tangenziale all’ora di punta, nel flusso sanguigno scorrono particelle che trasportano grassi di varie forme e dimensioni. Le lipoproteine sono generalmente classificate in base alla proporzione di grassi e proteine che veicolano. Quelle con pochi grassi e molte proteine sono più pesanti e più dense; quelle con più grassi che proteine sono più leggere, più soffici e meno dense. Le proteine non si limitano ad agevolare il passaggio dei grassi nel sangue. Quelle

all’esterno delle particelle hanno la stessa funzione di un’etichetta con l’indirizzo, che aiuta il corpo a dirigere la particella stessa verso la sua specifica destinazione. Una volta lì, le cellule estraggono i grassi e il colesterolo dalle particelle per utilizzarli come energia o come mattoni. MISURARE IL COLESTEROLO Quando si controlla il colesterolo, di solito si ottengono diversi risultati. Il colesterolo totale dice quante LDL (lipoproteine a bassa densità), HDL (lipoproteine ad alta densità) e altre particelle lipoproteiche sono in circolo nel sangue. Il totale ideale è sotto i 200 mg per decilitro di sangue. Il valore borderline è tra 200 e 239 mg per decilitro, l’ipercolesterolemia è da 240 mg per decilitro in su. Poiché il colesterolo totale è una mescolanza di buono e cattivo, non dice tutto su quello che sta succedendo nelle vene, nelle arterie e in altri tessuti. Ecco perché molti medici controllano anche i livelli di LDL e HDL . Più basso è il valore del colesterolo LDL meglio è, e ogni valore sotto i 130 mg per decilitro è considerato sano. Un valore compreso tra 130 e 159 mg per decilitro è considerato borderline, un valore superiore a 160 mg per decilitro è considerato alto. Per gli individui con cardiopatia o a rischio di cardiopatia, il valore soglia è più basso. Per le HDL è vero il contrario: i livelli più alti offrono maggiore protezione dal rischio di cardiopatia. Un valore di HDL superiore a 35 mg per decilitro è buono, ma uno più alto è preferibile. Il ruolo preciso dei trigliceridi nell’insorgenza della cardiopatia è controverso, ma studi recenti mostrano che un livello elevato aumenta le probabilità di sviluppare la patologia. Il livello considerato normale è inferiore a 150 mg per decilitro. I valori borderline sono compresi tra 150 e 199, mentre è considerato alto qualsiasi valore superiore a 200 mg per decilitro. IN BREVE I TIPI DI COLESTEROLO E IL CUORE Il colesterolo scorre nel sangue veicolato da minuscole particelle chiamate lipoproteine. I tre tipi fondamentali di lipoproteine – quelle a bassa densità (LDL ), ad alta densità (HDL ) e a densità molto bassa (VLDL ) – hanno le ripercussioni più importanti sulla salute del cuore. Le LDL vengono spesso chiamate colesterolo cattivo. Se ce ne sono troppe in circolo, possono depositarsi all’interno delle pareti arteriose. Il restringimento delle arterie, tecnicamente definito aterosclerosi, ostacola lo scorrimento del sangue nei vasi. Gli accumuli di colesterolo – definiti placca – creano le condizioni per infarti e ictus.

Per contro, le HDL vengono spesso chiamate colesterolo buono. Queste particelle assorbono il colesterolo dal flusso sanguigno, dal rivestimento interno dei vasi, dalle particelle LDL e VLDL e da altri tessuti. Lo trasportano al fegato per essere eliminato. Le HDL

aiutano anche il fegato a riciclare altre particelle lipoproteiche.

I trigliceridi costituiscono la maggior parte del grasso che mangiamo e del grasso che circola nel flusso sanguigno. Sono essenziali per la salute, dato che i tessuti li utilizzano per ricavare energia. Però, come accade per il colesterolo, troppi trigliceridi in circolo possono essere pericolosi per le arterie e per il cuore.

Grassi trans. Più di un secolo fa i chimici alimentari scoprirono che potevano solidificare gli oli vegetali polinsaturi riscaldandoli in presenza di idrogeno gassoso e particelle di nichel finemente polverizzate. Durante il processo, definito di idrogenazione parziale, l’idrogeno si lega ad alcuni – ma non a tutti – atomi di carbonio con doppio legame, trasformandoli in legami singoli. Nello stesso tempo, alcuni doppi legami ruotano assumendo una nuova forma lineare, che dà al grasso nuove proprietà chimiche e fisiche. Perché qualcuno si è preso questo disturbo? Si è scoperto che è più facile trasportare e immagazzinare gli oli vegetali solidificati di quelli solidi. Gli oli vegetali parzialmente idrogenati possono sostituire il burro o lo strutto nella cottura al forno. Un grado di idrogenazione inferiore dà luogo a oli ancora liquidi che non irrancidiscono con la stessa rapidità degli oli vegetali non trattati. Senza idrogenazione, non avremmo avuto la margarina e altri grassi solidi vegetali da usare in cucina e avremmo avuto anche meno cardiopatie e migliaia di morti in meno ogni anno (vedi “Grassi trans: una particolare preoccupazione” a p. 117).

Grassi omega 3: un particolare beneficio Un tipo di grasso polinsaturo merita una particolare attenzione, anche se costituisce una piccola parte dei grassi presenti nella nostra dieta. Parlo degli acidi grassi omega 3 (chiamati anche grassi n-3). Sono grassi essenziali, il che significa che l’organismo ne ha bisogno per le sue normali funzioni ma che non può sintetizzarli. Nella nostra dieta troviamo tre tipi fondamentali di grassi omega 3. Poiché hanno

dei nomi impronunciabili, userò le abbreviazioni: ALA (acido alfalinolenico), EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico). In quanto grassi polinsaturi, hanno due o più doppi legami molto forti che uniscono gli atomi di carbonio vicini. Il primo doppio legame è sul terzo atomo di carbonio dalla fine della catena. L’ALA , con diciotto atomi di carbonio, è a volte chiamato grasso omega 3 a catena media; l’EPA e il DHA sono a volte chiamati grassi omega 3 a catena lunga, perché l’EPA contiene venti atomi di carbonio e il DHA ventidue. L’ALA è il principale acido grasso omega 3 della maggior parte delle diete occidentali. Si trova in una grande varietà di oli vegetali (specialmente in quello di soia e di canola) ma anche nelle noci, nelle verdure a foglia e in certi grassi animali, specialmente se alimentati con erba (vedi tabella a p. 116). L’EPA e il DHA derivano principalmente dal pesce e per questo motivo a volte vengono chiamati omega 3 marini. Il corpo utilizza l’ALA soprattutto per ricavare energia. Può anche trasformarlo in EPA e DHA , ma non può fare il contrario. Che cosa rende gli acidi grassi omega 3 così speciali? Innanzitutto sono necessari per produrre le membrane cellulari del corpo. Le membrane tengono insieme il contenuto delle cellule e determinano ciò che entra e ciò che esce. Il DHA , per esempio, è l’acido grasso più abbondante nel cervello umano. 2 In secondo luogo, gli acidi grassi omega 3 sono il punto di partenza per la sintesi di certi ormoni che svolgono funzioni importanti, come regolare la coagulazione del sangue, contribuire alla contrazione e al rilassamento delle pareti arteriose, innescare e far regredire le infiammazioni. Inoltre, è stato riscontrato che i grassi omega 3 contribuiscono alla prevenzione o alla cura della malattia coronarica e dell’ictus. Possono essere utili a controllare lupus, eczemi e artrite reumatoide. Possono anche prevenire la demenza senile, la cecità per degenerazione maculare e altre patologie croniche. La prova più solida del benefico effetto dei grassi omega 3 emerge dalla loro capacità di prevenire la morte per cardiopatia. Questi grassi aiutano il cuore a battere a passo regolare ed evitano che soffra di

pericolose, imprevedibili, e a volte fatali alterazioni del ritmo. Queste aritmie – così si chiamano – sono la causa di molte delle 300.000 morti cardiache improvvise che si verificano annualmente negli Stati Uniti, metà delle quali interessano persone senza precedenti di cardiopatia.

La confusione sugli omega 6 Molti libri di dietetica popolari sono basati sull’idea che consumare troppi grassi omega 6 derivanti da fonti salutari come l’olio di semi di mais, di girasole e di soia faccia male alla salute. Chi teme gli omega 6 afferma che un consumo elevato incrementa l’infiammazione dell’organismo e il rischio di asma, di cardiopatie, di molti tipi di cancro, di malattie autoimmuni, degenerative e altro ancora. Tuttavia questa è solo una teoria, non suffragata dai molti studi che l’hanno presa in esame. In realtà decine di studi hanno osservato gli effetti dei grassi omega 6 sugli stati infiammatori. È molto importante che nessuno di questi studi abbia evidenziato un incremento dell’infiammazione cronica e circa la metà abbia rilevato una riduzione, cioè un effetto positivo. Chi sostiene l’idea che i grassi omega 6 siano pericolosi si concentra sulla proporzione tra omega 6 e omega 3 e sui benefici derivanti da una maggiore quantità di questi ultimi. Non c’è dubbio che molti americani trarrebbero beneficio dall’assumere più omega 3. Tuttavia esistono anche prove fondate che gli omega 6, ovvero la maggioranza dei grassi polinsaturi della nostra dieta, contribuiscano a mantenere salutari livelli di colesterolo e a ridurre le cardiopatie. Nel Nurses’ Health Study il rapporto tra acidi grassi omega 3 e omega 6 non era correlato a rischio di cardiopatia, perché entrambi risultavano benefici. 3 Nel 2016, il nostro gruppo ha analizzato il consumo di diversi tipi di grasso in rapporto a decessi per ogni tipo di causa. Abbiamo scoperto che gli acidi grassi omega 6 erano più fortemente correlati a tassi di mortalità inferiore di quanto non lo fossero i grassi omega 3. Questo suggerisce che una più alta percentuale di grassi omega 6 sia desiderabile, se questo può essere ottenuto aumentando l’apporto di omega 6 senza ridurre quello di omega 3. 4

Naturalmente anche l’eccesso di una cosa buona può creare un problema, e in realtà non sappiamo quale sia la soglia massima del consumo di grassi omega 6 e omega 3 per una salute ottimale. Quello che sappiamo, però, è che ridurre la quantità di acidi grassi omega 6 nella dieta americana media probabilmente vanificherebbe molti dei progressi fatti negli ultimi cinquant’anni nella prevenzione delle morti per cardiopatia. Acido alfa-linolenico in vari cibi Cibo

Porzione

Peso in grammi

Grammi di acido alfa-linolenico

Anacardi

1 oncia

28

0,06

Arachidi

1 oncia

28

tracce

Carne

5 once

170

0,38

Cavolini di Bruxelles, crudi

1 tazza

67

0,09

Cioccolato

1 barretta

44

0,04

Formaggio cheddar

1 oncia

28

0,05

Maionese

1 cucchiaio

14

0,85

Mandorle

1 oncia

28

0,11

Margarina di soia

1 cucchiaio

14

0,49

Nocciole

1 oncia

28

0,06

Noci

1 oncia

28

1,90

Olio di canola

1 cucchiaio

14

1,30

Olio di cartamo

1 cucchiaio

13,6

0,05

Olio di oliva

1 cucchiaio

13,5

0,08

Olio di semi di lino

1 cucchiaio

13,6

6,91

Olio di semi di mais

1 cucchiaio

13,6

0,14

Olio di soia

1 cucchiaio

13,6

0,95

Spinaci, crudi

1 tazza

30

0,04

Verza, cruda

1 tazza

67

0,09

Fonte: Connor, W., Alpha-Linolenic Acid in Health and Disease in “American Journal of Clinical Nutrition”, maggio 1999, pp. 827–28; e analisi eseguite presso la Harvard School of Public Health.

Grassi trans: una particolare preoccupazione C’è una famiglia di grassi da cui dovreste decisamente stare alla larga: i grassi trans. Sono grassi prevalentemente artificiali che in modo quasi impercettibile sono diventati una parte sostanziale della dieta americana. Grazie alla lungamente attesa normativa della FDA , negli ultimi quindici anni la situazione è cambiata. Un secolo fa l’americano medio consumava una piccola quantità di grassi trans, che si trovano naturalmente nella carne e nel latte. Entro i primi anni Novanta, però, i grassi trans erano arrivati a costituire in media il 2-3% delle calorie totali, e molte persone ne assumevano una quantità doppia o tripla. Il motivo è che l’industria alimentare aveva scoperto centinaia di utilizzi per gli oli parzialmente idrogenati, la fonte principale di grassi trans artificiali. Tra questi la margarina, gli shortening (oli vegetali solidificati) per cucinare, i dolci fritti, i prodotti da forno industriali come torte e biscotti confezionati, il latte in polvere e i grassi usati nella ristorazione per la frittura in immersione. Quanto ci fanno male i grassi trans? Come i grassi saturi, i trans fanno aumentare i livelli di colesterolo LDL nocivo. Sono particolarmente abili a incrementare i livelli delle piccole, dense particelle LDL , quelle più pericolose per le arterie. Fanno salire i livelli di trigliceridi e lipoproteine, entrambe tendenze non salutari che sono state correlate alla cardiopatia. Riducono il livello di colesterolo HDL protettivo, cosa che i grassi saturi non fanno. Favoriscono la formazione di coaguli nei vasi sanguigni, che possono provocare infarti e ictus. Sono causa di infiammazione, un’iperattività del sistema immunitario che gioca un ruolo chiave nell’insorgenza di cardiopatie, diabete e altri principali cause di morte e disabilità. Aumentano anche l’insulino-resistenza, un precursore del diabete e delle sue complicanze. L’aumento della quantità di grassi trans prodotti e consumati negli

Stati Uniti è parallelo, in modo sospetto, all’aumento di cardiopatie osservato in gran parte del secolo scorso. Nel Nurses’ Health Study, in un periodo di osservazione di quattordici anni, le donne che consumavano la maggior quantità di grassi trans (attorno ai 7 g al giorno, ovvero circa il 3% del fabbisogno energetico giornaliero)hanno manifestato probabilità di sviluppare una cardiopatia superiori del 50% rispetto a quelle che ne consumavano la quantità minima (poco più dell’1% del fabbisogno calorico quotidiano). 5 Anche il rischio di diabete cresceva conformemente al consumo di grassi trans. 6 L’elevato apporto di grassi trans era anche associato al maggiore rischio di calcoli biliari e demenza. Per moltissimo tempo i grassi trans sono stati “invisibili”, perché i produttori alimentari non erano tenuti a citarli nelle etichette. L’unico modo per sapere che in un certo prodotto c’erano dei grassi trans era esaminare l’elenco degli ingredienti e trovare dei “grassi vegetali parzialmente idrogenati” o degli “shortening vegetali”, cioè la prova indiretta della loro presenza. Ma anche in questo caso era impossibile stabilirne la quantità. Dopo una lunga campagna condotta da Fred A. Kummerow, che fu professore emerito di Scienze alimentari e nutrizione umana dell’università dell’Illinois, insieme al Center for Science in the Public Interest (Centro per la scienza nell’interesse pubblico) e ad alcuni membri del nostro Dipartimento di nutrizione, la FDA nel 2003 stabilì che i grassi trans erano anche più pericolosi dei grassi saturi e che entro il 2006 avrebbero dovuto essere dichiarati nell’etichetta dei valori nutrizionali. Questo permise ai consumatori di sapere in quali prodotti fossero contenuti e incentivò fortemente le aziende a non utilizzarli. La FDA compì un passo anche più importante nel 2015, quando stabilì che i grassi parzialmente idrogenati – cioè la fonte principale di grassi trans nocivi nel cibo – non fossero più classificati come “generalmente riconosciuti innocui”. 7 All’epoca, Susan Mayne, direttore del Center for Food Safety and Applied Nutrition (Centro per la sicurezza alimentare e la nutrizione applicata) della FDA , scrisse sul blog FDA Voice: “[...] È ormai evidente che ciò che è buono per

prolungare la vita dei prodotti sugli scaffali non è ugualmente buono per prolungare la vita umana”. 8 Ancor prima di questo provvedimento ufficiale, gli sforzi educativi e i divieti imposti da molte città e molti Stati avevano già estromesso la grande maggioranza dei grassi trans dalle forniture alimentari degli Stati Uniti. (Non siamo stati i primi, comunque, perché la Danimarca e altri Paesi avevano proibito i grassi trans già da anni.) Il provvedimento del 2015 ha imposto alle aziende alimentari di sospendere l’utilizzo di oli parzialmente idrogenati contenenti grassi trans entro il 2018. Per continuare a utilizzarli dopo questo termine, le aziende devono ottenere una speciale autorizzazione della FDA , che difficilmente è concessa. Abbiamo stimato che l’eliminazione dei grassi trans dalle nostre forniture alimentari eviterà annualmente da 72.000 a 220.000 decessi per infarto o cardiopatia. 9 Secondo le previsioni del Center for Science in The Public Interest, questo ridurrà le spese mediche di 50 miliardi di dollari l’anno.

Certi grassi fanno bene C’è una buona ragione se la raccomandazione di ridurre la quantità di grassi non ha prodotto risultati positivi. Nonostante la valanga di disprezzo scaricata sui grassi alimentari e il consiglio di limitarne il consumo che un tempo ci arrivava dalle principali organizzazioni sanitarie del Paese, la verità è che certi grassi fanno bene ed è importante includerli nella dieta. Infatti, mangiare più grassi buoni – e stare alla larga da quelli cattivi – è una delle prime regole di ogni sana strategia nutrizionale. La colpa di provocare ictus e infarti, i principali killer degli Stati Uniti e del mondo, ricade in gran parte sui grassi alimentari. Negli Stati Uniti le persone colpite da infarto o ictus sono annualmente più di 1,5 milioni, e a queste due patologie si deve circa un terzo delle morti complessive. Il costo di infarti e ictus si avvicina ai 320 miliardi di dollari l’anno, se si includono i costi derivanti da mancata produttività. 10

I grassi alimentari non sono i soli fattori a incidere sul rischio di cardiopatie. Una quota considerevole di decessi e disabilità va ascritta al fumo, al sovrappeso o all’obesità e all’inattività. Però tenere sotto controllo i grassi che mangiamo ha un ruolo preventivo molto importante.

Come le linee guida alimentari hanno distorto la verità sui grassi La classica relazione tra dieta e cardiopatie recita: troppi grassi nella dieta alzano i livelli di colesterolo ematico; troppo colesterolo nel flusso ematico aumenta le probabilità di subire un infarto o un ictus, o di sviluppare un’altra forma di patologia cardiovascolare; mangiare meno grassi dovrebbe ridurre il tasso di cardiopatie. Solo che non funziona così. La relativamente semplice “ipotesi dei lipidi” trascura molte cose. Un’omissione importante è che grassi diversi hanno diversi effetti sul colesterolo. Inoltre esistono molte vie per cui il grasso alimentare può influire sulle cardiopatie, oltre al singolo canale del colesterolo totale. I grassi alimentari influenzano la concentrazione di LDL nocive e di HDL protettive nel flusso sanguigno, la coagulazione del sangue, la predisposizione del cuore a imprevedibili alterazioni del ritmo, la modalità con cui il rivestimento interno dei vasi sanguigni reagisce allo stress... e probabilmente altre risposte organiche che favoriscono le cardiopatie e che, ancora, non abbiamo scoperto. Tragicamente, la politica nazionale basata sulla supersemplificata ipotesi dei lipidi non percorre queste vie alternative. Per anni siamo stati spronati a usare grassi e oli con moderazione e a preferire diete povere di grassi saturi e colesterolo. Solo in tempi molto recenti le nostre Dietary Guidelines hanno dato qualche indicazione sui comprovati benefici dei grassi insaturi. GRASSO ALIMENTARE E GRASSO CORPOREO

Forse state pensando: “Aspetta un attimo. Allora non è vero che consumare più grassi mi fa ingrassare, cosa che è decisamente negativa per la mia salute?”. Certo che è vero, ma solo se aggiungete dei grassi alla dieta senza toglierne degli altri. Ricordate: l’obiettivo qui non è aggiungere grassi alla dieta, ma ridurre quelli cattivi (abolendo i grassi trans e limitando i grassi saturi) mentre incrementate i buoni (grassi monoinsaturi e polinsaturi), mantenendo costante la quantità di calorie giornaliere. Fate così e non ingrasserete. Se seguite una dieta ipolipidica e il vostro livello di colesterolo HDL protettivo è basso, quello di trigliceridi è alto, o avete problemi a mantenere il peso, provate a ridurre i carboidrati – specialmente quelli molto lavorati – e a inserire cibi che apportano grassi insaturi. Anche se sembra logico e intuitivo che mangiare più grassi faccia ingrassare, almeno per la maggior parte delle persone, ci sono ben poche prove a confermarlo. Per esempio gli studi randomizzati che mettono a confronto diete ipolipidiche e diete iperlipidiche (povere di carboidrati) mostrano che entrambe possono aiutare a perdere peso. 11 In media, però, la maggior parte dei soggetti ha risultati migliori con le diete povere di carboidrati e ricche di grassi (vedi “Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare“ a p. 73). 12 Negli Stati Uniti, la graduale riduzione del contenuto di grassi nella dieta media – oltre il 40% delle calorie totali negli anni Sessanta, il 33% circa oggi – è stato accompagnato da un graduale incremento del peso medio e da un drammatico aumento dell’obesità. In breve, i grassi nella dieta non fanno necessariamente ingrassare. Se ingerite normalmente più calorie di quelle che bruciate prenderete peso, e su questo la provenienza delle calorie (da grassi, da carboidrati o da proteine) non farà alcuna differenza. Però, mantenendo costante l’apporto calorico totale, consumare più grassi insaturi non vi farà ingrassare se nel contempo ridurrete i grassi saturi, i carboidrati raffinati e lo zucchero.

I consigli eccessivamente semplicistici non dicono che consumare grassi insaturi invece di quelli saturi può avere ripercussioni positive sui livelli di colesterolo e di altri grassi nel sangue, che può fortificare il cuore contro le aritmie o contrastare numerosi processi che conducono gradualmente all’ostruzione e al restringimento delle arterie, cioè all’aterosclerosi.

Le linee guida più semplici non sempre sono migliori Nel 1957, con solo una limitata quantità di dati precisi a disposizione, l’American Heart Association (AHA , Associazione americana di cardiologia) pubblicò le sue prime linee guida dietetiche. 13 Pur mettendosi al riparo dietro una selva di “potrebbe”, la AHA con questo documento andò notevolmente a segno. Diceva che: la dieta potrebbe giocare un ruolo importante nell’insorgenza di cardiopatie; probabilmente contano sia il contenuto di grassi che le calorie totali della dieta; il rapporto tra grassi saturi e insaturi potrebbe essere l’elemento determinante, e le persone dovrebbero consumare più grassi insaturi e meno saturi; una grande varietà di fattori diversi dai grassi, sia di tipo dietetico che non dietetico, potrebbero essere importanti. Quattro anni dopo, la AHA rinnovava il consiglio di aumentare il consumo di grassi insaturi. Con il tempo, però, mentre le commissioni di esperti discutevano e a volte litigavano sul messaggio più efficace per la salute pubblica, la AHA , il National Cholesterol Education Program (Programma nazionale per l’educazione al controllo del colesterolo) e altri gruppi di influenza decisero che gli americani non erano in grado di afferrare un concetto così sfumato come quello di grasso buono/grasso cattivo. Si misero d’accordo sul più semplice: i grassi fanno male. Senza dubbio, il pubblico sentì e recepì il messaggio. Oggi, grassi e oli costituiscono circa il 33% delle calorie di una dieta media, contro il 40% degli anni Sessanta. Se la riduzione significasse che in questi anni abbiamo consumato meno grassi saturi potenzialmente pericolosi, sarebbe una notizia fantastica testimoniata da una diminuzione delle cardiopatie. Invece abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca, riducendo soprattutto i benefici grassi insaturi.

Sostituire i grassi con i carboidrati crea un nuovo problema Ridurre la quantità di grassi quasi sempre significa aggiungere qualcos’altro. Se seguite le linee guida alimentari standard, quel qualcos’altro sono tipicamente carboidrati, in genere alimenti ricchi di carboidrati semplici o sottoposti a molte lavorazioni, come lo zucchero, il pane bianco, il riso bianco, le patate. Sostituire i cibi ricchi di grassi saturi con altri ricchi di carboidrati raffinati riduce un po’ il livello di colesterolo totale, ma riduce anche i livelli di colesterolo HDL protettivo. (Sostituire i grassi saturi con i cereali integrali è una scelta molto più salutare.) Le due tendenze incoraggiate dalle linee guida alimentari standard – ridurre il consumo di tutti i grassi e aumentare il consumo di carboidrati – hanno altre conseguenze preoccupanti, oltre al pericoloso impatto sulle HDL . I carboidrati possono incidere – e di fatto incidono – sul peso efficacemente quanto i grassi, se introducete nell’organismo più calorie di quante ne bruciate. Ugualmente pericoloso è il fatto che il pane bianco e altri cibi prodotti con farina bianca, le patate, la pasta e il riso bianco causano picchi di zucchero ematico (glucosio) e insulina, cosa che non accade con i grassi, con le proteine e con i carboidrati a lento assorbimento come quelli che si ricavano dai cereali integrali intatti, dai legumi, dalla frutta e dalla verdura non amidacea (vedi capitolo 6). I picchi di glucosio e insulina impongono costantemente al pancreas una maggiore produzione di insulina. Questo è un fattore chiave per l’insorgenza del diabete in età adulta, oggi chiamato diabete di tipo 2, specialmente se abbinato a mancanza di attività fisica. Mangiare carboidrati invece di grassi insaturi tende anche a far salire la pressione. 14 Infine, seguire una dieta povera di grassi di solito significa trascurare alimenti come le noci, l’avocado, i condimenti da insalata a base di oli insaturi e altri cibi che contengono benefici grassi monoinsaturi e polinsaturi. Meno grassi insaturi significa anche una minor quantità di vitamina E e di preziosi nutrienti che si accompagnano ai grassi.

I benefici di consumare grassi insaturi invece che grassi saturi Consumare meno grassi saturi e più grassi insaturi migliora globalmente i livelli di colesterolo. Aiuta a prevenire le cardiopatie anche in altri modi. È questo il messaggio su cui voglio insistere per sovrastare la grancassa del “tutti i grassi fanno male”. Da quando la prima edizione di Mangiare sano, bere sano, vivere sano fu pubblicata nel 2001, il concetto che certi grassi sono sani si è lentamente diffuso. Molti hanno sperimentato i benefici di questa inversione di rotta, oggi finalmente assorbita dalla dietologia ufficiale, come si evince dal fatto che sia stata inclusa nelle Dietary Guidelines for Americans 2015-2020. Tenendo alla larga tutti i grassi, voi escludete una quantità di cibi che nel lungo periodo potrebbero avere una ricaduta positiva sulla salute. Non fraintendetemi: concordo incondizionatamente con l’eliminazione dei grassi saturi e dei grassi trans dalla dieta. Però non posso dire lo stesso dei grassi insaturi. Consumare grassi insaturi invece di grassi saturi o carboidrati: riduce il livello di colesterolo LDL nocivo senza ridurre il livello di HDL protettivo; previene l’aumento dei trigliceridi – un’altra forma di grassi in circolo nel flusso sanguigno – che è stato correlato all’insorgenza di cardiopatie e si verifica in presenza di diete ricche di carboidrati; riduce l’insorgenza di aritmie, una delle cause principali di morte cardiaca improvvisa; riduce la formazione di trombi potenzialmente in grado di ostruire le arterie. I grassi insaturi sono così importanti per la salute che si collocano alla base della Healthy Eating Pyramid (vedi a p. 24) e sono specificamente menzionati nell’Harvard Healthy Eating Plate (vedi a p. 8). Entrambi riconoscono che grassi e oli costituiscono una parte essenziale delle calorie quotidiane e possono avere effetti benefici sulla salute a lungo termine. Come descriverò più avanti in questo

capitolo, non tutti i grassi insaturi sono uguali, ma condividono gli stessi effetti benefici.

Effetti dei grassi alimentari sulla salute Fino alla metà del secolo scorso, quando patologie infettive come la tubercolosi e l’influenza erano cause importanti di morte, si pensava che le diete ipercaloriche ricche di grassi offrissero una qualche protezione contro le malattie e facilitassero la guarigione. Nell’America degli anni Cinquanta una dieta sana prevedeva uova, bacon e fette di pane imburrato per colazione, roast beef e purè di patate con un intingolo per cena. Il nostro comodo, quasi irriguardoso rapporto con il cibo fu trasformato per sempre da diversi e separati filoni di ricerca che si svilupparono contemporaneamente dopo la Seconda guerra mondiale. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, studi di ampia portata si focalizzarono sulla dieta come possibile causa delle percentuali di cardiopatie schizzati alle stelle. Nel 1956 uno scienziato dell’università del Minnesota di nome Ancel Keys varò una ricerca internazionale denominata Seven Countries Study, che ipotizzava una relazione tra i grassi saturi e le cardiopatie: in generale, maggiore era la quantità di grassi saturi nella dieta degli abitanti di una nazione, maggiore era la percentuale di cardiopatie. La cosa interessante fu che Keys e colleghi non scoprirono alcuna relazione tra la quantità totale di grassi nella dieta e le cardiopatie. In realtà, l’area geografica con la minor percentuale di cardiopatie dello studio (Creta) evidenziava il consumo di grassi totali mediamente più alto (circa il 40% delle calorie totali) dovuto a un generoso utilizzo dell’olio di oliva. Più o meno nello stesso periodo, il Framingham Heart Study cominciò a seguire le abitudini e le condizioni di salute di oltre 5000 uomini e donne della città di Framingham, Massachusetts. Uno dei primi risultati fu che gli elevati livelli di colesterolo nel flusso sanguigno erano spesso il segnale precoce di una cardiopatia imminente. Questi studi importanti, insieme ad altri, puntavano il dito verso la dieta, riconoscendole un ruolo cruciale nello sviluppo delle patologie

coronariche. LE UOVA Un tempo le uova erano considerate un cibo sano, da mangiare sempre, il pezzo forte di una buona colazione o una ricca guarnizione per insalate e piatti di contorno. La scoperta dell’associazione tra colesterolo ematico e rischio di cardiopatie rovinò la loro reputazione. Con più di 200 mg di colesterolo per tuorlo, le uova furono bollate come cibo pericoloso, da assumere con moderazione. Il consumo di uova pro capite, che alla fine degli anni Quaranta superava le 400 unità all’anno, oggi è crollato a meno di 200, 15 e molti le mangiano con un sottile senso di colpa. Le uova non sono pericolose come si dice. Per la maggior parte degli individui, l’aggiunta di 200 mg di colesterolo alla dieta comporta un lievissimo rialzo dei livelli di colesterolo ematico e, in teoria, aumenta solo di poco il rischio di cardiopatie. Nel “pacchetto” offerto dalle uova, però, non c’è solo colesterolo. Contengono pochissimi grassi saturi e molti nutrienti importanti: proteine, grassi insaturi, acido folico e altre vitamine del gruppo B , vitamina D , luteina e altro. Quindi l’effetto delle uova sul rischio di cardiopatie non si può stimare considerando soltanto il loro contenuto di colesterolo. Nessuna ricerca ha riscontrato che le persone che mangiano regolarmente uova abbiano più infarti di quelle che non le mangiano. Verso la fine degli anni Novanta, i miei colleghi e io studiammo un campione di quasi 120.000 uomini e donne sani in relazione all’abitudine di consumare uova. In un periodo di follow-up di diversi anni, i soggetti che mangiavano fino a un uovo al giorno non avevano più probabilità di sviluppare cardiopatie o infarti rispetto a quelli che mangiavano meno di un uovo a settimana. 16 (Una meta-analisi successiva e più ampia non evidenziò alcuna relazione tra il consumo di uova e la cardiopatia o l’infarto.) 17 Nei soggetti affetti da diabete, però, il consumo di un uovo al giorno sembrava effettivamente correlato all’insorgenza di cardiopatie. Se questi studi, e altri analoghi, non danno il via libera al consumo quotidiano di frittate da tre uova, dovrebbero comunque rassicurare le persone a cui le uova piacciono. Se per colazione dovete scegliere tra un uovo, un krapfen e un bagel di farina bianca, l’uovo è sicuramente l’opzione migliore, specialmente se cotto con un sano olio vegetale. Se però volete cominciare la giornata con qualcosa di veramente salutare, un mix di fiocchi d’avena, noci e frutti di bosco, magari guarnito con un po’ di yogurt, ridurrà il livello di colesterolo LDL e vi farà meglio di una colazione neutra a base di uova. (È solo un esempio per sottolineare che, cercando di stabilire se un cibo

è sano, dovete sempre chiedervi: rispetto a che cosa?)

Senza trasformare questo libro in un manuale di epidemiologia nutrizionale, descriverò brevemente i risultati coerenti emersi da studi di diversa tipologia, che mettono in luce gli effetti nocivi dei grassi saturi e dei grassi trans e i benefici che possono derivare dalla sostituzione di questi grassi nocivi con grassi insaturi. Indagini transculturali: più grassi saturi = più cardiopatie

Le indagini Paese per Paese di Ancel Keys e colleghi evidenziarono che l’incidenza di cardiopatie era dieci volte più bassa a Creta che in Finlandia, la nazione dello studio con l’incidenza maggiore. Più grassi saturi erano presenti nella dieta tipo di un Paese, più alta era l’incidenza di cardiopatie. Sebbene il Seven Countries Study e il Framingham Heart Study puntassero il dito contro i grassi saturi come elemento chiave nell’insorgenza della malattia coronarica, altri fattori, come la quantità di sigarette fumate o il livello di attività fisica, avrebbero potuto contribuire alla grande variabilità nelle percentuali dei diversi Paesi. Studi metabolici: i grassi buoni migliorano il profilo del colesterolo

Negli anni Cinquanta e Sessanta decine di studi sull’alimentazione rigorosamente controllata in piccoli gruppi di volontari provarono in via definitiva che consumare grassi saturi invece di carboidrati portava a un aumento del colesterolo totale, e che consumare grassi polinsaturi al posto di carboidrati portava invece a una riduzione. Pertanto sappiamo da decenni che non tutti i grassi dovrebbero essere considerati uguali. Sfortunatamente, all’epoca, l’importanza di altri lipidi ematici – in particolare delle HDL protettive – non era stata recepita. Così quegli studi fornivano, nel migliore dei casi, un quadro incompleto. Una delle prime e più convincenti prove a mettere in dubbio l’utilità di ridurre indistintamente tutti i grassi e mangiare più carboidrati arrivò dall’esperimento di due scienziati olandesi, 18 che reclutarono quarantotto volontari per uno studio della durata di otto

settimane. Per i primi quindici giorni tutti i volontari seguirono una tipica dieta occidentale, con circa il 40% di calorie derivate da grassi. Nei successivi trentasei giorni, a metà dei volontari fu assegnata una dieta in cui i grassi saturi erano stati in parte sostituiti da olio di oliva, mentre l’altra metà seguì una dieta in cui i grassi saturi erano stati in parte sostituiti da carboidrati. In tutti e due i gruppi i livelli di colesterolo totale subirono un brusco calo (vedi fig. 11). 19 Però nel gruppo “più carboidrati” scese anche il livello di HDL protettivo, mentre si alzò quello dei trigliceridi, entrambi cambiamenti associati a un maggior rischio di infarto e di altre forme di cardiopatia. Nel gruppo “olio di oliva” la salutare tendenza alla diminuzione del colesterolo totale non fu accompagnata da pericolose alterazioni dei livelli di HDL e trigliceridi. I benefici effetti di ridurre i carboidrati e inserire più grassi insaturi osservati in questo studio sono stati confermati da numerosi gruppi di ricerca. Uno di questi, condotto presso l’università di Washington, documentò che i cambiamenti osservati non erano transitori. 20 Nello studio 444 soggetti maschi con il colesterolo alto seguirono, divisi in gruppi, quattro diverse diete che contenevano il 30%, il 28%, il 22% e il 18% di grassi. Dopo un anno tutte e quattro le diete avevano abbassato il livello di colesterolo LDL nocivo. Però le due diete più povere di grassi avevano ridotto anche il livello di HDL protettivo e alzato il livello dei trigliceridi.

Fig. 11 Risposte del grasso ematico all’olio di oliva e ai carboidrati. La dieta ricca di grassi insaturi (olio di oliva) migliorava i livelli del colesterolo HDL e dei trigliceridi rispetto alla dieta ricca di carboidrati.

Più sappiamo del colesterolo nel sangue, più ci rendiamo conto che, pur rappresentando il colesterolo totale un accettabile segnale d’allarme del rischio di cardiopatie, quello che realmente conta sono i suoi diversi sottotipi. Il profilo lipidico ottimale è quello con un basso livello di LDL pericolose e un alto livello di HDL protettive. La relazione è chiaramente identificata dal rapporto proporzionale tra colesterolo totale e colesterolo HDL . Idealmente il rapporto dovrebbe essere inferiore a 3,5. Lo studio olandese, e molti altri che hanno ripetuto la sperimentazione, evidenzia senza lasciare dubbi che consumare carboidrati in luogo di grassi saturi – la tipica dieta ipolipidica – ha poco effetto sul rapporto tra LDL e HDL , mentre

consumare grassi insaturi al posto di grassi saturi lo migliora. Studi di coorte: più grassi buoni = meno cardiopatie

Da tempo la relazione tra grassi alimentari e cardiopatia è confusa, ingarbugliata dalla grande quantità di studi a breve termine su piccoli campioni. Per fare chiarezza su questo tema importante, i miei colleghi e io abbiamo portato a termine nel 2016 quella che, a oggi, è la più dettagliata e completa analisi sul rapporto tra grassi alimentari e salute. 21 Abbiamo utilizzato i dati forniti da 126.233 soggetti inizialmente sani che hanno partecipato agli studi sulla salute delle infermiere e sui professionisti sanitari, seguiti per un periodo massimo di trentadue anni. Dall’inizio dello studio, ad anni alterni, abbiamo chiesto ai partecipanti informazioni sul fumo, sul peso, sull’attività fisica, sulle diagnosi mediche, sui farmaci assunti e su altri elementi che avrebbero potuto condizionare il rischio di malattia. Ogni quattro anni li abbiamo invitati a compilare un dettagliato questionario sulla dieta. Da questi ultimi dati siamo risaliti al consumo individuale dei vari tipi di grasso, ricorrendo a database regolarmente aggiornati sulla composizione dei grassi di migliaia di cibi. Nel periodo osservato, 33.304 partecipanti sono deceduti. Abbiamo confermato ogni causa di morte esaminando i referti medici e i certificati di morte. Ci ha in qualche misura sorpreso che l’incidenza di mortalità tra i partecipanti abituati a consumare la quantità massima di grassi totali (circa il 42% delle calorie) fosse del 16% inferiore rispetto a quella dei soggetti abituati a consumarne la quantità minima (25% delle calorie). I miei colleghi e io abbiamo ipotizzato che il minor rischio manifestato dai più forti consumatori di grassi fosse in parte da ascrivere alla migliorata qualità dei grassi nella dieta americana, conseguente alla quasi totale eliminazione degli oli parzialmente idrogenati ricchi di grassi trans (vedi “Grassi trans” a p. 112) e dalla loro sostituzione con oli insaturi. Persino più importanti del risultato relativo ai grassi totali sono state le forti relazioni emerse tra specifici tipi di grasso e mortalità. Comparati con la stessa quantità di calorie derivate da carboidrati, i grassi trans erano associati a un rischio di morte nel corso dello studio

notevolmente superiore, i grassi saturi a un rischio leggermente superiore, i grassi monoinsaturi a un rischio moderatamente inferiore e i grassi polinsaturi a un rischio notevolmente inferiore. Analizzando i tipi di grassi polinsaturi, gli omega 6 risultavano fortemente correlati a un più basso rischio di morte nel corso dello studio, mentre la relazione con i grassi omega 3 era debole. I risultati ricalcano quasi esattamente quello che era emerso circa vent’anni prima da un nostro studio sulle cardiopatie nelle donne. 22 La scoperta sorprendente dello studio del 2016 fu che i benefici dei grassi insaturi si estendevano anche alle morti per altre cause, tra cui cancro, malattie respiratorie e patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer. Le basi biologiche di questi risultati, specialmente rispetto alle malattie neurodegenerative, non sono ancora ben comprese e sono attualmente oggetto di indagine. L’interpretazione di questi risultati richiede, da parte mia, una precisazione. Quando dico “comparati con la stessa quantità di calorie derivate da carboidrati”, intendo il tipo di carboidrati realmente consumato dai partecipanti allo studio, che contenevano molto zucchero e amido raffinato. Il grasso totale non avrebbe fatto una così bella figura, e i grassi saturi avrebbero fatto una figura anche peggiore se li avessimo comparati a cereali con lo stesso valore calorico ma integrali. Approfondirò questa distinzione più avanti, nel capitolo 6. Questa analisi offre un quadro generale della relazione tra la salute e la quantità e la tipologia di grassi alimentari contenuti nella nostra dieta. Non è un risultato isolato, ma piuttosto allineato con quelli di molti studi di diverso disegno condotti da numerosi ricercatori in tutto il mondo. Sulla base di questa concordanza, confido che il quadro generale da cui farci guidare possa essere il seguente: preferite i cibi ricchi di grassi polinsaturi e monoinsaturi come le noci, il salmone e l’avocado, a quelli ricchi di grassi saturi come le carni rosse. E non mangiate cibi che contengono grassi trans artificiali. Studi clinici: sostituire i grassi saturi con i grassi insaturi salva la vita

Gli studi clinici sostengono il quadro generale sui grassi alimentari che ho tracciato in questo libro: certi grassi fanno bene alla salute e

altri no. I primi studi – condotti per la maggior parte decenni fa, reclutando piccoli campioni di soggetti già affetti da cardiopatia – mostravano che consumare meno grassi totali, di solito privilegiando cibi ricchi di carboidrati come riso bianco e patate, dava pochi benefici al cuore e all’apparato vascolare. In forte contrasto con questo filone di ricerca, gli studi clinici in cui a una parte dei volontari veniva assegnata casualmente una dieta standard occidentale – relativamente ricca di grassi saturi – e all’altra una dieta in cui i grassi saturi erano stati sostituiti da grassi polinsaturi evidenziavano benefici come la riduzione dei livelli di colesterolo totale e di quello LDL dannoso e, cosa ancora più importante, la riduzione di un terzo o più dell’incidenza di cardiopatie. (Come specificato in precedenza, “grassi polinsaturi” significa sia acidi grassi omega 6 che omega 3, particolare non noto all’epoca in cui venivano condotte queste ricerche.) Uno tra gli studi clinici più eclatanti fu il Lyon Diet Heart Study (Studio di Lione sulla dieta per il cuore). Varato nel 1988, questo studio francese aveva lo scopo di sperimentare l’efficacia di una dieta di tipo mediterraneo nel prevenire nuovi infarti o la morte per evento cardiaco in soggetti sopravvissuti a un infarto. Metà di 605 volontari fu invitata a seguire una dieta povera di grassi. All’altra metà fu chiesto di seguire una dieta di tipo mediterraneo che comprendeva olio di oliva, pane integrale, porzioni aggiuntive di ortaggi da radice e verdure verdi, frutta tutti i giorni, più pesce e pollame e meno carni rosse, e una speciale margarina ricca di grassi omega 3.

Fig. 12 Lyon Diet Heart Study. I sopravvissuti a infarto che seguivano una dieta di tipo mediterraneo manifestavano un minor rischio di secondi infarti e di morte per evento cardiaco di coloro che seguivano una dieta povera di grassi e ricca di carboidrati.

Lo studio, che doveva proseguire per cinque anni, fu interrotto dopo solo due anni e mezzo perché i benefici della dieta mediterranea erano già inequivocabili (vedi fig. 12 a p. 133): riduzione del 70% di secondi infarti e di morti per ogni tipo di causa. 23 Quando i ricercatori ricontrollarono i partecipanti alcuni anni dopo, i benefici della dieta mediterranea, tra cui un ridotto rischio di cancro, erano ancora evidenti. È interessante notare che la maggior parte dei soggetti a cui era stato chiesto di seguire il regime di tipo mediterraneo continuava a farlo anche parecchi anni dopo la conclusione dello studio. 24 Uno studio clinico più recente mostra che un analogo tipo di dieta può prevenire il primo infarto in soggetti relativamente sani. Per il PREDIMED , i ricercatori hanno reclutato quasi 7500 soggetti residenti in Spagna. Tutti i volontari avevano più di 55 anni. A nessuno era mai stata diagnosticata una cardiopatia, sebbene avessero tutti elevati

fattori di rischio. Un terzo dei partecipanti fu invitato a seguire una dieta di tipo mediterraneo arricchita con un litro di olio extravergine di oliva alla settimana. Un altro terzo fu invitato a seguire una dieta di tipo mediterraneo con l’aggiunta non di olio di oliva bensì di circa 200 g di noci, nocciole e mandorle alla settimana. Al terzo gruppo fu chiesto di seguire una dieta a ridotto contenuto di grassi. Lo studio fu interrotto anzitempo, dopo soli cinque anni di followup, quando fu chiaro che i partecipanti “a regime mediterraneo” subivano meno eventi cardiovascolari – infarto, ictus e morte per patologia cardiovascolare – dei partecipanti “a regime povero di grassi”, proprio come era accaduto nello studio di Lione. La differenza era impressionante: 83 eventi cardiovascolari nel gruppo “regime mediterraneo più frutta secca” (8‰ dei partecipanti), 96 nel gruppo “regime mediterraneo più olio di oliva” (8‰ dei partecipanti) e 106 nel gruppo “regime povero di grassi” (11‰ dei partecipanti). 25 Detta così, forse non sembra una differenza importante, ma applicata agli Stati Uniti significherebbe decine di migliaia di ospedalizzazioni e morti cardiache in meno ogni anno, se tutti adottassero questa dieta.

Abbondanza di prove sui benefici dei grassi insaturi L’idea che la gente ha della scienza vuole che, collegando ordinatamente i fatti, si ottengano risposte chiare e precise. Ma la realtà della scienza è ben diversa, specialmente se si parla di nutrizione umana e della sua relazione con la malattia. Disponiamo di un mare di fatti e di un incessante diluvio di nuovi dati, ma solo di poche risposte certe. Questo accade perché gli studi sono sempre esposti ad analisi critiche, e i loro risultati all’interpretazione. Concludere che “sono necessarie ulteriori ricerche” è una procedura operativa standard, una frase che ho usato spesso riportando i risultati di uno studio o scrivendo un articolo o una revisione della letteratura su specifici aspetti del rapporto tra dieta e malattia. Tuttavia non è questa la mia sensazione quando penso a ciò che le persone dovrebbero fare con i grassi alimentari. Ridurre tutti i tipi di grasso e mangiare più carboidrati non protegge dalle cardiopatie e,

tutto considerato, a qualcuno fa male. Al contrario, consumare grassi insaturi invece di grassi saturi è un sistema sicuro e sperimentato, oltre che appetitoso, per ridurre la percentuale di cardiopatie.

Grassi saturi: notizie che confondono le idee Un articolo uscito nel 2014 scatenò un turbine di false informazioni sui grassi saturi. Era una meta-analisi di “Annals of Internal Medicine” su studi precedentemente pubblicati, e suggeriva che la raccomandazione prevalente di consumare meno grassi saturi – abbondanti nelle carni rosse, nel formaggio e nei dolci a base di burro – non riduceva il rischio di cardiopatie. 26 I media ebbero una giornata campale con ciò che definirono un altro gigantesco dietrofront della dietologia. Mark Bittman scrisse sul “New York Times”: “Il burro è tornato. Julia Child, la dea del grasso, da qualche parte sorride”. Altri titoli erano ugualmente iperbolici. I consumatori sospirarono, di nuovo presi alla sprovvista dagli sconcertanti e contraddittori risultati della ricerca nutrizionale. L’attenzione dei media portò sfortuna, perché l’analisi si rivelò piena di errori. Gli autori avevano riportato dei numeri scorretti da alcuni degli studi originali, tra cui quello sulla salute delle infermiere, e omesso dati importanti. Ma la cosa più grave fu che non avevano realmente comparato gli effetti dei grassi saturi con quelli dei grassi polinsaturi; questo avrebbe richiesto di ottenere i dati originali degli studi, i cui risultati erano stati inclusi nell’analisi. La portata di tali errori mise in dubbio una delle conclusioni cruciali dello studio, cioè che sostituire i grassi saturi con i polinsaturi non riduceva il rischio di cardiopatie. (In risposta alle decine di lettere apertamente critiche nei confronti dell’articolo, gli autori pubblicarono online diverse revisioni. Pur correggendo alcuni errori, fu impossibile rimediare alle mancanze più gravi.) Una meta-analisi del 2016 sul rapporto tra burro e cardiopatie causò un trambusto simile. 27 La conclusione a cui giungeva lo studio era che consumare più o meno un cucchiaio da tavola di burro al giorno non era correlato a mortalità per nessuna causa e tanto meno

all’insorgenza di infarti e ictus. In seguito alla pubblicazione di questi due studi, il mio team mise a confronto diretto gli effetti del burro e di altri tipi di cibo sul rischio di cardiopatie. Rispetto al consumo di cereali raffinati, il consumo di burro era associato a un analogo rischio di cardiopatie. Rispetto al consumo di cereali integrali o oli vegetali insaturi, però, il burro era associato a un rischio più elevato. 28 Ecco il punto chiave: quello che si sceglie di mangiare al posto dei cibi ricchi di grassi saturi fa un’enorme differenza. Mangiare un piatto di pasta bianca con un sugo povero di grassi invece di una succosa bistecca ricca di grassi non aiuta molto la salute, perché entrambe le opzioni si ripercuotono negativamente sui fattori di rischio cardiovascolare. Però sostituire la stessa bistecca con un trancio di salmone accompagnato da verdura condita con olio di oliva e aceto è una alternativa molto positiva, perché sono cibi che riducono i fattori di rischio cardiovascolare.

Consigli sugli omega Dati gli effetti benefici ad ampio raggio degli acidi grassi omega 3, cercate di inserire nella dieta di tutti i giorni almeno una buona fonte di questi nutrienti. Razioni quotidiane di acidi grassi omega 3 sono particolarmente importanti per le donne in gravidanza o che hanno in programma di avere un figlio. Dal concepimento in poi, il bambino ha bisogno di un costante rifornimento di acidi grassi omega 3 per la formazione del cervello e di altre parti del sistema nervoso. Sfortunatamente, gli acidi grassi omega 3 non sono più presenti come un tempo nell’alimentazione comune. L’industria alimentare li distrugge volutamente negli oli vegetali, per garantire maggiore durabilità al prodotto prima che irrancidisca. Anche la carne di manzo e di pollo oggi contiene meno acidi grassi omega 3. Perché? La maggior parte degli animali da allevamento un tempo si cibava di erbe selvatiche e semi, cioè vegetali ricchi di omega 3. Oggi sono alimentati con cereali, che ne contengono pochi.

LA GRANDE BATTAGLIA DEL BURRO A cominciare dagli anni Settanta, molti accettarono la scomparsa del burro dalla tavola e vi rinunciarono, rimpiangendone il sapore, ma concordando che il suo tenore di grassi saturi potesse essere pericoloso per il cuore. Passarono diligentemente alla margarina, come consigliavano ricercatori e nutrizionisti. Però, quando più tardi la scienza mise in luce i rischi della margarina, molti si sentirono beffati. Non c’è mai stata nessuna prova certa che sostituire il burro con la margarina riducesse le probabilità di avere un infarto o di sviluppare una cardiopatia. Era un tentativo animato da buone intenzioni, dato che la margarina aveva meno grassi saturi del burro. Ma la raccomandazione di passare dal burro alla margarina non aveva tenuto conto dell’elevato contenuto di grassi trans di molte margarine. Oggi il dibattito burro contro margarina non ha più senso. Dal punto di vista delle cardiopatie, il burro è sulla lista dei cibi da usare con moderazione, soprattutto perché contiene in abbondanza quel tipo di grassi saturi che innalzano il livello di LDL nocive. Molti tipi di margarina in vendita, ormai, sono poveri di grassi saturi, ricchi di grassi insaturi e privi di grassi trans. Purché non se ne usi troppa, dovrebbe andar bene. (Resta pur sempre un alimento molto calorico.) Prima di scegliere se acquistare burro o margarina, però, prendete in considerazione l’idea di usare olio di oliva o un altro olio vegetale liquido. Se proprio non potete fare a meno del sapore del burro quando saltate le verdure in padella, cuocete le scaloppine o friggete le uova, usatene poco e aggiungete olio di oliva. FONTI SANE DI GRASSI ESSENZIALI Molti cibi deliziosi veicolano grassi insaturi essenziali che fanno bene al cuore e al resto del corpo. Provate a inserire nella dieta quotidiana almeno una di queste fonti. Cibi ricchi di grassi omega 3 Pesci che vivono in acque fredde, come salmone, sardina, sgombro, trota Olio di canola e di soia (purché non siano parzialmente idrogenati) Semi di lino e olio di semi di lino Noci Verdure a foglia verde come cavolo riccio, spinaci, senape indiana, cavolo a foglia Uova arricchite di omega 3 Cibi ricchi di grassi omega 6

Olio di soia, di cartamo, di girasole, di mais e altri oli vegetali Semi di girasole, noci, pinoli

La fonte ottimale di omega 3 è il pesce, specialmente i pesci grassi come il salmone, il tonno (compreso quello in scatola), lo sgombro, l’aringa, le sardine. Purtroppo il prezzo relativamente alto del pesce spesso lo estromette dal budget di molte famiglie. Il salmone in scatola è la fonte più conveniente di grassi omega 3 e può essere usato in innumerevoli modi. Mangiare pesce due o tre volte a settimana è un obiettivo che vale praticamente per tutti. Mangiarlo più spesso garantisce una piccola protezione in più dalle cardiopatie. I bambini e le donne in età fertile dovrebbero preferire i tipi di pesce a basso contenuto di mercurio (vedi “Pesce, mercurio e olio di pesce” a p. 208). Come la ricerca del settore continua a mostrare, includere quasi ogni giorno nella dieta una buona fonte di acido alfa-linolenico (ALA ) assicura un adeguato apporto di grassi omega 3. Un buon sistema per integrarli è mangiare noci e semi di lino, cibi che contengono olio di canola e di soia, e piatti cucinati con questi stessi oli. Riguardo ai grassi omega 6, non è veramente necessario pensare a come integrarne di più, perché si trovano normalmente in molti cibi comuni. Usate oli vegetali per cucinare e ne ricaverete tutti gli omega 6 di cui avete bisogno.

Grassi alimentari e cancro: una relazione debole Lo stesso tipo di studio ecologico da cui è scaturita l’ipotesi di una relazione tra grassi alimentari e cardiopatie ha generato anche la forte convinzione che esista un legame tra i grassi alimentari e il cancro. Le nazioni con un basso consumo medio di grassi – soprattutto i Paesi in via di sviluppo o meno ricchi – tendono ad avere percentuali più basse di cancro al seno, al colon e alla prostata rispetto a quelli caratterizzati da un consumo medio più elevato. Tuttavia prove scientifiche più precise e dirette sul rapporto tra dieta e cancro hanno notevolmente indebolito questa relazione.

Cancro al seno

Basandosi su pochi studi retrospettivi, nel 1982 l’U.S. National Research Council (Consiglio nazionale delle ricerche degli Stati Uniti) concluse che limitare il contenuto di grassi nella dieta, portandolo dal 40 al 30% delle calorie totali, avrebbe ridotto il numero di donne con diagnosi di cancro al seno. Due anni dopo, il National Cancer Institute fece di questa teoria il punto centrale di una grande campagna di promozione della salute. Entrambe le iniziative ebbero effetti molto modesti sulla prevenzione del cancro al seno. Da allora, più ampi studi di coorte sul cancro non hanno corroborato la relazione tra grassi alimentari e cancro al seno. Nel Nurses’ Health Study, più di 8000 partecipanti hanno sviluppato un cancro al seno dal 1980. In oltre vent’anni di follow-up non abbiamo osservato un incremento dei casi di cancro tra le donne che consumavano più grassi. Parimenti, un’analisi di tutti i grandi studi di coorte a livello mondiale non ha riscontrato relazioni tra i grassi alimentari e il cancro al seno, se non un inaspettato incremento di incidenza nell’esiguo numero di donne che consumavano la minore quantità di grassi. 29 E combinando i dati del primo e del secondo studio sulla salute delle infermiere, con oltre trent’anni di follow-up, abbiamo cercato di capire se il contenuto di grassi della dieta, prima o dopo la diagnosi di cancro al seno, incrementasse il rischio di morte a causa di quel cancro. Non lo incrementava. Semmai, un più elevato consumo di grassi prima della diagnosi era correlato a un rischio lievemente inferiore di morte per cancro al seno. 30 (In effetti, nello studio PREDIMED descritto a p. 22, le donne che seguivano una dieta mediterranea ricca di grassi evidenziarono, nel periodo di osservazione di cinque anni, una minore probabilità di sviluppare un cancro al seno rispetto a quelle che seguivano una dieta povera di grassi. 31 Sebbene il campione fosse piccolo, i risultati erano promettenti.) La maggior parte degli studi che ha indagato la relazione tra grassi alimentari e cancro al seno ha preso in esame donne di mezza età o anziane. È logico, perché il cancro al seno è più comune in età matura. Tuttavia colpisce anche donne più giovani, ed è proprio in giovane età

che il tessuto del seno è particolarmente vulnerabile alle influenze cancerogene. Nel secondo studio sulla salute delle infermiere, condotto su donne che avevano un’età compresa tra 26 e 48 anni nel 1989, 714 partecipanti su oltre 90.000 svilupparono un cancro al seno nell’arco di otto anni. L’elevato consumo di grassi animali, specialmente di grassi derivati da carni rosse, aumentava la probabilità di insorgenza. L’elevato consumo di grassi vegetali non la aumentava. 32 Il risultato si è riconfermato in vent’anni di follow-up. 33 Come abbiamo detto nel capitolo 3, gli studi randomizzati sono considerati il miglior metodo per verificare un’ipotesi. A causa della forte convinzione che i grassi alimentari fossero correlati allo sviluppo del cancro al seno, nel 1991 fu varata la Women’s Health Initiative, che metteva questa componente dietetica al centro dell’indagine. Fu lo studio clinico più vasto e costoso mai condotto. Oltre 48.000 donne furono suddivise casualmente in un gruppo invitato a seguire una dieta povera di grassi e in un altro invitato a continuare con la dieta abituale. Dopo sette anni non si evidenziava nessuna significativa differenza nell’incidenza di cancro al seno, e peraltro nemmeno nell’incidenza di cardiopatie o malattie di qualsiasi tipo. 34 Normalmente un simile risultato avrebbe eradicato la convinzione che una dieta povera di grassi potesse prevenire il cancro al seno. Ma qualcuno mise in dubbio che lo studio fosse durato abbastanza a lungo. In una pubblicazione di follow-up, gli autori riportarono che non si evidenziavano differenze, in nessuna epoca dello studio, nei livelli ematici di trigliceridi o HDL protettive tra i due gruppi di donne. Sappiamo che, seguendo una dieta povera di grassi, i trigliceridi salgono e le HDL scendono. L’assenza di variazioni in questi parametri indicava che la differenza nell’assunzione di grassi tra i due gruppi studiati era molto esigua, ammesso che esistesse. In un altro studio randomizzato condotto in Canada, donne giudicate ad alto rischio di cancro al seno a causa di alterazioni nella mammografia furono assegnate casualmente a una dieta povera di grassi o alla loro dieta abituale per dieci anni. Il livello di colesterolo protettivo HDL era più basso tra le donne che seguivano la dieta povera di grassi, e questo indicava un’effettiva differenza

nell’assunzione di grassi tra i due gruppi. Le donne del gruppo “povero di grassi” evidenziavano un rischio di cancro al seno del 19% più alto. Sebbene questo incremento non fosse statisticamente significativo, di certo andava nella direzione sbagliata. 35 Negli ultimi tre decenni il rapporto tra consumo di grassi e rischio di cancro al seno è stato studiato intensivamente. Sebbene sia impossibile provare che i grassi alimentari non abbiano assolutamente nessun effetto sul cancro al seno (potrebbe sempre esserci un effetto troppo modesto per individuarlo) possiamo dire con sicurezza che le diete povere di grassi non giocano un ruolo importante nella riduzione del rischio di cancro al seno. Tuttavia alcuni indizi portano a ipotizzare che sostituire i grassi di origine animale con quelli di origine vegetale dia dei benefici. Il risultato più chiaro e costante, emerso da studi su animali e su persone, è che l’eccesso di calorie in età adulta, indipendentemente dalla fonte alimentare, è molto più importante per lo sviluppo del cancro di quanto non lo siano i grassi contenuti nei cibi. Cancro al colon

I primi studi suggerivano una relazione tra grassi alimentari e cancro del colon, la terza causa di morte per cancro negli Stati Uniti. Anche in questo caso, però, i risultati non sono stati confermati da successive e più dettagliate ricerche. Le prove scientifiche indicano che mangiare molte carni rosse aumenti il rischio di cancro al colon. Questo potrebbe originare dai tipi di grasso contenuti nelle carni rosse, oppure dalle sostanze chimiche cancerogene che si generano cuocendo le carni rosse ad alta temperatura. L’OMS ha valutato che il consumo regolare di carni rosse, specialmente se lavorate, è correlato allo sviluppo di cancro del colon-retto. 36 Il consumo di grassi derivati da pesce, pollame e vegetali non è stato associato a rischio di cancro del colon retto. Come per il cancro al seno, l’aspetto alimentare più fortemente correlato al cancro al colon è lo squilibrio tra calorie ingerite e calorie spese: le persone in sovrappeso hanno più probabilità delle altre di sviluppare questo tipo di cancro. Ciò che può proteggerci è fare

regolare attività fisica, non fumare e integrare un’adeguata quantità di acido folico, una vitamina del gruppo B (vedi capitolo 11). Cancro alla prostata

La situazione con il cancro alla prostata è più confusa, perché in questo campo sono stati condotti relativamente pochi studi. I confronti su base geografica a livello internazionale dimostrano che gli asiatici, abituati a diete relativamente povere di grassi, hanno delle percentuali di cancro alla prostata sostanzialmente inferiori rispetto agli occidentali. Sebbene si evidenzi un aumento della percentuale di cancro prostatico tra gli asiatici che si trasferiscono negli Stati Uniti, i tassi nel loro gruppo restano sempre più bassi che tra i caucasici, il che suggerisce che qualche fattore genetico giochi un ruolo importante. Se c’è una relazione tra grassi alimentari e cancro alla prostata, questa sembra principalmente associata ai grassi animali o a qualche altro componente delle carni rosse. È una buona notizia, perché significa che l’olio di oliva e altri grassi insaturi che riducono il rischio di cardiopatie non incrementerebbero il rischio di cancro prostatico. La ricerca sul cancro alla prostata solleva questioni su un diverso tipo di equilibrio. I risultati dello studio sui professionisti sanitari e di altre indagini hanno mostrato che gli uomini che seguono una dieta ricca di omega 3 derivati dal pesce – EPA e DHA – hanno meno probabilità di sviluppare un cancro prostatico. La relazione tra omega 3 di origine vegetale – acido alfa-linolenico (ALA ) – e cancro prostatico desta qualche preoccupazione in più. Alcuni studi suggeriscono un incremento del cancro prostatico e del cancro prostatico avanzato in coincidenza con elevati consumi di ALA , 37 sebbene questo non sia stato da noi osservato nei più recenti follow-up dello studio sui professionisti sanitari. Perché un olio apparentemente salutare dovrebbe essere implicato nell’insorgenza del cancro prostatico? Una possibilità è che fino a tempi recenti gran parte dell’ALA presente nella dieta americana era veramente un pericoloso grasso trans (vedi “Grassi trans: una particolare preoccupazione“ a p. 117). Per anni gli oli ricchi di ALA vennero sottoposti a parziale idrogenazione per evitare che si

guastassero troppo in fretta. Ma questo li arricchiva di grassi trans. L’idrogenazione parziale è stata in gran parte eliminata, il che significa che in futuro ricaveremo dai cibi ALA naturale, non trasformato. Le noci offrono un indizio che potrebbe avvalorare questa interpretazione. Le noci sono un’importante fonte di ALA . Non sono mai state parzialmente idrogenate, e il loro consumo non è mai stato associato a più elevati rischi di cancro prostatico. Mentre gli scienziati continuano a monitorare la relazione dell’ALA con questa patologia, la mia opinione è che gli uomini possano godersi le noci, l’olio di canola e altri cibi ricchi di ALA senza preoccuparsi della prostata. Il succo della faccenda su grassi alimentari e cancro

È impossibile provare che non esista una relazione tra grassi alimentari e cancro. Se i grassi influenzano davvero lo sviluppo del cancro, però, le prove emerse da numerosi studi di coorte con molti anni di follow-up mostrano che l’effetto è lieve. Data la forte e costante associazione osservata tra tipi di grasso e cardiopatie, penso che abbia senso concentrarsi sui grassi alimentari per il loro comprovato impatto sulle cardiopatie e non per un’ipotetica relazione con il cancro che al momento non è suffragata da ampie prove scientifiche.

Scegliere grassi salutari L’espressione “dieta salvacuore” evoca visioni di riso bollito e verdure, vassoi di petto di pollo, pasta – con poco sugo, per favore! – e anelli di cipolla fritti, ma solo in sogno. Se credete, come me, che una dieta povera di grassi non sia il modo migliore per avere un cuore sano, esiste un’altra opzione: vi chiede di ridurre qualcosa, proprio come la tradizionale dieta ipolipidica, ma anche di aggiungere consapevolmente dei grassi alla dieta. All’inizio bisogna fare un po’ di pratica, ma ne vale la pena, sia per il piacere del palato che per la salute.

Ridurre. State alla larga dai grassi trans e limitate il consumo di grassi saturi. Evitare i grassi trans è diventato sempre più semplice e presto sarà difficile trovarne persino volendo. Quando nel 2006 entrò in vigore la norma della FDA che stabiliva l’obbligo di dichiarare la quantità di grassi trans sull’etichetta dei valori nutrizionali, molte aziende la presero come una opportunità per trovare ingredienti sostitutivi senza trans (vedi “Grassi trans: una particolare preoccupazione“ a p. 117). Limitare il consumo di grassi saturi significa andarci piano con le carni rosse e i latticini interi, oppure non mangiarli per niente. Ma non vale la pena di impazzire per eliminare tutte le tracce di grassi saturi dalla dieta. Prima di tutto è quasi impossibile, dato che le buone fonti alimentari di grassi monoinsaturi e polinsaturi contengono anche dei grassi saturi. In secondo luogo, come hanno mostrato lo studio di Lione, il PREDIMED e altre ricerche, consumare una modesta quantità di grassi saturi con i grassi insaturi va assolutamente bene. Non consiglio nemmeno di applicarsi religiosamente al calcolo delle calorie o dei grammi di grassi, ma piuttosto di osservare il limite superiore comunemente suggerito dell’8% delle calorie totali, ovvero circa 17 g al giorno di grassi saturi. Sette riccioli di burro, un trancio di pizza con formaggio o tre bicchieri di latte intero equivalgono a questa quantità. Non è necessario contare i grammi di grassi o sfoderare una calcolatrice per determinare la percentuale di calorie. Potete impiegare meglio il vostro tempo: il vantaggio è minimo e non ci sono prove che sia utile darsi precisi obiettivi numerici sul consumo totale di grassi. Ha più senso sapere che cosa c’è nel cibo che mangiate, o che avete in mente di mangiare, in modo da poter fare scelte salutari. Ma davvero non vi consiglio di fare conti tutto il giorno. Aggiungere. Quando avrete imparato a gestire i grassi saturi e i grassi trans, scoprirete che ci sono molti modi semplici e appetitosi per inserire dei grassi insaturi nella dieta. La proporzione più salutare tra grassi monoinsaturi e polinsaturi non è ancora stata determinata. Per il momento, consumarli entrambi è una buona strategia e assicura grande flessibilità alla dieta (vedi “Percentuali degli specifici tipi di grasso negli oli e nei grassi comuni“ a p. 147).

Una delle migliori fonti di grassi monoinsaturi è l’olio di oliva, che è versatile esattamente come il burro. Potete usarlo per spadellare le verdure, il pollo, il pesce, aggiungerlo alle insalate come base del condimento, persino intingervi il pane invece di imburrarlo, come fanno in Spagna, in Italia, in Grecia e a casa mia. Ogni olio ha il proprio aroma e questo permette di scegliere tra un’ampia gamma. Altre buone fonti di grassi monoinsaturi sono l’olio di canola e quello di arachidi, l’avocado, le mandorle, le arachidi e la maggior parte della frutta secca. Percentuale degli specifici tipi di grasso negli oli e nei grassi comuni b Oli

Saturi

Monoinsaturi Polinsaturi

Trans

Acido alfa- linolenico c

Arachidi

17

49

32

0

1

Canola

7

58

29

0

12

Cartamo

9

12

74

0

0

Cocco

87

6

2

0

0

Girasole

10

20

66

0

2

Mais

13

24

60

0

1

Oliva

13

72

8

0

1

Palma

50

37

10

0

0

Soia

16

44

37

0

7

Grassi per cucinare Burro

64

23

6

3

1

Grasso di bovino

39

44

3

8

3

Grasso di pollo

27

41

31

0

0

Strutto

39

44

11

1

0

18

2

29

23

4

Margarina Imperial Stick

Tra le principali fonti di grassi polinsaturi ci sono alcuni oli vegetali come l’olio di mais e quello di soia, i legumi come i semi di soia e i loro derivati, e i semi. Un modo semplice per sostituire i grassi

saturi con dei grassi insaturi è consumare pesce, pollame, frutta secca e semi invece che carni rosse, ogni volta che potete. Anche il grasso di pollo ha un contenuto di grassi polinsaturi più alto del grasso di manzo, e probabilmente è la principale ragione per cui consumare pollo invece che carni rosse è correlato a un minor rischio di cardiopatie. (Vedi ricette nel capitolo 15.)

In conclusione I grassi insaturi fanno bene, i grassi saturi non tanto e i grassi trans fanno decisamente male. Quando è possibile, scegliete cibi che veicolano grassi sani. Sui grassi alimentari, prendete decisioni che tengano conto del comprovato effetto sulle patologie coronariche, non la debole – forse inesistente – relazione con il cancro. Limitate la quantità di grassi saturi. Per farlo, riducete le carni rosse, le carni lavorate, il latte intero e i suoi derivati. Inserite nella dieta cibi che apportino grassi insaturi, come l’olio di oliva, la frutta secca, i semi e i pesci grassi. Usate oli vegetali liquidi per cucinare e a tavola. Consumate quotidianamente una o più fonti salutari di acidi grassi omega 3: pesce, noci, olio di canola o di soia, semi di lino macinati o olio di semi di lino. Sostituire i grassi non salutari con altri più salutari

Grassi saturi e grassi trans sono pericolosi per il cuore e per la salute in generale. Passate a cibi o ingredienti che contengono grassi insaturi salutari: grassi monoinsaturi come l’olio di oliva e di canola, e grassi polinsaturi come olio di soia e di mais. Ecco alcune semplici sostituzioni che potranno aiutarvi a passare da un grasso all’altro. Invece di rosolare nel burro, passate all’olio di oliva o ad altri oli che fanno bene. Le calorie sono più o meno le stesse, ma gli oli sono ricchi di salutari grassi insaturi e poveri di grassi saturi. L’olio di oliva

contiene solo 1,8 g di grassi saturi per cucchiaio da tavola; il burro ne contiene 7, ovvero quasi la metà del valore soglia giornaliero. In realtà, ogni cucchiaio di burro deriva più di metà delle proprie calorie da grassi saturi. Invece di fare torte, biscotti e plum- cake con gli shortening solidi, usate sempre oli sani, se possibile. Le calorie sono più o meno le stesse ma, ripeto, gli oli sono ricchi di grassi insaturi. Oggi si trovano in commercio shortening solidi (oli solidificati) per cucinare privi di pericolosi grassi trans, e l’olio di cocco, il burro o lo strutto sono alternative possibili quando una materia grassa solida è assolutamente essenziale. Invece di cucinare la lonza di maiale o altri tagli più grassi, passate al filetto. Il filetto di maiale è magro come la carne di pollo senza pelle. Una porzione cotta da circa 85 g contiene solo 4 g di grassi, di cui solo 1,4 sono saturi. La stessa porzione cotta di lonza contiene quasi 12 g di grassi, di cui 4,5 saturi. Una buona regola generale: più magro è il taglio di carne, meno grassi saturi contiene. Invece di cucinare hamburger con carne grassa (tenore di carne magra dal 73 all’80%), passate al macinato di carne extra magro. Un hamburger da 85 g fatto con macinato “grasso” può contenere, prima della cottura, 23 g di grassi, di cui 9 saturi. Il macinato “magro” (in etichetta: tenore di carne magra non inferiore al 91%) contiene solo 8 g di grassi, di cui 3 saturi. La cottura può ridurre i grassi – soprattutto se arrostite o grigliate la carne fino allo stadio ben cotto – ma non in modo così drastico da rendere il macinato “grasso” magro come quello extra magro. In ogni caso, ricordate che le carni rosse più magre non riducono necessariamente il rischio di cardiopatie o di cancro; sostituirle con fonti proteiche alternative è la soluzione migliore. Invece di usare il latte intero nelle creme o nei dolci da forno, passate al latte scremato. Una porzione da circa 230 g di latte intero contiene quasi 8 g di grassi, di cui quasi 5 saturi. La stessa porzione di latte scremato contiene circa 0,6 g di grassi, di cui 0,4 g da grassi saturi. Ancora meglio, prendete in considerazione il latte di soia o il latte di mandorla. Sebbene contengano più grassi del latte scremato, questi

sono principalmente insaturi. Invece di aggiungere panna acida alle pietanze, provate lo yogurt bianco. Se 240 ml di panna acida contengono 37 g di grassi – di cui 23 saturi – e 136 mg di colesterolo, la stessa quantità di yogurt intero contiene circa 10 g di grassi; se lo yogurt è magro, contiene solo 0,4 g di grassi e 5 mg di colesterolo. Invece di spalmare sul pane o sui cracker il burro di arachidi tradizionale, provate quello naturale. Non vi farà risparmiare calorie, ma è un’alternativa più sana per la tipologia dei grassi. Il burro di arachidi naturale non contiene grassi trans. Il burro di arachidi tradizionale di solito contiene oli idrogenati privi di grassi trans ma con un più alto tenore di grassi saturi. Invece di abbondare con il formaggio sulla pizza o nelle insalate miste, provate a usarne poco ma di varietà molto saporite, per esempio il parmigiano, il gorgonzola o il cheddar più stagionato. Consumerete meno grassi, perché vi sentirete soddisfatti con una minore quantità. Un cucchiaio da tavola di parmigiano contiene solo 2 g di grassi, di cui 1 g di grassi saturi. SURROGATI DEI GRASSI Il movimento Tutto il grasso fa male avrebbe potuto toccare l’apice della gloria con la strombazzata introduzione del grasso artificiale denominato olestra. Dal punto di vista scientifico, era un miracolo di ingegneria alimentare. Dal punto di vista della salute, l’Olean – l’ingannevole nome commerciale dell’olestra – avrebbe potuto essere una sciagura, se mai avesse preso piede. L’olestra era studiato per scatenare sulle papille gustative le stesse sensazioni del grasso vero. A parte questo, però, era un composto completamente diverso. Gli enzimi digestivi che scompongono i grassi non potevano attaccare l’olestra, che pertanto scivolava inalterato attraverso l’apparato digerente. Lungo la strada raccoglieva vitamine (A , D , E , e K ), oltre a betacarotene, licopene e a una schiera di altri pigmenti vegetali e sostanze fitochimiche, e le trasportava in fretta e furia nelle feci. Questo deprivava l’organismo di numerose sostanze con un preciso ruolo nella prevenzione delle cardiopatie, del cancro, della demenza e di altre patologie croniche. L’azienda produttrice dell’olestra, la Procter & Gamble, mise sul mercato patatine e altri prodotti realizzati con questo olio artificiale. Per fortuna fu un fallimento. Sono stati sviluppati molti altri surrogati dei grassi. Alcuni, come il Simplesse, sono

prodotti con proteine delle uova e del latte. Altri, come l’Avicel, sono prodotti con carboidrati. Altri ancora, come il Nutrim, sono prodotti con fibre. Questo prodotto ad alto contenuto di fibre è ricco di beta-glucani, un gruppo di fibre solubili che contribuisce alle proprietà ipocolesterolemizzanti dell’orzo e dell’avena. I surrogati dei grassi come l’olestra comportavano più rischi che vantaggi per la salute. Quelli come il Nutrim potrebbero essere benefici, se utilizzati in sostituzione dei grassi saturi o dei grassi trans. Una soluzione ugualmente salutare è sostituire i grassi saturi e i grassi trans con oli vegetali liquidi. Il succo della faccenda è che non abbiamo bisogno di trucchetti e cibi finti per alimentarci in modo sano. Oggi possiamo farlo con semplicità, ricavando piacere da quello che mangiamo.

a. Rispetto al grasso monoinsaturo o polinsaturo, il grasso trans fa aumentare i livelli di colesterolo LDL , riduce il colesterolo HDL e fa aumentare i trigliceridi. b. Valori espressi come percentuale dei grassi totale; i dati derivano da analisi eseguite presso l’Harvard School of Public Health, Lipid Laboratory e da pubblicazioni USDA . c. Anche l’acido alfa-linolenico è compreso tra i grassi polinsaturi.

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Carboidrati nel bene e nel male

Come mansueti figli di mezzo, un tempo i carboidrati venivano trascurati. I grassi si accaparravano quasi tutta l’attenzione, la frutta e la verdura quasi tutte le lodi. È piuttosto sorprendente, perché i carboidrati rappresentano la metà delle calorie nella dieta americana e una percentuale persino più alta in molte diete del mondo. Finirono sotto i riflettori solo con la comparsa e l’incredibile popolarità delle diete Atkins e South Beach. E fu così che pane, pasta, riso e compagnia decaddero dal ruolo di cibi sani e affidabili per trasformarsi in mostruosità culinarie. Da allora, la paleodieta, la Dukan e altri regimi anticarboidrati hanno continuato a tenerli sotto pressione. Come accade con molte mode passeggere, il processo ai carboidrati cominciò con un seme di verità scientifica che presto si perse nell’iperbole e nella generalizzazione indiscriminata. Il seme di verità scientifica è questo: certi carboidrati, come il pane bianco, il riso bianco e le patate fanno schizzare alle stelle la glicemia. Quello che si è perso nella traduzione dai rapporti scientifici alle pagine dei giornali è che altre fonti di carboidrati, come i cereali integrali, hanno effetti più lievi e più lenti; che apportano minerali, vitamine, fibre e sostanze fitonutrienti che mancano nei cereali raffinati, e che fanno bene, non male, alla salute. Molti modaioli delle diete hanno compiuto un altro passo, completamente illogico: se i carboidrati fanno male, allora qualsiasi altro cibo va bene, anche montagne di carni rosse, salumi, insaccati e burro. E questo, semplicemente, non è vero. Poiché detengono il controllo dello zucchero ematico, i cibi ricchi di carboidrati influiscono sull’insorgenza del diabete e sulla salute a lungo termine. Mangiare i carboidrati giusti – cioè cereali il più possibile integri e non lavorati – è un elemento portante delle fondamenta di una dieta sana. Prima che la dieta povera di carboidrati riemergesse dall’oblio, la

teoria prevalente era che i cosiddetti carboidrati complessi fossero, rispetto ai grassi, alimenti buoni, o almeno benigni. L’idea derivava da una visione piuttosto semplicistica del rapporto tra dieta e malattie in Cina e in altri Paesi in via di sviluppo. Fino a poco tempo fa, il popolo cinese si nutriva principalmente di carboidrati, con una spolverata di grassi e proteine, e il tasso di cardiopatie era basso. Facendo uno più uno, qualche esperto di dietetica concluse che la scarsa incidenza di patologie coronariche in Cina era il risultato di una dieta ricca di carboidrati e povera di grassi. L’idea fu trapiantata in Occidente. Il messaggio “i carboidrati fanno bene” divenne parte integrante delle raccomandazioni dell’American Heart Association, dell’American Cancer Society e dell’OMS . Arrivò anche a costituire la base della piramide alimentare, duratura quanto ingannevole. Il trapianto non ebbe fortuna in suolo straniero. Anche se noi americani cercavamo di ridurre i grassi e mangiare più carboidrati, come nazione ingrassavamo. Il costante declino dei tassi di mortalità per cardiopatia che aveva interessato gli anni Settanta e i primi anni Ottanta subì un rallentamento nei giovani adulti. E la percentuale di adulti con il diabete schizzò alle stelle, da meno dell’1% nel 1960 a oltre l’8% cinquant’anni dopo. 1 Fortunatamente dal 2008 si è evidenziato un calo lieve ma regolare dell’incidenza di diabete, probabilmente dovuto al taglio netto del consumo di grassi trans e alla riduzione del 25% del consumo di bevande zuccherate. IN BREVE CEREALI OPZIONALI I cereali sono un modo semplice per ottenere gli zuccheri di cui il corpo ha bisogno per produrre energia. Se però non vi piacciono i cereali, non preoccupatevi. Potete cavarvela bene anche se non mangiate frumento, riso e altri cereali. L’organismo può produrre zucchero ematico dalla frutta, dalla verdura, dai legumi e da altri cibi. Anche una dieta povera di carboidrati, come la cosiddetta dieta chetogenica usata nella cura dell’epilessia, può andare bene. Costringe il corpo a bruciare grassi anziché carboidrati. Alcuni soggetti che non riescono a dimagrire con le diete tradizionali si trovano bene con la chetogenica, ma la maggior parte della gente fa fatica a sostenerla a lungo, perché le possibilità di scelta sono molto limitate e, per ragioni ancora non comprese, gli umani, quando non mangiano carboidrati, ne hanno una voglia disperata.

Se decidete di ridurre i carboidrati, quello con cui li sostituite alla lunga farà una grande differenza. I cibi che veicolano proteine e grassi insaturi salutari – come il pesce, la frutta secca e i legumi – avranno effetti benefici sul cuore e su tutto il resto. I cibi che apportano molti grassi saturi – come hamburger, insaccati e altre carni rosse – non ne avranno.

I carboidrati del tipo sbagliato fanno più male che bene Perché una dieta ricca di carboidrati non ci dà i buoni risultati che dà ai cinesi? Innanzitutto perché i cinesi sono sempre stati tipicamente più magri e più attivi degli americani. Peso e attività fisica contano molto: le diete ricche di carboidrati hanno un effetto metabolico diverso sulle persone magre-attive e su quelle sedentarie in sovrappeso. Quindi, seguire una dieta ricca di carboidrati non offre a tutti la stessa protezione dalle cardiopatie, dal cancro e dal diabete. C’è una realtà che i cinesi stanno sperimentando in questo momento storico. Prima del 1980 il diabete colpiva meno dell’1% della popolazione. Oggi ne soffre più del 10%, principalmente a causa dei cambiamenti di stile di vita che hanno accompagnato la rapida crescita economica del Paese. 2 Il problema è più grave a Pechino e in altre aree urbane, perché le auto stanno sostituendo le biciclette, e i lavori sedentari le attività manuali, mentre il consumo di carboidrati resta ugualmente alto. L’altro problema è che abbiamo prestato poca attenzione ai tipi di carboidrati che mangiamo. Nelle culture tradizionali i cereali tendono a essere consumati interi dopo una leggera raffinazione. Gli americani, invece, mangiano soprattutto cereali raffinati. Persino in molti Paesi in via di sviluppo si è passati dal consumo di cereali integrali a quello di cereali raffinati. Questo significa privare il chicco della crusca fibrosa presente sulla superficie esterna, insieme a gran parte dei minerali e delle vitamine. L’amido che resta, impoverito di nutrienti, viene rapidamente digerito e assorbito... con conseguenze dannose. Tra queste, più alti livelli di glucosio, insulina e trigliceridi, e più bassi livelli di colesterolo HDL protettivo. Alla lunga, ciò significa più patologie cardiovascolari e diabete.

Nella Healthy Eating Pyramid i carboidrati raffinati rientrano nella categoria “usare con moderazione”; l’Harvard Healthy Eating Plate sollecita a limitarne l’uso. Farete un grande favore a voi stessi sostituendo i carboidrati raffinati con carboidrati integrali intatti. Il processo digestivo sarà più lento, e questo significa che finirete per assumere meno calorie senza nemmeno pensarci. I carboidrati che derivano da cereali integrali, frutta, verdura e legumi possono coprire gran parte del fabbisogno calorico quotidiano. Per una salute ottimale, preferite cereali come il riso integrale, la quinoa, l’avena integrale, il bulgur e i prodotti derivati da cereali integrali, per esempio il pane di frumento integrale. I cereali intatti – quelli che non sono stati macinati o lavorati in altro modo – sono i migliori. I cereali integrali e intatti non solo contribuiranno a proteggervi da molte patologie croniche, ma estenderanno anche la gamma di gusti, sapori e colori con cui compiacere il palato.

Non solo “semplici” contro “complessi” I carboidrati un tempo si dividevano in due categorie: semplici e complessi. I carboidrati semplici, come lo zucchero, erano i ragazzacci della nutrizione, mentre i complessi, come il pane o il riso, erano i figli perfetti. Si trattava di un’ipersemplificazione grossolana. Non tutti i carboidrati semplici sono cattivi e non tutti i carboidrati complessi sono buoni. In questo capitolo presenterò due sistemi più utili per classificare i carboidrati: sulla base del loro effetto sul livello di zucchero ematico (indice glicemico) e della loro provenienza da cereali raffinati o integrali. I carboidrati semplici sono zuccheri. Tra i carboidrati semplici, i più semplici sono il glucosio (chiamato anche destrosio), il fruttosio (chiamato anche zucchero della frutta) e il galattosio (una parte dello zucchero del latte). Lo zucchero da tavola è il saccarosio, combinazione di una molecola di glucosio e di una di fruttosio. Il latte contiene lattosio, che deriva dall’unione di una molecola di glucosio e una di galattosio. I carboidrati semplici ci danno energia e poco altro. I carboidrati complessi sono più... be’, complessi. In sostanza sono

lunghe catene di zuccheri. Ci sono molti tipi di carboidrati complessi nel nostro cibo. Il principale è l’amido, una lunga catena di molecole di glucosio. L’apparato digerente umano riesce a scomporre rapidamente l’amido e altri carboidrati complessi nei loro zuccheri costituenti. Certi carboidrati complessi, come la fibra, sono piuttosto indigeribili e transitano in larga misura inalterati attraverso lo stomaco e l’intestino. Sebbene la fibra non fornisca al corpo energia o mattoni molecolari, è una componente importante della dieta. Poiché il termine carboidrati complessi include sia l’amido che la fibra, è da ritenersi inutile e potenzialmente fuorviante.

Perché i carboidrati contano Nella dieta americana media, i carboidrati apportano circa metà delle calorie totali. Secondo la National Health and Nutrition Examination Survey, una sbalorditiva metà di queste “calorie da carboidrati” deriva da sole otto fonti: 3 bibite, bevande gassate e bevande alla frutta; torte, panini dolci, dolci fritti e pasticcini; pizza; patatine fritte, chips di mais e pop-corn; riso; pane, panini, pane per hamburger, English muffin e bagel; birra; patate fritte e surgelate. Partendo dai dati NHANES , i miei colleghi e io abbiamo calcolato che circa l’80% dei carboidrati della dieta statunitense derivano da zucchero, amido raffinato o patate. Questo significa che circa il 40% delle nostre calorie totali deriva da zucchero, cereali altamente raffinati facilmente digeribili o amido delle patate, tutte sostanze che vengono rapidamente convertite in glucosio ematico. IN BREVE PATATE E MAIS: AMIDI, NON VERDURE

Per quanto l’USDA dica che patate e mais sono verdure, il corpo le tratta più come il riso bianco e certi cereali rapidamente digeribili (vedi “La patata è una bomba inesplosa” a p. 240). Mangiare altri vegetali invece che patate e mais aiuta a tenere sotto controllo il peso e la salute. Se è vero che il mais è tecnicamente un cereale integrale, è stato così intensamente coltivato e selezionato per il suo alto tenore di amido che non è più lo stesso cibo nutriente che Tisquantum (Squanto) offrì ai Padri Pellegrini che cercavano di sbarcare il lunario in Nordamerica.

Quando mangiate una fetta di pane, una patata o qualche caramella, il corpo scompone i carboidrati digeribili di questi alimenti. L’amido viene convertito in glucosio, rapidamente assorbito dal flusso sanguigno e trasportato nei più remoti angoli del sistema circolatorio. Poiché le molecole di questi zuccheri semplici sono un carburante essenziale per la maggior parte dei tessuti corporei, esistono complessi meccanismi per garantire che il livello di glucosio nel sangue non salga o non scenda eccessivamente. L’innalzamento della glicemia è seguito a ruota dal parallelo innalzamento dell’insulina (vedi fig. 13). Questo ormone, prodotto da speciali cellule del pancreas, guida il glucosio nei muscoli e in altre cellule. Poiché le cellule assorbono glucosio, il livello di zucchero ematico cala, subito seguito dal calo dei livelli di insulina. Quando la glicemia è vicina ai valori minimi, il fegato comincia a rilasciare il glucosio immagazzinato per mantenere costante la riserva. Carboidrati facilmente digeribili

Carboidrati a digestione lenta

Fig. 13 Reazione ai carboidrati facilmente digeribili. Rispetto ai carboidrati a digestione lenta,

i carboidrati facilmente digeribili fanno salire più in fretta e più in alto – e crollare più in basso – i livelli di zucchero ematico e insulina.

Dopo uno spuntino o un pasto carico di carboidrati facilmente digeribili, il livello dello zucchero ematico si impenna. Il conseguente rilascio di insulina lo abbassa, talvolta troppo e troppo in fretta. Se non ci sono altri carboidrati digeribili nello stomaco o nell’intestino, la pancia e il cervello cominciano a inviare segnali di fame per indurvi ad assumere altro cibo, proprio mentre il fegato attiva il rilascio del glucosio immagazzinato. Al contrario, i carboidrati integrali lentamente digeribili riducono questi vertiginosi sbalzi di glucosio e insulina. Poiché l’apparato digerente ha bisogno di più tempo per scomporre i cereali integrali in molecole di zucchero, i livelli di glucosio e insulina salgono più lentamente e raggiungono altezze minori. Un processo più prolungato posticipa anche il ritorno della sensazione di fame.

Il problema dell’insulino-resistenza In un numero sempre crescente di soggetti, i tessuti corporei non rispondono come dovrebbero all’insulina. Piuttosto, resistono ai suoi segnali di “aprire la porta agli zuccheri”. Questa resistenza all’insulina mantiene alto il livello della glicemia per periodi più prolungati e obbliga il pancreas a produrre altra insulina per spingere il glucosio nelle cellule. Come una pompa che lavora troppo e non riceve adeguata manutenzione, le cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina possono logorarsi e alla fine smettere di rilasciarne una quantità sufficiente a tenere sotto controllo la glicemia. L’insulino-resistenza e il deficit di secrezione di insulina sono i primi segni del diabete di tipo 2, che un tempo si definiva diabete mellito non-insulino-dipendente o diabete dell’adulto. LA COLPA NON È DELLO SCIROPPO DI MAIS Tra i molti cambiamenti drastici nella dieta americana degli ultimi cinquant’anni, c’è il sistema con cui abbiamo cominciato a soddisfare la voglia di zucchero. Fino agli anni Settanta ci affidavamo quasi esclusivamente al saccarosio (zucchero da tavola), derivato da canna e barbabietola da zucchero, con un po’ di miele, sciroppo d’acero e

melassa per dare varietà. Oggi, più della metà del nostro zucchero deriva dal mais, in gran parte sotto forma di sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio. Si trova dappertutto, dalle bibite zuccherate al ketchup, fino agli alimenti per bambini. Perché questo cambiamento? Lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio è un po’ più dolce del saccarosio, si scioglie più facilmente nelle bevande e costa qualche centesimo al chilo in meno del saccarosio. Lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio è stato dipinto come uno dei colpevoli dell’epidemia di obesità per una ragione: la forte crescita del suo utilizzo è pressoché parallela alla traiettoria dei tassi di obesità. Il corpo metabolizza il fruttosio in maniera diversa dal glucosio. Lo zucchero da tavola contiene glucosio e fruttosio in uguale proporzione (il 50% di entrambi), dato che il saccarosio è il prodotto di una molecola di glucosio unita a una molecola di fruttosio. Lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio è glucosio puro mescolato con fruttosio puro in proporzioni quasi uguali (55% di fruttosio e 45% di glucosio). Quindi lo zucchero da tavola e i dolcificanti a base di mais hanno più o meno lo stesso impatto fisiologico sul glucosio, sull’insulina e sul metabolismo. Alcuni sostengono di essere dimagriti eliminando lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio dalla dieta. Potrebbe essere, ma forse la causa del dimagrimento non è l’eliminazione dei dolcificanti a base di mais. Quello che probabilmente accade è che, eliminando i dolcificanti a base di mais, si riduce l’apporto di zuccheri aggiunti e, pertanto, di calorie. A oggi, lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio non appare come una sciagura alimentare più grave di qualsiasi altro tipo di zucchero aggiunto. Quindi rinunciare a una bibita edulcorata con sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio per berne una che contiene “zucchero naturale” non sarà un toccasana per la salute. Quello che conta è ridurre il consumo di tutti gli zuccheri aggiunti. L’OMS raccomanda di mantenere gli zuccheri aggiunti sotto il 10% delle calorie giornaliere (più o meno 12 cucchiaini da tè o 50 g) e afferma che ricavare da essi meno del 5% delle calorie “darebbe ulteriori benefici”. 4 Per aiutarci a tenere sotto controllo la situazione, la FDA oggi impone alle aziende produttrici di dichiarare gli zuccheri aggiunti sull’etichetta dei valori nutrizionali. Potrebbe sorprendervi sapere quanti ce ne sono nei vostri cibi preferiti.

Parecchi fattori contribuiscono all’insulino-resistenza. Eccone alcuni.

L’obesità è in cima alla lista. Più il corpo supera il peso salutare (vedi a p. 56), più ha difficoltà a gestire il glucosio. L’inattività viene subito dopo. Meno esercizio fisico si fa, più si riduce la massa muscolare rispetto alla massa grassa, anche se il peso è perfettamente adeguato. Le cellule di grasso non riescono a gestire il glucosio con la stessa efficienza delle cellule muscolari, specialmente di quelle che appartengono a muscoli regolarmente allenati. Meno muscoli avete, più è difficile liberare il flusso ematico dal glucosio. Esercitare i muscoli quotidianamente migliora la capacità di rimuovere il glucosio dal sangue, anche nei momenti in cui riposate o dormite. I grassi alimentari giocano un ruolo modesto nell’insulinoresistenza; nello specifico, la resistenza viene aumentata da un basso apporto di grassi polinsaturi e da un alto apporto di grassi trans. I geni fanno la loro parte. L’insulino-resistenza è più comune tra gli americani nativi, gli isolani del Pacifico e la popolazione di origine asiatica di quanto non sia tra gli individui di origine europea. Tuttavia, come tutti gli altri, chi ha una predisposizione genetica all’insulino-resistenza può sconfiggere la malattia evitando di ingrassare, facendo attività fisica e seguendo una dieta corretta. L’insulino-resistenza non è solo un problema di glicemia. È correlata a una serie di altre condizioni patologiche, tra cui ipertensione, trigliceridi alti, basso livello di colesterolo HDL protettivo, cardiopatia e forse alcune forme di tumore.

Le diete ricche di carboidrati fanno particolarmente male alle persone in sovrappeso Le persone in sovrappeso che seguono una dieta ricca di carboidrati sono in una posizione più critica di quelle magre. Il Nurses’ Health Study, per esempio, ha evidenziato che la correlazione tra il consumo di molti carboidrati facilmente digeribili e l’accresciuta

probabilità di infarto è più forte in assoluto tra le donne in sovrappeso. Per di più, gli esperimenti in cui i volontari sono stati invitati a seguire una dieta ricca di carboidrati e povera di grassi hanno evidenziato alterazioni non salutari dei livelli di HDL e di trigliceridi, per non parlare dell’aumento dei livelli di glicemia e insulina. 5 Questi cambiamenti sfavorevoli si sono manifestati al massimo grado tra le persone in sovrappeso. In parole povere, un regime ipolipidico ricco di carboidrati potrebbe essere una pessima strategia alimentare per i soggetti in sovrappeso e non fisicamente attivi. Se la caveranno meglio con una dieta che include meno carboidrati raffinati, più cereali integrali e intatti, più proteine sane e grassi buoni. Che siate o no in sovrappeso, il passaggio dai cereali raffinati a quelli integrali vi farà bene, perché vi assicurerà un maggior apporto di micronutrienti.

L’indice glicemico: l’effetto dei carboidrati sugli zuccheri nel corpo Certi alimenti ricchi di carboidrati fanno impennare la glicemia in un lampo. Altri cedono i propri zuccheri più lentamente, agendo come le pastiglie per il raffreddore a rilascio prolungato di cui forse avrete visto la pubblicità in TV . Non molto tempo fa la regola generale voleva che gli zuccheri innescassero rapidi aumenti di glucosio ematico e insulina, e che invece i carboidrati complessi producessero reazioni più lente e graduali. Ma il nutrizionista David Jenkins e i suoi colleghi dell’università di Toronto rovesciarono questa interpretazione classica verificando sistematicamente l’impatto di diversi tipi di cibo sui livelli di zucchero ematico (vedi “Misurare l’indice glicemico e il carico glicemico” a p. 170). La classificazione dei carboidrati che ottennero, chiamata indice glicemico (IG ) contraddice la teoria che i carboidrati complessi siano “buoni” e quelli semplici “cattivi”. 6 Più alto è l’indice glicemico degli alimenti, più in fretta e più pesantemente essi influenzano i livelli di glicemia e di insulina. Il valore di riferimento è

quello del glucosio puro – l’essenza dello zucchero ematico che è stato rapidamente digerito – a cui è assegnato il punteggio di 100. Su questa scala, tutti gli alimenti con valore inferiore a 55 sono considerati a basso indice glicemico. Alcuni piazzamenti in classifica sono prevedibili. La mela ha un indice glicemico di 38. Il porridge alla vecchia maniera (non istantaneo) ce l’ha di 58. Le caramelle gommose hanno un indice glicemico di 78. Altri piazzamenti ci stupiscono. I cornflakes, sicuramente carboidrati complessi, superano il punteggio di 80, il gelato e la barretta di Snickers – che molti assegnerebbero alla categoria dei carboidrati semplici – hanno un indice glicemico più basso del pane bianco, un classico carboidrato complesso. Forse a sorpresa, il pane integrale può avere lo stesso indice glicemico del pane bianco se la farina è finemente macinata. Tuttavia il maggior contenuto di fibre e altri nutrienti lo distingue come scelta più salutare. I cibi a elevato indice glicemico assicurano una pronta carica di energia aumentando rapidamente i livelli di glucosio ematico. (È una delle ragioni per cui le persone che fanno uso di insulina per curare il diabete sono invitate a portare con sé delle pastiglie di glucosio quando viaggiano o fanno attività fisica). Però questi cibi favoriscono anche cali ugualmente rapidi della glicemia, che possono innescare precocemente la sensazione di fame. Per contro, il rilascio più costante e prolungato di glucosio dei cibi a basso indice glicemico riesce a tenere a bada la fame per tempi più lunghi. Oggi esistono anche prove precise che consumare cibi a basso indice glicemico contribuisca a prevenire il diabete (vedi “I cereali integrali proteggono dal diabete” a p. 174). IN BREVE CONFRONTO TRA CARBOIDRATI, GRASSI E PROTEINE I cereali integrali e altri alimenti ricchi di carboidrati con un basso indice glicemico fanno meglio alla salute dei carboidrati raffinati. Messi a confronto con i grassi insaturi e le proteine, però, tutti i cibi ricchi di carboidrati, indipendentemente dal loro indice glicemico, alzano il livello dei trigliceridi e della pressione e abbassano il livelli di colesterolo HDL protettivo. 7 Sostituire i cereali raffinati con i cereali integrali è una

mossa intelligente. Sostituirne una parte con grassi insaturi o proteine potrebbe essere anche meglio. ALIMENTI IPOGLICEMICI E PREVENZIONE DEL DIABETE: LE PROVE FONDAMENTALI Nel tempo, la glicemia alta e una forte richiesta di insulina danneggiano le cellule pancreatiche – secretrici di insulina – e creano le condizioni per l’insorgenza del diabete di tipo 2. È una buona ragione per sospettare che le diete ad alto indice glicemico incrementino il rischio di questa patologia. E ci sono le prove: con ampi studi di coorte, il mio team di ricerca e altri studiosi hanno scoperto che chi segue un regime ad alto indice glicemico ha un maggior rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Questo è confermato da un’aggiornata analisi dei dati provenienti dal Nurses’ Health Study e dall’Health Professionals Follow-up Study. 8 Tra oltre 175.000 donne e uomini seguiti per un periodo di ventiquattro anni, 15.027 hanno sviluppato il diabete di tipo 2. In tutte e tre le coorti, i soggetti che seguivano la dieta con l’indice glicemico più alto hanno manifestato, rispetto a coloro che seguivano la dieta con l’indice glicemico più basso, una probabilità superiore del 33% di sviluppare il diabete. 9 Un ampio studio su un farmaco, non su una dieta, aggiunge ciò che io ritengo la prova conclusiva dell’esistenza di una relazione causa-effetto tra indice glicemico e insorgenza del diabete. Il farmaco, noto con il nome acarbosio si usa da tempo per trattare il diabete. Inibisce specificamente la capacità dell’organismo di scindere le molecole di amido in molecole di glucosio. In sostanza, riduce l’impatto glicemico di un cibo senza intaccarne il contenuto di fibre o micronutrienti. In un grande studio randomizzato che metteva a confronto l’acarbosio con un placebo, i soggetti che assumevano il farmaco hanno evidenziato un rischio di diabete inferiore del 25% e anche un’analoga riduzione del rischio di patologie cardiovascolari e ipertensione. 10 VALORI DI INDICE GLICEMICO E CARICO GLICEMICO DI ALIMENTI COMUNI (RELATIVI AL GLUCOSIO) Indice glicemico e carico glicemico danno informazioni sull’impatto che un cibo produce sullo zucchero ematico e sull’insulina. Più basso è l’indice glicemico o il carico glicemico, meno il cibo influisce sui livelli di zucchero ematico e di insulina. Un indice glicemico inferiore a 55 e un carico glicemico inferiore a 10 sono considerati bassi. Alimenti

Porzione

All-Bran Banana (1, matura)

1/2 tazza media

Indice glicem. Carboidrati Carico (%) (g) glicem. a 42 21 8 51 25 13

Caramelle gommose Carote Cheerios Coca-Cola English muffin Corn flakes Gelato Latte scremato Marmellata di fragola Mela Pancake (2) Pane bianco (pane a cassetta) Pane di frumento integrale Pasta Porridge Purè di patate Riso bianco Snickers (1 barretta) Succo di mirtillo Succo d’arancia Zucchero da tavola

28 g 1/2 tazza 1 tazza 350 ml 1 tartina 1 tazza 120 ml 240 ml 1 cucchiaio 1, media 15 cm diametro 1 fetta

78 47 74 63 77 81 61 32 51 38 83 70

28 6 20 39 11 48 13 13 20 15 56 14

22 3 15 25 8 38 8 4 10 6 46 10

1 fetta

71

13

9

1 tazza 1 tazza 1 tazza 140 g 56 g 240 ml 240 ml 1 cucchiaino

42 58 74 64 68 68 52 68

47 22 20 36 32 36 23 10

20 13 15 23 22 24 12 7

Fonte: Foster-Powell K., Holt S.H. and Brand-Miller J.C., International Tables of Glycemic Index and Glycemic-Load-Values in “American Journal of Clinical Nutrition”, 62, 2002, pp. 5–56. L’intero elenco è disponibile gratuitamente all’indirizzo http://ajcn.nutrition.org/content/76/1/5.full. L’università di Sydney (Australia) mette a disposizione un database per il calcolo dell’indice glicemico e del carico glicemico sul sito www.glycemicindex.com

Carico glicemico: anche la quantità dei carboidrati conta Pur essendo un’informazione importante, l’indice glicemico di un alimento racconta solo una parte della storia. L’effetto complessivo di un cibo sui livelli di glucosio e di insulina dipende sia dall’indice glicemico che dall’apporto di carboidrati (proteine e grassi hanno effetti più lievi sulla glicemia). Per questa ragione, io e i miei colleghi abbiamo sviluppato il

concetto di “carico glicemico”. È la quantità di carboidrati di un cibo moltiplicata per il suo indice glicemico. Come per l’indice glicemico, più bassi sono i numeri meglio è. Le scelte buone comprendono i cibi con un carico glicemico per porzione uguale o inferiore a 10, come legumi, frutta e verdura ricche di fibre, edamame (semi di soia ancora nel baccello) e derivati della soia. Le scelte moderate, come farina d’avena, patate dolci e certi cracker integrali, hanno un carico compreso tra 11 e 19. Le opzioni ad alto carico glicemico, cioè pari o superiore a 20, comprendono bevande zuccherate e succo di frutta, riso bianco, patate fritte e arrosto, e pizza. Il carico glicemico rispecchia l’effetto di un alimento sulla biochimica del corpo meglio di quanto possano fare singolarmente la quantità di carboidrati o l’indice glicemico. Questo è importante: molti libri di diete popolari sconsigliano di mangiare carote perché si è scoperto che hanno un indice glicemico alto. Anche se è così, le carote sono composte soprattutto di acqua, con una minima quantità di carboidrati. Nel computo finale è importante considerare gli altri nutrienti del cibo. Per esempio, il carico glicemico della maggior parte del pane integrale in commercio è solo leggermente più basso di quello del pane bianco, perché l’amido è finemente polverizzato in entrambi i prodotti. Però il pane integrale è una scelta migliore, perché veicola fibre e altri nutrienti di cui il pane bianco è privo. La scelta ottimale sarebbe il pane integrale fatto con cereali macinati grossolanamente, perché avrebbe un indice glicemico più basso. Se l’indice glicemico e il carico glicemico sono strumenti utili per decidere che cosa mangiare, non costruite tutta la vostra dieta attorno a loro. Alcuni alimenti ricchi di carboidrati veicolano ben più che semplice zucchero per il sangue. La frutta e la verdura apportano fibre, vitamine, minerali e molti composti fitochimici attivi. Lo stesso vale per i cereali interi o poco lavorati. Un carico glicemico più elevato potrebbe essere la discriminante che aiuta a decidere tra varie opzioni. Nella scelta di uno spuntino o di un pasto, è probabile che i cibi con un basso carico glicemico siano più salutari per il cuore e per le cellule secretrici di insulina.

Fig. 14 Il pericolo combinato di un regime ad alto carico glicemico con poche fibre. Nel Nurses’ Health Study, le donne che seguivano una dieta ad alto carico glicemico e povera di fibre derivate da cereali manifestavano una probabilità doppia di sviluppare il diabete.

Che cosa determina l’indice glicemico e il carico glicemico di un cibo? Una tendenza generale osservabile sulla tabella dell’indice glicemico è che i prodotti derivati da cereali raffinati – per esempio il pane bianco, i bagel e i cracker – hanno un effetto più rapido e intenso sulla glicemia. Quelli meno raffinati, come il pane integrale fatto con farine macinate grossolanamente, il porridge e il riso integrale, hanno valori più bassi, come anche i legumi, la verdura e la frutta. Diversi fattori determinano la rapidità con cui vengono scomposti i carboidrati di un particolare cibo e il conseguente assorbimento del glucosio nel flusso sanguigno: quanto si gonfiano (gelatinizzazione) gli amidi dei cereali. Gli amidi dei cereali rigonfiati al massimo grado dalla presenza di acqua o calore, come quelli di una patata lessa o arrosto, sono più facilmente digeribili di quelli relativamente non gelatinizzati che si trovano nel riso integrale;

quante lavorazioni ha subito il cibo. Macinare il frumento riducendolo in farina finissima aumenta drasticamente il tasso di attacco degli enzimi digestivi. Non solo la farina presenta una maggior superficie di attacco rispetto ai cereali macinati grossolanamente, ma è anche stata privata del rivestimento esterno fibroso, protettivo e poco digeribile, che impedisce temporaneamente agli enzimi di digerire l’amido contenuto all’interno. Il porridge comune, fatto con chicchi d’avena schiacciati e ridotti in fiocchi, ha un indice glicemico più alto dell’avena intatta o spezzata (venduta come steel-cut oat). Il porridge istantaneo ha un indice glicemico ancora superiore; quante fibre contiene. Passando attraverso l’intestino, la fibra indigeribile porta con sé cibo parzialmente digerito, riparandolo dalla digestione immediata. Questo rallenta il rilascio di glucosio nel sangue; quanti grassi contiene. I grassi tendono a dilatare il tempo di transito del cibo dallo stomaco all’intestino. Quindi un alimento che contiene grassi può attenuare l’aumento della glicemia; MISURARE L’INDICE GLICEMICO E IL CARICO GLICEMICO Costruire la biblioteca dei valori di indice glicemico per ogni alimento è stato un lavoro relativamente lento e faticoso. Il motivo è che ogni cibo doveva essere testato su un certo numero di volontari e ogni volontario doveva essere testato più volte. Le fasi erano sempre le stesse. Un volontario sano passa la notte a digiuno. La mattina dopo beve un bicchiere d’acqua in cui sono stati sciolti 50 g di glucosio (o, in alternativa, mangia 50 g di pane bianco). Nelle due ore successive gli vengono prelevati campioni di sangue a intervalli di tempo regolare per misurare l’aumento e il calo della concentrazione di zucchero nel sangue. Un altro giorno lo stesso volontario consuma uno dei cibi da testare – patate cotte, pane integrale, kiwi, gelato e così via – in quantità equivalente a 50 g di carboidrati e si sottopone a identici prelievi del sangue nelle due ore successive. L’indice glicemico di quel cibo su quell’individuo viene calcolato dividendo la sua risposta glicemica al cibo in esame per la sua reazione glicemica al glucosio puro o al pane bianco. Le cifre nelle tabelle, quindi, rappresentano delle percentuali. Per esempio, i fagioli neri hanno un indice glicemico di 30. Significa che hanno fatto salire la concentrazione di zucchero nel sangue di un

valore pari al 30% dell’elevazione prodotta dal glucosio puro. Poiché tutti elaborano il cibo e rispondono al glucosio con modalità leggermente diverse, l’indice glicemico che vedete nelle tabelle è di solito il frutto di una media su 8-10 volontari. Con l’indice glicemico di un alimento in mano, calcolare il carico glicemico è facile. Bisogna moltiplicare l’indice glicemico per la quantità di carboidrati realmente consumata. Un quarto di melone, quindi, con indice glicemico di 65 e 5,6 g di carboidrati, avrebbe un carico glicemico di circa 3,7 (65% per 5,6). Una porzione di purè, con indice glicemico di 74 e 20 g di carboidrati, avrebbe un carico glicemico di 15.

che cos’altro si consuma nel pasto. Un condimento acido, come l’aceto o il succo di limone, può rallentare la conversione dell’amido in zucchero, come fanno gli oli e i grassi. Questo significa che l’indice glicemico complessivo di un pasto è influenzato dalla combinazione degli alimenti. Detto questo, mangiare un cibo a basso piuttosto che ad alto indice glicemico ridurrà l’impatto complessivo del pasto sulla glicemia.

Cereali intatti, cereali integrali e cereali raffinati Per descrivere i cereali si usano vari termini. Ecco le mie parole chiave. I cereali intatti sono quelli poco o per nulla lavorati. Sono più o meno nelle condizioni in cui vengono raccolti. I cereali integrali comprendono sia i cereali intatti che quelli lavorati – macinati, triturati, cotti a vapore o simili – senza che nessuna sostanza venga rimossa. (Se non siete pratici di cereali intatti e integrali, consultate l’“Elenco dei cereali integrali o intatti” a p. 388). Secondo il dizionario Webster, “raffinato” significa “privo di impurità”. È certamente una definizione applicabile ai cereali raffinati. Sfortunatamente, le impurità rimosse per mezzo della raffinazione comprendono fibre, vitamine, minerali e una schiera di altri benefici micronutrienti e composti fitochimici. Per esempio, il frumento o grano è un gigantesco parente dell’erba che cresce nei campi e nei parchi di tutta l’America. Lo stelo cavo

sostiene un’infruttescenza colma di singoli chicchi. I nostri antenati spesso li usavano allo stato originario e ancora oggi molti usano il grano in chicchi per varie ricette o nel porridge della colazione. Tuttavia, la maggior parte del grano ormai viene lavorata e raffinata. Per prima cosa, la macinazione rompe i chicchi. La parte interna, amidacea e ricca di carboidrati, chiamata endosperma, viene separata sia dalla crusca scura e fibrosa che dall’embrione, chiamato germe di grano. L’endosperma viene poi polverizzato nei laminatoi a rulli per produrre una farina bianca e fine come cipria. Se il frumento viene macinato senza rimuovere la crusca e il germe di grano, tecnicamente si tratta di cereali integrali, dal momento che tutte le parti originali sono ancora presenti. Ma non è più un cereale intatto.

Fig. 15 L’impoverimento del grano. Quando i cereali integrali vengono raffinati scompaiono nutrienti importanti. Come mostra questo elenco di tredici elementi, le perdite possono essere drastiche. La farina bianca raffinata, per esempio, conserva a malapena il 4% della vitamina E presente nella farina integrale.

In ogni fase del processo si perde qualcosa. Togliere il germe di grano sottrae grassi insaturi e vitamine liposolubili. Eliminare lo strato esterno di crusca sottrae fibre, magnesio e altre vitamine. Una volta trasformato il frumento in farina bianca, il prodotto finito è, dal punto di vista letterale e nutrizionale, una pallida ombra dell’alimento originale (vedi fig. 15 a p. 172). Se i cereali intatti sono così salutari, perché abbiamo smesso di mangiarli e siamo passati ai cereali altamente raffinati? In parte è una questione di percezione. Quando diventò possibile raffinare il frumento, la farina bianca fu pubblicizzata come più pura di quella integrale. All’inizio era una novità riservata alle classi abbienti. Il pane e i dolci di farina bianca erano più leggeri e soffici dei loro cugini integrali. Con il tempo, comprare farina bianca è diventato un simbolo di ascesa sociale. Il passaggio è stato anche incentivato da esigenze di magazzino: la farina bianca è quasi priva degli oli che si trovano nella farina integrale, e si mantiene più a lungo. Le farine integrali devono essere usate in tempi più rapidi e/o refrigerate. CEREALI INTEGRALI E CONTROLLO DEL PESO L’effetto più tenue e lento dei cereali integrali sulla glicemia e sull’insulina e il senso di pienezza dovuto al più elevato apporto di fibre si traducono in un miglior controllo del peso. I miei colleghi e io abbiamo studiato gli effetti dei cereali integrali in tre studi di coorte a lungo termine su quasi 173.000 partecipanti di entrambi i sessi. Coloro che consumavano diverse porzioni di cereali integrali al giorno hanno dimostrato, nel corso dei ventiquattro anni di follow-up, meno probabilità di ingrassare, o sono ingrassati

meno,

di

coloro

che

mangiavano

raramente

cereali

integrali. 11

Contribuendo a mantenere più a lungo il senso di sazietà dopo un pasto o uno spuntino, i cereali integrali possono aiutare a mangiare di meno.

Negli ultimi quarant’anni, i miei colleghi e io abbiamo studiato gli effetti sulla salute dei cibi prodotti con farina raffinata o integrale, con il contributo di oltre 200.000 donne e uomini che hanno partecipato con grande scrupolo al primo e secondo studio sulla salute delle

infermiere e a quello di follow-up sui professionisti sanitari. Il risultato di questo lavoro è convincente: mangiare cereali integrali e cibi derivati ha un impatto più positivo sulla salute a lungo termine e offre maggiore protezione contro molte patologie croniche rispetto a una dieta ricca di carboidrati raffinati e patate. Altre ricerche nel mondo sono giunte alle stesse conclusioni.

I cereali integrali proteggono dal diabete I violenti sbalzi della glicemia e il mancato apporto di fibre contenute nella crusca non hanno come unico effetto quello di accelerare il ritorno della sensazione di fame dopo un pasto o uno spuntino. Possono influenzare anche l’insorgenza del diabete. Nel Nurses’ Health Study e nell’Health Professionals Follow-up Study i miei colleghi e io abbiamo preso in esame tutti i partecipanti non affetti da diabete nel momento in cui furono raccolti i primi dati alimentari negli anni Ottanta. In oltre vent’anni di follow-up, più di 15.000 partecipanti hanno sviluppato il diabete di tipo 2. Tra coloro che seguivano i regimi a più alto indice glicemico, la probabilità di sviluppare il diabete si è rivelata del 33% superiore di quanto non fosse tra coloro che seguivano diete a basso indice glicemico. 12 Chi seguiva un regime caratterizzato da un alto indice glicemico e un basso apporto di fibre aveva una probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2 del 60% più alta. In questi studi, mangiare cereali ricchi di fibre a colazione è parso correlato a una riduzione del rischio di diabete, mentre le bibite, il pane bianco, il riso bianco, le patate fritte e le patate variamente cucinate sono stati tutti associati a un aumento del rischio di diabete. Sviluppare sane abitudini alimentari prima possibile, idealmente durante l’infanzia, è la scelta migliore per la salute a lungo termine. La buona notizia sulla prevenzione del diabete è che, indipendentemente da quanti anni avete ora, se siete riusciti a evitare il diabete fin qui, adottando una dieta sana e un programma di attività fisica oggi, ridurrete il rischio già da domani. Il ritorno sull’investimento è incredibilmente immediato. Seguiranno altri benefici, come un ridotto

rischio di cardiopatie e di cancro, ma potrebbero volerci anni perché si rendano manifesti.

I cereali integrali comportano meno cardiopatie I cereali raffinati pongono altri problemi, oltre al diabete. Sono anche correlati alle cardiopatie e all’ictus. Nel Nurses’ Health Study le donne che consumavano più cereali intatti (una media di 2,5 porzioni al giorno) avevano, rispetto a quelle che ne consumavano meno (circa una porzione alla settimana), il 30% di probabilità in meno di sviluppare una cardiopatia. 13 I cereali integrali che assumevano erano costituiti per la maggior parte da cereali da colazione, riso e pane. Abbiamo stimato che una porzione di cereali da colazione contenente circa 5 g di fibre riduce la probabilità di sviluppare una cardiopatia di circa un terzo rispetto a una colazione senza fibre. L’apparente beneficio era più sensibile tra le donne in sovrappeso che non tra le donne magre. Tali effetti positivi sono stati osservati coerentemente in altri studi a lungo termine sulle cardiopatie. Le revisioni sistematiche e le meta-analisi di studi di coorte a lungo termine hanno messo in correlazione le diete ad alto indice glicemico e alto carico glicemico con un accresciuto rischio di infarto, ictus e morti per eventi cardiaci. 14

I cereali integrali migliorano anche la salute del tratto gastrointestinale Negli Stati Uniti, la stipsi è il primo disturbo gastrointestinale. Interessa oltre 60 milioni di americani e comporta più di 4 milioni di visite mediche e 750.000 accessi al pronto soccorso ogni anno. 15 Spendiamo più di un miliardo di dollari all’anno in lassativi. Ma, c’è un rimedio alimentare a questo problema: il cibo ricco di fibre. Mantenendo le feci morbide e corpose, le fibre dei cereali intatti aiutano a prevenire questo fastidioso problema. Due altre comuni patologie del tratto gastrointestinale sono la diverticolosi, cioè la presenza di piccole estroflessioni cave facilmente

irritabili all’interno del colon, e la diverticolite, l’infiammazione spesso dolorosa di queste piccole borse. Le fibre derivate dai cereali, come anche quelle della frutta e della verdura, rendono più voluminose le feci e le ammorbidiscono. Queste due azioni combinate riducono la pressione sul tratto intestinale e aiutano a prevenire la malattia diverticolare.

Effetti incerti sul cancro In una prima fase, molti studi suggerirono che l’elevato consumo di fibre riducesse la probabilità di sviluppare tumori della bocca, dello stomaco, del colon, della cistifellea e dell’ovaio, ma gli studi più ampi condotti in seguito non hanno sempre corroborato questa teoria. L’analisi dello studio sulla salute delle infermiere e di quello di follow-up sui professionisti sanitari e di una selezione mondiale di ampi studi di coorte ha evidenziato che gli uomini e le donne che consumano più fibre non manifestano un rischio ridotto di cancro del colon retto. 16 Il tempismo, però, potrebbe essere importante. Tra le donne di mezza età partecipanti al Nurses’ Health Study non abbiamo riscontrato alcuna relazione tra l’apporto di fibre e il rischio di cancro al seno. Nel secondo studio sulla salute delle infermiere, progettato per esaminare l’alimentazione in età più giovane, abbiamo scoperto che un più elevato apporto di fibre durante l’adolescenza era predittivo di un minor rischio di cancro mammario nelle età successive. 17 Anche se gli alimenti ricchi di fibre derivati da cereali integrali non hanno effetto sul cancro, il loro impatto sulle patologie coronariche e sul diabete è una ragione sufficiente per consumare cereali di questo tipo invece dei loro omologhi impoveriti.

Che cosa rende migliori i cereali integrali e intatti? Potrebbe essere quasi impossibile isolare l’ingrediente o gli ingredienti dei cereali integrali che riducono i rischi di cardiopatie e

diabete. Tuttavia sono stati identificati pochi contendenti. La fibra dei cereali integrali rallenta l’assorbimento del glucosio nel flusso sanguigno e riduce il carico di lavoro delle cellule pancreatiche secretrici di insulina. Le fibre aiutano anche a ridurre i livelli di colesterolo ematico. Potrebbero anche migliorare l’azione di alcuni anticoagulanti naturali del corpo e contribuire a prevenire la formazione di trombi, responsabili di infarti e ictus. Gli antiossidanti dei cereali integrali, come la vitamina E , impediscono che i lipidi a bassa densità contenenti colesterolo reagiscano con l’ossigeno, un passaggio cruciale che precorre la formazione delle placche lipidiche ostruttive. I fitoestrogeni, o estrogeni vegetali, possono proteggere da alcune forme di cancro. Lo strato esterno di crusca di molti cereali contiene minerali essenziali come il magnesio, il selenio, il rame e il manganese, che possono giocare un ruolo importante nella riduzione del rischio di coronaropatie e diabete.

Separare il grano dal loglio Che cosa sono esattamente i prodotti derivati da cereali integrali? Non dovrebbe essere una domanda trabocchetto, invece lo è. Una parte del problema è la scarsa conoscenza del cibo che mangiamo. L’altra parte è l’avidità delle aziende alimentari, che, ansiose di promuovere gli effetti salutari dei loro prodotti per venderne di più, sono saltate sul carro delle fibre e dei cereali integrali e non ne sono più scese. Facendo un giro nelle corsie del vostro supermercato preferito capirete che cosa intendo. Certe scelte sono facili. Il riso integrale è un cereale integrale, il riso bianco no. Nella maggior parte dei casi, però, bisogna essere compratori avveduti per distinguere i cereali integrali da quelli raffinati. Dovete leggere le etichette dei cibi con l’occhio esperto di un critico alimentare, attenti alle sottili sfumature che rivelano la differenza tra i cereali integrali e quelli raffinati. Se, secondo l’etichetta, un prodotto è fatto “con farina di frumento”, potrebbe essere integrale, oppure potrebbe essere uno specchietto per le allodole ed essere fatto con farina di frumento completamente

raffinata. La più liscia e raffinata farina per torte è fatta “con farina di frumento”. I prodotti autenticamente integrali dovrebbero riportare come principale ingrediente in etichetta il frumento integrale, l’avena integrale, la segale integrale o altri cereali integrali. Per essere al 100% integrale, non dovrebbero essere presenti in etichetta cereali di altro tipo. In questo, la FDA non è stata d’aiuto: un prodotto può essere etichettato come integrale se il 51% dei cereali che contiene è integrale; il resto può essere amido raffinato. La crusca e il germe di grano non sono tecnicamente cereali integrali. La crusca è priva del germe, ricco di vitamine e oli, mentre il germe è privo della crusca, ricca di fibre. A entrambi manca l’endosperma amidaceo. Se la vostra dieta comprende molti cereali raffinati, aggiungere crusca e germe di grano ha senso. Tuttavia questa strategia non assicura tutti i benefici del mangiare cereali intatti, come per esempio l’effetto scudo che rallenta l’assorbimento dell’amido contenuto nel chicco. DICITURE LOW-CARB Quando la dieta Atkins conquistò il Paese, l’industria alimentare e gli imprenditori si affrettarono a introdurre nuovi prodotti. Ancora oggi potete comprare pane, bagel, cereali, pasta, gelato, cioccolato e birra a basso contenuto di carboidrati, o low-carb. Libri, riviste e fonti online danno consigli su come seguire uno stile di vita low-carb. Si può persino fare una crociera low-carb! Anche se questo mercato toccò l’apice nel primo decennio del Duemila, gli americani continuano a spendere milioni di dollari l’anno in prodotti che riportano la dicitura “low-carb”. E senza la benedizione della FDA , che non è stata entusiasta di autorizzare le aziende ad apporre queste dicitura sulle etichette dei cibi, dal momento che non è precisamente definita. Questo non ha fermato gli astuti professionisti del marketing, che hanno bypassato l’ostacolo ricorrendo a diciture alternative, come carb smart, carb friendly e net carb. Alcuni cosiddetti alimenti low-carb sono gli stessi che mangiamo da anni e contengono pochi carboidrati per natura: per esempio i condimenti per l’insalata e il burro di arachidi, presentati però con nuove etichette. Altri sono stati costruiti o riformulati in laboratorio per veicolare meno carboidrati digeribili. Le aziende lo fanno in vari modi. Possono sostituire la farina raffinata con fibre e proteine della soia o con farina di soia povera di carboidrati e ricca di proteine; possono sostituire lo zucchero

con alcol dello zucchero meno digeribili, come il sorbitolo; oppure aggiungere più grassi. Queste modifiche non sono necessariamente dannose, ma possono essere fuorvianti. Molti consumatori erroneamente equiparano low-carb a ipocalorico. In realtà, molti prodotti low-carb contengono esattamente le stesse calorie dei loro omologhi a normale contenuto di carboidrati, a volte di più. E hanno anche un costo maggiore: seguire una dieta low-carb può quasi raddoppiare la spesa per il cibo. Pertanto è il caso di chiedersi se la qualità nutrizionale di questi prodotti valga i soldi che si sborsano.

L’Healthy Eating Pyramid e l’Harvard Healthy Eating Plate sottolineano l’importanza di includere cereali integrali nella dieta quotidiana. RAPPORTO CARBOIDRATI-FIBRA Nonostante

l’espressione

“cereali

integrali”

sia

diventato

un

mantra

dell’alimentazione sana, non tutto ciò che porta questa etichetta merita di essere mangiato. La Kellog’s, per esempio, può pubblicizzare gli zuccherosi Froot Loops come un alimento integrale. Per trovare cibi veramente integrali e salutari, le Dietary Guidelines for Americans raccomandano di orientarsi su prodotti che riportino la parola “integrale” accanto a ogni cereale elencato in etichetta, e che non contengano – o contengano pochi – zuccheri aggiunti. Con i loro 10 g di zuccheri aggiunti e la farina d’avena integrale come quarto ingrediente, i Froot Loops certamente non si qualificano come un autentico alimento integrale. Potete anche cercare il marchio Whole Grain (cereale integrale) del Whole Grain Council, che un’azienda è autorizzata ad apporre sulla confezione di un prodotto se questo contiene 8 g di cereali integrali per porzione. Oppure c’è un’altra maniera: assicuratevi che un alimento integrale contenga almeno 1 g di fibre ogni 10 g di carboidrati (1 ogni 5 è anche meglio). 18 Perché 1:10? Perché è grosso modo questa la proporzione tra fibre e carboidrati di un autentico cereale integrale non lavorato. Se la fibra è fasulla, come l’inulina o altre fibre artificiali aggiunte, può succedere di tutto. ATTENZIONE AGLI ZUCCHERI AGGIUNTI Il nostro corpo non ha bisogno di grandi quantità di carboidrati quotidiani e certamente non ha bisogno di ricavarli dagli zuccheri aggiunti. Tuttavia l’americano medio consuma più di 20 cucchiaini di zuccheri aggiunti al giorno, il che equivale a oltre 300 calorie. La maggior parte proviene da alimenti lavorati e cibi pronti, con i

cereali da colazione e le bevande zuccherate (bibite e succhi) in testa al gruppo. I cereali Post Golden Crisp, per esempio, hanno 14 g di zuccheri, ovvero più di metà delle calorie di una porzione. Una sola lattina di Coca-Cola contiene 10 cucchiaini di zuccheri aggiunti. Le Dietary Guidelines for Americans del 2015 raccomandano di non ricavare più del 10% delle calorie quotidiane da zuccheri aggiunti: circa 13 cucchiaini da tè. L’American Heart Association ne consiglia anche meno: non più dell’equivalente di 100 calorie al giorno (circa 6 cucchiaini da tè o 24 g di zucchero) per la maggior parte delle donne, e non più di 150 calorie al giorno (circa 9 cucchiaini da tè o 36 g di zucchero) per la maggior parte degli uomini. Non è sempre stato facile sapere se i cibi pronti o confezionati contenessero zuccheri aggiunti, dal momento che la FDA richiedeva alle aziende di elencare sull’etichetta dei valori nutrizionali solo gli zuccheri totali. Calcolare il contenuto di zuccheri aggiunti diventava anche più difficile a causa della pletora di ingredienti che aggiungono zuccheri a un cibo. Eccone alcuni: succo di agave, zucchero bruno, zucchero di canna, dolcificante di mais, sciroppo di mais, destrosio, succo di canna evaporato, fruttosio, succo di frutta concentrato, glucosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, miele, zucchero invertito, sciroppo di malto, maltosio, sciroppo d’acero, melassa, zucchero grezzo e saccarosio. Individuare gli zuccheri aggiunti oggi è più facile, grazie alla norma, emanata dalla FDA

nel 2016, che impone alle aziende di dichiarare sull’etichetta dei valori nutrizionali

gli zuccheri aggiunti oltre agli zuccheri totali. IL GLUTINE NEI CEREALI: PER QUALCUNO È UN PERICOLO I cibi senza glutine sono l’ultima mania del settore salutista. Le corsie dei supermercati sono piene di prodotti che esibiscono fieramente l’etichetta “senza glutine”, e la stessa dicitura si può leggere nel menu di molti ristoranti. Il glutine è una combinazione di proteine che si trova principalmente nel frumento, nella segale e nell’orzo. Aiuta l’impasto a lievitare e a mantenere la consistenza. Le persone affette da celiachia non tollerano il glutine, nemmeno in piccole quantità. Il loro corpo produce erroneamente una risposta immunitaria alla proteina. Questo attacco al glutine danneggia il rivestimento dell’intestino tenue. Bastano 50 mg di glutine – più o meno la quantità che si trova in poche briciole di pane – a disturbare l’organismo. La conseguente risposta immunitaria interferisce con l’assorbimento dei nutrienti contenuti nel cibo. Può anche causare una serie di sintomi, come flatulenza, gonfiore e crampi addominali, diarrea, dimagrimento e rush cutanei. Con il tempo può

portare a patologie come osteoporosi, sterilità, danni al sistema nervoso e crisi convulsive. Le persone celiache devono fare tutto il possibile per non ingerire cibi che contengono glutine. L’afflusso sul mercato di prodotti specifici le sta aiutando, ma questa sostanza può annidarsi in alimenti insospettabili, come la salsa di soia, le patate fritte, le carni lavorate, le zuppe pronte, le salse e gli integratori a base di erbe. Una condizione correlata, chiamata sensibilità al glutine o sensibilità al glutine non celiaca, può produrre sintomi simili alla celiachia senza causare danni all’intestino. Molti erroneamente credono che il glutine faccia male alla salute, anche in assenza di celiachia o di specifici anticorpi contro il glutine. A oggi, però, dal Nurses’ Health Study, dall’Health Professionals Follow-up Study e da altri ampi studi di coorte non è emerso alcun legame tra un elevato consumo di glutine e condizioni patologiche. Se voi e il vostro medico sospettate che il glutine vi faccia male, è una buona idea fare un semplice esame del sangue e verificare la presenza degli anticorpi che rivelano la celiachia. Fatelo prima di eliminare il glutine dalla dieta. Se non ne ingerite da un po’, diventa molto difficile stabilire se soffrite di celiachia o di sensibilità. Questo accade perché gli esami ricercano la reazione dell’organismo al glutine. Se non ne avete mangiato, non è possibile trovarla. Se decidete di eliminare il glutine, ricordate che dovrete attrezzarvi per assumere i nutrienti di cui avete bisogno. Negli Stati Uniti il pane e i cereali sono importanti fonti di acido folico e altre vitamine del gruppo B . Molti tipi di pane e di cereali senza glutine non sono arricchiti di vitamine. Non assumere sufficiente vitamina B può essere un problema per chiunque, ma è particolarmente pericoloso per le donne in stato di gravidanza o intenzionate ad avere un figlio, che hanno bisogno di un costante rifornimento di acido folico (un’importante vitamina del gruppo B ) per prevenire la malformazione congenita nota come spina bifida. Se state pensando di adottare un regime senza glutine, affidatevi a un integratore multivitaminico-multiminerale per essere certi di assumere tutte le vitamine e i minerali di cui avete bisogno.

In conclusione Data la miriade di effetti benefici dei cereali integrali, perché la maggior parte degli americani ne consuma meno di una porzione e mezza al giorno? Per prima cosa, non siamo abituati al loro sapore. Poi, non è

sempre stato così facile acquistarli. Fino a tempi abbastanza recenti, prodotti come la pasta integrale, il couscous integrale e il bulgur si potevano trovare solo nei negozi di alimenti naturali, nelle cooperative, nei supermercati bio. Trovarli al ristorante o al bar era anche più difficile. Una terza barriera è il tempo: molti cereali integrali hanno tempi di cottura più lunghi dei loro omologhi raffinati. Il riso integrale, per esempio, richiede il doppio del tempo del riso bianco. L’industria alimentare, alla costante ricerca di nuovi mercati e trovate commerciali, sta contribuendo a infrangere le ultime due barriere. Sempre più supermercati propongono un nutrito assortimento di prodotti a base di cereali integrali. Ormai si può trovare il riso integrale a cottura rapida – anche se ha un indice glicemico più alto – che cuoce in venti minuti, come il riso bianco. Ancor meglio, si può preparare il classico riso integrale a lenta cottura con uno o due giorni di anticipo e poi riscaldarlo nel microonde quando si vuole consumarlo. Ecco qualche suggerimento per introdurre più cereali integrali nella dieta (vedi a p. 388 per altre idee e dettagli). Cominciate poco alla volta e aggiungete nuovi cereali o prodotti man mano che sviluppate il gusto per questi cibi dal sapore intenso. Mangiate cereali integrali a colazione. Prendete l’abitudine di cominciare la giornata con una scodella di cereali integrali. Se preferite una colazione calda, provate il classico pudding con avena spezzata. Quella a cottura rapida o istantanea è preferibile a molte altre soluzioni, però ha un indice glicemico più alto dell’avena non lavorata. Se invece vi piacciono i cereali freddi, cercatene un tipo che contenga come primo ingrediente della lista qualcosa di integrale: frumento, avena, orzo o altro. Scoprite i diversi tipi di pane integrale. Scegliete del pane fatto con cereali integrali invece che con cereali raffinati. Ancora una volta, controllate l’etichetta per assicurarvi che il primo ingrediente comprenda la parola “integrale”. Oggi questo pane si trova in vari formati, come panini fatti con pitta o piadine arrotolate. Dimenticatevi le patate. Piuttosto cucinate come contorno del

riso integrale. Oppure siate veramente avventurosi e provate dei cereali “nuovi” come il kasha, il bulgur, l’avena decorticata, il grano in chicchi, il miglio, la quinoa o l’orzo decorticato. “FALSE” FIBRE: EVITATELE Per aumentare il contenuto di fibre dei cibi che generalmente ne sono privi – yogurt, biscotti, gelato, bibite dietetiche e simili – le aziende alimentari stanno ricorrendo alle fibre aggiunte, come cellulosa, gomma di guar, pectina, farina di semi di carrube, idrossipropil-metil cellulosa, inulina, maltodestrine e polidestrosio. Non lasciatevi ingannare. Questi additivi non danno gli stessi benefici dei cibi naturalmente ricchi di fibre. Le false fibre non contengono le vitamine, i minerali e gli altri micronutrienti apportati dalle fibre alimentari e probabilmente non rallentano l’assorbimento del glucosio da parte dell’apparato digerente, come invece fanno le fibre dei cereali integrali che incapsulano parzialmente i carboidrati. Le aziende alimentari sono autorizzate a elencare le fibre sintetiche e isolate (purificate) sull’etichetta dei valori nutrizionali, come fossero le semplici, vecchie fibre. Dal 2018 la FDA richiede alle aziende la documentazione che attesti almeno un singolo beneficio di tali fibre sulla salute, per esempio l’effetto lassativo; queste fibre potrebbero comunque non avere nessuno degli altri effetti benefici associati alle vere fibre derivate dal vero cibo. Concedetevi un minuto per controllare l’elenco degli ingredienti e capire da dove arrivano le fibre di un alimento. Se comprende le false fibre sopracitate, valutate se non sia il caso di sceglierne un altro che contenga fibre vere.

La pasta integrale può essere un’alternativa deliziosa. Cercate al supermercato la pasta di frumento integrale. Se per i vostri gusti è un po’ troppo dura, aziende come la Eden, la Prince e la Barilla ne producono tipi fatti per metà con farina integrale e per metà con farina bianca. Usate la farina integrale per gli impasti da cuocere in forno. Sostituite la farina bianca con quella integrale. Cominciate mescolando una parte di farina integrale e tre di farina bianca. Se il risultato vi piace, provate ad aumentare la quantità di farina integrale. Alcune aziende producono la “farina integrale un po’

setacciata”, che ha gusto e consistenza più delicati della farina integrale tradizionale, anche se è meno ricca di fibre. Nei supermercati cominciano a diffondersi anche le basi per pizza fatte con farina integrale. IN BREVE GRAMMI DI ZUCCHERO Quando leggete le etichette nutrizionali, ricordate: 4 g di zucchero = 1 cucchiaino = 15 calorie

a. Il carico glicemico è calcolato moltiplicando i grammi di carboidrati per l’indice glicemico.

7

Scegliete fonti proteiche più sane

Le conoscenze sul ruolo delle proteine nella dieta, e sulle loro implicazioni per la salute, sono più scarse di quelle su grassi e carboidrati. Non è perché siano meno importanti – al contrario, lo sono moltissimo – ma perché sono state meno studiate di altre componenti del cibo in relazione alla salute a lungo termine e alle malattie. Fino a oggi, l’attenzione si è concentrata in gran parte sulla quantità minima di proteine che i bambini dovrebbero assumere per crescere bene e gli adulti per contrastare il cedimento dei tessuti. Sono state meno analizzate altre questioni importanti, per esempio quale sia l’apporto ottimale di proteine, se sia meglio ricavarle da prodotti animali o vegetali, se una dieta iperproteica sia più efficace di una ipolipidica e ricca di carboidrati per controllare il peso o dimagrire. Originali ricerche sul rapporto tra soia e dimagrimento hanno acceso un nuovo interesse per le proteine, che sta producendo informazioni importanti. In attesa di risposte esaurienti, consumare più proteine di origine vegetale come legumi e frutta secca, o derivate dal pesce e dal pollo anziché dalle carni rosse e dai latticini, è sicuramente una strategia alimentare sana. È anche una buona scelta per la salute del pianeta (vedi capitolo 12).

Che cosa sono le proteine? I capelli e la pelle sono costituiti soprattutto da proteine. Idem per i muscoli, l’emoglobina che trasporta ossigeno nel sangue e la moltitudine di enzimi che ci mantiene vivi e attivi. In effetti, il corpo ospita almeno 10.000 proteine diverse. Tutte insieme compongono circa il 15% del peso corporeo. A livello molecolare, le proteine sono lunghe, intricate catene composte da una ventina di mattoni chiamati amminoacidi. Dal

momento che il corpo ne produce costantemente di nuove, e non ha una riserva di amminoacidi, abbiamo bisogno di una fornitura di proteine pressoché quotidiana. Alcune proteine che si trovano nel cibo sono complete, o nobili. Questo significa che contengono la ventina di amminoacidi necessari per sintetizzare nuove proteine. Altre sono incomplete, mancano di uno o più amminoacidi. Sono quelli che non possiamo produrre o sintetizzare da altri amminoacidi. Le carni, il pollame, il pesce, le uova e i latticini tendono a essere buone fonti di proteine complete, mentre le proteine vegetali sono spesso incomplete. Ecco perché i vegetariani hanno bisogno di integrare la dieta con cibi complementari, come riso e legumi, burro di arachidi e pane, tofu e riso integrale. PROTEINE NOBILI: TROPPO È MALE? Il corpo umano può sintetizzare gran parte degli amminoacidi di cui ha bisogno. I nove che non può produrre – istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina – devono arrivare dal cibo. Le proteine nobili complete contengono tutti gli amminoacidi necessari per sintetizzare nuove proteine. Queste combinazioni complete di amminoacidi stimolano la crescita molto più di quanto possano fare le proteine prive di uno o più amminoacidi essenziali. Le proteine complete sono perfette per i neonati, per i bambini, per le vittime di ustioni e per tutti i soggetti che hanno bisogno di una spinta supplementare alla crescita e alla rigenerazione dei tessuti. Tuttavia una grossa quantità di proteine nobili in età adulta potrebbe essere superflua o persino nociva. Tre amminoacidi essenziali delle proteine nobili – leucina, isoleucina e valina, i cosiddetti amminoacidi a catena ramificata – favoriscono la produzione del fattore di crescita insulino simile (IGF -1) detto anche somatomedina. Questo ormone fa proprio quello che il suo nome suggerisce: stimola la crescita. Una quantità eccessiva, però, incrementa il rischio di sviluppare cancro al seno e alla prostata, e probabilmente altri tipi di tumore. Il latte e i latticini sono fonti eccellenti di proteine nobili. Ecco perché fanno così bene ai bambini piccoli. Ma bere molto latte per tutta la vita può sovrastimolare la crescita. Per esempio, il consumo di latte tra bambini e adolescenti è un fattore chiave dello sviluppo staturale. (Un drastico incremento del consumo di latte ha contribuito a un rapido aumento della statura media dei ragazzi giapponesi.) Dal punto di vista sociale, essere più alti potrebbe essere un vantaggio. Tuttavia questo è stato correlato

a un maggior rischio di vari tipi di cancro, tra cui il linfoma, il cancro al seno, alla prostata, al colon e alle ovaie. 1 In età matura, molte persone perdono massa muscolare, il che aumenta il rischio di cadute e fratture. Questo è dovuto in parte alla mancanza di esercizio fisico, in parte al declino della produzione di ormone della crescita. Lo stimolo alla crescita fornito dalle proteine nobili, in questa fase della vita, potrebbe essere utile.

Di quante proteine si ha bisogno? La National Academy of Medicine, ex Institute of Medicine, fissa la dose giornaliera raccomandata (RDA ) di proteine in 0,8 g per chilo di peso corporeo. Tradotto in pesi reali, significa 50 g per una persona che pesa circa 63 kg, e 70 g per una che ne pesa circa 90. (Per calcolare il vostro fabbisogno proteico giornaliero: fnic.nal.usda.gov/fnic/interactiveDRI ) Possiamo raggiungere questo obiettivo senza nemmeno pensarci, data l’abbondanza di cibi ricchi di proteine (vedi “Fonti alimentari di proteine” a p. 191). Per esempio, una porzione di yogurt a colazione, un panino con burro di arachidi e marmellata a pranzo e una porzione di pollo accompagnato da riso e legumi a cena apportano circa 85 g di proteine. Dal momento che per noi è così facile reperire proteine, è molto raro che gli adulti sani nel nostro Paese sviluppino una carenza. A parte la quantità minima di proteine necessaria a far funzionare il corpo, ci sono scarse indicazioni nutrizionali sulla quantità ideale di proteine da assumere con la dieta o sulla proporzione più salutare delle calorie di origine proteica. Gli studi che analizzano la relazione tra apporto di proteine e salute confrontando i dati di Paesi diversi non sono di grande aiuto, perché le diete, nel mondo, contengono tendenzialmente quantità simili di proteine. Nella dieta americana media, che tendiamo a considerare incentrata sulla carne, circa il 15% delle calorie complessive deriva dalle proteine. Nelle diete in larga misura vegetariane e basate sul riso, tipiche dei Paesi asiatici, circa il 12% delle calorie complessive deriva dalle proteine. (Il riso, che siamo abituati a ritenere un carboidrato, è composto per circa l’8% da proteine). Altri tipi di studio

non hanno prestato molta attenzione alle proteine. Le mode dietetiche passeggere generano altra confusione, rivendicando ora la bontà dei regimi altamente proteici e poveri di carboidrati, ora quella dei regimi poveri di proteine e ricchi di carboidrati. A meno che non ci siano buone ragioni per cambiare, assumere circa 7-8 g di proteine per 10 kg di peso corporeo è un’indicazione valida per la maggior parte degli individui, ma personalmente non raccomando di calcolare e tenere il conto dei grammi di proteine giornaliere. FONTI ALIMENTARI DI PROTEINE Alimento

Porzione

Calorie Proteine (g)

Proteine % valore giornaliero a

Arachidi, tostate

42 g

242

10,5

Cheddar

30 g

115

714

Hamburger, 90% magro

85 g

178

21

42

Latte, magro

240 ml

102

8

16

Latte di soia

240 ml

140

11

22

Lenticchie, cotte

1/2 tazza

115

9

18

Maccheroni, cotti

1 tazza

190

7

14

Mandorle

42g

254

8

16

Manzo, controfiletto, piastra

85 g

155

26

52

Noci

42 g

270

6

12

1 media

161

4

8

1 fetta

181

8

16

Pollo, arrosto

85 g

162

25

50

Ricotta, magra

85 g

69

9

18

1 tazza

148

5

10

85 g

130

21

42

1/2 tazza

127

11

22

Tofu, firm

85 g

65

7,5

15

Tonno, in scatola al

85 g

73

17

34

Patata arrosto, con la buccia Pizza al formaggio

Riso integrale, cotto Salmone, filetto, cotto Semi di soia, cotti

21

naturale Uova Yogurt, greco magro

1 grosso

90

6

12

vasetto 200 g

146

20

40

Fonte: USDA National Nutrient Database for Standard Reference, 28 edizione (2016): https://ndb.nal.usda.gov/ndb/foods a

Proteine e salute umana Di tanto in tanto, la ricerca ha evidenziato una relazione tra la quantità e la tipologia delle proteine nella dieta e alcune patologie croniche, come il cancro e la cardiopatia. Potrebbero anche influenzare il diabete infantile, l’obesità e vari disturbi gastrointestinali. Specifiche proteine contenute nel cibo, nell’aria o altrove sono responsabili di una grande varietà di allergie, anche se questo libro non entra nel merito dell’argomento. Proteine e cancro. Non esistono prove concrete che consumare poche o molte proteine influenzi il rischio di insorgenza del cancro nell’uomo. Forse avete sentito parlare dei bassi tassi di cancro in Cina e in Giappone, Paesi in cui la dieta media è leggermente più povera di proteine – e sicuramente più povera di proteine animali – di quanto non sia la dieta americana media. In realtà, i tassi complessivi di cancro in quei Paesi sono da sempre assimilabili a quelli degli Stati Uniti, anche se la “tipologia” dei tumori più comuni è diversa. Esaminando i dati di oltre 130.000 uomini e donne seguiti per trentadue anni negli studi di Harvard sulle infermiere e sui professionisti sanitari, non è emersa alcuna correlazione tra il consumo di proteine e la mortalità per cancro. 2 La fonte delle proteine potrebbe fare la differenza. L’International Agency for Research on Cancer (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), un organo dell’OMS , ha concluso che le carni lavorate sono “cancerogene per gli esseri umani”, mentre quelle rosse sono “probabilmente cancerogene”. 3 La correlazione tra il consumo di carni lavorate e il cancro interessa principalmente il cancro del colon-retto, ma sono stati osservati dei rapporti anche tra il consumo di carni

lavorate/rosse e i tumori pancreatici e prostatici. Anche l’età potrebbe fare la differenza. La maggior parte degli studi ha preso in esame l’alimentazione in età adulta. È possibile che i semi del cancro mettano radici prima. Da recenti analisi del Nurses’ Health Study, un apporto più elevato di carni rosse durante l’adolescenza è risultato associato a un aumentato rischio di cancro al seno in fase di premenopausa, mentre un più elevato consumo di pollame, frutta secca e legumi è risultato associato a un rischio inferiore. 4 Proteine e cardiopatie. Le indagini ecologiche Paese per Paese suggeriscono che un consumo di proteine vegetali più alto sia correlato a un tasso di cardiopatie più basso, e un consumo di proteine animali più alto sia correlato a un tasso di cardiopatie più alto. Però le diverse abitudini alimentari e di stile di vita di ciascun Paese – fattori come il consumo di grassi saturi, il tasso di tabagismo, il livello di attività fisica – rendono queste indagini difficili da interpretare. Nei relativamente pochi studi prospettici sul rapporto tra proteine e cardiopatia, la fonte proteica fa la differenza. In un’analisi condotta dal mio gruppo su oltre 43.000 soggetti di sesso maschile, l’apporto totale di proteine è stato associato in misura minima al rischio di cardiopatia, mentre l’apporto di proteine della carne è stato associato a un rischio più elevato. 5 Con un’apparente incongruenza, ricavare più proteine da cibo vegetale, pesce o da pollame riduceva il rischio di malattie cardiache, mentre ricavarne di più dalle carni rosse lo aumentava. Proteine e diabete. La fonte delle proteine alimentari è anche fortemente implicata nel diabete di tipo 2. Consumare più carni rosse accresce il rischio di sviluppare questa patologia cronica, mentre mangiare più frutta secca, legumi e pollame è correlato a un rischio minore. Una o più proteine del latte vaccino potrebbero – e sottolineo potrebbero – giocare un ruolo nello sviluppo del diabete di tipo 1 tra i bambini e questa è una delle ragioni per cui i neonati dovrebbero, se possibile, consumare latte materno anziché latte vaccino. Morti premature. In una vasta analisi delle abitudini alimentari di

donne e uomini delle coorti di Harvard, condotta dal collega Mingyang Song, consumare più proteine della carne è stato correlato a un modesto aumento del rischio di morte prematura, mentre consumare più proteine di origine vegetale è stato associato a un rischio minore. Conclusioni analoghe sono emerse dallo studio prospettico su donne residenti nello Iowa. 6 Proteine e altre malattie croniche. In letteratura medica abbondano documenti e relazioni che collegano un ampio ventaglio di patologie – dall’artrite ai problemi respiratori fino ai disturbi digestivi cronici – a reazioni allergiche a specifiche proteine. Le uova, il pesce, il latte, le arachidi, la frutta secca e i semi di soia possono produrre reazioni allergiche in alcuni soggetti. Per esempio, un circostanziato e sorprendente rapporto pubblicato sul “New England Journal of Medicine” ha dimostrato che qualcosa nel latte vaccino causa una reazione allergica che dà severa stipsi cronica nei bambini piccoli. 7 In un gruppo di 65 bambini sotto i 3 anni affetti da stipsi cronica, due terzi hanno risolto il loro problema bevendo per due settimane latte di soia invece che latte vaccino. Quando hanno ripreso a bere latte vaccino è tornata la stipsi. Per di più, i bambini “reattivi” manifestavano anche una maggiore predisposizione al raffreddore, al broncospasmo e alle infiammazioni cutanee quando bevevano latte vaccino. Questo potrebbe essere un rapporto sentinella, indicativo di altre correlazioni tra specifiche proteine e condizioni di malessere cronico. Il glutine – un mix di proteine che si trova principalmente nel frumento – nella segale e nell’orzo innesca una risposta immunitaria inappropriata nei soggetti con malattia celiaca (vedi “Il glutine nei cereali: per qualcuno è un pericolo” a p. 182). Per qualche ragione, la reazione immunitaria riconosce nel glutine un invasore estraneo e lo attacca. Questo attacco danneggia il rivestimento dell’intestino tenue. Le persone celiache non possono tollerare il glutine, in nessuna quantità. Anche pochissimo, diciamo qualche briciola di pane, è sufficiente a dare problemi. Proteine e controllo del peso. Come ho detto nel capitolo 6, quando lo scopo è dimagrire, una dieta ricca di grassi e proteine e povera di

carboidrati tende a funzionare meglio di una dieta ipolipidica e ricca di carboidrati, perché aiuta a perdere chili più in fretta. Questo accade per due ragioni: in primo luogo, il pollo, la carne, il pesce, i legumi e altri cibi ricchi di proteine rallentano il transito delle sostanze nutrienti dallo stomaco all’intestino tenue. Rallentare lo svuotamento gastrico significa sentirsi sazi più a lungo. In secondo luogo, l’effetto piuttosto delicato e costante delle proteine sullo zucchero ematico evita gli alti e bassi di glicemia prodotti dagli alimenti ricchi di carboidrati, come il pane bianco o le patate arrosto. Ancora una volta, conta molto il “pacchetto” che veicola le proteine. In una dettagliata analisi sui cambiamenti di peso a lungo termine tra i membri delle coorti di Harvard (Nurses’ Health Study e Health Professionals Follow-up Study), mangiare carni rosse, pollo con la pelle e formaggi grassi è stato associato ai maggiori aumenti di peso, mentre mangiare yogurt, burro di arachidi, noci o altra frutta secca, pollo senza pelle, formaggio magro e frutti di mare è stato associato a minori aumenti di peso. 8 Proteine e salute delle ossa. Le prime ricerche sollevarono il problema teorico che consumare molte proteine potesse essere nocivo per le ossa. La digestione delle proteine rilascia acidi nel torrente sanguigno. A livelli normali di apporto proteico, il calcio e altri agenti del sangue neutralizzano questi acidi. Tuttavia, se la dieta è ricca di proteine, serve più calcio per neutralizzarli. Alcuni esperti espressero la preoccupazione che questo calcio neutralizzatore potesse essere sottratto alle ossa. Secondo una revisione sistematica su 61 studi, non sembra che questo accada. 9 OPTATE PER LA FRUTTA SECCA Quando vi scervellate su cosa mangiare come spuntino o cosa preparare per cena, prendete in considerazione la possibilità di usare la frutta secca come parte del piatto principale o come guarnizione. Le papille gustative e il cuore vi ringrazieranno. Alcuni pensano che la frutta secca sia junk food (cibo spazzatura): nulla potrebbe essere più lontano dal vero. È una grandiosa fonte di proteine e altri nutrienti benefici. Poco più di 28 g di mandorle, noci, arachidi o pistacchi forniscono circa 8 g di proteine, quanto un bicchiere di latte. È vero che la frutta secca contiene una certa quantità di grassi, ma si tratta soprattutto di grassi insaturi che riducono il colesterolo LDL

dannoso e mantengono alto il livello del colesterolo HDL protettivo. Le persone che mangiano regolarmente frutta secca hanno meno probabilità di subire un infarto o di morire per malattia coronarica di coloro che la mangiano raramente. Numerosi e ampi studi di coorte, tra cui gli Adventist Health Studies, lo Iowa Women’s Health Study e il Nurses’ Health Study hanno evidenziato una consistente riduzione del rischio di infarti o cardiopatie (dal 30 al 50%) associata al consumo di frutta secca più volte a settimana. Includere regolarmente la frutta secca nella dieta sembra anche utile a prevenire il diabete di tipo 2 e i calcoli biliari. L’importanza del consumo di frutta secca è stata documentata dallo studio PREDIMED

(vedi a p. 134), durato cinque anni, nel corso del quale i partecipanti invitati a

integrare quotidianamente 28 g di frutta secca in una dieta di tipo mediterraneo hanno evidenziato un rischio di cardiopatie inferiore a quello di chi seguiva una dieta ipolipidica. 10 Le virtù della frutta secca sono così comprovate che la FDA autorizza le aziende alimentari a dichiarare sull’etichetta dei valori nutrizionali che “la maggior parte della frutta secca, in porzioni da 42 g al giorno e nel contesto di una dieta povera di grassi saturi e colesterolo, può ridurre il rischio di cardiopatie”. In che modo la frutta secca fa bene al cuore? Ci sono molte risposte possibili. I grassi insaturi che contiene contribuiscono ad abbassare il colesterolo LDL dannoso e ad aumentare il colesterolo HDL protettivo. Pare che un tipo di grasso insaturo presente nelle noci, l’acido grasso omega 3 conosciuto come acido alfa-linolenico (ALA ), contribuisca a prevenire trombi e aritmie potenzialmente mortali (vedi “Grassi omega 3: un particolare beneficio” a p. 113). La frutta secca è anche ricca di arginina, un amminoacido necessario per produrre una piccola ma importante molecola chiamata ossido nitrico, il quale contribuisce a rilassare i vasi sanguigni e ad agevolare il flusso del sangue. Rende anche meno appiccicose le piastrine (particelle ematiche coinvolte nei processi di coagulazione) e riduce la probabilità che formino dei trombi. Anche la vitamina E , l’acido folico, il potassio, le fibre e altri fitonutrienti della frutta secca potrebbero contribuire al suo benefico effetto sul cuore. Qualunque sia il meccanismo, il messaggio è lo stesso: la frutta secca fa bene al cuore e al resto di voi... se la mangiate nel modo giusto. Ecco allora il modo sbagliato: mangiare frutta secca in aggiunta agli spuntini e ai pasti quotidiani. A suon di 160 calorie ogni 28 g, una manciata di mandorle al giorno senza eliminare qualcos’altro potrebbe tradursi in 5 o 10 kg guadagnati in un anno. Questo peso in più vanificherebbe qualunque beneficio della frutta secca e farebbe

pendere l’ago della bilancia verso la cardiopatia coronarica, anziché dall’altra parte. Passiamo allora al modo giusto: mangiare la frutta secca al posto delle patatine o di una barretta dolce come spuntino placa la fame esattamente come qualsiasi merendina confezionata, è altrettanto buona se non più buona e per giunta fornisce nutrienti sani. Ancora meglio, sostituite la carne con la frutta secca nelle portate principali. La cucina mediterranea e altre tradizioni culinarie impiegano la frutta secca in questo modo per svariati piatti e salse. Per esempio, date un’occhiata allo squisito sformato di riso integrale alle noci tostate a p. 470.

Fate attenzione al pacchetto Le proteine pure derivate dalla carne probabilmente hanno più o meno lo stesso effetto sulla salute delle proteine derivate dai legumi o dalla frutta secca. Come ho già detto, è il “pacchetto” proteico – quello che ci arriva insieme alle proteine, come grassi salutari o nocivi, fibre benefiche o sale nascosto – a fare una differenza sostanziale. La carne di manzo è una buona fonte di proteine animali complete. Però veicola anche molti grassi saturi. Lo stesso vale per il latte intero e i suoi derivati, come burro, gelato, formaggio. Il pollame e la frutta secca sono valide fonti di proteine, ma a differenza delle carni rosse veicolano anche grassi insaturi salutari. In un pacchetto proteico non si trovano solo grassi. Le persone che mangiano regolarmente hot dog, mortadella, bacon e altre carni lavorate hanno, rispetto a chi non ne mangia, più probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2 e il cancro del colon. Questo potrebbe essere dovuto alla presenza di sale, nitrati e altri additivi. Gli uomini con una dieta ricca di latticini hanno apparentemente una maggiore probabilità di sviluppare il cancro alla prostata, specialmente del tipo a rapida diffusione (metastatico), rispetto agli uomini che non ne mangiano spesso. 11 I latticini aumentano il livello ematico del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1, che a sua volta è correlato a un aumentato rischio di cancro alla prostata. Anche la modalità di cottura della carne può ripercuotersi sulla salute. Grigliare o friggere la carne, il pollame e il pesce ad alta

temperatura e per un tempo prolungato fa sì che alcune proteine si trasformino in composti chimici denominati ammine eterocicliche, che causano il cancro negli animali. Quanto questo accresca il rischio di cancro nell’uomo non è ancora stato determinato.

RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI: UN NUOVO RISCHIO ALIMENTARE Per anni, i medici hanno avuto a disposizione una schiera di antibiotici che riuscivano a fermare praticamente ogni tipo di infezione batterica. Ora sono emersi numerosi ceppi di batteri resistenti agli antibiotici che abbiamo attualmente. Questi cosiddetti superbatteri, o superbugs, sono comparsi in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. L’uso di antibiotici nella catena produttiva ha contribuito alla loro comparsa. 12 Gli antibiotici spesso vengono somministrati ad animali sani per farli crescere più in fretta. È così che nasce la resistenza a questi farmaci. Aumentando la possibilità di mutazioni casuali, la pratica di somministrare per

lungo tempo antibiotici ad animali sani permette di proliferare ai batteri mutanti che sviluppano resistenza all’antibiotico. È in atto un’autentica evoluzione. Riconoscendo il problema, la FDA annunciò nel 2016 un programma ad adesione volontaria per limitare l’uso routinario di antibiotici nella produzione alimentare. 13 I grandi allevatori di pollame hanno manifestato la volontà di interromperne l’utilizzo routinario e ben presto alcuni ne hanno fatto un punto di forza, dando ampio risalto pubblicitario alla propria offerta di prodotti senza antibiotici. Gli allevatori di bovini e suini stanno incontrando più difficoltà, perché mucche e maiali vivono più a lungo del pollame e sono allevati in condizioni igieniche più precarie. Come consumatori, mangiare meno carne ridurrà le vostre probabilità di assumere microbi antibiotico-resistenti. Se avete proprio intenzione di mangiarne, cercate di trovare prodotti che non contengono antibiotici. Alcune aziende lo scrivono sulle confezioni, altre no.

Lo scoop sulla soia Alla fine del XXI secolo molti gruppi di ricerca rivolsero la loro attenzione ai semi di soia e alle proteine della soia. I media sfornavano articoli con titoli d’effetto, come questo del “Washington Post”: “Lode alle virtù della soia: gli studi sui benefici effetti dei semi ricchi di proteine sul colesterolo potrebbero essere solo l’inizio”... strombazzando il potere della soia di ridurre il colesterolo, prevenire le cardiopatie coronariche, attenuare le vampate di calore e altri problemi correlati alla menopausa, preservare la memoria e proteggere dal cancro al seno, alla prostata e da altre forme di tumore. Ma non durò. Soia e cardiopatia. Basandosi principalmente su un’analisi pubblicata dal “New England Journal of Medicine”, secondo la quale consumare soia invece che carni rosse poteva ridurre il livello di colesterolo LDL dannoso, 14 la FDA nel 1999 approvò un claim sugli effetti salutari della soia. I cibi che contengono almeno 6,25 g di soia per porzione sono autorizzati ad apporre in etichetta la dicitura: “Le diete povere di grassi saturi e colesterolo che includono 25 g quotidiani di proteine della soia possono ridurre il rischio di cardiopatia”.

Tenete presente che dovreste bere quattro bicchieri di latte di soia da 240 ml (che vi regalerebbero l’enormità di 600 calorie) o mangiare almeno 250 g di tofu per ricavare quei 25 g quotidiani di proteine della soia. Un problema con la ricerca sulla soia è che, in campo nutrizionale, il tema della sostituzione – che cosa mangiare invece di qualcos’altro che si preferisce non mangiare – è di vitale importanza. Se mangiate un prodotto a base di soia invece di mangiare carni rosse, diciamo come piatto principale, questo ridurrà il rischio di cardiopatia, in parte a causa del mix di acidi grassi molto più salutari contenuti nella soia e non nelle carni rosse. Soia e cancro al seno. Biologicamente parlando, c’è un motivo che potrebbe giustificare l’efficacia dei semi di soia e dei derivati della soia nel contrastare il cancro. I semi di soia sono ricchi di composti chiamati fitoestrogeni, letteralmente estrogeni vegetali. Ci sono due principali tipi di fitoestrogeni: gli isoflavoni e i lignani. Hanno un’azione simile a quella degli estrogeni umani, a volte erroneamente chiamati ormoni femminili. Tuttavia, il preciso meccanismo d’azione dei fitoestrogeni dipende dalla loro quantità e dalla sede in cui agiscono. In certi tessuti i fitoestrogeni mimano l’azione degli estrogeni, in altri tessuti la inibiscono. Gli estrogeni stimolano la crescita e la moltiplicazione delle cellule della mammella e delle cellule tumorali della mammella. Quindi l’effetto antiestrogenico degli estrogeni della soia potrebbe proteggere dal cancro al seno. Questa teoria è corroborata da uno studio di coorte del 2009 realizzato a Shanghai, dove il consumo di soia è tradizionalmente molto più elevato che negli Stati Uniti. 15 A Shanghai, le donne che avevano consumato più soia e derivati durante l’infanzia e la prima età adulta manifestavano una ridotta probabilità di sviluppare il cancro al seno negli anni antecedenti alla menopausa, quando gli estrogeni naturali sono alti; non è stata osservata nessuna correlazione con l’insorgenza del cancro al seno negli anni successivi alla menopausa. Le donne che avevano seguito l’alimentazione più ricca di soia da adolescenti e da giovani adulte, rispetto alle donne che avevano seguito l’alimentazione più povera di soia, manifestavano un

rischio di insorgenza di cancro al seno premenopausa inferiore quasi del 60%. Nelle popolazioni occidentali la correlazione tra il consumo di soia e il rischio di cancro al seno è risultata debole, probabilmente perché i gruppi sottoposti a osservazione hanno consumato quantità di soia relativamente basse. Soia e vampate di calore. La menopausa è una fase della vita in cui la produzione estrogenica crolla. Se i fitoestrogeni, che si pensa inibiscano gli effetti degli estrogeni sui tessuti del seno, possono mimare l’effetto degli estrogeni in qualunque altra parte del corpo, è plausibile che costituiscano un sistema naturale per ridurre le vampate e alleviare altri problemi che assillano molte donne in menopausa. Una recente meta-analisi di studi clinici sugli alimenti a base di soia ha evidenziato che consumare questi cibi apparentemente contribuiva a ridurre la frequenza delle vampate di calore, e probabilmente ad alleviare la secchezza vaginale, ma non aveva alcun effetto sulle sudorazioni notturne. 16 Tuttavia, gli studi inclusi nell’analisi avevano limiti significativi, quindi è difficile dire se le donne in menopausa dovrebbero o no consumare più soia. Soia e cancro alla prostata. Gli alimenti a base di soia sono stati pubblicizzati anche come strumento per prevenire il cancro alla prostata perché svolgono un’azione inibitoria sugli ormoni coinvolti in questa patologia. È una teoria sostenuta da alcuni studi prospettici. 17 Tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche, date le ridotte dimensioni degli studi. Sappiamo poco di quanta soia ci vorrebbe per prevenire il cancro alla prostata e dell’epoca della vita in cui si dovrebbe cominciare a consumarne per avere il miglior ritorno in termini di salute. Soia e cervello. La soia aiuta a mantenere la memoria nitida quando si invecchia? È un’idea interessante. Si è ipotizzato che la naturale caduta del livello di estrogeni in entrambi i sessi sia una possibile causa della perdita di memoria e dei problemi cognitivi correlati all’età. Alcuni studi, quasi tutti incentrati sull’utilizzo degli isoflavoni come integratori, suggeriscono che consumare più soia aiuti a preservare la memoria e le facoltà intellettive. Altri dicono che

mangiare più soia non faccia nessuna differenza. 18

La soia ha un lato oscuro? I continui dietrofront della ricerca che studia il rapporto tra soia e salute non sarebbero un grande cruccio, se consumare proteine della soia fosse completamente e assolutamente privo di effetti collaterali. Non sappiamo se sia così. Due sconcertanti rapporti suggeriscono che, in alcune situazioni, un eccesso di proteine della soia potrebbe fare più male che bene. Il primo di questi rapporti ha come oggetto un campione di donne con un nodulo sospetto alla mammella invitate a presentarsi per una

biopsia di accertamento a distanza di quattordici giorni. Quelle che in tale intervallo avevano assunto quotidianamente un integratore a base di soia contenente 45 mg di isoflavoni ottennero referti bioptici che evidenziavano una maggiore crescita e divisione cellulare rispetto alle donne che non avevano consumato soia. 19 L’altra indagine, svolta tra anziani di origine giapponese residenti alle Hawaii, evidenziò che i soggetti fedeli alla dieta tradizionale a base di soia erano più predisposti a deficit mnemonici e cognitivi dei soggetti che avevano adottato un regime più occidentale. 20 Questo incremento di problemi cognitivi è documentato in altri due rapporti provenienti dall’Asia, ma gli studi svolti negli Stati Uniti in generale non hanno evidenziato effetti negativi, bensì possibili effetti benefici del consumo di soia sulla memoria. Questi risultati contraddittori sottolineano l’assoluta necessità di capire meglio come gli alimenti a base di soia agiscano sui vari tessuti nelle diverse fasi della vita. L’azione antiestrogenica dei fitoestrogeni potrebbe essere benefica per le giovani donne, nelle quali le mammelle, le ovaie e altri tessuti sono bombardati da una maggior quantità di estrogeni umani correlati all’insorgenza del cancro. Ma sarebbe spiacevole raccomandare di mangiare più soia per prevenire il tumore al seno, se poi i fitoestrogeni causassero problemi di memoria in età matura, quando la produzione naturale di estrogeni crolla. Una cosa che sappiamo per certo sulla soia è che i fitoestrogeni in essa contenuti sono potenti agenti biologici. Che stimolino, sopprimano o non abbiano alcun effetto sul cancro al seno, sul cancro alla prostata o sulla memoria, sfortunatamente è una questione aperta. Ecco perché dovreste trattare gli integratori di soia concentrata o le pastiglie di isoflavoni con la stessa cautela che riservereste a un nuovo farmaco non testato. Questa conclusione non significa che dobbiate rinunciare alla soia. Piuttosto, mangiatene di tanto in tanto e non diverse volte al giorno.

In conclusione Le proteine sono una componente fondamentale di qualunque

dieta. Il fabbisogno di un adulto medio è di 8 g di proteine per 10 kg di peso. È una quantità che molti riescono a integrare senza problemi. Quello che probabilmente conta di più per la salute è il cibo da cui si ricavano. Carni rosse, pollame, uova, pesce, latte e latticini e altre fonti animali possono veicolare proteine in abbondanza. Lo stesso possono fare i legumi, la soia, i semi e altre fonti vegetali. Non c’è bisogno di strafare e sacrificare tutto il resto sull’altare delle proteine. Se non mangiate frutta, verdura e cereali integrali, vi private di fibre, vitamine, minerali e altri fitonutrienti che dalle proteine non potete ottenere. Gli integratori possono compensare la carenza di qualche fitonutriente principale, ma ne escludono centinaia di altri che potrebbero essere altrettanto importanti per la salute a lungo termine. Dovete anche fare attenzione a ciò che il cibo veicola insieme alle proteine. Una porzione di salmone apporta 19 g di proteine, 2 g di grassi saturi non salutari e 7,4 g di grassi insaturi salutari. Un normale hamburger fornisce la stessa quantità di proteine ma più del doppio di grassi saturi (4,5 g) e solo 5 g di grassi insaturi. Scegliere alimenti ricchi di proteine e poveri di grassi saturi aiuta il cuore proprio come il girovita. Ecco alcuni suggerimenti per mettere a punto una dieta con le migliori scelte proteiche: Quando è possibile, ricavate le vostre proteine dai vegetali. Consumare legumi, frutta secca, cereali integrali e altre fonti proteiche vegetali farà bene alla vostra salute e a quella del pianeta. Se consumate latte o altri latticini, fatelo con moderazione. Se vi piacciono le carni rosse, mangiatene poche o riservatela alle occasioni speciali, come si fa nelle diete mediterranee tradizionali. Il pollo, il tacchino e il pesce sono alternative preferibili. Create dei mix di proteine. Se ricavate la maggior parte delle proteine da vegetali, assicuratevi di mescolare legumi, frutta secca, cereali integrali e verdure per essere certi che alla vostra dieta non manchi nessuna componente proteica essenziale. Bilanciate carboidrati e proteine. Consumare più proteine e ridurre i carboidrati, specialmente quelli raffinati, migliora la pressione, i

trigliceridi e l’HDL protettivo, tre fattori che possono ridurre il rischio di infarto, ictus e altre forme di patologia cardiovascolare. Tuttavia, se queste proteine extra derivano dalle carni rosse e dai latticini, il rischio di patologia cardiovascolare e diabete, anziché diminuire, probabilmente aumenterà. Consumate soia con moderazione. I semi di soia, il tofu e altri derivati della soia possono essere una valida alternativa alle carni rosse. Basta non esagerare. Ponetevi come obiettivo qualche porzione a settimana, non qualche porzione al giorno. Per le donne in menopausa o in postmenopausa che soffrono di vampate di calore o altri disturbi correlati al declino degli estrogeni, aumentare temporaneamente l’apporto di soia non sarà un male e vale la pena tentare. Però questo non sarà molto più efficace della semplice cura del tempo. Per le donne che convivono con il cancro al seno è saggio moderare la quantità. Nessuno dovrebbe prendere pastiglie di proteine concentrate della soia o di isoflavoni puri se non su precisa indicazione medica. PESCE, MERCURIO E OLIO DI PESCE Se vi piace il pesce e pensate che dovreste mangiarne di più, potreste trovarvi tra l’incudine e il martello. Il pesce è un’ottima scelta per molte ragioni: è buono, è una fonte proteica più sana delle carni rosse e i grassi omega 3 di cui molti pesci sono ricchi

fanno

bene

al

cuore.

Tuttavia

alcune

specie

contengono

mercurio,

policlorobifenili (PCB ) e altri contaminanti. Dovreste smettere di mangiare pesce? Limitarvi? Continuare come state facendo? La risposta dipende da chi siete voi. Il mercurio e i PCB sono decisamente pericolosi alle alte dosi che potrebbero liberarsi in seguito a un incidente industriale. Gli effetti delle piccole quantità presenti nel pesce non sono ancora chiaramente definiti. I bambini piccoli e le donne incinte, che potrebbero restare incinte o che allattano devono fare estrema attenzione al mercurio. Questo metallo, che deriva da fonti naturali, da emissioni industriali e dalle centrali elettriche a carbone, può essere nocivo per lo sviluppo del cervello e del sistema nervoso. D’altra parte, assumere una sufficiente quantità di grassi omega 3 dal pesce e altri alimenti è importante durante la gravidanza e l’allattamento, perché sono mattoni essenziali per lo sviluppo del sistema nervoso del bambino.

Che cosa dire dei PCB , che sono stati banditi negli anni Settanta ma sono ancora presenti nell’ambiente? Ad alte dosi possono uccidere i pesci e provocare il cancro nei ratti da laboratorio. A basse dosi possono causare lievi disturbi dello sviluppo nei neonati. Gli studi sugli adulti non hanno trovato correlazioni tra i PCB e il cancro o altre patologie. Per non rischiare, i bambini e le donne in età fertile dovrebbero stare alla larga dai pesci ricchi di mercurio, come lo squalo, il pesce spada, lo sgombro reale, il tilefish (un pesce tropicale simile al dentice, N.d.T.). È anche saggio evitare il pesce pescato nei pressi di zone industriali, dove è probabile che i PCB siano più abbondanti. Tra le scelte sicure ci sono il merluzzo, l’eglefino, il salmone, le sardine, i gamberetti e la tilapia. L’opuscolo Consigli su consumo di pesce diffuso dall’Environmental Protection Agency (Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente) e dalla Food and Drug Administration

(www.fda.gov

/downloads/Food/FoodborneIllnessContaminants/Metals/UCM536321.pdf)

offre

informazioni sulla scelta di fonti sane nel periodo della gravidanza. Questo tuttavia non significa che si debba rinunciare al pesce. Al contrario, la cosa migliore per soddisfare il fabbisogno di omega 3 è consumare settimanalmente fino a 350 g (due pasti medi) di pesce e frutti di mare, scegliendoli tra le varietà che contengono meno mercurio, come salmone, pollack o merluzzo d’Alaska, pesce gatto e gamberetti. Il tonno in scatola richiede una particolare attenzione, perché essendo pratico e poco costoso si tende a mangiarlo spesso. Sfortunatamente, ha anche un medio tenore di mercurio. Per essere prudenti, preferite le scatolette di tonnetto striato a quelle di tonno pinna gialla. Che cosa dire degli uomini e delle donne in età matura? Se siete abbastanza avanti con gli anni da preoccuparvi per la salute del cuore, i benefici indiscussi del consumare pesce superano ampiamente i possibili (e probabilmente modesti) rischi derivanti dal mercurio e dai PCB . È prudente limitare il consumo delle specie note per l’elevato tenore di mercurio a una volta al mese, e forse è meglio non mangiare pesce – nemmeno a basso tenore di mercurio – proprio tutti i giorni. I benefici di mangiare pesce si estendono oltre il cuore e le arterie. Fa anche bene al cervello. Il benefico effetto complessivo del pesce sulla salute cerebrale è stato efficacemente illustrato in uno studio del 2016 di Martha Claire Morris della Rush University di Chicago. Alla morte dei soggetti che avevano partecipato al suo studio a lungo termine sul rapporto tra dieta e funzionalità cerebrale, eseguì autopsie cerebrali

che evidenziarono una correlazione tra il consumo di pesce e la minor frequenza delle pericolose alterazioni tipiche del morbo di Alzheimer. Il consumo di pesce era anche correlato ad aumento di mercurio nel tessuto cerebrale, ma non associato ad alterazioni pericolose. 21 Se non vi piace il pesce o vi preoccupate dei contaminanti, gli integratori di olio di pesce sono una valida alternativa. Assicurano un abbondante apporto di EPA e di DHA , grassi omega 3 essenziali, senza veicolare mercurio; numerose analisi chimiche sugli integratori di olio di pesce evidenziano che il metallo è presente in quantità trascurabili. Tuttavia non danno esattamente gli stessi benefici che dà il pesce quando viene usato in sostituzione di una fonte proteica meno salutare, come per esempio una bistecca. Inoltre, prendete in considerazione l’idea di farvi consigliare dal medico un integratore di olio di pesce che contenga dai 600 agli 800 mg di EPA e DHA se: soffrite di angina (dolore toracico), se avete avuto un infarto o se siete soggetti a rischio. (Potete calcolare il vostro rischio di infarto con il calcolatore online messo a disposizione dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health, www.diseaseriskindex.harvard.edu.); praticate sport o attività fisica di notevole intensità. Anche se il rischio complessivo di cardiopatie coronariche è generalmente basso tra coloro che fanno allenamenti intensivi, possono verificarsi aritmie fatali durante o subito dopo lo sforzo. Non sono ancora stati eseguiti studi formali sull’effetto degli integratori di olio di pesce in questo gruppo. Ciononostante, è prudente integrare abbondanti quantità di grassi omega 3 se praticate attività fisiche molto impegnative. IN BREVE SIATE CAUTI CON GLI INTEGRATORI DI PROTEINE Atleti e bodybuilder, ma non solo, fanno uso di integratori proteici come le proteine del siero di latte per aumentare la massa muscolare. Assumere integratori proteici senza fare attività fisica ha un effetto modesto sull’incremento della massa muscolare e non sostituisce l’allenamento. È una strategia costosa che non funziona meglio di una semplice dieta iperproteica. Per di più cercare di accelerare la crescita dei muscoli con gli integratori proteici potrebbe comportare una parallela accelerazione della crescita di cellule cancerose, che sono allo stato latente da anni e si rendono manifeste quando ormai è troppo tardi (vedi “Proteine nobili: troppo è male?” a p. 188).

a. 50 g di proteine al giorno per una dieta di 2000 calorie.

8

Mangiare molta frutta e verdura

Da bambini odiavate sentirvelo dire. Da adolescenti avete promesso a voi stessi che non l’avreste mai detto ai vostri figli. Ma, da adulti, il classico «Mangia le verdure che ti fanno bene!» scaturisce spontaneo dalle vostre labbra, come una perla di saggezza da tramandare di generazione in generazione. Ed è veramente così. “Mangiare molta frutta e verdura” è un monito senza tempo con cui la scienza si sta mettendo in pari solo adesso. È un consiglio gustoso, facile da mettere in pratica e da ricordare, che si piazza molto in alto nella classifica delle sane e intelligenti abitudini nutrizionali. Scusandomi con Elizabeth Barrett Browning se prendo in prestito i suoi versi How do I love thee? Let me count the ways... (“Come vi aiutano la frutta e la verdura? Lasciate che ne conti i modi...”), una dieta ricca di frutta e verdura può: ridurre le probabilità di subire un infarto, un ictus o di sviluppare il diabete; abbassare la pressione; aiutarvi a evitare la stipsi e il doloroso disturbo intestinale noto come diverticolite; proteggere da due comuni malattie dell’occhio correlate all’età: la cataratta, cioè la graduale perdita di trasparenza del cristallino; e la degenerazione maculare, la principale causa di perdita della visione centrale tra le persone oltre i 65 anni; ritardare o prevenire la perdita di memoria e il declino delle facoltà intellettive; aiutare a sentirsi sazi con meno calorie, e così facendo a tenere sotto controllo il peso e il girovita; aggiungere varietà alla dieta e rivitalizzare il senso del gusto. Notate che continuo a ripetere “frutta e verdura.” Pastiglie e affini,

che contengono una, due o dieci sostanze estratte dalle piante, non vanno bene. Perché no? I vegetali sono una cornucopia apparentemente inesauribile di composti che esplicano un’attività biologica nel corpo umano. A oggi solo un’esigua minoranza sono stati identificati e contrassegnati come potenziali responsabili dei benefici della frutta e della verdura, e a volte sulla base di pochissime prove certe. La grande maggioranza dei composti fitochimici deve ancora essere scoperta, denominata, caratterizzata sotto il profilo chimico e valutata sotto quello biologico. È molto probabile che i suddetti benefici della frutta e della verdura derivino da numerose sostanze diverse, forse dalla loro interazione.

Prima di tutto, che cosa sono esattamente la frutta e la verdura? Per un botanico, un frutto è qualsiasi parte di una pianta che contenga dei semi. Procedendo per eliminazione, tutto il resto è verdura: foglie, steli, fiori, radici e bulbi. Le cose si fanno più confuse in cucina, perché molti alimenti comunemente definiti “verdure” o “ortaggi” sono tecnicamente “frutti”: pensate ai semi presenti negli avocado, nei cetrioli, nelle melanzane, nelle zucche e nei pomodori, per fare solo qualche esempio. In questo libro mi atterrò al concetto culinario di frutta come alimenti dolci, da dessert o anche da spuntino, e di verdura come alimenti salati, da insalata, contorno o pietanza. Patate e mais non saranno compresi nella categoria delle verdure, anche se sono tra le più popolari d’America (vedi “La patata è una bomba inesplosa” a p. 240), in quanto per l’apparato digerente si comportano come carboidrati. FRUTTA O VERDURA? Se certi alimenti siano frutti o verdure è una questione dibattuta da anni. Già nel 1893 la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che i pomodori erano una verdura e tali sono rimasti da allora. Perché la più alta corte del Paese fu chiamata a emettere una sentenza con valore di legge, per altro non propriamente in linea con la scienza, su una materia del genere? Gli importatori di frutta John, George e Frank Nix intentarono causa all’esattore di tasse doganali di New York Edward Hedden per recuperare la

somma da lui riscossa a titolo di dazio su un carico di pomodori importati dalle Indie occidentali. A quell’epoca la frutta importata non era tassata, mentre la verdura lo era. Con la sua decisione, la Corte riconobbe che i pomodori erano tecnicamente frutti. Ma stabilì che nel linguaggio comune i pomodori – come i cetrioli, le melanzane, i fagioli e i piselli – erano “verdure che crescono negli orti e di solito si servono a cena con la portata principale del pasto e non come dessert”. 1 PERCHÉ GLI INTEGRATORI NON SOSTITUISCONO LA FRUTTA E LA VERDURA A oggi, nessuno ha scoperto un rimedio che preservi dalle cardiopatie, dal cancro e da una serie di altre malattie con la stessa efficacia della frutta e della verdura. In teoria, si potrebbero assemblare tutte le sostanze buone prodotte dai vegetali – elementi essenziali, fibre, vitamine, antiossidanti, ormoni vegetali e così via – dentro una pillola. Ma dovrebbe essere una pillola molto grossa, e gli scienziati in tutta onestà non possono dire di sapere esattamente cosa dovrebbero metterci dentro o in quali proporzioni. Prendiamo i pigmenti antiossidanti noti come carotenoidi. Quando mangiamo un pomodoro o una carota, i diversi carotenoidi che contiene trovano la propria strada verso i vari tipi di cellule e le varie parti di ciascuna cellula. Questo assicura protezione antiossidante non solo alla cellula e a tutte le sue parti, ma a numerosi tipi di cellula. Consumati nelle proporzioni in cui si trovano normalmente nei cibi, i carotenoidi e gli altri composti fitochimici giovano alle cellule esplicando un’azione combinata di cui non abbiamo ancora completamente compreso le modalità. Se però vengono veicolati in proporzioni diverse da quelle naturali, o privi di alcune componenti essenziali – diciamo, per esempio, attraverso un integratore non adeguatamente progettato – l’eccesso di un carotenoide o di un composto fitochimico potrebbe bloccare l’attività degli altri. Ciò non significa che gli integratori vitaminici e minerali siano inutili. Come spiego nel capitolo 11, gli integratori vitaminici sono una garanzia, ma non sostituiscono una dieta sana. A prescindere dalla salute, il grosso limite è che una pillola avrà sempre il sapore di una pillola. Non potrà evocare i sapori e i profumi della terra come fa una pannocchia, non potrà avere la dolcezza di un pomodoro ancora caldo di sole, la croccantezza di una mela, il verde festoso di una taccola o di un broccoletto, il sapore cremoso e unico di un avocado. Tenetevi strette la frutta e la verdura vere: contengono un tesoro di composti fitochimici che non si trovano nelle capsule e sono anche molto più buone.

Famiglia nutrizionale Studiando il rapporto tra frutta, verdura e salute, è utile parlare di gruppi vegetali. Una delle classificazioni schematiche più comuni è per famiglie vegetali. Eccone alcune che normalmente trovate al supermercato o in tavola. La famiglia delle crucifere (Cruciferae) deriva il suo nome dalla piccola croce che si nota osservando un seme appena germogliato. Comprende un gran numero di quelle verdure che i bambini (e alcuni adulti) istintivamente ma scioccamente evitano: broccolo, cavolini di Bruxelles, cavolo, cavolfiore, cavolo riccio e cavolo nero, cavolo cappuccio, cima di rapa, cavolo rapa, senape indiana, rapanello, rapa gialla, rapa e crescione. Alcuni membri della famiglia delle crucifere sono eccellenti fonti di isotiocianati, indoli, tiocianati e nitrili. Questi composti chimici possono proteggere dal cancro al seno e da alcuni altri tipi di cancro. La famiglia del melone e della zucca (Cucurbitaceae) comprende il cetriolo, la zucca da zucchini, che si raccoglie immatura nei mesi estivi, e la zucca invernale, con buccia dura variamente colorata e polpa gialla e dolce, il melone cantalupo, il retato e il melone d’inverno. La famiglia dell’erica (Ericaceae) ci offre il mirtillo, il mirtillo rosso, il corbezzolo e altre bacche. Sono frutti particolarmente ricchi di antocianine, sostanze che appartengono al gruppo dei flavonoidi e potrebbero essere correlate alla prevenzione del diabete, della cardiopatia e della demenza. La famiglia dei legumi (Leguminosae) comprende germogli di alfa alfa (erba medica), piselli, fagioli, ceci, lenticchie e semi di soia. I legumi sono ricchi di fibre, folati e di alcuni cosiddetti inibitori della proteasi, tutte sostanze che offrono una certa protezione dalla cardiopatia e dal cancro. La famiglia del giglio (Liliaceae) comprende asparagi, erba cipollina, aglio, porro, cipolla e scalogno. Queste verdure contengono numerosi composti solforganici, in particolar modo allicina e disolfuro di diallile, che potrebbero combattere il cancro.

La famiglia della rosa (Rosaceae) comprende mandorla, mela, albicocca, ciliegia, pesca, pera, prugna, lampone e fragola. La famiglia degli agrumi (Rutaceae) include pompelmo, limone, lime, arancia e mandarino. Gli agrumi sono ricchi di vitamina C e di un carotenoide denominato betacriptoxantina, e contengono anche limonene e cumarina, composti che hanno evidenziato proprietà anticancerogene in test di laboratorio condotti su animali. La famiglia delle solanacee (Solanaceae) è un gruppo diversificato che comprende melanzana, peperone, patata e pomodoro. I pomodori contengono elevate quantità di licopene, un tipo di antiossidante che potrebbe giocare un ruolo cruciale nella prevenzione del cancro alla prostata e di altre forme di tumore. La famiglia delle piante con infiorescenza a ombrella (Umbrelliferae) comprende carota, sedano rapa, sedano, prezzemolo e pastinaca. Le carote sono un’eccellente fonte di betacarotene, che il corpo utilizza per produrre vitamina A . Solide prove corroborano i benefici del betacarotene, e probabilmente dei composti correlati chiamati carotenoidi, nel mantenimento della memoria in età avanzata. Se è vero che ciascun frutto od ortaggio contiene decine, forse centinaia di diversi composti a cui il corpo ricorre per funzioni diverse dal generare energia, nessun singolo frutto o ortaggio contiene tutte le sostanze di cui avete bisogno. Ecco perché è una buona idea consumare settimanalmente alcune porzioni di alimenti che appartengono a ciascuno di questi gruppi principali.

Un arcobaleno di cibi Altra buona idea è scegliere sulla base della varietà di colore. Dipingere la dieta con i colori brillanti della frutta e della verdura – il rosso dei pomodori maturi, l’arancione delle carote croccanti, il giallo della zucca cremosa, il verde smeraldo degli spinaci, il blu dei succosi

mirtilli, l’indaco delle prugne, il viola delle melanzane e tutte le sfumature intermedie – non solo renderà i vostri pasti più invitanti, ma vi garantirà un apporto ampio e diversificato di fitonutrienti benefici.

USDA

e altri: una guida inadeguata

Già nel 1991, il National Cancer Institute varò la campagna di salute pubblica “5 al giorno”. Con striscioni nei supermercati, etichette sulle confezioni di frutta e verdura, annunci sui media e materiale educativo per gli alunni delle scuole, spronò a consumare quotidianamente cinque o più porzioni di frutta e verdura. Quella campagna fu incorporata nelle Dietary Guidelines for Americans e nelle raccomandazioni emanate dall’American Heart Association, dall’American Cancer Society, dall’OMS e da altri enti. Nel 2007 fu sostituita dalla nuova campagna Fruits & Veggies – More Matters (Frutti e ortaggi: di più è meglio). Il nome della nuova campagna, More Matters, coglie il punto centrale del discorso educativo su frutta e verdura. Manca però di una chiara definizione dell’obiettivo sintetizzato nell’espressione “di più”. Due bicchieri di succo d’arancia, una mela, una porzione di patate fritte a pranzo e una patata per contorno a cena non vi portano lontano da questa raccomandazione. E se è vero che sono meglio di una totale assenza di frutta e verdura, di certo non garantiscono il pieno di benefici di cui parliamo in questo libro. Le Dietary Guidelines for Americans 2015-2020 raccomandano di mangiare una varietà di ortaggi derivati da tutti i sottogruppi: verde scuro, rosso-arancione, e legumi (fagioli e piselli). Però includono le patate tra le verdure, mentre l’organismo le riconosce come carboidrati ricchi di amido. LA PASSIONE PRESIDENZIALE PER L’OLIO DI OLIVA E LE VERDURE L’olio di oliva sulle melanzane arrostite o sui peperoni grigliati evoca immagini di cucina mediterranea. Però l’utilizzo di quest’olio è americano quanto i padri fondatori. Ecco che cosa ebbe a dire Thomas Jefferson a proposito di olivi e olio di oliva in una lettera a William Drayton, avvocato del South Carolina, deputato e proprietario terriero:

«L’olivo è l’albero meno conosciuto d’America e tuttavia il più degno d’esser conosciuto. Di tutti i doni del cielo all’uomo, se non è il più prezioso, vi si avvicina molto. Forse può dirsi superiore al pane stesso, tale è l’infinità di vegetali che esso sa trasformare in adeguato e confortante nutrimento». Il terzo presidente degli Stati Uniti sapeva qualcosa che cuochi e chef hanno dovuto riscoprire: l’olio di oliva riesce a dare una marcia in più alle verdure e non solo a quelle. Jefferson, naturalista curioso e orticoltore appassionato, cercò ripetutamente di coltivare olivi in North Carolina e Georgia, ma con scarso successo. In conclusione, per la propria tavola dovette affidarsi all’olio di oliva importato. Ignorava che sul finire del Settecento i missionari spagnoli avessero piantato degli olivi in California, e che questi sarebbero diventati una fonte indigena d’olio di oliva per l’intero Paese.

Non ci siamo Pochi di noi sfruttano l’incredibile tesoro di frutta e verdura coltivate nella nostra terra e altrove. L’americano medio si affida abitualmente a una decina di frutti e verdure. Il consumo quotidiano, altrettanto limitato, si assesta intorno alle quattro porzioni al giorno, ed è un calcolo gonfiato dalla massiccia presenza delle patate. Un recente sondaggio nazionale ha riscontrato che solo un americano su nove assume la dose minima raccomandata di cinque porzioni quotidiane. 2 Ed è un vero peccato, considerando gli inequivocabili benefici di un’alimentazione ricca di frutta e verdura.

Frutta e verdura prevengono le patologie cardiovascolari... Una dieta che comprende molta frutta e verdura può aiutare a tenere sotto controllo e persino a prevenire la pressione alta e l’ipercolesterolemia, due tra i principali precursori della cardiopatia e dell’ictus. Ancora meglio, investire in una dieta ricca di alimenti vegetali ripaga in termini di minor rischio di insorgenza di numerose forme di cardiopatia e ictus. La pressione alta spesso prepara il terreno all’ictus, all’infarto e ad altri problemi circolatori. Formalmente definita ipertensione, la

pressione alta affligge più di 70 milioni di americani e 1 miliardo di persone nel mondo. 3 Una cifra da capogiro. Il problema cresce di pari passo con l’avanzare dell’età: meno del 10% degli americani adulti tra i 20 e i 34 anni soffre di ipertensione, ma tra i soggetti che hanno compiuto i 75 anni la prevalenza sale al 75%. Il 90% degli americani sviluppa l’ipertensione progressivamente nel corso della vita. A volte definita killer silenzioso, l’ipertensione non dà veri sintomi. È una delle ragioni per cui almeno un terzo delle persone che ne soffre non sa di soffrirne. Tra coloro che ne sono consapevoli, molti faticano a tenerla sotto controllo. L’effetto benefico che un maggior consumo di frutta e verdura ha sulla pressione, se non è enorme come quello che deriva dal praticare attività fisica, vale comunque questo piccolo sforzo. Tra oltre 185.000 partecipanti al Nurses’ Health Study e all’Health Professionals Follow-up Study, coloro che hanno dichiarato di consumare quattro o più porzioni di frutta e verdura al giorno hanno manifestato, rispetto a chi consumava quattro porzioni o meno a settimana, una probabilità inferiore del 7% di sviluppare l’ipertensione lungo un periodo di osservazione di quindici anni. 4 I cibi apparentemente più benefici comprendevano broccoli, carote, tofu o semi di soia, uva passa e mele. Secondo altre revisioni e meta-analisi, il consumo di circa trenta porzioni di frutta e verdura la settimana (poco meno di cinque al giorno) è risultato associato a un rischio inferiore del 30% di subire il più comune tipo di ictus (ictus ischemico), causato da un coagulo di sangue che ostruisce un’arteria del cervello o che conduce al cervello. 5 Con il mio gruppo abbiamo calcolato che consumarne una porzione in più diminuisce del 6% circa le probabilità di subire un ictus ischemico. In quello studio, la maggior parte dei benefici derivava apparentemente dal consumo di broccoli, spinaci, cavolo riccio, lattuga romana, agrumi o succo di agrumi. Molti nutrienti di questi cibi contribuiscono ad abbassare il rischio di ictus. Uno di essi è il folato, la forma vegetale dell’acido folico (entrambi i termini derivano dal latino folium, “foglia”). È stato riscontrato che l’acido folico riduce il rischio di ictus anche se assunto sotto forma di integratore. 6 Uno studio innovativo denominato DASH (Dietary Approaches to

Stop Hypertension, Approcci dietetici contro l’ipertensione) ha mostrato chiaramente che mangiare più frutta e verdura può abbassare in maniera sostanziale la pressione, specialmente nel contesto di una dieta povera di grassi animali. 7 Il DASH non era un ordinario studio nutrizionale, bensì un trial clinico completo, non dissimile da quelli che si eseguono per testare nuovi farmaci. A tutti i 457 partecipanti al DASH – alcuni ipertesi, altri no – fu assegnata casualmente una delle seguenti tre diete: un regime di controllo che rispecchiava la tipica dieta americana (circa tre porzioni di frutta e verdura, quasi il 40% delle calorie derivate da grassi e un latticino al giorno); una dieta basata su frutta e verdura, simile a quella di controllo ma con otto porzioni di frutta e verdura quotidiane; una dieta combinata che comprendeva nove porzioni di frutta e verdura al giorno più tre porzioni di latticini a ridotto contenuto di grassi. Il bello del metodo DASH era che nel corso dello studio i pasti di tutti i volontari erano appositamente preparati nelle cucine dell’ospedale, strategia che riduceva al minimo la variabilità individuale. Dopo otto settimane, la dieta combinata (frutta e verdura più tre porzioni di latticini) aveva abbassato in modo sostanziale i valori di pressione dei volontari ipertesi. Lo stesso aveva fatto il regime a base di frutta e verdura, anche se in modo meno evidente. In entrambe le diete sperimentali, l’abbassamento era più o meno sovrapponibile ai risultati di una terapia farmacologica sui casi di lieve ipertensione. Sia la dieta combinata che quella a base di frutta e verdura avevano ridotto i valori pressori anche nei soggetti non ipertesi, il che suggerisce che potrebbe rappresentare un metodo semplice e privo di effetti collaterali per prevenire l’insorgenza della patologia. Un secondo trial mostrò che una versione a ridotto contenuto di sale del regime DASH riusciva ad abbassare la pressione di qualche altro punto (vedi capitolo 11). Molte componenti della dieta DASH contribuiscono ai suoi benefici effetti sulla pressione. Uno studio di follow-up ha evidenziato che il singolo fattore più importante è l’apporto supplementare di potassio garantito da frutta e verdura.

Anche i livelli di colesterolo sembrano rispondere positivamente a una dieta ricca di frutta e verdura. Potrebbe essere una delle vie attraverso le quali questi alimenti riescono a ridurre il rischio di cardiopatia e ictus. Nessuno sa per certo in che modo frutta e verdura agiscano sui livelli di colesterolo. Dal momento che mangiare più alimenti vegetali spesso si traduce in una riduzione del consumo di carne e latticini, l’abbassamento dei livelli di colesterolo potrebbe dipendere da un ridotto apporto di grassi saturi. Potrebbe anche essere dovuto alla capacità della fibra solubile di bloccare l’assorbimento del colesterolo dal cibo. A dispetto di quanto affermano le aziende alimentari, però, gli effetti della fibra solubile sul colesterolo sono relativamente modesti.

... Le patologie dell’occhio... Gli occhi sono le porte dell’anima, e mangiare molta frutta e verdura contribuisce a mantenerli sani, limpidi ed efficienti. Questo va oltre la solita raccomandazione di mangiare carote per migliorare la vista (in realtà, la visione notturna). Le persone che consumano regolarmente verdure a foglia verde, come spinaci, cavolo riccio o cavolo a foglia, hanno meno probabilità di sviluppare due comuni patologie correlate all’età: la cataratta e la degenerazione maculare. Insieme, questi due problemi affliggono milioni di americani sopra i 65 anni. La cataratta è la graduale opacizzazione del cristallino, un disco proteico che mette a fuoco la luce sulla retina fotosensibile. Come il continuo calpestio rende opaca e velata la cera dei pavimenti, così decenni di insulti danneggiano e opacizzano la lente. La degenerazione maculare, la principale causa di cecità tra gli anziani, è causata da danni cumulativi alla macula, il centro della retina. Tutto comincia con una macchia sfocata al centro del campo visivo. Man mano che la degenerazione si diffonde, la visione si restringe. In entrambe le patologie si ritiene che i radicali liberi siano responsabili di gran parte del danno. I radicali liberi sono sostanze altamente reattive che innescano processi incontrollati, generate all’interno dell’occhio da intensa luce solare, fumo di sigaretta,

inquinamento dell’aria e infezioni. Le verdure a foglia verde contengono due pigmenti, luteina e zeaxantina, che si accumulano nell’occhio. Unitamente ai composti fitochimici noti come carotenoidi, queste due sostanze riescono a eliminare i radicali liberi prima che possano ledere i sensibili tessuti oculari. 8 Ricavare la luteina e la zeaxantina dalla frutta e dalla verdura probabilmente è meglio che assumerle sotto forma di pillole. Buone fonti sono la lattuga scura, il cavolo riccio o il cavolo a foglia, la cima di rapa, gli spinaci e il broccolo.

... I problemi intestinali... Quello che non si digerisce della frutta e della verdura è salutare quanto quello che si digerisce. Come spiegherò più avanti (vedi “Fibre: quando essere indigeribili è un pregio“ a p. 229), le fibre sono essenziali per il buon funzionamento dell’intestino. Se la dieta non contiene sufficiente materia indigeribile, le feci possono diventare dure e difficili da espellere. Le fibre assorbono acqua come una spugna e si espandono mentre transitano nell’apparato digerente. Questo può dare sollievo al colon irritabile. Stimolando regolari movimenti intestinali, le fibre possono alleviare o prevenire la stipsi. Questa azione di aumento e ammorbidimento della massa fecale riduce anche la pressione interna dell’intestino e quindi può contribuire a prevenire la diverticolosi (formazione di piccole estroflessioni cave facilmente irritabili all’interno del colon) e la diverticolite (l’infiammazione spesso dolorosa di queste estroflessioni). Quasi vent’anni fa, i miei colleghi e io constatammo che gli uomini abituati a consumare molte fibre avevano meno probabilità di sviluppare sintomi di patologia diverticolare. 9 Il risultato è stato recentemente confermato da uno studio che ha seguito per sei anni circa 700.000 donne del Regno Unito. 10

... E il controllo del peso Non è detto che integrare più frutta e verdura nella dieta vi aiuti a

dimagrire o a mantenere il peso, a meno che non riduciate qualcos’altro. Come ho detto in precedenza, questo “qualcos’altro” dovrebbe corrispondere ai carboidrati altamente raffinati (come il pane, i cracker e i derivati della farina bianca, le bibite zuccherate) e alle carni rosse (vedi “Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare” a p. 73). Fatta questa premessa, i dati degli studi sulla salute delle infermiere e quello di follow-up sui professionisti sanitari mostrano che tra gli uomini e le donne che avevano incrementato il consumo di frutta e verdura nel corso dei ventiquattro anni di osservazione, le probabilità di ottenere un dimagrimento erano più alte che non tra coloro che avevano mantenuto invariato, o avevano diminuito, il consumo di frutta e verdura. 11 È emerso un modello interessante: l’accresciuto consumo di bacche, mele, pere, soia e cavolfiori era correlato a dimagrimento o controllo del peso, mentre l’accresciuto consumo di verdure amidacee come patate, mais e piselli era correlato ad aumento di peso.

Ma proteggono dal cancro? Tre decenni fa, due eminenti epidemiologi stimarono che erano fattori dietetici – “non abbastanza” di qualcosa o “troppo” di qualcos’altro – a spiegare il 35% delle morti per cancro negli Stati Uniti: grosso modo la stessa percentuale di decessi che all’epoca era attribuita al fumo. Corposi documenti dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti (Diet and Health: Implications for Reducing Chronic Disease Risk, Dieta e salute: ripercussioni sulla riduzione del rischio di patologie croniche) e del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (World Cancer Research Fund) in collaborazione con l’Istituto americano per la ricerca sul cancro (Food, Nutrition, Physical Activity, and the Prevention of Cancer: A Global Perspective, Cibo, nutrizione, attività fisica e prevenzione del cancro: una prospettiva globale), tra altri, hanno riecheggiato questa conclusione. Se il 35% è una quota forse troppo ottimistica, il messaggio di fondo che una dieta migliore – dateci dentro con gli alimenti vegetali – possa contribuire a proteggere da varie forme di tumore è perfettamente veritiero.

IN BREVE UN URRÀ PER I MIRTILLI Analizzando la relazione tra specifici frutti e verdure e rischio di malattia, abbiamo riscontrato che un gruppo di alimenti si piazza sempre ai vertici della classifica: i frutti di bosco. Numerosi studi hanno associato il consumo di questi gustosi frutti, specialmente dei mirtilli, alla riduzione del rischio di cardiopatia, perdita di memoria, diabete, cancro al seno negativo ai recettori degli estrogeni, morbo di Parkinson e altre patologie. I frutti di bosco non sono un cibo miracoloso, sia chiaro, e mangiarli non può rimediare ai danni prodotti da scelte alimentari non salutari. Ma aggiunti ai cereali o alla macedonia, consumati come spuntino o trasformati in dessert a ridotto contenuto di zuccheri, i frutti di bosco possono costituire un formidabile complemento dietetico.

A oggi, parecchie centinaia di studi hanno preso in esame la relazione tra diete ricche (o povere) di frutta-verdura e insorgenza del cancro. Inizialmente si ipotizzò che la maggior parte delle principali forme di cancro avrebbe subito una riduzione del 50% se tutti avessero consumato almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. Su questa base nacque il programma “5 al giorno” del National Cancer Institute, ancora in vigore. Quasi tutti gli studi del primo periodo erano studi casi-controlli (vedi a p. 45). In parole povere, mettevano a confronto un gruppo di persone affette da una particolare forma di tumore e un gruppo di persone sane, osservando la loro dieta, le loro abitudini e altri fattori potenzialmente correlati allo sviluppo della malattia. Questo tipo di raffronto non è sempre corretto o esente da distorsioni. Le persone affette da tumore, per esempio, tendono a interrogarsi sulle ragioni per cui sono state colpite dalla malattia e possono essere più inclini di quelle sane a rimproverarsi gli errori alimentari. L’uniformità dei risultati degli studi casi-controlli produsse la convinzione, forte ma ingannevole, che mangiare molta frutta e verdura contribuisse a prevenire il cancro. Gli studi di coorte, in cui le informazioni sull’alimentazione e su altri fattori correlati allo stile di vita vengono raccolte prima dell’insorgenza del cancro, della cardiopatia o di altre condizioni di interesse medico, tendono a dare risultati più affidabili e duraturi.

Più di un decennio fa, indagando sul rapporto tra cancro e consumo di frutta-verdura, il mio team della Harvard School of Public Health combinò i dati di due ampi studi di coorte (Nurses’ Health Study e Health Professionals Follow-up Study), dopo che 110.000 partecipanti erano stati seguiti per quasi vent’anni. In questo periodo, 9100 partecipanti avevano sviluppato una qualche forma di tumore. Tra coloro che avevano consumato quotidianamente otto o più porzioni di frutta e verdura, l’incidenza di tumori risultò paragonabile a quella rilevata tra i soggetti che si erano limitati a consumarne una porzione e mezza. 12 Inoltre, due studi randomizzati che raffrontarono con dei gruppi di controllo gli effetti degli integratori alimentari di fibre e gli effetti di una dieta povera di grassi e ricca di fibre, conclusero che l’elevato apporto di fibre non era associato a una riduzione dell’insorgenza di nuovi polipi. 13 L’assenza di una relazione forte con l’incidenza del cancro in generale fu confermata da un vasto studio prospettico eseguito in Europa. 14 Questo significa che mangiare frutta e verdura non ha alcun impatto su nessun tipo di cancro? No. Sebbene non abbiano un effetto anticancerogeno generalizzato, alcuni specifici frutti e verdure possono combattere alcune specifiche forme di tumore. Basta analizzare i dati in modo più approfondito, ed ecco le prove che particolari frutti e ortaggi possono contrastare l’insorgenza di specifiche forme di cancro. Di seguito alcuni esempi. Cancro della vescica. Il consumo di crucifere, per esempio di broccoli, è stato associato a una minore incidenza di cancro della vescica. Cancro al seno. Un problema degli studi sul cancro al seno è che non si tratta di una sola malattia. Comprende molte malattie diverse, ciascuna con i propri fattori di rischio. Un tipo di cancro al seno, quello negativo ai recettori degli estrogeni, è particolarmente aggressivo e più probabilmente mortale. Combinando i dati tratti da studi di coorte eseguiti in varie parti del mondo, il mio team è riuscito a esaminare i tumori al seno sulla base dell’assetto recettoriale degli estrogeni e ha scoperto che il maggior consumo di verdure era correlato a un minor

rischio di sviluppo di tumori al seno negativi ai recettori degli estrogeni. 15 Mangiare broccoli e altre crucifere è stato correlato a un minor rischio di sviluppare il cancro al seno. 16 Cancro del colon-retto. Ci sono forti evidenze che il folato (vitamina nota anche come acido folico) protegga dal cancro del colon-retto. Verdure come gli spinaci e le barbabietole sono buone fonti di acido folico, quindi possono contribuire a combattere questi tumori. Oggi, però, con tanti cibi arricchiti di acido folico (vedi capitolo 11), il contributo diretto di frutta e verdura potrebbe essere in calo. Cancro alla prostata. Il licopene derivato da pomodori freschi e lavorati (pelati, passata e ketchup) appare coinvolto nella prevenzione del cancro alla prostata. Nell’Health Professionals Follow-up Study, per esempio, gli uomini che consumavano diverse porzioni di pomodori, salsa o succo di pomodoro a settimana avevano, rispetto a coloro che si limitavano a una o due porzioni, meno probabilità di sviluppare il tumore prostatico avanzato. 17 Questa conclusione è stata corroborata da studi sui livelli ematici di licopene e altri carotenoidi. Sebbene l’effetto anticancerogeno di frutta e verdura non sia esattamente quello ipotizzato alcuni anni fa, anche quel poco aiuta. Non si può escludere che i benefici siano stati sottovalutati, perché quasi tutti gli studi eseguiti finora hanno preso in esame il consumo durante la mezza età o la vecchiaia, mentre il periodo critico per la prevenzione del cancro potrebbe risiedere nell’infanzia, nell’adolescenza o nella prima età adulta. Per esempio, in uno dei pochi studi che ha esaminato l’alimentazione in adolescenza, abbiamo osservato che la relazione tra il consumo di frutta e verdura e il minor rischio di cancro al seno era più marcata di quanto non fosse nella mezza età. 18 I geni che avete ereditato dai vostri genitori hanno un ruolo nel determinare se svilupperete un tumore oppure no. Lo stesso vale per abitudini come fumare, bere troppi alcolici, prendere troppo sole, non fare attività fisica. Anche la professione potrebbe avere un peso. Tuttavia una dieta nutriente – e che comprenda molta frutta verdura –

è una componente importante di qualunque strategia di benessere fisico.

Fibre: quando essere indigeribili è un pregio Dal punto di vista della salute, uno dei meravigliosi vantaggi del mangiare frutta e verdura è che contengono un sacco di materia non digeribile. Molte sostanze che conferiscono forza e flessibilità ai vegetali non vengono scomposte dagli acidi e dagli enzimi dello stomaco e dell’intestino umano. Queste sostanze, genericamente chiamate fibre, comprendono la cellulosa, la pectina e le gomme. Le fibre si dividono in due classi: solubili e insolubili. Entrambe attraversano in larga misura intatte l’apparato digerente. La grande differenza è che le fibre solubili si sciolgono nei fluidi intestinali, mentre le fibre insolubili no. Le fibre solubili abbondano nei piselli, nelle mele e negli agrumi, come anche nell’avena e in altri cereali e semi. Formano una massa gelatinosa, colante e appiccicosa mentre transitano nell’intestino. Questa sostanza gommosa intrappola acidi biliari ricchi di colesterolo e li veicola fuori dal corpo con le feci. Più colesterolo si espelle, meno ne resta disponibile per essere trasferito nel sangue, più si abbassano i suoi livelli di concentrazione ematica; più basso è il colesterolo, più basso è il rischio di cardiopatia e altri problemi circolatori. Le fibre insolubili derivano dalla parete cellulare dei vegetali. Sono principalmente costituite da cellulosa, una lunga catena di molecole di glucosio che l’apparato digerente umano non riesce scindere e che non si può sciogliere nei fluidi intestinali. Parecchi decenni fa, una ricerca tra i bantu del Sudafrica suggerì che la dieta ad alto contenuto di fibre fosse responsabile del basso tasso di cancro del colon-retto di quella popolazione. Poiché la fibra insolubile transita inalterata nell’intestino, si pensò, porta con sé cibo parzialmente digerito e, accelerando il passaggio dello stesso nel sistema digerente, riduce l’esposizione dell’intestino alle sostanze tossiche o cancerogene presenti negli alimenti. Dopo che alcuni studi di dimensioni ridotte ebbero più o meno confermato il concetto,

esplose la mania delle fibre. I rapporti diffusi dai media spinsero molti di noi a cominciare la giornata sgranocchiando fiocchi o tortine alla crusca, le aziende alimentari iniziarono ad aggiungere fibre ai cereali, al pane, ai dolci. In realtà, però, la maggior parte degli studi non evidenziava una riduzione del rischio di cancro del colon tra i soggetti che consumavano più elevate quantità di fibre derivate dei cereali. In un’analisi combinata di tredici studi condotti in varie parti del mondo che includevano più di 725.000 uomini e donne, l’apporto di fibre non risultò correlato al rischio di cancro del colon. 19 Analisi precedenti non avevano evidenziato alcuna relazione tra fibre alimentari e polipi del colon, piccole formazioni da cui origina la maggior parte dei tumori. Inoltre, due studi randomizzati che raffrontarono con dei gruppi di controllo gli effetti degli integratori di fibre e di una dieta ricca di fibre e povera di grassi, giunsero alla conclusione che un maggiore apporto di fibre non riduceva l’insorgenza di nuovi polipi. Mettendo tutto insieme, parrebbe che le diete ad alto contenuto di fibre non possano vantare un effetto preventivo sulla formazione del cancro del colon. Nonostante la delusione, non buttate via la scatola di All-Bran per fare scorta di pancarrè. Trascinando il cibo parzialmente digerito attraverso l’intestino, le fibre insolubili ritardano l’assorbimento di zuccheri e amidi. Questo contribuisce a ridurre i picchi di glucosio e insulina che si verificano dopo aver consumato alimenti che vengono facilmente convertiti in glucosio, e analoghi picchi di trigliceridi, le particelle che veicolano i grassi dagli intestini ai tessuti. Una concentrazione stabilmente alta di insulina e trigliceridi nel sangue aumenta le probabilità di infarto, e la ripetuta richiesta di notevoli quantità di insulina può incrementare il rischio d’insorgenza del diabete di tipo 2. Non sorprende, quindi, che molti studi abbiano riscontrato che un maggior consumo di fibre possa ridurre il rischio di infarto e di diabete, confermando così l’importanza di mangiare più frutta, verdura e cereali integrali. La vasta comunità di microbi che vive nel nostro apparato digerente, il microbiota intestinale, contribuisce alla digestione del cibo che transita nell’intestino. Sintetizza anche certe vitamine, scompone tossine e “allena” il sistema immunitario. Il nostro

personale microbiota gioca un ruolo importante nel mantenerci in salute o farci ammalare, e può aiutarci a tenere sotto controllo il peso, come anche spingerci a ingrassare. Un sistema efficace per mantenere in forma il microbiota è nutrirlo con molte fibre, il cibo preferito dei microbi intestinali. Questo favorisce la formazione dell’insieme di microrganismi considerato più salutare. Più o meno nel decennio scorso, la ricerca sugli animali ha mostrato che aggiungere più fibre all’alimentazione può modificare la composizione della comunità di microbi, trasformandola da fattore che predispone all’ingrassamento a fattore che lo inibisce. I microbi intestinali affamati di fibre possono cominciare a nutrirsi del muco protettivo che riveste l’intestino, cosa che può scatenare infiammazioni e malattie. Come questo si applichi agli umani è ancora oggetto di intensa ricerca.

Fitonutrienti al lavoro Come frutta e verdura riescano a proteggerci da certe forme di tumore, dalla cardiopatia coronarica, da problemi gastrointestinali come la diverticolite, dalle patologie correlate all’età e da altri disturbi è ancora una sorta di mistero. Anche se mangiamo vegetali da millenni e li studiamo seriamente da decenni, quello che sappiamo oggi non è altro che la proverbiale punta dell’iceberg. Identificare i benefici della frutta e della verdura è stato un compito difficile, specialmente perché i vegetali hanno un’enorme variabilità nutrizionale. Una singola varietà coltivata – diciamo per esempio una mela Macoun – non è un’entità stabile e ben definita. Al contrario, la sua composizione chimica varia con la stagione, il terreno in cui è cresciuta, la quantità d’acqua che ha ricevuto, i parassiti che ha dovuto sopportare, il grado di maturità al momento della raccolta e del consumo, le condizioni in cui è stata conservata. E c’è dell’altro: i nutrienti che veicola dipendono dal modo in cui viene lavorata o cucinata. Ci vorranno decenni per identificare tutti i complessi composti del cibo, e ancora di più per comprendere davvero come interagiscono tra

loro e che azione esplicano nel nostro corpo. Detto questo, gli scienziati hanno isolato una quantità di sostanze che i vegetali producono o immagazzinano e che possono avere un ruolo cruciale nel mantenerci in buona salute. Tra esse ricordiamo le seguenti. Vitamine. La prima serie di composti fitochimici scoperti dall’uomo corrisponde a quelle che oggi chiamiamo vitamine. Per definizione, le vitamine sono composti organici di cui il corpo ha bisogno in piccole quantità per mantenere in vita i tessuti e attivo il metabolismo. Le vitamine tradizionalmente sono state identificate studiando patologie da carenza, come il rachitismo (carenza di vitamina D ), la pellagra (carenza di niacina), beriberi (carenza di tiamina). Prende sempre più corpo l’ipotesi che il cancro, la cardiopatia, l’ictus, il diabete, l’osteoporosi e altre malattie croniche siano, in parte, malattie da carenza. Esattamente quale specifica carenza è oggetto di intense ricerche. Un inadeguato apporto di acido folico è un probabile fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro. Un basso consumo di una speciale classe di vitamine note come antiossidanti, che catturano e neutralizzano i radicali liberi, sembra implicato nei primi stadi della cardiopatia, del cancro, delle patologie età-correlate, della demenza e probabilmente dell’invecchiamento stesso (vedi capitolo 11). Forse alcuni dei composti fitochimici noti o ancora da scoprire conquisteranno lo status di vitamina per la loro capacità di prevenire queste patologie. Potreste pensare ai frutti e agli ortaggi come a vitamine, data la loro già comprovata capacità di prevenire queste nuove patologie da carenza, ma sono molto di più; Elementi essenziali. I vegetali sono eccellenti fonti di potassio, magnesio e altri elementi di cui il corpo necessita per una serie di funzioni di importanza cruciale. Il magnesio e il potassio contribuiscono a controllare la pressione sanguigna e possono ridurre il rischio di alterazioni fatali del ritmo cardiaco; Ormoni vegetali. La FDA ha autorizzato le aziende alimentari a dichiarare nelle pubblicità e sulle confezioni che le proteine della

soia riducono il rischio di cardiopatia. Un gruppo di composti presenti nella soia, gli isoflavoni, possono mimare o inibire gli estrogeni (vedi capitolo 7). Un altro gruppo, i fitosteroli, possono influire sull’assorbimento e sul metabolismo del colesterolo; Carotenoidi. Sono i pigmenti che conferiscono ai vegetali la loro particolare colorazione arancione o rossa. Alcuni, come il betacarotene e l’alfa-carotene, possono essere convertiti in vitamina A e pertanto sono considerati vitamine. Altri, come la luteina e la betacriptoxantina, non contribuiscono alla sintesi della vitamina A ma hanno un ruolo importante e scientificamente provato nel mantenimento della funzionalità visiva e della memoria, probabilmente perché fungono da antiossidanti. Poiché la composizione chimica dei frutti e delle verdure può essere così varia – che cosa ha una carota in comune con un mirtillo? – non dovremmo aspettarci che abbiano tutti gli stessi effetti sulla salute. Fino a poco tempo fa, però, le raccomandazioni nutrizionali li hanno semplicemente ammucchiati insieme sotto la dicitura di “frutta”, “verdura” o “frutta e verdura”. Oggi esistono alcuni studi – tra cui gli studi sulla salute delle infermiere e quello di follow-up sui professionisti sanitari – abbastanza ampi da poter osservare nel dettaglio specifici frutti e verdure. Per esempio, in un’analisi combinata su queste coorti, con oltre 185.000 uomini e donne seguiti per ventiquattro anni, abbiamo preso in esame il consumo di specifici frutti in relazione al rischio di diabete. Il consumo di frutta totale è stato correlato a una riduzione del rischio di diabete. Il consumo di mirtilli, uva, uva passa e prugne è apparso particolarmente benefico per la prevenzione del diabete, contrariamente a quello di arance, fragole e meloni. 20 Bere succhi di frutta è stato correlato a un più alto rischio di diabete, probabilmente per il notevole apporto di zuccheri rapidamente assorbibili.

La nostra salute dipende dai vegetali L’alimentazione odierna non assomiglia per nulla alla dieta che i

nostri antenati cacciatori-raccoglitori seguirono per centinaia di migliaia di anni. Loro probabilmente consumavano una grande varietà di frutta e verdura, azzuffandosi per raccogliere e ingoiare ogni boccone di materia commestibile che riuscivano a trovare. È plausibile che, nel tempo, gli umani siano diventati metabolicamente dipendenti da centinaia di composti prodotti dalle piante. Questi composti fitochimici contribuiscono a neutralizzare le sostanze tossiche dannose che si trovano nei vegetali; aiutano certi nostri enzimi a combattere il cancro, le infezioni e altre alterazioni cellulari; collaborano tra loro per riparare i danni delle cellule. Finora solo una piccola quantità di questi composti è stata etichettata come “nutriente essenziale”. “Gli ortaggi e la frutta contengono il cocktail anticancerogeno al quale siamo adattati” ha scritto una volta l’insigne ricercatore in oncologia John Potter. “Lo abbandoniamo a nostro rischio e pericolo.”

Troppo di una cosa buona Esagerare con il consumo di un certo tipo di frutta o verdura può fare male? La risposta è sì. Quasi tutti i nutrienti essenziali possono essere tossici se assunti in misura eccessiva. Questa avvertenza probabilmente si applica anche alla frutta e alla verdura. Il leggendario biochimico Bruce Ames una volta sottolineò che le piante si erano evolute per produrre sostanze chimiche tossiche che tenessero alla larga insetti e altri animali che avrebbero potuto mangiarle, o per proteggersi da infezioni trasmesse da batteri, lieviti e altri organismi. 21 La sperimentazione ha mostrato che molte di queste sostanze chimiche sono naturalmente cancerogene, ma, come sottolineò Ames, abbiamo sviluppato con l’evoluzione molteplici meccanismi disintossicanti per metterci al riparo. È possibile che alcuni di questi agenti tossici di origine vegetale si insinuino attraverso le nostre difese. Per di più, abbiamo alterato il contenuto chimico dei cibi che mangiamo, specialmente della frutta e della verdura, selezionando le colture sulla base di svariate caratteristiche, come la dolcezza, che potrebbero accrescere il

loro potenziale cancerogeno naturale. Ecco qualche esempio di potenziali pericoli. Troppi spinaci. Questa verdura a foglia verde è salutare e versatile. Potete consumarla cruda nelle insalate, usarla come letto per il salmone, saltarla in padella come contorno. Però gli spinaci sono molto ricchi di ossalati. I reni potrebbero trasformare questi acidi naturalmente presenti in calcoli. Più ossalati integrate nell’organismo, più alto è il rischio di sviluppare questo doloroso problema. 22 Questo non significa che dobbiate abolire gli spinaci. Ma se soffrite di calcoli ai reni, sarà saggio limitarne il consumo a poche porzioni a settimana e affidarvi ad altre varietà di verdura verde, che in molti casi è povera di ossalati. Altro suggerimento è abbinare gli spinaci a formaggio o altri latticini che sono alimenti che riducono l’assorbimento degli ossalati. Succo di pompelmo. Questo succo molto amato contiene potenti composti che alterano il metabolismo di parecchi farmaci. A seconda del farmaco, le alterazioni possono tradursi in un’eccessiva o insufficiente concentrazione di farmaco nel sangue (vedi “Succo di frutta e di verdura” a p. 248). Se assumete farmaci e vi piace il pompelmo o il suo succo, parlate con il vostro medico delle possibili interazioni. Cavolini di Bruxelles. A molti piace il gusto amarognolo di questa verdura appartenente alla famiglia delle crucifere. Ma questo gusto amaro a volte segnala la presenza di sostanze chimiche potenzialmente cancerogene. In un’analisi per dati combinati tratti da studi di coorte, i miei colleghi e io abbiamo osservato un modesto incremento di cancro pancreatico tra gli individui che consumavano cavolini di Bruxelles tre volte a settimana. 23 In un’analisi separata, l’elevato consumo di cavolini di Bruxelles è stato correlato a un più alto rischio di ipertensione. 24 Pensate alla loro forma insolita: i globi di foglioline strettamente accartocciate che mangiamo crescono sul fusto e normalmente sarebbero protette da una scorza o da spine. I fragili germogli non dispongono di nulla del genere e quindi attivano un diverso meccanismo di difesa: la guerra chimica. Sulla base dei nostri risultati, è saggio limitarne il consumo a non più di una volta a

settimana, in attesa di nuovi dati. Studiando più a fondo il ruolo nutrizionale di specifici frutti e verdure, mi aspetto di avere delle sorprese. Le piante possono sembrare organismi semplici, paragonate agli animali, ma la loro biologia è complicatissima!

In conclusione Non esiste un magico dosaggio quotidiano o un miracoloso mix di frutta e verdura che possa garantirvi la buona salute. Io però vi offro due parole: “cinque” e “varietà”. Ricordate che patate e mais non vanno conteggiati tra le cinque (o più) porzioni di frutta e verdura giornaliere, e che il succo vale come una sola porzione di frutta, anche se ne bevete 2 o 3 bicchieri al giorno. Puntate a cinque. Le cinque porzioni quotidiane proposte come obiettivo dai programmi alimentari nazionali si sono rivelate una scelta valida. Per quanto riguarda le patologie cardiovascolari e le morti premature, un’ampia meta-analisi ha correlato il maggior consumo di frutta e verdura a una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause. Il beneficio massimo è stato osservato tra i soggetti che raggiungevano le cinque porzioni quotidiane. 25 Superarle va benissimo, ma non consideratelo un obiettivo prioritario. Le nove porzioni dello studio DASH descritto a p. 221 si sono rivelate decisamente benefiche per la salute. Tuttavia non c’è modo di sapere se cinque, sei o sette porzioni avrebbero ottenuto lo stesso risultato. Scegliete sulla base della varietà e del colore. Consumare cinque porzioni di frutta e verdura al giorno è importante, ma anche la varietà conta molto. Cercate di scegliere le vostre porzioni di frutta o verdura da ciascuna delle seguenti categorie: 26 verdure a foglia larga, verde scuro; frutta e verdura gialla o arancione; frutta e verdura rosse; legumi;

agrumi. Cuocete i pomodori. Via libera al pomodoro: praticamente tutti i giorni, salsa di pomodoro o piatti a base di pomodoro cotto con olio. I pomodori sono ricchi di licopene, un potente antiossidante correlato a ridotti tassi di cancro alla prostata e perdita di memoria. Poiché il licopene è strettamente incorporato nelle pareti cellulari, l’organismo fa una gran fatica a estrarlo dal pomodoro crudo. Cuocere il pomodoro rompe le pareti cellulari, mentre l’olio scioglie il licopene e ne agevola l’immissione nel sangue. Fresca è meglio. Consumate diverse porzioni di frutta e verdura fresche e crude a settimana, perché la cottura danneggia o distrugge alcuni importanti composti fitochimici. La vitamina C e l’acido folico, per esempio, sono sensibili al calore. Per il resto, lo stato fisico della frutta e della verdura che mangiate non ha molta importanza. Frutti e ortaggi surgelati sono buoni quasi quanto quelli freschi e potrebbero persino essere più nutrienti, se i cosiddetti freschi sono stati stoccati per settimane o mesi in condizioni che ne impediscono la maturazione. I prodotti inscatolati di solito vanno bene, anche se in molti casi contengono sale e zuccheri aggiunti. FRUTTA E VERDURA FRESCHE I prodotti più freschi sono quelli che si coltivano a casa propria e si raccolgono appena prima di mangiarli. Per farlo, non serve avere un campo o un orto gigantesco. Il giardinetto dietro casa mia misura 6x12 metri. Eppure, in quello spazio non lontano dalla trafficata Harvard Square, io e mia moglie abbiamo un pesco che produce parecchie ceste di frutti ogni anno, un pero, dei cespugli di lamponi che si riempiono di bacche a giugno e ottobre, mirtilli, quattro tipi di vite ed erbe aromatiche. Coltivavamo anche pomodori, cetrioli e verdure verdi, ma gli alberi da frutto ormai fanno troppa ombra; così per questi ortaggi andiamo al mercato dei contadini. Il nostro giardino ci regala prodotti freschi, saporiti e sani per almeno quattro mesi all’anno. SUCCHI E FRULLATI: NON SONO LA RICETTA DELLA SALUTE Mangiare frutta e verdura è indiscutibilmente un bene per la salute. Polverizzarle nei succhi e nei frullati non lo è, per due motivi fondamentali.

Consumerete calorie extra. Le normali porzioni di frutta e verdura tendono a contenere relativamente poche calorie. Trasformarle in succhi o frullati, specialmente nel caso della frutta, significa quasi sempre assumere più calorie. Prendiamo per esempio il succo d’arancia. Mangiare un’arancia Navel di media grandezza apporta circa 12 g di zuccheri. Un bicchiere da 240 ml di succo d’arancia apporta una quantità di zuccheri più che doppia, perché si finisce per bere il succo di più arance di quelle che avremmo mangiato. Per di più, dai succhi tendiamo ad assorbire calorie più rapidamente che dalla frutta intera, perché gli zuccheri sono bloccati all’interno delle cellule, e questo rallenta il loro assorbimento nel flusso sanguigno. Rischiate di esagerare. Il cavolo riccio è diventato un cibo miracoloso, esaltato da celebrità come Gwyneth Paltrow, Kevin Bacon e Bette Midler. Questa verdura a foglia verde è ricca di vitamine K , A e C , apporta fibre e altri nutrienti. È ottima per le insalate e per le zuppe, e saltata in padella è un meraviglioso contorno. Se in piccole quantità fa bene, mangiarne di più farà ancora meglio, no? Purtroppo no. Come membro della famiglia delle crucifere, il cavolo riccio contiene sostanze chimiche che possono inibire la formazione degli ormoni tiroidei, i quali contribuiscono a regolare il metabolismo. Consumare troppo cavolo riccio – cosa difficile se la verdura si mangia, ma facile se si beve sotto forma di frullato – può rallentare l’attività della ghiandola tiroidea e la sua produzione di ormoni. Questa patologia, nota come ipotiroidismo, può provocare una vasta gamma di sintomi: stanchezza, aumentata sensibilità al freddo, incremento di peso, dolore e rigidità muscolare, perdita dei capelli, depressione e perdita di memoria. La cosa migliore è mangiare frutta e verdura come natura le offre, non concentrate nei succhi e nei frullati.

La patata è una bomba inesplosa Come ho già detto, le patate e il mais non meritano di essere chiamate verdure in senso nutrizionale. Certo, hanno i requisiti minimi – sono vegetali, in fondo – ma la somiglianza finisce lì. Se si parla di alimentazione sana, è meglio pensare alle patate e al mais come ad amidi, simili al riso e alla pasta, dato che forniscono soprattutto amido facilmente digeribile.

L’americano medio consuma oltre 45 kg di patate l’anno, 27 facendo di questo tubero la più popolare verdura d’America. (Per fare un confronto, il consumo individuale di carote è pari a 4,5 kg e quello di broccoli a 3,5 kg.) Come bene di consumo di enorme importanza, le patate hanno ricevuto dall’USDA e dai politici un trattamento speciale. La patata è tra le numerose verdure amidacee menzionate dalle Dietary Guidelines for Americans. L’USDA ha affermato che le patate pastellate surgelate – quelle che si usano per fare le patate fritte – possono essere classificate “verdura fresca”. Il Congresso ha persino sostenuto le patate quando, qualche anno fa, i senatori del Maine, dell’Idaho e di altri stati produttori di patate, con l’appoggio del National Potato Council, hanno inserito le patate nell’elenco delle verdure che potevano essere acquistate con i voucher del WIC , lo Special Supplemental Nutrition Program for Women, Infants, and Children. Il provvedimento legislativo omnibus del 2014 ha imposto all’USDA di autorizzare l’inserimento nel programma WIC di tutte le varietà di verdura fresca, intera o tagliata, comprese quindi le patate bianche e le patatine fritte. Questo è un altro esempio di come si possa favorire il business agroalimentare piuttosto che la salute. Più di duecento studi hanno riscontrato che le persone abituate a mangiare molta frutta e verdura hanno meno probabilità di subire infarti o ictus, di sviluppare varie forme di tumore, di soffrire di stipsi o problemi digestivi. Però le stesse ricerche mostrano che le patate non contribuiscono a ottenere questi benefici, e anzi potrebbero avere una ricaduta negativa sulla salute. Porto due soli esempi. Nell’analisi sul peso a lungo termine che ho descritto a p. 224, il consumo di frutta (in generale) e di verdura a basso carico glicemico ricca di fibre è stato associato, in un periodo di osservazione di ventiquattro anni, a basso aumento di peso. Il consumo di verdure amidacee come patate, mais e piselli è stato associato a un maggiore aumento di peso. L’ipertensione affligge milioni di americani, esponendoli al rischio di ictus e patologie cardiovascolari. Le patate sono una buona fonte di potassio, che può aiutare ad abbassare la pressione sanguigna. Hanno

anche un alto indice glicemico (vedi a p. 166), e questo può far salire la pressione e aumentare il rischio di diabete. Abbiamo dimostrato che un più elevato consumo di patate è correlato all’insorgenza del diabete di tipo 2, specialmente se comparato al consumo di un uguale numero di porzioni di cereali integrali. 28 Per valutare direttamente l’impatto generale del consumo di patate sulla pressione sanguigna di una popolazione contemporanea di americani, abbiamo fatto ricorso ai dati degli studi sulle infermiere e sui professionisti sanitari. Tra i più forti consumatori di patate – arrosto, bollite, in purea e fritte – è stata riscontrata una maggiore probabilità di sviluppare l’ipertensione. 29 Il punto di equilibrio tra rischi e benefici, quando si parla di patate, mais e altre verdure amidacee, dipende da altri aspetti della dieta e dello stile di vita, specialmente dall’attività fisica. Mio nonno allevava vacche da latte nel Michigan. Stava in piedi dall’alba al tramonto ed era magro come i paletti dei recinti che delimitavano i suoi campi. Mangiava patate e le mangiava spesso. Però riusciva a tollerare il loro carico glicemico come i più sedentari americani di oggi non possono fare. Chiamo in causa solide prove scientifiche, quando raccomando alla maggior parte di voi di non mangiare spesso patate e di sostituirle con verdure non amidacee come carote, broccoli e spinaci.

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Siamo quello che beviamo

«Alla salute!» Il brindisi più classico è anche una perla di saggezza nutrizionale: ciò che beviamo e quanto beviamo è importante per la salute proprio come ciò che mangiamo. Oltre la metà del nostro corpo è composto da un liquido salato simile al brodo primordiale che avvolge le cellule, i tessuti e gli organi, li lubrifica e fa loro da “cuscinetto”; dà forma e consistenza alle cellule; e, infine, costituisce le vie acquose che trasportano nutrimenti, scorie, ormoni e altre sostanze in tutto il corpo. Se non bevi, muori: poche, semplici parole per riassumere alla perfezione la continua lotta per la sopravvivenza. Pelle, reni, condotti nasali e parecchi ormoni collaborano per impedire ai nostri fluidi di evaporare e dissolversi nell’aria. Prevenirne la perdita, tuttavia, non basta. Occorre infatti assumere una quantità di liquidi sufficiente per il corretto svolgimento di numerose funzioni metaboliche cruciali come, per esempio, la produzione di urina con la quale espellere tossine e scarti di digestione e metabolismo, il mantenimento del volume ematico a livelli costanti, l’impedimento di un’eccessiva concentrazione dei sali minerali e, ovviamente, la reintegrazione dei liquidi persi. Il consumo medio di liquidi è di circa 1 ml per caloria bruciata, per un totale di circa 2 litri per una dieta giornaliera di 2000 calorie. Il fabbisogno quotidiano di liquidi è diverso da persona a persona e soprattutto da dieta, ambiente e attività svolta, e solo in piccola parte dalla genetica. Dieta Assumere grandi quantità di frutta e verdura, composte per lo più di acqua, riduce in modo concreto il bisogno di bere rispetto a una dieta ricca di carni, pane e sale. Alle regioni occidentali della Tanzania spetta il primato per il minor consumo di acqua al mondo, un record dovuto a una dieta basata principalmente sul consumo di banane cotte, che sono ricche di

acqua e soddisfano quindi la maggior parte del fabbisogno giornaliero di liquidi. Ambiente/clima Con una temperatura atmosferica gradevole, ogni giorno disperdiamo circa 2 litri di acqua attraverso i pori della pelle, il fiato e l’urina. Quando fa un caldo, come si suol dire, infernale, la quantità aumenta. Lo stesso può avvenire anche d’inverno: se i livelli di umidità precipitano, l’aria secca aumenta la dispersione tramite i pori della pelle. Attività Più si è attivi e più aumenta il fabbisogno di liquidi. Quando i muscoli bruciano glucosio, si produce calore. Mentre siete seduti a leggere le mie parole, parte di questo calore vi aiuta a mantenere una temperatura corporea di circa 37 °C. Basta, però, che vi mettiate a riverniciare le pareti di casa o a fare una corsa ed ecco che la produzione di calore eccede il fabbisogno. Il calore in più deve trovare una valvola di sfogo o il rischio è di cuocere letteralmente le proteine termosensibili che ci caratterizzano. Ed è proprio questa la funzione del sudore. Evaporando, ogni gocciolina di sudore che si forma sulla pelle aiuta a diminuire la temperatura interna del corpo. Durante un allenamento ginnico si può perdere fino a 1 litro circa di liquidi per ogni ora di attività. Il nostro corpo non ha una spia atta a indicare quando il livello di liquidi è troppo basso e occorre quindi correre ai ripari ed è per questo che, negli anni, si sono affermate una serie di linee guida empiriche: bisogna bere quando si ha sete; bisogna bere prima di sentire lo stimolo della sete; bisogna bere abbastanza da far sì che l’urina sia chiara o giallo paglierino e non giallo acceso o scuro. Sappiate che nessuna di queste affermazioni è affidabile. ABBIAMO DAVVERO BISOGNO DI BERE 8 BICCHIERI D’ACQUA AL GIORNO? Vi è senz’altro capitato di leggere o di sentir dire che abbiamo bisogno di bere 8 bicchieri d’acqua (da 250 ml circa ciascuno) al giorno. Ebbene, si tratta di un mito medico, uno di quelli che, a furia di essere ripetuti, alla fine diventano realtà. 1 Non si sa con certezza da dove provenga questo mito, una delle fonti possibili risiederebbe nel fatto che per bruciare 2000 calorie al giorno occorrono circa 2 litri d’acqua, ossia 8 bicchieri da 250 ml. Un’altra fonte, per quanto riguarda gli Stati Uniti in particolare,

può essere ricercata in un rapporto del National Food and Nutrition Board (appartenente alle National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, Accademie nazionali delle scienze, dell’ingegneria e della medicina statunitensi) datato 1945 in cui si legge: “Una quantità di acqua adeguata per gli adulti è individuata in una media di 2,5 litri”. 2 Quindi, poco più dei famosi 8 bicchieri. Se è davvero questa la fonte, allora la frase successiva – “La maggior parte dei quali è contenuta negli alimenti già preparati” – è stata saltata involontariamente o ignorata. Nel 2004 lo stesso istituto ha elevato la quantità d’acqua raccomandata a 15 bicchieri da 250 ml circa per gli uomini e 11 per le donne, quantità che aumenta in base all’attività fisica. 3 Alcuni dei liquidi necessari al corpo si trovano negli alimenti. Mangiare molta frutta e verdura e assumere cibi liquidi, come per esempio zuppe e minestre, riduce la necessità di bere rispetto a un’alimentazione più asciutta. Occorre comunque integrare ingerendo dei liquidi, e l’acqua resta la fonte primaria, ma vanno bene anche caffè, tè, succhi di frutta e di verdura, bibite, bevande energetiche, birra e qualsiasi altra bevanda a base di acqua.

Quando avvertiamo lo stimolo della sete, il livello di liquidi può essere già basso, soprattutto se siamo impegnati a lavorare sodo o a giocare, in attività, insomma, che comportino una rapida perdita di liquidi. Con l’avanzare dell’età lo stimolo tende a slegarsi dal livello di liquidi corporei e agli anziani può quindi capitare di disidratarsi senza nemmeno rendersene conto. Quanto al colore dell’urina, a influenzarlo sono il cibo e alcuni integratori vitaminici. Le conseguenze dell’assumere una quantità di liquidi quotidiana insufficiente variano dai piccoli fastidi agli effetti potenzialmente mortali. Una lieve disidratazione può comportare irritabilità e spossatezza. Una lieve disidratazione cronica causa stipsi, soprattutto negli anziani, e può anche portare alla formazione di calcoli renali e al tumore della vescica. Una disidratazione grave, benché relativamente rara, può rivelarsi mortale. Si presenta soprattutto nei bambini e negli anziani in presenza di un clima torrido e negli atleti impegnati in sport di resistenza. Anche l’iperidratazione può rivelarsi un problema molto serio. Eccedere con l’assunzione di acqua, di bevande energetiche o di qualsiasi altra bevanda può causare uno squilibrio nei livelli di liquidi e di sali minerali all’interno del corpo. L’iperidratazione può indurre

uno squilibrio elettrolitico mortale chiamato iponatriemia o iposodiemia e ha causato, negli anni, la morte di molti maratoneti e di atleti in generale. Un buon modo per prevenirla è assumere un mix bilanciato di acqua e sali minerali, come nelle bevande tipo Gatorade®, quando si è impegnati in un’attività fisica intensa e prolungata. L’idratazione va considerata un processo che copre tutto l’arco della giornata. Bevete almeno un bicchiere della vostra bevanda preferita al risveglio, a ogni pasto e con regolarità anche fra i pasti. Bevete prima e dopo l’attività sportiva. E bevete ogni qualvolta vi sentite assetati. Finora sono stato volutamente generico nel parlare di assunzione di liquidi, ma esistono parecchie bevande atte allo scopo fra cui acqua, succhi di frutta e di verdura, bevande gassate, latte, caffè, tè e alcolici. Alcune sono da preferirsi nell’ambito di un’assunzione quotidiana. Esaminiamole una per una nel dettaglio e... be’, la lista di quelle sane potrebbe riservare qualche sorpresa.

Acqua Per dissetarsi e fare il pieno di liquidi nulla batte l’acqua. Contiene il 100% di quel che ci serve – H 2O pura – ed è priva di additivi e calorie. Se poi proviene dal rubinetto, conviene anche per il portafoglio. L’acqua del rubinetto è per lo più pura e, grazie ai dovuti trattamenti, priva di sostanze nocive. Può tuttavia capitare che vi si trovino tracce di piombo, cromo, pesticidi, diserbanti e di altre sostanze chimiche pericolose che hanno contaminato le falde acquifere per colpa di perdite da vasche e serbatoi di stoccaggio sotterranei, fabbriche e altre attività, discariche pubbliche e private e tubature vetuste e corrose, tanto per citare le cause più probabili. Esiste la possibilità che i prodotti a base di cloro impiegati nella depurazione delle acque potabili possano reagire con la materia organica creando composti potenzialmente cancerogeni; tuttavia i dati raccolti sinora in materia non rivelano serie minacce per la nostra salute.

In molti sono convinti che l’acqua in bottiglia sia più sicura, ma sappiate che non è necessariamente vero e che, anzi, molto spesso dietro i bei nomi e le immagini così evocative delle etichette si nascondono acque provenienti proprio dal rubinetto e non dalle limpide fonti sorgive. Inoltre, all’acqua in bottiglia non si applicano gli standard fissati dall’Environmental Protection Agency, che richiedono controlli regolari per scongiurare la contaminazione batterica o chimica. L’acqua proveniente dalla rete idrica pubblica, al contrario, deve rispettare tali standard e i risultati dei controlli sono obbligatoriamente resi pubblici. Molto diffusa è anche la convinzione che l’acqua in bottiglia abbia un sapore migliore, eppure nei test di assaggio condotti in cieco spesso è l’acqua del rubinetto ad aggiudicarsi le preferenze. Fanno eccezione le acque provenienti da acquedotti i cui livelli di cloro sono tali da conferire un retrogusto sgradevole. Per quanto riguarda l’aspetto economico, l’acqua del rubinetto non ha eguali. A Boston, per esempio, un consumo di 8 bicchieri d’acqua del rubinetto al giorno ha un costo annuale pari a circa 1,25 dollari. A parità di consumo, il costo aumenta di ben duecento volte (circa 225 dollari) per chi compra una gran quantità di bottiglie e se le fa consegnare direttamente a casa, e addirittura quattrocento volte o più (circa 500 dollari) per chi, invece, preferisce acquistare una o due bottiglie alla volta. Occorre poi considerare le implicazioni ambientali. Per produrre la plastica di una bottiglietta da mezzo litro occorre la stessa quantità di acqua che essa contiene. E che dire del trasporto che, quando è su ruote, comporta l’impiego di combustibili fossili che contribuiscono al riscaldamento globale. Infine, non sempre il riciclo della plastica raggiunge livelli ottimali. In conclusione, l’acqua che sgorga dai rubinetti è generalmente molto sicura e l’uso del cloro per contrastare la proliferazione batterica impedisce il diffondersi di malattie infettive, salvando così innumerevoli vite. I rischi, ove ne esistano, sono molto ridotti in confronto a quelli derivanti da altre abitudini pericolose. Ciò detto, purtroppo può accadere che proprio l’acqua del rubinetto costituisca

un rischio per la salute, e in questi casi l’acqua in bottiglia rappresenta l’alternativa sana e poco dispendiosa a bibite gassate e zuccherate, succhi di frutta e di verdura o altre bevande.

Succo di frutta e di verdura Un bel bicchiere di vero succo di frutta è un piacere da assaporare in qualsiasi momento della giornata. Con il suo contenuto di acqua, vitamine, sali minerali e talvolta anche fibre, il vero succo (e non acqua con aggiunta di aromi e zucchero, per questo insisto con l’aggettivo) può costituire un valido elemento di un’alimentazione sana. L’abitudine di bere un succo d’arancia a colazione, per esempio, nel secondo dopoguerra ha aiutato a combattere lo scorbuto (malattia invalidante causata dalla carenza di vitamina C) in alcuni Paesi, fra cui gli Stati Uniti. È inoltre una buona fonte di vitamina C e di criptoxantina, un carotenoide molto utile al fisico ma di cui spesso la nostra dieta è povera. Consumato con regolarità quotidiana, tuttavia, il succo di frutta costituisce una fonte di calorie aggiuntive non indifferente (vedi “Fate attenzione alle calorie liquide” a p. 91). Pensate che il bel bicchiere di succo d’arancia che citavo prima, per esempio, ne fornisce circa 125, l’equivalente di tre biscotti al cioccolato o di una bibita gassata e zuccherata. Davvero tante se si cerca sollievo dalla sete e basta, non credete anche voi? Il problema fondamentale dei succhi di frutta è che bastano pochi sorsi per consumare una gran quantità di frutta e i relativi zuccheri. Torniamo al nostro bicchiere di succo d’arancia. Se ce le spremiamo da soli, ne occorrono circa tre, ma quasi nessuno mangia tre arance di fila. Suddividerle durante la giornata ha un impatto molto lieve sui livelli di glucosio ematico, ma berne il succo significa ingoiarle in pochi istanti e, se non ci si presta attenzione, si rischia di ripetere l’operazione anche più volte al giorno. Se siete degli irriducibili del succo di frutta ogni giorno, vi propongo di diluirlo con acqua naturale o frizzante. Iniziate con una proporzione di due parti di succo e una di acqua per arrivare

gradualmente a una parte di succo e tre o quattro parti di acqua. Per aggiungere un po’ di brio all’acqua vi consiglio di provare a spremere un limone o un lime. I succhi di verdura sono in genere meno calorici dei succhi di frutta, ma ricordate di controllare sempre l’etichetta per assicurarvene, e mi raccomando di avere un occhio di riguardo in particolare per l’eventuale contenuto di sodio: alcuni succhi di verdura ne apportano quasi la quantità giornaliera raccomandata in pochi sorsi. IL MITO DELL’ACQUA DETOX È davvero possibile purificarsi dalle tossine ingerendo dell’acqua in cui sono state lasciate a macerare alcune fette di cetriolo e di pompelmo e una manciata di foglioline di menta? Importanti personalità mediatiche e influencer di tutto il mondo hanno decantato i benefici dell’acqua detox, ossia di acqua aromatizzata con l’infusione di frutta e verdura per alcune ore. Ma quali sarebbero queste virtù magiche? Nessuna, perché non esistono. Tanto per cominciare, nessuno sa spiegare con precisione quali tossine quest’acqua tanto speciale sarebbe in grado di eliminare. Qualsiasi beneficio, se ne esistono, deriva dal fatto in sé di bere dell’acqua. Pompelmo, cetriolo e menta conferiscono un sapore gradevole ma nessun presunto potere depurativo.

Molti non pensano a tener conto delle calorie date dal succo di frutta nel computo del fabbisogno calorico giornaliero ed è questo il vero punto cruciale: una simile dimenticanza comporta un piccolo ma sicuro aumento graduale di peso. Il succo di pompelmo merita un paragrafo tutto per sé per via della possibile interazione con l’assorbimento e la metabolizzazione di alcuni principi attivi contenuti in determinate categorie di farmaci. Riduce, per esempio, l’assorbimento della fexofenadina presente negli antistaminici, della digossina usata nel trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia, del losartan potassico usato per il controllo della pressione sanguigna e della vinblastina, dalle proprietà antitumorali. Il succo di pompelmo può anche aumentare la concentrazione nel sangue di alcuni medicinali, portandola talvolta a livelli molto pericolosi. A questo tipo di medicinali appartengono calcioantagonisti come felodipina, nifedipina e nisoldipina, impiegate nel controllo della pressione alta, ma anche la carbamazepina usata come

antiepilettico; lovastatina, atorvastatina e simvastatina usate per tenere sotto controllo l’ipercolesterolemia; la ciclosporina, un immunodepressore assunto soprattutto da chi è stato sottoposto a un trapianto e il buspirone, impiegato per contrastare alcolismo, depressione, attacchi di panico e numerosi altri disturbi.

Bevande gassate e zuccherate Immaginate di aggiungere sette, otto o persino nove cucchiaini di zucchero a una tazza di tè o di latte. Tanto dolce da risultare quasi imbevibile, vero? Eppure è questa la quantità di zucchero contenuta in una lattina di Coca-Cola, Pepsi, gazzosa e della maggior parte delle bibite analcoliche zuccherate. Nei Paesi con il più elevato consumo annuo, fra cui gli Stati Uniti, si arriva a berne in media anche l’equivalente di 500 lattine pro capite. Tenete bene a mente che si tratta di una media e che perciò in molti ne bevono anche il doppio o il triplo. Centinaia di litri di bibite prive del benché minimo valore nutritivo. Insisto al riguardo perché si tratta di migliaia e migliaia di calorie cui non si accompagnano quei nutrienti utili che invece si trovano nel vero succo di frutta come, per esempio, vitamine, minerali, altri composti fitochimici e talvolta anche fibre. E questo costituisce un problema a più livelli. L’obesità è una piaga che affligge molti Paesi, tuttavia bere anche una lattina di bibita al giorno non è poi così grave se si bilancia assumendo meno calorie con il cibo. Se questo non avviene, però, un apporto extra di 125 calorie si può tradurre in un aumento di peso di circa 7 kg all’anno! La pericolosa tendenza a considerare le “calorie liquide” provenienti da bibite gassate e succhi zuccherati in modo diverso dalle “calorie alimentari” è purtroppo molto diffusa e quindi in troppi non compensano quella famosa lattina o più al giorno mangiando di meno. Gli zuccheri semplici contenuti nelle bibite comportano un rapido e corposo aumento della glicemia, che a sua volta spinge il pancreas a incrementare la produzione di insulina per abbassarla. Il ripetersi più

volte al giorno di questo ciclo, oltre ai normali picchi glicemici e insulinici che si registrano dopo i pasti, può comportare l’aumento del rischio di diabete di tipo 2, soprattutto per coloro che sviluppano insulino-resistenza. Una meta-analisi condotta sui dati riguardanti quasi 500.000 partecipanti fra uomini e donne raccolti in una media di ventidue anni ha mostrato un incremento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 fino al 13% per ogni porzione giornaliera (una lattina) di succo o bibita gassata. 4 Considerato il livello di consumo di bibite gassate zuccherate negli Stati Uniti, ciò equivale a 1,8 milioni di nuovi casi di diabete di tipo 2 in un arco di tempo pari a dieci anni. Una percentuale che si aggiunge all’aumento di peso causato dal consumo quotidiano di bibite gassate e che è esso stesso tra i primi fattori di rischio per il diabete. L’apporto di grandi quantità di carboidrati facilmente digeribili, come quelli contenuti nelle bibite gassate, incrementa i livelli di trigliceridi, particelle che trasportano i grassi, e abbassa i livelli del colesterolo HDL , fattori che aumentano l’insorgenza di cardiopatie. Che sono poi i dati emersi – e questo non sorprende – nell’analisi del consumo di bibite gassate riportato nei già citati Nurses’ Health Studies. 5 Il consumo elevato di bibite gassate e zuccherate pare comportare anche un incremento dell’incidenza dei calcoli renali. Nel Nurses’ Health Study e nell’Health Professionals Follow-up Study, i partecipanti che consumavano una o più bibite gassate e zuccherate al giorno registravano il 33% di probabilità in più di sviluppare calcoli renali in un periodo di otto anni rispetto a chi ne beveva meno di una lattina a settimana. 6 E le bibite prive di calorie, più conosciute come bibite light? Negli Stati Uniti la FDA ha approvato l’uso di sei dolcificanti artificiali in sostituzione dello zucchero nella preparazione di cibi e bevande: advantame, aspartame, acesulfame K (dove K è il simbolo del potassio), neotamo, saccarina e sucralosio. Esistono anche dolcificanti naturali (derivati, cioè, da piante) cosiddetti non nutritivi, e fra di essi i più diffusi sono la stevia e l’estratto del frutto cinese luo han guo, entrambi “generalmente riconosciuti come sicuri”. 7

Le bibite light sono da preferirsi alle zuccherate, ma costituiscono comunque una fonte di liquidi piuttosto costosa. Non sono da considerarsi una mossa furba in una dieta atta a perdere peso, poiché i dolcificanti artificiali possono alterare la capacità del corpo di valutare l’assunzione calorica. 8 Il cervello risponde infatti al sapore dolce inviando impulsi che stimolano la fame; ecco allora che i dolcificanti, pur privi di calorie in sé, potrebbero indurci a saziare la voglia di dolce con cibi e bevande, aumentando quindi l’apporto calorico. Il rapporto fra bibite light e obesità è difficile da studiare poiché spesso chi è in sovrappeso passa al consumo di bibite light nella speranza di dimagrire, ostacolando la corretta analisi di causa ed effetto; compiuta in un singolo momento ben preciso, infatti, questa analisi potrebbe rilevare che il consumo di bibite light è associato a sovrappeso e obesità. Per questo i colleghi e io abbiamo deciso di compiere uno studio molto attento nel tempo, che ha mostrato come donne e uomini che consumavano bibite light ingrassavano meno di coloro che, invece, preferivano le omologhe zuccherate. 9 Un andamento identico è stato osservato in uno studio randomizzato sperimentale condotto su adolescenti, metà dei quali, scelti casualmente, consumavano bevande zuccherate e metà bevande zero. 10 Allo stesso modo, una volta tenuta in considerazione la tendenza delle persone in sovrappeso a preferire le bibite light, il loro consumo non risulta correlato a un incremento del rischio di diabete. In rete e su certa stampa popolare si legge spesso che i dolcificanti non nutritivi sono nocivi per la salute degli adulti, ma la sola verità è che al riguardo non sono ancora stati compiuti studi adeguati sul lungo periodo. Non sappiamo nemmeno se e come potrebbero influire sulla salute dei bambini, che nell’arco della loro vita potrebbero consumarne grosse quantità. Ma perché arrovellarsi quando la scelta più salutare in assoluto è così a portata di mano? Cosa c’è di meglio dell’acqua naturale, oppure ravvivata con uno spruzzo di succo di limone o di un qualsiasi altro frutto? In conclusione, considerate le bibite light come i cerotti alla nicotina per i fumatori: possono contribuire a farvi smettere con le bibite zuccherate, ma non costituiscono un sostegno cui ricorrere alla

lunga.

Latte Il latte vaccino, ovino, caprino e di altra origine animale è un mix di proteine di alta qualità, minerali come calcio e fosforo, ormoni e altri nutrienti che permettono ai piccoli mammiferi – umani compresi – di crescere in fretta. Costituisce anche una valida alternativa al latte materno per i bambini ancora in allattamento e un aiuto concreto alla crescita per i più grandi. Latte e latticini possono inoltre essere utili per integrare il fabbisogno degli anziani di proteine e altri nutrienti. Adolescenti e adulti, invece, devono prestare molta attenzione perché un consumo eccessivo di latte può rivelarsi dannoso. Per questo motivo sono convinto che bisognerebbe considerare latte e latticini come alimenti da consumare in quantità moderate, non qualcosa che bisogna per forza bere o mangiare due o tre volte al giorno. Da tempo nelle linee guida nutrizionali si raccomanda l’assunzione quotidiana di tre porzioni di latte e latticini per la maggior parte della popolazione. Una raccomandazione conservata gelosamente nella vecchia piramide alimentare e rispolverata da MyPlate. Nelle Dietary Guidelines for Americans 2015-2020 si afferma che un piano alimentare sano include latticini privi o a basso contenuto di grassi, fra cui latte, yogurt, formaggi e/o bevande di soia arricchite, e si ripropone la quantità di tre porzioni al giorno per la maggior parte della popolazione. L’apporto di calcio, necessario per rafforzare le ossa, è la logica alla base di tali raccomandazioni, tuttavia al latte sono state attribuite anche presunte prerogative dimagranti. Ma, come approfondisco poi al capitolo 10, non abbiamo bisogno di due o tre porzioni di latticini al giorno per prevenire osteoporosi e fratture, ed è quasi sicuro che buona parte della popolazione assuma troppo calcio. Non esiste prova di un collegamento fra l’assunzione di latte e il mantenimento del peso nel lungo periodo, ma il consumo di yogurt può aiutare a tenerlo sotto controllo. 11 Lo so che cosa state pensando: se rischio di non assumere

abbastanza calcio durante la giornata, perché non andare sul sicuro bevendo tre bicchieri di latte al giorno? Ecco una serie di ottime ragioni: intolleranza al lattosio, grassi saturi in eccesso, calorie in eccesso, ormoni non necessari, possibile aumento del rischio di cancro e cardiopatie, impatto ambientale. Intolleranza al lattosio Tutti i neonati vengono al mondo capaci di digerire il latte. Una caratteristica che taluni, soprattutto di ascendenza nordeuropea, mantengono per tutta la vita. La maggior parte dei bambini, però, perde questa capacità gradualmente perché il corpo smette di produrre la lattasi, un enzima in grado di scindere il lattosio (lo zucchero presente nel latte). E infatti solo un quarto circa della popolazione mondiale adulta è in grado di digerire completamente il latte. Negli Stati Uniti, per esempio, sono circa 50 milioni i cittadini incapaci di farlo. Metà della popolazione ispanoamericana, il 75% di quella afroamericana e oltre il 90% di quella asiatico-americana non tollera il lattosio in quantità. Per tutte queste persone bere un solo bicchiere di latte può avere effetti sgradevoli come nausea, gonfiore, crampi e diarrea. Negli anni grandi sforzi sono stati concentrati nella ricerca di una soluzione che permettesse agli intolleranti al lattosio di bere latte, mangiare formaggio e gustare un gelato in assoluta tranquillità. L’Agricultural Research Service (la principale agenzia di ricerca interna dell’USDA ), per esempio, definisce lo sviluppo del Lactaid (un latte privo di lattosio al 100%) come uno dei migliori risultati ottenuti negli ultimi cinquant’anni. In commercio esistono poi una quantità di integratori in polvere o in compresse da aggiungere al latte o da assumere prima dei latticini per digerirne il lattosio. I sostenitori del latte, poi, esaltano i risultati di una serie di studi che mostrano come anche chi ha problemi a digerire il lattosio possa in realtà tollerarne piccole quantità durante la giornata, soprattutto in associazione ad altri alimenti. Esistono tuttavia modi più semplici per assumere calcio nelle giuste quantità, per questo non credo che gli intolleranti al lattosio debbano impiegare tempo e denaro per bere latte o mangiare latticini. Chi vuole, è ovviamente libero di farlo, ma non bisognerebbe obbligarsi né sentirsi in qualche modo in colpa se si preferisce evitarli.

Dopotutto ciascun intollerante è nell’ottima compagnia del 75% della popolazione mondiale adulta. Grassi saturi Un bicchiere (250 ml) di latte vaccino intero contiene circa 5 g di grassi saturi. Berne tre bicchieri significa quindi assumere l’equivalente in grassi saturi di dodici fette di bacon o di un Big Mac con una porzione di patatine fritte. Una quantità davvero sostanziosa. Anche il formaggio ha, in generale, un elevato tenore di grassi saturi. Una porzione di circa 30 g di formaggio americano fatto con latte intero apporta la stessa quantità di calcio e di grassi saturi di un bicchiere di latte. Nonostante la confusione che regna sovrana nei mezzi d’informazione tanto scientifici quanto generalisti, i grassi saturi costituiscono un serio pericolo per la salute. Come abbiamo già osservato al capitolo 5, un tempo i grassi saturi erano demonizzati e ritenuti esclusivamente nocivi, nonché causa primaria di cardiopatie. Oggi sappiamo che i grassi trans sono più nocivi per il sistema cardiovascolare e che, a parità di calorie, i grassi saturi sono equiparabili all’amido o allo zucchero raffinato. Se il vostro scopo è migliorare la salute, sappiate che sostituire il burro e altre fonti di grassi del latte con oli vegetali insaturi è senz’altro un passo nella direzione giusta. Ciò non significa dover eliminare completamente dalla dieta latte, formaggio e gelato. Se vi piacciono tanto, l’importante è consumarne in piccole quantità: acquistate quindi prodotti di qualità e godeteveli. Si potrebbe pensare che, se una percentuale consistente della popolazione passasse al consumo di latte parzialmente o totalmente scremato, i tassi di cardiopatie diminuirebbero di conseguenza. E, invece, non sarebbe così, perlomeno non a livello generale. Il motivo è molto semplice: una volta munto, il grasso del latte entra nella catena di produzione alimentare e qualcuno finisce comunque per assumerlo. Dalla scrematura, per esempio, si ottengono panna e burro, impiegati anche in pasticceria e nella produzione dei gelati di qualità e di snack ad alto contenuto di grassi come biscotti e barrette di cioccolato ripiene. Capita perciò che chi beve latte scremato dopo cena mangi una bella scodella di gelato, e chi invece beve latte intero oppure non

ne beve affatto – un comportamento che si riscontra soprattutto nelle fasce più povere, meno istruite o meno attente alla salute – consumi una quantità sempre maggiore di prodotti ad alto contenuto di grassi derivanti dal latte. Calorie in eccesso Tre bicchieri di latte vaccino intero apportano oltre 450 calorie, che corrispondono a quasi il 25% del fabbisogno medio quotidiano raccomandato per un adulto. Con la stessa quantità di latte scremato le calorie scendono a circa 330, comunque troppe se l’obiettivo principale è l’assunzione di più calcio. Ormoni non necessari Le vacche producono gran parte dei nostri stessi ormoni, un fattore che non ha mai costituito motivo di preoccupazione, perlomeno fin quando l’allevamento non si è trasformato in agribusiness. Le vacche sono da sempre selezionate appositamente per la produzione di latte. Pensate, per esempio, che dagli anni Sessanta il potenziale genetico produttivo della frisona americana è incrementato di circa 30 quintali dopo ogni parto. Oggigiorno le vacche sono normalmente munte durante tutta la gravidanza, condizione che mantiene alta la produzione di latte. Un grande vantaggio per allevatori e produttori che aiuta anche a contenere il costo del latte per i consumatori, ma che significa anche una maggiore concentrazione di ormoni rispetto al passato. Fra quelli naturalmente presenti ci sono, tanto per nominarne alcuni, estrogeni e progestine (i cosiddetti ormoni femminili), testosterone e altri androgeni (i cosiddetti ormoni maschili) e fattori di crescita insulino-simili. Estrogeni e progestine possono favorire la comparsa del cancro al seno, testosterone e androgeni di quello alla prostata e livelli elevati di fattori di crescita insulino-simili sono stati ricollegati all’insorgenza di cancro al seno, alla prostata e al colon. Alla fine degli anni Novanta, con i colleghi abbiamo dato inizio al Growing Up Today Study, compiuto su 25.000 volontari tra i figli delle infermiere partecipanti al Nurses’ Health Study. Proprio come alle loro madri, a ciascun partecipante è stato chiesto di rispondere a questionari riguardanti dieta, attività fisica, stile di vita e salute. Abbiamo così rilevato che l’acne adolescenziale, infezione della pelle

dovuta soprattutto ai livelli ormonali, è più diffusa presso chi è solito bere latte. 12 Un dato importante poiché suggerisce che gli ormoni presenti siano forti o concentrati abbastanza da stimolare il tessuto ghiandolare – in questo caso le ghiandole sebacee – epidermico, e forse anche le ghiandole mammarie. I livelli maggiori di acne sono legati a latte parzialmente o totalmente scremato, questo con ogni probabilità perché insieme al grasso si rimuovono anche tutti quegli ormoni femminili liposolubili (estrogeni) che tendono a contrastare gli effetti stimolanti dell’acne propri degli ormoni solubili (androgeni), che invece restano. Patologie cardiovascolari Non è ancora stato individuato un collegamento chiaro fra il consumo di latte e latticini e le patologie cardiovascolari, questo perché ciò che scegliamo di bere al posto del latte influisce sul nostro livello di salute generale. Preferire al latte le bibite gassate comporta un peggioramento della salute. Preferire acqua, caffè, tè o succo di frutta allungato comporta una riduzione delle calorie assunte e conseguenti benefici per il cuore e per il sistema cardiocircolatorio. Mangiare pane e marmellata anziché pane e burro, o aggiungere una manciata di noci all’insalata anziché formaggio a cubetti riduce i rischi di cardiopatie. Cancro alla prostata Dalla meta-analisi di trentadue studi di coorte è emersa una forte relazione fra una dieta ricca di latte (intero e parzialmente scremato) e latticini e un maggiore rischio di cancro alla prostata. 13 L’Health Professionals Follow-up Study in particolare, lo studio più dettagliato fra tutti, ha evidenziato il doppio delle probabilità di sviluppare un cancro avanzato o metastatico alla prostata negli uomini abituati a bere due o più bicchieri di latte al giorno rispetto a coloro che non ne bevono. Ma dove va ricercato il collegamento? Il consumo di latte comporta un incremento dei livelli ematici del fattore di crescita insulino-simile 1, che è stato associato a un maggiore rischio di cancro alla prostata. Tale fattore di crescita è in parte coinvolto nell’aumento dell’altezza media di bambini e adolescenti. Esso continua a stimolare la moltiplicazione cellulare per tutta la vita, ma al contempo stimola anche la proliferazione delle cellule tumorali. È possibile che anche il

calcio sia coinvolto nell’incremento del rischio di insorgenza di questo tipo di cancro. Ancora nell’ambito dell’Health Professionals Follow-up Study, gli uomini che assumono più di 2000 mg di calcio al giorno tramite cibo e integratori mostrano il triplo delle probabilità di sviluppare un cancro alla prostata avanzato e il quadruplo delle probabilità di svilupparne uno metastatico rispetto agli uomini con un consumo quotidiano inferiore ai 500 mg. All’interno della prostata (così come altrove) la forma biologicamente attiva della vitamina D agisce da ritardante sulla proliferazione delle cellule tumorali, ma un eccesso di calcio rallenta o addirittura blocca la conversione della vitamina D biologicamente inattiva nella forma biologicamente attiva, arrivando quindi a privare il corpo di un meccanismo antitumorale naturale. Cancro dell’utero L’insorgenza del cancro endometriale, quello che colpisce cioè la mucosa che riveste la superficie interna dell’utero, è strettamente legata ad alti livelli di estrogeni, siano essi prodotti dal corpo stesso o assunti tramite farmaci. Data la preoccupazione sollevata dai livelli di questo ormone naturalmente presente nel latte, nel Nurses’ Health Study abbiamo esaminato il consumo di quest’ultimo e il rischio di cancro, individuando un generale e modesto incremento del rischio in coincidenza con un più elevato consumo di latte. Nelle donne in postmenopausa che non assumono farmaci ormonali, tuttavia, si osserva che al consumo di tre o più porzioni quotidiane di latte e latticini si associa un aumento del rischio pari al 60%. 14 Una scoperta a comprova del fatto che gli attuali livelli di ormoni presenti nel latte sono alti abbastanza da risultare biologicamente rilevanti. Altri tipi di cancro Nel complesso, non esiste un legame significativo tra il consumo di latte durante mezza età e vecchiaia e l’insorgenza del cancro al seno. 15 Bere latte durante questo periodo si collega, invece, a un minor rischio di insorgenza del tumore del colon, quasi sicuramente per via del contenuto di calcio, che tuttavia resta preferibile assumere da altre fonti che non comportino anche calorie e grassi saturi extra. Bere latte durante l’infanzia e l’adolescenza, invece, si rivela tutto un altro paio di maniche. Bambini e adolescenti che

assumono latte in quantità tendono infatti a essere più alti dei coetanei che ne bevono meno, e un’altezza superiore è stata collegata a un aumento del rischio di insorgenza di tumori a seno, colon e altri organi. 16 Attualmente disponiamo di dati limitati riguardanti il legame fra consumo di latte durante infanzia e adolescenza e rischio di insorgenza di un cancro nell’età adulta, tuttavia la possibilità di un aumento del rischio impone una certa cautela nel consumo di latticini durante questo periodo di formazione. Fratture Come vedremo nel capitolo 10, la maggiore incidenza delle fratture dell’osso dell’anca in quei Paesi con il più elevato consumo di latte e latticini è stato considerato un paradosso per lungo tempo. Stimolati dalla scoperta che un’altezza superiore alla media comporta un maggior rischio di insorgenza di numerosi tumori, nell’ambito del Growing Up Today Study abbiamo esaminato i dati riguardanti l’alimentazione durante l’adolescenza per identificare quei fattori della dieta che erano più fortemente predittivi di una crescita maggiore e che si traducevano poi in un’effettiva altezza superiore. La risposta ottenuta è stata forte e chiara: il latte. 17 I risultati indicano infatti che la stessa quantità di proteine provenienti da carni rosse non influisce sull’aumento di altezza. Un dato che non dovrebbe sorprendere poiché il latte è un alimento perfettamente bilanciato per stimolare la crescita dei giovani mammiferi, compresi gli esseri umani. Noi siamo tuttavia gli unici rappresentanti della classe a continuare a berne anche dopo lo svezzamento da quello materno. Alla fine degli anni Novanta il mio team di ricercatori ha pubblicato un paper in cui si mostra che un’altezza superiore alla media costituisce un grosso fattore di rischio di frattura dell’osso dell’anca, e con ogni probabilità la motivazione va ricercata nella fisica pura e semplice: un bastone per camminare più lungo si rompe con più facilità di uno più corto. 18 Io stesso ho ipotizzato che un elevato consumo di latte durante l’adolescenza potrebbe persino incrementare il rischio di fratture in età avanzata proprio in virtù dell’influenza sull’aumento della statura media. Per nostra fortuna, avevamo chiesto ai partecipanti adulti allo studio di coorte di indicare il consumo di latte e latticini durante l’adolescenza e disponevamo quindi di tutti i

dati necessari per verificare questa intuizione. E, proprio come ci aspettavamo, la quantità di latte bevuto durante l’adolescenza si è rivelato direttamente proporzionale all’altezza da adulti, che negli uomini indica anche un maggior rischio di fratture dell’osso dell’anca in età avanzata. Un rischio che aumenta del 9% per ogni bicchiere di latte consumato in più al giorno. 19 Nelle donne non è stato invece osservato nessun collegamento fra il consumo di latte e l’incremento o la diminuzione del rischio di questo tipo di fratture, forse perché le femmine raggiungono la propria altezza definitiva prima dei maschi. Si tratta di connessioni da approfondire, questo è evidente, ma perlomeno adesso la relazione a livello internazionale tra consumo di latte e rischio di fratture appare un po’ meno paradossale. Impatto ambientale Negli Stati Uniti, così come in molti altri Paesi, la produzione di latte implica un elevato dispendio di acqua ed energia. L’allevamento a scopo lattiero-caseario contribuisce infatti in modo significativo ai gas serra rilasciati ogni anno nell’atmosfera. 20 L’americano medio moderno assume quotidianamente un bicchiere e mezzo di latte o una quantità equivalente di latticini. Arrivare a tre provocherebbe un’impennata nel già gravoso impatto ambientale dell’allevamento di vacche e altri animali da latte.

Caffè Ecco un’affermazione che, ne sono certo, non vi sareste mai aspettati di ritrovare in un testo dedicato all’alimentazione sana: il caffè è una bevanda decisamente sicura e salutare. La dubbia fama di cui gode, e che risale a secoli fa, è più una questione d’immagine che di sostanza. Negli anni, gli effetti del caffè sulla salute sono stati oggetto di numerosi studi, e alcuni dei primi mai svolti collegavano questa miscela amara a cancro al seno e al pancreas e alle cardiopatie. Molti di questi studi hanno però una pecca macroscopica: non tengono in considerazione un’abitudine fondamentale come il fumo, che un tempo andava di pari passo con il bere caffè. Studi condotti con più

attenzione hanno infine mostrato che i problemi alla salute erano dati dal fumo e non dal caffè. Di più ancora, giorno dopo giorno la ricerca si arricchisce di nuove prove che questa bevanda può in effetti rivelarsi un valido aiuto contro alcuni mali che ci affliggono. Sia ben chiaro, non intendo affermare che il caffè sia innocuo al pari dell’acqua. Non lo è. La caffeina – che è presente anche nel tè, in molte bibite gassate e nel cioccolato – ha indubbiamente gli stessi effetti di una droga, e la moderata sensazione di vigore ed euforia che regala è con ogni probabilità il motivo per cui molti bevono caffè e altre bevande che la contengono. Come tutte le droghe, però, anche la caffeina ha i suoi effetti collaterali. Una dose eccessiva può dare tremori, irritabilità e insonnia. Molte persone non collegano l’insonnia al consumo di caffeina, ma è questo l’effetto che un caffè dopo pranzo ha su alcuni. Questa sostanza induce anche una moderata assuefazione. Chi ne assume con regolarità, per esempio, tende a essere soggetto a emicrania se, per un qualsiasi motivo, salta la dose mattutina. Bere caffè espresso, preparato con la moka o “alla francese” (ossia, con caffettiera a pressofiltro) o con un qualsiasi altro procedimento che non preveda l’uso di un filtro di carta, può incrementare di qualche punto il livello di colesterolo. Se assunto con moderazione, comunque, il caffè occupa i gradini più bassi della scala dei fattori di rischio per la salute e, anzi, apporta persino alcuni benefici che non si limitano al blando effetto tonico cui accennavamo poche righe fa. Eccone alcuni. Minor rischio di formazione di calcoli renali Le sofferenze paragonabili al dolore dato dai calcoli renali si contano, io credo, sulle dita di una mano. Questi malefici sassolini fatti di calcio, ossalato e fosfato torturano centinaia di migliaia di adulti ogni anno e si formano per tutta una serie di motivi: idratazione insufficiente, infezioni croniche delle vie urinarie, patologie come la gotta e come effetto collaterale di alcuni farmaci. Fra i partecipanti di ambo i sessi all’Health Professionals Follow-up Study e al Nurses’ Health Study, chi beveva caffè aveva minori probabilità di formazione di calcoli rispetto a chi non ne assumeva. 21 Non sappiamo ancora come questo accada, ma

l’azione diuretica (un diuretico è una sostanza che stimola il corpo a produrre più liquidi) della caffeina potrebbe aiutare la produzione di urina diluita così da non permettere la formazione di calcoli e, di conseguenza, assicurare il mantenimento in efficienza delle vie urinarie. Minor rischio di formazione di calcoli biliari Ogni anno negli Stati Uniti le diagnosi di calcoli biliari corrispondono a un milione circa. Si tratta di agglomerati di colesterolo o sali biliari solidificati che possono essere minuscoli come granelli di sabbia o grossi quanto palline da golf. Chi beve caffè vi è meno soggetto di chi non ne consuma. Anche in questo caso il meccanismo che coinvolge la caffeina non è ben chiaro, ma sappiamo che stimola la cistifellea a contrarsi con regolarità e tanto potrebbe bastare a rimescolarne il contenuto a sufficienza da evitare la formazione dei calcoli. La caffeina interferisce anche con la cristallizzazione del colesterolo, elemento fondamentale nella formazione dei calcoli. La riduzione del rischio di formazione potrebbe dipendere in parte anche da quegli stessi benefici metabolici derivanti dal consumo di caffè e legati a una minore incidenza del diabete; da tempo la formazione dei calcoli biliari è annoverata tra le conseguenze di uno scompenso metabolico che include anche il diabete di tipo 2. Minor rischio di sviluppo del diabete di tipo 2 Esistono robuste prove a sostegno del ruolo svolto dal consumo di caffè nella riduzione del rischio di insorgenza del diabete di tipo 2. La meta-analisi di ventotto studi condotti su oltre un milione di uomini e donne seguiti per una media di undici anni mostra un chiaro collegamento fra diabete e consumo di caffè: più se ne beve, insomma, e meglio è. 22 Berne una tazza al giorno comporta una diminuzione dell’8% del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, percentuale che sale al 33% se le tazze sono sei. Caffè normale e decaffeinato hanno mostrato di apportare benefici simili, per questo è possibile che la causa vada ricercata nei potenti antiossidanti presenti nei chicchi. LE CALORIE NASCOSTE NELLE BEVANDE A BASE DI CAFFÈ Il caffè è di per se stesso una bevanda dall’apporto calorico pari quasi a zero se pensiamo che per arrivare a 2 calorie occorre una tazza da 250 ml circa. Un cucchiaio

di zucchero e, per chi vuole esagerare, uno di panna e le calorie lievitano a circa 50. Tre tazze al giorno così composte equivalgono più o meno a una lattina di bibita gassata zuccherata: è chiaro che queste calorie vanno tagliate da qualche altra parte o si corre il rischio di un aumento di peso pari a circa 7 kg in un anno. La vera minaccia calorica, tuttavia, è costituita da cappuccino, mokaccino e altre bevande a base di caffè che spesso raggiungono e talvolta superano addirittura le 500 calorie per tazza. Se vi piacciono, l’importante è che le consideriate alla stregua di una porzione di dolce o di un piccolo vizio da concedersi ogni tanto. Per la dose quotidiana di caffeina è meglio preferire un semplice caffè appena zuccherato.

Minore incidenza di suicidi Il caffè e altre bevande contenenti caffeina svolgono una blanda azione antidepressiva. Il Nurses’ Health Study, l’Health Professionals Follow-up Study e altri studi di coorte mostrano che il tasso di suicidi diminuisce del 50% fra coloro che sono soliti consumare caffè regolarmente. 23 Minore insorgenza del morbo di Parkinson Il legame fra il consumo di caffè e la protezione dalla neurodegenerazione del morbo di Parkinson è stato ipotizzato per la prima volta una cinquantina di anni fa. Uno degli ultimi studi in materia mostra che chi è solito bere caffè ha il 25% di probabilità in meno di esserne colpito, 24 con il massimo dei benefici registrati con l’assunzione di tre tazze al giorno. Minor rischio di insorgenza del cancro al fegato Il binomio caffè-minor rischio di cancro al fegato è suffragato da consistenti prove a favore registrate in studi compiuti in Asia, Europa e Stati Uniti (qui il cancro al fegato è relativamente raro). 25 Minor rischio di mortalità In aggiunta a tutti i benefici elencati fin qui, fra cui annoverare anche una minor incidenza di cardiopatie, il rischio globale di morte prematura risulterebbe leggermente inferiore fra chi è solito bere tre o più tazze di caffè al giorno, anche decaffeinato, rispetto a chi ne consuma di meno. 26 Il succo della faccenda Dato il massiccio apparato di ricerche compiute sul caffè, si può affermare che nella tazza non ci sono grossi pericoli per la salute in agguato e quindi, in poche parole, se bevuto con moderazione il caffè non solo non pone alcun rischio ma comporta addirittura alcuni importanti benefici. Alcuni sono dovuti alla caffeina, ma anche il caffè decaffeinato sembra contribuire a un

abbassamento del rischio di insorgenza del diabete di tipo 2.

Tè Narra il mito che l’imperatore Shen Nung abbia scoperto il tè nel 2737 a.C. per caso, facendo cadere in acqua bollente alcune foglie della pianta oggi conosciuta come Camellia sinensis. Quasi cinquemila anni dopo, il tè è, insieme al caffè, una delle bevande più consumate al mondo dopo l’acqua, e solo adesso le proprietà benefiche che gli sono state tanto a lungo ascritte ricevono le dovute attenzioni scientifiche. Il tè presenta alcuni dei benefici riscontrati nel caffè, per esempio il blando effetto tonico fisico e mentale e un minore rischio di formazione di calcoli renali e biliari. Alcuni studi hanno rivelato che bere tè può proteggere contro alcune tipologie specifiche di cancro, ma un riesame attento e approfondito non ha mostrato prova evidente di riduzione delle tipologie tumorali più diffuse. 27 I flavonoidi contenuti nel tè possono ridurre il rischio di patologie cardiovascolari. Negli esami compiuti in laboratorio, il tè e/o i flavonoidi migliorano i livelli di colesterolo e la funzione arteriosa, ma al di fuori del laboratorio i risultati sono confusi e spesso contraddittori. Oltre che nel tè, i flavonoidi sono contenuti anche in frutti di bosco, mele, pomodori, broccoli, carote e cipolle. Per verificare se l’entusiasmo destato da questi composti ha ragione d’essere, potrebbe rendersi necessario studiare simultaneamente gli apporti di tutti questi alimenti. Il succo della faccenda Per il momento, gli unici benefici del tè su cui poter contare sono un ridotto rischio di formazione di calcoli renali e biliari e un tocco piacevole per iniziare, proseguire o finire la giornata.

Alcolici Le campagne promozionali per la salute pubblica spronano da sempre a diminuire o addirittura eliminare in toto gli alcolici, e le preoccupazioni al riguardo sono più che giustificate. Gli alcolici causano circa un terzo di tutti gli incidenti automobilistici mortali a

livello mondiale e negli Stati Uniti, in particolare, sono una delle cause principali di decessi evitabili. Contribuiscono anche all’insorgere di malattie epatiche, di una serie di tumori, dell’ipertensione, di ictus emorragici e al progressivo indebolimento di alcuni muscoli, compreso quello cardiaco. Troppo alcol in circolo stronca le migliori intenzioni e i rapporti più stretti. Consumati con moderazione, tuttavia, anche gli alcolici possono presentare dei benefici. Un drink prima del pasto può migliorare la digestione o l’umore al termine di una giornata impegnativa, mentre bere qualcosa con gli amici di tanto in tanto può rivelarsi un ottimo corroborante sociale. Tali effetti fisici e psicologici possono sortire un effetto benefico sulla salute e sul benessere generale ed esiste già una valida documentazione circa i benefici in particolare su adulti di mezza età e anziani. Assumere alcolici aiuta ad aumentare i livelli di HDL e riduce la formazione di grumi e placche che potrebbero ostruire le arterie che portano sangue al cuore e al cervello e, in ultimo, causare attacchi cardiaci e ictus. Esistono già valide prove a conferma del fatto che un consumo moderato di alcol si traduce nella protezione da cardiopatie e ictus ischemico, e prove ancora più valide dell’effetto protettivo da diabete e calcoli biliari. Tenete bene a mente che tali benefici riguardano quasi esclusivamente (e per lo più, quindi, danneggiano anche) gli individui più giovani.

Fig. 16 Alcolici e mortalità. L’alcol riveste un ruolo diverso a seconda di diverse tipologie di morte. All’aumentare del consumo le morti per cardiopatie diminuiscono gradualmente, mentre le morti dovute a incidenti, malattie epatiche e ad altre cause aumentano dapprima lentamente per poi subire un’impennata ai livelli più alti di consumo di alcolici. Il risultato è una curva a J in cui il minor tasso di mortalità è associato a un consumo moderato di alcolici e il maggior tasso di mortalità è associato a nessun consumo o a un consumo eccessivo. La fascia ottimale per ciascuno dipende da età, sesso, apporto di acido folico e altri fattori, ma in generale è indicata in uno o due drink al giorno per gli uomini e non più di uno al giorno per le donne.

Ma che cosa significa consumo moderato di alcolici? Una domanda insidiosa e un argomento oggetto di ricerche molto approfondite. Per quanto riguarda gli uomini, numerosi studi successivi hanno mostrato che bere uno o due drink alcolici al giorno riduce dal 30 al 40% il rischio di attacco cardiaco rispetto al non assumere alcol. Una riduzione che equivale all’incirca a quella osservata nell’impiego delle statine contro l’ipercolesterolemia. Negli uomini affetti da diabete, che sono quindi ad alto rischio di cardiopatie, uno o due drink al giorno comportano benefici molto simili. Più di due drink al giorno incrementano l’effetto protettivo ma anche le probabilità che emerga

l’altra faccia dell’alcol (vedi fig. 16 a p. 267). Per quanto riguarda le donne, la definizione di moderato diviene un po’ più complicata. I benefici dovuti alla capacità di innalzare i livelli di HDL e prevenire quindi la formazione di grumi e placche restano invariati, ma dal Nurses’ Health Study e da altri studi emerge che due drink al giorno aumentano dal 20 al 25% la probabilità di insorgenza del cancro al seno. Questo dato non significa certo che una percentuale che va dal 20 al 25% delle donne che bevono due drink al giorno lo svilupperanno. Quel drink in più determina però la differenza fra circa 12 casi di cancro al seno su 100 donne – che è poi la media attuale, per esempio, negli Stati Uniti – e dai 14 ai 15 casi su 100 donne. Un collegamento non certo importante quanto quello tra fumo e tumore ai polmoni ma, per quanto piccolo, è pur sempre un incremento motivo di preoccupazione. L’aumento del rischio di insorgenza del cancro al seno è direttamente collegato al consumo di alcolici. Un follow-up su un periodo di tempo maggiore nell’ambito del Nurses’ Health Study ci ha permesso di individuare un lieve incremento anche con un solo drink al giorno. 28 La provenienza dell’alcol (birra, vino, whiskey o altre bevande) è ininfluente. Da ampi studi prospettici compiuti su donne emergono dati contraddittori circa il legame fra l’incremento del rischio di insorgenza del cancro al seno dovuta al consumo di alcolici e un apporto insufficiente della vitamina B conosciuta come acido folico. Lo stesso incremento del rischio è stato osservato anche per il tumore del colon soprattutto in associazione a un basso apporto di acido folico. Per questo motivo, come vedremo meglio nel capitolo 11, l’assunzione di un multivitaminico che contiene acido folico è di primaria importanza se si ha l’abitudine di consumare alcolici. Anche il consumo moderato, tuttavia, comporta dei rischi, e questo vale per ambo i sessi. L’alcol può interferire con i normali cicli di sonno. Ben nota è anche l’interferenza con la capacità di giudizio. Soprattutto se assunto in dosi eccessive, inoltre, interagisce in modo potenzialmente pericoloso con un gran numero di farmaci, inclusi acetaminofene, antidepressivi, anticonvulsivanti, antidolorifici e

tranquillanti. Crea poi dipendenza, soprattutto fra coloro che hanno una storia familiare di alcolismo. Ma, allora, chi potrebbe trarre beneficio da una bevanda alcolica quotidiana? Di sicuro non le donne incinte e il feto che portano in grembo, gli ex alcolisti, chi è affetto da malattie epatiche e chi assume uno o più farmaci con cui l’alcol potrebbe interagire. Non ne traggono beneficio nemmeno i giovani di ambo i sessi, il cui rischio di insorgenza di cardiopatie è già basso: i benefici non sono cumulabili per il futuro. Un sessantenne con il colesterolo alto e un padre morto di attacco cardiaco alla stessa età, invece, potrebbe trovare in un drink al giorno un certo grado di protezione dalle cardiopatie che supera la potenziale dannosità. Questo, ovviamente, a patto che non sia incline all’alcolismo. Il calcolo di rischi e benefici risulta invece più complicato per una sessantenne con una sorella morta di tumore al seno. Ogni anno le patologie cardiovascolari risultano dieci volte più mortali per le donne che non il tumore al seno – circa 400.000 decessi all’anno contro 40.000 – e tuttavia studi compiuti in materia indicano che le donne temono molto di più la possibilità di sviluppare un cancro al seno rispetto a una cardiopatia, ed è questo un fatto che va compreso nell’equazione. Si tratta infatti di un timore fondato, poiché i decessi per tumore al seno tendono ad avvenire in un’età più giovane rispetto a quelli dovuti a cardiopatie, e perché siamo più attrezzati nella prevenzione delle cardiopatie rispetto al tumore al seno. Dai primi studi in materia è emerso il famoso paradosso francese, che consiste in un tasso di patologie cardiovascolari sorprendentemente basso data l’abbondanza di grassi presenti nell’alimentazione transalpina, indicando quindi che un consumo moderato di alcolici può prevenire attacchi cardiaci e altre malattie cardiovascolari. All’epoca alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la risposta andasse ricercata nel vino rosso, ipotesi che, come potete immaginare, l’industria enologica ha subito fatto propria e difeso a spada tratta. Ma il vino rosso non era l’unica ragione. L’alimentazione e lo stile di vita di alcune zone, soprattutto meridionali, hanno molto in comune con altre regioni mediterranee e quasi sicuramente

svolgono il loro ruolo protettivo. Studi più recenti mostrano che gli stessi benefici derivano da qualsiasi bevanda alcolica. Vino bianco o rosso, birra, cordiali e liquori come gin o scotch sembrano avere tutti lo stesso effetto sulle patologie cardiovascolari. Che le piccole quantità di resveratrolo e altri antiossidanti contenuti nel vino rosso e nel succo d’uva abbiano la capacità di prevenire le cardiopatie è un’affermazione ancora tutta da dimostrare, e, se davvero comportano dei benefici in più, essi sono quasi certamente di piccola entità. L’abitudine di consumo di bevande alcoliche pare rivestire anch’essa un’importanza maggiore delle stesse bevande. Con i miei colleghi abbiamo studiato le abitudini di circa 40.000 uomini di cui monitoravamo salute e stile di vita da dodici anni. Coloro che consumavano alcol almeno tre giorni alla settimana avevano minori probabilità di un attacco cardiaco rispetto a chi ne beveva solo una volta alla settimana. Il tipo di bevanda alcolica e l’eventuale associazione al consumo di cibo si sono rivelate quasi ininifluenti. 29 All’epoca dei primi accostamenti fra consumo di alcol e cardiopatie, parecchi di noi preferivano molta cautela tanto nella stesura degli articoli quanto nelle dichiarazioni alla stampa, senza mai perdere occasione di ripetere che non bisognava certo iniziare a bere solo per i possibili benefici a livello cardiaco. Oggi che quei benefici si sono dimostrati reali e durevoli, ho sintetizzato alcune linee guida più concrete: se non siete soliti consumare alcolici, non dovete sentirvi in obbligo di cominciare: benefici simili derivano dall’iniziare (se non lo fate già) o dall’incrementare intensità e durata di un’attività fisica; se consumate alcolici, fatelo con moderazione; una bevanda alcolica al giorno per tre o più volte alla settimana è infinitamente meglio di tre o più drink in un giorno una sola volta alla settimana; se siete un uomo senza trascorsi di alcolismo e con un rischio da moderato a elevato di sviluppare cardiopatie, una bevanda alcolica al giorno può aiutarvi a ridurre tale rischio;

se siete una donna senza trascorsi di alcolismo, i benefici derivanti dall’assunzione di un drink alcolico al giorno potrebbero essere ridimensionati da un lieve incremento della probabilità di insorgenza del cancro al seno. Un apporto quotidiano sufficiente di acido folico (almeno 400 mg) potrebbe contrastare tale incremento (vedi capitolo 11); il consumo di alcolici può rivelarsi particolarmente benefico se avete un basso livello di colesterolo HDL che non vuole saperne di aumentare con una dieta sana e sufficiente esercizio fisico; rivolgetevi al vostro medico per soppesare con cognizione di causa ogni decisione riguardante gli alcolici.

In conclusione Ciò che beviamo durante il giorno e lungo tutta la vita può influire sulla nostra salute proprio quanto il cibo. Da un punto di vista puramente fisiologico, bere serve a reintegrare i liquidi persi e la scelta più sensata è ricorrere all’acqua ogniqualvolta sia possibile. Le altre bevande sono altrettanto efficaci allo scopo purché l’apporto calorico non sia elevato. L’idratazione va considerata un processo che copre tutto l’arco della giornata. Bevete almeno un bicchiere della bevanda prescelta a ogni pasto, e uno o più fra un pasto e l’altro. Aumentate l’assunzione di liquidi se seguite un’attività fisica o se urinate troppo di rado. Assumete bevande zuccherate come bibite gassate, succhi di frutta e bevande isotoniche solo occasionalmente, ma ricordate anche che potete farne a meno. Sono calorie liquide che possono comportare un aumento di peso. Limitate i succhi di frutta a un solo bicchiere al giorno oppure, meglio ancora, mangiate il frutto intero. Gli adulti non hanno bisogno del latte. Consideratelo un alimento opzionale della dieta, non una bevanda da assumere due o anche tre volte al giorno. Caffè e tè sono bevande salutari. L’importante è non aggiungere

zucchero, panna o altri complementi ipercalorici in grandi quantità. Bevete alcolici con moderazione. Se decidete di bere alcolici, andateci piano e limitatevi a un solo drink al giorno se siete donna e non più di due se siete uomo.

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Calcio: una finta emergenza

Per anni le campagne di promozione del consumo di latte finanziate dai governi di molti Paesi ci hanno informato dei pericoli di un apporto insufficiente di calcio, spronandoci a stare in guardia da una presunta emergenza calcio. Negli Stati Uniti tali campagne sono state finanziate dal National Dairy Council (Associazione nazionale industria lattiero-casearia) e hanno coinvolto personalità molto conosciute in diversi campi, come le pop star Taylor Swift e Britney Spears, la pattinatrice olimpica Kristi Yamaguchi, la modella Christie Brinkley, il regista Spike Lee e persino personaggi dei cartoni animati come i Simpson, e addirittura Superman e Batman: tutti con il loro bel baffo di latte sul labbro superiore, impegnati a informare sui pericoli derivanti da un insufficiente apporto di calcio e a mettere in guardia dall’emergenza calcio che affliggeva gli Stati Uniti. Peccato che, seppure di buon successo, queste campagne veicolassero un messaggio sbagliato e addirittura nocivo per la salute: dovete sapere, infatti, che gli americani sono in cima alla lista per quanto riguarda l’apporto di calcio giornaliero pro capite. Il calcio è un elemento essenziale di una dieta sana e questo è fuori di dubbio, ma latte e latticini non ne costituiscono necessariamente la fonte migliore. Oltretutto, nel lungo periodo, un eccesso di calcio può rivelarsi dannoso per la salute di buona parte della popolazione adulta. I nutrizionisti hanno particolarmente a cuore l’apporto di calcio perché temono l’insorgere dell’osteoporosi, la graduale e insidiosa perdita di tessuto osseo che spesso si accompagna all’età avanzata. Negli Stati Uniti ne soffrono 10 milioni fra uomini e donne e ogni anno è causa di oltre 2 milioni di fratture, fra cui 250.000 dell’osso dell’anca. Per un anziano rompersi l’osso dell’anca può rivelarsi invalidante, talvolta persino mortale: nel 25% dei casi la morte sopraggiunge entro un anno, spesso per complicazioni dovute alle

lesioni riportate. Il calcio è un elemento fondamentale nella formazione e nel rafforzamento delle ossa, ma sono ben pochi i dati a riprova del fatto che assumere l’apporto giornaliero massimo attualmente consigliato protegga dalle fratture. Tale e tanta è l’attenzione riservata al calcio da distoglierci da altre strategie che invece si rivelano efficaci, come fare attività fisica, assumere il giusto apporto di vitamine D e K , evitare l’eccesso di vitamina A e assumere determinati farmaci. Come analizzo nelle pagine seguenti, non è necessario che latte e latticini occupino una posizione di spicco nell’alimentazione, né dovrebbero essere preminenti in una strategia nazionale di prevenzione dell’osteoporosi. È dimostrato che il calcio che assumiamo dovrebbe provenire da più fonti e, al bisogno, è meglio assumere degli integratori, che sono economici e privi di calorie e di grassi saturi. In questo modo noi tutti possiamo considerare latte e latticini come elementi opzionali di una dieta sana e decidere se consumarne con moderazione oppure evitarli del tutto.

Perché abbiamo bisogno di calcio? Il calcio è il minerale più presente nel nostro organismo, in una quantità pari a poco meno di 1 kg, concentrata per il 99% nello scheletro. Consideratelo come la malta che consolida i componenti che, insieme, danno sostanza e solidità alle ossa. Il restante 1% è diluito nel sangue e nei fluidi interni ed esterni alle cellule. Il suo compito è aiutare la trasmissione degli impulsi nervosi, regolare il battito cardiaco e presiedere alle funzioni cellulari. APPORTO GIORNALIERO DI CALCIO: E SE FOSSE ECCESSIVO? Di seguito l’apporto giornaliero di calcio attualmente consigliato. Età

ml/giorno

1 – 3 anni

700

4 – 8 anni

1000

9 – 18 anni

1300

19 – 50 anni

1000

51 – 70 anni (donne)

1200

51 – 70 anni (uomini)

1000

>70 anni

1200

La maggior parte della popolazione adulta non ha bisogno di una simile quantità di calcio, soprattutto non derivato da latte e latticini, che spesso apportano anche calorie e grassi saturi in eccesso, entrambi non necessari e spesso nocivi per la salute. Fonte: Food and Nutrition Board, Institute of Medicine, Dietary Reference Intakes for Calcium and Vitamin D (30 novembre 2010).

Il corpo, come fosse un artista ossessivo e mai soddisfatto, costruisce e distrugge il tessuto osseo di continuo. Dalla nascita e per tutta la gioventù il processo di costruzione è predominante. Durante la mezza età i due processi solitamente si controbilanciano. Ma poi la distruzione può iniziare a prevalere e le ossa a divenire più fragili e prone alla frattura. Sul rimodellamento osseo influiscono molteplici fattori. Sottoporre un osso a sollecitazioni ripetute, come per esempio agli esercizi a carico naturale con andatura veloce, ne stimola la crescita. La mancanza di sollecitazioni, come quando si resta seduti per tutto il giorno, porta invece alla degenerazione. Anche estrogeni e testosterone, con quel loro scorrere di qua e di là come impazziti durante la pubertà, innescano una rapida crescita ossea, mentre la loro diminuzione in età avanzata – un lento declino per gli uomini, un crollo improvviso per le donne – sposta l’ago della bilancia verso la perdita ossea, un cambiamento che per le donne può avvenire in modo repentino. La quantità di calcio biodisponibile per gli osteoblasti, le cellule incaricate di costruire il tessuto osseo, riveste anch’essa un ruolo nel rimodellamento osseo, così come la quantità di vitamine A , D e K . Ma, come spiegherò nelle prossime righe, quale sia l’esatto fabbisogno quotidiano di calcio è a tutt’oggi un quesito insoluto.

Di quanto calcio abbiamo bisogno?

Al momento ignoriamo ancora quale sia l’apporto quotidiano di calcio più raccomandabile e salutare da assumere. A diversi approcci scientifici corrispondono stime diverse, per questo è importante esaminare tutti i dati disponibili. Il fabbisogno quotidiano di calcio è tradizionalmente calcolato tramite uno studio dell’equilibrio, un test piuttosto semplice e lineare: si raggruppano dei volontari e si impone loro una dieta contenente specifici apporti di calcio (o si somministrano integratori) per alcuni giorni o per qualche settimana, misurando i livelli di calcio che espellono con feci e urine. Il punto di equilibrio si raggiunge quando i livelli di calcio assunto ed espulso si equivalgono. Numerosi studi di questo tipo mostrano che 550 mg di calcio costituiscono il fabbisogno quotidiano ideale per il tanto favoleggiato adulto medio. Lo studio della ritenzione massima è un’altra via percorribile per giungere a una stima. I volontari assumono dosi di calcio diverse mentre i ricercatori provano a determinare la quantità massima che il loro fisico (e in particolare le ossa) è in grado di assorbire e trattenere. Anche in questo caso l’esperimento dura solo alcune settimane. Un ulteriore tassello del mosaico deriva dall’impiego di speciali macchine a raggi X per misurare la densità ossea prima dell’assunzione di calcio e dopo un anno circa. Gli studi così condotti mostrano un incremento della densità ossea dall’1 al 2%, un risultato che definirei incoraggiante e che, se si mantenesse per cinque o anche dieci anni, sarebbe di indubbio aiuto nel rafforzare lo scheletro contro possibili danni futuri. Tutti questi studi presentano però un inconveniente: la natura stessa delle ossa, dalla quale non si può prescindere. La piccola porzione delle ossa più attiva nella crescita e nel cambiamento, detta spazio di rimodellamento osseo, contiene in realtà poco calcio. Se incrementiamo in modo sostanziale l’apporto di calcio per un anno circa – bevendo, per esempio, parecchi bicchieri di latte al giorno o ingerendo integratori specifici – questo spazio assorbirà più calcio, la cui concentrazione aumenterà dall’1 al 2%, ma si tratta di un risultato temporaneo. Dopo un anno, lo spazio di rimodellamento osseo così riempito non sarà più in grado di trattenere altro calcio e, quindi,

proseguire nell’assunzione di integratori o seguire una dieta a elevato contenuto di questo minerale influirebbe ben poco sulla densità. Potrebbe però sortire effetti su altre parti del corpo. Per di più, l’eventuale massa ossea acquisita andrebbe persa all’interrompersi dell’apporto supplementare. Questo piccolo e temporaneo aumento del calcio nelle ossa e il suo interrompersi dopo un anno circa è stato osservato nel 2015 con una meta-analisi di 59 sperimentazioni cliniche compiute sull’apporto di calcio derivante dall’alimentazione e dall’assunzione di integratori. La conclusione cui sono giunti gli autori è che gli incrementi minimi registrati nella densità ossea non si tradurrebbero in una riduzione significativa del rischio di fratture dell’osso dell’anca e della spina dorsale. 1 Questione fondamentale degli studi che durano solo poche settimane o, al più, uno o due anni, è che si osserva solo quanto accade nello spazio di rimodellamento e non l’andamento generale della forza ossea complessiva. Contenuto di calcio degli alimenti mg/100 g

% FG a

Arachidi, tostate

64

5

Arance

49

4

Barretta al cioccolato

21

2

Biete, bollite

130

11

Broccoli, bolliti

40

3

Bulgur, cotto

10

1

Cavoletti di Bruxelles, bolliti

36

3

Cavolo cappuccio verde, cotto

60

5

Cavolo riccio, bollito

132

11

Ceci secchi, bolliti

58

5

Cereali integrali

103

8

Fagioli di soia, bolliti

145

12

Fagiolini freschi, crudi

35

3

Fichi secchi

186

15

Alimento

Foglie di rapa, crude

169

14

Latte vaccino, scremato

125

10

Mandorle dolci secche

240

20

Pane di tipo 00

14

1

Pane di tipo integrale

25

2

Patate, bollite

10

1

Piselli in scatola, scolati

42

3

Spinaci, crudi

78

6

Succo d’arancia

15

1

Tofu

350

29

Uva secca

78

6

Yogurt greco

150

12

Zucca gialla

20

2

Fonte: USDA National Nutrient Database for Standard Reference, 28 a edizione (2016): https://ndb.nal.usda.gov/ndb/foods Studi così brevi non colgono la straordinaria capacità di adattamento del corpo. Un unico studio compiuto su carcerati scandinavi – tutti uomini – mostra come i loro fisici continuino ad adattarsi anche dopo parecchi anni di alimentazione povera di calcio (500 mg al giorno), in particolare espellendone in quantità minori e usandolo in modo più efficiente. Un altro studio, compiuto oltre una sessantina di anni fa in Perù, mostra come i carcerati che erano stati costretti per anni a un’alimentazione con un apporto quotidiano inferiore ai 500 mg di calcio fossero riusciti a raggiungere un equilibrio sostenibile dei suoi valori. Quando con i colleghi abbiamo esaminato i dati di una vasta indagine compiuta a livello nazionale fra migliaia di statunitensi di ambo i sessi, non ci siamo certo sorpresi di non riscontrare un legame fra l’assunzione abituale di calcio e il livello di quest’ultimo nelle ossa. 2 Lo stesso è stato osservato nei bambini. IN BREVE L’OSTEOPOROSI AL MASCHILE

L’osteoporosi è solitamente considerata una patologia femminile, ma gli uomini non ne sono immuni. Negli Stati Uniti, per esempio, ne soffrono dai 2 ai 10 milioni di cittadini maschi. Gli uomini entrano nell’età adulta con ossa più dense e forti e non subiscono l’improvviso e drastico calo di estrogeni associato alla menopausa, con tutti gli effetti sulle ossa che ne derivano. Tutto questo offre agli uomini una protezione che varia dai cinque ai dieci anni, non a vita.

Concentriamoci sulle ossa fratturate Nella vita reale, al di fuori dei laboratori, le fratture ossee costituiscono un metro di misura dei livelli di calcio ottimali migliore di brevi flussi di assimilazione ed espulsione di calcio o della misurazione della densità ossea. Ecco un altro paradosso di lunga data: i tassi di fratture dell’osso dell’anca – che sono le più gravi – tendono a essere alti nei Paesi con un’alimentazione ricca di calcio e bassi in quelli con un apporto inferiore (vedi fig. 17 a p. 281). 3 Questi studi compiuti Paese per Paese non possono fornire una prova di causa ed effetto, e tuttavia sollevano dubbi circa gli oggettivi effetti protettivi di un elevato apporto di calcio. Mostrano inoltre che un’alimentazione povera di calcio non condanna forzatamente a incappare in una frattura dell’osso dell’anca. Alcuni studi di coorte prospettici riscontrano che un apporto supplementare di calcio protegge dalle fratture, altri mostrano che non ne deriva alcun beneficio, altri ancora che a un maggiore apporto di calcio corrisponde un aumento del rischio di fratture. I risultati combinati di alcuni studi prospettici sul lungo periodo condotti in Inghilterra, Stati Uniti e Svezia su ampi gruppi di persone mostrano che a un aumento dell’apporto di calcio non si associa alcuna diminuzione importante nel rischio di fratture. 4 Le conclusioni degli studi randomizzati sono confuse in parte perché solo in alcuni, e non in tutti, si è testato l’effetto della vitamina D in aggiunta al calcio. Una meta-analisi dei dati di studi per lo più ristretti sull’assunzione di integratori di calcio senza una dose extra di

vitamina D non ha rilevato nessun effetto concreto sul rischio complessivo di fratture rispetto al placebo e, anzi, il rischio di fratture dell’osso dell’anca è risultato addirittura maggiore presso i partecipanti cui erano stati somministrati gli integratori. Nei pochi studi che hanno evidenziato un beneficio nell’assunzione di integratori di calcio rispetto al rischio di fratture, i partecipanti assumevano anche vitamina D e questo rende di fatto impossibile stabilire se il minor rischio rilevato fosse dovuto alla vitamina D , al calcio, alla loro combinazione o a un mero caso. Lo studio randomizzato più esteso condotto per valutare l’effetto degli integratori di calcio sulla salute delle ossa è stato effettuato dagli statunitensi del National Institutes of Health (Istituto nazionale di Sanità). Nella sperimentazione con la somministrazione di calcio e vitamina D , condotta nell’ambito della Women’s Health Initiative, oltre 35.000 donne fra i 50 e i 79 anni di età hanno assunto quotidianamente integratori contenenti placebo oppure 1000 mg di calcio più 400 UI di vitamina D per una media di sette anni. Al termine dello studio, nelle donne che avevano assunto gli integratori con calcio e vitamina D si è riscontrata una densità ossea a livello dell’anca lievemente maggiore, ma non un minor rischio di frattura, mentre era aumentata la probabilità di formazione di calcoli renali. 5

Fig. 17 Rapporto fra apporto di calcio e fratture. Le fratture dell’anca tendono a essere più comuni nei Paesi con un’alimentazione caratterizzata da un elevato apporto di calcio, come Stati Uniti e Nuova Zelanda, rispetto a quelli in cui si riscontra un basso apporto di calcio, come Hong Kong e Singapore.

La U .S . Preventive Services Task Force (Task force per i servizi di profilassi preventiva degli Stati Uniti screening e prevenzione e si è espressa contro l’impiego degli integratori di calcio nella prevenzione delle fratture tra le donne in postmenopausa, affermando che i risultati “non sono conclusivi” e non permettono quindi di valutare il rapporto fra danni e benefici dell’assunzione di integratori di calcio e vitamina D tra gli uomini e le donne in premenopausa. 6 IN BREVE L’APPORTO DI CALCIO RACCOMANDATO NEL MONDO

Basandosi essenzialmente sullo stesso apparato di risultati, Paesi diversi hanno stabilito raccomandazioni diverse circa l’apporto quotidiano di calcio. L’OMS individua la necessità di un apporto fra i 400 e i 500 mg di calcio al giorno per prevenire fratture e osteoporosi. Nel Regno Unito la dose è di 700 mg per chiunque abbia superato i 19 anni di età. Le linee guida stabilite da Canada e Stati Uniti raccomandano alla popolazione adulta di assumere una dose quotidiana di calcio compresa fra i 1000 e i 1200 mg a seconda di età e sesso.

Oltre le ossa L’apporto di calcio quotidiano è considerato soprattutto in rapporto alla forza e alla resistenza delle ossa, ma non è questo il suo unico ruolo nell’ambito di una buona salute generale. Eccone altri. Cancro del colon Negli ultimi vent’anni, studi di diversa portata e tipologia hanno indicato che assumere più calcio da latte o integratori assicura una moderata protezione dal cancro del colon-retto. Non si tratta tuttavia di dosi esagerate: buona parte dei benefici è osservata all’interno di un’alimentazione equilibrata in cui l’apporto quotidiano di calcio si attesta fra i 700 e gli 800 mg. Pressione sanguigna Una dieta ricca di calcio proveniente dall’alimentazione o da integratori può abbassare lievemente la pressione, ma gli studi non hanno dato risultati coerenti e i benefici derivanti dall’assunzione di integratori, in particolare, con ogni probabilità si applicano quasi esclusivamente a coloro che non assumono abbastanza calcio tramite l’alimentazione. Dimagrimento Bere latte è stato ampiamente pubblicizzato come un modo sicuro di perdere grasso preservando la massa muscolare. Si tratta di un’affermazione fuorviante. Studi scientifici compiuti sui topi e sull’uomo collegano il consumo di latticini a una perdita di peso solo in associazione a una riduzione delle calorie assunte. È il mangiar meno, non il calcio, che è importante. Non a caso, infatti, gli integratori di calcio non influiscono in nessun modo sul nostro peso. 7

L’altra faccia del calcio Come abbiamo visto al capitolo 9, bere grandi quantità di latte ha i suoi aspetti negativi, fra cui grassi insaturi e calorie in eccesso e ormoni non necessari. E poi buone probabilità di un aumento del rischio di fratture in età avanzata se consumato durante infanzia e adolescenza, di insorgenza del tumore endometriale e alla prostata, oltre a ripercussioni sull’ambiente. Alcuni di questi dati potrebbero dipendere da fattori diversi dal calcio, ma stabilirlo con certezza è difficile poiché il latte ne resta la fonte primaria nei Paesi occidentali. La quantità di calcio che assumiamo è importante. Per esempio, in una meta-analisi del 2013 un maggior apporto di calcio era associato a un minor rischio di ictus nelle popolazioni con basso consumo di calcio, specialmente in Asia, dove il consumo di latticini è basso. Nelle popolazioni con un’assunzione quotidiana di calcio superiore ai 700 mg, invece, un aumento dell’apporto di questo minerale era legato a un rischio appena superiore di fratture. 8 In Svezia, dove latte e latticini sono consumati in quantità, il rischio di morte prematura è più che raddoppiato fra le donne con apporti di calcio giornalieri superiori a 1400 mg che assumono anche integratori. 9 Il calcio è un elemento essenziale per numerose funzioni biologiche. Il corpo umano ha imparato ad adattarsi all’apporto che riceve: se ne assumiamo poco, ne assorbiamo la maggior parte e ne espelliamo poco con le urine. Se ne assumiamo tanto, buona parte finisce nelle urine. Una quantità dai 600 ai 1000 mg giornalieri – appena sotto la quantità raccomandata negli Stati Uniti – costituisce un discreto obiettivo per una buona salute generale. Un apporto superiore comporta pochi o nessun beneficio e, anzi, può rivelarsi nocivo. Intendiamoci: la mia non è una raccomandazione di contare religiosamente, giorno per giorno, i milligrammi di calcio che assumete. Più avanti spiegherò come restare in una fascia sicura senza dovervi impegnare in difficili conteggi.

Se non il calcio, allora che cosa? Processi complessi come il mantenimento in buona salute del

nostro scheletro sono influenzati da più fattori. Per avere ossa sane abbiamo bisogno di calcio, questo è assodato, ma hanno la loro importanza anche l’esercizio fisico, gli ormoni sessuali e nutrienti come le vitamine A , D e K . Esercizio fisico Quando è sottoposto a una certa forza, l’osso si piega. Se la forza diventa troppa, si spezza. Se, invece, la forza è minima, anche la flessione è minima ma fisiologicamente rilevante, soprattutto se ripetuta più e più volte. Ed è proprio questo che accade quando camminiamo o facciamo sport. Le cellule ossee captano lo sforzo fisico e le sollecitazioni e orchestrano un silenzioso fermento di attività che rimodella l’osso per renderlo più denso e forte. Una vigorosa attività fisica durante l’infanzia e la gioventù pone le basi per uno scheletro robusto e in salute in età adulta. E più l’esercizio fisico e le sollecitazioni sono intensi, maggiore è la densità raggiunta. Durante l’età adulta, l’esercizio fisico aiuta a mantenere un equilibrio fra la costruzione e il dissolvimento del tessuto osseo. In età avanzata, infine, l’attività fisica limita la perdita ossea. Ricordate che l’esercizio fisico non rafforza tutte le ossa, ma solo quelle sottoposte a sollecitazione. Occorre perciò ricorrere a movimenti o attività diversi per mantenere l’intero scheletro in efficienza. L’attività fisica rafforza le ossa e riduce il rischio di fratture e questo è un dato di fatto emerso in modo sistematico, studio dopo studio. Ciò che ancora non abbiamo individuato con certezza è la migliore combinazione di esercizi atta allo scopo. Un’alternanza di esercizi a carico naturale come la camminata veloce e di rinforzo muscolare come il sollevamento pesi risulterà la scelta migliore. E non solo perché, così facendo, la crescita ossea è sottoposta a stimolazione continua: anche i muscoli si rinforzano e l’equilibrio migliora, aiutando così a prevenire le fratture da caduta. Ormoni Estrogeni e testosterone incidono sulla salute delle ossa. Sono di solito chiamati rispettivamente ormoni femminili e ormoni maschili benché, in effetti, ambo i sessi li producano entrambi. Parecchi studi hanno riscontrato che questi ormoni rivestono un ruolo importante nella produzione di nuovo tessuto osseo nei primi anni di

vita e per mantenerne la robustezza per i seguenti settanta o più anni. Come abbiamo visto, però, nelle donne gli ormoni sessuali subiscono un brusco crollo dopo la menopausa e negli uomini una diminuzione graduale ma costante, e questo può costituire un problema. Un tempo la cura ormonale – a base solitamente di estrogeni e progestinici – era la prima risorsa nella prevenzione di osteoporosi e cardiopatie nelle donne anziane. Una consuetudine che negli Stati Uniti è cessata quando la Women’s Health Initiative ha rilevato un forte incremento nell’insorgenza di ictus e cancro al seno, oltre a temporanei aumenti delle cardiopatie nelle donne in postmenopausa con alle spalle un prolungato uso di estrogeni combinati a progestinici. La terapia ormonale si rivela ancora utile sul breve periodo nel trattamento dei sintomi della menopausa, dove possibile senza i progestinici. Il solo estrogeno non ha dimostrato di avere gli stessi effetti nocivi ed è in grado di rallentare l’insorgere dell’osteoporosi. Negli uomini, invece, il calo della produzione di ormoni sessuali non è altrettanto repentino né prevedibile. Nel caso di eventuali segnali precorritori dell’osteoporosi, come per esempio una frattura inaspettata, per gli over 65 è consigliabile un controllo dei livelli di testosterone. Se risultano bassi, è possibile risollevarli con l’applicazione quotidiana di un gel o di un cerotto a base di testosterone o, ancora, con iniezioni regolari. Non assumete ormoni senza aver consultato il vostro medico e aver soppesato con estrema attenzione i pro e i contro delle diverse opzioni a vostra disposizione. Farmaci Oggi è disponibile una serie di farmaci in grado di rafforzare le ossa, fra i quali: bifosfonati come alendronato, etidronato, ibandronato, risedronato e acido zoledronico; modulatori selettivi dei recettori estrogenici come il raloxifene; calcitonina; un anticorpo monoclonale chiamato denosumab e il teriparatide, un polipeptide sintetico dell’ormone paratiroideo. Nessuno di questi è in grado di compiere magie, di restituire la salute e le ossa della gioventù come per incanto, e hanno tutta una serie di effetti collaterali. Ricordate di consultare sempre il vostro medico prima di assumere qualsiasi

farmaco. Limitare l’assunzione di vitamina A preformata O, in altre parole, degli integratori. La vitamina A è necessaria per mantenere una buona vista, soprattutto notturna, ma è preferibile assumerla tramite gli alimenti. Come vedremo al capitolo 11, ad alte dosi la vitamina A preformata – contenuta in molti integratori – stimola l’attività delle cellule che distruggono il tessuto osseo. Numerosi studi in materia mostrano che un apporto di vitamina A preformata superiore alle 5000 UI (equivalenti a 1500 µg) comporta un incremento delle probabilità di diminuzione della densità ossea, del rischio di fratture all’anca o ad altre ossa e dell’insorgenza di un tumore. Le attuali linee guida statunitensi raccomandano una quantità di 3000 UI di vitamina A per gli uomini e di 2333 UI per le donne. Vitamina D La funzione più nota di questa vitamina liposolubile è favorire l’assorbimento di calcio e fosforo da parte dell’apparato digestivo, ma si rende utile alla salute delle ossa anche in altri modi. Numerosi studi hanno mostrato che la carenza di vitamina D è più diffusa presso gli anziani con fratture rispetto a quelli che non ne presentano. Dal Nurses’ Health Study emerge che nelle donne in età avanzata che assumono una dose quotidiana di almeno 500 UI al giorno la probabilità di frattura dell’osso dell’anca è di un terzo inferiore a quella delle donne che ne assumono una quantità giornaliera inferiore a 200 UI . 10 Gli studi randomizzati sul rapporto fra vitamina D e fratture ossee hanno dato risultati contrastanti, ma una dose quotidiana pari o superiore a 700 UI ha mostrato di apportare dei benefici rispetto a quantità inferiori. 11 Le attuali raccomandazioni ufficiali stabiliscono in 600 UI (15 µg) la dose di vitamina D ottimale dai 19 ai 70 anni, età oltre la quale sale a 800 UI (20 µg). Questa vitamina è presente in pochi alimenti, per questo occorre ricavarne la maggior parte dall’esposizione al sole o da integratori. Un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo ne contiene oltre 1200 UI . Parecchi multivitaminici arrivano a 1000 UI . In commercio si trovano poi integratori di calcio con l’aggiunta di vitamina D , che è senz’altro un’ottima idea dato che i benefici degli integratori di vitamina D sono

meglio documentati rispetto a quelli di calcio. La vitamina D è dunque in grado di prevenire le fratture dovute all’osteoporosi? Nonostante al riguardo siano stati evidenziati alcuni risultati discordanti, assumere un’integrazione di vitamina D può risultare efficace nel prevenire la perdita di tessuto osseo. Mi trovo pienamente d’accordo con un editoriale del 1998 pubblicato nel “New England Journal of Medicine” in cui si conclude, in breve, che un diffuso incremento dell’assunzione di vitamina D probabilmente ha un effetto maggiore su osteoporosi e fratture rispetto a molti altri interventi. 12 E il modo più semplice di farlo è tramite integratori contenenti vitamina D . Un argomento sul quale ritorneremo nel prossimo capitolo. Vitamina K Per lungo tempo si è ritenuto che questa vitamina fosse necessaria solo alla formazione di quelle proteine che regolano la coagulazione del sangue. E, invece, la vitamina K si è rivelata coinvolta anche nella regolazione dei livelli di calcio e nella formazione e nella stabilizzazione ossea. 13 È contenuta in particolare nelle verdure a foglia verde come lattuga, broccolo, cavolo verde e cavoletti di Bruxelles. Dal Nurses’ Health Study è emerso che una carenza di vitamina K può contribuire all’insorgenza dell’osteoporosi. Il rischio di frattura dell’osso dell’anca è risultato inferiore del 30% nelle donne che ne assumevano una quantità superiore all’apporto quotidiano attualmente raccomandato rispetto a quelle che ne assumevano una quantità inferiore. 14 L’apporto quotidiano attualmente raccomandato è di 90 µg per le donne e di 120 µg per gli uomini. Una o più porzioni di alimenti che ne contengono in quantità sono sufficienti, tuttavia se assumete warfarin ricordate di parlare con il vostro medico prima di aumentare l’apporto di vitamina K .

In conclusione La strategia preventiva ideale consiste nell’impedire che si verifichi qualcosa di nocivo senza per questo provocare l’insorgenza di

qualcos’altro di altrettanto nocivo. Per anni un elevato apporto di calcio, derivante principalmente da latte e latticini, è stato indicato come la chiave della prevenzione di fratture e osteoporosi: un approccio che si è rivelato inadatto su tutti i fronti. È ormai comprovato che assumere più calcio non previene le fratture nel lungo periodo, così come bere due o tre bicchieri di latte al giorno riduce di poco o per nulla il rischio di rompersi un osso. È inoltre provato che i latticini pongano una serie di problemi. Per tutti questi motivi, se temete l’insorgere dell’osteoporosi, lasciate perdere il latte e valutate altre strategie più valide. Non conosciamo ancora l’esatta quantità di calcio necessaria a una salute ottimale, tuttavia, come ho già spiegato, un quantità compresa fra i 600 e i 1000 mg al giorno costituisce una buona media. Chi svolge un’attività fisica, assume sufficiente vitamina D e segue, nel complesso, un regime alimentare sano ha bisogno di una minore quantità di calcio rispetto a chi, invece, fa una vita sedentaria e non segue un regime alimentare sano. Ecco come garantirvi un salutare apporto di calcio senza noiosi e difficili calcoli al milligrammo. Per prima cosa, il calcio è contenuto nella quasi totalità dei cibi che consumiamo (vedi tabella “Contenuto di calcio degli alimenti” a p. 278) e in particolare nelle verdure a foglia verde. Una dieta equilibrata priva di latte e latticini può fornirne senza problemi circa 300 mg al giorno, basta stare attenti a includere altri alimenti che contengono molto calcio (alimenti che hanno anche molti altri benefici). I latticini costituiscono una classe a parte. Un bicchiere di latte al giorno, o una porzione equivalente di formaggio, yogurt o di altri latticini, fornisce proprio 300 mg circa di calcio. Aggiungerne una seconda porzione ci fa schizzare al limite estremo della dose consigliata, e con tre dosi superiamo il limite ritenuto salutare. Ed è questo uno dei motivi, oltre all’apporto extra di calorie, per cui consiglio di non bere così tanto latte. Se non bevete latte né mangiate latticini, sappiate che non è un problema. Tuttavia, se temete che per questo la vostra alimentazione sia povera di calcio, consiglio di assumere giornalmente un

integratore che ne contenga 500 mg. Di più non è necessario. In commercio esistono ormai molti alimenti arricchiti di calcio, fra i quali: cereali per la colazione, succhi di frutta, latte di soia e altri ancora. Se non prestate attenzione, potreste ritrovarvi ad assumere anche oltre 2000 mg di calcio al giorno. E questo sì che costituisce un problema: si tratta infatti del limite massimo stabilito dalla National Academy of Medicine statunitense per un adulto di età superiore ai 50 anni. Ci sono poi quattro regole fondamentali che tutti noi possiamo seguire con facilità per ridurre il rischio di fratture e osteoporosi. Svolgere quanta più attività fisica possibile. In questo modo le ossa resteranno sane e anche i muscoli si rafforzeranno; Assumere dalle 800 alle 1000 UI di vitamina D al giorno. Una quantità contenuta in molti integratori multivitaminici; Assumere vitamina K a sufficienza. Per farlo basta consumare almeno una porzione di verdure a foglia verde al giorno; Evitare una dose massiccia di vitamina A preformata (retinolo), salvo diversa prescrizione del medico. Mantenete la dose giornaliera di integratori sotto le 2000 UI . a. Fabbisogno giornaliero raccomandato calcolato su una base di riferimento pari a 1200 mg di calcio per un uomo o una donna di 50 o più anni. La base di riferimento è di molto superiore a quanto raccomandato dall’OMS .

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Integratori multivitaminici: una sicurezza in più

Un tempo le vitamine erano considerate nutrienti necessari in piccole quantità per prevenire patologie dai nomi insoliti come beriberi, pellagra, scorbuto e rachitismo, tant’è vero che le prime linee guida a essere riferite si concentravano proprio sull’apporto utile per scongiurarle. Nel corso del Novecento queste malattie da carenza sono andate via via scomparendo in Paesi come gli Stati Uniti, corroborando la convinzione che aumentare l’apporto di vitamine oltre quanto ritenuto necessario per non ammalarsi fosse, letteralmente, uno spreco. O, per dirla con le parole di un collega, gli integratori vitaminici non avrebbero potuto fare molto di più degli americani oltre a dar loro “l’urina più ricca del mondo”. 1 Una nuova corrente di pensiero e il dialogo scientifico, con la sua logica meravigliosa, hanno contribuito a cambiare la nostra considerazione di vitamine, minerali e altri micronutrienti. La vera svolta è avvenuta con la comprensione che molte patologie croniche, come cardiopatie e alcuni tipi di tumore, potevano essere in parte dovute a carenze alimentari, proprio com’è per il beriberi e per lo scorbuto. Nuove scoperte indicano che alcuni individui – anche se, con ogni probabilità, si parla di molte persone – non assumono quantità sufficienti di questi micronutrienti. Incrementarne l’apporto, soprattutto con l’alimentazione ma anche, perché no, tramite integratori appositi, comporta un miglioramento notevole sul lungo periodo per la nostra salute. A scoperchiare il vaso di Pandora della vecchia convinzione sul rapporto vitamine-carenza-patologie è stata la scoperta di un legame diretto fra un apporto insufficiente di vitamina B 9 (chiamata anche folato o acido folico) e difetti alla nascita quali, per esempio, anencefalia e spina bifida. Entrambe queste malformazioni appartengono alla categoria dei cosiddetti difetti del tubo neurale e si verificano quando i tessuti destinati a divenire midollo spinale, il

canale osseo che lo protegge e il cervello non si sviluppano come dovrebbero durante i primi 28 giorni di gravidanza. La spina bifida può determinare paralisi e altre disabilità. I neonati affetti da anencefalia nascono privi di buona parte di cervello e midollo spinale e vengono al mondo morti oppure sopravvivono per breve tempo. Ogni anno nel mondo nascono circa 300.000 bambini con difetti del tubo neurale. Questo tipo di malformazione era più comune presso popolazioni povere con una dieta carente, un collegamento che stimolò la ricerca delle cause nutrizionali. Nel 1976 un’équipe inglese scoprì che le madri di bambini con difetti del tubo neurale mostravano livelli relativamente bassi di micronutrienti. 2 Altri gruppi di studio scoprirono che anche il consumo di farmaci che interferivano con l’assorbimento dell’acido folico incrementava il rischio di difetti del tubo neurale nel feto. Come spesso accade in questi casi, ne seguì una vera e propria altalena scientifica: alcuni studi individuavano un rapporto fra bassi livelli di acido folico e difetti alla nascita, altri invece no; alcuni piccoli studi rilevavano un beneficio nell’assunzione di integratori di acido folico, altri no. Questo fin quando due studi di ampia portata non hanno mostrato in modo definitivo che le donne che non assumono sufficiente acido folico hanno maggiori probabilità di dare alla luce figli con anencefalia e spina bifida, e che il consumo di integratori di acido folico riduce tale rischio del 70% circa. 3 Un risultato davvero sorprendente per una semplice e poco costosa capsula di vitamine. In un primo tempo le raccomandazioni circa l’apporto di acido folico furono caute. Le prime linee guida dei Centers for Disease Control risalgono al 1991 e si rivolgevano solo alle donne che avevano già avuto un figlio con un difetto del tubo neurale. Un anno dopo gli stessi centri estesero le proprie raccomandazioni a tutte le donne che intendessero intraprendere una gravidanza indicando in 400 µg di acido folico il giusto apporto quotidiano, oltre il doppio di quanto raccomandato in precedenza. In molte, tuttavia, non prestarono ascolto al consiglio e la FDA prese allora la decisione straordinaria di inserire l’acido folico nella lista dei micronutrienti (tra cui ferro e altre

vitamine del gruppo B ) che già da anni erano addizionati ad alimenti come pane, farine (compresa quella di mais), pasta, riso e altri prodotti a base di cereali. Così facendo il consumo medio di acido folico ha registrato un incremento di circa 100 µg al giorno. Un simile apporto extra contribuisce a prevenire circa 1300 casi di difetti del tubo neurale all’anno 4 e ha inoltre dimostrato di avere solidi effetti collaterali tanto involontari quanto graditi: una minore incidenza di tumori e patologie cardiovascolari. Come vedremo più avanti, bassi livelli di acido folico sono collegati a entrambi. In questo capitolo non approfondiremo in modo esaustivo tutte le vitamine e tutti i minerali, tratteremo solo quelli dei quali si sospetta o è da poco stato riconosciuto un ruolo nelle tipiche malattie da carenza. Nel fare ciò, sottolineeremo come aumentare l’apporto di vitamine e di minerali con l’alimentazione e quali si possono, o si devono, assumere con degli integratori. La tabella alle pp. 336-339 elenca l’attuale apporto quotidiano raccomandato di vitamine e minerali.

Che cosa sono le vitamine? La definizione ufficiale di vitamina è: ogni composto organico che svolge un ruolo essenziale per le funzioni vitali come cofattore delle vie metaboliche. In parole più semplici, le vitamine sono un nutriente di cui il corpo ha bisogno e che non è in grado di produrre, ritrovandosi così costretto ad assumerle tramite l’alimentazione. Sono classificate in liposolubili e idrosolubili. Le prime, come la vitamina A , tendono ad accumularsi nell’organismo, mentre le seconde, come la vitamina C , non hanno lo stesso comportamento.

La vitamina A Credo non esista corso di biologia al liceo che non spieghi il ruolo fondamentale della vitamina A nella vista. Essa contribuisce infatti a trasformare la luce che colpisce la retina in impulsi elettrici che il cervello interpreta poi come immagini. Eppure, benché essenziale,

questo non richiede più dell’1% della vitamina A che abbiamo in corpo e le cui funzioni vitali includono aiutare a mantenere l’integrità delle cellule che tappezzano le superfici interne del corpo, stimolare la produzione e l’attività dei globuli bianchi e presiedere al rimodellamento osseo. La vitamina A contribuisce anche a regolare i processi di divisione e specializzazione delle cellule. Questo indica che il corpo impiega la vitamina A per impedire alle cellule normali di diventare cancerose e a quelle che diventano cancerose di dividersi e diffondersi. Le fonti principali di vitamina A sono due. La vitamina A preformata, conosciuta anche come retinolo, si trova soprattutto nel fegato, negli oli di pesce, nella carne, nelle uova e in alcuni integratori vitaminici. Altre fonti sono frutta e verdura ricche di alfa-caroteni, betacaroteni e altre provitamine che il corpo converte in vitamina A . Studi preliminari indicano che un apporto insufficiente di vitamina A potrebbe comportare un modesto incremento del rischio di insorgenza di un tumore. Essi mostrano anche che, una volta raggiunto il livello massimo di vitamina A assorbibile dal corpo, è inutile continuare ad assumerne. Tale soglia è compresa negli apporti quotidiani attualmente raccomandati (vedi “Apporto raccomandato” a p. 295). Come ho già accennato alla fine del capitolo precedente, un eccesso di vitamina A preformata potrebbe rivelarsi nocivo per le ossa. Assunto in quantità, il retinolo – la forma attiva della vitamina A – stimola gli osteoclasti che si occupano di distruggere il tessuto osseo. Da numerosi studi è emerso che un apporto di vitamina A preformata superiore a 1500 µg (5000 UI ) comporta un incremento delle probabilità di indebolimento delle ossa, di fratture (compresa quella dell’anca) o di insorgenza di un tumore. 5 Ma come mai? Assunta in dosi massicce, la vitamina A blocca gli effetti della vitamina D , indispensabile alla salute di ossa e muscoli e capace di tenere a bada le cellule tumorali. È molto semplice ingerire troppa vitamina A tramite gli integratori, per questo io raccomando di evitare quelli specifici di questa vitamina a meno che non siano prescritti dal medico per ragioni oggettive.

Quando volete acquistare un integratore, controllate che contenga soprattutto betacarotene e cercate di mantenere l’apporto quotidiano di vitamina A preformata al di sotto delle 2000 UI . Apporto raccomandato 3000 UI per gli uomini (900 µg di retinolo equivalenti) e 2333 UI per le donne (700 µg di retinolo equivalenti). Fonti alimentari valide Nel cibo troviamo sia vitamina A preformata, quella già pronta all’uso, oppure provitamina A, che il nostro corpo è facilmente in grado di trasformare in vitamina A attiva. Gli alimenti ricchi di vitamina A preformata – fegato, olio di fegato di pesce, uova e latticini – spesso apportano anche grassi saturi e calorie extra. La provitamina A è contenuta in molti carotenoidi, inclusi alfa-carotene, betacarotene e beta-criptoxantina. Tra le fonti vegetali migliori troviamo carote, zucca gialla, peperoni verdi e rossi, spinaci, cavolo riccio e altre verdure a foglia verde. L’assorbimento dei carotenoidi da parte del nostro fisico è ottimale in presenza di grassi perciò, per esempio, è consigliato cuocere i peperoni con olio di oliva. Grado di sicurezza La vitamina A preformata può rivelarsi dannosa per il tessuto osseo anche a dosi di pochi microgrammi superiori all’apporto consigliato, e qualche microgrammo in più può aumentare il rischio di alcuni difetti alla nascita. Dosi decisamente superiori comportano tutta una serie di altri effetti molto seri. La provitamina A (derivante dai carotenoidi contenuti negli alimenti) si dimostra invece molto sicura. Un eccesso di carotenoidi può conferire alla pelle un colorito arancione, visibile di solito a cominciare dai palmi delle mani, ma non sembra avere conseguenze serie né durevoli.

Le tre B : B 6, B 12 e B 9 (acido folico) Le vitamine B sono in realtà otto, tutte o quasi elencate nelle etichette delle scatole di cereali per la colazione o degli integratori multivitaminici: tiamina, niacina, riboflavina, acido pantotenico, biotina, B 6, B 12 e acido folico (B 9). Ciascuna di esse aiuta l’attività di una serie di enzimi: estrazione dell’energia da grassi e carboidrati, scomposizione degli amminoacidi, trasporto di ossigeno e nutrienti

carichi di energia lungo tutto il corpo. Io, come preannuncia il titolo del paragrafo, mi soffermerò solo su tre perché possono rivestire un ruolo fondamentale nel ridurre l’insorgenza di tumori e cardiopatie. Vitamina B 6

Con B 6 si intendono in realtà sei composti correlati la cui funzione principale è scindere le proteine degli alimenti in amminoacidi, gli indispensabili tasselli che formano nuove proteine. La carenza di B 6 causa una malattia nota come pellagra, i cui sintomi includono dermatite (un’infiammazione della pelle), anemia, depressione, confusione mentale e convulsioni. Un apporto insufficiente di questa vitamina può anche provocare un aumento dei livelli ematici di omocisteina, un amminoacido che potrebbe aumentare il rischio di cardiopatie (vedi “L’omocisteina e il cuore” a p. 302). In molti usano la vitamina B 6 per trattare una grande varietà di disturbi e malattie, il più delle volte senza una solida prova scientifica. È pubblicizzata come rimedio della sindrome premestruale in dosi di molto superiori all’apporto giornaliero consigliato. L’analisi dei dati esistenti indica che un apporto fra i 50 e i 100 mg potrebbe migliorare i sintomi fisici e la depressione che accompagnano la sindrome premestruale, ma si tratta di prove deboli, che non giustificano l’assunzione di dosi superiori. 6 La vitamina B 6 è stata impiegata, con fortune alterne, anche nella cura della sindrome del tunnel carpale. I risultati a riprova della sua efficacia sono inconsistenti, tuttavia alcuni paiono trovare sollievo assumendo dosi da 100 a 200 mg. Una forma di vitamina B 6 contribuisce alla conversione dell’amminoacido triptofano in serotonina, un importante mediatore chimico al servizio di cervello e sistema nervoso. Per questa sua caratteristica è stata testata nel trattamento di depressione, disturbo del deficit di attenzione e altre complicazioni collegate alla serotonina. Anche in questo caso, tuttavia, non esistono prove solide a dimostrarne l’efficacia o l’inefficacia. Apporto raccomandato Attualmente è compreso fra 1,3 e 1,7 mg, a

seconda di età e sesso. Fonti alimentari valide In Paesi come gli Stati Uniti, il cittadino medio deriva gran parte della dose giornaliera di B 6 da corn flakes e cereali per la colazione arricchiti. Carne, fagioli e frutta con guscio costituiscono un’ottima alternativa naturale. Grado di sicurezza Dosi massicce di B 6 (250 mg al giorno) raggiungibili solo tramite alte dosi di integratori, possono causare danni ai nervi. L’ex Institute of Medicine (oggi National Academy of Medicine) ha fissato il limite massimo di vitamina B 6 proveniente da integratori a 100 mg al giorno. Vitamina B 12

Agli inizi del Novecento l’anemia perniciosa era una malattia mortale. Talvolta si manifestava con pallore e spossatezza, cui lentamente si affiancavano formicolio e torpore a braccia e gambe, perdita di memoria, disorientamento e persino allucinazioni. In alcuni casi, perdita di memoria, disorientamento e allucinazioni erano gli unici sintomi. Nel 1934 il premio Nobel per la medicina fu assegnato a tre ricercatori statunitensi per aver scoperto che questa patologia poteva essere curata con iniezioni di estratto di fegato. L’efficacia della cura era garantita dalle massicce quantità di B 12, indispensabili per la produzione di globuli rossi, presenti nel fegato. Oggigiorno i casi di anemia perniciosa conclamati sono rari, ma è comunque possibile assumere troppo poca vitamina B 12 e questo provoca perdita di memoria e demenza, affaticamento muscolare, inappetenza e formicolio agli arti. Può anche comportare un accumulo di omocisteina, dato che la B 12 è coinvolta nel suo processo di trasformazione in metionina. Questa particolare vitamina si trova solo nella carne e in altri alimenti di origine animale, ecco come mai una dieta vegana o vegetariana molto rigida tende a comportarne la carenza. Un americano su sei in età avanzata mostra livelli ematici di B 12 molto bassi, e in molti casi il problema non sta in un’alimentazione che ne è povera, bensì nell’incapacità di assorbire quella contenuta nei cibi. (La

contenuta negli alimenti arricchiti o negli integratori multivitaminici, invece, è assorbita sempre e comunque.) Al compimento dei 50 anni la maggior parte di noi ha immagazzinato nel fegato B 12 sufficiente per anni, nonostante la capacità di assorbirla dagli alimenti vada diminuendo. Chi soffre di patologie infiammatorie intestinali croniche o ha contratto l’AIDS può avere problemi nell’assorbirla dal cibo, ma interferenze in questo processo provengono anche da un consumo eccessivo di alcolici e persino dall’assunzione di certi medicinali, fra cui antiacido per il trattamento delle ulcere, colchicine per la gotta e fenitoina per gli attacchi epilettici. Apporto raccomandato Attualmente è di 2,4 µg al giorno. Fonti alimentari valide Con una media fra le varietà di circa 60 µg circa per 100 g, il fegato in particolare costituisce la fonte più valida. Altre buone fonti di B 12 sono tonno, yogurt, fiocchi di latte e uova. Grado di sicurezza Il nostro organismo è in grado di tollerare alte concentrazioni di vitamina B 12, tanto che non è stato fissato un limite massimo; tuttavia è sempre meglio non eccedere. B 12

Folato (acido folico)

Il folato è la forma naturale della vitamina B 9. È contenuto nella frutta, nella verdura e in altri alimenti (vedi “Fonti valide di acido folico” a p. 300). L’acido folico è la versione sintetica impiegata per arricchire alimenti come pane e cereali per la colazione ed è usato negli integratori. Come abbiamo visto all’inizio del capitolo, il folato aiuta lo sviluppo del midollo spinale del feto. Le donne incinte che assumono poco acido folico aumentano la probabilità che i loro figli nascano con la spina bifida o l’anencefalia. Una carenza di questo composto può comportare anche difficoltà di concepimento. 7 Insieme alle vitamine B 6 e B 12, il folato aiuta l’organismo a disgregare l’omocisteina e potrebbe quindi rivelarsi utile nella prevenzione delle cardiopatie a essa collegate. Uno studio del Jean Mayer USDA Human Nutrition Research Center on Aging (Centro

nazionale di ricerche su nutrizione umana e invecchiamento) compiuto alla Tufts University di Boston ha mostrato che, a seguito di una norma federale del 1998 che sancisce che tutti gli alimenti a base di cereali siano arricchiti di acido folico, i livelli ematici di folato medi dei partecipanti al Framingham Offspring Study (un follow-up del famoso Framingham Heart Study) è più che raddoppiato, mentre i livelli medi di omocisteina sono diminuiti del 7%. 8 Negli Stati Uniti la carenza di acido folico, definita dal livello ematico, è quasi scomparsa. Una meta-analisi di trenta studi randomizzati controllati per un totale di 82.000 partecipanti ha mostrato che assumere acido folico tramite integratori diminuisce il rischio di infarto del 10% e il rischio di una qualsiasi patologia cardiovascolare del 4%. Il beneficio maggiore si è riscontrato nei partecipanti con bassi livelli iniziali di folato. 9 Fonti valide di acido folico Alimento

Folati alimentari equivalenti (DFE ) mµ/100 g a

% FG

Arachidi, tostate

145

36

Arancia

30

7

Barbabietole rosse, lessate

80

20

Broccoli, lessi

108

27

Ceci

557

139

Fagioli di Lima, cotti

395

99

Fagioli neri, lessi

149

37

Fegato di tacchino

677

169

Germe di grano

281

70

Kellogs All-bran

2198

549

Kellogs Special K

2180

545

Lattuga romana

136

34

Lenticchie, cotte

479

120

Multicentrum (1 compressa)

300

75

Semi di girasole, tostati

237

59

Spinaci, crudi

194

48

Fagioli borlotti in scatola

77

19

Patate

16

4

Piselli surgelati, cotti

59

15

Riso bianco

8

2

Succo d’arancia

30

7

Spaghetti, cotti

18

4

Tofu

15

4

Fonte: Database USDA , 28 a ed.: https://ndb.nal.usda.gov/ndb/search/list Il ruolo fondamentale del folato nella replicazione del DNA implica una funzione nella divisione cellulare e quindi anche una possibile azione di prevenzione dei tumori. Un apporto adeguato di acido folico pare ridurre il rischio di insorgenza del cancro del colon e probabilmente anche di quello al seno. Uno dei risultati più interessanti emersi dal Nurses’ Health Study – e da studi simili compiuti da colleghi in altri Paesi – riguarda la possibile azione contenitiva dell’acido folico sull’insorgenza del tumore al seno nelle donne che assumono più di una bevanda alcolica al giorno. 10 Lo stesso è valido anche per il cancro del colon, un’altra malattia più diffusa presso chi è solito bere alcolici rispetto a chi non ne beve. Se al consumo di alcolici si accompagna anche un apporto giornaliero di acido folico pari o superiore ai 600 µg, però, il rischio non aumenta. 11 Un risultato che non sorprende se pensiamo che l’alcol blocca l’assorbimento dell’acido folico e rende inattivo quello già in circolo. Apporto raccomandato Gli adulti di ambo i sessi dovrebbero assumere almeno 400 µg al giorno di folato/acido folico, possibilmente solo o soprattutto dal cibo. Fonti alimentari valide Oggigiorno le fonti eccellenti di folato e acido folico davvero non mancano (vedi tabella a p. 300). La maggior parte dei cereali per la colazione sono ormai arricchiti di acido folico e ne contengono circa 100 µg per porzione, che in alcuni casi possono

arrivare anche a 400 µg, ossia l’intero fabbisogno giornaliero. Le verdure a foglia verde sono un’ottima fonte di questo composto (fagioli, lenticchie, ceci e fagioli neri apportano dai 20 ai 50 µg per porzione), insieme alle arance e al loro succo. I cereali integrali possiedono anch’essi un ricco contenuto di folato, che purtroppo si disperde con la raffinazione. Come ho già accennato, le farine arricchite ne forniscono circa 100 µg giornalieri alla dieta dell’americano medio, ma dipende soprattutto dalla quantità di farine raffinate di cui fanno uso i singoli. L’OMOCISTEINA E IL CUORE L’omocisteina è un sottoprodotto della digestione delle proteine. Alti livelli nel sangue sono stati collegati all’insorgenza di cardiopatie. Tre vitamine B (B 6, B 12 e folato/acido folico) aiutano a riciclare l’omocisteina in innocui amminoacidi coinvolti nella produzione di proteine: la metionina e la cistationina. Un’alimentazione carente di una o più di queste vitamine comporta maggiori livelli di omocisteina e, probabilmente, un incremento del rischio di ictus e cardiopatie. Per questo assumere quantità sufficienti di folato/acido folico, vitamina B 6 e B 12 potrebbe costituire l’ennesima strategia nutrizionale per proteggerci da ictus, cardiopatie e altre patologie cardiovascolari. L’omocisteina non è causa diretta di patologie cardiovascolari, tuttavia esistono solidi dati a riprova del fatto che assumere abbastanza acido folico e, di preferenza, anche le altre vitamine B riduca il rischio di sviluppare queste patologie fin troppo diffuse.

Fig. 18 L’omocisteina e le tre B. Le vitamine B 6 e B 12, insieme all’acido folico B 9, aiutano l’organismo a trasformare l’omocisteina, sottoprodotto della digestione delle proteine, in sostanze meno dannose. Un aumento dei livelli ematici di omocisteina potrebbe concorrere al processo di otturazione delle arterie noto come aterosclerosi.

Grado di sicurezza Negli studi compiuti sugli animali, un livello troppo basso di acido folico incrementa lo sviluppo di tumori. Ma lo stesso vale per livelli troppo alti. Tali studi hanno alimentato la preoccupazione che nell’essere umano potesse avere un effetto simile. Questo ha ritardato l’introduzione di farine arricchite con acido folico in molti Paesi. Negli Stati Uniti tale arricchimento è obbligatorio dal 1998, e subito dopo la sua introduzione si è osservato un lieve aumento dei casi di cancro del colon. Bisogna tuttavia aggiungere che in quello stesso periodo si è registrato anche un grosso aumento del ricorso alla colonscopia, cui si deve un incremento artificioso dell’insorgenza del tumore per via dell’individuazione delle formazioni più nascoste. Un dato molto rassicurante: non c’è stato alcun incremento nei decessi per tumore del colon-retto e, al contrario, si è assistito a una diminuzione costante, dovuta in parte sia alla maggiore diffusione della colonscopia sia all’apporto superiore di acido folico. Il limite massimo accettabile per l’assunzione di acido folico è di 1000 µg al giorno da integratori.

Carotenoidi: betacarotene, licopene & Co. Le piante producono centinaia di pigmenti. Alcuni catturano la luce del sole per trasformarla in energia chimica, altri impediscono agli stessi raggi solari di danneggiare la pianta. Altri pigmenti ancora segnalano che i frutti sono maturi agli animali che ne disperdono i semi, oppure avvertono gli animali affamati che la pianta contiene sostanze disgustose o addirittura velenose. La famiglia dei carotenoidi è uno dei gruppi più grandi di pigmenti vegetali. Sono sicuro che ne conosciate alcuni di vista, se non per nome. È il betacarotene a dare alle carote e alle patate dolci quel loro caratteristico color arancio. Al licopene si deve il rosso così allettante di un bel pomodoro maturo o il rosa carico dell’anguria. Fra gli altri carotenoidi oggetto di studi approfonditi ci sono senz’altro la luteina e la zeaxantina (gli unici che si trovano nella retina umana), l’alfa-carotene e la beta-criptoxantina. Una goccia nel mare degli oltre cinquecento carotenoidi a oggi conosciuti. Betacarotene e alfa-carotene sono vitamine, entrambi forme della vitamina A , mentre gli altri per lo più non sono considerati vitamine. L’organismo umano impiega i carotenoidi per due funzioni principali: alcuni sono trasformati in vitamina A , altri agiscono da antiossidanti molto potenti e adattabili. Altre eventuali funzioni importanti aspettano solo di essere scoperte. La convinzione che i carotenoidi in generale, e sette di essi in particolare, siano in grado di prevenire numerose malattie croniche è ormai diffusa a livello internazionale. Decine di studi osservazionali mostrano che chi sceglie di mangiare più frutta e verdura dall’elevato contenuto di carotenoidi è meno soggetto a patologie cardiovascolari; tumori alla prostata, ai polmoni, allo stomaco, al colon, al seno, alla cervice e al pancreas; perdite di memoria; sclerosi multipla e cataratta e degenerazione maculare. Purtroppo, studi randomizzati in cui i volontari hanno ingerito antiossidanti specifici non hanno (ancora) mostrato una vera e propria riduzione del rischio di insorgenza di tumore o di patologie cardiovascolari. Un’apparente contraddizione che potrebbe in realtà dipendere da studi poco affidabili che hanno alimentato false speranze. Potrebbe

significare che ci occorre tutta la complessa rete di antiossidanti contenuti in frutta e verdura e non solo alcuni specifici. Potrebbe significare anche che non abbiamo analizzato a sufficienza i carotenoidi giusti o la loro giusta combinazione per periodi lunghi. Oppure, molto più semplicemente, molti dei partecipanti agli studi assumevano già carotenoidi in quantità adeguate. Dopo decine di anni di ricerca, alcuni benefici reali di carotenoidi specifici sono emersi con forza. Esistono, per esempio, valide prove a conferma delle proprietà di luteina e zeaxantina di prevenire cataratta e degenerazione maculare. Una ben documentata relazione del Physicians’ Health Study (Studio sulla salute dei medici) di Harvard sta riaccendendo l’interesse nel betacarotene come integratore in grado di preservare la memoria e le facoltà intellettive sino a un’età avanzata (vedi “Nuova speranza per i multivitaminici” a p. 334).

Vitamina C Ai primi freddi allungate la mano verso la prima arancia che trovate, bevete succo d’arancia o ingoiate una bella compressa di vitamina C ? Tutta colpa di Linus Pauling, vincitore di ben due premi Nobel (uno per la chimica e uno per la pace) nonché autoproclamato difensore della vitamina C , e del suo Vitamin C and the Common Cold (Vitamina C e raffreddore) pubblicato nel 1970. Pauling credeva fermamente che dosi quotidiane massicce di vitamina C – dove per massicce si intende dai 1000 ai 2000 mg al giorno, ovvero dalle dodici alle ventiquattro arance! – potessero prevenire o stroncare il raffreddore... e il cancro. Il ruolo di contrasto alle infezioni della vitamina C è assodato. Favorisce infatti la produzione di collagene, sostanza indispensabile alla salute di ossa, legamenti, denti, gengive e vasi sanguigni. Aiuta anche l’impiego di molti ormoni e mediatori chimici da parte di nervi e cervello. È anche un potente antiossidante in grado di neutralizzare i radicali liberi che aggrediscono il nostro organismo, contenendone i danni ai tessuti. Le proprietà antiscorbuto (che fra il XVI e il XVII secolo uccise

all’incirca 2 milioni di marinai) degli agrumi ci sono note ormai da due secoli, tuttavia la vitamina C e il suo ruolo di agente attivo nel contrastare lo scorbuto furono scoperti solo nel 1932. Dosi elevate di vitamina C sono però in grado di combattere altre malattie? Fra tutte, non il raffreddore: mai nessuno dei pur tanti studi che ci hanno provato è riuscito a verificare ufficialmente l’affermazione di Pauling. 12 Poche e superficiali sono le prove a sostegno del fatto che assumere una piccola quantità extra di vitamina C , come per esempio quella contenuta in una compressa di multivitaminico, possa placare alcuni sintomi del raffreddore alle prime avvisaglie, mentre mancano del tutto prove a sostegno delle dosi massicce. E per quanto riguarda la prevenzione di tumori e cardiopatie? Le prove sono davvero poche, e la maggior parte degli studi non concordano. Esiste la possibilità che un apporto superiore di vitamina C possa aiutare a prevenire la comparsa della cataratta, ma la ricerca è ben lungi dall’essere definitiva in materia. Apporto raccomandato Attualmente è fissato a 75 mg quotidiani per le donne e a 90 mg quotidiani per gli uomini, più 35 mg extra per i fumatori. Dato il succedersi di sempre nuove conferme, io suggerisco un apporto dai 200 ai 300 mg al giorno, una quantità facile da assumere con una dieta bilanciata e una pastiglia di integratore multivitaminico al giorno. Fonti alimentari valide Agrumi, intesi come frutti e succo, frutti rossi, peperoni rossi e verdi, pomodori, broccoli e spinaci. Molte marche di cereali per la colazione sono arricchite di vitamina C . Grado di sicurezza Non sembrano esserci controindicazioni nell’aumentarne l’apporto, tuttavia gli ultimi riferimenti in materia raccomandano di non superare i 2000 mg al giorno. Non c’è bisogno di dosi elevate di vitamina C , anche perché il nostro organismo ha una capacità finita di immagazzinare la vitamina C (dai 1500 ai 3000 mg alla volta) ed espelle l’eccesso con un’urina di un bel giallo brillante. E non esiste prova che dosi quotidiane massicce apportino benefici. In concentrazioni elevate la vitamina C può iniziare a comportarsi come un radicale libero e quindi, in teoria, potrebbe essere causa proprio di ciò che cercavamo di prevenire.

Vitamina D Per quanto riguarda la vitamina D , abbiamo ancora tanto da comprendere circa la sua importanza. Conosciuta un tempo solo per l’azione coadiuvante nell’assorbimento e nel mantenimento di calcio e fosforo, si sta rivelando molto più versatile e fondamentale. E siamo ancora agli inizi! La vitamina D non è esattamente una vitamina bensì un ormone prodotto da una ghiandola piuttosto insolita: la pelle. La luce solare che la colpisce innesca la trasformazione di un parente del colesterolo in previtamina D , la quale è convertita dal fegato e infine attivata dai reni, o dalle cellule del cuore, del sistema immunitario, del seno o della prostata. Il calcio di solito si prende tutti i meriti per la formazione e la protezione delle ossa dalle fratture, ma dovrebbe condividerli alla pari con la vitamina D , che è utile a più livelli. Assicura l’assorbimento di calcio e fosforo (anch’esso parte integrante delle ossa) durante il transito nell’apparato digerente. Segnala ai reni di trattenerli in modo che non si disperdano con l’urina. Inibisce il riassorbimento del tessuto osseo e ne stimola al contempo l’attività di costruzione. Al capitolo 10 ho accennato al fatto che molte donne che si fratturano l’osso dell’anca scoprono in un secondo tempo di avere una carenza di vitamina D . Una grande quantità di ricerche in costante aumento indica che parecchi statunitensi potrebbero ridurre la perdita di tessuto osseo aumentando l’apporto di vitamina D . Un’abitudine che diminuisce le fratture dell’osso dell’anca e del polso negli anziani di ambo i sessi in modo più efficace rispetto all’incremento massiccio dell’assunzione di calcio. Ossa più forti non sono però l’unica ragione valida per aumentare l’apporto quotidiano di vitamina D . Eccone alcuni altri: meno cadute, una probabile minore insorgenza di tumori, miglioramento della pressione sanguigna, cuore più resistente, minore insorgenza di infezioni gravi, ridotte probabilità di crisi asmatiche e protezione dalla sclerosi multipla. Muscoli più forti e meno cadute La vitamina D segnala alle cellule dei muscoli di produrre nuove proteine, le quali possono rafforzare i

muscoli stessi e migliorare l’equilibrio, soprattutto nelle persone anziane. Un’analisi aggregata di dieci studi randomizzati sull’integrazione della vitamina D (dalle 200 alle 1000 UI ) ha rilevato una diminuzione delle cadute pari al 14% rispetto alla somministrazione di solo calcio o del placebo. 13 Un eccesso di vitamina D , tuttavia, potrebbe spostare l’ago della bilancia nella direzione opposta. Uno studio clinico randomizzato pubblicato nel 2016 ha mostrato che 60.000 UI di vitamina D somministrate in un’unica dose mensile aumentavano il tasso di cadute rispetto a 24.000 UI al mese. 14 Le cadute sono la principale causa in assoluto di lesioni tra gli anziani e possono comportare disabilità permanente, perdita di indipendenza e persino la morte. Individuare la giusta dose di vitamina D è quindi di importanza fondamentale. Tumori Nei test in provetta la vitamina D inibisce la crescita e la proliferazione di una serie di cellule tumorali, comprese quelle del tumore al seno, alle ovaie, del colon, alla prostata e al cervello. In parole semplici, la vitamina D è in grado di soffocare le nuove cellule tumorali come una coperta fa con un fuocherello, reprimendone la progressione in pericolose neoformazioni tumorali. I risultati sono particolarmente comprovanti nel caso del cancro del colon-retto, per il quale donne e uomini con livelli ematici di vitamina D maggiori hanno mostrato di avere minori probabilità di insorgenza futura. 15 Cardiopatie Numerosi piccoli studi indicano che livelli maggiori di vitamina D , soprattutto se derivanti dall’esposizione diretta ai raggi solari, aiutano ad abbassare la pressione sanguigna. Parecchi piccoli studi a breve termine indicano che gli integratori di vitamina D possono apportare un qualche beneficio nella prevenzione dell’insufficienza cardiaca – quando il cuore non riesce a soddisfare il bisogno di sangue e ossigeno dell’organismo – ma non di ictus o infarto cardiaco. 16 Sclerosi multipla Questa malattia, che insorge quando il sistema immunitario impazzisce e attacca sistematicamente il tessuto protettivo dei nervi, è più diffusa nei Paesi più lontani

dall’equatore, che presentano anche i livelli più bassi di vitamina D . Nei topi la vitamina D previene o rallenta il decorso della sclerosi indotta artificialmente; è probabile che svolga la stessa azione anche nell’essere umano. In uno studio in cui si sono utilizzati i campioni di sangue prelevati a 7 milioni di uomini e donne al momento dell’arruolamento nell’esercito statunitense è emerso che a maggiori livelli ematici di vitamina D corrisponde una diminuzione del 60% del rischio di sviluppare la sclerosi multipla. 17 Nell’ambito del Nurses’ Health Study, le partecipanti che assumevano integratori di vitamina D mostrarono di avere il 50% di probabilità in meno di sviluppare la sclerosi multipla rispetto a chi non ne prendeva. 18 Le variazioni del DNA che provocano un abbassamento dei livelli di vitamina D sono anch’esse un indicatore molto forte di un più elevato rischio di sviluppare la malattia. 19 Il complesso dei risultati di questi diversi approcci d’indagine fornisce ottime ragioni a riprova del fatto che un apporto adeguato di vitamina D riduce il rischio di sclerosi multipla. Chi ha la fortuna di potersi crogiolare alla luce diretta del sole per alcuni minuti quasi ogni giorno dell’anno fa il pieno di vitamina D, il che, negli Stati Uniti, non comprende tutti coloro che vivono a nord di San Francisco, Denver, Indianapolis e Philadelphia. Durante l’inverno, infatti, queste regioni del Nord degli USA sono raggiunte da una quantità di raggi ultravioletti insufficienti per produrre vitamina D . Ne sono esclusi coloro che lavorano al chiuso per tutta la giornata e non possono, o non vogliono, uscire a fare una passeggiata di un quarto d’ora quando il sole è ancora alto, coloro la cui mobilità è limitata dall’artrite o da altre malattie croniche e gli ospiti delle case di riposo. In altre parole, milioni di persone. Due americani su tre in età compresa fra i 51 e i 70 anni mostrano livelli di vitamina D ben lontani da quelli ottimali, e la situazione si presenta addirittura peggiore negli anziani, con una media di nove su dieci. Più il colore della pelle è scuro, meno l’organismo si dimostra efficiente nel convertire la luce del sole in vitamina D . Da un’indagine

condotta presso gli afroamericani a livello nazionale negli Stati Uniti è emerso che uomini e donne di colore presentavano livelli ematici di vitamina D pari alla metà della controparte bianca. Il graduale scomparire di pigmentazione seguito alle migrazioni dalla cosiddetta culla dell’umanità verso le regioni più settentrionali è stato con ogni probabilità un adattamento evolutivo per catturare più vitamina D da un minore irraggiamento solare. Ciononostante, anche la scomparsa quasi totale di melatonina nella pelle chiarissima degli scandinavi non è sufficiente a compensare la mancanza di adeguata luce solare e può quindi corrispondere a bassi livelli ematici di vitamina D . Le popolazioni nordiche hanno compensato con una dieta a base di pesci grassi, compreso il loro fegato ricco di vitamina D , o assumendo olio di fegato di merluzzo. Il graduale comparire di queste tradizioni potrebbe avere un forte impatto sulla loro salute generale. A meno di non vivere in zone dove il sole splende per buona parte della settimana o di non mangiare pesce in grosse quantità, gli integratori sono l’unico modo di raggiungere con sicurezza l’apporto quotidiano raccomandato di vitamina D . Molti multivitaminici ne contengono solo 400 UI . Non bisogna tuttavia prenderne due compresse perché il conseguente eccesso di vitamina A preformata potrebbe opporsi alla vitamina D . Alcuni integratori di calcio contengono 220 UI di vitamina D e 500 mg di calcio. Le donne potrebbero quindi prendere una compressa di multivitaminico standard e due di calcio, che tuttavia raggiungerebbe livelli troppo elevati rispetto al loro fabbisogno. Non è un consiglio che estendo agli uomini per via del possibile collegamento fra un elevato apporto di calcio e il cancro alla prostata. Un’altra opzione sarebbe una compressa di integratore multivitaminico standard più una compressa di un integratore specifico di vitamina D . La soluzione ideale sarebbe scovare un multivitaminico con un apporto di vitamina D compreso fra le 800 e le 1000 UI di vitamina D . Alcuni prodotti sono in commercio, e io mi auguro che ne arriveranno presto altri. Apporto raccomandato Attualmente è fissato a 600 UI giornaliere (15 µg) per gli uomini con più di 19 anni e per le donne fino ai 70 anni, età oltre la quale le UI salgono a 800 (20 µg) al giorno. L’apporto ottimale

di vitamina D è ancora materia di discussione. Personalmente ritengo che i dati indichino che il fabbisogno della maggior parte delle persone si attesta ad almeno 800-1000 UI al giorno, forse meglio dalle 2000 alle 3000 UI per poter godere al massimo dei benefici offerti da questa vitamina. Il fabbisogno di chi ha la carnagione più scura o di chi trascorre poco tempo al sole potrebbe essere addirittura superiore. In uno studio del 2014 compiuto presso la popolazione afroamericana di Boston, aumentare l’apporto quotidiano a 4000 UI ha comportato benefici a livello metabolico, benché non siano stati presi in esame i rischi di malattia. 20 La ricerca continua, e io sono sicuro che presto avremo indicazioni più precise in merito. Non occorre sottoporsi a esami del sangue con regolarità per tenere sotto controllo i livelli di vitamina D , perché questi variano nel tempo e al momento non sappiamo quali siano i livelli ideali. Meglio prendere un integratore di vitamina D , tanto per essere sicuri. Fonti alimentari valide Pochi sono gli alimenti che contengono vitamina D naturalmente. I pesci d’acqua fredda come il salmone e il pesce azzurro contengono buoni livelli di questa vitamina liposolubile, concentrata soprattutto nel fegato. Per il resto, negli Stati Uniti e nei Paesi con normative simili in ambito alimentare, la maggior parte della vitamina D è assunta tramite latticini e cereali arricchiti e uova di galline cui viene somministrata vitamina D . Grado di sicurezza È impossibile derivare troppa vitamina D dall’esposizione al sole, mentre è possibile assumerne troppa con gli integratori. Dalla National Academy of Medicine è considerato sicuro un apporto quotidiano fino a 4000 UI . Grazie alle proprietà idrosolubili, la vitamina D può essere immagazzinata e arrivare ovunque nell’organismo. Un eccesso può dare sintomi non specifici quali anoressia e perdita di peso. Può anche innalzare i livelli ematici di calcio, i quali, nel lungo periodo, potrebbero arrecare danno a cuore, reni e vasi sanguigni. Dalla Women’s Health Initiative è emerso che l’assunzione di integratori contenenti calcio e vitamina D aumentava del 17% il rischio di formazione di calcoli renali. Una circostanza imputabile quasi sicuramente al calcio dato che il contenuto di vitamina D dell’integratore era basso. 21

Vitamina E La vitamina E condivide con il betacarotene una storia fatta di una certa curiosità iniziale, di risultati di laboratorio molto interessanti e di promettenti studi osservazionali che ne documentano il rapporto con una diminuzione del rischio dell’insorgenza di cardiopatie, subito seguiti da deludenti studi clinici in cui nutriti gruppi di volontari – per lo più già cardiopatici – hanno assunto pillole di placebo o contenenti la sostanza oggetto di studio. Esistono però anche differenze fondamentali. Per esempio, buona parte della popolazione assume fra le 5 UI e le 15 UI di vitamina E al giorno, tuttavia ne occorrono parecchie centinaia per contrastare in modo significativo l’ossidazione del colesterolo LDL ; pensate che il maggior grado di inibizione è raggiunto intorno alle 800 UI giornaliere. Gli integratori di vitamina E sono stati saggiati per l’impiego contro le cardiopatie in studi randomizzati come il Cambridge Heart Antioxidant Study (CHAOS ), il Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico (conosciuto anche come GISSI Prevenzione) e l’Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE ). I primi risultati parevano mettere in evidenza l’effettivo beneficio cardiovascolare dell’assunzione di integratori con vitamina E , risultati che la maggior parte degli studi molto più ampi condotti in seguito non hanno però confermato. Nel Women’s Health Study (Studio sulla salute delle donne), per esempio, cui partecipavano donne di mezza età relativamente in buona salute, non si è riscontrata alcuna riduzione dei casi di tumore o infarto nelle partecipanti che avevano assunto vitamina E , mentre si è osservata una diminuzione del rischio cardiovascolare totale. 22 La ricerca sulla vitamina E si è concentrata in gran parte sull’attività antiossidante, ma essa è utile anche per contrastare la tendenza alla formazione di coaguli nei vasi sanguigni, possibili cause di ictus o infarto. Sempre nel Women’s Health Study, le donne che assumevano vitamina E avevano minori probabilità di sviluppare gravi trombosi agli arti inferiori e conseguenti embolie polmonari rispetto a chi assumeva il placebo, in particolare coloro che, seppure

ignorandolo, avevano una predisposizione genetica a questo tipo di formazioni. 23 È difficile spiegare come mai i risultati degli studi randomizzati e quelli degli studi osservazionali siano discordanti. Le potenziali interpretazioni non mancano e saranno materiale per ricerche future. Con le informazioni finora in nostro possesso, tuttavia, meglio non affidarsi a dosi massicce di vitamina E per proteggerci da infarti, ictus o tumori. Un altro dei possibili benefici della vitamina E è la protezione dalla demenza senile. Alcuni dei primi studi compiuti in materia indicavano che chi assumeva integratori di vitamina E aveva minori probabilità di insorgenza di questa patologia così seria e al contempo così diffusa, ma studi successivi hanno riscontrato l’inattendibilità di quei risultati. 24 Un ulteriore ambito di ricerca a prima vista promettente riguarda il possibile rapporto fra la vitamina E e la sclerosi laterale amiotrofica (o SLA , nota anche come malattia di Lou Gehrig), patologia sempre fatale che comporta la progressiva e rapida degenerazione delle cellule neuronali che presiedono al controllo degli arti e dei muscoli cosiddetti volontari. Dall’analisi combinata di vasti studi prospettici è emerso che il rischio di insorgenza di questa malattia era inferiore di un terzo in partecipanti di ambo i sessi che avevano assunto integratori di vitamina E per un periodo superiore a cinque anni rispetto a coloro che non ne avevano assunto. 25 ANTIOSSIDANTI: TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO? Se potessimo stilare una lista dei termini alimentari più in voga negli ultimi vent’anni, “antiossidante” meriterebbe senz’altro uno dei posti d’onore. Prima del 1990 questi composti cedenti elettroni erano oggetto dell’interesse soprattutto di chimici e ricercatori in ambito alimentare. Oggigiorno gli antiossidanti sono gli indiscussi protagonisti di testi dai titoli altisonanti come The Antioxidant Miracle (Il miracolo degli antiossidanti) o Antioxidant Smoothies (Facciamo il pieno di antiossidanti). Nelle erboristerie e nelle pagine delle riviste di tendenza sono decantati come sostanze dalle proprietà straordinarie, capaci di prevenire cancro, cardiopatie, perdita di memoria, cataratta e persino di invertire il processo dell’invecchiamento. L’aggettivo “antiossidante” è riferito ai seguenti nutrienti: vitamina C , vitamina E ,

betacarotene e altri carotenoidi affini, selenio, manganese, glutatione, coenzima Q 10, acido lipoico, flavonoidi, fenoli, polifenoli, fitoestrogeni e tanti altri ancora. È molto probabile che nel cibo che mangiamo siano contenuti centinaia e centinaia di antiossidanti. Queste sostanze ci proteggono dalla costante aggressione dei radicali liberi, molecole altamente reattive e prodotte senza sosta da reazioni aerobiche come quelle necessarie per bruciare grassi e carboidrati. I radicali liberi sono nell’aria che respiriamo, nel cibo che mangiamo e nell’acqua che beviamo. Abbondano nel fumo di sigaretta, compreso quello passivo. Anche la luce del sole produce radicali liberi quando colpisce la pelle o gli occhi. I radicali liberi mancano di uno o più elettroni, che essi vanno a ricercare nel DNA circostante, nelle proteine funzionali e strutturali, nelle particelle di colesterolo LDL e persino nella membrana cellulare. Un’azione che può alterare appena la funzione di queste sostanze o componenti cellulari target, oppure danneggiarle completamente. Danni che si accumulano nel tempo: si ritiene infatti che i radicali liberi svolgano un ruolo nell’insorgenza di tumori, cardiopatie, artrite, cataratta, perdita di memoria e anche nell’invecchiamento, tanto per citare solo alcuni problemi di salute. Bruce Ames, noto biologo molecolare dell’università della California, Berkeley, ha stimato che il materiale genetico contenuto in ciascuna cellula del nostro corpo riceva circa 10.000 “aggressioni ossidanti” al giorno. 26 Moltiplicate per i molti trilioni di cellule che compongono il nostro organismo, aggiungete gli altri elementi cellulari che radicali liberi e agenti ossidanti possono danneggiare e vi farete un’idea della portata dell’aggressione. Proprio come bravi soldatini, gli antiossidanti sono sempre pronti a passare al contrattacco per neutralizzare i radicali liberi. Sono schierati strategicamente in ogni cellula dell’organismo, pronti a cedere generosamente – aggressivamente, persino – elettroni al nemico senza trasformarsi a loro volta in sostanze fameliche di elettroni altrui. Un solo antiossidante non può però svolgere il lavoro di tutto il gruppo al completo. Assumere betacarotene o vitamina E in dosi anche massicce è come ascoltare un violino solista suonare una sinfonia di Mozart: un mero assaggio dello straordinario effetto totale. Oppure lo squilibrio creato dall’assumere un solo antiossidante in quantità eccessiva potrebbe somigliare più all’ascoltare un’orchestra in cui un singolo gruppo di strumenti suona a volume altissimo. Nonostante i risultati in generale più che ottimisti dei primi studi circa i benefici

degli antiossidanti contro tumori e cardiopatie, più ampi studi randomizzati controllati compiuti con dosi importanti di integratori di antiossidanti non hanno mostrato risultato o quasi e, anzi, in alcuni casi ne hanno dati addirittura di negativi. Jim Watson, vincitore del Nobel insieme a Francis Crick per aver scoperto la struttura del DNA , ha persino ipotizzato che assumere integratori di antiossidanti in dosi massicce potrebbe contribuire all’insorgenza di tumori. I radicali liberi consentono alle cellule tumorali di suicidarsi. Assumere antiossidanti in eccesso spazzerebbe via questa naturale difesa e potrebbe anche ostacolare l’azione delle terapie antitumorali. 27 Menzione a parte merita l’azione che gli integratori di vitamine antiossidanti svolgono per la salute di occhi e cervello. La cataratta si forma quando i danni provocati dalla luce del sole e dai radicali liberi intorpidiscono le proteine del cristallino dell’occhio, proprio come il calore intorpidisce le proteine dell’albume delle uova. La cataratta è la prima causa di problemi alla vista fra gli anziani. Negli Stati Uniti più di 20 milioni di persone oltre i 40 anni soffrono di un qualche problema alla vista e, di queste, più della metà di coloro che hanno superato gli 80 anni soffrono di cataratta. Ogni anno negli Stati Uniti sono eseguiti oltre un milione di interventi al cristallino, per un costo totale di oltre 3 miliardi di dollari. Al termine dell’Age-Related Eye Disease Study (AREDS ), uno studio sulle patologie dell’occhio legate all’età che è durato ben sei anni, si è osservato che la combinazione di vitamina C , vitamina E , betacarotene e zinco offre una certa protezione contro lo sviluppo della degenerazione maculare in età avanzata ma non della cataratta, nei partecipanti più a rischio di svilupparla. 28 La luteina (un carotenoide presente nelle verdure a foglia verde come spinaci e cavolo riccio) e altri fitonutrienti potrebbero svolgere anch’essi una funzione protettiva della vista. In un nuovo studio svolto sul regime di integratori AREDS sono stati aggiunti luteina e zeaxantina, un carotenoide affine. 29 Nel complesso, i risultati mostrano una modesta diminuzione del rischio di insorgenza di degenerazione maculare avanzata, mentre in coloro che all’inizio dello studio avevano scarsi livelli ematici di luteina e zeaxantina la diminuzione del rischio è stata importante. Sommate ai risultati di alcuni studi di coorte a lungo termine, 30 tali conclusioni suggeriscono di includere un adeguato apporto di luteina nella dieta, e per farlo non serve ricorrere agli integratori, basta portare in tavola ogni giorno verdure a foglia verde. I risultati dello studio randomizzato Physicians’ Health Study II mostrano che l’assunzione regolare per oltre dieci anni di un integratore di betacarotene aiuta a

preservare la memoria e le abilità cognitive. 31 Il succo della faccenda. Un’alimentazione naturalmente ricca di antiossidanti – intesa come ricca di verdura, frutta fresca e con guscio, cereali e altri cibi di origine vegetale – aiuta a proteggerci dall’insorgenza di cardiopatie, tumori, demenza, malattie oculari e altre patologie croniche. A oggi è questo il modo più efficace di assumere antiossidanti, insieme a tutte le altre componenti benefiche contenute in questi alimenti. Ciò detto, io penso che dovremmo guardare ad altri carotenoidi con mente aperta. Gli integratori potrebbero costituire un modo più efficace per molti – soprattutto coloro che non mangiano frutta e verdura a sufficienza – di assumere le giuste quantità di carotenoidi. Restate sintonizzati.

Apporto raccomandato Attualmente è di 15 mg al giorno da alimenti, equivalenti a 22 UI da fonte naturale o 33 UI da fonte sintetica. Dai risultati degli studi in merito è emerso chiaramente che assumerne una quantità maggiore con gli integratori non è di alcun aiuto per chi soffre di cardiopatie. Se invece possa rivelarsi utile per chi è sano, be’, questo è ancora da appurare. Fonti alimentari valide Tra le migliori fonti di vitamina E troviamo frutta con guscio, semi e diversi tipi di oli fra cui quelli di soia, di mais e di canola, oltre alle verdure a foglia verde e ai cereali arricchiti. Grado di sicurezza Una meta-analisi di studi condotti sulle proprietà della vitamina E ha riscontrato che l’assunzione di dosi massicce (superiori alle 400 UI ) potrebbe comportare un lieve incremento dei tassi di mortalità. 32 Ovviamente i giornali non hanno perso occasione di sbattere in prima pagina titoli come “La vitamina E uccide?”, ma io non credo proprio che sia così. La maggior parte degli studi compresi nell’analisi includevano solo volontari cardiopatici. Un riesame attento e approfondito della vitamina E condotto dall’Institute of Medicine ha concluso che è sicura in dosi fino ai 1000 mg al giorno (1500 UI di vitamina E da fonti naturali). 33 L’unico effetto nocivo documentato di un apporto eccessivo di vitamina E è il peggioramento di una rara patologia oculare chiamata retinite pigmentosa. Pertanto… attenzione: se assumete anticoagulanti, consultate il vostro medico prima di prendere qualsiasi integratore di vitamina E , che può influire sulla capacità di coagulazione del sangue.

Vitamina K Questa vitamina liposolubile favorisce la produzione di sei delle tredici proteine necessarie alla coagulazione del sangue. Recenti ricerche in materia mostrano come alcune di queste sono coinvolte anche nella costruzione di tessuto osseo e suggeriscono un’altra funzione possibile: il mantenimento della salute delle ossa. Bassi livelli ematici di vitamina K sono stati ricollegati a una bassa densità ossea. Una relazione del Nurses’ Health Study mostra che le donne che non assumono vitamina K a sufficienza hanno il doppio delle probabilità di frattura dell’osso dell’anca rispetto alle donne che ne assumono in quantità. Abbiamo stimato che una porzione al giorno di lattuga o di altre verdure a foglia verde riduca il rischio di frattura all’anca rispetto al consumo di una porzione alla settimana. È opinione diffusa che la maggior parte degli adulti assuma abbastanza vitamina K perché questa si trova in una grande quantità di alimenti e in particolare nelle verdure a foglia verde e negli oli da cucina più diffusi. Opinione, questa, in parte smentita da una ricerca sulla vitamina K nell’alimentazione americana, dalla quale è emerso che l’apporto medio si attesta lievemente sotto quello quotidiano consigliato. 34 La ricerca ha anche rivelato che un buon numero di americani, e giovani in particolare, non assumono la vitamina K di cui hanno bisogno perché non mangiano abbastanza verdure a foglia verde. Apporto raccomandato Attualmente è di 90 µg al giorno per le donne adulte e di 120 µg al giorno per gli uomini adulti. Fonti alimentari valide Negli Stati Uniti, la fonte più comune di vitamina K sono le verdure a foglia verde come spinaci, broccoli, lattuga, cavoli ricci, cavoli, rape e oli vegetali. Anche il natto, alimento giapponese a base di fagioli di soia fermentati, ne contiene in quantità. Grado di sicurezza La vitamina K proveniente dagli alimenti è molto sicura. L’Institute of Medicine non ha fissato un limite massimo in virtù del suo basso potenziale tossico. Chi assume warfarin per impedire la formazione di coaguli di sangue deve però prestare particolare attenzione all’apporto quotidiano di vitamina K perché questa annulla l’azione del farmaco. Ciò non significa eliminare

completamente le verdure a foglia verde, anzi: provate a consumarne uno stesso quantitativo ogni giorno.

Calcio Del ruolo svolto dal calcio e delle quantità da assumerne abbiamo già discusso dettagliatamente nel capitolo 10. In breve, tanto per riepilogare, il calcio è essenziale alla nostra salute ma gli alti livelli raccomandati dalle Dietary Guidelines e dalla National Academy of Medicine non sono necessari per la salute generale e delle ossa. Apporto raccomandato Attualmente negli Stati Uniti è di 1000 mg al giorno per le donne fino ai 50 anni e di 1200 mg in età superiore; per gli uomini è pari a 1000 mg al giorno fino ai 70 anni e di 1200 mg in età superiore. Considerati i dati contrastanti e talvolta fuorvianti su calcio e salute delle ossa, è probabile che queste siano dosi eccessive. Abbiamo bisogno di assumere calcio ogni giorno, questo è indubbio, e diciamo che la dose minima è di circa 500 mg, ma 1200 mg sono verosimilmente più del necessario, soprattutto per gli uomini. Fonti alimentari valide Nonostante le tante campagne (anche e soprattutto istituzionali) che ne promuovono il consumo, latte e latticini non costituiscono la fonte migliore di calcio a nostra disposizione. È più indicato consumare sardine, tofu, salmone, rape e cavoli, latte di soia e succo d’arancia arricchiti. Se ritenete che la vostra alimentazione non fornisca tutto il calcio di cui avete bisogno, potete provare con un integratore. Non contengono né calorie né grassi saturi e sono molto più economici rispetto a latte e latticini in quantità. Anche gli antiacidi masticabili a base di calcio costituiscono una fonte valida ed economica. L’integratore ottimale di calcio contiene anche vitamina D . Grado di sicurezza Alti livelli ematici di calcio (ipercalcemia) possono causare problemi che vanno dai calcoli renali all’indurimento delle arterie, anche se è doveroso ricordare che di solito la causa primaria va ricercata nell’iperattività delle ghiandole paratiroidee o nell’insorgenza di un cancro. Un apporto eccessivo di calcio può causare stitichezza e interferire con l’assorbimento di ferro e zinco.

Come abbiamo visto al capitolo 10, gli ultimi risultati in materia mostrano un legame fra un maggiore apporto di calcio da integratori e un incremento del rischio di sviluppare calcoli renali e cancro alla prostata. Il calcio contenuto negli alimenti, invece, può ridurre il rischio di calcoli renali inibendo l’ossalato, un composto contenuto in rabarbaro, barbabietole, spinaci, frutta con guscio, tè e in una grande quantità di prodotti a base di soia e cioccolato.

Ferro Il ferro è necessario in particolare per permettere ai globuli rossi di trasportare ossigeno dai polmoni ai tessuti. Bassi livelli ematici di ferro possono causare pallore e stanchezza sia fisica che mentale. La carenza arresta la crescita e lo sviluppo nei bambini e può causare danni a lungo termine sulle capacità cognitive. La carenza di ferro è un problema a livello internazionale: riguarda addirittura la metà della popolazione mondiale. La maggior parte degli americani ricava il ferro da carne, farine e da altri prodotti arricchiti, tuttavia i bambini più piccoli e le donne in età fertile non ne assumono a sufficienza. Ecco perché i diversi tipi di latte artificiale in commercio sono arricchiti con ferro, e perché alle donne incinte è caldamente consigliato assumere integratori multivitaminici con alte dosi di ferro e durante il ciclo mestruale è raccomandato di aumentare le porzioni di alimenti ricchi di ferro o di assumere degli integratori. Il ferro è presente negli alimenti in due forme: l’eme, che trasporta l’ossigeno per tutto l’organismo a bordo delle emoglobine e che assumiamo dalle carni rosse, dal pollame e dal pesce, e il non-eme, contenuto per esempio nella verdura, nella frutta fresca e con guscio e nei cereali. Il nostro organismo assorbe il ferro-eme con maggiore facilità rispetto al non-eme, anche quando i livelli di ferro sono già ottimali. A chi ha bisogno di un apporto supplementare di ferro è spesso consigliato di aumentare il consumo di carni rosse magre. La carne costituisce senz’altro un’ottima fonte di questo minerale, ma apporta

anche molte calorie, grassi saturi e colesterolo. L’organismo, inoltre, non regola l’assorbimento del ferro presente nelle carni con la stessa precisione con cui assorbe quello di origine vegetale e contenuto negli integratori. Se le scorte sono ben fornite, il ferro di origine vegetale e proveniente dagli integratori scorre via attraverso il corpo. Il ferro di origine animale, invece, sfugge a questo radar minerale e si aggiunge comunque alle riserve, anche se sono già complete. Una caratteristica che potrebbe causare problemi se, com’è emerso da alcune ricerche, il ferro è un potente produttore di radicali liberi. Nel 1981 fu formulata una controversa “ipotesi ferro” riguardante le cardiopatie e un aumento del rischio dell’incidenza direttamente proporzionale all’assunzione di ferro. Le prove a sostegno di tali affermazioni erano tuttavia deboli già in partenza e sono state ulteriormente smentite da studi successivi. È stata proposta un’ipotesi simile anche per il cancro ma, anche in questo caso, la giuria ha ben poco su cui lavorare. Apporto raccomandato Attualmente è di 8 mg al giorno per gli uomini e di 18 mg per le donne in età fertile, che scendono a 8 mg in menopausa. Gli uomini in salute e le donne in postmenopausa di rado mostrano una carenza di ferro, che nel loro caso è di solito considerata un’indicazione di un’emorragia interna in corso. Fonti alimentari valide Il ferro-eme è contenuto in buone quantità soprattutto nelle carni rosse, nel pollame e nel pesce. Frutta con guscio, fagioli, verdura e prodotti a base di cereali arricchiti come pane e cereali per la colazione sono invece una buona fonte di ferro non-eme. Grado di sicurezza Se le funzioni intestinali sono normali, è difficile assorbire ferro in eccesso dal cibo. Dosi elevate provenienti da integratori, tuttavia, possono irritare lo stomaco e causare stitichezza, dolori addominali, nausea e vomito. Un’overdose massiccia può provocare il collasso di uno o più organi interni, il coma e persino la morte. Per tutti questi motivi suggerisco agli uomini e alle donne in postmenopausa di scegliere integratori privi di ferro. Le donne in età fertile, invece, non dovrebbero assumere integratori contenenti quantità di ferro superiori all’apporto consigliato senza averne prima parlato con il proprio medico.

Magnesio Il magnesio è un elemento molto diffuso ed è essenziale per centinaia di processi biologici quali la formazione di sostanze come il DNA e le proteine, il rilascio dell’energia contenuta negli alimenti, la contrazione muscolare e la trasmissione nervosa. Cuore, muscoli, nervi, ossa, apparato riproduttivo: ogni cellula di ogni parte dell’organismo dipende dalla sufficiente presenza di magnesio. Negli Stati Uniti sono davvero poche le persone affette da carenza di magnesio, ma è pur vero che gli americani ne assumono meno oggi di quanto non facessero un secolo fa. Il motivo? Meno frutta e verdura e cereali integrali. Il pane o il riso bianco, per esempio, hanno un contenuto di magnesio quattro volte inferiore rispetto ai loro corrispettivi integrali. Ben pochi adulti assumono la dose di magnesio consigliata; il consumo medio si attesta intorno ai 100 mg circa in meno per la popolazione bianca ed è persino inferiore nella popolazione ispanica e afroamericana. Livelli di magnesio sotto il minimo considerato salutare sono piuttosto comuni tra gli anziani, che non ne assumono a sufficienza con l’alimentazione oppure hanno problemi di assimilazione. La carenza di questo elemento può causare problemi in chi assume diuretici (impiegati per contrastare l’ipertensione) e nei bevitori accaniti. Il diabete accelera la perdita di magnesio, e lo stesso effetto hanno anche gli alcolici e le bibite contenenti caffeina. Queste ultime, in particolare, rappresentano una batosta doppia perché i fosfati della gassatura incrementano l’espulsione di magnesio da parte dell’organismo. Una carenza di magnesio può rendere più faticosa qualsiasi attività fisica – anche quelle a bassa intensità – e provocare anomalie nel battito cardiaco. Alcuni studi mostrano che chi assume poco magnesio o ne presenta livelli ematici bassi ha maggiori probabilità di sviluppare diabete di tipo 2 o cardiopatie, ma altri studi, al contrario, riscontrano che non esiste nessun rapporto fra bassi livelli ematici di questo elemento e tali patologie croniche. Apporto raccomandato Attualmente le linee guida nutrizionali raccomandano un apporto quotidiano di 420 mg per gli uomini e di

320 mg per le donne. Fonti alimentari valide Quando frutta, verdura e cereali integrali (compresi quelli per la colazione) non mancano, l’alimentazione è sufficiente a fornire le giuste quantità di magnesio. Le compresse multivitaminiche-multiminerali in genere contengono 100 mg di magnesio e possono quindi aiutare a colmare eventuali deficit. Grado di sicurezza Quando si è in salute, è quasi impossibile esagerare con il magnesio perché i reni provvedono ad eliminarne l’eccesso con l’urina; tuttavia dosi elevate assunte tramite integratori o medicinali possono provocare diarrea, nausea e crampi addominali. Dosi molto elevate, derivanti in genere da lassativi e antiacidi, possono abbassare pericolosamente la pressione e alterare il battito del cuore sino a causarne l’arresto. Non esiste limite massimo per l’apporto quotidiano di magnesio derivante dal cibo, mentre per gli integratori è fissato a 350 mg al giorno per gli adulti.

Potassio Il potassio è l’elemento chimico con carica positiva più abbondante nelle nostre cellule. L’organismo regola i livelli ematici di potassio con estrema precisione perché l’eccesso o la carenza potrebbero creare problemi. Un calo di potassio può dare stanchezza e affaticamento, tachicardia (soprattutto nei cardiopatici), crampi e dolori muscolari. La carenza di potassio combinata a un eccesso di sodio può causare ipertensione, malattia che colpisce oltre 50 milioni di americani. La maggior parte degli statunitensi ne guadagnerebbero senz’altro in salute se ricavassero una maggiore quantità di potassio mangiando almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, e questo anche se potrebbero non avere bisogno di arrivare ai 4700 mg quotidiani raccomandati dall’Accademia. Si tratta infatti di un obiettivo basato su un numero limitato di risultati. Bassi livelli di potassio costituiscono un problema soprattutto per gli ipertesi che assumono diuretici per tenere sotto controllo la loro patologia e per chi beve molto caffè o bevande con caffeina, perché i diuretici e la caffeina incrementano la quantità di potassio espulsa con l’urina.

Aumentare la quantità di potassio assunto tramite gli alimenti, l’aggiunta alla dieta di acetato di potassio o gli integratori possono abbassare la pressione o mantenerla entro livelli ottimali, e così facendo diminuisce il rischio di ictus causato dal blocco del flusso sanguigno al cervello. Il modo migliore per assicurarsene un apporto sufficiente resta comunque il consumo di frutta e verdura in quantità. I sostituti del sale a base di potassio possono rivelarsi utili per gli ipertesi, per chi assume diuretici o per chi beve molto caffè. Vi raccomando di consultarvi sempre con il vostro medico prima di assumere integratori di potassio perché, in caso di insufficienza renale, possono risultare addirittura mortali. Contenuto di potassio di alcuni alimenti mg/100 g

% FG c

Arachidi, tostate

634

13

Avocado

485

10

Banana

358

8

Barbabietola, cotta

909

19

Barbabietola rossa, cotta

305

6

Broccoli, lessati

293

6

Caffè

49

1

Cavolo, lessato

251

5

Cereali All-bran (crusca)

533

11

Datteri

410

9

Fagioli cotti

296

6

Fagioli di Lima, cotti

570

12

Fagioli neri, cotti

355

7

Fichi secchi

680

14

Germe di grano, tostato

1097

23

Latte 1% di grassi

150

3

Mandorle

733

15

Melone retato

267

5

Alimento

Patate bianche, lessate con buccia

544

11

Petto di tacchino, arrosto

297

6

Pomodoro rosso crudo, medio

237

5

Prugne secche

732

15

Salsa di pomodoro alla marinara

320

7

Semi di zucca, tostati

788

17

Spinaci, bolliti

466

10

Succo d’arancia

200

4

Succo di pomodoro

217

4

Uva secca

749

16

Yogurt

155

3

Zucca (var. invernale), cotta

241

5

Fonte: USDA National Nutrient Database for Standard Reference, 28 a edizione (2016): https://ndb.nal.usda.gov/ndb/search/list Apporto raccomandato Attualmente è di 4700 mg al giorno per gli adulti. Fonti alimentari valide Le banane sono forse l’alimento più noto per il contenuto di potassio, ma non sono l’unica buona fonte vegetale a nostra disposizione. Anche albicocche, datteri, fagioli, arance, spinaci, frutta secca, semi e cereali integrali (vedi tabella a p. 325) ne forniscono in buone quantità. Grado di sicurezza Il National Food and Nutrition Board (Consiglio nazionale per l’alimentazione e la nutrizione) non ha ancora fissato, per quanto riguarda gli Stati Uniti, la quantità giornaliera massima di potassio da assumere, anche perché, in presenza di una funzione renale ottimale, è quasi impossibile assumerne troppo con il cibo. In caso di problemi renali, invece, bisogna stare molto attenti all’apporto giornaliero di potassio ed è meglio tenere il livello ematico sotto controllo, perché un eccesso potrebbe causare aritmie anche mortali.

Sodio

Fra tutti i micronutrienti, il sodio è senz’altro quello cui è stata riservata l’attenzione maggiore. Come gli altri, è parte essenziale della nostra alimentazione, ma in molti Paesi, fra cui gli Stati Uniti, se ne consuma più del necessario. E non è poi così difficile. I cibi già pronti contengono spesso molto sale, il quale è composto per un terzo da sodio. Una porzione di patatine fritte di Burger King può contenere oltre 1000 mg di sodio, che è quasi quanto ne andrebbe assunto in un giorno. Ma il sale lo si trova anche dove meno ci si aspetta: un barattolo di sugo pronto, per esempio, può contenerne quasi la metà dell’apporto quotidiano consigliato in una dieta sana (vedi “Il sale nascosto nei cibi” a p. 328). Il fabbisogno quotidiano di sodio è indicato, generalmente, in 2300 mg ma in media ce ne bastano meno di 1000 mg al giorno per mantenere il nostro organismo in forma. Una quantità pari a meno di mezzo cucchiaino di sale al giorno. Ciononostante l’americano medio, per esempio, assume ogni giorno circa 3500 mg di sodio. Quello di cui non abbiamo bisogno viene espulso, ma non sempre ciò accade prima che arrechi qualche danno all’organismo. Il sodio in eccesso “prosciuga” le cellule e provoca, di conseguenza, un aumento della pressione, soprattutto nelle persone geneticamente più sensibili al sale. Nel mondo scientifico vi è accordo sul rapporto diretto fra troppo sodio e ipertensione. Se ridurre l’apporto di sodio riduca o meno il rischio di malattie cardiovascolari è stato a lungo oggetto di discussione ma, sebbene non sia ancora stato individuato un apporto massimo ottimale, i dati a nostra disposizione comprovano che limitare l’assunzione di sodio comporta un beneficio concreto. «Riduca il sale», è questo uno dei primi consigli che i medici danno a chi soffre di ipertensione, oltre a smettere di fumare e fare più esercizio fisico. Per anni gli studi sulla riduzione del consumo di sale hanno dato risultati contraddittori, poi il DASH II, contraddistinto dall’attenzione all’apporto di sale nella dieta dei partecipanti, ha mostrato che un taglio netto ha importanti ripercussioni sulla pressione. 35 In seguito sono poi giunte le conferme anche di altri studi molto accurati. Come ho già spiegato al capitolo 8, il primo DASH

indicava che anche il consumo di più frutta e verdura può comportare una riduzione concreta della pressione. Documentare il “miglior” apporto di sodio è stato difficile. In primo luogo perché nella gran parte dei cibi pronti ne è contenuto di nascosto e questo rende difficile misurarne il consumo effettivo dei singoli. In più, anche gli studi a lungo termine al riguardo sono difficili da eseguire perché è davvero arduo riuscire a imporre una dieta povera di sodio in un’epoca in cui gli alimenti ricchi di sodio o di sodio nascosto sono dappertutto. Il modo più efficace per mantenere bassa la pressione consiste in una perdita di peso (se necessaria) associata al consumo di frutta e verdura ricche di potassio e alla rinuncia ai cibi ricchi di sale. Il sale nascosto nei cibi Alimento

1 porzione (g)

Sodio (mg)

% dell’apporto quot. massimo consigliato d

250 ml

428

19

Cereali Kellogs crusca e uvetta

59

210

9

Cetriolini sottaceto

105

833

36

Crauti in scatola

142

939

41

Fagiolini in scatola

240

461

20

Fiocchi di latte

113

459

20

Formaggio americano (tipo cheddar)

28

468

20

Lasagne surgelate

225

639

28

Pasta al formaggio in scatola

244

737

32

Patatine fritte di McDonald’s (porzione large)

154

290

13

Piselli surgelati

67

58

3

Pizza con salame piccante

151

773

32

Pollo all’arancia (ristorante)

684

3583

156

Pollo kung pao con riso

660

2610

113

Bevanda a base di estratto di verdura

(ristorante) Salsa di pomodoro pronta

132

577

25

Tonno in scatola al naturale

85

337

15

Tramezzino con insalata di tonno

237

780

34

Tramezzino prosciutto, maionese e pomodoro

237

2130

93

1 waffle surgelato

35

223

10

Whopper con formaggio (Burger King)

316

1.431

62

Fonte: USDA National Nutrient Database for Standard Reference, 28 edizione (2016): https://ndb.nal.usda.gov/ndb/search/list Il succo della faccenda è che assumere tanto sale non solo non ci fa bene, ma può rivelarsi dannoso, quindi l’unica soluzione ragionevole è eliminare quello non necessario. Apporto raccomandato Negli Stati Uniti, la National Academy of Medicine e le Dietary Guidelines for Americans 2015-2020 raccomandano di non superare i 2300 mg di sodio al giorno. L’American Heart Association, da parte sua, porta il limite massimo raccomandato a 1500 mg al giorno. Questo perché meno sodio significa un abbassamento della pressione arteriosa, che è uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Fonti alimentari valide Il sodio non è un nutriente che occorra cercare, perché è lui che ci trova. Anziché alimenti che siano una fonte valida di sodio, la maggior parte di noi ha bisogno di ricercare cibi che ne siano poveri, e di questi fanno parte tutti quelli non elaborati come frutta, verdura, cereali, frutta con guscio, carni, latticini ecc. Grado di sicurezza Il Food and Nutrition Board ha fissato a 2300 mg l’apporto quotidiano massimo. Superarlo non comporta problemi immediati, ma può darci una spinta lungo la via dell’ipertensione, che nel corso della vita colpisce il 90% degli americani. a

Selenio

È un antiossidante molto potente, ma non è in questa veste che contribuisce al nostro benessere. La sua funzione è aiutare numerosi enzimi diversi a scindere i perossidi, potenti agenti antiossidanti prodotti in tutto l’organismo e capaci di arrecare danno al DNA e ai tessuti. A oggi non esistono prove convincenti che, negli Stati Uniti, un apporto insufficiente di selenio aumenti il rischio di tumore o di malattie croniche, né che assumere integratori ottenga l’effetto inverso, cioè di prevenzione. Negli anni Ottanta in Finlandia il selenio fu aggiunto ai fertilizzanti per ovviare ai livelli molto bassi nel terreno e, di conseguenza, nell’alimentazione. I livelli ematici di questo minerale schizzarono letteralmente alle stelle, mentre il tasso di insorgenza dei tumori non si scostò di una virgola. Secondo i risultati del Nutritional Prevention of Cancer Study, assumere una quantità di selenio pari a 200 µg al giorno può comportare un certo grado di protezione contro i tumori della pelle. 37 Risultati che, tuttavia, il Selenium and Vitamin E Cancer Prevention Trial (SELECT ), studio incentrato in particolare sul cancro alla prostata, non ha avvalorato. La ricerca non ha prodotto risultati circa il rapporto fra selenio e cancro alla prostata perché nell’arco della sua durata si è presentato un solo caso mortale. 38 In alcune regioni della Cina e di altre parti del mondo caratterizzate da terreni con livelli di selenio molto bassi, lo scarso apporto di questo minerale nell’alimentazione ha comportato l’insorgenza di una cardiopatia particolare. Apporto raccomandato Attualmente è fissato a 55 µg al giorno per gli adulti. Fonti alimentari valide Il selenio si trova in una grande quantità di alimenti come noci del Brasile, pesce e frutti di mare, manzo, uova, spinaci, ma il contenuto dipende dai livelli presenti nel terreno o nei mangimi impiegati per la produzione di cibo. Grado di sicurezza Assunto in dosi eccessive, il selenio è tossico. L’apporto massimo tollerabile è di 400 µg al giorno per gli adulti. Proprio come accade per altri micronutrienti, è difficile arrivare ad assumerne in simili quantità con il cibo. Esagerare con gli integratori

può causare fragilità di unghie e capelli, disturbi allo stomaco, eruzioni cutanee, alitosi ed estrema spossatezza. Alcuni tipi di noci del Brasile contengono molto selenio per via dei livelli elevati di questo minerale nei terreni da cui provengono. Se vi piacciono, provate a cambiare spesso tipo di frutta secca in modo da non assumere troppo selenio.

Zinco Vi sarà senz’altro capitato di vederle, in bella mostra sul bancone della farmacia o in vendita nel negozio sotto casa: confezioni di pastiglie di zinco che promettono di curare il raffreddore. Queste pastiglie sono state oggetto di parecchi studi messi a punto proprio per verificarne la reale capacità di accorciare il decorso del raffreddore. Oltre una decina di questi studi sono stati condotti con partecipanti alle prime fasi della malattia somministrando zinco ad alcuni e ad altri no. I risultati ottenuti si sono rivelati contraddittori. In due recenti meta-analisi, tuttavia, i malati che hanno assunto queste pastiglie (dal gusto decisamente sgradevole) hanno poi visto i sintomi durare da uno a due giorni in meno rispetto al gruppo di controllo. 38 È indubbio che lo zinco rivesta un ruolo fondamentale nella salute del sistema immunitario: svolge anche un’attività antiossidante, è necessario per preservare la vista ed è coinvolto nei processi di coagulazione del sangue, di guarigione delle ferite e nel normale sviluppo delle cellule spermatiche. Questo significa forse che dovremmo precipitarci a compare un integratore di zinco? Ebbene, no. La maggior parte degli americani, per esempio, ne assume in quantità minori rispetto all’apporto quotidiano consigliato, ma non esistono prove o quasi che questo provochi problemi di salute. Studi incentrati su cancro del colon e alla prostata, prostatite (infiammazione della prostata) e degenerazione maculare non hanno rilevato un legame chiaro con l’apporto di zinco. Alcuni di noi hanno bisogno dello zinco più degli altri. I bambini ne hanno bisogno in dosi adeguate per crescere e svilupparsi. Un apporto insufficiente dovuto a malnutrizione può ripercuotersi

sull’organismo rallentando lo sviluppo delle funzioni cerebrali e motorie, provocando iperattività e problemi di attenzione. Anche gli anziani potrebbero aver bisogno di dosi extra di zinco. In generale, infatti, ne assumono in quantità inferiori rispetto alle persone più giovani e hanno difficoltà ad assorbirlo dal cibo. I farmaci che spesso prendono, poi, e in particolare i diuretici per l’ipertensione, possono aumentarne l’escrezione. Per non parlare degli integratori di fibre e calcio, che potrebbero fissarsi allo zinco impedendone l’assorbimento. Un apporto extra di zinco è necessario anche ai forti bevitori, a chi soffre di problemi digestivi come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa, e di infezioni croniche. Apporto raccomandato Attualmente è di 8 mg al giorno per le donne e di 11 mg al giorno per gli uomini. Il fabbisogno delle donne incinte o in allattamento sale a 12 mg al giorno perché devono fornirne anche al bambino che aspettano o che nutrono. Fonti alimentari valide Se vi piacciono le ostriche, sappiate che sono una fonte straordinaria di zinco. Ne contengono più di qualsiasi altro alimento. Ma buone fonti ne sono anche pollame, granchi e aragoste, fagioli, frutta con guscio, cereali, cereali per la colazione arricchiti, latte, yogurt e altri latticini. Grado di sicurezza Dosi eccessive di zinco possono deprimere il sistema immunitario, interferire con la cicatrizzazione, causare problemi a gusto e olfatto e provocare perdita di capelli e reazioni cutanee. Alti livelli di zinco possono anche facilitare l’insorgenza o la crescita del cancro alla prostata. Assumere questo minerale dal cibo anziché da integratori o pastiglie ha un bel vantaggio: è davvero difficile esagerare. Un’assunzione superiore ai 15 mg da integratori al giorno è da evitare, a meno che non si tratti di uno specifico consiglio medico.

In conclusione Non badiamo a spese per assicurare la casa e l’automobile. Alcuni spendono anche per un’assicurazione sulla vita che sperano nessun familiare debba mai riscuotere. Esiste però un’assicurazione sulla vita

molto più economica e personalmente più gratificante: assumere ogni giorno un multivitaminico con minerali aggiunti. La ricerca punta sempre più determinata verso la conclusione che parecchi ingredienti in un multivitaminico standard – e, in particolare, vitamine B 6 e B 12, acido folico, vitamina D e betacarotene – svolgano un ruolo essenziale nella prevenzione di cardiopatie, tumori, osteoporosi, perdita di memoria e altre malattie croniche. La spesa annua ammonta a meno di 40 dollari, ovvero all’incirca dieci centesimi al giorno. Un affare in tutti i sensi! Uso la parola “assicurazione” per una buona ragione. Un integratore multivitaminico non può in alcun modo sostituire un’alimentazione sana. Per quanto completo, non può contenere che un briciolo dell’abbondanza di nutrienti presenti nel cibo. Non fornisce fibre, per esempio. Non ha sapore. Non dà piacere. La sua unica prerogativa è offrire un supporto nutritivo o colmare le lacune nutrizionali che affliggono anche i più coscienziosi. Per esempio, mangiare più frutta e verdura è una scelta azzeccata, ma non serve a molto in termini di vitamina D . Anche mangiare più cereali integrali è straordinario dal punto di vista alimentare, ma non procura molta vitamina B 6. Gli anziani e chi soffre di problemi digestivi non sono più in grado di assorbire abbastanza vitamina B 12 dal cibo. Chi beve alcolici con regolarità potrebbe aver bisogno di un apporto extra di acido folico per controbilanciare gli effetti negativi dell’alcol sul folato. Per tutti questi motivi ricorrere a un integratore multivitaminico è un piano sicuro e razionale complementare all’alimentazione sana e mai sostitutivo. Di seguito la lista degli otto fra vitamine e minerali che molti non riescono a ricavare a sufficienza dalla dieta e che quindi conviene assumere con un integratore multivitaminico multiminerale: NUOVA SPERANZA PER I MULTIVITAMINICI Gli studi in materia si sono concentrati per lo più sulle singole vitamine, come l’acido folico o la vitamina E , o su combinazioni di antiossidanti, con o senza l’aggiunta di minerali. Con il Physicians’ Health Study II si è seguito invece un percorso diverso: si sono esaminati gli effetti di un integratore multivitaminico multiminerale standard e molto diffuso (Multicentrum 50+) e i risultati sono stati promettenti.

I ricercatori hanno reclutato oltre 14.000 medici maschi in età matura. A metà è stato somministrato Multicentrum 50+ per quattordici anni, all’altra metà un placebo esteriormente identico. Al termine dello studio è emersa una riduzione dell’8% del rischio dell’insorgenza di qualsiasi tipo di cancro nel gruppo che aveva assunto l’integratore. 39 La riduzione più significativa si è avuta nei casi di tumore del colonretto, in linea con quanto già affermato da precedenti studi di coorte prospettici. Nessun effetto apparente sull’insorgenza di malattie cardiovascolari né protezione per la memoria o le capacità cognitive. 40 Due aspetti in particolare di questo studio sono degni di nota: se non fosse durato più di dieci anni, cioè di più della maggior parte degli studi sulle vitamine, non si sarebbe potuto scoprire un legame fra l’assunzione di un integratore multivitaminico e il tumore, soprattutto quello del colon-retto. In secondo luogo, con ogni probabilità i partecipanti costituivano il gruppo di uomini meglio nutriti che siano mai stati sottoposti a uno studio, e ciononostante si sono osservati dei benefici nell’assunzione quotidiana di un integratore multivitaminico. Se l’alimentazione generale dei partecipanti fosse stata meno curata, con ogni probabilità i benefici si sarebbero dimostrati ancor più estesi e considerevoli.

betacarotene, acido folico, vitamina B 6, vitamina B 12, vitamina D, vitamina E, ferro, zinco. Una compressa di multivitaminico multiminerale al giorno è un’opzione accorta ed equilibrata che assicura una rete di protezione nutrizionale più vasta. Durante il ciclo mestruale, per esempio, un integratore di questo tipo fornisce l’apporto extra di ferro necessario soprattutto alle donne che non mangiano carne o ne mangiano molto poca. L’acido folico contenuto, inoltre, soddisfa le indicazioni raccomandate alle donne che intendono iniziare una gravidanza per ridurre al minimo il rischio per il feto di difetti del tubo neurale alla

nascita. Non occorre cercare il marchio più famoso o il più costoso, e nemmeno una formula “100% naturale”. Qualsiasi integratore venduto al supermercato che rispetti gli apporti giornalieri consigliati è un ottimo punto di partenza. Meno vitamina A preformata (retinolo) e più betacarotene sono presenti e meglio è. Vi raccomando in particolare di scegliere un integratore che non contenga più di 2000 UI di vitamina A preformata. Un’aggiunta di vitamina E all’alimentazione va bene per la maggior parte di uomini e donne. Anche se abbiamo ancora molto da scoprire su questa vitamina, almeno 400 mg al giorno, forse di più, dovrebbero rappresentare l’apporto minimo per una salute ottimale. In genere un multivitaminico ne contiene appena 30 UI . Un supplemento di vitamina D è sempre una scelta vincente. Gli integratori multivitaminici standard ne contengono fra le 400 e le 600 UI , la metà di quello che appare come l’apporto ottimale.

Alcuni produttori hanno studiato formule in cui la maggior parte della vitamina A preformata è sostituita da betacarotene e con un apporto adeguato di vitamina D , ed è una di queste formule che vi consiglio di scegliere perché, come abbiamo visto, assumere vitamina A preformata in eccesso è sin troppo facile. Un buon esempio è costituito dall’integratore Basic One del dottor Kenneth Cooper, fondatore della Cooper Clinic di Dallas. Questo multivitaminico contiene una buona dose di vitamina A (2000 UI ), tutta sotto forma di betacarotene, 2000 UI di vitamina D e 200 UI di vitamina E . Durante il ciclo le donne dovrebbero prediligere la versione con il ferro, che

invece non serve agli uomini e alle donne in postmenopausa. Non è ancora stato raggiunto un consenso scientifico circa gli apporti ideali di ciascuna vitamina perché la nostra conoscenza al riguardo è in continua evoluzione. Più risultati certi riguardo i benefici reali delle vitamine più comuni ci farebbero proprio comodo. Al contempo, però, assumerne in dosi equilibrate difficilmente costituisce un pericolo ed è anche poco costoso. In questo caso sarebbe avventato aspettare che siano messi tutti i puntini sulle i prima di decidersi a fare qualcosa. a. I folati alimentari equivalenti riflettono la maggiore biodisponibilità dell’acido folico usato per arricchire i cibi rispetto a quello naturale. Una norma federale statunitense del 1998 sancisce che tutti i prodotti a base di cereali commercializzati negli USA vadano arricchiti di acido folico. b. Basato su un fabbisogno giornaliero di 400 µg di acido folico per una dieta quotidiana di 2000 calorie. c. Basato su un fabbisogno giornaliero di potassio di 4700 mg per una dieta di 2000 calorie. d. Basato su un fabbisogno giornaliero di sodio di 2300 mg per una dieta di 2000 calorie.

12

Anche la salute del pianeta è importante

Ciò che ognuno di noi mangia influisce indiscutibilmente sulla salute. Ma ciò che mangiamo come collettività influisce sulla salute del pianeta e, quindi, sulla salute dei nostri figli, dei nostri nipoti e delle generazioni a venire. Quando ho pubblicato la prima edizione di questo libro, il cambiamento climatico iniziava a imporsi come problematica a livello globale. Avevo incluso alcuni paragrafi riguardanti gli effetti di scelte alimentari diverse sulla produzione di gas serra e altri impatti ambientali. Ciò che abbiamo osservato e imparato da allora ha reso il cambiamento climatico una questione di primaria importanza. Non ci occorrono misurazioni complicate o modelli statistici per sapere che cosa sta succedendo: è proprio sotto i nostri occhi. Ai tempi del mio tirocinio medico in Tanzania, negli anni Sessanta, ricordo che la cima del Kilimangiaro era perennemente coperta di neve. Oggi di quella neve è rimasto ben poco e presto si scioglierà del tutto. Gli iceberg si riducono e spariscono a ogni latitudine. Il Mar Glaciale Artico è ormai navigabile quasi tutto l’anno. Tempeste, siccità, inondazioni e altre condizioni climatiche estreme e potenzialmente letali si verificano con una regolarità sempre crescente. Ma perché parlarne in un testo dedicato alla sana alimentazione? Perché il clima influisce direttamente sulla produzione di cibo, che a sua volta può influire su clima e ambiente.

Tre questioni fondamentali Coltivare nell’orto ciò che si mangia ha un impatto minimo sull’ambiente, soprattutto se si impiegano le giuste dosi di fertilizzante naturale, se si ricorre a soluzioni naturali per contrastare piante e parassiti infestanti e se si coltiva solo la quantità necessaria.

Pochi di noi, però, sono in grado di soddisfare in questo modo gran parte delle proprie esigenze alimentari. Comprendere la catena di produzione degli alimenti e apportare di conseguenza piccoli cambiamenti alla spesa e all’alimentazione può alleggerire l’impatto delle nostre attività sulla salute del pianeta. Coltivazione e allevamento possono nuocere all’ambiente in molti modi. Io ne ho scelti tre fra i principali. Cambiamento climatico

I combustibili fossili sono impiegati nella produzione di fertilizzanti e pesticidi, nel pompaggio dell’acqua per l’irrigazione, nell’aratura dei campi, nella raccolta, nella lavorazione dei cibi e nel loro trasporto (talvolta per migliaia di chilometri). Bruciare combustibili fossili produce anidride carbonica, il gas serra quantitativamente più importante che trattiene il calore all’interno dell’atmosfera. Come se non bastasse, bovini, ovini e altri ruminanti allevati a fini alimentari rilasciano nell’aria grandi quantità di metano, prodotto dal loro naturale processo digestivo. Il metano è venticinque volte più potente dell’anidride carbonica per intrappolare il calore. Coltivare cereali e granaglie a livello industriale per poi impiegarli come mangimi negli allevamenti, dove sono poi convertiti in carne o latte, è, dal punto di vista energetico, decisamente meno efficiente e produce molti più gas serra del consumo umano diretto di quegli stessi cereali e granaglie. Negli allevamenti statunitensi occorrono dagli 8 ai 10 kg di cereali per produrre appena 500 g di carne di manzo. I risultati cambiano in base al modo di misurare le emissioni, ma l’Environmental Protection Agency ha stimato che nel 2015 all’agricoltura sono imputabili fra il 7,9 e il 9% delle emissioni di metano e anidride carbonica (che, come abbiamo detto, sono i due gas serra più pericolosi) degli Stati Uniti. 1 Una quota compresa fra l’80 e il 90% di queste emissioni è il risultato della produzione alimentare, il resto è dovuto alle catene di confezionamento, refrigerazione e trasporto. Dopo la censura del rapporto iniziale dei membri del Congresso influenzati dai produttori del settore, gli esperti della

Dietary Guidelines Scientific Advisory Committee 2015-2020, la commissione scientifica incaricata di stilare l’ottava edizione delle Dietary Guidelines for Americans, hanno deciso di pubblicare in modo indipendente un aggiornamento circa gli effetti sull’ambiente delle nostre scelte alimentari. 2 Contaminazione ed esaurimento delle riserve idriche

L’agricoltura americana è responsabile anche dell’inquinamento delle riserve idriche. Fertilizzanti, diserbanti e pesticidi scorrono dai terreni coltivati e arrivano nei corsi d’acqua e nei laghi e alla fine negli oceani. Lo stesso avviene per il letame e gli escrementi in generale prodotti dagli allevamenti a scopo di macellazione e ittici. L’afflusso di una tale concentrazione di nutrienti causa spesso e volentieri vaste fioriture di alghe. Una vera e propria invasione che produce tossine potenzialmente nocive per altri organismi acquatici, per il bestiame, per gli animali domestici e persino per gli esseri umani. La decomposizione delle alghe morte o morenti arriva a consumare buona parte se non tutto l’ossigeno presente nell’acqua, uccidendo così pesci e altri animali acquatici. Il Golfo del Messico non è che un esempio di questi processi. Il fiume Mississippi scorre dal Minnesota alla Louisiana e, lungo il suo percorso, raccoglie il deflusso ricco di nutrienti che proviene dall’agricoltura americana e lo deposita nel golfo. Nell’estate del 2016 la proliferazione da record delle alghe e la conseguente moria di animali ha originato una zona morta lungo le coste della Louisiana e del Texas orientale con una superficie pari a circa 18.000 chilometri quadrati. In alcune regioni del mondo l’acqua è prelevata dalle falde freatiche e impiegata nell’irrigazione dei campi a un ritmo superiore a quello necessario a piogge e deflussi da altre fonti per ristabilirne la portata. In alcune zone della California e del Midwest ciò sta obbligando gli agricoltori a trivellare pozzi ancora più profondi. In India le enormi richieste di approvvigionamento d’acqua stanno prosciugando le falde e portando gli agricoltori alla rovina, tanto che in alcuni villaggi manca persino l’acqua da bere.

Estinzione animale

L’industria agricola contribuisce anche all’estinzione di numerose specie animali in tutto il mondo. Essa avviene in parte per colpa di diserbanti e pesticidi, ma anche per l’abitudine di eliminare la biodiversità per impiantare monocolture. D’estate, mentre siamo in vacanza nel New Hempshire, mia moglie Gail e io portavamo sempre i nostri figli in un bel prato vicino al nostro chalet per mostrare loro lo spettacolo di centinaia di farfalle monarca… sino a qualche anno fa. Nel campo continua ad abbondare l’asclepiade, la pianta preferita da queste meravigliose creature, eppure il loro numero è diminuito in modo esponenziale. Un paio di anni fa ne abbiamo viste solo tre o quattro e l’anno scorso nemmeno una. Sorvolare durante una bella giornata limpida i territori che dalla East Coast vanno verso la West Coast aiuta a cogliere il fulcro del problema: vasti campi coltivati e nemmeno un centimetro dell’habitat naturale di cui le monarca hanno bisogno per completare la migrazione annuale. Lo stesso fenomeno che osservo quando mi reco alla fattoria Willett in Michigan: dove una volta c’erano piccoli campi, prati, arbusti e cespugli brulicanti di vita diversa adesso ci sono enormi monocolture di mais e soia. Le farfalle monarca non sono che una delle specie più vistose a versare in condizioni tanto critiche, ma è ancora possibile salvarle. Gli scienziati hanno tuttavia fornito prove inconfutabili del fatto che ci troviamo dinanzi a una vera e propria estinzione animale di massa senza precedenti: ogni anno scompaiono dalle 200 alle 2000 specie. Un’indicazione più che chiara della pressione cui il sistema agricolo sottopone l’ambiente a livello mondiale. Ridurre la biodiversità riduce anche la resilienza degli ecosistemi, il loro sprone a sopravvivere.

Produzione alimentare sostenibile Il cambiamento climatico non è un evento che potrebbe teoricamente riguardare lo stile di vita delle generazioni di un futuro lontano. Tali cambiamenti sono in atto adesso e a un ritmo più rapido di quanto stimato appena pochi anni fa e stanno già influendo sulla vita di molte persone in tutto il mondo. Quasi ogni anno, e con poche

variazioni, si registrano nuovi record di temperature. Se continueremo a procedere in questo modo, nel 2100 il riscaldamento globale cambierà in modo irreparabile l’aspetto del mondo e la capacità di molte popolazioni di sopravvivere. E a tutto questo assisterà la prossima generazione. Secondo un modello recente l’attuale trend nell’aumento delle temperature porterà a un innalzamento dei mari di quasi due metri, probabilmente già nel 2100, e questo significherà per esempio che circa un terzo di Boston si ritroverà regolarmente inondata. 3 Anche un innalzamento di un solo metro avrebbe conseguenze gravissime. Per Boston sono stati costruiti margini e dighe appositi, ma le regioni più basse e pianeggianti di Florida, Malesia, Bangladesh, Senegal e altre zone costiere non possono ricorrere a queste soluzioni per motivi geologici o economici. I cambiamenti climatici hanno già rallentato la produzione alimentare, una tendenza davvero preoccupante che non farà che inasprirsi. La crescita a ritmi esponenziali della popolazione mondiale, e di conseguenza delle bocche da sfamare, continuerà a logorare senza sosta tanto la produzione alimentare quanto l’ambiente. I tassi di fertilità non hanno subito il decremento previsto e questo, secondo le stime delle Nazioni Unite, significa che entro il 2050 saremo in 9,7 miliardi di individui a spartirci questo mondo. 4 Tendenze di questa portata ci pongono dinanzi a una sfida tripla: nutrire più persone con un’alimentazione sana e in modo sostenibile. Un’impresa a dir poco ardua, tanto più se teniamo conto che già oggi un miliardo di persone non hanno cibo a sufficienza e che l’alimentazione di miliardi di altri individui nei Paesi sviluppati non segue le linee guida nutrizionali nazionali. Aumentare la produzione di cibo con le attuali tecniche di coltivazione potrà solo deteriorare ulteriormente la qualità di acque e terre e produrre gas serra a livelli ancora più elevati. Le sfide che ci aspettano incutono timore, ma i Sustainable Development Goals (Agenda degli obiettivi di sviluppo sostenibile) fissati dalle Nazioni Unite (https://sustainabledevelopment.un.org/sdgs) indicano una possibile

via da seguire. Io stesso ho fatto parte di una delle decine di commissioni (riguardanti la salute) che hanno contribuito a individuare e stendere tali obiettivi. Una delle priorità è lo sviluppo di sistemi di produzione alimentare sostenibili per sfamare i futuri miliardi di esseri umani in arrivo. Tali sistemi non sono ancora stati studiati nel dettaglio, ma per essere sostenibile un sistema deve riuscire a mantenere le persone in salute senza deteriorare acque e terre e a invertire o eliminare del tutto la produzione di gas serra. L’accordo di Parigi del 2015, 5 incentrato proprio sui cambiamenti climatici, conteneva alcune indicazioni specifiche circa la produzione alimentare sostenibile. Per evitare la catastrofe, nel 2050 la produzione alimentare dovrebbe raggiungere un impatto pari quasi a zero per quanto riguarda la produzione di gas serra. Non esiste purtroppo un’unica azione risolutrice per bloccare la produzione dei gas serra provenienti dall’agricoltura. Un primo passo in avanti sarebbe limitare il consumo di carni rosse, pollame, pesce e altri alimenti di origine animale poiché fonte di quantità di gas serra superiori a quelli derivanti dal consumo di alimenti vegetali. Un secondo passo sarebbe limitare l’impiego di combustibili fossili nella produzione alimentare. Preferire le produzioni locali e di stagione, infine, apporterebbe un altro contributo concreto. Un quadro così lontano dal corso attuale – che vede invece l’incremento dei livelli di gas serra provenienti dalla produzione alimentare – e risultati ancora più difficili da ottenere adesso che Paesi interessati da una nuova ondata di benessere economico come la Cina stanno aumentando il consumo di carne. Sono attualmente copresidente della EAT -Lancet Commission (Commissione EAT del “The Lancet”) 6, una commissione che ha il compito di esaminare il legame fra alimentazione, salute dell’uomo e salute del pianeta. Il nostro compito è individuare possibili soluzioni per provvedere in modo sostenibile all’alimentazione della popolazione mondiale in costante aumento. Molte di tali soluzioni si basano sui principi di sana alimentazione che ho illustrato in questo libro. La nostra unica sicurezza, al momento, è che non riusciremo a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU senza

cospicui investimenti da parte di tutti i Paesi del mondo nell’ambito di istruzione, assistenza sanitaria di base, energia pulita e agricoltura, oltre a innumerevoli piccoli investimenti da parte di ciascuno di noi nel ridurre il consumo di carne e aumentare quello di cereali, frutta e verdura prodotti in modo più sostenibile.

Come contribuire allo sforzo globale? Questioni di tale portata e così urgenti possono a prima vista sembrare insormontabili, ma tutti insieme possiamo davvero fare la differenza. Sommate fra loro, le scelte alimentari quotidiane di ciascuno influiscono in modo significativo sull’ambiente. Per fortuna, le scelte che favoriscono la salute del pianeta sono perfettamente in linea con le scelte migliori per la salute e il benessere individuali. Riduciamo il consumo di carni rosse e latticini

Il passo più importante che possiamo compiere per limitare l’impatto individuale sull’ambiente è mangiare meno carni rosse e meno latticini. Coltivare cereali per nutrirne animali che poi diventano bistecche e hamburger anziché mangiare direttamente i cereali è un’enorme spreco di energia. Quanta inefficienza risulta di minore impatto quando gli animali brucano le piante che crescono spontaneamente su terre altrimenti inutilizzabili, benché questi animali emettano comunque metano ogni ora della loro vita. Eppure sono in aumento i consumi di manzi, maiali, polli e pesci allevati appositamente per nutrirci. Animali che sono stati alimentati con cereali seminati allo scopo e la cui produzione richiede quantità sempre crescenti di petrolio, fertilizzanti, diserbanti e pesticidi. Anche gli scarti concentrati degli allevamenti pongono concreti problemi di inquinamento. Per non parlare dei diversi problemi di salute dovuti agli antibiotici presenti nelle carni che mangiamo in quanto comunemente somministrati agli animali da macello (vedi “Resistenza agli antibiotici: un nuovo rischio alimentare” a p. 200). La carne bovina costituisce solo il 4% delle vendite alimentari al

dettaglio, e tuttavia è responsabile del 36% delle emissioni totali di gas serra legate alla produzione alimentare. 10 Le emissioni di gas serra prodotte per ogni chilo di carne di agnello sono di cinque volte superiori a quelle per la stessa quantità di carne di pollo e trenta volte superiori a quelle per la stessa quantità di lenticchie. 11 UN ALTRO PASSO FALSO DELLE LINEE GUIDA La

commissione

scientifica

incaricata

di

indicare

al

governo

federale

l’aggiornamento per il 2015-2020 delle Dietary Guidelines for Americans raccomanda ai cittadini di seguire diete che richiedano l’impiego di minori risorse per la produzione di cibo e, più nello specifico, raccomanda di diminuire il consumo di carni rosse tanto per la salute umana quanto per quella del pianeta, proprio come faccio io in queste pagine. 7 Un’affermazione che si è subito attirata le critiche di varie organizzazioni e in particolare del North American Meat Institute, le quali sostenevano che la commissione fosse andata oltre “il proprio scopo e il proprio ambito”, e questo benché della commissione e dei suoi consulenti facessero parte anche esperti dell’impatto ambientale dell’alimentazione. I potenti lobbisti dell’industria della carne hanno spinto il Congresso a inserire alcune formule all’interno del disegno di legge per gli stanziamenti di bilancio 2015 che, di fatto, rendevano illegale anche solo accennare agli effetti ambientali delle scelte nutrizionali all’interno delle linee guida. Un’imposizione che non solo censurava la commissione, ma impediva anche ai cittadini di ricevere il miglior consiglio alimentare possibile. Con le mani legate dalla legge, i dirigenti dell’USDA e del Department of Health and Human Services, le due agenzie incaricate di produrre la stesura finale delle linee guida, hanno allora annunciato: “Non riteniamo che le Dietary Guidelines 2015 costituiscano il mezzo più consono per un dibattito su un tema così importante e delicato quale la sostenibilità”. 8 Peccato che non abbiano indicato un mezzo alternativo più consono a questo dibattito davvero essenziale. La versione finale delle linee guida è priva di qualsiasi accenno alla diminuzione del consumo di carni rosse e, anzi, ne incoraggia l’assunzione fin tanto che si tratta di carni magre. 9 Se vi interessa la scienza senza bavagli, leggete il rapporto della Dietary Guidelines Advisory Committee – le cui raccomandazioni sono molto simili a quelle che ritrovate in questo libro – e non le linee guida vere e proprie. Una revisione aggiornata sugli effetti ambientali delle scelte alimentari è stata poi pubblicata in seguito a opera di membri dimissionari della commissione.

Questo non è che uno dei molti modi in cui le linee guida non sono più al passo con la scienza e la politica della sana alimentazione (vedi il capitolo 2).

La Union of Concerned Scientists ha calcolato il costo ambientale della produzione di proteine: ogni chilogrammo di carne bovina genera un inquinamento delle fonti idriche diciassette volte superiore e un’alterazione dell’habitat naturale venti volte superiore rispetto a un chilogrammo di pasta. 12 Un dato che colpisce e fa riflettere, vero? C’è chi sostiene che mangiare carne di bovini alimentati al pascolo anziché in allevamento sia già di per sé un modo di ridurre l’impatto ambientale del consumo di questo tipo di carne. Il discorso, però, non è così semplice (vedi “Bovini: allevati al pascoli o normali?” a p. 354). Se in tutto il mondo si smettesse di alimentare i bovini d’allevamento con mangimi a base di cereali, otterremmo un decremento importante nella produzione di questo tipo di carni, un altrettanto importante aumento di terre da destinare alla coltivazione di cereali, una diminuzione dello sfruttamento e dell’inquinamento delle fonti idriche e una minore resistenza agli antibiotici. Al capitolo 7 abbiamo già trattato gli effetti sulla salute della carne di bovini allevati al pascolo o con mangimi a base di cereali. Dovremmo ridimensionare completamente il ruolo della carne bovina nell’alimentazione, per la salute di ciascuno di noi e di tutto il mondo. Se la carne di manzo vi piace e non volete rinunciarvi, provate allora a considerarla come una sorta di “piatto della festa” – un po’ come molti di noi considerano, per esempio, l’aragosta – e non un alimento per tutti i giorni. C’è poi chi, e sono in molti, ha a cuore la propria salute e anche quella del pianeta e ha semplicemente deciso di eliminare la carne pur non dichiarandosi espressamente vegetariano. Il consumo di carne bovina è in declino da quasi cinquant’anni ormai e nel 2017 una relazione dell’USDA ha evidenziato che oggi gli americani ne mangiano circa il 12% in meno rispetto al 2002. 13 Io sono cresciuto nel Midwest mangiando carne due volte al giorno, e da quando ho deciso di compiere questo grande cambiamento la mia alimentazione è molto più varia e gustosa. Anche i latticini hanno un profondo impatto ambientale, benché inferiore rispetto a quello della carne bovina. Inferiore è anche

l’impatto ambientale del maiale, e quello del pollame ancora di più, ma mai basso come quello della maggior parte delle risorse di proteine vegetali come soia e lenticchie. Pesci, gamberetti e ostriche sono estremamente efficienti nel convertire in carne ciò che mangiano, in parte perché sono animali a sangue freddo e quindi non devono bruciare calorie per mantenere una temperatura costante. Proprio come qualsiasi altra forma di agricoltura, l’acquacoltura può essere fatta con cura e attenzione e un impatto minimo sull’ambiente, oppure con mediocrità, ricorrendo a mangimi industriali, rilasciando nell’ambiente scarti altamente inquinanti e somministrando antibiotici in quantità. Questo tipo di produzione alimentare necessita di investimenti e di un monitoraggio continuo per ottimizzare i metodi perché può costituire un’importante fonte sostenibile di proteine per il futuro. Il programma Monterey Bay Aquarium’s Seafood Watch (www.seafoodwatch.org) assiste attività e consumatori nella scelta di prodotti ittici pescati o allevati con sistemi che abbiano un minor impatto ambientale possibile. Le diete vegetariana e vegana hanno un impatto ambientale generale inferiore, benché questo dipenda comunque dal metodo di coltivazione, di trasporto e di lavorazione. Frutta e verdura fuori stagione provenienti dall’altra parte del Paese o da oltreoceano hanno un impatto decisamente superiore sull’ambiente rispetto a frutta e verdura di stagione provenienti da vicino casa. Ricerche a tuttotondo sono già in atto per trovare il modo di produrre frutta e verdura locali durante tutto l’anno. AGRICOLTURA LOCALE URBANA Per coltivare cibo non occorre possedere una fattoria in campagna. Sempre più spesso chi vive in città – in centro o in periferia poco importa – coltiva verdura, frutta e altri alimenti nel giardino di casa, sul balcone o addirittura sul tetto, nei giardini pubblici e in qualsiasi altro luogo all’aperto. E c’è chi vede in queste vere e proprie fattorie urbane l’occasione di fare affari, perché grazie all’idroponica e all’impiego di altre tecnologie atte a ottimizzare temperatura, luce, umidità e fertilizzanti, esse sono in grado di produrre con la massima efficienza. La società statunitense Gotham Greens ha costruito e gestisce serre sui tetti di New York e Chicago. Impiegano sistemi di ricircolo dell’acqua per

irrigare piccole coltivazioni di verdure a foglia che vendono a ristoranti della zona o in negozi di alimentari. La società Freight Farms, di Boston, ricicla container refrigerati e li trasforma in serre tecnologiche che è possibile installare pressoché ovunque. Secondo quanto affermato dalla società stessa, in ciascuna di queste serre è possibile coltivare quasi 50.000 mini cespi di lattuga all’anno, ossia l’equivalente di poco meno di un ettaro di terreno. È possibile comprarle o anche affittarle, e alcuni ristoranti le hanno sistemate a pochi metri di distanza: questo si chiama “chilometro 0”! L’idea non è però nuova. Già nell’Ottocento a Boston era stato organizzato un sistema di raccolta dello sterco di cavallo, un... sottoprodotto dei mezzi di trasporto dell’epoca, che era poi impiegato per fertilizzare campi di lattuga e altri ortaggi durante i mesi freddi. È così che è nata l’insalata Boston Bibb, tipica della zona.

Preferiamo prodotti locali e di stagione o da produzione sostenibile

È senz’altro un’ottima idea preferire alimenti che hanno dovuto percorrere il più breve tragitto possibile dal produttore al consumatore, perché lavorazione, confezionamento e trasporto influiscono negativamente sull’impatto ambientale. Esistono tuttavia parecchie eccezioni alla regola. Il modo in cui la nostra alimentazione influisce sull’ambiente è determinato più dagli alimenti che scegliamo (per esempio, carne bovina, pollo oppure soia) che dai processi di lavorazione e dal trasporto. Per esempio, le emissioni di gas serra per unità di cibo potrebbero risultare inferiori organizzando un trasporto a pieno carico su rotaie da un capo all’altro del Paese anziché mettersi al volante di un pick-up con un solo cesto di verdura da portare al mercato. Il concetto di chilometro 0 non è di per sé un indicatore affidabile di impatto ambientale. E, per dirla tutta, non esiste un unico parametro. Coniugare locale e di stagione potrebbe tuttavia rivelarsi utile. Non c’è logica nel ricorrere al trasporto per via aerea di frutta delicata e deperibile per chilometri e chilometri solo per poterla mangiare in qualsiasi periodo dell’anno. Ci sono poi altri valori che influiscono – o dovrebbero influire – sulle nostre decisioni, come la qualità e il sostegno ai produttori locali. Per esempio, mangiare i pomodori solo quando sono di stagione non richiede trasporti a lunga distanza, li

gusteremo di più – anche perché ne guadagneranno in sapore! – e l’ambiente ne trarrà a sua volta dei vantaggi. Attenzione agli scarti

Gli americani gettano in pattumiera qualcosa come il 25% degli alimenti che acquistano. 14 Da un lato si tratta di un enorme spreco di denaro e di una vera e propria montagna di rifiuti da ammucchiare nelle discariche, che emettono enormi quantità di metano nell’atmosfera. Dall’altro, questo comporta un incredibile spreco di acqua, combustibile, diserbanti e pesticidi, imballaggi e mezzi di trasporto.

In conclusione Un’alimentazione che sia per larga parte vegetale non fermerà il riscaldamento globale. Potrebbe però aiutarci a sfamare l’intera popolazione mondiale mentre cerchiamo modi nuovi e migliori di produrre cibo e, insieme, di migliorare la salute del nostro pianeta. BOVINI: ALLEVATI AL PASCOLO O NORMALI? Prima dello sviluppo dell’agricoltura industriale, nelle fattorie a conduzione familiare spesso si allevava anche qualche mucca per avere latte e carne. Animali liberi di pascolare che, al bisogno, ricevevano fieno e un po’ di avena. Oggigiorno quasi ogni bistecca, hamburger o altro taglio di bovino proviene da capi allevati in enormi recinti e alimentati con mais, soia e altri cereali coltivati apposta. I bovini alimentati al pascolo fanno meglio alla salute nostra e del pianeta? Un argomento che definirei scottante. Riguardo al rapporto con la nostra salute, non esistono dati in merito. Mai nessuno studio ha approfondito gli effetti della carne di bovini allevati al pascolo o alimentati a foraggio su cardiopatie, diabete, tumori e così via. Chi sostiene l’allevamento al pascolo afferma che animali lasciati liberi di brucare forniscono carni più magre e salutari perché contenenti livelli maggiori di grassi omega 3. Ma nella carne bovina gli omega 3 sono presenti a livelli davvero esigui – soprattutto rispetto al pesce – e associati a quantità elevate di grassi saturi, colesterolo e altri nutrienti che contribuiscono a incrementare il rischio di cardiopatie. Al momento

ignoriamo se i maggiori rischi di diabete e cardiopatie siano da attribuire in toto a questi grassi e, quindi, al consumo di carni rosse. La mia conclusione è che, ragionando in termini di salute umana, molto probabilmente non esistono particolari differenze fra una carne e l’altra. Certo, l’immagine di bovini lasciati liberi al pascolo ha un’aria decisamente più ecocompatibile, soprattutto in relazione alle emissioni di gas serra, ma sappiate che non è così; non del tutto almeno. L’impatto ambientale di un’alimentazione a cereali e foraggio all’interno di enormi recinti è senz’altro più elevato, ma bisogna tener conto anche del fatto che un capo così allevato è pronto per il macello in due anni, mentre un animale al pascolo ne impiega circa quattro per arrivare sulle nostre tavole. Teniamo sempre a mente che questi animali producono enormi quantitativi di metano e anidride carbonica durante ogni singolo giorno della loro vita. Ecco perché, tirando le somme, allevamento al pascolo e nei recinti hanno lo stesso impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra. Se, però, analizziamo la situazione dal punto di vista dell’efficienza produttiva, l’ago della bilancia dell’impatto ambientale pende sull’alimentazione con cereali coltivati apposta. Porre fine a questa pratica è uno dei passi fondamentali da compiere per ridurre l’impatto ambientale della nostra alimentazione e, con ogni probabilità, risolvere anche il problema della resistenza agli antibiotici (vedi a p. 200), perché ne occorrono quantità esorbitanti per tenere sotto controllo i possibili danni derivanti dalle condizioni di vita deleterie e insalubri all’interno dei recinti. Limitare il consumo di carne bovina in favore di pollame, pesce e fonti di proteine vegetali ci renderà più sani e, con noi, renderà più sano anche il nostro pianeta.

13

Tiriamo le somme

Come spiegato nei capitoli precedenti, in fatto di alimentazione i consigli si sprecano e sono per lo più fuorvianti. La dieta ricca di carboidrati e a bassissimo tenore di grassi promossa per anni soprattutto negli Stati Uniti si è rivelata un vero e proprio fiasco. Quella che un tempo era nota come dieta Atkins, e che si basa sul principio contrario, aveva ragione nell’identificare un problema nel consumo eccessivo di carboidrati raffinati, ma rimpinzarsi di latticini e carni rosse, con il relativo apporto di grassi, non è certo salutare. La moda del senza glutine non ha nessuna base scientifica e ha indotto molte persone a seguire un regime alimentare tutt’altro che sano. Credetemi, la strada verso la buona salute non è costellata di privazioni e piatti insipidi. Al contrario, è semmai lastricata di cibi gustosi, soddisfacenti e in quantità. La Piramide del mangiar sano e il Piatto del mangiar sano, concepiti entrambi a partire dalla miglior scienza nutrizionale disponibile, sanno come guidarci verso una salute migliore e una dieta soddisfacente. Per questo, ci raccomandano di: mantenere un peso stabile e sano; abbondare di frutta e verdura; preferire i grassi insaturi, limitare i saturi ed eliminare i trans; preferire i cereali integrali e i cibi che li contengono rispetto ai cereali raffinati; scegliere fonti proteiche più sane diminuendo le carni rosse a favore di frutta con guscio, fagioli, pollo e pesce; bere acqua, tè o caffè al posto di succhi di frutta o bevande gassate zuccherate e, nel caso degli alcolici, scegliere la moderazione (non più di due drink al giorno per gli uomini e uno per le donne); assumere quotidianamente un integratore multivitaminico, per andare sul sicuro.

Di primo acchito potrebbe sembrare che io intenda promuovere la dieta mediterranea, cui peraltro la descrizione calza a pennello. Rappresenta senz’altro un ottimo punto di partenza, ma i miei consigli non si limitano alle abitudini culinarie di un solo luogo o epoca. Sono più un approccio al mangiare sano basato su scienza e multiculturalità. HEALTHY EATING PYRAMID (LA PIRAMIDE DEL MANGIAR SANO DI HARVARD)

I benefici di questa strategia alimentare

Il primo risultato del seguire questa sana strategia alimentare si ottiene subito. Affacciarsi a un nuovo mondo di cibi, sapori e consistenze renderà ogni boccone un vero piacere. Aiuta a liberarsi dalle abitudini non propriamente sane in cui si rischia di cadere seguendo una dieta povera di grassi o di carboidrati. Se imparerete a controllare l’appetito e le abitudini alimentari, controllerete anche il peso, i livelli di colesterolo e forse persino la pressione, e a quel punto la soddisfazione e l’orgoglio che vi pervaderanno si rifletteranno anche in altri ambiti della vita. La nuova energia e il benessere acquisiti avranno effetti positivi immediati e negli anni a venire.

Il secondo risultato, la protezione contro le malattie croniche, arriva un po’ più avanti. I miei consigli per un’alimentazione sana possono proteggere dall’insorgenza di una lunga lista di malattie diffuse, comprese cardiopatie, ictus, diabete di tipo 2, molti tumori fra

i più comuni, cataratta, osteoporosi, demenza senile e altre patologie legate all’età. Sono utili anche per prevenire alcuni difetti alla nascita. Associata a un’attività fisica regolare e all’astinenza dal tabacco, un’alimentazione sana come quella che vi propongo può ridurre dell’80% il rischio di cardiopatie, del 90% quello di diabete di tipo 2 e del 70% quello di ictus e di alcuni tumori, ovviamente rispetto ai tassi medi statunitensi. 1 Tanto per prendere in prestito un’espressione del mondo finanziario, è davvero un ottimo rendimento del capitale investito, a maggior ragione se l’investimento è qualcosa di più saporito e meno limitativo di quel che mangereste oggi.

Diete tradizionali: miti e realtà Un tempo l’espressione “dieta tradizionale” indicava un regime alimentare senza troppi fronzoli e legato al territorio in cui si viveva, regime che era poi quello della cucina dei contadini e dei braccianti. Oggi invece richiama alla mente immagini di persone sane, longeve e libere dalla minaccia del cancro che sanno capire la terra, mangiano piatti strepitosi ricchi di sapore e ballano, bevono, ridono e amano. Un incrocio fra Zorba il greco e Julia Child. Si legge spesso che gli alimenti parte delle tradizioni culinarie sono stati scelti con estrema attenzione negli anni per favorire la buona salute. Non è così. Un tempo si mangiava quel che si riusciva a trovare, coltivare, raccogliere, uccidere o comprare, e le scelte erano dettate da tempo atmosferico, geologia, geografia, economia e persino politica. Con simili costrizioni, culture differenti hanno sviluppato diverse combinazioni di cibi, più o meno salutari. Tenete a mente che tutte queste scelte erano compiute nell’ottica della salute del momento, non con l’intento di prolungare la vita sino a vecchiaia inoltrata. Inoltre le diete perfette per chi svolge lavori molto pesanti potrebbero non rivelarsi altrettanto adatte a chi siede tutto il giorno alla scrivania. Pensiamo all’Europa settentrionale, dove stagioni di crescita molto brevi rendono particolarmente difficile avere a disposizione frutta e

verdura fresche durante tutto l’anno. Il clima, però, è perfetto per l’allevamento, e gli alimenti a base di carne e latticini sono l’ideale per il fabbisogno energetico di chi vive a latitudini con inverni freddi e lunghi. In Giappone, invece, l’alimento principale è il pesce, insieme al riso ovviamente, pianta molto produttiva ma che non ha bisogno di grandi spazi. In entrambi questi esempi le diete tradizionali hanno mantenuto le persone in salute abbastanza a lungo da permettere loro di mettere al mondo e crescere figli e di costruire società complesse, ma non per questo rappresenterebbero la scelta più salutare per chi, come noi oggi, se ne sta seduto per la maggior parte della giornata.

La dieta mediterranea e oltre Negli anni Cinquanta e Sessanta il biologo statunitense Ancel Keys – vero e proprio pioniere della ricerca in campo alimentare – e i suoi colleghi studiarono le abitudini alimentari di sette Paesi: Grecia, Finlandia, Italia, Olanda, Iugoslavia, Giappone e Stati Uniti. Il Seven Countries Study, come fu chiamato in seguito, costituì una vera e propria pietra miliare nello studio del rapporto fra alimentazione e cardiopatie. Uno dei risultati più interessanti fu che gli abitanti già adulti di Creta, di certe zone della Grecia e dell’Italia meridionale avevano una speranza di vita molto alta (la stessa, tradotta in numero di anni, di un quarantacinquenne medio odierno) e una bassa incidenza di cardiopatie e di alcuni tipi di tumore nonostante l’accesso a un sistema sanitario relativamente limitato. 2 (Vedi tabelle a p. 361 e a p. 362) All’epoca, in quei Paesi mediterranei la tradizione culinaria era costituita principalmente da alimenti di origine vegetale: verdura, pane, cereali macinati grossolanamente, fagioli, frutta con guscio e semi. L’olio di oliva costituiva la principale fonte di grassi. Si consumavano latticini regolarmente, e in particolare formaggio e yogurt, ma non in grandi quantità. Pesce, pollame e carni rosse erano riservati alle occasioni speciali e non comparivano certo in tavola ogni giorno. Il vino lo bevevano soprattutto gli uomini e quasi solo ai pasti. Keys concluse che la dieta mediterranea costituiva un elemento

chiave della modesta incidenza di cardiopatie nella regione. Preoccupati per il picco raggiunto in quegli anni dalla diffusione delle cardiopatie negli Stati Uniti, Keys e la moglie Margaret iniziarono a promuovere la dieta mediterranea con una serie di libri che divennero presto dei best seller. 3 Caratteristiche dell’alimentazione negli anni Sessanta di tre Paesi del Seven Countries Study Alimentazione a

USA

Grecia

Giappone

6

23

22

Carne e pollame (g/giorno)

273

35

8

Frutta e verdura (g/giorno)

504

654

232

Grassi saturi (% energia)

18

8

3

Grassi totali (% energia)

39

37

11

Legumi (g/giorno)

1

30

91

123

453

481

Pesce (g/giorno)

3

39

150

Uova (g/giorno)

40

15

29

Alcolici (g/giorno)

Pane, cereali (g/giorno)

Il Seven Countries Study sollevò l’ipotesi che la dieta mediterranea potesse garantire una vita lunga e sana, ma non poté dimostrarla. Altri aspetti – come, per esempio, lo stile di vita fisicamente attivo così all’ordine del giorno in quelle zone, obesità o sovrappeso relativamente poco diffusi o, ancora, la scarsa diffusione dell’abitudine di fumare, tutti aspetti che prevalsero sino alla fine degli anni Sessanta – avrebbero potuto essere tra le cause. Era anche possibile che alcuni tratti genetici comuni alle popolazioni della regione del Mediterraneo offrissero protezione contro tumori e cardiopatie, ipotesi smentita da studi che hanno dimostrato come questa protezione scompaia quando si emigra da Paesi in cui tumori, diabete o cardiopatie sono rari a Paesi in cui, invece, sono diffusi. Confronto tra speranza di vita e tasso di mortalità negli anni Sessanta di tre Paesi del Seven Countries Study b

Sesso

USA

Grecia

Giappone

Cancro al seno ( /100.000 persone)

F

22

8

4

Cancro del colon-retto

M

11

3

5

F

10

3

5

Cardiopatie ( /100.000 persone)

M

189

33

34

F

54

14

21

Ictus ( /100.000 persone)

M

30

26

102

F

24

23

57

Speranza di vita a 45 anni (anni Sessanta)

M

72

76

72

F

78

79

77

Tutti i tipi di tumore ( /100.000 persone)

M

102

83

98

F

87

61

77

Speranza di vita e tassi di mortalità

Fonte: W.C. Willett, Diet and Health: What Should We Eat? in “Science”, 264, n. 5158 (22 aprile 1994), pp. 533-37. Le prove che si sono accumulate negli ultimi cinquant’anni mostrano che Keys e la sua équipe erano sulla strada giusta. Il mio gruppo di ricerca, per esempio, ha documentato che gli elementi distintivi dello stile di vita mediterraneo sono collegati a un minor rischio d’insorgenza di numerose malattie anche se chi lo segue non vive nella regione del Mediterraneo. I risultati ottenuti con il Nurses’ Health Study dimostrano che negli Stati Uniti il tasso di cardiopatie potrebbe diminuire almeno dell’80% apportando minimi cambiamenti ad alimentazione e stile di vita. 4 Il Lyon Diet Heart Study, del quale abbiamo già parlato al capitolo 5, ha dimostrato che seguire una dieta di tipo mediterraneo riduce del 70% la possibilità di morte nei due anni successivi in soggetti sopravvissuti a un infarto rispetto alla dieta a basso contenuto di grassi sostenuta dalla American Heart Association. 5 Più di recente, da uno studio randomizzato condotto da colleghi spagnoli è emerso che l’aggiunta supplementare di olio di oliva o di frutta con guscio riduce del 30% il rischio di malattie

cardiovascolari rispetto a una dieta povera di grassi. 6 La dieta mediterranea è spesso portata come esempio fondamentale di sana alimentazione che dovrebbe essere adottata ovunque. Nelle Dietary Guidelines 2015-2020 è persino definita un esempio di dieta desiderabile! 7 Ciò non significa tuttavia che sia priva di pecche. Si è evoluta da bisogni agricoli imposti da un clima caldo e semisecco che, del tutto casualmente, favoriva la crescita degli ulivi. E poi non è l’unica dieta sana con una spiccata impronta culturale. Anche quella tradizionale giapponese si rivela molto salutare. Così come tradizioni culinarie latino-americane che, basate su mais, fagioli e verdura, costituiscono un modello alternativo di alimentazione sana. Badate però che il mais che mangiamo oggi non è lo stesso di un secolo fa e che consumato in grandi quantità potrebbe non rivelarsi poi così salutare per i soggetti che non sono fisicamente attivi. Con un altro gruppo di colleghi ho aiutato la Oldways Preservation and Exchange Trust a mettere a punto una serie di piramidi alimentari per cercare di catturare l’essenza delle tradizioni culinarie di quelle zone (www.oldwayspt.org/traditional-diets). I ricercatori continuano a lavorare alla definizione degli elementi salutari specifici di una dieta di tipo mediterraneo, ma qualcosa sappiamo già con sicurezza: si tratta di un modo di mangiare sicuro. La modesta insorgenza di tumori e cardiopatie fra le popolazioni che la seguono da migliaia di anni costituisce la prova più solida al riguardo. L’alto tasso di ictus in Giappone, d’altra parte, lascia intendere che alcuni aspetti di quella dieta tradizionale, con molta probabilità l’elevato apporto di carboidrati e di sale unito al consumo di pochi grassi sani, proteine, frutta e verdura non sono poi così sicuri.

Le tradizioni culinarie si adattano bene ai trasferimenti Le diete tradizionali possono avere effetti benefici sulle culture che le hanno modellate, ma sarebbero in grado di ottenere altrettanto se trapiantate altrove, come per esempio in una società moderna in cui si conduce una vita relativamente poco attiva? Se le diete tradizionali

sono come l’erbaccia, capace di crescere ovunque, allora un ragioniere dell’Iowa dovrebbe trarre gli stessi benefici dalla dieta mediterranea di un contadino greco. Se, invece, sono più simili a delicate orchidee, che crescono solo in ambienti attentamente controllati, allora adottare una dieta tradizionale trascurandone gli altri aspetti culturali non può assicurare una riduzione del tasso di tumori, cardiopatie e altre malattie croniche. Per nostra fortuna, studi diversi condotti in molti Paesi concordano nel mostrare che gli ingredienti di una dieta di tipo mediterraneo garantiscono importanti benefici anche a chi conduce moderni stili di vita occidentali. 8 Resta da dimostrare se cenare godendosi la vista del Mar Egeo o assaporare una siesta dopo il pranzo non siano la ciliegina sulla torta della salute. Scienziati, nutrizionisti e food writer hanno spesso tentato di condensare i benefici della dieta mediterranea o di altre diete tradizionali in appena uno o due elementi chiave, come l’olio di oliva o le fibre o, ancora, gli antiossidanti. Un progetto piuttosto pericoloso. È risaputo che la dieta mediterranea aiuta a prevenire le malattie croniche e che l’olio di oliva è uno dei fattori in gioco, ma esagerare con quest’ultimo o prendere integratori di antiossidanti in quantità non sostituisce una strategia alimentare sana e completa. Più importante ancora, approfittare dei benefici della dieta mediterranea non è una questione di tutto o niente. Ne sappiamo abbastanza da avere la certezza che gli elementi che la compongono possono essere incorporati in piena sicurezza e con profitto in altre strategie alimentari sane.

Quanto costa mangiare sano? Mangiare cibo che aiuta a restare in salute è più costoso? Sono in molti a credere che gli alimenti nutrienti siano più cari rispetto alle opzioni meno salutari. E hanno ragione, almeno in parte. Grassi, zuccheri e carboidrati raffinati apportano più calorie per dollaro di pesce o verdure fresche. 9 Ciononostante, quando si parla di una dieta completa il costo non deve mai costituire un impedimento al mangiare

sano. E poi ricordate che, in origine, quella mediterranea era la dieta della povera gente e non dei ricchi. Seguire un regime salutare è questione di scelte: preferire i grassi buoni e restare alla larga da quelli cattivi, aumentare le buone fonti di carboidrati e limitare quelle mediocri, optare per il pacchetto proteico più salutare, abituarsi a porzioni più piccole anziché prendere il bis e così via. E il costo, di pari passo con gusto e comodità, è un fattore importante che influenza le nostre scelte. I cibi che saziano, ricchi di calorie e che danno soddisfazione spesso sono anche i meno costosi. In termini di spesa e pasti quotidiani significa che un hamburger con patatine fritte innaffiato di Coca-Cola e seguito da una bella porzione di gelato è un modo relativamente a buon mercato per fare il pieno di calorie. Gli alimenti con la più alta concentrazione di calorie per chilogrammo – che sono poi quelli con la densità energetica maggiore – tendono ad avere il minor costo per caloria. Fra questi alimenti ricordiamo margarina, caramelle e bibite gassate. Le opzioni più salutari, come cereali integrali, frutta e verdura fresche e pesce hanno un costo per caloria superiore. Le forze dei mercati sembrano proprio cospirare contro l’alimentazione sana per chi può contare su risorse economiche limitate. Se vi trovate dalla parte opposta, potete invece permettervi di sborsare qualsiasi cifra per frutta e verdura fuori stagione, insalate già pronte, pesce di primissima qualità e pani particolari. Fra i due estremi si trova la vasta terra di mezzo in cui la maggior parte di noi cerca di districarsi mentre va a fare la spesa. Di seguito alcuni consigli per chiunque voglia compiere scelte salutari senza rischiare il conto in rosso. Grassi L’olio extravergine di oliva è senz’altro più costoso, per esempio, di quello di arachidi o di soia, ciononostante è possibile acquistarne varietà saporite a un prezzo di circa 8-10 dollari al litro. Considerando un consumo quotidiano di due cucchiai, fanno meno di 50 centesimi al giorno. Dal solo punto di vista della salute, l’olio di oliva non è superiore a quello di canola o di soia. Tutti contengono grassi buoni, l’olio di oliva però è il più diffuso. Usatelo in modo da

farne risaltare il sapore, per condire l’insalata o altre verdure. Preferite invece altri oli vegetali per friggere o per tutti gli impieghi in cui il sapore dell’olio non è così importante. Carboidrati Riso bianco, pasta e patate sono tra le fonti di carboidrati più economiche. I cereali integrali, invece, sono in generale un po’ più costosi (pur richiedendo una minore lavorazione), ma questo non influisce molto sul costo per porzione. Cereali per la colazione – in particolare farina di avena o altri cereali integrali cotti – si rivelano un’ottima scelta fin tanto che si sta attenti a evitare quelli che contengono zuccheri aggiunti. Proteine Se si parla di proteine, la maggior parte di noi pensa alla carne. La carne bovina costituisce senz’altro la fonte proteica principale. Pollo e tacchino garantiscono un pacchetto proteico più salutare e sono in genere meno costosi. Arrostire un pollo intero permette di preparare un piatto economico che, in più, offre la possibilità di cucinare molte altre pietanze impiegandone gli avanzi. Il pesce è una fonte proteica ancora più salutare. Dato il costo elevato, alcune varietà come la sogliola e il pesce spada sono lussi da concedersi una volta ogni tanto, ma molte hanno solitamente un prezzo abbordabile e si trovano spesso in offerta. Fra queste ci sono tilapia, pesce gatto, merluzzo e molti tipi di pesce surgelato. Tonno, salmone e sgombro in scatola costituiscono un’alternativa economica per mettere del pesce in tavola; si possono fare in insalata o in umido, oppure si può farcire un panino. Il salmone in scatola offre l’apporto di omega 3 maggiore per dollaro ed è povero di mercurio, caratteristica importante per le donne in gravidanza o in allattamento. Scendere ancora più in basso nella catena alimentare è, in genere, la scelta migliore per il portafoglio ma anche per la salute. Ricorrere a fonti proteiche vegetali come noci, arachidi e altra frutta con guscio, fagioli e tofu e far diventare le uova protagoniste del piatto anziché relegare questi cibi al ruolo di contorni è una vera manna per il budget familiare. Non lasciatevi ingannare dal prezzo della frutta con guscio. Se consideriamo che la carne bovina è costituita per due terzi di acqua, un costo medio di 15 dollari al chilo per la frutta con guscio è equiparabile ai 5 dollari al chilo della carne. In quest’ottica, le arachidi

sono un vero e proprio affare! Frutta e verdura Frutta e verdura non offrono quella sferzata calorica a buon mercato di grassi e zuccheri, ma possono comunque rappresentare una scelta conveniente. Quando fate la spesa, scegliete fra i prodotti di stagione, il meglio dal punto di vista sia della qualità sia del prezzo. L’USDA calcola che un consumatore attento è in grado di seguire le raccomandazioni per frutta e verdura espresse nelle Dietary Guidelines 2015-2020 con una spesa inferiore ai 3 dollari al giorno. 10 In famiglia abbiamo scoperto che è possibile spendere anche molto meno. Tra le verdure più economiche per porzione troviamo cavoli, zucche invernali e carote. Ingredienti deliziosi, soprattutto con il condimento giusto. Frutta e verdura surgelate mantengono inalterati gli apporti nutritivi e spesso hanno il vantaggio di costare meno. Quando una varietà di frutta è fuori stagione, acquistarla secca è una scelta valida. Che cosa non comprare Scelte alimentari più sane impongono solitamente di diminuire o eliminare cibi quali bistecche, patatine, gelati, dolci vari e bibite gassate zuccherate. Rinunce che comportano un risparmio che può controbilanciare in parte o del tutto il prezzo di pesce, cereali integrali, frutta e verdura fresche. Sareste sorpresi di sapere quali somme in molti riescono a spendere in cibi spazzatura. Se siete ancora convinti che mangiare sano sia costoso, vi invito allora a soppesare l’alternativa. Cardiopatie, ictus, diabete, alcuni tipi di tumore e altre patologie croniche legate alla dieta si rivelano molto più costose, alla lunga, di una buona alimentazione. L’Economic Research Service dell’USDA stima che migliorare il proprio modo di mangiare permetterebbe agli americani di risparmiare oltre 70 miliardi di dollari all’anno di spese mediche e perdita di produttività. 11 E non è nemmeno tutto il denaro invisibile che le compagnie di assicurazione pagano a medici e ospedali. Chi è in sovrappeso affronta costi medici superiori in media dell’11% rispetto a chi è in forma, percentuale che sale al 26% in più per chi è obeso. Il succo della faccenda Poche scelte accorte sono sufficienti affinché un’alimentazione sana non sia più costosa della media e, anzi, nel lungo periodo si rivelano un ottimo investimento finanziario.

L’alimentazione sana a livello mondiale Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui non esistono limitazioni o quasi alle scelte possibili in fatto di alimentazione. Oltre alla varietà a dir poco sconcertante di cibo spazzatura, negozi di alimentari e supermercati propongono ormai frutta e verdura provenienti da diversi Paesi, i “nuovi” cereali sono di facile accesso e i ristoranti offrono un’ampia scelta di cucina internazionale. Trent’anni fa a Boston, per esempio, cucina mediterranea era sinonimo di spaghetti con le polpette. Oggi nei menu dei ristoranti si trova una vasta selezione di piatti più appetitosi e salutari della cucina mediterranea ma anche del resto del mondo. Data la scelta, non intendo certo sostenere il ritorno a una dieta umile e limitata né suggerirvi di sceglierne una in particolare. Al contrario, quella che propongo è una strategia flessibile basata su una piramide alimentare che comprenda elementi delle tradizioni culinarie di tutto il mondo e, al contempo, lasci spazio a creatività e innovazione. La dieta mediterranea è un ottimo modello di sana alimentazione da cui prendere le mosse, ma c’è tutto lo spazio di manovra per una messa a punto, senza dimenticare poi che anche altre tradizioni culinarie hanno la loro da dire in fatto di mangiare sano. Dal Giappone possiamo prendere la tradizione di porzioni piccole di cibi saporiti e invitanti, accantonando le abbondanti porzioni relativamente scialbe caratteristiche della cucina americana e nordeuropea. In questo modo si controllano i consumi senza andare incontro a quel senso di privazione tipico di molte diete per perdere o controllare il peso. Dall’America Latina, che ha dato al mondo il mais e i pomodori, provengono cereali molto gustosi e salutari come la quinoa che, seppure sconosciuti ai più, meritano comunque un posto sulla nostra tavola. Persino la Finlandia, il Paese con la dieta peggiore secondo il Seven Countries Study, ha da offrire un meraviglioso pane di segale integrale infinitamente più sano di quell’alimento spugnoso che buona parte degli americani chiama pane bianco. E, dulcis in fundo, in questo modo impariamo modi sempre più appetitosi per combinare e condire i vari ingredienti.

Un’alimentazione davvero sana per l’età moderna deriva dalle tradizioni culinarie di tutto il mondo che hanno dimostrato di portare beneficio a diverse popolazioni, compresi gli americani di ogni ceto sociale. La scienza alla base di questa affermazione è stata dimostrata nei capitoli precedenti. L’influenza globale emerge innegabile dagli ingredienti e dalle ricette presenti nei prossimi.

In conclusione Mi auguro che l’Healthy Eating Pyramid e l’Healthy Eating Plate vi aiutino, insieme alle strategie alimentari descritte fin qui e alle ricette delle prossime pagine, a compiere scelte deliziose e insieme salutari in fatto di cibo, scelte che vi aiutino a migliorare e allungare la vita. E se esse avranno un ridotto impatto ambientale, allora porteranno beneficio anche alle generazioni future. a. Dagli anni Sessanta in Grecia e Giappone è aumentato il consumo di carni rosse e grassi animali. b. Dagli anni Sessanta i tassi di ictus e cancro allo stomaco sono diminuiti in Giappone, Paese in cui la speranza di vita all’età di 45 anni è attualmente la più alta (87,7 anni per le donne e 81,8 per gli uomini), seguono Grecia (84,6 anni per le donne e 80,1 per gli uomini) e gli Stati Uniti (83,3 anni per le donne e 79,6 per gli uomini).

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L’alimentazione sana in condizioni particolari

Mangiare bene aiuta a mantenersi in salute. Ed è proprio per questo che mangiare bene è ancora più importante in circostanze particolari, straordinarie, come in gravidanza e in caso di diabete, tumore, celiachia e altre condizioni fisiche. Ciascuno di noi reagisce ai problemi di salute in modo diverso. Le raccomandazioni che seguono hanno carattere generale. Prima di apportare cambiamenti sostanziali alla vostra alimentazione consultate il medico, un nutrizionista o un altro esperto in materia.

Gravidanza Durante la gravidanza una donna ha bisogno di nutrire se stessa e il bambino che porta in grembo. Ciò non significa raddoppiare le porzioni o, come si sente ripetere spesso, mangiare per due. Significa, invece, assumere qualche caloria in più, aumentare l’apporto di alcune vitamine e minerali e, in generale, assumere nutrimento a sufficienza. Un’alimentazione sana è in grado di assicurare il giusto apporto di quasi tutto, con la possibile eccezione di folato (acido folico) e ferro. Non occorre ricorrere a una dieta particolare. Il modello alimentare per mantenersi in salute che ho descritto è più che sufficiente a mantenere in salute anche il bambino. Significa, quindi, mangiare cibo vero: frutta, verdura, cereali integrali, grassi insaturi e proteine da fonti salutari. Solo un’alimentazione di questo tipo assicura tutta l’energia, le materie prime, le vitamine e i minerali di cui mamma e figlio hanno bisogno. La gravidanza costituisce una sorta di test dello stress metabolico. Ipertensione e diabete gestazionali sono segnali d’allarme, adottare in gravidanza l’alimentazione sana che abbiamo esaminato in queste pagine e, idealmente, mantenerla anche dopo il parto, può aiutare a ridurre il rischio d’insorgenza delle due patologie.

Il peso in gravidanza

Il bambino che cresce e si sviluppa, la placenta che lo nutre, la quantità di sangue in più necessaria per assicurarne un’ossigenazione adeguata e tanti altri cambiamenti producono nella futura mamma un aumento di peso. Inoltre ha bisogno di una quantità superiore di cibo necessaria per assicurare a entrambi il giusto apporto di nutrienti. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo tuttavia assistito a un radicale ripensamento circa il normale aumento di peso. Nel 1970 la commissione scientifica del Food and Nutrition Board della National Academy of Sciences, incaricata di occuparsi di alimentazione e nutrizione, si è espressa circa la dieta da tenere in gestazione concludendo che “l’aumento medio di peso desiderabile è di 10,5 kg con un intervallo compreso fra i 9 e gli 11 kg”, valido per tutte le donne a prescindere dal peso iniziale o dall’indice di massa corporea. 1 Oggi, invece, l’aumento di peso raccomandato dipende da quello iniziale. A una donna normopeso che intende intraprendere una gravidanza, l’American College of Obstetricians and Gynecologists, l’associazione statunitense di categoria di ostetrici e ginecologi, raccomanda un aumento di peso durante la gestazione compreso fra 11 e 16 kg. Per le donne in sovrappeso l’aumento raccomandato è fra 7 e 11 kg. Per le donne obese scende ancora, l’aumento deve essere fra 5 e 9 kg. 2 Per capire qual è l’aumento di peso indicato per voi rivolgetevi al vostro ostetrico/ginecologo o alla vostra ostetrica. In conclusione

Il modo migliore per assicurarvi il giusto apporto di vitamine e minerali necessari in gravidanza è seguire un’alimentazione sana e assumere un multivitaminico multiminerale standard per sopperire a eventuali carenze. In commercio esistono integratori appositi per la gravidanza, ma spesso sono molto costosi e non apportano nulla in più rispetto a un qualsiasi altro multivitaminico. Attenzione però a non considerare gli integratori come sostituto di una dieta sana, perché essi contengono solo una piccola frazione dei nutrienti necessari in gravidanza.

È molto importante incrementare l’apporto di folato (acido folico) perché aiuta il corretto sviluppo del cervello e del midollo spinale del feto. Come abbiamo visto, questo tipo di vitamina B è fondamentale al punto che tutte le donne in età fertile, anche se non intendono intraprendere una gravidanza, dovrebbero assumerne una quantità pari a 400 µg al giorno con il cibo o integratori. 3 Il motivo è che l’acido folico è necessario soprattutto durante i primi trenta giorni di gestazione, periodo nel quale la maggior parte delle donne non sa nemmeno di essere incinta. In alcuni casi l’assunzione di vitamine o di integratori di ferro che si rendono necessari è complicata dal fatto che tendono a inasprire le nausee mattutine. Poiché sia le vitamine sia il ferro sono fondamentali per lo sviluppo del feto, il mio consiglio è di assumerli durante la giornata o comunque dopo un pasto. Il feto ha bisogno di un apporto costante di omega 3 per il corretto sviluppo di cervello, sistema nervoso, occhi e altri tessuti. La fonte migliore di omega 3 per una donna incinta è il pesce, da mangiare due o tre volte alla settimana. Preferite le varietà a basso contenuto di mercurio come merluzzo, salmone, sardine e tilapia (vedi “Pesce, mercurio e olio di pesce” a p. 208). Se siete in cerca di consigli per un’alimentazione sana in gravidanza, vi consiglio la guida dedicata The Pregnancy Food Guide messa a punto da me insieme alla collega Kathy McManus, all’équipe di esperti nutrizionisti del Brigham and Women’s Hospital di Boston e altri esperti. 4

Ipertensione Il termine pressione sanguigna evoca associazioni spiacevoli, ma senza pressione come farebbe il sangue a circolare dal cervello alla punta dei piedi, passando per il cuore? Il problema nasce quando questa pressione è eccessiva perché diventa dannosa per le pareti arteriose, aumentando così il rischio di ictus o infarto. La pressione alta o ipertensione può anche causare il progressivo indebolimento del muscolo cardiaco e danneggiare altri organi, fra cui reni e occhi.

Il 90% circa degli americani sviluppa prima o poi l’ipertensione. In generale, per mantenere la pressione entro limiti salutari è sufficiente tenere sotto controllo il peso e condurre una vita fisicamente attiva, consumare cinque o più porzioni di frutta e verdura al giorno e ricorrere al sale il meno possibile. Se vi è stata diagnosticata l’ipertensione, sappiate che ci sono molte cose che potete fare per tenere sotto controllo la pressione senza ricorrere ai farmaci. E, anche nel caso i farmaci siano necessari, mettere comunque in pratica tali strategie aiuta a ridurre al minimo le medicine da assumere, contribuendo quindi a ridurre sia gli effetti collaterali sia il costo della terapia. Se siete in sovrappeso, un dimagrimento dal 5 al 10% del peso iniziale può comportare un abbassamento della pressione, ma non solo: i benefici si estenderanno alla salute in generale. Aumentare il consumo di frutta e verdura comporta un aumento di potassio, che aiuta a tenere sotto controllo la pressione. Il vostro obiettivo minimo devono essere cinque porzioni al giorno e... ricordate: patate e mais non sono considerati verdura. Un altro valido aiuto viene dalla riduzione del sodio (componente principale del sale da tavola). Sforzatevi di non superare un apporto quotidiano di 1500 mg, pari a circa tre quarti di un cucchiaino. Non è necessario pesare il sale a ogni pasto, ma è importante sapere da dove proviene il sale che ingerite poiché i cibi lavorati e già pronti ne contengono in quantità, spesso nascoste (vedi “Il sale nascosto nei cibi” a p. 328). Per questo motivo nelle ricette al capitolo 15 sono incluse informazioni circa il contenuto di sodio. Diminuire in modo brusco la quantità di sale (sodio) impiegata può rendere i pasti scialbi e insipidi, meglio preferire quindi una diminuzione graduale, grazie alla quale quasi non vi accorgerete della differenza. Gli alimenti naturali sono per lo più poveri di sale quindi, se limitate la presenza in tavola di cibi pronti e non eccedete con il sale durante le preparazioni, l’apporto quotidiano di sodio resterà modesto senza bisogno di pensarci. Tenere la pressione sanguigna sotto controllo, tramite l’alimentazione o l’assunzione di medicinali, è importante per

proteggersi dall’evenienza di ictus o infarto.

Diabete Circa 30 milioni di americani soffrono di diabete, principalmente di tipo 2, che non richiede quindi l’assunzione immediata di insulina. Altri 86 milioni soffrono invece del suo precursore, il prediabete. Molti sono diabetici per anni senza saperlo. Agli inizi, infatti, il diabete presenta pochi o nessun sintomo. Lunghi periodi di iperglicemia, tuttavia, non restano mai privi di conseguenze. Negli Stati Uniti il diabete è la maggior causa di calo della vista e cecità legate all’età. È causa anche di oltre 70.000 amputazioni (piede o parte di una gamba) all’anno. Contribuisce inoltre all’insorgenza di infarto o al danneggiamento dei nervi di mani e piedi. Mantenere il giusto peso tramite alimentazione ed esercizio fisico è la prima e più importante forma di prevenzione del diabete, nonché di cura quando compare. Alcuni individui con diabete di tipo 2 riescono a controllare la glicemia tramite la perdita di peso e un’alimentazione a base di frutta, verdura, grassi insaturi, cereali integrali e fonti salutari di proteine come pesce, pollame e frutta con guscio; banditi, invece, gli alimenti con zuccheri aggiunti o carboidrati rapidamente digeribili. Negli ultimi anni si è verificata un’evoluzione nelle raccomandazioni alimentari per i diabetici. In un primo tempo si consigliava una dieta povera di carboidrati, poi si è passati all’imprudente combinazione di tanti carboidrati e pochi grassi. Di recente numerosi studi hanno dimostrato che un miglior controllo del diabete di tipo 2 si ottiene eliminando alcuni alimenti particolarmente ricchi di carboidrati, soprattutto del tipo rapidamente digeribile, cui preferire cibi contenenti grassi insaturi. Gli alimenti con basso indice glicemico (vedi “L’indice glicemico: l’effetto dei carboidrati sugli zuccheri nel corpo” a p. 163) e un alto contenuto di fibre, come fagioli e cereali integrali, possono aiutare. Chi soffre di diabete è ad alto rischio di ictus e infarto ed è quindi fondamentale che riduca il consumo di grassi saturi a favore di quelli

insaturi. In poche parole, i modelli alimentari che ho descritto in questo libro possono portare particolare beneficio al malato di diabete. L’apporto calorico totale (assumere tante calorie quante se ne consumano per evitare di ingrassare) è importante per tutti noi, ma in special modo per questi ammalati. Come ho spiegato nel capitolo 4, i modelli alimentari che ho messo a punto sono stati concepiti per poter controllare facilmente il peso corporeo senza concentrarsi unicamente sulle calorie. Ciò detto, ciascuno di noi è diverso ed è quindi opportuno scegliere l’alimentazione adatta con il consiglio del proprio medico.

Ipercolesterolemia Alti livelli ematici di LDL (il colesterolo cattivo) sono uno di quei fattori che possono portare a ictus, infarto e morte prematura (in passato l’indicatore determinante era individuato nel livello di colesterolo totale, ma si tratta di un principio obsoleto e fuorviante poiché un alto livello ematico di colesterolo potrebbe essere dato da un’elevata presenza di colesterolo HDL , che è invece protettivo). Tranne nei rari casi di predisposizione genetica, l’eccesso di LDL è dovuto per lo più all’alimentazione, per questo mangiare in modo sano aiuta a prevenirlo o a diminuirne i livelli ematici. Per anni l’American Heart Association (ma non solo) ha consigliato a chi soffre di ipercolesterolemia di diminuire l’apporto di grassi e in particolare di quelli saturi, una strategia che però sortisce solo un effetto minimo sul livello di colesterolo e per questo, fin troppo spesso, il cambio di alimentazione è considerato un fallimento e si preferisce ricorrere ai medicinali e in particolare alle statine. Nelle pagine di questo libro ho sottolineato spesso quanto sia fondamentale un approccio molto più ampio, che consiste nel sostituire grassi trans e saturi con grassi monoinsaturi e polinsaturi, nel preferire i cereali integrali a zuccheri e carboidrati con un alto indice glicemico, nel tenere sotto controllo il peso e svolgere attività fisica regolarmente. Una strategia che aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo e, al contempo, a ridurre in modo significativo il rischio di

cardiopatie, anche se si assumono farmaci. Le statine si sono guadagnate la smagliante reputazione di farmaci che prevengono le malattie cardiache. Questo è vero solo in parte. La loro azione, e questo è un fatto, riduce in maniera clamorosa i livelli ematici di LDL e riduce di circa un terzo il rischio di infarto. Ma ciò significa che la maggior parte delle persone è comunque a rischio. Per questo vi invito a non pensare alle statine come alla bacchetta magica contro le cardiopatie. Le statine ad alta potenza, per esempio, incrementano il rischio di diabete e hanno tutta una serie di effetti molto seri. Si possono trarre vantaggi maggiori nella prevenzione di ictus, infarto e altre condizioni croniche ricorrendo alle indicazioni di alimentazione sana contenute in questo libro, che sono state messe a punto per favorire la salute in molti modi oltre ad abbassare i livelli di colesterolo.

Ictus e infarto Milioni di americani vengono colpiti da ictus, infarto, angina e altre malattie cardiovascolari, benché queste ormai tendano a presentarsi in età più avanzata rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta. Come ho dimostrato in questo libro, poi, nella maggior parte dei casi è possibile prevenirle con l’alimentazione e un giusto stile di vita. L’Harvard Healthy Eating Plate e l’Healthy Eating Pyramid sono utili anche per chi ha già subito un ictus o un infarto, riducendo in modo sbalorditivo il rischio di un nuovo episodio. Non occorre recuperare completamente il danno subito dai vasi sanguigni, basta impedire che peggiori. I benefici di un’alimentazione migliore sono stati dimostrati in modo incontrovertibile dal già citato Lyon Heart Study, condotto per l’appunto su partecipanti di ambo i sessi che avevano già avuto un infarto. Come ho descritto in “Studi clinici: sostituire i grassi saturi con i grassi insaturi salva la vita” a p. 132, i partecipanti cui era stata assegnata casualmente una dieta di tipo mediterraneo che prevedeva fra l’altro l’assunzione di più omega 3 da oli vegetali hanno registrato una riduzione del 70% di un nuovo infarto o di decesso. Un risultato a

dir poco notevole, soprattutto se paragonato al 30% di riduzione legato all’uso delle statine. Non significa che questi potenti agenti anticolesterolo vadano accantonati, ma che affidarsi solo alla loro azione senza beneficiare di tutti i vantaggi offerti da giusti regime alimentare e stile di vita potrebbe rivelarsi un errore molto grave, talvolta persino fatale.

Cancro Una delle scoperte in qualche modo più scoraggianti dell’ultimo decennio di ricerche è che la parola “cancro” non indica una sola malattia, bensì centinaia, ciascuna con i propri fattori scatenanti e i propri trattamenti. Tuttavia ciò non significa che non esista una sola dieta anticancro. Non fumare né consumare tabacco in nessun’altra forma è la prima strategia da mettere in atto per prevenire il cancro. Segue subito dopo il mantenimento del giusto peso corporeo. Sovrappeso e obesità incrementano il rischio di molti tumori, fra cui cancro a seno, colon, endometrio e pancreas. Il numero di fumatori è in netto declino, mentre aumentano gli individui obesi e in sovrappeso, per questo negli Stati Uniti i chili in eccesso sono oggi causa di tumori quasi quanto il fumo. Per anni un regime alimentare ipolipidico è stato indicato come la miglior prevenzione contro il cancro, un consiglio che però non ha trovato riscontro in vasti studi di coorte o sperimentazioni randomizzate. Mangiare più frutta e verdura e limitare il consumo di carni rosse riduce il rischio di alcuni tipi di tumori, così come limitare o eliminare gli alcolici (vedi il capitolo 9). Stiamo ancora cercando di mettere a punto le strategie migliori per tenere a bada il cancro una volta che si è manifestato. Un’attività fisica regolare e il controllo del peso sembrano influire positivamente sulle possibilità di sconfiggere il cancro al seno e del colon-retto. Nell’ambito dell’alimentazione, però, sono state identificate poche strategie specifiche. Oggigiorno una diagnosi precoce e cure migliori fanno sì che i

malati di cancro muoiano molto spesso per altre cause, come ictus, cardiopatie e così via. Ed è questo il motivo per cui i consigli per un’alimentazione sana contenuti in questo libro sono stati collegati alla sopravvivenza in generale dei malati di cancro.

Celiachia Il celiaco conosce sin troppo bene i problemi che possono derivare persino da poche briciole di pane: flatulenza, gonfiore, crampi addominali, diarrea... e non solo. Colpevole di tutto è il glutine, una miscela proteica che si trova soprattutto in grano, orzo e segale. Chi soffre di celiachia è intollerante al glutine che, per un qualche motivo, il sistema immunitario attacca come fosse un elemento estraneo. Nel tempo, questa risposta immunitaria errata danneggia il rivestimento dell’intestino tenue, con conseguente perdita di peso, insorgenza di eritemi, osteoporosi, infertilità, danni ai nervi, attacchi epilettici e molto altro. Per questo motivo il celiaco deve evitare in ogni modo gli alimenti contenenti glutine, e fra i più comuni ci sono pane e dolci a base di farina di grano o di segale, pasta, cracker e altri alimenti da forno, gran parte dei cibi in commercio adatti alla prima colazione e birra, tanto per nominarne alcuni. La rapida diffusione degli alimenti privi di glutine rende la vita dei celiaci più facile, ciononostante esso può nascondersi negli alimenti più insospettabili come salsa di soia, patatine fritte, carni lavorate, zuppe e salse pronte e integratori erboristici. Come ho spiegato in “Il glutine nei cereali: per qualcuno è un pericolo” a p. 182, esiste una condizione correlata, chiamata sensibilità al glutine o sensibilità al glutine non celiaca, che può produrre sintomi simili alla celiachia senza causarne i danni all’intestino. Se avete bisogno di evitare il glutine o se decidete di farlo, sforzatevi allora di trovare altre fonti di acido folico, vitamine B e fibre alimentari perché sono necessarie al corretto funzionamento dei visceri. Alcune di queste fonti sono frutta, verdura, fagioli e cereali privi di glutine come riso integrale o quinoa.

Depressione La depressione è un male con cui molti di noi, prima o poi, si ritrovano a dover fare i conti. In generale, è fra le maggiori cause di disabilità. La depressione può essere lieve e breve oppure profonda e prolungata. Un aiuto professionale è indispensabile in ogni caso. Mantenere il benessere generale tramite l’alimentazione e un’attività fisica regolare può aiutare a preservare anche una buona salute mentale. Uno degli aspetti specifici dell’alimentazione legati proprio a quest’ultima è il consumo di caffè (non decaffeinato), strettamente legato a un minore rischio di depressione e suicidio. 5 Sia il Nurses’ Health Study sia l’Health Professionals Follow-up Study hanno evidenziato che il consumo di tre o più tazze di caffè al giorno comporta in ambo i sessi una riduzione del rischio di suicidio pari a circa la metà rispetto a chi non ne beve. Un dato che non sorprende poiché i lievi effetti euforizzanti di questa bevanda sono noti da tempo. Abbiamo scoperto anche che il consumo di frutta e verdura contenenti flavonoidi, e in particolare agrumi e succhi, è associato a un minore rischio di depressione. 6 Il grande interesse sollevato dagli omega 3 in rapporto a un potere preventivo della depressione si è tuttavia scontrato con le scarse prove al riguardo. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che un apporto superiore di acidi grassi omega 6, contenuti in molti oli vegetali come quello di mais o di soia, potrebbe incrementare il rischio di depressione promuovendo la diffusione di uno stato infiammatorio in tutto il corpo. Ma un apporto superiore di omega 6 ha l’effetto contrario, attenua cioè lo stato infiammatorio. 7 Dalle nostre ricerche sul rischio di suicidio non sono emerse prove di riduzione legata all’aumento dell’apporto di grassi omega 3 o alla riduzione dell’apporto di omega 6. 8

Perdita di memoria Negli Stati Uniti, l’aumento della vita media (dovuto soprattutto alla riduzione del fumo, ai miglioramenti nell’alimentazione, alla diagnosi precoce e a cure migliori disponibili) comporta un maggior

onere per i singoli individui o le famiglie di chi è colpito da perdita di memoria legata all’età, o demenza. Per nostra fortuna, ci sono buone notizie circa l’andamento osservato negli ultimi decenni. Se paragoniamo individui della stessa età, infatti, i tassi di demenza sono diminuiti del 40% dagli anni Settanta a oggi. 9 Dato il progressivo invecchiamento della popolazione, però, il numero di individui colpiti da demenza è in realtà in aumento e, almeno attualmente, non esistono cure mediche soddisfacenti. È stato provato che un modello alimentare di tipo mediterraneo può ridurre il rischio di perdita di memoria e rallentare il corso di tale processo. Un dato che non sorprende poiché tra i fattori scatenanti di perdita di memoria e demenza troviamo anche problemi all’afflusso di sangue al cervello e il verificarsi di piccoli ictus multipli. Un’alimentazione povera e inadeguata può anche promuovere processi cerebrali legati al morbo di Alzheimer. Tanto le malattie cardiovascolari quanto il morbo di Alzheimer sono caratterizzati da uno sviluppo lento, che si compie nell’arco di anni, ed è questo un fattore che aumenta le possibilità di prevenzione tramite l’alimentazione. Un modello dietetico di tipo mediterraneo è in grado di prevenire queste e altre patologie cardiovascolari ma, anche in presenza dei primi segnali di perdita di memoria, sapere di poterne rallentare la progressione a tavola è comunque importante. Molti studi di tipo diverso, compresi studi epidemiologici a lungo termine, hanno esaminato il collegamento fra alimentazione, perdita di memoria e demenza. Di recente la collega Martha Clare Morris e la sua équipe li hanno riesaminati e hanno identificato una varietà di alimenti legati a migliori capacità cognitive. Fra questi, verdure soprattutto a foglia verde, frutti di bosco, frutta con guscio, olio di oliva, cereali integrali, pesce, pollame e vino, purché assunto con moderazione. Fra gli alimenti legati a capacità cognitive peggiori troviamo invece carni rosse, fritti, pasticcini e dolci in generale. Vi suona familiare? A partire da questi alimenti, Morris ha formulato una dieta, che ha chiamato dieta MIND (acronimo che riporta in modo molto opportuno alla parola “mente”), caratterizzata da un punteggio, e l’ha proposta a

1000 volontari anziani di ambo i sessi che partecipavano al Memory and Aging Project del Rush University Medical Center di Chicago. Calcolati in un arco di tempo di cinque anni, a punteggi MIND superiori – a significare un’alimentazione più sana – si associavano punteggi migliori in test cognitivi e di memoria. 10 Proprio come per le patologie cardiovascolari, anche nel caso del modello alimentare MIND i benefici maggiori si ottengono dall’associazione di una serie di alimenti e non da un singolo nutriente. Sappiamo comunque che il betacarotene è uno dei principali fautori di un cervello sano per via degli effetti benefici sulla funzione cognitiva registrati nel Physicians’ Health Study (vedi “Nuova speranza per i multivitaminici” a p. 334). Ulteriore sostegno al legame fra alimentazione sana e conservazione della memoria e delle capacità cognitive viene dallo studio randomizzato PREDIMED , dal quale è emerso che nei partecipanti cui era stata assegnata un’alimentazione di tipo mediterraneo si sono riscontrate funzioni cognitive migliori rispetto a coloro che seguivano la dieta di controllo. 11 Un regime alimentare benefico per molti organi lo è a maggior ragione per il cervello. La ricerca punta attualmente a comprendere gli effetti di fattori alimentari specifici sul cervello, ma adottare già oggi uno stile alimentare di tipo mediterraneo che comprenda una varietà di alimenti ad alto contenuto di carotenoidi vi permetterà di preservare le funzioni cognitive più a lungo. Prima si comincia e meglio è. Tuttavia, da quanto abbiamo potuto osservare in termini di altri risultati sulla salute, è ancora possibile cogliere i frutti di una dieta sana anche quando i sintomi si sono già presentati.

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Consigli per acquisti, menu e ricette

Il concetto di mangiare sano, come abbiamo visto, non è poi così complesso. Riassunto in parole semplici, è la pianificazione di uno stile alimentare basato su cereali integrali, prodotti freschi, grassi buoni e pacchetti proteici salutari. Per farvi avviare nella direzione giusta, mia moglie Gail e io abbiamo elaborato un gruppo di ricette – dalla zuppa di zucca invernale al curry al mix di frutta secca speziata – per solleticare il palato e rinnovare la vostra convinzione che mangiare bene può essere un’impresa gustosa. Alcune ricette sono facili e veloci (meno di trenta minuti dalla preparazione alla tavola), altre richiedono un po’ più di tempo ma comprendono golosità come pancake multicereale, chili di pollo e riso fritto. Sono ricette pensate per gustare buon cibo sano e quindi non richiedono particolari preparazioni né abilità culinarie. Non sono state pensate, invece, allo scopo preciso di perdere peso, ma il fatto di preferire cereali integrali, frutta fresca e con guscio, verdura, semi e legumi dovrebbe facilitarne l’uso per mettere a punto un piano di dimagrimento, perché la qualità dell’alimentazione è importante per il controllo del peso nel lungo periodo tanto quanto la quantità degli alimenti. Se state combattendo contro i chili in eccesso, sapete già che non esiste una soluzione facile. Come abbiamo visto al capitolo 4, l’unica soluzione è diventare più attivi, trovare la dieta giusta e adottare un’alimentazione difensiva (vedi alle pp. 88-91). Questa sezione è dedicata a indicarvi una via semplice e deliziosa per trovare gli alimenti adatti a voi. Se volete dimagrire, alla fine di ogni menu giornaliero sono inclusi alcuni consigli per adattarlo a un programma di riduzione delle calorie. Per perdere peso non occorre imporsi privazioni, ma bisogna moderarsi e scegliere alimenti di alta qualità. Per questo non dovete segnare tutti i vostri cibi preferiti nella lista dei proibiti, ma solo

imparare a ridurne la quantità e a mangiarli meno di frequente. Al contempo, imparerete ad apprezzare gli alimenti freschi e buoni per davvero. Una pesca appena colta, succosa e nettarina. Fagiolini freschi al vapore con una spruzzata di limone e un pizzico di pepe. Filetto di salmone a scottadito. Dopo un po’ vi accorgerete di apprezzare meno i cibi troppo lavorati, salati e zuccherati e che il vostro gusto è pronto per un mondo di straordinari sapori freschi e ben distinti. E, chissà, forse la lista dei vostri cibi preferiti potrebbe anche cambiare radicalmente. In questa sezione è compreso un menu settimanale per aiutarvi a imparare a programmare pasti salutari.

Scegliete alimenti ricchi di nutrienti Non esistono superalimenti che contengono tutti i nutrienti necessari alla salute, esistono però alimenti che contengono più nutrienti per caloria di altri. Sceglierli significa dare un’impennata alla qualità della dieta dall’oggi al domani. In pratica, significa mangiare cereali integrali, frutta e verdura a ogni pasto. Ecco alcuni semplici consigli per iniziare. Aggiungete all’insalata verdure a foglia verde scuro. Le verdure a foglia verde scuro sono più ricche di nutrienti della lattuga iceberg. Spinaci, cavolo riccio e lattuga romana, per esempio, contengono tra gli altri ferro, fibre e folato. La lattuga iceberg, invece, è composta per lo più d’acqua. Una buona regola pratica: più scuro è il verde maggiori sono i nutrienti che contiene la foglia. Aggiungete una manciata di germe di grano ai cereali della colazione, allo yogurt o ai piatti cotti al forno. Due cucchiai colmi di germe di grano apportano quasi 2 g di fibre e aggiungono appena 51 calorie. Preferite la versione tostata per un sapore più intenso. Servite un cereale integrale come contorno. Aggiungo: al posto delle patate. Le patate a pasta bianca e cereali come il bulgur e il grano in chicchi sono considerati tutti contorni amidacei, ma le

patate non contengono altrettanta fibra né nutrienti quanto i cereali integrali. Inoltre, l’organismo trasforma rapidamente in zuccheri l’amido che contengono, causando un picco glicemico. La digestione dei cereali integrali è più lenta e, di conseguenza, lo è anche l’aumento degli zuccheri nel sangue. Preferite i cracker di cereali integrali a quelli impastati con farine lavorate. Se vi piace sgranocchiare uno snack e lo fate con regolarità, sappiate che i cracker a base di cereali integrali hanno un contenuto di fibre maggiore rispetto a quelli ottenuti con farine lavorate. Meglio ancora, provate a sostituire i cracker con della frutta con guscio: lo snack spezzafame più salutare che ci sia. Per dessert provate “le tre delizie” al posto di una fetta di torta o di una coppetta di gelato. Al posto del solito dolce pieno di calorie, provate a crearne uno con tre degli alimenti più salutari che esistano: frutta fresca, frutta con guscio e cioccolato fondente. Un modo senz’altro dolce e delizioso di concludere il pasto e buono anche per la salute e la linea. Gail e io facciamo così a casa, quando ci va qualcosa di dolce. Quando invece mangiamo fuori, mi diverto a sfidare i cuochi a reinventare un dessert che sfrutti questi alimenti, che io chiamo per l’appunto “le tre delizie”. E così abbiamo avuto modo di assaggiare creazioni davvero straordinarie. Se volete provare anche voi a consigliare lo chef, ditegli di vistare hsph.me/3fordessert. Imparare a fare scelte migliori Preferite

Al posto di

Burro di arachidi

Un panino con il formaggio o con la mortadella

Fagioli, soia, pesce o pollame

Carni rosse

Frutta con guscio come spuntino

Dolci come spuntino

Frutta con guscio nell’insalata

Formaggio nell’insalata

Le tre delizie per dessert

Cheesecake, gelato o altri dolci

Olio di oliva o altri oli liquidi

Burro

Pane integrale

Pane bianco

Riso integrale o altri cereali intatti

Riso bianco o patate

Yogurt al naturale con frutta fresca e con guscio aggiunta

Gelato

Sostituti salutari Non esiste un alimento che, da solo, possa rovinare la salute o regalarne una perfetta. L’impatto importante ce l’ha la qualità generale della dieta, cioè i cibi che decidete di mangiare giorno dopo giorno. Una buona dieta, quella che favorisce il benessere, si basa principalmente sulle scelte nutritive: alimenti contenenti grassi salutari, fibre e una varietà di nutrienti e composti fitochimici. Io vi esorto a godere del cibo. Ma, quando si arriva al dunque, ricordate che le scelte giuste sono ricche di sapore e anche salutari. Un primo passo molto importante consiste nel sostituire i grassi trans e saturi, nemici della salute, con i più salutari grassi insaturi (vedi “Sostituire i grassi non salutari con altri più salutari” a p. 149). Altrettanto importante è aggiungere ai pasti cereali integrali, frutta e verdura. Fatene un obiettivo primario. Nelle prossime pagine troverete tanti consigli utili per aiutarvi a compiere le scelte giuste.

Elenco dei cereali integrali o intatti L’uomo si nutre di cereali dalla notte dei tempi, eppure, a un certo punto, la maggior parte di noi si è come dimenticata della loro bontà. Per questo ho pensato di proporvi una lista dei cereali integrali e intatti dalla A alla Z , completa di descrizione del gusto, tecniche per cucinarli e indicazioni per conservarli. Ricordate: i cereali integrali sono grezzi ma si trovano anche sotto forma di farine, i cereali intatti esistono nell’unica forma originaria. CHE DIFFERENZA C’È TRA CEREALI INTATTI E CEREALI INTEGRALI? I cereali sono i semi (o anche i frutti) di piante erbacee. Ciascuno di questi semi si compone di tre parti: crusca, germe ed endosperma.

La crusca è la parte più esterna e avvolge il grano (o chicco) per proteggerlo dalle condizioni più avverse e fare in modo che sia ancora in grado di germinare dopo mesi o addirittura anni. Benché sia composta per lo più di fibre per noi indigeste, la crusca contiene comunque minerali e vitamine. Il germe è la pianta allo stadio embrionale, la parte che germoglia e cresce quando temperatura e umidità creano le condizioni adatte. I delicati tessuti vivi del germe sono immersi in olio insaturo e ricco di antiossidanti liposolubili come la vitamina E , la quale ne impedisce l’ossidazione. L’endosperma fornisce energia e nutrimento al seme durante la germinazione e fin quando non è in grado di provvedere da solo tramite la fotosintesi. È composto prevalentemente da amido. Negli anni i cereali sono stati selezionati per avere endospermi sempre più grossi e, quindi, contenere quantità sempre maggiori di amido. Nell’endosperma si trovano anche altri nutrienti, ma in quantità minime se paragonati alle calorie derivanti dall’amido. I cereali intatti sono grani (o chicchi) che hanno subito un trattamento minimo per essere staccati dalla loro sede e privati delle impurità. Non sono stati schiacciati, polverizzati, passati al vapore o sottoposti a una qualsiasi altra lavorazione. Alcuni esempi di cereali intatti sono il riso integrale (o non brillato), la quinoa, il miglio, l’avena decorticata e il grano in chicchi. I cereali integrali, e gli alimenti da essi ottenuti, sono cereali intatti che hanno subito un processo di lavorazione, di solito la macinazione, che ne frantuma i chicchi. Crusca, germe ed endosperma sono tutti e tre ancora presenti. Al contrario, i cereali raffinati come la farina di frumento (non la farina di frumento integrale) sono stati privati della crusca e del germe. Le farine così ottenute sono impoverite e quindi, per esempio negli Stati Uniti, vengono spesso arricchite con vitamine e minerali. A prima vista può sembrare una scelta salutare, ma le sostanze che sono aggiunte in realtà non sono che una minima frazione dei nutrienti e dei composti fitochimici contenuti in origine. I cereali integrali sono significativamente più salutari per noi rispetto ai cereali raffinati perché conservano tutti i propri nutrienti intatti. Non sono però salutari quanto i cereali intatti. In primo luogo, la macinazione rompe la crusca, esponendo l’endosperma a un attacco più rapido da parte degli enzimi che digeriscono l’amido e, di conseguenza, aumentando in modo più rapido i livelli glicemici del sangue. Anche macinare l’endosperma sino a polverizzarlo facilita il lavoro degli enzimi che digeriscono l’amido. Ne risulta che i cereali intatti hanno un indice glicemico inferiore

(vedi a p. 165), il quale comporta un aumento minore e più lento del glucosio presente nel sangue, una minore richiesta di insulina e un minor rischio di diabete di tipo 2. L’indice glicemico inferiore dei cereali intatti aiuta a prolungare il senso di sazietà dopo un pasto o uno spuntino, ritardando la ricomparsa dello stimolo della fame.

Amaranto

Caratterizzato dal colore dorato, l’amaranto era coltivato già dagli Aztechi. La consistenza croccante – che si ammorbidisce appena con la cottura – e insieme cremosa ricorda quella del porridge, ecco perché è spesso impiegato in questo tipo di preparazioni. I più avventurosi possono provarlo come ingrediente in alimenti cotti al forno (vedi Pane alla banana e albicocche con noci a p. 430) oppure mescolato ad altri cereali in preparazioni tipo pilaf o stufati. Provate a versarne un po’ in una padella e a scaldarla: scoppietta come pop-corn. Potete usare i semi scoppiati in aggiunta a insalate o verdure. E, perché no?, potreste anche provarli sulla pizza. Cottura Facile ma piuttosto lunga. L’amaranto deve sobbollire in abbondante acqua (una parte di cereale in tre parti di acqua) per 25-30 minuti. Per usarlo come ingrediente di preparazioni da forno, ammorbiditelo in acqua bollente. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo e con un bassissimo contenuto di grassi, per lo più insaturi. È ricco di ferro, tanto che 50 g di semi ne forniscono circa il 60% dell’apporto quotidiano. Buon contenuto di fibre (3 g circa per 50 g) ma non elevato come in altri cereali integrali. Buona fonte anche di calcio, con piccole tracce di vitamine B . Dove acquistarlo Difficile da trovare nei supermercati, è invece reperibile nei negozi specializzati e anche online. Avena

Uno dei cereali in assoluto più diffusi – metà dei terreni agricoli irlandesi e un terzo di quelli scozzesi sono dedicati alla sua coltivazione – e apprezzati per il gusto, la versatilità e le proprietà medicinali (l’avena è una delle maggiori fonti di fibre solubili, che

aiutano ad abbassare i livelli ematici di colesterolo). Può essere acquistata integrale – decorticata – o sotto forma di farina, di crusca o di fiocchi usati solitamente per il porridge. Cottura Da facile a molto facile, a seconda della varietà. Fiocchi per porridge (oatmeal) Ottenuti dai chicchi integrali privati del rivestimento esterno, talvolta appiattiti e cotti al vapore (tradizionali o a cottura rapida) prima di essere affettati sottilmente. Le varietà irlandesi e scozzesi sono solo affettate. Fiocchi appiattiti Se non sono istantanei, e quindi precotti ed essiccati per accorciare i tempi di preparazione, vanno fatti sobbollire per una decina di minuti. Quelli a cottura rapida sono più sottili di quelli tradizionali e sono pronti in 3-5 minuti. Fiocchi grossolani Più spessi e con un gusto più deciso rispetto ai fiocchi lavorati al vapore, con questi si ottiene un porridge più denso e cremoso ma che richiede tempi di cottura fino ai 40 minuti. Se vi piace il porridge di avena a colazione, una buona idea è prepararne sei o sette porzioni quando avete più tempo (magari di sabato o domenica mattina), lasciarlo raffreddare e poi congelarlo in contenitori adatti al microonde. Crusca d’avena Il rivestimento esterno dell’avena è ricco di fibre e di molti altri nutrienti compresi ferro, potassio e tiamina. Proprio come la crusca di grano, può essere aggiunta ai cereali della colazione o a pane, torte e altre preparazioni da forno. Avena decorticata Ottimo esempio di cereale intatto, questi chicchi integrali vanno fatti bollire per 40-45 minuti, oppure possono essere tostati e aggiunti a molte preparazioni da forno (vedi Pizza con funghi Portobello e cipolla caramellata a p. 467). Farina d’avena Si trova in molti supermercati ed è fatta con i chicchi decorticati. Talvolta è molto raffinata, ma più spesso la si trova in macinature più ricche di fibre della classica farina 00. Ottima per addensare le salse, manca di glutine e non è quindi adatta a impasti che devono lievitare, cui può tuttavia essere aggiunta in piccole dosi. Non provate, però, a fare pane, pizza o torte con sola farina d’avena perché il fiasco è assicurato. Benefici nutrizionali Priva di colesterolo, contiene tracce di grassi

salutari per via dell’integrale. Ricca di fibre solubili. I fiocchi grossolani hanno un indice glicemico inferiore ai fiocchi standard. Dove trovarla I fiocchi per preparare il porridge si trovano nei supermercati, mentre crusca e farina vanno cercate negli ipermercati. I prodotti più particolari, come i chicchi decorticati, si trovano quasi esclusivamente nei negozi specializzati e anche online. Bulgur (o bulghur)

Si tratta in realtà di un modo di preparare il frumento integrale tipico della cucina mediorientale: i chicchi sono lessati, seccati e poi macinati. Per questo è noto anche come grano spezzato. In commercio se ne trovano tre varietà, a seconda del grado di macinazione o di spezzettatura: fine, medio (il più diffuso), grosso. È fatto sia con il grano rosso (di colore marrone scuro) sia con il grano bianco (di colore marrone-dorato). Il bulgur è estremamente versatile e può essere impiegato in un’infinità di piatti, dalle insalate alle zuppe, e persino nei burger vegetali. Cottura Molto facile. Basta aggiungere acqua bollente e lasciarlo in ammollo 20-30 minuti, o fino a quando non risulta morbido. La macinatura più grossolana richiede invece la cottura in acqua bollente. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo, ricco di fibre (6 g per 50 g) e di proteine (6 g per 50 g). Dove acquistarlo Si trova facilmente nei supermercati. Couscous (di semola di grano integrale)

Il couscous non è propriamente un cereale integrale, ma se è ottenuto dal grano integrale garantisce un certo apporto di nutrienti, oltre a una cottura ultrarapida. Cottura Facile e veloce. Il couscous più diffuso è infatti precotto, quindi basta aggiungere acqua, portare a bollore, togliere dal fuoco e lasciar riposare coperto per 5 minuti. È possibile aggiungere all’acqua uno o più condimenti (olio di oliva, sale, odori, concentrato di pomodoro) oppure usare un brodo a piacere e il couscous ne assorbirà il sentore.

Benefici nutrizionali 150 g di couscous integrale cotto contengono 2 g di fibre, mentre il couscous normale non ne contiene. Elevato il contenuto di proteine, con 8 g per 150 g. Ferro in tracce. Dove acquistarlo Si trova in quasi tutti i supermercati. Farro

Antico parente del grano, possiede grandi chicchi bruni quasi identici al grano integrale e, in effetti, nelle ricette sono pressoché intercambiabili. Il farro ha un contenuto proteico un po’ più elevato ed è tollerato da chi è allergico al grano. In grani o in fiocchi, può essere usato per preparare porridge o mix di muesli (vedi Porridge croccante con le mele a p. 426). Il farro è un ingrediente gustoso anche per zuppe, insalate e pasticci, mentre la farina è usata al posto di quella di frumento. Per le modalità di cottura rimando al grano in chicchi. Grano in chicchi

I chicchi integrali contengono tutta la bontà del grano. In commercio si trovano sia il grano duro in chicchi sia il grano tenero, ma non fatevi ingannare: duro e tenero non si riferiscono alla consistenza, bensì al contenuto di glutine. Il grano tenero ha un basso contenuto di glutine e dà una farina adatta all’impiego in pasticceria. Il grano duro ha un elevato contenuto di glutine e dà farine 0 o più forti. Il retrogusto di noce rende questi chicchi ideali come cereali per la colazione o una gustosa aggiunta croccante a pane e altri impasti da forno. Si rivelano anche un buon sostituto della pasta nelle insalate fredde. Cottura Facile ma piuttosto lunga. Il grano in chicchi deve sobbollire per 30 minuti circa. Per accorciare i tempi di cottura, provate a tostarli prima in forno o in padella. Dove acquistarlo Il grano in chicchi si trova in negozi specializzati e di prodotti integrali. Grano saraceno

Chiamato più propriamente fagopiro, è in realtà un cosiddetto

pseudo-cereale, lontano cugino del rabarbaro. I semi sono tostati e poi usati interi oppure ridotti in farina. Interi oppure spezzati sono usati soprattutto in Europa centrale per preparare il kaša, una specie di porridge molto usato come contorno. Cottura Molto facile. Benefici nutrizionali Il grano saraceno non è una buona fonte di fibre o altri nutrienti come la maggior parte dei cereali integrali, ma può essere aggiunto a un misto di cereali per preparare un ottimo contorno pilaf. Dove acquistarlo Si trova facilmente nei supermercati, nei negozi specializzati e anche online. Lino (semi di)

Questi graziosi semini rossicci hanno un meraviglioso retrogusto di noce che ben si sposa con le più classiche preparazioni da forno. In molti Paesi europei sono normalmente aggiunti all’impasto di biscotti, torte o pane. Cottura Molto facile. L’involucro esterno dei semi di lino è particolarmente duro e quindi, per poter approfittare di tutti i benefici nutrizionali, occorre prima macinarli o pestarli (in un macinacaffè, per esempio, o nel mixer). Possono così essere aggiunti all’impasto di pane e muffin o, ancora, allo yogurt o ai cereali della colazione. Lasciati interi, i semi attraversano l’apparato digerente e sono espulsi perché non digeriti. Benefici nutrizionali Privi di colesterolo. Ricchi di fibre e di acidi grassi omega 3 che, come abbiamo visto, aiutano a proteggerci da cardiopatie e altre malattie croniche. Dove acquistarli I semi di lino e, più di recente, la farina di lino hanno iniziato a fare capolino in alcuni supermercati, tuttavia è ancora più semplice trovarli in negozi specializzati e anche online. I semi vanno conservati in contenitori sottovuoto e a temperatura ambiente per un anno al massimo. I semi macinati o pestati, invece, si conservano in frigorifero per un massimo di 30 giorni. Mais

Chiamato anche granoturco, questo cereale è originario del Sudamerica e in commercio si trova in molte forme: in pannocchie fresche, essiccato e macinato per farne farine di diversa consistenza, e pasta. Meno è lavorato e più conserva il sapore e i nutrienti. Cottura Molto facile. Farina La farina più diffusa è ottenuta dai chicchi essiccati e privati del rivestimento esterno e del germe, operazione che causa la perdita di molti nutrienti. Per questo, soprattutto negli Stati Uniti, è arricchita. I chicchi sono poi macinati per ottenere tre diverse grane: fine, media e grossa. La polenta, per esempio, è fatta con una farina rustica, poco raffinata. Con la masa harina, invece, si fanno le tortillas. Cercate sempre la varietà macinata a pietra poiché contiene più nutrienti. Attenzione: la farina priva del germe non è integrale. Hominy Chicchi di mais essiccati, decorticati e degerminati e cotti in una soluzione molto blanda di lisciva. Non sono nutrienti come quelli freschi, ma contengono comunque una buona quantità di fibre. Farina macinata grossa (tipo semolino) Specialità tipica degli Stati Uniti del Sud ottenuta da hominy essiccati e spezzettati grossolanamente. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo e ricco di fibre, buona fonte di vitamina A (solo il mais giallo), con tracce di ferro e vitamina C . Dove acquistarlo Si trova in qualsiasi supermercato e negozio di alimentari. Miglio

Sì, avete capito bene, si tratta proprio dei semini dorati venduti come mangime per gli uccellini. In Africa e in Asia soprattutto, però, il miglio è parte integrante dell’alimentazione umana ed è apprezzato sia per il sapore, con quel sentore di noce, sia per l’elevato profilo nutrizionale. Impiegato spesso nella preparazione del porridge, è un ottimo ingrediente anche per budini (come il riso, per esempio), per misti tipo pilaf, pancake (vedi Pancake multicereale con sciroppo di mela tiepido a p. 433), zuppe o stufati. Cottura Facile ma piuttosto lunga. Per accorciare i tempi, provate questa preparazione in due tempi: tostate il miglio in una padella per

2-3 minuti, quindi versatelo in un tegame con dell’acqua (nelle proporzioni di 1 parte di miglio in 2 parti di acqua) e lasciate sobbollire per 25-30 minuti. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo, contiene tracce di grassi salutari. È incredibilmente ricco di tiamina e ferro, dei quali assicura dal 20 al 25% dell’apporto consigliato. Significativo anche l’apporto di proteine, fibre e potassio. Dove acquistarlo È ancora piuttosto difficile da trovare nei supermercati (tranne, forse, nel reparto per animali domestici), meglio quindi cercarlo nei negozi specializzati e anche online. Orzo

Caratterizzato da un aroma di noci, è commercializzato in varie forme: decorticato, perlato, in fiocchi e farina macinata grossa. L’orzo perlato è il più diffuso e versatile, e la resistenza alle lunghe cotture lo rende l’ingrediente ideale per zuppe, pasticci e persino per un risotto integrale (vedi Orzo risottato con porcini a p. 505). Cottura Facile ma piuttosto lunga. Orzo integrale decorticato Richiede una notte in ammollo e oltre un’ora di cottura. Orzo perlato I chicchi sono stati privati della parte più esterna ma mantengono il cuore, la “perla”. La raffinazione permette di evitare l’ammollo e di ridurre la cottura di una buona mezz’ora. Se avete fretta, cercate la versione precotta, che è pronta in 10 minuti. Fiocchi/farina macinata grossa I fiocchi assomigliano ai fiocchi d’avena e, proprio come questi ultimi, possono essere usati per preparare porridge o zuppe. La farina macinata grossa è ottima anch’essa per il porridge. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo e con basso contenuto di grassi sani. Buona fonte di proteine, con discreti livelli di ferro, potassio e magnesio. Eccellente fonte di fibre: 8,7 g per 50 g. Dove acquistarlo L’orzo perlato e quello istantaneo si trovano facilmente nei supermercati. L’orzo integrale decorticato, i fiocchi e la farina macinata grossa, invece, sono reperibili nei negozi specializzati e anche online.

Quinoa

Questo pseudo-cereale proveniente dalle Ande, dov’è coltivato da generazioni, sta vivendo un periodo di grande successo, soprattutto negli Stati Uniti. Ed è un’ottima notizia per tutti noi. La quinoa, con quel gusto inconfondibile, il retrogusto di noce e l’aspetto perlaceo, è davvero la “madre dei semi”, come significa il suo nome inca. Quand’è cotta, i semi traslucidi mettono in evidenza il germe, che disegna come una mezzaluna bianca. Cottura Facile. Va lasciata sobbollire per 10-15 minuti. Benefici nutrizionali È particolarmente ricca di proteine di alta qualità, paragonabili a quelle contenute nelle carni o nelle uova. Dove acquistarla Si trova in molti supermercati. Riso integrale

Il riso integrale deve il caratteristico colore brunito e il retrogusto di noce alla crusca che è lasciata sul chicco al momento della raccolta. Si trova a chicco piccolo, medio e lungo e ciascun tipo ha il suo impiego. Il riso basmati integrale, varietà speciale a chicco lungo, ha un gusto particolarmente intenso e in cottura rilascia un aroma delizioso. Data la presenza della crusca, che contiene tracce di olio, il riso integrale va consumato entro poche settimane dall’acquisto e va conservato preferibilmente in frigorifero o in un contenitore ermetico. Cottura Facile ma piuttosto lunga. Deve sobbollire per almeno 4045 minuti. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo, contiene tracce di grassi sani, per lo più insaturi. Contiene il doppio delle fibre del riso bianco ed è ricco di vitamina E e di altri nutrienti. Dove acquistarlo La qualità e il colore del riso integrale variano a seconda della marca. Nei supermercati si trova generalmente una scelta di marche diverse, compresa quella del supermercato stesso e qualità particolari. In commercio si trova anche in versione istantanea, che però non ha lo stesso gusto della versione “originale” e tende ad avere un indice glicemico più alto.

Riso selvatico (o selvaggio)

Non si tratta di una vera e propria varietà di riso, bensì dei semi di una pianta erbacea acquatica chiamata zizzania e commercializzata con il nome di riso selvatico o selvaggio. I suoi chicchi sono fra i più ricchi di fibre e danno una farina dall’inteso retrogusto di noce. Per via di questo suo sapore così intenso – e del costo non indifferente – è spesso usato insieme ad altri cereali più delicati (vedi Pilaf di riso selvatico e quinoa a p. 503). Come i cereali, è privo di colesterolo e contiene tracce di grassi salutari. In commercio ne esistono di qualità diverse, le marche più costose in genere contengono una percentuale maggiore di semi intatti. Per questo, consiglio di usare le qualità più care per preparare solo piatti in cui anche l’occhio vuole la propria parte e di preferire quelle più economiche per zuppe o ripieni. Diffidate, infine, dal tipo precotto o istantaneo: potrà anche farvi risparmiare tempo, ma non ha un aspetto poi così invitante. Cottura Facile ma piuttosto lunga. Il riso selvatico va cotto a fuoco lento dai 40 ai 45 minuti. Benefici nutrizionali Il riso selvatico ha un contenuto proteico maggiore rispetto al riso integrale. È una buona fonte di vitamine A , C ed E , così come di zinco, folato e fosforo. Dove acquistarlo Si trova nei negozi specializzati e di alimenti integrali, ma inizia a fare capolino sugli scaffali dei supermercati. Segale

Chiamata un tempo “il grano dei poveri”, è un cereale molto resistente che può crescere ovunque. Terreni poveri, altitudini elevate, climi rigidi: nulla pare in grado di fermarla. Tanto che, duemila anni fa, la segale era considerata un’erbaccia infestante che minacciava i campi di grano. La si trova in commercio in varie forme. I chicchi somigliano a quelli del grano e hanno gli stessi utilizzi; si trovano in vendita nei negozi specializzati e anche online. La farina è povera di glutine (proteina che aiuta la lievitazione) e produce quindi pagnotte molto compatte. Di solito è usata insieme ad altre farine più proteiche come quella di frumento o con l’aggiunta di glutine in polvere. Cottura Facile ma piuttosto lunga. Deve sobbollire per 30-40

minuti. Benefici nutrizionali Contiene meno proteine del frumento. Dove acquistarla I chicchi integrali vanno cercati nei negozi specializzati e anche online, dov’è anche preferibile rivolgersi se cercate la farina più grossolana o di segale scura. La farina a macinatura media si trova invece nei supermercati. Triticale

Ibrido di frumento e segale dal retrogusto dolce, il triticale si trova principalmente nei negozi specializzati. I chicchi integrali possono essere cotti e usati come il grano in chicchi, oppure in commercio si trovano i fiocchi, adatti come cereali per la colazione o per i piatti da forno. La farina è povera di glutine e per questo, se si vuole usarla per preparazioni che necessitano di lievitazione, occorre mescolarla a farina di frumento. Cottura Facile ma piuttosto lunga. I chicchi integrali devono sobbollire per 30-40 minuti. Benefici nutrizionali Privo di colesterolo, contiene tracce di grassi salutari derivanti dall’essere integrale. Contiene più proteine del grano, ma meno glutine (caratteristica ereditata dalla segale). Dove acquistarlo In chicchi, è venduto nei negozi di alimenti naturali o biologici.

Consigli per la cottura e la conservazione dei cereali integrali Ecco un breve elenco di linee guida generali per cucinare e conservare correttamente i cereali integrali. L’ammollo, per poche ore o per una notte, riduce il tempo di cottura. La tostatura intensifica il retrogusto di noce. Aiuta anche a ridurre il tempo di cottura di alcuni cereali, fra cui orzo, farro, grano in chicchi e avena decorticata. I tempi di cottura non sono sacri e immutabili. I cereali, proprio come i legumi, possono cuocere più o meno velocemente a

seconda di quando sono stati raccolti. I cereali appena raccolti cuociono più in fretta rispetto a quelli conservati per molto tempo. La morbidezza è il miglior indicatore del grado di cottura. Conservate i cereali integrali in contenitori sottovuoto e preferibilmente in frigorifero. Seppure in tracce, gli oli che contengono possono alterarsi con rapidità, soprattutto quando fa caldo. I cereali cotti si conservano in frigorifero e vanno consumati entro tre giorni. Si possono anche surgelare. È quindi possibile prepararne in quantità e suddividerli in porzioni da conservare in freezer, pronte per essere aggiunte a zuppe, sformati o insalate.

La spesa salutare Arrivati a questo punto, è molto probabile che la rinnovata consapevolezza circa prodotti freschi, cereali integrali, grassi insaturi e pacchetti proteici salutari influisca anche sulla lista della spesa. Le novità, però, spesso portano con sé delle domande: dove posso trovare questi alimenti? Mi toccherà andare ogni giorno nei negozi specializzati? E che posto occupano i prodotti biologici nel quadro generale? Quali alimenti integrali hanno il sapore migliore? Domande cui non è difficile rispondere, ma che implicano una certa dose di preferenze personali. La scelta del biologico, per esempio, è una questione più di gusto personale che di effettivo apporto nutritivo. Non esiste prova scientifica, infatti, della presunta superiorità nutrizionale di carni, verdure o cereali biologici rispetto ai prodotti ottenuti con i metodi tradizionali. 1 La vera differenza sta in cos’altro questi prodotti contengono o non contengono, e mi riferisco per esempio ad antibiotici o pesticidi. Ecco, in questa categoria il primato spetta agli alimenti biologici poiché nella loro produzione non devono essere impiegati né pesticidi né antibiotici. Se decidete per un’alimentazione biologica, tenete bene a mente che la disponibilità dei prodotti può essere limitata. Per questo, a mio parere, una delle strategie migliori è studiare la produzione locale.

Che sia al mercato rionale o contadino o in negozio, scegliete prodotti provenienti dalla zona in cui vivete e sarete ricompensati con frutta e verdura delle più gustose, biologiche o meno. I prodotti che vengono da lontano, infatti, spesso perdono parte del proprio sapore o del proprio valore nutritivo a causa del viaggio di giorni e giorni che devono affrontare. Frutta e verdura a chilometro 0 o quasi, invece, sono raccolte al giusto grado di maturazione e per questo hanno un profilo nutrizionale e qualitativo incredibile. In altre parole, anziché cercare gli asparagi per preparare la Padellata di asparagi, tofu, funghi shiitake e anacardi saltati (vedi a p. 466) a metà luglio, quando non è periodo, provate a cercare un sostituto di stagione. I fagiolini, per esempio, sono una verdura estiva e costituiscono un ottimo sostituto degli asparagi in questa ricetta. Imparate a cucinare secondo stagione. Ad approfittare di frutta e verdura al massimo del sapore e del picco nutrizionale. Ricordate anche che biologico non è sinonimo di salutare. Gli scaffali e i banchi frigo e surgelati dei negozi traboccano di alimenti organici ricchi di zuccheri, carboidrati raffinati e grassi non salutari: mangiare pancetta da allevamento biologico aumenterà comunque il rischio di diabete e cardiopatie. Per quanto riguarda i cereali integrali, oggi trovarli è molto più semplice rispetto al passato, anche perché, insieme ai prodotti con cui sono preparati, fanno ormai parte integrante dell’offerta dei supermercati. Si trovano nel corridoio dedicato ai prodotti biologici e naturali o insieme a pasta, riso, cereali non integrali e farine. Il sempre più diffuso interesse per gli alimenti integrali ha spinto mercati e supermercati ad aumentarne l’offerta, tanto che ormai sono l’alternativa più diffusa in molte città. E non dimentichiamoci di quello straordinario strumento che è internet! Molti grossi produttori hanno siti web completi ed esaustivi e un servizio di ordini online molto efficiente. Spesso questi siti offrono anche la possibilità di eseguire una ricerca dei rivenditori del tal prodotto più vicini a noi. Esistono tante piccole aziende che producono o importano alimenti a base di cereali integrali, ma spesso lavorano solo a livello

locale. Cercateli nei negozi anche etnici della vostra zona. Il gusto è personale, è quindi probabile che dovrete fare più di una prova – con relativi passi falsi – per scovare gli alimenti capaci di soddisfare il vostro palato.

Leggere le etichette La legislazione americana obbliga i produttori a indicare in etichetta i valori nutrizionali medi degli alimenti, oltre agli ingredienti. Informazioni preziose, se si sa come usarle. Ecco una sintesi dei dati essenziali da prendere in considerazione. ENCOMIO DELLA QUALITÀ Mangiare sano non è mai stato sinonimo di scarsa soddisfazione del palato. Vi svelo un trucco che gli chef conoscono da sempre: una piccola quantità di un ingrediente di qualità può migliorare il sapore di qualsiasi piatto in un modo che nemmeno immaginate. Un buon aceto balsamico, per esempio, rende più decisa qualsiasi

vinaigrette.

Una

manciata

di

Parmigiano

appena

grattugiato

ha

quell’innegabile tocco in più rispetto al formaggio in busta. E, ancora, olio extravergine di oliva, di arachidi o di sesamo: pochi cucchiai bastano ad aggiungere a qualsiasi ricetta quella nota finale che fa fare lo scatto da normale a eccezionale.

Tabella dei valori nutrizionali medi

Comprende il dettaglio dei valori nutrizionali di una porzione dell’alimento a partire dalle calorie e dai nutrienti principali contenuti, che sono poi raffrontati con i relativi apporti quotidiani consigliati. Nel 2016 la FDA ha aggiornato l’etichetta alimentare standard per aiutare i consumatori a compiere scelte alimentari più informate. Porzioni Tenete sempre bene a mente la quantità indicata, perché tutte le altre informazioni non avranno nessun significato se non saprete considerare la porzione in prospettiva. Purtroppo, molto spesso la porzione indicata è inferiore alla quantità mangiata dalla maggior parte di noi. Per esempio, nel caso dei cereali per la colazione, potrebbero essere indicati calorie e grassi

per una porzione in grammi pari anche alla metà di quella generalmente consumata da un adulto, oppure comprendere anche alimenti “di contorno” come latte, un frutto e così via. Oppure, leggendo l’etichetta di una pasta al forno surgelata, potremmo scoprire che quella che, a prima vista, sembrava una porzione corrisponde invece a due o più porzioni. Calorie Le calorie sono importanti. La qualità di queste calorie, tuttavia, può risultare più importante della quantità. Se, per esempio, le calorie provengono principalmente da grassi salutari e cereali integrali, allora una quantità superiore non rappresenta un problema, soprattutto se non state cercando di dimagrire. Se, invece, le calorie provengono principalmente da zuccheri aggiunti e grassi insaturi, allora è meglio passare ad altri alimenti. Grassi totali Nell’elenco sono indicati i grammi totali di grassi per porzione. Anche in questo caso la quantità non è importante tanto quanto il tipo di grasso. Controllate il dettaglio che segue per sapere quanti sono i grassi saturi e quanti quelli mono o polinsaturi. In questa sezione dell’etichetta si trovano informazioni anche sul contenuto di grassi trans, i grassi dannosi che si formano quando gli oli liquidi sono trasformati in grassi solidi. Colesterolo Ecco un numero di cui non dovreste preoccuparvi, non se intendete seguire una dieta a base di cereali integrali, frutta e verdura, tutti alimenti privi di colesterolo. Tenete comunque a mente che l’American Heart Association raccomanda un apporto giornaliero di colesterolo pari a 300 mg. Sodio La sezione di riferimento per chi deve diminuire l’apporto di sale o sodio. Le linee guida generali raccomandano una quantità di 1200-1300 mg di sodio al giorno, con un limite massimo di 2300 mg (che corrispondono all’incirca a un cucchiaino di sale, ovvero 6 g). Carboidrati totali Meglio preferire i cereali integrali anziché trascorrere la vita a fare calcoli. I dettagli di zuccheri e fibre contenuti aiuta a individuare il tipo di carboidrati presenti nell’alimento. La versione 2016 dell’etichetta obbliga i produttori

a indicare anche la quantità di zuccheri aggiunti, i quali apportano calorie ma nessun nutriente o quasi. Proteine La maggior parte degli americani assume più proteine del proprio fabbisogno, e questo vale anche per i vegetariani. Non soffermatevi troppo su questo numero. Dosi giornaliere La vecchia versione dell’etichetta riporta le vitamine A e C , calcio e ferro. La versione aggiornata comprende invece vitamina D , calcio, ferro e potassio. Ricordate che sono valori validi per un fabbisogno giornaliero di 2000 calorie, questo significa che le vostre necessità potrebbero variare se assumete meno calorie oppure se avete un fabbisogno energetico superiore. Lista degli ingredienti

Qui è indicato nel dettaglio ogni singolo ingrediente contenuto in un prodotto. La quantità non è precisata, ma sappiamo che l’ordine è decrescente in base al peso. Il primo della lista è, quindi, l’ingrediente principale o, comunque, quello presente in quantità maggiore. Prendiamo, per esempio, l’etichetta di un succo di frutta. I primi ingredienti indicati potrebbero essere acqua e sciroppo di glucosio. Scorrendo la lista, al sesto o magari al settimo posto potremmo trovare un altro succo di frutta, solitamente di mela o d’uva. Sappiamo così che la bevanda che abbiamo in mano è composta soprattutto di acqua e zucchero con una piccola quantità di succo di frutta. Nel caso di un succo d’arancia, invece, il primo ingrediente indicato sarebbe proprio il succo d’arancia, fresco o da concentrato. La lista degli ingredienti fornisce indicazioni anche circa l’impiego di oli/grassi idrogenati e parzialmente idrogenati, una dritta circa il contenuto di grassi trans.

La salute in cucina Alcuni consigli per l’acquisto di prodotti salutari che non dovrebbero mai mancare nella vostra cucina. Frutta e verdura

Scegliete frutta e verdura provenienti da coltivazioni locali ogniqualvolta sia possibile. Puntate a una varietà di colori, dal rosso dei peperoni al verde di cavoli e spinaci al viola delle prugne. Più la scelta è ampia e meglio è: nessun alimento contiene tutti i nutrienti necessari alla salute. Cereali

Finite pure tutto il riso bianco che vi è rimasto in dispensa, poi sostituitelo con cereali integrali come orzo, bulgur, miglio, quinoa o altri. Se il negozio sotto casa ne vende di sfusi, comprate piccole quantità di cereali che non conoscete, scoprirete così nuovi prodotti gustosi e spesso facili da preparare. Ricordate che i cereali integrali, soprattutto se macinati, possono diventare rancidi con estrema rapidità se conservati troppo a lungo a temperatura ambiente. Riporli in frigorifero o nel congelatore è un’ottima soluzione per prolungarne la durata. Grassi e oli

Fate scorta di olio di oliva e di un altro fra i seguenti oli: girasole, mais, soia, arachidi e canola. Usateli per soffriggere le verdure, per saltare in padella pesce o pollo e come base per condimenti. A tavola, inzuppate il pane direttamente in un po’ di olio di oliva, oppure distribuite qualche goccia su una fetta al posto di burro o di margarina. Proteine

Le fonti migliori di proteine sono fagioli, frutta con guscio, tofu e altri alimenti a base di soia, pesce, pollo o tacchino. Accompagnatele con grandi quantità di frutta e verdura, cereali integrali e grassi salutari. Altri alimenti essenziali

Mi raccomando di fare scorta di altri elementi essenziali come olio

extravergine di oliva, aceto balsamico, erbe aromatiche fresche ed essiccate, e una varietà di frutti con guscio. Insieme a tutti gli altri elementi di questa breve lista, avrete gli ingredienti per qualsiasi ricetta o quasi.

Menu settimanale Siamo giunti al momento di capire come si compongono i pasti preparati in accordo con i consigli dell’Healthy Eating Pyramid e dell’Healthy Eating Plate. Per questo ho messo a punto un esempio di menu settimanale, un piano alimentare dal lunedì alla domenica che vuole essere solo una linea guida, un modo per spiegare come mettere in pratica i principi che abbiamo esaminato nei capitoli precedenti. Ogni menu giornaliero è pensato in base a un fabbisogno energetico medio di 2000 calorie, indicazione di riferimento tanto per i sanitari quanto per l’industria alimentare. Proprio perché si tratta di un fabbisogno medio, va da sé che non tutti abbiamo bisogno di esattamente 2000 calorie al giorno. Le variabili in campo sono età, costituzione, attività fisica svolta e l’efficienza con cui il nostro metabolismo brucia le calorie. Resta comunque un’ottima indicazione di riferimento da cui partire. Sono sicuro che vorrete apportare tutti i piccoli adeguamenti basati sui vostri reali bisogni, per questo alla fine di ogni menu giornaliero ho aggiunto brevi indicazioni per convertirlo in piano da 1600 calorie, più realistico se il vostro intento è dimagrire o se siete minuti e un po’ meno attivi. Come vedrete, gli alcolici non sono stati presi in considerazione. Se a cena siete soliti bere un bicchiere di vino o una birra, quindi, dovrete calcolare un apporto aggiuntivo di 100-200 calorie. Il mio consiglio, tuttavia, è di non tormentarvi con le calorie e di concentrarvi invece sulla vostra situazione attuale: riuscite a mantenere un peso salutare? Se è così, vi alimentate nelle giuste quantità e i menu giornalieri che propongo vi forniranno un valido aiuto nella scelta dei cibi più salutari, mentre per le porzioni dovrete solo affidarvi all’istinto che vi ha guidato finora. Se, invece, avete

qualche chilo in più di cui sbarazzarvi, affidatevi alle variazioni da 1600 calorie oppure continuate con la dieta attuale apportando però tutte le riduzioni del caso. Piccoli aggiustamenti alla dieta e un po’ più di attività fisica e vi assicuro che inizierete a perdere peso quasi senza accorgervene. I menu che vi propongo comprendono molteplici scelte: un pranzo strizza l’occhio al cibo da fast food (panino con pollo alla piastra) e mostra com’è possibile integrarlo in una giornata tipo. Una cena del fine settimana ricrea una perfetta atmosfera messicana con ricette prese interamente dalla sezione dedicata in questo testo. Ho previsto anche un giorno con sei piccoli pasti, un modo di mangiare altrettanto sano dei tipici colazione-pranzo-cena e che, anzi, potrebbe aiutare alcuni a tenere sotto controllo l’appetito e il livello di zuccheri nel sangue. Tutto considerato, con l’aiuto di questi menu e delle ricette dell’ultimo capitolo, scoprirete che mangiare in modo sano è un concetto semplice, tanto che è possibile metterlo in pratica dal lunedì alla domenica con pochissimo sforzo. I nomi dei piatti in corsivo corrispondono a una ricetta citata nell’ultimo capitolo. Quelli contraddistinti da un asterisco (*) sono cibi salvatempo. DOMENICA Colazione

115 ml circa di succo d’arancia appena spremuto Pancake multicereale con sciroppo di mela tiepido Caffè caldo Pranzo

Petto di pollo alla griglia con erbe aromatiche ¼ di melone ½ tazza di fragole a pezzi Cena

Polpettone misto con i funghi Misto di verdure invernali al forno 2 tazze di insalata verde mista con 1 cucchiaino e ½ di olio extravergine di oliva Pera affogata alle spezie Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: limitatevi a una porzione di pancake (2 pancake con 3 cucchiai di sciroppo) a colazione = - 259 calorie. Usate solo 1 cucchiaino di olio di oliva a cena = -126 calorie. LUNEDÌ Colazione

1 tazza di fiocchi di crusca, 2 tazze di latte scremato o di soia, 1 tazza di fettine di banana 1 fetta di pane integrale tostata 1 cucchiaio di confettura di albicocche Pranzo

Mafé vegetariano Pane con chicchi di grano e avena decorticata 1 arancia Cena

Trancio di salmone alla griglia con salsa di papaia e menta Fagiolini Couscous integrale al vapore Panino di segale fresco Spuntino Crumble facile di pesca, ananas e albicocche Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: eliminate la fetta di pane tostato con la confettura = -166 calorie. Eliminate il panino di segale a cena = -65 calorie. Eliminate il crumble di frutta come spuntino = -212 calorie, e sostituitelo con una pesca matura = +60 calorie. MARTEDÌ Colazione

Spuntini al volo Esplosione di energia al mango* 2 fette di pane alla banana e albicocche con noci Fast food Panino con pollo alla piastra (meglio se con pane integrale) Insalata verde mista Vinaigrette per l’insalata 1 grossa mela Cena

Padellata di pollo e verdure Pilaf di riso selvatico e quinoa Asparagi al vapore Salsa di mele alla cannella Spuntino

3 cracker integrali 1 cucchiaio e ½ di burro di arachidi al naturale Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: eliminate il pane a pranzo = -135 calorie. Eliminate lo spuntino = -249 calorie. Se a sera siete ancora affamati, mangiate verdura cruda (carote, sedano, pomodori ciliegino).

MERCOLEDÌ Colazione

Focaccine integrali all’inglese con uova fritte 1 pompelmo rosso Frullato banana e mirtilli* Pranzo

Panino con tofu in crosta di cipolle 1 tazza di concia di sette verdure* Kiwi a fette con mirtilli freschi Cena

Zuppa di zucca invernale al curry* 1 grossa fetta di pane contadino al grano spezzato Insalata di spinaci e funghi con vinaigrette Spuntino ½ tazza di mix di frutta secca speziata* Aperitivo all’arancia Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: a colazione usate 1 solo cucchiaino di olio per le uova (tostate le focaccine o scaldatele sulla piastra) = -84 calorie. Riducete la porzione del frullato alla metà = -92 calorie. A cena mangiate una fetta piccola di pane = -65 calorie. Eliminate lo spuntino serale = -182 calorie. GIOVEDÌ Colazione

2 fette di pane in cassetta integrale tostate Burro di arachidi al naturale Confettura di fragole

Succo di mela e mirtilli rossi Pranzo

Chili di pollo con peperoncini chipotle Tortilla di patate Macedonia con succo 1 biscotto (grande) all’avena e uvetta Cena

Cena da ristorante Crostini con olio di oliva Branzino al forno Pilaf di riso selvatico Broccoli al vapore Sorbetto alla frutta con cantucci Espresso Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: eliminate il succo di mela e mirtilli rossi a colazione = -128 calorie. Eliminate il biscotto a pranzo = -74 calorie. Eliminate i cantucci a cena = -180 calorie. VENERDÌ (6 PICCOLI PASTI) 1. Mattino presto

Porridge croccante con le mele 170 ml circa di succo di ananas freddo Caffè o tè 2. Metà mattina

Muffin alle carote e germe di grano Uova sode con sale e pepe appena macinati

12 acini di uva nera 3. Mezzogiorno

Insalata di pollo estiva* 1 grossa banana 4. Metà pomeriggio

Spaghetti speziati in insalata con gamberetti e arachidi Bastoncini di sedano Acqua frizzante con lime 5. Sera

Cernia origano e limone con verdure Lattuga romana con vinaigrette leggera all’aceto balsamico Sorbetto al succo d’arancia 6. Metà serata

Frullato banana e mirtilli* 6 piccoli anacardi tostati e salati Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: a colazione sostituite il succo di ananas con 115 ml circa di succo d’arancia = -49 calorie. Eliminate il muffin alle carote e germe di grano di metà mattina e mangiatelo come spuntino della tarda serata = nessun cambiamento. Scegliete 1 banana piccola a pranzo = -59 calorie. Eliminate il sorbetto a cena = -68 calorie. Eliminate lo smoothie e gli anacardi a metà serata e mangiate il muffin alle carote e germe di grano = -254 calorie. SABATO Colazione

1 tazza di succo di pompelmo bianco appena spremuto 2 uova strapazzate con 2 cucchiaini di olio 2 fette di pane in cassetta integrale tostate Confettura di ananas Caffè o tè Pranzo

Insalata di pollo estiva* Pane con chicchi di grano e avena decorticata Tè freddo con limone Cena

Festa messicana Salsa rustica di avocado e gamberi* 2 porzioni di crema ai pomodori secchi con patatine di mais al forno* Chili di pollo con peperoncini chipotle 350 ml circa di birra messicana Spuntino per il film di mezzanotte 2 tazze di pop-corn preparati con olio Mix di frutta secca speziata* Riduzioni e varianti

Per 1600 calorie: usate 1 solo cucchiaino di olio per cuocere le uova della colazione =-40 calorie. A pranzo mangiate solo mezza fetta di pane = -75 calorie. Eliminate la birra a cena = -140 calorie. A cena scegliete un solo antipasto: o la salsa o la crema con le patatine di mais = -90 calorie. Preparate i pop-corn senza olio (potete lasciare il mix di frutta secca) = -50 calorie. IL MENU DELLE GIORNATE PIENE Coniugare il mangiare sano con un’intensa vita lavorativa e i mille impegni familiari non è sempre facile. Io nelle giornate piene mi organizzo come descrivo qui sotto: un programma alimentare cui è possibile apportare infinite variazioni.

Appena mi alzo metto subito a bollire dell’acqua e ci verso dentro dei fiocchi d’avena o un misto di cereali integrali (già acquistato oppure preparato da me sul momento con riso integrale, grano e così via). Mentre cuoce faccio un po’ di ginnastica. Verso fine cottura aggiungo frutta secca o fresca di stagione, frutta con guscio e un po’ di yogurt. Del succo d’arancia diluito con acqua gassata a colazione fornisce la giusta idratazione con un basso apporto calorico. Con una colazione come questa non mi torna fame prima dell’ora di pranzo, quindi non mi viene mai in mente di fare uno spuntino. Se al mattino ho degli impegni molto presto, preparo la sera prima. Con gli avanzi posso preparare un pranzo in cinque minuti. Basta versare i cereali avanzati in un contenitore di vetro o di plastica e aggiungere qualsiasi cosa di buono mi salti in mente: insalata, pollo o pesce avanzati, un mix di frutta e così via. Il più delle volte aggiungo anche uno o due tipi di frutta con guscio. Un paio di generose spruzzate di olio di oliva e aceto o di un condimento qualsiasi rendono deliziosa qualsiasi combinazione. La mia preferita posso farla quando pesche, mirtilli e uva del nostro giardino sono maturi: una manciata di mandorle tostate e un po’ di olio di oliva... Vi assicuro che non c’è niente di più buono. Chiudete con il coperchio e mettete in borsa con una mela, forchetta e tovagliolo. È molto più rapido di qualsiasi fila, in mensa o altrove. Io metto tutto nello zaino, salto sulla bicicletta e in quindici minuti sono nel mio ufficio a Harvard. Se dovessi prendere l’automobile e trovare anche parcheggio impiegherei molto più tempo. Alla sera, se sono fortunato, mia moglie Gail ha cucinato uno dei piatti proposti in questo libro o un’altra delle sue creazioni, ingegnose e salutari. Altrimenti mi fermo al mercato del pesce e l’idea per la cena è servita. Poi basta grigliare o cuocere a fuoco vivo con del limone, preparare un’insalata e, magari, qualche fetta di pane con un po’ di olio di oliva e in quindici minuti gustiamo un pasto fresco, gustoso e salutare.

Ricette

Antipasti e bevande

FUNGHI PORTOBELLO AL FORNO CON RIPIENO DI GRANO SARACENO E NOCCIOLE Maria Speck, premiata autrice di Simply Ancient Grains (Ten Speed Press, 2015) e Ancient Grains for Modern Meals (Ten Speed Press, 2011) INGREDIENTI

4 grossi funghi Portobello di almeno 12 cm di diametro (450 g circa), già puliti ¾ di tazza di kaša (grano saraceno tostato, privo della crusca) ⅓ di tazza di nocciole tritate grossolanamente 2 spicchi di aglio schiacciati o tritati 1 cucchiaio di timo fresco o essiccato, più 4 rametti per guarnire ½ cucchiaino di peperoncino di Aleppo o ¼ di cucchiaino di fiocchi di peperoncino schiacciati (facoltativo) ½ tazza circa di Parmigiano grattugiato aceto balsamico 3 cucchiai di olio evo ¾ di cucchiaino di sale fino ½ cucchiaino di pepe nero appena macinato, di più se necessario PREPARAZIONE

Accendete il grill del forno alla temperatura massima e sistemate la griglia a una distanza di circa 15 cm. Ungete una teglia con olio o con staccante spray. Private i funghi dei gambi, tagliando il più vicino possibile alla cappella. I gambi teneteli da parte, potete usarli per fare una zuppa o aggiungerli a una padellata di verdure. Sfregate per bene le cappelle,

sopra e sotto, con 2 cucchiai di olio, quindi condite con sale e pepe nero. Sistemate le cappelle nella teglia con le lamelle rivolte verso l’alto e cuocete per 5 minuti, 7 per i funghi più carnosi. Nel frattempo, prendete una ciotola media e versateci kaša, nocciole, aglio, timo, peperoncino e un pizzico di sale. Irrorate con il restante olio e mescolate bene con una forchetta. Togliete la teglia dal forno e farcite ogni cappella con ¼ del ripieno, quindi schiacciate leggermente con il dorso di un cucchiaio. Cospargete con il parmigiano. Rimettete la teglia in forno. Fate proseguire la cottura sotto il grill fino a quando i funghi non saranno morbidi e il formaggio non avrà formato una crosticina (dai 3 ai 5 minuti). Controllate con attenzione: basta una manciata di secondi perché il formaggio bruci... Parlo per esperienza! Sfornate, guarnite ogni fungo con un rametto di timo, irrorate con l’aceto balsamico e ultimate con una grattugiata di pepe. Servite subito. N. B. Scegliete funghi molto grandi, in modo da avere abbastanza spazio per il ripieno. Resa: 4 porzioni per un pasto leggero o 8 come antipasto. Calorie: 349; proteine: 13 g; carboidrati: 15 g; fibre: 2 g; sodio: 808 mg; grassi: 27 g (sat: 7 g, mono: 17 g, poli: 3 g, trans: 0 g); colesterolo: 22 mg.

SALSA RUSTICA DI AVOCADO E GAMBERI (SALVATEMPO) La consistenza burrosa dell’avocado si sposa alla perfezione con i gamberetti e dà vita a una salsa tipo guacamole. Per accorciare i tempi di preparazione, acquistate gamberi già pronti. Se riuscite a trovare solo gamberi grandi, tagliateli a metà o in tre parti. Provate questa salsa con le patatine di mais al forno (vedi a p. 420) oppure per farcire una tortilla con lattuga romana. INGREDIENTI PER 12 PORZIONI

20 gamberi medi (250 g circa) 2 avocado piccoli già puliti e tritati grossolanamente 2 pomodori maturi, privati di semi e tagliati a pezzettini (1 tazza circa) 2 cucchiai di cipolla rossa tritata 1 cucchiaio di succo di lime appena spremuto 32 tortilla chips sale grosso PREPARAZIONE

Mettete gamberi, avocado, pomodori, cipolla e succo di lime in una ciotola media, condite con il sale e mescolate, quindi lasciate riposare per 5-10 minuti. Servite a temperatura ambiente con le tortillas chips. Resa: 3 tazze (12 porzioni); 1 porzione: ¼ di tazza e 4 tortillas a persona. Calorie: 86; proteine: 6,5 g; carboidrati: 9,7 g; fibre: 1,6 g; sodio: 100 mg; grassi 3 g (sat: 0,38 g, mono: 1,47 g, poli: 0,33 g, trans: 0 g); colesterolo: 46 mg.

CREMA AI POMODORI SECCHI CON PATATINE DI MAIS AL FORNO (SALVATEMPO) I pomodori secchi non sott’olio al supermercato si trovano vicino alla verdura fresca oppure accanto a sughi e passate di pomodoro. Se riuscite a trovare solo pomodori secchi sott’olio usateli pure, ma riducete la quantità di olio nella crema. INGREDIENTI PER LE PATATINE DI MAIS

6 tortillas (circa 15 cm di diametro) 1 cucchiaio di olio di oliva, più q.b. per ungere la teglia ¼ di cucchiaino di sale grosso INGREDIENTI PER LA CREMA

1 barattolo (400 g circa) di fagioli cannellini o di altra varietà di fagioli bianchi 1 o 2 spicchi di aglio tritati 2 cucchiai di succo di lime fresco 3 cucchiai di pomodori secchi tritati grossolanamente 1 cucchiaio di olio di oliva sale grosso PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 200 °C e ungete appena una teglia antiaderente da cucina con olio o con staccante spray. Per preparare le patatine di mais, spennellate ogni tortilla con ½ cucchiaino di olio e mettetele una sopra l’altra. Tagliatele quindi a metà e poi ancora in quarti, in modo da ottenere 24 triangoli. Sistemate i triangoli nella teglia, cospargete con il sale e cuocete in forno per 8-12 minuti, o comunque fino a quando non saranno croccanti. Per preparare la crema, scolate i cannellini ma tenete da parte ¼ di tazza del liquido di governo. Versate i fagioli in un mixer con olio, aglio, succo di lime e pomodori secchi. Frullate grossolanamente, poi aggiungete il liquido di governo dei cannellini e proseguite fino a ottenere una crema liscia. Se questa dovesse risultare troppo densa, aggiungete acqua fino a ottenere la consistenza desiderata. Versate in una ciotola e servite con le patatine di mais. N.B. L’ideale sarebbe preparare la crema la sera prima e conservarla in frigorifero. Il riposo esalterà il sapore. Resa: 1 tazza e ½ di crema, 24 patatine di mais; 1 porzione: 1 cucchiaio di crema e 1 patatina di mais. Calorie: 45; proteine: 1,3 g; carboidrati: 6,5 g; fibre: 1,2 g; sodio: 75 mg; grassi: 1,7 g (sat: 0,13 g, mono: 0,88 g, poli: 0,58 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MIX DI FRUTTA SECCA SPEZIATA (SALVATEMPO) Comprate soia e semi di girasole già tostati per risparmiare un po’ di

tempo. Il mais secco aggiunge un tocco di dolcezza e croccantezza. Cercatelo nei negozi di alimenti naturali, dove troverete una vasta scelta di frutta e verdura essiccata non zuccherata. INGREDIENTI PER LA FRUTTA SECCA SPEZIATA

½ tazza di anacardi ½ tazza di mandorle con la pelle 1 cucchiaino di peperoncino ½ cucchiaino di origano ½ cucchiaino di paprika ¼ di cucchiaino di cipolla in polvere 1 cucchiaino e ½ di olio evo ½ cucchiaino di sale grosso ¼ di cucchiaino di pepe nero macinato al momento ALTRI INGREDIENTI

1 tazza di semi di soia tostati e salati ¼ di tazza di semi di girasole tostati e salati 1 tazza di albicocche essiccate non zuccherate e tagliate grossolanamente 1 tazza di fette di mela essiccata non zuccherate e tagliate a pezzetti ½ tazza di mais essiccato PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 190 °C. Per preparare la frutta secca speziata, mettete tutti gli ingredienti in una ciotola capiente e mescolate bene. Trasferite il composto in una teglia antiaderente e cuocete per 7-10 minuti, o fin quando la frutta secca non sarà tostata, avendo cura di mescolare verso metà cottura. Sfornate, lasciate raffreddare e versate in una ciotola, aggiungendo gli altri ingredienti. Mescolate bene e riponete in un contenitore ermetico da conservare a temperatura ambiente fino al momento di servire.

Resa: 4-5 tazze; 1 porzione: ¼ di tazza. Calorie: 117; proteine: 4 g; carboidrati: 15 g; fibre: 1,7 g; sodio: 122 mg; grassi: 5,4 g (sat: 0,7 g, mono: 1,33 g, poli: 0,52 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

FRULLATO DI BANANA E MIRTILLI (SALVATEMPO) Nei frullati di frutta non esistono limiti alla fantasia. Ma i mirtilli (con la loro dolcezza naturale) e la banana (eccezionale addensante in queste preparazioni) sono un’accoppiata davvero deliziosa. Potete anche sostituire i mirtilli con lamponi, more o fragole. INGREDIENTI

2 tazze di mirtilli surgelati non zuccherati (circa 230 g) 1 grossa banana, sbucciata e tagliata in 4 parti 1 tazza di latte di soia alla vaniglia ½ tazza di succo di mela ½ tazza di tofu setoso light PREPARAZIONE

Versate tutti gli ingredienti in un frullatore o in un mixer e azionate fino a ottenere una consistenza cremosa. Versate in bicchieri ben freddi e servite subito. N.B. Se ne avanzate, potete conservare in frigorifero per massimo 24 ore. Assicuratevi di usare il tofu setoso, le altre varietà sono troppo compatte per questo tipo di preparazione. Resa: 2 tazze e ½ (3 porzioni); 1 porzione: ¾ di tazza. Calorie: 185; proteine: 5,9 g; carboidrati: 38 g; fibre: 6,4 g; sodio: 2 mg; grassi: 1,8 g (sat: 0,07 g, mono: 0,09 g, poli: 0,43 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg. Nota: questa delizia rinfrescante contiene più fibre della maggior parte dei cereali per la colazione e piccole quantità di altri nutrienti, fra cui vitamina E , calcio e fosforo.

FRAPPÈ DI FRAGOLE E MANDORLE (SALVATEMPO) Se per voi lo smoothie è troppo denso, eccovi servita una bevanda più schiumosa e leggera. Provatela con frutti sempre diversi e aggiungete crusca e germe di grano per aumentare l’apporto di fibre. INGREDIENTI

1 tazza di fragole surgelate non zuccherate 1 tazza di latte di soia 2 cucchiai di mandorle in scaglie 1 cucchiaio di semi di lino pestati ¼ di cucchiaino di scorza di arancia grattugiata finemente 3 cubetti di ghiaccio 1 spruzzata di estratto di mandorla 2 fragole fresche (facoltativo) PREPARAZIONE

Versate tutti gli ingredienti, tranne le fragole fresche, in un frullatore e azionate, fino a ottenere una consistenza cremosa. Versate in due bicchieri e decoratene ciascuno con una fragola fresca. Resa: 2 porzioni; 1 porzione: ¾ di tazza circa. Calorie: 131; proteine: 5,9 g; carboidrati: 13,3 g; fibre: 3,3 g; sodio: 41 mg: grassi: 6,8 g (sat: 0,3 g, mono: 2,4 g, poli: 1,3 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

ESPLOSIONE DI ENERGIA AL MANGO (SALVATEMPO) La caffeina contenuta nel tè e l’energia naturale del succo di carota abbinate a tre varietà di frutta sono la carica nutritiva di cui abbiamo bisogno per iniziare la giornata con il piede giusto. Preparate questa bevanda la sera prima e al mattino gustatela fresca. Congelate banana e mango in modo da averli sempre pronti tutte le volte che sentite il bisogno di una sferzata di

energia. Il succo di carota puro si trova in vendita nei negozi di alimenti naturali. INGREDIENTI

1 bustina di tè verde kiwi e pera o di Earl Grey 1 mango sbucciato e tagliato a pezzi (1 tazza circa) 1 grossa banana sbucciata e tagliata a fette 1 tazza di nettare di albicocche freddo ½ tazza di succo di carota freddo 1 pizzico di noce moscata appena grattugiata PREPARAZIONE

Mettete la bustina di tè in infusione in ½ tazza d’acqua bollente per 3 minuti o per il tempo riportato sulla confezione. Togliete la bustina e riponete il tè in frigorifero fino a quando non si sarà ben raffreddato. Versate tè, mango e banana in un frullatore o in un mixer e azionate fino a ottenere una consistenza omogenea. Aggiungete gli altri ingredienti e frullate ancora. Versate la bevanda in bicchieri freddi e servite subito. N.B. Gli avanzi si conservano in frigorifero per 24 ore. Potete anche aggiungere ¼ di tazza di germe di grano tostato per aumentare l’apporto di fibre. Resa: 4 tazze; 1 porzione: 1 tazza. Calorie: 98; proteine: 0,7 g; carboidrati: 25,2 g; fibre: 2 g; sodio: 27 mg; grassi: 0,2 g (sat: 0,06 g, mono: 0,06 g, poli: 0,05 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

Pane e cereali

PORRIDGE CROCCANTE CON LE MELE Scegliete mele rosse e dolci piuttosto che aspre come le mele verdi tipo Granny Smith. Per risparmiare tempo al mattino, potete cuocere il farro o il grano in chicchi la sera prima. Farro e grano in chicchi sono cugini e quindi intercambiabili nelle ricette. Potete trovare entrambi nei negozi di alimenti naturali, o anche online. INGREDIENTI

3 tazze e ½ di acqua ½ tazza di farro o di grano morbido in chicchi 1 tazza e ½ di fiocchi di avena 2 grosse mele rosse, tagliate a metà e private del torsolo 1 cucchiaino di cannella in polvere ½ cucchiaino di estratto di vaniglia puro 2 cucchiai di succo di mela concentrato congelato non zuccherato 4 cucchiai di noci tostate e tritate zucchero di canna (facoltativo) ½ cucchiaino di sale grosso, più altro al bisogno PREPARAZIONE

Portate a bollore l’acqua, salatela e fate cuocere il farro per 12-15 minuti o comunque fino a quando non sarà morbido. Fate riprendere il bollore e aggiungete l’avena. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere a fuoco medio, continuando a mescolare per evitare la formazione di grumi, per circa 6-8 minuti, fino a ottenere un composto denso e cremoso. Grattugiate le mele con la scorza direttamente nella pentola. Aggiungete la cannella, l’estratto di vaniglia e il succo di mela e

mescolate bene. Assaggiate e, se necessario, aggiustate di sale. Suddividete il porridge in quattro ciotole e cospargete ciascuna con un cucchiaio di noci e, se lo desiderate, un pizzico di zucchero di canna. Servite subito. N.B. Scegliete fiocchi di avena più grossolani se preferite un gusto più intenso e un porridge più denso e cremoso, ma attenzione ai tempi di cottura, che si allungano di circa 40 minuti. Un pizzico di zucchero di canna è il tocco finale ideale per questo tipo di piatto. Resa: 4 tazze e ½ (6 porzioni); 1 porzione: ¾ di tazza. Calorie: 260; proteine: 8,63 g; carboidrati: 45 g; fibre: 6,3 g; sodio: 160 mg; grassi: 6,1 g (sat: 0,76 g, mono: 1,56 g, poli: 2,95 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MUFFIN ALLE CAROTE E GERME DI GRANO Un muffin umido, morbido e leggermente dolce reso ancora più gustoso dalle carote appena grattugiate, dall’uva passa e dalle noci tritate. Resiste bene alla congelazione. Una volta tolto dal freezer, mettetelo subito a scaldare nel forno tradizionale o in microonde. INGREDIENTI

2 tazze di farina di frumento integrale 1 tazza di germe di grano tostato 1 cucchiaio di lievito per dolci 2 uova grandi 1 tazza di succo di mela non zuccherato ½ tazza di succo di mela concentrato non zuccherato ⅓ di tazza di salsa di mele non zuccherata 1 tazza di carote grattugiate (circa 2 di medie dimensioni) ⅓ di tazza di noci tritate ½ tazza di uva passa sottovuoto 2 cucchiai di olio vegetale staccante spray o olio di oliva ½ cucchiaino di sale grosso

PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 190 °C e cospargete uno stampo per muffin da 12 con staccante spray o olio di oliva. Versate farina, germe di grano, lievito e sale in una ciotola e mescolate bene. In un’altra ciotola mescolate insieme le uova, l’olio vegetale, il succo di mela fresco e concentrato e la salsa di mele e sbattete bene con le fruste a velocità media. Unite gli ingredienti secchi e amalgamate a mano. Aggiungete anche le carote, le noci e l’uva passa. Aiutandovi con un cucchiaio, suddividete il composto negli stampini, facendo attenzione a riempirli per circa due terzi. Infornate per 25-30 minuti. Inserite uno stuzzicadenti nel centro del muffin: se resta asciutto, i muffin sono pronti. Sfornate e lasciate raffreddare per 10 minuti, meglio se su una griglia, quindi togliete i muffin dagli stampini e lasciateli raffreddare completamente. Resa: 12 muffin; 1 porzione: 1 muffin. Calorie: 216; proteine: 7,4 g; carboidrati: 34 g; fibre: 4,5 g; sodio: 156 mg; grassi: 6,7 g (sat: 0,88 g, mono: 2,34 g, poli: 2,91 g, trans: 0,01 g); colesterolo: 35 mg.

MUFFIN ALLE CAROTE E MELE CON ZENZERO E NOCI Didi Emmons, chef personale e di catering, autrice di Wild Flavors (Chelsea Green Publishing, 2011) Muffin nutrienti e così gustosi da non richiedere molto zucchero. Uno tira l’altro, siete avvisati! INGREDIENTI

⅓ di tazza di zucchero 1 cucchiaio e ½ di zenzero fresco grattugiato 2 uova grandi ¼ di tazza di acqua 1 tazza e ½ di farina 00 o integrale

2 cucchiaini di lievito per dolci 1 cucchiaino di pimento macinato 2 tazze e ½ di carote grattugiate fresche (circa 5 o 6 medie) 1 tazza di mela grattugiata (non sbucciata, circa 1 media) ½ tazza di uva passa ½ tazza di cocco grattugiato essiccato non zuccherato ½ tazza di noci o noci pecan tostate e tritate staccante spray o olio di oliva ½ tazza di olio di oliva PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 180 °C e ungete uno stampo per 12 muffin con un po’ di olio. Versate zucchero, olio, zenzero, uova e acqua in una ciotola e sbattete bene. In un’altra ciotola unite farina, lievito, pimento, carote e mela e mescolate bene. Scavate un buco nel centro del mix e versateci il composto precedentemente sbattuto. Mescolate lentamente, incorporando a poco a poco la miscela con la farina. Aggiungete quindi l’uva passa, il cocco e le noci e amalgamate. L’impasto deve risultare molto compatto. Aiutandovi con un cucchiaio, suddividetelo negli stampi, riempiendoli fino all’orlo. Non temete, non fuoriesce. Infornate per circa 25-30 minuti. Fate la prova dello stuzzicadenti: se resta asciutto quando lo inserite nei dolcetti, i muffin sono pronti. Sfornate. Facendo molta attenzione, con l’aiuto di un coltello staccate ciascun muffin dallo stampo, quindi capovolgetelo e dategli dei colpetti sul piano di lavoro per far uscire i muffin. Mangiateli subito e, una volta raffreddati, conservateli in un sacchetto di plastica. Resa: 12 muffin; 1 porzione: 1 muffin. Calorie: 433; proteine: 4 g; carboidrati: 79 g; fibre: 4 g; sodio: 45 mg; grassi: 15 g (sat: 1 g, mono: 1 g, poli: 3 g, trans: 0 g); colesterolo: 31 mg.

PANE ALLA BANANA E ALBICOCCHE CON NOCI L’amaranto è un cereale ricco di calcio che dona una consistenza croccante e un meraviglioso aspetto screziato a questo pane facile e veloce da preparare. Ricordate di tritare le noci grossolanamente, così si creerà una copertura spettacolare! E se siete davvero golosi, provate ad accompagnare il pane alla salsa di mele o a una confettura. INGREDIENTI

1 tazza di succo di mela non zuccherato ½ tazza di confettura di albicocca ⅔ di tazza di albicocche essiccate tagliate a pezzi ½ tazza di amaranto ⅓ di tazza di olio di oliva 2 uova grandi, leggermente sbattute 1 grossa banana matura schiacciata (circa ½ tazza) 2 cucchiai di miele 2 tazze di farina integrale 1 cucchiaino di lievito per dolci 1 cucchiaino di cannella in polvere ¼ di tazza di noci o di altra frutta con guscio tritata grossolanamente staccante spray ¼ di cucchiaino di sale grosso PREPARAZIONE

Versate il succo di mela in una pentola di piccole dimensioni e portate a bollore. Togliete dal fuoco e aggiungete la confettura, le albicocche essiccate e l’amaranto. Lasciate riposare per 20 minuti. Riscaldate il forno a 180 °C. Ungete appena con staccante spray o olio di oliva uno stampo per pane da 22x12 cm. In una ciotola capiente versate olio, uova, banana e miele e, servendovi delle fruste elettriche, sbattete a velocità media. Aggiungete il succo di mela, continuando ad amalgamare. In una ciotola a parte versate farina, lievito per dolci, cannella e sale e

mescolate bene. Unite gli ingredienti secchi al composto liquido e mescolate fino a completo assorbimento. Non mescolate troppo. Trasferite il composto nello stampo e, aiutandovi con un cucchiaio, stendetelo in modo uniforme, quindi spolverate con le noci. Cuocete per 55-65 minuti. Fate la prova dello stuzzicadenti. Appoggiate lo stampo su una griglia e lasciate raffreddare per 5 minuti, quindi sformatelo e lasciatelo raffreddare completamente sulla griglia. Resa: 1 pagnotta, 12 porzioni; 1 porzione: 1 fetta. Calorie: 227; proteine: 5,87 g; carboidrati: 39 g; fibre: 4,8 g; sodio: 74 mg; grassi: 9,4 g (sat: 1,05 g, mono: 4,42 g, poli: 3,30 g, trans: 0,01 g); colesterolo: 35 mg.

PANE CON CHICCHI DI GRANO E AVENA DECORTICATA Un pane 100% integrale, preparato con farina integrale, grano in chicchi e avena decorticata. I semi di girasole esaltano il retrogusto di noce dei cereali integrali. Il pane integrale non lievita bene quanto quello fatto con farina 00, ma il suo sapore ricco non ha eguali! Il grano in chicchi e l’avena decorticata si trovano in vendita nei negozi di alimenti naturali. INGREDIENTI

2 cucchiai di semi di girasole 2 cucchiai di grano in chicchi 2 cucchiai di avena decorticata 2 cucchiaini di lievito secco ½ tazza di acqua tiepida (40-50 °C) 2 cucchiai di melassa 2 e ½-3 tazze di farina integrale, più il necessario per infarinare staccante spray 2 cucchiai di olio di oliva 1 cucchiaino e ½ di sale grosso

PREPARAZIONE

In una padella antiaderente unite semi di girasole, grano e avena e scaldate a fuoco medio. Tostate, rigirando di frequente, per 3-6 minuti, o comunque fin quando tutti i semi non avranno assunto un bel colore dorato. In una ciotola capiente versate lievito e acqua tiepida, mescolate e lasciate riposare per 5 minuti. Aggiungete melassa, sale, olio e amalgamate. Aggiungete 2 tazze e ½ di farina e mescolate fino a ottenere un composto morbido. Adagiatelo su una superficie leggermente infarinata e impastate per 6-8 minuti, aggiungendo poco alla volta la farina restante per impedire che l’impasto si appiccichi alle dita. Lavorate fino a ottenere una massa liscia ed elastica. Aggiungete a questo punto i semi di girasole, il grano in chicchi e l’avena e lavorate ancora per 1 o 2 minuti, in modo da inglobarli per bene. Mettete l’impasto in una ciotola di grandi dimensioni leggermente unta con staccante spray o con olio di oliva. Coprite e lasciate lievitare in luogo tiepido (a circa 30 °C), al riparo da correnti d’aria, per 1 o 2 ore, o fin quando non sarà raddoppiato di volume. Posate l’impasto su una superficie leggermente infarinata, appiattitelo coi pugni e dategli la forma di un rettangolo di circa 30x17 cm. A questo punto arrotolatelo, partendo dal lato più corto e premendo con forza per eliminare eventuali bolle d’aria; pizzicate lungo i lati e le estremità per richiudere bene. Rigirate il rotolo e sistematelo in uno stampo antiaderente di 20x17 cm lievemente unto con staccante spray o olio di oliva. Coprite e lasciate lievitare per circa 50-60 minuti, finché l’impasto non avrà raggiunto il bordo dello stampo. Riscaldate il forno a 180 °C. Cuocete per 45 minuti, fino a quando la pagnotta non suonerà “vuota”. Togliete subito il pane dallo stampo e lasciatelo raffreddare su una griglia. N.B. Se volete usare la macchina per il pane, sostituite il lievito con uno apposito e scegliete una macchina molto capace. Seguite le istruzioni per pagnotte integrali o speciali. Resa: 1 pagnotta (12 porzioni); 1 porzione: 1 fetta.

Calorie: 149; proteine: 5,1 g; carboidrati: 26 g; fibre: 3,9 g; sodio: 239 mg; grassi: 3,6 g (sat: 0,32 g, mono: 1,42 g, poli: 0,95 g, trans: 0,01 g); colesterolo: 0 mg.

PANCAKE MULTICEREALE CON SCIROPPO DI MELA TIEPIDO I semi di girasole tostati e i diversi cereali integrali – miglio, orzo, grano – conferiscono a questi pancake un sapore ricco e una consistenza croccante, ammorbidita dalla presenza del latticello. Se preferite, potete anche sostituirlo con la stessa quantità di succo di mela. La cottura è perfetta senza una goccia di olio, a patto che utilizziate una padella antiaderente! Se, però, non riuscite proprio a rinunciare ai bordi croccanti, usatene pure qualche goccia per ungere la padella prima di versarvi l’impasto. INGREDIENTI PER LO SCIROPPO

1 tazza e ½ di succo di mela concentrato non zuccherato 1 stecca di cannella o ¼ di cucchiaino di cannella in polvere 2 chiodi di garofano (facoltativo) ⅓ di tazza di salsa di mela non zuccherata INGREDIENTI PER I PANCAKE

2 cucchiai di miglio 2 cucchiai di semi di girasole ⅓ di tazza di orzo istantaneo ⅓ di tazza di latticello 2 uova grandi 2 cucchiai di succo di mela concentrato non zuccherato 1 tazza di fiocchi di crusca ½ tazza di farina integrale ½ tazza di farina 00 1 cucchiaino e ½ di bicarbonato di sodio 1 cucchiaino di lievito per dolci

½ cucchiaino di cannella in polvere ¼ di cucchiaino di noce moscata appena grattugiata 2 cucchiai di olio di oliva ½ cucchiaino di sale grosso PREPARAZIONE

Per preparare lo sciroppo, versate il succo di mela, la stecca di cannella e, se vi piacciono, i chiodi di garofano in un padellino e scaldate a fuoco medio-alto. Portate a bollore e abbassate la fiamma, lasciando sobbollire per 5-10 minuti, finché il liquido non si sarà ridotto di circa un terzo. Togliete la stecca di cannella e i chiodi di garofano aiutandovi con una schiumarola. Aggiungete la salsa di mela e mescolate. Abbassate la fiamma al minimo e tenete in caldo. Per preparare i pancake, versate in un’ampia padella antiaderente miglio e semi di girasole. Tostate a fuoco medio-alto, rigirando di tanto in tanto, per 3-6 minuti o fino a quando tutti i semi non avranno assunto un bel colore dorato. Togliete dal fuoco e mettete da parte. In una ciotola versate orzo (non usate orzo perlato) e latticello e lasciate riposare per 30 minuti. Aggiungete uova, succo di mela concentrato e fiocchi di crusca e amalgamate bene. In un altro recipiente mescolate farine, bicarbonato, lievito, sale, cannella, noce moscata insieme al miglio e ai semi di girasole precedentemente tostati. Unite infine latticello e orzo. Scaldate, a fuoco medio-alto, la padella antiaderente in cui avete tostato i semi, oppure una piastra. Versate ¼ di tazza di impasto per ogni pancake e cuocete per 2 o 3 minuti. Quando iniziano a fare bolle e i bordi si seccano girate il pancake e cuocetelo dall’altro lato per un altro paio di minuti, fino a doratura. Ripetete fino a esaurimento dell’impasto. Servite con lo sciroppo di mela tiepido. N.B. Riscaldate il forno a 90 °C per mantenere caldi i pancake. Adagiateli in una teglia antiaderente e copriteli bene con un foglio di alluminio da cucina. Sfornate al momento di servire. È possibile anche congelarli. Al momento di usarli scaldateli nel microonde o nel tostapane. Resa: 12 pancake, 1 tazza e ⅛ di sciroppo; 1 porzione: 2 pancake e 3

cucchiai di sciroppo. Calorie: 282; proteine: 9 g; carboidrati: 43,7 g; fibre: 4,4 g; sodio: 502 mg; grassi: 8,9 g (sat: 0,76 g, mono: 1,56 g, poli: 2,95 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

FRITTELLE DI SEMOLINO ALLA PIASTRA CON RIPIENO DI DATTERI ALL’ARANCIA Nancy Harmon Jenkins, autrice di Virgin Territory: Exploring the World of Olive Oil (Houghton Mifflin Harcourt, 2015) D’estate i cuochi tunisini risolvono il problema di una cucina bollente usando la piastra al posto del forno anche per cuocere i dolci. Questi dolcetti cotti sulla piastra devono l’incredibile dolcezza al ripieno di datteri e, con la piacevole croccantezza data dal semolino, sono una meravigliosa sorpresa per la colazione della domenica. Se mai ne dovessero avanzare, sono altrettanto deliziosi con il caffè di metà mattina o con il tè del pomeriggio. La combinazione di semolino (ricco di proteine) e farina integrale rende queste frittelle un’alternativa salutare ai classici pancake senza bisogno di nessun tipo di sciroppo. Se non avete una piastra potete cuocerle in una padella di ghisa ben calda. INGREDIENTI

340 g circa di datteri denocciolati 2 cucchiai di scorza di arancia essiccata e sbriciolata 2 cucchiai di scorza di arancia appena grattugiata succo di ½ arancia ¾ di tazza di acqua tiepida 2 tazze di farina integrale, più il necessario per infarinare 2 tazze di semolino 1 tazza e ¼ di olio evo, più il necessario per ungere la piastra sale PREPARAZIONE

Frullate i datteri in un mixer fino a ottenere una crema liscia poi,

senza spegnere, versate ¼ di tazza di olio a filo. Aggiungete la scorza di arancia essiccata e il succo. Continuate a frullare fino a ottenere una miscela omogenea. Mettete da parte. Questa operazione può essere svolta anche con largo anticipo: la pasta di datteri, infatti, si conserva bene anche fuori dal frigorifero, tranne che in giornate particolarmente calde. Aggiungete un cucchiaino di sale all’acqua tiepida e mettete da parte. Versate farina e semolino in una ciotola capiente. Aggiungete la restante tazza di olio e lavorate il composto con un cucchiaio fino a quando non sarà stato completamente assorbito. Unite lentamente l’acqua salata, continuando a mescolare, e poi trasferitelo su una spianatoia lievemente infarinata e lavoratelo con le mani finché l’impasto non sarà abbastanza liscio. Quando sarà soffice ma non appiccicoso, copritelo con pellicola per alimenti o con uno strofinaccio e lasciatelo riposare per 30 minuti. Scaldate una piastra a fuoco medio-basso. Dividete l’impasto in quarti: prendetene uno e, con le mani, prima dategli la forma di una palla e poi appiattitelo fino a ottenere un disco. Per un risultato migliore vi consiglio di aiutarvi con un foglio di carta forno. Usate un matterello per formare dischi di una ventina di centimetri di diametro e di 2 o 3 millimetri di spessore. Spalmate metà del composto di datteri sulla superficie del disco, quindi ripetete il procedimento per un altro disco. Se necessario, ritagliate un disco di carta forno delle dimensioni indicate per essere sicuri di realizzare frittelle della stessa grandezza. Appoggiate il secondo disco sul primo e premete delicatamente in modo che i bordi aderiscano, sigillando all’interno il composto di datteri. Quando la piastra sarà ben calda, spennellatela con qualche goccia di olio (non più di ½ cucchiaino). Appoggiatevi la frittella e aggiustate la fiamma. Giratela una volta sola, lasciandola cuocere 4 minuti per lato in modo che si abbrustolisca in modo uniforme. Fate attenzione a non bruciarla! Una volta cotto, togliete il dolce dalla piastra e servitelo subito a fette. I dolci alla piastra sono molto buoni anche consumati a

temperatura ambiente. N.B. Se preferite, potete tagliare il dolce della forma che più vi piace (rettangoli, quadrati, rombi e così via) prima di cuocerlo. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: ⅓ di dolce. Calorie: 549; proteine: 5 g; carboidrati: 118 g; fibre: 11 g; sodio: 39 mg; grassi: 5 g (sat: 1 g, mono: 3 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MENEMEN (UOVA STRAPAZZATE ALLA TURCA) CON PANE PITA Ana Sortun, executive chef e proprietaria dell’Oleana and Sofra Bakery and Café, autrice di Spice: Flavors of the Eastern Mediterranean (HarperCollins, 2006) INGREDIENTI

2 grossi pomodori a grappolo o cuore di bue tagliati a metà e privati di quasi tutti i semi 1 peperone verde tagliato a cubetti di 1 cm circa 1 peperoncino ungherese (Hungarian wax) privato dei semi e tagliato a cubetti di 1 cm circa ¼ di tazza di scalogno tritato finemente 2 cucchiaini di concentrato di pomodoro 1 cucchiaino di pasta di peperoncino o harissa 8 uova grandi 2 cucchiai di prezzemolo fresco tritato ½ cucchiaino di peperoncino di Aleppo o di Maras 4 pita di circa 15 cm di diametro 2 cetriolini, o ½ cetriolo a fettine sottili 2 cucchiai di olio evo sale grosso PREPARAZIONE

Grattugiate i pomodori dalla parte della polpa attraverso i fori più

grossi della grattugia, e metteteli da parte. Versate l’olio in una padella di dimensioni medie e scaldate a fuoco medio. Aggiungete il peperone verde e il peperoncino ungherese, poi lo scalogno e cuocete, mescolando di tanto in tanto, per 4 minuti circa, fino a quando il peperone non sarà diventato tenero. Aggiungete il pomodoro grattugiato, il concentrato e la pasta di peperoncino. Aggiustate di sale e proseguite con la cottura per altri 2 minuti circa, fino a quando la salsa non si sarà addensata un po’. Sbattete le uova con ½ cucchiaino di sale, quindi versatele nella salsa e mescolate delicatamente. Mentre iniziano a rapprendersi, aggiungete il prezzemolo e il peperoncino di Aleppo. Continuate a mescolare fino a quando non saranno della consistenza che preferite. Spalmate il composto su ogni pita. Tenete al caldo in un fornetto elettrico fino al momento di servire e, a quel punto, guarnite ogni pita con 5 o 6 fettine di cetriolo. Resa: 6 porzioni. Calorie: 323; proteine: 15 g; carboidrati: 34 g; fibre: 3 g; sodio: 626 mg; grassi: 14 g (sat: 3 g, mono: 5 g, poli: 4 g, trans: 0 g); colesterolo: 248 mg.

Portate principali

PETTO DI POLLO RIPIENO ALLA MEDITERRANEA (SALVATEMPO) Il ripieno di questa pietanza è davvero semplice da preparare: cuori di carciofo, peperoni arrostiti e feta sbriciolata con basilico fresco e pinoli tostati (operazione che richiede una padella e 2 o 3 minuti al massimo). INGREDIENTI

¼ di tazza di cuori di carciofo al naturale 1 barattolo (200 g circa) di peperoni arrostiti al naturale ½ tazza di feta sbriciolata (55 g circa) 2 cucchiai di basilico fresco tritato 2 cucchiai di pinoli tostati 2 cucchiaini di aceto di vino rosso 4 fette di petto di pollo (140 g circa ciascuna) 1 cucchiaio e ½ di olio evo aromatizzato all’aglio sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Scolate e tagliate finemente carciofi e peperoni. Versateli in una ciotola insieme a feta, basilico, pinoli e aceto. Aggiungete un cucchiaio di olio, mescolate e mettete da parte. Prendete un coltello molto affilato e praticate un taglio orizzontale di circa 5 cm nella parte più carnosa delle fette di pollo. Tenete il coltello parallelo al piano di lavoro e muovete la lama verso il lato opposto, senza arrivare fino in fondo ma creando una tasca. Farcite ciascuna fetta con ¼ di tazza di ripieno. Condite con un pizzico di sale e di pepe nero. Versate il restante ½ cucchiaio di olio in una padella e scaldate a

fuoco medio, quindi sistematevi la carne e fatela andare per 5 o 6 minuti per ogni lato, o fino a quando non sarà cotta. N.B. Non fatevi scoraggiare dall’idea di dover ricavare delle tasche nelle fette di pollo. Assicuratevi di comprare fette abbastanza spesse e che il coltello sia affilato e vedrete quant’è facile! Se vi capitasse di sbagliare, cioè di tagliare il pollo fino in fondo o di forare il petto, usate uno stuzzicadenti per tenere chiusa la tasca durante la cottura, ma... ricordate di toglierlo prima di servire. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 fetta di petto di pollo farcita. Calorie: 261; proteine: 31 g; carboidrati: 4,5 g; fibre: 0,8 g; sodio: 283 mg; grassi: 12,6 g (sat: 4,18 g, mono: 5,75 g, poli: 1,76 g, trans: 0,50 g); colesterolo: 82 mg.

ENCHILADAS DI POLLO Per la preparazione di questo piatto occorrono una salsa per enchilada già pronta, pollo di rosticceria, fagioli in scatola e peperoncini piccanti. Se li trovate, vi consiglio di comprare fagioli in scatola biologici: costano un po’ di più, ma hanno un sapore migliore, sono più sodi e contengono meno sale. INGREDIENTI PER LE ENCHILADAS

2 tazze di cipolla bianca o dorata tritata (1 grossa) 2 spicchi di aglio tritati 1 tazza di scalogno affettato finemente 1 cucchiaino di origano ¼ di tazza di coriandolo tritato finemente 2 tazze di pollo arrosto privato della pelle (230 g circa) 1 tazza di peperoni rossi arrostiti in barattolo tagliati a pezzi 1 scatola (130 g circa) di peperoncini verdi a pezzi e sgocciolati 2 cucchiai di succo di lime 1 barattolo di salsa per enchilada (430 g circa) 1 scatola di pomodori a cubetti (430 g circa) ½ tazza di brodo di pollo (anche di dado) sgrassato, meglio se a basso contenuto di sodio

staccante spray o olio di oliva 6 tortillas (da 15 cm) tagliate in tre parti 1 scatola (430 g circa) di fagioli neri risciacquati e sgocciolati 2 cucchiai di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento (facoltativo) INGREDIENTI PER LA GUARNIZIONE

¼ di tazza (30 g circa) di formaggio tipo cheddar sminuzzato 4 cucchiai di olive nere rametti di coriandolo (facoltativo) PREPARAZIONE

Preriscaldate il forno a 180 °C. In una padella di grandi dimensioni scaldate l’olio a fuoco medioalto. Aggiungete la cipolla e stufatela per 5-8 minuti, fino a quando non si sarà ammorbidita. Aggiungete aglio, scalogno, origano e coriandolo e cuocete ancora per un minuto. Togliete dal fuoco e aggiungete pollo, peperoni, peperoncini e succo di lime. Aggiustate di sale e pepe. Ungete una casseruola di 28x18 cm con olio o con staccante spray. Versate la salsa per enchilada in una ciotola e aggiungetevi il pomodoro e il brodo. Stendete ½ tazza del composto sul fondo della casseruola, quindi 6 pezzi di tortilla. Aggiungete uno strato fatto di ⅓ di pollo, ⅓ di fagioli neri e ¾ di tazza di salsa. Proseguite con i pezzi di tortilla e con un altro strato di composto con il pollo, ultimando con la salsa. Cucinate per 45-50 minuti. Sfornate e cospargete con il formaggio, disegnando 4 file diagonali lungo la casseruola. Cospargete con un cucchiaio di olive, tritate finemente, tra le file di formaggio. Lasciate riposare per 10 minuti prima di servire. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: 1 quadrato (9 cm circa). Calorie: 381; proteine: 23,8 g; carboidrati: 40,5 g; fibre: 9,2 g; sodio: 876 mg; grassi: 13,7 g (sat: 2,45 g, mono: 5,67 g, poli: 2,85 g, trans: 0,05 g); colesterolo: 44 mg.

INSALATA DI POLLO ESTIVA (SALVATEMPO) Un’insalata fresca e molto versatile: se preferite un gusto più delicato, potete sostituire il bulgur con il couscous e magari variare le verdure (rucola al posto degli spinaci, per esempio). Senza il pollo diventa un ottimo piatto vegetariano. INGREDIENTI PER LA VINAIGRETTE DI BASILICO E LIMONE

1 cucchiaio di basilico fresco tritato oppure essiccato ⅓ di tazza di succo di limone ¼ di cucchiaino di aglio in polvere ¼ di tazza di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento INGREDIENTI PER L’INSALATA

1 tazza di bulgur 1 tazza di acqua bollente 2 tazze di spinaci freschi 1 tazza di pollo arrosto (100 g circa) 1 avocado medio pulito ¼ di tazza di scalogno ¼ di tazza di prezzemolo fresco 12 olive nere Kalamata denocciolate e tagliate in quarti PREPARAZIONE

Per preparare la vinaigrette, mescolate energicamente tutti gli ingredienti in una ciotola. Per l’insalata, versate il bulgur in una ciotola capiente e ricopritelo con l’acqua bollente. Lasciate riposare per 30 minuti, o fino a quando l’acqua non sarà stata assorbita completamente. Aggiungete poi spinaci, pollo, avocado, scalogno, prezzemolo e olive, il tutto sminuzzato finemente. Condite con la vinaigrette e mescolate bene. Servite a temperatura ambiente.

Resa: 8 tazze (5 porzioni); 1 porzione: 1 tazza e ½ circa. Calorie: 355; proteine: 19,7 g; carboidrati: 34 g; fibre: 10,6 g; sodio: 51 mg; grassi: 17,2 g (sat: 3,19 g, mono: 7,42 g, poli: 1,66 g, trans: 0,08 g); colesterolo: 38 mg.

TAJINE DI POLLO ALLA MAROCCHINA Charles Burke, MD, presidente della New Hampshire Farm to Restaurant Connection La tajine appartiene alla tradizione culinaria marocchina e il nome indica sia la pietanza sia il recipiente di terracotta in cui si prepara, un piatto smaltato dai bordi alti con un coperchio conico. È una preparazione che richiede un po’ di impegno, ma il sapore, il profumo e i colori la rendono un piatto esotico perfetto da presentare agli ospiti o per una cena speciale in famiglia. Solitamente la tajine è servita con pane o couscous ma, dato che questa è la mia versione, io li ho sostituiti con i ceci. INGREDIENTI

½ tazza di pinoli o mandorle 2 cucchiaini di semi di coriandolo o 1 cucchiaino di coriandolo macinato 2 cucchiaini di semi di cumino o 1 cucchiaino di cumino macinato ½ stecca di cannella o 1 cucchiaino di cannella in polvere 3 spicchi di aglio tagliati a fettine sottili 1 cipolla dorata media affettata 1 peperone rosso privato dei semi e tagliato a listerelle 1 peperone giallo privato dei semi e tagliato a listerelle 8 cosce di pollo private della pelle (170 g circa ciascuna) 2 limoni sbucciati, privati dei semi e tagliati a fettine sottili 1 cucchiaio di zenzero fresco tritato finemente o 2 cucchiaini di zenzero in polvere ¾ di tazza di pomodorini ciliegino 1 tazza e ½ di ceci non salati, sciacquati e sgocciolati

⅓ di tazza di olive verdi snocciolate e tagliate a rondelle ⅓ di tazza di uvetta o di altra frutta essiccata non zuccherata 1 tazza e ½ di brodo di pollo 2 cucchiaini di curcuma ½ cucchiaino di zafferano (facoltativo) 2 cucchiaini di fiocchi di peperoncino schiacciati scorza grattugiata di 2 limoni 1 cucchiaio e ½ di olio evo 2 cucchiaini di pepe nero o bianco in grani, o 1 cucchiaino di macinato al momento PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 180 °C. Tostate i pinoli in una padella, rigirandoli spesso, fino a quando non saranno dorati, quindi versateli in un piatto e metteteli da parte. Se usate le spezie intere, mettete i semi di coriandolo e di cumino, i grani di pepe e la stecca di cannella nella stessa padella e tostate il tutto a fuoco medio per 2 o 3 minuti. Versate in un piatto e lasciate raffreddare, quindi macinatele con un macinaspezie oppure pestatele in un mortaio. Versate l’olio nel piatto di una tajine (o in un forno olandese di medie dimensioni) e scaldatelo a fuoco medio-basso. Aggiungete aglio, cipolla e peperoni e cuocete, rigirando di tanto in tanto, fino a quando questi ultimi non si saranno ammorbiditi. Togliete dal fuoco e sistemate sopra al sugo le cosce di pollo, guarnite con le fettine di limone e coprite con un po’ di peperoni saltati, unendo anche zenzero, pomodorini, ceci, olive, uvetta e i pinoli tenuti da parte. Al brodo aggiungete le spezie tostate, la curcuma, lo zafferano, il peperoncino in fiocchi e la scorza di limone e mescolate bene. Versate quindi sul pollo. Rimettete la tajine sul fuoco e portate a bollore. Coprite e mettete nella parte inferiore del forno per 35-45 minuti, fino a quando la temperatura interna del pollo non avrà raggiunto i 70 °C e i succhi non saranno diventati chiari.

Sfornate e lasciate riposare per 10 minuti prima di servire. N.B. In questa ricetta ho scelto di usare le cosce con l’osso perché restano più umide e hanno un tempo di cottura maggiore, cosa che permette a tutti i sapori e ai profumi di svilupparsi al meglio. Potete usare anche le cosce disossate, ma i tempi di cottura si accorceranno. Se decidete di usare petto di pollo, ricordate prima di batterlo in modo che abbia uno spessore omogeneo, altrimenti la forma irregolare impedirà una cottura uniforme. La pelle va tolta in tutti e tre i casi: l’eccessiva umidità influirebbe negativamente su consistenza e sapore. Una coscia di pollo media pesa circa 170 g, che diventeranno 70-80 una volta eliminati pelle e osso. Resa: 4 porzioni. Calorie: 591; proteine: 39 g; carboidrati: 42 g; fibre: 8 g; sodio: 369 mg; grassi: 31 g (sat: 5 g, mono: 12 g, poli: 10 g, trans: 0 g); colesterolo: 103 mg.

PADELLATA DI POLLO E VERDURE Ming Tsai, chef e proprietario del Blue Dragon (Boston, Massachusetts), autore di Simply Ming in Your Kitchen (Kyle Books, 2012) INGREDIENTI

900 g di cosce di pollo disossate, private della pelle e tagliate a cubetti di 1 cm circa 2 cucchiai di amido di mais 1 tazza di cipolla bianca o dorata tagliata a fette (1 media) 2 tazze di carote tagliate a listerelle di 0,5 cm circa (2 grandi) 5 gambi di sedano tagliati a cubetti da 1 cm circa 2 cucchiai di zenzero fresco tritato 3 cucchiai di aglio tritato 2 cucchiai di salsa di soia a basso contenuto di sodio succo di 1 lime succo e scorza di 1 limone ½ tazza di brodo di pollo (anche di dado) sgrassato, meglio se

a basso contenuto di sodio 1 tazza di edamame sgusciati 4 tazze di riso integrale 1 cucchiaino di olio di sesamo (facoltativo) 2 cucchiai di olio di colza sale pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Versate il pollo in una ciotola capiente, aggiungete l’amido di mais e l’olio di sesamo (se lo usate) e mescolate bene. Condite con sale e pepe e mettete da parte. Scaldate un wok o una padella antiaderente su fiamma alta, aggiungete un cucchiaio di olio di colza e ungete bene tutto il fondo. Non appena l’olio sarà caldo, versateci il pollo e cuocete a fuoco vivo per 4 o 5 minuti, facendo attenzione a separare bene i pezzi. Versate in un piatto e mettete da parte. Aggiungete il restante cucchiaio di olio di colza e rigirate il wok per ungere bene il fondo. Quando l’olio sarà caldo, versateci cipolla, carote, sedano, zenzero e aglio. Saltate per 2 minuti, dando il tempo alle verdure di iniziare ad ammorbidirsi e ai sapori di amalgamarsi. Versate la salsa di soia, il succo di lime, il succo e la scorza del limone, e il brodo. Abbassate la fiamma e portate a bollore, quindi rimettete il pollo nel wok. Continuate la cottura per non più di 2 minuti, aggiungendo gli edamame all’ultimo istante. Stendete il riso su un piatto da portata e versateci sopra la padellata di pollo e verdure. Servite. N.B. Per un riso integrale più buono che mai, immergetelo in acqua fredda per un’ora prima della cottura. Resa: 4 porzioni. Calorie: 682; proteine: 57 g; carboidrati: 70 g; fibre: 7 g; sodio: 562 mg; grassi: 25 g (sat: 1 g, mono: 2 g, poli: 6 g, trans: 0 g); colesterolo: 185 mg.

POLLO AL BASILICO THAILANDESE CON FAGIOLI ASPARAGO Mai Pham, cuoco e proprietario del Lemon Grass Kitchen, autore di Pleasures of the Vietnamese Table (HarperCollins, 2001) Se vi piacciono il basilico thailandese e i peperoncini piccanti, adorerete questo piatto delizioso e insieme facile e veloce da preparare. Per cucinarlo in puro stile thailandese, iniziate con una padella calda, abbondante basilico e peperoncini. Attenti a non cuocere troppo! INGREDIENTI

2 cucchiai di aglio tritato 2-4 peperoncini Thai Dragon, o 1 serrano, tagliato a losanghe sottili o come piace ⅔ di tazza di basilico Thai fresco 1 cucchiaino di salsa di pesce 300 g circa di cosce di pollo tritate grossolanamente 2 cucchiaini di salsa di ostriche ½ tazza di peperone rosso tagliato a dadini di 1 cm circa (1 medio) 1 tazza di fagioli asparago tagliati a pezzi di 1 cm circa e sbollentati (110 g circa) 2-3 cucchiai di acqua o brodo di pollo (se necessario) coriandolo per guarnire 2 cucchiai di olio di oliva PREPARAZIONE

Scaldate l’olio a fuoco medio-alto in un wok o in una padella. Aggiungete aglio, peperoncini e basilico e cuocete per un minuto circa. Quando saranno imbionditi, aggiungete la salsa di pesce. Unite il pollo e, aiutandovi con un mestolo o con un paio di bacchette, girate e separate i pezzi. Lasciate poi cuocere per un minuto senza girare. Aggiungete salsa di ostriche, peperoni e fagioli. Proseguite nella cottura fino a quando le verdure non saranno ben calde e il pollo

cotto. Se il fondo dovesse asciugarsi troppo, aggiungete un po’ di acqua o di brodo. Assaggiate e condite a piacimento. Trasferite in un piatto da portata, guarnite con il coriandolo e servite. Resa: 3 porzioni. Calorie: 323; proteine: 29 g; carboidrati: 15 g; fibre: 1 g; sodio: 707 mg; grassi: 16 g (sat: 1 g, mono: 7 g, poli: 3 g, trans: 0 g); colesterolo: 90 mg.

TONNO TANDOORI (SALVATEMPO) Una ricetta dai sentori indiani, dove spezie dolci e saporite sono usate insieme per arricchire qualsiasi piatto, dalla carne alle verdure al pesce. Il tonno viene marinato velocemente nella miscela di spezie e poi cucinato in padella. Come contorno preparate un couscous agli agrumi. INGREDIENTI

4 tranci di tonno spessi poco più di 1 cm (140 g circa ciascuno) ¾ di tazza di succo di ananas 1 cucchiaio di succo di limone 1 cucchiaio di zenzero fresco tritato 1 cucchiaio di aglio tritato 1 cucchiaio di coriandolo in polvere 1 cucchiaio di paprika 1 cucchiaino e ½ di semi di cumino in polvere 1 cucchiaino di semi di cumino 1 cucchiaino di salsa aglio e peperoncino ¼ di cucchiaino di cannella 1 pizzico di semi di garofano in polvere 1 cucchiaio di olio di oliva 1 cucchiaino di sale grosso PREPARAZIONE

Versate tutti gli ingredienti, escluso l’olio, in un sacchetto di

plastica per alimenti piuttosto capiente. Fate uscire tutta l’aria, chiudetelo bene, quindi riponetelo in frigorifero per 15 minuti, rigirando il sacchetto una o due volte. Prendete una padella capiente di ghisa o antiaderente e scaldate l’olio a fuoco medio. Togliete il tonno dalla marinatura (che va eliminata), sistematelo nella padella ben calda e cuocete per 4 o 5 minuti da ogni lato, o secondo il vostro gusto. N.B. Il tonno è ottimo alla piastra e alla griglia, e per griglia intendo anche il grill del forno. Spennellatelo di olio e cuocetelo come descritto nella ricetta. La salsa aglio e peperoncino si trova nel reparto di specialità asiatiche di quasi tutti i supermercati. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 trancio di tonno. Calorie: 195; proteine: 33 g; carboidrati: 2,5 g; fibre: 0,3 g; sodio: 67 mg; grassi: 4,36 g (sat: 0,59 g, mono: 2,30 g, poli: 1,46 g, trans: 0,01 g); colesterolo: 64 mg.

CERNIA ORIGANO E LIMONE CON VERDURE Cucinare pesce, verdure e intingoli vari al cartoccio riserva sempre una gran soddisfazione, anzi due: tantissimo gusto e quasi nulla da pulire. Per questa ricetta va bene qualsiasi pesce bianco: lampuga, pollack, merluzzo, palamita... Il couscous integrale è un ottimo contorno per questo tipo di piatto, da preparare mentre il pesce cuoce. INGREDIENTI

2 zucchine piccole tagliate a julienne (2 tazze circa) 1 tazza di mais, fresco o surgelato ¼ di tazza di peperone rosso a cubetti (1 piccolo) 4 filetti di cernia spessi circa 1 cm (140 g circa ciascuno) 2 cucchiaini di succo di limone 2 cucchiai di origano fresco tritato grossolanamente 4 fette di limone sottilissime tagliate a metà 2 cucchiai di olio evo ½ cucchiaino di sale grosso, più altro se necessario

pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 190 °C. In una ciotola versate un cucchiaio di olio, unite zucchine, mais, peperone e sale e mescolate bene, quindi suddividete il composto in 4 grandi fogli di alluminio, sistemando le verdure al centro. Cospargete i filetti di cernia di sale e pepe e sistematelo sopra le verdure, uno per cartoccio. Mescolate il secondo cucchiaio di olio con succo di limone e origano. Irrorate i filetti e adagiate su ciascuno 2 mezze fette di limone. Chiudete bene i cartocci, sistemateli in una teglia e infornate per 16-20 minuti. Il pesce dovrà risultare morbidissimo. Mettete ogni cartoccio in un piatto, apritelo facendo attenzione a non scottarvi con il vapore... e servite! Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 filetto di cernia con verdure. Calorie: 239; proteine: 30,4 g; carboidrati: 10 g; fibre: 1,8 g; sodio: 318 mg; grassi: 9 g (sat: 1,36 g, mono: 5,41 g, poli: 1,34 g, trans: 0,07 g); colesterolo: 52 mg.

RISO FRITTO ALLA THAILANDESE Uno dei piatti che al ristorante thailandese vanno per la maggiore sono i noodle di riso con spezie, gamberi e uova. Io vi propongo una variante con il riso integrale, più semplice da trovare e più ricco di fibre. Il segreto di un riso fritto straordinario è cuocere il riso la sera prima e usare una quantità inferiore di acqua di cottura rispetto a quanto indicato sulla confezione. Un riso più “asciutto” non diventerà poltiglia quando lo ripasserete in padella. INGREDIENTI PER LA SALSA DI ARACHIDI

2 cucchiai di salsa di pesce o di salsa di soia Tamari 2 cucchiai di brodo di pollo sgrassato (meglio se a basso contenuto di sodio) 1 cucchiaio di ketchup addolcito con succo di frutta, oppure

solo ketchup 1 cucchiaio di burro di arachidi al naturale 1 cucchiaio di succo di lime INGREDIENTI PER IL RISO FRITTO

2 uova grandi leggermente sbattute ½ tazza di carote sminuzzate (1 media) 2 grossi spicchi di aglio tritati 1 cucchiaino di zenzero fresco tritato 1 tazza di scalogno affettato sottilmente ½ tazza di peperone rosso a cubetti (1 medio) ¼ di cucchiaino di fiocchi di peperoncino schiacciati 4 tazze di riso integrale cotto e freddo 225 g circa di gamberi medi cotti e sgusciati (circa 20) 10 foglie di basilico Thai o classico tritate ¼ di tazza di coriandolo tritato ½ tazza di germogli di soia (facoltativo) arachidi tritate (facoltativo) 3 cucchiai di olio di arachidi o di oliva sale PREPARAZIONE

Per la salsa di arachidi, mescolate tutti gli ingredienti in una ciotola e metteteli da parte. Per il riso fritto, scaldate un cucchiaino d’olio in una padella antiaderente a fuoco medio-alto. Versate le uova e cuocetele per 1 o 2 minuti, quindi trasferitele in un piatto e mettetele da parte. Nella stessa padella fate cuocere le carote per 2 o 3 minuti con 2 cucchiaini di olio. Quando saranno morbide mettetele da parte. Versate gli ultimi 2 cucchiai di olio nella padella e aggiungete aglio, zenzero, scalogno, peperone e peperoncino. Cucinate il tutto per 1 o 2 minuti, fino a quando le verdure non iniziano ad ammorbidirsi. Abbassate la fiamma al minimo e versate il riso. Proseguite con la cottura per 1 o 2 minuti, quindi unite uova, gamberi, basilico, coriandolo e salsa alle arachidi. Assaggiate e aggiustate di sale. A vostro piacimento,

guarnite con i germogli di soia e le arachidi. Servite subito. N.B. La salsa di pesce e la salsa di soia si trovano nel reparto di specialità asiatiche di quasi tutti i supermercati. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: 1 tazza circa. Calorie: 303; proteine: 14,9 g; carboidrati: 35 g; fibre: 3,9 g; sodio: 634 mg; grassi: 11,5 g (sat: 2,11 g, mono: 4,89 g, poli: 3,26 g, trans: 0 g); colesterolo: 145 mg.

TRANCIO DI SALMONE ALLA GRIGLIA CON SALSA DI PAPAIA E MENTA Il salmone alla griglia è buono già così com’è, ma questa salsa agrodolce è un ottimo accompagnamento per il suo gusto ricco. Vi consiglio di prepararla qualche ora prima affinché i sapori si fondano per bene. Se non vi piace il piccante o non vi piacciono i peperoncini, ricordate di diminuirne la quantità o di eliminarli. INGREDIENTI PER LA SALSA

¾ di tazza di papaya sbucciata e tagliata a pezzi ¼ di tazza di peperone giallo a pezzi (1 piccolo) ¼ di tazza di scalogno affettato finemente 1 cucchiaio di pimento a pezzi 1 cucchiaio di menta fresca tritata 1 cucchiaio di aceto di riso 1 cucchiaio di succo di lime 1 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato 1 cucchiaino di peperoncino jalapeño privato dei semi e tritato INGREDIENTI PER IL SALMONE

4 tranci o filetti di salmone spessi 2,5-3 cm (140 g circa ciascuno) staccante spray sale grosso

pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Per la salsa, mescolate tutti gli ingredienti in una ciotolina, coprite e conservate in frigorifero per almeno 30 minuti, in modo che i sapori si fondano per bene. Per il salmone, preparate la griglia o accendete il grill del forno. Ungete con staccante spray o olio di oliva per evitare che il pesce si attacchi. Cospargete entrambi i lati del salmone di sale e pepe e grigliatelo per 5 minuti per lato, comunque fino a quando non sarà cotto. Versate la salsa sui tranci e servite. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 trancio di salmone e ¼ di salsa. Calorie: 281; proteine: 28,8 g; carboidrati: 4,9 g; fibre: 0,9 g; sodio: 86 mg; grassi: 15,6 g (sat: 3,1 g, mono: 5,5 g, poli: 5,6 g, trans: 0 g); colesterolo: 84 mg.

SPAGHETTI SPEZIATI IN INSALATA CON GAMBERETTI E ARACHIDI La ricetta tradizionale prevede l’impiego di soba, spaghetti di grano saraceno, che qui sono stati sostituiti con spaghetti integrali con un maggiore apporto di fibre. Un cambiamento quasi impercettibile dato che la salsa speziata è predominante. Non lasciatevi scoraggiare dalla lista degli ingredienti: si tratta per lo più di condimenti che si dosano con facilità per poi essere mescolati tutti insieme. Per accorciare i tempi di preparazione, acquistate gamberi precotti e verdure già tagliate, così vi resterà solo da cuocere la pasta. INGREDIENTI PER LA SALSA DI ARACHIDI

2 spicchi di aglio tritati 2 cucchiaini di zenzero fresco tritato 3 cucchiai di burro di arachidi al naturale 2 cucchiai di salsa di soia Tamari 2 cucchiai di aceto di riso

2 cucchiai di acqua 2 cucchiai di olio di sesamo 1-2 cucchiaini di salsa aglio e peperoncino INGREDIENTI PER L’INSALATA

450 g circa di gamberi cotti e sbucciati (40 circa) 1 peperone rosso di grosse dimensioni tagliato a julienne (1 tazza) 1 tazza di carote sminuzzate (2 medie) 110 g circa di taccole pulite e tagliate a metà 1 tazza di scalogno affettato ¼ di tazza di coriandolo fresco tritato 4 tazze di spaghetti integrali o di soba già cotti arachidi tritate (facoltativo) PREPARAZIONE

Per la salsa di arachidi, mescolate tutti gli ingredienti in una ciotola e mettete da parte. Per l’insalata, riunite gamberi, peperone, carote, taccole, scalogno e coriandolo in una ciotola capiente. Mescolate, aggiungete gli spaghetti e la salsa, rigirate delicatamente, cospargete con le arachidi e servite il tutto a temperatura ambiente. N.B. Questo piatto è molto versatile. Potete sostituire i gamberi con il pollo o con il maiale, oppure eliminare sia carne che pesce e realizzare una versione vegetariana. La salsa aglio e peperoncino si trova nel reparto di specialità asiatiche di quasi tutti i supermercati. Va bene una marca qualsiasi, perché gli ingredienti sono sempre gli stessi. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 337; proteine: 27,7 g; carboidrati: 33,7 g; fibre: 6,8 g; sodio: 545 mg.

POLPETTONE MISTO CON I FUNGHI

L’uso di funghi sia freschi che secchi conferisce a questo polpettone di manzo e tacchino un sapore unico e goloso. Assicuratevi di usare solamente macinato magro di tacchino e non di petto di tacchino. Privo di grassi, il petto renderebbe il polpettone troppo asciutto. Se preferite, potete sostituire la parte di manzo con altro tacchino. INGREDIENTI

14 g circa di funghi secchi misti (shiitake, orecchioni, porcini) e shiitake secchi 450 g circa di carne di manzo macinata magra 230 g circa di carne di tacchino macinata magra 1 tazza di cipolla bianca o dorata tritata (1 media) ¼ di tazza di prezzemolo tritato ½ tazza di champignon a cubetti (55 g circa) ¼ di tazza di fiocchi di avena 1 uovo grande leggermente sbattuto 2 cucchiai e ½ di concentrato di pomodoro 2 cucchiaini di basilico essiccato 1 cucchiaino di origano ¾ di cucchiaino di sale grosso PREPARAZIONE

Immergete i funghi secchi in una tazza di acqua bollente per 30 minuti, o per il tempo indicato sulle confezioni. Strizzateli senza gettare via l’acqua e sminuzzateli. Passate l’acqua con un colino per eliminare qualsiasi residuo. Preriscaldate il forno a 160 °C. Mescolate la carne macinata con i funghi reidratati e 2 cucchiai della loro acqua. Aggiungete cipolla, prezzemolo, champignon, fiocchi di avena, uovo, concentrato di pomodoro, sale, basilico e origano. Dovrete ottenere un composto omogeneo. Sistematelo in uno stampo antiaderente per pane da 22x12 cm. Infornate per almeno 45-50 minuti. Controllate la cottura e, se necessario, proseguitela ancora per qualche minuto.

Resa: 10 porzioni; 1 porzione: 1 fetta (85 g circa). Calorie: 161; proteine: 15,9 g; carboidrati: 7 g; fibre: 1,6 g; sodio: 254 mg; grassi: 7,6 g (sat: 2,48 g, mono: 2,79 g, poli: 0,88 g, trans: 0,04 g); colesterolo: 56 mg.

Portate principali vegetariane

BARCHETTE DI RADICCHIO CON NOCI, PEPERONI ROSSI E INSALATA DI FETA Ana Sortun, executive chef e proprietaria dell’Oleana and Sofra Bakery and Café, autrice di Spice: Flavors of the Eastern Mediterranean (HarperCollins, 2006) Io adoro l’esplosione di sapori di questo piatto e la croccantezza dei crostini di pane e delle noci. La melassa di melagrana si trova ormai facilmente nei negozi di alimentari specializzati. Ha un gusto aspro e un’acidità molto gradevoli. Se, però, non riuscite a trovarla, potete sostituirla con un buon aceto balsamico invecchiato. INGREDIENTI

1 tazza di noci leggermente tostate e tritate grossolanamente 1 tazza di peperoni Pimiento del Piquillo in barattolo (meglio se non in lattina) tagliati a dadini di 0,5 cm circa ½ tazza di crostini di pane integrale, meglio se fatti in casa 85 g di feta stagionata in botte (deve avere una buona consistenza, non deve essere cremosa) a cubetti di 1 cm circa 1 cucchiaio di scalogno tritato finemente 1 cucchiaio di prezzemolo tritato finemente 2 cucchiai di succo di limone 1 cucchiaio di melassa di melagrana 1 cucchiaino e ½ di cumino in polvere 2 spicchi di aglio grattugiato 1 cucchiaino di peperoncino di Aleppo o di Maras 1 cespo di radicchio di medie dimensioni o 2 piccoli, o 3 cespi di indivia, da cui ricavare almeno 24 foglie intere 2 cucchiai di olio evo sale

PREPARAZIONE

In una ciotola mescolate noci e peperoni. Rompete i crostini con le mani in pezzi grandi più o meno quanto le noci tritate e uniteli a feta, scalogno e prezzemolo, senza mescolare. In una ciotola a parte mescolate energicamente succo di limone, melassa di melagrana, cumino e aglio, aggiungendo l’olio a filo. Condite con il peperoncino e salate a piacere. Suddividete le foglie di radicchio in 6 piatti e cospargetele con un pizzico di sale. Versate metà del condimento nella ciotola con le noci e i peperoni e mescolate bene fino a ottenere un composto omogeneo. Aiutandovi con un cucchiaio, farcite le foglie con il composto e irrorate con il condimento rimasto. Servite subito. Resa: 6 porzioni. Calorie: 311; proteine: 11 g; carboidrati: 12 g; fibre: 3 g; sodio: 345 mg; grassi: 27 g (sat: 4 g, mono: 3 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 8 mg.

INSALATA DI TOFU SPEZIATO Anna Thomas, autrice di Vegan Vegetarian Omnivore (W.W. Norton, 2016) Un’insalata gustosa appena fatta e strepitosa se lasciata riposare per un po’, così che il tofu assorba l’olio di sesamo, la salsa di soia e il sambal. Potete servirla con spaghetti soba freddi glassati all’arancia e zenzero, con riso bollito o con un’insalata mista. INGREDIENTI

450 g circa di tofu firm a fette 1 cucchiaino e ½ di olio di sesamo nero 1 cucchiaio di sambal o di un’altra pasta a base di peperoncino 1 cucchiaio di salsa di soia Tamari ⅓ di tazza di scalogno o cipollotti affettati finemente ½ tazza di coriandolo tritato, più qualche rametto per guarnire

spaghetti soba freddi glassati con arancia e zenzero (vedi a p. 459) per servire PREPARAZIONE

Sgocciolate molto bene il tofu, premendo per far uscire tutto il liquido possibile. Sistemate le fette su un piatto, intervallate da fogli di carta assorbente, coprite con altra carta, appoggiateci sopra un tagliere o qualsiasi altro utensile piatto e un peso qualsiasi (senza esagerare!). Mettete da parte per qualche minuto. Togliete la carta assorbente e ripetete il procedimento fino a quando quest’ultima non risulterà solo umida. In alternativa, potete anche schiacciare le fette a mano, facendo molta attenzione a non romperle. Tagliate il tofu a dadini di 2 cm circa. In una ciotola amalgamate l’olio di sesamo con il sambal e la salsa di soia, aggiungete i cubetti di tofu e mescolate. Aggiungete lo scalogno e il coriandolo, mescolando ancora delicatamente per non sbriciolare il tofu. Servite subito oppure riponete in frigorifero per qualche ora. Per una presentazione raffinata, arrotolate gli spaghetti a mo’ di nido e versateci dentro il tofu, guarnendo con uno o due rametti di coriandolo. N.B. Il sambal è una pasta di peperoncini con aceto e sale ed è il vero fuoco di questa gustosa insalata. È usato nelle tradizioni vietnamita e thailandese e al supermercato lo si trova con facilità nel reparto di specialità asiatiche. Potete sostituirlo con la pasta di peperoncino che preferite. Resa: da 4 a 6 porzioni come pasto insieme agli spaghetti, da 6 a 8 porzioni come antipasto. Calorie: 110; proteine: 10 g; carboidrati: 5 g; fibre: 1 g; sodio: 219 mg; grassi: 6 g (sat: 1 g, mono: 2 g, poli: 3 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

SPAGHETTI SOBA FREDDI GLASSATI ALL’ARANCIA E ZENZERO

Anna Thomas, autrice di Vegan Vegetarian Omnivore (W.W. Norton, 2016) INGREDIENTI

340 g circa di spaghetti soba ½ tazza di succo di arancia 1 cucchiaio di aceto di riso 1 cucchiaio e ½ di zenzero grattugiato finemente 1 cucchiaino scarso di scorza di arancia grattugiata 2 cucchiai di sesamo nero ⅓ di tazza di olio di arachidi ¼ di cucchiaino di sale, più altro se necessario PREPARAZIONE

Cucinate gli spaghetti in acqua bollente salata seguendo le indicazioni riportate sulla confezione. In genere sono sufficienti 3 o 4 minuti di cottura. Scolateli, immergeteli subito in acqua fredda, quindi scolateli di nuovo. Amalgamate succo di arancia, aceto, zenzero, scorza di arancia, sale e olio di arachidi. Versate 5 o 6 cucchiai di questo condimento sugli spaghetti e mescolate, alzandoli delicatamente con le pinze o con le mani fino a quando non saranno glassati uniformemente. Assaggiate e aggiustate il sapore, aggiungendo altro condimento o sale, secondo il vostro gusto. Conservate il condimento avanzato per glassare altri piatti saltati in padella. Cospargete con il sesamo nero, mescolate ancora e servite. N.B. È possibile preparare il piatto in anticipo poiché si conserva bene in frigorifero per alcune ore. Resa: 5 porzioni. Calorie: 404; proteine: 8 g; carboidrati: 56 g; fibre: 4 g; sodio: 143 mg; grassi: 17 g (sat: 3 g, mono: 7 g, poli: 6 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

INSALATA DI CRESCIONE CON UVETTA E NOCI Mollie Katzen, autrice e illustratrice di numerosi libri di cucina per adulti e bambini. Ricetta adattata da Still Life With Menu Cookbook (Ten Speed Press, 1988) Un’insalata delicata e raffinata con un po’ di scalogno, noci e uvetta. L’aceto balsamico è senz’altro la scelta che meglio si sposa con questo piatto, ma l’aceto di champagne o quello di lamponi risultano altrettanto adatti. Lavare e asciugare le verdure in anticipo riduce il tempo di preparazione a pochi minuti. Avvolgetele in tovaglioli di carta e conservatele in frigorifero in sacchetti di plastica. Saranno già pronte all’uso. INGREDIENTI

1 cespo di lattuga cappuccina o di altra varietà a foglia morbida di medie dimensioni 1 mazzetto di crescione 1 o 2 scalogni piccoli o 6 fili circa di erba cipollina tritati finemente 1 manciata di uvetta 2 manciate di noci leggermente tostate e tritate 2 o 3 cucchiai di olio evo o di olio di noci 1 cucchiaino scarso di aceto balsamico sale pepe macinato al momento PREPARAZIONE

Lavate e asciugate con attenzione lattuga e crescione. Raffreddateli, quindi tagliateli a pezzi non troppo grandi e versateli in una ciotola capiente. Aggiungete scalogno, uvetta e noci. Condite con olio e mescolate bene. Aggiungete aceto e un pizzico di sale e di pepe. Mescolate ancora e servite subito. Resa: 4 porzioni. Calorie: 284; proteine: 5 g; carboidrati: 18 g; fibre: 3 g; sodio: 78 mg; grassi: 24 g (sat: 3 g, mono: 9 g, poli: 10 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

INSALATA DI TEMPEH CON PINOLI E PANE PITA Un’insalata di ispirazione greca che tempeh, pinoli e pita promuovono da contorno a piatto unico. Nelle belle giornate potreste grigliare la pita e il tempeh per aggiungere alla pietanza uno straordinario tocco affumicato. INGREDIENTI

2 pita integrali (55 g ciascuna) 1 confezione di tempeh ai cinque cereali (225 g circa) 4 pomodori maturi privati dei semi e tagliati a cubetti (2 tazze circa) 2 cetriolini pelati privati dei semi e tagliati a cubetti (2 tazze circa) ⅓ di tazza di cipolla rossa a fette sottili (1 piccola) ¼ di tazza di peperone verde (1 piccolo) 1 tazza e ½ di pinoli tostati 2 cucchiai di basilico tritato 2 cucchiai di origano fresco 1 cucchiaio di succo di limone ¼ cucchiaino di senape di Digione 2 cucchiai di olio di oliva ½ cucchiaino di sale grosso ¼ di cucchiaino di pepe macinato al momento PREPARAZIONE

Riscaldate il grill del forno o una griglia all’esterno. Spennellate le pita con ½ cucchiaino di olio e cuocete sotto il grill o sulla griglia 2 minuti per ogni lato, o fino a quando non saranno brunite. Lasciate raffreddare e tagliate ciascuna pita in 8 spicchi o triangoli. In un’ampia padella antiaderente scaldate un cucchiaino e ½ di olio a fuoco medio-alto. Versateci il tempeh e cuocete rigirando per 3 o 4 minuti; dovrà assumere un bel colore dorato. In una ciotola capiente unite pomodori, cetriolini, il tempeh, pita, cipolle, peperoni, pinoli, basilico e origano.

Versate il succo di limone in una ciotola e amalgamatelo alla senape, mescolando energicamente. Aggiungete l’olio rimanente a filo, salate e pepate. Condite l’insalata con questa vinaigrette, mescolate delicatamente e servite. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 372; proteine: 14,8 g; carboidrati: 39,6 g; fibre: 10,7 g; sodio: 428 mg; grassi: 19 g (sat: 2,3 g, mono: 6,8 g, poli: 4,1 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

PANINO CON BISTECCHE DI TOFU IN CROSTA DI CIPOLLE Le bistecche di tofu fritte in padella sono una farcitura deliziosa e facile da preparare. Niente di meglio che chiuderle in un panino integrale insieme a qualche foglia di insalata, una grossa fetta di pomodoro e una maionese aromatizzata. La concia di sette verdure (vedi a p. 490) è l’accompagnamento perfetto e, anzi, potreste utilizzarla al posto della salsa aïoli e creare così un’altra versione di questo delizioso panino. INGREDIENTI PER LA SALSA AÏOLI AL LIMONE E CORIANDOLO

⅓ di tazza di maionese con olio di oliva o di soia 2 cucchiai di coriandolo fresco tritato 1 spicchio piccolo di aglio tritato ¼ di cucchiaino di scorza di limone grattugiata 1 cucchiaino di olio di sesamo INGREDIENTI PER IL PANINO

1 confezione di tofu extra firm tagliato (in orizzontale) in 12 fette (450 g circa) ¼ di tazza di farina di avena o di farina multiuso ¼ di cipolla essiccata tritata 2 cucchiai di semi di sesamo ½ cucchiaino di paprika

1 uovo grande leggermente sbattuto 6 panini integrali 1 tazza e ½ di lattuga cappuccina sminuzzata 6 fette di pomodoro rosso o giallo ben maturo, spesse all’incirca 1,5 cm 2 cucchiai di olio di arachidi o di oliva sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Per la salsa aïoli, mescolate tutti gli ingredienti e mettete da parte perché i sapori si fondano. Per i panini, appoggiate le fette di tofu su un doppio strato di carta assorbente e lasciate riposare per 5 minuti. In una ciotola poco profonda mescolate farina, cipolla, semi di sesamo, paprika, sale e pepe a piacere. In un recipiente a parte sbattete l’uovo insieme a 2 cucchiai di acqua. Immergetevi le fette di tofu e passatele poi una alla volta nella miscela con la farina. In una padella antiaderente scaldate a fuoco medio un cucchiaio di olio. Adagiatevi 6 fette di tofu e cucinatele per 2 o 3 minuti per lato, finché non avranno assunto un lieve colore brunito. Toglietele quindi dal fuoco, aggiungete il cucchiaio di olio rimanente e le altre 6 fette di tofu. Adagiate 2 fette di tofu sulla base di un panino, aggiungete ¼ di tazza di lattuga e una fetta di pomodoro. Completate spalmando un cucchiaio di aïoli sulla parte superiore. Servite subito. N.B. Il tofu al naturale, confezionato cioè solo con il suo siero, è il migliore per fungere da “bistecca”! È più sodo e quindi più facile da maneggiare durante le preparazioni. Per questa ricetta sono adatti anche il tofu setoso o quello light, con i quali è però necessario prestare maggiore attenzione poiché più morbidi e quindi più facili da rompere. Resa: 6 panini; 1 porzione: 1 panino. Calorie: 420; proteine: 20,3 g; carboidrati: 33,7 g; fibre: 6 g; sodio: 344 mg; grassi: 18,1 g (sat: 3,1 g, mono: 9,9 g, poli: 8,1 g, trans: 0 g); colesterolo: 40 mg.

BURGER DI FARRO E FUNGHI Suvir Saran, chef, scrittore, oratore, agricoltore dilettante e autore di Masala Farm: Stories and Recipes from an Uncommon Life in the Country (Chronicle Books, 2011) Il farro non manca mai nella mia dispensa. E in questa ricetta di burger vegetali è strepitoso. Oltre alle proteine e alle fibre utili per la salute, contribuisce alla riuscita del piatto con la sua consistenza così corposa. Potete utilizzare i burger per farcire un panino, magari con chutney di pomodoro o con il condimento che preferite, oppure accompagnarli con un contorno di insalata verde. INGREDIENTI

2 tazze e ¼ di acqua ¾ di tazza di farro 450 g circa di patate dolci 1 rametto di rosmarino (solo le foglie) 1 rametto di timo (solo le foglie) 680 g circa di cappelle di funghi bruni tritate finemente 3 scalogni tritati finemente 1 cucchiaio di vino bianco secco, vermut secco o acqua ½ tazza di Parmigiano grattugiato (56 g circa) 1 tazza di panko integrale 10-12 cucchiai di olio evo 1 cucchiaino di sale kosher 1 cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Versate l’acqua in un tegame di medie dimensioni e portate a bollore. Aggiungete il farro e cuocete a fuoco medio-basso per 30 minuti circa, finché il farro non risulterà tenero. Spegnete il fuoco, con una forchetta stendete bene il farro su un piatto e mettetelo da parte. Mentre il farro cuoce, riempite di acqua una casseruola capiente e portate a bollore, immergetevi le patate, riportate a bollore e cuocete per 20 minuti circa. Scolatele e mettetele da parte. Quando si saranno

raffreddate, pelatele e ponetele in una ciotola capiente. In una padella versate rosmarino, timo, 6 cucchiai di olio e pepe e fate saltare a fuoco medio-alto, rigirando di tanto in tanto, per circa un minuto, fino a quando le erbe non saranno tostate. Aggiungete quindi i funghi e salate. Cuocete il tutto, rigirando spesso, per 6 o 7 minuti o comunque finché tutto il liquido dei funghi non sarà evaporato. Versate nella stessa ciotola delle patate e rimettete da parte. Nella stessa padella scaldate a fuoco medio-alto un cucchiaio di olio. Aggiungete gli scalogni e fateli imbiondire per un paio di minuti. Aggiungete il vino e raschiate i pezzi bruniti dal fondo della padella. Spegnete e aggiungete gli scalogni, con tutto il condimento, nella ciotola di patate e funghi. Unite anche il parmigiano e il farro e schiacciate con uno schiacciapatate o con una forchetta. Suddividete il composto in 10 medaglioni. Versate il panko in un piatto piano e impanate i medaglioni da entrambi i lati. In una padella capiente scaldate a fuoco medio-alto 4 cucchiai di olio. Sistematevi 5 medaglioni e cuoceteli per 8-10 minuti in totale, in modo che si formi una bella crosticina croccante su entrambi i lati. Adagiate i medaglioni su un piatto e ripetete l’operazione con i restanti 5, aggiungendo, se necessario, altro olio. Servite caldo. Resa: 10 porzioni. Calorie: 305; proteine: 7 g; carboidrati: 26 g; fibre: 4 g; sodio: 199 mg; grassi: 20 g (sat: 4 g, mono: 13 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 4 mg.

PADELLATA DI ASPARAGI, TOFU, SHIITAKE E ANACARDI (SALVATEMPO) L’olio di arachidi, con il suo sentore intenso di noci, arricchisce questo piatto con un tocco speciale. Lo potete acquistare nella maggior parte dei supermercati e nei negozi di alimenti naturali. La Tamari è una varietà di salsa di soia dal sapore più concentrato. Si trova in vendita praticamente in tutti i supermercati, nelle varianti normale e a ridotto contenuto di sodio. Potreste cucinare una quantità maggiore di riso integrale e poi usare quello che avanza per il riso fritto alla thailandese (vedi a p. 450).

INGREDIENTI

¼ di tazza di anacardi non tostati 2 spicchi di aglio tritati 1 cucchiaino e ½ di zenzero tritato 680 g di asparagi sottili, puliti e tagliati a losanghe di 7 cm circa ½ tazza di funghi shiitake a fettine (115 g circa) 1 confezione di tofu al naturale extra firm sgocciolato e tagliato a cubetti di 1 cm circa (450 g circa) 2 tazze e ⅔ di brodo vegetale, anche di dado 2 cucchiai di salsa di soia Tamari 1 cucchiaio di aceto di riso 1 cucchiaio di amido di mais 2 tazze e ⅔ di riso integrale o riso basmati integrale cotto e ancora caldo 2 cucchiai di olio di arachidi o di oliva PREPARAZIONE

In un wok o in una padella antiaderente piuttosto capiente saltate a fuoco medio-alto gli anacardi con un cucchiaino di olio. Rigirate di tanto in tanto e cuocete per 2-3 minuti fino a quando gli anacardi non saranno leggermente bruniti. Togliete dal wok e mettete da parte. Versate 2 cucchiaini di olio nello stesso wok, unite l’aglio e lo zenzero e saltateli per 45 secondi circa. Aggiungete gli asparagi e saltate per 3 o 4 minuti, quindi trasferite il tutto in un piatto e tenete in caldo. Ripetete lo stesso procedimento con i funghi, e poi metteteli nel piatto insieme agli asparagi. Aggiungete altri 2 cucchiaini di olio e saltate il tofu per 3 o 4 minuti, quindi unitelo agli asparagi e ai funghi. Nel wok versate 6 cucchiai di brodo, la salsa Tamari e l’aceto e scaldate a fuoco medio-basso per 2 o 3 minuti. Amalgamate per bene i 2 cucchiai di brodo rimanenti con l’amido di mais e versate il composto nel wok. Cuocete fino a quando il composto non si sarà addensato, quindi trasferite le verdure nel wok, rigiratele delicatamente per qualche istante e servite su un letto di riso integrale. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ⅓ di verdure e ⅔ di tazza di

riso integrale. Calorie: 420; proteine: 19,1 g; carboidrati: 49 g; fibre: 7,2 g; sodio: 604 mg; grassi: 17,04 g (sat: 2,87 g, mono: 6,96 g, poli: 6,08 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

PIZZA CON FUNGHI PORTOBELLO E CIPOLLA CARAMELLATA Troppo spesso la pizza è ricoperta con tanta mozzarella (o altro formaggio) da impedirci di assaporare condimenti vegetali o comunque delicati. In questa ricetta, invece, sono le verdure a dominare, in un connubio fra l’agrodolce delle cipolle caramellate e il sapore corposo e avvolgente dei funghi, con una spolverata di Asiago a combinare il tutto. La base è realizzata con una miscela di farina integrale e di farina 00, un pizzico di cereali integrali, avena decorticata e semi di lino per accentuarne la consistenza. Avena decorticata e semi di lino si trovano facilmente in qualsiasi negozio di alimenti naturali. INGREDIENTI PER LA BASE INTEGRALE

2 cucchiaini di lievito per panificazione 1 tazza di acqua tiepida (40-45 °C) 1 tazza e ¼ di farina 00, più il necessario per infarinare ⅔ di tazza di farina integrale ¼ di tazza di avena decorticata tostata 2 cucchiai di semi di lino macinati o 3 cucchiai di farina di semi di lino 2 cucchiai di olio evo 1 cucchiaino di sale grosso INGREDIENTI PER I CONDIMENTI

2 tazze di cipolla bianca o dorata affettata (1 grande) 170 g circa di funghi Portobello affettati e tagliati in quarti 115 g circa di funghi affettati

1 grosso spicchio di aglio tritato 2 cucchiai di prezzemolo tritato 1 cucchiaio di timo tritato 1 cucchiaio di aceto di sherry farina di granoturco per infarinare il piano di lavoro 2 cucchiai di Asiago e Parmigiano grattugiati al momento 2 cucchiai di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Per la base: in una ciotola capiente sciogliete il lievito nell’acqua tiepida e lasciate riposare per 5 minuti. Aggiungete olio, sale, una tazza di farina 00, farina integrale, avena decorticata, semi di lino e amalgamate il tutto fino a ottenere un composto morbido. Rovesciate l’impasto su una superficie infarinata e lavoratelo per 8-10 minuti, aggiungendo un cucchiaio alla volta della farina 00 rimasta, per impedire che la pizza si appiccichi alle mani. L’impasto avrà una consistenza un po’ collosa ma dovrà comunque risultare elastico. Mettete l’impasto in una terrina capiente unta di olio, rigirandolo per ungerlo tutto. Coprite con pellicola per alimenti e ponete in luogo tiepido (30 °C circa), al riparo da correnti, per 30 minuti, finché non sarà raddoppiato di volume. Per i condimenti: scaldate a fuoco medio un cucchiaio di olio e la cipolla, mescolando di tanto in tanto, per circa 5 minuti. Aggiustate di sale e pepe. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere per altri 20 minuti, o comunque fino a quando la cipolla non sarà morbida e dorata. Trasferite in un piatto e tenete al caldo. Versate nella stessa padella l’olio rimanente e scaldatelo a fuoco medio-alto. Aggiungete i funghi e cuocete, rigirando spesso, per 5-8 minuti, finché non saranno ben rosolati. Togliete dal fuoco e aggiungete aglio, prezzemolo, timo e aceto, amalgamando per bene. Scaldate il forno a 230 °C e, se la usate, mettete la pietra per pizza a scaldare. Lavorate ancora una volta l’impasto, coprite e lasciate riposare per

5 minuti. Stendetelo quindi su una superficie infarinata in modo da formare un disco di 30 cm. Disponetelo in una teglia o su una pala da fornaio cosparsa di farina di granoturco, modellate il bordo, coprite e lasciate lievitare per altri 10 minuti. Spargete le cipolle caramellate sulla base della pizza, lasciando libero un bordo di circa 1 cm. Ricoprite con i funghi e ultimate con una spolverata di formaggio. Infornate per 10 minuti. Sfornate, appoggiate su un tagliere e dividete in 6 porzioni. N.B. L’avena decorticata si tosta come qualsiasi frutto con guscio, ossia spargendola in una teglia e infornandola a 180 °C per 15-20 minuti, controllando di tanto in tanto. Una volta che l’avena sarà appena dorata, toglietela dal forno e lasciatela raffreddare. I semi di sesamo, invece, si possono macinare con un macinacaffè oppure acquistare già macinati. Resa: 6 fette; 1 porzione: 1 fetta. Calorie: 296; proteine: 8,7 g; carboidrati: 42 g; fibre: 4,7 g; sodio: 326 mg; grassi: 11,6 g (sat: 1,72 g, mono: 6,89 g, poli: 1,19 g, trans: 0,09 g); colesterolo: 2 mg.

SFORMATO DI RISO INTEGRALE ALLE NOCI TOSTATE Il riso integrale può essere di tanti colori diversi. Per questa ricetta vi consiglio di acquistare una miscela più colorata possibile, perché così lo sformato acquisterà anche un aspetto piacevole. Per il pangrattato potete anche frullare del pane avanzato nel mixer fino a ottenere la consistenza che preferite. INGREDIENTI

1 tazza di riso integrale (di un solo tipo o una miscela) 2 tazze di brodo di funghi o vegetale ½ tazza di porcini secchi o di shiitake (15 g circa) a dadini 2 tazze di noci tritate grossolanamente 1 tazza di cipolla bianca o dorata tritata finemente (1 media)

¼ di tazza di sedano tritato finemente 2 spicchi di aglio tritati 1 tazza di pangrattato integrale ¼ di tazza di prezzemolo tritato (2 cucchiaini di fresco tritato o ½ cucchiaino di essiccato) 3 uova grandi leggermente sbattute 3 cucchiai di olio evo, più il necessario per oliare la teglia 1 cucchiaino di sale PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 190 °C e ungete leggermente una teglia quadrata di 20 cm di lato. In un tegame capiente mescolate riso, brodo, funghi, un cucchiaio di olio e ½ cucchiaino di sale. Portate a bollore, coprite, quindi abbassate la fiamma e lasciate sobbollire per 45 minuti, fino a ultimare la cottura del riso. Versatelo in una ciotola e lasciatelo raffreddare. Tostate le noci in forno per 3-5 minuti. Controllate con attenzione per evitare che brucino. Sfornate e tritate finemente. In una padella antiaderente piuttosto capiente fate stufare a fuoco medio, per 5-7 minuti, cipolla e sedano con 2 cucchiai di olio. Lasciate cuocere, mescolando di tanto in tanto, fino a quando le verdure non si saranno ammorbidite. Aggiungete ½ cucchiaino di sale e aglio, girate e proseguite la cottura per un minuto. Togliete dal fuoco e aggiungete pangrattato e prezzemolo. Unite le verdure al riso, amalgamate le uova, mescolate e versate nella teglia, premendo bene per livellare. Infornate per 40-50 minuti. Lo sformato dovrà risultare ben compatto. Sfornate, lasciate riposare nella teglia per 10 minuti e tagliate. Resa: 1 sformato, 12 fette; 1 porzione: 1 fetta. Calorie: 266; proteine: 7,3 g; carboidrati: 20,3 g; fibre: 3 g; sodio: 234 mg; grassi: 18,4 g (sat: 2,20 g, mono: 5,03 g, poli: 10,17 g, trans 0 g); colesterolo: 53 mg.

SFORMATO DI LENTICCHIE E ARACHIDI CON SALSA DI PEPERONE ROSSO

Gail Willett, adattata da Yummly.com INGREDIENTI PER LO SFORMATO

2 tazze di acqua 1 tazza di lenticchie sciacquate e pulite 1 grossa cipolla bianca o dorata a pezzetti 1 tazza di funghi sminuzzati (113 g circa) 1 tazza di arachidi 1 tazza di pangrattato 1 cucchiaio di succo di limone 1 cucchiaio di salsa di soia 1 cucchiaio di erbe aromatiche miste 2 cucchiai di olio evo, più il necessario per oliare la teglia sale pepe nero macinato al momento INGREDIENTI PER LA SALSA

1 spicchio di aglio peperone rosso arrostito 3 pomodori a pezzetti fiocchi di peperoncino (facoltativo) 1 cucchiaio di olio evo PREPARAZIONE

Per lo sformato di lenticchie, preriscaldate il forno a 180 °C e ungete leggermente uno stampo di 22x12 cm. Mettete l’acqua in un tegame di medie dimensioni e portate a bollore. Versate le lenticchie e cuocetele per 30 minuti, fino a quando non si saranno ammorbidite. In una padella cuocete a fuoco medio la cipolla e i funghi con l’olio, rigirando di tanto in tanto. Una volta ammorbiditi, aggiungete tutti gli altri ingredienti dello sformato, salate, pepate e continuate la cottura per alcuni minuti, mescolando di tanto in tanto. Disponete il composto nello stampo e infornate per 30 minuti.

Nel frattempo, preparate la salsa di peperone. In una padella stufate l’aglio per 3 o 4 minuti a fuoco medio con un cucchiaio di olio. Aggiungete il peperone e i pomodori e cuocete fino a quando il composto non si sarà addensato. Servite la salsa calda o a temperatura ambiente sullo sformato. Resa: 4 porzioni. Calorie: 504; proteine: 20 g; carboidrati: 42 g; fibre: 10 g; sodio: 505 mg; grassi: 31 g (sat: 3 g, mono: 5 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

ZUCCA INVERNALE RIPIENA DI NOCI PECAN Per questa ricetta va bene qualsiasi varietà di zucca invernale. Personalmente preferisco la zucca americana e la sweet dumpling. INGREDIENTI

2 zucche americane o sweet dumpling (da 400 g circa ciascuna) 1 tazza di cipolla bianca o dorata tagliata grossolanamente (1 media) 1 tazza di riso integrale cotto ½ tazza di noci pecan tostate e tritate grossolanamente 2 cucchiai di semi di girasole tostati ¼ di tazza di ciliegie essiccate ¼ di tazza di uvetta 3 cucchiai di prezzemolo tritato 2 cucchiaini di salvia tritata finemente 1 cucchiaio e ½ di olio evo 1 cucchiaino di sale grosso ¼ di cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 190 °C. Tagliate le zucche a metà in senso longitudinale, privatele dei

semi, spennellate gli interni con un cucchiaino di olio e sistematele in una teglia con il lato tagliato rivolto verso il basso. Cuocete per 30-35 minuti, o comunque fino a quando le zucche non avranno un aspetto rugoso e morbido. Aiutandovi con un cucchiaio, togliete la polpa lasciandone solo uno strato sottile. Raccoglietela in una ciotola capiente e schiacciatela con una forchetta. Mettete da parte. In una padella antiaderente piuttosto capiente fate stufare a fuoco medio per 4 o 5 minuti la cipolla con il resto dell’olio. Aggiungete ½ cucchiaino di sale e girate. Versate il riso e proseguite la cottura per altri 3 o 4 minuti. Aggiungete la polpa di zucca, l’altro ½ cucchiaino di sale, le noci e tutti gli altri ingredienti. Salate, pepate e continuate a cuocere per 4-6 minuti. Riempite le metà di zucca con il composto di polpa e riso, premendo per bene con il dorso di un cucchiaio. Servite subito. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: mezza zucca ripiena. Calorie: 379; proteine: 6,2 g; carboidrati: 52,3 g; fibre: 7,8 g; sodio: 482 mg; grassi: 18,5 g (sat: 2 g, mono: 10,4 g, poli: 5,3 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

GRATIN DI ZUCCA BUTTERNUT, MELE E MIRTILLI ROSSI Suvir Saran, chef, scrittore, oratore, agricoltore dilettante e autore di Masala Farm: Stories and Recipes from an Uncommon Life in the Country (Chronicle Books, 2011) INGREDIENTI

1 zucca butternut sbucciata, privata dei semi e tagliata a cubetti di 1 cm circa 3 mele acidule (dovranno mantenere la forma dopo la cottura al forno) sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti di 1 cm circa 1 tazza e ⅓ di mirtilli rossi essiccati non zuccherati ¼ di tazza di prezzemolo a foglia piatta tritato finemente

½ cucchiaino di timo tritato finemente ½ tazza di farina integrale per pasticceria ½ tazza più 1 cucchiaio di olio evo 1 cucchiaio di sale kosher 1 cucchiaino di pepe nero macinato al momento ¼ di cucchiaino di pepe di Cayenna PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 180 °C e ungete una pirofila di 30x22 cm con il cucchiaio di olio. In una ciotola molto capiente versate tutti gli ingredienti. Amalgamate bene, aggiungete la farina e, solo alla fine, la mezza tazza di olio, continuando a impastare. Versate il composto nella pirofila e cuocete per 50-55 minuti, o fino a quando lo strato superiore non sarà brunito e la zucca tenera ma non molle. La zucca, infatti, è pronta quando la punta di uno spelucchino vi penetra facilmente. Sfornate e lasciate raffreddare per 5 minuti prima di servire. Resa: 8 porzioni. Calorie: 335; proteine: 3 g; carboidrati: 50 g; fibre: 7 g; sodio: 429 mg; grassi: 15 g (sat: 2 g, mono: 11 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

FARRO CON ZUCCA BUTTERNUT AL FORNO Heidi Swanson, 101 Cookbooks (www.101cookbooks.com) Se avete fretta, optate per il farro perlato o semi-perlato (più facile da reperire), che riduce i tempi di cottura di circa 20 minuti. Se non trovate il farro, l’orzo, sia mondo sia perlato, è un ottimo sostituto. Al mercato compro ogni volta che posso degli splendidi cipollotti rossi, ma le normali cipolle rosse andranno più che bene e sono senz’altro più semplici da trovare. INGREDIENTI

5 tazze di acqua o di brodo 2 tazze di farro risciacquato e sgocciolato

3 tazze di zucca butternut tagliata a cubetti di 1 cm circa 1 grossa cipolla rossa tagliata in ottavi 1 cucchiaio di timo tritato 1 tazza di noci ben tostate ¼ di tazza di formaggio di capra sbriciolato (30 g circa) 3 cucchiai di olio di noci (o di olio evo) 3 cucchiai di olio evo 1 cucchiaio di aceto balsamico 1 cucchiaino di sale fino, più altro al bisogno PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 190 °C. In un grosso tegame versate l’acqua, salate e aggiungete il farro. Coprite, portate a bollore a fuoco medio e, girando di tanto in tanto, lasciate andare fino a quando il farro non risulterà tenero. I tempi di cottura vanno dai 45 minuti a un’ora per il farro integrale, 20 minuti circa per il semi-perlato. Assaggiate spesso: il farro dev’essere cotto ma mantenere comunque una certa consistenza. Appena pronto scolate e mettete da parte. Nel frattempo, versate in una teglia la zucca, aggiungete cipolla, timo, olio, aceto e un paio di prese di sale, rigirate e sparpagliate bene, quindi mettete in forno per 20 minuti circa. Girate ogni 5-7 minuti in modo che zucca e cipolle siano ben dorate da tutti i lati. Sfornate e lasciate raffreddare. Tritate la metà delle cipolle. In una ciotola capiente versate tutti gli ingredienti, aggiustate di sale e servite guarnendo con il formaggio di capra e un filo di olio di noci. Resa: 6 porzioni. Calorie: 509; proteine: 14 g; carboidrati: 54 g; fibre: 7 g; sodio: 460 mg; grassi: 31 g (sat: 4 g, mono: 7 g, poli: 10 g, trans: 0 g); colesterolo: 4 mg.

Zuppe e stufati

ZUPPA DI ZUCCA INVERNALE AL CURRY (SALVATEMPO) Una zuppa di zucca pronta in pochi minuti: no, non è uno scherzo, è così grazie all’uso della zucca surgelata. Mela e curry aggiungono quel tocco in più di delicatezza. Accompagnata da pane integrale croccante e da un’insalata mista, costituisce un perfetto pasto invernale. Se non avete il brodo fatto da voi, potete usare quello in scatola o prepararlo con il dado normale o in polvere: in tutti i casi, l’importante è che scegliate la varietà a basso contenuto di sodio. Molto meglio aggiungere sale a piacere durate la preparazione. INGREDIENTI

2 tazze di cipolla bianca o dorata tritata grossolanamente (1 grande) 1 o 2 cucchiaini di zenzero fresco tritato 1 cucchiaio di polvere di curry 2 tazze e ½ di brodo di pollo (anche di dado) sgrassato, meglio se a basso contenuto di sodio 1 tazza di succo o sidro analcolico di mela 2 scatole di polpa di zucca invernale già scongelata (400 g circa ciascuna) ¼ di tazza di salsa di mele non zuccherata 2 cucchiai di olio evo sale grosso PREPARAZIONE

In una pentola molto capiente fate stufare a fuoco medio la cipolla con l’olio per circa 12-18 minuti, mescolando di tanto in tanto. Aggiungete zenzero e curry, mescolate bene e di continuo per un

minuto, quindi aggiungete brodo, succo di mela, polpa di zucca e salsa di mele. Portate a bollore, abbassate il fuoco al minimo e lasciate andare per 5-10 minuti in modo che i sapori si amalgamino bene. Versate una piccola quantità di zuppa in un mixer o in un frullatore e riducete in purea a velocità minima. Se possibile, non mettete il coperchio o lasciatelo in parte aperto per far uscire il vapore. Continuate a frullare la zuppa in piccole quantità fino a ottenere una purea liscia e omogenea, quindi riversate nella pentola, che manterrete calda fino al momento di servire. Assaggiate e aggiustate di sale. N.B. Con questo procedimento si ottiene una zuppa molto densa. Se la desiderate più liquida potete aggiungere brodo a piacere. Resa: 6 tazze; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 192; proteine: 4,8 g; carboidrati: 32 g; fibre: 5,7 g; sodio: 391 mg; grassi: 6,9 g (sat: 0,93 g, mono: 7,83 g, poli: 0,61 g, trans: 0,07 g); colesterolo: 0 mg.

ZUPPA DI LENTICCHIE E GRANO IN CHICCHI Questa zuppa va preparata in anticipo poiché il grano richiede circa 45 minuti di cottura. Potete anche scegliere di cucinarlo con largo anticipo, conservarlo per averne a disposizione al bisogno e aggiungerlo all’ultimo momento a qualsiasi preparazione. INGREDIENTI

1 tazza di grano in chicchi 9 tazze di acqua 1 tazza e ½ di cipolla bianca o dorata tritata (1 grossa) 1 tazza di carote a cubetti (2 medie) ¾ di tazza di sedano a cubetti 2 spicchi di aglio tritato 1 tazza di lenticchie a piacere 2 tazze di brodo vegetale 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro

1 cucchiaio di salsa di soia Tamari 3 rametti di timo 1 foglia di alloro 4 tazze di spinacini 2 cucchiai di olio evo ¾ di cucchiaino di sale grosso ¼ di cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Versate il grano in chicchi in una grossa pentola, aggiungete ¼ di cucchiaino di sale e 4 tazze di acqua. Portate a bollore, coprite, abbassate la fiamma e lasciate sobbollire per 45-50 minuti. Quando i chicchi saranno teneri scolate. In una grossa pentola scaldate l’olio a fuoco medio. Aggiungete cipolla, carote e sedano e saltate il tutto per 6-8 minuti. Unite l’aglio e ¼ di cucchiaino di sale, mescolate bene e cucinate per un minuto. Aggiungete lenticchie, 5 tazze di acqua, brodo, concentrato di pomodoro, salsa di soia, timo e alloro. Alzate la fiamma al massimo fino a quando non inizia a bollire, quindi abbassate e lasciate andare per 15 minuti. Aggiungete il sale rimanente, il pepe e gli spinacini e proseguite la cottura per 2 o 3 minuti, fino a quando questi ultimi non saranno appassiti. Unite il grano in chicchi e proseguite la cottura per 1 o 2 minuti. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: circa 1 tazza e ½. Calorie: 283; proteine: 12,4 g; carboidrati: 50 g; fibre: 10,6 g; sodio: 706 mg; grassi: 5,2 g (sat: 0,73 g, mono: 3,40 g, poli: 0,73 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

ZUPPA AL POMODORO Charles Burke, MD , presidente della New Hampshire Farm to Restaurant Connection In questa zuppa di pomodoro abbiamo l’occasione di usare il finocchio sia fresco sia in semi, esaltato dal Pernod o dal liquore all’anice. Se non vi piace, potete evitare il liquore e sostituirlo con una doppia dose di dragoncello,

anch’esso caratterizzato da uno spiccato aroma di anice. Usate una passata di pomodoro densa, meglio se non condita, oppure fate bollire una scatola grande di pelati fino a raggiungere la giusta consistenza. È possibile prepararla uno o due giorni prima e, anzi, il gusto ne guadagnerà! INGREDIENTI

1 finocchio medio tagliato a fette 1 cipolla dolce media tagliata a fette 2 spicchi di aglio tagliato a fettine 1 cucchiaio di semi di finocchio 1 cucchiaino di fiocchi di peperoncino 1 cucchiaio di dragoncello tritato o 2 cucchiaini di dragoncello essiccato ¼ di tazza di Pernod o di un altro liquore al sapore di anice ½ tazza di vino bianco secco 2 tazze di passata di pomodoro ¼ di tazza di Parmigiano grattugiato (30 g circa) 3 tazze di acqua 2 cucchiai e ½ di olio di oliva pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Versate l’olio di una padella dal fondo spesso e scaldatelo a fuoco medio. Aggiungete finocchio, cipolla, aglio e semi di finocchio. Cuocete, mescolando di tanto in tanto, fino a quando le verdure non inizieranno a caramellarsi. Unite peperoncino, dragoncello e liquore. Abbassate la fiamma e lasciate andare; versate quindi il vino e fate ridurre. Aggiungete passata di pomodoro, Parmigiano e alla fine acqua. Continuate la cottura fino a ottenere una consistenza densa. Resa: 4 porzioni. Calorie: 290; proteine: 7 g; carboidrati: 26 g; fibre: 7 g; sodio: 377 mg; grassi: 13 g (sat: 2 g, mono: 8 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 4 mg.

ZUPPA DI CANNELLINI, POLLO E SPINACI Versione rapida ma ricca della classica zuppa di pollo, da assaporare ogniqualvolta vi sentite un po‘ sottotono. Al posto degli spaghetti, un concentrato di cannellini e spinaci, due potenti alimenti antiossidanti. INGREDIENTI

1 cipolla bianca o dorata piccola tritata 1 gambo di sedano a pezzetti 1 grossa carota a pezzetti 2 foglie di alloro 3 tazze di brodo di pollo, meglio se a basso contenuto di sodio 2 tazze di acqua 340 g circa di filetto di petto di pollo a pezzetti 1 scatoletta di cannellini (430 g circa) risciacquati e sgocciolati 1 tazza di foglie di spinaci 3 cucchiai di origano fresco tritato finemente ¼ di tazza di prezzemolo tritato finemente 2 cucchiai di succo di limone 1 cucchiaio di olio evo ¼ di cucchiaino di sale ½ cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

In un tegame scaldate l’olio a fuoco medio. Aggiungete cipolla, sedano e carota e cuocete, girando di tanto in tanto, per 6-8 minuti. Aggiungete le foglie di alloro e cuocete ancora per un minuto. Versate il brodo e l’acqua e portate a bollore. Abbassate la fiamma e aggiungete pollo e cannellini. Lasciate andare per 3 o 4 minuti, in modo da cuocere tutti gli ingredienti. Unite gli spinaci e togliete la zuppa dal fuoco. Lasciate riposare per 2 o 3 minuti. Incorporate origano, prezzemolo, succo di limone, sale e pepe, mescolate e servite ben caldo. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ½ circa. Calorie: 200; proteine: 26,6 g; carboidrati: 15,9 g; fibre: 4,3 g; sodio:

871 mg; grassi: 4,9 g (sat 0,76 g, mono: 2,77 g, poli: 0,63 g, trans: 0 g); colesterolo 49 mg.

STUFATO DI CECI ALLA TUNISINA PER LA COLAZIONE L’ultimo ricettario di Martha Rose Shulman si intitola Spiralize This! (Houghton Mifflin Harcourt, 2016) Un piatto tipico della colazione tunisina: una ciotola di ceci insaporiti con cipolla, aglio, harissa e olio evo, serviti con una vasta scelta di possibili decorazioni. Per noi una cena! INGREDIENTI PER LO STUFATO

450 g circa di ceci secchi lavati e lasciati in ammollo per almeno 6 ore (meglio se per una notte intera) 1 cipolla bianca o dorata media a pezzetti 4 grossi spicchi di aglio tritato o schiacciato 1 cucchiaio di semi di cumino leggermente tostati e macinati 2 cucchiai di harissa, o ½-1 cucchiaino di pepe di Cayenna 2 cucchiai di succo di limone o più, secondo il gusto 2 cucchiai di olio evo sale CONTORNI (FACOLTATIVI)

fette di limone fresche o in conserva sale grosso o sale kosher harissa pomodoro a pezzetti peperone rosso e verde a pezzetti uova sode sminuzzate capperi sciacquati cumino poco tostato e macinato prezzemolo a foglia piatta tritato finemente

coriandolo fresco tritato crostini di pane cipollotti affettati finemente, anche la parte verde olio evo PREPARAZIONE

Per lo stufato, scolate i ceci e versateli con circa 2 litri d’acqua in una pentola molto capiente. Portate a bollore, abbassate la fiamma e lasciate andare per un’ora. Nel frattempo, in una padella scaldate l’olio a fuoco medio. Aggiungete la cipolla e stufatela per 5 minuti circa, poi aglio e cumino e mescolate fino a quando non si sentirà l’aroma dell’aglio. Togliete dal fuoco e aggiungete i ceci. Dopo un’ora circa di cottura, unite la harissa e salate. Coprite e cuocete per altri 30 minuti-1 ora, fino a quando i ceci non saranno molto teneri e il brodo profumato. Versate il succo di limone, assaggiate e aggiustate secondo il vostro gusto. Servite la zuppa e disponete i contorni scelti su un vassoio, oppure sistemateli su un tavolo. N.B. La zuppa si mantiene fragrante per 3 o 4 giorni, purché conservata in frigorifero. Se volete, potete cambiare i contorni ogni volta che la servite. Potete anche usare i ceci rimasti per arricchire un’insalata. Resa: 4 porzioni, contorni esclusi. SOLO PER LO STUFATO: Calorie: 501; proteine: 22 g; carboidrati: 74 g; fibre: 20 g; sodio: 140 mg; grassi: 14 g (sat: 2 g, mono: 7 g, poli: 4 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MAFÉ VEGETARIANO Sara Baer-Sinnott, presidente di Oldways, organizzazione americana non profit la cui missione è l’educazione alimentare (www.oldwayspt.org), da The Oldways 4-Week Mediterranean Diet Menu Plan (Oldways, 2013) Il mafé è un tipo di stufato molto diffuso nell’Africa centro-occidentale. La ricetta originale prevede carne, verdure o pesce e una gustosa salsa a base di

burro di arachidi e pomodoro. Questa ricetta in particolare si basa sulla versione di Iba Thiam, chef e proprietario del ristorante Cazmance di Austin, in Texas, ed è contenuta nel programma di cucina e alimentazione A Taste of African Heritage (sapori della tradizione africana) di Oldways. Fra gli ingredienti non poteva certo mancare la patata dolce, così cara alla cucina tradizionale africana. INGREDIENTI

1 cipolla media dorata a cubetti 2 spicchi di aglio tritati 1 grossa patata dolce (340 g circa) tagliata a cubetti di medie dimensioni 2 grosse carote tagliate a fettine 2 zucchine tagliate a metà nel senso della lunghezza e poi a fettine 1 lattina di pomodori a cubetti (430 g circa) 2 tazze di brodo vegetale, meglio se a basso contenuto di sodio 1 cucchiaio di curry in polvere ¼ di tazza di burro di arachidi al naturale foglie di 3 rametti di timo tritate finemente o 1 cucchiaino di timo essiccato 2 cucchiaini di olio evo sale PREPARAZIONE

In una grossa pentola scaldate l’olio a fuoco medio, aggiungete cipolla e aglio e stufate, mescolando di tanto in tanto, per 3 o 4 minuti, o fino a quando la cipolla non diventa traslucida. Aggiungete patata, carote e zucchine e fate cuocere, girando di tanto in tanto, per 3 o 4 minuti. Unite pomodoro, brodo e curry e portate a bollore. Abbassate il fuoco, coprite e lasciate andare per 10 minuti. Aggiungete il burro di arachidi e il timo e cuocete senza coprire la pentola per altri 3-5 minuti. Appena le verdure saranno morbide,

salate e servite subito. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 2 tazze e ½ circa. Calorie: 240; proteine: 7 g; carboidrati: 27 g; fibre: 7 g; sodio: 280 mg; grassi: 11 g (sat: 1,5 g, mono: 6 g, poli: 3 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

CHILI DI POLLO CON PEPERONCINI CHIPOTLE Se avete poco tempo, sostituite i fagioli secchi con 2 scatole (da 430 g circa ciascuna) dei legumi già pronti che preferite (soia, fagioli neri e fagioli rossi, per esempio). Io però vi consiglio di provare almeno una volta con i fagioli anasazi: la difficoltà di trovarli sarà ampiamente ripagata. Si tratta di una varietà antica, risalente alla ormai scomparsa tribù nordamericana degli Anasazi. Hanno una scorza piacevolmente screziata e un retrogusto dolce che non si trova in un nessun altro fagiolo secco. I peperoncini chipotle in salsa adobo sono grossi jalapeño essiccati e affumicati, fatti rinvenire in una salsa a base di pomodoro e aceto. Arricchiscono questo piatto con una gustosa nota affumicata e un pizzico di fuoco. Si trovano nel reparto di specialità messicane di molti supermercati. Se preferite una versione vegetariana di questo piatto, eliminate il pollo. INGREDIENTI

1 tazza e ½ di fagioli anasazi secchi 1 tazza di cannellini secchi 2 spicchi di aglio tritati 1 foglia di alloro 1 cucchiaio di paprika 1 cucchiaio di peperoncino in polvere 1 cucchiaio di origano 1 cucchiaino di semi di cumino 1 cucchiaino di cumino macinato 2 tazze di cipolla bianca tritate grossolanamente (1 grossa) 2 tazze di peperoni verdi tagliati grossolanamente (2 grandi) 4 tazze di acqua

1 peperoncino chipotle in salsa adobo finemente tritato 1 scatola di pomodori a cubetti (400 g circa) 1 scatola di pomodori pelati (800 g circa) tagliati a pezzi e con il loro liquido 8 filetti di petto di pollo (340 g circa) tagliati a pezzi di 5 cm circa 1 tazza di nixtamal in scatola ¼ di tazza di coriandolo fresco sminuzzato misto di cipolle bianche e coriandolo fresco tritati (facoltativo) 2 cucchiai di olio di oliva sale grosso PREPARAZIONE

Lasciate tutti i fagioli in ammollo per una notte intera. Se preferite, potete ricorrere all’ammollo veloce: versate i fagioli in una pentola e copriteli di acqua. Fate bollire per circa un minuto, togliete dal fuoco e lasciate riposare per un’ora. Dopo averli scolati, procedete con la ricetta. Scaldate l’olio a fuoco medio in una grossa pentola, aggiungete aglio, alloro, paprika, peperoncino, origano e tutto il cumino. Cuocete rigirando continuamente per un minuto. Aggiungete la cipolla e i peperoni, mescolate e proseguite la cottura per altri 3-5 minuti. Unite fagioli, acqua e chipotle. Una volta portata a bollore, lasciate cuocere la salsa a fuoco lento per 60-75 minuti, o fin quando i fagioli non saranno teneri ma ancora sodi. Aggiungete il pomodoro, sia a cubetti sia a pezzi, con il liquido e mescolate. Unite pollo, nixtamal e coriandolo e continuate la cottura per altri 15-20 minuti senza il coperchio. Il piatto è pronto quando il pollo sarà ben cotto. Salate, dividete in ciotole e, se vi piace, guarnite con un trito di cipolle e coriandolo. N.B. Gli avanzi del chili si possono congelare, ma senza la guarnizione di cipolla e coriandolo. Resa: 9 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 309; proteine: 22,4 g; carboidrati: 46,3 g; fibre: 13,8 g; sodio: 315 mg; grassi: 4,9 g (sat: 0,47 g, mono: 3,67 g, poli: 1,38 g, trans: 0,01

g); colesterolo: 22 mg.

STUFATO DI MARE SEMPLICE Per accorciare i tempi di preparazione, comprate i gamberi già puliti. Se doveste avanzare qualche ingrediente potrete usarlo per creare un nuovo piatto, come condimento, ad esempio delle linguine di spinaci. INGREDIENTI

1 tazza di cipolla bianca o dorata a cubetti (1 media) ½ tazza di sedano o finocchio a cubetti 2 spicchi di aglio tritati ½ cucchiaino di fiocchi di peperoncino 1 foglia di alloro ½ tazza di vino bianco secco 1 lattina di pomodori pelati a cubetti con il loro liquido 1 tazza di acqua ½ tazza di chicchi di mais freschi o surgelati ¼ di tazza di prezzemolo tritato finemente 225 g circa di gamberi sgusciati e puliti (circa 20) 150 g circa di merluzzo o di pollack a pezzi di 5 cm circa 150 g circa di capesante (solo polpa) prezzemolo tritato per guarnire (facoltativo) 2 cucchiai di olio evo sale grosso PREPARAZIONE

In una larga padella antiaderente scaldate l’olio a fuoco medio. Aggiungete cipolla e sedano e saltate per 8-10 minuti. Unite aglio, peperoncino e alloro e saltate per un minuto. Sfumate con il vino e proseguite la cottura per 1 o 2 minuti ancora. Unite pomodori, acqua e mais. Portate a bollore, abbassate la fiamma e lasciate andare, coperto, per 10-12 minuti. Versate prezzemolo, gamberi e merluzzo, sempre mescolando, e

proseguite la cottura per altri 2 minuti. Quando mancano solo 1 o 2 minuti al termine della cottura aggiungete le capesante. Togliete la foglia di alloro, aggiustate di sale e servite in ciotole dai bordi bassi. Se vi piace, guarnite con altro prezzemolo. Resa: 4 porzioni (6 tazze); 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 287; proteine: 28,5 g; carboidrati: 22 g; fibre: 4,2 g; sodio: 475 mg; grassi: 9,1 g (sat: 1,3 g, mono: 5,4 g, poli: 1,5 g, trans: 0,07 g); colesterolo: 115 mg.

CIOPPINO ORIENTALE CON GAMBERI E CAPESANTE Nina Simonds, scrittrice pluripremiata e vera autorità della cucina asiatica, da Spices of Life: Simple and Delicious Recipes for Great Health (Knopf, 2005) Il cioppino è uno stufato nato presso la comunità italiana di San Francisco alla fine dell’Ottocento e si prepara di solito con il pescato del giorno. Io ve ne propongo una versione semplificata e dalle note orientali date da molluschi e frutti di mare marinati allo zenzero, sakè e salsa aglio e peperoncino. Il tutto guarnito con pomodori, basilico e origano. INGREDIENTI

2 grossi spicchi di aglio tritati 1 cucchiaino e ½ di zenzero tritato ½ cucchiaino di salsa aglio e peperoncino 1 cipolla media bianca o dorata tritata 1 grosso peperone verde privato dei semi e tagliato a pezzi 1 scatola di pomodori a cubetti (410 g circa) 1 cucchiaino e ½ di concentrato di pomodoro 1 bottiglia di brodo di pesce (230 g circa) ½ tazza di sakè 2 cucchiai di basilico tritato 1 cucchiaino di origano 1 cucchiaio di olio di oliva o altro tipo sale grosso

pepe nero macinato al momento INGREDIENTI PER PESCE E MARINATURA

4 fettine di zenzero fresco con la buccia 6 cucchiai di sakè 230 g circa di gamberi medi sgusciati e puliti (20 circa) 230 g circa di capesante (5-10 circa), eliminare il muscolo se necessario PREPARAZIONE

Per questa ricetta utilizzate una casseruola di almeno 3 litri e ½ di capienza, munita di coperchio. Versate l’olio e scaldatelo a fuoco medio-alto. Aggiungete aglio, zenzero, salsa aglio e peperoncino, cipolla e peperone. Cuocete, mescolando di tanto in tanto, per 7-8 minuti, o fino a quando le verdure non si saranno ammorbidite. Aggiungete pomodoro, concentrato di pomodoro, brodo di pesce, sakè, basilico, origano. Salate e pepate a piacere, coprite e portate a bollore. Togliete il coperchio, abbassate la fiamma al minimo e lasciate sobbollire per 12-15 minuti. Nel frattempo, preparate la marinatura per il pesce, schiacciando le fettine di zenzero con un lato della lama di un coltello. Mettetele in una ciotola e aggiungete il sakè. Premete lo zenzero con le dita per insaporire meglio il sakè. Pulite i gamberi e tagliate a metà le capesante, se sono particolarmente grandi. Aggiungete alla salsa e lasciate riposare per 10 minuti circa, quindi buttate via la marinatura. Versate gamberi e capesante nella casseruola, coprite e cuocete a fuoco medio per altri 3 o 4 minuti, per dare loro il tempo di cuocere. N.B. Potete preparare la base in anticipo e poi aggiungere il pesce prima di servire. La salsa aglio e peperoncino si trova nel reparto di specialità asiatiche di quasi tutti i supermercati. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 156; proteine: 26 g; carboidrati: 18 g; fibre: 3 g; sodio: 538 mg; grassi: 5 g (sat: 0 g, mono: 2 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 99 mg.

Contorni

CONCIA DI SETTE VERDURE (SALVATEMPO) Comprate un’insalata di broccoli o di cavolo, le famose coleslaw molto diffuse nei Paesi anglosassoni. Scegliete la versione classica, preparata con vinaigrette, perché la maionese la aggiungeremo noi, e personalizzatela arricchendola con verdure a piacere. Io vi propongo una versione con peperone rosso, zucchine e finocchio che, al bisogno, potete sostituire con sedano. INGREDIENTI

1 confezione di insalata di broccoli o di cavolo (450 g circa) 1 tazza di carote sminuzzate o alla julienne (2 medie) 1 tazza di finocchio o sedano a fettine sottili 1 grosso peperone rosso tagliato alla julienne (1 tazza circa) 2 zucchine piccole tagliate alla julienne (2 tazze circa) ½ tazza di maionese con olio di oliva o di soia ½ cucchiaino di scorza di arancia grattugiata ¼ di tazza di succo di arancia 1 cucchiaino di semi di sedano sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

In una ciotola capiente mescolate l’insalata scelta con carote, finocchio, peperone e zucchine. Versate la maionese in una scodellina e amalgamatela con scorza e succo di arancia, semi di sedano, sale e pepe a piacere. Versate il condimento sull’insalata e mescolate delicatamente. N.B. Per un gusto più deciso, sostituite scorza e succo di arancia e semi di sedano con rafano a piacere.

Resa: 8 tazze (16 porzioni); 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 71; proteine: 1,9 g; carboidrati: 7,2 g; fibre: 2,6 g; sodio: 60 mg; grassi: 2,1 g (sat: 0,4 g, mono: 0,4 g, poli: 1,3 g, trans: 0 g); colesterolo: 2 mg.

PERE IN INSALATA VERDE Un’insalata semplice da preparare ma molto raffinata grazie alla vinaigrette di limone e scalogno. Se la servite in un’occasione speciale, aggiungete qualche noce tostata o del formaggio erborinato: non esagerate nelle quantità, ne basta un pizzico per ottenere un gran risultato! Assicuratevi di scegliere un’insalata dal gusto deciso, come rucola o insalata belga, perché si sposa a meraviglia con la dolcezza della pera. INGREDIENTI

1 cucchiaio di scalogno o cipolla rossa tritati 1 cucchiaio e ½ di succo di limone 1 cucchiaino e ½ di acqua 4 tazze di insalata verde mista 2 tazze di indivia belga o riccia o di rucola 2 pere Kaiser con la buccia, private del torsolo e tagliate in 12 fette 3 cucchiai di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

In una padella versate un cucchiaio di olio e scaldatelo a fuoco medio. Aggiungete lo scalogno e saltate per 2 o 3 minuti, o fino a quando non si ammorbidisce. Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare, quindi versate in una ciotolina e aggiungete succo di limone, acqua e sale a piacere. Mescolate energicamente per amalgamare e aggiungete i 2 cucchiai di olio rimanenti. Riunite le insalate in una grossa ciotola, condite con la vinaigrette e

mescolate delicatamente. Aggiungete la pera e mescolate ancora. Condite con pepe a piacere e servite. N.B. Potete preparare la vinaigrette anche in anticipo, ma le pere vanno tagliate al momento e l’insalata condita subito prima di servire. Potete anche condire le fette di pera con la vinaigrette e conservarle in frigorifero, perché l’acido del limone impedirà loro di scurirsi. Aggiungetele all’insalata solo al momento di servire. Resa: 8 tazze; 1 porzione: 2 tazze. Calorie: 176; proteine: 1,8 g; carboidrati: 20,1 g; fibre: 4,9 g; sodio: 15 mg; grassi: 11,1 g (sat: 1,52 g, mono: 8,18 g, poli: 1,13 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

INSALATA GRECA Un’insalata deliziosa anche senza la feta, da servire come contorno oppure come sostanzioso piatto unico con l’aggiunta di pollo alla griglia. INGREDIENTI PER LA VINAIGRETTE

1 cucchiaio di succo di limone 3 cucchiai di olio evo 2 cucchiai di aceto di vino rosso sale grosso pepe nero macinato al momento INGREDIENTI PER L’INSALATA

3 tazze di lattuga romana sminuzzata (8 foglie circa) 1 tazza di rapanelli a fettine (85 g circa) 1 grosso peperone giallo a julienne (1 tazza circa) 1 tazza di cetriolo a dadini ½ tazza di cipolla rossa a fettine sottili (1 piccola) ½ tazza di menta tritata ⅓ di tazza di olive Kalamata denocciolate e tagliate a grossi pezzi

feta sbriciolata (facoltativa) PREPARAZIONE

Per la vinaigrette, versate tutti gli ingredienti in una ciotolina e sbatteteli energicamente. Per l’insalata, versate tutti gli ingredienti in una ciotola. Al momento di servire, condite con la vinaigrette e mescolate delicatamente. Resa: 6 tazze; 1 porzione: 1 tazza e ½. Calorie: 160; proteine: 2 g; carboidrati: 9,7 g; fibre: 2,7 g; sodio: 167 mg; grassi: 13,4 g (sat: 1,83 g, mono: 10 g, poli: 1,40 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MISTO DI VERDURE INVERNALI AL FORNO Una pietanza colorata che, con il tocco in più dato dal pane all’aglio sbriciolato, diventa un contorno perfetto per un piatto delle feste. Potete utilizzarlo anche come corposo piatto unico vegetariano. Cercate di tagliare tutte le verdure in pezzi di 5 cm circa, in modo da dare alla pietanza un aspetto ordinato. INGREDIENTI PER IL PANE SBRICIOLATO

¼ di tazza di noci tostate 1 fetta di pane integrale casereccio (30 g circa) 2 spicchi di aglio tritati 2 cucchiai di foglie di prezzemolo fresco ½ cucchiaino di sale grosso INGREDIENTI PER LE VERDURE AL FORNO

2 tazze di pastinaca sbucciata e tagliata a pezzi (4 medie) 4 tazze di zucca butternut sbucciata e tagliata a pezzi (1 grande) 3 tazze di carote tagliate e pezzi (6 medie)

12 grossi scalogni 1 cucchiaio e ½ di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Preriscaldate il forno a 200 °C. Per il pane sbriciolato mettete noci, pane, aglio, prezzemolo e sale grosso in un mixer, tritate e mettete da parte. Per le verdure al forno: disponete tutte le verdure in una teglia e condite con l’olio. Infornate per 40-45 minuti o fino a quando le verdure non saranno morbide e ben rosolate. Sfornate e versate in una ciotola, aggiungete il pane, aggiustate di sale e pepe e servite subito. Resa: 7 tazze (14 porzioni); 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 105; proteine: 2,2 g; carboidrati: 18,3 g; fibre: 3,5 g; sodio: 132 mg; grassi: 3,3 g (sat: 0,27 g, mono: 1,22 g, poli: 1,43 g, trans: 0,05 g); colesterolo: 0 mg.

CAROTE AGLI ODORI E SENAPE DI DIGIONE Chi l’ha detto che le verdure debbano grondare di condimenti grassi per essere gustose? La salsa a base di olio evo, senape di Digione ed erbe aromatiche dona al piatto un sapore straordinario e un aspetto molto raffinato. INGREDIENTI

1 tazza di foglie di prezzemolo fresco 6 grosse foglie di basilico 1 spicchio di aglio tritato 2 cucchiaini di senape di Digione 4 tazze di carote tagliate a losanghe (4 grandi) 1 cucchiaio di olio evo sale grosso

PREPARAZIONE

Frullate in un mixer prezzemolo, basilico, aglio, un cucchiaio di acqua, senape e sale a piacere. Aggiungete l’olio e continuate a frullare fino a ottenere una salsa densa. Potete anche tritare basilico e prezzemolo, versarli in una ciotolina con aglio, acqua, senape e sale e sbattere fino a ottenere un composto omogeneo. Cuocete le carote a vapore per 8-10 minuti o fino a quando non saranno morbide, conditele con la salsa e servite. Resa: 4 tazze; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 46; proteine: 1 g; carboidrati: 6,9 g; fibre: 2 g; sodio: 57 mg; grassi: 2 g (sat: 0,26 g, mono: 0,13 g, poli: 0,23 g, trans: 0,02 g); colesterolo: 0 mg.

PATATINE DOLCI SPEZIATE Dal punto di vista nutrizionale le patate dolci sono molto più ricche di sostanze benefiche rispetto alle comuni patate a pasta bianca. Contengono infatti, fra gli altri, alti livelli di betacarotene, vitamina C e fibre. Provate a gustarle insieme ai burger di farro e funghi (vedi a p. 464). Dato che sono cotte al forno, potete anche prepararle in anticipo e poi scaldarle con la modalità grill per 1 o 2 minuti affinché tornino croccanti. INGREDIENTI

1 grossa patata dolce tagliata a listerelle (3 tazze e ½) ¼ di cucchiaino di peperoncino in polvere ¼ di cucchiaino di cumino macinato ¼ di cucchiaino di paprika 1 cucchiaio di olio evo più il necessario per la teglia sale grosso ½ cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 230 °C. Spennellate una teglia da forno capiente con olio.

Versate la patata in una scodella e irrorate con l’olio, mescolando delicatamente. In una ciotola a parte riunite pepe, peperoncino, cumino, paprika e sale a piacere. Versate il misto di spezie sulla patata. Mescolate con attenzione e disponete le listerelle di patata nella teglia. Cuocete per 12-15 minuti o fino a quando non risulteranno croccanti. Togliete dal forno e servite. Resa: 3 tazze e ½; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 52; proteine: 0,6 g; carboidrati: 8 g; fibre: 1,1 g; sodio: 5 mg; grassi: 2,1 g (sat: 0,28 g, mono: 1,45 g, poli: 0,21 g, trans: 0,02 g); colesterolo: 0 mg.

CAVOLFIORE CON CARDAMOMO AL FORNO Suvir Saran, American Masala (Clarkson Potter, 2007) Il sale grosso kosher, o anche sale marino di Maldon, aggiunge un piacevole tocco croccante a questo cavolfiore morbido e gustoso. INGREDIENTI

3 baccelli di cardamomo 3 peperoncini rossi essiccati (facoltativi) 1 cucchiaio di semi di coriandolo 1 cucchiaino di semi di cumino 1 cavolfiore pulito e suddiviso in cimette (1 kg circa) 1 cipolla rossa a fettine sottili ⅓ di tazza di olio evo, più il necessario per oliare la teglia sale kosher ½ cucchiaino di pepe nero in grani PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 220 °C. Spennellate una teglia da forno con olio. Macinate cardamomo, peperoncini, semi di coriandolo, semi di cumino e grani di pepe, riducendoli in polvere. Versate in una ciotola capiente e mescolate con l’olio. Aggiungete le cimette di cavolfiore e la cipolla e mescolate bene, quindi disponete nella teglia e cuocete per

un’ora circa, rigirando ogni 20 minuti. Salate e servite. Resa: 8 porzioni. Calorie: 184; proteine: 4 g; carboidrati: 13 g; fibre: 5 g; sodio: 64 mg; grassi: 15 g (sat: 2 g, mono: 10 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

SPINACI PASSATI IN PADELLA CON PINOLI E UVETTA DORATA (SALVATEMPO) Comprate spinaci già puliti in busta e questo bel piatto colorato sarà pronto in un istante. Per accorciare ancora di più i tempi di preparazione – ma anche di pulizia! – tostate i pinoli nella stessa padella usata per cuocere gli spinaci. INGREDIENTI

¼ di tazza di cipolla rossa a fette sottili (1 piccola) 1 spicchio di aglio affettato finemente 2 confezioni di spinaci già puliti (350 g circa) 2 cucchiai di uvetta dorata 2 cucchiai di pinoli tostati 2 cucchiaini di olio evo ¼ di cucchiaino di sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

In un’ampia padella antiaderente scaldate l’olio a fuoco mediobasso, aggiungete la cipolla e cuocete per 5 o 6 minuti, mescolando di tanto in tanto. Aggiungete l’aglio e cuocete per un minuto, quindi unite sale, spinaci e uvetta e proseguite la cottura per altri 3 o 4 minuti, o fino a quando gli spinaci non inizieranno ad appassire. Togliete dal fuoco e unite pinoli e pepe. Servite subito. Resa: 4 porzioni; 1 porzione:3/4 di tazza circa. Calorie: 89; proteine: 3,3 g; carboidrati: 9 g; fibre: 2,4 g; sodio: 186 mg; grassi: 5,5 g (sat: 0,57 g, mono: 2,47 g, poli: 1,83 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

CAVOLO NERO AL PROFUMO DI LIMONE CON MANDORLE TOSTATE (SALVATEMPO) Il cavolo richiede una cottura un po’ più lunga rispetto alla maggior parte delle verdure a foglia verde. Potete usare anche altre varietà di cavolo, ma con le sue foglie scure e rugose, quello nero assicura un piatto gustoso e di grande effetto. INGREDIENTI

2 mazzi di cavolo nero (340 g circa) ¼ di tazza di mandorle a scaglie 1 cucchiaino di scorza di limone grattugiata 2 cucchiaini di olio evo ½ cucchiaino di sale ¼ cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Eliminate la parte più coriacea del cavolo e tagliate grossolanamente le foglie. Portate a bollore abbondante acqua, versateci le foglie di cavolo e sbollentatele per 10 minuti. Scolatele e premete bene con il dorso di un cucchiaio per eliminare tutta l’acqua. Versate in una ciotola capiente. In una padella fate tostare a fuoco medio le scaglie di mandorla per 1 o 2 minuti, rigirando continuamente. Versate sul cavolo insieme a olio, scorza di limone, sale e pepe. Mescolate e servite. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 1 tazza. Calorie: 82; proteine: 3 g; carboidrati: 6,5 g; fibre: 1,7 g; sodio: 258 mg; grassi: 5,6 g (sat: 0,59 g, mono: 3,57 g, poli: 1,13 g, trans: 0 g); colesterolo 0 mg.

CAVOLO PICCANTE Sara Baer-Sinnott, autrice di The Oldways Table: Essays & Recipes from the Culinary Think Tank (Ten Speed Press, 2002)

Le verdure a foglia larga sono la base della piramide alimentare della tradizione africana. Nelle zone del Sud, in particolare, sono cotte lentamente e insaporite con carne di maiale. Nel programma culinario A Taste of African Heritage di Oldways insegniamo a cucinarle in modo veloce e salutare, con succo di limone e senape come gustosi condimenti. INGREDIENTI

2 mazzi di cavolo a foglia del tipo che preferite (1 kg e ½ circa) 1 cipolla dorata media a dadini 4 spicchi di aglio tritati 1 cucchiaio di senape di Digione succo di ¼ di limone 1 cucchiaio di olio evo sale PREPARAZIONE

Rimuovete i gambi dei cavoli e tagliate le foglie a striscioline. Scaldate l’olio a fuoco medio in una padella capiente, aggiungete cipolla e aglio e cuocete per 2 o 3 minuti, rigirando di tanto in tanto. Aggiungete senape e succo di limone e mescolate bene. Unite le foglie di cavolo, salate e aggiungete un po’ di acqua per inumidire. Cuocete per 10-12 minuti, o fino a quando la verdura non si sarà ammorbidita e avrà assunta un bel colore verde brillante. Mescolate ancora prima di servire. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: circa 1 tazza. Calorie: 120; proteine: 7 g; carboidrati: 16 g; fibre: 10 g; sodio: 280 mg; grassi: 5 g (sat: 0,5 g, mono: 3 g, poli: 0 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

MISTO DI VERDURE AMARE CON CIPOLLE DOLCI E AMARENE Mollie Katzen, autrice e illustratrice di numerosi libri di cucina per adulti e bambini e in particolare di Moosewood Cookbook (Ten Speed Press,

1977). Ricetta adattata da Vegetable Heaven (Hyperion, 1997) Ecco un’idea straordinaria per inserire delle verdure amare nella vostra dieta. Le cipolle dolci e le amarene ne bilanciano il sapore alla perfezione! A me piace un misto di cavolo nero, senape indiana e rucola. La quantità di verdure vi sembrerà forse esagerata, ma ricordate che si riducono con la cottura. Per questa ricetta sono adatte le amarene in scatola non zuccherate, ma se avete la possibilità di procurarvene di fresche il gusto ci guadagnerà senz’altro! Le cipolle Vidalia sono le più gustose ma, se non riuscite a trovarle, potete tranquillamente usare la qualità che preferite. Questa preparazione produce davvero molto liquido di cottura e sarebbe un peccato sprecarlo, quindi versatene un po’ nel piatto insieme alla verdura, in particolare se la usate come condimento per pasta o riso. INGREDIENTI

1 tazza di amarene fresche denocciolate, oppure di amarene in scatola non zuccherate e sgocciolate 2 o 3 cucchiaini di zucchero 3 tazze di cipolle dolci Vidalia tagliate a fettine (2 grandi) 3 grossi mazzi di verdure amare miste, pulite e tagliate in modo grossolano (circa 12 tazze) 1 tazza di amarene essiccate (facoltative) 1 cucchiaio di olio di oliva sale (facoltativo) PREPARAZIONE

Versate le amarene in una ciotola, cospargetele di zucchero e lasciatele riposare per 10 minuti. In una padella piuttosto capiente scaldate l’olio di oliva a fuoco alto, aggiungete le cipolle, salate e cuocete per 5 minuti, mescolando di tanto in tanto. Abbassate la fiamma, coprite e lasciate ammorbidire per 10 minuti circa. Aggiungete le verdure amare un po’ alla volta, unendo un po’ di sale a ogni aggiunta. Fra un’aggiunta e l’altra ricordate di rimettere il coperchio e di

lasciar cuocere ogni verdura per almeno 5 minuti prima di aggiungere la successiva. Una volta che tutte le verdure saranno appassite, unite le amarene e proseguite la cottura per altri 5 minuti. Versate su un piatto da portata e cospargete con le amarene essiccate. Servite caldo questo misto di verdure, e non dimenticate il delizioso liquido di cottura. Resa: 4 porzioni. Calorie: 160; proteine: 5 g; carboidrati: 29 g; fibre: 5 g; sodio: 95 mg; grassi: 4 g (sat: 2 g, mono: 2 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

CAVOLO ALLA BRASILIANA Jessica B. Harris, storica e autrice di libri di cucina: High on the Hog: A Culinary Journey from Africa to America (Bloomsbury, 2011) INGREDIENTI

900 g circa di foglie tenere di cavolo riccio 8 spicchi di aglio (tritati o come preferite) 3 cucchiai di olio evo PREPARAZIONE

Lavate le foglie e raccoglietele in mazzi. Prendete un mazzo alla volta, arrotolatelo su se stesso e tagliate a striscioline. In una padella capiente scaldate l’olio a fuoco medio, aggiungete l’aglio e fatelo soffriggere, rigirando di tanto in tanto, fino a quando non avrà assunto un lieve colore bruno. Aggiungete le verdure e cuocete per 5 minuti, rigirando di continuo, in modo che si ammorbidiscano ma rimangano di un bel verde brillante. Aggiungete un cucchiaio di acqua, coprite, abbassate la fiamma e cuocete per altri 2 minuti. Servite caldo, con la salsa piccante che preferite. Resa: 4 porzioni.

Calorie: 157; proteine: 5 g; carboidrati: 13 g; fibre: 3 g; sodio: 1 mg; grassi: 11 g (sat: 1 g, mono: 7 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

FAGIOLI ALL’UCCELLETTO Charles Burke, MD , presidente della New Hampshire Farm to Restaurant Connection Di questa ricetta esistono un’infinità di varianti poiché ogni famiglia e ogni cuoco ha la propria, ma i punti fermi sono olio evo, aglio e odori fatti sobbollire con i cannellini secchi raccolti l’anno precedente. I fagioli all’uccelletto sono il contorno ideale per qualsiasi tipo di piatto. Sono, per esempio, un ottimo letto per pesce o pollo al forno e, se li frulliamo con erbe aromatiche fresche e olio evo, diventano una fantastica crema da spalmare sul pane. INGREDIENTI

450 g di cannellini secchi lasciati in ammollo in acqua per 6-8 ore o per tutta la notte 3 spicchi di aglio a fettine sottili 2 rametti di salvia o di rosmarino 4 cucchiai di olio evo 1 cucchiaino di sale marino o kosher pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Scolate i cannellini. In un grosso tegame scaldate l’olio a fuoco medio e fate soffriggere l’aglio a fiamma bassa in modo che non si bruci fino a quando non si sarà ammorbidito e l’olio non ne avrà assorbito tutta la fragranza. Salate. Aggiungete salvia e cannellini, quindi coprite con acqua. Mettete il coperchio e fate bollire lentamente per circa un’ora, controllando la consistenza dei cannellini e il livello dell’acqua ogni 20 minuti. Il tempo di cottura è variabile, i cannellini sono pronti quando restano sodi ma si schiacciano con facilità. Schiacciatene alcuni per addensare

il liquido di cottura. Assaggiate, pepate e condite con altro olio ed erbe aromatiche a piacere. Resa: 6 porzioni. Calorie: 337; proteine: 17 g; carboidrati: 47 g; fibre: 18 g; sodio: 191 mg; grassi: 11 g (sat: 1 g, mono: 7 g, poli: 2 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

PILAF DI RISO SELVATICO E QUINOA La quinoa ha un alto contenuto di nutrienti e di proteine, tanto da essere definita spesso “supercereale”. Quando la si assaggia per la prima volta, però, le caratteristiche che colpiscono sono il retrogusto di noce e l’aspetto perlato. In questa ricetta si accompagna al riso selvatico per dar vita a un pilaf ricco anche nel colore. Per accorciare i tempi di preparazione, cucinate il riso selvatico la sera prima, seguendo le indicazioni riportate sulla confezione. Resistete alla tentazione della versione istantanea, inferiore nell’aspetto, nel gusto e anche negli apporti nutrizionali. INGREDIENTI

⅓ di tazza di cipolla bianca o dorata a fette sottili (1 piccola) ⅓ di tazza di sedano tritato finemente ¼ di tazza di pistacchi sgusciati o di mandorle tritati grossolanamente 1 tazza di quinoa sciacquata e scolata 3 tazze di brodo di pollo (o vegetale) sgrassato, meglio se a basso contenuto di sodio 1 tazza di riso selvatico già cotto 1 cucchiaio di olio di oliva sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

In un tegame scaldate l’olio a fuoco medio. Versate la cipolla e il sedano e stufateli per 5 o 6 minuti, fino a quando non inizieranno ad

ammorbidirsi. Aggiungete i pistacchi e la quinoa. Continuate la cottura per un altro paio di minuti. Versate nel tegame il brodo e portate a bollore. Abbassate quindi la fiamma al minimo, coprite e lasciate sobbollire per 18-20 minuti. Aggiungete il riso selvatico, coprite e fate andare ancora per 2 o 3 minuti. Assaggiate e aggiustate di sale e pepe prima di servire. Resa: 5 tazze; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 165; proteine: 6,2 g; carboidrati: 26 g; fibre: 2,6 g; sodio: 228 mg; grassi: 4,8 g (sat: 0,51 g, mono: 2,62 g, poli: 1,26 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

TABULÈ CON MAIS ROSOLATO Un’insalata di grano spezzato (il bulgur) molto popolare in Libano e fra gli amanti del prezzemolo! In questa versione ho diminuito le dosi e aggiunto mais rosolato in padella per dare al piatto un sapore tutto nuovo. INGREDIENTI

1 tazza di bulgur 1 tazza di acqua bollente 1 tazza e ½ di chicchi di mais fresco (2 pannocchie) 1 tazza di pomodori privati dei semi e tagliati a dadini ½ tazza di scalogno affettato finemente ½ tazza di prezzemolo tritato 6 cucchiaini di olio di oliva 2 cucchiai di aceto di vino bianco sale grosso pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Versate il bulgur in una scodella di medie dimensioni, aggiungete l’acqua bollente e lasciate riposare finché il liquido non sarà stato assorbito completamente. In una padella antiaderente scaldate un cucchiaino di olio a fuoco

medio-alto. Versate i chicchi di mais e rosolateli, rigirando di tanto in tanto, per 8-10 minuti. Unite al bulgur pomodori, scalogno e prezzemolo. Condite con i 5 cucchiaini di olio rimanenti, aceto, sale e pepe a piacere. Mescolate delicatamente e, al momento di servire, aggiungete un filo di olio evo, se volete. Resa: 5 tazze; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 100; proteine: 2,7 g; carboidrati: 16,7 g; fibre: 3,7 g; sodio: 10 mg; grassi: 3,2 g (sat: 0,45 g, mono: 2,11 g, poli: 0,46 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

ORZO RISOTTATO CON PORCINI L’orzo perlato è il sostituto ideale del riso arborio. Ha una consistenza molto simile e in cottura si gonfia lentamente, proprio come il riso. Inoltre è molto più semplice da cucinare perché basta ricordarsi di mescolare di tanto in tanto. In questa ricetta il suo retrogusto di noce si sposa con il sapore ricco e consistente dei porcini. I funghi si trovano nel reparto di frutta e verdura fresca del supermercato o in scatola. INGREDIENTI

¼ di tazza di porcini secchi (15 g circa) 1 tazza e ½ di acqua bollente 2 tazze di brodo di pollo (anche di dado) sgrassato, meglio se a basso contenuto di sodio ¼ di tazza di scalogno o di cipolla rossa tritati finemente (3 scalogni medi o 1 cipolla piccola) 1 tazza di orzo perlato 1 cucchiaino e ½ di timo tritato o ½ cucchiaino di timo essiccato 2 cucchiai di olio evo sale grosso pepe nero macinato al momento

PREPARAZIONE

Immergete i funghi secchi nell’acqua bollente e lasciateli in ammollo per 30 minuti, finché non si saranno ammorbiditi. Tagliateli a pezzettini e metteteli da parte. Filtrate il liquido in un tegame piccolo, aggiungete il brodo e i funghi e portate a bollore. Abbassate la fiamma e lasciate sobbollire. In un grosso tegame fate soffriggere a fuoco medio l’olio con lo scalogno per 3 o 4 minuti. Versate l’orzo e rosolate ancora per un minuto. Aggiungete ½ tazza di brodo caldo e cuocete fino a quando il liquido non sarà stato assorbito completamente. Ripetete l’operazione con ½ tazza alla volta per 30-35 minuti. Una volta cotto l’orzo, completate con il timo. Aggiustate di sale e pepe e servite. N.B. È possibile sostituire il timo con il rosmarino. Resa: 3 tazze, 6 porzioni; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 188; proteine: 6,3 g; carboidrati: 30 g; fibre: 6,2 g; sodio: 213 mg; grassi: 5,1 g (sat: 0,72 g, mono: 3,48 g, poli: 0,66 g, trans: 0,05 g); colesterolo: 0 mg.

BULGUR CON PISTACCHI E ALBICOCCHE (SALVATEMPO) I ridotti tempi di cottura del bulgur permettono di preparare questo piatto in un istante. Per esaltare il gusto dei pistacchi, cercate di procurarvi l’olio di pistacchio e usatelo al posto dell’olio evo. Potete trovarlo nei negozi di alimentari naturali e online. INGREDIENTI

1 tazza di bulgur medio o fine ½ tazza di albicocche essiccate a pezzettini 1 tazza di acqua bollente 1 tazza di prezzemolo tritato 3 cucchiai di menta tritata finemente ½ tazza di pistacchi tritati grossolanamente 3 cucchiai di succo di arancia o di aceto di vino bianco

¼ di tazza di cipolla rossa tritata (1 piccola) 2 cucchiai di scalogno tritato finemente ⅓ di tazza di olio evo o di pistacchio ¾ di cucchiaino di sale grosso ¼ di cucchiaino di pepe nero macinato al momento PREPARAZIONE

Mescolate bulgur e albicocche in una ciotola di medie dimensioni, aggiungete l’acqua bollente e lasciate riposare finché non sarà stata assorbita completamente. Aggiungete gli altri ingredienti e mescolate delicatamente. Resa: 6 tazze; 1 porzione: ¾ di tazza. Calorie: 267; proteine: 6,1 g; carboidrati: 31,6 g; fibre: 6,8 g; sodio: 247 mg; grassi: 14,2 g (sat: 1,87 g, mono: 9,21 g, poli: 2,49 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

Dessert

CRUMBLE FACILE DI PESCA, ANANAS E ALBICOCCHE Usate frutta già tagliata e surgelata e il crumble sarà pronto in un batter d’occhio. Avena, noci pecan e germe di grano donano al dolce una nota croccante, mentre il succo di ananas aggiunge dolcezza. INGREDIENTI PER IL RIPIENO

1 confezione di pesche a fette surgelate (non zuccherate) (450 g circa) 2 tazze di bocconcini di ananas fresco ½ tazza di albicocche essiccate non zuccherate tagliate a pezzi ¼ tazza di succo di ananas concentrato ¼ di tazza di farina di avena ½ cucchiaino di cannella 1 pizzico di noce moscata grattugiata olio di oliva per ungere la pirofila ¼ di cucchiaino di sale grosso INGREDIENTI PER IL CRUMBLE

⅓ di tazza di farina di avena ⅓ di tazza di fiocchi di avena ¼ di tazza di germe di grano tostato 2 cucchiai di noci pecan tritate grossolanamente 2 cucchiai di succo di ananas concentrato 3 cucchiai di olio di oliva 1 pizzico di sale PREPARAZIONE

Preriscaldate il forno a 190 °C e ungete una pirofila di 27x17 cm con olio. Per il ripieno, unite tutti gli ingredienti in una ciotola e mescolateli delicatamente. Versate nella pirofila e distribuite uniformemente. Per il crumble, unite tutti gli ingredienti in una ciotola e mescolate. Distribuite in modo omogeneo sopra il ripieno e infornate per 30-35 minuti o fin quando inizieranno a formarsi delle bolle in superficie. Resa: 8 porzioni; 1 porzione: ¾ di tazza circa. Calorie: 212; proteine: 4,3 g; carboidrati: 34 g; fibre: 4,9 g; sodio: 90 mg; grassi: 7,7 g (sat: 0,59 g, mono: 0,40 g, poli: 2,23 g, trans: 0,01 g); colesterolo: 0 mg.

CROSTATA DI MELE E CILIEGIE Una crostata ripiena di frutta con uno strato croccante come tocco finale: un dolce davvero gustoso per un’occasione speciale o per un giorno di festa. L’impiego di mele dolci e aspre aggiunge corpo al sapore. Potete acquistare un rotolo di sfoglia per torte in molti supermercati. Controllate che contenga meno zuccheri possibile e, idealmente, niente grassi trans. INGREDIENTI

2 mele Granny Smith medie (400 g circa) sbucciate, private del torsolo e tagliate a spicchi sottili 2 mele renetta medie (340 g circa) sbucciate, private del torsolo e tagliate a spicchi sottili 1 cucchiaino e ½ di succo di limone ⅓ di tazza di ciliegie essiccate 5 cucchiai di farina integrale ½ cucchiaino di cannella 1 rotolo di sfoglia per torte 2 cucchiai di miele ⅓ di tazza di mandorle in scaglie ¼ di tazza di fiocchi di avena 1 cucchiaio di zucchero di canna

2 cucchiai di olio di oliva 1 pizzico di sale PREPARAZIONE

Riscaldate il forno a 180 °C. Mescolate mele e succo di limone in una ciotola. Aggiungete ciliegie, un cucchiaio di farina e cannella e girate delicatamente. Sistemate la sfoglia in una teglia, versateci metà delle mele, irrorate con un cucchiaio di miele. Continuate così per vari strati. In una ciotola unite mandorle, fiocchi di avena, la farina rimasta, olio, zucchero e sale. Cospargete il composto sopra le mele in modo uniforme e infornate per 50-55 minuti. Resa: 8 porzioni; 1 porzione: 1 fetta. Calorie: 271; proteine: 4,2 g; carboidrati: 39,6 g; fibre: 6,8 g; sodio: 149 mg; grassi: 11,8 g (sat: 1,47 g, mono: 3,38 g, poli: 1,62 g, trans: 0 g); colesterolo 0 mg.

SORBETTO AL SUCCO DI ARANCIA Un sorbetto dal rinfrescante sapore lievemente aspro che non fa certo rimpiangere i tanti sorbetti industriali! Il risultato migliore si ottiene con succo di arancia appena spremuto. Per una presentazione originale, servitelo con fragole a fettine. INGREDIENTI

1 litro di succo di arancia appena spremuto 2 cucchiai di Cointreau o altro liquore all’arancia ¼ di cucchiaino di estratto di limone fragole fresche a fettine (facoltative) PREPARAZIONE

Versate tutti gli ingredienti, tranne le fragole, in una gelatiera o sorbettiera e seguite le istruzioni. In alternativa, mescolate gli ingredienti in una ciotola e suddividete in vaschette per cubetti di

ghiaccio. Ponete in freezer per una notte, o almeno finché il composto non sarà ben congelato. Togliete dal freezer e tenete a temperatura ambiente per 5-10 minuti. Trasferite in un frullatore o in un mixer e frullate fino a ottenere un composto omogeneo. Servite subito, guarnendo eventualmente con fettine di fragole. N.B. Se ne avanzate, potete rimettere nel freezer e ripetere l’operazione. La consistenza diventa più omogenea alla seconda surgelazione. Resa: 4 tazze; 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 69; proteine: 0,9 g; carboidrati: 14,5 g; fibre: 0,3 g; sodio: 1,5 mg; grassi: 0,3 g (sat: 0,03 g, mono: 0,05 g, poli: 0,05 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

PERA AFFOGATA ALLE SPEZIE La Decana è la varietà di pera più adatta a essere “affogata”. Scegliete frutti maturi ma ben sodi. Il cardamomo è usato spesso nei dessert indiani per il suo sapore dolce dal retrogusto piccante che, in questa ricetta, dona una nota particolare allo sciroppo. Se non vi piace il suo gusto particolare, potete farne a meno. INGREDIENTI PER LE PERE

4 grosse pere Decana sbucciate e private del torsolo 1 tazza di vino bianco secco ½ tazza di acqua ½ tazza di succo di uva bianca 1 cucchiaio di miele 1 cucchiaino di estratto di vaniglia 1 bacca di cardamomo o 1 pizzico in polvere 2 chiodi di garofano 1 pizzico di noce moscata grattugiata al momento INGREDIENTI PER LA GUARNIZIONE

2 cucchiai di mandorle tostate 2 cucchiai di pistacchi sgusciati tostati PREPARAZIONE

Per le pere, iniziate tagliando circa 0,5 cm del fondo di ciascuna (serve per farle rimanere dritte). Versate tutti gli ingredienti in un tegame medio e portate a bollore. Aggiungete le pere, abbassate la fiamma, coprite e lasciate andare per 12-15 minuti o fino a quando i frutti non risulteranno morbidi. Toglieteli dal tegame con una schiumarola, alzate il fuoco a medio-alto e riportate a bollore per 10-15 minuti. Dovrete ottenere uno sciroppo. Eliminate gli eventuali residui e versatelo in una ciotola o in una tazza grande. Coprite e lasciate raffreddare. Per la guarnizione, versate mandorle e pistacchi in un mixer e frullate fino a ottenere una granella grossolana. Se preferite, potete anche tritare la frutta secca a coltello. Mettete da parte. Tagliate ogni pera a metà e poi ogni metà in 5 fette nel senso della lunghezza, lasciandole unite in cima. Stendete due metà su un piattino da dessert e aprite le fette a ventaglio, facendo attenzione a che non si stacchino l’una dall’altra. Versate ¼ di tazza di sciroppo su ciascuna porzione e guarnite con mandorle e pistacchi tritati. Resa: 4 porzioni; 1 porzione: 2 metà con guarnizione e sciroppo. Calorie: 220; proteine: 2,7 g; carboidrati: 42 g; fibre: 5,9 g; sodio: 4 mg; grassi: 5 g (sat: 0,47 g, mono: 2,86 g, poli: 0,95 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

PESCHE SPEZIATE AL FORNO Rebecca Katz, autrice di The Healthy Mind Cookbook (Ten Speed Press, 2015) Una ricetta che dà dipendenza! Scegliete frutti nel pieno della maturazione, aggiungete cannella, zenzero e una spruzzatina di limone e... non vorrete più uscire dalla cucina, perché il profumo che si sprigiona durante la cottura è troooooppo buono!

INGREDIENTI

1 cucchiaio di sciroppo di acero 1 cucchiaino di succo di limone ¼ di cucchiaino di cannella 1 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato o 1 cucchiaino e ½ in polvere 4 pesche sbucciate, snocciolate e tagliate a fette 2 cucchiaini di menta a striscioline molto sottili 1 cucchiaino e ½ di olio evo ¼ di cucchiaino di sale PREPARAZIONE

Preriscaldate il forno a 150 °C. Foderate una teglia con carta forno. In una ciotola capiente versate sciroppo di acero, olio, succo di limone, sale, cannella e zenzero e frullate per amalgamare. Aggiungete le fette di pesca e mescolate delicatamente. Disponete le pesche nella teglia e cuocete per circa un’ora e mezzo, finché non saranno morbide e ridotte a ⅓ circa della dimensione originale. A metà cottura giratele e ridistribuitele in modo uniforme. Lasciate poi raffreddare per 5 minuti prima di trasferirle, insieme all’eventuale liquido, in una ciotola. Aggiungete la menta e mescolate delicatamente, quindi lasciate riposare per 5 minuti. Servite le pesche tiepide o a temperatura ambiente. Eventuali avanzi si conservano in un contenitore ermetico in frigorifero per 2 giorni e fino a 3 mesi in congelatore. Resa: 1 tazza (2 porzioni); 1 porzione: ½ tazza. Calorie: 189; grassi totali: 4 g (1 g saturi, 3 g monoinsaturi); carboidrati: 20 g; proteine: 2 g; fibre: 3 g; sodio: 204 mg.

LE TRE DELIZIE Walter Willett, MD, PhD Si tratta più di un’idea che di una ricetta vera e propria, nata dall’immancabile delusione che mi coglie ogni volta che leggo la lista dei

dessert al ristorante: un accumulo di zucchero, farina bianca e panna. Ma il cibo può essere una goduria anche senza essere dannoso per la salute! È così che mi è nata l’idea di un dolce a base dei tre alimenti più salutari che esistano: frutta fresca (ma anche essiccata), frutta a guscio e cioccolato fondente. Allora, in ogni ristorante, ho iniziato a chiedere se il loro chef fosse creativo e, in caso di risposta affermativa, se fosse disposto a stupirmi con una creazione preparata al momento a base di questi tre ingredienti e nient’altro. Il più delle volte ho assaggiato piatti davvero deliziosi. A volte mi sono stati serviti dei veri capolavori, presentazioni molto eleganti. Altre volte ho assaggiato gli ingredienti tutti mescolati, cioccolato in sciroppo, oppure tritato grossolanamente... Mai una volta sono rimasto deluso e, se devo dire la verità, credo che quasi tutti gli chef gradiscano una piccola sfida ogni tanto, giusto per rompere la routine! Date le esperienze positive, ho pensato che questo dolce meritasse un nome. Ero a cena con il collega Frank Hu con le rispettive mogli e abbiamo optato per Le tre delizie. Mi piace questo nome, comunica il piacere di mangiare tre alimenti straordinari e insieme la consapevolezza che, nel farlo, stiamo rispettando il nostro corpo. Provate anche voi a ordinare Le tre delizie. Spero davvero che i ristoranti inizino a inserirle nei loro menu. Per alcuni esempi davvero straordinari, realizzati da tanti chef diversi, visitate The Nutrition Source (www.hsph.harvard.edu/nutritionsource/2016/07/11/dessert-by-designthree-pleasures). Grazie alla varietà di frutta fresca, frutta a guscio e cioccolato fondente a nostra disposizione, le varianti sono praticamente infinite. E se non avete a disposizione frutta fresca, potete tranquillamente usare quella essiccata (pensate a datteri, uvetta e mirtilli rossi). Una piccola aggiunta finale ed ecco... la quarta delizia: una spruzzata di un liquore di qualità come bourbon, rum, Porto o whisky che arricchirà il vostro dolce di un gusto tutto speciale. Qui vi propongo un esempio da preparare in pochi minuti, seguito da una versione più golosa a base di granita al mango, cioccolato e noci macadamia. INGREDIENTI

¼ di tazza di mirtilli, pesche a fette o fragole 30 g circa di mandorle in scaglie

15 g circa di cioccolato fondente (in sciroppo o a pezzettini) 1 spruzzata di bourbon (facoltativo) PREPARAZIONE

Versate la frutta in una ciotola, aggiungete le mandorle, il cioccolato e, se vi piace, una spruzzata di bourbon. Sbizzarritevi a realizzare una presentazione fantasiosa. Resa: 1 porzione. SENZA IL BOURBON: Calorie: 269; proteine: 7 g; carboidrati: 23 g; fibre: 6 g; sodio: 1 mg; grassi: 19 g (sat: 4 g, mono: 9 g, poli: 4 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

GRANITA AL MANGO CON NOCI MACADAMIA RICOPERTE DI CIOCCOLATO Joanne Burke, Weather Hill Farm, Sanbornton, New Hampshire INGREDIENTI

3 manghi 170 g circa di cioccolato fondente (70-72% di cacao) 115-140 g circa di noci macadamia non salate mirtilli per guarnire staccante spray PREPARAZIONE

Sbucciate, snocciolate e tagliate a fette 2 manghi, mentre il terzo tagliatelo a dadini e mettetelo da parte. Frullate i manghi a fette fino a ottenere una purea liscia e omogenea. Versatela in un contenitore adatto e riponete in congelatore per almeno 3 ore. Mettete una ciotola resistente al calore sopra una pentola di acqua bollente. Fate attenzione: il fondo della ciotola non deve toccare l’acqua. Versate il cioccolato nella ciotola, e mescolate finché non si sarà sciolto. Aggiungete le noci macadamia e rigiratele per bene. Foderate una teglia da forno con carta apposita, spruzzate una

griglia con staccante spray e posizionatela nella teglia. Aiutandovi con una spatola, raccogliete le noci ricoperte di cioccolato e adagiatele sulla griglia. Spalmate sulla carta forno un po’ del cioccolato fuso rimasto nella ciotola per ricavarne una decorazione. Riponete in frigorifero fino a quando il cioccolato non si sarà solidificato. Versate la granita al mango in una ciotola, aggiungete i cubetti di mango fresco, i mirtilli e le noci ricoperte di cioccolato. Staccate il cioccolato dalla carta forno, spezzettatelo e utilizzatelo per guarnire. Servite subito. Resa: 4 porzioni. Calorie: 673; proteine: 8 g; carboidrati: 66 g; fibre: 12 g; sodio: 4 mg; grassi: 46 g (sat: 16 g, mono: 21 g, poli: 1 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

TARTUFINI DI CIOCCOLATO RIPIENI DI CILIEGIE E NOCI Rebecca Katz, autrice di The Healthy Mind Cookbook (Ten Speed Press, 2015) Tartufi ripieni di datteri, ciliegie e noci, ricoperti di cioccolato e ripassati in un misto di cocco e curry in polvere. Alcuni studi indicano che le noci potrebbero migliorare la memoria, mentre non c’è nulla di meglio del cioccolato per risollevare l’umore. Un tartufo e sarete pronti per affrontare qualsiasi stress! INGREDIENTI

2 cucchiai di acqua bollente 55 g circa di cioccolato fondente (64-72% di cacao) tritato finemente ½ tazza di noci 1 cucchiaio di cacao in polvere non zuccherato 1 tazza di datteri denocciolati e tagliati a metà 1 cucchiaino di estratto di vaniglia

¼ di tazza di ciliegie essiccate a pezzettini 2 cucchiai di cocco grattugiato ¼ di cucchiaino di curry in polvere sale PREPARAZIONE

In una ciotola versate l’acqua, aggiungete il cioccolato e lasciate riposare per 30 secondi. Con una frusta sbattete fino a che il cioccolato non si sarà sciolto. Tritate grossolanamente le noci, aggiungete cacao in polvere, datteri, vaniglia e un pizzico di sale. Unite il cioccolato e frullate per un altro minuto, fino a ottenere un composto omogeneo. Trasferite in una ciotola e aggiungete le ciliegie. Mescolate bene e lasciate riposare in frigorifero per 2 ore, oppure riponete in freezer per 15 minuti. Dovrete ottenere un composto solido. Versate in un piatto cocco, curry e una presa di sale e mescolate. Prendete 2 cucchiaini del composto e fateli rotolare fra i palmi delle mani fino a ottenere una pallina, quindi rigiratela nel misto di cocco e curry per ricoprirla per bene. Ripetete fino a che il composto non sarà terminato. Riponete i tartufini in frigorifero in un contenitore ermetico prima di servire. Nel contenitore ermetico si conservano fino a 2 giorni. N.B. Per un tocco dorato, tostate il cocco in forno a 150 °C per 10-15 minuti. Resa: 20 tartufini; 1 porzione: 1 tartufino. Calorie: 72; grassi totali: 4 g (sat: 2 g, mono: 1 g, poli: 1 g); carboidrati: 9 g; proteine: 1 g; fibre: 1 g; sodio: 16 mg.

BISCOTTI RUSTICI ALL’AVENA E UVETTA CON NOCI E MANDORLE L’avena e la farina integrale per dolci donano a questi biscotti una consistenza straordinaria, in cui la croccantezza è esaltata da semi di girasole, noci e mandorle. Per mantenerne intatta la dolcezza, abbiamo diminuito lo zucchero della ricetta tradizionale e aggiunto frutta essiccata e miele.

INGREDIENTI

⅓ di tazza di zucchero di canna 2 cucchiai di miele 1 grosso uovo 1 cucchiaino di estratto di vaniglia 2 tazze di fiocchi di avena ¾ di tazza di farina integrale per pasticceria ¾ di cucchiaino di cannella 1 cucchiaino di lievito per dolci ½ tazza di uvetta 3 cucchiai di noci pecan tritate grossolanamente 3 cucchiai di mandorle in scaglie ½ tazza di olio di oliva 1 pizzico di sale PREPARAZIONE

Scaldate il forno a 180 °C. In una ciotola capiente versate olio, zucchero e miele e frullate a velocità media. Aggiungete poi uovo e vaniglia. In un contenitore a parte versate fiocchi di avena, farina, cannella, lievito e sale e mescolate bene. Versate nell’impasto e amalgamate il tutto. Aggiungete quindi uvetta, noci e mandorle, continuando a mescolare. Coprite il recipiente con pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigorifero per 30 minuti. Raccogliete l’impasto a cucchiaiate, ponetele in una teglia su un foglio di carta forno e appiattite delicatamente con le dita. Cuocete per 10-12 minuti. Sfornate quando i biscotti saranno dorati in superficie e lasciateli riposare nella teglia per 2 minuti, quindi trasferiteli su una griglia e lasciateli raffreddare completamente. Resa: 36 biscotti. Calorie: 79; proteine: 1,4 g; carboidrati: 9,2 g; fibre: 1 g; sodio: 33 mg; grassi: 4,3 g (sat: 0,38 g, mono: 2,38 g, poli: 1,24 g, trans: 0 g); colesterolo: 6 mg.

COUSCOUS DOLCE E SAPORITO In Tunisia si fa spesso colazione con il farka, un piatto a base di couscous zuccherato, traboccante di datteri e frutta con guscio. In questa versione la dolcezza è data dal succo di frutta e dai datteri: un perfetto dolce gustoso e leggero. La tradizione vuole che sia servito con del latte e vi suggerisco di provare ad accompagnarlo con quello di soia. INGREDIENTI

¼ di tazza di anacardi tritati grossolanamente ¼ di tazza di mandorle in scaglie 2 cucchiai di nocciole tritate grossolanamente 1 tazza e ½ di succo di mela non zuccherato 1 tazza di couscous integrale 1 cucchiaio e ½ di olio di nocciola o di oliva ¾ di tazza di datteri snocciolati latte di soia (facoltativo) PREPARAZIONE

Tostate anacardi, mandorle e nocciole a fuoco medio-alto in una grande padella antiaderente, rigirando di frequente, per 3 o 4 minuti. Toglieteli dal fuoco e mettete da parte. In un tegame di piccole dimensioni portate a bollore il succo di mela. Aggiungete il couscous, mescolate e cuocete per un minuto. Togliete dal fuoco, coprite e lasciate riposare per 5 minuti. Unite olio, datteri, anacardi e mandorle. Suddividete in ciotole e, se vi piace, aggiungete un po’ di latte di soia. Resa: 6 porzioni; 1 porzione: ⅔ di tazza. Calorie: 268; proteine: 5,6 g; carboidrati: 41,8 g; fibre: 5,1 g; sodio: 23 mg; grassi: 10,4 g (sat: 0,99 g, mono: 6,85 g, poli: 1,52 g, trans: 0 g); colesterolo: 0 mg.

Note

1. Mangiare bene è importante 1. Willett W.C., Balancing Life-style and Genomics Research for Disease Prevention in “Science”, 296, 2002, pp. 695-98. 2. Wang D.D. et al., Improvements in US Diet Helped Reduce Disease Burden and Lower Premature Deaths, 1999-2012; Overall Diet Remains Poor in “Health Affairs”, 34, 2015, pp. 191622. 3. Department of Health and Human Services and U.S. Department of Agriculture, 20152020

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2. Piramidi, piatti e linee guida per l’alimentazione 1. Foxcroft L., Calories and Corsets: A History of Dieting over 2,000 years, Profile Books, London 2012. 2. Banting W., Letter on Corpulence. Addressed to the Public, London, autopubblicato, 1863. 3. Davis C., Saltos E., Dietary Recommendations and How They Have Changed over Time, in Frazão E., America’s Eating Habits: Changes and Consequences. Economic Research Service 1999, “U.S. Department of Agriculture Information Bulletin”, AIB-750. 4. U.S. Department of Agriculture and National Institutes of Health, History of Dietary Guidance Development in the United States and the Dietary Guidelines for Americans, 2013: www.health.gov/dietaryguidelines/2015-BINDER/meeting1/historyCurrentUse.aspx 5. Kennedy E.T. et al., The Healthy Eating Index: Design and Applications in “Journal of the American Dietetic Association”, 95, 1995, pp. 1103-08. 6. McCullough M.L. et al., Adherence to the Dietary Guidelines for Americans and Risk of Major Chronic Disease in Men in “American Journal of Clinical Nutrition”, 72, 2000, pp. 1223-31; Adherence to the Dietary Guidelines for Americans and Risk of Major Chronic Disease in Women in “American Journal of Clinical Nutrition”, 72, 2000, pp. 1214-22. 7. Willett W.C. et al., Mediterranean Diet Pyramid: A Cultural Model for Healthy Eating in “American Journal of Clinical Nutrition”, 61, supplemento 6, 1995, pp. 1402S-1406S.

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3. Diete: a che cosa credere? 1. Goodman E., To Swallow or Not to Swallow; That Is the New Vitamin Question in “Boston Globe”, April 7, 1994, A27. 2. Willett W., Nutritional Epidemiology, terza edizione, Oxford University Press, New York 2012. 3. Huo Y. et al. per gli investigatori CSPPT, Efficacy of Folic Acid Therapy in Primary Prevention of Stroke Among Adults with Hypertension in China: The CSPPT Randomized Clinical Trial in “JAMA”, 313, 2015, pp. 1325-35. 4. Multiple Risk Factor Intervention Trial Research Group, Multiple Risk Factor Intervention Trial. Risk Factor Changes and Mortality Results in “JAMA”, 248, 1982, pp. 1465-77. 5. “American Journal of Public Health”, settembre 2016, 106 (9).

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5. Parlare chiaro sui grassi 1. National Center for Health Statistics, Health, United States, 2015, Hyattsville (Maryland), 2016. Tavola 58: Normal Weight, Overweight, and Obesity Among Adults Aged 20 and over by Selected Characteristics: United States, Selected Years 1988-1994 Through 2011-2014. www.cdc.gov/nchs/hus/contents2015.htm#058 2. Innis S.M., Dietary (n-3) Fatty Acids and Brain Development in “Journal of Nutrition”, 137, 2007, pp. 855-59. 3. Hu F.B. et al., Dietary Intake of Alpha-linolenic Acid and Risk of Fatal Ischemic Heart Disease Among Women in “American Journal of Clinical Nutrition”, 69, 1999, pp. 890-97. 4. Wang D.D. et al., Association of Specific Dietary Fats with Total and Cause-Specific Mortality in “JAMA Internal Medicine”, 126, 2016, pp. 1134-45. 5. Hu F.B. et al., Dietary Fat Intake and the Risk of Coronary Heart Disease in Women in “New England Journal of Medicine”, 337, 1997, pp. 1491-99. 6. Hu F.B. et al., Diet, Lifestyle, and the Risk of Type 2 Diabetes Mellitus in Women in “New England Journal of Medicine”, 345, 2001, pp. 790-97.

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Referenze iconografiche

Il piatto del mangiar sano delle pp. 8 e 358 è tratto da: Harvard Health Publications and the Harvard T.H. Chan School of Public Health. La mia piramide di p. 25 è tratta da: US Department of Agriculture and the US Department of Health and Human Services. La piramide del mangiar sano di Harvard alle pp. 24 e 357 sono di Christopher Bing e Heather Foley. La piramide USDA di p. 17 è tratta da: US Department of Agriculture and the US Department of Health and Human Services. Il mio piatto di p. 26 è tratto da: the US Department of Agriculture and the US Department of Health and Human Services. Il grafico di p. 54 è adattato da: W.C. Willett et al., “New England Journal of Medicine”, vol. 341, n. 6, 5 agosto 1999, p. 430. La tabella di p. 57, cortesemente concessa da Harvard Health Publications, è adattata dalla “tabella della massa corporea” del National Heart, Lung, and Blood Institute: https://www.nhlbi.nih.gov/health/educational/lose_wt/BMI/bmi_tbl.ht m Il grafico di p. 61, cortesemente concesso da Harvard Health Publications, è adattato dalla «tabella della massa corporea» del National Heart, Lung, and Blood Institute: https://www.nhlbi.nih.gov/health/educational/lose_wt/BMI/bmi_tbl.ht m L’illustrazione di p. 65 è tratta da: “Metabolic Syndrome: Putting the Heart in Harm’s Way”, Harvard Heart Letter, vol. 12, n. 9, maggio 2002, p. 2. L’illustrazione di p. 87 è tratta da: “Low Carb vs. Low Fat”, Harvard Health Letter, vol. 29, n. 10, agosto 2004, p. 4. Il grafico di p. 129 e tratto da: Nutritional Epidemiology by Walter Willett, p. 419.

Il grafico di p. 133 è adattato da: De Lorgeril et al., in “Circulation”, vol. 99, n. 6, 16 febbraio 1999, p. 781. L’illustrazione di p. 158 è tratta da: Harvard Health Publications. L’illustrazione di p. 168 è adattata da: J. Salmeron et al. in “JAMA ”, vol. 277, n. 6, 12 febbraio 1997, p. 476. L’illustrazione di p. 172 è tratta da: “Heart Gains from Whole Grains” in Harvard Heart Letter, vol. 13, n. 3, novembre 2002, p. 3. Il grafico di p, 281 è adattato da: D. M. Hegsted, “Journal of Nutrition”, vol. 116, n. 11, novembre 1986, p. 2317. L’illustrazione di p. 302 è adattata da: Nutritional Epidemiology di Walter Willett, p 451. Le tabelle alle pp. 336-339 sono adattate da: Dietary Reference Intakes of the Institute of Medicine’s (ora National Academy of Medicine) Food and Nutrition Board.

Indice delle ricette

Antipasti e bevande Crema ai pomodori secchi con patatine di mais al forno (Salvatempo) Esplosione di energia al mango (Salvatempo) Frappè di fragole e mandorle (Salvatempo) Frullato di banana e mirtilli (Salvatempo) Funghi Portobello al forno con ripieno di grano saraceno e nocciole Mix di frutta secca speziata (Salvatempo) Salsa rustica di avocado e gamberi (Salvatempo) Pane e cereali Frittelle di semolino alla piastra con ripieno di datteri all’arancia Menemen (uova strapazzate alla turca) con pane pita Muffin alle carote e germe di grano Muffin alle carote e mele con zenzero e noci Pancake multicereale con sciroppo di mela tiepido Pane alla banana e albicocche con noci Pane con chicchi di grano e avena decorticata Porridge croccante con le mele Portate principali Cernia origano e limone con verdure Enchiladas di pollo Insalata di pollo estiva (Salvatempo) Padellata di pollo e verdure Petto di pollo ripieno alla mediterranea (Salvatempo) Pollo al basilico thailandese con fagioli asparago Polpettone misto con i funghi Riso fritto alla thailandese Tajine di pollo alla marocchina Tonno tandoori (Salvatempo) Trancio di salmone alla griglia con salsa di papaia e menta

Spaghetti speziati in insalata con gamberetti e arachidi Portate principali vegetariane Barchette di radicchio con noci, peperoni rossi e insalata di feta Burger di farro e funghi Farro con zucca butternut al forno Gratin di zucca butternut, mele e mirtilli rossi Insalata di crescione con uvetta e noci Insalata di tempeh con pinoli e pane pita Insalata di tofu speziato Padellata di asparagi, tofu, shiitake e anacardi (Salvatempo) Panino con bistecche di tofu in crosta di cipolle Pizza con funghi Portobello e cipolla caramellata Sformato di lenticchie e arachidi con salsa di peperone rosso Sformato di riso integrale alle noci tostate Spaghetti soba freddi glassati all’arancia e zenzero Zucca invernale ripiena di noci pecan Zuppe e stufati Chili di pollo con peperoncini chipotle Cioppino orientale con gamberi e capesante Mafé vegetariano Stufato di ceci alla tunisina per la colazione Stufato di mare semplice Zuppa al pomodoro Zuppa di cannellini, pollo e spinaci Zuppa di lenticchie e grano in chicchi Zuppa di zucca invernale al curry (Salvatempo) Contorni Bulgur con pistacchi e albicocche (Salvatempo) Carote agli odori e senape di Digione Cavolfiore con cardamomo al forno Cavolo alla brasiliana Cavolo nero al profumo di limone con mandorle tostate (Salvatempo) Cavolo piccante Concia di sette verdure (Salvatempo)

Fagioli all’uccelletto Insalata greca Misto di verdure amare con cipolle dolci e amarene Misto di verdure invernali al forno Orzo risottato con porcini Patatine dolci speziate Pere in insalata verde Pilaf di riso selvatico e quinoa Spinaci passati in padella con pinoli e uvetta dorata (Salvatempo) Tabulè con mais rosolato Dessert Biscotti rustici all’avena e uvetta con noci e mandorle Couscous dolce e saporito Crostata di mele e ciliegie Crumble facile di pesca, ananas e albicocche Granita al mango con noci macadamia ricoperte di cioccolato Le tre delizie Pera affogata alle spezie Pesche speziate al forno Sorbetto al succo di arancia Tartufini di cioccolato ripieni di ciliegie e noci

Ringraziamenti

I concetti espressi in questo libro devono molto al lavoro e alle idee di numerosi predecessori, attuali colleghi, ricercatori post-dottorato e studenti di dottorato. Sono grato in particolare per l’incoraggiamento, il sostegno e le riflessioni ai colleghi Ed Giovannucci, Meir Stampfer, Graham Colditz, Bernard Rosner, Laura Sampson, JoAnn Manson, Frank Sacks, David Hunter, Charles Hennekens, Sue Hankinson, Eric Rimm, Frank Hu e Alberto Aschiero del Channing Laboratory e della Harvard School of Public Health. Frank Speizer ha sostenuto fortemente per molti anni la ricerca su dieta e malattia all’interno del Nurses’ Healty Study. La stragrande maggioranza delle ricerche di questo libro, svolte dal nostro gruppo o da altri, non sarebbe stata possibile senza i finanziamenti del National Institutes of Health. I miei colleghi e io esprimiamo la massima riconoscenza per il forte sostegno pubblico alla ricerca in ambito sanitario negli Stati Uniti e ci auguriamo che le informazioni contenute in questo libro siano ritenute degne dell’investimento. Molti commenti utili sono arrivati dai colleghi, dottori Meir Stampfer, Susan Roberts, Frank Sacks, Eric Rimm, Peter Glausser e Mollie Katzen, che hanno rivisto tutti o alcuni specifici capitoli del libro. Il dottor Tony Komaroff ed Edward Coburn della Harvard Medical School hanno contribuito con il loro forte sostegno e incoraggiamento alle prime fasi di sviluppo del libro, e Liz Lenart e Debbie Flynn mi hanno assistito in molti aspetti della produzione. Voglio ringraziare anche Simon & Schuster e Bill Rosen in particolare per l’idea di creare una serie di libri di alto livello qualitativo sulla salute rivolgendosi alla Harvard Medical School. A casa, mia moglie Gail, ha assistito a molte sperimentazioni culinarie. I nostri figli Amani – che al nido è riuscito a barattare le mele del suo pranzo con dei Twinkies – e Kamali – che ha dimostrato come una dieta vegetariana possa significare Coca-Cola, gelato e pizza – mi hanno aiutato a non perdere il contatto con la realtà.

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. Questa pubblicazione contiene le opinioni e le idee dell’autore. Intende fornire materiale utile e informativo sugli argomenti che sono oggetto della pubblicazione. Viene messa in commercio con l’intesa che né l’autore né l’editore si impegnano in questo libro a prestare un servizio professionale personale, sia esso medico, sanitario o di qualunque altro tipo. Il lettore è tenuto a consultare il proprio medico, professionista sanitario o altra figura competente prima di adottare qualunque suggerimento di questo libro o trarne conclusioni. L’autore e l’editore declinano specificatamente ogni responsabilità per danni, perdite, rischi, personali e non personali, in cui si incorra come conseguenza diretta o indiretta dell’uso e della pratica dei contenuti di questo libro. www.librimondadori.it Mangiare sano, bere sano, vivere sano di Walter C. Willett con Patrick J. Skerrett © 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano © Copyright 2001, 2005, 2017 by the President and Fellows of Harvard College Pubblicato originariamente da Free Press, an imprint of Simon & Schuster, Inc. All rights reserved, including the right to reproduce this book or portions thereof in any form whatsoever Titolo dell’opera originale Eat, Drink, and Be Healthy Contributi di Edward L. Giovannucci, MD, DSc. Ricette di Maureen Callahan, altri food writer e chef. Illustrazione Harvard Healthy Pyramid (Piramide del mangiar sano di Harvard) di Christopher Bing e Heather Foley. Traduzione di Alessandra Sora e Claudia Lionetti I numeri di pagina si riferiscono all’edizione cartacea. Ebook ISBN 9788852091599 COPERTINA || GRAPHIC DESIGNER: PASTINADESIGN | IMMAGINE © PIMLENA/SHUTTERSTOCK

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Indice delle ricette Frontespizio Il libro Gli autori Prefazione di Feanco Berrino 1 Mangiare bene è importante Mangiamo per vivere Semplici passi

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2 Piramidi, piatti e linee guida per l’alimentazione

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3 Diete: a che cosa credere?

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4 Un peso salutare

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Abbondanza di consigli Le raccomandazioni ufficiali Influenze indebite La piramide cresce Un’iniezione di scienza e lo sgretolamento della piramide, Un esperimento mediterraneo Via con il nuovo: la Healthy Eating Pyramid La piramide USDA cambia look Dalla piramide al piatto Linee guida per l’alimentazione 2015-2020: molte ingerenze, Altri test su piramidi, piatti e linee guida alimentari Linee guida migliori e diete migliori: come ci ripagano

Sostituire le stime approssimative con le prove Le contraddizioni sono inevitabili La sfida di lavorare con persone vere Metodi diversi per problemi diversi Interpretare le notizie mediche In conclusione

L’epidemia di obesità Qual è il peso salutare? Le attuali linee guida sul peso possono essere troppo indulgenti Mantenere l’IMC nel range salutare La bilancia ai tempi dell’università Mele e pere Perché aumentiamo di peso? Per l’energia, una caloria è una caloria Anche la qualità delle calorie conta Misurarsi con la “forma” delle calorie aiuta a dimagrire? Le diete a ridotto contenuto di grassi non sono la soluzione Una dieta a ridotto contenuto di carboidrati può aiutare Le diete a basso indice glicemico possono essere una scelta eccellente La densità energetica non è una guida affidabile Mangiare sano aiuta a dimagrire Scegliete la via mediterranea Tre mosse per controllare il peso La verità sulle diete popolari Diete a ridotto contenuto di grassi Diete a ridotto contenuto di carboidrati Diete a corretto contenuto di carboidrati Proporzioni perfette e combinazioni corrette E la densità energetica? Mangiate come nel 100.000 a.C. Cambiare comportamento Le prove sulle diete Fate da soli

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5 Parlare chiaro sui grassi

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6 Carboidrati nel bene e nel male

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Tipi di grasso Grassi omega 3: un particolare beneficio La confusione sugli omega 6 Grassi trans: una particolare preoccupazione Certi grassi fanno bene Come le linee guida alimentari hanno distorto la verità sui grassi Le linee guida più semplici non sempre sono migliori Sostituire i grassi con i carboidrati crea un nuovo problema I benefici di consumare grassi insaturi invece che grassi saturi Effetti dei grassi alimentari sulla salute Abbondanza di prove sui benefici dei grassi insaturi Grassi saturi: notizie che confondono le idee Consigli sugli omega Grassi alimentari e cancro: una relazione debole Scegliere grassi salutari In conclusione Sostituire i grassi non salutari con altri più salutari I carboidrati del tipo sbagliato fanno più male che bene Non solo “semplici” contro “complessi” Perché i carboidrati contano Il problema dell’insulino-resistenza Le diete ricche di carboidrati fanno particolarmente male alle persone in sovrappeso L’indice glicemico: l’effetto dei carboidrati sugli zuccheri nel corpo

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Carico glicemico: anche la quantità dei carboidrati conta Che cosa determina l’indice glicemico e il carico glicemico di un cibo? Cereali intatti, cereali integrali e cereali raffinati I cereali integrali proteggono dal diabete I cereali integrali comportano meno cardiopatie I cereali integrali migliorano anche la salute del tratto gastrointestinale Effetti incerti sul cancro Che cosa rende migliori i cereali integrali e intatti? Separare il grano dal loglio In conclusione

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7 Scegliete fonti proteiche più sane

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8 Mangiare molta frutta e verdura

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9 Siamo quello che beviamo

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10 Calcio: una finta emergenza

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11 Integratori multivitaminici: una sicurezza in più

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12 Anche la salute del pianeta è importante

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13 Tiriamo le somme

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Che cosa sono le proteine? Di quante proteine si ha bisogno? Proteine e salute umana Fate attenzione al pacchetto Lo scoop sulla soia La soia ha un lato oscuro? In conclusione

Prima di tutto, che cosa sono esattamente la frutta e la verdura? Famiglia nutrizionale Un arcobaleno di cibi USDA e altri: una guida inadeguata Non ci siamo Frutta e verdura prevengono le patologie cardiovascolari... ... Le patologie dell’occhio... ... I problemi intestinali... ... E il controllo del peso Ma proteggono dal cancro? Fibre: quando essere indigeribili è un pregio Fitonutrienti al lavoro La nostra salute dipende dai vegetali Troppo di una cosa buona In conclusione La patata è una bomba inesplosa Acqua Succo di frutta e di verdura Bevande gassate e zuccherate Latte Caffè Tè Alcolici In conclusione Perché abbiamo bisogno di calcio? Di quanto calcio abbiamo bisogno? Concentriamoci sulle ossa fratturate Oltre le ossa L’altra faccia del calcio Se non il calcio, allora che cosa? In conclusione

Che cosa sono le vitamine? La vitamina A Le tre B: B6, B12 e B9 (acido folico) Carotenoidi: betacarotene, licopene & Co. Vitamina C Vitamina D Vitamina E Vitamina K Calcio Ferro Magnesio Potassio Sodio Selenio Zinco In conclusione

Tre questioni fondamentali Produzione alimentare sostenibile Come contribuire allo sforzo globale? In conclusione

I benefici di questa strategia alimentare Diete tradizionali: miti e realtà La dieta mediterranea e oltre Le tradizioni culinarie si adattano bene ai trasferimenti Quanto costa mangiare sano? L’alimentazione sana a livello mondiale In conclusione

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14 L’alimentazione sana in condizioni particolari

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15 Consigli per acquisti, menu e ricette

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Ricette

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Gravidanza Ipertensione Diabete Ipercolesterolemia Ictus e infarto Cancro Celiachia Depressione Perdita di memoria

Scegliete alimenti ricchi di nutrienti Sostituti salutari Elenco dei cereali integrali o intatti Consigli per la cottura e la conservazione dei cereali integrali La spesa salutare Leggere le etichette La salute in cucina Menu settimanale Antipasti e bevande Pane e cereali Portate principali Portate principali vegetariane Zuppe e stufati Contorni Dessert

Note Referenze iconografiche Ringraziamenti

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