Lo sviluppo inafferrabile. L'avventurosa ricerca della crescita economica nel Sud del mondo 8842498963, 9788842498964

A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli economisti hanno cercato di capire in che modo i paesi poveri, i

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Lo sviluppo inafferrabile. L'avventurosa ricerca della crescita economica nel Sud del mondo
 8842498963, 9788842498964

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William Easterly

Lo sviluppo inafferrabile L’avventurosa ricerca della crescita economica nel Sud del mondo

CD Bruno M ondadori

Indice

XI XIII

xv l

Ringraziamenti Prefazione alPedizione paperback Prologo; alla ricerca della crescita Parte prima. Perché la crescita è importante

5

I. Aiutare i poveri La morte degli innocenti* p. 9; Più ricchi e più sani* p. Il ; i più po­ veri tra i poveri* p. 12; Mangiare* p. 13; L'oppressione dei poveri, p. 13; Crescita e povertà*p. 1.5; Iniziare la ricerca, p, 18 18 i.vii’iKMi-zzn: Alla ricerca di un fiume 23 Parte seconda. Panacee che hanno fallito 27

55

2. L'aiuto agli investimenti

Miracolo sul Volta*p. 28; Ritorno al Volta*p. 29; Il modello Harrod'Domar (1946-2000)* p. 31; Linvenzione dello sviluppo, p. 34; Gli stadi di Ro$tou\ p. 36; La paura sovietica e gli aiuti internazio­ nali* p. 37: Non dimentichiamoci di risparmiare* p- 40; Il gapfinan­ ziario incontra il computer* p. 41; Il gap finanziario per sempre* p, 42; Clì aiuti agli investimenti alla luce dell'esperienza* p. 45; Dagli investimenti alla crescita, p. 47; Gli investimenti sono necessari nel breve periodo?* p, 48; Il controllo congiunto dei tegami tra aiuti e investimenti e tra investimenti e crescita*p, 52; Cinquantanni sono abbastanza, p. 54 j.y i ìiKMLZzO:

Parmila

57 3. La sorpresa di Solow: gli investimenti non sono la chiave per la crescita Lo scandaloso Solow,, p. 58; Lafarina la prossima volta, p. 60; Così non si cresce, p, 62; È la tecnologia, stupido!, p. 63; Una digressio­ ne sulla fallacia luddista, p. 64; Transizioni, p. 67; Solate ai tropici, p. 68; Rendimenti eflussi, p- 71 ; Ld crescita che non c'è stata, p. 73; // marchio della storia, p. 75; I vincitori scrivono la storia economi­ ca, p. 78; La contabilità JelLt crescita incontra Li banda dei quattro, p. 80; Conclusione, p. 83

86

intermezzo;

Piante secche

87 4. Istruiti a che scopo? Uesplosione dell'istruzione, p. 89; Dov’è andata a finire l'Istruzio­ ne?, p. 90; Istruzione e reddito, p, 95; Istruzione e incentivi, p. 101; Conclusione, p, 104 105

intermezzo:

Senza un rifugio

107 5. Soldi per i profilattici? Il mito delle nascite indesiderate. p. 111 ; Una verifica dell'ipotesi dei disastri demografici, p. 113; Una popolazione più numerosa: un bene o un male?, p. 116; Lo sviluppo, it miglior contraccettivo, p. 119; Le due rivoluzioni, p. 121 124 intermezzo: Pitture tombali 125 6. Prestiti sì, crescita no Qualche successo, p, 129; Prestiti senza aggiustamenti, p. 130; Pro­ blemi con le transizioni, p. 131; Altri interventi, p. 133; Come fin­ gere gli aggiustamenti, p, 138; JJerosione delle risorsefuture, p. 140; Incentivi per i donatori e per ì destinatari degli aiuti, p> 146; Come sarebbe potuta andare, p. 148; Guardare alfuturo, p. 149 152 intermezzo: La storia di Koumccn 153 7. Rimetti a noi i nostri debiti Un ventennio di storia di cancellazione del debito, p. 155; // tour mondiale del G7, p. 156; Il futuro in svendita,p. 159; Cattivi in­ terventi o sfortuna?, p. 163; // gap finanziario alla resa dei conti, p. 164; Il curioso caso della Costa d'Avorio, p. 167; Conclusione, p. 170 172

intermezzo: La

casa

di cartone

175 Parte terza. Le persone rispondono agli incentivi 179 8. Storie di rendimenti crescenti Diffusione involontaria della conoscenza, p. 181; Matchings p. 192; Trappole, p. 201

213

intermezzo:

Guerra e memoria

215 9. Distruzione creativa: il potere della tecnologia Lo shock del nuovo, p. 215; La storia della luce, p. 218; Bello, ma non è una panacea, p. 220; Il progresso tecnico, p. 222; Il peso morto dell'antico, p. 225; Interessi acquisiti e distruzione creativa, p. 227; Imitazione tra poveri, p. 234; Bangalore, p. 235; Path dependence e fortuna, p. 237; Complementarità vs. sostituzione, p. 238; // futuro dei tropici, p. 241; Conclusione%p. 243 244 intermezzo: Incidente in Giamaica 245 10, Sotto una cattiva srella Leconomia del disastro. p. 247; Perché la fortuna è importante?%p. 250; La fortuna tome garanzia di onestà, p. 252; Regressione alla media, p. 256; Roulette, p. 257: Previsioni, p. 258; Alla ricerca deh l'eccellenza, p. 260; Avvertimento: alcuni prezzi sono fuori dal tuo controllo, p, 261; Ragioni di scambio che migliorano o che peggiora­ no?t p. 263; Guerra, p. 264; Im crescita dei paesi industriali, p, 265; No;; provate afarlo a casa, p. 266; Conclusione, p. 268

270

INTERMEZZO;

Vita nella favela

271 11.1 governi possono uccidere la crescita La creazione di elevata inflazione, p. 271 ; La creazione di un elevato black market premium, p. 276; La creazione di elevati deficit di bi­ lancio: la storia di tre crisi, p. 279; Luca sione delle banche, p. 282; La chiusura dell'economia, p. 286; I dissewizipubblici, p. 289; L'in­ tervento mancante, p. 294; Luovo e la gallinaf p. 295; La crescita nei diversi paesi, P- 297; Conclusione, p. 29S 299

in t e r m e z z o :

Florence e Veronica

301 12. Corruzione e crescita Una vita in fuga, p. 302; Il tour mondiale della corruzione, p. 303; Misurare la corruzione e le sue conseguenze, ]>- 307; Varietà di cor­ ruzione, p, 309; Le determinanti della corruzionet p. 311; Politiche di controllo della corruzione, p. 315

31 /

intermezzo :

Discriminazione a Palanpur

319 13, Popoli polarizzati AWinseguimento del cacao, p. 320; Anche i politici sono persone, p. 322; La risposta sbagliata, p. 323; La molteplicità dall*uno, p. 324; Ora di pranzo* p. 327; Guerre di logoramento, p. 328; In difesa dello status quo, p, 329; Disuguaglianza e crescita, p. 330; Le scelte dei!1oligarchia, p, 333; Codio etnico e la crescita* p. 335; Aiuti in­ ternazionali e conflitto etnico, p. 345; Polarizzazione sia di classe sia etnica, p, 346; La tragedia razziale americana, p. 348; Contrastare la pobtrizzazione»p, 349; Buone istituzioni, p. 351; Il middle class consensus, p< 352; Conclusione, p. 355 355

intermezzi •:

Violenti per secoli

357 14, Conclusione: uno sguardo da Lahore Li labore che non funziona» p. 358; Incentivi per i giocatori* p, 361 367 Bibliografia 387 Indice analitico

Ringraziamenti

Sono molto grato a Ross Levine e Lain Pritchett, per i loro com­ menti alle diverse stesure del libro e per le frequenti discussioni da cui sono scaturite idee preziose. Per i commenti ricevuti ringrazio anche i miei editori presso la mit Press, cinque anonimi referee, Alberiti Alesina, Reza Baqir, Roberta Gatti, Ricardo Hausmann, Charles Kenny, Michael Kremer, Susan Rabiner, Sergio Rebelo, Sergio Schmukler, Michael Woolcock; i coautori di diversi miei studi usati in questo libro e dai quali ho imparato molto, inclu­ si il compianto Michael Bruno, Shanta Devarajan, David Dol­ lar, Allan Drazen, Stanley Fischer, Roumeen Islam, Robert King, Aart Kraay, Paolo Mauro, Peter Montiel, Howard Pack, Jo Ritzen. Klaus Schmidt-Hebbel, Lawrence Summers, Joseph Stiglitz, Holger W'oll e David Yuravlivker; gli organizzatori degli incontri molto istruttivi sulla crescita tenuti presso il National Bureau ol Economie Research, tra cui Robert Barro, Charles Jones, Paul Romer, Jeffrey Sachs e Ahvyn Young; i numerosi partecipanti ai semi­ nari, ai corsi presso la Georgetown University e la Johns Hopkins School of Advanced International Studies, e ai corsi di formazione in cui lio presentato parti delle bozze di questo volume. Sono il so­ lo responsabile delle idee espresse nel libro.

XI

Prefazione all’edizione paperback

Per l'edizione paperback del 2 0 0 2 , la mit Press mi ha suggerito di citare in prefazione un paio di importanti aggiornamenti rispet­ to alla precedente edizione del 2001. Primo, mia madre ora ha un e mail. Secondo, molti lettori mi hanno chiesto se la mia af­ fermazione nel prologo originale per la quale «il mio datore di lavoro [...] la Banca Mondiale [...] incoraggia persone insistenti e fastidiose come me a esercitare la propria libertà intellettuale» fosse del tutto vera. Ebbene, era quasi vera. Oggi dovrebbe essere leggermente modificata e diventare «la Banca Mondiale [.« J in­ coraggia persone insistenti e fastidiose come me a trovarsi un al­ tro lavoro». Oggi mi sono felicemente sistemato presso il Center for Global Development, un nuovo centro di ricerca fondato da Ed Scott, Fred Bergsten e Nancy Birdsall, e presso Tlnstitute for International Economics (entrambi a Washington). Dal gennaio del 2003 sono membro della facoltà di Economia della New York University. Scrivetemi all'indirizzo e-mail [email protected] o visitate il sito www.cgdev.org.

xni

Prologo: alla ricerca della crescita

Quello della ricerca è un tema antico. Seppure in versioni diverse, si tratta della ricerca di un oggetto prezioso con proprietà magi­ che: il vello d’oro, il santo Grani, l'elisir di lunga vita. L’oggetto prezioso, nella maggior parte delle storie, rimane inafferrabile o, una volta trovato, si rivela una delusione. Giasone trova il vello d’oro con Lamio di Medea, che ha tradito il proprio padre, ma U successivo matrimonio tra i due si rivelerà un fallimento. Giasone a sua volta tradisce Medea per un'altra principessa e Medea espri­ me il proprio disappunto uccidendo i propri figli e la futura sposa di Giasone. Noi economisti iniziammo questa nostra ricerca cinquantanni fa, alla fine della seconda guerra mondiale, con lo scopo di scopri­ re i mezzi attraverso i quali i paesi poveri dei tropici1 sarebbero potuti diventare ricchi come quelli delLHuropa o dell’America del Nord. Una ricerca motivata dall osservazione delle sofferenze dei poveri c dell’agiatezza dei ricchi. Se la nostra ricerca avesse avuto successo avrebbe rappresentato uno dei maggiori trionfi intellet­ tuali dell’umanità. Come gli antichi cercatori, noi economisti abbiamo provato a trovare l‘oggetto prezioso, la chiave che ci avrebbe permesso di far >.ì che i paesi poveri diventassero ricchi. Molle volte abbiamo pen* 1 11 significato della parola inglese tropsa è più esteso di quello dell'italiana trofJtL7. Mentre nella lingua italiana “tropici” e ‘paesi tropicali ' vengono usa­ ti prevalent emerite per indicate una specifica atra gcogiaiicu - quella appunto compresa tra i due Tropici -, nell'inglése* americano "tropics" o “’tropica! rounm es” ricorrono anche con il significato più generate di paesi del Sud del mondo, di paesi del Terzo Mondo o di paesi arretrati. Tenuto conto di questa differenza, per evitare ambiguità nel sutloùtolu del libro si è deciso di tradurre la parola con “Stili del mondo": nel testo invece, al fine di garantite una migliore leggibilità, tropics e (rapirti oiuulrin sono stati tradotti, rispettivamente, come “tropici” t “parsj tropicali . I.V J. 1!)

Lo sviluppo inafferrabile

saio di aver scoperto Felisir. L’oggetto prezioso che of frivamo va­ riava dal sostegno agli investimenti attraverso aiuti internazionali, agli incentivi per l'istruzione, fino al controllo della crescita della popolazione, dalla concessione di prestiti d’aggiustamento fino al­ l’estinzione del debito estero. Nulla di ciò che è stato promesso è stato realizzato. I paesi poveri che abbiamo trattato con questi rimedi non sono riusciti a raggiungere i livelli di crescita che ci aspettavamo. E le regioni oggetto degli sforzi più intensi, come l’Africa sub-saharia­ na, non sono cresciute per nulla. America Latina e Medio Orien­ te, dopo essere cresciuti per un certo periodo, negli anni ottanta e novanta sono stuti vittime di nuovi crolli. L’Asia meridionale, oggetto di una particolare attenzione da parte degli economisti, ha vissuto percorsi di crescita irregolare, che hanno fatto sì che ancora oggi quella regione ospiti una proporzione enorme dei po­ veri del mondo. Più di recente, l’Asia orientale, di cui a più riprese abbiamo celebrato i successi, ha finito per subire il suo crollo (da cui di re­ cente alcuni paesi, ma non tutti, si stanno risollevando). Al di fuori dei tropici, abbiamo cercato di applicare alcuni rimedi tropicali ai paesi dell’ex Unione Sovietica, con risultati parecchio deludenti. Così come le pretese di aver trovato l’elisir si sono rivelate in­ fondate, le formule spacciate da noi economisti troppo spesso violavano il principio di base dell'economia. Il problema non era quello del fallimento della teoria economica, ma quello del falli­ mento dell'applicazione dei principi della teoria economica negli interventi di politica economica. Qual è il principio di base della teoria economica? Come mi disse una volta un vecchio saggio: «Le persone fanno le cose per cui sono pagate e non quelle per cui non sono pagate». Un meraviglioso libro di Steven Landsburg, L'economista iti pantofole, esprime il principio in maniera più con­ cisa: «Le persone reagiscono agli incentivi; tutto il resto sono com­ menti a margine». Negli ultimi due decenni gli economisti hanno fatto molta ri­ cerca su come la crescita economica reagisca agli incentivi, for­ nendo anche svariati dettagli sulle risposte agli incentivi da parte di imprese private, individui, amministratori pubblici e persino donatori. Le ricerche dimostrano come la crescita economica di XVI

Profogo: aifa ricerca de ih crescita

una società non sempre sia vantaggiosa anche per gli individui, gli amministratori pubblici, i donatori, le imprese e le famiglie. Gli incentivi, infatti, spingono spesso questi soggetti verso altre direzioni, meno produttive. Col senno di poi si è capito quanto le panacee del passato - comprese alcune tuttora in uso - sfortunata­ mente fossero poco funzionali alla crescita economica dei tropici. Se vogliamo che la gente trovi la strada che la conduca dalla povertà alia ricchezza, dobbiamo ricordarci che le persone fanno quello per cui sono pagate. Se ci impegniamo nel garantire che i donatori del Primo mondo, i governi del Terzo mondo e i suoi comuni cittadini abbiano i giusti incentivi, allora lo sviluppo sarà possibile. Se ciò non accade, allora non si avrà alcuno sviluppo. Vedremo che spesso questi soggetti non hanno avuto i giusti in­ centivi, perché sono state applicate formule che contraddicevano il principio fondamentale della teoria economica e che hanno fatto in modo che la crescita attesa non si verificasse. Questa è una storia triste, ma può essere una storia di speranza. Oggi abbiamo a disposizione un'evidenza statistica che ci permet­ te di supportare le teorie sulle ragioni del fallimento delle pana­ cee e su come sia possibile rendere funzionali gli interventi basati sugli incentivi. Gli incentivi possono cambiare i paesi e consentire che essi intraprendano la via della prosperità. Non sarà un’impre­ sa semplice. Gli incentivi non sono di per sé una facile panacea. Vedremo come la combinazione degli incentivi dei donatori, dei governanti c dei cittadini formi una rete complicata e difficile da sbrogliare. Oltre a ciò, ce già una diffusa delusione legata al fallimento di questa difficile ricerca della crescita. I manifestanti da Seattle fino a Praga invitano ad abbandonarla del tutto. E ciò non è ac­ cettabile. Fintantoché esisteranno nazioni povere che soffrono di epidemie, oppressione e fame, come descritto nella Parte prima de! libro, c fintantoché gli sforzi intellettuali degli uomini possono concepire mezzi per rendere queste nazioni piò ricche, questa ri­ cerca deve andare avanti. Quattro note prima di iniziare. Primo, quella espressa in questo libro è la mia opinione e non quella del mio datore di lavoro, la Banca Mondiale. In alcune occasioni sono addirittura critico nei conironti di ciò che il mio datore di lavoro ha fatto in passato. Una XVII

Lo sviluppo inafferrabile

cosa che ammiro della Banca Mondiale è che essa incoraggia per­ sone insistenti e fastidiose come me a esercitate la propria libertà intellettuale, non soffocando il dibattito interno sugli interventi. Secondo, non dirò nulla sull'ambiente. Nelle prime bozze di questo libro ho provato a farlo, ma mi sono reso conto di non avere nulla di utile da dire. C'è un grosso dibattito circa l’impatto della crescita economica sull’ambiente, ma andrebbe affrontato in un altro libro. La maggior parte (.legli economisti pensa che ogni effetto negativo della crescita economica sull’ambiente possa es­ sere ridotto attraverso saggi interventi - come tare in modo che gli inquinatori sopportino i costi per il risarcimento dei danni in­ flitti al benessere delie persone - e di conseguenza non c’è alcuna ragione di fermare la crescita per preservare l’ambiente. Ciò è un bene perché, come sostengo nel primo capitolo, uno stop alla cre­ scita sarebbe un male per i poveri che popolano il mondo. Terzo, non è mia intenzione quella di fare una rassegna generale di tutta la ricerca economica sulla crescita. Negli ultimi quindici anni questo tipo di ricerca ha conosciuto un vero e proprio boom, prendendo le mosse daU’influente lavoro del professor Paul Romer della Stanford Business School e, più tardi, da quello del pre­ mio Nobel Robert Lucas. Su alcuni temi non c’è ancora consenso tra gli studiosi, anche se, a mio parere, diversi temi sono suppor­ tati da solide prove. Cercherò di seguire il lavoro di quegli econo­ misti che si sono occupati nello specifico del problema di come rendere ricchi i paesi poveri dei tropici. Quarto, inserirò alcune istantanee relative alla vita quotidiana nel Terzo mondo, una sorta di “intermezzi” tra i capitoli, che han­ no lo scopo di ricordarci come dietro a questa ricerca della cresci­ ta vi siano patimenti e gioie di persone reali; ed è proprio per loro che noi la intraprendiamo.

XVIII

Parte prima Perché la crescita è importante

Avendo intrapreso una carriera che mi permette di autodefinir­ mi un esperto di paesi poveri, le differenze tra le vite dei poveri e quelle dei ricchi rappresentano per me la principale fonte di mo­ tivazione. A noi esperti non interessa l’aumento del prodotto in­ terno lordo in sé. Esso ci interessa perché migliora il destino dei poveri e riduce la proporzione delie persone povere. E ci interessa perché persone più ricche possono mangiare di più e comprare più medicine per i loro bambini. In questa parte del libro passerò in rassegna le prove a sostegno della relazione tra crescita e riduzione della povertà.

5

1. Aiutare i poveri

Quando vedo un altro bambino mangiare, lo guardo, e se lui non mi dà niente penso che morirò di lame. Un bambino di dieci annt in Gabon. IVJ7

Scrivo questo capitolo mentre sono a Lahore, una città del Pakh stan con 6 milioni di abitanti, durante una missione per la Banca Mondiale. La scorsa settimana mi sono recato, accompagnato da una gui­ da, nel villaggio di Gulvera, non molto lontano da Lahore. Abbia­ mo raggiunto il villaggio attraverso una strada asfaltata incredibil­ mente stretta, che l'autista ha percorso al massimo della velocità, latta eccezione per gli improvvisi rallentamenti nelle frequenti occasioni in cui un bovino attraversava la strada. Continuando, la carreggiata si è trasformata in una pista di terra battuta, nella quale lo spazio tra le case del villaggio era appena sufficiente per l'automobile. Alla fine sembrava che la via si interrompesse, ina, sebbene io non vedessi nulla, la guida diede istruzioni aliantista su come avremmo potuto raggiungere una specie di strada, comunque non (istallata, attraversando un campo. Mi rifiutavo di pensare a che cosa può succedere a queste vie di comunicazione durante la stagione delle piogge. La “strada" ci ha portati fino al centro comunitario del villag­ gio, dove sostavano alcuni uomini sia giovani sia vecchi (nessuna donna, ne riparleremo tra poco}, il villaggio puzzava di concime. Gli uomini ci stavano aspettando c si sono mostrati estremamente ospitali, ci hanno dato il benvenuto nel loro centro di mattoni e cemento, ognuno stringendo con entrambe le mani la mano destra di ciascuno di noi, c ci hanno fatto accomodare su alcune panchi­ ne di canna. Ci sono stati offerti dei cuscini su cui appoggiarci, o in ogni caso da usare per stare più comodi, e una bevanda chia­

Perché Li erasetij è importante

mata lassù una sorta di mistura di yogurt e latte. La caraffa con cui l’hanno servila era completamente coperta di mosche, ma ho be­ vuto ugualmente il mio lassi. Gli uomini raccontavano che durante la settimana lavoravano tutto il giorno nei campi, poi la sera venivano al centro comuni­ tario per giocare a carte e chiacchierare. Le donne non potevano venire, ci dissero, perché la sera avevano ancora del lavoro da fa­ re. Sciami di mosche ronzavano ovunque e alcuni uomini avevano delle piaghe aperte sulle gambe. Cera tra loro un uomo piuttosto giovane, ma di aspetto dignitoso, soprannominato Deenu, a cui tutti si rivolgevano con particolare deferenza. La maggior parte degli uomini era a piedi nudi e indossava lunghe vesti polverose. Una folla di bambini sostava all’ingresso e ci osservava... solo ma­ schi, nessuna bambina. Ho chiesto a Deenu quali fossero i problemi più gravi del vil­ laggio di Gulvera. Deenu mi ha risposto dicendo che erano felici di aver ottenuto Pelettricità appena sei mesi prima. Immaginate cosa può voler dire avere accesso all’elettricità dopo generazioni passate nell’oscurità. Erano contenti di avere una scuola elemen­ tare maschile. Tuttavia mancavano ancora molte cose: una scuola elementare femminile, un medico, le fognature (lutto veniva get tato in una vasca di acqua rancida fuori dal centro comunitario), la linea telefonica, strade asfaltate. Le precarie condizioni sanitarie c la mancanza di accesso a cure mediche in villaggi come Gulvera spiegano perché in Pakistan cento bambini su mille muoiono pri­ ma del loro primo compleanno. Ho chiesto a Deenu se era possibile visitare una casa. Ci ha ac­ compagnati alla casa di suo fratello. Era una costruzione con mu­ ri di mattoni c pavimento in terra, con due piccole camere in cui viveva la famiglia, una stalla per il bestiame, un forno alimentato a letame incastrato nel muro, mucchi di letame messo a essiccare e una pompa a mano collegata a un pozzo. I bambini erano ovun­ que, finalmente c'erano anche delle bambine, c ci guardavano in­ curiositi. Deenu ci disse che il fratello aveva sette Hgli c lui stesso aveva sei sorelle e sette fratelli. I fratelli vivevano tutti nel villag­ gio; le sorelle invece si erano sposate e trasferite in altri villaggi. Le donne della casa restavano nascoste nelle due piccole camere, e nessuno ce le presentò. 6

Aiutare iporert

Nel Pakistan rurale non si sente ancora parlare di diritti delle donne, un fatto che trova riscontro in alcune macabre statistiche: in Pakistan ci sono 108 uomini ogni 100 donne. Nei paesi ricchi la quota di donne è di poco superiore a quella degli uomini a causa (Iella maggiore longevità delle prime. In Pakistan ci sono quelle che il premio Nobel Amartya Sen ha chiamato le «donne scom­ parse», frutto della discriminazione delle bambine nella nutrizio­ ne, nelle cure mediche o addirittura dell’inlanticidio femminile. L’oppressione delle donne a volte assume forme particolarmente violente. Un quotidiano di Lahore riportava la storia di un fratello che ha ucciso la sorella per preservare l’onore della famiglia: so­ spettava che fosse coinvolta in affari illeciti. La violenza è molto diffusa nelle campagne del Pakistan, no­ nostante Gulvera apparisse come un posto tranquillo. Un'altra storia, sempre riportata da un quotidiano di Lahore, descriveva un villaggio-feudo in cui i membri di una famiglia avevano ucciso sette persone appartenenti a una famiglia nemica. In alcune zone delle campagne del Pakistan, banditi e rapinatori assaltano i viag­ giatori. Tornando al centro comunitario abbiamo incrociato un grup­ po di ragazzi impegnati in un gioco in cui, dopo aver lanciato in terra quattro noci, cercavano di colpire una delle noci usandone un’altra. Deenu ci chiese se volevamo fermarci per pranzo, ma noi abbiamo cortesemente declinato l’invito Inon volevo privarli del loro cibo così scarso), ci siamo salutati e siamo partiti. Uno degli abitanti del villaggio si è allontanato con noi, giusto per vivere un’avventura. Ci disse che al villaggio si erano procurati due cuo­ chi per preparare il nostro pranzo. Mi sono sentito in colpa per aver declinato l’invito. Abbiamo percorso dei campi in cui quattro fratelli avevano rag­ gruppato le loro abitazioni a formare una sorta di villaggio e ai nostri occhi si è presentata la stessa routine: gli uomini ci hanno salutati calorosamente con le due mani e ci hanno latti accomoda­ re su delle panchine di canna, all’aperto. Non si vedevano donne. 1 bambini erano ancora piu numerosi e disinibiti di quelli di Gul­ vera; erano soprattutto maschi, ma questa volta si vedeva qualche bambina. Si erano affollati attorno a noi e osservavano tutto quel­ lo che succedeva, scoppiando spesso in risate quando qualcuno di

Perché Li crescita c importante

noi faceva qualche mossa sbagliata. Gli uomini ci hanno offerto un ottimo tè dolce con latte. Vidi una donna sbirciare da dentro una casa, ma non appena spostai lo sguardo su di lei sparì immediata* mente dalla vista. Siamo poi andati a visitare una delle costruzioni dei fratelli. Molte donne ci guardavano rimanendo nascoste dietro le porte delle loro stanze. Gli uomini ci hanno mostrato una zangola che usano per fare il burro e Io yogurt. Uno di loro ha cercato di farci vedere come si usa, ma in realtà non lo sapeva perché è un lavoro tipicamente femminile. Ci hanno offerto del burro da assaggiare, dicendoci che lo scioglievano per fare il ghee (burro chiarificato), un ingrediente molto importante della loro cucina. Mangiare mol­ to ghee, ci hanno spiegato, rende più forti. Una parte rilevante del­ la loro alimentazione sembrava consistere di latticini. Ho chiesto anche a loro quali problemi avessero dovuto affron­ tare negli ultimi tempi. Avevano avuto l’elettricità solo un mese prima. I loro bisogni insoddisfatti erano gli stessi di Gulvera: nes­ suna linea telefonica, la mancanza di acqua corrente, di un me­ dico, di fognature e di strade. Ciò accadeva a un solo chilometro dalla strada principale appena fuori Lahore: eravamo nel mezzo del nulla. Queste persone erano povere, ma si poteva dire che le loro condizioni erano piuttosto buone se paragonate a quelle dei villaggi più remoti del Pakistan. La strada che portava al loro mi­ ni-villaggio era un sentiero largo mezza carreggiata che loro stessi avevano costruito. In Pakistan la maggior parte delle persone è povera: P85% del­ la popolazione vive con meno di due dollari al giorno e il 31% sopravvive in estrema povertà, con meno di un dollaro al giorno. La maggioranza della popolazione mondiale vive in regioni povere come il Pakistan. Accanto ai principali centri urbani ci sono per­ sone che vivono iti condizioni di isolamento e privazione di mezzi pressoché assoluta. La maggioranza della popolazione mondiale vive in nazioni povere dove le donne sono oppresse, troppi bam­ bini muoiono e troppe persone non hanno cibo a sufficienza. Ci occupiamo della crescita economica delle nazioni povere perché essa può migliorare le condizioni di persone come gli abitanti di Gulvera. La crescita economica permette ai poveri di emanciparsi dalla fame e dalla malattia. Una crescita del Pii. pro capite che rifi

Aiutare i povtrf

guardi l'intera economia di un paese si traduce in un aumento del reddito dei più poveri tra i poveri e ii libera dalla povertà. I a morte degli innocenti

TI lasso di mortalità infantile nei paesi del quintile più ricco è di quattro ogni 1000 nati; nel quintile più povero è di 200 ogni 1000 nati. Per i genitori che vivono nei paesi più poveri ce una proba­ bilità cinquanta volte superiore rispetto a quella dei genitori dei paesi più ricchi che la nascita del figlio si frastornìi in una tragedia piuttosto che in una gioia. I ricercatori hanno scoperto che una riduzione del 10% del reddito è associata a una crescita di circa i] 6% del casso di mortalità infantile.1 Il più alto lasso di mortalità infantile che si osserva nei paesi più pov eri ridette in parte una più alta incidenza di malattìe altamente trasmissibili che spesso potrebbero essere facilmente prevenute, come la tubercolosi, la sifìlide, la diarrea, la poliomielite, il morbil­ lo, il tetano, la meningite, le epatiti, la malattia del sonno, la schi* stoMimiasi, foncocercosi. la lebbra, il tracoma, i vermi intestinali e le infezioni delle basse vie respiratorie.2*4Ai livelli di redditi» più bassi le malattie sono più pericolose per la mancanza di conoscen­ ze mediche, di un’adeguata nutrizione e per un accesso limitato alio cure mediche. Due milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della disi ­ dratazione provocata dalla diarrea.1 Altri due milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della pertosse, della poliomielite, della difterite, del tetano e del morbillo/ Tre milioni di bambini muoiono ogni anno per polmonite batte­ rica. lì sovraffollamento delle abitazioni c il turno provocato dalla combustione della legna o dalle sigarette rende molto più proba I ilmer e Pi itelieti (ÌW).

(X k‘n:.i Ih ta e natta dalla tabella IV2 del U or. a Di idop^.: ni Repori !World. Uank ilxWt:]). in cui si enumerano le malattie dittirm nei paesi tropicali più traci! mt-TKi* trasmissibili c alle quali corrispondono i valori pio alti di .miti di vr a persi per malattia In uà: Disability Adjusted I de Wars [ V J /’]k i n , Lii condizione Jdì tic! f.'onJo i 1'')')! •. 4 World Bank I !*We}, p. 22-4

Perché fa crescita c importante

bile l’infezione di polmonite. Anche la denutrizione contribuisce a rendere più probabile questo tipo d’infezione.' La polmonite batterica può essere curata in cinque giorni con una terapia a base di antibiotici, come il cotrimoxazolo, che costa circa venticinque centesimi di dollaro.1' Ogni anno tra i 170 milioni e i 400 milioni di bambini vengono infettati da parassiti intestinali come l’anchilostoma o l'ascaride, che causano anemia e deficit cognitivi e della crescita.7 La carenza di iodio provoca il gozzo (un rigonfiamento della ghiandola tiroidea) e un ridotto sviluppo cognitivo. Ugni anno nascono circa 120000 bambini affetti da ritardo mentale e para­ lisi causate dalla carenza di iodio. Circa il 10% della popolazione mondiale, sia adulta sia infantile, soffre di gozzo.6 La carenza di vitamina A provoca cecità in quasi mezzo milione di bambini e contribuisce alla morte di circa 8 milioni di bambini ogni anno.'* in quanto rende più probabile la morte per diarrea, morbillo e polmonite. 1 farmaci che porrebbero contrastare queste malattie sono tal­ volta incredibilmente economici, un fatto che l'ifNK'i r spesso ci­ ta per sottolineare la gravità delle condizioni economiche in cui versano queste persone. Una terapia orale, a un costo di meno di dieci centesimi di dollaro a dose, può alleviare i sintomi della di­ sidratazione.Le vaccinazioni contro la pertosse, la poliomielite, la difterite, il morbillo e il tetano costano circa quindici dollari per ciascun bambino.11 La vitamina A può essere aggiunta alla dieta attraverso sale e zucchero trattati, o può essere somministrata di­ rettamente con capsule da assumere ogni sei mesi. Le capsule di vitamina A costano circa due centesimi di dollaro Luna.17Il sale io­ dato, che costa circa cinque centesimi di dollaro all’anno per ogni 1 Demo-rafie Daia for Derelopment Project ■!1987 p. 23. f [ NlùEF, Li confarono ddl'infanzia nel mondo , esse si misero a ridere e risposero: «Mangiano, dor­ mono, poi si svegliano e ricominciano a bere».36

Crescita e povertà I mici colleghi alla Banca Mondiale Martin Ravallion e Shaohua Chcn hanno raccolto dati su periodi di crescita economica e sui cambiamenti nel livello di povertà tra il 1981 e il 1999. La raccol ta ilei dati è stata effettuata ricorrendo alle indagini nazionali sul n Narayan et

d

l2000t0, p. 24, cap. 6.

- ' i ni*i.v. condizione dell'infanzia n d mondo finanziario. Si assume che il finanziamento privato non sia disponibile per la copertura di questo gap, così i donatori lo colmano con aiuti internazionali al fine di ottenere il livello di crescita desiderato. Questo modello ha promesso ai paesi poveri una crescita ottenuta direttamente attraverso investimenti basati su aiuti internazionali. Con il senno di poi, buso del modello di Domar per determi­ nare il fabbisogno di aiuti e per stimare la crescita era (ed c anco­ ra) un grosso errore. Ma non bisogna essere troppo cattivi con i sostenitori del modello (io ero ira quesri, all'inizio della mia car­ riera! che non potevano godere del senno di poi. Le esperienze osservate nel periodo in cui il modello godette di maggior gloria ,b Domar retata del yn sarà proporzionale alla quota del Pii destinata alla i/'Oi/ per investimenti. .Domar assume che la produzione (pii >sia proporzionale al numero di macchinari, cosicché le variazioni del­ ia produzione risulteranno proporzionali alla variazione del nu­ mero di macchinari, vale a dire agli investimenti deiranno prece­ dente. Dividendo entrambi i termini per la produzione deiranno precedente, si conclude che la crescila del l’H dell’anno in corso c semplicemente proporzionale al rapporto investimenti/piL del­ l’anno precedente/ Da dove prese Domar l'idea che la produzione tosse proporzio­ nale al numero di macchinari?' H lavoro non ha nessun ruolo nel­ la produzione? Domar scriveva in un periodo in cui si sentivano ancora le conseguenze della Grande depressione, durante la quale molti addetti ai macchinari persero il lavoro. Domar e molti altri economisti si aspettavano una replica della depressione dopo la co nel a guerra mondiale, a meno che il governo non tosse inter­ venuto per evitarla. Domar assunse l'alto livello di disoccupazione cime dato, dunque ci sarebbero sempre stati addetti disponibili per ogni macchinario in più che veniva costruito. La teoria di Do­ ma: divenne famosa con il nome di modello di 1larrod-Domar (un economista inglese di nome Roy Harrod pubblicò nel 1939 un ar­ sii olo simile, ma molto più complicato). Chiaramente Domar era interessare al ciclo economico di bre­ ve periodo dei paesi ricchi. Come mai, allora, il rapporto fisso tra produzione e macchinari ipotizzato da Domar finì per essere ap­ plicato alla crescita dei paesi poveri?

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non che. secondo l,ì teoria, j concetto di riferimento dovrebbe essere tacilo eli im estimerà i al nello del deprezzamento, La maniìior parte degli econo­ mici k hanno esalo j I modello I laaivxl Doma: tin dall 'inizio hanno cifotienincric usalo gli investimenti lordi anziché quelli netti.

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13

Panacee che hanno fallilo

L'invenzione dello sviluppo La ricerca di una teoria della crescita e dello sviluppo ha tor­ mentato noi economisti fin dalle origini della nostra disciplina. Nel 1776, il padre fondatore dell’economia, Adam Smith, si chie­ se che cosa determinasse la ricchezza delle nazioni. Nel 1890, il grande economista inglese Alfred Marshall affermò che è il per­ seguimento della crescita il principale e più alto interesse degli studi economici.'1* Il vincitore del premio Nobel Robert Lucas confessò, in un articolo del 1988, che quando si inizia a pensare alla crescita economica «è difficile pensare ad altro». Ma questo costante interesse per una teoria della crescita era limitato ai so­ li paesi ricchi. Nessun economista aveva prestato attenzione ai problemi dei paesi poveri. La World Economic Survey del 19J8, pubblicata dalla Lega delle Nazioni e redatta dal futuro premio Nobel James Meade, conteneva solo un paragrafo sull’America Latina. Le aree povere dell’Asia e dell’Africa non venivano nem­ meno menzionate. ” Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, noi esperti di interventi di politica economica, dopo aver ignorato per secoli i paesi poveri, ci sentimmo in dovere di occuparci dei loro «urgenti problemi».3’' Gli economisti avevano molte teorie su come i pae­ si poveri appena divenuti indipendenti sarebbero potuti crescere, raggiungendo quelli ricchi. .Sfortunatamente per i paesi poveri, la prima generazione di esperti dello sviluppo economico era influenzata da due eventi storici simultanei: la Grande depressione e l’industrializzazione dell’Unione Sovietica attraverso risparmi e investimenti forzati. La depressione e il gran numero di persone sotto-impiegate nelle aree rurali dei paesi poveri spinsero l’economista dello sviluppo sir Arthur Lewis a suggerire un modello del “surplus di lavoro", in cui solo i macchinari erano un vincolo. Lewis sosteneva che la costruzione di fabbriche avrebbe assorbito questo surplus di lavo­ ro senza causare un declino nella produzione agricola. Marshall (1987i, SntroJuziwf. 1 Arndt MWOi.p. 45. Ivi, p. 71.

34

L'aiuto cigli mvatbncnti

Lewis e altri economisti dello sviluppo degli anni cinquanta as­ sumevano un rapporto fisso tra persone e macchine, del tipo: una persona per ogni macchina. A causa del surplus di lavoro, le mac­ chine (non i lavoratori) rappresentavano un vincolo per la produ­ zione. La produzione era proporzionale al numero di macchine, esattamente come nella teoria di Domar. Lewis sosteneva che Eoflerta di lavoratori disponibili era “illimitata*4e citava un particola­ re esempio di economia, cresciuta ricorrendo all’eccesso di forza lavoro delle aree rurali: l’Unione Sovietica. Lewis scriveva che «il fatto centrale delio sviluppo economi­ co è la rapida accumulazione di capitale».Siccome la crescita è proporzionale agli investimenti, possiamo stimare questa propor­ zione e determinare la quantità di investimenti necessaria per il li­ vello di crescita desiderato. Per esempio, supponiamo di avere un punto percentuale di crescita per ogni quattro punti percentuali di investimenti, Un paese che volesse portare la propria crescita dall i al 4% dovrebbe aumentare il tasso di investimenti dal 4% del pil al 16% del ML. La crescita del 4%i del pil fornirebbe una tasso ili crescita pro capite ilei 2% se la popolazione crescesse a un tasso del 2%. Con un 2% di tasso di crescita annuale, il reddito pro capite raddoppia ogni trentasei anni. Gli investimenti devono crescere più velocemente della popolazione. Lo sviluppo era così concepito come una gara tra macchine e maternità. Come facciamo a mantenere gli investimenti a un livello suffi­ cientemente alto? Ipotizziamo che la propensione al risparmio at­ tuale sia pari al 4% del pil. I primi economisti dello sviluppo pen savano che i paesi poveri fossero così poveri da aver pochissime speranze di incrementare la loro propensione al risparmio. Esiste dunque un ‘"gap finanziario*' del 12% del ml tra gli “investimen­ ti necessari” (16% del pii.) e il 4% di pii. dei risparmi effettivi. Così i donatori dei paesi occidentali dovrebbero colmare il '"gap finanziario” con aiuti internazionali, che dovrebbero portare gli investimenti al livello necessario, con la conscguente possibilità di raggiungere Lobicttivo di crescita della produzione. (D’ora in poi utilizzerò l’espressione approccio del gap finanziario come equiva­ lente di "‘modello di Harrod-Domar”.) J1 Lewis (1954), p. 139. 35

Pii fmetre eht bornio fallito

1 primi economisti dello sviluppo avevano le idee poco chiare circa il tempo necessario affinché gli aiuti inducessero un aumento degli investimenti e affinché questi, a loro volta, inducessero una crescita della produzione, ma in pratica essi si aspettavano tempi piuttosto brevi: gli aiuti di quest'anno andranno ad aumentare gli investimenti di quest’anno, i quali faranno aumentare la crescita del l’IL del prossimo anno. L'idea che la crescita fosse proporzionale agli investimenti non era nuova. Domar, nel suo libro del 1957, osserva di sfuggita co­ me un gruppo di economisti molto attenti al problema della cre­ scita, gli economisti sovietici degli anni venti, avessero già usa­ to quest'idea. N.A. Kovulevskii, il curatore della rivista “Planned Economy”, nel marzo del 1930 usò l’idea della proporzionalità tra crescita e investimenti per stimare la crescita dell’Unione Sovieti­ ca, ricorrendo esattamente allo stesso metodo che gli economisti useranno dagli anni cinquanta fino agli anni novanta/* Non solo l’esperienza sovietica ispirò il modello Harrod- Domar, ma ai so­ vietici stessi bisognerebbe riconoscere il merito (o il demerito, co­ me si vedrà) di aver inventato il modello,

Gli stadi di Rostow Il passo successivo nell’evoluzione della teoria del gap finanziario fu quello di persuadere le nazioni ricche a colmare il gap attraver­ so aiuti. Nel 1960, WAV. Rostow pubblicò il suo best seller, Gli stadi della sviluppo economico. Dei cinque da lui previsti, quello del «decollo verso la crescita che si autosostiene» rimase partico­ larmente impresso nella mente dei lettori. Eppure l’unico fattore determinante del decollo della produzione citato da Rostow era l’incremento degli investimenti dal 5 al 10% del reddito. Siccome questo è esattamente ciò che sir Arthur Lewis disse sei anni prima, il “decollo" consisteva in una semplice rifomiulazione di Domar e Lajwis, con l'aggiunta di immagini suggestive di aerei che si stac­ cano dalla pista. Donur (1957). p. 213.

Laiufit iìg/i wres?i»f('Htt

Rostow cercò di mostrare che il decollo indotto dagli investi* menti era coerente con i latti stilizzati. Come tutti gli altri, anche Rostow si lasciò influenzare da ciò che accadeva nella Russia di Stalin. Ma considerò anche un certo numero di casi storici o re­ lativi del Terzo mondo. Tuttavia l'evidenza di cui disponeva era piuttosto debole: solo tre dei quindici casi da lui citati risultarono compatibili con l'ipotesi del decollo indotto da investimenti. Nel l%5 il premio Nobel Simon Kuznets raccolse evidenze storiche indipendenti che fornirono un'ulteriore conferma della debolezza delle tesi di Rostow: «In nessuno dei casi, nei periodi di decollo, osserviamo l’accelerazione del tasso di crescita del prodotto nazio­ nale lordo prevista nell’ipotesi del professor Rostow di un radtlop* pio (o più) della quota di investimenti netti».'" (Ma i latti stilizza li non muoiono mai. Trent anni dopo, un importante economista scriverà: «Uno dei latti stilizzati importanti della storia dell'umauita e l'enorme incremento dei risparmi che precede i significativi decolli nella crescita economica». U La paura sovietica e gli aiuti internazionali Al di là dell’evidenza. G7/ stadi di Rostow attirò molta attenzione sui paesi poveri. Rostow non fu l'unico e nemmeno il più impor­ tante sostenitore degli aiuti internazionali, ina le sue argomenta­ zioni possono aiutare a chiarire la questione. Nella sua pubblicazione, Rostow lece leva sulle paure del­ la guerra fredda (il sottotitolo era Un wiinifesto non comunista). Lgìi vedeva la Russia come «una nazione che assurge, sotto il co­ muniSmo, allo stato lungamente atteso di potenza industriale di Kuzncts ' l^Cò i, p. )*>. Questo è uno dei ran e»empi di tesi edenico del ino* .le'lo Hatrod-Domar-Lewis-Rnsur.v o rucKlcIln io Ci tu aridir una letteratura neer-siva piuttosto curiosa per esempio Patel i |ù6Sl e Vanek e Studeimuiiid CVtS i - in tal si sottolmeava la relazione inversa tra crescita e mvesunienti. Lei !'.:-n>:c:n ' e Boserup 11%^M furono siiiricuiitemer.te lucidi da rno.s trarr d e i j:ii. sia curn'la/ione nchvvha sarebbe risultata in modo meccanico se ci tosse stata ima bassa «.orrclazicmc nel breve periodo tra crescita e investimenti.

" Kdv< ards i I995i, p. ?.bl

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Panacee che hanno fattilo

prim’ordine»,"'1una visione comune all'epoca. Anche se oggi è dif­ ficile da immaginare, molti opinionisti americani pensavano che il sistema sovietico fosse supcriore in termini di quantità assoluta di prodotto, anche se inicriore sul piano delle libertà individua­ li. In alcuni numeri di “Foreign Affairs” degli anni cinquanta, gli autori sottolineavano la volontà dei sovietici di «estorcere grandi quantità di risparmi» traendo un vantaggio che «è difficilmente sovrastimabile». In termini di «potere economico» loro sarebbe­ ro «cresciuti più velocemente di noi». Gli osservatori avvertiva­ no che «certi vantaggi» dei concorrenti derivavano dalla «natura centralizzata dell’operazione». Il pericolo dunque era che il Terzo mondo, attratto da quei «particolari vantaggi», diventasse comunistad6 È troppo facile oggi, con il senno di poi, ironizzare su questi timori. Quando visitai per la prima volta l’Unione Sovietica, nel­ l’agosto del 1990, quasi tutti avevano scoperto, in ritardo, che quello era ancora un paese povero e non una «potenza industriale di prim’ordine», Quando mi ritrovai seduto e madido di sudore in una piccola stanza di un hotel Intornisi, con le finestre sigillate e il sistema di condizionamento che si era rotto ai tempi di ChruJòèv e non era ancora stato riparato, con prostitute certo non irresisti­ bili che cercavano di forzare la porta («Ciao, io Natasha, io sola»), mi sono chiesto come abbiano latto i sovietici a prendersi gioco di noi per così tanto tempo. Oggi il reddito pro capite stimato della Russia è meno di un sesto di quello americano. (Grazie al dono della profezia tipico dell’economista, nel 1990 dissi ai miei colle­ ghi: «Il boom economico arriverà in questo posto in men che non si dica!». In realtà, dal 1990 in poi, e per ogni anno, la crescita c stata sempre negativa.) Ciò nonostante, a quei tempi Kostow sentiva il bisogno di di­ mostrare al Terzo mondo che il comuniSmo non era «la sola for­ ma di organizzazione statale che può [...] permettere il decollo dell’economia» e oli ri al suo posto una via non comunista: i paesi occidentali avrebbero fornito aiuti al Terzo mondo con lo scopo di colmare il “gap finanziario” tra gli investimenti necessari per il ’’ Kostow !1%2>, p. H5.

A Wiles ». 58

(.'aiuto uj^/i

decollo e la propensione al risparmio effettiva. Rostow usò Papproccio del gap finanziario per capire quali fossero gli investimen­ ti necessari per il “decolloV7 II molo degli investimenti diretti venne ignorato, dato che i flussi di capitale privato verso i paesi poveri erano irrisori, La paura sovietica funzionò. Gli aiuti internazionali forniti da­ gli Stati Uniti erano già molto cresciuti durante la presidenza di Idsenhower, di cui Rostow era consigliere, nei tardi anni cinquan­ ta. Rostow coinv olse anche un ambizioso senatore di nome John P. Kennedy, che, con i consigli dclPeconomista, nel 1959 ottenne l’approvazione di una risoluzione sugli aiuti internazionali da par­ te del Senato. Una volta diventati' presidente, Kennedy, nel 1961, inviò un messaggio al Congresso richiedendo un aumento degli aiuti: «Oggi questi paesi hanno bisogno del nostro aiuto | per raggiungere lo stadio di una crescita che si sostenga da sé [...) e per una ragione particolare: senza eccezioni, essi sono tutti sotto la pressione comunista». Rostow ebbe incarichi di governo durante tutto il periodo delle amministrazioni Kennedy e Johnson, Sotto la presidenza Kenne­ dy. gli aiuti internazionali, misurati in dollari a prezzi costami, au­ mentarono del 25%. Sotto Johnson, essi raggiunsero il massimo storico di 14 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,6% del Pii, ame­ ricano. La linea di Rostow e di altri economisti che la pensavano come lui Trionfò. (ìli Stati Uniti ridussero i loro aiuti internazionali dopo il picco raggiunto sotto la presidenza Johnson, ma altri paesi ricchi com­ pensarono abbondantemente questa riduzione. Ira il 1950 e il 1995, i paesi occidentali1* offrirono 1000 miliardi di dollari icon riferimento al valore dei dollaro del 19851 in aiuti. Siccome prati­ camente tutti i sostenitori degli aiuti internazionali usurarono Papproccio del gap finanziario, questo rappresentò uno dei più gran­ di esperimenti mai realizzati di politica economica basata su una Mugola teoria. Rosrow \ I%( >i, ji, 57, •‘ Dclmitl cerne menilui dc-IPOrganiz/azioiU: per Li ciH'pcrazione c In vvilnppe m 'C, tra cui iTurop.i occidentale, ?1 Nordamerica, l'Ausir.i*:;», l.i Nuova /d.uuiu e i: Giapponi:. 1dati sono torniti dall^ n . 59

PiJ'hh cc the h*i*tno fallii'.*

Non dimentichiamoci di risparmiare Cera un diffuso consenso circa il fatto che il dogma degli aiuti agli investimenti per la crescita «fosse sostanzialmente valido», conte si legge in un testo di Jagdish Bhagwad del 1966. Ma ci fu anche chi espresse preoccupazioni per l’eccessivo indebitamento verso i donatori derivante dai prestiti a interesse ridotto, che rappresen­ tavano parte degli aiuti. Come emerse dai primi studi, la Turchia aveva già problemi nel provvedere al servizio del debito per gli aiuti ricevuti in precedenza. Uno dei primi critici della politica degli aiuti, P.T. Bauer, sarcasticamente (ma con preveggenza) fece notare, nel 1972, che «gli aiuti internazionali sono necessari per far sì che i paesi sottosviluppati servano il debito [...] contratto attraverso accordi conclusi nel passato».*** Il modo ovvio per evitare problemi di indebitamento con i do­ natori ufficiali era quello di aumentare la propensione al rispar­ mio del paese. Bhagwari sostenne che questo compito spettava allo stato: avrebbe dovuto aumentare le tasse per generare rispar­ mio pubblico.*** Rostow, invece, predisse che il paese destinatario degli aiuti avrebbe aumentato i propri risparmi in modo naturale una volta decollato, cosicché dopo «dicci o quindici anni» i do­ natori avrebbero potuto aspettarsi che il debito nei loro contronti venisse saldato. (Dopo quarantanni stiamo ancora aspettando questa apoteosi.) Nella sua applicazione dell’approccio del gap finanziario, Hol­ lis Chenery sottolineò con forza ancora maggiore la necessità del risparmio nazionale. Nel 1966 Chenery e Alan Strout cominciaro­ no, come al solito, con un modello in cui l'aiuto avrebbe «colma­ to il gap temporaneo tra la capacità di investimento e la capacità di risparmio»." Gli investimenti poi si sarebbero trasformali in :i Baucr U972),

p. 127. Rhagwati i •':i*:•

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Partacce che hanm* fallilo

investimenti e aiuti deve essere almeno di uno a uno: un 1% del pil in più in aiuti dovrebbe indurre un aumento d cll’ 1% del ph . in investimenti. (Rostow predisse che gli investimenti sarebbero cresciuti in modo più che proporzionale a causa dell'aumento dei risparmi da parte delle nazioni che ricevevano aiuti.) Qual è il risultato di questi testi1Per quanto riguarda il primo, solo 17 degli 88 paesi mostrano una correlazione positiva tra aiu­ ti e investimenti. Soltanto 6 di questi 17 hanno superato anche il secondo test. Il magico sestetto include due paesi che hanno rice­ vuto quantità trascurabili di aiuti: Hong Kong (che tra il 1965 e il 1995 ha ricevuto aiuti in media pari allo 0,07% del proprio p il ) e la Cina (che ha ricevuto aiuti pari allo 0,2% del p il ). Gli altri quattro, Tunisia, Marocco, Malta e Sri Lanka, hanno ricevuto aiu­ ti più sostanziosi. Gli altri 82 paesi non hanno superato nessuno dei due test. Questi risultati, relativi ai singoli paesi, rimandano ai risultati di uno studio del 1994: considerando l’insieme dei paesi non si tro­ vò alcuna relazione tra aiuti e investimenti. A differenza di quello studio, non è mia intenzione proporre un enunciato generale circa l’efficacia degli aiuti. Nel fare questo tipo di valutazione si incon­ trano molti problemi, il più importante tra i quali è la possibilità che aiuti e investimenti dipendano da un terzo fattore. Può acca­ dere che in un certo paese si sia verificato un evento sfavorevole, come una siccità, che ha causato un crollo degli investimenti e un aumento degli aiuti. Mi sto solo chiedendo se c’è stata l'evoluzio­ ne congiunta di investimenti c aiuti prevista dagli utilizzatori del modello del gap finanziario. Noi sostenitori del gap finanziario prevedevamo che gli aiuti si sarebbero trasformati in investimen­ ti, non in sostegni per superare la siccità. Secondo i miei risultati, gli investimenti c gli aiuti non si sono evoluti nel modo che ci si attendeva. L'approccio del gap finanziario ha miseramente fallito perché ha violato il motto ufficiale del libro: le persone rispondono agli incentivi. Si pensi agli incentivi di chi riceve aiuti internazionali. Essi investono nel futuro quando ricevono un alto rendimento da questo investimento, mentre non investono quando ciò non acca­ de. Non c’è alcuna ragione per credere che gli aiuti, dati solo per­ ché chi li riceve è povero, possano cambiare gli incentivi a investi46

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propri investimenti, ma verranno usati per comprare più he ni di *V'iisumo. (din e esattamente quel che abbiamo osservato quando abbiamo test aro la relazione tra aiuti e investimenti: a comi latti, ••■.ni: e e nessuna relazione.

(d i aiuti avrebbero potuti) promuovere gli investimenti invece d Lente tutti in consumo, (dome m entono molti dei sostenitori dì. e.i aiuti, i paesi donatori avrebbero dovuto lar dipendere il lo io intervento dai raggiungimento di un certo liscilo di risparmio ii.i parte del paese ricevente, (d ò avrebbe tornito ai governi dei paesi poveri gli incentivi per accrescere la propria propensione .il risparmio (per esempio, tagliando le spese di umminislrazio;c•e per promuovere il risparmio privato. Q u est’ultinia cosa può e^cre bitta attraverso tma combinazione di deliscalizzazionc del lupai imo e di tasse sul consumo. Linim ento della propensione al ibparm io avrebbe (eimio i riceventi lontani dalla trappola del de ito e avrebbe promosso la crescita degli investimenti. I,’aumento della propensione iti risparmio conscguente agli aiuti è esaitamen: •il •;d o n a n o di ciò che accade nel sistema attuale, in cui un paese con bas>o li\ello ili risparmio ha un gap Mnanziario alto e dunque * ige piu aiuti.I

I digli in vestim en ti alla crescita II sceoudo legame neH’approecio del gap finanziario e quello tra ii w estimenti e crescila, (ili investimenti producono torse un im ­ mediato risultato in termini eli crescita, come previsto dal modello del gap li n an zia i io? Prendo le mosse ipotizzando che la relazione tra investimenti e < cscita, nel brew: periodo, sia la stessa per tutti i paesi. Pia- valli■;ire questa relazione ho provato a usare medie relative a quattro .mm. i L’orizzonte di previsione solitamente utilizzalo nelle II f e

di cinque anni. G li economisti responsabili dei diversi paesi tan­ na previsioni per il primo anno basandosi sulle condizioni attuali,

•••osi quattro anni som il tipico orizzonte di previsione.) 1 nsul m i. con l ’uso di medie quadriennali, non promettono bene per I approccio ilei gap hnanziano: non c'è alcuna correlazione ira ut

Panacee che hanno fallito

crescita in un quadriennio e gli investimenti nel quadriennio precedente.v Ora lasciamo che la relazione tra investimenti e crescita vari tra i paesi, esaminando il legame tra le due variabili per ciascun paese. Abbiamo 138 paesi con almeno dieci osservazioni su investimenti e crescita. Anche in questo caso sono previsti due test circa resisten­ za del legante. Primo: i paesi dovrebbero mostrare una correlazione positiva tra la crescita e gli investimenti dell’ultimo anno. Secondo: la relazione tra gli investimenti e la crescita dovrebbe essere tale da garantire risultati significativi nel momento in cui si interviene sul gap finanziario. Le quattro economie che superano entrambi i test formano uno strano assortimento: Israele, Libia, Réunion (una piccola colonia francese nei pressi del Madagascar) e Tunisìa.*31 Ricordando i pochi paesi dove il legame tra aiuti e investimenti funzionava come previsto, possiamo concludere che il gap finan­ ziario funziona solo per un paese: la Tunisia. Prima che i tunisini proclamino una festa nazionale, devo però far notare che un solo successo su 138 paesi può essere osservato per caso, anche in pre­ senza di un modello che non ha alcuna validità, come hanno di­ mostrato le evidenze finora raccolte.

Gli investimenti sono necessari nel breve periodo? Per gli altri 137 paesi, la formula magica rituale, alla quale noi pro­ fessionisti ricorriamo a questo punto, è che gli investimenti sono una condizione necessaria, ma non sufficiente per la crescita. Posso testare questa idea controllando quanti quadrienni di crescita elevata (pari almeno al 7%) sono stati accompagnati dai necessari tassi di investimento nei precedenti quattro anni. Nove Questi dati sono simili a quelli di Blomstrom. Lipsey e Zajan 11W6), i quali, facendo riterimento a periodi di cinque anni, hanno mostrato che gli investimen­ ti erano funzione della crescila nd periodo precedente, ma la crescita non era funzione degli investimenti nel periodo precedente 31 Questi calcoli Mino stati latti su dati di Summer e Heston ! 1‘JVl >, con inve stintemi e Hi espressi in valuta intemazionale. Si ottengono risultati simili usan­ do dati sulla amtalnìiià nazionale delta Banca Mondiale, con quantità espresse in valuta locale. ■48

decimi dei paesi violano questa condizione "necessaria Ncll'oriz/ortv di brev e peritalo, a cm 1:irìiu’• riferimento gli economisti elei I. i i, non vi sono prove bel lai to clic vii investimenti costituiscano e ni condì/.ione necessaria o sufficiente per una crescita elevata. Ir. i r oriz/onre temporale più ampio, l’accumulazione ‘-li capitale I accompagna alla crescita. ma discuterò nel prossimo capitolo ■ cue eli m wstim enti non rappresentino la forza causale c come >.;ii -sio ruolo spetti piuttosto alla tecnologia. b;saiu!o le medie relative a quattro anni sia per la crescita sia per e i investimenti, possiamo andare a considerare i periodi di a li­ della crescita c vedere quante* spesso pili investimenti sono

m en to

cresciuti nella misura ritenuta "necessaria". Nel corso dedi epivm i di aumento della crescila, considerando periodi di quattro .m u n d i investimenti hanno rademmo i livelli ritenuti ‘'necessari" •m i nel ù'

dei casi. Il restante P P . dei casi viola l’ipotesi ridia

condizione necessaria". Dal punto di v ista empirico, un aumen­ to di’d i investimenti non e ne una condizione necessaria né una vordi/ione siitiiciente per l’aumento della crescita nel breve e nel edio periodo. 1-Vr comprendere perché, nella pratica, Tidea che la crescita sia proporzionale agli investimenti del periodo precedente non tini .orna, si ricordi che questa relazione si basa si il l’assunto clic t m ar­ ci mi.ir: rappresentano un vincolo per la produzione, perché si ipoII, :/;-. sempre e comunque un eccesso di olIel la ili lavoro, il premio •Nobel Kobert Solow. i[ cui modello dt crescila verrà discusso nel prossimo capitolo, mise in evidenza i limiti di queslo assumo nel lontano ISNó (tuitavia noi economisti delle a i abbiamo ignoralo il -ai ; con! ubino per patti i quarantanni successivi). Se c ’e un ecees m

ci otleria di lavoro mentre lYéterta di macchinari non é suiti

• . lente, le imprese avranno un forte incentivo a ricorrere a una tee . ;l 'log:a che usi molli lavoratoi -e pochi macchinari. Per esempio, i' dia coslm /ione delle strade negli Stati Uniti, in cui c e scar.uni .li manodopera, si usano moki martelli pneumatici e pochi lavo i aioli. Al conirann, in paesi come l'India, m cui la manodopera è abbondarne, si la ricorso a molti lavorinola che usano i picconi per ; laccale le pietre. I .’idea clic gli investimenti siano un v inculo rigie.i per la crescila è incompatibile con l'idea che «la gente risponde

iv.h incentivi».

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Panarfc che hanno /alino

L'idea del surplus di lavoro fornisce un’ulteriore ragione per sostenere l'urgenza di colmare il gap per raggiungere il livello “ne­ cessario" di investimenti... se non sono previsti investimenti che generino una crescita sulliciente del pil capace di assorbire questo eccesso di lavoro, la disoccupazione crescerà. Per esempio, in una rapporto della Banca Mondiale del 1998 sull’Egitto, è stata usa­ ta la solita idea della crescita proporzionale agli investimenti, per poi passare a sottolineare l’allarmante eventualità che la disoccu­ pazione aumentasse fino a raggiungere il 20% della forza lavoro nel 2002 (partendo dal 9,5% del 1998) se la crescita fosse rimasta al livello del 2%. D’altro canto, se la crescita avesse raggiunto il 6,5% (con gli alti investimenti concomitanti), la disoccupazione nel 2002 sarebbe stata solo del 6,4% della forza lavoro.*2 L’idea che un basso livello di investimenti generi automaticamente disoc­ cupazione è sciocca: ignora, ancora una volta, la possibilità di so­ stituire il lavoro con le macchine. Se il capitale cresce lentamente a causa dei bassi investimenti, allora i lavoratori presumibilmente in abbondanza sostituiranno la macchine. L’idea del surplus di la­ voro suggerisce che, a un dato livello di investimenti, le persone in eccesso non hanno alcun effetto stilla produzione, un’idea decisa­ mente in contrasto con l’evidenza empirica. Come avremmo potuto ottenere una migliore risposta dagli in­ vestimenti in termini di crescita? È vero che quando un’economia cresce sono necessari più macchinari. Ma la ragione per cui l’idea di una relazione rigida investimenti-crescita non ha funzionato è che l'investimento in macchinari è solo una delle modalità attra­ verso cui è possibile aumentare la produzione futura, e tutte le modalità rispondono a incentivi. Se gli incentivi a investire nel fu­ turo sono forti, allora ci saranno più investimenti in macchinari, ma anche un maggiore ricorso a nuove tecnologie (un'importante componente della crescila, come veti remo nel prossimo capitolo). Ci saranno più investimenti in macchinari, ma anche più investi­ menti in istruzione e lot inazione. Ci saranno più investimenti in macchinari, ma anche maggiori investimenti in capitale organizza­ tivo (attraverso la progettazione di istituzioni efficienti). World Bank ■199SI, p.

2.

ì.'aiuto

tigliinvestimenti

Molti fattori che influenzano la crescita fanno in modo che la relazione tra crescita c investimenti sia debole e instabile. In cia­ scun paese la crescita fluttua intorno a una media, mentre gli in­ vestimenti assumono i più disparati valori. Ciononostante, nelle il, il rapporto investimenti/crescita (chiamato con lo strabilian­ te nome di Incrementai Capital to Output Ratio, o term) viene comunemente utilizzato come misura inversa della “produttivi­ tà” degli investimenti. Per esempio, in un rapporto della Ban ca Mondiale del 2000 sulla Thailandia, si osservò che uno dei segni premonitori della crisi finanziaria del 1997-98 fu un ICOR che «nel 19% era quasi al suo massimo storico».5* In maniera si­ mile, m una rapporto della Banca Mondiale del 2000 sull’Africa, si attribuiva la crescita bassa e l’ulteriore declino osservati nel periodo dal 1970 al 1997 alla decrescente produttività degli in­ vestimenti «misurata attraverso lTncrcmental Capital to Output Ratio».''1 L'icor è considerato come un fattore causale indipen­ dente, quando in realtà è solo un rapporto tra due cose tra cui esiste una debole relazione. Anche se la crescita si è ridotta per ragioni totalmente indipendenti dagli investimenti (come nel ca­ so della gestione fallimentare del sistema bancario in Thailandia o dei governanti irresponsabili in Africa), possiamo comunque tautologicamente dire che la crescita si è ridotta, con un livello di investimenti inalterato, perché l’iCOR è salito, ossia il rapporto tra crescita e investimenti si è ridotto. Allo stesso modo potremmo dire che il prezzo delle mele è sceso perché il prezzo delle arance è rimasto inalterato e il rapporto tra prezzo delle mele e prezzo delle arance si è ridotto! Piuttosto che preoccuparsi per il livello di investimenti “neces­ sari’’ per sostenere il tasso di crescita, dovremmo concentrarci sul rafforzamento degli incentivi a investire nel futuro, lasciando che le varie forme di investimento contribuiscano come possono, iDi in qualcosa in più su come riuscirci alla fine di questo capitolo e a prossimi capitoli.) World Bank 2000b). World Bank QOOOc). 51

Panacee che hanno fallito

Il controllo congiunto dei legami tra aiuti e investimenti e tra investimenti e crescita Posso costruire uno scenario che mi permetta di valutare quale reddito un paese avrebbe raggiunto, se le previsioni fornite dal­ l'approccio del gap finanziario fossero state corrette, comparando poi le previsioni con i risultati effettivi. Il modello del gap finan­ ziario prevede che il rapporto tra la crescita degli aiuti e quella de­ gli investimenti sia almeno di uno a uno. Prudentemente assumo un rapporto uno a uno. Così il rapporto investimenti/m. crescerà, nel primo anno, dello stesso ammontare della crescita del rappor­ to aiuti/PiL nel primo anno. A questo punto gli investimenti indur­ ranno una crescita nel periodo successivo. Ciò |x>rterà a prevedere una crescita del pil totale. Per ottenere la crescita pro capite sot­ traggo la crescita effettiva della po|x»lazione. Prendo avvio da un confronto tra il reddito medio effettivo del­ lo Zambia e quello che sarebbe stato, dopo 2 milioni di dollari in aiuti, se la copertura del gap finanziario avesse funzionato come previsto dal modello (figura 2.1 ). I,o Zambia oggi sarebbe un pae­ se industrializzato con un reddito prò capite di 20000 dollari e non quello che è effettivamente, cioè uno dei paesi più poveri del mondo, con un reddito pro capite annuale di 600 dollari (che è minore di un terzo rispetto a quello misurato nell'anno dell’indi­ pendenza >. Lo Zambia è uno dei peggiori esempi per l’approccio del gap finanziario, perché aveva livelli di investimento alti prima degli aiuti e ha ricevuto moltissimi aiuti. Ma al crescere degli aiuti il tasso di investimento dello Zambia è diminuito e non aumenta­ to, c in ogni caso gli investimenti non hanno prodotto crescila." E che dire del tasso di crescita previsto dall’approccio del gap finanziario per tutti i paesi destinatari degli aiuti? Primo: la cre­ scita effettiva dei paesi, il più delle volte, è più bassa di quella prevista. Secondo: il modello del gap finanziario ha fallito nelPin11 Ho usato dati sui lassi di crescita del vi: c degli investimenti forniti da Sum­ mer c 1leston 1.1991.1. Per il rapporto aiutigli. ho usato dati to c a prezzi cor retili. Noi: è l'ideale, in quanto il rapporto non c espresso in teimini di parili di potere di acquisto c quindi è possibile ima soiiosiiina o una sovrastima di quanto gli investimenti potrebbero comprare. 52

L aiuto agli m vestimenti

figura 2 I - Li differenza fra le previsioni del modello del gap finanziario e il *\ diiito effettivo dello Zambia,

Jividuare le superstar delle crescila. Gli esempi più evidenti sono quelli delle supposte superstar: Guinea Bissau, Giairmica, Zambia, ( luyana, Isole Comore, Ciad Mauritania, Mozambico e Zimba­ bwe, paesi che invece possono essere considerati come dei veri e propri disastri dal punto di vista della crescita, nonostante gii alti investimenti iniziali e i successivi abbondanti aiuti. Abbiamo vere superstar come Singapore, I long Kong, Thailandia, Malaysia e In­ donesia (superstar almeno fino a pochissimo tempo fa) che le previsioni basate sul gap finanziario non hanno saputo individuare. 53

Panacee ckf bau no fallito

Questi paesi avevano bassi livelli di investimento iniziali o hanno ricevuto pochi aiuti (o entrambe le cose), eppure sono crescimi ra­ pidamente, Sembra non esserci alcuna associazione tra la crescita prevista e quella effettiva.

Cinquantanni sono abbastanza 11 ricorso» per più di cinquantanni, al feticcio degli investimenti finanziati attraverso aiuti ci ha portati fuori strada nella nostra ri­ cerca della crescila. 11 modello dovrebbe essere finalmente messo a riposo. Dovremmo liberarci del concetto di gap finanziario in modo definitivo, con le sue false previsioni su quanti aiuti siano necessari a un paese. Non dovremmo tentare di stimare il livello “necessario” di investimenti affinché un paese possa raggiungere un determinato tasso di crescita» perché non esiste un legame sta­ bile. nel breve periodo, tra investimenti e crescita. Ne dovremmo cercare di stimare il livello ‘necessario” di aiuti per raggiungere un determinato tasso di crescita, perché non esiste un modello economico capace di aifrontu re questo problema. Per di più, fornire aiuti sulla base del gap finanziario crea in­ centivi perversi per i destinatari, come si è scoperto già molto tem­ po fa. Quanto più il gap linanziario c grande e quanto più sono abbondanti gli aiuti, tanto più bassa è la propensione al risparmio del destinatario. Ciò crea incentivi che ostacolano la gestione au­ tonoma da parte del destinatario delle proprie risorse per lo svi­ luppo. Per tornare alla storia ilei Ghana» la triste realtà è che il Ghana oggi è tanto povero quanto lo era ai tempi dell'indipendenza. Se i paesi vengono aiutati creando i giusti incentivi per il risparmio e la crescita, come vedremo in maggior dettaglio nella Parte terza, allora gli aiuti saranno più efficaci nel sostenerli nella loro ricerca della crescita. Ciò che ci può dare un po’ di speranza è il fatto che il Ghana ha avuto una salutare crescita del 2% del reddito pro ca­ pite a seguito delle riforme (e di nuovi aiuti) iniziate dopo il punto più basso raggiunto nel 1983. Ancora una volta, il feticcio del perseguire la crescita costruen­ do fabbriche e macchinari si è dimostrato incredibilmente resi­ .54

l ’iìiufo tigli ìnititìmenii

stente, a dispetto delle speranze frustrate. Nel prossimo capitolo vedremo come una versione più flessibile del feticcio delle mac­ chine sia stata proposta come panacea per la crescita. INTFHMEZZO Parmila Perniila è una vedova indiana jxko più che trentenne Suo marito morì Io scorso anno, dopo una lunga malattia, e da allora è lei a badare da sola al fi­ glio di sette anni e alla figlia di tre. La terra un tempo posseduta dal marito c stata venduta per fare fronte alle sempre più costose cure. Oggi Pannila non ha piu terra c sopravvive a fatica. Pannila viene da una famiglia benestante, originaria del villaggio di Kbatrplan nel distretto del Singhbluim, ma Ja povertà l'ha costretta ad accet­ tare lavori umili, nonostante le nobili origini, Si guadagna da vivere venden­ do legna da ardere, sgusciando chicchi di riso c lavorando a giornata per un imprenditore locale. Raccoglie la legna da una foresta vicina e la la essiccare, poi due volte alla settimana cammina per otto chilometri per andare a ven­ derla al mercato di Jmmhcdpur. Lavora nelle fattorie nei mesi di Agrahayan e Punsi) Lia metà novembre a metà gennaio) sgusciando riso. Sguscia 36 kg di riso al giorno, lavorando per nove ore; come salario riceve un dodicesimo della sua produzione quotidiana. Cosi, cine settimane di lavoro in ciascuno dei due mesi le fruttano circa 90 kg di riso. Il suo consumo giornaliero di risi.» c di circa un chilogrammo, cosi il riso guadagnato dura circa tre mesi. In aggiunta a ciò. Pannila lavora in un cantiere gestito da un imprenditore locale per circa dicci giorni al mese. Per questo lavoro viene pagata mezzo dollaro al giorno, che è meno della metà del salario imposto dalla legge su] salario minimo. Questo lavoro, in ogni caso, non può essere svolto durante i quattro mesi della stagione delle piogge. Parmila non riceve nessun aiuto dai suoi parenti diretti o acquisiti. Ciò nonostante, a dispetto della sua indigenza, nutre grandi speranze per i suoi due figli, che frequentano regolarmente la scuola del villaggio. 1la deciso che. ima volta cresciuti, li manderà alla Dimma Higher Middle School. Ha in piogeno di dedicarsi alla produzione di rìso soffiato, in modo da rispar miare soldi sufficienti per mandare i figli a scuoia. Parmila ha un grande rispetto di se stessa c nonostante le sue disgrazie non vuole essere oggetto di compassione. «Anche in tempi di grave crisi, ho controllato i miei nervi r non mi sono fatta sopra!lare dalle avversità. Il mio Dio mi c sempre stato vicino», dice con tono sicuro -

acsi /e sipnilica solo elle p o h v h h c r o /.vz/j /t w /' f i f u r i e . ) 1Ina volta che una certa tecnologia è dispoml>ile in un paese, la stessa potrebbe esse e utilizzata in un altro paese. (\ o i eliminiamo osmi possi bile dii lereit/a nella disponibilità di ieciKìlortki l-)i conseguenza, l’unica ragione per coi alenili paesi sono più poveri depli alili e d ie essi sono panili con un numero molto ridotto di macchinari. I paesi poveri ilei tropici avranno dai ninvhinari rendimenti inappior; di quelli dei paesi ricchi delle /o ne temperate. i paesi poveri ilei tropici saranno più lortcmcntc incentivati a ; rese e re rapidamente rispetto ai paesi ricchi, che stanno cresce il­ eo a un tasso pari al lasmo di crescita del propresso tecnico. Alla Ime i paesi poveri raupninpcranno i paesi ticchi e tutti cresceranno a ori tasso pari al lasso di eresiala ilei progresso tecnici.». ['.1 1 0

i paesi cìie partono con un capitale basso compenseranno

•..|iicsia sfortunata credila con i eudiimaii ì de! capitale molto eleva­ li. n ato elle il capitale finanziario internazionale atlluisce verso i '.\icsi con i più alti rendimenti ile persone rispondono apli incenti­ vi), il capitale tman/iario internazionale a llu n a verso questi paesi eoo alti rendimenti e scarno capitale. I paesi sfortunati rappiunec

latino i paesi più fortunati, cancellando il ricordo elei loro msii esordi, (dii im eutivi garantiscono clic i poveri cresceranno piu vciocejjicjuc dei ricchi, b facile vedere come onesta visione combaci ; on l ottimismo sullo sviluppo, tipico del dopoguerra, che ho de­ scritto nel capitolo precedente. Uopo il fallimento della crescita in molli paesi [inveri, i limi N ceirapplica/ione delTapproccio di Solow alla spiegazione delle •c.illerenzc tra paesi diversi divennero evidenti. Il collega prendo

Pawcer eke ben no fallito

Nobel Robert Lucas mise in evidenza uno dei maggiori problemi legati all'uso ingenuo dell’approccio di Solow nella spiegazione delle differenze tra paesi. Il reddito pro capite degli americani è pari a quindici volte quello degli indiani. Secondo l’approccio di Solow, con la stessa tecnologia disponibile per tutti i paesi, que­ sta differenza di reddito potrebbe emergere solo ipotizzando che i lavoratori degli irsA dispongano di un numero di macchinari maggiore rispetto a quello di cui dispongono i lavoratori indiani. Quanti macchinari in più dovrebbero avere i lavoratori statuni­ tensi per spiegare un reddito 15 volte superiore? Siccome ì mac­ chinari non rappresentano un ingrediente importante della pro­ duzione, la risposta è: molti. I calcoli di Lucas prevedevano che ogni lavoratore statunitense avrebbe dovuto avere un numero di macchinari pari a 900 volte quello a disposizione di ogni lavorato­ re indiano.111 lavoratori americani hanno più macchinari, ma non cosi tanti. Quelli che hanno fatto il calcolo hanno scoperto che i lavoratori americani hanno un capitale circa venti volte superiore a quello degli indiani. Perché dobbiamo ipotizzare che i lavoratori americani debba­ no avere questa esorbitante superiorità - 900 volte le macchine a disposizione degli indiani - per spiegare un reddito pari solo a 15 volte quello degli indiani? Tutto può essere ricondotto al ruolo poco importante del capitale nella produzione: il capitale rende conto solo di un terzo della produzione totale. Non è possibile spiegare la differenza di reddito fra paesi attraverso un ingredien­ te relativamente minore come il capitale. Per rendere conto di tut­ te le differenze di reddito tra paesi usando il modello di Solow, bisognerebbe assumere un'enorme differenza nel numero di mac­ chinari per lavoratore. Tutto ciò era facilmente prevedibile... ma nessuno lo ha previ­ sto. Anzi, lo stesso Solow mostrò la ragione per cui i macchinari non potevano spiegare le differenze intertemporali di reddito al­ l’interno dello stesso paese, come l’incremento del prodotto per lavoratore degli usa nel corso di quarantanni: all’inizio del pe­ riodo, il numero di macchinari sarebbe dovuto essere ancora piu IJ Lucas •!I990!>. Come Lucas, uso una quota Ji capitale pati a 0,4. li rapporto ili capitale s.irrLhe iluvutn essere y15V* pari a 871.

vicoli stock

70

La sorpresa Ji Solati-

scarso» in termini relativi, rispetto a quello che realmente era. La stessa logica è applicabile alla spiegazione del perche i macchinari non possono spiegare le differenze di reddito tra paesi, oltre che ira diverse epoche della storia di un singolo paese. Ma la soluzione al problema dei rendimenti decrescenti propo­ sta da Solow per la crescita di lungo periodo di un singolo paese - il progresso tecnico frutto di attività non economiche, come la scienza pura - non funziona se applicata al confronto tra paesi. Può essere sensato assumere che la tecnologia cambi nel tempo per ragioni non economiche» come le scoperte scientifiche. Ma dire che i paesi hanno differenti tassi di crescita perché hanno di­ versi tassi di progresso tecnico, a causa di una qualche misteriosa ragione non economica, non è il massimo. Ciò significherebbe ri­ spondere alla domanda del perché i tassi di crescita differiscono affermando che i tassi di crescita differiscono... il che ci riporta agli incentivi economici. La tecnologia deve variare tra paesi per ragioni economiche. Se la tecnologia è così potente da spiegare la crescita continua del reddito alfinterno di un singolo paese, allora essa è anche la na­ turale candidata per la spiegazione delle differenze di reddito tra paesi. E se la tecnologia differisce tra paesi, ci devono essere forti incentivi economici al progresso tecnico. Nella Parte lena mi de­ dicherò alla descrizione del modo in cui la tecnologia risponde agli incentivi. Rendimenti e flussi Non abbiamo ancora affrontato Taspetto peggiore dell'idea se­ condo cui i macchinari sono la chiave per lo sviluppo. Anche Lu­ cas calcolò i rendimenti necessari dei macchinari. Se spieghiamo rutta la differenza tra i redditi di usa e India tacendo riferimento al numero di macchinari, allora il numero di macchinari a disposi­ zione dei lavoratori statunitensi dovrebbe essere 900 volte quello a disposizione dei lavoratori indiani. Lucas usò il principio di So­ low secondo cui i macchinari hanno rendimenti maggiori laddove sono scarsi e calcolò che, essendo i macchinari indiani così scarsi rispetto a quelli statunitensi, il profitto da essi prodotto avrebbe 71

Partili, et’ c h e h a n n o fa llito

dovuto essere 58 volte più grande. Questi super rendimenti sono la controparte del calcolo di King e Rebelo, da cui risultò che se spieghiamo la crescita degli U S A con l’accumulazione di capitale che permette la transizione, allora il rendimento del capitale di un secolo fa avrebbe dovuto essere supcriore al 100%. Con un incentivo così ione a investire nei paesi poveri, Lucas si doman­ dò: «Perché il capitale non affluisce dai paesi ricchi verso quelli poveri?». Una risposta potrebbe essere che i paesi poveri presentano svantaggi per gli investitori, come l'instabilità politica, la corru­ zione e il rischio di espropriazione. Ma queste differenze nei ren­ dimenti sono ancora troppo ampie per essere annullate da fattori di questo tipo. L’investitore straniero in India si farà avanti anche se da questo paese può ottenere un profitto di una sola rupia ogni cento rupie investite. Nessuno pensa che la probabilità di espro­ priazione in India sia del 98%. Anche governi scandalosamente veniali non arrivano a un tasso da furto, medio e mantenuto nel tempo, di 98 centesimi per dollaro. Secondo Lucas, anche ammet­ tendo l’esistenza di rischi politici concreti per l’India, dovremmo osservare comunque un afflusso di capitali da New York a Nuova Dehli. Le persone dovrebbero rispondere agli incentivi. Tutto ciò non è accaduto. Negli anni novanta l’economia USA ebbe afflussi lordi di nuovi prestiti e investimenti dal resto del mondo pari a 371 dollari per anno per ogni americano. Nello stes­ so periodo, i prestiti e gli investimenti verso l’India si assestarono attorno ai 4 centesimi di dollaro per anno per ogni indiano. Non vi era alcun incentro a investire in India. Per un paese povero, la scarsità dei capitali esteri diretti verso l’India non rappresenta nulla di speciale. Nel 1990, il 20% più ricco ridia popolazione mondiale ha ricevuto il 92% degli afflus­ si lordi di capitale ili portafoglio; il 20%. più povero ha ricevuto Io 0,1% degli afflussi lordi di capitale di portafoglio. Il 20% più ricco della popolazione mondiale ha ricevuto il 79% degli investi­ menti diretti esteri; il 20%. più povero ha ricevuto Io 0,7% degli investimenti diretti esteri. Nel complesso, il 20*% più ricco della popolazione ha ricevuto l’88"ó degli afflussi lordi di capitale pri­ vato; il 20% più povero ha ricevuto 1’ 1%. degli afflussi lordi di ca­ pitale privato.

I m sorpresa

diSofou‘

La crescita che non c’è stata Il fallimento della crescita in molti paesi poveri ha rappresentato l'evidenza più importante contro Papplicazionc della visione di Solow alla spiegazione delle differenze tra paesi. Con alti rendi­ menti provocati dallo scarso capitale, i paesi poveri hanno avuto tutti gli incentivi per crescere più velocemente di quelli ricchi. Più un paese è povero c più la crescita dovrebbe essere veloce. I poveri dovrebbero avere la crescita nel sangue. Ma non è andata così. Ironicamente, i primi economisti che si resero conto del falli­ mento della crescita in molti paesi poveri non erano affatto specia­ listi di paesi poveri. Gli economisti dello sviluppo che seguivano le vicende dei paesi poveri erano sicuramente consapevoli che le cose stavano andando male in Africa e in America Latina, ma non sembravano rendersi conto di come ciò rappresentasse una sfida al vecchio paradigma. Toccò invece a un economista di un paese ricco come Paul Romer dare un occhiata ai dati e far notare che il vecchio paradigma non stava funzionando. Romer usò dati sul reddito relativi a più di cento paesi, forniti «.la Robert Summers e Alan Heston. All'epoca della sua presenta­ zione nell’ambito della Conferenza annuale di macroeconomia del National Bureau of Economie Research, nel 1987, aveva dati re­ lativi al periodo dal I960 al 1981. Egli mostrò come i paesi poveri non stessero per nulla crescendo più velocemente di quelli ricchi. L dimostrò che la previsione di Solow applicata ai paesi tropicali aveva fallito. Usando i dati relativi al periodo 1960-1981, Romer mostrò il fallimento della previsione di una crescita più veloce dei paesi po­ veri. Ironicamente questi erano stati anni buoni per i paesi poveri. Lssi infatti ebbero una performance peggiore sia nel periodo preivdente sia in quello successivo al periodo considerato da Romer, il che permise di dare la prima spallata al vecchio paradigma di Solow applicato ai tropici. L'ultimo anno della serie di dati considerata da Rorner, il 1981, In anche rultimo anno positivo per molti paesi poveri. Come ve­ dremo nel capitolo 5, [’America Latina e l’Africa sub sahariana dopo il 1981 vissero due pessimi decenni in termini di crescita economica. Ai paesi ili queste aree si unirono, poco tempo do­ 73

Piittiicec che brutto fallito

po, quelli del Medio Oriente e del Nordafrica. Tutti questi paesi, a partire dal 1981, non solo non hanno raggiunto quelli ricchi, ma hanno avuto performance j>eggiori. Stavano dunque perden­ do terreno. A partire dal 1981 i tre quinti più poveri dei paesi hanno avuto una crescita del reddito pro capite pari a zero o addirittura negati' va. I due quinti piu poveri dei paesi andavano male già nel perio­ do 1960-1981 e continuarono a farlo nel periodo compreso tra il 1981 e il 1998.1 paesi del quinto di mezzo, che andavano bene nel periodo 1960-1981, peggiorarono nel periodo 1981-1998.1120% più ricco dei paesi continuò ad avere un tasso di crescita del red­ dito pro capite positivo, pari a circa 1T%. L'ulteriore quinto più ricco dei paesi, che include le superstar dell'Asia orientale, ebbe in media buoni tassi di crescila. 1 paesi ricchi hanno avuto qualche rallentamento della cresci­ ta. Il reddito pro capite degli Stati Uniti è cresciuto dell’1,1 % nel periodo 1981-1998 e del 2,2% tra il 1960 e il 1980. Ma questo ral­ lentamento non è nuli» se confrontato al tasso di crescita annuale del reddito pro capite della Nigeria, passato dal 4,8% nel periodo 1960-1980 a -1,5% tra il 1981 e il 1998. Nonostante le lamentele e ('insoddisfazione degli abitami dei paesi ricchi per la crescita lenta, negli ultimi cinquantanni i loro paesi hanno avuto performance migliori, in media, di quelle dei paesi poveri. Il rapporto tra il reddito pro capite degli abitanti dei paesi ricchi e quello degli abitanti dei paesi |>oven è decisamente cresciuto in questo periodo. I ricchi sono diventati più ricchi; i po­ veri sono rimasti poveri (figura 3.1). Considerando Finterò periodo 1960 1999, si può vedere come i paesi poveri abbiano sempre avuto performance significativamen­ te peggiori di quelle dei paesi ricchi, e i due quinti più poveri sono riusciti a malapena u mantenere una crescita positiva. Nel I960, i quattro quinti più poveri dei paesi (considerando solo i paesi per cui sono disponibili i dati] corrispondevano più o meno a quello che più tardi verrà chiamato Terzo mondo. Nell’intero periodo, nel 70% di questi paesi del Terzo mondo, il reddito pro capite crebbe con un tasso itile riore a quello mediano dei paesi più ric­ chi, pari al 2,4%, Stavano rimanendo sempre più indietro, senza avvicinarci ai paesi ricchi. 74

La sorpresa di Solow

/ igtitd .?/) - U reddito prò capite massimo d cresciuto molto negli ultimi cintfu-wt'anni, mentre il reddito pro capite minimo è ristagnato.

[1 marchio della storia Quando divenne evidente che la previsione di una crescita più rapida da parte dei paesi più poveri non funzionava, gli econo­ misti iniziarono a porsi alcune domande precise circa la situa­ zione dei paesi poveri nei periodi iniziali. Gli economisti davano per scontato che ì paesi poveri fossero poveri quando, negli anni sessanta, essi iniziarono ad applicare il modello di Solow ai paesi tropicali. 75

Panacee che banvo fallito

Nessuno negli anni sessanta sembrava chiedersi come mai quei paesi erano diventati così poveri rispetto ai paesi ricchi. Un momento di riflessione tornì la risposta, ma occorse molto tempo. Questi paesi diventarono tanto più poveri dei paesi ricchi, perché crebbero più lentamente in qualche periodo precedente. Ci deve essere stato un qualche momento originario, tra l’era di Adamo ed Èva e i giorni nostri, in cui i redditi delle nazioni erano simili. Siccome oggi ci sono differenze notevoli tra i redditi delle nazioni, ci deve essere stato un intenso processo di divergenza tra i redditi nazionali, che contraddice il modello di Solow applicato al confronto tra paesi e da cui deriva la teoria della convergenza tra i redditi delle nazioni. Lant Pritchett, della Kennedy School of Government di Har­ vard, ha fissato questa riflessione in un recente articolo.1' Il ragio­ namento è semplice. I paesi che oggi sono molto poveri hanno un reddito pro capite appena al di sopra del livello di sussistenza. Sussistenza significa non morire di fame. Quindi, uno o due secoli fa. i paesi che oggi sono molto poveri devono aver avuto più o me­ no lo stesso reddito di oggi. Non può essere stato inferiore, perché altrimenti essi sarebbero scesi al di sotto del livello di sussistenza già uno o due secoli fa, il che è impossibile dato che sono ancora in vita. Le nazioni molto ricche probabilmente erano anch’esse mol­ to vicine al livello di sussistenza uno o due secoli la, dato che non abbiamo indizi di una crescita sostanziale del reddito pro capite nel corso degli ultimi uno o due secoli. Quindi il gap tra i paesi molto ricchi e quelli molto poveri si è sviluppato nel corso degli ultimi uno o due secoli. Se avete ancora qualche dubbio potete prendere i dati sui paesi che oggi sono poveri. Un infaticabile storico dell'economia, Angus Maddison, ha ricostruito i dati dal 1820 al 1992 relativi a un cam­ pione di ventisei paesi. Sebbene nel campione di Maddison i paesi poveri siano sottorappresentati, è comunque evidente la presenza di una forte divergenza. Il rapporto tra il reddito del paese ricco - Stati Uniti - e quello del paese più povero - Bangladesh - oggi è di circa trenta volte. Nel 1820 era solo di circa tre volte (figura 3.2). lutte le otto nazioni del campione di Maddison che oggi soPritchcu U997bn 76

ha sorpresa di Solow

1820 l ifttw Ì.2 - 1 ricchi diventano sempre pin ricchi ( ì 820-1V92).

no povere erano nelle |x>sizioni più basse, o almeno in prossimità ili esse, anche nel 1820. (il Messico, che oggi è la nazione più ricca deportavo più povero delle nazioni, era già la decima più povera nel 1820.) Quasi tutti i paesi che erano nelle posizioni più basse nel 1820 sono rimasti nelle posizioni più basse; i paesi ricchi lum­ ia i visto aumentare il loro reddito di dieci volte o più. Questo è utì risultato di notevole importanza. 1! 90% del reddi io dei paesi che oggi sono ricchi è stato creato a partire dal 1820. I il reddito che essi avevano circa duecento anni fa era già un in­ dicatore del destino che li attendeva.

PiVLicc f che hanno fallito

I vincitori scrivono la storia economica Perché quindi il pensiero economico fu pervaso per così tanto tem­ po dalla convinzione che i paesi poveri avrebbero raggiunto quelli ricchi? William Baumol dell’Università di Princeton, per esempio, scrisse un famoso articolo in cui mostrava che un gruppo di sedici paesi industriali avevano raggiunto il paese leader nell'ultimo se­ colo. Tra questi, quelli poveri erano cresciuti più velocemente di quelli ricchi. Quindi, la sua conclusione fu che c’era una tendenza generale alla convergenza dei redditi nazionali.16 Come fece Baumol a giungere a una conclusione tanto diversa dall'argomentazione apparentemente inconfutabile proposta più tardi da Pritchett? La conclusione di Baumol, e conclusioni si­ mili che rimasero in circolazione per molto tempo nel pensiero economico, si rivelò essere basata su un errore. (Si tratta di un er­ rore lampante, una volta scoperto, ma per nulla lampante prima di essere scoperto... è un buon esempio di quanto gli economisti debbano lavorare duro per affrontare una questione così elemen­ tare come quella ridia crescita più o meno veloce dei paesi poveri rispetto a quella dei paesi ricchi.) Brad de Long, dell’Università di Berkeley, scoprì l’errore nell’analisi di Baumol considerando il cri­ terio usato per la scelta del gruppo di paesi.171 paesi per cui sono più facilmente reperibili dati sono gli odierni paesi ricchi. Sono i paesi ricchi quelli che lo storico dell’economia può studiare per ricostruire le lunghe serie statistiche sul reddito. (’«omprensibilmentc, Baumol selezionò un campione di paesi per cui erano facil­ mente disponibili i dati, ma così facendo predeterminò involonta­ riamente la risposta della convergenza. Naturalmente questi paesi, oggi tutti ricchi, indipendentemente dal loro punto di partenza, daranno l’impressione di convergere l’uno con l’altro. Siccome la selezione non ha escluso nessuno di essi sulla base della posizione di partenza, probabilmente essi sono partiti da situazioni molto diverse. Alcuni di loro probabilmente sono partiti da una condi­ zione di agiatezza, altri da una condizione di povertà. Siccome villa fine tutti sono diventati ricchi - perché questo è il criterio utilizza■*’ Ballino] 11986Ì.

17 De Long i I9«S3i. 78

iti sorpresa di Solini'

co da Baumol per scegliere il gruppo - è certo che tra i paesi “ric­ chi alla line’' sono cresciuti più velocemente quelli che erano più poveri all’inizio rispetto a quelli che all'inizio erano ricchi. Questo errore spiega perché Baumol si perse (come egli stesso ammise dopo le osservazioni di de Long), Più in generale, que­ sta storia ci aiuta a spiegare perché questo errore di ipotizzare la convergenza dei redditi nazionali influenzò le discussioni tra gli economisti per un tempo così lungo. Gli economisti guardavano quasi esclusivamente a quelli che alla fine si erano rivelati essere i vincitori, perché per questi paesi erano disponibili dati di buona qualità. (Bisogna aggiungere che gli economisti dei paesi ricchi preferiscono visitare altri paesi ricchi e parlare per lo più di essi,) [ vincitori scrivono la storia economica. Anche nel campione di Maddison, i vincitori erano sovrarupp resentati, poiché egli incluse solo otto paesi tra quelli che la Ban­ ca Mondiale oggi classifica come poveri, ossia meno di un terzo del campione. Dato che i paesi poveri costituiscono la stragrande maggioranza di tutti i paesi del mondo, siamo ancora in presenza di un forte sbilanciamento verso i paesi che sono diventati ricchi. Nel campione di Maddison, per esempio, non ci sono paesi africa­ ni. Questa esclusione dei dati sull'Africa ha chiaramente a che fare con la povertà dell’Àfrica. Il Ciad oggi non dispone di molti storici deireconomia che indaghino sul passato del loro paese. Il già po­ vero (e analfabeta) Ciad del 1820 non disponeva di un ente gover­ nativo di rilevazione statistica che sfornava dati. Se consideriamo il tatto che la crescita dei paesi che oggi sono poveri non può es­ sere stata molto alta, è chiaro che con un campione più completo avremmo avuto una prova ancora più forre a sostegno della tesi che i ricchi diventano sempre più ricchi. Perfino nella min discussione circa gli andamenti nel periodo compreso tra I960 e il 1999 c era uno sbilanciamento verso quel­ li che alla line si sono rivelati essere i vincitori. In pratica, tutti i vincitori hanno buoni dati; i paesi che hanno vissuto qualche disa­ stro hanno dati incompleti. Posso controllare questa affermazione usando la classificazione dei paesi da parte della Banca Mondiale v verificando se alla tine del periodo essi vengono definiti come industriali (membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo) o in via di sviluppo. Nei mici calcoli sul periodo tra il

Panacee che hanno fallito

1960 e il 1999, dai quali è già emerso che i paesi poveri crescono più lentamente, ho usato solo i 100 paesi per cui sono disponi­ bili dati per tutto il periodo. Solo per un paese industriale non si dispone di alcun dato: la Germania, a causa della difficoltà di comparare i dati del periodo antecedente bonificazione con quelli dopo firnificazione. Al contrario, non abbiamo nessun dato per metà dei paesi che nel 1999 la Banca Mondiale classifica in via di sviluppo. Dunque il mio campione può essere considerato come sbilanciato verso i paesi vincitori alla fine del periodo. Ho già mostrato la tendenza dei paesi poveri a crescere più len­ tamente e di quelli ricchi a crescere più velocemente, nel periodo tra il 1960 e il 1999. Adesso so, a causa dello sbilanciamento a fa­ vore dei paesi vincitori, che traendo questa conclusione ho addi­ rittura minimizzato la differenza. Probabilmente disastri peggiori hanno coinvolto paesi che sono completamente spariti dalla banca dati, come Myanmar, Zaire (Congo), Liberia. Ciad e Haiti. Una performance economica pessima rende difficile resistenza di uffi­ ci statistici funzionanti. Per esempio, l'ufficio statistico delio Zaire ha chiuso i battenti nel 1999, ma i dati precedenti mostravano una crescita di lungo periodo pari al -2,4% per anno.

La contabilità della crescita incontra la banda dei quattro Ti modo più semplice per valutare l'importanza dell'accumulazio­ ne di capitale è quello di calcolare quale quota della crescita del prodotto per lavoratore sia riconducibile alla crescita del capitale per lavoratore. Il contributo della crescita del capitale per lavora­ tore alla crescita del prodotto per lavoratore è uguale alla quota di capitale nella produzione moltiplicata per il tasso di crescita del capitale. Come ho fatto notare in precedenza, la quota rii capitale nella produzione è pari a circa un terzo; in tal modo, se il capitale per lavoratore crescesse a un tasso del 3%, il contributo del capi­ tale alla crescita sarebbe di un punto percentuale. Se la crescita del prodotto per lavoratore fosse del 3%, allora diremmo che il capi­ tale rende conto di uri terzo della crescita per lavoratore. La quota di crescita non riconducibile airaccumulazione. di capitale sarà da ascrivere al progresso tecnico. Il progresso tecnico che permette

L-198.5 1989-1992 1989-1991 1981-1991 1979 19SS 1979 1984 19,81 1938 1985-1991

-■ 49,4 - 15,9 - 86,7 - MA -2 4 ,9 - 15.6 -4 1 .S - >3,6

retile er competenza. Il Gover/unent l't*unce SltìHsfnùl M mum! del 1996 4International Monetary Fund [1996], p. 161 raccomandava la contabilità per com|H*-imza, Comunque, gli arretrati possono ancora essere usati temporaneamente per raggiungere un obiettivo di debito pubblico lordo, dato che essi non vengono inclusi in esso. KeeU9à7>.p. 11.

:h Kopits c Craig cr crisi di breve periodo, concessi dal Fondo Monetario Internazionale (chiamati prestiti standby nel gergo del Fondo). Questi prestiti hanno come obiet­ tivo quello di affrontare una situazione di crisi acuta, come quella ili un paese che sta esaurendo le risen e di valuta estera. Idealmen­ te, il Fondo e le altre agenzie intemazionali dovrebbero aiutare il terionncntc le riserve. l\ governo venezuelano ha investirò tra il 10 c il 40% delle risene dei tondi pensione negli ospedali del sistema sanitario nazionale. Ora si trova a dover affrontare, con riserve ridotte, un aumento sia delle spese sanitarie sia di quelle previdenziali dovuto all invet rliiamcnco della popolazione. 11 World Bank l I995bK p. 12.S ’■ Sargent and Wallace 119951. 144

Prestiti it. cn'iaU >to

paese a risolvere la crisi, agendo anche in modo tale da prevenire altre crisi nel futuro. Ma ciò non accade. 1 paesi rimangono bloc­ cati nella giostra crisi - salvataggio del Fondo - crisi • salvataggio del Fondo - crisi e così via all'inlinito. Fluiti ba compiuto questo percorso 22 volte, la Liberia 18, l'Ecuador 16 e FArgentina 15 vol­ te. li Fondo Monetario, la Banca Mondiale e i paesi destinatari dei prestiti sembravano aver adottato il motto «milioni per risolvere una crisi, non un dollaro per prevenirne una». Nel quindicennio tra il 1980 e il 1994 dodici paesi hanno ri­ cevuto quindici o più prestiti d'aggiustamento dalla Banca Mon­ diale e dal Fondo Monetario: Argentina, Bangladesh, Costa d'Avorio, Filippine, Ghana, Giamaica, Kenya, Marocco, Messico, Pakistan, Senegai e Uganda. Il tasso di crescita pro capite mediano di questi paesi, nel periodo considerato, è stato pari a zero. Questo forse rappresenta il più importante fallimento della politica dei prestiti d'aggiustamento: il fallimento nel mettere in atto interventi che avrebbero promosso la crescita. Un crescita più alta aumenta le entrate fiscali e le esportazioni procedono più velocemente, facendo sì che il debito possa essere servito con più facilità nel futuro, eliminando dunque il bisogno di ulterio­ ri prestiti d’aggiustamento. TI Fondo Monetario, la Banca Mon­ diale e gli altri donatori si sono preoccupati del debito di quelle economie (delle loro passività), non prestando sufficientemen­ te attenzione agli incentivi per l'espansione degli attivi di quelle medesime economie, vale a dire alia loro capacità di generare reddito futuro attraverso la crescita economica. Un recente stu­ dio «li Przeworski e Vreelatid (2000) ha dimostrato l'esistenza di un effetto negativo dei programmi del Fondo sulla crescita. Una lunga e inconcludente letteratura all’interno della Banca Mon­ diale e del Fondo Monetario ha cercato di stimare gli effetti dei loro programmi controllando per altri (attori, con effetti positivi per la crescita difficilissimi da osservare. Ciò che è chiaro è che le speranze dclT*aggiustamento accompagnato da crescita'' non si sono realizzate. Ci sono troppo pochi aggiustamenti, troppa po­ ca crescita c troppe poche indagini sui risultati della politica dei prestiti d'aggiustamento.

145

Palitene che hanno fallito

Incentivi per i donatari e per i destinatari degli aiuti Per quale motivo dunque la (Hilitica degli aiuti di aggiustamen­ to, a cui abbiamo fatto ricorso lino alla fine degli anni ottanta, ha finito per trasformarsi in un incauto finanziamento a paesi di­ sperati? Perché quella dei prestiti d’aggiustamento non è stata la formula magica che avrebbe evitato di perdere due decenni di crescita? Perché siamo stati incapaci di far rispettare le condizio­ ni sulle riforme? Ancora una volta, la risposta viene dal nostro motto ufficiale: le persone rispondono agli incentivi. Le organiz­ zazioni internazionali non verificano gli incentivi. I finanziatori hanno incentivi a concedere prestiti anche quando le condizioni per i prestiti non vengono rispettate. I beneficiari hanno l’incen­ tivo a non realizzare le riforme anche quando ottengono prestiti d’aggiustamento. Alla base di questi problemi c'è una moltepli­ cità di incentivi. In primo luogo, i donatori non sarebbero tali se non fossero preoccupati per la sorte dei poveri del paese destinatario degli aititi. Ma questa sollecitudine nei confronti dei poveri rende poco credibile la minaccia di tagliare i prestiti, nel caso in cui le condi­ zioni a essi collegate non venissero rispettate. Dopo tutto, anche se le condizioni non vengono rispettate, la volontà dei donatori è quella di ridurre la massa «lei poveri e dunque essi continuano a concedere aiuti. I destinatari possono anticipare questo compor­ tamento rimanendo immobili, senza intraprendere alcuna riforma e senza aiutare i poveri, convinti di ottenere comunque gli aiuti. Come abbiamo visto nel caso del taglio del deficit, essi possono dare l’impressione di fare riforme anche quando in realtà non fan­ no nulla. La preoccupazione dei donatori per i poveri crea incentivi an­ cora più perversi per i beneficiari. Siccome i paesi con i più se­ ri problemi di povertà ottengono più aiuti, questi paesi avranno uno scarso incentivo ad alleviare il problema della povertà. 1 po­ veri vengono così tenuti in ostaggio al fine ili estorcere aiuti ai donatori.'’ ’’ Onerisi sezione- era Iwsata su Svensson i IW? j.

1-46

Presitii sì, crescite no

Come possiamo fare fronte a questo problema degli incentivi perversi? Paradossalmente, i poveri dei paesi destinatari degli aiu­ ti starebbero meglio se la decisione di finanziamento fosse nelle mani di una cinica agenzia a cui non importa nulla di loro. Questa avara agenzia può infatti minacciare in modo credibile i ragli agli aiuti, nel caso iti cui il beneficiario non dovesse rispettare le condi­ zioni e non si impegnasse nel ridurre la povertà. A questo punto il beneficiario rispetterà le condizioni e i poveri starebbero meglio. Vi sono incentivi sbagliati a concedere finanziamenti anche per una ragione meno nobile. La maggior parte delle istituzioni dona­ trici ha una struttura organizzativa che prevede un dipartimento per ciascun paese o gruppo di paesi. Li budget di questo diparti­ mento viene determinato sulla base della quantità di finanziamen­ ti concessi al beneficiario. Un dipartimento che non usa il pro­ prio budget per i prestiti, con molta probabilità Tanno successivo otterrà meno risorse. Budget più ricchi sono associati a maggior prestigio e a maggiori possibilità di carriera. Così i responsabili dei vari dipartimenti sono incentivati a erogare comunque aiuti, anche quando le condizioni collegate al prestito non vengono ri­ spettate. I finanziatori creano anche un altro incentivo perverso per i be­ neficiari dei prestiti, nel momento in cui condizionano i finanzia­ menti a cambiamenti nella politica economica. Ciò crea una sorta di aggiustamento a zigzag, con il quale i paesi procedono con con­ tinui aggiustamenti e revisioni degli aggiustamenti. Quando aggiu­ stano ottengono nuovi prestiti grazie al cambiamento nella politica economica. Ma quando hanno delle ricadute, non ottengono più finanziamenti. Allora aggiustano di nuovo, dando inizio a un mio vo round di prestiti d'aggiustamento da parte della Banca Mondia­ le, del Tondo Monetario e di altri enti finanziatori. L‘"Economist* descrive come questo processo abbia avuto luogo in Kenya: Nel corso degli ultimissimi anni il Kenya si e esibito iti un curioso rito di accoppiamento con i suoi donatori. Le fasi del rito sono le seguenti: in primo luogo, il Kenya riceve le sue annuali promesse di aiuti internazionali. In secondo luogo, il governo inizia a com­ portarsi male, lucendo retromarcia sulle ritoime economiche [...]. In terzo luogo, in un nuovo incontro i paesi donatori esprimono la loro esasperazione e si preparano a richiamare all ordine il governo 147

Panacee eh? hanno fallito

keniota. In quarto luogo* il Kenya tira fuori il coniglio dal cappello, tranquillizzando i donatori. In quinto luogo* i donatori si ammor­ bidiscono e l’aiuto è garantito. A questo punto l’intera danza riconiincia.M A volte ce una quarta ragione per la quale i finanziatori ufficia­ li concedono nuovi prestiti a paesi che non realizzano le riforme. Spesso questi paesi hanno già ricevuto molti prestiti dai finanzia­ tori ufficiali e hanno qualche difficoltà nel restituire il debito. I finanziatori ufficiali non vogliono dichiarare pubblicamente che i prestiti non stanno producendo risultati, perche ciò sarebbe poli­ ticamente imbarazzate e potrebbe mettere a rischio il budget dei finanziatori ufficiali nei loro paesi. Così essi qualche volta finisco­ no per concedere nuovi prestiti per permettere ai beneficiari di restituire i vecchi prestiti. I beneficiari sono consapevoli degli incentivi dei donatori. An­ che se può apparire sorprendente» durante le negoziazioni sul l’erogazione di aiuti* le redini sono tenute in mano dai poveri beneficiari. La minaccia della mancata erogazione da parte del di­ partimento delListituzione donatrice, nel caso in cui le condizioni legate al prestito non venissero rispettate, non è molto credibile. 1 beneficiari sanno che i finanziatori hanno a cuore i poveri e che il budget dei finanziatori dipende dall’erogazione di nuovi prestiti. I beneficiari possono anche minacciare di non onorare il vecchio debito, nel caso in cui non dovessero ricevere nuovi prestiti... e in tal modo le erogazioni vengono comunque fatte. Come sarebbe potuta andare Una volta, un saggio disse che la definizione di tragedia è cosa sarebbe potalo accadere. Secondo un recente studio della Banca Mondiale* gli aiuti avrebbero avuto un impatto positivo sulla cre­ scita, se i beneficiari avessero avuto buone politiche economiche. Sempre secondo questo studio, gli aiuti in media non hanno un impatto significativo sulla crescita. In ogni caso, hanno un effetto u "The Economist", 19 agosto 1995. 148

P r e f itti si, e m e t t o i o

positivo in occasione di buoni interventi sul bilancio dello stato e sulPinflazione. Tra i paesi a basso reddito con buone politiche economiche, una quantità addizionale di aiuti, corrispondente a un punto percentuale in più del pii,, è associata a un aumento della crescila del pil pari a 0,6 punti percentuali. Oggi, tra i paesi a basso reddito, c’è una tendenza alTadozione di buone politiche economiche. Nel 1994 quindici economie a basso reddito sii quaranta risultavano avere buone politiche eco­ nomiche, con un effetto significativamente positivo degli aiuti sul­ la crescita. Ci sono anche segnali del latto che i finanziatori stiano diventando più selettivi nella scelta dei beneficiari dei loro aiuti. La Banca Mondiale, per esempio, ha intrapreso riforme finalizzate a un maggior rigore nella selezione dei destinatari dei prestiti. Sfortunatamente, nel 1994, la quota del pil delle nazioni in­ dustriali destinata agli aiuti fu la più bassa degli ultimi ventanni. 1, assurdità è che gli aiuti iniziarono a crescere quando le politiche economiche iniziarono a peggiorare e oggi gli aiuti stanno di nuo­ vo diminuendo, mentre le politiche economiche stanno linalmente migliorando. Se nel corso degli anni ottanta e novanta si è avuta a volte firnpressione che la politica dei prestiti d’aggiustamento non fosse molto più costruttiva del trasportare sabbia nel deserto del Ka­ lahari, è perché ci furono scarsi incentivi sia per i finanziatori sia per i beneficiari. Quella dei prestiri d'aggiustamento condizionati alfattuazione di rilorme è stala un’altra formula fallimentare nella nostra ricerca della crescita. G uardare al futuro Dovremmo far dipendere l'erogazione di aiuti dalla performance del paese nel passato e non da promesse, dando così al governo l'incentivo a perseguire politiche che creino crescita. Quanto più efficaci sono gli interventi del governo nel creare crescita, tanto più un paese riceve in termini di aiuti. Dovremmo lare una gra­ duatoria ilei paesi poveri sulla base della performance delle loro politiche economiche e dovremmo fornire più aiuti ai paesi che occupano i posti più alti della graduatoria. Non è importante sa­ 149

Panacee che baino fallito

pere con esattezza quale formula adoperare: ciò che conta è che gli aiuti crescano insieme alla performance della politica economica del paese, in modo da tornire al governo gli incentivi per mettere in atto buoni interventi. Nei prossimi capitoli vedremo che, in realtà, sappiamo abba­ stanza bene quali politiche economiche siano associate alla cresci­ ta. Per il momento ci si limiti a dire che un paese dal tasso di cam­ bio al mercato nero molto più elevato di quello ufficiale, dall'alto tasso d’inflazione, dai tassi d’interesse controllati e ben al di sotto del tasso d’inflazione, dal bilancio statale con un deficit elevato e da una corruzione diffusa non dovrebbe ricevere aiuti. Un paese che non ha un elevato black market premium del mercato valuta­ rio, che ha un’inflazione bassa, tassi d'interesse da libero mercato, un bilancio statale con un deficit ragionevolmente basso, dotato di istituzioni che proteggono la proprietà privata e la sacralità dei contratti, e che intraprende politiche contro la corruzione dovreb­ be ricevere molti aiuti. L’erogazione di aiuti sulla base della performance degli inter­ venti governativi cambierebbe drasticamente l’allocazione degli stessi. Ho preso in considerazione la graduatoria dei paesi basata sul livello pro capite di aiuti allo sviluppo ricevuti nel corso degli anni ottanta. Considerando gli stessi anni, ho poi esaminato la gra­ duatoria dei paesi basata sulla performance dei loro interventi (la performance degli interventi è misurata attraverso un indice com­ posito, che tiene conto della performance relativa al deficit dello stato, alla corruzione, all’inflazione, allo sviluppo finanziario e al black market premium del mercato valutario). Sono così arrivnto alla conclusione che negli anni ottanta la performance e i finanzia­ menti allo sviluppo erano praticamente indipendenti. Dunque, se negli anni ottanta avessimo fatto dipendere gli aiuti dalla qualità degli interventi in politica economica, avremmo aumentato dra sticamente gli aiuti ufficiali ad alcuni paesi (come l’India, la Thai­ landia e la Malaysia) c avremmo drasticamente ridotto gli aiuti ad altri paesi (conte il Nicaragua, la Giamaica e l’Ecuador). Per consentire che vengano rispettate le condizioni, poste al­ le performance degli interventi per ricevere gli aiuti, i paesi do­ vrebbero entrare in una «competizione per gli aiuti», sottoponen­ do delle proposte per un uso degli aiuti che favorisca la crescita 150

Prèstiti sì, crescita no

economica. Nelle loro proposte» essi documenterebbero la per­ formance degli interventi messi in atto fino a quel momento e pro­ porrebbero progetti per f ulteriore sviluppo della performance dei loro interventi. In ogni caso, gli aiuti dovrebbero dipendere principalmente dai risultati già ottenuti dal governo con i suoi interventi, piuttosto che da proposte di cambiamenti e miglioramenti. Ciò ribalterebbe fattuale sistema, nel quale le semplici promesse di intraprendere cambiamenti nella politica economica sono sufficienti per ottene­ re l'erogazione di aiuti. Con fattuale sistema i paesi hanno giocato con successo il gioco consistente nel partire con interventi pessi­ mi, passare a interventi abbastanza buoni per ottenere gli aiuti, pei poi tornare agli interventi pessimi. li risultato è che, in media, molti paesi con pessime politiche economiche hanno comunque ricevuto aiuti. Se Ì redditi dei paesi crescono grazie all’effetto favorevole delle loro politiche economiche sulla crescita, allora gli aiuti dovrebbe­ ro crescere altrettanto. Ciò è esattamente il contrario di quello che accade nella realtà. Un paese, con interventi di politica economica disastrosi e una contemporanea riduzione del reddito, ottiene aiu­ ti a condizioni più favorevoli. Per esempio, il Kenya era sufficien­ temente ricco da poter aspirare solo a tassi d'interesse da libero mercato sui prestiti della Banca Mondiale, fino a quando una ridu­ zione del reddito e pessime politiche economiche lo hanno (portato a poter ottenere prestiti a tassi d’interesse agevolati. Al contrario, paesi che prosperano ottengono a tutti gli effetti Inidoneità* per prestiti a tassi più alti. Al crescere del reddito, le condizioni per i prestiti dovrebbero migliorare e non peggiorare. (Naturalmente, agli esordi di un nuovo regime di aiuti, i paesi poveri dovrebbero essere i candidati naturali per gli aiuti. Non sto raccomandando aiuti intemazionali per PAustria. Se questa designazione è fatta solo all’inizio, allora non creerà l’incentivo perverso a rimanere poveri.» Tutto ciò implica un drastico cambiamento nel modo co­ mune di pensare, secondo cui gli aiuti diminuiscono al crescere del reddito, con il risultato di un incentivo negativo a diventare più ricchi. Certo, questo incentivo negativo potrebbe essere com­ pensato da altri incentivi positivi a diventare più ricchi, ma di per sé comunque non aiuta. Se gli aiuti fossero erogati ai paesi piu me1.51

Panacee che hanno fallito

ritcvoli (quelli con le migliori politiche economiche), potremmo almeno ottenere l'allineamento degli incentivi dei donatori e di quelli dei governi, al fine di promuovere la crescita. Il segno definitivo del fallimento della politica dei prestiti cfaggiustaniento è ammettere che il debito non può essere ripagato, perché ciò porterebbe alla luce il fatto che il denaro non è sta­ to utilizzato in maniera appropriata. Come vedremo nel prossimo capitolo, le istituzioni intemazionali sono infatti giunte a questa ammissione.*I |

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IV rE JtM C Z Z O

Li storia di Roumeen La mia amica Roumeen è una cittadina americana nata in Bangladesh, con il sorriso sempre sulle labbra. Ha occhi luminosi che trasmettono vitalità e gioia. È una professionista dotata di un certo talento. Ma c'c un laro oscuro della vita di Roumeen che mi ha spesso incuriosito. Un giorno mi ha raccontaro la sua storia. Nel 1^71, quando scoppiò la guerra per l'indipendenza» lei aveva dicci anni e viveva in Bangladesh. Il 25 marzo» dopo le sommosse dei nazionalisti del Bengali, che combattevano per l’autonomia della regione, clic allora si chiamava Pakisran orientale, le truppe del Pakistan occidentale lanciarono una campagna di terrore in quella regione. L’esercito pakistano compilò una lista dei professionisti del Bengali» con l'obiettivo di sterminare la leadership del movimento indipendentista. Il padre di Roumeen, un imporrante econo­ mista del Bengali, era nella lista. Per sfuggire ai pakistani si travesti da con­ tadino e si incamminò verso la salvezza, al di là del confine indiano. Subito do[K> Roumeen, suo fratello c sua madre scapparono dal Bangladesh con un aereo che li avrebbe portati tu salvo presso alcuni amici a Parigi. Con l'aiuto deirindia il Bangladesh conquistò la propria indipendenza. Per Roumeen c la sua famiglia la storia avrebbe potuto avere un lieto fine, ma così non fu. Due zie di Roumeen uscirono dalla cantina in cui erano rimaste nascoste per nove mesi, durante i quali i combattimenti imjrcrvcrsavano sopra le loro teste. Pensavano di non correre alcun rischio, essendo ormai casati i com­ battimenti. Si misero alla guida della loro automobile con i loro tigli, i cugini di Roumeen, di otto e undici anni, seduti sul sedile posteriore. Ma i soldati pakistani, che si erano già arresi, non erano ancora stati disarmati e» mossi dalla rabbia c dalla trust razione, continuavano a sparare a casaccio contro i civili. Un solo colpo sparalo da un lucile pakistano entrò nell'automobile delle zie di Roumeen e attraversò le teste dei suoi due cugini, uccidendoli all'istante. Alla fine, la famiglia di Roumeen non è sfuggita alia guerra.

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7. Rimetti a noi i nostri debiti

Li finanza agevolata usala m modo non produttivo |x>ita a un indebitamento che viene poi usato come giustificazione per ulteriori finanziamenti agevolati. Lorn P. T. Bauer, 1972

Haiti, un paese povero, ha un elevato debito estero e non sta cre­ scendo. Il rapporto tra il servizio del debito estero e le esportazio­ ni ha raggiunto il 40%, molto al di sopra del 20-25% considerato "sostenibile”.1 Sfortunatamente il debito non è stato contratto per espandere In capacità produttiva, ma per finanziare il clientelismo del gover­ no c* grandi forze militari e di polizia. La corruzione è endemica, quindi c’è un forte sospetto che parte dei prestiti internazionali siano stati intascati dai governanti. Questa è una descrizione del­ l'esperienza di Haiti negli anni novanta. Ma il decennio in cui si sono registrali questi fatti non era quello degli anni novanta del XX secolo, bensì quello degli anni novanta del xix secolo.*2 Il problema dei paesi poveri con elevato debito estero non è nuovo. La sua storia va dalle due città-stato greche insolventi nei confronti del tempio di Deio nel iv secolo a.C., all insolvenza del Messico nei confronti «.lei primo prestito intemazionale ottenuto nel 1827 dopo l’indipendenza, fino ad Haiti, che nel 1997 aveva un rapporto debito estero/esportazioni del 484%.' Il problema dei paesi poveri con elevato debito estero è oggi sotto la luce dei riflettori. All’inizio del nuovo millennio molti so­ stenitori degli aiuti hanno lanciato una campagna chiamata Jubi! World Bank p. 56. ' Dommcn ( 19891; Winkler i 1933 ), p. 22; Wynne ( 1951 ). pp. 5 7.

2 DupuyUORSJ.p. 116; LumlaM (1^92Lpp. 39.41 c244. 153

Panacee cht hjnno /aitilo

lee 2000 per la cancellazione del debito dei paesi poveri. Sostegno a Jubelee 2000 è venuto dai più diversi personaggi, come il musi­ cista Bono del gruppo rock degli U2, {'economista Jeffrey Sachs, il Dalai Lama e il pupa. II 23 settembre del 1999 ho visto un web­ cast, in cui gli improbabili compagni Bono e Sachs consultavano il papa a proposito del debito estero. Nell’aprile del 2000, migliaia di persone si sono radunate al Mail di Washington per manifestare a favore della cancellazione del debito. Perfino Hollywood si è oc­ cupata della cosa. Nel film di successo Halting Hill, Hugh Grant cita «la cancellazione del debito del Terzo mondo» per corteggiare Julia Roberts. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno già un programma denominato iniziativa tm>r (Highly Indebted Poor Countries)'1*che include, per la prima volta, la cancellazio­ ne eli parte del debito dei paesi poveri che hanno buone politiche economiche e sociali. Nel summit tra i setto principali paesi indu­ striali (il G7), tenutosi a Colonia nel giugno del 1999, è stata auspi­ cata l’espansione del programma hut:, attraverso l’accelerazione della procedura di cancellazione e l’aumento della quota di debito cancellata per ogni paese. Questo piano di espansione è stato ap­ provato nel settembre 1999 dai membri della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, vale a dire dai governi di quasi tutti i paesi del mondo. L’espansione farà aumentare il costo totale (espresso in moneta corrente) del programma ture da 12 a 27 miliardi di dollari.5Così la cancellazione del debito è l’ultima panacea per li­ berare i paesi poveri dalla povertà. Come viene dotto nel sito uffi­ ciale della campagna Jubilee 2000: «Milioni di persone nel mondo vivono in povertà a causa del debito del Terzo mondo e delle sue conseguenze» e se il progetto di cancellazione del debito di Jubi­ lee 2000 dovesse avere successo, «l’anno 2000 segnerebbe l’inizio di eccezionali miglioramenti nella sanità, nell'istruzione, nell'oc­ cupazione e nello sviluppo dei paesi prigionieri del debito»/ 1 Parsi poveri altamente indebitati. (S.J.T.Ì Herald Tribune", H giugno 1999, p. I; “Financial Times", 21 giugno 1999, p. V, Si veda anche il sito web della Banca Mondiale sul programma H T iv :: lit tp:/,V\vw.\vorldb ank ore-lupe ò h t t j u bi l e e 20 00 uk . or j » ’main.luml ' “International

Riftifiti a noi i nostri debiti

G è solo un problema: la scarsa consapevolezza da parte dei so­ stenitori della campagna Jubilee 2000s come Bono, Sachs, il Da­ lai Lama e il papa, che la cancellazione del debito non è una cosa nuova. Così come il debito elevato non è una novità, gli sforzi per liberare i debitori dai loro debiti non sono nuovi. Abbiamo già provato a cancellare il debito per un ventennio, con pochissimi dei risultati salutari promessi da Jubilee 2000,

Un ventennio di storia di cancellazione del debito Nonostante, già nel lontano 1967, si annunciasse che «i pagamenti del servizio del debito hanno raggiunto un livello critico in diversi paesi», l’attuale movimento per la cancellazione del debito ha fat­ to in realtà i primi passi solo nel 1979.7In quell anno, nelle World Debt Tables della Banca Mondiale, si facevano notare i «ritardi nel pagamento del debito» su prestiti ufficiali ai paesi poveri, anche se «la cancellazione del debito o del servìzio del debito ha ridot­ to i problemi di alcuni paesi». Gli incontri della United Nations Conference on Trade and Development (uxctad) del 1977 e del 1979 si sono conclusi con la cancellazione, da parte dei creditori ufficiali, di 6 miliardi di dollari di debito per 4.5 paesi poveri. Le misure adottate dai creditori ufficiali includevano «l'eliminazione del pagamento degli interessi, un riscadenzamento del servìzio del debito, aiuti non vincolati e a condizioni agevolate, nonché nuove concessioni per il rimborso del vecchio debito».5 Nel rapporto sull'Africa del 1981 della Banca Mondiale si ri­ chiamava l’attenzione sul fatto che Liberia, Sierra Leone, Sudan, Zaire e Zambia (poi divenuti tutti nnv.) avevano già avuto «seri problemi nelTonorare il debito» nel corso degli anni settanta e «probabilmente continueranno sulla stessa strada negli anni ot­ tanta». Nel rapporto si fa cenno alla cancellazione del debito: «bi­ sognerebbe individuare soluzioni durature alle crisi indotte dal debito», e ancora: «la pratica oggi comune [dei donatori] di se­ parare le decisioni sugli aiuti da quelle sul debito potrebbe es­ 1.3 citazione c tratta da (. mjad 11967ì. p. 3. K World Bank 11979), pp. 7 8; w> i 1L>S3 >. p. 3. 15.5

PdUttci'c che hanno fallito

sere controproducente».1* Il cappono sull'Africa del 1984 fu più esplicito, per quanto possa essere schietto il linguaggio burocra­ tico: «Laddove esistano programmi monitorabili, la riduzione del debito e tempi più lunghi per il suo rimborso dovrebbero essere provvedimenti inclusi nel pacchetto di sostegno finanziario al pro­ gramma». '**Il linguaggio divenne ancora più esplicito nel rappor­ to del 1986: le esigenze di finanziamento dei paesi africani a bas­ so reddito dovranno «essere soddisfatte da ulteriori programmi di aiuto bilaterali e dalla cancellazione del debito».'1 Nel 1988 la Banca iMondiale notò che «lo scorso anno ha portato a una mag­ giore consapevolezza dell’urgenza dei problemi legati al debito dei paesi a basso reddito dell’Africa sub-sahariana».1- Nel rappor­ to del 1991 sull’Africa, con una escalation di retorica, si giunse ad affermare che «l’Africa non può sfuggire aU’attualc crisi economi­ ca senza una considerevole riduzione del proprio debito».11 Il tour mondiale del

Gl

1 paesi ricchi risposero all’appello della Banca Mondiale per la cancellazione del debito. Nel summit del G7 tenutosi a Venezia nel giugno de! 1987 si lanciò la proposta di un'esenzione dal paga­ mento degli interessi sul debito estero dei paesi a basso reddito. I paesi del G7 raggiunsero un accordo per una parziale cancellazio­ ne del debito conosciuto poi come "Venice Terms” (si iniziò allora a identificare ogni nuovo programma con il nome della città del summit più recente del G7). Un anno dopo, nel giugno del 1988, durante il summit del G7 di Toronto, si raggiunse un accordo, cov World Bank ( 1981 >. p. 129. 10 World Bankil9H43‘, p. 46. 11 World Bank (1986). p. 41. World Bank il9S8nh p. xjx . Piu in generale, la letteratura economica fu iniziato a prestare attenzione al debito dei paesi africani a basso reddito più o meno nello stesso momento. Vedi Lancaster e W'illiamson i19861; Mistiy 0988); Creene ì 19f>9); Partili e Riley U989); Humphreys e Underwood i, 19891; I lusain e Underwood ; Brook et al. . 19. Rauch 1199Vi.

Lp persone rispondono àgli incentivi

ti. Se non ci fossero vantaggi dal matching, dovremmo osservare retribuzioni individuali che dipendono solo dalle competenze del singolo. Invece quello che vediamo è che la retribuzione indivi­ duale è influenzata dalla retribuzione del gruppo a cui l’individuo appartiene. La tendenza osservata da questi studi suggerisce che l’opportunità per l’individuo di unirsi ad altre persone qualificate è tanto importante quanto le sue stesse capacità. Cosa succede se i lavoratori possono attraversare i confini na­ zionali? La storia del matching aiuta a spiegare la fuga di cervelli dai paesi poveri verso i paesi ricchi. Un bravo cuoco marocchi­ no sa di avere più possibilità di incontrare addetti alla ristorazio­ ne competenti in Francia, piuttosto che in Marocco, e sa anche che ciò gli garantirà una retribuzione più alta. Un chirurgo in­ diano riceverà una retribuzione più alta dove potrà collaborare con infermieri, anestesisti, radiologi, personale tecnico, contabili e receptionist qualificati. Il chirurgo indiano altamente qualificato preferirà andare negli Stati Uniti, dove può trovare altri lavoratori qualificati. Con rendimenti decrescenti, i lavoratori non qualificati do­ vrebbero desiderare di immigrare verso paesi ricchi in cui abbon­ da il capitale. I lavoratori qualificati dovrebbero restare nei paesi poveri, dove vi è scarsità di lavoro qualificato. Con la storia del matching, i lavoratori qualificati dei paesi poveri vorranno spo­ starsi nei paesi ricchi al line di unirsi ad altri lavoratori qualificati. Infatti, come abbiamo visto, un indiano ist ruito ha una probabilità di emigrare negli Stati Uniti che è 14 volte supcriore a quella del­ l'indiano non istruito.15 (Gli stessi incentivi fanno sì che anche il capitale finanziario af­ fluisca verso i paesi ricchi. So ci sono rendimenti crescenti, il tasso