L'uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo

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Eugenio Mazzarella L'uomo che deve rimanere La smoralizzazione del mondo Quodlibet Studio

Indice

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Introduzione. Una pratica di resisten1.a

La smoralizzazione del mondo 17

La smorali1.;,.azione del mondo. La comunità contrattata

Diritti umani e diritti naturali 75

I diritti umani come diritti naturali

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Antigone eterna. Un excursus su natura e diritto

L'uomo che deve rimanere 119 Futuro cd evoluzione. L'uomo che deve rimanere 139

Fede e sfiducia

Saggi per l'identità umana come programma stazionario metafisico 159 La carne addosso. Annotazioni di antropo logia filosofica 171

L'androide Philip Dick

Appendice 201

Che cos'è filosofia?

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Nota bibliografica

Introduzione Una pratica di resistenza

Il tema di questo libro è una pratica di resistenza. In cui fondamentalmente consiste la filosofia. Motivo per il quale paradossalmente andrebbe letto cominciando dall'appendice, Che cos'è filosofia? Una pratica di resistenza nel pensiero: cosa si dovrebbe fare - come si dovrebbe stare "nel" pensiero - per rimanere "qui", noi gli uomini. Noi, gli uomini: quel qualcosa che nella vicissitudine degli enti - "essere", "divenire", "evoluzione" [già quest'ultimo un concetto valutativo su quello che accade, che è nel divenire, nella generatività della 'natura' osservata nel suo 'apice' biologico, e qui già ancora valutiamo] - accade a sé come qualcuno, e cerca di rimanere come qualcuno, "facendosi"qualcuno; "fabbro della sua fortuna", del caso che gli è capitato. Se la filosofia è uno stare nel pensiero come vita che si prende addosso la vita, il suo stareal-mondo, in cui viene, e resta, a sé come pensiero - il modo in cui, nelle pagine che chiudono questo libro, proviamo a tradurre il tragitto dallo ttVÌlP q>tì..6crocpoç di Eraclito ali' animale razionale, allo ç{?lov ì..6yov exov di Aristotele -, questo libro prova a raccogliere alcune idee che perorano una causa. Quella dell'uomo che siamo stati fino ad ora, l'uomo che deve rimanere. Idee, di questo si tratta, per rimanere nei paraggi di noi stessi, di quel che siamo stati e di come ci siamo conosciuti, fino a "qui". Questo "qui" è molto esteso: è il modo in cui siamo stati finora, di come siamo divenuti (e addivenuti a) noi stessi, facendoci quel che siamo sapendoci. Facendoci quel che siamo, mentre ci sapevamo e sapendoci apprendevamo ad esserlo. L'unica "identità di essere e pensiero" che conosciamo. Sfrangiata, che non coincide mai del tutto con se stessa. Perché che "lo stesso sono infatti essere e pensiero" ['tò yàp amò voetv 'te Kal eivat, Parmenide, Poema sulla natura, fr. 3] lo

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11"1'ROOUZIONE

possiamo dire solo di noi, perché solo in noi ne abbiamo esperienza; e in questa esperienza conosciamo la labilità di questa coincidenza, sempre da riguadagnare, da costruire ogni giorno per poterne passare il testimone: il destino del genio della specie. Chi sa davvero che "lo stesso sono essere e sapere" [il nesso di intuizione e discorso in cui emerge l'essere in quanto essere e la coscienza], lo sa che lo sono solo in noi, dove si toccano un momento, dove il sapere intuisce, "tocca" (8tyetv) l'essere per enunciarlo (, con l'implementa1jone sociale della sua politicità (Id.,/ rischi della libertà,cit .,pp.147 e 164- 165).

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appare "sospendersi". Mutuando da un paradigma, l'individualizzazione - fin qui inscritto nella sua ricorsività nella continuità della sua "tradizione", cioè del modo in cui il processo di individualizzazione si è tradito, è giunto fino a noi -, un nuovo paradigma in cui quella continuità antropologica si sospende in se stessa, mentre "diviene"; evolvendo in direzioni fin qui impensate. Quel che è qui in gioco è una crisi epocale, che non investe soltanto i fondamenti sociali, e l'antropologia quotidiana della società industriale quale ha conosciuto il '900 fondamentalmente fino agli anni '80 del secolo scorso, ma la sociogenesi storicamente conosciuta dell'homo sapiens sapiens, e gli assetti antropologici che l'hanno resa possibile. Ed è sperabile, certo, con ogni sociologia del "futuro", il minimo necessario a una sociologia, che la società abbia riserve ideative, di plasticità mentale per affrontarla, ma proprio perché questa speranza non sia vanificata ne è necessaria, di questa crisi antropologica, una diagnosi senza sconti consolatori che ci promettano una prognosi più favorevole di quella che minaccia di essere. Il che vuol dire che nel "mutamento" - oggi in corso nella seconda modernità, come la chiama Beck - "dei fondamenti del mutamento" che ha innestato il moderno è in gioco qualcosa che a capire non basta "una revisione dell'immagine della società industriale", perché non investe una sociogenesi aggiornata del moderno, una determinatezza storica tra tante del mutamento sociale, ma la determinazione storica conosciuta in cui fin qui abbiamo vissuto della sociogenesi in generale. È in gioco la smoralizz.azione del mondo, per come fin qui si è moralizzato, cioè in ultima istanza fatto, istituitosi nella sociogenesi.

2.

Il rischio incompreso. La "smoralizz.azione del mondo"

La smoralizz.azione del mondo. Qualcosa di cui forse non siamo all'altezza. E pure è forse l'evento più importante della nostra epoca. Ci si è giunti da lontano. Legando ciò che vale alle pure determinazioni della coscienza, a un'autarchia della soggettività che dopo essersi esercitata a lungo sulla natura esterna è passata alla natura ad essa più interna della relazione sociale, e alla fine alla sua stessa natura, in un regime del desiderio cui, nella sua singolarizzazione di massa, viene alla fine meno lo spazio vitale, l'aria come a un uccello

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che ne possa sostenere davvero il volo. Dove, nel vuoto di una libertà negativa, nel vuoto del puro essere possibile, siamo troppo liberi, per essere davvero liberi1s. Distratti dalla crisi delle istituzioni che, mentre si liberava, la libertà si è procurata - lo stato, la democrazia, il mercato, la scienza, la tecnologia - non riusciamo a mettere a fuoco «che le minacce più serie oggi non derivano più da un difetto di liberazione, ma dalle conseguenze più o meno inattese, della libertà liberata» 16, che la nuova sfida della libertà è salvarla da sé stessa, riuscire a ricordarle - a ricordarci che «la libertà non è mai solo "mia", [che) è sempre anche "nostra", [che) è un progetto sociale»17, Non solo. Ma che, come progetto sociale che è dato di cultura e dato nella cultura, la sua socialità - la socialità della libertà come progetto sociale - ha radici di natura e nella "natura" dell'Homo sapiens, la cui negazione come •t M. Zambrano: «Man mano che l'uomo ha creduto che il suo essere consistesse in null'altro che nella coscien,.a, l'amore si è andato trovando scn,.a spazio vitale, come un uccello soffocato nel vuoto di una libertà negativa- (da Due {rammenti sull'omore (1952.), in Frammenti sull'omore, trad. it. di S. Maru,.1.clla, Mimcsis, Milano2.01 , , p. , 3). Sul co11sumo dell'alterità e la sua riduzione al Sé stesso logico-operativo della soggettività moderna, dove anche la sua (etica della) "responsabilità", più che rispondere effettivamente ad altro o ad altri che l'interpelli, si risolve nell'autorefcrenzialirà della "personale" assunzione di responsabilità di un soggetto che risponde alla propria "coscienza" perché ha desertificato ogni dimensione di un'alterità che quella coscien,.a trascenda cui debba rispondere, dove non c'è spazio per ciòche Zambrano chiama pietà come capacità di saper trattare con l'altro, cose e altri, nell'ordine, di tutto ontologicamente costitutivo, dell'omore, "l'amor che move il sole e !'altre stelle", cfr. E. Ma,.1.arella, Vie d'uscita. L'identità uma110 come programma stazionario metafisico, li melangolo, Genova 2.004, pp. 14 sgg. e 141 sgg. '' M . Magatti - C. Giaccardi, Generativi di tutto il mo,uJo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 2.004, p. 2.9. ' 7 lvi, p. 10. Una preoccupazione (già in M. Magatti, Libertà immaginaria. l,e illusio11i del capitalismo tecno-nichilista, cit.) - in linea con le analisi di Bauman sulla società "liquida•, sul vivere nel mondo liquido-moderno- poco incline a ritenere che i rischi che gravano sulla libertà, pur chiaramente presenti all'analisi di Bcck, possano essere contrastati, come riassume la posizione del sociologo tedesco Sandro Me1.1.adra nelle Prese11~ione a I rischi della libertà (cit., p. Xl) «con una terapia "omeopatica", accettando cioè sul terreno della politica il carattere di rischio che costitutivamente inerisce alla libertà stessa•. Che sia cioè sufficiente una fiducia, alla fine poco "riflessiva", poco "disincantata" nel senso di Bcck, nell'attivismo dell'agire politico, della libertà politica del nuovo cittadino repubblicano, e delle sue aspettative di "diritti". Una fiducia che evita di giudicare i pregiudizi sociali nei quali si muove- per stare al modello, secondo Me1.1.adra, riabilitato da questo approccio, la machiavelliana "repubblica tumultuaria" - la "cittadinanza tumultuaria" dei nostri giorni, per Bcck gravida di un nuovo "ordine", i cui "buoni effetti" farebbero aggio, per una sociologia "democratica" militante, sui "romori" e i turbamenti dell'oggi.

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opposizione di natura e cultura è già sempre un dato di cultura. Fa parte della biografia e dell'autobiografia del sapiens, del modo in cui la vita umana ha scritto e si è raccontata la sua storia, ma non è la verità, o almeno tutta la verità della cultura, cioè i/ modo in cui si è manifestata e si manifesta, viene e avviene a sé stessa la "cultura", la vita specifica, il bios, la forma di vita, del sapiens. In cui, più semplicemente, veniamo a noi stessi noi, gli uomini. Questione non di poco momento in una temperie culturale, dove la possibilità della tecnica di intervenire sulla "natura" già biologica dell'umano sembra promettere a questa natura una sua determinazione integralmente sociale, biopo/itica, non più in debito o sempre meno in debito di vincoli naturali. Una determinazione integralmente biopolitica, che ovviamente manda in crisi l'idea stessa di nessi sociali trascendentali, perché a base naturale, della socializzazione storica delle società che fin qui ci accerta l'indagine antropologica e storico-culturale; l'idea stessa cioè di "valori", i nessi sociali di cui sopra, come parametri di funzionamento "organico" della società come mondo certo dell'artificio, ma che fa con arte ciò che la natura, in ultima istanza e fondativamente, consente. Una temperie culturale, che in nome delle possibilità dell'artificio, sembra sempre più vivere dell'opposizione di principio di natura e cultura, ritenendo arcaismo antropologico l'idea che quest'opposizione, se pure tratto strutturante il costituirsi e l'autocostituirsi della cultura - della sua immaginazione produttiva di sé (del suo essere "e" del suo sapere18 ), tramite il sapere di sé con cui si costruisce nel suo essere, o almeno nell'essere che racconta a se stessa - non è «né un dato primitivo né un aspetto oggettivo dell'ordine del mondo» 19. 18 Produttiva del suo essere mentre

si sa e del suo sapere mentre è, ovvero di quella specifica - perché propria della specie - endiadi produttiva dell'esserci dell'uomo, del suo farsi [l'uomo che èl mentre sta al mondo. 19

Un punto già chiaro ai presupposti antropologici delle indagini di C. Lévi-Strauss su

Le strutture elementari della parentela [ 1947), trad. ir. di A. M. Ciresc e L. Serafini, Feltri-

nelli, Milano 2.010, p. 2.0: •Si è indotti così a chiedersi quale sia la vera portata dell'opposizione tra cultura e natura. La sua semplicità sarebbe illusoria se in buona misura essa non fosse il prodotto di quella specie Homo, che per antifrasi viene detta sapiens, ferocemente applicatasi a eliminare le forme ambigueche ha giudicatoprossime agli animali:in ciò ispirata, già centinaia di migliaia d'anni fa e oltre, da quello stesso spirito ottuso e distruttore che oggi la spinge ad annientare le altre forme viventi, dopo aver falsamente respinto dal lato della natura tante società umane che non la ripudiavano a loro volta (Naturvolkem), quasi abbia innanzi tutto preteso di impersonare da sola la cultura di fronte alla natura,

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Come arcaica10, la preoccupazione che in quest'opposizione si celi ancora oggi - niente di nuovo sotto il sole - il rischio propriamente demonico della cultura; oggi più che mai vivo nella spiritualizzazione della tecnica. Rischio in cui l'uomo, la cultura, afferma certamente il suo daimon; e però insieme rischia di perderlo nell'eccesso della sua voce che parla solo più a se stessa, ma non corrisponde più né alla storia né alla natura, cioè alle condizioni di possibilità della sua emergenza. Non essendoci più una storia naturale del genere che si prolunghi socialmente, che si proietti nella cultura. Potendo società e cultura - le decisioni della tecnica - decidere, così sembra, della natura del genere. Qualcosa con cui - questa tentazione per essa costituente- la cultura ha sempre invero lottato, come insieme angelo del suo annuncio e del suo pericolo, ma per cui sembra oggi avere sempre meno argomenti e anticorpi nella pensosità del sapere. Quando invece più sere di restare ora l'unica incarnazione della vita di fronte alla materia inanimata, salvo il caso in cui può totalmente asservirla. In tale ipotesi l'opposi1.ione della natura e della cultura non sarebbe né un dato primitivo né un aspetto oggettivo dell'ordine del mondo. Dovremmo riconoscervi una creazione artificiale della cultura, un'opera difensiva che questa avrebbe scavato tutto intorno a sé perché non si sentiva capace di affermare la sua esistenza e la sua originalità altro che tagliando tutti i passaggi che potrebbero testimoniare la sua originaria connivenza con le altre manifestazioni della vita. Per cogliere l'essen1.a della cultura bisognerebbe dunque risalire verso la sua sorgente e contrastare il suo slancio; rannodare tutti i filispe,.1.ati, cercandone l'estremità libera nelle altre famiglie animali cd anche vegetali. Alla fine forse di scoprirà che l'articolazione di natura e cultura non riveste l'interessata apparen,.a di un regno gerarchicamente sovrapposto ad un altro cui il primo sarebbe irriducibile, ma piuttosto quella di una ripresa sintetica, consentita da certe strutture cerebrali appartenenti anch'esse alla natura, di alcuni meccanismi già montati, che però la vita animale presenta solo in forma slegata e concede solo in ordine sparso•. 10 Chi oggi così argomenta tra quanti ritengono che sia la tecnica la nuova fonte di legittima1jone del discorso antropologico, dovrebbe nella lettura del termine "arcaicon almeno tenere presente, a proposito dell'istituto sociale dello "scambion come fondativo della socialità umana, e dello stesso passaggio per il sapiens dallo stato di natura allo stato di cultura, la nota1fone di l.évi-Strauss: «Si tratta di scegliere tra due possibili interpreta1.ioni del termine "arcaicon. I.a sopravviven,.a di un costume o di una crcden,.a può in effetti spiegarsi in due modi: o il costume e la crcden,.a costituiscono un vestigiosen1.'altro significato che quello di essere un residuo storico conservato dal caso o dall'azione di cause estrinseche; oppure quel costume e quella creden1.a sono sopravvissuti perché nei secoli hanno continuato a svolgere un ruolo che in sé non è sostanzialmente diverso da quello con cui si può spiegare la loro appari1.ione iniziale. Una istitu1.ione dunque può essere arcaica o perché ha perduto la sua ragione d'essere, o invece perché questa ragione d'essere è tanto essenziale che non è né possibile né necessaria una trasformazione dei suoi mer.zi d'azione• (l,e strutture elementari della pare11tela, cit., p. 11 3).

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virebbero, dopo che le minacce della libertà, già chiare da tempo per il suo essere ambientale, hanno raggiunto, per il tramite della manipolabilità del tessuto fine del biologico dell'uomo e dei sovvertimenti valoriali della globalizzazione multiculturale, l'essere sociale dell'umano. Quando ci sarebbe bisogno, di tener fermo, nella trascendenza della cultura, il punto di vista della reciproca immanenza di natura e cultura. Ciò che Gehlen ha espresso nella definizione dell'uomo come "un progetto complessivo della natura " 21 • E che altrettanto lo resti la sua libertà, se l'uomo è la sua libertà. Che lo resti - progetto complessivo della natura - la libertà in generale; perché è solo nello "spazio antropico" - inclusivo della natura che vi si esprime e si pone, nel sapere e nell'agire dell'uomo, di fronte a sé stessa - che si dà lo spazio della libertà. Chiunque abbia scritto, Dio o il Caso, questo progetto complessivo nei caratteri della natura. È un paradosso, ai limiti dell'angoscia intellettuale, che questo sia avvenuto e stia avvenendo nelle società che sono riuscite storicamente a portare - in un processo certo non lineare, che ha avuto le sue regressioni, e può sempre patirne - "la libertà in regime di libertà", dopo una lunga storia dove hanno saputo vederla e conquistarsela da e in regime di costrizione. Nelle società - le nostre, elettivamente le liberaldemocrazie occidentali - che quella libertà sono riuscite a portare in regime di libertà sulla base storica (retaggio imperituro dell'annuncio cristiano) della scoperta della "persona", di un'ontologia relazionale che alla libertà dell'individuo, mentre la liberava nella sua dignità incomprimibile, ha dato i cardini su cui potesse non girare a vuoto: il "noi" dell'eguale dignità dei "figli di Dio" e il rispetto del creato. Che è il rischio di oggi. Il rischio dell'epoca della smoralizzazione del mondo. Uno sfibrarsi del costume, che non è il deperire di abitudini etiche, di valori sociali consolidati surrogati da nuovi valori emergenti, che ambiscano a loro volta a farsi abito sociale. Ciò non " Per un'analisi dell'autodefinizione dell'uomo tra biologia e cultura, che implementi

nell'istituzione natura l'ancoraggio di Gehlen nella cultura come "istituzione" del "compito a se stesso" - tenere il suo posto nel mondo e la sua "forma" -che è l'uomo come "progetto complessivo della natura• (che è il tema del capolavoro di A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto 11el mo11do, trad. it. di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1983) rimando a E. Mai.1.arella, Sacralità e vita. Quale etica per la bioetica?, Guida, Napoli 1998, pp. 2.734 e alla Prese11ta,:ione all'edizione italiana di A. Gchlcn, A11tropologia filosofica e teoria dell'azione, trad. it. di G. Auletta, Guida, Napoli 1990.

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farebbe questione. Ma il venir meno della possibilità stessa che si dia un abito sociale - mos, ethos - che gli individui non indossino a propria scelta, ma di cui in una certa misura nascano già "vestiti", sia pure affidato al genio personale del loro "portamento". Il venir meno della possibilità stessa di un'ontologia dell'essere sociale dove il sapere di sé intuitivo e poi riflessivo dell'essere sociale in quanto tale (le pratiche e il sapere dell'ethos, il metaindividuale comunitario che transindividua gli individui mentre li individua, che religione morale e diritto da sempre "proteggono"; una "ragione pratica" in nuce, anzi l'essenziale che dà fondamento a qualsivoglia ragione pratica) costituisca la condizione trascendentale di possibilità di ogni posizione di valore socialmente valida. Di ogni posizione di valore che tenga insieme, cioè, quel che il gruppo deve ai suoi individui, ma anche il debito comunitario in cui ogni individuo nasce e si tiene già come individuo di quel gruppo come gruppo "umano". Uno sfibrarsi del costume che è ben più di una banale, tradizionale e persino ovvia nel gioco delle generazioni, "crisi dei valori". È piuttosto una più generale e ben più radicale crisi antropologica, che impegna l'uomo e la socialità che fin qui ne abbiamo conosciuto. Una crisi dell'ethos come crisi del chiasmo etico della socialità, del doppio legame fondativo tra l'individuo e il suo gruppo, in cui ogni costume sociale si accostuma, si fa e può essere costume eticamente sostenibile. Un evento di cui avvertiamo di non essere all'altezza. Non che questa smoralizzazione del mondo, per una fisica delle cose, non sia impegnata a disegnarne un altro, un nuovo mondo "morale" (dei "diritti", magari) al passo dei tempi nuovi della tecnica e della globalizzazione. A definire, cioè, e a legittimare una nuova ontologia dell'essere sociale (pratiche, costumi, diritti) che mandi in soffitta la sua ontologia "tradizionale", "anticata" dalla sua stessa storia; l'ontologia sociale che fin qui ha tenuto il campo, consegnataci dalla tradizione (a cominciare dal suo padre nobile, "il diritto naturale") nelle sue basi sociobiologiche proprie alla storia naturale del genere - dell'uomo come gruppo umano - nella socializzazione storica che fin qui ne abbiamo conosciuto. Basi "naturali" ritenute ormai obsolete, vuoi per !"'evoluzione" dei costumi - cui già il lessico assegna un pregiudizio positivo o un (forse più fondato) giudizio di ineluttabilità -, vuoi perché riaperte e rimodellate dalle nuove possibilità di legami sociali fondativi e relazionali offerti dalla tecnologia,

I.A SMORJ\LIZZAZIONF. DEL MONDO. I.A COMUNl"l"À CONTRATTATA

e dalle biotecnologie a sostegno di nuove pratiche sociali, di nuovi costumi, di "nuove" relazioni umane. Ma proprio in questa necessità di dovere comunque proporre un nuovo ethos, la cui genealogia si restringe e si risolve nella mediazione sociale delle aspettative individuali, questa smoralizzazione del mondo, agita e spinta da pulsioni sociali di massa, aggregate al totem del desiderio individuale e dell'individualità del desiderio, s'impantana nella difficoltà di proporre un ossimoro. Un ossimoro ontologico, qualcosa che non può essere. Perché i costumi sono sempre al plurale, e il costume, l'ethos è un nome collettivo, che non può essere declinato come somma inorganica - senza vita propria, pura meccanica associativa - di costumi individuali atomizzati. Non esiste, in una parola, "il costume dell'individuo", una sartoria degli abiti morali fai-da-te che possa sostituire le "costumanze" organiche della vita associata, dove i "valori" che l'individuo indossa gli sono sempre offerti, anche quello dell'individualismo, da una comunità che su quei valori realizza, e talora mette in gioco, se stessa. La debolezza propositiva, in positivo, di questa nuova antropologia che smoralizza il mondo è nel "motore" pulsionale che la spinge, l'individualità del desiderio12, che per essere di massa non è tuttavia coagulo comunitario, possibilità comune di mondo, di accomunazione sociale. Vaccomunazione sociale, la socialità degli uomini che emerge dalle sue basi comunitarie, non è mai l'ex post, ma l'ex ante dell'agire degli individui. Certo il filo dell'individualismo del desiderio, e del costume che ne dovrebbe venire, è più facilmente dipana bile - perché intuitivamente riconoscibile, percepito e veicolato, in una società di consumatori individuali che vivono senza progetto comune di futura13 - dei valori di comunità, delle matrici aggreganti il legame sociale; valori largamente in crisi nell'intrico del disorientamento valoriale di un multiculturalismo non metabolizzato, che la globalizzazione sollecita; ma questo filo non ci porta fuori dal labirinto valoriale del presente. E non cuce un nuovo ethos. In senso forte: individualità del desideriocome desiderio che si confina in sé nell'individuo, eche perde l'individuo al'3 radice di se stesso; che perde l'individuo come frutto di un desiderio che è sempre desiderio sociale, relazione di sé già sempre fuori di sé, già sempre inscdiat.1 da altro da sé presso altri, in ultima istanza desiderio di sé della specie, "genio della specie". 13 Cfr. Z. Bauman, Vita liquida, cit., pp. VII-XXIV (111troduzione: "Vivere in un mondo liquido-moderno"). u

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Prova ne è che stenta a fare sintesi in una definizione minima di diritti umani; anche questa alla prova scabrosa - per quell'immanente declinazione al plurale, al nome collettivo di costumi ed ethos - di ciò che è in capo al singolo di questi diritti e di ciò che nel singolo non può non coinvolgere gli altri, la comunità, il gruppo sociale, e persino il genere e la specie di cui quel singolo è singolarizzazione al presente, non priva di obblighi verso i singoli che verranno e devono venire: l'obbligazione morale al futuro di un'etica della responsabilità, che metta in chiaro il senso sociale e socializzante della generazione, e dello stare al mondo, già nelle sue basi biologiche, al di là dei diritti di genere e di ogni genere reclamati al presente da un presente atomizzato24. Non è più l'ethos emergente dalla socialità a basi biologiche naturali a essere, nei costumi e nella loro proiezione (e protezione) giuridica, in questo smoralizzarsi del mondo, il punto di riferimento del connettivo comunitario, di ciò che tiene insieme, produce e riproduce, il legame sociale; ma a questo ruolo ambisce uno sgrammaticato vociare di "morale" e "morali" nel discorso pubblico e nell'agone politico, che crede di poter trovare in un'antropologia della tecnica - in un'antropologia scritta sotto dettatura della tecnica - le basi teoriche, perché offerte da inedite pratiche possibili, di una nuova visione dell'umano e della sua socialità. Dove il filo di rete del nesso individuo-comunità non sia più filato dalla relazionalità immanente all'individuarsi dell'individualità, all'impersonarsi della persona, ma dalla sua atomizzazione desiderante. Con il che alla base dei diritti individuali ambiti, come metro di ammissibilità, non potrà esserci alcuna riserva in capo a una "natura umana" come diritto naturale del "noi", che non sia negoziabile dagli individui ogni volta interessati, e quindi in generale non c'è materia di "natura umana" nei diritti, ma solo convenzione sociale e aspettative individuali. Questa smoralizzazione del mondo è l'esito concreto di ciò che Nietzsche intese come nichilismo etico. "L'ospite più inquietante",

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Sull'csigen1.a che un'etica della responsabilità - per non ridursi all'autorefcren1.ialità soggettiva "alla seconda poten,.a" (quella della società) di un'etica della convin1.ione "allargata• in un agire comunicativo ra1.ionale come comunità di discorso, in definitiva a un'etica di "convin:,,ioni pubbliche" che possono essere ben poco "responsabil i" - debba fare i conti fino in fondo con "misure" ab extra che dalla natura e dalla storia si propongono alle sue "assunzioni di responsabilità• ancorché pubbliche, cfr. F.. Ma,:,.arella, Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico,cit., pp. 141 sgg.

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da guardare in faccia 2 5, vaticinato come «la storia dei prossimi due secoli» 2 6: il nichilismo, come nichilismo etico. Siamo lì, al tornante del suo primo secolo. L'annichilazione dell'ethos non come mero sovvertimento dei precedenti valori sostituiti da altri che ne prendano il posto, che ne surroghino la deperita vitalità, ma come «capovolgimento (che] è contemporaneamente una trasformazione di genere e di modo dell'esser-valore» 2 7, come farsi avanti di un nuovo principio di posizione dei valori; di una trasformazione di ciò da cui deriva e in cui si mantiene l'esser-valore del valore: la trasvalutazione come 11

«[li nichilismo] non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è scorgerlo e guardarlo bene in faccia•, M. Heidcgger, La questione dell'essere (195 5, 1976), in E. Jiinger-M. Heidcgger, Oltre la linea, trad. it. di A. la Rocca e F. Volpi, Adelphi, Milano 1989, p. 112. 16 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in "Opere di Friedrich Niett.sche", voi. VIII, t.11, trad. it. di S. Giamena, Adelphi, Milano 1979, p. 392. ' 7 M. Heidcgger, La sentenza di Nietzsche: •Dio è morto», in Id., Sentieri interrotti (1950), trad. it. di P. Chiodi, la Nuova Italia, Firenze 1968, p. 2.07. Per questa ricostruzione del nietzscheano "nichilismo compiuto" come nichilismo etico in cui viene dislocata altrove la regione "generativa" dell'esser valore del valore (dal deus sive natura, "rivelazione divina" o "legge di natura" che la società fa sua, all'autopotenziamento della volontà di poten,..a insediata nella pura immanenza a sé della dimensione antropologica singola e collettiva, socialmente esposta come oggi a divenire biopolitica del desiderio individuale legibus soluta, sciolta da ogni vincolo che non siano le sue stesse decisioni), si veda, nel saggio richiamato, tuna la decisiva ricostruzione heidcggeriana: «la concezione nier,.scheana del nichilismo incompiuto può esser formulata più rigorosamente e chiaramente nel modo che segue: il nichilismo incompiuto sostituisce, sì, i precedenti valori con altri, ma li pone al posto dei precedenti, posto che conserva così il rango di regione ideale del soprasensibile. li nichilismo compiuto, invece, deve eliminare il luogo tradizionale del valore, il sovrasensibile come regione a sé, e deve pertanto porre i valori in modo diverso, cioè capovolgerli. Ne segue che il nichilismo compiuto, completo e classico, porta con sé un "capovolgimento di tuni i valori precedenti", sen,..a limitarsi alla semplice sostituzione degli antichi valori coi nuovi. li capovolgimento è contemporaneamente una trasformazione di genere e di modo dell'csscr-valore. l..a posizione dei valori richiede un nuovo principio, cioè una trasformazione di ciò da cui deriva e in cui si mantiene. la posizione del valore richiede una nuova regione. li principio non può più consistere nel mondo sovrasensibile, ormai privo di vita. A causa di ciò la realtà di cui va alla ricerca il capovolgimento operato da questo nichilismo ha il cara nere di ciò che è vivente al massimo grado. li nichilismo si muta così in un "ideale di vita potenziata al massimo" (Volontà di potenza, Af. 14, anno 1887). In questo nuovo valore supremo è implicita una nuova valutazione della vita, cioè di ciò in cui consiste l'csscn,..a che determina come tale ogni vivente.[ ... ] L'esame delle diverse forme dei diversi gradi di nichilismo mostra che il nichilismo, quale Niett.sche lo intese, è prima di tutto una storia in cui ne va dei valori, della loro assunzione, del loro venir meno, del loro rovesciamento, della loro riproposizione e, in ultima analisi e sopranuno, di una diversa concezione del principio della posizione stessa dei valori• (ivi, pp. 2.06-2.07).

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transito del fondamento dell'esser-valore da un mondo trascendente ("sovrasensibile") in q uale che sia direzione- la verticalità di Dio, o la sovrastante immanenza della legge di natura, o della comunità di cui il sentire individuale debba porsi in ascolto morale, al libitum immanente a se stesso della sensibilità individuale. La nuova regione così conquistata alla posizione dei valori non è più la proiezione sovrasensibile in un mondo ideale della trascendenza etica della comunità, del sentire comunitario, cui restino moralmente vincolate le sensibilità individuali, trascendenza che le tiene insieme e le connette, che altro non è che l'immanenza ad esse della loro relazionalità, come terreno di ogni relazione possibile che possano intrattenere, il comune nativo che ne orienta la differenziazione sostenibile, ma il sensibile individuale dell'Io del desiderio che si potenzia al massimo; un io supersensibile che si fa "sovrasensibile" a sé stesso, assegnando a sé valori che si pretendono "nati" e "sentiti" nel puro riferirsi a sé della sensibilità individuale come bastevole a sé stessa come fonte di diritto, e del diritto- di ciò che "è giusto chiedere". Il luogo genetico della valorazione sociale non è più il nesso comunitario "naturale" ma il libitum individuale che contratta, a seconda delle sue possibilità, la sua autovalorazione come riconoscimento sociale. Con il che, in questa fine delle coordinate trascendentali comunitarie della relazione sociale, di ciò che è in comune "prima" della società, dove la valorazione sociale è una pura reciprocità per pattuizione, ritorna in società il denegato diritto di natura come diritto del più forte a imporre patti. Alla fine di Platone, c'è ancora e sempre Callicle: il "giusto" non è che "il vantaggio del più forte" ,come ciò che è capace di procurarsi di quel vantaggio la "valorazione", il riconoscimento sociale, il quale assume quindi valore di legge ("giustizia") per gli altri. Non solo in regime oligarchico o aristocratico, dove questo è evidente; ma anche nella politesse della "retorica" democratica, vale in questo processo l'assunzione di Nietzsche della "giustizia" come volontà di potenza che si impone - al singolare o al plurale collettivo -socialmente: «Diritto- la volontà di rendere eterno un mutevole rapporto di forza. Esserne soddisfatti ne è il presupposto. Tutto quanto è venerabile viene chiamato in causa per far apparire eterno il diritto» 28 • •8

F. Nicr,.schc, Frammenti postumi 1882-1884, in "Opc,c:, di Fricdrich Nicr,.schc", voi. VII, r. I, rrad. ir. di L. Amorosoc M. Monrinari, Adclphi, Milano 1982, fr. 7196], p. 261.

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Quel che qui viene meno è la consapevolezza che la dimensione non pattizia dell'ethos, che gli dà base ontologica e non solo sociale - "legge scritta nel cuore", ius sanguinis in questo senso, come legge del no~ del gruppo, della comurùtà, e della sua urbanizzazione nella polis -, è altrettanto "naturale" dell'altro lato del foglio di cui è costituita, o su cui sono scritti i diritti dei singoli, dell'individualità; individualità che quei diritti, nella loro compatibilità sociale, li ha "naturali" in quanto a quel noi relazionata. Individualità che di quel "noi" è persona, maschera e insieme attrice di se stessa. Ed è solo questa doppia "naturalità" che consente di abitare il mondo - che sul suolo del diritto come suolo sociale (dal nucleo generativo della "famiglia naturale" all'urùversale consonio della "famiglia umana") possa essere accolto chiunque, al presente e al futuro, a quel suolo venga dal "diritto del sangue", dalla mera generazione dell'umano dell'uomo, quale che sia la "stirpe" in cui scorra quel diritto. In questo nichilismo etico come smoralizzazione del mondo, ciò che va perso è la consapevolezza che l'ethos è sempre una gedeute Welt, un mondo già "interpretato" non solo socialmente, ma anche naturalmente, nell'innesto biosociale della cultura nella natura. Un mondo dove la "regola" morale non è istituibile privatim, qualcosa che, nonostante ogrù "individualismo" e come accerta lo stesso conformismo dei processi di individualizzazione, quasi va da sé; ma neanche solo socialmente. Essa, la "regola", la si riceve sempre pub/ice da una originaria communio, che ha le sue radici, nella storia naturale del genere, nei modi biologicamente orientati della sua socializzazione; nei modi di accomunazione della comurùtà, di come essa si fa ed è, della comurùtà come orizzonte trascendentale del legame sociale, che si accomuna sempre in una sociazione per lei determinante di natura e cultura 2 9. ' 9 L'invariante relazionale delle "forme" sociali, che dà alla sociologia il suo oggetto, la sociazione, e non questa o quella particolare società (Simmel), è in questo "innesco" biosociale della cultura che ha il suo piano fondazionale. Innesco che è pretesa della tecnica oggi di ridocidere artificialmente, in laboratorio; di riprogrammare socialmente. Con il che verrebbe meno la possibilità stessa di una sociologia come analisi delle declinazioni determinate di nessi sociali che queste doclinazioni fondano e in queste declinazioni da riconoscersi, giacché l'oggetto stesso di una sociologia siffatta, la sociazione - pro=i sociativi incarnati che siano la possibilità trascende111a/e di ogni società possibile - svanirebbe nella determinabilità sociale, socialmente convenzionata di questi stessi processi. Non ci sarebbe più la sociazione che si declina nelle società determinate come oggetto

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Una difficoltà che è uno stigma dell'epoca che viviamo, sotto la pressione da un lato dell'avanzamento delle scienze, innanzi tutte le biotecnologie e la biomedicina; dall'altro del multiculturalismo a scala globale in cui siamo immersi, che ai suoi problemi aggiunge il patrocinio di maftre a penser di un libero pensiero irriflessivo che della diade che fonda tutto - individuo/comunità - ritengono di poter sciogliere i dilemmi della tensione, nel melting pot sociale, tra istanze dell'individuo e processi sociali di nuova accomunazione umana, dal lato dell'autoaffermazione dell'individuo venuto a sé stesso e alle sue pretese. Ritenendo di poterlo astrarre, per una società pensata come puro spazio di gioco di quell'autoaffermazione, dai nodi di rete comunitari in cui comunque, per quanto spaesato, viene al mondo. Giungendo a ipotizzare una reingegnerizzazione sociale, a misura della nuova società degli individui, dello stesso nodo comunitario fondativo: il nucleo familiare "naturale", la famiglia tradizionalmente intesa. Il nucleo familiare naturale, la coppia eterosessuale generativa, che è insieme lo snodo in cui si legano e si differenziano natura e cultura. In cui la cultura "si snoda" dalla natura "annodandosi" come legame sociale.

3. Sessualità e filiazione. Lo snodo generativo dalla natura della cultura come legame sociale

È stato Lévi-Strauss a indicare nella coppia eterosessuale generativa (il nucleo generativo della "famiglia naturale") il pattern basico non solo della riproduzione sociale - l'elemento propriamente generativo, riproduttivo della società -, ma anche della stessa produzione sociale in quanto tale, della stessa produzione della società come passaggio, nei processi di ominazione, dallo "stato di natura" allo "stato di cultura", come snodo in cui si legano e differenziano natura e cultura, in cui la cultura si snoda dalla natura annodandosi come legame sociale. A mostrare come nell'orientamento esogamico dell'accoppiamento eterosessuale come modo di assolvere «all'altro imperio» - dall'accoppiamento, dalla pulsione sessuale - per l'uomo della natura, la filiazione, proprio della sociologia, ma solo questa o quella (auto)socia1.ione determinata, in definitiva questa o quella società come si è decisa nel laboratorio di sé stessa che tecnicamente, artificialmente è diventata.

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«riconoscendo e sanzionando l'unione dei sessi e la riproduzione», la società «si impone all'ordine naturale, ma contemporaneamente essa offre all'ordine naturale la sua possibilità», perché «se si vuole che la società continui bisogna correre il rischio» del passaggio «dal fatto naturale della consanguineità al fatto culturale dell'affinità»3°. Del passaggio dalla relazionalità ristretta del nucleo parentale d'origine alla relazionalità allargata dell'apparentamento con altri nuclei parentali, a cominciare dalle affinità parentali che garantiscano una filiazione esogamica. Una necessità, nelle società primitive, non intuita su basi esplicative biologiche, che anzi potrebbero indicare in senso contrario, o su basi ideologiche, frutto semmai di una ratifica sociale ex post, ma su basi puramente "sociali"-intuitive, di autotutela della vita dell'individuo e del gruppo parentale consanguineo affidato all'allargamento della "consanguineità" in strategie d'incrocio parentale tramite strategie matrimoniali. Ciò che fonda la società, come icasticamente sintetizza LéviStrauss, riprendendo Edward Burnett Tylor, è la scelta tra "sposarsi fuori o essere uccisi fuori"3 1 • L'istituto del matrimonio prima ancora di essere il ciceroniano "semenzaio dello Stato "3 2 è la polizza di assicurazione con cui la società scommette su sé stessa, sulla sua stessa possibilità: «salvaguardare la perpetuità sociale dell'affinità» necesC. Lévi-Strauss, l,e strutture elementari della parentela, cit., p. 626. lvi, p. 88: «Secondo l'espressione vigorosa e intraducibile di Tylor nel corso della storia i popoli selvaggi hanno dovuto avere costantemente e chiaramente davanti agli occhi la scelta semplice e brutale "between marry11g-out and bei11g killed-out"•. L'analisi antropologica delle strutture della parentela in definitiva non è altro, né altro potrebbe essere, che la confcnna dell'autoinruizione di sé della sociogencsi in cammino nel suo "farsi" fin dall'inizio nelle culture "primitive". Un'autointuizione, che nel codice di Genesi, ad esempio, è già in regime di piena consapevolC'a.a sociale e normativa: •Maschio e femmina [Dio) li creò. [... J li benedisse e disse loro:"Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra"•, Gn 1, 27-28; «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne•, Gn 2,24. Dove è persino "codificato" il ruolo "economico" di sostegno alla sussisten'l.a, e non solo di partner riproduttivo della donna: •E il Signore Dio disse: non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile», Gn 2.,18. Sull'importanza "economica" del matrimonio, cfr. C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, cit., pp. 82-83. J• «Essendo per natura comune a tutti gli animali l'istinto della procreazione, la prima società è quella coniugale, la seconda della prole, quindi l'unità della casa e la comunanza di tutte le altre cose; questo è il nucleo primo della città e quasi il semenzaio dello Stato•, Cicerone, De o{ficiis, I, 17,54 (in M. T. Cicerone, Opere politiche e filosofiche, voi. I, cd. it. a cura di I.. Fcrrcro e N. Zor-1.ctti, Utct, Torino 2009, p. 613). l°

J•

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sita la compromissione «con le fatalità della filiazione e, insomma, dell'infrastruttura biologica dell'uomo» 33. La proibizione dell'incesto, un tema su cui Lévi-Strauss insiste in modo esemplare, ha la sua motivazione fondante non in ciò che proibisce, ma in ciò che questa proibizione promuove: la socializzazione, tramite lo scambio delle donne cedute come oggetto del desiderio per farsi soggetto (tramite), nella filiazione esogamica, dell'annodamento di relazione parentali allargate. L'aura sacrale che la circonda in tutte le culture ha questa motivazione basica di promozione dei processi di integrazione sociale per quello che favorisce - l'allargamento del confine "comunitario" di sicurezza, nell'incrocio "sociale" dei gruppi parentali, della vita del gruppo parentale riproduttivo ("familiare") e dei suoi individui - piuttosto che per quello che interdice. Come nel tabù del sangue, la "sacralità" è funzione della vita che difende e promuove, a cominciare dalla propria, non dell'interdetto, di ciò che è vietato in quanto tale (tant'è che "uccidere" i nemici non solo non è vietato, ma è richiesto quando questo mette in questione la vita del gruppo, o le necessità o l'espansione "ambientale" del suo "spazio vitale"). Ogni cultura ha sempre protetto questo nesso, tra sessualità e filiazione, fondativo - per il tramite dell'accoppiamento eterosessuale esogamico - della società stessa nell'istituto del "matrimonio". E poiché la società è la cultura, in definitiva fondativo di se stessa; un nesso realizzante nel sapiens, nella "regola" matrimoniale, il passaggio dalla natura alla cultura. Il motivo (che la moralità e il diritto proteggeranno) è sic et simpliciter "vitale", extramorale nel lessico del giovane Nietzsche: nel riprodursi del ghenos per questa via (l'accoppiamento eterosessuale procreativo esogamico), si produce ciò che lo protegge, la società; società che allarga il cerchio "comunitario" di sicurezza del gruppo riproduttivo e dei suoi individui, accomunando o rafforzando i legami di sangue. E fa questo utilizzando le "basi" naturali, biosociali, dell"'umanizzazione" dell' anthropos (pulsioni sessuali all'accoppiamento e filiazione, da un lato; e, dall'altro, istinto di conservazione, nell'intelligenza del sapiens, tale da intuire e rielaborare le condizioni a contorno del successo di questo istinto). Le tavole della legge da cui discende la "verità" del matrimonio non discendono dal Sinai, né dalla morale corrente, ma "risalgono" H

C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della pare11tela, cit., p. 61.6.

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alle radici "arcaiche", che ne sono le archai, i principi che non passano, come ha insegnato Lévi-Strauss, con cui si è socializzata e si socializza la società nel suo elemento basico insieme produttivo e riproduttivo. Hanno la bastevole "divinità" fenomenologica di come la vita del "Sapiens" viene, avviene e conviene a se stessa, cioè si accorda con le condizioni migliori, per il suo venire e advenire a se stessa, scoperte nella storia evolutiva del genere. Per chi studia l'antropizzazione 'sapienziale' dcli' anthropos, il suo divenire e attestarsi nell'evoluzione come homo sapiens, la sacralità del matrimonio (le vichiane nozze che con altari e tombe fanno l'uomo uomo) è nient'altro che la teofania dell'ovvio; dell'ovvietà dell'umanizzazione come sapiens dell'anthropos. Puro conseguimento della ragione naturale, della razionalità osservativa dei fenomeni, di ciò che accade e di come accade. Anche qui, il "segreto" della "Sacra Famiglia" resta la "famiglia terrena" ben oltre le sue basi "economiche"; dove è dubbio, però, che questa volta valga la pena rivoluzionarla "praticamente". O non piuttosto il segreto saputo debba essere "custodito" nella pratica; in una "riflessività" sociale della "seconda modernità" che continui "quel che si è sempre fatto" in vari modi fino alla "prima modernità", per riprendere il lessico sociologico di Beck. Nella connessione inscindibile tra sessualità coniugale e procreazione, nella finalità procreativa in cui maschio e femmina, nell'atto dell'accoppiamento, si fanno una sola carne nel figlio e per il figlio, nella generazione di un nuovo individuo, protetto affettivamente dalla coppia fino al suo compimento sociale come individuo adulto in grado di lasciare padre e madre per essere, a sua volta, padre e madre, ci sono le basi naturali della" indissolubilità" del matrimonio come ideale pratico, auspicio sociale della sua durevolezza - già individuato per tempo nella sua durezza di cruda necessità nelle società primitive34. In modi Sulla coppia coniugale come "cooperativa di produlione" cfr. C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, cit., pp. 83-84: «Soprattutto ai livelli più primitivi, nei quali la dure'l.,.a dell'ambiente geografico e lo stato rudimentale delle tecniche rendono aleatori tanto la caccia e il giardinaggio quanto la raccolta, un individuo abbandonato a se stesso non potrebbe vivere [...) Non è dunque esagerato dire che in tali società il matrimonio presenta una importan,,a vitale per ogni individuo. Ed ogni individuo è doppiamente interessato: non solo a trovare un coniuge per sé, ma anche ad evitare che nel suo gruppo si verifichino le due calamità della società primitiva, il celibato e l'orfane7.:,,a •. La crisi della famiglia come problema sociale, e dei singoli (il "celibe miserabile" delle società primitive) come nesso, molto "materialistico", di miserabilità affettiva/miserabilità economica ha una lunga storia. 34

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diversi fino al modello puro della coppia monogamica oggi prevalentemente diffusa, l'istituto sociale della famiglia accompagna e alimenta il "compimento" sociale dell'individuo. La realtà non solo naturale, ma sociale e comunionale, del vincolo coniugale (al netto della variante poligamica e persino poliginica) come affettività istituzionalizzata affettività che si fa istituzione, cioè assume obblighi reciproci, e verso terzi, socialmente protetti e sanciti - nasce da questo stato dell'arte naturale che l'antropologia del novecento ha efficacemente riassunto nella definizione dell'uomo come "parto prematuro normalizzato", dove il mat.ernage affettivo comunionale (in nuce della coppia riproduttrice) ha caratteristiche di durata del tutto peculiari negli schemi sociali dei mammiferi superiori35. Giacché questo mat.ernage si estende a tutta la vita e va persino oltre. Il figlio dell'uomo è anche erede e custode di quel mat.ernage, della stirpe; non è mai un a capo sociale, nel senso che non è mai socialmente solo contemporaneo a se stesso una volta che adulto si sia abilitato alla relazione sociale. Si è figli non solo dei propri genitori, ma dei propri nonni, e si è figli dei propri figli, cioè del phylum e della philia della stirpe36: antropologicamente "l'eterno consiglio" di un verdeggiare della vita (la sua feconda "verginità") che è "figlia del suo figlio". Questo è quel che "protegge" il "matrimonio", antropologicamente, come istituto sociale. Non come convenzione pattizia (storicamente e giuridicamente variabile) rinegoziabile ad libitum, ma come emergenza al costume e al diritto della socialità nativa dell'uomo, che nasce nella famiglia, che di quella socialità è il primo alimento simbolico e spirituale, materiale ed economico. La società è il H A. Portmann, Biologische Fragmente zu eirter Lehre vom Mensche11, B. Schwabc, Basel 1944, p. 45. '' Questo vincolo sociobiologico comunitario - il nesso filogenetico della sua ontogenesi, che quel nesso ri-pete, riprende, individua ogni volta daccapo - è ciò che l'individualità, che è insieme la ricorren1.a biologica e il genio personale del singolo individuo, ogni volta rappresenta alla prima persona, nella variabilità storica e culturale del nucleo procreativo eterosessuale della famiglia "naturale", chiamata dalla natura alla sua generatività biologica e sociale; della cui naturalità, la monogamia del legame familiare storicamente prevalente nelle società evolute è già un'op,ione sociale,che può trovare e trova, storicamente e culturalmente, forma poligamica, poliginia o poliandria. Ciò che è 11aturalme111e "stabilito" - una divenien,.a biologica che si stabili,.1.a assicurandosi le condizioni della sua ricorsività - non è la forma sociale della famiglia, ma il pallenr biosociale, la coppia eterosessuale riproduniva e i suoi bisogni di protezione, nelle sfide di contesto del gruppo umano e dell'ambiente naturale, che ogni volta la sua forma storica custodisce.

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"vangelo" della famiglia nel senso che è ciò che è annunciato e istituito (ne è parola performativa37) nel consorzio familiare della coppia o del gruppo riproduttivo (ciò che poi sarà l'istituto del matrimonio) come nodo di rete sociale. Nell'uomo lo "stato di natura" socializzato, custodito nel nucleo generativo eterosessuale, non è più solo affidato al riflesso istintuale, chiuso in se stesso, degli animali sociali. Ma è "aperto", socializzato anche nel senso della consapevolezza reciproca che promuove il legame sociale e lo tutela anche da un suo divenire che si discosti dall'ottimizzazione socializzante raggiunta da quel legame (è il compito della regola matrimoniale, e poi del costume, della morale e del diritto). Il consorzio familiare (unione di più individui con doveri reciproci per un fine determinato) è il luogo in cui emerge questa socializzazione specifica dell'umano, e che nel matrimonio trova il suo idealtipo: consorti sono i coniugi, che hanno una sola sorte, una sorte comune, secondo l'etimo latino, in quanto compagni di letto, prima quello coniugale e poi quello funebre3 8• Questa sorte in cui si legano è la trasmissione della vita del gruppo, della stirpe. Tutto ciò che vi si aggiunge nella ricchezza e nella fioritura dell'umano dei possibili rapporti di coppia sessuali e affettivi non può obliterare questo destino basico del nesso, nel sapiens, di sessualità e filiazione. Nell'indissolubilità sacramentale del matrimonio cristiano, dove la grazia perfeziona la verità di ragione naturale del coniugio procreativo eterosessuale che "lascia padre e madre" e si fa una nuova "sola carne", si fa vincolo religioso un idealtipo sociale che ha radici biologiche nel pattern antropologico basico che istituisce la società, la famiglia generativa. In una "sociazione" sul piano della "cultura" che è l'altro lato del foglio della relazionalità/complementarità biologica dei sessi sul piano della "natura". Sociazione generativa che non genera solo figli, per cui basterebbe, per parafrasare l'espressione di Tylor, "sposarsi dentro"; ma genera, "sposandosi fuori", )'arti37

In ciò che è, e a cui dà effetto, produce, "la legge di natura", vale quel che Isaia fa dire al Signore per la sua parola: «Come la pioggia e la neve scendono dal ciclo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a mc sen1.a effetto, sen1.a aver operato ciò che desidero e sem.a aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (/s. 55,10-11). 18 Sull'etimo di consorti in qucstosenso,cfr. lostudiodi M. Pittau "F.a-. TUSURTHIR = lat. CONSORTF.S", in «Archivio Glottologico Italiano», I.XXVIII, 2, ( 1988), pp. 15 5-1 57.

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colazione sociale del legame sociale "extradomestico", cioè fondamentalmente l'incunabolo della "società" (lo stringersi di un legame secondo una "regola" in cui non si nasce) propriamente detta. Un sottotesto antropologico che l'ovvia refutabilità del costrutto teologico e pastorale "sacramentale" non dovrebbe tuttavia mai perdere di vista, a pena di perdere, con l'aura non condivisa della cosa, la cosa stessa antropologicamente in gioco. Insula sacra, attorno a cui si inordinano - nel culto delle tombe, nucleo originario, come ha mostrato Fuste! de Coulange per la città antica, di una religione domestica - i fili delle generazioni, è nella famiglia generativa che dal valore "religioso" della morte, di legame e culto con i propri antenati e dei propri antenati, si dipana il primo ordinamento "sociale" dell'uomo, quello cultuale degli avi, dei morti, dei consanguinei che per essere morti non cessano tuttavia di appartenere al sangue, al phylum, che di essi vive, nel senso che da essi ha tratto vita e che proteggono. Raccolta intorno al pater, il padre generatore, prima ancora che organismo economico ed entità politica (governo gerarchico delle attività della domus; presupposto dell'evoluzione politico-statuale della nativa, nella famiglia, associazione umana, che è un essere dati a sé in comune, comunità, e non un convenire che si associa e si dà leggi discusse e pattuite e non native), la famiglia generativa ciò che tiene acceso sull'ara-focolare - nel culto dei morti (Penates, Manes, l..Ares, Genii)39, gravato nella Roma antica sulla linea maschile della continuità parentale4° - è la solidarietà delle generazioni nel phylum parentale: nel culto che i vivi rivolgono ai morti, culto di un debito che non si spegne - in vita l'onore che si deve al padre e alla madre -, e nella protezione che i morti assicurano ai vivi. È l'uomo privato - prima dello Stato, della pattuazione e della contrattazione civico-politica - nei suoi legami "naturali", in cui nasce e riproduce la sua vita, naturali perché vi nasce e vi vive, l'incunabolo delle relazioni sociali. Incunabolo che ha radici ctonie

" •Sotto la quale si praticava in origine l'inumazione domestica, prima che questa si spostasse fuori dall'abitazione, al centro del piccolo appc7.;,.amento adiacente, con la sua frontiera confinaria segnata dal dio Termi11us, ad insegna della impenetrabilità e intangibilità da pane di estranei•, F. P. Casavola, I fondamenti del diritto antico, in d ura and legai Studies•, :>.01 5, B ( 18), p. :>.75. 0 • lvi, p. :1.76: •Parentarc è il verbo indicante l'azione cultuale verso i moni, evocativo del pare11s, il padre•.

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nel sangue, negli dei della casa e della stirpe, nell'uomo privato "prima" dello Stato, prima che queste radici si intreccino nella polis e nel potere che le rappresenti. Che è il motivo per cui è ai legami dell'uomo privato, l'unico uomo naturale che non sia una {ictio storica, all'auctoritas di ciò che viene prima, da cui si è stati "cresciuti", che in caso di conflitto con la legge della polis si rivolge la legge di natura, "Antigone eterna", come misura di "giustizia". Persino in un universo come quello greco dove il diritto è il vincolo politico tra i cittadini, vincolo in nome del quale è giusto morire anche quando è ingiusto, come Socrate argomenta nell'Apologia platonica◄ 1 • Nel turn-point della seconda modernità, dove sotto la potente spinta all'individualizzazione dell'economia postindustriale e al relazionarsi e relativizzarsi in rete di modelli sociali e stili di vita, è questo pattern determinante del nesso procreatività/socialità, la famiglia generativa, a rischio di scomposizione. Senza che se ne intraveda una qualche tenibile ricomposizione. Almeno fin quando non si decidesse - in un assurdo logico-evolutivo realizzato in laboratorio che punti a resettare questo incunabolo naturale per sostituirlo con un incunabolo biopolitico riscritto usando con "più scienza" le "lettere" del Dna - di affidare la procreatività umana alla partogenesi, rimontando all'indietro la storia dell'evoluzione. Un pattern le cui basi biosociali, di cui è portatrice la coppia eterosessuale feconda, ai fini della filiazione, quando questa capacità venga meno nel desiderio procreativo impotente dell'affettività coniugale eterosessuale, storicamente sono surrogate dalla tecnologia sociale dell'adozione. E cui ancora oggi deve ricorrere il coniugio affettivo omosessuale, nel momento in cui voglia realizzarsi procreativamente, riconnettendo, nella cornice di coppia della sua affettività, sessualità e filiazione. Dovendosi andare a prendere, in tutto o in parte, altrove - dalla provetta all'utero in affitto-, la biologia sessuale da associare a un'affettività "coniugale" il cui desiderio procreativo non abbia basi biologiche proprie. Ancora nella realizzazione socialmente gestita (per la via naturale dell'adozione, per la via tecnica della procreazione assistita o surrogata) del desiderio generativo di partners infecondi nella naturalità "impedita" della coppia eterosessuale o nella naturalità diversamen•• lvi, 280: •li dirino dei Greci è il vincolo politico tra i cinadini. È una concezione agli antipodi di quella che ha guidato i Romani dal focolare e dalle tombe domestiche a proporre come protagonista del teatro del mondo civile l'uomo privato•.

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te orientata sessualmente della coppia omosessuale, il progetto affettivo/desiderante della genitorialità, se pure in modo surrogato, deve complementare la pulsione sessuale dell'accoppiamento all'infrastruttura biologica della filiazione, che viene "da maschio e femmina", in un figlio che la società o la provetta mettano a disposizione. Questo pattern basico della famiglia tradizionale, la coppia eterosessuale, storicamente "imbozzolato" in una rete familiare insieme larga e vincolante nei suoi vincoli parentali e patrimoniali- la longue durée della famiglia patriarcale, che a Roma deve al famulus il nome di familia◄'- -, è ciò che oggi è a rischio. Dopo aver già vissuto, nella società industriale tra Otto e Novecento, una mutazione sociale di non poco momento: la sua evoluzione a famiglia mononucleare; l'emancipazione o l'allentamento, cioè, dalle reti parentali tradizionali, per funzionalizzarsi, nella mobilità del lavoro non più legato alla terra, ai luoghi e al ciclo produttivo della fabbrica. Un'emancipazione, che se da un lato ha smagliato le reti tradizionali del nucleo riproduttivo familiare allentando il legame parentale - depotenziato dal vincolo patrimoniale e confidato fondamentalmente all'affettività di prossimità, e alla sua instabilità◄) - tuttavia proprio nella crisi oggi della famiglia mononucleare della società postindustriale, di questo "nucleo", come pattern produttivo-riproduttivo della società, vede emergere, in modo "nudo", la sua basicità per la tenuta della sua funzione ["arcaica", principio in cui qualcosa comincia e di cui si mantiene, generativa] di istituzione molecolare della società. Una basicità (nel senso di una sua riconoscibile stabilità generativa, affettiva, esistenziale) del nucleo familiare "tradizionale" - la coppia procreativa eterosessuale - che nella società postindustriale, giuste le analisi di Beck, vive un declino già economico, per la perdita della sua funzionalità all'economia globalizzata della rete; e che proprio per questo ha davvero poco bisogno di ulteriori spinte sociali destrutturanti la sua generatività sociale, di una destruttura-

•• Nell'antica socielà domestica romana, famuli, famigli, tra cui andavano ricompresi anche i figli,e non solo i "servi di casa", erano i conviventi sotto lo stesso tetto, nella "casa". In senso più ristretto, famuli indicava i membri della casa uniti per legame di sangue. 0 li venir meno nell'avan1.arc della società industriale del tradizionale imbou:olamento familiare della coppia generativa eterosessuale, via via sfilacciatosi fino alla sempre più debole tenuta dell'ultimo filamento che l'avvolge, quello della famiglia nuclcare,oggi "atomo" che "decade" sempre più velocemente.

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zione "ideologica" delle condizioni a contorno che questa generatività rendono possibile. Oltre questo punto di crisi "strutturale", economico, ma ancora per questo socialmente gestibile in una stabilizzazione indiretta, da welfare, delle esigenze di stabilità "materiale" del monogramma riproduttivo della società, la coppia procreativa eterosessuale44, lo scenario ideologico che si apre è la pura e semplice smoralizzazione di massa45 del mondo, di cui la teoria del gender è oggi il "manifesto" biopolitico più avanzato del work in progress della reingegnerizzazione sociale in atto della sociogenesi "naturale" fin qui attestata dalla "tradizione".

4. La neutralizzazione sociale dell'identità di genere

Non c'è bisogno di molto per vedere nelle richieste emancipative degli studi di genere lievitati a teoria del gender una diversa richiesta di emancipazione da quella più che giustificata - politicamente, socialmente, moralmente - relativa alla condizione femminile e alla tutela dell'identità omosessuale. La più generale richiesta di un'emancipazione metapolitica dai vincoli "naturali" dell'identità di genere; e dell'implicazione eterosessuale, che vi si connette, del nesso sessualità/filiazione, in cui il vincolo di quella naturalità si è socialmente codificato, codificando la società, permettendone fin qui la genesi; si è fatto codice socialmente genetico. Un'emancipazione dai vincoli naturali tradizionali trascritti negli istituti sociali e giuridici a disposizione, per via biopolitica, dei propri diritti di cittadinanza. Vincoli "naturali" non più riconosciuti tali perché manipolabili dalla tecnica, che si presuma possa "riprogettare" artificialmente il nesso sociogenetico sessualità/filiazione naturale, individuato fin qui li tema oggi, nei dibattiti sul Wel{are, della f/exsecurity sociale che nella crisi del Wel{are tradizionale dovrebbe surrogarne la funzione di sostegno ai bisogni esistenziali 44

minimi richiesti dalla riproduzione sociale in capo alla generatività degli individui funzionali,.zati all'instabilità di principio dell'economia globale e di rete. •• "Di massa" è un pleonasmo, perché dementi e tensioni smoraliv:a11ti sono sempre anivi nella mora/iuazione"sociale" intesa come integralmente pattizio-conven,.ionale della società; intendendo qui "moralizi,.azione" in senso extramorale alla Niet:t.sche come istituirsi dei parametri ("valori") di fun1.ionamento e tenuta di un organismo strutturato; in questo caso la società nei suoi fondamenti comunitari, nel &(comune", nei processi in cui "si accomuna" l'aggregazione naturale umana.

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in antropologia strutturale (Lévi-Strauss) nella coppia eterosessuale feconda. In nome dei diritti civili, modellati nel caso di specie su un'idea neutra, che dovrebbe farsi giuridicamente neutrale, del proprio stato di genere, la teoria del gender ciò che mira a neutralizzare è il dato "naturale" della propria identità di genere, e dell'orientamento sessuale cui è orientato. Anche quando questo dato naturale non sia la differenziazione di genere prevalente, maschio-femmina, quella procreativamente "normale" [che in biologia nient'altro significa che lo standard funzionalmente riproduttivo) ma la stessa "naturalità" dell'identità omosessuale. Sulla differenziazione di genere, sulla propria identità di genere non ha più titolo né la natura (la biologia, che può essere ridecisa dalla tecnica), né tanto meno la società, depotenziata nei suoi istituti valoriali e giuridici assunti come pure convenzioni sociali; ma solo il titolare - la "soggettività", l'individuo - di diritti di cittadinanza la cui città di appartenenza è in definitiva il proprio desiderio e il "corpo" [un "corpo proprio" modellabile, un Leib che può essere oggettivato come Korper disponibile] che se ne fa interprete. In questa emancipazione dalla natura e dalla società, l'identità di genere è sui iuris, non sottostà cioè ad alcuna potestà, ad alcuna legislazione che non sia quella dell'orientamento del proprio desiderio. L'autonomia "morale" si fa autonomia del costume sessuale che si vuole indossare. Al netto ovviamente dell'infortunio alla propria libertà, che una chimica "estranea", socialmente decisagli o imposta, potrebbe arrecare a quest'autonomia morale come autodeterminarsi della biochimica del "proprio" desiderio; in una società in cui i persuasori occulti possono tranquillamente essere all'opera nella nanotecnologia di una molecola in un blister. Con il che la necessaria mediazione sociale dei bisogni di una differenziazione di genere [l'identità omosessuale o più latamente LBGT), che non accetti di restringersi più alla differenziazione binaria maschile-femminile e alla differenziazione sociale "generativa" che ne discende, non vuol più essere affidata "politicamente" in senso classico a nuovi istituti giuridici determinati che a quei bisogni "emancipativi" sovvengano; ma ambisce alla normalizzazione sociale, tramite una neutralizzazione giuridica, della differenza altrettanto "naturale" che pure si dà [quella omosessuale o LBGT], e che a quella differenziazione binaria non è ascrivibile. A un'emancipazione per

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decreto dalla "natura" della potestà sui iuris dell'identità di genere, dove de jure la differenza naturale non sia più genetica, generativa della differenziazione sociale dell'identità di genere; e alla differenziazione sociale, al ruolo di genere, e ai connessi diritti- ruolo ancora obbligato per una specie ancora affidata alla riproduzione sessuata, finché non provvederà una partogenesi assistita -, si acceda ad libitum. A scelta di un individuo che a priori, naturalmente e socialmente, non è ontologicamente nient'altro (o almeno tale si pretende) se non persona giuridica, {ictio sociale titolare dei diritti che la società gli riconosce in una pattuizione ogni volta a determinarsi. Che l'Alta Corte australiana, come le cronache riportan046, abbia riconosciuto il diritto di essere identificati come sessualmente "neutri" accogliendo la richiesta di un cittadino nato maschio, successivamente diventato femmina grazie ad una operazione chirurgica e infine pentitosi della scelta fatta; che nell'asilo di infanzia Egalia (nomen omen) a Stoccolma si proponga un modello educativo in cui i bambini vengono cresciuti in un ambiente neutro dove si evita, cioè, di qualificare preventivamente il maschile e il femminile, e i pronomi personali lui (hon) e lei (hen) sono sostituiti da una forma indeterminata (han) per ampliare lo spazio, contro ogni stereotipo(!), per una libera autodeterminazione di genere (un tentativo di recuperare un grado zero individuale dell'identificazione di genere); che a Milano, come in altre città, sui moduli di iscrizione dei bambini alle scuole di infanzia, il padre e la madre sono stati sostituiti dal termine neutro "genitore I" e "genitore 2" - sono tutti segnali che perfezionano il politically correct dell'eguaglianza di genere nell'uso del linguaggio pubblico che solo l'affermazione del genere neutro rappresenterebbe. In questa neutralizzazione sociale dell'identità di genere, a venir meno sono le coordinate trascendentali comunitarie della relazione sociale, la dimensione non pattizia, non convenzionale dei ruoli sociali. A venir meno è la dimensione "innata", nel senso che vi si nasce dentro, dell'ethos, che dà all'ethos base ontologica e non solo sociale, essendo l'ethos la condizione strutturante la socializzazione e la riconoscibilità che le riconosce - nella loro identità e nel loro immaginario - delle identità di genere nei patterns della socializzazione. È da ◄6 Ne riferisce con sintetica chiarcz,.a delle sue implicazioni ideologiche Mauro Magatti sul ~Corriere della sera" del 6/ 5/ 2015: Il genere 11eutro 11ella società individualisllJ.

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questo insediamento nell'ethos che all'individuo viene l'agibilità del suo stesso immaginario individuale come persona sociale. Ed è nelle strutture comunitarie di questo insediamento che c'è la misura della sostenibilità etica alla sua richiesta di diritti [e di protezione nel diritto) come individuo; sottraendo questa richiesta alla misura allotria di un puro regime del desiderio. Nelle strutture dell'etico, nelle strutture relazionali fondative a base bioculturale del legame sociale [lì dove il legame naturale cede il passo al legame culturale, la natura evolve e si complica, esplicandovisi, in cultura), la società, nella sua differenziazione convenzionale, trova il limite di tenibilità del libitum sociale; perché quelle strutture sono ciò da cui solo, alla lunga, una società può volere se stessa se si vuole. Anche in politica, quando - giusto l'awertisment del paradosso di Bockenforde, che «lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire»47 - si maturi il dubbio che della stessa società politica possa essere fondativa la pura regola procedurale convenzionale e convenzionata. Queste strutture trascendentali dell'etico - nient'altro che il "come" fin qui ci siamo governati, condotti "moralmente", secondo i mores, i costumi, nel mondo che abitiamo48 - non possono decidersi socialmente, perché sono previe a ciò che socialmente si può decidere. In queste strutture in un certo senso noi siamo già sempre decisi, e siamo decisi in comune. Volerle decidere socialmente, in un a capo convenzionale che metta persino in questione le basi biologiche date in cui la socialità del gruppo ha già il suo "codice di sviluppo" genetico, generativo - fondativamente il device biologico (riproduzione sessuata o assessuata, partogenesi o riproduzione gamica) che decide

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F--W. Bockenforde, La formazio11e dello Stato come processo di secolarizzazione, a cura di M. Nicoletti, Brescia, Morcelliana 2006, p. 68. Su questo testo, pubblicato per la prima volta nel 1967 (Die Entstehu11g des Staa/es als Vorga11g der Siikularisation, in Siiku/ari$t1/io11 und Utopie. Ebracher Studien. Ert15/ forsthoff zum 65. Geburstag, Srungart, Kolhammer, 2006, pp. 75-94), si veda, nell'edizione italiana, l'illuminante introduzione di M. Nicoletti, Per amore della libertà. I.o Stato moderno e la coscie11ZO, pp. 5-27). Cfr. anche dello stesso Bockenforde,Stato, costituzio11e, democrazia (1991), a cura di M. Nicoletti e O. Brino, Milano, Giuffré 2006 e Diritto e secolarizzazione ( 1991 ), a cura di G. Preterossi, Later,.a, Roma-Bari 2007. 48 Il nesso etico come comportame11/o che è rapportame,110 dovuto al mondo che si abita per continuarlo ad abitare con successo, che in greco stringe ieoç [svdka, suesco, sodalis, soleo, uso, abitudine, costume) a ~8oç [suesco, dimora, soggiorno, scde,abitudine].

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di come il gruppo si produce e si riproduce come gruppo - significa voler in una qualche misura decidere di nuovo quel che la natura ha fin qui da sempre deciso per noi. Ma proprio in questo fare da noi per noi, esonerando la natura da quel che finora ha fatto per noi, rischiamo di non avvederci che la natura mentre faceva per noi faceva noi. E che fare da noi per noi, esonerando le basi sociobiologiche di natura dalla costruzione del legame sociale, non dà alcuna garanzia che si continui a costruire il noi che siamo stati fino ad ora; e in generale di "successo evolutivo" a una diversità evolutiva "pianificata". Ammesso che questa "pianificazione" sia moralmente sostenibile, e non sia invece l'esiziale scambio logico di leggere un "arresto evolutivo" nel compito prima facie di ogni forma di vita come conatus sese conservandi, che nell'uomo è la tenuta di sé come compito etico. Una conoscenza che considera un arresto evolutivo la forma di vita in cui si è stabilizzata, e in cui si è riconosciuta degna di essere vissuta49, generando nietzscheanamente un esperimento con la verità, con le condizioni di manifestazione dell'organismo sociale, che rischia di questo organismo di mettere a rischio la vita, in un nichilismo dello spirito di verità dove la conoscenza della vita rischia di mettere in crisi la vita della conoscenza che quella conoscenza si procuras0 • Questo "diritto" all'esonero dalla datità naturale, da ciò che socialmente ci siamo fatti abitandola nell'ethos - smoralizzazione del mondo che non è banale immoralismo, ma la pretesa di rimoralizzar-

◄9 Proiettando la sua accettazione di sé come "cosa buona" nel divino che la crea e la riconosce come tale, Ge11esi 1, 3 1, e istituisce il "sabato della crca,Jone": darwiniana mente, antidarwinianamente, l'evoluzione che dice a se stessa ciò che Goethe fa dire a Faust all'attimo: "fermati, sci così bello!". 10 Un esperimento con la verità, che scambia la possibilità tecnica cognitivamente acquisita di riprogrammare un processo biologico - un progresso cognitivo - con un progresso evolutivo alla nostra portata. Un progresso cognitivo di per sé non è una più avveduta possibilità per il futuro (una nuova e più avanzata 'strada' evolutiva, biologica o sociale, biosociale), e può ben restare nient'altro che possibilità tecnica di ripercorrere "in laboratorio" una strada evolutivamente scartata alle nostre spalle. Sen,.a capacità di discernere tra progresso cognitivo e progresso evolutivo, l'avan,.amento evolutivo della nostra libertà come incremento delle nostre possibilità operative, che certamente si reali,.:u nei progressi cognitivi della scien,.a, rischia di essere irriffcssivamente proiettato nei risultati possibili a questa operatività. Con il cotè scientista di ritenere fautori di un arresto evolutivo "bioconscrvatore" chiunque voglia custodire una stabilizzazione evolutiva, cioè un tratto biologico o un carattere sociale dimostratosi utile al gruppo e alla specie "conservato" (= "tramandato") nel dna sociale.

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lo su nuove basi, tecnicamente e socialmente "escogitate"S 1 - , questa pretesa dell'etico di essere pura convenzione sociale, di nulla in debito a una "legalità" non questionabile della natura - un autonomizzarsi della morale dalla "legalità" della natura, dalla sua legislazione concorrente alla nostra autolegislazione morale - è l'esito sociale coerente di un immaginario tecnologico che ritiene sia sul piano biologico che sociale che grazie alla tecnica noi siamo in grado di poterci fare meglio da noi di quanto fin qui ci siamo fatti e siamo stati fatti con e dal concorso della natura; un immaginario dove è in gioco è la possibilità di riprogettare la linea germinale dell'uomos 2 • Prima ancora che rivolgersi all'identità di genere, e alla reingegnerizzazione sociale del nesso sessualità/filiazione che vi si riconnette, nell'immaginario sociale questo esonero e questa pretesa hanno avuto il loro punto di innesto nelle aspettative che hanno accompagnato i progressi biotecnologici della clonazione non come strumento di medicina riparativa, ma come tecnica possibile di riproducibilità di un individuo umano; di una riproduttività biologica della specie che ha ormai anche la tecnologia non solo per replicarsi, ma per riprogettarsi. Di una specie finalmente in grado decidere da sé di come essere e di come venire ad essere da sé già sul piano biologico. Dove nel venir meno possibile in linea di principio della naturale occorrenza biologica della riproduzione umana in via sessuata (eterosessuata), è in gioco lo stesso nesso sociogenetico di sessualità/filiazione, in uno scenario di neutralizzazione biopolitica, tramite la tecnica, dell'ims• "Pro-vocate" a venir fuori (più ancora: pianificate e immesse nel "dato" naturale riprogenato, non più dato ma fatto) più che socialmente "pro-dotte" da tecnologie sociali {pratiche, diritto, costumi), fatte cioè avanzare nell'evidmza sociale dalla latenu, naturale che a quella eviden1.a si orienta e che quella eviden1.a orienta. s• I rischi genetici della "chirurgia del genoma•, oggi amplificati da nuove tecniche di facile accessibilità - Crispr o "clustercd regularly intcrspaccd short palindromic repcats" - sono ormai un luogo comune del dibattito della ricerca scientifica impegnata in questa chirurgia genetica, che può cambiare la sequenza del Dna non solo per correggere "errori di battitura•, ma per togliere o inserire nuovi caratteri nella sequenza; in grado quindi non solo di correggere "difetti" genetici, ma di agire, intervenendo sulle cellule germinali, sulla stessa trasmissione di nuovi caratteri, cioè di riprogenare eugeneticamentc il patrimonio genetico trasmesso e "ripetuto" dalle generazioni, distorcendo per sempre l'eredità fin qui trasmcssasi della specie. Per il sapiens oggi in gioco è l'alterazione intenzionale, riprogettandola, della sua linea germinale. Una possibilità che per altro rischia di essere decisione sociale ristretta, dove alcuni decidono il governo della vita, l'indirizzo biopolitico del futuro di tutti.

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plicito "comunitario" già biologico, nella riproduzione sessuata. Un implicito comunitario che fa da base biologica alla riproduzione sociale umana, dove il livello sociale macromolecolare della riproduzione incrocia i gruppi parentali - secondo gli schemi studiati da Lévi--Strauss - proprio appoggiandosi al pattern eterosessuale della riproduzione biologica dell'individuo, all'infrastruttura biologica del nesso sessualità/filiazione. In questo immaginario postumanista dell'umano, ciò che è in gioco non è tanto l'unicità individuale dell'individuo clonato (un'impossibilità logica oltre che praticaS3) quanto la legittimazione biologica - "naturale" perché si può fare in natura [affidata cioè alla capacità della tecnica di una ri-naturalizzazione in laboratorio delle basi naturali date della riproduzione umana, dove il "naturale" come ri-naturalizzazione artificiale della natura data come mere basi materialiH Riprodurre un individuo simile in tutto e per tutto alle caratteristiche note e accertabili del suo genitore biologico,dovrebbe poter signific,re "clonare" anche lo psichismo acquisito del genitore nell'individuo riprodotto, sen,.a togliere né aggiungere nulla di nuovo quanto a vissuto di esperienza, altrimenti almeno da questo punto di vista avremmo un individuo diverso, conC3ratteristichecomportamentali diverse; comunque in linea di principio un nuovo individuo. Anche dal punto di vista dello psichismo elementare dell'animale. Se una differenziazione psichiC3 degli individui clonati poco importa ai fini di un clone per uso zootecnico, ad esempio, dove ciò che interessa sia la clonazione della qualira organolettiche di un tipo di carne; essa è già più rilevante se si vuole riprodurre un C3ne da difesa, e le C3ratteristichc comportamentali note del genitore. In teoria, un clone perfetto è tuttavia solo un individuo psico-biologicamente identico al genitore, se il clone non sia più solo un tessuto meramente biologico (organo, ccllula,tcssuto). Tanto più allora un clone umano,per essere davvero un clone, cioè un individuo seriale, senza unicit:ì specifica, cioè rispetto alla specie, comportata dalla specie, da come la specie si specifica nei suoi individui, dovrebbe essere anche un clone di coscien,.a. Al di là del fatto che una clonazione siffatta sarebbe la traduzione tecnologica dell'ideale operativo di ogni persuasione occulta, che sempre mira ad omogenei1J.are alle sue direttive comportamentali il comportamento altrui, ciò è manifestamente impossibile. Perché fosse possibile un clone psico-biologico perfetto, sarebbe necessario che l'humus spirituale, oltre che l'humus biologico - cioè l'interattivira totale tramite cui si costituisce un individuo - sia identica: una mera immagine allospecchio sen1.adeformazione dovuta allostcsso specchio; necessiterebbe cioè uno specchio, un medium, che non incida, non indetermini in niente l'immagine specchiata. Ora questo è manifestamente impossibile: c'è per così dire un principio d'indetermina,jone "materiale" in ogni riprodw.ione che falsifica dall'interno il concetto di clonazione come rc-identifìe37jone perfetta dello stesso individuo. La clona,.ione comunque ottenuta non mette in gioco il concetto di individuo, l'individualit:ì dell'individuo rispetto alla specie, fosse anche solo la specie-genitore, di cui l'individuo è individuo, quanto piuttosto il carattere sociale immanente, già biologico, all'individuarsi dell'unicità individuale. Su questo cfr. E. Ma,.zarella, Sacra/jtà e vita, cit., pp. ss-6 s [Identità clonica, idenJità i11dividuale e identità i11dividuale umana].

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organiche da riprogrammare in laboratorio non ha più niente cha venga da sé, di physei, ma è esso stesso thesei, posto da noi] - della smoralizzazione del mondo in essere sul piano di una società che pensa di potersi reggere sulla base di una pura convenzionalità biopolitica, i cui contraenti sono gli individui atomizzati nel loro desiderio. Dove al presupposto comunitario del loro stesso desiderio la tecnica lavora per togliere le sue stesse basi biologiche naturali; risolvendo il vincolo sociobiologico della cultura nel puro libitum sociale, quello che oggi vede egemone - nei limiti conformistici e politici, di necessaria integrazione sociale - "l'individuo e i suoi diritti".

5. La comunità contrattata

Nel privilegio consumistico della cultura dominante di ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio, egemonia e pretesa - la smoralizzazione del mondo - che avanza. E avanza nell'inconsapevolezza della sua tragicità, diluita nella generale parodia sociale del Superuomo - pur essa divinata da Nietzsche - dell' «ultimo uomo», «una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte»54. Mentre magari i superuomini della tecnica, i laboratori scientifici, pretendono di riscrivere senza contraddittorio le basi socio-antropologiche dell'umanizzazione di ciò che è umano. Gli uomini intanto "desiderano". E a molti sembra che basti, e che tutto questo, poiché "consuma", vada vezzeggiato. Un destino - la smoralizzazione del mondoss, il disgregarsi dell'etico, come ciò che è previamente in comune, nelle mani di chi lo pattuisce, prosciugandone nella convenzione sociale, in chi la conviene, le fonti di senso nella natura e nella storia: le fonti di senso, vale a dire le fonti di direzionamento a ciò che conviene "da sempre" alla socialità specifica del genere. Genere oggi in grado tramite la tecnica di decidersi da sé, di procurarsi come rischio calcolato della propria azione ciò che una volta era destino. Un assunto in non pochi scenari 5•

F. Nier,.sche, Così parlò Zarathustra, voi. VI, t. I, "Opere di Fricdrich Nier,.sche", trad. it. di M. Montinari, Adclphi, Milano 1976, p. 12. ss Ne ho proposto qualche tratto in dialogo con Costantino Esposito, Adriano Fabris e Luigi Ma neon i, in Alle periferie dell'esisten:u, 11ell'epoca del nichilismo, in AA. W., Le periferie dell'umano, a cura di E. Bclloni e A. Savorana, BUR, Milano 2014, pp. 303-334.

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della riflessione contemporanea dato per scontato. Sia sul versante "apocalittico" di una critica della cultura senza speranza, che di una "integrazione" come di una scena sociale e antropologica abitabile, e comunque da abitare. La sociologia di Beck - in inizio richiamata, per tornare alle sue analisi - si colloca, coerentemente con il suo approccio generale, sul versante di un'integrazione riflessiva. Di un dato ineluttabile della scena sociale, di cui a dire il vero non c'è neanche da portare il lutto, perché in sostanza la crisi, i cicli di crisi del moderno, come del capitalismo, non sono un intoppo (al massimo, "male per chi ci capita"), ma la regola ricorsiva, il motore del suo sviluppo. La società moderna non si disgrega più di quanto disgregandosi si rigeneri, per Beck. Talché ciò su cui val la pena interrogarsi sono i paradigmi di rigenerazione, su che cosa tiene insieme la modernità, su «quali legami crea l'epoca della dissoluzione»56. Un approccio che deve alle tesi di Anthony Giddens lo schema di una diagnosi: nel "mondo post-tradizionale, cosmopolitico", dei quattro modi di istituire qualcosa come la coesione sociale (la religione, il sacrificio di sangue, il lavoro [crescita economica, consumo di massa], l'autointegra:àone degli individui) «i primi tre tipi di integrazione si esauriscono o perdono di efficacia», e pertanto «la questione diventa la seguente: che cosa tiene insieme la società individualizzata in assenza di religione, in assenza di sacrifici di sangue e di fronte a un graduale sgretolamento dell'integrazione basata sul lavoro e sul benessere?». La questione del futuro è in sostanza «come è possibile la coesione sociale, come è possibile la democrazia in una società postreligiosa e postindustriale in cui le vecchie immagini del nemico non hanno più alcun significato e il lavoro non costituisce più il cardine di tutto?»57. La risposta di Beck a questo quesito si affida alla libertà politica e alla cittadinanza (citizenship), cioè in sostanza all'autointegrazione

1'

«Un trano caraneristico della nostra epoca di transi1.ione - scrive Bcck - è che la questione della possibile disgregazione delle società moderne non si pone più, cosicché ci possiamo rivolgere e dedicare scnY.a preamboli a quella opposta: che cosa tiene insieme la modernità? Quali legami crea l'epoca della dissoluzione? [..• ) Qual è dunque il "collante sociale" della società moderna? Che cosa tiene insieme l'epoca della propria vita?• (U. Bcck, / rischi della libertà, cit., p. 145). 17 lvi, p. 146.

U\ SMORAUZZAZIONE DEL MONllO

degli individui tutta risolta nello spazio convenzionale che istituisce la relazione propriamente sociale come associazione "politica" di sottoinsiemi comunitari (reti di relazioni pre-sociali [alla radice reti parentali, legami di sangue] depotenziate a puri materiali di assemblaggio del livello fondazionale che residua del legame umano, quello "politico", "associativo"). E così l'ultimo arrivato sul piano antropologico della sociazione umana, delle strutture sociative (che associano gli uomini dal livello inintenzionale del legame parentale al livello intenzionale dei legami propriamente associativi, della sociazione cui si adviene e non in cui semplicemente si viene) tra gli uomini, diventa il primo, e fondativo: hysteron proteron ontologico-sociale, la cui tenibilità è tutta da dimostrare già sul piano della scena politica effettiva del mondo contemporaneo quando si arriva, nel "politico", al nodo che lo fonda o lo richiede, il conflitto; e tuttavia del tutto coerente al mondo capovolto della smoralizzazione del mondo, dove non è la convenzione sociale a poggiare sulla natura sociativa degli uomini, sui modi in cui vengono in comune e restano in comune a se stessi, a poggiare sulla "natura umana", ad esserne dedotta, anche nel distanziamento in cui a quella natura si oppone e vi sovrascrive la sua storia, ma è la natura umana che poggia sulla convenzione sociale, che ne viene dedotta, in una programmatica ablazione dal cervello sociale del suo ippocampo naturale. Esito sociale, che in Beck si procura la sua sociologia prescrittiva, un passo oltre la descrizione del mainstream sociale analizzato; una sociologia del tutto solidale all'ultrumanità del "Superuomo" nietzscheano, che va oltre la sua stessa "natura" - la natura che è in lui come "natura umana"-, sussumendola nella sua volontà, in un voluto che, ben più che dirle sì, propriamente la costituisce. E dove il luogo genetico della valorazione sociale non è più il nesso comunitario "naturale" ma il libitum individuale [della volontà sociale] che contratta, a seconda delle sue possibilità, la sua autovalorazione come riconoscimento sociale. Una rimozione della previetà comunitaria del legame sociale che ritorna socialmente - nella puntualità del ritorno di ogni rimosso in un nuovo tipo di legame sociale, la "dimensione del controllo" o della "reintegrazione", in cui alla fine si risolve la necessaria autointegrazione sociale degli individui, quando abbia perso le sue basi "naturali" comunitarie. Come lo stesso Beck, sulla scorta di Elias,

I.A SMORJ\LIZZAZIONF. DEL MONDO. I.A COMUNl"l"À CONTRATTATA

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registra tra i controeffetti dell'individualizzazione al turn-point della società post-industriale. Dove il significato della parola individualizzazione (in realtà la fenomenologia dei suoi effetti) si ribalta nel suo opposto; in un legarne sociale, dove l'individuo reintegra la perdita delle istituzioni di sostegno tradizionali e delle loro sicurezze - la comunità che gli viene meno - sottomettendosi a una razionalità di controllo, a una reintegrazione sociale, nonostante le illusioni, sempre meno contrattata e sempre più subita. E dove l'affidarsi di Beck alla "libertà politica" e alla "cittadinanza", a più dernocrazia5 8 , appare appena sufficiente a svolgere una funzione al più kathecontica nella democrazia, quando ben funzionante, delle liberaldernocrazie. Il punto è che pretendere di contrattualizzare, di fare materia di "contratto sociale" su base individuale, l'originaria communio del noi "naturale" nel suo ambiente, cui nasciamo vincolati, in un illuminismo che veda come deteriore minorità questa dipendenza originaria che ci alimenta [vita e sangue della stessa ragione che si illumina alle radici del noi], significa togliere alle traiettorie dell'individualizzazione, per quanto ellittiche possano essere, il legarne gravitazionale che le tiene insieme e le sostiene nel loro orbitare, nella "vita propria" - che per quanto giri su se stessa proprio per girare su se stessa ha bisogno della forza gravitazionale in cui si regge. Perché quando si contratta, proprio perché si mette qualcosa in comune, vuol dire che non si ha, o non si riconosce di avere, più niente in comune; e la comunità originante che si declina nei nessi sociali si fa un mero negozio giuridico, una negoziazione tra la forza e il diritto, e cessa di essere il presupposto ontologico dell'essere sociale: si fa fondamentalmente un'associazione temporanea di scopo, sia pur quella dell'impresa della propria vita.

18 lvi, p. 162: •la parola d'ordine non può essere solo comunità, si devonoconsiderare

anche il dissenso e il conflitto, e questo proprio perché tutto quello di cui si è parlato non può incanalarsi nei binari prevedibili del consenso, in quanto è pervaso e sovvertito da una polifonia che non si arresta neppure di fronte alle singole persone. Ma chi potrebbe rammoricarsi perché le cascate del Niagara non scorrono diritte e tranquille come un canale dei Paesi bassi?». Solamente, verrebbe di notare che nei Paesi bassi sui canali tranquilli ci vivono, e da secoli; le cascate del Niagara sono belle a vedersi da lontano, ma inabitabili che poi ci sembra il limite su questo punto analitico e insieme prescrittivo della sociologia di Bcck: un qualche "estetismo" della libertà.

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LA SMORAIJZZAZIONF. DEI. MONDO

6. Fenomenologie della comunanza e uomo denaturato In questa rimozione della previetà comunitaria della socialità umana, dei suoi presupposti comunitari - dove la socialità è irretita nel vuoto di un puro essere possibile del legame sociale quale si voglia -, l'individuo è chiamato a vivere, da differenti posizioni di forza, un ossimoro difficile da abitare: la comunità contrattata; la fine di una archè relazionale - fondativa delle sue stesse possibilità dell'individualità come persona. Non è che manchino, per dirla con un lessico d'antan, fenomenologie del comune nella storia dello spirito europeo, dell'irricevibilità di quest'ossimoro per la vita dell"'io", del dissidio che vi apre. E già prima del suo conclamarsi in un'individualizzazione che la società gli presenta à la carte. Per tempo - già sulla scena sociale e sociologica della prima individualizzazione di massa con l'affermarsi della società industriale e delle esposizioni universali, dell'ipertrofia della cultura oggettiva e dell'atrofia della cultura soggettiva per dirla con Simmel, dove la grande individualità romantica è ormai stereotipo nervoso (blasé) metropolitano. Fenomenologie dell'anomia sociale, che convocano nel discorso, in funzione katechontica, legami da sempre stabiliti o da ristabilire con l'inconscio, per l'uomo "privato"; ovvero, in stile sociologico, la comunità, dove sarebbe custodita una possibilità più autentica di dire "io" nella società dell'anonimo, di ciò che resta in comune in società, o almeno la sua nostalgia, quando il comune nativo se n'è andato. Alienazione è la parola d'ordine di un secolo; che misurerà anche il fallimento di quell'appello al comune a sostegno di un'individualità autentica, non anomica, nelle identificazioni collettive nelle trincee e nelle piazze del Novecento. N ella "società del rischio", nella società del "post", o che si avvia ad esserlo, una funzione katechontica, sugli scenari della "seconda individualizzazione", ripresa dalle fenomenologie della corporeità, della "carne del mondo" che ne tiene insieme le vite, sottraendole già nella "percezione" alla solitudine "sociale"; del politico multitudinario, delle moltitudini accomunate dalla riappropriazione del "comune" per uscire dalla marginalità della partecipazione alla crescita economica, al consumo di massa (la forza coesiva in crisi nelle società contemporanee, già il "pasto del gruppo" nelle "società" primitive); e da ultimo dell'impersonale che tiene in comune e custodirebbe le

I.A SMORAUZZAZIONE DEL MONDO. I.A COMUNITÀ CONTRATTATA

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riserve di un regime di universalità umana, di piena dignità umana, per tutti gli uomini, ben più che lo schema definitorio della persona, che, per definirsi, discriminando tra chi è persona e chi no, quell'universalità avrebbe storicamente mancato, e non potrà che continuare a mancare59. Insomma non è che manchino, sulla scena sociale della prima e della seconda individualizzazione, della società degli individui della modernizzazione industriale e postindustriale, fenomenologie della comunanza biologica, psichica e sociale; che rivendicano in questa comunanza un presidio katechontico all'anomia sociale dell'individualizzazione stereotipa, "un supplemento d'anima" vegetativa, sensibile, razionale, universalmente partecipata, all'individuo "senza precedenti storici" della biografia-fai-da-te. Ma queste fenomenologie, se al tempo della prima individualizzazione - quella industriale potevano essere ancora l'argine su cui costruire il giusto rapporto tra l'io e il suo mondo, oggi, per un io esposto all'anomia della società post-tradizionale, dove l'individualizzazione ha tra le mani la tecnica per decidere le sue stesse basi ontologiche (biologiche, psichiche, sociali) arrivano già sempre troppo tardi. Oggi che la tecnica, all'io che perde i rapporti, può medicare persino i disagi di questa perdita, può definire le regole di ingaggio del "comune" fisico, psichico, biologico - il "comune" della "manipolazione" sociale programmata in cui trovare comfort a surrogare la stabilità venuta meno della società cetuale, lo aveva conosciuto già l'individuo della prima individualizzazione -, gli argini di resistenza descrittivi dell'inconscio, della "corporeità", della "moltitudine", della "terza persona", non tengono concettualmente, né lo possono, la piena dell'individualizzazione. L'individualizzazione che tramite la tecnica ha nelle sue mani le sue stesse basi, ne ha già travolte le istanze, consegnandole al regime del puro monito che andando avanti così non andrà a finire bene.

19

Mi richiamo qui, per accenni, allo fenomenologia della corporeità sviluppato do Mourice Merlcou-Poniy • partire do La struttura del comportamento (1962.J e do La Fenomenologia della percezione [ 194sl al postumo Il Visibile e l'Invisibile [ 1964],alle analisi prodotte do Toni Negri• partire do Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione (Rizzoli, Milano 2.002.), allo linea di uno filosofia dell'impersonale che da Michcl Foucaulr e Gillcs Dclcu,.c conduce a Terza persona. Politica della vita e filosofia dell'impersonale (Einaudi, Torino 2.007) e Le persone ele cose(Einoudi, Torino 2.014) di Roberto f.sposito.

LA SMORAIJZZAZIONF. DEL MONDO

La politica come biopolitica, come totale manipolabilità di ciò che

è stato umano (che rende l'uomo "antiquato", per dirla con Anders, nella sua stessa capacità di comprendere ciò che sta diventando), non tratta più di nuovi diritti pattuibili dell'uomo. Ma ormai dei diritti di un uomo "nuovo" pattuito in laboratorio, "socializzato", denaturato, fin nella sua intima fibra biologica, neurovegetativa, psichica, in un'intimità biologica e spirituale ridotta a puro meccanismo interno dell'involucro individuale, montato sul tavolo anatomico di scomposizione e ricomposizione dell'uomo nuovo della socialità decisa dalla tecnica, e degli individui che le servono. La promessa è che ognuno potrà chiedere come vorrà essere montato, desumendo i modelli dai cataloghi in offerta. Fondamentalmente è la fine, nell'autorealizzazione dell'individuo, della sua sostenibilità comunitaria. Sia nel senso del sostegno che può avere dalla comunità, che della possibilità della comunità di reggerla senza implodere nella sua pura determinazione sociale; senza pregiudizio della sua trama ontologico-naturale, del suo dna ontologico, biosociale, del tutto esposto alla sua "ricombinazione" integralmente sociale, biopolitica. Non è più possibile rivendicare, cioè, e questo in ogni ambito della vita, biologico psichico sociale, un 'universalità non refragabile della natura umana, "arretrandone" la deduzione fondativa dal "politico" al "prepolitico", per guadagnare universalità ai diritti di quella natura. Un "diritto naturale" quale che sia per stare ad una costellazione concettuale classica. È la fine di "Antigone eterna"; della possibilità di appellarsi - in ogni ambito della vita: ben al di là del tradizionale locus "politico" nel dissidio sempre incombente tra leggi "scritte nel cuore" e diritto positivo, tra giustizia e diritto - contro la legge della "città", a una "natura" biologica, psichica e in definitiva, quel che più conta, morale, dell'umano, custodita in rapporti nativi, in legami in cui si nasce senza pattuirli. Ricevuti, per stare all'universo morale di Antigone [incunabolo storico e concettuale del "diritto di natura"], da 0éµtç, «l'ordine giusto tradizionale ed ereditario del mondo, originaria armonia del cielo e della terra» 60 • Legami che sono il contenuto universalmente umano, "leggi non scritte", &:ypcm1:a. v6µtµa. cui i v6µot istituiti e messi in pratica dagli uomini non possono contravvenire, ma cui devono convenire sotto il governo di 6o

GStcincr, l,eA11tigo11i, trad. it. di N. Marini, Garz,mti, Milano 2001, p. :,.77.

I.A SMORAJJZZAZIONF. DF.I. MONDO. I.A COMUNITÀ CONllUITfATA

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.o.tx11 «la giustizia animata, figlia del tempo», «sotto la cui tutela (è il suo fine, «lo scopo e il principio del processo giudiziario come tale»] il v6µoç possa entrare nel regno della giustizia assoluta, che è quello di 0éµtlogia della percevone, trad. it. di A. Bonomi, Bompian~ Milano 198o, pp. 2.92.-2.94e 132.-133) scambia l'affondare del personale nell'impersonale come fondatività che quasi lo risolve in sé del personale da parte dell'impersonale che lo agisa. Enfusi sul ruolo dell'impersonale nell'io personale che sta più nella dissc,jonc dell'analisi fenomenologica, psicologica, e sociologica (sul !3volo anatomico ceno indispensabile della conosccn7.a)che nell'esperienza concrct3, per quanto irriflessa, dell'io agente, e =jente, sem:iente 11el mode di u,,a cura di sé che 1,essun altra sen-

!.'UOMO cm; DF.VF. RIMANERE

Nessun animale come l'uomo si prende cura del suo corpo, al presente, al futuro, al passato; anzi è l'unico che propriamente lo fa, essendo l'unico che si sa in-corporato, esposto a sé (e al mondo) nel corpo, e alla sua corruzione, da cui cerca di fuggire fin nell'eternità dell'anima come vindice di quel cadavere cui è legato nascendo. J;incarnazione, il suo scoprirsi nella carne e di carne (corruttibile), è precisamente il tratto che fa l'uomo uomo; o ciò che è divino in lui, tanto che il dio che vuol farsi uomo, in quella carne deve abbassarsi e salirne intero il calvario, se vuol essere vicino non solo a parole alla sua creatura. La corrente ideologia della fitness è ancora una pallida idea, disperazione materialistica, di questa originaria autoapprensione dell'umano. Senza saperlo, tra i muscoli oggi delle palestre ancora si aggira l'antico fantasma dello spirito

sibilità vivente conosce. Per quanto l'attività sensibile si svolg;i«alla periferia del mio essere•, l'esonero, a lini evidenti di tenuta vitale, della coscicn1.a costante e piena di ciò che avviene alle periferie somatiche e psichiche del mio essere, non espropria l'Io del suo carattere personale, ma piuttosto lo fonda e loconscnte,g/i faspa:;:jo. Si potrà pur dire che «io non ho coscicn,.a di essere il vero soggcttodclla mia scnsa;,jonc più di quanto abbia coscicn,.a di essere il vero soggetto della mia nascita o della mia morte. [...) la scns31jonc viene dal di qua di mc stesso, dipende da una sensibilità che l'ha prccoouta e le sopravviverà così come la mia nascita e la mia morte appartengono ad una natalità e ad una mortalità anonime•, ma appena mi ci fermo su so di essere la mia scnsa;,jonc, e la mia nascita e la mia morte. L'Io 11011 è mai anonimo qua,do a se stesso. Si chiama sempre per11Qnte, si dice "lo". li che nulla tog)ieal peso eal ruolo dell'anonimo in cui sta o cade. È dubbio che si possa scrivere che «ogniqualvolta provo una sensa;,jonc, sento che cssa concerne non il mio proprio essere, quello di cui sono responsabile e di cui decido[= la "persona"), ma un ahro io che ha già preso partito perii mondo, che si è già aperto a certi suoi aspetti esincronw.ato con essi [... ) una csistew.a generale che deAuiscc attraverso di mc scn7.a che io ne sia l'autore•. In realtà se "provo" una scnsa;,jonc, sono sempre io che la provo e ne sono coinvolto, e se "sento che cssa non concerne il mio proprio essere" ho in realtà già presente a mc stesso sia il mio proprio essere che la sensa1jonc che "non" lo concernerebbe. Ma anche a voler prendere per giusta, come lo è, l'analisi, cioè lo "sciogliere" il per.sonale dal "campo"preper.so11aledi cui qui McrlcauPonty parla o dal "margine di csistew.a" quasi impersonale attestato attorno alla nostra esistenza personale, il carattere "personale" della vita umana è proprio di fursi carico di quel quanto di csistew.a generale che Auiscc in lui, e di cui è chiamato a fursi autore, sapendo, quando è saggio, che ne può essere solo coautore. Di essere responsabile e di decidere, di per.sonaluzare, anche ciò di cui non è responsabile e di cui non decide, il suo esserci e il suo venire al mondo, come progetto di reslanli. Fin dall'ini7jo, l'uomo è colui che è imJ)Cgllato con tutto se stesso a difendere la "periferia" del suo essere, da cui dipende la tenuta stessa del suo "centro" di "essere personale", che cioè è radicalmente personale. Per una diversa assun1jonc della fenomenologia della pcrcc7jone di Merlcau-Ponty - in dialogo con le tesi di Roberto Esposito, Te,za per.so11a. Politica della vita e filosofia dell'imper.so11ale (Einaudi, Torino 2007)-, vedi F.. l.isciani Petrini, Riso1w,z,e. Ascclto Corpo Mondo, Mimcsis, Milano 2007,che ha analisi fin~ anche se diversamente orientate.

Fede e sfiducia

Solamente se le questioni sono radicate là dove ora le vediamo sorgere, e solamente se vi rimangono radicate, sono questioni genuine. Ma se sono genuine fino a tal punto, ciò vuol dire che non sono nuove. Ma se non sono nuove, sono altrettanto poco vecchie. Né vecchie né nuove, bensì essenziali. Ma in quanto è cssen1.iale, è già caduto nell'indifferenza tutto ciò che si accompagna alla brama di originalità, oppure - il che è la stessa cosa e ancora più sospetta -quanto si dà pena di confutare un'originalità per nulla pretesa

M. Heidcgger, Concetti fo11damentali della metafisica. Mo11do-/inite=-so/itudi11e,cd. it. a cura di C. Angelino, li melangolo, Genova 199:,., pp. :,.:,.:,.-2,:,.3

... Non abbiate paura ... Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre lo voglia. Quanto a voi, persino i capelli del vostro capo sono contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!

Mt

10,

1.8-30

La scena della fiducia

Nel momento in cui un animale si stacca dal flusso del presente, dal piolo dell'istante - l'esperienza della naturalezza nel giardino della creazione, o quella che lui immagina sia l'esperienza dell'animale che ha dimenticato-, nel momento in cui la vita (una sua forma, un vivente) vede qualcosa in quanto qualcosa (l'essere di qualcosa, e poi l'essere, ragioneranno i filosofi) e sé come qualcosa ("si videro nudi

L'UOMO CIIE DEVE RIMANF.RE

ed ebbero vergogna"), che due occhi in posizione eretta si aprono al mondo che gli viene alla mano, l'istante - la pura, irriflessa presenza a sé di ciò che è presente - si frantuma: nasce, nel tempo, La coscienza del tempo; o meglio nasce, vede la luce ciò che è già da sempre in grembo di sé stesso, il tempo e la sua coscienza, il numero del prima e del poi, che si applica a sé stesso, che si fa distensio animi. Uno sguardo dentro le cose che sorgono e passano mentre durano, e come vive nascono e muoiono, che si fa sguardo dentro di sé - e su di sé, quando posa a terra, da cui si è alzata in piedi, la sua vita; intuizione e autointuizione del proprio posto nel mondo e della sua labilità; e di che pesi si carica la vita, che da semplicemente presente nel suo ambiente (l'animale) si fa presente a sé stessa, e il piolo dell'istante gli è sostituito dalla coscienza. Il nuovo piolo a cui - a questo strano animale, a quest'animale che si estrania -è legata la sua vita. Chi gli abbia piantato questo piuolo nel cuore (un dio creatore, o un piano o un caso della natura) è questione aperta. Certo è che il mondo che gli si apre davanti non è senza costi per l'animale uomo. Non c'è solo cielo e prato, ma anche baratro e foresta. E il giorno che si abbuia, e poi ritorna. Spogliato dall'immediatezza di un'appartenenza che non teme il Signore cui appartiene, il principio più grande di sé, Dio vita natura che sia; scopertosi nudo agli occhi che lo guardano di animale e mondo, al cospetto del qualcosa che è più grande di lui, uditone il passo nel giardino, l'animale uomo ha paura e si nasconde: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3, 10). Proprio nel vedersi venire addosso• il mondo che gli è aperto, vede la paura che l'animale solo sente. Perché aver messo le mani sull'albero della conoscenza del bene e del male, aver scelto la via della coscienza, essersi fatto dio presunto nel sapere, non è anche essersi fatto dio nel maneggio della vita, qualsiasi illusione poi si farà, potendoci mettere le mani. Egli sa come dio, egli fa come Dio, ma egli non è come Dio, e non Lo diventerà. Questa via - la via della vita -, proprio perché ha preso l'altra, del sapere e della morte, gli resterà per sempre, a ritroso, chiusa alle sue spalle: «Il Signore Dio disse allora: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. ' In mcritosi veda di seguito La came addosso. A1111otazio11i di antropologia filosofica,

i11{ra, pp. 1 59 sgg.

FEDE F. Sl'IDUCI/\

Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!". Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita» (Gn 3, 21-23). Nella genesi la via dell'albero della vita non si risale - non si risalirà, solo si discende. In Eden, in una piena appartenenza, si torna, per chi ha gettato uno sguardo nel bene e nel male, nella vita e nella morte, solo morti. Alla terra da cui si è stati discinti, davanti a cui ci si è scoperti nudi, si torna solo come polvere (Gn 3, 19). O vivi di un'altra vita che non viene da noi, che non è nella bisaccia della nostra individua dotazione naturale; che viene dalla Vita, o da Dio come la vita2 •

Fede e fiducia Questa scena come evoluzione cognitiva della vita che nasce a sé stessa come vita consapevole, vita che si saprà, della vita umana, è la scena originaria della tribolazione cui nell'uomo è esposta la fiducia, l'affidamento nativo con cui e in cui ogni vita viene a se stessa, nella routine di una risposta alle sue condizioni di possibilità che non salta mai fuori dai suoi binari, dalla route, dalla strada, quella dell'istinto, su cui è posta; la sua vera e propria tentazione a rovinare fuori di se stessa, portata là dove non vorrebbe andare, mentre tenta di ritrovare in sé e fuori di sé l'imprinting di quell'esperienza originaria che regge anche la vita di chi se la vede sfuggire tra le mani, sue e della "ragione"; la ragione. La potenza della dissociazione di quell'esperienza, dove la fede, la fiducia si fa adulta ragionando. Obbligata a ricavare dalla vita l'esperienza della morte, la conoscenza, la condizione umana, dell'essere di ragione, dell'essere che ragiona, prima ancora che immaginazione "produttiva" di mezzi al suo • li lettore attento ritroverà qui l'inizio delle riAcssioni sviluppare nel precedente saggio, Futuro ed evoluzione. L'uomo che deve rimanere. Non è una svista o, peggio, una pigrizia d'autore: risparmiarsi per così dire di riscrivere due pagine. Piuttosto è il tentativo di mostrare come dalla scena originaria dcll'autoconsapcvolc-1.1.a umana possano svilupparsi in parallelo due lince di riAcssionc che l'autore intende assolutamente intrecciate, così come sono intrecciate nel fatto della vita come affrontame1110 del mondo nella consapcvolcz,.a umana, nel modo - cioè -in cui l'animale uomo tiene (e vi si sostiene) la sua posi,.ione nel mondo.

L'UOMO CIIE DEVE RIMANERE

tenersi in vita (techne}, è immaginazione "speculativa" di un senso, un filo e una direzione alla vita (religio}. La prima prestazione di una ragione ragionevole, non meramente strumentale. Il motivo per cui la tecnogenesi non risolve in sé, non può risolvere in sé l'antropogenesi; e ogni antropologia della tecnica oggi che pensi di tirar fuori dalla tecnica senso e destinazione dell'uomo è votata al fallimento, perché neanche intende di che parla. Perché è solo in questo ambiente di senso - vita che è legame e cerca legami- che quella fatica, anche quella del titanismo della tecnoscienza, trova un sostegno al suo sforzo. Senza il sostegno di questa speranza, che da sé, al fondo del suo vaso come vita che conosce, e nondimeno è vita, ci sia ancora nuova vita da tirar fuori, nuova vita cui tendere, non ci sarebbe vita come la conosciamo; non ci sarebbe uomo. La vita che ha partorito la conoscenza e ha fatto l'uomo, è questa speranza, questo spasimo, che esce da sé e sempre di nuovo ricolma il vaso che si svuota, e che lei stessa svuota, della Vita. Eva che è Pandora: «Il significato profondo del contenuto del vaso di Pandora è quello della donna, in tutti i suoi significati. Del resto, l'etimologia della parola "speranza" si ricollega alla radice ariana spa, onde il senso di "tendere verso una meta", con tutte le varianti di "avanzare", "riuscire", "spingere verso", "succedere"»3. Questo spasimo, questa speranza è nient'altro che il sostegno della coscienza del futuro, per lo più inavvertita, che ci regge a ogni istante; la coscienza che un futuro ci sia, o ce lo si possa procurare, «immaginato in reali possibilità», «nascosto nel passato e nel presente» (Jaspers)4; un futuro se non per me, per chi come me potrà ricordarsi, almeno portare nel cuore, me. La certezza che il giorno che si abbuia tornerà, se non per me, per chi è come me. Nell'uomo questa speranza è generosa, sa andare oltre di sé, al genere da cui viene. C'è nell'uomo, sopravvive all'uomo in questo, la sua più profonda verità "animale": il genio della specie, per dirla con Nietzsche; qualcosa in più della benedizione dell'illusione: la capacità della vita di dire sì a se stessa. Se questa è la scena originaria - l'umanizzazione dell'ominazione come in radice nient'altro che la consapevolezza di un vivente del poter venir meno a se stesso, come singolo e come specie (nell'immediatezza sentita la specie è gruppo parentale, e poi stirpe, comunità di sangue, I. Cavicchi, La bocca e l'utero. Antropologia degli intermondi, cit., p. 114. Cfr. qui nota 4, p. 1 2.2.. • K. Jaspcrs, Origine e senso della storia, cit., p. 183. 3

f~Dli F. Sl'IDUCIA

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popolo, e infine genere, specie) - si capisce bene perché l'uomo è l'unico animale che ha paura di non essere più presente a se stesso, sia come identità psichica, che fisico-biologica e culturale (politica). L'wùco animale che può adombrare la distruzione di sé e del suo "mondo". Se sei fuori dal giardino della creazione, dal centro calmo della vita, dal silenzio dell'istinto, dove sei pura eco del mondo, buttato fuori dall'istante a prenderti addosso la vita, ad esistere - l'unico animale che salta su dalla vita e vi ricade, e non semplicemente vi sta per il suo tempo, e vi insorge contro, prova a resistere -, se sei fuori dal mondo, estatico sul mondo mentre sei del mondo, se hai propriamente mondo e non sei più natura, sospeso sulla corda del tuo divenire, sempre sul filo di potersi spezzare, dove hai forma e sostanza che puoi perdere ad ogni passo falso, e lo sai, sei anche l'unico animale che può perdere (in senso forte, nel senso di saperlo) la sua identità stabilita. Se sei isolato, dirà Heidegger, perché sei (ti avverti) finito (esisti, ti essenzi - west - come finito) ed hai mondo, perché questo significa per l'uomo "avere"il mondo che forma, sei anche l'unico animale che può sentirsene povero, esserne povero in senso essenziale, l'unica vita che può sentire che il suo mondo-ambiente e il mondo-comune in cui viene al mondo (che è suo perché lo fa sé), lo spirito del cui alito respira la sua vita, può venirgli meno; venirgli meno, fino ad esserne privato come pietra, lo stato minerale del suo andar viaS. "Senza mondo" dirà Heidegger questo stato, che l'uomo da sempre ha visto quanto alle sue possibilità esistenziali, provando a farsene diverso, sentendosene diverso, immaginandosi un mondo dove andare dopo il mondo che ha conosciuto. E portandosi nel viaggio - un'infantile coperta di Linus per chi altro non vede nell'andare via che il grande freddo - i segni di ciò che è stato nel suo mondo, nel mondo che si è formato, perché sia riconosciuto, lì dove andrà, dagli dei che vi governano. O che almeno non gli manchi ciò di cui la sua vita ancora là avrà bisogno. I "corredi funerari", ancora oggi, non solo quelli che l'archeologia scava nelle tombe6, ci raccontano di questo, di una vita che anche 1

Su questo "rema" heidcggeriano, cfr. M. Heidcgger, Concetti fondamentali della me• ta{isica. Mondo-finitezza-solitudine ( 1929-30), cd. it. a cura di C. Angelino, Genova 1992, pp. 2.21 sgg. 6 •How often do you dine with rhe dead? lt may scem a strange quesrion, but if you'rc Chincsc it may nor be quitcso surprising, bccausc many Chincsc, cvcn now, bclicvc

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!.'UOMO cm; DF.VF. RIMANERE

"di là" si attrezza per non essere "nuova", per continuare la "vita" che ha vissuto. Prima della sua "anima", della piena spiritualizzazione della morte, di un nudo venire al mondo che vi torna - affidando, per i cristiani, non solo la propria vita, ma anche la preoccupazione della carne, come preoccupazione dell'esistenza dell'unico luogo, dell'unica dimora a lei conosciuta della sua possibilità, a un dio dell'incarnazione che se la carica sulle spalle e sulla croce se ne fa garante? -, l'animale uomo porta di là il suo bisogno di "mondo", di relazioni umane, e di segni e di mezzi che hanno reso possibile il suo aver mondo: l'uomo di carne che è stato, la malferma certezza mondana che ha abitato. Questa visione dei costi dell'esistenza come avere mondo, della "capacità" di un vivente di cogliere l'in quanto dello stimolo che ne suscita la risposta nell'espressione della sua capacità come organismo di tenere il campo della vita, di tenersi in campo nella vita, che fa dell'urto, del colpo di qualcosa propriamente qualcosa, - capacità dove si fa "capace" dell'insostenibile della pura vita, si fa capace della morte; capace di un'apprehensio che la comprende, anche nel senso che se ne fa una ragione - questa visione è il cuore della perplessità dell'unico vivente, dell'unico ente che è perplesso, "intrecciato"alla sua vita in un modo che non capisce: l'esistere che ha mondo. L'unico

that deccased family membcrs watch over them from the other side of dcath and can help or hinder their fortunes. When somebody dies they equipe for burial with ali kinds of praticai bits and pioccs: a toothbrush, money, food, water - or possibly today a credit card and a computer. The chincsc afterlifc often sounds deprcssingly (pheraps reassuringly) like our own•, così Neil MacGrcgor, in A history o{ world in 100 objects, Penguin Books, London 201:1. p. 123, introducendo la descrizione di un guy, un vasellame rituale di bronzo per banchetti rituali con gli antenati, scavato in una tomba cinese di 3.000 anni fa. 7 La preoccupazione di "carne", non solo per questo mondo, a cui guardera, la parabola degli uccelli nel ciclo e dei gigli nei campi, come ostinazione della natura adamitica dell'uomo - della sua prima natura - come coscien1.a del bene e del male a risolversi in una ricerca di srabilità che rimuove presso il mondo le ragioni di un originario affidamento, che tuno sostiene, di uomo e mondo a Dio, anche per l'aldilà. Parabola dove è chiesto all'uomo spirituale la srabilità della fiducia in Dio che dobbiamo imparare dagli uccelli nel ciclo e dai gigli del campo di Mt., 6, 25-34), decidendoci a scegliere quale padrone "servire": se Dio o Mammo11a, l'affidamento tuno mondano dell'uomo mondano al mondo, alle fonti della sua sicurc-1.1.a nel mondo (ricchc-aa, srabilità economica, potenza, proprietà, sicure1.za, ciò in cui l'uomo ripone tutta la sua fiducia). È significativo che la radice di "mammona•, termine di origine siriaca, "a man• (,aév, il Àoyoc; ' M. Hcidcggcr, Che cos'è la filosofia? (1956), trad. it. di C. Angelino, li mclangolo, Genova 1981,p. :,.5.

2.02.

APPENDICE

dello