L'uomo tedesco come sintomo 8865985577, 9788865985571

"Trattare l'uomo tedesco come sintomo significa porre il problema della civilizzazione ". In questo saggi

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L'uomo tedesco come sintomo
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Robert Musil

L’uomo tedesco come sintomo Traduzione e saggio introduttivo di Francesco Valagussa

Robert Musil L’uomo tedesco come sintomo Traduzione e saggio introduttivo di Francesco Valagussa

TUTTI I DIRITTI RISERVATI © 2014, Edizioni Pendragon Via Borgonuovo, 21/a – 40125 Bologna www.pendragon.it È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata

Indice

Saggio introduttivo

L’uomo di Musil. Il bilancio segreto di una cultura di Francesco Valagussa

L’uomo tedesco come sintomo I. Il problema II. Il teorema della assenza di forma III Situazione della nostra generazione IV. (a. Ruolo dell’ideologia per la vita) V. L’epoca dei fatti VI. Fatti e capitalismo VII. Gli avversari dei fatti VIII. Religiosità profana

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Francesco Valagussa

L’uomo di Musil Il bilancio segreto di una cultura «E insomma l’uomo non c’è più, restano solo i suoi sintomi»1.

“Come sintomo” è il Zusatz, l’aggiunta che calibra il tema, consentendo di sintonizzarsi sulle inconfondibili frequenze del saggio. Porre il problema dell’uomo tedesco come sintomo significa affrontare la questione della civilizzazione. “Cultura” è una forma di vita ancora unitaria, governata da una morale: “civilizzazione” è lo sfaldarsi di questa unità. Ogni contesto epocale coincide con l’instaurazione di una ideologia dominante, intesa come «nesso obiettivo tra sentimenti che agevoli quello soggettivo»2. Quando “l’ordine pensato dei sentimenti” s’infrange, rimane un pullulare di idee prive di un nucleo centrale, i concetti cominciano a mancare, le cose si confondono. Il Pantheon si trasforma in pandemonio. Sintomo lampante della civilizzazione è l’assenza dell’uomo. Nessuno è all’altezza della complessità che affiora quando svanisce il “mistero dell’insieme”: le cose premono sui bordi delle loro definizioni; le parole scricchiolano e sotto quella sottile pellicola dei nomi comincia a brulicare una miriade di sottounità. Il tedesco soffre questa crisi, guarda ai suoi maggiori e vorrebbe tornare a costruire il ponte sull’abisso. L’austriaco non s’illude nemmeno più di smentire l’Entsagung3. Qui naufraga ogni parallelismo

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G. Benn, Nietzsche nach fünfzig Jahren, in Gesammelte Werke, a cura di D. Wellershoff, Wiesbaden 1968, vol. 4 (Reden und Vorträge), p. 1056; tr. it. Nietzsche cinquant’anni dopo, in Lo smalto sul nulla, a cura di L. Zagari, Milano 1992, p. 264. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, in Gesammelte Werke [d’ora in poi GW], a cura di A. Frisé, Hamburg 1978, p. 1379. Infra, p. 77. Su questo tema cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, La nevrosi austriaca, in Anima e esattezza. Letteratura e scienza nella cultura austriaca tra ’800 e ’900, a cura di

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Francesco Valagussa

tra la Montagna incantata e l’Azione parallela: in un remoto sanatorio dove non accade mai nulla, inaspettatamente ha luogo l’intero itinerario di una formazione spirituale, mentre al centro di Vienna dove tutto potrebbe, e dovrebbe accadere, non accade un bel nulla. La Grande Guerra è l’evento conclusivo del romanzo di Mann e avrebbe dovuto esserlo anche per quello di Musil. Stessa conclusione, ma diverso modo di concludere: la guerra esplode nelle pagine tedesche sfondando definitivamente le fragili travature che si stava faticosamente tentando di ricostruire, mentre è quasi presagita nelle pagine austriache, dove «la guerra è semplicemente la continuazione della pace con mezzi più energici»4. Per chi nutre l’istanza di ricostruire il sistema, la guerra del ’14 è una brusca interruzione; per chi “tira a campare”5, ogni confine appare già sfocato, persino quello tra guerra e pace. Alla fine, non c’è proprio nulla da concludere, perché nulla accade. «La guerra fu il fallimento di questa umanità sepolta»6. Gli ultimi giorni dell’umanità, per dirla con Karl Kraus. La Germania si percepiva ancora come «das Volk der Mitte»7, quel centro che è il campo di battaglia delle contraddizioni europee secondo Mann8, ma sempre con l’occhio rivolto alla loro redenzione spirituale: quel “Mitte” risuona sempre – nostalgicamente – come Mittelglied o magari come Aufhebung. «Un solo viso – scriverà poi

R. Morello, Casale Monferrato 1983, in particolare p. 25: «non potremmo pensare a un Thomas Mann austriaco». R. Musil, Der Mann ohne Eigenschaften (d’ora in poi MoE), in Gesammelte Werke, a cura di A. Frisé, Hamburg 1978, vol. II, II, § 108, p. 521; tr. it. L’uomo senza qualità, a cura di A. Frisé, Torino 19972, vol. I, p. 593. [D’ora in poi si indicherà volume, parte, capitolo e pagina dell’edizione tedesca seguiti da volume e pagina dell’edizione italiana]. Per un inquadramento dell’opera cfr. L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, Torino 1971, vol. 3, tomo II, pp. 1464-1476. Cfr. Ivi, I, II, § 54, p. 216; tr. it. I, p. 243. Si tratta del celebre “Fortwursteln”. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, in GW, p. 1381. Infra, p. 81. MoE, II, II, § 116, p. 588; tr. it. I, p. 669. Così il prussiano Arnheim definisce la Germania. Cfr. T. Mann, Betrachtungen eines Unpolitischen [1918], Berlin 2004, p. 74; tr. it. Considerazioni di un impolitico, a cura di M. Marianelli, Milano 20053, p. 74.

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L’uomo di Musil

Musil nel suo grande romanzo – viene prescelto dal gusto del tempo ed elevato a fortuna e bellezza»9. Al germanesimo manca disperatamente quel volto, Musil tematizza l’impossibilità che un volto venga prescelto.

Indagini sull’uomo tedesco «Cerchiamo l’uomo tedesco e non lo troviamo»10

L’uomo tedesco per Musil è l’uomo eterogeneo. È una “questione di coscienza”: alle sue spalle un’infinità di affetti giocano senza essere visti, molti io alle spalle dell’Io. Un’io rarefatto si scioglie nei nessi con quelle cose che a nessun titolo può più dire sue. Tutti, anche Francesi e Inglesi, saranno afflitti da questo sintomo che assume da subito una portata europea. All’incirca negli stessi anni in cui Musil lavora al saggio che lascerà incompiuto per dedicarsi all’altro Incompiuto, scatta da più parti l’indagine sull’uomo tedesco: le ricerche si concentrano grosso modo sulle stesse “zone dello spirito”. Le coordinate cambiano di poco. Musil considera Kant «l’immane sistematico della sua epoca»11, l’ultima serietà nella filosofia, come si apprende dai Diari coevi. Malgrado la dottrina della cosa in sé rappresenti la roccaforte attorno alla quale scorre il fiume12, sin dall’inizio il tentativo di sistematizzazione illuministico appare velleitario e destinato al tramonto: la forza della ragione si risolse in un cumulo di macerie. Sulla stessa lunghezza d’onda comincia un celebre percorso epistolare tra uo-

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MoE, I, II, § 6, p. 22; tr. it. I, p. 19. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1361. Infra, p. 48. Ivi, p. 1385. Infra, p. 88. Cfr. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., pp. 1385-1386. Il paragone tra criticismo kantiano e fortezza tornerà in M. Heidegger, Die Frage nach dem Ding. Zu Kants Lehre von der transzendentalen Grundsätzen, Frankfurt am Main 1977, pp. 58-59; tr. it. La questione della cosa. La dottrina kantiana dei principi trascendentali, a cura di V. Vitiello, Napoli 1989, p. 90.

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mini tedeschi: mentre riporta la lettera in cui Johann Heinrich Kant scrive al fratello Immanuel chiedendogli «che cosa avesse ancora in petto per illuminare i contemporanei e i posteri»13, Benjamin rammenta le condizioni e i vincoli in cui si sviluppa l’humanitas. L’uomo medioevale era «spezzato all’interno dall’erompere di nuovi mezzi di ricerca e nuove conoscenze» e a far fronte al compito immane di una restitutio in integrum troviamo l’«angustia della stanza borghese in cui l’illuminismo proiettava il suo raggio»14, il suo debole raggio. Benjamin come Musil rintraccia nel suo illustre passato un uomo che oggi non si trova più. E benché si potesse ancora respirare l’influsso di Goethe, dell’ultimo Ganzmensch, fonte di ordine e orientamento15, nella lettera che Sulpiz Boisserée riceve da Johann Baptist Bertram, costui comincia già a pensare: «dateci pure prima tutto il resto, perché, quanto al regno dei cieli, ci sforzeremo di trovarlo da noi»16. Al “Regno” Musil intitolerà la terza parte del suo romanzo, un regno che ormai si può soltanto sfiorare, sempre più stritolato nella morsa tra la nuova organizzazione spirituale del capitalismo e l’esattezza della scienza che uccide17. Riguardo all’ethos della scienza, Benjamin coglie l’occasione della lettera di Justus Liebig al conte August von Platen per appellarsi a quell’ultima «generazione di scienziati dal cui orizzonte la filosofia e la poesia non erano ancora scomparse del tutto»18, benché già lì fossero ridotte a fantasmi; nel saggio sull’uomo tedesco Musil insiste sul rapporto travagliato tra classicismo e mentalità scientifica, l’un

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W. Benjamin, Deutsche Menschen, in Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt am Main 1980-1989, vol. IV.1, p. 158; tr. it. Uomini tedeschi, a cura di C. Bovero e E. Castellani, Milano 19922, p. 23. Ivi, p. 157; tr. it. p. 23. Ivi, p. 180; tr. it. p. 61. Ibid.; tr. it. p. 62. Id., Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1051; tr. it. Spirito ed esperienza. Note per i lettori scampati al tramonto dell’Occidente, in Sulla stupidità e altri scritti, a cura di A. Casalegno, Milano 1986, p. 92. W. Benjamin, Deutsche Menschen, cit., p. 195; tr. it. p. 85.

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L’uomo di Musil

contro l’altro armati, senza possibilità di trovare sintesi. Prologo al futuro segretariato generale di “Anima e esattezza”19, dove la “e” non fonda la connessione, bensì constata l’incompatibilità, l’impossibilità di concepire un unico termine “capace” di entrambi. Stesso significato di “arte e industria” per Loos20: nessuna sintesi tra lo stile e la produzione; l’ornamento è delitto. «Siamo la prima epoca della storia – si legge ne L’uomo matematico – che non sa amare i propri poeti»21. L’eterogeneità affligge l’uomo tedesco, o meglio i sintomi che ne rimangono e che non si possono nemmeno esprimere in modo unitario: ma di inesprimibilità si muore22, come accadrà alla piccola grande Cacania, un sistema politico che non trovò mai un termine per tenere insieme “austro” e “ungarico”. In ricordo di un altro grande ideatore di sistemi, Benjamin cita la lettera in cui Friedrich Strauss informa Christian Maerklin della scomparsa di Hegel, «il grande maestro»23. L’austriaco Musil mal sopportava quella “pansofia”24, ma più di tutto a tal proposito vale un brano tratto da L’uomo senza qualità: «Un centinaio di anni fa i cervelli che reggevano la borghesia tedesca credettero che il civile pensante avrebbe dedotto dalla sua mente le leggi del mondo, seduto a tavolino, così come si dimostrano i teoremi algebrici. […]

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MoE, III, III, § 18, p. 825; tr. it. II, p. 936. Cfr. A. Loos, Ornamento e delitto, in Parole nel vuoto, a cura di S. Gessner, Milano 20057, pp. 217-228. Su questo tema cfr. M. Cacciari, Loos-Wien, in Oikos. Da Loos a Wittgenstein, Roma 1975, pp. 17-18. R. Musil, Der matematische Mensch, in GW, cit., vol. VIII, p. 1007; tr. it. L’uomo matematico, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 48. Proprio sul rapporto travagliato tra il poeta e questo suo tempo si potrebbe improvvisare una nuova indagine a più voci, dove Il poeta e il suo tempo di Hofmannsthal apre il campo a Schizzo della conoscenza del poeta dello stesso Musil, a seguire Problematica della poesia di Benn e infine A che i poeti? di Heidegger. Cfr. MoE, II, II, § 98, p. 451; tr. it. I, p. 512. Cfr. W. Benjamin, Deutsche Menschen, cit., p. 206; tr. it. p. 102. Cfr. R. Musil, Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1051; tr. it. Spirito ed esperienza. Note per i lettori scampati al tramonto dell’Occidente, cit., p. 93: «la triade hegeliana di tesi, antitesi e sintesi: che invece è inapplicabile proprio là dove fu applicata da Hegel, cioè nella sfera razioide».

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Da allora quella presunzione è stata energicamente rintuzzata […], ma il risultato è che l’ordine che si guadagna nel particolare, si torna a perdere nell’insieme»25. L’idealismo come ultimo – illusorio – teorema algebrico della vita, poco prima che vita e spirito – dopo le nozze fugaci – consumassero il loro irreparabile divorzio. È la lingua tedesca, il sacerdote che aveva celebrato quell’unione travagliata, a testimoniarne anche la rottura. Benjamin scorge i primi segni di cedimento in modo folgorante proprio a partire dalla lettera di Grimm al suo editore, scritta per via dell’immane progetto di un dizionario della lingua tedesca. Dice un vecchio proverbio tedesco: “lavoro il legno sotto gli occhi di tutti, avrò bisogno di molti maestri”26. «Ma un vocabolario – chiosa Benjamin – si trova sulla strada maestra del linguaggio, dove si trova una moltitudine infinita di gente»27. Come coniare parole e dunque ideologie che sappiano reggere “l’urto della massa”, quel brulichio infinito di conati che si condensa soltanto nell’indifferenza-media? È questo l’interrogativo condiviso da Musil: quali espressioni sapranno polarizzarla28? Quali concetti sapranno interiorizzare il vissuto-di-massa? «Per la forma sociale siamo in troppi. E anche per la religione siamo in troppi»29. Il problema traspare forse in modo più evidente ne Il tramonto del teatro: «la parte del corpo sociale interessata al teatro si è notevolmente allargata, assumendo, per così dire, una struttura amorfa»30, una massa cui l’opera non è più in grado di dare forma, anzi, ne viene inghiottita – sintomo ribadito da Benjamin nel suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica31. 25 26

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MoE, II, II, § 85, p. 379; tr. it. I, pp. 428-429. Cfr. W. Benjamin, Deutsche Menschen, cit., p. 217; tr. it. p.121: «Ich zimmere bei Wege / Des muß ich manegen Meister han». Ibidem. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, in GW, vol. VIII, p. 1379. Infra, p. 74. Id., Der matematische Mensch, in GW, cit., vol. VIII, p. 1007; tr. it. p. 48. Id., Der Untergang des Theaters, in GW, vol. VIII, p. 1118; tr. it. Il tramonto del teatro, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 133. W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter ihrer technischen Reproduzierbarkeit, in Gesammelte Schriften, cit., vol. I, 2, p. 504; tr. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura di E. Filippini, Torino 20003, p. 44: «la massa distratta fa sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte».

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L’uomo di Musil

A questa indagine si unisce Benn. Nel saggio L’uomo tedesco innanzitutto si chiede: «quali sono le pietre della sua costruzione, e, prima di tutto, esiste?»32. Benn nutre i medesimi dubbi “esistenziali” di Musil, e come pietre della costruzione individua esattamente le stesse di Musil: un uomo romanico, un uomo gotico, un uomo del Rinascimento33. Alla ricerca di un carattere che accomuni il genio tedesco, Benn lo scova nella discendenza da famiglie di pastori protestanti: l’elenco è interminabile. Da Wieland a Schlegel, da Linneo a Ranke, da Burckhardt a Nietzsche. Ma poi la sua ricerca devia verso i ceppi familiari: un centro di discendenza comune per Schellling, Hölderlin e Mörike, con altri collegamenti che conducono a Hegel e Mozart. Musil non ne fa mai una “questione di razza”: l’umanità produce Bibbie e cannoni, l’antropofagia e la Critica della ragione pura34; aggiunge “come sintomo” innanzitutto perché «non crede alla differenza tra uomo tedesco e nero»35. I concetti di popolo, razza, e persino cultura, contengono domande, più che risposte36. Molto più urgente è il problema di quelle somiglianze e differenze che attraversano trasversalmente le unità nazionali e fondano unità collettive internazionali, assai più forti e “naturali”: in primis l’uomo medio. Musil s’incontra con Benn in un punto: la grande famiglia dei pastori protestanti è «tutta impostata sul raccoglimento, la chiusura, il consolidamento di una situazione interna»37. Questa tremenda importanza dell’interiorità per la civiltà europea, smaniosa come nessun’altra di conquistare il mondo esterno, eppure capace di fare ritorno a quel misterioso nucleo interno. Sempre lasciato al margine

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G. Benn, Der deutsche Mensch. Erbmasse und Führertum, in Gesammelte Werke, cit., vol. 3 (Essays und Aufsätze), p. 785; tr. it. L’uomo tedesco, in Lo smalto sul nulla, cit., p. 137. Cfr. ibidem. Cfr. R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1081; tr. it. L’Europa abbandonata a se stessa, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 111. Cfr. anche MoE, III, III, § 37, p. 1020; tr. it. II, pp. 1156-1157. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1364. Infra, p. 53. Ibidem. G. Benn, Der deutsche Mensch, cit, p. 791; tr. it. p. 143.

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in vista dell’esterno e sempre ripensato come centro-ordinatore, lo spazio dell’anima come Cassa di Risparmio spirituale di una nazione38.

Organizzazione senza centro «Il cervello umano ha poi diviso le cose; ma le cose han diviso il cuore umano»39.

Nessuna ideologia domina. Il prussiano Arnheim andrà ancora in cerca dell’Angelo del Medioevo, mostrandone una riproduzione al generale Stumm: «Lei vede qui quello che la creatrice dell’Azione Austriaca vorrebbe ridonare al mondo»40. Il problema per Musil non è la crisi, è l’assenza di tale problematica. Viviamo nella più grande organizzazione spirituale che l’umanità abbia mai conosciuto. Riguardo al binomio scienza-capitalismo si può parafrasare il saggio di Musil su Spengler: si potrà anche vedere nell’empirista un Lucifero esiliato da Dio, ma non si può dimenticare che nessuno degli angeli filosofici si è rivelato all’altezza del compito41. Pochi tratti a là Musil: il capitalismo è organizzazione dell’egoismo al ribasso, che gerarchizza gli uomini secondo la loro capacità di fare denaro. L’età dell’amministrazione assoluta, della quantificazione totale è però insieme quella vetta dello spirito in grado di realizzare gli antichissimi sogni dell’umanità: nei sotterranei di Efesto42 la volontà produttrice martella la materia e strappa alla natura grandi co-

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Cfr. R. Musil, Die Amsel, in Nachlass zum Lebzeiten [1936], in GW, cit., vol. VII, p. 558; tr. it. Il merlo, in Pagine postume pubblicate in vita, a cura di A. Rho, Torino 1981, p. 170. Cfr. soprattutto MoE, II, II, § 95, pp. 430-431; tr. it. I, p. 488: «sgorgano annualmente dalle penne dei Grandi Scrittori, e così queste divengono le Casse di risparmio della prosperità spirituale della nazione». MoE, I, I, § 17, p. 66; tr. it. I, p. 72. Ivi, II, II, § 114, p. 569; tr. it. I, p. 647. Id., Geist und Erfahrung, cit., p. 1049; tr. it. p. 89. L’immagine si trova in id., Das hilflose Europa, cit., p. 1088; tr. it. pp. 120121.

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modità in modo miracoloso43. Per far rientrare in questo congegno un materiale così “incerto”, così instabile come quello umano, si deve giungere alle sue qualità più salde, quelle più basse, ossia l’egoismo. Come nella scienza per misurare è necessaria l’invarianza dell’oggetto, così il denaro stabilizza l’uomo perché fa i conti con la sua qualità invariante. Questo gioco di parole “fare i conti con egoismo” è la cellula generativa dell’intera concezione musiliana del capitalismo, che sarà esaltato da Leo Fischel: «se tutto fosse accessibile al denaro, se ogni cosa avesse un prezzo – purtroppo ne siamo ancora lontani – non ci sarebbe bisogno d’altra morale che l’esistenza del commercio»44. Abbandonarsi alla legge della domanda e dell’offerta, quella che Arnheim nel giorno del giudizio vorrebbe far valere come merito infinito dell’umanità presso il Redentore45: una coercizione scaltra e violentissima, esatta e raffinata. Il sogno di una matematica-morale, elaborata in Suo onore, una redenzione immanente, la religione del calcolemus, che spazza via ogni consorteria e favoritismo. Una nuova etica? Ecco la nuova ideologia: il capitalismo come volto dell’epoca. In realtà «la scienza ha distrutto la fede, il capitalismo ha dissolto le vecchie forme»46 senza averne create di nuove. I sotterranei di Efesto sono altrettanto bene un manicomio di Babele47: Nietzsche e il socialismo, espressionismo e neoidealismo si intrecciano tra loro. Regna un individualismo ideologico, che denuncia l’assenza di una concezione unitaria della vita: «si potrebbe chiamarlo una frammentarietà inesprimibile»48. Lo specialismo privo di visione d’insieme non corrisponde esattamente al problema della civilizzazione? Musil sta parafrasando

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MoE, I, II, § 72, p. 302; tr. it. p. 341. Ivi, V, p. 1610; tr. it. II, p. 1611. Cfr. ivi, II, II, § 106, p. 508; tr. it. I, p. 578. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1381. Infra, p. 81. Cfr. id., Das hilflose Europa, cit., p. 1088; tr. it. p. 120. Anche La Torre di Hofmannsthal allude a Babele, come si legge in H. Broch, Hofmannsthal und seine Zeit. Eine Studie, in Kommentierte Werkausgabe, Frankfurt am Main 1975, vol. 9/1; tr. it. Hofmannsthal e il suo tempo, a cura di P.M. Lützeler, Milano 2010, p. 139. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1381. Infra, p. 81.

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Nietzsche: «Potente nella parte, non nel tutto lo spirito della scienza»49. E questo accade proprio mentre «si avvicina il grande compito: in quale modo amministrare la terra come un tutto?»50. Rimanendo sul terreno nietzscheano, manca lo “stile”, il momento in cui il bello riporta la sua vittoria sull’immane51. Musil non intende recuperare soluzioni dal passato: si tratta di un problema nuovo e il nostro tempo coincide con una “fase di transizione”. La scolastica – questo il paragone offerto da Musil – ha impiegato sette secoli perché l’Aquinate creasse il sistema: scienza e capitalismo sono ancora giovani e noi viviamo “in un’età arcaica”. Qualsiasi regresso volontario è escluso, la storia non li tollera. La soluzione Tönnies qui è puro romanticismo, Spengler è idealismo rachitico52, l’Operaio di Jünger, una forma vecchia per problemi nuovi.

Soluzioni parziali «l’uomo è l’animale non stabilizzato»53.

Ogni tempo pone alcune questioni, vengono trovate soluzioni particolari che poi convergono in un’unica rivoluzione generale capace di assegnare un volto al tempo, dando luogo a una forma epocale. La nostra frammentazione ideologica priva di centro è soltanto un “problema di convergenza”? Musil rovescia la prospettiva: noi possediamo un abbozzo di ideologia, viviamo nell’età del progresso

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F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, I, § 6, in Kritische Studienausgabe, a cura di G. Colli e M. Montinari, München-Berlin 2001, vol. 2, p. 27; tr. it. Umano, troppo umano, a cura di S. Giametta, Milano 20029, vol. I, p. 18. Id., Der Wille zur Macht, § 957, Stuttgart 1930, p. 637; tr. it. La volontà di potenza, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Milano, p. 514. Id., Menschliches, Allzumenschliches, cit., II, § 96, p. 596; tr. it. vol. II, p. 181. R. Musil, Geist und Erfahrung, cit., p. 1059; tr. it. p. 103. F. Nietzsche, Jenseits vom Gut und Böse, § 62, in Kritische Studienausgabe, cit., vol. 5, p. 81; tr. it. Al di là del bene e del male, a cura di F. Masini, Milano 200218, p. 68.

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L’uomo di Musil

scientifico e della crescita capitalistica. Lo sviluppo frenetico ricorda un treno che non si può fermare, un cavallo impazzito da cui non si può scendere: sono i sintomi di “una situazione morale che non trova un freno”. Quando Musil, in Kunstjubiläum, scrive che «il progresso sarebbe una cosa molto apprezzabile, purché avesse una fine»54 indica il problema: manca la forza persino di finire55. Nel senso di concludere, di concepire quell’ideologia come forma totale. Ma non si può trovare conclusione a ciò che per essenza è destinato a procedere. Il progresso è parziale per definizione, quale unitarietà si potrà mai assegnare a tale metodo? Ciò costringe a riformulare il tema: ogni cultura è in realtà una soluzione parziale56 e la storia è data dall’avvicendarsi di queste soluzioni. Ciascuna soluzione, benché parziale, operava come se fosse soluzione totale. Nell’istante in cui capitalismo e scienza divengono ideologia prevalente crolla la possibilità di tale finzione. Che la soluzione parziale in cui consiste di per sé ogni cultura possa ancora dare l’illusione di essere soluzione totale, questa è una “magia” del linguaggio che potrebbe non tornare. Si è squarciato quel velo: oggi qualsiasi cultura del passato – qualsiasi visione totale del mondo – viene vista come soluzione parziale. Perciò «abbiamo sempre più ordini e sempre meno ordine»57. Il problema non è dominare l’immane proliferazione degli specialismi con una nuova forma: dare forma compiuta al progresso risulta fisiologicamente impossibile. Il problema è se in questa fase di transizione non venga meno l’uomo. Musil mette a tema la possibilità che l’epoca del capitalismo farà dell’uomo un “animale stabilizzato”: «il

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R. Musil, Kunstjubiläum, in Nachlass zum Lebzeiten, in GW, cit., vol. VII, p. 517; tr. it. Giubileo artistico, in Pagine postume pubblicate in vita, cit., p. 95. Cfr. P. Valéry, La Politique de l’Esprit, conferenza del 16 novembre 1932, ora in Variété, III, Paris 1924; tr. it. La politica del pensiero, in La crisi del pensiero e altri “saggi quasi politici”, a cura di S. Agosti, Bologna 1994, p. 80: «il mio obiettivo è precisamente quello dell’impossibilità di concludere». Cfr. R. Musil, Der Untergang des Theaters (1924), in GW, VIII, p. 1124; tr. it. Il tramonto del teatro, cit., p. 141. MoE, II, II, § 85, p. 379; tr. it. I, p. 429.

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denaro è la misura di tutte le cose»58, e ciò significa che l’agire dell’uomo non reca più in se stesso alcuna misura59. L’animale degenerato avrebbe trovato la propria “natura”? Non sarà l’uomo a conferire la misura, a trasformare l’ideologia scientifico-capitalistica in una morale: questa ideologia sovrasta e avvolge dall’alto; troverà una forma che potrebbe non essere più “a misura d’uomo”. Nell’età dell’automatizzazione l’io, che in passato era abituato a compiere i propri atti di governo sulla vita, si ridurrebbe a mero crocicchio di una serie di rapporti impersonali. Nel saggio sull’uomo tedesco Musil avanza l’idea che gli uomini devono «abbandonare l’anima e diventare costituzioni adatte alla vita»60, diventare mera parte del congegno, sciogliersi come parte tra le parti. È una provocazione rivolta a chi coltiva il senso della possibilità. «Ciò per me non significa infervorarsi contro una possibilità dell’avvenire, si tratta bensì del fatto che noi soffriamo perché ciò non è reale e tuttavia è possibile»61. Ora, quando un individuo pensa – scrive Musil nella seconda parte de L’uomo senza qualità – «è impossibile cogliere il momento tra il personale e l’impersonale»62. Ma ciò significa che il pensiero non ha facoltà di valutare se la meccanizzazione totale – quella in cui l’umanità ha già abbandonato l’anima – sia una possibilità o sia già diventata realtà. Quale sarebbe la linea di confine tra un mondo ancora a misura d’uomo e «un mondo di qualità senza uomo»63? Se vi sono sempre più ordini che irreggimentano l’uomo sino a smembrarlo e nessun ordine complessivo che ne ripristini l’unitarietà, da dove trarre la certezza di non essere già stati assorbiti dalle cose? Il senso della possibilità presagisce il pericolo: se questo meccanismo avesse già raggiunto l’intimo nocciolo dell’Io e lo avesse costretto a rinunciare a ogni profondità, a emergere come cosa tra le cose, a connettersi superficialmente all’esterno mediante una misura

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R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1387. Infra, p. 90. Cfr. Ibidem. Ivi, p. 1356. Infra, p. 38. Ibidem. MoE, I, II, § 28, p. 112; tr. it. I, p. 123. Cfr. ivi, I, II, § 39, p. 150; tr. it. I, p. 166.

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estranea, allora la «responsabilità avrebbe ormai il suo punto di gravità non più nell’uomo ma nella concatenazione delle cose»64. Ma il “passaggio di consegne” non verrebbe certo notificato. A chi poi? … dato che l’uomo non c’è più. Questo è il “modus ponens” della Finis Austriae. Kafka si domanda se «l’apertura attraverso la quale ci si riversa nel mondo diventasse troppo piccola o si chiudesse del tutto?»65. In effetti l’imperatore potrebbe essere già morto, non si sa contro chi o su progetto di chi si costruisca la Grande muraglia, Führung ohne Führer potrebbe chiamarsi questo “Sabba delle streghe” che è il capitalismo66. Detto con Musil: «democrazia significa: “fai quello che accade”»67. Amministrazione senz’anima: senza senso, ma non “a caso”, anzi, secondo leggi precisissime, tutto è calcolato esattamente, ma appunto “soltanto calcolato”. Basta che funzioni: l’uso diviene l’anima delle cose. Come in matematica: nessuna fondazione, ma il concetto di funzione funziona. Lo dirà Wittgenstein: «ogni segno, da solo, sembra morto. Che cosa gli dà vita? – Nell’uso, esso vive. Ha in sé l’alito vitale? – O l’uso è il suo respiro?»68. Problema sentito anche da Malte Laurids Brigge, che annota nei suoi quaderni: «quasi come se si fabbricasse un globo della misura della terra»69. Un globo in cui nulla potrà più essere di casa70.

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Ibidem. F. Kafka, Tagebücher 1914-1923, in Gesammelte Werke, a cura di H.-G. Koch, Frankfurt am Main 1990, vol. XI, p. 223; tr. it. Confessioni e diari, a cura E. Pocar, Milano 1972, pp. 625-626. Cfr. Sombart, Il capitalismo moderno, tr. it. a cura di A. Cavalli, Torino 1967, p. 853. MoE, III, III, § 19, p. 833; tr. it. II, p. 944. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, § 432, in Werkausgabe, Frankfurt am Main 1984, vol. 1, p. 416; tr. it. Ricerche filosofiche, a cura di M. Trinchero, Torino 19993, p. 168. R.M. Rilke, Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge, in Sämtliche Werke, Frankfurt am Main 1955, vol. 11, p. 912; tr. it. I quaderni di Malte Laurids Brigge, a cura di F. Jesi, Milano 201317, p. 178. Il testo prosegue: «Poiché quel secolo aveva realmente fatto terrestri cielo e inferno: viveva delle forze di entrambi per riuscire a reggersi e a superarsi (sich überstehen)». Ivi, p. 751; tr. it. p. 36.

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Intrecci inediti: il non senso tecnico «E tu sei proprio sicuro di saper sempre stabilire i giusti confini?»71

Le cose emergono con cento facce e mille lati72: grazie al metodo scientifico, è possibile astrarre dall’individualità della cosa e confrontare cose massimamente distanti tra loro come la caduta dei gravi e l’orbita dei pianeti. Queste nuove modalità di relazione «lacerarono il tessuto del mondo al fine di mostrare intrecci di ordito e trama del tutto inediti che evidentemente vi erano sottesi»73. Un terremoto per il pensiero, «i rapporti si erano tutti un po’ spostati»74: il patto tra la lingua e le cose cominciò a cedere. Concetti antichi e consolidati si rivelarono labili aggregazioni, al contempo gli elementi si organizzarono in nuovi agglomerati senza che vi fossero parole adatte a nominarli. Di fronte alla meccanizzazione del mondo l’uomo constata la perdita della propria facoltà di dominio: nella complessità i confini sbiadiscono. È ovvio che i macchinisti non fanno scontrare le locomotive intenzionalmente, allora perché accadono i disastri ferroviari? «Te lo dirò io: in quella rete mostruosa di rotaie, scambi e segnali che si tende tutt’intorno al globo, noi tutti perdiamo la forza della coscienza»75. Ne L’Europa abbandonata a se stessa, così veniva descritto lo scoppio della Grande Guerra: abbiamo lasciato la più completa libertà agli specialisti della macchina statale, viaggiavamo come in vagone letto e ci siamo svegliati solo al momento dello schianto76. È Valéry, a riprova della portata europea di quei sintomi, a scrivere che il pensiero ha trovato la maniera affinché le cose si muovano rapide quanto lui e in tal modo «la mente si trova attor-

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A. Schnitzler, Flucht in die Finsternis, Berlin 1931; tr. it. Fuga nelle tenebre, a cura di G. Farese, Milano 200819, p. 78. MoE, I, I, § 17, p. 66; tr. it. I, pp. 71-72. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1388. Infra, p. 93. Cfr. MoE, I, I, § 16, p. 58; tr. it. I, p. 61. MoE, III, II, § 7, p. 713; tr. it. II, p. 807. Id. Das hilflose Europa, cit. p. 1089; tr. it. p. 122.

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niata da menti»77, non riuscendo più a dominare la connessione tra le cose. La concatenazione non accade più nel “mondo interiore”. Il lavoro, che pure costituisce il nesso essenziale, è ben lungi dall’assumere una misura organica: l’io non è risolto nella professione, è dissolto nelle operazioni; lavoro che non è Beruf come vocazione unitaria, bensì job come posto/pezzo di lavoro. «La fabbrica regna. L’uomo diventa una vite»78. Fabbrica che non è l’equivalente moderno del cosmo greco, né una Chiesa contemporanea: è mera organizzazione dell’egoismo al ribasso. «Si è cercato di scoprire la poesia del lavoro, del denaro, del rumore, della fretta e così via. Tutto questo è inutile»79. La Mechanisierung non è di per sé Bildung e l’istanza di dare forma all’epoca è residuo ingenuo dell’Aufklärung: nessuna illusione di intendere lo strepito dei telai come fosse una prosa e il crepitio delle mitragliatrici come una melodia. Non s’indovina quella legge misteriosa, come invece voleva Jünger80. L’organizzazione al ribasso è automatizzazione spersonalizzante: la mediazione assoluta concentra la forza, non ammette dispersioni di energia, si pone come atto puro che raccoglie ogni potenza; «il bottone che si preme è sempre bello e bianco e quel che succede all’altra estremità del filo riguarda altra gente»81. L’inventario generale dell’anima è una questione di brevetti con cui si smontano e si rimontano tanto l’anima quanto la morale82 – dirà Arnheim a Ulrich. L’uomo-vite nulla sa del meccanismo su cui si regola la fabbrica: perché la potenza della produzione dovrebbe essere saputa? Chi dovrebbe comprehenderla, se dell’uomo restano solo i sintomi? Così

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P. Valéry, La Politique de l’Esprit, conferenza del 16 novembre 1932, ora in Variété, III, Paris 1924; tr. it. La politica del pensiero, in La crisi del pensiero, cit., p. 70. F. Nietzsche, Nachlass 1869-1875, 9 [64], in Kritische Studienausgabe, cit., vol. 7, p. 298; tr. it. Frammenti postumi. Volume secondo. Inverno 1870-71 – Primavera 1872, a cura di G. Campioni, Milano 20042, p. 108. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1356. Infra, p. 38. Cfr. E. Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt, Hamburg 1932, p. 131; tr. it. L’operaio. Dominio e forma, a cura di Q. Principe, Parma 20042, p. 123. MoE, II, II, § 121, p. 638; tr. it. I, p. 726. Ivi, II, II, § 121, p. 639; tr. it. I, p. 726.

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scienza e capitalismo pongono il problema del “non senso tecnico”: il linguaggio perde il mondo come suo83 – “appunto, suo … di chi?”. Sorge un mondo di qualità senza l’uomo: le cose cominciano a parlare una lingua tutta loro. Come il pensiero è mente tra le menti, così la lingua è cosa tra le cose: «come la polizia, il linguaggio può circoscrivere una zona entro la quale si sa con certezza che si nasconde il ricercato»84, ma il delitto è già stato compiuto. La connessione tra i fatti non è più appannaggio dell’uomo: «la parola è perifrasi, circonlocuzione, segno tracciato intorno ai fatti, non segno del fatto»85. Per intenderci con le cose – scrive Musil nel saggio del ’23 – dovremmo parlare la loro lingua, ma questo accade soltanto nel regno personale, non esiste l’intesa impersonale.

Anni senza rappresentazione «Quando illustravamo un’idea, essa aveva un altro scopo oltre a quello di esser giusta – quello di illustrare noi!»86

Torna in mente il dialogo tra Törless e Beineberg sui numeri complessi: «In un calcolo così tu incominci con numeri solidi che rappresentano metri o pesi o qualcos’altro di tangibile, o almeno sono numeri reali. Alla fine del calcolo, i risultati sono anche quelli numeri reali. Ma questi due gruppi di numeri reali sono collegati da qualcosa che semplicemente non esiste. Non ti fa pensare a un ponte di cui ci sono solo pilastri a un capo e all’altro, e che uno attraversa tranquillo come se ci fosse tutto intero?»87. 83

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Cfr. M. Cacciari, Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Milano 19772, p. 135. C. Magris, Musil e le scuciture dei segni, in “Strumenti critici”, VIII, 1974, 3, p. 280. Ibidem. MoE, I, I, § 16, p. 57; tr. it. p. 60. Id., Die Verwirrungen des Zöglings Törless [1906], in GW, VI, p. 74; tr. it. I turbamenti del giovane Törless, a cura di A. Rho, Torino 1975, p. 107.

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Nessuna fondazione, risultati immaginari «trovati per inversione»88 direbbe Mach: soltanto funzionano. «Per me questi calcoli mi fan girare la testa – continua Törless – come se conducessero Dio sa dove. Ma quel che mi fa rabbrividire è la forza contenuta in un simile problema, una forza che ti tiene così saldamente che alla fine atterri sano e salvo dall’altra parte»89. Come non vi è “fondazione” in campo scientifico, così sul piano sociale non vi è ideologia che copra il ponte, neppure quella «mezza verità del marxismo»90, quella inammissibile semplificazione che divide tra sfruttatori e sfruttati, «mentre in mezzo – scrive Musil – c’è invece il gigantesco strato della burocrazia»91. Nel 1919 Weber parlava della sterile imprecazione contro “San Burocrazio”92 e riteneva che «i problemi con i quali devono combattere i funzionari nel loro lavoro da noi non si manifestano visibilmente da nessuna parte»93. Ma dire che non sono visibili da nessuna parte (nirgends sichtbar), significa che tali problemi non sono rappresentabili, esattamente come quella “radice di meno uno” che tanto terrorizzava il giovane Törless. Rispetto ai problemi della nuova meccanica quantistica di San Burocrazio, il marxismo è rimasto alla fisica classica: crolla non solo la rappresentanza, ma anche la rappresentazione semplificata di un conflitto sociale tra sfruttatori e sfruttati. Il carattere impersonale del capitale94, una «organizzazione che vincola ciascuno con mille fili a mille altri»95 sta «come un sol uomo dalla parte del mantenimento del potere incontrollato dei funzio-

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E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, Leipzig 1883, p. 460; tr. it. La meccanica nel suo sviluppo storico critico, a cura di A. D’Elia, Milano 1968, p. 476. R. Musil, Die Verwirrungen des Zöglings Törless, cit., p. 74; tr. it. pp. 107-108. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1355. Infra, p. 36. Id., Tagebücher, Aphorismen, Essays und Reden, a cura di A. Frisé, Hamburg 1955, p. 215; tr. it. Diari, a cura di A. Frisé, Torino 1980, vol. II, p. 788. M. Weber, Parlament und Regierung in neugeordneten Deutschland, in Politische Schriften und Reden, a cura di D. Lehmann, Frankfurt am Main 2006, p. 388; tr. it. Parlamento e governo, a cura di F. Fusillo, Bari 1993, p. 60. Ibidem. Id., Die Borse, in Politische Schriften und Reden, cit., p. 660. Ivi, p. 662.

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nari. E sa bene il perché»96. Così si aggira il tema dell’“animale politico”, quello che converte i mille fili in uno schema, quello che crea l’intesa con le cose. Se ora l’Io è soltanto il crocicchio dei rapporti impersonali, allora dev’essere rivista l’idea aristotelica dell’uomo come “animale politico”97. In quella che si può considerare la sua autobiografia spirituale Benn annotava: «Zôon politikón – un passo falso greco»98: su questa “cantonata greca” riflette Musil parlando del delicato bilancio spirituale che si instaura tra il singolo e la comunità. Qui si apre la questione del rapporto tra fede e capitalismo. Il centro ordinatore della vita è passato dall’interno alla connessione esteriore e l’uomo è tagliato fuori dall’intimo dialogo che accade tra le cose: l’uomo inghiottito dal calcolo. Allora perché si continua a percepire questa frammentarietà? Perché la tendenza calcolante non si impone definitivamente come ideologia unica? Proviamo a condurre sino all’estremo questa tendenza: l’organizzazione quantificatrice dovrà stanare ogni “resto irrazionale”, l’anima sarà abbandonata in nome dell’esattezza di una matematica-morale. Il calcolo come fede: questa sarebbe la chiusura, il compimento del progresso come visione del mondo. Perché la razionalità pura da forma mentis non diventa modus vivendi? L’uomo non appartiene solo all’ambito razioide, al punto che – per funzionare – il capitalismo deve organizzarsi al ribasso, facendo i conti con le qualità più basse dell’umano. Il “piano” sarebbe azzerare il non-razioide, ma – colpo di scena – attualmente i conti della morale-matematica capitalistica non sono pura quantificazione, anzi si reggono proprio su ciò che Musil chiama il non-razioide99. Lo stesso

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Id., Parlament und Regierung, cit., p. 399; tr. it. p. 75. Cfr. Aristot. Pol. I, 2, 1233 a 7-8; tr. it. Politica, a cura di C.A. Viano, Milano 2002, p. 77. G. Benn, Der Ptolemäer, in Gesammelte Werke, cit., vol. 5 (Prosa), p. 1401; tr. it. Il tolemaico, a cura di L. Zagari, Torino 1973, p. 97. Cfr. J. Bouveresse, La scienza sorride sotto i baffi, in AA.VV., Musil. Anni senza sintesi, a cura di L. Mannarini, Cosenza 1980, p. 153: «il lampo di genio è fallimento felice nel funzionamento normale di un meccanismo». Ma questo “fallimento” è in realtà motore del congegno.

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vale per la matematica pura, che sul piano della teoria ha mostrato di essere priva di una fondazione complessiva, «eppure le macchine funzionano!»100 rammentava Musil già nel 1913. Ma funzionano, questo il guadagno del 1923, perché c’è ancora chi – come l’ingegnere o il commerciante – sa fare uso dell’irrazionalità: l’ingegnere tronca per approssimazione e il commerciante decide di vendere (come il padre di Arnheim: quel praticone che ne sapeva più di qualsiasi teoria101). E chiunque di noi agisce facendo largo uso di supposizioni, perché se dovesse calcolare razionalmente l’opportunità di alcune semplici opzioni che la vita presenta, impiegherebbe anni102. Le varie immagini del mondo funzionarono in passato non perché esatte, bensì perché capaci di compensare quei “resti irrazionali” di ciascun Io all’interno della comunità: la concatenazione obiettiva dei sentimenti, tale da agevolare quella soggettiva, è in realtà la configurazione che riesce a compensare le varie irrazionalità in un bilancio spirituale complessivo. «Gli uomini – si legge nei Diari – possono non soltanto operare, ma anche sentire insieme. E ciò diventerà infine una provvidenza in cui ciascuno può confidare»103. Ecco la “nostalgia di fede”, ecco quello che manca all’età capitalistica: «ogni giorno per di più giunge il momento in cui l’uomo deve incrociare le braccia, e allora tutto il suo agire cadrebbe come cenere in un vuoto senza fondo, se non fosse tenuto insieme dalla sicurezza di aver fatto la cosa giusta e di essere semplicemente vuoto tra riempimenti, come un recipiente con il quale viene attinto»104.

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R. Musil, Der matematische Mensch, cit., p. 1006; tr. it. p. 47. Cfr. MoE, II, II, § 112, p. 542; tr. it. I, p. 617. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1380. Infra, p. 78. Cfr. anche MoE, III, III, § 18, p. 826; tr. it. II, p. 937. Id., Diari, cit., vol. I, p. 263. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1380. Infra, pp. 78-79.

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Se manca la capacità di inscrivere in un’ottica condivisa questi scarti dell’attività individuale, questi resti irrazionali dei singoli Io, non sorge una visione unitaria e una cultura. Lo sfondo religioso di ogni epoca assicurava la “tenuta” rispetto al vuoto senza fondo. L’Ordnung del capitalismo è capace di offrire questa compensazione o la dinamica del suo razionalismo al ribasso si rivelerà una caduta senza fondo? Così emerge l’istanza di un’epoca che sia insieme razioide e non-razioide105. Può allora l’uomo “funzionare” al modo delle macchine? O non si dovrà dire che il sistema per funzionare avrà bisogno di quel resto irrazionale, di quella “fede” che non è scienza esatta, né immaginazione, e nemmeno dogma, bensì quell’altra cosa106? Di cui andava in cerca Ulrich Anders.

Gestaltlosigkeit «L’eroico è da cercare in questo: le leggi non si possono cambiare, ma le situazioni sì!»107

Quale theoria sarà all’altezza di questi tempi e tornerà a farci vedere l’uomo108? Quale teorema potrà raffigurarlo sulla scena, là dove ogni senso è sprofondato, dove ogni parola è sfondata? L’assenza di forma è il primo abbozzo del “senza qualità”. Privo di forma è l’uomo se sottraiamo ad esso tutto ciò che è determinato dai tempi: le convenzioni, le strutture sociali. L’uomo è questa assenza, questo vuoto che però vive di volta in volta nelle forme sociali, politiche, culturali: l’uomo non solo si leviga a contatto col mondo, anzi, si comprime nel suo stampo109. Malgrado la dottrina della cosa in sé – secondo Musil – ci abbia

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Ivi, p. 1634. Infra, p. 53. MoE, III, III, § 18, p. 826; tr. it. II, p. 937. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1371. Infra, p. 65. Su questo tema e più in generale per un’analisi de L’uomo tedesco come sintomo, si veda L. Mannarini, Il primato della teoria, Milano 1984. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1370. Infra, p. 63.

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danneggiati enormemente, Gestaltlosigkeit è il centro vuoto dell’anello di Clarisse, il “cuore noumenico” della Psicologia della Gestalt. Anche nei brani del romanzo rimasti inediti Musil rimuginava sull’assenza di forma: «se l’uomo non può mai esprimersi tutto, tenterà di farlo nelle maniere più varie, e così potrà avere una storia. L’avrà dunque, mi sembra, solo per debolezza»110. La storia come assenza di soluzione totale, come avvicendarsi di soluzioni parziali. Si tratta allora di concepire il cammino della storia non come quello di una palla da biliardo, bensì come quello di una nuvola, che certo rispetta ad ogni passo le leggi della fisica, ma il suo “bighellonare” dipende da un incontro di fatti: lì c’è una zona di bassa pressione, là una catena montuosa; queste circostanze interagiscono con la nuvola secondo leggi, ma l’interazione stessa non è calcolabile nella sua interezza. Dunque il cammino della nuvola sarà più un fatto che non una legge, una situazione piuttosto che una concatenazione. «Allo stesso modo accade che un uomo passeggi lungo la strada e qui venga attirato da alcune ombre, là da un gruppo, poco più avanti da uno strano taglio delle facciate, e che un altro uomo incroci “per caso” il suo cammino e gli confidi qualcosa che lo convinca a incamminarsi lungo una determinata strada – e alla fine costui si ritrovi in un punto che né conosce, né intendeva raggiungere, così ogni passo di questo cammino accade con necessità, ma la sequenza di queste singole necessità è priva un nesso concatenante»111.

Parole che ritornano alla lettera ne L’uomo senza qualità112. Le leggi deterministiche non si possono cambiare, ma le situazioni sì. Molto più della catena causale di ogni singolo fatto importa l’intreccio dei fatti: la causalità è inservibile perché nessuna serie causale si compie; qui si profila un “altro eroismo”. Nessuna compiutezza de-

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MoE, IV, § 50, p. 1129; tr. it. II, pp. 1279-1280. Id., Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1374. Infra, p. 70. MoE, II, II, § 83, p. 361; tr. it. I, pp. 408-409.

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terministica e dunque possibilità d’intervenire: nessuno schema dell’essere, perciò è possibile altro. Al di là di ogni pretesa grammaticale, «una volta che la parola è entrata in rapporti col mondo, infinita è la fine»113. Dunque, al centro il teorema dell’assenza di forma, da cui si dipartono due corollari: Principio di ragion insufficiente114 e Disarmonia prestabilita115. Il trittico oltrepassa ironicamente116 l’intera impostazione metafisica, qualsiasi pretesa di totalità. «Ogni passo con necessità ma senza necessità dell’intero»117. Altrimenti detto: «necessità senza legge»118. Questa è la formula mediante cui Musil costringe a pensare in uno un mondo di qualità senza uomo e un uomo senza qualità. L’altro stato non è ricostruzione di un altro mondo, non è «redenzione del germanesimo dal razionalismo»119 – così pensava ancora Arnheim, il prussiano. L’altro stato è piuttosto il “non” di questo mondo. Non possiamo distinguerli eppure sono due: perché due sono gli istinti fondamentali dell’uomo, ossia procacciarsi il cibo e procreare. Dal primo sorge l’egoismo e la grande organizzazione al ribasso, dal secondo l’amore, il sentimento. Solo il primo istinto si consolida in un mondo stabile; il secondo istinto è incostante e causale, non si costituisce un mondo proprio, ma soltanto l’eccezione a questo mondo. Appunto il “non” di questo mondo. Il tempo della storia viaggia verso il trionfo della media, quello in cui si uccide l’uomo reale in vista dell’uomo probabile120: la media

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K. Kraus, Sprüche und Widersprüche, a cura di H. Fischer, München 1955; tr. it. Detti e contraddetti, a cura di R. Calasso, Milano 19993, p. 256. MoE, I, II, § 35, p. 134, tr. it. I, p. 148. Ivi, IV, III, § 47, p. 1207; tr. it. II, p. 1368. Su questo tema si veda P. Zellini, L’etica dei grandi numeri, in “Studi tedeschi”, XXIII, 1980, 2-3, pp. 331-332. Su questo tema, in particolare sulla paradossalità di una mathesis ironica, cfr. F. Masini, Robert Musil ovvero l’ironia della ragione, in “Metaphorein”, 1979, 7, pp. 29-41. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1371. Infra, p. 65. Id., Das hilflose Europa, cit., p. 1081; tr. it. p. 112. Cfr. MoE, II, II, § 114, p. 569; tr. it. I, pp. 648. Cfr. MoE, IV, III, § 47, p. 1209; tr. it. II, 1370: «a poco a poco “l’uomo probabile” e “la vita probabile” incominciavano ad occupare il posto dell’ “uomo vero” e della “vita vera”, che erano pura immaginazione e illusione».

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della più profonda mancanza di senso, il non senso tecnico. Una “civiltà a pulsante”121 già perfettamente delineata da Musil: «le case costruiscono le case e non gli uomini; la centesima casa sorge come e perché sono sorte le novantanove case prima di essa»122, condensando in una riga la questione della tecnica. E se invece l’instaurazione di quel mondo-della-media, dove l’io viene rarefatto e dissolto nelle connessioni impersonali, coincidesse proprio con l’altro stato, quello assolutamente personale? Se si trattasse del centro di equilibrio di una dinamica in cui «noi usciamo continuamente dallo stato di significato per entrare nell’insignificante al fine di portarvi un significato»123? Arriva l’istante in cui la media fa precipitare nell’assenza di significato e lì non soltanto sorge un mondo di qualità senza uomo, ma persino il mondo è perduto e ne rimangono solo i sintomi124 (di chi mai sarebbe infatti questo mondo?). Non vi è né Io né mondo, nulla da conoscere, nulla di cui appropriarsi125. Passi drammaticamente analoghi a quelli compiuti da Husserl nel suo percorso di riduzione fenomenologica sino a quell’Io che non è un pezzo di mondo e a quegli oggetti che non sono pezzi del proprio io126. Entrare nell’insignificanza coincide per Musil con quell’altro stato, dove non è più una questione di conoscenza e di esattezza, di Io e di mondo: quel “non” è gestaltlos. E da lì, dal sentimento indeterminato, sorge ogni concezione determinata, ogni nuovo significato, ogni metafora127 che trasferisce di nuovo in un mondo dotato di senso. 121

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W. Gropius, Scope of Total Architecture, New York 1962, p. 146; tr. it. Architettura integrata, a cura di R. Pedio, Milano 19682, p. 199. R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1369. Infra, pp. 61-62. MoE, IV, p. 1424, tr. it. II, p. 1552. K. Kraus, Detti e contraddetti, cit., p. 257. Sul modo in cui si passa dall’albero della violenza all’albero dell’amore cfr. C. Monti, Mancanza-pienezza. L’inversione percettiva di Musil, in “Cultura tedesca”, 1995, 3, p. 74. Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen, in Husserliana, a cura di S. Strasser, Dortrecht-Boston-London 19632, vol. 1, § 11, p. 65; tr. it. Meditazioni cartesiane, a cura di F. Costa, Milano 1960, p. 70. Tema che accompagnerà Husserl fino alla Crisi, altro incompiuto dell’epoca. Cfr. A. Gargani, Musil e la metafora, “Metaphorein”, 1979, 7, pp. 53-63.

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Francesco Valagussa

È innegabile, le case costruiscono le case. La centesima è “dettata” dalle altre novantanove: ma allora «se vi è una innovazione, questa risale non a una casa, ma a una discussione letteraria»128, alla capacità di uscire da quella profonda mancanza di senso per cui le altre novantanove predeterminano la centesima. Tipico della civiltà europea è «proclamare ad ogni passo che “il mondo interiore” è il dono più bello e più alto della vita nonostante il fatto che questo mondo interiore è sempre trattato soltanto come un’appendice dell’esteriore. Come ciò accada, è addirittura il segreto del bilancio di questa cultura»129.

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R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, cit., p. 1369. Infra, p. 62. MoE, IV, III, p. 1200; tr. it. II, p. 1359.

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ROBERT MUSIL L’UOMO TEDESCO COME SINTOMO

Nota del curatore Si presenta in queste pagine una traduzione integrale del saggio L’uomo tedesco come sintomo, composto nel 1923 e abbandonato dallo scrittore per dedicarsi alla stesura del grande romanzo L’uomo senza qualità. L’originale tedesco dal titolo Der deutsche Mensch als Symptom, venne pubblicato a cura di A. Frisé, presso la casa editrice Rowohlt nel 1967. La presente traduzione è stata compiuta sull’edizione R. Musil, Der deutsche Mensch als Symptom, in Gesammelte Werke, a cura di A. Frisé, Rowohlt, Hamburg 1976, vol. 8, pp. 1353-1400. Il testo italiano riproduce con la maggiore fedeltà possibile l’impostazione tipografica e la dislocazione del testo dell’originale tedesco, riproducendo la presenza di rientri, eserghi, margini, elenchi numerati, dando conto di abbreviazioni, contrassegni abituali dell’autore e termini scritti in lingua straniera nell’apparato di note. Nel medesimo apparato si è inteso segnalare quali punti di contatto – talvolta di autentica sovrapponibilità – esistano tra questo saggio incompiuto, la produzione musiliana coeva e il romanzo L’uomo senza qualità. Del saggio esiste una traduzione parziale in lingua italiana a cura di C. Monti e F. Masini, pubblicata sulla rivista “Metaphorein”, VII, 1979, pp. 9-22.

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ROBERT MUSIL L’UOMO TEDESCO COME SINTOMO [1923]

Prima di tutto ricordarsi di un fatto: attorno al 1900 (l’ultimo movimento spirituale di grande forza vitale in Germania) si credeva nel futuro. A un futuro sociale. A una nuova arte. Il cambio di secolo vi stese una patina di malessere e di decadenza: entrambe queste determinazioni negative, però, erano soltanto l’espressione dell’occasione per la volontà di essere altro e di fare altro rispetto all’uomo del passato. Se si tratta di ciò che ne è seguito e di ciò che ne è rimasto o se si sfoglia nelle vecchie annate delle riviste, che all’epoca erano “attuali”, difficilmente si capisce come nel corso degli anni si sia potuta mantenere un’illusione che mistificasse a tal punto il vero potere e produrre. Se si cerca di analizzare questa condizione, si trova subito una grande pluralità di componenti assai eterogenee e del tutto contraddittorie tra loro. Nietzsche e Carlyle1 si incrociavano con il socialismo. La decadenza con lo spirito di una salvifica unità della natura. Maeterlinck2, Emerson3 e il Romanticismo con il culto delle macchine. E così da noi in Germania si intrecciarono variamente molti influssi stranieri. Un’analisi appare assai difficile; ciò che intendo dire implica però il porre in risalto alcuni tratti.

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T. Carlyle (Ecclefechan 1795 – Londra 1881), saggista e filosofo esponente dell’illuminismo scozzese, attivo durante il periodo vittoriano. Tradusse in inglese il Wilhelm Meister di Goethe. La sua profonda conoscenza del panorama tedesco lo portò a scrivere Life of Schiller (1824) e inoltre History of Friedrich II of Prussia (1858-1865). Maurice Polydore Marie Bernard Maeterlinck (Gand 1862 – Nizza 1949) poeta, saggista e commediografo, vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1911. Ralph Waldo Emerson (Boston 1803 – Concord 1882), filosofo, saggista, scrittore e poeta statunitense.

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Un pulsare nascosto. O piccole cause? Mille piccole cause e però il fatto di una situazione problematica. Questi sono soltanto gli avvenimenti nella parte più in fermento. Gli altri avvenimenti sono molto aggrovigliati e interconnessi tra loro. Lamenti e proposte regressive Sintomo [positivo]4. Prima di tutto: si credeva nel futuro. Anzi, si intendeva suscitarlo. Anche là dove ci si abbandonò con voluttà all’idea di un tramonto incipiente, si volle approfittare di questo lasso di tempo per lo meno per celebrare i demoni che oggi semplicemente si presentano come vecchi mobili foderati5 di un locale notturno di dubbia fama nella cruda luce del mattino. Si faccia un confronto con l’atmosfera di tramonto presente anche oggi: nel raffronto appare grigia, funerea, avvilente e triste. Piacere, volontà speranza – in una parola una condizione di forza stabile, immaginaria o reale, distinse quel tempo dal nostro. In secondo luogo a livello internazionale ci si sarebbe sbarazzati di Stato, nazione, razza, famiglia, se spesso non ci si fosse presi la briga di mantenere ancora certi comportamenti di proposito. Si viveva dunque in modo tutto sommato irreligioso, poiché anche la religione era qualcosa che giaceva alle spalle, nel passato. Il contesto complessivo si comprende facilmente: si trattava di una fede nel progresso. Il progresso è internazionale. E certo non si tratta solamente di un accostamento storico tra i due, bensì di fatti. Il progresso scientifico è internazionale, e così pure quello artistico. Sul piano scientifico: Francesi, Inglesi, Tedeschi. In recupero gli Italiani e gli Americani. Forse la Germania è persino capofila6.

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Nel testo originale figura la dicitura “Klagen u regressive Vorchläge Pos. Symptom”. Nel testo si trova Peluchmöbel, ossia mobili foderati di velluto. Cfr. R. Musil, Ansätze zu neuen Ästhetik. Bemerkungen über eine Dramaturgie des Films, in Gesammelte Werke [d’ora in poi GW], a cura di A. Frisé, Rowohlt, Hamburg 1978, vol. VIII, p. 1137; tr. it. Spunti per una nuova estetica. Osservazioni su una drammaturgia del film, in Sulla stupidità e altri scritti, a

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Sul piano artistico: la Germania dietro la Francia, la Russia e la Scandinavia. Il vuoto alle spalle del Classicismo e del Romanticismo sconnessi. Tutta la pienezza di vita venne da fuori. Si potrebbe dire che la vita spirituale è internazionale. Soltanto un’epoca di avvilimento, che si dà per vinta, che vuole “conservare”, che è spinta sulla difensiva, può essere un’epoca spirituale nazionale7. Una cosa del genere è essenzialmente “conservatrice”. Internazionale è chi ha un cuore che batte per il progresso. In seguito fummo posti dinnanzi alla questione: si dà, in generale, un “progresso spirituale”8? Si fa a meno di rispondere se negli episodi enumerati si ravvisa come essenziale soltanto un certo “orientamento”. Sentimenti, illusioni, volontà, pensieri esibivano questo contrassegno dell’orientamento, essi erano (apparentemente o effettivamente) posizionati in parallelo e facevano cenno in qualche modo al futuro. (Un concetto che mi sembra importante per l’analisi sociologica di un movimento spirituale).

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cura di A. Casalegno, Mondadori, Milano 1986, p. 153: «è vero che nello studio “scientifico” dell’arte non siamo secondi a nessuno». Il saggio venne pubblicato sulla rivista “Der Neue Merkur” nel marzo 1925. Il problema relativo all’assunzione di un atteggiamento nazionale o internazionale – problema specificamente sentito dall’Impero austro-ungarico prima e dall’Austria poi – troverà ampio spazio ed espressione all’interno de L’uomo senza qualità. Riguardo l’internazionalismo cfr. Der Mann ohne Eigenschaften [d’ora in poi MoE, di cui si citerà il volume, la parte, il capitolo e la pagina], in GW, cit. I, II, § 43, p. 174; tr. it. I, p. 194: «Arnheim era un europeo, uno spirito noto in tutta l’Europa; e appunto perché non era un austriaco, la sua partecipazione serviva a dimostrare che lo spirito come tale ha nell’Austria una patria, e improvvisamente sparò l’asserzione che la vera Austria era tutto il mondo». Sul nazionalismo cfr. MoE, I, II, § 44, p. 180; tr. it. I, p. 201: «L’impulso primitivo dell’Azione Parallela: “far meglio della Prussia” risorse timidamente». Su questo punto si veda anche H. Broch, Hofmannsthal und seine Zeit. Eine Studie, in Kommentierte Werkausgabe, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1975, vol. 9/1; tr. it. Hofmannsthal e il suo tempo, a cura di P.M. Lützeler, Adelphi, Milano 2010, p. 74, dove l’Austria viene presentata come «un paese che aveva in parte perduto, in parte sprecato la sua missione politica universalistica». Cfr. MoE, II, II, § 102, p. 484; tr. it. I, p. 550: «Secondo me – disse Ulrich – ogni progresso è anche un regresso. V’è progresso sempre unicamente in un certo senso. E poiché la nostra vita nell’insieme non ha senso, così nell’insieme non ha neanche progresso».

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Qui è necessario un inciso. A tutt’oggi il proletariato e i suoi intellettuali sono orientati in senso internazionale, e soltanto la borghesia oggi è di nuovo (parlando in termini fisici) priva di orientamento e caotica9. Oltre a questo soltanto in un piccolo strato della borghesia si è compiuto il fatto a cui questi pensieri si legano e quindi possono essere eliminati da cima a fondo come inessenziali. Naturalmente però la guida spirituale del proletariato è connessa nella maniera più stretta con questo piccolo strato. Anche la Russia a quanto pare non ha prodotto alcunché di spirituale che non riceva da lì la propria sostanza. Il proletario è borghese oppure antiborghese. Il proletario non ha prodotto una nuova ideologia all’infuori del fatto che nella sua ideologia il rifiuto dell’ideologia borghese si mescola con quella mezza verità del marxismo. Analogamente a quanto accade nel movimento di istruzione popolare o nella riforma scolastica. (Questo dico in quanto aderente politico al movimento del proletariato). L’effetto di quel sottile strato di cui parlo e a cui mi rivolgo, è particolarmente complicato e contorto sul piano sociale, ma c’è. Alla fine dal monotono movimento politico che si è imposto potrebbe anche uscirne una ripercussione spirituale; questo però non esime per nulla dal compito di migliorarlo per mezzo di un lavoro spirituale preparatorio. Oggi l’intellettuale cupo e rabbuiato al pari di quello rifugiatosi nella chiesa comunista tradiscono il proprio compito. Si getti un’occhiata sulla via che dalla speranza conduce verso l’assenza di speranza, quella via che sta tra il 1890 e il 1923. Quel che un tempo appariva come una tendenza si è dissolto; una corda si è spezzata. Questo mostra che anche all’epoca era già

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Cfr. MoE, II, II, § 108, p. 520; tr. it. I, p. 591: «Lo spirito borghese aveva evidentemente perduto il privilegio di possedere una stabile concezione del mondo». Dalla constatazione di questa perdita emerge anche il frequente riferimento alla Chiesa cattolica come ultima incarnazione di un mondo unitario. Cfr. MoE, I, II, § 58, p. 233; tr. it. I, p. 262: «la borghesia ha disdegnato lo spirito universale della Chiesa cattolica e ora ne porta le conseguenze».

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tutto presente, in seguito le cose sono comparse l’una dopo l’altra e oggi sono tutte lì, al contempo, una accanto all’altra. Cerco di trarre un esempio dalla sfera letteraria: c’era l’irrazionalismo accanto al razionalismo. L’idea del romanzo sperimentale e gli scrittori di S. Fischer10 che si aspettano la salvezza dal sentimento, dal cortocircuito umano. Nietzsche e il socialismo. La concezione materialistica della storia e le applicazioni all’idealismo. L’umanesimo e l’antisemitismo (o la teoria della razza). E dunque anche internazionalismo e nazionalismo. L’arte europea e l’arte regionale. La lirica della grande città e la chiesa cattolica. Monismo, cristianesimo libero – Chiesa. Ci si può anche riferire a personalità che costituiscono esse stesse una mescolanza di tratti. Tra quelli che hanno esercitato un influsso maggiore vorrei nominare Nietzsche, Marx, Bergson, Bismarck. Al naturalismo seguì il fiacco neoromanticismo e l’altrettanto fiacco neoidealismo e poi venne l’espressionismo. Arte delle idee, ma le idee non c’erano e l’espressionismo si sbagliò nella scelta dei mezzi. Una formula principale: razionalismo e irrazionalismo. Mentre attorno al 1900 si credeva all’annuncio di un uomo nuovo, oggigiorno si nutrono dubbi e si rimane privi di speranza. Si hanno di fronte tutte le possibilità storiche e nessuna realtà presente. Io ho cercato di indicare (in questa rivista. Quaderno … e annuario … volume …) che la veemenza con cui l’entusiasmo per la guerra incendiò il nuovo mondo e il vecchio continente nel 1914 trovava la sua causa principale in questo stato di disperazione psicologica11. Quel che fino ad allora venne discusso riguardo alla con-

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Samuel Fischer (Liptovsky Mikulas 1859 – Berlin 1934), nel 1886 fondò a Berlino la celebre Casa editrice Fischer Verlag. Le medesime riflessioni si trovano in R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, vol. VIII, pp. 1088-1089; tr. it. L’Europa abbandonata a se stessa, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., pp. 122-123: «anche nel modo in cui il mondo fu spinto alla guerra ci fu soprattutto una carenza di organizzazione spirituale. […] Un altro elemento fu la vastità subito assunta dalla catastrofe. L’improvvisa, spaventevole forza devastatrice dell’incendio si spiega soltanto se tutto

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dizione spirituale tedesca era certamente, con alcune variazioni, una manifestazione della complessiva civilizzazione dei bianchi12. Ovviamente ci sono anche altri punti di vista riguardo a un evento così complesso come quello della guerra, ma senza dubbio questo aspetto è cruciale. Io ho cercato ripetutamente di sondare questa condizione di disperazione che si è espressa nelle forme più diverse. Vorrei addurre come formula principale per tutto ciò il fatto che la vita europea e l’ideologia europea non si corrispondono13. Si deve dare una buona volta conto dell’importanza di un’ideologia. Ogni giorno giunge il momento in cui l’uomo incrocia le braccia e tutto il suo agire va in fumo. Il lavoro che viene compiuto è del tutto immaginario psicologicamente. Questa ideologia però è impossibile. Si cerca – sintomi. Invece che qui vederne uno del futuro. Si è cercato di scoprire la poesia del lavoro14, del denaro, del rumore, della fretta e così via. Tutto questo è inutile. Sono cose poetiche soltanto per gli osservatori che non lavorano, poveri, taciturni e non coinvolti. D’altro canto sarebbe pensabile che gli uomini abbandonassero per così dire l’anima e diventassero costituzioni adatte alla vita. A quel punto l’amore sarebbe riproduzione con l’aiuto di una stimo-

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era pronto per l’immane tempesta di sentimenti. […] Ma io credo che questo tipo di pacifisti sottovaluti l’elemento psichico esplosivo delle guerre della seconda specie». L’articolo apparve sul n. 4 (1922) della rivista “Ganymed. Jahrbuch für die Kunst”; questo annuario dell’arte edito a Monaco era diretto da W. Hausenstein. Verosimilmente è a questo articolo che si riferisce Musil, pur senza citarlo direttamente. Cfr. MoE, II, II, § 24, p. 103; tr. it. I, p. 112: «Civilizzazione era, per conseguenza, tutto ciò che il suo spirito non poteva dominare». Questo è il sintomo di fondo da cui dipenderà, in effetti, l’impossibilità di concretizzare la grande Azione Parallela e dunque anche il suo carattere profondamente ironico, vale a dire di ricerca di un legame tra ideologia e vita. Cfr. MoE, II, II, § 94, p. 424; tr. it. I, p. 480: «il nesso esteriore degli avvenimenti e quello interiore seguitavano a correre l’uno accanto all’altro come due rotaie indipendenti, ed erano vani i tentativi di collegarli». Cfr. MoE, I, I, § 10, p. 36; tr. it. I, p. 37: «ai tempi di Ulrich s’incominciò a gustare la canzone delle macchine, dei magli e delle sirene di fabbrica».

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lazione cutanea altrettanto impersonale quanto il freddo o il caldo. Ciò per me non significa infervorarsi contro una possibilità dell’avvenire, si tratta bensì del fatto che noi soffriamo perché ciò non è reale e tuttavia è possibile15! Credo che l’uomo medio16 sia un metafisico molto più zelante di quanto egli ammetta. Zelante non è proprio l’attributo esatto ma raramente lo abbandona un oscuro presagio sulla sua situazione insolita. La morte personale, l’insignificanza del globo terrestre nel cosmo, l’arcano della personalità, la questione di una continuazione della vita, senso e insensatezza dell’esistenza, tali sono le questioni che il singolo durante tutta la sua vita allontana, nella maggior parte dei casi, in quanto comunque prive di risposta e che tuttavia per tutta la vita avverte circondarlo da ogni parte come pareti di una stanza. Credo anche che pochi uomini rimangano del tutto indifferenti al fatto che invece di questa vita potrebbe darsene un’altra17 in cui tutte le azioni proverrebbero da uno stato d’eccitazione del tutto personale. Dove tali azioni hanno un senso, non soltanto cause18. E dove, per usare un’espressione banale, si è felici e non si è soltanto nervosamente tormentati.

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Cfr. MoE, I, II, § 4, p. 16; tr. it. I, p. 13: «Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci deve essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. […] Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dar maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è». Questo “uomo medio” costituisce una chiara anticipazione delle riflessioni sulla storia come superamento del reale in vista del probabile. Cfr. MoE, IV, III, § 47, p. 1209; tr. it. II, 1370: «a poco a poco “l’uomo probabile” e “la vita probabile” incominciavano ad occupare il posto dell’ “uomo vero” e della “vita vera”, che erano pura immaginazione e illusione». Si veda MoE, IV, III, § 45, p. 1084; tr. it. II, p. 1227: «Tacque. Pensava: “Di quale realtà parlo? Ce n’è un’altra”?». Cfr. MoE, III, III, § 13, pp. 778-779; tr. it. II, pp. 882-883: «un’azione deve avere un senso! […] Dunque è difficile stabilire quanto senso possa avere un’azione». Da questo dipende anche il tentativo di Ulrich di vivere secondo la storia delle idee e non secondo la storia del mondo (MoE, II, II, § 116, p. 592; tr. it. I, p. 674). Si veda MoE, III, III, § 25, p. 900; tr. it. II, 1022: «Ma queste vicende della nostra vita hanno meno vita che un libro perché non hanno un senso coerente».

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Consentire all’uomo di trovare questo atteggiamento – l’avvicinarsi a ciò grazie a cui egli alla fine trovi individualmente il proprio posto – è compito dell’ideologia. Guida dell’anima. Psicologia. Nella rivista-saggio sopracitata ho accennato al fatto che la mancata corrispondenza tra ideologia e vita pratica conduce necessariamente, col passare del tempo, a esplosioni (a una “bancarotta metafisica”)19. Infatti conosco una immane letteratura il cui contenuto consiste in varie formulazioni di questa discrepanza. La avvolge il famoso mare di lamenti sulla nostra mancanza di anima, sulla meccanizzazione, sulla quantificazione, sulla mancanza di religione e così via. Non conosco però un libro ragionevole che colga una buona volta questo problema innanzitutto come un problema, un problema nuovo e non come una vecchia soluzione fallace. Assai generalmente la salvezza viene cercata in senso regressivo20. (Nazione, virtù, religione. Contrapposizione allo spirito scientifico). Assai raramente si dice che qui si pone un nuovo problema che non ha ancora trovato la propria soluzione21.

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Qui vi è la conferma che il saggio citato da Musil è Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1090; tr. it. p. 124: «Questo bisogno di una “bancarotta metafisica” [zu metaphysischem Krach], se mi si passa l’espressione, si va accumulando nei tempi di pace come un residuo di insoddisfazione» . L’esclusione del regresso e della restaurazione del buon tempo antico come soluzione alla crisi della civiltà europea torna continuamente anche ne L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, I, II, § 58, p. 233; tr. it. I, p. 262: «Caro dottore – egli dichiarò – nella storia dell’umanità non vi sono regressi volontari». Cfr. anche MoE, I, II, § 66, p. 272; tr. it. I, p. 306: «Per adesso s’è convinto che nella storia dell’umanità non può esservi un regresso volontario». Il tema della soluzione mancante diviene centrale nel pensiero musiliano e deve esser letto in analogia al metodo matematico. Al pari dell’analisi matematica, che di fronte a problemi senza soluzione si occupa di trovare soluzioni parziali, così Musil concepisce le culture, ossia appunto come soluzioni parziali. Cfr. R. Musil, Der Untergang des Theaters (1924), in GW, VIII, p. 1128; tr. it. Il tramonto del teatro, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 141: «le culture si susseguono le une alle altre come soluzioni parziali di un compito che in sostanza rimane lo stesso». Lo stesso argomento torna ne L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, I, II, § 83, p. 358; tr. it., I, p. 404: «Ciò che si suol chiamare un periodo – senza sapere se si debba intendere secoli, millenni, o gli anni fra la scuola e i nipotini – quell’ampia disordinata fiumana di situazioni, sarebbe

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Né tantomeno conosco una verifica produttiva di ciò che qui effettivamente manca e di ciò dalla cui mancanza sorgono tutte le sofferenze: l’anima (e però “anima” è soltanto un caso particolare di “ideologia”). Bisogna fare attenzione che non diventino mere sofferenze della borghesia e della sua letteratura! La situazione ideologica attuale è individualistica. Nessuna [ideologia] domina22. Un numero incalcolabile di ideologie individuali riunite attorno a personalità pensanti viene selezionato individualmente. Da ciò la situazione caotica. Confrontare il manicomio23.

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allora un susseguirsi a casaccio di tentativi di soluzione, insufficienti e, se presi singolarmente, anche sbagliati, dai quali, se l’umanità li sapesse riassumere, potrebbe infine risultare la soluzione esatta e totale». E ancor più chiaramente il problema emerge in MoE, V, p. 1649; tr. it. II, p. 1643: «in matematica ci sono problemi che non ammettono soluzioni generali, ma solo soluzioni parziali. In determinate circostanze, però, queste ultime vengono riunite in soluzioni totali: allo stesso modo anche Dio fornisce soluzioni parziali, gli uomini creativi, si contraddicono l’un l’altro; noi siamo condannati a ricavarne continuamente un totale relativo che non si confà a nessuno». A questo proposito si veda C. Monti, Musil. La metafora della scienza, Tullio Pironti editore, Napoli 1983, p. 49 e inoltre A. Rendi, Robert Musil, Edizioni di comunità, Milano 1963, p. 95. La mancanza di una convergenza delle soluzioni in un unico centro, l’impossibilità dunque di imprimere a un determinato periodo di tempo la forma dell’epoca, costituisce uno dei sintomi dell’uomo tedesco. Questo tratto dev’esser messo in relazione a R. Musil, Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1057; tr. it. Spirito ed esperienza. Note per i lettori scampati al tramonto dell’Occidente, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 100: «Se proprio vogliamo distinguerle, direi che la cosa migliore è parlare di “cultura” quando in una società domina una sola ideologia, una forma di vita unitaria e definire “civiltà” [Zivilisation] la condizione di una cultura ormai diffusa». Il saggio fu pubblicato in “Der Neue Merkur” nel marzo del 1921. Altro riferimento a Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1088; tr. it. p. 121: «È una torre di Babele, un manicomio. Da mille finestre mille voci diverse, mille idee, mille fanfare investono il passante». Al tema del manicomio verrà concesso ampio spazio ne L’uomo senza qualità, basti pensare alla figura chiave di Moosbrugger.

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Qualche supporto: Forza d’attrazione della chiesa24. E però una verità può sopravvivere duemila anni, ma non una ideologia! Nazione: – Stato: – Pallido idealismo filosofico Chiesa comunista: – Nessuna [ideologia] può raccogliere insieme i bisogni spirituali che anche in senso positivo non sono unificabili. Un paio di tentativi, far sorgere una filosofia dall’epoca, pragmatismo e positivismo sono rimasti infruttuosi. Denaro è egoismo ordinato25.

Capitalismo: l’organizzazione più grande al ribasso26. L’egoismo è antico come i consorzi umani. Il denaro è il più giovane tentativo della loro connessione. Sopprimere il capitalismo significa sopprimere l’ordine. Fornire un nuovo ordine dell’egoismo. È un assurdo credere che con il capitalismo venga soppresso anche l’egoismo. In tal modo i sostenitori dell’utopia socialista eludono il proprio compito. Ogni ordine vigente afferma che l’uomo è buono, che l’uomo è altruista27. Chiamano buone le proprie rivendicazioni e dunque è perciò stesso buono anche l’uomo assoggettato ad esse. (Oltre a questo il nuovo ordine si sovrappone tutte le volte alle macerie di quello più antico). Si può dire che siccome gli ordinamenti sono cattivi (intendo dire l’espressione dei gruppi di potere), essi producono 24

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Cfr. MoE, II, II, § 114, p. 564; tr. it. I, p. 642: «Da quando la Chiesa ha perso il suo prestigio, non c’è più autorità nel nostro caos. Non esiste più un modello, un ideale della cultura». Formula che ritorna più volte ne L’uomo senza qualità, in particolare presso figure come Arnheim e Leo Fischel. Cfr. ad esempio MoE, II, II, § 106, p. 508; tr. it. I, p. 578. Nel testo originale si trova l’abbreviazione dall’equivalente francese: “à. l. b.”, ossia à la baisse. Cfr. Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1080; tr. it. p. 110: «Ricordo ancora benissimo il simpatico saggio di un poeta tedesco assai rappresentativo: egli si meravigliava che l’uomo non fosse come l’aveva visto lui, cioè buono, ma fosse invece cattivo, come l’aveva visto Dostoevskij».

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l’uomo buono (= l’uomo arrendevole, assoggettato a un male estraneo) (Polarità, dualismo di bene e male). In un ordine naturale deve darsi, conformemente alla natura dell’uomo (in quanto ζῷον πολιτικόν2 e in quanto individualista) un massimo di individualità e allo stesso tempo un massimo di comunità29. Una tale pretesa risulta incomprensibile, fino all’insulsaggine; noi però non possiamo fare di più se non variare la condizione data in una direzione congetturale. Le opinioni e le impressioni riguardo a ciò che è bene e ciò che è male divergono così tanto tra loro che devono essere concesse quanto più possibile. Non c’è alcuna concezione del mondo. Il sentimento più forte è che tale concezione sia in formazione, il sentimento di un processo, che si tratti di superare un minimo di impedimenti. In tal modo il capitalismo deve legarsi a una disposizione interiore che accolga in sé l’egoismo, l’indisciplina, il “tutti contro tutti”30, che li accolga nella sua buona coscienza.

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La nota espressione aristotelica, secondo cui l’uomo è un “animale politico”, viene citata in greco da Musil. Cfr. Aristot. Pol. I, 2, 1233 a 7-8; tr. it. Politica, a cura di C.A. Viano, BUR, Milano 2002, p. 77. Cfr. MoE, II, II, § 109, p. 524; tr. it. I, pp. 595-596: «Nessuno vive soltanto l’equilibrio proprio, bensì ciascuno s’appoggia su quello degli altri che lo circondano, e così entra in gioco nella piccola fabbrica di gioia della persona un intricatissimo credito morale di cui bisognerà riparlare, perché appartiene al bilancio spirituale della collettività non meno che a quello del singolo». È il dramma attorno al quale ruota l’incompiutezza del romanzo L’uomo senza qualità, che traspare già nei Dialoghi sacri, ma trova la propria formulazione paradossale in MoE, IV, III, § 47, p. 1204; tr. it. II, p. 1251: «Così come tu e io siamo in senso stretto, possono essere chiamati anche tutti gli altri in senso lato: gli indivisi e non uniti!». Il paragrafo si intitola “Fra gli uomini” e pone a tema l’inconciliabilità tra mistica e comunità, tra individuo e dialogo, letta alla luce del problema specifico dell’età di Musil. Si veda anche MoE, IV, p. 1351, tr. it. II, p. 1481: «né divisi né uniti, questo nome aveva preso per loro un significato più denso. Perché non divisi e non uniti erano essi stessi e credevano di capire e di presentire che anche tutto il resto del mondo era non diviso e non unito». Sulla paradossalità della ekstatische Sozietät cfr. E. Castrucci, Ekstatische Sozietät, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto” II, 1977, pp. 80-86 e M. Cacciari, L’uomo senza qualità, in AA.VV. Il romanzo, a cura di F. Moretti, Einaudi, Torino 2003, vol. 5, p. 532. Altra celebre formula nella storia della filosofia politica. Cfr. T. Hobbes, Il Leviatano, I, XI, § 4, a cura di R. Santi, Bompiani, Milano 20123, p. 207.

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Oggi il capitalismo è indicibilmente feroce e ha in bocca frasi altruistiche. Da noi i Francesi richiamano l’attenzione sugli affaristi e noi rispondiamo con frasi nazionali e così via. Se voglio avere una concezione del mondo, devo osservare il mondo. Ciò significa che devo stabilire i fatti. Il più piccolo dettaglio che proviene dalla coesione dell’anima e dall’equilibrio ghiandolare mi offre più visione di un sistema idealistico. I fatti però non sono conclusi, bensì soltanto appena appena dischiusi – Una concezione del mondo che aspetti i fatti crede nel progresso. Essa è semplicemente curiosa. È anche relativa. Positivamente scettica (non ignoreremo31). Il senso di: libera ricerca. Non si può certo dubitare, tuttavia, che attraverso la conoscenza scientifica dei fatti noi giungeremo a nuovi punti di vista sulle antichissime domande fondamentali della metafisica32. La cosa in sé di Kant qui ci ha danneggiato enormemente33. Ha dimostrato che la formulazione della domanda è impossibile e si crede che sia possibile porre domande soltanto in quel modo. La formulazione di domande è elastica. Si dice che l’anima non abbia alcun progresso. L’uomo del 1923 d.C. non è essenzialmente diverso da quello del 1923 a.C.

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In latino nel testo: «nicht ignorabimus». Tesi già presente in Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1085; tr. it. p. 117, in riferimento al saggio di W. Köhler, Le figure della fisica in quiete e in condizioni stazionarie: «si vedrà come dal terreno delle scienze fattuali si cominci già a intravedere la soluzione di antichissime difficoltà metafisiche». Sul rapporto tra fenomeno e cosa in sé cfr. MoE, IV, III, § 50, p. 1270; tr. it. II, p. 1425: «Basta esprimerlo in un altro modo e dire che in sé e per sé una cosa è proprio ciò che non è mai in sé e per sé, bensì ogni volta in relazione con le circostanze, e anche il suo significato è il complesso di tutto ciò che può significare». D’altra parte l’importanza della filosofia kantiana per una concezione unitaria del mondo viene ribadita da Arnheim che cita i Reisebilder di Heine in MoE, II, II, § 96, p. 434; tr. it. I, p. 492: «a una mente così fa allusione Kant quando dice che possiamo immaginare un’intelligenza che non somigli alla nostra ma sia invece intuitiva». Cfr. H. Heine, Reisebilder, in Sämtliche Werke, a cura di K. Briegleb, Hanser Verlag, München-Wien 1976, vol. III, p. 234.

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Ciò che la filosofia ha fornito fino a oggi era propriamente soltanto un lavoro di riordinamento. Lo sviluppo che vi è stato a partire dal XVII secolo è penetrato ancora poco in essa, non corrisponde ancora all’ultima fase, alla proliferazione dei fatti34. Essa ne era già influenzata. La filosofia è rimasta indietro rispetto ai fatti, questo ha portato alla credenza che i fatti siano antifilosofici. Essi sono soltanto frammentari35. (Ma proprio questa è la loro filosofia). L’autentica filosofia di questo tempo è che noi non abbiamo alcuna filosofia. Qui c’è il contatto con l’uomo pratico. Costui si è sbarazzato di tutto questo, non è influenzato da alcuna filosofia, in parte si volge verso la degenerazione. Io mi baso su alcuni tipi comuni (e continuo a parlare delle cose più attuali). L’ingegnere – cosa che si è sempre trascurata – non è soltanto un razionalista, bensì un uomo di fatti. Nella sua attività è decisamente molto irrazionale. In sé un fatto è in generale irrazionale, esso è soltanto un che di regolativo della razionalità. Il commerciante è invero razionale e calcolatore, ma è anche uomo di volontà e in quanto tale fa i conti soltanto con le qualità dell’uomo su cui si può fare il maggiore affidamento, vale a dire con le più basse36. Gli affari si basano per la maggior parte sulla coercizione. Uguaglianza e individualismo. 34

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L’insistenza su un accumularsi dei fatti del tutto privo di un suo principio di ordinamento interno era già emerso in R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1083; tr. it. p. 114: «un incubo, una montagna di fatti che cresce di ora in ora, un guadagno per il sapere e una perdita per la vita, un fallimento dell’anima» e ricompare in MoE, I, II, § 42, p. 172; tr. it. I, p. 191, a proposito del cammino della storia: «Se guardiamo davanti – egli disse – un muro impenetrabile! Se guardiamo a destra e a sinistra. Un eccesso di avvenimenti importanti senza linea di sviluppo riconoscibile». MoE, I, I, § 13, p. 47; tr. it. I, p. 48: «possedeva i frammenti di un nuovo modo di pensare e di sentire, ma la nuova visione, sulle prime tanto potente, si era smarrita in un numero sempre più grande di particolari». Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1628, quando Gerda chiede conto al padre dell’irrazionale che trascende ogni calcolo, Leo Fischel replica: «A questo posso soltanto risponderti che comprare e vendere è come fare la guerra: tu devi e puoi calcolare; ma alla fine decide anche la volontà, il coraggio, la personalità, o, come dici tu, l’irrazionale».

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Qui vi è consonanza con il politico. Astuzia e coercizione. Sento ciò che gli uomini dicono al quartier generale francese: rivolte civili! In ogni stazione un paio di mitragliatrici37 in ogni località una compagnia e gli ideali collassano di fronte ai mezzi di coercizione. In un paio di mesi eccoli gli ideali, sottomessi ai mezzi di coercizione. Questa è in fondo la melodia dell’umanità38. Sopprimere la coercizione significherebbe rammollirsi. Il compito è abilitare l’uomo a grandi cose39, malgrado egli sia un maiale. La faccenda presenta ancora un altro risvolto importante. Quello misurato, equilibrato e sobrio è soltanto uno dei comportamenti rilevanti dell’uomo. Di contro al fatto, all’azione, alla politica di potenza (e la politica è anche là dove la violenza è al servizio dell’astuzia a fin di bene) stanno amore e poesia. Sono condizioni che si elevano al di sopra dei fatti del mondo40. Dal momento che verrebbero considerate invenzioni letterarie, voglio ricordare le loro venerabili zie, le religioni. Fornisco qualche esempio: … / a partire da Loyola-introduzione/. Qui non c’è niente che non accada anche sul piano profano, e perciò nella vita profana c’è un elemento che è religioso al massimo grado41. Ciò è sempre stato strettamente collegato alle faccende della

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L’abbreviazione presente nel testo “Mg.” comunemente è adoperata nella lingua tedesca per “Maschinengewehr”, ossia “mitragliatrice”. Cfr. MoE, II, II, § 106, p. 508, tr. it. I, p. 578: «L’egoismo è la qualità umana su cui si può fare il maggiore affidamento. Col suo aiuto il politico, il soldato e il re hanno dato assetto al Tuo mondo mediante l’astuzia e la costrizione. Questa è la melodia dell’umanità. Tu ed io dobbiamo ammetterlo». Cfr. MoE, II, II, § 88, p. 398; tr. it. I, p. 451: «nulla è tanto pericoloso per lo spirito quanto il suo legame con le grandi cose». Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1629: «gli avvenimenti odierni – continuò Gerda – ci innalzano al di sopra della ragione. Così come una poesia o l’amore ci innalzano al di sopra dei fatti del mondo». Sulla presenza di un elemento religioso presente nella vita profana, che avrà un gran peso nella parte III de L’uomo senza qualità, non si può dimenticare l’interpretazione che Musil offre di Rilke. Cfr. id., Discorso in onore di R.M. Rilke, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., p. 221: «Ed esiste una poesia che non sa dimenticare l’inquietudine, l’instabilità, la frammentarietà di tutto ciò

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Chiesa. A stento le religioni possono esistere senza questo elemento, ma questo elemento può benissimo esistere senza le religioni. Nell’istante in cui questo elemento entra in gioco, entra in gioco la nostra stessa anima. Le cose che appartengono a tale contesto ci interessano in una maniera del tutto diversa rispetto alle altre. Epoche non religiose, come l’Illuminismo, che risultano prive di questo elemento, sono insopportabilmente filistee. A partire dalla mistica42 questo elemento arriva fino alle volute oscurità di Dostoevskij. Tale elemento si può rintracciare storicamente nelle forme più diverse. Intendo accennare ad alcune cose riguardo tale elemento: nel presente questo elemento annovera: Emerson, Maeterlink. Il romanticismo tedesco. A ritroso fino alla scuola di Chartres43; significativo qui il parallelismo della situazione: scienza della natura senza anima44. Un passato ancora più remoto greco e levantino. Emerge anche come opposizione dell’individuo allo Stato. Rinascimento, Protestantesimo. Non posso affermare però che nell’ordinamento di questo ambito si trovi la salvezza. Anche questa è soltanto una delle possibilità. Ordine che protegga le possibilità, questo è il compito. Fede nel-

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che esiste. Una poesia, potremmo dire, costituita, sia pure solo in parte, dal sentimento nella sua globalità. Il sentimento sul quale il mondo, come un’isola, riposa. È la poesia di Rilke. Se dice “Dio”, vuol dire questo sentimento». Cfr. id., Das hilflose Europa, in GW, VIII, pp. 1092; tr. it. p. 127: «in effetti in quella vasta zona di transizione all’età moderna […] quando il pensiero basato sui fatti cominciò impetuosamente a farsi strada, la protesta contro questo tipo di pensiero affiorò già con violenza». Dinnanzi all’oggettività che sacrifica l’aspetto interiore, la mistica sorse come reazione alla mania dell’esattezza e come rivendicazione dell’uomo nella sua interezza. La scuola di Chartes, sorta all’inizio del XI secolo per volere di Fulberto, vescovo di Chartes, fu una delle grandi istituzioni della Scolastica medioevale. Sarà il compito impossibile espresso in MoE, III, III, § 18, p. 825; tr. it. II, p. 936: «un segretariato generale dell’esattezza e dell’anima».

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l’umanità. Eliminare stupide ideologie dello Stato e della nazione. Conoscere la situazione, non ostacolarla!

L’uomo tedesco come sintomo I. Introduzione: io credo che faccia la seconda (Nazione – Anima) soltanto perché ha disimparato la prima (Io – Anima). Purtroppo ho soltanto questa risposta: … II. Di contro c’è la circostanza che noi cerchiamo l’uomo tedesco e non lo troviamo, un sintomo europeo (sintomo della civilizzazione dei bianchi). Non si obietti che per gli Inglesi non è necessario cercare l’uomo inglese e per i Francesi l’uomo francese: che ciò sia necessario per noi è un salto in avanti. Noi siamo eterogenei, gli altri sono più omogenei? Intendo mostrare che l’eterogeneità è esattamente una qualità del futuro e che gli altri devono conquistare tale qualità se non sono del tutto abbandonati a se stessi. (Non ci può mancare Locke, perché noi abbiamo Kant. Loro forse possono. Ma per esempio già Bergson non si comprende senza i suoi vecchi parenti tedeschi). L’uomo tedesco? Una questione di coscienza. Stretto tra oriente e occidente e caduto sotto i cicli della storia mondiale45, oggi si catechizza con un fervore che ricorda i più bei tempi del rinascimento religioso tedesco.

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In quest’ultimo passaggio, malgrado Musil avesse già criticato alcune sue posizioni, e continuerà a farlo anche nel corso del presente saggio, l’influenza di Spengler pare innegabile.

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Occultismo razionale46 Occultismo sperimentale. Più oltre [?] Fatti Reazione alla Scolastica in quanto occultismo razionale Esperimento del secolo. (Dio non escluso, ma soltanto da esperire).

I. Da una pura induzione non si può costruire alcuna teoria scientifica. Piuttosto ipotesi e verifica. È necessario un atto di fede, di fantasia, di congettura persino nella pura razionalità. (Si può distorcere questo fatto ben noto, ma non come ha fatto Spengler). Nella vita pubblica e privata è necessario riservare uno spazio ancor più significativo alla credenza, alla congettura, alla presupposizione47. Si vive secondo principi, linee guida e modelli, si possono modificare nel corso della vita, si modificano anche, ma pochi uomini ne producono di nuovi e anche quelli soltanto circoscritti. La vita si plasma secondo forme prestabilite, è socialmente preformata; il sentimento dell’amore per esempio trova specie, sottospecie, gradazioni e così via predisposte, nelle quali si riversa. Senza linee guida l’uomo crolla.

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Nel testo originale si trova unicamente la sigla “rat. O.”: si può congetturare che si tratti di un’abbreviazione di “occultismo razionale” poiché nelle righe seguenti compare “Reakt. auf Scholastik als rat. Ok.”, ovvero se vale questa congettura “reazione alla scolastica come occultismo razionale”. Nel corso del testo, in effetti, si insiste sulla dimensione razionalistica della Scolastica, malgrado la successiva epoca scientifica la considerasse una sorta di occultismo. Cfr. MoE, III, III, § 18, p. 826; tr. it. II, p. 937: «Infatti per lui la parola fede non significava quel rachitico voler sapere, l’ignoranza credula che di solito essa designa, ma piuttosto l’intuizione consapevole, qualcosa che non è né scienza né immaginazione, però neppure fede, bensì “quell’altra cosa” che esula da tali concetti».

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Perciò si è diffusa l’espressione “connessione”48; la vita è socialmente vincolata e individualmente è soltanto limitatamente dinamica. A un ufficiale, a un membro di un’associazione studentesca, a un cattolico credente o a un ebreo, a un uomo corretto o a un uomo morale in ogni situazione della vita viene imposta una scelta assai ristretta di possibili reazioni; questo concentra la forza. La connessione principale oggi è la professione49. Oggigiorno con la denominazione professionale e una piccola aggiunta si può dire l’essenziale su un individuo. Se si viene a sapere che un uomo è un avvocato o un commerciante e oltre a ciò si coglie se sia dotato di talento o meno, ed inoltre eventualmente se sia un tizio ben educato o un furbo, a quel punto si conosce la maggior parte di ciò che si può conoscere in generale di un uomo del nostro tempo. La coscienza di essere… consola nelle “ore vuote”. Come sopra, divertimenti. Ci sono ancora anche alcune professioni per le ore festive; sono professioni vere e proprie che poi compaiono anche con la dicitura di “amatoriali” per esempio collezionare francobolli, giocare a tennis, stabilire primati in campo amoroso50. Al di fuori di queste connessioni l’uomo non può alzare il braccio o muovere un dito. Costui si ripiega come una camera d’aria che si

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Cfr. MoE, I, I, § 17, p. 66; tr. it. I, pp. 71-72: «ogni cosa ha cento lati, ogni lato ha cento correlazioni, e a ciascuna sono annessi sentimenti diversi. Il cervello umano per fortuna ha poi diviso le cose; ma le cose hanno diviso il cuore umano». Cfr. MOE, I, II, § 50, p. 200; tr. it., I, p. 224: «Commentò in mezzo a un cerchio di uomini d’azione la sentenza di Hölderlin, che in Germania non vi sono più uomini ma soltanto professioni. – E nessuno può bene operare nella propria professione se non ha il senso di una superiore unità; meno di tutti il finanziere! – così egli concluse la sua dissertazione». Per quanto riguarda la citazione indiretta da Hölderlin cfr. F. Hölderlin, Hyperion, in Sämtliche Werke, a cura di F. Beissner, Kohlhammer Verlag, Stuttgart 1958, vol. III, p. 160. Questa caratterizzazione entrerà a far parte di un noto personaggio de L’uomo senza qualità, il generale Stumm von Bordwehr. Cfr. MOE, I, II, § 80, p. 342; tr. it. I, pp. 385-386: «In Cacania ce n’era una quantità. Dipingevano, facevano collezione di coleotteri, di francobolli, o studiavano storia. Le molte guarnigioni microscopiche e il fatto che agli ufficiali era proibito presentarsi al pubblico con produzioni intellettuali senza il permesso dei superiori dava abitualmente alle loro tendenze qualcosa di personale, e anche il generale Stumm aveva avuto in passato le sue passioncelle dilettantistiche».

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sgonfia oppure, se un impulso lo invade, allora si deforma all’istante secondo una qualche direzione specifica. Oltre a questa non ha idee selettive o idee guida. Notoriamente lo sviluppo ha condotto sino alla distruzione delle connessioni che prima erano presenti o avrebbero dovuto esserlo. Lo scontro tra la Chiesa e lo Stato si è concluso lasciando entrambi intimamente privi di forza, i ceti sociali si sono mescolati gli uni con gli altri e via di seguito. La mancanza di fede infatti non è una condizione soltanto religiosa, bensì una condizione che abbraccia anche il profano. Sulle nuove connessioni: Nazione, Stato. Ideologie: Cattolicesimo, Marxismo Diversi tentativi: morale, umanità. InNon si può credere nanzitutto: (surrogati ideologici:) a un con un intento. uomo che non sia vincolato a tali connessioni non si può consigliare di vincolarsi, e non ci si può insinuare di nuovo in connessioni abbandonate in precedenza. (Non essere razionale, ma credente e cose simili). Questa però in linea di principio è una condizione umana generale e non tedesca. Io ho tentato ripetutamente di consigliare una valutazione positiva di questa condizione caotica. Sogni originari e cose simili. Un’epoca del genere non può essere malvagia o fiacca. Di solito però si ravvisa in essa soltanto una manifestazione di decadenza. Connessioni, regole di vita che dovevano essere presenti non ci sono più; il capitalismo le ha dissolte; l’uomo sa soltanto far di conto e le sue cosiddette prestazioni scientifiche grandiose non sono altro che eccessi di questo impulso calcolante51. L’arte cambia in modo isterico e cose del genere. Qui eventualmente già “fatti”. Se si volge lo sguardo indietro a queste manifestazioni ci imbat-

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Cfr. MoE, IV, p. 1423; tr. it. II, p. 1550: «l’eccitazione in cui viviamo è quella dell’esattezza».

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tiamo in un confine fisso, più o meno il decennio 1880-1890. Là c’era il controcanto di ciò che nella condizione attuale è trapassato. Se si guarda ancora indietro si giunge al tempo in cui si credeva nella ragione. Si può dire: tentativo di un superamento speculativo dei problemi della vita. Prematuro e fallito52. Contemporaneamente però si pone il problema classicismo-empirismo. Si può ricondurre il presente a questa condizione non ancora assimilata. Se si percorre la linea ancora all’indietro ci si imbatte nello slancio iniziale dell’empirismo. E ancora più indietro (per questo riferimento sono debitore a …): la scuola di Chartres. In questo distacco esemplare tra scienza della natura e mistica. La parola mistica è appropriata per suscitare scandalo. Mistica profana. Tentativo del razioide e del non-razioide53. Ruolo dell’arte. Rapporto vero con l’arte. 52

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Cfr. MoE, II, II, § 85, p. 379; tr. it. I, pp. 428-429: «Vedi, un centinaio di anni fa i cervelli che reggevano la borghesia tedesca credettero che il civile pensante avrebbe dedotto dalla sua mente le leggi del mondo, seduto a tavolino, così come si dimostrano i teoremi algebrici. […] Da allora quella presunzione è stata energicamente rintuzzata; in cento anni abbiamo imparato a conoscere meglio noi stessi e la natura e tutte le cose, ma il risultato, per dir così, è che l’ordine che si guadagna nel particolare, si torna a perdere nell’insieme, cosicché abbiamo sempre più ordini e sempre meno ordine». La distinzione tra razioide e non razioide era già stata tematizzata in un saggio del 1918, cfr. R. Musil, Skizze der Erkentnnis des Dichters, in GW, VIII, pp. 1027-1030; tr. it. Schizzo della conoscenza del poeta, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., pp. 70-76 e inoltre id., Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1051 e 1055; tr. it. Spirito ed esperienza. Note per i lettori scampati al tramonto dell’Occidente, cit., pp. 93, e soprattutto p. 98: «Le idee (sfera non razioide) non sono trasmissibili come il “sapere”». A proposito di questa distinzione cfr. anche MoE, III, III, § 38, p. 1023, tr. it. II, p. 1161: «e tuttavia questo errore grave per le sue conseguenze si ripete quasi altrettanto sovente come la frase “È questione di sentimento” di cui la nostra struttura intellettuale non può fare a meno. Questa frase indispensabile divide nella vita ciò che deve essere da ciò che può essere. – Divide – disse Ulrich ad Agathe – l’ordine stabilito da uno spazio sgombro riservato ai giochi personali. Divide ciò che è razionale da ciò che passa per irrazionale».

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Ruolo correttivo dei fatti. L’odierno uomo dei fatti. L’uomo calcolante, capitalistico, malvagio visto da qui. Grande organizzazione al ribasso, creativa54! Correttivo naturale del credente, il suo alterego, la sua provvisorietà. Semplicemente esagerato, patologicamente ipertrofico. Smantellare tramite l’eliminazione dei difetti di organizzazione. Arriverà un’epoca razioide e non razioide!

L’uomo tedesco come sintomo Impostazione I. Il problema 1. Se le considerazioni che seguono recassero semplicemente il titolo “l’uomo tedesco”, si saprebbe di per sé che cosa ci si dovrebbe aspettare da esse: una certa selezione di qualità desiderate o indesiderate verrebbe affermata qui come tedesca e verrebbe fornita una serie di prove apparenti più o meno brillanti a partire da singoli tratti noti caratteristici della nostra vita. Il fatto che si sia aggiunto “come sintomo” è dipeso da due semplici motivi. a. (negativamente) io non credo alla differenza dell’uomo tedesco da quello nero. α Razza Soltanto esiti. Riferimento a saggi più vecchi55. β Nazione

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È una delle definizioni di capitalismo che ritorna ne L’uomo senza qualità. Ad esempio cfr. id., Das hilflose Europa, in GW, VIII, pp. 1081; tr. it. p. 111: «La natura dell’uomo è capace di cannibalismo quanto di Critica della ragione pura». Cfr. MoE, II, II, § 83, p. 360; tr. it. I, p. 408: «Perché la natura umana è altrettanto idonea all’antropofagia quanto alla Critica della ragione pura; con le stesse convinzioni e qualità può inventare sia l’una che l’altra». Lo stesso passo ritorna in MoE, II, II, § 91, p. 414; tr. it. I, p. 469.

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b. (positivamente) I concetti come razza, nazione, popolo, cultura contengono domande e non risposte, non si tratta di elementi sociologici bensì di esiti di natura complessa. Ciononostante ci si riferisce ad essi come a unità. Vuoto. Nazione come manifestazione di ironica internazionalità. Questo è il secondo motivo. 2. Qui si pone una questione. Non si può sorvolare sull’urgenza della questione. Prima si trattava di qualcosa di risibile, ma oggi tale domanda si è trasformata nel problema di una coscienza errante. Si tratta del maggior sintomo del fatto che la disponibilità verso un raccoglimento psicologico – disponibilità che si esprime a partire da quella questione – ricorda la Riforma. Dove la coscienza si sente toccata, gli impulsi entrano in contrasto tra loro; mancano i grandi atteggiamenti fondamentali e i principi fondamentali capaci di ripristinare un equilibrio. Il nazionalismo è soltanto un caso particolare della forzata nostalgia di fede, imparentato nel suo avvicendarsi di concetti generali alla prima scolastica cattolica. Tutti i tentativi a ritroso verso il romanticismo, la scolastica, le idee platoniche si compendiano in una forzata nostalgia di fede. – (Tentativi di trovare un freno andando a ritroso), così il nostro tempo è contrassegnato per mezzo di un romanticismo spirituale. Senza che il positivismo di oggigiorno intenda prendere sul serio tali tentativi; sono letteratura. (Il positivismo prende sul serio anche il socialismo soltanto nella misura in cui questo sia rappresentante di interessi solidi e non romantici). 3. In questi conflitti di coscienza, dunque, il singolo può trovare un sostegno nei principi della comunità. La comunità in sé chiusa e autonoma della nazione non offre più, tuttavia, tale sostegno. Ciò che è diventato eclatante nel caso tedesco, questa situazione morale che non trova più un freno56 in se stessa e lo cerca alle proprie spalle (razza, nazione, religione, antico candore e forza,

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MoE, I, I, § 8, p. 32; tr. it. I, p. 32: «domina sempre più l’impressione sgradevole di aver già oltrepassato la meta o di aver imboccato la linea sbagliata. E un bel giorno ecco il bisogno frenetico: scendere! Saltar giù». Cfr. Id., Kunst-

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bontà genuina), in modo latente è la situazione spirituale dell’intera Europa. L’uomo tedesco trattato come un sintomo significa, in altre parole, porre la problematica della civilizzazione. Proverò a porre questo problema in un’altra luce rispetto a quella che riceve nella maggior parte dei casi.

L’uomo tedesco come sintomo I. Il problema. Originariamente il titolo sotto il quale io ho cominciato il tentativo che segue significava – quando era ancora un’esortazione indirizzata a me stesso – semplicemente: l’uomo tedesco. Vi ho aggiunto presto l’integrazione “come sintomo” per due semplici motivi. Il primo è che io non credo, non posso credere, all’uomo tedesco come qualcosa che fosse essenzialmente diverso da un uomo americano o da un nero. Scelsi intenzionalmente il secondo esempio come il più distante possibile, poiché non si trattava in nessun modo di negare una differenza presente in modo palpabile, bensì di ponderarla correttamente. Se però si parla di differenze essenziali, allora oggigiorno si intende o una differenza di razza o di cultura. E infatti le differenze delle fisionomie corporee nelle loro fattezze più marcate sono enormi, tuttavia le caratteristiche di certe corporature tipiche di alcune razze non possono essere comprovate e la psicologia comparata offre più consonanza che non diversità relativamente alle qualità che sono effettivamente costitutive della dotazione psichica. Le “teorie” delle razze, che giocano un ruolo così rilevante e dalle conseguenze fatali nelle opere pratiche e di divulgazione scientifica del nostro tempo, vengono misconosciute

jubiläum, in Nachlass zum Lebzeiten [1936], in GW, VII, p. 517; tr. it. Giubileo artistico, in Pagine postume pubblicate in vita, a cura di A. Rho, Einaudi, Torino 1981, p. 95: «Ricorda troppo un sogno in cui si è a cavallo e non si può scendere perché la bestia non si arresta mai. Il progresso sarebbe una cosa molto apprezzabile, purché avesse una fine».

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dalle scienze nel cui ambito tutto questo colpisce sia perché infondato, sia perché non fondante. Se però nella spiegazione delle differenze che saltano agli occhi tra due popoli l’ereditarietà procurasse soltanto un supporto totalmente inadeguato, allora tale differenza potrà essere soltanto una differenza sociale nel senso più ampio. Se tale differenza non si costituisce sul piano della razza o del popolo, allora forse si costituisce in quanto cultura e nazione tenendo conto dell’influsso. È noto però che anche questo ragionamento viene avversato in diversi modi. Così la professione, la condizione sociale, la classe producono sia in chiave spirituale sia in chiave corporea somiglianze e differenze che attraversano trasversalmente le unità nazionali e fondano unità complessive a livello internazionale, e che oggigiorno sono verosimilmente più forti e naturali di queste. Nell’epoca del proletariato internazionale e del capitalismo così come della separazione tra grandi città e il resto del territorio non occorre certamente esporre tutto ciò più diffusamente. Siccome poi questi concetti come razza e cultura, popolo e nazione (e così anche il concetto sussidiario di epoca, preso dalla storia della cultura ma ormai del tutto inerme) accennano evidentemente a qualcosa di reale, e però evidentemente non designano niente di saldamente comprensibile o di semplice, non si può farne ragionevolmente altro utilizzo se non ravvisare in essi domande e non risposte, non sostrati di fenomeni, bensì fenomeni stessi particolarmente complessi, non elementi sociologici, bensì esiti, in altre parole, prodotti e non produttori. Immediatamente ci colpisce il fatto che nessun uomo verosimilmente penserà in modo diverso. Ma perché poi oggi il richiamo all’elemento nazionale, sia come razza sia come cultura, ad ogni modo come a una unità segreta, è una manifestazione di internazionalità addirittura ironica? È come se in un certo punto sorgesse l’ansia per un vuoto in cui si inserisce questa reazione; di che tipo è e che origine ha? Questo è il secondo motivo per cui qui si deve parlare della questione dell’uomo tedesco come di un sintomo. Non si sorvoli sull’urgenza di questa questione. Dove però bussa la coscienza, lì – si può concludere – gli impulsi si trovano in contrasto tra loro, e mancano i grandi fondamenti e principi spirituali

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per darvi un ordine57. Il fatto che le cose al giorno d’oggi stiano effettivamente così (in particolare il fatto che la guerra – per quanto le cause economiche e politiche abbiano avuto un ruolo preminente in essa così come in ogni cosa – e il declino fino ad ora non avrebbero potuto ampliarsi in modo così inarrestabile se non fosse venuto a mancare un ordine psicologico) viene assunto in modo così generale che riferimenti particolati risultano superflui. Io però mi riferisco alla nostalgia di fede del nostro tempo di cui il nazionalismo è soltanto un caso particolare. E siccome il discorso una volta ruotava attorno alle teorie della razza che stanno per lo più a fondamento del nazionalismo stesso, la loro caratteristica affinità sul piano spirituale può essere comunque menzionata. Infatti si conoscono poco le straordinarie difficoltà che le scienze naturali incontrano nel loro ambito specifico quando esse vogliono ricondurre le parentele quasi sconfinate di forme individuali entro gli schemi classificatori di razza, specie, genere e cose simili, e si sa come questi stessi concetti necessitino di ulteriori spiegazioni, e così la superficialità priva di pensiero, mediante cui oggi viene spiegata la crescente complessità delle singole manifestazioni sociali proprio grazie all’aiuto di tali concetti, ricorda a livello caricaturale quel tempo in cui si attribuiva valore reale ai concetti generali e in un capovolgimento che non è privo di grandezza si spiegava il mondo delle individualità a partire da essi58. Questa somiglianza distorta tra vari atteggiamenti di pensiero non dovrebbe [esserci] senza un’analogia nel fervore della fede, laddove il pensiero così come la fede si trovano in aspro contrasto con il positivismo superficiale, che riempie per la maggior parte i nostri giorni frenetici e con sicurezza interiore sorride di tali rigurgiti. Se si confrontano con esso i tentativi spirituali che rimontano chiassosamente fino alla scolastica o alle idee platoniche, il nostro tempo si contraddistingue anche in questo caso per mezzo di un immane romanticismo spirituale che sfugge al presente e si rifugia in tutti i 57

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Cfr. MoE, II, II, § 62, p. 250; tr. it. I, p. 281: «quest’ordine non è saldo come finge di essere; nessun oggetto, nessun Io, nessuna forma, nessun principio è sicuro, tutto subisce un’invisibile ma incessante trasformazione». Cfr. R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1076; tr. it. p. 105: «ci sono mancati i concetti per far entrare in noi ciò che abbiamo vissuto».

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tempi passati per trovare laggiù il fiore azzurro59 di una sicurezza perduta. In generale, però, lì si osserva il disfacimento di una condizione precedente, che avrebbe dovuto essere più solida, la perdita di dogmi e di linee guida, il dissolversi delle connessioni, in una parola un crollo e io vorrei mostrare proprio che questo assunto scoraggiante non è necessario. Dal mio punto di vista la condizione attuale dello spirito europeo non è decadenza, bensì un passaggio ancora incompiuto, non una marcescenza per eccesso di maturazione, bensì una immaturità.

II Il teorema della assenza di forma60 1. Idea di supporto; per una corretta valutazione delle manifestazioni culturali (forse trova il proprio significato soltanto in una correzione di ottica). 2. È chiaro, poiché si tratta soltanto di un trapasso di abitudini di pensiero che hanno mostrato la propria validità in altro luogo, 59

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Il fiore azzurro rappresenta in Novalis l’allegoria di un’età dell’oro, intatta e primigenia. Cfr. Novalis, Heinrich von Ofterdingen, in Gesammelte Werke, a cura di C. Seelig, Buhl Verlag, Herrliberg-Zürich 1945, vol. 1, p. 130; tr. it. Enrico di Ofterdingen, a cura di L.V. Arena, Mondadori, Milano 1995, p. 9. Forse una delle migliori rese del teorema in forma metaforica all’interno del romanzo L’uomo senza qualità coincide proprio con il famoso “anello di Clarisse”. Cfr. MoE, II, II, § 84, p. 369; tr. it., I, p. 418: «forse tutta la nostra vita avrebbe l’aspetto di un anello, così, che gira intorno a qualcosa. – S’era tolta la fede dal dito e guardava attraverso il cerchietto la parete illuminata. – Voglio dire che l’anello nel centro non ha nulla, eppure sembra che per lui sia proprio il centro che conta». L’assenza di forma come carattere intrinseco all’uomo costituisce lo sforzo di delineare un quadro teorico all’altezza dei tempi, della mancanza di un ordine stabile, della perdita del centro. Cfr. MoE, III, III, § 24, p. 895; tr. it. I, p. 1016: «Oggi quasi tutti sentono che una vita senza forma è l’unica forma che si addice alle molteplici volontà e possibilità di cui è piena la vita». Un’altra tesi da cui non si può prescindere è presente in MoE, II, II, § 88, p. 398; tr. it. II, p. 451: «ma all’altra estremità, quella personale, si nota ben presto una certa mancanza di materiale interiore; si può dire che lì si forma un grosso O vuoto e rotondo». Cfr. C. Magris, L’anello di Clarisse, Einaudi, Torino 19992, p. 214: «Tale assenza […] imprime unità e totalità di stile al romanzo».

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che alcuni periodi di tempo e fasi culturali, anche determinati, che tipicamente finiscono per prevalere gli uni sugli altri, sono riconducibili a sostrati diversi intesi come le tipologie più semplici di cause; in questo senso si parla di uomo egizio, ellenistico, gotico, di nazioni, di razze di epoche o di culture arcane. Si tratta di un tipo di frenologia storica che è diventato molto amato e che recita all’incirca così: l’uomo ladro ha nel suo cervello un sostrato fisiologico del ladrocinio e l’uomo onesto ha quello dell’onestà. Occorre soltanto esercitare ancora un poco questa mentalità e si otterrebbe là dove siamo che ogni cinque anni vi sarà una nuova generazione. Al contrario è ora di sviluppare un’altra concezione di fondo che contenga, ridotta all’osso, le seguenti affermazioni: il sostrato, l’uomo, è in generale soltanto uno ed è sempre lo stesso lungo tutte le culture e attraverso tutte le forme storiche61; ciò tramite cui tali forme e di conseguenza anche l’uomo si differenziano, viene da fuori, non da dentro62. Detto rozzamente: se una generazione di Europei dei nostri tempi venisse trapiantata all’età della primissima infanzia in Egitto nell’anno 5000 a.C. e lì fosse completamente abbandonata agli influssi della religione, dell’arte, della forma statale, delle modalità economiche, delle tradizioni sociali e così via, in altre parole alla quintessenza dell’intero apparato perfettamente organizzato in se stesso, la storia mondiale sarebbe cominciata ancora una volta nell’anno 5000 e da principio si sarebbe ripetuta per un certo periodo di tempo63. 61

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Il teorema dell’assenza di forma svolge un ruolo chiave per intendere anche la concezione della storia così come emerge ne L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, IV, § 50, p. 1129, tr. it. II, pp. 1279-1280: «se l’uomo non manifesta in sostanza che opinioni, non manifesta mai interamente e durevolmente se stesso; ma se non può mai esprimersi tutto, lo tenterà nelle maniere più varie, e così potrà avere una storia. L’avrà dunque, mi sembra, solo per debolezza». Cfr. anche in riferimento alle varie tipologie di uomini appena citate MoE, II, II, § 83, p. 360; tr. it. I, p. 408: «in gran parte però la storia nasce anche senza autori. Non dal centro, insomma, ma dalla periferia. Per tante piccole ragioni. Probabilmente non ci vuole tutto quel che si crede per fare dell’uomo greco o del gotico antico l’uomo civile moderno». Cfr. MoE, I, II, § 54, p. 215 ; tr. it. I, p. 241: «Ma quando penso che cinquemila

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3. Prescindendo da forme estreme, difficile da dimostrare. Ma una serie di cause indirette, che lo sostengono. a. Humboldt racconta … questo ricorda – delicatezza da contadini – la diffusione di tali miscugli paradossali di sentimento64. Si può cambiare il punto di vista e dire: il miscuglio di sentimento non è paradossale, bensì normale; soltanto se viene visto a partire dallo sviluppo estremo di una singola componente lo sviluppo estremo di un’altra appare mostruoso. In realtà anche da noi persone crudeli, affettuose e così via sono difficili da distinguere. I grandi poeti ci assicurano che la personalità morale è qualcosa di molto labile con molte più possibilità di quanto la tranquillità quotidiana lasci presagire. b. Anche la psicologia scientifica comparata mostra che le varie tipologie passano l’una nell’altra in modo fluido. Tale psicologia non trova differenze effettivamente costitutive tra i popoli, per esempio nemmeno una differenza nell’acutezza dei sensi tra un popolo della civilizzazione e uno di cacciatori. (Più consonanza che diversità nelle qualità effettivamente costitutive). c. La dottrina del temperamento e altre documentazioni psicologiche. Consonanza in larga misura del pensiero, delle opere d’arte, delle esternazioni private, delle tipologie dell’accadere storico, del flusso della tradizione65.

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anni fa le donne scrivevano ai loro amanti le stesse identiche lettere di oggi, non posso più leggere una di queste lettere senza chiedermi se non bisognerebbe cambiare!». Il riferimento ai cinquemila anni torna in un altro passo del romanzo, che riproduce quasi integralmente e in modo letterale il passo del 1923, cfr. MoE, II, II, § 83, p. 361; tr. it. I, p. 408: «Risposta numero tre: se quindi si trasportasse una generazione di europei contemporanei in tenerissima età nell’era egizia, cinquemila anni avanti Cristo, e la si lasciasse là, la storia ricomincerebbe daccapo all’anno cinquemila avanti Cristo, per un po’ in principio si ripeterebbe, e poi per ragioni che nessuno può indovinare prenderebbe pian piano a deviare» . Questi miscugli di sentimento e la teoria che ne segue troveranno una loro immagine icastica in MoE, IV, III, § 55, p. 1171; tr. it. II, p. 1328: «il modo particolare in cui il sentimento è sia presente fin dall’inizio, sia non presente, è però esprimibile col paragone che il suo crescere e divenire va immaginato secondo l’immagine di un bosco e non quella di un albero». Cfr. R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1080; tr. it. p. 111: «Eppure

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d. Ciò che abbiamo vissuto dal 1914 ha insegnato di quali eccessi di espressioni contrapposte è capace il medesimo materiale umano66. In effetti nessuno crederà onestamente che il repubblicano tedesco nel 1923 sia un altro uomo rispetto al suddito tedesco del 1914 o che il Francese, che nel 1923 inveiva nel modo più infuriato contro la civilizzazione, sia un altro uomo rispetto a quello del 1914 che credeva di combattere per la civilizzazione. Non si può dire nemmeno che abbia mentito. 4. Qual è dunque la causa di aspetti umani così diversi? È già stato detto che essi vengono da fuori67, ma non si può comprendere tutto questo nel senso di una teoria dell’ambiente, in cui un involucro geografico plasma l’uomo che vive in esso; questa è una semplificazione inammissibile sorta, come la teoria delle razze, dallo stesso bisogno. Ci si avvicinerà però alla verità (l’attitudine e l’asse ereditario possono essere un piccolo resto), quando si considererà come variabile le particolarità che costituiscono l’insieme degli effetti di cui l’uomo fa esperienza, pur avendoli esso stesso creati. Eliminare l’attività a vantaggio della reazione suona impossibile o stupido, ma in effetti le case costruiscono le case e non gli uomini68; la cen-

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questa divisione rigida contraddice le esperienze della psicologia e della nostra stessa vita. La psicologia ha dimostrato che i fenomeni digradano in modo continuo, senza salti, dall’individuo superiore alla norma all’individuo inferiore alla norma». Cfr. ivi, p. 1080; tr. it. p. 111: «E l’esperienza della guerra ha messo sotto gli occhi di tutti, in un immane esperimento di massa, che l’uomo si spinge facilmente sino all’estremo, e torna indietro, senza cambiare natura. L’uomo muta; ma non muta se stesso». In questo passaggio si trova già un accenno, seppure soltanto in nuce, di quella che prenderà il nome di “Teoria dell’assenza di forma”. Cfr. MoE, II, II, § 90, p. 408; tr. it. I, p. 462: «Certo la vita è sempre andata per questa strada, ha sempre rifatto l’uomo dall’esterno verso l’interno; con la differenza però che prima ci si sentiva di dover produrre qualcosa dall’interno all’esterno». Cfr. anche MoE, II, II, § 90, p. 409; tr. it. I, p. 463: «La vita gira intorno all’uomo e pensa, e danzando intesse per lui le relazioni che egli a fatica, e assai meno caleidoscopiche, affastella quando si serve della ragione». Si trova qui già abbozzato un passaggio fondamentale del grande romanzo. Cfr. MOE, I, II, § 39, p. 148; tr. it. I, p. 164: «le cose s’erano svolte come se fossero piuttosto legate l’una all’altra che a lui. […] E così si era anche dovuto

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tesima casa sorge come e perché sono sorte le novantanove case prima di essa, e se vi è una innovazione, questa risale non a una casa, ma a una discussione letteraria. In altre parole, questo è il luogo comune per cui lo sviluppo ha successo all’interno del filone della tradizione e nei cambi di direzione particolarmente cauti69. Il complesso delle ripercussioni, di cui si parla, abbraccia naturalmente tutte le forme economiche, l’organizzazione politica, tutte le istituzioni, le abitudini di vita, gli strumenti, i libri, le azioni, gli eventi, vale a dire l’intero e indefinibile gioco di scambio del dare e del ricevere tra …, che noi conosciamo a partire dalla nostra esperienza. Noi facciamo ciò che facciamo sempre nelle forme del nostro tempo e da esso determinate. Nella pace di Versailles gli umani propositi di Wilson assunsero le forme della mentalità degli apparati statali europei, benché essi fossero rivolti in direzione opposta, inoltre però la loro umanità recava già i segni del tempo. Se ci si immagina questo rapporto nella forma di causa – effetto – controeffetto e dunque si deve trasformare quello che in termini temporali e logici è l’ultimo anello nel primo, allora si incontra una resistenza; ma si può dire tranquillamente che la categoria di causalità si è mostrata inadeguata anche in questa ricostruzione. Questo rapporto tra uomo e ambiente è già meno complesso se ce lo si immagina in senso funzionale70, là dove noi

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convincere che le qualità in tal modo acquistate, più che con lui erano connesse tra loro, anzi ciascuna di esse, se esaminava bene se stesso, non aveva più strettamente da fare con lui che con altri individui che a loro volta le possedessero». Da qui dipende il senso dell’espressione “senza qualità”, come denuncia della perdita dell’io, per cui l’uomo senza qualità è in realtà una serie di qualità del tutto impersonali. Cfr. MOE, I, II, § 39, p. 150; tr. it. I, p. 166: «È sorto un mondo di qualità senza uomo». Cfr. MoE, III, III, § 35, p. 1000; tr. it. II, p. 1135: «Se si vuol poter riferire presto e bene ogni novità, bisogna che il nuovo non sia troppo diverso dal vecchio che già è noto. Nemmeno il genio fa eccezione». Qui si nota l’influenza delle teorie di Mach, cui Musil aveva dedicato la sua tesi di dottorato. Cfr. E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historischkritisch dargestellt, Leipzig 1883; tr. it. La meccanica nel suo sviluppo storico critico, a cura di A. D’Elia, Bollati Boringhieri, Torino 1968, p. 472: «Quando

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siamo abituati al fatto che la dipendenza sia già una reciprocità. Al massimo, però, senza filosofia ci si ferma a ciò che si è esperito e questo suona all’incirca nel modo seguente: Se noi cerchiamo di sottrarre a noi stessi ciò che è determinato dai tempi, rimane allora qualcosa di totalmente privo di forma, poiché anche quanto di più personale abbiamo si riferisce al sistema dell’ambiente in quanto deviazione. L’uomo esiste soltanto in forme, che gli sono tramandate da fuori. “Egli si leviga a contatto col mondo” è ancora un’immagine troppo tenue; si dovrebbe dire che egli si comprime nel suo stampo. L’organizzazione sociale offre al singolo in generale soltanto la forma dell’espressione e tramite l’espressione costui diviene uomo. L’immane atrocità … ineludibile … Di qui si può misurare quanto sia fatale l’errore di qualche spirito devoto, oggi ciò dipenderebbe più da una trasformazione dell’uomo che dalle sue forme di organizzazione. In secondo luogo noi cerchiamo un esempio e cerchiamo di costruire l’avvento di una nuova epoca. Ci sono moltissimi poligami clandestini tra noi, ma ufficialmente e anche in coscienza molti di questi sono per la monogamia (secondo la ricetta: regola con eccezioni tollerate, ciò domina tutta la nostra morale71). Già questa è una condizione precaria e sarebbe pensabile che [in una situazione di indebolimento dei partiti conservatori e della Chiesa] all’improvviso la propaganda di un riformatore risoluto possa indurre una modifica delle leggi contro il matrimonio, da cui verosimilmente ci sarebbero da aspettarsi le innovazioni spirituali più profonde. “Sarebbe pensabile”, però, significa: tra l’altro si dovrebbe [ ]72, dovrebbe essere prescritta l’emancipazione della donna, la socialdemocrazia con le sue vecchie rivendicazioni dovrebbe voler fare qualcosa di serio, questo presuppone

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parliamo di causa e di effetto, noi mettiamo arbitrariamente in evidenza quegli aspetti sul cui rapporto poniamo attenzione in vista di un risultato per noi importante. Ma nella natura non vi è causa né effetto. La natura è qui e ora». MoE, III, III, § 11, p. 747; tr. it. I, p. 846: «Il solo contrassegno fondamentale della nostra morale è che i suoi comandamenti si contraddicono. La più morale di tutte le sentenze è: l’eccezione conferma la regola». Nel testo originale figurano queste parentesi quadre lasciate vuote dall’autore.

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a sua volta cambiamenti della situazione economica, le cui proporzioni non sono immaginabili, non è prevedibile se i giornali soffocheranno tali movimenti sul nascere o se ne faranno oggetto di rivendicazione: in altre parole l’inizio di un’epoca dipende da mille casi. Se fosse tutto qui forse alla fine verrebbero esclusi i rinnovamenti spirituali, poiché con “riforme” l’uomo non diviene qualcosa d’altro se esse non si trovano nella direzione di una vasta corrente di energia spirituale, che dipende essa stessa da un milione di casi. Coincidenza casuale di molti fatti. Se essa manca, la propaganda è un fenomeno del tutto trascurabile. 5. Questa prospettiva dell’accadere storico è chiaramente antieroica73; essa è una filosofia piccolo borghese: piccole cause, grandi effetti74. In verità la filosofia della storia delle grandi cause con il bel pathos del pensiero è soltanto apparentemente eroica. Poiché essa non assume i fatti così come sono75. La traiettoria della storia non è quella di una palla da biliardo. Essa assomiglia piuttosto alla traiettoria delle nuvole che patisce

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Cfr. MoE, II, II, § 121, p. 646; tr. it. I, p. 734: «Senza dubbio è uno sviluppo conforme alle leggi: qualcosa si muove e io credo di sapere che cos’è: l’epoca delle grandi individualità sta per finire!». È chiaro che il bersaglio polemico cui si rivolge Musil è Hegel. Cfr. Wissenschaft der Logik II, in Werke in zwölf Bänden, a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1969, vol. VI, p. 228; tr. it. Scienza della logica, a cura di A. Moni (riv. da C. Cesa), Laterza, Roma-Bari 20048, vol. 2, p. 635: «è una spiritosaggine di cui si è presa l’abitudine nella storia, quella di far nascere grandi effetti da piccole cause, e di addurre qual prima causa di un avvenimento di vasta e profonda portata un aneddoto». Cfr. MoE, I, II, § 62, p. 248; tr. it. I, p. 279: «Ci son dunque due conformazioni mentali che non si combattono solamente, ma di solito, il che è peggio, coesistono l’una accanto all’altra senza scambiar parola, tranne l’assicurarsi reciprocamente che sono tutt’e due utili e opportune, ciascuna al posto suo. L’una si accontenta di essere esatta e si attiene ai fatti; l’altra non se ne accontenta, ma guarda sempre all’insieme e deriva la sua conoscenza dalle verità cosiddette grandi ed eterne».

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l’influsso di così tante circostanze che in ogni momento una nuova può modificarla. Assomiglia all’uomo … ogni passo con necessità, ma senza necessità dell’intero76. (!) Questo mostra: dove sono io. L’eroico dunque è da cercare in questo: le leggi non si possono cambiare, ma le situazioni sì! Il fatto dipende dai casi, ma il suo effetto a lungo termine è stabile.

II. Il teorema dell’assenza di forma nell’uomo Porre nettamente in contrapposizione: diversi sostrati come cause. Un sostrato e ogni giorno, ogni decisione come una causa.

Mi avvalgo di alcuni pensieri, che – se dovessero essere corretti e venissero portati a termine – potrebbero essere indicati come un teorema dell’assenza di forma nell’uomo. Sosterrò che un cannibale, trapiantato da piccolo nell’ambiente europeo, verosimilmente diverrebbe un buon europeo77 e il sensibile Rainer Maria Rilke sarebbe diventato un buon cannibale, se un destino a noi avverso l’avesse gettato da piccolo tra la gente del Mare 76

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Si tratta della formula che meglio riassume la nuova idea di necessità, a un tempo capace di includere e di rimanere indipendente dall’idea di una concatenazione causale deterministica. Di nuovo, il grande avversario è la filosofia della storia hegeliana. Su questo tema cfr. R. Musil, Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1051; tr. it. Spirito ed esperienza, cit., p. 93: «la triade hegeliana di tesi, antitesi e sintesi: che invece è inapplicabile proprio là dove fu applicata da Hegel, cioè nella sfera razioide». La figura del cannibale come estremo opposto rispetto alla civiltà europea torna come termine di confronto in MoE, II, II, § 102, p. 485; tr. it. I, p. 551: «ma quando un cannibale secondo un certo rituale religioso divora un nemico della sua tribù, semplicemente non sappiamo che cosa si svolga dentro di lui».

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del sud. Io penso la stessa cosa di un neonato ellenico del IV sec. a.C., che per miracolo fosse stato affidato a una bambinaia nell’anno 1923 a Kurfürstendamm78 o di un giovane inglese che fosse regalato a una madre egizia del 5.000 a.C. Come si vede è ben difficile dimostrare una tale credenza, tuttavia però ci sono delle ragioni che potrebbero sostenerla. Mi ricordo di un piccolo aneddoto stimolante che Wilhelm von Humboldt raccontò nel resoconto indescrivibilmente esteso del suo viaggio nell’Orinoko79. Da qualche parte lungo la strada del ritorno aveva preso a suo servizio un giovane indiano che si mostrò non soltanto incredibilmente intelligente e abile nella cura di alcuni strumenti complessi, ma che si distinse anche per via del suo comportamento mite e gradevole. Ma non appena altri indiani si allontanarono da lui timorosamente, dal momento che costui durante il pasto delle scimmie aveva parlato in maniera troppo eccitata di stimolazioni comparate di vari palmi della mano arrostiti, risultò che il pellegrino apparteneva a un ceppo malfamato di cannibali. Sono convinto che anche le sue funeste esternazioni gastronomiche, prescindendo dal loro truce contenuto, siano state particolarmente sensibili e delicate (moderate); per lo meno i ricordi degli appunti, che io – se non vado errato – mi sono preso dal libro sull’Africa di Frobenius80, vanno nella stessa direzione. Lì si parla di bambini rubati che sono stati educati insieme ai loro stessi figli e che sono stati ingrassati delicatamente per servire un giorno come offerta in una cerimonia religiosa e occorre soltanto pensare alla delicatezza tra loro insolita, anzi alla tenerezza con cui i nostri rozzi contadini allevano un giovane maiale che essi però un giorno macelleranno per

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Si tratta di un viale di Berlino, il cui nome deriva dai Principi elettori del Sacro Romano Impero, detti Kurfürsten. Cfr. Auf dem Orinoko: Eine Reise in die Aquinoktialgegenden des neuen Kontinents, in cui Alexander von Humboldt racconta il suo viaggio esplorativo del bacino del fiume Orinoko, che ebbe luogo nel 1800. L. Frobenius (Berlin 1873 – Biganzolo 1938) etnologo tedesco grande conoscitore e divulgatore del patrimonio delle culture africane. Musil si riferisce probabilmente al saggio Und Afrika sprach (Berlin, 1912), ma non si deve dimenticare che mentre Musil scriveva erano già usciti quattro dei dodici volumi di Atlantis – Volksmärchen und Volksdichtungen Afrikas (Jena, 1921-1928).

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comprendere l’ampiezza di una tale mescolanza di sentimenti apparentemente paradossale. In realtà anche in noi stessi, addirittura, possono essere difficilmente distinte tra loro con sicurezza crudeltà e delicatezza, gentilezza e prudenza, sottomissione e ribellione o centinaia di componenti di tali coppie di sentimenti. Come sa la psicologia comparata, le varie tipologie umane passano le une nelle altre in maniera fluida, e come sanno alcuni poeti anche la singola personalità morale è qualcosa di molto labile che reca in sé molte più possibilità di bontà e cattiveria di quante la tranquillità quotidiana lasci pensare81. Gli ultimi nove anni della nostra vita, credo, ci hanno insegnato di quanti eccessi di crudeltà – così come di reati contro la proprietà – siano capaci non soltanto i neuropatici nascosti, bensì anche uomini che rientrano perfettamente nella media. Naturalmente non si può intendere ciò soltanto nel senso di una teoria dell’ambiente che escluda tutto il resto: tuttavia la dipendenza dell’uomo dagli influssi del suo ambiente è straordinariamente grande. Io personalmente credo che in lui di per sé si trovino soltanto poche determinanti e che non sia possibile estirparle oggi in modo anche solo appena soddisfacente. Quel che si chiama temperamento – e che tuttavia non si può né classificare in maniera sufficiente, né spiegare – offre un numero limitato di tali disposizioni fondamentali che rimangono uguali nel corso della storia come mostra l’affinità tra la speculazione antica e quella attuale. Allo stesso modo le invenzioni dell’epoca primitiva come arco, nave, carri, per quanto si siano prese lunghi periodi di sviluppo, mostrano una straordinaria genialità di pensiero. Opere d’arte dell’età della pietra o la vita privata degli uomini dell’antico Egitto si rivolgono al nostro sentire in modo così vitale e preciso come le opere d’arte del nostro tempo e gli atteggiamenti che si sono perpetuati nei fatti della storia sono rimasti straordinariamente uguali82. In conclusione un flusso

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Cfr. MoE, III, III, § 37, p. 1020; tr. it. II, p. 1157: «Se io potessi disporre della stampa, della radio, dell’industria cinematografica, e magari di altri due o tre mezzi di cultura, m’impegnerei – come m’ha detto una volta il mio amico Ulrich – a trasformare in un paio d’anni gli uomini in cannibali». Cfr. MoE, II, II, § 83, p. 360; tr. it. I, p. 407: «la storia del mondo nasce esattamente come tutte le altre storie. Agli autori non viene in mente nulla di

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assai noto, vasto e costante di tradizione scorre lungo l’intera cultura occidentale e parte di quella orientale fino al nostro modo di esprimerci o agli stucchi delle facciate delle nostre case. Ciò che è cambiato e che giunge a consapevolezza come peculiarità dei tempi sembrano essere non gli uomini bensì i prodotti più impersonali (o sovrapersonali) della loro convivenza sociale83, e bisogna chiarire ciò che significa, press’a poco a differenza di quei modi di dire capziosi che parlano di un uomo gotico o di un uomo antico esattamente come causa dell’epoca gotica o dell’antichità, come la razza semplicemente si è trasformata in causa del singolo84. Non molto tempo fa ho cercato di ricondurre il vero rapporto del singolo con la sua espressione sociale alla formula seguente: piccola ampiezza dell’essenza interiore accanto a una grande ampiezza di manifestazione esteriore85. Senza negare che l’umanità abbia assunto forme molto diverse, cosa che sarebbe impossibile trascurare, anzi, partendo proprio da questo presupposto, si può affermare che ciò le sia accaduto in maniera quasi troppo semplice e che essa lo faccia con piccoli cambiamenti di natura, così come l’acqua si muove in tutte le direzioni per effetto del vento. L’abito fa il monaco, e alcuni monaci poi fanno di nuovo tali abiti, di modo che spesso la sequenza

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nuovo e copiano gli uni dagli altri». Il § 83 si intitola proprio “Le stesse cose ritornano, ovvero perché non si inventa la storia?”; a sua volta la prima parte del titolo “Seinesgleichen geschehen” dà il titolo all’intera seconda parte del romanzo. Cfr. MoE, I, II, § 28, p. 112; tr. it. I, p. 123: «Molta gente oggigiorno dà a quello stizzoso stupore il nome di intuizione, dopo che per molto tempo lo si è chiamato anche ispirazione, e credono di dovervi vedere qualcosa di superpersonale; invece è esclusivamente impersonale, cioè l’affinità e l’omogeneità stessa delle cose che si incontrano in un cervello». Tale constatazione conduce inevitabilmente a un mutamento di prospettiva in ambito morale. Cfr. MoE, I, II, § 39, p. 150; tr. it., I, p. 166: «Oggi invece la responsabilità ha il suo punto di gravità non più nell’uomo ma nella concatenazione delle cose». L’uomo gotico come chiave di lettura del lasso di tempo successivo all’antichità compare già in R. Musil, Das hilflose Europa, in GW, VIII, pp. 1077; tr. it. p. 109. Il riferimento, ancora una volta, è al saggio Das hilflose Europa, in GW, VIII, pp. 1081; tr. it. p. 111: «la formula per riassumere queste esperienze dovrebbe suonare più o meno così: grande elasticità nelle proprie manifestazioni esteriori, scarsa elasticità interiore».

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viene invertita86: è un gioco di scambio inestricabile di dare e ricevere tra l’uomo e il suo mondo, sostanzialità e caso, impeto e coercizione, Io ed espressione, ciò ha prodotto le diverse fisionomie caratteristiche del tempo. Proprio l’assenza di forma della propria attitudine costringe gli uomini ad assumere forme, caratteri, costumi, morale, stile di vita e l’intero apparato di un’organizzazione. Si è detto notoriamente che nella nostra epoca delle macchine le macchine regnano sugli uomini87 e ciò è stato offerto come spiegazione degli orrori della guerra e della politica: questo è molto vero; potenza e impotenza si ricongiungono qui88. L’immane ferocia della nostra politica e della forma di organizzazione economica, che fa violenza ai sentimenti del singolo, è a tal punto ineludibile proprio perché questa organizzazione dà allo stesso tempo al singolo in generale una piattaforma e la possibilità di espressione. Dunque si può dire che l’uomo diviene soltanto attraverso l’espressione e questa si plasma nelle forme della società. (Si tratta propriamente di una simbiosi). Questa è un’altra prospettiva rispetto a quella che spiega l’uomo come un semplice punto di incrocio determinato di razze o come caso particolare di epoche e culture. Il prestigio della necessità, che rende così pompose le altre culture, sembra mancare alla nostra, e la sua legge della storia mondiale propriamente non è altro che il principio dello Stato del “tirare a campare”89 nella vecchia Austria. 86

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Cfr. ivi, pp. 1081; tr. it. p. 111: «Non dobbiamo sempre pensare che l’uomo faccia ciò che è. L’uomo diventa ciò che fa (e perché lo faccia, lo sa Iddio). Il monaco fa l’abito, ma anche l’abito fa il monaco». Cfr. MoE, I, I, § 11, p. 40; tr. it. I, p. 40: «la matematica è l’origine di un perfido raziocinio cha fa, sì, dell’uomo il padrone del mondo, ma lo schiavo della macchina». Cfr. MoE, I, II, § 40, p. 154; tr. it. I, p. 171: «Ogni progresso è un guadagno nel particolare e uno smembramento nell’insieme, c’è un aumento di potenza che sbocca in un progressivo aumento d’impotenza, e non lo si può negare». La locuzione traduce “Fortwursteln”, termine chiave per comprendere l’atmosfera spirituale della Cacania. Cfr. MOE, I, II, § 54, p. 216; tr. it. I, p. 243: «Tu predichi la filosofia del governo austriaco: tirare a campare! Forse non è cattiva come tu credi, – ribatté Ulrich. – Il bisogno appassionato di precisione, di rigore, di bellezza può arrivare a far concludere che il tirare a campare val meglio di tutti i conati dello spirito nuovo!». Cfr. MoE, II, II, § 83, p. 361; tr. it. I, p. 408: «la legge della storia – gli venne in mente – non è altro che il principio del “tirare a campare” nella vecchia Cacania». Sul tema del “tirare a

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Il cammino della storia non è quello di una palla da biliardo che, una volta data la stoccata, corre lungo una traiettoria determinabile, bensì somiglia al cammino delle nuvole90, che certamente procede anche secondo le leggi della fisica, e però tramite queste subisce altrettanto bene l’influsso di qualcosa che si può designare soltanto come un incontro di fatti; dunque in generale il vento soffia da est verso ovest, perché ad est si trova un massimo di pressione atmosferica e ad ovest un minimo, ma il fatto che tra i due si trovi un certo luogo, il fatto che nei paraggi nessun gruppo montuoso modifichi la direzione o che entrino in gioco influssi contrapposti, tutte queste circostanze che costituiscono il tempo atmosferico, anche quando risultano calcolabili, nel loro incontrarsi assieme sono propriamente fatti e non leggi. Allo stesso modo accade che un uomo passeggi lungo la strada e qui venga attirato da alcune ombre, là da un gruppo, poco più avanti da uno strano taglio delle facciate, e che un altro uomo incroci “per caso” il suo cammino e gli confidi qualcosa che lo convinca a incamminarsi lungo una determinata strada – e alla fine costui si ritrovi in un punto che né conosce, né intendeva raggiungere, così ogni passo di questo cammino accade con necessità, ma la sequenza di queste singole necessità è priva un nesso concatenante. Il fatto che all’improvviso sia qui dove sono è un fatto, un risultato e se si dice che ciò è necessario perché alla fine tutto ha

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campare” in Musil cfr. A. Vagliani, Musil e gli ordini della realtà, in Anima ed esattezza, a cura di R. Morello, Marietti, Casale Monferrato 1983, p. 80: «Il Fortwursteln è la legge della storia e della vita umana, dell’autoabolizione del reale. Chi l’accetta, accetta che la realtà si abolisca da sola». Cfr. MoE I, II, § 69, p. 289; tr. it. I, p. 326: «Vede bene, dunque, che la realtà si abolisce da sola». Cfr. anche MoE, IV, III, § 50, p. 1129; tr. it. II, p. 1279: «Dissi una volta che la realtà si abolisce da sola». Questa metafora tra la storia e il cammino della nuvola, che costituisce il fulcro della teoria dell’assenza di forma, ritorna con le medesime parole in MoE, II, II, § 83, p. 361; tr. it. I, pp. 408-409: «Il cammino della storia dunque non è quello di una palla di biliardo che una volta partita segue una traiettoria, ma somiglia al cammino di una nuvola, a quello di chi va bighellonando per le strade e qui è sviato da un’ombra, là da un gruppo di persone, o da uno strano taglio della facciata, e giunge infine in un luogo che non conosceva e dove non desiderava andare. L’andamento della storia è un continuo sbandamento. Il presente è sempre un’ultima casa al margine, che in qualche modo non fa più completamente parte delle case della città».

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le proprie cause, ciò assume il carattere di una salvaguardia della causalità, ma essa è davvero inservibile, perché noi non l’adempiremo mai91. Il singolo uomo, gli eventi storici, le nazioni e le culture assumono tale carattere fattuale, individuale, divenuto, trascorso (anche nel secondo senso della parola) come una mescolanza di tipologie. Ciò mostra che la questione dell’uomo europeo, ossia “chi sono io?”, propriamente significa: “dove sono io?”. Non si tratta di una fase di un processo regolato secondo leggi, né di un destino, bensì semplicemente di una situazione. Non si possono cambiare le leggi; ma le situazioni in questo senso sì, benché molte leggi immanenti abbiano contribuito ad esse. Affermare che la teoria dell’assenza di forma sia una filosofia della bassezza. Contro falsi pathos, grandezza e sublimità filosofiche! Spengler appare sublime92! (Canarini). Ogni concezione dev’essere sublime, tale è la pretesa primaria di questa gente. Eventualmente alla fine della parte III. Non deve cambiare lo Stato, bensì l’uomo! Fattori attivi e passivi dalla parte III?

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Cfr. id., Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, pp. 1056-1057; tr. it. p. 100: «In realtà le cause si perdono sin dai primi anelli della catena nella vastità dell’infinito. Nel campo della fisica abbiamo trovato un rimedio (il concetto di funzione). Nel campo dello spirito siamo del tutto impotenti». Per sopperire a tale mancanza Musil escogita una nuova idea di necessità, connessa all’idea di situazione e non di concatenazione. L’idea di una “necessità senza legge” emerge già nel saggio Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1081; tr. it. p. 112. Sul tema si veda L. Mannarini, Il primato della teoria, Shakespeare and Company, Milano 1984, p. 46. Cfr. la conclusione del saggio Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, p. 1059; tr. it. p. 103: «A Oswald Spengler dichiaro pubblicamente, in segno di affetto: se altri scrittori fanno un minor numero di sbagli, è solo perché non hanno l’apertura mentale su entrambe le sfere capace di contenerli tutti».

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III Situazione della nostra generazione (la nostra generazione e l’assenza di forma) Non voglio fare come se estraessi magicamente un coniglio dal cilindro, mentre sono stato io stesso ad avercelo inserito prima. Confesso che tutti questi pensieri non sono altro che impressioni suscitate in me dalla nostra stessa vita, a partire dalle quali io mi sforzavo di ampliarli nel corso di diversi tentativi. Adesso intendo parlare del materiale originario delle impressioni. Allo sguardo che cerchi di far tornare i conti si offre un primo appiglio nel periodo che precede di poco l’anno 1900; i più vecchi tra noi l’hanno vissuto direttamente, i più giovani sono cresciuti spiritualmente sotto l’influenza immediata di questo periodo. Era un tempo di grande attività etica ed estetica. Si credeva nel futuro, in un futuro sociale e in una nuova arte. Gli si conferiva spesso un sembiante di malessere e di decadenza: entrambe queste determinazioni negative, tuttavia, erano soltanto l’espressione occasionale per la volontà di essere altro e di fare altro rispetto all’uomo del passato; si credeva nel futuro, si voleva suscitarlo: anche là dove ci si era abbandonati con piacere all’idea di un imminente tramonto epocale con il cambio di secolo, si voleva approfittare di questo lasso di tempo per lo meno per le celebrazioni di demoni e immoralismi, che oggi semplicemente compaiono nella forma di vecchi mobili di un rosso demoniaco. Noi però siamo debitori a questi anni di tutto ciò che in generale oggigiorno è ancora presente come tentativo di levarsi al di sopra del filisteismo dell’età di Heyse93. Si confronti tutto ciò con l’atmosfera di tramonto come si mostra oggi: essa appare grigia, funerea, avvilente e triste. Piacere, volontà, speranza, una condizione di forza in parte immaginaria, in parte effettiva distinse ogni tempo dal nostro. Un tempo si era anche internazionali e si rifiutava sommariamente lo Stato, la Nazione, la razza, la famiglia, la religione, dal mo93

Paul Johann Ludwig von Heyse (Berlino 1830 – Monaco di Baviera 1914), scrittore, drammaturgo e poeta tedesco, tradusse in tedesco Foscolo, Leopardi, Manzoni e molte opere di Shakespeare. Sostenitore della politica bismarckiana.

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mento che si resisteva contro tutte le connessioni che ci si era accollati. Inoltre si credeva nel progresso, nella vita spirituale, in generale nel valore dell’opera: un tempo siffatto è sempre connotato in senso internazionale. Poiché un tempo il progredire spirituale dell’umanità ha sempre condiviso i propri passi tra le diverse nazioni, e soltanto un’epoca priva di vitalità può essere spiritualmente nazionale e conservatrice; un tempo siffatto vuole conservare perché ha perso la speranza. Questo è il secondo risultato di tale confronto. Ciò vale tanto per la Germania quanto per la Francia. Se però si sottopone a verifica ciò che davvero è stato prodotto, allora forse si mostra un piccolo eccesso di talento, ma di scarsa importanza, poiché da una parte era l’effetto delle grandi capacità – Nietzsche per esempio all’epoca era già una ripercussione e d’altronde le stesse persone sono in parte attive ancora oggi. Riguardo all’unità del volere, all’epoca vi erano però le stesse illusioni come in seguito nell’espressionismo. Esse si incrociavano tra loro come tendenze massimamente contraddittorie. Il culto degli eroi di Nietzsche e Carlyle si incontrò con il socialismo che in quel tempo aveva un tenore letterario superiore rispetto a oggi. La decadenza aveva come contraltare la freschezza della natura. Il tardo romanticismo di un Emerson si accordava con il culto delle macchine di una giovane generazione. La poesia conteneva realisti accanto a raffinati, immoralisti accanto al moralismo glaciale di George94, panteisti accanto al cattolico Rilke, l’idea di un romanzo sperimentale pseudo scientifico accanto a un’avversione dichiarata al pensiero che si consolava per il fatto che il poeta dovesse agire immediatamente sul sentimento e che ricevesse immediatamente la propria ispirazione dal sentimento. Ciò che è successo da allora non era altro se non che questi fili annodati singolarmente si sono sfilati dal loro fascio95. Ne è rimasto

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Stephan George (Büdesheim 1868 – Minusio 1933), poeta tedesco, autore di celebri raccolte di poesie. Tradusse in tedesco Dante, Shakespeare e Baudelaire. Cfr. MoE, I, II, § 63, p. 263; tr. it. I, p. 296: «E adesso ti spiegherò – riprese Ulrich sorridendo – perché pur sentendo per Moosbrugger tutto quel che si vuole, non si possa però fare niente per lui. In fondo questi casi sono come un capo di filo sciolto: se si tira, tutto il tessuto sociale si disfa».

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in parte un numero mediamente molto piccolo e limitato di personalità spirituali, in parte – in ordine di successione – i movimenti del neoromanticismo, del neoidealismo e dell’espressionismo. Tutti quelli – senza voler sottovalutare questi ultimi – che hanno prodotto qualcosa di grande valore, erano più deboli per intensità e ampiezza rispetto ai movimenti originari e non contenevano niente, che non fosse già presente – benché affermato debolmente – anche in questi. Se si vuole discutere di questo, si deve dire che è cambiato assai poco sul piano spirituale sostanziale, piuttosto si deve dire che originariamente in questa confusione spirituale, detto in senso figurato, era presente una specie di condizione polarizzata, un illusorio stato di equilibrio, che più tardi si dissolse e che all’epoca dell’espressionismo fu rimpiazzato attraverso uno nuovo ancor più fiacco, e oggi ci ha nuovamente abbandonato, dopodiché rimane una “condizione ancor più caotica”, un miscuglio privo di vitalità come tra due lastre di ferro in un campo non magnetizzato. Personalmente credo che non manchi molto a che noi sprofondiamo nuovamente nella condizione intorpidita della cultura tedesca prima del 1890. Sarebbe sufficiente forse un breve blocco della depressione politica ed economica; le più rozze manifestazioni capitalistiche si fanno già palpabili nell’ambito dello spirito e i concetti critici come le posizioni ideologiche sono ormai spuntati96. C’è la possibilità di credere a nascoste pulsazioni dello sviluppo come sistole e diastole della forza creativa dei tempi e che possano spiegare il fatto assai rilevante per cui la nascita dei grandi spiriti – per esempio i grandi compositori tedeschi o i maestri della pittura italiana – si concentri in un lasso di tempo molto ristretto in proporzione (Stendhal). Verosimilmente, però, una simile spiegazione non è poi molto lontana dall’oscurità dell’occultismo. Infatti, che cosa dovrebbe essere il sostrato di questa pulsazione? È del tutto naturale, se la si intende come uno di quegli avvenimenti sociali complessivi ad alto livello, che si costruiscono e si dissolvono in virtù 96

Cfr. id., Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1076; tr. it. p. 104: «Ci sono mancati i concetti per far entrare in noi ciò che abbiamo vissuto. […] E ci è rimasta soltanto un’inquietudine piena di stupore, come se l’esperienza da noi vissuta avesse cominciato a generare delle vie nervose, recise troppo presto».

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di mille cause diverse, e che noi non potremmo mai computare interamente. Oppure si tratta di una tendenza naturale sempre oppressa da una serie di circostanze, ma che in condizioni favorevoli si sviluppa all’istante? Noi ci interroghiamo, tuttavia, attorno ad alcuni motivi che per noi sono ancora presenti! Adesso vi è l’economia in crescita di un nuovo regno che lascia spirito di impresa commerciale anche per oggetti spirituali. L’inizio di un nuovo sviluppo politico non è più così lontano e il pensiero che di ciò faccia parte anche una nuova cultura tedesca potrebbe affacciarsi alle menti dei giovani. Ci si era incamminati in fila con gli altri Paesi e si cercava, accogliendo ma con coscienza, di carpire il meglio dalle loro culture. Mi sembra abbastanza ozioso enumerare ancora altre ragioni, trattandosi più o meno di estrapolazioni da esperienze private applicate alla vita di un vasto corpo sociale, che non possono essere rese perfettamente obiettive, ma prima di tutto non possono mai collimare totalmente con lo stato di fatto. Come si intende spiegare, per esempio, l’esistenza in certi precisi istanti di un direttore teatrale come Brahm97? Di un editore come S. Fischer? Di un venditore di quadri come P. Cassirer98? In breve la presenza dell’uomo giusto al posto giusto./ Eppure la bramosia generale porta più gente verso l’alto; ne rimangono pochi: in altri tempi però proprio nessuno./ Ci troviamo di fronte a un dilemma di grande importanza. Senza dubbio ogni movimento spirituale (Impressionismo, Naturalismo, Moderni) – per quanto possa rimanere per sé oppure aperto come un’onda in un movimento più grande – sarà stato degno di accreditarsi come un evento storico o di piccola portata. In ognuno di questi, dunque, ci sono migliaia di funzioni di diverso grado d’importanza da occupare con uomini adeguati affinché si realizzi. Tutte queste funzioni alla fine sono così ineludibili come quelle dei funzionari rappresentativi e l’esperienza mostra che anch’esse non sono affatto semplici

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Otto Brahm (Amburgo 1856 – Berlino 1912), esponente del naturalismo tedesco, si oppose all’influenza scenica francese, ispirandosi ai classici per costituire un teatro nord-europeo. Paul Cassirer (Berlino 1871 – Berlino 1926), collezionista d’arte tedesco, promosse le opere, tra gli altri, di Van Gogh, Cézanne e degli artisti della Berlin Sezession.

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da occupare. Dove sta il limite tra le personalità storiche e le loro circostanze99? (In definitiva si può porre la questione anche nei termini seguenti: che cosa sarebbe diventato il grande uomo in un’altra epoca?100). Qui si tratta di una coincidenza che non ha né una causa complessiva, che noi non possiamo immaginarci, ma che possiamo rivestire con il bel nome di spirito di un’epoca, né di una situazione resa complessa da così tante cause che noi non possiamo scomporla integralmente. In favore di ciò parla anche la sua condizione precaria e il suo rapido dissolversi. Noi sappiamo: “c’entrano così tante cose” che non possiamo calcolarle. In definitiva però ci sono avvenimenti eccezionali e avvenimenti di tutti i livelli dagli eccezionali fino a quelli che si ripresentano regolarmente. Ci sono però anche fattori attivi e passivi nella storia; ciò che non subentra di per sé, si può suscitare. Ciò che qui viene detto in generale di questo tempo si riferisce a una sottile striscia di uomini e di interessi e intorno ad esso vi è l’intero apparato dominante dei dispositivi e della quotidianità, che reca in sé le tracce di una vita millenaria ormai passata, come una pietra fossile. Nell’esistenza di una Clearinghouse101 si nascondono grandi contraddizioni passate in relazione alla sua ammissibilità, scontri tra idee economiche e politiche; un amalgama di un numero incalcolabile di ideologie irraggia i muri delle nostre strade: il movimento di cui parlo è penetrato nella massa soltanto in singole parti, non nel suo nucleo migliore, e la massa si è chiusa di nuovo sopra di esso, i fattori attivi della storia modificano pochissimo quelli passivi, profondono la loro energia e sprofondano in essi. Così una condizione spirituale polarizzata trapassa in una diffusa. Ciò che noi qui abbiamo visto in piccolo si mostra in maniera 99

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Cfr. MoE, II, II, § 90, p. 410; tr. it. I, p. 464: «Di fuori, dal mondo articolato, viene una forma finita, una parola, un verso, un riso demoniaco, oppure Napoleone, Cesare, Cristo, o magari soltanto la lacrima sulla tomba dei genitori: ed ecco sorgere, in fulminea connessione, l’opera». Cfr. MoE, II, II, § 85, p. 380; tr. it. I, p. 430: «Peccato – commentò Ulrich – le tue intenzioni son degne di un Napoleone, ma non hai scelto il secolo adatto!». Organismo che gestisce e garantisce l’esito di tutte le transazioni sul mercato finanziario.

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analoga nei grandi esempi, un po’ come il sorgere e il tramontare della Scolastica. Quale ruolo gioca dunque l’ideologia in tutto questo? Essa è soltanto un sughero che galleggia in superficie, dal cui movimento inspiegabile si possono intravedere movimenti ancora più inspiegabili delle masse sottostanti, oppure deve esserle attribuito un ruolo più importante? (IV: Ruolo dell’ideologia per la vita quotidiana. Essa mostra questo carattere e vi dà forma. Se l’ideologia viene impiegata nel suo significato: attorno al 1900, non c’era alcuna ideologia, ma una traccia di essa certamente sì; la condizione attuale. Sintomi ideologici)

IV. (a. Ruolo dell’ideologia per la vita) L’ideologia è l’anima della vita, anche della vita quotidiana. Essa non mostra soltanto il proprio carattere, ma lo plasma anche. Ancora oggi. Ciononostante l’intero mondo si fa beffe di essa. Ideologia è: ordine pensato dei sentimenti102; un nesso obiettivo tra sentimenti che agevoli quello soggettivo103. Questo nesso può essere filosofico o religioso o una mescolanza tradizionale dei due. Questa definizione non è completamente esatta, ma presta un buon servizio. Sarebbe pensabile un ordine dei sentimenti, una compiuta strutturazione della vita psicologica – come Nietzsche a volte ha reclamato – a partire da tradizione e istinto, ma senza un sistema di pensiero a sostegno. Anche questo prenderebbe il nome di ideologia, benché non ce ne siano più. Ma l’esperienza insegna che senza 102

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Cfr. MoE, III, III, § 38, p. 1028; tr. it. II, p. 1166: «La morale è l’ordine e l’unità del sentimento». Per il ruolo del sentimento cfr. MoE, IV, III, § 57, p. 1194; tr. it. II, p. 1353: «La divisione del lavoro venuta più tardi si può ancor oggi esprimere ottimamente così: i sentimenti fanno senza la conoscenza ciò che noi faremmo con la conoscenza se potessimo mai fare qualcosa con un impulso diverso dalla conoscenza». Cfr. MoE, IV, III, § 53, p. 1149; tr. it. II, p. 1302: «Il popolo non ha logica, ma deve sentirla al di sopra di sé».

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“dottrina” tali ordinamenti di vita non si danno da nessuna parte – né in chiave storica, né in chiave etnologica. Non dev’essere sistematica; a volte essa è ridotta in frantumi e aforistica, come lo era la dottrina di Cristo e quella dei sapienti cinesi. (Ciò che si percepisce in una prospettiva ravvicinata della vita sociale come una tale “sicurezza del sangue” è soltanto relativamente istintivo in ragione di un sicuro legame tramite pensieri sociali). Vorrei accennare al ruolo significativo che si addice all’ideologia nella vita. A partire da una pura induzione, semplicemente a partire dai fatti, non è mai possibile costruire una teoria nelle scienze della natura puramente razionali104; mai a partire dal singolo caso viene trovata la legge normativa generale senza l’aiuto di un pensiero che procede in direzione opposta, che all’inizio racchiude sempre un atto di fede, di fantasia, di congettura; hypotheses non fingo già presso Newton105 era un errore, come mostra la moderna critica dello spazio106. Per la vita pubblica e privata è necessario un ambito molto più ampio di fede, di ipotesi, e prima di tutto di supposizioni; senza tutto questo l’uomo potrebbe a stento alzare il braccio o muovere un dito, poiché la vita più semplice – passare accanto a un mendicante, l’amicizia o l’inimicizia verso un dipendente, la scelta di uno svago – è piena di decisioni, ciascuna delle quali richiederebbe più di un anno, se la ragione dovesse motivarle senza il minimo dubbio. Inoltre, ogni giorno per di più giunge il momento in cui l’uomo deve incrociare le braccia, e allora tutto il suo agire cadrebbe come cenere in un vuoto senza fondo, se non fosse tenuto insieme dalla sicurezza di aver fatto la cosa giusta e di essere semplicemente vuoto tra due riempimenti, come 104

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Cfr. MoE, I, II, § 62, p. 256; tr. it. I, p. 288: «non si dimentichi che la mentalità scientifica è in fondo più religiosa di quella umanistica». Cfr. I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, in Opere, vol. 1, UTET, Torino 1997, pp. 801-802: «in verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni, va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche». Questo tema trova una discussione più approfondita in R. Musil, Geist und Erfahrung. Anmerkungen für Leser, welche dem Untergang des Abendlandes entronnen sind, in GW, VIII, pp. 1062-1063; tr. it. pp. 85-87.

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un recipiente con il quale viene attinto. Perciò l’uomo è anche un metafisico molto più interessato di quanto egli oggi ammetta solitamente. Raramente lo abbandona un oscuro presagio sulla sua eccezionale situazione cosmica107. La morte, la piccolezza della terra, l’incertezza dell’illusione dell’io, l’insensatezza dell’esistenza che con gli anni si fa più pressante: tali sono le questioni che l’uomo comune respinge facendosene beffa e che tuttavia egli sente che circondano tutta la sua vita come le pareti di uno spazio oscuro108. Più che di ideologie si parla generalmente di connessioni che tengono assieme la vita dell’uomo. Se la vita è socialmente vincolata e individualmente è soltanto limitatamente dinamica, questo semplifica le cose. In ogni circostanza di vita a un cattolico credente o a un ebreo, a un ufficiale, a un membro di un’associazione studentesca, a un commerciante stimato o a un uomo di rango si presenta un numero di reazioni possibili più ristretto rispetto a uno spirito libero: questo risparmia e concentra la forza. Principi, linee guida, modelli, limitazioni sono accumulatori di forza. Per vedere come sarebbe privo di forma l’uomo senza di esse, si richiami alla mente semplicemente un processo come quello dell’amore; in esso come 107

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Cfr. MoE, II, II, § 108, p. 520; tr. it. I, p. 592: «finché si credeva nella religione si poteva buttar giù un buon cristiano o un devoto giudeo da qualsiasi piano della speranza o del benessere, egli sarebbe sempre caduto in piedi, per così dire, sui piedi della propria anima. Questo perché tutte le religioni nell’illustrare la vita che donavano all’uomo avevano previsto un resto incalcolabile e irrazionale che chiamavano l’imperscrutabilità di Dio». Da questo passo dipende quasi interamente il problema del sistema della felicità e dell’equilibrio collettivo così come viene discusso più diffusamente in MoE, II, II, § 109, pp. 522-530; tr. it., I, pp. 594-603, in particolare pp. 527-528; tr. it. 600, dove il “Credo ut intellegam” della Scolastica viene tradotto con “Signore mio Dio, concedi al mio spirito un credito di produzione!”. Quando quel credito viene meno, intere epoche e regni crollano come aziende commerciali. «La Cacania era il primo paese, nell’attuale periodo di evoluzione, al quale Iddio avesse tolto il credito». Poche pagine dopo (MoE, II, II, § 113, p. 551; tr. it. I, p. 627) Musil denuncia l’assenza di un mito, di un’antica religione o di un’epopea austriaca, tratto che sarebbe stato ripreso in H. Broch, Hofmannsthal e il suo tempo, cit., pp. 28-47. Cfr. MoE, II, II, § 69, p 289; tr. it. I, p. 326: «quello che si agita veramente in noi, in me almeno – attenzione: non voglio cercare nomi né spiegazioni – sta sempre in un certo contrasto con questa maniera dell’esperienza. Esso è cacciato via dal presente, in questa maniera non può diventare il presente».

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tale è determinata solamente la presa di possesso della femmina, ma l’intera complicazione, che noi chiamiamo amore, con tutti i suoi livelli, le specie e le sottospecie è determinata (benché in contraddizione rispetto a ciò) dalla convenzione sociale; i nostri stessi sentimenti si formano come liquido in recipienti che le generazioni hanno creato e la nostra assenza di forma viene raccolta da esse. b. Lo stato109 attuale Oggi la connessione principale è il lavoro110. Con l’indicazione del lavoro e una piccola aggiunta come dotato di talento o poco dotato, divertente oppure no, discreto o indiscreto, oggi è presto detto su un uomo tutto ciò in cui consiste la sua vita. Costui forse nelle sue ore libere colleziona francobolli, gioca a tennis o va dietro alle donne: egli però pratica anche questo come un lavoro amatoriale e perciò in maniera metodica e compiuta come se fosse una professione vera e propria. Al di fuori di queste connessioni l’uomo si piega su se stesso come una camera d’aria sgonfiata oppure se lo coglie un impulso estraneo, si deforma immediatamente lungo quella direzione. La fretta, l’isolamento nel lavoro, l’urlo dei giorni festivi coprono un’ansia profonda, che altrimenti si manifesterebbe111. Se si prende in considerazione il contenuto spirituale del presente, a cui più o meno ciascuno prende parte, ma sempre una parte assai eterogenea, si vede una confusione di pensieri, sentimenti e forze stabilizzatrici massimamente contraddittori. Lo stato112 ideo109

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“Zustand” nel testo: dunque “stato” nel senso di “condizione” – in minuscolo per distinguerlo da Stato. Cfr. MoE, III, III, § 10, p. 741; tr. it. I, p. 839: «Ma infine anche esternamente ciascuno ripete per tutta la vita la stessa identica azione: entra in un’attività professionale e seguita per quella via». Di qui l’idea di un “Io rarefatto” (MoE, II, II, § 90, p. 409; tr. it. I, p. 463) e più precisamente del fatto che, come si afferma in MoE, II, II, § 101, p. 474; tr. it. I, p. 538: «l’Io perde il senso che ha avuto finora, di un sovrano che compie atti di governo; noi impariamo a comprendere il suo divenire conforme alle leggi, l’influsso del suo ambiente, le varietà della sua costituzione, il suo sparire nei momenti di massima attività». Infatti, poiché le leggi sono la cosa più impersonale che esista al mondo, la personalità non sarà più ben presto che un immaginario punto d’incontro dell’impersonale». Vedi nota 109.

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logico è immensamente particolaristico, anzi addirittura individualistico113. Le componenti fondamentali delle grandi ideologie passate, come il Cristianesimo o il Buddismo, al pari di moltissime altre ideologie che sono state unificate in singole personalità filosofiche e artistiche, volteggiano, per così dire, in aria. Nessuna ideologia domina. Parti individuali vengono selezionate individualmente. Si potrebbe chiamarla una frammentarietà inesprimibile114. c. L’interpretazione consueta: Tutto questo si spiega mediante il fatto che le connessioni, che erano presenti in passato, o che avrebbero dovuto esserlo, sono state distrutte dallo sviluppo; così si è concluso lo scontro tra Stato e Chiesa, entrambi sono stati intimamente indeboliti, e sbarrano ancora la strada soltanto con i loro cadaveri; le connessioni dei ceti sociali si sono allentate e i loro membri si possono incontrare l’un con l’altro, la scienza ha distrutto la fede, il capitalismo ha dissolto le vecchie forme, senza averne ancora costruita esso stesso una nuova e così via115. E infine la guerra fu il fallimento di questa umanità sepolta. Tutte queste sono determinazioni negative ed essenzialmente negativi sono anche i rimedi che vengono suggeriti. È noto che la letteratura del nostro tempo è piena di rimedi. Ha riversato un mare di lamenti sulla nostra mancanza di anima, sulla nostra meccanizzazione, la nostra dimensione calcolante, mancanza di religione e le prestazioni rese dalla scienza come dall’arte vengono considerate come eccessi di questa condizione. L’uomo sa soltanto far di conto e le sue stesse prestazioni scientifiche decisamente im113

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Cfr. MoE, I, II, § 62, p. 253; tr. it. I, p. 284: «Perciò si filosofeggiava moltissimo al minuto, così le botteghe sono i soli luoghi dove si può comperare qualcosa senza una Weltanschauung, mentre regna una pronunciata diffidenza contro la filosofia all’ingrosso. La si ritiene semplicemente impossibile». Cfr. MoE, II, II, § 98, p. 451; tr. it. I, p. 512: «Dacché mondo è mondo nessuno è ancora morto per un nome impreciso, ma bisogna pure aggiungere che alla bimonarchia austro-ungarica austriaca e ungarica era successo tuttavia di essere stata rovinata dalla propria inesprimibilità». Cfr. MoE, IV, III, § 46, p. 1093; tr. it. II, p. 1238: «Si sarebbe detto che il tempo presente incominciasse a svalutare il singolo individuo, senza poter sostituire la perdita con nuove creazioni collettive».

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portanti non sarebbero altro se non eccessi di questo impulso calcolante. Socialismo a parte, la salvezza viene cercata in maniera assai generalizzata all’indietro; nel deviare dal presente. All’uomo vincolato vengono suggerite le antiche connessioni: fede, mentalità prescientifica, semplicità, umanità, altruismo, solidarietà nazionale, subordinazione all’apparato burocratico dello Stato: rinuncia all’individualismo capitalistico e al suo modello spirituale. Anche il socialismo è pieno di tutto questo. Si crede di dover salvare dalla caduta. d. Altra interpretazione: Molto raramente si riconosce che questi avvenimenti mostrano un nuovo problema, che non ha ancora una soluzione; non sono a conoscenza di un’idea che formuli questa problematica del presente una buona volta come un problema, di carattere nuovo e non come soluzione fallace. La varietà come qualità del futuro.

V. L’epoca dei fatti L’assenza di fede del nostro tempo significa, definita in positivo: il nostro tempo crede soltanto ai fatti. La sua idea di realtà riconosce soltanto ciò che è, per dir così, realmente reale. Una ideologia ufficiosa, che si è costituita. Si è instaurato il seguente percorso a scalare verso il basso: dapprima c’è stato un tempo che credeva semplicemente e fermamente in Dio. Poi venne un tempo che doveva dimostrarsi Dio tramite la ragione. Poi un tempo che si accontentava anche soltanto del fatto che la ragione non riuscisse a dimostrare niente contro di lui. E alla fine il nostro tempo, che crederebbe in Dio soltanto se potesse incontrarlo sempre in laboratorio116. 116

La provocazione di Musil dev’esser letta insieme a un passo del grande romanzo, all’interno del capitolo in cui Stumm si sforza di mettere ordine nelle vicende dello spirito, con l’intento di produrre una sorta di “foglio catastale

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Ora però si pensi all’occultismo. Esso sostiene o cose incredibili e le dimostra con riflessioni che per l’uomo colto sono altrettanto incredibili, oppure sostiene cose incredibili perché una cerchia ristretta di occultisti le ha viste. Suppongo che pochi uomini prestino attenzione a cose simili e lo fanno per questo motivo, ossia perché sono fantasticherie, e non fatti. L’evoluzione spirituale dell’umanità bianca, però, non rappresenta se non il grande modello complessivo di questo piccolo esperimento di vita. Si è mostrato che le riflessioni della ragione ingannano non appena i loro nodi vengano gettati troppo lontano nello spazio vuoto del pensiero, e d’altronde sorse una differenza considerevole tra i fatti accertati e quelli non accertati. Si sono fatte molte cattive esperienze prima di piombare nella fede nei fatti. Credo esclusivamente nei fatti non significa altro se non che voglio andare sul sicuro117. Il principio che è stato messo per iscritto il 21 dicembre 1613118, in base al quale la teologia deve cercare di spiegare la Bibbia in accordo con i fatti accertati delle scienze naturali – fece sì che Galileo avesse il fiato sul collo da parte dell’Inquisizione119. (Quando con i fatti si vada sul sicuro, a quali condizioni essi possano quindi valere effettivamente come fatti, e in quale involucro di soggettività essi rimangano comunque dei fatti, è una que-

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della cultura moderna”. Cfr. MoE, II, II, § 85, p. 377; tr. it. I, p. 426, a proposito dell’impossibilità di costruire concetti e giudizi se tutto passasse davanti una volta sola: «il grave imbarazzo che Dio procura alla scienza sta nel fatto che egli è stato visto una volta sola, e per di più alla creazione del mondo, prima che esistessero osservatori addestrati». Cfr. id., Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1084; tr. it. p. 116: «la razionalità, che era degenerata in speculazione, venne collocata di nuovo sul saldo suolo di Anteo dei fatti». Si tratta della celebre lettera di Galileo a Benedetto Castelli (XI, 960), scritta appunto il 21 dicembre 1613, in cui Galileo espone la propria interpretazione della Bibbia. Cfr. MOE, I, II, § 72, p. 302; tr. it. I, p. 340: «La Chiesa cattolica ha commesso un grave errore minacciando di morte un tal uomo [Galilei] e costringendolo alla ritrattazione invece di ammazzarlo senza tanti complimenti; perché il suo modo, e quello dei suoi simili, di considerare le cose ha poi dato origine – in brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia – agli orari ferroviari, alle macchine utensili, alla psicologia fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e ormai non possiamo più porvi rimedio».

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stione della filosofia che non dev’essere affrontata qui. Tuttavia vorrei soltanto non far passare sotto silenzio quanto sia privo di senso il beneamato rimprovero rivolto alla filosofia scientifica contemporanea, ossia di occuparsi soprattutto di questo problema). Sembra proprio che da principio sia stata una gran fortuna. Quel che oggi provoca stanchezza all’epoca recava in sé un grande slancio, come mostrano alcuni esempi storici; era uno spirito nuovo e non mancanza di spirito120; si era proprio stanchi della speculazione, il nuovo indirizzo di pensiero non risolveva per nulla le difficoltà con cui ci si era arrovellati, bensì le accantonava; cambiava la formulazione dei problemi, indicava un cambiamento nella direzione di interesse e un successo immane, che fin dal principio cominciò ad accompagnare le nuove formulazioni, trascinò con sé l’interesse sempre più avanti. In tal modo a cavallo del XVI e XVII secolo ebbe inizio la scienza naturale. Non si dimentichi che essa ha soltanto tre secoli, mentre la scolastica ha impiegato sette secoli per giungere alla propria sintesi in Alberto Magno e in Tommaso d’Aquino121. Naturalmente non si può pensare che un nuovo tipo di spirito rimpiazzi quello vecchio una questione dopo l’altra, bensì che sotto il mucchio e i cumuli del vecchio si sviluppi qualcosa di nuovo che cresca e si elevi sino a quando gli ultimi residui del vecchio rivestimento non cadano via. All’epoca della cosiddetta fine della scolastica il nuovo modo di pensare è ben lungi dall’esser già presente. Al contrario, uno strascico del vecchio si è conservato, da Descartes 120

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In Das hilflose Europa, a proposito della svolta scientifica, si parla della sensazione di una «restitutio in integrum», di «un furore della positività», di «una nuova esperienza redentrice». Cfr. Das hilflose Europa, in GW, VIII, pp. 1084-1085; tr. it. p. 116. Tommaso d’Aquino torna in un passo all’inizio de L’uomo senza qualità, proprio in relazione al rapporto tra sistematicità e progresso. Cfr. MoE, I, I, § 16, p. 59; tr. it. I, pp. 62-63: «Immaginò che il grande filosofo e teologo Tommaso d’Aquino, morto nel 1274, dopo aver con immensa fatica messo ordine nel pensiero del suo secolo, avesse ancora seguitato a perfezionare quel suo lavoro e solo ora ne fosse giunto al termine; ed ecco che, rimasto giovane per eccezionale favore, usciva adesso dal portale romanico di casa sua e un tram elettrico gli passava di carriera davanti al naso. L’attonito stupore del doctor universalis, come gli antichi chiamavano il grande Tommaso, gli mosse il riso».

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fino a Fichte, anzi addirittura fino ai nostri giorni122, benché in maniera del tutto formale nell’esistenza e ponendosi come obiettivo la costruzione del grande sistema del pensiero, mentre invece le scienze naturali dovrebbero percepire che la loro effettiva immagine di vita non viene coperta e garantita dalla filosofia123. Il rimprovero per cui il nostro tempo non sarebbe filosofico è orientato all’antica dignità filosofica abituata ai grandi sistemi deduttivi. Si possono caratterizzare tutti i sistemi dell’età filosofica moderna come potenti costruzioni logiche di pensiero su un sottilissimo fondamento di esperienza124; nessuno è privo di riguardo per lo sviluppo delle scienze empiriche. Se però si intende ottenere un sistema di tal genere, una vera visione del mondo, ciò comporta per prima cosa che si sia visto effettivamente il mondo, che si conoscano i fatti. Il più piccolo fatto che deriva dal nesso fra il carattere e l’equilibrio ghiandolare dischiude una visione sull’anima maggiore di un sistema idealistico di cinque piani. La critica kantiana alla cosa in sé: corretta, ma in questo senso [è] una delle questioni che vengono aggirate. D’altronde tutti questi fatti non sono conclusi, sono bensì appena dischiusi. Allo sguardo filosofico sono ancora molto eterogenei nella loro dimensione complessiva125. La filosofia è rimasta un po’ (!) indietro rispetto ai fatti e ciò ha indotto a credere che il pensiero rivolto 122

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Cfr. un’annotazione presente in R. Musil, Tagebücher, Aphorismen, Essays und Reden, a cura di A. Frisé, Rowohlt, Hamburg 1955, p. 438; tr. it. Diari, a cura di A. Frisé, Einaudi, Torino 1980, vol. II, p. 1142: «Tre secoli più tardi una simile serietà (Husserl), essendo un rinascimento, deve risalire a Cartesio. Da ciò che è contemporaneo non ricava più una serietà altrettanto severa». Cfr. MoE, I, I, § 16, p. 57; tr. it. I, p. 60: «E pensò con tenue meraviglia: a quei tempi, quando illustravamo un’idea, essa aveva un altro scopo oltre a quello di essere giusta – quello di illustrare noi!». Sul rapporto tra teoria e esperienza cfr. la metafora presente in MoE, II, II, § 83, p. 358; tr. it. I, p. 405: «infatti un pensiero che non ha uno scopo pratico è un’occupazione segreta un po’ indecente; soprattutto poi quei pensieri che fanno passi mostruosi sui trampoli e toccano l’esperienza solo con minuscole suole, suggeriscono il sospetto di un’origine irregolare». Cfr. MoE, II, II, § 102, p. 482; tr. it. I, p. 548: «Quando il sole del vecchio idealismo europeo incominciò a oscurarsi, e declinò lo spirito della razza bianca, molte fiaccole vennero passate di mano in mano – fiaccole d’idee, sa Iddio dov’erano state rubate o inventate! – e formarono qua e là l’ondeggiante lago di fuoco di una piccola comunità intellettuale».

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ai fatti sia qualcosa di antifilosofico: il fatto che non possediamo alcuna filosofia è però la corretta filosofia della situazione attuale! Non si potrebbe affermare tutto questo se non vi fosse la speranza che col tempo lungo la via dell’esperienza si giunga a risolvere i problemi fondamentali della speculazione, forse di risolverli aggirandoli, vedendoli sotto altri aspetti e perciò imparando a formulare le questioni in maniera diversa. La psicologia al pari della matematica e della fisica hanno guadagnato nuovi punti di vista attorno ai problemi dello spazio e del tempo, la struttura della materia è stata dissolta in una rete di nuove relazioni126, i problemi della vita e dell’individualità sono stati in parte sottratti all’oscurità, anzi addirittura nel caso di un problema di carattere così specificamente metafisico, come quello della trasformazione del mondo fisico in quello psichico, si è delineata una soluzione di portata straordinaria per mezzo dell’applicazione della teoria originariamente psicologica della Gestalt127 a fisica, chimica fisica e fisiologia. È insito nella natura della cosa, dei fatti, che una tale ricerca, rivolta a un continuo sviluppo, rimanga perennemente aperta; il sapere empirico non può essere portato a compimento. Forse però una padronanza dell’ambito metafisico tale da avvicinarsi alla padronanza dell’ambito fisico raggiunta oggi significherebbe comunque un certo progresso rispetto al grado di compiutezza conseguito fino ad ora dalla filosofia! In seguito, nel corso del tempo, i sistemi naturalmente si soppianterebbero l’uno con l’altro, né accadrebbe qualcosa di diverso nell’ambito delle scienze naturali, esse però sarebbero potentemente fondate e cambierebbero unicamente allo scopo di dare spazio a nuove certezze. Potrà sembrare una fantastica utopia128, ma … Di-

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Cfr. id., Das Geistliche, das Modernismus und die Metaphysik, in GW, VIII, p. 990; tr. it. La religione, il modernismo e la metafisica [1912], in La conoscenza del poeta, Sugar, Milano 1979, p. 51: «un progresso che a sua volta non riesce più a fermarsi, perché adesso è la materia che retrocede davanti a lui». Si tratta della cosiddetta Gestaltpsychologie (Psicologia della forma), corrente psicologica costituitasi tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo, si concentrò soprattutto sula percezione e sull’apprendimento. Tra i suoi fondatori K. Koffka, M. Wertheumer e W. Köhler, che Musil cita nel suo saggio Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1085; tr. it. p. 117. Si deve ricordare, in relazione al termine utopia, quanto viene detto in MoE,

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versi segni attestano che questo tempo si sia aperto la strada nelle scienze e persino nella filosofia. Questa attesa è il senso più profondo dell’esigenza che la ricerca rimanga libera. E della fede immanente nel progresso delle scienze. Semplicemente noi usciamo soltanto oggi dalla sua infanzia, siamo un’età arcaica. Si spiega con facilità il fatto che un tempo, che non abbia colto la novità che esso stesso costituisce, creda dolorosamente di aver perso qualcosa che prima gli apparteneva. A ciò si aggiunge che solitamente non si abbraccia con lo sguardo uno sviluppo tanto vasto come quello che si è cercato di mostrare qui, bensì unicamente il nesso con il periodo successivo sul piano storico. D’altronde sarebbe però un tentativo prematuro filosofare con metodi meccanici esattamente nella maniera speculativa antica. La filosofia popolare della generazione dei padri era orientata al darwinismo e all’atomistica; prescindendo però dal fatto che questi erano tentativi di soluzione assolutamente insufficienti e anzi riempivano soltanto un angolino nell’arsenale delle scienze dei fatti, la loro utilizzazione sul piano filosofico fu semplicemente una caricatura. La reazione che però non riconosce il tentativo come immaturo, bensì lo considera marcescente nella sua tendenza, davvero poi butta via il bambino con l’acqua sporca. È un incidente e non significa nulla. Non quel che si intende qui per filosofia dei fatti, bensì filosofia speculativa sollecitata dallo sviluppo delle scienze dei fatti. Più importante per noi tedeschi è l’atteggiamento di avversione che il classicismo ha assunto nei riguardi del nuovo spirito129. Esso

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I, II, § 61, p. 246; tr. it. p. 277: «Utopia ha press’a poco lo stesso significato di possibilità». In toni marcatamente polemici contro questo atteggiamento di diffidenza rispetto alla ricerca scientifica assunto dal classicismo Musil si era già espresso in Das hilflose Europa, in GW, VIII, p. 1083; tr. it. p. 114: «già i “grandi eroi dello spirito del nostro periodo classico”, com’è noto, facevano orecchio da mercante, se mi si passa l’espressione, a questa tendenza dello spirito». Nemmeno negli scritti goethiani, precisa Musil nella pagina seguente, vi è traccia di “un’altra specie di conoscenza” rispetto a quella scientifica.

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gli veniva trasmesso nella doppia forma della filosofia dell’Illuminismo e dell’età delle macchine con cui cominciava l’empirismo filosofico. Sulla prima nel complesso non c’è più niente da dire ormai, se non che anch’essa fu un tentativo con mezzi all’epoca ancora inadeguati, condannato al tramonto, benché nei particolari i risultati fossero rilevanti. L’amore goethiano per ciò che è singolare e tangibile era la giusta reazione ad essa. Non appare altrettanto giustificato il fatto che il classicismo non prendesse atto in generale dell’evoluzione di vita e pensiero che ai suoi tempi si era profilata in modo assolutamente chiaro. Matematica, filosofia inglese, economia nazionale, telai e organizzazioni commerciali non gli sembravano degni di considerazione. Vi è qualcosa di provinciale che contamina questo volo in alta quota dello spirito tedesco che si leva da uno stato nano feudale e borghese, qualche cosa di ristretto tipico del Biedermeier130. Eventualmente: nonostante Kant, che fu l’immane sistematico di questa epoca131. La sua cosa in sé una roccaforte attorno alla quale scorre il fiume. Non ci fu alcun errore nell’unità dei grandi risultati ottenuti da quei grandi uomini, però ce n’è uno negli allievi del classicismo che siamo tutti noi, dal momento che ciò che nella visuale di Goethe era un piccolo punto morto, cento anni più tardi preclude una parte rilevante dell’orizzonte132. D’altronde è chiaro che alla base di quel rifiuto si trovava semplicemente la sensazione a quel tempo legittima che questa tendenza spirituale e questo atteggiamento mentale non consentano alcuna filosofia della vita, mentre invece ci si era posto l’ideale dell’umanesimo. Quanto quella diffidenza fosse giustificata è mostrato in modo

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Biedermeier, movimento artistico che vide il suo sviluppo tra il 1815 e il 1848. Il termine, coniato attorno al 1850, assume un carattere dispregiativo: unisce “bieder” che significa “sempliciotto” a “Meier” è uno dei cognomi più diffusi presso la borghesia tedesca. A proposito di Kant, cfr. un’annotazione presente in R. Musil, Tagebücher, Aphorismen, Essays und Reden, cit., p. 439; tr. it. Diari, cit., II, p. 1142: «L’ultima serietà filosofica: Kant». Cfr. MoE, I, I, § 10, p. 36; tr. it. I, p. 37: «Nel mondo di Goethe il battito dei telai era ancora considerato un rumore molesto; ai tempi di Ulrich s’incominciò a gustare la canzone delle macchine, dei magli e delle sirene di fabbrica».

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drastico dal fatto che ancora oggi la nostra istruzione si divarica in istituti scolastici “realistici” e “umanistici”, che si contendono la palma, senza aver conseguito la minima sintesi133. In parte di per sé, in parte a causa della ripercussione dell’opposizione classicista, in parte per motivi che potranno essere discussi soltanto in seguito, il nuovo atteggiamento mentale contraddistinto dall’espressione “spirito dei fatti” sino ad oggi si è dimostrato sterile nel campo della filosofia della vita. I nostri poeti, artisti, filosofastri patetici le sono estranei [?]134, e si volgono indietro passandole a fianco. Anzi, si può affermare che tra coloro che hanno colto lo spirito nuovo con eccessiva prontezza, quelli siano i peggiori. Manca la sintesi esemplare. Con questa ritrosia, però, come si può elevare la concezione tipica del pensiero scientifico e della vita pratica alla sfera della visione della vita? Come può l’epoca assumere forma? Questo contrasto (intensificato dallo stato di disordine sempre crescente verso cui si sviluppa la democrazia politica e spirituale e dalla carenza di contromisure per fronteggiarlo) questo non-poterancora-raggiungere un ultimo gradino, costituisce la causa principale della condizione spirituale lacerata, infranta e insoddisfatta tipica del nostro tempo135.

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Cfr. id., Das Geistliche, das Modernismus und die Metaphysik, in GW, VIII, p. 990; tr. it. La religione, il modernismo e la metafisica [1912], in La conoscenza del poeta, cit., p. 51: «tutto questo sistema ingegnoso di non finirla mai con i preparativi per la vita, sotto il cui gesto di forza si cela in fondo la paura della sintesi». Cfr. anche id., Bücher und Literatur, in GW, VIII, pp. 1166-1167; tr. it. Libri e letteratura, in Sulla stupidità e altri scritti, cit., pp. 186-187, dove il settimo paragrafo reca il titolo “anni senza sintesi”. L’articolo apparve su “Die literarische Welt” il 15, 22 e 19 ottobre del 1926. A quel titoletto si ispira il saggio di L. Mannarini, Musil. Anni senza sintesi, Lerici, Cosenza 1980. La parentesi quadra con il punto interrogativo si trova nel testo originale tedesco. Cfr. MoE, III, III, § 10, p. 740; tr. it. I, p. 838: «dunque v’è qualcosa nel nostro spirito e nella nostra anima, una “morale del prossimo gradino”; ma è soltanto la morale dei cinque fallimenti, ha davvero così profonde radici in noi questa “morale da imprenditore” del nostro tempo, o è soltanto l’apparenza di una concordanza, oppure la morale degli arrivisti è soltanto il ridicolo aborto, troppo presto venuto al mondo, di fenomeni più profondi?».

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VI. Fatti e capitalismo Si diceva dello sviluppo delle scienze naturali, delle macchine, del giornale, della democrazia, della frammentarietà delle opinioni, dell’atomizzazione di tutte le ideologie: si può … anche … riassumere: si è nei pressi dell’espressione “epoca del capitalismo”. In realtà non soltanto tutti questi fenomeni, bensì anche tutti i loro deplorati effetti devono essere raccolti sotto questo concetto. La formula di questo tempo del capitalismo cui si giunge in rapporto ai “fatti” suona: il denaro è la misura di tutte le cose. La sua formulazione in negativo dice: l’agire umano non reca più in se stesso alcuna misura136. È superfluo parlare dell’ampia fondatezza di questa formulazione; è già stata discussa abbastanza. Vorrei solo rimarcare quanto oggi il “successo” risulti decisivo addirittura per l’“intelligenza” e fra gli uomini migliori. Spina dorsale del valore. Invece pare più importante sottolineare il positivo, non si deve esitare a dirlo: quel che c’è di buono in questo stato137. Si tratta della forma d’organizzazione più potente ed elastica che l’umanità abbia raggiunto sino ad oggi. In questo complesso, però, essa non è altro che un egoismo ordinato138; la più colossale organizzazione dell’egoismo, secondo la gerarchia della capacità di fare denaro139. In mancanza di qualsiasi 136 137 138

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Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1628: «Il denaro dà all’uomo la sua misura». Vedi nota 109. Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1628: «Il denaro è egoismo ordinato. È la più grandiosa organizzazione dell’egoismo, un’organizzazione creatrice, costruita su una vera idea di gioco al ribasso». Cfr. ivi, II, II, § 106, p. 508; tr. it. I, p. 578, dove Arnheim immagina di farsi avanti di fronte a Iddio nel giorno del Giudizio universale per descrivergli l’organizzazione capitalistica: «Il denaro non è forse un metodo sicuro quanto la forza nel trattamento dei rapporti umani, e non ci consente di evitare gli ingenui sistemi coercitivi? Esso è forza spiritualizzata, una duttile evoluta e fantasiosa varietà della forza. Il commercio non si fonda sulla scaltrezza e sulla coazione, sulla soperchieria e sullo sfruttamento, sebbene inciviliti e trasferiti nell’interno dell’uomo anzi addirittura paludati nell’aspetto della sua libertà? Il capitalismo, come organizzazione dell’egoismo secondo il grado della capacità di procurarsi denaro è l’ordinamento più grandioso e tuttavia più umano che noi abbiamo saputo elaborare in tuo onore». Cfr. anche MoE, V, p. 1610; tr. it. II, p. 1611: «Si serviva dell’egoismo quale

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altra gerarchia vigente risulta perfino indispensabile. Dove non mette ordine il denaro – un po’ come accade nelle gerarchie degli statali o degli accademici – immediatamente subentrano il nepotismo e la protezione. Se oggi venisse abolito il denaro con ciò non verrebbe intaccato “lo strapotere di chi è in grado di concedere favori”140. Al tempo della rivoluzione e del caos si stabilì ovunque una specie di economia naturale di tutte le protezioni pensabili. Bisogna dirlo, visto che alcuni sembrano credere che se si abolisse il denaro verrebbe meno anche l’egoismo. Quest’ultimo invece è altrettanto antico ed eterno quanto il suo contraltare, ossia i sentimenti sociali. Il denaro non è la causa dell’egoismo, bensì la sua conseguenza141; nulla come il denaro e le sue strutture, tuttavia, l’hanno intensificato sino all’eccesso. La connessione con i “fatti” consiste in questo, ossia che l’egoismo è la qualità della vita umana su cui si può fare maggiore affidamento. Se si prescinde da eccezioni ininfluenti l’uomo può essere portato a qualunque cosa tramite la sollecitazione del desiderio e l’intimidazione. Che si possano tranquillamente fare i conti con entrambre queste qualità è ben più che un gioco di parole142. Far di

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unica qualità sicura dell’uomo, come è indubbiamente. Il denaro però è un mezzo geniale, per poter misurare e regolare quella quantità fondamentale. È l’egoismo costituito messo in rapporto con l’efficienza. L’organizzazione imponente dell’egoismo secondo la capacità di far soldi. Un apparato produttivo in grande, fondato sulla bassezza. Nessun imperatore, nessun re ha mai potuto domare le passioni come lo può il denaro. Fischel si chiedeva sovente quale semidio umano l’avesse inventato. Se tutto fosse accessibile al denaro, se ogni cosa avesse un prezzo – purtroppo ne siamo ancora lontani – non ci sarebbe bisogno d’altra morale che l’esistenza del commercio». Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1628: «Il capitalismo è un’organizzazione, sperimentata attraverso i secoli, delle forze umane secondo la capacità di fare denaro; tu vedrai che, là dove il suo influsso è contrastato, subentra il favoritismo, l’arbitrio, la protezione e la leggerezza. Per conto mio puoi sopprimere il denaro, se vuoi, ma non sopprimerai la supremazia di colui che ha in mano i vantaggi. Semplicemente metterai un uomo incapace di servirsene al posto di quello che ne era capace». Cfr. MoE, V, p. 1625; tr. it. II, p. 1628: «Giacché ti inganni, se credi che il denaro sia la causa del nostro egoismo: ne è invece la conseguenza». Questa espressione “rechnen mit”, analoga all’italiano “fare i conti con”, da cui il gioco di parole messo in luce da Musil, trova una vasta eco ne L’uomo senza qualità. Cfr. MOE, I, II, § 72, p. 306; tr. it. I, p. 345: «Detto altrimenti:

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conto presuppone grandezze stabili o altrimenti la convertibilità in esse. È possibile contare, misurare, pesare soltanto là dove gli oggetti con cui lo si fa permangano uguali, non si modifichino fra due misurazioni o durante il calcolo (ove questo accade si concentra ogni astuzia nell’individuare il riferimento a qualcosa di costante). Vale con approssimazione. Qui il rapporto con il πάντα ρεῖ143 non dev’essere preso in esame. Lo sviluppo della moderna scienza della natura è basato sul fatto che si è concentrata l’attenzione su rapporti funzionali stabili fra grandezze misurabili (per esempio fra la lunghezza del pendolo e il tempo di oscillazione, il tempo di caduta e l’altezza della caduta). Detto più precisamente: anche l’antichità non aveva niente di diverso, poiché si può dire esattamente lo stesso della sua statica. La fisica moderna è una continuazione di quella antica. In mezzo, però, si ebbe non soltanto una lacuna nella continuità della tradizione, bensì anche un intermezzo filosofico. Intendo mostrarlo in virtù della differenza tra due concetti cardine in un esempio rimasto celebre, quello della caduta dei gravi. Secondo la postantichità, per esempio, l’individuo pietra potrebbe venir subordinato al concetto di pietra, questo al concetto superiore di grave, quest’ultimo a quello superiore di materia e il comportamento dovrebbe potersi spiegare partendo da ciò. Dal punto di vista delle scienze naturali, al contrario, non viene verificato il comportamento della pietra, bensì una peculiarità di questo comportamento, ossia il rapporto tra tempo e percorso. Nel momento in cui questo veniva astratto dalla totalità della cosa individuale, però, si manifestava la sua connessione con astrazioni relative a cose totalmente differenti.

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esiste un pio scopo che non debba armarsi di un po’ di corruzione e far conto [Berechnung ausstatten] sulle più basse qualità umane?». Cfr. anche MOE, V, p. 1624; tr. it. II, p. 1627: «usiamo tutto il nostro acume per trovare in esse un elemento stabile che ci permetta di afferrarle, nel quale fidare e sul quale far conto (womit wir rechnen können)». Il “far di conto” riguarda sempre le qualità più basse del genere umano, e si trova connesso assai di frequente a un’altra espressione decisiva in questo contesto, ossia “al ribasso” (à la baisse). In greco nel testo. La celebre frase attribuita ad Eraclito, in realtà si trova in Plat. Crat., 402 a; tr. it. Cratilo, a cura di C. Lucciardi, BUR, Milano 20004, p. 135. Il riferimento è al frammento A 6 DK. Cfr. Eraclito, in I Presocratici, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 20124, p. 329.

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Processi diversi come la caduta perpendicolare della pietra e l’orbitare dei pianeti si rivelarono lo stesso, cosa che da sola già procurò un autentico terremoto nel pensiero, l’oscillazione ellittica delle stelle entrò in rapporti di affinità con tutte le altre forme possibili di oscillazione, e l’astrazione e la nuova maniera di instaurare confronti lacerarono il tessuto del mondo al fine di mostrare intrecci di ordito e trama del tutto inediti che evidentemente vi erano sottesi. La stessa capacità di astrarre, di trattare le azioni per sé stesse in quanto mezzi, si mostra anche nell’atteggiamento etico di oggigiorno, là dove esso si sappia libero dall’etica cristiana tramandata, come in guerra o negli affari. Questa divaricazione tra il pensiero orientato ai fatti e quello speculativo non deve però trarre in inganno dal momento che a fondamento di entrambi vi è la medesima tensione verso l’univocità, tale tensione ha solamente cambiato il metodo. L’essenza del linguaggio e il principio più profondo dei cosiddetti assiomi e delle regolarità logiche è la significazione quanto più possibile univoca; essa però costituisce allo stesso modo anche l’essenza di quelli che qui vengono denominati in senso lato fatti. Univocità, ripetibilità dell’esperienza vissuta, stabilità dell’oggetto sono le precondizioni del calcolare e del misurare così come dell’atteggiamento pensante in generale144. In ambito psicologico questo bisogno di univocità, ripetibilità e solidità viene soddisfatto mediante la violenza, e una forma peculiare di questa violenza, una eccezionalmente duttile, evoluta e produttiva in molte direzioni, è il capitalismo. A tal fine qui si è già posto l’ampio concetto di un ordine che fa i conti con l’egoismo. Questo principio di ordine è vecchio tanto quanto gli stessi consorzi 144

Cfr. MoE, II, II, § 106, p. 507; tr. it. I, p. 577: «Perché tutti i ragionamenti e tutti i calcoli e le misurazioni presuppongono altresì che l’oggetto da misurare non cambi durante l’esame […] questo bisogno di univocità, ripetibilità e solidità, che è la premessa per poter pensare e far progetti con successo – rifletteva Arnheim guardando giù nella strada – in campo spirituale si soddisfa solo con una forma di violenza». Questo è lo stratagemma mediante cui il capitalismo stabilizza l’uomo come elemento su cui “far conto”: la speculazione al ribasso nasce per garantire l’invarianza del comportamento umano e dunque poterlo inserire nel sistema del capitale.

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umani. Chi con l’uomo voglia costruire sulla roccia deve servirsi della violenza o dei desideri145. Questo fare i conti con le facoltà malvagie dell’uomo è una speculazione al ribasso146. Un ordine al ribasso è bassezza addomesticata. Essa è l’ordine del mondo presente. Ti lascio guadagnare affinché io guadagni di più, o altrimenti ti lascio guadagnare di più affinché io guadagni comunque qualche cosa, questa astuzia da parassita superiore è l’anima degli affari più onesti che si possano concludere. Accordare vantaggi oppure ottenerli con astuzia. Molteplici sono quelli che si basano persino sul danno altrui. Persino il profitto più modesto e più legittimo di un venditore che ha procurato della merce mettendo a rischio e in pericolo la propria esistenza e si è guadagnato un diritto – sia egli un imprenditore o uno schiavo salariato! – viene riscosso senza alcun riguardo per la situazione personale di chi ha bisogno della merce e dunque approfittandosene, anzi allo stato attuale l’opposto non soltanto sembrerebbe ma sarebbe veramente una turba mentale che giustamente verrebbe messa sotto tutela. Una causa: astrazione. L’altra: stanchezza nei confronti delle ideologie. [“Tenere sotto il torchio” “dare un giro di vite” “proseguire la

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Cfr. MoE, V, p. 1624; tr. it. II, p. 1627: «E ora ti domando, che cosa possono fare gli esseri umani fra loro se non si capiscono? Te lo dico io, c’è un mezzo solo! Eccitando il suo desiderio o facendogli paura tu puoi portare un uomo esattamente dove vuoi tu. Chi vuol costruire sulla roccia deve servirsi della violenza e della concupiscenza. Allora l’uomo diventa di colpo univoco, prevedibile, saldo, e le esperienze che fai con lui si ripetono dappertutto nello stesso modo. Sulla bontà non puoi contare. Ma puoi contare sulle cattive qualità». “Spekulation in Geist à la baisse und à la hausse” – speculazione nello spirito al ribasso e al rialzo – diverrà il titolo del § 91 della parte II del romanzo L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, II, II, § 91, p. 413; tr. it. I, p. 467: «Se mi è lecito dirlo, i suoi pensieri sul prossimo sono una specie di speculazione al ribasso. – L’espressione è felicissima, – rispose Ulrich divertito – benché io debba rassegnarmi a non meritarla! Perché è la storia universale che gioca sempre al rialzo e al ribasso dell’uomo; al ribasso con l’astuzia e la violenza, al rialzo circa così come tenta di fare qui la signora, con la fede nella forza delle idee».

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politica del giro di vite con sangue freddo” “l’impiego del metodo forte non ha paura nemmeno di fronte alle schegge di vetri rotti”147]. Lo stesso poi vale anche per il politico, che si tratti di politica interna oppure di politica estera. Il comandante che con le minacce mantiene condiscendente la popolazione di una zona di retrovia, fa i conti con questi uomini al ribasso148 in maniera non diversa dall’associazione di industriali che affamano i lavoratori in sciopero, o dal partito politico che adopera un fondo elettorale. La guerra è la continuazione della politica con gli stessi mezzi149 e la pace, anche in seguito a un disarmo generale, rimarrebbe una pace armata150. Costui è il tipo che prima si fa consegnare le armi e in seguito avvia le trattative e questi non potrebbe immaginarsi altro rapporto vantaggioso se non quello dell’egemonia di una parte. Costui sostiene di tener conto unicamente dei fatti e di non essere un utopista. Bisogna esser giusti con questo uomo dei fatti, che con i suoi simili calcola soltanto al ribasso. È un tipo pulito, preciso, alieno dalle chiacchiere151, spesso simpatico in tutte le sue azioni riprovevoli. Se 147

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La frase torna quasi immutata in due passi de L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, I, II, § 72, p. 306; tr. it. I, p. 345: «Parole come: legare, costringere, dare un giro di vite, non avere paura dei vetri rotti, maniera forte, hanno un suono gradevole e convincente». Cfr. anche MoE, V, p. 1624; tr. it. II, p. 1627: «Mettere sotto pressione. Stringere la vite. Continuare con sangue freddo la politica del giro di vite. Usare la “maniera forte” e non avere paura dei vetri rotti». In francese e abbreviato nel testo tedesco originale. Cfr. C. von Klausewitz, Vom Kriege, Dümmler, Berlin 1832, p. 28: «Der Krieg ist eine bloße Fortsetzung der Politik mit anderen Mitteln». Secondo il generale von Klausewicz «la guerra è la mera prosecuzione della politica con altri mezzi». Nell’epoca del capitalismo – questa è l’ottica di Musil – politica e guerra adottano esattamente gli stessi mezzi. Cfr. MoE, II, II, § 108, p. 521; tr. it. I, p. 593: «la Guerra è semplicemente la continuazione della pace con mezzi più energici, un ordine forte senza il quale il mondo non può esistere». Ne L’uomo senza qualità, di seguito al passaggio sulla politica del sangue freddo che non ha paura dei vetri rotti, si trova una frase che ricalca esattamente la descrizione dell’uomo dei fatti: è sempre Leo Fischel che parla con Gerda. Cfr. MOE, V, p. 1624; tr. it. II, p. 1627: «Questa è la maniera forte. Capisco che ti faccia impressione. È pulita, esatta e aliena dalle chiacchiere». Stessa sequenza adoperata nel presente saggio per descrivere l’uomo dei fatti.

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però si vuol essere suo avversario, allora la cosa più importante è determinare in maniera esatta i termini del dissenso con lui. Impostazione migliore: 1. Comprendere come epoca del capitalismo; 2. Il denaro è diventato la misura di tutte le cose e queste non recano più in se stesse alcuna misura del valore dell’uomo. Il nesso fondamentale del capitalismo da una parte con la dimensione economica dell’epoca, e dall’altra parte con la sua violenza politica è però il seguente: 3. Denaro è concentrazione di potenziali vantaggi e svantaggi, e dunque un egoismo ordinato. L’egoismo è però il fatto della vita umana su cui si può fare maggiore affidamento. Desideri e 4. intimidazioni. {entrambi questi mezzi corrispondono a un ambito psicologico e al bisogno di univocità, ripetibilità e stabilità, 5. che è diventato così caratteristico per il nostro pensiero}. Ciò che le serve è la violenza e una forma speciale di violenza è il capitalismo. Quest’ultimo è l’organizzazione più colossale dell’egoismo. 6. Questo principio d’ordine è tanto vecchio quanto gli stessi consorzi umani. Accordare vantaggi o carpirli con astuzia è l’anima del commercio. Far pressione mediante svantaggi, quelli della politica estera (tra i due sta la politica interna). Entrambi i casi significano speculazione al ribasso. Quando i rappresentanti di questa concezione dicono di fare i conti soltanto con i fatti e di non essere degli utopisti, allora parlano 7. esclusivamente con quello spirito che la nostra scienza ha reso grande. Poi il fatto che fare i conti soltanto con vantaggi e svantaggi nella vita umana è più che un gioco di parole. { }152 un grande atteggiamento spirituale si esprime in essi oppure li influenza.

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Le parentesi vuote si trovano nel testo tedesco originale.

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9. L’antica lotta per un ordine univoco, che già sta a fondamento degli assiomi sociali. Il rapporto etico con la scienza è però qualcosa di ancora più intimo. Esso non può essere reso comprensibile senza un piccolo 8. excursus di critica della conoscenza. Soluzione nelle astrazioni. 10.La stessa capacità di astrarre nei comportamenti etici 11.principi come: [11] non si può comprendere senza questa capacità di astrazione nella sua disumanità. La crudeltà dell’intera vita non si comprende però senza di essa. 12.Non si può essere ingiusti con l’uomo dei fatti. Esso è un tipo pulito. Costui è duro (anche nei confronti del proprio popolo) Esponente di un modo di pensare che non ha mai tirato le estreme conseguenze. Fa parte della sua etica naturale il fatto che egli si comporti così come pensa. E sente così come pensa. Poiché si sente come si pensa. E a questa tendenza naturale si contrappongono soltanto ideologie ridotte in briciole, che si contraddicono l’una con l’altra a tal punto che costui ne desume che esse non possano dar luogo ad altro se non a chiacchierare. Se si vuole essere suo avversario, la cosa più importante è determinare bene i termini del dissenso con lui.

VII. Gli avversari dei fatti Vi sono uomini che negano i fatti e chiamano questo pensare. Di essi semplicemente non è il caso di parlare, benché molti poeti e anche dei filosofi veramente filosofici rientrino in questa categoria. Poi vi sono uomini che attribuiscono la colpa alla nostra razionalità e pretendono che dovessimo essere meno razionali. Costoro presentano diversi argomenti. Uno di questi è che siccome in generale calcoliamo di continuo, facciamo i conti anche con gli uomini. Certamente non è del tutto sbagliato, ma la violenza è più antica del far di conto e tuttavia è già un ingenuo fare i conti con l’uomo. Il peccato originale, dunque,

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reca una data troppo tarda153. Essi inoltre trascurano che gli uomini dei fatti, a loro decisamente sgraditi, come l’ingegnere e il commerciante, non sono per nulla così razionali, nel senso di una preponderanza dell’intellettuale, come credono costoro. È sufficiente anche soltanto metterli a confronto con uno scolastico (alto scolastico). Nella loro attività, anzi, vi è moltissimo di irrazionale, e persino di antirazionale154. Già il fatto in sé in generale non è razionale, esso è soltanto regolativo della razionalità e solitamente è importante per la razionalità soltanto in quanto serie. E l’ingegnere spesso si distingue dal teorico appunto per questo, ossia che egli a un certo punto fa cessare il pensiero e prosegue la propria costruzione con una congettura, un valore di approssimazione, un procedimento abbreviato, che è un salto attraverso l’indimostrabile e viene convalidato dal successo155. Ciò che distingue l’epoca positiva dalla scolastica è esatta153

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Cfr. MoE, IV, p. 1425; tr. it. II, p. 1552: «come posso dirlo, che “spiritualizzazione” è già il peccato originale, che “non abbandonare il mondo spirituale” è un comandamento che non ha gradi, ma che si adempie interamente o niente affatto?». L’irriducibilità di questa componente irrazionale persino nella scienza, così come nel mercato capitalistico, emerge continuamente ne L’uomo senza qualità, ma il caso emblematico è costituito dal padre di Arnheim, con un fiuto infallibile per i grandi affari. Cfr. MoE, II, II, § 112, p. 542; tr. it. I, p. 617: «Era come se un vecchio cacciatore o una guida alpina dovesse assistere a un convegno di metereologi e tuttavia continuasse a regolarsi secondo le predizioni dei suoi reumatismi. In fondo non c’è da stupirsi, perché il reumatismo in certe questioni è ancor sempre cosa più sicura che la scienza, e d’altronde non importa l’esattezza della profezia; tanto le cose vanno sempre diversamente da come ce le si aspetta e l’essenziale è adattarsi con furberia e tenacia alla loro opposizione. Dunque per Arnheim non avrebbe dovuto esser difficile capire che un vecchio praticone sa e può un mucchio di cose che la teoria non è in grado di prevedere». A partire da questa figura Arnheim sviluppa la sua reverenza per l’irrazionale, cfr. MoE, II, II, § 112, p. 545; tr. it. I, p. 621: «Come tu affronti un affare è un mistero, e vorrei dire che tutti i misteri che sfuggono al calcolo sono dello stesso ordine, che siano il mistero del coraggio, dell’invenzione o delle stelle». Questo elemento era già stato discusso nel dialogo tra Törless e Beineberg sui numeri complessi. Cfr. R. Musil, Die Verwirrungen des Zöglings Törless [1906], in GW, VI, p. 74; tr. it. I turbamenti del giovane Törless, a cura di A. Rho, Einaudi, Torino 1990, p. 107: «In un calcolo così tu incominci con numeri solidi che rappresentano metri o pesi o qualcos’altro di tangibile, o almeno sono numeri reali. Alla fine del calcolo, i risultati sono anche quelli nu-

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mente il fatto che si pensa in maniera più pratica, più fattuale, non così tanto; a confronto il nostro tempo è sia un’epoca del pensar molto quanto una del pensare di meno. Qualcosa di analogo si può dire a proposito del commerciante: nella sua attività la volontà, la decisione sono importanti tanto quanto il calcolo; costui è uomo dei fatti anche nel senso che produce fatti. Un suo elemento vitale è la libertà che il lavoratore autonomo si crea, libero dalle controversie di pensiero e dalle opinioni di tutti i suoi simili da cui non dipenda direttamente (nel suo tipo forte). Quindi, se costui viene preso come il rappresentante del razionalismo non del tutto a ragione, allora costui sembra alludere a qualcosa di più ampio, a un atteggiamento umano che risulta più complessivo del pensiero156.

meri reali. Ma questi due gruppi di numeri reali sono collegati da qualcosa che semplicemente non esiste. Non ti fa pensare a un ponte di cui ci sono solo pilastri a un capo e all’altro, e che uno attraversa tranquillo come se ci fosse tutto intero? Per me questi calcoli mi fan girare la testa, come se conducessero Dio sa dove. Ma quel che mi fa rabbrividire è la forza contenuta in un simile problema, una forza che ti tiene così saldamente che alla fine atterri sano e salvo dall’altra parte». 156 Cfr. anche MoE, II, II, § 114, pp. 570-571; tr. it. I, p. 649: «Certo lei conosce abbastanza la matematica per intendere che voler calcolare in tal modo anche un semplice colpo di carambola sarebbe un lavoro di tutta la vita; la nostra ragione vi si rifiuta! Tuttavia io con la sigaretta in bocca, una melodia in mente, starei per dire il cappello in testa, prendo la stecca e senza quasi darmi pena di esaminare la situazione do il colpo e il problema è risolto! Caro generale, lo stesso accade nella vita, continuamente. Lei non è soltanto austriaco, lei è anche ufficiale e mi deve capire: politica, onore, guerra, arte, le attività decisive della vita si svolgono al di fuori della ragione. La grandezza dell’uomo ha le radici nell’irrazionale. Anche noi gente d’affari non calcoliamo come lei potrebbe credere; noi – parlo dei grandi, i piccoli calcolino pure coi loro centesimi – noi impariamo a considerare le nostre idee veramente fruttuose come un mistero che si ride di tutti i calcoli». Questa versione è la variante di un discorso di Arnheim riportato da Ulrich, cfr. MoE, II, II, § 66, p. 274; tr. it. I, p. 308, dove si tematizza che le idee coronate da successo se la ridono dei calcoli, al pari di quanto avviene in politica e in arte. Di qui si spiega anche l’esigenza di uno sguardo panoramico avanzata da Arnheim. Cfr. MoE, II, II, § 50, p. 199; tr. it. I, p. 223: «la parte della finanza nell’epoca moderna gli pareva simile a quella della Chiesa cattolica, cioè un potere che agisce dietro le quinte, arrendevole-inarrendevole nelle sue relazioni con le autorità dominanti, e talora paragonava la propria opera a quella di un cardinale». Da queste pagine traspare la voluta analogia tra Arnheim e Rathenau. In

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Da ultimo la formulazione di anti-razionalismo è scorretta anche a motivo del fatto che senza razionalità non vi sarebbe alcun ordine, alcun linguaggio, alcuna univocità e stabilità. Rimarrebbe unicamente una sentimentalità sconfinata. D’altronde si è cercato il contraltare della condizione spirituale attuale nell’amore e nella bontà. In mezzo alla guerra è emersa con grande veemenza, benché intesa in maniera decisamente superficiale, questa richiesta di amore, di bontà umana e cose del genere. Sino a che punto si sia trattato di una riscoperta di Rousseau157 – ossia che l’uomo è buono – non serve che venga discusso qui dove la premessa è la mancanza di forma (e dunque anche la mancanza di forma morale) dell’uomo in quanto tale. Bisogna diffidare da tutti coloro che vogliono riformare la società sulla base di questo falso presupposto dal momento che mancheranno il loro bersaglio. La vera contrapposizione alla mentalità dei fatti, tuttavia, non si trova lontana da quest’ultima determinazione. Vi è uno stato dell’uomo che si oppone a quello del conoscere, del calcolare, del mirare allo scopo, del valutare, del bramare e alla paura meschina, in quanto profondamente diverso. È difficile da indicare. In tutte le designazioni come amore, bontà, irrazionalità, religiosità che qui sono state contestate, si nasconde una parte di verità e al giorno d’oggi non è disponibile alcun pensiero per la verità piena158.

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realtà l’intero saggio musiliano Anmerkung zu einer Metapsychik [1914], in GW, VIII, pp. 1015-1019; tr. it. Osservazioni su di una metapsichica, in La conoscenza del poeta, cit., pp. 75-82, costituisce una discussione della figura di Rathenau. Sulle peculiarità e i limiti del parallelismo Arnheim-Rathenau in Musil cfr. M. Cacciari, Walter Ratheanu e il suo ambiente, De Donato, Bari 1979, in particolare pp. 8, 32 e 84: il naufragio di ogni tentativo di sintesi tra anima ed esattezza, tra visione politica e articolazione dei meccanismi economici rimane constatazione al limite dell’ingenuità in Arnheim, mentre è tragica consapevolezza in Rathenau. Cfr. l’incipit del libro primo di J. J. Rousseau, Émile [1762]: «Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo». Cfr. J.J. Rousseau, Emilio, in Opere, a cura di P. Rossi, Sansoni, Firenze 1993, p. 350. Questo accenno troverà più ampia formulazione in MoE, II, II, § 103, p. 490; tr. it. I, p. 557: «Pare che oggi ogni verità venga al mondo divisa in due non-

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Vorrei chiamarlo semplicemente “l’altro stato”159. In contrapposizione ad esso pensare e desiderare sembrano tutt’uno. Provando a delineare questo contrasto in maniera sobria e meditata, si vorrebbe definire lo stato abituale come compresso e rivolto a una meta; una diagonale, una linea sottile congiunge l’uomo con il suo oggetto e sta a contatto con l’uomo così come con l’oggetto solo in un punto, mentre tutto il resto dell’essenza non ne viene toccato; ciò vale sia per il conoscere sia per il volere e in effetti entrambi sono stati condannati insieme assai spesso come due facce dello stesso male. È noto come un uomo si trasformi totalmente a seconda che lo si valuti con simpatia oppure no, e la nostra scienza si può definire proprio come una maniera di osservare priva di simpatia, questo infatti è un nucleo essenziale dell’esigenza che essa maniera non sia fantastica. Ci si domanderà tuttavia se anche le cose inanimate si trasformino effettivamente a seconda che le si osservi con amore oppure no, e a tale quesito vorrei rispondere in maniera affermativa. Fa presa fino al razionale. Conoscere – tornare a ricordare. Credo ut intelligas160 (Anselmo di Canterbury). Un tono e un tratto, una

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verità opposte, e questo può anche essere il modo di giungere a un risultato superpersonale! Il pareggio, la somma dei tentativi allora non si ha più nell’individuo, che diventa insopportabilmente monocorde, ma tutto l’insieme è come una comunità sperimentale». Anche il marxismo viene definito nel saggio una mezza verità. Cfr. supra, p. 36. Si tratta di una delle prime formulazioni del celebre “anderer Zustand”, l’altro stato, da cui prende il nome anche il protagonista del romanzo L’uomo senza qualità, Ulrich Anders. Nelle pagine del Quaderno 25 dei Diari, databili tra il 1921 e il 1923, prende forma questa teoria dell’altro stato. Cfr. R. Musil, Tagebücher, Aphorismen, Essays und Reden, cit., pp. 277-285; tr. it. Diari, cit., II, pp. 949-971, dove l’altro stato è presentato come fondamento dell’etica, ma di cui si sottolinea anche l’impossibilità di farne “il portatore della vita sociale” a causa della sua fugacità. Questo “altro” occupa alcune tra le pagine più intense della terza parte de L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, III, III, § 23, p. 891; tr. it. II, p. 1012: «il mio carattere è una specie di macchina per deprezzare continuamente la vita! – replicò Ulrich. – Voglio diventare diverso [ich will einmal Anders sein]». Si veda inoltre MoE, IV, III, § 45, p. 1084; tr. it. II, p. 1227: «Tacque. Pensava: “Di quale realtà parlo? Ce n’è un’altra?”». In latino nel testo tedesco. Nell’originale latino di Anselmo “credo ut intelligam”. Cfr. Anselmus Cantuariensis, Proslogion, 1.34; tr. it. Proslogion, a cura di I. Sciuto, Bompiani, Milano 2002, p. 315: «credo per comprendere». In

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tensione e una sfumatura si trasformano all’esterno a seconda della situazione emotiva dell’osservatore; esperienze della vita quotidiana come l’osservazione di disturbi nervosi e mentali sembrano confermarlo al pari delle descrizioni di stati religiosi, e in sé non ci si deve nemmeno meravigliare in modo particolare che l’aspetto del mondo dipenda da fattori emotivi, dal momento che ciò è ben noto per quelli sensoriali. Questa condizione di dipendenza si mantiene chiaramente all’interno di limiti circoscritti e, appunto in ragione del fatto che essa non viene posta in questione nel comportamento pratico, si è prestata ad essa ancora poca considerazione da parte del pensiero. Possediamo moltissime descrizioni di questo altro stato. Parrebbe essere comune a tutte il fatto che il confine tra io e non-io è meno marcato rispetto al solito, e una certa inversione del rapporto161. (Egoismo e misurare). Mentre solitamente l’io si appropria del mondo162, nell’altro stato il mondo confluisce entro l’io oppure si mescola con lui, o altrimenti lo sostiene, e cose di questo genere (passivo invece di attivo). Si prende parte alle cose (si intende la loro lingua). In questo stato l’intendere non è impersonale (obiettivo), bensì estremamente personale come una consonanza tra soggetto e oggetto163.

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realtà per la formula adoperata da Musil cfr. Aug., In Io, XXIX, 6; tr. it. Commento al vangelo di San Giovanni, a cura di E. Gandolfo, Città nuova, Roma 1968, p. 655: «crede ut inelligas». Nello stesso passo, di seguito, Agostino cita Is. 7, 9: «se non credete, non comprenderete». Cfr. MoE, I, II, § 40, p. 157; tr. it. I, p. 174: «Era difficile a dirsi. Il fuori e il dentro si confondevano». Tale elemento diventerà dominante nella terza parte del romanzo. Cfr. MoE, II, II, § 113, pp. 555-556; tr. it. I, p. 632, quando Hans Sepp distingue i due valli che cingono l’uomo: «il sapere non è che l’appropriarsi di una cosa estranea; la si uccide, la si dilania e la si digerisce come un animale. Il concetto è la cosa uccisa, ormai immota». Cfr. inoltre MoE, II, II, § 113, p. 559; tr. it. I, p. 636: «perché prendendo conoscenza si toglie qualcosa all’oggetto, esso conserva la sua forma ma si direbbe che dentro cada in cenere, qualcosa evapora e non rimane che la sua mummia». Se lo stato quotidiano nei confronti del mondo è quello del conoscere che afferra, l’altro stato è il venir meno di interno e esterno. Si tratta del rapporto critico tra conoscenza e sentimento. Cfr. MoE, IV, III, § 48, p. 1213; tr. it. II, p. 1374: «Allora “ama il prossimo tuo come te stesso” significherebbe: amalo senza conoscerlo e in qualunque caso».

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In questo stato si sa propriamente tutto in precedenza e le cose semplicemente lo confermano (Conoscere è riconoscere). (Attivo invece di passivo. Ebbrezza dionisiaca di Nietzsche). Possibile che questo principio maschile-femminile si trovi già a fondamento dei misteri. Non proseguo oltre con la descrizione dal momento che ora come ora non ho a disposizione i mezzi per renderla in qualche maniera compiuta. Già da qui, tuttavia, si può riconoscere che si tratta di una componente più forte di soggettività e tale componente si differenzia dall’egoismo consueto in maniera simile a come l’atteggiamento misurante ecc. si distingue dall’altro. Abbraccia comportamenti sia egoistici che altruistici. L’io di per sé è un vissuto assai vago e mutevole. Forse si può sostenere che in tutti i rapporti obiettivi esso rimanga tagliato fuori in un certo senso164 (anzi questo ne è anche lo scopo), e che tramite ciò si spieghi come quegli stati assai comuni si caratterizzino come “alienazione”; certamente però non si potrà affermarlo sempre riguardo a forti atti di volontà. Ma riguardo agli affetti sì! Forse in qualche misura si potrebbe distinguere la volontà cattiva da quella buona come una calda dalla fredda, come una che associa retroattivamente il proprio io, fa soffrire anche lui, lo trasforma, da una che ne fa a meno, come una volontà che non solo conosce la propria vittima, bensì la vive. Nell’altro senso infatti l’uomo buono, colui che ama, non è buono in contrapposizione all’egoismo165; dal momento che in quel mondo

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Cfr. MoE, II, II, § 101, p. 474; tr. it. I, p. 538: «Infatti, poiché le leggi sono la cosa più impersonale che esista al mondo, la personalità non sarà più ben presto che un immaginario punto d’incontro dell’impersonale». Questa tesi appare come uno dei capisaldi, forse addirittura il “nucleo generativo” di ogni tematizzazione del bene e del male che avrà luogo nel romanzo L’uomo senza qualità. Cfr. MoE, I, II, § 63, p. 262; tr. it. I, p. 295: «L’uomo non è buono, bensì è sempre buono; v’è un’immensa differenza, lo capisci? Si sorride di questa sofistica dell’amor proprio, ma se ne dovrebbe trarre la conclusione che l’uomo non può essere cattivo, può soltanto compiere cattive azioni». Si veda anche MoE, II, III, § 10, p. 734; tr. it. I, p. 831: «L’uomo dà il carattere all’azione, mai accade il contrario! Noi separiamo il bene dal male

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esso non si dà affatto, l’altro uomo concepito correttamente è dedito all’accrescimento di sé. E qualcosa di analogo vale per il cattivo. C’è il male che è bene, così come c’è il male che è male166. Tentando di riassumere, già adesso si può dire: Che questo stato può connotarsi tanto come attivo che come passivo167; mai però come indifferente (Contemplativo – dionisiaco). Che esso mostra tanto un intensificarsi della soggettività quanto il suo attenuarsi; in entrambi i casi tuttavia alcuna obiettività. Doppia soggettività. Visto dall’esterno dunque un ampio contatto che oscilla verso l’interno o verso l’esterno, un imporsi o ritrarsi del mondo; mai però indifferenza. L’opposto dell’obiettività è o un prevalere dell’io o un prevalere degli oggetti, ma non la soggettività168.

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ma dentro di noi sappiamo che sono una cosa sola!». E ancora, alla pagina seguente: «In ogni male un po’ di bene. O almeno quasi in ogni male. Di solito per ogni umana variante negativa ce n’è una positiva non riconosciuta: probabilmente volevo dir questo». Cfr. MoE, III, III, § 18, p. 822; tr. it. II, p. 932: «ecco che i due lati, dove si compiono ancora volontari sforzi morali, oggi sono davvero riservati a questi cattivi Buoni e buoni Cattivi, di cui gli uni non hanno mai visto il Bene volare e cantare e perciò pretendono che tutti i loro simili s’entusiasmino con loro per un regno di natura della morale dove gli uccellini impagliati stanno su alberi senza vita; mentre gli altri, i buoni Cattivi, stimolati dai loro concorrenti mettono zelantemente in mostra, almeno nei pensieri, una tendenza al male, come fossero convinti che solo nelle cattive azioni, non ancora così logore come le buone, palpiti ancora un po’ di vitalità morale». La passività attiva ricompare in MoE, II, II, § 84, p. 368; tr. it. I, p. 416: «Dovrebbe astenersi dal fare qualsiasi cosa! – rispose Clarisse invece di Ulrich. – Quest’è la passività attiva di cui bisogna essere capaci in certe circostanze». Cfr. anche MoE, II, II, § 84, p. 369; tr. it. I, p. 417: «la passività attiva di cui in certi casi bisognava essere capaci; questo sapeva proprio di “uomo senza qualità”». Sul tema della passività attiva cfr. MoE, II, II, § 82, p. 356; tr. it. I, p. 402: «Mi hai orribilmente accusato di passività, ma ce ne sono due specie. C’è la passività passiva, ed è quella di Walter; e l’attiva! – Che cos’è la passività attiva? – chiese Clarisse incuriosita. – L’attesa del prigioniero che gli si presenti un’occasione di fuga». Cfr. MoE, IV, § 57, p. 1192; tr. it. II, pp. 1351-1352: «ma la conoscenza presenta proprio nel rapporto col sentimento una particolarità evidente e significativa: e cioè che noi, per conoscere, dobbiamo lasciare da parte il più possibile i nostri sentimenti. Per essere “obiettivi” li “stacchiamo”, o ci trasferiamo in una condizione nella quale i sentimenti che rimangono s’eliminano vicendevolmente».

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Qui si tratta di un’altra suddivisione; quella fra soggettivo e oggettivo sorgeva dall’atteggiamento razionale (chiaramente al riguardo: emozionale-razionale). Si può affermare che si tratta di una smaterializzazione tanto dell’io quanto altrettanto bene del mondo169. Si tratta di un altro modo di valutare. L’opposizione egoista-altruista perde il proprio significato; al pari della contrapposizione buono-cattivo. Invece può subentrare la coppia arricchimento-impoverimento170. Anche al posto di ciò che serve subentra quel che arricchisce171. Rientra in tutto questo anche una diminuzione di tutto quel che è meschino. Spesso nel ramo contemplativo [vi è] una sensazione di sprofondare, di abbandono, di venir sorretti172.

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Cfr. MoE, III, III, § 11, p. 752; tr. it. I, p. 852: «Udivo allora senza suono, vedevo senza luce. E il mio cuore era diventato senza fondo, il mio spirito senza forma, la mia natura senza materia». Tale “stato” domina naturalmente i cosiddetti Dialoghi sacri tra Ulrich e Agathe. Cfr. MoE, III, III, § 11, p. 751; tr. it. I, p. 851: «in quell’impressione vi è tanto un arricchimento quanto un discapito. Ci si sente uniti con tutto, e a nulla ci si può avvicinare. Tu sei di qua e il mondo è di là, al di sopra dell’Io e al di sopra degli oggetti, ma entrambi quasi dolorosamente nitidi e ciò che separa e unisce le due cose di solito mescolate è un oscuro sfavillio, uno straripare, uno spegnersi, un oscillare su e giù». MoE, II, II, § 113, p. 559; tr. it. I, p. 636: «Perciò non esiste neppure la verità per gli amanti. […] Come si può essere illuminati da una singola rivelazione quando tutto risplende? A che serve l’elemosina della sicurezza e dell’univocità dove tutto è sovrabbondanza? E come si può ancora pretendere qualcosa per sé soli, sia pur per l’appunto la persona amata, quando si è sperimentato come gli amanti non appartengano più a se stessi, ma, quadriocchiuto groviglio, debbano donarsi a tutto ciò che incontrano?». Ciò che produce questo duplice stato verrà chiarirà nel romanzo. Cfr. MoE, IV, p. 1424; tr. it. II, p. 1552: «il fatto che noi usciamo continuamente dallo stato di significato per entrare nell’insignificante al fine di portarvi un significato». Si tratta dunque di uscire dal cerchio del significato e della «possibilità di una vita totale», di «un amore che non reca tracce di disamore, scevro d’ogni egoismo» (cfr. MoE, IV, 1426; tr. it. II, pp. 1554-1555). Sul rapporto tra “senza qualità” e Gelassenheit heideggeriana cfr. M. Cacciari, Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, Adelphi, Milano 1980, p. 88.

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A quel che è stato descritto fino ad ora è connessa però una serie di questioni. Per prima affronto la questione: quale ruolo giocano i sentimenti, che noi abbiamo nella concezione normale, in quella contemplativa? L’amore per esempio. – Credo che in chiave psicologica si debba distinguere precisamente tra l’effetto e il risultato del suo comparire nel complesso della persona, l’atteggiamento che reca in sé un accento affettivo. In realtà sono puramente affettivi unicamente quei sentimenti corporei che noi denominiamo in base alle parti sollecitate, come mal di denti o mal di schiena: detto in modo più rigoroso, essi sono una mescolanza di sensazioni con sentimenti di piacere o dispiacere. Quegli stati suscitati da sensazioni interne del nostro corpo, ad esempio dalla digestione o dalla circolazione sanguigna, generano una condizione del sentimento o dell’umore; queste condizioni non sono più localizzate, non intrattengono alcuna relazione con l’esterno (cosa che appunto costituisce la differenza), per contro ne hanno una ancora più profonda con l’io (ad esempio cattivo umore, irritazione). Essi si trasformano in stati di cui noi in generale non siamo consapevoli, ad esempio le disposizioni personali determinate dall’equilibrio ghiandolare173. Tutti questi differenti stati del sentimento posseggono una stretta connessione sia con l’esperire sensoriale sia con il volere e con il pensare dell’uomo. Quelli del primo gruppo principalmente con il sensorio e con ripulsa o desiderio; quelli del secondo sono appena accennati dal punto di vista sensoriale e d’altronde determinano una specie di tono nella sfera della volontà e anche del pensiero. Quelli che nella vita, dunque, vengono chiamati affetti – ad esempio l’amore, l’ira, l’odio, la paura, il ribrezzo, la vergogna, ecc. – chiaramente sono dei miscugli. Risultano affini a quei sentimentisensazioni a motivo del fatto che si riferiscono in maniera abbastanza univoca al loro oggetto; qualcosa fa male e qualcos’altro viene amato, oppure ci si pente di una certa cosa. Al contempo essi si contraddistinguono per varie ragioni come stati corporei e senti-

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Cfr. MoE, III, III, § 23, p. 880; tr. it. II, p. 998, dove Bonadea parla dell’equlibrio polighiandolare come determinante del temperamento.

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menti generali; non una parte del corpo bensì l’intero io viene sollecitato. E in un modo ogni volta differente, caratteristico. Tuttavia non così nitidamente differenziato come piacere e dispiacere, ragion per cui una falsa psicologia decisamente antiquata era portata ad assumere che si trattasse unicamente di piacere o dispiacere in rapporto a oggetti differenti. Quali sentimenti sia possibile distinguere in tal modo come differenti e quanti siano, è difficile dirlo in chiave psicologico-descrittiva. Nella loro parte organica essi potrebbero anche risultare affini in vari sensi e parzialmente identici. Da un punto di vista biologico o sociologico è decisamente più semplice rispondere, nella misura in cui si supponga che i vari comportamenti rilevanti sul piano sociale si siano connotati in maniera chiara anche in chiave emotiva. Nello specifico credo che qui una parte più antica della reazione si amalgami sempre con una più recente. Amore, odio, ira, coraggio, vergogna erano emersi già nei rapporti sociali primitivi (già nell’animale); è possibile supporre che per mezzo di una evoluzione successiva non sia stato aggiunto poi molto. Se per esempio si prende in considerazione l’ “amore”, in esso è possibile distinguere come fosse un nocciolo duro il puro “desiderio” sessuale, nell’ira la volontà di distruzione, nell’odio la stessa “volontà di distruzione” e la volontà di vendetta, allo stesso modo in cui nel ribrezzo si trova un nocciolo duro di “angoscia”. Si può supporre che le componenti fondamentali più originarie di queste amalgama siano connesse nella maniera più univoca possibile con determinati stati corporei e che questi stati corporei si irraggino nei sentimenti principali che oggi sono differenziati. Che cos’è dunque che vi si aggiunge? Che cosa distingue quindi l’affetto amoroso più primitivo dal desiderio puramente sessuale174? Ma chiaramente proprio la presenza di affetti contraddittori. Già nell’odio più primitivo, però, [vi sono] idee superstiziose come componenti fondamentali! Alla volontà di violenza si mescola una timidezza, una tenerezza, si vorrebbe dire quasi: al maschile un

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Cfr. MoE, III, III, § 28, p. 940; tr. it. II, p. 1067: «In origine l’amore è semplicemente l’istinto di avvicinarsi e di afferrare. Lo si è separato nei due poli uomo e donna, con le pazze tensioni, arresti, sbalzi e guasti che ne risultano».

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femminile. Non si può dire per immagini: maschile è il movimento delle braccia, femminile è il cadere tra le braccia175. L’uomo è maschile con trama femminile, la donna è femminile con trama maschile. L’ira di un uomo del nostro tempo è volontà di distruzione tenuta a freno ecc. Questo miscuglio di contraddizioni sorge per il fatto che la personalità eccitata ha disposizioni diverse nello stesso tempo, essa reagisce in parte in un modo in parte in un altro e questo si fonde di nuovo apparentemente o effettivamente, nei casi tipici, in stati e modalità di comportamento tipici. Spesso, poi, a un livello di complicazione ulteriore, non è affatto possibile distinguere in uno stato del sentimento se esso significhi amore oppure qualcosa d’altro. (Perciò tra l’altro l’assenza di forma può assumere forme così facilmente). I comportamenti originari rientrano in determinate situazioni sociali; con il loro complicarsi, tuttavia, non si è instaurata una sorta di concorrenza tra i sentimenti fondamentali, come se questi avessero dovuto mescolarsi in dosi determinate, bensì tutto questo processo era intrecciato nella maniera più stretta possibile con la coeva evoluzione delle forme rappresentative. Allo stesso modo in cui anche nei sopracitati “noccioli duri” del sentimento già si innestano delle rappresentazioni, dal momento che la vista dell’amata o del nemico intensifica il sentimento, di modo che esse agiscono più che mai al livello superiore. Il pensiero e le disposizioni mentali costituiscono componenti indissolubili dei sentimenti superiori. È naturale che anche oggi sentire intensamente significhi possedere ancora in generale certe disposizioni emotive, ma significa anche essere afferrati e influenzati ampiamente nel complesso della spiritualità. Quale ruolo giocano, quindi, questi sentimenti nell’atteggiamento contemplativo?

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Cfr. MoE, IV, III, § 58, p. 1198; tr. it. II, p. 1357: «Ma mentre il sentimento definito ricorda una persona con le braccia tese ad afferrare qualcosa, quello indefinito tramuta il mondo con l’indifferenza e il disinteresse con cui il cielo muta i suoi colori, e in esso le cose e gli eventi si trasformano come nuvole nel cielo; il comportamento del sentimento indefinito verso il mondo ha in sé qualcosa di magico, e in confronto con quello definito – Dio mi perdoni – qualcosa di femminile».

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Rammentiamoci che qui in un certo senso essi sono cancellati176. Nell’amore il desiderio verrà indebolito e per contro si amplierà il nucleo fluttuante tutt’intorno. Diffusione dell’affetto e sua specifica rarefazione. Gli amanti si congiungono in Dio come si diceva in passato, oppure come si potrebbe dire oggigiorno: nel mondo177. Nello stato della contemplazione vi sono però in generale sentimenti di dispiacere? La tradizione religiosa ce ne dà notizia; forse però è dispiacere a motivo del fatto che non subentra la contemplazione. Nello stato della contemplazione vi sono ira, odio, invidia, vergogna? Il fatto che per esso si adoperi così spesso il nome di stato dell’amore, mostra che, solitamente per lo meno, essi non ci sono. Da ciò anche lo stretto accostamento storico di contemplazione e beatitudine. Secondo me c’è abbattimento (vedi178 dispiacere), e precisamente nella forma dell’umiltà (dolce umiltà) come uno stato all’interno della contemplazione. È difficile negare che con un attributo corrispondente possa esserci anche l’ira (un’ira lieve, amorevole). Anche infelicità per l’attenuazione dello stato tramite sé o tramite gli altri. Perciò si deve supporre che non si tratti solamente di uno stato di piacere; piuttosto conterrà tutto ciò che possiamo collegare all’attributo “beato”. Amore beato, ira beata, pentimento, vergogna, angoscia beati. Certamente però non vi è alcuna invidia contemplativa o beata, né a maggior ragione odio, avidità, insicurezza sociale, e verosimil-

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Cfr. MoE, III, III, § 15, pp. 801-802; tr. it. II, p. 908: «Le età antiche hanno cercato di raffigurare una simile vita anche sulla terra: questo è il Regno Millenario, fatto a nostra immagine e tuttavia diverso da tutti i Regni che conosciamo! E così noi vivremo! Ci spoglieremo di ogni egoismo, non faremo collezione né di beni, né di cognizioni né di amanti né di principi né di noi stessi: il nostro intelletto si scioglierà verso gli uomini e le bestie e si aprirà in modo che noi non potremo più essere noi, e ci terremo in piedi intrecciati a tutto il mondo!». Cfr. MoE, III, III, § 28, p. 941; tr. it. II, p. 1068: «Si può amare Dio, si può amare il mondo; forse anzi non si può amare che Dio e il mondo». Cfr. anche MoE, V, p. 1501; tr. it. II, p. 1592: «Poiché non esisteva fra loro il Tu e l’io, non si meravigliavano di essere in tre». Nell’originale Tedesco compare “s.” che normalmente significa “siehe”, ossia “vedi”.

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mente nemmeno pentimento nel senso abituale di coscienza morale. Gelosia. Sentimenti assenti. Qui giunge a intrecciarsi un’altra suddivisione: sentimenti grandi e sentimenti più piccoli, – cosa che risulta affine a questa, verosimilmente qualcosa di prodotto dallo stato contemplativo e normale. Per quale motivo questi sentimenti risultano assenti? Da un punto di vista biologico, l’invidia è struggle of life179 impedita; anche l’odio, anche l’avidità, in parte persino la gelosia. Quindi si potrebbe supporre che mancano i sentimenti di lotta180. Questo spiegherebbe anche il femminile nell’amore contemplativo dell’uomo. E comproverebbe la denominazione di stato dell’amore181. Tuttavia, anche sentimenti come la vanità, tutto ciò che si trova sotto la denominazione di bassezza, una gran parte dei sentimenti di possesso, il sentirsi ridicoli, e cose simili risultano assenti. Come si possono riepilogare tutti insieme questi sentimenti? Si potrebbe dire tutto ciò che logora, che rimpicciolisce la personalità, ma anche la vanità boriosa: e dunque tutto ciò che conduce a scompensi, che nuoce a una certa armonia. (In un insieme di descrizioni si parla molto di “armonia”). (Si rammenti anche la parola “euforia”). Oppure: sentimenti di inferiorità e loro ipercompensazione. Umiltà e abbattimento sono senza dubbio sentimenti di inferiorità, in quanto beati, però, vengono compensati, non ipercompensati. Come abbiamo visto, però, anche i sentimenti sviluppatisi come reazioni sociali e quelli che si radicano nei processi della conoscenza concreta risultano assenti. Rientrano tra questi anche la vanità, il ri-

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In inglese nel testo, nel senso di “lotta per la vita”: la locuzione, oltre a rientrare nel titolo completo dell’opera è il titolo del III capitolo di C. Darwin, On the Origin of Species by means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life, Murray, London 1859. L’atto conoscitivo è concepito esattamente come lotta contro l’oggetto, per afferrarlo e strappare ad esso le connessioni. Cfr. MoE, V, p. 1643; tr. it. II, pp. 1635-1636: «Lo stato in cui questo si avverte fu chiamato in molti modi: stato d’amore, bontà, allontanamento dal mondo, contemplazione, visione, distacco, raccoglimento, rinuncia della volontà, intuito, unione con Dio, tutti nomi che esprimono una concordanza poco chiara e designano un’esperienza che fu sempre descritta con tanta passione quanta inesattezza».

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dicolo, i sentimenti di possesso. Il contemplativo non ha coscienza dal momento che questa reazione, per lui che si trova in una incessante azione etica, non è affatto possibile182. Si pensi all’attributo di uso frequente “distolto dal mondo”. Detto in breve: i sentimenti morali. Gettando uno sguardo d’insieme su queste riflessioni, già qui si vede come non siano in gioco né sentimenti nuovi, né particolari manifestazioni di carenza dei sentimenti fondamentali, poiché sono presenti sia il piacere sia il dispiacere, i moti dell’animo stenici come quelli astenici; tra i sentimenti che devono essere considerati originari dal punto di vista biologico mancano, però, i sentimenti di lotta e, difficilmente delimitabili da ciò, mancano i sentimenti morali, i derivati della vita sociale. I sentimenti presenti sono stati oggetto di una certa rarefazione, però sono decisamente più diffusi nell’intera persona. Con questo si deve comparare la differenza nel pensare, che si esprime nel fatto che si può certamente filosofare nello stato contemplativo, ma non si può addizionare. Come si è già detto in precedenza, questo coincide con la “diffusione” e lascia congetturare che il comportamento emotivo caratteristico sia fortemente influenzato da quello intellettuale, e che dunque si tratti delle sopracitate complicazioni di un livello superiore, più che di un’alterazione fondamentale del sentire. Si potrebbe anche supporre semplicemente che manchi il conoscere, dal momento che manca l’atteggiamento di lotta183, e che la loro assenza poggi su un’anomalia del sentimento. Non si deve dimenticare, tuttavia, che non si tratta di uno stato costitutivo, bensì di stati transitori. La caduta nella contemplazione può essere costituzionalmente facilitata, in alcuni casi periodica, in altri casi favorita da malattie, non si può trascurare però il fatto che la capacità di con-

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Cfr. in particolare MoE, IV, p. 1282; tr. it. II, p. 1439: «l’altro stato dell’animo non ha bisogno di nessuna morale, è esso stesso la morale». Cfr. MoE, III, III, § 16, p. 804; tr. it. II, 912: «“Al di sopra dell’esattezza c’è un regno della saggezza e dell’amore che le parole meditate possono soltanto profanare!”: io capisco come ciò accada; lei è una donna e in tal modo si difende contro la logica maschile».

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templazione è una capacità ampiamente estesa e che con la volontà ci si può atteggiare in un certo modo oppure diversamente. Sembra quindi che non si abbia a che fare con un’anomalia, bensì piuttosto con un altro utilizzo delle nostre facoltà184. La lotta tra questi due atteggiamenti è tanto antica quanto la nostra storia. Nel senso più ampio, è la lotta tra religione e Stato185.

VIII. Religiosità profana Che cosa significa la lotta tra queste due impostazioni? L’atteggiamento contemplativo è sempre stato connesso all’ipotesi della presenza di un Dio186. Come si vede, però, tale atteggiamento è indipendente da questo presupposto187. Anche lo stato terreno, erotico dell’amore conduce molti uomini, che non credono affatto nell’aldilà, molto lontano in questo regno. Perciò si ha il dovere di indagare questo stato188 in quanto tale innanzitutto e indipendentemente rispetto a tale ipotesi. Comunemente si potrebbe dire addirittura che attraverso il compimento del regno di Dio189 e

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Anche la distinzione tra visione concava e visione convessa (cfr. MoE, III, III, § 3, pp. 687-688; tr. it. I, pp. 778-779), così come la distinzione tra “Für” e “In” (MoE, IV, pp. 1458-1462; tr. it. II, pp. 1570-1576) si basano sull’esistenza letteralmente eccezionale di questo “altro stato”. Per un’analisi esauriente del rapporto tra “Per” e “In” cfr. M. Foschi, Due ottiche, una realtà. Sul tema “für-in” in Robert Musil, in “Jaques e i suoi quaderni”, 1985, pp. 7109. Cfr. MoE, IV, § 53, p. 1153; tr. it. II, p. 1307: «quanto migliore, più bello e ordinato è uno Stato, tanto meno c’è bisogno in esso dello spirito, e in uno Stato perfetto non ce n’è bisogno affatto!». Sulla religione profana cfr. MoE, III, III, § 21, p. 859; tr. it. II, p. 975: «e in uno di quei momenti meravigliosi in cui il luogo dov’ella si trovava pareva dissolversi nell’indefinito, non le fu difficile credere che dietro a lei, nello spazio dove non si può mai figgere lo sguardo, forse c’era Dio». Esattamente come nelle prime pagine Musil parlava di un elemento senza cui le religioni a stento possono esistere, mentre quest’ultimo può sussistere perfettamente anche senza le religioni. Cfr. infra, p. 47. Vedi nota 109. In questi passi prende forma il primo abbozzo del cosiddetto “Regno millenario”, che occupa l’intera parte III del romanzo L’uomo senza qualità.

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della teologia, si sarebbe introdotto qualcosa dell’ordinamento dei regni terreni e della logicizzazione dell’ordinaria amministrazione, cosa che nello scontro tra mistici e teologi si è manifestato ripetutamente. Che cosa significa dunque lo scontro di queste due impostazioni nell’uomo, se quest’ultimo non ha niente a che vedere con Dio? Si capisce di per sé che l’ordinaria amministrazione serve all’organizzazione della vita sociale e al risolvimento del mondo. Che cosa significa allora estraniarsi dal mondo, elevarsi al di sopra del mondo, rinunciare allo scontro, se ciò non serve a ricongiungersi con Dio190? Non ha alcuno scopo, poiché si è sempre puntato a uno scopo irreale e irrealizzabile. Non ha alcun senso, poiché i teologi gli conferiscono soltanto uno pseudosenso. Allora è un impeto, un bisogno, una metà repressa dell’uomo che cercava sempre di nuovo di affermarsi? Quest’altra metà tuttavia risulta incomprensibile sul piano biologico a motivo del fatto che, magari non di fronte all’assenza di un fine e di uno scopo, tuttavia nello stato della contemplazione un mondo andrebbe a fondo quanto meno per debolezza. Le teorie presenti riguardo a ciò sono estremamente semplici: la filiazione divina perduta, il paradiso perduto191; esse contengono l’ammissione che con i mezzi terreni non si può raggiungere tale stato192. 190

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L’alterità tra teologia e mistica ritorna anche in MoE, III, III, § 15, pp. 801802; tr. it. II, p. 908. La caratterizzazione più chiara del loro rapporto si ha in MoE, III, III, § 48, p. 1111; tr. it. II, p. 1259: «È così: l’amore tollera la verità, ma la verità non tollera l’amore, – commentò Ulrich. – Esso annulla la verità». Cfr. MoE, V, p. 1644; tr. it. II, p. 1637: «Primo, che il paradiso è stato trasferito nell’irraggiungibile. Dicono che è stato perduto fin dalle origini favolose dell’umanità». Cfr. MoE, II, II, § 84, p. 368; tr. it. I, p. 416: «E soltanto nel mare dell’amore l’idea, non più guadabile, della perfezione e quella, fondata sulla gradazione, della bellezza sono una cosa sola! Di nuovo i pensieri di Ulrich avevano sfiorato il “regno” ed egli si arrestò disgustato». Episodi di questo genere tornano a maggior ragione nella terza parte del romanzo. Sull’impossibilità che i due regni si ricongiungano effettivamente cfr. MoE, IV, III, § 50, p. 1125; tr. it.

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Si può congetturare forse che i due impulsi fondamentali di ogni essenza vitale si esprimono in questo: la tensione verso il cibo e il sostentamento individuale, che racchiude il conflitto, ma anche la fuga? E l’istinto di procreazione che comunque passa sopra gli individui! Il primo si è creato il mondo razionale, il secondo l’amore193. Siccome però l’“amore” subentra soltanto periodicamente o in modo casuale nell’uomo, non si è creato un’intera immagine del mondo, bensì soltanto l’eccezione rispetto a quello esistente194. Questo spiegherebbe in modo soddisfacente anche per i positivisti il rapporto con il pensiero e così via. 3 Impulsi fondamentali? Aggressione Difesa Procreazione Si potrebbe però costruire altrettanto bene una contrapposizione tra lo struggle of life e il riposare, l’assimilare e cose di questo genere presso l’animale-uomo e a partire da ciò dedurre la contraddittorietà dei due atteggiamenti fondamentali. È piuttosto ozioso, dal momento che il problema non è stato ancora colto e non lascia presagire quali nessi si sarà costretti ad accettare in una trattazione più onnicomprensiva e approfondita, benché si tratterebbe della prima.

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II, p. 1275: «Qui si potrebbe anche supporre che il mondo sia caduto nel peccato. Prima, l’amore e il paradiso. Questo significherebbe: il mondo compiuto è il peccato! Quello possibile, l’amore». Cfr. MoE, III, III, § 20, p. 848; tr. it. II, p. 962: «L’uomo non vive di solo pane, ma anche di anima». Cfr. MoE, III, III, § 11, p. 752; tr. it. I, p. 852: «e perfino in questa nobile buaggine del nudo e crudo godimento della natura sta l’ultimo effetto male inteso di una misteriosa seconda vita, e tutto sommato questa ci deve’essere, o ci dev’essere stata!». Cfr. anche e soprattutto MoE, III, III, § 28, p. 941; tr. it. II, p. 1068: «Comunque sia – disse poi – l’amore, se è amore, è un caso eccezionale e non può servire d’esempio per ciò che accade tutti i giorni». Non c’è una seconda realtà – spiegherà più avanti Ulrich – vi è soltanto una seconda vita. Cfr. MoE, IV, p. 1282; tr. it. II, p. 1439.

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Tuttavia non è superfluo sostenere che il problema debba essere trattato anche su questo versante. Le modalità di ricerca della scienza vengono quasi sempre rifiutate per l’aspetto della contemplazione, con riferimento al fatto che qui si tratta di un altro modo (intuitivo) di conoscenza, di un contemplare e cose del genere. Sia come sia, ciò mostra però che a partire da lì non si è mai guadagnato un nesso più stabile in questo ambito; non si è mai andati oltre a sollecitazione e programma: già questo da solo giustifica il fatto di adoperare per una volta anche le altre tipologie di trattazione e si può supporre che l’atteggiamento contemplativo dovrà essere spiegato con i mezzi di quello normale, e non il contrario. Verosimilmente però c’è ancora un’altra tipologia di trattazione proficua contenuta essa stessa nel modo di pensare proprio dell’altro ambito, ossia un modo di pensare che proviene dall’essenza dell’ideale o dell’idealità, in riferimento a cui già diverse volte ho cercato di indicare una determinata concezione195. Gli ideali posseggono infatti anche la strana qualità per cui essi, pienamente compiuti, sarebbero rovesciati in un controsenso196. Anzi, si potrebbe seguire un’istanza come “tu non devi uccidere” fino alla morte per fame e potrei stabilire la formula per cui, per il corretto funzionamento dell’intreccio dei nostri ideali, i buchi sono altrettanto importanti dell’intreccio stabile, come in un setaccio197. Ciò si mostra ogni volta in relazione ai principi morali, l’eccezione

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Musil qui si riferisce nuovamente alla distinzione tra sfera razioide e sfera non razioide. Cfr. MOE, I, II, § 57, p. 229; tr. it. I, p. 258: «Gli ideali hanno strane proprietà, e fra le altre anche quella di trasformarsi nel loro contrario quando si vuol seguirli scrupolosamente». Cfr. anche MoE, II, II, § 108, p. 521; tr. it. I, p. 592: «uno studio cosciente di far capire allo spirito che lo spirito non è tutto, perché se si prendesse una sola volta sul serio una delle idee che muovono la nostra vita, fino in fondo, così che dell’idea opposta non rimanga più niente, allora la nostra cultura non sarebbe più la nostra cultura». Il medesimo paragone si trova in id., Skizze der Erkentnnis des Dichters, in GW, VIII, p. 1028; tr. it. Schizzo della conoscenza del poeta, cit., p. 73: «La sfera razioide era quella del dominio della “regola con eccezioni”, la sfera non-razioide è quella del dominio delle eccezioni sulla regola. […] I fatti non si sottomettono in questa sfera, le leggi sono setacci, gli eventi non si ripetono, ma sono infinitamente variabili e individuali».

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appartiene alla regola198, ma anche ciò che in senso proprio si chiama ideale, le grandi rappresentazioni degli istinti della vita individuale e sociale, contiene un’assenza di misura di tale istanza, che dovrebbe condurre alla rovina, se non fosse assunta fin dall’inizio in maniera impropria.

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Cfr. il passo già citato MoE, III, III, § 11, p. 747; tr. it. I, p. 846: «Il solo contrassegno fondamentale della nostra morale è che i suoi comandamenti si contraddicono. La più morale di tutte le sentenze è: l’eccezione conferma la regola».

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2014 a cura di PDE Spa presso Legodigit s.r.l – Lavis (TN)