L'utopia in azione. François Neveux, imprenditore economicamente scorretto 8831160834, 9788831160834

Imprenditore con una straordinaria capacità inventiva - tanto da aver depositato ben trentacinque brevetti -, François N

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L'utopia in azione. François Neveux, imprenditore economicamente scorretto
 8831160834, 9788831160834

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L’utopia in azione

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Isaline Bourgenot Dutru

L’utopia in azione François Neveux imprenditore economicamente scorretto prefazione di Alberto Ferrucci

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Titolo originale: L’utopie en marche. François Neveux, entrepreneur et inventeur économiquement incorrect © Nouvelle Cité 2007 Domaine d’Arny - 91680 Bruyères-le-Châtel

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Traduzione dal francese di Alberto Golin, in collaborazione con “Rainbow”

Grafica di copertina di Rossana Quarta © 2010, Città Nuova Editrice Via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma tel. 063216212 - e-mail: [email protected] ISBN 978-88-311-6083-4 Finito di stampare nel mese di marzo 2010 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via S. Romano in Garfagnana, 23 00148 Roma - tel. 066530467 e-mail: [email protected]

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Prefazione

Ho conosciuto François Neveux, di cui poi sarei diventato amico, attraverso una sua lettera. Eravamo nei primi anni Novanta e io ero coordinatore dei rapporti internazionali del progetto di Economia di Comunione, che in quegli anni era stato lanciato in Brasile da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Centinaia di aziende nel mondo vi avevano subito aderito e già stava nascendo vicino a San Paolo del Brasile il Polo Spartaco, il primo raggruppamento di imprese partecipanti al progetto. Nella lettera François mi esprimeva, con il suo tipico stile molto diretto, il suo desiderio di mettere a disposizione gratuitamente le tecnologie e i brevetti che aveva sviluppato negli anni. Li aveva già venduti a caro prezzo a varie aziende, europee e mediorientali, che ne avevano fatto la base del loro successo. Ma se un imprenditore avesse voluto avviare una nuova attività nel Polo Spartaco, avrebbe potuto averle gratis. Si rivolgeva a me perché sembrava che gli imprenditori brasiliani non avessero saputo apprezzare la sua offerta. Allora lo invitai ad accompagnarmi al congresso brasiliano degli imprenditori di Economia di Comunione che si sarebbe svolto di lì a poco, in modo che potesse presentare di persona le sue tecnologie e le loro prospettive industriali. Durante il congresso Ginetta Calliari, una delle prime compagne di Chiara, all’inaugurazione di un nuovo capannone del Polo per

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cui non vi era ancora un’azienda, affermò con un’ispirata sicurezza che quella costruzione sarebbe esistita anche nei cieli nuovi e terre nuove, perché nata per amore. A quel punto François, col suo fare sbrigativo da imprenditore che decide per intuito e poi sa far tornare i conti della attività che ha sognato, annunciò che quel capannone lo avrebbe utilizzato lui: avrebbe avviato un’azienda di manufatti in plastica, realizzati con la sua tecnica di rotomoulage, e in onore di Ginetta la avrebbe chiamata Rotogine. Ma si leggerà anche di questo più diffusamente nelle prossime pagine. Ho quindi incontrato François nel momento del suo impegno sociale più alto. Da quale percorso originasse quella sua “pazzia” l’ho capito solo anni dopo, leggendo l’affascinante racconto della sua vita scritto da Isaline Bourgenot Dutru. Lo stile brillante e anticonformista del libro, che ora viene offerto anche al pubblico italiano dopo la traduzione in portoghese, è stato reso egregiamente nella nostra lingua dal professor Alberto Golin, che approfitto per ringraziare. È un racconto che prende il lettore per quello scanzonato non fermarsi davanti a nulla che era proprio di François, per quel suo amore per il prossimo in difficoltà che lo aveva portato a fare autonomamente nella sua Francia vari importanti tentativi di imprese a servizio degli ultimi. Un’esigenza profonda che aveva visto realizzabile compiutamente nel progetto di Economia di Comunione di Chiara Lubich, tanto da dedicarvi tutte le sue risorse, economiche e di inventore, negli ultimi quindici anni di vita. Lo ha fatto utilizzando quell’Arte di Arrangiarsi che da ragazzo lo aveva affascinato leggendo il Robinson Crusoe di Daniel Defoe e che aveva applicato in tutta la sua vita, come dimostrano i suoi vari brevetti industriali; un’arte che nei suoi scritti della maturità riconosceva non tanto come un suo talento, ma come il dono che giunge dall’alto per superare le difficoltà di ogni giorno, che è offerto a ogni uomo e donna che opera per amore: Tu dai, e ti viene dato. ALBERTO FERRUCCI

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1. La conoscenza attraverso la fantasia

La fantasia è la regina della verità e il possibile è uno dei luoghi della verità; è positivamente affine all’infinito.

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(Charles Baudelaire, Curiosità estetiche)

29 maggio 1936, ore 11 È un maschio! Una madre contempla il suo capolavoro stringendolo tra le braccia, sussurrandogli tenere parole. Un padre grida di felicità e con energia: «Questo piccolo sarà un rivoluzionario!». Fuori, il clamore della strada fa sentire la ribellione della folla: il Fronte Popolare è in marcia. Queste tre voci accompagneranno il piccolo François: la voce che osa esprimere il desiderio d’amore, la voce dell’entusiasmo, la voce della protesta.

Linfa vitale È un bambino allegro, ha aperto il regalo di suo padre: un libro! Un libro che spalanca la prima finestra sul mondo... È una finestra socchiusa che lascia entrare il vento di ogni possibilità. Robinson Crusoe: il mio mondo!, dirà il piccolo François.

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Radici È sempre interessante accorgersi di quanto un essere umano sia abitato dalle storie della sua famiglia, quanto le faccia proprie. Certi destini portano il sigillo del desiderio di continuare l’opera cominciata da un lontano antenato; altri realizzano i sogni segreti che un nonno ha solo sussurrato; per altri ancora, come in una staffetta, il testimone viene passato di padre in figlio. La nostra esistenza è spesso sintesi di tutti questi sogni, raccontati o solo intuiti, cercando ciascuno di tracciare il proprio futuro. Un lontano antenato di François Neveux, François Lamothe, era chirurgo ma anche fabbriciere in una comunità parrocchiale vicino a Bordeaux. Il compito di fabbriciere, funzione oggi scomparsa, gli attribuiva la responsabilità di farsi carico dei bambini poveri, dei diseredati, degli orfani, nel campo educativo e in quello religioso: doveva inoltre preoccuparsi di aiutarli economicamente per inserirli nel mondo, così che “fabbriciere” poteva essere inteso come una specie di ministero laico in seno alla Chiesa. Il tutto avveniva sotto il regno di Luigi XIV ed era la prima volta che appariva nella famiglia il nome François. Molto più tardi, il nonno del piccolo François, Eugène Neveux, si appassionò alla creazione di una delle più belle macchine per viaggi da sogno: i motori da imbarcazioni. In qualità di capitano motorista della Marina, seguiva scrupolosamente la manutenzione dei motori e per mantenerli in perfetto funzionamento viaggiava per il mondo. Perfezionare i nuovi motori: ecco la sua idea fissa. Più tardi lavorò nelle officine delle ferrovie in Alsazia e poi, trasferito in Nuova Caledonia, contribuì alla costruzione delle ferrovie e degli edifici della stazione di Numea. Durante una spedizione a Caienna (Guiana Francese) morì tragicamente e suo figlio di dieci anni dovette assumere rapidamente il ruolo di capofamiglia. Il piccolo Jean-Jacques doveva dire addio all’infanzia. 8

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Nato con il nuovo secolo, Jean-Jacques Neveux viveva a Reims allo scoppio della Prima Guerra mondiale. La città venne in gran parte distrutta, come la casa di famiglia. Non gli restava che trovare subito un alloggio per la madre, il fratello e la giovane sorella. Partì da solo per Parigi dove trovò in breve tempo un appartamentino per i suoi, all’ultimo piano di un palazzo di Avenue des Ternes. Da quel momento, Jean-Jacques si preoccupò di uscire da ogni situazione di incertezza e di precarietà. Ma la vita di Parigi gli fece sognare la campagna. Col passare degli anni Jean-Jacques si sentiva un uomo della terra e desiderava, segretamente, diventare ingegnere agronomo. Dopo tre anni alla Scuola superiore di agricoltura di Châlons-surMarne, uscì con una solida formazione nel campo agricolo. Ma per uno come Jean-Jacques un sogno non poteva restare a lungo un sogno. Il dovere di farcela era la sua molla più potente e Jean-Jacques riuscì a ottenere un lavoro all’altezza delle sue esigenze: amministratore di un eccellente castello del Médoc, nella Gironda. Splendida tenuta, con vigneti a perdita d’occhio, in una regione famosa nel mondo per i suoi vini pregiati, dove tutto doveva essere fatto alla perfezione per continuare a produrre un vino di gran classe! Ben presto il carattere deciso e la competenza in materia gli procurarono un unanime rispetto: era l’uomo da ascoltare, da seguire. Tutto quello che avviava aveva successo; fu quindi subito adottato dall’intera famiglia del castello. Ai margini della tenuta c’era un maneggio e Jean-Jacques vi era spesso invitato poiché lo interessavano i cavalli e i suoi consigli erano spesso utili. Una nipote del proprietario si innamorò subito di quest’uomo che emanava uno strano fascino: forte, determinato, otteneva quasi sempre quello che voleva. Ben presto fu anch’egli conquistato dalla bellezza straordinaria della giovane donna dai capelli bruni e se a un primo sguardo vide solo una capigliatura tutta riccioli, avvicinandosi fu attratto dallo sguardo puro della ragazza: i suoi incantevoli occhi ver9

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di sembravano una promessa di felicità. Bella e intelligente, era una grande artista, ingegnosa: eccellente pianista, aveva vinto il primo premio del Conservatorio di Bordeaux; componeva melodie, scriveva poesie e racconti. Era allegra e tutti la amavano, Guitou. Nozze intime con velo da sposa per lei, Margherita detta “Guitou”, magico viaggio di nozze sui Pirenei... e dopo alcune settimane la scoperta che, entro tre stagioni, sarebbe diventata mamma... Nacque la piccola Colette e meno di due anni dopo anche Monique. JeanJacques, vedendo che la famiglia aumentava rapidamente, decise di abbandonare i vigneti per realizzare un progetto più audace, divenendo il braccio destro del direttore di una società che costruiva macchine stradali. Cinque anni dopo fondava la sua società, la Società Neveux, che lavorava per il Dipartimento ponti e strade 1: un cantiere enorme da portare felicemente a termine. Costruire strade, belle strade. In Francia solo alcuni assi stradali erano terminati e molto restava da fare. Inventare: un’ossessione... Jean-Jacques trasformò la sua casa in un enorme laboratorio sperimentale: sul tavolo della sala spargeva progetti, modellini, olio per motore, benzina... A tentoni cercava e, il più delle volte, trovava. Ben presto depositò dei brevetti, ideò e realizzò macchine ultramoderne: asfaltatrici, inghiaiatrici, bitumatrici e finitrici, tutte ad alto rendimento! Jean-Jacques stava perfezionando la sua officina quando arrivò la terza figlia. Allora trasferì ancora una volta la famiglia acquistando a Bordeaux, nel quartiere del Bouscat, una bella villetta basca: Maitena. Annette, detta Nanette, era appena nata. Ottenne il progetto di un’importante rete stradale: le strade da La Rochelle a Poitiers, che scendono verso Angoulême per risalire a Bordeaux e ricollegare La Rochelle: era quello che chiamava il suo «triangolo d’asfalto». Partiva per tutta la setti1 Equiparabile

all’ANAS italiana [ove non altrimenti specificato, le note sono del traduttore].

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mana a sorvegliare quei circa 500 chilometri di strade ben disegnate e più sicure. Poi, l’attesa di un quarto figlio e, con Guitou, il sogno che fosse un maschio. E se la natura li avesse ascoltati? Così nacque il piccolo François, il 29 maggio 1936, in piena contestazione operaia. E la gioia immensa per l’arrivo del figlio mise le ali a Jean-Jacques per risolvere i problemi della sua impresa di fronte alle imposizioni del Fronte Popolare. Ben presto, però, sopraggiunsero altre preoccupazioni. Quando tre anni dopo scoppiò la Seconda Guerra mondiale l’industria dovette fabbricare testate di granate per la Francia. Poi, lo sbandamento generale di migliaia di persone sulle strade, in fuga dai tedeschi: un esodo che riempì Bordeaux di famiglie in cerca di un riparo sicuro, di una destinazione verso l’estero. Guitou si era iscritta alla Croce Rossa per dare aiuto alle persone più in difficoltà. Famiglie intere passarono la Maitena. L’officina di Jean-Jacques fu subito requisita dai tedeschi, ma lui sapeva che non avrebbe dovuto sottomettersi, e una notte decise di inviare tutte le testate di granate a una fonderia: un atto di sabotaggio dopo il quale dovette partire in fretta per far perdere le proprie tracce. Lasciò l’officina così, in completa disfunzione; riunì la famiglia, abbandonò la Maitena e se ne andò il più lontano possibile per rifugiarsi in una grande fattoria del Médoc, una tenuta immensa dove c’era davvero da rimboccarsi le maniche per mangiare. Dov’erano le colture? E le viti? Dove le greggi? Non c’era nulla. Solo campi tristi all’orizzonte. Tutto da immaginare. Allora Jean-Jacques ritornò alla sua prima passione: l’agricoltura. Doveva riuscirci ancora una volta. La tenuta era immensa e il piccolo François la esplorava a suo modo: gli piaceva soprattutto andare dai mezzadri o dai fittavoli vicini, erano così diversi dai suoi genitori... François si sentiva a casa sua quando li vedeva versare il vino nel brodo, scherzare, cantare. Era quello il mondo che lo divertiva e che scelse come suo. 11

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All’epoca Jean-Jacques sognava solo di far nascere un’oasi: voleva piantare alberi, coltivare, raccogliere, tutto in breve tempo. I contadini intorno erano perplessi, ma dopo qualche mese, quando videro la rinascita della tenuta con mezzi modernissimi, inaspettati a quei tempi, non dubitarono più del suo genio. Le colture producevano! E le vigne erano piantate. Jean-Jacques curava da solo gli animali, senza mai ricorrere al veterinario. Confiderà ai suoi che verificava nei libri tutto quello che stava per fare, ma che la sua immaginazione intuitiva arrivava sempre prima. Per lui era la via più sicura del conoscere. Sistema “AdA”: l’Arte di Arrangiarsi. Prima di tutto “non morire di fame”, mai rabbonirsi, fare molto con pochi mezzi grazie alla forza della fantasia: era questo il programma di Jean-Jacques Neveux, che cercherà di trasmettere ai figli in ogni modo. Per rispettarlo, è necessario essere incessantemente attivi e inventare senza tregua. Sì: tutto si può conquistare, se c’è l’idea. “Delle navi hanno fatto il giro del mondo e dei treni hanno potuto collegare le città grazie a mio padre”, pensava JeanJacques guardando in cielo e pensando agli aerei. Giocando con dei tralci di vite mise a punto il primo agglomerato di legno di vite. Realizzò anche delle assi molto particolari, ultraleggere e non infiammabili. Sicuro che sarebbero potute servire per realizzare magnifiche ali d’aereo, le propose ad alcune società aeree. Impiantò anche un’officina a gas... gas prodotto dai sarmenti di vite. La vite è immortale, Jean-Jacques non ne ha mai dubitato! Le strade della regione di Bordeaux esistono ancora e lo spirito di invenzione ha continuato a trasmettersi, incessante: alcuni anni prima di morire, negli anni Settanta, realizzò, partendo dall’erba euforbia, un’erba abbastanza comune, un nuovo carburante per le macchine, la benzina verde. Davvero profetico!

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Prima lettura Robinson Crusoe: il mondo!: non si può immaginare che regalo sia stato quel libro per François. I caratteri tipografici diventarono veri e propri geni che penetravano in lui. Si ripeteva incessantemente: «Solo, abbandonato, senza risorse, ma tutto resta possibile! L’importante è tentare tutto, immaginare tutto, per scoprire il mondo e uscirne!». Ciò che non poteva sapere Jean-Jacques era che il libro preparava anche la febbrile volontà di indipendenza del figlio: per François la prospettiva a breve, immediata, era quella di lasciare la sua isola, quella della famiglia, per osare tutto, a sua volta. Come fare quando si dispone di una sola bicicletta in quattro? Nell’adolescenza si trova subito l’energia per soddisfare la sete d’indipendenza. François mise in piedi un suo laboratorio costruito con sassi e calce. Aveva solo 14 anni, ma aveva promesso alla sorella più giovane, Nanette, che aveva due anni più di lui e che chiamava «l’altra metà di me stesso», di accompagnarla a ballare nelle feste dei dintorni. Sistema “AdA”: trovare vecchie motociclette, nei granai, nelle officine, nelle discariche, fabbricarne una, originale, unica, tutta fiammeggiante, con pezzi messi assieme uno con l’altro; e soprattutto dipingerla di blu! François ne collezionò cinque o sei! Tutte blu! Ascoltare il motore e partire, non importa per dove... Nanette e François facevano delle scappatelle. Per precauzione, Nanette prendeva la bici e François tirava sua sorella con la moto blu oppure la lasciava salire sulla moto tirando la bicicletta. L’importante era ritornare a casa prima dell’alba. La madre, che lo sapeva, fingeva di non vedere nulla: preferiva tacere, ma era segretamente contenta di vedere che Nanette lasciava le faccende domestiche per tentare l’avventura con lui. Perché le tre sorelle erano spesso perplesse nei confronti del fratellino? Diceva sempre di voler cambiare il mondo. La sua sete di avere a che fare con la gente più strana, come Ro13

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binson con Venerdì, e le realizzazioni tecniche alquanto audaci nel suo laboratorio le sorprendevano a tal punto che cominciavano a dirsi: «E se fosse lui ad aver ragione?».

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Quando una madre vuole... Il primo regalo per il piccolo François fu il sorriso della mamma: Guitou, la tenerezza infinita; Guitou, l’incoraggiamento permanente; Guitou, la fiducia assoluta nei suoi figli. E tutto sarà affrontato per la grande opera che è la maternità: cinque figli, tre figlie seguite da due maschi; François dovrà attendere più di dieci anni Jean-Michel, l’ultimo della tribù dei Neveux. La molla potente di Guitou era quella di osare il tutto per tutto affinché François diventasse grande, facesse i suoi studi e costruisse la sua vita di uomo. Guitou si aggrappò a questa missione: prima di tutto i figli! Condurli lontano e liberi... Pensando a loro, le vennero le idee per superare ogni situazione; i figli la mettevano in moto e lei, continuando a generarli, rigenerava se stessa. Una volta che François ebbe superato l’esame di maturità, Guitou ebbe una sola idea in testa: iscriverlo a una scuola per ingegneri: presentiva in lui doni promettenti e sapeva che non doveva sprecarne alcuno. Jean-Jacques e Guitou erano a Bordeaux e la scuola a Marsiglia. Era ragionevole che la famiglia si facesse carico di studi così lontano da casa? Gli ostacoli logistici ed economici erano consistenti, eppure non fu la ragione a prevalere, ma la motivazione: nel giro di pochi giorni François si iscrisse al Politecnico di Marsiglia 2.

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“École d’Ingénieurs de Marseille” (familiarmente nota come EIM), Scuola Superiore di Ingegneria, a livello universitario, fondata nel 1891, sostenuta dalla Camera di commercio e dell’industria di Marsiglia; nel 1975 si fuse nella “École Supérieure d’Ingénieurs de Marseille” con altre due scuole;

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Guitou era fiduciosa: la sua tenacia era tale che, alcuni anni più tardi, allorché il suo secondo figlio si apprestava a seguire gli studi superiori, per trovare il denaro necessario si mise a scrivere racconti per bambini sugli animali, I racconti di Guglielmina; li fece pubblicare a sue spese e andò a venderli nelle scuole della regione. Sì, Guitou aveva fiducia poiché, ogni volta, ce la metteva tutta per i suoi figli.

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Studi e compagni: la dolce vita! Chi può pensare agli studi senza compagni? Studio equivale a collegio! In totale quasi quindici anni: dalla prima elementare alla maturità. I collegi per François furono da subito una specie di iniziazione alla conoscenza dell’animo umano. François aveva l’impressione di essere brutto e si sentiva povero tra i suoi “colleghi di prigione”, spesso più ricchi di lui. Eppure, invece di sviluppare uno stupido senso di inferiorità, capì di avere un enorme vantaggio nella vita: restare se stesso pur comunicando con tutti. Nelle conversazioni, era stupito dalla poca profondità condivisa e dai piccolissimi rischi che i suoi compagni osavano correre. La sua forza era quella di non giudicare nessuno. Si rese conto, gradatamente, che lo ascoltavano, che lo imitavano e che lo seguivano quando proponeva delle “sistemazioni” in quella vita da internati così scialba 3. Ne aveva di progetti ed era diventato un’onda travolgente la cui forza sarebbe stato illusorio fermare. Dopo il collegio, partenza classica, ossia senza soldi. Come affrontare la nuova situazione con pochissimi mezzi? Studente nel 2004 confluì nel più vasto insieme della “École Généraliste d’Ingénieurs de Marseille”, ora “École Centrale de Marseille”. 3 Impossibile tradurre l’assonanza del testo francese («cette vie d’interne... si terne»).

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a Marsiglia, con i genitori a Bordeaux, François si arrangiò eseguendo tutte le riparazioni della sua affittacamere che aveva da fare lavoretti di tutti i tipi nella casa, e subito intervenne la presenza di spirito. Perché non proporre di rimettere tutto in sesto? In cambio, l’affitto sarebbe stata una semplice formalità! Erano, in fondo, le “istruzioni per l’uso della vita”, per François: dare senza impoverirsi, dare e arricchire la relazione. Tre anni al Politecnico di Marsiglia e contemporaneamente una laurea alla Facoltà di Scienze ed ecco François circondato dai migliori compagni. All’inizio, da una parte c’erano i marsigliesi e dall’altra gli altri; i bordelesi facevano parte degli “altri”. François aveva l’impressione che, se l’anno si fosse svolto così, tutti ci avrebbero rimesso, e molto. Si mise subito alla ricerca di un’idea che conquistasse tutti. Era assetato di feste. Gli amici lo percepivano; ben presto lo soprannominarono “Trublot”, come il personaggio di un film, audace, canzonatore, impertinente, grande seduttore. Pur non avendo il fisico di Gérard Philippe, era grande, magro, spilungone, disinvolto, bizzarro, quasi pittoresco... Il primo amico degli anni di Marsiglia fu Jeannot, anche lui ballerino nelle feste, nelle serate all’aperto. Sempre al verde, i due si arrangiavano per non pagare mai l’entrata. Andavano a ballare nelle festicciole popolari. Erano felici! Frequentatori dello “Splendid”, si incanaglivano: alcune bottiglie ancora piene, abbandonate sul tavolo, e le ragazze arrivavano! Ballare, ballare, si continuava! Ben presto François si rese conto che quella vita da studente mancava di brillantezza: far parte di una vera scuola comportava che gli studenti avessero una loro “serata”: e occorreva inventare l’evento. Scovò una sala magnifica, che affittarono per feste per un pubblico molto ristretto: le invitate erano solo ragazze di buona famiglia! Ecco: Jeannot immaginava come abbellire lo sfondo della sala e creare l’atmosfera, François invece ci vedeva solo le bellezze marsigliesi che si battevano per entra16

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re! Obiettivo raggiunto in anticipo, un sacco di compagni gli si aggregavano! Al Politecnico di Marsiglia François divenne il motore delle grandi feste. Era, senza volerlo, colui di cui si sentiva maledettamente la mancanza alle feste organizzate senza di lui. Studi, amici, feste: l’unico modo intelligente per riuscire nella vita. Sempre festaiolo, ma serio nello studio, François si diceva spesso: “Non posso non riuscire”. Rimasto al verde, era pronto ad andare avanti, faticando. Nell’attesa, François considerava le cose e la gente senza giudizi a priori. Gli atipici, i diversi lo interessavano e, malgrado il vortice dell’euforia, François osservò subito un ragazzo pieno di complessi: Bao. Era piccolo, un po’ gracile; la sua origine vietnamita lo metteva a disagio con il gruppo di Marsiglia. François andò a trovarlo e gli disse: «Finché mi dirai: “Sono giallo, non sono bello”, ti prenderò a cazzotti! Dai, ripetilo!». Bao, colto nel vivo, volle replicare, minacciandolo. Grossa bagarre: pugni, botte, lividi... A forza di battersi, François trovò come tagliare corto dicendogli: «E se andassimo a finirci al ristorante?». Al momento di uscire dal ristorante “Saint Charles”, eccoli scherzare reciprocamente per far uscire l’altro per primo, perché chi usciva per ultimo vinceva: era un gioco, allora François faceva finta di andare, all’ultimo momento aggirava Bao, ma Bao si fermava appositamente e bloccava il passaggio, e così a lungo; e intanto il tempo passava. Il gestore del ristorante, allora, vedendo il loro gioco e dovendo chiudere il locale, li prese entrambi per il collo e li fece passare insieme per la porta. In che condizioni dovevano essere per divertirsi con queste stupidaggini! Sempre senza soldi, François dava ripetizioni; purtroppo dall’altra parte di Marsiglia! Bao, invece, non aveva problemi di denaro. Un giorno François gli chiese se poteva prestargli la moto, evitandogli di andare a piedi così lontano. Bao gliela prestò senza esitare e vedendo che François adocchiava il suo imper17

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meabile, glielo dette aggiungendo: «E all’interno troverai anche “le tue” sigarette!». Molto, molto tempo dopo, gli amici vennero a sapere che era il nipote di Bao Dai, l’imperatore del Vietnam, quello che si faceva pagare in oro il suo peso. Ma il pudore di Bao era tale che mai e poi mai l’avrebbe rivelato. François, dopo aver seguito un corso di licenza alla Facoltà di Scienze prima di entrare al Politecnico, dovette lasciare questa scuola al secondo anno per compiere il servizio militare. Garat, un amico della classe promossa nel 1962, pubblicò un lungo articolo su «L’Oeil», il giornale studentesco, articolo che suggellava l’amicizia che François suscitava in tutti, come pure le virtù benefattrici del confusionario festaiolo di Bordeaux. Alcuni versi, tratti dalla lunga poesia Omaggio a François Neveux - Trublot, meritano di essere letti, per avere un’idea dell’emozione condivisa. Non c’è niente da fare, senza Trublot... Si sente un grande vuoto e si fa presto a dire ci siamo tutti, Monsieur Ratis si rende conto che qualcuno manca. Non è Piot, non è Bao, non sono io, sei tu, vecchio François... ...Ma non aver paura; l’opera della tua vita, quel motivo per il quale tu sei stato, sei e sarai, qualcuno la continuerà senza stancarsi e forse un giorno la porterà a compimento... ...Perché, François, sei stato tu il pioniere della Festa. Del ballo tu stendi lo stendardo a distesa. Nei boschi, nei salotti, nelle sale da tè, ovunque si ballava a perdita d’occhio, e Marsiglia in un boogie-woogie eclissava “Paris la nuit”... ...In un grande slancio di fraternità, 18

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depongo sulla tua fronte trionfante un bacio paterno di un fratello che tanto ti vuole bene... La banda marsigliese ha continuato la sua storia e 53 anni dopo gli amici firmano ancora: Non ci siamo detti nulla, ci siamo detti tutto e così poco è cambiato... Ogni due anni la classe si ritrova. La festa dura tre giorni: si beve, si mangia, si balla, i riti sono indimenticabili. Gli interni/internati di Montpellier, di Tolosa o di Bordeaux si sono tutti mescolati ai marsigliesi. E nel corso del tempo sono diventati tutti padrini dei figli degli amici. Hanno fondato la Confraternita dei Cavalieri di Menabrea 4, che ha come motto: «La legge del minimo sforzo» 5... Come avrebbe cantato Brassens, c’è un buco nell’acqua che non si è mai richiuso: oggi, se Bao non c’è, è perché è morto. La margherita si è sfogliata da se stessa, sempre danzando... Per quale ragione il direttore della Scuola superiore di ingegneria di Marsiglia, Monsieur Muchart, si prende la briga di annotare sul certificato ufficiale di fine studi (che registrava il superamento degli esami da parte dell’allievo) il suo stupore a proposito del grande senso sociale di François in seno alle attività dell’Associazione degli Allievi della Scuola di Marsiglia?

Neveux, ancora e sempre, allarmato, allarmante... Durante il servizio militare tutto continuò con lo stesso ritmo. A François piaceva far festa e rischiare. Un giorno indi4 Luigi Federico conte di Menabrea, scienziato, militare, politico, diplomatico di Chambéry (1809-1896), laureato in ingegneria, insegnò all’Accademia Militare di Torino meccanica e scienze delle costruzioni, interessandosi in particolare di elasticità ed enunciando il teorema che da lui prese il nome, il principio del minimo lavoro. 5 Nella gerarchia della confraternita Bao era duca, Neveux-Trublot visconte, Atchi (che ritroveremo tra poco) era conte.

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viduò un tipo che gli sembrava calmo ma anche pronto a fare fesserie. Poche parole tra di loro, tre battute e: Sei pronto? Sì! Andiamo! François si vestì da generale e il suo seguace da chauffeur, e rubarono l’auto di quel generale, passando davanti alla garitta di uscita. Le reclute si misero impeccabilmente sull’attenti, mentre nella vettura ci si pizzicava per non ridere. Passeggiata parigina, lasciando l’auto sugli Champs-Élysées senza bisogno di parcheggiarla: nessuno avrebbe osato toccarla. E tutto questo per andare a mangiare forse una zuppa ed entrare in qualche bistrot. Una sola parola: felici, felici come dei “clandestini fortunati”. Più tardi non mancarono le rappresaglie: per tutto il mattino il generale arrabbiatissimo manifestò “l’ira del generale molto in collera”! «Lo sai che posso metterti in gattabuia?». «Sì, signor generale!». «Sai che sei mio?». «Sì, signor generale!». Il tutto durò delle ore... François era sempre disposto ad assumersi la responsabilità delle “grosse fesserie” che combinava. A suo modo, era corretto. L’affare finì con un «Sei fortunato che sei un tipo in gamba, ti aspetto giù!». Giù c’era il bar e a bruciapelo il generale gli chiese: «Neveux, vuoi venire con me... nel Sahara?». Ma François aveva una sola idea fissa in testa: filare, correre via e uscire di lì!

La ragazza inaspettata Dopo il servizio militare gli amici di Marsiglia decisero di continuare l’avventura il più spesso possibile. 20

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Estate 1963: Alain – un ex della Scuola di Ingegneria – invitò François a passare le vacanze dai suoi. La spumeggiante sorella di Alain lo affascinò subito, ma era impegnata. Le cugine, molto seducenti, lo attrassero, ma erano anch’esse impegnate. François si sentiva molto solo in mezzo a tutte quelle bellezze, tanto più che Alain, il fascino in persona, era continuamente circondato da bellissime ragazze. Dopo aver falciato il grande prato della proprietà, gli chiese all’improvviso: «Ti conosco da tanto tempo, ma avrai pure un’altra sorella o una cugina, bella come tutte le ragazze di famiglia, carina ma libera!». 4 agosto 1963: una grande tavolata di famiglia. Hanno tutti gli occhi azzurri e sono belli come il sole, e improvvisamente arriva la ragazza inaspettata: Françoise, con gli stessi occhi azzurri! Era partita un anno prima per l’Inghilterra e ora ritornava, per sempre! Françoise ricorda quella strana impressione di essere “scrutata” come mai le era capitato. Lei, che si era abituata ad abbassare gli occhi davanti ai britannici, guardò per la prima volta un giovanotto senza aggrottare le sopracciglia e vide solo due insistenti occhi scuri e seri e un sorriso strano, un po’ beffardo. Era abbastanza gradevole essere “squadrata” in tal modo! Il pomeriggio stesso, tutti i cugini andarono a ballare. Tre passi di danza ed ecco François nel suo ambiente. Subito, da ballerino abbastanza originale, si fece notare. Françoise da parte sua, pur ballando con un cugino, osservava quel singolare cavaliere. Nuove coppie si formano, altre si lasciano. Strano questo nuovo scambio di sguardi tra loro che durò abbastanza a lungo: il colore del primo sguardo e gli occhi seri di François erano scomparsi; ora erano due pupille verdi, maliziose, che fissavano Françoise. All’improvviso qualcosa si precisava in Françoise, gli occhi di François esprimevano più delle parole. 21

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Poi la musica finisce, tutti i rumori della sala si allontanano, le gonne vorticose finiscono di celebrare quelle donne-fiori. Sono rimasti tre soli attori in sala da ballo: l’orchestra, un giovane dagli occhi verdi e una ragazza pronta a danzare. Presto, spicciarsi! Non perdere tempo! Il verde di François nell’azzurro di Françoise. E su quel «Un ballo?», la vita prende il movimento di un valzer indimenticabile. Poche parole, passi sincronizzati, lo stesso respiro: era abbastanza facile essere semplicemente insieme, perché tutto era “come dato”... Ritorno dopo mezzanotte, con una Fiat modello 1932, con un buchetto nel pavimento, dettaglio importante poiché François era felice al volante se ascoltava il suo motore. Momento magico! Quando Françoise si addormentò non poté reprimere la sua gioia: «Grazie, mio Dio, è lui!». Françoise qualche tempo prima, avvicinandosi ai diciott’anni, pensava di avere una vocazione: «Sarò missionaria!». Durante l’estate scrisse una lettera a un sacerdote che gli rispose al rientro a scuola spiegandole molto semplicemente in che cosa consisteva la vita di una missionaria. Alla lettura di quella lettera, Françoise aveva capito subito che non era “la sua” vocazione. Doveva sicuramente esistere un altro destino per lei. Allora ridendo aveva esclamato: «Allora potrò ballare!». Si può forse dire che il cielo ci anticipa e ci fa sognare ciò che poi vivremo? Sarebbe la cosa più comica della vita. Ma quell’allora potrò ballare!, battuta ingenua e nello stesso tempo disinvolta, fu seguita da un profondo desiderio rivolto a Dio: «Che mi permetta d’incontrare un uomo veramente intelligente che si occupi del Terzo Mondo e che io possa convertirlo...». La madre di Françoise era appena rimasta vedova. Questo primo ballo portava un po’ di luce tra le lacrime, tanto più che ogni giorno, sì tutti i giorni fino al loro matrimonio, i postini hanno distribuito cielo blu nelle cassette delle lettere delle due famiglie. 22

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E la madre di François, da parte sua, cominciava a dirsi: «E se fosse “lei”?». E tra sé e sé: «Essere innamorati abbellisce, mio figlio non è mai stato così bello!». Gli ultimi giorni dell’estate, Françoise ripensava a quel primo ballo con François e quel pensiero le tornava alla mente come un valzer... Non dimenticare mai quella gioia del 4 agosto.

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Legame Ormai, per François, il romanzo di Françoise si scrisse con l’inchiostro blu. Gli occhi fissi tra la Garonna e il cielo, tra il verde e il blu... tra il verde e l’azzurro dei loro occhi; François disse un giorno, con pudore: «Ho scelta Françoise a 27 anni, senza esitare: era lei! Vedere Françoise era come vedere il Paradiso. Occhi azzurri che accarezzano il cuore. E quando sono vicino a Françoise so che posso diventare migliore. Ho sempre voluto cambiare il mondo, ma diventare migliore... è stato merito suo. Me ne ha dato il coraggio e l’energia è arrivata. Allora voglio andare avanti. Françoise! E spesso ho desiderato risposarmi con lei».

Prima partenza È un uomo fatto di poesia, di vino rosso e d’amore. Sta davanti al baule dei tesori: il mondo da scoprire. All’uscita dalla Scuola superiore d’ingegneria, l’avventura riprese con gli amici. Nel corso del 1963, François fu assunto in un’impresa su consiglio di Christian, detto Atchi, un ex di Marsiglia... forse Atchi lo aveva raccomandato... François non lo verificò mai; una semplice idea, poiché Atchi non era uno da dare consigli per apparire importante, Atchi era soprattutto efficace. 23

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L’impresa in questione era La Sabla (la Società Anonima di Béon-Lurieu nel dipartimento dell’Ain). A quel tempo, La Sabla rappresentava un quarto della produzione di cemento prefabbricato in Francia, con diciassette cantieri sparpagliati nell’intero territorio. François fu assegnato al settore geografico del Sud-Est, il più lontano, a Malause, vicino a Moissac. Si costruivano bordi di marciapiedi, tubature di ogni dimensione, lavatoi, fosse biologiche. François imparò a utilizzare il cemento prefabbricato. Il cemento usciva da un’impastatrice, lo si metteva in uno stampo, lo si faceva vibrare e lo si capovolgeva. Un’industria semplicissima, meccanizzata. Vi lavoravano un centinaio di dipendenti: “lavorarvi” era un dolce eufemismo poiché François, scoprendo il mondo dei cantieri, capì che la schiavitù esisteva. Gli operai, in condizioni di lavoro penose, sottostavano all’energico direttore della Sabla, il signor G. Parlando a voce alta e forte, questo ometto grassoccio si era issato a forza di braccia – braccia di ferro – e si era creato un’immagine in ferro battuto, stile vicecomandante dei legionari sotto l’effetto del Tranxène 6. François ebbe la dolorosa impressione che, in realtà, forse il suo servizio militare non era ancora del tutto finito. Vedeva gli operai che caricavano a mano enormi tubi sui camion, schiacciati dal peso che trasportavano. La loro vita era come quella dei galeotti. Le condizioni di lavoro nei cantieri lo preoccupavano e osservando lo svolgimento dei compiti, François capì subito che c’era una soluzione, “la” soluzione: utilizzare leve meccaniche che avrebbero semplificato il lavoro e diminuito la fatica degli operai. Gravissimo errore! Su questa proposta, François uscì, suo malgrado, dal settore degli ingegneri e dalla 6 Tranxène, farmaco ansiolitico a base di benzodiazepina che, a dosi eccessive, può provocare effetti collaterali come aggressività e turbe nel comportamento.

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sfera della direzione. Tanto più che il signor G. si sentì offeso per non aver avuto lui stesso quell’idea; ma anche se l’avesse avuta, non avrebbe fatto nulla per il benessere generale. A fianco di François, Miellon, il capofabbrica. Due aggressioni sonore, per non dire “insulti”, due crisi di sfuriate colleriche al giorno, era la dieta alla quale il signor G. sottometteva il suo capofabbrica. “Mangiare Miellon” prima del pasto e dopo il pasto era una delizia per il signor G.; dopo i suoi incontenibili scatti d’ira, andava meglio. E François tirava fuori il fazzoletto due volte al giorno per consolare Miellon che si dava da fare a risolvere i problemi con la meccanica e non con i soprusi o la violenza. Poco a poco diventò il confidente del caporeparto, del capocantiere, degli operai... e lentamente la metamorfosi si precisò: ebbe il coraggio di un cane che stava per mordere il cattivo. E poi, un giorno, arrivò l’elemento scatenante. Era una comunicazione interna rivolta agli operai della manutenzione. Nessuna ambiguità nella semplicissima redazione: «Siete a disposizione dell’impresa durante le ore di lavoro e fuori delle ore di lavoro. Il Direttore, signor G. ». La comunicazione precisava che ogni operaio avrebbe dovuto firmare. Si trattava di firmare o prendere la porta. Le direttive erano chiare. Leggendo il comunicato François fu profondamente indignato. Fece immediatamente un’indagine. I dipendenti, che vedevano in lui un altro stile d’uomo, gli dissero: «Firmeremo, ma se lei ci difenderà non firmeremo». Prese la comunicazione e si recò dal signor G., ma il direttore non conosceva l’esistenza della parola “dialogo”. Con la furbizia del contadino che non deve giustificarsi, il signor G. rispose semplicemente, con linguaggio fiorito: «Neveux, la scavalcherò, lei resterà solo». Infatti il cantiere diventò rapidamente un deserto per François. Ma come successe realmente? François capì: il direttore aveva preso gli uomini uno a uno e ognuno si era ritirato. 25

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François era solo. Aveva il presentimento che sarebbe arrivata una lettera di trasferimento. È forse per quell’affare che poco tempo dopo il presidente e direttore generale della Sabla, il signor L., fece visita al signor G.? Di solito quelle visite tra direttori avevano come percorso obbligato il ristorante. Non potendo contattare il signor L., François decise di scrivere una lettera risentita nella quale descriveva l’ambiente della Sabla. Avendo solo la sfrontatezza, nutrita da un forte sentimento d’ingiustizia, si precipitò al ristorante e consegnò la lettera. Per fermare gli attacchi del signor G. bisognava provocare un piccolo choc. «Visto che siete insieme, al dessert leggete la lettera... Buon appetito! E lei, signor G., un giorno o l’altro finirà male; lei si arrabbia sempre, disprezza tutti, si distruggerà da solo». François non ricevette la lettera di trasferimento, ma quella di licenziamento. Invece di esserne rattristato, si sentì tranquillizzato e libero. Scoprendo il mondo della depurazione con le fosse in cemento, François cominciò a riflettere. Proprio un’intuizione... c’era certamente oro in quel mercato e riguardo agli uomini bisognava senz’altro trattarli in altro modo. Due anni dopo François venne a sapere che il signor G. era morto di infarto. «Finirà male», gli aveva detto... Non era spirito di vendetta, ma nemmeno dispiacere: François pensava che il mondo del lavoro meritava “altri capi”. Ma soprattutto, in quell’anno 1965, a due franchi l’ora, si era ben lontani dal vedere la classe operaia fare progetti per il futuro.

Inventare del nuovo, inventare del “Neveux” e intraprendere! La depurazione! François aveva fiducia nella sua intuizione. Cercava un’impresa che gli permettesse di applicare delle innovazioni che presagiva “fruttuose”. Pur continuando ad appro26

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fondire quanto aveva imparato alla Sabla, sentiva che bisognava andare più lontano, inventare qualcosa di veramente nuovo. Così non tardò a trovare un impiego alla Bémaso (manufatti in calcestruzzo del Sud-Ovest) ad Agen, per restare in quel settore particolare che aveva cominciato a esplorare. L’équipe era composta da diciassette persone. La Bémaso produceva solo lavatoi, vasche e pavimenti in cemento prefabbricato. Perché non fabbricare altri materiali partendo dal calcestruzzo? Avrebbe potuto diventare una miniera, se avesse trovato l’idea per primo. Una sola regola: mai copiare. Trovare astuzie veramente tecniche fino a sentire qualcuno esclamare: «Ah sì, non ci avevamo pensato!». François si mise subito al lavoro. Disegni, esperimenti, verifiche: ben presto, nell’aprile del 1965, inventò il filtro esagonale, molto diverso dai grossi rettangoli fabbricati nel cantiere precedente, alla Sabla. Il filtro esagonale: il suo primo brevetto! Questo filtro era un’apparecchiatura prefabbricata, diversa dalla classica cellula rettangolare di base; era composto da elementi modulabili con un’entrata e cinque uscite possibili, il che rappresentava un’innovazione molto efficace nel campo della depurazione. Ben presto la Bémaso vide aprirsi nuovi orizzonti sul mercato della depurazione che François le offriva su un vassoio d’argento. Ma quello che François non sapeva ancora era il grave stato di salute della ditta. Dopo meno di un anno l’impresa, già in perdita di velocità, era sull’orlo della catastrofe. Anche sul piano umano le diciassette persone rischiavano tutto. In quel momento François capì che il mondo dell’impresa è prima di tutto il mondo del rischio, e si rischia essenzialmente per gli altri. Ogni decisione può essere irreversibile e quindi cosa saranno anche le più belle invenzioni se non sono “portate” da entusiastiche energie? Dove andranno queste energie se le imprese non sono sane? Finora François si sentiva “ingegnere nell’animo” e ciò gli bastava, ma allora, considerando il vicolo cieco nel quale si tro27

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vava l’impresa, ebbe l’idea di lanciarsi nella fabbricazione di impianti di depurazione. Si costruivano, all’epoca – e alla Sabla François l’aveva visto mettere in opera –, pozzi per l’impianto di depurazione che affondavano di cinque metri, a volte nelle falde freatiche! François capì subito l’assurdità, senza contare il rischio di contaminazione dell’acqua. Di certo non si parlava ancora di ecologia, ma il suo buon senso di contadino gli suggeriva il rispetto dell’acqua, risorsa così fragile. Rimettere sempre l’opera in cantiere. François cercò, disegnò, continuò le sperimentazioni. La sua preoccupazione principale era quella di interrare le vasche il meno possibile, per non perforare le rocce e lasciare intatta la falda idrica. E l’idea arrivò! Elementi prefabbricati al posto delle vasche: l’impianto di depurazione sarebbe stato costituito da elementi che sposandosi tra loro avrebbero formato cisterne multicellulari composte da decantatori-digestori con filtri depuratori... e il tutto disposto a meno di due metri e mezzo dal suolo. D’altra parte, invece di pesare tre tonnellate come i precedenti, questi impianti altamente efficaci avrebbero raggiunto solo 700 chili. François depositò quindi il suo secondo brevetto, nel settembre del 1968, e in breve tempo esso divenne la punta di diamante del mini-impianto di depurazione. Era una grande novità. Alcuni specialisti si resero conto che François stava rimodellando completamente il concetto di impianto di depurazione, e questo letteralmente eccitava i suoi agenti commerciali poiché gli impianti avevano una tenuta stagna garantita e François dichiarava, ironicamente, che avevano “un look formidabile”! Ma, essendo interrati, chi poteva indovinare il loro look? Ma François era un poeta... E, al di là del look, quel brevetto fu copiato, imitato, contraffatto: era un brevetto sensazionale! Perché non mettersi in proprio, a suo nome, e aiutare l’impresa “dall’esterno?” Per non pesare più sulla ditta – con uno stipendio da ingegnere in meno – François decise di assumere lui stesso la realiz28

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zazione dei cantieri per conto di scuole, ospedali, amministrazioni pubbliche o private. Installando questi impianti di depurazione, finanziava la Bémaso. Li ordinava all’impresa, acquistandoli a un “buon prezzo” e poi li installava. Nonostante questo generoso gioco di prestigio, l’impresa continuò a essere allo stremo, fino al fallimento. E a furia di essere di persona su tutti i cantieri, per quanto fruttuosi potessero essere, François si rese conto che sarebbe morto per strada, andando a salvare i clienti, poiché i problemi di manutenzione e di garanzia erano complessi. Ogni difficoltà può insegnarci qualcosa su noi stessi. Churchill non diceva forse che «le opportunità per alcuni sono calamità, mentre per altri le calamità si trasformano in opportunità»? E se la calamità del prossimo fallimento diventasse una formidabile occasione per tutti? François andò a consultare un cugino che lo conosceva bene. Bastò un breve colloquio. Ebbe allora la certezza che non bisognava abbandonare la ditta. L’idea si fece strada: «Non devo rinunciare!». François si era sempre prefisso tre obiettivi: «Magari cantoniere, ma cantoniere per conto mio», «Il mio danaro porterà beneficio anche agli altri», «A trent’anni devo essere partito!». Trent’anni stavano per scoccare, e quindi... Come concludere un affare con zero franchi in tasca? Idee François ne aveva... ma sapeva che lo avrebbero preso per pazzo. Allora, follia per follia, bisognava comunque tentare. Le idee devono essere sempre verificate mediante tutte le fonti disponibili e in quel momento era il manuale Dalloz 7 che bisognava consultare, il Codice del Commercio diventò una miniera di informazioni per François e vi trovò un inizio di risposta che volle subito verificare da un banchiere.

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Désiré Dalloz, giureconsulto francese (1795-1869), autore di manuali concernenti il Codice del Commercio.

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Il primo che consultò lo mise alla porta. Senza scoraggiarsi François bussò alla porta di un secondo che gli disse di primo acchito: «Signor Neveux, vuole concludere un affare, non conosce nulla di gestione e dice “parto”?». «Caro signore, concludo questo affare e, al limite, non ho bisogno di lei!», gli rispose perentoriamente François. Sguardo a metà divertito e a metà sprezzante del banchiere che comincia a mettere in ordine le carte sulla scrivania, per dire a François che gli stava facendo perdere tempo. Sembravano i personaggi della fiaba della mosca che disturba il potente re degli animali. Ma per François l’importante era crederci e tentare il tutto per tutto, perfino l’inammissibile. Fu allora che disse: «Lei sa cos’è una cambiale?». Silenzio d’intesa tra loro. E continuò: «Pagherò il mio fornitore con la tratta girata dal mio cliente». Poi elencò i diversi partner con i quali voleva entrare in affari. Fornì precisazioni su quanto stava per intraprendere, sulle invenzioni che voleva realizzare, sui mercati che credeva possibili mediante le sue invenzioni, l’oro che fiutava... Silenzio imbarazzato del banchiere mentre François continua: «Sì, sono pazzo, ma lo farò». François rilevò la Bémaso senza il credito delle banche. Otto giorni dopo il banchiere si ricredette, con prudenza: «Signor Neveux, farò assegnamento sulle sue cambiali». Da parte loro, le amministrazioni presero veramente sul serio “Monsieur Neveux”, dal momento che i suoi cantieri risolvevano ogni problema di hotel, di campeggi da 40 a 500 persone, portando le soluzioni: la decantazione-digestione e la filtrazione abbinate a quella forma di decantazione. Inoltre quegli impianti di depurazione venivano installati in pochissimo tempo. A Hossegor, sulla costa atlantica, la Bémaso installò a una velocità super un impianto per 500 utenti. Allora, naturalmente, il passaparola funzionò rapidamente affermando l’efficacia del sistema e costi più bassi. In Aquitania quel sistema brevettato rappresentò un enorme cantiere. 30

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E nel corso del 1969 François cambiò il nome della Bémaso che aveva preso in affitto gestionale: gli Stabilimenti Neveux entravano nella storia! François sapeva di essersi messo un vestito nuovo, quello del padrone. Per lui, prima di tutto, significava essere responsabile di tutti, non lasciare nessuno fuori, dare impulso a tutti i progetti possibili affinché l’entusiasmo fosse il motore che, a sua volta, conquistasse nuovi mercati. Ben presto fece la conoscenza di un grossista, i Materiali della Nive (Bassi Pirenei), e gli vendette impianti di depurazione altamente concorrenziali nei confronti della Sabla. Era evidente che le invenzioni di François gli permettevano di concludere grossi affari. Un direttore tecnico, vedendo la sua voglia di sfondare e tutta l’energia che era pronto a spendere, un giorno gli suggerì: «Sai che si costruiscono delle fosse biologiche di plastica, sempre più richieste, ma che non si producono ancora in quantità sufficiente?». “Di plastica?”, François restò interdetto! Non aveva alcuna competenza e alcuna cultura in materia. Immediatamente decise di entrare in questo mondo: la terra incognita della plastica lo aspettava, ne era sicuro. Il denaro rientrava e il banchiere si sfregava le mani per aver avuto tale idea... da solo naturalmente: «Signor Neveux, sconterò le vostre cambiali». Ben fatto, visto che dopo qualche anno aveva guadagnato milioni!

La plastica, una bomba! Come costruire fosse biologiche in plastica? Per François l’idea c’era; sapeva che doveva mettersi alla ricerca immediatamente. Da una parte c’erano clienti che la richiedevano, dall’altra nessun fornitore. Sì, l’idea c’era; occorreva solo conservare in sé la virtù dell’impazienza per farcela. 31

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Il giorno dopo quel colloquio, François si recò da un costruttore di imbarcazioni, l’impresa Tifenbach, il cui cantiere era vicino al suo. Sapeva che la plastica entrava nella composizione di alcuni dei loro prodotti. Arrivò con la sua tuta da lavoro e uno stampo di legno per cercare di fabbricare un dispositivo per la depurazione. E fece bene a vestirsi da lavoro! Quattro o cinque ore dopo usciva dal laboratorio coperto di fibre di poliestere, tanto che quando se la tolse la sua tuta stava in piedi da sola! François capì subito i vantaggi della fibra di vetro associata alla resina di poliestere. Ma come creare questo nuovo materiale che presagiva sarebbe stato decisivo per la composizione degli articoli di bonifica che voleva produrre? Con la fantasia, le soluzioni inattese arrivano da sole, anche se più tardi sarebbero state verificate con la conoscenza scientifica. Come il filosofo francese Bachelard che osservava il mondo e sognava, questa fantasticheria poetica diventava per lui una fonte sicura di conoscenza. La rapida evoluzione del mondo diventava più leggibile, la poesia illuminava la scienza tanto quanto la scienza serviva alla poesia... e l’invisibile si svelava poco a poco. Entrato in contatto con un ingegnere delle Miniere di Carbone di Francia, François capì subito che la parola magica era “Mazingarbe”, paesino del nord della Francia, vicino a Lens. Agen-Mazingarbe, 900 chilometri, dal sud al nord, una formalità. Le Miniere di Carbone di Francia lo invitarono ad andare nel loro laboratorio del Nord per fare delle prove con materiale più evoluto: si trattava di rivestire uno stampo con una pistola a spruzzo. Françoise era andata con François. Dopo il loro matrimonio, sei anni prima, le piaceva accompagnarlo il più spesso possibile per il piacere di restare con lui, poiché la teneva sempre al corrente di tutte le sue idee. Essere silenziosa, raccogliere le impazienze e gli entusiasmi di François, continuando a incoraggiarlo per andare fino alla fine. 32

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«Aspettami in macchina, farò presto!», le disse saltando giù dalla piccola Peugeot. Ma in laboratorio l’équipe impiegò due ore per far funzionare la pistola. E più il tempo passava più François rifletteva. Sapeva che la soluzione era imminente, ma diversa da quella che aveva sotto gli occhi. Interruppe l’operaio senza lasciargli il tempo di concludere il lavoro. Si girò velocemente verso l’ingegnere e gli chiese: «Ma non c’è un procedimento più intelligente per fare grosse vasche e soprattutto per fare prima?». Aveva intuito di avere sotto gli occhi solo i primi balbettamenti di ciò che esisteva già. Doveva esserci un altro procedimento più rapido e soprattutto di maggior rendimento. La risposta c’era, a Parigi, da Ménessier. Ben presto François prese contatto telefonico con questa “manna dal cielo” e gli annunciò il progetto di viaggio, seduta stante, per incontrarlo. Il giorno stesso, con una scatola metallica da attrezzi che entrava appena nel cofano e Françoise al suo fianco, correva a Parigi. Il giorno seguente, l’incontro con il signor Ménessier fu l’inizio della volata finale. François stava vedendo l’uomo che ha visto l’uomo che ha conosciuto l’uomo... All’improvviso Ménessier capì: «Capisco il problema: lei vuole fare grosse vasche con un procedimento più redditizio e più ecologico. Il poliestere è... schifoso e puzza, il polietilene è più pulito... ed è il futuro». Senza perdere tempo lo scienziato parigino fece un corso sui diversi procedimenti esistenti per realizzare grossi oggetti di plastica, in polietilene naturalmente... ma la novità era che si trattava di fare del rotostampaggio 8. Quest’ultima parola scappatagli di bocca era completamente sconosciuta a François, che dovette farsela ripetere. Eppure François aveva capito bene: 8 Rotomoulding o Rotational Moulding in inglese; Rotationsformen in tedesco; moldeo rotacional in spagnolo; formatura rotazionale in italiano. Abbiamo preferito rotostampaggio, più vicino al francese rotomoulage.

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per fare delle grosse vasche in polietilene occorreva lanciarsi nel “ro-to-stam-pag-gio”. Una vocina gli suggerì che avrebbe dovuto continuare nella ricerca. «Se vuole qualcosa di più semplice, ci sarebbe il signor Cook, in Inghilterra, che ne sa più di me su di un procedimento ancora più “infantile”». Il signor Ménessier continuava a leggere metodicamente un dossier, ma la virtù dell’impazienza si impossessò talmente di François che non lo lasciò nemmeno continuare poiché, in quel momento, aveva già deciso di partire immediatamente per l’Inghilterra. Françoise era in albergo ad aspettarlo. Occorreva solo sapere se, “per caso”, avesse con sé i passaporti. Sarebbe stato bene partire il giorno dopo. Una telefonata gli confermò che Françoise pensava sempre a tutto e, il giorno seguente, eccoli a Londra. Ma il signor Cook non era all’appuntamento. Aspettare, aspettare, aspettare. Per François è sempre una prova. Passarono due giorni durante i quali François si dette da fare per vederlo. Alla fine una sola telefonata... con il mitico mister Cook. «C’è un solo procedimento al mondo che risponde a tutte le sue richieste ed è il signor Linquette che può dirvi chi, eventualmente, può insegnare a fare le grosse vasche che lei sogna. Il signor Linquette è un suo connazionale, di Parigi». Ritorno a Parigi. Incontro con Linquette: François seppe subito di essere di fronte all’uomo che ha visto l’uomo... Subito dopo, entrati nel vivo della questione, Linquette gli consigliò: «Conosco un procedimento denominato procedimento “rototron”: è stato ideato da un americano. Costui cede la licenza in tutto il mondo. Se non è ancora venuto in Europa sta a lei contattarlo». «Il suo nome?». «Stuart Pivar!». Una vocina gli diceva che questo nome era l’ultimo anello delle sue ricerche. Nuovo contatto senza perdere tempo. Una fortuna: Stuart Pivar parlava un po’ francese. La sua proposta fu chiarissima: 34

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«Se lei è d’accordo sui termini del contratto, sono disposto a cederle l’esclusiva per la Francia. Potrà utilizzare il mio procedimento di rotostampaggio, un procedimento che ho battezzato “rototron”». Il procedimento calzava perfettamente con il sogno di François, tanto più che lui lo aveva già in qualche modo inventato. François aveva disegnato dei macchinari, inventando ciò che esisteva già, senza avere ancora tutti gli elementi per padroneggiare la fabbricazione della plastica. Continuando le ricerche, aveva fatto fondere del polietilene in vecchi tegami, ora gli mancava una sola cosa ma essenziale: l’agente di smontaggio. Quel contratto era semplice: se François accettava di versare 300.000 franchi 9 senza vedere le macchine, né gli stampi, né i prodotti finiti, Stuart Pivar si impegnava ad andare in Francia entro due mesi, con una macchina, uno stampo e la sua speciale polvere di plastica. Allora avrebbe realizzato una dimostrazione di ciò che sapeva fare, nei laboratori Neveux. Si trattava quindi di firmare il contratto a occhi chiusi. François, perfettamente lucido con se stesso, si disse: “So che è una follia, ma devo farla!”. Dal sud al nord della Francia, da Agen a Mazingarbe, da Mazingarbe a Parigi, poi da Parigi a Londra e da Londra a Parigi, per contattare alla fine l’America, il tutto in meno di una settimana: è in questa esplosione impetuosa che François firmò, seduta stante, a occhi chiusi. Due mesi dopo, nell’estate del 1969, Stuart Pivar era ad Agen, all’entrata degli Stabilimenti Neveux. Ma come avrebbe dovuto comportarsi François con un tipo che sentiva essere così diverso, così originale? Stuart Pivar era un uomo molto speciale, un po’ sconcertante, non aveva nulla del tipico uomo d’affari. Vestito in stile 9

300.000 franchi francesi nel 1970, cioè circa 45.000 euro nel 2007 [N.d.A.].

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“Miami club”, con camicie a fiori svolazzanti su pantaloni sgualciti, scarpette da ginnastica consumate; i suoi capelli lunghi (come quelli degli hippies di quel tempo) spazzavano disinvoltamente le spalle. Il contratto era stato firmato a occhi chiusi, ma chi era veramente Stuart Pivar? In fin dei conti François non ne sapeva molto di più. Ma per François la regola essenziale in affari era la fiducia. Esistono solo relazioni vere, tessute insieme. Ma allora, come accogliere l’eccentrico straniero americano per stabilire la fiducia? Françoise era sempre d’accordo a vivere tutte le avventure di François, e un’idea si fece strada: la loro casa! Stuart avrebbe condiviso il loro quotidiano: Françoise avrebbe cucinato “alla francese”; in quanto a François, aveva una sua idea. Col passare delle giornate, i coniugi Neveux seppero addomesticare il temperamento impetuoso di Stuart, pronto a scagliarsi contro i francesi giudicati sconsiderati. Stuart aveva inviato una macchina dall’America ed era arrivata in qualche porto in Francia, ma tutto sembrava bloccato. Eppure, secondo Stuart, tutto era stato previsto affinché la macchina fosse ricevuta lo stesso giorno del suo arrivo in Francia. La lunga settimana di attesa fu interminabile e François capì subito che occorreva impegnarlo. Ebbe allora l’idea di “educarlo”, a modo suo, insegnandogli il significato di tutte le parolacce francesi. Stuart Pivar, il tipetto newyorchese, e lui, il festaiolo di Bordeaux, tutti e due alla rincorsa di stupidaggini. François ritrovava un amico come quelli dell’Università di Marsiglia, ma questo era yankee! Uno della famiglia fece un’osservazione sospettosa: «Siete proprio sicuri di lui? Ha l’aria di un dilettante!». È vero, Stuart cercava ovunque la televisione, indispensabile a ogni americano (e scoprendo l’oblò della stufa a nafta, aveva esclamato: «Finalmente!», credendo di veder apparire l’immagine), ma per François era semplicemente l’avventura umana che continuava. 36

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Alla fine, la macchina finì per arrivare! Dopo aver insultato i trasportatori, Stuart svelò la sua meraviglia. «Sbalordito, sbigottito, affascinato!» le parole proferite da François scoprendo il materiale di Stuart. La semplicità della macchina era tale che François fu abbagliato perché, vedendola, capì che ciò che aveva sotto gli occhi era ancora più semplice di quanto aveva concepito: avrebbe potuto tentare tutto. Tutto si può immaginare, tutto si può creare, tutto si può realizzare: questa massima, che François si era inventata per se stesso, gli girava e rigirava continuamente in testa e lo aiutava ad andare avanti. Ben presto Stuart – tra loro ormai si erano dimenticati mister Pivar –, Stuart dunque insegnò a François il rotostampaggio. Gli insegnò anche come applicare il procedimento alla tecnica della depurazione e soprattutto gli mostrò come fabbricare gli stampi. François assunse subito due lattonieri per fare parecchi stampi. Tre mesi dopo produceva trenta fosse biologiche al giorno e il denaro cominciò a circolare in modo inatteso. Le utopie si accompagnano spesso a strizzatine d’occhi della vita. “Gli occhi chiusi” che Stuart Pivar aveva imposto imperativamente a François stavano per aprirsi. François, fiducioso nella follia che aveva iniziato – pagare a prezzo d’oro un procedimento sconosciuto, a un tipo sconosciuto, e per di più... dall’altra parte dell’oceano, sicuro che per lui era lì la chiave –, stava per essere aiutato dalla sorte. E poiché un operaio aveva messo del colore nel polietilene bianco, le prime fosse biologiche apparvero sul mercato a colori! François ha sempre dato un’enorme importanza al “look” degli oggetti prodotti; pensava per istinto che, qualunque fosse il prodotto, bisognava che fosse bello. A colori, non ci aveva pensato! Aveva soprattutto “curato” la forma. I commercianti di materiali, i rivenditori Neveux, si invaghirono di quelle va37

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sche colorate e invece di metterle in fondo al loro magazzino, le esposero in evidenza, nel cortile d’ingresso dei visitatori o in alto, sopra il loro parco espositivo! Bisognava che si vedessero e fossero conosciute! È per questo che, al tempo in cui Charles Trenet era chiamato «il cantante pazzo», François fu definito «il pazzo a colori»! Stuart, il pazzo del rotostampaggio, ha confessato che non aveva mai visto un laureato, come François, firmare a occhi chiusi e sbrigarsi a concludere un affare così in fretta... «Caro Stuart, e io che credevo che si facessero così gli affari in America, a condizione di essere d’accordo tra noi!», avrebbe confidato più tardi François. Finalmente! La teneva in pugno, la plastica: ed era proprio una bomba al plastico che stava per esplodere! Estate 1970: Françoise e lui decisero di partire per l’America, su invito di Stuart. Si regalarono un sogno: attraversare l’Atlantico in poco più di cinque giorni a bordo del Queen Elizabeth II. La vista di New York, dal ponte del piroscafo, è un ricordo magico, come quello del loro primo valzer. La Statua della Libertà sembrava sorridere loro, la città offriva le sue larghe braccia, François si sentiva nel Paese dove tutto è possibile. Stuart aspettava François per presentargli un fabbricante che sfruttava il procedimento rototron come lui, un concorrente americano, se vogliamo. Stuart ricevette i due fruitori del suo brevetto seduto su un’enorme poltrona, con le gambe allungate in modo che le sue scarpe da basket appoggiassero sulla scrivania e, di fronte, il francese e l’americano, seduti su due seggioline più basse della poltrona. Evidentemente François aveva capito che Stuart stava mostrando chiaramente all’utente americano del suo brevetto che, seduto più in basso del boss, era in posizione di “dominato”. François non era impressionato, avendo bevuto insieme del Bordeaux... ma l’altro forse non capiva. In breve, l’incontro cominciò in maniera molto diretta, ri38

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volgendosi Stuart soprattutto al suo compatriota. «François Neveux ha raggiunto la 2 metri cubi, cioè la 2.000 litri!». François capì poi che l’americano era appena alla 500 litri! I polietileni non erano a quel tempo molto solidi. Era indispensabile eseguire forme ben studiate perché i prodotti fossero molto resistenti. François aveva studiato il problema e le sue vasche, grazie alla loro forma che si avvicinava a un uovo, erano salde e durevoli. In Francia ci scherzava sopra dicendosi: “Con la bellezza del procedimento, ho fatto dei luridi pozzi neri!”. Stuart continuava a muovere le sue scarpe sotto il naso del suo utente e aggiunse: «François guadagna dieci volte quanto guadagni tu!». François capì che per un americano guadagnare denaro era naturalmente ciò che portava al rispetto... assoluto! Inutile dire tutto ciò che François vide in America, ciò che imparò sugli uomini, sugli affari e sulle relazioni nel business; aveva spesso l’impressione di essere nel paese di Tintin 10, visto come le cose si concatenavano. Si vedevano dei super-boss capelloni, con i sandali bucati, entrare in banca per piazzarvi un sacco di soldi. Allora capì di essere, secondo la visione di Stuart, uno “giusto”. Aveva superato gli americani! Stuart lo aveva fatto andare negli Stati Uniti dalla Francia per mostrare ai suoi clienti lo straniero che aveva fatto meglio dei figli d’America! Ma si rese conto anche che il procedimento che utilizzava era assolutamente superiore: non tossico per gli operai e per l’ambiente! E per di più poteva essere riciclato... all’infinito. Si parlava di rivoluzione, in quegli anni, ma lui non la sognava più, era già in cammino lì, sotto i suoi occhi, ed era da molto che aveva lasciato i blocchi di partenza! È così che François progredì senza sosta nel rotostampaggio. Di ritorno in Francia, François assunse sei lattonieri, e in

10 Tintin,

eroe del fumetto creato dal belga R. Hergé nel 1929, giovane reporter protagonista di numerose avventure a lieto fine, in tutto il mondo.

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pochissimo tempo arrivò ad avere una stampoteca (una sorta di biblioteca degli stampi) di più di duecento stampi! I gruppi rock cantavano Plastic people. Ci eravamo arrivati!

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Un nuovo vocabolario: tutta la famiglia dei “roto”... Così, a partire da quell’incontro storico con Stuart nell’estate del 1970, il procedimento “rototron” entrò nella vita di François e non solo... François divenne rotostampatore di professione, ma parallelamente continuava a utilizzare tecniche differenti per fabbricare elementi prefabbricati in calcestruzzo, anche se alla fine si specializzò nella nuova attività di rotostampaggio. Il rotostampaggio o, tecnicamente, formatura rotazionale, è un procedimento abbastanza semplice: per produrre degli oggetti di plastica si devono, in partenza, ideare degli stampi in lamiera metallica che sono in qualche modo “il negativo” dell’oggetto. In questi stampi, senza il minimo difetto, si introduce della polvere plastica; mediante bruciatori a gas che riscaldano lo stampo dall’esterno, la polvere va a inondare le pareti. Ben spalmata, la polvere deve “prendere” e indurire; poi si smonta lo stampo! Il rotostampaggio può quindi realizzare grossi corpi cavi, un procedimento che sembra grossolano e sempliciotto, non è ritenuto “molto tecnico”, eppure con pochi investimenti può fare concorrenza agli articoli prodotti tramite grosse presse a iniezione estremamente costose. È strano come ci siano pochi rotostampatori nel mondo. La difficoltà consiste nella scelta delle “buone plastiche”, ma anche nella conoscenza dei sapienti dosaggi. All’inizio la macchina era azionata a mano. Ci volevano due operai per farla oscillare, effettuando un movimento costante, secondo un bilanciamento regolare: da avanti a indietro nel senso verticale e da una parte all’altra in senso orizzontale. François si era subito reso conto della fatica del lavoro e intuì ben presto 40

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che c’era qualcosa da cambiare: il cambiamento è sempre mirare all’estrema semplicità per il massimo di efficacia. Era appena nato il secondo figlio, Jean. Guardava Françoise che lo cullava intenerita, lei stessa cullata dalla sedia a dondolo. E all’improvviso fu come un “eureka”! “Cullare”, con doppio dondolio! Era, evidentemente, la soluzione. Gli bastarono meno di sei mesi per ideare un motore geniale con un cavo: questo motore poteva far oscillare la macchina e poi ribaltarla e ricominciare. I movimenti erano ottenuti mediante due assi perpendicolari per permettere un movimento oscillatorio in tutti i sensi che la macchina eseguiva da sola, la materia plastica era ripartita ottimamente e lo spessore degli oggetti era perfetto. Gli Stabilimenti Neveux sono stati gli unici in Europa a servirsi di questa tecnica e ricevevano ordinativi così numerosi da lavorare 24 ore su 24, dal lunedì a mezzogiorno del sabato, senza interruzione! Naturalmente tutti ci guadagnavano, visto che le ore di straordinario erano pagate a peso d’oro! Rotostampatore! Più tardi, una gamma di giochi di plastica da parco-giochi con molti elementi, come scivoli, tavolini e sedie da giardino, gabbie da scalare, piccole capanne e molti altri ancora sarà chiamata Rotogreen. Pierre Neveux, il figlio maggiore di François, da adulto, fonderà un’azienda che si chiamerà Rotostyl. Una filiale di una società Neveux sceglierà un po’ dopo Rotomod. Infine, la perla del Brasile, quella società unica che stupisce ancora tanta gente, avrebbe preso il nome di Rotogine. Il procedimento “rototron” sarebbe costato a François 8 milioni di franchi 11. Pagò per vent’anni le royalties all’America. Ma pensate che, anche con queste spese di gestione, François considerava che non ci fosse orizzonte, nessun limite!

11 Otto

milioni di franchi francesi nel 1970, equivalenti a 1,2 milioni di euro nel 2007 [N.d.A.].

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Nessun orizzonte, niente limiti! Plastic people, eccoci! Da poco François aveva potuto acquisire l’ex Bémaso e gli Stabilimenti Neveux erano diventati un affare fruttuoso. L’affare Neveux era ora un grande parco di circa quattro ettari nella periferia di Agen. Un’idea, la bonifica! Un campo tutto da scoprire, dal momento che poca gente se ne intendeva veramente negli anni Settanta. C’era qualcosa da fare, trovare nuove soluzioni per l’uomo e per l’ambiente. L’idea di avere un solo pianeta a disposizione era nell’aria, come anche quella di proteggere Madre Natura! Cosa fare con le acque reflue? Se non si sta attenti, si inquina il suolo. Fu così che François si orientò alla bonifica collettiva e individuale, impiegando tutta la sua energia nel concepire nuovi prodotti per mantenere l’equilibrio ecologico. Ma la plastica lo faceva sognare; egli disegnava, sperimentava e osservava l’evoluzione del tempo libero... un giorno, perché no? Cominciava ad avere grossi mercati con la bonifica e, poiché nulla lo fermava, suddivise la sua azienda in due società per attività distinte. Gli Stabilimenti Neveux fabbricavano tutte le vasche biologiche: quelle in calcestruzzo, poiché c’erano sempre i clienti “tradizionali”, ma anche quelle in plastica... e François aveva appena messo sul mercato la grossa vasca da 2.000 litri in polietilene! Presagiva di dover accentuare la produzione degli impianti di depurazione. Decise quindi di creare la SEPN, Società d’Esercizio dei Procedimenti Neveux, che installò a due chilometri dagli Stabilimenti Neveux. Ne propose subito la direzione a un ex della Scuola d’Ingegneria di Marsiglia, l’amico Garat, sempre lì, il poeta con il genio delle formule: «E io dico: niente da fare, senza Trublot...». L’avventura continuava. François amava mescolare l’amicizia con il lavoro, era un rischio enorme, ma per lui l’amicizia indefettibile portava a buon fine. 42

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Tutte e due le società erano state finanziate con i fondi Neveux. Non si parlava ancora di crisi, eppure François provava un’immensa soddisfazione nel creare posti di lavoro: furono assunti più di 150 operai. Da quanti assumeva François pretendeva adesione, coinvolgimento e onestà integra nel lavoro. A lui il ruolo di riconoscere il loro valore, la sua principale preoccupazione era quella di non rifare gli errori che aveva constatato nel corso del suo primo lavoro. Occorreva prima di tutto remunerare bene il personale, non rendendosi conto della disparità di salario a confronto con gli altri imprenditori. Semplicemente, non voleva “allinearsi” ai livelli praticati nel settore, cercava un altro modo di lavorare. Prima di tutto aveva cercato di conservare sul posto tutta la squadra che aveva al tempo dell’acquisizione della Bémaso, tre anni prima. L’ex direttore, il signor D., aveva una fabbrica di laterizi vicino a Marengo, in Algeria; aveva fatto venire in Francia molti operai; sui diciassette del cantiere, dieci erano algerini o marocchini. Il messaggio iniziale di François per tutta la squadra è stato semplice: «Vi metterò sotto, però mai fuori di qui!». Lo avrebbero seguito? François scandiva questa frase: «Dobbiamo riuscire insieme». Era una vera sfida. Ci fu una sola ombra, ma servì da esempio. Mehdi, operaio qualificato, partì per l’Algeria con moglie e figli a fine luglio. Passò il mese di agosto, poi la prima settimana di settembre, poi la seconda... ancora qualche giorno... nessuna notizia di Mehdi che doveva rientrare a fine agosto. Finalmente, verso il 18 settembre, una telefonata dall’Algeria: «Sto per rientrare, mia moglie ha avuto un aborto spontaneo, è andata all’ospedale, era molto grave... e io da solo con i piccoli... è dura. Ma tornerò presto». François lo compatì e lasciò fare al tempo. Aveva l’impressione che Mehdi gli mentisse. Era indefinibile, ma aveva l’aria della chiacchiera ben orchestrata. Finalmente Mehdi ritornò. François si informò sulla moglie Aicha, sui figli e su tut43

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ta la famiglia rimasta al paese. Decise di non pagargli i giorni d’assenza, quelli del mese di settembre nei quali avrebbe dovuto trovarsi al lavoro. In realtà François aspettava la reazione di Mehdi. “Sapeva”, senza averne la prova, che Mehdi lo ingannava. Per François era facile dare un colpo di spugna quando qualcuno, di fronte a lui, si rivelava sincero, faceva fatica a non dargli un’altra possibilità. Ma immediatamente Mehdi andò a lamentarsi presso l’Ispettorato del Lavoro. Procedura in corso... Sputava veleno sul padrone. Se François sopportava molti scivoloni nella sua ditta, non aveva mai tollerato la menzogna, che era forse l’offesa più grave che gli si potesse fare. François assunse subito un detective privato: biglietto d’aereo per l’Algeria, indagine a Blida, discussioni con gli abitanti del quartiere della famiglia di Mehdi, visite a tutti gli ospedali e cliniche della città, fino alle porte di Algeri. Il detective fotografò tutti i registri sul periodo di sei settimane: nessuna traccia di Aicha. Al ritorno in Francia, copie dell’indagine all’Ispettorato del Lavoro. François spiegò a Mehdi il suo modo di vedere: «Mehdi, sei stato l’unico a sporcare la vita del cantiere. Denigravi tutto. Sparlavi di tutto e di tutti. Disprezzavi i tuoi colleghi perché operai e me perché padrone. Che stima avevi degli altri, e soprattutto quale rispetto? “Mai fuori”, mi sono impegnato e lo ho sinceramente sperato all’inizio della mia attività, però... mai la menzogna!». In trent’anni i problemi sono stati sempre risolti sulla parola. Ogni dipendente era libero di andare nell’ufficio del capo per esporgli le difficoltà di lavoro, tanto tecniche quanto relazionali. E poi, anche senza che François lo chiedesse, quanta gente si confidava con lui, gli parlava della vita quotidiana, extra lavoro, specialmente dei grattacapi! François si è sempre stupito della loro vicinanza e la maggior parte di loro ha fatto un lungo cammino con lui, dalla Bémaso agli Stabilimenti Neveux, alcuni per più di trent’anni. 44

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Con questa grossa fetta di dipendenti, un centinaio, composta da vecchi e nuovi, di fronte alla diversità di mondi, si poteva ben parlare di mescolanza culturale e cultuale. Lavorare, vivere, essere degli uomini... Conoscersi e condividere. Chi ebbe l’idea di un grande méchoui 12? Al primo organizzato al cantiere Neveux parteciparono tutti. Una dozzina di montoni e alla fine non c’era più niente! È stata una tradizione mantenuta da François il più a lungo possibile... Da parte sua, François ha imposto una certa mescolanza di uomini dagli orizzonti molto differenti per lavorare e realizzare una comunità umana molto atipica: si è trattato quasi di una necessità: la sua impresa doveva essere a immagine della vita! Con l’andar del tempo si è formata un’équipe di alta specializzazione, un’opportunità legata senz’altro alla reciproca fiducia.

Produrre vasche correndo e anche rischiando! Subito dopo aver scoperto il processo “rototron”, François desiderò condividere questa favolosa invenzione. A seconda delle persone incontrate, si potevano creare dei clienti classici, che solo alla fine si trasformavano in amici, oppure l’intesa era immediata, in stile Neveux. È vero che François non ha mai separato il lavoro dall’amicizia, i vasi hanno sempre comunicato da un mondo all’altro nella generale allegria. All’epoca del franchismo “trionfante”, la fabbricazione della plastica era vietata alle piccole società spagnole. Un piccolo numero d’imprese si spartiva il monopolio. Yves aveva conosciuto François tramite un amico comune; quest’ultimo gli aveva dato un unico suggerimento: «In materia di bonifica va a trovare Neveux!». François aveva sempre sognato la Spagna. Perché non stabilire un nuovo mercato laggiù? 12 Pasto

comunitario arabo, a base di montone allo spiedo.

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Alla fine del 1970, contattato François, Yves trovò il procedimento “roto” eccezionale: desiderava ottenere la licenza del brevetto Neveux per rotostampare, creare e vendere i suoi prodotti per la depurazione delle acque, specialmente delle vasche biologiche e dei pozzi neri. Il problema era la materia prima. Come ottenerla? François ebbe un’idea fruttuosa. «Si potrebbe fare così: tu importi le mie vasche e le rivendi in Spagna. Fin qui tutto regolare. Ma le mie vasche, ecco l’idea, te le farò blu, c’è da guadagnarci». François spedì da Agen verso la Spagna camion carichi di magnifiche vasche da mille a duemila litri, ma tutte le vasche erano piene... di quel magico polietilene. Con una vasca importata, in realtà Yves poteva farne cinque di nuove. Yves doveva a François delle royalties per lo sfruttamento del suo procedimento, ma egli sentiva anche il grande desiderio di François “di attivare il denaro per gli altri”. François gli diceva infatti: «Quel denaro sarà speso prima di arrivare ad Agen. Conosco la famiglia X...». Quella collaborazione franco-spagnola fece diventare Yves e François due fratelli. Yves sapeva che se fosse stato pizzicato avrebbe dovuto chiudere l’azienda immediatamente, ma curiosamente, a contatto con François, le sue paure furono spazzate via da un nuovo ottimismo. Si mise a correre e a rischiare. Fu il preludio a più di 35 anni di amicizia e di business!

«Se vuoi essere felice, comincia a rendere felici gli altri» «Se vuoi essere felice, comincia a rendere felici gli altri!»: un motto che François si era inventato fin dall’infanzia. Suo padre, quando era un piccolo proprietario viticolo – certamente squattrinato, ma inserito nella società – frequentava persone di buona famiglia della regione di Bordeaux, ma il 46

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figlio François, invece di restare nella bella casa di campagna, preferiva passare il suo tempo dai fittavoli, i bordiers, come chiamano nel Médoc i dipendenti che aiutano il proprietario nei lavori della tenuta. A François piacevano le persone di condizioni modeste, la gente semplice; si teneva a distanza dalla gente chic frequentata dai suoi genitori e, tra i cocktail e i balli popolari, François preferiva sempre i secondi. Durante la vendemmia François andava in cerca dei lavoratori stagionali, ma anche dei vagabondi o dei barboni, interpellato dalla loro preoccupazione assillante di guadagnarsi da vivere, a ogni costo. Adolescente, ai tempi del liceo, François aveva incontrato un barbone, un clochard, che si chiamava Jean-Claude: da una prima discussione ne scaturì un’altra e, poco a poco, si intrecciarono dei legami. François lo trovava simpatico, ma un giorno Jean-Claude lo sfidò: «Tu discuti con me perché nessuno ti vede, ma prova a immaginare che io venga a trovarti al parlatorio della tua scuola: faresti finta di non conoscermi!». «Scommettiamo?». Poco tempo dopo il barbone si presentò al parlatorio del liceo Montaigne a Bordeaux. I sorveglianti guardarono François in modo strano, ma lui non prestò loro attenzione per continuare la discussione iniziata per strada alcuni giorni prima. Lasciando il parlatorio Jean-Claude gli gridò: «Hai parlato con me, qui nel tuo bel liceo, il che mi ha fatto maledettamente piacere. Mi hai ricevuto come un principe! E dire che credevo che non avresti mantenuto la parola!». Ma Jean-Claude non sapeva che François usciva arricchito da questi legami, in cui la sincerità era reciproca. Quell’incontro fece scattare un clic: François ebbe la persuasione di poter fare qualcosa con e per tutti quelli che la vita gli dava occasione d’incontrare. Con Françoise aveva vissuto l’America ed entrambi avevano dei sogni. Françoise aveva sempre la preoccupazione del 47

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Terzo Mondo, quello al di là dei mari, per François era la gente che incontrava a interessarlo, nel continuo “qui e ora”. Da quando era diventato un “padrone” non si era conformato ad alcuno stile particolare per dirigere i suoi dipendenti: l’istinto era il suo miglior consigliere. Ma bisogna essere ciechi per non vedere attorno a sé tutti i “malmenati” dalla vita e gli esclusi: come fare per ridare gioia a quelli che hanno vissuto nell’emarginazione o nella delinquenza? Fin dall’infanzia un sogno ricorrente si impossessava di lui, sempre lo stesso film, con forme più o meno simili… François passeggia felice, libero, incontra un uomo ferito dalla vita, arrivato alla fine, e quest’uomo diventa suo fratello perché François lo immerge subito nella felicità dandogli del denaro, andando a bere un bicchiere assieme, offrendogli un lavoro. A sua volta, anche François si sente immediatamente felice. È quello che François chiamava il sogno del “benefattore sveglio”, il programma che voleva realizzare, rivivere nella realtà. E infatti, quante volte François assunse in azienda individui provenienti da ogni dove, classificati come “casi umani”! Un giorno d’aprile del 1971, facendo benzina, François incrociò un uomo dall’aspetto miserabile, con un sacchetto di plastica in mano, che attendeva vicino a un distributore. François colse immediatamente il dramma di quest’uomo dal volto privo di espressione. Il tempo di fare il pieno e di andare a pagare e la decisione fu presa, quindi gli chiese a bruciapelo: «Dove vai?». «A Tolosa!». «Sei sicuro di andare a Tolosa? Ho l’impressione che tu sia alla ricerca di un lavoro!». «Sì, lo cerco!». «Ebbene, non cercare più: l’hai trovato, ti prendo per due mesi». Era un giovane italiano, al limite della disperazione. François lo portò in cantiere, il mattino dopo venne accolto da tutta la squadra come un fratello. Ma non era né la prima né l’ultima volta, e almeno per una trentina di situazioni simili mise in gioco la squadra, tanto che gli operai dicevano tra loro: «Guarda, oggi Neveux sta per disinnescare un ragazzo al plastico!». 48

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François aveva preso in affitto tre appartamentini per rimettere in sesto uomini in caduta libera: un tetto e un lavoro, per alcuni la soluzione era quella, e François cominciava a capire. Si resta spesso sorpresi delle capacità umane che si rivelano in modo del tutto imprevisto. Quanti ostacoli si possono superare con la forza della volontà! Un giorno, un grosso cliente gli chiese aiuto per suo cognato, Bernard, che non trovava lavoro a causa delle imprevedibili crisi epilettiche. Operaio in un cantiere con macchinari che potevano provocare stress, assumerlo voleva dire correre un notevole rischio. Ma François era sempre pronto a fare scommesse del genere. Propose a Bernard il taglio degli scarti di plastica, poi gli affidò una catena di macinazione. Bernard, contento di essere responsabile di un posto dove era necessaria una grande serietà, poco a poco recuperò le forze, anche se rimaneva fragile. Verso la fine della carriera, si vide affidare macchine sempre più perfezionate che necessitavano di molto sangue freddo! Anche se tutti conoscevano il suo handicap, nessuno lo considerava “diverso”. Bernard non cessò mai di progredire e, cosa più stupefacente, rimase trentacinque anni a servizio degli Stabilimenti Neveux. Da molto tempo François era tormentato da un progetto che lo prendeva intensamente, un progetto che molti definivano utopistico, ma pur nello scetticismo generale era più che mai determinato a realizzarlo: creare un rifugio per fratelli, un isolotto di uomini solidali, ed eliminare il Terzo Mondo vicino, quello tenace intorno a lui, poiché i poveri non bisognava viaggiare tanto per trovarli. Lo sognava già, in un luogo magnifico individuato per sperimentare un nuovo modo di vivere: era il sogno del benefattore sveglio che lo attanagliava e doveva essere realizzato. Ma non era ancora tempo: proprio quando era sul punto di lanciarsi in quella avventura straordinaria, un avvenimento decisivo ne avrebbe rinviato la realizzazione. 49

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Il sole e la morte non possono essere fissati a lungo Estate del 1972. Vacanze a Tarragona, a sud di Barcellona: un colpo di sole. François ricorda: Forse sono rimasto a lungo in spiaggia, troppo a lungo. Il sole picchiava forte. Ho bevuto del rosé, come al solito, né più né meno. Il di più è stato il sole. Devo rientrare subito a casa. La casa, un appartamento in affitto, situato dall’altra parte della spiaggia. Attraverso la strada come in assenza di gravità, respiro in modo strano, comincio a rantolare. Un’auto frena bruscamente, il guidatore si asciuga la fronte e mi insulta in spagnolo, la sua paura si trasforma in ira. È lui che ha avuto lo spavento maggiore. Non capisco nulla, cammino a fatica. Il sole ha distrutto tutto nella mia testa; non sono nulla in quel momento. Come sono arrivato vivo nell’appartamento? Sono disteso e so solo che sto per morire, tra poco. Brandelli di vita sfilano nella mia scatola di ricordi e il mio pensiero accelera disordinatamente. Non ho fatto nulla nella mia vita: François Neveux uguale deserto. È come un dato matematico. In quel momento una specie di cronometro invisibile scatta e ogni secondo mi avvicina allo zero finale. Vedo il viso di Françoise chinato sul mio e capisco rapidamente che la fine è vicina. François uguale deserto. Cosa resterà della mia vita? Françoise reagisce immediatamente, inizia un energico massaggio cardiaco. La lascio fare e comincio a farle la mia confessione. Parole sconnesse, frasi incompiute che lei completa da sola. «Non chiamare nessuno, continua a massaggiare», le dico. So che Françoise ha “la fede”, ma in fondo non ho mai veramente saputo ciò che per lei era sottinteso. Non ho mai fatto domande, era affare suo. In otto anni di matrimonio Françoise è stata la discrezione in persona e, alla fin fine, mi andava bene così, non volevo saperne troppo. 50

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Françoise mi guarda intensamente. In quel momento non ha la tentazione di “recuperarmi” per portarmi a lei. Silenzio. La sento proprio vicina a me e la sento libera. «Massaggia e ascoltami», le dico. Lei vuole cercare aiuto, chiamare un’ambulanza; io rifiuto. Voglio parlare subito, non si può aspettare. Le rivelo tutta la parte oscura della mia vita. Il cronometro corre, mi avvicino allo zero, sicuramente. Sento un grido in me: Dio, se esisti, lasciami una possibilità! Nel silenzio Françoise continua a massaggiare il mio cuore più che mai. Si è forse messa a pregare interiormente? Mi sorride e mi incoraggia a parlare. Un secondo grido a Dio mi fa lasciar andare i miei attaccamenti, ciò che chiamavo con familiarità i miei piccoli vizi e che minimizzavo perché è bene avere certi accomodamenti. Françoise non dice nulla. Diventa il nulla al mio fianco. Tra lei e me, l’Eternità: Françoise, l’Amore! Un terzo grido a Dio e abbandono tutto! Vivrò per Lui se... Se esisti, dammi la mia possibilità! Françoise è sfinita, mi rendo conto che comincia a farsi giorno. Ha finito di obbedirmi e quindi chiama il pronto intervento. Mi ha massaggiato per tutta la notte. All’ospedale mi dicono che l’insolazione è stata forte e che l’aorta si è “bloccata” a più riprese... almeno da quello che ho potuto capire dalle spiegazioni in spagnolo. Dopo qualche giorno di cure intensive, me la sono cavata. Restano però i tre gridi nella notte del 9 giugno 1972, come sassi sonori, lanciati ma a chi? Al Dio di Françoise? Quella notte è stata la notte dell’oscurità vinta da un altro sole. Mi ero avvicinato di molto al mio nulla, al mio zero interiore, come quello del cronometro implacabile ma, curiosamente, sentivo che si era rimesso in moto per un’altra corsa. 51

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«Il sole e la morte non possono essere fissati a lungo» 13. Questa famosa massima avrebbe ormai echeggiato in modo particolare per François: non riassumeva forse così appropriatamente quel faccia a faccia decisivo con se stesso che, al di là del sole o della morte, era il più difficile da realizzare?

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Lacrime che cambiano una vita Fino ad allora Dio, per François, era una brava persona alla quale rendere visita, ogni tanto, di domenica. Era anche il suo modo di essere in sintonia con Françoise. Ritornato in Francia, François volle parlare con un prete per saperne di più su quella notte a Tarragona e su tutte le notti interiori. Conosceva un po’ don Caufield, un sacerdote irlandese che viveva non lontano da casa sua, ma non aveva mai cercato di incontrarlo. Tuttavia padre Caufield gli era sempre apparso come un personaggio fuori dal comune, una specie di gentleman di chiesa, pieno di benevolenza verso tutti, con la prioritaria passione per le cose umane. In pochi istanti François tirò fuori tutto: la sua vita, le lotte contro se stesso, i disordini, le tenebre, tutto ciò che non si osa mai sussurrare a nessuno. Padre Caufield ascoltò senza dir nulla, fu solo sguardo, uno sguardo colmo di un’estrema bontà. E improvvisamente il viso del padre si inondò di lacrime. Fu come uno schiaffo per François: un prete piangeva davanti a lui... Senza una parola François capì che quelle lacrime parlavano al suo cuore, e più le lacrime sgorgavano più François si sentiva prezioso, unico, accettato come era. François descrisse così questa sorprendente inversione: «Era lui che piangeva per me! Era lui che in qualche modo as13

François de La Rochefoucauld, Massime, 1664, massima XXVI [N.d.A.].

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sumeva la mia miseria! Era lui che mi voleva santo! Mentre il Santo ce l’avevo di fronte a me!».

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Lettura e rilettura Ormai due libri non lasciarono più François: il “manuale Imhoff” e la Bibbia. Tutte le sere François aveva appuntamento con l’affidabile trattato sulla depurazione delle acque di Karl Imhoff e tutte le sere egli apriva il nuovo libro, quello che definiva “l’odissea umana”. Col susseguirsi delle pagine, i racconti biblici lo facevano navigare tra il meraviglioso, il fantastico, l’avventura, la poesia, lo spionaggio, i racconti di viaggio. Scopriva i temperamenti perversi, furbi, crudeli, pazzi, ma anche i cuori retti, giusti, generosi... e tutto aveva un significato. Alcuni brani, che conosceva attraverso un’educazione cristiana “di base”, si spolveravano da soli, senza morale o giudizio, ma con una grande libertà. Un brano provocò la sua reazione: il Discorso della montagna. Leggendo le Beatitudini capì perché Gandhi fu toccato da quel messaggio. Il Mahatma non diceva forse che era il testo per eccellenza che riassumeva il cristianesimo? Le Beatitudini sono lì come un programma di vita per ciascuno. Questi inviti, queste consolazioni, queste frasi di speranza universali, «Beati!», e poi, come un flash, aveva appena letto una frase che parlava solo di Françoise: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio!». Esisteva anche per lui una beatitudine? François ne era un po’ preoccupato. Nei sei mesi seguenti fu più una rilettura della sua vita che si impose tramite questi due libri, e si diceva: «Bonifica, bonifica, la più importante è ben quella del cuore».

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2. La parte per l’altro

Una società senza utopie è una società passiva, non ancora realmente umana.

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(Albert Jacquard, Piccola filosofia ad uso dei non-filosofi)

Uno, due, poi cento... Vivere con un sole permanente. Essere illuminato e irradiare. Ormai François aveva in testa una sola ossessione: realizzare tutti i suoi sogni di una società migliore. Vivere in altro modo il lavoro, fare impresa con gente diversa. Nel 1973, in seguito alla crisi petrolifera, cominciavano a vedersi i primi danni della disoccupazione. Che fare contro il nemico numero uno? François capì che doveva diversificare le sue attività. Allora il sogno del benefattore sveglio ritornò prepotentemente: aprire le valvole della speranza per far indietreggiare la miseria! François voleva attraversare i muri dell’indifferenza e ridipingere tutto di blu, per gli emarginati dalla vita. È vero che fino ad allora François aveva sempre camminato nella vita professionale con due gambe: l’invenzione e il sociale. Aveva la fortuna di avere i soldi, non gli restava che lanciarsi in una nuova sfida: “attivare il suo denaro per gli altri”, di nuovo. E soprattutto non perdersi in congetture. François aveva da poco capito quanto ci fosse da ricevere dall’Alto, le letture serali continuavano a meravigliarlo. Una di esse concerneva il significato dell’antica parola ebraica tradotta con “consacrazione”, ma il significato letterale gli appariva più 54

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illuminante: “riempire le mani”. Era questa l’idea! François aveva cominciato aprendo le sue. Da qualche anno François cercava il luogo del suo sogno ricorrente. In cantiere una persona gli parlava spesso di un villaggio che si andava spopolando: Beauville, ad appena una trentina di chilometri da Agen. Un paesino circondato da strette valli e da foreste, il cui paesaggio era formato solo da curve impreviste. In fondo a due valli, una vicino all’altra, François intuiva che si sarebbe potuto creare un grande lago, e attorno al lago uno spazio per il tempo libero, con altri prolungamenti più importanti, come uno spazio di vita originale, un grande cantiere di lavoro. Tutto da inventare, tutto da creare, ogni idea è una responsabilità! si ripeteva François. Prima bisognava essere sicuri del luogo. François si recò per primo dal signor Dondet, proprietario di cento ettari, contadino nell’animo; tra lui e François l’intesa c’era naturalmente. François osò chiedergli: «Farebbe un lago nelle valli?». «Senz’altro, quando si vedono le piante che crescono, ci dev’essere una sorgente». Dondet aveva lanciato l’informazione essenziale. Era ora necessario consultare anche il signor Mourgues, un altro contadino vicino, anche lui contadino nell’animo. Lo informò che le due valli erano in realtà una “testa di vallata” e finì il suo colloquio condividendo un bicchiere di vino rosso e con la stessa informazione: «La testa della vallata», basta guardare la flora che vi sboccia e si capisce tutto. Bisogna appunto cercare la sorgente, o le sorgenti... François prese subito appuntamento con il sindaco di Beauville. Era un nobile eletto sotto l’etichetta della destra moderata ed era disperato perché il villaggio, svuotato della popolazione attiva, contava ormai solo duecento anime. Il villaggio stava per diventare una frazioncina, esangue, senza i suoi giovani. Senza saperlo, François arrivava giusto in tempo: gli espose il progetto e un quarto d’ora dopo il sindaco era convinto. Ma per François tutto doveva sempre andare molto in fretta. La riuscita dei progetti dipende dalla concatenazione 55

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delle informazioni e delle decisioni, che devono essere come frecce scoccate quasi simultaneamente per arrivare allo stesso bersaglio. Seduta stante, corsa dal notaio, che era comunista. François ripeté le sue intenzioni con lo stesso linguaggio e il notaio al settimo cielo si dichiarò completamente favorevole alla causa. Da allora, il sindaco e il notaio – malgrado le divergenze politiche – si dettero da fare affinché quell’«utopia necessaria», come la chiamarono, si realizzasse. François sentiva che cominciavano a sognare in parecchi, era un buon segno. Il prefetto, con il quale François ebbe un colloquio, capì perfettamente le sue intenzioni, lo incoraggiò vivamente, felice che nella regione si osasse inventare qualcosa di originale. Il sogno si ampliava. Bramuche, il delegato della cellula comunista locale, diffidente, andò per le spicce: «Non ti sopporto come padrone, ma ti voglio bene come François!». Lui e François continuarono a bere l’aperitivo insieme. Non parlavano dei loro “calli ai piedi” e così, progressivamente, il progetto sociale diventò il sogno di tutti. Allora François acquisì da dodici proprietari dei terreni magnifici, quelli delle valli e dintorni. Sentiva di essere vicino al traguardo, ma al momento in cui aveva riunito quasi tutti gli appezzamenti, emerse un punto nero: il signor Lacombe, il tredicesimo proprietario, non voleva vendere. Possedeva 17 ettari, ma più François gli spiegava il progetto, più Lacombe era inflessibile, pensava che François mentisse e che tutte le promesse servissero solo a rabbonire la gente. Un giorno attese François al varco: « Neveux, se non fai quel che tu dici di fare prendo il fucile e ti impallino!». E François rispose tranquillo: «Ti compero io le cartucce e la prima sarà per me!». Fu allora che Lacombe decise di firmare. François aveva un patrimonio fantastico di 25 ettari per far sorgere un piccolo paradiso. 56

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Le società Neveux giravano bene. Nulla impediva a François di tentare un nuovo stile d’impresa, quello veramente “diverso”, a immagine del benefattore sveglio... E il sogno si avverò. Non si poteva creare un solo lago, ma due laghetti contigui. L’idea di François era di far sorgere in quel sito eccezionale un super-centro del tempo libero, di vita e di lavoro. Un lavoro riservato a quelli che ben conosceva, quelli che finora si erano trovati sul ciglio della strada, che nessuno voleva, a tutta la schiera degli esclusi, degli emarginati, dei portatori di handicap, ma anche a barboni, ex carcerati e contadini senza lavoro. Accogliere tutti: persone sole e famiglie. Nel villaggio di Beauville François aveva individuato delle case abbandonate, ce n’erano quattordici. François le acquistò tutte e le rinnovò, a sue spese, poi acquisì un terreno che donò al comune per costruirvi degli alloggi popolari. Trovarono così sistemazione una trentina di famiglie, senza contare una decina di irriducibili “solitari”. Estate del 1974, sotto un cielo indaco. François, entusiasta, pensa che Beauville sia diventata un cantiere di fratelli! Una sola persona, un notabile del villaggio, resta dubbioso. «Mi rovini l’immagine – aveva detto a François –, Beauville diventerà un villaggio-ospedale!». Ma François ribatté che Beauville era per tutti, a somiglianza della vita. Il notaio e il sindaco incoraggiarono François a comprare il castello di Beauville, che con un buon restauro sarebbe diventato il simbolo del villaggio. François lo acquisì, non per lui, ma per coloro che volevano assecondarlo in questa impresa un po’ folle. Inutile dire che François impiegò tutto il suo patrimonio per questa avventura, ma da parte sua anche Françoise era esultante: il suo sogno di aiutare il Terzo Mondo cominciava a Beauville. I coniugi Neveux erano considerati una coppia abbastanza originale, atipica, per le loro priorità. La 57

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vera ricchezza non è la casa, essa non vale niente se non c’è il lavoro. Restava la delicata questione di quale impresa mettere in piedi. La sfida era quella di recuperare, attraverso il lavoro, tutti quelli che erano partiti nella vita con le gomme a terra. François aveva già contattato l’amico Jeannot, il compagno di sempre, un ex del Politecnico di Marsiglia. L’avventura sarebbe continuata ancora. François pensava che con Jeannot non sarebbe stato più solo. In due, e con un’équipe solida che aveva in testa di formare, François era sicuro di poter far vivere quella trentina di famiglie, e anche i solitari... il che faceva un centinaio di persone in tutto. Perché Jeannot accettò? Perché era “impostato” su prospettive sicure, e lasciò tutto: casa, regione, amici; dall’Alsazia non portò via nulla, per ricostruire tutto ad Agen. Senz’altro corse il rischio vedendo la fiducia di sua moglie Eliane nel tentare quel “saggio progetto” nel quale poteva dare il meglio di se stesso. Restava da trovare l’uomo-risorsa, il gestionale sicuro. François incontrò Jacques, un uomo della vecchia scuola: integro, consigliere, controllore degli eccessi di François, un saggio. Era spesso sbalordito dalle azioni di François, ma sempre leale nei suoi confronti, volendo costruire le cose armoniosamente, rispettando il modo di pensare di François. Fu alloggiato al castello di Beauville. Era responsabile di molte persone. René, giovane di Tolosa recatosi in Libano per raggiungere la sorella, aveva poi lasciato il Paese in guerra. Ritornato in Francia, prima aveva terminato gli studi universitari e poi si era messo alla ricerca di un lavoro. Fu presto messo in contatto con la rete Neveux. François vedeva in lui un uomo solido e pronto a credere nella loro avventura: gli propose di occuparsi della produzione, ma in realtà lo assunse per essere una specie di “assistente sociale” all’interno dell’équipe e fare da trait d’union tra gli Stabilimenti Neveux e la nuova impresa. René era perfetta58

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mente d’accordo su questa doppia funzione: il lavoro e l’attenzione verso i membri di questa società originale composta da uomini spesso in rotta. René parlava poco, ma sapeva ascoltare: sarebbe stato prezioso per quelli che la vita non aveva ancora ascoltato. La sua forza era quella di non giudicare nessuno. Robert invece venne dal Nord. Ingegnere elettrotecnico, era pronto a lavorare anche se non si utilizzavano direttamente tutte le sue competenze, perché l’utopia del lago lo entusiasmava: giovane e pieno di voglia di smarcarsi da un modello d’impresa rivolta unicamente al profitto, con i padroni da una parte e i salariati dall’altra, sognava un’azienda in cui “tutti fossero fratelli e la gestione fosse trasparente”. Voleva inventare nuove relazioni umane con tutti i componenti dell’impresa, e diventò capofabbrica. François cercava in ogni modo di edificare la fraternità con tutti: si era tirato su da solo, poi Jeannot l’aveva raggiunto, ora un centinaio di persone stavano per mettersi in cammino con loro.

Lavoro sostenibile François voleva dunque costruire per tutta quella gente una bellissima azienda di cui essere fieri: oggetti di lusso per il tempo libero, ecco l’idea. Per questa nuova società che stava per creare, François voleva produrre articoli diversi da quelli degli Stabilimenti Neveux e della SEPN. Da qualche tempo si divertiva a disegnare barche, kayak e windsurf. La plastica non mancava, bastava ideare gli stampi e rotostampare parecchi modelli di vari colori e dimensioni. Tutte le apparecchiature sarebbero state fabbricate sul luogo stesso del complesso di Beauville, il tempo libero legato alla nautica si sarebbe sviluppato prima o poi sul lago. Il villaggio sarebbe rinato e la gente avrebbe camminato ancora sulla strada della speranza. 59

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Quanto più si dà, tanto più si riceve: François cominciava a sperimentarlo sempre più. Ma come mostrare questa idea anche nel nome della società? François aveva molte parole in testa, fu Françoise a veder giusto. A François piacevano le sue folgorazioni, non era forse lei a dire: «Abbandonare tutto e ricevere per ridare»? Il Centuplo era nato! Il Centuplo era per tutti! E fu Françoise che trovò il nome! Una sua amica, di passaggio dai Neveux, era perplessa: «Ma perché questo nome?». «Perché ciascuno ha abbandonato tutto venendo a Beauville, un po’ come Pietro al quale Cristo promette il centuplo, se lascia sorelle, fratelli, padre, madre, casa... Sì, se si possiede questo atteggiamento interiore di staccarsi, si può senz’altro ricevere», rispose tranquilla Françoise. Da parte sua François era contento della formula: «Du travail à loisir et des loisirs qui offrent du travail, enfin!» 14. Ciò nondimeno, bisognava essere solidi, perché quella impresa era singolare, quasi unica...

È solo questione di sguardi 15 Che fare quando chi viene accolto è molto diverso dagli altri? Al Centuplo, una delle prime persone che venne a bussare alla porta di François fu André e arrivò in sedia a rotelle. Lui sulla sua sedia e François con le sue gambe, ma “La sua vita vale quanto la mia!”, pensò subito François. 14

Gioco di parole basato sui significati delle parole à loisir (a proprio agio, senza fretta) e loisirs (svaghi durante il tempo libero); la frase potrebbe quindi tradursi: «Lavoro comodo (non stressante) e comodità (passatempi) che offrono lavoro». 15 Regard in francese ha due significati: “sguardo”, ma anche “pozzetto d’ispezione” di acquedotto o di vasca biologica.

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André cercava solo una cosa: superare le sue difficoltà lavorando, ma senza essere assistito, per vivere con dignità a fianco di Henriette. Era agricoltore e un incidente col trattore gli aveva rotto la colonna vertebrale. François aveva incominciato a mettere a posto gli appartamenti al pianterreno e André poteva scegliere. Il problema era il lavoro! Con André, François era quasi in un vicolo cieco. Come avrebbe potuto essere utile un portatore di handicap in un laboratorio dove, evidentemente, occorreva gente forte per caricare, manipolare, trasportare? Toccava a François, al padrone, avere buone idee, idee giuste per ciascuno. Il resto era conseguente. Da qualche tempo c’era richiesta di pozzetti d’ispezione per le fosse biologiche. Perché non realizzarli in plastica? Benché il mercato fosse calmo, c’era una certa domanda. Una notte François si mise a disegnare dei pozzetti diversi: dei pozzetti a quattro buchi. Fino ad allora non si facevano che a due buchi. Poi François installò il laboratorio di André a trecento metri dal suo appartamento. Nessun dislivello di terreno per accedervi, erano condizioni ideali per lui. Il laboratorio nacque vicino al castello, in una stanza abbastanza oscura che assomigliava a una dépendance di un monastero più che a un cantiere industriale. Quando andava a lavorare, André diceva di andare “al confessionale”, e André di humour ne aveva proprio bisogno. Ma il fatto curioso è che la vendita di quei famosi pozzetti fu un successo inatteso. Si adattavano perfettamente alle richieste dei cantieri, poiché derivavano le acque reflue da smaltire in modo veramente efficace. Tutti ne volevano, tanto il procedimento era efficace. E di pozzetti a quattro buchi André arrivò a produrne fino a sessanta al giorno! Gliene aveva modellato uno su misura, ora François ne ricevette “il centuplo”. Una fedeltà senza incrinature che sarebbe stata sempre testimoniata da André. 61

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Rimbalzi

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Henriette, la moglie di André, era una donna affabile e devota. Le fu subito proposto un lavoro per vendere i prodotti al negozio del Centuplo. E Joelle, Joelle Lacombe... Che sorpresa per il signor Lacombe vedere che sua moglie era stata contattata per gestire il piccolo bar dei laghi! Lacombe, detto l’irriducibile, non rimpianse mai di aver venduto il suo terreno. Cominciava a prendere atto che nessuno era stato messo in disparte; anche Joelle era felice e come un fiore sbocciato rendeva più bello l’ambiente del lago.

Debosciati ma occupati Una domenica piovosa. Un’ombra ai bordi della strada tendeva il pollice per andare da qualche parte, un solo sguardo tra Françoise e François: si erano capiti. Pioveva, non si poteva lasciar lì l’ombra. I coniugi Neveux rientravano da una visita in Gironda, dove abitavano i genitori di François. L’ombra era un uomo... e non sembrava tanto forte. Sulla cinquantina e una salute precaria. Alcune battute in auto e arrivò il momento di lasciarlo. «Passa a trovarmi lunedì, ti darò del lavoro». Il giorno dopo, infatti, era in cantiere, ma François non era sorpreso, sentiva che l’uomo aveva toccato il fondo. Volendo portarlo in fabbrica, François guardò le sue scarpe e fece subito dietro front: piedi nudi in scarpe bucate, non era presentabile. Rapida telefonata a Françoise perché venisse a prenderlo, per un acquisto urgente di scarpe! La sera stessa François si rese conto di quanto tutto ciò era costato a Françoise. Nel negozio aveva sentito un disagio crescente, un silenzio colpevole, vedendo i piedi sozzi dell’uomo, si era vergognata davanti alla commessa. Sapeva però che era 62

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sciocco, conoscendo a memoria quel problema d’immagine! Occorreva andare alla ricerca di calzini e tentare l’acquisto altrove; passando da un negozio all’altro, si sentì finalmente libera. L’ombra si chiamava Jean. Fu il primo vagabondo integrato non agli Stabilimenti Neveux, ma al Centuplo. Visse a Beauville, non lontano dal castello e dalla spiaggia del villaggio. A volte era un po’ pazzo e Jacques, il manager “vicino agli altri”, gli dava dei farmaci quando era preso da profonde crisi di disperazione. Ma Jean riuscì a resistere dieci anni al lavoro e poi, arrivato alla sessantina con grossi problemi di salute, ritornò in Vandea, per “riconoscere” ciò che gli restava della famiglia. Poi, poco tempo dopo, fu la volta di Kléber. Kléber, ex carcerato – vent’anni al fresco – raccomandato da Elga, responsabile in una comunità sociale. Conoscendo il progetto di François, voleva mandargli “il bebè”, ormai sommerso dai suoi problemi. Elga insistette al telefono: «François, fallo lavorare!». Nessun curriculum vitae, logicamente! Era capitato bene, dal momento che François non aveva alcuna teoria nell’assumere i lavoratori. Avrebbe potuto chiederle se il bimbo preferiva la carne rossa o quella bianca, tanto per farsi un’idea sul tipo, perché no? Per François era una modalità di indagine certamente più sicura della statistica. Infine, fiutando l’affare, domandò semplicemente: «È forse dedito al bere?». La risposta non tardò; un breve silenzio gli confermò ciò che sapeva già. Tuttavia decise di andare a trovare il Kléber in questione. Gli bastarono alcuni attimi per sapere che carburava con il rosso. In auto, decise di prenderlo “frontalmente”. Prima un lungo silenzio tra loro, si studiavano, poi François passò all’attacco: «Cominci a lavorare domani, a condizione che tu non beva più». Kléber gli chiese subito di fermare l’auto. Aprì la portiera, tirò fuori la bottiglia dalla tasca e la ruppe sulla strada. «È finita, ho chiuso!». Era un po’ commediante, ma non lo faceva per dispiacere a François. Non si sa mai se si fa la scelta giusta, né se du63

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rerà. François aveva rischiato. Ma è anche vero che aveva messo Kléber sotto sorveglianza. D’accordo con Françoise, lo ospitò da loro e quindi era tenuto d’occhio. Ora bisognava risolvere il problema urgente del lavoro. François aveva capito che Kléber non riusciva a stare fermo, ma nello stesso tempo aveva una voglia matta di rendersi utile. Allora François acquistò un camioncino; Kléber era molto fiero: stava per accedere al grado di “chauffeur”, assicurando i collegamenti tra gli Stabilimenti Neveux e Il Centuplo. Trenta chilometri separavano le due aziende. Le strade erano piene di curve pericolose, ma ciò non impedì a Kléber di mettersi a cantare e a sussurrare, durante il tragitto, le poesie che aveva composto, gustando la libertà. I coniugi Neveux tennero in casa Kléber per un anno, all’interno della loro vita familiare già ben occupata dai due piccoli figli, Pierre e Jean, detto Nanò. Con la lunga barba in disordine, i bambini credevano di vedere in lui un nonno d’altri tempi. Poi, dopo aver provato ad abitare da solo in un appartamento affittatogli da François e dopo una storia d’amore un po’ patetica, Kléber si sentì pronto per il grande salto: voleva “sistemarsi”, ma come voleva lui, non come la gente normale in un appartamentino. Gli sarebbe bastato un angolino tutto suo; fu una roulotte a renderlo felice. Chiese subito a François di poterla mettere di fronte al suo ufficio, l’ufficio del “boss”, sul terreno dell’impresa. François non capiva; si affrettò a trovargli un altro posto, un luogo di relax, stile “vacanze”. Kléber continuava a rifiutare, fino al giorno in cui si lasciò sfuggire: «No, al cantiere mi sento meno solo!». Per più di quindici anni i trasporti in camion si svolsero senza problemi. Era tornato acqua e sapone e il suo viso diventava bello. Spendeva poco e non aveva grandi pretese. François si chiedeva spesso cosa facesse del denaro. Un giorno Kléber ritornò trionfante. Una Mercedes con i copricerchi lucenti come ottoni lucidati fece sentire il delizioso rumore del suo motore 64

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nel cortile degli Stabilimenti Neveux! Kléber, radioso, si era fatto il suo primo regalo di Natale. Ora Kléber non c’è più. Accogliendolo a casa sua, Françoise lo aveva seguito nel suo percorso personale, tra di loro avevano condiviso un’intimità familiare: incoraggiamenti, ma anche raccomandazioni e perfino rimproveri. Françoise volle fare l’elogio di Kléber al suo funerale. Era un giovedì santo, a immagine della sua vita: la domenica di Pasqua si avvicinava per lui. Una decina di persone si era riunita nella chiesetta di Saint Pierre de Gaubert; era importante ricordarsi delle sue canzoni, delle sue poesie che regalava agli amici. Un gruppetto di uomini e donne si sorridevano: Kléber era riuscito a radunare la sua nuova famiglia. E forse oggi continua a vegliare su di loro! Tra l’altro, Kléber aveva portato in cantiere Lucien, che aveva incontrato per strada, forse in uno dei tanti viaggi tra Agen e Beauville. Lucien aveva un percorso di vita un po’ simile al suo compagno. Era il tempo in cui le bottiglie in vendita avevano il collo circondato da stelle che indicavano la qualità. «Le stelle, le ascolto ogni sera e le venero!». Era il suo modo di far poesia. Ma avrebbe conosciuto anche la poesia della plastica, se avesse avuto voglia di lavorare, come François gli proponeva, evidentemente sempre alle stesse condizioni. A contatto con François, Lucien trovò desiderio di sobrietà e diventò operaio. Addetto alla “ghigliottina”, tagliava la plastica riciclata; poi introduceva i pezzetti nel granulatore per fare la polvere di plastica. Ciò richiedeva molta serietà e precisione. Lucien era contento, la busta paga arrivava tutti i mesi. Si era messo da parte un bel gruzzolo, avendo in testa un’idea: prendere moglie! Gli occorreva solo un piccolo supplemento d’animo per aiutarlo a trovarla. François conosceva un centro di accoglienza: un’oasi di pace per quelli che la vita aveva maltrattato, persone dai diversi orizzonti, dalle storie complesse, dai destini tortuosi. François vi 65

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aveva già conosciuto Ginette, una ragazza simpatica con una grande voglia di andaersene. Lui aveva una sua idea... Parlando di Lucien con la direttrice del centro, lei intuì il progetto di François su quel cuore in attesa e sulla sua Ginette, un cuore pronto ad essere accolto. Cosa avvenne? François incontrò Ginette e, al vederla, rischiò il tutto per tutto. Ginette accettò di incontrare Lucien, per vedere se... Una storia d’amore! François ne fu commosso testimone. L’avventura di Lucien con la sua Ginette durò parecchi anni, senza ombre e senza tempeste. Sempre una sobrietà esemplare; fino al giorno in cui Lucien si rimise a bere. Ginette andò a trovare François il giorno stesso, accompagnata dai suoi due figlioli. Era terrorizzata, sentiva che l’alcol avrebbe fatto di Lucien un mostro di violenza, il suo istinto non la ingannava. Immediatamente, François decise di accompagnarla in albergo, con i figli, ma fuori città, per tenere Lucien a distanza. Lì sarebbe stata tranquilla. In seguito, Lucien avrebbe cercato dappertutto Ginette; era questo lo scopo: metterlo di fronte a se stesso. Poi arrivò il momento in cui Lucien iniziò a fare domande in giro: la gente, imbarazzata, abbassava gli occhi. Capì subito tutto. La sera dopo aspettò François, pronto ad aggredirlo. Ma François, furbo, giocò d’anticipo. «Tua moglie non vuole più vederti, e fa bene. Ritornerà quando avrai deciso di smetterla! Smet-ter-la. Un gesto e lei ritornerà; altrimenti continuo a nasconderla. Tanto peggio per te! Nessun regalo a chi alza il gomito». Eh sì, François era determinato di fronte alla collera. Lucien era in conflitto con la sua coscienza; ma François era deciso a non concedere nulla e avrebbe potuto lasciare nascosta Ginette per mesi se Lucien si fosse intestardito. Dopo qualche giorno Lucien ritornò, distrutto, giurò che... E durante i suoi ultimi dieci anni di lavoro Lucien non causò altri problemi: aveva imparato il rispetto. François non rivide più Ginette nel suo ufficio. In venticinque anni un solo incidente, e François lo aveva già dimentica66

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to. Essere padrone, per François, voleva dire andare fino in fondo con qualunque membro della sua équipe. Kléber, ai tempi felici delle consegne, aveva conosciuto una vagabonda, Sylvie, Sylvie l’Alverniate. Era caduta in miseria, quando l’aveva raccolta dalla strada. «Bisogna che te ne occupi», aveva supplicato François. «Operaia in cantiere?». Un breve colloquio e l’adesione era già nella lista degli appuntamenti. Sylvie accettò subito e fu assunta, ancora una volta senza curriculum vitae. Kléber aveva avuto fiuto, senza saperlo. Infatti, Sylvie avrebbe incrociato René, il tolosano, nei corridoi dell’impresa; e furono loro due a ricevere “il centuplo”; avevano scorrazzato sulle strade e al di là dei mari; tutti e due erano fuggiti via, da una storia difficile o da un Paese in guerra. Era ora importante fare dei progetti, insieme. Kléber si era preoccupato di Sylvie come qualcuno aveva fatto tempo prima con lui. Ma ciò che François poté verificare era che, una volta superati i problemi, gli ex utilizzavano la loro energia trovando delle soluzioni per gli altri, in attesa dei regali della vita. François ripensava a Philème, Dominique, Serge, Michel, Martine, Philippe, Désiré... poi a Serge e a Claude – «che abbiamo sposato», si compiacevano di dire i vecchi soddisfatti – e a molti altri ancora i cui nomi sono stati dimenticati, ma non il loro sorriso. Alcuni avevano vissuto per un periodo di tempo in seno alla famiglia di François, erano tutti emarginati, già aiutati dai servizi sociali, usciti di prigione, barboni, o disabili... al Centuplo sentivano subito l’ambiente favorevole: non erano più soli.

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Venti dell’Est Lo chiamavano “Canzone”. Veniva dalla Cambogia, cacciato dai khmer rossi; aveva lasciato un importante negozio ed era partito precipitosamente con sua moglie Nga e una bimba di due anni. La permanenza nella casa dei Neveux per due mesi fu una nuova vita per la famiglia arrivata, suo malgrado, in Francia. Canzone fu assunto come operaio, poi divenne caposquadra. Col passare degli anni, quattro figli nacquero in Francia. Una ventina d’anni dopo i cinque figli di Canzone e di Nga avrebbero fatto dei buoni studi e trovato lavoro. Che dire poi di Dhan, operaio e poi caposquadra come Canzone? Era fuggito dal Vietnam con sua moglie Cook, con altri tre boat people. La gente vedeva in Dhan un uomo tutto d’un pezzo. Per quanto riguarda i suoi tre compagni, François dette anche a loro la possibilità di lavorare. Dieci anni di vita a Beauville portarono Dhan e Cook ad aprire un loro ristorante che chiamarono Il Loto blu. Il loro sogno fu accolto con simpatia da tutta la clientela. Infine Tran, medico apprezzato in Asia, assunto come magazziniere al pronto soccorso in Francia, visto che non gli erano stati riconosciuti i diplomi in medicina. Qualche tempo dopo, François gli trovò un posto da infermiere per poterlo riallacciare alla medicina. Ma Tran volle restare “dal signor Neveux”: era il suo modo di ringraziare François per la sua accoglienza. E durò otto anni! Poi, col passare del tempo, la nostalgia della medicina si fece sentire, e Tran partì per la Germania per ottenere i titoli equivalenti, potendo in tal modo esercitare finalmente la sua professione. La loro calma e soprattutto la loro capacità di non lamentarsi mai sono state una forza inaudita: sono stati “centuplo” per molti altri.

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In quel periodo, sugli Stabilimenti Neveux, fermo immagine A Maurice, un operaio della prima ora degli Stabilimenti Neveux, piace ricordare il suo primo contatto con François, come pure la sua prima “esperienza”. «Quando sono stato assunto dalla Neveux (ex Bémaso) nel 1971 avrei dovuto ricevere la paga corrispondente allo SMIG (salario minimo interprofessionale garantito), cioè 615 franchi francesi dell’epoca. Non avevo qualifiche particolari, ma subito François Neveux mi offrì... mille franchi! Non credevo ai miei occhi. “Hai bisogno di cavartela, con lo SMIG sarebbe troppo difficile”. Era il suo modo di ribattere, era sobrio, non si aspettava ringraziamenti ipocriti, detestava i leccapiedi. Fin dall’inizio ho visto che con lui cambiavo tipo di padrone. Ho anche capito che in azienda si viveva in blocco e che la sua passione per l’invenzione era così intensa che andava fino al fondo del fondo delle cose. Al fondo del fondo! A proposito, un giorno, al tempo della fondazione di Beauville, poco tempo dopo la mia assunzione, il signor Neveux partì da solo per andare vicino ad Auch per caricare un autocarro pieno di... attenzione alla parola, di... escrementi. Sì, pieno di escrementi sul fondo. Li aveva recuperati per un esperimento. Noi, al cantiere, l’avevamo “sentito” arrivare in tutti i sensi della parola. Di fronte al suo ufficio, nel cortile, aveva installato un grosso impianto di depurazione, con una vasca da 20.000 litri! Poi versò gli escrementi nell’impianto e si eclissò in direzione dell’ufficio, ma quando ritornò ci fece paura. Era dentro uno scafandro, con il casco e un tubo. Ci dicevamo: “No, non può farlo!”. Ebbene sì, ci andò proprio, per vedere come gli effluenti reflui si sarebbero comportati nella vasca di depurazione. Da un lato i fanghi rientravano, poi un compressore mescolava il tutto. L’aria circolava facendo delle bolle e dei deflettori separavano i fanghi come potevano. Il signor Neveux aveva introdotto un colorante 69

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blu per vedere come i fanghi sarebbero stati trasformati in liquido acquoso. A un certo punto l’abbiamo completamente perso di vista; era letteralmente immerso, spuntava solo il tubo. “Però! Respira ancora”, dicevamo. Eravamo combattuti tra una certa paura, un grande disgusto e una grande risata. Poi uscì fuori. Aveva capito come collocare i deflettori, avendo studiato in una manciata di minuti come si comportavano l’acqua e i fanghi. Ora era in possesso della chiave per meglio separarli, in due uscite differenti. Con quell’alta acrobazia, gli Stabilimenti Neveux sarebbero stati al top della depurazione. Nessuno ne dubitava ed è quello che avvenne. François Neveux era infatti solito dire con malizia: “Ci vuole sempre una lunghezza di vantaggio!”. Alla fine dell’esperimento, dovemmo trattenerci per non ridere, ma al di là di tutto, i suoi atteggiamenti obbligavano al rispetto. Noi tutti, dall’operaio ai quadri dirigenti, abbiamo vissuto con lui tutte le sue invenzioni. Spesso arrivava, al mattino, con un disegno sul pacchetto di sigari e ci arrangiavamo così per la giornata... e ci siamo sempre arrivati. È proprio negli Stabilimenti Neveux che ho cominciato a vivere a fondo e non ho mai saputo cosa fosse vivere al rallentatore... Dalle pale eoliche sul tetto dello stabilimento per economizzare energia, fino al recupero della plastica, settore in cui fu il primo fin dal 1973! Negli escrementi ci è andato da solo, eppure credo che nessuno di noi si sarebbe tirato indietro nell’aiutarlo, perché eravamo sempre pronti a tutto!». Per Maurice, ma anche per l’insieme dei dipendenti, François ha voluto tener conto del “costo della vita”. Quel salario minimo cosiddetto “legale” permetteva solo la sopravvivenza, non certo la Vita. La parte per l’altro, era questa la preoccupazione costante per meglio ridistribuire la ricchezza! Negli Stabilimenti Neveux, come a Beauville, l’originalità di fondo era il modo con il quale François aveva legato ciascuno, dall’operaio al quadro dirigente, tramite le sue invenzioni. 70

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«Anna, sorella mia!» Françoise era veramente stanca: la casa dei Neveux era diventata quasi una famiglia d’accoglienza permanente, e più che l’accoglienza erano la disponibilità all’ascolto e gli atti concreti che erano necessari per quanti passavano dalla casa. Nell’estate del 1974 Françoise assunse una domestica per avere un po’ di sollievo nel vortice quotidiano; si chiamava Anna. Da dove veniva? Anna era stata adottata dalla Comunità “Charles de Foucauld”, vicina al villaggio dei Neveux. Ben presto la sua freschezza e il suo entusiasmo sedussero la famiglia. «Desidero tanto venire da voi domani, ma tra qualche giorno dovrò assentarmi per otto giorni. Saranno forse le mie uniche vacanze: devo andare ad Angers per un grande incontro con gente formidabile». Sentendo la necessità di quel viaggio, Françoise la lasciò libera. Di ritorno da Angers, Anna disse solo: «Quelle persone piacerebbero anche a voi, ne sono sicura; soprattutto a lei, Françoise». Françoise, avida di capire ciò che Anna aveva trovato “laggiù”, volle sapere. «Si tratta semplicemente di gente che mette in pratica ciò che dice e vive ciò in cui crede». Ma cosa significa credere per loro? Anna era stupita di quel comportamento pieno di attenzioni fatte di mille “piccole e grandi” cose che traducevano la bontà, la delicatezza e il tatto. François e Françoise erano colpiti dalla sua allegra semplicità. E Anna, una bambina adottata, nel trascorrere i giorni in casa Neveux vi trovò una seconda famiglia, tanto che François, sorridendo, le diceva: «Anna, sorella mia!».

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Allora sopraggiunse “la storia” François e Françoise volevano saperne di più su quanto Anna aveva vissuto ad Angers, ma con discrezione. Casualmente, fecero la conoscenza di due giovani, Patrice e Paul, che avevano anch’essi vissuto quel grande raduno ad Angers. «Hanno il fuoco!», si dissero i Neveux. Infatti, durante una messa animata da padre Caufield, questi si mise volontariamente in disparte per dare la parola ai due giovani quasi ventenni. All’uscita da messa, François e Françoise andarono a incontrarli. Arrivò allora “la storia”. Era evidente che a Patrice e a Paul piaceva raccontarla. «Durante la Seconda Guerra mondiale – iniziò Patrice – la città italiana di Trento divenne il bersaglio di attacchi aerei particolarmente devastanti, tanto che la città fu quasi distrutta. La popolazione era sotto choc, eppure alcune ragazze della città vissero quel periodo di guerra in modo molto differente dall’altra gente. Una di loro, Lia, aveva appena perso il fidanzato che non era più tornato dal fronte. Un’altra, Natalia, aveva perso la casa. Un’altra ancora, Chiara, desiderava a tutti i costi continuare i suoi studi di filosofia che corrispondevano alla sua ricerca di assoluto, ma era impossibile riprendere il percorso di studi universitari: i corsi non erano più regolari. D’altra parte, anche lei aveva avuto la casa completamente bombardata e la sua famiglia aveva dovuto fuggire in montagna, con un solo zaino come bagaglio. Chiara decise di restare in città. Scendeva nei rifugi, con le sue compagne, quando suonavano le sirene. Lì, si aprivano discussioni “a cuore aperto”! Queste ragazze si resero conto che avrebbero potuto morire in ogni momento. Che cosa sarebbe rimasto di quella loro vita che le bombe non avrebbero potuto distruggere? Tutte, prima o poi, avevano perso il loro “essenziale”, eppure una gioia entusiasmante le animava, un entusiasmo conta72

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gioso; sì, contagioso! Era allora possibile incontrare nei rifugi quella decina di ragazze, ritte in piedi in mezzo al dramma della guerra! Erano unite da un segreto. Sapendo che avrebbero potuto perdere la vita da un momento all’altro, volevano vivere ogni giornata come fosse l’ultima della loro vita». «La vita era sospesa – continuò Paul –. Tutte, attorno a Chiara, avevano scoperto che la sola realtà che non passa mai è Dio, Dio Amore! Dio Amore più forte delle bombe! E allora facevano, insieme, l’esperienza di questa fiducia che dava loro una pace sorprendente in mezzo a quell’immenso cantiere in rovina. Una delle loro necessità era quella di trovare, ogni mattina, il tempo di dirsi questa frase, avendo paura di non ritrovarsi la sera: “Sono pronta a dare la vita per te”. Questo amore le univa e le colmava di pace. Ecco come quelle ragazze superarono il terrore della guerra». Poi Patrice ripeté il nome di colei che aveva osato credere a quell’amore, trascinando le sue campagne: Chiara! Chiara Lubich! E Paul si mise subito a sorridere. Le parole di Patrice e di Paul erano precise, penetranti, come frecce che toccavano il cuore. Françoise guardò François. Erano entrambi senza parole, sicuri che l’amore era questo: “dare la propria vita” e quell’amore, lo presentivano, era più forte delle bombe, come aveva ricordato Patrice. Da parte sua, François si interrogava. Esaminando la sua vita, aveva cercato di essere coerente con l’idea che aveva di fraternità. Beauville ne era già una primizia. Nondimeno voleva saperne di più su quelle ragazze. Non erano forse le sostenitrici di una utopia, “l’amore più forte delle bombe”? Cosa ne era di loro, a distanza di trent’anni dalla loro scoperta? Una fraternità come quella rivelatagli da Patrice e Paul anche lui l’aveva sognata; voleva allora verificarla.

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L’esperienza di Angers Estate 1975: François aveva aspettato per vivere quell’incontro estivo di una settimana ad Angers che Anna, Patrice e Paul avevano già vissuto. Sì, voleva verificare lui stesso. Françoise lo accompagnò. Ma chi aveva portato Anna a questo grande raduno? Si trattava di un prete della regione, François Milanese, conosciuto per il suo impegno in seno alla Gioventù Operaia Cristiana. In realtà François lo conosceva, ma non molto bene. Un mondo li separava: il prete si era schierato dalla parte della classe operaia ed era pronto a “mangiare i padroni”. Eppure era prete. Cosa lo spingeva a una vita dura? Scorrendo il programma degli interventi, François fu sorpreso di vedere che don Milanese doveva prendere la parola. Arrivato quel giorno, seduto in prima fila, aperto e scettico nello stesso tempo, François aspettava. Ma improvvisamente le parole del prete raccontarono un’esperienza inattesa: «Da tre anni vengo a questi vostri incontri e vorrei condividere con voi il mio sentimento. Sono sempre combattuto tra i valori del mondo operaio e la vita che sperimento qui tra voi. Non voglio più predicare, evitando di incantare con belle frasi: devo vivere ciò che proclamo a parole. Ho fatto una scommessa con Dio da quando ho saputo dell’esistenza, a Roma, di una scuola di formazione di sei mesi per preti di tutto il mondo con lo spirito di questi nostri incontri. Ho detto a Dio, quando era poco probabile che io potessi parteciparvi: “Tu fai in modo di inviarmi, se lo ritieni importante per me, oppure continuerò così, senza cambiare”. Nonostante numerosi ostacoli da superare, mi sono ritrovato in quella scuola. Eravamo ottanta preti e venti seminaristi dai venti ai sessantacinque anni, dai monsignori ai parroci di prima nomina, di tutti i continenti. Ero libero di andarmene; niente funzioni da celebrare; la messa solo se si voleva; il resto era orga74

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nizzato per gruppi: cucina, piatti da lavare, giardinaggio, il bucato, stirare, opere di muratura, pittura. Era dura perché il lavoro non era distribuito in funzione delle competenze: fatto apposta o no, non lo avevamo scelto. L’essenziale era vivere la parola di Dio in una di quelle attività. Il resto era secondario. Ogni sera, per la durata dei sei mesi, con un gruppo di otto ci ritrovavamo in una cameretta per raccontarci come avevamo vissuto la Parola di vita – una frase tratta dal Vangelo che era stata programmata per essere vissuta da ciascuno di noi e tra noi. La prima settimana, la Parola di vita mi ha schiacciato: “Se non diventerete come questi bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Io ero arrivato con tutte le mie analisi approfondite; ma di fronte avevo dei preti del Brasile, del Vietnam del Sud. Per me, vivere in quei Paesi senza essere messo in prigione, significava essere passati dall’altra parte, non vivere il Vangelo, collaborare con i governi militari o con i capitalisti del luogo. Diventare bambino, come richiedeva la Parola, voleva dire far cadere le mie analisi, subito. Un’altra Parola di vita era: “Amare con gli atti, non a parole”. Farsi passare dei secchi di cemento in modo del tutto nuovo, tra un fratello e l’altro, amandolo, guardandolo ogni volta: ciò crea dei rapporti nuovi. Quei sei mesi mi hanno trasformato, ho visto che l’unità fra preti è possibile. Prima di partire per la scuola, un cappellano della Gioventù Operaia Cristiana mi aveva lanciato una provocazione: “Sei il traditore della classe operaia!”. Avevo risposto: “Guarda ciò che si richiede ai giovani militanti: essere attenti, pazienti, ricominciare, fare prima delle piccole azioni. Perché non siamo capaci di farlo anche noi preti?”. Vedo i cristiani come in un fumetto di Sempé 16. Due greggi di pecore: uno se ne va a destra, servendosi della parola di Dio 16 Jean Jacques Sempé, disegnatore umoristico nato a Bordeaux nel 1932. La sua opera indaga con delicatezza i comportamenti umani, complicati, incoerenti e a volte assurdi.

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per sfruttare gli altri e arricchirsi; l’altro corre a sinistra, prendendo la parola di Dio al solo scopo di giustificare le lotte personali. Gesù, in mezzo, con la croce sulle spalle, guarda le due greggi allontanarsi e si chiede: “Perché sono venuto?”. Lo si prende in giro; si strumentalizza la sua parola. Ci si serve di lui per le nostre piccolezze umane. Lui invece vuole che si prenda la sua parola come un valore assoluto. La prima vocazione del cristiano è quella di incarnare nel mondo l’amore e la giustizia possibili, subito. Mi sono reso conto che un vescovo, per quanto santo possa essere, non otterrà nulla se non ha attorno a lui l’unità dei preti e degli altri cristiani. Questa unità può costarci terribilmente, ma se si sceglie l’unità... è con tutti, a parole e con le azioni». François Neveux era letteralmente sbalordito. Il prete che aveva davanti raccontava, in realtà, la storia della sua vera conversione, o meglio della sua ri-conversione. François era lungi dall’immaginare che un prete potesse vivere un simile cambiamento di rotta, semplicemente scoprendo il senso dell’unità e la vita della Parola. Arrivò l’ora della messa. Al momento di scambiarsi un gesto di pace, François volle attraversare tutta la sala per stringere la mano al prete. La sua sincerità l’aveva commosso. Ci sono dei rari momenti in cui le corazze umane si mettono a scricchiolare se tutte le parti mutano insieme. In quell’istante, i pregiudizi di François nei confronti del prete catalogato “prete operaio” furono spazzati via, e in quell’istante il prete “impegnato” non si teneva più a distanza dal padrone. La lotta di classe non era più all’ordine del giorno. E in quell’istante solo i loro sguardi si incrociarono; invece di una rispettosa stretta di mano furono due mani di fratelli che si stringevano come in una promessa e François aveva voglia di piangere perché, a suo dire, «tra noi ormai c’era dell’amore». Durante l’incontro di Angers François venne a sapere che le ragazze delle quali avevano parlato Patrice e Paul, quelle 76

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dei rifugi antiaerei della città di Trento, avevano scatenato una piccola rivoluzione. Trentadue anni dopo, in più di 170 Paesi, gente di ogni orizzonte, di ogni cultura e confessione religiosa viveva la Parola di vita, quella che aveva cercato di vivere anche lui, il prete François Milanese. È la storia di quello che viene oggi chiamato il Movimento dei Focolari. Ritornato da Angers, François accompagnò il prete a Beauville per spiegargli il suo progetto. La rinascita del villaggio, la creazione del sito, i numerosi reinserimenti per mezzo del lavoro e la casa... «E dire che ne hai avuto l’idea prima di essere... “convertito”! Ho odiato i padroni e lo rimpiango». «E io ti ho giudicato», gli rispose François. Resterà tra loro due più di un’esigenza di verità! François si diceva sempre: «No, non sono un catto-padrone. Se ho favorito qualche reinserimento è perché amo la gente; e anche se ho avuto numerosi contatti con preti simpatici, profondi, non sarò mai servile con i parroci!». Ma rimaneva in lui quella perla che aveva scoperto: vivere l’unità. I coniugi Neveux si riconoscevano in quell’amore incondizionato che le ragazze dei rifugi irradiavano. L’avventura della Parola di vita e quella, esigente, dell’unità, tutti e due avevano già cominciato a viverle.

Aiuto! Non esiste una legge che vieta la miseria! Il sociale era tutta l’avventura di Beauville. Una dimensione che esisteva già all’interno degli Stabilimenti Neveux, ma senza essere centrale. Ma ecco che la vita stava per riservare a François un’enorme sorpresa: il sociale lo avrebbe avvicinato in modo diverso. 77

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Michel cercava un camioncino. In qualità di responsabile del Soccorso Cattolico di Agen, doveva attivare molti trasporti. Una telefonata e François mise a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno. Un servizio ne tirò un altro e poi via via altri ancora, Michel gli propose infine: «François, devi assumere la presidenza del Soccorso Cattolico!». Al che François gli rispose chiaro e tondo: «Mi tendi una trappola!». Risposta immediata: «Non m’importa, ti voglio con noi!». Non c’era via di scampo. A partire dal maggio 1978, tutti i martedì alle 17 François aveva appuntamento alla Delegazione con un volontario per andare insieme sul “campo”: nelle famiglie, all’ospedale... sempre a richiesta delle persone. François vedeva la sopravvivenza problematica, la precarietà, i lavori saltuari e provvisori. E tutti i martedì incontrava un volontario diverso, facendosi così un’idea del gruppo. Si chiedeva perché lo avessero coinvolto. Poi un giorno capì che un padrone conosce necessariamente altri padroni. Allora, a volte, le prigioni finivano con il lavoro nei suoi cantieri o in quelli di altri. Un martedì François incontrò un tipo estremamente nervoso. Serge era molto complicato da inquadrare. Le sue condizioni di vita erano più che problematiche. Commosso dalla sua storia, François gli trovò subito un lavoro come operaio in un’azienda che produceva prodotti antiparassitari. Il suo nervosismo gli aveva procurato grandi coliche e perfino coliche nefritiche e dal punto di vista psicologico faceva fatica ad accettarsi. La pazienza del datore di lavoro era terminata. François si dimostrò generoso e lo assunse negli Stabilimenti Neveux. Si occupava del riciclaggio della plastica, ma facendolo a modo suo, da dilettante. Cosa avrebbe fatto François per raddrizzarlo? Ripetute pause dal lavoro alternate a un tran tran in cantiere, come fosse già sulla strada della pensione, costrinsero François, in un impeto d’ira, a scuoterlo. Un giorno lo prese per il 78

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collo trascinandolo in strada, di fronte al capannone e gli gridò: «Niente assistenza all’infinito! Smettila di far finta! Tu adesso lavori!». Il fatto è che Serge si mise a lavorare davvero, e per molti anni. Ebbe anche buoni rapporti con la squadra. Ma poi, un giorno, chiese a François di accompagnarlo in ospedale. Dopo l’intera mattinata passata a subire analisi ed esami, desiderava non essere riportato a casa: voleva andare “dai Neveux”. Ma due ore dopo il suo arrivo, un’aneurisma addominale gli fu fatale. Un colpo violento, come un fulmine a ciel sereno. Serge era partito, partito per il suo grande viaggio, senz’altro il più misterioso. Il figlio Hervé, un adolescente simpaticissimo, tornato da scuola stava aspettando il padre davanti alla porta del loro appartamento. Françoise capì subito che doveva raggiungerlo immediatamente, per non lasciarlo solo. Hervé le si rivolse direttamente: «Papà è all’ospedale?». «Sì...». Era difficile prolungare il dialogo. «Prepariamo qualche indumento per lui, e tu prendi le tue cose per venire da noi». Lungo silenzio in auto. Françoise dovette fermarsi a un semaforo. Il silenzio si infittiva. L’auto ripartì ma poi si fermò a un altro semaforo. «Françoise, è morto, vero?». Ci fu uno scambio di pianti, un po’ come due persone che si tagliano le vene per scambiarsi il sangue. Hervé, dopo la morte del padre, andò a vivere nella famiglia Neveux. «Partirà quando sarà pronto», giurarono Françoise e François. Per François, accogliere in casa il giovane Hervé non era un atteggiamento assistenziale, ma semplicemente un atto di aiuto reciproco. Al Soccorso Cattolico si incontrava molta gente sull’orlo del fallimento e in sei anni d’impegno come presidente, François non sempre riusciva a vedere la soluzione dei problemi. «Se solo un uomo politico potesse fare uno stage di qualche mese qui... o in un altro centro, visto che i problemi sono strazianti un po’ dappertutto nel nostro Paese», mugugnava, e aveva ragione. 79

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Una donna sulla scena politica lo colpiva moltissimo: Geneviève Anthonioz de Gaulle, presidente del Movimento ATD Quarto Mondo in Francia. François aveva aderito senza riserve al suo progetto. Per convincere coloro che non capivano l’esclusione dei più deboli, amava citare questa sua frase: «Per risolvere il problema della miseria, occorrerebbero delle leggi; e a partire dal momento in cui si fosse legiferato, sarebbe la stessa società a diventare fuorilegge, fintanto che non abbia sradicato il problema della miseria». Idea talmente limpida!, pensava François ammirando l’efficacia del discorso di quella donna così coraggiosa anche nella vita. Da parte sua, François era più pungente e amava ripeterlo: «La salvezza non verrà dalla politica, poiché gli uomini di quella classe non possono identificarsi nel commerciante che chiude bottega e nemmeno negli operai sul lastrico o nei fornitori di grandi magazzini o nei piccoli industriali che si fanno spazzare via dalle norme. L’esclusione economica è questa, è solo questa: è il risultato della competizione che porta il nome di concorrenza, così esaltata ai nostri giorni e che, spinta all’estremo, si trasforma in barbarie economica».

A tutti i costi François aveva due società che funzionavano in modo “classico”, ma sempre col suo impegno sociale. La creazione di Beauville, la terza società, era a parte, rappresentava un’opportunità offerta a tutti coloro che avessero saputo coglierla. Il denaro: più François ne aveva e più ne donava. Si sentiva forte. Da una parte la bonifica e la depurazione andavano bene negli Stabilimenti Neveux e alla SEPN, dall’altra Il Centuplo, cioè “la parte per l’altro”: “Ci si doveva arrivare, magari prendendo vie diverse”, pensava François. 80

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François non desiderava “fare beneficenza”, assolutamente no: faceva solo il sogno del benefattore sveglio, ma dietro a tutto ciò, da un po’ di tempo c’era un fondo di Dio. Allora, tutto quello che aveva realizzato a Beauville assumeva un altro senso. Jeannot era stato bravissimo a realizzare i due laghi, era un uomo ecologico. Già al Politecnico François aveva osservato che aveva il senso dell’ambiente. A Beauville sistemò il posto magnificamente, tracciò i sentieri, costruì il bar e creò parecchi spazi per il relax, come anche i parcheggi. Tutta questa parte dedicata allo scenario e ai servizi lo interessava, come aveva dimostrato all’epoca della prima festa a Marsiglia. François era sempre preso dal suo sogno di aiutare gli esclusi, Jeannot un po’ meno, ma seguiva François e voleva mettere in atto le idee del suo più fedele amico. Solo un po’ più tardi François si rese conto che, per Jeannot, la gestione delle persone fuori della normalità era troppo ardua. Il Centuplo, per certi aspetti, era diventato una specie di comitato dei festeggiamenti: flessibilità, ascolto, accordi con ciascuno, sapendo che non tutti potevano dare la stessa cosa, e il lavoro non era sempre quantificabile. C’era un gran numero di casi cosiddetti sociali, anzi era la maggioranza, e così i responsabili del personale avevano a carico molto più della semplice gestione delle “risorse umane”. Bisognava lavorare con le preoccupazioni di alcuni e vivere le situazioni spiacevoli con altri, e per quelli che si trovavano in situazioni critiche si poteva quasi parlare di “riarmo morale” attraverso il lavoro. Malgrado ciò, Il Centuplo lavorò senza interruzione fino a diventare leader in Francia per quasi cinque anni, vendendo più di duemila kayak all’anno e successivamente il mercato del windsurf gli fu ancora favorevole, fino alla produzione di 45.000 pezzi all’anno. Ma brutalmente, tra la fine dell’estate 1982 e la primavera del 1983, due duri colpi, come di ariete, assestati alla porta dell’azienda, fecero vacillare pericolosamente Il Centuplo. 81

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Un importante rivenditore, Noël, grosso cliente di windsurf, finì male; rivendeva agli americani e, da un giorno all’altro, fu sommerso da effetti bancari non pagati, fino a un debito di tre milioni di franchi dovuti al Centuplo. Nello stesso tempo un concorrente belga, il barone Bich, fece esplodere il mercato del windsurf. Tutto questo rappresentava una vera e propria débacle. Anche in quel frangente François aveva una sola ossessione: inventare e trovare idee per risollevarsi, a tutti i costi. «Ogni persona ha un valore», diceva. Ma le sue due società sarebbero potute andare in aiuto al Centuplo?

Folgorazioni Inventare, trovare idee... Era ossessionato, di giorno, di notte, in ogni circostanza. Parallelamente a tutte le sue attività, François doveva continuamente cercare di trovare i procedimenti adatti, i prodotti al top. Sapeva che da lì dipendeva la sopravvivenza. Per le vasche in cemento, l’aumento dei volumi da 1.500 litri trasformati in 3.000, comportava un problema di peso, di spazio e di posa. Una 1.500 litri pesava una tonnellata e una 3.000 più di due tonnellate. Per due anni François cercò... di notte, in auto, a messa... Ma l’inatteso arrivò quel giorno di marzo 1978, il giorno del funerale del padre, Jean-Jacques Neveux. François si rese conto di quanto lui, figlio, per merito di quello che aveva assimilato dal padre, fosse alla ricerca di un’invenzione, di un cambiamento. Sì, tutto gli appariva in modo diverso. Capiva il “capitale magico” che suo padre era riuscito a trasmettergli. Per cacciare via la tristezza, François gli parlava, per ricreare una presenza. E in quel “dialogo” con suo padre François ebbe una specie di risposta; era come se il padre gli sussurrasse: 82

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«Perché esiti a investire sugli stampi, fai dunque una nuova vasca, in due pezzi “prestampati” che poi incolli, e via...». Durante la fila delle condoglianze, all’immensa tristezza di François si mescolava la riconoscenza per questa improvvisa visione. Le sue lacrime erano un insieme delle due cose. Da allora, occorsero due anni a François per realizzare quella nuova vasca, in cemento alleggerito. Si doveva aspettare, ma la vittoria c’era già! Addio ai problemi di peso, di spazio, di posa, tecnologia che François avrebbe ulteriormente migliorato più tardi. Nel 1973 la crisi petrolifera aveva già gettato molti imprenditori nel dubbio. François era preoccupato dall’interdipendenza petrolio/plastica. Capì ben presto che era essenziale non sprecare i ritagli e da quell’anno sperimentò come riciclarli. In Francia si trattò di una delle prime esperienze del genere. Ma dagli anni Ottanta, considerando il prezzo del polietilene che diventava sempre più caro – il secondo choc petrolifero del 1979 ne era la causa – François si lanciò nel recupero della plastica su più grande scala. Installò tre settori per riciclare la preziosa materia prima. Tagliare, macinare e triturare. In questo modo, dal taglio di pezzi di venti centimetri, ai granuli come chicchi di caffè, si arrivava, alla fine, a ottenere una polvere fine simile allo zucchero. Ciò permise di economizzare considerevolmente e continuare a produrre la gamma dei prodotti della depurazione e del tempo libero. E il progresso della plastica non comportava pericolo per l’ambiente e nemmeno per i dipendenti. Del resto, avendo cominciato la produzione di vasche biologiche in plastica da una decina d’anni, François aveva cambiato il sistema della paratia tradizionale all’interno della vasca, paratia il cui scopo, teoricamente, era quello di “calmare il flusso dei fanghi”. Decise di fare una dimostrazione pubblica davanti ai rappresentanti della competente amministrazione, allestendo un acquario in mezzo al cantiere. 83

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«Avevo solo un’idea in testa: agitare una certa quantità di escrementi e poi immettere un bel po’ d’acqua per studiare il sistema delle paratie», confidò. Ma se l’esperimento, fin dall’inizio, dimostrò che un buco nella paratia intermedia poteva trasformarsi in un vero cannone eiettore di fango, François faceva fatica a convincere dell’efficacia del nuovo dispositivo. A forza di sfinirsi a voler dimostrare la fondatezza della sua teoria, affidò lo studio idraulico della fossa settica “tutte acque”, a novembre del 1981, alla Scuola nazionale dei lavori pubblici statali a Lione dove il signor Thomazeau, responsabile del laboratorio di Scienze ambientali, ne studiò l’originalità. François fu per il signor Thomazeau l’occasione di un primo partenariato con un’impresa privata. Si trattava prima di tutto di precisare come si svolgeva lo smaltimento in una fossa settica e la sua intensità a regime permanente o transitorio, in presenza o meno di fanghi. Il dispositivo sperimentale permise di visualizzare lo smaltimento e, in tal modo, modificò profondamente la comprensione che si aveva del funzionamento dell’apparecchiatura. Apparve chiaro che una paratia posta all’interno della vasca un po’ prima dell’uscita, paratia considerata necessaria per ottenere uno scolo lento e stabilizzato, non aveva l’effetto scontato. Inoltre, lo smaltimento dipendeva moltissimo dai dispositivi di entrata e di uscita. Il merito dello studio fu quello di precisare ciò che avveniva all’interno della fossa. François lo sapeva già da tempo, lo sappiamo... essendosi immerso “nel cuore” del problema. Ma ora avrebbe potuto fornire dei risultati “contrapponibili” a tutti. Il signor Thomazeau, senza idee preconcette, aveva capito l’efficacia del procedimento Neveux. Questa “guerra delle paratie”, come la chiamava François, portò i suoi frutti: in meno di un mese, dopo l’uscita dello studio, ogni controversia terminava di fronte all’evidenza del dispositivo. 84

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Tra il 1974 e il 1984, con otto brevetti depositati sui procedimenti di depurazione, François desiderava ancor più migliorare e restare sulla cresta dell’onda con le due società Neveux. Ciò gli appariva del tutto vitale, perché Il Centuplo, a Beauville, non andava molto bene.

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Hanno amato! Beauville è durata dieci anni. Il sogno terminò nell’inverno del 1984, bianco e violetto come il freddo. François si batté prima per i fedelissimi di Beauville, che si aggregarono senza indugio a una filiale della SEPN, Rotomod, un’unità oggi integrata al gruppo KA-France, esso stesso nato dalla SEPN, altra filiale di Neveux. Del resto, a causa delle immense difficoltà del Centuplo, la decisione più saggia fu quella di vendere la SEPN ai dipendenti dell’impresa e di separarla così dal resto della società Neveux. Il rilancio riuscì. Stante la situazione sfavorevole del Centuplo, per forza di cose François dovette licenziare Jeannot che ne era il direttore. Non si arrabbiarono, avendo tutti e due la stessa preoccupazione: quella della verità e dell’unità. Del resto, Jeannot ammetteva di non essere il manager che ci si aspettava per quel tipo di impresa. Restava la loro amicizia, indistruttibile. «Jeannot ha bisogno di ripartire; diventerà forse, a sua volta, creatore di posti di lavoro?», sognava François. Jeannot fiutò un nuovo settore di mercato: la fabbricazione degli stampi. Allora François lo incoraggiò e lo aiutò a mettersi in proprio. Essendo uscito dal Centuplo, François pensava di dovergli la sua competenza professionale e fabbricò scafi di battelli: poliestere all’esterno e poliuretano all’interno. A Jeannot non rimaneva che rifinire l’apparecchiatura degli scafi aggiungendovi vele, alberi, il cordame: gli accessori per la nau85

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tica, ecco il nuovo mercato. E Jeannot si propose di diventare uno “bravo” in quel settore. Con la volontà instancabile alla fine, dieci anni dopo, era lui ad aver avuto “il centuplo”: divenne il numero uno in Francia nella costruzione dell’Optimist, quella piccola imbarcazione per imparare i rudimenti della navigazione a vela... E ora ecco la sua società, Erplast! René non aveva alcuna formazione per occuparsi delle persone problematiche, eppure François era convinto che avrebbe saputo farcela. René, da parte sua, credeva che il lavoro fosse in grado di rimettere in piedi chi aveva avuto un incidente di percorso e, una volta impegnato, l’equilibrio psicologico si sarebbe ristabilito. Non restava che dedicare il proprio tempo e l’ascolto a chi lo richiedeva. René ci aveva creduto, come François. Eppure lo sconforto a volte è così tenace che nulla può bastare. «Qualche volta la vita ci dava ragione con vittorie straordinarie – destini trasformati in sorrisi –, ma altre volte eravamo sull’orlo della disperazione. Sono però sicuro – disse con sincerità a François – di aver fatto tutta la mia parte verso tutti». Allora era però il momento della riconversione; cosa sarebbe diventato? Una separazione è spesso una rottura definitiva tra due persone. Eppure tra François e René non ci furono dissapori né rimproveri: cercarono semplicemente, senza giustificarsi, di capire i propri errori. Fu questa la ragione per cui osarono ritentare l’avventura. Nel frattempo René si era imbaldanzito, aveva voglia di creare una sua azienda e per quella era pronto ad abbandonare la sua sicurezza. François mise in piedi un’associazione nella quale aveva il venti per cento delle azioni e René costituì una sua s.r.l.: l’Agenzia Nautica di Agen, che commerciava prodotti nautici e oggi si può dire, senza giochi di parole, che “naviga” bene. Restava Robert, la giovinezza! Gli fu subito accordato un congedo per seguire uno stage di formazione e si riconvertì, 86

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temporaneamente, all’informatica; era il momento giusto. Ma tutto quello che aveva vissuto a Beauville voleva riviverlo. Al momento della partenza, disse a François: «Mi sento completamente responsabile di tutto ciò che è successo a Beauville; a volte non avevo affatto le competenze sociali o umane per essere all’altezza della riuscita dell’impresa; forse non ero un buon capolaboratorio, ma ci ho creduto e ho fatto del mio meglio. Tu, François, avevi in più la forza e l’energia nei confronti di quanti avevi incontrato e ai quali avevi dato un’opportunità. Se guardo a tutto ciò che hai fatto, mi viene voglia di ritentare un giorno l’avventura, a modo mio, e tutto quello che ho imparato e vissuto a Beauville mi servirà». Dieci anni dopo, Robert e sua moglie si lanciarono nella creazione di un campeggio vicino a Bayonne... che non chiude mai! François non tardò molto a fargli visita: «Sei stato proprio coraggioso a buttarti!». E Robert di rimando: «Se non ci fosse stato Beauville, credi forse che l’avrei fatto?». Per quanto riguarda i clienti, François era preoccupato. Noël era associato a uno splendido ricordo: un Capodanno passato insieme, una serata che restò leggendaria per loro. A un certo punto era apparso uno scarabocchio: un catamarano! Si erano azzuffati come ragazzi nel disegnarlo. Un momento dopo François aveva considerato l’opera di Noël: «Ma come hai fatto, mascalzone! E non sei neanche ingegnere!». Poi François tagliò corto: «Ti darò il tuo primo stampo di lamiera metallica; saranno gli Stabilimenti Neveux a farlo». E il primo scafo di catamarano fu indimenticabile: tutti e due avevano fatto centro, e si potrebbe proprio dire “centro nautico”, il catamarano Newcat della società New Marine ha avuto infatti un successo imprevisto. Al momento del tracollo di Beauville era importante conservare il ricordo di quei momenti di amicizia. L’atmosfera avrebbe potuto essere lugubre poiché Noël, per l’affare degli americani, doveva molto denaro a François e Il Centuplo era 87

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stato danneggiato da quel fallimento esterno. Ma avevano deciso di ritrovarsi un giorno alla stazione di Bordeaux. In casi come quelli, è più facile arrabbiarsi a morte che restare amici. François fece il primo passo: «Andiamo a pranzo, ordinerò la migliore bottiglia per noi due!». Si trattava di un vino pregiato, un Bordeaux naturalmente, e il più costoso... Noël era l’uomo ideale con cui condividere quel nettare, era l’amico, bisognava superare insieme la morosità. François reagiva sempre con una provocazione ai duri colpi. L’accordo fu rapido. Se il mercato del windsurf finiva, si poteva sempre puntare su un altro mercato. Noël gli comperò un centinaio di scafi per rimettere in piedi un’impresa fiorente. La novità consistette nello sviluppo di un mercato facendoli in polietilene invece che in poliestere, quindi si presero due piccioni con una fava: Noël creò una seconda azienda, per la fabbricazione di remi, la società Virus, e disegnò piccole iole, imbarcazioni a remi, battezzate semplicemente “Virus”, dal nome della sua nuova impresa e François gli fabbricò gli stampi. “Forse mi ha rimborsato la metà di quanto mi doveva... almeno un buon margine, e il resto... Non si può perdere qualcuno che è diventato un amico e che resterà un cliente fino alla morte”, pensò François con saggezza. È vero, tutti i suoi dipendenti, come gli associati, sono stati rilanciati nella vita... perfino quel cliente la cui situazione è diventata un trampolino di lancio per lui stesso e per François. Alcuni si sono messi in proprio o si sono fatti assumere con il suo aiuto, ma nessuno, nessuno è rimasto fuori. Era sempre l’idea fissa di François: mai lasciare qualcuno fuori dal sistema. L’esperimento di Beauville non è arrivato in porto. Le difficoltà erano state molteplici, alcune esterne al Centuplo, altre, più interne, erano sopraggiunte perché l’efficienza nel lavoro non era sempre al cento per cento. «Non bisogna avere alcun rimpianto, l’essenziale è battersi per dare delle opportunità», affermò François per molto tempo. 88

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Quando considerava il suo sogno, quella “utopia necessaria”, come l’avevano definita il sindaco e il notaio, amava sottolineare: «Ho capito che ci è mancato “qualcosa” affinché tutto funzionasse veramente fra noi. La buona volontà e le belle idee non bastano. Ho creduto, ho fatto, ho perso. Quel “qualcosa” è come un segreto». Sì, al di là di questa constatazione, François intuiva di non avere ancora ciò che chiamava “il segreto” per riuscire per l’altro. Quel segreto che avrebbe cercato di scoprire un po’ più tardi. Ritornano i ricordi del liceo... i versi di Alphonse de Lamartine si snodano ancora nella memoria di François: Il Lago, specchio e testimone dell’amore del poeta... come non pensare a quei due laghi in fondo alle valli, piene di felci, che vegliavano sul villaggio? «Molti infelici quaggiù vi implorano: Scorrete, scorrete per loro (ore preziose); Prendete coi loro giorni le pene che li divorano; Dimenticate i felici... ...Che tutto ciò che si sente, si vede o si respira, Tutto dica: Hanno amato!».

In disparte Dopo la fine del lago, il grande problema per François era: che fare contro il nemico disoccupazione? E François ripeteva, senza stancarsi: «È tutto all’infuori di una fatalità: è semplicemente il risultato della mancanza d’intelligenza del cuore della nostra società. Il mondo trabocca di ricchezze che permetterebbero di dare a ciascuno più del minimo confort ed è stupefacente che l’umanità tenti di assicurare il benessere di tutti con la restrizione delle risorse! La maggior parte del tempo, la vita 89

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si organizza solo attorno a qualche sforzo. Allora, che fare? Credere che tutto sia sempre possibile e ripartire. Anche se tutti i dipendenti del Centuplo si fossero risollevati, tanta altra gente restava senza lavoro, in città». Spesso François doveva dire di no a quelli che bussavano alla sua porta... Disoccupati, ma anche padroni e delegati da altri disoccupati. Gli Stabilimenti Neveux funzionavano in modo tradizionale e non potevano creare altri posti di lavoro. Facevano già fatica a mantenersi a galla e François aveva sofferto per non aver potuto assorbire i rimasti senza paga del Centuplo di Beauville, anche se non era stata colpa sua. Tuttavia François desiderò ritentare l’avventura. Sarebbe bastato inventare un’altra forma di impegno... Chiamò di nuovo l’amico Jeannot, avevano entrambi quella smania di osare, di osare per gli altri. Pensavano che la cosa più bella da offrire allora ai loro simili fosse un impiego. Allora, aiutati da un terzo, decisero di riprendere la strada insieme per una nuova associazione, sempre rivolta agli altri. Il deputato sindaco della loro cittadina fu ben presto partecipe dell’impresa e nel gennaio del 1988 decisero di fondare un’associazione, detta “Spinta intermediaria”, costituita da volontari e da salariati, un’associazione che procurava manodopera a imprese e a privati. In breve tempo l’associazione ebbe un buon successo: una cinquantina di persone furono definitivamente riqualificate. Potevano forse fare di più? Certamente, perché la voglia di aiutare gli altri rende sempre creativi. Appena un anno dopo, si impose l’idea di creare un’altra società di dieci persone: la Agen Compositi era nata; una società in grado di confezionare articoli in stratificati poliestere. Anche qui François avrebbe offerto la sua competenza, le licenze necessarie, come anche il materiale, la clientela e il denaro. Senza avere azioni, François offrì il tutto a un’associazione che ne divenne azionaria, la CESSA (Concertazione tra l’economia e il sociale tramite la Società civile di Agen), associazione umanita90

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ria senza scopo di lucro, la cui vocazione era la creazione di posti di lavoro. La novità, per François, era aver fiducia nel mondo associativo e perdere il potere, senza rimpianto, restando volontariamente in disparte. L’impresa fu presto messa in orbita. François e Jeannot ne affidarono la direzione al loro terzo compagno, M. Aveva lavorato nel sociale e all’epoca era senza lavoro, allora... Ma le loro visioni divergevano sul modo di dirigere il personale. Forse un errore di “casting”. M. non aveva il profilo “vicino alla gente”; non sapeva far esistere l’altro, i dipendenti non vedevano in lui che un piccolo capo senza sogni. François aveva deciso di restare nell’ombra. Toccava a M. giocare la partita fino alla fine. Ad Agen Compositi, un giorno o l’altro, sarebbe arrivato il conto! «Dopo audaci tentativi di coniugare il verbo “osare” in tutti i tempi, in tutti i modi e per tutti – raccontò la sua segretaria Maryon –, cercando di vivere sinceramente la fraternità, François continuava a martellare: “Voglio far indietreggiare la schifezza della miseria, voglio respingere la povertà degradante, voglio lavorare senza posa con tutti quelli che ho scelto come fratelli, voglio aprire completamente le valvole della ricchezza. A molti possiamo cambiare il mondo!”». «Con tutti quelli che ho scelto come fratelli»: era curiosa in François questa mescolanza in cui alla fin fine i suoi amici, i dipendenti, i fornitori, perfino gli sbandati di ogni genere erano sempre considerati come potenziali “fratelli”. Tuttavia, una preoccupazione costante di François per equilibrare la sua vita era la ricerca permanente di fraternità che realizzava prima di tutto con quelli che, come lui, avevano scelto di vivere “la spiritualità dell’unità”, per incarnarla nel mondo, quelli che nel Movimento dei Focolari sono chiamati “volontari”. Con il gruppo che incontrava regolarmente, approfondiva questa esigenza di assoluto, e tutto diventava possibile. Ma bisognava essere matti per perdere (apparentemente) 91

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il proprio tempo a raccontare le proprie esperienze di vita, bisognava essere matti per ascoltare ciascuno, senza consigliarlo, ma guardare la parte divina nell’altro, bisognava essere matti per pensare che la rivoluzione d’Amore è all’opera quando non si pretende nulla dall’altro. Bisognava essere dei pazzi per trasformare le difficoltà, le malattie, i dissapori in tante occasioni per trasformarsi realmente e credere che attraverso tutto ciò si debba continuare a maturare. François sapeva di dover andare avanti e imparare da ogni uomo. Era sempre alla ricerca della propria perfezione perché coinvolgesse tutti. L’utopia dell’invenzione e quella di osare lavorare in altro modo erano sempre in marcia. Cominciava a staccarsi dal suo potere. Pensava anche che le sue invenzioni e le sue realizzazioni, in fondo, non potevano essere “il solo” motivo di soddisfazione. Un amico non gli aveva forse detto, sorridendo, che per fortuna l’ultimo giorno di vita non saremo giudicati sulle nostre opere? François era ancora alla ricerca di quel segreto...

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3. Un necessario abbandono del potere

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Un’utopia è un progetto realizzabile, che non è ancora stato realizzato. (Théodore Monod)

Si possono fare degli affari di giorno e cantare per strada di notte! Negli anni Novanta un amico di François aveva conosciuto dei polacchi che volevano acquistare fosse biologiche. Desideravano trattare con il signor Neveux. Qualcuno aveva forse parlato loro delle relazioni con François nelle quali l’intesa era sempre fondamentale, al di sopra dei problemi e degli incidenti di percorso? Poco importa, François andò a trovare quei polacchi a Varsavia. «Non solo vi venderò le mie vasche, ma vi insegnerò a fabbricarle da voi stessi e in plastica, perché la plastica è l’avvenire!». François vedeva sempre lontano, prima bisognava capire l’intelligenza del sistema! La politica di François è sempre stata quella di rendere autonome le persone con le quali trattava. I fenomeni di dipendenza, a lungo termine, non fanno business. Al secondo viaggio François portò con sé degli stampi, della polvere e insegnò loro il rotostampaggio. Le cose furono favorite dal fatto che un polacco, di nome Falkowski, parlasse il francese bene come il polacco. François si integrò velocemente con l’équipe e si sentì in dovere di formare il personale. Guardandoli lavorare, capì i talenti di ciascuno. Il suo punto di vista sull’impresa era chiaro: “Tu hai il cervello per essere PDG e tu 93

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sei un artista”; un tempo aveva fatto alcuni film e la sua fantasia era abbastanza contagiosa, avrebbe saputo trascinare gli altri; così ragionava François. “Tu invece, sarai il direttore commerciale per la Polonia. Fai sognare la gente vendendo loro delle fosse biologiche... incredibile! Eppure! E fai gioire i tuoi agenti commerciali con delle vasche colorate” – si trattava di Falkowski – e così di seguito per gli altri componenti della squadra... All’improvviso Falkowski ebbe un’idea geniale. Organizzò un incontro con la signora R., braccio destro del ministro dell’ambiente a Varsavia. Falkowski assicurava a François la traduzione in polacco. La signora R. apparve felice nel vedere un francese interessarsi della Polonia e dichiarò che ciò avrebbe sicuramente contribuito allo sviluppo del suo Paese. François le presentò le vasche di grande capacità per gli hotel, i ristoranti e tutti gli enti possibili. Lei colse subito la semplicità e il costo ridotto della tecnica, come anche l’efficacia della depurazione, se la si paragonava agli altri sistemi allora adottati.. Chiaramente, col proseguire della discussione, François divenne il tecnico accreditato del ministro dell’ambiente. Il suo procedimento e la società Nevexpol (Neveux Polacca) sarebbero state inserite in tutte le riviste tecniche patrocinate dal ministero. Alla fine delle tre ore di colloquio una sola questione rimaneva da affrontare: il regolamento della depurazione, ispirato dalle parole di François, avrebbe condotto al futuro successo della società. Falkowski piangeva di gioia: in una mattinata, in una sola mattinata aveva guadagnato con François... tutto il mercato polacco! «Mi hanno creduto e ha funzionato... funziona ancora», disse sorridendo François. La stessa notte, alle tre del mattino, tutta la squadra cantava per le strade di Varsavia. Alcuni avevano acceso dei ceri prima del colloquio, altri avevano fatto il pieno di vodka. Un anno dopo, nel febbraio 1991, gli Stabilimenti Neveux dovettero produrre uno stampo nuovo per Nevexpol, per rea94

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lizzare una vasca originale. Il giorno X ci volle molto più tempo del previsto per finire lo stampo e la vasca tanto sperata non era ancora nata: aspettare, aspettare, aspettare... François aveva proposto alla squadra di “innaffiare” la prima vasca, se fosse stata perfetta. Una ventina di operai, capifabbrica, tecnici, tutti lì attorno alla macchina bollente. L’ora della cena era passata da un bel po’. L’orologio del cantiere aveva già battuto le 22, poi le 23; finalmente, verso mezzanotte il bebè vedeva la luce: una splendida vasca da 3.000 litri, di color blu, dalla calotta sferica, la DS, assolutamente sublime. Immediatamente Françoise fu invitata a vedere l’ultima nata e François, accompagnato dal direttore tecnico, Jean-Paul, partì alla volta della città: champagne, vini, aperitivi, formaggi e salami, trovati nelle stazioni di servizio, furono portati per questi festeggiamenti improvvisati. E tra sonore risate, la squadra accoglieva la vittoria. Cantare di notte, anche questo si poteva fare con Neveux, sicuri che questa DS avrebbe fatto scalpore! Eppure, nonostante il successo, François dormiva male, era tormentato da un problema che non si risolveva: il corso del petrolio e il rialzo del prezzo del poliestere.

Inverno «A molti noi possiamo cambiare il mondo!». François era alla ricerca, ma di chi e come? Del resto è difficile cercare in mezzo alle grandi tensioni mondiali. Nell’agosto 1990 passava le vacanze, con tutta la sua tribù, a Saint-Jean-de-Luz. Dall’altra parte del mondo scoppiava la guerra del Golfo. La coalizione condotta dagli Stati Uniti contro l’Iraq, all’indomani dell’invasione del Kuwait, aveva come scopo anche il mantenimento di un prezzo ragionevole del petrolio. Ma questo prezzo poteva essere rimesso in questione in 95

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ogni istante. Fin dall’annuncio del conflitto François, appena alzato, andava a prendere il giornale e guardava il corso del petrolio; petrolio e plastica sono legati. L’inquietudine aumentava e François sussurrava: «Se la guerra continua a lungo, non avremo più polietilene, oppure diventerà troppo caro...». Poi la preoccupazione si trasformò in angoscia, tanto che per alcune settimane dormì sempre meno. Le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 lo avevano già obbligato a innovare, partendo dal riciclaggio degli scarti di plastica, prima su scala ridotta e poi su vasta scala, ma aveva concentrato gli sforzi anche nel campo della ricerca per imporre nuovi brevetti e prodotti originali. Nel mondo degli affari François aveva tentato forme diverse di impresa: le due società a suo nome nelle quali aveva cercato di sviluppare una certa giustizia sociale, ma anche una società di reinserimento – un’azienda a parte – così come un’altra impresa affidata al mondo dell’associazionismo. Nello stesso tempo aveva avuto fiuto trovando numerosi partner nel mondo che lavoravano su licenza, sfruttando i brevetti Neveux. Cosa avrebbe trovato come risposta a quest’ultima sfida? Per François ogni difficoltà doveva insegnargli qualcosa su se stesso. Ma quando sono in gioco altre persone, essere responsabile dei dipendenti è un incubo per un imprenditore preso dal dubbio. François aveva sempre lottato duramente per seguire i suoi “compagni di lavoro”, considerando la relazione umana prioritaria nell’impresa, ma anche per essere al top di un mercato che serviva da più di vent’anni. François perse definitivamente il sonno proprio dopo l’affare della memorabile vasca polacca, a fine febbraio 1991. Al punto che all’una di notte era completamente sveglio e poteva andare, venire e lavorare per venti ore senza riuscire a dormire. Affaticamento, ipertensione. Il medico non ammise compromessi: ricovero all’ospedale e riposo assoluto. François si assentò per due mesi; e durante quel periodo... 96

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«Abbiamo fatto funzionare l’impresa; occorreva rigore; c’era un nocciolo duro di anziani che decise di prendere in mano tutto, e siamo stati più severi di lui nei confronti di tutta la squadra, si trattava di un nostro affare», ammise quel comitato di “saggi”. Al suo ritorno, all’inizio di maggio, François si rese conto della forza della loro intesa e che lo stabilimento aveva funzionato davvero bene. Ebbe allora l’ispirazione di non portare più da solo il fardello dell’impresa, aveva già conosciuto i suoi limiti. Istituì le riunioni del lunedì. Tutti i responsabili della manutenzione, del commerciale, dei trasporti, della fabbricazione e i capireparto si trovavano per fare un’autocritica, analizzando ciò che funzionava bene e ciò che poteva essere migliorato, riferendo senza giudizi, solo contatti e ricerca di soluzioni. François imparò gradualmente a non essere più il padrone. Si parla spesso del battito d’ali, qui, che provocherebbe un ciclone dall’altra parte del mondo; ed è vero che questa immagine poetica fa sorridere. Per François questa ricerca di cambiare il mondo lo attanagliava sempre più. Il segreto! Sì, intuiva che c’era un segreto da scoprire. Aveva tentato di tutto e non capiva perché le cose non cambiassero più in fretta. Il suo modo di vivere e la spiritualità di cui si era innamorato gli facevano dire: «Dio ha fretta, siamo noi che siamo lenti a capire e a metterci in cammino». Questa frase era come un battito d’ali. Ma dall’altra parte del mondo cosa succedeva?

Dalla penombra dei rifugi al sole dei tropici L’altra parte del mondo era un altro emisfero. Primavera in Europa, autunno in America Latina, due emisferi così ingiustamente invertiti dall’ineguaglianza della ricchezza. 97

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Chiara Lubich, nel mese di maggio 1991, era partita da Roma per andare in Brasile. Chiara, quella della quale avevano parlato Patrice e Paul, quella che aveva ispirato quel convegno ad Angers. I coniugi Neveux avevano seguito tante altre avventure con quel modo originale di vivere che lei proponeva: l’unità. Chiara Lubich stava per atterrare. L’aereo sorvolava la città di San Paolo e Chiara si avvicinava impercettibilmente alla megalopoli d’acciaio e di cemento, ma anche di cartone e di rovi: un mostro che inghiottiva senza scrupoli tutti i deboli, i “senza-voce”. All’improvviso, guardando dall’oblò, le venne in mente l’immagine del cardinale Paulo Evaristo Arns, il cardinale di San Paolo: il cuore della città così sfavillante era circondato da bidonville, le favelas, e questa cintura di immondizie ricordava stranamente la corona di spine attorno alla testa del Cristo, stupefacente raffigurazione della città! Trentadue anni prima, nel 1959, Chiara aveva inviato in Brasile una delle sue prime compagne dei rifugi, Ginetta Calliari, con altre sette giovani, per rispondere all’appello dei vescovi del Brasile che chiedevano aiuto per vivere con i più poveri, tanto grandi erano i bisogni. Chiara era andata l’ultima volta in Brasile nel 1966 e vi aveva ritrovato Ginetta, ma anche una folla di gente che aveva aderito alla spiritualità dell’unità. Ma se questa spiritualità cominciava a espandersi nei cinque continenti, Chiara si ricordava che era stato il Brasile, primo al di fuori dell’Europa, ad aver accolto persone portatrici di questo ideale di vita. Fin dal suo arrivo in Brasile, Ginetta e tutti i suoi compagni furono sconvolti dal contrasto smisurato tra l’abbondanza di pochi possidenti e la folla immensa degli anonimi, dei senzadiritti, dei poveri, scoraggiati, disperati. «Il mio cuore è troppo piccolo per contenere tanta sofferenza», confidò più tardi Ginetta. Ma questa rivolta interiore le permise di formarsi per trovare, con i compagni, gesti di affetto, parole di conforto, idee 98

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da realizzare che emergevano nel corso dei loro incontri. Occorreva solo conservare l’unità tra di loro, attraverso la Parola di vita ispirata dal Vangelo. Decisero di vivere senza parlare di quel segreto. Soltanto amare concretamente: sarebbe bastato. Vicino a Recife, nell’Isola dell’Inferno, avvenne il loro primo contatto con la miseria più grande. Senza acqua, in mezzo ai topi e ai serpenti, la gente si rintanava nel proprio mocambo. Dopo parecchi mesi a contatto con alcuni focolarini, alcune ragazze avevano abbandonato la prostituzione, alcuni uomini avevano cessato di bere, ripreso speranza e possibilità di lavorare, alcune famiglie si erano ritrovate a partire da un necessario perdono. Era la vita che facevano rinascere che trascinava gli altri. Davano l’impulso e i cambiamenti avvenivano perché le persone si rimettevano in piedi. Poi Ginetta e i suoi compagni avevano condiviso il destino del quartiere di Santa Teresa, nella città di Bauru, a ovest di San Paolo: laggiù avevano assistito lebbrosi e bambini che soffrivano per la malnutrizione e una grande folla che viveva su di un eterno letamaio. Anche lì molti ebbero fiducia in loro, superando la disperazione. Poi l’opera benefica si svolse a Brasilia, in mezzo alle invasões, alle invasioni, nome dato agli agglomerati che stonavano in mezzo allo splendore architettonico della capitale. Occorreva soprattutto aprire scuole per i bambini e per quanti volevano imparare un mestiere. Il governo brasiliano riconobbe la validità di quei corsi e i diplomi rilasciati alla fine del ciclo di studi permisero di trovare lavoro. In seguito, in un quartiere di una città operaia a Rio Grande, dove i problemi sociali erano immensi, gli abitanti sperimentarono una pace fino ad allora sconosciuta. Una coppia aveva ascoltato Ginetta e i suoi amici, poi due, poi dodici e il quartiere poté rinascere, al di là delle sue piaghe e delle sue sofferenze. 99

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Un po’ più a nord del Brasile, nel territorio di Itapecurumirim, nelle terre chiamate “Barriguda”, 130 famiglie erano minacciate di essere espulse. Il proprietario non si era mai preoccupato dei lavoratori e alla sua morte la moglie voleva vendere tutto. La stagione delle piogge aveva reso le strade impraticabili. Bisognava andare a Barriguda in canoa. Quante discussioni senza esito ci sono state in proposito? Fu a quel tempo che Giovanni Paolo II, in un suo viaggio in Brasile, dichiarò: «Anche i poveri hanno il diritto di essere autori della loro promozione umana». La proprietaria rifletteva. Anche lei conosceva ormai l’opera dei Focolari e, col passare del tempo, si trasformava. Allora, invece di vendere, decise di riservare 420 ettari di terra per le famiglie di Barriguda, trasferendo loro i titoli di proprietà. Ma bisognava costruire: era urgente edificare delle case decenti. Le persone si accordarono per costruire, insieme, un centro sanitario, poi un luogo di vita comunitaria che sarebbe servito da scuola, poi altre costruzioni. Insieme: l’unità era in cammino. Un anno dopo, il vescovo volle rendere visita agli abitanti della zona. Non gli avevano forse detto che “qualcosa era successo”? L’emozione era così intensa nel vedere un cambiamento radicale, palpabile, che egli battezzò la terra di Barriguda: Magnificat! L’esperienza di Ginetta Calliari è così ricca che è impossibile ripercorrere completamente i momenti più salienti di quell’avventura umana, ispirata dalla spiritualità dell’unità. Continuo è lo stupore davanti all’entusiasmo di Ginetta per il popolo brasiliano, un popolo «allegro, generoso, ospitale, intelligente e spontaneo, un popolo che possiede una grande capacità di sacrificio e sa mettere tutto da parte per un grande ideale». Ginetta e i suoi compagni avevano contemplato il popolo brasiliano non di profilo, ma dall’interno, in mezzo alle sue sofferenze, accompagnandolo. Nessuno poteva pretendere di essere “l’autore” dei cambiamenti visibili. Era solo restando “insieme” che la rinascita era stata possibile. 100

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Un fulmine azzurro nel cielo infinitamente grigio Chiara Lubich aveva seguito, dall’Europa, tutta l’avventura dei Focolari in Brasile. Qualcosa si era messo in marcia, l’amore concreto e l’unità facevano rinascere ciò che era morto e senza speranza. Ma occorreva andare più lontano. La povertà era troppo straziante. Sarebbe bastata un’ispirazione perché tutto cambiasse, e Chiara ebbe questa semplice idea: la condivisione! Perché non fondare delle imprese in cui la gente vivesse il rapporto con il denaro in modo diverso? Durante il suo viaggio nel maggio 1991 l’idea si precisò. Il denaro poteva diventare un’energia che avrebbe prodotto scambi fecondi tra quanti erano animati dalla cultura del dono. Era l’idea: una nuova economia, diversa sia dal capitalismo che dal socialismo! Si trattava di una terza via, controcorrente rispetto al classico modo di utilizzare i profitti. L’impresa ne avrebbe assegnato un terzo al suo sviluppo, poiché ciò che non progredisce muore. Un altro terzo sarebbe stato destinato alla diffusione della cultura del dono e alla formazione di chi desiderasse impegnarsi in questa nuova via, dal momento che non formando persone nuove non si fa nulla di nuovo. Infine, l’ultimo terzo avrebbe costituito la parte dei poveri. Chiara Lubich definì in modo semplice questo progetto di vita: l’Economia di Comunione nella libertà. Era il 29 maggio 1991. Chiara si rivolgeva a una folla di seicento persone giunte per farle festa nel cuore della cittadella-pilota, sorta dall’impulso di Ginetta, che si chiama “Araceli”, edificata 24 anni prima a Vargem Grande, una città situata a circa 50 chilometri da San Paolo. Progressivamente Araceli era diventata il centro dell’opera dei Focolari in Brasile, un luogo di incontro e di vita per molte persone impegnate, come anche per quanti desideravano approfondire la spiritualità dell’unità. Economia di Comunione nella libertà: un tuono di applausi, come un ritmo di samba brasiliana dalle risonanze calorose, fu 101

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la risposta alla proposta di Chiara Lubich. Operai, impiegati, quadri dirigenziali, ma anche imprenditori, tutti vi vedevano la risposta alle ingiustizie sociali dei loro Paesi. Gli imprenditori non erano numerosi, una ventina, ma ripartirono da quel congresso con un fervore, quello di impegnarsi in modo diverso per far cambiare le cose. Sarebbero riusciti a convincerne degli altri? Subito, Maria Aparecidha volle fare qualcosa. Possedeva due macchine da cucire semindustriali e le mise a disposizione per far partire una piccola impresa nei dintorni della cittadella di Araceli. Durante il suo soggiorno, Chiara ebbe l’opportunità di visitare la sala dove era incominciata la produzione di vestiti. Constatando lo slancio appassionato della manciata di operai, Chiara chiamò la loro azienda “La Tunica”, a immagine dell’ultimo vestito di Cristo che era stato cucito con un solo pezzo di tessuto. La Tunica, un solo pezzo di tessuto per un unico vestito. Tutti allora si sentivano uniti da ciò che per loro aveva un senso. Chiara ideò anche il logo dell’azienda scrivendo La Tunica con la sua scrittura, ampia, soffice e delicata. La Tunica ebbe anche una sorella. Infatti, nello stesso periodo, Anna Maria, con altri insegnanti, decise di aprire una scuola dallo stile completamente nuovo: quella donna credeva nell’educazione dell’amore e i bambini, ne era sicura, dei bambini nuovi, avrebbero reso possibile una società nuova. La scuola sarebbe stata aperta nel cuore della città di Vargem Grande, come La Tunica che vi aveva appena aperto le porte. Di primo acchito, Anna Maria presentò un progetto ben strutturato che si ispirava a pedagogie che ammirava: Piaget, Freinet e Vygotskij, e chiese a Chiara un nome per la scuola: “Escola Aurora”, la Scuola Aurora! In Brasile, gli scolari e gli studenti portano una divisa: La Tunica confezionò l’abbigliamento per i bambini dai 3 ai 14 anni della Scuola Aurora, tute sportive, t-shirt e vestiti in serie. L’équipe degli insegnanti della Scuola Aurora aderiva a un progetto pe102

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dagogico molto chiaro e ben definito, ma rispettava in pieno anche l’impegno dell’Economia di Comunione. Il treno era partito. Una marea di iniziative originali dilagò dopo quelle giornate di congresso. Alcuni imprenditori desiderarono contribuire alla realizzazione di quella nuova via economica che proponeva una chiave di lettura così originale nelle relazioni umane del mondo del lavoro. L’individualismo era escluso. Il profitto non sarebbe più stato ricercato come un fine in sé, ma semplicemente come un’occasione di sperimentare la condivisione. I brasiliani definirono quella piccola rivoluzione «la bomba del ’91»! Per loro si trattava di un vero ciclone economico. In America del Sud l’esperienza si diffuse come una scia di polvere, poi rapidamente anche nel resto del mondo. Una settimana dopo, in Francia, si apprese la notizia del Brasile, notizia definita semplicemente «la bomba»! Da molto François cercava un comportamento economico diverso dalla globalizzazione, quella che aveva come conseguenza la delocalizzazione, che favoriva la disoccupazione alle porte e la schiavitù lontano. Non voleva rinunciare, dopo Beauville, a quell’esperienza di vita comunitaria, sempre ossessionato da quell’utopia necessaria che non lo mollava. Non c’è da stupirsi se fu François il primo imprenditore francese ad accogliere la notizia dell’Economia di Comunione come una possibilità unica di lavorare veramente in modo diverso. Per lui, la “bomba” non avrebbe tardato a esplodere in tutto il mondo, ne era certo. Si era divertito per quella strizzatina d’occhio di vita: proprio il 29 aveva festeggiato i suoi cinquant’anni, mezzo entusiasta e mezzo perplesso. Senza saperlo, Chiara Lubich gli aveva appena fatto uno dei più bei regali di compleanno. La bomba stava per uscire dal suo inverno. François scrisse immediatamente una lettera a Chiara e, tramite lei, a tutti quelli decisi a mettersi in moto. Quella lettera obbediva a un bisogno imperioso di impegnarsi totalmente. 103

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In tutti i Paesi del mondo c’è bisogno di fosse biologiche, di impianti di depurazione, di cisterne, di vasche, di giochi, di imbarcazioni. Ecco il mio mestiere: rotostampatore. I miei prodotti possono essere venduti ai ricchi come ai poveri. In altre parole, io possiedo la pietra filosofale. La tocchi e produce oro. Chiara, voglio donartela. Poi François spiegava come dare la licenza gratuita per poter sfruttare i suoi brevetti, le sue macchine, gli stampi, la polvere plastica, il denaro e soprattutto come formare degli ingegneri... tutto ciò senza un suo guadagno. Era la condivisione, secondo François. François lo sapeva di essere nato per quell’idea, un’idea da realizzare concretamente.

Quando credere è agire! Nell’attesa di sapere come impegnarsi al seguito di Chiara, François si dava da fare in Francia. Gli Stabilimenti Neveux andavano bene, ma dovevano ora aiutare molto Agen Compositi, la società fondata all’inizio del 1989 all’interno dell’associazione di reinserimento, il CESSA. L’amico M. non ce la faceva più ad animare Agen Compositi. «Sta per deragliare», si diceva. Era arrivato il momento. François e Jeannot emettevano grossi assegni per colmare i deficit della piccola azienda e si chiedevano se fosse proprio l’idea giusta. A loro importava solo il futuro dei dieci dipendenti. La società aveva imboccato un vicolo cieco. Bisognava reagire per il bene di tutti, ma al tempo stesso non bisognava mandare in fumo i sogni. Fin dall’annuncio di quella piccola rivoluzione economica in Brasile, alcuni imprenditori sparsi nel mondo avevano incominciato quell’utilizzo dei profitti fatto in modo diverso. Si scambiavano idee, si consigliavano, condividevano le loro 104

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esperienze di vita: tutta una sinergia di talenti permetteva di andare lontano, insieme. François era attirato da quella vita che auspicava ardentemente. Ma i contributi per Agen Compositi erano così importanti che era allora impossibile fare progetti. Crederci! Da qualche anno François aveva scoperto che l’unità può ben risolvere i conflitti, ma era poco connaturale all’uomo. Aveva sentito parlare di Provvidenza da questi nuovi imprenditori. Era pensieroso. A maggio 1992 si svolgeva un congresso di tre giorni in Francia, vicino a Grenoble, a Saint-Pierre de Chartreuse, per approfondire la spiritualità dell’unità, durante il quale si sarebbe parlato dello sviluppo di Economia di Comunione. François non perse l’occasione. Vi scoprì una cosa assolutamente unica per lui: non era più il discorso di Chiara che risuonava nella sua testa, aveva davanti a lui “uomini nuovi”, capaci di ascoltarsi, di decidere e di agire nell’unità. François esaminava Agen Compositi: era appunto la mancanza di unità che aveva fatto fallire l’impresa. Ora François ne misurava le conseguenze e ne comprendeva il valore, ed ebbe così l’ispirazione, al di là delle “opere” che pur sempre desiderava avviare. L’unità evita all’uomo di essere quel santo che si stacca dagli altri per compiere le sue belle azioni. Le azioni sono belle per il solo fatto di essere fatte insieme. Essere a capo di un’impresa di Economia di Comunione significava anche abbandonare il proprio prestigio e donare una parte dei profitti, senza obbligatoriamente sceglierne l’utilizzo. La parte del povero avrebbe potuto essere lì dove non te l’aspettavi, forse era quella la vera globalizzazione. Il tempo in cui la borghesia benpensante affermava: “Ho i miei poveri” era realmente finito, per fortuna! Durante i tre giorni di congresso François lottò con se stesso. Da un lato non voleva abbandonare Agen Compositi e dal105

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l’altro voleva raggiungere quel nuovo progetto economico. Alla fine dei tre giorni, nelle curve tra Saint-Hugues e Saint-Pierre de Chartreuse, tra il luogo dell’alloggio e quello delle riunioni, ebbe l’intuizione: «È Dio che dona, non sei tu. Se tu non trattieni ciò che Lui vuole donare attraverso le tue mani, se tu costruisci il mondo con altri e se questi altri agiscono come te, si crea il paradiso... E se ora facessi un atto di fede? Devo aver fiducia. C’è una soluzione per Agen Compositi e la soluzione non passerà necessariamente attraverso me. Oggi devo impegnarmi in questa nuova via». François staccò così il suo primo assegno a favore dell’Economia di Comunione. Di ritorno ad Agen, dopo aver preso in esame i conti con l’amministratore contabile, François annunciò la decisione di prelevare il 20% dei profitti a favore di un’opera umanitaria; aprì un conto “dividendi” precisando che quel prelievo sarebbe avvenuto ogni anno. Agen Compositi vivacchiava. M. aveva dato le dimissioni; allora, per un periodo, Slimane accettò la direzione della società, ma avvicinandosi alla pensione, bisognava assolutamente trovare qualcuno che rilevasse la società. Due anni erano trascorsi, difficili, faticosi. Agen Compositi era sul punto di chiudere i battenti. Tutta l’avventura era durata sette anni, ma doveva continuare. Dov’era l’atto di fede? Da parte sua Jeannot, l’amico fedele di Beauville, era interessato al nuovo slancio di François; anche lui era stato sbalordito dalla “bomba” del ’91. Anche se non desiderava, per ora, impegnarsi nella via dell’Economia di Comunione, era contento che altri osassero quella strada. François e Jeannot, l’incrollabile amicizia! Eppure un “non so che” cambiò in loro, dopo quel congresso. Jeannot ebbe l’idea luminosa nel 1994, e seppe fare il primo passo: trasferire tutto verso la società Erplast: Agen Compositi era salva! Ma senza l’indefettibile “unità” ciò non sarebbe stato possibile. 106

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Quando credere è agire 17! E pensare che l’anno del suo primo congresso di Economia di Comunione, François, assolutamente deciso a impegnarsi in modo diverso, ricevette, per le sue invenzioni concernenti la bonifica, il trofeo nazionale dell’innovazione! Credere e fare...

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Norme enormi François aveva da tempo la convinzione che la sua storia non dovesse fermarsi al piano locale. Ed era talmente vero che, al momento della formulazione delle norme europee per il trattamento delle acque reflue, François fu invitato alle sessioni di armonizzazione del CEN Technical Committee 165 WG 41 18. Questa commissione di lavoro affrontava «la normalizzazione della bonifica individuale e di gruppi di individui», cioè le fosse biologiche e tutta la depurazione per meno di 50 utenti, la fetta più grossa del mercato. Ciò rappresentava il 75% del suo giro d’affari. Le norme! Un problema che può eliminare imprenditori pur dotatisi di invenzioni molto efficaci. Le norme appaiono come uno spauracchio e, sfortunatamente, molti imprenditori si fermano poiché gli obblighi sono troppo ardui. François vide subito la trappola. Tutti quelli che arrivavano avevano in testa più l’idea di eliminare i concorrenti vicini che un’idea 17 Per

qualche lettore queste parole rinviano a un titolo famoso: How to do things with words, libro del linguista J.L. Austin. Quando qualcuno dice “prometto”, sta già agendo, fa già in qualche modo ciò che annuncia; compie, trasforma, al presente, ciò che il suo ideale gli suggerisce. Allo stesso modo, dire “credo” diventa un impegno nello stesso momento dell’enunciazione ed è tutto l’avvenire che è già in cammino, risolutamente in azione. Colui che lo dice è in qualche modo legato dalla sua parola [N.d.A.]. 18 CEN: European Committee for Standardization - Comitato Europeo di Normalizzazione; Technical Committee - Comitato Tecnico; WG - Working Group, gruppo di lavoro [N.d.A.].

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costruttiva da proporre. François riconobbe onestamente: «All’inizio, ci sono andato con l’intenzione di non essere eliminato. C’era posto per me? Sarei potuto restare?». Il suo vecchio amico Yves, col quale aveva aperto un mercato in Spagna vent’anni prima, era in regola con la normativa europea e ciò lo faceva riflettere. François capì subito che la questione gli avrebbe “mangiato” un sacco di tempo. Avrebbe dovuto documentarsi in modo esaustivo, approfondito, spulciare la documentazione in tutte le lingue dei Paesi europei ed essere al corrente di quanto succedeva nei Paesi vicini. In realtà mi sbagliavo, le norme mi hanno fatto evolvere in modo incredibile – rettificò tempo dopo –. Ho avuto di fronte esperti con una grossa cultura tecnica. Dovevo andare alle riunioni anch’io con delle argomentazioni competenti e molto solide per far adottare le mie idee. François si rimise a lavorare accanitamente, cominciando dalla resistenza dei materiali. Avrebbe dovuto dominare quel versante abbastanza difficoltoso. Sono tornato a scuola a più di 55 anni. Ho assimilato i due grossi “Sanglerat” sulla meccanica dei suoli e mi sono spostato a Lione per andare a trovare quel signore di 73 anni affinché mi rivelasse le difficoltà che prevedevo nella mia professione. Il signor Sanglerat ha avuto la grande gentilezza di continuare per me le sue dimostrazioni. Contemporaneamente, al cantiere, ho fatto dei test super-pratici per corroborare quanto avrei dovuto provare tecnicamente riguardo ai test a cui sottoporre i materiali, in modo da far prevalere l’uguaglianza tra tutti i concorrenti. E mi sono battuto contro coloro che volevano normalizzare i test stabilendo solo dei calcoli, poiché i calcoli non tengono conto delle influenze del suolo. Parigi, febbraio 1991: era la seconda riunione del CEN TC 165 WG 41, ma per François si trattava della prima! Come si sarebbe comportato? Non era un tipo da utilizzare la captatio 108

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benevolentiae utilizzata dai nostri oratori latini. Per lui la vita era da inventare, con sensibilità. La neve aveva intorpidito Parigi e l’Arco di Trionfo era scialbo all’uscita dalla riunione. François propose un bicchiere, col proposito di ripassare le nozioni di tedesco, italiano, spagnolo... o il linguaggio dei segni. Il gruppo accettò. Dopo il bicchiere, la cena; dopo la cena François suggerì che ciascuno cantasse una canzone “tipica” del suo Paese, come regalo ai presenti. La gente sorrideva. Allora si lanciò e tutti gli altri lo seguirono. Karl, esperto tedesco, come anche Fred, esperto svedese, si ricordano ancora quel momento unico in cui, dopo i canti, le barzellette, e dopo le barzellette François, entusiasta di aver ritrovato un vero nucleo di compagni, salì sul tavolo e si mise a ballare. Il gruppo fu “un po’ sorpreso”, ma alla fine tutti si tolsero la maschera e applaudirono. Il pubblico aveva capito che non è serio essere seri. Karl confidò a François alla fine della serata: «Cinquant’anni fa i nostri due Paesi si facevano la guerra e ora chi avrebbe pensato che siamo cugini che si comprendono perfettamente nel lavoro?». E Fred diceva: «Ma i francesi sono così?». Tre volte all’anno gli imprenditori in linea con le norme europee si riunivano in un Paese sempre diverso. E quando François arrivava alle sedute, forse per timidezza, ma anche per rompere il ghiaccio, faceva lo “stupido”, come un comico comsumato. Faceva ridere tutti, ma dietro alle risate c’era grande professionalità, essendosi imposto soprattutto col suo sapere. Nel 1993, in Portogallo, arrivò con una videocassetta che mostrava un test su una vasca di plastica messa in un pozzo e sulla quale si erano posti degli estensimetri (strain gauges), per dimostrare che i calcoli non quadravano. Con i soli calcoli, senza gli effetti dei terreni, ci si sbagliava sugli spessori delle 109

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vasche che dovevano avere doppio spessore, necessario e ragionevole. L’idea di François fu ammessa e si chiama ora Pit Test, adottato in tutta Europa per testare le vasche di plastica, non rigide, interrate. Questo test ha salvato i produttori di vasche settiche in poliestere. Senza quel test, avremmo conservato solo il cemento. Progressivamente, nel corso delle sessioni, la fraternità tra i partecipanti si accentuò. Sempre nel 1993 François simpatizzò sempre più con Fred. Lo aveva ascoltato mentre parlava e sentiva di doverlo conoscere meglio. «Senti, Fred, cosa fai in Svezia?». Fred gli spiegò che possedeva apparecchi propri, ma che voleva fare altri prodotti e fabbricare vasche. François lo fermò subito: «Tu, tra due mesi, sarai in cantiere, ad Agen». Effettivamente Fred, accompagnato dalla moglie Anita, si recò nel sud-ovest della Francia abbastanza rapidamente. François gli fece visitare lo stabilimento «with his rototron process» e Fred rispose: «Lo avrò anch’io!». François gli insegnò la tecnica del rotostampaggio, il procedimento più semplice al mondo, secondo François, e Fred poté far uscire una nuova linea di prodotti chiamata Zelug 380, i meravigliosi battelli a motore realizzati partendo dal poliestere rotostampato. Ma Fred possedeva anche il procedimento più semplice al mondo per il trattamento delle acque reflue con la fossa settica, cosa che François ignorava. Quando François andò a sua volta in Svezia, scoprì l’in drain (sistema di drenaggio e di scolo delle acque) di Fred! François volle utilizzarlo, come Fred si era già appropriato del suo “rototron”. E così quello scambio di procedimenti portò molti benefici, per continuare lo spirito d’innovazione. Siccome il sistema in drain non soddisfaceva completamente François, egli, aggiungendo degli elementi, arrivò a una grande invenzione, sempre attuale, al top della depurazione, il “settodiffusore”! Se ne sarebbe riparlato in altri Paesi del mon110

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do. Tempo dopo François l’avrebbe sfruttato non solo in Francia, ma anche al di là degli oceani. Durante una riunione a Aix-la-Chapelle un nuovo partecipante, e non dei meno importanti essendo stipendiato dalla Commissione Europea, volle mettere delle soglie, ossia valutare le deformazioni ammissibili delle vasche di plastica. François sapeva bene che quelle soglie quotate avrebbero causato degli ostacoli a molti francesi e specialmente a un suo omologo, suo grande concorrente. Quell’ideale dell’“unità” mi ha portato a preoccuparmi per lui e non per me stesso – raccontò François –. Le vasche di quel concorrente avevano forme molto diverse dalle mie; pur essendo performanti, non corrispondevano alle soglie proposte. Ho passato parte della notte a cercare... e, naturalmente, la soluzione è arrivata al mattino, prima di alzarmi. Immediatamente, quel “confratello-concorrente” ha adottato la nuova soluzione e l’ha presentata lui stesso al gruppo di lavoro. L’atmosfera era tesa. In fondo a me stesso cercavo veramente l’unità, con lui, con tutti. Il presidente propose di dare la parola a tutti i presenti; eravamo in venticinque a dare il nostro parere, poi arrivò il turno degli inglesi. Sento ancora la voce di N. che capiva bene il problema e accettò la nostra proposta con una soglia talmente bassa che nessuno del settore della plastica rischiava di essere eliminato. Alla fine della riunione sono andato a ringraziarlo e l’ho visto più che felice per averci dato un aiuto. Produrre vasche settiche di plastica era ancora interessante ed era possibile inventare altre forme che diventassero più resistenti. Con quel problema delle norme, François stava per inventare una nuova gamma di prodotti col marchio CE, quello cioè che attesta la conformità alle norme europee. I due brevetti, il pre-filtro a cassetta e la FAN – vasca con nervature o vasca di Neveux – hanno segnato un’epoca. I brevetti, depositati nel settembre 1999 e nell’ottobre 2000, dettero 111

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una scossa al mercato. Quelle invenzioni sono state brevetti a effetto, cioè quasi sempre copiate. «Sempre copiate, mai uguagliate, secondo un mio grande concorrente che certamente non mi adulava», diceva François. La storia del pre-filtro a cassetta ha un certo interesse. François rifletteva sul pozzetto posto all’uscita della vasca, il cui scopo è quello di trattenere le materie grossolane: giornali, piccoli giocattoli, cotton fioc. Per evitare che tutto ciò venisse gettato nello spandimento, fino a quel momento si metteva della pozzolana – una roccia vulcanica – la cui granulometria era di 20/40 mm – per evitare che quelle cose uscissero. L’inconveniente era che, quando si voleva pulire il pre-filtro, ci si doveva caricare 40 chili sulla braccia, così la manutenzione era molto difficoltosa. Perché non mettere della materia plastica per sostituire la pozzolana? Alcuni mettevano delle biglie che però scappavano nell’acqua. All’improvviso, François trovò! Aveva il sistema! Dei fogli intercalati tagliati a pezzi: bastava assemblarli, disporli in fasci con dei lacci di plastica. Erano automaticamente forati e presentavano gli stessi vuoti della pozzolana, ma con il vantaggio di essere lavabili e superleggeri. Diventava possibile, d’un colpo, concepire il sistema di una semplice cassetta che si poteva poi tirar fuori dal pozzetto di filtraggio. Invece di sollevare un cassetto di 40 chili, si ritirava un cestello, un pack di meno di un chilo, facilmente lavabile. «I commerciali l’hanno apprezzato moltissimo e uno dei miei concorrenti ne è stato quasi geloso: “L’ho sognato, ma non l’ho fatto io!”». Dal punto di vista commerciale ciò significò subito un aumento del 20% delle vendite. Per quanto riguarda la FAN, la vasca con nervature, o “vasca di Neveux”, aveva un look tanto straordinario quanto la sua efficacia. In realtà non era altro che uno sviluppo della vasca intravista ai funerali del padre, Jean-Jacques Neveux. L’idea, ven112

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t’anni dopo, fu quella di aggiungervi nervature incorporate nello stampo che la rendessero indistruttibile. François poté provare la resistenza super-efficace utilizzando il test in situ, il famoso Pit Test del 1993! Si può dire che questa vasca ignori e disprezzi ogni spinta del terreno. E così il materiale in plastica dà le stesse garanzie del cemento. «Indistruttibile, irrompibile»: a ogni invenzione, nuove parole secondo François. La durata nel tempo della FAN non ha limiti! Diventò il prodotto numero uno. Con la FAN François aveva tracciato il futuro. Un architetto, con il quale François era in buoni rapporti, gli disse un giorno: «Quando vedo una 10 metri cubici FAN, ho voglia di mettermi in ginocchio!». Pensate a quanto gli architetti l’hanno utilizzata nelle loro costruzioni! Le norme indussero François a un continuo desiderio di andare avanti, vedendo in ciascun imprenditore non un suo potenziale concorrente, ma una persona con la quale progredire. Le norme non furono strumento di concorrenza né un mezzo per la conquista del potere, ma, al contrario, furono strumento di lealtà nel dover dimostrare che il materiale venduto era testato al fine di verificarne la performance. Maguy, la compagna di Yves, la prima donna a entrare nelle riunioni d’esperti, vi si annoiava. Non ci volle molto a essere attirata da Françoise. François apprezzava il “perfect English” della moglie ed era contento della sua presenza, lo aiutava a cogliere meglio le sfumature della lingua. Osservando l’intesa tra le due signore, gli altri esperti imitarono Yves e Françoise e fu così che nacque un “ladies’ group”. Tutte le signore facevano shopping insieme o guardavano le vetrine di antiquariato, e tutti si trovavano poi, alla fine della sessione, per mangiare e ballare... come negli incontri di rito degli ex del Politecnico di Marsiglia, gli amici! François aveva 113

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cominciato facendo ridere gli esperti, ma ben presto nacque un’amicizia meravigliosa, amicizia che aveva fatto andare al di là delle norme. Forse non a caso il presidente di quelle riunioni un giorno aveva detto che quel gruppo non era come gli altri...

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Il congresso storico Vargem Grande, sobborgo a cinquanta chilometri da San Paolo, nei giardini del Polo Spartaco. Non era letteratura: era semplicemente la vita del Brasile. Il Brasile dai tre colori della pelle, come una treccia di tre mèches, rossa rame, nera e bianca, intrecciate insieme. Non era più la ventina di imprenditori presenti nella primavera del 1991: in mezzo a una folla compatta, si trattava ora di duecento interessati all’Economia di Comunione riuniti per alcuni giorni del giugno 1995, assetati di giustizia, sicuri che l’unità tra di loro avrebbe risolto i problemi. Dall’annuncio della “bomba” di Chiara Lubich, nel maggio del 1991, gli imprenditori brasiliani avevano deciso di riunirsi una volta all’anno a Vargem Grande, luogo di nascita del progetto, sempre nello stesso periodo. E durante i quattro anni, ognuno aveva cominciato a “fare qualcosa” per mettersi in cammino. Alcuni avevano fatto partire una piccola azienda, con una nuova struttura; altri si erano fatti carico della formazione dei dipendenti – “la cultura dell’unità”, per creare delle relazioni nuove all’interno dell’azienda. E tutti avevano iniziato a distribuire i profitti con altre modalità, riservandone una parte alle persone sfortunate, a seconda della salute della loro società. Da quattro anni François Neveux aspettava di essere associato da qualche parte nel mondo per donare tutto il suo sapere in materia di depurazione delle acque. Aveva scritto a Chiara Lubich e, tramite lei, a tutti i membri dei Focolari che aves114

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sero bisogno delle sue competenze. Si trovava mentalmente ai blocchi di partenza della corsa. E senza gridare “attenzione!”, uno degli animatori dell’Economia di Comunione a livello mondiale, ma anche il primo imprenditore italiano a essersi impegnato al seguito di quell’utopia concreta, Alberto Ferrucci, lo invitò a unirsi a quel congresso in Brasile. Claire, l’ultima della tribù Neveux, unica femmina in mezzo a tre maschi, doveva fare la sua professione di fede ad Agen. François esitò un po’ a partire, per essere presente a fianco della figlia, ma sentiva un’urgenza più grande, imperiosa. Quel congresso era la risposta che attendeva da sempre e non doveva più tardare. Appena giunto in Brasile, François sbarcò in pieno congresso. Ascoltò le realizzazioni di quegli imprenditori, ma anche i loro progetti, le loro speranze. Era meravigliato della loro ingegnosità, come anche della loro audacia: con pochi mezzi, ciascuno si era lanciato in un’avventura unica: fare impresa in altro modo. Nessuno raccontava della propria vita, solo degli interventi per promuovere concretamente il modo di mettere in opera quell’economia così originale. Fu allora che si rivolsero a François. Chi era quel francese venuto da lontano? In poche parole François, con l’ausilio dell’interprete, disse: Voglio vivere con voi quell’intuizione “geniale” di Chiara Lubich, “geniale” nel senso della parola “genio”. In quell’intuizione c’è una parte di utopia, di sogno, ma ciò che rimane accessibile è scommettere sulla condivisione e credere che essa possa essere un aiuto per i più poveri. Sono pronto a dare i miei brevetti, le mie conoscenze, le mie macchine, i miei stampi, tutto... pronto anche a formare ingegneri e operai specializzati per vivere il lavoro con voi in modo diverso. Poi François espose i problemi legati alla bonifica di cui il Brasile avrebbe potuto aver bisogno. Descrisse i diversi prodotti che poteva fabbricare con quella tecnologia speciale e spiegò il senso delle esperienze che aveva tentato in Francia. Poi arrivò la constatazione della povertà circostante. 115

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Attorno a noi le favelas e tutto il resto, perfettamente disordinati nella miseria. Mi è bastato fare il giro di San Paolo per vederlo. Non sapevo di aver bisogno di quella miseria per costruire il paradiso. La cruna dell’ago è quella; dall’altra parte c’è il paradiso. Abbiamo la chiave per passare, e passeremo. Cosa successe in quei pochi secondi di silenzio che seguirono l’intervento di François? Per tutta risposta ci fu un delirio di applausi. Gli imprenditori brasiliani dissero tutti concordi: «Questo François Neveux è più brasiliano di noi brasiliani!».

Il Polo Spartaco Dopo l’annuncio della bomba del ’91 erano stati acquistati dei terreni per accogliere diverse imprese, da parte di 3.600 piccoli azionisti del Movimento dei Focolari che lo avevano finanziato. Alcuni avevano venduto una gallina, altri dei gioielli, altri ancora avevano dei mezzi più considerevoli, ma ciascuno era pari all’altro nel suo dono, e tutti dicevano: «Siamo piccoli ma numerosi»; era la loro forza. Fin dal 1991 una commissione di una quindicina di esperti era stata istituita per studiare il modo migliore di applicare l’Economia di Comunione alle strutture amministrative e fiscali del Paese. Era stata creata una società per azioni, ESPRI (Empreendimentos, Serviçoes e Projetos Industriais - Imprese, Servizi e Progetti Industriali), per costituire un capitale per mezzo della vendita di azioni nominali del valore di due dollari, al fine di acquistare del terreno vicino alla cittadella di Araceli a Vargem Grande. Quel terreno di quattro ettari era ideale per farne una piccola zona industriale. Mauro, un avvocato, ricevette a più riprese gli imprenditori interessati a conoscere le leggi per acquistare quell’area industriale. Mauro disse di essere stato così commosso da quello stile d’intesa tra quelle persone tutte diverse da decidere di saper116

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ne di più della loro attività. E quando scoprì il loro impegno, iscrisse la sua piccola Licia di tre anni alla Scuola Aurora. Era stato chiamato “Polo Spartaco”, dal nome di Spartaco Lucarini, famoso professore in scienze dell’economia, giornalista e scrittore italiano che rappresentava il tipico “laico cristiano” proposto dal Vaticano II. Chiara Lubich aveva avuto particolarmente cara la sua partecipazione in seno al Movimento dei Focolari, e la sua morte aveva lasciato una traccia nei cuori. Era stato lui a dichiarare: «La vita è dono e abbandono. Tutto ricevere e tutto donare. Ogni compito è missionario e può essere elevazione e promozione umana». La sua stessa vita ne era stata un esempio luminoso. Il Polo Spartaco aveva accolto, fin dal 1994, La Tunica, la prima azienda a installarsi e che sarebbe diventata fiorente. Con la sua quindicina di dipendenti e una dozzina di fornitori di servizi temporanei, confezionava vestiti da donna e da bambino e una linea unisex. Rispettava in pieno la legislazione, contrariamente al sistema di corruzione diffuso in Brasile per quanto concerne la manodopera. Disegnare e cucire abiti graziosi e imporsi sul mercato della moda rispettando la dignità delle persone: armonia, bellezza e qualità erano le caratteristiche indispensabili per entrare nel mercato. L’azienda avrebbe aperto numerosi punti vendita in parecchie regioni del Brasile. Da parte sua, la Società ESPRI, animata da Ginetta Calliari e dai focolarini, aveva costruito una galpão, cioè un capannone industriale, sul Polo, senza ancora sapere a chi destinarlo. Ma tutti sapevano che un giorno o l’altro qualche impresa vi si sarebbe sviluppata. Bisognava solo che fosse pronto. Durante il congresso era previsto di farne l’inaugurazione. Il vescovo David aveva accettato di andare a benedire il fabbricato sotterrando, come voleva la tradizione, una medaglia sotto l’edificio. Ginetta aveva appena deposto la medaglia sotto terra e giunse il momento solenne in cui ciascuno pregava; ma François si stac117

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cò dal gruppo; misurò a grandi passi la lunghezza dei muri del galpão, poi andò a sedersi a fianco di Ginetta. «Per chi è questo galpão?» le sussurrò. Ginetta capì immediatamente il senso della domanda, anche se non padroneggiava molto il francese. Guardò a lungo François per manifestargli la sua fiducia e, sorridendo, gli rispose: «É para ti!», «È per te!». François era davanti a un pilastro dei Focolari, quella Ginetta che da più di trent’anni aveva percorso in lungo e in largo il Brasile per vivere tutte le situazioni più dolorose, ma anche le più luminose, a fianco del popolo brasiliano; e Ginetta, conoscendo François da sole ventiquattr’ore, gli rispondeva semplicemente: «È per te!». I passi che François aveva misurato rappresentavano esattamente la misura che un fabbricato doveva avere per installarvi comodamente un grande laboratorio di rotostampaggio. Quindi, di ritorno dall’inaugurazione, François comunicò all’assemblea la decisione di creare un’impresa nel Polo, ma di ritirarsi poi al momento in cui la società avesse incominciato a progredire, senza mantenere nulla per sé; e François annunciò tranquillamente che avrebbe sistemato il suo ufficio sul posto dove era stata sotterrata la medaglia.

Il sorriso di José Tutte le decisioni di François erano sempre radicali, e i brasiliani l’avevano ben capito. La futura società di François avrebbe avuto bisogno di operai, di agenti commerciali, ma soprattutto di un direttore, di un rappresentante. Chi sarebbe stato in grado di occupare quel posto? Ad Araceli alcuni pensarono subito a José, eppure era pazzia pensarci. In realtà, José aveva già un’azienda per la lavorazione dei metalli, lontano da Vargem Grande, con un socio. 118

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Non conosceva nulla del rotostampaggio e ad aumentare le difficoltà c’era sua moglie in attesa, al sesto mese, del quinto figlio. Eppure da quando José aveva sentito parlare di Economia di Comunione, desiderava ardentemente impegnarsi. Non aveva forse venduto un piccolo appezzamento di terreno per diventare uno di quei numerosi azionisti del polo per il suo sviluppo? François stava per ritornare in Francia, ma intuiva di dover parlare a José. Allora, il 13 giugno, due giorni prima della partenza, andò a trovarlo, ben determinato. José gli rispose subito: «Sono ingegnere meccanico e ho un’impresa di lavorazione dei metalli. Non conosco la tua tecnologia e Maria avrà ben presto bisogno di me, ma è anche vero che sono pronto a dedicarmi all’Economia di Comunione». La risposta rimaneva aperta. François sperava. E l’interprete aggiunse: «Ma gli dico che sarà dura...». François chiuse il discorso: «Mé respondé – mi ha già risposto – con il suo sorriso: è pronto». François guardava José e pensava: “Questo è pazzo come me. Se si occupa delle vendite con quel sorriso... è fatta. È un tipo simpatico, intelligente, onesto, coraggioso. È vero che abita a cento chilometri a nord, ha un lavoro, una moglie e tra poco cinque figli, ma non dice di no... perché si tratta dell’Economia di Comunione”. François, prudente, continuò: «Prima di tutto senti un po’ tua moglie se è pronta alla tua stessa scelta, perché traslocare, ripartire da zero per vivere qui non è cosa da poco». Le decisioni di José erano anch’esse quasi sempre radicali. Ventiquattro ore dopo la risposta arrivò per telefono: «No se inquiète, no se inquiète... Abbiamo visto, con Maria, che è quello che dobbiamo fare». Così, forte del “sì” di Maria, José decise di vendere la sua fabbrica. Anche Maria decise di fare il passo; sapeva di dover abbandonare la casa, la sua bella casa, le sue relazioni, belle relazioni, una vita sicura e ben organizzata. 119

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François disse poi di aver trattenuto le lacrime, durante quella telefonata. José, il primo della catena di lavoratori nuovi, quelli formati da Ginetta, aveva teso la mano a François, sarebbe diventato il capofabbrica e il rappresentante della futura società. François cominciava a sperimentare la fiducia serena. Quel primo viaggio terminò con la visita radiosa di tutta la cittadella di Araceli. François ebbe l’impressione di vivere dei momenti “fondamentali”. Si mise subito a scrivere la prima pagina del suo diario dal Brasile, diario che aveva intenzione di scrivere a ogni viaggio. Poi François si accinse a rientrare in Francia e cercò il modo di conciliare i suoi due impegni: la sua impresa francese e quella brasiliana, tutta da organizzare. Meno di un mese dopo, il 10 luglio 1995, José arrivava ad Agen per la sua formazione.

Emergenze Quella nuova economia cominciava a diffondersi, senza tanta pubblicità e senza chiasso. Un uomo politico che abitava vicino al capannone industriale, apprezzando lo sviluppo della cittadella di Araceli animata da Ginetta e dai focolarini, accompagnato dalla moglie, volle conoscere tutto dal vivo: con semplicità e in un clima di festa, dichiararono che in quel luogo «si concretizzava un ideale cristiano, espressione tangibile di un nuovo mondo di fraternità e di amore, potente testimonianza capace di conquistare e trascinare tutta l’umanità». Erano niente meno che Franco Montoro, presidente della Commissione delle relazioni estere del parlamento brasiliano, e sua moglie Luci. Docente di diritto e di filosofia all’Università di San Paolo, senatore, ministro del lavoro, era governatore dello Stato di San Paolo. 8 luglio 1995: una data importante per l’Economia di Comunione in Brasile. Un politico comincia a vedere uomini nor120

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mali, in cammino, risolutamente decisi a vivere il mondo del lavoro con l’uomo al centro del sistema, l’uomo nella condivisione, e ha voglia di ritornare. Ma chi erano quei brasiliani “meno brasiliani di François”? Nello stesso periodo, inizio di luglio, François fece partire un container carico di macchine, stampi e plastica dalla Francia per il Brasile, per avviare la produzione al Polo Spartaco. Tutto sarebbe dovuto arrivare abbastanza presto, ma in agosto, al secondo viaggio di François accompagnato da Françoise e dalla figlia Claire, non era ancora arrivato niente. François aveva organizzato le cose per una dimostrazione sul posto, ma al porto non c’era nulla e nemmeno alla dogana. Da quel momento François cominciò a conoscere il Brasile. C’è una parola brasiliana, intraducibile: dispachente. È una parola che indica l’intermediario tra una persona, un cliente, e l’Amministrazione, e ha costi molto variabili, a causa del jeitinho, l’arte di arrangiarsi, l’intrallazzo. La risposta infatti era sempre la stessa: aspettare! François aveva ancora solo due settimane per far fruttare al meglio il suo viaggio, per sviluppare la società. Come fare? Un’impresa non può riuscire se non è sostenuta, “portata”, da donne e uomini entusiasti, che si comprendono senza palabres inutili e, secondo François, camminando su due gambe: la follia di intraprendere e la vita in unità. Per cominciare a fare impresa occorreva intanto trovare un nome “im-portante” per la futura società; ci rifletteva da qualche giorno, poi all’improvviso un’idea si impose. Aveva trovato il nome della futura società: Rotogine. “Roto” per rotostampaggio, “gi” per Ginetta e “ne” per Neveux. E così Ginetta sarebbe stata al centro dell’impresa, come era stata il cuore dello sviluppo della spiritualità dell’unità in Brasile. D’altro canto, Economia di Comunione significa anche valorizzare ciascuno. 121

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La falsa partenza permise a François di approfondire la vita nuova di quell’economia unica e giovane. Come vivevano gli imprenditori brasiliani dal congresso del 1991? Erano trascorsi quattro anni dalla “bomba”, due mesi prima avevano applaudito all’unanimità François al congresso del giugno 1995. Ora François stava per conoscere meglio la loro storia. Come si può pensare che una società possa nascere sotto una pioggia battente? Eppure, ecco cosa aveva raccontato Ercilia a François: «Una sera, sotto la pioggia, ritornavo in auto da una cliente che si era congratulata con noi per gli eccellenti risultati ottenuti dai consulenti della nostra società. A un certo punto, un ingorgo del traffico mi ha costretto ad andare a passo d’uomo; ho così potuto osservare molto bene una favela ai bordi della strada. Mentre io ero tranquilla e ben riparata nella mia auto, gli abitanti della favela erano sotto tetti di lamiera, con la pioggia che si infiltrava dappertutto dentro alle baracche. Ho capito allora come Chiara Lubich amasse il mio popolo, molto più di me che gli vivevo a fianco da sempre. E mi sono vergognata di aver pensato di fare già abbastanza. In quella macchina, davanti a quella favela, cosciente che il progetto dell’Economia di Comunione era audace, che esigeva un impegno totale, ho deciso di consacrarmi affinché quell’economia diventasse una realtà concreta per rinnovare il mio Paese». Ercilia aveva cominciato la carriera a diciott’anni in una banca e molto presto, a ventun’anni, si era vista affidare la direzione di una filiale. Ripensando alla proposta di Chiara, decide di fermarsi e di impegnarsi in quel nuovo progetto, lasciando la carriera e un lauto stipendio. Fonda Lo Spazio, un ufficio di consulenza e di formazione con una decina di consulenti. Poi, sentendo che l’iniziativa non era abbastanza grande, Ercilia e altri, aiutati dai consigli di imprenditori più maturi, mettono in piedi la società Eco-Ar, nel settore delle pulizie e dei pro122

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dotti detergenti. In tempi brevi l’impresa commercializza dodici prodotti e dispone di quindici punti vendita. Ercilia si occupa anche delle consegne con la sua auto, o di aiutare la produzione. Occorre fare di tutto e lo scoraggiamento talvolta è grande. Ma Ercilia ricorda a François: «La visione della favela mi ha dato la volontà di perseverare e da quell’istante preciso ho avuto la certezza di voler donare la mia vita per l’Economia di Comunione, poco importa quanto mi costerà». Da molto tempo Darlene cercava una risposta ai problemi sociali di cui era testimone. Farmacista in una città di 300.000 abitanti, dotata di ogni confort, nella quale lavorava con un’équipe di alto livello, decise di traslocare con marito e cinque figli per andare in una città di 30.000 abitanti, Vargem Grande, con in cuore un’idea: nel settore della sanità occorrevano nuove strutture. Introdusse delle novità in una clinica-ambulatorio che crebbe gradualmente nel corso degli anni e chiese a Chiara Lubich di dare un nome a questo nuovo centro di cura: la risposta fu: “Agapè”! Agapè – parola greca che caratterizza l’amore fraterno e spirituale – doveva sempre garantire la salute fisica e mentale attraverso relazioni privilegiate. Pian piano Darlene riuscì a reclutare un buon numero di medici specializzati in diciassette rami della medicina, un’équipe che dai medici agli addetti alla manutenzione tecnica conosceva il progetto dell’Economia di Comunione. Molti andarono a lavorare perché aderivano a quella nuova visione economica, altri tentarono l’avventura... per vedere. Un medico agnostico un giorno dichiarò: «Questo è l’unico luogo in cui il Natale, forse, ha il diritto di essere festeggiato». Raccontando la sua esperienza a François, Darlene era sicura di avere di fronte qualcuno che avrebbe rivisto, prima o poi. Da parte sua, François restava allibito davanti a esperienze del genere, poiché Ercilia o Darlene non erano casi isolati. 123

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I fratelli Rodolfo e Henrique erano stati particolarmente attenti durante la visita di François. Amavano molto gli europei: il padre, ebreo tedesco emigrato, aveva insegnato loro quella cultura della quale avevano nostalgia. Ma ciò che soprattutto aveva insegnato loro il padre era la professionalità, come anche il rispetto e la giustizia verso i dipendenti. Purtroppo, il padre morì cinque anni dopo la fondazione della sua impresa e i due fratelli erano troppo giovani per lanciarsi nell’avventura. Forse fu proprio la giovinezza a far vedere loro le cose in maniera diversa. Subito si ispirarono al pensiero sociale della Chiesa e alla spiritualità del Movimento dei Focolari per essere coerenti nel loro modo di agire. Firmarono un patto: gestire l’impresa secondo le esigenze cristiane che mettono l’uomo al primo posto e non il profitto. I due fratelli erano così uniti che dissero a François: «A partire da quella decisione abbiamo avuto l’impressione di risvegliarci, di staccare il pilota automatico al quale eravamo legati. Abbiamo cominciato a mettere in atto una serie di iniziative tra le quali la creazione di un centro medico di prevenzione, la distribuzione di una parte dei profitti ai lavoratori, la realizzazione di assemblee mensili e i contatti con il sindacato». Più tardi, essendo presenti all’intervento di Chiara nel 1991, Rodolfo e Henrique capirono immediatamente che, nell’Economia di Comunione nella libertà, avevano trovato il modello economico tanto sperato. Chiara aveva toccato un punto chiave della cultura economica: prendere in considerazione la visione dell’uomo. Possiamo affermare che solo attraverso gli “uomini nuovi” arriveremo a una nuova economia. Voler cambiare l’economia senza cambiare l’uomo crea solamente una forma di solidarietà con un’influenza appena marginale e che non potrà portare a un’autentica rivoluzione economica. La grande sfida del progetto dell’Economia di Comunione è la verifica concreta della sopravvivenza e della permanenza dell’impresa sul mercato, vivendo l’attività economica come espressione di comunione. 124

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François vedeva quei due fratelli uniti dal sangue ma soprattutto dal cuore. Non solo erano incredibili professionisti, ma la loro impresa era un modello di successo, ottenuto tramite le nuove relazioni che avevano intessuto. La loro azienda, La Femaq, produceva pezzi fusi di ferro, di acciaio, di alluminio, la cui produzione poteva raggiungere le trenta tonnellate, peso unitario di quelle grosse verghe. Novanta operai producevano annualmente 8.000 tonnellate di pezzi fusi per le industrie automobilistiche come Ford, Mercedes, Volkswagen e soprattutto per la General Motors che, per quattro anni, aveva assegnato alla Femaq il premio per la migliore impresa dell’America Latina. François era pensoso. La depurazione non era il loro settore. Peccato! Eppure aveva voglia di unirsi a loro. Forse un giorno... François incontrò anche un certo Luis Carlos, laureato in veterinaria. Si era lanciato nell’allevamento di polli, maiali e bovini. Luiz e la moglie Margarida avevano cercato di essere coerenti condividendo con i dipendenti una parte dei profitti dell’azienda. Ma nel 1991, dopo la “bomba”, Luiz e Margarida vollero superare quella fase con un’apertura sociale più ampia. Avendo aderito immediatamente alla proposta dell’Economia di Comunione, avevano cominciato a vivere la cultura della condivisione riservando una parte dei loro guadagni ai poveri. Quattro anni dopo, nel periodo in cui François Neveux era arrivato in Brasile, a dispetto della persistente recessione economica la loro fattoria si era consistentemente ingrandita: non allevavano più 210.000 galline, ma 450.000, i maiali e i bovini erano raddoppiati e il numero di addetti triplicato, come il loro giro di affari. Interrogato su quella realtà, Luiz rispondeva: «Penso che la vera risposta debba mettere in evidenza due fattori: l’aiuto determinante della Provvidenza e lo sforzo costante di management rigoroso e partecipativo, in vista dell’interesse comune, un capitale che in effetti non ci appartiene e di cui 125

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ci sentiamo semplicemente gestori. La vera risposta è data dal Vangelo: “Date e vi sarà dato!”». A quel genere di risposta, François esultava. Luiz Carlos! Era un vero lavoratore, accanito, modesto, con una facondia brasiliana inimitabile. François sognava: «Sì, con un tipo così si può fare di tutto!». François pensava anche a Rotogine. Avrebbe avuto bisogno della plastica per fabbricare cisterne, vasche e tutti gli oggetti per il tempo libero possibili. Cominciava così a interessarsi al mercato locale della plastica, considerato che sarebbe stato difficile importarla dalla Francia. Gli presentarono “frei” Hans. Aveva partecipato al congresso del 1991 e anche lui era stato molto colpito dal discorso di Chiara. L’aveva conosciuta in Germania nel 1963, allorché stava per diventare prete. Nel 1972, quando andò in Brasile, aveva desiderato riannodare con i membri del Movimento dei Focolari. Nel 1983 stava costruendo la prima “Fazenda da Esperança”, la Fattoria della Speranza, che doveva accogliere tossicodipendenti decisi a uscirne. Frei Hans aveva pensato che la cura per i dependentes químicos – i “dipendenti chimici”, nome dato ai tossicodipendenti – sarebbe stata incentrata sul lavoro, la spiritualità e la vita in famiglia. Per le ragazze venute da tutto il mondo il lavoro era essenzialmente legato all’artigianato e per i ragazzi l’attività principale era il riciclaggio della plastica. Poco a poco la sua impresa si era talmente ingrandita da contare trentadue fattorie in Brasile, con la capacità di accogliere mille e cinquecento “dipendenti”, ma anche in Russia, Germania, Mozambico, Angola, Messico, Paraguay, Guatemala, Argentina e Filippine – in totale quarantadue fattorie –, e tutti questi Paesi avevano accolto l’opera di frei Hans. François aveva preso in considerazione la sua attività e l’immenso ascendente che frei Hans aveva sui giovani dei qua126

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li si occupava. Aveva l’animo dell’Abbé Pierre: ascoltato, rispettato, amato da tutti. Il sistema di riciclare la plastica interessò François, attirato fin da subito dall’esperienza di quest’uomo fuori dal comune che lo appassionava. Frei Hans gli disse in confidenza: «Quando ho sentito Chiara parlare dell’Economia di Comunione, mi sono profondamente commosso. Ero infinitamente felice perché veniva a dare la risposta a un conflitto interiore molto forte in me. In Brasile, se si sceglie l’opzione dei poveri, si mettono i ricchi in disparte. Con Chiara è come se fosse nata una nuova teologia della liberazione. Tramite il suo carisma, ho visto che non era giusto pensare a un solo aspetto della questione, i poveri: anche i ricchi dovevano essere ascoltati. Vendere tutto non è la soluzione. Il ricco può essere ricco ma non attaccato alle sue ricchezze, e deve essere libero di amare e di donare. Se è animato dall’interesse per l’altro, si sentirà più staccato, più libero. Chiara ha dato una nuova missione per i poveri, e quell’idea mi è entrata nel cuore. La lotta tra poveri e ricchi non dovrebbe esistere, ma chi avrà l’idea di mettere in pratica l’Economia di Comunione?». Frei Hans! Un gigante della condivisione e dell’amore verso gli altri! François sentiva che l’avrebbe incontrato ancora; sapeva che una collaborazione reciproca era possibile: aveva di fronte a lui un uomo tutto d’un pezzo. François ebbe molti altri contatti così emozionanti... e occorrerebbero altri libri per descrivere quegli scambi così intensi! È però strano che i brasiliani, dall’animo così fiero, abbiano riconosciuto subito in François, al suo primo intervento pubblico, “un brasiliano più brasiliano di loro”. Ma un punto in comune ce l’avevano: tutti quegli imprenditori che avevano conosciuto François non si aggrappavano al loro potere, avevano un modo speciale di gestire le loro attività, nel rispetto dei dipen127

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denti, dei fornitori, dei clienti, dei loro concorrenti; uno di loro aveva dichiarato a François: «Io non sono nulla, sono prima di tutto uno strumento al servizio di tutti».

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Louco Al terzo viaggio, nel novembre dello stesso anno, François venne a sapere che il suo container, spedito quattro mesi prima, era finalmente arrivato al porto di Santos. Non era stato possibile entrare in possesso di una documentazione chiara, legale, per l’importazione di quel genere di materiale. Negli uffici portuali François e José avevano perso ore di palabres e tutto sembrava bloccato. La situazione rasentava l’assurdo e François e José si dicevano: «Perderemo tutto, di sicuro». Poi, l’intervento provvidenziale di un doganiere molto competente. Il che non impedì a François di vivere le peripezie doganali più inverosimili per pagare le tasse e soprattasse del container francese. Alla fine, finalmente, il container poté uscire dal porto di Santos, il porto più temibile del mondo. Louco in brasiliano significa “pazzo”. In Brasile, si pronuncia «lòcu», al contrario della fonetica francese per la quale si pronuncerebbe «lucò», paradigma della follia di fare le cose al contrario?! In effetti, bisognava essere louco per osare lanciarsi così, con la fede nell’unità, sicuro che quella nuova economia era “la sola cosa necessaria”. François si diceva: «Siamo obbligati a farcela!». Ma come fare? Il mercato brasiliano lasciava poche speranze, le tasse erano insensate: andavano dal 30% sui prodotti correnti fino al 50% sugli articoli per il tempo libero, come le barche, i kayak; e spesso la giungla legislativa era così complessa che era impossibile sapere esattamente, in anticipo, come lavorare nella legalità. Solo quando arrivava una multa da pagare si faceva una ri128

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lettura di ciò che si sarebbe dovuto fare: anche tutto questo era louco, come la follia di fare impresa. Il Brasile aveva bisogno prima di cisterne d’acqua e poi di vasche biologiche. Togliersi subito la camicia bianca e infilarsi la “tuta da lavoro grigia” e darsi da fare. Fin dall’inizio François battagliò con le macchine, montate qualche volta al contrario oppure annegate... Era poi urgente adattare i motori, sostituire i distributori del gas poiché gli ugelli non erano conformi al gas rifornito all’officina, rivedere il sistema elettrico perché gli interruttori terminali erano stati invertiti, allargare con la lima un buco da tre a quattro centimetri per far passare uno stampo, inserire tacche di arresto della trasmissione e collocare un motoriduttore per ridurre la velocità delle macchine... tutto con qualche arnese da pochi soldi! Pensare sempre all’aspetto ecologico del procedimento per produrre “pulito”: solo la fiamma molto blu può confermare la riuscita. In tutto questo disordine, François poté realizzare, nel novembre 1995, la sua prima vasca settica da duemila litri e il primo stampo di cisterna d’acqua. La notizia si diffuse presto al di là del Polo Spartaco e nessuno si stupì che in quel deserto dove ogni ostacolo finiva sempre in un rompicapo François, assistito da José, fosse potuto riuscire. François aveva donato trenta tonnellate di plastica ma sapeva che, alla lunga, sarebbe stato necessario approvvigionarsi sul posto. Ed era preoccupato. Serviva qualcuno di competente per recuperare il polietilene all’origine della produzione dei rifiuti, qualcuno che potesse fare l’umile lavoro di trasformazione per farne del poliestere riciclato. Tutto ciò era puro sogno. Ma José era l’uomo dalle mille risorse, fine conoscitore del terreno, e nulla lo fermava. Occorreva far presto perché i soggiorni brasiliani di François erano limitati. François non poteva assentarsi a lungo da Agen, anche la sua fabbrica aveva bisogno di lui. Allora, durante quello stesso viaggio, José percorse in lungo e in largo lo Stato di San Paolo con l’amico François, ma non 129

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per turismo: fecero un grande giro dei recuperatori della plastica. Sembravano Don Chisciotte e Sancho Panza, José e François, con novecento chilometri di strada giornalieri da macinare per trovare la risposta prima di andare a letto. Il loro era lo stile dell’ottimista. Alla fine, i recuperatori erano troppo cari, nonostante le decine di dipendenti che lavoravano come schiavi, triturando gli scarti e ronzando attorno alle immondizie. Si vedeva dalla loro faccia che quegli operai non facevano tanti progetti per le vacanze. Rimaneva solo frei Hans. Anche lui aveva partecipato a quel congresso del giugno 1995 e aveva sentito François fare quella “dichiarazione d’intenti”. Si rallegrava ora di riceverlo nella sua immensa fazenda costruita per i tossicodipendenti. François era sorpreso: non vedeva davanti a lui degli “schiavi”, ma solo dei giovani raddrizzati dal lavoro. Avevano attaccato, nel loro vasto capannone, un manifesto con la Parola di vita proposta ogni mese da Chiara Lubich. Frei Hans si impegnò a fornire la materia prima a un prezzo ragionevole, e avrebbe anche potuto procurare dei campioni importanti di materiale. Ma insistette sul fatto che la sua “impresa” era fatta soprattutto per i giovani in difficoltà, che non mirava al profitto, ma era un luogo di vita in cui ricostruirsi. In poche parole, bisognava dimenticare la parola business. Avrebbe fornito quanto poteva, se avesse potuto. Intanto avrebbe preparato degli scampoli di polietilene riciclato per Rotogine. Fu allora che arrivò l’idea; non c’era tempo da perdere. José fece una deviazione verso Salto per andare a trovare Luiz Carlos, François aveva già capito. Gli fece questa proposta diretta e senza preamboli: «Luiz, ci siamo visti in giugno, al congresso. Ti vedo entusiasta, pronto a tutto. Cosa ti impedisce di occuparti del riciclaggio della plastica?». 130

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Luiz Carlos era sconcertato. Lui, con una formazione da veterinario, con migliaia di frangos (polli), maiali e vacche! François vedeva in lui un potenziale recuperatore di plastica, pronto a macinare, lavare, asciugare, sottoporre a estrusione, granulare, mescolare e colorare la plastica... fino a trattarla contro gli ultravioletti! Luiz Carlos si diceva: «Quel tipo è veramente louco!». E guardando François con affetto, stringeva le labbra per non ridere, eppure pensava: «Quando si vede il suo entusiasmo... il denaro e i beni spirituali, tutto capita a tempo debito». Prima di partire, François continuò con la stessa determinazione: «Tu hai l’energia, la competenza, il terreno, la forza motrice, l’energia elettrica installata, un camion, del personale e dei rifiuti abbastanza vicino a casa tua; e io posso insegnarti la tecnologia più semplice del mondo. Riflettici». Poi François ripeté la proposta, quella di dare tutta la sua esperienza e la sua tecnologia a Luiz per poterla sviluppare; insistendo instancabilmente nel dire: «Rotogine, il tuo avvenire è nelle immondizie! Rotogine, il tuo avvenire è nei bidoni delle immondizie!». François ripartì per la Francia appena dopo aver visto un preventivo per la fabbricazione di migliaia di sedie in polietilene per un architetto. Un piccolo segnale incoraggiante... Ma molto restava da fare!

Finanziare, associarsi, riciclare e lavorare in modo diverso La maggiore preoccupazione di François era quella di procurare denaro, molto denaro, per far decollare Rotogine. Lo faceva regolarmente, ma non poteva prelevare somme “eccezionali” dalla sua impresa, aveva già il conto “dividendi” a profitto di un’opera umanitaria. Un nuovo rompicapo. 131

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Nel momento in cui François rigirava quel problema come una zuppa nella sua testa bollente, il suo assicuratore gli fece sapere che era possibile realizzare il capitale di una pensione complementare, capitale che in dieci anni era aumentato. François ci vide subito una strizzatina d’occhio della vita. Ma aveva immaginato le cose in modo molto differente: era già in programma una ristrutturazione alla casa ed era finalmente arrivato il momento di darle inizio. Françoise guardava François, con la sua voglia di riuscire per gli altri. Françoise, che fin dal ritorno dal suo primo ballo con François aveva desiderato che un giorno l’uomo che avrebbe scelto si impegnasse per il Terzo Mondo. E allora? Esitò un lungo istante, ma davanti al sorriso di François, sorriso che rivelava quanto fosse fiducioso nella risposta, Françoise scacciò ogni idea di ristrutturazione della casa. Il nuovo finanziamento per Rotogine era di 400.000 franchi francesi 19; era veramente un’occasione unica affinché i brasiliani potessero acquisire le quote di Rotogine e diventare in tal modo azionisti di maggioranza. Nel corso del 1996 François ritornò a San Paolo; una maratona di quindici giorni avrebbe dovuto essere proficua: aveva la certezza che Rotogine si sarebbe sviluppata se avesse avuto una materia prima poco costosa. Quella era la chiave, il riciclaggio ossessionava François, lo sperimentava in Francia da più di vent’anni... conosceva la musica della plastica! François aveva un mulino frantumatore, la macchina che costituiva la prima tappa della catena del riciclaggio. Allora ritornò a Salto. Nel frattempo Luiz Carlos e Margarida avevano rimuginato e deciso. La prima parola di accoglienza dei coniugi a François fu un “sì compatto”. François guardava Margarida: non obiettava alcun timore a Luiz, sorrideva fiduciosa. Con José, François e Luiz esaminarono la contabilità di Rotogine e decisero tutti 19 Circa

60.000 euro nel 2007 [N.d.A.].

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(François preciserà «in dieci minuti») un aumento di capitale per Rotogine e la nomina di José e Luiz come azionisti. D’altra parte, François aveva ricevuto un grosso assegno di 100.000 franchi 20 da un amico francese, Jean Michel, che aveva precisato: «Per il Brasile!». Era il suo modo di impegnarsi per l’Economia di Comunione: lo donava al Brasile, senza chiedere alcun conto, alcun beneficio e nemmeno il rimborso. François insistette perché anche lui diventasse azionista. Da parte loro, José e Luiz avevano già pensato a Sergio, un amico sicuro. Sergio non aveva forse detto loro, alla fine del congresso del 1995: «François è il primo europeo che abbia risposto all’appello per condividere il suo sapere e il suo denaro. La generosità del popolo brasiliano ha permesso l’adesione immediata alla proposta di Chiara, ma la disponibilità di François mi commuove»? Tutti e cinque erano ormai soci, ma uno di loro aveva voluto non rendere troppo solenne quell’accordo e, per staccarsi dai vecchi modelli economici, superati, senza originalità, lanciava loro elegantemente questa maliziosa provocazione: «Chi potrà capire che, in realtà, noi contiamo anche su di un “socio invisibile”?». François era completamente d’accordo con quell’idea del “socio invisibile”. Quel linguaggio “spirituale”, in cui Dio faceva irruzione dentro un sistema economico “molto serio”, era proprio quello che piaceva a François, che amava i paradossi. D’altra parte, anche per lui era importante precisare la sua volontà di non essere socio di maggioranza, perché il suo sogno era solo quello di un’impresa per il Brasile. Un giorno, sarebbe giunto il tempo di ritirarsi, completamente. L’originalità di François stava proprio qui: giocare su due tavoli facendo la spola tra i valori ideali e le decisioni concrete. 20 Circa

15.000 euro nel 2007 [N.d.A.].

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In sei mesi, a novembre, dopo aver installato un mulino per triturare gli scarti, prestato da François, dopo aver acquistato tutte le attrezzature per cominciare il recupero del polietilene, cioè una lavatrice, un essiccatore, due estrusori e tutta la batteria completa della catena della plastica, Luiz produceva dieci tonnellate di pellicola plastica al mese e aveva anche trovato un nome sensazionale: Real Plast, spiegando che “Real” era come regale, come reale e anche come l’antica moneta, il real. Con la plastica della spazzatura il prezzo della materia prima diminuì della metà e Rotogine poteva finalmente produrre belle cisterne d’acqua, blu, molto meno costose, con la “propria plastica”. Rotogine ne vendeva quaranta alla settimana da 250 a 3.000 litri, occupando sei dipendenti. Ma chi erano quei dipendenti di Rotogine? Cosmos rappresenta bene l’insieme degli operai di Rotogine. Accoglie tutti con un vero sorriso nella sua fabbrica dove le macchine del rotostampaggio rumoreggiano e producono le magnifiche caixas de agua di un bel blu. «La prima volta che ho visto François, non sapevo che ci fosse lui all’origine di Rotogine. Non abbiamo avuto difficoltà perché mi si è avvicinato con molta umiltà. Poi ho capito chi era, ma ciò non ha cambiato nulla. François mi ha formato, l’esperienza che possiedo l’ho acquisita solo grazie a lui. Avevo solo un piccolo diploma, il fondamental, e delle nozioni di meccanica generale, ma François mi ha visto e ha creduto che tutto fosse possibile. Quando François arrivava al reparto di produzione aveva sempre un’esperienza nuova da raccontarci. Ci valorizzava incoraggiandoci: “Parabens!”, “complimenti!” – ci diceva –. “Avete le macchine, le materie prime e sapete lavorare, riuscirete, insieme”. A Rotogine tutte le persone sono trattate allo stesso modo, ve lo dico io che ho lavorato in altre tre imprese». Per quanto riguarda Silvio e Daniel, rispettivamente direttore amministrativo e direttore commerciale, è stata questa nuova economia in seno all’impresa ad attrarli. Silvio ha dichia134

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rato con entusiasmo: «Sì, adoro appassionatamente il progetto perché penso che corrisponda a quello che dovrebbe essere un’impresa». Silvio aveva solo 28 anni quando si inserì nella squadra, ma era sicuro che quell’utopia fosse necessaria per il mondo attuale. È stato lui a presentare Daniel a François. «Quando ho ascoltato François – ha confidato Daniel – ho capito che noi tutti, impiegati, quadri, operai, dovevamo crescere insieme. Ciò che più mi ha colpito è che tutte le volte che François arrivava in Brasile, cercava di conoscere le persone e la storia di ognuno, della sua famiglia e ciò sempre senza stonature. E se si continua è perché siamo insieme! François ha detto che occorreva l’unità tra noi per riuscire. È vero, altrimenti i profitti ottenuti per aiutare i poveri non avrebbero senso». Proprio così: l’équipe di Rotogine aveva già una lunghezza di vantaggio con uomini di tale valore. Intanto la società Esprit, incoraggiata da Ginetta e dai focolarini, aveva fatto costruire un altro galpão sul sito del Polo Spartaco. Tutto si sviluppava molto bene: la società di Ercilia, EcoAr, stava per risolvere le ultime difficoltà ed essere accolta a braccia aperte. Si installò proprio vicino a Rotogine e François ne fu entusiasta: Le realizzazioni degli altri mi fanno volare alto come fossero le mie e tutto si compenetrerà: il tuo affare è il mio e viceversa, tutto mi interessa, posso aiutare, amare, dappertutto. Le persone sono degli angeli, sono in paradiso, ci sono dentro. Non era solo la plastica a essere riciclata, era soprattutto la voglia di lavorare insieme che circolava, e il denaro considerato come uno strumento era messo a disposizione delle idee “ideali” che potevano sempre produrre, all’infinito. Ritornato in Francia, François fu commosso nel sentire che l’UNESCO aveva deciso di attribuire il Premio all’educazione per la pace a Chiara Lubich, per «il contributo dato dal suo Movimento alla pace e all’unità tra le persone, i popoli, le generazioni e le categorie sociali, con la partecipazione personale e col135

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lettiva di tutti, bambini, giovani e adulti, ricchi e poveri, atei e credenti di tutte le religioni». Il 17 dicembre 1996, nella sede dell’UNESCO a Parigi, nel suo discorso Chiara delinea le tappe del Movimento dei Focolari e la sua diffusione nel mondo. Non si tratta della “sua” opera, tiene a precisare, ma di un’avventura divina. Dedica quindi il premio a tutti coloro che si sono impegnati a vivere la spiritualità dell’unità. François, presente in sala, sorride. È circondato da numerosi compagni di viaggio. Una frase affiora sulle labbra: «Il 2000 è già arrivato!».

La svolta In Brasile bisognava continuare a lavorare accanitamente per imporsi. José era più di un collaboratore, faceva di tutto a seconda dei bisogni: addetto alle consegne, fattorino, operaio, meccanico, addetto alle pubbliche relazioni, amministratore, spedizioniere, venditore... Le caixas de agua, le cisterne d’acqua da mille litri, si vendevano bene, ma le tasse del 35% lasciavano poco margine. E il credito bancario era al 17% al mese. François conosceva la risposta a memoria: se le vendite non sono importanti, bisogna compensare inventando qualcosa. Dopo la visita al cimitero di Piracicaba, François aveva disegnato la caixa tech, una cisterna a nervature con un cassone attorno, con sei nervature verticali e un tenditore di rinforzo nel fondo, che avrebbe potuto reggere il peso fino a sei tonnellate. Niente di meno che un caveau. Il Brasile aveva leggi molto rigide, le leggi ambientais per proteggere l’ambiente, e i caveaux dovevano essere perfettamente stagni per preservare le falde freatiche. In due giorni ebbe la richiesta di preventivo per quaranta caixas tech; il giorno seguente per una quindicina, poi altre an136

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cora, ma arrivò la delusione. Il CETBS (Comitato per l’Ambiente) non accordava l’autorizzazione “ambientale”, mentre Rotogine aveva avuto l’autorizzazione fiscale. François diceva: «E la miseria ti stupisce?». In Francia il mercato della vasca settica stava per restringersi, vista la tendenza a collegare le case delle nuove lottizzazioni tutte insieme con grosse tubature. C’era sempre meno spazio per le vasche delle case singole. François si interrogava: «Tre società si spartiscono la metà del mercato francese delle vasche, ma delle tre, sono forse il più piccolo produttore, il più vulnerabile. Ho già più di 60 anni: a chi passerò il testimone?». François rimuginava ogni giorno la domanda come una vite senza fine che girava a vuoto. Dei figli, i due più grandi avevano già fatto le loro scelte personali e gli ultimi due erano troppo giovani. Era inutile far portare a uno dei due il peso “dell’industria di papà” che si doveva rilanciare. E allora? Vendere ai membri più interessati dell’impresa? Oppure vendere a un concorrente? Vendendo, François pensava che avrebbe disposto di immense possibilità per il Brasile. Al tempo stesso, François desiderava approfittare dei mezzi che aveva ad Agen per andare avanti nelle scoperte e per aumentare ancor più la spinta di Rotogine. Ma né la Francia né il Brasile rappresentavano l’Eldorado. Le difficoltà dalle due parti dell’oceano diventavano sempre più critiche perché i prezzi si abbassavano, si abbassavano, e le vendite diminuivano. Dopo tre anni di andirivieni tra Francia e Brasile, François cominciava a padroneggiare il portoghese. Si potrebbe anche dire che si era “acculturato” a tal punto che la mentalità brasiliana era la sorella della sua visione delle cose. François diceva: «A due giorni dal fallimento i brasiliani hanno un ottimismo pazzesco, pronti a riconquistare il mondo, non dimenticarlo!». All’inizio del gennaio 1998 François inviava un altro container pieno di materiale: macchine, stampi per kayak, uno stampo per uno scivolo, un altro stampo per i giochi all’aperto, 137

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da non crederci! Ma a Santos, il porto più inverosimile del mondo, il vespaio fiscale fu all’altezza della sua fama; invece di pagare 35.000 franchi di spese di fiscalizzazione, si arrivò a 60.000 21! François e José dovettero farsi spiegare il sistema impositivo delle microimprese, il cui solo vantaggio è quello di evitare le tasse allorché il prodotto è venduto direttamente al consumatore che può essere un privato, un’altra microimpresa, un’associazione... In quel caso specifico, le imposte sarebbero scese dal 30% al 3%. Se François aveva spedito tutto quel materiale, era essenzialmente per donarlo ai Gen, la Generazione Nuova del Movimento dei Focolari, come l’aveva chiamata Chiara Lubich. Certi giovani, infatti, si riservavano un anno per la loro formazione prima di lanciarsi nella vita, ma dovevano finanziare la loro esistenza durante questo periodo. Ginetta aveva avuto l’ispirazione di organizzare una panetteria, La Spiga, a Vargem Grande e parecchie ragazze vi avevano trovato l’opportunità di lavorare, ma anche di studiare e formarsi alla cultura del dare. La caratteristica della Spiga era quella di accogliere tutte le classi sociali. Si poteva vedere un aereo atterrare sul campo vicino alla panetteria e un tipo originale andarci a prendere il suo “caffè-brioche”, oppure incontrare il contadino del villaggio con il suo carrettino pieno di verdura tirato da un asino mentre andava al mercato locale. Una cliente della Spiga, editrice socialista, agnostica, si era interessata a questo modo di accogliere i clienti. Il sorriso di quelle ragazze non era “commerciale”. Dopo aver conosciuto tutta l’avventura economica e spirituale di quell’impresa, aveva dichiarato: «Cosa posso fare io?». Alla fine, aveva voluto partecipare alla pubblicazione di un libro di Chiara Lubich. 21 Invece

di 5.200 euro, 9.000 [N.d.A.].

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Da parte loro, i focolarini cercavano per i giovani il modo di provvedere ai loro bisogni in quell’anno di preparazione spirituale, prima che si lanciassero nella vita. Molti progetti non erano riusciti. François aveva avuto l’idea di procurare loro del lavoro, perché amava in modo particolare la gioventù. L’attività che propose fu quella di creare una fabbrica di rotostampaggio per produrre piccoli pezzi: pozzetti, giochi per bambini come gli scivoli, elementi di mobili per esterno e qualche cisterna d’acqua. L’idea era di lavorare per non essere dipendenti da nessuno, guadagnare denaro mettendolo in comune e condividerlo in funzione delle necessità. I giovani aspettavano sempre l’arrivo di François poiché egli dava loro molto entusiasmo; lo vedevano vivere e a ogni viaggio si dicevano: «François vive in Francia, ma il Brasile abita il suo cuore». Non si sbagliavano. François si dava da fare affinché Jardim Margarida, nome della loro microsocietà, potesse prendere slancio; ebbe anche l’idea di mandare suo fratello Jean-Michel per aiutarli. Grazie alla sua professionalità, Jean-Michel poté realizzare l’installazione del gas all’esterno del loro locale e mettere a punto le macchine del rotostampaggio. Francia-Brasile! Per François non era l’enorme posta della coppa del mondo di calcio che si sarebbe svolta sei mesi dopo: la posta in gioco era semplicemente ascoltare ciò che la voce della coscienza gli dettava. Che svolta avrebbe preso François? Prima di ripartire per la Francia, François venne a sapere che in primavera Chiara Lubich avrebbe lasciato Roma per andare di nuovo in Brasile. Il suo viaggio sarebbe stato probabilmente “storico”, come quello di sette anni prima, quando aveva dato impulso all’Economia di Comunione nella libertà. Ora quell’idea era diffusa ai quattro angoli della terra. Ma cosa era cambiato in Brasile? Tutta la cittadella di Araceli si preparava ad accogliere Chiara a Vargem Grande, ma anche una folla immensa di tutti gli Stati del Brasile la aspettava con una gioia im139

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paziente, per farle festa. Ginetta e tutti gli altri desideravano caldamente la presenza di François.

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Piccolo diario di viaggio Durante l’aprile 1998 François ritornò a Vargem Grande (era il suo decimo viaggio in Brasile) per continuare lo sviluppo di Rotogine, ma all’improvviso fu coinvolto in un’effervescenza indescrivibile. Infatti Chiara Lubich era appena arrivata e il giorno dopo, domenica 26 aprile, era prevista la dedicazione della chiesa della cittadella di Araceli. Il nome di quella chiesa, “Gesù Eucarestia”, era proprio originale, come l’edificio stesso, unico nel suo vocabolario architettonico. Il tetto, formato da tre larghi petali, sembra scendere dall’alto come un fiore, fiore trinitario. L’interno, illuminato da numerose vetrate policrome, intende ricordare l’Arca dell’Alleanza. Gli sguardi convergono verso colui al quale la chiesa è dedicata, quel Gesù Eucarestia messo in evidenza da un grande medaglione dai colori vivaci. Una leggera struttura lignea sopra l’altare ricorda la corona di spine, quella della passione del Cristo, ma anche quella delle favelas che circondano le grandi città brasiliane. La chiesa potrebbe fare eco alla frase: «Nessuno tra loro era povero», riportata dall’evangelista Luca quando, negli Atti degli Apostoli descrive le prime comunità cristiane. “Dom” Lucas Moreira Neves, cardinale di Salvador de Bahia e presidente della Conferenza episcopale brasiliana, accompagnato da 64 vescovi da tutto il Brasile, volle ricordare il tempio ricostruito in tre giorni: quel tempio profetico sono tutte le persone che costruiscono un mondo nuovo. Poi Chiara fu invitata a parlare. François era stupito della semplicità dei suoi interventi, a portata della gente. Alla sera, annotò nel suo taccuino di viaggio: È chiaro, senza sbavature. 140

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Unità, Unità. Non è Cristo che ha inventato l’Unità. Egli ha pregato il Padre affinché Essa esistesse. Tutti i vescovi sono diventati bambini di fronte alla precisione convincente di Chiara. Poi Chiara attraversa il Brasile. A Itaichi tiene una conferenza sull’ecumenismo, davanti a più di trecento vescovi. A San Paolo, all’Università pontificia cattolica (università famosa, essendo stata il centro della resistenza cattolica contro la dittatura militare), riceve la laurea honoris causa «per il suo notevole contributo al dialogo ecumenico e interreligioso, come anche per la costruzione della pace nel mondo». Quella spiritualità era vista come un nuovo umanesimo ed erano il primate della Chiesa anglicana, il rabbino capo, il rappresentante del movimento buddista Rissho-kosei-Kai, lo sceicco del Consiglio islamico della moschea e molti altri che salutavano quella spiritualità decisamente “aperta”. François assiste alla sfilata delle autorità, e ciò che più lo colpisce è il gesto del rabbino: Il rabbino tira fuori la sua kippah e la dona a Chiara che la mette in testa. Per me, questo gesto davanti a più di mille persone è profetico. Tutti gli altri grandi personaggi che la circondano tirano fuori i loro abbigliamenti tipici, diventando ancora una volta bambini. All’Università statale di San Paolo Chiara riceve la medaglia d’onore dell’università: essa rappresenta una spada sulla quale è inciso: «La spada della verità». Tra gli interventi, il governatore Franco Montoro, che segue i “progressi” della cittadella di Araceli da tre anni, presenta l’opera del Movimento dei Focolari situandola nella storia del Novecento. Vede nel Movimento una risposta che è prima di tutto una testimonianza di fatti concreti. François guarda il tutto, divertito: Questo paese è una mescolanza commovente di corruzione e di riconoscenza. Occorrerà un giorno ringraziare coloro che sono veramente poveri per aver dato la loro vita per questo Ideale e per costituire così quella divina avanzata dell’Unità condotta da Chiara e riconosciuta da “tutti”. 141

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Chiara visita poi il Polo Spartaco, nato dal suo impulso: parecchi capannoni industriali sono ormai costruiti e alcune società si sono ingrandite. Assomiglia proprio a un’avanzata formidabile nella quale è impossibile guardare indietro. Ma l’esplosione vera sono ora le 700 imprese diffuse nei quattro angoli della terra che mettono in pratica questa nuova economia, come sottolinea Alberto Ferrucci, uno dei responsabili mondiali a servizio dell’Economia di Comunione. A Ibirapuera il grande stadio della città apre le porte al Movimento dei Focolari. Tre giorni di congresso vi si devono svolgere per continuare ad approfondire quell’ideale di Unità. Il terzo giorno Chiara Lubich è attesa da una folla di 11.000 persone. Arrivati dai quattro punti cardinali del Brasile, molti hanno fatto grandi sacrifici e inventato mille astuzie per essere presenti: alcuni hanno percorso fino a 4.000 chilometri per incontrarla. La mattina di domenica 3 maggio 1998, Chiara si ammala e non può andare allo stadio. Cosa avrebbe detto Ginetta a quelle migliaia di persone che aspettavano Chiara? François è presente, aspetta fiducioso. «Nel 1959 Chiara mi ha chiamato e mi ha detto che era giunto il momento di andare in Brasile per trasmettere l’Ideale di Dio Amore, aggiungendo: “Voglio darti un crocifisso, ma non come quello al quale si pensa di solito; ti dono un crocifisso vivo, quel Cristo che ha detto: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Quel “Cristo Abbandonato” tu lo presenterai al popolo brasiliano»: con queste parole Ginetta prepara gli 11.000 alla notizia dell’assenza di Chiara. Immediatamente, la gente si alza in piedi rispondendo con un diluvio di applausi. François pensò subito che i brasiliani erano davvero maturi per essere stati così pronti a “perdere”. Annota poi nel suo diario: I brasiliani sono dei bambini, Dio li ha scelti. È il Brasile il leader che ci convertirà. Qualche giorno dopo, alcuni deputati avevano previsto un grande incontro con Chiara Lubich al parlamento di Brasilia, 142

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dal titolo: “Economia di Comunione, un’esperienza del Movimento dei Focolari in campo sociale”. Naturalmente, gli imprenditori impegnati erano tutti invitati. Il vicepresidente del Brasile, Marco Maciel, rende omaggio a Chiara Lubich, ancora assente, rappresentata da Ginetta: «Sono stato profondamente impressionato dal lavoro svolto dalla signora Lubich tramite il Movimento dei Focolari, non solo in Brasile, ma in tutto il mondo. La sua opera non si limita al campo religioso, ma ha un impatto enorme nel settore sociale e civile. Dobbiamo ricordarci che, dietro alle parole di Chiara Lubich, ci sono delle esperienze concrete, già numerose qui, in Brasile». François è commosso dal riconoscimento dimostrato verso l’opera di Chiara Lubich, ma ancor più dalla notizia, diffusasi velocemente, che Chiara stessa stava per ricevere dalle mani del presidente del Brasile l’onorificenza della Croce del Sud, cioè la più alta onorificenza concessa a uno straniero, per aver collaborato allo sviluppo del Paese. Ora, l’idea fissa di François è di continuare a sviluppare Rotogine. Lavorando instancabilmente, François si dice: «I poveri non possono aspettare!».

L’imitazione eroica «Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?». François aveva meditato la risposta di Ginetta ai brasiliani riuniti allo stadio. Sapeva da tempo che era la scelta di Chiara Lubich. Ben presto, al ritorno in Francia, rileggendo gli scritti di Chiara, ne aveva penetrato ancor più il senso. Nel suo diario prolungò lui stesso la scelta del Figlio “Abbandonato”: Tutti i giorni chiedo a Dio di aiutarmi ad amarlo e addirittura a sceglierlo abbandonato. Ci sono stati dei momenti in cui io l’ho scelto e altri in cui Lui è arrivato. Da poco mi occupo della moglie di G., alcolista. È una scelta. Ho ordinato delle piante a 143

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Tolosa, sono andato a trovarla e l’ho assunta. Sono così finite le arrabbiature e le proteste interiori. Per te, che sei stato abbandonato. È l’occasione di amarti. Poi al cantiere... Saldatura sbagliata: la si offre; pezzo mal riuscito: lo si offre. Un forte raffreddore, naso che gocciola per tre giorni: offerto. Ma non corro dietro all’Abbandonato, cerco semplicemente di riconoscerlo. Ieri, all’ospedale, l’ho proprio visto abbandonato nella pelle di quell’operaio (Ben C.), ma anche risorto... Sì, voglio offrire anche la mia tristezza e la mia fatica. Avere la capacità di sopportare tutte le avversità, ma anche di sopportare ogni persona e amarla per amore dell’Abbandonato. E se Dio mi abbandona, è per insegnarmi a camminare. Da parte sua è amore, avanti dunque, questa è la mia croce, devo amarla.

Virata a 180° Dall’inizio del 1998 François constatava un mercato in decadenza, con oneri in aumento. L’applicazione delle trentacinque ore aveva perturbato molto il buon andamento dell’impresa. Ciò rappresentava, per lui, “le due F”: freni e forti spese 22, senza poter creare nuovi posti di lavoro. François vedeva anche un’altra concorrenza, più moderna. Si trattava, per esempio, delle complicazioni di carattere amministrativo, come una regolamentazione francese che aveva allarmato François con quella avvertenza che sentiva come “discriminatoria”: «Attenzione alle vasche di plastica!». François era andato a Londra, a Lisbona, a Monaco di Baviera, per incontrare tutti gli esperti europei, per difendere quel mercato che 22

In francese le due parole freins e frais, oltre a cominciare per “f”, si avvicinano nel suono.

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serviva da trent’anni. In effetti, la concorrenza, in Francia, poteva introdursi, indirettamente, con delle regolamentazioni. D’altra parte, la strategia di abbassare i prezzi per aumentare le vendite, sottraendole alla concorrenza, non era molto “etica”. François dichiarava spesso: Mi sembra che questa politica sia contraria a quello che raccomando agli altri: “la stabilità dei posti di lavoro”. Se abbasso i prezzi, se vendo in questa situazione, distruggerò anche dei posti di lavoro presso i miei colleghi, con il rischio di scomparire più tardi, completamente indebolito dai prezzi in caduta libera. François si sentiva accerchiato. Il capitolo di bilancio “salari e oneri” prendeva il volo, la voce “trasporti” era quasi raddoppiata, il “sistema” sembrava completamente bloccato. Tutte le spie si erano improvvisamente accese: «Sono in gabbia – aveva confidato a un suo stretto collaboratore –. Non si può trionfare silurando gli altri». E ripeteva a se stesso: «Perché ciò non sarebbe degno dell’Economia di Comunione per la quale ti batti». Durante il corso dell’anno, un’idea si era sempre più precisata. A 63 anni François cominciava a considerare la parte migliore della sua vita, «la schiuma dei giorni felici». Lui, che aveva così spesso mescolato l’amicizia con il lavoro, che aveva sempre privilegiato più la parola data che i contratti firmati, questa volta avrebbe potuto verificare la solidità delle sue relazioni. Dagli anni Settanta François aveva avuto occasione di conoscere, tramite Jean, ingegnere alle Officine e Cantieri della Nive (nella regione dei Pirenei Atlantici), André, direttore di un importante gruppo di materiali edili da costruzione. Jean aveva subito detto ad André: «Voglio farti conoscere il professor “Nimbus” 23. È un personaggio fuori dal comune, con un sacco di progetti in testa e la bisaccia piena di idee. Ha appena 23 “Nimbus”,

eroe del fumetto creato da A. Daix nel 1934, geniale professore sempre con la testa tra le nuvole (da cui il nome “Nembo”, nube).

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creato un nuovo tipo di vasca settica di plastica polietilene, un piccolo capolavoro di forma e di leggerezza. Per completare la nostra gamma di prodotti di depurazione in cemento, ci ha affidato la vendita di quelle vasche. Dato il successo ottenuto, il signor Neveux cerca ora un partner per estendere il suo mercato in tutto il territorio francese. Penso che saresti il candidato ideale». André era sorpreso della proposta di Jean, non avendo la più pallida idea di cosa fosse una vasca settica. Per quanto riguardava la modalità di commercializzazione, gli sembrava completamente fuori dalla sua portata. Ma Jean insistette e l’incontro fu fissato. «Il tipo mi è piaciuto – avrebbe poi raccontato André –. François mi spiegò in modo originale e brillante in cosa consisteva il mercato della depurazione. Con la sua facondia e il suo carisma ha saputo convincermi dell’opportunità che mi offriva di ampliare le mie attività. Ci siamo lasciati, dopo aver concluso l’accordo. In tempo record le nostre squadre sono state formate alla conoscenza del nuovo prodotto e la documentazione necessaria è stata realizzata. Quindi abbiamo lanciato la vendita dei prodotti Neveux nella Regione Parigina. Il successo è stato immediato, tanto che François, rapidamente sovraccaricato, ci ha proposto di fabbricare noi stessi il suo prodotto, meno di un anno dopo il nostro primo incontro. Abbiamo firmato un accordo con licenza d’uso, conforme al contratto che autorizzava lo sfruttamento del procedimento concesso a François Neveux dall’inventore americano, detentore del brevetto. La firma è stata un’eccezione perché non avevamo mai firmato documenti con atti complicati. Una telefonata, qualche spiegazione, un rapido colloquio e il gioco era fatto. François è l’unica persona con la quale ho avuto questo rapporto privilegiato. È stato durante quel primo anno di collaborazione che si è instaurata tra di noi una relazione di fiducia assoluta, senza ambiguità». 146

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François rifletteva. La sua impresa non gli sembrava più adatta al mercato futuro, ma mettere in pericolo un’azienda di cento persone era fuori questione. Allora, perché non unire le forze con un gruppo simile, per far fronte a tutte le difficoltà? Per quasi vent’anni François aveva lavorato con André e da dieci anni aveva trattato con il figlio Christian. La loro società sfruttava da molto tempo la licenza del know-how Neveux! L’ammirazione di André verso François era tale che aveva detto ai suoi collaboratori: «François è la Chiesa in mezzo al villaggio, ascoltatelo!». Per François, André rappresentava un cliente importante, un amico e al tempo stesso un concorrente per forza di cose. Più François rifletteva e più gli appariva importante lottare contro un problema d’immagine: si sentiva prima di tutto un imprenditore. Tuttavia, di due medie aziende sarebbe stato possibile fare un gruppo solido. Il punto forte del gruppo familiare di André e Christian era la rete commerciale molto ben sviluppata. D’altra parte, la Società Neveux poteva interessarli per la sua tecnologia del rotostampaggio e per il riciclaggio del poliestere al top. Più François andava avanti e più voleva dedicarsi a quell’altra forma di economia, quella in cammino in Brasile, e vendendo la sua società di Agen, i fondi potevano essere destinati a quella. Per il momento era necessario considerare in modo diverso il suo concorrente – che, in un sistema di economia classica, avrebbe dovuto essere un nemico. Essere gentiluomini prima di tutto: era la regola di François, ma anche quella di André. Per François ciò voleva essere anche un modo umile di procedere. Era senz’altro quella, allora, la sua “imitazione eroica”, l’esperienza della sobrietà. È in questo contesto che François propose di vendere il 51% delle sue azioni all’impresa concorrente. Da parte sua, Christian accettò subito la proposta di François dicendogli che era felice di trattare con lui e che la cosa avrebbe portato un po’ di ottimismo nella crisi. François annotò che tutto ciò che Chri147

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stian gli diceva andava nel verso giusto del rispetto del personale del posto. François si diceva: «Esistono sempre delle soluzioni per non morire fieri sul campo di battaglia con tutti i compagni. In cambio di una soluzione, ho dato la mia perdita di potere e di un certo prestigio. Il Grande Neveux sta per scomparire; è meglio organizzare la sua scomparsa che constatarla qualche tempo dopo... cosa che costerebbe più cara». Restava da convincere l’équipe di Agen, che non credeva che l’operazione fosse conveniente. François sapeva che avrebbe sofferto a convincerla fino al giorno in cui la Storia avrebbe dimostrato che... La diffidenza del personale, che egli capiva e che lo irritava, non fu inutile. All’inizio fu difficile organizzare i rapporti tra le due società. Il padre e il figlio “potenziali acquirenti” erano andati ad Agen ed erano affascinati da quanto vedevano. Il discorso che François aveva fatto non era esagerato. La parola “sinergia” non era di troppo. Tutto quello che François propose, appariva perfetto. Ma la sera di quella visita apparve un’ombra nel quadro; François sentì dire, alla fine della loro conversazione: «La fatturazione si farà a Parigi, nella nostra agenzia». Il direttore commerciale di François, presente al colloquio, osò dire in confidenza: «Ebbene! Ecco, e siamo solo all’inizio!». Per François fu un test necessario. «Se uno solo dei nostri sarà eliminato, annullo tutto!», replicò. Il giorno dopo François chiamò Christian. Fu così che, in occasione della vendita degli Stabilimenti Neveux, François e Christian scrissero insieme una lettera d’impegno nella quale si precisava che le sinergie delle due imprese escludevano la fusione dei servizi, ma anche che, se le necessità economiche avessero dovuto imporla, la necessaria riorganizzazione sarebbe avvenuta in accordo con François Neveux. François firmò. La seconda e ultima volta, in quasi trent’anni di conoscenza reciproca. Christian diventò il presidente, il “padrone”, ma l’intesa tra i due uomini richiedeva che, in 148

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nessun caso, ciò che era stato costruito da François sarebbe stato distrutto. Per François era quella la Provvidenza che aveva largamente superato gli sforzi fatti. La grande amicizia, ma anche la stima per André erano state la prima pietra per costruire rapporti di lealtà nella consueta giungla del lavoro, lealtà che ora poteva essere verificata con Christian. Con questo “montaggio”, François non abbandonava né la performance tecnica né le sue possibilità di sviluppare l’Economia di Comunione. Si impegnò ad assistere tecnicamente Christian con la creazione di una piccola società, la Polyboost, che si sarebbe occupata del riciclaggio e gli avrebbe fornito il magico polietilene. Quindi, i due terzi del capitale della vendita della società Neveux sarebbero stati immediatamente riversati in Brasile. Per François, tutte le spie rosse diventavano finalmente verdi.

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4. Rinascere insieme

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Fino a quando l’armonia regnerà nella casa e le leggi saranno sane, l’invidia di tutti i re vicini... non riuscirà a travolgere quest’impero e nemmeno scuoterlo. (Thomas More, L’Utopia)

Il laboratorio di Claire In seno alla famiglia Neveux, fu senz’altro Claire ad accorgersi con grande acutezza del radicale cambiamento del padre. Claire, l’unica femmina e la beniamina della famiglia, aveva già assimilato il distacco che si può avere nei confronti del denaro e nello stesso tempo sua madre le aveva insegnato che nulla le era dovuto, che era importante fare i propri conti per vivere bene questo aspetto dell’avere. Claire sentiva che suo padre era veramente diverso dagli altri uomini. Adolescente, mal sopportava lo sguardo degli altri che, senza conoscere la sua vita familiare e gli impegni che i genitori avevano preso, traevano affrettatamente le conclusioni sulla situazione di “padrone” di suo padre. La concezione del tutto personale di suo padre è da lei ben riassunta: «Non ci parlava mai di risparmio, avendo una grande fede implicita nella Provvidenza. Il denaro era fatto per essere speso a profitto degli altri o della famiglia. Diceva spesso, “furente” contro le persone che desideravano aumentare “il capitale di Dio” senza impegnarsi a fondo: il denaro c’è, basta abbassarsi per raccoglierlo!». E così, fin dall’annuncio dell’Economia di Comunione, la “bomba” non tardò molto a scoppiare in seno alla famiglia Neveux, e fin dall’estate del 1992, all’età di dieci anni, in occasio150

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ne del primo assegno che il padre staccò a favore di quella nuova economia, Claire si mise a costruire oggettini di pasta di pane da vendere alle feste del paese o alla gente di passaggio a casa sua. L’importante per lei era dare quel denaro per i bambini aiutati dall’Economia di Comunione. Poi, cinque anni dopo, divenne molto più abile; aveva scoperto una pasta colorata da modellare che induriva in forno, realizzava stupendi gioielli e una serie di oggettini, dai pezzi per il gioco degli scacchi alle marionette. Il desiderio di donare rende creativi e Claire si inventava sempre qualcosa da vendere. La sua regola era: «Su quello che guadagno, conservo un terzo per ricomprare la pasta, un terzo per i giovani che andranno ai congressi o agli incontri di formazione – gli “uomini nuovi” di cui si parlava nel discorso di Chiara – e l’ultimo terzo per l’Operazione 5.000!». Quei 5.000 dell’Operazione erano le cinquemila persone del Movimento dei Focolari distribuiti nei diversi Paesi del mondo che vivevano in condizioni di povertà inaccettabili; il Movimento aveva semplicemente preso a cuore questa constatazione: in seno alle prime comunità cristiane, «nessuno tra loro era indigente» (cf. At 2, 44-45). I poveri del Movimento: era da loro che occorreva cominciare! Claire aveva seguito tutti gli impegni del padre, poiché egli comunicava sempre le sue invenzioni e i suoi sogni alla famiglia, ma vedendo il suo entusiasmo e il suo ottimismo di fronte a quella nuova economia, aveva avuto l’intuizione che quel progetto, che non proveniva da lui, sarebbe andato molto più lontano degli altri.

Il muro bianco, lo scivolo giallo e il piccolo tosaerba, alla rinfusa! «Il Paradiso in terra, mio padre aveva voluto costruirlo anche per noi», ricorda Paul, l’ultimo dei figli della tribù Neveux. 151

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I tre ragazzi avevano molti amici, di tutti gli ambienti sociali, e Claire, la loro sorellina, aveva seguito le loro orme. Di ritorno dai Paesi Baschi, luogo di vacanza di un’estate, dove tutta la famiglia aveva giocato alla pelota contro un muro, François riportava a casa l’allegra famiglia in auto e pensava: “Si potrebbe fare un frontone bianco nel giardino per giocare a questo gioco”. Poi riflettendo: “No, farò di meglio”. Secondo Paul, per suo padre “meglio” significava “di più”, all’americana: “big is the best”. «Farò un campo da tennis con un muro in fondo, per fare i due giochi». Ma la cosa più straordinaria fu un grande scivolo giallo canarino che partiva dalla camera dei coniugi Neveux e scendeva in quindici metri di discesa per arrivare direttamente in piscina. E i quattro ragazzini Neveux non erano mai i soli ad approfittarne: quello era lo scopo. Infatti, il prete Milanese arrivava di mercoledì e nei fine settimana con una decina di bambini, molti dei quali da Montanou, e ad Agen, quando si parlava di Montanou, si parlava quasi del lupo. Per François anche questo era paradiso. Paul, il più giovane dei figli, aveva come amico Gilles che, da adolescente, criticava tutto e tutti: i genitori, i padroni, la gente facoltosa... la società! Ribelle, disilluso, quasi acido. Un giorno restò a pranzo da Paul, conoscendo alla fine François. «Pranzavo da Paul, avevamo quasi finito quando all’improvviso ho visto suo padre salire sul tavolo: ci faceva dei gesti incredibili; a un certo momento, quando ha fatto il verso del cane, ho avuto paura. Non avevo mai visto un adulto così libero, ma... sono ritornato lo stesso a fare il bagno tutta l’estate». Alcuni anni dopo, nel corso del 1996, Gilles cercò lavoro: «Ero veramente instabile; avevo lavorato in sette aziende diverse in due anni; ero anti-lavoro, anti-padrone, anti-denaro. Un giorno ho bussato alla porta degli Stabilimenti Neveux e ho chiesto un lavoro al padre di Paul. Non avevo particolari qualifiche, solo 152

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poche conoscenze nel campo elettrico; sono ripartito dal minimo salariale, ma con cinquecento franchi in più, e senza chiederli. L’anno dopo ho ricevuto trecento franchi in più, anche questi senza richiederli. Guardavo François Neveux: era strano quel suo modo di rivolgersi alle persone. Quando arrivava, andava da tutti per salutarli e vedeva a colpo d’occhio se qualcuno di noi non stava bene. Fosse a un capo o a un semplice operaio, parlava nella stessa maniera e mi piaceva moltissimo come mi parlava; mi ha valorizzato molto. Vedevo come si occupava della gente e tutto quello che osservavo, poi mi ronzava in testa. Esaminavo la mia vita e mi dicevo che avrei spesso potuto finire male. Da due anni, lavorando da Neveux, avevo avuto il tempo di rimettere in ordine le cose nella mia testa; allora mi è venuta un’idea folle: lascerò Neveux perché voglio provarci da solo». L’idea folle è che Gilles è andato a “lavorare nel sociale”. È stato forse quello l’effetto Neveux. Successivamente Gilles, lavorando in quel campo, è diventato educatore in seno a un’associazione che si occupa di inserimento! Lo scivolo giallo, più che un semplice gioco, è diventato per lui un trampolino sulla vita. Per Paul, le iniziative del padre erano sempre indubbiamente enormi: un giorno, mentre tagliava l’erba attorno alla casa con un piccolo tosaerba elettrico, disse al padre: «Non ho più filo elettrico, bisognerebbe andare a prenderlo». E racconta il seguito brevemente, mescolando stravaganza e ammirazione: «Siamo partiti insieme e siamo ritornati con un... trattorino tosaerba!».

Padre e figlio, complimenti! Un’apparizione ruggente scuote le acque del Mississippi, un’onda come un abbraccio enorme, big, huge 24, come un’an24 Aggettivi

inglesi, siamo in riva al Mississippi: big, grande; huge, enor-

me [N.d.A.].

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tica matrona di una civiltà scomparsa, soffia nelle canne a forme strane per sposare dolci suoni di flauto con borbottii gassosi: è come l’inquietante capitano di quel vascello burlesco, specie di battello a ruota, da sogno... François è sulla riva del Mississippi con parte della sua famiglia. All’improvviso scoppia in una fragorosa risata. Françoise, Claire la loro beniamina, e Jean – detto Nanò, il più piccolo – ridono tanto per lo spettacolo delle acque quanto per la risata di François. E subito François ha l’idea! Sarebbe stata realizzata un giorno? L’apparizione era degna di un film di Fellini! Ma per François i tubi cantavano e incantavano! Ciò non doveva restare una visione fantastica, separata dalla realtà... Alcuni anni dopo, François fu invitato al primo Festival degli organetti di Barbaria, organizzato dall’associazione “I Picchiatelli della musica meccanica”, a Bon Encontre, vicino ad Agen. François ne era sicuro: la sua idea doveva prendere consistenza. Fu allora che raccontò a Pierre, il figlio maggiore appassionato di musica, “l’apparizione del Mississippi”. Padre e figlio si misero subito al lavoro: inventare qualcosa di inatteso, una specie di cartolina sonora, unica, la scommessa di produrre un prototipo veramente nuovo. Tutti e due giocavano spesso alla “gara dei neuroni”. Pierre, eccellente musicista, si rivolse a un rinomato fabbricante di organi, Sébastien Schuetz, per ideare delle canne in grado di esprimere tutta la gamma diatonica, permettendo loro nel contempo una buona ventilazione. Poi inventò un sistema elettronico originale che avrebbe permesso alla macchina di leggere da sola i cartoni da musica: addio manovella con la quale la canzonetta arrivava a capriccio! Da parte sua, François realizzò diversi progetti di stampi per ogni genere di canna. Poi si occupò delle ruote e di un cassone diviso in due parti. 154

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Due anni dopo, in occasione del secondo festival, nel maggio del 1998, “Gli amici innanzi tutto” inaugurarono l’infinito potenziale del magnifico organo giallo dalle ruote blu, frutto della complicità padre-figlio: era la canzone-culto di François. Certo, era proprio la pennellata che stonava in mezzo a quegli splendidi organi antichi, le cui canne di legno impeccabilmente lucidate, con le loro labbra di stagno sfavillanti 25, rivelavano l’amore dei proprietari verso il loro strumento diventato un’opera d’arte! Ma François e Pierre erano diversi: i “picchiatelli” erano loro, con l’aria kitsch, ma conoscevano la musica! Fu la prima volta che si sentì cantare la plastica.

«Puoi mettere la macchina in garage e cominciare a produrre» Si chiamava Jean Dieudonné, era un uomo pieno di ideali, voleva essere un buon professionista nel campo che aveva scelto, contribuendo contemporaneamente allo sviluppo del suo Paese. Nel 1973 era dovuto fuggire dal Ruanda, sua terra natale, in seguito ai sanguinosi avvenimenti e aveva trovato rifugio in Burundi. Dopo vent’anni d’esilio era arrivato in Francia nel 1991 e, a Tolosa, aveva preso una specializzazione in ostetricia e ginecologia. Subito dopo il suo arrivo in Francia, Jean Dieudonné incontrò François tramite amici comuni. François sentì una fitta al cuore vedendo quell’uomo che la sofferenza non aveva scalfito. François amava condividere il suo entusiasmo e, durante una visita di Jean Dieudonné ad Agen, volle mostrargli i laboratori della sua impresa. Jean Dieudonné restò molto impressionato dalle “big machines”, che trovava fantastiche. François ebbe una piccola idea. 25 «Lèvres

en étain “étaincelantes”/étincelantes», in francese, con assonanza intraducibile in italiano.

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Jean sapeva che la sua permanenza in Francia era provvisoria: un giorno o l’altro sarebbe rientrato, essendoci grande bisogno di medici laggiù in Africa. Quattro anni dopo il terribile genocidio che colpì il suo Paese nel 1998, Jean Dieudonné, prima di lasciare la Francia, andò a salutare i coniugi Neveux e François gli fece una precisa domanda: «Vuoi fare la stessa cosa che faccio io, ma in Ruanda?». Jean Dieudonné non credeva ai suoi occhi: era ginecologo, stava per organizzare una piccola clinica con altri suoi colleghi, con parecchie specializzazioni, e François gli chiedeva se voleva fare del rotostampaggio! Ricorda ancora le parole bizzarre e insistenti di François: «Puoi mettere la macchina in garage e cominciare a produrre». A Jean veniva da ridere, ma al tempo stesso la cocciutaggine di François lo faceva riflettere. Jean Dieudonné diceva tra sé: “E pensare che non ho nemmeno un garage e nessuna competenza per questa futura impresa, ma lui la vuole e ci crede!”. Giunto il momento dell’addio solenne, François mise nel camion del trasloco dell’amico uno stampo di fossa biologica, come oggetto da museo, e del materiale per produrre. In Africa, Jean dimenticò lo stampo, la polvere plastica e il rotostampaggio. Jean Dieudonné ritornò poi per un breve soggiorno e rivide François. La clinica di Kigali funzionava bene e Jean era contento, ma François tornò alla carica: «E il rotostampaggio, ci hai pensato?». A Jean venne di nuovo da ridere. No, non aveva pensato al rotostampaggio. E lasciò François di nuovo insoddisfatto. Ripartenza per il Ruanda; addio stampi, plastica, rotostampaggio... Un mese dopo Jean ricevette una telefonata di François: «Non preoccuparti, ho organizzato tutto io, ti mando mio fratello Jean-Michel. In un mese farà partire qualcosa per te». «A quel punto – confidò Jean ai suoi amici – mi sono detto che non bisognava più resistere. Forse il Cielo lo voleva per me». 156

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E fu così che Jean-Michel sbarcò a Kigali per ideare il guscio della macchina del rotostampaggio. Poi, un mese dopo, come convenuto, Jean-Michel ripartì per la Francia. Jean Dieudonné rifletteva sempre più. Perché François si era accanito con quel progetto? Più rifletteva e meno trovava una risposta. Ma rimpiangeva la partenza di Jean-Michel... «Avremmo potuto andare lontano», diceva pensieroso. E poi un giorno Jean Dieudonné comprese l’accanimento di François. Attraverso le avversità del proprio Paese e la miseria galoppante, François aveva subito colto gli enormi bisogni di bonifica del Ruanda. Fu allora che Jean richiamò Jean-Michel per diventare suo socio. «Bisognava insegnare a lavorare prima all’africana, ma anche alla francese!», disse Jean-Michel che auspicava di conciliare i due modi molto diversi di lavorare. C’erano molti compromessi a cui scendere... Alla fine, Jean-Michel formò un elettricista, un saldatore e un meccanico e, in quattro, realizzarono le prime fosse settiche, oltre a cisterne d’acqua e container. Era appena nata Rotassairwa, non lontano da una bella clinica dotata di diversi servizi di pediatria, con un ambulatorio di medicina generale e uno studio dentistico, un laboratorio, servizi di radiografia, kinesiterapia, endoscopia esplorativa, ma anche un grande servizio di ostetricia e ginecologia con sala operatoria. Rotassairwa: “rotostampaggio, bonifica, Ruanda”, a tre chilometri dal Policlinico dell’Incontro. François sorrideva; era convinto che si poteva essere veterinario, allevatore di polli e rotostampatore, come Luiz Carlos in Brasile, oppure ginecologo e rotostampatore in Ruanda, come Jean Dieudonné. Per François il rotostampaggio era il procedimento più semplice al mondo, il più universale. Dall’America all’Africa, secondo François, l’avventura era sempre collettiva... nascere e rinascere insieme. 157

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La catena si allunga, la famiglia diventa grande Nel corso del 1995, anno dello storico congresso brasiliano, François aveva depositato un brevetto molto importante: il diffusore settico, o settodiffusore. Questa nuova tecnologia era il miglioramento di un procedimento insegnato prima da Fred, esperto dell’ufficio delle Norme Europee, con il quale François aveva stipulato un contratto di licenza di concessione, in cambio del quale François gli aveva ceduto il procedimento del rotostampaggio. Quel settodiffusore fu l’inizio di una piccola rivoluzione: rappresentava il miglior filtro biologico destinato alla depurazione delle acque reflue domestiche. Le sue performance depuratorie erano state esaminate dal CSTB (il Centro Scientifico e Tecnico delle Costruzioni 26) e la novità consisteva nella riduzione delle superfici di spandimento. Questo “setto” associa una funzione drenante a una filtrante e favorisce la ripartizione dell’effluente; le materie organiche contenute nell’effluente sono trattenute da un filtro geotessile in fibre artificiali con funzione di depuratore. L’aria circolante nel settodiffusore provoca una degradazione aerobica delle materie. Il suolo sottostante, o letto di sabbia, completa il trattamento. E tutto ciò funziona! Questo setto... davvero bisognava inventarlo! Fin dall’inizio della sua creazione, Rotogine aveva subito cominciato con la produzione di cisterne d’acqua, poiché la richiesta era urgente in Brasile; poi, nel corso dei quattro anni seguenti, la società sviluppò non solo la depurazione individuale, le fosse biologiche e la bonifica collettiva con gli impianti di depurazione, ma anche il mercato del tempo libero, con le barche e i kayak. Era ora importante proporre il settodiffusore... unico, dal momento che non si fabbricava in Brasile e solo Rotogine avrebbe potuto produrlo. 26 «du

Bâtiment», in francese.

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Un giovane ingegnere, Hermi, aveva iniziato a vendere i prodotti di Rotogine a Brasilia, cioè a più di mille chilometri da San Paolo. François ne aveva sentito parlare e credeva fosse «un giovanotto pieno di fuoco... – raccontò più tardi a un impiegato di Rotogine – e invece si trattava di un pezzo di ragazza con scritto in fronte “Maria”!». Hermi era incaricata dal governo brasiliano di controllare i cantieri edili, ma da quando aveva conosciuto la società Rotogine, si era completamente impegnata a commercializzarne i prodotti, non solo perché li considerava eccellenti nel campo della depurazione, ma anche perché si trattava dell’Economia di Comunione. Hermi sapeva che François andava in Brasile tre o quattro volte all’anno e che in ogni viaggio non solo metteva le “mani in pasta” nei cantieri per perfezionare le macchine e mettere a punto nuovi prodotti da fabbricare, ma accompagnava i rappresentanti di Rotogine oppure mostrava come realizzare al meglio i cantieri installati. Un aspetto che non aveva previsto era quello di essere spesso invitato in innumerevoli palabres, le discussioni che si protraevano all’infinito e le palestras, le conferenze. Le palabres riguardavano “il mercato destinato ai ricchi” – ne avevano di tempo –, ed era necessario parlare non solo del prodotto, ma anche di molte altre cose per concludere un affare. Parallelamente a questo mercato, c’era anche quello dei poveri, senza palabres, con la sola proposta di prezzi bassi; era questo secondo mercato che interessava a François, ma sentiva di aver bisogno del primo per affrontare il secondo. Per quanto concerne le palestras, François era portato a incontrare a ogni viaggio sempre più gente competente, persone di grande valore che desideravano conoscere meglio la tecnologia europea. Durante quell’estate del 1999, all’indomani dell’arrivo di François, Hermi aveva organizzato una grande palestra, un incontro importante con trecento professionisti della depurazio159

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ne, ingegneri e architetti. Desiderava soprattutto sviluppare l’idea di Economia di Comunione, ma anche far conoscere Rotogine; era in contatto con José, l’instancabile José. Hermi ne aveva desiderato la presenza affinché parlasse della sua creazione originale, ma aveva chiesto anche a François di presentare le sue invenzioni, sapendo che i brasiliani avevano bisogno di una relazione tecnica. Non si sentiva volare una mosca: François temeva che la sua conferenza, mezza in brasiliano e mezza in francese, facesse fiasco, invece gli giunsero dei sorrisi, poi applausi a non finire. Alla fine, il solito aperitivo: solo in quel momento François si rese conto dell’immenso successo del suo intervento; i biglietti da visita arrivarono numerosi, come anche contratti per condominiums di più di mille case. I condominiums sono in Brasile delle specie di grandi proprietà nelle quali le persone molto ricche si “barricano”, si proteggono grazie ad altissimi muri e a un servizio d’ordine incaricato di sorvegliare l’entrata e l’uscita di ogni persona e di ogni macchina. Arriva François con il suo piccolo “setto” e risolve i problemi nel modo più elegante del mondo, ma soprattutto più economico: le sue referenze francesi e le sue informazioni tecniche avevano sempre un enorme impatto. Tre giorni dopo quella palestra, quella conferenza, in occasione del congresso annuale degli imprenditori di Economia di Comunione a San Paolo, François fece nel laboratorio di Rotogine, davanti a più di trecento persone, una dimostrazione sull’utilizzazione del rotostampaggio che permetteva la fabbricazione di grossi elementi cavi come fosse, cisterne, serbatoi... Ma Rotogine incontrava notevoli difficoltà amministrative e fiscali, sottoposta a tasse che rendevano incerto il suo avvenire. Fu allora che Corrado, il responsabile della cittadella Araceli che si occupava delle nuove imprese, confidò la sua preoccupazione ai due fratelli Rodolfo e Henrique. I due irmãos, fratelli, non avevano professionalmente nulla in comune con François e José. Avevano solo lo stesso ideale, la stessa motivazione. 160

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Rodolfo disse a Corrado: «Quando si ha un ideale, si deve portarlo nell’impresa, non può restare “in alto”». Rodolfo, Henrique, José, Corrado e altri fecero un’analisi della società Rotogine; per assicurarne un migliore sviluppo, l’idea comune fu quella di aggiungere un’altra società che assicurasse la parte amministrativa e commerciale. Tutti assieme fecero un piano strategico affinché nel periodo di cinque anni Rotogine potesse diventare un modello tecnico, segno di un’economia nuova. Cosa decisero gli ex azionisti? Luiz Carlos si ritirava per meglio sviluppare Real Plast e dava al suo personale La Grange Piu Piu, la sua impresa di allevamento. In quanto all’amico francese, Jean-Michel, colui che aveva fatto un dono al momento opportuno, non chiedeva di essere liquidato, ma auspicava che il suo capitale tornasse interamente ai brasiliani. Sei mesi dopo, doveva nascere un nuovo aumento di azionariato. Alla testa di una prestigiosa fonderia, la Femaq, i due fratelli decisero di unire le loro competenze per rinforzare Rotogine. Non erano forse loro i pionieri che si erano impegnati in quella nuova economia sociale? La Femaq avrebbe assicurato la parte amministrativa di Rotogine e una giovane società, Estrela Participações S/C Ltda, agenzia di viaggi legata anch’essa all’Economia di Comunione, decise di sviluppare la parte commerciale. François e José, assistiti dalla società francese Polyboost, avrebbero rappresentato la parte tecnica per quella nuova Rotogine KNE 27. In quattro anni, Rotogine era presente con i suoi sistemi di depurazione, installati in 21 dei 27 Stati del Brasile, e si poteva andare ancora avanti.

27 Nome

dato alla nuova società Rotogine. K: Kennintis (Holding della Femaq), N: Neveux, E: Estrela [N.d.A.].

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Da parte sua, Hermi creò una microimpresa per completare la vendita dei prodotti di Rotogine: per lei non si trattava di un lavoro “normale”, ma di un impegno che corrispondeva perfettamente alla sua visione del mondo. E Luiz Carlos, diventato uno specialista del riciclaggio, continuò a rifornire Rotogine di materia prima; la sua plastica era di eccellente qualità, a metà prezzo delle altre fonti di riciclaggio; la sua impresa decollava: Real Plast, con i suoi venticinque addetti, forniva ora sessanta tonnellate di polietilene al mese. Nel Polo Spartaco aveva aperto le porte un istituto finanziario: in realtà, un gruppo di persone aveva costituito un capitale e tutti avevano deciso che, se fossero stati realizzati grossi profitti, una parte di quel denaro sarebbe stata destinata ai poveri, ma nello stesso tempo era utile creare una riserva, una cassa speciale, per aiutare le imprese in difficoltà. Era anche quella la missione di quell’istituto finanziario di Economia di Comunione: “Uniben” era il suo nome e si installò non lontano da Rotogine. Con un’impresa del genere, il Polo Spartaco aveva superato una tappa. Tutti avevano in testa una celebre frase di dom Helder Camara, quella del sogno (O sonho, in portoghese): «Un sogno di una sola persona è un sogno, ma un sogno di molti è una realtà».

La nuvola prende forma, si può leggere «In Brasile si può fare tutto», diceva frei Hans. Per François il Brasile era diventato un importante cantiere di realizzazioni: le installazioni andavano dalla singola casa che aveva bisogno di una fossa biologica normale a sistemi collettivi, fino a 1.500 utenti. Parallelamente il Brasile era anche un cantiere di nuove sperimentazioni. 162

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Hermi aveva messo in contatto François con Emater, un’impresa governativa incaricata di seguire gli orticoltori, piccoli produttori agricoli. Attorno a Brasilia la povertà era galoppante; François aveva l’impressione di essere in un altro mondo. Siamo andati a vedere degli orticoltori per i quali lo Stato vuole installare impianti di depurazione; siamo ancora negli anni Trenta, con gente che vive in capanne. I gabinetti si svuotano direttamente in un buco che poi verrà chiuso. La gente ne rifarà un altro dopo... Quale via d’uscita possibile? Emater aveva provato la fossa biologica e il settodiffusore di François e cercava di capire meglio gli elementi della riutilizzazione dell’acqua dopo il suo trattamento. In realtà, i produttori comperavano l’acqua contaminata per irrigare le loro piantagioni perché non avevano i mezzi per acquistare l’acqua “buona”. François donò a uno di loro una cisterna d’acqua, una vasca e il suo “setto”; si voleva pagare il materiale, ma François rispose che quel sistema era stato ideato per i poveri e che tutto deve essere fatto per raggiungere quel tipo di persone; era convinto che quell’installazione avrebbe permesso di riutilizzare l’acqua per l’irrigazione della verdura e degli alberi da frutta. L’orticoltore era feliz, felice, e promise di tenere François al corrente dei risultati ottenuti. Anche François era feliz di vedere qualcuno che aveva fiducia nel nuovo sistema. Nell’attesa, l’orticoltore piantò le sue insalate. Di cantiere in cantiere, François cominciò a capire che il settodiffusore poteva essere ancora migliorato. A ogni viaggio, incontrava molti ingegneri e specialisti del trattamento delle acque reflue. Un ingegnere di San Paolo attirò in particolar modo la sua attenzione: Lineu, un ingegnere che aveva studiato il francese trent’anni prima, terminando gli studi in Francia. Lineu si era poi orientato verso il trattamento delle acque reflue industriali e aveva acquistato delle vasche settiche da Rotogine, semplicemente per utilizzare i serbatoi come reattori per i fanghi attivati, soffiandovi dentro aria. Lineu e Fran163

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çois erano animati da un rispetto reciproco e vollero mettere in comune le loro ricerche. Lineu non dimenticherà mai quel momento in cui, dopo un lungo scambio di idee durato tre giorni, da venerdì a domenica, François trovò un nuovo sistema più efficace. Il lunedì mattina, arrivò da Lineu al tempo stesso fiero, agitato e feliz: «Ho trovato, guarda: presto non ci saranno più fanghi!». François aveva costruito un piccolo prototipo, su suggerimento di Lineu, una specie di modello ridotto ben lavorato e commentava il suo funzionamento: «L’alimentazione avviene dal basso; i batteri dei fanghi sono obbligati a rimanere in sospensione; i batteri si alzano e la loro coltre si espande, diventa più grande. Il fango prodotto resta in sospensione mediante l’azione del proprio peso e l’acqua, filtrata attraverso il fango, esce pulita e priva del gas carbonico. Invece di un reattore statico, come nelle altre fosse biologiche, è un reattore di un fondo costantemente attivato». Il mini-UASB era nato: Up flow Anaerobic Sludge Blanket. I batteri si alzano (up flow), vivono senza aria, sono cioè anaerobici (anaerobic); tutti i batteri formano una coltre (blanket) che si sviluppa affinché i fanghi (sludge) filtrino biologicamente il liquido che diventa pulito. E un reattore UASB di 8 metri cubi sarebbe diventato l’equivalente di tre fosse settiche di 8 metri cubi, quindi molto meno costoso. Poco dopo, il Reattore Anaerobico a Flusso Ascendente fu messo in commercio in Francia, in Europa e ben prometteva in altri Paesi. Il Brasile poteva essere veramente un immenso laboratorio sperimentale. Il nostro orticoltore intanto continuava a irrigare la verdura. L’Università cattolica di Brasilia volle condurre uno studio del sistema “Neveux” per irrigare gli ortaggi con l’acqua trattata. Lo studio dimostrò che la produzione di ortaggi era triplicata, tre volte più importante di quella di ortaggi irrigati con 164

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la solita acqua, cioè non trattata; il tempo di crescita era ridotto e non c’era alcuna contaminazione degli ortaggi che presentavano qualità igieniche in regola con la legislazione. François era più che feliz dei risultati e aggiunse, durante la conferenza: «Vi do la mia tecnologia senza nulla aspettarmi in cambio, ma voi mi “retribuirete” con la dimostrazione di un mercato finora “impensabile”». François aveva dato all’Università cattolica di Brasilia anche un filtro biologico speciale, con tutte le attrezzature necessarie per trattare e riutilizzare l’acqua delle fogne, a condizione che l’Università valutasse il rendimento di quel nuovo impianto. Le conclusioni dello studio furono eccellenti per la performance dei prodotti fabbricati da Rotogine. Le materie organiche erano eliminate, l’acqua riciclata facilitava la concimazione del suolo, economizzando sui fertilizzanti, e l’effluente finale poteva essere utilizzato nell’irrigazione delle piantagioni, senza contaminazione delle piante. Ci furono anche molti altri cantieri sperimentali: Emater, l’Università cattolica di Brasilia, Rotogine e La Construsane – impresa fondata da Hermi – misero in comune le loro ricerche. Ebbe luogo una grande conferenza: tra le persone invitate c’erano produttori agricoli, tecnici pubblici, rappresentanti dei sindacati, ingegneri, architetti, clienti potenziali per Rotogine e La Construsane. Tutti concordavano che i risultati degli studi erano soluzioni semplici, evidenti e senza pericolo per l’ambiente. Era lo sviluppo sostenibile in cammino. Un professore dell’Università federale di Brasilia dichiarò che tutto quel lavoro di ricerca, fatto insieme, gli ridava «a esperança de vida no futuro», la speranza di vita nel futuro. François aveva capito «no futuro», ma “no” voleva dire “nel” futuro.

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Piccolo inventario tecnico alla Prévert. Stralci... Risolvere i problemi tecnici, trovare delle soluzioni semplici per tutti i cantieri al minimo costo... produrre una bella fiamma blu tramite la pulizia dell’attrezzatura senza nuocere al personale, darsi da fare per trovare della plastica da riciclare, rivedere il mulino frantumatore se un rullio appare difettoso, affilare le lame del mulino perché si consumano rapidamente, fabbricare delle piccole biglie di polietilene da 400 micron per fare una polvere meravigliosa, rotostampabile, adattare i granulatori alla velocità degli estrusori, passare poi intere giornate sugli estrusori affinché le piastre plastiche prendano la forma ideale, regolare il densificatore per riscaldare e miscelare i componenti plastici, cambiare l’agente di rotostampaggio, mettere delle tacche di azionamento e un motoriduttore per evitare che la pellicola plastica sia assorbita troppo rapidamente, fabbricare in tre giorni una tramoggia con un solo punto di saldatura («bisogna vedere il becco della saldatura»), un martello e una sbavatrice, realizzare separatori di idrocarburi, adattare il montaggio del filtro “coalettore”, disegnare nuovi pozzetti neri... Poi, ideare il prototipo del nuovo settodiffusore, cambiare i filtri batterici, migliorare la granulometria delle sabbie affinché, da uno strato di sabbia di 3 metri cubi di superficie e di uno spessore di 6 decimetri, ne esca un effluente limpido come l’acqua Sangemini, con una portata di 1.500 litri al giorno, da confrontarsi con il succo nero che vi è caduto sopra... A questo punto mi chiedo: Ci sono ancora lettori che mi seguono? Il buon brasiliano, il BB? Che cos’è? È fazer tudo com nada 28. Robinson Crusoe era proprio il libro che più affascinava il piccolo François! 28 «Fare

tutto con nulla», in portoghese [N.d.A.].

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Fazer tudo com nada: il tutto in dieci anni, rimettendo continuamente l’opera in cantiere, esattamente in trenta viaggi, cioè in 451 giorni passati in Brasile.

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Parole, parole, parole... cifre e programma di vita Parlare, informare, convincere, far conoscere. François, aiutato da José, percorrendo le strade del Brasile con una foga contagiosa, fece molte palestras, conferenze, a tecnici, ingegneri e specialisti della depurazione. Molte furono organizzate a Brasilia, ma anche a San Paolo, Rio de Janeiro, Porto Alegre, Piracicaba, Bauru, Vargem Grande, Cascavel, Joinville, Belo Horizonte, Cuiaba, Guarulhos e São Luis nello Stato del Maranhão. Pensate che il portoghese di François si perfezionò in tutti i termini tecnici per meglio spiegare la realidade de sua tecnologia. Rotogine! I nuovi azionisti si erano dati da cinque a dieci anni di tempo per vederti decollare, e alla fine di cinque anni si cominciava già a fare i conti per questa nuova associazione, considerato che Rotogine era stata fondata dieci anni prima. Rotogine! Quanto hai fatto in Brasile per i bisogni di depurazione del tuo Paese e per i poveri attorno a te? Tutti gli operai di Rotogine, ma anche i rappresentanti e i collaboratori si sono interamente impegnati come aveva saputo fare José, il primo ad aver teso la mano a François. Dai due pionieri d’inizio avventura, François e José, si era passati a tredici persone: «It’s growing» 29, diceva François, così come l’hangar di 350 metri quadrati che era stato raddoppiato. Dopo dieci anni il bilancio degli impianti superò i 6.000 cantieri, cioè 5.000 impianti per i sistemi da 5 a 15 persone, 1.000 per i sistemi collettivi tra 100 e 500 persone e 50 impian29 «Sta

crescendo», in inglese [N.d.A.].

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ti tra 500 e 1.500 persone. Un progetto particolarmente interessante fu la realizzazione di sistemi di fognatura per grosse collettività, centri per il tempo libero e università. Poi l’attività si allargò alla realizzazione di sistemi di separazione di idrocarburi, ma anche di raccolta e di recupero delle acque piovane. Rotogine proseguì anche la produzione di articoli sportivi come i kayak, come pure i giochi coloratissimi adattati ai giardini pubblici per bambini. L’ardore profuso da François permise a Rotogine di distribuire finalmente, dopo dieci anni, una parte consistente dei suoi profitti ai più bisognosi. «Tutto volge al cabaret», canticchiava François. «Insomma... per ora», rettificava prudentemente. In fondo, le cifre, pur essendo un obiettivo fondamentale, non erano per François la cosa più importante: prima l’uomo, al centro del sistema! Le sofferenze non sono mancate, ma i successi hanno sempre ridato speranza. A volte ci sono state forti tensioni dovute alla grande diversità delle persone, come in ogni comunità umana. François aveva capito che tutta la sociologia del lavoro poggia sull’analisi dei conflitti. Ciò che avrebbe desiderato era di natura completamente diversa. Perché non si aveva a cuore l’unità tra le persone? Un imprenditore gli aveva detto: «Licenzierò questo dipendente perché è troppo disordinato». François gli fece questo discorso che lo portò a riflettere: Quando dici questo, pensi che l’incompetenza crei la mancanza di unità, ma io ti dico che l’unità crea la competenza. Un’impresa di Economia di Comunione è il desiderio permanente che il tuo compagno di squadra si senta bene nella squadra: questo conta prima di tutto, l’organizzazione viene dopo. Ciò non impedisce di vedere i difetti dell’altro; bisogna soprattutto dirglielo “con amore e verità” e organizzare la vita senza esclusioni. Gli uomini non sono cattivi, ma non si parlano. E quindi diventa importante quel “momento della verità”, ma come ci si arriva? L’intesa tra di noi è il vero termometro dei nostri stili d’impresa! 168

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Inventare, lavorare molto per imporsi, soffrire in mezzo al vespaio fiscale e alla solita giungla, fare il primo passo, non scoraggiarsi, non lasciare zone d’ombra tra le persone, parlarsi, osare momenti di verità con tutti, credere che si può ricominciare, insomma... accogliere la Provvidenza, avendo sempre in mente come “riparare una Rolls Roys in panne nel deserto!”. «Ci siamo», disse François a José, l’amico brasiliano di sempre. Ma chi erano i “poveri” aiutati dall’Economia di Comunione?

«Aspetteremo che siano più maturi» Questa frase dei primi tempi del cristianesimo è singolare: «Nessuno di loro era povero!». Se ne era già parlato al tempo della dedicazione della chiesa della cittadella Araceli. «Nessuno...». Quelle parole erano risuonate lancinanti nelle orecchie di Chiara Lubich. Persone in difficoltà, bisognose, ce n’erano senz’altro nella famiglia dei Focolari! Chiara Lubich aveva chiesto a tutti i responsabili dei cinque continenti, ovunque era presente il Movimento, di “censire” chi era nel bisogno. «Che non si trovino dei poveri in casa tua»! Se ne erano trovati già 5.000, al tempo dell’impegno di Claire, l’ultima della tribù Neveux, nel 1992, un anno dopo la “bomba”. Ad alcuni chilometri dalla cittadella di Araceli, tra le colline e le foreste, si annidava un piccolo villaggio, sospeso tra civiltà e miseria: Bairro do Carmo. Tutto attorno c’erano terre fertili. Rapidamente, alcuni promotori immobiliari si impossessarono di un progetto edilizio, un vasto condominium, con stagno e vacche artificiali adagiate su un’erba tagliata come un campo da 169

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golf. E rapidamente la proprietà inglobò Bairro do Carmo e gli abitanti del villaggio furono minacciati di sgombero. «Potete provare che queste terre vi appartengono?». Ma come avrebbero potuto, quei discendenti di schiavi africani, dimostrare la proprietà di quelle terre che i loro antenati occupavano da più di cent’anni? All’epoca non era altro che un quilombo, un rifugio di schiavi. Aparecida era una pronipote di schiavi neri. Aveva abitato in quel villaggio durante l’infanzia ma, dopo il matrimonio, era partita per andare a vivere in città. Non aveva però dimenticato le visite regolari, per più di vent’anni, di Ginetta e di altri della cittadella di Araceli, alle famiglie del Bairro. Non aveva dimenticato i girotondi che Ginetta faceva con tutti i bambini del villaggio. Ora, conosceva i guai amministrativi degli abitanti del Bairro e il loro smarrimento di fronte alla minaccia di espulsione, eppure da lì cominciò a prendere forma la speranza: padre Julio e un avvocato erano infatti riusciti a portare l’affare del Bairro do Carmo davanti al tribunale competente. Fu allora che Aparecida e suo marito Ademir scelsero di ritornare ad abitare nel villaggio, un decisione che era il frutto di un “incontro”: Ademir era andato a una riunione per famiglie nella cittadella di Araceli e quel giorno contemplando l’assemblea, pensieroso, aveva sentito che non c’era distinzione di lingua o di popolo, si era semplicemente sentito a casa sua. Aparecida e Ademir avevano incontrato François e Françoise in uno dei loro primi viaggi, anche loro erano andati a un incontro per le famiglie, e subito Ademir osservò: «Nella folla un uomo si distingueva: François! Faceva festa a tutti». Ademir era emozionato, la coppia francese fu invitata al villaggio, erano così diversi da tutti i turisti, François annotò nel suo diario: Qui a Bairro do Carmo la soluzione salta agli occhi: i bambini sono dolci, non si sentono grida, la pace regna dappertutto. 170

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Da diversi anni Ginetta aveva inviato tre maestre per vivere con le 108 famiglie del Bairro. Si cominciarono a costruire case in mattoni e non di argilla, poi una scuola e una panetteria comunitarie, infine un laboratorio di ricamo. Gli occhi di Aparecida brillavano quando parlava del Bairro. I mezzi messi in opera erano minuscoli, l’investimento umano enorme. Si poteva constatare che non c’era droga, né prostituzione, solo gente sulle proprie gambe, in cui si sentiva un amore immenso per i bimbi. Si poteva veramente parlare di rinascita del villaggio. Un aiuto straordinario, frutto dell’Economia di Comunione, era previsto per questo quartiere e fu regolarmente distribuito per due anni. Poi, poco a poco, Aparecida si accorse che quell’aiuto era utilizzato, in alcune famiglie, per il superfluo e non per i bisogni urgenti o “di base”, come lei li chiamava: «Abbiamo allora deciso di bloccare questo aiuto regolare fino a quando, tutti assieme, avremmo potuto riceverlo di nuovo». E parlando delle famiglie che avevano sprecato il denaro, aveva avuto questo pensiero: “Esperaremos que estejam mais maduros”, cioè: “Aspetteremo che siano più maturi”. “Maturi”, era strana questa parola... Maduros... Nella voce di Aparecida non c’era giudizio; non aveva detto: «Alcuni non sono degni», no, aveva solo detto: «Aspetteremo che siano più maturi». Per lei l’aiuto era per tutti o per nessuno. Se ora si privava di quel denaro, pur vitale per lei, era per “aspettare” gli altri. Era un modo di desiderare il bene comune prima del suo interesse personale. Aparecida! Discendente di schiavi, fiera di essersi battuta per il suo villaggio natale e per rimetterlo in piedi con tutti. «Aspettare che siano maturi»: era come dire che il villaggio aveva bisogno di ciascuno e di tutti e che, nella miseria, importava prima di tutto il progresso dell’altro. «In effetti, la comunità è cresciuta – dichiarò Aparecida molti anni dopo –. Sì, la comunità è matura e sa veramente utilizzare l’aiuto, che arriva sempre al momento giusto. In quei 171

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momenti di reale bisogno, l’aiuto arriva come l’amore particolare di Dio verso ciascuno, e noi abbiamo capito: “la santità è collettiva!”». È il linguaggio particolare di Aparecida, linguaggio che vuole trasmettere tutta la sua riconoscenza per quel denaro di cui nessuno conosce la provenienza. Gli imprenditori danno una parte dei loro guadagni senza conoscerne i destinatari e altri utilizzano quel dono senza conoscere i “benefattori”. Ciò permette relazioni sane tra tutti. Ma c’è un altro aspetto nell’Economia di Comunione difficile da tradurre: vedere questi scambi reciproci come dei doni; infatti è totalmente illusorio credere che sia solo l’impresa che “dona”: anche il povero “dona” il suo bisogno, e molto spesso ciò gli “costa”. Oltre ad Aparecida, tante altre persone di tutti gli Stati del Brasile, ma anche ai quattro angoli del mondo, in tutti i continenti, sono cresciute insieme, grazie ai doni di alcune imprese.

Dispiaceri, pace e riconoscenza 8 marzo 2001: Ginetta Calliari muore nella cittadella Araceli. L’ultima frase del suo diario rinnova la scelta che ha fatto di non abbandonare mai “l’Abbandonato”. L’Abbandonato! Ginetta si rivolgeva a quell’uomo-Dio crocifisso le cui ultime parole erano state quel grido: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Attraverso tutte le lacerazioni, le piaghe, le ferite aperte che avevano conosciuto, Ginetta e i suoi amici avevano visto il volto dell’Abbandonato, ma questo abbandono poteva rifiorire: l’assurdo non è la croce, l’assurdo è il non-Amore. Quell’8 marzo, sulla strada Tolosa-Agen, Françoise aveva pensato continuamente a Ginetta, senza sapere perché. Alla sera aveva saputo la notizia per telefono con queste semplici parole: «Ginetta è partita per il Paradiso!». 172

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Dispiacere e pace, per Françoise e François, per le 500 persone della cittadella di Araceli e per tanti del Brasile, del mondo. Dispiacere per il vuoto lasciato, ma anche pace poiché ora qualcosa è in ordine, qualcosa è in cammino, qualcosa che supera le domande delle persone. Non si potrà più vivere “come prima”. Il 25 aprile 2001 il Parlamento brasiliano rese un solenne omaggio a Ginetta, donna eccezionale che aveva fatto dono della sua vita per il Brasile. Tanti politici, di diverse appartenenze, erano andati a visitare la cittadella di Araceli: vi cercavano idee per risolvere l’immenso problema della miseria, della disoccupazione, dell’esclusione. Oggi salutavano, attraverso Ginetta, anche la vita di quella microsocietà completamente aperta sul mondo. Il 24 aprile 2002 i parlamentari dell’Assemblea legislativa dello Stato di San Paolo decisero che un ponte a San Paolo avrebbe portato il segno dell’opera realizzata in Brasile: il ponte Ginetta Calliari. Un ponte, che bella metafora! Un ponte che permette di unire due rive, due mondi; probabilmente l’antico e il moderno, il profitto e la condivisione.

Oh Brasile, di nuovo un nuovo mondo! Il mondo “civilizzato” ha una brutta faccia, una faccia di cartapesta, aggrinzita quando agita le curve rosse della disoccupazione e i grafici ascendenti dei debiti pubblici esteri. Ma questo continente sudamericano comincia a svegliarsi per ridiventare il nuovo mondo. Oh Brasile, dal vessillo giallo, verde e blu. Oh Brasile dal motto altisonante: «Ordem e Progresso»! Il progresso: l’Economia di Comunione tuona come una saetta blu che lacera la tela disperatamente grigia dell’economia attuale, giunta a un’impasse abissale. Ma questo motto è decisamente incom173

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pleto, poiché Auguste Comte 30, che ispirò gli uomini brasiliani politici che lo scelsero, aveva affermato: «L’amore per principio, l’ordine per base e il progresso come fine». È l’amore che è assente nel motto brasiliano... Ma se ne possono senz’altro riconoscere le primizie ora, attraverso questa nuova economia nata in Brasile, con i primi segni della fraternità per i più svantaggiati.

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Libertà, uguaglianza, fraternità... oppure le tre “effe” economiche? È un luogo comune dire che tutto il mondo invidia il motto della Francia, con le tre parole magiche (Liberté, Égalité, Fraternité) lanciate come sassi nell’acqua che disegnano cerchi sempre più larghi. Ma l’ultima, la fraternità, ne disegna uno dai contorni incerti. Fraternità! «Non è in nome di una volontà divina che bisogna “amare il prossimo”, ma in nome della nostra lucidità umana. Questa lucidità è per me il fondamento della laicità», afferma Albert Jacquard, genetista di grande fama, in un suo articolo sulla fraternità. Questo pensiero riposiziona l’uomo all’interno di un umanesimo laico, accessibile a tutti. Ma chi saprà “amare il prossimo” come ci invita a fare quest’uomo impegnato? Dopo la “bomba” dell’Economia di Comunione nel 1991, in Brasile, un gruppo di imprenditori si era messo in cammino. Ma in Francia, quanti erano? Quelli che avevano sentito la proposta non erano molti, ma ciascuno aveva cercato di accettare la sfida a modo suo. Non erano pensatori, non erano “grandi capitani d’industria”: erano imprenditori, uomini di buona volontà. 30 A.

Comte, filosofo francese (1798-1857), considerato uno dei fondatori della sociologia.

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Una sola donna si era aggiunta a quel gruppetto. Tutti conoscevano François, lo vedevano giocare su due scacchiere: in Francia gli Stabilimenti Neveux avevano partecipato fin dall’inizio all’Economia di Comunione, per volere di François, ma al tempo stesso vedevano François in viaggio almeno tre volte all’anno per sviluppare Rotogine in Brasile. La sua energia era foriera di successi. E ciascuno tracciava il proprio cammino a modo suo, consci dell’importanza delle parole. Una triplice sfida li coinvolgeva: filosofia originale, filantropia gioiosa e nuova finanza, la non-finanza! Ma per loro la parola “finanza” poteva scriversi con la “f” di filosofia e filantropia, per diventare una vera f-inanza!

Primi passi alla francese... Lavorare in modo alternativo, cercare di concretizzare scelte radicalmente diverse da quella globalizzazione in cui l’uomo è eliminato dal sistema, era il filo conduttore, il cavo d’unione. La prima donna francese a volersi impegnare in quella nuova economia fu Catherine e François si era rallegrato della presenza di questa donna così vivace e spontanea. «Ha il sapore della terra», diceva con il suo accento del sud-ovest. Era l’unica dipendente della sua piccolissima impresa che produceva miele e che aveva iniziato vent’anni prima in Ardèche. Sentito il progetto di Chiara Lubich, disse subito: «Ecco finalmente un ideale per il quale vale la pena sviluppare la mia impresa oltre il necessario per guadagnarsi da vivere, ma sono sola, con un giro d’affari tanto piccolo, potrò essere ugualmente utile?». Per le piccole aziende agricole il regime fiscale forfettario è molto vantaggioso. Ci sono quindi due modi di considerare le 175

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cose: o ingrandire l’azienda e pagare più tasse o fare come se si sopravvivesse e pagare il minimo, dissimulando una parte della cifra d’affari. «Sono contento di pagare le tasse: se pago, significa che porto dei profitti», le aveva dichiarato Fred, un altro imprenditore impegnato nella stessa avventura. Era il genere di humour di Fred, e Catherine si sentiva sulla stessa lunghezza d’onda. Un altro imprenditore, Philippe, dopo aver organizzato un allevamento di conigli a livello industriale in Vandea, aveva recepito l’Economia di Comunione con tutta la dimensione familiare che comportava; tutti assieme prendevano la decisione di “come” utilizzare il denaro dei profitti procurati dall’azienda. Se uno solo dei loro sei figli non era d’accordo, i coniugi non prendevano la decisione. Un bel giorno, tutti i membri della famiglia decisero di non cambiare l’automobile e Philippe firmò un assegno per l’Economia di Comunione. François era costantemente in contatto con loro, vedeva la loro voglia di andare sempre più avanti, orientati verso il futuro. Non si trattava di una sciocca ingenuità e nemmeno di un’aspirazione a un’estrema purezza, ma piuttosto di una tranquilla fiducia nel superare la prova del tempo.

Se si mangiasse insieme, se si parlasse insieme? Qualche tempo dopo, una coppia, Chantal e José, si prese la briga di riunire quegli imprenditori. I due coniugi, infatti, incontravano sempre più persone che “si interrogavano”: era importante trasmettere tutta la realtà di quella nuova economia, avendo cura di darne l’ispirazione originale, ma anche di comunicare come ciascuno cercava di viverla. Inoltre, la figlia Anouk, che frequentava un istituto commerciale, aveva scelto di presentare una tesina sullo sviluppo dell’Economia di Comunione e la commissione giudicante aveva accolto favorevol176

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mente la relazione che aveva fatto su quelle imprese così diverse. Era incoraggiante vedere come quell’idea oltrepassasse le porte di istituti superiori. In questo contesto chiesero a quegli imprenditori di rendersi disponibili a organizzare una prima cena-dibattito. All’inizio di primavera del 1998, a Parigi, davanti a una cinquantina di persone, Catherine l’apicoltrice dell’Ardèche, Philippe l’allevatore di conigli della Vandea e François lo specialista nella depurazione di Agen raccontarono spontaneamente il loro modo di vivere: davano agli altri la loro esperienza con tutta la loro profondità di sentimenti, nulla di scritto. Condividevano il loro nuovo impegno con entusiasmo e determinazione, ma non si nascondevano difficoltà e preoccupazioni. Quella sera si constatava una cosa veramente unica: gli imprenditori presenti erano felici di tutto quello che era cambiato nella loro azienda, lo sguardo di ciascuno alle situazioni di emergenza e verso i poveri in miseria cominciava a essere profondamente diverso. Catherine dava lavoro a una sola persona, Philippe a meno di cinque e François a un buon centinaio in Francia, avendo anche dato un forte impulso all’avventura brasiliana. Catherine ebbe la conferma che era utile donare ogni esperienza, e che tra loro non c’era alcuna differenza. Solo l’impegno di ciascuno, nel proprio posto di lavoro, era prezioso. Eppure François sentiva che c’era ancora “qualcosa da fare”. Era alla ricerca.

Sinergia L’esperienza di quella cena-dibattito si ripeté e parallelamente si organizzarono delle riunioni di imprenditori più impegnati nel progetto dell’Economia di Comunione, tutte occasioni per riprendere forza, ascoltarsi, incoraggiarsi. Poco importava essere un piccolo coltivatore o un grande imprenditore. 177

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François era molto assorbito dal Brasile, ma ben presto aveva sentito che qualcosa di grande doveva nascere in Francia e aveva cominciato a sognarlo. Gli interessava approfondire la storia di tutti gli imprenditori che desideravano prendere un nuovo slancio. La storia si chiamava indifferentemente Alain, Chantal, Philippe e Fred, Fernand, Albert e Marguerite... Alain si era appena lanciato in un nuovo lavoro a servizio delle innovazioni quando incontrò François a un congresso di imprenditori di Economia di Comunione. «Lo ascoltavo con molto interesse e il mio stupore era grande perché aveva ben capito la mia nuova attività, ed ecco ciò che mi propose: “Promuovere le licenze di concessione dei brevetti è importante perché gli altri non sanno che esistono. Collegarsi al treno dell’ANVAR 31 dalla quale escono progetti ben impacchettati, con contatti ecc. Tutto ciò è pratico e tutti saranno soddisfatti”!». Un anno dopo Alain incentrava la sua attività su quel genere di servizi. «I consigli di François hanno contribuito a lanciare la mia impresa, ma più ancora ho capito a un certo punto che egli è stato un formidabile catalizzatore, un vero visionario. Spesso abbiamo esitazioni, dubbi... Parlare con le persone giuste può scacciare le nostre paure». Fin dall’annuncio di quella nuova economia, Chantal aveva avuto il desiderio di introdurre quella dimensione nella società in cui lavorava. Direttrice di un ufficio studi, aveva contatti con molte imprese, di stili molto vari. Un giorno, Chantal e François, con molti altri imprenditori europei, avevano avuto la grande gioia di essere invitati alla cerimonia di conferimento a Chiara Lubich della laurea honoris causa in economia e com31

Agenzia Nazionale di Valorizzazione della Ricerca, diventata poi OSEO [N.d.A.].

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mercio dell’Università cattolica di Piacenza, sede distaccata dell’Università di Milano. Per Chantal, per François e tanti altri, ciò rappresentava un passo in avanti: quel 29 gennaio 1999 significava il riconoscimento da parte delle università di questa nuova economia. Il professor Zaninelli mise in luce che era la vita e non le teorie alla base dell’ispirazione del progetto, poi dichiarò la grande apertura dell’Università a quel contributo di formazione e di ricerca in questo nuovo campo: «Il conferimento della laurea honoris causa rappresenta un momento forte in cui l’università riconosce solennemente e indica al mondo della cultura e della scienza l’importante contributo di una personalità nel campo della conoscenza e dell’impegno civile. Chiara Lubich ha situato l’Economia di Comunione nell’ambito dell’economia solidale per la quale donare non significa privarsi, ma al contrario, arricchirsi». Poi altri professori puntualizzarono questa visione economica veramente «moderna e nuova». Per tutti i testimoni presenti in sala, la vita della loro impresa acquistava un senso nuovo: ne sarebbero derivate relazioni, tesi sulla concretizzazione di quell’ideale, e il mondo economico avrebbe potuto cambiare fisionomia. Qualche tempo dopo, Chantal volle festeggiare i dieci anni di vita del suo Ufficio di Studi Sociologici, sorto in Lorena, invitando François a partecipare con altri imprenditori a un incontro pomeridiano con un centinaio di persone. Per Chantal la presenza di François era una garanzia di riuscita. Durante il dibattito, Chantal e José, coordinatori del progetto di Economia di Comunione in Francia, captarono un cambiamento di atteggiamento in seno al gruppo: «Ciascuno ha preso a cuore il vivere in comunione; non ne siamo noi coordinatori i garanti, ma François ci porta un di più, forse perché con la sua esperienza brasiliana conosce meglio di noi l’importanza di questa vita di unità, vitale per gli imprenditori. Egli 179

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ci aiuta, incontro dopo incontro, a consolidare questa nostra intesa, poiché mai e poi mai lui, l’esperto europeo, grande imprenditore, visionario, utopista, si mette davanti; egli attribuisce un’enorme importanza a chiunque voglia impegnarsi in questa nuova economia: conta solo l’intensità del desiderio!». Con questi scambi d’idee sull’essenziale della loro vita, questi nuovi imprenditori francesi stavano formando un vero corpo nel quale quando qualcuno soffriva gli altri soffrivano e quando qualcuno si rallegrava era la gioia di tutti. Chantal e José osservavano che col passare dei mesi il contatto con François, al di là dei successi o delle difficoltà, stabiliva una vera unità tra loro. Monique, direttrice delle risorse umane di un’importante azienda di alta moda, riassume perfettamente la disponibilità di François verso tutti: «François condivideva con noi tutto quello che viveva, con ottimismo, senza fermarsi di fronte agli ostacoli della vita; non era mai insensibile verso coloro che erano in difficoltà e cercava prima di tutto un mezzo per aiutarli concretamente, e inoltre si può dire che amava mettere in pratica l’adagio dell’Economia di Comunione: “amare l’impresa dell’altro come la propria”». Facendo la spola tra Francia e Brasile, François aveva sempre cercato di rendersi libero, fedele a tutti quegli incontri di imprenditori che lo obbligavano ad attraversare la Francia... per poi andare a trovare l’uno o l’altro dall’altra parte del Paese.

Dal fango nero di Philippe all’oro delle rose di Fred Da Agen alla Vandea era necessario non perdere il filo. L’amicizia indefettibile è questo, solo questo: colmare le distanze per vivere, insieme, delle esperienze. Un giorno François capì quali legami lo univano a Philippe. Uno dei problemi ecologici che si pongono agli allevatori è l’inquinamento delle falde freatiche prodotto dai liquami. La 180

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mescolanza di urine ed escrementi contamina l’acqua del sottosuolo, creando un vero problema di salute pubblica. Cosa avrebbero potuto fare gli allevatori rispettosi dell’ambiente? A Philippe, uno dei pionieri delle cene-dibattito a Parigi, piacevano particolarmente i consigli pratici e illuminati di François, con il quale affrontava spesso il difficile problema. Pensate che Philippe aveva 2.000 coniglie da riproduzione. L’avvenire della sua azienda era legato alla problematica dello spandimento. Se non fosse stato capace di risolvere il delicato problema della depurazione, la sua impresa sarebbe stata compromessa. L’idea era di realizzare un compost partendo dagli escrementi di coniglio, ma per farlo bisognava assolutamente che fossero secchi, e allora? Allora “inventare al minimo costo”. Philippe aveva già provato molti procedimenti per molti mesi, poi installò in via sperimentale delle specie di gocciolatoi con piccole fessure per separare l’urina dagli escrementi. Private del liquido, le piccole biglie nere potevano lasciar passare l’ossigeno dell’aria per entrare in compostaggio. Quando François venne a sapere della semplicità e dell’efficacia del procedimento, disse a Philippe: «Il tuo procedimento è geniale, amico Philippe! Hai depositato un brevetto? Se non l’hai fatto sei uno stupido: ti fregheranno, perché la tua idea è di una semplicità perfetta e può essere sfruttata da altri, e allora addio brevetto. Prendi contatto domani stesso con l’INPI 32». Philippe confessa che l’energia di François era tale che obbedì immediatamente. I gocciolatoi erano molto artigianali e per migliaia di conigli bisognava fare 500 metri di pezzi per raccogliere e separare le deiezioni liquide e solide. Philippe prese contatto con imprenditori specializzati nella fabbricazione di prodotti in cemento, che però risultavano molto costosi. L’abitudine degli imprenditori impegnati nell’Economia di Comunione era di condividere le preoccupazioni; Philippe si 32 Istituto

Nazionale della Proprietà Industriale.

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rivolse quindi a François che gli rispose subito: «Non so se devo dirtelo, ma forse con materiali diversi dal cemento la cosa potrebbe andare». E il giorno seguente, dopo una notte durante la quale François aveva riflettuto per Philippe, gli disse: «Mandami più dettagli sulla tua azienda e vedremo come fare». In settimana François, che aveva studiato il problema di Philippe, gli spediva dei progetti disegnati a mano libera su quaderni di scuola, accompagnati da questa nota importante: «Puoi fabbricare tutto ciò per il tal prezzo a metro lineare, sono a tua disposizione perché tu possa concretizzare i tuoi desideri». Che sorpresa per Philippe: il prezzo indicato da François rappresentava una spesa due volte inferiore a quella dei materiali in cemento! François chiese a Philippe di fare tutta la sua parte per l’installazione di un laboratorio. Da parte sua, François andò sul posto e quindi la sua assistenza accelerò le cose. L’originalità economica del sistema di compostaggio di Philippe fu presentata alla sua cooperativa agricola. Uno studio realizzato da un istituto neutrale ha dimostrato l’interessante sistema di raccolta delle deiezioni e di fabbricazione dei gocciolatoi, ma anche l’efficacia del concime organico. La cooperativa ne ha riconosciuto la fondatezza e si è impegnata a sviluppare tale sistema. C’era poi l’amico Fred, rinomato architetto paesaggista, specialista nella sistemazione dei giardini, e François diventò subito il legame tra i due uomini. Fred doveva acquistare compost organici per i giardini e François gli fece sapere che Philippe aveva avuto successo nel campo della produzione di concime organico; allora l’idea di lavorare insieme fu immediata, anche se a 700 chilometri di distanza l’uno dall’altro. La prima volta Philippe consegnò a Fred cinque tonnellate di compost trasformato in concime per giardini e Fred gli disse: «Beh, ne ho per un anno!». 182

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Ma sei mesi dopo ne ordinò altre cinque. Alla fine del terzo anno se ne fece consegnare, per prudenza, più di quindici tonnellate. Era giocoforza constatare che le sue rose apprezzavano quel nuovo concime organico: sbocciavano nei favolosi giardini di Fred. Da parte sua, Philippe considerava l’importanza del suo incontro con François: «Senza Fred avrei fatto fatica a proporre il mio prodotto ad altri paesaggisti; avevo fiducia in quell’imprenditore, sapendo che al primo utilizzo mi avrebbe detto se era veramente soddisfatto del prodotto, ma anche François ha saputo essermi così vicino che ho potuto andare avanti grazie alla sua energia». Un leitmotiv sviluppato da François era la ricerca di vivere una sinergia tra imprenditori impegnati in questa nuova economia, come anche l’idea di convincersi di essere solo degli strumenti. «Lavorare per servire»: ecco cosa ci ha riferito, dopo aver visto tutti quegli imprenditori del Brasile. E Fred rincara la dose: «L’elemento più notevole di François era il suo stile di imprenditore da mille idee all’ora, ma, più di tutto, la sua ossessione era quella di mettere in comune, concretamente, i propri talenti». Infatti, cosa avevano in comune un allevatore di conigli, uno specialista della depurazione e un architetto paesaggista? Più che una semplice attenzione, era l’abitudine di ascoltarsi fino alla fine e da questo ascolto sgorgavano grandi idee. Ciò derivava anche dalla comune passione per l’Economia di Comunione. Quegli imprenditori avevano quel “socio nascosto” che era al centro della loro attività professionale e che faceva emergere delle idee, più di quanto si sarebbe potuto immaginare. «Ho preso del fango e l’ho trasformato in oro!». Forse le parole di Charles Baudelaire sono vere...

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Con ciò che c’è stato di più modesto, di più piccolo... Nel 2000 il ministero francese del lavoro ha voluto valorizzare coloro i quali, con il loro lavoro, potevano testimoniare «una nuova speranza per il terzo millennio», cercando di incarnare nelle relazione umane il motto «Liberté, Égalité, Fraternité». Era un’esperienza di vita che il ministero cercava di promuovere. Fernand incontrava spesso François, e i due si incoraggiavano, si spalleggiavano. «Ciò ha creato un entusiasmo formidabile perché c’era un potenziale umano enorme. Il mio livello d’impresa era senz’altro più modesto, ma avevamo la stessa dinamica, essendo tutti e due “servitori” dell’Economia di Comunione. Quegli incontri di imprenditori sono stati indispensabili per continuare a formarci alla cultura del dono», ha dichiarato Fernand con convinzione. François ben conosceva l’avventura dell’inserimento e del reinserimento, e anche Fernand, che aveva decisamente aperto le porte della sua piccola impresa, la Nuti-Bâtiment, in Alta Loira, per far lavorare dei casi sociali, in particolare rifugiati bosniaci. Era assecondato da Eric e da Bernard che condividevano lo stesso entusiasmo sull’utilizzo dei profitti. «È molto difficile guadagnare denaro in un’impresa di inserimento, ma è più importante far figurare negli statuti aziendali che i profitti non saranno incassati dagli azionisti, ma ridistribuiti per una causa giusta. I rifugiati bosniaci ne furono i felici beneficiari e ciò ha dato senso alla nostra piccola impresa». Lo scopo essenziale dell’impresa era di dimostrare come alla logica molto diffusa del “tutti contro tutti” si potesse opporre un’altra logica nei rapporti tra salariati e tra salariati e dirigenti: “tutti con tutti”. Secondo Fernand, da un rapporto di lotta si poteva procedere verso rapporti di complementarietà, a condizione che, in partenza, chi deteneva il capitale, il potere, agisse in 184

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qualità di reale gerente e non di possessore intransigente: «A livello nazionale, sono stati trasmessi al ministero del lavoro 400 dossier. Settantadue sono stati selezionati e noi, modesti e piccoli, abbiamo ottenuto il “Marchio Fraternità 2000”!». Fernand aveva già iniziato la sfida della condivisione prima di conoscere l’Economia di Comunione, ma fin dall’annuncio aveva subito raggiunto il gruppo e in una riunione ebbe a dire: «La finalità stessa dell’Economia di Comunione, come suggerisce il nome, è un’economia che instaura una comunione tra le persone e i beni, si tratta di operare in vista dell’unità e della fraternità tra tutti gli uomini». François aveva salutato l’esatta analisi di Fernand: «C’è tutto il pensiero di Chiara Lubich, ciò mi colpisce perché Chiara ha un’altissima idea del lavoro». Ciò che esprimeva era quanto provava nel profondo. Con Fernand, François vedeva forze vive in Francia, decisamente in cammino.

E perché noi no? Marguerite e Albert si erano aggiunti un po’ più tardi alle riunioni di imprenditori a Parigi. Erano curiosi delle realizzazioni di quel progetto di Economia di Comunione nella libertà. Queste ultime due parole piacevano loro: «nella libertà»... Non c’erano infatti regole assolute, il progetto era nato dalla vita: non c’era un dogma di base, gli imprenditori donavano secondo la buona salute dell’impresa. Marguerite e Albert vedevano l’energia di François che attraversava l’oceano per far fiorire un deserto... erano dei sognatori. François oltrepassava i progetti, li faceva nascere e li nutriva. Marguerite e Albert riflettevano. «Vedevo François correre in avanti – dice Albert –. Pensava solo a questo; ci faceva ridere quando ci raccontava delle sue notti: “Alle tre del mattino ho avuto un’idea, alle quattro ho 185

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pensato a un tale... alle sei dovevo fare questo e quello... e mi sono alzato perché avevo troppe cose da fare”. La sua energia era inossidabile! Ero impressionato dalla sua capacità di lavoro». Albert non sapeva ancora che la vita ci dà le forze solo nel momento in cui diciamo “sì”. Anche Patience, giovane donna ingegnere dei Lavori pubblici del Camerun, era stata sedotta dall’idea dell’Economia di Comunione. Volle quindi subito fare qualcosa di più dell’apporto del proprio lavoro per il suo Paese. Diede vita, così, a un’impresa animata da quello spirito, ritenendo che quel tipo di impresa fosse la risposta appropriata alla nostra epoca. Dopo averci ben pensato, ha voluto creare un’azienda di galline ovaiole; era incredibile: senza denaro e senza alcuna conoscenza nel settore, era sicura che, nonostante le prevedibili difficoltà, fosse assolutamente quello il lavoro nel quale si doveva lanciare! Si mise in contatto con un’associazione originale di imprenditori in Germania, Solidar Capital; questa associazione era composta da una ventina di imprenditori che avevano voluto unire le loro capacità e le loro risorse finanziarie per sostenere i creatori d’impresa che presentassero un progetto solidale di Economia di Comunione. Solidar Capital si impegnava solo se i nuovi imprenditori osservavano cinque regole, che avrebbero caratterizzato la “filosofia della loro futura impresa”: 1) retribuire i dipendenti con un giusto salario e una partecipazione ai frutti del loro lavoro; 2) scegliere di essere leali nei confronti di clienti e fornitori; 3) essere onesti verso lo Stato senza praticare frodi fiscali; 4) rispettare l’ambiente; 5) cercare di realizzare dei profitti, essendo l’obiettivo finale quello di soccorrere quanti soffrono la povertà. All’inizio del 2001 Solidar Capital, che aveva già sostenuto altri progetti, ha ritenuto quello di Patience conforme ai criteri e ha deciso di finanziarne l’investimento. Da allora Patience si è preparata alle sue nuove responsabilità di imprenditrice, motivo per cui si è messa evidentemente alla ricerca di colleghi già 186

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esperti in materia. È stato così che ha fatto conoscenza di Albert e Marguerite, visitando il loro allevamento di galline ovaiole in Franca Contea. Si ricordano ancora, commossi, del loro stato d’animo in quel tempo: «Vedendo François ci dicevamo: “E perché noi no?”. Ma non c’era ancora stata fatta alcuna offerta. Cosa ci impediva di dire di sì a Patience? Sì a un’avventura nella quale tre partner complementari, originari di tre Paesi (Camerun, Germania e Francia), potevano unirsi per fondare un’impresa nella quale era prioritaria la preoccupazione per l’uomo». Da allora l’impresa camerunese progredisce, nonostante numerose difficoltà. I tre partner hanno una buona speranza di riuscita, la qual cosa autorizzerebbe, in prospettiva, nuovi progetti. È per questo che Albert può dire: «Il fatto di aver frequentato François e di aver condiviso speranze e timori ci ha dato l’energia per metterci in cammino. Ci è voluto del tempo per capire questa mescolanza di realismo e di utopia, condizione necessaria per il successo per lui e... per gli altri!». Tutte queste esperienze erano i primi frutti dell’Economia di Comunione in Francia.

Lirismo È stato a quel tempo che François ha ricevuto una chiamata telefonica che ben riassumeva l’aspirazione di tutti gli imprenditori francesi: «Sono dieci anni che esiste l’Economia di Comunione, bisognerebbe fare qualcosa per analizzare la situazione. Tu hai l’esperienza del Brasile, ma anche in Francia e in Europa ci sono forze vive». François era stupito, era proprio l’8 marzo 2001 e aveva appena appreso la notizia della morte di Ginetta. Il dolore doveva rifiorire. Da dove era partita l’idea? Dieci anni erano una specie di anniversario, una data in cui si potevano contare i passi in avan187

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ti, i successi. Alla fine, l’ONG New Humanity 33 si mise in contatto con il Dipartimento di scienze sociali dell’UNESCO: l’Economia di Comunione rientrava pienamente nel programma MOST 34. La signora Christine von Furstenberg, rappresentante dell’UNESCO per quel programma, ha accolto il progetto di Economia di Comunione con grande apertura. Il 2 dicembre 2001, per segnare i famosi dieci anni di vita di quella nuova economia, gli imprenditori pionieri in Francia, con molti altri economisti, ricercatori, studenti, professori ed esperti in economia, sono stati invitati per approfondire quei dieci anni di realizzazioni; hanno risposto numerosi all’invito: la sala da 500 posti dell’UNESCO era piena. Quel congresso è stato storico per la Francia. Dopo l’accoglienza della signora von Furstenberg che metteva in luce «una nuova forma d’impresa che introduce lo spirituale nel cuore dell’economia», gli imprenditori francesi hanno dato la loro testimonianza. Uno valorizzava il senso dell’etica, un altro la fraternità, un altro ancora la giustizia, poi la generosità, il dono... insomma, la dimensione più internazionale. Era proprio impressionante sentire parlare, a turno, Catherine, Philippe, Fred, Fernand, Patience... ma anche i rappresentanti di Solidar Capital, imprenditori belgi, tedeschi e italiani. Anche Albert e Marguerite erano presenti; per valorizzare la determinazione e il coraggio di Patience, avevano preferito non intervenire direttamente. Il presidente di New Humanity, Alberto Ferrucci, impegnato particolarmente nello sviluppo della nuova economia, è stato molto convincente: «Non bisogna aspettarsi una condanna radicale dell’impresa e del mercato da parte dell’Economia 33 Nuova

Umanità è l’espressione del Movimento dei Focolari in campo culturale e sociale, in particolare presso l’ONU e l’UNESCO [N.d.A.]. 34 Programma per la gestione delle trasformazioni sociali in seno al Dipartimento di scienze sociali dell’UNESCO [N.d.A.].

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di Comunione, che invece lancia un avvertimento affinché il mercato e l’impresa siano luoghi che creano un benessere autentico, un vero incontro tra gli uomini. Essa è agli antipodi della concezione del mercato come regola dell’efficienza, da cui sono esclusi i concetti di condivisione e di dono, e che non incrocia mai la strada della solidarietà». Il tono era ben impostato, determinato senza essere settario. François pensava: “E dire che è Alberto che mi ha invitato nel giugno del 1995 a San Paolo per il congresso annuale dei brasiliani... Un giorno ho detto sì... ad Alberto... e poi siamo partiti. Le realizzazioni degli altri mi fanno volare in alto tanto quanto le mie e oggi sono all’UNESCO...”. Una sociologa brasiliana, Vera Araújo, puntualizza le parole di quella giornata: «Il progetto Economia di Comunione nella libertà offre un modello di impresa e di relazioni economiche che affonda le sue radici in un progetto spirituale e umanistico. La cultura del dono non consiste nel praticare la generosità, la beneficenza o la filantropia, e tanto meno nell’abbracciare la causa del volontariato; consiste piuttosto nello scoprire e nel vivere il dono di sé e il dono di beni materiali, perché essenziali all’esistenza e alla stessa sostanza degli individui come della comunità. L’avventura umana si manifesta e si sviluppa in una continua tensione tra l’io e l’altro, tra l’affermazione radicale ed egoistica di sé e l’attenzione all’altro che apre una dimensione indispensabile della personalità, tra donare e tenere per sé, tra condividere e accaparrare. Nell’arte del donare, le relazioni umane, vissute come un dono ininterrotto e come un dono continuo di sé, diventano reciproche; infatti, si orientano inevitabilmente verso la comunione che è sinonimo di unità. Allo stesso modo, l’atto di donare e di condividere i beni, siano essi spirituali o materiali, porta alla comunione». “Dono”, “comunione”, “unità”: le parole pronunciate da Vera erano estremamente scioccanti, tanto più avendo lei visi189

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tato una quantità di imprese che vivevano con quello stile relazionale in Brasile e nel resto del mondo. Il Brasile... Qualcuno stava per parlarne: François! Egli rappresentava la dimensione più internazionale. François Mayaux, moderatore della riunione nella quale doveva parlare François, gli aveva consigliato, la sera prima, di rivedere il suo testo su un certo numero di punti per tener conto del contesto un po’ solenne nel quale doveva intervenire. Il giorno dopo, proprio prima di salire sul palco, François lo aveva incrociato: «Hai ragione, forse il mio testo non è molto buono... improvviserò!». E l’improvvisazione, per François, era sempre... imprevedibile! François ha allora disegnato un ritratto straordinario di... Ginetta. Quando l’aveva incontrata la prima volta, non aveva forse detto: «Quando vedo Ginetta è come se avessi davanti a me Chiara e tutti i focolarini»? E François lasciò parlare il suo cuore, come sempre. Chantal e José, responsabili di Nuova Umanità in Francia, si guardavano stupefatti. Gli imprenditori francesi erano un po’ inquieti, cominciavano a spiare le reazioni del pubblico. In apparenza, non si rimaneva nel tema del congresso. Ogni intervento dei relatori era stato visto come uno strumento di musica in un’orchestra sinfonica che suonava, al momento giusto, il suo pezzo scritto nella partitura. All’improvviso si assisteva all’intervento di una voce, come un fascio sonoro... essenzialmente lirico! Era semplicemente inaudito. L’animatore del convegno, a proposito della voce di François, osservò anche «il suo accento al tempo stesso musicale e rauco, simbolo dell’alleanza tra il cielo e la terra». Dopo il suo intervento un grande silenzio, poi uno dei presenti in sala reagì “a caldo”: «Ciò che Monsieur Neveux ha fatto in Brasile è straordinario, bisogna avere fede e coraggio per farlo». Era lo sceicco Bentounès, guida spirituale della Tariqa Alawiya e presidente onorario di Terre d’Europa. Ci ha tenuto a cogliere la somiglianza dei punti di vista tra la sua associazione e l’Economia di Comunione: «È giunto il mo190

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mento di vedere come possiamo aiutarci a vicenda e invertire la rotta. Bisogna che la politica e l’economia si aprano a una dimensione spirituale, umanizzando la società». In platea, un uomo che aveva passato nove mesi in Brasile per conto della Banca Mondiale per sviluppare un’azione nel Nordeste, ascoltava sbalordito gli slanci di François. Il Brasile! Jean-Louis conosceva le immense difficoltà che si potevano incontrare in quel Paese e, seguendo il filo di François, si rese conto del motore interiore del nostro: «Dove ha trovato l’energia per compiere tutto quello che ha fatto e a una età in cui la gente pensa di andare in pensione?». Ma più che l’energia, è stata la passione a colpire Jean-Louis: «François parlava con il cuore, era “dentro”, era veramente singolare. Poteva fare un po’ paura, perché sentivamo che a ogni passo rischiava molto, ma progressivamente, col susseguirsi delle riflessioni, ci rendevamo conto che aveva invece i piedi per terra: sono stato colpito da quel fuoco, ma la sua voce era soprattutto impregnata di vita!». Il lirismo di François, totalmente improvvisato, aveva commosso, ma al di là dei suoi voli pindarici, era soprattutto “la vita donata” a essere percepita con sincerità. Un responsabile del programma del Commercio equo e solidale, la presidente dell’Associazione Etica-Investimenti, dei rappresentanti dell’economia solidale, ma anche dei professori universitari ed economisti d’impresa reagirono, e il loro punto di vista era prezioso: avendo sentito tutti gli interventi, l’insieme dei presenti era d’accordo nel dire che «non era necessario essere cristiano, e nemmeno credente, per mettere in pratica l’Economia di Comunione, era però indispensabile accogliere in coscienza i valori universali come l’amore, la gratuità, la condivisione, la pace, l’ascolto, la generosità, il dialogo... che compongono la visione del mondo proposta dall’Economia di Comunione». Poi, una tavola rotonda ha permesso a numerosi partecipanti di affrontare ogni tipo di questione. A più riprese, si è au191

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spicato di conoscere l’attuale “constatazione dei luoghi” dello sviluppo dell’Economia di Comunione nel mondo, cioè il numero di imprese in cammino, dopo dieci anni dal lancio: se nel maggio del 1991, all’inizio, non c’era che La Tunica in Brasile con la Escola Aurora al suo fianco, nel 2001 esistevano 764 imprese sparpagliate sui cinque continenti. Chantal e José conclusero con lo spirito di fraternità che non era «un di più nella vita delle imprese, ma la loro stessa essenza».

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Testimoni Dopo il convegno dell’UNESCO, Jean-Louis volle assolutamente ritrovare quegli imprenditori che avevano dato la loro “testimonianza di vita”. Stava cercando di fondare la sua impresa: «François aveva tracciato la via, aveva incoraggiato molti, perché non metterlo a conoscenza del mio progetto? Mi era rimasta in testa la sua voce, voce piena di energia, ma anche attraversata dalla sofferenza, proprio così, ma non era il solo a dare questa vibrazione alla vita, c’era anche Catherine. Il mio incontro con loro andò oltre le parole, si trattava dell’essere, dell’essenziale. Con François, con Catherine, mi trovavo davanti delle creature in carne e ossa, avevo l’impressione che tutti e due fossero capaci di portare le nostre difficoltà perché le avevano veramente vissute». Dopo aver avuto questi contatti, Jean-Louis rilevò, non senza rischio, un saponificio nel sud della Francia. Era fiducioso: lui, chimico di formazione, poteva realizzare il desiderio di utilizzare le sue competenze in quel settore, dopo aver partecipato con grande fedeltà alle riunioni, ai convegni e agli incontri con quei nuovi imprenditori. Lo slancio aveva avuto il sopravvento sulla prudenza ragionata ma, ancor più, i contatti personali avevano dato i loro frutti.

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Quando il sipario si strappa... Viaggiare al di là degli oceani non è sempre necessario; si può sempre invertire la tendenza lì dove si vive. Un buon nocciolo duro aveva “vissuto l’esperienza dell’UNESCO” e ciascuno sentiva la responsabilità di andare più lontano. Col susseguirsi dei giorni François volle rimboccarsi le maniche per la Francia. Il Brasile era allora ben lanciato e François si diceva: “Continuerò a seguire Rotogine, ma lo scopo finale è che la società torni ai brasiliani”. In Francia, la volontà di fondare una cittadella-pilota come quella del Brasile si era fatta strada. Era stato acquistato un grande appezzamento di terreno di 23 ettari nell’Essonne, il sito di Arny, a sud di Parigi. Si parlava di sviluppare non solo un centro di vita, ma anche delle attività industriali. Un anno dopo vi furono organizzati degli incontri regolari di imprenditori. Poi, nel 2003, sorse l’Associazione Aurora per un’Economia di Comunione che doveva contribuire allo sviluppo di quel futuro polo industriale. François, subito informato del progetto, si infiammò ancora; in occasione di un incontro di imprenditori era un vulcano d’idee: la Francia avrebbe potuto essere un faro! Una parola ritornava incessantemente: correre, correre! E ripeteva quanto aveva detto dodici anni prima, alcuni mesi prima che nascesse l’Economia di Comunione: «Affrettarci», dobbiamo aver fretta di vedere realizzarsi qualcosa, Dio ha fretta, siamo noi che siamo lenti a capire e a metterci in cammino. Quando alcuni imprenditori cercavano di calmarlo, sorrideva dicendo: «Sapete bene che perché un progetto abbia successo bisogna metterne dieci in cantiere». La sua prima idea era semplicissima: si poteva immaginare una costruzione come aveva fatto Ginetta in Brasile e il Cielo stesso avrebbe riempito la culla che sarebbe stata costruita. Gli amici industriali lo ascoltavano con molta tenerezza: era 193

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proprio il suo stile di proposta, con un accento leggermente provocatorio. Poi, in occasione di un altro incontro, François portò da Agen prugne, marmellate, acquaviti del sud-ovest, tutta una serie di prodotti dai sapori “autentici”. Offrì una degustazione, aspettando che ognuno avesse ben mangiato e bevuto a piacere. «Bisogna vendere questi prodotti di eccellenza, tutto ciò può rendere profitti all’Economia di Comunione. Qual è l’attività più semplice da avviare? Il commercio: si acquista, si rivende, è semplicissimo. Voglio creare un’impresa e voglio donarla, la farò partire sostenendola finanziariamente, ho 67 anni, non ho tempo da perdere». L’impresa fu presto messa in piedi. Prodotti del territorio, dal fegato d’oca al cassoulet 35, ma anche tutti i mieli possibili, tutte le golosità del sud-ovest a base di prugne, tè aromatici, panpepati ripieni e anche distillati di frutta, acquaviti ecc., il tutto avrebbe composto “I Tesori di Arny” e questi Tesori, che si chiamavano “Arny”, avrebbero permesso la diffusione di questo luogo unico per promuovere l’Economia di Comunione in Francia: il sito di Arny. Catherine, l’apicoltrice, era reticente: «François, tra la depurazione e l’alimentare c’è un mondo! Non ci sono le stesse regole, gli stessi margini di guadagno, gli stessi obblighi...». Specialista nel settore, Catherine si mise all’opera per sostenere e aiutare François, ma la grande stagione di lavoro era finita. Catherine non era sufficientemente disponibile e François voleva andare velocemente, anche intestardendosi. Albert e Marguerite concentravano i loro sforzi sul Camerun e sul loro allevamento; Philippe aveva giornate di dodici ore; Fred si affannava molto; Fernand, oltre alla sua piccola impresa, accompagnava i suoi operai bosniaci affinché il loro inserimento fosse tanto cul35 Piatto

tipico della Linguadoca, fatto con oca, anatra, maiale o castrato e fagioli bianchi.

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turale quanto civico... e tutti gli altri imprenditori erano, anch’essi, impegnati contemporaneamente su più fronti. Ma François ribatteva: «Bisogna correre: qualcosa deve uscirne». Ognuno espose le proprie perplessità, non sentivano il progetto maturo; un progetto del genere avrebbe dovuto essere “portato” da molti, ma François li assicurava: «È il mio denaro che investo, non preoccupatevi!». Quella forma di ostinazione derivava dall’energia di voler offrire, ancora e sempre, del lavoro per costruire il Paradiso in terra. Dall’inizio della sua vita professionale, sapeva di essere nato per quello. L’utopia era sempre in cammino... instancabilmente, e ora, preso dalla fretta, François aveva scelto di investire ciò che gli restava nell’impresa I Tesori di Arny. Ma due anni dopo... l’amara constatazione. Quando il sipario si strappa... Il segreto era proprio lì! Era solo quello! L’unità! Quell’unità che aveva desiderato soprattutto vivere con tutti, quell’unità che gli aveva permesso, tante volte, di scavalcare le montagne... Ora faceva la sua constatazione: aveva obbedito al suo urgente bisogno personale. Gli imprenditori responsabili dell’Associazione Aurora attraversarono la Francia per andarlo a trovare, non volendo lasciarlo solo in quella fase problematica dei Tesori di Arny; quella visita fu un momento straordinario di “confraternizzazione”, come dicono i brasiliani. In quell’occasione François mostrò loro un grande cantiere che aveva realizzato nel suo laboratorio personale: la fabbricazione di assi di legno compensato, agglomerato con polvere di plastica per rendere il materiale imputrescibile. Per mancanza di spazio, la catena di produzione si prolungava attraverso il muro e continuava per venti metri fino alla recinzione del giardino. Chantal e José erano particolarmente interessati a vederne la fabbricazione. Un po’ di tempo prima, una domenica po195

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meriggio, durante una passeggiata in bicicletta nel bosco della periferia parigina, José aveva ricevuto una telefonata dell’amico François sul cellulare: «Ho trovato, ho superato una tappa!». José guardava gli alberi intorno, non capiva bene. «La temperatura e la velocità dell’estrusore combaciano! Non è più sterco di vacca, le assi escono come legno duro!». Di ritorno dalla passeggiata, José e Chantal ascoltarono lo stesso messaggio sul telefonino di Chantal, sulla linea dell’azienda e su quella privata. François non si era scoraggiato: quattro telefonate per mettere al corrente gli amici cari della riuscita. Un altro cantiere, quello a cielo aperto nel giardino, affascinò tutto il gruppo. Si trattava di una specie di laboratorio sperimentale di depurazione: François espose le sue idee rivoluzionarie con le quali un giorno la futura massaia avrebbe potuto riciclare tutte le acque usate in famiglia in un angolo dell’appartamento, con un elettrodomestico non più grande di una lavatrice. Infine, un altro progetto originale, in corso di realizzazione: doveva riuscire a riciclare la plastica secondo un altro procedimento. Alla fine della giornata si imponeva una sola realtà: l’unità tra tutti loro non era stata scalfita. Anche se François aveva voluto correre da solo, pur sentendo di essere frenato dagli altri, una parte del suo fallimento era legato al fatto di non aver avuto tempo per occuparsi di quell’affare e di seguirlo. François sentiva forse di aver ragione ad avere fretta? Restare in collegamento e comunicare sempre la vita che lo animava era diventato per François la priorità delle priorità. Caratteristica la seguente lettera indirizzata ai volontari, a quei membri del Movimento dei Focolari con i quali viveva in modo particolare quella comunione: Non conosco il progetto di Dio, Egli può chiedermi molto o poco; io ho osato chiedergli tutti i giorni, e lo faccio ancora, di darmi la santità e la grazia per accoglierla. Non bisogna divertirsi troppo in questo gioco, perché a 196

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volte Egli potrebbe prenderti in parola. Ho avuto dei problemi alle gambe e mi è capitato di soffrire molto seriamente, ma non ho mai interrotto il lavoro, anche se mi vergognavo di trascinarmi davanti agli altri, sapendo che pensavano che ero spacciato. Sono anche riuscito ad andare in Brasile in quel deplorabile stato, obbligato a raccontare qualsiasi cosa. Per farla breve, cosa voglio dire con questo? Che avrei fatto meglio a non chiedere nulla? (...) Penso seriamente di essermi comportato bene, poiché Dio non domanda mai l’impossibile. E credo di vedere in ciò il filo d’oro che non solo darà maggior forza all’affare, ma lo farà continuare. L’Economia di Comunione è davvero per me un progetto che va ai confini del mondo, ho qualche indizio che mi conferma che si sta facendo. Vi voglio bene, François. Da parecchi mesi era molto stanco e, secondo il suo solito, trattava la questione della salute con noncuranza. Alla vigilia di Pasqua del 2006 François fu costretto al ricovero in ospedale e dovette rinunciare al trentunesimo viaggio in Brasile. Dal letto d’ospedale ha continuato a scrivere: Ci sono due modi di vedere la malattia: la prima in maniera umana, lamentandosi della “mancanza di fortuna”, e l’altra in maniera divina, dicendosi che Dio può aiutarci a rimetterci in piedi. Bisognerà che un giorno mi alzi guardando in faccia la realtà. Ci sono allora due soluzioni: o vivo per me oppure per gli altri. Ciò che mi capita è la provvidenza... C’è quindi qualcosa di grande lì dietro, tocca a me continuare, senza troppo brontolare... Offro tutto per l’Economia di Comunione. Instancabilmente, il lavoro, espressione della condivisione e della comunione, era stato orientato verso gli altri, e allora perché François si chiedeva ancora se viveva davvero «per gli altri»? Nonostante il severo verdetto, François restava fiducioso.

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26 agosto 2006, ore 12.30

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Guitou, giovane mamma, sussurra dolci paroline al piccolo François, venuto al mondo in primavera, come una promessa di rinnovamento. Settant’anni dopo, Françoise mormora anche lei, sul letto d’ospedale di François, quelle parole d’amore che non muoiono mai: istante di eternità tra loro, segreto della loro alleanza. «Questo bambino sarà un rivoluzionario!», disse Jean-Jacques Neveux, il padre, vedendo il piccolo François il giorno della nascita. Jeannot, l’amico francese, José, l’amico brasiliano, e centinaia di altre persone sentono ora l’assenza, come una danza al bordo di un precipizio. Dove sei François? In mezzo ai tuoi sogni più pazzi, solo quell’utopia di fraternità e di umanesimo ti ha fatto andare in giro per il mondo, instancabilmente. «Ho fretta», dicevi. «Al lavoro!». «Tutto è amore e tu, Dio, dormiresti...». Il clamore della strada ha fatto sentire la rivolta della folla in pieno Fronte Popolare. Ma settant’anni dopo, la folla di tutti i piccoli, gli umili, i subalterni grida con la stessa insistenza. François, la tua protesta contro ogni forma d’ingiustizia è prima di tutto un impegno; ma tu non ti fermi alla compassione rassegnata; solo l’azione ti interessa: non fare della propria vita un triste compromesso con questo vecchio mondo usato, tutto smorfie. Quelle tre voci sentite sopra la culla hanno davvero accompagnato François lungo tutta la vita: la voce dell’amore, la voce dell’entusiasmo, ma anche quella della protesta attiva, tutte portatrici di geniali utopie. 198

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A questo punto un fermo immagine è necessario: salutiamo queste presenze ostinate e tenaci, presenze poco valorizzate perché i riflettori non illuminano i retroscena, presenze di queste donne legate da quel filo rosso essenziale, quello del loro “sì”! Ricordiamoci prima di tutto del sì di Françoise, quel sì all’accoglienza permanente di tutti i diseredati del mondo, quel sì al denaro, dato senza contropartita, e all’audacia d’intraprendere senza “rete” protettiva. E oltre a Françoise ricordiamo il sì di Eliane a Jeannot per la follia di Beauville e di Maria a José per quella di Rotogine, il sì di Margarida a Luiz Carlos per la follia di Real Plast a sostegno di Rotogine, il sì di Hermi con la creazione dell’Economia di Comunione per diffondere i risultati sperimentali di François in Brasile, come il sì di Catherine, prima imprenditrice di Economia di Comunione in Francia, che impiegò tutta la sua energia per concretizzare il nuovo stile di “osare intraprendere per la condivisione”. E infine il sì dell’impazienza divina di Ginetta. Tutte queste donne erano convinte che le follie di François potevano saggiamente illuminare il mondo: chiare finestre aperte sul cielo! La vita senza riserve, l’azione senza riserve, il dono senza riserve, la fede senza riserve! François Neveux è morto il 26 agosto 2006 alle ore 12.30. Françoise ha scritto una mail di appena sette parole per informare tutti: «François ha terminato il suo santo viaggio». François è stato un regalo immenso per noi tutti, quello di averlo avuto per amico. Siamo tutti inconsolabili. François, hai tracciato un futuro. E ora è la tua voce che ci accompagna: «Vamos na frente! Um grande abraço!» 36. 36 «Andiamo

avanti! Un grande abbraccio!».

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5. Epilogo

Ma sono felice di vedere per gli Utopisti la forma di Costituzione che auspicherei per tutti i popoli.

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(Thomas More, L’Utopia)

Quando un libro ci mette in cammino Dieci anni prima del suo viaggio in Brasile, in occasione dell’uscita in Francia del libro di Ginetta 37, François, entusiasta, ne aveva acquistato 25 copie in una sola volta, per offrirli al suo entourage. Da parte sua, Françoise, dopo aver letto il libro, ha deciso di inviare in Brasile il suo superfluo, i suoi piccoli risparmi fatti di prodotti di uso quotidiano... un’idea così... Ora il nastro si è sciolto.

Il gusto dell’ultimo viaggio Trenta viaggi in Brasile in dieci anni. Ventotto taccuini di viaggio. Ecco l’ultima pagina del ventottesimo e ultimo diario: Giovedì 1° dicembre 2005 La sera sono stato invitato da Franca, responsabile di una decina di ragazze future focolarine. Sono stanco, arrivo al termine 37

G. Calliari, L’Evangile force des pauvres. Quand le Brésil s’éveille, Nouvelle Cité, Paris 1984.

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delle tre settimane e con l’artrosi non è il massimo, ma ci vado per farle contente. Franca mi fa parlare delle mie esperienze in Brasile, ma ho l’impressione di rompere le scatole. Quando ho finito, chiedo a una ragazza dall’aspetto un po’ selvaggio di dire perché è lì. Molto timidamente dice di aver donato tutto; ha cominciato da piccola con i “Gen” e ora sta per diventare focolarina. Allora le dico di aver l’impressione di essere in un treno ad alta velocità. Vorrei più dettagli: «Hai avuto un innamorato che ti ha lasciato?». «No». «Hai lasciato qualche passione? La musica? altro?». «No». Ero stupito, ma non beffardo. C’era una tale sincerità e povertà in lei che ho dimenticato la mia fatica; non mi sono nemmeno accorto che avevo finito il vino. Poi hanno parlato le altre. Ero immerso nelle loro piccole esperienze del genere “eravamo rimaste senza denaro e qualcuno è arrivato con la cena”. Alla partenza, mi hanno abbracciato e dato un regalo: ho sentito in quel momento l’interesse che avevano per me e nel loro gesto d’amore ho sentito Gesù, “un assaggio di Paradiso”. Grazie Brasile, per aver infuso quell’assaggio di Paradiso! A François, che desiderava tanto costruire il Paradiso in terra, fu dato di avvicinarlo, grazie a te, ancor prima di raggiungerlo.

Elogio delle utopie François Neveux, il mondo ti appartiene! Mantenere sempre la rotta, e la rotta è guardare tutto ciò che vive, imputridisce e rinasce... trasformandosi. Ecco il grande ciclo della vita: le metamorfosi in tutti gli esseri. È sufficiente entrare nel girotondo e suonare la propria partitura. La vita scoppia spesso nel caos ed è meglio così; è più bella senza il dominio, il controllo della crescita, senza l’immunità da tutte le paure. 202

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François è soprattutto il contatto con la terra con tutte e due le mani: palpare, toccare, sentire, dire le cose grezze, prive di pensiero, giocare a invertire le sillabe delle parole ed ecco... l’Idea! Sì, l’idea c’è e con frenesia si disegna, si cancella, si corregge, poi la si associa ad altre tecniche, altri materiali e il miracolo arriva! Nasce un’invenzione; più di una trentina, esattamente 35 brevetti depositati, a colpi di tentativi incerti, a colpi di audacia e di fiuto geniale: “il genio dell’ingegnere”. E tutto questo per la vita dell’uomo. «Un uomo fatto di poesia, di vino rosso e d’amore!». Ma anche un uomo fatto di sudore e di traspirazione, di saliva e di urina, di sangue e di escrementi... ecco come François Neveux vede l’uomo! «È solo ciò che esce dalla bocca dell’uomo che può sporcare... come l’ira, le brutte parole e tutta la sequela di rancori...», si può leggere in un altro suo libro-testamento. François, nel cuore dell’utopia della scoperta, ossessionato dal desiderio costante dell’invenzione a servizio del progresso e del benessere... François Neveux, nel paradiso dei pazzi lo ritroveremo sicuramente! François vola in alto, continuamente; ecco il sogno insensato, fuori dal senso comune: il Paradiso in terra! Fermare i mulini della miseria, è questa la sua eroica follia, e quei mulini girano più in fretta di quelli di Don Chisciotte: François allucinato da soluzioni che hanno del miracoloso. Creare ricchezza: ecco l’ossessione. Ridistribuire le carte ai poveri, permettere a chi possiede di far posto ai più bisognosi, e tutto ciò attraverso un lavoro senza posa e un’overdose di amore fraterno. Lui, l’uomo indignato dai palliativi messi in opera per cambiare il mondo, osava tagliare corto: «Non facciamo i pranzetti all’uscita delle chiese. Con la mia forza d’intraprendere, voglio condividere con tutti gli uomini di buona volontà le mie idee, le mie ricchezze; per questo sono nato e sono pronto a morire!». 203

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A settant’anni François continuava a battere questa idea fissa: vivere in modo diverso la fraternità nel lavoro. E questa follia non lo ha mai lasciato: l’utopia generosa non si è mai smentita! François Neveux, taglia media, senza pancia, baffi alla “sud-ovest” e occhiali che non riescono a nascondere lo sguardo che osserva, domanda e si meraviglia. Lo stupore! Come non essere inondati di luce da questa semplice frase scritta alla fine di una pagina che riporta l’esperienza finalmente conclusa, come pure un conflitto risolto nel cantiere con «amore e verità»? François conclude semplicemente: «Grazie a Dio e a tutta la sua squadra!». François, con lo stile unico di essere sempre il prossimo, che usa lo stesso linguaggio “fiorito” con un vagabondo o un avvocato, con un operaio o un banchiere, all’UNESCO o in famiglia, a suo agio in ogni circostanza, avrebbe sognato di invitare alla sua tavola Madre Teresa, mettendola alla sua destra e... Rabelais 38 alla sua sinistra. François Neveux è come un albero: quando si tocca la sua corteccia viene voglia di guardare la cima per vedere se corrisponde alle radici che si sentono sotto terra. La cima è quella voglia permanente di intraprendere, a tutti i costi, con lo sguardo verso il cielo; e le radici sono la fraternità universale, il posto dell’uomo al centro della sua vita... nel cuore del segreto dell’unità. Gli amerindi avrebbero “totemizzato” quest’uomoalbero in “quercia generosa”! François è morto e nel pieno del calore estivo la quercia è stata sradicata. Blu, il colore preferito da François. Suo fratello Jean-Michel sussurra: «Ora è partito, con il suo motorino blu, nel blu 38 François Rabelais (1483/1494-1553), scrittore e umanista francese, autore di Gargantua e Pantagruel, cercò di conciliare cultura dotta e tradizione popolare. Era dotato di una notevole capacità di invenzione verbale.

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infinito». Sicuramente gli occhi celesti di Françoise sono stati le più chiare finestre di questa anticamera terrestre nella quale l’abbiamo conosciuto. José del Brasile c’era, magnifico! L’amico lontano così vicino! José è vestito come un principe, è venuto a onorare l’amico, è raggiante di bontà; è un cuore puro davanti a me. I brasiliani hanno sangue reale, una volta oltrepassato il portale delle chiese. Come lui, abbiamo messo del blu all’occhiello del nostro cuore. Pierre, il figlio maggiore di François, riassume tutto il periplo del padre in una sola frase: «Era difficile per tutti i presenti fare l’elogio della sua vita... lui che ne aveva vissute tre in una». C’era anche un uomo un po’ in disparte, Mohammed, in tuta da lavoro stirata impeccabilmente. Suo zio, un ex della Bémaso diventata Stabilimenti Neveux, vi ha lavorato per più di vent’anni; anche lui, Mohammed, il nipote – senza gioco di parole 39 –, ha lavorato con François; Mohammed si ricorda anche il giorno in cui è stato assunto: il 7 aprile 1983! Parla di François e dice: «Il signor Neveux ha dato da mangiare ai nostri figli». Blu, forse il colore della sua utopia incantata, quella di credere al di là delle cose visibili. Il paradiso deve necessariamente costruirsi sulla terra, ecco la sola utopia! E per servire questo ideale ha osato l’utopia dell’invenzione, l’utopia della condivisione nel lavoro e nella vita, e l’utopia della Fede. In fondo, per François, i talenti naturali, le competenze, le ricchezze, tutto ciò rappresentava il Capitale di Dio. Dall’australopiteco fino all’homo consommatus, l’uomo moderno, come lo definisce Alberto Ferrucci, uno dei respon39 Nipote

in francese si dice neveu, come François “Neveux”.

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sabili a livello mondiale di Economia di Comunione: quando supereremo quest’ultimo stadio e arriveremo all’homo rectus, l’uomo retto, per raggiungere finalmente l’homo amicus rectus, l’uomo incline solo alla fraternità? Quell’uomo non avrebbe allora altra preoccupazione che quella di conquistare e trasmettere non il fuoco primitivo, ma il fuoco tutto interiore: quello dell’unità per la fraternità.

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Piccola cartolina dell’autrice E io, autrice di questa biografia, voglio dare a te, lettore, il gusto dell’ultima lettera che François mi ha inviato, un mese prima della morte, sicuro che avrebbe trionfato sulla malattia che lo attanagliava da tre mesi. Ecco l’ultima frase, annotata alla fine dell’ottavo e ultimo foglio della lettera: Ciò mi ha spinto, dopo le due maturità, ad acquisire rapidamente un titolo qualsiasi per poter finalmente riuscire e riuscire, ma perché? Per gustare il piacere di donare. Oltre a questa lettera, ho letto più di sette chili di documenti che François mi ha solennemente affidato: i suoi scritti personali, un’abbondante corrispondenza nella quale conservava traccia delle sue lettere e delle risposte che riceveva, molti articoli di giornale e numerose conferenze, come anche i diari di viaggio che scrisse in Brasile. Ho realizzato una lunga serie di interviste, 69 per l’esattezza. Tutti coloro che ho contattato sono accorsi per parlarmi dell’amico, del collaboratore, del padrone, del concorrente, dell’esperto. Ho incrociato una quantità di sguardi per realizzare il suo ritratto e descrivere questo singolare destino. Ma a metà strada della redazione di questo libro, François è partito per il paradiso dei pazzi, di coloro che hanno osato credere che bisognava inventare il Paradiso quaggiù. Ho continuato la redazione del libro in circostanze di lutto che il pudore mi impedisce di evocare. 206

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Ho viaggiato un po’ dappertutto, in Francia e in Brasile. Il viaggio in Brasile è stato uno dei più luminosi della mia vita. Accompagnata da Françoise, due mesi dopo la morte di François, ho costatato lo straordinario amore di tutti quei brasiliani per quella coppia unica. All’uscita dall’aeroporto, José B. ci aspettava “avec son sourire”, con il suo sorriso. Poi, molto presto, sono entrata in contatto con Inès che sarebbe stata la mia interprete; era al corrente del mio progetto in Brasile e mi ha mostrato subito il suo profondo rispetto per la cultura francese recitandomi, con una precisione sorprendente, La cicala e la formica: dopo più di 24 ore di viaggio ero sbalordita nel vederla, davanti alle palme e agli straordinari fiori esotici, rendere omaggio a La Fontaine 40. Ho dovuto fermarmi un attimo; Inès era un po’ agitata, aspettava una reazione; ho avuto il tempo di guardarla: era così benevola. Mi è subito venuta una battuta: «La formica di La Fontaine doveva essere molto infelice, non conosceva né Chiara Lubich e nemmeno l’Economia di Comunione», e ci siamo messe a ridere... Tutto il viaggio si è svolto con lo stesso ritmo, anche con gli altri tre interpreti che ho avuto occasione di incontrare durante i miei spostamenti per contattare i 21 imprenditori e le 11 famiglie che hanno invitato Françoise e me a condividere un pasto per evocare, ancora e ancora, François. Dal villaggio del Bairro do Carmo, dove Aparecida ci ha abbracciato, al condominium di Itu dove siamo state accolte per fare tappa, pur soggiornando a Vargem Grande, i brasiliani ci hanno testimoniato ciò che François aveva seminato fin dall’inizio della sua vita: l’amicizia indefettibile. Lasciando il Brasile, al momento di ripartire per l’aeroporto di San Paolo, sento ancora Luiz Carlos che mi raggiunge per 40 Jean de La Fontaine (1621-1695), poeta francese del Seicento, autore delle famose Fables, fiabe di intento morale, in ideale continuità con Esopo e Fedro, che hanno come protagonisti degli animali.

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dirmi: «Isaline, diga bem a toda a gente que François era um gigante, o primeiro de todos nòs, o maior. E preciso que o escrevas!» (Isaline, dica a tutti che François era un gigante, il primo di noi tutti, il più grande. Bisogna che lei lo scriva!).

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Ecco fatto, un libro dedicato a Luiz, ma tramite lui a tutti gli imprenditori che hanno incontrato François e a quelli che hanno lavorato, sofferto, sperato, emozionati al suo fianco; a tutti coloro che hanno avuto l’onore di essere semplicemente suoi amici. Poco dopo il 9 giugno 1972 François aveva individuato in modo singolare la parte intima di Françoise: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio! Ora, ricordando François, i suoi amici leggono queste semplicissime parole come eco luminosa dell’utopia sempre in cammino: Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia... È un uomo realizzato. È un uomo potente come una quercia che è stato sradicato, ma ora è trapiantato in cielo!

Impronta Caro lettore, un giorno ho sentito François che promuoveva il volume Économie de Communion. Des entreprises osent le partage 41, libro che rievoca l’impegno degli imprenditori che hanno aderito con entusiasmo, ma anche con sofferenza, al progetto di Economia di Comunione nella libertà. Si rivolgeva a un imprenditore scettico con un invito che vuole essere la conclusione del mio libro: «Prendilo. Te l’assicuro: lo leggi e piangi!».

41 Nouvelle

Cité, Paris 2001; nuova edizione, novembre 2007.

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Ringraziamenti

Ringrazio prima di tutto Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, che è all’origine del progetto dell’Economia di Comunione nella libertà. Le sue ispirazioni hanno profondamente rinnovato la mia visione del mondo. Sono ancora meravigliata della fiducia che François Neveux mi ha dimostrato chiedendomi di scrivere un libro sull’esperienza dell’Economia di Comunione svolta in Brasile, attraverso le aziende che ha conosciuto e la fondazione di Rotogine. Desiderava che questo libro spazzasse via i timori, legittimi, e aprisse una strada: fare impresa in modo diverso. Comprendendo meglio la sua storia, era tutto il suo percorso professionale che dovevo descrivere. I lettori giudicheranno! Al tempo stesso, Henri-Louis Roche, direttore della casa editrice Nouvelle Cité, desiderava promuovere le realizzazioni di quanti si erano impegnati in progetti a carattere economico e sociale e la cui diffusione sarebbe potuta diventare una forza travolgente. Desiderava la pubblicazione di questo libro. Gli esprimo tutta la mia riconoscenza per avermene offerto la possibilità. Jean-Paul Teyssier, delle casa editrice Nouvelle Cité, è stato più di un prezioso collaboratore; nel corso degli incontri si è mostrato un amico, desideroso di condividere le mie domande, i miei dubbi, i miei entusiasmi, sempre al servizio di questo li209

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bro che voleva essere, un po’ come nello sport, un testimone che si passa nella staffetta. L’amico di sempre di François, Jean-Michel detto Jeannot, così come l’amico brasiliano José Celso Becca, mi hanno aiutato con grande disponibilità. Oltre a loro due, tutte le persone citate nel libro mi hanno permesso di disegnare, con la loro testimonianza, un ritratto molto preciso: gli sguardi di ciascuno, i sentimenti, i ricordi, hanno arricchito le conoscenze che avevo di François Neveux. A loro la mia immensa gratitudine. Cristina Da Silva, di origine portoghese ma in Francia da trent’anni, possiede la qualità di essere perfettamente bilingue. Alcuni anni fa mi fece scoprire “il suo Portogallo”: ricordi indimenticabili. Da quando ha sentito parlare del progetto dell’Economia di Comunione, si è infiammata. È stata lei a tradurre gli articoli, i testi delle conferenze, le esperienze di ciascuno, le numerose e-mail, per sei mesi, dal Brasile verso la Francia e viceversa, il tutto con una fedeltà notevole nella traduzione. La ringrazio per la sua prontezza a offrirmi le sue competenze con grande disponibilità. Michèle Gasparach e mia cognata Catherine Dutru mi hanno aiutato ad affinare la traduzione di alcuni termini tecnici dall’inglese. Grazie per la loro benevolenza nei miei confronti. Annie Bourgenot, mia madre, Françoise Gentien e Christophe Henriot hanno accettato di rileggere le bozze, per darmi il loro parere con la più grande sincerità. Dialogando con loro, ho visto l’interesse che avevano per questo progetto. Il loro incoraggiamento mi è stato prezioso. Georges Bellat, dipendente degli Stabilimenti Neveux, mi ha messo in contatto con numerose persone per poter raccogliere la loro testimonianza. Non ha voluto essere citato nel libro, preferendo mettere in luce, secondo lui, le “persone chiave” dell’impresa. Infine mio marito, François Dutru, che non ha mai manifestato impazienza durante i diciannove mesi di lavoro accani210

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to in cui la vita familiare è stata scombussolata. Molto fiero del progetto al quale avevo aderito, anche lui ha rinnovato la sua visione del mondo economico: riceva ora, per quanto mi ha spontaneamente offerto con nobiltà e generosità, il “centuplo”! Mi auguro sinceramente che questo libro dia una grande forza ai figli di Françoise e François Neveux, come pure alla nuora, senza dimenticare Hervé, e che questa generosa famiglia continui a illuminare coloro che la incontrano. E auguri, infine, a tutti coloro che sono già impegnati in questa avventura unica di vivere, in modo alternativo, “l’unità” nell’impresa e a tutti quelli che, seguendo il loro esempio, oseranno vivere la condivisione.

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Indice

Prefazione (di ALBERTO FERRUCCI) . . . . . . . . . pag. 1. LA CONOSCENZA ATTRAVERSO LA FANTASIA . . . . 29 maggio 1936, ore 11 . . . . . . . . . . . . . . Linfa vitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prima lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quando una madre vuole... . . . . . . . . . . . . Studi e compagni: la dolce vita! . . . . . . . . . . Neveux, ancora e sempre, allarmato, allarmante... . La ragazza inaspettata . . . . . . . . . . . . . . . Legame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prima partenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Inventare del nuovo, inventare del “Neveux” e intraprendere! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La plastica, una bomba! . . . . . . . . . . . . . . Un nuovo vocabolario: tutta la famiglia dei “roto”... Nessun orizzonte, niente limiti! . . . . . . . . . . Produrre vasche correndo e anche rischiando! . . «Se vuoi essere felice, comincia a rendere felici gli altri» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Il sole e la morte non possono essere fissati a lungo pag. Lacrime che cambiano una vita . . . . . . . . . . » Lettura e rilettura . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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2. LA PARTE PER L’ALTRO . . . . . . . . . . . . . . Uno, due, poi cento... . . . . . . . . . . . . . . . Lavoro sostenibile . . . . . . . . . . . . . . . . . È solo questione di sguardi . . . . . . . . . . . . Rimbalzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Debosciati ma occupati . . . . . . . . . . . . . . Venti dell’Est . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . In quel periodo, sugli Stabilimenti Neveux, fermo immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . «Anna, sorella mia!» . . . . . . . . . . . . . . . . Allora sopraggiunse “la storia” . . . . . . . . . . . L’esperienza di Angers . . . . . . . . . . . . . . . Aiuto! Non esiste una legge che vieta la miseria! . A tutti i costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Folgorazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Hanno amato! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . In disparte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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3. UN NECESSARIO ABBANDONO DEL POTERE . . . . Si possono fare degli affari di giorno e cantare per strada di notte! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Inverno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dalla penombra dei rifugi al sole dei tropici . . . . Un fulmine azzurro nel cielo infinitamente grigio . Quando credere è agire! . . . . . . . . . . . . . . Norme enormi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Il congresso storico. . . . . . . . . . . . Il Polo Spartaco . . . . . . . . . . . . . Il sorriso di José . . . . . . . . . . . . . Emergenze . . . . . . . . . . . . . . . . Louco . . . . . . . . . . . . . . . . . . Finanziare, associarsi, riciclare e lavorare diverso . . . . . . . . . . . . . . . . . . La svolta . . . . . . . . . . . . . . . . . Piccolo diario di viaggio . . . . . . . . . L’imitazione eroica . . . . . . . . . . . . Virata a 180° . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . pag. 114 . . . . . » 116 . . . . . » 118 . . . . . » 120 . . . . . » 128 in modo . . . . . » 131 . . . . . » 136 . . . . . » 140 . . . . . » 143 . . . . . » 144

4. RINASCERE INSIEME . . . . . . . . . . . . . . . Il laboratorio di Claire . . . . . . . . . . . . . . . Il muro bianco, lo scivolo giallo e il piccolo tosaerba, alla rinfusa! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Padre e figlio, complimenti! . . . . . . . . . . . . «Puoi mettere la macchina in garage e cominciare a produrre» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La catena si allunga, la famiglia diventa grande . . La nuvola prende forma, si può leggere . . . . . . Piccolo inventario tecnico alla Prévert. Stralci... . . Parole, parole, parole... cifre e programma di vita . «Aspetteremo che siano più maturi» . . . . . . . . Dispiaceri, pace e riconoscenza . . . . . . . . . . Oh Brasile, di nuovo un nuovo mondo! . . . . . . Libertà, uguaglianza, fraternità... oppure le tre “effe” economiche? . . . . . . . . . . . . . . . . . . Primi passi alla francese... . . . . . . . . . . . . . Se si mangiasse insieme, se si parlasse insieme? . .

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RINGRAZIAMENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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5. EPILOGO . . . . . . . . . . . . . . . Quando un libro ci mette in cammino . Il gusto dell’ultimo viaggio . . . . . . . Elogio delle utopie . . . . . . . . . . . Piccola cartolina dell’autrice . . . . . . Impronta . . . . . . . . . . . . . . . .

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Sinergia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dal fango nero di Philippe all’oro delle rose di Fred Con ciò che c’è stato di più modesto, di più piccolo... E perché noi no? . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lirismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Testimoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quando il sipario si strappa... . . . . . . . . . . . 26 agosto 2006, ore 12.30 . . . . . . . . . . . . .

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