Logica
 9788875783044, 8875783047

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Graham Priest

Logica

Traduzione di Ciro Castiello

Graham Priest

Logica Progetto grafico: studiofluo srl Redazione e impaginazione: Giuseppe Doldo Coordinamento produttivo: Enrico Casadei Graham Priest

Logic © Graham Priest 2000

Logico A Ve/}' Short Introduction was originally published in English in 20000 This translation is published by arrangement with Oxford University Presso

Logico A Ve/}' Short Introduction è stato pubblicato in inglese nel 20000 Questa traduzione è pubblicata in accordo con Oxford University Presso

© 20 1 2 Codice edizioni, Torino Tutti i diritti sono riservati ISBN 978 - 8 8 -7578 -30 4 - 4

Questo libro è dedicato a tutti coloro che abbiano mai riflettuto sulla logica J e a quanti lo faranno in futuro.

Indice

IX

3

II

Prefazione Capitolo 1 Validità: cosa segue da cosa? Capitolo 2 Funzioni di verità. O no?

25

Capitolo 3 Nomi e quantificatori: niente è pur sempre qualcosa?

35

Capitolo 4 Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

Capitolo 5 45 Autoreferenza: di cosa parla questo capitolo?

55

Capitolo 6 Necessità e possibilità: quel che sarà deve essere?

65

Capitolo 7 Condizionali: cosa nasconde un se?

75

Capitolo 8 Il futuro e il passato : il tempo è reale?

85

Capitolo 9 Identità e cambiamento: le cose sono sempre le stesse?

93

Capitolo 10 Vaghezza: come smettere di scivolare lungo una brutta china?

Capitolo 11 103 Probabilità: lo strano caso della classe di riferimento mancante

1 13

123

Capitolo 12 Probabilità inversa: impossibile mostrare indifferenza! Capitolo 13 Teoria delle decisioni: grandi speranze

Capitolo 14 133 Un po' di storia e alcune letture di approfondimento 14 3

Glossario Problemi 153 Soluzione dei problemi 165 Bibliografia 167 Indice analitico

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Prefazione

La logica è una delle discipline intellettuali più antiche, ma anche una delle più moderne. Le sue origini risalgono al IV secolo a. C . Solo la filosofia e la matematica possono dirsi precedenti, e con entrambe la logica ha sempre avuto una stretta connessione. Al volgere del xx secolo, grazie all'im­ piego di nuove tecniche matematiche la logica ha cono­ sciuto una rivoluzione che negli ultimi cinquant'anni l'ha portata a ritagliarsi ruoli radicalmente nuovi e importanti nell'ambito della computazione e dell'elaborazione infor­ matica. La logica ha quindi assunto un'importanza fonda­ mentale per molte attività pratiche e speculative dell'uomo. Questo libro è un'introduzione a questa materia nel sen­ so in cui i logici contemporanei la intendono oggi. Non vuole essere uno dei tanti manuali attualmente disponibi­ li sull'argomento . Qui l'interesse è rivolto all' esplorazione della logica considerando le sue radici, che affondano nella filosofia. Inoltre verranno anche prese in considerazione al­ cune nozioni di logica formale. Ho pensato di aprire ciascuno dei capitoli sollevando un particolare problema filosofico o proponendo un enigma logico, per poi passare al metodo per affrontarlo . Spesso si tratta di soluzioni standard, ma in alcuni ambiti spiegazioni di questo tipo non sono ammissibili: i logici sono tuttora in disaccordo sulla validità di tali risposte. In questi casi ho

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semplicemente scelto la soluzione che mi è sembrata più interessante. Quasi tutti i metodi, siano questi standard o meno, possono essere messi in discussione, quindi ciascun capitolo del libro si chiude presentando alcuni problemi le­ gati al metodo preso in esame. A volte sono problemi clas­ sici, altre no . A volte è possibile trovare risposte semplici, altre no . Il mio scopo è stimolare il lettore in modo che possa costruirsi un'idea sull'argomento . La logica moderna è una materia prettamente matema­ tica, ma ho cercato di lasciare fuori dal discorso quasi tutti gli aspetti più tecnici. Al lettore è richiesta soltanto la co­ noscenza di un po' dell'algebra che si studia alle superiori, utile per affrontare gli ultimi capitoli. Sarà anche necessario acquisire familiarità con un simbolismo che potrà risultare insolito, ma si tratta di un impegno molto minore rispetto a quello richiesto per apprendere i rudimenti di una nuova lingua. Inoltre, tale impegno sarà ripagato dalla chiarezza che il simbolismo è in grado di assicurare anche nelle situa­ zioni più difficili. Un avvertimento, tuttavia, è d'obbligo: leggere un libro di logica o di filosofia non è come leggere un romanzo . Ci saranno passaggi da leggere lentamente e con attenzione. A volte bisognerà fermarsi a riflettere ed es­ sere disposti, se necessario, a tornare indietro per rileggere un paragrafo precedente. L'ultimo capitolo riguarda lo sviluppo della logica. Ho cercato di inquadrare in una prospettiva storica alcuni degli argomenti trattati nel volume, per dimostrare che la logica è una materia viva, che si è sempre evoluta e continuerà a farlo. Il capitolo contiene anche le indicazioni per alcune letture di approfondimento . Completano il libro due appendici. La prima riporta un glossario che il lettore può consultare ogni volta che in­ contra termini e simboli di cui non conosce il significato .

Prifazione

XI

La seconda appendice contiene una serie di problemi, cia­ scuno attinente agli argomenti affrontati in ogni capitolo, e tramite i quali è possibile verificare la comprensione delle principali idee discusse. Il libro procede in ampiezza piuttosto che in profondità, tanto che si potrebbe tranquillamente scriverne un altro per ciascuno dei temi trattati in ogni capitolo. E in effetti molti testi del genere sono già stati scritti. Ma ci sono numerosi altri argomenti che, sebbene molto importanti in ambito logico, sono stati qui tralasciati. A ogni modo, se avrete la perseveranza e la determinazione di arrivare fino in fondo, riuscirete a farvi un'idea degli aspetti fondamentali della lo­ gica moderna, nonché dei motivi per cui molte persone ritengono che valga la pena riflettere su questa materia.

Lo gica

Capitolo 1 Validità: cosa segue da cosa?

A molti piace considerarsi persone logiche. Dire a qualcu­ no «Non sei logico» viene spesso considerata una critica. Essere illogici significa essere confusi, disordinati, irraziona­ li. Ma che cos'è la logica? In A ttraverso lo specchio, il roman­ zo di Lewis Carroll (seguito del celebre Alice nel paese delle meraviglie), Alice incontra la coppia dei cavillosi Tuidoldàm e Tuidoldìi. Quando Alice resta a corto di parole, i due partono all'attacco: «Lo s o a cosa stai pensando» disse Tuidoldàm, «ma non è così. Non si dà in alcun modo possibile h> «Per dirla alla rovescia» soggiunse Tuidoldìi, «se fosse così, lo sarebbe; e se era così lo potrebbe essere; ma dato che non è così, allora non lo è.

È la logica».

Ciò che Tuidoldìi sta facendo, almeno negli intenti parodi­ stici di Carroll, è un ragionamento. Questo, come afferma lui stesso, è ciò di cui si occupa la logica. Tutti noi ragioniamo. Cerchiamo di immaginare come stanno le cose ragionando sulla base di ciò che già conoscia­ mo. Cerchiamo di persuadere gli altri che le cose stanno in un certo modo fornendo le nostre ragioni. La logica è la disciplina che assegna alle cose le loro buo­ ne ragioni, spiegandone il perché. Tuttavia è necessario intendere questa affermazione in un certo senso . Riporto

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di seguito due piccoli esempi di ragionamento . I logici li chiamano inferenze: Roma è la capitale d'Italia, e questo aereo atterra a Roma; quindi l'aereo atterra in Italia. 2. Mosca è la capitale degli USA; quindi non puoi andare a Mosca senza andare negli USA. I.

In entrambi i casi le affermazioni prima del "quindi" - i logici le chiamano premesse - forniscono ragioni; le affer­ mazioni dopo il "quindi" - i logici le chiamano conclusioni - rappresentano ciò per cui le ragioni sono ritenute tali. Il primo esempio di ragionamento fila bene. Il secondo, inve­ ce, è del tutto improponibile. Nessuno che disponga delle più elementari nozioni di geografia si lascerebbe convince­ re: la premessa che Mosca sia la capitale degli U S A è sempli­ cemente falsa. Occorre notare, tuttavia, che se la premessa fosse stata vera - per esempio, se gli Stati Uniti avessero acquistato l'intera Russia (e non solo l'Alaska) e avessero poi spostato la Casa Bianca a Mosca per collocarla più vici­ na ai centri di potere europei, la conclusione sarebbe stata effettivamente vera. Avrebbe cioè avuto seguito dalle pre­ messe. Ed è esattamene di questo che si occupa la logica. Non entra nel merito della verità o falsità delle premesse di un'inferenza. Qualcun altro dovrà preoccuparsi di quest'ul­ timo aspetto (nel nostro esempio, il geografo) . La logica ha il solo interesse di verificare se la conclusione segue dalle premesse. I logici definiscono valida un'inferenza in cui la conclusione segue davvero dalle premesse. Lo scopo princi­ pale della logica, quindi, consiste nella comprensione della validità. Potreste pensare che sia un compito alquanto noioso, un esercizio intellettuale poco meno entusiasmante della riso-





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I

Tuidoldàm e Tuidoldìi discutono con Alice le sottigliezze della logica (Mary Evans Picture Library) .

v.

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luzione di un cruciverba. Ma come scopriremo la faccenda non solo è tutt'altro che semplice, ma anche strettamen­ te connessa a una serie di importanti, e talora profonde, domande filosofiche (avremo modo di incontrarne alcune nel nostro percorso) . Per adesso precisiamo meglio i fonda­ menti su cui si basa il concetto di validità. Per cominciare distinguiamo, come si fa comunemen­ te, tra due diversi tipi di validità. Per comprendere meglio, consideriamo queste tre inferenze: Se lo scassinatore avesse fatto irruzione attraverso la fi­ nestra della cucina, ci sarebbero le sue impronte fuori; ma non ci sono impronte, quindi lo scassinatore non è entrato attraverso la finestra della cucina. 2. Jones ha le dita macchiate di nicotina, quindi Jones è un fumatore. 3 . Jones compra due pacchetti di sigarette al giorno, quindi qualcuno ha lasciato impronte fuori dalla finestra della CUClna. I.

La prima inferenza è molto chiara. Se le premesse sono vere, tale deve risultare anche la conclusione. In altri termi­ ni, le premesse non possono essere vere senza che anche la conclusione sia vera. I logici definiscono deduttivamente va­ lida un'inferenza di questo tipo. La seconda inferenza è un po' diversa. La premessa fornisce senza dubbio una buona ragione per la conclusione, ma non è del tutto conclusiva. In fin dei conti, Jones potrebbe essersi semplicemente mac­ chiato le mani per indurre la gente a pensare di essere un fumatore . Pertanto l'inferenza non è deduttivamente vali­ da. In genere inferenze di questo tipo sono definite indutti­ vamente valide. La terza inferenza, in contrasto con le altre, appare davvero inaccettabile qualunque sia il criterio con

Validità: cosa segue da cosa?

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cui la si valuti. La premessa non sembra fornire alcun tipo di ragione per la conclusione e l'inferenza risulta invalida sia deduttivamente, sia induttivamente. Infatti, ammetten­ do di non essere dei perfetti idioti, se una ragione del ge­ nere ci fosse proposta davvero, daremmo per scontato che esiste qualche premessa aggiuntiva, anche se nessuno si è preso la briga di parlarcene (forse qualcuno passa a Jones le sigarette attraverso la finestra della cucina) . La validità induttiva è un concetto molto importante. Noi ragioniamo continuamente per induzione, per esem­ pio cercando di trovare una risposta al perché l'auto è in panne, perché una persona è malata o chi ha commesso un crimine. Sherlock Holmes, il famoso protagonista di tante storie di fantasia, era un maestro in questo tipo di attività lo­ giche. Eppure, storicamente gli sforzi maggiori si sono con­ centrati sulla comprensione della validità deduttiva, forse a causa del fatto che i logici, piuttosto che essere medici o in­ vestigatori, hanno la tendenza a dedicarsi alla filosofia o alla matematica, discipline in cui le inferenze deduttivamente valide rivestono un ruolo centrale. Ritorneremo sul con­ cetto di induzione più avanti. Adesso soffermiamoci ancora un po' sulla validità deduttiva: è naturale supporre che sia la più semplice, poiché le inferenze valide risultano anche meglio definite. Non è quindi una cattiva idea partire da qui (come vedremo, si tratta di un impegno non da poco) . Fino a diversa indicazione, d'ora in poi il termine "valido" sarà utilizzato nel senso di "deduttivamente valido". Che cos'è, dunque, un'inferenza valida? Come abbiamo visto , è quella in cui le premesse non possono essere vere senza che risulti vera anche la conclusione. Ma cosa signifi­ ca? In particolare, cosa significa "non possono"? In genera­ le, l' espressione "non potere" è associata a diversi significa­ ti. Consideriamo , per esempio , la frase "Non posso correre

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più veloce di così": qui si parla delle capacità umane. Nella frase "Non puoi entrare qui: hai bisogno di un permesso", si fa invece riferimento a ciò che è consentito da qualche codice di regole. È naturale, per i nostri scopi, intendere il "non potere" nel modo seguente: dire che le premesse non possono esse­ re vere senza che risulti vera la conclusione equivale a dire che, in tutte le situazioni in cui le premesse sono vere, deve essere vera la conclusione. Fin qui tutto bene. Ma cos'è esattamente una "situazione"? Quali sono le cose che ne fanno parte, e come si relazionano tra loro? E cosa significa essere "vero"? Come direbbe Tuidoldìi, ecco a voi un bel problema filosofico. Ci occuperemo di tali argomenti tra breve, ora lasciamo­ li da parte per un momento e concludiamo con un'ultima osservazione. Non si deve commettere l'errore di pensare che la spiegazione di validità deduttiva fornita in preceden­ za sia priva di complicazioni (in filosofia tutte le afferma­ zioni interessanti sono controverse) . Si presenta, infatti, un problema. Assumendo che quanto detto fin qui sia corretto, sapere che un'inferenza è deduttivamente valida equivale a sapere che non esistono situazioni in cui le premesse sono vere senza che lo sia la conclusione. Ora, esistono innume­ revoli situazioni (qualunque sia la ragionevole definizione che si possa associare a questo termine) : situazioni relative a ciò che si trova su pianeti di stelle lontane; situazioni che riguardano gli eventi accaduti prima della comparsa della vita nel cosmo; situazioni descritte nelle opere di finzio­ ne; situazioni immaginate da menti visionarie. Come si può conoscere tutto ciò che è valido in ogni situazione? Ancora peggio, sembrerebbe che ci sia un numero infinito di situa­ zioni (da qui a un anno, a due o a tre . . . ). È dunque impos­ sibile, anche in linea di principio, prenderle tutte in esame.

Validità: cosa segue da cosa?

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Quindi, se quanto detto fin qui sul concetto di validità è esatto, e considerato che siamo in grado di distinguere (al­ meno in molti casi) le inferenze valide da quelle scorret­ te, dobbiamo avere qualche intuizione al riguardo, magari proveniente da una fonte speciale. Ma quale? Occorre invocare particolari intuizioni mistiche? Non necessariamente. Consideriamo un problema analogo . Sia­ mo tutti capaci di riconoscere, nella nostra lingua madre, di distinguere senza troppi problemi le sequenze sgramma­ ticate di parole da quelle corrette. Per esempio, chiunque parli italiano ammetterebbe che la proposizione "Questa è una sedia" è grammaticalmente corretta, mentre "Una se­ dia è è una" non lo è. Eppure appare evidente che tanto le proposizioni corrette quanto quelle sgrammaticate esistono in numero infinito. "Uno è un numero" , "Due è un nu­ mero" , "Tre è un numero" e così via sono tutte propo­ sizioni grammaticalmente corrette. Con altrettanta facilità possiamo produrre accozzaglie insensate di parole ad libi­ tum. Dunque, come ci riusciamo? Noam Chomsky, pro­ babilmente il più autorevole tra i linguisti contemporanei, ha avanzato una spiegazione. Secondo la sua teoria, tutte le infinite combinazioni sono racchiuse in un insieme finito di regole che abbiamo innate dentro di noi. L'evoluzione ci ha quindi fornito una grammatica congenita. Ma non potrebbe essere avvenuto lo stesso con la logica? Anche le regole della logica sono ugualmente innate dentro di noi? Concetti principali del capitolo

Un'inferenza valida è quella premessa/e. •

ID

cui la conclusione segue dalla/e

Un'inferenza deduttivamente valida è quella per cui non esistono si­ tuazioni dove tutte le premesse sono vere, senza che lo sia anche la conclusione.

Capitolo 2 Funzioni di verità. O no?

Che le regole di validità siano innate nell'uomo o meno, tutti possediamo un'intuizione abbastanza spiccata quan­ do si tratta di decidere sulla validità o meno delle varie inferenze. Per esempio, è difficile che qualcuno contesti la vali­ dità dell'inferenza "È una donna e un'impiegata di banca, quindi è un'impiegata di banca", o la mancanza di validità dell'inferenza "È un carpentiere, quindi è un carpentiere e gioca a baseball". La nostra intuizione, tuttavia, a volte ci può mettere nei guai. Che cosa direste della seguente inferenza (con le due premesse al di sopra della linea e la conclusione in basso) ? La regina è ricca. La regina non è ricca. I maiali possono volare. Certamente non sembra valida. Le disponibilità econo­ miche della regina, ingenti o ridotte che siano, parrebbe­ ro non avere alcuna attinenza con le capacità aviatorie dei maiali. Ma che dire delle prossime due inferenze? La regina è ricca. La regina è ricca o i maiali possono volare.

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La regina è ricca o i maiali possono volare. La regina non è ricca. I maiali possono volare. La prima sembra valida. Consideriamo la sua conclusione: i logici definiscono disgiunzione questo tipo di frase, e le clausole che la compongono tramite "o" sono chiamate disgiunti. Ora, cosa occorre affinché una disgiunzione sia vera? Semplicemente, che uno dei due disgiunti sia vero . Pertanto, in ogni situazione in cui la premessa è vera, anche la conclusione è vera. La seconda inferenza sembra pure valida. Se l'una o l'altra di due frasi è vera, e una delle due non lo è, deve essere vera l'altra. Il problema, a questo punto, è che mettendo insieme queste due inferenze apparentemente valide, otteniamo un'inferenza apparentemente non valida, del tipo: La regina è ricca. La regina è ricca o i maiali possono volare.

La regina non è ricca.

I maiali possono volare. C'è qualcosa che non va: concatenare in questo modo in­ ferenze valide non può produrre un'inferenza scorretta. Se tutte le premesse sono vere in qualsiasi situazione, allora devono essere vere le loro conclusioni, e poi anche le con­ clusioni che da quelle seguono; e cosÌ via, fino a raggiunge­ re la conclusione finale. Cosa è andato storto? Volendo fornire una risposta ortodossa a questa doman­ da, concentriamoci un po' meglio sui dettagli. Per comin­ ciare, indichiamo con m la proposizione "I maiali possono volare" e con r la proposizione "La regina è ricca". Questo ci fa risparmiare spazio, ma non solo: se ci pensate un atti-

Funzioni di verità. O no?

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mo, noterete che le due particolari proposizioni utilizzate negli esempi precedenti non hanno molto a che fare con l'assetto generale che stiamo analizzando, tanto che avrem­ mo potuto allestire tutto l'impianto usando una qualunque coppia di proposizioni. In altre parole, possiamo ignorare il contenuto di ognuna delle frasi, ed è quello che facciamo scrivendo le proposizioni sotto forma di singole lettere. La proposizione "La regina è ricca o i maiali possono volare" diventa quindi " r o m" . I logici scrivono r v m. E la frase "La regina non è ricca"? Riscriviamola come "Non si dà il caso che la regina sia ricca" , spingendo la particella negativa all'inizio della proposizione. In questo modo di­ venta "Non si dà il caso che r" . I logici spesso scrivono "" r e definiscono tale espressione negazione di r. Già che ci siamo, come si può trattare la proposizione "La regina è ricca e i maiali possono volare" , ovvero " r e m"? I logici spesso scri­ vono r & m, e definiscono tale espressione congiunzione di r e m, che sono detti congiunti. Dopo avere allestito questo tipo di impianto, possiamo scrivere come segue la catena di inferenze che abbiamo visto: r rv m

"" r m

Cosa si può dire riguardo a questa inferenza? Le proposi­ zioni possono essere vere e possono essere false. Usiamo V per indicare la verità e F per indicare la falsità, termini che vengono spesso chiamati valori di verità secondo la termino­ logia del matematico e filosofo tedesco Gottlob Frege, uno dei fondatori della logica moderna. Data una non meglio specificata proposizione a, che relazione esiste tra il valore di verità di a e quello della sua negazione ""a? La risposta

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più naturale è che se uno è vero, l'altro è falso e viceversa. CosÌ, se la proposizione "La regina è ricca" è vera, "La re­ gina non è ricca" è falsa, e viceversa. Possiamo prendeme nota nel modo seguente: 'a ha valore V se e solo se a ha valore F. 'a ha valore F se e solo se a ha valore V. Tali condizioni sono definite dai logici condizioni di verità per la negazione. Se ammettiamo che ogni proposizione sia o vera o falsa (e che non possa assumere entrambi i valori contemporaneamente), possiamo rappresentare le condi­ zioni nella seguente tabella, che i logici chiamano tavola di verità: a

'a

V

F

F

V

Quando a assume uno dei valori di verità presenti all'inter­ no della sua colonna, 'a assume il valore corrispondente a destra. Cosa accade con la disgiunzione v? Come già osservato, l'assunzione naturale è che una disgiunzione a v b è vera quando una proposizione tra a e b (o magari entrambe) è vera, e falsa nel caso contrario. Possiamo prendeme nota tramite le condizioni di verità per la disgiunzione: a V b ha valore V se e solo se almeno una tra a e b ha va­ lore V. a v b ha valore F se e solo se a e b hanno entrambe valore F.

Funzioni di verità. O no?

15

2 Gottlob Frege (18 4 8-192 5 ) , uno dei fondatori della logica moderna (foto: AKG Londra) .

Logica

r6

Queste condizioni possono essere rappresentate con la se­ guente tavola di verità: a

h

avh

V

V

V

V

F

V

F

V

V

F

F

F

Ogni riga della tabella - tranne la prima, che funge da inte­ stazione - riporta una possibile combinazione dei valori di a (prima colonna) e h (seconda colonna) . La tabella è compo­ sta da quattro righe perché sono possibili quattro combina­ zioni. Per ogni combinazione il corrispondente valore di a v h è riportato a destra (terza colonna) . Ancora una volta, trovandoci in argomento possiamo chiederci: qual è la relazione esistente tra i valori di veri­ tà di a e h, e quelli di a & h? L'assunzione naturale è che a & h è vera quando a e h sono entrambe vere, e falsa nel caso contrario. Così, per esempio, la proposizione "John ha trentacinque anni e ha i capelli castani" è vera se e solo se ''John ha trentacinque anni" e ''John ha i capelli castani" sono entrambe vere. Possiamo prenderne nota tramite le condizioni di verità per la congiunzione: a & h ha valore V se e solo se a e h hanno entrambe va­ lore V. a & h ha valore F se e solo se almeno una tra a e h ha valore F.

Funzioni di verità. O no?

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Queste condizioni possono essere rappresentate con la se­ guente tavola di verità: a

b

a&b

V

V

V

V

F

F

F

V

F

F

F

F

Ora, che rapporto ha tutto questo con il problema dal quale siamo partiti? Ritorniamo alla domanda posta alla fine del capitolo precedente: cos'è una situazione? È naturale pen­ sare che una situazione, qualunque cosa sia, determini un valore di verità per ogni proposizione. Per esempio, in una particolare situazione potrebbe es­ sere vero che la regina sia ricca, e risultare falso che i maiali possano volare. In un'altra situazione potrebbe essere falso che la regina sia ricca, e vero che i maiali possano volare (ma non dimentichiamo che queste situazioni sono pura­ mente ipotetiche!) . In altre parole, una situazione determi­ na che ogni proposizione di interesse abbia valore V o F. Le proposizioni qui considerate non contengono occorren­ ze di "e", "o", "non". In generale, date le informazioni di base riguardanti una situazione, i valori di verità delle proposizioni che in essa sono coinvolte possono essere ricavati usando le tavole di verità. Per esempio, supponiamo di avere una situazione come la seguente:

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m: V r:F 5: V 5 potrebbe essere la proposizione " Il succo di rabarbaro è nutriente", e "m: V' significa che a m è assegnato il valore di verità V. Consideriamo, dunque, m & ( '5 V r): qual è il suo valore di verità? Lo ricaviamo esattamente nello stesso modo in cui potremmo ricavare il valore di 3 x (-6 + 2) usando tavole di moltiplicazione e addizione. Il valore di verità di 5 è V. Quindi la tavola di verità definita per ' ci dice che il valore di verità di '5 è F. Poiché il valore di r è F, la tavola di verità definita per v ci dice che il valore di '5 V r è F. Poiché il valore di verità di m è V, la tavola di verità definita per & ci dice che il valore di m & ('5 V r) è F. Mediante procedure sequenziali di questo tipo, possiamo ricavare il valore di verità di qualsiasi formula contenente occorrenze di &, v, '. Occorre qui ricordare che un'inferenza è valida purché non ci siano situazioni che rendano tutte le premesse vere e la conclusione falsa (ne abbiamo parlato nel capitolo prece­ dente) . Ovvero, l'inferenza è valida se non è possibile che i valori V e F, assegnati alle proposizioni di interesse, de­ terminino premesse tutte con valore V e conclusione con valore F. Consideriamo, per esempio, l'inferenza r / r v m in cui ci siamo già imbattuti. Le proposizioni in questione sono r e m. Ci sono quattro combinazioni di valori di ve­ rità, e per ciascuna di queste possiamo ricavare i valori di verità per la premessa e la conclusione. L'esito di quest'analisi può essere rappresentato nel modo seguente:

Funzioni di verità. O no?

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r

m

r

rV m

V

V

V

V

V

F

V

V

F

V

F

V

F

F

F

F

Le prime due colonne forniscono tutte le possibili combi­ nazioni dei valori di verità per r e m. Le ultime due colonne forniscono i corrispondenti valori di verità per la premessa e la conclusione. La terza colonna è uguale alla prima: è un caso legato a questo particolare esempio, ed è dovuto al fatto che la premessa coincide con una delle proposizioni rilevanti. La quarta colonna può essere ricavata dalla tavola di verità della disgiunzione. Sulla base di queste informazioni, possiamo osservare che l'inferenza è valida: non ci sono righe in cui la premes­ sa r è vera e la conclusione r v m è falsa. Cosa possiamo dire riguardo all'inferenza r v m, 'r / m? Procedendo in maniera analoga, otteniamo: r

m

rV m

'r

m

V

V

V

F

V

V

F

V

F

F

F

V

V

V

V

F

F

F

V

F

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Questa volta le colonne sono cinque, poiché abbiamo due premesse. I valori di verità delle premesse possono essere ricavati dalle tavole di verità della disgiunzione e della ne­ gazione. Anche in questo caso non ci sono righe in cui entrambe le premesse sono vere e la conclusione è falsa, pertanto l'inferenza è valida. Ritorniamo alla prima inferenza citata a inizio capitolo, r, or / m. Procedendo come prima otteniamo: r

m

r

or

m

V

V

V

F

V

V

F

V

F

F

F

V

F

V

V

F

F

F

V

F

Ancora una volta l'inferenza è valida, e ora possiamo capi­ re perché. Non ci sono righe in cui entrambe le premesse sono vere e la conclusione è falsa. In effetti, non ci sono righe in cui entrambe le premesse sono vere: il valore di verità della conclusione, quindi, non ha alcuna importanza! Per descrivere questa situazione i logici a volte parlano di inferenza banalmente valida, proprio perché le premesse non possono mai essere contemporaneamente vere. Siamo cosÌ giunti a una soluzione del problema da cui siamo partiti. In base a quanto detto fin qui, le nostre intu­ izioni iniziali in merito a questa inferenza erano sbagliate. Dopo tutto, le intuizioni della gente possono spesso rivelar­ si fuorvianti. A tutti sembra ovvio che la Terra sia immo­ bile, almeno finché non scoprono, frequentando un corso

Funzioni di verità. O no?

2I

di fisica, che il nostro pianeta sfreccia letteralmente nello spazio. Possiamo perfino fornire una spiegazione del perché le nostre intuizioni logiche si rivelano sbagliate. La maggior parte delle inferenze che dobbiamo affrontare nella vita pratica non sono banali. Le nostre intuizioni si sviluppano in un contesto di questo tipo, e non valgono sempre, pro­ prio come l'abitudine che sviluppiamo imparando a cam­ minare (per esempio, procedere senza inclinarsi da un lato) non sempre risulta efficace in altri contesti (per esempio, quando si impara ad andare in motocicletta) . Torneremo su questi argomenti più avanti. Terminiamo questo capitolo dando una rapida occhiata all'impianto che abbiamo utilizzato per verificarne l'adeguatezza. Le cose non sono così semplici e lineari come ci si potrebbe augu­ rare. Si è detto che il valore di verità di una proposizione ""a è completamente determinato dal valore di verità della proposizione a. Allo stesso modo, i valori di verità di a v b e a & b sono completamente determinati dai valori di verità di a e b. I logici definiscono funzioni di verità le operazioni mes­ se in atto da questo tipo di connettivi. Tuttavia, ci sono buone ragioni per supporre che i connettivi "o" ed "e", quando vengono utilizzati nella nostra lingua, non rap­ presentano funzioni di verità, o almeno non sempre. Per esempio, secondo la tavola di verità definita per &, " a e b" ha sempre lo stesso valore di verità di " b e a" . Ovvero, le due proposizioni sono entrambe vere se a e b sono entram­ be vere, e false nel caso contrario. Ma consideriamo queste propOSIZIOnI: John ha battuto la testa ed è caduto. 2. John è caduto e ha battuto la testa. I.

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La prima frase afferma che John ha battuto la testa e dunque è caduto. La seconda afferma che John è caduto e dunque ha battuto la testa. Chiaramente, la prima potrebbe essere vera e la seconda falsa, e viceversa. Dunque notiamo che non soltanto i valori di verità dei congiunti sono importanti, ma anche la relazione di causa­ lità che li unisce. Problemi simili affliggono il connettivo "o". Poco fa ab­ biamo visto come la proposizione " a o b" sia vera se una tra a e b è vera. Ma supponiamo che un amico ci dica: o

venite adesso o saremo in ritardo.

A questo punto ci affretteremo per arrivare il prima possibi­ le. In base alla tavola di verità definita per v, la disgiunzione è vera. Ma supponiamo che il nostro amico ci abbia preso in giro: saremmo anche potuti partire mezzora dopo e sa­ remmo ugualmente arrivati in tempo. In queste circostanze diremmo senz' altro che il nostro amico ha mentito: quello che ha detto era falso. Ancora una volta, l'importanza non ricade banalmente sui valori di verità dei disgiunti, ma sull' esistenza di un cer­ to tipo di connessione tra questi. Vi lascio a riflettere su questi argomenti. Il materiale che abbiamo esaminato ci fornisce almeno una descrizione ope­ rativa in merito al funzionamento di alcuni impianti di ra­ gionamento logico. Faremo ricorso a quanto abbiamo detto qui anche nei capitoli successivi, a meno che gli argomenti da trattare non richiedano esplicitamente di non tenerne conto (a volte ca­ piterà anche questo) . L'impianto analizzato riguarda solo alcuni tipi di infe­ renze, ma ne esistono molte altre. Siamo appena all'inizio .

Funzioni di verità. O no?

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----- --_ . __ ._---_.

Concetti princi pali del capitolo •

In una data situazione, a ogni proposizione di interesse è assegnato un unico valore di verità (V o F). ""'a

è V se e solo se



a V

b è V se e solo se almeno una tra



a

a

è F.

& b è V se e solo se

a

a

e b è V.

e b sono entrambe V.

---- ------ _._._----_._-_._-----

Capitolo 3 Nomi e quantificatori: niente è pur sempre qualcosa?

Le inferenze di cui ci siamo occupati nel capitolo prece­ dente vedevano coinvolte locuzioni del tipo "o" e "non si dà il caso che", parole che congiungono o addiziona­ no proposizioni complete per creare nuove proposizioni complete. Tuttavia esistono molte inferenze che sembrano funzionare in modo piuttosto diverso . Consideriamo per esempio questa inferenza: Marcus mi ha dato un libro . Qualcuno mi ha dato un libro. N é la premessa, né la conclusione possono scomporsi in parti che siano proposizioni complete. Se questa inferenza è valida lo si deve a qualcosa che avviene all'interno di una singola proposizione completa. I testi di grammatica tradizionali insegnano che le più semplici proposizioni complete sono formate da un soggetto e un predicato. Consideriamo questi esempi: I . Marcus ha visto l'elefante. 2. Annika si è addormentata. 3 . Qualcuno mi ha colpito . 4. Nessuno è venuto alla mia festa.

Logica

26

In tutti i casi la prima parola è il soggetto della proposizio­ ne: indica a chi si riferisce la proposizione. La parte restante è il predicato: indica ciò che si riferisce al soggetto. Quan­ do è vera una proposizione di questo genere? Consideriamo il secondo esempio . La proposizione è vera se l'oggetto a cui si riferisce il soggetto, cioè Annika, possiede la proprietà espressa dal predicato, ovvero l'essersi addormentato . Benissimo, ma a cosa si riferisce il soggetto della propo­ sizione 3? Si parla della persona che mi ha colpito? Potreb­ be anche darsi che nessuno mi abbia colpito, quindi non è detto che questa proposizione sia vera. Con la proposizione 4 ci troviamo di fronte a un caso ancora peggiore: a chi si fa riferimento con la parola "nessuno"? In Attraverso lo spec­ chio, subito prima di incontrare il Leone e l'Unicorno, Ali­ ce si imbatte nel Re Bianco, che è in attesa di un messagge­ ro . (Per qualche motivo il messaggero, quando finalmente salta fuori, assomiglia in modo sconcertante a un coniglio.) Ecco il dialogo che si svolge tra il Re e Alice: «Guarda un po' lungo la strada, e dimmi se vedi almeno . . . [un messaggero]». «Sulla strada . .. mi par di vedere .. . mah!. . . nessuno!» disse Alice. «L'avessi io una vista così acuta» commentò il Re con grande

calore. «Riuscire a vedere Nessuno! E a questa distanza, poi!

È

già tanto se riesco a vedere le persone vere, con questa

luce!».

Qui Carroll inserisce un altro dei suoi scherzi logici. Quan­ do Alice afferma che lungo la strada non scorge "nessuno", non sta dicendo di vedere una persona, né reale né im­ maginaria. "Nessuno" non si riferisce a un individuo, né a niente altro.

Nomi e quantificatori: niente è pur sempre qualcosa?

27

28

Logica

Parole come "nessuno", "qualcuno" e "tutti" sono de­ finite quantificatori dai logici moderni, e vengono distinte dai nomi come "Marcus" e "Annika". Sebbene i quanti­ ficatori, al pari dei nomi, possano rappresentare i soggetti grammaticali delle proposizioni, il loro impiego avviene in modo completamente diverso. Dunque come funzionano i quantificatori ? Ecco una tipica risposta moderna. Una certa situazione si presenta con il suo corredo di oggetti. Nel nostro caso , l'insieme degli oggetti rilevanti coincide con quello di tut­ te le persone. I nomi che ricorrono nei ragionamenti che portiamo avanti in merito alla situazione in esame fanno riferimento a ciascuno degli oggetti nell'insieme. CosÌ, se scriviamo m per "Marcus", m fa riferimento a uno degli oggetti. E se scriviamo S per "è stanco", allora all'interno della nostra situazione la proposizione mS è vera se e solo se l'oggetto a cui ci si riferisce tramite m possiede la proprietà espressa da S. In base a un meccanismo perverso tutto loro, i logici di solito invertono l'ordine e scrivono Sm anziché mS, ma si tratta semplicemente di una convenzione. Ora consideriamo la proposizione "Qualcuno è stanco". È vera se e solo se all'interno della collezione di oggetti c'è qualche oggetto che è stanco; cioè, qualche oggetto nella collezione, che chiamiamo x, è tale che x è stanco. Indi­ chiamo " Qualche oggetto, x, è tale che" con 3 x. Possia­ mo quindi riscrivere la proposizione come " 3 x x è stanco", oppure, ricordando che stiamo indicando "è stanco" con S, come 3x xS. I logici a volte fanno riferimento a 3x con l'espressione quantificatore particolareI• [ L'autore usa questa espressione al posto di quantificatore esistenziale, molto più diffusa sia in italiano sia in inglese. L'unico riferimento a questa distinzione compare a p. 1 3 6. Si è tuttavia scelto di conservare questa definizione, piuttosto

Nomi e quantificatori: niente è pur sempre qualcosa?

29

Che cosa possiamo dire, invece, di "Tutti sono stanchi"? Questa proposizione è vera in una situazione se, all'interno della collezione di oggetti rilevanti, ogni oggetto è stanco. Ovvero, ogni oggetto, x, nella collezione è tale che x è stanco . Se indichiamo " Ogni oggetto, x, è tale che" con V x, allora possiamo riscrivere la frase come V x xS. I logici sono soliti fare riferimento a V x con l'espressione quantifi­ catore universale. È facile ormai indovinare come intendere "Nessuno è stanco". Questa proposizione significa semplicemente che non c'è un oggetto, x, tra quelli rilevanti, tale che x è stan­ co. Potremmo adottare un simbolo speciale per indicare "Nessun oggetto, x, è tale che", ma di fatto i logici nor­ malmente non si danno questo tipo di fastidio. In effetti, dire che nessuno è stanco equivale a dire che non si dà il caso che qualcuno sia stanco . Quindi, possiamo riscrivere la proposizione come ...,3 x xS. Questa analisi dei quantificatori ci mostra come il loro funzionamento sia diverso rispetto a quello dei nomi. Ne è prova, in primo luogo, il fatto che "Marcus è stanco" e "Qualcuno è stanco" si scrivono in modo molto diverso, rispettivamente come mS e 3 x xS. Ci accorgiamo, inoltre,

che ricorrere alla terminologia predominante in letteratura, per valorizzare la peculiare posizione dell'autore nell'ambito delle ricerche logiche contempora­ nee. Collocandosi nella prospettiva logico-filosofica di pensatori come Alexius Meinong (18 5 3 -1920) e Richard Routley (193 5 -1996), l'autore aderisce alla dottrina del noneismo (o nientismo), che ammette oggetti di cui si può parlare, e quindi quantificare, indipendentemente dalla loro effettiva esistenza (da cui il rifiuto dell'espressione "quantificatore esistenziale", in questo senso troppo caratterizzante). L'argomento relativo al quantificatore particolare è trattato in dettaglio dall'autore in alcune pubblicazioni scientifiche. Il lettore interessato può fare riferimento, per esempio, a Priest, G. (2007), How the Particular Quan­ tifier Became Existentially Loaded Behind our Backs, Soochow Journal of Philo­ sophical Studies, n. I, PP.197-21 3 . [N.d.T.]

Logica

30

di come possano essere fuorvianti alcune forme gramma­ ticali all'apparenza semplici. Non tutti i soggetti gramma­ ticali sono dello stesso tipo. La nostra argomentazione, tra l'altro, mette in luce la validità dell'inferenza da cui siamo partiti. Indichiamo "mi ha dato il libro" con D, e l'inferen­ za diventa: mD 3 x xD È chiaro che se, in qualche situazione, l'oggetto cui ci si ri­ ferisce tramite il nome m mi ha dato il libro, allora qualche oggetto tra quelli rilevanti mi ha dato il libro . Al contrario, l'inferenza del Re Bianco procede dal fatto che nessuno è stato visto da Alice e giunge alla conclusione che lei abbia visto qualcuno (cioè Nessuno) . Se indichiamo "è visto da Alice" con A , allora l'inferenza del Re diventa:

..., 3 x xA 3 x xA Questo è chiaramente sbagliato: se non ci sono oggetti tra quelli rilevanti che siano stati visti da Alice, ovviamente ri­ sulta non vero che c'è qualche oggetto tra quelli rilevanti che sia stato visto dalla bambina. Qualcuno potrebbe pensare che si stia facendo tanto ru­ more per nulla; in fin dei conti, è solo un modo per rovi­ nare uno scherzo simpatico . In realtà l'argomento andrebbe preso ben più seriamente, poiché i quantificatori giocano un ruolo chiave in molti importanti ragionamenti mate­ matici e filosofici. A tal proposito si può considerare un esempio ben noto in filosofia. È naturale pensare che nulla accada senza una spiegazione: la gente non si ammala senza

Nomi e quantifìcatori: nie nte è pur se mpre qualcosa?

3I

motivo, o le auto non restano in panne senza che si verifi­ chi un guasto . Tutto, quindi, ha una causa. Ma quale po­ trebbe essere la causa di tutto? Ovviamente non può essere niente di fisico, come una persona, né può essere qualcosa di simile al Big Bang delle teorie cosmologiche. Cose di questo tipo devono pure avere una causa. Pertanto si deve ricorrere a qualcosa di metafisico, e Dio è il candidato più scontato . Questa è una versione dell'argomento in favore dell'esi­ stenza di Dio, spesso chiamata argomento cosmologico. Esisto­ no diversi modi per sollevare obiezioni a questo argomen­ to, ma alla sua base, di fatto, c ' è un'enorme fallacia di tipo logico . La proposizione "Tutto ha una causa" è ambigua. Può significare che tutto ciò che accade ha una qualche causa: ovvero, per ogni x esiste un y tale che x è causato da y. Oppure può significare che c'è qualcosa che è causa di tutto: ovvero, c'è un y tale che per ogni x, x è causato da y. Supponiamo di pensare al dominio dei nostri oggetti rilevanti composto da cause ed effetti, e indichiamo " x è causato da y" con xCy . Possiamo dunque distinguere i due significati precedenti scrivendo: :3y xCy 2. :3y 'v' x xCy I.

'v' x

Ora, queste proposizioni non sono logicamente equivalen­ ti. La prima segue dalla seconda: se c'è una cosa che è causa di tutto, allora di sicuro tutto ciò che accade ha una qualche causa. Ma dal fatto che tutto ha una qualche causa non se­ gue che c'è una stessa cosa che è causa di tutto. Per convin­ cersene, basta confrontare il ragionamento con il seguente: tutti hanno una madre; non segue che ci sia qualcuno che è madre di tutti.

32

Logica

Questa versione dell'argomento cosmologico fa leva su tale ambiguità. Quanto stabilito in precedenza parlando di ma­ lattie e automobili fa riferimento alla proposizione I . Ma il ragionamento procede chiedendosi quale sia questa causa e assumendo che si sia stabilita la proposizione 2. Si osservi che questo passaggio è celato dal fatto che in italiano "Tut­ to ha una causa" trova corrispondenza sia nella proposizio­ ne I sia nella 2. È facile verificare, inoltre, che l'ambiguità sparisce se i quantificatori sono sostituiti dai nomi. La frase "La radiazione cosmica di fondo è causata dal Big Bang" non è affatto ambigua. Potrebbe darsi che l'incapacità di di­ stinguere tra nomi e quantificatori rappresenti un ulteriore ostacolo alla comprensione dell'ambiguità. Pertanto, una corretta comprensione dei quantificatori è importante, e non solo per la logica. Le parole "qualco­ sa" , "niente" ecc. non incarnano oggetti, ma funzionano in modo completamente diverso . O almeno possono farlo: le cose non sono così semplici. Consideriamo ancora il cosmo . A proposito della sua nascita, i fisici hanno formulato diverse ipotesi nel corso degli anni. Da un lato si potrebbe far risalire infinitamente indietro nel tempo l'esistenza dell'universo (che pertanto non avrebbe mai avuto inizio essendo sempre esistito) ; in alternativa, si potrebbe ammettere che c'è stato un partico­ lare momento in cui l'universo ha avuto origine. Se ci soffermiamo su questa seconda ipotesi, il cosmo dovrebbe avere avuto inizio dal niente, o comunque da niente di fisico, poiché l'universo comprende la totalità de­ gli enti fisici. Ora consideriamo la proposizione " Il cosmo ha avuto origine da nulla" . Sia c il cosmo, e indichiamo "x ha avuto origine da y " con xO y . In base a quanto ab­ biamo appreso sui quantificatori, la proposizione dovrebbe significare -'3 x cO x. Tuttavia, questo non coglie appie-

Nomi e quantifìcatori: niente è pur sempre qualcosa?

33

n o il significato di quanto s i voleva esprimere, tanto che l'espressione appena scritta risulta vera anche per la prima alternativa cosmologica che avevamo preso in considera­ zione, quella in cui il cosmo , estendendosi all'infinito nel passato, non ha proprio avuto un'origine. In particolare, quindi, nella prima ipotesi intendiamo: non si dà il caso che l'universo abbia avuto origine da qualcosa. Quando diciamo che nel secondo tipo di cosmologia l'universo ha avuto ini­ zio da nulla, intendiamo affermare che la sua origine viene dal niente (inteso come stato di inesistenza) . Quindi, niente può essere qualcosa. In fin dei conti, il Re Bianco non aveva tutti i torti. Concetti principali del capitolo •

La proposizione nP è vera in una situazione se l'oggetto cui ci si rife­ risce tramite n possiede all'interno della situazione la proprietà espressa da P.



3x xP è vera in una situazione se e solo se qualche oggetto no della situazione è tale che xP.



x

all'inter­

Vx xP è vera in una situazione se e solo se ogni oggetto all'interno della situazione x è tale che xP.

Capitolo 4 Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

Parlando di soggetti e predicati, è necessario osservare che esiste un certo tipo di locuzione, di cui ancora non abbia­ mo parlato, che può fungere da soggetto delle proposizioni. I logici sono soliti chiamare descrizioni definite locuzioni del genere, o più semplicemente descrizioni, ma teniamo pre­ sente che si tratta di un termine tecnico. Le descrizioni sono espressioni come "il primo uomo sulla Luna" e "il solo manufatto umano presente sulla Terra che sia visibile dallo spazio" . In generale, l e descrizioni hanno l a forma seguente: la cosa che soddisfa una determinata condizione. Per esprimere le descrizioni definite seguiamo il metodo proposto da Ber­ trand Russell, filosofo e matematico britannico tra i fonda­ tori della logica moderna. Riscriviamo "il primo uomo sulla Luna" come "l'og­ getto x tale che x è un uomo e x è stato il primo a sbarcare sulla Luna". Se andiamo a sostituire "l'oggetto x tale che" con IX, la frase diventa "IX(X è un uomo e x è stato il primo a sbarcare sulla Luna) " ; indicando "è un uomo" con U e "il primo a sbarcare sulla Luna" con P, otteniamo dunque: IX(XU & xp) . Una descrizione si può quindi scrivere nella forma IXCx' dove Cx rappresenta una certa condizione contenen­ te occorrenze di x (la piccola x posta come pedice è lì a

Logica

ricordarcelo) I. Fungendo da soggetti, le descrizioni posso­ no essere combinate con i predicati per creare proposizioni complete. Così, se scriviamo S per indicare " è nato negli USA ", al­ lora "l'uomo che per primo è sbarcato sulla Luna è nato negli USA " diventa: /x(xU & xp) S. Scriviamo )J, come ab­ breviazione di /x(xU & xp) (utilizzo una lettera dell'alfabeto greco per ricordare che si tratta in realtà di una descrizione) e la frase diventa )J,S. In modo simile, " Il primo uomo a sbarcare sulla Luna è un uomo ed è stato il primo a sbarcare sulla Luna" diventa )J,U & )J,P. Nei termini della distinzione fatta nel capitolo prece­ dente, le descrizioni sono nomi, non quantificatori . Ovve­ ro, si riferiscono agli oggetti; almeno, ciò avviene se siamo fortunati (torneremo su questo argomento) . Così, la propo­ sizione )J,S, "L'uomo che per primo è sbarcato sulla Luna è nato negli USA", è vera se e solo se la particolare persona cui si riferisce la locuzione )J, possiede la proprietà espressa da S. Ma le descrizioni sono un tipo speciale di nome. Di­ versamente da quelli che siamo soliti chiamare nomi propri (come "Annika" o "Big Bang") , le descrizioni trasmetto­ no informazioni riguardo all' oggetto cui si riferiscono. Per esempio, "l'uomo che per primo è sbarcato sulla Luna" co­ munica che l'oggetto cui ci si riferisce ha le proprietà di essere un uomo e di essere stato il primo a sbarcare sulla Luna. Tutto questo può sembrare ovvio e banale, ma in l In realtà, mediante IX si indica una descrizione definita che esprime "il singolo oggetto X tale che". La specificazione di singolo oggetto (qui non evidenziata dall'autore) è necessaria per la definizione di descrizione definita, né il semplice utilizzo di un articolo determinativo ("l'oggetto x tale che") può dirsi suffi­ ciente, per quanto possa fornire una indicazione. Per esempio, "La balena è un mammifero" non si riferisce a una singola balena, ma a tutte le balene (cfr. Ben­ civenga, E. (198 4), Il primo libro di logica, Bollati Boringhieri, Torino) . [N.d.T.]

Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

4 Bertrand Russell (1872 - 1 970) , tra i fondatori della logica moderna.

3?

Logica

realtà le cose non sono cosÌ semplici. In virtù delle infor­ mazioni che sono in grado di trasmettere, le descrizioni as­ sumono spesso un ruolo centrale in importanti argomenta­ zioni matematiche e filosofiche. Facciamo riferimento a un esempio per apprezzare meglio la complessità legata a que­ sto aspetto . Un altro argomento in favore dell' esistenza di Dio è quello che spesso viene chiamato argomento ontologico. Tra le sue tante versioni, consideriamo la semplice forma riportata di seguito: Dio è l'essere con tutte le perfezioni. Ma l'esistenza è una perfezione. Quindi Dio possiede l'esistenza. In altre parole, Dio esiste. Chi non si è mai imbattuto in questo ragionamento, ne potrà restare alquanto perplesso . Per cominciare, cos'è una perfezione? A grandi linee, una perfezione è qualcosa di simile all'onniscienza (conoscere tutto ciò che si può conoscere) , all'onnipotenza (essere in grado di fare tutto ciò che si può fare) , all'essere moral­ mente perfetti (agire sempre nel miglior modo possibile) . In generale, le perfezioni sono quelle proprietà che tutti vorremmo possedere. Ora, la seconda premessa afferma che 1'esistenza è una perfezione. Perché mai dovrebbe essere cosÌ? In effetti, è presumibile che la ragione alla base di questa premessa sia abbastanza complessa e le sue origini andrebbero rintrac­ ciate nel pensiero di Platone, uno dei pilastri della filosofia dell'antica Grecia, ma fortunatamente possiamo evitare di addentrarci in questo argomento. È possibile, quindi, compilare una lista di proprietà (come l'onniscienza, l'onnipotenza, ecc .) , includere tra queste anche 1' esistenza e indicare con la parola "perfezio-

Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

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ne" una qualsiasi proprietà scelta tra quelle nella lista. Inol­ tre, possiamo assumere che "Dio" sia il sinonimo di una particolare descrizione, ovvero : "1'essere che possiede tutte le perfezioni (cioè, le proprietà all'interno della lista) " . A questo punto, entrambe le premesse dell'argomento onto­ logico sono vere per definizione e non rappresentano più un problema. L'argomento si riduce quindi a una singola battuta: L'oggetto che è onnisciente, onnipotente, moralmente perfetto, . . . ed esiste, esiste E si potrebbe aggiungere che è onnipotente, onnisciente, moralmente perfetto e così via. Sembra indiscutibilmente vero. Per rendere le cose ancora più evidenti, supponiamo di scrivere la lista delle proprietà di Dio come PI , P2 , ... , ptI , dove l'ultima, P", rappresenta l'esistenza. La definizione di "Dio" è: IX (xPr & ... & xPn) che possiamo indicare con y. La nostra singola battuta, quindi, diventa yPr & ... & yP", da cui segue yPII• Questo è una caso particolare di una condizione più generale: ciò che soddisfa una determinata condizione, soddisfa quella medesima condizione. Abbiamo così espresso la formu­ lazione del principio di caratterizzazione, secondo il quale un oggetto possiede quelle proprietà da cui è caratterizzato (in seguito si farà riferimento al principio tramite l'acronimo PC) . La proposizione }LU & }LP, "Il primo uomo a sbarcare sulla Luna è un uomo ed è stato il primo a sbarcare sulla Luna" , è un esempio di applicazione del PC che abbiamo già incontrato. In generale, possiamo ottenere nuove appli­ cazioni del PC ogni volta che, considerata una condizione cx relativa a una descrizione /xcx , sostituiamo a ogni occorrenza di x all'interno della condizione la descrizione /xcx .



Logica

Il PC sembra proprio essere vero per definizione. È natu­ rale che le cose siano in possesso di quelle proprietà dalle quali sono caratterizzate. Purtroppo, in generale il principio è falso: da esso seguono una serie di cose incontestabilmen­ te inesatte. Per cominciare, possiamo utilizzare il PC per dedurre l'esistenza di tutte quelle cose che non esistono davvero . Consideriamo gli interi non negativi: 0, I , 2, 3 . . . Non c'è un numero intero più grande di tutti gli altri, tuttavia usan­ do il PC possiamo dimostrarne l'esistenza. Sia Cx la condi­ zione "x è il più grande numero intero & x esiste" e sia O la descrizione /xcx; il PC ci permette di scrivere "o è il più grande numero intero, e O esiste" . Le assurdità non finisco­ no qui. Consideriamo una persona non sposata, per esem­ pio il papa, e dimostriamo che ha contratto matrimonio. Sia c) a condizione "x ha sposato il papa" e sia O la descri­ zione /xcx; tramite il PC possiamo scrivere "o ha sposato il papa". Quindi qualcuno ha sposato il papa, cioè il papa ha contratto matrimonio. Cosa occorre dire in merito a tutto questo? Ecco una tipica risposta moderna. Consideriamo la descrizione /xcx • Se c'è un unico oggetto che soddisfa la condizione cx all'in­ temo di qualche situazione, allora possiamo dire che la de­ scrizione si riferisce a quell'oggetto . In caso contrario, la descrizione non si riferisce a niente: rappresenta un "nome vuoto" . Così, c ' è un unico x, tale che x è un uomo e x è il primo a essere sbarcato sulla Luna: tale x è Armstrong. Pertanto la descrizione "l'oggetto x tale che x è un uomo e x è il pri­ mo a essere sbarcato sulla Luna" si riferisce ad Armstrong. Analogamente, c'è un unico numero intero non negativo che è più piccolo di tutti gli altri, ossia o. Quindi la de­ scrizione "l'oggetto che è il più piccolo numero intero "

Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

41

denota il valore o. Poiché non esiste il numero intero più grande di tutti , la descrizione "l'oggetto che è il più grande numero intero " non può riferirsi ad alcun valore . Anche la descrizione "la città in Australia che ha più di un milio ­ ne d i abitanti " n o n trova corrispondenza i n un riferimento oggettivo; in questo caso il motivo non è legato al fatto che non esiste una tale città, ma piuttosto che ne esistono divers e . Che attinenza ha tutto questo con i l PC? Ebb ene , se c'è un unico oggetto che soddisfa c)n qualche situazione, allora IXC si riferisce a quell ' o ggetto . Quindi l' istanza del x

PC che riguarda C è vera : IXC è uno degli oggetti - di fat­ x

x

to , l' unico oggetto - che so ddisfa c ' In partic olare , il più x

piccolo numero intero è davvero il più piccolo numero in­ tero ; la città che è la capitale federale dell ' Australia è dav­ vero la capitale federale dell'Australia, e c c . Pertanto , alcune istanze del PC sono valide . Che cosa accade in mancanza di un singolo oggetto che

soddisfi c} Se

n è un nome e P è un predicato , la prop osi­ nP è vera se e solo se c ' è un oggetto cui n si riferisce e che soddisfa la proprietà espressa da P. Quindi , se n non de­ nota alcun oggetto , la proposizione nP deve essere falsa. Se zione

non c'è uno (e uno solo) oggetto che soddisfi C (p er esem­ x

(IX

pio , s e

P

xp) P è

falsa. Come prevedibile, le istanze del PC che rica­

indica "è un cavallo alato ") , la prop osizione

dono sotto queste condizioni p ossono risultare non valide . Ritorniamo ora all' argomento antologico e ricordiamo che in questo caso l 'istanza del PC da prendere in consi­

derazione è y P & . . . & Y p. ' dove y è la descrizione IX (xP , , & . . . & xP.) . Può esserci qualcosa che soddisfi xP, & . . . & xPn oppure n o . Nel primo cas o , si deve trattare di un og-

getto unico (non possono esserci due oggetti onnipotenti ,

altrimenti uno dei due potrebbe imp edire all' altro di agire ,

42

Logica

impedendogli così di essere onnipotente) , quindi y si riferi­ sce a esso, e yP , & . . . & yP" risulta essere vera. Nel secondo caso, y non si riferisce a niente, ogni congiunto y P , & . . . & yP" è falso ed è falsa, di conseguenza, l'intera serie di con­ giunzioni. In altre parole, l'istanza del PC utilizzata nell'ar­ gomento è vera fintantoché Dio esiste, mentre risulta falsa se Dio non esiste. Quindi, se si vuole asserire l'esistenza di Dio, non si può semplicemente invocare questa istanza del PC: significherebbe presupporre ciò che in effetti si vuole dimostrare. I filosofi affermano che un argomento di que­ sto tipo aggira la questione2, cioè dà per scontato esattamente ciò che è in discussione. È evidente che un argomento che aggira la questione non può essere efficace. Questo è quanto per ciò che riguarda l'argomento onto­ logico. Concludiamo il capitolo osservando che quello che si è detto per spiegare le descrizioni non è del tutto esente da problemi. In base alle precedenti considerazioni, se (}p è una proposizione in cui la descrizione () non fa riferimen­ to a nulla, allora tale proposizione è falsa. Ma non sempre tutto ciò sembra essere corretto . Per esempio, possiamo re­ putare vero il fatto che il più potente fra gli antichi dèi gre­ ci veniva chiamato "Zeus", viveva sul Monte Olimpo, era venerato dai greci e così via. Eppure sappiamo che in realtà gli dèi dell'Olimpo non esistono . Stando così le cose, la descrizione "il più potente fra gli antichi dèi greci" non si riferisce a niente. Ma in tal caso dobbiamo ammettere che ci sono proposizioni soggetto/ predicato che risultano vere, nelle quali il soggetto non ha alcun riferimento oggettivo . Una di queste proposizioni è

2 Tale argomento corrisponde a un ragionamento fallace che in logica è noto con il nome di petitio prindpii. [N.d.T.]

Descrizioni ed esistenza: gli antichi greci veneravano Zeus?

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" Il più potente fra gli antichi dèi greci era venerato dai gre­ ci" . In modo tendenzioso, si può affermare che in fin dei conti ci sono verità che riguardano oggetti inesistenti. Concetti principali del capitolo •

/x' p è vera in una situazione se e solo se, in quella situazione, c'è un x unico oggetto, a, che soddisfi ' ed è valida la proposizione aP. x

Capitolo 5 Autoreferenza: di cosa parla questo capitolo?

Spesso le cose paiono semplici poiché si fa riferimento a circostanze normali, ma questo tipo di approccio può risul­ tare ingannevole. Quando consideriamo i casi più insoliti, la semplicità può svanire di colpo. Lo stesso avviene con i meccanismi referenziali. Nel capitolo precedente abbia­ mo osservato che i nomi potrebbero non riferirsi a nulla e, quando ciò accade, capita di trovarsi di fronte a situazioni più complicate del previsto . Ulteriori difficoltà emergo­ no se passiamo a considerare un altro tipo di caso insolito : l'autoreferenza. È un dato di fatto che un nome può riferirsi a qualcosa di cui esso stesso fa parte. Per esempio, se consideriamo la proposizione " Questa proposizione contiene cinque paro­ le" , il nome che funge da soggetto (" questa proposizione") si riferisce all'intera proposizione e contemporaneamente ne fa parte. Qualcosa di simile accade per un insieme di regole che contiene la clausola " Questo regolamento può essere modificato tramite una decisione a maggioranza del Dipartimento di filosofia", oppure per una persona che pensa "Se sto formulando questo pensiero, allora devo es­ sere cosciente" . I n tutti questi casi la gestione dell'autoreferenza è relati­ vamente agevole. Ci sono altri casi che presentano difficoltà ben maggiori. Per esempio, supponiamo che qualcuno dica:

Logica

Questa frase che sto pronunciando è falsa. Chiamiamo À. tale proposizione: À. è vera o falsa? Ebbene, se è vera si deve verificare quanto vi si afferma, quindi À. è falsa. Ma se è falsa, poiché si verifica esattamente ciò che af­ ferma, risulta vera. In entrambi i casi, sembrerebbe che À. sia contemporaneamente vera e falsa. La proposizione si com­ porta come un nastro di Mobius, una configurazione topo­ logica nella quale, a causa di una torsione, la parte interna è anche esterna e la parte esterna è anche interna: verità è falsità, e falsità è verità. Possiamo supporre, inoltre, che qualcuno dica: Questa frase che sto pronunciando è vera. La proposizione è vera o falsa? Se è vera, risulta vera giac­ ché è proprio ciò che afferma; se è falsa, risulta falsa poiché afferma di essere vera. Di conseguenza, assumere che sia vera o che sia falsa è sempre una scelta coerente. Inoltre, sembra che non esistano altri indizi che aiutino a stabilire quale sia il valore di verità della proposizione. Non si tratta di un valore che non conosciamo o, al limite, che non sia­ mo in grado di conoscere. Piuttosto, sembrerebbe che non ci sia assolutamente niente che possa caratterizzare la pro­ posizione come vera o falsa, lasciando quindi l'impressione che non sia né vera né falsa. Questi paradossi sono molto antichi. Pare che il primo, noto come paradosso del mentitore, sia stato scoperto da Eu­ bulide di Mileto, filosofo dell'antica Grecia. Ne esistono molti altri dello stesso tipo, anche più recenti, e alcuni ri­ vestono un ruolo cruciale in aree fondamentali del ragio­ namento matematico. Ecco un altro esempio . Un insieme è una collezione di oggetti. Si può fare riferimento, per

Autoreferenza: di cosa parla questo capitolo?

47

5 Un nastro di Mi::i b ius. La parte interna è esterna, e la parte esterna è interna. Verità è falsità, e falsità è verità (Photodisc. Foto: Nick Koudis) .

Logica

esempio, all'insieme di tutte le persone, all'insieme di tutti i numeri, all'insieme di tutte le idee astratte. Gli insiemi pos­ sono essere a loro volta membri di altri insiemi: l'insieme di tutte le persone in una stanza è un insieme, ed è quin­ di membro dell'insieme di tutti gli insiemi. Alcuni insie­ mi possono essere membri perfino di se stessi. L'insieme di tutti gli oggetti di cui si parla in questa pagina è un oggetto di cui si parla in questa pagina 00 abbiamo appena citato in questa pagina) , e quindi è un membro di se stesso. Anche l'insieme di tutti gli insiemi, essendo esso stesso un insie­ me, è un membro di se stesso . Alcuni altri insiemi, invece, di certo non possono essere membri di se stessi: l'insieme di tutte le persone non è una persona, e quindi non è un membro dell'insieme di tutte le persone. Ora, consideriamo l'insieme di tutti gli insiemi che non sono membri di se stessi e indichiamolo con R. L'insieme R è o no membro di se stesso? Se è membro di se stesso, allora è uno di quegli oggetti che non sono membri di se stessi, pertanto non è membro di se stesso . D'altra parte, se non è membro di se stesso, ricade nella categoria degli insiemi che non sono membri di se stessi, pertanto è membro di se stesso. Sembrerebbe che di R si possa dire contemporanea­ mente che sia e non sia membro di se stesso . Questo paradosso è stato scoperto da Bertrand Russell (con il quale abbiamo già fatto conoscenza nel capitolo pre­ cedente) , da qui il nome paradosso di Russell. Come nel caso del paradosso del mentitore, anche questo ha un suo ge­ mello. Che cosa si può dire, infatti, dell'insieme di tutti gli insiemi che sono membri di se stessi? È membro di se stesso oppure no? Ebbene, se lo è, risulta esserlo; se non lo è, ri­ sulta non esserlo. Ancora una volta, sembrerebbe che non ci sia niente che possa far pendere l'ago della bilancia da un lato o dall'altro .

Autoriferenza: di cosa parla questo capitolo?

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Esempi di questo tipo hanno l'effetto di mettere in discus­ sione l'assunzione fatta nel Capitolo 2, secondo la quale ogni proposizione può essere o vera o falsa, senza poter as­ sumere entrambi i valori di verità contemporaneamente. "Questa proposizione è falsa" e "R non è un membro di se stesso" sembrano essere sia vere sia false, e le loro proposi­ zioni gemelle sembrano essere né vere né false. Come può essere appianata la questione? Semplicemen­ te, prendendo in considerazione queste altre possibilità in cui ci siamo appena imbattuti. Assumiamo che, in qualsiasi situazione, ogni proposizio­ ne può essere vera ma non falsa, falsa ma non vera, sia vera sia falsa, né vera né falsa. Ricordiamo le condizioni di veri­ tà introdotte nel Capitolo 2 per la negazione, la congiun­ zione e la disgiunzione, che in qualsiasi situazione sono le seguenti: 'a 'a

ha valore V se e solo se a ha valore F. ha valore F se e solo se a ha valore V.

a & b ha valore V se e solo se a e b hanno entrambe va­ lore V. a & b ha valore F se e solo se almeno una tra a e b ha valore F. a V b ha valore V se e solo se almeno una tra a e b ha valore V. a v b ha valore F se e solo se a e b hanno entrambe valore F.

Tramite queste informazioni, è facile determinare i valori di verità delle proposizioni nel contesto del nuovo impian­ to logico introdotto in questo capitolo. Per esempio:

50 •





Logica

Supponiamo che a sia F ma non V. Allora, poiché a è F, ""a è V (per la prima clausola della negazione) . E poiché a non è V, ""a non è F (per la seconda clausola della ne­ gazione) . Quindi, ""a è V ma non F. Supponiamo che a sia V e F, e che b sia solo V. Allora, a e b sono entrambe V, quindi a & b è V (per la prima clausola della congiunzione) . Ma poiché a è F, almeno una tra a e b è F, quindi a & b è F (per la seconda clauso­ la della congiunzione) . Quindi a & b è sia V sia F. Supponiamo che a sia solo V, e che b sia né V né F. Allora, poiché a è V, almeno una tra a e b è V, quindi a v b è V (per la prima clausola della disgiunzione) . Ma poiché a non è F, allora non si dà il caso che a e b siano entrambe F. Quindi a v b non è F (per la seconda clau­ sola della disgiunzione) , pertanto a V b è solo V.

Stando così le cose, che cosa possiamo dire in merito alla validità? Continuiamo a ritenere un argomento valido quando non ci sono situazioni in cui le premesse sono vere senza che lo sia anche la conclusione. Se prima ci limitava­ mo a dire che una situazione è ciò che assegna un valore di verità a ogni proposizione di interesse, adesso specifichia­ mo che a una singola proposizione possono essere assegnati un valore di verità, due valori o nessun valore. Consideriamo, dunque, l'inferenza r / r V m . In qualsia­ si situazione nella quale r ha valore V, le condizioni per V assicurano che anche r V m ha valore V (di fatto, al contem­ po potrebbe avere pure valore F, ma ciò non è rilevante) . Così, se la premessa ha valore V, lo stesso vale per la con­ clusione: l'inferenza è valida. A questo punto, vale la pena tornare a considerare l'infe­ renza da cui siamo partiti nel Capitolo 2: r, ""r / m . Si è già osservato che, in base alle assunzioni fatte in quel capito-

Autoreferenza: di cosa parla questo capitolo ?

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lo, questa inferenza è valida. Le cose cambiano se partiamo dalle nuove assunzioni. Per capirne il motivo, basta consi­ derare una situazione nella quale r ha valore V e F, ma m ha solo valore F. Poiché r è sia V sia F, anche o r ha valore sia V sia F. Quindi, entrambe le premesse sono V (di fatto, sono pure F, ma ciò non è rilevante) , e la conclusione, m , non è V. Tutto questo contribuisce a spiegare il motivo per cui l'inferenza ci si presenta intuitivamente come non valida: sotto le nuove assunzioni, essa non è valida. Ma non finisce qui. Come abbiamo visto nel Capitolo 2, questa inferenza segue da altre due inferenze. Della pri­ ma ( r / r v m) abbiamo già parlato poco fa, dimostrandone la validità. L'altra deve quindi risultare non valida, e in ef­ fetti è proprio così. La seconda inferenza è la seguente: rV m

or

m

Ora consideriamo una situazione in cui r ha valore V e F, e m ha solo valore F. È facile verificare che entrambe le premesse hanno valore V (come pure F), ma la conclusione non ha valore V. Quindi l'inferenza non è valida. N el Capitolo 2 si era detto che questa inferenza sembra intuitivamente valida. Quindi, considerati i nuovi argo­ menti, le nostre intuizioni a riguardo devono essere erra­ te. Si può proporre, tuttavia, una spiegazione per questo malinteso. L'inferenza sembra essere valida perché, se o r è vera, si ha l'impressione che si possa escludere la verità di r, e ciò che resta da considerare, quindi, è solo m . Ma sulla base delle argomentazioni presentate in questo capitolo, la ve-

Logica

rità di or non esclude quella di r: ciò avverrebbe solo nel caso in cui fosse impossibile per una proposizione essere sia vera sia falsa. Quando pensiamo che l'inferenza sia valida, forse non stiamo tenendo conto delle specifiche situazioni che possono dare luogo a casi insoliti, come quelli legati all' autoreferenza. Quale spiegazione possa considerarsi migliore, tra quel­ la portata avanti nel Capitolo 2 e l'alternativa proposta nel presente capitolo, è una scelta lasciata alle riflessioni del le t­ tore. Invece terminiamo osservando che, come sempre, è possibile mettere in discussione alcune delle idee su cui ab­ biamo fondato le nostre ultime argomentazioni. Consideriamo il paradosso del mentitore e la sua ver­ sione gemella, partendo proprio da quest'ultima. La pro­ posizione " Questa proposizione è vera" doveva essere un esempio di qualcosa che non è né vero né falso: supponia­ mo che sia così. Quindi, in particolare, la proposizione non è vera. Ma essa stessa afferma di essere vera. Quindi deve essere falsa, contrariamente alla nostra supposizione iniziale per cui non avrebbe dovuto essere né vera né falsa. Sembra che siamo caduti in contraddizione. Se poi consideriamo la frase del mentitore, " Questa proposizione è falsa", doveva rappresentare un esempio di proposizione sia vera sia falsa. Modifichiamola un p o ' , fa­ cendola diventare "Questa proposizione non è vera": qual è il suo valore di verità? Se è vera, allora deve verificarsi ciò che afferma, ossia che non è vera. Ma se non è vera, allora è in linea con quanto afferma, e quindi è vera. In entrambi i casi, sembrerebbe che la proposizione sia contemporane­ amente vera e non vera, e ci ritroviamo in una contraddi­ zione. Il problema non è tanto che una proposizione possa avere valori V e F, quanto che possa sia essere V, sia non essere V.

Autoriferenza: di cosa parla questo capitolo?

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Sono situazioni di questo tipo che hanno reso l'argomento dell'autoreferenza cosÌ controverso, fin dai tempi di Eubu­ lide. La faccenda, in effetti, è molto ingarbugliata. Concetti principali del capitolo •

Le proposizioni possono essere vere, false, sia vere sia false, né vere né false.

Capitolo 6 N ecessità e p ossibilità: quel che sarà deve essere?

Spesso non ci limitiamo ad affennare che qualcosa è in un certo modo, ma anche che deve essere così: "Dovrà piove­ re" , "Non può non piovere" , "Necessariamente, pioverà". Abbiamo anche molti modi per affennare che qualcosa po­ trebbe essere, pur ammettendo anche il caso che quella tal cosa non si verifichi. Diciamo : "Domani potrebbe piove­ re" , "È possibile che domani pioverà", "Non è impossibi­ le che domani pioverà". Se a è una proposizione qualsiasi, i logici di solito indicano con Da l'affennazione per cui a deve essere vera, e con O a l'affennazione per cui a potreb­ be essere vera. I simboli D e O rappresentano i cosiddetti operatori mo­ dali, così chiamati in quanto esprimono i modi in cui le cose sono vere o false (necessariamente, possibilmente) . In effetti, tra i due operatori vi è una stretta relazione: dire che qualcosa "deve essere" equivale a dire che non è possibile che non sia. Ovvero, Da ha lo stesso significato di ..., O ""a. Analogamente, dire che "è possibile che qualcosa sia" equi­ vale a dire che non deve necessariamente non essere. Ov­ vero, O a ha lo stesso significato di ""D""a. In aggiunta, possiamo esprimere il fatto che è impossibi­ le per a essere vera scrivendo indifferentemente ..., O a (non è possibile che a sia vera) , oppure D""a (a è necessariamente falsa) .

Logica

Diversamente dagli operatori incontrati finora, D e O non costituiscono funzioni di verità. Come si è visto nel Ca­ pitolo 2, quando è noto il valore di verità di a, è possibile determinare il valore di verità di ""a. All o stesso modo, co­ noscendo i valori di verità di a e b, si possono determinare i valori di verità di a v b e di a & b. Non è possibile, invece, inferire il valore di verità di O a dalla semplice conoscenza del valore di verità di a. Per esempio, sia a la proposizione "Domattina mi alzerò prima delle sette" , che di fatto risul­ ta essere falsa. Ciò nonostante, certamente potrebbe essere vera: potrei mettere la sveglia e alzarmi presto. Quindi O a è vera. Al contrario, sia b la proposizione "Balzerò fuori dal letto e comincerò a librarmi due metri sopra il pavimen­ to" , che come a risulta falsa. In questo caso, tuttavia, non c'è possibilità che la proposizione sia vera, poiché quanto esprime è in contrasto con la legge di gravità. Quindi O b è falsa. Si scopre così che il valore di verità di una proposi­ zione a non determina quello di O a: a e b sono entrambe false, ma O a è vera e O b è falsa. Analogamente, il valore di verità di a non determina quello di Da. Sia ora a la proposi­ zione "Domattina mi alzerò prima delle otto", che di fatto risulta vera; ma non necessariamente vera (infàtti potrei an­ che rimanere a letto) . Sia b la proposizione "Se domattina balzerò fuori dal letto, allora mi sarò spostato" , che pure risulta vera. Ma di fatto non c'è modo che questa proposi­ zione possa essere falsa: è necessariamente vera. Quindi, a e b sono entrambe vere, ma solo b è necessariamente vera. Gli operatori modali, dunque, si comportano in modo ben diverso da tutto ciò che abbiamo incontrato finora. Sono operatori importanti e non di rado provocano qual­ che perplessità. Per darne una prova, ecco un argomento sul fatalismo che ci viene proposto da Aristotele, il secondo pilastro della filosofia dell'antica Grecia.

Necessità e possibilità: quel che sarà deve essere?

57

Il fatalismo è quella visione del mondo per cui qualunque cosa accada deve accadere senza che ci sia modo di evitarla. Quando capita un incidente, oppure muore una persona,

6 Aristotele (3 8 4 -3 22 a.c.) , il fondatore della logica formale (Archivi Alinari,

Firenze) .

Logica

non c'è niente che si sarebbe potuto fare per impedirlo . Questo tipo di visione fa presa su molti. Quando qualcosa va storto, è consolante pensare che niente avrebbe potuto far cambiare il corso degli eventi. Nondimeno , il fatalismo ci obbliga ad ammettere la nostra incapacità di intervenire su quanto ci accade, e ciò sembra chiaramente falso. Avrei potuto evitare di rimanere coinvolto in un incidente stra­ dale, semplicemente scegliendo una strada diversa. Ecco come procede, dunque, l'argomento di Aristotele (ignoria­ mo per ora la frase in grassetto, sulla quale ritorneremo in seguito) . Prendiamo una qualunque affermazione: diciamo, a ti­ tolo di esempio, che domani sarò coinvolto in un incidente stradale. Non possiamo ancora dire se quanto affermato sia vero o meno, ma sappiamo che o sarò coinvolto in un in­ cidente oppure no . Supponiamo si verifichi la prima even­ tualità: di fatto , quindi, sarò coinvolto in un incidente stra­ dale. Se dico il vero quando affermo che sarò coinvolto in un incidente , allora non può non darsi il caso che vi sarò coinvolto .

In altre parole deve essere vero che vi sarò coinvolto . D'altro canto, supponiamo che di fatto domani non sarò coinvolto in un incidente stradale. All ora dico il vero quando affermo che non sarò coinvolto in un inciden­ te; stando così le cose, non può non darsi il caso che non vi sarò coinvolto . In altre parole, deve essere vero che non vi sarò coinvolto. Quale delle due eventualità alla fine accada, dunque, deve accadere. Questo è fatalismo. Cosa si può dire in merito a tutto ciò? Per rispondere a questa domanda, concentriamoci su una tipica interpre­ tazione moderna degli operatori modali. Supponiamo che a ogni situazione, s, sia associato un insieme di possibilità, cioè altre situazioni che sono possibili fintantoché s resta valida: per definire un contesto, diciamo di far riferimento

Necessità e possibilità: quel che sarà deve essere?

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alle situazioni che possono verificarsi senza violare le leggi della fisica. Pertanto, se s è la situazione che vivo in questo momento (mi trovo in Australia) , essere a Londra nel giro di una settimana è una situazione possibile; invece non è possibile essere su Alfa Centauri (che dista più di quattro anni luce dalla Terra) . I logici fanno riferimento a queste possibili situazioni parlando di mondi possibili, una colorita espressione che si deve a Leibniz, filosofo e logico del XVII secolo. Ora, dire che O a (si dà possibilmente il caso che a sia vera) è vera in s, equivale a dire che a è vera in almeno uno dei mondi possibili associati a s. Dire che Da (si dà necessa­ riamente il caso che a sia vera) è vera in s, equivale a dire che a è vera in tutti i mondi possibili associati a s. Di qui si nota che D e O non sono funzioni di verità: a e b possono avere gli stessi valori di verità in s (per esempio F), e diffe­ renti valori di verità nei mondi associati a s. Per esempio, a può essere vera in uno di essi (che possiamo chiamare s ') , mentre b può non essere vera in nessuno di essi, dando luogo a una configurazione come quella qui rappresentata:

s

l:l L:J s

,� L:J

60

Logica

Tali argomentazioni ci offrono un meccanismo per analiz­ zare le inferenze sfruttando gli operatori modali. Per esem­ pio, consideriamo l'inferenza: Oa oh O (a & h)

Questa non è un'inferenza valida. Per capirne il motivo, supponiamo che le situazioni associate a 5 siano 5 1 e 52 ' e che i valori di verità siano assegnati come nello schema seguente:

5

@l,p .

h: P

i:l L:J

5

2

a è V in 5 1 ; quindi, O a è vera in 5. Analogamente, h è V in quindi, O h è vera in 5. Ma a & h non è vera in nessuno dei mondi associati; quindi, O (a & h) non è vera in 5. Al contrario, la seguente inferenza è valida:

5 ; 2

Da

oh

o(a & h)

Necessità e possibilità: quel che sarà deve essere?

61

Infatti, se le premesse sono vere in una situazione s, allora a e h sono vere in tutti i mondi associati a s e quindi a & h è vera in tutti quei mondi. Ovvero, o (a & h) è vera in s. Prima di affrontare l'argomento di Aristotele, bisogna parlare brevemente di un altro operatore logico che ancora non abbiamo incontrato. Indichiamo con a � h proposi­ zioni del tipo "se a allora h", che chiamiamo condizionali : saranno l'argomento su cui ci soffermeremo nel prossimo capitolo. Per adesso occorre solo osservare che l'inferenza più importante nella quale i condizionali si trovano coin­ volti è la seguente: a� h h

a

Per esempio: "Se si allena regolarmente, allora è in forma. Si allena regolarmente; quindi è in forma". I logici moderni di solito chiamano questa inferenza con il nome che le è stato attribuito dai logici medievali: modus ponens. La tradu­ zione letterale di questa espressione è "il modo del postula­ re" (ma non chiedete ulteriori spiegazioni) . Ora, per affrontare l'argomento di Aristotele è necessa­ rio soffermarsi sui condizionali che hanno la forma: Se a allora non può non darsi il caso che h. In effetti, queste proposizioni sono ambigue. Un possibile significato consiste nell'affermare che se a risulta effettiva­ mente vera, allora h è necessariamente vera. Ovvero, se a è vera all'interno della situazione s in esame, allora h è vera in tutte le possibili situazioni associate a s. Questa particolare lettura della proposizione condizionale trova corrisponden­ za nella forma a � oh. Tale proposizione è utilizzata nei

62

Logica

casi in cui vogliamo esprimere frasi come: "Non puoi cam­ biare il passato. Se qualcosa di passato è vero, non può non risultare vero adesso. Non c'è niente che si possa fare per cambiare questo stato di cose: è irrevocabile" . I l secondo significato che si può associare a u n condizio­ nale espresso nella forma "se a allora non può non darsi il caso che h" è abbastanza diverso dal primo. Spesso struttu­ riamo le nostre parole in questo modo per esprimere il fatto che h segue da a. Useremmo una proposizione di questo genere se dovessimo dire: "Se Fred sta per divorziare, allora non può non essere sposato" . Non stiamo dicendo che se Fred sta per divorziare allora il suo matrimonio è irrevo­ cabile. Stiamo piuttosto esprimendo la condizione per cui non si può ottenere un divorzio a meno che non ci si sia (in precedenza) sposati. Non esistono situazioni nelle quali sia presente uno dei due eventi (il divorzio) senza che sia pre­ sente anche l'altro (il matrimonio) . Ossia, o(a � h) è vera. Ora, a � oh e o(a � h) hanno significati alquanto dif­ ferenti e di sicuro la prima proposizione non segue dalla seconda. Il semplice fatto che a � h sia vera in ogni situa­ zione associata a s , non significa che a � oh sia vera in s. Infatti, a potrebbe essere vera in s , senza che lo sia oh: a e h potrebbero non essere contemporaneamente vere in qual­ che mondo associato . Per fare un controesempio più con­ creto: è necessariamente vero che Fred, se sta per ottenere un divorzio, è un uomo sposato, ma di sicuro non è vero che, se Fred sta per ottenere un divorzio, il suo matrimonio sia un fatto necessario (e quindi irrevocabile in tutti i mon­ di possibili) . Per tornare finalmente all'argomento di Aristotele, con­ sideriamo la proposizione che era stata scritta in grassetto : "Se dico il vero quando affermo che sarò coinvolto in un incidente, allora non può non darsi il caso che vi sarò coin-

Necessità e possibilità: quel che sarà deve essere?

volto" . Ritroviamo esattamente la stessa struttura e la stessa ambiguità di cui si stava discutendo in precedenza. A ben guardare, il ragionamento fa leva su questa ambiguità. Se a è la proposizione "Dico il vero quando affermo che sarò coinvolto in un incidente stradale" , e b è la proposizione "sarò coinvolto (in un incidente stradale) " , allora il condi­ zionale scritto in grassetto risulta vero nel senso : I.

o(a � b)

Necessariamente, se dico il vero quando affermo qualcosa, allora si dà il caso di ciò che affermo. Tuttavia ciò che è ne­ cessario stabilire è la verità di: 2 . a � ob

Infatti, il passo successivo del ragionamento consiste pro­ prio nell'inferire ob da a per modus ponens. Ma come abbia­ mo già osservato, la proposizione 2 non segue affatto dalla I , quindi l'argomento di Aristotele non è valido. In aggiun­ ta, l'identico problema si presenta sviluppando il ragiona­ mento nella direzione alternativa, con il condizionale: "Se dico il vero quando affermo che non sarò coinvolto in un incidente, allora non può non darsi il caso che non vi sarò coinvolto" . La nostra replica all'argomento di Aristotele sembra convincente . C ' è però un'altra argomentazione, stretta­ mente correlata alla precedente, alla quale non è altrettanto facile controbattere. Torniamo all'esempio che riguarda la modifica degli eventi passati. Appare evidente che se qual­ che proposizione riguardante il passato è vera, debba esserlo necessariamente anche oggi; ovvero, è impossibile renderla falsa oggi. La battaglia di Hastings è stata combattuta nel

Logica

I 066, e ai giorni nostri non c'è niente che si possa fare per posticiparla al 1 067. Così, se p è una proposizione che ri­ guarda il passato, possiamo scrivere p � Op. Consideriamo ora qualche proposizione che abbia a che fare con il futuro . Ancora una volta, riprendiamo un esem­ pio precedente, quello relativo al mio coinvolgimento in un incidente stradale di domani, e supponiamo che quanto si sta affermando sia vero. Se qualcuno ha pronunciato que­ sta proposizione cento anni fa, quindi, ha parlato in tutta sincerità. Anche ammettendo che nessuno ne abbia effetti­ vamente parlato, se qualcuno lo avesse fatto, avrebbe detto il vero . Così, l'affermazione per cui domani sarò coinvolto in un incidente stradale era vera cento anni fa. Questa è una proposizione (P) che di certo coinvolge un avvenimento del passato, pertanto, in virtù della sua verità, deve esse­ re necessariamente vera (op) . Quindi deve essere necessa­ riamente vero che domani sarò coinvolto in un incidente stradale. Naturalmente, si tratta solo di un esempio : lo stesso ra­ gionamento può essere applicato a qualunque altro acca­ dimento; il che ci porta a concludere che ciò che accade deve accadere. Questo argomento in favore del fatalismo non ricade nello stesso errore (ossia, non fa uso delle stesse argomentazioni non valide) che caratterizzava il preceden­ te. In conclusione, quindi, il fatalismo può dirsi legittimo? Concetti principali del capitolo •





Ogni situazione si accompagna a un insieme di possibili situazioni associate.

Da è vera in una situazione s, se a è vera in ogni situazione associata a s. O a è vera in una situazione s, se a è vera in qualche situazione associata a s.

Capitolo 7 Condizionali: cosa nasconde un se?

In questo capitolo rivolgeremo la nostra attenzione al condizionale, l'operatore logico cui si è accennato som­ mariamente nel capitolo precedente. Ricordiamo che il condizionale è una proposizione del tipo "se a allora c" , che scriviamo nella forma a � c. I logici chiamano a e c rispettivamente l'antecedente e il conseguente del condiziona­ le . Abbiamo anche osservato che una delle inferenze più importanti nelle quali il condizionale è coinvolto si chiama modus ponens e si esprime nella forma a � c, a / c. I condi­ zionali sono fondamentali in molti dei nostri ragionamen­ ti (ne abbiamo già avuto un'idea nel corso del precedente capitolo) . Eppure la loro analisi è tutt'altro che banale. I condizionali sono stati studiati fin dagli albori della logica: un antico commentatore (Callimaco) riporta che un tempo perfino le cornacchie sui tetti gracchiavano sulla natura dei condizionali. Cerchiamo di capire i motivi - o almeno uno dei moti­ vi - per cui i condizionali creano tanto sconcerto. Sapendo che a � c, sembrerebbe che si possa inferire "" (a & ""c) , cioè non può darsi il caso che sia a e non c. Supponiamo, per esempio, che qualcuno ci informi del fatto che se perdiamo l'autobus, arriveremo in ritardo . Da ciò possiamo inferire che perdere l'autobus e non arrivare in ritardo è falso . Al contrario, sapendo che ..., (a & ""c) , sembrerebbe che possia-

66

Logica

mo inferire a � c. Supponiamo, per esempio, che qualcu­ no ci informi del fatto che non è possibile andare al cinema senza spendere soldi, cioè non può darsi il caso in cui si va al cinema e non si spendono soldi. Possiamo inferire che se si va al cinema, si spendono soldi. Spesso "" (a & ""c) è scritto nella forma a ::J c, che pren­ de il nome di condizionale materiale. In questo modo, sem­ brerebbe che a � c e a ::J c significhino la stessa cosa. In particolare, utilizzando l'impianto descritto nel Capitolo 2, devono avere la stessa tavola di verità. Lasciamo al lettore il semplice esercizio di verificare che la tavola di cui stiamo parlando sia la seguente: a

c

a ::J c

V

V

V

V

F

F

F

V

V

F

F

V

Ma c'è qualcosa di strano. La prima e la terza riga della tavola ci dicono che se c è vera in una situazione, lo è an­ che a � c. Non è facile concordare con tale affermazio­ ne. Per esempio, è vero che Canberra è la capitale federale dell' Australia, ma il condizionale "Se Canberra non è la ca­ pitale federale dell' Australia, Canberra è la capitale federale dell' Australia" si direbbe chiaramente falso. Analogamente, la tavola di verità indica anche che se a è falsa (terza e quarta riga) , a � c è vera: ecco un'altra affermazione con cui è difficile concordare. Il condizionale "Se Sidney è la capitale

Condizionali: cosa nasconde un se ?

federale dell'Australia, allora Brisbane è la capitale federale" sembra palesemente falso. Cosa ci sfugge? Questi esempi paiono dimostrare che � non è una fun­ zione di verità: il valore di verità di a � c non è determi­ nato dai valori di verità di a e c. Le proposizioni "Roma è in Francia" e "Pechino è in Francia" sono entrambe false; tuttavia è vero che: Se l'Italia fa parte della Francia, Roma è in Francia. Mentre è falso che: Se l'Italia fa parte della Francia, Pechino è in Francia. Come funzionano, dunque, i condizionali? Possiamo pro­ vare a formulare una risposta facendo riferimento alla strut­ tura dei mondi possibili di cui si è parlato nel precedente capitolo. Consideriamo gli ultimi due condizionali. In ogni possibile situazione nella quale l'Italia fosse diventata parte della Francia, Roma si sarebbe davvero trovata in Francia, ma ciò non avrebbe avuto alcun effetto sulla Cina e quindi Pechino avrebbe continuato a non trovarsi in Francia. Tutto questo lascia intendere che il condizionale a � c è vero in qualche situazione s se e solo se il conseguente c è vero in ognuna delle possibili situazioni associate a s nelle quali l'antecedente a è vero; il condizionale è falso in s se c è falso in qualche possibile situazione associata a s nelle quali a è vero . Quella che abbiamo fornito è una descrizione plausibile di � . Per esempio, riesce a spiegare perché il modus ponens è valido, almeno sulla base di una assunzione, ovvero che si consideri la situazione s come una delle possibili situazioni associate a se stessa. L'assunzione appare ragionevole: qua-

68

Logica

lunque cosa per la quale si dia effettivamente il caso in s è sicu­ ramente possibile. Ora, supponiamo che a e a � c siano vere in qualche situazione s, allora il conseguente c è vero in tutte le situazioni associate a s nelle quali l'antecedente a risulti vero. Essendo s una di queste situazioni, e a vero all'interno di essa, anche c sarà vero, come previsto dal modus ponens. Tornando al ragionamento da cui siamo partiti, possia­ mo ora verificare i casi in cui risulta scorretto . L'inferenza alla base del ragionamento è: o (a & oc)

Questa inferenza non è valida. Per esempio, se a è F in qualche situazione s, ciò è sufficiente a rendere la premessa vera all'interno di s. Tutto questo non ci dice nulla riguar­ do al comportamento di a e c nelle possibili situazioni asso­ ciate a s. Potrebbe tranquillamente accadere che in una di esse, chiamiamola s ', l'antecedente a sia vero, ma non lo sia il conseguente c, come nello schema riportato di seguito:

s

l:l O s'

� O

Condizionali: cosa nasconde un se?

Quindi a � c non è vera in s. Ma che cosa dire a proposito di uno degli esempi considerati in precedenza, quello in cui si diceva che non possiamo andare al cinema senza spen­ dere soldi? In quel caso l'inferenza non era forse sembrata valida? Supponiamo di partire dall'informazione per cui è impossibile andare al cinema e non spendere soldi: tale as­ serzione si può scrivere come -' (c & -'s) . Siamo davvero au­ torizzati a concludere che se andiamo al cinema spendiamo soldi, ovvero c � s? Non necessariamente. Supponiamo che, qualunque cosa accada, abbiamo deci­ so di non andare al cinema, anche nel caso in cui l'ingresso sia gratuito (c'è un programma in TV che è molto più in­ teressante) . Allora sappiamo che non è vero che andiamo al cinema (-'c) , pertanto non è vera la proposizione "an­ diamo al cinema e non spendiamo soldi " , in accordo con l'espressione -' (c & -'s) introdotta in precedenza. È lecito, a questo punto, inferire che se andiamo al cinema spendiamo soldi? Certamente no: potrebbe essere una serata a ingresso gratuito. È importante osservare che di solito ci sono anche altri fattori in gioco in quelle particolari situazioni in cui ap­ prendiamo che la premessa è vera essendone direttamente informati. Quando qualcuno ci fornisce un'informazione del tipo -' (c & -'s) , normalmente non lo fa partendo dal presupposto che -'c sia vero (sapendo che le cose stanno così, di regola verrebbe a mancare il motivo per raccontar­ ci ulteriori dettagli riguardo a quella situazione) . Chi ci ha fornito quell'informazione lo ha fatto basandosi su una con­ nessione che esiste tra c e s: non può essere che c sia vero senza che lo sia anche s; questo è esattamente il requisito necessario affinché il condizionale risulti vero. Quindi, nel caso in cui riceviamo informazioni sulla premessa, è ragio­ nevole inferire c � s; ma non dagli specifici contenuti di



Logica

quanto ci è stato comunicato , bensì per via del fatto che quell'informazione ci è stata comunicata. In effetti, facciamo spesso inferenze corrette di questo tipo senza che ce ne rendiamo conto . Supponiamo, per esempio, di chiedere a qualcuno come riuscire a svolgere una certa operazione al computer, e che ci venga risposto: «C'è un manuale lì sulla mensola» . Inferiamo che si trat­ ta del manuale di un computer: ciò non segue da quanto

7 Saltare alle conclusioni (© John Taylor) .

Condizionali: cosa nasconde un se?

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realmente ci è stato detto , ma quella risposta non avreb­ be alcuna pertinenza se il manuale di cui si parla non fosse un manuale di computer (la gente di solito cerca di essere pertinente al contesto in cui si parla) . Su queste basi, sia­ mo portati a concludere che deve trattarsi di un manuale di computer, partendo dal semplice fatto che ci è stato det­ to quanto ci è stato detto . L'inferenza non è deduttiva: in fin dei conti, quella persona avrebbe anche potuto rispon­ derei in quel modo senza far riferimento a un manuale di computer. Tuttavia è pur sempre un'eccellente inferenza induttiva, di un tipo che viene di solito chiamato implicatura conversazionale. La descrizione dei condizionali che abbiamo preso in esame sembra funzionare bene, almeno fino al punto in cui ci siamo spinti a considerare. Nondimeno , occorre far fronte a diversi problemi. Eccone uno . Consideriamo le se­ guenti inferenze: Se ti rechi a Roma, ti troverai in Italia. Se sei in Italia, sei in Europa. Quindi, se ti rechi a Roma, ti troverai in Europa. Se x è maggiore di I O , allora x è maggiore di 5 . Quindi, se x è maggiore di I O e minore di 1 00, allora è maggiore di 5 .

x

Queste inferenze sembrano perfettamente valide, e tali sono nel contesto della nostra descrizione. Possiamo scrive­ re la prima inferenza come: I.

a� c

Logica

72

Per capire che l'inferenza è valida, supponiamo le premesse vere in qualche situazione s . Allora b è vera in ogni pos­ sibile situazione associata a s in cui a è vera; nello stesso modo, c è vera in ogni situazione associata a s in cui b è vera. Quindi c è vera in ogni situazione in cui a è vera, ov­ vero a � c è vera in s. Possiamo scrivere la seconda inferenza come: 2.

a � c

(a & b)

� c

Per capire che l'inferenza è valida, supponiamo la premessa vera in qualche situazione s . Allora c è vera in ogni possibile situazione associata a s in cui a è vera. Ora, supponiamo che a & b sia vera in una situazione associata a s; quindi a è cer­ tamente vera in quella situazione e di conseguenza è vera anche c. Quindi ( a & b) � c è vera in s . Fin qui tutto bene. I problemi si presentano con infe­ renze che hanno esattamente la stessa struttura delle due precedenti, ma che sembrano essere non valide. Per esem­ pio, supponiamo che siano indette le elezioni del primo ministro con due soli candidati: Smith, l'attuale primo mi­ nistro, e Jones. Ora consideriamo la seguente inferenza: Se Smith muore prima delle elezioni, Jones sarà procla­ mato vincitore. Se Jones vince le elezioni, Smith si riti­ rerà e andrà in pensione. Quindi, se Smith muore prima delle elezioni, si ritirerà e andrà in pensione. È un'inferenza che ha esattamente la stessa struttura dell' esempio I . Tuttavia sembra chiaro che può esistere una situazione nella quale entrambe le premesse siano vere, ma non la conclusione, a meno che non si voglia considerare

Condizionali: cosa nasconde un se?

73

una bizzarra situazione in cui l'amministrazione statale sia in grado di pagare le pensioni nella vita ultraterrena! Consideriamo, inoltre, la seguente inferenza che riguar­ da il suddetto signor Smith: Se Smith salta dalla cima di un precipizio altissimo, mo­ rirà a causa della caduta. Quindi, se Smith salta dalla cima di un precipizio altissimo e indossa un paracadute, morirà a causa della caduta. Questa è un'inferenza che ha la stessa struttura dell'esem­ pio 2. Eppure, sembra chiaro ancora una volta che possono esistere situazioni nelle quali la premessa è vera senza che lo sia la conclusione. Che dire in merito a tale stato di cose? Lasciamo al letto­ re il compito di approfondire questo spunto di riflessione. N onostante i condizionali giochino un ruolo centrale nei nostri meccanismi di ragionamento, rappresentano ancora uno degli argomenti più controversi nello studio della logi­ ca. Se gli uccelli non cianciano più di condizionali, i logici di sicuro lo fanno ancora. Concetti principali del capitolo •

a - b è vera in una situazione s se e solo se b è vera in ogni situazione associata a s in cui a è vera.

Capitolo 8 Il futuro e il passato: il temp o è reale?

Il tempo è qualcosa che tutti noi conosciamo bene. Piani­ fichiamo le nostre azioni nel futuro , ricordiamo i fatti del passato, e a volte riusciamo perfino a goderci il presente. Parte dei nostri tentativi di orientarci nel tempo consiste proprio nel fare inferenze che riguardano il tempo. Per esempio, le due inferenze riportate di seguito sono intuiti­ vamente valide: Sta piovendo . Avrà piovuto .

Sarà vero che ha sempre piovuto. Sta piovendo.

Tutto questo è piuttosto elementare. Eppure, appena si co­ mincia a pensare al tempo si cade nella più totale confusio­ ne. Come disse Sant' Agostino, se nessuno mi chiede cosa sia il tempo, lo so molto bene; ma se qualcuno me lo chie­ de, non lo so più. Una delle cose più enigmatiche riguardo al tempo è che dà l'impressione di scorrere. Il presente sembra spostarsi: prima è oggi, poi è domani e così via. Ma come può il tem­ po modificarsi? Il tempo misura la velocità con cui tutto il resto si modifica. La questione è al centro di diversi problemi, uno dei quali è stato avanzato agli inizi del xx secolo dal filosofo britannico John McTaggart Ellis McTaggart (si chiamava

Logica

proprio così) . Come molti altri filosofi, McTaggart era per­ suaso da un'idea del tempo come qualcosa di irreale, dalla convinzione che, nel supremo ordine delle cose, il tempo non sia altro che un'illusione. Il ragionamento di McTaggart riguardo al tempo può essere spiegato meglio facendo uso di un minimo di nota­ zione simbolica. Consideriamo una proposizione al passa­ to, come " Il sole era splendente" . Possiamo esprimerla in modo equivalente, sebbene meno elegante, scrivendo "Si è dato il caso che il sole è splendente" . Indichiamo " Si è dato il caso che" con P (passato) , allora possiamo scrivere la proposizione come "P il sole è splendente" , che diventa, indicando " Il sole è splendente" con s, semplicemente Ps. In modo analogo, consideriamo una proposizione al futu­ ro, per esempio " Il sole sarà splendente" : possiamo riscri­ verla come " Si darà il caso che il sole è splendente" . Se indichiamo " Si darà il caso che" con F (futuro) , allora la proposizione diventa Fs (stando attenti a non confondere F con il valore di verità F) . P e F sono operatori, come D e ò , che applicati a propo­ sizioni complete creano altre proposizioni complete. Inol­ tre, proprio come D e Ò , non sono funzioni di verità. Le proposizioni "Sono le quattro del pomeriggio" e "Sono le quattro del pomeriggio del 2 agosto 1 999 " sono entrambe vere (nell'istante in cui scrivo); " Saranno le quattro del po­ meriggio" è anche vera (in questo preciso momento) - è un orario che si ripete ogni giorno -, tuttavia " Saranno le quattro del pomeriggio del 2 agosto 1 999 " non è vera. I logici chiamano P e F operatori temporali. Questi possono essere iterati o combinati. Per esempio, possiamo dire " Il sole sarà stato splendente", cioè "Si darà il caso che si è dato il caso che il sole è splendente" : FPs. Oppure possiamo dire " Il sole era stato splendente" , cioè "Si è dato il caso che si è

l/futuro e il passato: il tempo è rea/e?

77

dato il caso che il sole è splendente" : PPs. Per inciso, anche gli operatori modali che abbiamo incontrato nel capitolo precedente possono essere iterati allo stesso modo, sebbene abbiamo sorvolato sulla questione . Non tutte le iterazio­ ni degli operatori temporali producono espressioni efficaci con un linguaggio naturale. Per esempio, non ci sono modi migliori di esprimere FPFs rispetto a uno zoppicante "Si darà il caso che si è dato il caso che il sole sarà splendente" . Tuttavia, l e iterazioni hanno perfettamente senso dal punto di vista grammaticale. Possiamo chiamare le iterazioni di P e F (come FP, PP, FFP) tempi composti. Torniamo adesso a McTaggart, il quale ragionava sul fat­ to che, essendo il passato e il futuro essenziali per il tempo, in assenza di questi il tempo stesso non esisterebbe . Egli af­ fermava che l'anteriorità e la posteriorità sono naturalmente contraddittorie, quindi non c'è niente nella realtà che possa trovare corrispondenza in esse. Diciamo pure che potrebbe essere così, ma perché il passato e il futuro sono contraddit­ tori? Per cominciare, specifichiamo che sono incompatibili: se qualche evento istantaneo è passato, non può essere fu­ turo, e viceversa. Sia e un qualche evento istantaneo. Po­ trebbe trattarsi di qualunque evento, ma supponiamo di far riferimento al momento in cui il primo proiettile attraversò il cuore dello Zar Nicola quando questi venne fucilato du­ rante la Rivoluzione russa. Sia h la proposizione " e si sta verificando" . Dunque abbiamo: · (Ph & Fh) Ma e, come tutti gli eventi, è passato e futuro. A causa dello scorrere del tempo, tutti gli eventi hanno la proprietà di essere futuri (prima che accadano) nonché la proprietà di es­ sere passati (dopo che si sono verificati) :

Logica

Ph & Fh Da cui la contraddizione. È probabile che questo ragionamento non risulti poi così convincente. Un evento non può essere passato e fu­ turo contemporaneamente. L'istante in cui il proiettile ha at­ traversato il cuore dello Zar appartiene al passato e al futu­ ro in momenti diversi. Cominciato come futuro, è divenuto presente per un doloroso istante, per poi farsi passato. Ma adesso - ecco l'astuzia del ragionamento di McTaggart cosa stiamo dicendo a riguardo? Di fatto, stiamo applicando tempi composti a h. Affermiamo che si è dato il caso che l'evento fosse futuro, PFh; poi si è dato il caso che l'even­ to fosse passato, PPh. Anche molti tempi composti, come quelli semplici, sono incompatibili. Per esempio, se si darà il caso che qualche evento sarà futuro, non poteva darsi il caso che era passato : "" (PPh & FFh) Ma proprio come con i tempi semplici, lo scorrere del tem­ po è sufficiente per assicurare che ogni evento abbia anche tutti i tempi composti. Nel passato, Fh; quindi nel lonta­ no passato, FFh. Nel futuro, Ph; quindi nel lontano futuro, PPh: PPh & FFh e si cade ancora in contraddizione. Il lettore accorto replicherà, come in precedenza, che h ha i suoi tempi composti in istanti differenti. Si è dato il caso che FFh; allora, più avanti nel tempo, si è dato il caso che PPh. Ma cosa stiamo affermando? Stiamo applicando

l/futuro

e

il passato: il tempo è rea/e?

79

a h tempi composti più complicati: PFFh e PPPh; possia­ mo ripetere esattamente lo stesso ragionamento partendo da questi. Tali tempi composti non sono tutti compatibili fra loro, ma lo scorrere del tempo assicura che h li possiede tutti. Sarà nuovamente possibile riproporre la replica di pri­ ma, ma essa resterà esposta allo stesso tipo di controreplica. Ogni volta che si cerca di uscire dalla contraddizione con un insieme di tempi, si passa soltanto a descrivere le cose nei termini di altri tempi che sono ugualmente incompati­ bili, ricadendo in contraddizione. Questo è l'argomento di McTaggart contro la realtà del tempo. Che cosa possiamo dire a riguardo? Consideriamo la va­ lidità delle inferenze relative ai tempi, e supponiamo che ogni situazione, 50 ' sia connessa a un insieme di altre situa­ zioni; questa volta non si tratta di situazioni che rappre­ sentano le possibilità associate a 50 (come con gli operatori modali) , ma di situazioni che si collocano anteriormente o posteriormente rispetto a 50 . Possiamo pensare, come ac­ cade spesso, di rappresentare il tempo mediante una retta infinita in entrambe le direzioni (passato e futuro) , con le situazioni che vi trovano collocazione seguendo il classico schema riportato di seguito: 5

o

5

l

5

2

5 ... 3

Ciò che è a sinistra accade prima, ciò che è a destra accade dopo. Come sappiamo, ogni 5 fornisce un valore di verità, V o F, per qualsiasi proposizione priva di operatori tempo­ rali. Cosa accade quando tali operatori sono presenti all'in­ terno delle proposizioni? Ebbene, Pa è vera in una situazio­ ne 5 se e solo se a è vera in qualche situazione a sinistra di 5; Fa è vera in 5 se e solo se a è vera in qualche situazione a destra di 5 .

80

Logica

In questo contesto introduciamo due nuovi operatori tem­ porali: G e H. Il primo operatore può essere letto come "Si darà sempre il caso che", quindi Ga è vera in una situazione 5 se e solo se a è vera in tutte le situazioni a destra di 5 . Il se­ condo operatore può essere letto come "Si è sempre dato il caso che " , quindi Ha è vera in una situazione 5 se e solo se a è vera in tutte le situazioni a sinistra di 5. Gli operatori G e H corrispondono rispettivamente a F e P nello stesso modo in cui D corrisponde a o . Questo impianto è utile per capire perché sono valide le due inferenze con le quali abbiamo aperto il capitolo. Uti­ lizzando gli operatori temporali, queste inferenze possono essere scritte rispettivamente come: P

FHp

FPp

P

La prima inferenza è valida poiché se p (,'Sta piovendo") è vera in qualche situazione 50 ' allora in qualsiasi situazione a destra di 50 ' per esempio 5 1 ' Pp è vera. Ma allora FPp è vera in 5o , trovandosi a sinistra di 5 I . Possiamo raffigurare le cose nel modo seguente: . . .5

-3

5

-2

5

-I

5

o

P

5

I

5

2

5 ... 3

Pp

FPp La seconda inferenza è valida poiché se FHp è vera nella situazione 50 ' allora in qualche situazione a destra di \, per esempio \, Hp è vera. Ma allora in tutte le situazioni a sini­ stra di 52 ' in particolare in 50 ' p è vera:

l/futuro e il passato: il tempo è rea/e? . . .5

-3

5

-2

5

-I

81 5

o

5

I

5

FHp

2

5 ... 3

Hp P

P

P

P

P

Inoltre, alcune combinazioni di tempi sono impossibili, come era prevedibile. Così, se h è una proposizione che ri­ sulta vera solo in una situazione 5o , allora Ph & Fh è falsa in ogni 5. Entrambi i congiunti sono falsi in 50 ; il primo congiunto è falso a sinistra di 50 ; il secondo congiunto è falso alla sua destra. Analogamente, PPh & FFh è falsa in ogni 5 (lascio la verifica al lettore) . Quindi in che modo tutto questo incide sull'argomento di McTaggart? Ricordiamo che l'esito di quel ragionamen­ to era che, potendo associare a h qualunque tempo, non sarà mai possibile evitare le contraddizioni: risolvere una contraddizione a un certo livello di complessità per i tempi composti serve solo a crearne una nuova al livello successi­ vo. La descrizione appena fornita degli operatori temporali, tuttavia, dimostra che ciò è falso. Supponiamo che h sia vera solo in 50 ' allora qualunque affermazione che contenga un tempo composto riguardan­ te h risulta da qualche parte vera. Per esempio, consideriamo FPPFh: essa è vera in 5_ 2 , come mostrato nel diagramma seguente: . . .5

-3

5

-2

5

-I

5

o

5

1

h

5

2

Fh PFh PPFh FPPFh

5 ... 3

'" u

' Oh

..5

N 00

8 Lo spazio non scorre, La persistenza della memoria di Salvador Dali (Foto grafia © The Museum of Modem Art, New York) ,

l/futuro e il passato: il tempo è rea/e?

Appare evidente che la stessa operazione può ripetersi per qualunque tempo composto contenente F e P, procedendo a zig-zag verso sinistra o verso destra a seconda dei casi. E ciò è del tutto coerente. L'infinità delle differenti situazioni ci permette di assegnare a h tutti i suoi tempi composti nel­ le giuste posizioni, senza violare le diverse incompatibilità esistenti fra loro (dovute, per esempio, al fatto di avere Fh e Ph vere nella stessa situazione) . L'argomento di McTaggart, pertanto, non può dirsi valido. Quello ottenuto è un buon risultato per quanti desidera­ no credere nella realtà del tempo. Ma chi si trova d'accordo con McTaggart potrebbe non essere ancora persuaso dalle nostre considerazioni. Supponiamo che io vi fornisca un insieme di specifiche per costruire una casa: la porta d'in­ gresso va qui; una finestra lì e così via. Come fate a sapere che tutte le specifiche sono coerenti? Siete sicuri che, nel portare avanti la costruzione, tutto andrà per il verso giu­ sto e che non vi sarà richiesto, per esempio, di collocare la porta in una posizione incompatibile? Un modo per deter­ minarlo consiste nel costruire un modello in scala seguen­ do tutte le specifiche. Se si riesce a costruire il modello, le specifiche sono coerenti. Questo metodo non è diverso da quello che abbiamo seguito nel nostro discorso sui tempi. Il modello è rappresentato dalla sequenza di situazioni e dalla modalità per assegnare valori V e F alle proposizioni conte­ nenti operatori temporali. È un modello un po' più astratto rispetto a quello di una casa, ma il principio è essenzialmen­ te lo stesso. Sarebbe possibile, tuttavia, sollevare obiezioni contro un modello, in quanto potrebbe a volte ignorare dettagli im­ portanti. Per esempio, nel modello in scala di una casa, una trave potrebbe anche non crollare, in quanto sopporta sol­ lecitazioni molto minori rispetto a quelle cui sarà sottopo-

Logica

sta la trave corrispondente nella costruzione finale. La trave in scala naturale potrebbe essere chiamata a sostenere un carico insopportabile, rendendo cosÌ impossibile la realiz­ zazione dell'intero edificio, nonostante la prova offerta dal modello. In modo analogo, si potrebbe insinuare il sospetto che il nostro modello di tempo ignori dettagli importanti. Dopotutto, ciò che abbiamo fornito è un modello spaziale del tempo (sinistra, destra, ecc.) , ma spazio e tempo sono cose ben diverse. Lo spazio non scorre nel modo in cui scorre il tempo (qualunque sia il significato che si voglia as­ sociare a tale affermazione) . Ora, è esattamente lo scorrere del tempo che produce la presunta contraddizione cui Mc­ Taggart rivolgeva la sua attenzione. Non sorprende il fatto che ciò non traspaia dal modello! Ma allora c'è da chiedersi: cosa manca di preciso nel modello? E se si riuscisse a tene­ re conto di ciò che manca, la contraddizione tornerebbe a proporsi? Concetti principali del capitolo •









Ogni situazione si accompagna a un insieme di situazioni associate che hanno luogo prima o dopo di essa.

F a è vera in una situazione se a è vera in qualche situazione che ha luogo posteriormente nel tempo. Pa è vera in una situazione se a è vera in qualche situazione che ha luogo precedentemente nel tempo. Ga è vera in una situazione se a è vera in ogni situazione che ha luogo posteriormente nel tempo. Ha è vera in una situazione se a è vera in ogni situazione che ha luogo precedentemente nel tempo.

Capitolo 9 Identità e cambiamento: le cose sono sempre le stesse?

La nostra trattazione sul tempo non può ancora dirsi con­ clusa. Il tempo è coinvolto in svariate altre categorie di enigmi, una delle quali sarà esaminata all'interno di questo capitolo. I problemi di cui qui ci occupiamo sono quelli che sorgono allorché le cose cambiano . Ci chiediamo, in particolare, cosa si può affermare in merito all'identità degli oggetti che si modificano nel corso del tempo. Ecco qualche esempio . Tutti noi riteniamo che gli og­ getti sopravvivano attraverso il cambiamento . Quando un armadio viene riverniciato, sebbene il suo colore possa es­ sere cambiato, rimane sempre lo stesso armadio . Quando si cambia pettinatura, o se si ha la sfortuna di perdere un braccio, si resta sempre la stessa persona. Ma come si fa a restare immuni ai cambiamenti? Dopotutto, la persona che si presenta dopo un cambio di pettinatura non è completa­ mente la stessa di prima. E se la persona è diversa, è una di­ versa persona: quella vecchia è uscita fuori dall' esistenza. In modo del tutto analogo, si potrebbe affermare che nessun oggetto è persistente rispetto a un qualsiasi tipo di cambia­ mento. Ogni modifica, infatti, implica l'uscita dall'esistenza del vecchio oggetto, che viene rimpiazzato da un altro più o meno diverso dal primo. Argomentazioni del genere compaiono in vari momenti nella storia della filosofia, ma oggi i logici sono general-

86

Logica

mente d'accordo nel ritenere che si tratta di ragionamenti erronei, basati su una semplice ambiguità. Dobbiamo di­ stinguere tra un oggetto e le proprietà che possiede. Quan­ do diciamo che una diversa pettinatura rende una persona differente, stiamo affermando che quella persona ha diffe­ renti proprietà. Non si può dire che si tratti di una persona letteralmente differente, nel modo in cui io sono una per­ sona differente da ciascuno di voi. Una delle ragioni per cui possono sorgere difficoltà nel distinguere tra l'essere un certo oggetto e il possedere certe proprietà consiste nel fatto che nella lingua italiana, come in tanti altri linguaggi naturali, entrambi i concetti possono essere espressi mediante l'uso del verbo "essere" e delle sue diverse forme grammaticali: "è" , "sono " , e così via. Se di­ ciamo " Il tavolo è rosso", "I tuoi capelli ora sono corti" e frasi simili, stiamo attribuendo una proprietà a un oggetto . Ma se qualcuno dice "lo sono Graham Priest" , "La persona che ha vinto la gara è la stessa che ha vinto lo scorso anno" e così via, allora si sta identificando un oggetto in un certo modo . Ovvero si sta dichiarando la sua identità. I logici distinguono l"'essere" utilizzato nel primo tipo di esempi, chiamandolo "essere " della predicazione, da quel­ lo utilizzato nel secondo tipo di esempi, definito "essere " dell 'identità. Inoltre, riconoscendovi proprietà alquanto differenti, li rappresentano in modo diverso. Abbiamo già incontrato l"' essere" della predicazione nel Capitolo 3 : "John è rosso" è tipicamente scritto nella forma jR (in effetti, come già si è osservato in quello stesso capitolo, è più comune trovarlo scritto nel modo inverso, R.j) . L"'esse­ re" dell'identità è scritto tramite il simbolo = , lo stesso che abbiamo conosciuto a scuola imparando i primi rudimenti della matematica. Così, possiamo scrivere "John è la per­ sona che ha vinto la gara" come j v (qui il nome v è una =

Identità e cambiamento: le cose sono sempre le stesse?

descrizione, ma al momento ciò è irrilevante) . Proposizioni come questa sono chiamate identità. Quali sono le proprietà di cui gode un'identità? Prima di tutto è una relazione, ovvero qualcosa che stabilisce un nesso tra due oggetti. Per esempio, vedere è una relazione. Se diciamo "John vede Maria" , stiamo specificando una re­ lazione tra due persone. Gli oggetti posti in relazione non devono necessariamente essere diversi: se diciamo ''J ohn vede se stesso" (magari in uno specchio) , specifichiamo una relazione che mette J ohn in rapporto con J ohn . Ora, l'identità è una relazione molto speciale, nella quale ogni oggetto è in rapporto con se stesso e niente altro . Si potrebbe pensare che questa caratteristica renda la re­ lazione d'identità alquanto inutile, ma non è così. Per esem­ pio, se dico "John è la persona che ha vinto la gara", sto af­ fermando che la relazione d'identità si instaura tra l'oggetto cui ci si riferisce tramite ''John'' e l'oggetto cui ci si riferisce con "la persona che ha vinto la gara"; in altre parole, questi due nomi si riferiscono a una stessa persona. Ciò può rive­ larsi un'informazione estremamente importante. Parlando delle identità, è fondamentale soffermarsi sul ruolo che queste assumono nell'ambito delle inferenze in cui sono coinvolte. Ecco un esempio: John è la persona che ha vinto la gara. La persona che ha vinto la gara ha ricevuto un premio . Quindi John ha ricevuto un premio. Possiamo riscrivere l'inferenza come: j = v vP jP

88

Logica

Questa inferenza è valida in virtù del fatto che, considerati due oggetti x e y, se x = y, allora x possiede ogni proprietà di y, e viceversa. Uno stesso oggetto o possiede la proprietà in questione, oppure no. Questo principio è noto con il nome di legge di Leibniz, dal nome del filosofo che abbia­ mo già incontrato nel Capitolo 6. In un'applicazione del­ la legge di Leibniz, una delle premesse è rappresentata da un'identità, per esempio m = n; la seconda premessa è una proposizione che contiene uno dei nomi che affiancano il segno di uguaglianza, per esempio m; e la conclusione è ot­ tenuta sostituendo m con n nella proposizione della seconda premessa. La legge di Leibniz è molto importante, e trova agevo­ le applicazione in vari contesti. Per esempio, dalla scuola superiore sappiamo che (x + y) (x - y) = x> - y2. Quindi, se nel risolvere un problema si stabilisce, per esempio, che x> - t = 3 , è possibile applicare la legge di Leibniz per in­ ferire (x + y) (x - y) = 3 . Tuttavia, l'ingannevole semplicità di questa legge nasconde una moltitudine di problemi . In particolare, sembra che per la legge di Leibniz si possano trovare numerosi controesempi. Consideriamo la seguente inferenza: John è la persona che ha vinto la gara. Mary sa che la persona che ha vinto la gara ha ricevuto un prelTIlo. Quindi Mary sa che John ha ricevuto un premio. Questa sembra una semplice applicazione della legge di Leibniz, poiché la conclusione è ottenuta sostituendo "John" a "la persona che ha vinto la gara" nella seconda premessa. Eppure , è chiaro che le premesse potrebbero tranquillamente essere vere senza che lo sia la conclusione:

Identità e cambiamento: le cose sono sempre le stesse?

Mary pUÒ non sapere che John è la persona che ha vinto la gara. Si tratta di una violazione della legge di Leibniz? Non necessariamente. La legge afferma che se x = y allora ogni proprietà di x è anche una proprietà di y. Ora chiediamoci: la condizione "Mary sa che x ha ricevuto un premio" espri­ me una proprietà di x? Non proprio: sembrerebbe, piutto-

9 Gottfried Wilhelm Leibniz ( 1 6 4 6- 1 7 1 6) , l'ultimo grande logico prima del periodo moderno (© The Science Museum, Londra) .

Logica



sto, che quanto espresso rappresenti una proprietà di Mary. Se quest'ultima improvvisamente uscisse dall'esistenza, ciò non comporterebbe alcuna modifica per xl (La logica del­ le frasi che rientrano nella tipologia "sa che" è ancora una questione sub iudice) . Un altro tipo di problema è il seguente. C'è una strada, è asfaltata e la chiamiamo a. C'è poi un'altra strada, è in ter­ ra battuta e la chiamiamo b. Le due strade, tuttavia, sono la stessa strada: a b. Il fatto è che l'asfalto è terminato prima di ultimare la pavimentazione della strada. A questo punto, la legge di Leibniz ci dice che a è una strada in terra battuta e b è una strada asfaltata, contraria­ mente al vero. Cosa non ha funzionato in questo caso? Non possiamo affermare che l' essere asfaltata o l'essere in terra battuta non siano davvero proprietà della strada: di sicuro lo sono. La stortura è senza dubbio legata al fatto che non siamo stati sufficientemente precisi nel descrivere le proprietà della strada. Esse andrebbero espresse come: essere asfaltata fino a un determinato punto, ed essere in terra battuta fino a un determinato punto. Poiché a e b sono la stessa strada, possiedono entrambe le proprietà, e non c'è alcuna viola­ zione della legge di Leibniz. Fin qui tutto bene, questi problemi sono relativamente semplici. Consideriamone adesso uno di tutt'altro livello: come vedremo, qui il tempo ritorna in ballo. Per spiega­ re di cosa si tratti, sarà utile fare riferimento agli operatori temporali del capitolo precedente, in particolare a G ("si darà sempre il caso che") . Sia x qualunque cosa ci venga in mente (un albero, una persona o altro ancora) e consi­ deriamo l'enunciato x = x. Con ciò si afferma che x ha la proprietà di essere identico a x, il che ovviamente è vero: fa parte del significato stesso di identità. Le cose stanno così indipendentemente dal tempo: è vero ora e sempre, nel fu=

Identità e cambiamento: le cose sono sempre le stesse?

91

turo e nel passato. Allora Gx = x è pure vero. Ora scrivia­ mo la seguente istanza della legge di Leibniz: x=y Gx = x Gx = y N on deve ingannare il fatto di avere sostituito y solo in una delle occorrenze di x nella seconda premessa: tale applica­ zione della legge di Leibniz ha perfettamente senso (come nel caso: "John è la persona che ha vinto la gara; John vede John; quindi John vede la persona che ha vinto la gara") . L'inferenza rivela che se x è identico a y, e x possiede la proprietà di essere identico a x in tutti i tempi futuri, lo stesso vale per y. Essendo vera la seconda premessa, segue che, come abbiamo appena osservato, se due cose sono identiche, saranno sempre identiche. Ma dove vogliamo andare a parare? Semplicemente, non sempre tutto questo sembra rispondere a verità. Per esempio, consideriamo un'ameba. Le amebe sono orga­ nismi unicellulari che vivono nell'acqua e si riproducono per scissione: un'ameba si divide a metà per diventare due amebe. Ora, sia A un'ameba che si divide per dare origine a due amebe B e C. Tanto B quanto C erano A, quindi pri­ ma della divisione B = C. Dopo la divisione, tuttavia, B e C sono due amebe distinte, quindi -,B = C. Pertanto, dal fatto che due cose sono uguali, non segue necessariamente che saranno sempre uguali. Non possiamo chiamarci fuori da questo problema me­ diante gli stessi approcci adottati in precedenza. La proprie­ tà di essere identico a x in tutti i tempi futuri è certamente una proprietà di x. Né sembra che ci troviamo di fronte al caso di una proprietà che debba essere specificata ulterior-

92

Logica

mente. Pare non ci sia modo di renderla più precisa per risolvere la questione. Che altro possiamo dire? Parrebbe naturale osservare che, prima della divisione, B non era A: era solo una parte di A . Ma B è un'ameba e A è un organismo unicellulare: non comprende parti che siano amebe. Quindi B non può essere parte di A. Ragionando in modo più radicale, si potrebbe affermare che B e C in realtà non esistevano prima della divisione e hanno avuto origine solo dopo di essa. Se non esistevano prima della divisione, allora non erano A e quindi non si dà il caso che B = C prima della divisione. Ma anche questo ragionamento non convince del tutto: B non è una nuova ameba; è semplicemente A, sebbene alcune delle sue pro­ prietà siano cambiate. Per capirlo meglio, basta immaginare che C muoia durante la divisione. In tal caso, non avrem­ mo esitazioni nel dire che B è A (sarebbe un po' come un serpente che muta la pelle) . Ora, l'identità di qualcosa non può essere influenzata dalla presenza o meno di altri oggetti nei dintorni. Quindi A è B, come pure A è C. Certo, si potrebbe insistere e affermare che, proprio considerando che l'ameba A assume nuove proprietà, a ri­ gore costituisce un nuovo oggetto e non, banalmente, un vecchio oggetto con nuove proprietà. Quindi B in realtà non è A, e lo stesso dicasi per C. Ma in questo modo siamo ritornati al problema con cui abbiamo aperto il capitolo: le cose sono sempre le stesse? Concetti principali del capitolo •

m = n

è vera se e solo se i nomi

m

e

n

si riferiscono al medesimo og­

getto . •

Se due oggetti sono lo stesso oggetto, ogni proprietà dell'uno è anche proprietà dell'altro (legge di Leibniz) .

Capitolo

lO

Vaghezza: come smettere di scivolare lung o una brutta china?

Continuiamo a parlare di identità per affrontare un altro problema che ha a che fare con questo argomento . Tutte le cose si consumano con il tempo, e a volte se ne possono rimpiazzare alcune parti. Nuove frizioni vengono montate su automobili e motociclette; nuovi tetti sulle case; perfino il corpo umano, nel tempo, sostituisce le singole cellule che lo compongono . Modifiche di questo tipo non incidono sull'identità dell'oggetto in questione. Quando sostituisco la frizione della mia moto, la moto rimane sempre la stessa. Ora supponiamo che nel giro di pochi anni abbia sosti­ tuito ogni componente della mia moto, una Black Thun­ der. Essendo un tipo ordinato, ho conservato tutte le parti sostituite, e alla fine le metto insieme per ricreare la moto originale. Sono partito da una Black Thunder, e si è già osservato che cambiarne un singolo componente non in­ cide sulla sua identità: la moto è rimasta sempre la stes­ sa. Quindi, dopo ogni sostituzione la moto è sempre una Black Thunder, e anche alla fine resta ciò che è, una Black Thunder. Ma sappiamo che non può essere così: la Black Thunder si trova ora nel garage proprio accanto alla moto su cui stavo lavorando. Ecco un'altra versione dello stesso problema. Una per­ sona che ha cinque anni di età è, biologicamente parlando, un bambino . Se qualcuno è un bambino, resterà tale dopo

Logica

94 ....

o

Vaghezza: come smettere di scivolare lungo una brutta china?

95

che è trascorso un secondo . In tal caso, trascorso un altro secondo resterà ancora un bambino , come pure un altro secondo dopo, e un altro secondo dopo ancora. Quindi, dopo 6 3 0 . 720.000 secondi resterà ancora un bambino, an­ che se avrà ormai venticinque anni! Si ritiene che argomenti di questo tipo siano stati in­ ventati da Eubulide, lo stesso che propose il paradosso del mentito re citato nel Capitolo 5 . Oggi tali argomenti sono chiamati paradossi del sorite: una loro tipica versione, infatti, è quella secondo cui aggiungendo un granello di sabbia alla volta, non si riesce mai a formare un mucchio ("sorite" de­ riva dal greco "soros" che significa "mucchio") . Si tratta di paradossi tra i più fastidiosi nel campo della logica. Hanno origine quando il predicato che si utilizza ("è una Black Thunder" , "è un bambino") è per certi versi vago, ovvero quando la sua applicabilità è tollerante a modifiche molto piccole: se il predicato è valido per un oggetto, allora una lieve modifica dell' oggetto non altera questo stato di cose. In questo senso si può dire che risultano vaghi tutti i pre­ dicati che utilizziamo all'interno di un normale discorso: "è rosso" , "è sveglio" , "è felice", "è ubriaco", e perfino "è morto" (morire richiede tempo) . Pertanto, gli argomenti simili a quello del sorite, il cui sviluppo procede lungo una brutta china, sono potenzialmente radicati nel nostro modo di ragionare. Per mettere a fuoco la questione, esaminiamo nei det­ tagli una di queste argomentazioni. Sia Jack un bimbo di cinque anni; sia ao la proposizione "Jack è un bambino dopo o secondi"; sia a l la proposizione ''Jack è un bambino dopo I secondo" e cosÌ via. Se n è un qualsiasi numero, a n è la proposizione ''Jack è un bambino dopo n secondi " . Sia k un numero enorme, dello stesso ordine di grandezza di 6 3 0 . 720. 000. Sappiamo che ao è vera (dopo il trascorrere

Logica

di O secondi, Jack ha ancora cinque anni) . Inoltre, per ogni numero n sappiamo che an � an+ 1 (se Jack è un bambino in un qualsiasi momento, lo sarà anche un secondo più tardi) . Possiamo concatenare tutte queste premesse attraverso una sequenza di inferenze modus ponens del tipo seguente: ao

ao � a I a2

La conclusione è ak , che sappiamo non essere vera. Qualco­ sa non quadra e sembra che non ci restino ampi margini di manovra per vemrne a capo. Dunque, cosa possiamo dire? Esiste una risposta che è nota con il nome di logica fuzzy l . Essere un bambino sem­ bra una proprietà che gradualmente si dissolve, lasciando il posto alla comparsa, altrettanto graduale, dell' essere un adulto (sempre da un punto di vista biologico) . Sembra na­ turale supporre che il valore di verità di "Jack è un bam­ bino" si trasformi gradualmente dal vero al falso . La veri­ tà, quindi, si presenta per gradi. Supponiamo di misurare questi gradi con i numeri compresi tra O e I , essendo I la completa verità e o la completa falsità. Le diverse situazioni, Il termine inglese fozzy, che significa "sfumato" o "vago", è stato adottato negli anni Sessanta da Lotfi Zadeh, professore dell'Università di Berkeley, per indicare un modo di trattare le informazioni del mondo reale che tenga conto della loro natura intrinsecamente ambigua, contraddittoria, indefinita. [N.d.T.] I

Vaghezza: come smettere di scivolare lungo una brutta china?

97

quindi, assegnano uno di questi numeri a ogni proposizio­ ne fondamentale. Come trattare le proposizioni che contengono operatori quali la negazione e la congiunzione? Al crescere di Jack, il valore di verità di "Jack è un bambino" diminuisce. Con­ seguentemente, il valore di verità di "Jack non è un bam­ bino" aumenta. Ciò suggerisce che il valore di verità di ' a è pari a I meno il valore di verità di a. Supponiamo di scri­ vere il valore di verità di a nella forma I a I , allora abbiamo : l 'a I =

I

-

IaI

Ecco una tabella con alcuni valori che possiamo prendere a titolo di esempio: a

'a

I

o

0,75

0,2 5

0, 5

0, 5

0,2 5

0,75

°

I

Per quanto riguarda il valore di verità della congiunzione, esso non può eccedere la quantità più piccola tra quelle coinvolte. È naturale supporre, quindi, che il valore di veri­ tà di a & b sia pari al minimo tra I a I e I b i : I a & b I = Min( I a I , I b J )

Logica

Ecco una tabella con alcuni valori d'esempio . La colonna a sinistra riporta i valori di a, la riga in alto riporta i valori di h. I valori di a & h si trovano nei corrispondenti incroci di righe e colonne. Per esempio, se I a I = 0,2 5 e I h I = 0, 5 , per conoscere il valore di verità di a & h occorre posizio­ narsi all'incrocio tra la riga e la colonna scritte in corsivo e leggere il valore corrispondente (in grassetto) . a&h

I

0,75

0,5

0,2 5

°

I

I

0,75

0,5

0,2 5

°

0,75

0,75

0,75

0,5

0,2 5

°

0, 5

0, 5

0, 5

0,5

0,2 5

°

0,25

0,25

0,25

0,25

0,2 5

°

°

°

°

°

°

°

��_._-

In modo analogo, il valore di verità della disgiunzione è pari al massimo dei valori dei disgiunti: IaVhI

=

Max( I a I , I h I )

La costruzione di una tabella con valori d'esempio è un semplice esercizio che lascio al lettore. Va osservato che, in base a quanto appena detto, " & e v sono ancora funzioni di verità. Ciò significa che, per esempio, il valore di verità di a & h è determinato dai valori di verità di a e h, tenendo presente che questi valori, invece di essere V e F, sono ora numeri compresi tra ° e I . Peraltro, è il caso di sottolineare che è possibile un'interpretazione del valore I come V e del valore ° come F. È quindi facile verificare che i risultati

Vaghezza: come smettere di scivolare lungo una brutta china?

99

prodotti da funzioni di verità in cui siano coinvolti solo valori I e o sono identici a quelli descritti nel Capitolo 2 . Cosa dire dei condizionali? Nel Capitolo 7 abbiamo vi­ sto che possiamo ragionevolmente supporre che ---,) non sia una funzione di verità, ma per adesso lasciamo da parte questo problema. Se fosse una funzione di verità, quale sa­ rebbe il suo comportamento, tenendo conto che abbiamo a che fare con gradi di verità? Nessuna possibile risposta può dirsi ovvia. Ecco una proposta (piuttosto standard) che con­ sente di ottenere un genere di risultati corretti: Se I a l Se I b i




pr(""b I a)

Così, ragionando sulla nostra settimana d'esempio, la se­ guente inferenza: Era un giorno di pioggia, quindi faceva caldo è induttivamente valida. Come possiamo facilmente verifi­ care, pr(c l p) = 2/ 3 , mentre pr(""c l p) = 1 / 3 . Questa analisi può essere utile per dimostrare perché sia valida l'inferenza di Sherlock Holmes da cui siamo partiti. La conclusione di Holmes era che il signor Jabez Wilson aveva passato molto tempo a scrivere (b) . La sua premessa era legata al fatto che la giacca di Wilson mostrava segni di usura ( a) . Ora, se potessimo andare in giro per la città di Londra ai tempi di Sherlock Holmes per radunare tutti gli individui con i polsini della giacca logori come quelli in questione, allora scopriremmo che la maggior parte di essi svolge il mestiere di impiegato, ovvero trascorre gran par­ te del suo tempo lavorativo scrivendo, o almeno questo è

1 10

Logica

quanto possiamo supporre. Così, la probabilità che il signor Wilson avesse scritto molto, note le condizioni della sua giacca, è maggiore della probabilità che non lo avesse fatto . L'inferenza di Holmes, di fatto, è induttivamente valida. Concludo richiamando l'attenzione su un enigma che ha origine proprio dal complesso di cose che abbiamo ap ­ pena terminato di spiegare. Come si è visto, una probabilità può essere calcolata me­ diante un rapporto : occorre considerare una certa classe di riferimento, poi si calcolano le quantità dei vari gruppi all'in­ terno di essa, infine si effettua qualche divisione. Ma qua­ le classe di riferimento dobbiamo utilizzare? Nell'esempio sulle condizioni atmosferiche siamo partiti proprio specifi­ cando la classe di riferimento di interesse: i giorni di quella particolare settimana. Nella vita reale, tuttavia, i problemi non si pongono nello stesso modo . Torniamo al signor Jabez Wilson. Per calcolare le pro­ babilità rilevanti in questo caso , avevo suggerito di consi­ derare la classe di riferimento comprendente tutti gli abi­ tanti di Londra ai tempi di Sherlock Holmes. Perché pro­ prio quella? Perché non considerare allora tutti gli abitanti dell'Inghilterra, o dell'Europa, oppure solo i londinesi di sesso maschile, o solo quanti potevano permettersi di fare visita a Holmes? Forse il ragionamento sarebbe rimasto in­ variato prendendo in considerazione alcune di queste classi di riferimento, ma altre avrebbero di sicuro fatto marcare una differenza. Per esempio, le persone che si rivolgevano a Sherlock Holmes erano tutte relativamente benestanti: dif­ ficilmente avrebbero indossato giacche di seconda mano . La situazione sarebbe stata ben diversa con un campione di popolazione più vasto . Quale dovrebbe essere, quin­ di, la classe di riferimento più appropriata? Questo tipo di domande perseguita gli attuari, ossia quanti lavorano nelle

Probabilità: lo strano caso della classe di riferimento mancante

III

compagnie di assicurazione avendo 1'incarico di calcolare i fattori di rischio. In ultima analisi, la classe di riferimento più precisa sem­ brerebbe essere quella che contiene il solo signor Wilson. Dopotutto, cos'hanno a che fare con lui le vicende che riguardano altre persone? Ma in tal caso, o il signor Wil­ son aveva scritto molto, oppure no. Nella prima ipotesi, la probabilità che egli abbia scritto, noto che il suo polsino è così lucido, è pari a I , e 1'inferenza è valida. Nella seconda ipotesi, la stessa probabilità è pari a o, e 1'inferenza risulta non valida. In altre parole, la validità dell'inferenza dipende esclu­ sivamente dalla verità della conclusione, quindi non si può utilizzare 1'inferenza per determinare se la conclusione sia vera oppure no. Procedendo di questo passo, il concetto di validità che abbiamo sviluppato diventa completamente inutile. Concetti principali del capitolo •

La probabilità di un enunciato è uguale al rapporto tra il numero di casi in cui l'enunciato è vero, e il numero di casi compresi nella classe di riferimento.



pr(..., a)



pr(a



pr(a I b)



V

I

=

b)

=

=

-

pr(a) .

pr(a) + pr(b) - pr(a & b) .

pr(a & b) /pr(b) .

Un'inferenza è induttivamente valida s e e solo s e la probabilità condi­ zionata della conclusione, nota la (congiunzione delle) premessa(e) , è maggiore della probabilità condizionata della sua negazione .

Capitolo 12 Probabilità inversa: imp ossibile mostrare indifferenza !

Il capitolo precedente aveva lo scopo di fornire le cono­ scenze di base relative al concetto di probabilità e al ruolo che questa può assumere nelle inferenze induttive. In que­ sto capitolo prenderemo in considerazione ulteriori aspetti dell'argomento, partendo dall'analisi di un'inferenza indut­ tiva molto famosa. L'universo fisico non può essere descritto soltanto nei termini di disordine e imprevedibilità. Sono riconoscibili, infatti, alcuni schemi caratteristici: la materia è organizza­ ta per formare galassie che, a loro volta, sono organizzate in stelle e sistemi planetari, su alcuni dei quali la materia è organizzata in modo tale da dare origine a creature viventi, come voi e come me. Cosa c'è alla base di un tale stato di cose? Qualcuno potrebbe dire che la spiegazione di tutto risiede nelle leggi della fisica e della biologia, ed è un' os­ servazione su cui si può essere d'accordo . Ma perché le leggi della fisica e della biologia sono formulate proprio in questo modo? Dopotutto, avrebbero potuto essere molto diverse. Se la gravità, per esempio, fosse stata una forza di repulsione piuttosto che di attrazione, allora non si sarebbero formati agglomerati stabili di materia e ovunque nel cosmo sarebbero mancate le condizioni per dare luogo alla vita (al­ meno nel modo che noi conosciamo) . Non è questa una ragione eccellente per credere nell' esistenza di un creatore

1 14

Logica

dell'universo, un essere intelligente che ha dato origine al cosmo, insieme con le sue leggi fisiche e biologiche, in base a suoi particolari propositi? In breve, l'ordine che riscon­ triamo nell'universo fisico non rappresenta forse un motivo per credere nell' esistenza di un dio di qualche tipo? Quello appena enunciato è un ragionamento noto con il nome di argomento teleologico, che è una delle argomenta­ zioni in favore dell' esistenza di Dio ("teleologico" deriva dal greco " telos " che significa "scopo", "fine") . Proviamo a esaminarlo più in dettaglio. La premessa dell'argomento, o, è l'enunciato secondo cui il cosmo ha un suo particola­ re ordine. La conclusione, d, sostiene l'esistenza di un dio creatore. In assenza della verità di d, o risulterebbe molto

12 La materia ha una sua struttura caratteristica. Una galassia a spirale (Science Photo Library. Foto : Chris Butler) .

Probabilità inversa: impossibile mostrare indifferenza!

IIS

improbabile; da qui procede l'argomento: nota la premessa o, la conclusione d è probabile. Ora, è senz'altro vero che la probabilità condizionata di o, nota la verità di d, è molto maggiore della probabilità condizionata di o nota la falsità di d : I.

pr(o l 'd)

pr(o I d»

Questa informazione, tuttavia, non è quella più utile per i nostri scopi. Affinché o sia una buona ragione induttiva per d, è necessario che la probabilità di d, nota o, sia maggiore della probabilità condizionata della sua negazione: 2 . pr(d l o)

>

pr('d l o)

Il fatto che il valore di pr( o I d) risulti elevato non implica necessariamente che tale risulti anche il valore di pr(d l o) . Per esempio, è molto alta la probabilità che vi troviate in Australia, essendo noto che avete visto un canguro che vive allo stato brado (in qualunque altra parte del mondo, l'ani­ male dovrebbe essere scappato da uno zoo) . Ma la probabi­ lità di vedere un canguro che vive allo stato brado, essendo noto che vi trovate in Australia, è molto bassa (io stesso ho vissuto in Australia per quasi dieci anni prima di riuscire a vederne uno) . Le grandezze pr(o I d) e pr(d l o) sono dette probabilità inver­ se. Affinché l'argomento teleologico funzioni, le due pro­ babilità inverse devono essere legate da una relazione che sia in grado di farci arrivare a 2 a partire da I . È possibile definire una relazione di questo genere? In effetti, ce n'è una molto semplice che può essere ricavata richiamando l'equazione della probabilità condizionata introdotta nel ca­ pitolo precedente, in base alla quale possiamo scrivere:

Logica

I I6

pr(a I b)

=

pr(a & b) /pr(b)

Quindi: 3 . pr(a I b) X pr(b)

=

pr(a & b)

Analogamente: pr(b I a)

=

pr(b & a) /pr(a)

x

pr(a)

Quindi: 4. pr(b I a)

=

pr(b & a)

Ma pr(a & b) = pr(b & a) , poiché a & b e b & a sono vere esattamente nelle stesse situazioni. Pertanto, a partire da 3 e da 4 possiamo scrivere: pr(a I b)

x

pr(b)

=

pr(b I a)

x

pr(a)

Assumendo che pr(b) non sia pari a o (farò ancora assun­ zioni di questo genere in seguito, ma senza più specificar­ lo) , possiamo dunque riscrivere questa equazione nel modo seguente: Inv: pr(a I b)

=

pr(b I a)

x

pr(a) /pr(b)

Questa è la relazione che lega le due probabilità inverse (è piuttosto facile da ricordare: nella parte destra dell' equazio­ ne figura prima una b seguita da una a, e poi una a seguita da una b) . Usando Inv per riscrivere le probabilità inverse riportate in I , otteniamo :

Probabilità inversa: impossibile mostrare indifferenza!

pr(o) pr( d)

pr(d l o) X

-

>

pr(· d l o) X

I I7

pr(o) pr( • d)

-

Eliminando pr(o) da entrambi i membri: pr(d l o)

=------'- >

pr(d)

pr(· d l o) =-----'-pr(· d)

che si può riscrivere nella forma: 5·

pr(d l o) pr(d) > pr(· d l o) pr('d)

--

Ricordiamo che, per far funzionare l'argomento teleologi­ co, dobbiamo ottenere 2, che equivale a: pr(d l o) pr(· d l o)

-=--..� ..:....:. > I

L'unica condizione plausibile in grado di condurci all'equa­ zione 2 a partire da quanto abbiamo ottenuto in 5 è la seguente: pr(d)

--"--- > I

pr(· d)

-

che corrisponde a: pr(d) � pr(' d)

I valori pr(d) e pr(· d) sono detti probabilità a priori: rappre­ sentano le probabilità di d e ·d prima di tenere conto di qualunque altra informazione (quale potrebbe essere quella

r r8

Logica

espressa da o) . Quindi l'argomento teleologico è valido se la probabilità a priori che esista un dio creatore risulta mag­ giore o uguale alla probabilità a priori che un dio creatore non esista. È verificata tale condizione? Sfortunatamente, non c'è motivo di ritenere che sia così, anzi si direbbe che gli ele­ menti di cui disponiamo ci conducano proprio nella dire­ zione opposta. Supponiamo di non sapere quale sia il gior­ no della settimana in cui ci troviamo . Indichiamo con l l'ipotesi che oggi sia lunedì, allora -, 1 corrisponde all'ipotesi che oggi non sia lunedì. Quale delle due ipotesi è più pro­ babile, l o -, l? Di sicuro -, 1: rispetto all'unica possibilità che oggi sia lunedì ci sono sei possibilità che non lo sia (potreb­ be essere martedì, mercoledì, giovedì, ecc.) . Si può proce­ dere in modo analogo quando si considerano le probabilità riguardanti l'esistenza di Dio . È possibile concepire il co­ smo in molti modi diversi; intuitivamente, solo un ristretto numero di questi potrebbe dirsi ordinato in maniera signi­ ficativa: l'ordine è qualcosa di speciale (dopotutto , è pro­ prio questo che dà mordente all' argomento teleologico) . Di conseguenza, sono relativamente pochi gli universi ai quali si possa associare un principio ordinatore. Quindi, a priori è molto più probabile che non ci sia un creatore rispetto al caso che ci sia. Possiamo concludere, dunque, affermando che l'argo­ mento teleologico non è valido, pur risultando intrigante a causa del fatto che è facile confondere le probabilità con le rispettive forme inverse. Questo tipo di malinteso fa cadere in errore proprio su una parte cruciale dell'argomento . In questo senso, l'argomento teleologico non è unico nel suo genere: esistono molti altri ragionamenti indutti­ vi che fanno riferimento alle probabilità inverse. Alcuni di essi, tuttavia, riescono a produrre esiti migliori. N e pro-

Probabilità inversa: impossibile mostrare indifferenza!

1 19

pongo un esempio. Supponiamo di visitare un casinò dove ci sono due tavoli di roulette, che chiamiamo A e B. Un amico ci fa sapere che uno di questi è truccato, anche se non è in grado di dirci esattamente di quale dei due si tratti. Il rosso e il nero, invece di presentarsi ciascuno nella metà delle giocate complessive - come dovrebbe accadere a un tavolo da gioco normale -, si alternano con un rapporto pari ai 3 /4 delle giocate per il rosso e 1 /4 delle giocate per il nero (a rigore, dovremmo considerare anche l'apparizione ben più rara del verde, ma tralasciamo questo dettaglio per rendere più semplici le cose) . Ora, supponiamo di analizza­ re le vincite a uno dei due tavoli, per esempio il tavolo A, annotando i seguenti risultati nel corso di cinque giocate in sequenza (R sta per rosso, N sta per nero) : R, R, R, R, N Abbiamo elementi per inferire che questo è il tavolo truc­ cato? In altre parole, sia v l'enunciato secondo cui questa particolare sequenza di vincite si è verificata, e sia t l'enun­ ciato secondo cui il tavolo A è truccato. È lecito affermare che il ragionamento che da v conduce a t rappresenta una buona inferenza induttiva? Dobbiamo scoprire se pr(t I v) > pr(' t I v) , relazione che può essere espressa nei termini di probabilità inverse me­ diante l'equazione Inv: pr(v I t)

x

pr(t) pr(v)

--

>

pr(v l ' t)

x

pr(' t) pr(v)

--

Moltiplicando entrambi i membri per pr(v) si ottiene: pr(v I t)

x

pr(t)

>

pr(v l ' t) X pr(' t)

Logica

1 20

È questa, dunque, la relazione che occorre verificare. Per cominciare, quali sono le probabilità a priori di t e ' t? Sappiamo che uno tra i due tavoli A e B è truccato (non entrambi) . Non abbiamo motivo di credere che si possa trattare di A piuttosto che di B o viceversa. Quindi la pro­ babilità che sia truccato il tavolo A è identica a quella che sia truccato il tavolo B: hanno entrambe valore pari a 1 12 . In altre parole, pr(t) = 1 12, e pr(' t) = 1 12 . Possiamo dun­ que eliminare entrambi i termini dalla relazione di interes­ se, che diventa: pr(v I t)

>

pr(v l ' t)

La probabilità pr(v I t) di osservare la sequenza espressa me­ diante v, nota la circostanza che il tavolo sia truccato, è pari a (%)4 X (Y-I ) : non importa se non sapete spiegarne il moti­ vo, potete fidarvi delle mie parole. Il valore è quindi 8 1 /4S , che equivale a 0,079. La proba­ bilità pr(v l ' t) di osservare la sequenza, nota la circostanza che il tavolo non sia truccato , è pari a (7'2) 5 ancora una volta, potete limitarvi a credermi sulla parola - che equivale a 0,03 I . Tale valore è minore di 0,079, quindi l'inferenza è valida. È il caso di soffermarci ad analizzare il modo in cui ab­ biamo calcolato le probabilità a priori. Abbiamo due pos­ sibilità: o è truccato il tavolo A, oppure è truccato il tavolo B. In mancanza di informazioni che ci permettano di di­ stinguere tra i due casi, assegniamo loro la stessa probabilità. Questa è un'applicazione del cosiddetto principio di indiffe­ renza, il quale afferma che quando vi è un certo numero di possibilità, si devono considerare tutte equiprobabili, se tra loro non sussistono differenze rilevanti. Così, in presenza di N possibilità distinte, a ognuna è associato il valore di -

Probabilità inversa: impossibile mostrare indifftrenza!

121

probabilità l /N. I l principio di indifferenza è una specie di principio di simmetria. Si osservi che il principio non poteva essere applicato nel caso dell'argomento teleologico. Con le roulette ci sono due possibili situazioni completamente simmetriche: il ta­ volo A è truccato; il tavolo B è truccato. Con l'argomento teleologico ci sono due possibili situazioni: un dio creatore esiste, un dio creatore non esiste. Ma queste due situazioni non possono essere definite simmetriche, nello stesso modo in cui non lo erano le altre due alternative citate a titolo d'esempio: oggi è lunedì, oggi non è lunedì. Come abbia­ mo già osservato basandoci su un ragionamento intuitivo, le possibilità che non esista un creatore sono molto mag­ giori rispetto alle possibilità che un creatore esista. Il principio di indifferenza ha un ruolo importante nei ragionamenti intuitivi che riguardano la probabilità. Con­ cludiamo questo capitolo rimarcando che ciò è causa anche di qualche problema: è ben noto che alcuni paradossi pos­ sono sorgere in seguito a certe applicazioni del principio. Eccone uno l . Supponiamo che un'automobile parta da Brisbane a mezzogiorno e che si metta in viaggio verso una città a 3 00

I L'esempio proposto dall'autore non rappresenta un paradosso dovuto all'ap­ plicazione del principio di indifferenza, ma un'errata applicazione dello stesso. Infatti, il principio di indifferenza è qui utilizzato secondo due modalità distin­ te: in un primo caso (A) facendo riferimento al tempo di arrivo t, in un secondo caso (B) facendo riferimento alla velocità media v (e poi, di conseguenza, al relativo tempo di arrivo) . L'applicazione del principio di indifferenza nel caso A, quindi, avviene su una grandezza (t) derivata da un'altra (v) secondo una relazione non lineare: t distanza / v. Ciò significa che l'incertezza su v (che porta a considerare tutte le velocità equiprobabili) non si "propaga" linearmen­ te su t (i cui valori, quindi, non sono equiprobabili) . Pertanto, il principio di in­ differenza risulta correttamente applicato (soltanto) alla velocità media nel caso B, mentre è scorretta la sua applicazione al tempo di arrivo nel caso A. [N.d.T.] =

Logica

1 22

chilometri di distanza. L'auto viaggia a una velocità media che si aggira tra i 50 e i 1 00 chilometri all' ora. Cosa possia­ mo dire in merito alla probabilità dell'orario di arrivo? Eb­ bene, se l'auto viaggia a 1 00 chilometri all'ora, arriverà alle 1 5 :00, mentre se viaggia a 50 chilometri all'ora, arriverà alle 1 8 :00. Quindi, il suo orario di arrivo è compreso tra que­ sti due estremi, il cui punto medio corrisponde alle 1 6 : 3 0 del pomeriggio. Per il principio di indifferenza, l'auto ha le stesse probabilità di giungere a destinazione sia prima sia dopo le 1 6 : 3 0. Ma è anche vero che tra 50 e 1 00 chilome­ tri all'ora c'è la velocità di 75 chilometri orari: applicando ancora il principio di indifferenza, l'auto ha le stesse proba­ bilità di viaggiare al di sopra o al di sotto di tale velocità. Se viaggia proprio a 75 chilometri all'ora, arriverà alle 1 6 :00, quindi ci sono le stesse probabilità che giunga a destinazio­ ne sia prima sia dopo le 1 6:00. Si scopre, allora, che risulta più probabile che l'auto arrivi prima delle 1 6: 3 0 piuttosto che dopo quell' orario (avendo guadagnato così una mez­ zora extra) . Lascio il lettore con questo enigma su cui riflettere, visto che di probabilità abbiamo già parlato abbastanza in questo capitolo. Concetti principali del capitolo •



pr(a I b)

=

pr(b I a)

pr(a) .

x -

pr(b)

Dato un certo numero di possibilità, queste si devono considerare tutte equiprobabili in assenza di differenze rilevanti tra loro (principio di indifferenza) .

Capitolo 13 Teoria delle decisioni: grandi sp eranze

Per concludere la trattazione relativa al ragionamento in­ duttivo, consideriamo ora un ultimo argomento che a volte viene definito ragionamento pratico, poiché riguarda le mo­ dalità dell'agire. Ecco un celebre esempio di ragionamento pratico. Si può decidere di credere o meno nell' esistenza di Dio (eventualmente, il Dio della religione cristiana) . Supponia­ mo di avere scelto di essere credenti. A questo punto , le possibilità sono due: o Dio esiste oppure Dio non esiste. Se Dio esiste, va tutto benissimo. Se non esiste, allora la nostra fede rappresenterà solo un fastidio di poco conto: avremo sprecato un po' del nostro tempo andando in chie­ sa e avremo forse fatto un ristretto insieme di cose che in altre circostanze non avremmo voluto fare; ma niente di catastrofico. Ora supponiamo, d'altro canto, che la nostra scelta sia quella di non credere nell' esistenza di Dio. Ancora una vol­ ta, o Dio esiste oppure Dio non esiste. Se Dio non esiste, va tutto benissimo . Ma se Dio esiste davvero, siamo nei guai! Siamo condannati a una serie di sofferenze nell'aldilà, desti­ nate forse a durare in eterno, a meno che un gesto di com­ passione ci venga in soccorso. Una persona saggia, quindi, dovrebbe credere nell'esistenza di Dio: è l'unica linea di condotta prudente da tenere .

1 24

Logica

L'espressione con cui spesso si fa riferimento a questo ar­ gomento è scommessa di Pascal, dal nome del filosofo Blaise Pascal, che per primo lo ha proposto nel XVII secolo . Che cosa dire di questa scommessa? Proviamo a riflettere su come procede questo tipo di ra­ gionamento, partendo da un esempio un po' meno contro­ verso. Spesso ci capita di non essere sicuri degli esiti delle nostre azioni, che potrebbero sfuggire al nostro controllo . In genere, però , siamo in grado di valutare quanto siano probabili i diversi possibili esiti; altrettanto importante è la nostra capacità di determinare il valore che possono avere per noi. Conveniamo di misurare il valore di un esito asse­ gnandogli un numero scelto tra quelli di una sequenza che si sviluppa all'infinito in direzione positiva e negativa: . . . , -4, - 3 , - 2 ,

-

l , O,

+ 1 , + 2 , + 3 , +4, · · ·

I numeri positivi indicano gli esiti favorevoli, che diventa­ no sempre più vantaggiosi man mano che ci si sposta ver­ so destra. I numeri negativi indicano gli esiti sfavorevoli, che diventano sempre più svantaggiosi man mano che ci si sposta verso sinistra. Il valore ° è un punto di indifferenza: indica un giudizio né positivo, né negativo . Ora supponiamo di dover decidere se intraprendere o meno una data azione, per esempio fare un giro in mo­ tocicletta. L'idea non è malvagia, tuttavia potrebbe piove­ re. Quando non piove, un giro in moto è un vero spasso, quindi potremmo assegnargli un valore pari a + 1 0. Se pio­ ve, invece, viaggiare in moto si rivela una faccenda piut­ tosto disagevole, tanto da assegnarle un valore pari a 5 . Come potremmo valutare la sola cosa che ricade sotto il nostro controllo, cioè la decisione di fare un giro in moto­ cicletta? Potremmo semplicemente sommare i due numeri -

Teoria delle deasioni: grandi speranze

1 25

(- 5 e I O) , ma così facendo mancheremmo di cogliere tut­ ti gli aspetti della questione. Potrebbe darsi, infatti, che la pioggia sia un evento molto improbabile, quindi, sebbene costituisca un fattore negativo, vorremmo evitare di dargli troppo peso . Supponiamo che la probabilità che piova sia pari a o, I ; la probabilità che non piova è dunque pari a 0,9. Allora possiamo pesare i valori fissati in precedenza con le relative probabilità per ottenere un valore complessivo:

0, 1 x ( 5 ) -

+

0,9 x I O

Questo valore, pari a 8 , 5 , è chiamato valore atteso dell'azio­ ne in questione, cioè fare un giro in moto (" valore atte­ so" è un termine tecnico che sta a indicare un"'aspettativa" o "speranza matematica" connessa con il verificarsi di un evento, utile per valutare se tale evento "merita" di essere preso in considerazione) . In generale, sia a l'enunciato relativo a una qualche azio­ ne da noi intrapresa. Supponiamo, per semplicità, che la nostra azione abbia solo due possibili esiti: indichiamo con e , il realizzarsi di uno dei due esiti e con e2 il verificarsi dell'altro. Infine, sia Val(e) il valore assegnato al verificarsi di un esito e. Allora il valore atteso di a, E(a) , è il numero che si ottiene dalla seguente formula: pr(e)

x

Val(e)

+

pr(e) x Val(e)

A essere precisi, le probabilità in questione dovrebbero es­ sere probabilità condizionate, rispettivamente nella forma pr(e, I a) e pr(e2 1 a) . Ma se consideriamo l'esempio prece­ dente, andare in giro in moto non ha alcun effetto sulla probabilità che piova. Lo stesso vale anche in tutti gli altri esempi che prenderemo in considerazione. Pertanto possia-

Logica

1 26

mo attenerci alle semplici probabilità a priori riportate nella formula. Fin qui tutto bene, ma come può tutto questo esserci d'aiuto per decidere se partire o meno per il nostro giro in moto? Conosciamo il valore complessivo assegnato a questa azione: come abbiamo visto, è pari a 8 , 5 . Qual è il valore atteso di non andare in moto? Ancora una volta, dobbiamo fare i conti con l'eventualità che piova oppure no, con le stesse probabilità introdotte in precedenza. I due possibili esiti stavolta sono: ( I ) piove e restiamo a casa; (2) non piove e restiamo a casa. In entrambi i casi, non avremo il piacere di fare un giro in moto; potremmo valutare leggermente peggiore il caso in cui non piove, perché ci dispiacerebbe maggiormente avere deciso di non uscire. Ma nessuno dei due casi potrà essere valutato più negativamente rispetto all' essersi bagnati sotto la pioggia. Quindi i valori potreb­ bero essere o per il caso in cui piove e - I per il caso in cui non piove. Possiamo ora calcolare il valore atteso relativo all'azione di restare a casa: 0, 1 X

°

+ 0,9 X ( - I )

L'ammontare finale è pari a -0,9, e ciò fornisce l'informa­ zione di cui avevamo bisogno . Dovremmo scegliere, in­ fatti, l'azione associata al valore complessivo più alto, cioè quella legata alla "speranza" migliore. In questo caso, parti­ re ha un valore atteso pari a 8 , 5 , mentre restare a casa ha un valore pari a -0,9: il giro in moto sarebbe da preferire. Così, posta una scelta tra a e 'a, dovremmo scegliere l'azione legata al valore atteso maggiore (se hanno pari va­ lore, possiamo procedere a caso , per esempio lanciando una moneta) . Nell'esempio precedente c'erano solo due possibilità. In generale, potremmo anche considerarne un

Teoria delle decisioni: grandi speranze

1 27

numero maggiore (fare un giro in moto, andare al cine­ ma, rimanere a casa) . Il principio, tuttavia, resta lo stesso: si calcola il valore atteso di ogni possibilità e si sceglie quella associata al valore atteso più alto . Questo tipo di ragiona­ mento è un semplice esempio di una branca della logica nota con il nome di teoria delle decisioni. Ora torniamo alla scommessa di Pascal. In questo caso le azioni possibili sono due: credere oppure non credere . E due sono le possibilità di interesse: Dio esiste oppure non esiste. Possiamo rappresentare queste informazioni utiliz­ zando la seguente tabella: Dio esiste

Dio non esiste

Credere (c)

0, 1 \ + 1 02

0,9\ - I O

Non credere ('c)

0, 1 \ - 1 06

0,9\ + 1 02

I numeri a sinistra delle barre costituiscono le probabilità in questione: decidiamo di assegnare il valore 0, I all'esi­ stenza di Dio e il valore 0,9 alla non esistenza di Dio (che si sia credenti o meno non ha effetti sull' esistenza di Dio, quindi i valori di probabilità sono gli stessi per entrambe le righe) . I numeri a destra delle barre costituiscono i valori di interesse. Qui non è tanto importante che Dio esista oppure no, quanto il fatto di avere indovinato la scelta di credere o non credere; ecco perché uno stesso valore, pari a + 1 0\ è assegnato a ciascuna delle due circostanze in cui si è colto nel segno . Si potrebbe non essere d'accordo con i numeri scelti, ma ciò non è rilevante, come vedremo tra breve. Credere nel caso in cui Dio non esista è un disagio di poco conto , quindi ha valore - I O . Non credere nel caso in cui

I 28

Logica

Dio esista, invece, è davvero sconveniente, quindi ha valo­ re - 1 06• A questo punto , è possibile calcolare i valori attesi di interesse: E(c) 0, 1 X 1 02 + 0,9 X ( I O) � o E('c) 0, 1 X (_ 1 06) + 0,9 X 1 02 � - 1 05 =

-

=

Il simbolo � significa "approssimativamente uguale a " . Dovremmo scegliere l'azione con il valore atteso maggiore, che corrisponde a credere. Si potrebbe pensare che i valori precisi che ho scelto siano piuttosto contestabili, e in effetti lo sono . Ma di fatto i valori precisi non hanno molta importanza, quello che conta è - I 0 6 • Questo numero rappresenta una situazione davvero negativa (un esperto di teoria delle decisioni po­ trebbe anche scrivere - 00 , per indicare un infinito negati­ vo) . Il suo valore è tale da annientare tutti gli altri, anche se la probabilità dell' esistenza di Dio è molto bassa: è qui che la scommessa di Pascal ha il suo punto di forza. La scommessa potrebbe apparire del tutto convincente, ma in realtà è viziata da un errore alquanto banale di teoria delle decisioni. Risultano omesse, infatti, alcune probabilità che pure sono da tenere in considerazione. Gli dèi possibili sono tanti e non uno solo : il dio cristiano (Dio) , il dio mu­ sulmano (Allah) , il dio indù (Brahma) e molti altri adorati in varie religioni minori. Alcune di queste divinità sono anche molto gelose. Se Dio esiste e non crediamo in lui, siamo nei guai; ma se Allah esiste e non crediamo in lui, saremo in guai altrettanto seri, e così via. Inoltre, se Dio esiste ma crediamo in Allah - o viceversa -, la situazione potrebbe essere ancora peggiore: sia per i cristiani sia per gli islamici, adorare falsi dèi è più grave di essere un semplice non credente.

Teoria delle decisioni: grandi speranze

1 29

Compiliamo una tabella che riporti tutte le informazioni aggiornate: Nessun Dio esiste

Dio esiste

Allah esiste

...

Nessun credo (n)

0,9\ + 1 02

0,0 1 \ - 1 06

0,0 1 \ - I d

...

Credere in Dio (d)

0,9\ - I O

0,0 1 \ + 1 02

0,0 1 \ - 1 09

...

Credere in Allah (a)

0,9\ - I O

0,0 1 \ - 1 09

0,0 1 \ + 1 02

...

...

...

...

...

Se calcoliamo i valori attesi limitandoci solo a queste infor­ mazioni parziali, otteniamo: E(n) = 0,9 x 102 + 0,01 x (- I d) + 0,01 x (_ 106) ::: - 2 X 104 E(d) = 0,9 X (- I O) + 0,0 1 X 1 02 + 0,01 X (- 1 09) ::: - 1 07 E(a) = 0,9 x ( - I O) + 0,0 1 X (- 1 09) + 0,0 1 X 1 02 ::: - 1 07

La situazione, comunque la si guardi, appare piuttosto sconfortante. Ma è chiaro che le varie credenze religiose ne escono peggio: non dovremmo affidarci a nessuna di esse. Concluderò, come ho già fatto nei capitoli precedenti, fornendo qualche motivo di turbamento riguardo al qua­ dro generale che abbiamo illustrato ; nel caso specifico, la politica di decidere in base ai più grandi valori attesi. Ci sono situazioni in cui sembrerebbe proprio che, così fa­ cendo , si vada incontro a risultati negativi. Supponiamo di avere fatto la puntata sbagliata nella scommessa di Pascal e

Logica

1 3°

di finire così all'inferno . Dopo pochi giorni il Diavolo in persona ci fa un'offerta. Per volere di Dio ci sarà rivolto un atto di misericordia, quindi il Diavolo ha escogitato un piano. Avremo l'opportunità di uscire dall'inferno lancian­ do una moneta: se esce testa potremo andare in paradiso, se esce croce saremo condannati per sempre all'inferno. La moneta, tuttavia, è truccata e il Diavolo è capace di con­ trollarne il comportamento statistico. Ci informa, quindi, che lanciando subito la moneta la probabili�à che esca testa è pari a 1 12 (cioè, I - 1 12) . Aspettando un giorno, invece, tale probabilità salirebbe a 3 /4 (cioè, I 1 122) . Riassumendo, l'informazione che possiamo trarre è la seguente: -

Scappare

Rimanere all'inferno

Lanciare la moneta oggi (o)

0, 5 \ + 1 0 6

0, 5 \ - 1 06

Lanciare la moneta domani (cl)

0,75\ + 1 06

0,2 5 \ - 1 0 6

Riuscire a scappare dall'inferno ha un grande valore positi­ vo, rimanerci ha un grande valore negativo . Inoltre, questi valori non cambiano passando da un giorno all'altro. È vero che rimandare il lancio della moneta significa trascorrere un giorno in più all'inferno, ma l'attesa di un giorno è trascu­ rabile rispetto all' eternità che ci aspetta. Facciamo i nostri calcoli: E(o) E(J)

= =

0 , 5 X 1 0 6 + 0 , 5 X (- 1 0 6) o 0,75 X 1 06 + 0,25 X (_ 1 0 6) 0 , 5 =

=

X

1 06

Teoria delle decisioni: grandi speranze

131

Decidiamo quindi di aspettare fino a domani. Ma ecco che il giorno successivo il Diavolo viene a dirci che se atten­ diamo un altro giorno ancora, la probabilità di vincere la sfida sarà certamente più favorevole: si arriva al valore di 7/8 (cioè, I 1 /23) . Ripetendo i calcoli scopriremo che dovremmo decidere di aspettare fino al giorno successivo. Il guaio è che il Diavolo verrà ogni giorno a offrirei miglio-

1 3 Un piano diabolico: mai fare oggi quello che si può rimandare a domani (© John Taylor) .

Logica

IJ2

ri probabilità di vincita a patto di rinviare il lancio della moneta al giorno seguente. Le quote della scommessa mi­ gliorano giorno dopo giorno in nostro favore, secondo la sequenza:

Ogni giorno ripetiamo i calcoli: il valore atteso per il lancio della moneta nel giorno n è pari a:

Applicando alcuni semplici passaggi aritmetici si ottiene il valore equivalente: Id X (I - 212") = 1 06 x (I - I l2n- , ) . Il valore atteso relativo a un ulteriore rinvio al giorno n + I si ottiene a partire da quello appena calcolato, e cioè sosti­ tuendo n + I a n, ed è pari a 1 0 6 x (I - I l2n) , che è ancora più grande, essendo I l2n minore di 1 12n - ' . Ogni giorno che lasciamo passare, la nostra speranza di vincita continua dunque a salire. Pertanto, ogni giorno effettueremo la scelta razionale di attendere ancora, con il risultato di non lancia­ re affatto la moneta, restando così all'inferno per sempre! Sarebbe meglio tentare la sorte in un giorno qualsiasi piut­ tosto che giungere a questa conclusione. Quindi si direbbe che l'unica cosa razionale da fare sia comportarsi in maniera irrazionale! Concetti principali del capitolo •



E(a)

= pr(e) x Val(e) + . . . + pr(e) x Val(e), dove e" tutti i possibili esiti che possono risultare dal fatto che

. a

. . , en indicano sia vera.

L'azione razionale è quella che rende vero l'enunciato con il valore atteso più grande.

Capitolo 14 Un po ' di storia e alcune letture di approfondimento

I concetti che abbiamo esplorato in questo libro sono stati sviluppati nei tempi e nei luoghi più disparati. Questo ca­ pitolo riporta una descrizione della storia della logica, col­ locando i diversi concetti nel rispettivo contesto storico . Dopo avere descritto a grandi linee l a storia della logica in generale, passerò a spiegare, capitolo per capitolo, come i singoli dettagli trovino posto nel quadro complessivo. Nel corso della trattazione fornirò anche alcuni suggeri­ menti per letture di approfondimento, a beneficio di quanti siano interessati a investigare più a fondo un certo numero di argomenti. Premetto che la ricerca di approfondimenti non è cosÌ semplice come si potrebbe pensare: generalmente i logici, i filosofi e i matematici preferiscono rivolgersi a un pubblico di specialisti. Trovare opere utili anche per un lettore alle prime armi, quindi, non è stata un'impresa facile, ma ho fatto del mio meglio . N ella storia del pensiero occidentale la logica ha cono­ sciuto tre grandi fasi di sviluppo, intervallate da periodi di relativa stasi. La prima grande fase di sviluppo ebbe luogo nell'antica Grecia e si colloca all'incirca tra il 400 e il 200 a . c . , e Aristotele (3 84-3 22) è stata la figura più importante di questo periodo . Al grande pensatore greco, che abbiamo già incontrato nel Capitolo 6, si deve lo sviluppo di una te-

Logica

1 34

oria sistematica di inferenze chiamate sillogismi, che hanno la forma: Tutti [alcuni] A sono [non sono] B. Tutti [alcuni] B sono [non sono] C. Allora, tutti [alcuni] A sono [non sono] C. Aristotele visse ad Atene per la maggior parte della sua vita, fondò una scuola di filosofia chiamata Liceo, ed è tradizio­ nalmente considerato il fondatore della logica. Tuttavia, quasi nello stesso periodo un'altra scuola di logica si svilup­ pò con successo a Megara, città situata circa 5 0 chilometri a ovest di Atene . Non sappiamo molto sui logici megari­ ci, ma sembra che si siano interessati in modo particolare ai condizionali e ai paradossi logici. Alla scuola di Megara apparteneva, infatti, Eubulide (che abbiamo incontrato nei Capitoli 5 e I O) . Un altro importante movimento filosofico ebbe inizio ad Atene intorno al 3 00 a.C. Si tratta dello stoidsmo, che deve il suo nome al portico (in greco , stoa) dove avevano luogo i primi incontri di questi filosofi. Sebbene gli interes­ si filosofici degli stoici siano andati ben al di là della logica, questa occupò ugualmente un ruolo di primo piano tra tali pensatori. Si ritiene che la logica megarica abbia influen­ zato i logici stoici, che di certo investigarono con molto interesse il comportamento della negazione, della congiun­ zione, della disgiunzione e del condizionale. È inoltre il caso di segnalare che più o meno nello stesso periodo, parallelamente a quanto accadeva in Grecia, teorie logiche si andavano sviluppando in India, principalmente per opera di logici buddisti. Si tratta di teorie importanti che, tuttavia, non conobbero un livello di maturità pari a quello raggiunto dalla logica in occidente.

Un po' di storia e alcune letture di approfondimento

135

Il secondo periodo di sviluppo della logica occidentale si ebbe in Europa tra il XII e il XIV secolo, in università come quelle di Parigi e di Oxford. Tra i logici medievali si pos­ sono annoverare personalità autorevoli come Duns Scoto ( 1 266- 1 3 08) e Guglielmo di Ockham ( 1 2 8 5 - 1 3 49) , che fu­ rono in grado di sistematizzare e sviluppare ulteriormen­ te la logica che avevano ereditato dall'antica Grecia. Dopo questo periodo, gli studi logici ristagnarono fino alla secon­ da metà del XIX secolo, con l'unica brillante eccezione di Gottfried Leibniz ( 1 646- 1 7 1 6) , che abbiamo incontrato nei Capitoli 6 e 9. Leibniz anticipò alcuni dei moderni sviluppi della logica, ma la matematica dei suoi tempi non aveva an­ cora i mezzi necessari per dare slancio alle sue idee. Lo sviluppo dell'algebra astratta nel X I X secolo mise a disposizione ciò di cui c'era bisogno e diede il via al ter­ zo periodo, forse il più importante di tutti. Concetti logici radicalmente nuovi sono stati elaborati da pensatori come Gotdob Frege ( 1 848 - 1 925) e Bertrand Russell ( 1 872- 1 970) , che abbiamo rispettivamente incontrato nei Capitoli 2 e 4. Si fa comunemente riferimento a queste nuove teorie par­ lando di logica moderna, in contrapposizione alla logica tradi­ zionale che l'ha preceduta. Ulteriori sviluppi si sono succe­ duti con rapidità nel corso di tutto il xx secolo, e tuttora non si riscontrano segnali di rallentamento . Un testo classico di storia della logica è Kneale e Kneale, 1 97 5 (vedi Bibliografia a p. 1 6 5 ) . Sebbene oggi appaia un po' datato e caratterizzato da un ottimismo forse eccessivo, dovuto al presupposto per cui i primi logici moderni aves­ sero già capito tutto, resta tuttavia un' eccellente opera di riferimento. Capitolo I . La distinzione tra validità deduttiva e induttiva risale ad Aristotele: è stato in quel periodo che si è dato il

Logica

via allo sviluppo delle teorie di validità deduttiva. È plau­ sibile sostenere che la prospettiva descritta nel Capitolo I , secondo la quale un'inferenza è deduttivamente valida se e solo se la conclusione è vera in ogni situazione in cui le premesse sono vere, risalga alla logica medievale; la sua arti­ colazione, tuttavia, è un tema cruciale per la logica moder­ na. Un avvertimento: ciò che abbiamo chiamato situazione è più comunemente indicato con i termini interpretazione, struttura o modello. La parola situazione ha un significato di­ verso, ed è usata come termine tecnico in una particola­ re area della logica. Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Dodgson) era un vero logico, e ha pubblicato alcuni trattati di logica tradizionale. Capitolo 2. L'argomento per cui le contraddizioni im­ plicano qualunque cosa è un'invenzione medievale. Chi ne sia stato il vero artefice resta un mistero, ma di certo l'ar­ gomento è presente in Duns Scoto . La stessa concezione vero-funzionale della negazione, della congiunzione e della disgiunzione sembra avere avuto origine nel Medioevo (la posizione stoica non era vero-funzionale in senso moder­ no) , sebbene una formulazione completa di tale teoria si sia avuta solo con i fondatori della logica moderna, Frege e Russell. In tal senso, una voce discorde tra i contemporanei è quella di Strawson, 1 9 52, capitolo 3 . Capitolo 3 . La distinzione tra nomi e quantificatori è principalmente un risultato della logica moderna, che non a caso annovera fra i suoi tratti distintivi proprio l'analisi dei quantificatori. Questa fu elaborata da Frege e in seguito ripresa da Russell. Idee simili furono sviluppate nello stesso periodo dal filosofo e logico statunitense Charles Sanders Peirce ( 1 8 3 9- 1 9 1 4) . Si è soliti chiamare 3 x quantijicatore esi­ stenziale; questa terminologia, tuttavia, porta subdolamente con sé una teoria dell' esistenza alquanto discutibile. Le ope-

Un po ' di storia e alcune letture di approfondimento

1 37

re di Lewis Carroll su Alice abbondano di storielle a sfondo filosofico: alcuni ottimi commenti in merito si possono tro­ vare in Heath, 1 974. Lo stesso autore propone molte altre sue storielle di tipo analogo riguardanti il concetto del nien­ te in Heath, 1 967. Le teorie esposte nei Capitoli 1 3 sono rintracciabili in qualunque testo classico sulla logica moderna; se si cerca una trattazione idonea per i non addetti ai lavori, si può fare riferimento a Hodges, 1 977, come pure a Lemmon, 1 97 1 . Capitolo 4 . Anche il trattamento distinto delle descri­ zioni come significativa categoria logica a sé è frutto solo della logica moderna. L'analisi più famosa è forse quel­ la proposta da Russell nel 1 90 5 . Il resoconto presentato nell'ambito di questo capitolo non è quello di Russell, ma gli si avvicina molto nei principi essenziali. Non tutti i testi classici di logica moderna trattano le descrizioni; una chiara esposizione dell'argomento è presente in Hodges, 1 977. Capitolo 5. Differenti versioni del paradosso del men­ titore sono rintracciabili nella filosofia dell' antica Grecia. Altri paradossi sull'autoreferenza sono stati inventati e di­ scussi nel corso di tutta la logica medievale. Altri ancora ne furono scoperti intorno al volgere del xx secolo, puntando questa volta all'essenza della matematica stessa. Da allora i paradossi sono diventati un argomento di massima impor­ tanza per la logica. Suggerimenti per la loro risoluzione sono stati proposti in quantità. L'idea per cui ci possa essere qualche proposizione che non sia né vera né falsa risale ad Aristotele (De Interpretatione, capitolo 9) ; tuttavia, si direbbe che il pensatore greco non abbia dimostrato alcuna simpatia per il concetto speculare secondo il quale qualche proposi­ zione potrebbe essere sia vera sia falsa. L'effettiva presenza di tali proposizioni, tra le quali an­ drebbero annoverate anche quelle paradossali, è alla base di -

Logica

una prospettiva non ortodossa che è stata avanzata da alcuni logici negli ultimi quarant'anni. Le discussioni sui paradossi autoreferenziali tendono a diventare immediatamente mol­ to tecniche. Alcune buone introduzioni all'argomento si possono trovare in Read, 1 994, capitolo 6, e in Sainsbury, 1 99 5 , ca­ pitoli 5 e 6. L'intera tematica resta comunque altamente controversa. Capitolo 6. Lo studio delle inferenze che coinvolgo­ no gli operatori modali ha avuto inizio con Aristotele ed è stato portato avanti durante il Medioevo. Le prime investi­ gazioni moderne si devono al filosofo americano Claren­ ce Irving Lewis ( 1 8 8 3 - 1 964) ed ebbero luogo all'incirca tra il 1 9 1 5 e il 1 93 0 . Il concetto di "mondo possibile" si può trovare in Leibniz, ma è stato impiegato in questo capito­ lo secondo modalità che si devono principalmente a Saul Kripke ( 1 940) , un altro filosofo americano, che sviluppò le sue teorie nel corso degli anni Sessanta. Un'introduzio­ ne standard all'argomento è quella di Hughes e Cresswell, 1 996, ma sarebbe difficile affrontare questo testo prima di essersi fatti le ossa sulle tematiche logiche basilari di un ma­ nuale più classico . L'argomento di Aristotele sul fatalismo è tratto dal De Interpretatione, capitolo 9, ed è ritenuto fallace dal filosofo greco sulla base di motivi diversi rispetto a quel­ li presentati in questo capitolo. Una trattazione ragionevol­ mente accessibile della questione si trova in Haack, 1 974, capitolo 3 . L'argomento con cui si chiude il capitolo è una versione dell"'argomento dominante" proposto dal logico megarico Diodoro Crono. Capitolo 7. Il dibattito riguardante la natura dei con­ dizionali risale ai megarici e agli stoici, che produssero numerose differenti teorie in merito. L'argomento è stato ampiamente discusso anche durante il Medioevo . La con-

Un po' di storia e alcune letture di apprcifondimento

1 39

cezione vero-funzionale dei condizionali rientra nella pro­ spettiva megarica ed è stata sostenuta fin dagli albori della logica moderna da Frege e Russell. La descrizione fornita in questo capitolo è senza dubbio simile a quelle tipiche della logica medievale; una sua forma più moderna si deve a Clarence Irving Lewis, il quale partì dall'analisi dei condi­ zionali per sviluppare la logica modale. Il concetto di impli­ catura conversazionale è stato proposto negli anni Settanta dal filosofo britannico Paul Grice ( 1 9 1 3 - 1 98 8 ) , il quale se ne servì in difesa del condizionale materiale. La natura dei condizionali resta un argomento altamente controverso; in Read, 1 994, capitolo 3 , se ne trova una semplice introdu­ zione, come pure nella prima parte di Sanford, 1 989. Capitolo 8 . La discussione sul ragionamento temporale è stata portata avanti da numerosi logici medievali. L'ap­ proccio seguito in questo capitolo è quello sviluppato negli anni Sessanta principalmente per opera del logico neoze­ landese Arthur Prior ( 1 9 1 4- 1 969) , che trasse ispirazione per le sue ricerche dagli sviluppi della logica modale. Una trat­ tazione accessibile dell'argomento è riportata in 0hrstr0m e Hasle, 1 99 5 . L'argomento di McTaggart è apparso per la prima volta nel 1 908, tuttavia qui ne è stata offerta una presentazione alquanto differente, che segue Mellor, 1 99 8 , capitolo 7. Capitolo 9 . La distinzione tra l' "essere " dell'identità e l' "essere " della predicazione risale a Platone (maestro di Ari­ stotele) . Il particolare approccio seguito in questo capitolo per trattare l'identità ha origini incerte: l'idea che si possano sostituire oggetti con altri oggetti uguali ai primi è già pre­ sente in Euclide (300 a.C. circa) ; altri elementi si ritrovano in Ockham e certamente in Leibniz. L'argomentazione, nella sua forma moderna, è quella di Frege e di Russell, e i più classici testi di logica (come Hodges, 1 977 e Lemmon,

Logica

1 97 1 ) ne forniscono una presentazione. Enigmi riguardanti l'identità si contano a bizzeffe in filosofia. Quello con cui ho chiuso il capitolo si deve, per quanto ne so, a Prior. Capitolo I O . I problemi del sorite risalgono alla logi­ ca megarica. Quello proposto all'inizio del capitolo è una versione del paradosso noto con il nome di nave di Teseo, che si diceva essere stata ricostruita pezzo per pezzo . Per quanto ne S O , questo esempio fu utilizzato per la priva vol­ ta da Thomas Hobbes ( 1 5 8 8 - 1 679) , filosofo inglese del XVII secolo, nella sezione De Corpore dei suoi Elementi di filosofia. Lo studio più approfondito di questo tipo di problemi è av­ venuto soprattutto nel corso degli ultimi trent' anni. N egli anni Venti il logico polacco Jan Lukasiewicz ( 1 878- 1 9 5 6) sviluppò i dettagli logici riportati in questo capitolo senza fare riferimento ai problemi legati alla vaghezza (le sue mo­ tivazioni inizialmente riguardavano 1'argomento di Aristo­ tele sul fatalismo) . Alcune valide discussioni sulla vaghezza sono presenti in Read, 1 994, capitolo 7, e Sainsbury, 1 99 5 , capitolo 2 . Un'introduzione all'argomento molto più este­ sa è quella di Williamson, 1 994. Capitolo I I . Storicamente, la validità induttiva ha go­ duto di un'attenzione molto minore rispetto alla validità deduttiva. La teoria della probabilità si è sviluppata nel XVIII secolo, con riferimento ai giochi d'azzardo, per opera so­ prattutto di matematici francofoni come Pierre de Laplace ( 1 749- 1 827) e i membri della prodigiosa famiglia Bernoulli. L'idea di applicare la teoria della probabilità alle inferenze induttive si deve principalmente al logico tedesco Rudolph Carnap ( 1 89 1 - 1 97°) , che vi lavorò nel corso degli anni Cinquanta. Si distinguono diverse nozioni di probabilità; quella descritta in questo capitolo di solito è chiamata in· terpretazione frequentista. Una buona introduzione all'intera area tematica si trova in Skyrms, 1 97 5 .

Un po' di storia e alcune letture di appriifondimento

Capitolo

L'analisi delle relazioni tra probabilità inver­ se risale a Thomas Bayes, matematico britannico del XVI I I secolo ( 1 702- 1 76 1 ) . La relazione descritta in questo capi­ tolo viene spesso erroneamente chiamata teorema di Ba yes. I problemi riguardanti il principio di indifferenza sono sorti insieme alla teoria della probabilità. Un'introduzione stan­ dard a ragionamenti di questo tipo si trova in Howson e Urbach, 1 989, testo adatto solo a chi non nutre timori re­ verenziali nei confronti della matematica. Capitolo 1 3 . Anche la teoria delle decisioni affonda le sue radici nelle indagini sulla teoria delle probabilità del XVI I I secolo, ma la sua piena affermazione è avvenuta solo nel xx secolo a seguito di molte importanti applicazioni in campo economico e nella teoria dei giochi. Una buona in­ troduzione all'argomento è rappresentata da jeffrey, 1 9 8 3 , altro testo poco adatto a chi teme la matematica. Il proble­ ma con cui si conclude il capitolo è tratto da Gracely, 1 9 8 8 . 12.

Molti degli argomenti incontrati i n questo libro riguardano, in un modo o nell'altro, Dio. Ciò non significa che quanto attiene a Dio costituisca un tema di discussione prettamente logico . Piuttosto, i filosofi hanno avuto parecchio tempo a loro disposizione per sollevare argomenti interessanti che riguardano Dio. L'argomento cosmologico, illustrato nel Capitolo 3 , è stato proposto dal filosofo medievale Tommaso d'Aquino nella sua versione forse più famosa, ma anche molto più so­ fisticata rispetto a quella da noi presa in esame, tanto da non risentire dei problemi di cui abbiamo discusso. L'argomento ontologico è stato proposto da un altro fi­ losofo medievale, Anselmo d'Aosta, ma la versione presen­ tata nel Capitolo 4 ricalca quella riportata da René Descar­ tes nella sua Quinta meditazione metafisica.

Logica

Versioni di tipo biologico dell'argomento teleologico co­ nobbero una certa popolarità nel corso del XIX secolo, ma furono liquidate dall'affermarsi della teoria dell' evoluzione. Nel xx secolo, invece, si sono diffuse versioni cosmolo­ giche simili a quella illustrata nel Capitolo 1 2 . Un buon riferimento per gli argomenti sull' esistenza di Dio è rappre­ sentato da Hick, 1 964. Le poche informazioni qui riportate offrono un quadro soltanto parziale della vasta storia della logica. Ed è altret­ tanto vero che molti argomenti, sebbene attinenti alla logi­ ca, sono stati esclusi da questa trattazione. Abbiamo appena sfiorato una materia che nasconde profondità e bellezze im­ possibili da raggiungere con libri di questo tipo. Tuttavia, molti dei grandi logici del passato si sono lasciati affascinare dalla logica proprio partendo da considerazioni e problemi simili a quelli che sono stati qui discussi. Se anche voi ne avete subito il fascino, il mio scopo può dirsi raggiunto.

Glossario

Questo glossario contiene i termini tecnici e i simboli logici uti­ lizzati nel libro . Ciascuna voce non pretende di essere precisa, ma vuole trasmettere un'idea essenziale, utile per una consulta­ zione veloce. Di solito i termini e i simboli utilizzati sono abba­ stanza standard, sebbene ne esistano molti altri che pure risultano di uso comune .

antecedente: ciò che segue immediatamente il "se" in un condizionale.

autoriferenza: quanto espresso da una proposizione relativa a una situazione che riguarda se stessa.

classe di riferimento: il gruppo di oggetti da prendere in considerazione per calcolare i rapporti delle probabilità. conclusione: la parte di un'inferenza per cui sono fornite le ragioni. condizionale: se . . . allora . . . condizionale materiale: non entrambi ( . . . e non . . . ) . condizioni di verità: proposizioni che spiegano come il/i valore/i di verità di una proposizione dipenda/dipendano dai valori di verità dei suoi componenti. congiunti: le due proposizioni coinvolte in una congiunzione. congiunzione: . . . e . . . conseguente: ciò che segue immediatamente l"'allora" in un condizionale . descrizione (definita): un nome nella forma "la (singola) cosa con queste determinate proprietà " . disgiunti: l e due proposizioni coinvolte i n una disgiunzione.

1 44

Logica

disgiunzione: o . . . o . . . "essere " dell'identità: . . . e . . . sono lo stesso oggetto. "essere" della predicazione: parte di un predicato che indica l'appli­ cazione della proprietà espressa dalla restante parte del predi­ cato stesso. funzione di verità: un simbolo logico che, applicato a proposizioni per produrre proposizioni più complesse, è tale che il valore di verità della proposizione composta è completamente de­ terminato dal valore/dai valori del suo componente/dei suoi componenti. implica tura conversazionale: un'inferenza che procede non da quanto si è detto, ma dal fatto che qualcosa sia stato detto . inferenza: un ragionamento in cui le premesse sono fomite come ragioni di una conclusione . legge di Leibniz: se due oggetti sono identici, qualsiasi proprietà dell'uno è anche proprietà dell'altro . logicafuzzy: un tipo di logica in cui le proposizioni assumono va­ lori di verità che possono essere pari a qualsiasi numero com­ preso tra o e I . logica moderna: le teorie logiche e le tecniche scaturite dalla rivo­ luzione che si ebbe nel campo della logica intorno al volgere del xx secolo . logica tradizionale: le teorie logiche e le tecniche che erano in uso prima del xx secolo . modus ponens: la forma dell'inferenza a � c, a / c. mondo possibile: una situazione, associata a un'altra situazione s, nella quale le cose si trovano di fatto nel modo in cui potreb­ bero eventualmente trovarsi in s. necessità: si deve dare il caso che . . . negazione: non si dà il caso che . . . nome: categoria grammaticale associata a una parola che fa riferi­ mento a un oggetto (quando tutto va bene) . nome proprio: un nome che non è una descrizione . operatore modale: una frase che si lega a una proposizione per for­ mare un'altra proposizione che esprime il modo in cui la pro-

Glossario

1 45

posizione precedente risulta vera o falsa (possibilmente, ne­ cessariamente, ecc.) . operatore temporale: una frase che si lega a una proposizione per fonnare un'altra proposizione che esprime il tempo in cui la proposizione precedente risulta vera o falsa (passato o futuro) . paradosso del mentitore: "Questa proposizione è falsa". paradosso del sorite: una tipologia di paradossi che comportano l'applicazione ripetuta di un predicato vago . paradosso di Russell: una tipologia di paradossi che riguardano l'in­ sieme di tutti gli insiemi che non sono membri di se stessi. possibilità: potrebbe darsi il caso che . . . predicato: nelle proposizioni più semplici dal punto di vista gram­ maticale, la parte che esprime quello che si affenna in merito a ciò a cui la proposizione si riferisce. premesse: la parte di un'inferenza che fornisce le ragioni. principio di indiffe renza: dato un certo numero di possibilità che non siano caratterizzate da importanti differenze tra loro, queste hanno tutte la stessa probabilità di verificarsi. probabilità: un numero compreso tra o e I , che indica quanto sia verosimile il verificarsi di qualcosa. probabilità a priori: la probabilità di un enunciato prima di consi­ derare altre infonnazioni aggiuntive . probabilità condizionata: la probabilità di un enunciato considerate altre infonnazioni aggiuntive. probabilità inversa: la relazione tra le probabilità condizionate di a nota b, e di b nota a. quantifìcatore: una parola o una frase che può fungere da soggetto di una proposizione, ma che non fa riferimento a un oggetto . quantifìcatore particolare: qualcosa è tale che . . . quantifìcatore universale: ogni cosa è tale che . . . sillogismo: una forma di inferenza (per la quale Aristotele fu il primo a produrre una teoria) con due premesse e una conclusione. situazione: uno stato di cose, eventualmente ipotetico, nel quale le premesse e la conclusione possono essere vere o false .

Logica

soggetto: nelle proposizioni più semplici dal punto di vista gram­ maticale, la parte che esprime ciò cui la proposizione si riferisce . tavola di verità: un diagramma che rappresenta le condizioni di verità. tempo: passato, presente o futuro . teoria delle decisioni: la teoria sul come prendere decisioni in con­ dizioni di incertezza. vaghezza: una proprietà di un predicato che suggerisce l'idea se­ condo la quale le piccole modifiche di un oggetto non influi­ scono sull'applicabilità del predicato . validità deduttiva: un'inferenza è deduttivamente valida quando le premesse non possono essere vere senza che lo sia anche la conclusione . validità induttiva: un'inferenza è induttivamente valida quando le premesse forniscono qualche base ragionevole (sebbene non necessariamente decisiva) per la conclusione . valido: termine che si applica a un'inferenza in cui le premes­ se forniscono davvero una ragione di qualche tipo per la conclusione. valore atteso: il risultato che si ottiene partendo da ogni possibile esito di un evento , moltiplicandolo per il corrispondente va­ lore di probabilità e sommando tutti i prodotti ottenuti per ogni esito . valore di verità: vero ( V) o falso (F) .

Glossario

1 47

Simbolo

Significato

Nome

}

V

vero (in una situazione)

F

falso (in una situazione)

v

o. . . o . . .

disgiunzione

&

. . . e. . .

congiunzione

non si dà il caso che . . .

3x

qualche oggetto ,

Vx

ogni oggetto,

x,

x,

x,

è tale che . . .

è tale che . . .

IX

l' oggetto ,

D

si deve dare il caso che . . .

è tale che . . .

O

potrebbe darsi il caso che . . .

}

operatori modali

condizionale materiale

F

si darà il caso che . . . si è sempre dato il caso che . . .

G

si darà sempre il caso che . . .