Luis Buñuel

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Luis Bufiuel

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I LIBRI DELL'UNITÀ

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Alberto Cattini

Luis Bunuel

L'UNITÀ/

IL

CASTORO

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Albeno Cattini dirige la collana di sceneggiature originali et.lita Jalla Casa Jel Mantegna Ji Mantova. nella quale sono apparse. tra le altre. opere di Age e Scarpelli. Suso Cecchi J'Amico e Valerio Zurlini. Critico cinematografico per «la Gazzetta Ji Mantova», è stato tra i fondatori Ji «Cinema e Cinema». Per la collana «Il Castoro Cinema» ha pubblicato le monografie Kare/ Rei.,·-:. ( 1985) e Volker Schliindo,:ff ( 1980).

© EDITRICE IL CASTORO S.R.L. VIA PAISIELLO.

6 - :20131

MILANO

I libri pubblicati fanno parte della Collana «Il Castoro cinema» diretta da Fernaldo Di Giammatteo

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BUNUEL DICE E FA

LA BIANCA PALPEBRA - Octavio Paz ha detto: «Basta a un uomo incatenato chiudere gli occhi per avere il potere di far scoppiare il mondo». lo aggiungo, parafrasandolo: basterebbe che la bianca palpebra dello schermo potesse riflettere la luce che le è propria per far saltare l'universo. Ma per il momento possiamo dormire tranquilli, dato che la luce cinematografica è accuratamente dosata e controllata. Nessuna tra le arti tradizionali manifesta una sproporzione cosi grande tra le possibilità che offre e le proprie realizzazioni. { ... J Alle volte, l'essenza cinematografica scaturisce in modo insolito da un film anodino, da una commedia buffa o da un grosso feuilleton. Man Ray ha detto qualcosa di molto significativo: «I film piu brutti che ho potuto vedere, quelli che mi provocano un sonno profondo, quelli piu coperti di lodi, non contano piu di cinque minuti validi». Ciò significa che in ogni film, buono o cattivo, al di là e malgrado le intenzioni degli autori, la poesia cinematografica lotta per venire a galla e manifestarsi. Il cinema è un'arma magnifica e pericolosa se è uno spirito libero a maneggiarla. È lo strumento migliore per esprimere il mondo dei sogni, delle emozioni, dell'istinto. Il meccanismo creatore delle immagini cinematografiche è, a causa del suo funzionamento, quello che, fra tutti i mew di espressione umana, richiama meglio il lavoro dello spirito durante il sonno. Brunius fa osservare che il buio che invade a poco a poco la sala equivale all'azione di chiudere gli occhi. È allora che comincia sullo schermo e al fondo dell'uomo l'incursione notturna dell'inconscio; le immagini come nel sonno compaiono e scompaiono, il tempo e lo spazio cronologico e i valori relativi di durata non corrispondono piu alla realtà; l'azione ciclica deve compiersi in alcuni minuti o in piu secoli; i movimenti accelerano i ritardi. { ... J «Ciò che vi è di piu meraviglioso nel fantastico - ha detto André Breton - è che il fantastico non esiste, tutto è reale». In una conversazione con Zavattini esprimevo il mio disaccordo con il neorealismo. Mentre mangiavo con lui, il primo esempio che mi si offerse fu quello del bicchiere di vino. Per un neorealista, gli dicevo, un bicchiere è un bicchiere e niente altro; lo si 3

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vedrà tirato fuori dalla credenza, riempito di qualche bevanda, portato in cucina dove la cameriera lo laverà o potrà romperlo, il che comporterà il suo licenziamento oppure no, ecc. Ma questo stesso bicchiere, contemplato da persone differenti, può essere mille cose diverse, perché ciascuno mette una dose di affettività su ciò che osserva, perché nessuno vede le cose come sono, ma come i suoi desideri e il suo stato d'animo glielo fanno vedere. lo lotto per un cinema che mi farà vedere questa specie di bicchieri, perché questo cinema mi darà una visione integrale della realtà, accrescerà la mia conoscenza delle cose e delle persone, mi aprirà il mondo meraviglioso dell'ignoto, di ciò che non trovo né nella stampa quotidiana né nella strada. Quanto sto dicendo non vi faccia credere tuttavia che io sia per un cinema esclusivamente consacrato all'esplosione del fantastico e del mistero, per un cinema che, fuggendo o disprezzando la realtà quotidiana, pretenda di sprofondarci nel mondo inconscio del sogno. Quantunque, proprio adesso e troppo brevemente, io abbia indicato l'importanza capitale che attribuisco al film che affronterà i problemi principali dell'uomo moderno, non considero quest'ultimo isolatamente, come un caso particolare, ma nei suoi rapporti con gli altri uomini. Faccio mie le parole di Engels, che definiscono cosi la funzione del romanziere (e, in questo caso, di un regista): «Il romanziere avrà adempiuto con onore la sua funzione quando, attraverso la pittura fedele delle relazioni sociali autentiche, avrà distrutto la rappresentazione convenzionale della natura di queste relazioni, scosso l'ottimismo del mondo borghese e obbligato il lettore a dubitare della perennità dell'ordine esistente, anche se non ci propone direttamente una conclusione, anche se non prende apertamente partito». { 1953 J

SURREALISMO - /È stato dada?] Oh no! {1940] Fu il surrealismo a rivelarmi che nella vita c'è un senso morale che l'uomo non può esimersi dal considerare. Per mezzo suo ho scoperto per la prima volta che l'uomo non era libero. lo credevo nella libertà totale dell'uomo ma con il surrealismo ho conosciuto una disciplina da seguire. Questa è stata una grande lezione nella mia vita e anche un gran passo meraviglioso 4 epoetico.(1954]

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L'interesse surrealista per la violenza era permanente, per scuotere ,I mondo affinché riconoscesse la propria violenza. 1A superficie dei miei film è ora piu dolce. Se rimuovi lo strato superiore troverai senza dubbio che il fondo è velenoso. { 196 9/ Quando ero giovane, ero molto violento. Il surrealismo nel cinema è cominciato quando ci si è chiesti che cosa si potesse fare con mille spettatori se non distruggere, intaccare tutti i loro valori. Tutto ciò che non intacca la società, le istituzioni, non è surrealista. Ma, evidentemente, senza maniere grossolane come fa il realismo socialista. In una maniera piu sottile. Le mie radici sono nel surrealismo, che mi ha molto influenzato. Il gruppo dei surrealisti non esiste piu, ma, soprattutto, oggi non c'è piu surrealismo in quanto tale. Il surrealismo è passato nella vita. Oggi, la violenza è dovunque. Ci sono le guerre, le rivoluzioni, il terrorismo. 1A violenza non serve piu a niente. Niente fa piu scandalo. L'arte aveva bisogno di armi. Oggi, le armi non servono piu a niente. lo sono stato terrorista teorico. Oggi, ho orrore del terrorismo, anche teorico. Attaccare la violenza con la violenza è assurdo. { 1974} ATEISMO - lo sono profondamente e coscientemente ateo, e non ho nessun tipo di problema religioso. Anzi, attribuirmi una tranquillità spirituale di tipo religioso è innanzitutto non capirmi, e poi offendermi. Non è Dio che mi interessa, ma gli uomini. { 1963 J ATTORI - Prendo sempre i medesimi attori, nella misura del possibile, evidentemente, come riprendo la medesima troupe. Mi piace lavorare con persone che conosco, con amici. Non ha alcuna importanza se Bertheau è una volta una cosa e poi un'altra ancora. Scelgo gli attori soprattutto per quello che esprimono, bisogna che corrispondano alla sceneggiatura. Al momento di girare, mostro semplicemente ciò che bisogna fare: i gesti. Ma sono un pessimo attore e dico di non imitarmi. Non faccio assolutamente della psicologia con gli attori e non dico loro di pensare alla mamma morta per avere l'aria triste. Ho molta difficoltà con quelli che non sanno recitare. Certi fanno subito la sintesi del movimento, dell'espressione e della parola, &

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Piccoli per esempio, altri sono terribili, bisogna dir loro tutto. Talvolta sono costretto a sopprimere dei dialoghi. Lascio poca libertà agli altri. Certo, se sul set qualcuno dà un 'idea che trovo buona, l'accetto. { 1974 J CASO - La costruzione del film [Le fantome de la liberté/ è basata sul caso. Io sono molto affascinato dall'aspetto indefinito del caso, da come molte cose importanti si presentino per una concatenazione di casi. Nel film tutto s'incatena per caso, il film potrebbe continuare all'infinito. Mi piace molto restare solo, senza far niente, guardo una mosca che vola, per esempio, e immagino tutta la concatenazione di casi necessaria perché noi ci si trovi riuniti nella stessa commedia. ENTOMOLOGO - L'eroe di El è un tipo che mi interessa come uno scarabeo o un anofele. Ho sempre avuto molto interesse per gli insetti. Ho un lato da entomologo. {1954} FANTASMA - Sì, credo che l'uomo debba lottare, lotta e lotterà sempre per questo fantasma chiamato libertà. E libertà significa anche lotta contro quei principi allorquando si traducono in strumenti di repressione e di oppressione. { 1970} «HUMOUR» - Lo humour è sempre humour nero. È molto importante saper non prendere sempre tutto seriosamente. Detesto le freddure, non mi fanno ridere. Ma io non chiedo alle persone soltanto di ridere, chiedo anche di comprendere lo humour. Faccio sempre dello humour mio malgrado. Quando scrivo una sceneggiatura, se una storia mi fa ancora ridere il giorno dopo, la tengo, altrimenti la scarto. Ma mi è indifferente che il pubblico rida o non rida vedendo i miei film. C'è di tutto nel pubblico, è un'immagine della società. La sola cosa importante per me è che ai miei amici il film sia piaciuto. {1974}

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PIETÀ - Chaplin ha pianto, mi dicono, quando gli hanno dato sul palcoscenico del Palais le insegne di commendatore della Legion d'onore. Non

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mi è piaciuto proprio niente, ma niente. Non bisogna aver pietà di se stessi. I 1971 J PORNOGRAFIA - Oggi, tutti vogliamo colpire con scene di nudo, con la sensualità. Il pubblico borghese che va al cinema le richiede nella misura in cui le ha condannate venti o trent'anni fa. Sono molto facili da fare, e poiché corrispondono allo spirito generale realizzarle significa piegarsi al conformismo. / 1960J PREFERENZE - Jean Vigo venne a trovarmi, piu tardi ci legammo d'amicizia. Era un ragazzo notevole. Mi piacciono molto A propos de Nice e Zéro de conduite. Amavo Keaton molto piu di Chaplin. Di Godard mi piace la sua libertà e la sua audacia straordinaria. Deus e/o diable na terra do sol è la cosa piu bella che abbia visto da quindici anni a questa parte. È pieno di una poesia straziante. Uno dei registi che preferisco è Fellini, mi prende nel profondo. Ma non ho ben capito Otto e mezzo. Mi piacerebbe rivederlo in migliori condizioni, da solo, con sottotitoli, e poter restare sino alla fine. Delle cinque bobine che ho sopportato non mi è piaciuto l'aspetto fantastico. Mi sono piaciuti molto La strada e Cabiria, soprattutto per le scene finali. Mi piace pure La dolce vita; volevo andarmene dopo la scena del miracolo, ma, essendo la sala piena, non ci sono riuscito. Sono contento d'essere rimasto, il film è straordinario. Credo molto in Carlos Saura, benché sia un po' "tedesco"; talvolta gli dico che manca del senso dello humour e dello scherzo. / 1965] PRINCIPI - È possibile che, oggi, il pronunciarsi come prima contro la Famiglia, la Patria, il Lavoro, sia un po' demodé, poiché noi sappiamo per esperienza che la distruzione fisica della famiglia non è piu necessaria per costruire una società nuova. Ma il mio atteggiamento nei confronti di questi principi non è cambiato: bisogna distruggerli in quanto categorie supreme, in quanto principi intoccabili. / 1965J Avere un codice è puerile per molti, ma non per me. Sono contro la morale convenzionale, i fantasmi tradizionali, il sentimentalismo, tutta quella sporcizia morale della società introdotta nel sentimentalismo. / 1961 J 1

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RIPETIZIONE - Mi piace molto raccontare le stesse storie, gli stessi scherzi, ritornare piu volte sullo stesso soggetto. Mi piace molto la ripetizione, l'ossessione. { 1974) SADISMO - Tutta la sua vita e !e sue opere sono state una provocazione continua contro l'ordine stabilito. Noi, i surrealisti, non siamo mai stati partigiani di Sade. Per noi, rappresentava lo spirito piu libero e piu anticonformista della sua epoca e anche di molti decenni prima. Nella scelta degli elementi non c'è stata l'intenzione precisa di imitare Sade, ma è possibile che io ci sia arrivato senza saperlo. l, naturale, perché ho la tendenza a vedere e pensare una situazione secondo un punto di vista sadico o sadista piuttosto che, diciamo, neorealista o mistico. { 1954) SCENEGGIATURA - Ho sempre bisogno di un collaboratore. Se sono solo impiego troppi giorni a scrivere una scena che sarebbe fatta in tre ore dopo una conversazione con un collaboratore-scrittore. Ma sono presente a ogni tappa, poiché si tratta del mio film. Anche quando non ho firmato la sceneggiatura, vi ho sempre collaborato, e questo è vero anche per i film falliti. Non ho difficoltà a collaborare perché, quasi sempre, sono io che ho immaginato la storia. Sono pigro e sempre partigiano del minor sforzo. [1965 J Giro molto rapidamente perché so esattamente quello che voglio. Il film è già tutto montt'to nella mia testa prima di girarlo. Ma lavoro molto prima. Riscrivo almeno tre volte la sceneggiatura. La prima non voglio nemmeno mostrarla. Monto io stesso il film in due giorni. Certi registi rifanno un altro film al montaggio. Il film piu lungo che ho girato è durato dieci settimane, il piu rapido diciotto giorni. Cambio molte cose al momento di girare. La mia immaginazione non si ferma mai. Il film non è mai come all'inizio. E se dovessi riforlo sarebbe ancora diverso. Sarebbe il medesimo film ma diverso. {1974) SI GIRA - Durante la lavorazione mi alzo alle sei e penso alla scena che I sto per girare. Talvolta preparo quella del giorno dopo. Qualche volta arri-

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vo sul set non ancora molto sicuro di quello che farò. Ma vedo che tutta la troupe è pronta. Allora mi dico: tanto peggio. E dico: si gira. Non sono pignolo, perfezionista. Non guardo se il dito mignolo dell'attore batte bene o no sulla tavola, se il vestito è sufficientemente lungo. I miei assistenti sono spesso piu puntigliosi di me. lo sto attento all'essenziale. Giro una scena sul momento, ma non la ripeto. Mi dico: tanto peggio. Talvolta, poi, mi dispiace. Nel Fantasma della libertà ho fatto per la prima volta tre ripetizioni, perché il produttore ha insistito. Non me ne lamento. { 1974 J TECNICA - L'80% delle mie inquadrature si muove, ma si muovono molto lentamente, per cui non si avverte. Ho orrore di tutto ciò che si mostra, dell'esibizionismo, degli effetti: i movimenti rapidi avanti e indietro, per esempio. Mi piace la semplicità, detesto la tecnica. Ho sempre girato cosi, dall'inizio. Progredisco molto poco, molto lentamente, nella mia concezione del cinema. Il sistema video che avevo già utilizzato nel Fascino discreto mi aiuta molto a far si che il film sia esattamente quello che voglio. Mi dà molta piu precisione. Altrimenti sarei costretto ad andare a guardare nella macchina da presa. Nel video vedo molto meglio del cameraman che sta lavorando. Non farei piu film in altro modo. Trovo formidabile poter vedere la stessa cosa della cinepresa che è lontano da me. Ma l'aspetto tecnico non m'interessa; qualcuno mi ha chiesto di spiegargli come funzionasse, ho rifiutato di farlo. {1974] Z - Per essere felice mi basta un bosco di querce.

Le dichiarazioni di Bui'tuel sono riprese dai «Cahiers du cinéma•, n. 36, giugno 1954; «Les Lettres françaises•, 12 maggio 1960; •Le Monde•, 1 giugno 1961; «Vie nuove•, 31 geMaio 1963; •Cintma 65•, n. 94, marzo 1965; «Télé-Ciné•, giugno 1969; •Il Giorno•, 23 maggio 1971; «Positif•, n. 146, gennaio 1973, e n. 162, ottobre 1974; e dalla monografia Luis Bunue/ di j.F. Aranda.

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Per Adelio Ferrero

LUIS BUNUEL

L'ESORDIO E IL DESTINO DEL TESTO «INSEGRETITO» - La guerra ispano-americana (conclusasi nel 1898) ratifica ufficialmente la decadenza della Spagna, la decrepitezza delle istituzioni è una cancrena senza rimedio. Anche i "ciechi" se ne accorgono: il paese è travolto da un'ondata di «sbigottimento, di sfiducia, di improvviso pessimismo» (Max Aub). In questa situazione si erge la Generacion del '98 con il cartello dei no: contr-0 la dinastia borbonica, contro l'aristocrazia e la casta militare, contro la chiesa. Miguel de Unamuno, Ramon Maria del Valle-lnclan, Azorin, Pio Baroja, sono i principali personaggi di questa vicenda intellettuale che mette «a disagio» la gioventu. Essi calano il bisturi nei tumori dell'uomo spagnolo, degli uomini che si colpiscono eccome due crostacei, fino a rompersi gli involucri e far affiorare il loro vero essere» (Unamuno), propongono il ritratto poetico della Spagna cc alla rovescia», nella tradizione di Quevedo e Goya. Con la personalità di Ramon Gomez de la Sema si chiude cela drammatica affermazione soggettiva ed estetica» della Generacion. Max Aub dice: «Se l'anarchia fosse una teoria letteraria, egli ne sarebbe il profeta. Non è né infrarealista, né surrealista, né superrealista; fonda la sua immagine, la sua piroetta, la trovata, la metafora - ossia, la sua gregueria - sulla realtà ... «Monta la sua opera sopra gli oggetti: appende gli oggetti piu eterogenei addosso ad ogni tipo di spaventapasseri, a condizione che sia ben piantata in terra» (Cfr. Manual de historia de la literatura espanola). Alla vigilia della dittatura - 1923 - di Primo de Rivera, il quadro letterario del paese è «confuso», le riviste d'avanguardia (creazionismo, ultraismo) prolificano, le esperienze s'intrecciano, si presta attenzione ai movimenti dada e surrealista - Breton parla a Barcellona - ma piu per sco10 prirvi suggerimenti e tendenze comuni che autentiche novità. Anche se la

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tesi di un surrealismo spagnolo «casualmente parallelo e ignaro di ogni precedente straniero è incredibile», è indiscutibile che il rapporto dei nuovi poeti con la tradizione dei poeti puri è molto stretto (Cfr. / poeti surrealisti spagnoli di Vittorio Bodini ). Le «guide fraterne», "i primi lettori e destinatari ideali» di Lorca e Alberti, di Cernuda e Aleixandre, sono Guillén e Damaso Alonso. Non è quindi un dato molto curioso che gli uni e gli altri, con Gerardo Diego, Pedro Salinas e José Bergamin, siano gli organizzatori delle onoranze funebri per il terzo centenario della morte di Luis Gongora, che costituisce l'atto di nascita della Generacion del '27. In seguito, si divideranno in un'ala orteghiana e in una surrealista. Al momento sottolineano gl'insegnamenti di Gongora: l'ellissi e l'iperbole. Bodini precisa esattamente: «Esiste un motivo permanente in un sentimento che potremmo chiamare ellittico della vita, proprio degli spagnoli, e consistente in un'impazienza del cuore, che fa saltar loro le frasi piu amorfe, meno accentuate o puramente transitive d'un discorso lirico e conoscitivo, in cerca di segni o accenti verticali»; con l'iperbole si deve intendere «l'intensificazione» e «il potenziamento del reale». In definitiva, il gongorismo della Generacion è l'espressione di una vibrazione costante, la polarizzazione di «quell'eterna esigenza iberica a un rapporto con la realtà a un livello teso, estremo, superreale» (Bodini). In questo terreno può germogliare la scrittura automatica dei surrealisti francesi, grazie anche alle poesie inviate da Parigi da Juan Larrea, ma ogni poeta spagnolo non si riconosce in movimenti di cultura o in partiti politici: egli celebra tragicamente la propria individualità, e in questo personale destino si ritrova congiunto a tutti, immerso nel mitico ventre della Spagna. Luis Buiiuel nasce nella provincia aragonese di Teruel ricca d'insctti, a Calanda, nel 1900, da Leonardo (arricchitosi in America, proprietario terriero, vicino ai temi degli intellettuali riformatori) e da Maria Ponolés (diciottenne di straordinaria bellezza). La sua infanzia - è il primo di sette fratelli - e parte dell'adolescenza sono turbati dall'educazione religiosa ricevuta in un collegio di gesuiti. Completa gli studi a Saragozza, nel 1917 si reca a Madrid per iscriversi alla facoltà di agraria, quando avrebbe voluto applicarsi in composizione alla Schola Cantorum. Per niente attratto dalla 11

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«soluzione di equazioni», frequenta le lezioni di entomologia e nuovamente resta deluso perché si rende conto d'essere piu interessato alla letteratura sugli insetti che alla loro anatomia, fisiologia, classificazione. Nel 1924 si laurea in lettere. Il soggiorno madrileno si svolge in un'esaltazione frenetica di giovinezza. Quale che sia la stagione e il tempo, egli esce di buon mattino con la pertica, si esercita con il punching-ball, diventa un fighter di grandi risorse. Circondato da fraterni amici conosciuti alla Residencia de Estudiantes Federico Garcia Lorca, e poi Moreno Villa, Salvador Dati, Pepin Bello, Rafael AJberti, anche Ramon G6mez de la Serna - trascorre gioni interi nella parte vecchia della città, in conversazione nei caffè, in riunioni notturne quasi sempre destinate a letture di poesia. Anch'egli scrive e prende parte al diletto degli anaglifi, quattro versetti composti di tre sostantivi, il terzo dei quali doveva essere la «gallina»: quarant'anni dopo, in LA gallina ciega, Max Aub paragona il suo paese alla gallina del disegno di Goya, capace di covare sia uova stupende (Picasso, Bunuel, Lorca) quanto i tristi aborti della dinatura fascista (cfr. l'introduzione di Dario Puccini a San Juan), al piacere dei putrefatti (inventati da Bello, ma perfezionati da Lorca e Dati, e consistenti in giochi grafici di humour nero: putrefatti sono, per esempio, gli accademici, il papa, sua maestà Alfonso XIII). Allestisce rappresentazioni teatrali con Federico, fonda il primo cineclub di Spagna, non di rado terrorizza il personale del pensionato con sedute spiritiche. Con l'aiuto di Lorca e degli altri amici, iJn mondo poetico e fantastico si dischiude agli occhi del giovane Luis. Egli matura intellettualmente, gli occhi cominciano a vedere. Per i contorni precisi del materialismo, ateismo, antiistituzionalismo di Bunuel decisive sono le letture di Freud, Feuerbach e Marx - senza dimenticare, per l'orientamento generale, la forte impressione provocata dall'ipotesi della relatività di Einstein. Nel 1925, il Manifesto di Breton è pubblicato dalla «Revista de Occidente•. Lo stesso anno, il 18 aprile, per iniziativa del gruppo, Aragon parla a Madrid contro il lavoro, la civiltà e la scienza positiva (Cfr. Histoire du Surréalisme di Maurice Nadeau). Bunuel e Dati partono per Parigi portan12 dovi •l'idea maturata alla Residencia, degli oggetti surrealisti» (Bodini).

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Prima della creazione di Un chien andalou deve trascorrere l'esperienza di Amsterdam (dove Bui'luel è il regista di El retablo de Maese Pedro di Manuel de Falla) e l'apprendistato parigino alla scuola di Jean Epstein. Nell'Autobiografia (scritta nel 1939, ora in Luis Bunuel, biografia critica di J. Francisco Aranda), egli ricorda con piacere I' «improvvisazione» del suo primo lavoro: come suggeri all'illustre Vinas di utilizzare attori mascherati per i personaggi umani e marionette per il Guignol. Quanto agli anni trascorsi al fianco di Epstein, come aiuto regista, Bunuel ha piu volte dichiarato, con l'unica eccezione dello scritto autobiografico ( «appresi la tecnica cinematografica»), di aver fatto solo il «fattorino». Intanto segue a distanza le vicende dei surrealisti e, fallito un progetto di collaborazione con Ram6n, ottiene dalla madre il denaro sufficiente per dirigere i diciassette minuti di Un chien andalou con il «divo» Pierre Batcheff. Il film è presentato nell'aprile del 1929 al cinema «Ursulines» di Parigi, poi, per nove mesi, allo «Studio 26». «Ma che posso io - scrive Bunuel - contro i ferventi di ogni novità, anche se questa novità oltraggia le loro convinzioni piu profonde, contro una stampa venduta o insincera, contro questa folla imbecille che ha trovato "bello" o "poetico" quanto, in fondo, non è che un disperato, un appassionato invito all'omicidio?». Anche a Madrid il film sconvolge il pubblico, ma per altri morivi. Rafael Albeni racconta che la rivelazione di Un chien andalou coincise «con una Madrid già in preda alla febbre, non lontana dalla vigilia dei grandi avvenimenti politici», cioè della fine della dittatura di Primo de Rivera (in La arboleda perdida, cit. da Bodini). È molto significativo che nel '29 Federico lanci una «violentissima polemica anticlericale e anticapitalista», scriva il surrealista Poeta en Nueva York. Del Chien e del successivo L'àge d'or, ha parlato con grande acume Adelio Ferrero: «C'è il disoccultamento, l'esplosione di una zona vitale ed estremamente produttiva del'inconscio, dell'onirico e dell'immaginario, ma scritta negli interni dei salotti borghesi, accompagnata attraverso le strade della città. E dunque, mentre egli ne condivide la potenzialità, ne avvene anche, con altrettanta consapevolezza e lucidità, l'impossibilità attuale, l'essenza del futuro e la mancanza del destino». Accogliendo la noterella di Bataille, a proposito 13

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della scena traumatica dell'occhio cagliato - «ma la seduzione estrema è probabilmente al limite dell'orrore» (in Documents) - Ferrero può soggiungere: «Quando Bunuel ricorda che il film non è la descrizione di un sogno, egli tende a spostare l'interesse e l'attenzione dello spettatore, in particolare dello spettatore d'ascendenza surrealista, sull'asse critico e ideologico del film, piu che su· quello onirico nel senso caro a molti compagni di strada,. ( in Da Lumière / 1895 / al cinema sovietico f 1930 J, a cura dell 'U fficio cinema del Comune di Modena). In questa prospettiva vive e agisce il surrealismo di Bunuel. Alla rivelazione concorrono una sceneggiatura assai controllata, un montaggio ellittico (di condensazione delle scene), un certo uso degli oggetti (l'oggetto viene colto dalla zona opaca che lo rende semplice cosa ordinaria, e, reinterpretato secondo i suggerimenti simbolici di Freud, viene chiamato a raccontare il subconscio dei personaggi), il bestiario (controcanto di una natura culturalizzata e avvilita), un comportamento della macchina da presa nei confronti del protagonista definito opportunamente da Tinazzi «dialettica tra distacco e partecipazione» (cfr. // cinema di Luis Buiiuel), una deliberata mancanza di «belle» immagini. Senza dimenticare, naturalmente, la peculiarità culturale dei personaggi agiti sulla scena, lo stretto rapporto dell'esistente con gli archetipi dell'immaginario spagnolo, l'arretramento temporale metodico - a supporto del giudizio sugli aneliti libertari votati allo scacco, il dirompente humour nero. In ultima istanza, poiché il surrealismo di Bunuel si definisce con !'«intransigenza morale e artistica» dell'occhio, bisogna dire che la peculiarità del suo sguardo è l'ambiguità, vale a dire l'intercambiabilità delle categorie che organizzano i testi filmici - amour fou e impotenza, trasgressione e ordine, cristianesimo e sadismo. In questo senso l'approdo di Bunuel alla figura del don Juan è una scelta obbligata. Un chien andalou aggrega una folla variopinta di supporters dei fatti d'avanguardia, spuntano mecenati d'alto lignaggio (i visconti di Noailles) che offrono al giovane atletico Luis il capitale per dirigere L 'age d'or. Ed è subito, allo «Studio 28», un bagliore di fiammata rivoluzionaria. Di conseguenza, la sala viene assalita dalla canea cattolica messa in armi dall'«Ac14 cion française». Il capo della polizia Chiappe non perde tempo, sospenden-

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do le proiezioni. L'age d'or, per usare un termine di Goethe, viene "insegretito": le copie scampate al massacro rispunteranno molti anni dopo per il pubblico delle cineteche. In quello stesso anno - il 1930 - Bufluel è tra coloro che solidarizzarono con Breton contro la «canaglia che fa professione di pensare» (gli espulsi dal gruppo) ma la rottura anche per lui è vicina. Piu tardi, giustificherà cosi la sua uscita in punta di piedi: «Cominciavo a non essere piu d'accordo con questa specie di aristocrazia intellettuale, con i suoi limiti artistici e morali che ci isolavano dal mondo e ci relegavano alla nostra sola compagnia. I surrealisti consideravano la maggior parte del genere umano come stupida o spregevole, il che li escludeva da ogni forma di partecipazione sociale". Alain e Odette Virmaux hanno messo chiaramente in luce i rapporti dei surrealisti con il cinema: correvano di sala in sala, collezionando brani di film; al termine di siffatte giornate Breton si dichiarava chargé, magnétisant. Questo metodo «tradisce una certa volontà di mantenere le distanze e di cercare solamente un contatto fuggitivo con le immagini»; «piu che un modo d'espressione, il cinema sembra esser stato per loro uno stimolo poetico» (cfr. Les surréa/istes et le cinéma). Il «piccolo borghese su di giri», come direbbe Brecht, il «grido di panico di fronte a una realtà che li sorpassa», come ha scritto Fortini per l'intero movimento, allontana Bufluel, alla ricerca di un rapporto con la realtà «a un livello teso, estremo, superreale». Nel 1932, con Pierre Unik e Eli Locar, e grazie al denaro regalatogli da un operaio anarchico (lo aveva vinto a una lotteria), egli trascorre due mesi nella terra maledetta delle Hurdes e impressiona ventisette minuti di «geografia umana», l'orrore tollerato e richiesto dalla civiltà capitalista. Sonorizzato soltanto nel 1937, l'eccezionale Las Hurdes viene •insegretito• dalla Spagna repubblicana. Intanto è scoppiata la guerra civile e al regista viene affidato il compito di curare la produzione militante, poco dopo a Parigi, quella a soggetto. Lo mandano quindi negli Stati Uniti, dove lo raggiunge la notizia della morte della Spagna. «Salii un giorno, come quei naviganti solitari, sulla mia nave poetica e dopo la guerra spagnola, che infranse i nostri orizzonti ... », disse il grande poeta Larrea. Troppo giovane per ritrovarsi nel movimento d'idee prodotto dalla Generacion del '98, or- 15

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mai lontano da Madrid per vivere la breve stagione della Generaci6n del '27, Bunuel riassume nella sua opera il desiderio e il dramma delle radicali trasformazioni progettate dagli intellettuali spagnoli. 1. Un chien andalou. Nel prologo del film, due mani sono impegnate ad affilare la lama di un rasoio, a incrociare il ferro con il legno appoggiato sopra il pomo della porta. Le mani sono dello stesso regista, con le palpebre abbassate e una sigaretta che si consuma all'angolo destro della bocca, volto a provare l'affilatura sull'unghia del pollice sinistro. Si avvicina a una porta finestra, esce sul balcone e fissa lo sguardo verso la luna piena. Mentre la luna corre veloce verso una nuvola sottile, il regista, rientrato nella stanza, alle spalle di una donna seduta e impassibile, tenendole l'occhio sinistro ben spalancato con il pollice e l'indice disposti a cerchio, si appresta a reciderlo orizzontalmente. La luna e l'occhio sono sezionati contemporaneamente. Dall'occhio tagliato cola una goccia di sangue. La comprensione di questa celebre scena dipende, preliminarmente, dall'«evidenza» (Mitry) del rapporto che Bunuel, grazie al rispetto delle regole del montaggio, instaura tra materiali profilmici eterogenei e, conseguentemente, dalla circolazione degli stessi con valore di simbolo nel discorso dell'immaginario. Gilbert Durand insegna che in un percorso antropologico «la rappresentazione dell'oggetto si lascia assimilare e modellare dagli imperativi pulsionali del sogge::ro » (cfr. Les structures anthropologiques de l'lmaginaire) e - con Bastide (cfr. Sociologie et psychanalyse) che la pulsione individuale ha sempre un «letto» sociale, sicché «il sistema proiettivo della libido non è una pura creazione dell'individuo, una mitologia personale». In questo senso, la visione della lama e la verifica della sua forza tagliente, suggerendo il simbolo della croce e l'annesso effetto castrante, determinano la "trasparenza" originaria della luna. L'astro ritorna ad essere l'archetipo agrario della fecondazione, le cui rappresentazioni, notate dagli studiosi di teofanie lunari, possono essere a un tempo propizie e nefaste. Piu precisamente, la luna è l'archetipo della «rigenerazione periodica del tempo» (cfr. Mythe de /'eterne/ retour di Mircea Eliade). Che Bu18 flue I accolga l'astro come «misura del tempo», lo si riscontra in un dettaglio

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sicuro. Il regista ha cura di mostrarci il quadrante dell'orologio allacciato al suo polso: sono le due e trenta del mattino. «]e suis bien né le 22 Fevrier ci ha scritto Bufluel in data 3 marzo 1978 - et d'après ce que je crois avoir entendu dire à ma mere---entre deux ou trois heures du matin.» Ad una prima «vendemmia» (Bacon) risulta che la luna è portatrice di sventure: l'esperienza dell'educazione cristiana che accompagna l'uomo fin dalla nascita (e il regista compare come testimone d'accusa) è iscritta nel ciclo cosmico. Nello schema ritmico del ciclo s'integrano perfettamente il rituale del ricominciamento (e ("'ora" dell'evento lo conferma), la prospettiva dell'iniziazione (la mutilazione dell'occhio) e l'annuncio di ciò che continua a esistere nel cielo cristiano (l'archetipo del Figlio). Durand sostiene che la luna è «madre del plurale» - da qui il «mito della polarità»: Abele e Caino, per esempio - e che il prototipo del Figlio è l'ermafrodita lunare. Ebbene, la corsa della luna-madre verso la nuvola produce, nello spazio dell'immaginario, una serie di metamorfosi: la nuvola è acqua e come tale è causa del germogliare dell'albero, l'albero diventa il bastone di Ermes, Ermes è l'androgino che porta «la promessa drammatica dello scettro». Nella stanza, dal cui balcone sospeso tra terra e cielo si è scorto l'avverarsi dell'incontro cosmico (il rinnovarsi del ciclo vita-morte: il mito dell'eterno ritorno), è posto il tribunale della Storia. Bufluel organizza il processo nella forma del sacrificio «eufemizzato»: con l'iniziazione scende a patti col tempo. Nello stesso istante, innesca la tragicomica messa in scena del ritorno dell'androgino, sconsacra il cerimoniale del ricominciamento riducendolo ad evento profano e volgare. La compromissione col tempo, davanti alla macchina da presa [in seguito si scriverà mdp], significa per il regista la possibilità di sperimentare il limite. Senza rassegnazione, procrastina all'infinito l'ora della rinascita (la redenzione della Storia). Fin dall'esordio Bufluel è vicinolontano dal cccerimoniale patetico dei surrealisti» (cfr. Cerimoniale di messa morte interrotta di Albeno Boatto). Dalla goccia di sangue che cola dall'occhio scaturisce l'androgino. Varca le_ s~rade _deserte dell~ città in bicicletta, con curiose mantelline alle spalle, a1 fianchi, sul capo, 1n analogia col bianco superfluo che cinge la Merlettaia di Vermeer riprodotta nel libro osservato attentamente dalla don- 17

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na (del prologo) al centro della sua stanza. (Si noti che la Merlettaia richiama l'arte della tessitura e della filatura. Le Parche, che filano il destino, sono divinità lunari). La donna, senza vederlo, avverte l'arrivo del ciclista, si alza e da dietro il vetro della finestra lo scorge cadere sul marciapiede, immobile. Si precipita in strada, lo bacia, raccoglie la scatola che gli pende sul petto. L'attesa si apre alla storia degli oggetti come esteriorizzazione dell'inconscio, come resa enigmatica della mente che investe simbolicamente l'energia del piacere. I bianchi addobbi sono sul letto, compresa la scatola con linee trasversali (trasversali come le strisce bianche e nere della cravatta in quella contenuta e disposta sul letto: dalla donna guardata nei movimenti automatici di formazione e scioglimento del nodo). Per la teatralità del corpo simbolico, attraversato da fremiti erotici, il rapporto della donna con il ciclista comparso alle sue spalle e intento a seguire i movimenti delle formiche nella mano, accade con il ritorno alla strada. Entrambi sono richiamaci alla porta finestra dal tramestio della gente che fa corona a un giovane efebo (per le sottane risulta essere una donna) ai piedi del quale si trova una mano mozza sfiorata dalla punta di una canna. Il rapimento, l'estasi intensa della donna nella via, come se a tutto fosse cieca, sul petto stringendo la nota scatola (inavvertita quindi dell'orrore della gente dispersa da un p0liziotto), è vissuto per un attimo, sul volto dell'uomo, con gli occhi al cielo. Ben presto si rianima con curiosità febbrile e criminale. Un'automobile investe la femmina trasognata. Con l'assassinio della donna della via si sprigiona in lui il desiderio irrefrenabile per la figura al suo fianco. L'avvicina al muro, con le mani avvolge i seni sopra il vestito, con passione visionaria i seni nudi in successione alterna, e anche le natiche "impasta" in modo fremente. Ma il volto pare dissociarsi dall'azione delle mani, abbandonarsi a una passione cristiana, al deliquio del martirio e alla vertigine della colpa. Dove nel regista la sigaretta bruciava, un fiotto di sangue contrassegna la perdita, il ristagno d'erotismo, l'impossibilità di procedere oltre. La donna pertanto sfugge alla presa e in un angolo della stanza brandisce a difesa una racchetta da tennis appesa alla parete e 18 simile a un crocefisso. È una partita ormai vinta (o da entrambi perduta)

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contro il destino dell'inconscio avvilito dalla presenza di due fratelli delle Scuole cristiane frapposti a due pianoforti a coda e a due carogne d'asino i cui musi in putrefazione pendono sulle tastiere, gli uni e gli altri uniti dalla corda che l'uomo tira sforzandosi di occupare l'angolo del desiderio. La donna scappa in una seconda stanza da letto (identica alla prima), il giovanotto l'insegue ma la sua mano brulicante di formiche, resta bloccata tra la porta e lo stipite. È notte. La donna torna a «produrre» sul proprio letto le mantelline e gli altri oggetti, e dentro a essi il corpo del giovane cosi com 'era comparso la prima volta, salvo la novità della cravatta a strisce trasversali attorno al suo collo. Quest'essere, partorito in una notte di luna, rifluito nel desiderio della donna, per lei portatore di oggetti, è improvvisamente fatto «uomo» dalla scena del crimine. Raggiunto da un intermittente senso di colpa (che è rivelato dal fardello frenante della cultura cristiana associata all'eros micologico sul simbolico oggetto a tre gambe), ritorna alla condizione d'automa, costretto tra le cose. Due mani agitano uno shaker, alla porta c'è la sua «metà», il doppio in abito chiaro. Immediatamente si dirige verso il letto, spogliando il giovane immobile di tutti gli oggetti, privandolo della scatola che getta dalla finestra. Il suo arrivo innesca la drammatizzazione della scissione, determina il ritorna alla notte dei tempi, sui banchi di scuola, quando «Caino», messo in castigo con due libri (uno è di geografia), li metamorfosa in rivoltelle per uccidere «Abele». Questi, colpito a morte, cade fuori della stanza, in un parco, vicino a una donna nuda, lungo la schiena della quale le sue mani scivolano con molta pena. Il cadavere è raccolto da alcuni passanti e portato via. Se il «bene .. è inutile quanto il «male» non è risolutore, con la messa in scena del «mito della polarità» il regista può tendere l'arco del delirante epilogo. Inizialmente, si è vista una donna ingannare l'attesa (di un appuntamento) con un libro. Dalla riproduzione del quadro di Vermeer è stata spinta a teatralizzare il proprio immaginario, a sperimentare la sua potenza con le cose: il corpo simbolico, materializzato e sfuggito al controllo, torna a reificarsi. In questo versante, la donna, troppo fone, celebra i fasti del corpo e l'angoscia punitiva dell'uomo. Diventa l'emblema, come la donnastatua del parco, dei sogni, un miraggio di molte ansie e sospiri. Simile a 19

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una farfalla con il teschio di morte, arrogante e sicura di sé, da non scomporsi dei peli delle sue ascelle spuntati sulla bocca dell'uomo, porge l'addio con la lingua (il rivelatore della differenza). Fuori della stanza c'è la vita reale con il suo dramma autentico. La brezza marina scompiglia leggermente i capelli della donna mentre si dirige incontro all'innamorato che l'attende impaziente sulla spiaggia. S'incamminano senza (quasi) badare ai detriti dell'esperienza precedente, della scatola e di tutto il resto. «A primavera», sotto un cielo grigio, i loro corpi sono immersi nella sabbia e divorati dagli insetti. La follia dell'amore è la vera protagonista dell'epilogo. Nell'amore dovrà essere la rinascita. L'age d'or. Ancora il prologo: le immagini di scorpioni tra le rocce e le didascalie che ragguagliano sul comportamento di questo tipo d'aracnidi, dal veleno micidiale, pronti a morire davanti al pericolo. Invece degli artigli, i banditi hanno fucili, ma i loro corpi sono spossati, debilitati dalla guerra al potere. Mentre si dirigono in fila a contrastare l'arrivo dei «maiorchini », si lasciano cadere senza un lamento, un richiamo. Anche i nemici, quattro arcivescovi salmodianti su un isolotto roccioso, sono armati (di bastoni pastorali) ma il loro veleno agisce al di là della morte, si nutre della debilitazione del corpo, vince con gli scheletri che fanno mostra di sé, edificando gli animi della Chiesa. Oltre il crinale dello spazio-tempo «dinatura», nella civiltà trionfante, le analogie si chiamano cultura e distorsione degli istinti, divisione e frattura, sopraffazione ideologica e rivolta, destituzione dell'uomo e progresso delle maschere sociali. Senza soluzione di continuità narrativa, barche in gran numero s'avvicinano all'isola dei banditi. Una lunga teoria di dignitari d'ogni genere, laici religiosi militari, e di borghesi con donne, ripercorre il sentiero della drammatica debilitazione, sino al luogo della «prima pietra», di «Roma imperiale .. , nel 1930. I miasmi sono ancora nell'aria, e il rito viene interrotto da un grido di donna che gioisce, riversa nel fango, sovrastata e aggredita da un uomo che le tocca il corpo con sguardo lascivo. La passione è una colata di lava, l'immaginario è Lya Lys al gabinetto. Divisi, l'una viene condotta via 2D da due suore, l'altro da due poliziotti, in grado, con strattoni improvvisi, di

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prendere a calci il cane di u_na dama, di schiacciare uno scarafaggio. Il rito della posa della prima pietra può cominciare, la mdp sorvola S. Pietro (il papa è al balcone) e inquadra «aspetti vari e pittoreschi della grande città». Sempre con i suoi angeli custodi, l'abito imbrattato, il protagonista (Gaston Modot) cammina per le vie ed è attratto dai manifesti pubblicitari, da una mano femminile che si protende verso una scatola di cosmetici (su una palizzata), da due gambe con calze di seta (portate in giro da un uomo-sandwich). Finché, arrestatosi davanti a una vetrina ( un poliziotto si accende la sigaretta), egli scorge la fotog1 afia di una donna con il capo reclinato all'indietro. La provocazione oggettiva delle cose in tanto è il riscontro di una società perversa in quanto la successione delle stesse permette e innesca l'accensione erotica di Modot che immagina, non la realizzazione di un amplesso con l'amata, ma l'animazione della fotografia, la materializzazione di Lya Lys che, in attesa, si masturba sul divano di casa. In questo modo si penetra nel salotto aristocratico, vicino alla Lys che, effettivamente dedita al piacere solitario, con il dito fasciato raggiunge la madre, con l'anulare tortura il dorso di un libro, discorrendo della prossima festa in onore dei «maiorchini». In disparte, il padre marchese rovista tra le bottiglie dei farmaci, e con un dito vi resta imprigionato. Le cose sottratte alla staticità, immesse nel circuito del pensiero, sono si i materiali funzionali dell'associazione di scena. Vivendo in simbiosi con i personaggi, sono soprattutto il riflesso del loro disagio, l'espressione primaria della comicità della furente impotenza, l'anticipazione della scoperta. Certo, lo scortato Modot è il doppio volto borghese, che là, nella terra dei banditi, al seguito dei notabili, ha sentito deflagrare nel corpo l'antico piacere, inarrestabile come un'eruzione vulcanica, sadico per la forma trasgressiva ch'esso assume nella realtà e nel fantasma scatologico. Anche la sua compagna è in situazione, ma la remissività dell'anesa, contrassegnata dalla mucca sul suo letto, rivela il patetico lirismo del cuore. Essa caccia dalla stanza l'animale con non sorpresa stanchezza e si siede davanti allo specchio della toilette. Altrove, l'uomo percorre un marciapiede, vicino all'inferriata d'un giardino dal quale un cane gli abbaia dietro con rabbiosa innocuità e infinita tristezza. 21

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Le due scene sono associate dal sonoro, dal campanaccio della mucca e dai latrati del cane che si rincorrono attutiti, come se uscissero dallo specchio, privo dell'immagine della donna, finestra aperta sulla campagna, alberi e nuvole, e un vento leggero scompone i capelli della trasognata Lys, alita sulle margherite nel vaso. Le cose (ancora), gli animali e i suoni sono il prolungamento fantastico di queste vite tormentate e avvilite: cancellazione, sostituzione, intenzione delle figure umane, nel mondo organizzato dai valori emergenti, nel mondo soltanto pena e orrore. Per la mistificazione della vittima: Modot ha una missione da compiere, è un «benemerito» dell'umanità, e ai due poliziotti allibiti egli mostra la pergamena che l'attesta, s'allontana rapido in taxi, non prima d'aver maltrattato un cieco. Siamo al gran ricevimento finale, «nei dintorni di Roma», nella «magnifica proprietà» del marchese. Il salone è immenso, tavoli, sedie e poltrone un po' dappertutto, tra le quattro colonne, sulla parete di fondo, vetrate e tendaggi. Nello spazio della grottesca teatralità sostano i primi invitati, un 'alta personalità ma di bassa statura (la stessa del discorso ufficiale, all'inizio) discende da un'automobile preceduta dall'aspersorio che un lacchè si prende cura di rimettere a posto. Il padrone di casa lo accoglie infastidito dalle mosche in fronte. Lya Lys tortura il dito medio della mano destra posata sul petto, un cameriere sfrega il collo di una bottiglia di cristallo, una cuoca si precipita fuori dalla cucina in fiamme, un enorme carro trainato da un cavallo e montato da personaggi folkloristici attraversa il salone inavvertito dai presenti. In cortile, il guardiacaccia della tenuta vezzeggia il proprio figlio, nel contempo facendosi una sigaretta. Incidentalmente, il bambino provoca la caduta del tabacco, fugge allora con fare scherzoso, ma viene fucilato dal padre, colto da raptus padronale. Gl'invitati del marchese, richiamati dagli spari, s'affrettano ad ammirare lo spettacolo dal balcone, accigliati, scuotendo la testa per tanto realismo, ma subito si ridestano ai loro interessi mondani e abbandonano la scena. Di sotto, il guardiacaccia spiega l'accaduto a due servi per niente turbati. Sopraggiunge Modot in smoking, trascinandosi dietro un vestito iden22 tico a quello che indossa Lya Lys. Dopo l'aspersorio, un altro feticcio, due

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simboli d'ineguale potenza, perché l'uno è prodotto dall'altro. Secondo una linea di tragicomica doglianza, l'amour fou è il protagonista: lo sguardo dell'uomo cerca, scopre l'amata e avvampa di molte promesse, le sue labbra si morsicano, le palpebre si socchiudono, come s'egli vivesse un subitaneo orgasmo, ricambiato da Lya Lys, anch'essa partecipe d'intrattenibile travaglio erotico, entrambi estranei agl'invitati, dimentichi della loro presenza. L'uomo vorrebbe precipitarsi sull'oggetto del desiderio, ma la marchesa madre lo trattiene in convenevoli, crede che voglia bere, gli versa del liquore, anche sui pantaloni. La reazione di Modot è sorprendente: schiaffeggia la vecchia signora. Viene messo alla porta, gl'invitati indignati attorniano la padrona di casa, il marchese la conforta e chiede la collaborazione dell'indifferente ma obbediente figlia. È giusto che la buona gente s'indigni di tanta grossolanità, ma il precedente del guardiacaccia permette un'altra comprensione, e un'altra ancora, di Modot: l'analogia delle due azioni violente contestualizza la norma e la trasgressione, o meglio, la conferma. La tranquillità sembra ritornata nel salone, gl'invitati cominciano a uscire in giardino (comunica direttamente con l'interno della villa) per il concerto di musica wagneriana che verrà eseguito da orchestrali che hanno la divisa dei Fratelli delle Scuole cristiane. li capo di Modot sporge da dietro una colonna, lancia segnali all'amata, le si avvicina trattenendo il respiro, tra alcuni ospiti che non osano dire nulla, intimiditi dai suoi occhi roteanti. I due innamorati escono, camminano abbracciati lungo un sentiero solitario del giardino, vicino a un grosso vaso. In uno spazio appartato (ci sono due sedie di vimini, un tavolo e una statua), l'eccitazione è sovrana, i movimenti dei corpi rapidi e nervosi, le labbra fremono e divorano le dita del partner, la mano stringe la coscia della donna, ma oscuri e comici contrattempi snervano i due personaggi, dilazionano l'atto d'amore, lo rendono un atto mancato. Scomodamente seduti, non riescono a baciarsi; vicini, vengono distratti dall'inizio del concerto; ripresisi, si scontrano con le teste. E poi l'indugio di Modot, il timore provocato dal piede della statua è rivelatore. Comunque, egli riparte all'attacco, prende Lya Lys e l'adagia goffamente per terra, ma lo scandalizzato maggiordomo gli comunica che è atteso al telefono. 23

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Mentre Modot si avvia a comunicare con il ministro, l'amata si accorge dell'alluce della statua e lo succhia con crescente volunà. Il «benemerito .. viene accusato d'essersi dimenticato della sua missione - le masse si riversano nelle piazze travolgendo la polizia - ma non poteva e non doveva essere che cosi. «Me ne frego .. , urla l'impotente; «canaglia», replica il ministro, che si spara, e il suo corpo giace in alto, sul soffitto della stanza. Di nuovo insieme, per la ripresa degli approcci erotici, l'uomo è ai piedi della donna seduta, le allarga le gambe ma il volto s'intenerisce, riaccosta le gambe e vede il viso di Lya Lys invecchiata di vent'anni. Modot, con il volto tutto insanguinato, grida: Amour, amour, amour, amour. Le parole (dette da Paul Eluard) d'invocazione e la possibilità della violenza desiderante sono contrastate da forze ostili che hanno devitalizzato il corpo maschile rendendolo comico simulacro del modello istintuale. L'eros diventa senile sulla scena, una tranquilla e commossa memoria aleggia nell'aria insieme alle note ossessive di Tristano e Isotta. li direttore d'orchestra, un vecchietto in frac, agita la bacchetta con grande veemenza, il violinista religioso esegue con puntiglio sornione, ma il passaggio della morte è fatale. Il maestro abbandona il podio con le mani sul capo, si dirige casualmente nel luogo dei due innamorati, viene riconosciuto da Lya Lys che gli cade tra le braccia per un bacio prolungato. Anche lo sbigottito Modot avverte un gran dolore al capo, ma per la zuccata che ha dato a un vaso alzandosi in piedi in modo maldestro. Allontanandosi per lo stesso sentiero del vecchio maestro, lo ritroviamo nella stanza della donna, su quel letto occupato dalla mucca, in preda a molto sconforto, infierendo sul corpo del cuscino, facendo volare ovunque i piumini. Con molta determinazione si decide: bisogna gettare dalla finestra il pino in fiamme e l'arcivescovo, l'aratro e il bastone pastorale, e la giraffa in mare. Certo, la presa di coscienza è esplicita, ma non possiamo dimenticare che il caranere sovversivo del testo nel suo complesso, della scena del giardino in particolare, è nell'ambiguità dell'assai comica impotenza, nella serietà della deformazione del senso, nella trasparenza dell'amour fou in quanto esso stesso scrittura-anticensura-delirio desiderante, significante 24 che non si lascia riassorbire dal nulla di fatto, agito, invece, realizzato nei

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veleni che diffonde, posizione erotica dirompente, esaltante, dello sguardo. Nella condensazione delle dichiarazioni, tra le quali il postulato del crimine, il soggetto della tragicommedia è la schizofrenia, la scissione tra debilitazione e scrittura propositiva. Ecco, dunque, la didascalia che precede l'epilogo: .. Nel preciso istante in cui queste piume [ ... ] molto lontano [ ... ] i sopravvissuti del castello di Selliny [... ]». La simultaneità segnalata è l'indicatrice di questo fittizio arretramento nello spazio tempo del marchese de Sade, per rendere esplicita la riflessione sul crimine. Per definizione è il cristianesimo a porre la trasgressione, ma Sade, travestito da Cristo, prima con barba (e uccide l'ultima donna dell'orgia) poi senza, è l'espressione dell'identità di fede e perversione, carità e delitto. L'emancipazione umana richiede il superamento, la rifondazione del vivere. Al momento la croce e la capigliatura delle vittime, al piu lo sberleffo del pasodoble, decisamente la speranza del testo, la sua prassi rivoluzionaria. Las Hurdes o Tierra sin pan. Il testo è organizzato dall'uso simultaneo di funzioni concorrenziali: la musica (la Quarta sinfonia di Brahms) è l'istanza icarea, l'altezza sublime raggiunta dalla cultura e dalla civiltà occidentale; la voce fuori campo, che freddamente restituisce le annotazioni (selezionate) di viaggio, è la conduttrice della progressione e della scoperta; le immagini sono l'apertura sulla fossa sociale, il buco della coscienza infelice, l'atroce vendemmia della simbologia erotica. Il testo produce il massimo effetto di realtà perché la sua è la scrittura della classificazione, nuova scrittura, in quanto agisce gli strumenti d'attesa e convenzione, e insieme accade come inconscio collettivo, reincarnato all'infamia dell'esistenza, con una sola certezza: la morte. Il viaggio è l'allegoria di quest'itinerario infernale, in una regione dimenticata da sempre, al presente, quando la Repubblica muoveva i suoi primi passi. La prima tappa è a La Alberca, «villaggio abbastanza ricco» e del quale gli hurdanos sono «quasi tutti tributari». Ecco la chiesa, due teschi, le case a tre piani e su ogni porta l'iscrizione ad «Ave Maria Immacolata». In "gran cerimonia,. le donne assistono alla festa «strana e barbarica», al rito degli uomini di recente sposati che l'amore propiziano tagliando, in sella ad un 25

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cavallo, la testa a un gallo appeso per le zampe in mezzo alla strada. Esibito il trofeo, può correre il vino, e tutti sono ubriachi alle sette di sera. La soglia della castrazione è varcata, e si è nel vestibolo delle metamorfosi, lungo la valle delle Batuecas, lussureggiante di piante e di acqua, e nelle cui caverne sono conservate le vestigia di una vita preistorica, i graffiti che rappresentano uomini, capre, api. Ma la storia ha un altro volto, gli otto chilometri di muraglia che circondano i diciotto eremi dei monaci civilizzatori, ora abbandonati, sede di rospi, serpi, lucertole. A cinque chilometri vivono i cristianizzati, gli hurdanos, con i loro cinquantadue villaggi disseminati nel «groviglio» di montagne, senza vegetazione né acqua. «Sorprendiamo la vita quotidiana», dice lo speaker sulle prime immagini delle case di pietra. Le donne lavano i panni in un ruscelletto di "ributtante sporcizia.,, poco sotto tre bambine v'intingono il pane regalato loro dal maestro. Veniamo informati dell'«industria dei trovatelli», recandoci a scuola, davanti agli alunni nei banchi, le labbra serrate, gli occhi inquisitori, per lo studio di morale. Sulla lavagna: « Rispetta quello che appartiene agli altri». In un secondo villaggio appaiono i gozzi delle donne, poi una bambina che da tre giorni «si lamenta». Una mano le apre la bocca, la sua piccola vagina dentata è solo un orifizio di secolare sgomento. Due giorni dopo .. era morta». Nel sottosuolo di Las Hurdes ci si ciba di patate e fagioli; ogni anno, chi lo possiede, anche di carne di porco, divorata in tre giorni. Ci sono le capre, e il loro latte è conservato per i malati, mentre la carne è consumata quando una di esse cade negli strapiombi. Sulla parete scogliosa una capra perde l'equilibrio, scivola per un tratto, rimbalza su un costone sporgente, precipita. Ecco le api, ma le arnie non appartengono agli hurdanos. Affidate per l'inverno, in primavera sono trasportate in Castiglia a dorso d'asino. Se per caso - si è visco per la capra - un'arnia cade, le api attaccano l'asino e nel giro di un 'ora l'hanno ucciso. Ecco gli uomini. Quando non hanno la dissenteria, per aver mangiato le ciliegie ancora verdi, partono per la Castiglia in cerca di lavoro, ma diversi giorni dopo i piu sono già di ritorno, cosi com'erano partiti, «senza 21 denaro e senza pane•. Se l'eco della preistoria scandisce l'arretramento, se il

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martellante richiamo al cifrario trinitario e alle combinazioni bibliche cui esso dà luogo fonda il senso della perdita, il fantasma dell'amore si manifesta, oltre che nelle umbratili larve e nei dispositivi simbolici che le accompagnano, nel ciclo del lavoro della sopravvivenza. Per costruire il campo da coltivare, gli hurdanos scelgono il terreno piu vicino al letto di un fiume, lo liberano di cisti ed eriche, lo dissodano con vanghe e zappe, alzano muretti a difesa delle piene invernali. Ma la terra non è sufficiente e devono portarvela in sacchi. Non hanno concime e devono essi stessi produrselo, con foglie di corbezzolo, che hanno decomposto dormendovi sopra, loro e le bestie. ,,Ecco il caratteristico meandro di un corso d'acqua»: un venrre di donna che gli uomini hanno fecondato notte dopo notte con lo sperma delle foglie di corbezzolo. Però l'immensa copulazione dell'uomo-terra può essere spazzata via da un'onda improvvisa. L'aleatorietà di un'umanità che rincorre con ogni mezzo la propria dignità si rivela anche nel caso della vipera. Il suo morso «non è quasi mai mortale», ma sono gli hurdanos a infettarlo maggiormente. E dopo la vipera, l'anofele è l'emblema di questa condizione. Un libro aperto ce lo mostra nelle sue caratteristiche fondamentali. Una donna malata, assopita sul suo balcone, è il risultato. Conseguenze della fame, della miseria, della mancanza d'igiene, dell'incesto, sono i cretini e i nani. Diversi di loro sostano davanti alla mdp con sorrisi e smorfie di velenoso saluto. «È morto un bambino», il cadaverino, composto in una piccola tinozza, viene portato in spalla in mezzo alla macchia, fatto scivolare su uno specchio d'acqua, prima d'essere calato nella terra. Il ritorno al ventre materno accade con la croce sulla tomba: « La sola cosa lussuosa che abbiamo incontrato alle Hurdes sono le chiese». È notte, la mdp sosta all'interno di una casa, coglie le abitudini, registra la voce di una banditrice nella strada: «Non c'è niente che tenga meglio in guardia che pensare sempre alla morte. Recitare un'Ave Maria per il riposo dell'anima di ... ». Cosi alle Hurdes come a La Alberca, è un unico canto d'impotenza. La trilogia dell'amore si è compiuta. All'immaginazione surrealista il compiro 71 di rivelare la condizione degli uomini, d'indicare il cammino.

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IN MESSICO, COME UNA TALPA - Dopo il crollo della Repubblica, Bunuel si trova in esilio negli Stati Uniti, senza lavoro né denaro. In qualità di «consigliere e supervisore al montaggio», viene assunto dal Museo d'Arte Moderna di New York e, con l'aiuto di Max Aub, trasforma alcune pellicole di progaganda nazista, per esempio Triumph o/ Wi/1 (Triumph des Wi/lens) di Leni Riefenstahl, in documenti di spaventosa ferocia (Roman Guber, in «Positif », n. 146 ). Ma il «genio americano» si guarda bene dal proiettarli in pubblico. Nel frattempo è «catalogato come ateo» da Salvador Dali (in Vie secrète) e per questo «delitto» è costretto a dimettersi dall'impiego. Diventa lo speaker di film destinati all'America latina e nel 1948 è con la Warner Bros per una produzione di versioni spagnole che non vengono mai realizzate e lo lasciano, benché stipendiato, del tutto inattivo. Chiamato in Messico per «adattare» il dramma di Lorca, La casa de Bernarda Alba (il progetto fallisce perché i parenti del poeta hanno già ceduto i «diritti» a produttori francesi), vi conosce Oscar Dancigers che gli propone di dirigere una commedia musicale (e, in seguito, finanzierà la maggior parte dei suoi film «messicani», cosi come Serge Silberman produrrà quelli «francesi» degli anni sessanta e settanta). Buiiuel accetta e «firma», a dire il vero in modo «irriconoscibile», Grand Casino. Con straordinaria umiltà, uno dei geniali protagonisti della storia del cinema riprende il suo posto dietro :a macchina da presa. È molto importante comprendere le motivazioni di questa scelta - il cinema dei circuiti commerciali - perché non è determinata unicamente dalle difficoltà economiche e dall'emarginazione sociale dell'esule, ma risponde in concreto a un progetto maturato lucidamente molti anni prima. In un'intervista rilasciata a Madrid nel I 935 (ora in «Cinema e Cinema», n. 4, luglio-settembre 1975), egli aveva affermato: «Se dicendo chiaramente commerciali si sottintende una concessione in piu a ciò che è consuetudinario e un nuovo tentativo di abbruttimenco collettivo, mi rifiuto risolutamente di dirigere cali produzioni, come praticamente mi sono opposto quando se ne è presentata l'occasione. Ma realizzare un film commerciale, un film, cioè, che sarà 28 guardato da milioni di occhi e la cui linea sia un prolungamento di quella

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che regge la mia stessa vita, è un'impresa che considererò una fortuna intraprendere». In questo senso, le parole pronunciate al Convegno di Fiesole del 1972 da Adelio Ferrero riassumono molto bene la prospettiva ideologica e la prassi filmica di Luis Bunuel: «Concorre, insieme con la diffidenza verso gli esclusivismi elitari e aristocratici, la volontà di stare comunque dentro il cinema, a costo di dire anche solo un terzo di ciò che gli premeva ma di dirlo, sperimentando, anche nel fare, una pratica inconciliabile con la nozione idealistica della forma e tale da poter esser ripresa e radicalmente modificata, conservandone però lo spessore comunicativo (penso a film come Viridiana e Tristana)» (gli Atti si trovano in Rossellini Antoniani Buizuel, Venezia, Marsilio Editori, 197 3). Per poter realizzare Los olvidados, nel 1949 Bunuel accetta lo «scambio» propostogli da Dancigers: di dirigere prima El gran calavera, un vaudeville di molto successo: una «famiglia ricca che si propone di «educare,. il parente dilapidatore, il parente che si propone di «educare» i famigliari parassiti, il povero che finisce per «educare» il ricco, il mondo che finisce per «educare» il povero, la falsità evidente dell'happy end» (Lino Miccichè). E finalmente giunge l'ora di Los olvidados, la cui sceneggiatura è scritta con Luis Alcoriza (numerosi scrittori si sono alternati al fianco di Buiiuel in questi cinquant'anni di presenza nel cinema, ma solo Alcoriza, Julio Alejandro e Jean-Claude Carrière, possono vantare un affinamento intellettuale e poetico con il regista). Il film, presentato a Cannes nella primavera del '51, riceve il premio per la miglior regia; e soprattutto l'applauso di Matisse, Picasso, Pudovkin, Cerkasov, Préven, e della critica internazionale. «E il miracolo - scrisse Bazin - si è compiuto: a 18 anni e 5000 km di distanza è lo stesso, l'ineguagliabile Buiiuel, un messaggio fedele a L'age d'ore a Las Hurdes, un film che sferza lo spirito come un ferro rovente e non lascia alla coscienza alcuna possibilità di riposo». Susana ( 19 50) è un altro testo di inestimabile valore: sotto le apparenze di una commedia ranchera, narra la storia di una ragazza che fugge dal riformatorio, si nasconde in una fattoria e con la procacità del suo corpo da pin up travolge un'intera famiglia; ma quando la polizia cattura la convulsa (nel significato che dà Breton al termine) Susana, tutto rientra nella falsa 21

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normalità. Nel 1951, Buiiuel dirige ben tre film (e cosi anche nel '52), che costituiscono, a livello tematico, una «trilogia della madre». In La hija del engaflo (che è il re-make di Don Quintin el Amargao, un film supervisionato dallo stesso Buiiuel nel 1935 a Parigi) un piccolo impiegato di nome Quintin caccia la moglie adultera e abbandona la figlia che l'ex consorte gli ha fatto credere di un altro. Piu tardi, quando la moglie in punto di morte, lo manda a chiamare e gli garantisce che la figlia è sua, don Quintin inizia le ricerche e scopre che sta per diventare nonno. Sovraccarico di turgori melodrammatici e di toni grotteschi è anche Una mujer sin amor, tratto dal romanzo breve di Guy de Maupassant, Pierre et Jean. È il dramma della gelosia di un figlio che, davanti all'improvvisa fortuna del fratello, indaga e scopre che Juan è il «frutto» di un adulterio della madre. Nel personaggio di Pedro si riscontra «quella esasperazione, quell'incrollabile violenza, quel talento per l'insulto colorito che, dai tempi di Modot in L ·age d 'or, Buiiuel offre come antidoto alla edificante rassegnazione dei personaggi perbene» (Raymond Borde). Subida al cielo è, invece, una commedia fiabesca che racconta un viaggio in corriera e le ossessioni, in particolare, di un passeggero. Poiché quest'uomo giunge a liberarsi delle immagini di tre donne (madre, moglie, tentatrice) che poi, mediante un sogno, si rivela essere una sola, la madre, è possibile che Bunuel voglia dire che «anche questo tipo di autorità va superato e demistificato» (Guido Fink). El bruto ( 1952) è un «melodramma sublime» (Ado Kyrou): un uomo violento, assoldato da un proprietario di immobili per terrorizzare gl'inquilini che non pagano l'affitto, s'innamora della figlia della sua vittima, ma l'amour fou lo porta alla morte. Sempre nel '52 Buiiuel dirige il suo primo film a colori, Las Aventuras de Robinson Crusoe, tratto dall'odioso romanzo di Daniel Defoe. Il regista stravolge le funzione ideologica dei due personaggi: Robinson non ha in Venerdi un discepolo disposto ad accogliere gl'insegnamenti della civiltà cristiana, bensi un maestro che gli spiega cosa sia il vero rispetto umano. L'anno si chiude con El, un film di grandissimo interesse e certamente il «capolavoro», con Ensayo de un crimen ( 1955), 30 degli anni cinquanta. Non a caso i protagonisti dei due film, Francisco e

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Archibaldo, hanno entrambi circa quarant'anni, sono vergini, feticisti, impotenti, ricchissimi. Se Francisco seduce con le parole Gloria, la sposa sull'altare, la tormenta poi con la sua gelosia sino a meditare di ricucirle il sesso, e su questa strada finisce inevitabilmente in manicomio, Archibaldo vive nell'immaginazione i delitti di molte donne ovvero il suo sogno di liberazione dall'immagine materna. Terzo della serie avrebbe dovuto essere Mateo (il personaggio di Pierre Louys, La /emme et le pantin), ma la sceneggiatura del film, pronta nel 1957, non ottiene i consensi della produzione. Comunque, è certo che Francisco e Archibaldo esprimono la mezza età dell'unico vero protagonista del mondo di Buiiuel, e che noi abbiamo conosciuto in L'age d'or un poco piu giovane, e che rivedremo invecchiato e sempre piu comico e turpe in Viridiana e nei film successivi. Vale a dire: la figura di don Juan, la piu infelice dell'immaginario iberico, perché conosce il desiderio e non può soddisfarlo, emblema delle velleità che fanno velo allo status quo sociale. Nel 1953. Buiiuel si misura con un soggetto degli anni giovanili: l'interpretazione di Cime tempestose di Emily Bronte nel film Abismos de pasi6n. I personaggi e l'atmosfera del romanzo sono completamente alterati, e il regista ci mostra il lato eccitato, impulsivo, patetico di un amore impossibile, ci offre «un documentario sull'aggressività» (Jean-André Fieschi). Dello stesso anno è la commedia deliziosamente anarchica La ilusion viaja en tranvia: due dipendenti ubriachi rubano un tram e l'immettono nel traffico cittadino provocando il disagio dei burocrati e scuotendo la pigrizia mentale della gente. «La sequenza piu bella di questa commedia sull'illusione (dove la stessa cifra "neorealistica" è, in fondo, un'illusoria apparenza) è quella di una specie di sacra rappresentazione popolare della biblica Genesi dove, accanto a un'Eva in due pezzi e a uno svagato Adamo che mangia la mela anzitempo, c'è un Padreterno che si presenta in ritardo rischiando di compromettere l'espulsione dal Paradiso» (Lino Miccichè). Tralasciando El rio y la muerte, pressoché «irriconoscibile•, lo stesso anno di Ensayo - 1955 -. Bunuel ritorna a Parigi per dirigere Cela s'appelle /'aurore, dal bellissimo romanzo omonimo di Emmanuel Roblès. E la storia di un medico che, contro i desideri della moglie che aspira a lasciare la 31

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Corsica, dove abitano, per una vita «felice• sulla Costa Azzurra, dedica se stesso al mondo degli sfruttati. Durante un'assenza della moglie, s'innamora follemente di una turista di nome Clara, e nasconde in casa sua Sandro, un operaio che ha ucciso l'industriale del paese. Quando Sandro si ucciderà per non cadere nelle mani della polizia che l'ha braccato come un animale, il medico, rifiutando di dare la mano al commissario di polizia (che tra l'altro legge Claudel e ha il Cristo di Dati), potrà rompere completamente con il suo mondo e allontanarsi con Clara e tre compagni di Sandro. Cela s'appelle /'aurore è «un film veramente rivoluzionario, un film sulla condizione umana, un film sulla solidarietà e sulla libertà, sulla lotta sociale legata indissolubilmente all'amore», ma «dieci registi francesi -ha scritto Ado Kyrou~avrebbero potuto farlo bene come Bunuel, nessuno avrebbe potuto fare Archi baldo•. Altri due sono i film di produzione franco-messicana diretti da Bunuel: La mort en ce jardin e La fièvre monte à El Pao, rispettivamente nel '56 e nel '59. In fase di sceneggiatura, i due film conoscono una serie di ostacoli talmente gravi e pesanti da risultare piuttosto lontani dalle idee iniziali di Bunuel. La mort, nella prima parte presenta la rievocazione di episodi realmente accaduti durante la guerra civile in Spagna, nella seconda è soltanto la «brutta copia» di Nazarin. La fièvre, dal canto suo è •un capolavoro in potenza» (Kyrou). li protagonista di quest'ultimo è una specie di santo laico che ritiene di poter riformare il fascismo dell'isola (=Spagna). Quando si rende conto che il suo idealismo, funzionale alla dittatura, è sinonimo di tradimento, si oppone al regime decretando la sua condanna a morte. «Con il suo atto finale si compie il suo destino (che è quello stesso delle m'lrali evangeliche e dei socialismi utopistici) ma senza redenzioni, senza giustificazioni possibili» (Lorenzo Pellizzari). LA mort en ce jardin, Nazarin, LA fièvre monte à El Pao costituiscono «la trilogia» delle fittizie solidarietà e dell'inutilità degli idealismi. In particolare, con Nazarin, che è diretto nel 1957 ed è ispirato dall'omonimo romanzo di B. Pérez Gald6s, Bunuel ha la possibilità di riprendere il personaggio di padre Lizzardi del film precedente, e di svilupparlo nella direzione di un emulo di Charles de Foucauld, un «campione• che non predica, 3Z ma testimonia in povertà la sua fede. Rimarchevole quanto Nazarin, per

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certi versi ancor piu stimolante, è La joven ( 1960). Malgrado il soggetto pompier - ma i meccanismi della mistificazione sono molto espliciti-, Buiiuel inserisce tra le pieghe della «superficie• le tracce di un altro discorso: propone una drammatica riflessione sul destino dei tre personaggi. Dei diciannove film realizzati fra il 1946 e il 1960, solo una piccola parte si è fermata in Italia, gli altri sono passati rapidamente o non sono giunti affatto. In queste avvilenti condizioni di studio non ci è stato possibile offrire al lettore una sistemazione puntuale degli «elementi che costituiscono ramificazioni essenziali della complessa matrice culturale» di Bui'luel (al riguardo, si veda Il Bunuel messicano di Giorgio Tinazzi, in .. Cinema '60», n. 100, novembre-dicembre 1974). Ci limitiamo pertanto a proporre la «lettura• di quei testi che sono ancora «consultabili», quattro chefs-d'oeuvre degli anni cinquanta. 1. Los olvidados (1950). Dalle strade e piazze, dalle baracche delle periferia di Città del Messico gli uomini sembrano essersene andati. Talvolta ne scorgiamo alcuni in un piccolo cantiere, in un'officina, al mercato, vicino a giostre che debbono essere spinte a braccia. Nello spazio della terribile miseria sono rimasti i vecchi e gli storpi, le madri e le fanciulle, soprattutto i bambini e i ragazzi che reputano «un asino» chi cerca lavoro. I protagonisti del film si chiamano Jaibo e Pedro. Il primo, fuggito dal riformatorio e fattosi capo di una banda, uccide Julien perché suppone che a suo tempo lo abbia denunciato alla polizia, organizza le rapine al cieco e al senza gambe, corteggia la giovinetta Meche, s'introduce nel letto della madre di Pedro, ruba un coltello con il manico d'argento nell'afiladuria che ha dato lavoro all'amico e lascia che Pedro venga incolpato e rinchiuso in un correzionale. Il secondo, gregario di Jaibo, prende parte alle varie azioni ma arretra di fronte al delitto, ricerca l'integrazione sociale attraverso un 'occupazione onesta. Il testo non si risolve nella parabola dei due personaggi secondo lo schema collaudato dei conflitti tra il cattivo irrecuperabile e il buono. Si affida invece allo sguardo della mdp che organizza «luttuosamente• i materiali profilmici per comporre l'allegoria del peggiore dei mondi possibili. Il progetto del regista è prefigurato nella prima scena, allorché i bambini fan- 33

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no corona ad altri due che mimano la corrida: il rito del sangue non conosce la distinzione di buono e cattivo, rivela che entrambi sono immersi nell'orrore dell'esistenza. Tutti i personaggi del film avvertono la violenza che si sprigiona dagli altri, nessuno di loro riesce a sopportare l'occhio che li indaga. Questo disagio è l'inquietudine piu sottile del film. Alcuni esempi. «Che guardi?», dice Meche dalle cosce che profumano di latte. «Cosa guardi? .. , dice Jaibo con il penoso sorriso del crimine sulle labbra. «Adesso che la vedo cosi», insinua Jaibo rivolto alla donna che ha i piedi nel catino e le ginocchia nude. «Non guardarmi cosi, preferisco che mi picchi», piange Pedro implorando la madre. «Peccato che il Signore mi abbia privato della vista», osserva il cieco che ha Meche sulle ginocchia. Ecco, chi non ha mai posseduto gli occhi per vedere il male diventa l'espressione di un'altra violenza. Egli ha l'odorato per avvertire la presenza dei giovani e la mano per colpirli, l'udito per ascoltare le parole pronunciate in piazza e la voce per riferirle alla polizia. La notte del cieco è la malignità del denaro, la vista profonda del delitto, la sostanza morale del sistema. In ogni dialogo viene ripetuto: «Adesso», «ora»; e gli ordini martellanti: •Sbrigati», «venite», «entrate dentro e state zitti», «guai a te». Ancora: «Ti spacco il naso», «ti ammazzo», «ti stacco l'orecchio», «ti spacco la testa», «voglio squartarli». Il presente si consuma e avvicina «la fossa nera» nella quale cadrà Jaibo, il film allegoricamente la scava, l'annuncia, facendo di ogni suo istante la contrazione del passato, nell'istante facendo vibrare l'angoscia della storia dell'incivilimento umano. Quando Jaibo (che finge d'aver un braccio al collo) uccide Julien, l'azione accade sotto un albero, non distante dal cantiere, in prossimità dello scheletro in ferro di una casa abbandonata. L'arma di Jaibo è la pietra, con un ramo dà il colpo di grazia a Julien. Quando Jaibo viene accompagnato dal fratello di Meche in un nascondiglio sicuro, lo spazio (al centro della bidonville) è circondato da un muro di cinta, il suolo è cosparso di macerie e immondizie, di edifici diroccati e di colonne di fondamenta intraprese. In questo luogo, egli s'imbatte in Ojitos e lo maltratta intimandogli di non aprir bocca con nessuno. Poco dopo, Ojitos vie34 ne preso dal padrone (il cieco) per un orecchio e costretto a riferire con chi

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parlava. Rilasciato, alza una pietra con intenzione, ma desiste e la lascia cadere. Al rumore, il vecchio fa scattare il coltello in avanti. Con un coltello s'aggira per le strade il padre ubriacone di Julien, gridando alla none il suo furore bestiale, mostrando la lama a Pedro, volendo sapere il nome dell'assassino. Per un coltello Pedro viene messo nel correzionale, con una pietra gli viene aperta la mano che contiene il denaro delle sigarette del direttore, con un bastone viene ucciso nella stalla. L'ossessionante ritorno degli strumenti della violenza arcaica scandisce la regressione culturale della civiltà, in spazi di dolorosa immodificabilità. Los olvidados è l'intensità ass_oluta dell'idea della morte - senza ricercatezze, senza estetismi consolatori. E l'atto d'accusa contro le forze che presiedono all'organizzazione sociale e morale della vita, e insieme d'amore infinito verso i soggetti della perdita, alla terra condotti attraverso il sapore del male. L'odio del cieco per la banda di Jaibo ha una sua ragione, essendo egli stato aggredito (dopo la fallita rapina) lungo una strada polverosa, vicino al ricordato scheletro d'edificio (e sul quale Buiiuel avrebbe voluto far suonare un'orchestra). In quest'occasione, mentre l'ambulante è a terra con il viso sfigurato dalle pietre lanciategli dai giovani, appare un gallo e all'immagine dell'animale il regista sovrappone una gallina che, accarezzata da Pedro, lascia cadere un uovo nelle sue mani. Per rendere trasparente la «grande sconfitta», Buiiuel riscopre il sentimento generale della vita, l'inappagato bisogno d'amore dei ragazzi. Mediante l'alterna scoria del gallo e della gallina, Buiiuel controcanta il complesso di Edipo che Pedro subisce sino a rivelarci che la fuga nella morte è l'unica alternativa alla crudeltà del mondo. Si è detto che in Los olvidados non esistono i padri, solo un vecchio che ama suo figlio (Julien) perché lo considera un buon investimento. In caso contrario, avrebbe facto come il padre di Ojicos che ha abbandonato il suo all'angolo del mercato. Pedro è figlio di una violenza carnale, i suoi due fratellini, di uomini di passaggio. Per questo, la madre (cucce le madri) odia suo figlio, e gli chiede di trovare denaro. Questi conflitti sono presenti in un incubo di Pedro: una gallina scende dal soffitto, Julien è socco il lecco con il volto insanguinato, la madre, simile a una Madonna, sembra rispondere alle sue invocazioni ( «Perché non mi 3li

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hai dato da mangiare?•) e gli dona un pezzo di carne, ma la mano di Julien è pronta ad afferrare la carne. È sintomatico che nell'incubo la minaccia della perdita dell'oggetto amato sia trasferita sul cadavere di Julien e coincida con la risoluzione di Pedro di lavorare nell'afiladuria (i rumori del ferro battuto concludono la scena). Secondo la trama tragica del destino, Jaibo (nel sogno Julien è Jaibo, per il legame di mone che li unisce) diventa veramente l'amante della donna (dopo averla intenerita con il ricordo della propria madre) e Pedro, ritenuto colpevole della scomparsa del coltello, è consegnato dalla madre alla polizia. Nel correzionale, il subconscio di Pedro esplode incontrollato: egli scaglia lontano l'uovo che si era ponato alla bocca (contro un vetro davanti alla mdp) e, dopo la rissa con gli altri detenuti, uccide due polli con un bastone. Infine, in segregazione, graffia sulla parete la sagoma di un gallo che ha ucciso un pollo sempre con un bastone. In questi ani è raffigurata la recisione radicale degli affetti e insieme anticipata la mone dei due giovani. Il buono e il cattivo sono infatti stretti da una relazione simbolica. Nella stalla, prima di essere ucciso, non è un caso che Pedro supplichi Jaibo con le stesse parole rivolte alla madre allorché aveva ricevuto del «ladro•: «Non picchiarmi•. A lungo bastonato, egli cade mono e una gallina gli sale sul petto. Se Jaibo è il piccolo padre che ha posto fine alla vita del figlio, il padre per eccellenza - il cieco - aspetta nell'ombra il ribelle. Quando ode gli spari - dalla pietra al legno, dal ferro alle bocche da fuoco della polizia: è il •ritorno• del progresso - esclama: •Uno di meno, finiranno tutti cosi. Dovrebbero ammazzarli prima di nascere•. Il monologo è continuato da Jaibo agonizzante (in sovraimpressione un cane): «Ti hanno preso finalmente, ti hanno colpito in fronte. Stai attento Jaibo, viene il cane rognoso, attento, viene da te, no, no, sto cadendo nella fossa nera•. Una voce di donna: «Come sempre, figlio mio, come sempre, buona sera•. Le cause della vita, isolate nel loro c;>dio, panecipano dell'addio. Al di fuori dello spazio del rito, il viaggio di Pedro ha termine: il suo cadavere, caricato da Meche e dal nonno sul dorso dell'asina - «buona sera• alla madre che vaga per la bidonville, colta da improvvisa pietà per se stessa - viene ponato su un colle e gettato giu, tra le spazzature.

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2. Ensayo de un crimen (1955). Il feticismo di Archibaldo de la Cruz e un sintomo e un messaggio. Egli racconta a suor Trinità che da bambino venne rimproverato dalla governante, una giovane donna in tailleur nero, per essersi introdotto nell'armadio materno e travestito con alcuni indumenti speciali (cappellino, reggicalze, scarpe a tacco alto). La madre, la stessa sera, gli regalò un carillon (con ballerina) perché le permettesse diandare a teatro con il marito. Poiché gli era stato fatto credere che alla «scatola che suona,. era annesso un potere magico, egli se ne servi immediatamente per realizzare il desiderio di soppressione della governante, che mori si all'istante, ma per un proiettile sparato dai rivoluzionari messicani nella via. Per gli occhi stupiti e felici di Archibaldo la scenografia della vittoria fu un corpo riverso sul pavimento una coscia bianca e un reggicalze nero, ur. fiotto di sangue sul collo. L'arretramento all'infanzia del personaggio costituisce per Bunuel la possibilità di individuare il quadro delle realizzazioni allucinatorie: l'identificazione e l'incorporazione ~ella madre, la proiezione e il potere difensivooffensivo delle cose, l'ambivalenza dei processi inconsci che si manifestano parlando il linguaggio della liberazione dall'immagine cattiva della madre, identificata nel suo doppio (la governante). Con Lacan si può notare che l'attività fantasmatica del bambino si produce in un punto nevralgico delle tensioni sociali, per cui il suo atteggiamento immaginario diventa simbolico. Il punto di vista del film è quindi la criminalità di Archibaldo, costretto a ripetere, da adulto, l'avvenimento dell'infanzia, doppiando e triplicando l'identità della madre. Al termine del racconto del «primo .. omicidio, in una stanza d'ospedale (dov'è ricoverato in seguito alla «crisi» provocata, come sapremo, dalla mone dell'appena sposata Carioca), Archibaldo cerca di assassinare la suora con un rasoio (tra i sette contenuti in una scatola). Ma la suora, che non vuole essere «beata», scappa e si sfracella nella tromba dell'ascensore. L' «ultimo» omicidio di Archibaldo sembra dimostrare che il personaggio ha orientato il sadismo contro l'immagine buona dell'amore. Associati dal montaggio, i due atti mancati costituiscono il prologo del film. Dopo di che, Archi baldo si costituisce al commissariato di polizia e dà inizio al rac- r,

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conto della sua vita. In tal modo, Bunuel può offrirci la comprensione surrealista dell'esistenza, cioè la saldatura della realtà con l'inconscio, la proliferazione delle immagini reali del sogno borghese. Archibaldo trascorre il tempo pigiando i pedali del tornio, con le mani plasmando rotondi vasi - le rivoluzioni passano, il capitale e le ossessioni restano - è orientato a chiedere la.mano di Carioca, perché spera di raggiungere la normalità al fianco di una fanciulla che prega la Madonna davanti all'altare di casa ornato di gladioli bianchi. Per tutto il film, ogni donna, compresa la suora, è legata a questo richiamo floreale (gladioli e calle), alla corolla a forma d'imbuto, pura e casta, che rafforza (senza dimenticare il particolare del bicchiere di latte spesso tra le mani dell'uomo) la circolazione dell'immagine materna in ognuna di loro. Il progetto matrimoniale di Archibaldo coincide con il ritrovamento del «magico» carillon in un negozietto d'antiquariato, e con il ricordo del sangue della governante (radendosi in bagno, si ferisce dietro l'orecchio). Recatosi in visita da Carioca, egli incontra Patricia sul portone di casa e resta colpito non dalla procacità delle sue forme ma dal vestito nero che la fascia, simile a quello della governante. Carioca e Patricia sono l'incarnazione della consolazione e dell'ossessione originarie. L'una è la donna che irretisce gli uomini e li domina (in un locale pubblico giunge a togliersi una scarpa e a collocarla sul tavolo da gioco infilandovi un dito), l'altra è la ragazza di buona famiglia, la vergine timorata, cerimoniosa e leziosa. Sfruttando una situazione (il litigio di Patricia con il suo amante), Archibalao medita di accompagnarsi alla donna fatale per ucciderla con un rasoio. Malgrado il negligé indossato nel suo appartamento, Patricia non vuole tradire il suo uomo. Anzi: lo scornato Archibaldo abbandona la casa lasciando i due amanti di nuovo uniti. L'indomani, del tutto indifferente, egli verrà a sapere che Patricia si è uccisa per perpetuare nel partner il tormento d'amore. All'eroina del voluttuoso delirio corrisponde - per inversione - la semplice ipocrisia di Carioca che, d'accordo con l'insistente madre ruffiana, mette fine alla tresca con un architetto maritato, per sistemarsi al fianco del protagonista. Archibaldo sa31 rebbc commosso e felice di marciare verso la normalità, se una lettera ano-

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nima non gli rivelasse l'inganno della fidanzata. Eccolo allora maggiormente felice di potersi liberare della prova d'esame, di ritentare il piacere del crimine. Il giorno delle nozze Carioca viene uccisa dall'architetto (in disparte, la trinità esercito, polizia, chiesa, esalta la «bellezza» del matrimonio). Tra i due aspetti estremi della immagine della «donna» s'inserisce il personaggio di Lavinia, sempre sorvegliata da un buffo vecchio ometto (presentato come zio, padre, amante), impegnata in diversi mestieri (accompagnatrice di turisti americani, modella), riprodotta e moltiplicata all'infinito in manichini di bellmerriana memoria. Lavinia è la donna inafferrabile, la virtù e il peccato, un volto circondato dalle fiamme (di un punch). Le scene, lo ricordiamo, scorrono in flash-back, il racconto è soggettivo, ma nel racconto è iscrino il suo doppio, il progetto omicida come il protagonista avrebbe voluto realizzarlo. Ogni volta, il teatro mentale di Archibaldo è introdotto dal suono del carillon deformato dall'orchestra, quando non da vapori satanici di divertita finzione, in pari con le situazioni comicamente melodrammatiche. Per Patricia, Archibaldo immagina di stringerla con passione fra le braccia, di alzarle i capelli fluenti e di tagliarle la carotide. Per Carioca, di costringerla, la sera delle nozze, in abito bianco sul leno, a pregare la Madonna, e di spararle nel momento di maggior esaltazione religiosa ( .. oh dolce Vergine»). Per Lavinia, la scenografia del delitto non sembra comportare uno sguardo di secondo grado, anuandosi nel ricordo grazie a una sorta di transfert con il manichino (la donna si scambia i vestiti con l'oggeno, diventa l'oggetto). Di conseguenza, la fallita aggressione alle spalle, in camera da leno, per l'arrivo dei turisti, diventa una digressione sul "buco nero" della storia di Spagna: mentre Archibaldo arrotola l'asciugamano per strangolarla, ella sta guardando l'album di famiglia, ferma sulla fotografia della canedrale di Burgos (la capitale dei franchisti durante la guerra civile). Uscita Lavinia, Archibaldo solleva il manichino per le spalle e lo trascina, perdendo una gamba, al forno delle ceramiche. In quell'istante, sull"'estasi" del protagonista che segue le fasi della cremazione, la prassi nazista raggela gli esclamativi celebri di Paul Valéry: •Quanti nati, se lo sguardo potesse fecondare! Quanti morti, se potesse uccidere!". Il feticista

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a

Archibaldo de la Cruz è il messaggero della morte in cammino. Il suo sintomo non desta problemi alle autorità: «Si comperi un buon rasoio elettrico e ... speriamo bene», dice il commissario di polizia, perché «non ci sarebbero carceri sufficienti al mondo se si arrivasse a condannare le intenzioni». E conclude: •Non sarà il solo, comunque, a piede libero». Disteso sul proprio divano - per l'autoanalisi - «il gran criminale in potenza» perviene al proposito di liberarsi del carillon, giu rielle acque dello stagno, al parco pubblico. Si è liberato dell'immagine materna, quando reincontrata Lavinia, abbandonata dal vecchio, se ne va con lei sotto braccio? Si direbbe di si, dal momento che non uccide una mantide religiosa come sarebbe tentato di fare. Oppure no, scegliendo l'altra strada, di farsi divorare da Lavinia? Comunque, sentiamo Lavinia: «Non mi ha piu detto perché le ricordo Giovanna d'Arco». Archibaldo: «Perché ... poi, forse, glielo spiegherò». 3. Nazarin ( 1958). Buiiuel mette in situazione il personaggio attraverso tre stampe antiche, l'ultima delle quali si anima. Siamo nel cortile di una locanda di Città del Messico, al sopraggiungere del progresso indesiderato (l'elettricità, ai tempi del dittatore Porfirio Diaz). Captata la notizia con un carrello verticale, il regista stacca ed è alla finestra di una stanza che si affaccia sul ballatoio, al primo piano, della locanda. L'abita padre Nazarin che ai clamori e alle offese della vita pare impermeabile. Difatti, nel riquadro della finestra, spalancata a ricevere il mondo, si presentano varie figure sociali portatrici di ingiurie, urlate e flautate, di richieste, melliflue e infuocate. Per la locandiera Chanfa il sacerdote è un «imbecille»: a lui «può succedere di tutto•, anche che gli rubino i vestiti. Dalle tre prostitute, che si titengono sotto accusa per la sparizione degli abiti, grandinano improperi a non finire. Secondo i due ingegneri della luce che; ascoltate con sufficienza le sue ragioni, gli hanno fatto l'elemosina, il sacerdote non ha riguardi per la dignità dell'abito. (Altrettanto dirà don Angel, imbarazzato e confuso, ma determinato a liberarsi di un collega in disgrazia.) L'elemosina dei notabili finisce nelle tasche di due mendicanti, una madre di famiglia preleva dalla 40 stanza del prete gli ultimi pezzi di legna da ardere. Vittima autoelettasi alla

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testimonianza della passione della fede, alieno però da istanze predicatorie, padre Nazarin è un essere mite che si lascia scegliere, è con i piedi in terra e il resto del corpo in cielo. È inevitabile che l'icareo entri in conflitto con la prassi degli uomini. Nella struttura del film, il personaggio della prostituta Andar a è la funzione dinamica primaria. Ferita a una spalla in seguito a un diverbio nel quale la rivale (sua cugina) è rimasta uccisa, Andara chiede asilo al sacerdote. Questi non sa che fare, la donna sviene. Allora egli dice: «Se nessuno ti scopre, Dio faccia di te quel che vorrà», ma «lo sai che non posso mentire». In conseguenza di questo atto, Nazarin sarà costretto a togliersi la veste e a percorrere la campagna dove «si sentirà piu vicino a Dio» ma dove piu teso sarà il rapporto con gli uomini. Nello spazio del mistico, la sguaiata professionista degli avvilenti amplessi non è una presenza d'inquietudine sessuale. Se il sacerdote l'avverte, sa rimuoverla prontamente (calcia gli stivaletti) tanto da determinare la metamorfosi della donna. Fra due sguardi lanciati al prete accade che gli occhi paranoici della prostituta fissino il ritratto del Cristo alla parete (con corona di spine e cappio al collo) e vi vedano riflesso lo scherno della propria condizione: un sogghigno di demonismo sadomasochista che sgomenta e annichilisce il suo temperamento combattivo. Cosi disarmata, timorosa delle arti magiche dell'ospite, ella si pone al suo servizio, non dopo aver compiuto un atto di redenzione: spinta dalla febbre, beve l'acqua sporca del suo sangue. Si ripulisce il volto e per cancellare le prove del suo ricovero nella stanza, dà alle fiamme il letto e tutti gli oggetti. Il miracolo della prostituta produce l'ambiguità del corpo diviso tra l'infatuazione mistica e l'istanza d'amore inappagato. Dietro al rogo, gli occhi febbrili di Andara hanno il sostegno di un'altra esaltazione. Beatriz è la seconda donna del film, il necessario complemento di Andara. Buiiuel la introduce nel testo subito dopo la presentazione di Nazarin, e la coglie in un momento drammatico, quando è abbandonata dall'amante. Nella scena successiva, Beatriz cerca il gesto clamoroso. Ha il capo all'interno del cappio che pende dalla trave della stalla della locanda. I suoi occhi tradiscono un'intensa estasi erotica. Si abbandona alla morte ma la trave cede e Chanfa che ha assistito ai preparativi senza dir nulla, la compatì- 41

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sce. Sempre in questa linea tragicomica, fortemente allusiva (il presepio, la corda) ma come attutita dall'occhio distaccato del regista, Beatriz rivela un corpo fiammeggiante e un'immaginazione cosi viva da cadere in preda a fantastici amplessi che sembrano crisi epilettiche. Sia Andara che Beatriz sono funzionali al disvelamento della sublime impotenza di Nazarin. Al momento, l'incendio provocato dall'ardente prostituta separa le due donne dal sacerdote. Il caso li riunirà per il miracolo della bambina ammalata. Ancora una volta, più dell'onesta incredulità di Nazario, insofferente del fanatismo delle donne che invocano il miracolo, è necessario notare che nella scena della guarigione della nipotina di Bearriz, è Andara a gettare nella situazione la luce particolare della distorsione erotica, a innescare il rituale orgiastico degli scongiuri e dei contatti. La bambina effettivamente si sveglia dal coma e dal concorso del caso le due donne traggono la conferma del credito attribuito al sant'uomo cosi d1ndosi la giustificazione per seguirlo attraverso boschi e campagne d'immobile mestizia. In una scena notturna, molto tenera ma percorsa da pungente veleno, Bunuel chiarisce la natura del loro attaccamento all'ignaro uomo. Seduce per terra vicine a Nazario, Bearriz si addormenta con il capo posato sulla sua spalla, la gelosissima Andara si lamenta d'esser trascurata. Il sant'uomo è attratto soltanto da una piccola lumaca che prende e posa sulla mano. Nel corso dei loro pellegrinaggi senza una mèta, Beacriz s'imbatte nell'ex amante che si chiama Pinco. Questi avverte il piacere dongiovannesco di strappare al prete la donna divenuta una sorta di monaca. Allo scopo denuncia Nazario per lo "scandaloso" rnénage. Per l'intervento di questo personaggio, le contraddizioni esplodono, prima di tutti in Beatriz. Vediamo la dinamica del ritorno dell'istanza erotica nella donna: ai lavatoi, Pinco le tocca i seni e il corpo ma Beatriz respinge l'aggressione; nella scena dell'arresto di Nazario, ella è già diversa, il suo corpo, solitamente modesto e riservato, diventa invitante con una posa da pin up; nei locali della polizia, allorché sua madre le getta in faccia la verità, che la sua infatuazione significa amore, Beacriz è ripresa dalle sue crisi d'orgasmo, corna a essere la schiava di Pinco. Con questa scelta il personaggio ratifica il senso di un epi42 sodio precedente, bellissimo, quando una moribonda (appestata) aveva

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preferito le labbra del marito alla benedizione del sacerdote. ( Piu che a Sade si pensa a Rojas e alla sua eroina Melibea). Incapace di capire l'amore delle due donne che lo seguono ovunque, incapace perciò,di offrire amore agli altri, l'icareo Nazarin è un essere socialmente inutile. Bunuel lo dice a chiare lettere. All'inizio del viaggio, Nazarin cerca di farsi assumere in un cantiere come cottimista, colpevolmente ignaro delle vertenze sindacali in corso. Gli operai, allontanandolo, entrano in collisione con il sorvegliante. Ormai distante, Nazarin ode un colpo di pistola ma non vi dà importanza. Quando finisce in carcere, in seguito alla denuncia di Pinta, ed è picchiato da un delinquente, un secondo criminale gli rivela la sua stolidità sociale: «Mi guardi, io faccio solo del male ma, in fin dei conti, la sua vita a che serve? Lei dalla parte buona, io da quella cattiva, no, non serviamo a niente nessuno dei due». Bunuel riafferma cosi l'unità degli opposti. L'ultima scena, straordinaria, si incarica di distruggere un campo di esperienze religiose e di aprirle alla possibilità che il dubbio sprigiona. Ma è anche il luogo in cui Bunuel tende la mano a Nazarin, solidale con la sua onestà e con un compagno di carcere. Mentre Andara segue il corteo dei reietti, altrove, lungo un'assolata e polverosa strada di campagna, il sacerdote, a piedi, è condotto verso un'altra prigione. Beatriz, sul calesse di P~nto, lo sorpassa senza notarlo, ha gli occhi socchiusi e il capo appoggiato al braccio del padrone del suo corpo. Una venditrice ambulante ha pietà di Nazarin e gli offre un frutto. Questi, dapprima lo rifiuta, poi l'accetta, ma un'angoscia terribile percorre il suo sguardo, umanizzato, reintegrato nel dramma della vira (sempre con il simbolo del «peccato originale»). I tamburi (della settimana santa di Calanda) accompagnano gli ultimi passi. 4. Lajoven o The Young One (1960). La struttura del film si organizza secondo un processo di superficie, puramente mistificatorio, e nel contempo cosparge il cammino di segnali archetipici che diventano la soglia dell'angoscia del ricominciamento e della ripetizione. Per il primo movimento di Lajoven: Traver, autista di una Jazz Band di colore, accusato ingiustamente d'aver fatto violenza a una donna bianca del profondo Sud 43

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americano, fugge in motoscafo e approda su un'isola disabitata, una «riserva di caccia» affidata al controllo di Miller. Secondo la logica di un destino necessitato, accade che sia lo stesso T raver a impedirsi di continuare la fuga verso il Nord (dal fucile gli parte un colpo che fora il fondo della barca). In quanto vittima, deve sottoporsi alle regole del gioco (riconsegnare al bianco le armi che gli ha sottratto) e affidarsi all'arbitrio di Miller. Questi può ucciderlo (cerca di farlo nello stagno e torna a dimostrarglielo con una bomba sulla spiaggia) oppure permettergli di ripartire. Di fatto si verifica la seconda possibilità ma non per la coscienza del bianco. Sull'isola vive un'orfana di quattordici anni, Ewie, che diventa donna contemporaneamente all'arrivo di Traver. Ma è Miller a restarne sorpreso e a tentare, invano di sedurla. I tentativi del bianco falliscono finché non gli riesce di sistemare il nero nella baracca della ragazza, e la ragazza nella propria. La deflorazione di Ewie è scoperta e denunciata con asprezza biblica dal reverendo Fleetwood sopraggiunto nel frattempo con Jackson (l'approvvigionatore dell'isola) per battezzare la giovane. Per accattivarsi il prete, al quale promette di sposare la ragazza, Miller sposa la causa del nero perseguitato dal bieco Jackson. Il messaggio di solidarietà finale (con congruo sonoro caramelloso) è deliberatamente e apertamente mistificatorio, in omaggio all'ipocrisia hollywoodiana. In questa direzione, anche l'arretramento della storia a un supposto stato di natura, è apparente: serve a disoccultare l'idea capitalistic~ di progresso. A parte certi espliciti richiami iniz:ali (l'associazione dei rumori della foresta con le urla della donna del continente e la coincidenza dei luoghi - sotto un albero - in cui T raver li sente), questa natura è "post-contrattuale", cioè di proprietà privata. In questo spazio vengono replicate le arroganze criminali dei razzisti ed è annunciato il progetto edilizio per uno sfruttamento turistico dell'isola, captato dall'occhio periscopico della chiesa che si affretta a introdurre nelle acque sorgive la nozione di "salvezza". Abbiamo visto che le parabole del bianco e del nero s'incontrano in un punto rappresentato da Ewie. Ma Ewie è molto di piu di un punto nello spazio, è il centro del film: LA joven ovvero il "ricominciamento" del mon44 do nel rito del "peccato originario". La comparsa della ragazza è associata

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all'evento monuario del vecchio che di lei si prendeva cura. Bunuel ha chiuso la parentesi precedente della sua vita ma ci ha fatto notare che la mone nei fatti è un suicidio, una fuga dal mondo al collo delle bottiglie di whisky. In prossimità dei piedi del cadavere, Ewie_, costretta da Miller a ripulirsi (a «lavarsi»), spalma del miele sul pane. E la prima donna dell'isola per l'espulsione dall'Eden. Miller mangia la mela sul tavolo e resta abbagliato dal viso della ragazza. Palpeggia le sue gambe come fosse una cavalla, l'aggredisce alle spalle, un bacio sul collo, le mani sugli acerbi seni, e la pona sul letto, ma Ewie riesce a scappare senza capire cosa le sta succedendo. Traver acquista una mela, la chiama «angelo», vede il corpo uscire dalla doccia, reprime il desiderio coprendola con la giacca senza che la ragazza si capaciti di tanta premura. Buiiuel richiama Ewie in una cerbiatta legata, nelle galline del pollaio «senza gallo» e visitato da una faina, e a un tempo nell'ape regina (che schiaccia con un piede un ragno). L'ambiguità di questi segnali ha riscontro nel componamento della ragazza il cui corpo, rivelato dall'acqua, è animato. da una selvatica indifferenza, sensibile solo ai richiami del denaro. Quando il sacerdote Fleetwood, con la promessa della «chiave d'oro», la conduce nell'acqua del torrente per battezzarla, il problema del destino diventa il problema del film. Nelle parole di Ewie, delusa dal battesimo, trapela qualcosa sui suoi rapporti con Miller. Fleetwood intuisce immediatamente, incalza di domande la ragazza e scopre la verità. Preso dal dubbio, dalla contraddizione di averla tolta dallo stato di peccato e di scoprirla nel peccato, chiede lumi alla parabola della Samaritana: «Chiunque beva di quest'acqua avrà sete di nuovo» (Giovanni, 4, 13). Si sente rassicurato, ma il nero, legato dai razzisti al palo della veranda (è significativo che qualche scena prima il reverendo abbia provato ripugnanza a dormire sul materasso sul quale si era steso Traver), il nero, dicevamo, rifiuta l'acqua offenagli da Jackson. Per Traver, che ha viaggiato sull'acqua per sfuggire al linciaggio, che si è immerso nell'acqua per evitare i colpi di Miller, che si è lavato imprecando contro i bianchi, che non ha voluto bere l'acqua della rassegnazione, il ritorno all'acqua del mare è ancora una fuga: l'unica alternativa al mondo è 41

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la regressione all'utero materno, in attesa che la Storia rinasca decondizionata dai valori attuali. Se per T raver c'è il silenzio, e l'oblio, per Miller, la solidità della superficie terrestre è la scoperta della prigione e insieme la bovina accettazione dell'eternità delle sbarre. Per Ewie, il desiderio è un investimento economico. Ventre benedetto, ella è l'emblema dell'amore distorto, è la donna ostile e castrante. Nell'ultima scena, prima di partire con il reverendo per il continente, la vediamo saltellare sul pontile provando le scarpe con i tacchi alti (si ricordi Patricia in Ensayo ).

ARCHEOLOGIA Viridiana - ha dichiararo Buiiuel - nasce da un'immagine, da un ricordo della mia adolescenza. Quando avevo credici o quattordici anni ero molro innamoraro della regina di Spagna, Virroria Eugenia. Era una bellezza nordica e io, nelle mie fanrasie, vedevo sempre lei. Ma come parerla avvicinare? C'era un abisso era noi: io un plebeo, lei una regina circondara dai conigiani. Allora immaginavo di entrare nella sua stanza, le mettevo un narcotico nel latte, lei lo beveva, si addormentava e restava alla mia mercé. Da queste immagini, sul filo di un ricordo giovanile, è nata Viridiana: un vecchio con una giovane nipote novizia. (In «Rivista del cinematografo», n. 7, luglio 1970).

A quel tempo Bunuel studiava a Saragozza, nel collegio El Salvador retto dai gesuiti: sette anni di «malattia di «completa mancanza di libertà», di fuga nell'" immaginazione erotica". Fingendo d'essere assortu sui libri, sognava di violentare Vittoria Eugenia di Battenberg. Non è impossibile supporre che l'adolescente sceneggiasse il peccato originale della Spagna cattolica, che interpretasse la leggenda del Romancero: la deflorazione della bionda Cava Florinda da parte dell'ultimo re visigoto (don Rodrigo) che indusse al tradimento l'offeso padre, e portò all'invasione e agli otto secoli di dominazione araba. Che poi, «sul filo di un ricordo", sia il sessantenne regista a rileggere cosi la sua adolescenza poco impana ai fini del film. Conta, invece, che il desiderio errante pretenda a suo oggetto una bionda bellezza nordica, inaccessibile, singolare, e che, per averla, debba gareggia48 re e offendere un re, Alfonso Xlii. 11 ,

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Questa drammatizzazione del piacere s'iscrive perfettamente nell'immaginario della letteratura spagnola. In un celebre testo d'arte amatoria del xiv secolo,il Libro del buen amor, tra invocazioni alla Madonna e raccomandazioni contro gli eccessi sessuali, il compilatore Juan Ruiz indica i requisiti che una donna deve avere per essere desiderabile e i tipi di donna che un maschio deve sperimentare. Al primo punto chiede la rotondità dei fianchi, le labbra carnose, gli occhi vivaci e i capelli biondi. L'oro dei capelli non è un tratto secondario della figura femminile. Ricorre ossessivo in rutti i poeti dell'erotismo arabo e, passando per Melibea (La Celestina di Rojas), giunge a Bunuel (quasi tutte le sue attrici sono bionde). Al secondo punto invita a possedere, oltre la cittadina e la selvatica insaziabile, la novizia. La novizia (o la monaca che scappa dal convento) è una figura cardine (non solo per la sua discrezione e il talento nel fare i dolci) delle leggende mariane. Secondo Xavier Domingo (cfr. Erotique de /'Espagne), .,Ja monaca riempie di pensieri libidinosi la mente dello spagnolo» perché, se la si riesce a possedere, la virilità maschile ne risulta esaltata: si realizza con il sacrilegio di «rubarla a Dio» e con il bisogno di .,rendere madre la Madonna». Tra le novizie famose, ci preme lnés del romantico Zorrilla. Rapita dal convento da don Juan, la figura cardine del mito sacrilego, lnés non incorre nella deflorazione perché giunge a salvarla il non invocato padre. Se Tirso da Molina, cui spetta il merito di aver per primo drammatizzato i casi di don Juan (realmente esistito), getta all'inferno il burlador, Zorrilla Io riabilita in punto di morte. Per una volta egli ha amato veramente e l'ombra dell'amata intercede presso Dio che li alza entrambi in cielo. Il dramma di Zorrilla ha nell'Ottocento e in seguito una fortuna eccezionale e una tacita consacrazione teologica: è rappresentato tutti gli anni il giorno dei morti o della «remissione dei peccati». Durante il soggiorno giovanile a Madrid, alla Residencia de Estudiantes, Bunuel mette in scena Don fuan Tenorio con Garcia Lorca. Natural~ente, il 2 di novembre. Aranda (op. cit., p. 32) c'informa che il personaggio era fatto muovere come un ossesso sul palcoscenico, .. sempre con una macchina per scrivere», ed era interpretato «freudianamente .. , cioè come un impotente. In quegli stessi anni, Bunuel scrive la Sinossi di Tristana dal 47

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romanzo omonimo di Benito Pérez Gald6s. Dopo Freud, ecco un'altra chiave di lettura del seduttore: una sorta di don Quijote quanto all'età e allo sguardo rivolto al passato, un hidalgo senza piu sogni e disagio dell'esistenza, imborghesitosi con l'ultima conquista, fatta sua sposa in chiesa. «Sul filo di un ricordo»: all'inizio degli anni sessanta la scena del pensiero bunueliano diventa archeologia. L'itinerario ch'egli segue da Viridiana a Quell'oscuro oggetto del desiderio vuol essere una pratica dell'immaginario collettivo spagnolo, allo scopo di svelare l'impotenza del simbolo e quindi l'impossibile rinascita del mondo. Don Juan, nato come personaggio tragicamente eversivo (e per questo punito dallo spirito dell'Inquisizione, riabilitato due secoli dopo), è per Bunuel la vecchiaia, l'ambiguità e la frode della rivoluzione che dal Seicento conosce soltanto l'equazione tempo-morte. La speranza dell'adolescente, di praticare il reale, non si è realizzata, e il regista, sconcertato e sgomento ma sereno e beffardo a un tempo, non può fare a meno di avvertire la vicinanza-lontananza di don Juan, un compagno di carcere riconosciuto alle due del mattino. Ecco, dall'incontro di un buon vecchio zio con una pura e bella novizia scatta la scintilla di Viridiana: il bianco e il nero, la carne e la repressione. 1. Viridiana. Scritto con Julio Alejandro in Messico, diretto nei dintor-

ni di Madrid, il film è presentato a Cannes il 17 maggio 1961 e riceve la «Palma d'oro». Alla fine del mese «L'Osservatore romano» sferra un attacco violentissimo a Viridiana; il Consiglio dei ministri, pare alla presenza di Franco, destituisce il direttore generale del cinema di Spagna, José Fontan. Richiesta da don Jaime ma obbedendo all'ordine della superiora del convento, le palpebre abbassate a difesa del mondo che si riverbera nel convento ("Ha pagato i vostri studi, il vostro mantenimento e provvederà anche alla dote. Vi pare poco?»), Viridiana è giunta in villa. È l'addio, prima del «ritiro ... Con il montaggio delle scene Bunuel predispone il cliché dell'attesa: dai piedi di don Jaime, che premono i pedali dell'armonium, alle sue mani sulla tastiera; dalla figura di Viridiana, inginocchiata a fianco del letto nell'atto di prepararsi un giaciglio sul pavimento, al suo busto da48 vanti allo specchio, liberati i capelli biondi dal fazzoletto che li umilia (si

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coglie una sorpresa impercettibile negli occhi) e dalla sua persona seduta sul bordo del letto, via la calza nera, alle gambe e alle cosce, una bianca, l'altra ancora prigioniera; dal volto di don Jaime, rapito dall'estasi della musica, a Ramona, la serva che, passando per il corridoio, accosta l'occhio al buco della serratura di una stanza; da Viridiana, che ha indossato una lunga camicia bianca, agli oggetti che viene estraendo dalla valigia, '-'na grande croce di legno e una corona di spine; da Ramona, sull'uscio del salone, in direzione del padrone che ascolta distrattamente le informazioni sulla nipote, agli oggetti precedenti di Viridiana, piu tre chiodi un martello e una spugna, alla novizia in preghiera con un piccolo crocefisso tra le mani giunte. C'è odore di sagrestia in prossimità dell'hidalgo pantofolaio, ma l'incenso sa anche di zolfo. Gli oggetti del calvario e le note sacrali, il corpo di donna e la solitudine del vecchio fanno pensare a un Lovelace per Clarissa (Richardson), che ha il temperamento di Justine, la vocazione all'incesto e al sacrilegio di Atala (Chateaubriand). E c'è Ramona, il cui occhio indiscreto e zelante può mettersi al servizio di don Jaime, gran regista, e attore, del destino. La notte successiva, allorché la mdp carrella dal caminetto acceso (due cariatidi ignude sorreggono l'architrave) in salotto, a un orologio a pendolo (segna le due), in corridoio, e poi si ferma davanti alla spalancata camera da letto dell'hidalgo, il personaggio è chiaramente rivelato. Don Jaime è seduto davanti a una cassapanca, al fondo del letto matrimoniale, e sta rovistando tra gl'indumenti da sposa della moglie defunta. Trovata una scarpina a punta, la bacia con voluttà e l'infila in un piede. Getta i fiori d'arancio sul letto, prende il busto di seta e si dirige allo specchio per vederselo addosso. Nel ripetere il movimento precedente di Yiridiana allo specchio, la novizia compare, sonnambula, in veste da notte, uno scialle di lana sulle spalle, i capelli sciolti, un paniere nelle mani. La bellissima vergine supera lo zio e percorre a ritroso il cammino della mdp. Davanti al caminetto, Viridiana getta nelle fiamme dei gomitoli di lana e degli aghi, raccoglie nel paniere vuoto della cenere. Sempre sotto gli occhi di don Jaime, smarriti ma attratti dai polpacci e dai piedi nudi della conturbante novizia, Viridiana ritorna nello spazio imenico e qui rovescia la cene- •

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re sul copriletto vicino ai fiori d'arancio. Quindi scompare, com'era venuta. Manuale freudiano aperto (cfr. The Psychoanalytic Theory of Neurosis di Otto Feniche), e il saggio di Lacan in Perversions, a cura di S. Lorand e M. Balinr), Bunuel ci dice che don Jaime ha l'angoscia della castrazione: per eccitarsi sessualmente, ha bisogno di rassicurarsi che la donna ha il pene (piede e scarpe), deve evirare la nudità del corpo e preferirle la sua biancheria intima. Viridiana, che cammina come la moglie (oltre ad assomigliarle), ha riportato don Jaime ai feticci del piacere, e infine propone se stessa come oggetto di desiderio. Il suo stato sonnambolico, in quanto insorgenza di una seconda personalità che si alterna con la prima, dichiara poi - gettando nel fuoco gli strumenti delle proprie occupazioni conventuali che (trasformaci in cenere) vengono accostati ai fiori della morta una profonda nostalgia della vita e della maternità, sublimate, invece, dal suo prossimo matrimonio con Cristo. Infatti, era la prima notte di penitenza e la seconda d'intrusione nello spazio imenico-morruario, il raccordo diurno accade nella simbologia e nei riferimenti alla maternità. Prova imbarazzo a stringere le mammelle di una mucca, beve latte, raccoglie uova nel pollaio per fare un dolce (una specialità delle monache) allo zio, rinfaccia a don Jaime d'avere un figlio naturale, come lei messo da parre. Prima di queste ultime parole, si è visco don Jaime mettere in salvo un'ape che scava per annegare in un bidone. A questo punto l'hidalgo non ha ancora progettato il futuro remoto di Viridiana. Ma è sintomatico il fatto che Bunuel l'anticipi: sarà quel figlio naturale a porgere una mano alla caritatevole fanciulla in grave difficoltà ma secondo la calcolata regia del padre-zio. Dopo la visione dei piedi di Viridiana, don Jaime è in subbuglio, non può lasciarla partire. Ricatta la serva perché l'aiuti. Ma Ramona: «Che importanza volete che dia a una domestica?». Allora decide l'arma del narcotico. La terza notte si annuncia con un atto di sacrificio simbolico, con Viridiana che pulisce una mela per lo zio e gliela offre su un piatto circondato dalla buccia a spirale. Lo zio l'addenta e ne offre un pezzetto alla nipote. Ed è notte fonda nella villa del nuovo Usher (Poe). La «strana» Viridiana, lungo quel corridoio percorso da sonnambula, ricompare vestita da sposa, &O avendo acconsentito alla «mascherata» chiestale dallo zio. «Tua zia è mor-

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ta di mal di cuore, nelle mie braccia, la prima notte delle nozze, indossando questi vestiti, e tu le rassomigli tanto!», dice il cavaliere all'intenerita novizia che replica: «Contrariamente a quello che avevo pensato, credo che voi siate buono». È un povero padrone, davvero buono nelle intenzioni, ma, purtroppo, ha delle ossessioni sostitutive: «Da giovane mi sentivo pieno di ideali», «volevo dimostrare il mio amore per l'umanità», ma «la vista di uno sconosciuto, che magari giunge solo per salutarmi, mi riempie d'inquietudine». È un povero don Juan costretto a ripetere le azioni che maggiormente teme per salvare la stima che ha di sé, anche con il matrimonio. A questa proposta i seni fremono d'indignazione sotto il corsetto della bionda novizia. Don Jaime ricorre allora al narcotico nel caffè. Il grande coreografo delle rappresentazioni funebri la solleva tra le braccia, quasi volesse consumare come un vampiro la modella nel sua quadro (Ritratto ovale), uccidere l'oggetto vivente sottomessosi al suo desiderio (Ligeia). I malheurs de la vertu si condensano in quest'atmosfera fatale. Un candelabro enorme appeso al soffitto e sotto il quale trascorre pesantemente il piccolo coneo, i mobili antichi e neri, le ombre gravi, il baluginare della fiamma delle candele e la cera che si scioglie, il controcanto blasfemo dell'Alleluja, riproducono il cliché dei racconti di Poe e dei film "gotici". Lo humour di Bunuel è incantevole. Satanismo e indugio, vampirismo e timidezza si sciolgono come la cera dopo il bacio sulle labbra e sui seni bianchi e vivi della donna addormentata. Don Jaime si ritira spaventato e impotente. Spinto dal desiderio, egli si è mosso sulla linea di demarcazione tra l'angoscia e la colpa. Con l'ultima conquista è ricaduto nello spettacolo della colpa. Diventano semplici apparenze dell'ipocrisia i goffi tentativi compiuti dal vecchio per cercare di trattenere Viridiana facendole credere d'averla deflorata, e d'implorarle il «perdono» che non viene. L'ultima parola è di Ramona: "Tutto è cosi fuori dell'ordinario», e osserva le lenzuola immacolate. Per lei che nel quadro non è piu che un sintomo, e ha nella figlia Rita il segno dell' «ordinario•. La sua bambina riveste nel film un ruolo inquietante, enigmatico. Associata sempre a Viridiana (con lei salta alla corda, alla corda saltava al momento del suo arrivo in villa, osservata nei piedi da don 11

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Jaime che la corda con le manopole le aveva regalato, e gliela prendeva per appenderla a un chiodo di un albero), Rita è l'osservatrice esterna degli atti della novizia, cosi della svestizione iniziale come dei baci dello zio. E sarà Rita a gettare nel fuoco la corona di spine ferendosi a un dito. Con quella corda l'hidalgo s'impicca a un albero; in questo spazio il fattore rimprovererà la bambina tornata a saltare tra gli alberi muti e impotenti (sezionati dalla mdp). Il suicidio del cavaliere è si la voluttà del tormento innescato dallo scacco con la vergine, ma è anche l'estrema risoluzione per sopravvivere come simbolo della seduzione. Invecchiato, patetico e turpe, egli è il bur/ador, l'emblema della trasgressione nell'ordine, l'idea stessa dello status quo sociale. Il suo colpo di genio non risiede tanto nella spettacolarità della morte quanto nel progetto che affida al testamento con un sorriso beato e soddisfatto (seduto al secrétaire). Il film ricomincia in spazi simmetrici. All'inizio c'era il chiostro con i portici e il via vai degli orfani, delle suore e dei preti. Ora, la piazza del paese vicino alla villa, con i portici e le guardie immantellate a celare i fucili, un carretto senza mulo e un cane randagio. Viridiana non è piu partita e si è sistemata in una modestissima stanza al piano terra dell'edificio. In questo luogo s'incontra con la superiora. Le comunica: «So soltanto che mio zio è stato un grande peccatore e che mi sento colpevole della sua morte», ma si rifiuta di aprirle il cuore. Ha deciso di servire il Signore con la carità. Il suo primo passo nel mondo accade però con un atto di orgoglio degno dello zio: «Voglio fare da sola». La scena si spalanca davanti a una chiesa, radunati i mendicanti perché vadano ad abitare in villa. Sembra l'esordio di Misericordia di Gald6s, con i due personaggi centrali, Benigna e Almudena, diventati Enedina e Amalio senza spirito cristiano. È il mondo della grande miseria che esce dagli affreschi delle solenni devozioni e delle elemosine liturgiche, arcaica sopravvivenza di esseri immondi, microsocietà dell'astuzia cerimoniosa e melliflua e della mendicità professionale, del vagabondaggio senza una mèta e delle repentine accensioni criminali, della malignità perversa e dei contatti carnali casuali e animaleschi. Da Lazari//o de Tormes a Gald6s, da Velazquez a Goya, il 12 quadro della miseria è sempre quello, e penanto, piu delle testimonianze il-

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lustri, è di doloroso aiuto a Bunuel lo sguardo sulla realtà. La palpebra del regista non si abbassa a nessuna consolazione. Ecco il gruppo dei reclutati per lo zoo di Viridiana - alla fine saranno quattordici - e tra loro, oltre il cieco Amalio e la cuoca Enedina, lo Zoppo che dipinge ex voto e il Lebbroso che intinge il braccio nell'acqua santa, diventano memorabili. Disposti tutti a obbedire alla «sempliciotta» dal «viso d'angelo», a far buon viso anche alla prospettiva del lavoro, ma non a solidarizzare con il «fratello malato», essi trascorrono la loro nuova vita tra il refettorio e il corrile, sotto lo sguardo vigile e materno di Viridiana. Lo stesso giorno, giunge anche Jorge, il bastardo riconosciuto in punto di morte da don Jaime e al quale spetta la coabitazione patrimoniale con la cugina. Davanti al ritratto a olio del defunto si chiede: «Chissà cosa gli è passato per la cesta». Con lui c'è Lucia, la sua amante, ovviamente destinata a scomparire. I primi sintomi della presenza di don Juan jr. si leggono sul volto di Ramona, incantata dalla sua autorità e dal suo aspetto fisico, ed anche nella timidezza di Viridiana. In realtà, l'ex novizia o novizia senz'altro, dato che a un certo punto non esclude di ritornare in convento, si muove tra due mondi che parlano il linguaggio della fisicità: la mendicante incinta non si sa di chi e senza patemi, il Lebbroso con la sua malattia venerea, il lascivo Amalio, la disponibile Enedina, gli apprezzamenti dello Zoppo che vuole lei come modella per la Madonna in un ex voto, la stessa Ramona con una figlia naturale, e poi Lucia, e l'indiscreto cugino che misura il suo corpo con lo sguardo, entra nella sua stanza senza bussare, nota le penitenze, parla d'affari e le soffia in viso il fumo del sigaro dopo averle detto: «Per vivere con una donna, non ho bisogno di farmi benedire». Jorge è attivo. Con Jorge le finestre si spalancano sui campi, i campi tornano a vivere sotto la mano dei contadini, la villa è rimessa in sesto da una squadra di operai, e fornita di luce elettrica. Schiva, lungo i viali rifioriti, Viridiana osserva il cugino. Prima che si parlino, Jorge acquista un cane che gli pare soffra legato a un carretto, mentre, provenendo dalla direzione opposta, un alcro cane è nelle condizioni del precedente. Quindi si avvicina alla cugina e le propone di mettere alla porta i mendicanti: «Aiutarne alcuni quando ce ne sono milioni? È una cosa che non serve a niente». In Jorge 53

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parla il borghese che vede l'anacronismo dell'antico costume della carità militante, che si emancipa dall'elemosina, per conservarla tale e quale. Lo schema ideologico è riproposto da Buiiuel nella scena in montaggio alternato dei mendicanti che pregano con Viridiana all'ora dell'Angelus e alcuni momenti del lavoro degli operai. Anche in questo caso non si tratta solo di una contrapposizione tra il passato, in cui la giornata del contadino si compiva in preghiera al richiamo del campanile, e il presente, in cui l'orario di lavoro non comporta il tempo del raccoglimento devoto. L'emancipazione del mondo del lavoro dalla religione si realizza con la conservazione della religione, come in effetti capita sullo schermo (cfr. Zur Juden/rage di Karl Marx e L 'Eglise et la bourgeoisie di Bernard Groeth uysen). Mentre Viridiana prega la Madonna, noi vediamo non gli operai ma la loro oggettivazione nelle cose. E le cose sono leggibili freudianamente, come simboli della castrazione (mani resecate, tronchi tagliati, sabbia setacciata, muro smantellato, tronchi ammassati l'uno sull'altro senza piu vita). La differenza tra il passato e il presente sta solo nel fatto che don Jaime teneva in soffitta la sabbia, il gesso e il legname. Ma la razionalità del lavoro in Jorge è, come sempre, accompagnata dalla seduzione dei servi (della trasognata Ramona). Ancora, quando Jorge, in camera da letto, scopre un crocefissopugnale, lo "scandalo" non risiede nella doppiezza dell'oggetto, ma nel fateo eh 'esso torturi o faccia l'amore con la cassa dell'orologio. Buiiuel è molto esplicito: si tratta dell'equazione seicentesca tempo(orologio )-morte( religione). In fondo, lo scherzo di don J a ime consiste nel rubare a Cristo la novizia per interposta persona, suo figlio Jorge. Le modalità della conquista non potevano essere note al vecchio burlador, ma certo confidava nella forza della tradizione. A lui non fu sufficiente il narcotico, a don Juan jr. forse neppure il fascino, se la Storia, sempre quella, non gli desse una mano. Càpita che i due cugini debbano andare in paese dal notaio e lascino abbandonata la villa. I mendicanti vi s'introducono spinti dalla curiosità del lusso intravisto da lontano e, come scrive Carlos Fuentes, «rispondono con la carne, con il rutto, con il vino, con il ballo, il linguaggio, gli scrosci di risa: 54 la loro atroce realtà è l'unica risposta al mondo di Torquemada, di don

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Giovanni, di don Chisciotte» (in «Cinema nuovo», n. 155, gennaio· febbraio 1962). Enedina fotografa con il sesso i tredici mendicanti, icono· graficamente disposti come gli apostoli dell'Ultima cena leonardesca. Se Walter Pater aveva notato che in tutta l'opera di Leonardo aleggia «qualco· sa di sinistro», Bunuel non gli è da meno: il posto del Signore è occupato da Amalio, il cieco, il piu iracondo e violento del gruppo che, tra l'altro, rac· conta d'aver denunciato un mendicante sordo (e si sa che Bunuel è "sordo", per lo meno nelle manifestazioni ufficiali). Il Lebbroso indossa gli abiti iniziali che furono della zia di Viridiana e da Viridiana portati, sparge le piume di una colomba morta, e tutti danzano sulle note dell'Al/eluja in una tra le piu grandi scene girate da Buftuel. Quando la musica si spegne e i mendicanti abbandonano volontaria• mente la villa per riprendere i loro ruoli, suona l'ora della repressione poliziesca. Ma prima, come ultimo lascito della cena, lo Zoppo e il Lebbroso aggrediscono e legano Jorge che li aveva scoperti in camera da letto. E lo Zoppo, che ha dipinto l'ex voto della donna guarita dalla «febbre terzana" e ha come cintura la corda di Rita (e di don Jaime), lui, un «devoto alla Vergine», si getta sulla modella vergine. Viridiana si dibatte ma quando le sue mani arrivano a stringere la manopola della corda, al ricordo dello zio, le forze vengono meno improvvisamente, e il suo corpo riprende la compo· stezza avuta sul letto, quella notte. Il sogno della verginità e della maternità sembra avverarsi nella violenza e nel martirio. Il cugino la salva inducendo il Lebbroso ad uccidere lo Zoppo per denaro. Con il secondo attentato alla sua virtu Viridiana riacquista la vista, guarisce dalla malattia conventuale e caritatevole, senza liberarsi del suo passato. Si è guardata una prima volta allo specchio e si è sorpresa di avere un volto con dei capelli biondi. Ora torna a guardarsi, si aggiusta con le labbra il tratto del rossetto, si asciuga una lacrima: si è accettata come corpo che non ha bisogno della violenza a complemento delle sublimazioni per soddisfare l'inappagato bisogno della carne. La regia demodé di don Jaime è aggiornata nel décor, e Ramona ritrova l'«ordinario» che l'era sfuggito in pre• cedenza, sedendo a tavola con i cugini per una partita a carte. Il piano di 55

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don Jaime si realizza, ma la trasgressione, il sacrilegio, la beffa cadono nella mediocrità del presente, riconfermano l'unità degli opposti. 2. El Angel exterminador. L'anno successivo a Viridiana, Luis Buiiuel dirige in Messico El Angel exterminador da un ciné-drama scritto nel 1957 con Luis Alcoriza e ispirato alla commedia inedita, Los naufragos, dello spagnolo José Bergamin (della Generacion del '27). Il film, presentato a Cannes, ottiene il premio «Fipresci» (piu tardi, a parte il "grottesco" riconoscimento dei gesuiti genovesi, I'" André Bazin » ad Acapulco). Dopo una panoramica sulla calle notturna (un muro di cinta padronale, un'automobile di passaggio, un ramo di palma che ondeggia dolcemente), la mdp carrella in avanti sul portone di ferro che si apre quel tanto da lasciar uscire un uomo che il maggiordomo della villa cerca di trattenere. Anche in sala da pranzo due camerieri, e in cucina due cuochi e due inservienti donne, ultimando i preparativi della cena che i padroni offriranno agli amici dopo il teatro, sono in procinto di uscire «senza sapere il perché». L'inquadratura che ci introduce nella sala da pranzo, immediatamente seguente quella del salotto, ci propone uno spazio ristretto e sovraccarico, mostra un cameriere calvo che impugna il fusto di un imponente candelabro, e in movimento da una zona d'angolo della sala compresa tra la sezione di una colonna e un vaso (panciuto e frastagliato, i cui rilievi longitudinali corrono verso la piccola base sinuosamente; sopra il vaso c'è un ooperchio ). Allorche i venti personaggi fanno il loro ingresso in casa, il regista sottolinea due volte, in particolare, il movimento dell'anfitrione Nobile ch,e abbandona il gruppo per dirigersi in prossimità della mdp e chiamare, ad alta voce, il cameriere che se n'è andato, come due volte gli fa ripeter6, poco dopo, il brindisi: «Per la meravigliosa notte offertaci da Silvia coo la sua magnifica creazione della fidanzata vergine di Lammermoor». Prima del brindisi, abbiamo sentito uno degli invitati, il colonnello Aranda, dire che «la patria è un insieme di fiumi che si gettano nel mare», e la sua vicina di posto (Bianca) commentare: «Il mare è la morte». Dopo il primo brindisi, riprendendo l'essenziale del discorso, Ana sostiene che «la verginità si addice meglio alla &8 Walkiria», - immediato primo piano del personaggio in questione che ha

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alle spalle un vaso identico a quello ricordato - e, in seguito alle perplessità del suo interlocutore (Leandro), «si, Letitia, io la chiamo cosi perché e selvaggia e vergine», soggiungendo: «Forse si tratta di una perversione». Dopo il secondo brindisi di Nobile, Lucia, sua moglie, che siede all'altro capo della tavolata, si scusa con gli ospiti per aver alterato l'ordine del menu. L'attenzione di tutti si concentra sulla porta che sta per aprirsi, e Roc (direttore d'orchestra) esclama: «Come a teatro, eccolo che arriva». Il cameriere, con un perfetto tuffo in avanti, cade sul pavimento. Bianca: «Lucia ha un dono speciale per questo genere di sorprese». Mentre il calvo Russell: «Non mi è sembrato affatto divertente". L'imbarazzata padrona di casa raggiunge il maggiordomo in un'altra stanza dove ci sono un orso e tre agnelli (sotto il tavolo), e gli ordina di far uscire l'orso perché al signor Russell «non piacciono gli scherzi»: «e in effetti il lupo risiederà temporaneamente con l'.ignello ... e la vacca e l'orso pasceranno» (Isaia, 11, 6-7). A questo punto, nella villa di Nobile, ci sono i venti borghesi e il maggiordomo Julio. Con un uso sconcertante della mdp e del découpage, tanto lineari e convenzionali quanto arbitrari e beffardi, il regista documenta impassibile e interessato fornisce l'obiettivo alla performance individuale, annuncia eventi inquietanti e coglie le suddivisioni corporative dei domestici, ingombra lo spazio di oggetti simbolici e di animali non propriamente domestici e li mette a lato, invita i signori a essere nella parte, a seconda delle suggestioni melodrammatiche, e li condiziona a interpretare la commedia degli "scherzi", addiziona un labirinto di stanze direttamente comunicanti e distingue un piano terra che dà sul giardino e il primo piano raggiungibile per un ampio scalone che ricorda la hall d'un albergo. A sorpresa fa scattare la chiave del meccanismo: conclusasi la cena in modo insospettato, Letitia, sola, al tavolo sparecchiato, prende un portacenere (un bicchiere) e lo scaglia inopinatamente, da vera lanciatrice del peso, contro il vetro d'una finestra. «Un ebreo che passa», interpreta Leandro, ma, corretto da Raul, e con il ricordo del giudizio di Ana, conclude: «Che donna interessante». La vergine Letitia introduce le moine d'amore dei fidanzati Eduardo e Beatriz, il bacio di Leonora al suo medico e poi la dop- 57

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pia presentazione (prima da sconosciuti, quindi da conoscenti di lunga data) di Leandro e Christian, infine la domanda di Raul al dottore sullo stato d'evoluzione del cancro di Leonora e la sua risposta: «Nessuna. Non le do piu di tre mesi per diventare completamente calva». Tutti coloro che si sono attardati in sala vengono richiamati nel salotto attiguo ad assistere all'esibizione pianistica di Bianca, e vi restano prigionieri. Prima di rutto è necessario notare che l'ingresso del salotto si offre alla nostra attenzione con l'aspetto di un boccascena (e sotto la tendina del riquadro rutti gli attori si arresteranno, gettando un disperato sguardo verso l'alto). Al suo interno, sullo sfondo, trova posto un secondo palcoscenico con relativo sipario, rialzato di qualche gradino, mentre, sul lato sinistro, vi sono delle porre di un armadio a muro che fungono da quinte. Il raddoppio dello spazio teatrale viene colto anche in strada e in giardino, nel ponone sormontato da una volta in ferro con griglie e fregi all'interno del quale si scorgono le due colonne e i gradini che conducono alla pona della villa, e nella cattedrale: la navata e l'altare, l'altare e il tabernacolo. Il film inizia con il domestico fuggiasco che, a luci spente, esce alla ribalta, e prosegue, a luci accese, con Nobile (per due volte) reduce da una rappresentazione teatrale. Da L'age d'or Bunuel ritorna sempre su questa convinzione della borghesia che recita e del conseguente dovere di mostrarla nel suo vero volto, attraverso un'ossessiva recitazione, fino alla consumazione del rituale, nella sintesi dei finali tremendi ( «nel finale il suo diapason», scrive Casiraghi, in «l'Unità», 10 novembre 1968). Per quanto riguarda il meccanismo dell'Angel, è forse da richiamare l'influenza del Tzara di Mouchoir de nuages («La scena rappresenta uno spazio chiuso, come una scatola, da cui gli anori non possono uscire[ ... ]. Sul fondo, a una certa altezza, uno schermo indica il luogo dell'azione». Cfr. Teatro Dada). Scatola per topi, il «Paradiso di Tebe» (cosi la chiama Nobile, per alludere al «piacere» ivi provato con la droga) diventa progressivamente la prigione dello spettacolo e lo spettacolo del sadomasochismo, il tormento della promiscuità e l'orrore del deperimento delle carni, la regressione istintuale e la grande "defecazione" del senso. Bunuel non si ac58 contenta di replicare l'esistenza con una drammatizzazione che congiun-

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ga insieme razionalità e surrealtà - il meraviglioso del macabro. Nello stabilire le tappe dell'incedere filmico, la sua preoccupazione è di occultare la causa dell'imprigionamento. L'esecuzione di una Sonata di Paradisi ha termine nello spettacolo dell'indifferenza quasi generale, degli sbadigli, dei segnali massonici e delle zampe di gallina tolte da una borsetta. Il farsesco cerimoniale prosegue con i primi torpori, le rivelazioni delle prestazioni erotiche, le malignità sulla paternità dei feti, i baci degli amanti, le sistemazioni per la notte. In un angolo buio, Eduardo sfiora i seni di Beatriz, ma la sua mano sembra di pietra quando scende ad accarezzare i fianchi rotondi e le natiche sode, fasciate dal vestito e sezionate dalla mdp in un modo che ricorda il vaso. Ultima figura ad aggirarsi per la stanza, come un topo in trappola, è Russell, al quale, non piacendo gli «scherzi», succede una crisi cardiaca. Un incontro d'amore ( «La nostra prima notte insieme»), interrotto ai preamboli, si stringe con l'inizio di un decesso, determinando il corso parallelo di questi tre personaggi. Quando Russell, vicino a morire, dice: «Contento, non vedrò lo sterminio», anche Beatriz è rassegnata al suo destino, «ma non in questo modo», con l'angoscia che è anche di Eduardo: «È questo a farmi soffrire. Non poter essere soli». Quando poi il cadavere viene nascosto nell'armadio a muro dal dottore e dal colonnello, si ode la loro voce fuori campo: Eduardo: «Qui si getta il mare». Beatriz: «Non arrivo». Eduardo: «Scendi ancor piu ... di già ... il rictus ... orribile ... Beatriz: «Amore mio». Eduardo: «Mia morte ... oh mio rifugio ...

Se nello spogliatoio water closet i promessi sposi scoprono il "cadavere" dell'amore, l'imputazione degli altri che impediscono d'«esser soli» lascia il posto alla straziante rivalsa di «fuggire insieme» perdendosi nelle «ombre». In tal modo, confermano l'orrore del non poter amare follemente. D'altra parte il suicidio di Beatriz e Eduardo si riconosce nella "ribellione" di Russell che non vuole vedere lo "sterminio" della sua classe alla quale si deve 51

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l'origine della prigione. Attenzione, però, che se Beatriz (una sorell3 di Lya Lys) non perde la verginità con il fidanzato (un fratello di Modot), altre figure femminili (Lucia e Rita) si sono procurate da tempo un amante di riserva, nella logica dell'amore borghese. Proseguendo nell'analisi, è importante notare che la mano del cadavere (Russell), la mano morta, fuoriesce dall'armadio per cercare di strangolare Ana, la rivelatrice della «perversione» di Letitia, e che sempre a Russell è connesso il gag della testa pelata. Vediamolo. Elettrizzata dalla cena, Leonora bacia la bocca del dottore. Questi, poco dopo, rivela che la sua paziente, di li a tre mesi, sarà «completamente calva». La previsione, rispetto alla gravità della malattia, un cancro, è singolare. La mattina seguente, egli la ripete per il morente Russell (che è calvo), su esplicito interessamento di Leonora. Una terza volta il dottore parlerà di capelli anche con Bianca (la pianista) e noi vedremo Silvia (l'interprete della «fidanzata vergine») cercare di arricciarsi i capelli allo specchio provocando l'ira e il disgusto del giovane Francisco che alla sorella Juana urla: «Non sopporto quest'arpia che si pettina soltanto metà testa». È possibile che Bunuel intenda intaccare l'inevitabile leadership del medico ( «non sbaglia mai»). Pilastro della salute dell'ordine sociale, gran difensore, con il colonnello, del padrone di casa, il medico è l'emblema della razionalità, il funzionario del "conscio". Al termine del "naufragio", quando griderà: «Questo vile attentato non resterà l'unico. Significa la disgregazione della dignità umana, la nostra trasformazione in bestie feroci», in lui viene derisa la falsa coscienza della demoralizzaz,one. Bunuel ci spinge a riflettere sul perché il dottore dia importanza ai capelli, perché tale disagio serpeggi nel salotto. Se i capelli, che nella simbologia freudiana sono il sesso maschile, e la cui perdita è davvero una morte, sono un lapsus dell'inconscio del dottore, noi comprendiamo che primario diventa il rito della vergine, ovvero la causa dell'imprigionamento nel salotto. Rivelatore è il monologo di Leonora: «Andremo a prosternarci ai piedi della Vergine, perché è la sola che può farci uscire di qui». E poi, nei termini dell'irrisione secondo Bunuel: «Quando saremo a Lourdes, voglio ■ che lei mi comperi una Vergine lavabile in caucciu». A questo punto, la

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funzione della mano morta è comprensibile: cercando di strangolare Ana, indica «Walkiria» come protagonista del rito. Dopo lo spaesamento iniziale, il dottore innesca l'autocolpevolezza di Nobile che, cercando d'essere d'aiuto ai suoi invitati, attira su di sé l'attenzione, si candida a capro espiatorio della situazione. A chi lo accusa di averli chiusi «in questa trappola.,, giocato «questo brutto scherzo,., egli non sa rispondere che con interrogativi: «lo, caro amico? lo? Per avervi invitato a cena? Per avervi offerto la mia casa?». Poi gli viene attribuita qualsiasi "pazzia", quindi lo si insulta e lo si disprezza. Nobile è un uomo di sentimenti cavallereschi e di superiori ideali: «La grossolanità, la violenza e la sporcizia", confessa alla moglie abbracciata al suo amante, «sono diventate nostre compagne inseparabili. A quest'abbietta promiscuità è preferibile la morte». Una parte della compagnia si abbandona al pasto delle carni degli agnelli sopraggiunti nella stanza a interrompere, con rara tempestività, una possibile violenza nei confronti dì Nobile. Alcune delirano per la febbre. I due massoni ragliano «la parola impronunciabile» (HIHHOH). Ana, Bianca e Silvia utilizzano le "chiavi" della Cabala (zampe e piume di gallina) e Ana, fallita la prova, sentenzia: «Ci vorrebbe del sangue innocente. Bisognerà aspettare il sacrificio dell'ultima pecora". Mentre tutto questo scorre sul palcoscenico del salotto, accade l'avvicinamento decisivo di Letitia a Nobile, seduto sui gradini del palcoscenico interno al salotto, vicino all'ultima pecora legata al pianoforte. Letitia strappa il fazzoletto dalla fronte di Nobile, gli mette in mano un pugnale, quindi, con quel fazzoletto, benda gli occhi della pecora. A questa scena è strettamente collegata la successiva del sogno collettivo. Alle immagini dei dormienti (e Letitia è coricata vicino a Nobile) si sovrappongono alcuni personaggi, voci sconosciute, canti liturgici, il papa (con vetta montana), e poi le metamorfosi dell'oggetto (albero, violoncello, fronte di donna) tagliato da una donna, e insieme lampi, tuoni e fuoco. La scena si conclude con Francisco che cerca qualcosa in un armadietto, probabilmente il cofanetto della droga che trova per terra, vuoto. El Angel exterminador vuol essere l'interpretazione, al solito sconsacrante, del mito cristiano della redenzione del genere umano. Per salvare la 11

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compagnia bloccata nel salotto, occorre che una vergine si presti a svolgere il ruolo dell'Immacolata. A parte Beatriz ormai deceduta, a parte Juana orientata verso il fratello, c'è Letitia, il cui "grembo" è immacolato per partito preso, contraria a qualsiasi fecondazione, contro le norme sociali, e quindi «perversa». La ricerca della salvatrice o "mediatrice" coincide, non a caso, con l'identificazione della causa che ha provocato l'imprigionamento del gruppo borghese. (Si ricordi l'atto «selvaggio», cioè la rottura del vetro della finestra, con il quale «Walkiria » aveva cercato di esorcizzare la "deflorazione"). A conferma dell'importanza di quell'evento iniziale, Buiiuel inizia nello stesso modo due scene notturne, con un carrello dalla finestra rotta sino allo stop, a distanza e frontale rispetto alla ribalta-prigione. Di conseguenza, mentre lo spettacolo della borghesia si svolge al centro, ben visi bile, occultato dietro alle quinte si prepara il gran finale della liberazione. «Verissimamente ti dico: a meno che uno non nasca d'acqua e di spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Giovanni, 3, 5). Buiiuel conduce Letitia (si noti il dettaglio dei suoi fianchi rotondi simili a un vaso, e questo del vaso è un tema che ci accompagna fin dall'inizio, e il dettaglio delle mani che prendono la "chiave" dalla serratura), attraverso il pannello che raffigura l'Angelo, nell'armadio a muro dove ci sono i vasi. E dove, tutti seguendola e gli escrementi confondendo, la vergine Letitia si prepara a cacciare il «malocchio» e confermare lo «scherzo»: l'allegoria scatologica del potere riconquistato a fianco della metafora dell'impotenza e della violenza borghese. Riguardo all'armadio water closet, si dice: ·•;

Silvia: •Ho sollevato il coperchio e ho visto un immenso precipizio, e sul fondo le acque chiare di un torrente•. Ana: «Si, e prima di sedermi, a pochi metri sopra la mia testa è passata un'aquila». Rita: •A me il freddo ha lanciato sul volto un gran turbinio di foglie». Bianca: •Ho freddo».

È un richiamo costante del film: i fiumi, il mare, l'acqua, il ghiaccio, il

vetro, il sangue. Al centro, intanto, la tragicommedia dei naufraghi senza 12 naufragio procede stancamente, scandendo gl'iscanti dell'avvicinamento di

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Letitia al volto malinconico e cavalleresco dell'onore. Quando gli offre il pugnale, è lei stessa la vittima (la pecora legata al pianoforte ricorda Letitia appoggiata all'oggetto), è lei stessa a vitalizzare l'avvilito Nobile. Perché cosi dev'essere, che la classe dirigente, attraverso il suo "sacrificio", sia piu che mai a immagine e somiglianza della roccia aguzza della montagna che si profila col papa ( «Si, è lui! Com'è solenne e maestoso, si direbbe un guerriero»). Mentre gli uomini e le donne si azzuffano (ancora ignari della buona novella) per uccidere Nobile, voilà, il sipario si apre e la coppia di amanti si offre al suo pubblico. «Grazie», dice Nobile baciando la mano di Letitia che gli ha offerto la sua verginità. Dopo il «grazie», l'olocausto del padrone di casa non è piu necessario. Con mistificazione geniale, il monologo di Letitia dichiara terminata la recita: cucci sono tornati al posto che occupavano la notte della cena, quindi possono uscire dal salotto. Viva l'angelo sterminatore. Anche Letitia è rientrata nella norma: nella cattedrale per il Te Deum, Nobile è a fianco della moglie, la sua amante è a fianco dell'amante della moglie. La recita aveva avuto inizio con la perdita di sette attori, quei «topi» dei domestici che avevano affidato al maggiordomo il compito di rappresentarli: avendo studiato dai gesuiti, Julio sa come rompere la noia. Ma «la vita è divertente e strana» e all'ingresso della villa si forma un altro spettacolo, quello dei curiosi, delle autorità, dei bambini, che offrono una replica di strada dell'impotenza. Quando i domestici tornano all'ovile, appunto «addomesticaci» come l'orso in giardino, ogni cosa rientra «di nuovo in quella confusione da cui ogni giorno tentiamo di uscire» (T zara). La bandiera gialla sventola sulla cattedrale, un altro "incantesimo" si è prodotto, scoppiano tumulti di piazza, ma le pecore tornano in chiesa. 3. Le journal d'une /emme de chambre. Nell'ottobre del 1962, Bunuel è raggiunto a Madrid dalla proposta di girare un film di produzione francese tratto dal romanzo di Ocrave Mirbeau, Le Journal d'une /emme de chambre, che già in passato, nel 1946, a Hollywood, era stato portato sullo schermo da Jean Renoir ( The Diary o/ a Chambermaid). Buiiuel è indeciso, perché pensa a due altri film, uno dal romanzo di Benito Pérez Gald6s, T ri- 83

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stana, l'altro a episodi, con il titolo provvisorio Cuatro misterios, e ispirato ai testi di Fuentes (Aura), di Cortazar (Las Ménades), di Jensen (Gradiva), e a uno scritto proprio e di Juan Larrea (llegible hijo de flauto). La censura spagnola, memore di Viridiana, non gli dà il nulla osta, e taglia spietamente anche la prima scena d'un film di Carlos Saura, Llanto por un bandido, nella quale Burìuel, prestato il volto a un boia, usa con vigore la garrota, per ucci'dere, sotto gli occhi del clero e delle autorità civili, sei banditi. L'atto politico del regista non è casuale - nota Buache - dopo l'assassinio del leader comunista Grimau. Bunuel si reca a Parigi e nell'estate del '63 scrive la sceneggiatura di Le Journal d'une /emme de chambre con Jean-Claude Carrière. Il film viene presentato nella capitale francese il 14 marzo 1964. Lo sferragliare del treno sui binari, il ticchettio delle scarpe nella piazza della piccola stazione, lo zoccolio del cavallo sotto un cielo plumbeo e immobile, scandiscono la regressione di Célestine in provincia - di lei già /emme de chambre d'una concessa, tra la bella gente di Longchamp - i seni a punta e il malizioso sorriso, profumata, in abiti chic, con stivaletti e calze dal morbido organzino nero segnato al polpaccio da un vezzoso ricamo bianco. A rebours da monsieur Rabour, Le journal è la metafora d'un progresso. Il primo sintomo dell'ambiente è nelle labbra sprezzanti del volgare Joseph (il suo nome è un programma: «c'era d'aspettarselo»). Poi, le conferme: in fatto di pulizia la signora Monteil è «esigentissima », anche se la cameriera non «deve piacere» a lei ma a suo padre, «un gentiluomo come al giorno d'oggi non se ne trovano piu», con «i suoi capricci, le sue manie, comprensibili a una certa età». La ingenua serva, la goffa Marianne, dice di si, che è «molto pulito». E la signora? Célestine ha capito: è «une vache, si vede subito ... «Conta le zollette di zucchero, chiude tutto a chiave», informa Marianne, e sembra che abbia «una brutta malattia» che le impedisce di fare l'amore. Il marito? «Il signore qui conta zero», «lui va a caccia ed è tutto ... Piu tardi (in giardino), Rose, la donna per tutti gli usi del vicino di villa (il capicano in pensione Mauger), precisa: «quando non è la signora che le scaccia, è il signore che le ingravida» - le cameriere, naturalmente - «con quel upo là, al primo colpo, pan!, un figlio». Ed è con Monteil, l'«imbosca14 to•, non con Rabour, il •calzolaio», che ce l'ha il capitano quando getta i

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rifiuti al di là del muro di cinta, una guerra che continua da tempo con il seduttore che cammina impettito con la doppietta a tracolla. Le ]ournal, privo d'una apparente dinamica dell'intreccio (almeno fino a un certo punto), procede con la duplicazione degli spazi: le due ville, la cucina dei domestici e la sala da pranzo dei padroni, la camera da letto di Célestine e quella della signora, il bagno di Monteil e il laboratorio chimico della moglie, il salotto del tappeto cinese e il salone antistante, lo studio di Rabour e la sua camera da letto, la villa e la casa del guardiacaccia, la stanza di Joseph e la falegnameria-macello, il giardino e il bosco di Raillon, il corridoio e il sentiero, la scala interna e la scala esterna, la stazione e il villaggio, la piazza dell'arrivo e il piazzale della chiesa, insomma il dentro e il fuori, l'alto e il basso, che, come sappiamo, sono per Bunuel i luoghi della mistificazione del desiderio, figure della divisione del lavoro. Dentro questa organizzazione dello spazio, l'opaco e greve naturalismo del film riluce sulla superficie delle cose che avvengono nella silenziosa e tranquilla provincia francese, all'inizio degli anni trenta. Dalle viscere della campagna, dalle tane del privilegio, si sprigionano invece foschi bagliori di ferocia disumana. Le scope delle serve conducono un topo a fuggire nel buco - Joseph compare sull'uscio; la passiva Célestine abbandona il posto a capotavola il globo della lampada di Rabour cade per terra; Joseph sentenzia contro i «meteci» («allogeni, gente spuria, bastardi») - il famigerato Maurras scrive sull'«Action française»: «Per l'amore del nostro Paese esiste fortunatamente un'altra destra, una destra che saprà irrobustirsi e dare battaglia risoluta e compatta»; il campanello suona in cucina, per avvisare che è l'ora del decotto di Rabour. Nello studio (i tetri scaffali, i mobili scuri, l'angelo raffigurato in un quadro, una bronzea donna nuda) del padrone pulito (vestaglia, fazzoletto nel taschino, foulard), Célestine depone il vassoio, riordina il tavolo, viene battezzata Marie (c'era d'aspettarselo: «Le mie cameriere le ho sempre chiamate Marie» ), si mette a sedere e legge per Rabour «qualche riga a caso» di A rebours di Joris-Karl Huysmans: Poiché, con i tempi che corrono, non c'è piu nulla di sano, poiché il vino che s1 beve e la libertà che si proclama sono adulterati e derisori, poiché, infine, è necessa- 16

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ria una singolare dose di buona volontà per credere che le classi dirigenti sono rispettabili e che le classi asservite sono degne di essere ristorate o compiante ...

Interrotta da Rabour: «Marie, sei il tipo che si offende se ti tocco la gamba? Oh, sta' tranquilla, non hai niente da temere da me, assolutamente niente». Come Célestine riprende a leggere, la mano scende a stringerle un polpaccio. L'orribile testa fiammeggia, sempre sanguinando, mettendo grumi di fosca porpora all'estremità della barba e dei capelli. Visibile solo per Salomè, non afferra socco il suo cupo sguardo l'Erodiade ...

Nuovamente interrotta, interrogata sul numero delle scarpe da Rabour: .. Perfetto, trentacinque, molto bene, la rosa