Lo spirito delle leggi [Vol. 2]
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CLASSICI DELLA

POLITICA

COLLEZIONE FONDATA DA LUIGI FIRPO

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LO SPIRITO DELLE LEGGI di

Charles de Seconda! barone di Montesquieu

A CURA DI

SERGIO COTTA

Volume secondo

UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

©

2002

Ristampa

-

Unione Tipografico-Editrice Torinese

corso Raffaello, 28 - 10125 Torino

©

1952 Prima edizione, 1965 Seconda, 1996 Terza

Sito Internet Utet: www.utet.com e-mail: [email protected] I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qual­ siasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per i.utti i Paesi. L'Editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume e fino a un massimo di settantacinque pagine.

Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all'Associa­ zione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO), via delle Erbe, z - zorzr Milano Te!. e Fax oz/8ogso6 Stampa: Stamperia Artistica Nazionale- Torino ISBN 88-oz-or857-X

LO SPIRITO DELLE LEGGI LIBRI XXII , XXXI

LIBRO VENTIDUESIMO

DELLE LEGGI NEL LORO RAPPORTO CON L'USO DELLA MONETA

CAPO I .

Motivi dell'uso della moneta.

I popoli che dispongono di poche mercanzie da destinare al commercio, come i selvaggi ' o i popoli civili che ne hanno di due o tre sole specie, negoziano per scambio. Così le carovane degli Arabi che si recano a Tomboctù, nel centro dell'Africa, per barattare sale contro oro, non hanno bisogno di. moneta: l'Arabo fa un mucchio del suo sale, il Negro ne fa un altro della sua polvere d'oro; se non c'è abbastanza oro l'Arabo toglie un po' del suo sale, o il Negro aggiunge un po' di oro, fino a che le parti sono d'accordo z. Ma quando un popolo traffica su un gran numero di merci, è necessaria una moneta, perchè un metallo facile a trasportare risparmia molte spese che si dovrebbero fare se si procedesse sempre sulla base dello scambio J. I. Cfr. Pensées, l, fol. 457 v0, n. 647 ( 1 7 7 1 ) : « L'invenzione della moneta ha contribuito molto alla formazione dei grandi imperi. Pertanto tutti quPi paesi nei quali non si ha moneta sono selvaggi: poichè il principe non può superare gli altri in ricchezza tanto da farsi obbedire, nè com­ prare gente sufficiente per dominare gli altri », ne consegue che in simili paesi « l'eguaglianza è quindi inevitabile». Si cfr. XVIII, 1 5 ; il testo del Ms. riportato a p. 468, nota 2 riproduce fedelmente parte del passo citato delle Pensées. 2. La Dodds indica quale fonte i Voyages au Levant et en BaYbarie, 1 743, di THOMAS SHAW (cfr. tomo I, pp. 391-392), il quale riferisce questa usanza, soltanto che invece del sale parla di ninnoli e chincaglierie. Per-ò già ERODOTO (HistOYiae, IV, 196) afferma che i Cartaginesi usavano questa forma di baratto per il loro commercio con talune popolazioni dell'Africa. 3· In Pensées, I I I, fol. 38, n. r 6g4 (336), passo intitolato Che in sostanza tutto si Yiduce a scambio, Montesquieu osserva che anche gli acquisti in denaro sono una forma di scambio: fra merci e un metallo prezioso.

IO

PARTE QUARTA

Poichè tutte le nazioni hanno dei bisogni reciproci, accade spesso che l'una voglia avere una gran quantità di merci dell'altra, e quest'ultima poche della prima, mentre con un'altra nazione si trova nella situazione opposta. Ma quando le nazioni hanno una moneta, e procedono sulla base della compra-vendita, quelle che vogliono una maggiore quantità di merci pagano l'eccedenza con danaro. Fra i due sistemi si ha la seguente differenza: nel caso della compravendita, il commercio si fa in proporzione ai bisogni della nazione che richiede di più, e nel caso dello scambio, il commercio si fa soltanto sulla base dei bisogni della nazione che richiede di meno, perchè altrimenti quest'ultima si troverebbe nella impossibilità di saldare il suo conto.

CAPO

II. Della natura della moneta.

La moneta è un segno che rappresenta il valore delle merci 1• Si usa a questo scopo qualche metallo perchè duri a lungo a, si consumi poco con l'uso e, senza venir distrutto, possa esser diviso in parecchie parti. Si sceglie un metallo prezioso perchè possa esser facilmente trasportato. Un metallo è particolarmente adatto a costituire una misura a. Il sale, che viene usato in Abissinia come moneta, ha il difetto di consumarsi continuamente.

1 . Nel passo citato alla nota 3 del capitolo precedente, Montesquieu osservava che il denaro ha funzione di segno, di misura comune » negli scambi in natura, ma negli acquisti il denaro non deve più esser con­ siderato come segno, ma come merce ». Il punto di vista dell Espri t des Lois è più preciso e mette maggiormente in luce la funzione mediatrice della moneta. Ma la osservazione delle Pensées gli serviva a criticare la politica mercantilistica che mirava soprattutto alla ricchezza in oro; riducendo tutto a scambio, Montesquieu metteva in luce quanto complessa fosse la prosperità economica, cosi infatti continuava: Ne consegue che uno Stato il quale rovini gli altri, rovina se stesso, e che se vien meno alla prosperità comune, vien meno anche alla propria. Uno Stato rovinato non può fare scambi con gli altri e questi a loro volta non possono farne con esso . . . Sostengo una verità: la prosperità dell'Universo farà sempre la nostra •· •

u

'



LIBRO VENTIDUESIMO

II

comune, perchè lo si può facilmente ridurre allo stesso titolo. Ogni Stato vi imprime la sua marca affinchè la forma corrisponda al titolo e al peso, e si possano conoscere l'uno e l'altro con un semplice esame. Gli Ateniesi, che non avevano l'uso dei metalli, si ser­ virono dei buoi ed i Romani delle pecore; ma un bue non è identico ad un altro bue, come può invece avvenire fra due monete. Come la moneta è il segno del valore delle merci, la carta lo è della moneta e, quando è buona, la rappresenta in modo tale che non vi è fra di esse alcuna differenza di potere d'acquisto. Come il denaro è il segno di una cosa e la rappresenta, così ogni cosa è segno del denaro, e lo rappresenta. Lo Stato è prospero quando da un lato il denaro può rappre­ sentare ogni cosa, e, dall'altro, tutte le cose rappresentano il denaro e sono segni le une delle altre; vale a dire quando, nel loro valore relativo, si può avere l'uno quando si ha l'altra. Ciò non accade che in un governo moderato, ma non accade sempre nemmeno in esso: per esempio, se le leggi favoriscono un debitore ingiusto, le cose che gli appar­ tengono non rappresentano affatto il denaro, e non ne sono un segno. In un regime dispotico poi, sarebbe un prodigio se le cose vi rappresentassero il loro segno: la tirannide e la diffidenza fanno sì che tutti nascondano il proprio denaro b, e pertanto le cose non lo rappresentano. Qualche volta i legislatori hanno saputo usare una tale arte che non soltanto le cose rappresentavano il denaro per loro natura, ma diventavano moneta come il denaro •,

a. ERODOTO, in Clio [I, 94] ci dice che gli abitanti della Lidia scoprirono l'arte di batter moneta; i Greci la impararono da costoro: le monete di Atene ebbero, come impronta, il loro antico bove. Ho visto una di queste monete nella collezione del conte di Pembroke. b. È consuetudine antica ad Algeri che ogni padre di famiglia abbia un tesoro sotterrato. LAUGIER DE TASSIS, Histoire du royaume d'Alger [I, 8, p. II]].

12

PARTE QUARTA

stesso. Cesare quando fu dittatore, permise ai debitori di pagare i creditori con fondi agricoli sulla base del valore che avevano prima della guerra civile. Tiberio b stabilì che chi voleva del numerario lo avrebbe ottenuto dall'erario ipotecando dei fondi per il doppio. Sotto Cesare i terreni divennero la moneta adatta a pagare tutti i debiti; sotto Tiberio diecimila sesterzi in lotti di terreno divennero una moneta corrente, come cinquemila sesterzi in numerario 1 La Magna Charta inglese proibisce di sequestrare le terre o i redditi di un debitore quando i suoi beni mobiliari o personali sono sufficienti per pagare il debito e il debitore offre di darli 2: a quei tempi tutti i beni di un inglese corri­ spondevano a del denaro. Le leggi 3 dei Germani 4 calcolavano in denaro le soddi­ sfazioni dovute per i torti arrecati, e le pene dei delitti. Ma poichè c'era poco numerario nel paese, valutarono di nuovo il denaro in derrate o in bestiame. Questo sistema lo troviamo fissato nella legge dei Sassoni, con qualche differenza, a seconda delle ricchezze e delle disponibilità dei vari popoli. Dapprima la legge stabilisce il valore del soldo ragguagliato a quello del bestiame: il soldo di due tremisse corrispondeva a un bue di dodici mesi, o a una pecora con l'agnello; quello di tre tremisse corrispondeva a un bue di sedici mesi. Presso questi popoli la moneta •,

c

a. Si veda CESARE, Della guerra civile, lib. III [cap. 1] s. b. TACITO [Ann.], lib. VI [cap. 17]. c. Legge dei Sassoni, cap. 18. 1. Il Ms. (V, foll. 8 vo-9 r0) cosi sèguita: " In virtù di una ordinanza di Filippo Augusto sul pagamento dei debiti degli Ebrei, il giudice dava loro degli assegnati sul reddito dei fondi dei loro creditori; in un paese che non era dedito al commercio questi assegnati erano una moneta »; dopo Filippo Augusto si ha la seguente nota: « dell'anno 1 2 18 2. Art. g; si noti che la clausola dell'offerta del debitore manca nella Magna ChaYta del 1 215, ma fu introdotta in quella concessa da Enrico ITI 1'11 febbraio 1 225 e che costituisce il testo detinitivo della Magna Charta, cfr. art. 8: et ipse debitor paratus sit inde satisfecere. Vedine i testi in CH. BtMONT, ChaYies des libertés anglaises (1 I OO·IJ05). Parigi, 1b92. J. II cpv. manca nel Ms. 4· TACITO, Germ., capi 12 e 2 1 . 5 · Cfr. XXIX, 6. •



».

LIBRO VENTIDUESIMO

diventava bestiame, merci o derrate, e queste cose diven­ tavano moneta. Il numerario è un segno delle cose, ma è anche un segno dell'argento e lo rappresenta, come vedremo nel capitolo sul cambio.

CAPO

III. Delle monete nominali.

Le monete sono reali e nominali. I popoli civili , che si servono quasi tutti di monete nominali, lo fanno soltanto perchè hanno convertito le loro monete reali in nominali. Dapprima le loro monete reali sono di un determinato peso e di un determinato titolo di un qualche metallo. Ma ben presto la malafede, o la necessità, fanno sì che si sottragga una parte del metallo a ciascuna moneta, alla quale però si lascia lo stesso valore nominale: per esempio, a una mo­ neta di una libbra di argento si sottrae la metà del metallo, e si continua a chiamarla libbra 1; la moneta che era la ventesima parte della libbra d'argento, si continua a chia­ marla soldo, per quanto non sia più la ventesima parte di quella libbra. Pertanto la libbra è una libbra nominale, e il soldo un soldo nominale, e così pure avviene per le altre suddivisioni: si potrà arrivare al punto che ciò che si suoi chiamare libbra non sarà più che una piccolissima porzione della libbra, ciò che la renderà ancor più nominale. Può persino accadere che non si conii più una moneta del valore preciso di una libbra, e che lo stesso avvenga per il soldo: da quel momento, libbra e soldo diverranno monete pura­ mente nominali. Si darà a ciascuna moneta il valore nomi­ nale di quante libbre e di quanti soldi si vorrà; la variazione 1. In francese la parola livre indica sia la libbra, unità di peso, che una moneta: la livre tournois (fino al 1667 si ebbe oltre ad essa la livre parisis) equivalente all'incirca al franco da cui fu sostituita con l'intro­ duzione del sistema decimale. Per semplicità ho tradotto in genere la parola livre, quando indicava la moneta, con franco, ma in questo caso ho lasciato libbra perchè altrimenti il ragionamento di Montesquieu sarebbe incomprensibile.

PARTE QUARTA

potrà essere continua, pE'rchè tanto è difficile mutare una cosa quanto è facile darle un altro nome. Per togliere la fonte degli abusi, sarà ottima, in tutti i paesi ove si desidera che il commercio fiorisca, quella legge che ordinerà di usare monete reali, proibendo le operazioni che possono mutarle in nominali. Nulla deve essere tanto esente da variazioni quanto ciò che deve servire da misura comune di tutto il resto. Il commercio è di per sè assai incerto, ed è gran male se si aggiunge un nuovo elemento di incertezza a quella fondata sulla sua natura.

CAPO

IV. Della quantità dell'oro

e

dell'argento.

Quando le nazioni civili dominano il mondo, l'oro e l'argento aumentano ogni giorno, sia che esse lo ricavino dal proprio sottosuolo, sia che lo ricerchino altrove. Dimi­ nuiscono, al contrario, quando le nazioni barbare prendono il sopravvento. Si sa quanto questi metalli divennero rari quando i Goti e i Vandali 1 da una parte e i Saraceni e i Tartari dall'altra ebbero invasa tutta la terra.

CAPO

V. Continuazione del medesimo argomento.

L'argento tratto dalle miniere dell'America, trasportato in Europa e di qui spedito ancora in Oriente, ha favorito la navigazione dell'Europa: è una merce di più che l'Europa riceve in scambio dall'America, e manda sempre in scambio 1 . Cfr. il Troisième mémoire sur les mine� contenant quelques réf/ezions • Ciò che soprattutto causava la scarsità dell'argento e dell'oro in Europa. cinque o sei secoli or sono, era il fatto che, essendovi dapper­ tutto stabilito il !'l:overno !'[Otico, e ciascun signore facenelovi le sue guerre particolari, era quasi impossibile che il lavoro nelle miniere potesse con­ tinuare. poichf- gli operai erano in primo luogo dispersi o sollecitati a prendere le armi ( Voyages. II, p. 2 5 1 ) . Il passo è riportato ad litteram nel Mémoire sur les mines du Hartz (ivi, p. 28ol. Analoga osservazione travasi già nelle Considérations sur les riche;ses dt ''Espagne, § 2. générales:



LIBRO VENTIDUESIMO

alle Indie 1. Una maggior quantità d'oro e d'argento è dunque utile se si considerano questi due metalli come merci: non lo è quando li si considera come segno, perchè la loro abbon­ danza va a detrimento della loro qualità di segno, che è fondata soprattutto sulla rarità z. Prima della prima guerra punica 3, il rame stava all'ar­ gento come 960 sta a I a, mentre oggi la proporzione è di 73 e % a I h. Se la proporzione fosse rimasta come era una volta, l'argento assolverebbe meglio la sua funzione di segno.

VI. Per qual ragione il tasso dell'usura diminuì della metà dopo la scoperta delle Indie.

CAPO

L'Inca Garcilasso afferma che in Spagna, dopo la conquista delle Indie, le rendite che erano a un denaro ogni dieci, caddero a uno ogni venti. Una grande quantità di numerario fu introdotta di colpo in Europa; ben presto un numero minore di persone ne ebbe bisogno, il prezzo di tutti i generi aumentò, e il valore del nurnerario diminuì 4: la proporzione fu dunque rotta, e tutti i vecchi debiti can•

a. Si veda in seguito il cap. I2. b. Supponendo l'argento a 49 franchi il marco e il rame a venti soldi la libbra. c. Storia delle guerre civili degli Spagnoli nelle Indie [tomo I, pp. 20-I] s. I. Si cfr. XXI, 2 1 , p. 6o6, nota 1 e il passo delle Pensées riportato alla nota 3 del cap. 1 . 2 . Cfr. l a dimostrazione datane nel cap. XXI, 22 e inoltre Spicilège, p. 70: Pomponio Mela, al libro III, cosi dice degli Automoli, popolo d'Etiopia: Apud hos plus auri, quam Persis est; ideo, quod minus est, prae­ ciosius censenl. A ere exornanlur, auro vincula fonlzum jabricanl ». 3· Cfr. Pensées, II, fol. 220 v0, n. 1 485 (2oo6) dove Montesquieu esa­ mina le variazioni del rapporto fra rame e argento a Roma. 4· Cfr. XXI, 22 e Considérations sur les richesses, cit., § 2 . 5 · Garcilasso de l a Vega (1 530-68), storico spagnolo detto l'Inca perchè figlio di una principessa Inca. Dedicò la sua attività allo studio dei costumi, delle tradizioni e dei documenti dell'antico Perù. •

PARTE QUARTA

celiati. Si possono pure ricordare i tempi del • quando ogni cosa aveva grande valore, ad eccezione del numerario 1. Dopo la conquista delle Indie coloro i quali possedevano del numerario furono costretti a diminuire il prezzo o il tasso di prestito di questa materia, vale a dire il suo interesse. Da quel tempo l'interesse non ha più raggiunto il vecchio tasso, perchè la quantità di numerario è aumentata ogni anno in Europa. D'altronde, poichè i fondi pubblici di qualche Stato, fondati sulle ricchezze procurate dal com­ mercio, dànno un interesse assai modico, i contratti dei privati si son dovuti uniformare ad esso. Infine, avendo il cambio facilitato molto il trasferimento del denaro da un paese all'altro, il numerario non può più scarseggiare in un determinato paese, poichè in tal caso vi affluisce tosto dai paesi ove ve n'è abbondanza.

VII. In qual modo il prezzo delle cose si fissa a seconda delle variazioni delle ricchezze di segno.

CAPO

Il numerario indica il prezzo delle merci o derrate. Ma come si può fissare questo prezzo ? Da quale quantità di numerario, cioè, ciascuna cosa sarà rappresentata ? Se si paragona la quantità di oro e di argento esistente nel mondo con la somma delle merci in esso esistenti, è certo che ogni derrata o merce in particolare può essere paragonata a una certa porzione della quantità complessiva a. Veniva così chiamato

il

progetto del signor Law in Francia.

1 . Quando, cioè, in piena euforia per il " sistema si preferivano le azioni della Compagnia del Law alla moneta stessa; cfr. il significativo episodio riportato al riguardo in Spicilège, p. 88. Mi sembra sia questa l'interpretazione da dare a questa frase, contrariamente all'opinione del La Boulaye, il quale vi ravvisa un errore di valutazione di Montesquieu affermando: Ce n' était pas l' argent qui perdait, jamais il ne fut plus cher; c'était le papier qui n� représentait rien; evidentemente il La Boulaye rife­ risce la frase al periodo del croilo del u sistema "· "•

LIBRO VENTIDUESIMO

l]

dell'oro e dell'argento. Come il totale dell'una sta al totale dell'altra, la parte dell'una starà alla parte dell'altra. Sup­ poniamo che non esista che una sola derrata o mercanzia nel mondo, o che una sola sia oggetto di acquisto, e sup­ poniamo anche che essa si possa suddividere come il nume­ rano; una parte di questa mercanzia corrisponderà a una parte della totalità del numerario, la metà del totale dell'una alla metà del totale dell'altra, la decima, la centesima, la millesima parte dell'una alla decima, alla centesima, alla millesima parte dell'altra. Ma siccome ciò che costituisce la proprietà tra gli uomini non è immesso tutto insieme nel commercio, e siccome i metalli o le monete, che ne sono i segni, non sono pure contemporaneamente in circolazione, i prezzi si fisseranno in ragione composta del totale delle cose con il totale dei segni, e del totale delle cose in com­ mercio con il totale dei segni pure in circolazione. E poichè le merci che non sono oggi in commercio potranno esserlo domani, e i segni che oggi non sono in circolazione potranno pure esserlo domani, il livello dei prezzi dipende fondamen­ talmente sempre dalla proporzione esistente tra il totale delle cose e il totale dei segni. Pertanto il principe o il magistrato non possono fissare il valore delle merci, più di quanto non sia loro concesso di stabilire con una ordinanza che il rapporto tra uno e dieci è eguale a quello tra uno e venti. Giuliano, avendo ordinato il ribasso delle derrate ad Antiochia, vi provocò una carestia spaventosa •.

CAPO VIII. Continuazione del medesimo argomento. I negri della costa africana usano un segno di valore senza ricorrere alla moneta: si tratta di un segno puramente nominale basato sul grado di stima che essi dànno a cia­ scuna merce, a seconda del bisogno che ne hanno. Una a. Storia della Chiesa,

di

SocRATE, lib. II [cap. q].

18

PARTE QUARTA

determinata merce o derrata vale tre macute; un'altra, sei; un'altra, dieci macute: è come se dicessero semplicemente tre, sei, dieci. Il prezzo si stabilisce grazie al paragone reci­ proco di tutte le merci: di conseguenza non esistono monete particolari, ma ogni porzione di merce è moneta dell'altra. Trasportiamo per un momento tra di noi questa maniera di valutare le cose, e uniamola alla nostra: tutte le merci o derrate del mondo, o tutte le merci e derrate di uno Stato particolare considerato separatamente dagli altri, var­ ranno un determinato numero di macute, e, dividendo il numerario esistente in quel paese in tante parti quante sono le macute, una di queste parti di numerario costituirà il segno di una macuta. Se si suppone che la quantità di numerario esistente in uno Stato raddoppi, sarà necessaria, per una macuta, una quantità doppia di numerario; ma se, raddoppiando il numerario, si raddoppiano anche le macute, la proporzione rimarrà quale era prima che i due elementi fossero raddoppiati. Se, dopo la scoperta delle Indie, l'oro e l'argento sono aumentati in Europa nel rapporto di uno a venti, il prezzo delle derrate e delle merci avrebbe dovuto salire in ragione di uno a venti t; ma se, d'altro canto, la quantità delle merci è aumentata in ragione di uno a due, il prezzo delle merci o derrate da un lato sarà aumentato in ragione di uno a venti, e dall'altro sarà diminuito in ragione di uno a due 2, non aumentando, di conseguenza, che in ragione di uno a dieci. La quantità delle merci e delle derrate aumenta con l'aumento del commercio; l'aumento del commercio con l'aumento di numerario che arriva successivamente, e con nuovi rapporti con nuove terre e nuovi mari, che ci procu­ rano nuove derrate e nuove merci.

I. Nelle Réfle:rions sur la monarchie univeYselle, cap. 2, osserva che una grande quantità di oro e di argento in uno Stato fa si che tutto vi diventi più caro 2. Secondo il principio stabilito nel capitolo precedente. •

>.

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CAPO IX. Della scarsità relativa tlell' oro e dell'argento

•.

Oltre all'abbondanza ed alla scarsità positiva dell'oro e dell'argento, si ha pure una abbondanza ed una scarsità relativa di questi metalli fra di loro. L'avarizia fa sì che si conservino oro e argento perchè, non volendo consumare, ama dei segni che non periscono. Essa preferisce conservare l'oro che l'argento, perchè teme continuamente di perdere i propri beni, e le riesce più facile nascondere il metallo che occupa meno spazio 2. L'oro scom­ pare quindi quando l'argento è comune, perchè tutti ne hanno per nasconderlo; riappare quando l'argento è raro, perchè si è costretti a farlo uscire dai nascondigli. Si ha quindi la seguente regola: l'oro è comune quando l'argento scarseggia, e l'oro è raro quando è comune l'argento. Pertanto si può intendere la differenza tra l'abbondanza e la scarsità relativa e l'abbondanza e la scarsità effettiva, della quale intendo occuparmi diffusamente.

CAPO

X. Del cambio 3.

Sono l'abbondanza e la scarsità relativa delle monete dei vari paesi a dare origine a ciò che si suol chiamare il r. Nello Spicilège, p. 55 è riportato un articolo della a Gazette de Hollande datato Londra 7 gennaio 1 7 1 8, relativo alla proporzione fra i prezzi dell'oro e dell'argento. 2. In Pensées, l, p. 1 37, n. r6r (2oo3) afferma: " L'oro, che è più facilmente trasportabile, è più svantaggioso per uno Stato dell'argento •, osservazione che trova la sua spiegazione nella più spiccata tendenza, constatata nel testo dell'Esprit des Lois, alla tesaurizzazione dell'oro. 3· Sul cambio cfr. Pensées, II, fol. 2 1 7 v0, n. 1472 (2004) e Spicilège, p. 52-3: " Per avere un'idea giusta del cambio, bisogna supporre che l'Olanda non produca che del grano e la Gui._enna che del vino e che il commercio fra Guienna e Olanda si faccia per scambio in natura, sup­ ponendo inoltre che si scambiasse ordinariamente, in un'annata normale, una misura di grano contro un barile di vino. Se un anno si verificasse una grande abbondanza di grano in Olanda e una grande penuria di vino in Guienna, si darebbero due misure di grano contro un barile di vino, e se l'anno seguente al contrario vi fosse una grande penuria di grano in Olanda e una grande abbondanza di vino in Guienna, si darebbero due barili di vino per una misura di grano. Bisogua applicare questo ragio"•

20

PARTE QUARTA

cambio. Il cambio è un livello del valore attuale e momen­ taneo delle monete. L'argento, come metallo, ha un valore come tutte le altre merci; esso ha pure un valore che deriva dal fatto che può divenire il segno di altre merci: se fosse soltanto una merce come tutte le altre, è indubbio che perderebbe gran parte del proprio pregio. L'argento, come moneta, ha un valore che il principe può fissare in determinati rapporti, e che non potrebbe stabilire diversamente. Il principe fissa una proporzione tra una certa quantità di argento come metallo e la stessa quan­ tità come moneta, fissa quella esistente tra i diversi metalli usati nella monetazione, stabilisce il peso e il titolo di ogni singola moneta, e, infine, conferisce alla moneta quel valore ideale del quale mi sono già occupato t. Chiamerò il valore della moneta, in questi quattro rapporti, valore positivo, perchè può venir fissato per legge. Le monete di ogni Stato hanno, inoltre, un valore rela­ tivo, nel senso che possono esser raffrontate alle monete degli altri paesi: è questo valore relativo che viene fissato dal cambio. Esso dipende in misura notevole dal valore positivo: è fissato dalla fiducia generale dei commercianti, e non può essere stabilito in alcun modo dalle ordinanze del principe, perchè muta incessantemente e dipende da mille circostanze. Per fissare il valore relativo, le diverse nazioni devono regolarsi su quella che dispone della maggiore quantità di numerario. Se questa ha tanto numerario quanto ne pos­ siedono tutte le altre insieme, bisogna che ciascuna stabinamento al cambio: gli scudi di Francia valgono in Olanda un certo numero di grossi. Quando vi è molto denaro in Olanda e poco in Francia, gli Olandesi vi dànno un maggior numero di grossi per il vostro scudo e, al contrario, se vi è molto denaro in Francia e poco in Olanda, ne dànno meno. Vi è molto denaro in un luogo allorchè vi è più numerario che carta. Ve ne è poco allorchè si ha più carta che numerario. Gli Olandesi regolano il cambio di quasi tutta l'Europa, perchè lo regolano grazie ad una sorta di deliberazione fra di loro secondo che conviene ai loro interessi "· Questo passo dello Spicilège risale probabilmente ai 1716, essend::J prece­ duto e seguito da passi che portano questa data. I. Cfr. cap. J·

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lisca un rapporto di valore fra la propria moneta e la sua, di modo che le nazioni potranno poi regolarsi tra di loro in base al rapporto monetario stabilito con la nazione principale. Allo stato attuale delle cose, la nazione che si trova ndle condizioni di cui parliamo è l'Olanda Esaminiamo dunque il cambio facendo riferimento ad essa. C'è in Olanda una moneta chiamata fiorino: il fiorino 1 vale venti soldi o quaranta mezzi soldi o grossi. Per sem­ plificare, immaginiamo che non esistano fiorini in Olanda, e che vi siano soltanto i grossi: un uomo che abbia mille fiorini avrà quaranta mila grossi, e così via. Ora, il cambio con l'Olanda consiste nel sapere quanti grossi vale ogni moneta degli altri paesi: e, siccome si suol contare ordina­ riamente in Francia per scudi di tre franchi, il cambio con­ sisterà nel sapere quanti grossi vale uno scudo di tre franchi. Se il cambio è a cinquantaquattro, lo scudo varrà cinquan­ taquattro grossi; se è a sessanta, sessanta grossi; se il nume­ rano scarseggia in Francia, lo scudo di tre franchi varrà un numero maggiore di grossi, il contrario accadrà se il numerario abbonda. Questa scarsità o questa abbondanza, dalle quali deriva il mutamento del cambio, non sono la scarsità o l'abbon­ danza reale, ma una scarsità ed una abbondanza relativa. Per esempio, quando la Francia ha maggior necessità di fondi in Olanda di quanta non ne abbiano gli Olandesi in Francia, il numerario è considerato comune in Francia e raro in Olanda, e viceversa. Supponiamo che il cambio con l'Olanda sia a cinquan­ taquattro. Se Francia ed Olanda non costituissero che una sola città, si potrebbe fare come si fa quando si scambia •.

a. Gli Olandesi regolano il cambio di quasi tutta l'Europa grazie ad una specie di deliberazione che concludono fra di loro a seconda dei loro interessi z.

r. 2.

Nel Ms. il capitolo è rimasto interrotto qui. La nota è tratta ad litteram dal passo citato dello Spicilège.

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PARTE QUARTA

uno scudo: il Francese tirerebbe di tasca tre franchi, e l'Olandese cinquantaquattro grossi. Ma, dal momento che tra Parigi ed Amsterdam c'è una certa distanza, bisogna che chi mi dà per il mio scudo di tre franchi cinquanta­ quattro grossi che egli possiede in Olanda, mi dia una let­ tera di credito sull'Olanda di cinquantaquattro grossi. Non si tratta dunque più, in questo caso, di cinquantaquattro grossi, ma di una lettera di cinquantaquattro grossi. Così, per giudicare • della scarsità o dell'abbondanza del nume­ rano, bisogna sapere se in Francia esistono più lettere di credito di cinquantaquattro grossi destinate alla Francia che non scudi destinati all'Olanda. Se vi sono molte lettere offerte dagli Olandesi e pochi scudi offerti dai Francesi, il numerario è raro in Francia e comune in Olanda, e bisogna allora che il cambio salga e che per il mio scudo mi si diano più di cinquantaquattro grossi, altrimenti non lo cederò, e viceversa. Si vede dunque che le diverse operazioni di cambio costi­ tuiscono un conto .di entrata e di uscita che bisogna sempre saldare, e che uno Stato debitore non adempie al suo ob­ bligo col cambio, più di quanto non faccia un privato che ha dei debiti cambiando il suo denaro. Supponiamo che non esistano nel mondo che tre Stati: Francia, Spagna e Olanda; che taluni Spagnoli abbiano debiti in Francia per l'ammontare di centomila marchi d'argento, e che taluni Francesi abbiano debiti in Spagna per centodiecimila marchi; supponiamo ancora che tutti questi individui vogliano ritirare tutti insieme, in Francia e in Spagna, il loro denaro: in che modo si svolgerebbero le operazioni di cambio ? Evidentemente si compenserebbero centomila marchi, ma la Francia dovrebbe pur sempre alla Spagna diecimila marchi, e gli Spagnoli avrebbero pur a. Vi è molto denaro in un paese allorchè vi è più numerario che cartamoneta; ve ne è invece poco, allorchè vi è più carta che nwnerario t.

I.

Anche questa nota è tratta dallo Spicilège.

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sempre lettere di credito per diecimila marchi sulla Francia, mentre la Francia non avrebbe alcuna lettera di credito sulla Spagna. Qualora l'Olanda si trovasse in un caso opposto a questo nei confronti della Francia, e le dovesse per saldo diecimila marchi, la Francia potrebbe pagare la Spagna in due modi, o dando ai suoi creditori spagnoli lettere di credito sui suoi debitori olandesi per diecimila marchi, o inviando in Spagna diecimila marchi in moneta. Ne deriva che, quando uno Stato deve rimettere una somma in denaro a un altro Stato, è indifferente che vi mandi numerario o lettere di credito. Il vantaggio di uno di questi due modi sull'altro dipende unicamente dalle circostanze: bisogna vedere se, in quel dato momento, varrà maggior numero di grossi in Olanda una somma in nume­ rano o una lettera di cambio di eguale ammontare. Quando titolo e peso della moneta in Francia corrispon­ dono a titolo e peso in Olanda, si dice che il cambio è alla pari. Allo stato attuale b delle monete si ha la parità all'in­ circa a cinquantaquattro grossi per scudo: se il cambio è al disopra dei cinquantaquattro grossi, si dirà che è alto, se è al disotto, che è basso. Per sapere se, a un determinato livello del cambio, lo Stato guadagna o perde, bisogna considerarlo come debitore, come creditore, come venditore, come acquirente. Quando il cambio è al disotto della parità, lo Stato perde se è debi­ tore e guadagna se è creditore, perde se è acquirente, e guadagna se è venditore. Si comprende bene che perda come debitore: per esempio, se la Francia deve all'Olanda una determinata somma in grossi, meno grossi varrà il suo scudo, e più scudi saran necessari per saldare il conto; al contrario, se la Francia è creditrice di una certa somma di grossi, meno grossi varrà ogni scudo, e più scudi essa riceverà. Lo Stato perde anche come acquirente, perchè ci vuol sempre a

Dedotte le spese di trasporto b. Nel I744-

a.

e

di assicurazione.

PARTE QUARTA

la stessa somma di grossi per acquistare una determinata merce, e, quando il cambio scende, lo scudo francese vale meno grossi. Per la stessa ragione lo Stato si avvantaggia come venditore : se io vendo infatti la mia merce in Olanda allo stesso prezzo, in grossi, di prima, avrò più scudi in Francia quando con cinquanta grossi potrò procurarmi uno scudo, che non quando per avere uno scudo dovrò sborsare cinquantaquattro grossi. Il contrario avverrà per l'altro Stato. Se l'Olanda, quindi, è debitrice di un certo numero di scudi, ci guadagnerà, mentre se è creditrice, ci perderà; se vende, ci perderà, se acquista, ci guadagnerà. Bisogna peraltro esaminare il caso seguente: quando il cambio è al disotto della parità, e si trova, ad esempio, a cinquanta invece di essere a cinquantaquattro, la Francia, inviando attraverso il cambio cinquantaquattromila scudi in Olanda, non dovrebbe poter acquistare merci che per cinquantamila scudi, e, all'opposto, inviando l'Olanda cin­ quantamila scudi in Francia dovrebbe poter fare acquisto di merci per cinquantaquattromila scudi, ciò che causerebbe una differenza di otto cinquantesimi, vale a dire più di un settimo di perdita per la Francia. Bisognerebbe quindi mandare in Olanda un settimo in denaro o in merci in più di quanto si faceva quando il cambio era alla pari, e, aggra­ vandosi sempre il male, perchè un debito di questo genere farebbe ancora scendere il cambio, la Francia andrebbe in rovina. Sembra, dico, che dovrebbe avvenire così, ma così non avviene, in virtù del principio che ho altrove enunciato dal quale risulta che tutte le nazioni tendono sempre a raggiungere l'equilibrio e a liberarsi del loro disavanzo; pertanto non contraggono prestiti che ne.J.la misura in cui possono pagare, e acquistano nella misura in cui vendono. Prendendo l'esempio esaminato or ora, se il cambio scende in Francia da cinquantaquattro a cinquanta, un Olandese che acquistava merc1 in Francia per mille scudi e le pagava cinquantaquattromila grossi, non le dovrebbe pagare che cinquantamila, se i Francesi vi acconsentissero; ma la merce •,

a.

Si

veda

il

lib. XX, cap. 21 [ma 23].

LIBRO VENTIDUESIMO

�alirà insensibilmente di prezzo in Francia, e il profitto si dividerà tra Francesi e Olandesi, perchè, quando un com­ merciante può guadagnare, spartisce facilmente il suo pro­ fitto: si avrà quindi un passaggio di profitto tra Francesi e Olandesi . Analogamente, un Francese che acquistava merci in Olanda per cinquantaquattromila grossi e le pagava mille scudi quando il cambio era a cinquantaquattro, sa­ rebbe costretto ad aggiungere quattro cinquantaquattresimi di più in scudi di Francia per acquistare la stessa quantità di merce; ma il commerciante francese, che si rende copto della perdita che subirebbe, vorrà, in questo caso, pagar meno per la merce olandese: si farà dunque una comuni­ cazione di perdita tra il commerciante francese e quello olandese, lo Stato raggiungerà insensibilmente l'equilibrio e l'abbassamento del cambio non porterà tutti gli inconve­ nienti che si potevano temere. Quando il cambio è al disotto della parità, un com­ merciante può, senza diminuire il proprio patrimonio, in­ viare i suoi fondi nei paesi stranieri, perchè al loro ritorno riguadagna quello che aveva perduto; ma un principe, che non invia nei paesi stranieri del denaro che non ritornerà più indietro, perde in ogni caso. Quando i commercianti concludono molti affari in un determinato paese, il cambio senza fallo vi sale. Ciò deriva dal fatto che vi si contraggono numerosi impegni, vi si · acquistano molte merci e si fanno molte lettere di credito sul paese straniero per pagarle. Se un principe ammassa molto numerario nel suo Stato, il numerario vi sarà scarso realmente, e abbondante rela­ tivamente: per esempio, se, nello stesso tempo, questo Stato dovesse pagare molte merci ad uno Stato straniero, il cambio scenderebbe, nonostante la scarsezza del numerario. Il cambio dei diversi paesi tende sempre a porsi in un determinato rapporto, e ciò dipende dalla sua stessa natura. Se il cambio tra Irlanda e Inghilterra è al disotto della parità, e quello tra Inghilterra e Olanda è anch'esso al disotto della parità, il cambio tra Irlanda e Olanda sarà ancora più basso, in ragione composta cioè di quello tra

PARTE QUARTA

Irlanda e Inghilterra e di quello tra Inghilterra e Olanda; poichè un Olandese che può ritirare dall'Irlanda il proprio denaro indirettamente attraverso l'Inghilterra, non vorrà pagare di più facendolo venire direttamente. Così dovrebbe essere ma nella pratica non avviene sempre così: esistono sempre particolari circostanze che fanno variare queste cose; proprio nel valutare la differenza di profitto che si può ottenere facendo passare il denaro da un paese piuttosto che da un altro, consiste l'arte o l'abilità particolare dei banchieri, della quale qui non ci occupiamo. Quando uno Stato alza il valore della propria moneta, chiamando, ad esempio, sei franchi o due scudi ciò che prima chiamava tre franchi o uno scudo, questa denomina­ zione nuova, che non aggiunge nulla di reale allo scudo, non deve procurare un solo grosso di più attraverso il cambio. Non si dovrebbe avere, in cambio di due nuovi scudi, che una quantità di grossi eguale a quella che si otteneva per uno scudo vecchio; e, se ciò non avviene, non è per effetto del valore fissato in sè, ma del suo carattere nuovo e repen­ tino. Il cambio, infatti, riguarda affari già iniziati, e non si adegua ai mutamenti che dopo un certo tempo. Quando 1 uno Stato, invece di elevare semplicemente il valore della propria moneta attraverso una legge, decide di procedere ad una rifusione, per fare di una moneta forte una moneta più debole, accade che, per la durata della operazione, circolano due tipi di moneta: quella forte, che è la vecchia, e quella debole, che è la nuova. Dato che la prima gode di pochissimo credito e non viene accettata che in contanti, e che di conseguenza le lettere di credito devono esser pagate in moneta nuova, il cambio dovrebbe regolarsi su quest'ultima. Se, ad esempio, la svalutazione in Francia fosse della metà e il vecchio scudo di tre franchi corrispondesse a sessanta grossi in Olanda, quello nuovo ne dovrebbe valere trenta. Da un altro punto di vista sembra I. Questo cpv. e i tre successivi sono la rielaborazione e l'ampliamento di un passo dello Spicilège (pp. 1 37-8), come Montesquieu stesso vi ha annotato.

LIBRO VENTIDUESIMO

invece che il cambio dovrebbe regolarsi sul valore della moneta vecchia, perchè il banchiere che ha del denaro, e che deve pagare delle lettere di credito, è costretto a dare alla zecca la vecchia moneta per avere in cambio quella nuova, e ci rimette. Il cambio si stabilirà quindi a metà tra il valore della moneta nuova e quello della vecchia. Il valore della moneta vecchia cade, per così dire, perchè è già in circolazione quella nuova, e perchè il banchiere non può essere esigente al riguardo, avendo interesse a far uscire dalla propria cassaforte il denaro vecchio per renderlo pro­ duttivo, ed essendovi anzi costretto per fare fronte ai paga­ menti. D'altra parte, il valore della moneta nuova aumenta, perchè il banchiere, disponendo appunto di moneta nuova, è in condizione di procurarsi, come vedremo, di quella vecchia, ritraendone grande vantaggio. Il cambio si stabilirà dunque, come abbiamo già detto, a mezza strada tra la moneta vecchia e la nuova. In tale situazione i banchieri hanno interesse a far uscire la moneta vecchia dallo Stato, perchè in questo modo possono procurarsi i vantaggi che offre un cambio regolato su di essa, cioè molti grossi in Olanda, ottenendo al suo ritorno un cambio fissato a un valore intermedio tra la moneta vecchia e quella nuova, vale a dire più basso, ciò che procura molti scudi in Francia. Supponiamo che un vecchio scudo di tre franchi renda, al cambio attuale, quarantacinque grossi, e che trasportan­ dolo in Olanda se ne ottengano sessanta; con una lettera di credito per quarantacinque grossi, si può avere in Francia uno scudo di tre franchi che, trasportato in Olanda con­ vertito in vecchia moneta, renderà ancora sessanta grossi: tutta la moneta vecchia uscirà quindi dallo Stato che fa la rifusione, a tutto vantaggio dei banchieri. Per porre un rimedio a questa situazione, si è costretti a fare una nuova operazione. Lo Stato che effettua la rifu­ sione dovrà inviare esso stesso una grande quantità di moneta vecchia alla nazione che regola il cambio, e, pro­ curandovisi un credito, farà salire il cambio a tal punto che si avranno press'a poco tanti grossi per il cambio di uno scudo di tre franchi, quanti se ne avrebbero facendo

PARTE QUARTA

uscire dal paese uno scudo di tre franchi di vec,

PARTE QUARTA

per accrescere la propria potenza contro i maggiorenti. Ad Atene, per esempio, il popolo tolse i bastardi dal novero dei cittadini per avere una maggior porzione del grano inviato dal re dell'Egitto. Aristotele • ci fa sapere infine che, in molte città, quando si aveva un numero insufficente di cittadini, i bastardi erano ammessi alla successione, e che, nel caso contrario, ciò ncn avveniva affatto.

CAPO VII. Del consenso dei padri al matrimonio. Il consenso dei padri è fondato sulla loro potestà, vale a dire sul loro diritto di proprietà; è fondato anche sul loro amore, sulla loro ragione, sull'incertezza di quella dei loro figli, che l'età tiene in uno stato di ignoranza, e le passioni m

uno stato come di ebrezza.

Cl

siamo occupati, possono esserci leggi che attribuiscano

Nelle piccole repubbliche o nei casi particolari dei quali ai magistrati un potere di sorveglianza sul matrimonio dei figli dei cittadini, potere che la natura aveva già concesso ai padri . L'amore del pubblico bene può esservi tale da superare

o

eguagliare

qualunque

altro

amore.

Pertanto

Platone voleva che i magistrati regolassero i matrimoni 1: e i magistrati spartani in effetti ne avevano la direzione. Ma, in regimi retti dalle istituzioni ordinarie, spetta ai genitori di presiedere al matrimonio dei loro figli : la loro saggezza a questo proposito sarà sempre maggiore di quella di chiunque altro. La natura concede ai genitori un desi­ derio di procurare ai loro figli dei successori quale essi sen­ tono appena per se stessi

nei diversi gradi di progenitura,

essi sentono di avanzare lentamente verso l'avvenire. Ma che avverrebbe se la prepotenza e l'avidità giungessero al punto di usurpare l'autorità paterna ? Ascoltiamo Thomas

a. lbid., lib. I I I , x.

cap. 3

Cir. Leges, IV, 721

e

[12 7 8 a].

VI, 773-4

c.

LIBRO VENTITREESIMO

57

Gage a proposito della condotta degli Spagnoli nelle Indie: posito di queste « buone norme rilevava come Montesquieu stesso parli altrove di una obbligazione naturale che il padre ha di nutnre i suoi figli (cfr. XXIII, 2 e XXVI, 6). •.



•.

PARTE QUARTA

figli erano deformi e mostruosi permetteva di esporli, dopo averli mostrati a cinque dei vicini più prossimi. Romolo non permise di uccidere nessuno, dei figli, che avesse meno di tre anni •: in questo modo conciliava la legge che dava ai genitori diritto di vita e di morte sui figli, e quella che vietava di esporli. Si trova pure, in Dionigi di Alicarnasso, che la legge che ordinava ai cittadini di sposarsi e di allevare tutti i figli era ancora in vigore nell'anno 227 di Roma b: dunque la consuetudine aveva posto dei limiti alla legge di Romolo, che permetteva di abbandonare le figlie minori. Non sappiamo nulla di ciò che la legge delle dodici tavole, emanata nell'anno 301 di Roma, stabilì sull ' esposizione dei figli, eccetto quanto ci riferisce un brano di Cicerone •, che, parlando del tribunato del popolo, afferma che venne sof­ focato, sùbito dopo la nascita, proprio come avveniva per i bimbi deformi secondo la legge delle dodici tavole: i figli normali erano dunque conservati, la legge delle dodici tavole non mutò quindi in nulla le istituzioni già esistenti. . C'erano dunque, presso i Romani, delle leggi contro questa abitudine, ma non le si seguiva. Non conosciamo nessuna legge romana che permetta di abbandonare i figli: si tratta senza dubbio di un abuso introdottosi negli ultimi tempi, quando il lusso uccise il benessere, quando le ricchezze suddivise furono chiamate povertà, quando il padre credette di perdere ciò che dava alla famiglia, quando distinse la famiglia dalla sua proprietà. •

lbid. b. Lib. IX [cap. 22] . c. Lib. III [cap . rg] De legib. d. De morib. Germ. [cap. rg]. e. Nel Digesto non vi è alcun titolo al riguardo; il titolo del Codice [VIII, 5 1] non ne parla e così pure le Novelle. a.

LIBRO VENTITREESIMO

CAPO XXIII. Della condizione dell'universo dopo il crollo dell'impero romano. Le norme stabilite dai Romani per aumentare il numero dei cittadini ottennero il loro effetto fintanto che la repub­ blica, nella piena forza delle sue istituzioni, non dovette porre rimedio che alle perdite dovute al suo coraggio, alla sua audacia, alla sua fermezza, al suo amore per la gloria, alla sua stessa virtù. Ma ben presto le leggi più sagge non poterono ristorare ciò che uno Stato morente, una anarchia generale, un governo militare, una pesante autorità, un superbo dispotismo, una debole monarchia, una corte vacua, stolida e superstiziosa avevano poco per volta distrutto. Si sarebbe detto che i Romani non avessero conquistato il mondo che per indebolirlo ed abbandonarlo indifeso ai barbari. Le nazioni gote, getiche, saracene e tartare li pie­ garono volta a volta; ben presto i popoli barbari non dovet­ tero distruggere che altri popoli barbari. Nello stesso modo, ai tempi leggendari, dopo le inondazioni e i diluvi, usci dalla terra una stirpe di uomini armati che si sterminarono a vicenda.

CAPO XXIV. Mutamenti verificatisi �n Europa �n rapporto al numero degli abitanti. Nella condizione in cui si trovava l'Europa non si sarebbe potuto davvero credere che essa fosse in grado di rimettersi, soprattutto quando, sotto Carlo Magno, essa non costituì più che un solo vasto impero. Ma, per la natura del governo di quei tempi, si spezzò in una infinità di piccoli Stati. E siccome il signore ri,;iedeva nel suo villaggio o nella sua città, e non era grande, ricco, potente, che dico ? , non era al sicuro se non grazie al numero degli abitanti, ciascuno si preoccupò di far fiorire il suo piccolo paese. E vi riusci­ rono in modo tale che, nonostante le irregolarità del governo, la mancanza di quelle nozioni sul commercio che furono acquistate in sèguito, il gran numero di guerre e di liti che

PARTE QUARTA

si svilupparono continuamente, nella maggior parte delle regioni dell'Europa si ebbe allora una popolazione superiore di numero a quella odierna. Non ho il tempo di trattare a fondo questo argomento, citerò soltanto gli eserciti prodigiosi dei Crociati, composti di gente di ogni genere. Pufendorf afferma che, sotto Carlo IX, la Francia aveva venti milioni di abitanti • . Le continue fusioni di piccoli Stati hanno prodotto questa diminuzione. Nel passato ogni villaggio di Francia era una capitale, oggi se ne ha una sola grande; ogni parte dello Stato era allora un centro di forze, mentre oggi tutto si riferisce a un centro e questo centro costituisce, se così si può dire, tutto lo Stato.

CAPO XXV. Continuazione del medesimo argomento. Vero è che l'Europa ha aumentato assai, da due secoli a questa parte, il suo commercio marittimo: ciò le ha pro­ curato nuovi abitanti e al tempo stesso glie ne ha sottratti 1 . L'Olanda manda ogni anno alle Indie un gran numero di marinai, dei quali soltanto i due terzi ritornano: il resto muore o si stabilisce alle Indie, analoga cosa deve accadere alle altre nazioni che svolgono questo commercio. Non bisogna giudicare l'Europa alla stregua di uno Stato che da solo vi eserciti un vasto commercio marittimo. Questo Stato aumenterebbe di popolazione, perchè tutti i popoli vicini cercherebbero di prender parte al commercio: giungerebbero marinai da tutte le parti. Invece l'Europa, separata dal resto del mondo dalla religione b, da vasti mari e dai deserti, non si rinsangua così. a. Storia dell' Universo, cap. 5 Della Francia. b. I paesi maomettani la circondano infatti da quasi tPtte

le parti

.

1 . Cfr. Lettres Persanes, CXXI: " Il risultato ordinario delle colonie è quello di indebolire i paesi da cui le si traggono, senza popolare quelli dove le si inviano •·

LIBRO VENTITREESIMO

CAPO

XXVI. Conseguenze

1.

Da tutto ciò bisogna concludere che l'Europa ha ancor oggi bisogno di leggi che favoriscano la propagazione della specie umana: infatti, mentre i politici greci ci parlano sempre del gran numero di cittadini che preoccupano lo Stato, i poli­ tici d'oggi non ci parlano che dei mezzi atti ad accrescerlo. CAPO XXVII. Della legge stabilita in Francia per incorag­ giare la propagazione della specie.

Luigi XIV stabilì determinate pensioni per chi aveva dieci figli, e altre maggiori per chi ne aveva dodici ma non si dovevano ricompensare soltanto dei prodigi z . Per conferire un certo spirito generale che inducesse alla pro­ pagazione della specie bisognava fissare, come avevano fatto i Romani, ricompense generali o punizioni generali. •,

CAPO XXVIII. In che modo st può porre rimedio allo spo­ polamento.

Quando uno Stato subisce uno spopolamento per motivi particolari, come guerre, epidemie, carestie, si ha modo di porvi rimedio. Gli uomini che rimangono possono conser­ vare uno spirito attivo ed industrioso; possono cercare di rimediare alle loro disgrazie e divenire più industriosi grazie alla loro stessa sventura. Il male è quasi incurabile quando lo spopolamento si verifica da lungo tempo, per un difetto interno e per un cattivo governo. Gli uomini sono periti di una malattia insensibile ed abituale: nati nella indolenza a.

Editto del r666 in favore dei matrimoni.

I . Nel Ms. il capitolo è unito al precedente.

2. L'editto non contemplava solo i prodigi, come scrive Montesquieu,

ma concedeva anche l'esenzione quinquennale dalla taglia a chi si spo­ sasse entro il ventesimo anno e l'esenzione quadriennale a chi si sposasse entro il ventunesimo, cfr. IsAMBERT, Recueil général des anciennes lois fran�aises, tomo XVI I I , pp. 90-3.

86

PARTE QUARTA

e nella miseria, in mezzo alla violenza o ai pregiudizi del governo, si sono visti distruggere spesso senza nemmeno accorgersi della causa di questa distruzione. I paesi desolati dal dispotismo o dagli eccessivi privilegi del clero rispetto ai laici costituiscono due grandi esempi di questo fenomeno. Per dar nuove forze a uno Stato spopolato in questo modo, si cercherebbe invano un rimedio nei figli che posson nascere. È troppo tardi: gli uomini, nei loro deserti, sono scoraggiati e privi di spirito attivo. Con terre sufficienti a nutrire un popolo si ottiene a stento di che far vivere una famiglia. La plebe, in siffatti paesi, non può neppure spar­ tirsi la miseria, vale a dire i terreni incolti che vi si trovano in gran numero. Il clero, il principe, le città, i grandi dello Stato, qualche cittadino importante, sono divenuti insen­ sibilmente proprietari di tutte le terre: esse sono incolte, ma le famiglie scomparse ne hanno lasciato loro i pascoli, e il lavoratore non ha niente. In una situazione di questo genere 1 bisognerebbe fare in tutto l'impero ciò che i Romani facevano in una parte del loro: praticare quando si ha penuria di abitanti ciò che essi facevano quando ne avevano molti, distribuire cioè terre a tutte le famiglie che non ne possiedono, procurando loro i mezzi per dissodarle e coltivarle. Questa distribuzione si dovrebbe fare non appena vi sia un uomo per riceverla, in modo che nessun attimo di lavoro vada perduto.

CAPO XXIX. Degli ospizi. Un uomo non è povero quando non possiede nulla, ma quando non lavora 2. Chi non possiede beni e lavora si trova 1. Cfr. XIV, 8, vol. l, p. 390, nota 4· 2. Questa valutazione del lavoro come segno di ricchezza, cosi poco consona con i criteri del mercantilismo e dei fisiocratici, sarà. ripresa da Adamo Smith che scriverà.: " Soltanto il lavoro. . . che non cambia mai nel suo valore, è il metro ultimo e reale con il quale si può stimare e com­ parare il valore dei beni in ogni tempo e in ggrli paese. Il lavoro è il loro vero prezzo; il denaro è soltanto il loro p rezzo nominale • ( Weatih oj Nations, I, 5).

LIBRO VENTITREESIMO

altrettanto bene di chi ha cento scudi di rendita senza lavo­ rare. Chi non possiede nulla ma ha un mestiere non è più povero di chi dispone di dieci iugeri di terra in proprio e che deve lavorarli per vivere. L'operaio che ha dato ai figli il suo mestiere per eredità ha lasciato loro un bene che si è moltiplicato in proporzione del loro numero. Lo stesso non avviene per chi possiede dieci iugeri di terreno, e li divide tra i figli. Nei paesi commerciali, ove molti non possiedono che il proprio mestiere, lo Stato è spesso costretto a provvedere ai bisogni dei vecchi, dei malati e degli orfani. Uno Stato ben amministrato per far ciò si vale delle arti stesse, dando agli uni il lavoro di cui sono capaci, ed insegnando agli altri a lavorare, ciò che costituisce già di per sè un lavoro. Quel po' di elemosina che si fa a un individuo miserabile incontrato per strada non assolve certo dai suoi obblighi lo Stato, che deve garantire a tutti i cittadini un sostenta­ mento assicurato, il nutrimento, un vestire decente e un genere di vita che non sia nocivo alla salute r . Aureng Zeb 2, a chi gli domandava perchè non faceva costruire degli ospizi, rispose •: Renderò così ricco il mio impero che non ci sarà bisogno di ospizi. - Avrebbe dovuto dire, invece: comincerò col render ricco il mio im­ pero, e costruirò poi gli ospizi. Le ricchezze di uno Stato presuppongono una grande industriosità. Non è possibile che, in un numero così ele­ vato di settori di commercio, non ne esista sempre qualcuno -

a. Si veda CHARDIN, Voyage de Perse, tomo VIII [p. 86]. 1. È evidente l'influenza dell'abate di Saint-Pierre, il quale cosi scriveva: « Il soccorrere i poveri deve esser considerato dal Re come un debito dello Stato, e un debito privilegiato e urgente ... Chi è nella miseria estrema ha quindi un diritto reale e positivo, un'azione di diritto naturale nei confronti del ricco; la sua grande miseria crea il suo diritto, e un diritto incontestabile • (Du gouvernement intérieur de l' État, in Oeuvres de l'abbé de Saint-Pierre, Rotterdam, 1738, tomo VII, pp. 252-3) . Si cfr. anche, sempre del SAINT-PIERRE, i Mémoires sur les pauvres mendiants, 1 724. 2. Aureng-Zeb (Ornamento del trono), nato il 4 novembre r6r8, morto il 4 marzo 1 707, figlio di Djahan scià, imperatore delle Indie, sali a sua volta al trono il 26 maggio 1659·

88

PARTE QUARTA

i n di fficoltà, i cui dipendenti s1 trovano quindi momentanea­ mente in precarie condizioni. È in questi casi che lo Stato deve recare un pronto aiuto, sia perchè la popolazione non debba soffrire, sia per evitare che si ribelli: ci vogliono dunque per questi casi degli ospizi, o qualche disposizione che miri allo stesso scopo, per prevenire una simile miseria. Ma quando la nazione è povera, la povertà individuale deriva dalla miseria generale e costituisce anzi, per così dire, la miseria generale. Tutti gli ospizi del mondo non potrebbero porvi rimedio; al contrario, lo spirito di pigrizia che essi ispirano accresce la povertà generale, e di conse­ guenza anche quella individuale. Enrico VIII, volendo riformare la Chiesa in Inghilterra, abolì gli ordini monastici accolta di persone oziose 1 che favorivano la pigrizia altrui perchè, praticando essi l'ospi­ talità, una infinità di persone oziose, nobili e borghesi, pas­ sava la vita da un convento all'altro. Soppresse pure gli ospizi, ove la plebe trovava di che vivere, come i nobili ne trovavano nei monasteri. Lo spirito di commercio e di industriosità è sorto in Inghilterra da quando si fecero questi mutamenti. A Roma gli ospizi fanno sì che tutti si trovino a loro agio, eccezion fatta per chi lavora, per chi è attivo, per chi coltiva le arti z, per chi possiede terre, per chi si dedica al commercio. Ho detto che le nazioni ricche hanno bisogno di ospizi, perchè il benessere vi è soggetto a mille possibili rovescia­ menti, ma è chiaro che degli aiuti temporanei servono molto di più che non delle istituzioni permanenti. Il male è mo­ mentaneo: bisogna dunque che i rimedi abbiano la mede­ si.ma natura, e che siano applicabili ad ogni singolo caso. •,

a. Si veda la Storia della Riforma d'l nghilterra del BuRNET.

signor

I. La frase cadde sotto la censura della Sorbona. Montesquieu si pro­ pose di modificarla cosi: " . . . ch'egli considerava come un'accolta di per­ sone oziose •. cfr. Appendice II, pp. 542-5. 2 . In A manca.: • per chi. coltiva le arti •-

PARTE QU I N TA

LIBRO VENTIQUATTRESIMO

DELLE LEGGI NEL LORO RAPPORTO CON LA RELIGIONE STABILITA IN OGNI PAESE, CONSIDERATA NELLE SUE FORME DI CULTO ED IN SE STESSA 1

CAPO

I . Delle religioni in generale.

Come è possibile giudicare quali sono le tenebre meno fitte, e gli abissi meno profondi, così si può stabilire quali, tra le false religioni, siano le più adatte allo sviluppo della società; quelle cioè che, per quanto non si propongano di guidare l'uomo alla felicità dell'altra vita, possono però contribuire in misura maggiore al suo benessere nella presente. Non esaminerò quindi le varie religioni esistenti nel mondo che in relazione al bene che se ne ricava per la vita civile, sia che io parli di quella che ha in cielo le sue radici, sia delle altre, le quali le hanno in terra. Poichè 2 in questo mio lavoro non mi propongo di occu­ parmi di teologia, ma di scienza politica, può darsi che si trovino qui affermazioni valide interamente soltanto da un punto di vista umano, poichè non vengono enunciate in relazione con verità più sublimi. Per ciò che riguarda la vera religione J, basta un minimo di equità per vedere che non ho mai preteso di subordinare I. A B hanno il seguente titolo: Delle leggi nel lcr;o rapporto .an la religione considerata nei suoi dogmi ed in se stessa. Il DEDIEU (M ontesquteu et la tl'adition politique anglaise, cit., p. 248 segg.) ha messo in lu ce il rapporto esistente tra questo libro e l'A lliance between Chul'ch and State (Londra, 1 736) del WARBURTON. 2. I tre cpvv. seguenti mancano nel Ms.

3· In A B manca:



Per ciò che riguarda la vera religione •·

PARTE QUINTA

suoi interessi 1 a quelli politici, ma di unirli: ora, per unirli, bisogna conoscerli. La religione cristiana, che ordina agli uomtm di amarsi, esige senza dubbio che ogrri popolo abbia le migliori leggi politiche e le migliori leggi civili, perchè le leggi costitui­ scono, dopo di essa, il bene più grande che gli uomini pos­ sono dare o ricevere 2.

CAPO I I . Di un paradosso di Bayle.

Bayle ha preteso di provare che è meglio essere ateo che idolatra •; vale a dire, in altri termini, che è meno dan­ noso non avere affatto religione che averne una cattiva J _ � Preferirei - egli afferma - che si dicesse di me che non esisto, piuttosto che si dicesse che sono un individuo mal­ vagio �> 4. Non si tratta che di un sofisma, fondato sul fatto che non è d: alcuna utilità per il genere umano che si creda che un determinato uomo esiste, mentre è utilissimo che a. Pensées sur la comète [torno I, §§ I IJ-34] s. I. A. B: • gli in teressi della religione •2 . Il Ms. (V, foll. 148 v0-q9 r0) cosi continua:

Allorchè Salomone co;;tiui il tempio, vennero scelti i materiali più adatti alla costruzione delfedificio sacro. Il resto fu impiegato per opere profane. Queste opere si presentano ai nostri occhi e noi le guardiamo 3· Già BossUET aveva scritto: Qualora si domandi che cosa bisogne­ rebbe dire di uno Stato nel quale l'autorità pubblica fosse stabilita senza alcuna religione, è chiaro che non vi è bisogno di rispondere a domande chtmeriche. Stati di tal fatto non sono mai esistiti. l popoli che non hanno r«ligione sono ai tempo stesso privi di civiltà, di vera subordinazione e del tutto selvaggi. Gli uomini, non essendo retti dalla coscienza, non pos­ sono assicurarsi gli uni con gli altri. Negli imperi nei quah, secondo quanto riferiscono gli storici, i saggi e i magistrati rltsprezzano la religione e non hanno Dio nel loro cuore, i popoli sono guidati da altri princlp1 ed hanno un culto pubblico • (Politique, cit., VII, 2, 3" prop. ) . Anche la reo.lica di Montesquieu alla teoria di Bayle, che si muove sul piano religioso-dot­ trinale, si informa invece, come quella di Bossuet, ad un principio politico. 4· Pensées diverses, tomo I, § I 1 5 . IVla Bayle riporta una frase di Plu­ tarco, cfr. De superstitione, X . 5 · Alla questione s e sia preferibile l'ateismo o l'idolatria il BAYLE dedicò inoltre l'intero secondo volume della Continuation des Pensées . dtverses, Rotterdam, 1 705. ».





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si creda che Dio esiste. Dalla convinzione che Dio non esiste deriva la convinzione della nostra indipendenza o, se non possiamo averla, quella della nostra rivolta. Dire che la religione non costituisce un freno perchè non sempre vi riesce, è come dire che anche le leggi civili non lo sono 1 . Raccogliere in un grosso volume una lunga enumerazione di tutto quanto ha fatto di male la religione è una cattiva maniera di argomentare contro di essa, se non si fa anche l'elenco di quanto ha fatto di bene. Se volessi riferire tutti i mali che hanno prodotto nel mondo le leggi civili, la mo­ narchia, il governo repubblicano, racconterei fatti spaven­ tosi. Quand'anche fosse inutile che i sudditi avessero una religione, non sarebbe affatto inutile che l'avessero i principi, e che fossero costretti a mordere l'unico freno che può avere chi non teme affatto le leggi umane 2. Un principe che ama la religione e che la teme è un leone che obbedisce alla mano che lo accarezza o alla voce che lo blandisce; un principe che teme la religione e la odia è come una belva che morde la catena che le impedisce di gettarsi su chi le passa vicino; un principe che non ha alcuna religione è simile a quella belva feroce che non gode della propria libertà se non quando sbrana e divora. Il problema non consiste nel sapere se sarebbe meglio che un determinato uomo o un determinato popolo non avesse alcuna religione, piuttosto di abusare di quella che ha, ma di sapere qual'è il male minore: che qualche volta 1 . La stessa critica a Bayle si ritrova in Pensies. I I I, fol. 286, n. 1993 (658) ; sulla questione Montesquieu si è soffermato a più riprese, cfr. infatti in Pensées, III, fol. 250, n. 1946 (673) un lungo passo intitolato: A lcune

rif/rssioni che possono serutte contro il paradosso di Ba)'le secondo il quale è Meglio essere atei che idolatri, alle quali Montesquieu ha unito: A lcuni altri frammenti di taluni miei scritti di gioventù che ho distrutto. In queste

riflessioni Montesquieu scusa l'errore dei pagani di aver creduto nella corporeità di Dio, ma nei confronti degli atei la sua critica è più severa, " una ben che minima riflessione basta all'uomo per guarirsi dall'ateismo egli afferma, e successivamente: " L'unica cosa che la ragione ci insegna di Dio, è che vi è tin essere intelligente che produce quell'ordine che noi vediamo nel mondo "· In Spicilège, pp. 1 38-9 si trovano delle riflessioni contro gli atei ispirate anch'esse al principio ,, della perfezione e dell'eco­ nomia dell'universo 2. Cfr. in questo senso II, 5 e III, ro. •.

•-

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si abusi della rellgwne, o che essa non es1sta anatto tra gli uomini. Per diminuire l'orrore dell'ateismo si esagera contro l'idolatria. Non è vero che, quando gli antichi dedicavano altari a determinati vizi, ciò stesse a significare che li ama­ vano: ciò significa, al contrario, che li odiavano. Quando gli Spartani eressero un tempio alla Paura, ciò non voleva certo dire che una nazione così bellicosa le chiedesse di scendere, durante i combattimenti, nel cuore degli Spartani. C'erano divinità alle quali si chiedeva di non ispirare il delitto, ed altre alle quali si chiedeva di tenerlo lontano.

CAPO III. Che il governo moderato è più adatto alla religione cristiana, e il governo dispotico a quella maomettana. La religione cristiana è ben lungi dal puro dispotismo 1 poichè, essendo la mitezza talmente raccomandata nel Vangelo, essa si oppone al furore dispotico con il quale il principe si farebbe giustizia ed eserciterebbe le sue crudeltà. Poichè questa religione proibisce la pluralità delle mogli 2, i prìncipi sono meno rinchiusi, meoo separati dai loro sud­ diti, e di conseguenza più uomini; sono più disposti a darsi delle leggi e più inclini ad accorgersi che non po5SOftQ tutto. Mentre 1 i prìncipi maomettani dànno continuamente la morte o la ricevono, la religione, presso i cristiani., rende i principi meno timorosi, e di conseguenza meno crudeli. Il principe conta sui suoi sudditi, ed i sudditi sul principe. Cosa ammirevole! la religione cristiana, che sembra non 1. Cfr. X lX, 1 8. 2. Cfr . XVI, vol. I. 9, p. 437, in particolare la nota 2. 3· Il CJ>V. sembra un rimaneggiamento del seguente passo delle Pensées: • Dicevo, a proposito degli orrori e delle tirannidi degli imperatori romani, turchi e dei Persiani, che è mirabile che la religione cristiana, la quale è fatta soltanto per renderei felici nell'altra vita, ci renda felici anche in questa. Ura re non teme più che un suo fratello gli strappi la corona: e il fratello non ne ha il pensiero. Ciò deriva dal fatto che 1 sudditi in gene­ rale sono diventati più obbedienti, e i principi meno crudeli • (1, pp. 401-2, n. 478 [2 1 7 1 ]).

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avere altro scopo che la felicità nell'altra vita, contribuisce a procurarcela anche in questa. È la religione cristiana che, nonostante l'estensione del­ l'impero e il clima sfavorevole, ha impedito che il dispotismo prendesse piede in Etiopia, ed ha portato nel centro del­ l'Africa i costumi dell'Etiopia e le sue leggi t. Il principe ereditario di Etiopia 2 dispone di un prin­ cipato e dà agli altri sudditi l'esempio dell'amore e della obbedienza. A poca distanza di li, ecco che la religione maomettana permette che siano incarcerati i figli del re di Sennar J e, alla sua morte, il consiglio li fa sgozzare a favore di chi sale al trono •. Si osservino, da una parte, i massacri continui di re e di capi greci e romani e, dall'altra, le distruzioni di popoli e di città ordinate da questi stessi capi; si pensi a Timur 4 e a Gengiskan, che hanno devastato l'Asia: si vedrà così che dobbiamo al Cristianesimo un determinato diritto poli­ tico nei rapporti di governo e un determinato diritto delle genti in guerra, che la natura umana non apprezzerà mai a sufficienza. È questo diritto delle genti che fa sì che, da noi, la vittoria lasci al popolo vinto i beni più cari, la vita, la libertà, le leggi, le sostanze, e sempre la religione, a meno che non ci si accechi di propria volontà. Si può dire che i popoli d'Europa non sono oggi più a. Relation d'Ethiopie, del signor Poncet, medico, nella IV rac­ colta delle Lettres édifìantes [pp. 290-1 e 397-9]. 1. Sulla mitezza delle pene in Etiopia cfr. quanto scriveva, sempre fon­ dandosi sulle Lettres edifiantes, in Pensées, Il l, fol. 77 vo, n. 1 798 {2.53). dove tuttavia, contrariamente a quanto afferma nel testo, annotava: « Si osservi pertanto come in Etiopia la mitezza dei costumi sia sempre esistita •. ed in questa opinione era confortato dai classici, infatti in Pensées III, fol. 77, n. 1 797 (252) cita due brani di DIODORO (Bibliotlleca histOf'ica, I, 9 e 65) nei quali viene vantata la mitezza di re etiopi dell'Egitto. 2. È il -çJrincipe Basilio, figlio di Jasù che regnò dal 168o al 1 7 1 4 con il nome di Adiam Seghed, secondo quanto riferisce il Poncet che sog­ giornò in Etiopia dal 1698 al 1 700. 3· Regione del Sudan, a sud della confluenza fra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro. 4· Timur-Lenk, cioè Tamerlano.

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divisi di quanto non lo fossero gli eserciti e i popoli nel­ l'impero romano, divenuto dispotico e militare, o di quanto non lo fossero i diversi eserciti tra di loro: da un lato. gli eserciti guerreggiavano tra di loro, e dall'altro si concedeva loro il saccheggio delle città e la spartizione o la confisca delle terre.

CAPO IV. Conseguenze del carattere della religione cristiana e di quello della religione maomettana. Se si esamina il carattere della religione cristiana e quello della maomettana, si deve , senza ulteriori approfondimenti, accettare quella e respingere questa, perchè è ben più evi­ dente che una religione deve rendere più miti i costumi degli uomini, di quanto non sia evidente che una religione è vera. È una disgrazia per la natura umana quando la religione viene imposta da un conquistatore. La religione maomettana, che parla solo il linguaggio della spada, agisce tuttora sugli uomini con quello stesso spirito distruttore che le ha dato vita. La storia di Sabbacon •, uno dei re pastori, è ammire­ vole. Il dio di Tebe gli apparve in sogno, e gli ordinò di mettere a morte tutti i sacerdoti dell'Egitto. Egli ritenne che gli dèi non gradissero la sua presenza sul trono, dal momento che gli imponevano azioni così contrarie alla loro volontà abituale, e si ritirò in Etiopia.

CAPO V. Che la religione cattolica è più adatta al regime monarchico, e la protestante al regime repubblicano. Quando una religione nasce e si sviluppa in uno Stato, segue generalmente il sistema di reggimento politico del a.

Si veda DIODORO,

lib.

II [cap. 17).

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paese ove si è stabilita: infatti gli uomini che la accettano quelli che la impongono non hanno convinzioni politiche diverse da quelle della nazione nella quale sono nati. Quando la religione cristiana dovette subire, due secoli or sono, la triste divisione che la separò in cattolica e pro­ testante, i popoli del nord accettarono il protestantesimo, e quelli del sud si conservarono fedeli al cattolicesimo. Ciò è dovuto al fatto che i popoli del nord hanno ed avranno sempre uno spirito di indipendenza e di libertà sconosciuto ai popoli meridionali 1; ora una religione che non ha un capo visibile è più consona allo spirito di indi­ pendenza proprio di quel clima di quella che ha un capo. Nei paesi 2 nei quali la religione protestante prese piede, le rivoluzioni si svolsero sul piano politico. Lutero, che aveva dalla sua dei grandi principi, non avrebbe potuto far loro gradire una autorità ecclesiastica la quale fosse priva di una gerarchia esteriore; Calvino, che aveva dalla sua popoli che vivevano in regime repubblicano od oscuri borghesi abitanti in monarchia, potè agevolmente fare a meno di gerarchie e di dignità. Ciascuna delle due religioni poteva considerarsi la più perfetta: la calvinista perchè si giudicava più fedele alla predicazione di Gesù Cristo, e la luterana all'opera degli apostoli. e

1. Cfr. XVII, 2, ed Essai suY les causes, II: « Nella nostra Europa vi sono due sorta di religioni: la cattolica, che richiede della sottomissione, e la protestante che richiede dell'indipendenza. I popoli del Nord hanno

dapprima abbracciato quella protestante; quelli menaionali hanno con­ servato la cattolica. Ora questa indipendenza dei popoli protestanti fa si che essi sono perfettamente istruiti delle conoscenze umane; e questa sottomissione dei popoli cattolici, c)l.e è cosa assai ragionevole e come essenziale a una religione fondata su dei misteri, fa si che il popolo, il quale sa con esattezza ciò che è necessario alla salvezza, ignora totalmente quanto non la riguarda; di modo che i popoli meridionali, pur avendo idee più sane riguardo alle grandi verità e persino uno spirito naturale mag­ giore, hanno per altro uno svantaggio assai grande nei confronti dei popoli nordici " (Mélanges inédits, p. 1 42) . 2. I due cpvv. seguenti si trovano anche con qualche differenza in Pensées, II, fol. 1 4, n. 9 1 7 (2 1 8 1 ) .

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C APO

VI. Di

un

altro paradosso di Bayle.

Bayle, dopo aver insultato tutte le religioni, si scaglia contro la religione cristiana, osando sostenere che dei veri cristiani non potrebbero formare uno Stato capace di sus­ sistere '· E perchè, di grazia? Sarebbero essi anzi cittadini quanto mai consapevoli dei loro doveri e pieni di zelo nel­ l'assolverli; comprenderebbero assai bene i diritti della difesa naturale: più crederebbero di dovere alla religione, e più penserebbero di dovere alla patria. I princìpi del cristianesimo, scolpiti nel loro animo, sarebbero infinitamente più efficaci del falso onore delle monarchie, delle virtù umane delle repubbliche e della paura servile degli Stati dispotici z. È ben strano che si possa dire di quel grand'uomo l che ha travisato lo spirito della sua stessa religione; che non ha saputo distinguere gli ordini relativi allo stabilimento del Cristianesimo dal Cristianesimo stesso, nè i precetti del 1. Cfr. Continuation des Pensl!es Diverses, cit., § 1 24: " In qual senso il Cristianesimo è adatto o meno a mantenere le società ». La critica di Bayle, che è anticipata in parte in Pensées Diverses, § 141, è fondata sul fatto che il Cristiano, avendo di mira la vita ultraterrena, non può adat­ tarsi senza peccare alle necessità della vita politica. N ello stesso senso si era già espresso Machiavelli (cfr. Discorsi sopra la prima deca, II, 2), il quale tuttavia considerava la religione come uno degli strumenti più effi­ caci per mantenere la « republica ... buona e unita » ed aveva anzi affer­ mato che • la religione se ne' principi della republica cristiana si fusse mantenuta, secondo che dal datore d'essa ne fu ordinato, sarebbero gli Stati e le republiche cristiane più unite, più felici assai, che non lo sono • (Discorsi, I, 12). Evidentemente Montesquieu aveva più presente questo secondo giudizio di Machiavelli, che ha riguardo alla vita interna degli Stati, che non il primo, nel quale, come farà anche Bayle, veniva con­ siderato invece l'aspetto internazionale della politica. 2. In Pensées, II, fol. 100, n. 1 550 ( 1 8 13) si ha il seguente giudizio sull'affermazione di Bayle: « Bayle ha detto una sciocchezza quando ha affermato che uno Stato di buoni Cristiani non potrebbe sussistere; la verità è che non può esistere uno Stato di buoni Cristiani. Lo stesso vale quando si afferma che uno Stato di filosofi non potrebbe sussistere, poichè non può esistere uno Stato di filosofi. Tutto è mescolato •· Nonostante la netta presa di posizione contro Bayle le affermazioni di Montesquieu non piacquero al critico giansenista delle Nouvelles Ecclesiastiques • che le considerava come una difesa troppo blanda della. religione, cfr. le risposte di Montesquieu nella. Dl!fense (Appendice II, pp. 486-7). 3· Anche questo appellativo spia.cque al critico giansenista, cfr. Défense, loc. cit., pp. 473-4. •

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Vangelo dai suoi consigli 1• Quando il legislatore, invece di dar delle leggi, ha dato dei consigli, vuol dire che si è reso conto che i suoi consigli, se fossero emanati sotto forma di leggi, sarebbero contrari allo spirito delle sue leggi.

CAPO VII. Delle leggi di perfezione nella religione. Le leggi umane, fatte per parlare alla mente, devono dare precetti e non consigli: la religione, fatta per parlare al cuore, deve dare molti consigli e pochi precetti. Quando 2, per esempio, essa detta delle regole, non per il bene, ma per il meglio, non in vista di ciò che è buono, ma di ciò che è perfetto, è opportuno che si tratti di con­ sigli, e non di leggi, perchè la perfezione non riguarda la totalità degli uomini e delle cose. Inoltre, se si tratta di leggi, ne saran necessarie mille altre per far rispettare le prime. Il celibato 3 fu un consiglio dato dal Cristianesimo: quando se ne fece una legge per una determinata categoria di persone, furono necessarie ogni giorno nuove leggi per piegare gli uomìni a rispettarla a. . I l legislatore si stancò, stancò la società per fare eseguire agli uomini per imposi­ zione ciò che gli uomini che amano la perfezione avrebbero attuato seguendo un semplice consiglio. a. Si veda la [NouvelleJ Bibliothèque des auteurs ecclésiastiques du sixième siècle [Parigi, r6g3-17I5, zs. ediz.], tomo V, del signor

DUPIN,

I. A B hanno la seguente lezione: • È ben strano che questo gran­ d"uomo non abbia saputo distinguere gli ordini per lo stabilimento del Cristianesimo dal Cristianesimo stesso e che si possa imputargli di aver misconosciuto lo spirito della sua stessa religione •· Il testo attuale si trova già nell'errata di B. 2 . Il cpv. incontrò la censura della Sorbona. Montesquieu si propose di eliminare le frasi da • Il celibato .. sino alla fine del cpv., cfr. Appen­ dice II, pp. 527-8. 3· Cfr. XXV, 4· .



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CAPO VIII. Dell'accordo delle leggi della morale con quetle della religione. In un paese ove si ha la sventura di professare una religione che non è stata data da Dio, è sempre necessario che essa sia in accordo con la morale, perchè la religione, anche falsa, è la miglior garanzia che gli uomini possano avere della probità umana. I princìpi fondamentali della religione degli abitanti di Pegù sono: non uccidere, non rubare, evitare la scostuma­ tezza, non portare alcuna offesa al prossimo, e procurargli, al contrario, tutto il bene possibile a. Essi credono che seguendoli ci si salvi, qualunque religione si professi, ciò fa sì che questi popoli, per quanto fieri e poveri, dimostrino mitezza e compassione per gli infelici.

CAPO IX. Degli Esseni. Gli Esseni b facevano voto di rispettare la giustizia verso gli uomini, di non far del male a nessuno, sia pure per ordine, di odiare gli ingiusti, di serbar fede a chiunque, di comandare con discrezione, di schierarsi sempre dalla parte della verità e di fuggire ogni profitto illecito ' · a . Recueil des voyages qui ont servi à l' établissement de la Compagnie des Indes, tomo III, parte l , p . 63 z. b. Storia degli Ebrei, del PRIDEAUX J.

1. Il Ms. (V, foll. 169 v0- 1 70 v0) cosi continua: " I voti dei nostri monaci non sono sostanzialmente morali; lo sono unicamente riguardo a colui che li pronuncia. Preferisco il voto di comandare con modestia che quello di obbedire esattamente; quello di non fare dei torti a nessuno, 1oss'anche per obbedienza, a quello di obbedire ciecamente; quello di fuggire tutti i guadagni illeciti a quello di rinunciare ai propri beni; quello di conservare la fiducia a tutti a quello di non accordarla a nessuno. In tutta questa opera io non parlo da teologo, ma da scrittore di politica; quanto ho detto può benissimo essere vero soltanto da un punto di vista umano, non essendo stato considerato in rapporto con verità più sublimi "· 2. Queste informazioni sono tratte dalla Relation de Gaspar Balbi inclusa nel Voyage d'Etienne van der Hagen. J . È la tradu zione francese dell'opera The Old and New Teslament

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CAPO X. Della sètta stoica.

Le diverse sètte filosofiche presso gli antichi potevano esser considerate come delle specie di religioni 1. Nessuna mai ve ne fu che avesse princìpi più degni dell'uomo e più adatti a ben educare gli animi, di quella stoica; e, se potessi 2 per un momento dimenticare di essere cristiano, non potrei fare a meno di considerare la distruzione della sètta di Zenone nel novero delle sventure toccate al genere umano. Essa non forzava che i princìpi nei quali c'è qualcosa di grande: il disprezzo dei piaceri e del dolore. Essa sola sapeva formare i cittadini, essa sola sapeva plasmare i grandi uomini, essa sola sapeva formare i grandi imperatori J. Si dimentichino per un momento le verità rivelate, si esamini tutta la natura, e non si troverà nulla di più grande degli Antonini. Persino 4 Giuliano! (una simile testimonianza di stima per lui, quasi strappata alle mie convinzioni, non mi renderà certo complice della sua apostasia) eppure non connected it1 tke History of tke jews, 6 voli., Londra, 1 7 1 5-18, di HuM­ PHREY PRIDEAUX ( 1 648-1 724) . professore di Ebraico al Christchurch Col­ lege, autore anche di una Life of Makomet, Londra, 1 697, già citata da :\lontesquieu, cfr. XVI, 2 .

1 . A B hanno: erano delle specie di religioni » . Le frasi « se potessi... disprezzo dei piaceri e del dolore " figurano già nel TYaité des DevoiYs. Montesquieu stesso, in una sua lettera dell'8 otto­ bre 1 7 so, rispondendo a Francesco di Fitz-J anies, vescovo di Soissons, figlio del maresciallo di Berwick che gli rimproverava amichevolmente la sua ammirazione per gli stoici, gli scriveva di aver tratto parte del capitolo dal giovanile T..aité des DevoiYs, affermando che allora « quella morale mi colpi e che volentieri avrei fatto di Marco Antonino un santo, come fa il Dacier; e ciò che mi colpi maggiormente fu il vedere che quella morale era pratica c che tre o quattro imperatori che la seguirono furono dei sovrani ammirevoli, mentre quelli che non la seguirono furono dei mostri (CoYY., II, p. 304) . Come si vede da queste parole, il valore sociale della religione costituisce l'aspetto cui Montesquieu era più sensibile fin dagli anni della gioventù . 3· Cfr. l'alto elogio degli stoici contenuto in Considéf'ations, cap. 1 6 . Il fatto che l'ammirazione di Montesquieu per gli stoici s i ritrovi i n varie riprese nelle sue opere, a distanza di anni, dimostra come essa fosse radi­ cata nel suo animo e soprattutto fa sospettare che quando, nella citata lettera al Fitz-James, affermava di aver ripreso nell Esprit des Lois, quasi per non sprecarlo, un morceau tout fait sur les stoiciens (loc. cit., p. 305), egli velasse prudentemente la verità per salvaguardare l'ortodossia del suo libro, già così vivacemente attaccata. 4· La frase doveva venir soppressa in sèguito alla censura della Sor­ bona, cfr. Appendice II, p. 525. •

2.



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vi fu, dopo di lui, monarca più degno di governare gli uomini 1, Mentre consideravano cosa vana le ricchezze, gli onori umani, il dolore, le amarezze, i piaceri, gli stoici non mira­ vano che alla felicità degli uomini, an:adempimento dei doveri richiesti dalla società. Sembrava che considerassero quello spirito sacro che credevano di possedere come una specie di provvidenza benigna che vegliava sul genere umano. Nati 2 per la società, credevano tutti che il loro destino fosse di prodigarsi a suo favore: e tanto meno essi le erano a carico, in quanto che trovavano la loro ricompensa in se stessi, e che, felici unicamente per la loro filosofia, sembrava 1 che soltanto la felicità altrui potesse accrescere la loro.

CAPO XI. Della contemplazione. Poichè gli uomini sono fatti per conservarsi, per nutrirsi, per vestirsi e per compiere tutte le azioni richieste dalla società, la religione non deve dare loro un tipo di vita ecces­ sivamente contemplativo I maomettani divengono meditativi per abitudine: pre­ gano cinque volte al giorno 4, e ogni volta devono compiere un atto simbolico col quale gettano dietro le spalle tutto ciò che appartiene . al mondo terreno s: ciò li porta alla vita •.

a.

È questo l'inconveniente della dottrina di Foè e di Laockium 6.

r. In Penst!es, III, fol. 42 v, n. I 7 I I (380) si ha una valutazione più critica ed aperta d�ll'opera di Giuliano: • Giuliano si dava da fare ben inutilmente. Dei lumi erano apparsi nell'universo. La filosofia si era stabi­ lita, e se egli avesse rovesciato il Cristianesimo, avrebbe potuto si stabi­ lire una nuova religione, ma non restaurare quella pagana ». In nota è detto: Questo passo non è potuto entrare nella Religione •, evidente riferimento a questo capitolo. 2. Il cpv. è tratto dal Traiti des Devoirs (Oeuvres complètes, Vll, pp. 67-8). 3· Il Traité des Devoirs ha: « sembrava che essi credessero che ecc. >. 4· Cfr. CHARDIN, op. cit., VII, p. 248. In Lettres Persanes, XXXV, aveva affermato che i Maomettani pregano sette volte al giorno. S· Questa usanza è riferita in THEVENOT, Relation d'un voyage fait au Lt!vant, Parigi, 1664, pp. 93-4· 6. Ossia Lao-tse. •

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speculativa. Si aggiunga poi a tutto questo la loro indiffe­ renza verso ogni cosa, che è effetto del dogma di un destino immutabile. Se anche altre cause concorrono a ispirar loro un certo distacco, come la durezza del governo e le leggi sulla pro­ prietà delle terre, che creano una situazione precaria, tutto è perduto. La religione dei Parsi rese fiorente, un tempo, la Persia; essa temperava i cattivi effetti del dispotismo: oggi la reli­ gione maomettana ha distrutto quello stesso impero •.

CAPO XII. Delle penitenze. È bene che le penitenze siano in relazione con il prin· cipio del lavoro, e non con quello dell'ozio; con il principio del bene, non con l'idea dello straordinario; con il principio di frugalità, e non di avarizia.

CAPO XIII. Dei delitti inespiabili 2, Sembra 1 , da un passaggio dei libri dei pontefici, riferito da Cicerone •, che esistessero presso i Romani dei delitti inespiabili b, ed è appunto su questo convincimento che a. Libro II delle Leggi [cap. 22]. b. Sacrum commissum, quod neque expiari poterit, impie oom­ missum est; quod expiari poteris, publici sacerdotes expianto. I. Già CHARDIN aveva rilevato come l'antica religione dei Persiani li incoraggiasse al lavoro dei campi. la cui proprietà era sacra, ed alla ripro­ duzione, mentre l'islamismo, a causa del suo fatalismo, li lascia in preda all'ozio e al dispotismo (cfr. op. cit., IV, pp. 24-5 e IX, pp. 135-6) . Di queste osservazioni di Chardin Montesquieu si era già valso in L�ttres

Persanes, CXIX.

2 . Il capitolo manca nel Ms. 3· Il cpv., fino a " conversione di Costantino fol. 3, n. 871 (2146).

•,

è tratto da Pensées, II,

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Zosimo ' basa il racconto così adatto ad inficiare i motivi della conversione di Costantino, e Giuliano l'Apostata le amare ironie contenute nei suoi Cesari z a proposito della stessa cnoversione. La religione pagana, la quale non proibiva che alcuni delitti grossolani, arrestando la mano e non preoccupandosi del cuore, poteva ammettere dei delitti inespiabili; ma una religione che involge tutte le passioni, che non è solo gelosa delle azioni ma anche dei desideri e dei pensieri, che non ci tiene avvinti con catene, ma con un numero infinito di fili, che si lascia indietro la giustizia umana, e inizia un'altra giustizia, che è fatta per ricondurre continuamente .dal pentimento all'amore e dall'amore al pentimento, che pone tra il giudice e il criminale un grande mediatore, tra il giusto e il mediatore un grande giudice: una religione simile non deve avere dei delitti inespiabili. Ma, per quanto essa ispiri timori e speranze a tutti, fa comprendere chiaramente che se non esiste delitto il quale sia, di sua natura, inespia­ bile, tutta una vita può esserlo; che sarebbe assai pericoloso mettere continuamente 1 alla prova la misericordia con n uovi delitti e nuove espiazioni; ci fa comprendere che noi, inquieti per i vecchi debiti, mai in regola nei confronti del Signore, dobbiamo aver timore di contrarne altri, di colmare la misura, di giungere fino al punto in cui la patema bo ntà ha fine.

I. Secondo ZosiMO (Historia nova, II, 29) Costantino si �arebbC' c-on­ vertito al Cristianesimo perchè, preso dal rimorso per aver fatto uccidere il figlio Crispo su falsa denuncia della moglie Fausta, i sacerdoti cristiani gli mostrarono la possibilità di un perdono che la religione pagana gli negava. In realtà Crispo fu messo a morte nel 326 e Costantino, se non proprio convertito, aveva già fatto atto di adesione al Cristianesimo fin dal 3 1 2, dopo la battaglia del Ponte Milvio, e comunque nel 324 era cristiano, come lo attesta il suo editto di quell'anno diretto agli Orientali esortandoli a convertirsi. 2. Caesares, 336 a-b. 3· In A B manca: continuamente •· •

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CAPO XIV. In qual modo la forza della religione a quella delle leggi civili.

ros

st

applica

Poichè la religione e la legge civile devono mirare prin­ cipalmente a rendere gli uomini buoni cittadini, è chiaro che, quando una delle due si allontana da questo scopo, l'altra deve cercare ancor più intensamente di raggiungerlo: meno 1 la religione sarà efficace, più dovranno esserlo le leggi civili. Così, in Giappone, ove la religione dominante non pos­ siede quasi dogmi e non propone paradiso nè inferno, per supplire a ciò, si sono fatte leggi severissime le quali ven­ gono applicate con una esattezza straordinaria. Quando la religione stabilisce il dogma della necessità delle azioni umane, le pene previste dalle leggi devono essere più severe e la vigilanza più stretta, perchè gli uomini, che diversamente si lascerebbero andare, siano determinati nei loro atti da questi motivi; ma se la religione stabilisce il dogma della libertà, è tutt'altra cosa. Dalla pigrizia dell'animo nasce il dogma della prede­ stinazione maomettana 2, e dal dogma di questa predestina­ zione nasce la pigrizia dell'anima. Si dice: ciò è stabilito nei decreti di Dio, bisogna quindi restarsene tranquilli. In un caso simile si devono stimolare con le leggi gli uomini addormentati dalla religione 1. Quando la religione condanna cose che le leggi civili devono permettere è pericoloso che le leggi civili permet­ tano per parte loro ciò che la religione deve condannare, poichè uno di questi due fatti denuncia sempre una man1 . La frase e il cpv. seguente si trovano già, quasi ad litteram, in Spicilège, p . I6J, la cui. !onte è la citata Histoire de l'Empire du Japou del KAEMPFER, cfr. tomo I I I , cap. I , pp. I 4-6.

2. Che Montesquieu non mirasse solo alla predestinazione quale era intesa dai Maomettani, ma anche a qualsiasi rigida interpretazione di essa mi sembra lo dimostri un lungo passo delle Pensées, intitolato Dubbi (III, foll. 247 c segg., n. I945 [674]) che verte su questo tema e nel quale, riferendosi a S. Paolo (Ep. ai Homani, capi 8, 9, I I ) respinge la prede­ stinazione al male accettando, se pur con qualche dubbio, la predestina­ zione al bene. J. Cfr. il cap. I I di questo libro e i capitoli X l \', 4 c XIV, I I .

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canza di armonia e di equilibrio nei principi, che si ripercuote sull 'altro. I Tartari di Gengiskan, presso i quali era peccato ed anche delitto passibile di pena capitale mett(tl"e il coltello nel fuoco, appoggiarsi a una frusta, battere un cavallo con la sua briglia, rompere un osso con un altro, non ritenevano che si commettesse peccato mancando alla parola data, rubando i beni altmi, recando ingiuria a un uomo, persino uccidendolo •. In una parola, le leggi che inducono a con­ siderare necessario ciò che è indifferente hanno l'inconve­ niente di far considerare indifferente ciò che è necessario 1 . Gli abitanti di Formosa credono in una specie di inferno b, fatto però per punire coloro che non sono andati in giro nudi in determinate stagioni, che hanno indossato vestiti di tela e non di seta z , che si son dati alla ricerca di ostriche, che hanno agito senza consultare il canto degli uccelli: non considerano, però, come peccato l'ubriachezza e la sregolaa. Si veda la relazione l di frate Giovanni da Pian del Car­ pine, inviato in Tartaria da papa Innocenza IV nell'anno 1246. b. Recueil des voyages qui ont servi à l'établissement de la Compagnie des Indes, tomo V, parte I, p. 192 4. r. In un passo delle Pensées (III. fol. 1 53, n. 1934 [41 0]), commen­ tando una legge tartara di Gengiskhan che proibiva di accostarsi ai corsi d'acqua qualora vi fossero dei tuoni, Montesouieu trova una giustifica­ zione a leggi che sembrano fuori del consueto: " Allorchè una legge sembra bizzarra e non st vede che il legislatore abbia avuto mteresse a farla tale (ciò che si può presumere quando questa legge non è di natura fiscale o tirannica), si deve credere che essa è più ragionevole di quel che non sembri e che è fondata su una ragione sufficiente Questa affermazione, in contrasto con ouanto detto nel testo, sta ad indicare come in realtà non vi siano leggi che riguardano cose inòinerenti, ma che l'indagine dello scienziato debba spingersi oltre alle apparenze per investire la complessa realtà che quella legge ha prodotto. La legge tartara riportata nel passo delle Pensées è tratta da PÉTIS DE LA CRorx, Histoire du gran Genghizcan, premier empereur des anciens Mogols et TaYtares, Parigr, 1 7 r r , pp. 108-9. 2. In realtà Candidius dice il contrario, cioè che hanno indossato vesti di seta e non di tela. 3· È in Recuei ( de Voyages au Nord, Amsterdam, 1 7 1 5, tomo VII, pp. 339-40. Giovanni da Pian del Carpine, frate minore (fine sec. xn-1252) inviato nel 1 245 presso il kan dei Tartari e rientrato nel 1 247, dopo essersi spinto fino al Karakorum, autore di una Historia Mongalorum. 4· Le usanze surriferite sono riportate nella Relazione di Candidius inclusa nel Voyage de Rechteren. •.

LIBRO VENTIQUATTRESIMO

I O'J

tezza con le donne: credono persino che le licenziosità dei loro figli siano gradite agli dèi. Quando la religione giustifica azioni del genere, perde inutilmente una delle armi più efficaci che esistano. Si crede, in India, che le acque del Gange abbiano un potere santifi­ cante a: chi muore sulle sue sponde è ritenuto salvo dalle pene dell'aldilà, e andrà ad abitare una regione piena di delizie. Dalle regioni più lontane si mandano urne contenenti le ceneri dei morti per gettarle nelle acque del Gange. Che importa vivere virtuosamente o meno ? tanto ci si farà poi gettare nel Gange. La convinzione che esista un luogo di ricompensa com­ porta necessariamente anche quella della esistenza di un luogo di pena, e, quando si spera nell'uno senza temere l'altro, le leggi civili non hanno più alcuna efficacia. Coloro i quali credono nelle ricompense sicure nell'altra vita sfug­ gono al legislatore: hanno troppo disprezzo della morte. Quale mezzo può esservi di frenare con le leggi un uomo il quale crede con sicurezza che la maggior pena che pos­ sono inftiggergli i magistrati cesserà per dare inizio alla sua felicità?

CAPO XV. In qual modo le leggi civili correggono talvolta le false rdigioni 1 . Il rispetto per le cose antiche, la semplicità o la super­ stizione, hanno stabilito talvolta misteri o cerimonie che possono ferire il pudore, e gli esempi in proposito non sono rari in tutto il mondo 2. Aristotele afferma che in questo caso la legge permette ai padri di famiglia di recarsi al tempio, per celebrare i misteri, in luogo delle mogli e dei a. Lettres édifiantes, XV racc. [p. 13] . I. Il Ms. (V, fol. 1 8 1 ) ha invece: Come le leggi civili correggono la religione. 2. Cfr. XVI, 1 2, nota 1 .

PARTE QUINTA

figli •. Legge civile ammirevole, che preserva costumi contro la religione! Augusto proibì ai giovani dell'uno e dell'altro sesso di assistere a qualunque rito notturno, se non accompagnati da un parente di età più avanzata b; e, quando richiamò in vigore le feste lupercali non volle però che i giovani cor­ ressero nudi 1. c,

CAPO XVI. In qual modo le leggi religiose correggono gli inconvenienti della costituzione politica. D'altra parte, la religione può contribuire a sostenere lo Stato quando le leggi si dimostrano impotenti. Quando, per esempio, lo Stato è scosso sovente da guerre civili, la religione darà un contributo notevole ottenendo che determinate parti dello Stato restino sempre in pace. Presso i Greci gli Eleati, come sacerdoti di Apollo, godevano di una pace perpetua. In Giappone non si turba mai la pace della città di Meaco, che è considerata città santa d ; la religione fa rispettare questa norma, e quell'impero, che sembra unico al mondo, che non ha e non vuole avere alcun aiuto dagli stranieri, conserva sempre nel suo seno un tipo di commercio che la guerra non insidia. Negli Stati ove le guerre non si fanno in base ad una deliberazione comune, e ove le leggi non si sono conservato alcun mezzo di por loro fine o di prevenirle, la religione a. Poll"t. , lib. VII, cap. 17 [r336 b] . b. SVETONIO, in A ugusto, cap. 31. c. lbid. d. Recueil des voyages qui ont servi à l' étab!issemeut de la Compagnie des lndes, tomo IV, parte I, p. 127 2. L Il Ms. (V, fol. 1 82) ha « corressero nudi per le stradt' "· 2 . Nel Recueil non si dice però che Meaco (Kyoto) sia una città santa, ma questo Montesquieu l'avrà dedotto probabilmente dal fatto che essa era la residenza del Dairo, secondo quanto riferisce in Spicilège, p. r62, fondandosi sul Kaempfer.

LI BRO VENTIQUATTRESIMO

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fissa dei periodi di pace o di tregua, perchè la popolazione possa compiere quelle attività senza le quali lo Stato non potrebbe sopravvivere, come le semine e i lavori del genere. Ogni anno, per la durata di quattro mesi, ogni ostilità cessava tra le tribù arabe •: il minimo disordine sarebbe stato considerato come empietà. Quando ogni signore deci­ deva in Francia della guerra o della pace, la religione sta­ biliva tregue 1 che dovevano aver luogo in determinate stagioni.

CAPO XVII . Continuazione del medesimo argomento

2.

Quando in uno Stato esistono molti motivi di odio, bisogna che la religione offra molti mezzi di riconciliazione. Gli Arabi, popolo di briganti, si facevano spesso ingiurie e offese. Maometto stabilì questa legge b: ro Tullio, 21, so. 3· Questi estrattt delle Novelle costituiscono le cosiddette Autentiche, che per la maggior parte sono opera di Irnerio. caesus

302

PARTE SESTA

Lo stile delle leggi deve essere semplice: l'espressione diretta si comprende sempre meglio dell'espressione riflessa. Non c'è alcuna maestà nelle leggi del basso Impero, nelle quali si fanno parlare i prìncipi come dei retori. Quando lo stile delle leggi è gonfio, non le si considera che come una opera di ostentazione. È essenziale che le parole delle leggi risveglino nell'animo di tutti gli uomini le medesime idee. Il cardinale di Richelieu ammetteva che si potesse accusare un ministro davanti al re ma voleva che si punisse l'ac­ cusatore se le accuse provate non erano molto gravi, ciò che serviva ad evitare che chiunque dicesse qualsiasi verità sul suo conto, dal momento che una cosa grave è del tutto relativa, e ciò che è grave per l'uno non lo è per l'altro. La legge di Onorio puniva con la morte chi acquistava come schiavo un affrancato, o chi lo voleva molestare h, Ma non bisogna va servirsi di una espressione così vaga: la molestia che si procura ad un uomo dipende infatti intera­ mente dal suo grado di sensibilità. Quando la legge deve arrecare un sopruso, bisogna evitare, per quanto è possibile, che ciò venga valutato in denaro. Mille cause possono mutare il valore della moneta, e con la stessa denominazione spesso non si ha più la cosa di prima. È nota la storia di quell'impertinente c che, a Roma, distribuiva schiaffi a tutti quelli che incontrava, versando poi loro i venticinque soldi previsti dalla legge delle dodici tavole 1. Quando, in una legge, sono stati fissati i princìpi, non bisogna più ricorrere ad espressioni vaghe. Nell'ordinanza a,

a. Testament politique. b. A ut qualibet manumissione donatum inquietare voluerit. Appendice al Codice Teodosiano, nel primo tomo delle Oeuvres d d p. SIRMOND, p. 737· c. Auw GELLIO, lib. XX, cap. r. r. Cfr. Lex XII tab., poenae sunt.

VIII, 4:

Si iniuriam [alteri] jaxsit, viginti quinquc

LIBRO VENTINOVESIMO

penale emanata da Luigi XIV dopo la enumerazione esatta dei casi di competenza regia, si leggono queste parole: . Questa espressione risospinge nel dominio dell'arbitrario, dal quale si era appena usciti 1• Carlo VII dice di sapere che le parti promuovono appello tre, quattro, sei mesi dopo la sentenza, contro la consuetu­ dine del regno, nei paesi di diritto consuetudinario b, e stabilisce che si debba promuovere appello immediatamente, a meno che non vi sia frode o dolo da parte del procuratore o che si manifesti una evidente e grave causa di sciogliere l'appellante da siffatto obbligo. La seconda parte di questa legge distrugge la prima, e la distrusse così bene che in sèguito si promossero appelli per trent'anni d. La legge dei Longobardi vieta ad una donna di sposarsi se ha preso l'abito da religiosa, anche se non ha ancora ricevuto la consacrazione •: o , perchè dividevano col re le ammende giudiziarie r, e vediamo come sempre in ogni tempo il vassallo avesse verso il suo signore g l'obbligo di portare le armi e di giudicare i suoi pari nella curia del signore h.

a. Articoli I e 2 •; si veda anche il concilio In Verna palatio, dell'anno 845 2, art. 8. Ediz. BALUZE, tomo II, p. 17. b. O assise. c. Capitolari, lib. IV della collezione di Anzegise, art. 57; e il capitolare V di Ludovico il Bonario, dell'anno 819, art. 14, ediz. BALUZE, tomo I, p. 615. d. Si veda sopra a p. 321 la nota f. [p. 341, nota d] e p. 322, nota l [p. 342, nota c]. e. Che si possono trovare nella raccolta di GuGLIELMO LAM BARD, De priscis Anglorum legibus [Londra, 1568] . f. Si veda la voce Satrapia. g. Le Assises de Jérusalem, capi 22 1 e 2:�2, spiegano chia­ ramente ciò. h. I procuratori della chiesa (advocati) erano del pari a capo delle loro assise e delle loro milizie. ­

divisione di potere politico e potere militare che Montesquieu cercherà di introdurre fra i Germani, sulla base di una mal interpretata frase di Tacito; cfr. XXXI, 4· I. È il già citato Pracceptum primum pro Hispanis (BALUZE, I, pp. 549-51 ) . 2. In questo capitolare di Carlo il Calvo .-iene sancita l'unione di potere militare e civile del vescovo.

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345

Una delle ragioni per cui questo diritto di giustizia e quello di guidare in guerra erano così uniti consisteva nel fatto che chi capeggiava milizie in guerra faceva pagare, al tempo stesso, i diritti del fisco, consistenti in servizi di trasporto dovuti da parte degli uomini liberi, e in generale in certi profitti giudiziari dei quali parlerò più avanti. I signori avevano il diritto di rendere giustizia nel loro feudo, in base allo stesso principio per cui i conti potevano renderla nella loro contea, e, a dire il vero, le contee, nei mutamenti verificatisi nelle diverse epoche, seguirono sempre i mutamenti intervenuti nei feudi: le une e gli altri erano basati sul medesimo sistema e sui medesimi princìpi. In una parola, i conti nelle loro contee erano dei fedeli; i fedeli, nelle loro signorie, erano dei conti. Si è errato considerando i conti come funzionari di giu­ stizia, e i duchi come funzionari militari. Gli uni e gli altri erano egualmente funzionari militari e civili •: tutta la differenza risiedeva nel fatto che il duca aveva sotto eli sè parecchi conti t, per quanto esistessero molti conti che non erano sottoposti a dei duchi, come apprendiamo da Fredegario b. Si crederà forse che il regime polit•ico dei Franchi fosse quindi ben duro, dal momento che i medesimi funzionari avevano nello stesso tempo il potere militare e il potere civile sui sudditi, e in più anche quello fiscale, cosa che, come ho detto nei libri Ilrecedenti, è uno dei caratteri distin­ tivi del dispotismo. Ma non bisogna credere che i conti amministrassero da soli la giustizia, giudicando come fanno i pascià in Turchia •: essi riunivano, per decidere sulle controversie, delle specie

a. Si veda la formula 8 di MARCULFO, lib. I, che contiene le lettere accordate a un duca, a un patrizio o a un conte, con le quali veniva attribuita loro la giurisdizione civile e l'ammi­ nistrazione fiscale. b. Cronaca, cap. 78, per l'anno 636. c. Si veda GREGORIO DI TOURS, lib. V, ad annum sBo [cap. 48]. l.

Cfr. GREG O RIO DI TouRs, Histot'ia

Francorum,

VIII,

18;

I X,



PARTE

SESTA

di consessi o di assise •, alle quali partecipavano i notabili. Perchè si possa comprendere bene ciò che riguardo ai giudizi è contenuto nelle formule, nelle leggi dei barbari e nei capitolari, dirò che le funzioni del conte b, del graffio 1 e del centenario, erano le stesse; che i giudici, i rachim­ burghi e gli scabini, erano, sotto nomi diversi, le stesse persone: erano cioè gli aggiunti del conte, che ordinariamente ne aveva sette, e, dal momento che per amministrare la giustizia egli aveva bisogno di almeno dodici persone c , raggiungeva il numero necessario ricorrendo ai notabili d. Ma, a chiunque spettasse la giurisdizione, al re, al conte, al graffio, al centenario, ai signori, agli ecclesiastici, essi non giudicavano mai da soli, e questa usanza, che trae la sua origine dalle foreste germaniche, si conservò anche quando i feudi assunsero una nuova forma. Quanto al potere fiscale, esso era tale che il conte non poteva abusarne. I diritti del principe verso gli uomini liberi erano così semplici che consistevano unicamente, come già dissi, nell'usufruire di un certo numero di mezzi di trasporto in determinate pubbliche occasioni •; quanto ai diritti giudiziari, apposite leggi prevenivano le malversazioni r.

a. Mallum 2. b. Si tenga conto qui di quanto ho detto nel lib. XXVIII,

cap. 28 e nel lib. XXXI, cap. 8. c. Si vedano, su tutto ciò, i capitolari di Ludovico il Bonario, aggiunti alla Legge salica, art. 2 e la formula dei giudizi data dal DucANGE, alla voce Eoni homines. d. Per bonos homines J . Talvolta non vi erano che dei nota­ bili. Si veda l'appendice alle Formule di MARCULFO, cap. S I . e. E quei diritti sui fiumi d i cui h o già parlato [XXX, 13, p. 332, nota c] . f. Si vedano la Legge dei Ripuari, tit. 8g e la Legge dei Lon­ gobardi, lib. II, tit. 52, § g. I. Graffio è in realtà sinonimo di conte. 2. O meglio, mallus o mallobergus. Nella primitiva legislazione franca era il mallus a giudicare, mentre il conte curava solo l'esecuzione della sentenza, cfr. Lex Sal., LV, I e L, Passim. Sulle assise del conte nell'epoca postenore, cfr. quanto si è detto nella nota 2 del cap. XXVIII. 28, p. 249. 3 · Il capitolare di Lodovico il Pio ha de melioribus hominibus, che è formula equivalente.

LIBRO TRENTESIMO

347

CAPo XIX. Delle composizioni presso i popoli barbari. Poichè è impossibile approfondire il nostro diritto politico senza conoscere bene le leggi e i costumi dei popoli germa­ nici, indugerò qualche po' per fare ricerche su quei costumi e su quelle leggi. Secondo Tacito r , i Germani non conosce­ vano che due delitti degni della pena capitale: facevano impiccare i traditori e annegare i codardi: erano questi per loro gli unici delitti di rilevanza pubblica. Quando un uomo recava un torto ad un altro uomo, i parenti della parte offesa o lesa s'intromettevano nella lite, e l'odio veniva spento con una soddisfazione. Questa soddisfazione riguar­ dava chi era stato offeso, se era in grado di riceverla, e i parenti, se l'offesa o il torto riguardavano anche loro, o se, per la morte di chi era stato offeso o ferito, la soddisfazione doveva esser ad essi devoluta Secondo quanto afferma Tacito, queste soddisfazioni venivano regolate mediante un accordo reciproco delle parti: per questo motivo nei codici barbarici esse vengono chiamate composizioni. Mi risulta che soltanto la legge dei Frisoni b abbia lasciato il popolo in una situazione tale che ogni famiglia nemica si trovava, per così dire, allo stato di natura, per cui, senza esser trattenuta da alcuna legge politica o civile, poteva a suo arbitrio esercitar la vendetta fino a che non ritenesse a.

di aver ricevuto soddisfazione. Questa stessa legge fu tut­ tavia temperata: s1 stabilì che l'individuo del quale si chiea . Suscipere tam inimicitias, seu patris, seu propinqui, quam amicitias, necesse est: nec implacabiles durant; luitur enim etiam homicidium certo armentorum ac pecorum numero, recipitque satisfactionem universa domus. TACITO, De moribus Germanorum [cap. zr]. b. Si veda questa legge, tit. 2 sugli omicidii; e l'aggiunta di Wulemar sui furti 2.

I.

2.

Germania, cap. 1 2 . M a cfr. XXVIII, 1 7, p. 219, nota 4 ·

34 8

PARTE SESTA

deva la morte non potesse essere toccato in casa sua andando o ritornando dalla chiesa e dal luogo nel quale si amministrava la giustizia. I compilatori delle leggi saliche citano un'antica usanza dei Franchi b, in base alla quale chi aveva dissotterrato un •,

cadavere per derubarlo veniva posto al bando della società fino a quando i parenti del morto non avessero consentito a farlo ritornare. E poichè, prima che ciò avvenisse, era proibito a tutti, anche alla moglie, di dargli da mangiare o di accoglierlo in casa, quell'uomo si trovava rispetto agli altri, e gli altri rispetto a lui, nello stato di natura, fino a che questo stato non fosse cessato grazie alla composizione . A parte questa eccezione, risulta che i savi di diverse nazioni barbariche si preoccuparono di fare essi stessi ciò che era troppo lungo e troppo pericoloso attendere dall'ac­ cordo reciproco delle parti. Cercarono quindi di fissare un giusto prezzo alla composizione dovuta a chi aveva ricevuto qualche torto o qualche offesa. Tutte le leggi barbariche sono, a questo proposito, di una precisione mirabile : vi si distin­ guono con finezza i casi c, vi si pesano le circostanze; la legge si pone al posto di chi è stato offeso, ed esige per lui quella soddisfazione che, in un momento di calma, egli avrebbe richiesto. Fu grazie alla introduzione di queste leggi che i popoli germanici uscirono da quello stato di natura nel quale pare che ancora si trovassero ai tempi di Tacito. Rotari dichiarò, nella legge dei Longobardi, di aver aumentato l'importo delle composizioni stabilite dalle an­ tiche consuetudini per le ferite, in modo che, tacitato il ferito, cessassero le inimicizie d . In effetti i Longobardi,

a. b. c. salica , d.

A dditio sapientum, tit. r, § r. Legge salica, tit. sB. § r; tit . IJ, § 3· Si vedano soprattutto i titoli 3, 4, 5 , 6 e 7 della Legge che riguardano i furti di animali 1 . Lib. l, tit. 7, § 15.

x . In A B la nota comincia cosi: ammirevoli . Si veda ecc. •·



Le leggi saliche al riguar.do sono

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popolo povero, si erano arricchiti con la conquista del­ l'Italia, e quindi l'antico importo delle composizioni era diventato insufficiente, così che le riconciliazioni non ave­ vano più luogo. Sono convinto che questa considerazione abbia costretto gli altri capi di nazioni conquistatrici a preparare i diversi codici di leggi che oggi noi conosciamo. La composizione principale era quella che l'assassino doveva versare ai parenti del morto. La differenza di con­ dizione sociale dell'u�ciso si rifletteva sulla entità della composizione a: così, secondo la legge degli Angli, la com­ posizione era di seicento soldi per la morte di un adalingo l , di duecento per quella di un uomo libero, di trenta per quella di un servo. La entità della composizione, fissata per una determinata persona, costituiva dunque una delle maggiori sue prerogative, perchè, oltre alla distinzione che recava alla sua persona, essa gli garantiva, in mezzo a popoli violenti, una maggior sicurezza 2• La legge dei Bavari ce lo dimostra chiaramente b: essa reca il nome delle famiglie bavari alle quali spettava un risarcimento doppio, perchè erano le prime dopo gli Agilolfinghi Gli Agilolfinghi erano di stirpe ducale, e il duca veniva scelto tra loro: ad essi spettava una composi­ zione quadrupla. La composizione per il duca era di un terzo maggiore a quella dovuta agli Agilolfinghi. . (( Se un centenario - si legge nel decreto di Childeberto scopre un ladro in una centena che non è la sua, o entro i confini dei nostri fedeli, e non lo caccia, dovrà consegnare o ­

il ladro, o purgarsi con un giuramento 1>. Esisteva dunque qual­ che differenza tra il territorio dei centenari e quello dei fedeli. Questo decreto di Childeberto spiega la costituzione di Clotario d dello stesso anno, la quale, emessa per il mede­ simo caso e a proposito del medesimo fatto, non ne differisce che nei termini: la costituzione, infatti, chiama in truste ciò che il decreto chiama in terminis fidelium nostrorum. Bignon e Ducange •, i quali hanno creduto che in truste significasse il territorio di un altro re, non hanno inter­ pretato rettamente il passo 1 .

a. Tit. 3, cap. 13, ediz. LINDEMBROCH. b. Tit. 85. c. Dell'arino 595, articoli II e 12, ediz. dei capi tolari del BALUZE, tomo I, p. rg: Pari conditione convenii ut si una centcna in alia ccntena vestigium secuta fuerit et invencrit, vel in quibuscumque fidelium nostrorum termims vestigium miserit, et ipsum in aliam centenam minime expellere potuerit, aut convictus reddat latro­ nem, etc. d. Si vestigius comprobatur latronis, tamen praesentiae nihil longe mulctando; aut si persequens latronem suum comprehenderit, integram sibi compositionem accipiat. - Quod s•: in truste inve­ nitur, medietatem compositionis trustis adquirat, et capitale exigat a latrone, articoli 2 e 3· e. Si veda [DucANGE], Glossario, alla voce trustis. 1. A B cosi segue: • Ma per finire senza possibilità di discussione, la seconda razza non era, al tempo di Carlo Magno, nè nel disordine nè pros-

LIBRO TRENTESIMO

In una costituzione di Pipino a, re d'Italia, fatta tanto per i Franchi che per i Longobardi, questo principe, dopo aver stabilito delle pene per i conti e gli altri funzionari reali che prevaricassero nella amministrazione della giustizia, o che differissero il giudizio, ordina che b, qualora un Franco od un Longobardo che dispongono di un feudo non vogliano rendere giustizia, il giudice del loro distretto lo sospenda dall'esercizio del suo feudo, e, che durante questo intervallo egli stesso o un suo delegato curi l'amministrazione della giustizia. Un capitolare di Carlo Magno c dimostra che i re non esigevano ovunque i freda J. Un altro del medesimo principe d ci attesta già l'esistenza delle regole feudali e della curia feudale. Un altro di Ludovico il Bonario ordina che, qualora chi ha un feudo si rifiuti di rendere giustizia o impedisca che la si renda, si viva a discrezione nella sua dimora, fino a quando giustizia non sia resa e. Citerò ancora due capito-

a. Inserita nella Legge dei Longobardi, lib II, tit. 52, § I4. È il capitolare dell'anno 793, in BALUZE [tomo I], p. 544, art. IO. b. Et si forsitan Francus aut Langobardus habens beneficium iustitiam facere noluerit, ille iudex in cuius ministerio fuerit, contradicat illi beneficium suum, interim dum ipse aut missus eius iustitiam faciat. Si veda inoltre sempre la Legge dei Longobardi, lib. II, tit. 52, § 2 che si riferisce al capitolare di Carlo Magno dell'anno 779, art. 21. c . Il terzo dell'anno 812, art. IO z. d. Secondo capitolare dell'anno SIJ, articoli I4 e 20 [BALUZE, tomo I], p. 509. e. Capitulare quintum anni BI9, art. 23, ediz. BALUZE [tomo I] p. 6 r 7 : Ut ubicumque missi, aut episcopum, aut abbatem, aut .

sima alla sua fine; sotto il suo regno non si facevano usurpazioni. Se al suo tempo erano già stabilite le gu.. risdizioni patrimoniali, il sistema cosl comodo che viene proposto cade da sè solo. 1. A B così seguitano: Un altro capttolare dello stesso principe richiama numerosi articoli delle leggi salica, burgundica e romana, affinchè ciascuno dei suoi fedeli renda la giustizia in conformità Dopo « un altro » si ha la seguente nota: « Il secondo dell'anno 8 r 3 . Ediz. BALUZE, I, p. 506 », e dopo « ciascuno » la seguente: Ut unusquisque fidelis iustitias ila faceret, «

».

ibid.

2. Secondo tale disposizione il fredum doveva esser esatto undecumque antiquitus venire ad partem ugis solebat.

PARTE SESTA

lari di Carlo il Calvo: uno dell'anno 861 a, dal quale risulta che esistevano già in quel tempo giurisdizioni particolari, con giudici ed ufficiali alla loro dipendenza; l'altro del­ l'anno 864 b, nel quale il sovrano distingue le signorie proprie da quelle degli altri. Non conserviamo originali di concessioni di feudi, perchè essi sorsero con la spartizione che, come si sa, venne fatta tra i vincitori. Non si può dunque provare, con contratti originali, che l'amministrazione della giustizia, già agli inizi, fosse connessa con la concessione dei feudi. Ma se, nelle formule di conferma o di trasferimento a perpetuità dei feudi, si trova, come già ho detto, che già vi esisteva la giurisdizione, è evidente che questo diritto di giurisdizione doveva esser connesso al principio del feudo, e costituirne una delle prerogative principali. Ci rimane un numero maggiore di testimonianze per provare l'istituzione della giurisdizione patrimoniale delle chiese nel loro territorio, che non per provare quella dei benefici o feudi dei fedeli, e questo per due ragioni: la prima, che la maggior parte delle testimonianze che ci restano sono state conservate o raccolte dai monaci, a van­ taggio dei loro monasteri; la seconda, che essendo stato formato il patrimonio delle chiese grazie a concessioni par­ ticolari e ad una specie di deroga all'ordine stabilito, ci volevano appositi atti, mentre essendo le concessioni fatte ai fedeli, semplici conseguenze dell'ordinamento politico esistente, non c'era bisogno di ottenere, e ancora meno di conservare, una carta particolare. Spesso, persino, i re si

alium quemlibet [quocumque]; honore praeditum invenerint, qui iustitiam tacere [vel] noluit vel prohibuit, de ipsius rebus vivant quandiu in eo loco iustitias tacere debent. a. Edictum in Carisiaco, in BALUZE, tomo II, p. 152: Unus­ quisque advocatus pro omnibus de sua advocatione . . . in convenientia ut cum ministerialibus de sua advocatione quos invenerit contro hunc bannum nostrum tecisse.. . castiget. b. Edictum Pistense, art. 18, ediz. BALUZE, tomo II, p. 181: Si... in fiscum nostrum vel in quamcumque immunitatem, aut alicuius potentis potestatem vel proprietatem contugerit, etc.

LIBRO TRENTESIMO

accontentavano di fare una semplice tradizione con lo scettro, come risulta dalla vita di San Mauro. Ma la terza formula di Marculfo a ci prova a sufficienza che il privilegio della immunità, e di conseguenza quello della amministrazione della giustizia, erano comuni agli ecclesiatici e ai secolari, poichè tale formula è fatta per gli uni e per gli altri. La 1 stessa cosa si può dire della costi­ tuzione di Clotario II b.

CAPO XXIII. Idea generale del libro dell Établissement de la monarchie françoise dans le Gaules, dell'abate Dubos. '

È opportuno, prima di terminare questo libro, che io esamini un po' l'opera dell'abate Dubos, perchè le mie idee sono continuamente in contrasto con le sue, e quindi, se egli ha trovato la verità, non l'ho trovata io. Quest'opera ha sedotto molte persone, perchè è scritta con molta arte, perchè vi si suppone continuamente ciò di cui si discute, perchè, più mancano le prove più si mol­ tiplicano le probabilità, perchè moltissime congetture sono ele­ vate a princìpi, dai quali si ricavano come conseguenze altre congetture. Il lettore dimentica di aver dubitato, per comin­ ciare a credere, e, poichè Uda erudizione illimitata è posta non nel sistema, ma a fianco di esso, la mente è distratta dalle cose principali, per occuparsi soltanto di quelle acces­ sorie. D'altronde, tante ricerche non lasciano immaginare che non si sia trovato nulla: la lunghezza del viaggio fa pensare, alla fine, che si sia arrivati. Ma, ad un attento esame, quest'opera si disvela come

a. Lib. I: Maximum regni nostri augere credimus monimen­ tum 2, si beneficia opportuna locis ecclesiarum, aut cui volueris dicere, benivola deliberatione concedimus. b. L'ho citata nel capitolo precedente [p. 358, nota c]: Epi­ scopi vel potentes. 1. La frase manca in A B. 2. Le parole precedenti mancano in A B.

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SESTA

un immenso colosso dai piedi di argilla, ed è appunto pcrcht': i piedi sono di argilla che il colosso è immenso. Se il sistema dell'abate Dubos avesse avuto dei buoni fondamenti, l'autore non sarebbe stato costretto a scrivere tre pesanti volumi per provarlo: avrebbe trovato tutto nel suo stesso argo­ -mento, e, senza dover andare a cercare da ogni parte ciò che ne era ben lontano, la ragione stessa si sarebbe incari­ cata di sistemare questa verità nel concatenamento delle altre. La storia e le nostre leggi gli avrebbero detto: . In conseguenza di ciò i maestri di palazzo, che non osavano attaccare i signori, depredavano le chiese, e una delle ragioni addotte da Pipino per entrare in Neustria c fu che egli vi era stato chiamato dagli ecclesiastici per porre fine alle invadenze del re, vale a dire dei suoi maestri di palazzo, che privavano la chiesa di tutti i suoi beni. I maestri di palazzo dell' Austrasia, vale a dire la casa dei Pipinidi, avevano trattato la chiesa con maggior mode­ razione di quanto non avessero fatto i loro pari in Neustria e in Borgogna: ciò appare chiaro dalle nostre cronache d, nelle quali i monaci non si stancano di ammirare la devo­ zione e la liberalità dei Pipinidi, poichè detenevano essi stessi le cariche più elevate della chiesa. , come diceva Chilperico ai vescovi •. a.

In GREGORIO DI TouRs, lib. VI, cap. 46.

b. Per questo motivo egli annullò tutti i testamenti fatti in

favore delle chiese, e persino le donazioni fatte da suo padre; Gontrano li ristabill e fece anzi delle nuove donazioni. GREGORIO DI TouRs, lib. VII, cap. J. c. Si vedano gli Annali di Metz, per l'anno 687: Excitor imprimis querelis sacerdotum et servorum Dei, qui me saepius adierunt ut pro sublatis iniuste patrimoniis, etc. d. lbid. e. In GREGORIO DI TouRs [V, rg] .

LIBRO TRENTUNESIMO

399

Pipino sottomise la Neustria e la Borgogna, ma poichè aveva fatto ricorso, per sconfiggere i maestli di palazzo ed i re, al pretesto della persecuzione delle chiese, non poteva saccheggiarle senza contraddirsi, e dimostrare così che si prendeva giuoco della nazione. Ma la conquista dei due grandi regni, e la distruzione del partito avverso, gli forni­ rono mezzi sufficienti per soddisfare i suoi capitani. Pipino si impadronì del potere proteggendo il clero: Carlo Martello, suo figlio, non potè conservarlo che oppri­ mendolo. Questo principe, vedendo che una parte dei beni regi e dei beni fiscali era stata concessa a vita o in pro­ prietà temporanea alla nobiltà, e che il clero, ricevendo dalle mani dei ricchi e dei poveri, si era procurata una grande parte degli allodi, spogliò le chiese dei loro beni, e, poichè non sussistevano più i feudi della prima sparti­ zione, ne formò dei nuovi •. Prese, per sè e per i suoi capitani i beni delle chiese e le chiese stesse, e pose fine a un abuso che, a differenza dei mali ordinari, era tanto più facile da guarire quanto più era grave 1 .

CAPO X. Delle n"-cchezze del clero. Il clero riceveva una tale quantità di doni che, durante le tre razze, gli devono esser stati dati parecchie volte tutti i beni del regno. Ma se i re, la nobiltà e il popolo trovarono il modo di offrirgli tutti i loro beni, trovarono con la stessa

a. Karolus plurima iuri ecclesiastico detrahens, praedia fisco sociavit, ac deinde militibus dispertivit, ex Chronico Centulensi, lib. II [cap. 1]. I . La dottrina moderna, nonostante alcuni autorevoli pareri contrari, concorda nel ritenere che questa secolarizzazione dei beni ecclesiastici fosse espressione di un diritto supremo dei re franchi su di essi, e non una forma di prestito forzoso, cfr. EsMEIN, op. cit., pp. 1 26-7. Da questo punto di vista è giustificato il termine " abuso • con cui Montesquieu qualifica questo possesso territoriale delle chiese.

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SESTA

facilità anche quello di riprenderseli. La devozione fece erigere le chiese durante la prima razza, ma lo spirito mili­ tare indusse a cederle ai guerrieri, che le divisero tra i figli . Quante terre non vennero fuori dalla mensa del clero! I re della seconda razza aprirono le mani, e fecero anch'essi moltissimi atti di liberalità. Ma ecco arrivare i Normanni, i quali saccheggiano e devastano, perseguitano soprattutto i preti e i monaci, cercano le abazie, e qualsiasi luogo ove fiorisca la religione: essi, infatti, attribuivano agli ecclesia­ stici la distruzione dei loro idoli e tutte le violenze di Carlo Magno, che li aveva costretti a rifugiarsi, gli uni dopo gli altri, nel Nord 1. Si trattava di odii che quaranta o cin­ quant'anni non avevano cancellato. In questo stato di cose, quanti beni perse il clero! A stento sopravvissero degli ecclesiastici per esigerne poi la restituzione. La terza razza, nella sua pietà religiosa, ebbe quindi modo di fare nuove fondazioni e nuove distribuzioni di beni: le opinioni diffuse e seguìte a quei tempi avrebbero privato i laici di tutto ciò che possedevano, se fossero stati persone di rigida onestà. Ma, se gli ecclesiastici erano ambiziosi, anche i laici lo erano: se un uomo in punto di morte donava qualcosa, il succ �s­ sore voleva rientrarne in possesso. Non si videro che liti fra i signori e i vescovi, i nobili e gli abati, ed evidentemente gli ecclesiastici dovettero essere attaccati con una certa violenza se furono costretti a mettersi sotto la protezione di alcuni signori, i quali per un po' li proteggevano e p01 li perseguitavano. Un maggior grado di civiltà raggiunto sotto la terza razza, permetteva già agli ecclesiastici di accrescere i propri beni, quando comparvero i calvinisti, e fecero batter moneta di tutti gli oggetti d'oro e d'argento che vennero trovati nelle chiese. Come poteva il clero esser sicuro dei propri beni quando non lo era della propria esistenza ? Trattava materie di controversia e si bruciavano i suoi archivi. Cosa servì richiedere a una nobiltà continuamente in rovina ciò 1 . Cfr. nello stesso senso Pensées, III, fol. sidérations, cap. 16.

334,

n. 2036 ( 1 592) e Con­

LIBRO TRENTUNESIMO

che non aveva più o che aveva Ipotecato in mille modi ? Il clero si è sempre arricchito, è sempre stato costretto a restituire qualcosa, e si arricchisce ancora.

C APO XI .

Condizioni dell'Europa ai tempi di Carlo Martello.

Carlo Martello, che cominciò a privare il clero dei suoi beni, si trovò nelle circostanze più propizie : era temuto e amato dai guerrieri, si adoperava a loro favore; aveva il pretesto delle sue guerre contro i Saraceni a; per quanto fosse odiato dal clero, non ne aveva bisogno; il papa, al quale era necessario, gli tendeva le braccia: è nota la celebre ambasceria che gli inviò Gregorio III h, Queste due potenze furono strettamente legate, perchè non potevano fare a meno l'una dell'altra: il papa aveva bisogno dei Franchi per essere aiutato contro i Longobardi e contro i Greci; Carlo Martello 1 aveva bisogno del papa per umiliare i Greci , ostacolare i Longobardi, aumentare il proprio prestigio in patria, e accreditare i propri titoli, insieme a quelli che sarebbero potuti toccare a lui ed ai suoi figli c. Non poteva dunque fallire nella sua azione.

a. Si vedano gli A nnali di Metz [anno 732 e anno 737�· b. Epistolam quoque, decreto romanorum principum, sibi prae­ dictus praesul Gregorius 2 miserat, quod sese populus romanus, relicta imperatoris dominatione, ad suam defensionem et invictam clementiam convertere coluisset, A nnali di Metz, per l'anno 741 . Eo pacto patrato ut a partibus imperatoris recederet, FREDEGARIO [Continuationes, cap. 22] . c. Si può vedere negli scrittori di quei tempi quale impres1 . In A B si ha la seguente lezione: I Franchi avevano bisogno del papa perchè servisse loro di barriera contro i Greci e per disturbare i Longobardi; Carlo Martello non poteva pertanto fallire nella sua impresa In merito cfr. Pensées, I, p. 1 94, n. 197 ( 1 593) riguardante la politica di Carlo Magno nei confronti del papato, e I, tol. 448 v0, n . 6o6 (2047) . 2. Gregorio III, eletto papa nel 7 3 1 . Attaccato da Liutprando, inviò nel 739 un'ambasceria a Carlo Martello per chiedergli aiuto contro il re longobardo, senza però riuscire nel suo intento. «

».

PARTE SESTA

Sant'Eucario, vescovo di Orléans, ebbe una v1s10ne che colpì i prìncipi. Bisogna che io riporti, a questo proposi t o, la lettera che i vescovi riuniti a Reims scrissero a Ludovico il Germanico •, che era entrato nei possessi di Carlo il Calvo, perchè è adattissima a dimostrarci qual'era, a quei tempi, lo stato delle cose e degli animi. Dicono dunque i vescovi h che (( Sant'Eucario, rapito al cielo, vide Carlo Martello tormentato nell'imo dell'inferno per ordine dei santi che devono assistere, con Gesù Cristo, al giudizio supremo ; che era stato condannato ancor prima della morte a quella pena per aver spogliato le chiese dei loro beni, rendendosi così colpevole dei peccati di tutti coloro che invece le a ve­ vano favorite; che il re Pipino fece riunire in proposito un concilio, e fece restituire alle chiese tutto ciò che potè ancora raccogliere dei beni ecclesiastici; che, avendone potuto riavere solo una parte, a causa dei suoi contrasti con Vafrio, duca d'Aquitania, fece fare delle lettere precarie 1 per il rimanente •, e stabilì che i laici dovessero pagare una decima

sione fece sull'animo dei Franchi l'autorità di tanti papi. Seb­ bene il re Pipino fosse già stato incoronato dall'arcivescovo di Magonza, egli considerò l'unzione ricevuta da papa Stefano z come una conferma di tutti i suoi d1ritti. a. Anno 858, apud Carisiacum, ediz. BALUZE, tomo II, p. ror. b. A nno 858, apud Carisiacum, ediz. BALUZE, tomo II, art. 7, p. rog. c. Precaria quod precibus utendum conceditur, dice Cujas, nelle sue note al lib. I Dei feudi. Risulta da un diploma del re Pipino, datato dal terzo anno del suo regno, che egli non stabill per primo queste lettere precarie; ne cita infatti una fatta dal maestro di palazzo Ebroino 3, esempio poi seguito. Si veda il I. La Chiesa concedeva le sue terre a chi le deteneva, a titolo di precaria, conservandone cioè la proprietà, ed attenendone un censo annuo. Alla morte del concessionario, i beni sottoposti a precaria ritornavano alla Chiesa. 2. Pipino fu incoronato a Soissons nel 7 5 1 , ed unto a Saint-Denis nel 754 da Stefano III, papa dal 752 al 757, che si era rifugiato in Francia per sottrarsi agli attacchi dei Longobardi. 3· Maestro di palazzo di Chilperico II, da lui fatto uccidere, e poi di Teodonco III di Neustria; nel 68o sconfisse a Lucofao, presso Laon, Pipino d'Héristal.

LIBRO TRENTUNESIMO

per i beni ecclesiastici che possedevano, e dodici denari per ogni casa; che Carlo Magno non distribuì i beni della chiesa, ma che, al contrario, emanò un capitolare nel quale si im­ pegnava, a nome suo e dei suoi successori, a non toccarli mai; che tutto ciò è documentato per scritto, e che molti di loro lo avevano sentito raccontare da Ludovico il Bonario, padre dei due re l), L'ordinamento di re Pipino, del quale parlano i vescovi, fu stabilito nel concilio che si tenne a Lestines • . La chiesa se ne avvantaggiò, in quanto chi possedeva qualche parte dei suoi beni non poteva più conservarla che in maniera precaria, ed inoltre, essa ne percepiva la decima, e dodici denari per ogni casa che aveva posseduto in altri tempi. Ma si trattava di un palliativo, e il male rimase sempre. Queste norme incontrarono delle opposizioni, e Pipino fu costretto a emanare un altro capitolare b, nel quale in­ giungeva a chi possedeva beni ecclesiastici di pagare la decima e il canone stabiliti, e, inoltre, di mantenere le case del vescovado o del monastero, pena la perdita dei beni ricevuti. Carlo Magno confermò le norme stabilite da Pipino •. Ciò che i vescovi dicono nella lettera citata, che, cioè, Carlo Magno promise per sè ed i successori di non assegnare più i beni della chiesa ai guerrieri, è conforme al capitolare

diploma di quel re, nel tomo V degli Historiens de France, dei �enedettini 1 , art. 6. a. Nell'anno 743· Si veda il lib. V dei capitolari, art. 3, ediz. BALUZE [tomo 1], p. 825. b. Quello di Metz, dell'anno 756, art. 4 [BALUZE, tomo I, p. 178] . c. Si veda il suo capitolare dell'anno 803, emanato a Worms, ediz. BALUZE [tomo 1], p. 4II, nel quale egli regola il contratto precario; e quello di Francoforte dell'anno 794, art. 24 [BALUZE, tomo 1], p. 267, sulle riparazioni delle case; infine quello del­ l'anno 8oo [ibid.], p. 330. I. È la raccolta dei Rerum Gallicarum el FrancicaYum scriptores, Parigi, 1738-52, 8 voli. del benedettino MARTIN BoUQUET, continuata poi dai Maurini e dall' Académie des Inscriptions et Belles Lettres (l'a­ rigi, 1757-190 4 ) .

PARTE

SESTA

di quel principe, emanato a Aix-la-Chapelle, nell'anno 803, fatto per calmare i terrori degli ecclesiastici a questo pro­ posito, ma le donazioni già fatte rimasero in vigore • . I vescovi aggiungono, e con ragione, che Ludovico il Bonario seguì la linea di condotta di Carlo Magno, e non cedette mai ai soldati i beni della chiesa. Ciò nonostante i vecchi abusi si accrebbero in modo tale che, durante il regno dei figli di Ludovico il Bonario, i laici stabilirono o cacciarono dei preti dalle loro chiese, senza il consenso dei vescovi b. Le chiese venivano divise tra gli eredi •, e, quando erano tenute in maniera indecente, i vescovi non avevano altra risorsa che ritirarne le reliquie

d.

Il capitolare di Compiègne • stabilì che l'inviato del re avrebbe potuto visitare tutti i monasteri col vescovo, d'ac­ cordo e in presenza di chi ne aveva il possesso r: questa regola generale prova che generale era l'abuso. Non si può dire che mancassero leggi per la restituzione dei beni alle chiese. Avendo infatti il papa rimproverato i vescovi per la loro negligenza nel riprendere possesso dei monasteri, essi scris3ero a Carlo il Calvo di non essere stati colpiti dal rim­ provero, perchè non erano colpevoli, e lo informarono di ciò che era stato promesso, deciso e stabilito in tante assemblee della nazione g_ Ed effettivamente, essi ne citano nove. a . Come risulta dalla nota precedente e dal capitolare di Pipino re d'Italia, nel quale è detto che il re darà in feudo i monasteri a coloro che si commenderanno per dei feudi. Capito­ lare che è aggiunto alla Legge dei Longobardi, lib. III, tit. r, § 30, e alle leggi saliche, raccolta delle leggi di Pipino, in EcHARD, p. rgs, tit. 26, art. 4· b. Si veda la costituzione di Lotario l, nella Legge dei Longobardi, lib. III, legge I, § 43· c. Ibid., § 44· d. Ibid. e. Emanato nel ventottesimo anno di regno di Carlo il Calvo, nell'anno 868, ediz. BALUZE [tomo Il], p. 203 [art. r]. f. Cum concilio et consensu ipsius qui locum retinet. g. Concilium apud Bonoilum, del sedicesimo anno di regno di Carlo il Calvo, anno 856, ediz. BALUZE [tomo II], p. 78.

LIBRO TRENTUNESIMO

Si continuò a discutere a lungo, poi arrivarono manni, e misero tutti d'accordo 1 •

N or-

CAPq XII. Istitu:!ione delle decime. Le norme stabilite durante il regno di Pipino avevano dato alla chiesa la speranza di un miglioramento, piuttosto che un miglioramento effettivo, e, come Carlo Martello trovò tutto il patrimonio pubblico nelle mani degli ecclesiastici, Carlo Magno trovò i beni degli ecclesiastici nelle mani dei guerrieri. Non si poteva costringere questi ultimi a restituire ciò che era stato loro donato, e le circostanze in cui ci si trovava allora rendevano la cosa ancora più inattuabile di quanto non lo fosse già per sua natura. D'altro lato, il Cristianesimo non doveva perire per mancanza di ministri, di chiese e di norme a. Per questo motivo 2 Carlo Magno introdusse le decime h, nuovo genere di ricchezza, il quale ebbe, per gli ecclesiastici il vantaggio che, essendo assegnato singolarmente alla chiesa, fu più facile in sèguito riconoscerne le usurpazioni. Si sono voluti attribuire a questa istituzione inizi ben più remoti, ma le autorità che si citano mi semhra costi­ tuiscano una solida testimonianza proprio contro chi se ne

a. Durante le guerre civili che ebbero luogo ai tempi di Carlo Martello, i beni della chiesa di Reims furono dati a dei laici. Si lasciò il clero , ha aggiunto: >. Ora, ci si chiede, quale è questa religione di cui parla l'autore ? Si tratta senza dubbio della religione naturale: egli quindi non crede che nella religione naturale. RISPOSTA.

Supponiamo ancora per un istante che siffatta maniera di ragionare sia buona e che, per il fatto che l'autore in quel passo avrebbe parlato soltanto della religione naturale, si potesse trarre la conclusione che egli crede soltanto nella religione naturale escludendo la religione rivelata. Affermo che in quel passo egli ha parlato della religione rivelata e non di quella naturale, poichè se avesse parlato della reli­ gione naturale, sarebbe un idiota. Sarebbe infatti come se

A P PENDICE

II

477

avesse detto: un essere siffatto poteva facilmente dimenti· care chi lo ha creato, vale a dire dimenticare la religione naturale; Dio lo ha richiamato a sè con le leggi della religione naturale: cosicchè Dio gli avrebbe dato la religione naturale per perfezionare in lui la religione naturale. In tal modo, per poter dire delle invettive all'autore, si comincia con il togliere alle sue parole il senso più chiaro del mondo, per dar loro quello più assurdo; e, per poterlo combattere più facilmente, lo si priva di senso comune. OTTAVA OBIEZIONE.

L'autore ha detto parlando dell'uomo: . >. -

RISPOSTA E SPIEGAZIONE.

Al capitolo 12 del libro XIV (pagina 23, riga 7, titolo) alle parole « che si suicidano >> ho apposta la seguente nota: « L'atto di coloro che si suicidano è contrario alla legge naturale e alla religione rivelata >>. Nello stesso libro, stesso capitolo (pagina 24, riga 12) invece dell'espressione: >, ho messo: « hanno avuto delle ragioni >>. Quanto alla censura del capoverso tratto dal libro XXIX, capitolo 9, l'autore dello Spirito delle Leggi ha ragione di lamentarsi, poichè non vi sarebbe potuta essere censura se coloro che hanno estratto il capoverso censurato vi avessero unito quello che lo precede. Ed eccone le prove. Nei due suddetti capoversi si parla del suicidio presso i Romani: nel primo si parla del suicidio ai tempi della Repubblica; nel secondo del suicidio ai tempi dei primi Imperatori. Ho Tomo II, pp. 23 e 24: lib. XIV, cap. 12. b. Tomo III, p. 286: lib. XXIX, cap. g.

a.

APPENDICE

II

53 1

detto che ai tempi de-lla Repubblica non vi era a Roma alcuna legge contro coloro che si suicidavano. Ora dire che non vi era a Roma nessuna legge sul suicidio significa, senza possibilità di equivoco, riferirsi ad una legge civile, poichè la legge naturale non può essere una legge locale. Pertanto dal capoverso che precede, e che vien letto immediatamente prima del capoverso censurato, appare che io ho detto che, ai tempi della Repubblica, non esisteva alcuna legge civile a Roma contro coloro che si suicidavano. Nel capoverso successivo parlo dei tempi dei primi Imperatori ed affermo che non vi era alcuna legge contro coloro i quali si suicida­ vano. È vero che non ho ripetuto la parola . RISPOSTA E SPIEGAZIONE.

Quel che io ho chiamato virtù nelle repubbliche è l'amore della patria, cioè l'amore dell'uguaglianza. Non è quindi una virtù morale, nè una virtù cristiana; è la virtù politica. Se mi sono servito della parola virtù, ne ho tuttavia spiegato il significato, bisogna quindi attenersi alla mia defimzwne. Ho spiegato tutto ciò nel primo dei miei Chiarimenti, pub­ blicati in appendice alla mia Difesa contro il Gazzettiere ecclesiastico (pagina 199 2) ; in esso sono citati tutti i passi del mio libro che spiegano quanto sopra. È quindi essenziale che si legga il suddetto Chiarimento. Tomo I, p. 44: lib. I I I, cap. 5 · b. Lib. III, cap. 6 [tomo I] p. 47· a.

1. C fr p. 479· Cfr. pp 5 1 8-g. .

2

A PPEND!CE

Il

533

Questa virtù politica, che è l'amor di patria o dell'ugua­ glianza nella Repubblica, è la forza che fa agire il governo repubblicano, come l'Onore è la forza politica del governo monarchico. Ciò che fa sì che queste forze siano differenti è il fatto che, nella Repubblica, colui il quale fa eseguire le leggi si rende conto che sarà loro sottoposto e ne sentirà il peso anche lui. Bisogna quindi che ami la patria e l'egua­ glianza dei cittadini, per esser portato a fare eseguire le leggi; senza di ciò le leggi non saranno eseguite. Così non è nella monarchia. Perchè le leggi vengano applicate basta che il monarca voglia farle applicare. Questi princìpi sono di una fecondità così grande che informano quasi tutto il mio libro. Se, da principio, delle persone che non li avevano ancora capiti hanno mosso loro qualche obiezione, si son dovute ben presto arrendere, e i miei princìpi sono oggi capiti, conosciuti e accettati dappertutto. Ma per togliere definitivamente ogni scrupolo fin dalle radici, aggiungerò questa spiegazione al mio primo Chiarimento 1 • · 2° Per togliere ogni idea che anche la virtù politica della Repubblica sia esclusa dalla Monarchia, ho fatto un'ag­ giunta al capitolo 5, il cui titolo costituisce l'inizio della proposizione estratta e suona: La virtù non è il principio del governo monarchico; ho aggiunto alla fine del capitolo, dopo le parole: , ho aggiunto, ripeto: . 3° Per spiegare le seguenti parole: >. Oggigiorno riteniamo invece che un simile r. Il problema generale del vendere o del comprare a prezzo diverso dal reale è trattato in Summa Theol., II, II••, q. 7 7 . art. 1, che cosi con­ clude: u Quamquam emere quidpJam vilius ouam valeat. seu vendere carius, secundum se illicitum et iniustum sit, potest tamen per accidens sec-undum conditiones ementis ac vendentis, et illorum indigentiam, licite aliquid carius vendi, ac vilius emi quam secundum se valeat: scmper autem peccatum est ubi aliqua circa hoc fraus contigerit >. Cfr. anche Seni. IV, dist. 25, q. 3 , art. r .

APPENDICE II

539

contratto sia strozzinesco, e la ragione ne è evidente. Chi vende il suo grano più caro di quanto non valga (in genere lo si vende a siffatte condizioni a dei poveracci) è ben sicuro, per l'ipotesi fatta, che il suo grano non vale quanto egli lo vende; ma non è sicuro che esso varrà altrettanto al mo­ mento del pagamento. E perchè le nostre leggi dichiarano strozzinesco questo contratto ? Proprio perchè è contrario alla carità cristiana. Nel capitolo ro dell'opuscolo citato di San Tommaso si afferma ancora che (in virtù dei princìpi filosofici) è colpe­ vole di usura il mercante il quale venda le sue mercanzie ad un prezzo più alto di quanto non valgano, giustificandosi col fatto di venderle a credito, poichè l'usura è fondata sul tempo e San Tommaso cita il canone Extra eodem; ma, afferma ancora est contra hoc consuetudo generalis, quae videtur et toleratur ab Ecclesia. Non ho detto nulla di più spinto di ciò quando ho affermato che gli Scolastici furono obbligati a moderare i loro princìpi (filosofici) a causa delle conseguenze che avrebbero avuto nell'ordine politico e civile. Mi son dilungato in spiegazioni che sono tuttavia inutili poichè, per togliere ogni ombra di difficoltà ho modificato ·così il testo: . Seconda parte della propos,izione condannata: . Risposta. La Facoltà di Teologia condanna, ancora una volta, un fatto. Questo fatto è vero; bisogna documentarlo. L'imperatore Basilio aveva emanato una legge che proibiva di esigere un interesse in qualsiasi caso: . Questa legge è ripor­ tata in Ermenopulo t, lib. III, tit. VII, § 27, ma sotto il I. Montesquieu si riferisce qui al Manuale legum .sive Hexabiblos di AR11ENOPULO. La il"gge citata, che si trova al paragrafo 24 e non al 27,

S'IO

APPENDICI

nome di Leone 1, che regnò con Basilio suo padre; in realtà la legge in questione non è di Leone, ma di Basilio, come ognun sa e come si vedrà in sèguito. La legge di Basilio proibiva dunque di ricevere un inte­ resse indefinitamente ed in qualunque caso. L'imperatore Leone fece un'altra legge •, nella quale, dopo aver esaltato la nobiltà e la sublimità della legge paterna, afferma che essa ha causato mali gravissimi, che i prestiti dappertutto son cessati e che l'Impero ne ha sofferto talmente da costrin­ gerlo a revocare quella legge sublime accontentandosi di ridurre l'usura dal 12 al 4% all'anno. Leone aggiunge che sarebbe da augurarsi che le cose terrene fossero governate dallo Spirito, ma che, data la perversità degli uomini, ciò è impossibile, ecc. Siamo di fronte a un legislatore che ha pesato ed esaminato le cose, che vorrebbe seguire e mante­ nere la legge di suo padre Basilio e non può a causa dei mali da essa provocati, finendo quindi con l'abrogarla a causa dei suddetti mali. Questa legge è la Novella LXXXIII di Leone, che si trova nel Corso di Diritto romano ed è stata riportata qui. Non si tratta qui di sapere se Leone fece bene a permettere l'interesse del 4% all'anno in tutti i casi, o se sarebbe stato meglio distinguere i casi in cui si poteva esigere un interesse e quelli in cui non si poteva riceverlo secondo la legge evangelica. Il fatto è che egli a.

Eccola per disteso

fu emanata da Basilio

I

2.

il Macedone ( 8 1 2 c. - 886) . salito sul trono d' Oriente

ne11'8o7 dopo aver fatto ucciaere Michele IIL La Citazione che di questa legge dà Montesquieu non è letterale, eccone il testo: E/si multis a?Lie 11os

1>1acuit usurarum soluttonem esse admittendam. forte ob leneratorum auritiem et erudehtatem, nos tamen eam ut nostra republica CM·isllana indignam abommandam censutmus, quippe divino iure prohibitam. Quat>ropter sere­ nltas nostra sancii, ne cui umquam in quacumque causa usuram accipere liceat, ne iura custodientes legem transgredtamur: sed et si quis quantulum­ cumque acceperit, in sortem imputabitur. 1. È Leone VI il Saggio (866-gu ) , figlio di Basilio e di Eudocia lnge­ rina, salito al trono ne11 ' 8 8 6. 2. II testo della Novella non è riportato nè dal Barckhausen nè dal Caillois, Lipsia, sempre Berlino,

vedilo in K. E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Jus gmeco-romanum, 1 856-84: Nov. Const. Collatio II, nov. 8 3 . Su questa legge cfr., dello ZACHARIAE, · la Geschichte des Griechisch-romischen Rechls, 11l52, pp. 23-4 e 3 1 2 .

APPENDICE I I

revocò la legge del padre a causa dei mali da essa provocati. Per p�rte mia non ho fatto che riportare quanto ebbe a dire Leone. Egli riferisce un fatto storico, e così ho fatto io; fatto storico così positivo che ne risultò una disposizione generale per tutto l'Impero d'Oriente. L'imperatore Leone regnava ai tempi di Ludovico il Bonario e non pare che la legge di Leone abbia oltrepassato i confini dell'Impero d'Oriente. Ma è certo che la rigidità degli Scolastici fu assai grande; è certo che il commercio si spense quasi dappertutto; che i popoli furono afflitti da usure spaventose, proprio per le ragioni che ho enunciate nel libro XXI, al capitolo r6 t, e nel libro XXII, al capi­ tolo rg: infatti non avendo i Cristiani alcun modo per prestar danaro, non essendo a quei tempi fissati quei casi in cui oggi l'interesse è permesso (come nel caso di costituzione di rendite e di lucrum cessans et damnum emergens) ed essendo in uso la decretale Naviganti e altre disposizioni del genere, tutto cadde nelle mani degli Ebrei i quali causarono i mali che ognun sa. È dunque vero che io non ho fatto che riportare un fatto storico, fatto tutt'altro che calunnioso dappoichè è vero. Non posso impedirmi di fare la seguente riflessione. Tutti , in Francia, sono d'accordo riguardo alla dottrina relativa all'usura. Nessuno nega che essa sia contraria alle leggi evangeliche; al riguardo vi è un accordo ammirevole fra teologi e tribunali. Se tutti quindi se ne stanno in pace, perchè turoar questa pace ? QUATTORDICESIMA PROPOSIZIONE.

>. . Riguardo alla VIII sessione del concilio di Costanza, citata nella censura, se la Facoltà esamina la cosa con mag­ gior ponderatezza, vedrà che tale sessione non è applicabile affatto in questo caso, e si renderà conto dell'offesa che mi ha fatto. La citata sessione VIII condanna 45 proposizioni di Wiclef, le quali sovvertivano tutta la gerarchia ecclesiastica e la Chiesa stessa. Costui pretendeva che tutto l'ordina­ mento attuale, Papa, Chiesa romana e tutti i religiosi, venisse dal Demonio (si vedano le proposizioni 36, 37, 38, 39, 40); e siccome i monaci facevano parte di questo ordinamento, sosteneva che tutti i monaci erano in stato di dannazione; e siccome considerava lo stato di mendicità dei monaci come cosa diabolica, li esortava al lavoro manuale: . . . Appare chiaro che i due membri di quest'ultima propo­ sizione si riferiscono l'uno all'altro; che le parole fratres teTHILLIER DE RANCÉ (x6z6-x 7oo), abate e riformatore della Trappa, il quale sosteneva cne i monaci dovevano dedicarsi solo al1e onere manuali, abbandonando gli studi. Al Rance nspose u celebre erudito benedettino j EAN MABILLON ( r 6JZ- I 707) col suo 1 Yailé des éludes monasltques (Parigi, x 6g x ) . La polemica continuò con la Reponse au TMilé des éludes mona­ sliques (Parigi, r6gz, del R.'I.NCÉ e con le Réfle:nons sur la reponse de M. l'abbi de la TYappe au Tratlé des étuaes monastiquei (Parigi, 1692) del MABILLON.

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APPENDICI

nentur per labores manuum victum acqztirere, si riferiscono a quelle: et non per mendicitatem. Ora nella mia proposizione non vi è neppure una parola riguardo alla mendicità. 2° Ap­ pare chiaro che la proposizione citata si riferisce a tutte le altre, soprattutto alla 45a., secondo la quale gli ordini monastici erano stati introdotti tutti dal Demonio, e alla 34a.: . Il Concilio non condanna quindi il lavoro manuale, ma soltanto le eresie di Wiclef, nelle quali egli aveva fatto anche parola del lavoro manuale. E come avrebbe potuto, infatti, il Concilio condannare una pratica che sapeva esser quella di tutti i primi monaci cristiani ? Quando i più abili scrittori di quest'ultimo secolo hanno detto che talune decretali erano false, e quando queste false decretali sono state riconosciute tali dal consenso unanime dei dotti, si è forse obiettato loro la 38a. proposizione con­ dannata in Wiclef: ? No, evidentemente; perchè si è capito che il Concilio non si era messo ad esaminare se tutte le decretali comprese nella raccolta a noi giunta fossero vere, ma aveva sempli­ cemente condannato una proposizione che era connessa con le altre 44 di Wiclef. Badiamo ai fatti e distinguiamo le cose! Dire che la Chiesa non ha il diritto di istituire degli ordini monastici; che non aveva potuto stabilire i voti dei monaci; che la loro istituzione è contraria alla religione di Gesù Cristo: sono proposizioni tutte già condannate e che la Facoltà di Teologia farà bene a condannare. Ma se la Facoltà esce da questo campo per entrare in argomenti che riguardano soltanto l'attività dello Stato, e sono puramente politici, non vi è dubbio che non può farlo. Chi può dubitare, per quanto gli ordini monastici siano stabiliti dalla Chiesa, che il Principe non possa statuire al loro riguardo tutto quanto attiene al bene dello Stato e dell'ordine esterno: !imitarne il numero, la loro facoltà di acquisire; e se il Principe può farlo, gli scrittori di politica non meritano di esser censu­ rati per aver esaminato siffatti argomenti. Tutto quello che si può esiger da loro è che ne parlino con prudenza e

APPENDICE Il

545

rispettino sempre delle istituzioni che la Chiesa ha ritenuto fossero utili alla salute delle anime, accordando loro il favore che meritano le loro preghiere, la regolarità della loro vita e le intenzioni lodevoli per le quali sono state fondate. Si può dire che l'autore dello Spirito delle Leggi ha par­ lato in proposito con moderazione. Del resto, siccome egli crede che nel momento attuale sarebbe opportuno non parlare di simili argomenti, non ne parla che costrettovi per legittima difesa; nè ne avrebbe parlato se questi argomenti non fossero rientrati nel quadro generale della sua opera. Infine, per eliminare quanto può spiacere, si è mutata 1 la frase censurata così: >.

RISPOSTA E SPIEGAZIONE.

Vi sono delle epoche nelle quali taluni delitti diventano più frequenti di altri, come avvenne appunto per gli aborti al tempo di Enrico II. Il male si estese talmente che si ritenne opportuno porvi un argine con una legge che col­ pisse il più fortemente possibile gli animi. Enrico II ordinò quindi che ogni ragazza-madre, la quale non avesse rivelato al magistrato la sua gravidanza, sarebbe stata condannata a morte qualora il figlio venisse a perire. Questa legge per­ tanto non condannava soltanto ogni ragazza-madre che avesse praticato l'aborto, ma ogni ragazza che non avesse a. I.

Tomo III, p. 74: lib. XXVI, cap. 3· La modificazione non è stata tuttavia apportata nell'ediz:. definitiva.

APPENDICI

dichiarato la propria gravidanza al magistrato nel caso in cui il figlio fosse venuto a perire. Siffatta legge venne chia­ mata in sèguito una legge di furore, e, col venir meno delle ragioni che ne aveva.Do determinata una sì grande severità, l'uso ne ha mitigato il rigore. Tanto che se il parroco di una parrocchia ha trascurato di render pubblica dal pulpito siffatta legge, come sarebbe suo obbligo di fare, i Parlamenti pronunziano di rado la pena di morte, perchè si ritiene che non possa venire in mente ad una ragazza di andare di sua volontà a dichiarare la propria vergogna, cosa contraria al pudore naturale. Ed ancora, se non appare dai processi verbali dei chirurghi o dalla deposizione dei testimoni che vi sia qualche segno di violenza sul corpo del neonato, non mi risulta che sia stata condannata a morte nessuna ragazza­ madre, per quanto non abbia dichiarato al magistrato la propria gravidanza. Di che cosa dunque si questiona? Apparentemente la Facoltà ha voluto censurare la proposizione soltanto nel caso in cui contenga nn'approvazione dell'aborto o una disapprovazione del fatto che si punisca l'aborto: ciò che non è; o piuttosto perchè dalla citata proposizione si potrebbe indurre che è lecito alle ragazze-madri di praticare l'aborto, cosa anche questa non vera, tanto è vero che non se ne parla nemmeno. Non si può presumere che la Facoltà di Teologia abbia preteso che la disposizione della legge di Enrico II sia talmente necessaria - così come è e senza possibilità di modificazioni - che il Principe non possa mutarla, e che la Facoltà abbia voluto o potuto decidere la questione, per le ragioni a tutti note. D'altronde non vi è forse nna notevole differenza fra l'approvare un delitto e il dire che la pena prevista è troppo grave, o che quel delitto non deve esser punito in quella maniera, che occorre un dato genere di punizione e non un altro ? Se dicessi che il furto non deve esser pnnito di morte, ma del doppio o del quadruplo, come avveniva presso i Romani, si potrebbe forse ritenere a buon diritto ch'io ho voluto approvare il furto? Siffatti argomenti non sono forse nel novero di quelli lasciati all'abituale discussione degli uomini? Ma la qualifi-

APPENDICE

Il

547

cazione della Facoltà sembra voler gettare un'ombra odiosa sull'autore, là dove si afferma che la proposizione in que­ stione suona ingiuriosa per il Principe. I principi non sol­ tanto fanno le leggi, ma le mutano anche; e mai nessun principe ha disapprovato che si discutesse se una legge, buona in un dato tempo, poteva esser mutata in maniera più vantaggiosa per lui. È proprio questo tipo di disamina che può esser utile agli uomini. Se i ragionamenti fatti in proposito non sono fondati, vengono trascurati; se sono giusti, si può farne uso. Non si fa alcuna ingiuria al Principe dicendo che sarebbe opportuno modificare una legge: poichè se la si muta, è lui che la muta. Ma se, al contrario, la pro­ posizione condannata ha tutte le qualificazioni attribuitele nella censura, ne consegue che il Principe non può più fare una legge per togliere la pena di morte, commutandola in un'altra, senza cadere sotto tutte le imputazioni di simili qualificazioni. Di modo che avrà le mani legate proprio nel campo che costituisce il principale attributo della sua sovranità, cioè il suo potere di fare le leggi. E sorvolo su queste cose. DICIASETTESIMA PROPOSIZIONE.

« I Cananei furono distrutti perchè erano piccole mo­ narchie non confederate, e che non si difesero in comune a 1>.

RISPOSTA E SPIEGAZIONE.

Dio non opera le sue meraviglie sempre nella stessa maniera. Talvolta agisce direttame:Q.te: 11

427, 428, 429, 43 I ' 433 , 434, 435· 447· 448. Barbeyrac J ., 25 3 . Barbot J., 16, 34· Barckhausen H . , 12, 23, 37, 39, 44; vol. Il: J 07, 453 · 52 1 , 540. Baronia C., 475· Barrière Pierre, 8, 9, 14, 39· Barrillot, 44, 53; vol. Il: 463. Barthélemy Saint-H ilaire, 6 1 . Bartholin Thomas, vol. I l : I I 2. Basilio l, imp. d'Oriente, I So, 6o i ; vol. I l : 5 3 9-40. Basilio, principe d'Etiopia, vol. Il: 95· Bath , William Pulteney lord, 368, 376; vol. Il: 38. Baum J. A., 43· Bayle P., 1 1 , 57; vol. Il: 64, 92, 93, 98, Il l, I 45, 465, 469, 4 73 , 474, 485, 486-7. Beaumanoir (de) Ph., I 7o; vol. I I : I S2, I 64, 2 I 9, 22 I , 226, 227, 229, 23 0, 23 I , 234· 23 5 · 23 6, 237· 23 8, 239· 240, 24 I , 242, 243· 244 · 246, 2S I , 252, 253· 254· 255· 256, 257· 258, 260, 262, 263 , 267, 270, 27 I , 2J2, 273· 276, 277· 2J8, 280, 28 I , 282, 284, 286, 443 · 445· Beauveau (de) H., 76. Beccaria C., 168. Bégon Miche!, vol. Il: 61. Bellièvre (de) N., I 64. Bemont Charles, vol. Il: 12. Benedetto Levita, vol. I l : 208. Benoìt de Sainte Maure, vol. Il: 233· Bentinck, 3 56. Berengario, vol. I l : 4 15. Benrekassa G., 43· Bernard Samuel, vol. I l : 28. Bernardo, re d'I talia, vol. I l : 4 I 5. Bernier F. , 24, I 4 1 , I 58, 3 86, 3 92, 40 I , 545, 550; voi. I l : I I 6 , I I 8.

555

Berselli-Ambri P., 4 1 . Berta, vol. I I : 422. Berthier, 322; vol. I l : y8, 520. Berwick (di), 51 1; vol. I l : 101. Besta E., vol. I l : 1 98. Beyer C. J . , 42, 43· Bezenval, 254· Bickart R., 77· Bignon J., vol. I l : 205, 3 60. Bloch Ma re, vol. Il: 286, 329, 370, J96, 4J 0, 4J 8, 440, 442, 443 · Boccalini T., 228. Bocchoris, 54 I . Bochard S., 556. Bodio J ., 250, ]69, ]81 . Bodogast, vol. I l : 193 · Boileau N., vol . I l : 474· Bolingbroke H., 64, 5 I 5· Bolland, vol. Il: 358. Bonno G., 40. Borbone (di) Gastone, d uca d'Orléans, 333· Borbone Luigi di Condé d uca di, vol . Il: 30. Borgia Cesare, vol. Il: 3 09. Bosone, conte delle Ardenne, vol. I I : 4 I S. Bossuet J. B., 51, 63, 102, 1 04; vol. Il: 92. Bouchet, 401 . Bougerel J ., 3 26. Boulainvill iers (de) H., 28, 279, 289, J 6o, J64, ]68, 545; vol. I l : I I 7, 286, 3 15, 3 20, J 2 I , J22, 3 76, ]89. Bouquet M., vol. I l : 403. Boutillier, I 7o; vol. Il: 260, 262, 264, 267, 277, 28o, 28 I , 286, 449· Bowle J., 12. Boyer N., vol. Il: 450. Boyer de Pébrandé, 381. Brethe de La Gressaye J . , 5, 16, 23, 38, 78; vol. Il: 521 . Broek (van den) P., 158; vol. I l : 150.

ss6

I N D I C E DEI 1\:0MI

Brooks A., 434· Brunechilde, vol. I l : 3 78-82, 3 84, 3 86, 3 87, 3 9 I ' 427. Brunner, vol . Il: J l7· Brussel, 598, 599; vol. Il: 257, 45°· Bruto L. Giunio, 85, 3 1 0, 3 I I , 34 I , 585. B ruto, M. Giunio, vol. I l : 47· Bruzen de La Martinière, 225, 573 · Budé Guillaume, 38; vol. I l : 3 2, 275· Bul keley (di) F. , 5 I I . Burnet G . , 33 6; vol. I l : 62, 88. B urzeis (de) A., 90. Butler J., 520. c

Cabee n D. C., 39, 4 1 . Caerden (van) P., vol. I l : 150. Caillois R., 38, 44, 590, 6o8; vol. Il: 307, 453, 521 , 540. Caligola , 85, I 49, 232, 3 55· Calvino, vol. Il: 97· Cambise, 569; vol. I l : I 5 I , 1 6o. Cam-hi, 23 1 . Camoens, 6o2. Candidius, vol. I l : 1 06. Canghi, imp. della Cina, 268. Canisio P., vol. I l : 405. Caracalla, I 49; vol. Il: 34, 3 08. Carcassone E., 38, 40, 230, 495· Cariberto, vol. Il: 333 · Carlo V d'Asburgo, 6o2, 607. Carlo VI d'Asburgo, vol. I l : 1 72. Carlo Magno, 29, 227, 25 I , 3 6 I , 454 > 476, 481, 484; vol. I l : 83, 134, I 94, 202, 208, 209, 2 I O, 2I I, 2 I 2, 2 16, 224, 225, 227, 229, 23 2, 248, 249, 266, 3 08, 33 0, 33 I ' 33 2, 334, 335, 33 6, 33 7 ' 34o , 34 I ' 342 ' 350, 35 I '

3 54, 3 56, 3 58, 359, 360, 3 6 I , 3 75, 3 76, 396, 397, 400, 401 ' 403 , 404, 405, 406, 407, 408, 409, 4 I O, 4 1 1 , 4 I 2, 4 I 3 , 4 I 4, 4 I 5-7 · 4 I 8, 419, 420, 42I, 422, 423, 427, 428, 429, 43 I , 433 , 4 39· 440, 44 I . Carlo Martello, vol. I l : I 94, 203 , 3 92, 394, 399, 40 I ' 402, 405, 408, 409, 4 1 0, 4 I I , 42 I , 423 , 428, 434· Carlo i l Calvo, 4 8 7 , vol. Il: 204, 205, 209, 248 , 3 29, 33 2, 333 , 33 5, 33 6, 342 , 343, 344, 3 59, 3 62, 3 70, 3 76, 402, 404, 4 1 0, 4 1 4, 41 5 ' 422 , 423 , 424, 425, 426, 427, 429, 43 ° , 43 1 • 433· 435, 436· 438, 439, 44 1 , 448. Carlo il Grosso, vol. I l : 4 I 5. Carlo i l Semplice, re di Francia, vol. I l : 438, 440. Carlo I V, re di Francia, vol. I I : 264. Carlo V, re di Francia, 245, 484. Carlo VI, re di F rancia, 599· Carlo VII, re di Francia, vol. I I : 287, 3 03 . Carlo V I I I , re di Francia, vol. I I : 287. . Carlo IX, re di Francia, J O I ; vol. I I : 84, 26o, 284, 305. Carlo I, re d'I nghilterra, 2 I 8, 345· Carlo II, re d'Inghilterra, I 8 o . Carlo X I I , re di Svezia, I 3 7, I38, 26 1 , 263. Carlo il Temerario, duca di Bor­ gogna, 261. Carlomanno, re d'Italia, vol. I I : 3 95· Carlomanno, re dei Franchi, vol. II: 4 I3. Carlomanno, re di Germania, vol. II: 426. Caronda, 3 22.

Il' D ICE DEl NOMI

Carvilio Ruga, 446, 447· Casaubono, vol. I l : 506. Casini P., 43· Cassio, 33 9, 344· Cassio Cherea, 3 55· Cassiodoro, 4S o , 4S3 , 4S5, 488; vol. I l : 207, 225, 3 23 , 3 2S. Cassirer E., 2 I . Castel L . B . , 1 08. Catel (de) G., vol. I I : 203 . Caterina I, imp. di Russia, 208. Catilina, 1 26. Catone, 2 I , 90. Catone Uticense, 255; vol. I l : I 67. Cavade, re di Persia, 356. Céleste R., 3 7· Cerati G., I6; vol. I l : I92, ] 10. Cesare, S5, I 59, I 7S, 22 I , 255, 267, 3 05, 342, 3 76, 473> 474 > 4S6, 490, 49 I , 52S, 53 0; vol. I l : I 2, 70, I 97> 292, 3 1 1 , 3 I 2, 3 1 4 , 3 I 6, 473 > 477· Chaix-Ruy J., 4 1 . Chalons V. , vol. I l : 4I2. Chard in J., 24, S I , 94, 95, I37, I 3 S, IJ 9, I40, I4I, I47> 3 56, 357, ]67, 376, ]8I, ]82, 4 I 6, 434, 442, 566; vol. I l : 4 I , 8o, 87, I02, IO], I I S. Charlevoix P., 269; vol. I l : 67. Charondas le Caron, vol. I I : 262. Chesterfield, 35· Chevallier J.-J., 4 1 . Childeberto I , 4S4; vol. I l : I9], 1 96, 3 I 4, ]2], 326, 427. Childeberto I I , 477, 4S3 , 4S5; vol. I J : 33 9> 34 I > 3 6o, 3 72> 3 75, ]86, 3 93 · Childerico, 4S2; vol. I I : 3 66, 3 69, 3S4. Childerico II, vol. I l : 385. Chilperico I, re di Soissons, vol. Il: 3 I 4 , 3 23 , 3 26, 3 7S, 3 S I , 3S4, 3 9S.

557

Chilperico I l , re di Neustria, vol . I I : 3 s s, 392, 402. Chindasvindo, re di Spagna, vol. Il: I 95· I 97 > 206, 207, 225. Cicerone, 7 I , 1 07, 1 34, I 62, 2I2, 224, 272, 3 06, 3 09, J I I , 3 I 3 , 340, 342, 343 > 346, 445 > 459 > 468, 5 1 I , 53 I ; vol. Il: 42, 46, 47, 4s, 7S, S2, I 03 , 1 3 0, ! 63 , ! 66, 1 S I , 1 s3 , I S4, 1 s5, I S6, 1 s 7, I SS, 3 0 I , 503 . Cimone, I I9. Cinq-Mars (de) H., 333 , 342. Circe, 251 . Cirillo (san), voi I l : I 2 I . Ciro, r e d i Persia, 26o, 565. Claudio, S5, 1 49, 1 65, 224, 4 2 I ; vol. I l : 76, 7S, I 90. Claustre (de), 270, 550. Clemente PP. V I I I , J25· Clemente PP. X, 8 I . Clinia, 274. Clitemnestra, 323 . Clodio, 224. Clodomiro, re d'Orléans, 4S4, 4S5. Clodoveo, re dei Franchi, 4S6, 487; vol. I l : I 93, 3 5S, 3 64-S, 377> ]84, 3 S9, 3 90, 3 9 1 , 3 9S. Clodoveo Il, re di Neustria, vol. I l : ]86, 3S7, 3 SS. Clotario I, 3 22, 4S4, 4SS; vol. I I : I 9S, ]2], ]8I, 3 S4-S> 3 90. Clotario I I , 322; vol. I l : I 9] , 34 I , 3 52, 3 54, 3 5S, 3 6o, 3 7S-So, 3 S3 6, 3 93 > 406, 409. Clotilde, 4S4. Cachet de Saint Vallier, 40I. Coke Edward, vol. Il: 447, 448. Colbert J. B., 550; vol. I l : 384. Colombo Cristoforo, 602, 6 1 0. Commodo, I 49, 2 1 6; vol. I l : 3 0S. Com te A., I 2, I 3, I 4, 29, JO. Confucio, 389, 442; vol. I l : 1 02, I I I.

11\"DICE DEI !\:OMI

558

Conti A., 491 . Coriolano, 1 62, 304, 3 I I , 323. Cornelio Nepote, I I 9. Corrado, re di Borgogna, vol. I I : 223. Corrado I di Franconia, vol. I I : 44° · Corrado I I il Salico, vol. II: 437, 43S. Correggio, 52. Cortez F. , 603. Cosroe, 435; vol. I I : 4SS. Costa S., 256. Costantino il Grande, I 5 I , 20 I , 5S9; vol. I l : 76, n, 79 · S o , 1 03 , I 04 , I I 4 , I 54 • 304. Costantino Porfi.rogenito, I 52, I S6, I 90, 206, 2 I 6, 3 I 5, 350, 3SS. Costantino Duca, I So. Cotancin, 332, 372. Cotta C. Aurelio, 22 1 . Cotta S., 4 1 , 43· Coucy (de) Enguerrand VII, 245 . Courtney C. P., 4 1 . Cox 1 . , 43· Cramme, vol. I l : 3S4. Cremuzio Cordo, 339· Crillon (de) L., I O I . Crispo, vol. I l : 104. Cristina, regina di Svezia, 309. Croce B., 14. Cromwell 0., S5, I 59· 535; vol. I l : 473· Cujas J . , 336; vol. I I : 1 5 I , 278, 339 · 340, 402, 43S. Cuniberto, vescovo di Colonia, vol. I l : 3S7. Curio Dentato, I 22. Curio Fortunato, 1 S2. Cuyné, kan dei Tartari, 47 1 . D

Dacier, vol. I l : 101.

Dagoberto I, 481; vol. I I : 193, 37S, 3S6-7, 3SS, 44S. Dagoberto II, vol. I l : 393· Damone, I 1 1 . Dampier W., 4 I I , 426, 496; vol. I l : 64, I I 5. Dario, re di Persia, 264, 265, 565, 566, 574; vol. Il: 36S. Dathias, 610; vol . I l : 136. David, 558. Davi la E. C., vol. Il: 305. Davy G., 14, 21, 40. Dedieu J . , 26, 40, 64, 188, 335, 336, 341 , 381, 6o7; vol. I I : 9 1 . Deffand (du), 599· Del Bo D., 43· Demetra, vol . I l : 291. Demetrio d i Falera, S6. Demostene, 70, 7 1 , S6, I 62, I 63, 346, 423 · 445· Dentrecolles, 185. Derathé R., 4 1 . Desbordes J., 3 2 , 3 3 , 227. Descartes R., 6o3; vol. I l : 5 I 6. Desgraves L., 43· Deucalione, vol. I l : 291 . Dezeimeris R., 37· Diana, vol . I I : 221. Diaz Bartolomeo, 6o1. Didio Giuliano, imperatore, vol. Il: 34· Diodoro, 77, 78, 190, 207, 2I I , 240, 3 I 5 , 3 I 6, 402, 422, 469, 54 I , 554, 572, 5S2, 583 ; vol. I l : 95· 96, 239· 456, 5 1 8, 519, 520. Diofanto, I I I , 1 12. Diogene Laerzio, vol. Il: 158. Dione Cassio, 1 26, I 5 I , I 76, I 92, 203, 2 I 6, 224, 3 I 5, 34 I , 376, 425· 49°· 49 I ; vol . I l : 34, 69, 7°, 7 I , 72, 75, 76, 7s, I 5 I , I S5, I S9, 292, 4 I 4. Dione siracusano, 2I 1 . Dionigi, tiranno d i Siracusa, 336. Dionigi d'Alicarnasso, 69, 70, 72,

IN D ICE DEI I'0:-.11

I 28, I 99, 200, 260, 286, 298, 299 • J OO, J OJ , 304, J 06, 309, J I I , J I 4, 322, 323, 343, 344, 348, 349, 446, 447; vol. I I : 43, 69, 73, 8 I , 82, I 78, I 79, I 8o, I85, I 86. Dionigi il Piccolo, vol. I I : 2 1 0. Djahan scià, imp. delle I ndie, vol. II: 87. Dodds M., 40, 74, 76, 93, I29, I47• I84, I96, 230, 23 I , 393, 409, 434, 467, 473, 495; vol. I I : 9· Dodwel, 58 I, 584. Dolgorouka Caterina, 337· Domat J., vol. I I : 474· Domiziano, 85, 94, 590. Domville W., 9 I , 230, 459· Dortous de Mairan J.-J., 2J I , 232, 504. Druso, 22 I . Dubos J . B., I 4, 28, 90, 38 T , 487; vol . I I : 200, 320, 32I, 326-8, 333· 337· 342, 362-76. Ducange C., 479; vol. I I : 202, 252, 269, 330, 346, 357, 360, 397· 447· Ducerceau J. A., 94, I 4 I , 471. Duchesne A., 25 I ; vol. II: 203, p6, 3 J I , 332, 4 I 4, 4 I 5, 4 I 8, 4 I 9, 420, 422, 423. Duellio, tribuna romano, vol. I I : 4 4 · 504, 509. Duhalde, 25, I 8 I , I85, I 95, I 96, 2 I 5, 2J O, 2J I , 233, 268, 269, 332, 352, 359· 367, J 88, 390, 39 I , 427, 432, 433· 436, 449· 459· 455· 463, 473· 497, 499, 502, 503, 505, 536, 6o6; vol. I I : 53, 54, 6 I , 62 , 64, I I I , I I 7 , I32, I 49· Dumont, vol. II: 4 I 5. Dupin C., 74, 206, 296; vol. I I : 5I8. Dupin L. E., vol. II: 99·

559

Durand D., 345· Durantis, vol. I I : 443· Durkheim E., I 2, I 3, 29. 39. E Ebroino, vol . I I : 402. Echard J., 474; vol. I I : 404, 434· Edoardo l, re d'Inghilterra, 599· Ega, vol. I I : 387. Egiga, vol. I I : I 95, I 97· Eginardo, vol. I I : 386, 408. Ehrard J ., 39· Eickstedt von, vol. II: I 26. Elio Gallo, 59 I , 592. Eliogabalo, 1 49, 334· Elisabetta, regina d'I nghilterra, 208. Elisabetta, imp. di Russia, 208; vol. I I : 35, I 7 I . Emilio, Paolo, vol. I l : 275. Enrico II, re di Francia, vol. I I : I 45· 275· 545-6. Enrico I I I , re di Francia, I O I , 355· Enrico I V, re di Francia, vol. I I : I 50. Enrico I I , re d'I nghilterra, vol. I l : 445· Enrico I I I , re d'I nghilterra, 599; vol. I I : I 2. Enrico VII, re d'Inghilterra, 299. Enrico V I I I , re d'Inghilterra, 335, 336, 349; voi Il: 88, I 33, I45, 542, 545· Enrico l, imperatore, vol. Il: 265, 44° · Enrico IV di Svevia, vol. I l : 436. Epaminonda, 2 I 4, 22 1 . Epicuro, vol. I I : r 87. Erasmo, vol. I I : 32. Eratostene, 3 8 1 , 555, 577, 579· Ercole, vol . I I : I I o. Erme n garda, vol. I I : 4 rg.

s6o

Il" DICE DEI NOMI

Ermenopulo, 6o i ; vol. Il: 539· Ermentrude, vol. Il: 205. Ermogene, vol. I I : 300. Erode, vol. I l : 495· Erodiano, 2 1 6. Erodot o, 147, 207, 292, 555, 565, 566, 570, 574, 576, 58o; vol . I l : 9, I I , 1 60. Ervig, vol. I I : 195. Esalce, re di Numidia, vol. I I : 1 49· Esca, vol. I I : I 59· Eschilo, 324. Eschine, 70, 346; vol. I I : 29 1 . Esmein Ch., 599; vol. I I : 202, 241, 268, 286, 287, 326, 33 1 · 337· 338, 370, 372, 399 · 443· Ester, 96. Eucario (santo), vol . I I : 402. Eudocia l ngerina, vol. I I : 540. Eudossio, 576, 579· Eurico, re di Spagna, 25 I ; vol. I l : I 95· 20 1 . Euripide, vol. I I : I I 6, 121. Eusebio d i Cesarea, 392; vol. II: 70. Evagrio, I 86. F

Fadia, vol. Il: I 85, I 87. Fadio Gallo, vol. I I : I 87. Falco G., vol. I l : 415. Falea Calcedonio, I 12, I 2 I . Fausta imperatrice, vol. I l : 104. Favorino, vol. Il: 298. Federico I Barbarossa, vol. I I : 339· 436, 437· 438. Federico II, imperatore, 357· Federico, principe di Galles, 45· Felice D., 43· Fénelon (de) F., 152, 247, 277, 289, 369, 381. Ferdinando, re d'Aragona, So.

Ferdinando I I I , re di Castiglia, vol. I l : 195· Ferri. L., 61. Ferrière (de) Cl. J ., vol. Il: 279. Festa Avieno, 583 . Filippo, vescovo di Evreux, vol. Il: 270. Filippo II Augusto, re di Fran­ cia, 6oo; vol. I l : 12, 227, 247, 250, 257· 276, 277, 282, 283, 285, 436, 444· Filippo IV il Bello, re di Francia, vol. Il: 275, 280, 283. Filippo V il Lungo, re di Fran­ cia, 330, 365, 6oo. Filippo VI, re di Francia, vol. I l : 260. Filippo I l , re di Macedonia, 86, 87, I I4, 240, 35 I ; vol. I I : 29 I , 455· Fili ppo V, re d i Macedonia, 587. Filippo II, re d i Spagna, 228, 6o7; vol. I I : 307. Filippo IV, re di Spagna, vol. I I : 1 66. Filmer R., 63, 273 . Filoclete, I 73 · Filolao, I 1 9. Filone, 1 20; vol. I I : I 6 I . Filopemene, I o7; vol. I l : 454· Filostrato, I 63, 346. Firpo L., 5· Fitz-James (de) F. , w; vol. I I : I OI . Flavio Giuseppe, 558; vol. I l : 151. Flavio VopiscO, J 4 I . Fletcher F. T. H., 4 1 . Floacato, vol. I l : 3 87, 388. Floro, 1 07, I 93, 4 I 9, 489; vol. I l : 70. Foca, imp. d 'Oriente, 186. Foè (Buddha), 388; vol. I I : I I I . Folk ierski W., 4 1 . Fontaine d e L a Roche, v o l . I l : 463.

I N D I C E DEI NOMI

Fontaines (de) P., I 7o; vol. I l : 234· 235· 237· 238, 242, 243· 244· 245 · 247, 25 I , 252, 253· 256, 257· 258, 25 9, 26 I , 263, 264, 268, 270, 27 I , 272, 273 · 286. Fontenelle (de) B., J 8I. Forbin (de) Claude, vol. I l : I I O, I I 2, I 40. Fouguet, vescovo di Eleuteropo­ li, 195· 197· 233· 372, 427, 505; vol. I l : 64, 141. Fazio, 154 346. Fraates, re dei Parti, 490. Francesco I, re di Francia, 6 I o; vol. I l : 262, 282. Francesco I di Lorena, 108. Fredega rio, 482; vol. I l : 161, 324, 345· 378, 379· 386, 387, 388, 390, 40 1 . Fredcgonda, vol. I l : 326, 378, 38 I, 382, 384, 386. Freinsheim G., 308, 349, 424, 584; vol. I l : 32. Frézier A. F., 582, 6o8, 609. Froissart, 398. Fueter E., 14. .

G

Gabinio, vol. I l : 47· Gage Thomas, vol. I l : 56-7, 59· Gaio, 509; vol. I l : 196, 298. Gala, re di Numidia, vol. I I : I 49· Galeno, 381 ; vol. I l : I 47· Galieno, imperatore, vol. I l : 34· Galileo Galilei, vol . Il: 1 1 7. Galland A., vol. I l : 230, 285, 397, 444· Galswintha, vol. I l : 378. Garcilasso de la Vega, r 84, 408, 6o8; vol. I l : I 5, I 70. Gassendi P., vol. I l : 516.

Gaultier J. B., vol. I I : 480. Gebe lin F., 38, 44, 324, 332· Gelone, 253. Gengiskan, vol. I l : 95, I o6, I 23, 47 1 , 473· Genovesi A., 43· Gentile F. , 4 1 . Genuzio, 286. Geoffrin, 74· Gerardo Nigra, vol. I l : 339, 437· Gerbi A., 12. Gerbillon, 450. Gerolamo (san), vol. I l : 543· Gervasio di Tilbury, vol. Il: 203. Giacomo l, re d'Aragona, I 93· Giacomo I l , re d'Aragona, vol. Il: 267. Giacomo I I , re d'I nghilterra, 208, 514. G iorgio I, re d ' I nghilterra, 59· Giorgio I I , re d'I nghilterra, 45· Giorgio I I I , re d ' I nghilterra, 45· Giosuè, vol. I l : 549· Giovanna, contessa di Fiandra, vol. I l : 252. Giovanni PP. V I I I , vol. Il: 279. Giovanni PP. XII, vol. I l : 223. Giovanni PP. X I I I , vol. II, 223. Giovanni Senzaterra, re d'Inghilterra, 598, 599· Giovanni, conte di Ponthieu, vol. I l : 256, 270. Giovanni d'Antiochia, I 52, J50. G iovanni da Pian del Carpine, 471; vol. I l : I o6. Giove, 563; vol. I l : 477· Giovenale, 205, 523, 527; vol. I l : I 89. Giraldo Li li o, vol. I I : 1 26. Gislemaro, vol. Il: 392. Giuda, vol. Il: 549· Giuditta, vol. I l : 4 I 9. Giuliano (Oljan), 355, 400. Giuliano l'Apostata, 59o; vol. I l : I 7, 1 02, I 04, 525.

I N D I C E DEI NOMI

Giulio Capitolino, I 79; vol. I I : 30S. Giulio Paolo, vol. I I : 52, So, I ]9, I S9, 196, 305. Giustiniano, I 65, 330, JJ I , 34 I , 355, 404, 435, 445, 4S9, 509; vol. II: 77, So, 135, I 4S, I 53, I 54, I S I , I S4, I 9 I , 2 I 4, 2]4, 2]9, 2S0, 30 I , 304, 30S, 32S, 367, 4SS, 499· Giustiniano I I , 5 I 1 . Giustino, I 43, 2 I 4, 296, 3 I S, ] 1 9, 455, 4s9, 497, 533, s s s . Giustino, imp. d'Oriente, 355· Godefroy Jacques, vol. I I : 72. Godefroy-Ménilglaise, vol . I I : 397· Goldast M., vol. I I : 40S, 409, 4 I 2, 4 I 4, 42S. Gontrano, 477, 4S3, 4S5; vol. I I : 323, 339, 375, 37], 3S I , 3S4, 390, 393 > 39s, 427. Gordon T. , 335, ]]6, 339, 341 , 491. Goyard-Fabre S., 42, 43· G racco Caio, ] I ], 3 I 4 . G racco Tiberio, 306, 3 I 3, 3 I 4 · G ranieri, 150. G ranpé Molière J. ] . , 42. Grasset Bernard, 7· G ravina G. V., 62, 63, 64, 1 77, I 97· G raziano, 332, 350, 590. Gregorio di Tours, 477, 4S3, 4S4, 4S5, 4S6, 4S7; vol. II: I 93, I 96, 200, 219, 226, 3 I 4, 322, 323, 325, 326, 32], 333, 339, 345 > 350, 366, 36], 37], 3]S, 379 > 3S2, 3S3, 3 86, 389, 390, 39 I , 393 > 398, 409, 42], 4 2S. G regorio PP. I I I , vol. II: 40 1 . G rimoaldo, vol. I I : I 95, 392. G rosley P. J., 405, 406, 4 14, 472, 496, 523; vol. I I : 145. G razio U., 62, 250, 324, 404.

Guasco 0., 34, 224, 598; vol. I I : 192. Guglielmo I I I , re d'Inghilterra, 345· Gugliemo IV d'Orange, 224. Gugliemo, conte di St. Paul, vol. II: 436. Gugliemo V, conte di Tolosa, vol. I I : 445· Guido II di Spoleto, vol. II: 224, 434· Guido, conte di Dampierre, 59S; vol. I I : 436. Guilhiermoz, vol. I I : 286. Guillet de la Guilletière G., I 40, I 44· Guisa, Enrico le Balafré duca di, I O I , J55· Guisa, Francesco d uca di, 355· Gundobaldo, re dei Burgundi, 25 I ; vol. Il: I 46 , I 94, 195, 196, I 9], 202, 205, 2 I 6-], 220, 222, 240, 390. Gurvitch G., I] , 4 1 . Guzman (de) Juan, vol. I l : 57· H

Haenel, vol. I I : 195. Hagen (van der) E., 490; vol. I I : 100. Hagenaar E., 1 74, 343; vol. I I : 54· Hardouin, vol. II: 327, 365. Harlay-Champvallon (de) H., vol. I I : 305. Harrington J., 292, 3 1 7, 519; vol. II: 309. Hébon, arcivescovo di Reims, vol. II: 373, 374· Hegel G. G. F. , JO. Helvétius L. A., 34, 599; vol. I I : ]IO. Hénault Ch. J., vol . I l : 275. Hendel Ch. W., 4 1 .

l :--I DIO: DEI I'OMI

Herold, 474· Hervé, conte di Nevers, vol. I I : 436. Hesnaut (d') Jean, vol. II: J l · Hessel, 474; vol. I I : 193· Hincmar, vol. I I : 249, 423. Hobbes T., 6, 18, 55, 6o, 212, 275, 284; vol. I I : 464, 466, 467. Hondt (de) E. (Canisio), vol. II: 4 I 4. Hopital (de l') M., vol. II: 305 , 306. Huart, 43, 53· Hubert R., 14, 15, 40. Hudson ] . , 576, 581 . Huet P. D., 589, 590. Hulliung M., 42. Hume David, 74, 77, 79, 106, 151, 152, 16o, 252, 254, 256, 257· 258, 288, 29 1 , 359· 363, 370,376, 514, 533, 537, 538; vol. II: 38, 450. Hussein, scià di Persia, 94, 1 71 , 471. Hyde, 566; vol. II: I I3, 1 26.

I Imi leone, 583, 584. Ina, re del Wessex, vol. I I : 350. Ingunde, 477· Innocenzo PP. I V, vol. I l : 1 06. I perbolo, vol. I I : I 67. I ppocrate, 381. I pol ito, vol. Il: 147. Irnerio, vol. I I : 279, 30 1 . I sacco l'Angelo, I 86. Isambcrt, 366, 599 ; vol. II: 85, 150, 260, 262, 284, 287, 303, 306. Isbrantsides E., 450; vol. I l : I 26. Isidc, vol. I l : I 6 I . Isidoro d i Siviglia, vol. I l : I 95, 20 1 .

Isidoro Mercatore, vol. I l : 2 I O.

J Jarquemin, 367. Janet P. . J 9· Janiçon, 238. Jasù, re d'Etiopia, vol . I l : 95· Joncourt (de) E., 230. Jones W., 12. Jordanes, 430, 456. Joubert, vol. Il: 33· K

Kaempfer E., I 73• 175, I 83 , 368, 401, 4 p, 536, 548; vol. I I : 6o, 61, 1 05, 108, 122, 131, 1 40. Kahl (Calvinus) J., vol. Il: 505. Kang Vang, imp. della Cina, 352. Kao Tsou, imp. della Cina, 186. Kaunitz, 1 08. Khadigiah, 428. Ki rcher A., 27, 388. Klemperer V. , 40. Kolb P., 393· Krammer M., vol. I I : 193· Krusch B., vol. Il: 379· Kuhfuss W., 42.

L La ba t, 409; vol. I I : I 22. La Beaumelle (de) L. , 453· Laboulaye Ed ., 37, 43, 53; vol. I I : 233 · y 8. La Bruyèrc (de) J ., 2 1 . Lafì.tan, vol. I I : 67. La Lant (de), 434· La Loubère, 388, 39 1 . La Marck (de) L., 138. Lambard G., vol. Il: 344·

INDICE DEI NOMI

Lamberto di Ardre, vol. Il: 397· La Mettrie (de) J., 385. La Mottray (de) A., I 37· Landi L., 43· Lanfredo, d uca di Svevia, vol. I l : I 93· Lange L., 230, 23 I , 268, 507. Lanson G., I2, I6, 23, 40. Lao-tse, vol. I l : I 02. La Roche Flavin (de) B., vol. I l : 260, 275· Lartigue (de) Jeanne, J I . Las Casas (de) B . , 408. La Thaumassière (de) G., vol. I l : 208, 280, 287, 446. La Tour de Mons (de) M.- T., 34· Laugier de Tassis, 429, 435; vol. IJ: I I . Laurière (de) E., 325, 484; vol. I l : 227, 239, 254, 264, 276, 278, 280, 283, 285, 436, 444· La Valette (de) Bernard de No­ garet, I 64. Law. J ., I77, 375; vol. I l : I 6 , 29, 30, 292. Le Clerc, 228. Lecointe Ch., vol. I l : 4 I 2. Le Com te C., 463. Leczinsky Stanislao, 36. Legendre L., vol. I l : 220. Lehmann, vol. I l : I 93· Leibniz, vol. I l : I 93· Leone VI, imp. d'Oriente, 6o i ; vol. I I : 540- 1 . Lepido, 344· Leti G., 20 1 . Leuvigildo, 477; vol. Il: I 95· Levi, vol. Il: I26. Levi-Mal vano E., 40. Le v in L. M., 40. Levy-Bruhl, vol. Il: 290. Libanio, 67. Licurgo, 2 I , I o6, 1 07, 1 1 0, 1 25, 1 26, 225, 502; voi. I J : I30, 299, 3°9·

Limojon de Saint-Didier, I29. Lindembroch, 333 475, 479; vol. I l : 202, 353, 3 57, 358, 359, 3 60. Lipsio G . , vol. Il: 408. Lisandro, I 72, I 73 · Lisia, 7 I , I 82. Littleton, vol. Il: 447, 448. Liutpoldo d'Austria, vol. I l : 436. Liutprando, vol. I l : I 95, 225 401 . Locke J . , 247, 250, 273, 275, 277, 278, 282, 283, 284, 285, 289, 4°5· 5°1. Lomellini, 74· Longnon, vol. I l : 325. Longa Sofì. s ta, vol. I l : 233· Lonsdale, Henry Lowther V I sconte di, vol. I I : 38. Lopez de Gomara, 407. Lotario I, vol. I l : I 98, 224, 227, 249· 404, 407, 408, 409, 4 I O, 4 I 4 ' 420, 423 ' 424, 426, 429, 442, 443· Lotario Il, vol. Il: 279. Louvois (de) F. M., I 33· Loyseau Ch., vol. I I : 356. Lucceio, vol. Il: 49· Lucrezia, 205, 348, 349· Lucrezio Caro, vol. I l : 5 1 . Lucullo, 586. Ludovico I il Bonario, 25 I ; vol. Il: I 98, 203, 205, 2 I 6, 222, 225, 227, 2JO, 248, 3 I 6, 329, 33 I , 332 • 342• 344· 346, 3 6 I , 373 · 374· 376, 403, 404, 407, 408, 4°9· 4 I 2, 4 I 3, 4 I 4, 4 I 5-24· 425· 427· 428, 429, 442· 54 I . Ludovico I I i l Germanico, vol. II: 332, 395, 402, 4 I 4, 4I5, 424· 425, 426, 429, 433· 439· Ludovico I I I , vol. I l : 426. Ludovico IV il Fanciullo, vol. I l : 439· 440. Ludovico I I I il Cieco, re di Provenza, vol. I l : 4 I 5. ,

,

INDICE DEI NOMI

Luigi il Balbo, re di Francia, vol. II: 205, 4 I 4-5, 423· Luigi VI, re di Francia, vol. I I : 228, 239, 448. Luigi VII, re di Francia, vol. I I : 228, 445, 446, 448. Luigi VIII, re di Francia, vol. I I : 252, 257· Luigi IX, re di Francia, 325, 484; vol. I I : 227, 229, 234, 24 I , 254 7, 263, 264, 268-74, 280, 285, 286, 448, 449· Luigi XII, re di Francia, vol. I I : 287. Luigi XIII, re di Francia, I 64, 333, 4°9· Luigi XIV, re di Francia, 215, 244, 245, 353, 5 14; vol. II: 85, 165, 303. Luigi XV, re di Francia, 208. Lutero, vol. I I : 97· M

Mabillon J., vol. I I : 542, 543· Macanaz R. M., 390. Machiavelli N., 72, 74, 85, ro4, 1 16, I 62, 163, 167, 237, 256, 259, 281, 381 , 388; vol. I I : 98, 206, 309. Macrino, vol. I I : 308. Mahmoud I, imp. di Turchia, 435· Malebranche N., vol. I I : 5 1 6. Mandeville (de) B., 188, 495, 607. Manlio Capitolino, 305, 3 I I , 348. Manlio Torquato console, vol. I I : 45· Manuele Comneno, imperatore d'Oriente, 328. Maometto, 392, 428, 442, 592; vol. I I : 4 I , 1 09, 502. Marca (de) Pierre, I 93· Marciano d'Eraclea, 576.

Marco Aurelio, I 49, 529; vol. I I : 1 0 1 , I 57· Marco Sempronio, vol. II: 47· Marculfo, 475, 479; vol. I l : I 48, I 98, 2 I 2, 226, 326, 334, 338, 339, 340, 345, 346, 355, 356, 357, 362, 370, 393 , 394· Maria, regina d'Inghilterra, 5 1 9. Maria Teresa d'Asburgo, 2 1 8; vol. I l : 1 72. Marino Tirio, 593· Mario Caio, 290, 344· Marlborough, John Churchill duca di, 244· Martenne, vol. I I : 356. Marziale, 205, 220. Marzio Rutilio, console, vol. II: 45· Mason S., 42, 43· Massimino, I 79· Massinissa, vol. II, I 49· Masson A., 38, 44· Masuer J., vol. I l : 286. Mathiez A., 40. Matteo, Abate di St. Denis, vol. Il: 270. Maucael, vol. I I : 285. Maupertuis (de) P. L., 78. Maurizio, imp. d'Oriente, I 86. Mayer J. P., 6. Megabise, 292. Megillo, 274. Melon J. B., 4 12. Menenio, tribuna romano, vol. II; 44, 504, 509. Meriveis (Myrr-Weiss), scià di Persia, 94, 1 7 1 , 47 1 . Merkel, vol. I l : 1 93. Meroveo, vol. II: 384. Metello Num idico, vol. I I : 70. Meulenaere (de), vol. I I : 260. Mézeray (de) F. E., 395· Mezio Fuffezio, I 77. Michelangelo Buonarroti, 5 1 1 , 523·

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INDICE DEI NOMI

Michele I I I , imp. d'Oriente, vol. II: 540. Migne, vol. I l : 249. Millet, vol. I l : 529. Mi! ton J., 426, 523. Mincrva, 323. Minasse, I I O, s 6 I . Mir Abdallah, 94· Mirkine-Guetzévitch B., I3, 4 I , 275· Misson M., I 29. Mitridate, 3 I 8, 489, 586-7. Modestino, 337, 338. Montesquieu (de), Charles-Louis de Secondat, passim . Montesquieu, barone di, 37, 38. Montesquieu (de) A., 37· Montesquieu (de) G., 38. Montesquieu (de) J.-B., 3 1 . Montezuma, vol. II: I I 5, 524, 525. Montluc (de) J ., vol. I I : 275. Montpensier (di) Caterina, 355· Montpensier (di) Luigi, 355· Montrésor (de), Claude de Bourdeilles, I 64, 333· Moreau, 37. Morellet, I68. Morize A., 38. Moro Tommaso, vol. I l : 309. Mosè, 422, 424, 436, 502, 5o8; vol. I I : 1 25, I43, I 62, 548. Moulin (du) Charles, vol. II: 269. Mummolo, conte di Auxerre, vol. I l : 377· Muratori L. A., vol. I l : 224, 265, 266. Musà-ibn-Nusair, 355· Mussard P., 34· N

Nabucodonosor, 569. N adir scià (Thomas Kouli k han), 270, 550.

Narsete, 355; vol. I I : 390. Navarre (de) J., 3 1 . Nazario, vol. I I : 79· Nearco, 567. Neck (van) T., 439· N eco, 576, 579· Nentechilde, vol. I l : 387. Nerone, 85, I 49, I 65, 2 I 6, 232, 363, 377, 424; vol. I I : 77Nerva, 2 I 6, 353· Nestorio, vol. II: I 2 I . Newton I . , vol. I I : 5I6. Niceforo, I 8o. Niceta, 328, 329. Nicola di Damasco, 206, 388. Nicolay (de) N., 76. Nithard, vol. I I : 422, 426, 434· Numa Pompilio, 4 I 2; vol. II: 78, I 30, I 80. o

Oberto dall'Orto, vol. II: 339, 437· Ochos, 265. Odilone, re dei Bavari, vol. I I : I 93· Odoacre, vol. II: 3 1 7. Oldenbarneveldt J . , 603-4. Olea ri us Adam, vol. I I : I I7. Omero, 563, 564. Onesicrito, 567. Onorio, imp. d 'Occidente, 333, 338, 357, 430, 544; vol. I I : 302, 365. Orazio, 22 I , 523; vol. I I : I27, 296, 365, 506, 5 I O. Oreste, 323. Ormisda, I 52. Orosio, vol. II: 3 1 9 · Ortensio, vol. I I : I 67. Orthe (d') A., I O I ; vol. I I : 307. Ossiarte, 265. Ottone, I 49·

11\:DICE DEI MlMI

Ottone l, vol. I l : 222, 223. Ottone I l , vol. Il: 222, 223 , 224. Ottone di Frisi nga, vol. I l : 436. Ovidio, 45; vol. Il: I 92, 3 2 I , 324. p

Pacomio (san), vol. I l : 543· Pallavicina, 74· Paluzzi P., 81. Paolo (san), vol. I I : 1 05. Paolo Diacono, vol. Il: 324. Paolo Emilio, vol. Il: 68. Paolino, 334· Papio Mutilo, console, vol. Il: 72. Parennin, 24, 23 I , 232, 332, 473, 5°4· Pareyson L., 273· Parisatide, 265. Paris-Duverney J., 375· Parmenione, 264. Parrelle, 296, 476. Partenio, vol. I l : 327. Pascal B., vol. I l : 474· Pasquale PP. I, vol. I l : 420. Patetta F. , vol. I l : 1 94Patroclo, 555· Pausania, 240; vol. Il: 221 , 461 . Pembroke, conte d i , vol. I l : I 1 . Pe nn W., I o7; vol. I I : 126. Peonio, conte di Auxerre, vol. I l : 377Pericle, 278. Perry J., 92, 93, I 8 I , 272, 3 5 3, 4 I O, 500. Perseo, re di Macedonia, 308, 587. Pertinace, I 49· Pertz, vol. Il: 373, 422. Pescennio Nigro, vol. Il: I 89. Pesnel (de) Marie-Françoise, J I . Pétis d e La Croix, vol. I l : 1 06. Petronio Turpiliano, 2 I 6. Petty William, vol. I l : 67.

Piacentino, vol. I I : 279. Pietro I I I , re d'A ragona, vol. I l : 267. Pietro l, imp. di Russia, I 38, IJ9, 261, 272, 337· 353 · 362, 453 · 500, 555 · 556; vol. I l : 35· 522. Pietro I I , imp. di Russia, 337, 453· Pindaro, 55· Pipino II d'Heristal, vol. Il: 203, 369, 392. 398· 399· 402, 4 I 2. Pipino, re dei Franchi, vol. I I : I 94· 204, 249· 324, 402, 403, 405, 406, 4 I I , 4 I 2, 4 I 3, 4 I 8, 4 2 I , 43 I , 432 • 449· Pipino, re d'Italia, vol. I l : 202, 2 I 2, 2 I 3 , 36 I , 404, 4 19, 429. Pipino, re d'Aquitania, vol. I l : 4 I 4, 423· Pirro, re deli'Epiro, vol. I l : I 8 I . Pisone, I 76. Pitagora, vol. I l : 305. Pithou P., 479; vol. Il: 33 1 . Pittaco, 393· Pizarro F., 603 . Platone, 49, 6] , 86, 1 06, 1 09, I Io, I I I , I I 2, 1 1 9, I 2 I , 124, I 48, I 49, I 53, I 63, I 68, I 85, I 88, 207, 209, 210, 212, 2 1 ] , 216, 2 1 9, 220, 274, 322, 381 , 392, 398, 422, 5o8, 543, 588; vol. I I : 5 6, 66, I I O, I 3o, 1 3 I , 1 44, 294, 299· 3o6, 309, JJ4, 40 I , 534· Plauto, 557· Plauzio, Caio console, vol. I l : 45· Plectrude, vol. I l : 392. Plesse, 3 2 I ; vol. II: 5 1 8. Plinio il Giovane, 347; vol. I l : 77· Plinio il Vecchio, 550, 55 I , 554, 55 5 , 556, 559, 565, 567, 570, 572 • 573 . 574, 576, 58 I , 59 I , 592; vol. I l : 30, 32, 5 1 , IJO, 22 1 . Plutarco, 2 1 , 55, 86, I 07, I 09, I I I , I I 4, 1 1 8, 1 1 9, I 2 I , I 22, 12] , I 73, I 99, 2 I I , 2 I 9, 220, 22 I ,

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I N D I C E DEI NOMI

z6s , z86, 297· 302, 305, 336, 346, 347· 348, 35 1 , 36 1 , 4 1 2, 422, 445· 446, 447· 448, 460, 508, 54 1 , 6os ; vol. I I : 68, 74, 78, 92, I30, 1 47, r 6o, r 67, I 78, I 8o, 290, 293 , 299· 368, 467. Polibio, 1 06, r r o, 223, 307, 3 I5, 464, s 8z, s 83, s 8 s , s 88, 6o s ; vol. Il: 68, 457· 46 1 . Polignac (de) M., vol. I l : I4I. Polluce, 70, 346, 362. Pompeo, 395; vol. I I ; 47, I S I . Pomponio, 302, 3 r o, 3 I z, 589. Pomponio Mela, 207, 576, 582; vol. I I : I 5, 52. Poncet, vol. II: 95· Pope A., vol. I I : 465, 475, 48 0. Poppeo Sabino, console, vol. I I : 72. Porfirio, vol. I I : 1 25. Postigliola A., 5, 42, 43· Postumio, 3 r 3· Prideaux H . , 428; vol. I I : r oo, IOI ' 1 09. Prisco, vol. I I : I 59· Procopio, I 52. Procopio di Cesarea, r 65, 33 I , 356, 484, 488, 590; vol. I I : I35, 207, 3 1 7, 327. Protario, vol. II: 3 79, 385. Publilio Filone, 306. Publio Rutilio, 3 I 5. Pufendorf (von) S., 62, I 3 8, 225, 226, z6o; vol. I I : 84, I 44· Puget H., 4 1 . Pyrard F., 3 s 6, 397, 433· 436, 439, 444, 536, 6oz; vol. I I : I I8, 1 40, r 6o, I 62, I 73·

Q Quintil iano, 3 1 0. Quinto Cincinnato, 222. Quinto Curzio, vol. I I : 368.

Quinto Servilio, console, vol. I I : 45· Quinto Voconio, vol. I I : I 83. R

Rachi, vol. I I : I 95· Racine Jean, vol. II; I47· Radamanto, re di Creta, s o8. Raffaello Sanzio, 5 1 I, 523· Ragueau F. , vol. I I : 277. Rancé (de) A. J., vol. I I : 542-3. Ranfredo, vol. I I : 392. Rapi n-Thoyras (de) P., 288, 29I , 345· Rapisardi Mario, vol. I I : 5 1 . Rasi n, r e della Si ria, 558. Rasle, vol. I I : 67. Raul, d uca di Normandia, vol. II: 285. Recesvindo, re di Spagna, vol. I I : 1 46, 1 95· I 97, 206, 207, 225. Rechteren, vol. I I : 106. Remigio (san), vol. I I : 366. Renaudot E., 426; vol. l I: 64. Regnault, vol. I I : 529. Retz (de) J. F. P. de Gondi, r 35· Rhodes (di), 583. Rhodoman, 77; vol. II: 5 1 9. Richelieu (de) A . , 89, 90, 9 I , I 33, I 3 6 , I 64, 3 3 3 , 342; vol. I I : 3 02. Richer F., 37, 43, 47· Richthofen, vol. I I : I93· I97· Rinaldo, conte di Boulogne, vol. I I : 436. Rjurik, 337· Roberto, conte di Clermont, vol. II: 256, 257. Rodero G., 1 08. Rodrigo, re di Spagna, 355· Rollin C h., 2 I . Romolo, I 99· 445 • 447• 49o; vol. I I : 8 r , 82, I 77, I 8o.

INDICE DEI I':OMI

Romolo Augustolo, vol. I I : 3 I 7. Roricone, vol. I I : 3 I 6. Rossana, 265. Rosso C., 4I, 42. Rotari, 25 I ; vol. Il: I 95 · I 97 • 2 I 7, 225, 348. Rotta S., 42. Rousseau J. J., 25, 2I2, 237, 250, 27J, 275, ]8I, 449 • 450. Rudbeck 0., 456. Ruggero I l , re di Sicilia, 333· Rycaut P., 82, 94, I 40, I4I, 24 I , 269, 396, 434· s

Sabbacon, vol. Il: 96. Sabine G., I 2. Saignes, 550. Saint-Evremond (de) Ch., 255· Saint-Pierre (de) Ch., 545; vol. I I : 87. Saint-Quentin (de), S., 47 I . Saladin J .-L., 78. Salegast, vol. I I : I 9J· Sallustio, 1 26, 3 I 5. Salomone, 557, 558. Saleilles, vol. Il: ] I 8. Salis (von), vol. I l : I 95· Sal v iano, vol. Il: 396. Santorio S., vol. I I : I I J. Sara, I I 9. Sarpi Paolo, vol. I I : I I7. Sataspe, 576, s 8o. Saturno, I 29, 4 I 2; vol. I I : 324. Sauer (Surio) L., vol. I l : 405. Saumaise (de) C., vol. I I : s o6. Savigny (von) E C., vol. I I : I97· Savot, vol. II: 34· Scaligero, vol. II: 506. Scevola Quinto Muzio, 3 I 5. Schri::id er R., vol. Il: I 97· Schupfer F., vol. I l ; 339· Scilace, s 8o, 582.

Scioppio G., vol. I l : 408. Scipione l'Africano, 223. Scipione l'Asiatico, 3 I 3· s o8. Secondat (de) Denise, 33· Secondat (de) J.-B., ]2, 37· Secondat (de) Jacques, J I . Secondat (de) Marie, ]2, 34· Secondat (de) G., 34· Seleuco Nicatore, s s 6, 569, 570, 572· Semiramide, 207, 554, 565; vol. Il: I 6 I . Sempronio Asellio, vol. I l : 45, 509. Seneca, 1 20, I46, 3 I o; vol. I l : 5 1 . Senofonte, 69, I I I , I 2 5 , I 26, I 72, I 99, 2 I O, 542, 562; vol. I l : I I 4, 455· 456. Serse, re di Persia, 576. Servio Tullio, 69, 299, 300, 3 0 I , 309, 3 I 8 , 322; vol. I I : I 79, I 86. Sesostris, 4 70, 54 1 . Sestilio Rufo, vol. I l : I 87, I 88. Sesto Empirico, 542. Sesto Tarquinia, 348. Settimio Severo, vol. II: I 89. Shackleton R., 5, I7, I8, 39, 4 I , 42, 356, ]8I, 4 I I ; vol. I I : 447· Shakespeare W., 523. Shaw Thomas, vol. I I : 9, I 49· Siagrio, vol. I l : 364, 368. Sidney A., 225, 28 1 . Sigeberto I , re d ' Austrasia, vol. Il: J78, 3 8 1 . Sigeberto, r e dei Burgundi, vol. Il: ' 94· 240. Sigonio C., I 77· Silano, I 20. Silla, 8 s , I 78, 22 I , 342, 344; vol. Il: 45· 509. Simone di Clermont, conte di Nesle, vol. I I : 270. Simone, conte di Montfort, vol. Il: 285. Siriano, vol. Il: 300.

1!\JDICF. DEI l\: O M I

Sirmond J., 475; vol. II: 302, 304, 406, 474· Sisto PP. V., 20 1 . Sloane H., 407. Smith, 432, 439, 440; vol. I I : 1 50. Sm ith Adam, 363, 370, 375; vol. II: 4 1 , 86. Socrate, 47, 1 62; vol. I I : 534Socrate (lo storico), vol. II: 1 7. Sofocle, vol. I I : 1 2 1 . Sohm, 478; vol. I I : 1 93· Solaro, Antonio Maurizio, r o. Solaro di Breglio, 230. Solazzi G., 14. Solis (de) A., 408, 444· Salone, 23, 70, 1 1 9, 1 2 1 , 1 22, 1 2 3, 445 · 54 1 , s 62; vol. I I : 13 0, 1 47 · J 8o, 290, 309, 334· Sarei A., 12, 39· Sozomane, vol. I I : 74, 79, 1 89. Spinoza B., 55, 73; vol. II: 464, 466, 467, 480, 482. Spurlin P. M., 4 1 . Stainville (di), r o8. Stark W., 4 1 . Sta tira, 265. Stefano di Bisanzio, 286. Stefano PP. I I I , vol. I I : 402. Stobeo, 206. Stouff L., vol. I I : 197. Stow J., 598. Strabone, r o6, 1 1 1 , 1 20, 1 29, 205, 240, 253· 402, 55 l ' 554· sss , s s6, 559, 563, s 6 s , s 66, s 67, s 68, s 69, s 7o, 572, 575, 577, 579, 582, s 84, s 86, 59 1 , 592, 593 ; vol. I I : 68, 1 49, 1 67. Stutz U., vol. I I : 405. Sugerio, vol. I I ; 448. Sully (de) M., vol. I I ; 1 50. Sulpicio Alessandro, vol. I I : 389. Sveton io, 205, 232, 340, 590, 595; vol. I I : 70, 73 • 75 • 76, 77 • 1 08, 4 1 4· Suida, 1 52, 1 86.

T

Tachard, 434· Tacito, 134, 1 65, 1 67, 1 9 1 , 192, 201 , 203, 204, 205, 2 1 6, 269, 294 · 324 · 327 · 339, 34 1 ' 342• 353· 364, 376, 3 77· 401 41 s , ' 421 , 425, 473 · 474· 477· 480, 48 1 ' 482, 486, 487, 488, 489, 490, 529, 530; vol. I I : 1 1 , 42, 44, 45· 47 · 7 1 • 73· 77· 82, 1 09, 1 25, 2 1 5, 2 1 9, 23 1 , 248, 295, 3 1 1 , 3 1 2, 3 1 4, 3 1 6, 3 1 8, _338, 344, 347· 348, 388, 389, 4 l l ' 504, s os , s o8. Tacito, imperatore, 34 1 . Tamerlano, vol. II: 95, 47 1 . Tanaquilla, 299. Tao, vol. I I : 1 1 1 . Ta rdif, vol. I I : 445· Tarella G., 42. Tarquinia Prisco, 3 22. Tarquinia il Superbo, 300, 304, 34 1 . Tassilone, duca di Baviera, vol. II: l 93 , J O I , J S I , 449· Tavernier J.-B., 367, 386. Tching Tsou, imp. della Cina, 195· Tebaldo, conte di Champagne, 599, 6oo; vol. I I : 285. Tegan o, vol. II: 373, 374, 375, 4 l 9, 420, 422. Tempie W. , 359, 533· Tencin (de), 74· Teobaldo, vol. I I : 392. Teodato, 480. Teodeberto, vol. I I : 390. Teodorico, re degli Ostrogoti, 483, 485, 488; vol. I I : 207, 225, 323, 328. Teodorico, re d'Austrasia, vol. I I : 1 93· 1 94 · 323· Teodorico II, re d i Borgogna e di Neustria, vol. I I : 386.

li'< DICE DEI MlMI

Teodorico I I I , re di Neustria, vol. I I : 388, 392, 402. Teodoro Lascaris, imp. di Nicea, 329· Teodo sio I, 332, 334, 338, 430 , 590; vol. II: 1 9 1 , 200. Teodosio I I , 1 65, 5 1 0, 544; vol. II: 8o, 201. Teofilatto, 329· Teofilo, 543; vol. II: 1 8 ! , 1 84. Teofrasto, 1 1 1 . Teseo, vol. I I : 1 1 0. Thevenot, vol. II: 102. Thou (de) F. A., 342. Tibaldo, vol. II: 390. Tiberio, 85, 1 92, 20 1 , 203, 204, 339, 340; vol. I I : 1 2, 76, 77· Tiberio I I , imp. d'Oriente, 186, ]28. Tigellino, 2 1 6. Tillet (du) J., vol. I I ; 275, 280. Timeo, vol. I I : 457· Timoleonte, 21 1 . Tito Livio, 69, 1 07, 1 30, 1 3 1 , 1 50, 1 67, I ]O, I ] I , 1 77, 1 ]8, 1 99, 205, 222, 223, 240, 299, 302, 303, 306, 308, 309, 3 1 I, 3 1 3 , J I4, 347, 348, 349, s o8, s 84, 6os ; vol. II: 44, 45, 46, 68, 70, 1 49, 1 8 1 , 1 83, 1 84, 185, 462. Tolomeo Cerauno, 556, 569, 574· Tolomeo, Claudio, 456, 555, 573, 575, 576, 578, 579, 593, 594· Tolomeo Latiro, 576, 579· Tomasio Cristiano, vol. I I : 1 44, 159· Tommaso (san) d'Aquino, vol. II: 537-9· Tournefort J., 24, 76, 1 58. Traiano, 353; vol. I I : 308. Triboniano, vol. I I : 499· Trogo Pompeo, 3 1 8. Tsin-chi-hoang, imp. della Cina, vol. II: 132.

57'

Tucidide, 297; vol. I I : 455, 456, 458, 461 . Tullo Ostilio, 1 77-8, 299. u

Ugo Capeto, vol. I I : 369, 4 1 2, 4 1 3, 438, 440, 44 1 . Ulpiano, 200, 3 1 2, 335; vol. I I : 46, 49, 72, 73, 74, 75, 76, 77, Bo, 1 78, ! 8 1 , !82, ! 83, ! 88, ! 89, 509, 5 1 0. v

Vafrio, duca d'Aquitania, vol. I I : 402. Valente, 1 52, 590. Valentiniano I I , 332, 334, 5 1 0, 590; vol. I I : 1 9 1 , 200, 389. Valentiniano I I I , vol. II: 201 . Valeria Fiacco, vol. I I : 45-6, 509, 5 1 0. Valeria Massimo, 205, 349, 446, 447; vol. I I : 70. Valeria Poblicola, 1 70. Valfiliaco, vol. II: y6. Valois (de) A., vol. I I : 205, 375· Varnacario, vol. II: 379, 385, 386. Va ro, 3 1 9, 489. Va rrone, 68. Va rrone, Marco, 555· Veiras D., 105. Velleio Patercolo, vol. II: 46, 2 1 9, 509. Venere, vol. I I : 50. Ven Ti, imp. della Cina, 185, 196, 39 1 , 455· Vou Ti, imp. della Cina, 455· Verbiest, 450, 452. Vernet J., 45, 47, 53, 293, 294, 330, 378, 527, 534, 547; vol. I I : J IO. Vernière P., 42.

INDICE DEI NOMI

Verre, 3 I 9; vol. I l : I 85, I 9o. Vestilia, 203. Vian L., 39; vol. I l : 52 I, 529. Vidal E., 4 I . Villay C h . , 38. Virgilio, 5 I, 52, 527; vol. I l : 3 I I , 477· Virginia, I 67, 305, 348. Virginio, I 67. Vitellio, I 49· Vittorio Amedeo II d i Savoia, I SO, I 59· Vlachos G. , 42. Volpilhac - Auger C., 43· Voltai re, 25, 29, 74, 79 , 90, 9 I , I I4, I3 0 , I 38, I 52, I 54, I64, I99· 229, 238, 323, 383, 397· 407, 409, 4 1 0, 583, 585, 610; vol. Il: 275· Vonone, re dei Parti, 490. w

Waddicor M., 42. Waitz, vol. I l : 436. Walpole, 368. Wamba, re di Spagna, vol. I l : I95· 207. Warburton W., 520; vol. I l : 9 1 . Wechel ius, 69. Weil F., 4 1 . Wiclef, vol. I l : 543-4.

Wicquefort (de) A., vol. II: I I7. Wiltiza, vol. I l : I95· Windogast, vol. II: I 93· Wisogast, vol. I I : I 93· Wolf, vol. II: 4I9. x

Xifilino, 34 I , 4 2 I ; vol. II: 70. y

Yorke F., I conte di Hardwicke, 345· Yorke F., II conte di Hardwicke, 345-6. Yorke Carlo, 345 -6. z

Zaccaria PP., vol. I I : 4 I 2. Zachariae von Lingenthal K. E., vol. I l : 540. Zenone, vol. I I : I I I , 470. Zeumer, vol. I I : I95· Zonara, 543; vol. Il: I 86. Zoroastro, vol. I I : I 59, I 6 1 . Zosimo, I S I , I 6s ; vol. I I : 1 04, 3 I 6. J6s . Zuretti, I I I.

I NDICE DELLE TAVOLE

Montesquieu in una medaglia di Jacob Antoine Dessier

p.

48

Il castello di La Brède in una fotografia aerea

I

Frontespizio dell'edizione originale delle Considérations

1 76

12

Una pagina autografa dell 'Esprit des Lois .

))

272

La biblioteca di Montesquieu nel castello di La Brède

))

336

Una pagina autografa delle Pensées .

))

43 2

Frontespizio dell'edizione originale della Défense .

))

496

I NDICE DEL VOLUME

LO SPIRITO DELLE LEGGI - Libri XXII - XXXI Libro Ventiduesimo. Delle leggi nel loro rapporto con l'uso della moneta Libro Ventitreesimo. Delle leggi nel loro rapporto con il numero degli abitanti

p. >>

9 50

PARTE QUINTA Libro Ventiquattresimo. Delle leggi nel loro rapporto con la religione stabilita in ogni paese, considerata nelle sue forme di culto ed in se stessa Libro Venticinquesimo. Delle leggi nel loro rapporto con la religione di ogni paese e con le sue m a.n i festazioni esterne . Libro Ventiseiesimo. Delle leggi nella relazione che de­ vono avere con l'ordine delle cose sulle quali sono chia­ mate a statuire

91

))

1 20

))

PARTE SESTA Libro Ventisettesimo. Dell'origine e dell'evoluzione delle leggi romane sulle successioni

>>

Libro Ventottesimo. Dell'origine e dell'evoluzione delle leggi civili in Francia Libro Ventinovesimo. Della maniera di comporre le leggi .

1 77 1 92

>>

289

I N D I C E DEL VOLUME

Libro Trentesimo. Teoria delle leggi feudali presso i Franchi, nei loro rapporti con l ' istituzione della monar­ chia .

))

Libro Trentunesimo. Teoria delle leggi feudali presso i Franchi, in rapporto alle rivoluzioni avvenute nella lo­ ro monarchia .

))

3IO

377

APPENDICI Appendice I

>>

453

Appendice I I

>>

Difesa dello Spirito delle leggi

>>

Schiarimenti sullo Spirito delle leggi

>>

5I8

>>

52 I

Spiegazioni presentate alla Facoltà di Teologia sulle I ] proposizioni che essa h a estratto dal libro intitolato Lo spirito delle leggi e che ha censurato I ndice dei nomi citati

>>

I ndice delle tavole .

>>

463 463

553 573