Lynch. Il ridicolo sublime
 885750655X, 9788857506555

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N. 19 Collana diretta da Pierre Dalla Vigna e Luca Taddio

SLAVOJ ŽIŽEK

DAVID LYNCH IL RIDICOLO SUBLIME

A cura di Damiano Cantone. Traduzione di Damiano Cantone e Lorenzo Chiesa © 2011 – Mimesis Edizioni (Milano – Udine) Collana: Minima/Volti n. 19 www.mimesisedizioni.it Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono: 0224861657 - 0224416383 Fax: +39 02 89403935 Via Chiamparis, 94 – 33013 Gemona del Friuli (UD) E-mail: [email protected]

Lenin amava sottolineare come si possano spesso ottenere rivelazioni fondamentali sulle proprie debolezze grazie alle intuizioni di nemici intelligenti. Perciò, dato che questo saggio tenta una lettura lacaniana di Strade perdute di David Lynch, potrebbe essere utile cominciare con un accenno alla “post-teoria”, recente orientamento della critica cinematografica in senso cognitivista che rifiuta in modo categorico la critica cinematografica lacaniana. Nel saggio sicuramente più riuscito di Post-Theory, volume-manifesto di questo orientamento, Richard Maltby passa al setaccio una famosa scena di Casablanca che si trova circa are quarti del film:[1] Ilsa Lund (interpretata da Ingrid Bergman) va nella stanza di Rick Blaine (Humphrey Bogart) per cercare di avere le lettere di transito che permetterebbero a lei e al marito Victor Laszlo, un leader della Resistenza, di fuggire da Casablanca verso il Portogallo, per poi proseguire verso l’America. Dato che Rick si rifiuta di consegnargliele, lo minaccia con una pistola, ma alla frase “Su, spara, mi faresti un favore”, la donna crolla, e in lacrime gli spiega per quale motivo lo aveva lasciato al tempo in cui vivevano assieme a Parigi; nel momento in cui gli dice: “Se tu sapessi quanto ti amavo e quanto ti amo ancora”, sono già stretti in un abbraccio. La dissolvenza è seguita da una scena notturna di tre secondi e mezzo in cui si vede il faro della torre di controllo dell’aeroporto; dopodiché, la dissolvenza ci riporta alla camera di Rick, stavolta ripresa dall’esterno. L’uomo, affacciato alla finestra, sta fumando una sigaretta, quindi si volta e chiede a Ilsa: “E poi?”; la donna riprende il suo racconto… Una domanda sorge spontanea: cos’è accaduto nel frattempo, durante i tre secondi e mezzo della ripresa dell’aeroporto – hanno fatto o non hanno fatto l’amore? Maltby dice bene quando sostiene che su questo punto il film non è semplicemente ambiguo, bensì genera due significati molto chiari che si elidono a vicenda: lo hanno fatto e non lo hanno fatto. Il film fornisce prove evidenti a sostegno di entrambe le ipotesi. Da una parte, vi è una serie di segnali convenzionali che indicano che hanno fatto l’amore: i tre secondi e mezzo potrebbero rappresentare un periodo di tempo ben più lungo; la dissolvenza sui due amanti abbracciati appassionatamente indica di solito che l’atto sessuale avverrà di lì a poco; anche fumare una sigaretta è un tipico modo di rilassarsi dopo l’atto (per non parlare della volgare connotazione fallica rappresentata dalla torre). Dall’altra, vi è una serie parallela di segnali tesi a indicare che non lo hanno fatto: la ripresa della torre di controllo per tre secondi e mezzo potrebbe corrispondere al tempo diegetico effettivo, considerando anche il fatto che il letto rimane assolutamente intatto; inoltre, la conversazione sembra continuare senza interruzioni. Persino la conversazione finale tra Rick e Laszlo all’aeroporto, riguardante gli eventi di quella notte, può essere interpretata in entrambi i modi: RICK: Ha detto che sapeva di Ilsa e me? VICTOR: Sì. RICK: Ma non sapeva che l’altra sera è stata da me, mentre Lei era… È venuta per le lettere di transito. Vero, Ilsa? ILSA: Sì. RICK: Ha fatto di tutto per averle, ma non è servito a nulla. Ha fatto del suo meglio per convincermi che era ancora innamorata di me, ma è una cosa di tanto tempo fa. Per il Suo bene ha fatto finta che non lo fosse e io ho lasciato che fingesse. VICTOR: Capisco.

Maltby è convinto che questa scena sia un caso esemplare di come Casablanca “sia stato deliberatamente costruito in modo tale da offrire due differenti fonti di piacere alternative a due persone sedute una accanto all’altra al cinema”, cioè, il film è stato girato in modo tale “da piacere sia a un pubblico ‘innocente’ sia ad un pubblico ‘sofisticato’”.[2] Mentre il film, a livello della trama superficiale, può essere ricostruito dallo spettatore secondo i più severi principi morali, allo stesso tempo, offre ai “sofisticati” indizi sufficienti per costruire una trama alternativa, molto più audace dal punto di vista sessuale. Questa strategia è più complessa di quello che può sembrare: proprio perché si sa di essere “al riparo”, “assolti dai sensi di colpa”[3] dalla trama ufficiale, ci si può abbandonare a fantasie oscene: si sa che non vengono prese “sul serio”, non contano agli occhi del grande Altro. Perciò, l’unico appunto da fare a Maltby è che affinché ciò possa accadere non sono necessari due spettatori: ne basta uno, uno spettatore diviso. Per dirla in termini lacaniani, durante i famigerati tre secondi e mezzo, Ilsa e Rick non lo hanno fatto per il grande Altro, l’ordine dell’apparenza pubblica, ma lo hanno fatto per la nostra immaginazione fantasmatica oscena. Ci troviamo qui di fronte alla struttura della trasgressione intrinseca allo stato puro: Hollywood ha bisogno di entrambi i livelli per funzionare. Per usare i principi della teoria del discorso elaborata da Oswald Ducrot, abbiamo qui un’opposizione tra presupposto e supposizione: il presupposto di una certa affermazione è sostenuto direttamente dal grande Altro, e quindi non ne siamo responsabili, mentre la responsabilità della supposizione di un certo fatto ricade

direttamente sulle nostre spalle (del lettore o dello spettatore): l’autore infatti può sempre affermare “non sono responsabile del fatto che gli spettatori traggano conclusioni oscene dalla trama del film!”. In termini psicoanalitici, questa opposizione corrisponde, naturalmente, a quella tra la Legge simbolica (Io ideale) e l’osceno Super-io: a livello della Legge simbolica pubblica non accade nulla, il testo è chiaro, mentre, a un altro livello, lo spettatore viene bombardato con l’ingiunzione del Super-io a godere, a dare libero sfogo alla propria immaginazione oscena. Per dirla ancora in un’altra maniera, siamo alle prese con un tipico esempio di divisione feticista, con la struttura del rifiuto “je sais bien, mais quand même…”: proprio perché si è consapevoli che non è successo nulla di male, si dà libero sfogo alla propria immaginazione oscena; possiamo concedercelo in quanto veniamo assolti dal fatto che per il grande Altro non è successo nulla. Questa doppia lettura non è semplicemente il risultato di un compromesso da parte della Legge, nel senso che la Legge simbolica è interessata solamente alla conservazione delle apparenze e ci lascia liberi di esercitare la nostra immaginazione oscena, almeno finché questa non invade la sfera pubblica (cioè finché le apparenze sono salve): in realtà, è la Legge stessa ad aver bisogno di un supplemento osceno, perché esso la sostiene e, viceversa, è la Legge a generarlo. Ma allora perché abbiamo bisogno della psicanalisi? Cosa c’è di propriamente inconscio? Gli spettatori non sono forse perfettamente consapevoli dei prodotti della loro immaginazione oscena? La psicanalisi è necessaria in un punto ben preciso: ciò che ignoriamo non è un contenuto segreto profondamente rimosso, ignoriamo invece il carattere essenziale delle apparenze stesse. Le apparenze contano: si possono avere tante fantasie oscene, ma ciò che conta è quale di esse verrà integrata nella sfera pubblica della Legge simbolica, del grande Altro. Maltby ha quindi ragione quando sottolinea come il famigerato Codice di Produzione di Hollywood negli anni ’30 e ’40 non fosse semplicemente un codice censorio negativo, ma anche un regolamento e una codificazione positivi – o produttivi, direbbe Foucault – che diede vita a un eccesso la cui rappresentazione diretta cercava invece di ostacolare. La conversazione tra Josef von Sternberg e Breen citata da Maltby è a questo proposito significativa. Quando Sternberg fece notare come “a un certo punto, i due protagonisti vivono un breve interludio romantico”, Breen lo interruppe dicendo: “Quello che Lei sta cercando di dirmi è che sono andati nel pagliaio, che hanno scopato”. Sternberg, indignato, gli rispose: “Signor Breen, mi sta offendendo”; Breen allora replicò: “Oh, per l’amor di Dio, la smetta con queste stupidaggini e parliamoci chiaro. Io, se vuole, la posso aiutare a costruire una storia di adulterio, ma non se Lei continua a chiamare una bella scopata un ‘interludio romantico’. Allora, cosa fanno questi due? Si baciano e tornano a casa?”. “No”, rispose Sternberg, “scopano”. “Bene”, gridò Breen battendo il pugno sul tavolo, “adesso capisco la sua storia”. Il regista finì di riassumere la storia e Breen gli spiegò come doveva manipolarla per farle rispettare il codice.[4] Quindi, la proibizione, per funzionare, deve fondarsi sulla chiara consapevolezza di quanto è realmente successo a livello della trama proibita: il Codice di Produzione non proibiva semplicemente alcuni argomenti, ma piuttosto ne codificava la loro articolazione cifrata. Maltby cita anche le celebri istruzioni di Monroe Stahr ai suoi sceneggiatori nel romanzo di Francis Scott Fitzgerald Gli ultimi fuochi: Sempre, in ogni momento in cui la vediamo sullo schermo, lei vuole andare a letto con Ken Willard… Tutto quello che fa, lo fa per andare a letto con Ken Willard. Se cammina per strada, è per andare a letto con Ken Willard, se mangia è per avere le forze per andare a letto con Ken Willard. Ma non date mai l’impressione che lei voglia andare a letto con Ken Willard se non da sposata.[5]

La proibizione fondamentale, lungi dal funzionare semplicemente in maniera negativa, è la causa diretta dell’eccessiva sessualizzazione degli eventi quotidiani più comuni: tutto ciò che fa la povera eroina affamata, anche camminare per strada o mangiare, è transustanziato nell’espressione del desiderio di andare a letto col suo uomo. È chiaro come il funzionamento di questa proibizione fondamentale sia decisamente perverso: si tratta di un movimento riflesso grazie al quale è proprio la protezione dal contenuto sessuale proibito a produrre una diffusa sessualizzazione eccessiva e a rendere il ruolo della censura più ambiguo di quel che sembra. Un’obiezione ovvia a questo ragionamento potrebbe essere che, in tal modo, si trasforma surrettiziamente il Codice di Produzione Hayes in una macchina sovversiva, ancora più pericolosa per il sistema dominante della tolleranza esplicita: stiamo infatti affermando che tanto più severa è la censura, tanto più sovversivi sono i suoi effetti collaterali. Si può controbattere a questa obiezione sottolineando che questi involontari effetti collaterali perversi, lungi dal minacciare il sistema di dominazione simbolica, rappresentano invece la sua trasgressione intrinseca, cioè il suo supporto osceno inconfessato. Cos’è accaduto dopo l’abolizione del Codice di Produzione Hayes? I film I ponti di Madison County e Qualcosa è cambiato sono due esempi di come la trasgressione intrinseca operi nell’epoca post-Codice. Nel film I ponti di Madison County, tratto dal romanzo omonimo, la relazione extraconiugale di Francesca salva tre matrimoni: il suo (il ricordo dei quattro giorni di passione la aiuta a sopportare la vita col marito noioso), e quelli di entrambi i figli, i quali, sconvolti dalla confessione della madre, si riconciliano con i loro rispettivi coniugi. Secondo quanto riportato dai media, questo film ha avuto un enorme successo in Cina dove è stato elogiato persino dagli ideologi del regime per la sua esaltazione dei valori familiari: Francesca rimane con la famiglia e preferisce i doveri familiari alla passione.

Ovviamente, si può affermare che gli stupidi burocrati moralisti del regime comunista non hanno capito nulla: il film dovrebbe essere una tragedia, Francesca non è riuscita a realizzarsi sentimentalmente visto che la relazione con Kinkaid è, per lei, l’unica cosa che conta. Tuttavia, a un livello più profondo, tali burocrati hanno ragione: il film è un’esaltazione dei valori familiari, poiché la relazione extraconiugale viene troncata, e l’adulterio è stato solamente una trasgressione intrinseca che sostiene la famiglia. In Qualcosa è cambiato, le cose sono ancora più paradossali: lo scopo del film è quello di farci divertire con due ore di irrefrenabile scorrettezza politica perché sappiamo che, tutto sommato, il personaggio interpretato da Jack Nicholson ha in realtà un cuore d’oro e, prima o poi, si ravvedrà, rinunciando alle sue caustiche battute. Ci troviamo ancora una volta di fronte alla struttura della trasgressione intrinseca: al giorno d’oggi, la trasgressione non è più rappresentata dall’irrompere di temi sovversivi repressi dall’ideologia patriarcale dominante (come succedeva con la femme fatale dei film noir) ma dall’allegro abbandonarsi ad attacchi razzisti e sessisti contro il politically correct, proibiti dal regime predominante liberale e tollerante (in breve, si reprime solo ciò che è “cattivo”). Rovesciando la logica della femme fatale (si tollerava la sua minaccia al patriarcato perché si sapeva che alla fine avrebbe dovuto pagare per il suo affronto), in questo caso, possiamo invece divertirci con gli eccessi contro il politically correct di Nicholson perché sappiamo che alla fine il protagonista si redimerà. La struttura è, nei due casi, sempre quella della produzione di una coppia: le caustiche battute contro il politically correct sono l’oggetto a di Nicholson, il suo godimento eccessivo, al quale deve rinunciare se vuole iniziare una normale relazione eterosessuale. In questo senso, il film racconta la triste storia del tradimento di una vera e propria etica (ossessiva): quando Nicholson si “normalizza” e si trasforma in un essere umano cordiale, rinuncia all’etica che lo rendeva attraente e ci troviamo davanti una noiosa coppia ordinaria. Come possiamo spezzare questa struttura della “trasgressione intrinseca”? Grazie a un atto, che è proprio ciò che disturba l’attaccamento appassionato fantasmatico e denegato portato alla luce dalla trasgressione intrinseca.[6] Jacques-Alain Miller[7] ha definito la “donna vera” in termini di atto radicale: quello di sottrarre al partner maschile – di obliterare, persino di distruggere – ciò che è “in lui più di lui”, ciò che “significa tutto per lui” e a cui tiene più che alla sua vita, il prezioso agalma intorno al quale ruota la sua esistenza. In letteratura, il miglior esempio del compimento di tale atto è ovviamente Medea. Quando viene a sapere che il marito Giasone intende abbandonarla per una donna più giovane, gli uccide i due figli, la cosa più preziosa che possieda: distruggendo con questo atto orribile la cosa più importante del marito si comporta da vraie femme, come dice Lacan (un altro esempio fornito da Lacan è quello della moglie di André Gide la quale, dopo la morte del marito, bruciò tutte le lettere d’amore che le aveva mandato, considerate da lui la cosa più preziosa che aveva).[8] Seguendo questa falsariga è forse anche possibile interpretare la particolare figura di femme fatale nel nuovo noir degli anni ’90 (si pensi, per esempio, al personaggio interpretato da Linda Fiorentino in L’ultima seduzione di John Dahl). Contrariamente alla femme fatale del noir classico degli anni ’40, che resta una presenza spettrale e sfuggente, la nuova femme fatale si distingue per un’aggressività sessuale diretta e franca, sia verbale che fisica, e attraverso la mercificazione di se stessa: ha cioè “la mente di un ruffiano nel corpo di una puttana”; come recita lo slogan della locandina del film: “Molte persone possiedono un lato oscuro… lei non aveva che quello”. Due sono i dialoghi significativi in proposito: il classico scambio di doppi sensi riguardo a un “limite di velocità” che conclude il primo incontro tra Barbara Stanwick e Fred McMurray in La fiamma del peccato di Billy Wilder, e il primo incontro tra Linda Fiorentino e il suo partner nel film di Dahl: la donna apre immediatamente la lampo dei pantaloni dell’uomo, ci infila una mano e ispeziona la mercanzia (il pene) prima di accettarlo come amante (“Non compro mai nulla a scatola chiusa”); più tardi rifiuta qualsiasi “contatto umano affettuoso” con lui.[9] In che modo questa brutale “automercificazione” e riduzione di sé e del partner a oggetti da soddisfare e da sfruttare influenza il presunto statuto “sovversivo” della femme fatale nei confronti della Legge paterna della Parola? Secondo la teoria cinematografica femminista, nel noir classico la femme fatale viene punita nella trama esplicita, viene distrutta, a causa della sua risolutezza che compromette e minaccia la dominazione patriarcale maschile: “Il mito della donna forte e sessualmente aggressiva dapprima le permette di esprimere sensualmente il suo pericoloso potere e i suoi terribili risultati, ma poi la distrugge, portando così alla luce le preoccupazioni represse per la minaccia femminile alla dominazione maschile”;[10] la femme fatale “in definitiva perde movimento fisico e influenza rispetto al movimento della cinepresa, e spesso è letteralmente o simbolicamente imprigionata dalla composizione, dato che il controllo su di lei viene esercitato ed espresso visivamente… qualche volta è felice sotto la protezione di un amante”.[11] Tuttavia, nonostante venga distrutta o addomesticata, la sua immagine sopravvive alla distruzione fisica, diventando l’elemento che di fatto domina la scena, ed è qui, nel ribaltamento della trama esplicita, che risiede il carattere sovversivo dei film noir. In contrasto con questo noir classico, il neo-noir degli anni ’80 e ’90, da Brivido Caldo di Kasdan a L’ultima seduzione, già a livello della trama esplicita permette apertamente alla femme fatale di trionfare, di ridurre il partner a uno sciocco condannato a morte, mentre lei sopravvive ricca e sola, e non come minaccia spettrale “non-morta” che domina la scena libidicamente dopo la propria distruzione fisica e sociale. Come

influisce questo trionfo diretto nella realtà sociale sul lato sovversivo della figura della femme fatale? Non si rischia che il suo trionfo reale indebolisca quello spettrale e fantasmatico, molto più forte, sublime oseremmo dire, cosicché, invece di costituire una minaccia onnipotente e spettrale – indistruttibile poiché fisicamente distrutta – essa diventa semplicemente una “puttana” volgare, fredda, calcolatrice e priva di qualsiasi aura? In altre parole, siamo forse prigionieri della dialettica tra perdita e sublimità, in cui la distruzione concreta è il prezzo da pagare per l’onnipotenza spettrale? Forse andrebbero cambiati i termini del dibattito, sottolineando innanzitutto come la femme fatale classica, lungi dall’essere semplicemente una minaccia all’identità patriarcale maschile, funga invece da “trasgressione intrinseca” all’universo simbolico patriarcale, da fantasma maschile masochistico-paranoico nel quale la donna sfruttatrice e sessualmente insaziabile domina l’uomo e allo stesso tempo, godendo della propria sofferenza, lo induce al maltrattamento. Il fantasma della donna onnipotente la cui attrazione irresistibile rappresenta una minaccia non solo per la dominazione, ma per l’identità stessa del soggetto maschile, è il “fantasma fondamentale” in rapporto al quale si definisce e si fonda l’identità simbolica maschile. La minaccia rappresentata dalla femme fatale è quindi falsa: in realtà, è un supporto fantasmatico della dominazione patriarcale, una figura nemica generata dal sistema patriarcale stesso. Per Judith Butler,[12] la femme fatale è il fondamentale “attaccamento appassionato” denegato del soggetto maschile moderno, una formazione fantasmatica necessaria ma che non può essere dichiarata apertamente; può quindi essere evocata solamente al prezzo della sua punizione nella trama esplicita (che rappresenta la sfera socio-simbolica pubblica), e del ristabilirsi dell’ordine della dominazione maschile. Oppure, per dirla in termini foucaultiani, come il discorso sulla sessualità, nella sua “repressione” e regolamentazione, crea il sesso come entità misteriosa e impenetrabile da conquistare, così il discorso erotico patriarcale crea la femme fatale. Essa è la minaccia implicita contro la quale l’identità maschile deve affermarsi. Il merito del neo-noir è quello di portare alla luce questo fantasma nascosto: la nuova femme fatale, accettando pienamente l’intrigo e persino battendo l’uomo in questo gioco maschile, è molto più efficace nel minacciare la Legge paterna della classica femme fatale spettrale. Si potrebbe obiettare, ovviamente, che questa nuova femme fatale non è meno allucinatoria e che il suo rapportarsi in modo diretto all’uomo costituisce comunque la realizzazione di un fantasma (masochistico) maschile; tuttavia, essa sovverte il fantasma maschile proprio perché lo realizza direttamente e in modo brutale, mettendolo in scena nella “vita reale”. La nuova femme fatale non solo realizza l’allucinazione maschile, ma conosce anche perfettamente i fantasmi maschili, e sa che dare loro direttamente ciò di cui fantasticano è il modo più efficace per destabilizzarne il dominio. In altre parole, nella scena de L’ultima seduzione descritta sopra troviamo l’esatta controparte femminile di quella di Cuore Selvaggio di Lynch in cui Willem Defoe insulta Laura Dern tentando di convincerla a pronunciare la parola “Scopami!”; quando finalmente la donna cede (cioè quando la sua fantasia viene risvegliata), egli considera l’offerta come spontanea, e gentilmente la rifiuta (“No, grazie, devo andare, sarà per un’altra volta…”): in entrambe le scene, il soggetto viene umiliato quando il suo fantasma viene brutalmente realizzato e gli viene gettato in faccia…[13] In breve, Linda Fiorentino si comporta da vera sadica, non solo riducendo il partner a portatore di oggetti parziali che forniscono piacere, privando quindi l’atto sessuale del suo “calore umano ed emotivo” e trasformandolo in un freddo esercizio fisiologico, ma anche a causa della crudele manipolazione del fantasma (maschile) altrui, rappresentato direttamente e quindi frustrato nella sua funzione di supporto del desiderio. Del resto, sbarazzarsi intenzionalmente e in modo brutale dell’aura spettrale della femme fatale tradizionale non è forse una variante dell’atto tipico di une vraie femme? L’oggetto che per il partner è “più di lui”, il tesoro attorno cui ruota la sua vita, è proprio la femme fatale. Distruggendo brutalmente la sua aura spettrale di “mistero femminile”, comportandosi come un freddo soggetto calcolatore interessato solamente al sesso brutale, riducendo il partner a un oggetto parziale, appendice (e sostegno) del pene, la nuova femme fatale non distrugge violentemente proprio ciò che “per lui è più di lui”? In breve, il messaggio di Linda Fiorentino al suo sciocco partner è il seguente: so che, quando mi desideri, tu in realtà desideri la mia immagine fantasmatica, quindi frustrerò il tuo desiderio gratificandolo direttamente; tu mi avrai, ma senza quello sfondo fantasmatico che mi ha resa un oggetto affascinante. Linda Fiorentino si comporta in modo esattamente opposto alla femme fatale tradizionale, che resiste come entità spettrale fantasmatica, eludendo per sempre la stretta del partner, restando continuamente in penombra, soprattutto grazie alla sua (auto) distruzione finale: la nuova femme fatale non sacrifica e non distrugge se stessa, ma il suo supporto, o aspetto, fantasmatico. A differenza della femme fatale classica che viene distrutta nella realtà per sopravvivere e trionfare come entità fantasmatica spettrale, Linda Fiorentino sopravvive nella realtà sacrificando e distruggendo il suo supporto fantasmatico. Ma lo fa davvero? L’enigma della nuova femme fatale è che rimanga enigmatica nonostante, al contrario della classica femme fatale, sia totalmente trasparente, e assuma apertamente il ruolo di una puttana calcolatrice, personificazione perfetta di ciò che Baudrillard ha chiamato “la trasparenza del Male”. Incontriamo qui un paradosso riscontrato già da Hegel: la rivelazione di sé e la trasparenza totale, la consapevolezza che dietro non vi è alcun contenuto nascosto, possono rendere il soggetto ancora più enigmatico; a volte, essere assolutamente espliciti è la maniera più efficace e astuta per

ingannare gli altri. Per questo nel neo-noir la femme fatale continua a esercitare il suo potere di seduzione irresistibile sul povero partner: la sua strategia sta nell’ingannarlo dicendogli apertamente la verità. Il partner non riesce ad accettarla e si aggrappa disperatamente alla convinzione che, dietro la fredda superficie calcolatrice ci deve essere un cuore d’oro da salvare, una persona di buoni sentimenti il cui approccio freddo e cinico è semplicemente una sorta di strategia difensiva. Quindi, sulla falsariga della freddura ebraica di Freud “perché mi dici che stai andando a Lemberg, quando invece te ne stai effettivamente andando a Lemberg?”, il rimprovero implicito di fondo del partner sciocco alla nuova femme fatale potrebbe essere: “Perché ti comporti come se fossi solo una fredda puttana calcolatrice, quando in realtà sei solo una fredda puttana calcolatrice?”. Questa è l’ambiguità fondamentale di Linda Fiorentino: il suo gesto non si adatta perfettamente alla descrizione di un vero atto etico in quanto viene presentata come un perfetto essere demoniaco, come un soggetto dalla volontà diabolica, assolutamente consapevole di ciò che sta facendo: soggettiva completamente i suoi atti, la sua Volontà va di pari passo con le sue azioni malvagie. Di conseguenza, nell’universo del neo-noir il fantasma non viene ancora attraversato, poiché la femme fatale rimane un fantasma maschile: quello di incontrare un Soggetto perfetto sotto forma di donna assolutamente corrotta, perfettamente consapevole e responsabile di ciò che sta facendo. Il gesto di Linda Fiorentino resta comunque intrappolato nell’impasse della trasgressione intrinseca: in definitiva, esso segue il copione perverso della messa in scena diretta del fantasma. In altre parole, la femme fatale del neo-noir va collocata nel contesto determinato dalla dissoluzione del Codice di Produzione Hayes: ciò che nei tardi anni ’40 era appena accennato, ora viene esplicitamente messo a tema. Nel neo-noir gli incontri sessuali sono tanto espliciti da sconfinare talvolta nella pornografia leggera (come accade in Brivido caldo di Kasdan), l’omosessualità, l’incesto, il sadomasochismo sono trattati apertamente e persino fatti vedere, la regola che i “cattivi” debbano essere puniti alla fine è chiaramente beffata e violata, e così via. In breve, il neo-noir mette in scena direttamente il contenuto fantasmatico cui il noir classico accennava soltanto o che sottintendeva in modo convenzionale. In questo caso, è emblematico il pastiche neo-noir di Oliver Stone U-Turn in cui vi sono incesti, una figlia che uccide la madre per sedurre il padre, ecc. Tuttavia, è sorprendente che questa trasgressione diretta, la rappresentazione immediata dei fantasmi perversi nascosti, renda innocuo il loro impatto sovversivo, una nuova conferma della vecchia tesi freudiana secondo cui la perversione non è sovversiva: non vi è nulla di effettivamente sovversivo se il perverso mette direttamente in scena i propri fantasmi denegati. Entrambe le versioni della femme fatale, sia quella del noir classico, sia quella postmoderna, sono quindi difettose, prigioniere della trappola ideologica. Il film Strade perdute di David Lynch, un’opera che funge efficacemente da meta-commento all’opposizione tra femme fatale classica e postmoderna, sembra fornire una via d’uscita. Il passo avanti di Strade perdute diventa visibile se lo paragoniamo a Velluto blu, precedente capolavoro di Lynch: in Velluto blu, passiamo dall’idilliaca vita di provincia della cittadina di Lumberton al suo cosiddetto lato oscuro, l’osceno universo sospeso tra incubo e farsa infestato da rapimenti, sesso sadomaso, omosessualità violenta, delitti, ecc. In Strade perdute, invece, l’universo noir di donne corrotte e di padri osceni, di delitti e di tradimenti, in cui entriamo dopo il misterioso cambio d’identità di Fred/Pete, protagonista maschile del film, non è messo a confronto con l’idilliaca vita di provincia, ma con la vita matrimoniale asettica, grigia e “alienata” tipica della periferia delle megalopoli. Così, invece della tipica opposizione tra la superficie idilliaca iperrealista e il suo terrificante risvolto, c’è un’opposizione tra due orrori: da una parte l’orrore fantasmatico del tenebroso universo noir fatto di sesso perverso, tradimenti e delitti, dall’altra la disperazione ancora più sconvolgente cui ci porta la nostra scialba vita quotidiana fatta d’impotenza e sfiducia. La prima parte di Psyco presenta un contrasto simile tra il grigio squallore tipico della vita impiegatizia della piccola borghesia e i suoi sogni infranti da una parte, e il suo terrificante lato complementare, rappresentato dall’universo psicotico del motel di Bates dall’altra. È come se l’unità della nostra esperienza della realtà, sorretta dal fantasma, si disintegrasse e si decomponesse nei suoi due elementi: da un lato, il grigiore asettico “desublimato” della realtà quotidiana, dall’altro, il suo supporto fantasmatico, non in versione sublime, ma rappresentato direttamente e brutalmente in tutta la sua oscena crudeltà. È come se Lynch ci dicesse: “se attraversassi lo schermo fantasmatico che le conferisce un’aura fasulla, questa sarebbe la tua vera vita: puoi scegliere tra male e peggio, tra il grigiore asettico impotente della realtà sociale e la realtà fantasmatica della violenza autodistruttiva”.[14] Ecco un breve riassunto della trama del film. Nelle prime ore del mattino, in un’anonima megalopoli simile a Los Angeles, il sassofonista Fred Madison sente al citofono di casa una misteriosa frase senza senso “Dick Laurent è morto”: quando va a vedere chi è, trova sulla porta una videocassetta con un filmato della sua abitazione ripresa dall’esterno. Il mattino seguente, riceve un’altra videocassetta contenente un filmato in cui si vedono lui e la moglie, la bella ma riservata Renee, mentre dormono. I Madison chiamano la polizia, ma senza risultati. Nel frattempo, veniamo informati della gelosia di Fred per la moglie e dei suoi sospetti che la donna lo tradisca mentre suona nei locali. Dal loro fallimentare rapporto sessuale si capisce anche che Fred è quasi impotente e incapace di soddisfare Renee. Renee e Fred vanno a una festa organizzata da Andy, un tipo inquietante. Nel corso della serata, Fred viene avvicinato da un uomo mortalmente pallido e misterioso

che sostiene di aver incontrato Fred a casa sua, e di trovarsi là in quel momento. L’uomo gli presta persino un telefono cellulare in modo che Fred possa constatare di persona che Mystery Man si trova in entrambi i luoghi nello stesso istante (si tratta di una scena molto più bizzarra di quella di Spielberg in cui ET telefona a casa). La videocassetta successiva mostra Fred nella sua camera a letto accanto al corpo massacrato di Renee. Accusato dell’omicidio della moglie, Fred inizia a soffrire di strane emicranie mentre è in prigione, finché non si trasforma in un’altra persona, il giovane meccanico Pete Dayton. Siccome Pete non è ovviamente l’autore del delitto, le autorità lo rimandano dai genitori. Pete riprende la sua vita, s’incontra con la fidanzata e lavora in un’officina in cui cliente di riguardo è un certo Mr. Eddy, conosciuto pure come Dick Laurent, un losco criminale pieno di energie. Alice, l’amante di Eddy, è una reincarnazione bionda di Renee che seduce Pete e inizia con lui un’appassionata relazione. Alice convince Pete a derubare Andy, il socio di Eddy che l’ha trascinata nel mondo della prostituzione e del cinema pornografico. La casa di Andy è un luogo del Piacere Malvagio tipicamente lynciano, un po’ come il Salotto Rosso in Twin Peaks: nella stanza più grande, un video proietta continuamente un filmato in cui si vede Alice che, godendo nel dolore, copula a tergo con un uomo di colore. Durante la rapina, Andy viene ucciso e si trasforma in uno di quei cadaveri lynciani grotteschi e immobili; dopodiché, Fred e Alice fuggono in un motel nel deserto in cui fanno l’amore appassionatamente. A questo punto, dopo aver sussurrato a Fred “non mi avrai mai”, Alice sparisce in una casa di legno che subito dopo s’incendia.[15] Mr. Eddy, che avevamo visto in una scena precedente fare l’amore con Alice, compare improvvisamente, inizia a litigare con Pete, che si ritrasforma in Fred, e alla fine viene giustiziato da Mystery Man, apparso anche lui nel deserto. Fred torna in città, comunica al citofono di casa sua che “Dick Laurent è morto” e ritorna nel deserto con la polizia alle calcagna. Questo breve riassunto del film è necessariamente lacunoso: la trama è infatti complessa e presenta numerosi dettagli ed eventi importanti che non hanno senso se interpretati secondo una logica lineare. Evitiamo tuttavia di credere che questa complessità sia insensata, che siamo trascinati in uno spaventoso delirio schizofrenico senza logica o regole e che, di conseguenza, dovremmo rinunciare a ogni tentativo di interpretazione abbandonandoci alla moltitudine di immagini incoerenti e scioccanti che ci bombardano. Non si dovrebbe dare troppo credito a quei critici che considerano Strade perdute un film eccessivamente complesso e folle, privo di una trama coerente, in cui il confine tra realtà e allucinazione è confuso (atteggiamento tipico di chi dice: “La trama non importa, sono le immagini e gli effetti sonori che contano”). Innanzitutto, bisognerebbe insistere sul fatto che si ha una storia a tutti gli effetti (di un marito impotente, ecc.) la quale, a un certo punto (dopo l’uccisione di Renee), sfocia in un’allucinazione psicotica in cui il protagonista ricostruisce i parametri del triangolo edipico, recuperando così la propria potenza. Significativamente, Pete si ritrasforma in Fred, ovvero ritorna alla realtà, solo quando nell’allucinazione si riafferma l’impossibilità di avere un rapporto, cioè quando la bionda Patricia Arquette (Alice) dice al suo amante “non mi avrai mai”. Prendiamo spunto dai due rapporti sessuali del film: il primo, silenzioso, asettico, freddo, semi-impotente, alienato, tra Fred e Renee; il secondo, iper-appassionato, tra Pete e Alice. Entrambi si concludono con un fallimento per l’uomo: il primo in maniera diretta, con Renee che consola Fred, il secondo con la sparizione di Alice nella casa dopo aver mormorato “non mi avrai mai”. Proprio allora Pete si ritrasforma in Fred, dimostrando quindi che la via di fuga fantasmatica è solo una strada a fondo cieco e che il fallimento ci aspetta ovunque. Le trasformazioni di Pete in Fred e di Renee in Alice vanno viste in questo contesto: se vogliamo evitare di cadere nella ritrita argomentazione del Disturbo della Personalità Multipla, occorre innanzitutto sottolineare come avvengono le trasformazioni nel film. A questo punto, bisogna confutare due nozioni di doppio: Quella tradizionale per la quale due persone pur identiche non sono la stessa persona: solo uno di loro possiede quanto Lacan definisce oggetto a, il misterioso je ne sais quoi che inspiegabilmente cambia tutto. Nella letteratura popolare, l’esempio più noto è La maschera di ferro di Alexandre Dumas: in cima alla scala sociale, il malvagio Re Luigi XIV ha un fratello gemello buono esattamente identico, e per questo destinato a restare in prigione per tutta la vita con una maschera di ferro che gli copre il volto. I tre moschettieri realizzano lo scenario fantasmatico di sostituire il fratello cattivo, che viene imprigionato, con quello buono, che sale al trono. Quella opposta, molto più moderna, delle due persone totalmente differenti ma incarnanti due versioni/incarnazioni dello stesso individuo poiché posseggono lo stesso insondabile oggetto a. In Strade perdute ci vengono presentate queste due modalità del doppio, distribuite lungo l’asse della differenza sessuale: le due versioni del protagonista maschile (Fred e Pete) hanno sembianze diverse ma sono in un certo senso la stessa persona, mentre quelle della protagonista femminile (Renee e Alice) sono chiaramente interpretate dalla stessa attrice ma possiedono due personalità differenti (a differenza di quanto accade in L’oscuro oggetto del desiderio di Luis Buñuel, in cui due attrici interpretano lo stesso personaggio).[16] Questa opposizione fornisce la chiave di lettura del film: dapprima, abbiamo la coppia composta dall’impotente Fred e da sua moglie Renee, riservata e forse infedele, attraente ma non fatale; dopo il suo assassinio, compiuto o immaginato dal protagonista, entriamo nell’universo noir e nel suo triangolo edipico. Alla reincarnazione più giovane di Fred viene abbinata Alice, reincarnazione di Renee,

femme fatale sessualmente aggressiva; a essi si aggiunge la figura dell’osceno padre-jouissance Eddy, che si intromette nella coppia nel tentativo di impedire i loro rapporti sessuali. Lo scoppio di violenza assassina viene spostato di conseguenza: Fred uccide sua moglie mentre Pete uccide Mr. Eddy, il terzo incomodo. Il rapporto della prima coppia è destinato a finire per ragioni intrinseche: Fred è impotente e debole nei confronti della moglie, da cui è ossessionato e traumatizzato, ed ecco perché deve ucciderla nel passage à l’acte. Nella seconda coppia, invece, l’ostacolo è esterno, ed ecco perché Pete uccide Mr. Eddy e non Alice. Significativamente, l’unica figura che rimane immutata in entrambi gli universi è quella di Mystery Man.[17] Il punto chiave sta nel cambiamento di stato dell’ostacolo durante il passaggio dalla realtà all’universo noir immaginario: mentre nella prima parte del film l’ostacolo è intrinseco (il sesso non funziona), nella seconda l’impossibilità intrinseca viene estrinsecata nell’ostacolo (Eddy) che, dall’esterno, impedisce la realizzazione della relazione sessuale. Lo spostamento da impossibilità intrinseca a ostacolo esterno rappresenta proprio la definizione di fantasma, di oggetto fantasmatico in cui il blocco intrinseco acquista un’esistenza positiva. Si suppone che, quando questo ostacolo verrà rimosso, la relazione procederà tranquillamente (succede lo stesso nell’antisemitismo con lo spostamento della causa dell’antagonismo sociale strutturale verso la figura dell’ebreo). Nel tentativo di chiarire la logica di fondo dei due ruoli da lei interpretati, Patricia Arquette aveva quindi ragione a schematizzare la trama del film in questi termini: un uomo uccide sua moglie perché gli è infedele, ma non riesce ad affrontare le conseguenze del suo atto e così ha una specie di crollo nervoso durante il quale s’immagina una vita migliore in cui è più giovane e la sua compagna lo desidera sempre. Ma anche la sua vita immaginaria va storta: la sfiducia e la follia che lo affliggono sono così profonde che persino la sua fantasticheria crolla e diventa un incubo.[18] La logica è proprio quella della lettura lacaniana del sogno di Freud “padre, non vedi che brucio?”, in cui chi sogna si sveglia quando la realtà dell’orrore incontrato nel sogno (il rimprovero del figlio defunto) è più orribile della realtà una volta sveglio, per cui chi sogna si rifugia nella realtà per sfuggire al reale incontrato nel sogno.[19] La chiave per l’ultima, confusa parte del film è la dissolvenza graduale del fantasma: quando Fred, ancora nei panni di Pete, immagina la “vera” moglie Renee mentre fa l’amore con Eddy nella misteriosa stanza 26 del motel, oppure quando Pete ritorna ad essere Fred siamo ancora in una dimensione fantastica. Allora, dove comincia il sogno e dove finisce la realtà? L’unica soluzione possibile è che la fantasticheria inizi subito dopo l’assassinio, e quindi le scene del tribunale e del braccio della morte facciano già parte di essa. Il film ritorna alla realtà dopo il secondo omicidio, e cioè quando Fred uccide Eddy e fugge in auto, inseguito dalla polizia.[20] Tuttavia, una lettura psicanalitica così diretta presenta dei limiti. In termini stalinisti, va rifiutata sia la deviazione psico-riduzionista “di destra”, secondo la quale quanto accade a Pete è semplicemente un’allucinazione di Fred (proprio come in Giro di vite di Henry James, in cui i due anziani servitori corrotti sono solo un’allucinazione del protagonista), sia l’insistenza anarchico-oscurantista e antiteoretica “di sinistra”, secondo la quale bisognerebbe rinunciare a ogni sforzo interpretativo e abbandonarsi all’ambiguità e alla ricchezza audiovisiva del film; Stalin direbbe che sono entrambe peggio... Una lettura freudiana ingenua rischia anche di arenarsi in acque junghiane, qualora interpretasse tutti i personaggi come semplici proiezioni o materializzazioni degli aspetti repressi di Fred (Mystery Man è la sua Volontà malvagia e distruttiva, e così via). È più utile, invece, sottolineare come la trama circolare di Strade perdute riproduca la circolarità del processo psicanalitico; un ingrediente fondamentale dell’universo lynciano è una frase, una catena significante, che risuona come il Reale che insiste e ritorna sempre, una specie di formula che sospende o attraversa il tempo: in Dune è “colui che dorme deve svegliarsi”, in Twin Peaks, “i gufi non sono quello che sembrano”, in Velluto Blu, “papà vuole scopare”. In Strade perdute, ovviamente, “Dick Laurent è morto”, frase iniziale e conclusiva del film che preannuncia la morte della figura paterna oscena (Mr. Eddy): l’intera trama del film, infatti, si svolge nel lasso di tempo incluso tra questi due momenti. All’inizio, Fred sente queste parole al citofono di casa, mentre alla fine è lui stesso a pronunciarle al citofono: otteniamo così una situazione circolare in cui dapprima il protagonista sente un messaggio che non capisce, poi è lui stesso a pronunciarlo. L’intero film si fonda sull’impossibilità dell’incontro del protagonista con se stesso, come nelle famose scene di distorsione temporale tipiche dei romanzi di fantascienza, in cui l’eroe, viaggiando nel passato, incontra se stesso in un’epoca precedente. D’altro canto, questo processo è simile all’analisi psicanalitica, in cui il paziente dapprima è turbato da un messaggio oscuro e indecifrabile ma insistente (il sintomo) che sembra bombardarlo dall’esterno e poi, a conclusione del periodo di cura, è capace di considerare questo messaggio come proprio, e di pronunciarlo in prima persona. La sequenza temporale sottesa a Strade perdute è quindi quella del trattamento psicanalitico in cui, dopo un’ampia deviazione, ritorniamo al punto di partenza ma assumiamo una prospettiva differente.[21] Per un’analisi più approfondita, ci si dovrebbe concentrare sulle tre scene più importanti del film: lo scoppio d’ira di Mr. Eddy (Dick Laurent) nei confronti di un guidatore; la conversazione telefonica tra Fred e Mystery Man alla festa; la scena ambientata a casa di Andy in cui Alice si confronta con il film pornografico in cui copula a tergo. Ciascuna di esse definisce una delle tre personalità con cui il protagonista entra in rapporto: Dick Laurent è il Super-io paterno eccessivo e osceno, Mystery Man la Conoscenza sincrona senza tempo né luogo, Alice il fantasma del godimento

eccessivo. - Nella prima scena, Eddy porta Pete a fare un giro sulla sua Mercedes per scoprire cosa c’è che non va nell’automobile. A un certo punto, un tizio alla guida di una berlina li supera senza motivo; Eddy lo spinge fuori strada e, con l’aiuto delle sue spaventose guardie del corpo, gli dà una lezione: minaccia il tizio con una pistola e poi lo lascia andare, gridandogli di “imparare le fottute regole”. È importante non interpretare in modo errato questa scena, visto che la scioccante comicità del personaggio rischia di ingannarci. Bisogna prendere Eddy sul serio, come qualcuno che tenta disperatamente di mantenere un minimo d’ordine, di far rispettare le “fottute regole” in questo universo altrimenti folle.[22] A questo punto, si è tentati di riabilitare come tutore delle regole persino la figura oscena e al contempo ridicola di Frank in Velluto blu: figure come Eddy, Frank, Bobby Peru (in Cuore Selvaggio) e anche il Barone Harkonnen (in Dune), sono personaggi che rappresentano un’affermazione e un godimento eccessivo ed esuberante della vita, e sono in qualche modo “al di là del bene e del male”. Eppure, Eddy e Frank sono allo stesso tempo i tutori della Legge socio-simbolica. Questo è il paradosso; non vengono obbediti come autorità paterne autentiche: sono fisicamente iperattivi, frenetici, esagerati e perciò ridicoli. Nei film di Lynch la legge viene fatta rispettare dal ridicolo agente iperattivo che gode la vita. Questo ci porta al problema di cosa sia da considerare seriamente e cosa sia invece ironico nell’universo di Lynch. Esiste infatti uno stereotipo critico sulle figure eccessivamente malvagie di Lynch quali Eddy e Frank: si tratterebbe di ridicole figure paterne furiose, i cui scoppi di rabbia violenta appaiono perciò necessariamente inutili; non andrebbero prese seriamente perché sono caricature, controparti malvagie dell’immersione nella felicità eterna, rappresentata, ad esempio, dal monologo sui pettirossi di Sandy in Velluto blu o dall’estatico sorriso redentore di Laura Palmer alla fine di Fuoco cammina con me (peraltro anch’essi esercizi ironici di auto-deprezzamento). Contro questo stereotipo, si è invece tentati di considerare queste due serie di eccessi in modo assolutamente serio. Seguendo la dialettica di Jameson, si può sostenere che, ovviamente, il Male in Lynch non è più quella forza sostanziale immediata, opaca, impenetrabile, che sfugge al nostro controllo, ma è “mediato”, riflessivo, composto di stereotipi ridicoli; tuttavia, il fascino unico dei film di Lynch risiede nel modo in cui questa riflessività genera la propria “immediatezza” e spontaneità. - La seconda scena da prendere in considerazione è quella in cui Renee porta Fred a una festa organizzata da Andy. Fred viene avvicinato da un pallidissimo Mystery Man che gli dice di averlo già incontrato e che in quel momento si trova a casa sua. Quest’uomo, interpretato da Robert Blake, è ovviamente la suprema personificazione del Male e degli strati più oscuri, distruttivi e “tossici” del nostro inconscio, ma bisogna fare delle precisazioni. Il modo kafkiano in cui si presenta a Fred è fondamentale; quando quest’ultimo gli chiede come ha fatto ad arrivare a casa sua, risponde: “Mi hai invitato tu. Non sono solito andare dove non mi vogliono”. Questa frase richiama l’analoga osservazione fatta dal Prete a Josef K. in Il processo, riguardo al fatto che: “Il tribunale non ha accuse da fargli, ma lo riceve quando arriva e lo rilascia quando se ne va”. Comunque questo non comporta che Mystery Man sia, secondo i principi di Jung, una proiezione o esternazione del lato omicida represso di Fred che realizza immediatamente i suoi impulsi più distruttivi: innanzitutto, è una figura fantasmatica di mero osservatore neutrale, uno schermo bianco che registra “oggettivamente” le spinte fantasmatiche inconfessate di Fred. Egli sembra non sottostare alle leggi dello spazio e del tempo, e ciò indica l’assenza di temporalità e di spazialità della rete simbolica universale sincronica di registrazione. Qui bisogna fare riferimento al concetto freudiano-lacaniano di “fantasma fondamentale” come essenza più intima del soggetto, suprema struttura proto-trascendentale del desiderio che, proprio in quanto tale, rimane inaccessibile al controllo soggettivo. Il paradosso di questa teoria sta nel fatto che l’essenza della mia soggettività, lo schema che garantisce l’unicità del mio universo soggettivo, è inaccessibile: quando mi ci avvicino troppo, soggettività ed esperienza perdono la loro consistenza e si disintegrano. In questo contesto, Mystery Man diventa l’Altro che ha accesso diretto al fantasma fondamentale del soggetto: il suo sguardo reale/impossibile non è quello dello scienziato che sa perfettamente chi sono oggettivamente (ad esempio, uno scienziato che conosce il mio genoma), ma quello capace di distinguere la più intima essenza soggettiva inaccessibile al soggetto stesso.[23] Ed è questo che segnala la sua pallida maschera di morte: un essere la cui malvagità coincide con l’innocenza più assoluta di uno sguardo freddo e disinteressato. In quanto portatore di una conoscenza asessuata, infantile e neutrale, Mystery Man appartiene alla stessa serie di personaggi cui appartiene anche Mr. Memory in Il Club dei 39 di Alfred Hitchcock: la loro caratteristica comune è quella di formare una coppia col personaggio che rappresenta la figura paterna oscena e violenta (Dick Laurent in Strade perdute, il capo delle spie tedesche in Il Club dei 39); l’osceno père-jouissance, che rappresenta la Vita eccessiva ed esuberante, e la Conoscenza pura e asessuata sono due figure strettamente complementari.[24] - La terza scena si svolge a casa di Andy, nella grande sala centrale. Alice è di fronte a un grande schermo su cui

viene proiettata continuamente una scena pornografica ripetuta all’infinito in cui si vede lei stessa mentre viene penetrata da dietro, forse analmente, con un’espressione di piacere misto a dolore. Il confronto tra Alice e il suo doppio fantasmatico causa l’effetto del “questa non è Alice”, come accade nel dipinto di Magritte intitolato “Questo non è una pipa”: si tratta di un tipo di scena in cui una persona reale viene accostata all’immagine fondamentale di quello che è per il fantasma dell’Altro maschile, in questo caso mentre gode a essere sodomizzata da un grosso uomo di colore (“una donna viene sodomizzata” funziona qui come l’affermazione freudiana “un bambino viene picchiato”). Questa casa della pornografia è l’ultima di una serie di luoghi infernali lynciani in cui (non) s’incontra (la verità ma) la suprema bugia fantasmatica, come ad esempio il Salotto Rosso in Twin Peaks e l’appartamento di Frank in Velluto blu. Si tratta di un luogo in cui il fantasma fondamentale rappresenta la scena primordiale della jouissance, e il problema è “attraversarla”, distanziarsi da essa. Ancora una volta, il confronto ravvicinato tra la persona reale e la sua immagine fantasmatica sembra riassumere la struttura del film, affiancando la squallida quotidianità con il reale fantasmatico della jouissance angosciante. Anche l’accompagnamento musicale del gruppo punk-“totalitario” tedesco Rammstein è importantissimo, poiché descrive l’universo della jouissance suprema tramite l’ingiunzione del Super-io osceno. Le due parti del film vanno contrapposte come realtà sociale (sostenuta dalla dialettica della legge simbolica e del desiderio), e fantasma. Fred desidera in quanto “il desiderio è il desiderio dell’Altro”: desidera in quanto disorientato dall’oscuro desiderio di Renee, interpretandolo all’infinito, cercando di sondare quello che la donna vuole. Dopo il passaggio al mondo fantasmatico, la sua nuova incarnazione (Alice) è aggressiva e attiva, lo seduce e gli dice quello che vuole, proprio come il fantasma fornisce una risposta alla domanda “Che vuoi?” (“Cosa vuole l’Altro da me?”). Tramite questo confronto diretto tra la realtà del desiderio e il fantasma, Lynch scompone l’ordinario “senso della realtà” sostenuto dal fantasma in due parti: da un lato, la realtà pura e asettica, dall’altro il fantasma; le due componenti non si relazionano più verticalmente (il fantasma sostiene la realtà), ma orizzontalmente, una accanto all’altra. La notevole differenza esistente tra le due parti del film è la prova cruciale del fatto che il fantasma sostiene il nostro “senso della realtà”: la prima (realtà senza fantasma) è “superficiale”, oscura, quasi surreale, stranamente astratta, incolore, senza sostanza, enigmatica come un dipinto di Magritte, con gli attori che recitano come in una commedia di Beckett o di Ionesco, come automi alienati. Paradossalmente, è nella seconda parte (quella del fantasma) che ritroviamo un “senso di realtà” molto più intenso e pieno, il senso di pienezza dei suoni e degli odori, di persone che si muovono nel “mondo reale”. Questa scomposizione spiega in definitiva il particolare effetto di straniamento che pervade i film di Lynch, spesso associati alla sensibilità dei dipinti di Edward Hopper: tuttavia, la differenza tra lo straniamento dei dipinti di Hopper e quello dei film di Lynch è quella tra modernismo e postmodernismo. Mentre Hopper estrania anche le scene di vita quotidiana, e nei suoi dipinti le persone solitarie che guardano il cielo blu dalla finestra o che se ne stanno sedute in un bar notturno o in un grigio ufficio sono “transustanziate” in raffigurazioni dell’Angst esistenziale moderna, con la loro solitudine e incapacità a comunicare, questa dimensione è totalmente assente in Lynch; nelle sue opere infatti lo straniamento della vita quotidiana rivela una magica capacità di redimere. Prendiamo uno dei migliori esempi di questo straniamento, e cioè quella strana scena in Fuoco cammina con me in cui Gordon Cole, agente dell’FBI (interpretato dallo stesso Lynch), addestra l’agente Desmond e il suo collega Sam usando una grottesca figura di donna che chiama Lil. Lil, il cui volto è coperto da cerone bianco, ha una vistosa parrucca rossa, un ridicolo vestito rosso su cui è appuntata una rosa blu finta, esegue una serie di esagerati gesti teatrali che Desmond e Sam devono interpretare. Questa bizzarra rappresentazione vuole forse sottintendere l’incapacità di Cole di comunicare, caratteristica accentuata dalla sua sordità e dal bisogno di parlare ad alta voce, ragione per cui può farsi capire solo riducendo il corpo femminile a una bambola bidimensionale dai gesti ridicoli?[25] Una tale interpretazione non manca però di tenere conto delle sfumature kafkiane della scena, in cui i due investigatori accettano lo strano addestramento come qualcosa di normale, parte della loro comunicazione quotidiana? Questo esempio dovrebbe chiarire l’importanza di non proiettare in Lynch l’opposizione tra la vita sociale con le sue regole fisse e il flusso subconscio dell’energia vitale cui dovremmo abbandonarci, tipica della New Age: se rinunciamo al nostro autocontrollo e ci lasciamo andare, possiamo raggiungere la vera maturità spirituale e la pace interiore. Questo tipo d’interpretazione raggiunge il culmine quando Lynch viene considerato come uno gnostico dualista della New Age il cui universo è un campo di battaglia tra due forze spirituali opposte: quella dell’oscurità distruttiva, impersonata da figure quali Bob in Twin Peaks, e quella della calma spirituale e della beatitudine. Una tale lettura può essere giustificata nella misura in cui respinge implicitamente l’interpretazione di Strade perdute come una nuova versione dell’ammonimento ultraconservatore a non indagare troppo sotto le apparenze: non spingerti troppo oltre, non tentare di penetrare nell’orrore che si annida dietro il fragile ordine delle nostre esistenze, perché ti scotteresti e pagheresti un prezzo molto più alto di quanto tu possa immaginare (quest’ultima interpretazione trova in Strade perdute una versione moderna del vecchio messaggio presente in Così fan tutte di Mozart: fidati pure delle donne ma non esporle a troppe tentazioni; se soccombi alle tentazioni ti troverai su una “strada perduta” senza

ritorno). Dire che l’opera di Lynch indaga il lato oscuro dell’animo umano e si confronta con il vortice distruttivo delle forze irrazionali che albergano sotto la superficie delle nostre vite ordinate, è un classico stereotipo che la lettura gnostica della New Age capovolge, nel tentativo di dimostrare (più ottimisticamente) che questo vortice in definitiva non corrisponde alla realtà ultima: dietro a esso vi è il regno della pura e pacifica Beatitudine spirituale. L’universo di Lynch è in realtà l’universo del “ridicolo sublime”: le scene più pateticamente ridicole, quali le apparizioni di angeli alla fine di Fuoco cammina con me e di Cuore selvaggio o il sogno del pettirosso alla fine di Velluto blu, vanno prese sul serio. Tuttavia, come abbiamo già sottolineato, bisogna prendere seriamente anche le figure malvagie eccessivamente violente e ridicole, quali Frank in Velluto blu, Eddy in Strade perdute, e il Barone Harkonnen in Dune. Persino una figura ripugnante come Bobby Peru in Cuore selvaggio rappresenta un eccessivo “potere vitale” fallico e un’incondizionata affermazione vitale: come osserva Michel Chion, nel momento in cui Bobby si spara senza problemi, egli è un enorme fallo, e la testa rappresenta il glande.[26] Perciò, seguendo la falsariga del dualismo gnostico si scade in banali semplificazioni: è troppo semplice opporre l’aspetto materno e ricettivo dei protagonisti maschili lynciani, il loro lasciarsi andare all’energia subconscia materno-femminile, alla loro Volontà violenta e aggressiva: ad esempio, non è forse il caso che Paul Atreides in Dune incarni entrambe le cose allo stesso tempo? Il suo potere totalitario e guerresco che lo porta a fondare il nuovo impero non è sostenuto proprio dalla forza che gli deriva dall’abbandonarsi all’energia cosmica della Spezia? La violenza fallica eccessiva e la sottomissione passiva a una forza globale più grande sono strettamente correlate, due aspetti dello stesso atteggiamento. Secondo gli stessi principi, nella prima scena violenta di Cuore selvaggio, in cui il Marinaio picchia a morte l’afro-americano assoldato per ucciderlo, egli “si lascia andare” alla sua rabbia, all’energia grezza del “fuoco che cammina con lui”: non si può semplicemente opporre il lato violento del “subconscio” a quello buono; in termini hegeliani, bisogna invece affermare la loro identità speculativa. Qui, del resto, risiede il messaggio di Lynch (si pensi anche a Twin Peaks, in cui Bob, il Male, coincide col “buon” padre di famiglia...). Un’altra possibile via d’uscita dall’impasse dell’interpretazione New Age è considerare le personalità multiple di Strade perdute come una manifestazione dei limiti dell’unità psicologica degli esseri umani: a un certo livello, è sbagliato considerare il soggetto come un’unità psicologica. Il problema è quello di voler fornire una versione “psicologicamente convincente” della storia nel tentativo di resistere alla sua spinta sovversiva: quando qualcuno si lamenta della psicologia scarsamente convincente dei personaggi di un romanzo, bisogna sempre prestare attenzione ai risvolti ideologici di una tale critica.[27] Il fato di Così fan tutte è paradigmatico. L’intreccio, in cui due giovani gentiluomini fanno finta di partire per la guerra, ritornando subito dopo, travestiti da ufficiali albanesi, a corteggiare l’uno la fidanzata dell’altro per mettere alla prova la fedeltà delle ragazze, venne considerato ridicolo dalla sensibilità psicologica del XIX secolo, e in particolare in due punti: le ragazze non riconoscevano nello straniero che le corteggiava il migliore amico del loro fidanzato, e l’amore vero nasceva in maniera puramente meccanica nello spazio di un giorno. Per salvare la musica del divino Mozart dalle restrizioni di un intreccio tanto volgare (cliché stabilito già da Beethoven), furono escogitate alcune strategie, come ad esempio scrivere un nuovo libretto o cambiare alcuni dettagli della storia (alla fine, si scopre che le due ragazze si erano accorte dell’inganno e avevano fatto finta di stare al gioco per imbarazzare i loro fidanzati al momento della rivelazione finale). Uno di questi cambiamenti, utilizzato persino in messe in scena recenti, è quello di riunire le coppie alla fine, ma non le stesse: la psicologia è salva, in quanto l’inganno è psicologicamente giustificato dal fatto che le due coppie erano mal assortite sin dall’inizio; a livello subconscio, erano già innamorati “trasversalmente” e la ridicola mascherata è semplicemente un modo per portare alla luce i veri sentimenti. Così, lo scomodo spettro della produzione automatica e meccanica dei nostri sentimenti più profondi è ancora una volta tenuto sotto controllo. Tenendo conto di questo contesto ideologico in cui sono validi solo i personaggi “psicologicamente” convincenti, bisogna apprezzare in Lynch una procedura paradigmatica che si potrebbe chiamare “transustanziazione spirituale degli stereotipi”; come dimostra Fred Pfeil nella sua serrata analisi del dialogo tra Jeffrey e il padre di Sandy, un poliziotto, alla fine di Velluto blu,[28] benché ogni frase e la stessa recitazione siano degli stereotipi da film di serie B, in un certo modo, l’immediatezza di questi stereotipi si perde perché viene trasferita in una profondità pseudometafisica, un po’ come succedeva con la procedura paradigmatica del primo Godard. A questo proposito, si può citare come esempio quella scena del film Il disprezzo, che assomiglia a una produzione da botteghino, in cui Brigitte Bardot domanda ripetutamente a suo marito (Michel Piccoli) che cosa egli ami in lei, se le caviglie, le cosce, il seno, gli occhi, le orecchie…[29] L’effetto complessivo di questo ritorno allo stereotipo ingenuo è che le persone risultano stranamente de-realizzate, o piuttosto de-psicologizzate, come accade nelle telenovelas messicane: il dialogo tra Jeffrey e Sandy in Velluto blu è recitato come ci si trovasse in una di queste telenovelas. È come se, nell’universo di Lynch, l’unità psicologica di una persona si disintegrasse da un lato in una serie di stereotipi e comportamenti rituali, dall’altro in esplosioni di un Reale crudo, brutale e desublimato, dotato di energia psichica insopportabilmente intensa e (auto) distruttiva. La chiave di questo effetto di de-realizzazione in Lynch è, come abbiamo già visto, l’accostamento dell’asettica quotidianità sociale

col suo supplemento fantasmatico, il cupo universo dei piaceri masochistici proibiti: è come se il regista trasponesse il verticale sull’orizzontale e ponesse le due dimensioni, cioè la realtà e il suo supplemento fantasmatico – la superficie e il represso – sullo stesso piano. La stessa struttura di Strade perdute rispetta la logica della trasgressione intrinseca: la seconda parte del film, che mette in scena il classico triangolo noir, è la trasgressione intrinseca fantasmatica della grigia vita quotidiana di cui tratta la prima parte. La dislocazione del verticale sull’orizzontale ha un ulteriore effetto: distrugge la coerenza del fondo fantasmatico del film. L’ambiguità presente nella trama del film (Renee e Alice sono la stessa persona? La seconda parte della storia è solo un’allucinazione di Fred, oppure è un flashback, cosicché la parte noir fornisce il movente per l’omicidio? Oppure lo stesso flashback è frutto dell’immaginazione, in modo da fornire un falso movente per l’omicidio, la cui vera causa è l’offesa arrecata all’orgoglio maschile dall’incapacità di soddisfare la donna?) è in definitiva la stessa ambiguità e la stessa incoerenza della struttura fantasmatica che sorregge l’universo noir.[30] Sebbene, come si è spesso detto, Lynch riveli allo spettatore i fantasmi che sono alla base dell’universo noir, tuttavia allo stesso tempo rende visibile l’incoerenza di questo supporto fantasmatico. Le due interpretazioni alternative principali del film possono quindi essere viste come simili alla logica onirica della “botte piena e moglie ubriaca” (o della battuta “the o caffè? Sì, grazie”): il sogno infatti non conosce contraddizioni. Chi sogna risolve la contraddizione immaginando consecutivamente due situazioni che si escludono a vicenda. Allo stesso modo, in Strade perdute, la donna mora è distrutta, uccisa, punita, mentre la stessa donna, stavolta bionda, sfugge al controllo maschile e sparisce trionfalmente. Strade perdute non attraversa l’universo fantasmatico del noir tramite una critica sociale diretta, cioè rappresentando la grigia realtà sociale dietro a esso, ma mettendo apertamente in scena i suoi fantasmi, senza un’elaborazione secondaria che ne corregga le incoerenze. La conclusione è che la realtà, l’esperienza della sua densità, non è sorretta da un determinato fantasma ma da una serie incoerente di fantasmi, ed è questa moltitudine che genera l’effetto di densità impenetrabile, percepito da noi come realtà. È questa la risposta da dare ai critici d’ispirazione New Age che avevano sostenuto che Strade perdute si muove a un livello psichico più fondamentale di quello dei fantasmi inconsci di un singolo, e cioè al livello, più vicino alle civiltà primitive, della reincarnazione, della doppia identità, della rinascita nei panni di un’altra persona, e così via. Piuttosto che sul discorso della “realtà multipla”, bisognerebbe insistere invece sul fatto che il supporto fantasmatico della realtà è necessariamente multiplo e incoerente.[31] Dopo l’uscita della prima opera di Lynch, Eraserhead, cominciarono a circolare strane voci a proposito del suo traumatico impatto: All’epoca, si diceva che un ronzio a frequenza infrasonica nella colonna sonora del film influenzasse il subconscio dello spettatore. La gente diceva che, per quanto inaudibile, questo ronzio causava un senso di disagio, persino di nausea. Ciò accadeva dieci anni fa e il film era Eraserhead. Ora si può dire che il primo lungometraggio di Lynch era un’esperienza audio-visiva di tale intensità che la gente doveva inventarsi delle spiegazioni, persino la presenza di suoni inaudibili.[32]

Lo status di questa voce che nessuno riesce a percepire ma che tuttavia ci domina e produce effetti materiali (disagio e nausea), è reale-impossibile: il soggetto non può sentire la voce perché è pronunciata nel Luogo Altro del fantasma fondamentale. E l’opera di Lynch non è forse il tentativo di far sentire suoni inaudibili allo spettatore e quindi di farlo confrontare con l’orrore comico del fantasma fondamentale?

[1]Si veda R. Maltby, “‘A Brief Romantic Interlude’: Dick and Jane go to 3 ½ Seconds of the Classic Hollywood Cinema”, in Post-Theory, a cura di David Bordwell and Noel Carroll, University of Wisconsin Press, Madison 1996, pp. 434-459. [2]Maltby, “‘A Brief Romantic Interlude’: Dick and Jane go to 3 ½ Seconds of the Classic Hollywood Cinema” cit., p. 443. [3]Ibidem, p. 441. [4]Si veda Maltby, “‘A Brief Romantic Interlude’: Dick and Jane go to 3 ½ Seconds of the Classic Hollywood Cinema.”, cit. p. 445. [5] F. S. Fitzgerald, Gli ultimi fuochi, Mondadori, Milano 1977, p. 51. [6] L’atteggiamento moralmente saggio, espresso pragmaticamente nei proverbi o nella grande tradizione francese dei moralisti da la Rochefoucauld in avanti, è l’esatto contrario dell’atto: le cosiddette massime di saggezza consistono in una sterminata variazione sul tema di quanto sia catastrofico restare fedeli al proprio desiderio e di come l’unico modo per essere felici sia imparare a giungere a compromessi con esso. Per questo motivo, i Contes Moraux (Racconti morali) di Eric Rohmer sono davvero un contrappunto moralista francese all’etica della psicanalisi di Lacan (ne pas céder sur son désir, “non cedere sul proprio desiderio”), sei lezioni su come raggiungere o preservare la felicità scendendo a patti col proprio desiderio. La matrice di tutti i sei film è la seguente: un protagonista maschile lacerato tra una donna idealizzata, sua (futura) moglie, e una tentatrice che accende il desiderio di un’avventura passionale. Di solito, il protagonista non è l’oggetto passivo delle avances della donna, anzi, costruisce attivamente un dettagliato scenario fantasmatico dell’avventura solo per resistere alla tentazione. In breve, sacrifica l’avventura per accrescere il valore del futuro matrimonio. La formula finale dei film, sottoscritta da Rohmer un po’ beffardamente, è la seguente: fantastica pure su un’avventura amorosa illecita, ma non passare alle vie di fatto, lascia che l’avventura resti una fantasia privata di ciò che “avrebbe potuto accadere”, fantasia che ti permetterà di sopportare il tuo matrimonio. Si veda in proposito l’eccellente studio di P. Bonitzer Eric Rohmer, Cahiers du Cinéma, Parigi 1993. [7]Si veda J.-A. Miller, “Des semblants dans la relation entre les sexes”, in La Cause freudienne 36, Parigi 1997, pp.7-15. [8] Si veda J. Lacan, “Giovinezza di Gide o la lettera e il desiderio”, in Scritti vol.I, Einaudi, Torino 1974. [9] Faccio riferimento a una conversazione con Kate Stables (BFI, Londra). [10] J. Place, “Women in film noir”, in Women in Film Noir, a cura di Ann Kaplan, BFI, Londra 1980, p. 36. [11]Ibidem, p. 45. [12] Si veda J. Butler, The Psychic Life of Power, Stanford University Press, Stanford 1997. [13] Per un’analisi dettagliata di questa scena di Cuore Selvaggio, si veda l’Appendice 2 a S. Žižek, The Plague of Fantasies, Verso, Londra 1997. Il momento clou de L’ultima seduzione è quando, durante un rapporto sessuale selvaggio all’interno di un’automobile, l’amante accusa Linda Fiorentino di essere una “maledetta puttana”; a queste parole lei reagisce battendo violentemente i pugni sul tetto dell’auto e ripetendo con innaturale soddisfazione: “Sono una maledetta puttana!”. Questo sfogo, quasi un “grido di guerra”, è l’unico momento del film in cui Linda Fiorentino abbandona brevemente il suo atteggiamento distaccato e calcolatore e pronuncia una frase sentita e sincera; non c’è da meravigliarsi se vi è qualcosa di vulnerabile in questo improvviso sfogo auto-rivelatore. [14] Ad essere precisi, l’idilliaca quotidianità familiare di Lumberton non sparisce completamente in Strade perdute: è infatti presente nello stesso universo noir di Pete con le sembianze di una casa di periferia completa di piscina e di tutti i comfort. In questa casa vivono i suoi genitori, preoccupati per lui ma allo stesso tempo bizzarri e altezzosi. La sua ragazza, un tipo normale e “non fatale”, è un chiaro equivalente di Sandy in Velluto blu. Il merito di Strade perdute è quello di essere un allontanamento riflessivo che riassume in sé entrambi gli aspetti presenti in Velluto blu, il tutto inserito in un contesto di vita matrimoniale asettica. In questo modo, l’opera individua come fantasmatici entrambi gli aspetti dell’universo di Velluto blu: essi non sono altro che il fantasma sotto due forme differenti, e cioè nella sua forma pacifica (la vita familiare idilliaca) e in quella distruttiva, oscena ed eccessiva. [15] Questa scena, dove Arquette sparisce nella notte e la casa esplode subito dopo, potrebbe essere un riferimento a una scena analoga in Brivido caldo, in cui Kathleen Turner inscena la sua scomparsa per William Hurt. [16] Renee e Alice hanno in comune la caratteristica di dominare entrambe il loro partner, anche se in modo diverso: nella coppia Fred/Renee, è lui ad essere attivo, chiacchierone, curioso, mentre è Renee a non collaborare, ignorando le sue domande, evitando di rispondere precisamente; così, eludendo il suo dominio, lo snerva. Nella coppia Pete/Alice, invece, è lei a essere attiva e a dominare la situazione, mentre Pete è costretto a obbedire pedissequamente ai suoi ordini e ai suoi suggerimenti, anche all’inizio, quando egli sembra sfidarla. [17] Vi sono altri particolari che restano identici in entrambi gli universi: ad esempio, sia Fred, sia Pete sono sensibili ai suoni, il primo in quanto sassofonista, il secondo in quanto meccanico tanto abile da riconoscere i motori a seconda del rumore. [18]Lynch on Lynch, a cura di Chris Rodley, Faber & Faber, Londra 1997, pp. 231-2. [19] Si veda il Cap. IV in J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, cit. . Il fatto che la vita di Pete sia una sorta di risposta fantasmatica all’esistenza asettica di Fred è confermato dai commenti ironici dei due investigatori che sospettano l’impotenza di Fred: quando perquisiscono la casa di Pete, sono chiaramente colpiti dai suoi exploit sessuali (“Ha visto più fiche di un gabinetto”), come se Fred volesse impressionarli almeno con la sua esistenza parallela. [20] Per quanto riguarda l’interpretazione freudiana standard, si deve constatare che, a dispetto della sua complessità psichedelica, la trama di Strade perdute non è così originale come sembra: si può infatti paragonarla a quella di Il pasto nudo di Cronenberg, un film basato più sulla vita di William Burroughs che sul suo romanzo omonimo. William Lee, uno scrittore fallito, tossicodipendente e sterminatore di scarafaggi, uccide la moglie, anche lei tossicodipendente, ed entra nell’“Interzona”, uno stato allucinogeno strutturato come una versione terrificante di Casablanca, cioè come la tipica visione occidentale della corruzione orientale. Qui le regole della realtà comune sono sospese in favore delle visioni provocate dalla droga: la macchina da scrivere si anima e diventa un enorme insetto. Le analogie con Strade perdute sono numerose: come Fred, Lee uccide la moglie in un attacco di gelosia; come in Strade perdute, incontra nell’Interzona Joan Frost, moglie dello scrittore americano Tom Frost, interpretata dalla stessa attrice (Judy Davis) che interpreta la moglie assassinata; i due investigatori della narcotici che lo interrogano all’inizio del film assomigliano alle due figure analoghe che visitano la casa di Fred all’inizio di Strade perdute. Persino la figura di Mystery Man è in un certo senso preannunciata dal sinistro Dott. Benway il quale, per curare Lee dalla sua dipendenza dalla polvere insetticida, gli prescrive un narcotico ancora più forte che lo porta a uccidere la moglie. Per continuare questa serie di associazioni, forse la migliore definizione di Interzona è fornita dal titolo di un altro recente capolavoro, Il dolce domani di Atom Egoyan: la Zona non è altro che un “dolce domani”, un paesaggio fantasmatico in cui entriamo dopo un’esperienza troppo traumatica per essere sopportata; nel caso del film di Egoyan, un incidente in cui perisce la maggior parte dei bambini di un piccolo villaggio canadese, quando lo scuolabus scivola in un lago gelato. [21] Il fatto che l’altro nome di Eddy, Dick, sia anche un modo di chiamare il fallo, supporta la teoria secondo cui la frase “Dick Laurent è morto” enuncia la castrazione: il padre è già-sempre morto o castrato, non vi è un Altro che gode, e la promessa della fantasma, che

mette in scena questo godimento grazie alla figura del padre eccessivamente esuberante, è solamente un’esca; è proprio questo il messaggio che Fred non accetta fino alla fine del film. [22] L’eccessività del personaggio di Eddy è resa bene nella scena del suo primo incontro con Pete, in cui gli garantisce che, nel caso qualcuno gli desse fastidio, se ne prenderà cura lui, lasciando a intendere che lo ucciderà o lo picchierà selvaggiamente. Quando Pete gli fa segno di aver capito, Eddy ripete con piacere eccessivo “Dico, mi prenderò veramente cura di lui…”. [23] Quando Michel Chion sostiene che Mystery Man è la personificazione della cinepresa, indica la stessa dimensione di osservazione neutrale. Bisogna aggiungere che questa strana cinepresa non riprende la realtà ordinaria, ma gli stessi fantasmi fondamentali del soggetto. Si veda il saggio di Chion “David Lynch”, in Cahiers du Cinéma, Etoile, Parigi 1998, pp. 261-4. [24] Nel suo notevole contributo “Finding Ourselves on a Lost Highway”, ancora inedito, Tod McGowan della Southwest Texas State University considera Eddy e Mystery Man come, rispettivamente, la legge Paterna e il super-Io. Benché ci siano forti argomentazioni per una tale interpretazione, quali la summenzionata formulazione kafkiana o l’apparizione di Mystery Man proprio nel momento in cui Fred “cede sul suo desiderio” e quindi materializza la sua colpa, rimane il fatto che Eddy è già una figura del super-Io, la “Cosa che fa la legge”, un tutore della legge pieno di jouissance esuberante e vitale. La divisione tra Eddy e Mystery Man è quindi piuttosto una divisione interna allo stesso Super-io: la divisione tra l’esuberante jouissance della sostanza vitale e la macchina simbolica asessuata della Conoscenza. [25] Si veda Nochimson, op. cit. p. 179. [26] Si veda M. Chion, “David Lynch”, cit., p. 132. Come giustamente osserva Nochimson (op. cit., p. 122), c’è una dimensione fallica anche nei due gemelli della Stanza Rossa in Twin Peaks, il Piccolo Uomo e il Gigante: si tratta di due versioni fisicamente distorte dell’uomo “normale”, e rassomigliano al pene a riposo e in erezione. Anche il loro modo di parlare confuso rappresenta una distorsione, una versione vocale della macchia in Gli ambasciatori di Holbein. [27] Le accuse di molestie sessuali rivolte al presidente Clinton costituiscono un bell’esempio di pregiudizio di classe applicato alla valutazione di “psicologia convincente”. L’apparizione di Katherine Willey nello show della NBC 60 minutes venne considerata convincente perché la donna venne vista come una persona di classe, mentre Paula Jones veniva considerata una donna di cattivo gusto, un evidente riferimento al suo aspetto “popolano”; paradossalmente, con un’inversione tipica dello spazio ideologico contemporaneo, l’atteggiamento delle classi abbienti trova riscontro nella sinistra liberale, e quindi non c’è nulla di strano se Paula Jones è sostenuta e manipolata da circoli di destra mentre Willey è una convinta democratica. L’antica tradizione teatrale in cui i conflitti psicologicamente convincenti e le confessioni sono riservate ai personaggi delle classi superiori, mentre i personaggi popolari offrono momenti di distrazione carnevalesca, è ancora viva e vegeta. [28]Si veda F. Pfeil, “Home Fires Burning” in Joan Copjec, Shades of Noir, Verso, Londra 1993. [29] Vi è tuttavia una differenza importantissima tra Godard e Lynch: Godard transustanzia volgari stereotipi in una specie di cantilena poetica, resa ancora più patetica dalla musica di Delerue, mentre Lynch lascia che l’effetto resti stranamente disturbante, quasi kafkiano, cosicché risulta difficile definire l’effetto sublime. [30] Inoltre, il fatto che alla fine del film Fred pronunci al citofono di casa sua le stesse parole che egli aveva sentito all’inizio, indica la possibilità che tutto ciò che è successo dopo la trasformazione in Pete sia in realtà successo prima. [31] Riguardo alla necessità strutturale di fantasmi incoerenti e multipli, vedi le mie analisi di Arriva John Doe di Capra e di Notorius di Hitchcock in S. Žižek, The Plague of Fantasies, cap. 4. [32]Y. Konno, “Noise Floats, Nights Falls” in David Lynch, Paintings and Drawings, Tokyo Museum of Contemporary Arts, 1991, p. 23.