Lo sguardo obliquo. Dettagli e totalità nel pensiero di Georg Simmel
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Sociologica-mente Collana curata e diretta da M. Caterina Federici

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M.C. FEDERICI – F. D’ANDREA – M. MAFFESOLI – S. FORNARI – R. GARZI – P. WATIER – S. FANINI – M. PICCHIO – M. TRAMONTI – A. DE SIMONE – R. FEDERICI – F. FORNARI – D.N. LEVINE – L. NAPOLI – A. ZOTTI

Lo sguardo obliquo. Dettagli e totalità nel pensiero di Georg Simmel a cura di Maria Caterina Federici e Fabio D’Andrea con la collaborazione di Silvia Fornari

Morlacchi Editore

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ristampe:

1. marzo 2005 (riveduta)

2.

ISBN: 88-89422-17-3 Copyright © 2004 by Morlacchi Editore, Perugia. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. [email protected] – www.morlacchilibri.com Progetto grafico della copertina e impaginazione: Raffaele Marciano

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INDICE-SOMMARIO

M. Caterina Federici – Fabio D’Andrea Prefazione ........................................................................................................... vii Michel Maffesoli Introduzione. Un’irrealtà assai reale ......................................................................xv

PARTE PRIMA IL GIOCO DELLE EMOZIONI Silvia Fornari Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana ..................... 3 Rosita Garzi Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto .............................................. 33 Patrick Watier Confiance et socialisation .................................................................................... 51

PARTE SECONDA QUESTIONI ESTETICHE Fabio D’Andrea Georg Simmel. L’opera d’arte come isola ............................................................. 77 Stefano Fanini La musica nell’opera di Georg Simmel .............................................................. 111 Marta Picchio Al di là dell’immagine: riflessioni su alcuni saggi simmeliani di estetica ............. 139 Michela Tramonti Il concetto di stile in Georg Simmel .................................................................. 179

PARTE TERZA TRACCE EPISTEMOLOGICHE Antonio De Simone Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura .............................. 199

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Maria Caterina Federici Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso............................... 269 Raffaele Federici Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici: Georg Simmel .............................................................................................. 303 Fabrizio Fornari Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel ............................. 325 Donald N. Levine Note on the Concept of an Axial Turning in Human History............................ 339 Lucio Napoli Verso una responsabilità ecologica ..................................................................... 345 Angelo Zotti G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” ................................... 361

APPENDICI I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica ................................................... 395 II. Indice dei nomi ............................................................................................ 427

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Maria Caterina Federici e Fabio D’Andrea Prefazione

Questo volume, che compare a tre anni dal precedente dedicato a Georg Simmel, si pone con esso, ad un tempo, in un rapporto di continuità e di superamento. Da una parte, vede l’impegno rinnovato di molti Autori che si erano già confrontati con le tematiche simmeliane in quell’occasione: conta contributi di prestigio quali quelli di Patrick Watier e Donald N. Levine, studiosi che hanno costruito la propria carriera fino ad oggi nel dialogo con il sociologo berlinese e nuovi ricercatori che da questo dialogo vanno traendo spunti e strumenti originali di indagine. Pur con i suoi limiti, questo collettaneo non è privo di qualche ambizione teorica: si tratta di un lavoro che si propone di apportare nuove conoscenze alla conoscenza di Simmel. I saggi qui raccolti segnano anche delle significative aperture alla sociologia che lavora su Simmel e a partire da Simmel, in Italia e in Europa. La prefazione di Michel Maffesoli, che ringraziamo per aver trovato, tra i suoi tanti impegni, tempo e modo di leggere e presentare quest’opera, è un piccolo grande passo verso il consolidamento della sezione CEAQ Italia, da tempo attiva presso l’Ateneo di Perugia e che debutta ora sulla scena nazionale con un segno di un processo di ricerca in atto e di collaborazioni integrate. La presenza di un importante scritto di Antonio De Simone rinnova una Wechselwirkung scientifica che ha già dato i primi frutti con Leggere Simmel. Itinerari filosofici, sociologici ed estetici, per i tipi di QuattroVenti, e rende evidente il proficuo lavoro di scambio e relazione messo in atto negli anni trascorsi. Lavoro al quale sono dovute anche le nuove presenze che ampliano in direzioni di notevole attualità, in modo assai più incisivo e persuasivo, lo spettro delle proposte qui riunite. La sociologia, nel pensiero simmeliano, può comprendere “unicamente i modi e le forme di associazione”: così essa si distingue dalle altre scienze. Questo e ciò che si è appena detto vale anche per i contenuti del volume, tanto da permetterci di far uso di un’ideale rappresentazione spaziale à la Simmel per descrivere il percorso che va da Georg Simmel e la sociologia omnicomprensiva a Lo sguardo obliquo. È un itinerario in forma di spirale, che integra la ricorsività dell’interesse di ricerca – che torna instancabilmente sulle proprie riflessioni come un “minatore fedele alla sua caverna” (Colli), mettendole alla prova delle nuove acquisizioni e scoperte – e il progresso che il costante approfondimento

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viii | Prefazione

porta con sé e consente quindi di ritornare sullo stesso punto, ma ad un diverso livello di consapevolezza. Come Simmel ha costantemente proposto nuove figure per i temi a lui cari, così gli scritti che presentiamo riscoprono problemi fondamentali in forme diverse. Ci è parso utile, in questo senso, dividere i contributi in tre parti, per favorirne la leggibilità e sottolinearne ad un tempo la coerenza dinamica e il carattere di percorsi in via di esplorazione. La prima parte – Il gioco delle emozioni – racchiude saggi che concentrano l’attenzione sulle complesse alchimie che nascono dall’interazione personale e la inscrivono potentemente nel tessuto delle relazioni sociali. Vi si mostra come la Wechselwirkung operi a più livelli e dia un senso sociale a quello che potrebbe esser definito l’agire privato per eccellenza, quello che ha luogo nell’intimità tra uomo e donna, rivelando allo stesso tempo l’aspetto emozionale e il fondamento simbolico di rapporti pubblici che a lungo si sono immaginati separati da quest’ordine di considerazioni. Silvia Fornari esamina così le teorie di Simmel sui rapporti tra generi, dalla complementarietà tra maschile e femminile agli inevitabili contrasti che rendono queste relazioni formalmente simili ai mille altri conflitti che strutturano dinamicamente la società, soffermandosi con intuizioni originali su parti finora appena sfiorate del corpus simmeliano sebbene di grande attualità, come la privacy o la prostituzione. Da questa ricognizione emerge con chiarezza che per Simmel la sessualità non è affatto un fenomeno residuale ma è semmai capace di rivelare, nelle carezze perturbanti, nei baci a perdifiato, negli sguardi in tralice, il fondo dell’esistenza umana. Rosita Garzi, dal canto suo, intreccia riflessioni e contributi di Simmel e di Goffman, non senza un occhio alla prossemia maffesoliana, ragionando sul paradossale rapporto tra tipi e relazioni sociali, un’altra figura dell’eterna opposizione contraddittoriale tra Vita e Forma che in Simmel mira a un equilibrio dinamico e forse utopico tra le due, mentre in Goffman rischia di risolversi nel definitivo predominio della seconda. Patrick Watier, infine, prosegue il suo apprezzato lavoro di sistemazione teorica dei caratteri di un sapere sociologico, che lo ha già portato alla monografia su Le savoir sociologique (Desclée de Brouwer, 2000), nel costante confronto con i punti di vista simmeliani. Watier, questa volta, si dedica a riprendere e chiarire i termini di una delle più note critiche al Nostro, ovvero lo stigma durkheimiano di “psicologismo”, sottolineando come il sapere cui mira Simmel si fondi su materiali psichici, ma non venga in alcun modo elaborato sulla base di concetti o metodi psicologici. In questo senso i processi mentali sono la materia prima che uno sguardo sociologico mette in forma con i suoi modi particolari evidenziandone aspetti

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Prefazione | ix

e relazioni che altrimenti resterebbero nascosti. È il caso, nello specifico, del sentimento di fiducia sulle cui diverse, e spesso insospettate, modulazioni si diffonde e rinsalda, o rischia di venir meno, il cemento sociale che assicura maffesolianamente la coesione e continuità sociali. Il contributo di Watier chiude la prima parte del volume, nella quale si evidenzia altresì il peculiare carattere di generazione trasversale che definisce gli studiosi di Simmel: vi si trovano infatti una ricercatrice dell’Università di Perugia, la Fornari; una dottoranda di ricerca dell’Università di Campobasso, la Garzi, e un professore dell’Università di Strasburgo, Watier, uniti da un interesse che, come si vede, è comune a diversi ambiti e diverse età ed è ulteriore testimonianza della fertilità e vitalità della particolarissima eredità di Simmel. Nella seconda parte – Questioni estetiche – ci si trova di nuovo di fronte a un ricco assortimento di temi ed autori. Il centro dell’attenzione è stavolta l’originale statuto dell’approccio estetico per Simmel, sottratto all’inoffensiva lontananza del Mondo del Bello di schilleriana memoria e trasformato in modalità euristica privilegiata. Fabio D’Andrea si occupa in particolare dello scarto tra l’estetica simmeliana e quella canonica, alla radice di buona parte delle accuse di estetismo e fuga dalla realtà rivolte al Nostro, evidenziando gli stretti legami tra la prima e l’ermeneutica contemporanea e mettendo poi in luce le conseguenze problematiche che ne derivano nella concezione dell’opera d’arte. Questa si dà come paradossale da numerosi punti di vista, causando il naufragio dei tentativi di lettura semplici che avrebbero voluto rinchiuderla in un’autoreferenzialità incapace di influire sul mondo reale e svela inoltre, in quanto prodotto della creatività umana, la necessaria natura paradossale del suo autore e dei suoi fruitori. Stefano Fanini – tra i curatori della prima traduzione italiana degli Studi psicologici ed etnologici sulla musica, dissertazione di dottorato di Simmel che presentiamo in appendice – si interessa per l’appunto del peso della musica nella sociologia e nel modus operandi simmeliano, ipotizzando un metodo compositivo all’opera nel Nostro, derivatogli dagli studi di musica compiuti sin dalla più tenera età. Il saggio di Fanini mette poi in evidenza il ricorrere di immagini e forme di lettura della realtà mutuate dalla musica nell’opera di Simmel. Marta Picchio ritorna invece, in contrappunto, alle tematiche estetiche, rileggendo alcuni dei più importanti contributi di Simmel al dibattito sulle arti figurative per evidenziarvi come l’analisi del tema del “visibile” si leghi indissolubilmente alle questioni fondamentali della sua speculazione filosofico-sociologica. È questa l’ennesima smentita della tradizionale etichetta di Simmel come Autore ondivago e privo di un saldo centro di inte-

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x | Prefazione

ressi, ripresa da ultimo da Frisby: nella lettura della Picchio l’immagine sensibile delle cose diventa il punto di partenza per penetrarne l’enigma e svelarne il valore simbolico e la funzione in una rete più vasta di rapporti. Nella riflessione sull’arte si ritrova in filigrana uno dei problemi fondamentali del pensiero di Simmel, il rapporto individuo-società. Michela Tramonti, infine, opera un’attualizzazione del concetto simmeliano di stile, indagandone i rapporti con la quotidianità contemporanea e in particolare con l’espressione passepartout “stile di vita”: partendo dai concetti simmeliani di “distanza” tra soggetto e oggetto e “ritmo” che dà forma al quotidiano, la Tramonti giunge alla comprensione della diversità degli stili di vita degli individui e analizza le loro trasformazioni e cambiamenti dovuti ai conflitti e alle contraddizioni della società odierna. La terza parte – Tracce epistemologiche – accoglie contributi che rappresentano un punto di partenza per nuove avventure intellettuali nel segno di Simmel. Si tratta di tematiche che per la prima volta vengono sistematizzate e proposte all’attenzione della comunità scientifica; di spunti che, a partire da Simmel, elaborano nuove categorie o punti di vista con cui osservare e comprendere la realtà contemporanea; della messa in luce di una comune ambiance intellettuale tra autori che avvicina anche un diffuso ostracismo o almeno disinteresse accademico. Sono, questi, i saggi che sperano di tracciare gli itinerari futuri della ricerca simmeliana. Si inizia con Antonio De Simone, affermato specialista di Simmel – cui ha recentemente dedicato l’importante monografia Georg Simmel. Le problematiche dell’individualità moderna (QuattroVenti, 2002) – che presenta una puntuale ed esauriente analisi di quella che si può definire la “sociologia dello spazio” di Simmel. Essa rappresenta senza dubbio uno dei lasciti più fecondi del sociologo tedesco, grazie al quale comprendere la varietà delle forme d’esperienza individuale nella modernità dominata dall’economia monetaria e caratterizzata dall’esistenza metropolitana. Nei saggi dedicati al tema dello spazio, Simmel non tratta mai l’argomento come fosse un aspetto oggettivo, ma lo rende percepibile come un’attività dell’anima, al tempo stesso condizione e simbolo dei rapporti tra gli uomini. M. Caterina Federici sceglie dal canto suo di dedicarsi alla messa in luce delle affinità e dei rapporti di prossimità intellettuale che possono cogliersi tra Simmel e un altro autore ingiustamente messo da parte o ricordato solamente per un’etichetta soffocante che non rende alcuna giustizia alla complessità e attualità del suo pensiero: Ortega y Gasset. In linea con l’esito finale del pensiero simmeliano, gli elementi della conoscenza si ritrovano nell’esperienza, con compito descrittivo, e portano al rifiuto dell’idea positivista dell’esistenza di una struttura le-

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Prefazione | xi

gale della realtà storico-sociale. In ciò si può forse intravedere la “circostanza” orteghiana come luogo, tempo e società in cui siamo gettati alla nascita con una grande valutazione delle passioni, dei desideri, delle paure più che del mero pensare, in linea con il Goethe di “In principio era l’azione” e l’intrascendibilità della vita di Simmel. Raffaele Federici rivolge la sua attenzione a una delle tante “corrispondenze” che il progresso tecnologico rivela tra l’attualità e le intuizioni simmeliane, riflettendo sulla contiguità formale che lega il concetto di Wechselwirkung, in quanto radice di un’estesa rete di rapporti intersoggettivi, alle immagini contemporanee delle reti informatiche, in particolar modo ad Internet. Egli affronta la prospettiva delle reti nella direzione del pensiero di Simmel. Adottare una metodologia di questo tipo sembra affascinante poiché l’osservazione permette la conoscenza di nuovi aspetti. L’oggetto della sociologia risiede anche nella descrizione e nell’analisi delle forme di interazione umana, le riflessioni sociologiche qui riportate possono essere viste in relazione ai tempi ed ai problemi posti nello scambio nelle nuove reti con particolare attenzione alla velocità e alla quantità. In questa visione ogni aspetto della realtà sembra avere una molteplicità di connessioni e di relazioni. Un tema più propriamente epistemologico viene invece trattato da Fabrizio Fornari, che riprende e approfondisce la questione del metodo di Simmel, inserendola nel più ampio quadro del Methodenstreit. La puntuale rilettura degli stretti rapporti che legano Simmel a Dilthey e al versante della sociologia comprendente sfocia nell’affermazione di un concetto originale di causalità, che informa il pensiero simmeliano esponendolo tuttavia alle critiche di coloro che tentano di interpretarlo alla luce del paradigma dominante della causalità lineare. Secondo il Nostro, gli stessi ruoli di causa ed effetto mutano, diventano interscambiabili al variare dei punti di vista dai quali possono essere considerati e dipendono quindi in ultima istanza dal contesto, come afferma anche una delle più recenti tendenze interpretative del pensiero simmeliano, il “relazionismo” di Maffesoli e Tacussel. Donald N. Levine, tra gli interpreti più sensibili dell’influenza simmeliana negli Stati Uniti – ricordiamo in particolare la sua acuta analisi dei rapporti tra Simmel e Parsons – va a riscoprire le radici dell’idea della possibilità di un mutamento assiale nella storia umana, dovuta a Karl Jaspers, non solo in Max Weber e in Max Scheler, ma anche in uno degli ultimi contributi simmeliani, la Intuizione della vita. Qui Simmel descrive il formarsi dei “mondi” dell’etica, dell’arte, della religione in chiave husserliana come affrancamento della creatività umana dalla finalità esclusivamente utilitaristica e quindi come raggiungimento della vera cultura a seguito di un’inversione assiale della vita. Simmel, maestro di Bloch, passato in rassegna da

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xii | Prefazione

Lukács, in contrasto intellettuale con i francofortesi come Dilthey, Weber, Husserl e i neokantiani, sviluppa e dà significato ad un paradigma epistemologico fondando la sociologia come scienza, criticando il metodo psicologistico e abbozzando una teoria dell’esperienza sociale nel senso datogli dal metodo trascendentale che risale alla Critica della ragion pura di Kant. Per raggiungere questo obiettivo, Simmel s’ispira alla teoria della conoscenza kantiana e ricerca le strutture formali che rendono possibile il processo di associazione nella coscienza individuale. Lucio Napoli, da parte sua, si occupa dei complessi rapporti che, secondo Simmel, sussistono tra responsabilità ed etica. La prima costituisce la base sulla quale si fonda la seconda e deriva dalla coscienza compiuta della propria legge individuale, sul cui impulso formante, ormai comprensibile in termini di libertà, si snoda il percorso di vita di ognuno. Una responsabilità così connotata come carattere essenziale dell’agire soggettivo si apre, in un’altra estensione del concetto-chiave di Wechselwirkung, alla dimensione ambientale, venendo a intercettare l’attualissimo dibattito sulla responsabilità ecologica e sui rischi derivanti da un rapporto acritico con l’ambiente. Angelo Zotti, infine, si dedica a una lettura dell’opposizione tra cultura soggettiva e cultura oggettiva nell’ottica del “conflitto di doveri”, di cui evidenzia le basi filosofiche e che segue in autori successivi al Nostro come Jaspers e Luhmann. Nel suo scritto il particolare procedere per costellazioni di senso di Simmel viene visto come un possibile fondamento teorico dell’importanza della figura della rete nella contemporaneità, con l’accento su un disporsi orizzontale e “democratico” dei materiali dell’esperienza conseguente al crollo delle certezze ideali e vengono al tempo stesso discussi e messi in luce aspetti problematici e conseguenze del vivere metropolitano, che si consideri la condizione del blasé oppure la scelta comunque sofferta del soggetto autonomo. Simmel ha espresso una sociologia asistemica: nella sua formulazione è il soggetto a dare vita, con la sua azione e le sue scelte responsabili, all’interazione fondatrice su cui si basa l’intero costrutto sociale. “Relativismo” è la parola chiave di accesso per la sua descrizione e comprensione, nelle forme inedite di un “relazionismo” i contorni del quale vengono sempre meglio specificandosi. Anche per questo Simmel non cessa di interessare studenti senior e junior, come questo testo dimostra. Un particolare, doveroso ringraziamento va agli Autori che hanno lavorato in più direzioni, attraverso “lo schermo filtrante dell’ovvio”, ad una lettura della natura processuale dell’azione, “anarchica” e “asistemica”, come ben dimostrano i nostri giorni.

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Prefazione | xiii

Vogliamo concludere ringraziando inoltre la dott.sa Palmira Maria Barbini per la competenza con cui ha seguito le fasi di editing e correzione delle bozze e la dott.sa Silvia Fornari per il prezioso aiuto nella fase di raccolta e collazione dei materiali e per l’impegno con cui ha collaborato, anche a livello scientifico, alla riuscita di questo volume.

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Michel Maffesoli Introduzione. Un’irrealtà assai reale

Ci vuole molta fantasia per arricchire la conoscenza che può aversi della vita sociale. Nel settore di sua competenza, Freud precisava che non c’era alcun progresso possibile “senza speculazione e teorizzazione metapsicologica”. È un’esigenza che si applica anche alla sociologia: non si comprendono i fantasmi che animano il corpo sociale se non grazie ad altri fantasmi che permettano di metterli in evidenza. Una simile “fantasia” si ritrova nella sociologia di Georg Simmel. Voglio dire con questo un’irrealtà assai reale. Un tipo ideale che in quanto tale non esiste, ma i cui effetti si fanno nondimeno sentire. Ho già mostrato che poteva servire da fondamento per una “conoscenza ordinaria” o che consentisse comunque di afferrare la sinergia della ragione e dei sensi1, stabilendo da una parte un legame strutturale tra i diversi aspetti o elementi dell’individuo e dall’altra ponendo questo individuo in una situazione di “co-leganza” (reliance) con l’ambiente sociale e naturale. Una sociologia comprensiva o fenomenologica non può che impegnarsi a mettere in luce questo “primum relationis”. Patrick Watier ha efficacemente indicato come “l’intelligenza del senso comune” sia un elemento essenziale dell’opera di Simmel. L’interattività o l’azione in rapporto al comportamento altrui – di cui si può vedere, particolarmente di questi tempi, l’importanza – si colgono grazie alla “comprensione empatica”, se non addirittura alla precomprensione che è una forma di “conoscenza tacita”, fondamento di ogni socialità2. Una tale “comprensione” emerge con chiarezza da tutti i saggi che compongono questo volume proposto da M. C. Federici e F. D’Andrea. Estetica ed epistemologia vi si uniscono in una miscela feconda. L’emozione, lo “stile”, la comunicazione, la musica costituiscono veramente, in effetti, il fil rouge dell’approccio conoscitivo di Simmel. È inutile tornare su queste categorie – il libro ne fa un’analisi pertinente – se non per segnalare che, in quella che ho chiamato una prospettiva “formista”, 1 2

Cfr. Maffesoli 1986; 2000. Cfr. Watier 2002.

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xvi | Michel Maffesoli

esse sono altrettanti quadri analitici che danno senso all’atmosfera (ambiance) emozionale o all’estetizzazione sfrenata che caratterizza gran parte dei fenomeni contemporanei, in particolar modo perché sottolineano l’interazione esistente tra la coscienza individuale e la coscienza collettiva. Si dovrebbe perfino aggiungere l’inconscio individuale e collettivo. Il fatto di non esistere se non attraverso e nello sguardo dell’altro, che è stato la cifra della premodernità, è certamente l’aspetto essenziale della postmodernità e in questa prospettiva l’opera simmeliana è tra le più utili. Così riflettere sulla “forma” non è un semplice esercizio accademico quanto piuttosto un metodo adatto a chiunque voglia comprendere, almeno in parte, i geroglifici misteriosi che sono gli atti quotidiani. Simmel l’aveva intesa proprio in questo senso, quando descriveva l’ansa di un vaso, la civetteria, le manifestazioni della moda, l’importanza dei sensi o il significato delle rovine3. Ognuno di questi elementi in sé ha poca importanza, ma si inscrive in una struttura ologrammatica d’insieme dove trova senso e alla quale, soprattutto, dà senso. A ben vedere gli atti anodini sono causa ed effetto dell’effervescenza vitale di cui l’arte, la musica, lo sport, la festa sono le espressioni compiute. Vitalismo che è difficile prendere in conto poiché comporta, logicamente, una parte di eccesso, la vita e lo spreco essendo intimamente correlati. Come osserva Vladimir Jankélévitch, a proposito di Guyau e Simmel, è proprio della vita provenire da una spinta “semi-incosciente, da una pulsione istintiva che scaturisce da profondità oscure”4. Per quanto mi riguarda, aggiungerò che la forma ad un tempo accumula, nel lungo periodo, le informazioni della specie umana e le restituisce nel presente. Essa è arcaica e attuale. È proprio questo che ci ricorda lo “sguardo obliquo” dove dettaglio e totalità entrano in una sinergia paradigmatica di ciò che è la realtà, e di ciò che dovrebbe essere ogni vero pensiero del sociale. Traduzione di Fabio D’Andrea

3

Cfr. Watier 1986.

4

Jankélévitch 1924, 39.

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Introduzione. Un’irrealtà assai reale | xvii

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Riferimenti bibliografici

Jankélévitch V. (1924), Deux philosophes de la vie, in “Revue philosophique”, 49, 2, pp. 35-52. Maffesoli M. (1986), La conoscenza ordinaria, a cura di P. Lalli, Cappelli, Bologna. Maffesoli M. (2000), Elogio della ragione sensibile, SEAM, Roma. Watier P. (1986), Individualisme et sociabilité, in P. Watier (sous la direction de), Georg Simmel. La sociologie et l’expérience du monde moderne, Klincksieck, Paris 1986, pp. 235-253. Watier P. (2002), Une introduction à la sociologie compréhensive, Circé, Belfort.

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PARTE PRIMA IL GIOCO DELLE EMOZIONI

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Silvia Fornari Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana

L’eterno Femminino ci attira verso l’altro Goethe

1. Premessa Le emozioni, i sentimenti per lungo tempo sono stati relegati ai settori scientifici della psicologia, dell’antropologia e della filosofia, considerate le scienze che meglio riescono ad indagare le profondità delle manifestazioni irrazionali della vita1. Così si è pensato che riuscire a comprendere la peculiarità delle emozioni e di quanto incide sullo sviluppo della personalità dell’uomo spetti solo all’ambito dello studio psicoanalitico o psicologico, così come si è ritenuto che l’antropologia con le sue ricerche sugli elementi puri e primitivi dell’azione degli individui e della collettività sia in grado di far emergere il lato emozionale degli attori sociali. In quest’ottica l’unica scienza che, pur occupandosi dell’uomo in chiave sociale, non trovasse alcun riferimento scientifico a questo campo d’azione era proprio la sociologia. Studiando più in profondità il pensiero degli Autori classici, è possibile, invece, mostrare come le emozioni e i sentimenti rappresentino più di una semplice intuizione o un singolo richiamo all’argomento. Tra gli altri possiamo citare Durkheim quando tratta delle emozioni come fattori ed agenti di coesione nella formazione del concetto di solidarietà e della morale sociale; Weber quando sviluppa una profonda analisi del fattore emozionale come elemento di rilievo nella formazione dello spirito capitalistico; Sombart quando si occupa delle sfumature che caratterizzano il lusso nei processi economici che portano allo sviluppo del capitalismo moderno; non da ultimo Simmel, per il quale le emozioni rappresentano un nodo centrale delle diverse e variegate analisi filosofiche e sociologiche, tanto da poterlo considerare colui che ha posto le basi per la formulazione di una teoria sociologica delle emozioni. È possibile poi indicare anche il pensiero di altri Autori, come George H. Mead, Charles Wright Mills, Norbert Elias e Erving Goffman, per citare unicamente coloro che partendo dai classici della 1

Cfr. Magri 1999.

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4 | Silvia Fornari

sociologia hanno approfondito ed ampliato il dibattito intorno alle emozioni e ai sentimenti2. In questa sede, non potendo affrontare in modo sistematico tutto l’ampio panorama offerto dagli Autori sopra citati, il mio interesse si rivolgerà solo allo studio e all’interpretazione del pensiero e delle opere in cui Simmel, con forza e sentimento, si occupa del mondo emozionale femminile e maschile, poiché comunque da noi oggi è a pieno titolo considerato il padre fondatore della moderna sociologia delle emozioni. Nelle trattazioni saggistiche Simmel si è interessato, com’è noto, di diversi argomenti, definiti in termini moderni analisi microsociologiche. L’attenzione verso aspetti di vita lontani dalle indagini scientifiche universitarie fornisce all’Autore l’occasione di interessarsi alle forme sociali minori, in cui la soggettività è un elemento caratterizzante nel processo della differenziazione sociale, come acutamente osserva uno dei suoi più promettenti allievi, Siegfried Kracauer: “Egli scompone, per esempio, l’essenza della femminilità o descrive l’intima struttura di determinati tipi come l’avaro o l’avventuriero [...] Mai Simmel considera suo compito registrare la causale compresenza di singole caratteristiche essenziali come invece fa il puro empirico”3. Indagare i legami sociali ha significato per Simmel la possibilità di comprendere la profondità dell’animo umano, capire le ambivalenze della nostra vita attraverso un’ottica minimale. Questo lavoro ha così come obiettivo principale quello di comprendere le dinamiche più intime e fondanti, di cui Simmel ha trattato argomentando intorno alla sfera dei sentimenti, parlando soprattutto di amore, femminilità e sessualità. Interesse che trova una conferma in un estimatore di Simmel, José Ortega y Gasset4, il quale si occupa dell’amore evidenziando come “da due secoli a questa parte si è parlato molto di amori e poco di amore. Mentre tutte le età dai tempi d’oro della Grecia, hanno avuto la loro grande teoria dei sentimenti, gli ultimi due secoli ne sono stati privi […] Noi non possediamo alcun saggio in grande stile per sistemare i sentimenti. Solo recentemente i lavori di Pfander e di Scheler tornano a proporre il tema. Nel frattempo la nostra anima si è fatta sempre più complessa e la nostra percezione più sottile”5. Ma anche in questo senso, chi ha già una conoscenza

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Turnaturi 1995, 7-24. Kracauer 1982, 39-40. 4 Autore di cui si occupa in questo stesso lavoro M.C. Federici, individuando elementi di relazione tra il filosofo tedesco e il filosofo spagnolo; cfr. 269-301. 5 Y Gasset 1994, 13-14. 3

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 5

complessiva dell’Autore tedesco si renderà conto che non ci stiamo occupando di aspetti secondari del vivere sociale; qui ci si addentra piuttosto nella profondità di tematiche che caratterizzano la vita di ogni individuo, influendo profondamente le scelte personali. Per riuscire a comprendere appieno il percorso che ha portato Simmel alla costruzione di tali tematiche nella prima parte del saggio mi occuperò del concetto del conflitto delle forme, passaggio necessario per introdurre l’approccio metodologico dell’Autore. Il concetto di forma nel pensiero simmeliano è un elemento indispensabile per comprendere i successivi passaggi concettuali che portano l’Autore ad esporsi in un ambito di ricerca innovativo, quello delle interazioni sociali, rispetto al tempo in cui ne tratta. Oggi alla luce dell’importante riflessione critica sorta intorno alle opere di Simmel, sappiamo che esiste un filo rosso che segna e collega tutta la sua vasta produzione, dai primi lavori di fine Ottocento a quelli pubblicati postumi. Solo dopo aver spiegato questo passaggio mi occuperò del tema principale del mio saggio, avventurarmi nel terreno della relazionalità sociale e del concetto di dualismo, per poi nel paragrafo finale affrontare il tema del pudore, dell’amore e della sessualità. La scelta che mi porta a seguire questo percorso nasce dall’esigenza di spiegare la profondità e l’importanza che per Simmel assume l’emozionalità nella vita relazionale degli attori sociali, aspetto che ha caratterizzato anche la vita privata dell’Autore.

2. Il conflitto delle forme sociali L’attenzione verso forme di vita lontane dalle indagini scientifiche universitarie permette a Simmel di definire una metodologia di stampo gnoseologicoeuristico, utilizzata per le indagini sociologiche, in grado di pervenire a considerazioni innovative e quanto mai realistiche sui fenomeni sociali come lo studio delle relazioni, del denaro e di raccontare di forme di socialità minori, in cui la soggettività è l’elemento caratterizzante insieme ai sentimenti e alle emozioni più intime ed individuali. Simmel rinuncia così ad una concezione della verità in cui trova corrispondenza l’indagine sociologica e l’attualità, ponendo invece l’accento soprattutto su ciò che rappresenta una conoscenza marginale della realtà. L’essenza della totalità si identifica con il particolare, con la concretezza dell’irriducibilità dell’esperienza individuale ai sistemi totalizzanti della metafisica e della morale di fine Ottocento. La sociologia come scienza con Simmel assume un valore distinto dalla visione positivista in cui i

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fatti sociali sono gli oggetti primi d’indagine: egli sviluppa la sociologia formale, “una scienza distinta tanto dalla psicologia sociale quanto dalla filosofia sociale e dalla storiografia. La sociologia pura o formale tratta la geometria delle forme di interazione sociale”6. Si tratta così di ricercare i modi e le forme della socializzazione. Il concetto di conflitto simmeliano trova la sua massima rappresentazione in Il conflitto della civiltà moderna7, in cui la conflittualità e la scissione sono due componenti che caratterizzano la natura essenzialmente dualistica dell’uomo. Per Simmel si tratta del modo in cui l’uomo percepisce “i contenuti del proprio mondo e la sua intera tragicità”8, così come nello stesso tempo si tratta di una condizione necessaria per lo sviluppo e la stessa vitalità umana, un processo che si è andato determinando dal Rinascimento in avanti. È nella modernità che si è generato il contrasto soggetto-oggetto, dove l’io diviene il nodo centrale del pensiero moderno, il cogito ergo sum cartesiano, che pone al centro del mondo l’io pensante, un io frutto dell’oggettivazione del mondo. La dualità e il contrasto che essa ingenera porta a una scissione presente non solo sul piano naturale, ma anche su quello sociale e Simmel si rende conto che proprio nella perdita dell’unità tra natura e spirito, tra realtà oggettiva e realtà soggettiva risiede il senso della conflittualità moderna, in cui l’oggettività, la razionalità come forma di risposta allo scientismo distingue due diversi modi di comprendere la realtà, due mondi contrastanti, in cui è evidente soprattutto l’opposizione tra il materialismo e la visione spiritualistica della vita9. Gli strumenti d’indagine metodologica utilizzati da Simmel per comprendere la conflittualità e la dualità presenti nella società moderna sono le forme10, le quali perdono ogni intento di penetrazione esaustiva e conclusiva della

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Jonas 1975, 535. Cfr. Simmel 1999. È importante ricordare che quest’opera è stata tradotta una prima volta da Rensi nel 1925 ed oggi riedita, mantenendo intatto tutto l’impianto del filosofo italiano e che successivamente nel 1976 Mongardini propone una nuova traduzione del testo simmeliano con il titolo di Il conflitto della cultura moderna; traducendo il termine tedesco Kultur, con “cultura” e non “civiltà” come fece invece Rensi. In questa sede si farà riferimento alla prima traduzione italiana. 8 Simmel 1995a, 10. 9 Per un approfondimento si veda: De Simone A., Soggetto/oggetto, concetto, conflitto e “Tragedia” della cultura moderna, in De Simone 2002, 35-90. 10 Il termine “forma” utilizzato da Simmel ci rimanda ad una valenza semantica che parte dal pensiero kantiano. Per Kant “la forma è l’ordine che lo spirito conferisce alle sensazioni per il fatto stesso di accoglierle e di raccoglierle in sé stesso” [Severino 2000, 167]. La forma 7

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 7

realtà sociale. In proposito, infatti, è stato osservato come: “La […] tecnica [di Simmel] consiste essenzialmente nel differenziare le forme generali della socializzazione dal contenuto particolare della società”11; in questo processo il ruolo delle forme è quello di svelare, anche se parzialmente, la dialettica, il legame esistente tra l’individuo e la società, così come il rapporto tra l’individuo e la propria identità. L’oggetto della sociologia simmeliana è così rappresentato dai modi e dalle forme della socializzazione, in cui l’azione reciproca e la centralità dell’individuo realizzano lo spazio cui poter applicare una nuova metodologia sociologica, nonché una nuova visione antropologica, dove i sentimenti e le passioni hanno una posizione centrale, grazie alla loro capacità di guidare il processo che porta non solo alla riaffermazione dell’uomo, ma come sarà analizzato in questo lavoro, anche della figura femminile. In questa prospettiva, la forma non è statica, fissa, ma è la rappresentazione del cosciente travaglio interiore dell’individuo. Il conflitto dell’uomo del tempo presente risiede proprio nella sua incapacità di dominare la complessità della vita moderna, e l’unico strumento a sua disposizione per riuscire a rischiarare la sua esistenza anche solo per un istante, si rintraccia nella transitorietà variegata e fluttuante delle forme. Riuscire a cogliere l’essenza di un fenomeno è possibile nell’analisi simmeliana solo attraverso una conoscenza frammentaria, nell’espressione delle piccole parti, che con la loro apparente superficialità e sfuggente manifestazione si mostrano a noi. Nella dispersione della nostra esperienza, indugiando nella mutevolezza dei frammenti, è possibile afferrare di volta in volta la vita dell’uomo moderno: “[ciò avviene] quando il moto creatore della vita ha espresso certe formazioni in cui esso trova la propria estrinsecazione e le fogge della sua realizzazione, e che dal canto loro sussumono in sé le fluttuazioni della vita che segue e danno ad esse contenuto, forma, sfera di azione, ordine. Tali sono le costituzioni sociali e le opere d’arte, le religioni e le conoscenze scientifiche, i sistemi di tecnica e le leggi civili e innumerevoli altre”12. I prodotti di questi processi vitali sono però caratterizzati “da una loro propria permanente fissità”13, in cui viene meno la vitalità ed il ritmo della vita è quindi nella visione kantiana la dimensione stessa dello spirito, si tratta di una rappresentazione che non può provenire dall’esterno, non può cioè essere una sensazione, ma deve trovarsi a priori già nello spirito. In questo senso le “intuizioni pure” di Kant sono le forme a priori, o pure della sensibilità. 11 De Simone 2002, 35-90. 12 Simmel 1999, 11. 13 Ibid.

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stessa, “col suo salire e discendere, col suo continuo rinnovarsi, col suo inesausto ramificarsi e riunificarsi”14. Le forme sono le formazioni, il rivestimento di cui si avvolge la vita stessa, ma nella costituzione di queste forme statiche la vita continua a scorrere, ad andare oltre, a produrre nuove forme nel momento più adeguate alle esigenze della vita, ma destinate, ineluttabilmente, come tutte le forme, a cristallizzarsi ed essere nuovamente superate dalla vita, poiché la vita non si può esprimere che nella forma, ma non si esaurisce mai in essa. Così che se le forme sono le rappresentazioni delle nuove cristallizzazioni di movimenti sociali, servono a rappresentare e descrivere le fasi di mutamento della civiltà ed hanno per oggetto la storia15. Simmel in questo processo diviene il teorico della conflittualità dell’uomo moderno, individuando nei tratti della lotta tra la vita e la forma la crisi del vivere quotidiano, che riproduce il dramma e l’angoscia della vita moderna: “La vecchia forma ha finito di vivere, la nuova non è ancora creata, così si crede di avere nell’informe l’espressione adatta per la vita che incalza. Ma rimane la stessa contraddizione, come nell’espressionismo. Certo anche qui il tragico fenomeno fondamentale: che la vita si crea una forma che le è, si indispensabile, ma già, per il fatto che è forma, nemica del movimento come l’individualità della vita”16. La tragedia della nostra esistenza Simmel riesce a rappresentarla nel momento in cui afferma che la vita non è in alcun modo riducibile nelle sue transitorie e ambigue forme, “il lato profondo della cosa sta in ciò, che la vita, in forza della sua essenza, che è il moto, lo sviluppo, lo scorrere oltre, lotta di continuo contro i suoi propri prodotti diventati rigidi e non procedenti insieme con essa”17. È soltanto nell’incommensurabile inadeguatezza delle sue forme e nelle loro manifestazioni dileguanti che l’uomo moderno è in grado di cogliere il senso e la profondità della vita stessa: “Il mutamento continuo dei contenuti della civiltà, e da ultimo dell’intero stile di questa, è l’indice o piuttosto la conseguenza della infinita fecondità della vita, ma anche della profonda contraddizione in cui sta il suo eterno divenire e mutarsi con l’obbiettiva validità e l’affermazione delle sue manifestazioni e forme, con le quali o nelle quali essa vive. Essa si muove tra morire e divenire, divenire e morire”18. In questo processo la realtà sociale così come quella storica e naturale sono inespugnabili nel significato ultimo e definitivo, in quanto conoscenze fram14

Ibid. Vedi infra, il saggio di F. Fornari alle pp. 325-338. 16 Simmel 1927, 91. 17 Simmel 1999, 13. 18 Ibid. 15

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 9

mentarie e molteplici, svincolate da qualsiasi categorizzazione che voglia dirsi definitiva e conclusiva. Nel periodo critico dell’epoca di Simmel le forme tradizionali sono morte, si assiste ad una mancanza di forme e di conseguenza alla perdita di principi di riferimento19, che sono però sostituiti, nella visione positiva simmeliana, da impulsi vitali innovativi, capaci di dare origine ad altre forme, in grado così di superare anche quel senso di malessere tipico degli uomini della civiltà moderna, “in cui non si tratta assolutamente più d’una nuova forma che intraprende la lotta contro una vecchia, ma si tratta della vita che in ogni possibile sfera si ribella contro questo suo dover scorrere in forme fisse di qualsiasi specie”20. In questa breve introduzione al pensiero formale simmeliano si evidenzia come la profondità delle nostre esperienze si mostra a noi per riuscire a conseguire una certa stabilità e rassicurazione, ma solo nel fluttuare incessante nelle increspature della superficie della vita, siamo in condizione di rintracciare la nostra stabilità personale. La scoperta e la comprensione della vitalità del nostro vivere quotidiano si manifesta a noi nella profondità dell’inconscio, nell’oscurità degli abissi interiori, in quella parte che tendiamo a celare a noi e agli altri, in cui sono conservate le “cose ultime”, in cui le diverse forme si manifestano nell’altalenante fluire della vita. Come nitidamente osserva Bodei, in un suo saggio dedicato alle emozioni: “L’irrigidimento delle questioni nella forma dell’ovvietà, la decomposizione del linguaggio che dovrebbe esprimerle, l’incertezza dei saperi che si assumono l’onere di parlare di quel che si pone oltre la linea mobile del già detto (percepito, compreso o assimilato) è alla base della possibilità stessa di sopravvivere nella vita quotidiana, ma anche all’ottundimento delle emozioni e del complementare bisogno di uscire dalla piatta bidimensionalità dell’ovvio alla ricerca di un più alto spessore di senso”21. Simmel ha avuto questo grande merito, oggi ampiamente riconosciuto da più parti, di essere riuscito a cogliere la molteplicità del vissuto senza creare nessun irrigidimento al fluire della vita “imbrigliandola in una travatura di concetti”22, divenendo il filosofo capace di intuire le analogie, i mutevoli rapporti tra gli oggetti, rivelandone le uniformità, senza però trascurarne le diffe-

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Visione condivisa al tempo anche da altri illustri sociologi, basti pensare al concetto di anomia di Durkheim. Cfr. Giddens 1998; Cfr. Poggi 2003. 20 Simmel 1999, 16-17. 21 Bodei 1999, 187. 22 Vozza 2002, 12.

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renze, riuscendo a cogliere “i bagliori della totalità, i segni di quella unità precategoriale che è la vita, di cui la molteplicità delle relazioni fenomeniche è vibrante testimonianza: il filosofo può cogliere soltanto i riflessi della totalità, osservando e divagando tra i fenomeni, in tutte le direzioni di indagine cui la curiosità lo induce”23.

3. Relazionalità e dualismi Per Simmel, come s’è scritto sopra, lo studio della società si rivolge alla comprensione di quelle relazioni sociali, considerate interrelazioni di unità psichiche differenti. Ognuna di esse si caratterizza per quel particolare contenuto psichico celato dietro la facciata della relazione, in questo senso per l’Autore le relazioni sociali non sono semplicemente azioni razionali, poiché “esistere significa avvalersi degli effetti dello scambio relazionale, confrontarsi con un tu, originario quanto l’io, al fine di costituire un noi”24. Il soggetto della modernità di per sé incarna la forma eternamente contraddittoria, che nasce dall’intersecazione di pulsioni, passioni e di ragione. La primaria esigenza di relazione nasce, come sottolinea lo stesso Marx, dal rapporto uomo-donna, in quel primo rapporto dell’uomo con la natura che crea l’alterità nella vita. Si tratta di un rapporto a carattere naturalistico, ma non si può non considerare l’aspetto storico-umano, che si evidenzia “tanto [nell’] urgenza naturalistica e [nell’] indilazionabilità dell’elemento naturalistico incarnato nelle differenze di sesso, quanto [nell’] ineliminabile connessione che con tale elemento presenta la natura umana e storica del rapporto: l’essere tanto l’uomo quanto la donna membri di un tipo storico di società”25. L’intricante legame delle diverse parti diviene il principio d’individuazione, in cui nessun frammento dell’Io può erigersi a guida sicura dell’altra parte. Non esiste uno stadio di purezza, ma una continua contaminazione, un incessante incontro e scontro tra le parti costitutive del soggetto. In questo eterno conflitto l’individuo o è in grado di partecipare nella sua completezza di soggetto agente o non è in grado di produrre azione sociale26. 23

Ibid. Ivi, 13. 25 Cerroni 1975, 125. 26 In questa visione le riflessioni successive dello psicologo sociale comportamentista americano George Herbert Mead (1863-1931) trovano un profondo legame con quanto affermato da Simmel, a partire dal concetto di sociazione (Vergesellschaftung) e nella descrizione 24

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Possiamo ricordare come anche il filosofo tedesco Friedrich Engels si fosse occupato nelle sue dissertazioni della storicità dell’eros, mettendo in luce come

delle forme di interazione sociale (Wechselwirkung), come base teorica dei concetti mediani di “mente”, “sé” e “self ”, considerati prodotti delle interazioni e dei processi sociali. La mente per Mead nasce da un processo sociale, determinato dall’interazione e dalla comunicazione degli attori sociali. Il linguaggio è alla base della costruzione del “sé”, poiché non esiste in natura, si sviluppa grazie all’apprendimento di gesti, parole e all’esperienza appresa nella relazionalità sociale. Tutti gli esseri umani hanno un “sé”, e come tali possono essere oggetto della propria azione, ed agire verso se stessi nello stesso modo in cui potrebbero agire verso gli altri. Ciò che permette la comunicazione e l’interazione sociale sono i “simboli”; ed il simbolo non è altro che uno stimolo cui è data una risposta “in anticipo”. Il “sé” si costruisce attraverso l’“assunzione di ruolo”, intesa come la capacità di vedere e significare gli atteggiamenti dell’altro e le sue disposizioni ad agire. Si pensi alle Regole del gioco di J. Piaget. Il “sé”, considerato l’aspetto spontaneo e non organizzato dell’esperienza umana (attività immediate ed indifferenziate), si costituisce anche di un “me” che rappresenta l’altro incorporato nell’individuo e comprenderebbe l’insieme organizzato di atteggiamenti e di posizioni prevalenti all’interno del gruppo; e di un “io” che costituisce l’inizio dell’atto prima che intervenga il controllo del me e quindi delle aspettative che gli altri hanno nei nostri riguardi. L’io fornisce la propulsione, l’energia all’atto, mentre il me la direzione dell’atto stesso e l’intensità. L’individuo e la società, sono due realtà che si relazionano, non sono in contrapposizione. Mead in questo senso parla di “autoriflessività”: vale a dire la capacità dell’essere umano di scindere in un soggetto che osserva ed in oggetto osservato; io e me, generano il “sé”, ma per sviluppare questa capacità è necessario l’intervento dell’“altro generalizzato”; il soggetto riesce così a riflettere su se stesso soltanto se riesce a mettersi nei panni dell’altro ed ad osservarsi con gli occhi dell’altro (l’“io specchio” di Cooley). L’“altro generalizzato” rappresenta l’insieme delle relazioni sociali nelle quali il soggetto è inserito. Si tratta di un dialogo interiore, tra sé e sé, che però presuppone l’interazione con gli altri, l’interazione non può avvenire senza la presenza dell’istituzione sociale per eccellenza, il “linguaggio”. L’uomo vive in un mondo simbolico e la sua coscienza è l’espressione delle condizioni di vita di un essere che vive in un determinato ambiente sociale (Cassirer). La condotta simbolica di Mead, trova una corrispondenza con il concetto d’interazione simbolica di Blumer (1969). L’interazionismo simbolico rivendica l’importanza del pensiero simmeliano, soprattutto quando Simmel sottolinea l’importanza della conoscenza reciproca dei componenti dell’interazione; le nostre azioni nella relazione sociale dipendono principalmente dal nostro grado di conoscenza dell’altro e di ciò che l’altro ha fatto trapelare su di lui. Non si tratta di un processo di imitazione dei comportamenti, per Mead il primun sociale sono le istituzioni sociali, le quali decidono quale comportamento sia da imitare. L’uomo deve imparare non ad imitare, ma a rappresentarsi l’universale, il fondamentale o il simbolico di un determinato comportamento e l’universale dell’altro uomo con cui entra in rapporto. Il processo di socializzazione permette così agli individui di assumere simbolicamente il ruolo dell’altro, uscire da sé stessi e giungere ad un livello più alto di universalità. Il mettersi al posto dell’altro è anche la più alta forma di controllo sociale: io apprendo ad avere costantemente presente l’altro universalizzato, in questo modo assumo un ruolo sociale, ho una coscienza, i miei valori corrispondono a valori sociali condivisi e di riferimento.

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nella società moderna l’eros si differenzi proprio sul piano di una maggiore carica soggettiva in presenza di un’intensità spirituale capace di unirsi al desiderio sessuale, ed in questo processo si assiste anche ad un’autonomizzazione rispetto ai ruoli e alle istituzioni sociali27. Quest’emancipazione dell’individuo dai vincoli sociali costituisce anche la precondizione per lo studio dei fenomeni legati all’espressione sentimentale soggettiva: come rileva lo stesso Simmel, quando individua l’unità della coscienza come capacità dello studioso di effettuare una corrispondenza tra la vita psichica degli altri e la propria. Nei saggi che Simmel dedica a Il relativo e l’assoluto nel problema dei sessi28 e alla Cultura Femminile29, così come nel saggio Sull’amore30, è possibile rintracciare non solo il tratto caratteristico del suo stile saggistico, ma soprattutto la leggerezza e la fluidità dei suoi scritti, nei quali è possibile le sfumature più delicate, ma anche i toni più decisi, capaci di mostrare il vero significato del termine relazione sociale. Simmel non usa i toni tipici delle dissertazioni scientifiche per descrivere e definire i termini moderni della sociologia in quanto scienza, ma attraverso l’uso delle analogie, degli esempi più diretti presi da avvenimenti di vita vissuta, estrapola e mostra i fili più sottili che tessono la tela della relazionalità sociale, poiché come lo stesso scrive: “Muovendo dal significato sociologico del concetto di interazione (Wechselwirkung), mi sono reso conto che questo era per me gradualmente diventato un principio metafisico onnicomprensivo. Mi sembra che l’attuale dissolvimento di tutto ciò che appare sostanziale, assoluto ed eterno nel fluire delle cose, nella possibilità storica del mutamento, nella realtà meramente psicologica, possa essere preservato da un soggettivismo e uno scetticismo incontrollati, a patto che si ponga al posto di quei valori permanenti e sostanziali l’interazione vitale e la reciprocità di elementi che a loro volta sono soggetti allo stesso infinito dissolvimento”31. Così anche quando sceglie di descrivere ed indagare un ambito così intimo come quello dei sentimenti, dall’intimità al pudore e all’amore, lo fa con una tale leggerezza da giungere a soluzioni particolari, ma capaci di cogliere la “profondità della superficie”. Il contrasto dei due termini nasce proprio dal voler evidenziare come

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Cerroni 1975, 120. Cfr. Simmel, Il relativo e l’assoluto nel problema dei sessi (1911), in Simmel 1998b, 5582; ora anche in Simmel 2001, 91-121. 29 Cfr. Simmel, Cultura femminile (1911), in Simmel 1998b, 213-244; ora anche in Simmel 2001, 123-157. 30 Cfr. Simmel 1995e. 31 Simmel in Vozza 2002, 14. 28

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la superficie rappresenta ciò che ci appare, che riusciamo a cogliere solo attraverso le sensazioni più superficiali, e la profondità ci serve invece per approfondire la parte epidermica e scavare tra le creste delle manifestazioni di superficie. In quest’analisi tutta l’opera simmeliana pone in risalto il contrasto di due realtà in opposizione, come il conflitto sopra esaminato tra forma e vita, che possiamo considerare il punto di partenza, dal quale si diramano tante altre e diverse analisi dualistiche che portano al famoso saggio Ponte e porta32, in cui forte è il legame con i dati dell’apertura e dell’unione, nonché con quelli della chiusura e della separazione: “Poiché l’uomo è l’essere che collega, che sempre deve separare e che senza separare non può unire – noi dobbiamo prima concepire spiritualmente nella loro separatezza il mero esserci indifferente delle due rive, per poterle poi collegare attraverso un ponte”33. In questa descrizione è possibile capire come anche l’amore, considerato da Simmel innanzi tutto un atto creativo, non si determini semplicemente nella capacità relazionale tra due individui, e la stessa relazione erotica non si limiti a ridurre o cancellare la distanza tra due amanti, poiché il ponte si getta tra l’io e il tu, non crea solo l’unione, ma tende a mantenere intatto lo stesso atto della separazione. Come ben esprime in altri saggi, Simmel ha dato prova di una grande capacità di analisi dualistica, non solo nello studio minuzioso dei sentimenti, ma anche argomentando di pensatori e studiosi, come Kant e Goethe34, per lui insuperati maestri. Egli ci presenta sempre la manifestazione di due mondi, due modi di osservare la realtà; come sottolinea acutamente il curatore del Frammento sull’amore del 1927: “Del resto la viva coscienza dei contrari è una caratteristica [di Simmel]; essi sono la stoffa stessa della sua speculazione; egli li vede, li analizza in un superamento che sa bene creerà nuove contraddizioni e nuovi superamenti: così la vita”35. Simmel riprende da Kant il suo portare il soggettivismo al culmine nell’età moderna, in cui l’autorità dell’io non si riduce mai a tutto ciò che è materiale, e al tempo stesso non rinuncia alla solidità e al significato del mondo oggettivo. Per Kant tutti gli oggetti sono a disposizione della nostra conoscenza, poiché grazie alla loro rappresentazione noi li conosciamo. Ma il vero problema

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Cfr. Simmel 1970, 1-8. Per un’analisi critica: Vozza 2003, 66-68. Ivi, 8. 34 Cfr. Simmel 1995a. 35 Sola 1927, 7. 33

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per Kant, come ci dice Simmel, non risiede tanto nelle cose, ma nel nostro sapere di esse. Riuscire ad unificare i grandi contrasti già rimarcati, come natura e spirito, corpo e anima, ciò è possibile solo nel momento in cui saremo in grado di accettare la limitazione che “tale unificazione all’immagine che di esse la coscienza scientifica produce; l’esperienza scientifica, con l’universalità delle sue leggi, è la cornice che comprende tutti i contenuti dell’esistenza in una sola forma, quella cioè che li rende conformi alle leggi dell’intelletto”36. In questa descrizione manca un’altra analisi duale di Simmel, quella che meglio ci aiuta a comprendere il suo interesse per i sentimenti e le passioni, e che apre non a caso il Frammento sull’amore, ed è il rapporto Io-Tu, che serve a spiegare la relazionalità uomo-donna, l’ambivalenza del rapporto e della soggettività delle due parti. Si tratta di un’ambivalenza che trova la sua spiegazione nella vita stessa, poiché la vita è movimento, “è oscillazione fra due poli: siano disperazione e giubilo, virtù e felicità […] infinità e forma, conoscenza e azione, […] monismo e dualismo, soggetto e oggetto”37. È nel dualismo che Simmel cerca la sua posizione, nell’oscillazione tra due punti, senza mai ricercare l’unione dell’idea, poiché è proprio nell’unità che si recupera il senso del molteplice38. Molti critici hanno voluto cogliere in quest’eterno dualismo simmeliano, in questo oscillare tra due piani e non dare soluzioni definitive, la carenza dell’impianto teorico dell’Autore. Simmel mostra una passione per i contrasti, per i paralleli, per l’analisi degli opposti, elementi che oggi ci aiutano ad integrare e comprendere la complessità della sua personalità39. Il collegamento tra il molteplice e l’unità serve a Simmel per dipanare e spiegare il processo vitale, alla ricerca di nuovi equilibri, un processo “che è divenire [in cui] la vita sempre più pienamente si realizza, vita insieme e più vita”40. Simmel anche quando si dedica alla riflessione su Goethe 41, nel lavoro monografico, collega il pensiero del letterato al concetto di formazione, come ambito di crescita, di esperienza, nell’attraversamento del molteplice che si

36

Simmel 1995a, 17. Sola 1927, 8. 38 Cfr. D’Andrea 2004. 39 Per un approfondimento del concetto di ambivalenza nella sociologia di Simmel si rimanda al saggio della Nedelmann, in cui questa caratteristica stilistica è posta in relazione al procedimento sociologico weberiano. Cfr. Nedelmann 1992. 40 Sola 1927, 15. 41 Cfr. Simmel 1913. 37

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 15

realizza nella costruzione di una specifica forma d’individuazione del soggetto, un processo, una Bildung. Per Goethe l’individuo si realizza attraverso un processo di autocostruzione, in un’esperienza della molteplicità grazie alla quale riesce a strutturare la propria personalità. In Goethe opere e personalità non sono due momenti distinti “[Simmel] individua, nell’unità della personalità di Goethe con la sua produzione spirituale, e nell’unità della sua vita con le sue creazioni, un esempio concreto di conciliazione tra l’«elemento universalmente umano» e la componente individuale, irripetibile e unica, del soggetto”42, in cui la “costruzione della sua vita e la composizione delle sue opere sono da considerare come una sola operazione, eseguita con un solo gesto, con un’identica intenzione”43. Un altro elemento per noi fondamentale in relazione all’analisi sui sentimenti è come Goethe parla dell’amore, rappresentato come il centro dei rapporti sentimentali ed erotici dell’individuo, nella relazione con la figura femminile, in specifico con il tema della donna. Goethe rappresenta così uno spunto per Simmel per affrontare il tema della donna: ciò di cui tratta nelle riviste, nei giornali, lo troviamo poi condensato nell’opera dedicata al poeta tedesco. L’amore è un sentimento egoistico, è il luogo della formazione, una realtà che serve per la crescita e l’esperienza dell’uomo, nella costruzione di una specifica forma. Nelle diverse opere di Goethe, il tema dell’amore acquista una valenza creativa, emotiva ed erotica, come esperienza capace di determinare la costruzione individuale attraverso un percorso di formazione, prendendo così una forma. In questa prospettiva la distinzione tra figura maschile e femminile è determinata dai tratti di passionalità, libertà, volubilità, mobilità dell’uomo, il quale nell’esperienza dei diversi rapporti e quindi di molti amori ricerca una propria identità libera ed indipendente. Si tratta di rappresentazioni delle figure maschili, siano esse deboli o forti, fondamentalmente instabili, infedeli e leggere, sono sempre gli uomini, nelle opere di Goethe, a provocare passioni, a ricercare nuove storie, sempre al centro dell’azione, incarnando con questi vissuti sentimentali un continuo stimolo per ricercare un sé che non è mai unitario, ma molteplice. Così i personaggi maggiori descritti dal poeta – Werther, Wilhelm o Faust – sono le rappresentazioni dell’eroe moderno, il quale ricerca nel rapporto con il femminile la possibilità di una crescita, di una formazione. Simmel riprende questo concetto goethiano, poiché la vita vera del poeta non è mai scissa dal momento della produzione letteraria, in essa confluiscono le 42 43

Portioli 2003, 99. Giacomoni 1995, 98.

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sue personali esperienze, dando così forma ad un processo vitale continuo. Il tipo femminile diventa Ewigweibliches (eterno femminino goethiano), proiezione delle donne amate nella vita vera dal poeta e poi trasferite nelle sue opere, e proprio su quest’esempio Simmel si basa per accostarsi al tema dell’amore e della relazione fra i sessi, riprendendo l’analisi goethiana, ma anche schilleriana della venerazione della figura femminile (tema dominante delle opere del periodo classico-romantico). Simmel come rappresentante del pensiero moderno ci fornisce una visione del tipo-donna, come trasposizione, descrizione che risente totalmente dell’opera di Goethe, soprattutto quando ci parla della donna come anima bella, un’immagine presente in Friedrich Schiller, descrittore di un’ideale femminile frutto della compensazione della passionalità maschile44. Il dualismo maschile e femminile è utilizzato dall’Autore per spiegare due modi diversi di concepire la vita: l’uomo soggetto inquieto, passionale e libero e la donna soggetto che compensa l’instabilità maschile con la persistenza, la costanza e la dedizione del suo animo, tanto che dal disequilibrio dei due stati sentimentali l’uomo ricerca nella donna la possibilità di un momento di pace, una stabilità determinata dalla moderazione femminile, dalla fedeltà e la saldezza dei suoi sentimenti, capace così di sedare l’eccesso dell’agitato animo maschile.

4. Pudore, amore e seduzioni Il mondo occidentale da pochi anni ha scoperto che l’amore non è più quello di un tempo; oggi si sono individuati, in effetti, i tratti distintivi di una trasformazione che ha portato al cambiamento dei modi di amare, così come i rapporti tra uomini e donne sono stati oggetto di un profondo mutamento relazionale. Non va poi dimenticato che “la storia dei sentimenti amorosi e del modo di vivere la sessualità è una storia ambigua, e come tale presenta alcune contraddizioni di fondo. A cominciare dalle stesse nozioni di amore e di sessualità, che di fatto comprendono una vasta gamma di comportamenti e di manifestazioni, dove l’affetto cerebrale si mescola alla passione dei sensi, il pudore all’erotismo, la tenerezza alla violenza, la realtà alla fantasia”45. Si tratta di modificazioni complessive che hanno inciso profondamente nella relazio44 45

Ivi, 102-103. Sorcinelli 1996, 215.

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 17

nalità familiare sconvolgendo la civiltà moderna “molto più di tutti quei sussulti che abitudini di linguaggio ci spingono a ritenere delle rivoluzioni”46. È possibile affermare che la storia dell’amore e della sessualità riserva sorprese inesauribili, se pensiamo che soltanto nel 1859 il termine sessualità comincia ad essere usato “e che prima d’allora si parla semplicemente di amore e di passione amorosa”47: c’è stata dunque una forte reticenza delle società del passato a lasciare testimonianza sull’amore e sul sesso, al punto che forse converrebbe interessarsi più alla “storia appassionante, illuminante, del pudore”48. Anche sotto questo aspetto Simmel può essere considerato un precursore, per aver scritto nel 1901, un saggio Sulla psicologia del pudore49. Il tema del pudore è trattato dall’Autore per mostrare come questo carattere peculiare soggettivo rappresenti un passaggio fondamentale per la costruzione dell’individualità. Il pudore è un mezzo difensivo dell’intimità degli individui, per potersi difendere dagli attacchi esterni degli altri attori sociali. Se noi consideriamo per intimità tutto ciò che investe l’aspetto puramente personale, difficilmente accessibile ad altri, dal punto di vista sociologico la difesa della sfera intima, della privacy, è importante poiché la perdita di questa sfera potrebbe causare la disfatta o la dissoluzione dell’individuo e perciò la conclusione di quel polo dialettico su cui sorge e si regge il processo di sviluppo sociale. Il pudore può essere interpretato anche come segno della rivolta dell’individuo contro il processo di depersonalizzazione, innescato dall’intrusione dell’altro nella sfera più intima degli individui: “Fin dove posso scorgere le singole manifestazioni del sentimento di pudore, in tutte loro trovo una forte affermazione del senso dell’Io, la quale si accompagna con una sua negazione. Nel provare pudore, si sente il proprio Io esposto all’attenzione degli altri e nello stesso tempo si avverte che tale esposizione è legata alla trasgressione di qualche norma […] La molteplicità dei motivi di pudore [così come] ogni violazione di questa sfera […] viene avvertita come una rottura tra la norma della personalità e la sua condizione momentanea”50. Il pudore è dunque un “sentimento di rivolta”, poiché esprime la ribellione contro la violazione della propria intimità come sfera soggettiva, è un meccanismo di difesa dallo sguardo altrui, costituisce l’unico atteggiamento autentico dell’uomo che voglia realizzarsi come individuo socialmente inserito, ma anche autonomamente configurato. 46

Duby 1986, 7. Sorcinelli 1996, 215. 48 Duby 1986, 7. 49 Cfr. Sulla psicologia del pudore (1901), in Simmel 1996. 50 Ivi, 65-66. 47

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È importante precisare come lo stesso Autore definisce lo sguardo “prescindendo da molte modificazioni, ciò che noi vediamo nell’uomo è ciò che è durevole in lui; nel suo viso è disegnata, come in una sezione attraverso gli strati geologici, la storia della sua vita e ciò che sta alla sua base come dote atemporale della sua natura […] Ciò che noi udiamo è il suo aspetto momentaneo, è il fluire del suo essere”51. Lo sguardo è la capacità esteriore di penetrare l’interiorità dell’altro, proprio mentre l’altro penetra la nostra, tanto che “La prossimità di questa relazione è sorretta dal fatto singolare che lo sguardo rivolto all’altro e che lo percepisce è esso stesso espressivo, e ciò proprio per il modo in cui si guarda all’altro. Nello sguardo che assume in sé l’altro si manifesta se stesso; con il medesimo atto con cui il soggetto cerca di conoscere il suo oggetto, egli si offre qui all’oggetto. Non si può prendere con l’occhio senza dare contemporaneamente: l’occhio svela all’altro l’anima che cerca di svelarlo. Poiché ciò si attua evidentemente con l’immediato guardarsi negli occhi, qui si produce la reciprocità più perfetta in tutto l’ambito delle relazioni umane”52. Il pudore come rispetto per il possesso di sé diviene il segno della rivolta alla logica depersonalizzante diffusa nella società moderna. In questo senso il blasé, l’uomo indifferente e distaccato che non ha coscienza di sé e della propria individualità, non proverà mai pudore, così come non potrà provarlo la prostituta che si concede ad un cliente. Colui che prova pudore è l’individuo cosciente della propria identità, intesa come termine in perenne legame dialettico con la società, tanto da sperimentare lo stesso sentimento che può provare in questo caso una prostituta davanti al suo amato, la quale riconquista la propria identità al di fuori del momento del mercimonio del suo corpo. Simmel è in grado così di creare la salvaguardia e l’elogio del sentimento di pudicizia, segno difensivo dell’istanza individuale contro ogni logica depersonificante tipica della società moderna, e sintomo, allo stesso tempo, della produzione di quel processo di rinnovamento esistenziale. Il sentimento del pudore è possibile considerarlo anche come il banco di prova sul quale riuscire a stabilire il grado di autoaffermazione critica dell’uomo rispetto al contesto sociale di vita. Queste considerazioni sugli aspetti sentimentali della vita possono quindi condurre ad una tematica legata non tanto alla questione della differenziazione, ma alla costruzione dell’identità collettiva, in seno ad una disquisizione puramente sociologica, che Simmel individua in uno dei suoi primi lavori, che

51 52

Simmel 1998c, 554. Ivi, 551.

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grande importanza rivestono anche per le basi innovative che riesce a porre con La differenziazione sociale53, in cui si legge: “L’identità con altri è certamente, sia come fatto che come tendenza, di importanza non inferiore alla differenziazione nei loro confronti […] la differenza nei confronti degli altri è di un interesse di gran lunga maggiore dell’identità con essi […] questo interesse al carattere differenziato del possesso si estende comprensibilmente a tutte le altre relazioni dell’io. In generale si può dire che, quando l’identità con una universalità e l’individualizzazione nei suoi confronti hanno un’importanza oggettivamente eguale, per lo spirito soggettivo l’identità esisterà più nella forma inconscia, l’individualizzazione più nella forma conscia”54. L’individualità si definisce all’interno di un processo dialettico tra il bisogno di autonomia del soggetto e il bisogno di socializzazione. In questo processo è possibile individuare l’analisi tipizzante simmeliana del problema dualitico poiché “la conoscenza dei fenomeni psicologici è un gioco reciproco tra l’Io e il Tu, ognuno rimanda all’altro in un processo di trasferimento e scambio continuo e reciproco”55, rapporto a cui ci siamo più sopra riferiti e con il quale Simmel non a caso apre successivamente il Frammento sull’amore56, in cui si evince la caratteristica dualità dei sentimenti: “in fondo ogni tendenza della nostra condotta si è esaurita nell’alternativa di egoismo e altruismo, che si estendono, si sa, in innumerevoli modificazioni e mezzi, travestimenti e conseguenze”57. Si parla di amore e società, di sentimenti e società; si discute di come la passione, l’amore o l’intimità, ma anche la prostituzione o la civetteria, considerati tratti lontani dal senso vitalistico e dal mondo della natura, assumano un significato culturale. Simmel riesce con i suoi saggi ad enucleare questi elementi nella loro strutturazione e pulsionalità originale, ma nello stesso tempo ad individuarli nel momento in cui si uniscono alle vicende della società e della cultura, riuscendo a tratteggiare ciò che è essenzialmente amore, sentimento e passione. In termini generali parlare di amore significa comprendere la generazione di una scissione della persona nella creazione dell’immagine dell’altro, in una costante evoluzione di unione, perdita e riunificazione, secondo i modi e le energie di una perenne scoperta ed invenzione dell’altro e di

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Cfr. Simmel 1998a. Simmel 1998a, 84-85. 55 Simmel 1984, 170. 56 Cfr. Simmel 1927. 57 Simmel 1927, 16. 54

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se stessi. La domanda che ci possiamo porre è: qual’è il senso, quale fine ha l’amore nel sociale, nel processo vitale degli individui, nel loro stare insieme? Superata la risposta ovvia che l’unico fine sia riproduttivo, nelle società moderne e postmoderne il suo significato può assumere una connotazione in senso positivo e negativo. Simmel avvicinandosi a questi temi, ha trattato tematiche intime ed individuali teorizzando i sentimenti e le passioni che da sempre forniscono di linfa vitale uomini e donne di ogni epoca e di ogni luogo, cerando di comprendere la positività e la negatività della nostra capacità di provare queste sensazioni così intense e fondanti. Gli stimoli offerti dall’Autore possono quindi costituire anche il punto di partenza per una riflessione centrata sull’attualità dei sentimenti amorosi58. L’amore è la capacità di trasmettere passione per un altro da sé in quanto persona, genera il legame con un’altra cosa da sé in generale: un’immagine collettiva o un’immagine concettuale. È un processo sollecitato dall’energia vitale presente nella natura stessa della vita, sganciato da ogni fine riproduttivo, poiché oggi viviamo, nei paesi occidentali, eventi sociali che hanno radicalmente trasformato il nostro rapporto con il senso della vita in tutte le sue diverse sfumature, siamo gli attori sociali responsabili di una natalità che spesso scende sotto lo zero e nello stesso tempo siamo stati capaci di creare nuove forme relazionali. Se da una parte il concepimento assume sempre più il valore di una scelta consapevole e decisa a priori dalla coppia, dall’altra aumentano le richieste di assistenza per la riproduzione, si pensi soprattutto alla banca del seme ed alla fecondazione artificiale, in cui il desiderio di un figlio nasce dalla decisione di un singolo e non più dalla coppia, tanto da non richiedere nemmeno la compresenza dello stesso spazio per la riproduzione fisica in sé. Questi nuovi scenari sollevano molte domande e fanno emergere la necessità di trovare risposte concrete a tale problematica, ormai spostata dal piano etico e valoriale a quello politico e sociale. Le motivazioni di fondo che oggi portano a considerare la riproduzione una scelta consapevole, molto spesso, sono dettate da forme di egoismo, dal porre in primo piano altri valori di riferimento come la professione o l’esigenza di raggiungere una propria stabilità personale, non solo da parte dell’uomo, ma anche della donna, che sempre più, prima di compiere questo passo vuole sentirsi pronta ad accettare la maternità senza doverla subire59. 58

Cfr. Luhmann 1987. “Un recente rapporto dell’Office of Population Censures and Surveys […] prevede che il 20 per cento delle donne nate tra il 1960 e il 1990 non avrà figli – e questo per scelta. Le 59

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Per la donna non avere un bambino significa “avere preso questa decisione di rimanere [una donna senza figli] per affermare la sua libertà di scelta”60, ma è possibile evidenziare anche un tratto negativo in questa consapevolezza femminile, frutto di una mancata crescita a livello politico e sociale di provvedimenti assistenziali volti alla tutela della famiglia e dell’infanzia, ed in questo senso le preoccupazioni verso il futuro, le forti probabilità di divorzi e di instabilità economica, possono rappresentare forti deterrenti nei confronti della maternità. In questo panorama, nel momento in cui avere figli assume un significato di consapevolezza, viene a chiarirsi anche il rapporto tra l’amore come sentimento ed il processo sociale in sé. L’amore assume pienamente un significato positivo e valoriale, poiché viene a mancare il bisogno, la spinta motivazionale verso altri fini, rimane solo il valore, il senso profondo della parola. In questo profondo processo di costruzione di un rinnovato valore culturale di riferimento, l’amore come scelta cerca di inventarsi, scoprirsi nell’altro da sé, si innesca un processo di conoscenza e di riconoscimento nella sfera del rapporto a due, basato sulla scelta e non sul dovere. Si tratta di un processo di liberazione nella sfera del rapporto a due, all’interno di un processo più ampio che si definisce tra l’individuo e la società. Ogni diverso tipo di amore prevede uno scambio, dominio e dedizione nell’amore come passione, universalità e fanatismo nell’amore come razionalità, tenerezza e possesso nell’amore coniugale; ma in ogni diverso tipo di amore è presente un’energia vitale, una forza, che dalla continuazione della specie passa a quella della cultura, in un rapporto astratto non solo con l’altro, ma con gli altri. L’amore è il riconoscimento di se stessi nell’altro, ed è questo che permette di rinvigorire e rigenerare la spinta vitale, l’impulso creatore, così da aiutare a credere nella possibilità di un cambiamento positivo e propositivo delle nostre scelte. La capacità propositiva dell’amore, la capacità di trasformare se stessi e i propri rapporti con gli altri non è un dato scontato o acquisito in partenza, si tratta di una potenzialità costretta a misurarsi con infiniti ostacoli61.

donne in Gran Bretagna affrontano oggi la decisione di avere figli o no nel quadro di altre motivazioni che esse hanno nella vita, compresi gli obiettivi di successo professionale e di autonomia nella vita privata. I tassi di fecondità sono scesi fortemente negli ultimi trentacinque anni in tutti i paesi dell’Europa. È sorprendente che la Spagna e l’Italia siano oggi i paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di figli per donna”; Giddens 2000, 142-143. 60 Ivi, 143. 61 Cfr. Paolozzi 1981.

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Per riuscire a comprendere pienamente il pensiero di Simmel intorno all’amore non possiamo esimerci dalla riflessione che lo stesso circoscrive in altri lavori, dall’analisi dualistica definita nella distinzione fondamentale tra il concetto di cultura soggettiva ed oggettiva, due modi di interpretare la tradizione culturale, rappresentazione più evidente del dualismo uomo-donna. La donna può essere considerata rappresentazione della cultura soggettiva e l’uomo della cultura oggettiva. Simmel rileva come la cultura rappresenti “una sintesi tutta particolare dello spirito soggettivo e dello spirito oggettivo, il cui senso ultimo risiede senza ombra di dubbio nel perfezionamento dell’individuo”62. Questi definiscono però ambiti d’interesse distinti, tanto da considerare la cultura oggettiva l’insieme delle idee, dei saperi e delle conoscenze tramandate da una generazione a quella successiva, mentre il problema della misurazione, dell’ampiezza e dell’intensità con cui gli individui partecipano ai suoi contenuti investe il problema della “cultura soggettiva”63. In questa distinzione il ruolo delle donne è solitamente legato all’aspetto soggettivo della cultura, in cui la loro presenza interviene non nella creazione e produzione di nuovi beni culturali, ma solo nella partecipazione a realtà già esistenti, create dall’uomo, poiché “la donna è una creatura che per sua natura ha il suo centro d’azione in se stessa, un essere i cui impulsi e i cui pensieri si concentrano più strettamente attorno ad uno o pochi punti, e sono più direttamente eccitabili da parte di questi ultimi che nell’uomo, più sfaccettato ed i cui interessi e le cui attività si sviluppano maggiormente secondo un’autonomia determinata obiettivamente e in ossequio ad una ripartizione che separa il lavoro dal complesso e dall’intimo della personalità”64. In questo senso Simmel si preoccupa di comprendere il rapporto che il mondo femminile intrattiene con la cultura oggettiva, per riuscire a tratteggiare e dare una spiegazione alle problematiche relazioni che investono la società moderna. Non dobbiamo però dimenticare che, oggi come allora, “la donna è considerata la provocatrice del desiderio maschile ma le circostanze e la cultura la obbligano a fingersi una preda che si arrende soltanto di fronte all’assalto e alla forza dell’uomo”65, poiché la stessa si caratterizza secondo un modello bipolare, che la fa discendere

62

La cultura femminile, in Simmel 1998b, 213. Ibid. 64 Simmel 1993, 27. 65 Sorcinelli 1996, 215. 63

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da Eva, ma che nello stesso tempo la pone anche come figlia spirituale di Maria. L’uomo in questo gioco prova sentimenti ambivalenti, da una parte si sente attratto dalla figura femminile, ma dall’altra prova anche timore nei confronti di colei che, può provocare nell’uomo il timore della castrazione, causata secondo uno schema mentale tipico della cultura cristiana e giunto sino alle soglie del XX secolo, trovando poi una chiara teorizzazione con gli studi psicoanalitici di Sigmund Freud, il quale ridusse il timore dell’uomo nei confronti della castrazione, causata dalle conseguenze del desiderio femminile di possedere un pene66. È quindi, difficile riuscire a stabilire e precisare la complessa ed ambivalente relazione che si stabilisce tra gli uomini e le donne di tutti i tempi. Rimanendo nell’ambito di nostro interesse, quello dell’amore, è rilevante come nel breve saggio che Simmel dedica alla civetteria (Psychologie der Koketerie, “Der Tag”, 11-12 maggio 1909)67, l’Autore si occupi di un agire sociale solitamente riferito ad un tipico comportamento femminile, ma è soprattutto nel rapporto fra i sessi che le analisi di Simmel stimolano l’interesse intorno a questo tema: “L’arte del flirtare […] è una forma d’interazione in cui l’incontro fra donne e uomini può darsi come un gioco ancora possibile, una forma d’interazione gratuita, senza scopi e quindi libera”68, soprattutto se quest’azione è ascritta alla dimensione ludica, del gioco che caratterizza questo particolare comportamento del flirt69, percepito come un “interagire fuori dai ruoli e senza la rete protettiva dei modelli di comportamento che immobilizzano donne e uomini”70. L’amore in questo tratto non è disgiunto dal civettare, poiché rappresenta un altro segno caratteristico dell’essere femminile, dell’ambivalenza “tra Avere e Non-avere (Haben und Nichthaben), [che] sembra toccare non tanto l’intimo della sua essenza quanto piuttosto una delle forme in cui esso si manifesta […] Questa coerenza di fondo dell’amore in quanto desiderio di avere da parte di chi non ha, non elimina il fatto che esso rinasca con ogni probabilità nel mo-

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Ibid. Cfr. Simmel 1993. 68 Turnaturi 1994, 27. 69 Il termine flirt è la traduzione inglese di Koketterie (Cfr. Okes 1984); in italiano lo stesso vocabolo è stato tradotto con amoreggiamento o civetteria. La Turnaturi utilizza il termine inglese flirtation poiché “mi è sembrato nella sua astrazione quello più vicino al termine Koketterie usato da Simmel, che esplicitamente ha affermato come sia l’uso linguistico stesso a far flirtare «gli uomini e le posizioni religiose e politiche, con le cose importanti come con i passatempi»”; Turnaturi 1994, 141. 70 Ivi, 27. 67

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mento stesso della sua scomparsa: stando al suo significato, esso resta costretto ad una sorta di alternanza ritmica nelle cui pause si trovano i momenti di soddisfacimento. Ma laddove l’amore è radicato nei più profondi recessi dell’anima, l’avvicendarsi fra Avere e Non-avere esprime soltanto l’aspetto della sua manifestazione esteriore e superficiale. L’essenza dell’amore, di cui il desiderio costituisce il fenomeno più immediato, non può venire annullata dall’appagamento di questo”71. Simmel per dare forza al senso della civetteria esprime un semplice paradosso capace di mostrare l’essenza di questo atto: “Dove c’è l’amore allora c’è – tanto in profondità quanto in superficie – Avere e Nonavere e per tale motivo dove c’è Avere e Non-avere – sebbene non nella forma della realtà, ma piuttosto in quella del gioco – là c’è amore, o qualcosa che lo sostituisce”72. Nelle forme in cui si esprime la civetteria possiamo fare esperienza diretta di questo atto, nelle sue manifestazioni più semplici, come “lo sguardo con la coda dell’occhio, il capo voltato a metà, in modo caratteristico”73, in cui è possibile scorgere il desiderio di allontanarsi ed allo stesso tempo di “concedersi furtivamente, un indirizzare l’attenzione verso quell’altro al quale pure nello stesso momento, per via della direzione opposta della testa e del corpo, simbolicamente ci si rifiuta”74. Un altro atteggiamento giocoso che compare in questo saggio, e che ci aiuta a capire meglio la componente erotica ed emotiva, si determina proprio in questo atto del concedersi all’altro e del resistere allo stesso tempo, nel fare cioè esperienza “delle cose furtive, che non possono durare a lungo, e nelle quali di conseguenza il Sì e il No sono intimamente fusi”75. Ciò determina una forma di erotismo definibile nell’alternanza di comportamenti come il richiamo e il rifiuto o l’esibizione e l’occultamento del corpo, espressione massima del sì e del no osservabile soprattutto sul piano dell’abbigliamento femminile, in un gioco fisico e psicologico capace di sedurre nella proposizione positiva del concedersi ed in quella negativa del rifiutarsi, stimolando energicamente l’altro attraverso la fantasia, senza mai dimenticare che per Simmel “rifiutarsi e concedersi sono le due cose che le donne sanno fare alla perfezione, e che solo loro sanno fare alla perfezione”76.

71

Simmel 1993, 21-22. Ivi, 24. 73 Ibid. 74 Ibid. 75 Ivi, 25. 76 Ivi, 28. 72

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 25

L’analisi simmeliana della civetteria mostra ancora una volta la modernità del suo pensiero, soprattutto in relazione all’odierna realtà culturale, la quale rispetto al passato, ed al periodo storico in cui ne tratta lo stesso, rivela un’accresciuta potenzialità di stimoli esterni, dove l’esigenza di soddisfazione erotica è molto accentuata e di conseguenza il carattere civettuolo descritto da Simmel mostra la funzione psicologica e sociale di questo ruolo77. Funzione sociale del gioco dei ruoli, il civettare è il gioco allusivo e simbolico in cui è possibile riconoscere i tratti caratteristici della figura femminile: “La relazione tra i sessi è sintetizzata da questo piacere del civettare, dal gioco dell’avvicinarsi e dell’allontanarsi, del darsi e del sottrarsi, la cui contrapposizione fa risaltare in modo più nitido le due alternative”78. In questo saggio si comprende chiaramente come l’ambivalenza sia per Simmel una forma di interazione, divenendo uno strumento per comprendere le diverse forme di interazione sociale indipendentemente dall’analisi del rapporto tra i sessi e rispetto al tema dell’amore. Ogni qualvolta gli attori sociali si pongono il problema di quale forma di interazione è in grado di produrre un effetto di ritorno in senso di piacere rispetto alla propria interazione, la risposta simmeliana è riposta nella civetteria. In questo senso il saggio di Simmel “non è affatto peregrino o addirittura storicamente superato ma appartiene senza dubbio all’ambito delle teorie sociologiche generali dell’interazione”79. I caratteri che distinguono la civetteria sono quindi definibili nell’alternarsi, nell’oscillazione dualistica del sì e del no, e proprio questo carattere passivo ed attivo dell’azione umana è presente anche nel saggio che Simmel dedica all’avventura80, in cui la casualità delle esperienze si definisce in due processi autonomi, frutto di un proprio processo dinamico. Usando le parole di Vozza “l’avventura è la metafora o la mise en abîme della filosofia di Simmel, capace di rappresentare […] la relazione fra totalità e particolarità, significato e configurazione fenomenica, profondità e superficie; l’avventura è l’immagine della vita sospesa tra caso e necessità, tra la molteplicità dell’esperienza e il senso

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“Del resto, gli anni tra la fine del XIX e l’inizio del nuovo secolo segnano l’affermarsi della sessualità nella sua accezione contemporanea, con un ampio dibattito su temi quali divorzio, regolamentazione delle nascite e contraccezione […] prostituzione e sue cause, emancipazione femminile e flirt, che devono aver avuto anche una ricaduta in termini di comportamenti individuali”; Sorcinelli 1996, 210. 78 Squicciarino 2000, 214. 79 Nedelmann 1992, 239. 80 Cfr. Simmel 1998b, 15-28.

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unitario”81. Così Simmel riesce di nuovo a mostrare la forza e gli elementi presenti nella relazione amorosa, poiché “il rapporto d’amore racchiude in sé quei due elementi che si trovano riuniti anche nella forma dell’avventura: forza che conquista e concessione che non si può estorcere, acquisto con i propri mezzi e abbandono alla fortuna che ci viene dispensata dall’imponderabile”82. Tante sono le citazioni ed i riferimenti che sarebbe possibile presentare in questa sede circa l’esposizione brillante che Simmel propone nel breve saggio dedicato alla civetteria ed in quello sull’avventura (ai curiosi si consiglia una lettura completa degli stessi); è però importante sottolineare un altro elemento, cioè che esiste una grande differenza tra l’atto del civettare e l’azione della cocoterie, che rimane legata all’ambito del puro mercimonio, all’amore di corte o anche alla pura prostituzione. Simmel, come sappiamo, dedica dei lavori specifici al tema della prostituzione, si pensi a Einiges über die Prostitution in Gegenwart und Zukunft (1892)83 e Die Rolle des Geldes in den Beziehungen der Geschlechter. Fragment aus einer Philosophie des Geldes (1898)84, in cui la prostituta svolge un ruolo dal quale è possibile ricavare un valore intellettuale aggiunto, quanto quello presente nella civetta, naturalmente in relazione ad una prostituzione di alto rango, che trova un riferimento anche nella cortigianeria e certamente non nella prostituzione di strada o infantile che deturpa le strade di tante città occidentali e dei paesi del terzo mondo oggi. Per Simmel la donna ha tra le sue caratteristiche quella di non porre nessuna distanza tra sé e l’amore, il quale diviene suprema realizzazione e non è disgiunto dalla prostituzione, la quale nelle società primitive non destava scandalo e si poteva accompagnare anche al concetto di dignità femminile, idea che scompare nelle civiltà moderne. La prostituzione, come sappiamo, si connota per l’impersonalità del pagamento della prestazione da parte dell’uomo, creando una distanza tra i due soggetti, la separazione tra il sesso e l’amore, che nell’animo femminile sono principalmente collegati85. In previsione di un’analisi contemporanea è difficile trovare un accordo con il 81

Vozza 2002, 91. Simmel 1998b, 22. 83 Cfr. Simmel 2002, 11-31 84 Ivi, 59-121. 85 A riguardo si ricorda il capitolo V della Filosofia del Denaro, intitolato L’equivalente in denaro dei valori personali, in cui Simmel si dedica al ruolo del denaro nei rapporti tra i sessi: Il matrimonio per compravendita e il valore della donna (527-533); La divisione del lavoro tra i sessi e la dote (534-535); Il rapporto tipico tra denaro e prostituzione (536-542); Il matrimonio per denaro (542-546). Cfr. Simmel 1984. 82

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 27

pensiero di Simmel, quando ormai la prostituzione assume i connotati di una piaga sociale, con duri riflessi sulla condizione di queste donne, molto spesso alla mercé di uomini senza scrupoli, mossi solo da guadagno sicuro. Ad una lettura attenta di questi brevi saggi, sopra citati, è sempre più evidente come Simmel riesca a condurre i lettori e i suoi giovani allievi a comprendere il significato e la tragedia insiti nei processi sociali ed economici della civiltà moderna partendo anche dalle analisi dei più minuti tratti caratteriali degli attori sociali. Nelle figure e nei simboli, lucidamente tratteggiati dalla sua scrittura, si evidenziano i nuovi particolari dei ruoli sociali, così le donne, come lo straniero, il povero o l’avventuriero, non sono solo dei ritratti particolareggiati di attori sociali che si differenziano dal resto della massa. Si tratta, invece, di attori sociali che sono rappresentati per rintracciare nei loro comportamenti ed atteggiamenti, le difficoltà, le mistificazioni e le contraddizioni del vivere sociale moderno. Indossano una maschera, quella del loro ruolo e basta quindi togliere quest’inganno per mostrare il vero volto di una realtà complessa e distinta, ma nello stesso tempo audace e affascinante. Ogni figura, ogni ruolo sociale rappresentato simmelianamente non si chiude mai in una scettica ed oppressiva investigazione e il superamento del conflitto e della tragedia che investe gli uomini della metropoli trova conferma nell’analisi duale, nella scissione fra emozioni e ragione: “Il soggetto a cui si riferisce Simmel è a pieno titolo il soggetto della modernità e della crisi perché è tutt’uno, un insieme eternamente contraddittorio, un intreccio inestricabile di pulsioni, ragioni, emozioni, sentimenti. Ed è proprio il differente mescolarsi di tutti questi elementi a porsi come principio d’individuazione. Non c’è una parte che possa erigersi a guida di un’altra parte […] ma piuttosto c’è un continuo e perenne conflitto fra parti tutte ugualmente costitutive del soggetto”86.

5. Considerazioni conclusive In conclusione, è possibile individuare come tratti distintivi di tutto il percorso critico del pensiero simmeliano siano rintracciabili nel significato profondo della concezione vitalistica dello stesso. Da qui la ricerca di un rapporto armonioso del soggetto con la società, per scoprire un amore per la vita che assume un significato particolare: “L’amore per la vita che non desidera la vita – è

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Turnaturi 1994, 21.

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quello eterno. Ogni volere ha qualcosa di transeunte, è teso tra il presente e il futuro” 87. L’amore “è davvero un processo vitale, il sentimento abbraccia ogni cosa, perché tutto ciò che è in me è pregno di vita. In questo amore la vita ritorna a sé, così come Dio ritorna a sé nell’amor dei di Spinoza”88, superando i toni pessimistici che alcuni critici hanno riscontrato nelle opere simmeliane. Ora alla luce dei tanti esempi esposti in questo breve saggio sulla vita emozionale è possibile affermare come l’amore sia per Simmel principalmente un atto creativo, una categoria di tipo primario ed irriducibile, in cui non sono gli amanti capaci di accendere l’eros, ma la loro capacità di fare esperienza erotica a farli diventare amanti. Atto creativo presente anche nei suoi tre apriori, nei quali, Simmel non sembra però riuscire a spiegare completamente le problematiche della complessità del rapporto tra i soggetti. Quando noi amiamo, infatti, ci abbandoniamo alla forma passionale, dimentichi di chi eravamo prima di questo stato emotivo, erotico, poiché nell’atto dell’amore non si crea una separazione tra le singole parti del nostro Io, ma si crea una combinazione totale, alchemica dell’intera persona. La persona amata, allo stesso modo, sarà un essere diverso da colui o colei che conoscevamo prima. Il senso dell’atto creativo compare ora, in questo senso unitario, nell’incapacità di dedurre elementi preesistenti, tanto da poter definire l’amore come una totalità indifferenziata della vita, una forma seducente attraverso la quale noi siamo in grado di esprimere la nostra interiorità. In una visione poetica possiamo pensare all’amore come ad una ferita superficiale che lacera l’involucro della nostra esteriorità, consentendoci di poter ascoltare le richieste della nostra natura intima e profonda. In quest’analisi, si sottolinea come l’amore per Simmel assurge al ruolo di guida per comprendere la nostra vita autentica: non si tratta di un diabolico inganno che la natura utilizza per illudere gli uomini e per indurli alla riproduzione della specie, come affermava Arthur Schopenhauer ed ancor prima di lui, Lucrezio89. Nel pensiero schopenhaueriano il centro è rappresentato dalla

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Simmel 1927, 99. Ibid. 89 Tito Lucrezio Caro (I sec. a.C.), autore del De Rerum Natura (La natura delle cose), in cui si evidenzia il rifiuto dell’Autore di qualunque filosofia teologica capace di soggiogare gli uomini con il timore degli dei e della morte, impedendo loro di raggiungere una possibile conoscenza razionale della realtà. L’epicureismo di Lucrezio si sviluppa nel concepire gli atomi non tanto come entità geometriche o matematiche, bensì come semi della vita, dotati di 88

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Le perturbanti carezze. La sessualità e l’amore nell’opera simmeliana | 29

sofferenza, che in termini assoluti supera la condizione della felicità della vita, nella cui descrizione il mondo è rappresentato come una valle di lacrime, in cui la vita non è degna di essere vissuta e la felicità si presenta solo con fatue manifestazioni. La sofferenza è l’a priori di Schopenhauer, sostanza che determina la vita stessa: in questo senso Simmel analizza questo pensiero per rimarcarne gli errori di impostazione riguardo al problema della sofferenza e della felicità della vita umana. Proprio attraverso l’esempio dell’amore Simmel supera il concetto di volontà schopenhaueriana “diretta al possesso sia interiore che esteriore della persona amata, che procura una determinata misura della felicità, mentre è libera dal tormento che accompagna il desiderio per l’intera durata del possesso non ancora raggiunto. Nella realtà effettuale l’esperienza mostra incontestabilmente che in molti casi l’amore in sé e per sé, anche qualora debba rinunciare al raggiungimento della sua meta autentica e fermarsi dunque al gradino iniziale, è già sentito come una felicità: la felicità dell’amore infelice è un dato di fatto spesso testimoniato”90. Rimanendo fedeli alla visione simmeliana ed accogliendo l’osservazione critica che lo stesso Autore muove a Schopenhauer, è possibile affermare come l’amore sia una forma contingente, che nelle sue diverse espressioni vitalizza la nostra esistenza interiore. Sicché se non si conoscesse la vitalità di quest’atto, non potremmo fare esperienza di ciò che conferisce senso alla nostra stessa esistenza.

una propria spontaneità, capaci di devianza che li sottrae alla necessità per rendere così possibile l’incontro tra atomi. Dall’infinita possibilità di combinazioni tra atomi nascono infiniti mondi, all’interno dei quali si collocano le vicende degli animali e degli uomini, nella lotta per la vita e la sopravvivenza. In quest’ambiente la felicità per l’uomo dipende dalla capacità di conquista di quell’equilibrio e di quella misura in cui si caratterizza il piacere e attraverso una comprensione razionale della realtà, è possibile giungere alla serenità. 90 Simmel 1995d, 90.

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Rosita Garzi Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto

“Noi rappresentiamo ogni uomo – con particolari conseguenze per il nostro rapporto pratico con lui – come il tipo di uomo al quale la sua individualità lo fa appartenere”1; così, “nelle cerchie degli ufficiali, dei fedeli di una chiesa, dei funzionari, dei dotti, dei familiari ognuno vede partendo dall’ovvio presupposto”2 che egli appartiene a quella cerchia. Questo perché, nei processi di interazione, accade che “quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altre persone, queste, in genere, cercano di avere informazioni sul suo conto o di servirsi di quanto già sanno di lui […]. I presenti possono ricavare informazioni da diverse fonti e molti indicatori […] sono disponibili a questo scopo. Se non conoscono affatto l’individuo, gli osservatori possono raccogliere indizi dalla sua condotta e dalla sua apparenza, così da potersi servire di precedenti esperienze fatte con persone abbastanza simili all’individuo presente, o, cosa più importante, applicare ad esso stereotipi non controllati in precedenza. Se gli osservatori conoscono l’individuo o ne sanno qualcosa in base a esperienze precedenti all’interazione in esame, essi possono agire nel presupposto che le sue caratteristiche psicologiche abbiano un carattere di generalità e continuità e possano quindi essere utilizzate per prevedere il suo comportamento”3. Quanto appena riportato sembra appartenere alla penna di un solo scrittore che, interrogandosi sulle dinamiche di relazione tra gli individui, tenta di mettere a fuoco alcune caratteristiche dell’interazione rintracciabili nei contesti sociali. In realtà la citazione è il collage di due frasi estrapolate da opere assai diverse tra loro, composte da due differenti mani, l’una di Georg Simmel e l’altra di Erving Goffman. Tra i due studiosi esistono profonde differenze dettate da molteplici fattori, ma nonostante queste, tra loro sembra esistere una continuità scientifica e concettuale. Non a caso il titolo di questo saggio vuole richiamare l’attenzione sulla correlazione, sia pure asimmetrica4, tra la teoria

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Simmel 1989, 30. Ivi, 31. 3 Goffman 1969, 11. 4 Infatti, per Simmel la socievolezza non è simpliciter coincidente con il fenomeno della relazione sociale, e per Goffman le forme di interazione includono la relazionalità come tale. 2

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34 | Rosita Garzi

simmeliana della socievolezza e la teoria delle forme di interazione della vita quotidiana di Goffman. Effettivamente pur rimanendo distanti i loro approcci, sembrano esistere alcuni spunti teorici che avvicinano il pensiero dei due autori qui richiamati, tanto da ipotizzare che le teorie del primo (Simmel), o quantomeno la sua attenzione al quotidiano, possano ritrovarsi, aldilà di quanto espressamente riconosciuto, negli studi del secondo (Goffman). Tutto ciò è talvolta tanto evidente che autori come Tom Burns hanno appellato Simmel “un maestro non riconosciuto di Goffman”5. Effettivamente alcuni aspetti accomunano davvero i due autori. Aldilà della frammentarietà e del carattere asistematico e dispersivo delle loro opere, entrambe pongono attenzione costante alle piccole interazioni quotidiane, alla loro forma, al gioco dell’interazione. Tutti elementi questi estremamente correlati tra loro, i quali rappresentano tanto per Simmel quanto per Goffman, parte integrante della loro teoria. Uno dei temi particolarmente caro a Simmel, vera e propria “categoria centrale del suo pensiero”6, è proprio la socievolezza che ricorre in gran parte delle sue opere, e che più in particolare viene trattata nel saggio La socievolezza7 e in Forme e giochi di società8. La definizione di tale concetto nasce da una lunga riflessione intorno alla società, sulla base della quale egli elabora la nozione di Vergesellschaftung 9, la sociazione. Nella sociologia di Simmel ciò che esiste nella realtà è il singolo individuo determinato psicologicamente e la società non è in sé una realtà sostanziale, ma il frutto della Wechselwirkung, l’effetto di reciprocità. Il concetto di società va dunque inteso in termini di sociazione, ovvero come un fenomeno che ha luogo grazie all’essere in interazione dei soggetti, qualcosa di funzionale alla formazione della società. Essa è data dall’insieme dei fenomeni di interazione e diviene oggetto unitario della sociologia quando Simmel distingue tra Inhalt e Form, contenuto e forma dei fenomeni di intera-

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Burns 1992, 494. Simmel 1997, 13. 7 Cfr. Simmel 1997. 8 Cfr. Simmel 1983. 9 “Simmel si sofferma molte volte nel corso del suo lavoro sul fenomeno della socievolezza tanto da farlo diventare una categoria centrale del suo pensiero. Al Congresso Gesellschaft für Soziologie del 1910 Simmel tenne una relazione dedicata alla socievolezza che poi diverrà un vero e proprio saggio apparso per la prima volta nei saggi di cultura filosofica nel 1911. La socievolezza rappresenta per Simmel la forma più pura della interindividualità e della superindividualità”; Turnaturi 1997, 13-14. 6

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 35

zione10. Il contenuto è “tutto quel che si trova negli individui […] come pulsione, interesse, finalità, inclinazione, condizione psichica e movimento, presente in modo tale che da esso o in esso abbia origine l’azione su altri o l’influsso di altri”11, che diventa forma nel momento in cui si trasforma in sociazione, ovvero quando “gli individui crescono insieme in un’unità in cui questi interessi si realizzano”12. La forma per Simmel si sostanzia nell’insieme delle azioni reciproche, delle collaborazioni “in cui interessi e contenuti materiali individuali assumono una forma”13, e le forme “acquistano una vita propria libera da qualsiasi legame dai contenuti per compiersi come fini a se stesse”14. La forma più pura di sociazione è la socievolezza, in cui si realizza la necessità degli individui di unirsi in gruppi di qualsiasi genere e al di là dei contenuti, il suo unico scopo è “fare società”. Di fatto rappresenta la “forma ludica della sociazione, ossia […] qualcosa che, mutatis mutandis, si pone verso i contenuti concreti come l’opera d’arte rispetto alla realtà”15. Proprio per la sua purezza, affinché si realizzi la reciprocità tra eguali, nel processo di interazione si escludono quegli elementi personali che non accomunano gli interessati, in quanto essi si appagano del loro semplice stare insieme16. L’intimità dell’individuo, i suoi desideri più profondi e la sua sensibilità, nella socievolezza vengono meno e si trasformano esteticamente in forme di relazione socievole realizzantesi in contatti interpersonali sociali. È l’ambito in cui, più che in ogni altra forma di relazione sociale, si percepisce la possibilità di superare la contrapposizione tra individuo e società17, permettendo alle singole personalità di realizzarsi armonicamente nel-

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Mora 1994, 35 Simmel 1997, 38. 12 Ibid. 13 Ivi, 41-42. 14 Ibid. 15 Simmel 1983, 80. 16 “Nella socievolezza la libertà e la conformità di queste forme si svincola totalmente da ogni contenuto concreto. Se in una società ha luogo la formazione e la separazione dei gruppi, se nel dialogo a due l’impulso e l’occasione dan luogo a sviluppi, approfondimenti, allentamenti o chiusure, si può dire che, in tutto questo operi in miniatura un ideale di società definibile come libertà di legami. Se è vero che ogni collaborazione o distacco debbono valere come fenomeno tipico di realtà più intime e profonde, è vero anche che, nella socievolezza, queste ultime regrediscono, lasciando solo una manifestazione giocosa, che obbedisce a leggi proprie e che, nella sua leggiadria, rappresenta esteticamente quella conformità ma esige anche, eticamente, la serietà delle stesse realtà”; Simmel 1983, 90. 17 Mora 1994, 39. 11

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l’identità del gruppo. Grazie alla riduzione della sfera personale, all’individuo viene consentito di acquisire importanza nella reciprocità omogenea con gli altri, in quanto l’essere in relazione qui esclude la ricchezza, la fama, le qualità personali, i meriti della persona, ponendo tutti sullo stesso piano. L’unica motivazione dominante è data dalla reciprocità pura perciò entusiasmi e depressione, accentuazione di stati d’animo tipici della vita individuale, sono controproducenti per la socievolezza18. Questa si realizza anche grazie alla conversazione socievole, in cui l’argomento è solo di supporto e tutte le forme di reciprocità comunicativa presenti acquisiscono un significato autonomo e indipendente dai contenuti stessi19. Valori e stimoli trovano spazio in un gioco finalizzato al solo divertimento, alla forma ludica, al gioco che diviene costante nella socievolezza, così come diventa fondamentale per l’individuo, recitare una parte “sotto l’impersonale libertà di una maschera”20. Nel gioco i soggetti sono coinvolti direttamente nello sperimentare separazioni e legami, sconfitte e affermazioni, perdite e acquisti. In quest’ottica la Turnaturi osserva che “i soggetti della socievolezza sono reali nella realtà del gioco […] così come lo è la rappresentazione teatrale […] gli attori dimenticano ciò che essi stessi sono nella realtà pratica per dar vita a delle nuove persone”21. È questa la socievolezza di Simmel, queste le interazioni che nascono e si producono nelle diverse forme di sociazione, e probabilmente proprio questi i punti di partenza che Goffman utilizza per approfondire lo studio dell’interazione sociale: “uno status, una posizione, insomma una nicchia sociale non è qualcosa di materiale da possedere e poi mettere in mostra, ma piuttosto un modello di comportamento appropriato, coerente, abbellito e ben articolato. Rappresentato con disinvoltura o con impaccio, consapevolmente o no, con astuzia o con sincerità, è nondimeno qualcosa che deve essere inscenato e illustrato, insomma che deve essere realizzato”22. È evidente che la sua è un’interazione in cui il personaggio coincide con una “parte rappresentata”: la sponta-

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Cfr. Simmel 1983, 84. “Nella conversazione puramente socievole, l’argomento è solo il supporto indispensabile di quegli stimoli che di volta in volta entrano in azione e ne consentono il dispiegamento vivente. Tutte le forme in cui questo scambio si effettua […], tutte queste forme di reciprocità comunicativa, pur veicolando un’infinità di contenuti e obiettivi, assumono in questo caso un significato autonomo”; ivi, 87-88. 20 Simmel 1997, 45. 21 Turnaturi 1997, 16-17. 22 Goffman 1969, 87. 19

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 37

neità dell’individuo, più che darci informazioni su cosa egli è, è il risultato del funzionamento di rappresentazioni sociali. Da queste considerazioni, emerge l’importanza dei “rituali quotidiani” nella formazione, salvaguardia e riproduzione delle forme sociali. Goffman, infatti, è fortemente interessato allo studio delle interazioni faccia a faccia per individuare modelli e sequenze di comportamento che si verificano quando le persone sono in ‘reciprocità’; in questo senso una delle sue principali occupazioni è la medesima di Simmel, ricercare nuovi modelli di interpretazione della realtà sociale23. Nell’analisi della quotidianità Goffman, ricerca modelli attraverso lo studio degli aspetti secondari della vita quotidiana, per questo, a prima vista, la sua è una sociologia del “dato per scontato”. Egli è interessato alle occasioni minori, agli aspetti più routinizzati delle interazioni e, come Simmel, è convinto che la struttura portante delle relazioni sociali si nasconda nelle piccole pieghe della quotidianità. Le forme di imbarazzo e la deferenza sono solo alcune di quelle forme labili della socialità che raramente divengono oggetto di indagine sociologica o etnologica, ma che in Goffman diventano elemento centrale per la comprensione della realtà. Tematiche che troviamo già in Simmel, il quale analizzando la socievolezza, individua aspetti routinari e di gioco nell’interazione tra gli individui, l’immagine e la ‘maschera’24 che essi indossano interagendo cogli altri, al solo fine di ‘fare società’. Goffman riprende molte delle tematiche simmeliane: la civetteria, la moda, le forme e il gioco dell’interazione, tutti temi che avviano lo studio del ruolo e della vita quotidiana, ma il suo approccio a queste tematiche è diverso da quello di Simmel, Goffman infatti risente molto dell’influenza della teoria dei rituali di Émile Durkheim25 (il quale studiava questi aspetti da una prospettiva macro, nei contesti sociali pubblici). Il modello durkheimiano della teoria, indicava una serie di condizioni preliminari alla nascita dei rituali stessi. Questo modello secondo Goffman poteva essere esteso a tutti i contesti interpersonali privati e a tutte le conversazio-

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Cfr. Schwarz-Jacobs 1987, 203-230. Nella socievolezza una donna “non si sente implicata come individuo […] e può perciò lasciarsi andare come se fosse sotto l’impersonale libertà di una maschera perché lei è si certo soltanto se stessa, ma non tutta se stessa, bensì solo un elemento in un’unione che si tiene insieme in modo formale”; cfr. Simmel 1997, 45. 25 Cfr. Collins 1992, 237-288. 24

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ni che avvengono in pubblico in una sfera di socievolezza. Impegnarsi in una conversazione, anche occasionale, significa infatti calarsi e creare un piccolo culto temporaneo, in cui gli individui si trovano a recitare una parte, procedendo nello scambio conversazionale nel rispetto dei rituali e dell’ordine dei processi di interazione. Il processo di interazione ha un suo ordine “come conseguenza di un sistema di convenzioni abilitanti, nel senso in cui lo sono le regole di base dei giochi, i precetti del codice della strada, o le regole di sintassi di una lingua”26. L’ordine è dato dall’insieme di regole condivise dai soggetti per le quali questi stessi hanno rinunciato ad alcune possibilità di autorealizzazione per godere dei vantaggi del saper stare in società. Gli attori rispettandole sono in grado di agire adeguatamente nelle diverse situazioni sociali che vivono. A questo proposito Goffman svolge un’approfondita analisi di un sé contestuale, la cui azione è dettata dalle diverse situazioni che richiedono comportamenti definiti secondo semplici criteri che rispondono a modelli di rispetto e riproduzione delle regole sociali. Con tale prospettiva, egli mostra come i contesti dell’agire umano tradizionalmente connessi alla decisione razionale o morale possano essere ricondotti nell’ambito dell’azione rituale, dell’assunzione di ruolo e dell’adeguamento alla situazione, al frame27. Se i rapporti tra i soggetti sono sempre il prodotto di astrazioni sociali, risulta evidentemente impossibile conoscere completamente gli altri individui, o caratterizzare gli altri come oggetti con proprietà immutabili. Questo accade perché, a detta di Goffman, il contesto sociale nel quale gli individui interagiscono, la forma, è fondamentale per la definizione dei comportamenti. Il luogo dell’interazione acquista dunque il valore di un palcoscenico allestito, in cui potenzialmente potrebbe accadere qualcosa; l’interazione diventa il principio che attiva la situazione e le regole dell’interazione guidano le azioni dell’attore, funzionando come un filtro che stabilisce cosa in quella situazione è gradito e cosa invece deve rimanerne fuori. Goffman tematizza queste regole definendole regole di irrilevanza: “Ogni incontro rivela l’esistenza di un ordine sanzionato che nasce da obblighi riservati e da aspettative rispettate […]. Sembra caratteristico degli incontri, che il

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Goffman 1992, 13. Il frame è sostanzialmente la “cornice situazionale”, una struttura socio-linguistica, l’insieme delle regole che strutturano un gruppo in interazione. Per approfondimenti cfr. Goffman 2001. 27

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 39

loro ordine riguardi in gran parte ciò cui si deve e ciò cui non si deve fare attenzione, e in questo modo, ciò che verrà accettato come definizione della situazione”28. Con l’introduzione e la definizione delle regole di interazione, Goffman spiega alcuni fenomeni sociali, ed è possibile individuare un’analogia tra queste e le regole della socievolezza simmeliana: il “principio della neutralità” che permette la riuscita degli incontri sociali, “si fa come se” tutti fossero uguali, appare come un’applicazione delle regole di irrilevanza, poiché delimitano i confini di ciò che ha valore come realtà in quel particolare contesto e di ciò che non ne ha. In questo si ritrova la continuità tra i due, come se Simmel avesse preparato il terreno per le successive teorie sociologiche di Goffman. Abbiamo visto, poi, come quest’ultimo elabori un’analisi che si colloca sia a livello micro sia a livello macro, mostrando come le forme della socializzazione non esistano esclusivamente attraverso modalità individuali o istituzionali, ma anche nelle relazioni sistematiche e irregolari che si esprimono all’interno di gruppi di individui, e che sono fondamentalmente determinate dal comune riconoscimento del contesto e della situazione. Dalle teorie appare un Goffman combattuto nella scelta di adottare una prospettiva durkheimiana, per cui la realtà sociale sarebbe data, e una prospettiva fenomenologica, secondo la quale quest’ultima sarebbe costruita. Tutto questo è spiegabile e rintracciabile nel contesto storico-culturale che vive e che può esserci utile descrivere brevemente per capire le profonde differenze che intercorrono tra lui e Goffman, nonché come quest’ultimo ha sentito l’influenza del primo. Simmel vivendo gli eventi culturali e sociali della modernità ne diventa uno dei più importanti interpreti; non a caso è stato definito un fautore della modernità, nonché un suo critico. Più precisamente egli individua il moderno nell’attenzione ai frammenti della vita quotidiana, concentrandosi, come abbiamo visto, sulla Wechselwirkung, l’effetto di reciprocità, l’interazione29. Essa è il risultato delle azioni e delle scelte responsabili che l’individuo mette in atto nella società ed è proprio sul gioco dell’interazione che poggia tutto “il castello del sociale. Se ognuno dovesse trovarsi paralizzato nel suo agire dalla pressione soverchiante dell’oggettività, la società finirebbe”30. Ma l’Autore in questo senso non ha avuto vita facile, il suo è un periodo dominato dall’organicismo me-

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Goffman 2003, 16. Cfr. Fornari 2002, 11. 30 Cfr. D’Andrea 1999, 63-64. 29

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todologico, dunque lui è stato il primo, tra i sociologi classici, a rompere la continuità tra natura e società posta in essere dalla sociologia positivista. Quest’ultima voleva trattare la società come un organismo sociale da studiare attraverso una sociologia rivolta al rapporto che intercorre tra i vari organi della società, nonché all’evoluzione dell’organismo sociale nel suo sviluppo dal semplice al complesso. L’Autore, invece, movendo da riflessioni filosofiche31, opera uno spostamento dell’oggetto della sociologia dalla società all’individuo, a favore di un approccio individualista. Per Simmel l’individuo è immerso in relazioni continue con gli altri e coinvolto in un processo costante di interazione, diventando soggetto attivo all’interno della società e dunque oggetto principe della scienza sociale. “Società […] è solo il nome con cui si indica una cerchia di individui legati l’un l’altro da varie forme di reciprocità”32. È per questo che nega ogni fondamento quantitativo alla sociologia, a suo dire, “nella misura in cui si appoggia alla considerazione che l’uomo dev’essere compreso come essere sociale e che la società è la portatrice di ogni accadere storico, essa non contiene alcun oggetto che non venisse già trattato in una delle scienze esistenti, ma è soltanto una nuova via per tutte queste, un metodo scientifico che non costituisce […] una scienza a sé”33. L’oggetto sociologico va invece ricercato nelle interazioni sociali che sono le forme della vita dell’uomo34. A causa delle sue idee e del suo approccio, Simmel in vita non ha avuto grandi riconoscimenti, anche a causa di numerosi motivi che Silvia Fornari ci presenta dettagliatamente, e che in questo contesto ci è difficile riassumere e sintetizzare35. Gli ostacoli che egli incontrò nella ricerca di un riconoscimento 31

È anche per questo che molto spesso Simmel non viene collocato all’interno di una corrente sociologica ben precisa, si preferisce infatti considerarlo un autore a sé stante. A tal proposito Dal Lago ne Il conflitto della modernità, afferma: “Lo stesso Simmel non amava presentarsi come sociologo tout-court. Il suo atteggiamento su questo punto oscillava tra la fierezza di chi aveva aperto un nuovo campo d’indagine e la riluttanza ad essere etichettato in modo riduttivo […]. Ritengo che queste etichette e distinzioni accademiche siano abbastanza futili. La questione è piuttosto un’altra: i contributi sociologici di Simmel non si differenziano in termini di metodo, di stile e soprattutto di presupposti teorici, dalle altre sue ricerche. Sono un’applicazione o un’estensione della sua filosofia allo studio delle relazioni sociali. Il principio metafisico […] all’opera in tutte le sue opere giovanili […], è anche alla base della sua sociologia”; Dal Lago 1994, 165-167. 32 Simmel 1983, 42. 33 Simmel 1989, 7. 34 Cfr. Dal Lago 1994, 167. 35 Cfr. Fornari 2002, 176-241.

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 41

da parte del mondo accademico tedesco, le accuse personali e le difficoltà nella sua carriera universitaria, date soprattutto dalle continue critiche degli accademici che non condividevano il suo pensiero, sono solo una parte delle difficoltà che Simmel si trovò ad affrontare. Questo ha comportato che, alla sua morte, gran parte delle sue opere non abbiano ricevuto molto rispetto e siano state disseminate con pochi riconoscimenti, quando addirittura non fatte proprie da altri autori. Infatti, se alcune riflessioni simmeliane vengono direttamente riportate e riconosciute come sue elaborazioni, molto spesso è accaduto l’opposto ovvero che la sua eredità sia andata utilizzata senza riguardo. D’altronde anche lo stesso Simmel lo aveva previsto e immaginato; se ne trova conferma nel suo Diario pubblicato postumo in cui egli scriveva: “So che morirò senza eredi spirituali (e va bene così). La mia eredità assomiglia al denaro in contanti che viene diviso tra molti eredi, di cui ognuno investe la sua parte in modo conforme alla sua natura, senza interessarsi della sua origine”36. Comunque sia, molte delle riflessioni simmeliane fortemente criticate durante la sua vita, alla sua morte hanno avuto un riflesso notevole in tutta la sociologia americana prima, ed europea poi, con una fortuna controversa. La ricezione di Simmel si è, infatti, sentita soprattutto dopo la sua morte, e i suoi contributi sono stati interpretati in maniera differente in Europa e in America, anche se, come sottolinea Dal Lago, gran parte della sua eredità, sia europea sia americana, proviene dalla riuscita del saggio sulle metropoli. Se in Europa il concetto simmeliano di blasé, nato dall’analisi dell’alienazione urbana, viene ben accolto poiché rientra nella critica della modernità che accomuna numerosi pensatori di differenti ideologie politiche37, negli Stati Uniti diventa fondamentale, per lo studio dell’ecologia urbana, dell’integrazione degli immigrati, delle interazioni tra sconosciuti e dell’emarginazione sociale, il riferimento teorico a Simmel sull’economia e sullo stile di vita nella metropoli38.

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Cfr. Simmel 1970, 11. Autori come Nietzsche, Weber, Spengler, Benjamin o Lukács; Dal Lago 1994, 164. 38 “La diversa ricezione del pensiero di Simmel in Europa e in America può essere illustrata dalla fortuna del saggio sulle metropoli. In Europa l’analisi dell’alienazione urbana e del tipo umano che ne derivava, il blasè, rientrava nella critica della modernità che accomuna, nonostante tutto le differenze ideologiche e politiche […]. Negli Stati Uniti, invece, la riflessione di Simmel sull’economia e sullo stile di vita nella metropoli era uno dei riferimenti teorici principali per indagare l’ecologia urbana, l’integrazione degli immigrati, le interazioni tra sconosciuti nei luoghi pubblici, l’emarginazione sociale. Anche i ricercatori americano che si rifacevano al metodo di Simmel si muovevano su uno sfondo filosofico, ma questo era costituito dal 37

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Tutto ciò è ben visibile appunto nella Scuola di Chicago, dove un suo allievo, Robert Ezra Park, dopo aver seguito tre corsi a Berlino, (uno sull’etica, uno sulla filosofia dell’Ottocento e uno sulla sociologia)39, aveva interiorizzato alcuni spunti teorici simmeliani, appoggiandone l’impostazione metodologica, orientata verso uno studio delle relazioni tra gli individui. In particolare ciò che apprezzava Park era l’attenzione simmeliana al micro, possibile grazie all’approccio metodologico proposto. Ma non solo questo: dalle parole di Park, che Goffman riporta nella sua prima grande opera, emerge quell’influenza che Simmel esercitò sul suo allievo e che poi indirettamente arrivò anche a Goffman. Park scrive: “Probabilmente non è un caso che la parola «persona», nel suo significato originale, volesse dire maschera. Questo implica il riconoscimento del fatto che ognuno sempre e dappertutto, più o meno coscientemente recita una parte […]. È in questi ruoli che ci conosciamo gli uni gli altri; è in questi ruoli che conosciamo noi stessi”40. Così già Simmel nel 1908 aveva detto: “Noi siamo tutti frammenti […] di noi stessi. Noi siamo tutti abbozzi […] di quella individualità e unicità di noi stessi […] la quale circonda, quasi disegnata con linee ideali la nostra realtà percepibile. Lo sguardo dell’altro integra […] questo materiale frammentario […] così da questo materiale frammentario perveniamo alla compiutezza della sua individualità. La prassi della vita ci spinge a formare l’immagine dell’uomo soltanto in base ai frammenti reali che conosciamo empiricamente di lui […]”41. Più avanti porta alcuni esempi di come noi conosciamo “l’altro non già semplicemente come individuo, bensì come collega o camerata o compagno di partito”42, quando questi appartiene alla nostra cerchia sociale, o ancora quando un borghese conosce un ufficiale afferma che egli “non può affatto liberarsi dal pensiero che questo individuo è un ufficiale […]”43. È stato proprio attraverso Park che le teorie di Simmel hanno attratto Goffman. Uno degli aspetti più rilevanti della sua ricerca diventa anzitutto la considerazione del rapporto individuo-società-istituzioni a partire dal tessuto delle

pragmatismo e dalla psicologia di William James e quindi da tendenze culturali più interessate all’analisi del presente e alla descrizione delle forme di vita che alla riflessione sulla crisi della cultura”; ivi, 163-164. 39 Rutigliano 2003, 7-9. 40 Cfr. Goffman 1969, 31. 41 Simmel 1989, 31. 42 Ibid. 43 Ibid.

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 43

interazioni, anche apparentemente irrilevanti, della vita quotidiana. Goffman, come abbiamo visto, percorre questa strada soffermandosi ad analizzare aspetti prima poco considerati, quali le relazioni faccia a faccia, il comportamento in pubblico, le regole dell’interazione. Analisi che hanno un riferimento implicito alla lezione di Simmel, e che diventano un contesto privilegiato per la comprensione dell’agire umano e quindi della società. Egli pone al centro del suo interesse la quotidianità, che acquisisce importanza se riconosciuta fondamentale per la comprensione della società. Per questo l’esigenza di riflettere sul dato per scontato e sull’ovvietà, per scoprire i fili che sorreggono la scena dell’interazione. Su quest’aspetto è lo stesso Goffman ad ammettere l’influenza di Simmel quando, aprendo la sua tesi di dottorato, riporta parole simmeliane: “Confinarci allo studio delle formazioni sociali di grande dimensione somiglia all’anatomia antica che si limitava agli organi maggiori circoscritti in modo definito, come il cuore, il fegato, i polmoni e lo stomaco, trascurando gli innumerevoli tessuti sconosciuti o senza nome nella conoscenza popolare. Eppure, senza questi ultimi, gli organi che è più ovvio considerare tali non potrebbero mai costituire un organismo vivente. Sulla base delle formazioni sociali maggiori – oggetto tradizionale della scienza sociale –, sarebbe allo stesso modo impossibile rendere la vera vita della società cui facciamo esperienza […] Che le persone si scambino sguardi e siano reciprocamente gelose, che si scrivano lettere o cenino insieme […] tutta la gamma delle relazioni giocate fra una persona e un’altra, momentanee o permanenti, consce o inconsce, effimere o cariche di conseguenze […] tutte queste legano incessantemente gli uomini fra loro. Sono queste le interazioni fra gli atomi della società. Esse danno conto della durezza e dell’elasticità, del colore e della consistenza della vita sociale, nel suo apparirci così evidente e tuttavia così misteriosa”44. Il contesto storico – culturale nel quale Goffman si muove, è però molto diverso da quello simmeliano: offre un variegato panorama di teorie riconosciute, che provengono non solo da Alfred Schütz e Norbert Elias, ma anche e soprattutto dall’etnometodologia e dall’interazionismo simbolico, che già avevano spostato l’attenzione del ricercatore verso il singolo45. In questo senso le sue teorie furono maggiormente apprezzate sin dal primo momento.

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Goffman 1953, IV; nostra la traduzione. “L’interazionismo simbolico e l’etnometodologia hanno parecchio in comune. Entrambi analizzano modelli dell’interazione quotidiana anziché strutture sociali più ampie; entrambi trascurano il respiro storico; entrambi studiano l’ordine sociale come realizzazione accorta e negoziata degli individui coinvolti; entrambi si scagliano decisamente contro l’assunto di 45

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Dunque non tanto l’approccio metodologico di Simmel, quanto la sua attenzione verso il quotidiano, ha influenzato Goffman, divenendo il fulcro della sua prima grande opera46. Di fatto Simmel ha indicato modi e metodi per applicare lo studio della società a partire dal quotidiano, questo compito è stato poi svolto da Goffman che ha preso le sue idee e le ha sviluppate nel mondo di attività che è riuscito a scoprire47, studiando non solo le regole dell’interazione, ma anche il comportamento non verbale, la postura, la gestualità degli attori sociali sulla scena. In sostanza pur non trattando mai direttamente il tema della comunicazione, la teoria della socievolezza di Simmel sembra aver posto le basi per la ricerca empirica sull’interazione e l’analisi dei processi comunicativi. C’è un aspetto in più da considerare: lo studio del tessuto sociale a partire dalle interazioni, a detta di Simmel, dota l’individuo del materiale con cui costruire il senso della realtà. La conoscenza della società ha caratteristiche specifiche perché l’individuo è nello stesso tempo fuori e dentro, osservatore ed osservato, agito ed agente. Come sottolinea la Trifiletti, ogni concetto non è dedotto in modo trascendentale, bensì “dall’autoconsapevolezza delle relazioni in cui siamo coinvolti e della reciproca e mutevole determinazione di tutti i fattori rilevanti”48. Tutto ciò accade sostanzialmente perché, come detto, l’individuo è immerso nel gioco dell’interazione, quel continuo processo di scambio tra individui che relazionandosi tra loro, alle prese con il loro ruolo, si trovano nelle condizioni di indossare quella che Goffman chiamava maschera. In questo senso acquista particolare rilevanza la metafora del teatro, che rende l’idea del meccanismo sociale che presiede all’interazione. A detta di Goffman l’individuo per orientarsi nelle interazioni sociali forma delle rappresentazioni, a lui utili per capire meglio gli altri e se stesso. Queste guidano il processo di conoscenza tra gli individui, che si adeguano al loro ruolo poiché l’esistenza sociale si regge su questo. Pertanto il ruolo deriva contemporaneamente sia dall’immagine dell’altro, sia dalla conoscenza del contesto in cui avviene l’azione sociale. In entrambe le teorie, l’individuo è al contempo soggetto conoscente e ogDurkheim secondo cui i fatti sociali dovrebbero essere trattati come cose, proprio come gli oggetti fisici; entrambi dirigono la propria attenzione alle pratiche di creazione di senso in cui sono impegnate le persone – al modo in cui il significato viene attribuito al mondo sociale”; cfr. Baert 2002, 118. 46 Cfr. Goffman 1969. 47 Cfr. Schwarz-Jacobs 1987, 210. 48 Trifiletti 1991, 79.

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 45

getto conosciuto, nelle sue relazioni conosce gli altri e si conosce nel gruppo identificandosi nel proprio ruolo e nell’interazione continua con gli altri. Lo stesso concetto di rappresentazione è il risultato delle analisi che Goffman effettua sulla quotidianità. Per Goffman la rappresentazione è “tutta quell’attività di un individuo che si svolge durante un periodo caratterizzato dalla sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori e tale da avere una certa influenza su di essi”49. Il concetto di rappresentazione chiama in causa un ulteriore elemento da non sottovalutare, presente anche in Simmel, la fiducia50. Un aspetto questo che ci preme sottolineare perché ci permette di rendere le due teorie estremamente attuali e attualizzabili. Se, infatti, le dinamiche di interazione presuppongono un gioco, una messa in scena di ruoli e di maschere, proprio come in un teatro, allora questo gioco presuppone contemporaneamente una serie di aspettative tra gli individui, aspettative che non possono che richiamare una fiducia reciproca nel rispetto dei ruoli e dei comportamenti assegnati. Questo elemento è presente tanto in Simmel quanto in Goffman ed è anche ciò che rende queste teorie ancora valide, perché “tutte le relazioni tra uomini poggiano evidentemente sul fatto che essi sanno qualcosa l’uno dell’altro. Il commerciante sa che il suo contraente vuole comprare al prezzo più basso e vendere al prezzo più caro possibile; il maestro sa che può pretendere dall’allievo una certa qualità e quantità di materia da apprendere”51 comportandosi di conseguenza. Insomma, “sapere con chi si ha a che fare è la prima condizione per poter avere in generale qualcosa a che fare con qualcuno […]”52, per sapere come relazionarsi, quali comportamenti aspettarsi e soprattutto qual è il proprio ruolo in quel particolare contesto53. In questo senso anche Prandini54 svolge 49

Goffman 1969, 33. Il tema della fiducia nelle interazioni sociali è estremamente delicato da declinare e implica l’analisi di una serie di tematiche correlate ad essa che richiedono uno studio molto più approfondito di quanto non sia trattato in questo saggio. A tal proposito si rimanda al saggio di Watier in questo volume, 51-74. Inoltre nella costellazione dei significati correlati alla fiducia rientra anche la responsabilità; per questo tema si rimanda al saggio di Napoli, in questo volume, 345-360. 51 Simmel 1989, 291. 52 Ibid. 53 “[…] le consuete presentazioni reciproche in occasione di una conversazione qualsiasi di una certa durata o dell’incontro sullo stesso terreno sociale costituiscono, per quanto appaia una forma vuota, un simbolo appropriato di quella conoscenza reciproca che costituisce un a priori di ogni relazione”; ibid. 54 Cfr. Prandini 1998, 221-224. 50

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un’analisi sulla forma fiducia come proprietà emergente delle relazioni sociali, evidenziando come Simmel sia già molto vicino all’idea che la conoscenza degli altri si attui con la formazione di aspettative. Non solo, per Simmel la fiducia è anche il fattore etico che consente alla società di sopravvivere come sociazione, considerato che gli attori prima di ogni interazione assumono come presupposto la reciproca affidabilità, almeno per ciò che riguarda la volontà di portare a buon fine l’interazione stessa55. Il problema della fiducia nelle interazioni è molto caro anche a Goffman56; egli tematizzando le rappresentazioni affronta anche la questione della malafede, poiché “quando un individuo interpreta una parte, implicitamente richiede agli astanti di prendere sul serio quanto vedranno accadere sotto i loro occhi. Egli chiede loro di credere che il personaggio che essi vedono possieda effettivamente quegli attributi che sembra possedere […]”57, ma è possibile che successivamente nei suoi comportamenti egli sia in malafede e tradisca la fiducia altrui. La grande attenzione, da parte dei due autori, verso le interazioni e i processi di relazione che intercorrono tra gli individui sfocia quindi in entrambi in un problema di grande portata, la fiducia e il rispetto delle parti. Spunti teorici come questi, legati alla socievolezza, al gioco dell’interazione, alla maschera, rendono le teorie esaminate più che mai attuali per diversi motivi. Qui ci preme sottolinearne soprattutto due. In primo luogo, i meccanismi di interazione elaborati da Simmel e da Goffman possono spiegare e aiutarci a comprendere alcuni comportamenti degli individui di oggi. Il conformismo, la corsa dietro alle mode, la ricerca della somiglianza, sono tutti aspetti che si scontrano fortemente con l’attenzione che oggi viene attribuita sempre più al singolo individuo. Lo stesso Michel Maffesoli58, pur movendo dalla sua ottica che lo ha portato ad elaborare il tema del tribalismo, riflettendo sulla modernità ha discusso di un uomo moderno che non è più “padrone di se stesso”59, ma piuttosto attore alla maniera di colui che recita la parte scritta da un altro. Ciò è dovuto all’influenza che subisce non solo dagli ambienti sociali e dai ruoli, ma anche dalle mode che 55

Mora 1994, 51. “Sarà opportuno, però, cominciare a esaminare le rappresentazioni capovolgendo il discorso e considerare cioè la fiducia che l’individuo stesso ripone nell’impressione della realtà che egli tenta di sollecitare in quanti gli sono d’intorno”; cfr. Goffman 1969, 29. 57 Ibid. 58 Cfr. Maffesoli 1992. 59 Ivi, 22. 56

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Da Simmel a Goffman: appunti per un confronto | 47

invadono ogni campo della vita privata e sociale. In questa sua riflessione Maffesoli richiama proprio Simmel che individuava nella moda un fenomeno sociologico tra i più istruttivi: “L’individuo si sente trascinato «dall’atmosfera» vibrante della massa come da una forza che gli è esterna, indifferente al suo essere e alla sua volontà individuale, quando tuttavia questa massa non è costituita altro che da tali individui”60. In secondo luogo, e lo abbiamo visto poc’anzi, è degna di nota l’importanza della fiducia nelle relazioni tipiche della società odierna. Gran parte delle interazioni quotidiane sono basate inevitabilmente sulla fiducia reciproca del rispetto dei ruoli e delle posizioni sociali, essendo sempre meno dirette e sempre più mediate da mezzi di comunicazione; questo significa che la fiducia acquisisce più che mai un ruolo fondamentale61. È dunque bene conoscere le teorie che hanno affrontato e trattato il tema legato alla relazione e al gioco di aspettative. Se, infatti, siamo sempre più spesso immersi in interazioni che è impossibile verificare personalmente, e in un mondo in cui siamo sempre più influenzati dal contesto sociale e dal ruolo occupato, una riflessione di questo tipo diventa più che mai attuale ed esplicativa della realtà contemporanea. Se la società complessa e la vita moderna è così strutturata, perché tutto funzioni correttamente occorre confidare negli altri. In queste situazioni, Simmel ci insegna che è la rappresentazione che anticipa l’essere, in altre parole, come sottolinea Prandini sono “proprio le aspettative generalizzate che prendono il posto della verifica metodica, puntuale dei fatti”62. La società odierna necessita di questa fiducia, non può farne a meno per non correre rischio di crollare, e allo stesso modo la menzogna può avere conseguenze molto più pericolose di quante non ne avesse in passato.

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Ibid. Ci riferiamo alla fiducia intesa come fatto rientrante nella nomatività costitutiva del sociale. 62 Prandini 1998, 223. 61

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Patrick Watier Confiance et socialisation

Une expérience prêtée à E. Goffman me servira d’exergue: il se serait livré à l’occupation suivante, s’asseoir dans une cantine, à une place provisoirement inoccupée et manger le plat que son propriétaire a abandonné pour chercher de la moutarde. La phronésis sociologique consistera par des typifications ordinaires à s’assurer qu’il n’est pas trop impulsif, sous peine de désagrément. Cette anecdote se raconterait de génération en génération d’étudiants à l’Université de Pennsylvanie1. Sous des dehors farfelus cette petite histoire permet de voir qu’a priori dans le cadre de nos activités les plus banales nous faisons confiance, le comportement de Goffman semble inimaginable à celui qui a abandonné son repas. Un sentiment diffus de confiance assure une sécurité ontologique qui permet de vaquer l’esprit libre à des occupations aussi triviales que la recherche de moutarde sans craindre qu’un intrus ne se serve dans votre assiette. Par ce moyen, et c’est le sens de l’expérience, on démontre précisément sur quels petits riens – qui impliquent pourtant tout un ensemble de présupposés sur ce qui va de soi, les apparences normales, les attitudes attendues, etc., – repose la vie sociale, et l’on met en évidence l’importance d’un sentiment de confiance soutenant les routines de l’existence quotidienne et assurant une coordination, a minima par inattention polie. Cette confiance est une forme de foi et de croyance, elle tient pour acquis un déroulement convenable des événements, autorise des anticipations sur les actions des autres acteurs. La question de la coordination des actions à l’intérieur d’une société, de mondes sociaux ou de formes de socialisation a toujours préoccupé la sociologie, et bien avant elle la philosophie, la philosophie sociale. On peut se demander si certaines dispositions générales ne facilitent pas une telle coordination. L’école écossaise des sentiments moraux – Ferguson, Hutchenson, Shaftebury

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Cette expérience est rapportée au conditionnel par Y. Winkin dans la présentation générale de Winkin 1981, 97-98.

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– signale la place de la générosité ou de la bienveillance. Adam Ferguson remarque que tout langage regorge de termes qui expriment un je ne sais quoi différent du succès ou de l’échec dans le commerce entre les hommes, toutes les actions ne se règlent pas sur le modèle stratégique et la recherche de son propre intérêt, L’opérateur de sympathie avait également été pris en compte par Smith dans sa théorie des sentiments moraux. C’est en fonction des socialisations que Simmel proposera l’analyse de tels sentiments psychosociaux en insistant sur le sentiment de confiance. Le statut conceptuel d’un tel sentiment, qui se prête difficilement à des mesures, peut être contesté et ces derniers temps on a vu à nouveau se développer des théories qui tendent à ramener le problème de la confiance à une pure question d’intérêt ou de calcul d’intérêt, de choix rationnel: chez Williamson cette théorie est poussée si loin qu’il considère que la confiance est une notion inutile, qu’au mieux elle signale simplement une bonne appréciation de la situation et un calcul des risques appropriés. G. Simmel, par contre, s’était lancé dans une tout autre voie. Il tente de cerner des conditions a priori de l’existence de la société, en deçà de la question d’un jugement sur la convenance ou l’inconvenance des actes, d’une part, d’une réduction à l’intérêt et au calcul de l’autre. Sa perspective suppose que l’on accède “à la couche profonde qui permet de trouver les conditions des associations concrètes et vivantes parmi les hommes et que l’on reconstitue la vie sociale telle que l’expérience la donne”. La description de sentiments psychosociaux répond à une exigence phénoménologique et correspond au regard sociologique qu’il propose, ils sont non seulement présents dans de nombreuses socialisations, mais ils sont également des moyens conceptuels dans le cadre de la théorie de la compréhension que Simmel compte mettre en œuvre. Simmel, lorsqu’il présente aux lecteurs la “grande sociologie”, insiste sur le fait que la compréhension de deux thèmes développés dans le premier chapitre assure une bonne intelligence de son entreprise. Chaque chapitre a pour fonction d’illustrer une forme de socialisation, il est un exemple de la méthode, et un fragment de par son contenu de ce qu’il estime être la science de la société. Si l’on parcourt les différents chapitres on ne peut qu’être frappée par la place qu’occupent les sentiments psychosociaux dans la description des relations réciproques. Je voudrai montrer que leur utilisation s’impose de par la séparation tout à fait originale que Simmel établit entre sociologie et psychologie, différence dont il avait déjà élaboré une variante à propos de la distinction entre histoire et psychologie. Il soulignait dans Les problèmes de la philosophie de

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Confiance et socialisation | 53

l’histoire la nécessité d’a priori psychologiques. Dans le premier chapitre de la Sociologie il affirme qu’“il n’y a pas non plus de doute que les choses compréhensibles de l’existence historico-sociale qui nous sont accessibles ne sont rien d’autre que des enchaînements psychiques, que nous reconstruisons à l’aide d’une psychologie soit instinctive soit méthodique, de telle sorte que nous ayons le sentiment que les développements en question sont plausibles ou psychiquement nécessaires. Dans cette mesure, tout récit, toute description d’un état social est la mise en pratique d’un savoir psychologique. Mais il est de la plus haute importance méthodologique, et quasi décisif pour les principes des sciences humaines en général, qu’en traitant scientifiquement des faits psychiques, on ne fait pas nécessairement de la psychologie; même quand nous faisons un usage ininterrompu de règles et de connaissances psychologiques, quand l’explication de chaque fait isolé n’est possible que par la voie psychologique – comme c’est le cas dans le domaine de la sociologie –, le sens et l’intention de cette démarche ne portent pas forcément sur la psychologie; c’est-àdire sur la loi du processus psychique, qui est certes le seul vecteur possible d’un contenu déterminé, mais sur ce contenu même et ses configurations”. Un tel savoir psychologique se rapproche du “trésor de notre savoir nomologique d’expérience” pour utiliser l’expression de M Weber, sans lequel nous pourrions bien peu interpréter les activités sociales qui se déroulent sous nos yeux, et encore moins les analyser au niveau sociologique. Simmel propose l’usage d’un savoir commun interprétatif qui s’appuie sur la socialisation du sociologue et la connaissance que les individus socialisés possèdent du fait qu’ils se savent associés à d’autres individus dans les formes de socialisation. Les règles et les connaissances psychologiques s’adossent à des sentiments psychosociaux dont nous savons en général, du fait de leur présence, quelles conséquences les plus fréquentes et les plus habituelles sont à attendre sur le déroulement des actions réciproques. Il faut également tenir compte du fait que les sentiments psychosociaux servent de soubassement aux formes de socialisation, ils sont des contenus de la socialisation ou autorisent celle-ci en l’accompagnant et lui fournissant une ambiance affective propice. Quels sont-ils? Sans souci d’exhaustivité je retiendrai les suivants: la confiance, la sympathie, la reconnaissance, la piété, le dévouement, la fidélité, la gratitude, l’intimité, la foi, l’honneur, la loyauté, le pardon, la réconciliation, d’une part; l’envie, la rancune, la jalousie, la haine, la méfiance, l’hostilité, de l’autre. L’usage d’un tel vocabulaire, celui des passions, des émotions, des sentiments que Simmel nomme psychosociologiques fait penser, entre autres à Gracian, Chamfort ou La Rochefoucault, plus qu’à des

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ouvrages de sociologie2. On peut alors se demander quel est le statut conceptuel de ces termes et pourquoi ils sont nécessaires: indiquent-t-ils simplement que Simmel – comme on n’a pas manqué de le dire – est un fin psychologue? Ils seraient alors l’occasion pour cet “écureuil philosophique”, comme le nommait Ortega y Gasset, de manifester sa perspicacité psychologique dans la description des nuances du comportement, ce seraient des ajouts ou des fioritures, condamnables en tant que telles pour une perspective plus “rigoureuse” en sociologie. Cette interprétation ne me semble pas rendre justice à la perspective de Simmel, car si l’on prend au sérieux le passage du premier chapitre que j’ai rappelé, si l’on s’appuie sur Les problèmes de la philosophie de l’histoire, et sur un des derniers textes, La compréhension historique, on est bien plus conduit, me semble-t-il, à reconnaître qu’ils jouent un rôle cardinal à deux niveaux: celui de contenus pouvant être mis en forme de multiples manières; celui de contenus qui désignent déjà sommairement et dans le langage usuel une forme de relation, mais qui jouent aussi un rôle dans l’explication et la compréhension des phénomènes sous examen. Ils ont une valeur indicative pour donner une idée de la relation, c’est ainsi qu’il remarque que la notion de prestige lui sert moins à définir un concept qu’à signaler “l’existence d’une variété particulière d’actions réciproques humaines” (einer gewissen Spielart der menschlischen Wechselbeziehungen n. 1 p. 164). De plus, ces termes fonctionnent comme des motifs compréhensifs plausibles et en ce sens explicatifs des actions. Ils jouent un rôle de cheville interprétative dans la compréhension sociologique et ils sont caractéristiques de ce savoir psychologique qui prend place et doit rester à sa place, à l’intérieur de l’entreprise sociologique. Ces sentiments font partie de ce vaste domaine où nous puisons pour fournir des motifs plausibles d’actions réciproques. L’utilisation de termes proches de l’expérience commune ne va pas sans risque, mais s’en passer ne permettrait pas de suggérer la relation à l’œuvre, l’usage d’un tel vocabulaire a donc une fonction pédagogique et heuristique. Selon cette seconde direction, le recours aux sentiments psychosociaux, loin de correspondre à une perspective ornementale, esthétique et ludique, à des

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Une exception notable est N. Elias qui affirme: “Il faut intégrer à la théorie sociologique les interdépendances personnelles et, surtout, les liaisons émotionnelles des hommes comme facteur de liaison sociale” (1981, 166-167). Peut-être que dans ce domaine comme dans d’autres le regard sociologique de G. Simmel a-t-il influencé de manière souterraine N. Elias. Cf. Deroche-Gurcel 1999, 35.

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variations brillantes, relève d’une nécessité conceptuelle propre à la science de la société qu’il élabore. Remarquons déjà que ces catégories permettent de tenir compte de la tonalité affective de certaines des actions réciproques et pour la décrire ce lexique est approprié. Une double exigence d’intelligibilité les requiert, liés qu’ils sont aux contenus de la socialisation d’une part, de l’autre aux enchaînements psychiques qui permettent de décrire pour partie les actions réciproques. Il faut donc les comprendre comme des objets du regard sociologique, mais aussi comme des instruments dont celui se sert pour analyser les formes de socialisation. Ainsi la jalousie est à la fois un état mental, qui trouve ses conditions de réalisation idéales, si j’ose dire, dans les relations à deux et les relations intimes, c’est donc un sentiment dont l’expression est liée à une caractéristique numérique des socialisations, en ce sens elle est un contenu, mais le même terme nous permet de saisir comment, par une distribution inégale de dons, un personnage dominant peut assurer la perpétuation de sa domination en excitant ou attisant la jalousie entre subordonnés avides de reconnaissance et détourner habilement les griefs qu’ils pourraient formuler à son encontre sur leur mise en concurrence. Simmel, lorsqu’il analyse le divide et impera, les pratiques de gouvernement de Venise, montre les effets ravageurs de la défiance sur l’espace public: “À côté de la jalousie, c’est surtout la méfiance qui est utilisée comme un moyen psychologique en vue de la même fin, et qui, contrairement à la première, peut empêcher justement de plus grandes quantités d’associations de conspirateurs. Ce qui fut fait de la façon la plus efficace par le gouvernement de Venise, qui mit en œuvre des moyens considérables pour inciter les citoyens à dénoncer tous ceux qu’ils soupçonnaient peu ou prou. Personne ne savait si telle proche relation n’était pas au service de la police de l’État, et c’est ainsi que des entreprises révolutionnaires qui exigeaient la confiance réciproque d’un grand nombre de personnes furent étouffées dans l’œuf; de sorte que par la suite, l’histoire de Venise ne connut pratiquement jamais de soulèvement”. Un tel état d’esprit qui mobilise les capacités intellectuelles dans la direction d’un qui-vive permanent entraîne, pour utiliser le langage de Simmel, une débauche d’énergie de suspicion que la confiance par contre permet d’utiliser à meilleur escient. Dans un climat de défiance l’herméneutique du soupçon se donne libre cours, les pratiques des régimes totalitaires et de leur police politique l’ont montré à leur tour: briser la confiance entre les individus empêche le développement de mouvements de révolte, méfiance et suspicion ne conduisent pas à la création d’associations et elles isolent les individus. La Bruyère dans ses Caractères, résumait les conséquences de cet état d’esprit: “L’esprit de défiance nous fait croire que tout le monde

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est capable de nous tromper”. Ce faisant c’est la sociabilité, la pulsion à s’associer qu’un tel état d’esprit attaque décisivement, et de fait interdit toute constitution d’un espace public de débat. Simmel, de même que Weber, se méfie des concepts holistes qui ont une fâcheuse tendance à personnifier des instances sans entrer dans le détail des processus qui constituent ces instances. Parmi ces processus à l’œuvre dans les actions réciproques, une place toute particulière doit être accordée aux processus mentaux. C’est parce que la sociologie recherche comment des processus mentaux, tels la typification dans les relations interpersonnelles, ou encore les significations dans les institutions, sont à l’œuvre, que toute sociologie suppose l’usage d’un savoir et de connaissances psychologiques, sans être pour autant une psychologie. La tâche de la sociologie pure sera donc de présenter chaque observation “comme une forme de relation entre individus et de catégories sociologiques – bien que la description singulière ou typique du processus lui-même, soit toujours psychologique”3. Parfaitement conscient de ce qu’il avance, Simmel se fait à lui-même l’objection qu’un tel tournant dans l’analyse pourrait ramener la sociologie à une espèce de psychologie ou de psychologie sociale. Pour argumenter contre une telle interprétation, le statut de la psychologie par rapport à la connaissance sociologique, de même que sa place dans l’accomplissement des socialisations, est précisé. La définition de la socialisation comme un phénomène psychique signifie que les contenus, les motivations, les buts de cette dernière sont psychiques, mais aussi que les relations entre les hommes reposent sur des extrapolations à caractère psychique. La distinction entre contenus et forme de la socialisation assure à la sociologie un domaine propre du fait que les mêmes contenus psychiques peuvent être formés socialement de manière tout à fait différente. Le matériau de la socialisation est donc au sens large psychologique (dans la Philosophie de l’argent, Simmel parle de la constitution psychophysique de la nature humaine), les processus d’influence et d’action réciproque résultant des associations supposent des interprétations les uns des autres des participants. D’une part, les contenus de la socialisation, dans la mesure où ils sont présents à la conscience des individus, sont des représentations psychiques, de l’autre la manière dont les individus interagissent les pousse à construire des représentations psychiques de leurs semblables. Ces interprétations sont psychologiques au sens où elles passent par les psychés individuelles. Dès lors il devient crucial de définir les présuppositions à partir desquelles les orienta-

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Simmel 1992, 38. Simmel dans Rammstedt-Watier 1992, 38.

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Confiance et socialisation | 57

tions des individus les uns envers les autres sont possibles. On pourrait dire, dans le vocabulaire et la perspective certes différents d’A. Schütz, que Simmel se donne pour objectif de décrire les postulats implicites de la compréhension de l’un par l’autre dans “l’attitude naturelle”, car sans elle les actions réciproques ne pourraient avoir lieu. Il indique que nous sommes conduits à construire l’autre comme une personnalité, une unité psychique, et que ce faisant nous utilisons une représentation a priori qui consiste à attribuer un ensemble de manifestations perçues à une personne. Un tel procédé nous l’appelons compréhension. Compréhension et attribution sont liées, puisque la personnalité que nous comprenons et à qui nous attribuons, par exemple, telle ou telle intention, est une construction typique. La compréhension de l’autre à travers la typification est un a priori de la socialisation, dont la valeur tient à l’utilité pour la connaissance et l’action, et bien entendu avant tout, pour celles qui nous sont les plus quotidiennes. Toute forme de socialisation suppose des anticipations réciproques et la fixation d’une ligne de conduite. Les processus d’influence ou d’action réciproque passent alors nécessairement par le psychisme des personnes. La socialisation est une unité psychique qui se produit du fait que des éléments spatialement séparés entrent dans une nouvelle unité, mais ont surtout conscience de former cette nouvelle unité, ce qui différencie dès lors toute unité sociale de tout phénomène naturel: pour ce dernier la coexistence spatiale ne s’y redouble pas instantanément de la conscience de cette coexistence, ou pour le moins de sa possibilité4. La différence ainsi constatée conduit à la conclusion que la société pour son interprétation et sa compréhension requiert un savoir psychologique qui n’est néanmoins pas une psychologie. Sans la prise en compte du caractère psychique des socialisations, la société “ne serait qu’un théâtre de marionnettes, pas plus compréhensible et significatif que l’emmêlement l’un dans l’autre des nuages ou la végétation confuse des branches d’arbre, si nous ne reconnaissions pas ainsi qu’il va de soi les motivations psychiques – sentiments, pensées, besoins – non seulement

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S’interrogeant sur les possibilités d’une sociologie de la connaissance, M. Scheler retrouve la thématique de Simmel et est conduit à souligner que “la connaissance que les membres d’un quelconque groupe ont les uns des autres et la possibilité de leur «compréhension» réciproque est d’emblée, non pas un élément qui vient s’ajouter à un groupe social, mais une dimension qui contribue à constituer l’objet «société humaine». La constitution de tout groupe est donc tributaire du savoir des uns par les autres au travers duquel il devient société”; Scheler 1993, 87.

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comme support de chaque socialisation, mais comme étant son essence et ce qui réellement nous intéresse seul comme connaissance”5. C’est à partir d’une définition de la socialisation comme événement psychique que l’on a pu accuser Simmel de psychologisme, sans saisir la distinction qu’il établit entre psychologie comme reconstruction de motifs plausibles et psychologie comme science des processus psychiques. Il me semble à ce propos que J. Freund, emporté par la défense de Simmel et voulant l’exonérer du reproche infamant de psychologisme, émousse un tant soit peu le tranchant des formulations sur le caractère psychique des formes de socialisation. Selon Freund, “si les formes sociales présentent des aspects psychiques, on ne saurait les y réduire, sinon on finirait par faire de la société un «jeu de marionnettes»”6. Il n’est, en effet, pas question de réduire les socialisations à leur aspect psychique, néanmoins ce que Simmel ne cesse de souligner c’est que l’histoire et la sociologie ont affaire à des processus psychiques, c’est-à-dire des processus mentaux qui supposent aussi des conditions propres d’investigation. Lorsque Simmel fait allusion au spectacle de marionnettes, ce n’est pas pour caricaturer ce que serait la société si l’on insistait trop sur les processus mentaux, mais bien au contraire pour montrer à quelle caricature elle serait réduite si on ne les prenait pas en compte. On peut voir à quel point l’interdit durkheimien a marqué les esprits, puisque Freund fait un contre sens total sur la signification de la comparaison avec le théâtre de marionnettes. C’est parce que nous voulons connaître des motifs, des sentiments, des volitions que nous ne considérons pas la société et l’histoire comme un jeu de marionnettes dont les fils seraient tirés par des forces échappant totalement aux acteurs. Les problèmes de la philosophie de l’histoire sont sur ce point catégoriques: “Si l’histoire n’est pas un simple théâtre de marionnettes, elle ne peut être autre chose que l’histoire de processus mentaux”7. La même conception et les mêmes métaphores sont présentes dans les deux livres; et Simmel est fidèle au programme qu’il fixait dès 1894: “Les méthodes qu’on appliquera aux problèmes de la société seront les mêmes que celles de toutes les sciences comparatives et psychologiques. Elles reposent sur des hypothèses psychologiques sans lesquelles, d’une façon générale, il n’y a pas de science de l’esprit: les phénomènes de l’assistance demandée ou accordée, de l’amour, de la haine, de l’ambition, du plaisir de la société, de la concurrence, d’une part, et d’autre part, de la collaboration des individus qui ont 5

Simmel dans Rammstedt-Watier 1992, 35. Freund dans Simmel 1991b, 53-54. 7 Ivi, 57. 6

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les mêmes fins, et une série d’autres processus psychiques primaires doivent être supposés pour l’intelligence des phénomènes de la socialisation, du groupement, du rapport de l’individu à un ensemble”8. C. Bouglé dans le compte rendu de l’ouvrage donné à l’Année Sociologique (1906-1909 pp. 17-20), notait de manière malicieuse que si l’on tirait la conclusion que la sociologie n’était qu’une psychologie, “elle ne serait pas pour déplaire à M. S.”. Sans doute, mais en précisant bien ce que Simmel place sous ce mot, c’est-à-dire la reconnaissance du caractère psychique des socialisations et la nécessité d’utiliser une psychologie de convention dans la description des motivations plausibles de l’activité réciproque. L’intérêt de connaissance de la sociologie recoupe pour partie celui des acteurs ordinaires: la recherche des raisons ou des motivations de l’action. Toute socialisation suppose un savoir psychologique, construit de manière interactive un échange entre je et tu, “un échange alterné entre le moi et le toi”, et comme l’action réciproque caractérise la socialisation, cette dernière ne peut s’établir que sur la construction d’un savoir psychologique. La vie sociale ne serait pas telle que nous la connaissons si les individus ne s’orientaient pas en fonction d’expectations, de suppositions, d’anticipations, de typifications qui sont des représentations mentales de leur agir réciproque. La référence tant pour l’objet sociologique que pour l’interprétation compréhensive à de telles catégories psychosociales s’impose parce qu’elles sont des contenus de la socialisation ou, comme dans le cas de la fidélité, un contenu résultat d’une socialisation, déjà existante, mais aussi parce qu’elles jouent un rôle dans l’interprétation des pratiques. Ces catégories jouent un double rôle: d’une part, elles servent à désigner des contenus qui seront mis en forme dans les socialisations, en ce sens elles désignent des dispositions présentes dans les âmes individuelles, dispositions qu’il faut selon Simmel présupposer. Servant à désigner un contenu, une matière ou un motif de la socialisation elles entrent comme présuppositions d’états mentaux ou d’émotions dans le mode d’argumentation, et garantissent la plausibilité des descriptions. Elles autorisent, de l’autre, la prise en charge de la tonalité affective propre aux socialisations dès que le regard sociologique ne se fixe pas seulement sur les grandes figures dans lesquelles la socialisation s’est comme cristallisée en formations objectives, qu’il cherche à percer les couches qui l’enserrent “pour trouver les conditions des associations concrètes et vivantes parmi les hommes”. Pour restituer ou figurer

8

Ivi, 168.

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les relations sociales telles que l’expérience les donne alors, ce regard se dirige nécessairement vers les catégories affectives, spirituelles, psychosociales qui comme la confiance, la fidélité, la reconnaissance, le don, la piété, l’amour, la sympathie, la croyance, mais aussi l’aversion, la haine sont absolument fondamentales pour la constitution et le maintien des socialisations d’une part, le heurt conflictuel de l’autre. On sait que Simmel a mis l’accent sur “l’éternel flux et bouillonnement qui lie les individus” et cela sans que des formes d’organisations établies prennent en charge de telles relations, a insisté sur le fait que mêmes celles qui ne se stabilisent pas en formes et cadres durables, ou en figures autonomes méritent d’être étudiées; et qu’à l’intérieur de celles-ci on voit grâce à la microscopie psychologique (89/90 domaine de la sociologie 1917) le rôle essentiel joué par tout un ensemble de dispositions, ou de sentiments psychosociaux, de petites synthèses sociales. Les dispositions que les individus manifestent les uns envers les autres ont une consistance et une origine propres, elles ne peuvent se résumer à un catalogue de règles qu’ils appliqueraient mécaniquement, ni à l’application de normes intériorisées. Dans son étude La religion Simmel relève que des fonctions comme “l’amour et la croyance, comme l’aspiration et le dévouement nouent à partir du sujet, dont elles se manifestent comme les instincts, des fils, des liens avec d’autres sujets, le réseau de la société se tisse de leurs innombrables différenciations, elles sont en quelque sorte les formes a priori engendrant sur incitations individuelles les phénomènes empiriques particuliers d’ordre sociopsychique”9. L’actualisation de telles fonctions suppose un climat de bienveillance ou une atmosphère de confiance, qui étayent les relations sociales, de même que la pulsion hostile tend à leur destruction. On ne saurait réduire cette ambiance à sa version individualiste/utilitariste. Bien entendu une telle attitude peut exister, mais elle est une variante d’une fonction plus profondément située que des termes tels que sympathie, piété, dévouement cernent également. Il s’agit sans conteste de la foi d’un homme en l’autre comme Simmel le souligne lui-même dans une note du chapitre sur le secret. Les formes sociales de la confiance, si exactes ou intellectuellement fondées qu’elles puissent sembler, comportent toujours un peu de cette “foi” sentimentale, voire mystique de l’homme en l’homme. La confiance suppose une foi animale dans l’autre pour parler comme Santayana. Simmel se propose, grâce à sa microscopie psychologique, d’en montrer l’importance et ouvre ainsi un vaste champ de recherches qui a donné 9

Simmel 1998, 54.

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lieu ces dernières années à de nombreux et importants travaux. Je signalerai au passage certains prolongements, tout en centrant néanmoins mon intérêt sur les apports originaux de Simmel à ces questions. Disons plus exactement que c’est surtout autour de la confiance et dans le domaine des études économiques qu’une partie du débat a tourné. De manière lapidaire je dirai que certains ont voulu, dans le cadre du rational choice, éliminer la confiance comme concept, et la remplacer comme Williamson par le pur calcul d’intérêt. Pour Simmel les individus présentent une palette d’attitudes et de dispositions bien plus large et psychologiquement plausibles que la simple recherche d’intérêt. Parmi ces dispositions la confiance, la loyauté, la fidélité tiennent un rôle cardinal dans la réalisation des socialisations dans le monde moderne. Une société repose certes sur des présupposés socio-structurels, mais il ne faudrait pas pour autant négliger des dispositions et des schèmes d’orientation réciproque qui ne sont pas strictement codifiés et accompagnent les socialisations. En effet, ces dernières reçoivent le concours de sentiments psychosociaux, car la constitution de la société exige en arrière plan un minimum de confiance, une foi dans l’auto-présentation de l’autre, et ce d’autant plus que les conditions modernes d’existence mettent en relation de parfaits inconnus, et même réalisent des unités passagères sans que la co-présence soit nécessaire. La confiance ou la fidélité sont sans doute encore renforcées au niveau des relations interpersonnelles lorsque celles-ci s’établissent de plus en plus selon un schéma d’adhésion volontaire, qui remplace les associations traditionnelles et l’on pourrait dire que de tels sentiments psychosociaux jouent un rôle de plus en plus important dans les formations intermédiaires qui se donnent leurs propres règles de fonctionnement, telles que la famille ou ce que l’on peut nommer la pure relation interpersonnelle (Giddens). Les individus se réfèrent alors fréquemment à des dispositions telles que la loyauté ou l’honnêteté pour décrire les conditions de relations intimes confiantes. La réflexion que Simmel mène sur les socialisations ne cesse de rappeler le rôle et la place des sentiments sociaux qui autorisent et favorisent les entrées en société. Reprenant à propos de l’amour le schéma qu’il a pu appliquer notamment à la piété, un invariant anthropologique ou une disposition qui parcourt de nombreuses relations, il souligne le rôle de dispositions qui “naissent inévitablement au sein des relations pratico-sociales, étroites ou larges: inévitablement, parce qu’une telle cohésion ne pourrait être maintenue en vie et en fonction par aucune espèce de considération utilitaire, de contrainte extérieure ou de règle morale, si aux liens relationnels tissés par ces puissances rationnel-

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les ne venaient en plus se mêler des sentiments sociaux, à savoir qu’on se veut mutuellement du bien et qu’on se lie volontiers: “Si vraiment l’homo homini lupus était la règle – ce qu’on ne saurait écarter par optimisme et bienveillance morale – personne, tout simplement, ne supporterait psychiquement de vivre en contact étroit et durable avec les hommes avec qui il serait disposé de la sorte”10. Penser la socialisation implique donc de déterminer les a priori constitutifs qui permettent aux individus de former des liaisons et d’entrer en relation les uns avec les autres, de se socialiser au sens de savoir qu’ils réalisent une unité sociale, d’une part, mais aussi de manière plus phénoménologique de repérer les catégories que Simmel nomme indifféremment affectives ou psychosociales, qui assurent la cohésion en deçà ou par-delà toute contrainte, règlement ou finalité utilitaire. Parmi ces catégories du monde vécu, les dispositions aimables, la fidélité, la confiance, la gratitude jouent à des niveaux divers pour les entrées dans les formes sociales, le maintien de celles qui n’obéissent plus aux impulsions de départ ou comme la gratitude, “cette mémoire de l’humanité”, soutiennent la fonction sociologique de première importance qu’est le don, illustration par excellence de la réciprocité. Toute vie en commun et l’ensemble des contacts journaliers reposent sur de telles orientations, elles ont pour caractéristique de favoriser les relations et de permettre la synthèse des éléments sociaux. La sociologie dans son analyse des formes de socialisation non seulement utilise un savoir psychologique, applique une microscopie psychologique pour saisir les actions réciproques, mais elle repère aussi les sentiments psychosociaux qui parcourent les socialisations, les autorisent et les rendent possibles, (la confiance), assurent pour partie leur maintien (la fidélité, la reconnaissance, l’honneur, l’estime de soi), ou leur donnent une coloration et un ton spécifiques (la piété, le dévouement). Dans la mesure où une forme de socialisation induit et s’appuie sur un état psychique correspondant à cette forme, la sociologie en analysant cette socialisation constate l’importance de tels sentiments comme arrière-plan de son propre objet, mais poursuit son investigation vers la forme de la relation et ne s’intéresse pas aux psychismes individuels en tant que tels, mais elle réintroduit ces sentiments pour comprendre et expliquer de manière conventionnelle le développement des socialisations. “Pour une science procédant par abstraction, comme la sociologie, il est inévitable que les relations typiques (typischen Zusammenhänge) particulières qu’elle présente ne puissent épuiser toute la plénitude et la complexité de la 10

Simmel 1988, 152.

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réalité historique […]. Cette insuffisance que révèle face à la réalité toute connaissance d’une relation par des lois typiques atteint visiblement son apogée dans les sciences de l’esprit parce que dans leur domaine ce ne sont pas seulement les facteurs de l’événement particulier qui se fondent dans un lacis quasi inextricable, mais encore le destin de chacun de ceux que l’on veut analyser qui se dérobe à la constatation mathématique ou expérimentale”11. La sociologie dans son mode d’argumentation recourt à des sentiments psychosociaux parce que son mode d’administration de la preuve implique un “rapport entre causes et effets que l’on peut considérer comme normal du fait de données historiques ou de vraisemblances psychologiques”12, vraisemblances qui pour partie reposent sur ce que nous savons de l’effet habituel et des conséquences probables de certains sentiments sur le déroulement des actions réciproques. Je remarquerai que cette longue note méthodologique d’une page déjà présente dans l’article Die Selbsterhaltung der socialen Gruppe. Sociologische Studie de 1898 est réduite à quelques lignes dans la traduction de Durkheim et que tout ce qui concerne la particularité des sciences de l’esprit qui travaillent sur des données historiques et des vraisemblances psychologiques n’est pas traduit. Si les coupes concernant les juifs ont déjà été signalées il faut aussi relever celles qui concernent le mode de faire de la sociologie et tout ce qui rapproche Simmel de Weber: le typique, le vraisemblable psychologique qui est un autre nom pour le savoir nomologique de Weber13. En liant la compréhension à la conscience d’être socialisé et au savoir des activités pratiques de socialisation, Simmel a apporté aux fondements de la sociologie compréhensive une impulsion décisive, certes le recours à des catégories que Simmel nomment psychologiques – et certaines le sont sans conteste – encourage l’accusation de psychologisme, mais il me semble qu’il faut saisir et intégrer cette psychologie conventionnelle dans un savoir commun dont elle est une des composantes. La psychologie conventionnelle renvoie à ce que de nos jours on considérerait plutôt sous les termes de savoir d’arrièreplan, de cadres, grâce auxquels la relation à la réalité s’établit. En effet toute compréhension, de même que toute activité sociale utilisent des cadres, au sens de Goffman, pour rendre compte des activités et les effectuer. Ces cadres ou ce savoir d’arrière-plan ne peuvent être cantonnés à des catégories psycho11

Simmel 1999, 543. Ibid. 13 Je me permets de renvoyer à Watier 2002 et Watier 2003. 12

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logiques, même si les processus d’attribution souvent présents y jouent un rôle. A ce propos il faut être attentif à la distinction entre savoir et connaissance: la poursuite par les individus d’une activité réciproque ne relève pas de la connaissance scientifique spécialisée, mais d’un savoir commun des uns sur les autres, et ce savoir n’est pas vrai au sens où on l’entend des connaissances scientifiques. Simmel faisait remarquer que le savoir de X sur Y n’est pas en ce sens plus vrai que celui de Z sur Y, il n’y a pas de méta-savoir hors de l’interaction et en même temps ce savoir est celui qui précisément permet l’interaction. La vie sociale ne serait pas possible sans les jeux subtils entre savoir et non savoir de l’autre que les interactants mobilisent dans leurs actions réciproques. Toute forme de socialisation est alors à saisir comme un mode d’orientation réciproque qui va mobiliser une certaine configuration de savoir, tout en laissant de côté d’autres configurations. Dans la sociologie du repas, Simmel insistera comme d’ailleurs dans la sociologie de la sociabilité sur les conditions de la conversation qui se déroule dans ces occasions: laisser dans l’ombre les aspects personnels ou les plus individuels, laisser la conversation filer et se développer selon une grâce et une légèreté comme détachées de tout contenu sérieux. Le tact, cette façon de ne pas demander des comptes est une condition sine qua non de cette ambiance sociale propre à la conversation pour la conversation. Cet arrière-plan porte sur un savoir des activités sociales, savoir d’être socialisé avec d’autres et savoir que Simmel distingue de la connaissance car il renvoie aux activités pratiques plus qu’aux activités cognitives spécialisées. Le savoir commun d’être socialisé, lié à d’autres dans des formes de socialisation, est le soubassement sur lequel s’élève la connaissance de la société. C’est en s’appuyant sur ce savoir à propos des socialisations, en étudiant sa genèse, ses utilisations communes et scientifiques qu’il est à mon sens possible de prolonger les intuitions et analyses de Simmel, et de redéfinir les relations entre sens commun comme somme de préjugés et savoir commun comme réservoir d’actions typiques et de compréhension de telles activités14. En effet, à côté des systèmes de pensée plus ou moins clairement articulés en croyances religieuses ou morales, les systèmes d’interdits, on peut aussi mettre au jour des a priori, qui, sans être l’objet de doctrines explicites et strictement codifiées, ni thématisés consciemment par les individus – c’est-à-dire qu’ils en ont une conscience plus pratique que discursive – sont tout à fait nécessaires au fonctionnement des sociétés. Le sentiment de confiance est de ces sentiments psychosociaux, il illustre ce que Simmel nomme une catégorie affective et occupe une place 14

Watier 1995.

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centrale bien que non réfléchie dans les relations sociales; sans lui la société aurait de grandes chances de se disloquer, et c’est à ce sentiment situé à côté d’autres, tels que les dispositions aimables, la bienséance, la gratitude, la fidélité ou le tact, et en relation avec ces dernières que je voudrais m’intéresser. On le sait, Simmel faisait de la forme confiance située en deçà ou au-delà du savoir que chacun peut avoir sur les autres l’une “des forces de synthèse les plus importantes au sein de la société”15, et les différences de degré de ce savoir et de ce non-savoir, sur lesquelles selon lui s’appuie l’action individuelle fondée dans la confiance, lui servaient même à distinguer entre stades sociaux selon le niveau de crédit a priori que les membres doivent réciproquement s’accorder. Il faut distinguer entre deux types de confiance: celle que les individus manifestent entre eux et celle qu’ils mettent dans les systèmes sociaux ou les institutions. Simmel indique à quel point la confiance accordée à la monnaie implique une confiance en l’organisme émetteur, mais il montre aussi comment la confiance concerne les relations interindividuelles. Il est clair que la confiance ne peut ni se distribuer de la même manière, ni prendre en compte la totalité de la personne individuelle dans des sociétés où la différenciation sociale a pris une place grandissante. Depuis que l’objectivation de la civilisation s’est accrue, la confiance comme forme en deçà ou au-delà de tout savoir sur l’autre a subi des modifications. Plus la différenciation sociale se développe, plus les connaissances à propos de nombreuses personnes deviennent ténues, et leur degré peu important et néanmoins suffisant pour les activités communes spécialisées. La confiance accordée peut concerner la compétence au sens de capacité de faire ou de réaliser tel acte, ou une facette d’une personne, et non la personnalité dans sa totalité et en tant que telle. Il y a donc une confiance fonctionnelle accordée globalement à la catégorie sous laquelle un individu est typifié. De fait, dans le cadre d’une différenciation sociale croissante se créent des institutions grâce auxquelles les liens entre individus et entre individus et totalité sociale se modifient. Les relations entre les individus doivent de plus en plus tenir compte de l’absence d’information de première main, nécessitent un sentiment quasi immédiat de confiance, confiance que les individus sont dès lors amenés à accorder aux systèmes dans les situations d’interdépendance de la modernité. Comme de plus en plus souvent les manières classiques et traditionnelles d’entrer en contact, qui supposaient une connaissance de voisinage, ne peuvent plus servir pour se renseigner sur la personne, les apparences servent de garanties. La confiance, remarquons-le bien, concerne tant les indivi15

Simmel 1999, 355; Simmel 1991a, 22.

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dus que les systèmes sociaux; ainsi dans de nombreuses activités, le contact qui s’établit entre un individu et un autre individu ou un système ne repose pas sur une interaction en face à face et surtout cette interaction ne porte que sur la partie de la personnalité concernée par l’activité en cours. Ce que Simmel appelle l’objectivation croissante de la culture a pour conséquence une modification du savoir et du non savoir nécessaire à la poursuite d’activités communes. “Le commerçant moderne qui entre en relation d’affaires avec un autre commerçant; le chercheur qui entreprend une étude en collaboration avec un autre chercheur; le chef d’un parti politique qui conclut un accord avec un autre chef de parti à propos de questions électorales ou de propositions de lois – tous ceux-là savent sur leur partenaire, à quelques exceptions ou insuffisances près, exactement ce qui est nécessaire pour la relation qu’ils veulent établir”16. Bien entendu nous retrouvons ici un des thèmes simmeliens portant sur la dissociation de la personnalité en de multiples facettes, chaque facette n’entrant en ligne de compte que dans un cercle social particulier ou dans l’accomplissement d’une activité sociale commune. Il faudrait analytiquement distinguer entre une confiance ontologique qui concerne, pour parler un langage proche de la phénoménologie, les structures du monde de la vie, leur consistance, leur permanence auxquelles s’adosse mon action et qui autorise des anticipations ou une idéalisation du type; une confiance portant sur les relations sociales et une confiance accordée, elle, aux institutions ou aux mécanismes impersonnels. Bien entendu ces trois registres sont également entremêlés puisqu’un savoir inductif peut porter sur les structures du monde, les relations sociales ou encore les institutions. En termes luhmaniens on dira que la confiance est un opérateur qui permet de réduire la complexité dans les sociétés différenciées. Dans le chapitre X de Soziologie, Simmel insistait néanmoins sur le fait que la différenciation émergente d’institutions sociales ne signifiait pas la perte de liens de l’individu avec le tout, mais seulement qu’il n’accordait à cette liaison que la part objectivement justifiée de sa personnalité. Le point où il touche à chaque fois la somme ou la constitution du tout ne nécessite plus la partie de sa personne qui n’appartient pas à la relation17. Si l’on met en rapport ce constat avec la confiance, on saisit que dans de nombreux domaines elle ne va aussi

16

Simmel 1991a, 23. Pour une mise en relation des concepts de frontière, d’indiscrétion et de construction de l’autre cfr. l’Exkursus über die soziale Begrenzung, dans Simmel 1992, 698702. 17 Ivi, 849.

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se distribuer que sur la partie de la personne prenant part à l’interaction, autrement dit, ce n’est pas la totalité de la personne et un savoir sur cette dernière qui est requis, mais seulement le savoir suffisant pour accorder la confiance dans le cas considéré. Alors, la confiance ne déborde pas les limites de l’action réciproque ou de l’activité qui se déroule. Je peux faire confiance à telle personne dans le cadre d’activités professionnelles sans pour autant aller jusqu’à lui confier des éléments de mon existence qui relèvent d’autres cercles sociaux, ni lui faire confiance pour un prêt d’argent. Les principes selon lesquels la confiance est allouée peuvent donc varier selon le type d’association, mais, de plus, la forme même de la confiance va dépendre de l’accroissement de la taille du groupe et de la formation d’organes spécialisés dans le traitement de problèmes particuliers. Une forme d’indifférence envers les personnalités est ainsi couplée avec un sentiment de confiance qui est un embrayeur minimum pour l’exécution de toute relation sociale. La confiance est une condition d’effectuation d’actions sociales qui varie selon les contextes mais qui en même temps est sensible ou actualisable dans n’importe quel contexte: “D’après leur contenu, les associations peuvent reposer sur toutes sortes de principes de confiance: confiance dans l’aptitude aux affaires, dans la conviction religieuse, dans le courage ou l’amour, dans une bonne mentalité, ou encore, dans le cas d’associations criminelles, dans la rupture radicale avec les velléités normales. Mais dès qu’une société devient secrète, à cette confiance déterminée par des fins particulières vient s’ajouter une autre forme de confiance, celle dans l’aptitude à garder le secret, il s’agit là d’une foi dans la personne plus abstraite que toute autre, parce que cette foi peut recouvrir n’importe quel contenu commun à un groupe. Il faut ajouter à cela qu’à quelques exceptions près, aucune autre forme de confiance n’a autant besoin d’être constamment renouvelée subjectivement; car lorsqu’il s’agit de croire à l’affection ou à l’énergie, à la morale, à l’intelligence, au savoir-vivre et au tact, on trouvera plus facilement des faits qui fondent une fois pour toutes la quantité de confiance que l’on peut accorder et qui réduisent au minimum la probabilité d’être déçu”18. Dans le vocabulaire actuel de la sociologie, on dira que la confiance est une condition du fonctionnement des systèmes experts et des média symboliques, confiance placée dans des mécanismes abstraits et dans des individus, confiance accordée à l’institution qui bat monnaie, de même qu’à l’individu qui me la rend. Certes la confiance personnelle, celle accordée à une personne, ne saurait reposer sur les mêmes bases que la confiance mise dans des media de 18

Simmel 1991a, 68.

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communication généralisée comme l’argent, qui semble supposer une instance de garantie en dehors de la relation immédiate entre les interactants. La confiance, comme Simmel le signale dans le chapitre V Der Streit de Soziologie, joue également un rôle central dans les relations entre parties en guerres, sauf dans les guerres d’extermination. L’élément de socialisation présent dans le conflit et qui repose notamment sur la reconnaissance des droits de la guerre, implique que c’est seulement lorsqu’un tel droit est respecté que la confiance en la manière de faire et de penser de l’ennemi peut conduire à engager un processus de paix. Pour revenir à des situations plus iréniques, Simmel souligne à quel point les typifications elles-mêmes supposent un sentiment de confiance. En effet, puisque l’autre ne peut jamais être connu totalement, je typifie mon alter ego selon des schèmes propres à mon univers mental, ses actes, gestes, paroles sont censés éclairer ce qu’il est, mais ce qu’il est réellement nous n’en savons rien: “Sans la confiance des hommes les uns envers les autres, la société toute entière se disloquerait – rares, en effet les relations uniquement fondées sur ce que chacun sait de façon démontrable de l’autre, et rares celles qui dureraient un tant soit peu, si la foi n’était pas aussi forte, et souvent même plus forte, que les preuves rationnelles ou même l’évidence – de même, sans la confiance, la circulation monétaire s’effondrerait”19. Il découle de ce constat que les conditions d’existence du monde moderne sont particulièrement propices aux activités des escrocs, dont l’art réside dans la capacité de faire prendre les apparences qu’ils empruntent pour la manifestation de qualités qui ne sont pas les leurs. En outre, comme tout un chacun peut en faire l’expérience quotidiennement, des activités, de plus en plus nombreuses, dans les conditions d’existence du monde moderne, sont hors de mon champ de contrôle direct. De sorte que la conclusion s’impose: la société moderne dans laquelle nous vivons repose sur “une économie de crédit, bien au-delà du sens strictement économique du terme”20. En effet, je suis amené à faire et à accorder crédit aux personnes ou aux institutions, ne serait-ce que parce que des vérifications systématiques seraient trop coûteuses en temps pour rester efficaces. On se doute aussi que la société moderne, si elle implique comme les sociétés précédentes une familiarité avec ce qui va de soi, transforme cette familiarité. La familiarité, lorsque le monde repose de moins en moins sur des connaissances sûres à propos de qui on a affaire, ne peut plus fonctionner comme garant de la confiance, selon une 19 20

Ivi, 197. Ivi, 17.

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séparation radicale entre amis et ennemis ou entre parents et étrangers, elle n’est plus le sol à partir duquel la confiance peut être allouée. On peut alors distinguer entre confiance accordée aux systèmes experts ou encore aux compétences de ceux qui les actionnent, et confiance en des personnes. Dans une telle interaction entre personnes la confiance montre à quel point elle joue un rôle de synthèse sociale: “Car il y a dans la confiance qu’un être humain porte à un autre une valeur morale aussi haute que dans le fait de ne pas décevoir cette confiance; et cette valeur est peut-être même encore plus libre et plus méritoire, car lorsqu’on nous fait confiance, nous sommes presque engagés par un jugement porté sur nous par avance, et il faut déjà être positivement mauvais pour le décevoir; mais la confiance se «donne»; on ne peut pas exiger qu’on nous l’accorde comme nous exigeons de ne pas être déçus, une fois qu’elle a été accordée”21. Ici nous entrons dans ce domaine des liens sociaux régis par des obligations réciproques, liens qui du fait de leur caractère ténu doivent pour être étudiés mettre en œuvre une “microscopie psychologique”, seule à même de saisir les atmosphères d’obligations tenant aux anticipations, jugements, typifications des autres individus. Ce n’est que grâce à un tel mode d’observation, à un tel regard sociologique que peuvent être perçus tous les événements qui sont la société en acte et qui constituent “l’indéchirabilité de la société, la fluctuation de sa vie, à l’intérieur de laquelle ses éléments atteignent, perdent et déplacent leur équilibre”22. Dans ce répertoire d’événements et de représentations, la confiance accordée ne doit pas être trahie, elle assure ou tient pour acquis que des éléments de la personnalité que l’on ne souhaite pas communiquer publiquement ne seront pas divulgués par les personnes à qui on les a confiés. La confiance, de même que la reconnaissance ou la fidélité, appartiennent à ces états psychiques et sociaux, qui forgent des liens tenant à la fois du devoir et du sentiment. Leur fonction consiste à relier les uns aux autres les éléments sociaux, d’assurer de la sorte la coexistence sociale dans la vie quotidienne et de jouer un rôle non négligeable à l’intérieur de toutes les grandes formes sociales. Si j’ai jusqu’à présent surtout insisté sur la confiance, la fidélité est un autre exemple de catégorie affective, Simmel la considère – et il en va de même pour la reconnaissance – comme “un motif psychologico-individuel essentiel pour le maintien d’une relation dans la forme de la stabilité” (Soziologie, p. 651) et c’est leur rôle fondamental pour la conservation de soi des groupes sociaux qui justifie la digression à elles consacrée, à l’intérieur du chapitre qui 21 22

Ivi, 69. Simmel 1992, 20; Simmel dans Rammstedt-Watier 1992, 34.

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traite de ce problème. Simmel définit la forme fidélité comme “un réservoir psychologique, un ensemble ou une forme unique pour les intérêts les plus variés, les affects et les motivations des relations réciproques”23. La forme fidélité ainsi que toute autre forme peut intégrer les contenus les plus divers, elle est donc une forme stable et autonome, devenue indépendante des contenus de la relation réciproque initiale, tout autant que des motivations initiales. Une caractéristique centrale des sociétés est donc de créer des formes dans lesquelles se stabilisent les relations interindividuelles réciproques en leur procurant des cadres, dans lesquelles et par lesquelles la continuité d’une socialisation est rendue possible. Si l’amour peut être provoqué par la beauté physique, la permanence du lien va dépendre d’autres forces que celles qui ont donné l’élan initial, et la fidélité peut être considérée de même que la confiance, mais à un autre niveau, comme un a priori de la possibilité de l’existence d’une unité sociale. “Fidélité est le mot qui désigne ce sentiment particulier […] qui s’attache à la préservation de la relation avec autrui. Elle n’engendre pas cette relation, mais à la différence des autres affects, elle ne peut pas être présociologique: la fidélité renforce la relation une fois qu’elle existe et consolide le lien entre un individu et un autre”24. Il résulte des hypothèses que chacun peut être amené à faire, sur les raisons de l’attitude manifestée vis-à-vis de lui ou d’elle par une autre personne, tout un ensemble de complications sociologiques. On trouve chez Proust des descriptions de telles attitudes, qui rejoignent celles de Simmel sur le mélange de connaissance et de méconnaissance, de savoir et de non savoir, l’imbrication de typifications et d’identifications, de connaissances sues par les uns sur les autres. Comme dans la vie sociale les autres en savent toujours plus sur nous, que nous ne le pensons ou le souhaiterions, ce savoir peut divulguer des informations que nous préférerions taire, ce qui montre aussi au passage comment nous existons par les yeux et les paroles des autres, et que le monde social est en grande partie un monde construit, qui vaut pour et dans des circonstances précises. La mise en évidence de ce type de construction, et le fait qu’elle soit une typification sur laquelle se concentrent les orientations réciproques, n’implique pas pour autant que le construit puisse simplement être identifié à cette construction, alors que néanmoins elle sert de cadre.

23 24

Simmel dans Rammstedt-Watier 1992, 45. Ivi, 49.

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Une société différenciée offre bien entendu encore de multiples autres motifs d’attribution de confiance, allant de la probité intellectuelle dans le domaine scientifique à la confiance dans l’honnêteté dans le domaine des affaires jusqu’à des motifs particuliers d’attribution pour des groupes déviants. Pour des filous la dextérité manifestée par une personne pour échapper à la police, l’art de se moquer du “cave” ou de d’en faire sa dupe sont des éléments importants pour attribuer sa confiance, et l’on voit au passage que ce ne sont pas les contenus déterminant l’attribution de la confiance qui sont fondamentaux, mais la forme. A travers elle, quels que soient les raisons ou les motifs de l’attribuer des sociétés se forment, la forme actualise l’énergie sociale – pour utiliser une métaphore simmelienne qui indique plus un problème qu’elle n’est sa résolution – et la réalise dans des socialisations. Pour revenir à la confiance, Simmel faisait justement remarquer qu’on dit croire en une personne comme on dit croire en Dieu, c’est-à-dire sans préciser le contenu de ce en quoi ou en qui l’on croit. Une telle “foi” socio-psychologique s’apparente alors à la croyance religieuse, c’est dire qu’elle ne relève pas d’une démonstration; mais si dans la religion l’âme s’abandonne totalement, dans les relations sociales la confiance, tout en en empruntant à la foi religieuse, se situera néanmoins à la charnière du savoir et du non savoir. Confiance, foi, fidélité, mais aussi mensonge, dissimulation, secret25, nous sommes ici entrés dans le domaine des a priori qui rendent la vie sociale possible et qui sont un des thèmes importants de la sociologie de Simmel; selon sa méthode et sa perception de la société, il fera ressortir que, de même que le conflit qui semble s’opposer à l’harmonie a des effets positifs, des a priori que la morale pourrait juger négatifs sont au niveau social facteurs de sociabilité. A priori auxquels appartiennent aussi des sentiments tels que la gratitude, la fidélité, l’honneur, le don et le contre don, ou encore la reconnaissance, le tact et la discrétion. Le tact comme accord sur la non mise en péril de la sécurité ontologique de l’autre ou des autres est en ce sens la mise en œuvre d’une forme de confiance réciproque. Autrement dit, l’étude des orientations réciproques des individus les uns envers les autres, les catégories psychosociales sur lesquelles ils s’appuient, la manière dont l’autre est construit sur la crête qui sépare savoir et non-savoir, la typification propre à l’activité considérée et se limitant à celleci, conduisent à la conclusion que l’ensemble de ces présuppositions joue un rôle fondamental pour que la société soit possible comme forme objective d’es25

Sur le secret je me permets ici de renvoyer à ma Postface à Simmel 1991a. Cf. aussi Deroche-Gurcel 1992, 390-397; Accarino 1984, 116-146.

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prits subjectifs. Bien entendu, il faut comprendre ici le terme société au sens que Simmel accorde à ce terme, “Was an der Gesellschaft, wirklich «Gesellschaft» ist”, l’énergie ou la pulsion sociales qui poussent les hommes à s’associer, et sur lesquelles se fonde la socialité. L’usage d’un tel vocabulaire, celui des typifications psychologiques très générales, nous permet à nouveau de comprendre ce que Simmel affirme à propos de la sociologie, c’est-à-dire qu’elle use d’un savoir psychologique sans pour autant être une psychologie. Nous savons ce que signifie la haine, nous comprenons la haine simplement comme l’expression d’un sentiment qui ne nécessite pas d’analyse supplémentaire. Notre savoir est ici indépendant à la fois de toute circonstance historique comme d’une connaissance de la personne qui dit éprouver un tel sentiment. On peut parler d’une connaissance transhistorique ou intemporelle, Simmel la considère comme objective. Elle fait partie de l’esprit objectif grâce auquel nous pouvons attribuer de tels sentiments. Disons que la conception de la haine fait partie du bagage culturel de tout individu socialisé, qu’il en ait lui-même fait l’expérience, ou qu’il sache de par ses lectures qu’un tel sentiment existe. Dans ce cas de figure, l’interprète connaît le sentiment, nul besoin de le ressentir, et il va interpréter le cas particulier à partir d’un processus plus général. L’interprétation en sciences humaines est liée à “la découverte, au creux de nous-mêmes, des couches silencieuses qui sont, pour ainsi dire, spontanément complices des époques révolues. L’examen du passé se double ainsi de la découverte d’une intimité enfouie”26. Si T. Pavel le souligne pour l’histoire il est clair qu’il en va de même pour la compréhension sociologique: elle suppose un monde partagé, sans lequel nous ne pouvons pas commencer à comprendre autrui. Les typifications psychologiques sont une connaissance des manières habituelles d’agir, appartenant à ce vaste domaine de “modèles subjectifs en quelque sorte latents, parallèles à notre propre moi, et différents de lui”27. Des types d’activité que nous ne pratiquons pas, des motivations qui ne nous guident pas, nous semblent néanmoins plausibles et nous comprenons que d’autres puissent les pratiquer ou les suivre. L’expérience personnelle de tels modèles n’est pas nécessaire, tout se passe comme si nous reconnaissions que de telles expériences touchant à des relations, des institutions, des relations sociales ont pu exister ou coexistent actuellement avec nos propres modes d’activité. L’existence de tels modèles 26 27

Pavel 1996, 21. Ibid.

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psychologiques ou nomologiques est même la condition nécessaire pour pouvoir comprendre des expériences que nous n’avons pas vécues, ce qui est le cas pour toute étude historique. Puisqu’en sociologie nous avons affaire à la compréhension d’autrui nous utilisons des modèles qui reposent, ainsi que le note Searle, sur le principe suivant: “Mêmes-causes-mêmes-effets, et, à causesignificativement-semblables-effets-significativement semblables. Quand il en va de la connaissance d’autres esprits, le comportement en soi ne nous intéresse pas; c’est plutôt la combinaison du comportement et de la connaissance des soubassements causaux du comportement qui constitue la base de notre connaissance”28. La psychologie conventionnelle et le recours aux sentiments psychosociaux qui font partie du trésor de notre savoir nomologique (Weber) ne sont pas un moyen épistémique pour “résoudre le problème des autres esprits”29, mais une forme de savoir et de compétence grâce auxquelles nous pouvons agir face et avec les autres, dans un premier temps, moyens qui dans un second temps autorisent l’interprétation de conduites auxquelles nous ne participons pas forcément, mais que nous étudions.

28 29

Searle 1995, 46. Ibid.

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Références bibliographiques

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PARTE SECONDA QUESTIONI ESTETICHE

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Fabio D’Andrea Georg Simmel. L’opera d’arte come isola*

Tra i tanti rimproveri che il XX secolo ha rivolto a Georg Simmel c’è quello di essere un esteta in fuga dalla realtà, che sopperisce a un confronto che è incapace di sostenere con inconsistenti consolazioni artistiche, belle parole e poco altro. Si tratta, come per le altre critiche, “di giudizi che oggi appaiono piuttosto riduttivi, passibili tuttavia di parziale accoglimento se si cambia di segno la loro originaria (in alcuni casi) denigratoria intenzione”1. Come si è altrove sottolineato2, l’incomprensione e il fraintendimento che hanno a lungo impedito che Simmel occupasse il posto che gli compete tra i classici del pensiero del Novecento originano da un sotterraneo scontro tra culture, una delle quali – il razionalismo economicistico tuttora prevalente, sebbene in forte crisi – ha usato ogni mezzo in suo possesso per negare prima l’esistenza e poi la dignità dell’altra, più attenta all’autonomia spirituale dell’uomo e all’aspetto qualitativo dell’esistenza. Quest’ultima sua caratteristica, in particolare, è stata frequentemente stigmatizzata sulla base di un principio di realtà di stampo quantitativo che riduce ogni manifestazione agli stessi parametri misurabili e ne apprezza altrimenti soltanto l’essenza ideale. Per fare un esempio, un ambiente di lavoro è un luogo dove si produce e il suo possedere o meno certe qualità specifiche è del tutto irrilevante per il processo produttivo, influenzato semmai dal numero degli addetti e dal livello di tecnologia disponibile. Non si tratta di un esempio casuale. Per suo tramite si può mettere in evidenza la contraddizione intrinseca all’atteggiamento razionalista verso le considerazioni di ordine qualitativo che da un lato vengono sistematicamente svalutate come prive di senso, quasi un residuo paretiano che l’evoluzione del logos non potrà che portare alla progressiva scomparsa; dall’altro sono la radice (inespressa e travestita) di importanti teorie che modellano a fondo settori centrali

* Desidero ringraziare i proff. M.C. Federici e A. De Simone e i dott. M. Picchio e F. Fornari per l’attenzione amicale con cui hanno letto e commentato il dattiloscritto di questo saggio, permettendomi di migliorarne forma e comprensibilità. 1 Vozza 2002, 10. 2 Cfr. D’Andrea 2004, 43-66.

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per l’ordine economico, come il marketing e il filone organizzativo delle Risorse Umane. La genesi di quest’ultimo si fa tradizionalmente risalire alle ricerche svolte da Elton Mayo presso gli stabilimenti Hawthorne della Western Electric tra il 1927 e il 1932, che avevano come scopo la rilevazione dell’influsso sulla produttività degli addetti di modifiche ambientali, quali la variazione della luminosità e del comfort nei luoghi di lavoro oppure del ritmo del lavoro stesso. L’ipotesi guida, come si vede, discendeva già da un pensiero che immaginava una correlazione tra le particolarità non utilitaristiche del contesto e la resa economica di chi vi operava. Come spesso accade, inoltre, Mayo scoprì più di quanto non cercasse. Avendo diviso i lavoratori in due gruppi, uno impegnato nell’ambiente modificato e l’altro utilizzato come controllo, si accorse che non era solo il primo ad aver nettamente migliorato la performance, confermando l’ipotesi di ricerca: anche il gruppo di controllo mostrava incrementi di produttività all’apparenza inesplicabili. La riflessione su questo fenomeno portò Mayo a intuire l’importanza dell’attenzione altrui nella motivazione soggettiva, intaccando alla base uno dei fondamenti della conformazione culturale individualista – il “primato delle relazioni con le cose (opposto a quello delle relazioni tra uomini)”3 – e dando il via a una serie di approfondimenti che hanno in seguito rivoluzionato il versante organizzativo dell’impresa economica4. Il lavoratore non viene più visto come un semplice ingranaggio di una catena di montaggio, privo di particolarità e quindi intercambiabile senza difficoltà con altri, ma se ne riscopre l’individualità, fatta di predisposizioni a certi incarichi, simpatie e bisogni relazionali la cui soddisfazione risulta in sensibili miglioramenti di rendimento ed eliminazione di sprechi. In virtù di un altro caposaldo di quella che Dumont definisce ideologia occidentale – la “distribuzione della conoscenza su piani (discipline) indipendenti, omologhi ed omogenei”5 – l’applicazione di principi estetici in settori nevralgici della stessa cultura che li mette alla berlina non ha portato a tutt’oggi alla percezione di un’anomalia nei suoi fondamenti teorici e quindi a una ridefinizione dell’assiomatica che riconosca infine pari dignità agli approcci con i quali si ordina il materiale dell’esperienza. Perlomeno, quest’idea non è ancora entrata a far parte dello strumentario canonico degli studiosi del sociale, affermandosi tuttavia in figure analoghe presso diversi autori che condividono la stessa atmosfera intellettuale (ambiance) e si muovono nello stesso 3

Dumont 1991, 20. Cfr. Mayo 1969. 5 Dumont 1991, 20. 4

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Georg Simmel. L’opera d’arte come isola | 79

“bacino semantico”6. Uno dei primi a impegnarsi contro il predominio della visione utilitarista della realtà, non per negarne l’importanza quanto per ricondurla almeno a una condizione di primus inter pares – motivata dalla sua eccellenza nel consentire la manipolabilità del reale – è stato Simmel. Per lui i contenuti assumono caratteristiche determinate solo in funzione dei grandi principi che danno loro forma e in base ai quali essi vengono recepiti in sistemi compiuti di senso chiamati “mondi”: “Possiamo immaginarci che tutti i modi nei quali l’uomo vive agendo e creando, conoscendo e sentendo siano tipi di ordine o categorie che accolgono in esse la materia dell’esistenza infinitamente estesa ma che comunque rimane identica all’interno di tutte le forme. Per principio ciascuna di queste categorie è in grado di dare forma alla totalità di questa materia in base alle proprie leggi”7. L’uomo non aderisce a una sola di queste categorie, bensì coordina spunti e intuizioni provenienti da diverse di esse per compiere il suo percorso di vita e non riesce a raggiungere l’organicità e la sistematicità che gli verrebbero dall’adottare un unico punto di vista. Un tale utilizzo frammentario, tuttavia, non inficia in alcun modo la coerenza e la capacità totalizzante di ciascun principio: è anzi semmai proprio in queste che risiede il fascino che essi esercitano sull’uomo e una delle ragioni per cui egli non è in grado di sceglierne uno solo. Il riconoscimento dell’unità interiore della prospettiva proposta da ogni principio è, secondo Simmel, il primo passo necessario per arrivare a comprenderlo, risolvendone le apparenti contraddizioni: “La vita del singolo uomo può attraversare tutti questi strati e, non comprendendo le loro interezze, bensì solo parte di esse, può confonderle in contraddizioni […]. Solo quando si riconosce che la religione è una totalità dell’immagine del mondo, coordinata ad altre totalità teoretiche o pratiche, essa, e con essa questi altri sistemi della vita, acquista la coerenza di una unità interiore. Un tale concetto o diritto non viene toccato dal fatto che la sua purezza viene forse rispettata interamente di rado dalla vita”8. 6

In un contesto storico dato si formano diverse correnti, indipendenti le une dalle altre, ma che condividono una certa “aria di famiglia”, che col tempo si fondono, generando flussi più profondi e importanti fino a formare un fiume vero e proprio, nel quale tuttavia mantengono a volte un’esistenza indipendente tanto da tornare a suddividersi nei bracci di un delta, conservando la capacità sorgiva di dare origine a un nuovo corso: “[È] un’area/era piuttosto vasta […] nella quale un’aria di famiglia, un’isotopia, un’omologia comune collega epistemologia, teorie scientifiche, estetiche, generi letterari, visioni del mondo…, insomma quello che ho chiamato un’omologia semantica o, per parlare per immagini, un bacino semantico” (Durand 1996, 85). 7 Simmel 1994, 58. 8 Ivi, 60.

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1. La sensibilità come arte e come mondo Quel che viene sostenuto a proposito della religione vale anche per gli altri mondi, come diviene evidente quando Simmel passa ad esplicitare le conseguenze dell’affermazione della coerenza interna della logica religiosa, con una mossa teorica che mira al riequilibrio delle diverse modalità di messa in forma del materiale empirico e relativizza l’ottica egemone della realtà: “La realtà non è assolutamente il mondo per eccellenza, bensì soltanto un mondo, accanto al quale si pongono il mondo dell’arte come anche quello della religione, composti dello stesso materiale secondo forme diverse e premesse diverse. Il mondo reale conoscibile significa probabilmente quell’ordine di elementi dati che dal punto di vista pratico è più funzionale per il mantenimento e lo sviluppo della vita della specie”9. È interessante notare l’originalità con cui Simmel unisce elementi della scena filosofica a lui contemporanea, come in questo caso l’evoluzionismo, con intuizioni e proposte che ad essa si contrappongono frontalmente e la sua trasversalità disciplinare10, che permette di fare un uso ampio e fruttuoso delle sue idee senza prendersi troppa cura dell’argomento principale che dovrebbe ispirarle, come dimostra l’utilità delle argomentazioni tratte da quello che oggi è considerato un saggio di sociologia delle religioni – e come tale studiato solo in ambiti specialistici – per una riflessione estetica, accogliendo a questo punto l’aggettivo con beneficio d’inventario. Pur affermando la necessità di un’equivalutazione dei diversi principi ordinativi, Simmel dichiara a più riprese la convinzione della superiorità euristica di un metodo che si ispiri al paradigma estetico, che deriva dal movimento peculiare dell’arte che va dal particolare all’universale e mette in condizione chi vi aderisca di trattare di volta in volta questioni alla sua portata, diversamente dall’ambizione filosofica che pretende di affrontare in prima battuta il problema della totalità dell’essere e si rivela poi non all’altezza del compito. Già nel 1896, in un saggio dedicato all’estetica sociologica, Simmel aveva esplicitato queste idee con una formulazione inequivoca: “Per noi l’essenza dell’osservazione e della rappresentazione estetica risiede nel fatto che il tipico deve essere scoperto in ciò che è unico, ciò che segue una legge in ciò che è casuale, l’essenza e il significato delle cose nel superficiale e nel transitorio […]. Ogni punto nasconde la possibilità di essere liberato verso un significato estetico assoluto. All’occhio adeguatamente educato la bellezza totale, il senso totale del 9

Ivi, 59. Cfr., in proposito, il saggio di Picchio in questo volume, 171-179.

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mondo come un tutto, si irradia da ogni singolo punto”11. Ed è su questa base che costruisce poi, nel 1900, la ponderosa monografia sul denaro: “Il denaro risulta essere soltanto mezzo, materiale o esempio di rappresentazione delle relazioni che sussistono tra i fenomeni esteriori, realistici e casuali e le potenze più ideali dell’esistenza, le correnti più profonde della vita individuale e della storia. Il senso e lo scopo dell’intera opera consiste appunto nel tracciare una linea direttrice che vada dalla superficie del divenire economico fino ai valori e ai significati ultimi dell’umano nella sua totalità”12. Sembra, da questi esempi, che la tesi che vede un’accentuazione estetica del modus operandi simmeliano in conseguenza di una sua tardiva adesione alla Lebensphilosophie vada respinta. L’appercezione estetica permette di cogliere un qualcosa che allo sguardo razionale sfugge. Questo quid è oggetto di attenzione e apprezzamento da parte di Simmel sin da tempi in cui la Vita non compare ancora all’orizzonte della sua ricerca: “Il progetto filosofico di Simmel si caratterizza già nei primi anni del secolo come tentativo di conferire al sentimento estetico un sovrappiù gnoseologico, come se la percezione e la riflessione sull’arte potessero configurare un iter conoscitivo affrancato dalla teoresi concettuale e capace di illuminare zone di realtà che tradizionalmente estetiche non sono”13. Se in seguito l’intuizione del diverso potere dell’estetico si presenta come capacità di cogliere l’attività vitale nel suo farsi e quindi di comprendere la logica ad esso immanente, si tratta solamente di un altro passo lungo una via intrapresa in precedenza14. L’ulteriore continuità15 segnalata da queste considerazioni nel percorso intellettuale di Simmel mette in crisi un’altra tesi “canonica” in proposito, quella che vedrebbe la sua riflessione articolarsi in fasi distinte, sia per quanto riguarda la parte sociologica vera e propria che per quanto concerne invece il transito tra discipline indicate come diverse: sociologia, filosofia, estetica, storia e via

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Simmel 2004, 180. Simmel 1984, 87. 13 Vozza 2002, 57. 14 “Nella stessa direzione [di una protesta contro la moderna società industriale] agisce l’influsso di Nietzsche e di Bergson; ma anche un «movimento spirituale» come quello sorto intorno a Stefan George e la stessa sismografica sensibilità ai tempi con cui la filosofia di Georg Simmel reagiva a questi movimenti attestano la stessa cosa. In tal modo la filosofia della vita del nostro secolo si ricollega ai suoi precursori romantici”; Gadamer 2000, 151. 15 Accanto alla centralità della figura del soggetto e alla preoccupazione per la sua sopravvivenza su cui vi è ormai un discreto accordo nella critica. Cfr. Dal Lago 1983, 1994; D’Andrea 1999; De Simone 2002b. 12

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discorrendo. Proposta inizialmente da Tenbruck (1958), essa è stata in seguito accettata, se pur con lievi modifiche, da Frisby (1992) e molti altri fino a divenire un vero e proprio luogo comune. Di recente Fitzi (2003) ne ha formulata una nuova variante, non priva di interesse, relativa in particolare alla teoria della cultura, che impedisce tuttavia di percepire la vicinanza armonica tra le osservazioni del 1896 e gli ultimi esiti vitalistici, che appaiono viceversa come la trascrizione nel linguaggio culturale prevalente di teorie che in esso trovano a stento sistemazione e comprensibilità. Che gli accenti si spostino e le vicende umane e intellettuali esercitino un’influenza inevadibile è fuor di dubbio, così come lo è tuttavia il fatto che tra la Vita degli ultimi anni e la forma formans su cui si fonda il primato dell’estetico esistono affinità che le rendono facce della stessa medaglia. Nel pensiero estetico, dunque, Simmel individua la via maestra per la comprensione di una modernità in cui il visibile – e l’immaginale, si dovrebbe aggiungere – gioca un ruolo fondamentale e che la filosofia non è in grado di affrontare con successo. Si tratta di una diagnosi cui erano giunti, sulla scorta di riflessioni consonanti, i primi Romantici. Gli esponenti di maggior rilievo della scuola di Jena, Friedrich Schlegel e Novalis, si erano rivolti a modalità di pensiero a loro giudizio più adatte per orientarsi nel paesaggio complesso e impegnativo di quella che già definivano la modernità. Il primo dirà del secondo: “Tu non ti libri sul limitare, ma nel tuo spirito poesia e filosofia si sono intimamente compenetrate”16 e a sua volta dichiarerà a più riprese, a chiare lettere, l’esigenza di una filosofia ironica, strettamente imparentata con il romanzo e con l’arte, capace di suscitare il “sentimento dell’indissolubile opposizione dell’incondizionato e del condizionato, dell’impossibilità e della necessità di una perfetta comunicazione”17. La strategia di Schlegel mira a superare l’interdetto kantiano che sosteneva l’inservibilità conoscitiva del giudizio riflettente, estetico, e a conferire a quest’ultimo “un valore costitutivo in rapporto al reale”18 ed è la stessa via percorsa da Simmel col privilegio accordato all’estetica rispetto agli altri modi di comprensione della realtà. La restituzione di un potere euristico alla percezione estetica, con la conseguente rimozione del pregiudizio che le nega ogni rilevanza in nome di un sapere universale, è un compito che accomuna nel tempo numerosi autori, critici verso la prevalenza ormai ossessiva del paradigma razionalistico. Questa continuità mostra quanto sia centrale il problema della reintegrazione nella 16

Schlegel in Rella 1987, 25. Ivi, 29. 18 Chastel in Rella 1997, 34. 17

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cultura occidentale di modalità conoscitive che esulino dall’utilità e misurabilità assunte come unici criteri di valutazione dei fenomeni. Heidegger, elaborando ulteriormente concetti simmeliani19, nota come solo il superamento della considerazione di questi aspetti permetta di ristabilire il rapporto fondamentale tra Dasein e mondo: “Affinché la mondità si mostri, l’utilizzabile deve, per così dire, rivoltarsi e l’Esserci deve inciampare entro l’inutilizzabilità dell’utilizzabile”20. Gadamer, dal canto suo, costruisce il suo capolavoro Verità e metodo (2000) a partire dalla distinzione tra l’accezione scientifica di “verità” ed altre sue manifestazioni, esempio emblematico delle quali è l’incontro con l’opera d’arte, definibili come “extrametodiche”21. La prevalenza dei criteri di “dimostrabilità e obiettività”22 modella la percezione della realtà su una gerarchia implicita che ruota attorno al perno dell’utile: la stima esclusiva degli oggetti dell’esperienza come “mezzo per” realizzare qualcos’altro porta a non apprezzarne dimensioni altrettanto costitutive e forse perfino più importanti nell’economia esistenziale dei soggetti, le cui difficoltà, in tempi di dominio utilitarista, sono sempre più evidenti. Contro l’appiattimento conseguente a tale impostazione si muove da tempo un’importante corrente di pensiero francese, che ha il suo capostipite in Bachelard23 e fa oggi riferimento a Durand e a Maffesoli e non a caso adotta l’estetica e l’erotica del sapere come sue parole d’ordine. L’idea di “ragione interna”, elaborata da Maffesoli, costituisce il più recente affioramento delle tematiche affrontate sinora. Poiché consente di volgersi alla considerazione del tema specifico dello statuto dell’opera d’arte con nuovi e funzionali strumenti euristici, merita alcuni cenni esplicativi. La ragione inter-

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“Fin dal 1923 ho sentito Heidegger parlare con ammirazione degli ultimi scritti di Georg Simmel. Questo non era solo un generico riconoscimento della personalità filosofica di Simmel, ma indicava che Heidegger aveva trovato in tali scritti obiettivi stimoli di pensiero”; Gadamer 2000, 505 nota 138. 20 Fornari 2002, 98. 21 Vattimo 2000, XXXII. 22 Ivi, XXXIII. 23 Riflettendo sulla poetica dello spazio, un’estetica immaginale costruita attraverso le parole dei poeti – come sognavano i Romantici –, Bachelard osserva l’importanza degli oggetti nel costruirsi dello spazio intimo, oggetti che non hanno più nulla del seriale e quantitativo cari al consumismo: “Così, quando un poeta strofina un mobile, – anche per interposta persona –, quando, con lo strofinaccio di lana che riscalda tutto quello che tocca, egli mette un po’ di cera profumata sulla tavola, crea un nuovo oggetto, accresce la dignità umana di un oggetto, inserisce l’oggetto nello stato civile della casa umana”; Bachelard 1993, 91.

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na si oppone – anche se si tratta di una dicotomia che necessita di numerose sfumature – a quella che Maffesoli identifica come la ragione dominante e che definisce “astratta”. È una scelta terminologica che mette subito in evidenza la caratteristica cruciale di questo approccio alla realtà: il fatto di aver reciso la gran parte dei legami con l’ambiente circostante, naturale e sociale, e di star procedendo senza ripensamenti verso livelli di separazione dalla fisicità sempre crescenti. Nella ragione astratta il proclama di indipendenza da ogni tipo di limitazione – costantemente rafforzato dai progressi scientifico-tecnologici – si sposa alla convinzione di possedere un sapere universale del quale le manifestazioni empiriche sono esempi imperfetti e come tali correggibili. Ne deriva un pregiudizio negativo sull’esistente e una disattenzione costitutiva per i suoi caratteri peculiari: essi non hanno alcun interesse per una scienza eminentemente quantitativa che assume come pietra di paragone un costrutto ideale che, per potersi rivestire della varietà del mondo, è essenzialmente privo di connotati qualitativi. Questi rientrano tra le proprietà accidentali delle cose, aggettivo nel quale il giudizio di valore implicito è tanto forte da venire in superficie, e sono come tali transeunti e corruttibili. Non hanno nulla a che fare con un pensiero che si sforza di attingere l’eternità e la perfezione. La distinzione tra essenza e accidente, di aristotelica memoria, fonda un paradigma da cui il filone principale della cultura occidentale non si allontanerà più. Basta pensare alla celebre dicotomia res cogitans/res extensa in Cartesio24, con la riduzione della corporeità alla semplice estensione e un meccanicismo generalizzato del quale l’artificialismo contemporaneo è figlio legittimo ed erede, per constatare come la ragione astratta presenti lettere di nobiltà inappuntabili e non faccia altro che procedere lungo un cammino tracciato da tempo. Ciò non toglie, tuttavia, che si tratti di un paradigma, non del paradigma25. In questo senso la pretesa ultima della ragione astratta di essere il solo modo possibile di concepire la realtà è una mossa ideologica che sfrutta i successi pratici della scienza per mettersi al riparo dalle critiche di cui è passibile per molti altri versi: il razionalismo “dà uno schema che presenta delle caratteristiche impor-

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Cfr. in proposito D’Andrea 2001, 17-30. “Ogni conoscenza opera per selezione di dati significativi e scarto di dati non significativi: separa (distingue o disgiunge) e unisce (associa, identifica); gerarchizza (il principale, il secondario) e centralizza (in funzione di un nucleo di nozioni essenziali). Queste operazioni, che utilizzano la logica, sono di fatto ordinate da principi «sovra-logici» di organizzazione del pensiero o paradigmi, principi occulti che governano la nostra visione delle cose e del mondo senza che ne siamo consapevoli”; Morin 1993, 6. 25

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Georg Simmel. L’opera d’arte come isola | 85

tanti, ma che manca dell’essenziale: la vita. In esso vi è qualcosa di disincarnato. Certo non è privo di efficacia e le performance della modernità sono lì a dimostrarlo, ma non è più soddisfacente dal momento in cui si assiste, in modi diversi, alla rinascita dello slancio vitale”26. Tale strategia, che si vuole razionale, conta per il suo successo su un atteggiamento fideistico che contraddice i suoi assunti di base. La fiducia nell’infallibilità delle scienze esatte, che i nuovi insuccessi – e i problemi conseguenti ai successi – iniziano ad intaccare anche nella percezione comune, non è dimostrata, né dimostrabile. Proprio dal seno di queste discipline sono anzi venute le smentite più dure ad ogni pretesa di questo genere, che tradisce tuttavia ben più di una semplice strumentalizzazione di istanze prerazionali superstiti nel corpo sociale. L’attribuire un fondamento oggettivo alle proprie teorie è certo uno dei modi migliori per garantir loro un’inoppugnabilità che di fatto non è scientifica (pensando soprattutto alla prassi della falsificabilità popperiana); questo tuttavia non vuol dire che si tratti esclusivamente di propaganda. La ragione astratta pecca della stessa irrazionalità che denuncia negli avversari. Ha costruito su di essa il suo primato e con essa ha modellato il suo ideale, poiché attraverso la scienza e la tecnologia essa sogna invero di ottenere il controllo sul mondo e di riflesso sul proprio destino: “Da Pico della Mirandola ad Adorno, passando per Durkheim si esprime una medesima sensibilità: quella della separazione, quella di una ragione astratta che non può, non sa afferrare le affinità profonde, le corrispondenze complesse e sottili che costituiscono l’esistenza naturale e sociale. Da lì viene, sicuramente, l’allergia dello studioso per le forme, per le apparenze, per tutte le cose sensibili che egli tende a disprezzare perché non possono ridursi alla pura intellettualità. La sua paura è, essenzialmente, quella del ritorno al caos primordiale che solo la ragione può e sa ordinare”27. Questo paradigma, che Morin (1993) ha definito “pensiero semplice”, è come si è visto incapace di accettare in sé e quindi di comprendere lo “slancio vitale”. Di nuovo la vicinanza terminologica e tematica indica quella particolare “aria di famiglia” che parla di comunità d’intenti e d’ispirazione tra autori lontani solamente nello spazio e/o nel tempo. Per rimediare a questa incapacità, percepita come sempre più problematica, Maffesoli propone un altro sapere – costruito sulla ragione interna – che non si configura tuttavia come nettamente alternativo all’altro. Se così fosse, ci si ritroverebbe nella stessa logica 26 27

Maffesoli 1996, 37. Ivi, 55.

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che si tenta di rinnovare, o superare o integrare che dir si voglia. È ormai chiaro che la figura dell’opposizione priva di sfumature è connaturata al razionalismo28: riprodurla in un sistema di pensiero che non si riconosca in esso condurrebbe a distorsioni che lo snaturerebbero in partenza. Come Novalis e Schlegel avevano ben intuito, nuove teorie hanno bisogno di nuovi linguaggi. Occorrono forme espressive che trasmettano, anche esteticamente, le priorità e le strategie ritenute necessarie per “trattare il mondo modernamente”29. La scelta di Simmel a favore del saggio come strumento principe dell’esposizione delle sue teorie deriva dall’identica percezione di questa esigenza, come i suoi critici più acuti non hanno mancato di notare. Secondo Adorno, scrive Maffesoli, “la separazione tra scienza e arte è ormai irreversibile […]. Questo tipo di analisi è passata nell’opinione intellettuale comune, la stigmatizzazione del saggio, come genere bastardo che tenta proprio di alleare scienza e arte, è da questo punto di vista illuminante”30. Nel costruire l’idea di ragione interna, Maffesoli è quindi ben attento a evitare la creazione di nuove dicotomie. Sottolinea come la scelta dell’una o di altre ragioni sia compito di una saggezza contestuale, che sul modello dell’antica phronesis aristotelica31 sappia conciliarne le diverse esigenze decidendo di

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Durand afferma: “Il trionfo del razionalismo è sempre prefigurato da un’immaginazione diairetica, e come dice profondamente Gusdorf: «Il razionalismo trionfante sbocca in una filosofia del doppio: lo spirito è il doppio dell’essere, come il mondo intelligibile è il doppio più autentico del mondo reale…»” (1991, 182). La diairesi, la divisione, presuppone i moventi che si sono messi in luce nella ragione astratta: la distinzione tra eterno e transeunte, che si presenta altrove come separazione tra puro e impuro, e il controllo sulla caoticità del mondo vivente, formalizzato dai romani nel motto Divide et impera. L’implicazione delle azioni di soggiogare e separare, non evidente a prima vista, si rivela nell’esame etimologico del termine Yug, da cui segue Yoga: “Se in effetti etimologicamente Yug vuol dire legare, è tuttavia evidente che il legame a cui questa azione deve portare presuppone come condizione preliminare la rottura dei legami che uniscono lo spirito al mondo” (Eliade in ivi, 164). Questa ambivalenza, annota Durand, “segna il segreto versante del pensiero umano che è innanzitutto negare l’esistenziale ed il temporale” (ibid.). In ultima istanza si potrebbe far risalire l’indubitabile potere del pensiero diairetico a un rifiuto profondo, precategoriale, della mortalità umana. 29 Schlegel in Rella 1997, 33. 30 Maffesoli 1996, 54. L’appello weberiano a favore del “reincanto” del mondo nasce dallo stesso bisogno di reintegrare nel procedere umano degli ambiti la cui rimozione viene rivelandosi sempre più dannosa. 31 La “capacità di emettere giudizi sensati in condizioni di incertezza, sapendosi orientare non tanto su principi astratti o su una ricerca dell’assoluto, ma su una prudente valutazione della situazione contingente” (Jedlowski 1994, 233 nota 20). Questa saggezza mal si sposa

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volta in volta quale di esse meglio si adatta alla situazione specifica. L’aspirazione è a un sapere multidimensionale che tenga conto delle propensioni del soggetto come delle caratteristiche della congiuntura e possa preferire una tra le possibilità che i principi formali – i “mondi” di Simmel – gli presentano: “Ecco la posta in gioco: è possibile pensare l’incomponibile senza ridurlo o mutilarlo. Pensarlo nei suoi diversi elementi senza superarli nell’astrazione e in modo puramente intellettualistico. È dunque possibile integrare nel cammino della conoscenza una dimensione sensibile. Integrare i sensi e la teoria”32. L’integrazione è realizzabile nel momento in cui viene negata la pretesa della ragione astratta di possedere la sola chiave interpretativa lecita della realtà, derivata da livelli trascendenti di conoscenza, e viene quindi rivalutata la grammatica del contesto, quella che Benjamin definiva “organizzazione immanente”33 del testo letterario e della quale Maffesoli elenca numerose altre definizioni: dal lógos spermaticós greco alla ragione seminale degli scolastici, tracciando così il percorso di una corrente di pensiero che si muove parallelamente al flusso principale, dotata anch’essa di lettere di nobiltà di pregio e sul punto di riappropriarsi dell’importanza che le compete34. Questo procedere consente di individuare la ragione interna, di cogliere “dall’interno le idee-forza che animano in un momento preciso una situazione, un fenomeno, un’entità data […] [e] garantiscono, nel profondo, il legame esistente tra il simbolico, l’immaginazione, perfino la volontà, o anche l’intuizione anticipata delle cose che stanno per avvenire”35. Le affinità tra simili teorie ed analoghe elaborazioni simmeliane sono evidenti. Si colgono con chia-

con le esigenze del razionalismo che pone alla base del suo agire l’affermazione ideologica della certezza derivante dalla raccolta ed elaborazione di dati quantitativi. 32 Maffesoli 1996, 92. 33 Ivi, 75. 34 Va senz’altro ricordato, in questo contesto, lo sforzo teoretico di Dilthey, impegnato nella fondazione delle scienze dello spirito come scienze che “hanno ad oggetto fenomeni interni, che compaiono originalmente come connessione vivente” (1985, 355) ed arrivano a un ordine grazie alla costante ritraduzione della realtà esterna storico-sociale dell’uomo “nella vitalità spirituale da cui essa è scaturita” (1982, 197-198). Come Gadamer mette in evidenza (cfr. 2000, 153-165), è a lui che si deve la specifica del concetto di Erlebnis, centrale in Simmel e nell’ermeneutica successiva e assolutamente armonico a quanto si è venuto affermando sinora: “Tutto ciò che è erlebt, sperimentato e vissuto, è vissuto in maniera peculiare dall’individuo, e il suo significato consiste anche nel fatto di appartenere all’unità di questo individuo e di essere in un rapporto ineliminabile con la totalità di questa vita individuale” (ivi, 157). 35 Maffesoli 1996, 73-74.

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rezza nel ragionare che porta alla legge individuale, dove Simmel si rifà alle stesse corrispondenze di cui discorre Maffesoli: “Tra il modo della realtà e quello dei nostri concetti esiste una discrepanza, in seguito alla quale questi per così dire non possono mai raggiungerla. Le determinazioni di una cosa reale hanno tra loro una continuità, una gradualità fluente per cui l’una trapassa nell’altra, che le rende completamente inafferrabili ai nostri concetti rigidamente circoscritti e al loro ampliamento nella forma di leggi di natura […]. Se vogliamo dominare il reale tramite concetti, dobbiamo (per un diritto qui non indagato) fissare in molteplicità rigidamente separate i passaggi e le ininterrotte correlazioni dentro e tra le cose, dobbiamo rendere discontinuo il continuo, fermare ovunque il flusso infinito delle relazioni sia verso ciò che è vicino come verso ciò che è lontano”36. Alla discrepanza conoscitiva connaturata all’approccio razionale pone rimedio il procedere artistico che grazie all’immediata evidenza della visibilità avvicina – con quella che ricorda un’approssimazione matematica al limite – realtà e rappresentazione. In questo senso esso può costituire la risposta a una delle questioni centrali della cultura secondo Simmel, ovvero il conflitto che si manifesta tra Vita e Forma per cui l’una ambisce a fare a meno dell’altra per darsi all’esperienza senza alcun tramite. La posta in gioco è l’idea di limite, inteso stavolta come principio formale immanente, come ragione interna di un qualsiasi fenomeno. La simultaneità dell’essere freno alla manifestazione e sua unica possibilità di venire in essere è una delle tensioni contraddittoriali37 essenziali con cui il pensiero si scontra dall’alba dei tempi e alla quale tende ora a dare una soluzione drastica con il concetto ideologico di libertà, tanto semplificato da potersi di fatto applicare solamente alla divinità. In esso l’affrancamento dalla materialità e dai vincoli che impone è totale e privo di sfumature: non c’è alcun riconoscimento della dipendenza umana dai diversi contesti che formano l’ambiente di vita, che si tratti di reti primarie o secondarie o di esigenze fisiologiche, di bisogni pratici o simbolici. Ciò che viene alla luce nello scontro tra Vita e Forma è la rivolta prometeica dell’uomo contro la sua imperfezione ontologica e la presunzione smisurata della ragione astratta che, non potendo concepire un dilemma irrisolvibile, ne amputa uno dei corni come un nodo gordiano.

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Simmel 1995a, 81-82. Si dice di un’opposizione che non consente sintesi ulteriori o superamenti di altro genere, ma è destinata a permanere nel tempo. Cfr. Durand 1991, 437-438; Maffesoli 1996. 37

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Il pensiero estetico è viceversa in grado di mostrare la contemporaneità contrastante e necessaria, aggirando le limitazioni dello strumento razionale. È quanto Simmel indica in luoghi diversi della sua opera, con la massima efficacia in Ponte e porta. L’uomo è il solo a cui “è dato legare e sciogliere, e in questo modo specifico: che l’uno è sempre il presupposto dell’altro”38. È impossibile stabilire una precedenza causale tra i due gesti, così come, nella moda, è impossibile isolare il momento dell’imitazione da quello della differenziazione. L’ambivalenza dei gesti umani discende dalla contraddittorietà essenziale dell’uomo, dal suo abitare lo spazio mediano di oscillazione “tra l’infinito che egli può e l’infinito che egli non può”39. Questa ambivalenza può esperirsi – nella vita quotidiana, nell’atto stesso del pensare – ma non concepirsi con il pensiero semplice ed è un’altra forma della discrepanza tra modo dei concetti e modo della realtà. Essa tuttavia giunge ad espressione immediatamente evidente nel ponte, che “conferisce ad un ultimo senso, sublime, superiore ad ogni sensibilità, un’apparizione unica, non mediata da alcuna riflessione astratta, che assume in sé il significato dello scopo pratico del ponte e lo porta a forma visibile, così come l’opera d’arte fa con il suo oggetto”40. La “visibilità spazialmente immediata”41 costituisce il valore estetico del manufatto ponte e il principio in base al quale il paradigma estetico diviene esportabile dal suo contesto di origine e si fa strumento di comprensione ed elaborazione di un livello della realtà inattingibile dalla sola ragione: “Nel suo profilo più elevato, l’estetica appare come la trasformazione di qualcosa di invisibile, metafisico o mistico in una forma visibile, percepibile come manifestazione intramondana, una metamorfosi che traduce i significati profondi dell’essere nell’ambito fenomenico, che li esprime nella contingenza dell’esistere e li rende disponibili all’elaborazione prospettica del soggetto”42. È come se Simmel individuasse un moto che inverte la tensione all’astrazione congenita al pensiero razionale e spinge gli universali ad assumere una forma concreta, a darsi all’esperienza sensibile come il denaro fa per lo scambio o la strada per il movimento, e l’estetica fosse lo strumento principe in grado di svelare quest’incarnazione e trarne la lezione finora nascosta43. Il significato che traspare 38

Simmel 1970, 3. Ivi, 16. 40 Ivi, 4-5. 41 Ivi, 5. 42 Vozza 2002, 66. 43 Si tratterebbe di una dinamica capace di compensare gli eccessi smaterializzanti del razionalismo e di impedire la progressiva trasformazione degli uomini in ombre di se stessi 39

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dal, si manifesta nel fenomeno ed esorbita la semplice utilizzabilità è l’oggetto della conoscenza estetica ed è questo che può percepire “l’occhio adeguatamente educato” dell’Estetica sociologica. È una conoscenza dinamica e sintetica, in quanto non apprende l’oggetto come istanza di un universale statico, ma sa su di esso ciò che trae dal suo integrarsi nel contesto. È una conoscenza non specifica e limitata all’oggetto, ma all’oggetto-in-relazione con ciò che lo circonda e concorre a formare il suo significato, come le parole traggono il loro senso puntuale dagli altri elementi della frase in cui compaiono: “Per capire la singola parola di un testo, occorre comprendere il contesto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell’autore studiato, e poi il momento culturale dell’epoca cui l’autore appartiene; e tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell’universale, sia viceversa, cercando di capire l’universale partendo dal particolare”44. Il tentativo simmeliano di potenziamento dell’estetica, di una sua sottrazione alla specificità asettica ed ininfluente del “mondo del Bello” di Schiller, ricorda l’analoga operazione compiuta da Gadamer a proposito dell’ermeneutica, che da disciplina specialistica dagli spiccati tratti tecnici diviene ontologia filosofica e poi “sembra presentarsi […] sempre più nella veste di una koiné, cioè di una sorta di idioma comune della ricerca e della discussione nel campo delle scienze umane e sociali, prendendo il posto che era stato del marxismo

temuta da Colli: “Il corso dell’astrazione si configura come un impulso inarrestabile e cosmico, che non riguarda soltanto il rimuginare interiore e mentale, ma forma gli oggetti intorno a noi e forma noi come oggetti. L’accumularsi, l’estendersi, il ramificarsi degli enti e dei nessi astratti è qualcosa di irreversibile, che grava sulle generazioni umane, le estenua. La rete dell’astrazione invischia tutto, costituisce tutto, obnubilando, infiochendo, offuscando, non c’è modo di liberarsene”; Colli 1988, 56-57. 44 Reale 2000, XII. Le parole di Reale si riferiscono all’originale definizione di “circolo ermeneutico” data da Schleiermacher nel corpus frammentario che fonda l’ermeneutica filosofica. I tratti affini alle successive formulazioni simmeliane sono evidenti, in particolare per quel che riguarda l’oggetto di questo saggio. Sembra di poter annoverare anche Schleiermacher tra gli autori che hanno giocato un ruolo significativo nel formarsi delle tesi di Simmel, sia per quanto riguarda la religione, sia per quanto riguarda la circolarità dell’interpretazione – immaginalmente prossima alla Wechselwirkung – sia infine per l’accento qualitativo sull’individualità: “La situazione spirituale del suo tempo gli si presentava [a Simmel] come un palese relativismo filosofico e ideologico, di fronte al quale occorreva cercare una nuova prospettiva di orientamento spirituale, un fondamento portante del filosofare […]. A questo riguardo, gli offrì uno spunto iniziale in particolare l’idea dell’individualità di Schleiermacher. Allo stesso tempo Schleiermacher costituisce per lui, nell’ambito della storia delle idee, un’alternativa a Kant”; Kress 2000, 33.

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negli anni Cinquanta e Sessanta, e dello strutturalismo negli anni Settanta”45. Vista l’importanza centrale dell’esperienza estetica nella riflessione di Gadamer e la stessa influenza di Simmel su Heidegger, suo maestro, già ricordata, è probabile che tra le radici del successo contemporaneo di questa visione del mondo si trovi il lavoro pionieristico di Simmel e la sua riqualificazione dell’appercezione estetica come modalità generale di messa in forma del mondo, luogo d’elezione ove recuperino senso e dignità le istanze extrametodiche di verità teorizzate da Gadamer in polemica con la riduzione razionalistica del significato del termine: “Ora, però, il ritorno fenomenologico all’esperienza estetica come tale insegna che questa […] vede in ciò che esperisce la verità autentica […]. La riduzione dello status ontologico dell’esteticità sul piano dell’apparenza estetica trova quindi la sua radice teorica nel fatto che il dominio del modello conoscitivo delle scienze naturali conduce a screditare ogni possibilità di conoscenza che si collochi fuori di questo nuovo ambito metodologico”46. La critica da cui questo saggio ha preso le mosse si chiarisce come frutto di un equivoco, più o meno intenzionale, sul significato da attribuire all’estetica. Mentre Simmel già faceva riferimento alla pienezza dell’esperienza estetica come Erfahrung in senso hegeliano, “una vera esperienza […] che modifica effettivamente chi la fa”47, i suoi avversari si muovevano ancora nel quadro di quella che Gadamer chiama “coscienza estetica”, per la quale “il principio che costituisce e regge il mondo della bellezza non è altro che il riconoscimento, da parte della coscienza stessa, della qualità estetica; ma tale qualità, qui, non è altro che la separazione dell’oggetto da ogni nesso reale, separazione che si annuncia già nella ateoricità e apraticità del giudizio estetico kantiano”48. Se il mondo del Bello non ha per definizione alcun rapporto con la realtà, allora chi lo frequenta è necessariamente separato da essa, in fuga perenne nelle praterie eteree dell’apparenza. Si tratta, tuttavia, per l’appunto di un problema di definizioni, messe a punto le quali l’originalità della proposta simmeliana e la sua estraneità alle diverse imputazioni risultano evidenti. Ciò che spinge a dubitare della buona fede degli oppositori nel disconoscere la specifica curvatura data da Simmel all’approccio estetico è l’affiorare, nelle argomentazioni dei più acuti tra loro, di segni che mostrano una chiara coscienza della posta in gioco. Ador-

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Bertolotti 2003, 3. Gadamer 2000, 191-193. 47 Vattimo 2000, XXXVI. 48 Ivi, XXXIV. 46

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no in particolare, del quale si è già indicata la consapevolezza critica49, sembra aver colto esattamente ciò che distingue la visione simmeliana dal canone di un’estetica sterilizzata: “Accennando a un primato del visibile nella concezione della forma di Simmel, Adorno allude a qualcosa di più e di diverso rispetto al formalismo neokantiano. La visibilità non si riassume infatti totalmente nel procedimento secondo il quale l’immagine ideale della realtà, costruita dal soggetto secondo la propria logica e dando un proprio ordine alle cose, si distacca da lui e viene contemplata come un oggetto di rango superiore. Essa indica piuttosto un modo di configurazione del mondo fenomenico in cui gli elementi di superficie si organizzano in modo tale da portare a evidenza la loro forma interna e ne risultano esaltati nella loro forza evocativa, nei loro significati più che nella loro materialità”50. Nel nuovo sguardo che, a seguito di questi capovolgimenti teorici, l’uomo rivolge al mondo brilla una luce che sottrae alle cose quello che è ormai divenuto un vero e proprio stigma – l’inevadibile necessità dell’essere-strumento per poter occupare un posto nello spazio umano – per restituir loro “un’autonoma rappresentatività”51 che le inserisce a pieno titolo nel tessuto di rimandi e interazioni che Simmel ha chiamato Wechselwirkung e Heidegger Weltheit: “La cosa non è mai Ding, ma Sache”52, si fa nel farsi ininterrotto del processo sociale e vitale e questa sua ricchezza relazionale, potenzialmente e nella maggior parte dei casi contraddittoria, è l’oggetto della percezione estetica. In questo senso essa non è più limitata all’ambito tradizionale dell’arte e delle cose belle, ma può – probabilmente deve – esercitarsi su tutto ciò che forma il contesto di vita dell’uomo. Ciò non porta in alcun modo, in Simmel, a una equiparazione tra oggetto e opera d’arte, realizzata invece in seguito da importanti correnti dell’arte contemporanea anche sulla scorta delle riflessioni svolte da Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica53, dove si constata la scomparsa dell’aura specifica dell’opera d’arte a seguito dei progressi tecnologici che ne consentono la riproduzione in un numero illimitato di copie: “Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione, così si potrebbe formulare la cosa,

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Cfr. D’Andrea 2004, 47-48. Boella 1988, 10. 51 Ivi, 15. 52 Vattimo 2000, LI. 53 Benjamin 1992, 17-56. 50

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Georg Simmel. L’opera d’arte come isola | 93

sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto”54. L’interpretazione benjaminiana dell’aura come derivante all’opera esclusivamente dalla tradizione che la costruisce come tale e dal suo valore cultuale55 è estranea alla rivalutazione oggettuale che Simmel ha inaugurato con la sua estetica. Essa non prende in alcun conto l’aspetto estetico dell’opera d’arte, ma si concentra su altri rapporti, ritenuti più centrali dall’autore in quella fase della sua attività intellettuale. Se la storia successiva ha confermato parte delle intuizioni di Benjamin, ha anche mostrato chiaramente come l’importanza della gadameriana “esperienza estetica” non sia affatto diminuita, bensì sia andata crescendo col trascorrere degli anni fino a vedersi costruire intorno una serie di eventi culturali e spettacolari, quali le grandi mostre itineranti che vengono incontro ai nuovi modelli di fruizione inaugurando un’inedita vicinanza del testo artistico che non è copia, né isolamento sacrale in un museo. Con queste manifestazioni un processo indiscutibile di metamorfosi nel rapporto tra arte e vita assume una nuova veste che problematizza ulteriormente e riapre alla riflessione quanto osservava tempo addietro Boella a proposito delle tesi di Benjamin: “Si può dire che la distanza tra arte e vita, tra fruitore del quadro e quadro medesimo, che sopravvive nella forma piuttosto esile rappresentata dalla cornice, non sia altro che la secolarizzazione dei rituali che un tempo separavano l’opera d’arte, e la rendevano sacra, dalla vita profana”56. Appare chiaro, da queste brevi riflessioni introduttive, che il problema dello status dell’opera d’arte è ancora tutt’altro che risolto. Se l’ottica marxiana, originalmente interpretata da Benjamin, ha evidenziato dei livelli di lettura che spesso venivano artatamente celati dietro un omaggio fariseo, non ha però in alcun modo esaurito la complessità immaginale ed esistenziale di quella che è ancora intesa dai più come l’epitome della creatività umana, ciò che veramente sembra distinguere l’uomo da ogni altra forma di vita conosciuta. E sembra 54

Ivi, 23. “Per Benjamin […] l’opera d’arte è autonoma finché rimane legata al culto. Il valore cultuale (Kultwerk) che essa possiede caratterizza l’atmosfera sacra diffusa e prodotta dalla sua autonomia […]. L’aura è […] l’atmosfera che circonda la creazione estetica autonoma. In questo senso la definizione dell’aura data da Benjamin altro non è, allora, se non la definizione del valore cultuale dell’opera d’arte e della sua classificazione in categorie inerenti alla percezione spazio-temporale”; De Simone 2002a, 119. 56 Boella 1988, 16. 55

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invero, come ci si accinge a mostrare, che una tale complessità sia intimamente legata all’essenza umana, tanto da poterne costituire una via privilegiata di comprensione.

2. La problematica perfezione dell’opera d’arte Le determinazioni contraddittoriali degli oggetti costituiscono la sfera euristica dell’estetica simmeliana; al tempo stesso questo ampliamento dei compiti della disciplina non implica un livellamento qualitativo per il quale la distinzione tra opera d’arte e oggetto d’uso perda di senso. L’opera d’arte conserva delle caratteristiche uniche che la sbalzano, per certi versi, dall’ordine delle cose, facendone un’isola con la quale l’uomo intrattiene rapporti di vario genere e complessità. Simmel esplicita questo particolare statuto nelle sue considerazioni sulla cornice57 del 1902. Come sempre, l’incipit del saggio è dedicato a un tema generale del quale ciò che segue sarà esempio e discussione: nello spirito di quanto sostenuto finora, con questa tecnica Simmel pone il livello universale del suo argomentare e procede poi ad esaminare il particolare in vista del chiarimento e dell’illustrazione di quello. Egli dunque avvisa il lettore che lo scritto ha a che fare con il problema della totalità, o della perfezione: “Il carattere delle cose dipende in ultima istanza dal fatto che siano un intero o una parte”58. Nella fattispecie è proprio qui che corre il discrimine tra opera d’arte e resto del mondo: laddove, infatti, ogni altro elemento della natura trae il suo senso dal contesto nel quale si trova e fuori di esso non significa nulla, l’opera d’arte è “una totalità per sé, che non ha bisogno di alcun rapporto con l’esterno, ma riconduce ognuno dei fili della sua trama al proprio punto centrale”59. Questa definizione crea una categoria di oggetti sui generis, con i quali l’uomo interagisce secondo modelli diversi da quelli validi per ogni altra cosa60. La loro presenza giunge quasi a curvare lo spazio di vita individuale, aprendovi

57

Simmel 1985a, 101-108. Ivi, 101. 59 Ibid. 60 “L’opera d’arte, quindi, appartiene a quei rari doni della vita, che sono destinati a soddisfare un bisogno, che essi stessi risvegliano nell’attimo stesso in cui il loro esserci lo soddisfa”; Simmel 1970, 89. 58

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una discontinuità che abbisogna di una definizione rigorosa per essere tollerata: la cornice adempie anche a questo compito, è a tutti gli effetti “la custode dei limiti del quadro”61. Nella discussione della multidimensionalità di un oggetto apparentemente banale, Simmel rivela il suo virtuosismo compositivo e al tempo stesso una perizia da intenditore, passando in rassegna le diverse forme storiche assunte dalla cornice nel tempo e criticando le sue nuove versioni proposte dalle avanguardie non sul piano della bellezza, ma della fedeltà al nesso dinamico tra quadro e mondo che in essa si dà nel visibile come forma. Egli mostra inoltre l’efficacia euristica del suo metodo, che gli consente di moltiplicare i livelli d’analisi, tessendone il portato in un discorso che sa riprodurre mimeticamente la ricchezza di ciò che descrive. In primo luogo, la messa in evidenza dei confini del quadro accentua la differenza qualitativa che lo separa dal resto della realtà, ne è immagine eloquente; accentua al tempo stesso la sua intima coerenza e la mette al riparo dall’entropia che domina incontrastata in ogni altro spazio: i confini “nell’opera sono assoluta chiusura, che nello stesso atto si manifesta come indifferenza, ma anche come difesa nei confronti dell’esterno, e come sintesi unificante nei confronti dell’interno”62. La sensibilità per le molteplici valenze di uno stesso atto, contemporanee e inseparabili, che si era già manifestata nel 1895 nel saggio sulla moda63 ed è in seguito divenuta una delle cifre del pensare simmeliano, può in questo caso essere spinta al di là di quanto esposto nel saggio. Dalla scelta terminologica e dagli accenni successivi si evincono caratteri dell’opera d’arte che Simmel non esplicita: in primo luogo una sua fragilità preziosa, metafisica, che dev’essere preservata materialmente e simbolicamente perché correlata in essenza all’anelito umano nei suoi confronti; è anche per sua causa che “la cornice non può mai presentare nella sua configurazione una breccia o un ponte, attraverso i quali il mondo possa, per così dire, penetrare nel quadro, o il quadro possa uscire nel mondo”64. L’infrazione del limite, quindi, non può aver luogo né per scelta né per violenza, né in un senso né nell’altro, perché essa risulterebbe comunque nell’annientamento del miracolo dell’opera d’arte, il darsi concreto e visibile di una “interna legalità e ideale necessità […], [di] un principio di organizzazione autonoma che presiede ad un ambito di normatività il quale, esonerato dal double bind di casualità/causalità del mondo esterno, predispone

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Simmel 1985a, 106. Ivi, 101. 63 Simmel 1985b, 29-52. 64 Simmel 1985a, 103. 62

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il regno della libertà espressiva”65. Nel quadro – emblema dell’opera d’arte in generale al quale possono essere ricondotte, in nome del primato della visibilità, anche le altre modalità realizzative, come ad esempio la scultura66 – nel suo splendore artigianale e cromatico, si cela non solo un balsamo per l’anima, bensì anche un rischio, un’implicita minaccia di destabilizzazione per l’universo di senso laico, se e quando i confini dovessero cedere e annullarsi l’abisso che è nostalgia incurabile e protezione reciproca. È forse per l’intuizione di quest’ennesimo paradosso, per cui un ordine di grado superiore si rivela pericoloso per uno di grado inferiore, che Simmel usa termini quasi brutali per condannare il caso in cui “il contenuto del quadro continua nella cornice”, definendolo “un’aberrazione rara”67, e allude a quella distorsione spaziale ed emotiva di cui si è detto. Oggetto evidente del discorso è in questo caso “l’assioma secondo cui il mobile è un’opera d’arte”68. Si tratta di una tesi che, per quanto detto sinora, Simmel non può condividere, perché nega il carattere insulare che definisce l’opera d’arte. A parte questo, però, nelle osservazioni simmeliane c’è qualcos’altro, il baleno di una forza che la cornice contiene quasi per magia. Chiusa e indifferente nella sua perfezione, l’opera d’arte non scompagina la quotidianità solo grazie ai suoi confini correttamente definiti: “Appesa nella nostra stanza, non si intromette nelle nostre cerchie di attività, perché ha una cornice, ossia perché è nel mondo come un’isola, che attende il nostro arrivo, ma davanti alla quale si può anche passare oltre”69. La scelta di instaurare o meno un rapporto con essa è dell’uomo, che decide in proposito in piena libertà e senza alcuna costrizione. Diverso è invece il caso delle altre manifestazioni dell’arte

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Vozza 2002, 77. “Nelle arti plastiche vi è solo apparentemente un atteggiamento diverso. Il marmo è sì tangibile, ma non è l’opera d’arte, come l’altrettanto tangibile tela con il suo rivestimento di colori non è il quadro […]. Il corpo, che sia veramente oggetto dell’arte, non può venir toccato, come non può essere toccato il corpo dipinto, perché anch’esso è soltanto rappresentato dal materiale reale afferrabile, come quello dipinto è rappresentato dalle non meno afferrabili pennellate di colore. La terza dimensione non concerne dunque affatto l’opera d’arte come realtà dell’opera garantita dal senso del tatto, ma soltanto nella misura in cui l’occhio è stimolato dalla pura visione dell’opera plastica a creare di nuovo la dimensione della profondità. Anche il valore plastico è soltanto da vedere, non da toccare”; Simmel 1976, 63. 67 Simmel 1985a, 103. 68 Ivi, 104-105. 69 Ivi, 105. 66

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moderna che ambiscono a uno status al quale non hanno diritto e nella tensione conseguente causano disagio a chi le inserisce nel proprio contesto vitale: “Qualche mobile moderno, poiché è l’espressione immediata dell’artisticità individuale, sembra degradato quando lo usiamo per sederci; reclama, formalmente, una cornice. Essendone privo, ma standosene nella stanza, opprime l’uomo che, infine, con la sua individualità dovrebbe essere la cosa principale, mentre al mobile competerebbe soltanto lo sfondo”70. Il malessere fisico è segno dell’errore metafisico su cui si fonda la proposta “liberazione” del manufatto artistico dalle barriere che lo costringono, sulle quali le avanguardie sono intervenute quasi con violenza, riuscendo a leggerle solamente come un’imposizione esterna sulla forza viva dell’arte e non come una necessità formale di regolazione del rapporto con l’Altro che essa costituisce. L’incapacità di apprezzare il livello simbolico-immaginale del confronto con le cose, siano esse quadri o oggetti d’uso, è un tratto caratterizzante del pensiero dei primi decenni del Novecento, che sembra accomunare le élites artistiche e molti pensatori, tra i quali la gran parte degli allievi di Simmel: “Analogamente alle avanguardie, con il loro rifiuto della separazione tra arte e vita, il pensiero critico-dialettico volle restituire alle cose la loro pesantezza, al materiale la sua resistenza allo sforzo plasmatore dell’uomo. E ciò fu possibile solo contrapponendo alla forza dissolutiva del movimento, alla sensibilità moderna per gli intrecci di superfici, per il tessuto irregolare, incompiuto e sempre in corso dei processi vitali, un senso aspro dell’oggetto, volutamente non estetico, fatto di masse e di volumi, più che di ombre e di luci”71. Cézanne segue a Monet nella pittura, mentre – come osserva criticamente Lukács –

70

Ibid. Boella 1988, 10-11. L’accento sulla materialità, come praticato ed esperito dagli artisti appartenenti a queste avanguardie, potrebbe avere ulteriori livelli di lettura ed essere compreso come manifestazione di un sapere sensibile che non conosce, o perfino rifugge da, la raffinata elaborazione intellettuale che gli presta in seguito la critica. Come osserva Rilke a proposito di Cézanne, “il pittore (qualsiasi artista) non deve farsi consapevole delle proprie intuizioni: senza aprirsi la strada attraverso i suoi processi mentali, le sue acquisizioni, enigmatiche perfino a lui stesso, deve entrare con tale immediatezza nell’opera da essere incapace di riconoscerli al momento della loro transizione” (cit. in Ashton 1982, 95). Sull’aspetto irriflesso della pratica artistica concorda anche Picasso, secondo il quale “il Cubismo […] non era stato quel fenomeno intellettuale e concettuale nel quale molti avevano cercato di trasformarlo, ma un naturale processo organico che scaturiva direttamente dall’arte del dipingere”; ibid. 71

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Simmel “era un Monet della filosofia, al quale finora non è ancora seguito nessun Cézanne”72. È però evidente che l’estetica simmeliana, che Lukács stigmatizza con le parole appena citate, ha in comune con l’idea che ne aveva il filosofo ungherese solamente il nome. Dalla pagina di Simmel risulta con chiarezza che il discorso ha ormai abbandonato l’abbellimento della cornice e la sua maggiore o minore congruità alla funzione di contenimento e protezione del quadro per passare ai problematici rapporti tra arte e soggettività e alle conseguenze implicite nel loro fraintendimento, così come il suo problema del Bello non ha nulla di astratto o scolastico, ma incide direttamente e potentemente sulla prospettiva esistenziale e conoscitiva dell’uomo. Che la riflessione sull’opera d’arte “liberata” possa diventare un caso particolare di un tema molto caro a Simmel si fa evidente dopo appena poche righe, dove appare una variazione delle osservazioni sui rapporti tra cultura soggettiva e oggettiva, sempre più sbilanciati a favore di quest’ultima: “È un’ipertrofia del senso moderno dell’individualità il fatto che dovunque si senta predicare l’individualità del mobile. È lo stesso equivoco, la stessa confusione di ranghi che si verifica quando si vuol conferire alla cornice un valore autonomo”73. La pretesa di individualizzare gli oggetti deriva da una mossa ideologica del tutto indimostrata per cui ogni individuo sarebbe già di per sé unico e inconfondibile senza alcuno sforzo e ambirebbe a veder riflessa questa sua condizione in ciò che lo circonda. È sufficiente pensare alla pervasività contemporanea di aggettivi come “personalizzato”, “originale” ed “esclusivo” – in special modo nella comunicazione di marketing – per aver la misura dell’attualità di questa

72

Lukács 1976, 119. Come osserva De Simone in un interessante “Intermezzo filosoficopolitico” dedicato ai rapporti tra allievo e maestro, “Lukács fa di Simmel il simbolo dell’impressionismo filosofico, il maggiore rappresentante di un’epoca di transizione, che ha saputo cogliere le differenze e gli aspetti particolari ed individuali posti dai nuovi problemi del mondo moderno, senza però giungere alla prefigurazione di una loro possibile soluzione e superamento” (2002, 273). La lettura storicistica della contraddizione alienante che Simmel chiama “tragedia della cultura” porta in seguito l’ungherese a posizioni militanti sempre più incapaci di accettare la possibilità di un’opposizione contraddittoriale e lo mette in condizione di non riconoscere più alcun debito nei confronti dell’altro, laddove “in Storia e coscienza di classe Lukács può concepire materialisticamente come fenomeni di reificazione le deformazioni della quotidianità borghese e della sua cultura solo perché Simmel aveva percorso la via inversa e aveva trattato le astrazioni del lavoro industriale estraniato come caso speciale dell’estraniamento della soggettività creatrice dai suoi oggetti culturali”; Habermas 1993, 173. 73 Simmel 1985a, 105.

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tematica, che nasconde una dolorosa contraddizione di cui Simmel era ben cosciente e verso la quale ha ripetutamente messo in guardia chiunque volesse ascoltarlo. Dal suo punto di vista l’originalità viene al soggetto come segno della sua crescita interiore, compito impegnativo che la vita metropolitana rende ancor più arduo col moltiplicarsi di stimoli e distrazioni descritto in Le metropoli e la vita dello spirito (1995b). L’equilibrio dinamico che, nel caso di una Bildung riuscita, si instaura nel soggetto tra interno ed esterno, tra cultura soggettiva e oggettiva, è comunque fragile – data l’essenziale incompletezza umana – e abbisogna perciò di strategie di difesa e di misure protettive. Già nel saggio su La moda, prima ricordato, Simmel aveva discusso della delicatezza di questo rapporto, sostenendo che, mentre per un soggetto ormai autonomo essa è di grande aiuto poiché ne facilita la complessa gestione di tempo e risorse intellettuali, per chi non sappia o voglia percorrere il cammino verso l’individualità compiuta essa rischia di trasformarsi in una trappola senza via d’uscita, portando con sé obblighi di acquisto perpetui e un crescente senso di insoddisfazione74. Ad ogni modo, la crescente forza del richiamo delle sirene del consumismo è un fattore destabilizzante per chiunque. Il senso di oppressione che prova chi condivide uno spazio con un’opera d’arte “liberata” è anche questo, la percezione vaga della minaccia che un’oggettualità fraintesa e strumentalizzata può costituire per il proprio equilibrio vitale. La critica intellettuale e razionalistica delle avanguardie del XX secolo ha fornito all’economia un grimaldello di eccezionale efficacia per penetrare all’interno delle difese soggettive. È bastato spingere appena più in là l’assioma criticato da Simmel, che forse prevedeva simili conseguenze, per pervertire il fascino particolare provato verso un capolavoro artistico in immagine generica della soddisfazione di possedere un oggetto “particolare” e sfruttarlo per incrementare ogni genere di vendita: gli optionals delle autovetture, gli accessori dei telefoni cellulari, il proliferare delle diverse versioni di ogni merce verso l’obiettivo parossistico di ricreare l’oggetto unico nell’economia di scala, paradosso che avrebbe senz’altro affascinato Simmel e meriterebbe una riflessione più approfondita. L’illusione di creare, attraverso il possesso di queste cose, la propria unicità, che ne viene invece soffocata, ha fatto il resto. La traccia di simili preoccupazioni negli scritti simmeliani è di facile rinvenimento: “Come il mobile, la cornice non deve avere un’individualità, ma uno 74

Quest’aspetto del saggio simmeliano, ricco di numerosi altri spunti, è sviluppato con particolare attenzione ed intelligenza in Curcio 1990.

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stile. Lo stile è un alleviamento per la personalità, la sostituzione dell’accentuazione individuale con una generalità più ampia”75. Conforto amorevole, supporto alla difficoltà di essere soggetto oggi sostituiscono qui il fascino dell’opera d’arte: fascino nel senso etimologico forte di “influsso malefico, malìa” che solo dopo secoli si attenua in “potere di attrazione, seduzione” e discende dal latino fascinum, cioè “amuleto”. Sarà forse casuale che la lingua, per i cammini sotterranei che la contraddistinguono, riproponga l’ancestrale necessità di tracciare segni di protezione attorno agli oggetti di potere, certo è che l’affinità simbolico-immaginale con il quadro e la sua cornice descritti da Simmel è notevole e rafforza la dimensione numinosa del rapporto con l’opera d’arte, spostandolo a profondità essenziali che richiedono rispetto e cautela. Pur discettando “soltanto” di estetica, quindi, ci si trova confrontati con quel “sentimento dell’indissolubile opposizione dell’incondizionato e del condizionato” che si è visto essere centrale ed enigmatico anche per Schlegel, che non a caso – dopo un lungo periodo di disinteresse ed etichettature stereotipate – è oggetto di una riscoperta e rivalutazione che evidenziano gli aspetti centrali e ancor oggi rilevanti del suo pensiero76. Lo sfondamento del tradizionale canone estetico mostrato ne La cornice è altrettanto limpido in altri saggi simmeliani, come ad esempio quello dedicato proprio a Il problema dello stile (1993), dove accanto alla riproposizione di argomenti simili a quelli utilizzati ne La cornice si trovano nuovi spunti di analisi. La cura più minuziosa è dedicata a chiarire che la distinzione operata tra oggetti delle arti applicate e vere opere d’arte non implica alcun giudizio negativo verso i primi. Ciò che distingue le due categorie è il tono del rapporto che l’uomo instaura con esse: “Qui si trova anche, finalmente, il motivo per cui tutto questo condizionamento dell’artigianato non significa niente di simile a un discredito. Invece del carattere dell’individualità, deve avere il carattere dello stile, dell’ampia universalità […] e rappresenta perciò all’interno della sfera estetica un principio di vita altro, seppure non inferiore, rispetto a quello dell’arte vera e propria […]. L’acquietarsi,

75

Simmel 1985a, 105. “Dopo che per lungo tempo, seguendo il giudizio formulato da Hegel, la produzione critica e letteraria dei romantici è stata accusata di essere concettualmente fragile e filosoficamente inconsistente, a causa della sua frammentarietà e rapsodicità, negli ultimi decenni si è affermata la tendenza a riconoscere la statura propriamente filosofica degli scritti di autori come Friedrich Schlegel, Novalis o Friedrich Hölderlin” (Franzini e Somaini 2002, 193). Si noti la coincidenza tra le critiche rivolte al Romanticismo di Jena e quelle tradizionalmente mirate a Simmel. 76

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il sentimento di sicurezza e di imperturbabilità che ci procura l’oggetto rigorosamente stilizzato, deriva dal fatto che lo stile si rivolge anche nell’osservatore a livelli che vanno oltre quello puramente individuale, alle ampie categorie del sentire sottomesse alle leggi generali della vita”77. Le opere d’arte, invece, per il fatto che “un’anima individuale ha incorporato in esse la sua unicità […] gravitano anche intorno al punto di unicità in noi, nel quale ogni uomo è solo con se stesso”78. Affiora da queste parole la percezione della difficoltà del ruolo soggettivo così come lo intendeva Simmel. Il fardello della responsabilità che l’essere autonomo porta con sé è una delle tante spine che adornano la rosa del compimento della propria vocazione (Beruf ) che, accentuando la singolarità, rischia di sottrarre l’uomo al tessuto per lui vitale della Wechselwirkung. L’equilibrio tra l’essere per sé e l’essere parte di un tutto si specifica qui ulteriormente, quando Simmel adombra il pericolo e il disagio esistenziale che vengono dalla solitudine, che non può essere assoluta, ma dev’essere comunque temperata da momenti e componenti che accomunano l’uomo ai suoi simili e lo reinseriscono nel processo infinito di interazione che costituisce la società: “A sospingere così fortemente l’uomo moderno verso lo stile sono lo sgravio e l’occultamento velato di ciò che è personale, in cui consiste l’essenza dello stile. Il soggettivismo e l’individualità si sono inaspriti fino alla rottura, e nelle formazioni stilizzate, da quelle del comportamento fino a quelle dell’arredamento, si attenua e si sfuma questo eccesso di personalità nella direzione di una universalità e della sua legge”79. Si tratta dello stesso lenimento che una moda correttamente interpretata porta a chi sa già di essere unico e non ha nulla da dimostrare, deve semmai sfumare questa sua dimensione quasi rivoluzionaria perché non pregiudichi il suo normale aver rapporti con gli altri, che in un’individualità troppo evidente scorgerebbero una pericolosa alterità. L’originale o l’eccentrico sono sempre stati fattori di tensione nei gruppi sociali, diversamente sanzionati a seconda degli assetti valoriali esistenti. Si potrebbe, sulla base di questa constatazione, riflettere sull’effettività dell’originalità che oggi sembra costituire uno dei valori centrali della cultura, su quanto cioè essa sia una vuota parola d’ordine al servizio di interessi eterogenei e non una spinta all’autorealizzazione, ma si tratta di un tema da riservare a un altro momento. È ora più rilevante il legame che Simmel istituisce tra 77

Simmel 1993, 11-12. Ivi, 11. 79 Ivi, 13. Cfr., in proposito, anche il saggio di Tramonti in questo libro, 179-196. 78

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l’unicità soggettiva compiuta e l’opera d’arte, che offre una diversa chiave interpretativa del potere affascinante di questa e pone allo stesso tempo nuove difficoltà teoriche. Già la materialità dell’opera d’arte, il suo essere comunque un oggetto sottomesso alle leggi naturali – il marmo può rompersi, la tela strapparsi o prender fuoco – è in qualche misura paradossale rispetto all’insularità essenziale che Simmel le attribuisce80; la considerazione del ruolo del creatore aggiunge un ulteriore livello di complicazione al discorso. In un saggio del 1914, L’art pour l’art 81, Simmel affronta il tema del rapporto tra artista ed opera, solamente accennato – come si è visto – nello scritto del 1908, rendendolo emblematico del suo ideale di Bildung e inserendolo nella dinamica della Vita e del suo costante autosuperamento. I grandi artisti, dice Simmel, non sono quelli che possiedono una tecnica eccelsa o sono tanto assorbiti nella propria arte da annullarvisi: essi “sono sempre stati qualcosa di più di grandi artisti; perfino dove tutta la loro energia è concentrata in modo assoluto nella pratica dell’arte […], noi rintracciamo una straordinaria ampiezza di oscillazione e una straordinaria intensità della vita nel suo complesso”82. La capacità di generare un’opera d’arte si esplicita come corollario di una perfezione interiore che esorbita lo specifico dell’arte, rendendolo sua provincia ed elemento correlato e armonico di un tutto che, esso solo, è in grado di giustificarne l’eccellenza: “Nei casi più puri e per così dire principali, la perfezione dell’artista pare dipendere da questo, che egli deve essere più che artista, che proprio la forza individuale di questa espressione dell’essere che si eleva ad opere completamente autonome, viene nutrita dal suo collegamento con il microcosmo della personalità intera”83. Ecco dunque l’ennesimo livello del paradosso creato dall’esistenza dell’opera d’arte, un nuovo aspetto del suo potenziale distorsivo dell’ovvio e del consolidato. Mentre gode di una perfezione assoluta e separata dal mondo, può nascere soltanto dall’inserimento più profondo nel tessuto di una vita, dall’essere incastonata ab initio nel “microcosmo” del suo autore. La particolarità del

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“Questa è la necessità naturale, soltanto relativa, di ogni frammento di effettualità, e anche dell’opera d’arte, ma solo in quanto essa viene considerata come datità naturale, nella connessione spaziale e dinamica di tutto l’esserci. Il senso del suo essere opera d’arte non viene da ciò toccato. Questo, infatti, come mero contenuto di una visione, è un prodotto spirituale”; Simmel 1970, 95. 81 Ivi, 77-83. 82 Ivi, 80. 83 Ibid.

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rapporto con essa assume a questo punto due connotazioni diverse, a seconda se la si consideri dal lato del creatore o del fruitore: “Altrettanto paradossale e contraddittoria è anche nella sua espressione logica la doppia costituzione dell’opera d’arte: di fatto, essa è una creazione in sé conchiusa, dispensata dalla vita, che assume in sé, se considerata dal punto di vista dell’artista, o che invece rilascia da sé, se considerata da quello di colui che la gode”84. Essa incarna l’individualità dell’autore, ma strappa il fruitore alla vita per trasporlo nel mondo della libertà artistica, antitesi “forse insuperabile logicamente, ma superata invece di continuo da parte della vita”85 che propone una nuova figura del classico tema simmeliano del rapporto contraddittoriale tra il tutto e la parte, da cui aveva preso le mosse il saggio sulla cornice. Pur essendo un tutto autonomo, il quadro è parte di una vita e da questo sgorga il caleidoscopio di immagini confliggenti con le quali ci si sta confrontando. La riflessione simmeliana, che tanto ha cavato da un argomento così spinoso, non fa tuttavia i conti con quello che è forse lo scoglio peggiore che vi si nasconde e che deriva dalla condizione ontologica dell’uomo. Si è visto che una delle spinte più potenti verso l’opera d’arte gli viene proprio dallo scorgervi la completezza che a lui è negata per sempre, quindi dalla nostalgia di una totalità alla quale aspira e che non può realizzare, frammento di se stesso, essenzialmente connesso agli altri ed al mondo. Se questo è l’uomo, però, la sua stessa capacità creativa diventa un problema, che Dumont definirebbe un problema di gerarchia, ossia come può la perfezione procedere dall’imperfezione. A prima vista il ritratto dell’artista contenuto in L’art pour l’art potrebbe spingere a pensare di trovarsi davanti a un oltre-uomo, ad uno stadio emotivo e intellettuale evoluto: Simmel scorge in lui “una misura di perfezione umana non rintracciabile in qualche altro luogo”86, ma è una realizzazione che, seppure tra le più alte possibili all’essere umano, non lo sottrae al suo destino di finitezza. Michelangelo è l’immagine più tragica e magnifica di questo dissidio insuperabile: “L’incompiutezza, la frammentarietà, l’infedeltà all’ideale nella sua vita terrena, formata e delimitata dalla sua libertà, è questo il tormento di Michelangelo […]. Egli, in base alle condizioni del proprio tempo e della propria personalità, aspirava a raggiungere un ideale trascendente, assoluto, solo

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Ivi, 81. Ivi, 82. 86 Ivi, 80. 85

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con i mezzi e nei percorsi di un’esistenza terrena, e rabbrividiva perché l’abisso tra questa e l’ideale era invalicabile”87. Si tratta di una questione delicata, poiché in essa i confini tra arte e religione sfumano quasi all’impercettibile e per soprammercato porta con sé risposte e scoperte che lo sfrenato soggettivismo contemporaneo può difficilmente apprezzare. Se ne trova una discussione di cui Simmel era forse a conoscenza in un autore del Settecento, pietista e studioso di estetica, Karl Philipp Moritz88, che elabora una teoria in cui confluiscono le grandi tendenze provenienti dal passato e i nuovi bisogni che nel XVIII secolo prendono lentamente coscienza di sé. Egli inizia con il definire l’opera d’arte come qualcosa di “compiuto in sé” o, più precisamente, che “costituisce in sé un tutto”89 ed ha quindi una coerenza interna autonoma e indipendente: gode perciò di un’insularità che la rende un mondo a parte, con una finalità interna intimamente correlata alla Bellezza. Proprio per la sua perfezione essa è capace di lenire l’angoscia metafisica che deriva dall’insanabile situazione di dipendenza che contraddistingue l’uomo. Dopo aver così spiegato ciò che intende per opera d’arte, Moritz passa a metterne in luce l’affinità con il Tutto della Natura, rilevando come questo sia l’unico altro esempio concepibile di una simile autoteleologia. Moritz è uno dei primi pietisti tedeschi che tenteranno di ricomporre la terribile frattura tra uomo e mondo causata dalla predicazione di Lutero sulla necessità per gli uomini di sottrarsi agli obblighi terreni per poter aspirare alla salvezza. Con un gesto soprattutto politico, mirante a privare la Chiesa del ruolo di unico tramite verso il trascendente, Lutero aveva eliminato ogni canale formale di accesso a Dio e assegnato ai fedeli il potere, fino ad allora inaudito, di trovarlo nel proprio cuore senza intermediari. Probabilmente al di là delle sue intenzioni, da ciò era derivato ai protestanti uno straniamento crescente che si era mutato in insoddisfazione esistenziale ed esigenza di supe-

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Simmel 1985a, 132-133. Si viene riconoscendo in Moritz una delle personalità centrali nella genesi del Romanticismo tedesco. Sue sono le prime formulazioni di temi con cui Simmel si è confrontato a lungo: l’idea del bello come di ciò che è “in sé compiuto” e l’accento sul carattere creativo dell’imitazione formatrice, sviluppato in particolare nel saggio del 1788, Sull’imitazione formatrice del bello, ora in Moritz 1990. La sua vicinanza a Goethe e gli stretti rapporti con Schlegel e Schelling ne fanno un personaggio di rilievo le cui opere Simmel con tutta probabilità conosceva. L’armonia di pensiero tra i due li mostra comunque uniti nella stessa ambiance. Ci si occuperà più diffusamente dei rapporti tra questi autori in una monografia in preparazione sui diversi aspetti dell’interesse di Simmel per la religione. 89 Dumont 1991, 94. 88

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ramento del “deserto dell’infinito metafisico”90 nel quale non riuscivano ad orientarsi con le loro sole forze. A questo fine Moritz rielabora, alla luce dell’intuizione della potenza salvifica di ciò che lo circonda, la Natura e la comunità degli altri esseri umani, le suggestioni che animano il contesto europeo del periodo – gli influssi dell’Illuminismo, la riscoperta di un possibile ruolo attivo per l’uomo – e giunge alla nozione del Tutto, dove universale e particolare sono tanto essenzialmente correlati da fargli affermare l’esigenza “di non perdere mai più di vista, nell’individuale, il tutto”91. La Natura assume, a seguito di questo ragionare, una tonalità religiosa che si trasferisce poi parzialmente al nuovo oggetto che viene ad inserirsi nella catena delle somiglianze: “L’opera d’arte differisce in questo da tutti gli oggetti d’uso e da tutti gli oggetti naturali, è simile solamente al grande Tutto della natura. Si tratta di un privilegio straordinario che fa di essa l’eguale della Natura, e del Bello l’eguale o piuttosto il sostituto di Dio”92. In questa costellazione si ripristina qualcosa che ricorda l’antica equazione tra etica ed estetica di Platone, il kalós kai agatós, implicando però conseguenze inedite di non poco conto, come si evince dalle considerazioni relative alla posizione dell’uomo nei confronti dell’opera d’arte. Egli può esserne autore e fruitore. Nella prima veste diviene capace di realizzare un qualcosa che ha i caratteri dell’entità suprema, trasformandosi da vittima inetta di dinamiche incommensurabili in una sorta di demiurgo, che solo un passo teorico – presto compiuto – separa dalla facoltà di intervenire nel mondo e modificarlo a suo piacimento. Sarà sufficiente cancellare la distinzione fondante tra opera d’arte e oggetto d’uso perché l’azione creativa umana assuma i tratti dell’onnipotenza, efficacemente aiutata in questo dai progressi scientifici e tecnologici. Se il creatore assume caratteri sovrumani, altrettanto non può dirsi del fruitore dell’opera d’arte, colui che nel piacere della contemplazione dimentica se stesso. L’uomo, in questo ruolo, è in una posizione opposta rispetto alla precedente: egli è, secondo Moritz, assolutamente subordinato all’opera d’arte che trasfigura dei contenuti particolari in un assoluto in sé compiuto e così facendo riscatta la transitorietà del mondo e dell’essere umano stesso. Avendo divinizzato il Bello, Moritz non può che porre ciò in cui questo si manifesta su un piano superiore a quello della “realtà” comune. Si badi tuttavia a un’essenziale sfumatura, caratteristica della cultura filosofica tedesca: “C’è 90

Ivi, 102. Ivi, 103. 92 Ivi, 98. 91

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una distinzione classica nella filosofia tedesca tra la realtà: Realität, e il mondo reale: Wirklichkeit. La Realität (realtà) ingloba la Wirklichkeit (mondo reale) e le dà senso”93. Moritz fa uso proprio del termine Wirklichkeit nella sua trattazione, riferendosi quindi a quella che si potrebbe definire weberianamente “realtà costruita culturalmente”, che viene perciò a trovarsi gerarchicamente sottoposta all’altra, dove la Bellezza eleva le opere d’arte al rango di patrimonio della specie umana e sorgente eterna di significato. Le due visioni dell’uomo che possono derivarsi dalla riflessione moritziana vengono a collidere nella netta affermazione della superiorità qualitativa dell’opera d’arte. È l’ennesimo esempio di quel gusto del paradosso tanto diffuso nel pensiero tedesco da costituirne un tratto distintivo e da caratterizzarsi come strumento euristico, com’è il caso in Simmel; ed è un paradosso che Moritz non risolve, limitandosi a privilegiarne un aspetto, armonico alla sua formazione di impronta pietista. L’autore, come il fruitore dell’opera, deve sacrificare se stesso alla sua realizzazione, trascendersi, farsi sacro – come indica l’etimologia del verbo “sacrificare” – per arrivare, con la sua opera, a redimere la realtà e se stesso, altrimenti irrimediabilmente incompleti. Nel gesto ultimo della creazione, l’artista scompare come uomo particolare, così come lo spettatore si annulla nella contemplazione, che lo strappa a sé per elevarlo alla percezione della totalità del Mondo e del Bello: “L’estetica di Moritz presenta una sintesi o combinazione originale di razionalismo e di misticismo. Questa sintesi ha qualcosa di affascinante e osservandola più da vicino ci si rende conto che questa qualità è dovuta al suo essere in sé contraddittoria”94. La tragedia di Michelangelo troverebbe in questa scelta ingiustificabile la soluzione di quiete e adempimento che le era di fatto negata dal compito titanico che egli aveva imposto a se stesso: realizzare l’infinito nel finito95. Michelangelo è stato una delle più illustri vittime di una confusione di piani tutta occidentale che nel problema dell’opera d’arte si ripropone in tutta la sua inat-

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Maffesoli 1996, 70. Dumont 1991, 104-105. 95 “Nessuno come Michelangelo aveva fatto tanto per chiudere la vita nel cerchio della forma terrestremente visibile dell’arte, perché essa trovasse in sé la propria soluzione, non solo creando a partire dal corpo e dall’anima, che fino ad allora era appesa al cielo, un’unità della visione ancora ignota, ma portando ad espressione finita tutte le discrepanze del vivere, tutte le tragedie che si sviluppano tra i suoi livelli superiori ed inferiori, nel singolare movimento delle sue figure, nella lotta delle loro energie. Ma nel dare forma definitiva alla possibilità di portare la vita, per la via dell’arte, ad unità e completezza, gli divenne terribilmente chiaro che in questi limiti non c’era la fine”; Simmel 1985a, 135. 94

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tuale centralità, una confusione venuta in essere quando “il procedere infinito delle linee terrene sostituì l’orientamento delle linee verso l’ultraterreno, che, a ben guardare, non è infinito nello stesso modo, ma in qualunque momento può giungere alla propria meta e al proprio definitivum”96. Le parole sibilline di Simmel nascondono forse il disagio per la consapevolezza ormai inesprimibile cui Moritz, ancora nella fede, aveva potuto dare voce sebbene già con difficoltà. L’avvento della Ragione e poi del razionalismo ha imposto al discorso filosofico dei tabù che solo negli ultimi anni stanno perdendo efficacia e potenza e ha fatto sì che la dimensione propriamente numinosa dell’opera d’arte venisse progressivamente celata dietro considerazioni di ordine tecnico o estetico nel senso finora diffuso di separato dal reale, solamente apparente. Il rapporto tra artista e creazione riporta tuttavia in piena luce le difficoltà che si celano in questo oggetto che per secoli si è voluto considerare un semplice abbellimento, dopo che la storia precedente l’aveva fatto strumento ed epifania del divino. Ora, sull’onda di una riflessione che si è emancipata dagli interdetti ricordati, torna ad affermarsi il valore immediato ed evidente dell’esperienza estetica e si tratta di un’affermazione che, come si è cercato di mostrare, ha conseguenze profonde sul modo di concepire la realtà e l’uomo in essa. Chiaro in Moritz, implicito ma facilmente evidenziabile in Simmel, è il tema non dello statuto particolare dell’opera d’arte, bensì del suo statuto superiore, nella riscoperta di un concetto ideologicamente rimosso dal pensiero contemporaneo, ma fenomenologicamente tutt’altro che scomparso: la gerarchia. In un contesto dove la proclamazione dell’uguaglianza universale tra gli uomini si associa a un’equivalutazione quantitativa degli oggetti, che nessuna qualità distingue se non il prezzo loro attribuito, l’opera d’arte si inserisce con la potenza deflagrante di un ordigno, da qualunque parte la si consideri – e non è da escludere che anche in questo si fondi il potere di distorsione che Simmel le attribuisce. Se avvicina il suo autore alla divinità, lo separa irreparabilmente dal resto degli uomini rendendolo per di più migliore di loro; se lo sottomette a sé insieme a chi ne gode, smentisce il valore fondamentale dell’individuo invertendo i termini del rapporto uomo-oggetto sopra menzionato97; se si ammette il suo fascino se ne nega l’equivalenza con le altre cose minando alla base l’idea cartesiana di res extensa e ci si ritrova con un quid inesplicabile che riapre botole che si presumevano definitivamente cementate.

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Ivi, 126. Vedi supra, 78-79.

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Una considerazione non più asettica di un manufatto tanto particolare rivela connessioni tra piani del sapere che il senso comune vuole privi di contatti e reciproche influenze e chiama in causa assiomi inespressi della visione del mondo soggiacente a questa cultura, rivelando una volta di più come l’estetica simmeliana sia un modo della conoscenza e non una disciplina particolare e inoffensiva. La riflessione sui tanti nodi problematici appena evidenziati non è che agli inizi, ma sembra presentarsi come un degno banco di prova per un pensiero che si vuole capace di conservare la complessità e la ricchezza del reale. In questo senso e a mo’ di conclusione, sembra possibile correggere il titolo stesso di questo scritto: l’immagine dell’isola, cara a Moritz e a Simmel, è forse troppo netta, nel suo luminoso isolamento, per dar conto delle perturbazioni che l’opera d’arte arriva a provocare nel mondo. L’idea di una “peninsulare completezza”98 le si attaglia meglio, quando si privi l’immagine della consueta spazialità e la si veda invece protendere le sue coste nebbiose verso livelli diversi della realtà, così come l’artificio della distanza andava depurato, secondo Simmel, della sua esteriorità per potersi fare strumento euristico: “Noi dobbiamo relegare innumerevoli volte nell’immagine spaziale del vicino e del lontano la relazione di contenuti spirituali, la cui essenza interiore è del tutto estranea alla esteriore misurabilità di questo simbolo”99.

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Vozza 2002, 76. Simmel 1970, 43.

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Stefano Fanini La musica nell’opera di Georg Simmel

1. Il procedimento artistico-musicale come processo d’elaborazione intellettuale Negli Psychologische und ethnologische Studien über Musik Simmel cerca di dimostrare un’ipotesi sulle origini dell’espressione musicale. L’Autore parte dalla confutazione di una tesi di Darwin secondo la quale la lingua parlata sarebbe successiva rispetto al canto, il quale troverebbe la propria origine nell’esigenza dell’uomo di esprimere l’istinto sessuale. Per Simmel la lingua parlata nasce come elaborazione progressiva delle forme espressive umane primordiali, collegata ad un’esigenza di manifestazione delle emozioni che non trovano nei gesti e nelle grida forme adeguate di estrinsecazione. Afferma Simmel: “Lingua e spirito si sviluppano in un reciproco sostegno e consolidamento, dove ogni progresso dell’uno si fonda su quello dell’altro. […] Nei primitivi, quindi, laddove c’è un processo psichico c’è anche una lingua”1. Il processo che porta alla nascita del canto è molto graduale ed avviene passando dal grido alla lingua e da quest’ultima al canto. E ciò avviene man mano che i processi psichici aumentano di complessità. Il canto consiste in un’“elevazione musicale” delle parole, grazie ad elementi ritmici e di modulazione, dovuta a stati emozionali che non possono essere esternati solo con la semplice espressione verbale. Le emozioni alle quali si riferisce Simmel sono della più varia natura: sessuale, religiosa, bellica. È in presenza di tali emozioni che il parlare si arricchisce di ritmo o di modulazione: per esprimere la collera la voce è forte; nell’avvilimento la voce è bassa e monotona; nell’impiego di energia che si ritrova ad esempio nelle campagne militari, le attività, comprese quelle vocali, acquisiscono un carattere ritmico. Analogamente alle emozioni appena menzionate, lo stato d’animo gioioso riproduce anche nell’intonazione della parola tale slancio: è l’armonia interiore che trova nel canto un’adeguata espressione esteriore. Tra gli elementi che stanno all’origine del canto Simmel menziona anche quello mistico-religioso, e sottolinea come il pathos, con il quale vengono pro1

Simmel 1881, § II.

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nunciati i giuramenti, le preghiere e le formule magiche, conferisca loro un andamento vocale molto simile al canto. Un altro elemento naturale della musica si ha nel canto collettivo di un refrain: quest’ultimo trova la propria origine nell’emozione che spingeva gli ascoltatori ad imitare spontaneamente la melodia del cantore principale o ad accompagnare con le mani il canto. È da qui che nascono i canti popolari: le parti più piacevoli ed emozionanti spingevano gli ascoltatori a cantarle insieme: era anche grazie alla parola, che facilita la memorizzazione, che le parti di tali canti venivano ripetute da tutti gli ascoltatori in quanto erano ben impresse nella mente. Del resto Simmel sottolinea come ci sia una propensione negli individui ad esprimere le proprie emozioni tramite melodie conosciute prima di passare ad elaborarne di nuove ed aggiunge, citando Goethe, come la musica “quanto più è antica e quanto più ci è familiare, tanto più fa effetto”2. Analogamente al canto, che nasce dal semplice parlare, anche la musica strumentale trova la propria origine nel semplice rumore. In questo stadio originario l’espressione musicale, sia quella vocale che strumentale, non è ancora arte. Più la musica perde, nel corso della sua evoluzione, il suo carattere naturale ed immediato, tanto più si avvicina all’espressione artistica nel suo senso più autentico3. Nell’argomentare le sue ipotesi, Simmel si serve di esempi, spesso bizzarri e talvolta eccentrici, tratti sia dall’ambito della psicologia sia dai resoconti delle prime ricerche etnomusicologiche. Questo modo di procedere non ha portato molta fortuna all’Autore, tant’è che il suo lavoro sulle origini della musica, presentato come tesi di dottorato in filosofia, venne respinto con giudizio sprezzante, non solo per la carenza di un metodo scientifico, ma anche per gravi imprecisioni nella forma. La carenza di metodo scientifico è stata un’accusa mossa anche da Durkheim che, formulando un giudizio complessivo sul metodo di Simmel, ha affermato: “Le prove da lui addotte consistono generalmente in semplici esemplificazioni: alcuni fatti sono citati togliendoli a prestito da campi più disparati, senza essere preceduti dalla critica, e spesso senza che si possa apprezzarne il valore”4. E ciò sembra tanto più vero nel caso del saggio sulla musica, dove si ha effettivamente l’impressione che sia predominante la libertà d’immaginazione sul metodo scientifico5. 2

Simmel 1881, § X. Simmel 1881, § II. 4 Cit. in Frisby 1985, 166. 5 Cfr. Del Grosso Destrieri 1992, 337-344. 3

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 113

Tuttavia questo scritto merita di essere preso in considerazione non solo perché rappresenta un studio pionieristico di etnomusicologia6, ma anche perché in questa maniera di procedere, caratterizzata dall’“utilizzo da bricoleur di mille materiali”7, si possono cogliere quegli elementi di forma e di metodo che poi sono diventati caratterizzanti il suo modo di procedere. Lukács ha evidenziato come questo autore fu “il rappresentante più espressivo del «pluralismo metodologico»; il pathos del suo fare filosofia sorse dalla sorprendente conoscenza della infinita molteplicità delle possibili posizioni e obiettivazioni filosofiche”8. Si può quindi assumere, condividendo una tesi di Kracauer9, che il “metodo” di questo Autore deve talvolta essere accostato al “processo di creazione artistica”. Scrive Simmel ne I problemi fondamentali della filosofia: “La comprensione dell’arte è stata interpretata come il ripetersi, in una forma particolare, del processo creativo dell’artista nel contemplatore. Ora come in realtà la grande opera d’arte rende sensibile l’intero fascio dei raggi della vita che in lei convergono quasi al proprio vertice, trasportando, in un certo qual modo, in noi il processo di concentramento e di elevazione proprio della creazione artistica, il grande pensiero filosofico è il risultato più puro di una vita di vasta esperienza, che quel pensiero induce a rivivere sino al punto in cui rifluisca in lui stesso. Ma, come l’intima comprensione ricreatrice dell’opera artistica è il premio solo di una costante e coscienziosa dedizione all’arte, gli astratti e rigidi concetti dei sistemi filosofici svelano la loro interna dinamicità e il vasto senso del mondo

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A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, presso l’Istituto di psicologia dell’Università di Berlino, un gruppo di ricercatori, attorno ai quali prese vita la cosiddetta “Scuola di Berlino” – primo centro operativo di studi etnomusicali – si stava vivamente interessando allo studio dei processi mentali implicati dalla musica “fondandosi principalmente sull’analisi delle altezze e delle melodie, su quella dei sistemi di accordatura e sulle misure delle scale e degli strumenti” (Giannattasio 1998, 49-50). Sempre presso quell’Università, nel 1902 venne creato uno dei più importanti archivi sonori (il Phonogramm-Archiv) per i futuri sviluppi dell’etnomusicologia, nel quale, nel giro di poco tempo, vennero raccolti migliaia di cilindri Edison registrati in ogni parte del mondo. Come ha messo in evidenza Giannattasio, il “nascente campo di studi musicali” (denominato a quel tempo “musicologia comparata”) era nato per individuare le costanti e le fasi evolutive universali della musica e in questo momento iniziale è “fortemente caratterizzato dalle teorie dominanti nelle scienze umane”; Giannattasio 1998, 45 e ss. 7 D’Andrea 2001, 2. 8 Lukács 1918, 119, corsivo mio. 9 Cfr. Kracauer, 1920-21, 309 s.

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che in loro s’è informato solo allo sguardo che si sia lungamente esercitato su di essi e sui processi in cui si radica il loro significato profondo”10. Che Simmel avesse la consapevolezza, ai tempi della stesura della sua tesi di dottorato, di aver interiorizzato il procedimento artistico-musicale nell’elaborazione del suo scritto sulla musica, è tutto da dimostrare; ma non si può trascurare il fatto che quest’Autore abbia compiuto degli studi musicali sin da giovanissimo e che in qualche modo tale percorso, anche se non è sfociato in una carriera musicale, abbia inciso sul suo metodo di studio e di analisi o comunque sulla sua forma mentis. Del resto la “sensibilità musicale” del carattere di Simmel è stata messa in evidenza anche da Max Weber in una lettera del 1911, ricordando un incontro avvenuto con il collega ed amico, durante un concerto della Filarmonica di Berlino, tenuto alla Beethovensaal11. Alla luce di quanto detto sopra si può ipotizzare che Simmel, nell’elaborazione degli Psychologische und ethnologische Studien über Musik, abbia interiorizzato il procedimento di costruzione della composizione musicale. È come se l’Autore fosse diventato, in un certo senso, anche lui un compositore. Il processo creativo musicale, su cui mi soffermerò più diffusamente nel paragrafo successivo, non viene spiegato da Simmel in maniera organica, ma si può solo tentare di ricostruirlo attraverso i numerosi frammenti che compaiono all’interno delle sue opere. In questa sede è sufficiente dire che, per Simmel, l’opera d’arte musicale nasce a partire da un seme spirituale inconscio e matura alla stessa maniera in cui avviene una crescita organica: nel corso di questo processo, l’artista si chiarisce progressivamente, aggiungendo elementi che, contenuti in potenza ed in maniera “inestesa” nel seme spirituale, si dispiegano progressivamente lungo il cammino che porta alla piena maturazione dell’opera d’arte musicale; e saranno il volere e il sentire dell’artista a isolare, tra tutti i possibili elementi, le forme che meglio spiegano il nucleo centrale della composizione stessa. Lo stesso tipo di lavoro sembra che sia stato fatto da Simmel nello scritto sulla musica: il suo modo di porre l’esempio ad hoc nel posto giusto, per avvalorare le sue affermazioni sembra, a prima vista, un modo di portare delle dimostrazioni arbitrarie o un modo di filosofeggiare secondo le proprie preferenze; tuttavia, alla luce di quanto appena detto, tali esemplificazioni possono essere considerate alla stessa maniera degli elementi che gradualmente vanno a

10 11

Simmel 1972, 35. Cfr. Perucchi 1976.

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 115

comporre in maniera unitaria un’opera d’arte musicale e che devono contribuire a spiegarla nella maniera più chiara e completa possibile. Come nella creazione musicale non assume alcuna importanza il fatto che gli elementi che ruotano intorno al nucleo centrale della composizione siano presi dai campi più disparati, così nell’opera di Simmel compaiono esempi bizzarri con il solo compito di conferire forza alle ipotesi portate avanti dall’Autore. Tale modo di procedere sicuramente non dà luogo ai risultati che normalmente un lavoro di ricerca produce, in quanto se da un lato rende sicuramente “forti”, nel senso musicale del termine, le asserzioni dell’autore, dall’altro non conferisce al lavoro una veste scientifica. Questo, tuttavia, non basta a negare una certa validità allo studio di Simmel. Nella sua riflessione l’opera d’arte possiede una sua logica e un suo concetto di verità, così un lavoro di ricerca, portato avanti con lo stesso metodo, approda allo stesso risultato. L’esito che si raggiunge con tale modo di procedere non è la rappresentazione della realtà, bensì quella che Simmel chiama la “verità dell’arte”. Quest’ultima deve essere intesa come casualità dell’esperienza vissuta dell’artista che si trasforma in un accadere universalmente valido12; tale universalità non ha un significato oggettivo in quanto il tema della composizione non corrisponde affatto con l’universale concetto logico: il messaggio della composizione acquisisce senso e valore solo in relazione a tutti i potenziali fruitori dell’opera d’arte musicale. È come dire che la verità dell’opera d’arte emerge in tutta la sua pienezza nell’incontro tra l’anima dell’artista e quella di ogni potenziale ascoltatore. È una verità che emerge nella relazione tra la composizione, che racchiude in sé lo spirito dell’artista, e l’ascoltatore. “L’opera d’arte contiene implicitamente non l’unità di molte cose, bensì l’unità di molte anime, in quanto dà vita a quei punti in cui queste, pur con tutte le loro diversità, giungono a sviluppare reazioni essenzialmente analoghe […] Ciò che oggettivamente è del tutto individuale è costruito in modo da risultare soggettivamente riproducibile e comprensibile in senso universale”13. Già ai tempi degli Psychologische und ethnologische Studien über Musik Simmel scriveva che la relazione che si instaura tra il compositore e l’ascoltatore si realizza in base allo schema “stato d’animo del compositore-musica-stato d’animo dell’ascoltatore”: in tal modo viene in rilievo il fatto che la musica nasce a partire da un’emozione e non può che produrre nell’ascoltatore stati d’animo 12 13

Cfr. Simmel 1982, 62. Simmel 1982, 62.

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simili. Tuttavia quando la musica diventa arte, e quindi quando si verifica nel compositore quel superamento dell’immediatezza delle emozioni che l’arte richiede, la sequenza sopra delineata non vale più e la musica costituisce l’appagamento dei bisogni dell’anima di chi l’ascolta senza che l’emozione che si crea in chi recepisce l’opera sia presente in chi la scrive. A questo proposito è significativo quello che Simmel afferma nella sua tesi di dottorato: “Nel corso della sua evoluzione la musica perde sempre più il suo carattere naturale; quanto più lo fa tanto più si avvicina al suo ideale di arte. […] Questo assolutamente non significa che gli stati d’animo, o solo quelli caldi e appassionati, svaniscano dalla musica e non la debbano più stimolare o essere da essa stimolati. Solo che la musica e il modo con cui viene offerta non deriva direttamente da questi stati d’animo come era successo all’origine, ma deve essere solo un’immagine di essi, riflessa dallo specchio della bellezza. In tal senso ha un suo fondamento la vecchia affermazione che la musica – alla stregua di ogni altra arte – dovrebbe imitare. Imita i suoni che si sprigionano dal petto per effetto di un’emozione”14. Un altro elemento che mostra come il procedimento artistico possa valere come metodo di elaborazione intellettuale risiede nel fatto che, se una ricerca fatta con metodo scientifico tendenzialmente circoscrive la validità dei risultati ad una determinata realtà spazio-temporale o riguarda solo un determinato gruppo di individui, la validità del messaggio di cui è portatrice un’opera d’arte arriva, in un certo senso, solo a chiunque, più o meno consapevolmente, la vuole a prescindere dalla realtà spaziale e temporale nella quale è inserito l’individuo. Per Simmel la composizione musicale, come ogni opera d’arte, “appartiene a quei rari doni della vita, che sono destinati a soddisfare un bisogno, che essi stessi risvegliano nell’attimo stesso in cui il loro esserci lo soddisfa. […] Un riscontro assolutamente perfetto lo offre, forse, solo l’amore, e, cosa mirabile, sia nel suo grado più sensuale che in quello più spirituale. […] Il fatto di essere, come nell’opera d’arte, nel segno di un bisogno soddisfatto, di una domanda cui si è risposto, di un’esigenza placata, dà all’amore, come all’opera, la sua compiutezza, la sua beatitudine in sé ”15. Una composizione musicale, come ogni produzione artistica, in quanto espressione dello spirito oggettivo, acquisisce una validità metaindividuale e atemporale. L’artista pertanto trova la propria realizzazione non solo nel fatto che, una volta realizzata l’opera, si è liberato di tutte le proprie tensioni interne 14 15

Simmel 1881, § VII. Simmel 1970, 89, corsivo mio.

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 117

e quindi ha soddisfatto le proprie esigenze espressive, ma anche nel fatto che ora “quest’opera esiste e […] il cosmo delle cose di un qualche valore si è arricchito di un pezzo”16. La stessa validità appartiene agli studi che ha compiuto Simmel, i quali, nella pluralità dei metodi utilizzati e nonostante la mancanza di un preciso statuto intellettuale del loro Autore, risultano essere tuttora attuali: come ha affermato D’Andrea, i lavori di questo Autore hanno conosciuto “un’eclissi commisurata all’intensità del dono. Dopo la morte di Simmel, un velo di oscurità scende sulla sua figura e sulle sue opere […]; fino ad arrivare ad oggi, in cui Simmel è praticamente un autore à la mode, citato da tutti in ogni occasione”17.

2. Il processo creativo musicale Nelle opere successive alla pubblicazione degli Psychologische und ethnologische Studien über Musik Simmel torna a parlare di questa forma d’arte in maniera tanto frequente quanto frammentaria e senza dare in merito una costruzione organica al suo pensiero. Tuttavia analizzando tali riferimenti – che non di rado si riagganciano alla sua dissertazione di dottorato18 – è possibile ricostruire sia la concezione della musica di Simmel sia qual è il percorso che l’artista segue nella creazione della composizione musicale. Per Simmel il processo creativo musicale prende avvio da un seme spirituale che nasce nella profondità dell’inconscio e continua a crescere con impulsi artistico-spirituali19. È intorno a questo nucleo originario che si sviluppa la composizione. Tutti gli elementi che si aggiungono possono essere anche predeterminati dal momento in cui l’artista sceglie un carattere, uno stile da dare alla sua composizione. E non esiste uno stile artistico perfetto o comunque migliore di altri in quanto la perfezione o l’imperfezione dipendono solo dalla maggiore o minore genialità dell’artista20.

16

Simmel 1985, 194. D’Andrea 2001, 2. 18 Cfr. Simmel 1995, 139; cfr. anche Simmel 1984, 687-693. 19 Cfr. Simmel 2001, 48 e ss. 20 Simmel 1994, 112. 17

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Gli elementi che progressivamente si aggiungono nel corso della maturazione della composizione sono fissati a piacere dal musicista; l’importante è che soddisfino le aspettative di quegli elementi emersi nella fase germinale dell’opera e in particolare che producano nel loro insieme una sensazione di verità intrinseca. Sarà l’impulso artistico che indurrà ad isolare le forme dalla totalità delle possibilità e ad elaborarle secondo i suoi obiettivi. È come se il seme spirituale contenesse già in sé gli elementi che poi andranno a costituire l’opera d’arte musicale nella sua unità, e saranno il volere e il sentire dell’artista a raccoglierli ed elaborarli secondo le esigenze della composizione21. Per Simmel la composizione musicale è classificabile pertanto come “vera” solo se, nella sua totalità “mantiene la promessa che una sua parte ci ha dato spontaneamente”22. Il rapporto che viene a stabilirsi tra gli elementi dell’opera è un legame di necessità in quanto l’uno è necessariamente presente se è dato l’altro. È da questo rapporto di mutua implicazione delle parti, legate da un vincolo di necessità, che l’opera diventa un’“unità”. Notoriamente Simmel ha studiato i fenomeni sociali e distinto forma e contenuto; nel campo della musica tale paradigma non è così evidente poiché nelle composizioni musicali si realizza un’unità di forma e contenuto: ciò che si riconosce nell’opera come valore è legato alla forma, perché essa è la forma di quel particolare contenuto e quel particolare contenuto è il contenuto di quella particolare forma23. Dire che gli elementi di una composizione possono essere anche predeterminati non significa affatto che venga meno l’atto creativo o l’originalità di un compositore in quanto ogni nostra attività esteriore compone e trasforma elementi dati. Non solo la trasformazione e il perfezionamento del dato, tramite uno sforzo proprio dell’individuo, è un atto creativo in sé24, ma ciò che l’artista progressivamente aggiunge corrisponde a ciò che in germe aspettava di dispiegarsi e che è stato “raccolto” dall’artista perché era, per così dire, contenuto nella “mappa genetica” dell’opera d’arte musicale. In quest’ultima sono quindi la volontà dell’artista, il suo intelletto, le sue emozioni e i suoi sentimenti che comprendono in sé le possibilità di sviluppo della composizione.

21

Cfr. Maffesoli 2000, 73 e ss. Simmel 1984, 165. 23 Ivi, 296. 24 Cfr. Simmel 2001, 217. 22

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 119

Non si può affermare che la creazione musicale venga in mente al compositore in un unico istante creativo. Una melodia, quando è ultimata, si presenta come una successione temporale di singoli suoni, ma l’atto autentico del concepimento non la contiene ancora. Nel momento in cui si origina, è solo una forma spirituale: la molteplicità degli elementi e l’estensione della melodia sono solo in potenza e si dispiegano in maniera graduale25. Il procedimento artistico26 può dirsi concluso solo nel momento in cui l’artista ha sviluppato la composizione nella maniera più completa. È chiaro quindi che il processo intimamente creativo è completamente diverso da quello che va dall’universale al particolare. Si risolve solo sul piano del progressivo chiarirsi, articolarsi, elaborarsi di una visione artistica e il percorso seguito darà luogo ad un prodotto che sussiste nella sua unicità individuale e, se ciò che il compositore voleva non è stato reso in modo del tutto completo, “l’insoddisfazione non viene da un’esigenza di completezza generale, bensì dall’esigenza della completezza più grande, della unità più grande, dell’approfondimento proprio di questa insostituibile raffigurazione individuale”27. L’immediatezza della vita emotiva è presente nell’espressione musicale in quanto la musica si fonda su emozioni intime soggettive: il carattere estetico di un’opera d’arte, tuttavia, richiede il superamento dell’immediatezza di tali emozioni. Afferma Simmel che per quanto le emozioni, con la loro impulsività, la loro limitatezza personale, la loro irregolare casualità, costituiscano la materia prima ed il prerequisito dell’opera d’arte musicale, la purezza dell’arte richiede invece una distanza, una separazione da esse28. Il significato e il valore della musica sta proprio nel fatto di elevarci dall’immediatezza del rapporto con noi

25

Ivi, 49-50. Per Simmel la produzione artistica, negli stadi di maggiore affinamento e di più intensa spiritualizzazione, è legata anche ad un livello molto alto di sviluppo intellettuale. L’intelligenza è collegata con la volontà a tal punto che il massimo livello e le prestazioni artistiche più alte si possono riscontrare soltanto quando la volontà manifesta la più energica vitalità. Ma la motivazione puramente artistica trarrà giovamento dallo sviluppo intellettuale solo se la volontà non si sarà eccessivamente specializzata. Esiste infatti la possibilità che il pensiero perda la propria indipendenza, la propria direzione essenziale; e ciò può avvenire nel caso in cui l’energica vitalità che si sviluppa dalla volontà lo indirizzi verso il contenuto specifico della volontà. Il pensiero è libero solo se esprime i propri motivi interiori e se è svincolato dalle connessioni con i sentimenti e le volizioni che intendono portarlo su di una strada che non gli è propria; cfr. Simmel 1984, 450-451. 27 Simmel 1970, 88. 28 Simmel 1984, 229. 26

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stessi e con il mondo. È vero che l’originalità e il fascino di una composizione vivono in ciò che matura a partire da un sentimento, in una vibrazione originaria dell’anima, ma non è nella forma immediata del contenuto emotivo che si esprime l’opera d’arte musicale. Prendere le distanze dalle proprie emozioni significa, in un certo senso, riconquistare libertà e autodeterminazione dopo che la direzione del nostro agire è stata condizionata da gravi impedimenti e costrizioni esterne: in questo senso l’energia che si libera nell’atto creativo è, utilizzando un’espressione di Simmel, come “un’onda nella corrente della vita”29. La grandezza di un’opera non dipende solo da questioni esclusivamente tecniche. La tecnica, quando è la cosa principale e lo scopo ultimo dell’artista, non solo non raggiunge mai un livello di perfezione, ma non conosce altro sbocco se non il degenerare nel tecnicismo. Nel sottolineare questo aspetto Simmel afferma come esista un limite oltre il quale il musicista non è più padrone del suo strumento. Per quanto egli possa avere sviluppato delle capacità, lo strumento oltre un certo punto non ci appartiene più e seppure sia minimo il limite al quale egli deve sottomettersi, tale punto esiste30. È vero che la produzione artistica deve tendere verso la perfezione, ma la completezza che l’opera d’arte richiede deriva da un particolare approccio dell’artista nei confronti del suo lavoro. I grandi artisti, sostiene Simmel, oltre alle capacità tecniche, hanno capacità di altro genere riconducibili e maturate in “una straordinaria ampiezza e una straordinaria intensità della vita nel suo complesso”31. I capolavori della musica sono il prodotto della personalità, delle vicende, dell’esperienza e delle individuazioni del loro autore, sono manifestazioni di un pulsare e di un creare immediato che è proprio della vita individuale, e la cui continuità non si interrompe affatto col loro nascere. Il musicista o il compositore concentra tutta la propria energia nella pratica della sua arte ed è la sua vita che si estrinseca attraverso la musica. Dire che la vita confluisce nella creazione o nell’esecuzione musicale significa dire che la sua esperienza fuoriesce dalla vastità e dalla profondità di un vissuto del tutto singolare. La musica è l’“occasione” nella quale emerge l’energia psichica dell’artista. Alla base di ciò sta il fatto che la vita vuole esprimere solo se stessa: è come se la commozione psichica del musicista si prolungasse

29

Simmel 1970, 82-83. Cfr. Simmel 1984, 564. 31 Simmel 1970, 80. 30

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 121

nella mano che suona o che scrive e tale gesto non fa altro che esprimere l’interna emotività a prescindere dal tema della composizione. Cosicché il risultato finale fissato sullo spartito o nell’esecuzione dell’artista risulta essere un immediato precipitato della vita interiore che non vuole alcun freno quando si esprime, obbedisce solo a se stessa, infrange ogni forma che le sia imposta da un’altra realtà32. La composizione musicale non appena riesce a diventare realizzazione artistica lascia dietro di sé questa condizione del suo divenire. Esiste un momento in cui l’opera d’arte musicale fuoriesce dal flusso vitale, dal quale ha attinto energia e profondità, e a cui deve sempre e comunque la propria esistenza, per scegliere e creare gli elementi che meglio consentiranno di rappresentarsi33. Si è sin qui affermato che le composizioni musicali nascono da uno stimolo, da un impulso; ma il prodotto finale non deve necessariamente avere una somiglianza morfologica con ciò da cui questo procede. Se l’impulso da cui nasce, per esempio, è religioso, non necessariamente l’opera risultante dovrà esprimere in maniera esplicita e diretta un tema religioso. Quanto detto vale per tutte le forme d’arte e diventa ancor più vero nel caso della musica. L’atto del suonare o del cantare, la composizione musicale, sono pervasi dello spirito dell’esecutore a prescindere dal tema della composizione. Non occorre che il testo di una composizione parli in maniera esplicita di ciò che si vuole esprimere, perché il suo processo vitale trasmette da sé il suo carattere a tutti i suoi contenuti34. Semplicemente, il testo delle composizioni stimola e facilita il compositore nella sua esigenza espressiva e l’ascoltatore nel recepire il messaggio. Afferma Simmel: “In certi compositori, sia nel Lied che nell’opera, testo e musica sono completamente indipendenti fra loro. Mozart mette in musica perfino il testo più misero con la certezza che l’autonoma bellezza della musica lo soverchi; in questo come in altri casi, parole e suoni formano sì un’unità effettiva, ma si situano in ordini di importanza differenti”35. Un discorso analogo viene sviluppato da Simmel a proposito dei cantanti: quegli esecutori che non prestano attenzione al testo, e che quindi possono

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Cfr. Simmel 1999, 29. Cfr. Simmel 1983, 78. 34 Cfr. Simmel 2001, 155. 35 Ivi, 187-188. 33

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pronunciare anche le parole più insensate, riescono ad interpretare la melodia con maggiore sentimento e con una sensibilità più vera e profonda36. Simmel vuole sostanzialmente porre in rilievo come non sono le singole parti della musica a fare grande un’opera e in linea con questa affermazione sottolinea come a fare la grandezza di una musica non sia nemmeno la melodia; emblematiche erano le melodie eseguite dai Greci che erano costruite con un ristretto numero di note, per di più racchiuse in intervalli molto stretti, ma che risultavano tanto più affascinanti quanto più i musicisti prestavano attenzione alla sfumatura e all’esecuzione. Simmel concorda con Schopenhauer nel ritenere che “una creazione artistica è tanto più grande quanto meno deve la sua grandezza al tema”37. Il particolare fascino e la compiutezza di certe composizioni sta nell’incapacità delle singole parti di far vivere a livello psicologico un significato indipendente da quello che emana dall’emozione dominante o dall’intento artistico del tutto; ciò fa sì che vengano eliminate tutte le possibili associazioni delle note e delle parole e restino riconoscibili solo quelle che colgono il messaggio centrale della creazione musicale; cosicché il tutto risulta artisticamente più compiuto nella misura in cui i suoi elementi perdono il loro significato individuale ed indipendente. Il valore artistico di una composizione musicale, all’interno di questo discorso, è come quello di un mosaico che “è maggiore quanto più piccole sono le singole tessere che lo compongono; i colori del tutto appaiono più appropriati e più sfumati se la singola tessera presenta un colore insignificante, semplice, di per sé scialbo”38. Un altro punto su cui Simmel pone l’accento è che le composizioni musicali non sono una mera riproduzione della realtà. Non mancano in ogni momento della storia dello sviluppo artistico esempi di puro rispecchiamento della realtà. Dal punto di vista del realismo, l’arte tende alla completezza quando si accentua in essa l’elemento evidente. Per Simmel, nel momento in cui tale elemento riproduce l’unico contenuto dell’opera d’arte, non si può più distinguere l’opera d’arte dalla realtà in quanto verrebbe a perdere il suo significato come entità separata39. La compiutezza e l’espressione spirituale si presentano nella musica in un modo tale che non ci

36

Simmel 1881, § VII. Ibid. 38 Simmel 1984, 292; cfr. anche Simmel 1881, § VII. 39 Cfr. Simmel 1984, 247. 37

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 123

può essere offerto dalla realtà, poiché altrimenti non si comprende perché, oltre alla realtà, abbiamo bisogno anche di un’arte40. La composizione musicale per Simmel deve apparire come un mondo separato in linea di principio dall’impressione della realtà. Come nella pittura si ha una trasformazione della realtà tangibile in percezioni puramente ottiche, così avviene nella musica “che risveglia in noi innumerevoli suggestioni da tutti i piani della vita” e “il cui fascino del tutto particolare e la cui profondità consiste proprio nel fatto di essere, per così dire, diventate musica. Esse accompagnano l’andamento dei toni non come contenuti automaticamente uguali e forse soltanto un po’ sbiaditi, ma in una specifica trasformazione e trascolorazione: devono subire una modificazione allotropica per potersi collocare nell’ambito dell’impressione musicale come suoi satelliti; altrimenti sarebbero accanto ad essa estranee, appartenenti a un altro ordine di cose”41. Tuttavia l’arte, anche la più fine e fantasiosa, che prende una distanza massima da ogni modello reale, deve comunque riferirsi a una qualche realtà se non vuole scadere nel vuoto e nella menzogna42. L’arte vive dei contenuti elementari della realtà. Accanto al mondo del reale, la musica è un mondo nuovo plasmato secondo le esigenze artistiche del sentire e del significato43. Ho sinora mostrato come Simmel cerchi di spiegare il significato della musica a partire da un’analisi del processo creativo dell’artista. Tuttavia le riflessioni svolte dall’Autore non riguardano la musica solo dal lato di chi la compone, ma anche dal lato di chi la fruisce. Nel fare questo egli pone in luce i risvolti più squisitamente sociologici di questa forma d’arte. Dall’Excursus sulla sociologia dei sensi emergono i significati che la musica assume all’interno della società, che Simmel chiarisce a partire dalla distinzione che egli traccia, sotto il profilo sociologico, tra occhio ed orecchio. Quest’ultimo è un organo senz’altro egoistico in quanto, se l’occhio istituisce una reciprocità e uno scambio tramite lo sguardo, l’orecchio prende soltanto senza dare: l’orecchio paga tuttavia tale egoismo con il fatto che non può non recepire ciò che avviene nelle sue vicinanze a differenza dell’occhio che può chiudersi o distogliersi. A tale egoismo dell’udito si contrappone l’estrema fruibilità dell’udibile che per sua essenza è sovra-individualistico: all’interno di un medesimo spazio ciò che si può ascoltare è udito da tutti coloro che vi sono

40

Cfr. Simmel 1994, 59-60. Cfr. Simmel 1976, 61-64. 42 Cfr. Simmel 1983, 92. 43 Cfr. Simmel 1994, 59-60. 41

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presenti. Altro elemento che sottolinea tale caratteristica è che la percezione da parte di un soggetto non preclude la fruizione da parte di altri. Inoltre si può dire che ciò che è udibile passa con il momento della sua presenza e non possiamo instaurare su di esso una proprietà; è invece possibile possedere, in generale, ciò che è visibile. Una prima conseguenza sociologica viene individuata da Simmel nel fatto che nei secoli XVII e XVIII le grandi famiglie aspiravano a possedere pezzi di musica composti soltanto per esse e che non potevano essere pubblicati. “Un certo numero di concerti di Bach sono nati su commissione di un principe. Faceva parte della distinzione di una casa possedere pezzi musicali preclusi a chiunque altro”44. Se da un lato quindi la musica, come appena detto, diventa elemento di distinzione all’interno della società, dall’altro Simmel, mettendo in evidenza il fatto che molte persone non possono avere la medesima impressione visiva di ciò che vedono mentre possono avere la stessa impressione uditiva di una composizione, pone in rilievo la straordinaria “azione sociologica accomunante” della musica: “Si confronti il pubblico di un museo con quello di un concerto; la determinazione dell’impressione uditiva, che si comunica unitariamente e uniformemente a una massa umana – una determinazione non soltanto esteriore e quantitativa, ma profondamente congiunta con la sua essenza più intima – unisce sociologicamente il pubblico di un concerto in un’unità e comunanza di stato d’animo incompatibilmente più stretta rispetto ai visitatori di un museo”45.

3. La musica come espressione dello spirito oggettivo La maggior parte dei prodotti dell’attività creativa dello spirito posseggono nel loro significato una certa quota che il creatore non ha realizzato. Scrive Simmel nel suo saggio Concetto e tragedia della cultura: “Nella direzione d’orchestra l’oboista o il timpanista non sanno nulla del suono del violino o del violoncello, tuttavia vengono perfettamente amalgamati dalla bacchetta del direttore”46. La musica – come le proposizioni del diritto, le prescrizioni morali, le

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Simmel 1998, 555. Ibid. 46 Simmel 1985, 204. 45

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tradizioni in ogni campo, la lingua, le produzioni delle altre arti, la scienza, la religione e altro – è espressione dello spirito oggettivo47. In quanto rappresentazione del “contenuto spirituale valido delle cose”, le creazioni sorte dalla genialità e dal lavoro psicologico soggettivo acquistano un’esistenza spirituale oggettiva. Simmel pone l’accento sul fatto, tanto indimostrabile e misterioso quanto indubitabile, che le creazioni di un individuo possano essere legate ad un senso oggettivo48. Quando Simmel parla di musica come oggettivazione dello spirito intende affermare che questa forma d’arte è la risposta che un’anima di particolare sensibilità e colorazione fornisce all’impressione totale dell’esserci: il compositore o il musicista esprimono il senso e il valore della loro comprensione del mondo in cui si manifesta l’Essere. La musica è libera anche dai motivi che causano questa o quella espressione del volere: la musica nel suo linguaggio non esprime questa o quella gioia o tormento, questa o quella sofferenza, ma esprime direttamente la gioia, il tormento, la sofferenza. È per questo che quando una musica adeguata risuona in certe situazioni, accompagna certe azioni o parole, sembra come se si rivelasse il senso più segreto di tali situazio-

47

Quando Simmel parla di spirito oggettivo intende dire che le creazioni umane nel corso della storia acquistano un’esistenza di forma diversa, e mostrano come possano sussistere come qualcosa che in esse non si esaurisce; il loro concreto significato rimane intatto al di sopra della loro vitalità soggettiva in questa o quella coscienza e non ha realmente nulla a che fare con i loro punti di appoggio sensibili. Lo spirito oggettivo fa sì che il lavoro dell’umanità conservi i suoi risultati al di sopra delle singole persone e delle singole riproduzioni. La base soggettiva e storica, la forma particolare nella quale si collocano certe creazioni non fa venir meno l’obiettività di quel lavoro psicologico, di quell’attività spirituale del creatore. Una composizione accoglie in sé lo spirito del suo autore anche se costui è morto. Il suo spirito non sussiste in essa come originario processo psichico, ma sarà la dinamica spirituale dell’ascoltatore a ricostruirlo. Ovviamente tal processo ha per condizione la riproducibilità della composizione. Il contenuto a cui l’ascoltatore dà in sé la forma di processo vivente, sta nell’opera in forma oggettiva anche se l’ascoltatore possa o meno comprenderlo. Anche se egli non lo apprende, tale creazione non perde il proprio contenuto: la sua verità o la sua falsità, la sua nobiltà o volgarità prescinde dal fatto che il significato della composizione sia stato ricreato in spiriti soggettivi con maggiore o minore frequenza; cfr. Simmel 1972, 90-91. In questo senso Simmel, quando parla di oggettivazione dello spirito nelle opere d’arte vuole dire che lo spirito non coincide con ciò che in queste opere è sensibilmente percepibile. Abita in esse in una forma potenziale, e si attualizza nella coscienza individuale. Quindi l’opera d’arte musicale arriva a chi la vuole e nel momento dell’ascolto si realizza una sorta di incontro tra il compositore e l’ascoltatore: lo spirito oggettivato nella composizione si attualizza in colui che recepisce l’opera; cfr. Simmel 1998, 554-555. 48 Simmel 1985, 204 -205.

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ni, azioni o parole49. La musica, esprimendo il senso e la forma vitale dell’Essere, ci offre quindi la realtà effettuale in cui pulsa il ritmo dell’essere metafisico: esprime la realtà effettuale, ma lontano dalla realtà stessa. Sta in questo il motivo per cui anche quando la musica è fatta di dissonanze che esprimono dolore o di melodie melanconiche resta comunque consolante visto che “allontana lo spirito più di qualsiasi altra arte da ogni meschinità, angustia, torbido”50. La musica non è rappresentazione della realtà e riesce meglio di qualsiasi altra forma d’arte in questo intento. La produzione artistica nel suo complesso trova nella musica la sua espressione più pura, tipicamente metafisica. In un certo senso la metafisica è essa stessa arte in quanto opera un’astrazione a muovere dagli elementi dell’esserci dato: tali elementi obbediscono solamente alle richieste spontanee di un impulso ideale lontano dalla realtà51. Il pensiero metafisico non solo elabora astrazioni concettuali ma fa propria anche l’idea che l’intero contenuto del mondo si raffigura materialmente e storicamente in un “autosviluppo logico del concetto” perché il concetto stesso è “spirito del mondo, che vive e si dispiega in noi e nelle cose che sono al di fuori di noi”52. Al di là di tutte le molteplici maniere di concepire la musica, non si può considerarla al di fuori dell’ordine metafisico poiché, più di ogni altra arte, elabora nella composizione l’impressione dell’essere su un’anima del tutto individuale. La musica in questo ci fornisce un’immagine dell’assoluto destino del mondo, di cui essa, in tale ordine, è solo una parte relativa53. Simmel, come aveva già affermato negli Psychologische und ethnologische Studien über Musik, riconosce l’origine della musica in un’elevazione del linguaggio, che fa propri elementi ritmici e di modulazione, per esigenze espressive; tuttavia sottolinea come tale punto di partenza empirico non può da solo bastare a negare l’interpretazione metafisica che deve essere data alla musica. Infatti nella sua fase originaria la musica non può essere considerata una forma d’arte: va considerata invece come un’espressione puramente naturale come il grido che è una manifestazione dell’Essere immediato. Alle sue origini l’intero materiale fonetico si trovava in una condizione fluida a tal punto che grido,

49

Cfr. Simmel 1995, 137-138. Ibid. 51 Ivi, 135. 52 Ivi, 136. 53 Ivi, 140-141. 50

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parola e canto non erano nettamente delimitati. A questo riguardo Simmel enuclea una lunga serie di esempi tratti dalle ricerche etnologiche sulle popolazioni primitive: i canti di guerra dei Bardi vengono qualificati come “frastuono del mare che si infrange sullo scoglio”; i canti religiosi delle popolazioni di Rio de Janeiro sono un insieme non strutturato di suoni, “voci tremule”, grida; i canti d’amore dei Maori sono “suoni gutturali inarticolati emessi con forza” causati dall’intenzione di “marcare la selvaggia passione che scuote l’intera persona”54. È a partire da questa espressione immediata che poi la musica, attraverso affinamenti progressivi e seguendo leggi immanenti, diventa arte, “si libera da ogni casualità di singolo pretesto” e diventa espressione dell’Essere55. Simmel sottolinea come non sono i sensi a darci l’essere: questo può solo essere introdotto dal pensiero, secondo un ordine delle cose differente da quello che si presenta all’intuizione immediata56. Tuttavia l’arte non serve soltanto alla manifestazione delle idee, anche perché lo spirito umano ha un rapporto contingente e variabile con esse. Quando una composizione ci sembra brutta non è detto che ci sia la mancanza oggettiva dell’idea nella rappresentazione, bensì è il pensiero, con le sue inevitabili associazioni, che ci impedisce la pura comprensione dell’essenza ideale. Quindi il valore estetico non è una caratteristica intrinseca dell’idea o della sua manifestazione in quanto esse possono solo produrre tale valore: la categoria del bello nell’arte non è pertanto riconducibile a componenti. Non possiamo definire bella un’idea musicale in sé e per sé. Ciò che definiamo “artistico” o “bello” può essere solo un’opera il cui ascolto ci permette un chiaro sguardo al gradino dell’Essere57.

4. I parametri della musica come chiave di lettura dei fenomeni sociali Già Weber ha messo in evidenza la sensibilità musicale del carattere di Simmel, caratteristica che si riscontra nell’intrecciarsi dell’esperienza e dell’arte musicale e di riflessioni tipiche del discorso sociologico.

54

Simmel 1881, § II. Simmel 1995, 139-140. 56 Simmel 1972, 75. 57 Simmel 1995, 132. 55

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Un primo indicatore di tale stato di cose si coglie nell’uso oltremodo ricorrente di termini propri dell’ambito musicale – come “tono”, “ritmo”, “armonia”, “dissonanza” ed altri – per la definizione di situazioni appartenenti ad altri ambiti della vita. È interessante inoltre notare come, anche quando l’Autore sviluppa riflessioni su argomenti squisitamente sociologici, ricorrano frequentemente esempi attinti da ciò che concerne la musica. Un esempio di quanto appena detto lo si può riscontrare, all’interno della Filosofia del denaro, nella riflessione svolta da Simmel sul “potere”. Il potere è, in termini molto generali, disponibile ed effettivo nel presente, restando incerto il suo possesso per quanto riguarda il futuro; tale incertezza è completamente da escludere nel caso del denaro. Il potere insito nel possesso di denaro viene paragonato da Simmel al “saper suonare”. Il denaro, per il suo carattere di mezzo, da un lato offre possibilità di godimento e, allo stesso tempo, se non viene utilizzato, non offre alcun godimento. Il denaro possiede la stessa idea di “possibilità” insita nel “saper fare” qualcosa. Scrive Simmel: “Chi «sa» suonare il pianoforte si distingue da chi non lo sa fare non solo nel momento futuro in cui lo farà, ma anche nel momento presente, anche se in questo momento non suona, per una diversa disposizione dei suoi nervi e dei suoi muscoli”58. Anche negli Psychologische und ethnologische Studien über Musik viene analizzato il rapporto che esiste tra la musica e il potere, sebbene da un punto di vista diverso da quello appena esaminato: le classi politiche dell’antichità conoscevano il potere della musica di “tranquillizzare gli animi” e utilizzavano pertanto questa forma d’arte per tenere a freno le sollevazioni popolari. L’uso politico della musica si sostanziava anche nella proibizione di certi strumenti e di alcune composizioni. Un altro elemento che evidenzia l’analisi simmeliana della società attraverso le conoscenze musicali è l’utilizzo molto ricorrente di esempi tratti dagli studi etnomusicologici che diventano un termine di paragone attraverso cui interpretare la società del suo tempo. Il punto sul quale va puntata maggiormente l’attenzione è, comunque, che alcuni parametri della musica, e tra questi soprattutto il ritmo, diventano in questo autore una chiave di lettura dei fenomeni sociali. La melodia diventa strumento interpretativo quando l’Autore prende in considerazione il modo di parlare di un popolo e lo pone in relazione al suo carat58

Simmel 1984, 352-354.

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 129

tere. Ho precedentemente sottolineato come a livello individuale la melodia sia strettamente legata con stati d’animo di gioia: Simmel trasferisce il discorso a livello meta-individuale e arriva ad asserire che l’idioma tedesco risulta essere più duro rispetto alle lingue dei Greci e degli Italiani, le quali invece suonano “come musica”, poiché il parlare melodico deriva dal carattere sereno e cordiale di quelle popolazioni. Alla stessa maniera anche presso le tribù dell’Africa la lingua è in stretto collegamento con il temperamento di quelle popolazioni definite da Simmel “facilmente eccitabili” e caratterizzate da una “passionale dedizione a tutte le idee e impressioni momentanee” a tal punto che la parola si arricchisce di elementi melodici per esprimere tale stato di eccitazione. In generale, Simmel afferma che se il carattere di un popolo tende agli estremismi le melodie saranno sicuramente passionali; se il suo temperamento è cupo allora le melodie tendono ad essere melanconiche59. Se da un lato Simmel riconosce che gli elementi melodici rendono più espressivo il modo di parlare di una popolazione, dall’altro mette in evidenza come la melodia sia anche un elemento poco presente nella musica di tali gruppi primitivi: sia nella musica vocale che in quella strumentale il carattere predominante è la monotonia anche laddove le popolazioni posseggono uno spiccato talento musicale o strumenti musicali che avrebbero permesso forme più melodiche di musica. Ciò si spiega con il fatto che la melodia, in quanto emanazione dell’anima popolare diventa tanto più articolata quanto più all’interno di un gruppo sociale aumenta la complessità. Il ritmo è invece un elemento fortemente presente. Oltre ad essere l’elemento musicale originario, come dimostrano i ritrovamenti degli strumenti a percussione che sono i più antichi di cui si ha notizia, rappresenta anche il primo schema di elaborazione mentale in altri ambiti della vita dell’uomo. Per Simmel infatti “la configurazione simmetrico-ritmica si presenta come la prima e la più semplice forma con cui l’intelletto stilizza, per così dire la materia della vita, la rende dominabile e assimilabile. È il primo schema mediante il quale la ragione può penetrare nelle cose e dare loro una forma”60. Questo parametro musicale può essere pertanto una valida schematizzazione astratta delle serie individuali, sociali e storiche della vita a prescindere dalla durata dei periodi di riferimento, dalla sua regolarità o irregolarità, dalla sua presenza o assenza.

59 60

Simmel 1881, § II. Simmel 1984, 688.

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Simmel si pone il problema del ritmo con cui i contenuti della vita avanzano o retrocedono. Esistono epoche della civiltà che nel loro corso favoriscono, altre che distruggono la ritmicità. La vita di ogni individuo è sincronizzata sul ritmo di ascesa e declino in quanto tale moto ondulatorio, che in maniera pressoché immediata riconosciamo nei fenomeni esterni, connota e domina anche l’anima. Che il ritmo sia connaturato nell’uomo è dimostrato anche dal fatto, di natura fisiologica, che nei momenti di agitazione l’accelerata circolazione sanguigna e l’aumento del battito del cuore e del polso assumono un’eccezionale ritmicità. In condizioni di melanconia o di tensione, stati in cui il battito cardiaco è lento o irregolare, riesce quasi impossibile svolgere ogni attività musicale o a mantenere il ritmo: “Un pianista che è troppo apprensivo uscirà facilmente fuori tempo”61. Quando si è agitati non si è in grado di parlare come quando si è in condizioni normali: anche questo modo di parlare ansimante contiene degli elementi di ritmo. Che il ritmo sia un elemento caratterizzante la vita dell’uomo lo possiamo derivare non solo da fattori intrinseci alla natura umana, ma anche da altri fattori esterni come la dipendenza dell’uomo dall’alternanza del giorno e della notte o dal succedersi delle stagioni. La distribuzione delle attività ci fa vedere, inoltre, come la ritmicità sia finalizzata al risparmio di energia: l’alternanza di attività fisiche o psichiche con momenti di riposo fa sì che gli organi che sostengono lo sforzo si risparmino. La ritmicità soddisfa infine il fondamentale bisogno di varietà e di uniformità, di stabilità e di cambiamento a tal punto che l’alternanza dei momenti, dell’ascesa e del declino, delle attività e degli elementi diversi qualitativamente e quantitativamente genera secondo Simmel serenità, uniformità, unitarietà62. Un altro fenomeno sociale che può essere analizzato tramite il parametro musicale del ritmo e sul quale Simmel sviluppa una sua analisi è la moda. Quest’ultima, che ha acquisito un peso enorme nella civiltà moderna, possiede per Simmel “il fascino della fine e dell’inizio insieme”: la moda, che si afferma tanto rapidamente come altrettanto rapidamente si annienta, sintetizza il desiderio, presente nella società moderna, di un cambiamento qualitativo rapido dei contenuti della vita e ci mostra il ritmo “impaziente” che caratterizza la vita moderna63. 61

Simmel 1881, § III. Cfr. Simmel 1984, 682-683. 63 Cfr. Simmel 1985, 37. 62

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Per la musica il ritmo è elemento caratterizzante anche perché la ripetizione di elementi uguali è ricorrente a tal punto che nelle popolazioni primitive64 i canti risultano essere talvolta solo una semplice ripetizione di parole senza senso e significato. Se presso alcuni popoli risulta difficile individuare una melodia, il rigore ritmico non è mai assente. Se il ritmo è sempre stato un elemento caratterizzante e fortemente presente in ogni ambito della vita sociale, nella società moderna si è molto ridotto come fattore che connota la vita sociale per lasciare il posto a forme più equilibrate o comunque più irregolari. Simmel applica tale analogia alla vita civile, economica e generale, e afferma che anch’essa è non solo caratterizzata, ma proprio preda di un totale livellamento. Tale stato di cose deve essere imputato al denaro che non ha fatto altro che spersonalizzare i rapporti umani, visto che con esso si può comprare tutto e si può comprare anche il servizio degli altri in qualsiasi momento, senza che siano gli impulsi e gli stimoli individuali a dettare il “ritmo” e senza, quindi, doversi sottomettere ad una periodicità transindividuale nell’attesa di una loro soddisfazione. Tale caduta della ritmicità Simmel la nota anche nei livelli più alti di espressione musicale del suo tempo ed osserva come gli sviluppi più recenti si allontanino radicalmente dall’elemento ritmico; ciò non si nota solo in Wagner, ma anche in altri compositori che scelgono testi che non si prestano al ritmo e che scrivono composizioni sulla lettera ai Corinzi o sui sermoni di Salomone. Per Simmel oltre al denaro, anche il cambiamento generale delle condizioni della vita, il miglioramento dei trasporti, le scoperte, come la luce artificiale che libera l’uomo dalla dipendenza dalla luce del giorno, hanno contribuito ad indebolire la ritmicità e la periodicità della vita. Se la simmetria è un ritmo nello spazio, il ritmo in sé può essere definito come una simmetria nel tempo. Ambedue le categorie sono soltanto forme diverse dello stesso motivo di fondo e costituiscono una sorta di principio ordinatore: il ritmo infatti è il principio tramite il quale si conferisce una configurazione al materiale nelle arti del suono alla stessa maniera in cui la simmetria opera tale configurazione nelle arti figurative. La simmetria dà alle cose, ai 64

“Presso gli Ascianti un missionario è stato sorpreso dalla mirabile capacità degli indigeni di tenere il tempo nonostante la selvaggia disarmonia della musica locale; sembra che in California la musica del teatro cinese, nonostante un frastuono lacerante e non melodico, possieda una rigorosa cadenza ritmica. Un esploratore racconta delle feste degli indiani Windtun (i Windtun sono una tribù di indiani americani insediati nella valle di Sacramento in California): ci sono dei canti nei quali ogni indiano esprime i suoi sentimenti e durante questi canti tutti tengono il tempo con rara perfezione”; Simmel 1984, 685.

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suoni un senso, un’armonia tra le parti del tutto e le ordina uniformemente intorno ad un punto centrale65. Se le organizzazioni simmetriche e sistematiche esercitano un’attrattiva che produce i suoi effetti molto al di là nell’ambito della politica, con una forza capace di plasmare una grande quantità di interessi pubblici e privati66, la perdita dell’elemento ritmico naturale nella società moderna va di pari passo con una perdita dell’equilibrio interno, della compattezza esterna, dell’armonia delle parti e della calcolabilità dei loro destini. Se da un lato la ritmicità della vita civile, a causa del denaro, si è abbassata, dall’altro l’elemento ritmico si è notevolemte innalzato fino ad arrivare a livelli estremi, nel lavoro di fabbrica o nel lavoro d’ufficio. In tali contesti il lavoratore è vincolato alla ripetizione rigorosamente costante di certi movimenti o deve seguire il movimento spietatamente oggettivo della macchina. Pertanto tale ritmicità ha nella società moderna un significato completamente diverso da quello dell’antica ritmicità del lavoro che seguiva le esigenze interne dell’energia fisio-psichica. La regolarità dei ritmi viene meno anche all’interno di altri tipi di attività come quella culturale, scientifica, politica, artistica. Tuttavia in tali ambiti questo fatto risulta essere positivo in quanto, osserva Simmel, se un compositore si mette a comporre ogni giorno nello stesso minuto, tale ritmo costante di produzione ci fa sospettare della sua ispirazione e del suo intimo significato67. Un altro parametro della musica con il quale Simmel analizza i fenomeni sociali è l’armonia. Da questo punto di vista è interessante notare come il termine armonia, all’interno di un discorso più specificamente musicale, assuma un significato molto ampio in quanto è strettamente connesso con le speculazioni cosmogoniche e cosmologiche dei presocratici: nel pensiero di questi ultimi l’armonia, fondata sulla suddivisione aritmetica dell’unica corda del monocordo, risultava essere uno schema interpretativo e di razionalizzazione dell’universo. Dall’analisi che Simmel svolge sulla musica emerge che l’armonia, allo stesso modo della melodia che, come s’è detto precedentemente, riflette il carattere di un gruppo sociale, si sviluppa e fa proprie sempre più regole man mano che aumenta la complessità sociale. Se presso le popolazioni primitive non si trova la benché minima traccia di una combinazione simultanea di suoni diversi volontariamente elaborata, ne65

Simmel 1984, 687. Ivi, 693. 67 Ivi, 690. 66

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gli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento Simmel evidenzia lo stato di crisi dell’armonia. Con Wagner non solo si esauriscono virtualmente le potenzialità strutturali del linguaggio tonale, ma anche i Maestri Cantori, che volevano essere una strutturazione elevata e a regola d’arte della musica popolare, in realtà sono solo un insieme di “calcoli complicati, artificiosi come le strutture gotiche”68. Simmel osserva che nella composizione polifonica la natura artistica della musica trova la definitiva conferma, ma evidenzia anche che senza la “luce solare del genio” i prodotti artistico-musicali che ne risultano mancano di “calore vitale”. Ancora una volta l’Autore torna a porre l’accento su quella che è la vera grandezza del musicista. Nel fare questo, più che operare una distinzione tra l’artista e il cantante di musica popolare, sottolinea come sia importante per il musicista o il compositore il farsi interprete della collettività all’interno della quale vive. Sta in questo la significatività dell’analisi simmeliana della società tramite i parametri della musica: “Le melodie sono emanazioni dell’anima popolare, i cui sporadici raggi si sono raggruppati nel punto focale di un vero talento” il cui Io empirico si è formato in mezzo a questo popolo. Aggiunge Simmel: “L’impegno del genio è stato quello di potenziare ciò che ha ricevuto, e di mettere a maggior frutto ciò che la gran massa fa. Ora le melodie di costui vengono diffuse […] e diventano canti popolari. È come se le parole di un deputato, scelto da tutto il popolo perché costui racchiude in sé nella maniera più completa le qualità della nazione, diventassero popolari”69. Se quanto appena detto riguarda le società primitive o a basso livello di sviluppo, lo stesso discorso vale anche per la società moderna. Per Simmel infatti è un errore credere che la Nazione non abbia un’influenza sullo sviluppo della musica. Con questo non vuole dire che la musica debba connotarsi come patriottica, anche perché perfino all’interno degli stati più disastrati si sono avute ottime creazioni musicali; vuole però mettere in rilievo che se una persona è dotata di talento musicale, sarà poi la vita della sua Patria che gli imprimerà il carattere, in quanto riceve da essa mete, opportunità e formazione; poi quanto più la sua anima sarà nobile tanto più sarà in grado di recepire gli elementi della cultura del suo contesto sociale. Se un artista vuole imitare

68 69

Simmel 1881, § XV. Ibid.

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modelli diversi arriva alla frantumazione del suo carattere e, conseguentemente, della propria arte. Un altro aspetto riguardante la figura dell’artista viene trattato da Simmel nella Filosofia del denaro, dove prende in considerazione non solo gli effetti che il denaro produce all’interno della società, ma, più nello specifico, anche il rapporto che il compositore o il musicista dovrebbero avere con il denaro. Questi ultimi devono infatti prescindere totalmente dal pensare al denaro e dovrebbero essere ricompensati non tanto in base alla prestazione, quanto in misura tale da poter mantenere il proprio tenore di vita. Infatti quello che avviene tra musicista e pubblico non è una compravendita di un oggetto. Inserire la produzione artistica all’interno di un discorso economico non è possibile; non si possono generalizzare al campo artistico le regole che disciplinano l’ambito economico. Non si può infatti logicamente stabilire un rapporto tra esecuzione e compenso, e ciò risulterebbe altrettanto difficoltoso se, come avviene all’interno della logica economica, si volesse quantificare il pagamento, tramite criteri oggettivi, alla quantità del piacere o alla misura in cui viene soddisfatto un bisogno. Ecco quindi che la remunerazione dovrebbe riguardare solo la persona dell’artista escludendo ogni relazione con la prestazione70. Questo avviene anche perché quello che si verifica ad un concerto non coincide con ciò che si realizza in una normale compravendita, dove colui che dà denaro pretende soltanto l’oggetto stabilito o la prestazione accordata: “All’artista non basta il denaro, pretende anche l’applauso. […] Moltissimi tra coloro che compiono una prestazione pretendono oltre al denaro, che riconoscono oggettivamente come equivalente adeguato della loro prestazione, un riconoscimento personale, una manifestazione soggettiva da parte di chi li paga, che è ad di là del prezzo pattuito e lo completa in funzione del sentimento di chi lo riceve portandolo solo allora alla piena equivalenza con la prestazione”71. Esiste inoltre una contraddizione tra l’orientamento estetico e gli interessi legati al denaro che si può notare anche nel fatto che il denaro è privo in linea di principio di qualsiasi forma, mentre l’orientamento estetico tende verso la pura forma. Simmel pone in evidenza come nel Medioevo i musicisti venivano disprezzati per il fatto che cantando “su ordinazione” sia cose allegre che cose tristi, prostituivano i loro sentimenti e prendevano “denaro in cambio dell’onore”.

70 71

Cfr. Simmel 1984, 487. Ivi, 576.

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Il valore autenticamente estetico di tutte le arti potrebbe esprimersi in modo immutato in qualsiasi materiale e a prescindere dalla quantità. Per Simmel è indicativo il fatto che persino le canzoni popolari, escludendo quindi a maggior ragione i capolavori della musica, riguardino molto limitatamente il denaro, nonostante a quest’ultimo Simmel riconosca una vitale importanza: “Persino quando scoppiava una sommossa a causa di un cambiamento della moneta, le canzoni, sorte in questa occasione e diffuse tra il popolo, lasciavano da parte per lo più il problema della moneta in se stesso. L’antagonismo inconciliabile e decisivo per gli interessi estetici è sempre presente nella contrapposizione tra il valore della forma delle cose e la quantità del loro valore, quando questo valore è espresso in termini puramente quantitativi e sostituisce ogni qualità con una mera somma di unità dello stesso tipo”72. L’approccio con il denaro che deve avere il musicista, per Simmel dovrebbe caratterizzare qualsiasi ambito lavorativo, in quanto se è vero che “si giudica un canto dal suo valor musicale, uno studio scientifico dalla sua verità, una macchina dalla sua utilità, bisogna anche ammettere che tutti i contenuti della vita umana, pur realizzandosi solo in certe condizioni e nella dinamica della vita sociale, offrono sempre conferma ad una prospettiva che con quest’ultima non ha nulla a che fare”73. Simmel sostiene che i lavori possono essere più o meno qualificati a seconda sia del livello di formazione del lavoratore che della struttura delle condizioni oggettive del lavoro, del materiale, dell’organizzazione storico-tecnica. In proposito scrive: “Anche il pianista più mediocre ha bisogno di una tradizione così antica e diffusa, di una quantità di lavoro tecnico ed artistico, che questi tesori raccolti nel suo lavoro lo elevano comunque molto al di sopra di quello soggettivamente assai più notevole del funambolo o del prestigiatore”74. Quindi se da un lato Simmel riconosce che le prestazioni che si considerano più elevate sono tali anche perché, nello sviluppo della cultura, si presentano come “relativamente definitive”, in quanto preparate attraverso lunghi processi, subito dopo afferma che “il lavoro dello spazzino non è meno «utile» di quello del violinista”75. Ciò ci fa comprendere come, nell’ambito di una sociologia eticamente connotata com’è quella di Simmel, ogni lavoro dovrebbe consistere nella raffigurazione dell’umanità in tante forme particolari. L’individualità è quanto vi è di 72

Ivi, 396. Simmel 1983, 49-50. 74 Simmel 1984, 591. 75 Ibidem. 73

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eterno e originario nell’uomo: “Una tendenza individualistica conduce al superamento dell’ideale di una personalità libera e responsabile, una essenzialmente uguale a tutte le altre: di un’individualità, cioè, che, incomparabile per sua natura, è chiamata ad interpretare un ruolo che solo essa può assolvere”76. Per Simmel ciascun soggetto rappresenta una sintesi delle energie dell’universo ed elabora materiale fino a conferirgli una forma del tutto unica. In questo si può notare quasi un’elevazione a principio metafisico del principio sociale della divisione del lavoro. L’uomo, in quanto entità incomparabile, vive in un ambiente, lo perfeziona con la sua opera come se il suo lavoro dovesse assumere la valenza etica della realizzazione di un mandato77. La nostra esistenza pratica, per quanto insufficiente e frammentaria, raggiunge una certa significatività e connessione perché è, per così dire, la realizzazione parziale di una totalità. E l’individualità deve tendere, secondo Simmel, a valorizzare non la personalità nel suo insieme, ma la società tramite il contributo oggettivo che essa può fornire78.

5. Conclusioni Nella complessità e nella frammentarietà dell’opera simmeliana si possono cogliere tanti orientamenti e tanti temi anche apparentemente in contraddizione fra loro. Ogni pensiero che ad un primo sguardo sembra sconnesso da quelli che lo seguono e lo precedono è come se fosse parte di un disegno, dai tratti sfumati ed imprecisi, che lascia tuttavia l’osservatore piacevolmente impressionato. Nel suo fare sociologia Simmel adotta gli strumenti del non-razionale e del non-logico conferendo alle sue opere quella genialità che non trova la propria origine nella ragione, così come veniva intesa dagli illuministi, ma in una razionalità aperta che connette scienza e arte senza blindare la conoscenza all’interno di parametri rigorosamente funzionalisti. Simmel si fa carico di una razionalità che più che giudicare i fenomeni sociali in base a ciò che dovrebbero essere cerca di comprenderli nella loro essenza più profonda. È un processo conoscitivo che rende sicuramente onore

76

Simmel 1983, 117. Ivi, 119. 78 Cfr. Simmel 1984, 638. 77

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La musica nell’opera di Georg Simmel | 137

allo spirito umano e che conferisce a Simmel il fascino dello studioso che sviluppa la propria analisi a partire dalla “ragione interna”79 dei fenomeni sociali. Farsi carico della ragione interna significa svolgere un lavoro intellettuale volto a cogliere l’elemento vivo riconoscibile negli eventi della più varia natura in quanto in ogni fenomeno c’è qualcosa di preformato che deve svilupparsi in funzione della ragione intrinseca e momentanea che possiede. È un lavoro intellettuale volto alla comprensione dei fenomeni osservabili che trova la propria piena realizzazione quando individua la ragione vitale che li origina e li anima80. Anche un tema eccentrico o apparentemente inutile rispetto ai grandi temi della politica, dell’economia, della storia, della religione o del diritto acquisisce importanza in funzione della necessità ontologica che incorpora come parte imprescindibile della missione fondamentale della vita. Simmel quando parla di musica solo en passant chiarisce qual è la funzione sociale di essa e afferma che tale forma d’arte svolge un’azione accomunante: tuttavia l’Autore non vuole affibbiare alla musica un’unica funzione valida in ogni luogo e in ogni tempo. La ragione interna dell’espressione musicale non è né univoca né fissa ma si attualizza e si chiarisce di volta in volta. Solo alla luce di quanto appena detto si può capire il pensiero simmeliano. È comprendendo la ragione interna del suo saggio sulla musica che si riesce a rivalutarlo; è dalla riflessione sui significati delle varie forme musicali che si può condividere con Simmel la loro valenza di espressione dello spirito oggettivo. Tuttavia ciò che sotto un aspetto più specificamente sociologico acquisisce una significatività notevole è che Simmel per primo ha elaborato un paradigma di ricerca come il ritmo che risulta, oggi più che mai, di grande utilità ed attualità nell’analisi dei ritmi frenetici, dei rumori e degli spostamenti di accento che caratterizzano molti fenomeni nella dodecafonica società postmoderna.

79 80

Maffesoli 2000, 73. Cfr. Maffesoli 2000, 73 e ss.

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Riferimenti Bibliografici

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Marta Picchio Al di là dell’immagine: riflessioni su alcuni saggi simmeliani di estetica

Questo lavoro si propone di rileggere alcuni dei contributi più significativi prodotti da Georg Simmel nell’ambito dell’estetica, mettendo in evidenza come l’analisi del complesso tema del “visibile” si colleghi alle questioni fondamentali della sua speculazione filosofico-sociologica. Quando Simmel indaga sui problemi specifici della pittura e della scultura, o quando tratteggia la personalità artistica dei grandi maestri, riesce sempre a travalicare lo stretto campo dell’estetica, della “pura visibilità”, per giungere a significati più profondi, generali e simbolici che riguardano le relazioni dell’arte con le dinamiche della vita nel suo complesso, con la cultura e la società nel suo insieme. L’immagine sensibile delle cose diventa il punto di partenza per penetrarne l’enigma, svelandone il valore simbolico e la funzione all’interno di una più vasta area di rapporti. È interessante notare in proposito un singolare parallelismo: se tutta l’opera di Simmel è caratterizzata dal ricorso ad un approccio “estetico” al reale, approccio dotato di una superiorità euristica rispetto ad uno sguardo puramente razionale e concettuale1, parallelamente, muovendosi in direzione opposta, è possibile trovare nei saggi specifici di estetica i temi filosofico-sociologici principali di tutta la sua opera. Inoltre, guardando in modo globale alla produzione simmeliana, ci si accorge che il suo metodo prediletto per analizzare e cogliere la realtà (procedere dalla superficie e dai dettagli apparentemente più insignificanti e banali per approdare ai significati ultimi dell’umano e alla comprensione-intuizione della totalità, ovvero partire dalla conoscenza sensibile, dalla percezione per arrivare alle tendenze più profonde della vita) può essere applicato alla sua stessa opera, che non a caso è stata spesso avvicinata, per stile, ricercatezza e piacevolezza espositiva, più all’opera d’arte che non alla ricerca scientifica2.

1

È questo un aspetto ben evidenziato nel saggio di D’Andrea presente in questo volume, pp. 77-110. 2 A questo proposito si richiama l’ipotesi di lettura proposta da Fanini in questo volume, pp. 111-138, che sottolinea come il metodo di stesura dei saggi simmeliani sembri essere influenzato da moduli compositivi propri più della musica che non della saggistica scientifica.

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Dunque, partendo da dettagli della sua opera (ed alcuni saggi di estetica possono davvero apparire come minuzie, da un punto di vista quantitativo, se pensiamo che La cornice conta solo otto pagine, L’ansa del vaso poco più di sei e Il Cenacolo di Leonardo soltanto cinque), inserendoli nel contesto della sua produzione sociologica generale, è possibile ritrovare i nodi centrali del suo pensiero. È una operazione che, tra l’altro, contribuisce a smentire ancora una volta l’accusa di asistematicità rivolta da alcuni critici all’opera simmeliana: i richiami, le relazioni, i rimandi continui ai temi-chiave del suo pensiero, disseminati pressoché in tutta la sua produzione, testimoniano invece di una forma di coerenza interna, forse non esplicitata in modo direttamente accessibile, ma certamente ricostruibile da chi abbia familiarità con il contesto più ampio della sua intera opera. Nella prima parte del saggio si cercherà di dimostrare la validità e le potenzialità euristiche di questo modo di leggere i saggi di estetica simmeliani, scegliendone alcuni come esempi significativi e concentrando in particolare l’attenzione sulla centralità e la presenza trasversale della tematica legata ai rapporti tra individuo e società. La scelta di questo tema-guida non sarà però intesa in senso costrittivo: la ricchezza dell’opera simmeliana è tale da stimolare contemporaneamente in più direzioni. E poiché in questo caso il materiale di analisi è costituito dagli scritti di estetica, appare opportuno seguire, al di là dei contenuti specifici affrontati nei diversi saggi, la tematica, anch’essa trasversale, della peculiarità e insularità dell’opera d’arte, nonché quella della sua valenza e funzione nella vita dell’uomo. Quest’ultimo motivo verrà ripreso e sviluppato nella seconda parte del saggio, unitamente all’approfondimento di altre due questioni che rivestono un’importanza cruciale nel pensiero simmeliano: il primato della prospettiva estetica rispetto alle altre forme di sapere ed il tema di rilevanza metodologica del rapporto tra dettagli e totalità.

1. Il rapporto individuo-società all’interno di alcuni saggi di estetica 1.1. La cornice Questo breve articolo, apparso su “Der Tag” nel 1902, è emblematico per esemplificare come le riflessioni simmeliane si prestino a più livelli di lettura: “leggendolo per la prima volta, sembra niente altro che un saggio spiritoso su un problema estetico minore”3, uno scritto che, considerato isolatamente, può

3

Nedelmann, 1999, 137.

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tutt’al più affascinare il lettore per le intuizioni originali, l’acuta capacità analitica e lo stile brillante (caratteristiche del resto comuni a molti altri saggi dell’Autore) ma che non si presenta esplicitamente come un contributo valido anche ai fini della problematica sociologica. Se però si riflette in modo più approfondito sulla frase finale del saggio, emerge chiaramente come Simmel, pur quando tratta specifiche questioni estetiche, non perde mai di vista i temi centrali del suo pensiero, in questo caso il suo problema sociologico fondamentale: il rapporto tra individuo e società4. Si può quindi sostenere, in accordo con la Nedelmann, che questo saggio vada anche inteso “come un contributo alla sociologia generale in cui la discussione di un problema estetico, in questo caso il rapporto fra il dipinto e la cornice, opera come una metafora per discutere un problema sociale fondamentale. Così facendo Simmel mostra una delle sue procedure metodologiche preferite, l’argomentare per analogia (Analogieverfahren). Solo alla fine di questo breve saggio egli rivela la sua procedura. La cornice, scrive Simmel, ha la funzione di mediare fra un’opera d’arte e il suo ambiente (il fruitore dell’opera d’arte), separando e unendo; «un compito», prosegue Simmel, «che trova la propria analogia in campo storico quando si vuole evitare che l’individuo e la società si schiaccino reciprocamente»”5. Questa affermazione finale illumina sulle possibili valenze di tutte le argomentazioni precedenti dedicate alla cornice: esse possono, in virtù dell’analogia svelata in extremis, essere lette come esigenze e problematiche riferibili all’individuo nel suo rapporto, che nella modernità diventa sempre più difficile da gestire, con l’ambiente sociale di appartenenza. Lo stesso Simmel, disseminando tra le considerazioni più tecniche e più specificamente estetiche, soprattutto nella parte finale del saggio, altri paralleli e paragoni espliciti con tematiche di rilevanza sociologica, sembrerebbe autorizzare una simile direzione interpretativa. Già la considerazione proposta in apertura del saggio6 appare altamente indicativa del fatto che il caso specifico che verrà trattato (il rapporto dell’opera 4

Per un’analisi critica di questo saggio vedi anche Boella 1988, 64-65; Vozza 1999, 40-41; De Simone 2002a, 136 e De Simone 2002b, 243-247. 5 Nedelmann 1999, 137. Per la citazione interna il riferimento è: Simmel 1985a, 108. 6 Come osserva criticamente De Simone: “Per spiegare con strumenti semiologici, oltre che con categorie estetiche, in che modo il quadro, l’opera d’arte, mediante la cornice si costituisce come unità e si autonomizza dalla realtà circostante, Simmel parte (come di consueto) da una considerazione ermeneutico-precomprensiva più generale”; De Simone 2002b, 244.

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d’arte con il suo ambiente attraverso la mediazione della cornice) è solo la declinazione di una problematica più generale, centrale nel pensiero simmeliano: il rapporto tra la parte e la totalità, che ovviamente copre anche il caso del rapporto tra l’individuo e la società. Simmel, infatti, afferma: “Il carattere delle cose dipende in ultima istanza dal fatto che esse siano un intero o una parte. Che un’esistenza autosufficiente, chiusa in sé, venga determinata soltanto dalla legge della propria essenza, o che, come una parte, sia connessa ad una totalità, dalla quale soltanto ottiene senso e forza – questo distingue l’anima da ogni elemento materiale, l’essere libero dal mero essere sociale, la personalità morale da quella che la sensualità del desiderio fa dipendere dalla trama di tutto ciò che è dato. E questo separa l’opera d’arte da ogni elemento della natura”7. Dunque quanto verrà detto per l’opera d’arte potrà rinviare ad aspetti più generali dell’esistenza: se ne ha significativamente la prova nelle frasi conclusive del saggio, che ribadiscono e sviluppano, con perfetta simmetria rispetto all’apertura, solo con una sfumatura di maggiore problematicità, il tema-chiave del rapporto parte-tutto, conducendo l’analogia proprio a partire dalla sfera estetica: “L’opera d’arte è nella situazione intrinsecamente contraddittoria di dover produrre con il suo ambiente una totalità unitaria, mentre è essa stessa già una totalità; per essa si ripete in questo modo la difficoltà universale della vita, che consiste nel fatto che anche gli elementi della totalità pretendono di essere per sé delle totalità autonome”8. È una questione molto sentita e ricorrente in Simmel, la ritroveremo in termini del tutto simili nella chiusa de Il problema dello stile, in un passo di Filosofia del paesaggio e in più punti de L’art pour l’art, solo per riferirci ai saggi di estetica che abbiamo scelto qui di considerare9, ma anche, ad esempio, nel saggio su L’individualismo, in questo caso a partire dal rapporto individuo-mondo: “L’individualità da una parte significa sempre un rapporto col mondo […] d’altra parte però significa che quest’essere è un mondo a sé, centrato in se stesso, in qualche modo chiuso in se stesso e autosufficiente. L’esistenza terrena colloca in questo dualismo ogni essere spirituale, che in generale si può definire come «uno»: secondo il suo contenuto o la sua forma è qualcosa per sé, un’unità, ha un essere, un senso, un fine che in qualche modo riposa in se stesso, contemporaneamente è una parte di una o più totalità, sta in relazione con qualcosa al di fuori di sé, con una globalità, con una totalità che

7

Simmel 1985a, 101, corsivo nostro. Ivi, 108. 9 Per una lettura approfondita di tutta l’estetica simmeliana si rinvia a De Simone 2002a, che costituisce lo studio italiano più recente e completo al riguardo. 8

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lo comprende. È sempre membro e corpo, parte e tutto, compiuto e bisognoso di completamento”10. Già da questi brevi richiami comincia ad emergere quanto infondata sia l’accusa rivolta a Simmel di essere incoerente e poco sistematico: il Leitmotiv appena presentato, declinato in più versioni – dualismo, antagonismo e possibile conciliazione dei rapporti tra la parte e il tutto, l’individuo e la società, l’opera d’arte e il suo ambiente – è uno dei fili conduttori che integrano la sua opera e le conferiscono coerenza interna. Per poter però cogliere a pieno il significato e la portata delle analogie in chiave sociologica che raccordano il saggio in esame ai temi centrali del pensiero simmeliano, occorre prima presentare a grandi linee le riflessioni dell’Autore sulle funzioni della cornice e sulle problematiche che possono sorgere quando se ne fa un uso distorto. Ciò richiede in via preliminare un chiarimento sulle caratteristiche dell’opera d’arte in generale. In primo luogo va rilevato che per Simmel l’“essenza dell’opera d’arte è di essere” – al contrario di ogni elemento della natura inestricabilmente connesso ad una totalità più ampia che lo ricomprende – “una totalità per sé, che non ha bisogno di alcun rapporto con l’esterno, ma riconduce ognuno dei fili della sua trama al proprio punto centrale. Essendo l’opera d’arte ciò che altrimenti possono essere solo il mondo come totalità o l’anima: un’unità di elementi particolari, essa si separa, come un mondo per sé, da tutto l’esterno”11. Viene qui messa a fuoco con chiarezza la visione che Simmel ha delle caratteristiche peculiari dell’opera d’arte, visione che, come si avrà modo di constatare nel corso dello svolgimento di questo lavoro, rappresenta una costante di fondo dell’intera produzione estetica dell’Autore: l’opera d’arte si colloca “in una posizione insulare nei confronti della anomica molteplicità empirica”12, è “un’isola in mezzo alla vita”13, è determinata unicamente dalla legge della propria essenza, è un’unità autosufficiente e in sé compiuta. Questa esclusione del mondo esterno e della fatticità empirica non significa però l’impossibilità da parte dell’arte di entrare in contatto con la vita e con l’uomo: anzi “solo quando e perché possiede questa autosufficienza, l’opera d’arte ha tanto da darci, quell’essere-per-sé è lo slancio per penetrare tanto più profondamente e pienamente in noi. Il sentimento del dono immeritato con cui ci rende felici trae origine dalla fierezza di questa perfezione di sé paga, con la quale tuttavia può

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Simmel 2001a, 74-75. Simmel 1985a, 108. Cfr. Bodei 1993, 60. 12 Vozza 1999, 41. 13 Simmel in Nedelmann 1999, 138. 11

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divenire nostra”14. Da un punto di vista “logico”, sembrerebbe di essere di fronte ad una “paradossale e contraddittoria […] doppia costituzione dell’opera d’arte: di fatto, essa è una creazione in sé conchiusa, dispensata dalla vita, eppure, ad un tempo, adagiata nell’intera corrente della vita, che assume in sé, se considerata dal punto di vista dell’artista, o che invece rilascia da sé, se considerata da quello di colui che la gode. Quest’essere libero e compreso, ad un tempo, questo stare al di fuori e al di dentro, questo essere un tutto unitario ed il battito di una totalità ben più ampiamente distesa, tutto ciò è forse una situazione in sé affatto unitaria, che noi soltanto a posteriori, riferendo all’arte le nostre categorie di interpretazione e relazione, scindiamo in una contrapposizione di due termini”15. Simmel intende con ciò suggerire che contraddizioni apparentemente insuperabili logicamente possano essere invece superate “di continuo da parte della vita”16. Può dunque coesistere “l’arte per l’arte”, cioè l’arte che esclude da sé tutto ciò che non si riferisce esso stesso alla sfera artistica, liberandosi dalle “torbide fusioni […] con valori letterari, etici, religiosi e sensuali” – esclusione che Simmel considera di “insostituibile ed inalienabile valore” – con l’arte “come onda nella corrente della vita”17, in contatto continuo con la vita, sia dal punto di vista della creazione artistica che da quello della fruizione da parte dell’osservatore. La frase conclusiva del saggio L’art pour l’art esprime questa visione con estrema sintesi ed efficacia: “l’arte rimane quel mondo per sé, che proclama l’arte per l’arte, benché essa si riveli e poiché essa si rivela […] vita per l’arte e arte per la vita”18. Se nel saggio su La cornice, di dodici anni precedente a L’art pour l’art, non c’è ancora un’enfasi così marcata sul rapporto dell’arte con la totalità della vita, è però già evidente la doppia costituzione dell’opera d’arte che è sì “un’isola […] davanti alla quale si può anche passare oltre”19, che non ha bisogno del mondo ed è autosufficiente anche nei confronti di colui che gode l’opera, ma è anche “un’isola che attende il nostro arrivo”20, la cui “distanza” dal mondo è funzionale proprio alla possibilità di una fruizione estetica da parte dall’osservatore. A questo punto diventa come una conseguenza facile da trarre mettere 14

Simmel 1985a, 102. Simmel 1970, 81. 16 Ivi, 82. 17 Ibid. 18 Ivi, 83. 19 Simmel 1985a, 105. 20 Ibid. 15

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a fuoco quali siano i compiti da attribuire alla cornice: “La cornice deve svolgere due funzioni: la prima consiste nel porre in relazione l’opera d’arte con il suo ambiente, la seconda consiste nell’impedire che il mondo interno dell’opera d’arte sia invaso e abusato dagli spettatori. Questa duplice funzione di mediazione esterna ed interna, di separazione dall’ambiente e di integrazione interna, deve venire espressa esteticamente dalla forma stessa della cornice”21. Simmel descrive in modo piuttosto vago e generico come dovrebbe essere il tipo ideale di cornice, dicendo solamente che è “di estrema importanza che il disegno della cornice renda possibile uno scorrere continuo dello sguardo come se continuasse sempre a rifluire su se stesso”22, senza consentire alcuna breccia o ponte nella sua configurazione, perché ciò significherebbe la possibilità del mondo di penetrare nel quadro e del quadro di uscire nel mondo, vanificando completamente il senso stesso della cornice. L’Autore affronta invece in modo molto dettagliato ed approfondito i casi in cui si verifica un uso distorto della cornice, i cui compiti vengono equivocati e producono un esito fallimentare della funzione di mediazione tra l’opera d’arte e l’ambiente. Per non perdere di vista l’intento guida di questo saggio, ci soffermeremo solo su quelli che vengono collegati, con metafore ed analogie, a problematiche storico-sociali di più ampio respiro. Iniziamo col prendere in esame “l’equivoco […] che si verifica quando si vuol conferire alla cornice un valore autonomo: con ornamenti figurati, con il fascino del colore, con una forma o un simbolismo che ne fanno l’espressione di un’idea artistica autosufficiente”23. Le cornici concepite in questo modo vengono meno alla funzione di mediazione perché creano un secondo mondo artistico, concorrente a quello dell’opera che incorniciano, convogliano l’attenzione su di loro ed impediscono che s’instauri con l’ambiente quella relazione che nella distanza consente la fruizione estetica del dipinto. Come osserva criticamente la Nedelmann, “pretendendo di appartenere essa stessa a un mondo artistico autonomo, la cornice nega la sua funzione subordinata di servire da mediatore fra l’opera d’arte e l’ambiente. Per svolgere questa funzione la cornice deve essere invece concepita come un prodotto artigianale (Handwerk), che rappresenta lo stile, il principio della generalità, e non l’arte, il principio dell’individualità”24. È lo stesso Simmel a sottolineare con insisten-

21

Nedelmann 1999, 138. Simmel 1985a, 103. 23 Ivi, 105. 24 Nedelmann 1999, 138. 22

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za questa distinzione cruciale – “la cornice non deve avere un’individualità, ma uno stile”25 – e a dedicare approfondite riflessioni alle conseguenze sul piano della vita generale dell’uomo nella modernità, sul piano dell’esistenza pratica quotidiana, di atteggiamenti orientati alla dimensione dell’unicità o a quella dell’universalità, che poi esprimono il contrasto tra la componente “sociale” e quella “individuale” del soggetto. È interessante notare che nell’affrontare questa tematica a partire dallo spunto offerto dalla cornice, Simmel anticipa quanto verrà più estesamente sviluppato nel saggio del 1908 dedicato a Il problema dello stile, che analizza le tendenze emergenti di gestione del “grande problema della vita”26, cioè del rapporto tra la parte e la totalità, tra l’individuo e la società, riferendole alla sfera estetica, in particolare all’atteggiamento dell’uomo moderno nei confronti dell’arredamento, del modo di vestire, della propensione a circondarsi di “oggetti artigianali” oppure di “opere d’arte”, a volte stravolgendone le funzioni e i significati, oscillando tra un’eccessiva “estetizzazione” ed un’eccessiva “stilizzazione” del proprio modo di vivere e delle proprie scelte di gusto e culturali27. Poiché i due saggi presentano numerosi aspetti correlati, e sulla questione del rapporto stile-arte possono essere considerati l’uno la prosecuzione dell’altro, nel corso della trattazione si faranno ampi riferimenti ad entrambi. Come ne Il problema dello stile Simmel esprime “la protesta più energica” contro la tendenza dell’artigianato dei suoi tempi ad attribuire agli oggetti d’uso quotidiano “una configurazione artistica” invece che uno “stile”, prendendo ad esempio oggetti “fatti per essere inseriti nella vita, per servire uno scopo dato dall’esterno” come la sedia o il bicchiere28, nel saggio La cornice una critica analoga viene condotta a partire “dalle moderne pecche del mobile”29. In entrambi i saggi il discorso, che sembra partire da aspetti marginali della realtà, approda, secondo il tipico metodo simmeliano, a considerazioni di ampio respiro sulle tendenze più profonde dell’esistenza nella modernità. È un modo di procedere che vale la pena seguire passo per passo. Se dunque “l’opera d’arte è per sé”, il mobile è invece “per noi”: “lo tocchiamo continuamente, si mesco-

25

Simmel 1985a, 105. Simmel 1993, 14. 27 Cfr. Nedelmann 1988, 513-535; De Simone 2002b, 56-90. Il problema dello stile di vita viene affrontato nel saggio di Michela Tramonti, alle pp. 179-196, al quale rimandiamo per una trattazione più specifica. 28 Simmel 1993, 10-11. 29 Simmel 1985a, 104. 26

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la alla nostra vita e non ha quindi alcun diritto ad un essere-per-sé. Qualche mobile moderno, poiché è l’espressione immediata dell’artisticità individuale, sembra degradato quando lo usiamo per sederci; reclama, formalmente, una cornice. Essendone privo, ma standosene nella stanza, opprime l’uomo che, infine, con la sua individualità, dovrebbe essere la cosa principale, mentre al mobile competerebbe soltanto lo sfondo”30. Si può ora tentare di tirare le fila del reticolo di analogie: quando si attribuisce al mobile un’individualità così alta come quella che spetterebbe solamente all’opera d’arte, si cade nello “stesso equivoco”, nella stessa “confusione di ranghi” di quando si vuole “conferire alla cornice un valore autonomo”, ed entrambi i casi esprimono una tendenza più generale in atto nella società moderna, cioè “un’ipertrofia del senso moderno dell’individualità”31. Vediamo qui ricondotte in modo esplicito le considerazioni sul circoscritto problema estetico della configurazione appropriata della cornice a riflessioni di natura sociologica: poiché per Simmel il principale problema sociologico è quello di trovare una relazione equilibrata tra l’individuo e la società, egli vede con preoccupazione “l’esagerato soggettivismo”32 della propria epoca, che va invece in direzione di uno squilibrio e di un’esasperazione della componente individuale, e ne vede acutamente le tracce anche in certi usi distorti della cornice e degli oggetti artigianali. È un concetto che verrà sostenuto, anche con maggior forza, ne Il problema dello stile: “Il principio che per quanto possibile ogni oggetto d’uso sia un’opera d’arte individuale […] è forse il più caricaturale fraintendimento del moderno individualismo”33. La tendenza dell’uomo moderno a rifiutare ogni forma modellata socialmente, come l’artigianato, le tradizioni, le istituzioni sociali, è quindi espressione dell’ostilità verso tutto ciò che rappresenta il principio del “sociale” e del “generale”, ostilità alimentata dalla volontà di salvaguardare ad ogni costo la propria unicità e individualità. È noto quanto Simmel avesse a cuore la tutela della possibilità di sviluppo autonomo del soggetto nelle condizioni critiche della modernità, eppure egli vede in questa ricerca spasmodica di originalità, nel rifiuto categorico di regole comuni di comportamento, nell’opposizione a principi generali di percezione

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Ivi, 105. Per ulteriori approfondimenti relativi a questa tematica, si rimanda al saggio di D’Andrea in questo volume, pp. 77-110. 31 Ibid. 32 Simmel 1993, 13. 33 Ivi, 11.

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estetica e di consumo, un potenziale distruttivo delle stesse basi sociali dell’individualismo, che può ritorcersi contro le intenzioni stesse degli agenti. Per Simmel infatti – e già dalla sua prima opera sociologica del 1890, La differenziazione sociale – “l’uomo non è mai un puro essere collettivo, come non è mai un puro essere individuale”34: lo sviluppo della peculiare individualità del singolo dipende dall’interazione di entrambe le componenti, quella sociale e quella individuale, nessuna delle quali è eliminabile, pena il rischio di una disgregazione e insieme, paradossalmente, anche di una deindividualizzazione della società. È questa una delle fondamentali lezioni simmeliane, che forse a tutt’oggi non è stata ancora adeguatamente compresa: “riconoscere la compresenza di forze dualistiche, che non si presta ad essere risolta in favore dell’una o dell’altra parte [perché] il predominio di una parte crea necessariamente la precondizione di un processo autodistruttivo alla fine del quale anche la parte inizialmente dominante esce sconfitta. Assumere un atteggiamento vincente o dominante da parte di uno dei poli è necessariamente autodistruttivo per entrambi”35. Basterebbe pensare alle attuali problematiche ecologiche, alla difficoltà di conciliare le esigenze di sviluppo economico con quelle di salvaguardia dell’ambiente, testimoniata dall’esito fallimentare dei più recenti accordi internazionali tra le grandi potenze industriali del pianeta, e quindi al rischio incombente di processi autodistruttivi in tutt’e due le dimensioni, per rendersi conto di quanto questa intuizione di Simmel possa essere estesa all’attualità, a molti e decisivi campi della nostra realtà sociale. La lezione simmeliana è anche esemplare sotto il profilo dell’impegno intellettuale: pur di fronte ai conflitti in atto nella società del suo tempo, egli non rinuncia mai al tentativo di ricercare le condizioni per una relazione equilibrata tra individuo e società e tra individuo e cultura; l’intera sua opera, come stiamo iniziando a constatare, è disseminata di riferimenti in questa direzione. Ed anche una riflessione su questioni estetiche gli offre spunti per esprimere questa sua profonda aspirazione. Simmel infatti non si ferma ai richiami all’“ipertrofia dell’individualità” e al “più caricaturale fraintendimento del moderno individualismo”, cioè agli aspetti di critica e di polemica contro una tendenza che egli considera degenerativa dei suoi tempi, ma offre anche indicazioni su come, a suo parere, dovrebbe essere inteso il rapporto tra individua-

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Simmel 1982, 61. Nedelmann 1999, 148.

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lità e generalità, a partire dal rapporto tra “stile” ed “arte”. Egli afferma che avere uno stile, essere sottomesso a leggi generali, rivolgersi a ciò che è condiviso con molti altri, e non avere l’unicità dell’opera d’arte, “non è assolutamente un declassamento dell’artigianato […]: il principio di universalità e il principio di individualità [non] posseggono reciprocamente un ordine gerarchico. Piuttosto essi sono i poli delle possibilità creative dell’uomo, nessuno dei quali potrà venire a mancare e ciascuno dei quali determina, soltanto con il concorso dell’altro, in ogni suo punto la vita, tanto interiore che esteriore, tanto attiva che goduta, sebbene in base a mescolanze infinitamente graduate. E noi impareremo a riconoscere i bisogni vitali che possono venir soddisfatti soltanto dagli oggetti domestici stilizzati, ma non da quelli artistico-individuali”36, che servono per altre esigenze, né superiori né inferiori, semplicemente di ordine diverso. Dunque anche lo stile ha una sua funzione, e una funzione importante soprattutto nella modernità: “l’espressione, la forma di vita e il gusto stilizzati” possono infatti lenire, offrire “un contrappeso e un velo” all’“esagerato soggettivismo dell’epoca”, rispondere “a quel profondo bisogno di dare alla vita esasperatamente individuale un complemento di ampiezza tranquilla, di tipizzata conformità a una legge”37. Questo collegamento della sfera della percezione estetica con i grandi problemi della vita è espresso in modo esplicito nel saggio sulla cornice, da cui ha preso le mosse la nostra analisi, e lo stile vi emerge proprio in funzione di mediazione tra la dimensione individuale e quella universale dell’uomo, una funzione che potremmo definire di “incorniciamento sociale”: “Nelle opere umane lo stile è un medium tra l’unicità dell’anima individuale e l’assoluta universalità della natura. Perciò l’uomo, dato il livello culturale che lo separa dal mondo meramente naturale, si circonda di oggetti stilizzati, e perciò per la cornice dell’opera d’arte, che nel suo rapporto con l’ambiente ripete quello dell’anima con il mondo” – e quello dell’individuo con la società – “lo stile, e non l’individualizzazione, è il giusto principio vitale”38. La tendenza ad un eccessivo individualismo non è però l’unica dinamica sociale che viene messa a fuoco a partire dalle problematiche legate all’uso distorto della cornice. Le caratteristiche della “cornice architettonica”, cioè della cornice con parti molto differenziate, in cui i lati non sono interscambiabili, 36

Simmel 1993, 9-10. Ivi, 13-14. 38 Simmel 1985a, 106. 37

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ma hanno forma di pilastri e colonne sormontate da un cornicione o da un timpano, offrono a Simmel l’occasione di includere “la cornice in un principio dell’evoluzione culturale di più ampia portata”39. La cornice architettonica risponde infatti ad un’esigenza dei tempi più antichi, in cui non si era ancora sviluppato il senso dell’unicità e dell’autosufficienza dell’opera d’arte, ma l’arte era legata a fini devozionali e religiosi, oppure didattici e didascalici: in questo caso il riferimento a “sfere extra-artistiche” minacciava di “spezzare la […] formale unità artistica” del dipinto, rendendo necessario il sostegno di una cornice molto elaborata “le cui parti, con il reciproco rinvio, creano una connessione indistruttibile e, in questo modo, una separazione” dall’ambiente40. Il bisogno che “la chiusura dell’interno da parte della cornice [venga] intensificata al massimo”, è dunque legato al fatto che “l’unità artistica interna del quadro, che lo racchiude in sé e lo esclude dal mondo, non viene ancora sentita in modo sufficientemente forte”41; se lo stato dello sviluppo culturale può costituire una “giustificazione” ad una configurazione siffatta della cornice, ciò non toglie che essa in questo modo “ottiene una propria vita organica e un’importanza che entrano in concorrenza con la sua funzione di mera cornice”, snaturandola42. L’opera d’arte moderna, che respinge i legami con motivi extra-artistici, secondo il già menzionato principio de l’art pour l’art, può invece “fare a meno delle forze della cornice”43, ricorrendo a cornici molto più semplici e schematiche, con i quattro lati uguali, che assolvono con maggiore coerenza alla propria funzione di servizio. Se questo mutamento può essere interpretato come “un progresso” all’interno di un più ampio processo di “evoluzione culturale”, va allora sottolineato che non è affatto vero che l’evoluzione culturale “conduca sempre il singolo elemento da una forma meccanicisticamente esteriore ad una organicamente viva, di per sé piena di significato. Al contrario: se lo spirito organizza la materia dell’esistenza in modo sempre più comprensivo e in configurazioni sempre più elevate, infinite formazioni, che fino ad oggi conducevano una vita in sé conchiusa, e rappresentavano un’idea propria, vengono degradate a elementi parziali di connessioni più grandi, la cui azione è meramente meccanica: soltanto queste [cioè le connessioni più grandi] sono divenute ora i veicoli del-

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Ivi, 107. Ivi, 106-107. 41 Ibid. 42 Ivi, 106. 43 Ivi, 107. 40

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l’idea, mentre quelli [gli elementi parziali] sono puri mezzi, la cui esistenza particolare è priva di senso”44. Quindi la cornice moderna, “con forma meccanicamente uniforme e priva di significato proprio”, si dimostra più adeguata ad esprimere il giusto rapporto con l’ambiente, perché si mette al servizio dell’unità più ampia di cui fa parte, rispetto alla cornice architettonica, apparentemente più “organica” in quanto dotata di “un significato proprio”45. Se fino qui l’analisi di Simmel parrebbe evidenziare una tendenza positiva, almeno all’interno della sfera estetica, gli ulteriori esempi con i quali procede nel suo ragionamento rivelano delle ombre e dei possibili rischi per il soggetto di conservare la propria unicità e individualità, questa volta sotto la pressione dell’ipertrofia e dell’ipercomplessità dell’universo oggettivo: facendo riferimento al rapporto che intercorre “tra il cavaliere medievale e il soldato dell’armata moderna, l’artigiano indipendente e l’operaio di fabbrica, il comune chiuso e la città dello stato moderno, la produzione domestica e il lavoro all’interno dell’organizzazione di mercato dell’economia monetaria e mondiale”, egli individua un mutamento in atto nella società moderna, mettendo in rilievo che “da essenze coesistenti, reciprocamente autonome, autosufficienti, cresce una formazione che si estende, alla quale le prime cedono per così dire la loro anima, il loro essere per sé, per riconquistare solo come sue parti, che funzionano meccanicamente, un senso della loro esistenza”46. È sorprendente che una lettura così apertamente sociologica, che mette a fuoco il rischio che nella modernità l’individuo si riduca al semplice ruolo di membro organico della società, ad una piccola rotella di un ingranaggio immenso – preoccupazione ricorrente in Simmel, come si vedrà anche in seguito – possa essere stata originata da un semplice confronto tra cornici antiche e moderne. Ciò sta a testimonianza delle potenzialità e dell’inesauribile ricchezza dell’opera dell’Autore, che si presta a molteplici letture trasversali e sa offrire stimoli intellettuali continuamente rinnovabili, peculiarità che spetta solo ai grandi “classici” del pensiero. 1.2. Il tempo dell’arte. Il «Cenacolo» di Leonardo Anche in questo brevissimo saggio è possibile riscontrare la fondamentale problematica sociologica simmeliana del rapporto tra il singolo e la collettività/

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Ibid. Ibid. 46 Ibid. 45

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totalità di cui fa parte. Coerentemente con il titolo, il saggio propone riflessioni sul significato e il modo di utilizzare il tempo nell’arte, ma, come abbiamo avuto ormai modo di appurare, il tema centrale non esaurisce la ricchezza del pensiero simmeliano, che spazia in più direzioni e, in virtù del procedimento analogico, tocca anche questioni di rilevanza sociologica. Esaminiamo dapprima gli aspetti più propriamente estetici. L’esordio è dedicato all’effetto del trascorrere del tempo sui grandi artisti e sulle grandi opere d’arte: mentre l’età “consuma gli uomini mediocri”, nei grandi può invece far risaltare “il loro essere più puro e più essenziale” e “il tratto più profondo e autentico della loro produttività”, poiché distrugge ciò che è superfluo o accessorio o privo di un valore durevole, separando “l’eterno dalla superficie”; un destino analogo spetta a volte alle grandi opere d’arte consumate e logorate dal tempo che passa, in cui la decadenza riguarda però solo la superficie, senza intaccarne “il nucleo essenziale”, anzi facendo emergere con più forza la profondità, la potenza e “l’interna eternità” dell’opera, come nel caso eclatante del Cenacolo di Leonardo. Gli assalti del tempo hanno prodotto in quest’affresco un effetto “unico e assoluto”, che ne valorizza al massimo l’intensità e la peculiarità espressiva47. Simmel mette in risalto in particolare la creazione di “un concetto di tempo completamente nuovo”, che supera le costrizioni del tempo reale, le leggi della contemporaneità e della successione così come avvengono nella realtà, per piegarle alle necessità dell’arte, rivendicando ad essa, per la prima volta, piena sovranità ed autonomia anche nei confronti della forma temporale dell’esistenza. La Cena infatti si svolge “in momenti temporali completamente diversi. I movimenti espressivi dei diversi gruppi rappresentano il risultato e la ripercussione dell’impressione decisiva di quelle parole di Cristo [“C’è uno tra voi che mi tradirà”, n.d.r.] in intervalli di tempo diversi dopo che sono state pronunciate”48. Il genio di Leonardo ha scelto di non rappresentare la scena in un unico momento temporale, uguale per tutti, perché ciò avrebbe appiattito e uniformato le reazioni dei partecipanti: se si fosse limitato a cogliere la reazione immediata a quella frase sconvolgente, cioè la primissima impressione, quasi di tipo riflesso, avrebbe registrato “quasi in tutti lo stesso aspetto”, di sopraffazione dalla sorpresa, e non avrebbe potuto far emergere in modo pieno la peculiare personalità di ognuno dei discepoli, che era il suo obiettivo artistico più sentito. C’è dunque chi è ritratto in un momento che è già di riflessione

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Ivi, 95. Ivi, 98.

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e discussione sulle parole di Cristo, chiaramente successivo ad un primo impatto, chi, come Giuda, “mostra la prima, momentanea sorpresa” e chi si colloca in un tempo intermedio tra questi estremi49. “Per dare forma ai propri sentimenti, ad anime diverse servono tempi diversi”: se la frase di Cristo produce uno sconvolgimento così profondo in ogni anima da far sì che essa risponda “dispiegando l’intera formula del suo essere”, Leonardo sceglie “nella dimensione processuale dello sconvolgimento il momento in cui questo dispiegarsi può avvenire nel modo più completo e più chiaro”50, che non poteva essere per tutti lo stesso. Simmel riesce a dare conto in modo mirabile delle motivazioni di questa scelta: “l’unità del tempo viene spezzata per raggiungere l’unità dei potenziamenti spirituali fino al vertice del loro effetto estetico”, ogni condizionamento del tempo reale viene respinto per permettere alla “capacità formatrice dell’arte” di presentare soltanto “il significato puramente interno dell’oggetto”51. Torna qui una delle idee centrali dell’autore sulle caratteristiche dell’opera d’arte: essere una totalità per sé, che organizza i propri contenuti con riguardo soltanto alle proprie esigenze interne, superando le costrizioni e i limiti del mondo reale per instaurare il regno della libertà e dell’autonomia. E nel far ciò, ci rende felici riscattandoci dal caos della vita. Il saggio va però ben oltre la trattazione del tema del tempo nell’arte, dedicando significative riflessioni al rapporto tra l’espressione della propria peculiare individualità e l’appartenenza ad un gruppo, ad una collettività. In fondo la scelta di collocare le reazioni dei discepoli in tempi diversi mira proprio a questo: a consentire a ciascuno di essi “la più forte, completa espressione della propria natura particolare”, all’interno di una situazione che li coinvolge tutti contemporaneamente. Mentre – fa notare Simmel – precedentemente a Leonardo, nelle moltitudini rappresentate da Giotto e Duccio, “gli uomini restano, per così dire, anonimi, impersonali portatori di un affetto, meri esempi di un concetto generale di stato d’animo o passione”, nel Cenacolo del genio di Vinci “l’emozione provoca il manifestarsi dell’elemento personale più profondo, avvertito nella sua unicità, il che prima non era mai riuscito”52. L’avvenimento esterno costituito dalle parole del Salvatore sul tradimento che avverrà di lì a poco, proprio ad opera di uno dei discepoli, investe il gruppo nel suo

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Ibid. Ibid. 51 Ivi, 98-99. 52 Ivi, 96. 50

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complesso, un gruppo che, come ogni aggregato sociale, è costituito da uomini completamente diversi che reagiscono in modo diverso; è dunque “ovvio” che l’evento in questione spinga “ognuno di essi a sviluppare e a rivelare completamente la propria indole particolare”53. Non è un caso che Leonardo, artista e scienziato, uomo simbolo della più matura cultura rinascimentale, abbia avvertito l’esigenza di valorizzare l’unicità individuale all’interno del gruppo, perché è proprio nel Rinascimento che inizia quel processo di emancipazione dell’individuo dai vincoli sociali della tradizione e della religione che imbrigliavano l’uomo medievale, processo che, sfociando nella piena modernità, aprirà all’individuo nuove opportunità di sviluppo autonomo e nuova libertà di movimento, ma, purtroppo, anche nuovi rischi e problemi proprio nella gestione del rapporto tra il singolo e la complessità sociale. Tutti i grandi sociologi classici – oltre Simmel, anche Weber54 e Durkheim – elaborano in proposito prospettive di analisi che, sia pure con accenti diversi, concordano sui tratti di fondo di questo processo. E quando Simmel, nel saggio in esame, afferma – riferendosi al Cenacolo – che “per la prima volta nell’immagine di un gruppo è ottenuta quella piena libertà interiore della personalità con la quale il Rinascimento ha superato l’irretimento nei pregiudizi dell’uomo medievale e ha dato all’età moderna, come motto, la libertà, per la quale il mondo intero e i suoi avvenimenti sono solo un mezzo e uno stimolo perché l’Io giunga a se stesso”55, egli dimostra di saper leggere ben oltre le circoscritte problematiche di natura estetica e di rivelare, in ogni contesto, in ogni specifico campo d’indagine, la sua sensibilità storico-sociologica e il frutto rielaborato delle sue precedenti riflessioni (si pensi solo all’opera giovanile su La differenziazione sociale56 in cui le potenzialità, in termini di sviluppo della libertà individuale, della società moderna rispetto a quella tradizionale sono già al centro dell’analisi). Se nella realtà del tempo di Simmel queste trasformazioni stavano mostrando anche il loro lato negativo, con tendenze ad un individualismo esasperato con rischio di disgregazione sociale, o con un incremento così spropositato dell’universo oggettivo da arrivare a minacciare la sopravvivenza di una sogget53

Ibid. Per un’analisi delle affinità tra Simmel e Weber rimandiamo al nostro saggio Georg Simmel e Max Weber: modernità, soggettività e conseguenze pedagogiche, in Federici (a cura di) 2001, 151-220, ivi bibliografia. Sul pensiero e l’opera di Weber, con riferimenti anche a Simmel, si rinvia a De Simone 1999. 55 Simmel 1985a, 96. 56 Simmel 1982. 54

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tività in senso pieno, nel dipinto di Leonardo, anche grazie al potere dell’arte, c’è ancora totale armonia: “un destino straordinario, che con quelle parole di Cristo proviene da un punto e torna ad esso, non forza più i discepoli ad una eguaglianza d’affetti e d’espressione” come poteva avvenire nel Medioevo, in cui il singolo stava prevalentemente in un rapporto di coincidenza ed identificazione rispetto al gruppo di appartenenza, “ma agisce su ciascuno come fosse diretto proprio alla sua personalità, come se ciò per cui ogni essere vivente è completamente unico ottenesse soltanto attraverso questa comunanza di esperienza vissuta il suo totale sviluppo e la sua totale manifestazione”57. Sembrerebbe la quadratura del cerchio: proprio attraverso la “comunanza”, l’appartenenza ad una collettività, il singolo riesce ad esprimere pienamente l’elemento personale più profondo, la propria peculiare natura e unicità. L’arte si dimostra ancora una volta in grado di superare i limiti e “la casualità della vita”58, offrendoci un modello ideale al quale potersi ispirare per risolvere i problemi della realtà, o comunque donandoci una tregua e un riscatto dalle aporie del mondo moderno. Simmel lo afferma qui in modo del tutto esplicito, con una frase che è anche rivelatrice della sua continua attenzione al tema sociologico centrale del rapporto tra individuo e società: “il problema vitale della società moderna: come possa costituirsi a partire da personalità assolutamente diverse, e tuttavia equiparate, una compattezza organica e un’unità – è risolto qui in anticipo dall’arte «in immagine»”59. 1.3. Filosofia del paesaggio È davvero fitta la rete che intreccia fra loro gli scritti simmeliani, anche quelli che sembrano affrontare contenuti del tutto diversi. Ad esempio l’idea centrale dell’arte come strumento per superare i limiti del mondo esteriore, le costrizioni delle leggi spaziali e temporali (così esplicita nell’invenzione leonardesca di un nuovo concetto di tempo legato solo alle necessità artistiche), ritorna anche nei saggi dedicati all’interpretazione critico-filosofica del paesaggio60. Il paesag-

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Simmel 1985a, 97. Ibid. 59 Ibid. 60 Si farà riferimento ai seguenti saggi: I paesaggi di Böcklin, del 1895, e Filosofia del paesaggio, del 1912, entrambi contenuti in Simmel 1985a. Sul tema della filosofia del paesaggio in Simmel si rinvia a De Simone 2002a, 147-166. 58

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gio sorge infatti quando, a partire dalla “molteplicità caotica e differenziata degli elementi naturali”61, la nostra coscienza sente il bisogno di elaborare “una nuova totalità unitaria, che superi gli elementi”, e che richieda “un essere per sé”, “un rilievo individuale e caratteristico”62. La pittura di paesaggio, pur legata specificamente al costituirsi dell’esperienza estetica della natura nella modernità63, presenta dunque le caratteristiche tipiche in ogni epoca dell’opera d’arte: legalità autonoma, autosufficienza, superamento dei condizionamenti della vita quotidiana. In particolare, poiché nei confronti delle “impressioni di paesaggio” capita tanto spesso “di sentir dire che si vorrebbe essere pittori per fissarne l’immagine” (la visione stimola dunque la forma artistica, che nell’uomo normale rimane “a livello embrionale”, nell’artista giunge a “creazione propria”)64, possiamo affermare che “quel che fa l’artista: delimitare nella corrente caotica e nell’infinità del mondo immediatamente dato una parte, concepirla e formarla come un’unità, che ora trova il proprio senso in se stessa, tagliando i fili che la collegano al mondo e riallacciandoli nel proprio punto centrale – proprio questo facciamo anche noi, in misura minore e con meno coerenza, in modo frammentario e con limiti incerti, non appena invece di un prato, di una casa, di un ruscello, di un movimento delle nuvole, vediamo un «paesaggio»”65. L’esperienza estetica diventa dunque una modalità di vivere la realtà che non riguarda solamente l’artista, ma potenzialmente ogni uomo, conferendogli spazi di azione per affermare la propria autonomia, scegliendo liberamente secondo la propria sensibilità la parte di realtà che preferisce ed organizzandone a proprio piacimento gli elementi in una sintesi unitaria. Questo tema centrale dell’autonomia dell’opera d’arte, qui declinato relativamente al paesaggio, ritorna ed emerge con particolare evidenza nell’analisi dei paesaggi di Böcklin: essi “ci presentano le cose sub specie aeternitatis, nella loro interna necessità e compiuta significatività, nella loro atemporalità affrancata dalla contingenza accidentale, in cui le relazioni spazio-temporali paiono sospese”66. Dunque la capacità formatrice dell’arte ha il potere di presentarci “il contenuto puramente ideale delle cose, separato da ogni momentaneità storica, da ogni rapporto con un prima e un poi”67, svincolandosi dalle leggi che vigono nel mondo esterno. 61

Vozza 1999, 46. Simmel 1985a, 71-72. 63 Boella 1988, 62. 64 Simmel 1985a, 77. 65 Ivi, 74-75. 66 Vozza 1999, 47. 67 Simmel 1985a, 86. 62

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I paesaggi di Böcklin non sono solo al dì là della dimensione del tempo, ma anche “al di là delle tre dimensioni dello spazio”: in essi la “violenza della forma spaziale sul contenuto dell’immagine del paesaggio è completamente scomparsa”, per cui in questo caso si può parlare di “aspazialità”68. Come osserva criticamente Vozza, “se la scansione temporale viene sospesa, anche le coordinate spaziali cessano di esercitare la loro funzione di organizzazione logico-strutturale degli elementi naturali. […] La sospensione della cogenza spazio-temporale conduce al perfezionamento di quel processo di astrazione e idealizzazione che sovrintende all’insularità estetica e ci affranca dalla mera esteriorità fenomenica e dalla frammentaria caducità dell’esistenza”69. Siamo di fronte a due aspetti collegati: proprio in virtù dell’insulare compiutezza dell’opera d’arte, in questo caso costituita dai paesaggi di Böcklin, del loro “sottrarsi a tutte le mere relazioni, ad ogni condizionamento, ad ogni legame e ad ogni confine con l’esterno”, si produce “il sentimento di libertà che proviamo di fronte ai suoi quadri, quell’emergere, respirare, scuotersi di dosso il giogo che i condizionamenti e i riguardi, gli affetti prossimi e lontani della vita ci impongono. Certo, questa azione liberatrice, questo senso di redenzione non è solo di Böcklin, ma di ogni elevata opere d’arte”70, come Simmel mette costantemente in evidenza pressoché in tutti i suoi saggi di estetica, in cui ricorrono molto spesso, riferiti alla valenza dell’arte, i termini “liberazione” e “riscatto”. Se le riflessioni sopra esposte sono servite a sottolineare alcune trame della fitta rete di rimandi e richiami reciproci rintracciabili nella produzione estetica simmeliana, non è però opportuno, nell’economia di questo saggio e per i propositi che esso si pone, addentrarci ulteriormente nell’analisi a tutto campo dei contenuti specifici dei saggi dedicati alla filosofia del paesaggio. Conviene invece orientare selettivamente lo sguardo al nostro principale tema-guida dei rapporti tra individuo e società. Davvero non ci si aspetterebbe di trovare riflessioni al riguardo in uno scritto che tratta della pittura di paesaggio, in cui la figura umana, l’individuo, o è assente, o ha dimensioni irrilevanti. Il collegamento è molto sottile. Simmel ci fa infatti acutamente notare che la sensibilità per il paesaggio, presupposto indispensabile perché poi nasca la forma artistica “pittura di paesaggio”, è strettamente collegata al processo di individualizzazione, che porta i suoi frutti di autonomia ed emancipazione del soggetto solo nell’epoca moderna, e non prima. Quindi “nessuna meraviglia che l’antichità e 68

Ivi, 87-88. Vozza 1999, 48. 70 Simmel 1985a, 88. 69

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il Medioevo non avessero il senso del paesaggio; l’oggetto stesso non aveva ancora quel netto carattere spirituale e quell’indipendente struttura formale, il cui guadagno finale in seguito fu rafforzato e, per così dire, capitalizzato dalla nascita della pittura di paesaggio”71. Ne consegue che solo più tardi si è potuta sviluppare “la sensibilità per la particolare forma «paesaggio»”, proprio perché essa richiedeva “una lacerazione rispetto al sentimento unitario della natura universale”72 e “tale lacerazione, secondo Simmel, coincide con il tramonto del mito e il sorgere del mondo moderno caratterizzato dal senso dell’individualità”73. Egli afferma infatti, molto esplicitamente, che proprio “l’individualizzazione delle forme esteriori ed interiori dell’esistenza, la dissoluzione dei legami originari e delle unioni in entità particolari differenziate, questa grande formula del mondo successivo al Medioevo ci ha anche fatto vedere per la prima volta il paesaggio nella natura”74. Quindi una natura che “nel proprio essere e nel proprio senso profondo, ignora l’individualità, vien trasformata nella individualità del «paesaggio» dallo sguardo dell’uomo, che divide e configura in forma di unità distinte ciò che ha diviso”75. Solo nella modernità il soggetto giunge ad un livello di consapevolezza della propria unicità e irripetibilità individuale e ad una capacità di percepire se stesso come “separato” dal mondo esterno, da essere in grado, da un lato, di separare “dalla totalità naturale un frammento”, dall’altro, di riunificare e dare “ordine interno agli elementi del frammento medesimo”76, creando un’immagine nuova di natura come paesaggio. Già in alcune pagine di Filosofia del denaro Simmel aveva messo in luce come il “sentimento estetico e romantico della natura”, che è alla radice della pittura di paesaggio, potesse sorgere e diffondersi solo nella modernità, “allorquando la natura si «allontana» dall’uomo e diventa oggetto di vagheggiamento”77: “tutta la nostra vita è caratterizzata dall’allontanamento dalla natura a cui ci costringe la vita economica e la vita cittadina che ne dipende. […] Chi è abituato a vivere a contatto immediato con la natura può certo goderne soggettivamente le virtù, ma gli manca quella distanza da essa a partire dalla quale 71

Ivi, 73. Ibid. 73 De Simone 2002b, 151. Cfr. anche Perucchi 1985, 35. 74 Simmel 1985a, 73. 75 Ivi, 72. 76 Boella 1988, 63. 77 De Simone 2002b, 155. 72

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soltanto è possibile una visione estetica. Dalla distanza, inoltre, nasce quella malinconia, quel sentimento nostalgico di lontananza e di paradiso perduto che caratterizzano il sentimento romantico della natura”78. Per l’uomo moderno la natura è in generale “un’immagine lontana, che persino nei momenti di vicinanza fisica sta davanti a noi come qualcosa di intimamente irraggiungibile, come una promessa mai completamente mantenuta, che anche alla nostra più appassionata dedizione risponde con una lieve resistenza ed estraneità. Il fatto che soltanto nell’epoca moderna si sia sviluppata la pittura paesaggistica – che, in quanto arte, può sussistere soltanto se c’è distanza dall’oggetto e rottura dell’unità naturale con esso – e il fatto che soltanto l’epoca moderna conosca il sentimento romantico della natura, è conseguenza dell’esistenza astratta a cui ci ha condotto la vita urbana basata sull’economia monetaria”79. Il processo di differenziazione sociale, già affrontato nell’opera omonima del 1890, il diffondersi dell’economia monetaria, indagato in tutti i suoi risvolti più simbolici e indiretti nell’ampia monografia del 1900, i tratti della vita metropolitana con le conseguenze sul piano dell’atteggiamento mentale, oggetto di un brillante articolo del 1903: per spiegare il sorgere della pittura di paesaggio, nel saggio qui in esame che è del 1912, Simmel si richiama ad alcune delle tappe più significative del suo percorso intellettuale, dimostrando ancora una volta la sua capacità non comune di svelare relazioni tra aspetti della realtà apparentemente lontani. Inoltre questi collegamenti testimoniano che la sua produzione è più unitaria e interrelata, più fluidamente connessa che non divisa in fasi separate, di quanto molta critica abbia voluto finora far credere. L’aver posto l’accento sullo sviluppo dell’individualità nell’epoca moderna, ponendolo in relazione col sorgere della pittura di paesaggio, consente a Simmel di mettere a fuoco una significativa analogia tra questa forma artistica nel suo rapporto con la totalità naturale e la condizione dell’uomo moderno nel suo rapporto con la società, anche se poi l’esito di questi rapporti analoghi produce conciliazione e armonia nell’arte, ma “lotte e lacerazioni nell’ambito della società e della tecnica”80. Infatti il paesaggio è sì, come già abbiamo messo in evidenza, un “essere per sé”, “una visione in sé compiuta, sentita come unità autosufficiente” (come del resto ogni opera d’arte), ma è anche intrecciato “con qualcosa di infinitamente più esteso, fluttuante, compreso in limiti che 78

Simmel 1984, 673. Ivi, 674. 80 Simmel 1985a, 73. 79

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non esistono per il sentimento – proprio di uno strato più profondo – dell’unità divina, della totalità naturale. Da questo sentimento i confini autonomi di ogni paesaggio vengono continuamente sfiorati e allentati, e il paesaggio, benché separato e indipendente, viene continuamente spiritualizzato dall’oscura coscienza di questa connessione infinita”81. Ed è proprio della modernità che tra l’uomo e la natura, spezzata l’identificazione unitaria, s’inserisca “quell’istanza che collega solo in quanto distingue”82. Dunque nella pittura di paesaggio abbiamo al tempo stesso indipendenza, autonomia, rilievo individuale rispetto all’unità indissolubile della natura, ma anche connessione, intreccio, appartenenza, e questi due aspetti, che si configurano come una declinazione della questione più generale dei rapporti tra la parte e il tutto, sono armonicamente conciliati. Al contrario, nella società dei tempi di Simmel (ma in certi termini anche in quella odierna) “che la parte divenga un tutto indipendente, diventando troppo grande per l’intero cui apparteneva e pretendendo particolari diritti rispetto ad esso, è forse la più radicale tragedia dello spirito, che nell’epoca moderna ha raggiunto il massimo effetto, arrogandosi la direzione del processo culturale. Dalla molteplicità delle relazioni nella cui trama son compresi gli uomini, i gruppi, le strutture, si leva contro di noi quel dualismo provocato dal fatto che il singolo desidera essere una totalità, mentre la sua appartenenza ad una totalità più grande gli concede soltanto un ruolo secondario. Noi sperimentiamo il nostro centro contemporaneamente fuori di noi e in noi, perché noi stessi, e la nostra opera, siamo meri elementi di totalità che richiedono una specializzazione unilaterale in conformità alla divisione del lavoro, mentre noi vogliamo essere e creare qualcosa di compiuto e di indipendente”83. Si ritrovano in questo passaggio due delle preoccupazioni più sentite di Simmel riguardo al destino dell’uomo nella modernità: che possa svilupparsi un “esagerato soggettivismo” e un “caricaturale fraintendimento”84 del moderno individualismo, o, al contrario, un “esagerato oggettivismo”85, che riduca l’individuo “ad una quantité négligeable, ad un granello di sabbia di fronte ad un’organizzazione immensa di cose e di forze”86, considerato solo per la fun-

81

Ivi, 72. Simmel 1984, 674. 83 Simmel 1985a, 73. 84 Simmel 1993, 11 e 13. 85 Nedelmann 1988, 530. 86 Simmel 1995b, 54. 82

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zione specialistica svolta all’interno del sistema, sempre più complesso e sempre più dotato di un’oggettività soverchiante, della tecnica e della divisione del lavoro. In particolare quest’ultima preoccupazione, che vede nella società moderna non tanto un mezzo quanto un ostacolo per l’indipendenza e la capacità di autorealizzazione individuale, diventa una costante nelle opere più tarde: nel saggio su La legge individuale87, del 1913, si afferma infatti che “il singolo è circondato da una società, nella cui unità ogni elemento individuale è paralizzato, mentre la vita sociale scorre attraverso ogni individuo e gli concede solo l’indipendenza di un membro organico, per sé mobile, nei confronti della totalità unitaria del corpo”88; nell’ultima opera sociologica simmeliana, del 1917, che contiene la sintesi più matura del suo pensiero in quest’ambito di ricerca e che non a caso torna, anche nel titolo (Problemi fondamentali di sociologia. Individuo e società) sul tema cruciale dei rapporti tra il singolo e la collettività, la visione viene ribadita, accentuandone l’aspetto conflittuale: “La società tende a proporsi come totalità e come unità organica, facendo dell’individuo nient’altro che un suo membro. Nel particolare compito cui è assegnato, egli deve profondere ogni sua energia, fino a trasformarsi e ad integrarsi nel ruolo come suo titolare più qualificato. Ma contro questo ruolo entra in funzione l’impulso all’unità e alla totalità, che è tipico dell’individuo in quanto tale”89, che vuole vedere se stesso già come un tutto in sé compiuto. Il passo di Filosofia del paesaggio di cui si sono appena rintracciati i rimandi in svariate opere simmeliane, è interessante anche sotto altri aspetti. Va infatti rilevato, come osserva criticamente Perucchi, che lo “stretto collegamento” che in esso emerge “tra la forma artistica e le forme storiche ed economiche è una traccia significativa della presenza dei punti di vista e degli strumenti teorici della sociologia all’interno della riflessione simmeliana sull’arte, nella quale torna a manifestarsi il problema fondamentale di tutta la sua speculazione, il rapporto individuo-società. Infatti, mentre sembra insanabile la contraddizione tra l’aspirazione del singolo ad essere una totalità e il ruolo che egli impersona come funzione della totalità cui appartiene, la forma-paesaggio concilia la propria individualità con l’universalità della natura, come nell’identificazione romantica del finito e dell’infinito. Siamo di fronte ad una manifestazione

87

Per un’analisi critica del concetto di “legge individuale” in Simmel si rinvia ad Andolfi 2001, 9-33 e a De Simone, L’ethos dei moderni e la legge individuale, in De Simone 2002b, 493-590. 88 Simmel 2001b, 45. 89 Simmel 1983, 94-95.

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dell’«estetismo» di Simmel? Ci sembra comunque che anche qui si riveli la sua coscienza dell’ambivalenza strutturale del mondo moderno: la stessa forma – dice egli infatti – produce la conciliazione espressa nell’arte e la lotta nella società. La dolcezza del paesaggio appare come il rovescio di una medaglia: l’altra faccia presenta i conflitti”90. Al di là della questione sollevata da Perucchi relativamente al presunto estetismo di Simmel, sulla quale prenderemo posizione nelle conclusioni, la sua analisi è particolarmente interessante nel contesto di questo saggio, perché si rivela in totale sintonia con le tesi qui proposte: che ci sia una presenza trasversale di alcuni temi chiave in tutta l’opera simmeliana, che la centralità della sua tematica sociologica più importante (il rapporto individuo-società) emerga anche all’interno dei saggi d’estetica e che l’arte possa assolvere ad una funzione di risoluzione, almeno al livello simbolico dell’immagine, dei problemi e delle contraddizioni del mondo moderno.

2. Tre itinerari di approfondimento Nell’ultima parte di questo saggio s’intende fare il punto su tre questioni ritenute essenziali, tentando di portare a compimento quanto è stato affrontato in forma più diluita e obliqua nel corso del lavoro, ma tralasciando il tema-guida più diretto del rapporto tra individuo e società, poiché ci sembra sia già emersa con sufficiente evidenza la sua presenza trasversale e pregnante all’interno dei diversi saggi di estetica esaminati. 2.1. Primato della prospettiva estetica e forme di sapere La prima questione riguarda la pervasività della prospettiva estetica nell’opera di Simmel e il primato euristico che egli assegna all’estetica nei confronti delle altre forme di sapere. La seconda questione, strettamente connessa, concerne il rapporto tra il dettaglio e la totalità, e la terza le funzioni assegnate all’arte all’interno della società moderna e in generale della vita umana, segnata da profonde contraddizioni ed antinomie. C’è un passaggio della prefazione alla Filosofia del denaro che rivela in modo eclatante le potenzialità del metodo estetico rispetto a quello teoretico, consueto della filosofia, ed è quindi ben idoneo ad introdurre la riflessione sulla

90

Perucchi 1985, 35.

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prima questione: “Lo straordinario vantaggio dell’arte nei confronti della filosofia consiste nel fatto di porsi ogni volta un unico problema rigorosamente circoscritto, sia questo un uomo, un paesaggio, o uno stato d’animo, in modo tale che ogni estensione dallo stesso verso il generale, ogni richiamo ai tratti più ampi della intuizione del mondo venga percepito come un arricchimento, un dono, un beneficio immeritato. Al contrario, la filosofia, che affronta nientemeno che il problema della totalità dell’esistenza, è solita restringersi di fronte alla grandezza di questo compito e offrire di meno di quanto sembra obbligata ad offrire”91. Il riferimento all’arte è legato dunque alla sua capacità “di far emergere tratti della totalità attraverso una proiezione ideale, una «costruzione» prospettica del significato di un particolare”92, attuata senza scivolare in pretese di validità universale, come accade invece nei sistemi filosofici tradizionali, ma anzi con la consapevolezza del carattere provvisorio delle proprie interpretazioni. Per queste risorse connaturate alla prospettiva estetica Simmel “propone da un punto di vista metodologico l’adozione, per la propria filosofia del denaro, di un procedimento analogo a quello dell’arte. Attraverso analogie e paralleli ricorrenti con l’esperienza e il mondo dell’arte, Simmel suggerisce quindi, come possibile modello per la conoscenza, il procedimento artistico che parte dall’individuale e dal singolare per poi estendersi al generale/universale. Naturalmente egli è consapevole che tale modello non può valere per tutti i tipi di conoscenza, né lo sostiene, tuttavia questo modo di procedere gli sembra particolarmente adeguato per quelle discipline, come la storia o la sociologia, che hanno per oggetto gli uomini, i loro comportamenti, e la loro spiritualità in senso lato”93. Coerentemente con le proprie convizioni, egli di conseguenza utilizza tale metodo sia nelle opere di impostazione storico-filosofica sia in quelle sociologiche. Va dunque rilevato come non solo la riflessione sull’arte sia presente fin dai primi saggi simmeliani (I paesaggi di Böcklin risalgono al 1895, Estetica sociologica al 1896) ed accompagni con rilevanza crescente il suo itinerario teoretico sino alle ultime fasi, dedicate alle importantissime monografie su Michelangelo, Rembrandt e Rodin (rispettivamente del 1910, 1916 e 1917), ma come la “dimensione estetica operi attivamente, a volte come modello o come semplice sfera privilegiata di confronto, in tutte le sue opere maggiori”94, a cominciare 91

Simmel 1984, 88. Cfr. anche Boella 1988, 73; Vozza 1999, 31-32; Portioli 2004, 140-

141. 92

Boella 1988, 73. Portioli 2004, 141. 94 Vozza 1999, 34. 93

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dai Problemi della filosofia della storia (1892), “in cui allo storico è attribuita la libertà dell’artista”95, e da Filosofia del denaro (1900), in cui numerose intuizioni sulla valenza e le conseguenze dell’economia monetaria sulla vita moderna vengono illuminate da analogie tratte dalla sfera artistica, per arrivare a Sociologia (1908), in cui, nell’ultimo capitolo, si ribadisce il potere conoscitivo del procedimento artistico e la sua superiorità nel cogliere il carattere individuale ed unico dei fenomeni, e infine a Intuizione della vita (1918), l’ultima opera simmeliana, pubblicata nell’anno della sua morte, “dove l’arte è, insieme al conoscere e alla religione, una delle categorie, delle funzioni dello spirito, in base alle quali la totalità dei contenuti viene ricondotta a un mondo ideale, divenuto autonomo rispetto alla vita, da cui pure ha origine, e dominato da un principio unitario”96. Occorre poi sottolineare che la messa a fuoco chiara ed esplicita dei principi ispiratori della teoria della conoscenza di Simmel, “ovvero la sua «prospettiva estetica», che caratterizza in modo così peculiare il suo sguardo sul mondo sociale”97, avviene precocemente, già nel 1896, nel saggio dedicato all’Estetica sociologica, uno scritto di rilevanza programmatica fondamentale nel pensiero filosofico e sociologico dell’Autore. In esso si afferma infatti che “l’essenza dell’osservazione e della rappresentazione estetica risiede nel fatto che il tipico deve essere scoperto in ciò che è unico, ciò che segue una legge in ciò che è casuale, l’essenza e il significato delle cose nel superficiale e nel transitorio”98: di conseguenza anche il “fenomeno più indifferente – che in uno stato di isolamento è banale e repulsivo –”, può essere considerato “come un lampo o un simbolo dell’unità ultima di tutte le cose”99. Va riconosciuto a Simmel di perseguire con sistematica coerenza, al di là dell’eterogeneità dei temi affrontati, le potenzialità di questo suo nuovo e originale punto di vista sul mondo sociale, che si configura come un vero e proprio “metodo” di analisi dei fenomeni: ne è di nuovo conferma la sua grande opera più nota, Filosofia del denaro (solo per limitarci ad un esempio significativo), in cui ritroviamo la nozione di superficie, che compare nella prefazione “con una funzione metodologica analoga a quella che nei saggi estetici aveva la «visibilità» e consistente nell’organizzare, a partire da singoli particolari della vita economica, un contesto di significato in

95

Perucchi 1985, 13. Ibid. 97 Mele 2004, 176. 98 Simmel 2003a, 180. 99 Ibid. 96

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cui questi si rivelino sia dotati di una logica interna, sia collegati con un tutto più ampio”100: “il senso e lo scopo dell’intera opera consiste appunto nel tracciare una linea direttrice, che vada dalla superficie del divenire economico fino ai valori e ai significati ultimi dell’umano nella sua totalità”101. Questa prospettiva simmeliana, che attribuisce un primato gnoseologico all’estetica, fondato a sua volta sul primato euristico che la superficie detiene sulla profondità102, fu accolta ai suoi tempi, forse poco maturi per un approccio così innovativo, con accenti decisamente critici e negativi e valse all’Autore le accuse di essere solo un flâneur, un “intellettuale da salotto”, di fare dell’“impressionismo sociologico”, privo di scientificità e dal carattere estetizzante. Paradossalmente (quindi in un modo che gli sarebbe certamente piaciuto, dato il suo gusto per i paradossi e gli ossimori) proprio le ragioni per le quali è stato oggetto di critiche fanno sì che oggi Simmel sia avvertito come il più “contemporaneo” dei classici: nei suoi scritti rivela una sensibilità quasi “postmoderna” per i fenomeni effimeri e i dettagli apparentemente banali della vita quotidiana, per le dimensioni poco esplorate della percezione sensoriale, spaziale e temporale della realtà, per le forme d’interazione più fugaci e superficiali, nelle quali però è celata la possibilità di comprendere il significato più profondo di un’epoca storica e sociale. Non è quindi un caso che, solo per fare un esempio, uno dei sociologi contemporanei più noti, Michel Maffesoli, si richiami così frequentemente alla lezione simmeliana, sia con riferimenti espliciti, sia in modo indiretto e diffuso. La stessa idea di “ragione sensibile”, al centro di un suo recente testo, cioè una ragione che superi il razionalismo astratto, meccanico e strumentale della tradizione occidentale ed integri nell’atto cognitivo la dimensione sensibile come parte costitutiva della natura umana e degli effetti sociali che essa presuppone, che riconosca come “in ogni ambito, dal più serio al più frivolo, da quello ove si muovono i vari giochi delle apparenze a quello ove agisce il gioco politico, così come nelle varie istituzioni, la passione, il sentimento, l’emozione e l’affetto (ri)vestono un ruolo di primo piano”103, pare essere in linea con le acquisizioni del pensiero simmeliano. Ciò risulta maggiormente chiaro se si considera la prospettiva estetica nella sua accezione più ampia, del resto consentita dall’etimologia della parola: “Aisthesis, ossia sensazione: un fatto dei

100

Boella 1988, 72. Simmel 1984, 87. 102 Cfr. Vozza 1999, 31. 103 Maffesoli 2000, 31. 101

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sensi. Ma anche sensibilità. Che non è un fatto bensì una facoltà. Ed è la facoltà che, filtrando quel fatto attraverso la coscienza, lo porta ad una dimensione più elevata. Appunto la dimensione della coscienza. Dove in questione è il sentire. […] Sia pure dunque, l’estetica, teoria della conoscenza sensibile o, meglio, teoria dell’esperienza che ha nel sentire il suo organo privilegiato. Posto il sentire (e il senso) al centro del campo d’indagine, vedremo disporsi attorno a questo asse un’infinità di prospettive diverse, dove sono in gioco tanto l’arte quanto il costume, tanto le trasformazioni del gusto quanto gli eventi che mutano la scena del mondo”104. Queste forme conoscitive basate sulla sensazione, sulla percezione e sull’intuizione sono state a lungo considerate d’ordine inferiore rispetto al pensiero concettuale, al razionalismo causale, alle cosiddette “teorie scientifiche”, e per tale motivo i due ambiti sono stati tenuti ben separati: “si è reso necessario fare dell’arte e della scienza due «oggetti» ben distinti: uno per i sentimenti, l’altro per la ragione”, con una forzatura che potremmo definire innaturale poiché “nella realtà, intesa come tale, l’immagine, l’intuizione e il concetto sono appunto fortemente uniti”105. Lo stesso Maffesoli riconosce a Simmel il merito di essere stato tra i pochi “che hanno tentato di valicare un simile confine”, cioè quello tra arte e conoscenza, e di averlo fatto a proprio “rischio e pericolo”, esponendosi alle accuse, fra gli altri, del collega Durkheim che non esitò a definire il pensiero simmeliano un “genere di speculazione bastarda secondo la quale il reale viene espresso in termini esclusivamente soggettivi, come nell’arte, ma al tempo stesso astratti, come nella scienza”106. Sta il fatto però che proprio questa “speculazione bastarda” ha consentito a Simmel, in netto anticipo rispetto ad altri studiosi, di cogliere “le affinità profonde, le complesse e sottili corrispondenze di cui è intrisa l’esistenza naturale e sociale”, dando spazio “alle forme, alle apparenze, a tutte quelle cose sensibili che […] non possono essere ridotte a pura intellettualità”107. Occorre infine considerare che l’interesse per la dimensione estetica consente a Simmel non solo di individuare un metodo fondamentale e innovativo per la comprensione del reale in tutte le sue manifestazioni, ma gli permette

104

Givone 2003, 10-11. Maffesoli 2000, 62. 106 Ibid. La citazione di Durkheim, che si trova in “L’année sociologique”, n. 5, 19001901, p. 145, è tratta dalla recensione che il sociologo francese scrisse a commento della grande opera simmeliana Filosofia del denaro, pubblicata nel 1900. 107 Maffesoli 2000, 63. 105

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anche di riconsiderare l’individuo, di trovare “le condizioni adatte allo sviluppo dell’individualità. Questo grazie alle caratteristiche proprie della sfera estetica, all’interno della quale trovano espressione modalità di conoscenza del reale che privilegiano la sensibilità rispetto all’intelletto, e vengono tematizzati concetti quali gusto e sentimento, i quali, non essendo soggetti a fondazione epistemologica, consentono modelli di esperienza della verità individuali e indipendenti da validazioni. […] In un ambito in cui la conoscenza sensitiva si pone come alternativa a quella razionale, come para e non pre-razionale, in cui viene sanzionata l’eterogeneità dei dati della sensibilità rispetto alle categorie dell’intelletto, l’individuo vede rivalutate quelle doti personali che diversamente, in un’ottica puramente razionalistica, verrebbero confinate a rumore di fondo, ad interpretazioni opinabili. Una volta assodata l’attendibilità e la validità dei frutti della sensibilità quali parametri interpretativi della realtà, si aprono per il singolo infinite possibilità; l’esperienza estetica diventa contemporaneamente frammentazione e sintesi, decostruzione secondo le forme desiderate e ricostruzione in un’unità”108. L’esperienza estetica può dunque essere considerata prossima all’esperienza individuale, può creare i presupposti per la valorizzazione del singolo, può diventare una modalità di vivere la realtà e di rapportarsi ad essa senza esserne fagocitati o schiacciati, e può quindi costituire uno spazio privilegiato “all’interno del quale è possibile l’autodeterminazione e l’autoarticolazione”109. Ovviamente è questa una strada che offre solo delle possibilità e non delle certezze di risoluzione del conflitto generale della vita tra individualità e generalità, tra indipendenza ed appartenenza, soprattutto nel contesto della modernità, caratterizzata dalla crescita ipertrofica della cultura oggettiva, potenzialmente lesiva delle prerogative di autonomia e libertà del soggetto. È però significativo che Simmel anche questo veda nell’approccio estetico: una possibile “ancora di salvezza per l’individuo della società moderna ormai non più in grado di dominare la realtà”110, aspetto non da poco, per un Autore che ha sempre avuto a cuore la salvaguardia della soggettività in senso pieno e dell’opportunità di realizzazione del proprio sé.

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Gobbicchi 1998, 98. Ivi, 99. 110 Ivi, 98. 109

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2.2. Questioni metodologiche: dai dettagli all’intuizione della totalità Già nel corso delle riflessioni appena svolte si è avuto frequentemente modo di toccare il tema del rapporto tra il dettaglio e la totalità, tra il frammento e l’intuizione del tutto, tra il particolare e la dimensione generale dei fenomeni, in quanto esso costituisce il tratto peculiare del metodo simmeliano, strettamente connesso alla sua prospettiva estetica di approccio alla realtà, perché ne è indispensabile strumento applicativo. Nell’affrontare la seconda questione, puntualizzandola a livello di approfondimento, terremo dunque conto di quanto è stato già detto, limitandoci ad alcuni ulteriori commenti e citazioni esemplificative. Siegfried Kracauer, che “da Simmel ha appreso ad apprezzare la concretezza, ad aprire gli occhi sui più umili o trascurati aspetti del mondo quotidiano, a disprezzare i concetti generali che non siano il frutto di una serie di passaggi attraverso la specificità dell’oggetto di indagine”111, ovvero a seguire le tracce della totalità a partire dai singoli indizi, dai particolari apparentemente insignificanti, ha trovato forse le parole di maggiore efficacia e forza espressiva su questo aspetto del modo di procedere del suo maestro che egli poi ha fatto proprio: poiché “anche attraverso la più angusta porta laterale si può giungere nel centro dell’essenza umana”112 e poiché “tutto è in rapporto con tutto”113, “ogni singolo fenomeno può diventare punto di partenza per la ricerca filosofica, dato che a partire da questo oggetto – o da qualsiasi altro – è possibile sondare le connessioni esistenti all’interno della totalità della vita che tutti li abbraccia”114. Ogni dettaglio va dunque oltre se stesso e rimanda ai legami con altri fenomeni, così che dal loro intreccio, dal loro reciproco rispecchiamento diventa possibile effettuare incursioni nella totalità e “penetrare nella struttura globale della molteplicità del reale”115. Se il dettaglio rimanda alla totalità, analogamente e parallelamente la superficie rimanda alla profondità e Simmel si muove in entrambe le direzioni: “partendo dalla superficie delle cose, con l’aiuto di una serie di rapporti analogici e di affinità sostanziali, egli penetra nei loro fondamenti spirituali; così di ogni superficie evidenzia il carattere simbolico,

111

Bodei 1982, 20. Kracauer 1982, 48. 113 Ivi, 49. 114 Ivi, 61. 115 Ibid. 112

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come manifestazione ed effetto di queste forze spirituali e di queste essenze. L’avvenimento più insignificante indica la via verso gli strati profondi dell’anima; ad ogni evento, considerato da un certo punto di vista, può essere attribuito un significato rilevante. In Simmel, una luce che parte dall’interno fa risplendere i fenomeni, come le stoffe e le gemme di certi quadri di Rembrandt”116. E quando egli si avvicina allo studio di quelle grandi individualità che si sono manifestate nella loro opera, come appunto Rembrandt, ma anche Kant, Schopenhauer o Nietzsche, riesce, prendendo in considerazione esclusivamente le opere, a costruire collegamenti trasversali “che non corrispondono affatto alle connessioni che compaiono apertamente nell’opera e che l’autore ha messo volutamente in luce”117, ma che sono frutto del suo “sguardo obliquo”, della sua capacità di guardare “attraverso” l’opera, di scorgere quelle corrispondenze nascoste che come raggi portano dai diversi elementi al punto centrale. Occorre tener presente però che Kracauer, sebbene sia stato uno dei primi a riconoscere l’originalità innovativa e il valore euristico del metodo simmeliano, che consentiva una maggiore aderenza alla realtà rispetto ai compatti assetti teorici della filosofia e della sociologia tradizionali, ha espresso anche giudizi fortemente critici nei confronti del suo maestro, condannandone la debolezza dell’impianto filosofico e la fragilità del profilo umano, carente di idealità e di motivazioni forti e non in grado di imprimere una direzione chiara né alla propria vita né alla propria visione filosofica118. Paradossalmente, nonostante queste critiche, l’opera di Kracauer vale ancora oggi da testimonianza di quanto significativa e operante sia stata l’influenza simmeliana sui propri allievi, spesso più profonda e incisiva di quanto essi stessi abbiano mai voluto ammettere119. Se poi ci limitiamo a considerare l’aspetto più specifico e “metodologico” del rapporto tra il dettaglio e la totalità, non vi è dubbio che Kracauer, che ha avuto la fortuna di assistere alle lezioni simmeliane, vedendone il metodo così peculiare direttamente messo in atto in aula, è comunque comprensibilmente affascinato da tale tratto del pensiero del suo maestro; non mancano però anche studiosi contemporanei che continuano a richiamarsi a questo modo di procedere di Simmel e a valorizzarne le potenzialità. Quando Maffesoli affer-

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Ivi, 62-63. Ivi, 65. 118 Cfr. D’Andrea 2004, 50-51. 119 Ivi, 52. 117

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ma che “ogni frammento, per quanto specifico, contiene […] in nuce la totalità vista nel suo complesso”120, si rivela apertamente debitore nei confronti di Simmel, come del resto in altri passi riconosce esplicitamente: “Autori come Georg Simmel e Walter Benjamin […] hanno elaborato tutta la loro opera sulla base di una continua interazione tra il frammento, la micrologia, e la solida architettura che è loro propria”121. David Frisby, dal canto suo, ha trovato nel frammento un filo conduttore che, a partire da Simmel, passando per Benjamin e Kracauer, gli consente una lettura trasversale della modernità122. Tra gli italiani Vozza123 e Squicciarino124 hanno dedicato notevole attenzione al rapporto superficie-profondità e D’Andrea ha sottolineato come “nel frammento, […] nel dettaglio banale si nasconde tutta la ricchezza di informazioni e di sensazioni del mondo. Il frammento è l’unità di studio per le scienze umane, in esso è celata la possibilità di comprendere il tutto che, di per sé, rimane invece inesperibile ed inesprimibile”125. Se finora abbiamo preso spunto da come la letteratura critica ha considerato e interpretato il modo di procedere simmeliano per la comprensione dei fenomeni, è opportuno ricordare che questo metodo non solo viene, ovviamente, applicato e utilizzato dall’Autore come irrinunciabile strumento d’indagine, ma viene esplicitamente tematizzato in svariati passi delle sue opere. Limitando l’analisi ai saggi d’estetica, oggetto specifico d’interesse in questo saggio, va richiamata la prefazione del saggio su Rembrandt, in cui Simmel mette in luce che il compito essenziale della filosofia consiste nel “penetrare dalla singolarità immediata, dalla semplicità del dato allo strato dei significati spirituali ultimi”, e che “i concetti filosofici non dovrebbero restare sempre e solo nel loro ambito, ma dare anche alla superficie dell’esistenza quel che le spetta”126, in modo da cogliere, attraverso un fitto reticolo di connessioni costruite a partire dalla pura fattualità, l’indivisa unitarietà del mondo. Nel campo dell’arte, “che rappresenta l’unità della vita in un puro gioco di superfici”127, questa dinamica si rivela con particolare evidenza nel ritratto: nella rappresen-

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Maffesoli 2000, 105. Ivi, 101. 122 Cfr. Frisby 1992. 123 Cfr. Vozza 1988. 124 Cfr. Squicciarino 1999. 125 D’Andrea 1999, 40. 126 Simmel 2001c, 13. 127 Simmel 1985a, 57. 121

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tazione del “puro fenomeno ottico dell’uomo” è l’anima a costituire la legge unificante di tutti gli elementi visibili, a congiungere la superficie al profondo, il visibile all’invisibile, fino ad arrivare alla percezione di quell’unità della persona in cui anima e corpo sono indivisibili128. La forma e la visione estetica riescono dunque ad eliminare “l’equivalenza delle cose”, mostrando anzi che “il destino di ogni singolo dettaglio determina la totalità degli altri”e ciò avviene in massimo grado nel volto, “in cui la determinazione specifica di ogni tratto è del tutto solidale con quella di ogni altro, cioè della totalità”129 e trova il suo vertice nell’occhio, nella sua estrema mobilità che ne fa lo specchio sensibile dell’anima. Ma non solo: dalla dimensione estetica si origina quell’itinerario conoscitivo che è stato messo più volte in evidenza e che ricongiunge il tema del rapporto tra il dettaglio e la totalità alle più significative indicazioni euristiche simmeliane, in questo caso espresse partendo proprio dal significato estetico del volto: “l’occhio, come in generale il viso, ci dà la sensazione, anzi ci offre il pegno, del fatto che la completa soluzione dei problemi artistici della pura visibilità, della pura immagine sensibile della cose, significa contemporaneamente la soluzione degli altri, compresi nell’arco che si tende tra l’anima e il fenomeno, come problemi del loro velo e del loro disvelamento”130. 2.3. Arte, vita e società Rispetto alla terza questione, le funzioni dell’arte nella società e nella vita dell’uomo, è già emerso più volte nel corso del saggio come Simmel vi veda l’ispirazione e la guida alla risoluzione, almeno a livello simbolico, dei problemi della realtà, risoluzione che viene “anticipata” dall’immagine: l’arte, proprio per le sue caratteristiche di essere totalità per sé, per la sua autosufficienza, la sua legalità autonoma e la sua posizione insulare, “supera la casualità della vita”131, ci “riscatta” dal caos dalla vita, ha un’“azione liberatrice” e offre un “senso di redenzione”132. La vita infatti “manifesta lacerazioni, estraneità, contrasti inconciliabili tra i suoi elementi e i suoi orientamenti, che l’autodelimitazione dell’arte ignora”133.

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Cfr. Perucchi 1985, 27. Simmel 1985a, 48. 130 Ivi, 49. 131 Ivi, 97. 132 Ivi, 88. 133 Ivi, 60. 129

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Simmel torna frequentemente su questa tematica all’interno dei suoi saggi di estetica, a volte con frasi così sentite e così “ispirate”, quasi poeticamente, che sentiamo l’esigenza di riportarne qui almeno le più, a nostro avviso, significative, lasciando che sia lo stesso Autore a parlare. Ne I paesaggi di Böcklin viene messo in evidenza come sia “essenziale che ogni grande arte unifichi i contrari, senza essere toccata dalla necessità di un aut aut”, aspetto che diventa di cruciale rilevanza nella modernità perché “per noi uomini moderni la vita, la sensibilità, le valutazioni, la volontà, si sono scisse in infinite antitesi, siamo sempre divisi tra il sì e il no, e afferriamo la nostra vita interiore come il mondo esterno mediante categorie nettamente differenziate”134. Questa potenzialità unificatrice dell’arte, di superamento sia delle antinomie che della casualità, ritorna ne Il Cenacolo di Leonardo: “il senso e la sorte felice dell’arte è di svelare come serie di fenomeni, che nella realtà si svolgono parallelamente in modo indifferente, casuale, ostile, siano profondamente unite, comprese in un’armonia, simboli l’una dell’altra”135. Forse l’espressione più fedele della funzione che Simmel assegna all’arte risalta nelle frasi finali de Il problema del ritratto, dove essa appare come “la garanzia minima dell’accettabilità dell’esistenza”136, pur se, ad una prima impressione, potrebbe sembrare solo un simulacro rispetto alla forza e l’energia sempre rinnovantesi della vita: “La realtà della vita manifesta una forza interna, una compenetrazione e una crescita potente dei suoi elementi, davanti alla quale l’arte potrebbe sembrare un rispecchiamento penosamente unilaterale. Ma il prezzo pagato dalla vita è il caos, sono le mille fratture e incomprensibili accidentalità, le reciproche ostilità dei suoi elementi. Nell’ambito limitato dell’arte gli elementi sono invece collegati da un senso saldo e trasparente, da un’armonia non casuale. Ed è questo il riscatto, la felicità che l’arte ci dà. Infatti, poiché, infine, anch’essa proviene dalla vita, e trae dal suo palpito le forze del proprio sviluppo, l’armonia, che le cose trovano nel suo specchio, per quanto possa essere parziale, ci dà un’idea e ci offre un pegno della possibilità che gli elementi della vita, nel fondamento ultimo della loro realtà, non siano così disperatamente indifferenti e antitetici, come tanto spesso la vita vorrebbe farci credere”137.

134

Ivi, 90. Ivi, 97. 136 Perucchi 1985, 36. 137 Simmel 1985a, 60-61. 135

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In una riflessione contenuta nel Diario postumo questo doppio movimento, dalla vita all’arte e dall’arte di nuovo alla vita, come riscatto e conforto, attraverso la creazione nell’arte di una nuova vita e un nuovo mondo, finalmente conciliato, è ancor più efficacemente esplicitato: “L’arte è il nostro grazie al mondo e alla vita. Dopo che essi hanno creato le forme di comprensione sensibili e spirituali della nostra coscienza, li ringraziamo proprio creando, con il loro aiuto, ancora una volta un mondo e una vita”138. Questo senso di ringraziamento non va però solo in direzione della vita, che è indubbiamente all’origine di ogni atto spirituale, compreso quello artistico-creativo, ma nasce anche nei confronti dell’opera d’arte stessa, che sta davanti a noi come “caduta dal cielo”139, suscitando quel “sentimento del dono immeritato con cui ci rende felici”140. Più volte Simmel sottolinea questa valenza dell’arte come dono, oltre che come riscatto. Ed è in un passaggio contenuto all’interno del saggio dedicato alla Normatività dell’opera d’arte che questa proprietà viene sviscerata nel modo più mirabile nella sua genesi e nel suo creare un bisogno che coincide col suo soddisfacimento, attraverso il ricorso, per una più incisiva e toccante esemplificazione, ad una bellissima analogia con ciò che avviene nell’amore, che, per il fascino con cui è espressa, ci piace riportare per intero: “L’opera d’arte appartiene a quei rari doni della vita, che sono destinati a soddisfare un bisogno, che essi stessi risvegliano nell’attimo stesso in cui il loro esserci lo soddisfa. L’effettualità in noi e fuori di noi ci fa conoscere il suo impulso a venir liberata nell’arte, solo insieme ad un certo compimento di questa stessa liberazione. Un riscontro assolutamente perfetto lo offre, forse, solo l’amore, e, cosa mirabile, sia nel suo grado più sensuale che in quello più spirituale. Se l’amore è il compimento di un desiderio, questo desiderio noi lo avvertiamo anzitutto nel momento stesso della soddisfazione – certo, solo in casi eletti, per i quali l’amore appartiene a quei fenomeni che non si possono presentire prima di vivere. Tuttavia il fatto di essere, come l’opera d’arte, nel segno di un bisogno soddisfatto, di una domanda cui si è risposto, di una esigenza placata, dà all’amore, come all’opera, la sua compiutezza, la sua beatitudine in sé. Tutto ciò che è semplice dono della fortuna, che non realizza un disegno idealmente preesistente, è inserito nella molteplicità di ciò che accade, determinato e determinante. Solo dove bisogno ed esigenza aleggiano intorno al dono, dove bisogno ed esigenza dal dono stesso ci crescono intorno, 138

Simmel 1970, 15. Ivi, 89. 140 Simmel 1985a, 102. 139

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dove la loro necessità viene dalla loro effettualità – soltanto qui, il dono chiude il cerchio in se stesso, senza bisogno di un legame con qualcosa di esterno, eccitando la sete con lo stesso atto con cui la placa e può placarla”141. Certo, da tutte queste riflessioni simmeliane si potrebbe arrivare a pensare che egli concepisca l’arte non tanto o non solo come strumento euristico per arrivare dal visibile alle scaturigini più profonde dell’esistenza, o come risoluzione a livello simbolico delle antinomie della vita, ma come “un risarcimento, una compensazione necessaria per la vita sociale”, come “sogno e consolazione”142. Come osserva criticamente Perucchi, per Simmel “il significato dell’opera d’arte appare quello di un possibile telos, di una stendhaliana «promessa di felicità»: l’opera è totalità, mentre la vita umana sembra condannata ad essere un frammento […] Evocare l’estetico significa dunque, nel suo pensiero, proporre l’evasione? È una questione non semplice. Certo, in Simmel l’arte assolve anche a questa funzione: non è infrequente il riferimento a Schopenhauer, a quella liberazione dal grigiore del reale che essa consente”143. Se si guarda al complesso della sua opera, la questione della presunta evasione di Simmel dall’impegno nel reale, per rifugiarsi in una dimensione estetica, sembra essere priva di fondamento. Basti pensare a Schulpädagogik144, opera pubblicata postuma, ma che risale agli ultimi anni di vita dell’Autore, in cui la stessa scelta di occuparsi, per la prima volta nella sua vita, di problemi pedagogici testimonia della volontà di non cedere di fronte alle difficoltà e ai rischi di un esito tragico che lo sviluppo della modernità potrebbe comportare, ma di impegnarsi con ogni mezzo, a cominciare dalla formazione della personalità in tenera età, a salvaguardare quella “soggettività differenziale”, quel contenuto irripetibile della vita individuale, che è la proprietà più preziosa dell’essere umano. Quando poi Simmel afferma che, osservando i paesaggi di Böcklin, otteniamo “riscatto e liberazione dall’angustia e dal grigiore della realtà, […] entriamo in una cella purissima” e “ci sentiamo sollevati con slancio sicuro oltre la cupa realtà”145, oppure, al termine del saggio su Rodin, che “il fine permanente dell’arte sia la redenzione dai disordini e dai gorghi della vita”, “la quiete e la riconciliazione” ad di là delle “contraddizioni”146, si rivela semplicemente 141

Simmel 1970, 89. Perucchi 1985, 36. 143 Ivi, 36. 144 Simmel 1995a. 145 Simmel 1985a, 89. 146 Simmel 1985b, 156. 142

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umano, molto umano, nel cercare nell’arte, oltre che stimoli conoscitivi, anche conforto e consolazione per fare argine contro “l’esteriorità, la caducità, il carattere involuto della realtà umana”147. Ciò non sminuisce affatto la sua statura di studioso, non lo rende per nulla, come si è visto, “un esteta in fuga dalla realtà”, anzi ce lo fa sentire più vicino e fa sì che più profondamente le sue parole ci parlino ancora.

147

Simmel 1985a, 88.

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Michela Tramonti Il concetto di stile in Georg Simmel

Georg Simmel si può definire uno studioso ricco ed emblematico, visto che i suoi interessi spaziavano dalla filosofia alla psicologia all’estetica, anche se un posto speciale è stato assunto dalla sociologia. Il suo nome è spesso legato al concetto di “forma nell’evoluzione storica delle scienze sociali”. Se ne parla come di colui che ha indirizzato i suoi studi verso una “sociologia formale”, verso una ricerca delle forme di rapporti che rimangono costanti nonostante il loro contenuto, determinato storicamente, “muti nel tempo”1. In Simmel la dinamicità dialettica tra vita e forma, profondità e superficie, intuizione ed intelletto, universalità e individualità è sempre presente, diventando un infinito gioco di superfici, perché “è la vita stessa col suo spingere e volere andare oltre, col suo mutarsi e differenziarsi, che fornisce la dinamica dell’intero movimento, ma che, in sé senza forma, non può però diventare fenomeno se non assumendo una forma”2. L’Autore concepisce i nessi causali come delle relazioni tra le forme nelle quali si manifesta la vita sociale e spirituale. Le forme assunte dalla vita nel suo divenire rappresentano il nesso del movimento storico. L’uomo diventa il portatore dell’antinomia tra vita e forma: è “forma” in quanto espressione di bisogni e valori ed è “vita” in quanto creatore di tali esigenze. La tensione tra la vita e la forma riproduce, nella realtà sociale, il conflitto tra l’individualità e l’universalità, tra la realizzazione della propria soggettività e l’obbligo di aderire ad una legge valida per tutti. Questo rappresenta il punto fondamentale attraverso cui il concetto simmeliano di stile prende corpo, come si vedrà nelle pagine successive. Gli interessanti contributi dell’Autore, a tal proposito, non sono esplicitati in un’unica opera, ma sono da estrapolare in quasi tutti i suoi scritti. La frammentarietà del suo lavoro sembra essere immagine dei frammenti della realtà sociale, così come appare all’individuo, ricompresa in una totalità superiore: “Per noi l’essenza dell’osservazione e della rappresentazione estetica ri-

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Izzo 1994, 156. Simmel 1976, 107.

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180 | Michela Tramonti

siede nel fatto che il tipico deve essere scoperto in ciò che è unico, ciò che segue una legge in ciò che è casuale, l’essenza e il significato delle cose nel superficiale e nel transitorio […] Ogni punto nasconde la possibilità di essere liberato verso un significato estetico assoluto. All’occhio adeguatamente educato la bellezza totale, il senso totale del mondo come un tutto, si irradia da ogni singolo punto”3. Vista la complessità del pensiero simmeliano e le necessità redazionali si cercherà, in breve, di evidenziare il significato attribuito al termine “stile”. È inevitabile, a tal fine, per una maggiore comprensione, introdurre il concetto di ‘stile’ partendo da quello d’interazione, centro del pensiero simmeliano.

L’interazione come Wechselwirkung La società, secondo Simmel, appare come “un’interazione fra le sue parti” e la realtà sociale un processo dinamico di un complesso di relazioni. L’interazione, a sua volta, conduce alla formazione di realtà oggettive, autonome rispetto ai singoli individui: “Si può ravvisare il limite di un essere sociale in senso vero e proprio laddove l’interazione tra le persone non consiste solo in una situazione o in un agire soggettivo delle stesse, ma porta alla luce una formazione oggettiva che ha una certa indipendenza dalle singole personalità in essa coinvolte […] Le relazioni sociali hanno sviluppato forme alle quali aderisce e non può non aderire chiunque instauri un certo rapporto di convivenza spaziale con altri”4.

L’interazione tra gli uomini si concretizza attraverso gli “scambi”, che non sono solamente economici. Questo argomento è stato ampiamente sviluppato da George Herbert Mead, uno dei maggiori esponenti dell’interazionismo simbolico. L’Autore considera l’uomo come unità fondamentale dell’analisi interazionale e sottolinea l’importanza, in particolare, del linguaggio nella creazione di significati e simboli. La mente diventa un flusso di interpretazioni, di scambi in continua evoluzione legata all’esperienza relazionale. Allo stesso modo, secondo Simmel, l’interazione è fondamentale, perché ogni oggetto, non possedendo valore intrinseco, acquista senso e significato entrando in relazione con altri oggetti. Condizione valida anche per ciò che non è materiale: le

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Simmel 2003, 180. Simmel 1982, 20-21.

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Il concetto di stile in Georg Simmel | 181

idee assumono significato e valore solo in relazione con idee diverse. La realtà esterna, che l’uomo tende a considerare oggettiva ed autonoma, è tale solo perché si crea nello scambio, nella relazione: “Storicamente, la mente, con tutte le sue forme e i suoi contenuti, è un prodotto del mondo, proprio di questo mondo che, in quanto prodotto di rappresentazione, è allo stesso tempo prodotto dalla mente. Fissate in concetti rigidi, queste due possibilità genetiche producono una contraddizione angosciante. La cosa è diversa, però, se ognuna vale come principio euristico che si trova con l’altra in rapporto di interazione e di reciproca scambiabilità”5. L’interazione e la compenetrazione che coinvolgono tutti i fenomeni vengono indicate con il termine Wechselwirkung, effetto di reciprocità o azione reciproca. La realtà sociale può essere visualizzata come un’enorme rete di relazioni tra elementi, che si influenzano reciprocamente. Ciascun fenomeno “retroagisce anche su quelli, che esaminati da una certa prospettiva, sembrano esserne causa”6. In questo senso il termine “causa” diventa quasi improprio, si parla di “corrispondenza”, ossia di influenza reciproca tra i diversi fenomeni. Le relazioni di reciprocità tendono a stabilizzarsi nel tempo, processo che l’Autore indica con il termine Vergesellschaftung, ossia sociazione. Simmel individua delle forme pure d’interazione, delle forme che prescindono dai contenuti della stessa interazione, tra cui il denaro: “La forma più pura di interazione ha infatti trovato nel denaro la forma più pura di rappresentazione”7. È quasi impossibile trovare nella realtà concreta delle forme pure, come sono state definite da Simmel. Si tratta di forme tipizzate, di perfezioni concettuali che identificano una particolare realtà sociale. L’intento di Simmel, distinguendo tra forma e contenuto, è quello di riuscire ad individuare la struttura organizzativa delle forme che costituiscono il fenomeno sociale8. Tale distinzione viene intesa come “tutto ciò che negli individui, nei luoghi immediatamente concreti di ogni realtà storica è presente come impulso, interesse, scopo, inclinazione, situazione psichica e movimento”9. Mentre il contenuto è il primo passo verso il processo associativo, le forme definiscono la struttura in cui si realizza l’interazione e, nell’analisi simmeliana, sono sempre riferite ad ambiti storici e culturali ben precisi, rendendo difficile una netta distinzione tra le due dimensioni. 5

Simmel 1984, 170. Simmel 1995b, 13. 7 Simmel 1984, 193. 8 Cfr. Fornari 2001, 81. 9 Simmel 1984, 89. 6

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La vita, in tal senso, diventa un fluire incessante, un eterno fluido, alla ricerca di una propria forma in cui cristallizzarsi e sedimentarsi10. Il prodotto di tale processo non è altro che la “cultura”, sia a livello materiale sia a livello linguistico espressivo, che ostacola la fluidità del processo vitale, soffocando la vita in una forma11. Il rapporto tra l’oggettività stessa della vita e il carattere fluido e dinamico di essa determineranno il “mutamento culturale”. La realtà non è costituita solo da forme d’interazione appariscenti, ma anche da quelle considerate poco importanti come l’amicizia, l’amore, la civetteria, la moda. Alla base di queste interazioni sociali Simmel pone le emozioni: gli individui entrano in relazione tra di loro solo attraverso le emozioni e le interazioni sociali, che ne risultano, producono altre emozioni in un processo incessante12. Dinamismo che, secondo Maffesoli, rende il presente l’unica fase temporale degna di attenzione, sempre uguale a se stessa perché la mentalità sociale, in ogni epoca storica, è caratterizzata da un processo ciclico, “movimento senza fine del cosmo e del rapporto con l’altro”13, che si riflette in tutte le attività della vita quotidiana. La necessità di interpretare la realtà quotidiana si manifesta attraverso la ricostruzione dello “stile” della socialità, nonostante sia il più delle volte non logico e ripetitivo: “Nello stile del quotidiano vi è una divagazione, un aspetto vagabondo, che meritano la nostra attenzione, sono elementi che non si sintetizzano e che ci riportano ad una descrizione «contraddittoriale»”14. Lo stile quotidiano viene definito da Maffesoli, come “un incrocio di atti e parole che ha bisogno, per essere descritto, di numerosi cartelli indicatori”15.

10

Cfr. Fornari 2001, 82. Il conflitto tra vita e forma, secondo l’accezione simmeliana, tuttavia, è puramente apparente, perché “la necessità che la vita assuma una forma, che si oggettivi in una configurazione fenomenica, mostra come il principio metafisico profondo (il fluire della vita) non può che manifestarsi in una oggettivazione superficiale (la forma)”; Vozza 1988, 80. 12 La sociologia delle emozioni è una branca della sociologia, che si è affermata come disciplina solo recentemente. I primi articoli e saggi sono stati pubblicati nella rivista American Sociological Association del 1986. Le esperienze sociali e le emozioni vengono considerate dei fenomeni sociologici, interpretando, secondo questa prospettiva, i diversi problemi sociali. Il tema delle emozioni è stato affrontato in molte opere di Simmel, come nel saggio sull’amore, sulla civetteria. In proposito cfr. Simmel 1985, 1993a, 1995; cfr. Turnaturi 1994; cfr., in questo volume, supra, pp. 3-32. 13 Cattaneo 1998, 210. 14 Maffesoli 1986, 108. 15 Ibid. 11

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L’individuo, immerso nel fluido incessante e dinamico della vita, sente il bisogno primario di rendere il mondo spaziale esterno oggetto delle proprie attenzioni attraverso le proprie rappresentazioni, intese “come qualcosa che si pone nei termini delle relazioni meccaniche del collegare e del separare, del sollevare e dell’abbassare”16. L’individuo offre, in questo modo, una spiegazione non solo del mondo esterno, ma anche della sua vita interiore, utilizzando indifferentemente le stesse categorie esplicative per oggetti materiali e sentimenti. Si crea una tensione infinita tra ciò che è interno ed esterno al soggetto, così che “l’oggetto unitario ricompone la somma delle sue qualità, che sono le sole che si presentano a noi, solo se gli conferiamo la forma unitaria del nostro Io, nella quale cogliamo nel modo più profondo come una varietà di determinazioni e di destini può fissarsi in un’unità permanente”17. L’interno e l’esterno, nella loro reciprocità, costituiscono l’unità dell’“essere”, poiché “l’uno in quanto simbolo dell’altro, lo rende pensabile e rappresentabile”18. Si tratta sempre di una reciprocità simbolica tra contenuti spirituali e fisici della vita che possono essere di forma semplice o complessa. Nei processi semplici come quelli di fusione o collegamento, l’individuo riesce, per un certo grado, a mantenere una certa “legalità formale generale”, formula con la quale si intende che il mondo interno ed esterno hanno uno stesso tipo di comportamento in modo tale che l’uno possa essere indistintamente rappresentato dall’altro, avendo lo stesso tipo di rappresentazione. Nel caso in cui l’individuo fronteggia le forme spirituali più complesse, trovare delle analogie con i processi visibili nello spazio è più difficoltoso. Se si prendono in considerazione diversi casi, non sempre è semplice percepire una relazione fissa, anche se solo a livello simbolico, tra la realtà fisica e quella psichica. Per comprendere meglio la relazione di reciprocità e di tensione tra ciò che è interno al soggetto e ciò che è all’esterno, è sufficiente pensare al rapporto individuo-società19: “Tutte le cose oggettivamente importanti di cui è partecipe la nostra anima – la conoscenza logica e l’immaginazione metafisica, la bellezza dell’esistenza dell’immagine che acquista nell’arte, il segno della religione e della natura – non hanno nulla a che fare, per la loro essenza, con la società. I valori umani – forza, bellezza, profondità di pensiero, magnanimità, mitezza, distinzione, coraggio e purezza di cuore – non hanno che una relazione casuale con i valori sociali, con i quali parecchie volte interferiscono. D’al16

Simmel 1984, 664. Ibid. 18 Ibid. 19 cfr. supra, pp. 171-210. 17

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tronde le qualità personali hanno un significato autonomo che non dipende dai legami sociali. Si tratta di valori umani che come tali esistono separatamente da quelli della società”20. Così l’individuo, per mediare con la società e per non farsi soffocare dal rapporto conflittuale che instaura con essa, opera una separazione tra il sé sociale e il sé personale. Rapporto conflittuale che non è altro che una conseguenza della pretesa da parte del soggetto di esprimere la propria soggettività e individualità e da parte della società di limitare il raggio di azione delle possibilità di espressione soggettiva: lo sviluppo quasi smisurato della cultura oggettiva limita infatti le manifestazioni della soggettività attraverso la produzione di nuove forme e i vincoli dettati da quelle già esistenti21. È questa la tensione che si crea nel soggetto quando vuole affermare la propria individualità pur rimanendo un semplice membro della società. L’uomo, per Simmel, è alla continua ricerca della propria autonomia, ostacolata dalle forme oggettivate della società22. In questa ricerca egli cerca di svincolarsi da qualsiasi condizionamento esterno, atteggiamento che coinvolge anche i legami e le interazioni sociali, intese come ostacoli all’affermazione dell’Io23. L’esistenza umana si riduce ad una continua lotta tra l’individualità (Individualität) e l’universalità (Allegemeinheit), tra l’obbligo di rispettare una legge valida per tutti e la realizzazione personale, che risponde esclusivamente alla propria soggettività. Il rapporto conflittuale può manifestarsi in ambiti diversi, come quello artistico dove diventa l’origine della creatività artistica e la fonte di una forte esperienza estetica. È tale tensione incessante che permette la comprensione, in base ad un’analoga logica intuitiva, del concetto simmeliano di “stile”24. 20

Simmel 1993b, 98. Cfr. Dal Lago 1994. 22 La tragedia nella società moderna è causata dall’enorme divario che si crea tra i due poli, tra lo spirito soggettivo che si manifesta nella cultura soggettiva di un uomo e lo spirito oggettivo che rappresenta la cultura “oggettivata” nei prodotti dell’uomo. La società moderna, secondo Simmel, possiede un sapere che supera di gran lunga la capacità dell’individuo di elaborare, come se le cose diventassero più “colte” mentre gli uomini sempre meno; cfr. D’Andrea 1999, 53-63. Pertanto l’uomo disincantato e annoiato, che abita nelle metropoli, assume un atteggiamento blasé, cioè di colui che “ha già visto tutto”. Questo non è altro che il prodotto di quelle forze che spingono all’indifferenza verso la varietà qualitativa delle cose. All’indifferenza Simmel associa il riserbo e l’anonimità delle relazioni, che diventano delle forme di difesa dell’abitante della metropoli nei confronti dei molti stimoli; cfr. Simmel 1995b. 23 Cfr. Gobbicchi 1998, 95-115. 24 Cfr. Simmel 1993b, 7. 21

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Lo stile simmeliano Simmel, per spiegare i modi in cui gli individui strutturano i rapporti con l’ambiente esterno, utilizza la metafora del cerchio, dove l’individuo, ossia l’Io, rappresenta il centro. L’Io stabilisce certi “tipi” di rapporti con le cose, gli altri individui, le idee secondo le diverse “distanze” tra loro: l’oggetto, pur rimanendo invariato nel contenuto, può collocarsi vicino al centro o alla periferia del cerchio secondo la diversità degli interessi. Processo che definisce attraverso una misura, la “distanza”, il rapporto che sussiste tra l’Io e l’oggetto, pur non mutandolo. Questo non vuol dire che esiste una distanza fissa tra l’Io e l’ambiente che lo circonda, ma che la sua variazione rappresenta il modo in cui gli individui tentano di gestire il loro stile di vita: esternare una personalità unica e differenziata, ma nello stesso tempo, essere socialmente accettati25. La molteplicità degli “stili” che esistono in realtà può considerarsi la conseguenza della diversa distanza che gli uomini stabiliscono tra il proprio Io e le cose, tra il soggetto e l’oggetto26. Anche per quanto riguarda l’interpretazione dei fenomeni artistici, i vari stili sono una conseguenza di questa stessa distanza. Ciascuna arte trasforma il “campo visivo” in cui il soggetto si pone davanti alla realtà: da una parte l’arte avvicina il soggetto all’oggetto in un rapporto più profondo; dall’altra opera un allontanamento, ponendo un velo sottile per evitare l’immediatezza delle cose. Questa tensione che si crea tra soggetto e oggetto determina le caratteristiche di ogni stile artistico: “Lo stile nella estrinsecazione dei nostri processi interiori indica che questi non sgorgano immediatamente, ma indossano una veste nell’attimo del loro rivelarsi”27. Lo stile, come formazione generale dell’individuo, è un rivestimento dei processi interiori del soggetto, che crea una “distanza” tra l’individuo e chi ne riceve l’estrinsecazione. Nella società moderna questa distanza aumenta sempre di più, tanto che le rappresentazioni, che l’individuo costruisce venendo a contatto con la realtà, risultano essere estranee e lontane dai suoi veri interessi. Secondo Simmel è proprio l’interesse estetico contemporaneo la causa dell’aumento della distanza degli oggetti, conseguenza dell’inserimento delle cose in una dimensione artistica. Il fascino degli stili artistici contemporanei risveglia delle estemporanee immagini individuali che appaiono e scompaiono molto rapidamente. Tutto 25

Cfr. supra il saggio di F. D’Andrea, pp. 77-110. Cfr. Simmel 1984, 666. 27 Simmel 1984, 667. 26

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ciò colma il bisogno del soggetto di stimoli diversi, ma ciascuna di queste rappresentazioni rimane lontana, perché non è in relazione agli interessi soggettivi, provocando “solo una lieve eccitazione nei nostri nervi indeboliti”28. Simmel definisce quest’ultimo “spirito storico”, che ha la capacità di rendere gli individui più sensibili ai turbamenti causati dal contatto con gli uomini e le cose: “La fuga nell’inattuale diventa più facile, meno dannosa, in una certa misura legittima, se porta alla rappresentazione e al godimento di realtà concrete, che sono tuttavia molto lontane e non immediatamente percepibili”29. Da ciò deriva il fascino per il frammento, l’allusione, l’aforisma, il simbolo che riveste ciascuna arte, perché la realtà è presentata come un qualcosa che non ha ancora raggiunto la pienezza. Un esempio ne è lo stile letterario, che evitando la definizione diretta degli oggetti, utilizza parole che ne sfiorano il significato. Nelle arti figurative tutta la realtà è rappresentata da simboli: “La distanza che l’arte in quanto tale stabilisce tra noi e le cose risulta estesa di un’ulteriore stazione, in quanto le rappresentazioni, che costituiscono il contenuto del processo psichico suscitato, non hanno più alcun riscontro sensibile nell’opera d’arte stessa, ma sono soltanto un’eco che proviene da percezioni di contenuto completamente diverso”30. Si tratta, dunque, di una particolare sensibilità, che nel suo processo degenerativo può giungere ad uno stato patologico, detto “fobia del contatto”, per il quale ogni tipo di contatto immediato con gli oggetti provoca paura. La conseguenza immediata di tale processo è che “la sensibilità differenziata di molti uomini moderni si manifesta prevalentemente in un gusto negativo, cioè nella facile suscettibilità nei confronti di ciò che non è appropriato, nell’esclusione risoluta di ciò che non è simpatico, nella repulsione nei confronti degli stimoli offerti, mentre il gusto positivo, l’energico diredi-sì, l’afferrare il piacere, gioioso e privo di riserve, in breve le energie che si appropriano attivamente di qualcosa vengono a mancare”31. Tale processo invade tutta la vita quotidiana dell’individuo, provocando un ampliamento delle distanze nei rapporti generalmente più intimi, come quelli familiari, e una loro diminuzione in quelli più remoti e lontani. Basti pensare allo sviluppo culturale, che molto tempo fa avveniva in modo inconsapevole, mentre nella società moderna obbedisce a una chiara coscienza anche se, nello stesso tempo, molte cose, che richiederebbero attenzione e uno sforzo verso la consapevolez-

28

Ibid. Ivi, 668. 30 Ibid.; cfr. Simmel 1970. 31 Simmel 1984, 669. 29

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za, diventano abitudine meccanica. La conseguenza immediata è che varia la misura della distanza dagli uomini e dalle cose: l’individuo tende da una parte a distanziarsi dal suo ambiente sociale, per far emergere la propria personalità, e dall’altra ad avvicinarsi agli altri esseri sociali, per sviluppare il proprio carattere sociale32. Il soggetto fronteggia tale situazione instaurando forme di relazione che evitano ogni forma di impegno, ogni tipo di coinvolgimento emotivo per tutelare la propria persona. Atteggiamento che lo cala in una realtà quasi fittizia, basata più sulle forme che sui contenuti, perché essendo consapevole della difficoltà di esprimere la sua soggettività – processo che potrebbe generare incomprensioni o addirittura situazioni conflittuali33 – agisce utilizzando le forme di relazione proposte dalla cultura in cui vive. Si badi bene a non confondere la superficialità con la forma del superficiale di cui parla Simmel, secondo il quale questa è “come l’ambito idoneo a disoccultare, a rendere trasparente la profondità della vita, consapevole del carattere eventuale e precario di tale disvelamento”34. Nella Filosofia del denaro si sottolinea l’importanza della continua dialettica tra la profondità della vita e la superficie fenomenica. I principi costitutivi, che definiscono la natura delle cose, si trasformano in principi regolativi, che rappresentano delle congetture sempre revocabili. Questo dinamismo descrive il procedere continuo della conoscenza che si costruisce attraverso l’interazione continua, tanto che può essere immaginato come un cerchio, in cui tutte le parti interagiscono influenzandosi vicendevolmente35. Tale situazione, secondo l’Autore, conduce ad un atteggiamento “estetico”, secondo il quale il sapere della superficie, elemento essenziale di difesa per il soggetto, diventa il modo di conoscere per eccellenza, perché solo attraverso il superficiale si coglie la vera essenza e il significato delle cose. La dimensione estetica coinvolge tutta la vita quotidiana dell’individuo ed è tipica di chi vive la propria realtà sociale senza esserne interamente coinvolto, sempre ponendo una certa distanza da essa. L’elemento estetico, oltre a salvaguardare l’individuo dalla società moderna, facilita lo sviluppo dell’individualità, perché favorisce quei modi di conoscenza che privilegiano la sensibilità rispetto all’intelletto, come avviene nei confronti di un’opera d’arte36. Di conseguenza l’espe-

32

Cfr. Nedelmann 1988, 522. Cfr. supra il saggio di F. D’Andrea, pp. 77-110. 34 Vozza 1988, 81. 35 Cfr. Vozza 1988, 82-83. 36 Cfr. Maffesoli 2000. 33

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rienza estetica è similare all’esperienza individuale e diventa mediatrice tra l’individuo e la realtà che lo circonda, perché in essa diventa possibile la realizzazione delle proprie capacità personali. Tuttavia anche l’ambito estetico non è esente da forme conflittuali, ed in particolare vi si riproduce il contrasto tra stile e arte37: lo stile esprime il principio dell’universale, l’arte quello dell’individuale. Lo “stile” diventa una deformazione dell’individualità: “Lo stile è sempre quella donazione di forma che in quanto sostiene o aiuta a sostenere l’impressione dell’opera d’arte, ne nega l’essenza ed il valore del tutto individuali, cioè, il significato della sua unicità; grazie allo stile, la particolarità della singola opera viene sottomessa ad una legge di forma universale, che vale anche per le altre opere, essa viene – per così dire – sollevata dalla responsabilità assoluta di se stessa perché condivide con le altre in tutto o in parte il modo in cui si forma e perciò rimanda a una radice comune, che comunque si trova al di là della singola opera”38. Secondo l’Autore una rosa stilizzata deve rappresentare la “rosa” in generale, ossia il tipo “rosa”, pur se raffigurata sotto le diverse rappresentazioni individuali. Tutti gli artisti, nelle loro opere, cercheranno di cogliere un elemento universale della realtà configurandola attraverso la propria individualità. La molteplicità delle forme individuali, attraverso cui si rappresenta l’universale, darà vita ad una moltitudine di stili. Si parla spesso dello stile di Michelangelo o di Chopin, identificando lo stile con il personaggio, perché ciascuno di essi, attraverso l’opera d’arte, ha messo a punto un modo individuale di esprimersi, che si manifesta in tutte le singole opere d’arte. Un tale stile, appartenente all’individualità di un soggetto, diventa proprietà comune qualora venga utilizzato da altri. Lo stile, in questo modo, coincide con l’uomo stesso39 e diventa espressione del principio dell’universale che si fonde con quello individuale dando vita alle diverse forme sia come realtà artistica che psichica. Nel saggio Stile germanico e stile latino40, Simmel intravede un elemento dominante comune, che si riferisce ad un’idea universale che ogni stile condivide con molti altri. L’elemento in questione si trasforma in una vera e propria legge in base alla quale i fenomeni si strutturano e le opere d’arte vengono create, diventando il prodotto di un processo nel quale le caratteristiche generali sono comuni. L’Autore definisce

37

Cfr. Gobbicchi 1998, 94-100. Simmel 1993b, 8. 39 Cfr. Simmel 1993b, 9. 40 Cfr. Simmel 2001. 38

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tale caratteristica come “elemento interiore”, che per il solo fatto di contenere un’idea universale rende il fenomeno o l’opera d’arte legittimi. Pertanto un atteggiamento orientato allo stile è tale solo se il comportamento è legittimato, ossia racchiude in sé, anche in minima parte, una legge universale41. Si riproduce, ancora una volta, la tensione dinamica tra l’universale e l’individuale. Per comprendere meglio questa contrapposizione, Simmel riporta la distinzione tra l’opera d’arte (Kunstwerk) e l’oggetto artigianale (Kunstgewerbe). È quest’ultimo ad esprimere il principio di universalità, e quindi lo stile, essendo legato nella vita quotidiana ad una funzione pratica: l’oggetto sedia, ad esempio, è utilizzato per sedersi, l’oggetto bicchiere per bere, etc. Inoltre essi sono riproducibili, al contrario dell’opera d’arte, che è unica. Sono gli oggetti artigianali che racchiudono in sé le tre caratteristiche dell’utilità, dello stile e della riproducibilità. Essi non sono unici, perché qualsiasi oggetto può essere sostituito da altri secondo la propria utilità. Le opere d’arte, invece, sono uniche e non hanno funzioni pratiche o d’uso: sono “mezzi in sé e per sé”, l’art pour l’art. Non esiste legge generale a cui sono sottomesse: “Creano un mondo loro proprio e definiscono la legge della propria esistenza tramite e in riferimento a se stesse”42. Le opere d’arte esprimono quella che Simmel definisce “legge individuale”. L’Autore fa riferimento, in particolare, al ritratto, dove l’artista non si ferma al dato fenomenico, alla realtà visibile, ma rivela l’essenza spirituale dell’uomo. Anche Leonardo afferma che la pittura ha due cose dell’uomo da rappresentare: il corpo e l’anima, che non sono due parti distinte, ma “un’unità vivente, che solo in un’astrazione successiva viene divisa in quelle parti, e noi lo percepiamo come questa unità”43. L’unità del fenomeno non è il semplice accostamento meccanico delle parti che lo compongono, ma una compenetrazione superiore tra esse. Accanto al fenomeno corporeo dell’opera d’arte, il soggetto percepisce la presenza dell’animo, che “retroagisce dando alla figura un’unità potenziata, una saldezza, una reciproca legittimazione dei tratti”44. Questa interazione rappresenta la forma artistica attraverso la quale si rivela l’unità tra corpo e anima. Le opere d’arte, così, diventano uniche, perché colgono “l’unità della vita in un puro gioco di superfici, quell’unità dei tratti, […] necessità, armonia, legalità”45 che rappresentano il prodotto di un’anima. Pertanto non sono ri41

Cfr. Gobbicchi 1998, 101. Nedelmann 1988, 519. 43 Simmel 1985a, 53. 44 Ivi, 56. 45 Ivi, 57. 42

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producibili come gli oggetti artigianali, perché la riproduzione distruggerebbe la loro unicità: “L’essenza dell’oggetto artigianale sta nella sua riproducibilità. La sua vasta diffusione è l’espressione quantitativa del fatto che essa serve a uno scopo, perché ha sempre un valore d’uso comune. Al contrario, l’essenza delle opere d’arte sta proprio nella loro unicità. Un’opera d’arte e la sua copia sono qualcosa di completamente diverso rispetto a un modello e all’oggetto prodotto in base ad esso. Risultano anche affatto diversi da un tessuto prodotto secondo un disegno particolare, o da un gioiello”46. Simmel fa riferimento all’arte italiana che tende a rappresentare se stessi per gli altri, “a strutturare la propria esistenza con lo sguardo rivolto ad altri”47 secondo delle norme universali. In questo modo la propria individualità viene rivestita di un elemento universale. Ne è un esempio l’uomo rinascimentale che aveva “bisogno di un confronto e proprio per questo presupponeva un elemento generale, situato al di fuori degli individui, con il quale si misurasse la loro particolarità”48. La consapevolezza della debolezza dell’individualità nella società moderna conduce Simmel ad attribuire una funzione particolare allo stile artistico: “La pura e semplice esistenza dello stile rappresenta in sé come uno dei casi più significativi della presa di distanza. Lo stile, come manifestazione dei nostri sentimenti più reconditi, indica che questi sentimenti non scaturiscono immediatamente, ma assumono una forma mascherata nel momento in cui vengono rivelati. Lo stile, come forma generale del particolare, è un velo che impone una barriera e una distanza nei confronti di chi riceve l’espressione di questi sentimenti”49. L’individuo, circondandosi di oggetti di stile, vuole simbolicamente comunicare il suo desiderio di tener separata la propria intimità dalla routine quotidiana della vita. Si comprende allora il compito primario dello stile per l’uomo moderno: alleviare il peso e la responsabilità dell’individualità, donando un certo grado di serenità. È nello stile che l’animo individuale, tormentato dalla tensione conflittuale della vita interiore, trova riposo. Lo stile acquieta le stranezze dell’individualità e generalizza l’unicità della persona. È il tentativo di sfuggire all’esasperato soggettivismo ed eccessivo individualismo che dominano la società moderna: “A sospingere così fortemente l’uomo moderno verso lo stile sono lo sgravio e l’occultamento velato di ciò che è personale, in cui consiste la

46

Simmel 1993b, 9. Simmel 1995a, 57. 48 Ivi, 67. 49 Nedelmann 1988, 522. 47

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sua essenza dello stile. Il soggettivismo e l’individualità si sono inaspriti fino alla rottura, e nelle formazioni stilizzate, da quelle del comportamento fino a quelle dell’arredamento, si attenua e si sfuma questo eccesso di personalità nella direzione di una universalità e della sua legge. È come se l’io non potesse più reggersi da solo o, quanto meno, come se non volesse più mostrarsi e perciò indossasse un abito generale, più tipizzato, in una parola: stilizzato. C’è un pudore molto sottile nel fatto che una forma e una legge sovraindividuali vengono frapposte tra la personalità soggettiva e il suo ambiente umano e oggettuale; l’espressione, la forma di vita e il gusto stilizzati, sono tutti limiti e prese di distanza nei quali l’esagerato soggettivismo dell’epoca trova un contrappeso e un velo. L’inclinazione dell’uomo moderno a circondarsi di antichità – pertanto con cose nelle quali lo stile, l’impronta dell’epoca, la tonalità generale che aleggia intorno a loro sono l’aspetto essenziale – non è sicuramente soltanto uno snobismo accidentale, ma risale a quel profondo bisogno di dare alla vita esasperatamente individuale un complemento di ampiezza tranquilla, tipizzata conformità a una legge. Le età precedenti, che possedevano soltanto un unico, e perciò ovvio, stile si ponevano in tutt’altra maniera nei confronti di questi complicati problemi di vita. Là dove soltanto uno stile di vita è in questione, ogni espressione individuale si sviluppa organicamente da esso, non ha bisogno di cercarsi prima la sua radice; ciò che è comune e ciò che è personale si fondono senza conflitto nel processo di realizzazione […] Diciamo, quindi, priva di stile un’attività o il suo prodotto, quando sembra sorgere soltanto da un impulso momentaneo, isolato, del tutto puntuale, senza essere fondata da un sentire più generale, da una norma non contingente. Questo qualcosa di necessitato, di fondativo, può anche essere ciò che ho designato come lo stile individuale […] Qui l’individuale rappresenta il caso di una legge individuale. Chi non abbia a sufficienza tale forza deve attenersi a una legge universale; se non lo fa, la sua prestazione diviene priva di stile, cosa che, ora possiamo capirlo facilmente, può accadere veramente solo in epoche dotate di una pluralità di possibilità di stile”50.

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Simmel 1993b, 13-14.

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Lo stile nella complessità moderna Nella società moderna Simmel intravede due possibili problemi: l’estetizzazione degli oggetti artigianali e la stilizzazione dell’arte. Per spiegare l’estetizzazione degli oggetti artigianali riporta l’esempio del gioiello, che viene scambiato per un’opera d’arte dotata della sua individualità proprio per il fatto che la sua funzione è quella di adornare l’individuo. Il gioiello, in realtà, non è unico come l’opera d’arte, ma il suo carattere è semplicemente espresso nella sua funzionalità nell’ambito sociale senza invadere la sfera privata. Tale oggetto non ha la capacità di rispondere alle due funzioni di essere per sé (Für-sichSein) e per gli altri (Für-andre-Sein)51. Il risultato del processo di estetizzazione è quello di togliere agli oggetti il loro valore d’uso nella realtà quotidiana. Allo stesso modo l’utilizzo delle opere d’arte può essere frainteso: esse, invece di rappresentare dei mezzi per differenziare la propria individualità, vengono utilizzate per fini di socializzazione, ossia interpretate mediante il principio di generalità. Mentre l’estetizzazione degli oggetti artigianali è la conseguenza di un “esagerato soggettivismo”, la stilizzazione dell’arte lo è invece di un “esagerato oggettivismo”52. Entrambi i processi possono essere considerati come delle strategie di risposta attraverso cui l’individuo vuole ritrovare l’equilibrio perduto tra lo stile di vita individuale e quello socialmente riconosciuto. Lo stile diventa un sicuro rifugio per chi, volto all’affermazione di se stesso, si ritrae davanti al giudizio della società a cui appartiene53. Così l’individuo preferisce uniformarsi ad uno stile già accettato dalla collettività, piuttosto che scegliere l’espressione libera di se stesso. L’adeguarsi ad uno stile, come il seguire una moda, non è altro che il conformarsi ad una legge universale che rasserena l’animo di chi non ha la forza interiore di affermare una legge propria e di seguirla54. D’altra parte non esiste un modello universale che garantisce sia la differenziazione individuale, sia il riconoscimento sociale. Gli individui struttureranno il loro stile di vita in base agli elementi culturali, che cambieranno

51

Cfr. Simmel 1968, 281. Cfr. Nedelmann 1988, 524-527. 53 L’interazione tra individuo e società favorirà la formazione e lo sviluppo del soggetto, che riflette la componente sociale della costruzione del proprio Sé, attraverso un progressivo rivelarsi delle potenzialità umane che permettono la piena realizzazione del soggetto. Tale processo è espresso con chiarezza dal concetto tedesco di Bildung. 54 Cfr. Simmel 1995a; cfr. Simmel 1985b. 52

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Il concetto di stile in Georg Simmel | 193

in base alle condizioni socio-culturali dell’epoca storica vissuta. Per tal motivo si richiede all’individuo una certa flessibilità nei diversi criteri di valutazione sociale nei confronti dei diversi stili di vita, perché ciò che è socialmente riconosciuto oggi, può non esserlo più in un altro momento. Gestire lo stile di vita non è altro che un processo di adattamento e riadattamento alle condizioni socio-culturali mutevoli. Nella società moderna, secondo Simmel, la minaccia alla capacità degli individui di essere flessibili, nei confronti dei fatti culturali, è rappresentata dalla cultura di massa. Ne è un esempio il fenomeno della moda55: il dualismo tra universale e individuale si manifesta nella contrapposizione tra l’imitazione, il desiderio di uniformarsi al gruppo sociale di appartenenza, e la differenziazione, con la quale si vuole affermare la propria unicità. L’imitazione diventa un elemento naturale che fonde il singolo nell’universale pur se permane il desiderio di distinguersi dalla generalità. I due momenti non possono essere né distinti né separati, perché si fondono in un’unità56. La moda, pertanto, appare come “l’imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un puro esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi”57. Le mode si riferiscono sempre a mode di classe, con le quali le classi superiori cercano di diversificarsi da quelle inferiori. Nel momento in cui queste ultime si appropriano di determinati atteggiamenti, le classi più elevate li abbandonano. La moda, nel momento del cambiamento, diventa una forma di vita che fonde la tendenza all’uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale. La moda cambia molto rapidamente quanto più un’epoca è dominata dalla frenesia nel ricercare stimoli sempre diversi e nuovi. La vita moderna è caratterizzata da questa “bramosia impaziente”, che “non significa soltanto il desiderio di un rapido cambiamento dei contenuti della vita ma anche la potenza del fascino formale del confine, dell’inizio e della fine, del venire e dell’andare”58. Il risultato dei frenetici cambiamenti è che diventa sempre più forte il desiderio di rompere con il passato, rafforzando la coscienza del presente59. Per l’individuo la moda diventa la forma da cui ricevere protezione: se da un lato, con

55

Cfr. Nedelmann 1988, 530-532; cfr. Curcio 1995, 23-31. Cfr. supra il saggio di F. D’Andrea, pp. 77-110. 57 Simmel 1985b, 13. 58 Ivi, 27. 59 Cfr. Maffesoli 1983; cfr. Mongardini 1993. 56

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194 | Michela Tramonti

l’imitazione, libera il soggetto “dalle responsabilità del suo gusto e delle sue azioni”, dall’altro la distinzione favorisce “un ornamento individuale della personalità”60. Anche la moda personale, un caso limite della moda sociale, ne è un esempio. Il fenomeno dell’imitazione, della fusione del singolo nell’universale, è soddisfatto nell’individuo stesso, con il concentrarsi su di sé, ossia l’imitazione altrui è sostituita con l’imitazione di se stessi. Ciò rende evidente che la moda, anche con caratteristiche particolari proprie, rappresenta una di quelle forme nelle quali la sfera sociale e quella individuale “hanno oggettivato con gli stessi diritti le correnti opposte della vita”61. Il dilemma che l’uomo deve affrontare è sempre lo stesso: la mediazione conflittuale che si crea tra “essere membro” ed “essere per sé”. Simmel intravede la soluzione nello stile: “Lo stile è proprio il tentativo estetico di soluzione del grande problema della vita: come una singola opera o un atteggiamento, che è un tutto, qualcosa di chiuso in se stesso, possa appartenere nello stesso tempo a una totalità superiore, a un contesto che la ricomprende in modo unitario. Il distaccarsi dello stile uniforme dei minori da quello individuale degli assolutamente grandi trova espressione in quell’ampia norma pratica, che suona – se non puoi diventare tu stesso un tutto – inserisciti in un tutto, come un elemento al suo servizio”62.

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Ivi, 37. Simmel 1985b, 61. 62 De Simone 2002, 65. 61

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Il concetto di stile in Georg Simmel | 195

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PARTE TERZA TRACCE EPISTEMOLOGICHE

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Antonio De Simone Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura

Premessa Per la comprensione della varietà delle forme di esperienza individuali nella modernità societaria – dominata dall’economia monetaria e caratterizzata dall’esistenza metropolitana – la sociologia dello spazio e degli ordinamenti spaziali della società di Simmel è senz’altro una delle “eredità” intellettuali problematicamente più fertili che il filosofo e sociologo di Berlino1 ha potuto lasciare alla teoria sociale contemporanea, anche se l’incidenza della sua “lezione” non è stata immediatamente recepita da quest’ultima, che anzi per lungo tempo l’ha addirittura “paradossalmente” ignorata2. Lo stesso Giddens, nel suo progetto di rifondazione dei saperi sociali, pur assegnando “un ruolo centrale alla necessità di riconcettualizzare una serie di questioni relative al cambiamento sociale e al ruolo ricoperto dalle nozioni di tempo e di spazio, e al conseguente sforzo di superamento dei tradizionali confini disciplinari”3, ha di fatto totalmente trascurato le analisi di Simmel – tra l’altro esemplate originalmente nel capitolo IX Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società della sua Sociologia (1908)4, che oggi invece – congiuntamente a quelle filosofiche e sociologiche

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Per un’ampia e completa ricostruzione analitica, critica e storiografica del pensiero e dell’opera di Simmel, rinvio il lettore a De Simone 2002a (ivi bibliografia) e 2002b (ivi bibliografia). 2 Cfr. Frisby 2001, 124. 3 Di Meglio 2002, 79-80. 4 Cfr. Simmel 1989, 523-599 (d’ora in poi S); sulla Soziologie (1908) di Simmel, cfr. il recente volume di Deroche-Gurcel-Watier 2002. Com’è noto, nel 1903 Simmel ha pubblicato due articoli sulla sociologia dello spazio: Soziologie des Raumes, in “Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirschaft im Deutschen Reich”, XXVII, 1/1903, 614-685 e Über räumliche Projektionen sozialer Formen, in “Zeitschrift für Sozialwissenschaft”, VI, 5/ 1903, 1009-1023. Questi due saggi sono poi sostanzialmente confluiti nel capitolo IX della Sociologia (1908) che comprende anche i tre excursus sulla “limitazione sociale”, sulla “sociologia dei sensi” e sullo “straniero”, intesi tra l’altro come analisi delle varie dimensioni spaziali dell’interazione sociale studiate come forme della distanza sociale e come forme della differenziazione sociale, fisica e psicologica; cfr. Frisby 1992, 103.

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sviluppate nella sua opera sulla problematica del tempo5 – reclamano ben altra attenzione da parte degli interpreti6. È alquanto significativo, tra l’altro, che i due principali articoli (Soziologie des Raumes e Über räumliche Projektionen sozialer Formen) che confluiscono strutturalmente in questo capitolo sono stati entrambi pubblicati nel 1903, cioè nello stesso anno in cui Simmel consegnerà alle stampe uno dei suoi più celebri saggi: Die Großstädte und das Geistesleben7. Inoltre, com’è noto, Simmel ha dedicato al tema della città storica analizzata dal punto di vista dell’estetica (filosofica e sociologica) urbana i suoi tre importanti saggi su Roma (1898), Firenze (1906) e Venezia (1907)8 (v. infra), che insieme al suo saggio Estetica sociologica (1896)9 – che, come osserva Frisby, rivela, tra l’altro, “an interest in the spatial dimensions of social interaction that is subsumed there under the symmetry or asymmetry of urban spaces”10 –, su Le rovine (1911)11, sulla Filosofia del paesaggio (1912-13)12 e alle analisi sviluppate nell’ultimo capitolo (Lo stile della vita) della Filosofia del denaro (1900)13, dimostrano effettivamente come fosse del tutto inevitabile che non soltanto Simmel e la sociologia dello spazio finissero “per incontrarsi”14, ma che la sua stessa filosofia e sociologia dell’esperienza spaziale costituisca ancor oggi un punto di vista di estrema importanza e rilevanza, dal momento che, in particolare, Simmel, in questi suoi saggi, ha interpretato e ci ha

5

Sull’argomento, cfr. D’Avanzo 1990, 35-52; Accarino 1993, 35-58; Cavalli 1993, 7384; Dal Lago 1994; De Simone 2002b. Proprio Accarino (1993, 38) ha messo lucidamente in evidenza che chi si occupa delle figure del tempo in Simmel “rischia spesso di non afferrare l’oggetto di analisi se non reintegra le determinazioni dello spazio”. Per l’analisi delle dimensioni antropologico-sociologiche ed etico-politiche relative alla coppia spazio/tempo in Simmel, cfr. inoltre Accarino 1982 (in partic. cap. I). 6 Tra i contributi recenti sulla sociologia dello spazio di Simmel, cfr. Lechner 1991, 195201; Frisby 1992b, 98-117; Strassoldo 1992, 319-337; Dal Lago 1994, 201 ss.; Mandich 1996, 36-51, 93-99; Borden 1997, 313-335 e Frisby 2001, 124-130. Sul rapporto tra sociologia dello spazio e morfologia sociale in Simmel, cfr. Haroche 2002, 145-157. 7 Cfr. Simmel 1995 (d’ora in poi MVS). Sull’analisi simmeliana della metropoli, rinvio il lettore a De Simone 2002b, 91-148 (ivi bibliografia); cfr. inoltre Frisby 2001, 100-158. 8 Cfr. Simmel 1973, 188-197. Per un loro commento, cfr. De Simone 2002a, 189-198. 9 Cfr. la tr. it. integrale (con commento) di V. Mele, in De Simone 2004. 10 Frisby 2001, 124. 11 Cfr. Simmel 1985b, 108-114. Per il relativo commento, cfr. De Simone 2002a, 181188. 12 Cfr. Simmel 1985a, 71-83. 13 Cfr. Simmel 1984 (d’ora in poi FD), 607-718. 14 Mandich 1996, 37.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 201

spiegato molto bene in primo luogo (i) “il nesso tra esperienza dello spazio e alcune dimensioni importanti del mondo moderno (intellettualità, razionalismo, economia monetaria) anticipando concetti come quello di disembedding, di separazione dello spazio dal luogo”15 che la sociologia contemporanea ha in tempi recenti cominciato a sviluppare criticamente16. In secondo luogo (ii), tutta la sociologia di Simmel è rivolta pervasivamente verso la comprensione delle forme dell’azione reciproca degli individui e, in quanto tale, essa “ci invita a riempire di contenuti diversi la pluralità delle configurazioni spaziali”17, che poi di fatto ritroviamo ne Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società. Infine (iii), come osserva Mandich, la definizione simmeliana dello spazio “come a priori logico e percettivo, permette di considerare questa dimensione non come qualcosa di cui si fa esperienza, ma come un modo di fare esperienza”18. Dunque, lo spazio non è mai unicamente un aspetto oggettivo, ma, come sostiene Simmel, considerato in relazione a determinate funzioni specificamente psichiche e a peculiari sue configurazioni storiche, esso è “un’attività dell’anima” (S, 524), ovvero è nel contempo “condizione e simbolo dei rapporti tra gli uomini”19.

1. La costruzione sociale dello spazio come “a priori logico e percettivo” e come modalità d’esperienza relazionale Nell’approccio sociologico simmeliano rivolto allo studio delle forme sociali e ai processi che rendono possibile ed esprimono la Vergesellschaftung, la centralità della dimensione spaziale come modalità dell’esperienza è continuamente ed esplicitamente ribadita dalle “metafore topologiche”20 che lo stesso Simmel impiega, tra l’altro, anche nel capitolo su Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, nonché in altre sue opere. È noto come Simmel abbia analizzato soprattutto lo stile di vita moderna particolarmente in relazione a due variabi-

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Ibid. Sull’argomento dello spazio sociale, congiuntamente all’analisi sulle dinamiche della socialità contemporanea, tra gli altri, cfr. Giaccardi-Magatti 2003, 34 ss., dove non mancano puntuali e significativi riferimenti al pensiero di Simmel. 17 Mandich 1996, 37. 18 Ivi, 38. 19 Ibid. 20 Cfr. Dal Lago 1994, 201. 16

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li, lo spazio e il tempo21, chiedendosi quale fosse la loro influenza. Egli, tuttavia, “non tratta lo spazio e il tempo come variabili quantitative o fisiche, ma come metafore, ovvero come costruzioni sociali, con le quali gli individui si fanno un’immagine del loro mondo esterno e, attraverso di esse, un’immagine del loro mondo interno”22. In particolare, “la costruzione sociale dello spazio, aiuta gli individui a rappresentarsi la loro relazione con il mondo sociale in termini spaziali, per esempio nei termini d’una distanza più o meno grande tra sé e gli altri attori sociali”23. Sul ruolo che Simmel assegna a categorie e metafore spaziali nella Sociologia è necessario comunque precisare quanto segue. In primo luogo (i), come ha osservato Dal Lago: “Se il problema dello spazio ha una funzione centrale nella grande filosofia moderna da Leibniz a Kant, sia come luogo matematico sia come luogo metafisico, l’affermazione delle filosofie della storia nel XIX secolo (con l’interesse dominante per l’esperienza temporale) relega il problema dello spazio ai margini del dibattito filosofico (fino alla ripresa d’interesse da parte della fenomenologia). Ora, nella Sociologia Simmel si ricollega proprio a Kant e Leibniz; da Kant trae sia l’idea che lo spazio è il luogo della coesistenza, e quindi una dimensione fondativa della società, sia che lo spazio è la dimensione percettiva per eccellenza (fondamentale per una sociologia dei «sensi»); dalla metafisica di Leibniz deriva invece il principio della relatività di spazio e tempo, della loro reciproca implicazione. È così che Simmel può definire lo «spazio» come una dimensione «per noi» che viene riempita dall’azione sociale”24. Ciò detto, occorre aggiungere che la stessa definizione della sociologia come “geometria della vita sociale” rende simmelianamente “in un certo senso «naturale» che lo spazio assuma un ruolo importante nel costituirsi delle forme sociali”25. Pertanto, il linguaggio dello spazio e quello della società “sembrano in molti momenti sovrapporsi”26. Non v’è dubbio, quindi, che la sociologia “formale” di Simmel ponga nella giusta rilevanza ed evidenza la dimensione spaziale perché proprio lo spazio è un elemento impor-

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Per la riflessione sulle complesse e variegate “figure del tempo” presenti nell’opera simmeliana, cfr. le indicazioni bibliografiche riportate supra, nella nota 5. 22 Nedelmann 1993a, 122. 23 Ibid. 24 Dal Lago 1994, 202. 25 Mandich 1996, 38. 26 Ibid.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 203

tante attraverso il quale si possono comprendere “quei processi di «addensamento» del fluire incessante della vita in forme sociali”27. L’esperienza dell’interazione umana avviene in differenti modi nello spazio, la cui caratteristica saliente è proprio quella di essere un a priori logico e percettivo capace di influenzare considerevolmente le forme della vita sociale. Lo spazio “non è «di per sé», una forma, ma produce forme nello strutturare i rapporti di interazione. Qualunque sia il contenuto di questi rapporti (economico, affettivo, politico) a partire dallo spazio si definisce una specificità del rapporto di interazione. Le forme spaziali sono quindi quelle configurazioni di relazioni sociali che trovano nello spazio la loro concretizzazione”28. Definendo lo spazio come un a priori logico e percettivo, Simmel inizialmente non può non ricollegarsi alla teoria kantiana dello spazio, alla quale peraltro egli aveva già espressamente dedicato la 6ª delle sue lezioni berlinesi su Kant nel semestre invernale 1902190329. Per l’autore della Critica della ragion pura, spazio e tempo sono forme dell’intuizione, ovvero modi a priori mediante i quali noi abbiamo accesso al mondo sensibile. Seguendo i principi dell’estetica trascendentale kantiana30, Simmel rintraccia la qualità fondamentale dello spazio in quanto a priori pro-

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Ibid. Ivi, 38-39. A giudizio di Lechner (1991, 196), Simmel “counsels against spatial determinism; space functions as a context for action, but in principle it is only a wirkungslose Form. The practically inevitable spatial embeddedness of social configurations should not be confused with the actual causes of social processes. And yet, while he shows how space is in some ways socially formed, he does not treat space as simply a social construct. It retains a reality of its own. Simmel’s overall position, then, lies somewhere between spatial determinism and social constructionism”. 29 Cfr. Simmel 1999, 133-142. 30 Simmel, come osserva Giacomini (1999, 79), “rileggendo la prima Critica, intende lo spazio (Raum) non «come un immenso contenitore in cui le cose sarebbero poste, quasi mobili in una stanza», quanto piuttosto come quella funzione della coscienza che, dando una certa forma alle sensazioni, le converte in intuizioni. In questo senso, a rigore, l’espressione «intuizione spaziale» rappresenterebbe una «tautologia»: intuire significa infatti, propriamente, disporre le sensazioni secondo un ordine peculiare «che non si può descrivere, ma solo vivere, e che noi definiamo spazialità». È solo in virtù di tale ordine che è possibile distinguere tra «interno» e «esterno» e, perciò stesso, tra «coscienza» e «mondo». Allo stesso modo in cui, sul piano conoscitivo, lo spazio non produce un certo modo di percepire gli oggetti, ma è questo stesso modo, anzi è la forma grazie alla quale un insieme di sensazioni può dar luogo ad oggetti, altrettanto l’associarsi ha come condizione e non causa il rapporto spaziale tra gli uomini”. 28

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prio nella sua valenza e capacità relazionale. Scrive Simmel: “Kant definisce una volta lo spazio come «la possibilità dell’essere insieme», ed esso corrisponde anche sociologicamente a questa definizione, in quanto l’azione reciproca fa sì che lo spazio, prima vuoto e nullo, divenga qualcosa per noi, e riempie lo spazio in quanto lo spazio la rende possibile” (S, 525). Oltre Kant, tuttavia, Simmel aggiunge che “l’associazione ha creato, nei diversi modi di azione reciproca tra gli individui, altre possibilità di essere insieme in senso spirituale”; pertanto Simmel si chiede, nell’interesse della fondazione delle forme di associazione, “quale sia il significato che le condizioni spaziali di un’associazione rivestono per la sua determinatezza sotto altri aspetti e per i suoi sviluppi sotto il profilo sociologico” (ibid.). A differenza di quelli kantiani, gli a priori di Simmel “non sono affatto universali e atemporali, ma variabili nel tempo e nello spazio”31. Nello specifico, per ciò che concerne l’a priori spaziale, questa peculiare determinazione si spiega “a partire da una serie di caratteristiche dello spazio che si configurano come costanti antropologiche”32.

2. Le qualità fondamentali della forma spaziale Le “qualità fondamentali della forma spaziale”33 con cui le configurazioni della vita di comunità “devono fare i conti” (S, 525), sono cinque in tutto e sono da 31

Mandich 1996, 39. A tal proposito, cfr. Boudon 1989 e Kaern 1990. Ibid. 33 Simmel, com’è noto, distingue (nella Soziologie) da un lato “le qualità fondamentali della forma spaziale”, che constano di cinque principi (aspetti, qualità, condizioni): a) esclusività dello spazio, b) chiusura e limitazione, c) fissazione e stanziamento nello spazio, di vicinanza-lontananza, e) mobilità. Dall’altro, le “configurazioni spaziali”, che “risultano dalla proiezione dei processi sociali sullo spazio; Simmel ne indica alcune, alla stregua di idealtipi weberiani: 1) le configurazioni spaziali che derivano da principi di organizzazione politica ed economica; 2) quelle che derivano da rapporti di potere a livello locale: emergenza di centri di potere, suddivisione e integrazione dello spazio; 3) le porzioni di spazio socialmente modificato e strutturato che esprimono legami sociali, e di cui la fattispecie più importante è la casa; 4) gli spazi vuoti o liberi, come espressione di non-appartenenza ad alcuna «parte sociale», e spesso come garanzia di neutralità, sicurezza, protezione; ma anche spazio di incontro e di scambio” (Strassoldo 1992, 324). Secondo Strassoldo, la distinzione simmeliana tra “qualità fondamentali della forma spaziale” e “configurazioni dello spazio” “rimane poco chiara, anche per le oscillazioni lessicali. La distinzione non può essere riformulata in termini di rapporti causali tra variabili: le «qualità» non sono le situazioni in cui lo spazio appare come una variabile dipendente, né le «configurazioni» sono un «effetto di fattori spaziali» considerati come variabili indipendenti; esse sono piuttosto esprimibili nei termini, così 32

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Simmel così enumerate34. La prima (a) è l’esclusività, essa indica il fatto che “ogni punto dello spazio non può che essere considerato unico per chi vi accede”35. Come scrive Simmel: C’è soltanto un unico spazio generale, di cui tutti gli spazi particolari costituiscono pezzi, e così ogni parte di spazio ha una specie di unicità per la quale non esiste praticamente analogia. Concepire al plurale una parte di spazio localizzata in modo determinato è un controsenso completo, e proprio questo rende possibile che di altri oggetti possa sussistere al tempo stesso una pluralità di esemplari completamente identici: infatti soltanto per il fatto che ogni oggetto occupa una parte diversa di spazio, e nessuna può mai coincidere con un’altra, essi sono più, benché le loro qualità siano assolutamente indistinguibili. Questa unicità dello spazio si comunica quindi agli oggetti in quanto essi vengono rappresentati semplicemente come riempienti uno spazio, e ciò diventa molto importante per la pratica in quegli oggetti di cui di solito sottolineiamo e utilizziamo il significato spaziale (S, 525-526).

Questa prima peculiare caratteristica dello spazio, di per sé soltanto apparentemente non rilevante, è invece considerata da Simmel molto importante perché ci consente di percepire i fenomeni e di identificare gli oggetti nella loro precipua collocazione spaziale. Indicando l’unicità di ogni punto spaziale, questa caratteristica dell’esclusività traduce di fatto le diverse modalità che gli individui hanno di entrare in relazione con lo spazio. Simmel individua e descrive due tipi puri di formazioni sociali che possono essere definibili mediante la loro relazione con lo spazio proprio sulla base dell’esclusività o unicità di

diffusi nella letteratura socio-territoriale ma ancora vaghi, di «proiezione». Le qualità spaziali sono piuttosto condizioni costitutive, accanto ad altre, che non fattori in senso causale; le configurazioni sono insieme parte delle istituzioni sociali e loro espressione simbolica (ad es. la casa)” (ivi, 325). Per la Konau (1977, 47), invece, la distinzione simmeliana tra qualità fondamentali dello spazio e configurazioni spaziali più che un modello teorico sembra una periodizzazione storico-evolutiva. 34 Attraverso la loro enunciazione, come osserva Frisby (1992b, 104), ciò che Simmel “wishes to demonstrate is that it is social interaction which makes what was previously empty and negative into something meaningful for us. Sociation fills in space”. Lo spazio, simmelianamente, come ribadisce anche Mandich (1996, 39), in quanto ambito della coesistenza sociale “è il luogo che fonda la società, traduce, incarna i fenomeni sociali. Modalità di interazione, sentimenti, tipi di associazione, riempiono in diversi modi lo spazio”. 35 Mandich 1996, 43.

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esso. Il primo (1) è rappresentato dalle formazioni spaziali, ossia da quelle particolari forme sociali che si identificano con “una determinata estensione di territorio” (ivi, 526): nella fattispecie, la modalità relazionale che viene ad essere stabilita con lo spazio “non si pone come semplice possibilità, ma come solidarietà concreta e dichiarata con lo spazio”36. Infatti, precisa Simmel, “nella misura in cui una formazione sociale è fusa o, per così dire, solidale con una determinata estensione di territorio, essa presenta un carattere di unicità o di esclusività che non può essere conseguito in altra maniera. Certi tipi di relazioni possono realizzarsi secondo tutta la loro forma sociologica soltanto quando, entro il campo spaziale che viene riempito da uno dei loro esemplari, non vi è posto per un secondo” (S, 526). Non soltanto ogni spazio è unico per chi vi può accedere, ma anche “ogni determinato spazio sociale è oggetto di diverse pretese, di contese e di conflitti, oppure di monopolio”37, come nel caso dello Stato, che è il tipo puro par excellence di formazione spaziale. Di fatto, “il tipo di relazione tra gli individui che lo stato crea, o che crea lo stato, è talmente collegato con il territorio che un secondo stato contemporaneo sul medesimo territorio è un concetto impensabile” (S, 526). Il secondo (2) tipo è costituito “dalle formazioni sovra-spaziali, che per il loro senso interno non hanno alcuna relazione con lo spazio, ma proprio per questo hanno una relazione uniforme con tutti i suoi punti particolari” (ivi, 528): il tipo più puro ed esemplificativo è quello della Chiesa, il cui principio “è non spaziale e quindi, pur estendendosi al di là di ogni spazio, non esclude da nessuno spazio una formazione eguale” (ibid.). Entro ciò che è spaziale, la differenza tra i due tipi puri (Chiesa e Stato) rinvia parallelamente, secondo Simmel, “all’antitesi temporale tra eterno e atemporale”: mentre il primo “è proprio un concetto di tempo, cioè di un tempo senza fine e ininterrotto”, il secondo “non è toccato, per sua essenza, dal problema dell’adesso o del prima o del dopo, ed è quindi accessibile o presente a ogni momento temporale” (ibid.). Tra questi due tipi puri (Chiesa e Stato) s’inseriscono “fenomeni intermedi”, come ad esempio la città. Tuttavia, anche l’esclusività che perviene alla città rispetto ai confini del suo territorio, “non è altrettanto assoluta quanto quella dello stato”, perché, precisa Simmel, “l’ambito di importanza e di efficacia di una città – all’interno di uno stato – non termina al suo confine geografico, ma si estende in maniera più o meno percepibile, con riflessi spirituali, economici, politici, a tutto il paese, in quanto

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Ibid. Dal Lago 1994, 203.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 207

l’amministrazione generale dello stato fa sì che le forze e gli interessi di ogni parte si intreccino con quelli della totalità” (ivi, 526)38. La seconda (b) qualità dello spazio “che influisce in maniera essenziale sulle azioni sociali reciproche” (ivi, 528) è l’esistenza di confini, o detto altrimenti, come suggerisce Dal Lago mutuando un’espressione tratta dall’antropologia, la “liminalità”39. Ora, che la “questione del confine” sia “il terminale nervoso dell’intelletto simmeliano”40, è un nodo problematico di tutta l’opera simmeliana oggi ampiamente riconosciuto dagli interpreti. E ciò, come ha rilevato criticamente Desideri, “non solo oggettivamente. Ovvero non solo perché l’opposizione costitutivamente ultima del pensiero simmeliano, quella tra vita e forme, è riconfigurabile come una questione di confini; di confini che si spostano continuamente, lasciando affluire e defluire la vita (la possibilità di significazione, si potrebbe dire) dalle forme; ma anche di confini che si consolidano, quasi che la configurazione moderna del rapporto vita/forme avesse sospinto in superficie il limite metafisico da cui esso si genera e bloccato in tragica polarità il suo permanente carattere conflittuale. Tanto più che del conflitto in generale, in tutte le configurazioni che il termine assume, il confine è il luogo stesso (sia della sua genesi che della sua interna fenomenologia)”41. Ma pure soggettivamente, perché lo stesso pensiero simmeliano, nel suo peculiare stile, “è esplicabile come un processo di Abgrenzung, di delimitazione”, ossia un processo che si caratterizza in funzione delle “due principali modalità in cui si presenta il suo porre domande: quella genetica e quella trascendentale”42. Ne Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, Simmel, spiegando come la

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Per Simmel, dunque, secondo quanto commenta riassuntivamente al riguardo Frisby (2001, 126), “every part of space possesses an exclusiveness or uniqueness. Particular social formations may be identified in different ways with particular spaces, such as states or districts of cities. Interaction between individuals and groups in states is closely identified with a specifically demarcated territory, whereas the city’s «sphere of significance and influence» extends through various differentiated functional «waves» – economic, cultural, political – into the hinterland. Indeed, within the city there has often been a functional rather than a quantitative filling out of space, as in the medieval city with its differentiated guilds or corporations. In modern cities, the zoning of areas for designated functions is only one relatively late development of the process of spatial power designation that creates inside and outside within the metropolis itself ”. 39 Dal Lago 1994, 203. 40 Desideri 1993, 105. 41 Ibid. 42 Ibid.

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delimitazione spaziale del gruppo sociale contornata da confini contribuisca a definire il campo dell’interazione al suo interno, perviene, “analogicamente”43 con il mondo dell’opera d’arte, all’uso del concetto di “cornice”44, ormai assunto come un concetto rilevante dalla sociologia contemporanea45. Nella Sociologia, Simmel definisce la cornice “il confine in sé concluso di una formazione” (S, 529), sostenendo che “ha per il gruppo sociale un’importanza molto simile a quella che ha per un’opera d’arte” (ibid.). Essa esercita “le due funzioni che sono propriamente soltanto i due aspetti di un’unica funzione, cioè di delimitare l’opera d’arte rispetto al mondo circostante e di chiuderla in se stessa; la cornice proclama che al suo interno si trova un mondo soggetto soltanto a norme proprie, che non è inserito nelle determinatezze e nei movimenti del mondo circostante; simboleggiando l’unità autosufficiente dell’opera d’arte, essa rafforza al tempo stesso la sua realtà e la sua impressione” (ibid.). Per analogia, così, “una società, per il fatto che il suo spazio esistenziale è compreso in confini ben consapevoli, è caratterizzata come una società coerente anche interiormente, e viceversa: l’unità dell’azione reciproca, la relazione funzionale di ogni elemento con ogni altro, acquista la sua espressione spaziale nel confine che incornicia” (ibid.). Gli interpreti contemporanei46 non hanno mancato di rilevare forti ed implicite analogie tra il concetto simmeliano di “confine” e quello di “frame” in Goffman (Frame Analysis. An Essay on the Organization of Experience, 1974)47. Da questo punto di confronto, emerge come, per Goff-

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Simmel – come ha osservato Vozza (1988, 80) – “è l’uomo delle analogie, colui che coglie il rapporto tra gli oggetti, ne rivela le uniformità ma non trascura le differenze, volge il suo sguardo alla policromia del mondo fenomenico senza riprodurre nell’immagine del significato, l’essenza del fenomeno – come farebbe un filosofo della similitudine”. Sull’argomentare per analogia (Analogieverfahren) di Simmel, cfr. anche Kracauer 1982, 40. 44 Il richiamo analogico alla funzione ornamentale della cornice come principio di tipizzazione-standardizzazione culturale moderna tra arte e decorazione, si è originariamente sviluppato, com’è noto, nel breve ma celebre saggio La cornice apparso su “Der Tag” nel 1902, che Simmel dedicò all’argomento (cfr. Simmel 1985a, 101-108). Per un suo commento, cfr. De Simone 2002b, 243-247. Una lettura “sociologica” e non solo estetica del saggio simmeliano su La cornice è stata recentemente compiuta da Nedelmann 1999, 137-141. 45 Cfr. Dal Lago 1994, 203. 46 Cfr. tra gli altri Dal Lago 1994, 203, 212-216. 47 Cfr. Goffman 2001. Sull’influenza di Simmel nelle opere di Goffman, cfr. Burns 1997 e Vandenberghe 2001. In particolare, Trifiletti (1991, 78-79) ha definito Simmel una fonte non abbastanza indagata del pensiero goffmaniano. Secondo l’autrice “al di là della generica presenza di Simmel nel panorama culturale della sua formazione, il legame d’influenza Simmel-Goffman sembra più saldo e più specifico. I critici di Goffman hanno per lo più teso a

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 209

man, “il «frame» è un principio di organizzazione dell’esperienza, è un modo di ritagliare la realtà per interpretare il senso degli avvenimenti”48; mentre, per Simmel, il “confine” contribuisce “a dare senso a ciò che racchiude, attraverso la delimitazione dello spazio”49. Per Simmel, il concetto di confine, anzi, più specificamente di “limite”, è estremamente importante in tutti i rapporti reciproci tra gli uomini, “anche se il suo senso non è sempre sociologico” (S, 530). A questo proposito Simmel è molto esplicito: “Il limite non è un fatto spaziale con effetti sociologici, ma è un fatto sociologico che si forma spazialmente” (ivi, 531)50. La sua intenzione consiste nel sottolineare e porre in evidenza la “potenza formativa della connessione sociale”, ovvero “la natura sociale delle delimitazioni spaziali”51. Lo

sottolineare gli aspetti riconoscibili di somiglianza e di parallelismo con l’opera di Simmel […] nel carattere asistematico e disperso delle due teorizzazioni, nel loro destino di incomprensione, nel modo apparentemente disordinato e foisonnant della argomentazione e, da ultimo, nella passione dei due autori per stanare la possibilità di comprendere ovunque sia possibile intravederle, anche a costo di non riflettere abbastanza sulla coerenza di ciò che si sostiene. Quello che probabilmente non è stato sottolineato abbastanza, è che costruzione dispersa della teoria e modo argomentativo impressionistico basato sulla analogia e su una varietà di osservazioni apparentemente disparate, sono aspetti che rimandano ad una precisa concezione del processo della conoscenza e della conoscibilità del sociale. È precisamente questo che mi sembra l’ambito più centrale di una influenza di Simmel su Goffman; anche se non immediatamente evidente dal momento che questa concezione è in Goffman largamente implicita”. Sul rapporto Simmel-Goffman si intrattengono anche – nel loro “ritratto d’autore” dedicato a Goffman – Faccioli e Pitasi (2000, 392-448, ivi bibliografia). Una ricostruzione e considerazione sinergica nella storia del pensiero sociologico dei contributi di Simmel e di Goffman (ivi compreso quello di Habermas) è quella perseguita da Mora (1994), secondo la quale “Simmel ha prefigurato l’orizzonte riflessivo della società e ne ha colto la natura interattiva e comunicativa, mentre Goffman ha studiato le interazioni faccia a faccia come interazioni comunicative in cui gli attori cercano un accordo operativo per il buon funzionamento della situazione sociale in atto” (ivi, 29). Sulla ricezione critica e storiografica in Italia del pensiero e dell’opera di Goffman, cfr. Straniero 2004. 48 Mandich 1996, 45. 49 Ibid. 50 Nell’excursus sulla “limitazione sociale” (cfr. S, 531-534), Simmel tra l’altro afferma che “ogni limite è un avvenimento psichico, più esattamente sociologico; ma quando questo viene tradotto in una linea nellospazio, il rapporto di reciprocità acquista, nei suoi aspetti positivi e negativi, una chiarezza e una sicurezza – spesso certo anche un irrigidimento – che solitamente gli rimangono negate finché l’incontrarsi e il dividersi delle forze e dei diritti non è ancora proiettato in una configurazione sensibile, e quindi permane per così dire allo status nascens” (ivi, 532). 51 Mandich 1996, 45.

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spazio, di per sé non continuo, viene delimitato “soggettivamente” da confini che non sono mai assoluti: questa delimitazione reciproca “costituisce soltanto, più profondamente, la cristallizzazione o spazializzazione dei processi di delimitazione psichica che sono i soli reali” (S, 531). Tutto ciò, però, non nega l’ulteriore possibilità che “la posizione di confini in ogni caso psicologici trovi un’agevolazione e un’accentuazione in quelle limitazioni naturali del territorio; anzi, in virtù della sua superficie lo spazio garantisce spesso suddivisioni che colorano in maniera singolare le relazioni degli abitanti tra di loro e con i soggetti che stanno al di fuori” (ivi, 530). L’esempio molto noto, addotto da Simmel, è quello degli abitanti delle montagne “con la loro caratteristica congiunzione di senso della libertà e di conservatorismo, di rudezza nel comportamento reciproco e di attaccamento appassionato al suolo, che tuttavia crea tra loro un legame eccezionalmente forte” (ibid.). Per Simmel, dunque, tracciare dei confini, delimitare spazialmente un gruppo è “un’attività importante ai fini della definizione dell’interazione al suo interno”52: così come la cornice nella sua prestazione deve “delimitare l’opera d’arte rispetto al mondo circostante e chiuderla in se stessa”, allo stesso modo la complessa rete di relazioni reciproche che costituiscono una società, riceve morfologicamente la sua peculiare “espressione spaziale” nel confine che la incornicia. Diversamente, i processi di disembedding e distanziamento “rendono incerta e precaria la delimitazione dello spazio attraverso i confini”53. Pertanto, lo spazio, in questi casi, “si presenta come un insieme di flussi e di interconnessioni, un ibrido, in cui si confondono e si mescolano elementi diversi”54. La “permeabilità” dei confini, ovvero il fatto che essi possano costituire sempre meno delle “cornici chiuse”, dei confini e dei limiti ben definiti e delineati, è sottolineato esplicitamente dallo stesso Simmel nel suo saggio sulla metropoli, dove egli – tra l’altro – pone in evidenza come “le forme spaziali nella società moderna occupano lo spazio in modo funzionale piuttosto che sulla base dell’esclusività. Per questo la delimitazione dello spazio attraverso i confini è meno netta e definita. La città è un «oggetto spaziale» dai confini permeabili”55. La rilevanza di una metropoli non si esaurisce nei suoi meri confini geografici, ma coinvolge su scala globale, oltre che locale, lo spazio culturale, economico,

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Ivi, 148. Ibid. 54 Ibid. 55 Ibid. 53

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sociale e politico nel quale essa proietta il suo campo d’azione. Come scrive lo stesso Simmel: Per la metropoli […] è decisivo il fatto che la sua vita interiore si espande in onde concentriche su di un’ampia area nazionale o internazionale. […] L’essenza più significativa della metropoli sta in questa grandezza funzionale che trascende le sue frontiere fisiche: la sua efficacia si riflette sulla sua vita e le dà peso, rilievo, responsabilità. Come un uomo non si esaurisce nei confini del suo corpo o dello spazio che occupa immediatamente con le sue attività, ma solo nella somma degli effetti che si dipanano a partire da lui nel tempo e nello spazio, allo stesso modo anche una città esiste solo nell’insieme degli effetti che vanno oltre la sua immediatezza. Solo questo rappresenta il vero volume in cui il suo essere si esprime (MVS, 50-51).

La terza caratteristica (c) sociologica dello spazio per le configurazioni sociali considerata da Simmel è la “fissazione” (S, 536), per cui “le grandi organizzazioni sociali non direttamente spaziali (come la Chiesa, e in generale le religioni sopranazionali) devono disporre di un centro o luogo di riferimento fisso (Roma o la Mecca)”56. Simmel prende in considerazione molteplici aspetti del principio di fissazione. Una prima (i) significatività sociologica della fissazione nello spazio può essere così rappresentata: “il fatto che un gruppo o un insieme di individui possano essere completamente fissati o indeterminabili rispetto allo spazio influenza la struttura delle loro relazioni”57. L’esempio che a tal proposito fa Simmel è quello relativo alle costituzioni di gruppi nomadi o di gruppi stabilmente insediati. In questo caso, in situazioni molto consolidate, la fissazione funge da sostituto “di parecchi regolamenti e controlli legali” (S, 537). In altri termini, nella struttura del legame sociale del gruppo “quanto più primitiva è la costituzione spirituale, tanto meno può esserci per essa un’appartenenza senza presenza locale, e tanto più anche i rapporti reali sono corrispondentemente strutturati in base a questa presenza personale dei membri del gruppo” (ibid.). Diversamente, con la progressiva affermazione dell’economia monetaria e della divisione del lavoro, “una «rappresentanza» sempre più vasta delle prestazioni immediate rende in larga misura superflua la presenza degli individui” (ibid.). Una seconda (ii) significatività sociologica della fissa-

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Dal Lago 1994, 203. Mandich 1996, 46.

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zione nello spazio è quella che Simmel definisce mediante l’espressione simbolica del “centro di rotazione” (ibid.). In generale, “il significato di centro di rotazione di una relazione sociologica spetta alla località fissata ovunque il contatto o l’unione di elementi, altrimenti indipendenti l’uno dall’altro, può avvenire soltanto in un posto determinato” (ivi, 539). Un esempio significativo di questo fenomeno, che “rappresenta propriamente un’azione reciproca tra la determinatezza sociologica interiore e quella spaziale” (ibid.), è rappresentato dalla Chiesa, che in particolare nei periodi di diaspora costituisce “una stazione stabile per la cura delle anime in tutti i luoghi in cui viva anche solo il più piccolo numero di aderenti all’interno di un distretto” (ibid.). In questo caso, questa fissazione locale “diventa un centro di rotazione per le relazioni e la coesione dei fedeli, cosicché non soltanto si sviluppano forze religiose comunitarie al posto di forze semplicemente isolate, ma le forze che irradiano da un tale centro visibile ridestano nuovamente la coscienza dell’appartenenza anche in quei membri della confessione i cui bisogni religiosi sono stati a lungo sopiti nel loro isolamento. In questo la Chiesa cattolica è di gran lunga superiore a quella evangelica” (ibid.). Simmel ribadisce che la forma spaziale altro non è che la traduzione della forma sociologica delle relazioni spirituali e sociali e che il centro di rotazione spaziale è la forma spaziale che comunque assume “il centro di rotazione sociologico” (ivi, 540). Di fatto, vi sono particolari relazioni sociali che hanno un centro stabile intorno al quale circolano interessi e discorsi, mentre ve ne sono altre che invece si ordinano semplicemente mediante la successione temporale. Simmel esemplifica questo tipo di relazioni ricordando la specifica forma sociologica che si concretizza spazialmente nel rendez-vous, la cui determinatezza locale “è caratterizzata dal linguaggio con il doppio senso della parola: essa definisce tanto l’incontro in sé quanto il luogo” (ibid.). Infatti, l’essenza sociologica del rendez-vous “consiste nella tensione tra il carattere puntuale e la fuggevolezza dell’avvenimento da un lato, e la sua fissazione spazio-temporale dall’altro” (ibid.). Secondo Simmel, dunque, “la mobilità influisce sulla temporalità quotidiana. Le implicazioni temporali di questo modo di entrare in relazione attraverso lo spazio, sono molto importanti: essa si lega al prevalere della momentaneità, del tempo presente nell’esperienza individuale. Si sviluppano quindi le modalità temporanee della fissazione spaziale (lo spazio non è più importante come contenitore della durata), come il rendez-vous, il punto di incontro. È proprio la dimensione temporale della mobilità (temporaneità, fuggevolezza) a connotare in modo specifico le relazioni con gli altri. La durata attesa di una certa relazione ha delle conseguenze sulle caratteristiche della relazione, anche se la direzione in cui questi

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 213

elementi agiscono non si può certo ricavare esclusivamente dalla quantità temporale di per sé ma dipende dall’insieme delle circostanze”58. La mobilità come modalità specifica di esperienza spaziale attraverso cui si concretizzano le possibilità di relazione con gli altri, costituisce simmelianamente l’essenza caratteristica della modernità, in cui l’economia monetaria determina in forme sempre più ambivalenti un flusso esperienziale incessante e una progressiva accelerazione dei ritmi vitali, del movimento, della differenziazione, delle migrazioni da luogo a luogo (v. infra). L’ulteriore e terza (iii) significatività sociologica della fissazione dello spazio ritenuta da Simmel è quella che corrisponde all’“individualizzazione del luogo” (ivi, 541). Ad esempio, osserva l’autore della Sociologia, non è “un fatto esteriore indifferente che le case cittadine nel Medioevo fossero in generale, e spesso ancora fino al secolo XIX, indicate con un nome proprio” (ibid.). Diversamente, in altri casi, il criterio di individuazione viene operato mediante criteri astratti, cioè attraverso il numero. Tuttavia, precisa Simmel, “nella differenza tra il nome individuale e il semplice numero della casa si esprime una diversità nel rapporto del possessore e dell’abitante con essa, e proprio perciò con il suo ambiente. Determinatezza e indeterminatezza della designazione sono qui mescolate in misura del tutto caratteristica. La casa contraddistinta con il nome proprio deve dare a quelle persone una sensazione di individualità spaziale, l’appartenenza a un punto spaziale qualitativamente stabilito; con il nome, che era associato alla rappresentazione della casa, questa costituisce in misura molto maggiore un’esistenza per conto proprio, colorata individualmente, e ha per il sentimento una forma superiore di unicità che non nel caso di una designazione mediante numeri, che si ripetono uniformemente in ogni strada e tra i quali sussistono soltanto differenze quantitative” (ibid.). Nei processi di individuazione spaziale, tuttavia, “i numeri, con tutta la loro indifferenza e astrattezza di numeri ordinali, significano però una determinata posizione nello spazio, cosa che non è possibile al nome proprio della località” (ibid.). Questa differenza nei modi di denominazione esprime in particolare nella sfera spaziale “una completa antitesi di posizione sociologica del singolo”59. Scrive Simmel: L’uomo individualista, con la sua fissazione qualitativa e l’assenza di interscambiabilità dei suoi contenuti di vita, si sottrae proprio perciò all’inserimen-

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Ivi, 146. Ivi, 47.

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214 | Antonio De Simone to in un ordine valido per tutti, in cui egli avrebbe un posto saldamente prevedibile in base a un principio generale. Dove viceversa l’organizzazione del tutto regola la prestazione dell’individuo secondo uno scopo non posto in lui, la sua posizione deve venir fissata in base a un sistema esterno a lui stesso; non già una norma interna o ideale, bensì il rapporto con il tutto determina questa posizione, la quale viene perciò stabilita nella maniera più appropriata mediante un ordinamento numerico (ivi, 542).

La quarta (d) dimensione sociale dello spazio, che contraddistingue un determinato tipo di rapporti esteriori, che si trasformano nella validità e significatività di azioni sociologiche reciproche, è rappresentata dal nesso vicinanzalontananza, e quindi dall’esistenza o meno di quelle modalità di relazione nello spazio che producono situazioni di contatto tra gli individui e che influiscono sul carattere delle relazioni tra le parti sociali. “Due unioni – scrive Simmel –, tenute insieme in linea di principio dai medesimi interessi, dalle medesime forze, dai medesimi modi di sentire, muteranno il loro carattere a seconda che i loro partecipanti siano in contatto spaziale o separati tra loro; e ciò non soltanto nel senso ovvio di una differenza delle relazioni complessive – poiché a quel rapporto se ne aggiungono altri, internamente indipendenti da esso e intrecciatisi per effetto della vicinanza corporea – ma anche nel senso che il primo, sia pure possibile anche a distanza, viene tuttavia essenzialmente modificato dalle azioni reciproche fondate sullo spazio” (ivi, 545). Vicinanza e distanza, dunque, definiscono quelle peculiari modalità di relazione nello spazio che influiscono sul carattere delle associazioni: cioè “le relazioni in assenza e in presenza”60. Infatti, Simmel distingue “le associazioni e le società per il loro diverso rapporto con lo spazio, cioè per le diverse possibilità/capacità di distanza e necessità di vicinanza”61; inoltre fa esplicito riferimento alle forme di coordinamento spaziale delle diverse società. Nello specifico, simmelianamente, “nelle società moderne gli elementi di un gruppo spazialmente molto esteso sono tenuti insieme da un sistema di mezzi molteplici, di «unità oggettive» (lingua, diritto, modo di vita). Queste unificazioni hanno bisogno solo in piccola parte del movimento di persone attraverso grandi tratti spaziali, di ricreare quindi le condizioni di compresenza. Nel Medioevo, invece, il migrare riveste un’importanza preponderante: le esigenze di comunicazione politica, culturale

60 61

Ibid. Ibid.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 215

ed economica, vengono soddisfatte in misura maggiore attraverso lo spostamento del funzionario, del dotto, del mercante”62. Detto in termini “non simmeliani”, “tanto più le società si basano su sistemi astratti, tanto meno hanno bisogno delle condizioni di compresenza, per la loro riproduzione”63. Ulteriori dimensioni vengono specificate da Simmel per quanto riguarda l’analisi delle modalità relazionali implicanti sia la necessità di vicinanza sia la possibilità di distanza. Per Simmel, “la capacità di tensione spaziale dipende, nelle medesime condizioni di sentimenti e di interessi, dalla misura della capacità di astrazione” (S, 546). Chi può fare facilmente a meno della vicinanza, dal punto di vista psichico, sono proprio “i poli contrapposti delle connessioni tra gli uomini, quelli puramente oggettivo-impersonali e quelli fondati interamente sull’intensità dello stato d’animo” (ivi, 545-546). Infatti, i contenuti dei primi (per esempio certe transazioni economiche o scientifiche) possono essere espressi senza residuo in termini formali, logici, “per iscritto”; gli altri, invece, come “le unioni religiose e parecchie unioni di cuore”, superano quasi “misticamente” le condizioni del tempo e dello spazio, cioè della distanza, con la “forza della fantasia e la dedizione del sentimento” (ivi, 546). Da ciò consegue che “nella misura in cui questi estremi perdono la loro purezza, diventa più necessaria la vicinanza locale” (ibid.). Per Simmel, quindi, “i rapporti sociali possono essere analizzati per una loro maggiore o minore «necessità di vicinanza»; l’aumento delle relazioni «oggettivo-impersonali» nelle società moderne si traduce in un aumento delle «possibilità di assenza»”64. In generale, come precisa Simmel nella sua rilevante analisi del rapporto tra distanze spaziali e prossimità sociale65, la differenza tra vicinanza e lontananza “è più relativa di quanto faccia supporre la netta antitesi logica tra essere insieme e essere separati” (S, 545): la qualità che la forma spaziale della vicinanza e della distanza mette a disposizione della funzione associativa che caratterizza le azioni reciproche per distinguere e articolare i rapporti sociali non ha sempre lo stesso significato sociologico. Dal punto di vista simmeliano, “nelle società più semplici la contiguità spaziale esprime e garantisce l’intensità del legame, stabilendo così una correlazione diretta e biunivoca tra i «contatti esteriori» e «quelli interiori». Le comuni appartenenze si manifestano nella presenza personale di chi vi è coinvolto, mentre, viceversa, la condivisione del medesimo

62

Ibid. Ibid. 64 Ibid. 65 Cfr. Giacomini 1999, 79-90. 63

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spazio, come nei rapporti di vicinato, esige che si stringano legami corrispondenti”66. Come ben esemplifica al riguardo lo stesso Simmel: se nelle condizioni di vita provinciali, “la relazione con il vicino di casa e l’interesse che si ha per lui hanno un ruolo del tutto diverso che non nella metropoli” (S, 547), in quest’ultima, invece, “con la complicazione e confusione del quadro di vita esteriore ci si abitua a continue astrazioni, all’indifferenza verso ciò che è spazialmente più vicino e a una stretta relazione con ciò che è spazialmente molto lontano” (ibid.). In particolare, aggiunge Simmel, nei confronti di colui che è spazialmente vicino, con cui si è già a contatto nelle situazioni e nello stato d’animo più differenti da entrambe le parti, senza la possibilità di cautela e di scelta, vi sono di solito soltanto sensazioni decise, cosicché questa vicinanza può rappresentare il fondamento tanto della felicità più esuberante quanto della più insopportabile coercizione. È un’esperienza molto antica che gli abitanti di una medesima casa possono essere soltanto in termini amichevoli oppure ostili. Dove esistono relazioni molto vicine, le quali non possono più essere accresciute nel loro aspetto essenziale mediante la continua vicinanza immediata, è meglio che tale vicinanza venga evitata, perché essa comporta svariate possibilità di senso opposto e quindi consente di guadagnare poco, ma di perdere molto: è buona cosa avere i propri vicini come amici, ma è pericoloso avere i propri amici come vicini (ivi, 548-549).

Per Simmel, il legame tra vicinanza e polarità affettiva diminuisce sensibilmente sia nel caso specifico relativo ad un livello di cultura molto elevato sia in quello rappresentato dalla vita nella grande metropoli moderna67. In entrambi i casi “prevale l’indifferenza e l’esclusione di ogni relazione affettiva reciproca anche con le persone vicine. Nel primo caso a causa dell’intellettualità, che abbassa le relazioni impulsive e dà luogo ad una oggettività fredda e spesso estraniante. Nel secondo caso perché i contatti incessanti con innumerevoli persone provocano il medesimo effetto per ottundimento. L’indifferenza verso chi è spazialmente vicino costituisce, in questo caso, un dispositivo di protezione”68. Simmel, riflettendo sulle conseguenze esterne della vita metropolitana quale risultato della diffusione e dell’affermazione dell’economia moneta-

66

Ivi, 82. Cfr. Mandich 1996, 49. 68 Ibid. 67

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 217

ria, rileva come il principale fondamento psicologico dell’individualità metropolitana moderna è “l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori” (MVS, 36). La metropoli crea le “condizioni psicologiche” della moderna personalità nevrastenica, che, nella sua forma estrema, non è in grado di tener testa al “costante bombardamento” provocato da impressioni nuove o sempre in mutamento; tutto ciò, di conseguenza, ci spinge a tentare di creare “una distanza tra noi e il nostro ambiente fisico e sociale”69. Questa distanza, che riflette specularmente – come scrive Simmel nella Filosofia del denaro – “un tratto della sensibilità”70 peculiare dell’epoca moderna, si può manifestare e tradurre nella sua degenerazione patologica costituita dalla cosiddetta “fobia del contatto”: “la paura di venire a contatto con gli oggetti, una conseguenza dell’iperestesia, per la quale ogni contatto immediato ed energico provoca dolore”71. La vita urbana metropolitana, forma estrema di “oggettivazione dei rapporti sociali” che è pervasivamente caratterizzata e condizionata dall’economia monetaria, rendendo l’uomo moderno sempre più sensibile “agli choc e ai turbamenti che derivano dalla prossimità immediata e dal contatto con uomini e cose”72, richiede, secondo Simmel, la creazione di una distanza tra l’individuo e il suo ambiente sociale, ovvero la formazione del “riserbo sociale” quale “atteggiamento mentale” tipico adottato dall’uomo metropolitano moderno per garantire, nella sua esistenza, la propria individuale auto-conservazione, mezzo necessario per preservare, attraverso il filtro di una gerarchia di simpatie e antipatie, la distanza sociale e per mantenere intatto il proprio sé altrimenti minacciato dalla folla, dalla rapidità e dalla molteplicità degli stimoli, nonché dalla frequenza del loro continuo mutamento. Un’ulteriore interpretazione degli effetti pratici della vicinanza spaziale è avanzata da Simmel a proposito del tabù dell’incesto, che egli ritiene come un divieto imposto dall’eccessiva prossimità e promiscuità esistenti all’interno della casa ed in cui sono costretti i suoi membri maschili e femminili. Secondo Simmel, “l’esclusione dei rapporti sessuali tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, e in tutte le coppie di parenti che in epoche primitive costituivano un’unità strettamente chiusa dal punto di vista spaziale” (S, 559), scaturirebbe di fatto

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Frisby 1992a, 98. FD, 668. 71 Ibid. 72 Ibid. 70

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“dall’esigenza di limitare quella sensibilizzazione delle relazioni interpersonali che l’intreccio tra vicinanza di luogo e legame affettivo renderebbe incontrollabile”73. Per Simmel, la vicinanza è senz’altro tra le caratteristiche dello spazio che più delle altre è intimamente collegata all’impressione e alla percezione sensibile, ovvero alla sensorialità: per questo motivo la sua “sociologia dei sensi” trova naturalmente posto nell’analisi delle relazioni spaziali74. Simmel, ancora una volta, “parte da Kant ma ne rielabora creativamente le intuizioni”75. Egli riconduce l’ambivalenza76 costitutiva della relazione sociale “alle forme peculiari con cui l’uomo si offre alla nostra percezione sensibile e alle speciali difficoltà che si incontrano quando si cerca di sapere qualcosa di lui. Il differente coinvolgimento che contraddistingue il rapporto con l’altro, rispetto a quello con la natura, viene rintracciato già nel duplice significato che hanno per noi le sensazioni con cui egli ci modifica”77. Nell’Excursus sulla sociologia dei sensi 78, tra l’altro, Simmel analizza le conseguenze della vicinanza per l’interazione umana e la prossimità sociale dal punto di vista del modo in cui gli individui si percepiscono reciprocamente attraverso i sensi ed individua – nella percezione sensibile dell’altro – due direzioni che si intrecciano e si influenzano reciprocamente, le quali invece appaiono relativamente indipendenti. Scrive Simmel: Il fatto che in generale percepiamo sensibilmente il nostro prossimo si sviluppa in due direzioni, la cui cooperazione riveste un’importanza sociologica fondamentale. Agendo sul soggetto l’impressione sensibile di una persona sprigiona in noi sentimenti di piacere e di dispiacere, di un incremento e abbassamento, di eccitazione e acquietamento, per effetto della sua vista o del tono della sua voce, della sua semplice presenza sensibile nel medesimo spazio. Tutto ciò non serve a riconoscere o a determinare l’altro soggetto; soltanto a me fa bene o non fa bene che egli sia qui e che io lo veda e oda. Questa reazione del sentimento alla sua immagine sensibile lascia per così dire fuori lui stesso. Lo sviluppo dell’impressione sensibile si estende nella dimensione opposta non 73

Giacomini 1999, 82. Cfr. Dal Lago 1994, 204. 75 Ibid. 76 Sul concetto chiave di ambivalenza quale principio strutturale del pensiero sociologico di Simmel, cfr. Nedelmann 1992, 233-255; Calabrò 1997, 39-59; De Simone 2002b, 149 ss.; Caccamo 2003, 64-75. 77 Giacomini 1999, 67. 78 Cfr. S, 550-562. Sulla “sociologia dei sensi” di Simmel, cfr. Rath 1986, 189-204; Dal Lago 1994, 204 ss.; Giacomini 1999, 67 ss.; De Simone 2002b, 164-179. 74

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 219 appena essa diventa il mezzo per riconoscere l’altro: ciò che io vedo, odo, sento di lui è ora soltanto il ponte per il quale pervengo a lui come a un mio oggetto. Il suono della voce e il suo significato costituiscono forse l’esempio più chiaro. Come la voce di un uomo agisce su di noi in senso immediatamente attrattivo o repulsivo, indipendentemente da ciò che egli dice; come d’altra parte ciò che egli dice ci aiuta a conoscere non soltanto il suo pensiero momentaneo, ma il suo essere psichico – così avviene con tutte le impressioni sensibili: esse conducono dentro al soggetto in quanto suo stato d’animo e sentimento, e conducono fuori all’oggetto in quanto conoscenza di esso (S, 550).

Per Simmel, la duplice apertura e direzionalità delle impressioni sensibili verso l’interno e verso l’esterno “crea, nel caso della relazione con l’uomo, un’indissolubile connessione tra gli effetti soggettivi che egli esercita su di noi e l’immagine oggettiva che ci facciamo di lui”79; pertanto, simmelianamente, l’interazione conoscitiva e pratica con l’altro “resta vincolata alla sensibilità soggettiva di ciascuno in modo assai più determinante di quanto non accada nel rapporto con il mondo inanimato”80. Ponendo il fondamento dei rapporti interpersonali nella percezione sensibile dell’altro, negli stati d’animo che essa suscita, l’attenzione di Simmel, come sappiamo, si concentra particolarmente sulle funzioni peculiari che i differenti organi di senso svolgono “nell’attivare modalità e dimensioni diverse della connessione interumana”81. L’ovvietà e l’indiscutibilità delle forme dell’associazione umana decadono se quest’ultime vengono indagate anche nelle loro radici sensibili non dal punto di vista psicologico generale, ma da quello più propriamente sociale: non solo la struttura dei nostri sensi e dei loro oggetti contribuisce a sorreggere tutti i rapporti umani, ma se essa fosse differente anche la nostra vita interindividuale si fonderebbe su basi anch’esse differenti. Tra le varie attività e funzioni dei singoli organi di senso una “prestazione sociologica assolutamente unica” (S, 550) è offerta dall’occhio, che, nella connessione ed interazione umana, “consiste nel guardarsi l’un l’altro” (ibid.): la prossimità di questa relazione la rende una delle relazioni esistenti più immediate e più pure in generale. Nel fenomeno quotidiano dello sguardo (Blick) si dà come possibilità all’essere umano una dimensione della conoscibilità dell’altro che è preclusa ad ogni approccio di tipo esclusivamente concettuale. Per Simmel, lo sguardo non solo rende visibile l’altro, ma con-

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Giacomini 1999, 68. Ibid. 81 Ivi, 69. 80

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temporaneamente svela all’altro anche il proprio sé, l’io da cui parte lo sguardo, senza tuttavia riuscire a rivelarlo pienamente: lo sguardo che io rivolgo all’altro per penetrare le sue intenzioni e i suoi sentimenti è, nel contempo, il modo e la relazione in cui più direttamente mi manifesto a lui, esponendomi senza difese. La prossimità di questa relazione è sorretta dal fatto singolare che lo sguardo rivolto all’altro e che lo percepisce è esso stesso espressivo, e ciò proprio per il modo in cui si guarda all’altro. Scrive Simmel: Nello sguardo che assume in sé l’altro si manifesta se stesso; con il medesimo atto con cui il soggetto cerca di conoscere il suo oggetto, egli si offre qui all’oggetto. Non si può prendere con l’occhio senza dare contemporaneamente: l’occhio svela all’altro l’anima che cerca di svelarlo. Poiché ciò si attua evidentemente con l’immediato guardarsi negli occhi, qui si produce la reciprocità più perfetta in tutto l’ambito delle relazioni umane (ivi, 551).

Attraverso la funzione dello sguardo, dell’immediato guardarsi negli occhi, Simmel sottolinea una dimensione fondamentale dell’interazione umana, la reciprocità, ovvero il presupposto del vero comunicare: “L’uomo esiste per l’altro non già quando quest’altro lo guarda, ma soltanto quando anch’egli lo guarda” (ibid.). Nel caso del guardarsi l’un l’altro negli occhi, tale reciprocità, pur perfetta e immediata, resta tuttavia istantanea. Nello sguardo che avviene senza lasciar traccia, Simmel rinviene la cifra simbolica e rilevante della reciprocità come “possibilità esclusiva dell’uomo”82. “La perfetta simultaneità del vedere ed essere visti rappresenta emblematicamente l’assoluta peculiarità che contraddistingue il rapporto tra soggetti. Certo, anche nel mondo umano si può guardare senza essere notati, e, viceversa, essere osservati senza accorgersene o senza ricambiare l’attenzione, ma resta sempre aperta la possibilità che gli sguardi s’incrocino e ciascuno si scopra osservatore e osservato”83. I rischi di tale reciprocità si manifestano in un’altra importante modalità della comunicazione non verbale, la vergogna, che “ci fa guardare in terra, ci fa evitare lo sguardo dell’altro” (S, 551), consentendoci di sottrarre al suo sguardo ispettivo ciò che realmente e intimamente ci rivela. Per Simmel, nella modernità, la vicinanza e la lontananza nello spazio “non danno più espressione tangibile ad analoghe distanze sociali, ma si accompagnano a rapporti che possono assumere intensità assai differenti e che, in linea

82 83

Ibid. Ivi, 69-70.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 221

di principio, sono attratti dalle condizioni sensibili immediate entro cui si svolgono”84. Soltanto in base a ciò si può comprendere perché il significato della distanza diventa quello di “escludere gli stimoli, gli attriti, le attrazioni e le repulsioni che la vicinanza sensibile provoca” (S, 548) e di produrre quindi, nel complesso dei processi psichici associanti, la prevalenza dei processi intellettuali. Di fatto, la distanza spaziale favorisce lo svilupparsi della distanza sociale tra gli uomini, che di per sé la stessa intellettualità interpone. Distanza e intellettualità si rinviano e reciprocamente si rinforzano. Dal punto di vista simmeliano, “una coscienza intellettualmente evoluta ammette una grande concordanza anche tra soggetti molto lontani tra loro, mentre, d’altra parte, lascia sussistere un’oggettività estraniante tra le persone più vicine”85. Come leggiamo nella stessa pagina dell’autore della Sociologia: Se le relazioni a grande distanza presuppongono in prima linea un certo sviluppo intellettuale, il carattere più sensibile della vicinanza locale si rivela, al contrario, nel fatto che con persone assai vicine si è di solito in termini amichevoli o ostili, in breve in un rapporto decisamente positivo, e l’indifferenza reciproca è esclusa in proporzione alla prossimità spaziale. L’intellettualità dominante comporta sempre un abbassamento degli estremi affettivi. Secondo il suo contenuto oggettivo, e come funzione psichica, essa si pone al di là dei contrasti tra cui oscillano l’animo e la volontà; essa è il principio dell’imparzialità, cosicché né individui né epoche storiche di colorazione essenzialmente intellettualistica si caratterizzano di solito per l’unilateralità o per la forza dell’amore e dell’odio. Questa correlazione vale anche per le singole relazioni tra gli uomini. L’intellettualità, pur offrendo un terreno di comprensione generale, proprio per questo interpone una distanza tra gli uomini: rendendo possibile un avvicinamento e una concordanza tra i soggetti più distanti, essa dà luogo a un’oggettività fredda, e spesso estraniante, tra le persone più vicine (S, 548).

Soltanto un “pensiero ingenuo” (ibid.) non comprende che nell’intervallo spaziale prodotto dalla distanza, l’astrazione e l’oggettività esprimono quelle modalità fondamentali attraverso cui si manifesta quel più generale processo di intellettualizzazione cui la modernità sottopone i rapporti sociali. Per Sim-

84 85

Ivi, 82. Ibid.

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mel, filosofo e sociologo della modernità86, quest’ultima si caratterizza per una forma del tutto peculiare di intellettualizzazione che “non si limita ad ampliare e perciò ad arricchire le possibilità di comprensione tra gli uomini oltre i confini ristretti della presenza sensibile, ma trasforma spesso la distanza in condizione del rapporto e la vicinanza in suo impedimento. La razionalizzazione ha, in questo caso, come effetto l’intolleranza o l’indifferenza verso chi ci è accanto e la disponibilità quasi esclusiva verso relazioni anonime ed astratte, nelle quali non si incontrano persone intere, ma reagiscono tra loro comportamenti oggettivati e mediati intellettualmente”87. Dal punto di vista simmeliano, “la distanza predispone all’intellettualità, l’intellettualità rende possibile la distanza. Infatti le soglie di distanza spaziale che gli individui sono disposti a sopportare variano in relazione alle diverse capacità che le relazioni tra gli uomini hanno. Le relazioni basate sull’intellettualità rendono possibile la distanza, l’astrazione ci permette di entrare in relazione con individui che non sono compresenti fisicamente”88.

86

Sull’argomento, cfr.: Dahme-Rammstedt 1984; Frisby 1992a, 59-146; Watier 1986; Dal Lago 1994; Deroche-Gurcel 1997; De Simone 2002b. 87 Giacomini 1999, 83. 88 Mandich 1996, 48-49. Nella Filosofia del denaro Simmel ha analizzato come la diffusione del denaro nel mondo moderno abbia profondamente influenzato le dinamiche del pensiero umano. Di fatto, come osserva ancora Mandich, “con l’economia monetaria i beni diventano misurabili e acquistano di conseguenza un valore oggettivo. Il denaro favorisce quindi la diffusione della quantificazione del mondo. Abbiamo una vera e propria mutazione del pensiero umano, questo passa dal modosingolare al modo universale, dal modo soggettivo al modo oggettivo, dal modo qualitativo al modo quantitativo, dal modo sostanzialista a quello relativista. Queste stesse trasformazioni le ritroviamo presenti nel modo in cui l’uomo moderno guarda alla società attraverso lo spazio. L’esperienza spaziale è sempre meno legata all’immediatezza della percezione (aumenta la capacità di distanza) e alla concretezza della configurazione qualitativa dei luoghi (la casa, i principi di individuazione «soggettivi»). Sempre di più, invece, lo spazio viene esperito per le sue qualità astratte e quantificabili” (ivi, 97). Spetta anche a Simmel il fatto di aver evidenziato sociologicamente “il passaggio da un modo di rapportarsi allo spazio essenzialmente topologico, basato sulla percezione e l’individuazione qualitativa, ad una spazialità di tipo euclideo, incentrata sulla cognizione e su un’individuazione di tipo astratto e indifferenziato. Il pensiero astratto, per sua natura, trascende la cornice spazio-temporale dell’esperienza, per ricreare dei piani di esperienza che sono meno direttamente dipendenti dall’immediatezza dell’esperienza spazio-temporale. Questo aspetto è particolarmente importante perché permette di considerare il rapporto dell’uomo moderno con lo spazio non come semplice reazione alle modificazioni oggettive, ma, dal di dentro delle relazioni sociali, come un modo diverso di guardare alla società”; ivi, 97-98.

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3. Morfologie socio-spaziali e Geistesleben: metropoli, intellettualismo urbano ed economia monetaria Nel contesto della moderna economia monetaria, che pone direttamente in relazione “la funzione universalizzante del denaro all’interno della società contemporanea con il mutamento intervenuto nello «stile della vita»”89, il luogo, lo spazio, lo scenario, il labirinto sociale90 in cui le capacità percettive della psiche dell’uomo si “amplificano straordinariamente”, riflettendo specularmente nell’analisi simmeliana dell’esperienza della modernità il potenziamento della coscienza, l’interiorizzazione continua e l’ipertrofico sviluppo del sé, questo habitat, in cui vive e si riproduce la fenomenologia dell’individualità moderna, è dato dalla trasformazione della città in metropoli, che Simmel ricostruisce in uno dei suoi più celebri e affascinanti saggi, Die Großstädte und das Geistesleben del 1903, qui più volte ricordato. Per Simmel, la metropoli è la quintessenza della modernità. Simmel descrive e interpreta la metropoli, tra l’altro, come “un dispositivo spaziale” che concentra e potenzia le tendenze della modernità, l’epoca in cui il continuo mutamento si fa forma, e “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria” (Marx)91. La descrizione precisa di alcuni aspetti molto selezionati del contesto spaziale e della vita urbana della metropoli, come ha scritto Frisby, “è centrale nell’analisi simmeliana della modernità, come lo è in quella di Kracauer e di Benjamin e lo era stato in Baudelaire. Come Benjamin afferma che «il flâneur è il sacerdote del genius loci», così anche l’analisi della modernità di Simmel è situata in specifiche configurazioni spaziali”92: Simmel “è stato il primo sociologo a disvelare esplicitamente il significato sociale dei contesti spaziali per l’interazione umana”93. Nel suo saggio sulla metropoli – (per la cui comprensione si presuppone quanto già analizzato dall’autore nella Filosofia del denaro) – Simmel avanza alcune ipotesi ermeneuticamente originali e valide sul rapporto tra individuo, dimensione spaziale e società metropolitana e sugli effetti esistenziali e psicologici del processo di Intellektualisierung che caratterizza pervasivamente la trasformazione della città in metropoli attraverso l’industrializzazione e l’urbanizzazione specifiche dell’esperienza mo-

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Monceri 1999, 102. Cfr. Frisby 1992a, 112. 91 Cfr. Berman 1985. Sul libro di Berman, cfr. Turnaturi 2003, 140 ss. 92 Frisby 1992a, 96. 93 Ibid. 90

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derna della razionalizzazione sociale e dell’economia monetaria. Alcuni aspetti generali della modernità, e in particolare la “disposizione intellettualistica”, trovano nella metropoli “l’humus ideale”94. Simmel analizza la metropoli come un fenomeno sociale, culturale ed economico che dà vita ad un particolare tipo di individualità: l’individuo metropolitano. Nella metropoli “si fa esperienza di come tutto sia intrecciato con tutto, e questa inevitabile interdipendenza, anch’essa tipica della modernità, aumenta le possibilità, le chances, l’imprevedibilità. S’impara a non reagire a tutto, a restare indifferenti […] Per sopravvivere il soggetto metropolitano deve «intellettualizzarsi» mettendo a tacere emozioni e sensazioni”95. Nel contesto dell’esperienza metropolitana, lo sviluppo dell’economia monetaria presuppone e produce “l’azzeramento delle differenze individuali: il denaro ha a che fare solo con ciò che è comune a ogni cosa e il valore di scambio riduce tutte le qualità a quantità”96. Ugualmente, “l’abitante della metropoli è indifferente a tutto ciò che è individuale e si rapporta agli altri interessandosi solo alle loro prestazioni oggettive. L’economia monetaria non può che basarsi su rapporti oggettivi e anaffettivi, non può permettersi alcuna distrazione che provenga dall’imponderabilità delle relazioni personali”97. Modernità, economia monetaria, mercato, differenziazione sociale e intellettualismo sono talmente fenomeni interdipendenti e così tipicamente metropolitani che, scrive Simmel, “nessuno saprebbe dire se sia la disposizione intellettualistica dell’animo a spingere verso l’economia monetaria, oppure se sia quest’ultima a determinare la prima” (MVS, 39). Simmel, inoltre, individua determinati nessi tra alcuni contenuti specifici dello stile di vita metropolitano e la crescente pervasività dell’economia monetaria. Innanzitutto “rileva come l’indifferenza e la neutralità del denaro possano indurre a un minore rigore degli standard etici; in particolare, la circostanza della difficoltà di risalire alla provenienza del denaro, cioè il suo non lasciar tracce, facilita una certa rilassatezza”98: “la sua anonimità e la sua assenza di qualità rendono irriconoscibile la fonte dalla quale è fluito verso il suo attuale proprietario” (FD, 549); in questo caso la “corruzione” diventa più facile proprio in un’economia completamente monetizzata. Tuttavia, due sono le principali manifestazioni “quasi endemiche all’apice della civiltà del denaro: il cini-

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Mandich 1996, 98. Turnaturi 2003, 104-105. 96 Ivi, 105. 97 Ibid. 98 Maniscalco 2002, 92. 95

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 225

smo e l’atteggiamento blasé ” (ivi, 370)99, ambedue conseguenze della riduzione a “valore strumentale” dei valori tipici dell’esistenza moderna. Nello specifico, “l’atteggiamento cinico si esprime essenzialmente nella tendenza a svalutare, a livellare (verso il basso) tutti i valori e nell’annullamento di ogni differenza e gerarchia fra di essi. Nell’economia monetaria l’atteggiamento del cinico trionfa, perché può trovare un valido alleato nella capacità omogeneizzante del denaro che porta l’agire quotidiano su livelli progressivi di indifferenza. A sua volta l’atteggiamento blasé – che non poggia tanto sulla svalutazione, quanto sull’assoluta equivalenza di tutto e di tutti – nega ogni vivacità di «sentire» e di volere, dal momento che l’acquisto in denaro rende indifferenti gli oggetti e le prestazioni”100. I tratti della personalità blasé, individuati da Simmel per l’uomo metropolitano, connotano un vero e proprio “tipo” di personalità della modernità (cfr. MVS, 44): “L’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze tra le cose; il loro significato e valore sono avvertiti come irrilevanti. Al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, senza preferenze”101. Dunque, secondo Simmel, “tutta l’organizzazione interna di un sistema di relazioni così estese come quelle metropolitane riposa su una gerarchia altamente differenziata di simpatia, indifferenza ed avversione, a volte fugaci, a volte durature. L’uomo della metropoli appare capace solo di una socialità formale, fedele riflesso soggettivo dell’economia monetaria”102. Nel delineare la figura dell’abitante della metropoli (Großstädter), ovvero del tipo d’uomo caratteristico della modernità, nonché del suo peculiare processo dinamico di intellettualizzazione della vita, Simmel pone in evidenza come la vita psichica nella Großstadt sia notevolmente sottoposta ad un processo di maggiore sollecitazione e raffinamento, rispetto a quanto avviene nelle piccole città e nella campagna, richiedendo all’uomo, in quanto essere “selettivo”, un maggiore sviluppo di consapevolezza. Infatti, secondo Simmel, “se la vita comunitaria è contraddistinta da profondità di sentimenti e affettività delle relazioni, elementi radicati negli strati più profondi della psiche, legati a processi abitudinari, il carattere «sofisticato» della realtà psichica metropolitana

99

Brevi riferimenti al blasé sono contenuti nei saggi simmeliani Psicologia del denaro e Il denaro nella cultura moderna, per i quali cfr. Simmel 1998, 56, 83. Sulla descrizione simmeliana dell’atteggiamento blasé e del cinismo, cfr. De Simone 2002b, 131-140. 100 Maniscalco 2002, 92. 101 Caccamo 2003, 71-72. 102 Ivi, 72.

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porta in primo piano il Verstand quale organo proprio dell’uomo metropolitano, in grado di adattarsi più rapidamente e di assorbire il mutamento delle situazioni”103. Se il primo degli effetti riscontrati da Simmel nella comprensione delle forme dell’esperienza metropolitana moderna è “l’intensificazione della vita nervosa”, cioè delle impressioni e degli choc conseguentemente provocati dall’eccessiva quantità di oggetti e persone con cui l’individuo moderno si trova quotidianamente in contatto104 (automobili, metropolitane, folla, spintoni, illuminazione artificiale, cinema, vetrine, grandi magazzini, esposizioni scientifiche o commerciali, traffico e individuazione astratta dei luoghi – attraverso il numero civico –, criminalità, miseria, presenza di stranieri), il secondo, appunto, è il corrispondente “carattere intellettualistico della vita psichica metropolitana” (MVS, 37), che svantaggia la sentimentalità e le relazioni affettive tra gli individui tipiche della città di provincia e della vita di campagna, le quali, appunto, “si radicano negli strati meno consci della psiche e si sviluppano innanzitutto nella quieta ripetizione di abitudini ininterrotte” (ibid.). Diversamente, la sede dell’intelletto (Verstand ), sostiene Simmel, sono gli strati trasparenti, consci e superiori della nostra psiche. L’intelletto è la più adattabile delle nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi che la sentimentalità, a causa della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per adattarsi ad un ritmo analogo di esperienze (ibid.).

Per Simmel, la metropoli è la forma generale che assume il processo di razionalizzazione dei rapporti sociali, essa “è la fase, o il problema, della razionalizzazione dei rapporti sociali complessivi, che segue a quello della razionalizzazione dei rapporti produttivi”105: la forma del processo “è quella della Vergeistigung, come processo di astrazione dal «personale» e rifondazione della Soggettività, in quanto calcolo, ragione, interesse”106. In questo senso, nella vita della metropoli, quale momento determinante dell’“esistenza” moderna, non c’è “vita dello spirito” (Geistesleben) al di fuori del tipo metropolitano”, cioè al di fuori della Großstadt, né metropoli che non esprima la “vita dello spirito”: la “vita mentale della metropoli” – “non a caso, in tedesco suona come «vita dello spirito», che non è solo vita della mente, in quanto in essa Simmel 103

Meschiari 1987, 257. Cfr. de Conciliis 1998, 102-103, 108. 105 Cacciari 1973, 9. 106 Ibid. 104

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 227

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comprende anche la vita e le correnti emozionali”107 –, traduce emblematicamente “i sentimenti che attraversano e di cui è fatta l’esperienza della modernità”108. Come criticamente ha scritto Massimo Cacciari in Metropolis: Quando il Geist “esce” dai semplici e diretti rapporti produttivi, crea Metropoli, non più “città”. Nella Metropoli deve abitare il Geist, non l’individuo. Questa è la ragione oggettiva della Metropoli. Simmel dà di questo movimento storico l’esatta dimensione problematica. Esattamente nella misura in cui il concetto moderno di Geist è un concetto dialettico, la Metropoli si fonda su una antitesi continuamente affermata e superata tra Nervenleben e Verstand. […] La Metropoli fa “dilagare” la vita percettiva, accresce gli stimoli, libera, si direbbe, l’individuo dalla semplice ripetizione – ma proprio in quanto questo processo è controllato dalla “misura dell’intelletto”, che comprende questi stimoli, articola e distingue questa “molteplicità”. L’intelletto, come misura comune della Soggettività, si impone all’individuale. La vita “nervosa” della Metropoli, quindi, non riconduce affatto nelle “zone profonde della personalità”, ma è motore, alimento dell’intelletto. Non c’è contraddizione tra i due livelli, né, propriamente, di due livelli differenti si tratta. Il Nervenleben è condizione del Verstand – condizione interna al suo affermarsi, al suo dominio, perfettamente integrato in esso109.

Per Simmel, l’uomo metropolitano puramente intellettuale “è indifferente a tutto ciò che è propriamente individuale, perché da questo conseguono relazioni e reazioni che non si possono esaurire con l’intelletto logico – esattamente come nel principio del denaro l’individualità dei fenomeni non entra. Il denaro infatti ha a che fare solo con ciò che è comune ad ogni cosa, il valore di scambio, che riduce tutte le qualità e le specificità al livello di domande che riguardano solo la quantità” (MVS, 38). Il denaro, quindi, “s’interroga soltanto su ciò che a tutti quegli elementi è comune, sul valore di scambio che livella tutte le qualità e le caratteristiche alla semplice questione del «quanto». Tutte le relazioni interiori fra persone si basano sulla loro individualità, mentre quelle intellettuali «contano» con gli uomini come con i numeri, come se essi fossero elementi di per sé indifferenti, che hanno un interesse soltanto per la loro prestazione oggettivamente considerabile”110. L’intellettualismo non è soltanto il carattere dominante della vita della metropoli moderna, ma costituisce, nel 107

Turnaturi 2003, 107. Ibid. 109 Cacciari 1973, 10-11. 110 Monceri 1999, 104-105. 108

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contempo, una difesa della vita soggettiva contro la violenza intrinseca della stessa metropoli. Di fatto, la coscienza individuale, “che ha la sua sede nella corteccia cerebrale, viene «bruciata» da una messe straordinaria di stimoli esterni, diversificati e rapidissimi; da essa cerca di difendersi per non rimanere sopraffatta e frantumarsi completamente nella varietà delle impressioni in cui è immersa”111. Attraverso il “dominio dell’intelletto” (ovvero, la facoltà capace di astrarre e selezionare gli impulsi) e mediante la “neutralizzazione” dei sentimenti (reattivi agli impulsi sensoriali), la coscienza “sembra in grado di controllare l’iperstimolazione metropolitana”112. In questo modo, scrive Simmel, il tipo metropolitano – che naturalmente è circondato da mille modificazioni individuali – si crea un organo di difesa contro lo sradicamento (Entwurzelung) di cui lo minacciano i flussi e le discrepanze del suo ambiente esteriore: anziché con l’insieme dei sentimenti, reagisce essenzialmente con l’intelletto, di cui il potenziamento della coscienza, prodotto dalle medesime cause, è il presupposto psichico. Con ciò la reazione ai fenomeni viene spostata in quell’organo della psiche che è il meno sensibile ed il più lontano dagli strati profondi della personalità (MVS, 37).

L’atteggiamento intellettualistico, il dominio dell’intelletto, la preponderanza dell’oggettivo sul soggettivo sono connessi nell’esperienza della metropoli ai caratteri tipici dell’economia monetaria: Le metropoli sono sempre state la sede dell’economia monetaria, poiché in esse la molteplicità e la concentrazione dello scambio economico procurano al mezzo di scambio in se stesso un’importanza che la scarsità del traffico rurale non avrebbe mai potuto generare. Ma economia monetaria e dominio dell’intelletto si corrispondono profondamente. A entrambi è comune l’atteggiamento della mera neutralità oggettiva con cui si trattano uomini e cose (ivi, 37-38).

Ancora. Nel processo di razionalizzazione dei rapporti sociali e di intellettualizzazione della vita nel contesto metropolitano, dal punto di vista del Verstand e del Geld, individualità e personalità non sono valori che si possono prendere in considerazione in quanto tali, poiché la loro valutazione è solamente oggettiva, non soggettiva: le condizioni della vita metropolitana sono 111 112

de Conciliis 1998, 103. Ibid.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 229

causa ed effetto insieme della estensione ai rapporti sociali di quella caratteristica del denaro, che è appunto la sua calcolabilità. La conseguenza vistosa e smisurata della crescita del ruolo dell’intelletto (Verstand ) nell’abitante della metropoli fa sì che, come dice lo stesso Simmel, “lo spirito moderno è diventato sempre calcolatore” (ivi, 40), a tal punto che “all’ideale delle scienze naturali, quello di trasformare il mondo intero in un calcolo, di fissarne ogni parte in formule matematiche, corrisponde l’esattezza calcolatrice della vita pratica che l’economia monetaria ha generato” (ibid.); dacché, “solo quest’ultima ha riempito la giornata di tante persone con le attività del bilanciare, calcolare, definire numericamente, ridurre valori qualitativi a valori quantitativi” (ibid.). Il sistema e la costituzione storica di questo Verstand è l’economia monetaria di mercato. Essa, dunque, formalizza il rapporto economico, così come l’intelletto formalizza i rapporti e i movimenti psichici. Essa “supera” il valore d’uso, così come l’intelletto lo stimolo immediato, la qualità dell’impressione. Allora si comprende come intelletto ed economia monetaria si ritrovino nella Metropoli, inscindibilmente connessi, e come la Metropoli sia il luogo dello scambio, il luogo della produzione e circolazione di valore di scambio. Allora si comprende tutto il “ciclo”: il Nervenleben corrisponde al materializzarsi continuo e incalzante, costantemente “innovato”, del valore di scambio in valore d’uso – corrisponde al momento necessario del realizzarsi del valore di scambio; l’intelletto, il Verstand, astrae di nuovo dall’“apparenza” del valore d’uso la sostanza del valore di scambio, trae denaro di nuovo dal processo, e quindi riflette costantemente sulla merce in quanto tale – cioè: torna a produrre merci. Così la Metropoli è il luogo di questo ciclo complessivo: essa permette la funzionalità reciproca di tutti questi momenti. Siamo ancora nella “città”, finché siamo in presenza di valori d’uso semplicemente, o di produzione di merci semplicemente, o dello “stare-accanto” non dialetticizzato dei due momenti. Siamo nella Metropoli allorché la produzione assume una sua “ragione sociale”, determina i modi del consumo e riesce a funzionalizzarli al rinnovo del ciclo. La Metropoli deve porre in atto un Nervenleben per realizzare, attraverso il valore d’uso, il valore di scambio che il Verstand produce – e quindi per riprodurre le condizioni del Verstand 113.

La metropoli organizza il comportamento quotidiano dei suoi abitanti, nonché il senso e lo stile della loro vita, in funzione di un modello di razionalità economica e strumentale basata sul valore di scambio e sulla centralità del mercato. La dimensione e la dinamica espansiva dell’insediamento metropoli113

Cacciari 1973, 12.

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tano, il fluire continuo e il ritmo caotico e complesso di questo sistema di vita, l’“esattezza matematica della vita pratica” e il calcolo del tempo, necessari per la sopravvivenza materiale nella metropoli, secondo Simmel, fanno sì che il carattere calcolatore del denaro ha di fatto introdotto nelle relazioni fra gli elementi una precisione, una sicurezza nella definizione di uguaglianze e disuguaglianze, una univocità negli impegni e nei contratti, come quella che è prodotta esteriormente dalla diffusione generalizzata degli orologi […] Ma sono le condizioni della metropoli ad essere causa ed effetto di questo tratto caratteristico. Le relazioni e le faccende del tipico abitante della metropoli tendono infatti a essere molteplici e complesse: con la concentrazione fisica di tante persone dagli interessi così differenziati, le relazioni e le attività di tutti si intrecciano in un organismo così ramificato che senza la più precisa puntualità negli accordi e nelle prestazioni il tutto sprofonderebbe in un caos inestricabile. Se tutti gli orologi di Berlino si mettessero di colpo a funzionare male andando avanti o indietro anche solo di un’ora, tutta la vita economica e sociale sarebbe compromessa molto a lungo. A questo poi si aggiungerebbe – cosa irrilevante solo in apparenza – l’ampiezza delle distanze, che farebbe di ogni attesa e di ogni appuntamento una perdita di tempo irreparabile. Di fatto, la tecnica della vita metropolitana non sarebbe neppure immaginabile se tutte le attività e le interazioni non fossero integrate in modo estremamente puntuale in uno schema temporale rigido e sovraindividuale (MVS, 40-41).

Il modello morfologico-sociale e spaziale della metropoli, la sua tecnica e il suo stile di vita, basati sulla impersonalità delle relazioni economiche, sulla puntualità e calcolabilità, sulla certezza e la matematizzazione, che è alla base della razionalità degli scambi, se “non stanno solo nella più stretta relazione con il suo carattere economico-monetario e intellettualistico” (ivi, 41), tuttavia non possono fare a meno di colorare anche i contenuti della vita e favorire l’esclusione di tutti quei tratti ed impulsi irrazionali, istintivi e sovrani, che vorrebbero definire da sé la forma della vita anziché riceverla dall’esterno come in uno schema rigidamente prefigurato. È pur vero che delle esistenze fieramente autonome caratterizzate in questo modo non sono affatto impossibili in città: ma queste rappresentano il contrario del tipo di vita che essa rappresenta (ibid.).

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 231

Con questo, comunque, non si può certo escludere che ogni forma di irrazionalità sia eliminata del tutto dalla vita metropolitana, ma certo essa è in stridente contrasto con la sua “tipicità”. Nella scena moderna della Großstadt, il denaro come medium di comunicazione, la cancellazione monetaria delle passioni, l’espulsione del “cuore” e dei sentimenti dai rapporti umani e l’accrescimento delle dimensioni intellettuali della vita sociale, diventano – sotto il dominio del denaro e nella “tragedia” della cultura moderna – il perno attorno a cui ruotano i rapporti interindividuali, trasformando le relazioni e le mentalità in stili di vita razionali e mercificati. Tutta l’opera di Simmel, dunque, presuppone la vita e la cultura metropolitana114 come parte integrante e costitutiva della sua lettura della modernità e delle forme dell’individualismo moderno, profondamente segnate dal gioco dell’ambivalenza che finisce per coinvolgere anche le dimensioni spaziali e temporali dell’interazione sociale.

4. Spazio, tempo, denaro e stile di vita (Lebensstill) Simmel, com’è noto, ha analizzato il rapporto tra denaro e “stile di vita”115 moderna116 in stretto legame con le variabili del tempo e dello spazio e con il generale processo di intellettualizzazione dell’esperienza che segna il passaggio dalle società tradizionali alle società industriali moderne caratterizzate dal predominio razionale ed oggettivo dell’economia monetaria e dall’accelerazione del tempo della vita sociale dovuta al ruolo svolto dal denaro117. Le trasformazioni del nesso che lega spazio e tempo quali modalità d’esperienza relazionale specifica del mondo sociale e l’accelerazione del ritmo della vita implicano di necessità un’analisi di concetti come quello di velocità (e di simultaneità) che inevitabilmente ci conduce “al centro delle modificazioni spazio-temporali legate alla modernità”118. In particolare, per comprendere ed interpretare queste trasformazioni è centrale il nesso denaro-spazio-tempo-intellettualizzazione che

114

Cfr. Frisby 1985, 17-42. Giova qui ricordare, come nota Maniscalco (2002, 97), che “l’espressione «stile di vita» fu originariamente introdotta in ambito scientifico e accademico all’inizio del Novecento dal noto psicologo e psichiatra Alfred Adler. Utilizzata da Simmel, Weber, Veblen è poi caduta in disuso nella letteratura sociologica più recente”. 116 Cfr. Nedelmann 1992, 102-115 e 1993b, 398-418. 117 Cfr. Nedelmann 1991, 103-113 e 1993a, 120-128. 118 Mandich 1996, 93. 115

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Simmel per primo ha messo in evidenza. Nella complessità di influssi reciproci che costituisce l’esperienza della modernità, denaro, spazio, tempo e intellettualizzazione svolgono un ruolo ed una funzione sostanziale importanti che si condizionano vicendevolmente e che traducono rilevanti trasformazioni sociali e di vasta portata. Simmel, tra i primi, ha messo in evidenza “il nesso profondo che nelle società moderne si crea tra le dimensioni dello spazio e del tempo e il denaro. Spazio e tempo riflettono lo stesso processo di «astrazione», svuotamento, che l’intellettualizzazione dell’esperienza, di cui l’economia monetaria costituisce il motore più importante, comporta”119. Soprattutto nella sua ancora “insuperata” ed originale analisi sullo stile della vita moderna, sviluppata nel sesto capitolo della Filosofia del denaro120, Simmel mette in luce come il tratto più generale e caratteristico dello stile di vita moderna è dato dal predominio della intellettualità astratta in ogni sfera vitale121. Il parallelismo tra intelletto e denaro scaturisce “dall’identica collocazione che entrambi assumono all’interno delle serie teleologiche, su cui si modella l’agire”122: “dalla pura conoscenza dei contenuti del mondo, dunque dalla intellettualità, non deriva alcuna posizione del fine” (FD, 608), lo stesso per quanto avviene per il denaro all’interno del processo economico, in cui esso è un puro “mezzo”. Tuttavia, il denaro viene sentito ovunque come un fine, abbassando così a puri mezzi un’infinità di cose che hanno propriamente il carattere di essere fini a se stesse. Poiché il denaro stesso è un mezzo, dovunque e per qualsiasi cosa, i contenuti dell’esistenza vengono posti in una immensa connessione teleologica, nella quale nessun contenuto è il primo e nessuno è l’ultimo. Poiché il denaro misura tutte le cose con spietata oggettività e poiché la misura del loro valore, che viene così stabilita, determina i loro legami, ne risulta un intreccio di contenuti oggettivi e personali che si avvicina al cosmo regolato dalle leggi naturali in virtù della possibilità di postulare una connessione ininterrotta e una rigida causalità (ivi, 609-610).

119

Ivi, 94. Cfr. FD, 607-718. Sulla Filosofia del denaro di Simmel, cfr. Cavalli-Perucchi 1984, 949; Frisby 1990, 1-49, 513-534; Frisby-Köhnke 1991; Moscovici 1991, 331-480; AA.VV. 1993; Poggi 1998; Vigorelli 1999; De Simone 2002b. 121 Cfr. Vigorelli 1999, 139-146. 122 Ivi, 139. 120

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 233

Per Simmel si dà quasi una coincidenza fisiognomica tra intelletto e denaro, cioè tra due forme di astratta oggettivazione dei contenuti della vita che si fondano sul significato preponderante dell’elemento quantitativo su quello qualitativo. Da ciò consegue “una netta separazione tra la sfera dell’emotività e del sentimento (che si riaffaccia nella irrazionalità della scelta di valore) e quella dell’intelletto, che è perciò libero di concentrarsi sull’aspetto oggettivo e calcolabile del nesso mezzi-fini. Ne risulta facilmente uno stile di vita caratterizzato dalla indifferenza ai contenuti nella loro determinatezza qualitativa, dalla imparzialità e impersonalità nelle relazioni, da uno spirito conciliante ma anche cinico e indifferente, da quella generale «mancanza di colore» e di passioni che tinge di sé il tipico abito professionale dell’uomo moderno”123, che Simmel stigmatizza in negativo come “assenza di carattere” (FD, 611): Se il carattere significa sempre che le persone o le cose sono decisamente ancorate ad un tipo di esistenza individuale che si differenzia ed esclude tutti gli altri, allora l’intelletto, in quanto tale, ne è completamente privo, infatti, è lo specchio indifferente della realtà, uno specchio in cui tutti gli elementi sono ugualmente giustificati, perché la loro legittimità in questo caso consiste soltanto nel loro essere reali. Certo, anche le caratteristiche intellettuali degli uomini sono diverse; ma, ad una considerazione più attenta, o si tratta di differenze di grado, di profondità o di superficialità, di ampiezza o di limitatezza, oppure di differenze che nascono per effetto di altre energie spirituali, della sensibilità o della volontà. L’intelletto, in base al suo concetto puro, non ha assolutamente alcun carattere, non perché gli manchi una qualità veramente necessaria, ma perché è del tutto al di là di quella unilateralità che costituisce il carattere nell’atto di compiere delle scelte. Esattamente in questo consiste anche la mancanza di carattere del denaro. Come il denaro in sé e per sé è il riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose e si offre ugualmente a tutte le parti, così in una transazione in denaro tutte le persone sono equivalenti, non perché ognuna di esse abbia valore, ma perché nessuna ne ha: vale soltanto il denaro (ibid.).

La peculiare struttura oggettiva che la vita moderna viene ad assumere traduce simmelianamente in particolare il significato espresso dal duplice ruolo dell’intelletto e del denaro: “sovrapersonali in relazione al contenuto, individualistici ed egoistici in relazione alla funzione” (ivi, 613). Secondo Simmel, “l’astrazione dall’immediatezza e dalla conflittualità della vita sensibile ed emotiva, sviluppata dall’atteggiamento teoretico, s’intreccia con la neutralizzazione del123

Ibid.

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le ostilità puramente personali nell’ambito dell’economia monetaria”124, che “offre loro un terreno sul quale, infine, è sempre possibile un’intesa” (FD, 614). Pertanto, “il rapporto economico, dal momento in cui si organizza attraverso lo scambio mediato dal denaro, si rende indipendente dalle disposizioni soggettive di ciascuno a donare i suoi beni o, viceversa, ad appropriarsi di quelle altrui, e si regola secondo operazioni di scambio del tutto oggettive, che trovano nella forma monetaria un’espressione rigorosamente quantitativa”125. Il campo di rapporti che così viene a istituirsi e svilupparsi definisce “un sistema di azioni che appare interamente basato sulla razionalità e consequenzialità dei comportamenti, le cui dinamiche si presentano del tutto svincolate dalla volontà soggettiva di ciascuno”126. Intellettualizzazione e monetarizzazione dei rapporti contribuiscono in questo modo a definire e produrre quell’“oggettività dello stile di vita” (FD, 615), che nella modernità “è l’unico modo accessibile all’uomo di conquistare un rapporto con le cose che non sia succube della casualità del soggetto” (ibid.). Di conseguenza, “l’intesa che così si rende possibile esclude, di principio, tutto ciò che concerne la sfera soggettiva e, perciò, individuale – motivazioni, volontà, sentimenti –, investendo soltanto quanto vi è di comune, oggettivabile, astratto dalla personalità di ciascuno. Analogamente, i comportamenti mediati dal denaro definiscono rapporti del tutto indipendenti da intenzioni, contenuti, finalità dell’agire”127, in quanto, come scrive Simmel, “ciò di cui ci si disfa per denaro giunge al massimo offerente, senza tener conto di che cosa e chi egli sia in altre circostanze […] Viceversa, quando compero, mi è indifferente da chi compero ciò che desidero e che vale il prezzo richiesto” (FD, 617). L’“uguaglianza universale” che intellettualizzazione e monetarizzazione rendono di fatto possibile, poiché, da punti di vista diversi, “non riconoscono alcuna differenza aprioristica tra gli individui” (ivi, 620), pone “una condizione essenziale per lo sviluppo di un illimitato individualismo, nel doppio significato con cui Simmel lo intende: come libertà, innanzitutto, derivante dalla dissoluzione dei vincoli personali e dalla sostituibilità dei soggetti con cui si entra, di volta in volta, in rapporto; ma anche, come impulso egoistico, cui la libera disponibilità dei mezzi intellettuali e di quelli monetari offre una straordinaria possibilità di espansione”128. Simili processi contribuiscono a modificare profondamente anche le “distanze” che separano 124

Giacomini 1999, 84. Ibid. 126 Ibid. 127 Ivi, 85. 128 Ibid. 125

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 235

non solo gli uomini dalle cose, ma anche dagli altri uomini e da se stessi. Simmel coglie con sensibilità “sismografica” la modificazione della distanza che nella modernità si stabilisce tra l’Io e le cose come espressione della diversità degli stili di vita anche in relazione con la configurazione dello spazio sociale e di quello infrapsichico129. Questa caratterizzazione dello stile di vita moderna è definibile come “un superamento della distanza da un punto di vista relativamente esterno” (FD, 670), cui corrisponde “un ampliamento della distanza medesima da un punto di vista interno” (ibid.). Ciò si collega al significato che il ruolo e la funzione del denaro rivestono nelle dinamiche della socialità nella modernità: esso, “incrementando il numero e ampliando l’estensione degli scambi, avvicina (tramite l’allungamento delle serie teleologiche) ciò che è relativamente lontano, mentre allontana ciò che è relativamente vicino (in quanto tale allungamento si può leggere anche come accresciuta complessità delle interazioni economico-sociali)”130. Secondo Simmel, i rapporti dell’uomo moderno con il suo ambiente si sviluppano in generale in modo tale che egli “si allontana dalle cerchie più prossime, per avvicinarsi di più alle più lontane” (FD, 670). Man mano che “la distanza esterna tra l’io e le cose diminuisce, si accresce nella stessa misura quella interna, come reazione di difesa e di adattamento dell’io alla invasione e alla pressione dei contenuti periferici della vita e della coscienza, che tenderebbero ad occuparne il centro”131. Ne sono un esempio significativo molteplici fenomeni quali il “pudore” (in campo morale), la già su menzionata “fobia del contatto” (in campo psico-patologico), e, in campo sociale, “il crescente allentamento dei legami familiari” (FD, 670), che fa avvertire all’individuo moderno il sentimento di eccessiva vicinanza e angustia dei legami connessi alla “cerchia più prossima” (ibid.), costringendolo così a “prendere le distanze nei rapporti propriamente intimi, e diminuirle in quelli più esterni” (ibid.). Paradossalmente, nella modernità, osserva Simmel, nelle dinamiche della socialità, “ciò che è più remoto diventa più vicino, al prezzo di aumentare la distanza verso ciò che è già vicino” (ivi, 671). La “moderna forma di vita” si basa soprattutto sulla “distanziazione” funzionale provocata dalla circolazione monetaria, la quale fa sorgere “una barriera interna tra gli uomini” (ivi, 672). Gli effetti di questa distanziazione si possono cogliere, oltre che per gli oggetti culturali, anche nei confronti del mutato rapporto con la natura, anch’essa divenuta sempre più oggetto di manipolazione 129

Cfr. Vigorelli 1999, 142. Ibid. 131 Ibid. 130

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236 | Antonio De Simone

tecnica. Di fatto, “con il diminuire della distanza esterna tra l’uomo e la natura, si accresce di altrettanto la distanza interna, nasce quel sentimento «romantico» e «malinconico» nei confronti di essa, che dà origine alla rielaborazione estetica della sua immagine”132: un’immagine, scrive Simmel, “lontana, che persino nei momenti di vicinanza fisica sta davanti a noi come qualcosa di intimamente irraggiungibile, come una promessa mai completamente mantenuta, che anche alla nostra più appassionata dedizione risponde con una lieve resistenza ed estraneità” (FD, 673). Come poi preciserà nel suo importante saggio del 1912-13 dedicato alla Filosofia del paesaggio133 sopra ricordato, Simmel – già nella Filosofia del denaro – annota significativamente: Il fatto che soltanto nell’epoca moderna si sia sviluppata la pittura paesaggistica – che in quanto arte, può sussistere soltanto se c’è distanza dall’oggetto e rottura dell’unità naturale con esso – e il fatto che soltanto l’epoca moderna conosca il sentimento romantico della natura, è conseguenza dell’esistenza astratta a cui ci ha condotto la vita urbana basata sull’economia monetaria. Ciò non è contraddetto dal fatto che sia proprio il possesso del denaro a permetterci la fuga nella natura. Perché proprio il fatto che essa possa essere goduta dall’abitante delle città soltanto a questa condizione, inserisce – anche se con molte trasformazioni e con meri echi remoti – tra l’uomo e la natura quell’istanza che collega solo in quanto distingue (ivi, 673-674).

Dunque, dalla descrizione simmeliana si evince che “solo nel moderno la natura diventa l’oggetto sul quale si proiettano sentimenti romantici verso la natura. La moderna pittura di paesaggio e il romanticismo della natura sono comprensibili solo come prodotti culturali, se li si concepisce come produzioni estetiche che possono svilupparsi solo nella distanza dalla natura prodotta dal denaro. L’interiorizzazione della natura in godimento della natura è un fenomeno che può sorgere solo in questo regime di economia monetaria”134.

132

Ivi, 143. Cfr. Simmel 1985, 71-83. Per l’analisi critico-ricostruttiva della “filosofia del paesaggio” simmeliana dobbiamo ancora una volta rinviare il lettore a De Simone 2002a, 147-166 (ivi bibliografia). 134 Nedelmann 1991, 110. Sempre a tal proposito, altrove la Nedelmann (1992, 110111), nello specificare in termini simmeliani l’influenza della “componente spaziale” del denaro sulla conduzione della vita moderna, ha scritto: “Il denaro mette in moto, nella dimensione spaziale, un doppio processo. Da un lato esso supera le distanze, avvicinando persone e oggetti che sinora apparivano a distanza irraggiungibile. Dall’altro crea distanza fra 133

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 237

Per Simmel, l’oggettivazione, il feticismo della cultura materiale e il problema della distanza trovano un punto di particolare addensamento e visibilità proprio nel fenomeno della tecnica nella modernità. Lo sviluppo e l’egemonia della tecnica hanno condotto – come si legge nella Filosofia del denaro – ad un predominio dei mezzi sui fini che “si riassume e culmina nel fatto che la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si sono impadronite del suo centro, di noi stessi” (FD, 678). Il “rapporto spirituale con il mondo” (ivi, 669), fondato dalla scienza e dalla tecnica moderne, se da una parte “ci ha consentito di superare le infinite distanze tra noi e le cose” (ivi, 670) (come nel caso del microscopio e del telescopio), dall’altra “ha dissolto quella sfera di prossimità con la natura e con gli altri da cui traevamo sicurezza e fiducia”135. Certamente, “i tempi della mitologia, delle conoscenze assolutamente generali e superficiali, dell’antropomorfizzazione della natura da un punto di vista soggettivo, dal lato del sentimento e delle credenze, sempre illusorie, stabilivano una distanza tra uomini e cose molto più piccola di quella attuale” (FD, 670). Come nel lontano passato dell’umanità, “la realtà, anche quella più misteriosa e insondabile, appariva comunque a portata di mano, animata da dei che intervenivano personalmente nelle vicende, altrettanto personali, di singoli uomini”136; viceversa, nella modernità, “i metodi raffinati che ci permettono di penetrare all’interno della natura, sostituiscono solo molto lentamente e parzialmente” quel “senso di prossimità e di intima fiducia”, che in passato, appunto, “hanno assicurato all’anima gli dei della Grecia, la spiegazione del mondo in base agli impulsi e ai sentimenti umani, la sua guida da parte di un dio che interviene personalmente, la sua struttura teleologica in vista del quelle persone e quegli oggetti che stavano sinora in intima vicinanza. Questo capovolgimento delle distanze pre-esistenti operato dal denaro possiede anche per la moderna condotta di vita una doppia e paradossale conseguenza. Con il distanziamento gli individui moderni, e in particolare gli abitanti delle metropoli, riescono a sopportare la coatta vicinanza di anonimi esseri umani. Il distanziamento diviene così una necessaria strategia di sopravvivenza nelle metropoli. D’altro canto proprio la distanza prodotta dall’economia monetaria, ad esempio nei confronti della natura, può essere culturalmente convertita in modo positivo: infatti, proprio perché l’economia monetaria ci mette a distanza dalla natura, noi realizziamo il presupposto che permette di avvicinarsi ad essa. Il godimento e l’esperienza (Erlebnis) della natura diventano possibili solo se noi, a distanza, ci avviciniamo alla natura con distacco. Il doppio movimento attuato dal denaro a livello di mercato (produzione e riduzione della distanza), si riproduce nel caso della natura in condizioni in cui si riesce a trattare in modo culturalmente produttivo le circostanze della vita moderna”. 135 Giacomini 1999, 85. 136 Ivi, 85-86.

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238 | Antonio De Simone

bene dell’uomo” (FD, 670). Diversamente, l’uomo moderno ha sviluppato, secondo Simmel, “un’attitudine di dominio nei confronti della natura e delle finalità naturali, che si è riverberato sull’anima, inducendovi un opposto senso di vuoto e di assenza di finalità”137: “l’epoca moderna, e in particolare i tempi più recenti, sono percorsi da un senso di tensione, di attesa, di stretta non allentabile, come se il fine essenziale e definitivo, il vero senso e il punto centrale della vita e delle cose dovesse ancora arrivare” (FD, 676). L’effetto distanziante sullo stile di vita moderna è anche la risultante dell’inaudito sviluppo dei mezzi tecnico-scientifici e del denaro come “mezzo dei mezzi”: il loro predominio sancisce la prevalenza dei mezzi sui fini della vita138. In questo processo, infatti, soprattutto l’economia monetaria rende praticamente possibile “da una parte l’indipendenza dell’individuo dalle solidarietà familiari e locali, vincolate alla proprietà collettiva e alla coltivazione in comune della terra, dall’altra l’istituirsi di legami di interessi del tutto indipendenti dalle distanze spaziali, che connettono tra loro uomini e gruppi sociali appartenenti alle aree più diverse del pianeta”139. Secondo Simmel, l’avvento dell’economia monetaria moderna produce tutte quelle premesse che inducono l’individuo a trasformare drasticamente il modo in cui assimila l’ambiente e, attraverso l’influsso del denaro, contribuisce sia alla “determinazione dello stile della vita”140 sia all’accelerazione del tempo del137

Vigorelli 1999, 143. L’uomo, secondo Simmel, pur essendo sempre rinviato alla categoria del mezzo e del fine, in quanto “il suo destino eterno è di muoversi nel conflitto tra le esigenze poste direttamente dal fine e quelle poste direttamente dai mezzi” (FD, 680); tuttavia, egli, proprio nella modernità vive tragicamente “il predominio dei mezzi” che “non ha investito solo i singoli scopi, ma il luogo stesso degli scopi, il punto in cui tutti gli scopi convergono” (ibid.), cioè l’io, il quale si è progressivamente allontanato da se stesso: “Tra lui e la sua parte più autentica, essenziale, si è frapposta una barriera insuperabile di strumenti, di conquiste tecniche, di capacità, di consumi” (ibid.). Per l’autore della Filosofia del denaro, il “disagio della civiltà” è il segno caratteristico dei “tempi moderni”: il soggetto ha perduto la centralità ontologica del suo essere. La “perdita del ruolo egemonico dell’io” (Vigorelli 1999, 144), “la mancanza di qualcosa di definitivo nel centro dell’anima” (FD, 681), spinge l’individuo moderno “a cercare una soddisfazione momentanea in sempre nuovi stimoli, emozioni, attività esterne” che finisce inevitabilmente col generare “quella confusa instabilità e irresolutezza” (ibid.) che in generale permea di sé il suo convulsivo stile di vita. 139 Giacomini 1999, 86. 140 Al riguardo, nella Filosofia del denaro, Simmel distingue tra il principio di vita ritmicosimmetrico, da un lato, e il principio di vita individualistico-spontaneo, dall’altro. In una condotta di vita sistematizzata, ritmico-simmetrica, tutte le singole province della vita sono ordinate “armonicamente intorno ad un punto centrale, tutti gli interessi accuratamente graduati 138

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 239

la vita sociale nelle sue tre dimensioni della (a) qualità o intensità delle impressioni ricevute in un determinato periodo di tempo, della (b) quantità di idee e impressioni ricevute in una unità di tempo e di (c) eterogeneità o diversità degli stimoli ricevuti141. In particolare, sempre nella Filosofia del denaro, Simmel, com’è noto, discute del rapporto specifico tra denaro-spazio-tempo. Qui egli scrive che “il denaro, grazie all’astrattezza della sua forma, non ha alcun rapporto determinato con lo spazio: può produrre i suoi effetti alla massima distanza, anzi in un certo senso si colloca in ogni attimo al centro di una cerchia di effetti potenziali; ma consente anche, viceversa, di ridurre il valore più elevato nella forma più piccola” (FD, 708). Dunque, il carattere di astrattezza del denaro ha come conseguenza la capacità di stimolare due processi spaziali contrari: “Un processo centripeto di concentrazione, e un processo centrifugo di espansione spaziale”142. Questi due processi contrari producono entrambi lo stesso effetto: l’accelerazione del tempo della vita sociale. Simmel, come precisa la Nedelmann, “distingue fra due funzioni del denaro, che sono indicate e il contenuto di ciascuno di essi consentito soltanto nella misura prescritta da tutto il sistema” (FD, 694). Le “singole attività si alternano regolarmente” e tra “i periodi di attività e di pausa sussiste un’alternanza prestabilita” (ibid.): in breve, “sia nella coesistenza che nella successione, vige un ritmo che non tiene conto dell’imprevedibile fluttuazione dei bisogni, degli impulsi e degli stati d’animo, né dell’accidentalità degli stimoli esterni e delle opportunità” (ibid.). L’applicazione di questo principio di vita ritmico-simmetrico “consente di sviluppare un ben definito stile di vita, una forma interna ed esterna della condotta di vita, che, secondo Simmel, del tutto al di là delle opportunità esterne può raggiungere un’«attrattiva per sé», perfino finire per diventare un’opera d’arte. In senso rigoroso” (Nedelmann 1991, 106). A tutto ciò si oppone il principio di vita individualistico-spontaneo. Chi si conforma a tale principio, ordina i contenuti della vita “caso per caso”; ha “una disposizione ininterrotta a sentire e ad agire insieme con un’attenzione costante alla vita propria delle cose” (FD, 694). Colui che persegue il principio di condotta di vita individualistico-spontaneo di fatto “rinuncia alla prevedibilità e alsicuro equilibrio della vita”: allora, con questa modalità della condotta di vita, non si può più parlare di “stile in senso stretto”, poiché la sua vita “viene modellata a partire dai suoi elementi individuali, senza che si curi della simmetria della sua immagine complessiva, che qui sarebbe sentita soltanto come coercizione, e non come un’attrattiva” (ibid.). In questo caso “l’individuo stesso aspira a stare al centro della vita e ad essere un insieme chiuso, mentre nella condotta di vita ritmico-simmetrica lo stile di vita stesso si eleva ad un’aspirazione di totalità” (Nedelmann 1991, 106). Per Simmel, l’opposizione tra i due principi di vita (individualistico-spontaneo e ritmico-simmetrico) si esprime proprio come “lotta” tra “la totalità dell’individuo” da un lato e “la totalità dell’insieme” dall’altro: essa traduce un conflitto vitale più profondo comprensibile e rappresentabile “come l’aspirazione inconciliabile di entrambi a diventare un’immagine esteticamente soddisfacente” (ivi, 695). 141 Cfr. Nedelmann 1993a, 122. 142 Ivi, 125.

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con due metafore, il denaro come ponte e il denaro come filo d’associazione”143. La prima (1) indica un processo centrifugo di concentrazione dello spazio che Simmel traduce con l’esempio della Borsa e della metropoli finanziaria, luoghi dove la massima eterogeneità di impressioni è concentrata “nell’ambito più piccolo” (FD, 710). Tra denaro, concentrazione spaziale e tempo della vita vi è una causalità reciproca. Il denaro, da un lato, è la “causa” della concentrazione spaziale: “perciò – osserva Simmel –, non solo «la febbre dell’oro» investe tutto – gli uomini e le cose – ma anche il denaro da parte sua contiene un impulso verso il «tutto», cerca di congiungersi con altro denaro, con tutti i valori possibili e con coloro che li possiedono” (ivi, 709). Dall’altro lato, il denaro è anche l’“effetto” della concentrazione spaziale dell’interazione sociale. Infatti, aggiunge Simmel: “La stessa connessione vale in direzione inversa: la convergenza di molti uomini produce un bisogno particolarmente forte di denaro […]. Tutte le volte che molti uomini si riuniscono, nasce un’esigenza di denaro relativamente più forte” (ibid.). Per la sua “astrattezza”, il denaro ha la peculiarità d’essere nel contempo causa ed effetto del processo di concentrazione spaziale: “Infatti, data la sua indifferenza, costituisce il ponte più adatto e il migliore strumento di intesa tra molte e diverse persone; quanto più queste sono numerose, tanto più rari divengono gli ambiti nei quali le transazioni possono prescindere dagli interessi monetari” (ibid.). In questa sua caratteristica funzione di “ponte”, il denaro “ha come effetto di concentrare l’interazione sociale”144 e, di conseguenza, “di moltiplicare i colori della vita e di accrescerne la pienezza, e quindi di intensificarne il tempo” (FD, 710). La seconda (2) indica il processo di espansione spaziale dell’interazione sociale. Secondo Simmel, infatti, il denaro, come si è detto, “può produrre i suoi effetti alla massima distanza”, riuscendo a riunire gli individui che prima erano isolati: esso, creando delle “reti sociali”, “stimola le rappresentazioni e, quindi, l’accelerazione del tempo della vita sociale”145. Riassumendo quanto sopra osservato, possiamo dire che secondo Simmel “si percepisce un aumento della velocità di scorrimento del tempo quando si ricevono impressioni qualitative più profonde, più numerose e più eterogenee in una determinata scansione temporale rispetto a un’altra”146: “ciò che noi sentiamo come il tempo della vita è il prodotto del numero e della profondità dei cambiamenti” (FD, 700). Il dena-

143

Ibid. Ivi, 126. 145 Ibid. 146 Maniscalco 2001, 77. 144

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 241

ro esercita una considerevole influenza sulla percezione di questa accelerazione dal momento che “il significato che spetta al denaro per la determinazione del tempo della vita in una determinata epoca può risultare innanzitutto dalle conseguenze che derivano dal mutamento dei rapporti monetari per il mutamento di quel tempo” (ibid.). Per tutto ciò, il denaro simmelianamente è “un’inarrestabile ruota”147 “che dinamizza ogni forma, che produce nella vita moderna un’inquietudine, una febbrilità, un attivismo ininterrotto, che alterano, a loro volta, la percezione stessa del tempo. Quanto più il denaro si dematerializza, quanto più la sua circolazione diventa vorticosa, tanto più il tempo sociale sembra velocizzarsi e il mutamento non è più l’evento eccezionale, ma lo stato normale della vita sociale”148. Infatti, nella società moderna “non solo il tempo è denaro, secondo il noto aforisma di Franklin, ma anche il denaro è tempo; i due termini si equivalgono all’interno di una cultura ormai compiutamente razionalizzata e laicizzata che indica la produttività oggettiva, contabilizzabile come l’unico valore dell’attività; neutro essendo il tempo, neutra è pure la moneta”149. Indagando il rapporto tra spazio, tempo, denaro e intellettualizzazione dell’esperienza, Simmel ha avuto senz’altro il merito di aver saputo mettere in evidenza come la monetarizzazione dei rapporti della vita sociale nella modernità contribuisce radicalmente a modificare la qualità dello spazio e del tempo e ha saputo dimostrare inoltre che “la trasformazione di spazio e tempo in quantità astratte ed omogenee è uno dei risultati di un processo di intellettualizzazione dell’esperienza di cui l’economia monetaria costituisce senza dubbio un meccanismo importante”150.

147

Simmel 1998, 88. Sulla metafora simmeliana del denaro come “ruota”, cfr. Nedelmann 1992, 110. 148 Maniscalco 2001, 77. 149 Ibid. 150 Mandich 1996, 100.

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5.“Da luogo a luogo”: mobilità, estraneità e distanze sociali Fra tutte le formazioni sociologiche finora considerate, la descrizione dell’esperienza spaziale correlata “alla possibilità che gli uomini si muovano da luogo a luogo” (S, 566), indica la quinta (e) qualità fondamentale della forma spaziale analizzata da Simmel ne Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società. Benché, com’è stato osservato, la “possibilità di spostarsi”, la mobilità spaziale, “non sembra potersi concepire come una proprietà «intuitiva e osservabile» dello spazio, socialmente strutturato o meno, quanto una qualità degli individui e dei gruppi”151, la mobilità è uno degli elementi caratterizzanti i processi di compressione spazio-temporale nell’esperienza della modernità. Modernità e mobilità sono intrinsecamente connesse: Simmel le analizza fornendo “alla sociologia un importante strumento teorico per lo studio dell’interazione umana”152, considerata anche sia per le implicazioni temporali sia per la produzione di nuove forme di distanze sociali. La rilevanza delle implicazioni temporali della mobilità traduce la significatività assunta dalla “tecnica del migrare”: I membri di una società che migra dipendono in maniera particolarmente stretta gli uni dagli altri; gli interessi comuni hanno maggiormente, rispetto ai gruppi sedentari, la forma della momentaneità e coprono quindi con l’energia specifica del presente, che così spesso trionfa su ciò che è oggettivamente più essenziale, le differenze individuali nel duplice senso di questa parola: come molteplicità qualitativa o sociale e come contrasto e contesa tra i singoli (S, 569).

Il processo di integrazione dei singoli si connette alle dinamiche societarie che caratterizzano l’“instabilità” tipica del migrare: Proprio perché il migrare in sé e per sé individualizza e isola, perché fa dipendere l’uomo da se stesso, esso spinge a uno stretto raggruppamento che va al di là delle normali differenze. Togliendo agli individui il sostegno del luogo natio, ma nello stesso tempo anche le sue gradazioni fisse, esso rende particolarmente facile integrare i destini di coloro che migrano, il loro isolamento e la

151 152

Strassoldo 1992, 324. Caccamo 2003, 82.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 243

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loro instabilità, mediante il massimo raggruppamento possibile, in un’unità più che individuale (ivi, 569-570).

Un’altra significativa rilevanza che Simmel analizza è quella relativa alla dimensione temporale della durata delle relazioni che traspare sociologicamente in quei “fenomeni privi di qualsiasi connessione” come ad esempio “la conoscenza di viaggio”, la quale “finché è realmente tale e non assume un carattere indipendente dalla modalità del suo allacciamento, sviluppa spesso un’intimità e un’apertura per cui non si saprebbe propriamente trovare alcun motivo interno” (ivi, 570). Tre componenti spiegano la specificità di questo tipo di conoscenza: “Il distacco dall’ambiente abituale, la comunanza delle impressioni e degli eventi momentanei, la consapevolezza del prossimo e definitivo separarsi” (ibid.). La conoscenza sociologica che si pratica negli “incontri a breve” sta a dimostrare che “coloro che si incontrano condividono l’aspettativa che la loro separazione sarà prossima e definitiva: così noi potremo lasciarci andare a confidenze impegnative con coloro che incontriamo occasionalmente su un treno o nella hall di un albergo, mentre già saremo più cauti se l’incontro avviene in una pensione dove si presume che uno soggiorni per più di qualche giorno”153. Ogni interazione sociale per Simmel è definita in rapporto alla sua posizione in una scala di vicinanza e lontananza. La modernità estremizza questo duplice e contraddittorio movimento di avvicinamento e di allontanamento di cui si alimenta il rapporto con l’altro ed acutizza un senso diffuso di estraneità – che contribuisce a sviluppare e a determinare, secondo una particolare configurazione, la struttura ambivalente della relazione sociale – producendo così “una tensione che può essere canalizzata, ma non dissolta, tra forze che avvicinano e unificano e forze che allontanano e dividono”154: la peculiarità di questa tensione risiede nel fatto che “dal cuore degli stessi fattori che legano gli uomini gli uni agli altri (l’amore, le affinità di sangue, cultura, interessi, la vicinanza spaziale ecc.) scaturiscono gli elementi che massimamente li oppongono, alla stessa stregua in cui odi, conflitti, lotte, anche acuti, stringono relazioni e stabilizzano orizzonti comuni”155. In rapporto a tale dinamica generale, in cui “gli opposti si richiamano reciprocamente”156, l’estraneità, anzi l’esser-

153

Cavalli 1993, 80. Giacomini 1999, 87. 155 Ibid. 156 Ibid. 154

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estraneo (Fremdsein)157, fissa una figura determinata e particolare, nella quale l’ambiguità strutturale delle relazioni “assume una forma caratteristica e, insieme, emblematica dei rapporti sociali propri della modernità”158. Ora, com’è noto, sono proprio le riflessioni di Simmel dedicate alla “forma sociologica dello «straniero»” (die soziologische Form des “Fremden” ) – nel famoso Excursus sullo straniero (v. S, 580-584)159 – a fornire a questa particolare problematica un originale chiarimento culturale. In questo breve ma notissimo excursus, Simmel si sforza di definire il posto singolare occupato dallo straniero nello spazio fisico, nel campo sociale e in quello simbolico160, cercando di focalizzare in primo luogo la contraddittorietà dei rapporti che legano lo straniero alla società che lo ospita. In Simmel l’interesse sociologico per la figura dello straniero come forma sociale, “al di là del suo mutevole configurarsi in diversi contesti culturali e della sua utilizzazione come strumento di ricerca delle cause, modalità, condizioni dell’emarginazione e dell’integrazione culturale nelle diverse circostanze storico-sociali”161, riguarda principalmente le caratteristiche permanenti e fondamentali dell’interazione sociale. Simmel definisce la “forma sociologica dello «straniero»”162 come una particolare “costellazione” (S, 580) a

157

Molto opportunamente Accarino (1982, 169-170), rilevando criticamente come “la distanza registra le determinazioni positive dell’estraneità”, ha osservato in proposito che “l’estraneità non è mai assoluta: in tanto si tematizza un che di estraneo, in quanto esso ha stabilito un rapporto, sia pure il più tenue, con la situazione sociale «normale» e consolidata. L’assolutamente estraneo sarebbe a-relazionale, e come tale neanche pensabile. […] L’estraneità è la dimensione normale, neutrale ed oggettiva della vita: è una determinazione positiva perché positiva è la dimensione dell’essere-altro, che «possiede un senso ed un valore positivo» per la vita dell’altro. La rigidezza dell’alterità farebbe languire la comunicazione sociale: è necessario che essa si elasticizzi dotandosi dello strumento della tipizzazione. L’estraneità è una delle forme in cui l’alterità si è sociologicamente sfumata rispetto ad una fissità di principio. Essa è anche […] oggettiva. E poiché oggettività significa in Simmel tutt’altro che pienezza o ricchezza di determinazioni […]”. 158 Giacomini 1999, 87. 159 Per un suo commento, cfr. De Simone 2002b, 214-223, qui parzialmente riprese. 160 Cfr. Raphael 1986, 257. 161 Tabboni 1993, 25. 162 In generale, da un punto di vista logico – come rileva Cotesta (2002, 15) – nell’excursus di Simmel si trova “una doppia accezione del termine «straniero». Da un lato, lo straniero è inteso come un «elemento del gruppo stesso» (tipo 1); dall’altro, come qualcosa di assolutamente estraneo, una «non relazione» (tipo 2) […] L’analisi di Simmel si sofferma solo sul primo tipo di straniero, sullo straniero come elemento del gruppo stesso (tipo 1). La prima parte riguarda la configurazione spaziale dello straniero; la seconda la sua determinazione sociologica”.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 245

cui perviene “l’unità di vicinanza e di distanza, che ogni rapporto tra uomini comporta” (ibid.). La rilevanza di senso di questa costellazione, cioè delle due forme differenti di lontananza, la si può formulare nei termini seguenti: “La distanza (Distanz) nel rapporto significa che il soggetto vicino è lontano, mentre l’essere straniero (das Fremdsein) significa che il soggetto lontano è vicino” (ibid.)163. Simmel non manca subito di precisare che “qui non s’intende lo straniero […] come il viandante che oggi viene e domani va, bensì come colui che oggi viene e domani rimane – per così dire il viandante potenziale che, pur non avendo continuato a spostarsi, non ha superato del tutto l’assenza di legami dell’andare e del venire. Egli è fissato in un determinato ambito spaziale, o in un ambito la cui determinatezza di limiti è analoga a quella spaziale; ma la sua posizione in questo ambito è determinata essenzialmente dal fatto che egli non vi appartiene fin dall’inizio, che egli immette in esso qualità che non ne derivano e non possono derivarne” (S, 580). Gli elementi della forma sociale dello straniero sono simmelianamente costituiti dalla contemporanea presenza di due opposte “polarità”: “Dal punto di vista spaziale, la mobilità e la stabilità; dal punto di vista dei rapporti umani, dei sentimenti che sorreggono l’interazione, la distanza e la prossimità; dal punto di vista del tipo di conoscenza, la generalità e la specificità”164. Lo straniero incarna quella peculiare categoria dell’essere sociale secondo la quale “il modo in cui un individuo si associa ad altri è determinato o codeterminato dal modo in cui da essi si dissocia”165. Esso non è semplicemente qualcuno che “sta

163

Dal punto di vista della relazione spaziale, come scrive Cotesta (2002, 17), si può dire che “lo straniero condivide con noi alcuni tratti generali (è qui con noi nel medesimo spazio), ma è di fronte e di fuori, oltre e sulla linea ideale dell’identità spaziale della comunità. La nostra relazione con lui è appunto di estraneità. Egli è qui, ma non è membrodel nostro «noi». Appartiene come noi alla comunità umana generale, ma non appartiene alla nostra comunità specifica. Spesso si presuppone che prima esista un gruppo umano che, scindendosi, si differenzia al suo interno. In realtà, tale gruppo originario non esiste o quanto meno è difficile, se non impossibile, dimostrarne l’esistenza. Al contrario, invece, secondo la rilevazione empirica si ha sempre a che fare con una molteplicità che in alcune condizioni può divenire unità. Anche nello studio dello straniero non dobbiamo presupporre che esista un gruppo che si scinde in parti differenziate sulla base di alcuni tratti specifici, ma una pluralità (almeno due membri: il gruppo e lo straniero) di unità che vengono a contatto. La loro relazione è fondata sul riconoscimento nello stesso tempo della differenza e dell’unità. L’unità è data dalla comune appartenenza all’umanità; la differenza è costituita dalle reciproche posizioni temporali relativamente allo spazio”. 164 Tabboni 1993, 37. 165 Giacomini 1999, 88.

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fuori del gruppo”: egli appartiene al gruppo in base ad uno statuto (sociologico) che in gran parte lo esclude, i modi della sua esclusione definiscono anche i modi della sua inclusione166. Il nucleo e l’essenza stessa di questa figura sociale consiste nel fatto che essa trova nella sua parziale esclusione dalla società il significato peculiare della sua stessa appartenenza ad essa. Come scrive Simmel: “L’essere straniero è naturalmente una relazione del tutto positiva, una particolare forma di azione reciproca: gli abitanti di Sirio non sono per noi propriamente stranieri – almeno nel senso sociologico del termine che viene qui preso in considerazione – ma non esistono affatto per noi, stanno al di là di ciò che è lontano e di ciò che è vicino. Lo straniero è un elemento del gruppo stesso, non diversamente dai poveri e dai molteplici «nemici interni» – un elemento la cui posizione immanente e di membro implica contemporaneamente un di fuori (Ausserhalb) e un di fronte (Gegenüber)” (S, 580)167.

166

Cfr. Tabboni 1993, 37. Occorre osservare, tra l’altro, come rileva criticamente la Tabboni (1993, 26-28), che la figura dello straniero “permette di studiare un aspetto importante del processo attraverso il quale una comunità suddivide il proprio spazio sociale e lo gerarchizza, quell’aspetto che riguarda l’emarginazione dei portatori di culture diverse. Dal punto di vista dello straniero diventa visibile con chiarezza l’intero contenuto di questo processo, non solo quella parte che riguarda l’assimilazione-integrazione dei membri culturalmente omogenei, ma anche quella che riguarda l’emarginazione-esclusione dei membri culturali diversi. Anche se estraneità e distanza sociale sono concetti che non devono essere confusi, esiste fra di essi una parentela per la quale a chi è culturalmente diverso viene prescritta una certa distanza dai membri culturalmente integrati. Il processo attraverso il quale una comunità struttura il proprio spazio sociale, porta in primo luogo a definire le distanze/vicinanze che i suoi membri devono rispettare nell’interazione in cui si trovano impegnati. Ciò che decide della vicinanza/lontananza è, anche, la cultura cui si appartiene. La vita del gruppo consiste, nello stesso tempo, nell’affermazione della propria identità, cui si accompagna l’emarginazione dei portatori di identità culturali diverse e nell’apertura verso l’Altro da Sé e il cambiamento, nell’inclusione dello straniero nella propria cerchia. Il gruppo ha bisogno, per vivere, di entrambi questi momenti: il momento in cui si esclude lo straniero e la sua cultura diversa e il momento in cui lo si accetta tuttavia al proprio interno, pur collocandolo ad una certa distanza sociale […] L’interesse della sociologia per lo straniero deriva dal fatto che lo straniero si definisce nei confronti di un gruppo e che l’analisi del rapporto che si stabilisce fra straniero e gruppo mette in evidenza i meccanismi di integrazione fondamentali, del Sé e dell’Altro da Sé, i vincoli e le possibilità con cui si confronta chi occupa in essa una posizione culturalmente marginale. Nello stesso tempo, lo statuto dello straniero illumina chiaramente il livello e le forme dell’apertura-chiusura della comunità verso l’esterno, il suo grado di tolleranza verso la diversità e l’innovazione, le regole sociali che presiedono alla continuità e al cambiamento. Sostanzialmente, ciò che lo straniero rappresenta per la comunità integrata […] è il cambiamento che dalla sua presenza ha origine. Lo straniero è il messaggero del cambiamento e del 167

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 247

La forma sociale dello straniero corrisponde ad un modello di interazione sociale che, nella sua estrema sintesi ed astrazione intellettuale, si presta a rappresentare una variegata gamma di relazioni umane di reciprocità, di modalità sociologiche, politiche, economiche e storiche che Simmel delinea facendo particolare attenzione al problema che maggiormente lo interessa, e cioè la “tipizzazione o categorizzazione come attività o pratiche intrinseche nell’esistenza di ogni gruppo sociale”168. Ripercorrendo questa tipizzazione simmeliana, troviamo che lo straniero giunge ad occupare storicamente una posizione relativamente stabile nell’organizzazione sociale soprattutto nel ruolo e nella funzione di commerciante. Di fatto, per Simmel, lo straniero è stato commerciante soprattutto quando le società hanno avvertito il bisogno – senza rinunciare alle loro abitudini stanziali – di consumare beni prodotti al di fuori della sfera afferente alla loro propria attività produttiva ed economica. In questo modo, tradizionalmente, “il processo che vede un gruppo stabilizzarsi su un territorio, abbandonando ogni mobilità geografica e assumendo una struttura sociale relativamente definitiva, vede anche lo straniero assumersi l’incarico dei rapporti con l’esterno, del commercio e dei viaggi”169. Di conseguenza, lo straniero “è abbastanza mobile per non fare completamente parte della comunità e abbastanza stabile perché quest’ultima si ponga il problema di definirne la posizione”170. Ogni correlazione diretta e biunivoca tra vicinanza esteriore e vicinanza interiore viene così messa in questione: “La presenza e la sistematicità di contatti si accompagnano, nel caso dello straniero, ad una altrettanto

conflitto nei confronti della stabilità e dell’armonia consolidata del gruppo. Tuttavia il gruppo ha bisogno dello straniero, come ha bisogno del cambiamento e del conflitto, allo stesso titolo per cui ha bisogno di riaffermare la propria chiusura e immutabilità, perché questa è la legge che regola la vita di qualsiasi gruppo sociale: innovazione e continuità, conflitto e armonia, sono momenti ugualmente indispensabili e positivi della vita sociale, che trova in entrambi il suo alimento e la sua ragione. Essi non si presentano mai, del resto, allo stato puro, ma sempre secondo una certa mescolanza, come è quella presentata dallo straniero, di elementi opposti. Estraneità e coesione, armonia e conflitto, omogeneità e diversità sono, nella realtà della vita sociale, sempre combinati insieme secondo forme che contengono percentuali variabili di questi opposti elementi, senza che una delle due opposizioni possa mai essere completamente esclusa. La presenza dello straniero, d’altra parte, rafforza la coesione interna del gruppo, che si riconosce con tanta maggior forza nella propria identità e continuità, quanto più prende le distanze e precisa la propria differenza da uno straniero”. 168 Dal Lago 1994, 206-207. 169 Tabboni 1993, 39. 170 Ibid.

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sistematica assenza di legami”171. Si definisce così anche la peculiarità distintiva di questa forma di estraneità più generale rispetto a quella prodotta da differenze o incomprensioni: in essa infatti sussiste “sì un’eguaglianza, un’armonia, una vicinanza, ma con il sentimento che questa non costituisce un possesso esclusivo di questo rapporto, bensì un elemento più generale che vale potenzialmente tra noi e un numero indeterminato di altri soggetti, e che non fa quindi acquistare a quell’unico rapporto che si è realizzato alcuna necessità interna ed esclusiva” (S, 583). Inoltre, tale forma sociologica è ulteriormente caratterizzata dall’“oggettività” (Objektivität): lo straniero, non essendo radicato nelle singole parti costitutive o nelle tendenze unilaterali del gruppo, “si contrappone a tutte queste con l’atteggiamento particolare dell’«oggettivo», che non significa una semplice distanza e non-partecipazione, bensì una formazione particolare costituita di lontananza e vicinanza, d’indifferenza e impegno” (ivi, 581). Per “oggettività” dello straniero si deve dunque simmelianamente intendere quell’atteggiamento di coloro che appartengono al gruppo, ma non hanno in esso le loro radici: “Ciò non significa né indifferenza, né mancanza di coinvolgimento nei confronti delle vicende e dei destini altrui, ma una forma del tutto speciale di partecipazione, nella quale all’interesse e all’impegno verso l’altro si congiunge una particolare indipendenza dai condizionamenti più propriamente soggettivi della sensibilità e del sentimento”172. È in relazione a questa peculiare forma di rapporto con i consociati che i signori medioevali preferivano scegliere e selezionare i giudici o i loro funzionari più elevati tra gli stranieri o, comunque, tra coloro la cui appartenenza cetuale li rendesse maggiormente imparziali nei confronti dei governanti; di fatto, la partecipazione senza legami dello straniero “assicura quell’atteggiamento disinteressato, al di sopra delle parti, del tutto autonomo nel giudicare che è richiesto ai delegati dell’autorità sovrana”173. Lo stesso Simmel ricorda come la prassi delle città italiane fosse quella di chiamare “i loro giudici dal di fuori, perché nessun nativo era libero dai vincoli degli interessi familiari e di partito” (S, 581). In questa direzione, infine, l’“oggettività” dello straniero, per Simmel, può essere definita anche come libertà: “L’uomo oggettivo non è vincolato da fissazioni di alcun genere che possano pregiudicare la sua recezione, la sua comprensione, la sua ponderazione del dato” (ibid.). Questa libertà

171

Giacomini 1999, 89. Ivi, 90. 173 Ibid. 172

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 249

a cui fa riferimento Simmel, tra l’altro, rinvia analogicamente non soltanto all’indipendenza intellettuale e morale che Max Weber ha sempre rivendicato per lo scienziato sociale – che nella sua ricerca deve comunque perseguire l’“oggettività conoscitiva”174 –, ma specularmente e differentemente dal primo, anche alle posizioni esplicite che il secondo ebbe ad esprimere sul piano storico, politico e sociologico sul rapporto specifico fra cittadino e straniero come una delle chiavi ermeneutiche per la comprensione filosofica e sociologica della modernità175. La descrizione della figura sociale dello straniero dimostra come Simmel sia particolarmente interessato a comprendere sociologicamente tra l’altro la specificità delle forme di relazione legate alla mobilità e alle dinamiche connesse agli effetti che si producono “in un gruppo che migra e le conseguenze che coloro che emigrano producono nei sedentari”176. Nello specifico caso del “nomadismo”, il migrare “appartiene alla sostanza della vita e si rivela nella circolarità del ritorno nei medesimi luoghi, mentre nel caso delle migrazioni dei popoli il migrare viene sentito come lo stato intermedio tra due forme di vita eterogenee”177: in entrambi i casi si ha lo stesso effetto sociale, ovvero “l’abbassamento della differenziazione interna del gruppo”178. Accanto all’azione unificatrice del migrare sul gruppo fisso, ce n’è un’altra la quale serve proprio alle forze antagonistiche del gruppo: questa, sostiene Simmel, “si ha quando una parte di un gruppo è in linea di principio sedentaria, mentre un’altra è contraddistinta dalla sua mobilità” (S, 576). Allora, questa differenza del comportamento spaziale formale diventa “sostegno, strumento, elemento potenziale di un’ostilità già esistente, latente o aperta” (ibid.). Nel descrivere le tensioni e le differenze tra nature sedentarie e vaganti che vedono l’una nell’altra “il proprio nemico naturale e inconciliabile” (ibid.), Simmel, com’è noto, fa esplicito riferimento ai tipi sociali rappresentati dal vagabondo

174

Ibid. Sulla questione si rinvia a De Simone 1999 (capp. IV e VIII). Sull’argomento, cfr. Boschini 1998, 303-314. 176 Mandich 1996, 50. 177 Ibid. 178 Ibid. Simmel analizza pure il modo in cui il migrare di una parte influisce sull’altra. “Anche in questo caso la stessa precondizione può produrre effetti diversi: verso l’unificazione del gruppo o verso la sua separazione. Per quanto riguarda il primo caso, Simmel descrive il ruolo di unificazione che gli spostamenti spaziali di singoli elementi rivestono nelle società primitive. Nelle società in cui non si sono sviluppati altri elementi di unificazione, quelli che Simmel chiama mezzi sovra-locali (la scrittura, le istituzioni, le uniformità oggettive), lo spostamento degli individui diventa un mezzo importante per unificare la società” (ibid.). 175

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e dall’avventuriero, “il cui continuo girovagare proietta nello spazio l’inquietudine, il carattere «rubato» del loro interiore ritmo di vita” (ibid.).

6. Spazio estetico e spazio urbano: immagini di città (Roma, Firenze, Venezia) Benché connotati in senso filosofico-estetico, i brevi saggi di Simmel dedicati a Roma (1898), Firenze (1906) e Venezia (1907)179, presentano anche una rilevanza problematica molto importante per l’analisi della forma spaziale qui sviluppata180. Nella sua lettura dell’estetica di queste tre antiche città storiche, Simmel muove dal presupposto classico che la bellezza non è mai attributo di un singolo elemento, bensì è intrinsecamente relazionata alla “totalità interdipendente delle parti che sopravviene come il dono misterioso dell’unità”181. Oltre che nella natura e nelle opere d’arte, vi sono opere umane, create in vista della soddisfazione di un qualche bisogno vitale, che raggiungono la forma estetica della bellezza: sono queste “quasi unicamente” le vecchie città, spesso cresciute “senza un piano consapevole”; esse, che discendono da fini pratici e sono l’incarnazione di “intelligenza e volontà”, mostrano un valore estetico che “sta tutto oltre le loro originarie intenzioni e vi si aggiunge come un opus supererogationis”182. Questo “caso felice”, dice Simmel, raggiunge nell’immagine della città di Roma “il suo fascino più alto”: “Qui i fini pratici dell’uomo hanno dato vita a nuove, inconsapevoli bellezze”183. La forza e il fascino di Roma nascono da un ampio e conciliato distacco “tra la casualità delle parti e il significato estetico del tutto”, che ne disegna la forma della “bella totalità”. Secondo Simmel, “l’impressione che Roma produce, e che è del tutto ineguagliabile, è che le differenze di tempo, di stile, di personalità, di esperienze vissute, che qui hanno lasciato la loro traccia, distanti l’un l’altra più che in qualsiasi altro luogo del mondo, siano giunte ad una unità, una determinatezza, una affinità, maggiore che in qualsiasi altro luogo”184. 179

Cfr. Simmel 1973, 188-197. Sull’argomento, cfr. Jonas 1992, 163-178 e De Simone 2002a, 189-198, qui parzialmente riprese. 180 È significativo come Vandenberghe (2001, 3-4) inizi la sua ricostruzione della “sociologia” di Simmel proprio dalla sua appassionata lettura di Firenze, sulla quale cfr. inoltre Fitzi 1995, 34-43. 181 Vozza 1999, 53. 182 Simmel 1973, 189. 183 Ibid. 184 Ibid.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 251

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Uguale è anche l’effetto della “dinamica della vita” di Roma: Neppure un elemento, per quanto antico, estraneo, inutile, può essere sottratto alla sua vita straordinaria. Anche le più forti dissonanze si ricompongono in questa sua corrente. L’incorporarsi delle rovine negli edifici più tardi rappresenta simbolicamente in una forma fissa ciò che la vita di Roma rappresenta in forma dinamica: la costruzione di una vita unitaria da elementi incommensurabilmente diversi, e che proprio per questa loro distanza possono rendere visibile nel modo più impressionante quella unità. Anche a Roma esistono “cose notevoli”, punti di interesse isolati, che si staccano dal resto, e che potrebbero anche trovarsi in altri luoghi. Ma qui essi diventano parte del tutto; ogni elemento qui è in rapporto organico con gli altri; qui tutto è compreso nella superiore unità di Roma185.

Nel saggio su Roma, Simmel deduce il valore della città dal principio estetico-filosofico. Come scrive Cacciari, qui “la forma della Gestalt è il fondamento, l’apriori del valore della forma della città. Il valore della città è la realizzazione sensibile della Gestalt. Ma l’affermazione della supremazia dell’insieme sulle parti, del punto di vista della totalità, si accompagna alla sintesi tra le diverse funzioni della città”186. Formulando la sua “idea neogoethiana di classicità organica”187, Simmel concepisce la totalità secondo due significati che si implicano e si intrecciano reciprocamente spazialmente e temporalmente nella forma estetica di bellezza che Roma raggiunge tra antico e moderno, tra ciò che si è conservato e ciò che è attestato proprio dall’estetica delle sue rovine e che simbolicamente tracciano la sua totalità armonica come segno e senso di una vita dalla costruzione stratificata ma organicamente vissuta (l’osservatorio di Simmel è quello della fine Ottocento). Egli infatti scrive: La fusione degli elementi più diversi nella unità dell’insieme, che caratterizza l’immagine spaziale della città di Roma, raggiunge un’efficacia non meno reale nella forma del tempo. In maniera affatto specifica e difficile da descrivere, qui la diversità delle epoche è divenuta intreccio, contemporaneità. Si può dire che passato e presente sono in Roma una cosa sola, o, viceversa, che il presente è qui assopito in una soggettività di sogno, come fosse un passato. Ma così non si fa che esprimere da diversi punti di vista ciò che non ha parti differenti:

185

Ivi, 189-190. Cacciari 1973, 81. 187 Vozza 1999, 53. 186

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252 | Antonio De Simone l’atemporalità, l’unità dell’impressione che Roma produce, e che non potrà mai essere lacerata dalla riflessione, dal giudizio sul prima e sul poi. Certo, la presenza del corso storico delle cose non tace mai in Roma […] La continuità del tempo, che in Roma si manifesta continuamente e riempie la coscienza, impedisce che gli elementi temporalmente separati si isolino […] Ogni singola cosa conquista nell’immagine intera di Roma una vita del tutto immediata. Ogni elemento storico, certo, agisce in questa sua vita, ma non così da segregare gli oggetti nell’antichità e strapparli ai loro legami col presente. Ogni oggetto fa parte della totalità di Roma e agisce, proprio secondo il suo contenuto e il suo significato effettuali, come se tutte le casualità della storia fossero sparite, e i contenuti delle cose, puri, disciolti da ogni accidentalità […] si presentassero finalmente intrecciati188.

Se la forma della bellezza di Roma restituisce il valore estetico della sintesi di forma e funzione della città, Firenze aggiunge a ciò anche quella tra natura e arte189 nel senso unitario della vita, al di là della lacerazione nelle due polarità di natura e spirito, dell’esteriorità visibile e dell’interiorità ineffabile190. Nel suo saggio su Firenze, Simmel, dice Cacciari, “parte dalle condizioni della Kultur scissa per cogliere la possibilità e l’idea della sintesi. E della sintesi estrema, quella che corona tutte le forme già incontrate nel saggio su Roma: cogliere la natura come se il suo fine fosse la conciliazione col Geist – e il Geist come se le sue opere, il suo lavoro, fossero necessarie, destinate, antisimboliche quanto i prodotti della natura”191. Leggiamo un passo dell’intensa pagina di Simmel: Quando si guarda Firenze dall’alto di S. Miniato, nella cornice dei suoi colli, attraversata dall’Arno come da una linfa vitale; quando l’anima si colma dell’arte delle sue gallerie, dei suoi palazzi e delle sue chiese; quando nel pomeriggio si va attraverso le viti, gli olivi e i cipressi dei suoi colli, dove ogni strada, ogni villa e ogni campo è saturo di cultura e passato, e una parte dello spirito circonda questa terra come un corpo astrale – sentiamo allora come se l’opposizione di natura e spirito qui si fosse annullata. Una unità misteriosa, e tuttavia visibile con gli occhi e afferrabile con le mani, collega questo paesaggio, il profumo di questa terra, la vita delle sue linee, con lo spirito che ne è il frutto, con la storia dell’uomo europeo, che qui raggiunge finalmente la sua forma, con l’arte che qui agisce come un prodotto del suolo. Si comprende che questa

188

Simmel 1973, 190-191. Cfr. Cacciari 1973, 83. 190 Cfr. Vozza 1999, 54. 191 Cacciari 1973, 83. 189

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 253 è la terra della Rinascenza, che qui per la prima volta si è sentito che ogni bellezza e importanza dell’arte nascono dall’opera di formazione e trasformazione dell’apparenza dei dati naturali, e che anche gli artisti rinascimentali dalla più potente stilizzazione rappresentavano soltanto la natura. Qui la natura, infatti, è divenuta spirito, eppure non si è negata192.

A Firenze, secondo Simmel, la forma che la natura ha conferito alla città si manifesta come “spirito divenuto visibile”193, cioè “la natura si è interiorizzata, è divenuta spirito, senza per questo negarsi, anzi sviluppando la configurazione estetica come «un prodotto del suolo», in cui lo spirito si è a sua volta esteriorizzato per rendere visibile la sua forma simbolica, senza più alludere a significati arcani ed inesplorabili”194. A Firenze, in terra toscana, tutto è privo “della Sehnsucht del romanticismo tedesco, nella quale tutto è pianto come perduto o come mai stato”. Diversamente, qui [a Firenze] il passato rimane, ed è visibile, e possiede un proprio presente, che si pone accanto a quello del giorno, senza tuttavia toccarlo. Qui il tempo non fissa la rovinosa separazione tra le cose, come fa il tempo reale, ma assomiglia al tempo ideale, in cui l’opera d’arte vive. Qui il passato ci appartiene quanto l’eterno presente della natura195.

Se lo spirito romantico vive della separazione tra realtà, da una parte, e passato, futuro, ideale, possibile o anche impossibile, dall’altra; invece, in terra toscana, nei cui tratti tutto è palese, “tutto è presente, tutto ciò che bisognava dire è detto”. Qui “sta la differenza essenziale con l’arte nordica, che non manifesta immediatamente i suoi contenuti, ma li allude, li intuisce, li simboleggia, e pretende che la vita dello spettatore vi si adegui”. Al contrario, la terra di Firenze “manca di tutti quegli elementi simbolici, che Alpi e steppe, foreste e mari posseggono. Essa non significa nulla. Essa è ciò che può essere”196. Tutto ciò ha un conseguente ed ultimo “paradossale” significato: Poiché qui la natura è tutta compresa nella forma della cultura – poiché ogni passo su questa terra tocca la storia dello spirito – poiché qui spirito e natura

192

Simmel 1993, 191-192. Ivi, 191. 194 Vozza 1999, 54. 195 Simmel 1973, 193. 196 Ibid. 193

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254 | Antonio De Simone sono fusi per sempre – i bisogni che soltanto la natura nel suo essere originario, al di là di ogni educazione spirituale, può soddisfare, rimangono insoddisfatti. Per questo il limite intrinseco di Firenze è il limite stesso dell’arte. La terra di Firenze non è la terra nel cui cuore l’uomo si rifugia per risentirne l’oscuro calore, la forza informe. Non esistono in essa tracce di foresta tedesca o di un mare o anche dei giardini fioriti di un qualsiasi borgo sconosciuto. Firenze non è posto per epoche che intendano cominciare ancora una volta, che vogliano ritornare ancora alle fonti della vita, liberarsi dai turbamenti dell’anima orientandosi verso l’esserci originario. Firenze è la felicità dell’umanità compiutamente matura, dell’umanità che ha raggiunto l’essenziale della vita oppure vi ha rinunciato, e vuole cercare la propria forma in questo pieno possesso o in questa piena rinuncia soltanto197.

Diversamente, con l’immagine di Venezia le categorie filosofico-estetiche che dovevano comprendere Roma, cioè tutto il mediterraneo opposto al simbolismo nordico, “vanno a fondo”198. Per Simmel, se Roma e Firenze appaiono “come le città in cui sopravvive la classicità, intesa goethianamente come totalità organica, unità estetica di vita e forma, di spirito e natura, interiorità ed esteriorità, contemporaneità delle exstasi temporali, la struttura urbana e l’architettura di Venezia presentano il carattere tragico della totalità lacerata e dell’autonomizzarsi delle parti”199. A Venezia misteriosa è l’armonia o la disarmonia del rapporto dell’edificio con i significati spirituali o il senso della vita, che ad esso è collegato e da esso risplende. Ma questo senso è un’esigenza soltanto, che l’edificio pone ma non soddisfa […]. I palazzi veneziani […] sono un gioco prezioso, la cui uniformità maschera i caratteri individuali, un velo le cui pieghe seguono soltanto le leggi della propria bellezza e che lasciano trasparire la vita solo per il fatto che la nascondono200.

Per Simmel, Venezia è un teatro d’artificio, un fondale seducente ma ingannevole, dove tutte le cose più luminose e chiare, più leggere e libere servivano un oscuro, potente, irreversibile impulso verso l’apparenza, la facciata – qui la 197

Ivi, 193-194. Cacciari 1973, 89. 199 Vozza 1999, 55. 200 Simmel 1973, 195. 198

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 255

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decadenza ha risparmiato soltanto l’immagine di una scena senz’anima, della ingannevole bellezza della maschera. Tutti gli uomini a Venezia vivono come sulla scena201.

A Venezia, scrive il “veneziano” Cacciari interprete di Simmel, “il doppio senso della vita diviene un destino. Tra le dissonanze non si dà più sintesi. Ogni apparenza è in sé – maschera perfetta che nasconde l’essere, o, meglio, ne dimostra la perdita, l’assenza. Qui ogni attimo di familiarità, ogni apparenza di Gemeinschaft è menzogna – poiché nulla ha radice, nulla direzione”202. L’“elemento tragico” di Venezia la fa diventare “simbolo” di una dimensione specifica delle forme inerenti le concezioni del mondo: “Qui la superficie ha perduto le sue radici. Qui nell’apparenza non vive più l’essere. Qui l’apparenza si dà ormai come qualcosa di completo e sostanziale, come contenuto di una vita effettivamente da vivere”203. La tragedia di Venezia Simmel la descrive così: A Venezia si realizza la doppiezza della vita: qui essa diviene carne e sangue. Doppio è il senso di queste piazze, che per la mancanza di vetture e l’angustia delle strade che vi conducono, sembrano stanze. Doppio è il senso dell’incontrarsi, dello spingersi, del toccarsi della gente nelle calli, che dà a questa vita un’apparenza di familiarità, di Gemütlichkeit – proprio qui dove manca ogni traccia di Gemüt. Doppio è tutto il senso della vita di questa città – ora intreccio di strade, ora di canali, così che essa non appartiene né alla terra né all’acqua: e ogni volta seduce, come suo corpo vero, quello che appare dietro l’abito proteico di Venezia204.

Venezia, nella ricostruzione disegnata da Simmel, è quella città che “non restituisce a chi la abita la rassicurante immagine della patria, della fedeltà alla vita che vi si svolge: essa appare come una serie di stanze inospitali, un intreccio unheimlich di strade e canali privi di direzione, nel perenne fluire e rifluire di acque stagnanti, quasi mortifere. Se Firenze è una città che custodisce la fedeltà alla vita che ospita e al suo significato unitario, Venezia è la città acefala dell’avventura, teatro di un’esperienza extraterritoriale rispetto alle province di senso abitualmente frequentate dall’individuo, scenario di una temporanea presa

201

Ivi, 196. Cacciari 1973, 89. 203 Simmel 1973, 196. 204 Ivi, 196-197. 202

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di congedo dalla totalità organica della vita, alterità enigmatica e inappropriabile, fluida configurazione in cui l’apparenza non manifesta più l’essere, sospesa tra il divenire della vita e la cristallizzazione della forma, forma del dileguare e al contempo dileguare della forma […] in cui le parti non intervengono a strutturare la totalità architettonica”205. Venezia, così conclude Simmel, ha l’equivoca bellezza dell’avventura, che ondeggia nella vita senza radici, come un fiore strappato nel mare. Il fatto che essa sia stata e rimanga la classica città dell’avventura, è solo l’espressione sensibile del più profondo destino di tutta la sua immagine: non poter essere patria per la nostra anima, ma avventura soltanto206.

Dalla lettura della ricostruzione del “modello urbano” di Simmel emerge, dunque, che Roma e Firenze rappresentano le “città-organismo” che sono capaci di soddisfare le esigenze di “fedeltà estetica” alla vita interiore, anche “nei confronti dell’intensificazione della vita nervosa e del predominio della vita intellettuale su quella affettiva prodotti dalla convulsa razionalizzazione metropolitana”207, mentre Venezia ne rappresenta, con la sua peculiare configurazione, “il limite tragico, disarmonico, lacerato e inquietante, come la seduzione generata dall’avventura, in cui la forma diventa infedele alla vita”208.

7. Da Berlino a Chicago. Lo spazio sociale dell’esperienza metropolitana: paesaggi post-simmeliani È la grande città, l’esperienza metropolitana, intesa come complessa compresenza di scenari eterogenei e riflesso della contraddittoria identità dei suoi attori sociali209, che costituisce una delle realtà privilegiate su cui la sociologia come “scienza della modernità” deve indagare e riflettere, dando prova non solo delle sue capacità interpretative ma anche descrittive e narrative: cioè, verificare, tra l’altro, soprattutto negli studi sulla città e lo spazio urbano – in

205

Vozza 1999, 55-56. Simmel 1973, 197. 207 Vozza 1999, 56. 208 Ibid. 209 Cfr. Caccamo 2003, 36. 206

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 257

parte influenzati dalle analisi simmeliane – che due forme di conoscenza, quali sono l’immaginazione letteraria e l’immaginazione sociologica possono anche essere “un esempio, forse irripetibile, di un incontro quanto mai fruttuoso fra due diversi discorsi sul mondo”210. Non è un caso, infatti, che – a partire da Simmel – social scientists, ma anche romanzieri e scrittori, sia in Europa sia in America, in particolare con la Scuola di Chicago211, esprimeranno “il nuovo spirito metropolitano che diventerà tratto culturale fondamentale della modernità avanzata”212. Con efficace sintesi, Rita Caccamo ha scritto: Nella vita metropolitana, si esprime al sommo grado l’esistenza dell’uomo della modernità e si origina un tipo sociale nuovo segnato dalle categorie dello scambio economico e simbolico. Simmel e poi Park a Chicago hanno sostenuto che scambio, relazione, interazione si trovano alla base di ogni significato e di ogni rapporto umano. La metropoli, nonostante abbia la capacità di offrire all’individuo maggiori possibilità di realizzazione e valorizzazione personale, allo stesso tempo determina una condizione di disagio che colpisce gli uomini proprio per il suo carattere mutevole e dispersivo. Nell’ambiente delimitato della metropoli l’individuo viene spinto a ricercare un nuovo adattamento in funzione dei cambiamenti intervenuti, e soprattutto a ridefinire i suoi spazi e la sua identità. Il filo rosso che accomuna le riflessioni metropolitane del sociologo berlinese ai suoi confratelli d’oltreoceano è proprio la considerazione dell’uomo metropolitano come un individuo in continua lotta con se stesso. L’ambivalenza ne costituisce il tratto fondamentale: da una parte l’insolita e imprevista esposizione a stimolazioni nervose, emotive, sensoriali gli permette di muoversi fra più ruoli, facce, identità. Dall’altra, un tale turbinio di elementi eterogenei e incontrollabili lo stordisce, ottundendone la mente e lo “spirito”. L’uomo della metropoli è costretto così ad assumere ruoli frazionati, a stringere con i suoi simili quasi esclusivamente contatti secondari, in un processo complessivo di progressiva depersonificazione e massificazione, imputabile in gran parte all’economia urbana, sempre più basata su di una produzione di massa per un mercato impersonale213.

210

Turnaturi 2003, 122. Sulla Scuola sociologica di Chicago, tra gli altri, cfr. Faris 1967; Bulmer 1984; Harvey 1987; Smith 1988; Gubert-Tomasi 1995; Rauty 1995; Caccamo 1997a, 63-86, 1997b, 167213, 1998 e 2003, 111-132; Turnaturi 2003, 122-139. 212 Caccamo 2003, 37. 213 Ibid. 211

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258 | Antonio De Simone

Dopo Simmel, sviluppando ulteriormente la tematica relativa allo studio sociologico delle metropoli “come problema centrale della modernità che si riflette pure sulle coscienze individuali”214, l’allievo di Robert Park a Chicago, Louis Wirth, così scrive: “Nel momento in cui un individuo guadagna, da una parte, un certo grado di libertà od emancipazione dai controlli personali ed emotivi da parte del gruppo degli intimi, egli perde, dall’altra, l’espressione spontanea di sé, la morale e il senso di partecipazione che deriva dal vivere in una società integrata. Questo costituisce essenzialmente lo stato di anomia, o vuoto sociale, a cui allude Durkheim cercando di dare ragione delle varie forme di disorganizzazione sociale nella società tecnologica”215. Ora, com’è noto, con il suo primo articolo apparso in America, Moral Deficiencies as Determining Intellectual Functions del 1893216, Simmel è stato il sociologo europeo che ha avuto il maggior influsso teorico e metodologico sulla nascente sociologia americana217 degli inizi del Novecento, ed in modo particolare sia su quei sociologi americani (tra cui E.C. Hayes, H.J. Woolston e C.A. Ellwood)218 che ebbero l’opportunità di conoscerlo e di seguire le sue lezioni a Berlino, sia sui sociologi legati (direttamente o indirettamente) all’Università di Chicago. Egli deve comunque la sua notorietà “americana” anche ad Albion W. Small219, direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Chicago nel 1892 e dell’American Journal of Sociology nel 1895220, nonché cofondatore dell’American Sociological Society. La pubblicazione di

214

Ibid. Wirth 1998, 32. Su Wirth, cfr. Vergati 1976, 164-172. 216 Cfr. Simmel 1893. 217 Cfr. Levine-Carter-Gorman 1976, 813-845 (I) e 1112-1132 (II). 218 Cfr. Levine 1976, 815. 219 Su Small, cfr. Dibble 1975. Sulle “affinità” di Small con Simmel, cfr. Frisby 1992b, 155-162 e Tomasi 1995, 29-33. 220 Cfr. Tomasi 1995, 27. Albion W. Small (1854-1926), considerato unanimemente come uno dei padri fondatori della sociologia americana, allievo di Lester Ward, aveva studiato in Germania, a Lipsia e Berlino, seguendo tra l’altro le lezioni di Gustav Schmoller e di Adolf Wagner. Come scrive Coser (1983, 528), Small “aveva una buona conoscenza del pensiero tedesco – filosofia, storia e scienza della politica – ed aveva un orientamento generale fortemente improntato ai principi melioristici e riformisti […]. Tuttavia, insieme con tesi e dissertazioni che continuavano a portare avanti argomenti di carattere religioso […], il dipartimento si andò lentamente liberando dalla sua incrostazione teologica per avvicinarsi di più ai problemi dell’America di quel tempo e tentare di risolverli. L’interesse crescente per le questioni della città e per la più vasta comunità, e le preoccupazioni di tipo umanitario e riformistico non si risolsero in un pregiudizio ateorico”. 215

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 259

numerosi suoi saggi fra il 1893 e il 1910 sui primi numeri della neorivista (alcuni dei quali presumibilmente tradotti e curati dallo stesso Small)221, contribuì senz’altro a diffondere il suo pensiero e la sua opera nella cultura sociologica americana dei primi decenni del secolo. Come scrive Frisby: “Simmel never visited America, and yet he was in these years prior to the First World War the most published German sociologist in America – one might add, the most published European sociologist in America”222. Small, com’è noto, già a partire dalla pubblicazione negli Annals of the American Academy of Political and Social Science dell’importante contributo di Simmel The Problem of Sociology (1895)223 [che costituisce la traduzione del suo noto saggio Das Probleme der Soziologie del 1894, poi confluito nella Soziologie del 1908], condivise esplicitamente il principio simmeliano di creare la sociologia come “disciplina indipendente nell’Università” e come scienza rivolta alla comprensione dei processi sociali in atto224, e, pur proponendo un pluralismo teorico, riservò alla teoria sociale di Simmel uno spazio particolarmente privilegiato. Ciò, tuttavia, non lo esonerò dal dissentire da alcune tesi simmeliane, “prima fra tutte lo stesso concetto di sociologia che secondo la sua ipotesi doveva essere inteso come un continuo ed aperto processo sociale la cui causa risiede nel conflitto di gruppi”225. È senz’altro con l’avvento del sociologo americano Robert Ezra Park (18641944)226, che seguì da vicino le orme di Simmel, conosciuto quando era studente all’Università di Berlino nel 1899, che il pensatore tedesco “entra a pieno titolo nell’ambito della ricerca sociologica promossa a Chicago. Park è certamente il sociologo più autorevole a servirsi dei concetti simmeliani per l’analisi e l’interpretazione dei dati sociali. A testimonianza di ciò sta il fatto che «The Society for Social Research» pubblica, nel 1931, gli appunti presi da Park a Berlino durante le lezioni di Simmel”227. Già nel 1921, Park insieme con Ernest Burgess pubblicò la Introduction to the Science of Sociology228, ovvero un manuale di teoria sociologica concepito sotto forma di antologia – la “bibbia verde”, come era definito (dal colore della copertina) – che non soltanto “fu di 221

Cfr. Frisby 1992b, 155. Ibid. 223 Cfr. Simmel 1895, 52-63. 224 Cfr. Tomasi 1995, 33. 225 Ibid. 226 Su Park, cfr. Coser 1983, 497-534; Lindner 1990 e Gubert-Tomasi 1994. 227 Tomasi 1995, 28. 228 Cfr. Park-Burgess 1921. 222

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gran lunga il più importante libro di testo nel primo periodo della sociologia americana”229, ma conteneva anche diversi brani scelti di Simmel, alcuni dei quali tradotti dallo stesso Park: i capitoli di questo libro riflettevano coerentemente l’orientamento teorico che Park aveva ricevuto da Simmel durante il suo soggiorno di studio all’Università di Berlino. Come ha scritto Coser nel suo ancora fondamentale volume Masters of Sociological Thought: Sebbene gli studi compiuti nell’Università del Michigan e in quella di Harvard fossero stati indubbiamente importanti per la formulazione della sua concezione filosofica, fu durante i suoi studi in Germania che Park elaborò la maggior parte delle idee sociologiche che avrebbe successivamente impiegato nell’insegnamento e negli scritti. Il semestre universitario nel quale seguì le lezioni di Simmel fu probabilmente il più importante della sua vita. Park derivò dall’insegnamento di Simmel non solo la concezione generale della società come sistema di interazione, ma anche idee più specifiche come quelle sul conflitto sociale, sull’uomo marginale, sui caratteri degli abitanti urbani e sulla distanza sociale. Inoltre – ed è forse questo l’aspetto più importante – è derivata in larga misura dal pensiero di Simmel anche l’idea, più volte ribadita da Park, secondo cui la sociologia è una scienza che tende ad astrarre dalla multiforme realtà un insieme di concetti che consentono di stabilire relazioni tra specifiche variabili. Quando Park guarda alla società come ad un comportamento collettivo organizzato per mezzo del controllo sociale, traduce nella terminologia americana la distinzione di Simmel tra il fluire spontaneo della vita sociale e i controlli che le forme precostituite di interazione esercitano incanalando i diversi ed imperiosi bisogni umani entro modelli di comportamento. L’interesse di Park per il processo sociale come fonte di novità – il suo rifiuto di uno statico strutturalismo a favore di una concezione dinamica – trova esso pure origine, almeno in parte, nell’opera del sociologo tedesco. Park non può essere considerato un discepolo di Simmel, ma certamente fu profondamente influenzato dal suo pensiero. L’indice analitico alla Introduction ha non meno di quarantatre riferimenti a Simmel, un numero superiore a quello riservato a qualsiasi altro autore. Il libro contiene dieci passi selezionati dell’opera di Simmel, un numero di nuovo superiore a quello riservato a qualsiasi altro. Park tradusse le scintillanti e brillanti osservazioni di Simmel in uno stile più concreto, fondendo l’erudizione del pensatore tedesco con i temi del pensiero progressista del Midwest230.

229 230

Coser 1983, 516. Ivi, 520-521.

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 261

Perché Chicago? Lungo il processo della modernità, nell’America degli ultimi decenni del XIX secolo e dei primi del successivo, caratterizzata dall’alternarsi di periodi di crisi e di fasi di grande prosperità economica, nella quale i villaggi si trasformavano a ritmo frenetico in città e comunque in contesti urbani, differenziati al loro interno, Chicago, “a differenza delle capitali del Vecchio mondo, era una metropoli divenuta rapidamente gigantesca, a seguito della massiccia ondata di industrializzazione tecnologica che caratterizzava il capitalismo americano in quella fase di passaggio dalla concorrenza al monopolio e che attraeva popolazioni e genti di tutti i tipi”231. La teoria sociologica e la ricerca empirica svolta sul campo dai sociologi in azione sotto la spinta e la guida di Park, si legarono indissolubilmente al rapporto con la città di Chicago, la cui realtà metropolitana fu considerata come un emblematico laboratorio sociale: a Chicago, città commerciale e industriale eccellente, città di confine tra l’Est e l’Ovest, attraversata da un fiume e con un lago antistante che ne favorivano i processi di comunicazione e di trasporto e dotata del maggior numero di snodi ferroviari dell’intero paese, già nei primi decenni del XX secolo, si snodava la varietà infinita e complessa dell’esistenza urbana e vi si esprimevano contraddittoriamente tutti gli estremi della vita sociale. Chicago, infatti, “conteneva fasce estese di immigrazione con un notevole grado di disorganizzazione sociale, derivante dall’eterogeneità dei suoi abitanti. Contemporaneamente la città rappresentava un centro culturale nel quale la classe media costruiva le sue prime grandi strutture culturali: in essa quindi le contraddizioni dei quartieri operai e degli slums si univano all’armoniosità e alla luminosità del suo Loop e dei suoi quartieri residenziali”232. Sulla base di queste premesse strutturali, il sociologo Park considerò Chicago “il luogo più alto dello sviluppo umano, il luogo incongruo percorso da grandi potenzialità e nuove contraddizioni, territorio tutto da esplorare e, anche, da migliorare con l’intervento attivo del sociologo”233. Park, nel suo peculiare interesse per la dimensione psicologica della vita urbana, riuscì a tradurre le intuizioni sull’esistenza metropolitana di Simmel in problemi che potevano assurgere ad oggetto di ricerca empirica. Park, coniugando la ricerca urbana sul campo con la teoria sociologica generale, “volle cogliere la varietà dei modi nei quali la natura umana era influenzata dalla complessità e specializzazione dell’ambiente urbano (ecologia

231

Caccamo 2003, 112. Rauty 2000, 253-254. 233 Caccamo 2003, 112. 232

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262 | Antonio De Simone

sociale). Inoltre, volle indagare, con gli strumenti della nuova scienza, le conseguenze sociali e individuali della «libertà metropolitana» rispetto allo stretto controllo tradizionale della comunità di villaggio”234. Benché nel campo della teoria psicologica del comportamento sociale nelle aree urbane, il lavoro sociologico di Simmel ebbe, tra l’altro, come obiettivo “lo studio della mental life”235 e quello di Park si finalizzò soprattutto “all’analisi dell’«human behavior in the city environment»”236, si può senz’altro ritenere che Park, “applicando” gli insegnamenti teorici del suo maestro berlinese, fu originalmente l’interprete di quella che divenne la “sua” metropoli. Come scrive Caccamo: Chicago, infatti, rappresentò per lui un luogo di ispirazione creativa, oltre che un laboratorio vivente di dati “scientificamente” osservabili. La città offriva il senso immediato della concretezza spaziale, ma anche delle sue interazioni simboliche: essa diventava così luogo della rivelazione del dato e pure dell’intervento sulle situazioni di disagio, marginalità, devianza. L’osservazione sociologica seguiva da vicino la realtà da studiare237.

Per concludere, senza dubbio quella di Park è stata una significativa testimonianza di come la lezione di Simmel – volta a “chiarire i complessi modelli attraverso cui i singoli attori interagiscono fra loro ed il modo in cui tale interdipendenza determina la strutturazione e la ristrutturazione del mondo sociale”238 – fu a suo tempo ancora in grado di fornire ai Chicagoans gli strumenti concettuali per lo studio delle dimensioni spaziali della vita sociale originatesi con la modernità, che dopo Simmel, con il tramonto del paradigma strutturalfunzionalista parsonsiano e l’emergere degli approcci interazionisti e fenomenologici, hanno per primi contribuito a riportare, tra l’altro, anche lo “spazio” al centro della teoria sociologica239.

234

Ivi, 113. Tomasi 1995, 38. 236 Ibid. 237 Caccamo 2003, 113-114. 238 Tomasi 1995, 39. 239 Cfr. Strassoldo 1992, 326. 235

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Georg Simmel: la sociologia dello spazio. Itinerari di lettura | 263

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Maria Caterina Federici Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso

1. Introduzione Ortega y Gasset nel 1905 decide di completare in Germania, a Lipsia, la propria formazione. Subito dopo si reca a Berlino dove insegnava Georg Simmel un professore versatile e fantasioso, l’opposto dello spirito sistematico teutonico1. Egli considera Simmel “l’uomo più sottile che l’Europa abbia avuto fin verso il 1910”2 anche per i rilevanti aspetti che il pensiero di Simmel mutua da Nietzsche e Bergson, Ortega pone a fondamento delle sue riflessioni Schopenhauer und Nietzsche3 concordando ampiamente con Simmel che legge nell’opera di Nietzsche la vita come concetto chiave di ogni moderna visione del mondo, per cui la vita “può diventare il fine della vita”, somma incalcolabile di forze e possibilità, i cui contenuti non sono altro che i lati e gli aspetti del suo misterioso processo unitario4. In questo percorso intellettuale, Simmel non ha esitato a riconoscere i suoi debiti nei confronti di Bergson senza peraltro interpretarlo. A spiegare l’orteghiano “io sono io e le mie circostanze” soccorre il pensiero di Simmel ne I problemi fondamentali della filosofia quando scrive: “Se si cerca un fatto fondamentale che possa valere come universale presupposto di ogni esperienza e di ogni prassi, di ogni speculazione del pensiero e di ogni gioia e affanno della vita, esso potrebbe esprimersi con questa formula: io e il mondo”5. Ciò sta anche a spiegare come l’incessante dinamismo tra la vita e il contesto storico-sociale contribuisce a creare quello che Simmel definisce “la tragedia della cultura” di una cultura intesa da Ortega come una funzione vitale, un’entità sottoposta a continuo mutamento perché variano i progetti dell’uomo e i rapporti con l’Altro e la Natura.

1

Cfr. Simmel 2003. Ortega y Gasset 1939, VI, 235. 3 Cfr. Simmel 1907. 4 Simmel 1923, 56-141. 5 Simmel 1972, 83-109. 2

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270 | Maria Caterina Federici

Ortega individua come possibilità di comunicazione tra cultura e vita proprio rifacendosi alle riflessioni di Simmel circa la Lebensanschauung6, la vita più che vita7, che crea forme che, una volta prodotte, tendono ad acquistare un valore indipendente dalla continuità della vita stessa, un significato proprio. Con la pubblicazione nel 1923 di una delle opere più importanti, Il tema del nostro tempo8, Ortega palesa l’influenza del pensiero di Nietzsche e di Simmel sulle sue costruzioni teoriche circa l’idea della vita che si autotrascende, temi fondamentali della sua Weltanschauung. Il dialogo ideale tra Ortega e Simmel consente al sociologo spagnolo di superare le ripide categorie di pensiero dell’idealismo e del positivismo e di giungere alla scoperta della ragione come “questione vitale”9. Il pensiero orteghiano, volto all’indagine del rapporto dell’individuo in relazione, spazia in molti campi: la storia, la letteratura, la sociologia, la filosofia, le scienze politiche. Una delle sue caratteristiche è l’attenzione che pone non solo a ciò che scrive ma anche a come lo scrive, al fine di ottenere una comunicazione efficace: adottando uno stile brillante, vivace e ricco di metafore.

2. La vita di Simmel e Ortega: specchio di avvenimenti politici e di influenze culturali Simmel10 visse tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, quando la Germania stava realizzando l’imponente progetto di unificazione e si stava sviluppando a ritmo febbrile come Paese industrializzato, con una forte 6

Cfr. Simmel 1918. Simmel 1938, 30-37. 8 Cfr. Ortega y Gasset 1985. 9 Cfr. Ortega y Gasset 1990. 10 Georg Simmel nacque il I marzo 1858 a Berlino. Fu il più giovane di sette figli. Suo padre, un agiato uomo di affari ebreo, che si era convertito al Cristianesimo, morì quando Simmel era ancora giovane e, così, un amico di famiglia, proprietario di una casa editrice musicale, fu nominato suo tutore. I rapporti con la madre, autoritaria di carattere, furono piuttosto freddi e questa mancanza di una base sicura nell’ambiente familiare ha fatto maturare nel giovane Simmel un senso di marginalità e di insicurezza. Dopo aver ottenuto la licenza nel Gymnasium, studiò storia e filosofia all’Università di Berlino con alcuni tra gli esponenti accademici più significativi del momento. Nel 1881 consegue il Dottorato e tre anni dopo l’abilitazione all’insegnamento. Tenne alcuni corsi all’Università di Berlino su vari argomenti: la logica, la storia, la filosofia, l’etica, la psicologia sociale e la sociologia. Fu un docente molto apprezzato, le sue lezioni si tradussero in autorevoli avvenimenti intellettuali sia per gli studenti sia per l’élite culturale di Berlino, ma la sua carriera accademica si risolse in 7

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 271

crescita economica, con un intenso processo di urbanizzazione e con una intensa vita intellettuale11. Ortega nasce il 9 maggio del 1883 a Madrid, da una famiglia dell’alta borghesia12. Compie solidi studi classici in Spagna presso il collegio dei Gesuiti di Mitraflores e in seguito all’Istituto di Studi Superiori di Deusto (Bilbao) e Malaga. Nel 1904 a Madrid, a soli diciannove anni, si laurea in Lettere e Filosofia con una tesi su Los terrores del año mil: critica de una legenda (I terrori dell’anno mille: critica di una leggenda) e, nello stesso anno, pubblica il suo primo articolo. Di eccezionale bravura e intelligenza, dopo aver vinto una borsa di studio nel 1905, si trasferisce all’Università di Lipsia e poi in quella di Berlino e, successivamente, segue a Marburgo i corsi universitari dei filosofi neo-kantiani H. Cohen e P. Natorp; sotto la loro guida si avvicina al socialismo di ispirazione kantiana e fabiana di E. Bernstein. Nello stesso periodo e nei due viaggi successivi, nel 1907 e nel 1911, stabilisce rapporti di amicizia con N. modo sfortunato ed ogni tentativo di avanzare la posizione di libero docente universitario rimase privo di risultati. Partecipava attivamente alla vita intellettuale di Berlino, frequentando molti salotti alla moda e diversi circoli culturali, intervenendo a convegni di filosofia e sociologia, contattando artisti e scrittori di alto livello. Nel 1890 sposò Gerltrud Kinel, figlia di un ingegnere delle ferrovie, di religione cattolica e nota come scrittrice con lo pseudonimo di Marie-Luise Enckendorf. Dal matrimonio nacque un figlio, Hans, che sarà in seguito professore di medicina all’Università di Jena. A Berlino condusse con sua moglie una vita agiata ed ebbe il sostegno e l’amicizia di molti eminenti componenti del mondo accademico, da Marx Weber a Heinrich Rickert, da Edmund Husserl a Adolf Von Harnack. Il 3 gennaio 1909 fondò la “Società sociologica tedesca” (Deutsche Gesellschaft für Soziologie) ed assunse la direzione con Tönnies, Weber e Sombart. Nel 1914 arrivò all’Università di Strasburgo, città di provincia tra la Germania e la Francia, per ricoprire la cattedra di filosofia finalmente con la nomina di professore ordinario, poco prima che, per lo scoppio della prima guerra mondiale, venisse sospesa ogni regolare attività accademica. Morì il 28 settembre 1918 a causa di un cancro al fegato. Nel corso della seconda guerra mondiale gran parte dei suoi scritti inediti andarono perduti: quasi tutto l’Epistolario andò distrutto con i bombardamenti e due casse di diari e manoscritti furono sequestrati dalla Gestapo nel 1939. Tra le sue maggiori opere si possono ricordare: I problemi della filosofia della storia. Studio epistemologico, Introduzione alla scienza morale. Una critica dei concetti etici fondamentali, Filosofia del denaro, Sociologia. Ricerche sulle forme dell’associazione, Saggi di cultura filosofica, Intuizioni della vita. Quattro capitoli filosofici. Antiseri, De Mucci 1995, 93-94; Izzo 1994, 155-159; Coser 1997, 237-243; Aa. Vv., 1985, 1057; Mongardini 1976, VII-LIV. 11 Coser 1997, 248-262. 12 Per dare un’idea dello straordinario clima intellettuale che si respirava in casa Gasset, basti dire che il padre, J. Ortega Munilla, scrittore e giornalista, dirige l’autorevole quotidiano liberale «El Imparcial», fondato dal suocero E. Gasset Y Artime. È per questo motivo che Ortega affermerà di essere “nato su una rotativa”.

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Hartmann e H. Heimsoeth. Sono questi anni di fondamentale importanza per la sua formazione filosofica, in cui matura anche il convincimento sull’importanza decisiva che la cultura in senso stretto, e la scienza, esercitano sulla buona riuscita della politica e della convivenza sociale, tanto da affermare che gli ambienti filosofici tedeschi influenzeranno profondamente il suo pensiero. Nel 1905 a Berlino seguì le lezioni di Simmel che descrive come “una specie di scoiattolo filosofico”, versatile, agile, fantasioso, l’opposto dello spirito sistematico teutonico: “Non considerava il suo soggetto come un problema in sé ma come una piattaforma sulla quale eseguire i suoi meravigliosi esercizi analitici”13. Tornato in Spagna dopo l’esperienza tedesca, nel 1907, Ortega si impone il compito di rendere la Spagna meno isolata, più europea, attraverso l’educazione politica delle masse, ed è per questo che diviene un simpatizzante del partito socialista operaio spagnolo14. È professore di Psicologia, di Logica e di Etica alla Scuola Superiore di Magistero di Madrid dal 1908, fu poi cattedratico di Metafisica nell’Università Centrale di Madrid dal 191015. Nel 1914 dipinge la penisola iberica come “disossata”, “invertebrata”, mancante di un’aristocrazia intellettuale16. La sua traiettoria intellettuale subisce una significativa variazione dopo il suo primo viaggio in Argentina nel 1916 con El tema de nuestro tempo, che

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Cfr. Simmel 2003. Per questo motivo partecipa alla fondazione della rivista «Faro», sulle cui pagine scriverà articoli di fuoco contro il governo presieduto dal conservatore La Cerva. 15 Nello stesso anno si sposa con una giovane di buona famiglia di ascendenze genovesi, Rosa Spottorno. Le sue lezioni universitarie erano seguite tra gli altri anche da Maria Zambrano, che comparirà ben presto nel panorama filosofico ed intellettuale spagnolo. Da questi anni inizia la sua intensa attività intellettuale divisa tra le aule universitarie e il periodico del padre, tenendo anche numerose conferenze, sempre incentrate sulla questione ispanica che, a parere dello studioso, avrebbe dovuto “europeizzarsi” sempre di più. Nel 1923, lo stesso anno del colpo di stato con cui prese il potere il dittatore Primo de Rivera, fonda la «Revista de Occidente», divulgazione scientifico-culturale attraverso cui Ortega pubblica in lingua castigliana le principali opere letterarie e filosofiche europee. Sul foglio diretto dal filosofo appaiono quindi nomi come Husserl, Freud, Spengler, Jung ed altri. Fu proprio a causa della sua avversione ai tentativi di politicizzazione della vita universitaria, che Ortega rinunciò alla cattedra per protesta: era il 1929. 16 Non a caso, nel 1914, alla conferenza “Vecchia e nuova politica”, non solo presenta il manifesto della “Lega di educazione politica”, ma si presenta come portavoce di una nuova generazione di intellettuali, la generazione europeista del ’14, impegnati nella riforma culturale, morale e politica della patria. L’intento è di organizzare e coagulare intorno ad un unico 14

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manifestò una nuova sensibilità e, con essa, la necessità di superare l’idealismo e volgersi alla vita e al vitalismo. È nel 1930 con la pubblicazione de La rebelión de las masas17 che avrà notorietà internazionale anche in seguito all’esilio dalla Spagna di Primo de Rivera18. La situazione politica in grande trasformazione e le accese tensioni vengono vissute da Simmel e da Ortega con profonde contraddizioni interne: in un primo momento Simmel accoglie con entusiasmo l’inizio della prima guerra mondiale, nella speranza che rendesse la Germania una grande potenza imperiale, ma dopo la fine del conflitto sia Simmel sia Ortega tornarono a riflettere sulla crisi generale della cultura del suo tempo, e sulla guerra come causa di tale crisi19. Esperienze vissute da Ortega con impeto demolitorio e ricostruttorio, procedendo tra la grande varietà dei fenomeni, in questo simile a Simmel anch’egli mescolatore di riflessioni sulla moda e sul denaro, sull’amore e sull’arte, sulla metropoli e sulla ricerca sociologica temi tutti fortemente influenzati dai radicali cambiamenti introdotti dall’industrializzazione e dal fenomeno, ad essa

progetto le minoranze colte, l’élites culturali in grado di provvedere ad una più ampia educazione politica delle masse. Le stesse riflessioni saranno sviluppate nel saggio España invertebrata (1921 – La Spagna invertebrata) e troveranno un respiro internazionale ne La Rebelión de las masas (1929-30 – La ribellione delle masse). Dalla lettura di questi scritti emerge il pensiero elitario di Ortega, secondo il quale è la parte “migliore”, la cosiddetta “minoranza scelta” della società, che deve guidare la massa. 17 Cfr. Ortega y Gasset 1959. 18 Nel 1930, sull’onda del grave malcontento che il governo dittatoriale stava provocando nella popolazione, Ortega fonda la “Agrupación al servicio de la República”, allo scopo di promuovere la vittoria della Repubblica nelle elezioni indette per l’aprile del 1931. Eletto come deputato alle Cortes Constituyentes, dopo la breve e deludente esperienza della Seconda Repubblica, subisce una cocente delusione con l’avvento di Franco e del suo regime dittatoriale, allo scoppio della guerra civile del 1936. Ortega si ritira, stavolta in maniera definitiva, dalla vita pubblica e addirittura abbandona il Paese, diventando di fatto un esule. Il suo nome e il suo enorme prestigio sono accolti ovunque con benevolenza, e questo gli permette di intervenire a favore del suo Paese e contro la dittatura, con conferenze e quant’altro, nelle sedi appropriate, in tutto il mondo. Viene così accolto prima a Parigi e nei Paesi Bassi e in seguito, constatando che la guerra civile non si avviava ad una rapida soluzione, in Argentina e quindi in Portogallo. Ma nel 1945, dopo varie negoziazioni e con la costernazione di amici e discepoli, fa ritorno a Madrid e, grazie al permesso del governo franchista, riottiene la cattedra. Nel 1948, fonda con il suo allievo Julian Marias l’Istituto de Humanidades in cui esercita la docenza. Le sue condizioni di salute negli ultimi anni sono molto gravi, tanto che dopo un intervento chirurgico non riuscito, muore a Madrid il 18 ottobre 1955. 19 Izzo 1994, 156-159.

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strettamente connesso, dell’urbanizzazione. Problemi cui dedicano particolare attenzione, tanto da far diventare Simmel “il sociologo più coinvolto nello studio della cultura metropolitana” e Ortega, sfidando l’habitus mentale della Spagna a lui contemporanea, appunto la sua riflessione sull’immensa eterogeneità degli aspetti della vita, nella moda, come nell’etica, sulle ideologie come sulle superstizioni con il “prospettivismo”. Il pensiero di Simmel maturò progressivamente attraverso tre fasi, distinte ma in parte coincidenti: all’inizio della sua carriera intellettuale è influenzato dal pensiero positivista francese e inglese e dall’evoluzionismo darwiniano e spenceriano, soprattutto è l’idea di evoluzione, intesa come crescente differenziazione, che rimarrà presente per molto tempo nel suo pensiero. La fase di maturità è caratterizzata da un ritorno a Kant, in particolare alla teoria costruttivistica della conoscenza secondo la quale è la mente a fornire le categorie che la rendono possibile, e ai neokantiani. Si avvicina poi alla filosofia dei valori di Wilhelm Windelband e di Heinrich Rickert, alla fenomenologia di Husserl e allo storicismo tedesco contemporaneo. Nell’ultimo periodo della sua vita elabora una filosofia panvitalistica, con un’esaltazione lirica della vita e del permanente fluire dell’energia vitale, ispirandosi ai principi delle concezioni vitalistiche ed irrazionalistiche di Bergson, Nietzsche e Schopenhauer. Del resto le correnti neokantiane, i riferimenti marxisti e storicismi, le concezioni vitalistiche, hanno pesantemente condizionato la direzione degli sviluppi della sociologia in Germania20. Già Goethe aveva scritto “quanto più rifletto, più mi pare evidente che la vita esiste semplicemente per essere vissuta”. Sono, soprattutto, le teorie vitalistiche ad introdurre una diversa tendenza di ricerca, affermando l’impossibilità di conoscere la realtà storico-sociale nei suoi contenuti specifici per via meramente razionale poiché la vita è compresa vivendo e non riducendola solo a ragione. Sviluppate da Bergson e dai vitalisti di formazione e provenienza dalle scienze biologiche, Simmel come più tardi Ortega, può affermare che l’attività prima e originaria della vita è sempre spontanea, libera espressione di un’energia preesistente che si realizza nell’uomo d’azione, nel Conquistador. La scienza sociale diventa così una costruzione soggettiva che non può prescindere dalla sensibilità personale di vivere e sentire certe emozioni e, non

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Coser 1997, 244-248; Aa. Vv., 1985, 1057; Izzo 1994, 156-162.

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può trascurare i fondamentali e molteplici contenuti delle esperienze, con le loro ricche implicazioni emotive, con le varie dimensioni logiche e non logiche e con le incontrollabili forze irrazionali: in questo modo la scienza sociale si apre al complesso mondo del sentire umano, diventandone un’importante chiave interpretativa. Il suo vero soggetto non sarà più un indirizzo ideale, un atteggiamento morale, o uno statuto epistemologico politico ma “la grande, eterogenea” molteplicità della vita compresa nei suoi veri oggetti, nelle sue forme contro il dominio delle “categorie”. In conseguenza di ciò è necessario rettificare i confini dei domini della scienza, dando forma alla dimensione vitale con “una splendida modificazione delle cose”. Simmel prima e Ortega poi propongono un’interpretazione trasmutante dei valori nietzschiani della biologia, della storia, dell’arte, delle relazioni umane contrapposta al sistema valoriale positivista della società borghese dell’Ottocento, in piena assonanza con le correnti culturali surrealiste, futuriste, dadaiste della loro epoca. L’impostazione sociologica di Simmel può essere considerata come un tentativo teso a contrastare le teorie organicistiche e quelle idealistiche; l’impostazione di Ortega, teorizzatore del simbolismo e del dadaismo e del concetto di vita ascendente, dissoda il terreno scoperto da Bergson e da Freud, denunciando i limiti delle verità assolute. L’orientamento organicistico, sostenuto da Comte in Francia, da Spencer in Inghilterra, da Schäffle in Germania, rilevava l’esistenza di una continuità tra la natura e la società, considerava il processo sociale qualitativamente analogo a quello biologico e riteneva la vita come una continua successione di fenomeni che, muovendo da esseri naturali più semplici, procedeva fino a comprendere quello più complesso: l’organismo sociale. In conseguenza di tale percorso logico, i metodi elaborati all’interno delle scienze naturali erano ritenuti simili a quelli per lo studio dell’uomo in società, e la sociologia era considerata la scienza fondamentale per scoprire le leggi che regolavano l’intero sviluppo sociale. A tale concezione si opponeva l’orientamento idealistico che considerava le scienze della natura e le scienze dello spirito qualitativamente differenti e sottoposte a leggi essenzialmente diverse. Per lo studio dei fenomeni sociali era utilizzato il metodo idiografico, orientato alla determinazione di essi nella loro individualità, e non il metodo nomotetico, orientato alla costruzione di leggi generali. Simmel rifiuta sia la posizione organicistica sia quella idealistica: considera

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la società non come un “organismo” o come un’“entità astratta” ma come risultato di un complesso intreccio di molteplici relazioni poste in essere dagli individui nel loro costante ed intenso rapporto di interazione; per questo analizza le azioni sociali di un individuo non come fatto in se ma in relazione a quelle degli altri e alle strutture socio-culturali. La scienza sociale non può comprendere tutto lo scibile o i fenomeni nella loro totalità ma soltanto alcune dimensioni o aspetti di essi21. Nella sua prima opera sociologica importante La differenziazione sociale22, Simmel nota che per la sociologia è impossibile giungere alla formulazione di leggi generali in quanto l’uomo è un essere complesso in cui interagiscono forze eterogenee: ogni effetto può essere visto come il prodotto di una molteplicità di cause e può, a sua volta, essere causa di una molteplicità di effetti, per cui quale sarà l’effetto singolo di una sola causa non può essere specificato. L’oggetto specifico della sociologia è nella descrizione e nell’analisi delle forme degli scambi umani e della loro cristallizzazione in gruppi sociali distinti23. L’approfondimento di Simmel sulle forme della vita sociale, separandole, isolandole ed astraendole dal loro contenuto concreto, ha portato a definire la sua concezione “sociologia della forma” o “sociologia formale”24. Alla base della “sociologia formale”25 ci sono i concetti di relazione e di interazione, dai quali deriva l’immagine della società strettamente legata alla doppia categoria dell’“io” e del “tu”: c’è società laddove un certo numero di individui entrano in rapporto di interazione e le varie forme che le relazioni assumono, determinate dalle più diverse motivazioni, rendono la realtà sociale un fenomeno estremamente complesso. La società appare così come un “cosmo in espansione”26 ricco di forme di interazione e di scambio e animato dalle forze processuali della tradizione e dell’innovazione che si compongono e predominano su ogni rapporto umano. Nella concezione simmeliana la sociologia si concentra su quelle forme di interazione che sottostanno al comportamento politico, economico, religioso, evidenziando le forme pure dello stare insieme27. 21

Simmel 1976, 1-4. Cfr. Simmel 1982. 23 Simmel 1976, 5. 24 Mongardini 1976, CXXXIX-CXLVIII. 25 Ivi, CXVIII-CXXXIX e Simmel 1976, 41-86. 26 Mongardini 1976, CXXIII. 27 Coser 1997, 219-223; Izzo 1994, 167-171; Crespi 1996, 16-23; Giuliano, all’indirizzo web w3.uniroma1.it/meters/giuliano/Autori/Simmel.html. 22

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 277

La sociologia, come studio delle forme, rappresenta una linea di intersezione di tutte le varie prospettive di analisi dell’azione umana28. La “sociologia formale” si occupa delle forze, delle relazioni e delle forme mediante le quali gli uomini ‘diventano’ società e la dimensione sociologica dell’azione sociale è data dal modo con il quale essa realizza le forme di consociazione29. Per quanto diversi siano gli interessi e gli scopi che inducono gli uomini a dar vita ad associazioni specifiche, identiche possono essere le forme sociali di interazione attraverso le quali tali interessi e tali scopi vengono realizzati. La sociologia non si ferma allo studio delle strutture e degli apparati istituzionali che costituiscono l’aspetto macroscopico e direttamente visibile della società, ma individua le forme microscopiche che sono a fondamento della vita sociale, le forme elementari di interazione senza le quali le realtà macroscopiche non potrebbero esistere. La sociologia non è mai una scienza compiuta ma tende sempre a raggiungere nuove forme di comprensione del sociale: molte categorie sociologiche, infatti, si moltiplicano con il mutare delle forme sociali30. Ha peraltro scritto Ortega che il sapere perfeziona il nostro fare ma è l’azione che “stimola e dirige o telekina il nostro sapere”31. Esistono tuttavia, degli a priori sociologici che rappresentano i contenuti del processo reale e le intuizioni immediate della coscienza, che rendono ogni uomo consapevole di essere parte del processo sociale. Gli a priori simmeliani sui quali si fonda la conoscenza sociologica sono tre: 1. il rapporto tra il soggetto e l’altro, che riguarda la conoscenza e l’immagine che ogni individuo si fa di coloro con cui entra in relazione; 2. l’unità dialettica fra l’individuo e la realtà sociale di cui è parte; 3. la vita considerata, fenomenologicamente, in relazione ai suoi contenuti sociali. Parallelamente Ortega y Gasset sostiene che ogni dottrina ha sempre un “contesto inespresso”: un sottosuolo, un suolo ed un avversario. Per conquistare una teoria, bisogna catturare gli elementi che Ortega chiama “categorie del

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Mongardini 1976, XCV-XCIX. Ivi, C-CVIII e Simmel 1976, 39-42. 30 Mongardini 1976, LXXVII-LXXXVII. 31 Ortega y Gasset 1947, 265. 29

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contesto”. Il sottosuolo è rappresentato da strati profondi “collocati nella parte antica del pensare collettivo”; il “suolo” è di costituzione più recente32, il sottosuolo è nella tradizione filosofica greca, il suolo nel tentativo di superare l’“abbraccio” del positivismo alla “prima” sociologia e il condizionamento dell’idealismo nella cultura europea già denunciato da Pareto, dalle polemiche tra idealisti ed empiristi nella Rivista Italiana di Sociologia33. La modernità e le sollecitazioni che questi a priori offrono alla riflessione post moderna consistono proprio nella proposta della sociologia come esperimento che lascia ampio spazio alla ricerca, alla scelta delle ipotesi e ai percorsi d’orientamento, ripercorrendo in questo le illuminanti intenzioni di Vilfredo Pareto e quelle che saranno le indicazioni paradigmatiche di Popper. Infatti, Pareto e Simmel, per le loro intuizioni, possono essere considerati gli anticipatori del probabilismo nella scienza moderna e Ortega fin dai suoi primi studi intende dare campo al ‘logaritmo sociologico’ per decifrare l’agire umano. L’autonomia della conoscenza sociologica34, rispetto alle altre scienze, è data in modo specifico dal modo di procedere volto a comprendere unicamente le forme di associazione, prescindendo dai contenuti; conoscenza che come tutte le altre scienze storico-sociali, opera con categorie e concetti legati ai valori e ad un relativismo di fondo. La “sociologia formale” implica la ricerca delle forme dei rapporti che rimangono invariate, nonostante i loro contenuti storici sempre diversi35. Ne L’educazione in quanto vita36 scrive che lo stesso processo educativo è vita che si fa forma, al di là dei mutamenti contingenti. Un’approfondita conoscenza delle forme avviene anche riunendo e comparando tra loro le diverse manifestazioni storiche: attraverso il processo storico la forma riacquista la sua identità in una dinamica di flusso e di riflusso, movimento che Pareto avrebbe definito ondulatorio, che la porta ad adeguarsi al costante ed inarrestabile fluire della vita37. Per delineare con più precisione i contorni di tale concezione bisogna risalire alla sua origine kantiana38: come per Kant la conoscenza dei fenomeni 32

Ortega y Gasset 1941, 534. Cfr. Federici 1997. 34 Antiseri, De Mucci 1995, 101. 35 Izzo 1994, 156 e 167-171. 36 Erbetta 1995, VII-XXIII. 37 Mongardini 1976, CIX-CXIII e Simmel 1976, 105-134. 38 Boudon, Bourricaud 1991, 429-434. 33

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 279

naturali è possibile se lo spirito proietta delle forme (per esempio lo spazio e il tempo), così anche per Simmel la conoscenza dei fenomeni sociali è realizzabile organizzando il reale mediante sistemi di categorie o modelli. In mancanza di tali modelli, i fatti sociali costituiscono un universo caotico senza significato per lo spirito, proprio come per Kant l’esperienza del reale si riduce a una “rapsodia di sensazioni” se non è organizzata dalle forme della conoscenza. Del resto Simmel era pienamente a suo agio nel fluire caotico della vita moderna di cui ha interpretato con lungimiranza i fenomeni come il sistema del denaro, l’individualismo di massa, la moda, il pudore nei rapporti di coppia, l’arte nelle sue diverse forme che ben conosceva e praticava ospitando nella sua casa Bloch, Lukács, Kantorovicz, tra gli altri. Così come Ortega nel suo disegno teorico debitore a Tarde, Comte, Weber e forse anche a Durkheim, propone un percorso e una metodologia che si muovono tra la grande tradizione sociologica di carattere normativo, e qui forse è pertinente il riferimento a Durkheim, e lo stoicismo metodologico che prende in esame la “mia vita” (“io sono io e la mia circostanza”), scenario in cui si manifesta la “mia” presenza in maniera non costante, in mutamento per cui l’attore sociale non ha una natura determinata39, ma ha una “storia” che si inizia con la socializzazione primaria, primo dialogo con la propria circostanza. “L’uomo e la vita sono un avvenimento interno” scrive Ortega in Storia e Sociologia, motivo per cui si possono analizzare soltanto dall’interno. Ma l’esperienza della vita è irrazionale, si presenta sotto quelli che Ortega chiama “aspetti”, con ritmo alternato a volte favorendo, a volte contrario, ritmo che contribuisce a dare una forma alla vita. Inoltre la vita si presenta con un aspetto seriale con forma di quantità finita che Ortega spiega con un ricordo personale. “A questo proposito, mi sia permesso un ricordo personale. Avevo diciassette anni quando per la prima volta feci una escursione all’interno della Spagna, un fatto insolito a quei tempi. Non viaggiavo solo; mi portava con sé un uomo straordinario, di nobile famiglia, il primo ad avere percorso passo a passo tutta la penisola in tempi in cui nessuno lo faceva, che era artista e critico d’arte, e il cui vero valore risiedeva però nella propria vita. Siccome la vita è fruibile, per cui va sparendo nella misura in cui viene vissuta, il valore della vita di Francisco Alcantara non può

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“Ogni volta che mi sono posto a meditare sul destino dell’uomo, è intervenuto sempre il ricordo impertinente, ma inevitabile, di come ai tempi della mia adolescenza, in quella Madrid che trasudava tranquillità, quotidianità e confessiamocelo, un po’ di meschinità, la mia casa […]”; Ortega y Gasset 1978b, 9.

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essere recepito e riconosciuto dalle nuove generazioni. Per questo mi sento in dovere di ricordare la sua vita. Andammo, noi due, nella regione al confine fra Guadalajara e Segovia, in questo paesaggio di pinete dove si sgranano, come da un rosario rotto, una serie di villaggi dai nomi incantatori: Galvez, Villacadimia, Los Condemios, Campisabalos […] Alcantara aveva a Campisabalos un grande amico, il farmacista. Questo farmacista sembrava predestinato al suo compito dal suo stesso cognome: si chiamava Morterero. E in effetti i Mortereros, di padre in figlio, avevano tenuto la farmacia di Campisabalos fin dal XVII secolo. Per questo la bottega aveva l’aspetto di una farmacia dell’inizio del Settecento. Le pareti erano nascoste da vasi di porcellana di Talavera, la più bella, quella della fine del Seicento. Sui loro fianchi si potevano vedere, vicino ai motivi ornamentali azzurri, lettere anch’esse azzurre che ripetevano i nomi latini e spagnoli della vecchia farmacopea: olio di mandorle dolci, su di uno; acciro di Madrid, su un altro; unghia della gran bestia […] In un angolo si trovava una piccola scansia piena di piccole ampolle con i veleni. La scansia era chiusa da una porta di vetro sul quale era dipinto un occhio, il famoso occhio vigile del farmacista. Però quello che più mi impressionò fu il vedere al centro, come a governare quella democrazia di medicine, un gran vaso di Talavera sul cui ventre lessi per la prima volta in vita mia: «triaca maxima». Un nome che per tutta la durata della mia vita mi doveva dar molto da pensare. Voi saprete già cosa è la «triaca maxima». Quando si era persa ogni speranza in ogni altra medicina, il medico decideva di riunire tutti i principali medicinali in una sola pozione, la «triaca maxima». combinazione inventata per sfiducia nella scienza”40.

3. “La filosofia della vita” tra soggettivismo e relativismo Vivere, scrisse Ortega, è corrispondere con il mondo. “Noi siamo ciò che il nostro mondo c’invita ad essere” senza alcuna immanenza41 perché “la vita può divenire il fine della vita” come argomentò Simmel. La scienza sociale è una costruzione soggettiva che non può, assolutamente, trascurare o prescindere dai contenuti particolari e specifici delle esperienze umane e delle intense implicazioni emotive.

40 41

Cfr. Ortega y Gasset, 1939. Ortega y Gasset, 1978a, 91.

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 281

Sulla base di questa visione sviluppa una concezione vitalistica ed elabora una “filosofia della vita”, in cui fa un’esaltazione lirica ed accentua le tendenze mistiche della vita. La “filosofia della vita”, principio ispiratore della sua sociologia, sottolinea l’importanza di conoscere la realtà umana nelle sue mille sfaccettature, valorizzando, soprattutto, quegli aspetti irrazionali o illogici che animano le scelte e le azioni di ogni individuo. Ne La differenziazione sociale Simmel sottolinea che la posizione di ogni uomo è quella di essere all’incrocio di innumerevoli fili sociali ed ogni sua azione riflette i più svariati effetti sociali. Si fa, quindi, ricorso alle categorie del rivivere le esperienze interiori42 e si pone l’accento sulla soggettività e sugli aspetti emotivi e valoriali; s’interpreta la vita come manifestazione del contrasto tra lo spirito e le sue stesse forme43. La realtà è costituita da un tessuto di rapporti tra la vita e le forme che essa assume, rapporti che Simmel analizza attentamente nella sua “filosofia della vita”. Del resto scriveva Ortega in L’uomo e la gente, “Siamo partiti dalla vita umana come realtà radicale. Questa […] non è l’unica, né la più importante, né certamente la più sublime. È semplicemente quella realtà primaria e primordiale in cui tutte le altre, se devono essere realtà per noi, devono apparire o avere in essa la loro radice. Intesa come realtà radicale, la “vita umana” è strettamente e esclusivamente quella di ognuno, vale a dire è sempre e solo la mia” e ancora – “ciò che di certo è evidente nella mia vita è la notizia, il segno che ci sono altre vite umane”44. “L’uomo dunque, a parte ciò che io sono, ci appare come l’altro: colui con il quale posso e debbo – sebbene voglia – alternarmi […] l’uomo non appare nella solitudine […] l’uomo appare nei rapporti sociali con l’Altro, come colui che si alterna all’Uno”45. La vita, per manifestarsi, deve condensarsi in forme, le quali possono incarnare solo singoli aspetti che sono, quindi, destinati ad essere superati dal suo continuo fluire, tesa a realizzarsi come divenire46.

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Simmel 1982, 54-118. Federici 2001, 55-67. 44 Ortega y Gasset, 1996, 91. 45 Ibid. 46 Mongardini 1976, LIV-LXI. 43

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La complessità della dialettica “vita-forme” si rispecchia nella delicata condizione del soggetto che è situato in una posizione di equilibrio precario tra i due momenti della sua esistenza47. Secondo Simmel, la relazione ai valori48 è il principio mediante il quale viene elaborato un processo di conoscenza e vengono selezionati i fatti, soggettivamente ritenuti più importanti: “La vita può divenire il fine della vita”49. Il relativismo di Simmel non è la negazione e la fuga dalla realtà nello scetticismo e neppure il rifugiarsi al riparo delle costruzioni dogmatiche, ma l’impegno audace e coraggioso di una ricerca scientifica che, con un’indagine euristica e critica, determina le diverse categorie delle scienze sociali per interpretare le forme delle interazioni umane50. E Ortega ne L’uomo e la gente sottolineerà che “prima ancora che ciascuno prenda coscienza di se stesso, ha già sperimentato che ci sono coloro che non sono io, gli Altri […] dalla mia relazione con l’altro partono due linee differenti, per quanto connesse l’una con l’altra, di progressiva realizzazione o determinazione. Una consiste nel fatto che, a poco a poco, vado conoscendo di più e meglio l’altro […] l’altra è caratterizzata dalla mia relazione con lui. Essa si fa attiva: agisco su di lui ed egli su di me. Di fatto la prima può progredire solo lungo il tracciato della seconda”51. Ogni tentativo di cercare un fondamento assoluto alla conoscenza si deve respingere, mentre deve essere affermata la necessità di riconoscere il carattere relativo dell’attività dell’uomo in tutti i campi52. Il senso della ricerca53 è dato da un’elaborazione autonoma del soggetto conoscente che, come sottolinea Simmel in Forme e giochi di società, è un soggetto che esperisce se stesso e il mondo come momenti di uno stesso flusso vitale e in Ortega è lo sforzo di condurre ogni fatto, un uomo, un paesaggio, un errore, un dolore, un’opera d’arte, alla pienezza del suo significato. L’io conoscente non è, dunque, una pura istanza logica ma è un soggetto che sperimenta la possibilità di conoscere e di riconoscersi nel flusso della vita, ricorrendo principalmente agli istinti, alle passioni e ai sentimenti e la cultura è, in Ortega, quel “chiaro contro ciò che è oscuro”. 47

Simmel 1983, 13. Antiseri, De Mucci 1996, 101; Simmel 1995, 13-36. 49 Simmel 1923, 141 50 Mongardini 1976, LXXXVII-XCV; anche De Simone 2004, 39 e ss. 51 Cfr. Ortega y Gasset 1996. 52 Antiseri, De Mucci 1996, 93-94. 53 Simmel 1983, 9-41. 48

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 283

Il processo conoscitivo in Simmel coinvolge tutti i rapporti del soggetto conoscente, per questo sarà un sistema di conoscenza non compiuto ma ad infinitum, imperfetto, parziale e sottoposto a continue revisioni54. La conoscenza55 è il risultato di un’attività soggettiva relativamente autonoma ma è anche il prodotto di un rapporto reciproco tra le idee e la socialità delle persone. Infatti, come i sistemi di idee influenzano profondamente la vita sociale e i suoi rapporti economici, così anche la struttura sociale influenza le idee e gli stili di vita, secondo un rapporto di interazione e di circolarità. Simmel sottolinea che le idee hanno una dimensione creativa e non sono riconducibili soltanto al puro riflesso delle condizioni sociali. È sempre costante il riferimento alla libertà dello spirito umano56, in quanto il soggetto, posto di fronte alla complessità del reale, deve, necessariamente, compiere delle riduzioni per determinare i significati, i quali non esauriscono la realtà e non sono mai risultati assoluti ma sono sempre esiti parziali. Ogni epoca porta con sé con le mutate esigenze esistenziali, una diversa definizione dell’uomo o una diversa interpretazione del mondo57 e pertanto la cultura non può essere assolutizzata: essa è il mutevole risultato del dialogo fra l’io e il mondo. L’analisi sullo sviluppo dell’individualità viene posta in rapporto all’intersecazione dei diversi cerchi sociali e alle relazioni interpersonali che vi si instaurano58. La cultura si può definire, quindi, sia come espressione dell’unicità dell’esperienza soggettiva di ogni individuo, sia come mediazione soggettiva delle diffuse forme sociali59. E Ortega, dal canto suo, sottolinea come la cultura non sia la vita intera ma solo il momento della chiarezza, una terraferma per lo spirito. Il mutamento continuo dei contenuti e dello stile della cultura, è l’indice dell’infinita fecondità della vita e della profonda contraddizione in cui sta il suo eterno divenire60. Ogni epoca è il risultato del dialogo tra l’io e il mondo

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Mongardini 1976, LXI-LXXXVII. Crespi 1996, 43-45; Aa. Vv. 1985, 1057; Simmel 1995, 37-48 e 139-159. 56 Crespi 1996, 44. 57 Infantino 1990, 36. 58 Simmel 1982, 119-138. 59 Crespi 1996, 16-23 e 42. 60 Simmel 1976, 107. 55

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come significato del dinamismo incessante fra la nostra vita e il contesto storico-sociale, ciò che peraltro Simmel ha chiamato “tragedia della cultura”. Nel saggio L’etica e i problemi della cultura moderna Simmel indaga sulla profonda corrispondenza tra l’etica e la cultura, due concetti che circoscrivono l’ambito totale dello spirito61. Nella determinazione dei fenomeni morali, secondo Simmel, è necessario far ricorso ad un a priori che ne delimiti funzionalmente l’ambito e l’orientamento di svolgimento. Ortega, forse debitore di questo percorso ideale a Simmel, sostiene che la “maggior parte delle idee con cui e per cui viviamo, non le abbiamo mai pensate noi, per conto nostro, e neppure le abbiamo ripensate”. Le impieghiamo come “ricevute” dalla collettività in cui viviamo e dalla quale sono cadute su di noi, “ricevute” dal contesto storico-sociale nel quale veniamo alla luce come “fili sociali”. Tale a priori, simmeliano, nell’ambito dell’etica, è costituito dal Sollen o dal dover essere, in analogia kantiana dell’‘essere’ nella Critica della ragion pura. L’essere, il voler e il dover essere sono categorie o forme psicologiche per comprendere il contenuto ideale del mondo ed il metodo simmeliano consiste “nel riandare dalle forme astratte e intellettualisticamente foggiate all’originaria vita psicologica che in esse s’esprime62. La posizione di Simmel di fronte all’a priori rimane sempre fenomenologica e non trascendentale: le forme a priori sono, infatti, realtà naturali e il loro continuo movimento non fa pervenire ad una soluzione conclusiva e sistematica. La responsabilità e la libertà63 sono considerati gli a priori della vita etica, sono le forze con le quali plasmare il centro della vita stessa64. In ogni azione agisce tutto l’uomo e non, ad esempio, ora la ragione e ora la

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Calabrò 1968, 7-34; Gassen 1968, 35-37. Ivi, 15-16. 63 Simmel 1968, 41-88. 64 “Responsabilità e libertà non potrebbero ancora determinare il valore di una azione se non ci fosse ancora un altro concetto al di sopra o al di sotto: l’io come portatore dell’azione. La libertà esige l’io, e i problemi etici si presentano in quanto tali solo quando oltre l’azione stessa c’è ancora un io; allora non l’azione è buona, ma l’agente, e non l’azione è libera, ma l’agente. L’azione è, senza alcuna determinatezza qualitativa, e solo attraverso l’io diviene buona o cattiva […] Dunque concetti come dovere, libertà, responsabilità, che stanno sempre da parte dell’agente, ma non dalla parte dell’azione, possono essere il vero oggetto di un’etica scientifica”; ivi, 55 e 57. 62

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 285

sensibilità: “se un uomo è avaro, non è avara soltanto la sua avarizia, ma tutto l’uomo”65. Il fluire perenne e la forma concreta sono due aspetti opposti della vita e, nello stesso tempo, complementari ed è in questa complementarietà che nasce la dialettica, la cui peculiarità è l’assenza di ogni sintesi risolutrice e pacificatrice in quanto il processo d’incessante superamento del proprio limite ha luogo nella vita stessa66. La sintesi e il conflitto tra spirito soggettivo e quello oggettivo67 avvicina il pensiero di Simmel a quello di Freud, in particolare quando afferma che ogni gradino della cultura si trova sempre tra due poli: il conscio e l’inconscio. L’affondare nella dimensione dell’inconscio va in parallelo con il salire verso quella del conscio: la doppia via della cultura si esprime nella dinamica del salire e dello scendere e qui lo sguardo si volge alla “partita doppia” orteghiana direttamente derivabile dal conflitto simmeliano tra vita e forma ove le azioni umane sono caratterizzate dal continuo intersecarsi di motivazioni personali e “pesi” che provengono dall’esterno ed esprimono “le ragioni” della convivenza con lo stesso fenomeno reso da Merton con i concetti di funzione manifesta e di funzione latente68.

4. Società: un eterno conflitto di sentimenti La realtà emozionale si pone, in Simmel, a fondamento dell’esperienza individuale e delle interazioni sociali. La realtà sociale e l’individuo sono il risultato dinamico di un insieme di interazioni tra le parti, per questo Simmel rifiuta sia l’idea della società come realtà autonoma o come somma di soggetti, sia l’idea dell’individuo come entità da un punto di vista biologico o psicologico o sociale69: gli individui entrano in relazione tra loro attraverso le emozioni.

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Ivi, 67. Calabrò 1968, 28. 67 Simmel 1968, 83. 68 Cfr. R.K. Merton 2004. 69 Cfr. M. C. Federici, La coscienza di associarsi o di essere associati, in Id. 2001, 64; inoltre: Cfr. Giuliano, cit.; Simmel 1927; Simmel 1995e; Simmel 1996, in particolare Sulla psicologia del pudore, 63-78; Simmel 1997; Tabboni 1993; Trevarthen 1998; Turnaturi 1994; Turnaturi 1995; Varriale 2002; Weber 1974. 66

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In Forme e giochi di società70 definisce la società come una cerchia di individui legati l’un l’altro da varie forme di reciprocità e, in tale contesto, l’uomo, in tutto il suo essere e in ogni sua manifestazione, è determinato dai rapporti con gli altri. La sociologia simmeliane è pervasa da una tensione dialettica che pone in evidenza la coesione e la disgregazione tra individuo e società: l’interconnessione e i conflitti sempre presenti tra le diverse unità sociali71. Secondo Simmel l’individuo si colloca in una duplice posizione nei confronti della società: è incorporato in essa e le si oppone, è determinato e determinante, è modellato e si autorealizza ed Ortega nella Rebelión de la masas descrive il prototipo dell’essere di ragione vitale, dell’uomo autentico, guidato da un nuovo principio: soddisfare i propri impulsi vitali e realizzare la propria felicità. Conseguentemente anche il rapporto sociale implica, nella sua complessità, una dicotomia di stati d’animo: armonia e conflitto, attrazione e repulsione, amore e odio, enigmatico modo di essere della vita. L’insistenza su questa tensione dialettica, un problema continuo in Ortega, che sottende ogni relazione tra individuo e società, pervade tutto il pensiero sociologico di Simmel e apre nel fondo il costante pericolo dell’equivoco e la tragedia del possibile fallimento in Ortega. Il destino inevitabile di ogni individuo è quello di far parte di un insieme di relazioni sociali ma ciò crea, nello stesso tempo, un impedimento ala sua realizzazione; la società consente il sorgere dell’individualità e dell’autonomia, ma, contemporaneamente, vi contrappone ostacoli. L’uomo può perdersi nella circostanza, “alterato” dallo sciame pungente delle cose e dal suono della voce altrui72. Le forme della vita sociale s’imprimono sul soggetto e ne permettono una piena realizzazione ma, simultaneamente, ne sviliscono ed imprigionano la personalità e riducono la libera espressione della spontaneità. In Ortega, a questo punto, i termini del discorso si fanno estremamente difficili da cogliere. In Il tema del nostro tempo, Ortega propugna un’etica dell’autenticità come obbedienza ad un imperativo “vitale”, capovolgendo così la tesi che la vita sia fine a se stessa in una sorta di obbedienza ad una voce che urge dal nostro fondo, una sorta di “destino” che non dipende da deliberazioni 70

Simmel 1983, 42-74. Coser 1997, 225-237. 72 Ortega y Gasset 1994, 17. 71

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 287

intellettuali. Esso riguarda il “chi” vogliamo essere e riassume, come vocazione, due diversi significati: una vis a tergo che ci spinge e un programma disincarnato, essenza prenatale abitatrice di un regno dei valori. Simmel, al contrario, semplifica tale ambivalenza con l’esempio della moda che nasce da esigenze di differenziazione e di appartenenza, regolando, così, la stratificazione sociale73. Nel suo saggio La moda74 analizza questa manifestazione collettiva di imitazione, nella quale si esprime il bisogno di approvazione e di appoggio sociale75 e, nello stesso tempo, la spinta incessante alla differenziazione individuale e al cambiamento, si rappresenta contemporaneamente la dimensione dell’essere e quella del non essere, trovandosi sullo spartiacque tra passato e futuro76. Così, attraverso le forme istituzionali, l’uomo può conseguire la libertà ma, al tempo stesso, essa viene per sempre compromessa da tali forme istituzionali. Ciascuno può realizzare i propri valori sociali a patto che anche gli altri li realizzino. Il reciproco concedersi spazi per la socievolezza fa si che si realizzi un continuo scambio, una forma di interazione paritaria e democratica. Nella realtà sociale77 quindi, non potrebbe esistere alcun gruppo completamente armonico: altrimenti sarebbe incapace di vivere un processo di trasformazione e di sviluppo: proprio come ne L’etica e i problemi della cultura moderna: “il conflitto è anche la scuola in cui l’io si forma, […] e si contrappone al mondo”78. 73

Bianchi, Interazione sociale e scambio: la riflessione sociologica simmeliana, sul sito epress.unifi.it/madida/scienze-politiche/giovannini/interazione-prog.htm 74 Simmel 1985, 5-6 e 28-46. 75 “La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono […] la moda, come dicevo, è un prodotto della divisione in classi […] significa da un lato coesione di quanti si trovano allo stesso livello sociale, unità di una cerchia sociale da essa caratterizzata, dall’altro chiusura di questo gruppo nei confronti dei gradi sociali inferiori e la loro caratterizzazione mediante la non appartenenza a esso […] il frequente cambiare della moda è una mostruosa schiavitù per l’individuo e nello stesso tempo uno dei complementi necessari della cresciuta libertà politica e sociale”; ivi, 13-15 e 52. 76 “L’imitazione si potrebbe definire come un’eredità psicologica, come il trasferimento della vita di gruppo nella vita individuale. Il suo fascino sta nel rendere possibile un agire finalizzato e dotato di senso senza che entri in scena nessun elemento personale e creativo. La si potrebbe definire figlia del pensiero e dell’assenza di pensiero. Dà all’individuo la sicurezza di non essere solo nelle sue azioni […] l’individuo si libera dal tormento della scelta e la fa apparire come un prodotto del gruppo, come un recipiente di contenuti sociali”; ivi, 11-12. 77 Giuliano, cit. 78 Simmel 1968, 87-88; Mongardini 1976, CXXXII-CXXXIV.

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288 | Maria Caterina Federici

È importante riconoscere che il conflitto sociale implica, necessariamente, un’azione reciproca, si basa su un mutuo coinvolgimento delle parti e consente il rafforzamento dei legami esistenti o l’instaurazione di nuovi, per raggiungere quel felice punto di equilibrio della c.d. etica socievole in cui l’elemento individuale soggettivo, come il contenuto oggettivo si sono dissolti in nome della pura forma della socievolezza. La vita si svolge attraverso i poli dell’integrazione e della differenziazione, in tal senso il conflitto si può considerare come una forza costruttiva e non un’imposizione unilaterale79. In Simmel il problema del potere, analizzato nell’opera Il dominio, deriva direttamente dall’analisi dei rapporti d’interazione, della stratificazione sociale e delle posizioni di dominio. In ogni relazione agiscono una pluralità di caratteri in un gioco di reciproche influenze, combinando sia il momento dell’attrazione sia quello della repulsione in ogni rapporto80. Per Ortega anche la vita è un continuo gerundio, metafisico linguaggio che spiega la natura d’accadimento del fare e del progettare. L’uomo orteghiano è un uomo che non accetta passivamente quello che è la sua circostanza: è un uomo che tende a modificare, perfezionare se stesso e il suo mondo. “Il senso della vita non è altro che accettare ciascuno la propria inesorabile circostanza e, nell’accettarla, convertirla nella propria vocazione. L’uomo è l’essere condannato a tradurre la necessità in libertà81. Simmel non ipotizzò mai un universo sociale privo di tensioni e di scontri tra gli individui e i gruppi, azi ha sempre sostenuto che il conflitto è la vera essenza della vita sociale ed è una componente ineliminabile. Il dominio è, prima di tutto, un’interazione e il significato più profondo va ricercato nello scambio82. Una società sana non è quella priva di conflitti ma è quella che sa alternare e correlare pace e guerra, coesione e disgregazione, continuando a dare respiro a quell’eterna dialettica della vita sociale83. La società esiste sia negli individui sia fuori di essi ed ogni conflitto viene vissuto dai soggetti per il fatto stesso di vivere associati, interiorizzato e riprodotto come conflitto interno all’animo umano84. 79

Mongardini 1976, LXI; Simmel 1976, 87-103. Simmel 1978, 7-14 e 28-38. 81 Cfr. Ortega y Gasset 1934. 82 Simmel 1978, 14-17. 83 Ivi, 155-27 e 39-108; Mongardini 1976, CXXXV-CXXXIX. 84 Simmel 1983, 94-123. 80

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 289

In Simmel, come in Pareto, come in Ortega, l’individuo non è assolutamente riconducibile né solo all’individuale, né solo al sociale ma è una sintesi di entrambe le determinazioni; su queste premesse socio-antropologiche si svolge anche l’interazione che comprende, in una categoria unitaria, le forme conservative e quelle innovative, la cui combinazione garantisce un equilibrio dinamico85. Sarebbe, dunque, un errore separare la sociologia dell’ordine da quella del disordine o il modello dell’armonia da quello del conflitto, in quanto essi non sono realtà separabili ma soltanto aspetti formalmente differenti di una stessa realtà. Anche nella vita dello spirito l’uomo è dominato in parte dall’aspirazione all’universale, in parte avverte la necessità di cogliere il particolare: la prima dimensione dà allo spirito la quiete, la seconda lo costringe a percorrere tutti i singoli casi86. Nella società, intesa come il risultato delle interazioni reciproche tra gli individui, Simmel distingue tra contenuto e forma87: – il contenuto è dato da tutto ciò che negli individui e nei luoghi, di ogni realtà storica, è presente come impulso, interesse, inclinazione e scopo; – la forma è rappresentata dai vari modi attraverso i quali gli individui stabiliscono le loro interazioni. Il contenuto costituisce la materia prima dell’associazione e le forme sono le dimensioni costitutive che consentono di strutturarla in quelle varie unità che chiamiamo gruppi o istituzioni o società. La società è, quindi, articolata in forme e l’individuo ne costituisce il centro d’attività. Il concetto d’interazione sociale abbraccia un vasto campo di fenomeni, partendo dall’analisi del contesto microsociale si possono comprendere meglio i sistemi e le istituzioni sociali di più ampie dimensioni e i valori e le norme che regolano gli scambi88.

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Mongardini 1976, CXXIV-CXXXI. Simmel 1996, 9-27 e 47-61. 87 Crespi 1996, 41; Crespi 1985, 406-409; Simmel 1983, 75-93; Simmel 1976, 5-38. 88 Bianchi, cit. 86

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290 | Maria Caterina Federici

Simmel approfondisce le dinamiche delle relazioni sociali e le trasformazioni dei valori culturali attraverso l’interessante analisi del passaggio, graduale e profondo, dalla società pre-moderna quella moderna89. La linea di tendenza della storia moderna appare come una progressiva liberazione dell’individuo dai legami basati su rapporti di attaccamento esclusivo e di dipendenza personale, nonostante il crescente condizionamento dell’uomo verso i prodotti culturali da lui stesso creati. La modernizzazione, avviata dallo sviluppo economico, introduce una nuova e maggiore varietà di beni, che permettono di avere una vita più ricca e più varia rispetto a quella passata: “Mai l’uomo medio ha potuto risolvere con tanta larghezza il proprio problema economico”. L’economia influenza anche gli aspetti non economici, perché rende il nuovo più seducente della tradizione, che ora non riesce più a dominare la società, perché i rapporti commerciali espongono a mondi diversi, facendo si che l’individuo si accorga che il suo non è l’unico modo di vita possibile. La vita dell’uomo ha ormai assunto un carattere di mondializzazione, di globalità, che allarga l’orizzonte vitale dell’individuo, avvicinando ad esso mondi un tempo lontani e sconosciuti. Con l’espressione “larga è la Pastiglia” vuole esemplificare che non esistono barriere, ostacoli né limitazioni per la democrazia, l’esperienza scientifica e l’industrialismo. Inizia così il processo di modernizzazione, che mette in crisi la legittimità “sacrale” del potere tradizionale, portando anche alla guerra civile e alla rivoluzione. Un argomento che interessa molto Ortega è quello della massificazione, sia economica sia culturale e sociale: nelle relazioni sociali l’uomo, l’uomo medio – la grande massa sociale, non è mai autentico, perché si lascia sempre condizionare dagli altri. D’altra parte l’uomo è prima di tutto un essere sociale, che vive in un sistema di usi sociali che condizionano ogni sua attività. Tutto ciò che facciamo, ed anche ciò che pensiamo, non è frutto dei nostri gusti o dei nostri valori, ma è condizionato da ciò che la “gente” fa, dice e pensa; tutti noi viviamo in una società standardizzata, dove ogni gesto è istituzionalizzato e reso un’abitudine. Il Nostro esalta la libertà, come valore massimo per l’individuo e ritiene che l’unico modo di difenderlo sia creare delle barriere allo strapotere pubblico. Ma queste barriere, che il mondo occidentale aveva eretto attraverso il pluralismo politico, stanno crollando, con la presa di potere del fascismo e del comu-

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Coser 1997, 228-231; Bianchi, cit.

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 291

nismo. Al di là delle diverse filosofie che lo guidano, queste due ideologie sono accomunate dall’intento di statalizzare tutti gli ambiti della società, dall’educazione, all’economia90. Questo cambiamento sulla scena politica europea, non è, per Ortega, un fenomeno casuale, ma rispecchia i cambiamenti avvenuti nell’uomo medio, che, nella società industriale, si è trasformato in “uomo-massa”. Questa trasformazione avviene, perché la civiltà industriale ha cambiato in modo improvviso le condizioni di vita, facendo allontanare l’uomo dai valori e dai comportamenti dettati dalla tradizione. L’uomo-massa ha una sola preoccupazione: vivere nel benessere e soddisfare i suoi bisogni materiali. Egli è, inoltre, un individuo super specializzato, perché ciò impone la moderna divisione del lavoro, esperto nel suo campo, ma inadeguato davanti a problemi di ordine generale. L’uomo-massa, nonostante ciò, si ritiene perfetto e vuole imporre anche agli altri le sue presunte ragioni, aggredendo chi si dimostra in disaccordo con lui. Ecco perché per Ortega il fascismo è il movimento degli uomini-massa, che ormai hanno fatto la loro irruzione nella società. Ma quali sono state le cause di questo avvento delle masse? Senza dubbio le istituzioni liberali e democratiche, unitamente al progresso tecnico-scientifico, che hanno portato ad una prosperità mai vista prima. Questo processo è stato così veloce che non si è riusciti a dare alle masse anche una nuova cultura; la conseguenza di questo è che l’individuo ha “l’assoluta sicurezza che domani esso (il mondo) sarà ancora più ricco, più perfetto e più vasto, come se godesse di uno spontaneo e inesauribile accrescimento […] l’uomo comune, nell’incontrarsi con questo mondo della tecnica e socialmente tanto perfezionato, crede che lo ha prodotto la Natura stessa”91. L’uomo-massa crede che tutto ciò che ha sia una cosa naturale e crede sia naturale che queste cose migliorino sempre di più, non si fa domande sulla loro origine, ma si preoccupa soltanto di soddisfare, con ciò che il mondo gli offre, i suoi bisogni, come un bambino

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Cfr. Beck 2004 e i più recenti lavori di Z. Bauman. Ortega y Gasset 1962, 54; ed anche Nietzsche 1993, 40: “L’umanità non rappresenta un’evoluzione verso il meglio o il più forte o il superiore, nel senso in cui lo si crede oggi. Il progresso non è che un’idea moderna, cioè un’idea falsa – hai suoi valori, l’europeo di oggi resta molto al di sotto dell’europeo del Rinascimento; l’evoluzione non significa affatto necessariamente elevazione, potenziamento, rafforzamento” (L’anticristo, 1888, 4); “L’uomo può espandersi quanto vuole con la conoscenza, può sentirsi oggettivo finché vuole: alla fine non ne ricava nient’altro che la propria biografia” (Umano, troppo umano, I, 1878, 513). 91

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292 | Maria Caterina Federici

viziato e ingrato, a cui tutto è dovuto, che non ascolta nessuno, perché pensa di sapere già tutto, che cerca di imporre anche altri le sue idee, senza neppure preoccuparsi di sapere se queste sono giuste o meno. Le manifestazioni politiche dell’uomo-massa sono il fascismo e il bolscevismo, due aspetti dello stesso fenomeno, quello dello statalismo. Infatti, lo stato è visto dall’uomo-massa non come una creazione umana, ma come qualcosa di naturale e indistruttibile, da cui la massa esige la soluzione di qualsiasi problema. Si ha così la totale statalizzazione di ogni aspetto della vita umana, insieme alla perdita di ogni forma di autonomia e creatività umana. Secondo Simmel invece, nella società pre-moderna la vita dell’uomo era caratterizzata dal fatto di vivere in un numero molto limitato di piccoli cerchi sociali concentrici e collegati tra loro, come i gruppi di parentela, le corporazioni, i villaggi, che lo coinvolgevano integralmente e lo tenevano fermamente in loro dominio. Queste forme d’organizzazione, coinvolgevano l’individuo attraverso rapporti di fedeltà e di dipendenza e la sua personalità era completamente immersa in questa vita di gruppo. In questo tipo di società, la subordinazione era caratterizzata dal controllo e dal dominio sull’intera personalità del subordinato e riguardava qualsiasi aspetto della sua vita. Nella società moderna ogni individuo partecipa a numerosi ed ampi cerchi sociali, ma nessuno di essi coinvolge tutta la sua personalità e controlla tutti i suoi interessi. Il numero dei cerchi sociali92 costituisce un importante indice di civiltà e la loro intersecazione determina la diversa posizione occupata dagli individui; infatti nelle società più complesse c’è una ricca intersecazione di eterogenei cerchi sociali, ognuno dei quali contiene un’atmosfera particolare: la famiglia, la professione, lo status, le relazioni, le associazioni… E la personalità di ogni soggetto è il punto d’incrocio di queste innumerevoli combinazioni e mescolanze di collettivismo e di individualismo. La complessità della cultura, che la civiltà moderna si trova ad affrontare, spinge, sempre di più, gli individui alla collaborazione, all’unione per necessità. Gli uomini sono, così, portati ad interagire soprattutto con coloro che condividono le stesse ambizioni o hanno le stesse esigenze: risulta più facile stabilire un rapporto tra simili perché, psicologicamente, si trova nell’altro quello che si vorrebbe avere. Questo semplifica notevolmente le relazioni e pone i

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Mongardini 1976, CXLVIII-CLXX; Simmel 1982, 119-137.

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soggetti in un piano di uguaglianza, senza che si entri sempre in discussione e si sia perennemente in una situazione di divergenza. Simmel indica nelle cerchie sociali quelle strutture sociali nelle quali avvengono le molteplici interazioni alle quali l’individuo partecipa. Le cerchie sociali sono formazioni che l’uomo, proprio in via della sua natura associativa, costituisce con gli appartenenti alla sua comunità: sentendosi parte di uno o più gruppi, l’uomo conserva le origini, condivide le passioni, mantiene il significato primario della vita di gruppo, vale a dire la sicurezza, la protezione, l’appoggio morale. Il sentimento di unione che lega gli uomini ha radici molto lontane e forse è uno dei pochi impulsi che, anche con lo sviluppo dell’età moderna, non ha subito delle complete trasformazioni, se non per la quantità di cerchie sociali con le quali, oggi, si può essere in contatto: “Il singolo si vede dapprima in un ambiente che, relativamente indifferente verso la sua individualità, lo incatena al proprio destino e gli impone una stretta coesistenza con coloro accanto ai quali lo ha posto il caso della nascita: questo dapprima significa lo stato iniziale di uno sviluppo sia filogenetico sia ontogenetico. Ma la continuazione di esso mira poi a rapporti di associazione tra elementi costitutivi omogenei tratti da cerchie eterogenee”93. In età primitiva, le formazioni sociali erano presenti in gran quantità: i membri di tribù o clan erano numericamente inferiori a quelli attuali e si chiudevano nella loro cerchia, escludendo chiunque non appartenesse alla famiglia. Non c’era possibilità di relazione con gli altri, la mentalità era limitata per la frequenza degli stessi componenti familiari e l’individuo ancora non era riconosciuto come tale: s’identificava il singolo con gruppo. Nel corso dei secoli, l’uomo ha sentito l’esigenza di legarsi con i suoi simili, di stabilire delle relazioni che, in virtù di uno sviluppo maggiore della società e conseguentemente di una maggiore differenziazione, hanno allargato e moltiplicato le cerchie sociali. Con l’aumentare delle possibilità, proposte da una società in continua trasformazione, sono cresciute nuove formazioni, ognuna con le proprie caratteristiche, i propri parametri, nelle quali il soggetto può ritrovare parte di se stesso. Con il progredire dello sviluppo, infatti, ogni individuo intreccia un vincolo con quelle personalità che stanno al di fuori della sua originaria cerchia, quale la famiglia, e hanno, invece, una relazione derivante dall’uguaglianza

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Simmel 1998, 347.

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oggettiva delle disposizioni, delle tendenze, delle attività e così via. L’impulso che spinge l’individuo a tali azioni associative è da ricercare nella sua natura, nella conformazione psicologica e antropologica, per la quale, fin da bambino, è a contatto con altri della sua specie. Dalla famiglia agli amici il passo è breve e, contemporaneamente, molte altre relazioni si sono e si stanno intrecciando: inoltre, già dalla nascita, si appartiene ad un determinato gruppo, distinto secondo la classe sociale, la nazionalità, anche il sesso; solo in un secondo tempo, l’uomo si associa spontaneamente in base ai propri gusti: “Con lo sviluppo della sociazione umana, moviamo verso rapporti associativi tra elementi omogenei di cerchie eterogenee. In realtà, il numero di differenti cerchie cui l’individuo appartiene è, di fatto, una delle pietre miliari della cultura. Nel mondo moderno ogni individuo partecipa, nel corso del suo sviluppo biografico a cerchie sociali sempre più diverse, da quella della famiglia, dei genitori, a cerchie più ampie, quali la nazionalità, così come quelle che si ricollegano al lavoro e al tempo libero. Alcune tra esse possono essere coordinate le une con le altre”94. Oggi, non è solo il lavoro o l’ambiente familiare che crea nuove reti di contatto, bensì tutte le attività che contribuiscono a rendere il soggetto un essere sociale. La capacità, che l’individuo ha sviluppato negli anni, è quella di legarsi a numerose cerchie, anche distanti, sia nel tempo sia nello spazio, ognuna delle quali con uno spirito diverso: c’è il gruppo cui appartiene per religione, quello cui appartiene condivide passioni, divertimenti, insomma una vera e propria scissione tra la sfera sociale e quella personale: “Si creano così nuove cerchie di contatto, le quali intersecano con gli angoli più svariati quelle precedenti, relativamente più naturali e tenute insieme da relazioni più sensibili”95. L’associazione tra più persone, naturalmente, ha la stessa struttura delle relazioni occasionali: c’è un’azione reciproca di scambio che influenza la successiva e che, a sua volta, è stata provocata da un’altra relazione, una reazione, per così dire, a catena. La differenza, semmai, è derivata dalla qualità alla base delle cerchie sociali, che sta cambiando i tempi e i modi delle unioni. Prima, forse a causa di una cultura chiusa e improntata a valori forti, gli uomini si riconoscevano membri dello stesso gruppo e condividevano degli interessi molto profondi: i legami sociali erano limitati alle persone che erano

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Frisby 1985, 97. Simmel 1998, 348; ed anche i più recenti studi di M. Maffesoli.

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vicine e con le quali si poteva avere un contatto fisico. Oggi, invece, è il fattore quantità a prendere il sopravvento sulla qualità delle relazioni. Il potenziamento della vita occidentale, che ha portato ad uno sviluppo sociale, economico, culturale, spinge l’individuo a contrarre rapporti con gli altri alla stessa velocità con cui ha la possibilità di frequentarli. Le numerose occasioni di contatto, frutto della società moderna, permettono al soggetto di comunicare con qualsiasi mezzo, a qualsiasi distanza si trovi: quest’aspetto, unito all’abilità che il soggetto stesso ha di potersi adattare con più facilità al modo di pensare degli altri, un passaggio, si potrebbe dire, da una dimensione egocentrica, ad una che comprende anche l’altro; unito ad una buona dose di superficialità, con la quale si riesce a comunicare con più persone. La crescita dei cerchi sociali corrisponde all’espansione dei conflitti: tanto più acuti saranno i contrasti, tanto più contraddittoria sarà la vita del singolo ma ancor più grande sarà la coscienza dell’unità96. La partecipazione ad una pluralità di cerchi contribuisce ad accrescere la consapevolezza del proprio io e del senso della propria libertà, ma è, nello stesso tempo, la condizione preliminare per la formazione di una personalità altamente segmentata ed individualistica, prodotto di processi sempre più personali97. Nel mondo moderno anche le forme di superiorità e di subordinazione assumono un nuovo carattere, il dominio è funzionalmente determinato, ha precisi limiti temporali e spaziali e non controlla tutta la personalità degli uomini; la divisione del lavoro comporta la specializzazione e la meccanizzazione delle funzioni ed accentua la burocratizzazione dell’organizzazione. L’intensa e multidirezionale comunicazione fra le strutture sociali è la caratteristica della modernità e di un sistema formativo integrato; tale dinamica è chiaramente messa in evidenza da questo schema elaborato da Sarracino (vedi. scheda a p. 299)98. Simmel sottolinea, con originalità, il passaggio dell’omogeneità all’eterogeneità, dall’uniformità all’individualizzazione, dalla solidarietà meccanica a quell’organica, dall’assimilazione attraverso attività ripetitive e rigide tradizioni alla

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Mongardini 1976, CLXX-CXCVI. Simmel 1983, 22-23. 98 Cfr. Sarracino 1985. 97

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partecipazione ad un mondo più vasto basato su impegni multiformi e libere scelte. Nella trasformazione dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft99, da una società che ostacolava lo sviluppo dell’individualità ad una che favorisce il sorgere dell’autonomia individuale, Simmel evidenzia l’ineliminabile dualismo che vive l’uomo moderno: partecipa al processo culturale e ne interiorizza i valori che, nello stesso tempo, minacciano di inghiottirlo e soggiogarlo. Così come Ortega sottolinea le dimensioni inseparabili della vita: il vivere comporta che l’io sia se stesso nella circostanza e non abbia altra soluzione che fare i conti con essa. Ma ciò impone una seconda dimensione che consiste nel non avere altra soluzione che verificare cosa la circostanza sia. Così vivere è un problema ma anche, nella seconda dimensione, un tentativo di risolverlo. Tra le forme d’interazione sociale Simmel approfondisce lo scambio economico100, analizzando tutte le relative trasformazioni avvenute nella realtà simbolico-culturale e nei rapporti umani. Quando le transazioni monetarie hanno sostituito le precedenti forme di baratto, si sono verificati mutamenti significativi nei rapporti tra gli attori sociali. Ne La filosofia del denaro Simmel sostiene che il denaro è suscettibile di una divisione e di una manipolazione precisa, rappresenta la forma più pura del-

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Tönnies descrive l’opposizione tra due tipi di società o di strutture: la Gemeinschaft (comunità)e la Gesellschaft (società). Nella Gemeinschaft la realtà sociale è piccola ed ha una struttura con poche regole formali, le relazioni tra gli individui sono prevalentemente affettive e sono dominanti quelle di parentela, le gerarchie e le distinzioni di status sono poche accentuate; la tradizione è oggetto di grande venerazione e il mutamento è considerato minaccioso e pericoloso. La Gemeinschaft è il prodotto della volontà organica che dà spontaneamente vita ai rapporti naturali della famiglia e della vita comunitaria, fondati su legami sentimentali e su valori profondi e la forte coesione tra i soggetti si basa sulle relazioni personali. Nella Gesellschaft la realtà sociale è di grandi dimensioni, le relazioni interindividuali sono impersonali e rette da regole formali, le distinzioni di status sono rilevanti e la divisione del lavoro è complessa; la tradizione ha un ruolo poco importante, mentre il mutamento è considerato desiderabile ed essenziale. La Gesellschaft è il prodotto della volontà arbitraria e della riflessione intellettuale, i rapporti sociali sono organizzati in base a leggi e contratti e la convivenza s’ispira alla visione razionalistica e ai bisogni utilitaristici degli individui. Quest’opposizione tra Gemeinschaft e Gesellschaft rispecchia, così, la distinzione classica tra società tradizionale e società moderna. Boudon 1984, 118-119; Aa. Vv. 1985, 1158-1159. 100 Mongardini 1976, CXIV-CXVIII; Coser 1997, 236-237; Crespi 1996, 42-43; Izzo 1994, 162-167; Bianchi, cit.

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 297

l’interazione in quanto prescinde dai contenuti, è impersonale ed attribuisce la misura esatta degli equivalenti e favorisce, così, lo sviluppo della razionalizzazione e del calcolo logico nelle vicende umane. Il denaro, con il suo carattere simbolico, è diventato il legame prevalente tra gli uomini: le relazioni personali basate sui sentimenti, sui legami di parentela e di fedeltà, sono sostituite da quelle impersonali che sono limitate da interessi utilitaristici per il raggiungimento di specifici obiettivi razionali, che favoriscono lo sviluppo di un carattere anonimo ed accentuano la differenziazione sociale. Si livellano, così, le differenze qualitative tra le persone e le cose e si rendono misurabili e calcolabili anche i rapporti sociali. Da un lato il denaro favorisce lo sviluppo dell’individualismo, delle libertà personali e dell’astrazione intellettuale, ma dall’altro determina l’oggettivazione dei rapporti umani e degli stili di vita, l’eliminazione di ogni intervento creativo ed originale degli uomini. Al di là delle sue funzioni economiche è un mezzo di scambio e un metro di valutazione che simbolizza ed incorpora lo spirito moderno della razionalità e dell’impersonalità. Sotto la sua egida il mondo moderno del calcolo e dell’astrazione ha prevalso nettamente sulla vecchia concezione del mondo che accordava la supremazia ai sentimenti e all’immaginazione101. Simmel riprende la concezione marxista secondo la quale ogni processo culturale, ponendosi come entità autonoma, rende sempre più difficile la partecipazione e il completo coinvolgimento dell’individuo. Scambio ed interazione stanno, dunque, alla base di ogni significato e di ogni valore sia nel mondo delle idee sia in quello degli oggetti102. Con un sentimento di incombente rovina Simmel predice, riprendendo le parole di Weber, la gabbia del futuro: in cui gli individui saranno congelati in determinate funzioni sociali e in cui il prezzo della perfezione oggettiva del mondo sarà l’atrofia dell’animo umano. La multiforme e complessa opera di Ortega si pone, in qualche misura, come si è tentato di dimostrare in queste pagine, in linea consequenziale rispetto al pensiero di Simmel, nel superamento della presunzione positivistica di poter delimitare il senso del non senso.

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Bianchi, cit. Izzo 1994, 163; Giuliano, cit.

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La fede nella ragione ha sopportato i cambiamenti più ‘scandalosi’, l’aggettivo è di Ortega, delle sue teorie: “Questi ultimi hanno senz’altro influito sulla forma di quella fede, ma questo continua ad agire imperterrita sotto diverse vesti”103. Ambedue, Simmel e Ortega, hanno svelato il rapporto dell’attore sociale con le idee che non sono realtà “ma proprio e soltanto […] idee”104.

103 104

Ortega y Gasset 1983, 249. Ivi, 250.

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CITTÀ

LUOGO DI

SCUOLA

VICINATO

ASSOCIAZIONI

GRUPPO

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300 | Maria Caterina Federici

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Josè Ortega y Gasset e Georg Simmel: uno sguardo curioso | 301 Ortega y Gasset J. (1941), Apuntes sobre el pensamento su teurgia y demiurgica, V, in Obras completas, Alianza Editorial: Revista de Occidente, Madrid. Ortega y Gasset J. (1947a), La idea de principio in Leibniz y la evolucion de la teoria deductiva, in Obras completas, Alianza Editorial: Revista de Occidente, Madrid. Ortega y Gasset J. (1947b), Il tema del nostro tempo, a cura di S. Solmi, Rosa & Ballo, Milano. Ortega y Gasset J. (1959), La rebelion de las masas (1930), Revista de Occidente, Madrid. Ortega y Gasset J. (1962), La ribellione delle masse, il Mulino, Bologna. Ortega y Gasset J. (1978a), L’uomo e la gente, Giuffrè, Milano. Ortega y Gasset J. (1978b), Una interpretazione della storia universale, pref. di L. Infantino, SugarCo, Milano. Ortega y Gasset J. (1983a), Storia e sociologia, intr. di L. Infantino, Liguori, Napoli. Ortega y Gasset J. (1983b), Aurora della ragione storica, SugarCo, Milano. Ortega y Gasset J. (1985), Il tema del nostro tempo, SugarCo, Milano. Ortega y Gasset J. (1990), Meditaciones del Quijote, edicion de J. Marias, Catedra, Madrid. Ortega y Gasset J. (1994), Meditazioni sulla felicità, intr. di D. Angeri, SugarCo, Milano. Ortega y Gasset J. (1996), Meditaction de nuestro tiempo: las conferencias de Buenos Aires, 1916 y 1928, Fondo de cultura economica de Espana, Madrid. Sarracino V. (1985), Il sistema formativo integrato, IRRSAE, Isernia. Simmel G. (1907), Schopenhauer und Nietzsche. Ein Vortragzyklus, Duncker & Humblot, Leipzig. Simmel G. (1918), Lebensanschauung. Vier metaphysische Kapitel, Duncker & Humblot, München-Leipzig. Simmel G. (1923), Schopenhauer e Nietzsche (Schopenhauer und Nietzsche. Ein Vortragszyklus, 1907), trad. parziale e pref. di G. Perticone, Paravia, Torino. Simmel G. (1927), Frammento sull’amore (Fragmente über die Liebe. Aus dem Nachlass Georg Simmel, in “Logos” X, 1, 1921), tr. it. e cura di E. Sola, Athena, Milano. Simmel G. (1938), Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici (Lebensanschauung. Vier metaphysische Kapitel, 1918), con una nota introduttiva di A. Banfi, Bompiani, Milano. Simmel G. (1968), L’etica e i problemi della cultura moderna (Georg Simmel Vorlesung «Ethik und Probleme der modernen Kultur», 1913), tr. it. di P. Pozzan e intr. di G. Calabrò, Guida, Napoli. Simmel G. (1972), L’etica I problemi fondamentali della filosofia (Hauptprobleme der Philosophie, 1910), trad. e intr. di A. Banfi, con la prefazione di F. Papi, ILI, Milano. Simmel G. (1976), Il conflitto della cultura moderna (Der Konflikt der modernen Kultur. Ein Vortrag, 1918), a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma.

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Raffaele Federici Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici: Georg Simmel

«Dunque l’uomo è spinto, condizionato, anche dall’ambiente economico in cui vive a rapportarsi con i propri simili utilizzando l’intelletto anziché il cuore». Georg Simmel

Lo studio delle relazioni sociali fra gli attori, intesi come individui o specie animali, piccoli gruppi od organizzazioni o corporazioni economiche, classi sociali, territori, nazioni o alleanze o coalizioni politiche, economiche e militari, è un aspetto fondamentale dello studio e della ricerca delle scienze sociali. In tale prospettiva, l’osservazione nel mondo delle Reti è adottare una metodologia di studio affascinante intorno alla realtà umana e sembra permettere la conoscenza di nuovi e significativi aspetti. Le Reti rappresentano un complesso universo in continuo movimento dove emergono alcune fondamentali, nuove e complesse configurazioni. Non è un caso che, in campi disciplinari diversi, dalla biologia alle scienze sociali, i ricercatori hanno sempre cercato di comprendere l’impatto delle Reti nella vita e nei modelli sociali. L’analisi dei social networks può essere definita come la disciplina che studia, in modelli, le relazioni di Rete fra gli attori sociali, cosi come i modelli di relazioni fra gli attori sociali a diversi livelli, come persone e gruppi aggregati nelle diverse socialità o da altre reti individuabili nel territorio, siano esse costituite in forme materiali o immateriali. Nella sua rappresentazione più semplice una Rete è costituita da una unità, chiamata nodo, e dalle relazioni che la uniscono, definibili legami. I nodi sono le persone o gli insiemi di esseri umani. La Rete è, per definizione, ancorata alla struttura atomica elementare dell’insieme e del sistema di riferimento: l’individuo nella società. Per analogia concettuale, quando una rete di computer connette individui o organizzazioni, istituzioni vi è un network virtuale. Un network virtuale di computer è un sistema di macchine connesse grazie ad un complesso sistema di comunicazione in cui individui, organizzazioni o altre entità sociali ed economiche sono in

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304 | Raffaele Federici

relazione. Le relazioni sono qualificate in base ai contenuti socio-culturali, alla loro intensità ed alla loro frequenza e durata di scambio. I legami possono essere reciproci, simmetrici, di tipo multiplexe (per più contenuti) ed uniplexe (un solo contenuto). Internet è contestualmente una struttura sociale ed un sistema di reti strutturate. Il concetto di network è complementare a quello di struttura, vi è la presenza delle due dimensioni: la macrodimensione, relativa alla struttura, e la microdimensione relativa alla rete1. Le Reti, in termini assoluti, non hanno frontiere; in sostanza il campo di studio sembra essere definito in funzione dello stadio, dello sviluppo e della configurazione, ovvero Rete riferibile ad un sistema dato. In tale prospettiva, l’originalità delle nuove concezioni di identità ed interazione è relativa ai nuovi punti delle geometrie dello spazio sociale2. Ogni scambio informativo è una forma di interazione sociale e la Rete è dunque un luogo di innumerevoli e complesse relazioni sociali. Lo studio delle reti in termini di sociabilità è quindi possibile anche attraverso i cosiddetti territori virtuali, le reti delle comunità virtuali, le reti informatiche di scambio del sapere, le reti organizzative di impresa come, ad esempio, l’Intranet o l’Extranet. All’interno di questi territori si nascondono delle organizzazioni sociali determinate dalla specificità delle reti informatiche che possono costituire reti di scambio e di conoscenza, reti interpersonali e fra organizzazioni. Nelle relazioni fra attori sociali è opportuno riflettere intorno ad alcuni aspetti che hanno caratterizzato la diffusione, la ricezione, lo scambio e l’ibridazione in Internet nelle relazioni sociali. Lo sviluppo in Internet, la Rete delle Reti, di gruppi di discussione organizzati, in maniera reciproca e simmetrica e di tipo sia multiplexe sia uniplexe, apre alla sociologia della interazione un campo di studio significativo, sfruttando il fenomeno della retroazione (feedback) positiva di tutti i networks. Tra i diversi, nuovi, sistemi e spazi di comunicazione le Reti virtuali e le espressioni ivi comprese, come le comunità elettroniche o digitali, sospese nella concretezza di hardware complessi e nella metafisica del silenzio di sofisticati software, spesso condivisi e comunque condivisibili, costituiscono un oggetto di analisi privilegiato in ragione della loro forma organizzativa e strutturale. Per identificare in un modello di analisi critico, da un punto di vista sociologico, un fenomeno complesso ed in rapida e continua evoluzione come In1 2

Collins 1992. Borsari 1993; Simmel 1998.

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 305

ternet e le espressioni contenute, ultima espressione di ecumenopolis, sembra utile assumere come guida il sapere dei classici. In tale prospettiva alcuni autori, come Featherstone3, hanno già opportunamente richiamato l’attenzione intorno ad alcuni significativi aspetti del pensiero di Georg Simmel. In particolare, le riflessioni sociologiche formulate dall’Autore, possono essere viste in relazione ai tempi ed ai problemi posti nello scambio, nell’interazione, nelle nuove creatività e nella disponibilità dei materiali e documenti presenti nel Web, fornendo nuove ed importanti chiavi interpretative. L’impianto sociologico contenuto nel breve saggio di Simmel, Metropoli e personalità4, è significativo nella individuazione di alcuni caratteri essenziali della metropoli offrendo così un modello interpretativo funzionale relativamente anche ad alcuni fenomeni di Rete virtuale di estremo interesse ed attualità. Simmel, capostipite del filone teorico formalista europeo, ha descritto con minuziosità e precisione le dinamiche dei gruppi sociali e dei fenomeni associativi, individuando come alla base della società vi sia il risultato finale di un complesso intreccio fra relazioni poste in essere dagli individui nel loro costante rapporto di interazione, introducendo la nozione, precedentemente e brevemente indicata, di “sociabilità”, intesa come l’insieme delle relazioni che un individuo o un gruppo di individui hanno con un altro. L’Autore fornisce quindi degli elementi fondamentali di analisi: ogni aspetto della realtà ha una molteplicità di connessioni e di relazioni e, di conseguenza, l’osservazione sociologica è in grado di selezionare solo alcuni degli aspetti della complessità di un fenomeno. In particolare, nel fondamentale lavoro Metropoli e personalità, Simmel individua alcuni caratteri essenziali della metropoli e delle interazioni sociali che in essa si verificano e confronta quanto osservato con i modelli tradizionali di una piccola città. In particolare, le due caratteristiche ed osservazioni ricercate dall’Autore sono, essenzialmente, di tipo neuro-piscologico e di carattere economico. Ancora nella stessa direzione sono le osservazioni di Simmel intorno alle grandi esposizioni commerciali della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX; in questo contesto, le principali offerte dello sviluppo e la loro differenziazione rappresentano il compendio della cultura moderna, quello che avviene nor-

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Featherstone 2000. Wolf 1950; Simmel 1964; Id. 1971; Mongardini 1976.

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malmente in ogni desktop collegato in Rete, soprattutto nella navigazione all’interno dei portali di tipo comparativo. L’analisi simmeliana sembra precorrere i tempi, toccando temi che sono oggi di grande interesse ed attualità, dall’influenza delle strutture e reti reali o virtuali sulla personalità del cittadino, al rapporto fra sfera pubblica e privata in tali strutture, all’analisi del concetto di libertà all’accesso all’informazione. Simmel affermava che nella metropoli si garantisce agli individui una libertà personale che non trova eguali nei modelli di comunità precedenti considerando, nello stesso tempo, che vi sono due caratteristiche essenziali: il sempre più accentuato intellettualismo, una vera realtà fisica, ed il predominio dell’economia monetaria. Molte cose in questi ultimi due secoli sono cambiate nelle complesse dinamiche delle società industrializzate. Il fulcro della fabbrica, motore della crescita e della realizzazione della metropoli, non esiste più e l’avvento dell’era digitale ha modificato il ruolo delle metropoli e del senso di relazioni sociali esistenti. Tuutavia la città continua ad essere un mondo estremamente potente5, ma vi si modificano le strutture e le relazioni individuali e di comunità, anche grazie all’amplificazione dei fenomeni di iperconnettività. Le città sono diventate luoghi in cui le reti planetarie (di trasporti, di comunicazione e scambio informativo, di entertainment, di formazione, di commercio, di finanza) concentrano i propri nodi per realizzare connessioni iper-veloci e sinergie reciproche. Le comunità, comunque intese ed espresse, rappresentano un aspetto di fondamentale rilevanza nella vita delle persone. La significativa novità delle nuove comunità è il sistema di trasmissione, sia in termini qualitativi sia in termini quantitativi, poiché non solo non è più necessario alcuno spostamento ma, virtualmente, possono essere trasmesse quantità impressionanti di informazioni, immagini o dati. Quanto più vi è facilità nell’organizzare i sistemi tanto più è rapido il loro sviluppo. Il processo strutturale aggregato alla comunità è la comunicazione, comunque espressa, senza la comunicazione non si può far nulla per organizzare le relazioni sociali: “Il punto di partenza di ogni struttura sociale è l’interazione fra individuo ed individuo”6.

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Williams 1975. Simmel 1900.

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I rapporti di interazione tra gli individui si fondano in diverse modalità ed intorno alle più diverse motivazioni costituite da volontà, interesse, impulsi o condizionamenti. La società è il risultato di queste complesse relazioni poste in essere tra gli individui nel loro costante rapporto di interazione. La comunicazione mondiale on-line mediata attraverso computer o da reti complesse di computer rappresenta, per gli individui, uno dei modi di relazionarsi ed, allo stesso tempo, un aggregato di comunità, probabilmente espressione del proliferare della complessità e della modalità della stratificazione sociale in quantità e velocità. Inoltre, la cybercultura e le sue diverse espressioni o ramificazioni caratterizza la vita quotidiana come un vero riflesso della nostra società che diviene, sempre di più, legata al complesso sistema di comunicazione, compreso fra individui, organizzazioni e macchine dedicate all’informatica. Il fenomeno delle nuove comunicazioni globali contiene quindi, fra gli altri, una accelerazione nelle osservazioni di carattere neuro-psicologico, dato dal maggior numero di stimoli e dal rapido susseguirsi di immagini, anche in formati multimediali, e lo spostamento della piazza finanziaria dalla metropoli alla Rete. Poiché l’oggetto specifico della sociologia risiede nella descrizione e nella analisi delle forme particolari dell’interazione umana e della cristallizzazione in gruppi distinti, Simmel considerò l’applicazione di questa metodologia di indagine sociologica anche alle strutture più ampie e concentrò la sua attenzione intorno a quelle che definiva le interazioni fra gli atomi della società, senza però definire un concetto di spazio a priori. Del resto, non tutte le città sanno rispondere allo stesso modo agli stimoli derivanti dalla interfaccia fra le risorse potenziali, proprie di ogni milieu urbano, la Rete sociale caratteristica e le Reti globali. Il processo storico, già individuato da Simmel, è costruito attraverso un criterio di tipo evoluzionistico, in cui viene individuato il concetto di ritmi diversi ai quali è sottoposta l’esistenza umana nel corso delle varie epoche. Il nostro accenna al passaggio ad un ritmo veloce, che ha la sua causa “nell’intensificazione delle stimolazioni nervose che derivano dai rapidi ed ininterrotti mutamenti degli stimoli interni ed esterni”7. La tecnologia sembra essere un elemento fondamentale, un fattore determinante del cambiamento sociale. Ma la tecnologia sembra anche contenere e

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Simmel 1968.

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prevedere un ulteriore caso della blasè attitude di Simmel, come recentemente osservato da Tester8 in relazione alla capacità di discriminazione individuale. Le società evolvono attraverso un complesso sistema di interazione in cui anche i fattori tecnologici assumono un valore essenziale non solo strumentale. Se le Reti locali sono poco connesse, la città non riesce ad avere più un proprio, caratteristico comportamento, se sono connesse in modalità funzionali anche il ritmo e le stimolazioni conseguenti saranno immediatamente recepite ed ulteriormente accelerate. È opportuno, seppur brevemente, tracciare il recente percorso storico delle moderne Reti di connessione e di comunicazione. La nascita dei nuovi sistemi può essere indicata nell’anno 1957 quando il governo degli Stati Uniti dette vita alla Advanced Research Projects Agency (ARPA) – Agenzia per i Progetti di Ricerca Avanzata –, un dipartimento di sviluppo del Ministero della Difesa incaricato di mantenere la leadership americana nel campo della scienza e della tecnologia militare. Il progetto era nato a margine del violento shock provocato dall’invio oltre l’atmosfera della prima navicella spaziale Sputnik da parte dell’Unione Sovietica. Questo evento rappresentò una sostanziale minaccia in termini di sviluppo tecnologico e, quindi, anche militare. Poco più di dieci anni dopo, nel 1969, l’ARPA si trasformò in ARPANET, il precursore di Internet. Nel 1969, con un contratto l’ARPA collegò una serie di grandi computer nelle università del sud-ovest degli Stati Uniti (UCLA, Stanford Research Institute, UCSB, e University of Utah). Il contratto e le ricerche collegate erano stati implementati dal BBN di Cambridge (Massachussets) e andò in rete nel dicembre 1969. Nel giugno 1970 si aggiunsero il MIT, la Harvard University, la BBN e la Systems Development Corporation (SDC) di Santa Monica, California. Nel gennaio del 1971 si collegarono al sistema l’Università di Stanford, la Carnegie-Mellon e la Case-Western Reserve; dopo pochi mesi si unirono al progetto anche la NASA/Ames, il Mitre, la RAND e l’Università dell’Illinois. Internet intendeva costituire un’efficiente Rete di comunicazione che potesse funzionare anche nel caso in cui alcuni dei siti fossero stati distrutti da un eventuale attacco nucleare; se la via più diretta non fosse stata disponibile, degli appositi dispositivi avrebbero deviato, istradato, il traffico della Rete lungo vie alternative. Questo aspetto è di assoluto rilievo ai fini dell’indagine sociologica poiché, per la prima volta, una Rete adotta un modello di tipo ricom8

Tester 1997.

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 309

binante. All’inizio Internet era usato da esperti di informatica, tecnici e scienziati, non era affatto facile da usare poiché a quei tempi non c’erano i personal computer nelle configurazioni attuali, e chiunque lo usasse, professionista, tecnico o scienziato che fosse, si trovava a che fare con un sistema molto complesso. Internet si è successivamente evoluto nel 1973 quando si adottò il famoso protocollo TCP/IP, (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) un metodo che permetteva ai computer di comunicare l’uno con l’altro in un sistema configurato end-to-end. Nel 1980 il protocollo venne adottato dal Ministero della difesa degli Stati Uniti e nel 1983 dagli altri operatori istituzionali. Un altro protocollo – Unix (Unix Copy Protocol) – venne realizzato nel 1978 presso i laboratori di ricerca della società Bell. Usenet ebbe inizio nel 1979 sulla base dell’UUCP, una delle reti più utilizzate, un complesso sistema di newsgroup – ovvero di gruppi di discussione organizzati sulla base dello scambio – dove l’interazione può essere fatta in tempo reale, fatto salvo un modesto intervallo temporale. Seguì poi lo sviluppo dei diversi newsgroup. Sebbene Usenet non sia considerato da un punto di vista tecnico parte di Internet, poiché non fa uso del TCP/IP, di fatto il sistema ha permesso la connessione dei sistemi Unix in tutto il mondo, e molti siti Internet hanno tratto vantaggio dalla disponibilità immediata dei newsgroup. Si trattò di una parte significativa nella formazione organizzativa della interattività delle comunità delle reti in cui nessuna autorità centrale è in grado di filtrare le informazioni scambiate. Analogamente, BITNET (Because It’s Time to Net-work), a partire dal 1981 ha connesso le mainframe IBM della comunità scolastica e del mondo per la fornitura di un servizio di posta. Il software Listserv venne sviluppato appositamente per questo network e successivamente per altri. Per collegare BITNET a Internet vennero sviluppati dei gateway che permettevano lo scambio di email, in particolare, per i gruppi di discussione. Questi listservs, insieme ad altre forme di gruppi di discussione via e-mail hanno costituito un altro degli elementi essenziali, da un punto di vista tecnico organizzativo, nella formazione di una comunità. Con la standardizzazione dei comandi per posta elettronica, FTP e Telnet divenne facile, anche per i non-tecnici, imparare ad utilizzare le Reti. Secondo gli standard attuali non si era ancora in una configurazione semplice, ma l’uso di Internet si allargò a moltissimi utenti, in particolare nelle Università e nei laboratori di ricerca. Oltre a quelli di informatica, fisica e tecnologia, anche altri dipartimenti scientifici trovarono il modo di fare buon uso delle reti, per comunicare con i colleghi di tutto il mondo e condividere file, esperienze e risorse. Le biblioteche e gli archivi istituzionali che avevano

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progressivamente informatizzato i propri cataloghi andarono ancora più in avanti, rendendo tali cataloghi disponibili in tutto il mondo. Mentre il numero di siti Internet era basso, era abbastanza facile tenere conto delle risorse di interesse disponibili. Con il crescere del numero di Università, di istituti di ricerca e sviluppo e di organizzazioni che si connettevano, Internet diventava più difficile da controllare, cresceva sempre più la necessità di strumenti per tenere nota delle risorse disponibili. Nel 1991, presso l’Università del Minnesota venne creata la prima interfaccia facile per Internet. Questa Università voleva sviluppare un semplice sistema di menu per accedere ai file e alle informazioni del campus attraverso la propria rete locale. Delphi è stato il primo servizio commerciale on-line nazionale in grado di offrire l’accesso di Internet ai propri iscritti. Nel 1992 nasce poi il WWW (World Wide Web) formalmente realizzato dal Centro Europeo di Ricerca Nucleare in Svizzera che permetteva, per la prima volta, l’uso dell’Hypermedia per testi ed immagini. Lo sviluppo commerciale e di marketing della società Microsoft e la sua improvvisa accelerazione nel mercato dei browser, server, e Internet service provider ha completato lo spostamento verso un Internet a base commerciale in una architettura semplice in cui vale il principio della funzionalità e socialità. Il decentrare i carichi, elaborare i dati solo agli estremi rende più flessibile e meno ridondante il sistema seguendo il principio che se un percorso è inaccessibile ce ne sono altri alternativi. L’avvento di Internet, nel suo rapido percorso, ha cambiato la percezione dei concetti tradizionali di riferimento. Nella Rete gli attori, le relazioni e gli oggetti sono, nello stesso tempo, vincolati e liberi. Le Reti si strutturano continuamente nei campi di esperienza ed ambiti relazionali in cui gli oggetti e soggetti sono, spesso, sottratti ad un controllo centrale. Se la Rete delle Reti sembra essere un buon esempio, è opportuno tenere conto del fattore tecnologia; infatti Internet non risulta essere solo una protesi artificiale del corpo umano, ma è un elemento intimo rappresentativo della intelligenza, vi è la persistenza di una informazione continua di tipo confessionale elaborata agli estremi. L’incredibile implementazione di questo progetto offre, oggi, la percezione di essere effettivamente circondati da una infinità di documenti che, per loro natura, non sono insignificanti, ma fondamentalmente neppure significativi, perché l’uomo non è nella condizione di poter assimilare ogni singolo contenuto. Questa espansione non è centralizzata ma avviene negli estremi della Rete. Il labirinto in continua espansione delle Reti informatiche, come le grandi biblioteche nazionali, è uno spazio esplorabile ma non percorribile nella loro

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 311

totalità. Inoltre, rispetto all’accessibilità condizionata degli spazi sociali, economici e culturali tradizionali, la Rete ed il cyberspazio offre un sistema open del tutto ibridabile e condivisibile in cui si registra un sovraccarico culturale in cui omnia habentes nihil possidentes9. Il problema di eccesso di informazioni e dati non è limitato a coloro che per mestiere producono o mediano mezzi economici e di informazione; è un problema generalizzato nelle società in cui insiste un alto tasso di tecnologia informativa. La componente tecnologica, data dalla diffusione di massa dei personal computer e dalla realizzazione del World Wide Web, è un elemento della intelligenza e del fare socio-culturale degli esseri umani che sposta l’attenzione verso l’informazione complessa e con una significativa attribuzione di caos, in senso assoluto. La information overload era stata già individuata da Simmel già nei primi anni del XX secolo, avendo avvertito il disagio provocato dagli individui urbanizzati nelle grandi metropoli: “Perciò colui che vede senza udire è molto più confuso, perplesso, inquieto di colui che ode senza vedere. In questo fatto deve risiedere un elemento significativo per la sociologia della grande città. Il traffico che vi si svolge, confrontato con quello della piccola città, mostra una preponderanza smisurata del vedere sull’udire gli altri. […] La maggiore enigmaticità testé accennata dell’uomo che viene soltanto visto rispetto a quello che viene udito contribuisce certamente a causa dello spostamento che abbiamo menzionato, alla problematica del moderno sentimento della vita, al disorientamento della vita collettiva, al senso di isolamento e di essere circondati da tutti i lati da porte chiuse”10. Ancora Simmel, nel 1911, individuava in Concetto e tragedia della cultura11, alcuni aspetti relativi all’effettivo sovraccarico cognitivo, alla frammentazione e alla perdita di centro, al disorientamento, alla percezione di una cultura del consumo in espansione. Sempre Simmel identificava un altro elemento fondamentale, ovvero la perdita del soggetto creatore, in cui l’unità culturale non ha più alcun produttore e non scaturisce da un soggetto spirituale. In effetti, questo processo culturale è oggi ben rappresentato dalle forme di ibridazione, di shareware, di scambio peer to peer o di modelli basati su sistemi open source, oppure nei modelli di lavoro che permettono di vivere in un luogo e lavorare in un altro. Il nucleo propulsore tradizionale della fabbrica si sta rapidamente

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Simmel 1976. Simmel 1998. 11 Simmel 1976. 10

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dissolvendo nei mille canali della mondializzazione componendosi nelle nuove periferie del mondo. L’era digitale trasforma il tempo e lo spazio creando il nuovo mondo del cyberspazio, ovvero un mondo dove la realtà geografica è l’intero pianeta accessibile attraverso computer situati nelle case, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, attraverso le reti locali o attraverso enti ed istituzioni. Inoltre il cyberspazio è utilizzato come luogo di aggregazione con confini poco segnati in cui lo spazio fra capitale globale ed economie marginali, fra sistemi standardizzati e tribali, fra individui integrati e quelli alla periferia, fra asettici shopping mall e suk, non è più complementare ma contestuale. Gli sviluppi degli elementi culturali e di scambio delle relazioni sociali hanno così dato origine ad un territorio sociale completamente nuovo in cui l’insieme dei prodotti culturali ed economici diventano forme autonome ed estranee rispetto al momento creativo e produttivo originario. Mille comunità unite e condivisibili ed allo stesso tempo lontane. Il grado di complessità risulta essere elevatissimo come diversi sono i gradi di “casta” disponibili alla consultazione o alla comunicazione con il rischio di una degenerazione della struttura sociale di riferimento. Le comunità virtuali presenti all’interno della rete cambiano continuamente aspetto ed alcune, non necessariamente le più importanti, diventano chiuse, non più accessibili liberamente, formando così dei cluster di casta. In realtà, all’origine dello sviluppo delle reti informatiche e della loro interconnessione sta la rivoluzione dell’efficienza (keep it simple, scelte modulari) e la ricerca di una forza produttiva non più basata sulla materia o l’energia. I moderni sistemi economici-produttivi hanno cambiato le modalità di acquisto/approvvigionamento, di produzione, di distribuzione, di scambio, nella costante ricerca di una maggiore efficienza produttivo/logistica ed economico finanziaria, di nuovi vantaggi competitivi, spesso anche portatori di una nuova e significativa conflittualità sociale, di disorientamento della fiducia. I sistemi economici, sempre più aperti e meno protetti, hanno sostenuto, involontariamente, la creazione di comunità virtuali in cui anche la divisione del lavoro cambia la sua identità. La concentrazione nella ricerca di nuove capacità competitive porta alla specializzazione poiché la concentrazione virtuale di individui e delle loro esperienze porta alla loro lotta con il fine di conquistare una propria individualità emergendo sugli altri. Nelle comunità virtuali questi elementi sono in continua relazione. Il Web non è evidentemente solo la rappresentazione di culture, di merci, di servizi, di esperienze, è un vero aggregato continuo di comunità e di mercati in cui gli individui si intrattengono, in una esperienza di individualità

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 313

solitaria non umana, fra il singolo individuo, i gruppi di individui e la potenza collettiva. Il luogo non luogo della Rete è uno spazio dove gli individui si intrattengono in maniera individuale o di gruppo scambiando ed ibridando le esperienze umane, non è solo computer-mediated communication. In questo nuovo contesto sociale alcuni importanti concetti dovrebbero essere analizzati ovvero: densità, velocità, clustering, multiplexity ed intensità. La densità è la estensione del numero di links al numero di links possibili. La velocità è rappresentata dal sistema di connessione e dal processore disponibile nella configurazione hardware; la Rete è oggi disponibile nell’intero pianeta ma non è utilizzabile allo stesso modo qualitativamente e quantitativamente a causa dei diversi sistemi di connessione che dipendono da sistemi di comunicazione telefonica localmente disponibili spesso di tipo tradizionale-analogico. Il clustering è la vastità/possibilità con cui il totale dei net-work può essere diviso in gruppi distinti. La multiplexity è il numero delle relazioni possibili da un dato link (per esempio il totale dei modi con cui due individui si possono conoscere). L’intensità è la familiarità delle relazioni come rappresentate da un grado di impegni in un link. Questo nuovo spazio mette in continua relazione non complementare le culture dominanti e le culture minoritarie o di tipo underground, la cultura del pubblico e del privato, la sicurezza ed il controllo e sistemi liberi, l’hacker ed il cracker, l’opportunità ed il rischio, la solidarietà e l’autorità, il lavoro tradizionale e le forme innovative come il tele-lavoro, l’e-learning, l’educazione tradizionale e quella on-line, il tutto in ambienti sempre più semplici in cui domina la soft-boiled egg-rule, principio in base al quale nessun software dovrebbe essere più complesso da utilizzare che non i tre minuti necessari per preparare un uovo à la coque. Queste relazioni possono essere più o meno liberali; in ogni caso questo spazio virtuale creato dalla disponibilità delle interconnessioni delle reti informatiche in continuo sviluppo, dà vita ad espressioni diverse dalle originarie, siano esse di tipo minorativo o dominante. L’ibridazione, la manipolazione e lo scambio danno origine ad un nuovo modello culturale la cui caratteristica più significativa è quella di essere costruito intorno a tipi diversi di cultura che differiscono, mutano continuamente, in cui i modelli non possono essere analizzati coeteris paribus. In altre parole, il nuovo modello culturale di riferimento contiene elementi contestuali di tutte le culture individuali; questi elementi sono indirizzati dalla loro origine verso

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una costruzione che contiene elementi e comportamenti prelevati, ibridati anche da altre culture. L’archetipo di questo modello sembra essere rappresentato dal film Blade Runner di Ridley Scott del 1982, in cui la società viene descritta come un luogo di scambio continuo di tipo orizzontale non organizzato, al limite del caos. In tale prospettiva, dal confronto fra i network, nella società digitale e nella società tradizionale emergono alcune osservazioni che permettono la spiegazione di alcuni fenomeni. La prima osservazione è di carattere psicologico. Nella Rete gli utilizzatori/ abitanti ricevono un ricco, eccessivo, insieme di stimoli che evolvono continuamente, immagini, suoni, dati, transazioni economiche affollano la mente dei frequentatori della Rete. Nel mondo di scambio tradizionale si ha un ritmo lento, il ritmo della vita, delle stagioni e delle immagini mentali; il tempo sembra scorrere più lentamente ed in maniera asincrona. La seconda osservazione è di carattere economico; la Rete è sede di un’economia virtuale in cui non vi è la condivisione classica fra il capitale, i mezzi di produzione ed il lavoro. Gli scambi sono regolati da flussi di danaro digitale e l’economia è dominata dalle borse, dai rating più o meno virtuali degli analisti o dai mercati o di investimento internazionale, i cui fondamentali non sempre sono collegati alle capitalizzazioni intese come modello di valutazione tradizionale. C’è molto istinto in questo tipo di approccio tecnologico, al di là delle espressioni tecniche e dei modelli econometrici di previsione. Vi sono almeno tre elementi interessanti nella espressione di economia nuova: 1) l’economia della conoscenza ed una maggiore intensità della nozione di intellettualità o di intellettualismo sofisticato; 2) la digitalizzazione dell’informazione; 3) l’effetto Rete ovvero la creazione di ulteriori vantaggi competitivi e la modifica del ciclo di vita e di utilizzo dei prodotti. Sono elementi non nuovi in termini economici e sociologici, ma l’uso in termini di elevata interattività e velocità sembra costituire una forte novità. Lo scambio avviene in termini di regolazione binaria, la matrice informatizzata domanda/risposta (0/1), cessa di esistere il concetto di valutazione patrimoniale classico, di scambio o di conoscenza diretta del luogo di produzione e successiva cessione per un determinato corrispettivo di un bene. La digitalizzazione di ogni informazione in bit ha la conseguenza di separare l’opera, il documento dal supporto fisico. La disponibilità e l’accessibilità della e dalla Rete anche nelle zone più remote del pianeta ha permesso lo scambio di esperienze artistiche e di conoscenze economiche permettendo la creazione di nuovi modelli non più identificabili come contaminati, ma nuove

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forme espressive in cui l’ibridazione, lo scambio fra cultura dominante e minoritaria, ha dato origine ad un processo in effetto rete di acculturazione infinita di tipo binario. La Rete è esternalità, è quindi esterna al ciclo produttivo classico. Inoltre la Rete risulta essere difficilmente censurabile, quindi l’influenza dell’autorità politica o gerarchica è meno evidente in relazione agli spazi della pratica sociale rispetto ai modelli tradizionali. È il simbolo della complessità della contemporaneità, non nel senso che risulta essere strutturalmente complessa ma nel nostro modo di concepirla e di rappresentarla. Internet è un modello complesso perché i suoi elementi interni sono o, meglio, possono essere legati fra di loro in molteplici piani. Il rovesciamento rispetto ai sistemi classici è radicale: l’industria si dota di strutture per fabbricare dei prodotti standardizzati con l’obiettivo di ottimizzare i costi di esercizio. La società economica digitale ha, o tenta di avere, costi di produzione o distribuzione via via sempre più ridotti e compete non già sul solo costo di produzione ma sulla capacità di fare e partecipare al network. L’Internet social network non è diverso o opposto a quello di società contemporanea ma ne è la fedele, più veloce, esasperata e probabilmente meno dominata, almeno in questa fase, rappresentazione. Anne Beamish definiva nel 1995 la Rete come “virtual or on-line communities refers to group of people who congregate electronically to discuss specific topics which range from academics researches to hobbies. They are linked by a common interest or profession. There are no geographic boundaries to on-line communities and participants anywhere in the world can participate”12. Gli elementi di questa definizione sono: (a) il mezzo di comunicazione mediata elettronicamente condivisibile da tutti gli attori; (b) l’informazione comunitaria; (c) la discussione in base a tematiche di interesse dei partecipanti; (d) l’assoluta irrilevanza della località geografica in cui ogni persona si trova. Questa definizione non è però completa poiché non contempla alcuni elementi che superano la comunicazione, l’informazione comunitaria, la discussione e la irrilevanza geografica e lo spazio temporale, ovvero non si considera la possibilità di creare, modificare, ibridare documenti, file, software e dare origine a relazioni diverse senza alcuna istintiva socievolezza. Le macchine sono oggi in grado di scambiarsi documenti prodotti da individui in maniera autonoma o inconsapevole. Vi è un ulteriore elemento di fondamentale differenziazione, ovvero il tipo di connessione ed elaborazione per accedere alle informazioni e una considerazione relativamente al senso di appartenenza che si sviluppa. Oltre alle differenziazioni tecniche 12

Beamish 1995.

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(velocità di accesso e capacità di elaborazione), che sono comunque elementi di stabilità delle comunità, è opportuno considerare che l’identità gioca un ruolo chiave nelle comunità virtuali della Rete. Nella comunicazione tradizionale l’identità dell’individuo con cui stiamo scambiando una comunicazione è essenziale per la comprensione, la valutazione e la interazione. Nelle comunità virtuali l’identità è ambigua, non c’è più la norma “one body, one identity”. Il mondo virtuale è diverso ed è sostanzialmente composto di informazione senza corpo; le informazioni si diffondono e non c’è una identità certa della informazione. Gli abitanti di questo mondo sono evidentemente liberi di assumere una qualsivoglia identità e si possono ottenere e gestire tante electronica personas in base al tempo ed all’energia disponibile. Gli uomini partecipano nei contesti per una diversità di ragioni in cui però l’elemento comune è quello di avere un sistema di valori ed ideali condiviso, un sistema organizzato condiviso. La domanda è se è ancora realmente necessaria la presenza fisica perché si sviluppi l’identificazione emotiva in un gruppo. Nell’analisi simmeliana, infatti, “il sociale è relazionale in quanto tale, ossia l’azione reciproca in quanto interazione che produce e si manifesta in qualcosa che, pur non visibile, ha una sua solidità”13. Gli individui, le organizzazioni, le entità sociali interagiscono on-line ma, mentre la comunicazione tradizionale è basata sulla parola, quella fra individui che utilizzano la computer-mediated communication è fondata sulla condivisione binaria, spesso inconsapevole, delle loro esperienze contenute nelle memorie dell’hard disk della macchina stessa, ovvero una quantità di informazioni assolutamente enorme, virtualmente infinita ed indefinita. L’oggetto specifico della sociologia risiede nella descrizione e nell’analisi delle forme di interazione umana e della loro cristallizzazione in gruppi distinti. Simmel considerava far rientrare nell’indagine sociologica anche le strutture più ampie, le istituzioni della società e concentrò la sua attenzione in quelle che definiva le interazioni fra gli atomi e la società. L’uomo è, per Simmel, dotato di istintiva socievolezza e un contesto sociale, culturale e di relazione può rendere più semplice lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo. La società digitale è articolata in un numero infinito di strutture e caratterizzata da forme di relazioni e da processi altamente dinamici anche associativi ed in alcuni casi di tipo blind.

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Simmel 1925.

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Come conseguenza di questa serie di osservazioni la Rete, come nel passato la città, sembra essere un luogo infinito di grande stimolazione sensoriale. Simmel, utilizzando l’approccio evoluzionista, deduceva, per la metropoli, che l’uomo, per adattarsi all’ambiente, ha sviluppato un organo di difesa che lo protegge dall’eccesso di stimoli: l’intelletto14. L’individuo sottoposto ad un sovraccarico di stimolazioni si abitua, diviene alla fine meno recettivo. Il susseguirsi del processo di innovazione nei sistemi sociali fa divenire tutto “normale”. Un nuovo individualismo rende sempre più superficiali le relazioni umane a protezione ed ambientazione dell’uomo nella network community. Molti elementi indipendenti fra loro si stanno progressivamente modificando e rendono i nuovi social network non più sistemi analizzabili ceteris paribus nei modelli tradizionali: 1. la concentrazione delle attività economiche in un numero limitato di imprese oligopolistiche in cui domina la matrice del sistema binario (leader e follower) ed in cui persiste una concentrazione di tassi di profitto sempre più elevati; 2. l’impressionante volume di informazioni, denaro che ogni giorno passa di mano nei grandi mercati finanziari nelle borse e nei centri decisionali di tutto il mondo, con particolare riferimento ai mercati tecnologici condizionando le scelte di milioni di individui; 3. l’altissima densità di interazione fra segmenti della popolazione anche in condizioni di scarsa densità spaziale, con il risultato di avere comportamenti sempre più individualizzati e complessi; 4. la diversità fra gli individui integrati nei sistemi di comunicazione e lavoro modernamente organizzati e quelli che ne sono fuori; 5. la proliferazione dei sistemi di comunicazione veloce e mobili e ed il loro accesso per gradi di conoscenza ed il relativo potere; 6. il disagio esistenziale creato e non ancora compiuto dalla information overload (era dell’accesso o era dell’eccesso?). Nei moderni sistemi di social network mancano degli elementi essenziali che erano invece presenti nei sistemi rurali, ed in parte sopravvivevano in quelli metropolitani: la residenza in una determinata, comunque individuabile, località (quartiere, distretto, block, palazzo) e la solidarietà di appartenenza ed attività. L’assenza di “brick and mortar”, calce e mattoni nei sistemi delle im-

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Simmel 1963.

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prese è, per analogia alla metropoli, l’elemento assente nelle nuove economie di Rete. Lo scambio dei beni reale cessa completamente di esistere, il consumatore effettua acquisti anche on-line confrontando, se necessario, in tempo reale disponibilità e costo di ogni bene o servizio in tutto il pianeta. Simmel aveva già indagato in questa direzione considerando le peculiarità psicologiche del carattere degli individui e le conseguenti interazioni sociali. Con la perdita dell’essenza del significato delle cose, tutto diventa, nella metropoli classica, opaco, la valutazione pecuniaria dell’oggetto finisce con il diventare più importante delle sue caratteristiche. Nelle società digitali globali l’acquisto è sempre più personalizzato, reso unico individuale, pur se concepito in un mondo di dimensioni eccezionali, in una offerta solo apparentemente esclusiva. L’acquisto di un libro o di un altro prodotto culturale presso uno dei diversi portali dedicati alla vendita ed al controllo della vendita della società Amazon.com è una possibile testimonianza del processo di cambiamento in atto. Un determinato libro o CD può essere acquistato presso i diversi portali in lingua presenti in Europa, Giappone o Stati Uniti della Amazon.com. Lo stesso prodotto può essere acquistato nuovo o usato in diverse lingue fra cui l’inglese, il tedesco, il giapponese o il francese in edizioni diverse, spesso personalizzabili, e consegnato a costi e servizi diversi, con pagamenti assolutamente individuali (carte di credito, carte di credito revolving, assegni) in confezioni e brossure a scelta dell’utente, direttamente all’indirizzo dato dall’acquirente. La strutturazione dell’offerta economica avviene a seguito della domanda sociale. Il cliente è seguito, grazie alla determinazione di cookies sofisticati nei suoi acquisti e costantemente consigliato e osservato. Nelle metropoli tradizionali e comunque fino all’inizio degli anni Novanta un simile modello di acquisto poteva essere riscontrato solo attraverso le lunghe procedure di acquisto via posta o recandosi direttamente nel luogo di offerta del bene, senza peraltro ottenere le personalizzazioni e la competitività oggi offerte. Inoltre, cessa di esistere il rapporto diretto acquirente-venditore. Il bene non è più acquistato presso il rivenditore tradizionale o modernamente organizzato, ma consegnato all’indirizzo richiesto dal cliente ad una determinata ora e nella confezione richiesta. Il cliente è indirizzato, in percorsi individuali, alla valutazione dei beni partecipando indirettamente alla formazione dell’offerta per mezzo della tecnologia intelligente. Se la vita metropolitana tradizionale è un contesto in cui gli individui agiscono in maniera sincrona, nella società digitale la puntualità assume un’elevata valenza disponibile non solo negli agglomerati urbani

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ma anche nella remota campagna, purché ci sia la possibilità di accedere alla Rete; in questi modelli le comunità non cessano di esistere. Le comunità si muovono all’esterno degli spazi tradizionali in una direzione non più delimitata, con la sola eccezione di situazione etniche o di segregazione razziale. Evidentemente le nuove comunità, i nuovi spazi comunitari sono meno legati come tessuti non stretti, ramificando i network in rami sempre più specializzati o individualizzati. Sembra perciò opportuno osservare i nuovi network ed ogni forma di social network sia nella loro interezza sia come modelli personali. Questi modelli personali o “ego-centered” definiscono il punto di osservazione di un determinato gruppo di individui dal centro del loro proprio network. Gli individui non sono più legati in gruppi ad alta densità, in termini di interessi sociali, sempre di più tendono ad essere sparsi, poco legati e comunque sempre alla ricerca di cambiamenti di network. La tendenza delle comunicazione a mezzo di computer collegati fra loro enfatizza le relazioni individuali basate su interessi comuni piuttosto che delle relazioni basate sull’appartenenza ad un cluster tradizionale. In altri termini la frammentazione, la specializzazione e la bassa densità suggeriscono che la natura delle relazioni individuali può essere più significativa della natura stessa del network. Non si è più membri esclusivi di un gruppo in cui il numero, ovvero la dimensione, costituiscono un fattore fondamentale dei caratteri e della vita. Le formazioni sociologiche assumono forme e vite diverse in cui gli individui passano continuamente, avviando anche relazioni profonde e personalizzate e modificando il tracciato percorso. Internet è oggi presente ovunque ed è disponibile in ogni luogo del pianeta, anche in assenza di strutture, di hardware, di tipo tradizionale e fisso. L’uomo sta realizzando nodi di connessioni portabili in sinergie reciproche. All’inizio del XX secolo Simmel scriveva: “Una città consiste dei suoi effetti totali che si estendono al di là dei suoi confini immediati. Soltanto questa sfera è l’estensione della città”15. La sfera della Rete delle Reti è quella identificata nell’analisi simmeliana indicata, “al di là dei suoi confini immediati”. Le integrazioni e l’interattività sono oggi la grande realtà del XXI secolo. Le piazze finanziarie di Tokyo, Londra o Francoforte operano in contiguità sensibile, seppur separate geograficamente. Le produzioni musicali sono implementate in studi disseminati nel pianeta, e non è raro osservare dei giovani musicisti del Mali scambiare le loro esperienze, in contiguità, con i divi del Pop. 15

Simmel 1963.

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L’uomo risponde diversamente alle nuove identità o ai condizionamenti ed opportunità offerte dalle tecnologie. Le Reti sono sottoposte al confronto continuo, che gli economisti chiamano “ricerca del vantaggio competitivo”. Probabilmente le Reti dovranno avere dei nodi sempre più sviluppati di modo che le Reti sociali che ne derivano saranno l’interfaccia fra le risorse potenziali e proprie. Da queste capacità si ha l’adattamento e l’auto-organizzazione locale ed individuale. La network society è in grande espansione ed assume la forma dominante di organizzazione sociale della nostra epoca. I network sociali sono vecchi quanto l’umanità ma, nell’attuale fase tecnologica informativa, hanno preso un nuovo vigore poiché le tecnologie a disposizione aumentano ogni giorno la loro flessibilità e risolvono i problemi di coordinamento e di guida tradizionali. La Rete non è più un luogo di mera sperimentazione sociale, la differenziazione fra reale e virtuale oggi non ha più senso, è una solida realtà sociale. Gli elementi che hanno favorito questa formidabile emersione sono non solo di tipo tecnologico (information technology con particolare riferimento alla genesi di Internet), ma anche di tipo sociale, per i valori libertari progressivamente maturati, per una “diversa interpretazione” dell’etica del capitalismo, per le dimensioni crescenti dei mercati. Le società moderne sono caratterizzate da questo processo continuo di conquista dell’informazione e della maturazione dei valori sociali rappresentati. Quando c’è una innovazione tecnologia epocale si verificano movimenti di ascesa e discesa delle classi sociali e la dinamica delle nuove tecnologie produce questi effetti così come il moderno metropolitano – il frutto delle grandi rivoluzioni industriali – riorganizzò i tempi e le percezioni elettrificandole in stimoli contraddittori. La doppia faccia di Internet, come le contraddizioni delle metropoli, è composta di elementi tecnologici e di pensiero. Un esempio ulteriore sono le cosiddette configurazioni peer to peer. L’aspetto tecnico contenuto nella configurazione indicata fornisce un’idea chiara del tipo di relazione che si intende instaurare. La classe di applicazione del tipo peer to peer è, nella sostanza, una configurazione che rende possibile lo scambio, il calcolo, la potenza di informazioni e sistemi di calcolo o di software disponibili agli estremi di Internet. In altri termini, per utilizzare l’analisi metodologica di Simmel, è come dire che il pensiero nella metropoli è libero. La trama del conflitto nasce, nel suo strato profondo, per Simmel, dalla contesa che si insinua fra la cultura e l’etica. Probabilmente l’uomo è in transito in un contesto socioculturale diverso da quello tradizionale metropolitano, verso un altro in cui l’aspetto biotecnologico associa quello bio-culturale.

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 321

Al problema del conflitto, inteso come tipico processo di interazione, è dedicata una grande parte dell’opera di Simmel. Il problema del conflitto non è però che una parte delle teoria dei mutamenti sociali. La posizione assunta da Simmel è neutrale: il conflitto è nell’individuo sia all’interno (dentro) sia all’esterno (fuori) delle forme sociali, nelle tensioni fra i bisogni che possono essere soddisfatti all’interno di una forma sociale e i bisogni non istituzionalizzabili. In quanto forma di interazione, il conflitto non è solo un fattore di disordine, ma anche di ordine; inoltre, in quanto portatore di un mutamento, il conflitto è fattore di rottura dell’equilibrio sociale dato. Le nuove tecnologie applicate allo scambio di informazioni, il grande sviluppo dei media in virtù dei nuovi sistemi di comunicazione, la tecnologia digitale ed il diffondersi di Internet, rendono la dimensione del mutamento sociale un fenomeno rilevante. Come l’analisi della contesa fra cultura ed etica, oggi il problema è nello stesso piano all’interno del mondo delle Reti sempre più tendente al conflitto fra annullamento delle differenze ed individualizzazione dei contenuti. I processi in atto di mondializzazione e di scambio sono piuttosto complessi e non potranno mai essere univoci. Ancora, Simmel16 scriveva che i conflitti si avranno più facilmente quando i cerchi sociali si allargheranno, cresceranno. L’interazione attuale fra scienza, tecnologia, ricchezza, potere e comunicazione, la capacita delle nuove tecnologie di elaborazione delle informazioni rappresentano elementi nuovi, di grande ampliamento e di forte contraddizione nel conflitto visto come necessità della vita stessa. Il mutamento sociale è altresì prodotto dalla definizione dei modi del produrre, delle forme e degli oggetti del produrre. Alla luce di queste figure del conflitto e di conciliazione sociale, all’interno delle nuove, mediate, interazioni sociali, si ritorna alla relazione fra etica e libertà. L’orientamento che guida le diverse forme istituzionali di nuove relazioni di Rete è di tipo razionale e sistematico; in realtà i modelli aperti (open source), istituzionali e non, sono veri modelli sociali etici in cui un individuo partecipa con idee e contributi. La Rete assume la configurazione di mezzo effettivo per unire le forze e sviluppare ulteriormente un’idea, un progetto, un interesse di comunità o di gruppo. In Simmel17, il contributo dei doveri è un fenomeno di differenziate evoluzioni, dell’interesse e dalla partecipazione del singolo individuo a forme sempre più varie ed in pieno sviluppo. Il conflitto dei doveri non consiste 16 17

Mongardini 1976. Gassen 1913.

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quindi in un terreno di scontro fra forze antagoniste né rappresenta una garanzia di convergenza. Nella Rete la ricombinazione, lo scambio è fonte di innovazione, in particolare se quanto è stato messo a disposizione è in grado di generare e sostenere ulteriori interazioni, in una spirale sociale sempre più significativa. La generazione di nuove conoscenze necessiterà di applicazioni di una teoria dell’informazione che sia ricombinante. Le network society si espandono nel pianeta come forme ricombinanti di organizzazione sociale del nuovo secolo. Hanno acquisito una nuova vita poiché ne è aumentata l’accessibilità, la flessibilità risolvendo i problemi tradizionali di coordinamento, superando le competizioni con le organizzazioni verticistiche. La prospettiva funzionalista che sottolinea l’aspetto positivo del conflitto sembra essere il modello di riferimento del mondo della Rete seppur nella necessaria ridefinizione dello spazio, del tempo, come apertura ad una nuova territorialità dell’esperienza umana. La qualità ed accessibilità dell’innovazione tecnologica, in particolare di quella cibernetica, non garantiscono solo l’accelerazione dei ritmi di sviluppo, ma rendono possibili, in evidenza, la compresenza di resistenze, velocità e direzioni diverse. La concezione di costante presenza, nei modelli di equilibrio ottimali, è altresì intesa come la relazione relativa all’esistenza di conflitto. In questo nuovo transito sociale lo sviluppo tecnologico rende immediatamente leggibile il radicamento del cambiamento, il mantenimento dei conflitti. La tecnologia non appartiene però solo alla società dei produttori, ma diventa espressione della società nel suo insieme. In realtà non è possibile affrontare un mondo così articolato poiché non è possibile definire le realtà sociali in termini di armonia e di consenso. In tale prospettiva, Simmel indicava l’impossibilità di istituzionalizzare e neutralizzare i conflitti sociali18; non è possibile impoverire il conflitto poiché, per sua natura, continua ad essere ambivalente, ora porta integrazione ora porta rottura, spesso casualmente. La liberazione delle energie creative, le opportunità di aggregazione culturale, sociale ed economica, le comunicazioni e gli scambi orizzontali, la mancanza di un controllo centrale sostituito con quello dei gruppi rendono la Rete un nuovo modello di studio per l’equilibrio nel conflitto casuale. La valutazione dell’impatto di Internet con le Reti sociali non può essere limitato solo all’aspetto tecnologico, la creazione dei nuovi legami informatiz-

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Simmel 1968.

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Le nuove dinamiche nella comunicazione. Internet e il sapere dei classici | 323

zati ha una significativa influenza sulla vita comunitaria ed individuale, non solo in un contesto creativo, informativo o economico. Tale opera di sdradicamento trova nel pensiero di Krakauer un ulteriore significato: “Il mondo sociale è sempre colmo di un numero incredibile di forse spirituali o essenze. [...] Una caratteristica comune alle idee è che cercano di impegnare l’esistente, cercano di diventare esse stesse realtà”19. E, in tale direzione, Simmel ha presentato e chiarito, anticipandolo, un aspetto evoluzionistico interessante, anche nella prospettiva delle nuove società virtuali e digitali. Passato oltre un secolo, le esistenze di cittadini postmoderni non possono che verificare l’importanza, la portata e l’essenza dei temi individuati da Simmel.

19

Kracauer 1963.

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324 | Raffaele Federici

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Riferimenti bibliografici

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Fabrizio Fornari Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel

In questa breve nota cercherò di procedere per punti essenziali, non già perché ritenga che essi siano assolutamente adeguati per spiegare la posizione di Simmel in rapporto al tema esaminato – la questione metodologica dal punto di vista della sociologia – quanto piuttosto per sottoporre alla discussione questi stessi punti. Come è noto, era stato Wilhelm Dilthey ad assumere la centralità della dimensione storica per la comprensione delle stesse Geisteswissenschaften o Sozialwissenschaften, alle quali lo stesso Dilthey aveva contrapposto le Naturwissenschaften, che, basandosi sulla spiegazione causale, ben potevano evitare il riferimento alla costitutiva storicità dell’esistenza umana1. Nella prospettiva diltheyana veniva così confermata quella che era stata una delle controversie più accese nella storia del pensiero occidentale, quella che appunto vedeva opposte la cultura retorico-umanistica e quella tecnico-scientifica. Un’opposizione questa che, tuttavia, solo alla fine dell’Ottocento assumerà i caratteri di un vero e proprio Methodenstreit, al cui interno verrà delineandosi la netta contrapposizione tra scienze dello spirito e scienze della natura. Pur contenendo in sé una molteplicità di posizioni assai variegate, nelle sue linee generali tale dibattito sul metodo si è snodato a partire dai seguenti assunti: a) i fatti indagati dalle scienze naturali sono determinati da puri rapporti di causa ed effetto che legano tra loro fenomeni esterni originariamente indipendenti; b) di contro, l’agire sociale non è determinato da fattori esterni causalmente collegati, bensì è prodotto da nessi interni2, sulla base dei quali si determina lo stesso significato dell’agire; c) questo significato non è mai meramente un dato, ma implica un’interpretazione e quest’ultima, a sua volta, implica strumenti di analisi quali l’empatia (Einfühlung) o, appunto, il comprendere (das Verstehen); tra gli eventi storicosociali e i fatti naturali si dà una differenza costitutiva.

1 2

Cfr. Dilthey 1883. I “determinanti interni” di cui parla G.H. von Wright, cfr. von Wright 1971.

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326 | Fabrizio Fornari

Più in particolare, si può affermare che, in Dilthey, la concezione del Verstehen, ossia del comprendere, si afferma come caratteristica peculiare e irriducibile delle scienze umane, ponendosi in contrapposizione al modello epistemologico della spiegazione causalistica e strutturale delle scienze della natura. È proprio Dilthey a sostenere che le scienze dello spirito si distinguono da quelle della natura per il fatto che quest’ultime hanno a loro oggetto fenomeni che compaiono nella coscienza come provenienti dall’esterno, come fenomeni singoli, mentre le prime hanno ad oggetto fenomeni interni, che compaiono originalmente come connessione vivente. Ne deriva, per le scienze della natura, che in esse una connessione nella natura è data solo attraverso argomentazioni integrative, mediante un collegamento di ipotesi; per le scienze dello spirito ne deriva, al contrario, che in esse la connessione della vita psichica è ovunque sottostante come data originariamente. Spieghiamo dunque la natura, comprendiamo invece la vita psichica3. Come ha sottolineato G.H. von Wright, la posizione diltheyana si configura come una sostanziale reazione al positivismo. La filosofia antipositivistica della scienza, “che si affermò verso la fine del diciannovesimo secolo, esprime un orientamento molto più diversificato ed eterogeneo del positivismo. Il nome «idealismo», talvolta usato per caratterizzarlo, è appropriato solo per alcuni aspetti, mentre il nome ermeneutica mi sembra più adeguato. Tra i rappresentanti di questa corrente di pensiero, vi sono alcuni eminenti filosofi, storici e scienziati sociali tedeschi. I più noti sono, forse, Droysen, Dilthey, Simmel e Weber. Vicini a questi sono Windelband e Rickert, della scuola neo-kantiana del Baden. Quanto all’italiano Croce e all’eminente filosofo inglese della storia e dell’arte Collingwood, si può dire che essi appartengano all’ala idealistica di questo orientamento antipositivistico in metodologia”4. Il rifiuto diltheyano del monismo metodologico affonda dunque le proprie radici in un vasto movimento di pensiero, il cui comune denominatore è appunto costituito dalla duplice negazione del valore assoluto del modello fornito dalle scienze naturali e del concetto in esso operante di “spiegazione”. Già lo stesso Droysen, del resto, aveva introdotto per primo la distinzione metodologica tra spiegazione (explanation) e comprensione (understanding), in tedesco Erklären e Verstehen. Le scienze naturali avrebbero lo scopo di spiegare, visto che esse hanno di mira generalizzazioni riguardo a fenomeni riproducibili e 3 4

Dilthey 1884, 355. von Wright 1971, 22.

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Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel | 327

prevedibili, laddove le scienze dello spirito, ossia le Geisteswissenschaften, avrebbero lo scopo di comprendere, dal momento che l’agire storico dell’uomo si determina a partire dalle caratteristiche individuali e uniche dei soggetti che lo promuovono. In questo senso, la prospettiva diltheyana, più che porsi semplicemente come un aspetto della reazione al positivismo ottocentesco ed essere così assimilata alla corrente idealistica – come suggerisce von Wright –, costituisce il punto iniziale di quel processo di erosione dello storicismo assoluto che ebbe nel pensiero hegeliano e nel materialismo storico l’esplicitazione più chiara e radicale. Sebbene forti componenti hegeliane siano presenti nella sua opera, altri sono i fattori strutturali che costituiscono il retroterra da cui si origina l’impostazione metodologica di Dilthey: l’interesse storico per la cultura e il mondo romantico, per il Cristianesimo e la svolta da questo introdotta nel mondo occidentale; l’esperienza del positivismo e l’apertura al neocriticismo e, infine, l’attenzione per la scuola storica, Humboldt, Trendelenburg, Niebuhr, Mommsen, Ritter, Ranke, per citarne gli esponenti più rappresentativi5. In quest’ottica, comprendere significa “comprendere l’uomo come essere essenzialmente storico, la cui esistenza si realizza soltanto nell’ambito della comunità”6. Ora, se in ordine alla distinzione tra “spiegazione” e “comprensione” può risultare utile specificare come, in pratica, ossia nel linguaggio comune, si debba riconoscere un livello in cui esse sono necessariamente interconnesse – in quanto, come ha scritto von Wright, “si può dire che ogni spiegazione, sia essa causale, o teleologica, o di qualche altro genere, accresce la nostra comprensione della realtà”7 –, nondimeno si deve considerare che, nell’ambito del dibattito metodologico tra scienze dello spirito e scienze della natura, i termini “spiegazione” e “comprensione” assumono soltanto un significato tecnico e non comune. E, in effetti, solo alla luce di tale significato può apparire in tutta la sua complessità il duplice approccio metodologico – naturalistico e storicistico – ai modi dell’apprendimento oggettivo. Così Dilthey: “La critica della conoscenza è, al pari della logica, analisi della connessione esistente delle scienze. Nella teoria della conoscenza l’analisi procede da questa connessione alle condizioni sotto cui è possibile la scienza. Ma qui si presenta però un rapporto che è decisivo per il procedere della teoria della conoscenza e per la sua odierna situazione: le scienze dello spirito sono entrate per la prima volta 5

Cfr. Signore 1991, 302. Dilthey 1933, 124. 7 von Wright 1971, 23. 6

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328 | Fabrizio Fornari

nel secolo precedente in uno studio che ha reso possibile il loro impiego per la teoria della conoscenza. Da ciò deriva che lo studio della costruzione di queste due classi di discipline precede, considerata nel tempo, la fondazione gnoseologica complessiva, preparando tanto nel suo complesso quanto nei punti particolari la teoria generale della conoscenza. Esso sta sotto il punto di vista del problema della conoscenza e lavora alla sua soluzione”8. In Dilthey appare così, chiaramente, non solo l’irriducibilità metodologica tra scienze dello spirito e scienze della natura, ma la superiorità del Verstehen rispetto all’Erklären; se il primo è presenza di un sapere immediato ed originario, quest’ultimo si deve sempre costituire in forma di ipotesi e per successive integrazioni9. In effetti, le scienze della natura “completano i fenomeni mediante qualcosa di aggiunto con il pensiero”, laddove le scienze dello spirito giungono ad istituire un ordine in quanto viceversa ritraducono sempre e principalmente la realtà esterna storico-sociale dell’uomo “nella vitalità spirituale da cui essa è scaturita”10. In altri termini, se nella natura esterna la connessione viene posta al di sotto dei fenomeni di un collegamento di concetti astratti, nel mondo psichico la comprensione viene immediatamente vissuta e compresa. L’astratto è qui contrapposto al vivente, all’esperienza vissuta (Erlebnis), la quale è essa stessa la base psicologico-ermeneutica della costruzione del mondo storico delle scienze dello spirito, nonché, in questo senso, il fondamento di ogni sapere11. L’applicazione, criticamente ripensata, del concetto diltheyano di Erlebnis al metodo delle scienze storico-sociali, unitamente al ripensamento dell’impostazione storicistica di Rickert, stanno alla base dell’impostazione metodologica di Weber. Anche Weber, come Dilthey, ritiene che scienze naturali e scienze storicosociali siano due forme distinte di conoscenza. Secondo Weber, da una parte vi sono scienze che tendono ad ordinare la molteplicità estensivamente e intensivamente infinita entro un sistema tendenzialmente incondizionato di concetti e di leggi universalmente valide. L’ideale logico di queste scienze – qual è realizzato nel modo più perfetto dalla meccanica pura – le costringerebbe a spo-

8

Dilthey, 1927, 157-158. Cfr. Bianco 1991, 10. 10 Dilthey 1927, 197-198. 11 Cfr. Bianco 1991, 11. 9

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Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel | 329

gliare in misura sempre maggiore le “cose” e i processi che ci sono dati nella rappresentazione delle “accidentalità” individuali del dato intuitivo, allo scopo di fornire ai loro concetti la determinazione di contenuto a cui necessariamente aspirano. Proprio la spinta incessante alla subordinazione sistematica dei concetti generali così ottenuti sotto altri ancora più generali, unitamente alla tendenza al rigore e all’univocità, spingerebbe le scienze naturali alla massima riduzione possibile delle differenze qualitative della realtà a quantità misurabili con esattezza. Considerando poi che esse si propongono, in linea di principio, di procedere oltre la semplice classificazione dei fenomeni, i loro concetti dovrebbero, per Weber, contenere giudizi potenziali di validità generale; e, nella misura in cui questi giudizi aspirano ad essere assolutamente rigorosi e forniti di evidenza matematica, essi dovrebbero poter essere rappresentati in relazioni causali. Dall’altra parte, invece, vi sono scienze che si pongono il compito di conoscere la realtà nella sua particolarità e singolarità qualitativamente caratteristica, presente senza eccezione e ovunque, vale a dire – in virtù dell’impossibilità di principio di riprodurre in maniera esaustiva qualsiasi parte, per quanto limitata, della realtà nella sua differenziazione infinita (sempre almeno intensivamente) nei confronti di tutte le altri parti – di raggiungere la conoscenza di quegli elementi della realtà che ci appaiono nella loro specificità individuale e perciò essenziale. L’ideale logico di tali scienze, invece, a detta di Weber, le spingerebbe ad un’elaborazione sempre più raffinata di concetti che devono progressivamente avvicinarsi alla realtà individuale mediante la selezione di quei tratti che noi consideriamo caratteristici. In questo senso, lo strumento logico delle scienze storico-sociali si baserebbe sulla formulazione di concetti di relazione che hanno un contenuto sempre maggiore e un ambito sempre più ristretto, mentre i loro prodotti specifici sarebbero concetti individuali di cose forniti di significato universale. Per Weber, quindi, il grande merito di Dilthey è stato quello di aver riconosciuto l’indissolubile rapporto che intercorre tra la dimensione storico-sociale e i processi di comprensione dell’agire umano. A sua detta, tale riconoscimento consente di dissolvere qualsiasi pretesa epistemologica che intenda separare l’osservatore di fatti sociali dal suo contesto culturale di appartenenza. Tuttavia, dal punto di vista weberiano, la rappresentazione intuitiva di ciò che è concreto e singolare non riesce da sola a cogliere la peculiarità della realtà sociale. Se la conoscenza non può essere più pensata come il risultato di una pura descrizione di un oggetto esterno (secondo il noto assunto di matrice aristotelica per il quale conoscere significherebbe adeguare l’intelletto alle cose),

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nondimeno la si dovrà semplicemente intendere come puro attingimento di un senso interno; essa, piuttosto, risulterà essere l’incontro tra due mondi di significato diversi: quello dell’attore sociale e quello dell’osservatore. Ne segue che il conoscere sociale è già da sempre collocato in una prospettiva particolare, alla luce della quale determinati aspetti o problemi sono selezionati come rilevanti. In quest’ottica, il rigore dell’analisi scientifica nelle scienze sociali non risulta essere subordinato all’adesione acritica ai criteri deterministici del conoscere naturalistico; essere rigorosi significherà invece mantenere saldamente il legame tra il punto di vista particolare dell’osservatore e la verifica empirica delle sue ipotesi di partenza. Non si tratterà pertanto di intendere diltheyanamente la comprensione come pura capacità di immedesimazione con un vissuto interamente soggettivo; piuttosto si tratterà di cogliere come il comprendere si eserciti nel tentativo di interpretare le relazioni che intercorrono tra fenomeni storico-sociali alla luce di un metodo che proceda mediante generalizzazioni prospettiche (dove per “generalizzazione prospettica” si intende la capacità di collocare un determinato fenomeno sociale nell’ambito di una tipologia che lo pre-comprenda). Da questo punto di vista, l’intero complesso delle tematiche psicologistiche di Dilthey appare a Weber come una mera reazione soggettivistica e anti-scientifica al determinismo e al riduzionismo delle scienze naturali. A differenza dell’impostazione storicistica di matrice diltheyana, Weber considera spiegazioni causali anche i processi di comprensione che caratterizzano le scienze storico-sociali e ne rivendica il carattere avalutativo. Qui, però, per spiegazione causale non si deve intendere l’esplicitazione di nessi deterministici tra fenomeni sociali, né l’esplicitazione di una loro connessione sintetica a priori; spiegare casualmente un fenomeno sociale ha senso solo se ciò che si spiega è, appunto, riconducibile a condizioni esplicative di carattere ipotetico che ne tratteggino il “tipo ideale” (Idealtypus), ovvero la sua possibilità oggettiva12. Se non si riconosce che anche la comprensione è un modo di configurarsi della spiegazione, ci si espone al rischio di sovrapporre la comprensione al compreso, piegandolo nella direzione di quei giudizi di valore rispetto ai quali, secondo Weber, bisognerebbe mantenere il criterio della avalutatività. Un rischio questo che, del resto, non si palesa soltanto nel soggettivismo diltheyano, ma anche nel riduzionismo dialettico e materialistico fatto valere da Marx.

12

Cfr. Andrini 1990, 24.

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Per Weber, in effetti, lungi dall’essere un fattore causale necessario, la struttura economica può venire assunta come condizione esplicativa del significato delle forme sovrastrutturali, ponendosi come fattore di uniformità relativa dei comportamenti sociali. Da questa prospettiva, la spiegazione causale di tipo weberiano si converte tout court in spiegazione condizionale: Per “condizione di un oggetto x” si può intendere la possibilità, determinata e controllabile, che l’oggetto x si verifichi. La precisazione “determinata” e “controllabile” è di importanza decisiva. Determinata significa individuata e riconoscibile con un metodo o un procedimento preciso; controllabile significa che la sua individualità può essere, con questo stesso metodo, continuamente e da chiunque riconosciuta. Una condizione si distingue da una causa perché non implica una necessità ma una possibilità: cioè perché non indica una forza che immancabilmente produce ma solo delimita il campo in cui si può operare la scelta di un accertamento o di un controllo13. In questo senso, dal punto di vista weberiano, la spiegazione sociologica mette in luce, attraverso la comprensione di legami causali tra fenomeni assolutamente individuali, esclusivamente rapporti di condizionamento, i quali si limitano ad indicare il grado maggiore o minore di probabilità che un dato fenomeno sociale si verifichi sulla base di determinate condizioni. Da qui l’idea che la sociologia debba costituirsi come sociologia comprendente. Queste considerazioni peraltro consentono anche di chiarire il modo in cui Weber determina la nozione di fatto sociale. A sua detta, il fatto sociale non è una realtà in sé, indifferente al suo accertamento e al suo controllo, né una pura elaborazione del soggetto che lo rileva. Esso piuttosto è la possibilità che un oggetto sia riconosciuto e controllato. Detto altrimenti, un fatto è ciò che delimita un campo di ricerche, di accertamenti, di considerazioni discorsive. E, poiché nessuna attività razionale o intellettuale può fare a meno di delimitazioni di questa natura, senza le quali sarebbe vuota e opererebbe nel vuoto, i fatti sono intrinseci a ogni attività o considerazione intellettuale o razionale; nessuna attività intellettuale o razionale può prescindere dai fatti stessi. L’accertamento dei fatti è un compito fondamentale della ragione perché il riconoscimento delle condizioni che limitano e definiscono le scelte possibili cioè tutti i procedimenti della ragione stessa14.

13 14

Cfr. Abbagnano 1959, 91-92. Ibid.

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332 | Fabrizio Fornari

Per questo motivo, delimitare il campo in cui si può operare una scelta interpretativa non significa negare valore ai fatti, ma significa riconoscere che il “fatto” si iscrive sempre in una rete di connessioni sulla base delle quali esso diventa un dato oggettivo in grado di configurare uno schema di spiegazione “condizionale”. Così, il distacco weberiano dall’impostazione milliana, da un lato, fa coincidere spiegazione sociologica e spiegazione storica – essendo la spiegazione sociologica spiegazione di rapporti causali tra fenomeni individuali – e, dall’altro, si pone come radicale rifiuto del presupposto di una struttura legale della realtà sociale, che appunto, come si è visto, il positivismo ottocentesco aveva spesso associato al modello di spiegazione su base deduttiva elaborato dallo stesso Mill15. Se Weber coniuga in modo critico le basi dello storicismo di Rickert con il ripensamento del concetto diltheyano di Erlebnis, Simmel, da un punto di vista più strettamente teoretico e filosofico, sviluppa una riflessione sempre più tesa al distacco dalle vichiane “magnifiche sorti e progressive” che avrebbero dovuto caratterizzare il futuro dell’Occidente positivista. Il clima culturale di cui si fa portatrice l’opera di Georg Simmel (18581918) è appunto quello dominato dal rifiuto degli invadenti modelli imposti dal sapere astratto, tecnico e scientifico. Anche in Simmel, in effetti, si trova una potente critica al concetto di spiegazione scientifica, il quale, a sua detta, non riesce a rendere conto del carattere non naturalistico delle forme del sociale, dell’arte, della letteratura e del costume. Se si intende promuovere una reale conoscenza della realtà sociale e storica, ai modi della spiegazione bisogna sostituire quelli della comprensione della forme vitali, che, proprio come tali, costituiscono una modalità del darsi degli oggetti del tutto particolare, rispetto alla quale la domanda kantiana “come è possibile la natura?” deve convertirsi nella domanda, a quest’ultima simmetrica ma opposta, “come è possibile la società?”. Come in Dilthey e in Weber, anche nella prospettiva simmeliana, si procede alla relativizzazione delle forme a priori del conoscere kantiane in tipi, ai quali, però, corrispondono non già “vissuti” o “descrizioni psicologistiche del vissuto” (Dilthey) oppure “idealtipi” che valgano come spiegazione di possibilità oggettive (Weber), bensì forme della coscienza storica individuali e collettive. Il retroscena di questa complessa, ampia e al tempo stesso acuta polemica di Simmel contro la cultura scientifica e accademica del tempo ci mostra il confi15

Cfr. Rossi, Mori, Trinchero 1975, 21.

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Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel | 333

ne intrascendibile della vita, nel quale viene custodita la matrice di ogni conoscenza, di ogni certezza e di ogni dubbio. Da qui peraltro si evidenziano anche le radici schopenhaueriane e nietzscheane del pensiero di Simmel, la cui presenza costituisce del resto il punto di partenza di molti importanti snodi della cultura del primo Novecento, dal neocriticismo alla fenomenologia. Una linea di pensiero, questa, che, elaborando più raffinati e complessi strumenti di riflessione, porterà alla disgregazione del sistema del sapere in molteplici punti di vista e visioni del mondo, ciascuno dei quali costituisce un differente universo di discorso, a sua volta concepito come un organismo vivente che trova al suo interno le ragioni del proprio ciclo vitale di nascita, esistenza e morte, nel quadro di un perpetuum mobile irriducibile al determinismo astratto delle leggi di natura. In questo senso, le tematiche simmeliane attraverseranno, seppure non sempre assunte in modo consapevole ed esplicito, tutte le grandi controversie metodologiche dello stesso Novecento, contribuendo a chiarire, insieme alle sue possibilità e ineluttabilità, la crisi del pensiero scientifico, il destino della conoscenza filosofica e sociologica, il senso dello scontro tra una razionalità “naturale” e una “storica”, ossia le grandi questioni della civiltà occidentale contemporanea. E ciò in un’ottica del tutto diversa da quella apocalittica di uno Spengler, anche se la stessa impostazione spengleriana è fortemente improntata da una ricerca di carattere prevalentemente morfologico (in cui appunto il “tramonto dell’Occidente” si annuncia mediante l’inevitabile dissoluzione delle produzioni mitopoietiche dalle quali originano le “civiltà”, forme chiuse, irripetibili e del tutto transitorie). Infatti, se Spengler conclude la sua riflessione con esiti completamente scettici e, appunto, apocalittici, Simmel dal canto suo trova nell’incessante cambiamento della storia e nelle forme che esso produce il senso stesso dell’esistenza umana, nonché della realtà sociale. Entrando più nel dettaglio della questione metodologica, deve dirsi che per Simmel il problema del metodo non è un problema preliminare, che può essere tenuto sullo sfondo una volta che si sia deciso quali presupposti e quali strategie appartengano ab origine alla conoscenza sociologica. Nel primo capitolo della sua prima opera propriamente sociologica, La differenziazione sociale16, Simmel affronta in modo specifico la questione metodologica. In questo quadro, la sociologia si presenta come scienza che va vista in rapporto all’intero complesso delle scienze sociali. Essa infatti, a detta di

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Cfr. Simmel 1982.

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Simmel, non si muove nel vuoto di analisi volte a cogliere la dimensione sociale come una componente isolata del sapere, bensì cerca di cogliere e di rielaborare i risultati raggiunti dalle altre scienze sociali quali la psicologia, l’antropologia, la storiografia e, infine, la statistica. Ciò che per queste scienze costituisce la conclusione di un percorso di ricerca, per la sociologia rappresenta l’inizio. In effetti, l’inversione che ha luogo allorché la conoscenza sociologica si innesta nel tronco delle scienze sociali implica che la prima disfi l’ordito intrecciato dalle seconde, entro un movimento concettuale per il quale il dato è in realtà già qualcosa di interpretato. Anche Simmel cioè, come Schopenhauer, Nietzsche, Dilthey e Weber, ritiene che la cosiddetta realtà storica non abbia un valore assoluto, ma sia il risultato di un’attività ermeneutica esposta in ogni suo aspetto alla possibilità del cambiamento e del fallimento. In quest’ottica, la sociologia non ha oggetti propri, ma si sviluppa come procedura per trattare sociologicamente problemi tipici di altre scienze, già a loro volta interpretati da queste stesse scienze. Le presunte conoscenze “oggettive” delle scienze sociali sono pertanto sempre e soltanto conoscenze parziali e limitate della dimensione storico-sociale. Ma, a differenza per esempio della psicologia, che studia le componenti del singolo soggetto, l’indagine sociologica è tenuta a prendere in considerazione l’insieme delle interazioni fra singoli individui, con la conseguenza di doversi confrontare con problemi che si snodano in una fitta e mutevole rete di rapporti sociali. Per questa ragione la sociologia viene a trovarsi nell’impossibilità di individuare leggi nel senso della specificazione di cause uniche, in quanto l’uomo, con la sua dimensione pratica, storica, sociale, è il prodotto di forze eterogenee, le quali peraltro hanno perlopiù un carattere prescrittivo e non già meramente descrittivo: Scrive Simmel: “Il rapporto dell’individuo con la collettività, le cause e le forme della formazione dei gruppi, la contrapposizione e i trapassi tra le classi, l’evoluzione del rapporto tra dominanti e dominati ed altre numerosissime questioni […] mostrano una tale ricchezza di realizzazioni storiche eterogenee che ogni normazione unitaria, ogni fissazione di una forma in generale in questi rapporti non può essere che unilaterale”17. Si evidenzia così l’impossibilità di cogliere la totalità delle condizioni che rendono possibile il manifestarsi di un determinato fenomeno sociale: “Non è possibile – nota un commentatore di Simmel – giungere alla formulazione di leggi sociologiche generali, così come non vi sono leggi generali per la psicologia e per la metafisica,

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Ivi, 11.

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poiché ogni effetto può essere visto come il risultato di una molteplicità di cause e può a sua volta essere causa di una molteplicità di effetti, per cui quale sarà l’effetto singolo di una singola causa non può essere specificato”18. A mio avviso, questo assunto metodologico simmeliano, poi variamente riformulato nell’ambito della critica al pensiero positivistico in sociologia, sta alla base delle molte contestazioni che nel Novecento sono state avanzate, anche in sede epistemologica, al concetto di causa tout court. Ad esempio, Gilbert Ryle (1900-1976), il quale aveva pure ben presente, in materia, l’illustre tradizione inglese risalente a Hume, sostenne con forza la tesi secondo la quale la sfera dell’azione umana non è spiegabile attraverso il ricorso al concetto naturalistico di causa, essendo questa basata soprattutto su intenzioni, volizioni, intenzioni. Sebbene il tema dell’intenzionalità sia fatto storicamente risalire ai padri del pensiero fenomenologico, ossia a F. Brentano (1838-1917) prima e ad E. Husserl (1859-1938) poi, anche in Simmel il problema dell’agire intenzionale riveste un’importanza decisiva, in quanto nella sua produzione è costantemente presente la consapevolezza per la quale ogni interpretazione delle realtà sociale – compresa l’idea che il soggetto, nella società, ha di se stesso – dipende appunto da un conferimento di senso che trova le sue radici in quell’originario “tendere verso altro” che caratterizza la stessa intenzionalità19. Ciò che in questo contesto si mostra con sempre maggiore forza è l’emergere della dimensione di relatività del concetto di causa, in virtù della quale, come ha notato M. Scriven in piena sintonia con il dettato simmeliano, quanto costituisce una causa in un contesto può essere visto come una combinazione di causa-effetto in un altro20. A questo livello potremmo inoltre anche osservare come per Simmel, che non pretende di derivare il senso dell’azione dall’esterno, ma lo ricava dal medesimo contesto storico e dalle forme sociali che rendono intelligibile questo stesso contesto, l’intenzionalità con la quale l’individuo si relaziona al suo altro è, in sostanza, autoesplicativa, in quanto l’agire umano si comprende solo in riferimento a se stesso. Ed è evidente così come tutto l’insieme delle teorie dell’azione novecentesche dipenda anche da questo modo di concepire il soggetto agente. In questo senso, in Simmel non trova spazio un relativismo della conoscenza di tipo irrazionalistico; piuttosto si dovrà dire che, nell’ottica simme-

18

Izzo 1991, 159. Cfr. Simmel 1982; Husserl 1950; Brentano 1989; Lanfredini 1994; Gozzano 1997. 20 Cfr. Scriven 1966. 19

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liana, vi sono sempre ragioni per agire, anche se tali ragioni non possono essere cause. Infatti, se è vero che l’evento naturale ha una causa che non si riferisce al suo effetto – cioè non ha ragioni per comportarsi in un modo piuttosto che in altro –, l’azione sociale non può non riferirsi all’atto che realizza. Come è stato osservato, “se è innegabile che le ragioni hanno un contenuto come loro parte logicamente inseparabile, non per questo implicano necessariamente l’aver luogo dell’azione rappresentata (come farebbe la causa con l’effetto). Non è possibile dedurre sistematicamente che il braccio si solleverà solo perché si ritiene che il soggetto agente abbia una ragione che rappresenta, come proprio contenuto, il sollevarsi del braccio”21. Una volta esclusa la possibilità di elaborare leggi sociologiche universali, Simmel cerca di mostrare come la dimensione sociale non sia il luogo di incontro tra soggetti agenti originariamente separati tra loro; anzi, il soggetto agente non sarebbe tale se non fosse in relazione con gli altri soggetti agenti. Più precisamente deve dirsi che la realtà sociale non è una realtà sganciata dalla sfera dell’agire individuale, né la mera somma degli individui che la costituiscono. Essa è un processo dinamico, mai conchiuso, di relazioni22. Certamente, la società costituisce un elemento unitario; tuttavia tale unità va intesa come un’interazione tra le parti che la compongono e non semplicemente come una totalità che ne ecceda il valore, secondo quel rapporto tra forma e contenuto che andrà a costituire l’interna struttura di tutta l’opera simmeliana23. Perciò, Simmel pone, proprio nell’ambito della questione metodologica, grande attenzione a quanto contribuisca a differenziare gli individui, nella convinzione che la situazione comune si delinei in quadro sempre modificabile dalle spinte intenzionali degli stessi individui. In conclusione a questa breve nota sull’impostazione metodologica di Simmel, letta attraverso il confronto con le altre posizioni maturate sull’argomento nell’ambito dello storicismo tedesco e in contrapposizione all’approccio metodologico del naturalismo scientifico e sociologico, si può osservare come anche nell’ottica del pensiero simmeliano, in linea con la tradizione della filosofia classica tedesca, la logica del Verstehen prevalga su quella dell’Erklären. Sicché, “la conoscenza storica si riassume nell’atto di «intendere» (Verstehen) implicante uno sforzo diretto a riprodurre (Nachbilden) la vita psichica di un’altra

21

Sparti 1995, 81. Cfr. Simmel 1984, 672 e ss. 23 Cfr. Simmel 1998, 8-9. 22

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Il punto di vista metolodogico nella teoria sociale di Simmel | 337

personalità. In quanto tale atto dell’intendere comporta sempre un atto di proiezione, con cui il soggetto conoscente avverte nella propria interiorità un certo stato rappresentativo o affettivo o volitivo, ma lo attribuisce alla vita psichica di un’altra personalità e lo qualifica come appartenente a questa24. Simmel aveva così preparato il terreno per una riflessione affrancata dai rigidi parametri di una verità che fosse mera corrispondenza tra enunciati e stati di cose, in quanto questi ultimi, dal punto di vista della sociologia, erano essi stessi il prodotto del mondo “affettivo” e “volitivo” di un soggetto agente. Le forme sociali si erano trasformate da fatti empirici in forme vitali, nelle quali si poteva ora collocare, tra sogni e desideri, la dimensione di un uomo profondamente calato nel proprio tempo, ma attento anche alla conoscenza di quanto incessantemente si delinea sullo sfondo del divenire.

24

Rossi 1971, 207.

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Donald N. Levine Note on the Concept of an Axial Turning in Human History

Like Weber’s metaphor of the Iron Cage, that of an Axial Age in the great world civilizations has become prominent in the literature of social science and civilizational studies1. The locus classic of this metaphor is the opening chapter of The Origin and Goal of History by K. Jaspers, published first in German in 1945. Jaspers there uses the concept to denote a crucially formative period in world history, around the VIth century BC, in which a number of powerful cultural developments took place independently in China, India, Iran, Palestine, and Greece. It is at “this axis (Achse) of history”, he writes, “that we meet with the most deep-cut dividing line in history”2. It is there that what we regard as distinctive of the human species came into being, through a process that “cannot be regarded as a simple upward movement”3. An era of simultaneous destruction and creation, it represented the liberation of humanity from instinctual dispositions into a self-conscious striving toward transcendence and self-determination. “This whole transformation of humanity can be designated as Vergeistigung”4. Without doubt, the most fruitful appropriation of Jaspers’s metaphor appears in the path-breaking work of S.N. Eisenstadt, who has utilized it in a wide-ranging series of comparative depth-historical analysis of the Axial civilizations5. In this note I wish to comment, not on the fruitfulness of that metaphor, but on the question of its origin. The conception of a culturally evolved set of meanings used in the selfconscious transformation of human moral orders formed a central motif in the tradition of social thought that flourished in Germany through the XIXth century into the 1920s. Although elements of this conception can be found in earlier British and French thinkers, from Hobbes and Locke to Rousseau and

1

On the status of metaphors in the social sciences generally, see the special issue of “Social Research”, 62, 2 (1995), The Power of Metaphor. 2 Jaspers 1953, 1. 3 Jaspers 1953, 5. 4 Jaspers 1953, 3. Translation altered. 5 Eisenstadt 1986, 1992, 1996, 1999, etc.

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Turgot, it was the combined preoccupation with autonomous human selfdirection (following Kant) and cultural creativity (following Herder) that made it so central in the German tradition6. In the philosophies of Fichte, Schelling, and Hegel, those themes were fused at high heat. Subsequently, they were introduced into the empirical study of comparative civilizations by Max Weber in his Religionssoziologie. Whereas the early XIXth century German philosophers treated the development of Geist as a transformative evolution out of nature – as G.H. Mead, following Hegel, would do many decades later – Weber sharpened the point by depicting a reversal of direction in this development. In the early stages of religion, he wrote, religion was employed as a tool for satisfying worldly needs. Spirits were conceived as magical agencies that could be coerced or influenced through gifts and entreaties to cure sickness, bring rain, enhance fertility, and the like. When the belief in spirits to be utilized for worldly goods yielded to the worship of gods served by a cult, the magical ethic of the spirit belief underwent a transformation, a reorientation toward an interest in adhering to divinely appointed norms7. As this conception of divine norms became rationally elaborated, it led to systems of thought that enabled persons to make sense of the world, ministering to a human need for Sinn (meaning), which displaced a purely instrumental orientation. In the philosophical anthropology of M. Scheler, this notion of an increasingly self-conscious direction of human order that could produce a reversal of human orientations came to be thematized as the essential distinguishing feature of the human species8. For Scheler, it was not rationality per se that defined the human essence. Non-human animals, as well as humans, possess the capacity for associative memory that produces adaptive habits, formed through repeated successful organic responses that have been reported back to a central agency or motor system. Beyond habit, what Scheler calls “practical intelligence”, the capacity to grasp and master unfamiliar situations, is adumbrated in the ability of some non-human animals (the higher apes) to respond adaptively to changed situations. Even less are humans distinguished by “humane” sentiments, since other animals closer to humans in their affects than in intelligence; we find in animals such capacities as generosity, help, reconciliation, and friendship. 6

Levine 1995. Weber 1968, ch. 6. 8 Scheler 1928. 7

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Note on the Concept of an Axial Turning in Human History | 341

What Scheler defines as the capacity that gives humans their special position in the world is, then, neither choice nor intelligence, let alone sentiment, but the principle of Geist. Geist is constituted by a quality of self-consciousness that enables the individual being to center its own existence, and to objectify original centers of resistance to natural drives. Humans uniquely possess the capacity to distinguish between essence and existence, to oppose reality with a “No”, based on messages from that center. With Geist, then, humans are in a position to move beyond brilliant adaptations to their environment, and create ever-evolving ideas that oppose the flow of nature. Although it may not be clear when Jaspers first formulated his metaphor of an axial turning of the sort Weber and Scheler described, it is not unlikely that he was stimulated to do so from a chapter in Georg Simmel’s testamentary publication, Lebensanschauung: Vier Metaphysiche Kapitel (View of Life: Four Metaphysical Essays) (1918). In a chapter entitled Die Wendung zur Idee (“The Turning Toward the Idea”), Simmel focuses on the notion of a transformative turning in human life and provides a stunning elaboration of the form and meaning of the metamorphosis in question. He begins by treating the great World-forming categories through which the contents of human experience are diversely organized. But then, he raises the question of how those very World forms come into being. By nature, humans are disposed to create and transmit cultural patterns that serve the interests of survival and well-being. At a certain crucial point, however, humans experience a “great turning […] through which the realms of the Idea arise for us: the forms or functions that life, for its own sake and out of its own dynamic, has brought forth become so autonomous and definitive that conversely life serves them, subordinating its contents to them”. At first, Simmel says, the great categories of Geist derive from the life process. They function initially only as servants of life and remain entirely contained within the realm of nature. “Only when that great axial turning (Achsendrehung) of life has taken place do these ideas become truly productive. Their objectively distinct forms are now the dominant ones; they take up the stuff of life into themselves and it must yield to them”9. At this stage of development, humans reach a level of existence that stands above purpose. When they transcend purpose, humans experience freedom.

9

Simmel 1918, 38; emphasis mine. John Andrews has produced a still-unpublished translation of these chapters, which I have consulted as a basis for the translation employed here.

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The antithesis of freedom is not coercion, but purposiveness. Simmel thus stakes out a typology of stages toward the distinctively human that quite anticipates what Scheler would expound a decade later: from instinct, through instrumental rationality, to emancipation from purpose through following an idea for its own sake10. With the last stage, humans attain what Simmel calls “culture properly socalled: […] the attainment of autonomous forms with unlimited capacity”11. At first, human beings seek knowledge in order to live; but then there are persons who live in order to know. […] While the image of a particular object may be the same for science as for praxis, the totality of images and their connections that we call science and that constitute the theoretical “World” emerges only through the axial turning (Achsendrehung) that transfers the cognitive images out of the context of their meaning for life into the forms of knowledge itself12.

The same sort of axial turning takes place in the world forms of art, poetry, religion, law, and morality. In the ethical domain, motivations to follow something like a categorical imperative represent “forms of action that escape the purposive necessities of life and which turn life around, as though around an axle, such that these forms now stand as sovereign ideas, determining life and its value by themselves”13. And with the creation of those transcendent forms, humans encounter the inexorably tragic element of Geist wherein “life, knocking against formations that it has itself produced as strictly objective, often suffers painful bruises”14. In producing his seminal formulation about an axial turning, Jaspers was doubtless aware of Simmel’s work, as were so many other German thinkers of the 1920s, including Heidegger, Buber, Horney, and Elias, who drew copiously on his ideas with little or no direct acknowledgment15. But, Heidegger apart,

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Simmel 1918, 41-5. Ivi, 51. 12 Ivi, 57, 60. 13 Ivi, 96. 14 Ivi, 97. 15 On the widespread phenomenon of unacknowledged borrowing from Simmel, elsewhere I have cited E. Pryzara’s line that Simmel stands among those “great and forgotten” figures 11

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few of those who took up those ideas realized their power so fruitfully as did Jaspers in his metaphor of an Axial Period, not to mention those who followed him in discourse about the Axial civilizations.

who “today are wells from which people secretly draw water, without running the danger that anyone else will discover these wells,” as well as J. Habermas’s observation of how hard it became after World War II to grasp the extent of the influence Simmel had on his contemporaries; Levine 1997.

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Lucio Napoli Verso una responsabilità ecologica

Introduzione L’intento di questo lavoro è quello di mettere a confronto il concetto di responsabilità elaborato da Georg Simmel, agli inizi del secolo scorso, con il concetto di responsabilità che si è venuto formando nell’ultimo ventennio sulla base delle esigenze dell’attuale società, una società mossa dall’incontenibile ricerca del miglioramento della vita attraverso lo sviluppo tecnologico. Questo pone costantemente in discussione i fragili equilibri che la cultura riesce a stabilire tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è moralmente accettabile. Non solo, individuare criteri e principi sulla base dei quali porre dei limiti al processo di conoscenza scientifica mette in gioco l’intero sistema di riferimenti filosofici e culturali, non sempre facilmente definibili. Un nuovo campo teorico si è aperto negli ultimi decenni della riflessione filosofica: quello del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. È un tema antico quanto l’uomo stesso, ma fortemente attuale se lo si analizza dal punto di vista dei danni e dei processi di degrado ambientale che si sono aperti e che mettono a serio rischio la sopravvivenza del genere umano. Il pensiero filosofico ha preso coscienza di questi problemi affermando un nuovo concetto di responsabilità umana sia verso gli individui, sia verso il sistema vivente nella sua interezza. La riflessione etica si intreccia con quella tecnica – sulla scienza e sull’uso delle innovazioni tecnologiche e scientifiche – estendendosi a considerazioni di natura metafisica, in quanto è sembrato che il dominio umano sulla natura riproponesse l’interrogativo sul senso dell’esistenza e dell’essere.

Un precursore della responsabilità ecologica: Simmel Nella sua intensa attività di studioso Simmel affronta il tema della responsabilità all’interno della sua ampia analisi sull’etica. Egli ha intrapreso questa discussione cercando la via diretta, che lo porta ad affrontare la tematica a tutto campo, rinunciando così al metodo di analisi ristretta e specifica dei singoli argomenti. Questa modalità lo ha portato alla pubblicazione di Einleitung in die Moralwissenschaft. Eine Kritik der ethischen Grundbegriffe (1892-93), dove

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critica i fondamenti della morale stessa. Solo dopo alcuni anni egli giudica il suo lavoro come un eccesso dovuto alla sua giovane età. La riflessione sull’argomento lo conduce verso una definizione molto particolare dell’etica. Infatti, nel portare avanti lo studio e l’analisi, nel corso degli anni, egli arriva alla conclusione che l’etica rappresenta una tematica estremamente complessa, ricca di lati oscuri e di dubbi, difficili da chiarire. Un giudizio estremamente severo, ma come evidenzia Calabrò, ad un attento lettore non sfugge l’elemento di critica che accomuna le diverse posizioni sostenute da Simmel nei suoi scritti, fino a La legge individuale (1913): “Tale elemento è costituito dalla critica dei principi morali e della loro «insufficienza» a rendere conto dell’esperienza morale nella sua interezza. Tale insufficienza è stata, nel corso dell’evoluzione del suo pensiero, giustificata da Simmel in modo assai diverso, ma rappresenta un dato costante della sua prospettiva etica”1. Lo stile con cui Simmel affronta le tematiche è unico e particolare: attraverso questo modo di analisi egli riesce a rendere chiare e comprensibili le questioni prima ancora di risolverle, ciò gli permette di esaminarle fin nel loro intimo e di vagliare tutte le possibili considerazioni di ogni singolo aspetto, per poi riportarle ad un tutt’uno della discussione filosofica: “Le discussioni di Simmel assomigliano anche in questo a quel fluire della vita che egli esaltava in ogni forma, che tutte le questioni toccate e tutti i singoli dati addotti portano tutti dinamicamente e organicamente a una unità, anche se mostrano lacune nel senso di una completezza meccanica”2. In Simmel la categoria della responsabilità racchiude in sé, in generale, altre categorie come libertà, uguaglianza, cultura e etica. Queste ultime, in particolare, non sono ostili fra loro, il loro confluire porta l’essere all’adattamento, a tale proposito Simmel scrive: “Attraverso gli adattamenti i contenuti della cultura, che tendono all’ideale, divengono insieme anche contenuti della vita soggettiva, e i valori soggettivi si obbiettivano in valori di cultura […]. Nell’età moderna sono le entità della cultura sociale che offrono quest’avvio: il gruppo sociale tende a comprendere in sé l’individuo, mentre questo sente però se stesso come centro, nonostante ogni suo sapere dell’inserimento della comuni-

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Calabrò 1968, 8. Gassen 1968, 37. Le osservazioni di Gassen possono essere lette in chiave di un accostamento del procedere simmeliano a quanto Maffesoli è venuto sistematizzando nella fase più recente della sua attività, in particolare alla distinzione tra “ragione astratta” e “ragione interna”. Cfr. in proposito Maffesoli 2000. 2

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tà sociale. Esso vuole, e inoltre sente in sé anche il diritto oggettivo di vivere la sua vita da sé, senza dover aver riguardi nei confronti del gruppo”3. Nel suo percorso di confronto con le categorie di libertà ed eguaglianza Simmel ripercorre l’evoluzione del pensiero a partire dal XVIII secolo, dove si trovano le basi dei valori etici, culturali e il richiamo alla libertà individuale si riscopre nei tentativi di fusione del valore soggettivo e della cultura oggettiva all’interno del legame sociale, già esperiti nel pensiero di I. Kant e J.G. Fichte. Per Kant, l’io è portatore del mondo in quanto tale: l’io produce la conoscenza oggettiva, “l’umanità dell’uomo è sacra”, dunque la libertà è la base dell’etica. L’individuo è libero, ma Kant non lo lascia sussistere in modo indeterminato, l’imperativo categorico lo determina: “È evidente con ciò [che] l’ideale dell’eguaglianza è di nuovo collegato con quello di libertà: l’eguaglianza di fronte alla legge morale si può ben unire con la libertà. Dunque nella teoria della conoscenza come nell’etica Kant è il culmine del suo tempo e l’espressione di tutte le correnti culturali della sua epoca”4. Fichte, in una certa misura, va oltre il pensiero di Kant affermando che la cultura oggettiva è una creazione dell’io individuale e ponendo il fondamento della libertà nell’azione assoluta. È una impostazione moderna del concetto di libertà in contrapposizione a ciò che viene inteso come fisso, trascorso, negativo; la libertà intesa positivamente viene vista come un costruire se stessi. Come tale la libertà si costituisce come la possibilità dell’autoriflessione che non determina nulla contenutisticamente, perché il suo contenuto è il solo proprio interesse: “Solo che Fichte concepisce questa pura spinta pratica, la «conoscenza dell’imperativo categorico» non come prodotto della ragion pratica, ma come un atto della ragione stessa, come l’autoriflessione in cui l’Io si rende trasparente come un agire che ritorna in sé […] Solo nel concetto fichtiano dell’autoriflessione interessata l’interesse intessuto alla ragione perde la sua posizione aggiuntiva e diventa costitutivo per il conoscere e l’agire in egual misura”5. È nel XIX secolo che libertà ed eguaglianza si dividono in due correnti: una rappresentata dal socialismo in cui l’eguaglianza è senza libertà, ma come scrive Simmel: “Naturalmente non nel senso di un livellamento meccanico – pensiero che non è mai esistito nella mente di un socialista, ma sempre soltanto in quella degli antisocialisti –, ma al contrario anche in quanto fonte di molteplici differenziazioni, che debbono eliminare solo le differenziazioni presenti. Il 3

Simmel 1968, 43. Ivi, 48. 5 Habermas 1970, 204-206. 4

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punto ultimo fondamentale di questa tendenza è l’assunto di una eguaglianza finale dell’individualità in ogni uomo, che si esprime nei tipi caratterologici fondamentali della società. Spiegare il socialismo con la teoria della conformità allo scopo e ridurlo a questa è però assolutamente superficiale; le finalità ideali del socialismo sono mete finali e non soltanto mezzi”6. L’altra è rappresentata da una svolta verso l’individualismo in cui la libertà senza eguaglianza è la tendenza futura, in cui la disuguaglianza si pone come ideale positivo: “Essendosi fortificata la libertà nell’eguaglianza e avendo utilizzata questa per così dire come appoggio e sostegno, ora essa getta via il sostegno superfluo e si regge con le proprie forze […] Nell’eguaglianza come nella disuguaglianza tendono infine un tratto fondamentale e un ideale della libertà. Ma la ricerca di sé, l’unico punto fermo possibile, si soddisfa e si trova soltanto in se stesso e in nessun luogo al di fuori. Così si dividono i tipi fondamentali di visione della vita, se l’io universale-umano è sostegno del singolo o appunto l’io incomparabile”7. Di questa forma di individualismo si ritrovano tracce nei lavori di J.G. von Herder e di G.E. Lessing, un individualismo della singolarità, un individualismo qualitativo, fino a F. Schleiermacher che non separa l’individuo: “La forma vitale dell’essere universale è appunto l’individuo unico. La diversità è la forma vitale dell’unità e al di là della molteplicità non c’è unità. E anche per Schleiermacher questa forma individualissima dell’essere assume allora la forma del dovere […] Nel romanticismo questa corrente si inserisce nella cultura generale. Goethe in forma artistica, Schleiermacher in forma metafisica rappresentano la convinzione che la personalità sia la base di ogni sentire ed esperire. Essi avevano il senso storico di sapere che ogni esistenza ha la sua bellezza e giustificazione singolare non per e in ragione di un bello universale, come credevano il Medioevo e l’Oriente, bensì di per sé e in ragione di una legge ad essa immanente […] Il romanticismo esperisce una serie infinita di contrasti, infatti ogni essere è essere-così, a una momentanea giustificazione, anche se questa viene subito inghiottita dalla corrente dello sviluppo”8. Simmel a questo punto ci richiama alla necessità di una riflessione, per avere chiara la posizione dell’etica in questo periodo storico di sviluppo. Egli sostiene che il contenuto dell’esperienza nella sua totalità può essere organizza-

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Simmel 1968, 48. Ibid. 8 Ivi, 50-51. 7

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to in forme diverse, di pari dignità, che definisce “mondi”9. Il soggetto, tuttavia, non aderisce mai completamente ad una sola di esse, bensì ne fa un utilizzo frammentario e molteplice, per cui analizzando la realtà con l’ausilio delle diverse categorie dell’osservazione, essa si presenta come un insieme di parti di mondi: “Non c’è semplicemente l’arte, bensì le arti storicamente condizionate, non la religione, bensì le religioni. Anche Platone avrebbe inteso qualcosa di simile con le sue idee, solo che non avesse schiacciato il pensiero attraverso l’oggettivazione di quelle. Così ad esempio anche la forma logica è una forma co-ordinata alle altre e non ad esempio una «formazione» super-ordinata e non la forma originaria. E si può andare oltre e dire: i puri contenuti del mondo non possiamo affatto afferrarli e comprenderli, ma lo possiamo soltanto come contenuto di uno di questi mondi”10. L’utilizzo dei vari mondi si ripercuote sulla formazione del senso della categoria della responsabilità in modo tale che questa si presenti come base per l’etica, e per Simmel si possono definire azioni etiche quelle azioni che sono compiute da un attore che si sente responsabile di ciò che fa: per questo se si vuole comprendere un’azione, dal punto di vista etico, la domanda da porre è “dov’è la responsabilità?”. Il Nostro sostiene che l’atteggiamento etico è appunto quello che sentiamo e conosciamo sulla base della nostra formazione e determina una responsabilità: allora egli afferma che se la responsabilità è data le azioni sono valide o non-valide, buone o cattive a seconda se corrispondono o meno alla nostra responsabilità. Anche in questo caso il valore di un’azione va ricercato nei luoghi dell’agire: il valore, quindi, si può individuare come scopo o come funzione di esso, può essere valido il contenuto dell’agire o l’agire stesso, il risultato o il processo. Per Simmel il valore etico deve sussistere come valore particolare e perciò va ricercato nella funzione dell’agire stesso, va ricercato nel motivo, nella volontà. Il volere è etico: l’etica non risiede nel valore dei beni e nel loro contenuto. Si può effettuare il servizio militare per la Patria e ciò ha un valore in sé, in questo caso è l’uomo che lo realizza, ma se lo stesso è chiamato alla guerra per la Patria, il fatto che partecipi non vuol dire che il valore del servizio per lui abbia un riflesso etico, in quanto l’individuo potrebbe essere obbligato ad assolvere

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Per approfondimenti sulla definizione di “mondo” di Simmel cfr. Simmel 1994, 57-61; Mongardini 1994, 19-25; d’Anna 1996, 17-27; De Simone 2002, 150-164. 10 Simmel 1968, 51.

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tale compito. Non è detto che egli si senta responsabile nel portare a termine tale incarico, soprattutto se ha un’ideologia pacifista: “Ciò che si presenta a lui come esigenza morale dall’esterno, sia pure da un elemento esterno ideale e di grande valore, può solo essere materiale del dover essere propriamente etico, e solo tramite quest’ultimo può essere legittimato come etico per questo determinato uomo”11. A fronte di ciò ora i due concetti, libertà e dovere, sono in stretto rapporto con la responsabilità: “La convinzione popolare che noi saremmo responsabili perché siamo liberi, per quanto sia primitiva, non è del tutto inesatta, ma porta però alla fine al circolo chiuso; noi siamo responsabili perché dobbiamo qualcosa e dobbiamo qualcosa perché siamo responsabili […] Responsabilità e libertà non potrebbero ancora determinare il valore di una azione se non ci fosse ancora un altro concetto al di sopra o al di sotto: l’io come portatore dell’azione. La libertà esige l’io, e i problemi etici si presentano in quanto tali solo quando oltre l’azione stessa c’è ancora un io; allora non l’azione è buona, ma l’agente, e non l’azione è libera, ma l’agente. L’azione è, senza alcuna determinatezza qualitativa, e solo attraverso l’io diviene buona o cattiva”12. Esiste anche la possibilità che possano sorgere dei problemi quando libertà e responsabilità si scindono, come nel caso in cui qualcuno può essere responsabile dell’azione di un altro e, per Simmel, si giungerebbe a una singolare libertà senza responsabilità. Questo senso di allargamento della libertà non piace all’uomo moderno che considera l’io nella sua propria identità che non è sostituibile con nessun’altra forma o pensiero: è in questo io proprio che risiede la responsabilità, la sua responsabilità, che l’individuo non è disposto a spartire con altri. Questa insostituibilità dell’io richiama un’etica il cui oggetto è il dovere (Sollen): “Il luogo di produzione del dovere è la totalità dell’io vivente […] Sebbene il dovere si specifichi necessariamente a ogni istante in comportamenti particolari, ciascuno di tali comportamenti non esprime altro che la totalità della vita dovuta in quel momento”13. Il tentativo di Simmel è di trovare un criterio di normazione che non trascuri nessun aspetto dell’azione dell’individuo, soprattutto che non venga tralasciato nulla che non sia regolato. La responsabilità di ogni singolo individuo viene estesa ad ogni sua singola azione, tutte le azioni risultano importanti in quanto elementi fondanti la vita. Questa idea di responsabilità è ripresa da A. 11

Simmel 2001, 98. Simmel 1968, 54. 13 Andolfi 2001, 17. 12

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Schopenhauer, per il quale in noi risiede un senso di responsabilità che è frutto della complessità del nostro essere. Simmel scrive, commentando questa tesi: “La singola azione non viene decisa ogni volta di nuovo e a partire da se stessa, il volere non interviene in ogni caso di scelta con una decisione appartenente solo a quell’istante; piuttosto invece per il fatto che siamo una volta per tutte quali siamo, la decisione può essere assunta soltanto nella direzione tracciata da quest’essere”14. Questa modalità di interpretazione della tematica permette a Simmel di negare la presenza di un dovere assoluto esterno alla volontà di chi ha l’obbligo di prendere la decisione e allo stesso tempo di fornire una spiegazione forte del sentimento di responsabilità che scaturisce da ogni singolo atto fino all’essere che ne è il fondamento: “L’uomo intero, cioè il suo essere assoluto, non suscettibile di cambiamento, è il portatore, la vera realtà di ogni singolo (e solo apparente) bene e male morale, e della responsabilità per essi”15. Andolfi, nella presentazione a La legge individuale, scrive che le perplessità di Simmel sono rivolte all’interpretazione che Schopenhauer aveva dato alla responsabilità come un carattere immutabile: “A questo determinismo senza speranza egli aveva opposto l’ipotesi che quanto c’è in noi di più profondo potesse avere la sua essenza nell’evoluzione, e la libertà vivere quindi nelle modificazioni (Wandlungen) anziché nel costante ribadimento del medesimo modello”16. In ultima analisi il dovere riguarda la decisione e non può essere una constatazione scientifica. Per Simmel, il sapere etico non è oggettivamente determinabile, per cui il contenuto dell’etica non può essere stabilito scientificamente, mentre può essere stabilita scientificamente la sua forma: “Questa può ben essere oggetto di una scienza, che allora dovrebbe ad esempio chiedersi: «Come è possibile l’etica in quanto tale?». Qui abbiamo allora un elemento oggettivo: questo è uno scopo ultimo, che ci sia il senso di responsabilità. Il senso di responsabilità è considerato l’apriori di tutta l’eticità e della vita etica. Dunque concetti tali come dovere, libertà, responsabilità, che stanno sempre dalla parte dell’agente, ma non dalla parte dell’azione, possono essere il vero oggetto di un’etica scientifica”17.

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Ivi, 18. Simmel 1995b, 180. 16 Andolfi 2001, 18. 17 Simmel 1968, 57. 15

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Di fatto esiste un contrasto tra il volere dell’essere e ciò che realmente accade , infatti Simmel sostiene: “La natura, conformemente alla causalità universale, sta al di là di dovere (sollen) e volere”19 e non a caso su questo problema sono sorte due posizioni di principio, il determinismo e l’indeterminismo. Per Simmel la responsabilità non si può salvare da entrambe le posizioni per cui egli capovolge la situazione: la necessità è fondare la libertà nella responsabilità e non la responsabilità nella libertà. Sulla base di questa impostazione egli sostiene che l’uomo è libero perché è responsabile e non come è comune dire che l’uomo non è responsabile perché è libero. Per comprendere meglio questo pensiero ci richiama al passato quando l’uomo rispondeva ad un attacco con un contrattacco: “L’oggettivazione di questo istinto primordiale porta quindi alla vendetta e alla punizione. Se questo volgersi indietro avveniva inizialmente in modo puramente impulsivo, divenne poi a poco a poco conforme allo scopo, si trasformò da terminus a quo in terminus ad quem, e questo pensiero profondo portò naturalmente a una limitazione qualitativa della rivincita”20. Ecco, quindi, che libertà e determinatezza sono necessarie per rendere responsabile l’uomo, la libertà, come afferma il filosofo, non è una qualità mistica, bensì una situazione ben concreta: “Si può forse dire in generale: noi siamo liberi in quanto siamo un tutto organico e portiamo unite in noi tutte le correnti e tendenze, non liberi invece per quanto si sono ribellati in noi, raggiungendo l’assoluta signoria, singoli atteggiamenti: sensualità, tendenza al dogmatismo, pregiudizio morale, ecc. Le individualità reali sono, in quanto tali, libere, come ce lo mostra nel modo più concreto Goethe con la sua personalità. Questo è l’unico collegamento possibile tra libertà e individualità, che la legge individuale impone al singolo”21. Questo tipo di ragionamento obbliga l’individuo ad una responsabilità verso la natura, in quanto non è possibile prescindere dal rapporto tra l’attore sociale e l’ambiente che lo circonda. La libertà, basandosi sulla responsabilità, impone attenzione alle scelte che si mettono in campo in termini economici, sociali e politici, sia di tipo individuale sia di tipo collettivo, in quanto queste si ripercuotono non solo sul rapporto tra gli individui, ma anche nel rapporto tra gli individui e l’ambiente circostante. L’importanza della reciprocità dell’azione, cioè il concetto di Wechselwirkung di Simmel con il quale ci indica

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Contrasto sul quale si fonda il concetto di “effetto perverso” in Boudon e sul quale Schütz costruisce la sua rilettura di Weber. Cfr. in proposito Boudon 1981. 19 Simmel 1968, 58. 20 Ivi, 59. 21 Ivi, 60.

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“una concezione della realtà come rete di relazioni di influenza reciproca tra una pluralità di elementi”22, diventa elemento significativo nell’assunzione di quel senso di responsabilità necessario per la gestione dell’attuale modernità e per dare fondamento ad una nuova etica. La modalità con cui Simmel ci spinge verso un senso di responsabilità innovativo, rispetto al pensiero corrente della sua epoca, ma oggi fortemente attuale, si basa sul suo agire concreto che si occupa di cose e fenomeni considerati futili per la riflessione accademica. Infatti, solo oggi viene riconosciuto il valore della sua opera attraverso la quale egli ha saputo dimostrare come sul concreto e sul reale si sviluppa la socialità dell’individuo.

La responsabilità ecologica Questo tipo di idea di libertà e di responsabilità ci spinge ad affrontare riflessioni sul senso che viene dato alla responsabilità rispetto alle conseguenze delle azioni attuali sullo sviluppo della tecnologia. Il primo passo è la convinzione che l’uso della tecnologia ha modificato l’uomo in modi determinanti e che continuerà a modificarlo, causando l’abolizione di comportamenti, l’abbandono di esigenze e bisogni tradizionali e sviluppando così atteggiamenti più consoni alla nuova struttura tecnologica. Lo sviluppo tecnologico è in sé indifferente ai valori, ma può anche essere sfruttato negativamente, e per evitarlo è necessario avere una nuova etica, esigere dei nuovi modelli dell’agire: “È noto che oggi, a causa della perfezione tecnica, sono possibili catastrofi mondiali e si riconosce che non vi si può porre rimedio con la tecnologia. Siamo dell’opinione che quest’idea rappresenti qualcosa di positivo dal punto di vista della rilevanza etica, poiché se si supponesse di potere influire sulla possibile catastrofe solo per via puramente tecnica verrebbe soppressa l’etica come dimensione autonoma”23. Lo sviluppo tecnologico, sia esso industriale o agricolo, ci sta portando verso una rapida degradazione della terra, dell’aria e delle risorse idriche. Le nostre scelte e la nostra volontà contribuiscono in modo sostanziale al danneggiamento della biosfera. Siamo responsabili, attraverso le nostre azioni, dei molteplici cambiamenti e lo facciamo in modo estremamente veloce; la società

22 23

Simmel 1995a, 12. Schulz 1988, 42.

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industriale è progredita in modo esponenziale favorendo anche il cambiamento delle nostre produzioni di sostanze capaci d’inquinare la biosfera. È evidente che se la società occidentale vorrà sopravvivere dovrà cambiare atteggiamento rispetto a molte questioni. Il problema di fondo è quanto dovranno essere radicali questi cambiamenti; non è certo la stessa cosa dire o chiedere di evidenziare quanto sia necessaria la prudenza verso l’uso delle nuove tecnologie e lo spreco delle risorse naturali; oppure ipotizzare un nuovo approccio attraverso la ricerca di un’etica disgiunta dalla tradizione, una nuova etica di rapporto con l’ambiente, la natura e gli animali che vivono sulla terra, capace di risolvere i problemi ecologici. La tradizione che si è sviluppata in Occidente, fin dal principio, è quella che ha portato a considerare l’uomo libero di usare la natura a suo piacimento, perché per lui è stata creata. Sembra possibile far risalire questo atteggiamento alla Genesi nel passo in cui dice: “Dio creò l’uomo perché domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le creature selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”24. La Genesi, e in generale il Vecchio Testamento, sostengono che l’uomo è il signore delle cose che sono sulla terra, ma affermano anche che il mondo era buono prima ancora della sua venuta e che la funzione principale della natura era di rendere gloria a Dio e non di essere di utilità all’uomo, sebbene questo aspetto abbia col tempo perso rilievo. Anche la scienza greca rifiutò l’idea che la natura fosse sacra, il filosofo Anassagora definì il sole una “pietra infuocata”, e quasi tutti gli studiosi di cosmologia del tempo la pensavano alla stessa maniera. L’influenza greca portò la teologia cristiana a considerare la natura solo una fonte di risorse e a svincolare il rapporto con essa da ogni forma di censura morale. Questo atteggiamento a volte ha portato a conclusioni conservatrici: Dio ha creato la natura a beneficio dell’uomo e sarebbe presunzione cercare di migliorare il suo operato. Ma è stato anche interpretato in modo radicale: la natura è a disposizione dell’uomo che ha il diritto di modificarla e trasformarla come gli conviene. Anche Bacone e Descartes sono stati di questo avviso e la loro interpretazione, anche se con alcune obiezioni, è divenuta dominante nelle società occidentali. Questa modalità di interpretazione ha trovato sede in una metafisica per la quale l’uomo è l’unico essere che agisce volontariamente e la natura è un sistema che egli può usare a proprio piacimento. Questa metafisica è particolarmente contestata dagli ecologi: non si deve però identificarla con il pensiero 24

Genesi, I, 26.

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occidentale tout court, come rifiutarla non significa rifiutare la scienza, a cui troppo spesso è associata. La tradizione occidentale è molto più complessa di quanto fin qui si è detto; se nel tempo sono stati messi in atto tentativi per cui era pensabile modellare la società sulla forza, oggi pur essendo sfumata questa posizione resta evidente la necessità per cui l’individuo, sulla base della sua individualità e libertà, deve contribuire ad un processo di riforma morale che possa permettere di dare risposte ai problemi ecologici. Nel senso più ampio del termine, un problema è “ecologico” se nasce come conseguenza pratica del rapporto dell’uomo con la natura. In questo senso l’inquinamento, lo sperpero delle risorse naturali, l’estinzione delle specie viventi, la distruzione di aree allo stato naturale, la crescita continua della popolazione mondiale, possono essere tutti problemi ecologici. Innanzitutto affrontare un problema ecologico non vuol dire affrontare un problema di ecologia; i due casi sono diversi e distinti. Quando si affronta un problema di ecologia si è nel campo puramente scientifico. Un esempio di “problema di ecologia” è: “Come mai nel grasso degli uccelli antartici si trovano tracce di DDT?”. La soluzione consiste nella comprensione del fenomeno. Un “problema ecologico”, invece, è un aspetto sociale di tipo particolare. Si può facilmente essere indotti a non cogliere la diversità dal fatto che la maggior parte dei libri che trattano di problematiche ecologiche sono scritti da scienziati: “Definire un fenomeno un «problema sociale» non significa affermare che il suo meccanismo sfugge alla nostra comprensione; lo si ritiene un problema non perché, come nel caso di un problema scientifico, rappresenti un ostacolo alla comprensione della realtà, ma perché si ritiene che la nostra società sarebbe migliore se il fenomeno – sia esso l’alcolismo, la criminalità, la morte sulle strade – non esistesse”25. Per quanto riguarda la natura dei problemi ecologici, essi sono una caratteristica della nostra società e sono derivati dal nostro rapporto con la natura. Desideriamo risolverli e non li consideriamo solo conseguenze inevitabili di quanto è stato fatto di buono dallo sviluppo della nostra società. Risolvere un “problema ecologico”, come ogni altro caso sociale, significa mettere a punto un metodo soddisfacente per limitare l’intensità o l’influenza del fenomeno in questione. Dire “metodo soddisfacente” è in effetti un po’ vago: sarebbe più giusto affermare che un problema può essere risolto solo attraverso una valutazione simile a quella che ha permesso di riconoscerlo come problema. Sono 25

Passmore 1986, 57.

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pochissimi, se esistono, i problemi sociali che possono essere eliminati; se non ci rendiamo conto di questo si corre il rischio di lasciare inutilizzati dei metodi che possono ritenersi soddisfacenti per la loro capacità di ridurre l’intensità o l’influenza del fenomeno. Succede pure che a volte il problema sfumi e perda di intensità e si trasformi in un costo accettabile per la società. Tuttavia la soluzione del “problema ecologico” dipende dalla soluzione precedente del “problema di ecologia”, cioè di un caso scientifico. Per essere più precisi, è necessario risolvere gli aspetti scientifici, tecnologici, economici, politici, amministrativi, etici, morali, ognuno dei quali con una propria soluzione. La soluzione di questi è una condizione necessaria, ma a volte non sufficiente. Si prendano ad esempio gli effetti dannosi delle onde elettromagnetiche: a tutt’oggi gli scienziati non conoscono quali danni, nel lungo periodo, esse possono causare, in ogni caso sono stati individuati dei livelli di tolleranza da rispettare. Ma la continua esigenza di nuovi ripetitori, sia telefonici, sia televisivi, ecc., sotto la spinta economica della società digitalizzata, ha fatto sì che la politica intervenisse innalzando i valori dei livelli minimi, lasciando comunque dietro di sé un senso di incertezza. In questo quadro di incertezze e di rischi sempre maggiori, l’individuo deve orientarsi verso nuovi valori, valori che rispettino l’autonomia e la capacità di iniziativa del soggetto verso quegli aspetti che costituiscono una minaccia per la vita di tutti, verso un dovere e una responsabilità che è frutto dell’insieme della propria vita, come afferma Simmel: “Ogni dovere è il risultato di tutta la nostra storia”26. In ogni caso fintanto che la scienza non riuscirà a chiarire quelli che sono gli effetti delle nuove scoperte scientifiche, delle sostanze utilizzate e dei meccanismi che queste innescano, l’azione di tutela e salvaguardia della natura sarà incerta. Sarà necessario un incremento della ricerca scientifica e della tecnologia, ma pensare che i problemi ecologici possano essere risolti solo attraverso lo sviluppo della scienza significa dire che possono essere risolti solamente all’interno della tradizione razionale occidentale. Nella corsa verso il progresso la società post-industriale ha trascurato il costo dei nuovi espedienti tecnologici o, se lo ha fatto, ha considerato i costi in senso limitato. Ogni innovazione tecnologica comporta un elemento di rischio ecologico, dato che non è possibile prevedere le conseguenze in tutte le circostanze. Ciò non significa che si debba abbandonare la strada della tecnologia: essa, anzi, va percorsa nel senso di insistere nel tentativo di limitare la produzione di sostanze dannose con metodi tecnologici. Ogni azione umana 26

Simmel 1968, 72.

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comporta dei rischi e non si può chiedere all’uomo di smettere di agire in modo rischioso da un punto di vista ecologico, ma invece di ponderare con più attenzione i costi ecologici con i profitti derivanti dalla loro azione. Soprattutto tenere conto del principio: una cosa è assumere rischi in prima persona sulla base delle proprie scelte e azioni, un’altra è essere sottoposti al rischio derivante dall’azione degli altri. L’homo oeconomicus non si pone il problema del lascito ai posteri. È stato ammesso da più parti e anche da notevoli economisti che il sacrificarsi per la posterità non può essere risolto da nessun calcolo sui guadagni futuri, perché gli attori coinvolti nella perdita e nel guadagno sono differenti. I vantaggi dei sacrifici attuali saranno evidenti solo nel lungo periodo, si vedranno così tardi che nessuno vivrà tanto a lungo da beneficiarne. Una decisione deve essere presa, ma nessuna legge dell’economia di mercato indica quale strada prendere. Basti pensare a come si sono conclusi i vari incontri internazionali sull’ambiente e le Convenzioni di Rio nel 1992, di Kyoto nel 1997 e di Johannesburg nel 2002. Da esse sono emersi intenti e principi su cui tutti sono d’accordo, ma nell’attuazione pratica pochi sono disposti all’applicazione dei protocolli. Un esempio per tutti: nel febbraio del 1999 a Cartagena, in Colombia, l’intesa su un protocollo sulla biosicurezza, che regolava le attività legate agli organismi geneticamente modificati, è stata bloccata da Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina, Cile e Uruguay per ragioni legate alla tutela dei propri interessi di settore. Questo tipo di atteggiamento evidenzia di fatto come il modello economico, il modello scientifico e politico, in quanto strettamente legati tra loro, influenzano la razionalità mettendola in crisi. Questi tre modelli rappresentano aspetti basilari della logica che funge da guida al comportamento sociale e al tempo stesso condizionano il modo di pensare e di agire. Nel momento in cui si cerca di applicare la ragione strumentale ai problemi ambientali, questa spesso si rivela insufficiente e a volte anche controproducente: “In ciascuno degli ambiti considerati, la razionalità calcolativa e formale si scontra con la complessità dei problemi, l’incertezza che li circonda. Incertezza che non dipende da una momentanea carenza di dati, ma dall’impossibilità di trattare le questioni in termini di sistemi chiusi, criteri universali, approcci unitari. Nella gestione del rischio e dell’incertezza, la responsabilità è strettamente collegata all’azione organizzativa e facendo riferimento alla teoria di Brunnson, il successo di un’azione a livello organizzativo non dipende dalla valutazione razionale dei pro e contro, ma da un insieme di fattori emotivi, come idee, credenze, motivazioni. In altre parole, mentre il decisore razionale cerca le conferme

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dell’efficacia del suo agire in valori che vengono ricavati esternamente rispetto all’organizzazione, come per esempio dei dati oggettivi, il decisore arazionale, definito impressionistico dall’autore, si basa sui valori dati già presenti nell’organizzazione. Altrimenti detto, basa la propria azione sulla cultura di quell’organizzazione specifica. Tale cultura è offerta da tre aspetti fondamentali. Le aspettative dei membri dell’organizzazione, cioè la valutazione positiva dei risultati futuri che possono essere raggiunti. La motivazione, cioè il desiderio effettivo di partecipare, di essere coinvolto nell’azione organizzativa. L’impegno, che consiste nella fiducia da parte dei membri dell’organizzazione di trovare sempre un appoggio da parte di questa e di poter contare nel coinvolgimento degli altri attori presenti”27. In pratica, mentre le decisioni razionali sviluppano un’attenzione verso il rischio fondata sulla riduzione dell’incertezza, ricorrendo a dati esterni e ad un percorso decisionale impersonale, le decisioni impressionistiche o motivazionali hanno l’intento di gestire il rischio attraverso l’aumento della responsabilità degli attori decisori. Recentemente autori come K. Weick, T. Winograd e F. Flores hanno evidenziato come le decisioni motivazionali siano in stretta connessione con due aspetti dell’azione organizzativa, cioè le capacità di attivazione (enactment) e di creazione di senso (sense making). L’attivazione rappresenta la creazione di un’intensa correlazione tra realtà sociale, tecnologia costruita dall’uomo e gli effetti ambientali che tale realtà produce, contribuendo, inoltre, alla definizione del livello di vulnerabilità del sistema o dell’organizzazione. La creazione di senso diventa una modalità di azione delle organizzazioni e mette in evidenza, oltre all’interconnessione tra organizzazione e ambiente costruito, gli aspetti motivazionali delle decisioni e la responsabilità che questi comportano. Il sense making, nella gestione del rischio, è importante poiché le cause di molti disastri e più in generale della fragilità dei sistemi organizzativi, in particolar modo quelli più tecnologicamente complessi, derivano non già dalla qualità dei dati a disposizione, ma dalla eccessiva dipendenza dei processi decisionali da dati esterni e da saperi esperti soggettivamente deresponsabilizzati, poiché basati sull’indiscussa autorità del sapere scientifico. In conclusione, nel quadro dell’etica contemporanea il concetto di responsabilità rappresenta una nuova frontiera, la conquista della quale sembra essere l’unica strada percorribile per dare un nuovo fondamento al nostro comportamento, sia esso pubblico sia privato. Il nostro mondo è diventato più piccolo e 27

De Marchi-Pellizzoni-Ungaro 2001, 120-162.

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più vulnerabile e ogni giorno ci troviamo di fronte alla nostra voglia di controllo e dominio sempre crescente, ma il disagio in cui versa l’Occidente industrializzato mette in evidenza come sia finito il sogno di potenza illimitata. Comunque, se il progresso è un destino inarrestabile e imponente ci corre l’obbligo di cercare di evitare, almeno, che questo destino non finisca per esserci fatale. La responsabilità, intesa come assunzione consapevole dei nostri limiti e dei legami tra l’uomo e la terra, in tutte le sue forme, dovrebbe fungere da guida verso il futuro, dovrebbe proteggerci da mali che scaturiscono lungo il nostro cammino. Una responsabilità che non può essere solo individuale, ma anche pubblica, una responsabilità che deve essere assunta in primo luogo da chi detiene il potere politico e considerare tutte quelle attività i cui effetti si dispiegano nel lungo periodo e sono imprevedibili. Le tesi simmeliane ci vengono in aiuto per il raggiungimento del nostro obiettivo. Simmel, ne La legge individuale, sostiene che il dovere morale scaturisce dall’intero processo della vita dell’individuo all’interno del quale l’attore sociale riconosce la diversità dei contenuti del comportamento morale, realizzando così la propria morale e formando se stesso. Moralità che scaturisce dal rapporto tra le esperienze personali e le forme istituzionalizzate quali religione, Stato, politica, economia, che limitano necessariamente la libertà individuale. In termini teoretici l’affermazione della legge individuale è una tendenza della vita contemporanea, una vita dominata da un lato dalla necessità di vivere meglio e dall’altro dal forte bisogno di un nuovo principio di responsabilità che non trascuri il singolo nella sua individualità in relazione con l’altro.

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Riferimenti bibliografici

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Angelo Zotti G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri”

In una Società che interpreta le sue intime ragioni, le sue linee di forza causali, nei termini di una acclarata responsabilità del Molteplice, di un elogio della varietà, di una costante preoccupazione per la continua opera di “decentralizzazione”, il pensiero acrobatico e inusuale di G. Simmel pare oggi voler riprendere il posto legittimo che le fila di eredi “in ordine sparso” tornano diligentemente a riconoscergli. Simmel ha spaziato, indagato, freneticamente divorato con la curiositas antica che solo un filosofo del vitalismo può sguinzagliare nei meandri del sapere, ogni “commestibilità” epistemologica, superando ogni varco, consueto od originale, che potesse dare accesso al quid fenomenico e al suo significato ulteriore. Relativista ed eclettico, attraverso un argomentare di sapore sofistico ha postulato, a scapito di ogni ormai anacronistico riferimento in altezza, l’indubbio primato dell’orizzontalità. Il primo degli assi portanti di questa enorme fasciatura laterale che tiene dentro, anzi tiene insieme, con insospettabile capacità di rendersi elastica e disponibile a nuove estensioni, le sue “costellazioni” oggettuali, i fenomeni cioè che per quanto tra loro distanti e reciprocamente estranei per ordine di grandezza o per il rilievo accordatogli, restano indiscutibilmente compresenti nella dimensione fenomenica, rimane il rifiuto della soluzione univoca, della risposta esclusiva ed escludente. E ciò a favore di una certezza che, metodologica e sostanziale, è ben più promettente e oggi potremmo dire attuale, dal momento che è in grado di scorgere nell’interconnessione, nel legame indifferente alla gerarchia dei fenomeni, la reale alternativa a quelle infelici triangolazioni tra il Soggetto, l’idea-ideologia e i conseguenti, scontati, esiti conoscitivi o anche comportamentali. È in questo senso che si sostiene l’estrema modernità di Simmel, nell’aver trattato, oseremmo dire in modo “democratico”, la messe indiscriminata di fenomeni e nell’averli così facendo, da un lato, “arruolati” al materiale d’indagine, dall’altro, equiparati in virtù della loro implicita disposizione a divenire oggetto di interpretazione e, su questa via, di conoscenza. La mancanza di scientificità, accusa più volte mossa in vita all’autore, non attiene soltanto alla scelta dell’oggetto di analisi ma è probabilmente una conseguenza di quel frainteso concetto di “rigore” che pretende la produzione di

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risultati e di comportamenti strettamente derivati da premesse ideologiche forti e da “ipotesi di lavoro”, latamente intese, in attesa soltanto di esser confermate da riscontri ad esse adeguati. Il rigore di un pensiero coerente trova con Simmel in realtà una sua collocazione dimensionale; esso riesce infatti a prender la forma di una strutturazione di tipo orizzontale, capace di connettere i singoli nodi e così facendo di creare una solida struttura di supporto. Con gli apporti contenutistici e le premesse metodologiche proprie a questo autore viene a determinarsi, a ben guardare, quel prototipo di rete che oggi, un secolo dopo Simmel, si afferma come l’unico punto fermo e incontrovertibile, la sola premessa concettuale indispensabilmente posta a presupposto di una qualsivoglia analisi epistemologica della Società. Il network contemporaneo fonde con straordinaria forza di imposizione le realtà geograficamente ma anche ontologicamente più lontane: all’esito dell’incontro con l’opera di Simmel, però, sembra che l’“orizzontalità” del Moderno, ossia l’allineamento e l’equiparazione da un lato, la connessione e la prossimità dall’altro, avesse già trovato una sua prima formulazione agli inizi del XX secolo, quando il sociologo di Berlino compila e scorre l’elenco degli Assoluti storici che in qualche modo si erano succeduti nel proporre al Soggetto efficaci indicazioni alla sua condotta di vita. Cosicché può scorgersi il delinearsi dell’estrema articolazione del Reale e della Società già nel tempo storico di questo autore, quando inizia a prospettarsi la responsabilità che il crollo delle certezze ideali e l’affermarsi di un relativismo culturale assumono in relazione all’emersione sempre più consistente di realtà nuove, di interessi e identità diverse che i singoli cominciano a declinare a seconda della loro reale propensione. L’oggetto di analisi dell’osservazione simmeliana diviene quindi quel minimale che, allora come oggi, si espande diffondendosi vorticosamente all’interno di uno spazio nel frattempo liberatosi da presenze troppo ingombranti; esso, sovvertendo gli ordini delle priorità, liberandosi dai lacci delle coperture censorie, moltiplicandosi quasi esponenzialmente per progressiva scissione funzionale, finisce per dar luogo ad un nuovo e sorprendente sistema d’ordine. O, se si vuole, di disordine, dal momento che il frame costante del disegno simmeliano, seppure configurato ante litteram, così come lo scenario convenzionale di riferimento del tempo attuale, rimane una Complessità di difficile gestione. In seno a tale complessità il grado di entropia, lo stato caotico delle unità, presenta una sua configurazione particolare: i singoli elementi, rifuggendo l’in-

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 363

serimento in concatenazioni teleologicamente predisposte e verticalmente organizzate, non possono che coesistere allo stato diffuso, in questo modo finendo per offrire al Soggetto un patrimonio pressoché infinito di possibilità esistenziali. L’assetto orizzontale che pervade la metodologia simmeliana connota allora anche la particolare disposizione nello spazio che nella sua ricostruzione assumono gli oggetti della Modernità. Il “conflitto di doveri”, situazione specifica, di ordine etico ed esistenziale, vissuta dal Soggetto di Simmel, designa la condizione dello scontro che si consuma in seno alle singole individualità a causa del ripetuto confliggere di prescrizioni di segno opposto. Attraverso questa figura, autonoma e ciclicamente ricorrente nell’opera di Simmel, è resa con abilità prospettica magistrale una triplice dimensione della condizione umana; quasi come se si trattasse di scatole cinesi, viene dato rilievo, attraverso la lotta tra “obbligazioni” diverse che pur si svolge in seno all’individuo, ad un background di natura filosofica (scontro tra possibilità esistenziali), ad una fenomenicità di ordine sociale (competizione tra doveri mutuati da vari ambiti di vita), ad una dinamica di taglio psicologico (collisione tra diverse inclinazioni della volontà orientate in un modo o nell’altro). “Chi non ha mai sperimentato il conflitto – dichiarerà Simmel – non può aver compreso nella loro vera profondità le richieste che gli rivolgono le cose, gli uomini, le idee”1. È per il tramite di questa particolare e personale vicenda allora che si dischiude al Soggetto l’infinito mondo delle esigenze, lì dove l’esigenza diviene il nome che lo stile quasi letterario di Simmel ci consente di dare al modo in cui il Molteplice, categoria filosofica e sociologica concordemente posta a fondamento della nostra vita sociale, preme sulla capacità percettiva del Soggetto. Soggetto, come è noto, posto con agile attitudine ricognitiva dall’autore nel cosiddetto Schnittpunkt, punto di intersezione delle sfere sociali e dunque crocevia di migrazioni etiche, tutte ugualmente intenzionate a lottizzare la volontà morale del Soggetto con le proprie inderogabili richieste di ottemperamento. L’istanza che materia un conflitto è dunque la domanda costante che il mondo esterno, anzi i vari ambiti di questo mondo, rivolgono all’individuo, di modo che esso, bloccato nel punto di convergenza di questa varietà di pretese, possa, scontando il tormentato stato di inquietudine ed eventualmente di indecisione che accompagna un’esperienza conflittuale, prendere atto della irrimediabile sproporzione tra le concrete offerte esterne (input) e la sua effettiva capacità di ricezione. L’impossibilità strutturale di dare accoglienza ad ogni ambizione 1

Simmel 1996a, 114.

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del Reale, ad ogni invito del Sociale, così come ad ogni tentazione o volontà nascosta nelle pieghe della propria psiche, definiscono in senso generale la condizione dell’uomo contemporaneo ma, in un senso più specifico, tratteggiano i contorni di una personalità che, da un lato tende inconsciamente, e dall’altro attende volontariamente alla propria auto-costruzione secondo un dettame che è di tipo “orizzontale”. E cioè l’auspicio di Simmel, regolarmente tematizzato nell’ambito di una pur poliedrica scrittura, a veder realizzato un particolare tipo d’Uomo contrassegnato da una notevole levatura spirituale, da un plus della personalità che, pur a prezzo di vicende interiori tormentate, lo conduca ad una sorta di superiore stato emotivo, intellettuale ed esperienziale, prende la forma di un perfezionismo sì, come era facile dedurre, ma di un perfezionismo che, al pari di altre già citate configurazioni nello spazio, potremmo ugualmente definire di tipo “orizzontale”. Sembra infatti mancare in Simmel l’apologia del riferimento ideale; coerente alla sua attenta analisi di ricognizione della caduta degli assoluti a favore di un concetto di Vita che più che sull’alterità e la verticalità faccia leva sull’idea di pienezza e di centralità2, egli pare voler propugnare la necessità di un’apertura consapevole dell’individuo agli spazi che gli sono più prossimi e che proprio lo svelamento operato dalla Modernità rende storicamente praticabile. L’altro modello dello slancio perfezionista, allora, più che inseguire i “richiami” lontani e implicitamente inafferrabili di criteri direzionanti, dovrà sì fare i conti con una realtà altra e ugualmente destabilizzante, ma in questo caso provvista di una collocazione che, sebbene meno visibile, rimane più prossima al Soggetto. Le “ombre” che vengono inseguite da questo particolare tipo di personalità “perfezionista”, infatti, non sono che le proiezioni del Sé ottenute sulle superfici dell’ambito mondano (e sociale) di appartenenza, non sono che spie di possibili altre identità (o semplicemente modalità) esistenziali che, per quanto astrattamente presenti, non hanno l’evidenza di un interlocutore forte, bensì il carattere sfocato che può esser proprio di una percezione. L’aggressione di queste figure notturne, riposte per questo nell’arcano del mondo, nei meandri sociali, nell’inconscio dell’uomo, è il riflesso di un’appartenenza effettiva al contesto, di un’immersione esistenziale in esso che non è il continuo rapportarsi a forme ideali (che già sono al di là del mondo), né tanto meno riguarda quella stretta “immanenza” che riduce le cose all’essenza più scarna, ma si pone come il prodromo stesso del conflitto. Ed è dunque la situazione conflittuale a “tradire” l’esistenza di un Mondo composto di ele-

2

Cfr. Simmel 1997, 123 ss.

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menti spazialmente allineati, disposti sì probabilmente in stato caotico, ma in numero talmente elevato da determinare una moltiplicazione delle pretese espresse nei confronti del loro referente naturale (l’Esistente, il cittadino, l’Ego). È il conflitto nella sua valenza di situazione che la nomenclatura esistenzialista direbbe “limite” a denunziare, al cospetto dell’infelice Soggetto, la compresenza delle istanze, e dunque della pluralità dei mondi possibili. Il “politeismo” diviene allora condizione del conflitto nella misura in cui esso è in grado di rendere in maniera icastica la frammentazione del mondo reale e di quello individuale; esso circoscrive le diverse sfere di appartenenza sociale riconducendole al patronato esclusivo di un solo dio e, contemporaneamente, riflette la polidimensionalità esterna nella molteplicità di interessi che animano la vita del soggetto. A rendere in altre forme, in un diverso tempo culturale, la forza e la drammaticità di questi nodi fondamentali della condizione umana, può non a caso essere chiamata in causa l’indagine esistenziale di Karl Jaspers. Egli avrebbe infatti parlato di “esigenza d’esser altro da sé”3, in questo modo confermando una sorta di necessarietà dello stato di insoddisfazione, e dando voce alla ontologica condizione di inappagamento, intesa quale conseguenza di una mancata coincidenza con quell’Unità che vuole, e soprattutto pare quasi dovere, inseguire differenti versioni del Sé. Quando Jaspers elenca i vari modi di interpretazione della lotta in seno alla quale si rileva l’immanenza o, all’opposto, la trascendenza della categoria del tragico, si sofferma a nostro avviso con maggiore adesione intellettuale su quella che, tra di esse, viene consumata tra gli dei stessi e che è stata opportunamente definita “conflitto di poteri”: “L’uomo non è che lo zimbello o il teatro o lo strumento di tali lotte; ma la grandezza dell’uomo sta proprio nel divenire un simile strumento: come tale, infatti, assume coscienza di sé e si identifica con le potenze supreme”4. E non sarà poi casuale che nell’ampio repertorio della casistica tragica dell’antica Grecia venga citata quale prototipo di questo conflitto l’impresa di Antigone. Ritornano sorprendentemente anche con Jaspers la constatazione della varietà quale presupposto, l’inevitabilità della competizione, la rilevanza della colpa e l’auspicio del riscatto individuale. Antigone compone il prisma tragico delle lacerazioni umane offrendo l’esempio archetipale del disfarsi del Valore unico, sia esso verità o bene supremo, nello spettro infinito dei frammenti, ugualmente validi, parziali e forse drammaticamente sostituibili in quanto oggettivi5. Ma d’altra parte la condizione tragica viene proposta come tappa 3

Jaspers 1978, 731. Jaspers 2000, 33. 5 Cfr. Jaspers 1998, 95. 4

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indispensabile; in un sistema privo di antinomie non si darebbe neanche l’opportunità di avvertire la trascendenza, e di accettare così una “glorificazione” della propria colpa come inevitabilmente legata al tentativo di realizzare l’unità e al rifiuto di altre possibilità d’esistenza. Senza in qualche modo subire la presenza dei riferimenti esterni e dunque privandoli della loro efficacia normativa e coercitiva, si impedisce l’assunzione della colpa ma anche “la tensione in cui cercare lo slancio per ascendere”6. Sembra allora che il sentimento dell’obbligatorietà del dovere ben si presti a fungere da passaggio intermedio tra la sempre maggiore affermazione di una soggettività esigente e la vigenza di un universo filosofico tempestato di possibilità (principalmente di essere, di non essere). Quando è Simmel a ricorrere al modello tragico e a fare di Antigone il simbolo di un “conflitto di doveri” egli non fa a ben vedere che fornirci le tre chiavi di lettura fondamentali ad interpretare il fenomeno in questione. Nella vicenda di Antigone è presupposta la presenza di un mondo che all’eroina ha saputo proporre due possibilità esistenziali perfettamente simmetriche: dare sepoltura al fratello Polinice, così come impostole dalla tradizione e dall’uso familiare e acquisire in questo modo il merito di essere sorella ossequiosa e devota; privare Polinice dell’onore della sepoltura, così come ingiuntole dalla legge dello Stato, dimostrando di essere l’esemplare cittadina di Tebe. Ma se la dimensione filosofica ha concesso ad Antigone due chances di auto-realizzazione, prospettandole due ruoli, due modi di essere, ugualmente possibili, quella sociale si renderà evidente imponendo due tipi di doveri, due obbligazioni mutuate da diversi ambiti di appartenenza. E se l’ultima manche di questa disfida dovrà consumarsi all’interno della dimensione psichica, trasmutando la pressione esterna e coercitiva dei doveri nella diversità degli impulsi volitivi eventualmente affiorati in seguito alla sollecitazione etica, si sarà offerta in modo ancor più plastico l’evidenza di una doverosità che si è fatta punto di contatto tra Soggetto e Mondo. Col veicolare le mille opportunità concesse all’auto-realizzazione personale, il dovere ci appare allora quasi come una possibilità che, complice un sistema sociale adeguato, una contingenza di vita o la semplice predisposizione caratteriale del singolo, si è avvicinata troppo al Soggetto finendo per convertire la sua mera esistenza ontica nei connotati di una doverosità di tipo esistenziale, nell’intimazione al Soggetto al dover esser presa in considerazione. Questa funzione di sollecita intermediazione che le forme sociali svolgono tra gli antipodi costituiti dalle esigenze reciproche è pressoché svelata nella puntualizzazione 6

Jaspers 1978, 727.

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che Simmel fa in relazione ai singolari esiti del conflitto. Se “non esiste per Antigone alcun compromesso differenziante [e] dopo la sua morte i termini dell’antitesi stanno di fronte l’uno all’altro […] con altrettanta durezza e inconciliabilità come all’inizio della tragedia”7, ciò vuol dire che probabilmente, ben al di là dell’obbligazione doverosa, a donare una verosimile spiegazione al requisito permanente dell’inalterabilità del dovere, si agita la sagoma più evanescente del concetto di possibilità. L’azione del dare sepoltura a Polinice (una delle istanze in conflitto) rimane ferma nella misura in cui mentre il dovere di dare sepoltura può essere in qualche modo ignorato, la possibilità di compiere questa stessa azione rimane presente e, per un certo spatium temporis, attuale. Antigone avrebbe potuto non seppellire Polinice, ma sarebbe rimasta sempre la possibilità di realizzare questa azione, e di divenire di conseguenza deferente sorella, e ciò fino a che fosse stato materialmente presente il cadavere. Il senso del conflitto è grave, impegnativo e soprattutto, a voler prestare ascolto alla linea di impostazione di Jaspers, fondativo di un approccio dal taglio indiscutibilmente tragico: “La struttura antinomica dell’esserci vuol dire che in esso ci sono solo soluzioni finite […], l’esserci rimane per questo incompiuto […]. In nessuno stato esso riesce a trovare un accordo con sé”8. L’evidente somiglianza delle posizioni di partenza (e che in qualche modo avvicina le intuizioni simmeliane ai successivi sviluppi del pensiero esistenzialista) sembra però sfociare in soluzioni parzialmente diverse. Se il superamento del “tragico” può realizzarsi per Jaspers attraverso quello che si configura come il compito esistenziale dell’uomo, la comunione tra gli uomini stessi raggiunta in virtù di una profonda lotta amorosa, per Simmel sembrano invece delinearsi i punti di forza di una soggettività che, pur imprescindibilmente inserita negli ingranaggi “formativi” che articolano la relazionalità ambientale e sociale, individualizza la sua esperienza personale accollando su di sé gli effetti rischiosamente destrutturanti della vicenda conflittuale. Se forse con Simmel i tempi non sono sufficientemente maturi a dare adeguato rilievo a quella sorta di abbraccio collettivo che, gesto d’amore e di ragione, intuisce e sviluppa la compartecipazione esistenziale alla medesima sorte, il senso dell’antinomia tragica, reso nelle forme simmeliane del “conflitto tra doveri”, reca con sé l’impronta di un altro abbraccio, questa volta riferito al proprio unico individuale destino di cui in qualche modo si assume la responsabilità finale. 7 8

Simmel 1998, 155. Jaspers 1978, 729, 731.

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In realtà il concetto di responsabilizzazione, da intendere nel senso di un “esser chiamati a rispondere a qualcuno”, o in questo più generale caso, a “qualcosa”, innerva l’intera esperienza conflittuale. Se Simmel elabora la fenomenologia del conflitto in termini di domande rivolte all’individuo, se in altri ambiti ricostruisce la dinamica dell’incontro soggetto/oggetto, interno/esterno, come modulato sulle esigenze reciproche (del Soggetto verso il Mondo, del Mondo verso il Soggetto), allora tutto ciò che riguarda la sfera del singolo, “deiettato” nel mondo o operatore del grande Sistema, implicitamente finisce per assumere l’ossatura di una risposta. Le esigenze di cui parla Simmel svelano la loro natura profonda e manifestano il loro risvolto concreto nella misura in cui è possibile appurare come rimanga ferma la domanda, anzi le domande, che si annidano dietro le cose e che l’occhio attento dell’uomo più evoluto intravede e interpreta come richiesta a sé medesimo: “La nostra coscienza avverte esigenze a lei rivolte e che essa può realizzare per mezzo del dovere”9. Questa “pretesa dell’esistente” è il presupposto filosofico dell’apparire del conflitto. Il conflitto è esemplarmente occasione di tormento e causa a volte di una devastante tendenza alla decomposizione della presunta unità soggettiva, ma esso è anche allo stesso tempo “scuola di vita”, l’indispensabile sospensione delle funzioni che deve promuovere la formazione più alta a cui aspiri l’individuo, il quale, a quanto pare, non può esimersi dal fare i conti con le esigenze ideali; non può disconoscere l’esistenza di queste strutture di raccordo necessarie in ultima analisi a realizzare l’avvicinamento del Mondo alla sensibilità del soggetto. Anche se ciò probabilmente significa esser continuamente sottoposti allo stato di inquietudine inscindibilmente legato alla percezione dell’esistenza di una possibilità da realizzare, al sentimento di esaltazione che accompagna l’affiorare della relativa tentazione, alla problematicità di una scelta concreta che, paradossalmente, tra le conseguenze di maggior conto porta proprio con sé la conclusione della singolare impresa (emotiva e razionale) dell’uomo costituita dal conflitto. Sia ben chiaro però che fornire la risposta non significa neanche in questo caso dispensare la formula risolutrice, bensì concedere un’attenzione, rivolgere il proprio sguardo oltre le apparenze piane, oltre i cromatismi sfocati da un uso veloce e superficiale; significa più che altro rispondere ad un appello e così facendo evidenziare la propria presenza nel mondo. Verrebbe da dire assumen9

Simmel 1996a, 84.

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do l’evidenza che solo l’intervento stesso nella congerie disorientante delle cose è in grado di garantire10. Un’assunzione che in realtà riduce il problema del Molteplice alla dimensione del singolo, quasi portatore del peso, del colore, dell’impronta delle cose con cui avrà avuto modo di confrontarsi, e dunque responsabile di questi ripetuti incontri con situazioni e persone in un senso che, se ancora strettamente individualista, lascia intravedere i germi anche del futuro sviluppo di una responsabilizzazione in direzione “comunitaristica”. Il numero e la qualità di possibili risposte, potremmo dire allora, è proporzionale, da un lato, all’effettiva capacità del Soggetto di soffermarsi sui molteplici piani di interpretazione che rimangono nascosti dietro le concrete situazioni di vita prospettategli, e dunque alla sua personale dotazione valutata in termini di sensibilità, razionalità ed intraprendenza; dall’altro, al livello di opulenza e fecondità che l’ambiente nel quale il Soggetto si muove è in grado di offrire. Una soggettività e una oggettività della molteplicità, dunque, che ripropongono sostanzialmente il problema di quella fatale incongruenza delle due dimensioni (la personale e la sociale) destinata a sfociare nell’apparizione del momento conflittuale. I presupposti di un conflitto sono allora nel surplus, nell’intrinseca capacità del singolo a recepirlo e nell’abbondanza di offerte di cui sa disporre il Sistema. Da un lato dunque la volontà di indagine focalizzata sulla dimensione prospettica delle cose, dall’altro un ambiente caleidoscopico che questa effettiva possibilità realmente sappia prospettare. Di qui una doppia esaltazione di tematiche che, per quanto l’opera simmeliana renda in maniera a-sistematica e nell’ambito di contesti discorsivi assai diversi, presentano analogie e punti di contatto di grande interesse. La fascinazione subita nei confronti del modello urbano metropolitano e l’entusiasmo dimostrato dallo stesso Simmel per l’affermazione di un nuovo modulo artistico qual è quello espressionista, testimoniano in realtà la medesima ansia di oltrepassare il dato fenomenico e ciò al solo scopo, da valutare quale fine in sé, sganciato per questo da ogni pregiudizio di tipo assiologico, di entrare in contatto con la seconda e quindi doppia natura dei fenomeni empirici. La corrente artistica espressionista ha attratto Simmel perché in essa è sembrata palesarsi con l’energia propria alle innovazioni caratteristiche di un’avanguardia culturale, la necessità di superare il rigido schema finalistico che con10

“Non intervenire nel mondo significa sottrarsi all’esigenza della realtà che mi si presenta chiedendomi, sia pure in modo che resta sempre oscuro, di rischiare e di sperimentare ciò che nasce con il mio ingresso nel mondo”; Jaspers 1978, 725.

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diziona la potenza creativa (dell’arte, ma attraverso di essa della Vita) ad un angusto e reiterato obiettivo. Il nuovo sentire, i nuovi cardini della creazione artistica, ignorano in maniera eclatante ed inconsueta la predisposizione di una meta: essa, surrogata dalla veemenza dell’impulso originario e incondizionato, cessa di esercitare l’attrazione tirannica verso le terminazioni ultime del risultato e lascia il posto ad un’animazione cromatica che diviene l’unico strumento utile alla pur necessaria formalizzazione di una tendenza creativa. La “decapitazione” del telos dunque riabilita quale sola fonte della produzione espressiva il vigore di un’esperienza emozionale, la valenza di un flusso tracimante e incontenibile che sembra avere la stessa impronta della pleonessia simmeliana, forza similmente intenta a violare le uniformità sociali, i “vincoli e i confini morali assegnati al singolo”11. Il conflitto di doveri appare allora come una delle figure più “espressioniste” della capacità speculativa di Simmel, se è vero d’altronde, come sostiene Jedlowski, che “la comprensione […] è frammentaria e relativa e somiglia più ad un’arte che ad una scienza”12. In un’accezione più generale la negazione della meta significa “spezzare la direzionalità”, la grandezza vettoriale che lega il Soggetto al suo obiettivo immediato per il tramite dell’intermediazione ideologica di un Valore, di tipo univoco e non plurale, attraverso, per ricongiungersi a quanto già affermato, un Assoluto che sappia orientare la condotta, e ancor prima l’interesse e poi la scelta del Soggetto: “L’Espressionismo […] è pienamente convinto che non ci sia bisogno che una causa ed il suo effetto abbiano una qualsiasi identità con la forma della loro manifestazione esterna”13. Ci sembra congruo assumere il tipo di identificazione evocato in questo passaggio quale prototipo esemplificativo di una certa prassi che, individuale e sociale, caratteriale e politica, si pone come antitetica alla condizione conflittuale, caratterizzata, al contrario, non tanto dalla dialettica “diadica” che vede opposto il soggetto al suo oggetto, quanto da uno stato di accerchiamento che l’insieme delle istanze oggettuali realizza ai danni del Soggetto stesso. Il fulcro della coincidenza, invece, si esaurisce abitualmente in un tendenziale rispecchiarsi del Soggetto nell’oggetto che gli è posto di fronte. La somiglianza morfologica, che in campo artistico significa perfetta rispondenza tra la

11

Simmel 1982, XXVIII. Simmel 1995b, 27. 13 Simmel 1999, 28. 12

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 371

“commozione” interiore dell’artista e il suo prodotto visibile, e che sarà legge fondamentale della corrente impressionista, viene meno con la nuova predisposizione espressionista e in essa Simmel, non a caso, saprà scorgere la capacità di attenuare la circostanza che il flusso vitale, ora inteso come indomito fervore artistico del Soggetto, si congeli in un risultato che è troppo “altro”, troppo lontano dalla sua fonte ispiratrice e produttrice. Questo accostamento sembrerebbe sufficiente a candidare il ruolo del conflitto all’ingrato compito di impedire che il riferimento unidirezionale imbocchi la pericolosa strada dell’“ontologizzazione” dei contenuti di vita e dunque dell’oggetto nel quale ci si imbatte. È il rischio questo di non consentire al significato della situazione di emergere in fieri ma, attraverso un procedimento concettualmente assai vicino alla dinamica del pregiudizio, di favorirne l’attribuzione del senso una volta e per tutte. Imprimere sul materiale di vita il sigillo della propria volontà, predisporre in un ben preciso ordine gli atti e le azioni che promanano da un’intenzionalità volitiva, da un approccio alle cose profondamente ispirato, fideisticamente motivato, significa disporre una catena causale che organizza i suoi singoli elementi in modo tale da poter garantire il raggiungimento di uno scopo. Questo scopo non nasce a caso, esso è presumibilmente legato ad un progetto valoriale che, riposto negli intimi o dichiarati propositi del Soggetto, condiziona l’intera serie dei suoi risultati prasseologici (azioni, valutazioni) e, per quanto sia possibile, tenta di interpretare alla luce dei suoi assiomi fondamentali anche e soprattutto quel materiale che non ha la sua scaturigine direttamente in esso ma, afferendo all’azione dell’altro o a semplici fatti di vita, costituisce la “massa corporea” del mondo oggettivamente dato. La robusta iniezione teleologica somministrata in partenza, allora, rende la serie dei fatti già contraddistinta da un suo pre-posto valore. E il significato, attraverso la successiva e reiterata attività di interpretazione omogenea, tende ad incorporarsi nel significante, fino a rendere l’enunciato inscindibilmente marchiato dal suo presunto valore. In sistemi teleologicamente ordinati, poco spazio residua per un conflitto vero e proprio: il dominio incontrastato dello scopo che determina l’Ordine, perché finalizza la concatenazione degli elementi, consente infatti al Soggetto l’agevole ed arbitraria attività che consiste nell’accertare se il fatto (l’episodio di vita, il fatto-reato, il prodotto artistico) coincida con il fine che ci si è imposti, se sia cioè regolarmente inserito nella successione ordinata delle cose in modo da poter raggiungere la meta prioritariamente stabilita. Tutto ciò che si pone con un diverso numero d’ordine, l’elemento

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estraneo nella catena dei fatti, viene subdolamente interpretato (arruolato al proprio dictum ideologico) o drasticamente espulso (ignorato, censurato, sanzionato). Sperimentare il conflitto significa scongiurare questo rischio, scompaginare le fila di un assetto che darebbe altrimenti luogo alla ricomposizione di dinamiche verticali, tarate cioè su di un poderoso riferimento assiologico con cui dover misurare costantemente il dato empirico di vita. Implicitamente Simmel ripropone allora il riallineamento orizzontale dei riferimenti e, sulla via di un’auspicata intensificazione del conflitto, contribuisce a stimolare l’attività di investigazione nonché di svelamento delle zone di conoscenza fino a quel momento negligentemente trascurate. Tra i rischi connessi alla pratica di un estremo soggettivismo (predominio dell’istanza unica in seno al soggetto-attore), come a ben guardare ad un esasperato oggettivismo (invadenza di un modello pervasivo), vi è proprio quello di non riconoscere la parte di mondo che o non si pone come propria emanazione, o rivela una resistenza insuperabile a farsi reclutare dalle proprie categorie interpretative. La rotazione dello sguardo, la maggiore lentezza che esso comporta in confronto alla naturale irruenza di chi non ha da compiere che il predisposto tragitto che separa la matrice ideologica dalle filiazioni seriali, garantisce ben più che la formazione del tipo d’uomo di più ampie vedute intellettuali e maggior respiro emotivo. Essa, nell’assicurare la persistenza della Varietà, impedisce che i sistemi vengano costruiti su meccanismi eccessivamente reificati, che cioè, una volta posto l’assioma, interpretino il materiale oggettuale e i soggetti stessi come entità a sé stanti “alimentate” dal proprio valore e funzionali a produrne dell’altro. La pratica di un’apertura all’altro, di un confronto che sottoponga simultaneamente le istanze diverse alla prospettiva del Soggetto in procinto di vivere il conflitto, si pone come alternativa ad una prassi, personale e sociale, ma anche filosofica, che propugna la rielaborazione continua dello stesso modello. Esso, riprodotto nelle forme di condotte conformi, di comportamenti adeguati, di valutazioni allineate, diffonde una sorta di monocromia che in ultima analisi ben può ascriversi ad un’incessante attività di reificazione. In realtà, e questo è il punto fondamentale, si reifica nella misura in cui il percorso della corrente vitale, del flusso inarrestabile in cui si sostanzia per lo stesso Simmel l’essenza della Vita, viene condizionato dalla necessità di realizzare un obiettivo. Quanto più intenso è lo scopo impresso sui flussi vitali tanto più il prodotto che ne deriva per progressivo modellamento assume una consistenza autonoma. Il senso ultimo di una formalizzazione, dunque di un rendersi evidente e tangibile di una Sostanza vitale, risiede nell’essere, ad un livello s’inten-

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 373

de molto generale, piegata ad uno scopo, ad un progetto implicito che spiegherà poi l’apparizione delle cose: “Egli può rendere scopo solo quello che sente come valore. Ma in quanto lo rende suo scopo lo traspone nella realtà”14. L’apposizione del telos, da parte di uno Stato nei confronti dell’organizzazione sociale, di una psiche nei confronti del proprio corso di vita, insomma di una Intenzionalità, sia essa ispirazione artistica, “soffio” divino o programma politico dell’autorità assoluta, che per potersi esprimere dovrà necessariamente modellare la materia, pretende che il suo prodotto gli somigli, che materializzi al livello della visibilità il valore che svetta al principio; in tal modo “il calco” che era in origine dovrà riprodursi compulsivamente e attraverso successive proposizioni. Ma ciò che tale processo finisce per generare è una realtà specchio, nell’ambito della quale si propone la validità di un solo modello, così escludendo il confronto, e in seno alla quale tende a confluire tutta l’energia originaria, l’intera forza di realizzazione. Reificando se stessi, sulla falsariga della legge biologica, in virtù della quale le produzioni successive vengono meno una volta esaurito il loro ciclo naturale, per l’ovvia considerazione di una mancanza di irrogazione da parte della linfa vitale (leggi: flusso vitale), i sistemi così costruiti (politici, autocratici, etici) tenderanno a mostrare nel breve periodo la loro fragilità intrinseca. Simmel, cosciente dell’ineluttabilità del processo da lui stesso continuamente denunziato nei termini di un “conflitto della civiltà moderna”15, sa bene che nessuna funzione scampa all’esigenza di farsi forma, e dunque di divenire realtà cristallizzata incapace, in quanto tale, di rappresentare fedelmente la corrente di vita che l’ha generata. Ma tant’è. Un conflitto tra doveri consente di collocare un soggetto davanti ad una molteplicità di istanze piuttosto che di fronte ad un solo e unico oggetto che può divenire, all’occorrenza, preda del proprio soggettivismo arrogante o, al contrario, canone che deve sopperire alla incapacità di un’auto-regolamentazione. L’“alternativa” di cui si nutre l’uomo del conflitto dunque, così come il Sistema che abbia contemplato nelle sue maglie longitudinalmente estese la possibilità altra, consente di sostituire alle concatenazioni che si snodano dal Valore-guida fino ai concreti precipitati fattuali, un assetto che si è già detto “orizzontale”. Di esso va ora messo in evidenza come i singoli elementi che ne

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Hartmann 1972, 70. Cfr. Simmel 1999.

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determinano la composizione godano in realtà di una loro autonoma configurazione. I doveri simmeliani si presentano infatti come entità a sé stanti, espressioni di quelli che oggi definiamo mondi sociali, sistemi cioè reciprocamente slegati, dotati di una razionalità interna di grado molto elevato e dei cui reciproci rapporti non a caso si parla in termini di conflitto permanente e inevitabile. Il margine di estraneità che i sub-sistemi sociali oggi ripropongono con la forza dei singoli saperi e la minaccia di un’improvvisa e mutua sopraffazione, ha in realtà il suo antefatto nella costruzione simmeliana della coesistenza reale di doveri. A proposito dei loro vicendevoli rapporti sembra opportuno parlare di “irrelata coesistenza”16, così come in termini analoghi vengono descritti i suoni di una partitura espressionista intenti a riconquistare la loro assoluta autonomia e la loro ugualmente “irrelata” purezza17. In questa specifica configurazione diviene quantomeno singolare l’apparente contraddizione tra una moltitudo di referenti sistemici parziali, indipendenti e pronti ad esercitare un dominio assoluto se solo l’autorità deputata alla scelta (per Simmel evidentemente il soggetto) acconsenta a dare seguito alle richieste di una sola istanza, e dall’altra un Soggetto che da tanta varietà pare ricavi soltanto il pericolo di una disintegrazione interna. Si delinea in questo modo una radicale contrapposizione di termini che vede fronteggiarsi le istanze intenzionate ad “avanzare una pretesa totale nei suoi confronti, sulle sue forze e sui suoi servizi”18 e un Soggetto che ad esse è in grado di opporre soltanto l’“adempimento parziale”; da un lato dunque la oggi quanto mai attuale constatazione della mancanza di una “razionalità sociale globale”, dall’altra le singole leggi della razionalità dei sottosistemi che “estremamente razionali in se stesse […] seguono «ciecamente» la loro propria logica, sono scoordinate, autoreferenziali, caotiche, espansive e imperialistiche”19. In realtà è proprio la contemporanea ammissione, da un lato, del vigore della parzialità sottosistemica e, dall’altra, dell’esistenza, alla base del conflitto, “della più completa libertà del Soggetto”, di una imprescindibile capacità “di riconoscere entrambe le pretese come eticamente vincolanti”20, ciò che garantisce l’estraneità, quella lontananza sufficiente a consentire ai singoli riferimen-

16

Calabrò 1974, 151. Cfr. Chiarini 1969, 37. 18 Simmel 1998, 154. 19 Teubner 1999, 112. 20 Simmel 1998, 155. 17

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ti sociali, ideali e di senso, una volta guadagnato uno spazio di visibilità, di “autonomizzare” il loro statuto ontologico21. Per riappropriarsi e tentare di calarsi nella nozione di “estraneità” che caratterizza le istanze simmeliane in conflitto, e allo stesso tempo per rendere in opposizione alla loro antropomorfica espansione frontale al Soggetto, il senso delle ombreggiature proiettate su di esso, può ritornare utile fare propria la definizione “labirintica” dell’Io, opportunamente pensato ed elaborato come “un campo di battaglia tra forze al Soggetto stesso ignote”22. A riguardo sia allora consentito riferirsi anche alla visione assiologica della organizzazione che è propria ad una soggettività morale: “Ciò che vale per i valori universali – dirà Hartmann – deve evidentemente valere per i valori di personalità. Non modifica in nulla il rapporto l’essere questi in più stretta relazione con la persona singola, il loro significare un dover essere ad essa esclusivo. La persona ha anche questi valori ed il loro vigente dover essere, non in sé ma fuori di sé (sia questo accanto o al di sopra); anche qui essa può adempierli come trasgredirli”23. Appare chiaro che la pur diversa qualità, l’eterogeneità delle fonti e la disuguale natura dei valori nulla aggiungono al loro carattere autonomo, ad una lontananza che, seppur più o meno modulata, in ogni caso deve sancire l’indipendenza della posizione in cui si trova il soggetto. La capacità di percezione e la volontà di esecuzione, di fronte ai valori gerarchizzati o ai doveri in competizione, attraverso un gioco dialettico che si fa, a seconda dei casi, “polemico” o compromissorio, riconfermano il senso dell’alterità dei riferimenti e il tentativo affannoso di realizzare un’effettiva e definitiva appropriazione di essi. Venendo alla seconda tematizzazione simmeliana che vuole prendersi in considerazione nell’ottica della ricerca compiuta dall’autore nei confronti di costruzioni sociali che accordino la possibilità e la facoltà della scelta, e del conseguente privilegio legato all’indagine di ciò che è oltre, assume rilievo il

21

A proposito allora di questa dissociazione dell’offerta concreta (istanza, chance, dovere), dalla condizione del Soggetto (punto di snodo della varietà di offerte), ci si confronti con le parole che P. Chiarini spende a riguardo della struttura drammaturgica del teatro espressionista: “Il conflitto, molla decisiva e fondamentale della drammaturgia, e le situazioni costituiscono in realtà, nel teatro espressionista, qualcosa di esterno al dramma stesso, nel senso che rappresentano in ultima analisi lo spunto che mette in moto la carica lirica del protagonista […], grande soliloquio degli autori con se stessi”; Chiarini 1959, 114. 22 Mittner 1997, 23. 23 Hartmann 1972, 180.

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profilo simbolico legato alla dimensione metropolitana. Emblema e baluardo della modernità in continua espansione, la metropoli è il luogo elettivo dello “spaesamento” soggettivo e, nello stesso tempo, della grande occasione del singolo, osservatore ed interprete, di inseguire l’estrema articolazione dei costrutti del senso e di ricostruire, attraverso le proprie scelte di vita e la personale ermeneutica delle cose, il proprio percorso individuale. Probabilmente ciò che residua di un sistema infinitamente frazionato che ha parcellizzato i suoi spazi, frammentato i percorsi, moltiplicato i ritmi delle apparizioni fulminee, è la visione di un dettaglio, improvviso, sconnesso e perciò autonomo. Sganciato dalla catena del senso lineare, esso si presta a divenire oggetto di una valutazione impudente, sfrontata nella misura in cui non esita a surrogare il difficile rinvenimento dell’origine, la genealogia sconosciuta, con la personale elaborazione dell’individuazione del senso. L’“autonomizzazione” è allora l’altro nome dello “scollegamento” ed essa sa dunque manifestarsi anche nella forma della visibilità metropolitana. Una volta cioè che venga sperimentata nella reale apparizione delle cose, assume il senso di un’intermittenza, ciò che a sua volta significa un’immediata compresenza di pieni e di vuoti, di pause e di suoni, di luci e di istanti di buio. Mancando un filo conduttore, un’ipotesi che si manifesti con chiarezza a donare la spiegazione causale dei fenomeni, l’analisi in queste circostanze subisce uno spiazzamento continuo, una delocalizzazione dei punti stabili di osservazione che provoca un effetto ottundente e che ancora una volta costringe il Soggetto a dover ricreare l’equilibrio necessario per resistere all’impietosa alternanza dei riferimenti. Simmel allude a spiriti superficiali, privi di cultura, e poi a personalità impegnate quotidianamente a far fronte alle sollecitazioni ambientali attraverso la costruzione della propria centralità emotiva e critica. Il venire ad emersione di realtà altrimenti criptate, la demistificazione di mitologie ideologiche e del senso, la rivendicazione di un’interpretazione non convenzionale, tutto ciò è effetto di “perforazione”, di superamento delle soglie abitualmente consentite e tradizionalmente lecite. E paradossalmente questo ingente carico morale, nonché questa missione operativa nel Reale che il Soggetto si ripropone, trova il suo humus più fertile proprio nella galleria metropolitana dei singoli quadri. Le intermittenze allora, l’alternarsi degli spazi ripieni e svuotati, degli sprazzi di luce e delle zone di ombra, costituiscono una enorme riserva di materiale di cui l’artista dell’Espressione si serve per poter portare ad emersione l’essenza reale di uomini e cose. Rinunciare all’intenzione imitativa, in arte come nella vita, significa non voler cercare ad ogni costo

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 377

coincidenze. Ed esse, se in campo artistico pur producono pregevoli risultati, dando luogo a specifici stilemi di rappresentazione figurativa, in altri ambiti possono sortire ben più nefasti effetti. D’altronde un’operazione emulativa può probabilmente avere maggiore senso in una realtà di tipo comunitario, dove il ristretto numero di legami di appartenenza, la presenza costante di indicatori morali, l’uniformità dei modelli di conduzione, favoriscono una dialettica costante tra tavole di valori e concrete applicazioni pratiche. Ma la medesima velleità, portata avanti in un sistema ad alta complessità, brulicante di singoli, appariscenti e scollegati frammenti, quali si moltiplicano nell’esperienza metropolitana, finisce verosimilmente o per ancorarsi ad un aggancio normativo eccessivamente stabile o, all’opposto, per effettuare un’immersione pressoché totale nel contesto sociale. Sono modalità comportamentali, queste, che danno luogo a reali tipi umani. Esse sono in grado evidentemente di perseguire il modello emulativo nella misura in cui, fermo il “collegamento” ideale posto a fondamento della propria azione, ci si appaga dell’illusione di poter rinvenire nel contesto circostante le tracce del proprio Io. O, in alternativa, possono con estrema disinvoltura approcciarsi le innumerevoli proposte sociali con modalità talmente approssimative da rendere la dimensione esistenziale soggettiva ugualmente monotematica e indifferente in assoluto ad ogni specificità delle variazioni. Un’accentuata connotazione idealistica, così come un pervicace taglio realistico, rappresentano soluzioni alla complessità orientate nella direzione di ridurre il rischio della sovra-esposizione o, al contrario, di opporre ad essa una gretta pulsione vitalistica preoccupata soltanto di non lasciarsi sfuggire nessuna delle occasioni prospettate. La corazza idealistica cui ricorre il Soggetto inconsciamente inibito da una mole di sollecitazioni talmente intensa da risultare intollerabile, è da intendersi nel senso forse più moderno del termine: non è tanto l’ideale di memoria romantica a dettare in questi casi le cadenze della condotta soggettiva, quanto un ideale inteso come costruzione emotiva e intellettuale della singola persona. Il filtro selettivo attraverso il quale guardare alle categorie oggettuali manifesta infatti una tendenza patologica, diviene il sintomo di un atteggiamento nevrotico che spinge il Soggetto a effettuare continue sostituzioni della realtà esterna con realtà proprie. Presupponendo in fondo un intransigente rifiuto del mondo, l’idealista, sempre sollecito a rifugiarsi anche nichilisticamente nel regno dell’idea, si auto-preclude la visualizzazione di una materia che ai suoi occhi appare irreparabilmente inquinata e, almeno apparentemente, lontana dal progetto ideale a cui anela. Si è di fronte in questo caso ad un modo più sofisticato, ma non diverso

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negli esiti, da quello rappresentato dall’attitudine a percepire il Reale come scenario composito all’interno del quale muoversi sull’onda di un entusiasmo attivistico intento ad orientarsi tra le numerose proposte ma, “spirito superficiale” e fermo alla prima impressione delle cose (alla loro apparenza), senza riuscire a “penetrarne” effettivamente l’essenza. Ciò che si garantiscono queste due modalità d’azione o di inazione è la possibilità di scongiurare nel proprio percorso di vita l’incidenza impegnativa rappresentata dalla verificazione di un conflitto. Attesa la capacità dell’esperienza conflittuale a trascinare con sé la problematicità delle alternative, il senso del confronto e, in chiave più generale, quelle “incompatibilità insuperabili, [quelle] contraddizioni irrisolvibili”24 che chiamiamo tout court “antinomie”, il Soggetto può comodamente optare per una mera contemplazione delle belle immagini offerte dallo spettacolo del mondo, opponendo così un atteggiamento estatico di fronte al susseguirsi di scene sconnesse, oppure procedere assemblando un fascio improbabile di decisioni, di scelte che, abbagliate da una falsa conquista di chiarezza razionale, “consentono di rinunciare all’approfondimento della propria storicità”25. Nel suo archetipo metropolitano Simmel ha collocato l’abitante-tipo in una posizione ambigua; questo uomo blasé, in realtà, si caratterizza proprio per la sua noncuranza nei confronti delle cose; per un distacco che vuole essere possibilità di risposta all’esasperata produzione di stimoli. Rimane dunque pacifico che, pur avendo Simmel implicitamente posto tutte le condizioni, psichiche, intellettuali e culturali, perché questo tipo d’uomo possa aprirsi alle possibilità del Reale, il blaser resta un “rendere insensibile” sufficientemente incompatibile con la sperimentazione conflittuale. Con la delineazione della modalità blasé Simmel accentua attraverso i tratti caratteriali e della personalità di una figura di specificità quasi letteraria un altro concetto più volte ripreso nella sua produzione, e cioè quello legato ad una reciprocità relazionale che, pervadendo in maniera tentacolare ogni dinamica sociale, impone probabilmente ai singoli di riservarsi una tutela minima delle distanze che si interpongono tra gli attori sociali: “La serrata della distanza individuale è allora naturale e connessa ad un’iper-stimolazione sociale reciproca, alla iperattività e a mutazioni della morfologia comportamentale”26. Questa ricostruzione, presa a prestito dall’ambito psicanalitico, è significativa 24

Jaspers 1978, 728. Ivi, 729. 26 Freud 1985, 15. 25

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di quanto il ruolo dello spazio troppo pieno e conflittuale possa giocare nel senso di favorire un eccessivo stato di eccitazione e dunque, in questo senso, l’intensificazione, la sollecitazione ed il conseguente esaurimento del meccanismo delle secrezioni interne, “in primo luogo del sistema ipofisario e cortico surrenale”27. L’elogio della metropoli, dei suoi ritmi accelerati, della frenesia che velocizzando ogni cosa pare rendere infine il senso del rapporto ibrido tra unità e molteplicità, quasi ammiccando ad una indicibile congruenza tra i due termini, sdoppiatisi solo in grazia di una percezione visionaria e moltiplicatrice del Soggetto che operi nell’ambiente volubile della Città, in effetti implica quale termine alternativo e riposto nell’ombra, l’esistenza di un modello differente. Di una Comunità (probabilmente agreste) che, al contrario della Metropoli, è in grado di assicurare una prevedibilità dei modi di apparizione e sistemazione della categoria temporale e di quella spaziale. Singolare allora, che a rendere clinicamente manifesti i tratti alterati di un organismo in procinto di subire il cosiddetto crowding effect, sia stato proprio il genere d’animale selezionato nel “topo campagnolo”. Le conseguenze destabilizzanti che il trauma da sovraffollamento genera sul comportamento relazionale di questa cavia, abituata evidentemente a ben altra percorribilità dello spazio, sono diagnosticate, tra l’altro, nei termini di: un’apatia con diminuita reattività o mobilità, un atteggiamento dimesso, una perturbazione dell’equilibrio, cannibalismo. L’esito patologico sarà l’ecatombe per choc ipoglicemico. La diagnosi che Simmel fa dell’uomo blasé, impegnato nella perpetua attività difensiva di quella che probabilmente in altri ambiti discorsivi egli ha chiamato “intimità”, non sembra discostarsi poi di tanto dalle risultanze dell’esame effettuate sulla cavia animale, se invero, a proposito di circostanze quali il non conoscere i propri vicini, egli si esprime nei termini di “tacita avversione, reciproca estraneità, una repulsione che al momento di un contatto ravvicinato può, e a prescindere dall’occasione, capovolgersi immediatamente in odio ed aggressione”28. Se i nervi si vietano di reagire, se l’indifferenza e l’insensibilità rispetto alle differenze devono allora rendere il disincanto di un personaggio colto quasi quale punto di compimento di una parabola decadente, ci si chiede cosa pon-

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Ibid. Simmel 1995, 45.

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ga poi il Soggetto al riparo da una disintegrazione dell’io dalle conseguenze fatali, cosa insomma lo sottragga alla tragica ecatombe. A riguardo il fulcro della riflessione simmeliana diviene allora l’analisi dell’intellettualismo, una sorta di ritrazione del soggetto che, se in altri ambiti discorsivi viene esaltato nella sua totalità, nella pienezza delle sue funzioni, ora risulta invece “ridotto” alla mera dimensione celebrale. Delle cose, così come degli interlocutori, esso rinuncia a compartecipare la vicenda più intima procedendo, in conformità ad una diffusa spersonalizzazione, attraverso valutazioni di tipo quantitativo, nonché avvalendosi delle nuove ed asettiche tecniche della misurazione e della contabilizzazione. Ciò vuol dire che il soggetto si salva perché non va oltre, perché non pretende di conoscere dell’individualità che gli è di fronte lo spessore, la storia che l’ha fatta tale, le prospettive implicite al suo sviluppo. Questo processo di “operazionalizzazione” del mondo però, lascia quantomeno perplessi e ciò nella misura in cui esso sembra implicare, già al livello dei presupposti caratteriali e sociali propri alle soggettività in questione, una traccia, seppur remota, del “passaggio” delle dinamiche evolutive. In questo senso esso pare contenere già l’impulso ad un superamento della tecnicizzazione del mondo a favore di un approccio che della persona sappia invece sottintendere una partecipazione pressoché totale. Vorremmo azzardare che, per quanto ancora fisiologicamente lontano dalla piena soggettività che solo la forza dell’evento vitale di una legge individuale saprà garantire, il clima metropolitano e i ritratti caratterologici che ne derivano, generalmente presi, quali tendenze dell’evoluzione umana, pur sortiscono una qualche minima utilità. Va in qualche modo tenuto conto della circostanza che le persone sciocche e naturalmente prive di vita intellettuale non tendono affatto a essere blasé 29 e che dunque questa specifica condizione non designa semplicemente un atteggiamento passivo di adeguamento all’offerta sociale, né ci sembra tradire soltanto quel cupio dissolvi che la volontà pretende di annullare nel mare delle tentazioni. “Il blasé – afferma Dal Lago – è l’intellettuale che mette alla prova la sua capacità di resistenza psichica nel caleidoscopio delle impressioni metropolitane”30. L’uomo della Metropoli si è dato un limite per non soccombere, è divenuto indifferente, ha cominciato a reagire non sentimentalmente ma intellettualmente, ed è perciò, si deve dedurre, che “le cose gli si svuotano di fronte”31 29

Ivi, 42. Dal Lago 1994, 117. 31 d’Anna 1996, 74. 30

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 381

consentendo al blasé di vivere un’esistenza tempestata di sole sensazioni. Privando il fatto della sua sentimentalità, del suo radicamento (sociale, storico), lo si svuota del suo nerbo doloroso, lo si riduce ad un fenomeno di superficie che l’intelletto ha provveduto opportunamente ad inserire nella catalogazione o nella successione funzionale al cui genere l’evento di vita appartiene. Il mondo delle sensazioni, sembra potersi ricostruire, garantisce al soggetto di essere anestetizzato nei confronti di una tormentosa incursione nella profondità dei fenomeni, e questa autodifesa, per quanto provochi l’ottundimento ed una certa staticità del soggetto stesso, pare in qualche modo rendere complice del processo di evoluzione anche il silenzio narcotizzante. L’assenza di reazioni, l’indifferenza organica all’intervento invasivo, più volte e a vari livelli viene provocata affinché si realizzi la vera e propria condizione all’operabilità. Può essere che la complessità metropolitana e le mille sofferenze che dietro ogni cosa potrebbero sapersi nascondere, siano giocoforza attraversate anche da queste soggettività, che, per la verità ancora minori, nell’apparente quiete, nella sicurezza di manovre sterilizzate e prive di pathos doloroso, hanno probabilmente fatto propria in modo implicito una nuova acquisizione. Se pur questi soggetti si precludono di andar oltre, di saper prender atto di ciò che c’è dietro le cose per poter poi elaborare la propria personale norma, tuttavia sembra che a delinearsi siano i tratti embrionali di un meccanismo che, in quanto tale, prescinde dal soggetto e dalla sua specifica auto-costruzione, ed è funzionale invece ad informare di come l’Ambiente altamente complesso, pur irretito nelle prassi oggettivizzanti, pur spettatore del trionfo della misurabilità e della calcolabilità, inizi ad organizzare le sue proprietà incrementative, che forse proprio del blaser si avvalgono per sviluppare le loro specifiche risorse. In effetti la sopravvivenza soggettiva che si vuole a tutti i costi assicurata non può comunque non fare i conti con la contemporanea produzione di nuove forme (vitali, sociali, oggettuali) che, seppur non sempre trovano un’adeguata accoglienza (in primo luogo negata proprio dall’uomo blasé ), non smettono per questo di auto-elaborare la loro capacità di espansione. Può allora ritenersi che il meccanismo blasé non sia completamente al di fuori dei giochi, e che nell’opposizione con cui esso implicitamente replica alla varietà morfologica, nel dire no alla proposta esterna, pur si realizzi un modo per assecondare tale sviluppo? A ben guardare Simmel dice: “Tutta l’organizzazione interna di un sistema di relazioni così estese riposa su una gerarchia altamente differenziata di simpatie, indifferenze ed avversioni, a volte fugaci, a volte durature. La sfera del-

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l’indifferenza non è così grande come potrebbe apparire a prima vista”32. In realtà per Simmel l’indifferenza sarebbe innaturale quanto lo sarebbe lo stato caotico delle interazioni, ed il giusto rimedio al doppio pericolo va rinvenuto proprio nell’apparizione del sentimento di antipatia, lo strumento, dunque, che deve produrre e modulare le distanze e, più nello specifico, consentire di realizzare anche un “voltar le spalle”33. Questo sbarramento funge sì da preclusione ma, ci si domanda, può considerarsi funzionale ad una successiva, impersonale, e forse inconsapevole, accelerazione? Sussiste allora una “capacità di equilibrare antipatia e latente antagonismo, indifferenza ed eccessiva suggestionabilità, diffidenza e durezza priva di riguardi, intimità e sentimentalismo”34. Tale destrezza, invalsa nei sistemi metropolitani, pur nell’ipotesi in cui non appartenga precisamente all’uomo blasé, soggettività oramai ridotta a puro stato nervoso, deve divenire abilità di tradurre il proprio incontro intersoggettivo nelle forme adeguate della socialità, deve attribuire un senso alla “precisione” con cui viene scandita la propria quotidianità. La tirannia degli orologi divide la giornata in fasce orarie, ma esse vanno pur riempite e, soprattutto, dedicate a qualcuno o a qualcosa. Gli impegni, le occupazioni, seppur frenetici, seppur “quantificati”, tradiscono una propensione che, per quanto non designi certo un’azione di tipo esplorativo, non esime il soggetto dal dover optare per una realtà piuttosto che per un’altra. Ci si chiede allora a questo punto se la prassi urbana e intellettuale, razionalmente orientata verso lo smistamento dei flussi esterni, non possa esser ricostruita alla stregua di un’attività selezionatrice. La selezione potrebbe essere la chiave di lettura di una operazione soggettiva che a vari livelli consente la cernita degli input, e, su questa strada, la possibilità di schermarsi nei confronti del “continuo contatto esteriore con un’infinità di persone responsabile di provocare una tale quantità di reazioni interiori da farci trovare in una situazione psichica insostenibile”35. La parte più sostanziosa del materiale da sottoporre a selezione rimane quella attinente ai rapporti sociali variamente intesi, alle specifiche interazioni a cui può dare luogo una decisione selettiva, finalizzata cioè a realizzare una scelta non escludente, che metta il Soggetto in condizione di accogliere la richiesta

32

Ibid. Ibid. 34 Boella, 1988, 86. 35 Simmel 1995, 44. 33

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altrui. L’insieme delle domande poste dagli altri, la richiesta continua di aiuto o di compartecipazione, di sfida, di amore o di lotta, in cui agli individui è dato imbattersi alla sola condizione di auto-consentirsi il momento dell’indugio, rappresenta il complesso delle interazioni possibili che la dimensione metropolitana non a caso associa con sollecita disinvoltura. E, in prospettiva, l’istanza posta dall’alter, fatta risaltare dall’attenzione del Soggetto agente quasi a guisa di un’illuminazione improvvisa, si presta a costituire una delle possibili obbligazioni che la situazione conflittuale pone in competizione. La metropoli da questo punto di vista è allora il topos del conflitto; essa offre al Soggetto la preziosa occasione di smembrare e ricostituire l’ordine della macrostruttura nella quale si muove. Attraverso steps progressivi l’intenzione soggettiva, soffermandosi sulla richiesta rivoltale e accettando in questo modo il pericolo e gli esiti di una situazione conflittuale, comincia ad attribuire un senso, individuale, specifico, relativo ad una sezione minima dello scacchiere sociale, ma comunque in grado di rifuggire la vertigine anomica che l’approccio complessivo all’aggregato metropolitano è suscettibile di provocare. Se la “questua” può forse esser immaginata come la forma più appariscente e rappresentativa della richiesta nei grandi nuclei urbani, ben può allora ipotizzarsi che essa per l’ignaro passante, a prescindere dalla decisione che vorrà prendere, assuma la fattezza ingombrante di un dovere, sia esso dovere di rispondere all’istanza, o semplicemente dovere di prenderla in considerazione al fine di poterla eventualmente eludere. In realtà assumere il meccanismo selettivo come uno dei punti nodali della costruzione dell’individualità soggettiva consente di adoperare una chiave di lettura ben precisa, più specificamente rappresentata dall’interpretazione che Luhmann dà delle dinamiche sociali e soprattutto del modo di orientarsi all’interno di un sistema caratterizzato da “eccesso di possibilità” e da sottostrutture funzionalmente collegate. Potrebbe in questo senso avere una sua utilità considerare l’operatività selettiva non tanto dal lato della sua attitudine escludente in funzione di autotutela, quanto dal lato della sua capacità assimilativa del materiale su cui interviene. Il diritto, ad esempio, nella costruzione di Luhmann, deve essere visto come una struttura che definisce i confini e i modi di selezione del sistema sociale36; rappresenta quindi quella funzione del sistema generale che avoca a sé l’incre-

36

Cfr. Luhmann 1977, 162.

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scioso compito di distinguere tra possibilità ammesse e possibilità escluse. Lasciando in ombra le alternative, essa fornisce una prestazione strettamente collegata alle esigenze poste dalla differenziazione dei sistemi organici viventi. Ed è proprio mediante questo tipo di strutture che i sistemi possono allora acquistare maggiore complessità e consentire più numerosi e diversi modi di esperienza e di azione. In che modo si sviluppi questo passaggio evolutivo è presto spiegato: “In vista del continuo eccesso dell’offerta di aspettative normative, le strutture devono avere più forza di respingere delle aspettative: la capacità di dire no deve essere rafforzata”37. Dunque una mera rinuncia a procedere, un’accoglienza che viene rifiutata, quello che si è definito il momento “negativo” implicito nell’attività selettiva, può essere considerato funzionale ad un nuovo arricchimento delle risorse disponibili? Se così fosse potrebbe agevolmente dedursi che è la selezione che in qualche modo consente al sistema (uomo o società) di evolversi nel senso di un’ulteriore capacità di sopportazione di complessità. Non a caso, al cospetto dell’elevato grado di complessità, l’uomo, secondo Luhmann, saprà adottare strategie di “desensibilizzazione morale” parallelamente ai processi di trasformazione di un diritto positivo che, a sua volta, “in vista della sua diffusione e mutabilità, diventa diritto moralmente indifferente”38. Può essere interessante ricordare che se “desensibilizzazione morale” significa per Luhmann elevata indifferenza nei confronti di distinzioni, per Simmel “l’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze tra le cose […], il significato e il valore delle differenze […] sono avvertiti come irrilevanti”39. D’altronde Luhmann non esita a dire: “Quasi nessuna prescrizione giuridica ha un senso nel quale il singolo potrebbe identificarsi. Il singolo, quindi, non può avvertire il diritto come una cosa propria ma può ritrovare se stesso solo nelle proprie proiezioni normative, nelle proprie pretese, nei propri interessi”40. In una visione che si faccia sistemica, e che dunque tenda a spostare il punto di osservazione dal Soggetto dell’impostazione individualista di Simmel ad

37

Ivi, 165. Ivi, 249. 39 Simmel 1995b, 43. 40 Ivi, 250. 38

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un funzionalismo che tale soggettività consente di ricostruire alla stregua di un meccanismo operativo, viene precisamente formalizzato il ruolo dell’indifferenza. Essa è causa di una mancata completa immedesimazione in una sfera di possibilità che si apre di fronte e, per quanto ictu oculi strida con la tensione intellettuale e conoscitiva propria all’uomo del conflitto, non può non rievocare quella assenza di totale identificazione a cui in altri ambiti lo stesso Simmel allude nel descrivere la mancata coincidenza del soggetto con le sfere sociali di appartenenza. Esso riceverà sì in questi casi un quantum di protezione minore ma, nella pienezza del suo sviluppo spirituale, potrà avvantaggiarsi di tale contatto, che è molteplice e parziale, per potersi orientare tra le difficoltà del mondo in base ai dettami della sua personalità. Rimane fermo che dietro l’atto di incoronazione di un Soggetto che in grazia di una multilateralità d’azione ha determinato la caduta del vincolo d’identificazione, così come d’altra parte dietro le attraenti costruzioni luhmaniane dei mondi sistemici e delle prestazioni in essi riscontrabili, agisce come è noto un principio incrementativo, un’inarrestabile attività di differenziazione che, in virtù di una più o meno manifesta esigenza funzionale, espande ininterrottamente le sfere di appartenenza, sub-sistemiche o individuali che siano. Se dunque la moltiplicazione ad infinitum delle acquisizioni sociali, degli spazi di dilatazione, rappresenta il momento evolutivo, cioè l’accrescimento concretamente misurabile della complessità del singolo o di quella di un sistema, è vero che va posto, sul reale andamento della crescita, anche un altro tipo di accento. Si deve infatti sottolineare adesso, non tanto il contributo che all’espansione dà questa sorta di ontogenesi acquisitiva, bensì la funzione che assolve il momento di sospensione, l’arresto delle funzioni, la pausa che deve garantire, accanto al mero incremento, la reale maturazione in capo al Soggetto dell’esperienza conflittuale. Ha una sua importanza, a nostro modesto avviso, soffermarsi sulla valenza che ha, all’interno dell’evento-conflitto, l’apparizione del sentimento colpevole che risulta inscindibilmente legato all’atto decisionale attraverso il quale il soggetto opta per una delle possibilità offertegli. Nella sua generica accezione di riflessione sull’accaduto, la colpa segna dal punto di vista strutturale l’effettiva dinamica di svolgimento di un conflitto di doveri, e, dal punto di vista funzionale, traccia il percorso che deve approdare alla presa di coscienza del significato reale di esso. Anche di fronte alla perfetta sistemazione dei doveri, secondo Simmel, a causa dell’elusione eventualmente effettuata dal Soggetto ai danni di una delle istanze, permane un sentimento secondario di colpa morale.

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L’istanza simmeliana, ferma nella sua richiesta, esterna ed estranea, vendica la sua estromissione determinando nel Soggetto un angoscioso senso di colpa41. Si è già detto come l’inalterabilità del dovere, sconfitta evidentemente solo dal fluire del tempo, tradisca in realtà la natura filosofica e in qualche modo esistenziale del dovere stesso che, gettata la maschera sociale della coercitività, appare ora come una nuda ed essenziale Possibilità d’esistenza. A tal proposito vale la pena di citare un filone di studi psicanalitici che, allontanandosi dalla stessa ricostruzione freudiana di una colpa secondaria essenzialmente legata allo stato di sopra-avanzamento del Super-Ego sull’Ego, riconduce invece il sentimento di colpa al mancato dispiegamento da parte del Soggetto di tutte le sue personali energie42. Questa mancata soddisfazione accordata a tutte le possibilità che il singolo potrebbe attualizzare e che invece, dovendo necessariamente escludere, determina l’inevitabilità della colpa, è ciò che non a caso Jaspers aveva interpretato in termini di forme di vita irreparabilmente danneggiate dalle scelte dei singoli43. E Simmel sembra aver postulato, in un senso ampiamente generale ed omnicomprensivo, il medesimo legame che vincola il soggetto alla colpa di non poter dar attuazione ad ogni potenzialità del reale. Non sarà casuale che il sociologo di Berlino abbia parlato della relazionalità tra individuo e mondo nei termini di un incontro tra reciproche esigenze riconoscendo poi nella loro mancata congruenza la fonte di una problematicità diffusa, relativa innanzitutto alla dimensione della realizzazione etica. La psicanalisi esistenzialista è anche pronta ad escludere che persista una colpa, ma a patto che l’uomo realizzi tutto ciò che egli dovrebbe essere, senza così negare alcun diritto al proprio esistere. Impresa titanica se solo si pensa che tale autoespressività avrebbe dovuto presupporre che “le esigenze della società coincidessero completamente con quelle del singolo e che questo dovesse essere in grado di soddisfare a tali esigenze”44. È chiaro che è proprio la specificità della condizione del soggetto, il suo essere qualcosa piuttosto che altro, il dare attuazione, per usare categorie concettuali simmeliane, ad una forma determinata che per forza di cose deve scontare il suo limite ontologico, portare con sé in modo inevitabile lo stigma della colpevolezza. Il progetto dell’auto-realizzazione che accompagna l’individuo durante tutto il corso della sua vita rimane una impresa impossibile, tanto che in questa ottica solo la morte può rappre-

41

Cfr. Simmel 1996a, 113. Cfr. Condrau 1966, 170 ss. 43 Cfr. Jaspers 2000. 44 Condrau 1966, 185. 42

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sentare una soluzione appagante. Nello stesso tempo però è proprio l’assenza di tale tensione, dello slancio verso un’emancipazione coerente ai richiami della propria coscienza, che è in grado di fornire la misura dell’allontanamento da se stessi. Maggiore è l’auto-inganno, la rimozione del senso dalla propria totalità, maggiore è la colpa. Di conseguenza rimane aperta la possibilità di una riduzione di essa attraverso una consapevole elaborazione della propria soggettività. Si intravede anche qui in filigrana il disegno della auto-costruzione, cioè della messa in pratica di una vita sotto il segno di una volontà d’azione, che non è l’inseguimento spasmodico delle mete esterne, ma neanche la ritrazione compiaciuta e contemplativa, bensì l’accettazione e il superamento dell’inevitabilità della colpa, del torto perpetrato nei confronti di ciò che è oltre. Un oltre, ci pare di capire, che si colloca al di là della concretezza dell’essere così come necessariamente determinatosi in una certa forma, che si ritrova nell’immediata consequenzialità della scelta effettuata e, soprattutto, un oltre che coincide con ciò che è ancora più avanti della stessa così conformata condizione, con il luogo cioè dove si addensano le specificità degli altri. La riduzione di questa colpa passa per una scelta che è sempre più consapevole, e che probabilmente, pur cosciente della perdita, si avvia sulla strada di un se stesso più responsabile dell’esistenza dei suoi personali “talenti” e delle opzioni che tali risorse devono poter incrementare. A scanso di equivoci, va allora chiarito che, pur manifestandosi la colpa nelle forme di un sentimento che è tanto spiacevole quanto insopprimibile, non rappresenta essa l’ultima o definitiva parola proferita sulla questione personale del conflitto. Il sentimento colpevole va decifrato invece come realizzazione di una battuta d’arresto imposta ad un processo che sarebbe altrimenti ciecamente espansivo. La colpa, col determinare in capo al Soggetto una vasta gamma di sensazioni sgradevoli, costringe necessariamente a prendere atto di ciò che è stato acquisito e contemporaneamente di ciò che è stato perduto. Come se, detto in altri termini, la memoria del sistema registrasse i dati che sono stati in qualche modo esclusi e quelli che, all’opposto, sono stati selezionati. Lo spessore e l’incisività di un sentimento colpevole finisce allora per dotare la funzione del soggetto di una operatività pensante e senziente che, in prospettiva storica ed evolutiva, gli consente di soffermarsi e di valutare, di dubitare e di apprendere. La colpa è la spia di ciò a cui potenzialmente deve rinunciarsi ed è tramite l’autocoscienza che essa contribuisce a sviluppare nel soggetto che, a nostro modo di vedere, vengono gettate le fondamenta della situazione di fatto che

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l’individuo ha l’opportunità di vivere. “Inchiodare” qualcuno alle proprie responsabilità significa rendere con esemplificazione figurativa il senso di una nuova forma che ha preso vita, e ciò avviene immaginando un’effettiva unione del soggetto alla materialità delle strutture portanti, la fusione di esso con la storia che lo ha condotto in quel preciso punto, nonché con l’intuire che è stato “incorporato” uno specifico significato, ciò che sarà in grado di rinviare la situazione stessa, espiatrice e ancora colpevole, ad un qualcosa d’altro, al simbolo e al progetto che essa rappresenta, e che verosimilmente costituirà il nerbo, la ragione causale, dei successivi “quadri” che verranno, delle nuove “stazioni” determinate dall’accadere situazionale. Radicandosi in un certo spazio, strutturandosi con ogni elemento utile a determinarla per quello che essa è, la situazione in sé per sé temporalizza la condizione del soggetto specificandone l’evidenza ontologica, una presenza nel Mondo caratteristicamente determinatasi: “Nel momento del suo accadere, come in qualsiasi altro, la vita individuale reca con sé tutto il retaggio del suo passato ed insieme tutte le forze propulsive del suo futuro. Il singolo momento psichico rappresenta effettivamente la vita intera”45. Oltre il conflitto, allora, ma dentro la situazione, acquista consistenza la determinazione del soggetto: è la volontà di porre un nomos che non viene estrapolato dalle tavole di valori poste nei cieli della moralità superiore, ma che neppure ha le sue origini nel mondo auto-referenziale dell’interiorità soggettiva. Essa prorompe dalla vita stessa e ciò farà nella misura in cui questa vita ha saputo concretamente plasmarsi e divenire palese nella dimensione umana, quando cioè essa acquista l’inevitabile forma che le imprime la vicenda soggettiva. Colando nei calchi che costellano la successione empirica dei fenomeni, la sostanza ancora incontaminata, colta nello stato puro dell’essere in sé e per sé, si fa vita concreta, esperienza dell’uomo, situazione del singolo. La legge individuale diviene la norma che condurrà l’azione del soggetto, la risoluzione che riscatterà ogni cosa, che vorrà porre il suo legislatore e destinatario, oltre la postulazione universalistica kantiana, ma anche al di là di ogni tentativo irrazionale di fondare la propria originaria autonomia. Se essa può dirsi tertium, unità di raccordo tra soggetto e oggetto, è nella misura in cui ripropone, con la forza straripante che contraddistingue il divenire e il suo slancio vitale, ciò che si pone nel punto di mezzo. Il presente che contraddistingue l’attualità delle realizzazioni vitali rivendica la sua imprescindibile evidenza e impedisce, da un lato, le fughe a ritroso verso forme pure e apparentemen45

Simmel 1997, 165.

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G. Simmel: genesi e funzione di un “conflitto di doveri” | 389

te incorrotte di soggettività dispotica, dall’altro, l’artificiosa proiezione verso modelli oggettuali e, in sostanza, di taglio universalistico. Il tempo del conflitto è il tempo dilatato dell’istante, il momento della presa d’atto delle ipotesi contrastanti; esso impone al soggetto il suo passato, la sua storia e il suo carattere, ma nello stesso tempo gli prospetta il suo futuro, il suo programma e la sua azione decisoria. In quanto “esigenza posta alla sua vita, a partire dalla sua vita”46 questa legge nasce nell’imminenza, nell’istante in cui si svela hic et nunc ogni riferimento utile alla propria attività normativa. È in questo senso che la colpa si pone come passaggio intermedio. Se il soggetto non si soffermasse a riflettere, non transitasse sulla sua particolarissima condizione, se non venisse “incatenato” alla sua responsabilità, non verrebbe a costituirsi, ad un livello superiore all’individuo stesso, alcuna situazione. Ed un conflitto di doveri va comunque letto come il delinearsi di un assetto situazionale che, proprio con la formulazione della legge dell’individuo, viene condotto al grado più elevato di maturazione. Se non si prefigurassero in senso filosofico i termini di una situazione, dell’acclarata compresenza di un soggetto, del suo corredo temporale e delle istanze con le implicazioni connesse alle loro diverse pretese, i flussi che sono propri all’incremento vitale non avrebbero modo di raggiungere il senso di una vetta apicale quale è propria ad un naturale innalzamento di “tipo ondoso”. Non verrebbero a costituirsi quelle specifiche articolazioni che, generate dalla massa informe, assumono forma autonoma e protendono fino al punto in cui, manifestatasi la presenza di ogni elemento, raggiunta la massima espressione delle loro forze interiori, iniziano poi a decomporre l’“increspatura” per poter tornare nei ranghi dello scorrimento originario. La rotazione assiale che l’esperienza conflittuale compie su stessa travolge contemporaneamente tutti i fattori che ne hanno determinato la composizione particolare. Maturata all’interno di una situatività generante, la legge individuale opera e nasce in seno ad un materiale ancora pulsante e vitale e, una volta consacrato il suo valore di nomos, sembra capace di travolgere il soggetto, ancora indeciso e colpevole, e i doveri, involucri rigidi che, colmi di contenuti eteronomi, hanno probabilmente cessato di essere attuali. L’aggressione alla cittadella kantiana “in nome della concretezza e della pluralità delle esperienze etiche”47 ha portato al cospetto delle morali razionalistiche la varietà del Mondo e la composizione eclettica della natura soggettiva dandovi

46 47

Ivi, 178. Dal Lago 1994, 73.

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però opportuna collocazione nel vissuto concreto dell’esperienza individuale. È dunque grazie alla formulazione di questa nuova legalità che vengono superati gli stati di indecisione e gli strascichi colpevoli, ed è necessariamente fondata una soggettività di più ampio respiro: solo dopo averne maturato però le interne parzialità, e aver governato l’insieme mobile e caotico degli elementi situazionali, la legge, così come posta a se stessa, gestisce l’emergenza esistenziale che è propria ad ogni diverso momento di vita e restituisce il soggetto alla sua totalità di esistente. L’individuo presente a se stesso attualizza la propria esistenza attraverso un meccanismo di capovolgimento delle compagini situazionali al quale il continuo processo di arricchimento vitale fornisce la spinta motrice e dinamica. Quando il movimento avrà completamente disegnato la sua parabola ascensionale, la situazione di vita, mutando in realtà un qualsiasi elemento strutturante, sarà sufficientemente “compiuta” perché possa, dileguandosi, dar spazio ad una nuova conformazione degli assetti spazio-temporali che vengono definiti da e per il soggetto agente. Diversamente, al di là della fondazione simmeliana di un’individualità normativa, si aprono squarci a volte drammatici su realtà caratteriali e filosofiche, sociali e psicologiche, che al gioco della compresenza, del conflitto e dell’opposizione vita-forma, sostituiscono il primato di una soggettività senza oggetto o, all’opposto, l’incondizionata affermazione di una Realtà che, legalistica e oggettuale, ha tralasciato le risorse specifiche e contraddittorie del Soggetto stesso. Le modalità comportamentali del “mistico” e del “positivista”, ritagliate dalla riflessione esistenzialista di Jaspers48, autore che ci sembra doveroso chiamare ancora in causa a testimonianza dei lasciti più fecondi dello stesso Simmel, non fanno che confermare l’esistenza di un rischio sempre in agguato. Che la mentalità comune, l’indolenza intellettuale, il conformismo dilagante, finiscano per convalidare atteggiamenti pericolosamente idealisti, intenti cioè a preservarsi nell’integrità di sistemi ideologici e di costruzioni autocratiche o, in altro senso, millantando una natura “realistica”, accettino la sopraffazione del mondo dato, delle sue cose, dei suoi beni materiali, dei suoi valori dominanti. Guardare nella realtà per trovarvi riflesso il proprio universo interiore o annegare in essa per il troppo protendersi verso forme che sono al di là della propria effettività spaziale, può costituire un concreto espediente, variamente diffuso e giustificato nella pratica, per aggirare il conflitto e con esso l’impagabile opportunità di poter render giustizia alla propria interiore versatilità. 48

Jaspers 1978, 683.

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APPENDICI I. STUDI PSICOLOGICI ED ETNOLOGICI SULLA MUSICA II. INDICE DEI NOMI

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Georg Simmel, Psychologische und ethnologische Studien über Musik, “Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft”, herausgegeben von Prof. Dr. M. Lazarus und Prof. Dr. H. Steinthal, Ferd. Dümmlers Verlagsbuchhandlung, Berlin 1881; trad. italiana di Giovanni De Martino; revisioni di Marianne Gackenholz e Stefano Fanini.

Chiamato a valutare gli Psychologische und ethnologische Studien über Musik, Helmoltz scrisse di aver ricevuto “una copia brulicante di errori di scrittura e di negligenze stilistiche, totalmente priva di revisione, in cui specie le frasi citate da lingue straniere non si possono che decifrare a fatica […]”. Questo giudizio lascia intendere chiaramente quali possano essere state le difficoltà incontrate nella traduzione. Il saggio di Simmel sulla musica va letto alla luce del fatto che esso rappresenta uno studio pionieristico in tre diversi ambiti disciplinari – psicologia della musica, etnomusicologia e sociologia della musica –, senza la possibilità di essere inquadrato con precisione all’interno di nessuno di questi. Lo scritto, pertanto, sconta non solo la carenza di un apporto scientifico precedente, ma anche la mancata elaborazione di un preciso metodo di ricerca in tutti e tre gli ambiti di studio. Ovviamente anche il linguaggio utilizzato manca di quel requisito tecnico che normalmente ci si aspetta da uno studio scientifico. Da qui la necessità, nella traduzione, di mediare tra due esigenze: quella di corrispondenza terminologica con l’originale e quella di rendere in qualche maniera “leggibile” per il lettore odierno uno studio scientificamente datato. Un altro aspetto per il quale Simmel ha ricevuto critiche in negativo da più parti, non solo in riferimento a questo scritto, concerne il suo modo di porre le note in maniera approssimativa e non convenzionale: per fedeltà alla struttura del saggio, le note sono state mantenute nella traduzione nella stessa maniera in cui vennero inserite dall’Autore [S. F.].

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STUDI PSICOLOGICI ED ETNOLOGICI SULLA MUSICA del Dr. Georg Simmel

[261] Darwin scrive nella “Abstammung des Menschen” (1875, H, 317) “Dobbiamo presumere che i ritmi e le cadenze della lingua oratoria debbano essere fatti derivare da forze musicali precedentemente sviluppatesi. In questa maniera [262] possiamo comprendere perché mai musica, danza e poesia siano arti così antiche. Ma possiamo andare ben oltre e ammettere che i suoni costituiscano uno dei fondamenti per lo sviluppo della lingua”1. La stessa opinione viene espressa da Darwin nell’opera “Ueber den Ausdruck der Gemütsbewegungen” (1872, 88). Il canto degli uccelli, secondo questo autore, serve soprattutto allo scopo di attirare, esprime gli istinti sessuali e incanta le femmine. Per la stessa finalità l’uomo deve aver usato un tempo la propria voce e, proprio per questo, mai come lingua articolata in quanto questa è un prodotto posteriore dello sviluppo umano. Tuttavia dei toni musicali allo scopo di attirare la femmina, o viceversa per attirare il maschio, erano già usati dagli animali inferiori. Alla stessa maniera, nota Jäger (Ausland 1867, nr. 42, citato da Steinthal), il canto degli uccelli non possiede alcuna prossima parentela con la lingua sonora articolata, ma piuttosto con l’inarticolato Jodeln dell’uomo; infatti, è “il suono sentimentale dell’eccitazione sessuale, il tono della sensazione di benessere”. Chiaramente nella riflessione di quest’ultimo autore il canto assume un significato più ampio visto che serve anche per esprimere un godimento di diversa origine, come il senso di benessere derivante da un raggio di sole o dal becchime trovato. Tuttavia va tenuto in considerazione che il calore e certi alimenti sono allo stesso tempo anche degli stimolanti. Lo Jodeln dell’uomo, però, è anch’esso in stretto rapporto con la sfera sessuale; va inteso come segno di intesa tra il ragazzo e la ragazza. Desidero replicare a queste opinioni: [263] ogni espressione fonetica degli uccelli è di natura canora; ogni stimolo, anche quello sessuale, lo devono esprimere mediante il canto. Anche se lo stimolo sessuale è preponderante, anche le altre eccitazioni hanno

1 A questa idea arrivò già Leibnitz (Nouveaux Essais sur l’ent. hum. III, 1) che però nota: “Inoltre va considerato che si potrebbe parlare, o meglio, farsi intendere per mezzo dei suoni emessi dalla bocca senza formare dei suoni articolati se ci si servisse dei suoni musicali per queste finalità; ma sarebbe necessario più talento per inventare un linguaggio delle tonalità,quando invece quello delle parole si è potuto formare e perfezionare, a poco a poco, a partire dall’utilizzo che ne facevano le popolazioni primitive”.

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396 | Appendici certamente il diritto di essere espresse in maniera analoga. Se non fosse così, non si riuscirebbe a capire, perché mai l’uomo debba essere passato al linguaggio verbale quando in fondo era già in grado di esprimere ogni sensazione con una variazione tonale. Inoltre, se nell’uomo il canto senza parole fosse stato ereditato dai suoi antenati (abbraccio qui il punto di vista di Darwin) sarebbe per lui molto più naturale della lingua e si sarebbe conservato quanto meno come avanzo sul più basso livello di cultura nel quale avrebbe potuto trovare uno sbocco, in un certo qual modo, in quello “Jodeln senza parole”. Ma dello Jodeln delle nostre popolazioni montane, di cui parleremo in seguito, e del fatto che si trovi in strettissimo rapporto con la sfera sessuale, non se ne parla proprio da nessuna parte, come mi ha assicurato il Prof. Bastian e per convinzione derivante dai miei studi. Se per l’uccello il canto rappresenta il naturale compendio delle emozioni, per l’uomo lo è, in primo luogo, il grido. E perché mai per una così naturale eccitazione, com’è l’istinto sessuale, dovrebbe l’uomo averne cercata un’altra? Su questo versante mi sembra non dimostrabile la priorità del canto rispetto alla lingua pur tenendo presente l’argomentazione secondo la quale i bambini ripetono di più ciò che sentono cantato rispetto a ciò che viene espresso verbalmente. Una madre di cinque bimbi, che in seguito furono dotati in ambito musicale, mi raccontò invece che nessuno di loro abbia mai cantato a tono prima del secondo o terzo anno di età. La causa del fenomeno, credo, sia la seguente: il bimbo comprende a stento il senso delle parole pronunciate; nel ripetere il parlato si tratta di una ripetizione meccanica in quanto deve ricordare la sequenza delle lettere per riprodurle: naturalmente è più difficile ricordare e riprodurre la cadenza con cui esse sono pronunciate perché questa comporta una più intensa impressione sensuale. [264] Se la cadenza viene modulata a mo’ di canto naturalmente avrà un effetto ancora più intenso e il bimbo sarà in grado di imitare ancora più facilmente. Per il fatto, quindi, che si riesca a ricordare più facilmente la melodia che le parole, essa viene ripetuta più facilmente dal bimbo. L’unica cosa che sarebbe da verificare, ma che finora non è stata dimostrata, è se il bimbo inizi a cantare senza parole e senza che si supponga un’imitazione. Il cantare senza parole tra sé e sé riguarda solo gli adulti e non è mai stato riscontrato nei bimbi che utilizzano sempre le parole. Quale ruolo svolga la memoria in questo caso lo possiamo vedere da ciò: un bimbo è in grado di ripetere cantando una melodia popolare; se gli si canta una melodia di Chopin formata dalle stesse note (diversamente disposte), non sarà capace di ripeterle, per lo stesso motivo valido anche per gli adulti, ovvero che la memoria non riesce a ricordare la sequenza dei suoni meno naturali; che la riproduzione sia tecnicamente possibile al bimbo, lo dimostra quel ripetere cantando la melodia popolare. All’ancora poco chiara consapevolezza della maggiore sicurezza della riproduzio-

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 397 ne mediante il collegamento dei suoni si deve ascrivere il fatto che antiche popolazioni, prima dell’invenzione dei caratteri scritti, cantassero le loro leggi. In questo caso non si tratta solo di una facilitazione della riproduzione in serie che avrebbe per causa lo stesso flusso temporale della stessa, bensì di una fusione oggettivamente giustificata, dove quel singolo elemento (o gruppo) di una serie si riferisce a quel corrispondente dell’altra. La stretta parentela della poesia con la musica si vede anche da questo lato poiché è ben noto che i ritmi e le rime, rispetto alla prosa, s’imprimono nella memoria molto meglio e più a lungo. [II.] Nulla mi sembra più probabile del fatto che il canto, alla sua nascita, sia stato una lingua formata da emozioni che ha fatto propri sempre di più elementi ritmici e di modulazione. Giustifico ciò nel modo seguente. [265] Lingua e spirito si sviluppano in un reciproco sostegno e consolidamento, dove ogni progresso dell’uno si fonda su quello dell’altro. “Essere un uomo significa pensare, afferma Steinthal, e il pensiero umano originariamente è il parlare”. Nei primitivi, quindi, laddove c’è un processo psichico, c’è anche la lingua; quest’aspirazione dell’uomo ad esprimere e a compensare le emozioni interiori con manifestazioni esteriori, che fino ad allora riusciva a soddisfare con gesti e grida, trova nella lingua forme più ricche e adeguate. Ma da questo ponte linguistico che porta la bestia a diventare uomo non si può tornare indietro; in una lingua sempre più peculiare, ogni emozione cerca la sua compensazione. Quindi se ogni pensiero e sentimento presso i primi uomini è parlare (“i bambini e i selvaggi parlano sempre”, Lazarus) anche i processi psichici più intensi cercano delle espressioni più forti. Questi processi, per natura molto complessi, sono spesso così forti che la capacità espressiva del selvaggio, sempre molto impegnata sul versante dell’espressione, non è più sufficiente ad un’equivalente compensazione; pertanto, lo spavento2 farà uscire solo un grido; parimenti il dolore porterà a gridare. Ci saranno però emozioni, non così forti, che passano oltre l’istinto dell’espressione verbale, ma che non trovano, tuttavia, nel modo e nell’espressione della lingua un’adeguata compensazione. Così la collera che trova sì la propria espressione nelle parole, ma con un’accentuazione elevata e una voce molto forte; così l’avvilimento che usa parole espresse a bassa voce e in maniera monotona. [266] Ci saranno molte altre emozioni che elevano sia l’elemento ritmico che quello modulatorio insito nella lingua. Una di queste emozioni si ritrova, per esempio, nelle campagne militari. In tale occasione l’impiego di energia, che presso tutti i 2 Quanto più si accresce il patrimonio linguistico tanto più riflessi involontari di questo genere vengono utilizzati nell’ambito linguistico, a tal punto che pur nelle più consolidate abitudini linguistiche per effetto delle emozioni, che quasi ci fanno andare fuori di testa e ci spingono ad emettere un inarticolato grido che si concretizza in una parola, noi gridiamo – in caso di forte spavento: Cielo! Oppure Gesù etc.

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398 | Appendici popoli della terra produce il passo ritmato e la danza, conferisce a tutte le attività un carattere ritmico. Se il selvaggio è abbastanza progredito (e quando si parla di campagne belliche deve esserlo) da esprimere le proprie emozioni già in forma di lingua, e al punto che nella tribù, per determinate occasioni, esse si sono concretizzate in precise espressioni (per esempio, nelle campagne di guerra, l’incitamento e le grida ad avere coraggio; lo scherno dei nemici etc.), allora l’emozione confluisce sempre in loro e quindi questi suoni vengono emessi ritmicamente, trasportati all’intero corpo e, in modo particolare, al passo. L’etnologia ci insegna che questi suoni ritmici sono utilizzati in tutto il mondo quando ci si avvicina ai nemici ed, in effetti, il ritmo è l’inizio della musica. Una seconda ragione riguardante la nascita del canto può essere stato un generale senso di benessere e di gioia. Ancora oggi si può notare che le persone, quando c’è un’atmosfera gioiosa, parlano, di solito, più di quanto lo facciano normalmente e più rispetto a quando sono depresse. Soprattutto i bambini (anche quando si trovano da soli) parlano continuamente non appena sono piacevolmente eccitati. Ma l’uomo primitivo, il cui lessico con tutte le sue possibilità di modulazione e di gradazione sotto ogni aspetto non era ancora ben definito e consolidato come per noi in una cadenza relativamente stabile3, avrà utilizzato, in occasione di stati d’animo gioiosi, anche le stesse parole ma con un’intonazione diversa dal solito. Si veda come, ancora oggi, il modo di parlare cambi se discutiamo con slancio gioioso; [267] in che misura passiamo da un tono alto ad uno basso; come l’intonazione sia più melodica e armoniosa, quasi che l’armonia interiore cercasse un’adeguata espressione esteriore. Inoltre si osservi come uno stato d’animo di gioia spinga al ritmo non solo perché il ritmo e il tono melodico stanno in uno strettissimo rapporto, ma anche di per sé. In effetti, se il movimento ritmico della danza è un riflesso di tante emozioni, allora lo è anche per l’atmosfera gioiosa (Lazarus, Leben der Seele, II, 136). In queste categorie delle emozioni va annoverato anche l’istinto sessuale. Credo di averlo dimostrato precedentemente, che non si possa confermare che da esso derivi la nascita della musica senza parole. Se si prescinde dal fatto che il mezzo più primitivo di appagamento dell’istinto sessuale che noi troviamo sulla Terra è il ratto, e in tal caso non si può parlare di corteggiamento, allora è possibile – qualora esso avvenisse, comunque a parole – che l’eccitazione sessuale sfoci in un aumento della stessa e nel canto, come afferma lo Jaeger. Che il canto dell’uomo sia un suono puramente animalesco non è dimostrabile. Su questo punto come su tanti altri Wilhelm von Humboldt ha spezzato il pane del suo sapere: nell’Introduzione alla lingua Kawi, § 9, afferma: “Le parole sgorgano liberamente senza fatica e involontariamente dal petto; sicuramente non esiste luogo inesplorato dove una tribù nomade primitiva non abbia posseduto canti propri”.

3 Cfr. la modulazione tonale molto più usata nelle lingue primitive per la determinazione del significato rispetto a noi.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 399 Infatti l’uomo, come specie animale, è una creatura che canta unendo i pensieri ai suoni. C’è da menzionare un quarto elemento tra le sorgenti del canto, quello misticoreligioso. Quasi tutti i giuramenti, le formule magiche, le preghiere, nella misura in cui riusciamo a seguirli nell’etnografia, vengono pronunciate con il più grande Pathos, ovvero con quel tono che rassomiglia molto al canto. Ancora oggi da nessuna parte si parla in maniera così cantilenante se non dal pulpito o nelle preghiere. L’accento abituale della preghiera si avvicina in maniera molto [268] evidente al canto4. Anche l’elemento ritmico deve essere derivato dalla compostezza e dalla solennità radicate nel misticismo; in altre parole – anche in questo caso – l’emozione si manifesta tramite la danza, che nelle religioni naturali fa parte delle espressioni religiose. La lingua delle tribù africane consta solo di ininterrotte parti recitative e il motivo di ciò va trovato nella facile eccitabilità di queste popolazioni, nella passionale dedizione a tutte le idee e le impressioni momentanee, al punto che l’eccitazione è in qualsiasi momento quasi troppo forte per essere esternata con semplici parole e, pertanto, si canalizza nell’elevazione musicale delle stesse. Annotazione. Quando si è affermato che i nostri idiomi (tedeschi) sembrano duri rispetto alle lingue dei Greci e degli Italiani, le quali suonano “come musica”, bisogna tener presente che tale predisposizione verso un parlare melodico è in stretto rapporto con il modo sereno e, allo stesso tempo, cordiale del loro carattere di popolo. Si noti in particolare, anche se in maniera casuale, ciò che per alcuni individui, come pure per alcuni popoli, viene chiamato talento musicale; a questo talento vanno ricondotte, in generale, delle qualità psichiche.

Da queste origini mi sembra che sia scaturito il primo canto, un canto che è molto differente da come noi oggi lo intendiamo. Non si può però dimenticare che la musica in questo stadio non era ancora arte, così come la capanna del selvaggio non era opera architettonica intesa come arte, e che, in queste prime fasi, non c’è stato in nessun modo un pur limitato stimolo che si sia realizzato come arte. Infatti, nonostante l’incredibile monotonia o disarmonia dei canti delle popolazioni primitive, nessun esploratore ha mai esitato a riconoscerli come musica. Ammian addirittura considera canti di guerra quelli dei Bardi, anche se egli li compara al frastuono del mare che si infrange sullo scoglio. Per queste differenze [269] di giudizio su ciò che giustamente e veramente è musica, è caratteristico il fatto che i cinesi, ascoltando i canti europei, dicano: “qui ululano i cani”; così come per un orecchio europeo anche la loro musica appare tale.

4 Soprattutto: Accentus est etiam in dicendo cantus obscurior. Cicero, de orat. Nel Medio Evo si diceva: Accentus mater musices.

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400 | Appendici Quindi, anche in un periodo successivo, quando la musica non è più un semplice suono naturale, si presentano tali differenze e oscillazioni, per cui una cosa viene ora considerata canto, subito dopo quasi musica o addirittura per niente. Ne consegue che nei tempi antichi, allorquando l’intero materiale fonetico si trovava ancora in una condizione fluida, i confini tra grido, parola e canto devono aver oscillato molto. Quando, tuttavia, in particolare nel caso già menzionato, il canto sembra essere più vicino al grido inarticolato che alla parola parlata, allora la causa di ciò va così individuata: ancora oggi, quando un gran numero di persone, non istruite e musicalmente ineducate, si mettono a cantare insieme, più che suoni musicali abbiamo semplicemente un rumore. (Come si può produrre solo rumore da puri suoni musicali quando si pigiano, per esempio, contemporaneamente i tasti di un piano entro più ottave. Confronta Helmholtz, Tonempfinden, 14). E inoltre, quando l’agitazione ha raggiunto il massimo grado, anche il canto potrebbe non essere più stato una sufficiente compensazione dell’emozione e la si è trovata ancora una volta nel grido. Voluntary Interjections are only employed when the suddness or vehemence of some affection or passion returns men to their natural state (John Horne Took œpea pterÒenta, I, 62). Interessante, per il passaggio dal parlare al cantare e da questo al gridare, è ciò che scrive Freycinet (Voyage autour du monde, I, 153) a proposito dei peuples sauvages de Rio de Janeiro, à l’époque de l’arrivée des Européens: ogni 3-4 anni questi popoli celebrano una festa religiosa durante la quale gli stregoni, chiamati Caraibes, sistemano la popolazione in tre separate capanne, uomini, donne e bambini. Les Caraïbes entraient dans la maison des hommes, et tous ensemble commençoient à parler fort; [270] puis ils chantoient d’un ton élevé: les femmes répondoient d’abord à ces d’une voix tremolante; mais criant bientot de toutes leurs forces, elles sautaient avec violence jusqu’à écumer etc. (I Caraibes entrano in quella degli uomini e tutti incominciano a parlare insieme ad alta voce; poi cantano con una tonalità elevata; le donne rispondono a questi canti con voce tremula ma ben presto gridano con tutte le loro forze, poi saltano con violenza fino a sbavarsi, etc.). Una simile gradualità la menziona anche Hochstetter (Neu-Seeland, 509) nei canti d’amore dei Maori: “Suoni gutturali inarticolati emessi con forza costituiscono il refrain d’ogni strofa; l’intenzione di marcare la selvaggia passione che scuote l’intera persona viene raggiunta al massimo grado attraverso questo genere d’esibizione”. Per quanto concerne il passaggio della lingua che diventa canto, Martius (Ethnographie del Brasiliens, I, 330) nota: “Quando il Botocudo desidera ardentemente qualcosa e la pretende, oppure quando viene preso dalla passione, allora eleva la lingua ad un canto monotono. È come se volesse sostituire la povertà del suo tono espressivo con una maggiore forza del suono” ecc. Anche Grey nota la stessa cosa negli Australiani (II, 301 e ss.) “Solo durante le loro feste e quando sono ubriachi, i Tehueltschen fanno sentire il loro canto, che è simile al loro modo di parlare; si tratta quindi di un evidente passaggio – grazie

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 401 all’eccitazione del momento – da questa a quello (dal discorso alla melodia)” (Cfr. Poeppig, Reise in Chile etc., I, 332). Mi sembra di dover constatare che il canto si sia sviluppato dalla lingua5 e che all’inizio sia stato soltanto un linguaggio modulato grazie all’emozione. Nell’usare la nostra lingua notiamo un segno di questo rapporto quando consideriamo la poesia, la forma più elevata e modulata della lingua, come canto; e si noti in che modo, recitando una poesia con vero trasporto e pathos, la voce si avvicini al canto, così che, quando viene sentita da una certa distanza, [271] essa potrebbe essere considerata un canto monotono6. Monotono allo stesso modo di come lo sono tutti i canti di quasi tutte le popolazioni primitive che noi conosciamo. Dall’essenza del canto risulta che esso, quanto più è vicino alla sua nascita tanto più è legato alla poesia. Bodenstedt (Ges. Schriften, III, 121), a proposito dei soldati del Caucaso, famosi per il loro amore verso il canto, riferisce: “Feci venire da me alcuni dei cantori principali per farmi dettare alcuni canti di cui mi avevano parlato tanto; fu impossibile indurre costoro a recitare a memoria la canzone, parola per parola. Essi sussurrarono e canticchiarono «a jodeln» ininterrottamente e finirono di canterellare l’intera canzone prima ancora che avessi finito di trascrivere la prima strofa. Feci intendere loro che non mi era stato possibile trascrivere nulla, che non mi interessava la melodia e che loro dovevano recitare a memoria il testo, parola per parola. Questi si sforzarono in ogni modo di esaudire la mia richiesta ma, nel modo proposto, fu loro impossibile tirar fuori un sol verso. «Signore – disse uno alzandosi – queste cose non si possono recitare a memoria; queste devono essere cantate!»”. Qui non ho bisogno di ricordare la stretta fusione tra poesia e canto nell’antichità classica, tuttavia voglio citare un unico punto che mi sembra particolarmente caratterizzante (Cicerone, pro Archia, 19): Saxa et solitudines voci respondent, bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt: nos instituti rebus optmis non poëtarum voce moveamur? Orfeo, cui Cicerone allude in questo testo, pare che abbia addomesticato le bestie selvagge con il suono della semplice musica. Se poi esse avessero capito le parole, le poesie che egli cantava e il loro contenuto, non se ne fa parola alcuna; e con ciò Cicerone vuole difendere “Archias” che era solo poeta e che in vita [272] sua non aveva mai avuto bisogno di cantare qualcosa. Ma l’idea che poesia e canto siano così intimamente legati, che l’una accetti immancabilmente l’altro, anche laddove non ci

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I Brahami affermano, che la musica sia stata trasmessa da Sarasvati, divinità della lingua. Platone reputa inutile la musica senza testo, altrettanto S.Agostino (Confessioni, X, 50) ed Herder (Ideen zur Geschichte und Critik der Poesie, ecc., nr. 33). Kant viceversa (Urteilskraft/Giudizio, par.16) annovera la sola musica senza testo tra “freien Schönheiten”. 6 Quand Lulli composit se beaux Récitatifs, il priait quelquefois la Chamesse de lui en déclamer les paroles: il prenoti rapidement ses tons et ensuite il les réduisoit aux eégles de l’Art. (Quando Lulli componeva i suoi bei passi recitativi pregava talvolta la Chammesse di declamare le parole; annotava rapidamente tutti gli accenti e in seguito li riduceva a regole dell’arte) (Batteux, Le belle arti, 258).

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402 | Appendici

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sono evidenti rapporti tra loro, si può riconoscere senza esitazione dalla natura e dall’effetto di entrambi. [III.] Quanto sia caratteristico per la musica il ritmo, in altre parole la ripetizione di elementi uguali, lo dimostrano i numerosi modi di dire che alludono a dei suoni: “Rinunciare devi, devi rinunciare, questo è il canto eterno; la solita solfa; dello stesso tenore; the old song; c’est toujours la meme chanson; è sempre la stessa canzone; volver à la misma cancion”. Presso i Tehueltschen i canti si limitano ad una semplice ripetizione di parole senza senso e significato (Musters, Unter den Patagoniern, 185). I testi dei canti di ballo degli Arekunas si compongono di una parola ripetuta all’infinito: Heia, heia (Appun., Tropen, II, 298). Perfino là dove mancano del tutto le melodie rimane ancora un vivace senso del tempo e del ritmo; così pure presso le popolazioni negre la cui predisposizione melodica da alcuni studiosi viene sminuita (Hamilton Smith, Nat. hist. of human species, I, 156; Schweinfurt, Quer durch Afrika, I, 150; di opinione diversa invece Soyaux, Von West-Afrika, II, 176-79). Al contrario Bowdich (Mission nach Ashanti, 465), nonostante la complessità e disarmonia della musica locale, è positivamente impressionato dal modo meraviglioso in cui i suonatori mantengono l’andamento musicale. Schlangintweit (Californien, 338) racconta della lacerante musica di un teatro cinese: “Non sono mai riuscito ad individuare una melodia, però il tempo, che il direttore d’orchestra dava battendo vigorosamente due bacchette di legno su un asse, era rigorosamente mantenuto”. La stessa capacità ritmica viene attribuita ai melanesiani. Sulla causa per cui l’emozione spinga al ritmo si osa avanzare una pura ipotesi: [273] tutto ciò, che noi più distintamente avvertiamo nei momenti di agitazione come accelerata circolazione sanguigna e battiti del cuore e del polso, è eccezionalmente ritmico e, oltre a ciò, ci spinge ad un movimento ritmico. Annotazione. L’impulso che ci spinge verso un movimento ritmico si manifesta talvolta in delle forme particolari; certe tribù australiane si strappano, durante i loro canti, le lunghe punte delle loro barbe con le mani, (almeno così mi è parso di capire la posizione di Browne, Gli indigeni australiani, nelle Comunicazioni di PetermannPetermanns Mitteilungen). I marinai arabi di Graul (Reise nach Ostindien etc, II, 72) sbattono, mentre eseguono i loro canti, sicuramente a determinati intervalli ritmici, perfino i loro capi, l’uno contro l’altro. Considerando questi fatti possiamo affermare con certezza che noi, in condizioni di melanconia e di tensione, quando il battito cardiaco è, rispettivamente, o lento o irregolare al massimo grado, non riusciamo a cantare, sicché ci è quasi impossibile mantenere il ritmo, che è in contrasto con il nostro ondivago sentimento interiore. In effetti un pianista che è troppo apprensivo uscirà facilmente fuori tempo. Può aver

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 403 luogo anche un effetto reciproco: quando si è in ansia e, nonostante ciò, si è costretti a cantare, si può mitigare la paura grazie a questo sforzo di volontà; alcuni bambini cantano al buio per liberarsi della paura. Si è osservato che il ritmo musicale ha un effetto sul battito del polso (Krieger (?) cit. in Bastian, Mensch in der Gesch., II). Quetelet confermava che il battito del suo polso si adeguava al movimento ritmico che egli sentiva o eseguiva. E potrebbe essere molto probabile che, viceversa, anche il vivace battito del polso e del cuore, avvertiti ritmicamente, determinino una esternazione fonetica ritmicamente modulata. Annotazione. Aristide (de Mus, I, p. 31 Meibom) rileva che il ritmo sarebbe percettibile ai tre sensi: alla vista mediante la danza, all’udito mediante la musica, al tatto mediante il battito del polso. Aristossomo confronta le diverse musiche ritmiche con i corrispondenti modi del battito del polso. Quando siamo agitati, non siamo in grado di continuare a parlare nel modo abituale: il febbrile lavoro polmonare, sotto l’eccitazione, [274] espelle l’aria a scatti, ad intermittenza; in tal modo nasce l’ansimante modo di parlare in preda a determinate agitazioni quale contiene sicuramente degli elementi di ritmo7. Quando nell’uomo è nato, in maniera spontanea, un ritmico suono linguistico, articolato anche in maniera melodica, allora potrebbe essere sopraggiunto un processo di analogia, che nella creazione della lingua fu molto importante: ossia che il ricordo di una sensazione si collega strettamente al ricordo del suono emesso contemporaneamente ad essa; pertanto al risorgere di quella sensazione subentrerà anche la ripetizione di quei suoni ritmici e melodici quanto più simili, semplici e ad essa collegati. [IV.] Passiamo ora al problema riguardante la nascita della musica strumentale. Analogamente al canto, che è derivato dal semplice parlare, questa è sorta dal semplice rumore. In misura molto minore rispetto al canto essa è un prodotto naturale e nasce come involontaria compensazione dell’emozione. Sulla differenza tra musica vocale e musica strumentale, su come questa differenza si manifesta nel momento in cui la musica è già arte, Vischer (4. Heft der Aesthetik, 980 e ss.) ha sufficientemente riferito; lo studioso evidenzia che “lo strumento, già come massa materiale, oppone resistenza”, esso può essere solo una riproduzione, ma non (come succede con il canto) una diretta espressione dello stato d’animo dell’uomo. Tuttavia, almeno al tempo della nascita della musica, questa contrapposizione non può valere8.

7 Conobbi un vecchio signore che canticchiava tra sé e sé delle canzoncine, quando egli era eccitato o arrabbiato le sue canzoni diventavano più chiare e ritmiche. L’eccitazione determina solo un’accelerazione del dispositivo ritmico che si fonda sempre sull’inspirazione ed espirazione. 8 Di per sé essa non è pregnante; ciò che è soggettivamente l’espressione di uno stato d’animo diventa, per un’osservazione oggettiva, la sua copia; d’altronde qui non si può parlare in senso stretto di copia.

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404 | Appendici Il selvaggio sul piede di guerra, seguendo l’interiore eccitazione [275] che lo porta, in tale occasione, a cantare e a percuotere rumorosamente e ritmicamente le sue armi, non si trova nella stessa condizione, come per il canto, ad esprimere il suo stato d’animo? Anche altre emozioni spingono verso un simile, involontario e direi ritmico rumore. Il medico inglese Dr. Chricton Browne racconta di una paziente affetta da melanconia, la quale nel riferire le sue sofferenze batteva ritmicamente per ore le mani semichiuse. Se esiste un sentimento che spinge le corde vocali verso uno specifico e particolarmente ritmico movimento che noi chiamiamo canto, se questo stesso sentimento spinge addirittura le gambe verso il movimento ritmico della danza, perché mai non deve spingere anche le mani ad un battere ritmico, il che costituisce il primo e il più naturale inizio della musica strumentale, oppure ad un battere sugli strumenti che si trovano a portata di mano? La stessa cosa vale per il battere ritmicamente i piedi al suolo e per il conseguente rumore, che, alla stessa stregua del battere le mani, presenta un’espressione naturale del sentimento e l’inizio della musica strumentale nonché la più intima connessione tra musica e ballo in quanto caratterizzante l’identità d’azione; per alcuni vecchissimi balli nazionali questo “tip-tap” sul suolo svolge ancora un ruolo notevole. Presso i Pehuenchen, Pöppig, citato loco, non trovò alcun genere di strumento, ma osservò “che essi nel canto e nella danza tenevano il tempo battendo i piedi al suolo”9. Del fatto che la musica vocale e strumentale derivino dalla stessa fonte spiega, in modo piuttosto comprensibile, il fenomeno, di per sé non così ovvio, che in tutto il mondo e perfino nei livelli (culturali?) più bassi dell’esercizio musicale le due [276] musiche si praticano insieme. A questa unione avrà contribuito (sicuramente) il fatto che un’eccitazione, accresciuta dal canto, potrà aver spinto ad una notevole produzione di rumori ritmici, che costituiscono la forma più primitiva dell’accompagnamento musicale. In generale, si presume che il canto sia la base della musica strumentale; non riesco a capirne le ragioni quando non la si intende in tal senso. Presso alcune tribù polinesiane, al posto di uno strumento, il battere delle mani serve all’accompagnamento del canto (Gerland-Waitz, VI, 78). La stessa cosa viene raccontata da Brughsch (Reiseberichte aus Aegypten, 254) a proposito dei Nubiani. Delle isole Caroline nord-occidentali viene riferito che lì si accompagna il canto battendo il tempo sui fianchi (Clain bei le Gobien, Histoire des Isles Marianes, 406; Chamisso, che fece colà un viaggio più di 100 anni dopo, notò ancora la mancanza di qualsiasi strumento musicale, vedi il suo Entdeckungsreise, I, 33). Anche Salvado (Memorie storiche dell’Australia, 306) parla del percuotere le armi durante il canto: “Gli strumenti a fiato e a corda sono perfettamente sconosciuti agli 9 Non sarebbe impossibile che questo battere i piedi a terra per seguire il canto sia stato l’origine della danza. D’altronde, più del canto rispetto alla lingua, la danza si rapporta meglio all’abituale modo di camminare; gli stessi fattori che hanno portato al ritmo lo avranno fatto anche costì.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 405 indigeni di Nuova Norcia, come altresì è ad essi ignota qualsivoglia sorta di tamburo. Usano però accompagnare i loro canti giulivi con due delle loro armi percuotendole l’una contro l’altra”. Di gran lunga meno diffusi degli strumenti a fiato troviamo quelli a corda, il cui principio e costruzione sono ben distanti da questo periodo in cui la musica, in massima misura, era un prodotto di semplici cause psico-fisiche più che di intenzioni artistiche. In base allo loro origine e anche ai loro effetti i flauti, sicuramente a causa dei loro presupposti tecnici, appartengono più agli strumenti di un periodo originario; quelli a corda più al periodo artistico. In effetti, l’intero mondo antico, caratterizzato da un elevato livello culturale, nell’ambito degli strumenti a corda, non è andato oltre ad una arpa molto primitiva (Westphal, Gesch. der alten Musik, I, 95). Gli strumenti a fiato, oltre a quelli a percussione, devono la loro esclusiva riuscita al loro utilizzo, in quanto erano idonei a produrre degli effetti mistici ed eccitanti. [277] Lo stregone sudafricano (Mganga) usa un corno magico; per i culti orgiastici di Cibele e di Dioniso si faceva uso di corni e pifferi. Nei culti religiosi buddisti del Tibet la musica viene eseguita con strumenti a fiato e tamburi (Schlagintweit, Reisen in Indien, II, 92). Per lo stesso motivo i popoli primitivi nutrono per gli strumenti a fiato un vivo interesse; suonandoli, il ritmo si distingue meglio, ed essi si fondono con il canto, la prima forma musicale, meglio degli strumenti a corda. Lartet descrive due flauti ricavati dalle ossa di renne che sono stati ritrovati in (due) caverne, insieme ad attrezzi di pietra e ai resti di animali estinti (Abstammung des Menschen, II, 31). Annotazione. Flauti ossei di questo genere, appartenenti ad un periodo antichissimo, si ritrovano anche in America del Sud (esemplari nel Museo Etnografico Musicale di Kopenhagen, 119). Nella lingua italiana il termine ossa viene utilizzato per indicare il piffero (Boccaccio, Decamerone, III, 10). Nel Tibet “la tibia umano svuotata (del midollo)” viene utilizzata come strumento musicale (Turner, Gesandtschaftsreisen nach Tibet, 349). Hamilton (Wanderungen in Nord-Afrika, 213) ascoltò in Angela a curious double clarionet formed of the beg bones of the eagle or vulture. Martius (loco citato) ricorda che il suono del suo violino non fece alcun effetto sugli Indiani, ma anche dei dolcissimi flauti non esercitano un grand’effetto su alcuni popoli primitivi, come riferisce Seemann (II, 67) a proposito degli Eschimesi del mare ghiacciato. Presso altri popoli i flauti sono più graditi ed in particolare quando si tratta di quelli più rumorosi; i Magiari, quando giunsero in Europa occidentale, conoscevano solo strumenti a fiato. Infatti, i nomi, solo per questi strumenti, sono d’origine nazionale; per tutti gli altri, invece, derivano dalle lingue europee. Questa predilezione per i flauti si conservò fino ai tempi di Ladislao VI e Ludovico II; secondo le gerarchie che esistevano ancora ai loro tempi, si vede che nella banda musicale reale i suonatori

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406 | Appendici degli strumenti a fiato avevano la priorità sugli altri (Delaborde, I, 157); ad ogni modo ciò è da collegare al carattere passionale e bellicoso di questo popolo; [278] ancora oggi la nostra musica militare viene eseguita con strumenti a fiato e a percussione; il che avviene non solo per motivi tecnici. Anche i Kamtschadi suonavano esclusivamente i pifferi e le pive. (Andree, 197). In Lettonia ed Estonia la zampogna risulta essere lo strumento più antico e il più diffuso (Hupel, Topographische Nachrichten, II, 133). I Polinesiani conoscevano solo trombe, flauti e conchiglie usate a mo’ di tromba (Gerland-Waitz, VI, 77) come pure i Melanesiani (ibidem, 604) e gli antichi Messicani (Sartorius, Zustand der Musik in Mexiko, Cäcila, VII tomo). Esiste un’approssimativa analogia tra lo sviluppo della musica vocale e quella strumentale. Il puro rumore, fase iniziale di quest’ultima, è in simmetria al suono delle parole, che risulta essere l’inizio della prima. La lingua ritmica, il passaggio caratteristico verso il canto, corrisponde al rumore ritmico e a quegli strumenti a fiato che producono uno o pochi suoni monotonamente alternati; infine, la modulazione, il vero canto che – come ha mostrato la nostra intera evoluzione – fa la sua comparsa dopo la ritmica, la quale non nella stessa evidente misura è un prodotto iniziale, corrisponde a quegli strumenti capaci di alternare melodicamente più variazioni di tono. Gli strumenti a percussione sono, quindi, i più antichi di cui abbiamo notizia. Bossman (Reise nach Guinea, 170) racconta che i Mori stessi, la cui musica, secondo lui, risulta essere barbara al massimo grado, avevano almeno dieci diversi tamburi. Tra gli strumenti greci più antichi troviamo quelli a percussione in molteplici forme: s…stron [sistro], tÚmpanon [timpano], krÒtalon [crotalo], kÚmbalon (cembalo). Presso gli Indiani d’America, Waitz nota solo strumenti a percussione, raramente un flauto con al massimo sei fori. Freycinet (I, 663 e ss.) decanta la musica dell’isola di Timor per le “arie decisamente melodiche”, ma, tra gli strumenti, gli abitanti conoscevano solo tamburi, tam-tam ed altri strumenti a percussione. In tutto il mondo si è diffuso lo strumento a percussione che, per citare un esempio, Wilkes (Exploring exped.) descrive quando parla degli schiavi di Rio de Janeiro: a rattle made of tin, similar to a child’s rattle; ogni Museo etnologico mostra l’enorme diffusione di questo strumento che è presente in numerosissime varianti [279] e che viene ricavato molto spesso da frutti svuotati e seccati per essere poi riempiti di sassolini o semi10.

10 Nella Nuova Guinea i crani umani, frutto di bottini, riempiti perfino con pietre, semi duri di frutta e semi di zucca, vengono utilizzati come sonagli (Esemplari nel Museo Godefroy come informa Andree in “Ethnographische Prallelen”, 140). Sonagli furono trovati anche nelle antichissime tombe degli eroi (un esemplare nella collezione della Società tedesca di Lipsia; su altri e sulla relativa letteratura vedi: Ploss, Das Kind, II, 219).

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 407 [V.] Sia nella musica vocale che in quella strumentale dei popoli primitivi troviamo segni di quest’origine della musica derivante da un rumore per nulla melodico; ha un carattere di predominante monotonia perfino laddove sono già presenti i mezzi tecnici per una forma più melodica e, all’occasione, laddove ci sarebbe d’attendersi una musica a noi più vicina11. Nelle seducenti danze bajadere, Quaas (Descrizione di Zanzibar/Beschreibung von Sansibar) individua una musica prodotta in maniera del tutto informe con liuto e tamburi. “Se il cantante cinese di serenate spera in un successo della sua dichiarazione amorosa, allora deve ripetere la sua canzone per più ore. Poiché i canti d’amore cinesi raramente hanno più di quattro strofe, non è una cosa rara che le stesse parole e cadenze siano ripetute dalle tre alle quattrocento volte” (Bibliothek des Unt. u. des Wissens, 1877, 10. Bd.). Tylor (Anahuac or Mexico, etc, 207) racconta, a proposito dei balli messicani, che egli osservò a Coroyotta: a man and a woman stood facing each other, an old man tinkled the guitar, producing a strange, endless, monotonous tune, and the two dancers stamped with their feet and moved their arms and bodies about time to the music, throwing themselves into affected and voluptous attitudes etc. (un uomo ed una donna che stavano in piedi l’uno di fronte all’altra; un vecchio pizzicava una chitarra producendo una strana musica monotona e senza fine; i due danzatori battevano i piedi e facevano dei movimenti con le braccia e con i corpi, seguendo la musica, e si abbandonavano ad atteggiamenti amorosi e voluttuosi ecc.). D’altra parte chi ha visto nel Golfo di Napoli una tarantella, [280] avrà costatato a quale febbrile esaltazione una musica monotona può portare il sangue e in che misura essa si adegua ai balli appassionati e sontuosi12. [VI.] Come la lingua per i pensieri concreti, così la musica si rapporta con i più oscillanti stati d’animo: la prima richiama la seconda in quanto la seconda ha richiamato la prima. Anche nella poesia il pensiero del poeta suscita nell’ascoltatore un analogo stato d’animo; solo che per la musica al posto delle idee subentrano sensazioni notevolmente poco definite, le quali, invece, nella poesia sono avvertibili solo in un se-

11 Schweinfurth (loco citato, II, 34) trovò presso le tribù Niamniamuri la musica più monotona nonostante il loro notevolissimo talento musicale che permise loro di inventare strumenti con vere e proprie tavole armoniche. 12 Altrettanto la stimola l’esaltazione mistica dalla cui osservazione si evidenzia la monotonia di molti canti legati all’esercizio religioso; non solo nelle litanie delle chiese cristiane ed ebraiche ma anche nelle cerimonie dei popoli africani ed asiatici (Cfr. B. Krapf: Reisen in Ostafrika, II, 116).

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408 | Appendici condo momento; nel poeta le idee precedono, nell’ascoltatore esse seguono. L’ipotesi, che la musica susciti stati d’animo che nel poeta precedono la sua creazione, si comprende facilmente dal seguente esempio. L’Alfieri prima di cominciare a scrivere dei versi soleva spesso preparare il suo spirito ascoltando la musica. “Quasi tutte le mie tragedie – diss’egli una volta – le abbozzo nella mente o durante l’ascolto di una composizione o poche ore più tardi”. Milton ebbe la sua solenne ispirazione ascoltando l’organo. Anche per Warburton, sensibile poeta, la musica era una necessità. Un famoso predicatore francese, Massillon, creava le sue prediche, che doveva tenere davanti alla corte, suonando il violino. Delle ispirazioni che Schiller ebbe dalla musica, parla Palleske citando Streicher, il quale gli aveva dato delle informazioni sul poeta. L’antica usanza del preludio musicale nelle rapsodie, che si è conservata quasi senza alcuna eccezione nelle abitudini dei compositori, ovvero di far iniziare un Lied non immediatamente con un canto ma con un’introduzione strumentale, si ricollega proprio a ciò. [281] Annotazione. Codesto diretto passaggio, in misura minore nelle altre arti, mediato in maniera logica, “stati d’animo del compositore – musica – stati d’animo dell’ascoltatore” non può essere evidenziato con precisione se si vuole riconoscere alla musica il carattere specificamente psicologico. È per la natura debolmente razionale delle indagini psicologiche dello scorso secolo che Euler (Briefe über die Musik, etc,. Deutsche Ausgabe, No. 8) scrive: “Il piacere per la musica deriva quindi dal fatto che scopre le intenzioni e le sensazioni del compositore, la cui esecuzione, quando la si considera felice, riempie l’anima di una gradevole sensazione”. Il godimento della musica come arte sta in contraddizione non qualitativa ma quantitativa con quell’elemento relativamente sensuale; l’attuale musica suscita – se viene confrontata con quella più semplice – una tale abbondanza di stati d’animo dei generi più diversi che determina una certa compensazione tra gli stessi mediante situazioni inibitorie e, con ciò, l’obiettività. Helmholtz (Die Thatsachen in der Wahrnehmung, BeilageI) scrive: “non so se ci sia ancora da chiedersi se la molteplice e chiarissima espressione di movimento che la musica crea sia da ricondurre al fatto che nel canto si evidenziano le modificazioni dell’altezza del suono mediante innovazioni musicali, quindi attraverso lo stesso genere di attività interiore come per il movimento degli arti”; anche qui e come all’inizio di questa annotazione, l’evidente e oggettiva ricorrenza di una serie di fenomeni psico-fisici spiega i molti effetti della musica. Se, come suppongo, il ritmo dell’accresciuto battito cardiaco influisca sull’espressione musicale allora è naturale che essa – mediante un nesso fisiologico come pure un’associazione e riproduzione psichica – lo determini anche nell’ascoltatore.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 409 [VII.] Nel corso della sua evoluzione la musica perde sempre più il suo carattere naturale13; quanto più lo fa tanto più si avvicina al suo ideale di arte; [282] in tal modo ottiene ciò che per l’artista (impegnato nell’esecuzione) è la fama più grande: l’obiettività. Questo assolutamente non significa che gli stati d’animo, o solo quelli caldi e appassionati, svaniscano dalla musica e non la debbano più stimolare o essere da essa stimolati. Solo che la musica e il modo con cui viene offerta non deriva più direttamente da questi stati d’animo come era successo all’origine, ma deve essere solo un’immagine di essi, riflessa dallo specchio della bellezza. In tal senso ha un suo fondamento la vecchia affermazione che la musica – alla stregua di ogni altra arte – dovrebbe imitare. Imita i suoni che si sprigionano dal petto per effetto di un’emozione. Nel considerare la musica come arte questo mi sembra essere un punto saliente. Ciò si riferisce naturalmente anche alla musica strumentale, che, quale prima e rozzissima forma d’arte, imita in maniera riflessa i rumori emessi ritmicamente (vedi sopra). Sebbene la prima emissione dei suoni, come indicato, avvenga originariamente senza parole, allora queste possono essere tralasciate in quanto proprio la forte passione genera il suono che è quindi la cosa caratteristica. Ho osservato che i cantanti che non prestano la dovuta attenzione al testo, e perciò cantano le cose più insensate, non di meno riescono a interpretare la melodia con la più profonda e vera sensibilità ed anche con sentimento. È questa la dimostrazione vera della peculiarità della musica come arte; essa suscita sensazioni particolari, che sono molto più intime e coincidenti rispetto alla singola sensazione che la parola potrebbe suscitare. Non casualmente, nella lingua tedesca, per il verbo suonare si usa la parola “spielen” che vuol dire anche “giocare”; infatti la musica è un gioco e lo deve essere, se vuole essere arte in un modo distinto; alle sue origini, però, era serietà nella stessa misura in cui serietà erano l’espressione linguistica, il grido ed ogni altro suono naturale. [VIII.] L’ingegnere francese Victor Renauld racconta che presso i Botocudi erano di solito le donne che si davano da fare per trovare nuove parole, [283] anche quelle per le loro canzoni e canti di guerra. Un fatto che egli trovava strano. Nel Siam la musica è quasi l’unica occupazione delle donne: the hightest ambition of the fair sex in Siam is to

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In che misura scemi la consapevolezza della sua peculiarità lo indica un frammento di Democrito (Philodemo, de Mus. IV, nel Vol. Ercole, I, p. 135, colonna 36) – mousik»n fhsi newtšran einai kaˆ t¾n a„t…an ¢pod…dwsi lšgwn aÙt¾n oÙk einai tîn ¢nagk…wn ¢ll¦ ™k toà perieàntoj ½dh g…nesqai. Egli afferma che la musica è recente e giustifica ciò dicendo che essa non è una delle cose necessarie ma qualcosa che è in abbondanza. Questa idea si conservò fino all’errato punto di vista di Burneys, che nel 1789 così scriveva (History of Music, Preface): la musica è un’innocente lussuria davvero non necessaria alla nostra esistenza, in compenso migliora e gratifica l’udito.

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410 | Appendici possess the faculty of performing the graceful evolutions and charming tunes nof the Lak-pu-yng.-Their perception of concord in the notes is as acute as that of an European musician, and they are equally as long intoning their instruments (Bowring, Siam, 150) (la massima ambizione del gentil sesso nell’Indocina è possedere la facoltà di fare le graziose evoluzioni e gli affascinanti suoni del Lakhon-pu-yng. La capacità delle donne di seguire le note è tanto spiccata quanto quella di un musicista europeo e dedicano notevole tempo all’accordatura dei loro strumenti.). Secondo Andree (Das Amurgebiet, 197), presso gli abitanti della Camciatca, sono le donne ad essere compositrici e poetesse. In Estonia il canto è competenza delle donne (cfr. Herder, Zu den esthnischen Liedern). Nel Vecchio Testamento, da Mosè fino a David, non è menzionata alcuna poesia lirica, ovvero cantata; ad eccezione di quelle che cantano due donne: Deborah che canta (anche se insieme a Barak) il suo canto di vittoria (Giudici, 5) e il cantico di lode di Anna per la nascita di Samuele (Samuele, I, 2). Delaborde (Saggi, I, 158) racconta degli Ungheresi: on voit ancore chez les paysans, qui gardent plus longtemps les moeurs primitives, les jeunes filles s’assembler aux jours de fête et charter en choeur des odes et des poësies anciennes, ce qui n’arrive jamais aux jeunes garçons (si vedono ancora in alcune popolazioni, legate maggiormente ai costumi tradizionali, che nei giorni di festa alcune ragazze si riuniscono e, in coro, cantano le odi e le antiche poesie. Nella popolazione delle isole Figi gli uomini di alto rango non cantano mai, soltanto le donne e i bambini) (d’Urville, IV, 707)14. [284] Chamisso (Entdeckungsreise, III, 67) informa che a Rabak i canti, con chiaro riferimento alla guerra e al viaggio per mare, sono cantati dalle donne; presso i Medi, come ha indagato Brisson (de regno Persarum), la musica è rimasta nelle mani delle donne. Secondo Busch (Wanderungen zwischen Hudson und Mississipi, I, 250) sembra che un particolare corno venga suonato esclusivamente dalle donne negre del Mississipi. Gli Australiani si fanno spronare dal canto delle loro donne nelle loro azioni veramente passionali (Gray, II, 313 e ss.; Gerland-Waitz, VI, 747 e 775). Le donne del Madagascar credono perfino che, se esse, durante l’assenza dei loro mariti impegnati nella guerra, cantano e ballano, questi canti stimolino il coraggio e l’energia dei

14 È curioso come presso alcune popolazioni lo stretto rapporto tra musica e danza, quando entra in gioco la dignità, si ribalti in un contrasto. Presso i Romani il canto, anche nei primissimi tempi, è respinto; nostris moribus abesse a principis persona; la danza viene perfino considerata come vizio (Nepos). Ma già al tempo dei Gracchi i nobili fanciulli imparavano a cantare (Scipione ap. Macrobium, II, 10) mentre la danza fu ancora per lungo tempo un segno di riprovevole lascivia. Presso gli Ezbeghi, secondo Vambery (Skizzen aus Mittelasien, 73 e ss.), solo la donna è degna di ballare; ma perfino i principi delle case regnanti prendevano lezioni di musica. La precisazione di una differenza dei sessi in tale rapporto indica anche una realtà contraria: presso i Teultschen ballano solo gli uomini (Musters, loco citato, 67). Parimenti in Turchia dove motivi esterni possono offrire la ragione di ciò. A Hisinena, Cameron trovò (Quer durch Afrika, I, 163) che nei balli veramente osceni c’è una netta divisione tra uomini e donne.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 411 loro uomini (Rochow, Reise nach Madagascar, übersetzt von Foster, 1792, 24). Anche in questo caso si ricava un argomento di segno opposto: Prschewalski (Reisen in die Mongolei, 58) nota che presso i Mongoli le donne sembrano essere, rispetto agli uomini, meno dotate per quanto riguarda la loro attitudine musicale; allo stesso tempo pure il loro rango, rispetto ad essi, è davvero infimo. Forse l’effetto corrisponde anche all’emozione sopra menzionata. (Alcuni animali, grazie alla musica, vengono indotti all’accoppiamento, a tal proposito vedere “la musica terapeutica/ medicinische Musik” di Schneider, I, 74 e ss.). Tra gli insetti, che producono musica, lo fanno solo le femmine. Le donne Kimbunda, nelle loro feste lascive, cantano in un primo momento, poi danzano l’indecente ballo Kanye e, per istigare i maschi scelti (da esse) per partecipare ad ogni forma d’eccesso, fanno inoltre suonare da altri uomini i tamburi ed i flauti (Magyar, Reisen in Südafrica, I, 314). Le sirene seducono i naviganti con il canto. “Non abituarti alla cantante, perché poi non ti prenda con il suo fascino” (Sirach, 9, 3). [285] Le labbra della prostituta sono più dolci del miele vergine e la sua gola più liscia dell’olio (Detti, Salomone, 5, 3). Le connessioni tra musica e pratiche sessuali sono chiare anche nel fenomeno presente nei popoli primitivi presso i quali la pubertà e la circoncisione (dei giovani maschi e delle femmine) offrono occasione per fare festa, dove la musica ha un ruolo molto importante (vedere esempi in Ploss, loco citato). Quando le donne si occupano di musica più attivamente, anche la loro sensibilità per essa aumenta. Dobrizhoffer (Gesch. der Abigonen, II, 170) racconta che il suono del suo violino aveva attirato prima un gran numero di donne e, solo dopo di ciò, a schiera, anche di giovani. Salvado (306) racconta dei canti degli Australiani: “i lamentevoli canti li commuovono in guisa da alteggiare le fisionomie e quelle delle donne specialmente, in modo veramente lacrimevole”. Il fatto che una differenza tra uomini e donne, precedentemente notata, abbia portato, probabilmente come tutti i fenomeni nella vita dei popoli primitivi, alla nascita di pensieri mistici e a dei tabù lo dimostrano fatti come i seguenti: presso gli Ascianti a nessuna donna è permesso di toccare uno dei numerosi strumenti; il canto è l’unica forma di musica cui esse partecipano (Bowdich, 468). Un genere di canto indiano abitualmente era cantato solo dagli uomini (Jones, XII). A Lukanor ci sono canti che possono essere cantati solo dalle donne mentre altri dai soli uomini (Mertens, Recueil des actes etc.,146). In Loango, nelle capanne abitate dalle ragazze, al tempo della loro prima mestruazione, si fa musica e precisamente con due strumenti primitivi usati esclusivamente dal sesso femminile, il ntubu e il kuimbi, che non devono mancare mai nelle capanne delle vergini (Pechnel-Lösche, in der Zeitschr. für Ethnologie, 10. Jahrgang, Heft I).

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412 | Appendici [IX.] L’elemento naturale della musica indubbiamente si evidenzia nel cantare il refrain, che si potrebbe considerare solo in un primo momento [286] come pura espressione artistica. All’origine dello stesso ci potrebbe essere stato ciò: gli ascoltatori furono emozionati a tal punto da uno di questi canti che spontaneamente incominciarono essi stessi a cantare, sulle prime non di certo nella stessa melodia ma in un selvaggio Tohuwabohu. Ciò è ancora pura soggettività, il canto del cantore principale come tale è del tutto indifferente; in questo caso è efficiente l’emozione scaturita da esso, che poteva essere determinata altrettanto bene da un’altra causa qualsiasi. Solo progressivamente, quando l’obiettività conquistava un po’ più di spazio e contemporaneamente si faceva strada il senso per una forma più intonata, stimolati da un canto, si sarà cantato insieme con la stessa modulazione di voce. Ancora oggi, quando un brano di musica ci stimola, lo accompagniamo con parziale o totale consapevolezza con la nostra voce oppure muoviamo almeno le mani o i piedi allo stesso ritmo. Presso i popoli primitivi, dove vengono cantati i ritornelli, noi troviamo una mescolanza di elementi del mondo naturale e del mondo artistico. L’atmosfera, che il canto dell’esecutore determina, spinge in ogni caso gli ascoltatori presenti al canto; se poi essi cantano con l’esecutore e ripetono i suoi stessi toni, allora si ha un’imitazione che si avvicina all’arte, nella quale però un elemento naturale dà di nuovo il suo contributo. In ogni caso, quel primo canto avrebbe creato presso gli ascoltatori un’atmosfera a lui affine e in questi ultimi un canto naturalmente non del tutto uguale, ma comunque ad esso affine. Quando ciò accadeva più volte, allora ci si aspettava già la parte, nei canti famosi, dove l’emozione raggiungeva l’apice e spingeva, quindi, a cantare tutti insieme il pezzo dove l’effetto sopraggiungeva in maniera certa e convincente. Presso gli indiani, la maggior parte dei canti ha un ritornello che il coro intona (Waitz, III, 231). Freycinet (I, 63) racconta dell’isola di Timor: la persone qui est à la tête (der Tanzenden) chante des paroles dont le refrain est répété en choeur. Winwood Reede (Martyrdom of Man e African Sketsch Book) nota: quando il indigeno africano si eccita comincia [287] improvvisamente a cantare, un altro risponde cantando mentre tutti gli altri, come se fossero colpiti da un’onda musicale, mormorano come un coro all’unisono. Brugsch (Reiseberichte aus Aegypten, 254) cita la melodia di un canto dei suoi marinai nubiani: “uno canta l’assolo mentre il coro accompagna il suo canto battendo le mani e ripetendo alcune parti”. L’esecuzione del coro greco era canto vero e le melodie scelte per esso erano così facili e popolari che gli spettatori talvolta cominciavano ad intonare le melodie a loro conosciute (Weitzmann, Gesch. d. griech.Musik, 23). Quando c’è la raccolta della canna da zucchero, durante il lavoro, i negri cantano spesso per non infiacchirsi e precisamente in questa maniera: una donna intona, con voce sonora, una strofa il cui ritornello è poi ripetuto in coro (Pontèculant, Phénomènes, 130). Il chiosatore di Pindaro Ol. 9, 1 racconta che in occasione delle olimpiadi il po-

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 413

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polo aveva cantato tre volte il ritornello: t»nella kall…nike [evviva o vincitore! ]; questo era un antichissimo uso. [X.] Nello stesso momento si colloca la nascita dei canti popolari. Visto sotto l’aspetto teorico ed empirico, il fatto che le parti più piacevoli di un singolo canto spingevano gli ascoltatori a cantarle ed a ripeterle insieme, allora i canti che contenevano molte di tali parti dovevano essere molto conosciuti e ben impressi nella memoria. A ciò va aggiunto l’abbinamento con la parola che facilita la memorizzazione. Dall’originario cantare insieme i singoli membri del gruppo saranno giunti, in maniera del tutto naturale, quando si sentivano di farlo, a cantare nelle tonalità ad essi note; c’è in tutti gli uomini una forte propensione ad esprimere i propri stati d’animo in melodie ben note prima di passare a delle nuove15. Si può presumere che quei canti ben noti interpretati dal singolo cantore [288] e poi cantati insieme in forma di ritornello, fossero stati esaltanti e che si fossero diffusi solo per il motivo che corrispondevano nella massima misura al carattere degli ascoltatori. Se il carattere di un popolo tende agli estremismi, le melodie, che sollecitano a cantare insieme, sicuramente sono passionali; se invece è cupo, allora le melodie tendono ad essere melanconiche, in “tonalità minore”, (e queste avranno portato prima ad una semplice ripetizione, poi all’autonoma espressione dello stato d’animo ed infine alla ripetizione per il solo piacere16. Come nella creazione della lingua, le espressioni di una persona piuttosto capace avranno avuto una certa influenza, perché esse esprimevano al meglio le sensazioni e il modo di vedere dell’altro, e quindi si ascoltavano con grande attenzione le sue parole e perfino con quale frequenza esse venivano usate; alla stessa maniera saranno stati imitati al massimo grado i canti della persona più importante della tribù. Per i selvaggi, dal così limitato orizzonte, è importante solo colui che possiede una qualità in un certo qual modo presente anche in essi, cioè una di quelle qualità dell’animo popolare in misura maggiore della media. Più delle altre, le melodie inventate da costui, avranno espresso ciò che vive nei cuori di tutti; e poiché all’importanza spirituale si collega quasi sempre un potere esteriore o sacerdotale, ne consegue che, come si sarà fatta particolare attenzione alle espressioni di questa persona eccellente della tribù, così lo si farà anche ai suoi canti. In tal modo è spiegabile la diffusione dei canti che rappresentano soprattutto ciò che caratterizza il carattere del popolo. Quin-

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In modo simile Aristotele nota che noi ascoltiamo cose già note più volentieri di quelle non note. Parimenti Goethe: “La musica, nel senso migliore, necessita di poche novità, anzi quanto più è antica e quanto più ci è familiare tanto più fa effetto”. 16 Uno dei compiti dell’antropologia, che sembrano ancora purtroppo non realizzabili, sarebbe fare ricerche, e ciò dovrebbe essere anche un problema della anatomia umana, sulla rilevanza della diversità della gola e dell’apparato acustico dei diversi popoli e razze per vedere se possa incidere sulle preferenze e antipatie per quanto concerne la scelta delle sue.

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414 | Appendici di le qualità di questo o per le meno quelle qualità necessarie che costituiscono le fondamenta della musica, [289] trasmesse attraverso il talento o il genio, hanno sede in un grado abbastanza elevato nell’anima del singolo; ed esse si trovano lì, solo perché il singolo è figlio di questo popolo, perché tutto il suo Io empirico si è formato vivendo in mezzo a questo popolo: l’impegno del singolo è stato solo quello di potenziare ciò che ha ricevuto, e di mettere a maggior frutto ciò che la gran massa fa. Ora le melodie di costui vengono diffuse nel modo già descritto e diventano canti popolari. È come se le parole di un deputato, scelto da tutto il popolo perché costui racchiude in sé nella maniera più completa le qualità della nazione, diventassero detti popolari; e allora si può dire, con un buon grado di certezza, che queste sono le parole che il popolo ha utilizzato; in base alle precedenti argomentazioni, noi pure abbiamo il diritto di considerare quelle melodie quali emanazioni dell’anima popolare17, i cui sporadici raggi si sono raggruppati nel punto focale di un vero talento. – [XI.] Accanto alle generalità dei sentimenti che vengono espressi nei canti popolari, un fenomeno è particolarmente evidente e si trova nel gradino più basso dell’esercizio musicale: la musica viene utilizzata per esprimere idee concrete e veramente particolari. Dallas (History of the Maroons, auf Jamaica) afferma: “It is very remarkable, that the Maroons had a particolar call upon the horn for each individual, by which he was summoned from a distance, as easily as he would have been spoken to by name, had he been near” (è veramente considerevole il fatto che i Maroons abbiano individuato per ogni soggetto un particolare richiamo mediante l’uso di un corno. Costui, pur distante, è come se fosse chiamato per nome e allora si avvicina). “Gli indigeni Ashanti affermano che possono dialogare tra loro utilizzando i flauti, ed un vecchio residente di Akkra mi assicurò di avere sentito tali dialoghi e che ogni frase gli era stata spiegata. Le classi elevate degli Ashanti utilizzano particolari melodie per i loro corni” ecc. (Bowdich, 401-464). Presso i Tirolesi lo Jodeln serve spesso allo scopo di capirsi, come pure il canto dei gondolieri veneziani e delle donne del Lido. [290] Gli abitanti delle Indie hanno per ciascuna stagione determinate melodie che le contraddistinguono (Jones, 28). Presso i Persiani una determinata tonalità (Zer-keki) evoca l’idea della ricchezza (Jourdain, VI, 304). Sul Camerones si trasmettono informazioni tramite le tonalità del corno; alla stessa maniera sull’isola di Bissaux vengono rese note le disposizioni del re (Waitz, I, 157). Come pure a Tahiti si utilizzano particolari canti quando si costruisce una casa o si abbatte un albero oppure quando si vara una canoa (Gerland-Waitz, VI, 85)18. Nelle isole Figi la popolazio-

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Senza alcuna implicazione di un elemento mistico. L’annotazione qui si riferisce anche alla melodia; che diverse formule e modi di dire siano utilizzati in tale occasione sarebbe logico. In Soedermannland un’antichissima danza matrimoniale, che la 18

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 415 ne viene invitata alle feste cannibalesche con colpi di tamburi che hanno un ritmo del tutto particolare, usato solo in quest’occasione (loc. cit., VI, 651 secondo Erskine, 291). Nella lingua tedesca la connotazione di una determinata personalità tramite un’espressione musicale si è conservata nel proverbio: “Se mangio il pane di qualcuno, canto anche la canzone di costui”. [XII.] Poiché la musica all’origine è il prodotto naturale dell’eccitazione, ovviamente, anche nell’ascoltatore può a sua volta suscitare solo di nuovo degli stati d’animo simili; il che sembra essere contraddittorio con il fatto, tante volte evidenziato (particolarmente presso i Greci), che può produrre anche un effetto tranquillizzante e rilassante. Questo si può spiegare come effetto indiretto: infatti la musica può aver un effetto eccitante, ma se l’eccitazione è prodotta da un’altra causa la musica la mitiga. La tesi che il canto, utilizzato allo scopo psicologico di indurre il sonno, trova significative argomentazioni in Volkmann (2. ed., I, par. 68, nota I; confronta inoltre Spinoza, Etica, parte IV, propos. VII). [291] Come precedentemente dimostrato, la musica porta con sé un innalzamento della gioia di vivere e quando essa è prodotta da stati d’animo allegri, mistici, ecc., può stimolare di nuovo tale gusto per la vita. Niente è più naturale del fatto che sensazioni particolarmente dolorose siano lenite da questo contrasto. Solo in un’arte completamente sviluppata, dove non sussiste più alcuna diretta reciprocità tra la sensazione del musicista e quella dell’ascoltatore, la musica può causare in quest’ultimo un indebolimento dell’emozione, che nel primo non c’è mai stato. Platone cita la dolcezza dei musicisti; la musica greca19 aveva il fine di affievolire l’emozione; è probabile che anche il carattere dei musicisti, per effetto di detta musica, sia stato a poco a poco influenzato. Anche per altre emozioni artistiche molto forti può ben sussistere una dolcezza esteriore20. [XIII.] Degli Aborigeni australiani Salvado (306) racconta: “quante volte mi sono servito delle loro canzoni di ballo onde incoraggiarli ed infiammarli nei lavori campestri? Non una ma mille volte, essendosi strajati per terra lassi delle forze ed annoiatisi, nel

sposa balla con il prete, ha una propria specifica melodia (Jonas, Svezia, 217). A Windheulflühen vicino Klosters (Südtirolo) il primo grido d’esultanza del giovane pastore, che si sente, nel giorno di S.Jakob – significa che il ragazzo ha posseduto la sua fanciulla. (Christ: Pflanzenleben in der Schweiz, 310-311). 19 Soprattutto per quanto riguarda la musica accetta da Platone come quale. 20 Anche nel Medio Evo cristiano vengono evidenziati gli effetti tranquillizzanti della musica; fu assunta perfino a simbolo della moderazione e dell’assenza di passioni (es. in Tommaso d’Aquino, nelle spiegazioni sul canticus canticorum e in un affresco della Cappella degli Spagnuoli). Almeno in parte la motivazione può essere spiegata nell’aspetto ascetico del periodo, che, consapevolmente, trasformava gli istinti naturali nel suo contrario.

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416 | Appendici

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sentirmi cantare Machielò, Machielè, che è una delle loro più comuni e più favorite canzoni”; loro stessi cominciavano perfino a cantare e a ballare e ricominciavano il lavoro con nuovo vigore e coraggio. Perciò la musica è sempre un sollievo per chi lavora. Annotazione. Essa è il naturale appagamento dell’eccitazione causata dal lavoro; il suo rapporto con certe azioni che richiedono energia diventa così stretto che, per contro, anch’essa può generare energia.

Freycinet (665) dice di Timor: “Les habitans, [292] lorsqu’ils travaillent, chantent presque sans cesse, surtout si l’occupation à la quelle ils se livrent, exige le concours de plusieurs individus et une sorte de simultanéité d’action, comme quand il leur faut pagayer dans une piroghe, porter en commun de lourds fardeaux, battre le riz etc., de mêe aussi pour l’encourager l’un l’autre à l’ouvrage” (Gli abitanti quando lavorano cantano ininterrottamente se l’attività cui si dedicano richiede il concorso di molti individui; è una sorta di attività simultanea come quando lì si fa remare nella piroga, nel portare insieme un pesante fardello, nel battere il riso etc; la stessa cosa per incoraggiarsi reciprocamente nell’attività). “Nec solum in iis operibus, in quibus plurium conatus, praeeunte aliqua iucunda voce, conspirat, sed etiam singulorum fatigatio quamlibet se rudi modulatione solatur” (Quintiliano, Istituzione oratoria, I, 10)21. È ben noto che antiche popolazioni frustavano i propri schiavi con l’accompagnamento della musica per rendere loro più accettabile la punizione loro inflitta (vedi Plutarco, Polluce, Aristotele). Gli Eschimesi compensavano le loro miserrime condizioni di vita con la musica ed il ballo (Waitz, II, 67). Dai rilievi scultorei egizi desumiamo che, durante i mostruosi e duri lavori forzati per accostare i monoliti, un uomo saliva su un masso per cantare e per tenere il ritmo battendo le mani. Ancora in tempi più recenti, anche se in diverse circostanze, è in voga lo stesso uso, come informa Hammer (in una recensione dell’opera di Villoteaux, 56. Band der Wiener Jahrbücher, 1831). Gli effetti stravaganti che la musica genera nei neri, sono noti grazie a molte descrizioni (per esempio Freycinet, I; Waitz, II; Pontècoulant, Durand, Voyage au Sénégal, ed altri). Il fanatismo dello sciamanismo, del culto di Cibele e simili fenomeni, è, senza dubbio alcuno, in gran parte il risultato della musica utilizzata a tale scopo. Tali eccessi svaniscono naturalmente nei popoli progrediti. Annotazione. Quanti effetti intensi di ciò si sono conservati nell’antichità classica, lo mostrano gli esempi già menzionati; Terpandro tenne a freno la sollevazione di Sparta con la musica; è nota l’importanza politica che, nella concezione greca dello Stato, fu assegnata alla musica. Platone, a proposito di Damone, dice che la musica non può

21 Anche alcuni animali (per esempio i cammelli nei loro faticosi viaggi nel deserto) vengono rinvigoriti dalla musica perché facciano nuovi sforzi.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 417 essere modificata senza che si modifichi l’ordinamento dello Stato. Si dovrebbe leggere tutto il passo Polit. III, 10 e 11, [293] in cui le varie melodie, i ritmi e strumenti musicali sono esaminati per quanto concerne la loro influenza sull’anima, affinché il loro uso sia permesso dallo stato. La musica per Platone è anche un mezzo d’educazione, come lui stesso evidenzia più volte, z. B. II. Pol. VII. 6, § 522, Prot., 199g, 326a, Leggi II, 655d, 668 u.s.w. Anche il passo in Athenos IV, cap. 22. 34 è molto importante per il nostro argomento. Inoltre vedi Quintiliano, I, X, 9-21, Cicerone, de legg. II, 15. Da Aristotele si trovano tanti passi in Problem 19 e nella Politica. Nell’anno 639 l’uso di tutti gli strumenti musicali furono proibiti dei censori, con eccezione dei flauti. Mi sembra piuttosto rilevante, per i caratteri dei due popoli, il fatto che l’uso degli strumenti musicali dia l’impressione di essere stati proprio invertito: flauti a Roma ed archi nella Grecia antica. (I capi dello stato greco volevano che i loro popoli vivessero in modo soave e sereno, swfrosÚnh, mentre quelli del popolo romano, coerente al carattere bellico dello stato, desideravano che i cittadini fossero energici e agitati).

[XIV.] A qualcuno è sembrato strano che presso i popoli primitivi, che nei loro tentativi figurativi prediligevano il fantastico, i colori sgargianti, le figure enormi, si trovi poi di preferenza la musica monotona. Dei Botocudi, come per tutti gli altri indigeni dell’America (che hanno musiche molto monotone) Martius dice: “A lui (l’aborigeno dell’America) piace ingigantire l’insolito, il grottesco, il selvaggio e dipingere delle cose strane fino a quelle mostruose e terrificanti”. Altrettanto gli abitanti delle isole Figi, cui piacciono le storie più fantastiche, emozionanti e terribili, hanno poi una musica molto monotona. Va detto subito però che queste popolazioni sono ancora più vicine all’origine della musica derivante dalla lingua; poiché essa nasce dalla graduale variazione di modulazione e ritmo, all’origine era certamente molto monotona, il rapporto organico con la parola la incatenava, come mostra ancora il moderno recitativo. E poi una certa monotonia è presente anche nell’arte figurativa dei popoli primitivi. Humboldt (Ansichten der Natur, I, Anm. 51) nota che i popoli rozzi, con la propensione a semplificare e a generalizzare i tratti, [294] vengono spinti alla ripetizione e disposizione ritmica delle immagini da un’intima struttura spirituale. Ci sarebbe, quindi, un contrasto tra la propensione a fantasticare ecc. e la tendenza per il monotono e per il ritmico. Un aspetto similare si troverebbe nella tipica pulsione all’imitazione dei popoli non civilizzati (che noi osserviamo anche nei nostri ceti sociali non acculturati): sicché, quando, per esempio, uno di essi faceva scarabocchi su una roccia, tutti quelli che seguivano la stessa strada, a loro volta scarabocchiavano la stessa cosa o qualcosa di simile, come risulta dalle conoscenze dei pietroglifi nel mondo (la migliore raccolta in Andree, loco citato, cfr. inoltre per l’analogia p. 287). Sussiste, invece, nonostante ogni monotonia dei canti, ancora un accordo vistosamente disarmonico di molte voci e una struttura del tutto identica dei singoli motivi.

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418 | Appendici “Come lo stomaco degli Arabi preferisce la carne cruda e il fegato ancora fumante prelevato dall’animale, così il suo orecchio predilige la sua musica, alla stessa maniera, grezza e disarmonica rispetto alle altre musiche” (Baker, the Nile tributaries of Abissinia, 203). Si può formulare un’analogia, anche se non voglio farla passare per perfetta: come le opere monotone e iterative derivano dalle singole forme, fantastiche e selvagge, così i canti derivano da suoni altrettanto iterativi, disarmonici, striduli e singoli. In evidente contrasto con questo senso poco sensibile per la musica sappiamo che gli Arabi hanno un udito incredibilmente fine, sentono a notevoli distanze tutti i rumori che per gli Europei sono impercettibili. A tal proposito è esplicativo un passo di Steinthal (Ursprung d. Spr., 3.Aufl., 306). “Secondo me il vantaggio dell’uomo (sulle bestie) dipende quasi esclusivamente dalla sua posizione eretta. Mentre gli altri sensi (tranne il tatto) – e in questo ricorda un po’ di Herder – sono estensivamente più deboli ma intensivamente più forti, cioè si estendono per modeste distanze, ma percepiscono più impressioni e, [295] quindi, scoprono nelle cose più caratteristiche e distinguono più accuratamente le proprietà affini di più cose” (L’intera descrizione da cui è stato preso questo passo fu in seguito considerata dallo stesso Steinthal obsoleta; pur tuttavia resta il fatto che quest’osservazione di per sé è giusta). A questo punto desidero solo far osservare che l’esigenza della vita ha fornito ai popoli primitivi l’acutezza dell’udito, che era necessaria sia all’identificazione del cibo sia a quello dei nemici. Tale acutezza può derivare dal continuo silenzio che circonda la maggior parte dei popoli primitivi così come l’acutezza della vista dallo sconfinato orizzonte (gli uomini che vivono in ambienti ristretti diventano miopi). Perciò questa attitudine che serve solo a percepire rumori molto deboli e movimenti dell’aria di bassissima intensità – ma questa è pura ipotesi – potrebbe essersi sviluppata solo unilateralmente in funzione di questo scopo. Le capacità dell’orecchio musicale di scomporre nei loro componenti acustici i diversi toni, specialmente nel fare un accordo, derivanti dalle complicate vibrazioni, non hanno niente a che fare con ciò. Se lo si potesse provare allora questo sarebbe un interessante corollario a sostegno di Fechner (Psychophysik, II, 293) nel punto in cui viene citato un passo tratto dalla Otoiatria di Erhard. Che, in particolare, l’educazione dell’udito debba essere solo mirata a quella musicale, senza tener presente gli altri aspetti, trova giustificazione nell’affermazione di G. Carus che considera Wilhelm von Humboldt “un essere udente”, nonostante che lo stesso fosse veramente poco predisposto alla musica (cfr. Kant, Giudizio, §.51, 3). [XV.] L’invenzione veramente rilevante si ebbe nel ridotto numero dei suoni, all’interno dei quali si potevano effettuare le melodie greche su strumenti a corda, racchiusi in intervalli molto stretti; il fascino poteva consistere non nei temi e nella novità bensì solo nella finezza della sfumatura e dell’esecuzione; allo stesso modo per il dramma, il

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 419 criterio di valutazione non era tanto il tema, che spesso si ripeteva, quanto la sua esemplare esecuzione e variazione. [296] Schopenhauer nota che una creazione artistica è tanto più grande quanto meno deve la sua grandezza al tema. Nella composizione polifonica la natura artistica della musica trova la definitiva conferma; necessitava a questo punto di regole complesse (approcci in tal senso furono fatti per lungo tempo prima che nascesse qualcosa di simile alla nostra musica); Hucbald (morto nel 930) che, come è noto, fece per la prima volta il tentativo di unire armonicamente più voci, trova bello far progredire dominanti e sottodominanti sovrapposte; (Rousseau, che ravvisò il sentiero del suo ideale, spesso e in maniera erronea, nelle esteriorità, anche nella musica voleva un ritorno alla semplicità della pura natura e respinse tutte le polifonie: Il est bien difficile de ne pas soupçonner que tout notre harmonien’est qu’une invention gothique et barbare, dont nous ne nous fussions jamais avisés si nous eussions été plus sensibles aux véritables beautés de l’art et à la musique vraiment naturelle (Non è poi tanto difficile supporre che tutta la nostra armonia non sia altro che un’invenzione gotica o barbara, di cui non ci saremmo mai accorti se fossimo stati più sensibili alle vere bellezze dell’arte e alla musica veramente naturale) (Dizionario della musica artistica. Armonia, Rifacendosi ai Greci scrisse un’aria che comprendeva solo quattro note. Tartini espresse opinioni simili). La conseguenza fu che negli ambienti della grande cultura si risvegliò l’interesse per la musica che precedentemente non era mai stato prevalente, mentre la musica dei ceti meno abbienti perdeva sempre più di qualità. Ricordo il caso dei “Maestri Cantori” col quale la musica popolare tentò di approdare ad una strutturazione più elevata e a regola d’arte; giunse soltanto a calcoli complicati, artificiosi come le strutture gotiche; manca all’arte, oramai senza la luce solare del genio, il calore vitale. Ciò nonostante è un errore credere che la Nazione non abbia un’influenza sullo sviluppo della musica. Per le rimanenti arti è fuor di dubbio che debbano essere nazionali se vogliono raggiungere e custodire la loro fioritura. Questo non deve affatto significare che debbano essere patriottiche; la storia dimostra che perfino negli Stati più disastrati, come fiori sulle macerie, [297] le arti riuscirono a produrre splendidi fiori. Ciò che intendo dire è soltanto questo: anche se un uomo nasce dotato di grandi talenti, sarà la vita della sua Patria che lo circonda sin dai primi giorni della sua esistenza che lo fa diventare ciò che lui rappresenta ora, perché gli imprime il suo carattere, perché da essa riceve mete e opportunità; e, pertanto, quanto più nobile è un’anima, tanto più assimilerà gli elementi idonei del bagaglio culturale che la vita nazionale le offre. Questo avviene già negli anni dello sviluppo, senza la sua partecipazione e senza che ne sia cosciente. Quindi se l’artista deve mantenere un’operatività omogenea – e senza di questa non è possibile essere grande artista – allora non può cambiare carattere alle sue aspirazioni, come egli lo ha ricevuto una volta e come la natura, la cultura e il carattere del suo Paese glielo hanno impresso. Quindi se l’artista conserva la sua disposizione nazionale ciò non significa che egli

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420 | Appendici sia patriottico; non è che si offende la dignità patriottica di un tedesco quando egli lavora, come dire, alla maniera francese, bensì per un ben reale motivo: la sua struttura psicologica e la sua indole, attraverso l’istruzione assunta in patria, costituiscono le giuste basi per un determinato modo di creare; mentre egli, se dovesse imitare modelli diversi, arriverebbe facilmente alla frantumazione del suo carattere e con ciò al decadimento della sua arte; in tal senso deve essere legato al suo ambito storico e nazionale (una chiara consapevolezza di ciò, il sentimento nazionale, non è necessario che l’abbia in base a quanto detto). Chiaramente non è stata sufficientemente indagata la musica nel suo contenuto psicologico per poter fissare con precisi termini le differenze nazionali. Si prenda in considerazione l’intera musica tedesca degli ultimi 150 anni e poi quella francese e infine quella italiana: non può sussistere dubbio alcuno che ognuna di esse, per il differente sviluppo e per la natura dei singoli compositori, risulti necessariamente e inconfondibilmente diversa dalle altre. Per il momento non possiamo ancora [298] dimostrare l’ipotesi che si fosse creata una determinata musica perché il carattere del popolo l’ha determinata; che invece un effetto di questo genere deve pur esserci lo dimostra la diversità delle musiche nazionali. Inoltre: come ogni prodotto di poesia, anche il più soggettivo e personale, per il fatto di essere stato scritto in una lingua nazionale, deve proprio a questa, per il fatto che ognuno “compone e pensa”, la parte più importante della sua esistenza, così ogni uomo ritrova già una musica che storicamente è diventata popolare. Non intendo naturalmente per musica popolare solo i canti popolari, cioè quella musica che il “popolo” si è creata per eccellenza, kat’™xoc»n, bensì tutta quella che forma la letteratura musicale e nazionale di un popolo. Quando la storia della musica afferma che quasi sempre ogni compositore si appoggia al suo predecessore è implicito che il risultato finale dello sviluppo musicale del suo popolo è la base della sua propria formazione musicale e deve tanto alla catena dei suoi predecessori perché senza di essi non sarebbe mai diventato quello che è22. Naturalmente, sin dagli inizi, il suo gusto musicale viene educato dal continuo ascolto della musica nazionale prodotta a partire dai tempi remoti; questa continua opportunità di ascoltare musica – e nei tempi moderni se ne è sempre circondati – non sarebbe possibile se questa musica, completamente penetrata nel popolo, non corrispondesse alla sua indole. Il compositore accoglie la musica, che in primis determina il suo indirizzo, in quanto è tradizione 23, parimenti al poeta cui la bocca del suo popolo gli offre la lingua che egli poi utilizza nelle sue opere. Tornando indietro, infatti, troviamo che le basi, sulle quali ogni compositore [299] inizia a costruire, debbano essere quelle nazionali, e ci si pone la domanda di

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Come si ricava in maniera chiarissima dalla tecnica e dalla teoria. Vediamo che tutti i più importanti compositori seguono per un lasso di tempo le tracce dei propri predecessori prima di sviluppare un proprio stile. Ogni arte pura, afferma Goethe, deve provenire da un “predecessore”. 23

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 421 quale influsso debba esercitare sul compositore il fatto che egli veda trascurato dal proprio popolo qualche capolavoro di un suo predecessore mentre trovi altri accettati con entusiasmo. Se si considera l’intera catena storica dello sviluppo della musica in senso eminente, allora non si può ritenere impossibile che essa, liberata da tutto ciò che è nazionale, come fosse uno Stato nello Stato, avesse un proprio sviluppo, anche se noi non abbiamo ancora trovato l’equazione tra l’ingegno comune e quello musicale dell’anima popolare. [XVII.] Nella condizione originaria dell’uomo primitivo, dove non esisteva ancora il sentimento nazionale, noi troviamo in tutto il mondo le stesse manifestazioni musicali, degli strumenti e melodie simili; nonché lo stesso effluvio della musica dalle emozioni e la dedizione ai suoi sconvolgenti effetti. Poi si manifesta, però, sempre più l’elemento nazionale; vediamo nel periodo aureo della cultura greca quanto aspramente venivano aborriti gli strumenti asiatici; alla stessa maniera quelli greci a Roma al tempo della più sentita consapevolezza nazionale. Vediamo ancora in che modo, direi quasi geloso, la scuola di violino francese e tedesca abbiano difeso le loro caratteristiche contrapposizioni; come, infine, un certo tipo di musica internazionale, cui fanno omaggio in questi ultimi tempi numerosi compositori (Liszt, Berlioz), non abbia prodotto buoni risultati in quanto non si radica in nessun terreno. Quanto appassionati possano diventare i contrasti nazionali della musica lo dimostrano, per esempio, gli avvenimenti di Parigi di cui Lulli riferisce: J.J. Rousseau se mit à leur tête (der Parteigänger für italiänische Musik), sa “lettre sur la Musique française” fut le signal d’une guerre d’opinion, qui fit éclore un nombre considerable de brochures. Au parterre de l’opéra le public se partageait en deux camps, rangés, l’un du côté de la loge du roi, l’autre du côté de celle de la reine. Le coin du roi se composait des défenseurs de la musique française, les admirateurs de la musique italienne formaient le coin de la reine. Les deux parties s’injuriaient ; peu s’en fallut qu’ils n’en vinssent aux mains. (J.J. Rousseau si è messo alla testa dei sostenitori della musica italiana; la sua “lettera sulla musica francese” fu un segnale di una guerra di opinioni che ha fatto fiorire un numero considerevole di opuscoli. Nel parterre dell’Opera il pubblico si divide in due schiere, l’una accanto al palco del re, l’altra a fianco di quello della regina. Quelli accanto al re sono i difensori della musica francese, quelli accanto alla regina parteggiano per quella italiana. [300] I due schieramenti si scambiano invettive, poco manca che non vengano alle mani). Annotazione. Ricordo degli schieramenti all’interno del circo. Anche in questo caso abbiamo un interessante processo dove l’oggetto in fondo passa in secondo piano. La sua importanza, che all’inizio era punto di partenza, diventa poi pretesto per la violenza dei contendenti. Nella musica, più spesso che nelle altre arti e scienze, si trova questo fenomeno in quanto ognuno crede di poter dire la sua e dove ogni contrasto – aumentando di dimensione – aumenta anche in asprezza. Meno si litiga a parole e più

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422 | Appendici si litiga. Molto spesso si può osservare come sordomuti e malati, che per un motivo qualsiasi sono privi di parola, quando non si comprendono i loro segni, sono colti da una smodata e terribile violenza. Senza alcun paragone desidero inoltre considerare del tutto simili le motivazioni psicologiche dell’uno e dell’altro fenomeno. A colui che parla di musica è impossibile esprimere concretamente e in maniera adeguata ciò che lo ha portato ad aver quel punto di vista; per sensazioni di questo genere mancano alla nostra lingua le parole. L’altro non riesce a comprenderlo tanto più in quanto precedentemente si è fatto una sua opinione che il primo non comprende; dall’impossibilità di comprendersi nasce – come nel caso del muto – l’asprezza che è data dal constatare nelle controversie di natura estetica ma specialmente di natura musicale.

Ai cinesi, che sono completamente estasiati della propria musica, Amiot les plus belles sonates, les airs de flûte les plus mélodieux et les plus brillants (ha suonato le più belle suonate, le più melodiose e le più brillanti arie per flauto). L’effetto è che li ha annoiati e torturati24. Della meravigliosa forza dell’elemento nazionale nella musica lo dimostrano, inoltre, le seguenti storie che ricavo da un giornale. “Quando Bonaparte era in Egitto tentò in ogni modo di influenzare i mussulmani con meravigliose opere del sapere occidentale per guadagnarne la simpatia. Su consiglio di Monge ci provò anche con la musica, una grande orchestra formata da valenti maestri si radunò, una sera, [301] nella Piazza Esbekieh nella città del Cairo e, alla presenza delle personalità più eminenti del Paese e di una gran massa di ascoltatori, eseguì una serie di capolavori della musica. Un po’ eccellenti compositori, un po’ musica seria, un po’ melodie semplici e delicate, un po’ marce militari, un po’ travolgenti fanfare. Fatica sprecata! I musulmani restarono freddi ed indifferenti davanti a tutto ciò, come mummie nei loro sarcofagi. Monge era fuori di sé. “Queste teste di legno non sono degne del vostro grande impegno, gridò agli orchestrali. Suonate loro Marlbrough, che forse è adatto a loro”. Marlbrough s’en va-t-en guerre, Mirliton, Mirliton ton taine Marlbrough s’en va-t-en guerre Ne sait quand reviendra!

L’orchestra iniziò a suonare e accadde una specie di miracolo; sin dalle prime note migliaia di sguardi fissi si animarono, un impeto gioioso scosse la massa tranquilla e,

24 Gli dissero: “Tali melodie non sono adatte alle nostre orecchie e le nostre orecchie non sono adatte a queste melodie”.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 423 in un momento, strano a credersi, vecchi e giovani si riversarono per le strade ballando, tanto erano stati coinvolti da questo motivetto gioioso e allegro. Da quel momento in poi il “Marlbrough” fu suonato ogni sera ed ogni sera ci fu lo stesso successo. Come si può spiegare tale fenomeno? Grety, Haydn, Mozart non fecero alcun’impressione, la canzone di Marlbrough, nell’intera popolazione, procurò una gioiosa commozione. Chateaubriand credette di aver trovato la spiegazione di questo strano fenomeno. Addusse, infatti, che la melodia della canzone di Marlbrough era d’origine araba; la stessa canzone apparteneva al Medio Evo e fu portata con ogni probabilità dai crociati, sotto Don Jayme, in Spagna e, sotto Luigi IX, in Francia. La canzone racconta la storia di un crociato di nome Mambron, di cui non si sapeva nulla. La storia del cavalier Mambron, musica e testo, era una canzoncina che madame Poitrine [302] cantava al suo neonato reale, (il futuro) Luigi XVI, per farlo addormentare. La regina Maria Antonietta apprese per caso questa canzoncina, le piacque, la cantò a sua volta e, grazie a lei, divenne di moda, tanto che fu cantata in tutta Europa. Per uno strano caso il nome del duca di Marlbrough o Marlborough (John Churcill), il vincitore di Malplaquet, subentrò al posto del vecchio crociato Sire Mambron. I musulmani d’Egitto percepirono, quindi, in questa melodia i suoni di un vecchio canto nazionale e ne furono presi. Bodenstedt (citato loco, II, 104) parla della struggente musica nazionale dei Persiani e racconta, a tal proposito, che giovani asiatici che in giovane età si allontanarono dalla loro patria per essere istruiti a Pietroburgo, quando occasionalmente tornavano in patria, ben volentieri ascoltavano i tamburi, i colpi di timpano dei suonatori locali e li consideravano di gran lunga più godibili dei concerti che venivano loro offerti a Pietroburgo. Della medesima idea è Pollack (citato loco 292). Si consideri infine che, per il carattere di un popolo, non è soltanto la sua musica a risultare peculiare, ma anche il modo con cui essa viene calata e levata, dalle fluttuazioni ondivaghe, nello scorrere della vita di un popolo; in che modo ogni elevazione della vita culturale conferisca anche a lei un nuovo slancio: a tal proposito ne ha parlato Ambros (Geschichte der Musik, Vorrede, XXII ss.). Ora vediamo che perfino fenomeni tanto speciali, quali il Romanticismo nella cultura tedesca, hanno dato, all’inizio del secolo, orientamenti artistici a compositori (Mendelssohn, Schumann e ai loro epigoni) che, senza detti fenomeni, non avrebbero mai individuato. [XVIII.] Lo Jodeln, per il suo carattere, sembra appartenere agli esercizi musicali più primitivi; si distingue, però, a tal punto dal canto che non è valida l’interpretazione per cui le sue origini siano più antiche. Poiché al singolo studioso non è possibile raccogliere le necessarie esperienze25 [303] per la ricerca di questo fenomeno ho pubblicato nell’an25 A tal proposito non esiste letteratura, almeno credo io, tranne che un breve resoconto di Sieber nell’“Echo”, 1853, Nro. 43, “Lo Jodeln dei montanari”, comunque di nessun valore.

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424 | Appendici nuale del Club Alpino Svizzero, annata 1879, una serie di considerazioni sulla natura dello Jodeln, che poi sono state riprese da altri giornali e che mi hanno fatto ricevere un gran numero di scritti da parte d’esperti della vita alpina. Purtroppo sono così contraddittori che bisogna accettare l’idea che lo Jodeln è veramente differente nelle diverse regioni alpine. Ciò che di comune ho potuto raccogliere, nelle mie e nelle altrui osservazioni, è quanto segue: lo Jodler consta di una sequenza abbastanza breve, senza supporto di parole bensì di singole sillabe, di quasi sole vocali, emesse come suoni, la cui caratteristica è il continuo alternarsi tra voce di petto e di testa, con il salto del falsetto. Ogni cosiddetto passaggio in falsetto della voce parlante, nello stato emotivo o sotto qualche altro notevole sforzo, mostra la sostanza dello Jodeln. Si rifletta ora sul fatto che in montagna è richiesto continuamente un richiamo ad alta voce oppure un grido per comprendersi e che lo sforzo polmonare, per causa delle continue salite – predispone al falsetto, e che queste due condizioni si trovano unite esclusivamente in alta montagna e che proprio lì si nota solamente lo Jodeln; sembra per niente improbabile, pertanto, che lo Jodler originariamente non è altro che un grido cambiato repentinamente in voce di testa, il cui continuo ripetersi, infine, lo faceva diventare genere artistico. L’ipotesi dell’analogia tra Jodeln ed il grido trova ulteriore conferma nel fatto che lo Jodler viene emesso molto spesso al termine di un canto, laddove altre popolazioni utilizzano delle grida più o meno articolate. [304] Ora prendiamo di nuovo in considerazione il punto di vista espresso precedentemente da Jaeger, secondo il quale lo Jodeln, provocato dall’eccitazione sessuale e strumento del suo appagamento, abbia costituito l’inizio del canto. Non voglio negare che, se l’eccitazione sessuale si manifesta nel grido, non abbia poi avuto luogo quel repentino mutamento della voce in falsetto; ma non sussiste alcun motivo per ammettere un nesso causale tra questo e quello; inoltre si deve confutare quest’opinione poiché lo Jodeln è stato individuato solo nelle regioni alpine26 e viene esercitato soprattutto dai ragazzi di 8-14 anni, in cui non si può parlare di fattore sessuale; infine si deve sottolineare anche la circostanza che lo Jodeln non compare affatto come un peculiare “segno d’intesa tra ragazzo e ragazza”. La maggior parte delle comunicazioni inviatemi mettono perfino in dubbio ogni intesa di questo genere. Una sola però, proveniente da S. Gallo (Svizzera), menziona che lo Jodeln serve veramente a scopi d’intesa tra l’alpigiano e la sua ragazza, aggiungendo, però, che detto Jodeln non si differenzia da quello usato per altri motivi; anche se usato per capirsi tra due persone conserva un carattere più generico di quello motivato solo dall’eccitazione sessuale.

26

Mi è stato riferito un unico dato contrario: nei pressi di Hasserode nello Harz fu osservato una volta un vero Jodeln tra gli abitanti del luogo. Poiché è un caso unico, si deve ricondurlo ad una causa fortuita, ad un’emigrazione (storicamente accertata) in questa regione di popolazioni alpine della Germania meridionale.

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I. Studi psicologici ed etnologici sulla musica | 425 Se tutto questo rende già abbastanza improbabile la teoria di Jaeger va aggiunto che, se lo Jodeln dovesse costituire l’inizio del canto, dovrebbe portare con sé anche fattori di perfezionamento: nemmeno questo è il caso! Non esiste nessun canto, nei primitivi stadi dello sviluppo, che sia senza parole, mentre per lo Jodeln la caratteristica è che esclude le parole; in una lettera inviatami si dice: [305] “Quanto più il montanaro vive in solitudine più il suo Jodeln è spontaneo e tanto meno assomiglia ad un canto”. Va detto inoltre che una quantità di emozioni, che noi empiricamente abbiamo riconosciuto come importanti fonti della musica, per il loro carattere mistico-religioso, non possono essere espresse nello Jodeln.

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427

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Indice dei nomi

Abbagnano N., 331, 338 Accarino B., 31, 32, 48, 71, 74, 195, 200, 244, 263, 202, 391, 392 Adler A., 231 Adorno Th.W., 85, 86, 92 Alcantara F., 279, 280 Anassagora, 354 Andolfi F., 31, 110, 161, 176, 195, 196, 350, 351, 360 Andrews J., 341 Andrini S., 330, 338 Antiseri D., 371, 278, 282, 300 Ashton D., 71, 101 Bach J.S., 124 Bachelard G., 83, 109 Bacone F., 354 Baert P., 44, 48 Baudelaire C., 223 Bauman Z., 291 Beamish A., 315, 324 Beck U., 291, 300 Benjamin W., 41, 87, 92, 93, 109, 170, 176, 223, 264 Bergson H., 81, 269, 274, 275 Berman M., 223, 263 Bernstein E., 271 Bertolotti G., 91, 109 Bianchi F., 287, 289, 290, 296, 297, 300 Bianco F., 328, 338 Bloch E., xi, 279 Blumer H., 11 Böcklin A., 155, 156, 157, 163, 172, 174 Bodei R., 9, 30, 143, 168, 176, 265 Boella L., 92, 93, 97, 109, 141, 156, 158, 163, 165, 176, 382, 391 Borden I., 200, 263 Borsari A., 110, 196, 304, 324 Boschini P., 249, 263 Boudon R., 204., 263, 278, 296, 300, 352, 360 Bouglé C., 59 Bourricaud F., 278, 300 Brentano F., 335 Brunnson N., 357 Buber M., 342

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428 | Appendici

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Bulmer M., 257, 263 Burgess E., 259, 266 Burns T., 34, 48, 208, 263 Caccamo R., 218, 225, 242, 256, 257, 261, 262, 263 Cacciari M., 110, 138, 195, 226, 227, 229, 251, 252, 254, 255, 263, 266, 391 Calabrò G., 31, 218, 263, 284, 285, 301, 346, 360, 374, 391 Carter E.B., 258, 265 Cartesio (René Descartes), 31, 254 Cassirer E., 11 Cattaneo A., 182, 195 Cavalli A., 31, 32, 48, 110, 138, 196, 200, 232, 243, 263, 266, 267, 302 Cerroni U., 10, 12, 30 Cézanne P., 97, 98, 177, 267 Chamfort S.-R.-N., 53 Chastel A., 82 Chiarini P., 374, 375, 391 Chopin F., 188, 396 Cohen H., 265, 271 Colli G., vii, 90, 109, 252 Collingwood R., C., 326 Collins R., 37, 48, 304, 324 Comte A., 275, 279 Condrau G., 386, 391 Cooley C.H., 11 Coser L.A., 48, 258, 259, 260, 263, 271, 274, 276, 286, 290, 296, 300 Cotesta V., 32, 244, 245, 263, 302, 392 Crespi F., 266, 276, 283, 289, 296, 300 Croce B., 326 Curcio A.M., 99, 109, 193, 195 Dahme H.-J., 30, 74, 222, 263 Dal Lago A., 31, 40, 41, 48, 81, 109, 110, 138, 184, 195, 200, 201, 202, 206, 207, 208, 211, 218, 222, 247, 264, 302, 380, 389, 391 D’Andrea F., v, vii, iX, xv, xvi, 14, 30, 39, 48, 77-110, 113, 117, 138, 139, 147, 169, 170, 176, 184, 195 d’Anna V., 349, 360, 380, 391 Darwin C., 111, 274, 395, 396 D’Avanzo B., 200, 263 Del Grosso Destrieri L., 112, 156 De Marchi B., 340, 260 De Mucci R., 271, 278, 282, 300 Deroche-Gurcel L., 54, 71, 74, 199, 222, 264, 265 Desideri F., 207, 264 De Simone A., v, vii, x, 6, 30, 77, 81, 93, 98, 108, 110, 141, 146, 154, 161, 176, 177, 194, 195, 196, 199, 200, 202-266, 282, 300, 349, 360

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II. Indice dei nomi | 429 Dibble V.K., 258, 264 Dilthey W., xi, xii, 87, 109, 265, 325, 326, 327, 328, 329, 330, 332, 334, 338 Droysen J., G., 344 Duby G., 17, 48 Duccio di Boninsegna, 171 Dumont L., 78, 103, 104, 106, 109 Durand G., 97, 101, 104, 106, 127, 434 Durkheim E., 3, 9, 30, 31, 44, 63, 85, 112, 154, 166, 258, 279 Eisenstadt S.N., 339, 344 Eliade M., 86 Elias N., 3, 43, 54, 74, 342 Ellwood C. A., 258 Enckendorf M.-L., 271 Engels F., 11 Erbetta A., 31, 278, 300, 302 Faccioli P., 209, 264 Fanini S., v, ix, 111-138, 139, 394 Faris R.E.L., 93, 257, 264 Federici M.C., v, vi, vii, x, xv, 4, 30, 48, 77, 109, 138, 154, 176, 195, 268-302 Federici R., vi, x, xi, 302-324 Ferguson A., 51, 52 Fichte J.G., 340, 347 Fitzi G., 82, 109, 250, 264 Flores F., 358 Fornari F., vi, xi, 8, 325-338 Fornari S., vii, ix, xiii, 3-32, 39, 40, 48, 77, 83, 109, 181, 182, 195 Franco F., 48, 195, 273, 338 Franklin B., 241 Franzini E., 100, 109 Freud S., xv, 23, 272, 275, 285, 378, 391 Freund J., 58, 74 Frisby D., ix, 82, 109, 112, 138, 170, 176, 199, 200, 205, 207, 217, 222, 223, 231, 232, 258, 259, 264, 266, 267, 294, 300 Gadamer H.-G., 81, 83, 87, 90, 91, 109, 110 Garzi R., v, vii, ix, 33-48 Gassen K., 284, 300, 321, 324, 346, 360 George S., 3, 10, 81, 180 Giaccardi G., 201, 264 Giacomini B., 203, 215, 218, 219, 222, 234, 237, 238, 243, 244, 245, 248, 264 Giacomoni P., 15, 30 Giannattasio F., 131, 196 Giddens A., 9, 21, 30, 61, 199, 282 Giotto, 171

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430 | Appendici Giuliano L., 276, 285, 287, 297, 300 Givone S., 184, 194 Gobbicchi A., 167, 176, 184, 188, 189, 195 Goethe J.W., von, xi, 3, 13, 14, 15, 16, 31, 104, 112, 274, 348, 352, 392, 413, 420 Goffman E., 33-49, 51, 63, 208, 263, 264, 265, 267, 391 Gorman E.M., 258, 265 Gozzano S., 335, 338 Gracian B., 71 Gubert R., 257, 259, 265, 267, 411 Gusdorf G., 86 Habermas J., 48, 98, 109, 209, 265, 266, 343, 347, 360 Harnack A., von, 271 Haroche C., 200, 265 Hartmann N., 272, 373, 375, 391 Harvey L., 257, 265 Hayes E.C., 258 Hegel G.W.F., 31, 91, 100, 327, 340 Heidegger M., 83, 91, 342 Heimsoeth H., 290 Herder J.G., von, 340, 348, 401, 410, 418 Hobbes T., 339 Hölderlin F., 100 Horney K., 342 Humboldt W., von, 327, 398, 417, 418 Hume D., 335 Husserl E., xii, 271, 272, 274, 335, 338 Hutcheson F., 51 Infantino L., 283, 300, 301 Izzo A., 179, 195, 271, 273, 274, 276, 278, 296, 297, 300, 335, 338 Jacobs J., 37, 44, 48 James W., 242 Jaspers K., xi, xii, 339, 341, 342, 343, 344, 365, 366, 367 Jedlowski P., 86, 109, 110, 196, 266, 267, 360, 392 Jonas F., 30 Jonas S., 6, 250, 265, 415 Jung C.G., 272, 338 Kaern M., 204, 265 Kant I., xii, 6, 7, 13, 14, 31, 90, 169, 202, 203, 204, 218, 267, 274, 278, 279, 340, 347, 392, 401, 418 Kantorovicz A., 279 Kinel G., 271 Köhnke K., C., 232, 264, 266

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II. Indice dei nomi | 431

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Konau E., 205, 265 Kracauer S., 4, 30, 113, 138, 168, 169, 170, 176, 208, 223, 264, 265, 323, 324 Kress H., 90, 110 Lanfredini R., 335, 338 Lechner F.J., 200, 203, 265 Leibniz G.W., von, 202, 301 Leonardo da Vinci, 140, 151, 152, 153, 154, 155, 172, 189 Lessing G.E., 348 Levine D.N., vi, vii, xi, 258, 265, 339, 340, 342, 343, 344 Lindner R., 259, 265 Locke J., 339 Lucrezio Caro T., 28 Luhmann N., xii, 20, 30, 383, 384, 392 Lukács G., xii, 32, 41, 97, 98, 110, 113, 138, 279 Lutero M., 104 Maffesoli M., v, vii, xi, xv, xvi, xvii, 30, 31, 46, 47, 48, 83-88, 106, 110, 118, 137, 138, 165, 166, 169, 170, 176, 182, 187, 193, 195, 294, 346, 360 Magatti M., 201, 264 Magri T., 3, 30, 31 Mandich G., 200, 201, 202, 204, 205, 209, 211, 216, 222, 224, 231, 241, 249, 265 Maniscalco M.L., 224, 225, 231, 240, 241, 265 Marias J., 291, 319 Marx K., 10, 223, 271, 330 Mayo E., 78, 110 Mead G., H., 3, 10, 11, 180, 340 Mele V., 110, 167, 176, 196, 200 Merton R.K., 285, 300 Meschiari A., 226, 265 Michelangelo, 103, 106, 163, 177, 188 Mittner L., 375, 392 Mommsen T., 327 Monceri F., 223, 227, 265 Monet C., 97, 98 Mongardini C., 6, 31, 48, 110, 138, 193, 195, 271, 276, 276, 277, 278, 281, 282, 283, 287, 288, 289, 292, 295, 296, 300, 302, 305, 321, 324, 349, 360 Mora E., 35, 46, 48, 209, 265 Mori M., 332, 338, 406 Morin E., 84, 85, 109, 110, 138 Moritz K.P., 104, 105, 106, 107, 108, 110 Moscovici S., 265 Mozart W.A., 121, 423 Natorp P., 271

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432 | Appendici Napoli L., vi, xii, 30, 31, 32, 45, 176, 177, 196, 263, 264, 265, 267, 301, 302, 345-360, 391, 392, 407 Nedelmann B., 14, 25, 31, 140, 141, 143, 145, 146, 148, 160, 176, 187, 189, 190, 192, 193, 195, 202, 208, 218, 231, 236, 239, 241, 265, 266 Niebuhr B., G., 345 Nietzsche F., 31, 41, 81, 109, 138, 169, 177, 265, 267, 269, 270, 274, 291, 300, 301, 334, 360, 392 Novalis (F.L., von Hardenberg), 82, 86, 110 Okes G., 23, 31 Ortega Munilla J., 278, 289 Ortega y Gasset J., vi, x, 4, 30, 54, 269-302 Paolozzi L., 21, 31 Pareto V., 278, 289 Park R.E., 42, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 265, 266 Passmore J., 355 Pavel T., 72, 74 Pellizzoni L., 358, 360 Perucchi L., 31, 32, 110, 114, 138, 158, 161, 162, 164, 171, 172, 174, 176, 195, 196, 232, 263, 266, 302, 324 Pfander A., 4 Piaget J., 11 Picasso P., 97 Picchio M., v, ix, 77, 80, 139-176 Pico della Mirandola, 85 Pitasi A., 209, 264 Platone, 105, 1109, 349, 401, 415, 416, 417 Poggi G., 31, 232, 266 Popper K., 278 Portioli C., 31, 163, 176 Prandini R., 45, 47, 48 Proust M., 70 Pryzara E., 342 Rammstedt O., 56, 58, 69, 70, 74, 222, 263, 265, 266, 267 Ranke O., 327 Raphael F., 244, 266 Rath C.-D., 218, 266 Rauty R., 251, 261, 266 Reale G., 90, 110 Rella F., 82, 86, 110 Rembrandt, 138, 163, 169, 170, 176, 177 Rensi G., 6, 32 Rickert H., 271, 274, 326, 328, 332 Rilke R., M., 97

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II. Indice dei nomi | 433 Ritter A., 327 Rivera P., de, 272 Rochefoucault F., de la, 53 Rodin A., 63, 174 Rossi P., 30, 332, 337, 338 Rousseau J.-J., 339, 419, 421 Rutigliano E., 42, 48, 302 Ryle G., 335 Salomone, 131, 411 Santayana G., 60 Sarracino V., 295, 301 Schäffle A., 275 Scheler M., xi, 4, 57, 74, 340, 341, 342, 344 Schelling F.W.J., 104, 340 Schiller F., 16, 90, 408 Schlegel K.W.F., von, 82, 86, 100, 104 Schleiermacher F., 90, 110, 348 Schmoller G., 258 Schopenhauer A., 28, 29, 31, 122, 138, 169, 174, 269, 274, 301, 333, 334, 351, 360, 419 Schulz W., 353, 360 Schütz A., 353 Schwarz H., 37, 44, 48 Scott R., 314 Scriven M., 335, 338 Searle J.R., 73, 74 Severino E., 6, 31 Signore M., 327, 338 Small A.W., 258, 259, 264 Smith A., 52, 257, 402 Smith D., 52, 257, 267 Sola E., 13, 14, 31, 32, 301 Somaini A., 100, 109 Sombart W., 3., 263, 271, 391 Sorcinelli P., 16, 17, 22, 25, 32 Sparti D., 336, 338 Spencer H., 275 Spengler O., 272, 333 Spinoza B., 28, 415 Spottorno R., 272 Squicciarino N., 25, 32, 49, 170, 177, 267 Straniero G., 209, 267 Strassoldo R., 200, 204, 242, 262, 267 Tabboni S., 244, 245, 246, 247, 267, 285, 302 Tarde G., 279

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434 | Appendici Tenbruck F.H., 82, 110 Tester K., 308, 324 Teubner G., 338, 374, 392 Tomasi L., 257, 258, 259, 262, 265, 267 Tönnies F., 271, 296 Tramonti M., v, x, 101, 146, 179, 180, 182, 184, 186, 188, 190, 192, 194, 196 Trendelenburg F.A., 327 Trevarthen C., 285, 302 Trifiletti R., 44, 49, 208, 267 Trinchero M., 332, 338 Turgot A.R.J., 340 Turnaturi G., 4, 23, 27, 32, 34, 36, 49, 182, 196, 223, 224, 227, 257, 267, 285, 302 Ungaro D., 358, 360 Varriale C., 285, 302 Vattimo G., 83, 91, 92, 109, 110 Veblen T., 231 Vergati S., 258, 267 Vigorelli A., 232, 235, 238, 267 Vozza M., 9, 12, 13, 25, 26, 32, 77, 81, 89, 96, 108, 11, 141, 143, 156, 157, 163, 165, 170, 177, 182, 187, 196, 208, 250, 251, 252, 253, 254, 256, 267, 392 Wagner A., 131, 133 Wagner R., 258 Ward L., 258 Watier P., vii, viii, ix, xv, xvi, xvii, 45, 51, 52, 54, 56, 58, 60, 62, 63, 64, 66, 68, 69, 70, 72, 74, 199, 222, 264, 265, 266, 267 Weber M., xi, xii, 3, 41, 53, 56, 63, 73, 114, 127, 154, 176, 231, 249, 263, 264, 265, 271, 279, 285, 297, 302, 326, 328, 329, 330, 331, 332, 334, 338, 339, 340, 341, 352, 391 Weick K., 358 Williams R., 306, 324 Williamson O., 52, 61 Windelband W., 274, 326 Winkin Y., 51, 74 Winograd T., 358 Wirth L., 258, 267 Wolf K.H., 305, 324 Woolston H.J., 258 Wright G.H., von, 325, 326, 327, 338 Wright Mills C., 3, 324 Zambrano M., 272 Zotti A., vi, xii, 361-392

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Maria Caterina Federici è professore ordinario di Sociologia presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, dove insegna discipline sociologiche. Autrice di numerosi saggi e volumi, si è occupata in particolar modo della riattualizzazione della sociologia di Vilfredo Pareto e dell’analisi socio-economica della realtà umbra (Imprenditore umbro e formazione, Morlacchi 2002). Sta ora rivolgendo la sua attenzione al versante della comunicazione e dei nuovi media (Ciak si gira, Morlacchi 2002; Elementi sociologici della comunicazione nella società postmoderna, Morlacchi 2003), senza trascurare l’indagine di figure di spicco della sociologia del Novecento. Ha già curato un volume collettaneo su Georg Simmel (Georg Simmel e la sociologia omnicomprensiva, Morlacchi 2001). Fabio D’Andrea è ricercatore in Sociologia all’Università degli Studi di Perugia. È autore di numerosi saggi e volumi dedicati ai processi culturali contemporanei e alla messa a punto di una lettura “attuale” del pensiero di Georg Simmel. Tra i suoi scritti L’esperienza smarrita. Il gioco di ruolo tra fantasy e simulazione (Rubbettino, Soveria Mannelli 1998), Soggettività e dinamiche culturali in Georg Simmel (Jouvence, Roma 1999) e L’uomo mediano. Religiosità e Bildung nella cultura occidentale (FrancoAngeli, Milano 2005). È coautore (con A. De Simone e C. Portioli) di Oltre l’immagine. Transiti contemporanei tra arti e filosofie (Milella, Lecce 2004) e (con A. De Simone e A. Pirni) de L’Io ulteriore. Identità, alterità e dialettica del riconoscimento (Perugia, Morlacchi 2004). Ha curato Il corpo a più dimensioni. Identità, consumo, comunicazione (Franco Angeli, Milano 2005). Silvia Fornari, dottore di ricerca in Scienze dell’Educazione, è ricercatrice in Sociologia presso l’Università degli Studi di Perugia. Insegna discipline sociologiche negli Atenei di Perugia e Siena. Per i nostri tipi ha pubblicato: i saggi Georg Simmel: la filosofia della vita e i processi educativi, in M.C. Federici (a cura), Georg Simmel e la sociologia omnicomprensiva (2001); Alcune riflessioni sullo spirito imprenditoriale nel pensiero di Werner Sombart, Max Weber e Georg Simmel, in M.C. Federici (a cura di), Imprenditore umbro e formazione: tipologia locale e mercato globale (2002); La comunicazione e la mediazione simbolica nell’interpretazione di Weber, Schütz, Mead, Habermas, in M.C. Federici (a cura di) Elementi sociologici della comunicazione nella società postmoderna (vol. II, 2004) e la monografia Georg Simmel. Il pensiero, il contesto storico e la nascita della critica (2002). Ha pubblicato i saggi: La cultura soggettiva: femminilità e sessualità in Georg Simmel, in A. De Simone (a cura di), Leggere Simmel. Itinerari filosofici, sociologici ed estetici (dove ha curato anche la Nota bibliografica. Simmel in Italia e in italiano, QuattroVenti, Urbino 2004) e La vita quotidiana: la normale follia. Transiti sociologici, in A. De Simone (a cura di), Identità, spazio e vita quotidiana (QuattroVenti, Urbino 2005). Michel Maffesoli è professore ordinario di Sociologia all’Università di Paris V-La Sorbonne e tra i fondatori della «sociologia del quotidiano». Viene da tempo mettendo a punto la proposta di una «ragione sensibile» che superi le aporie dell’utilitarismo e consenta il recupero della parte d’ombra del singolo e del sociale e l’elaborazione di un’etica dell’estetica e della prossemia. Dirige il Centre d’Etudes sur l’Actuel et le Quotidien (CEAQ), il Centre de Recherche sur l’Imaginaire e la rivista «Sociétés». Tra le sue pubblicazioni La conoscenza ordinaria. Compendio di sociologia comprendente (Cappelli, Bologna 1986), L’ombra di Dioniso (Garzanti, Milano 1990), Nel vuoto delle apparenze (Garzanti, Milano 1993), La contemplazione del mondo. Figure dello stile comunitario (Costa & Nolan, Genova 1996), Elogio della ragione sensibile

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(SEAM, Roma 2000), L’istante eterno. Ritorno del tragico nel postmoderno (Luca Sossella, Roma 2003), La parte del diavolo. Elementi di sovversione postmoderna (Luca Sossella, Roma 2003) e Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne (Guerini, Milano 2004). Rosita Garzi è dottoranda di ricerca in Sociologia Giuridica presso l’Università degli Studi del Molise. È cultore della materia presso la cattedra di Sociologia della prof.ssa M. Caterina Federici. Esperta nella progettazione e gestione dei percorsi formativi, collabora come progettista e tutor con il Nucleo di Progettazione Universitaria dell’Ateneo perugino. Per i nostri tipi ha già scritto nei volumi Imprenditore umbro e formazione (a cura di M.C. Federici, 2002) e Elementi di sociologia della comunicazione nella società postmoderna (vol. II, a cura di M.C. Federici e R. Federici, 2004). Patrick Watier è professore di Sociologia all’Università “Marc Bloch” di Strasburgo e direttore del laboratorio CNRS Cultures et sociétés en Europe. Impegnato in studi simmeliani dalla metà degli anni Ottanta, è editore del tomo XIX delle Opere Complete di Georg Simmel presso l’editore Suhrkamp e di diverse opere collettive cui hanno partecipato gli specialisti internazionali di Simmel. Tra le sue opere Le savoir sociologique (Desclée de Brouwer, Paris, 2000), Introduction à la sociologie compréhensive (Circé, Paris 2002), Georg Simmel sociologue (Circé, Paris 2003). Ha poi curato la pubblicazione dei volumi Georg Simmel. La sociologie et l’expérience du monde moderne (Klinksieck, Paris 1986), Georg Simmel et les sciences humains (con O. Rammstedt, Klinksieck, Paris 1992) e La Sociologie de Georg Simmel (1908). Eléments actuels de modélisation sociale (con L. Deroche-Gurcel, PUF, Paris 2002). Tra i molti saggi dedicati a tematiche simmeliane, infine, L’imaginaire de l’individu dans la sociologie de Georg Simmel, in M.C. Federici (a cura di), Georg Simmel e la sociologia omnicomprensiva (Morlacchi, Perugia 2001), anche in traduzione italiana. Stefano Fanini si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Perugia. È dottorando di ricerca in Sociologia delle Istituzioni Giuridiche, Politiche e Analisi degli Apparati Amministrativi presso l’Università degli Studi di Macerata. Marta Picchio è dottore di ricerca in Sociologia Politica; è cultore della materia in Sociologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia, dove è stata borsista di ricerca nel 2003-2004. È docente a contratto per le discipline sociologiche (Sociologia generale e Sociologia dell’Educazione) presso la SSIS di Perugia. Tra le sue pubblicazioni il saggio Georg Simmel e Max Weber: modernità, soggettività e conseguenze pedagogiche in Simmel e la sociologia omnicomprensiva (Morlacchi, Perugia 2001) e il più recente Simmel e Weber: “differenti affinità”. Modernità, identità soggettiva e quotidianità, in A. De Simone (a cura di), Identità, spazio e vita quotidiana (QuattroVenti, Urbino 2005). Michela Tramonti è laureata in Scienze dell’Educazione (indirizzo Esperto nei processi formativi). È cultore della materia presso la cattedra di Sociologia della prof.ssa M. Caterina Federici. È esperta nella gestione dei percorsi formativi, in comunicazione e orientamento al lavoro. Per i nostri tipi si è già occupata di Simmel nei «Quaderni di Teoria Sociale» (4, 2004) e di comunicazione pubblica nel secondo volume di Elementi di sociologia della comunicazione nella società postmoderna (a cura di M.C. Federici e R. Federici, 2004).

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Antonio De Simone è professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Urbino. È autore di numerosi volumi nei quali si è occupato del pensiero filosofico moderno (Rousseau, Vico, Kant), della sociologia e della filosofia del Novecento (Weber, Lukács), dell’ermeneutica contemporanea (Gadamer, Ricoeur) e della teoria della critica della società (Habermas). Ha contribuito alla ricezione dell’opera filosofica, sociologica ed estetica di Georg Simmel, pubblicando i libri Lukács e Simmel. Il disincanto della modernità e le antinomie della ragione dialettica (Milella, Lecce 1985); Filosofia dell’arte. Lettura di Simmel (Milella, Lecce 2002); Georg Simmel. I problemi dell’individualità moderna (QuattroVenti, Urbino 2002); Leggere Simmel. Itinerari filosofici, sociologici ed estetici, a cura di A. De Simone (QuattroVenti, Urbino 2004). Ha pubblicato inoltre (con F. D’Andrea e C. Portioli), Oltre l’immagine. Transiti contemporanei tra arti e filosofie (Milella, Lecce 2004) e Senso ed enigma della vita quotidiana. Uno sguardo filosofico e sociologico, in G. Gasparini (a cura di), Le piccole cose. Interstizi e teoria della vita quotidiana (Guerini, Milano 2004). Attualmente sta curando i volumi L’Io ulteriore. Identità, alterità e dialettica del riconoscimento (Perugia 2004, in collaborazione con F. D’Andrea e A. Pirni) e Identità spazio e vita quotidiana (Urbino 2005). Raffaele Federici si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Roma. Ha seguito corsi di specializzazione in marketing presso la Scuola di Direzione Aziendale “L. Bocconi” di Milano. Professore a contratto presso la Facoltà di Scienze della Formazione per il corso di Scienze e Tecnologie della Produzione Artistica. Ha svolto attività seminariale presso il DUEC dell’Università di Perugia. È stato docente di “Marketing” presso l’Istituto Professionale di Stato “Casagrande” di Terni, in qualità di esperto. Pittore dilettante, è autore di saggi in volumi sui temi della formazione, dell’arte e della storia della sociologia. Cultore delle arti visive, cinematografiche e della musica jazz. Fabrizio Fornari, dottore di ricerca in Filosofia e Scienze Umane, insegna “Sociologia dei Processi culturali” presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia. Tra le sue principali pubblicazioni Essere ed evento in Heidegger (Franco Angeli, Milano 1991); Introduzione alla sociologia della conoscenza (con F. Crespi, Donzelli, Roma 1998); Habermas e la sociologia della conoscenza (Perugia 1999); Intenzionalità e realtà sociale. Le teorie della sociologia fenomenologica (Roma 2002); Spiegazione e comprensione. Il dibattito sul metodo nelle scienze sociali (Laterza, Roma-Bari 2002); per i nostri tipi il saggio Linguaggio e comunicazione nella prospettiva della sociologia, M.C. Federici (a cura di) Elementi sociologici della comunicazione nella società postmoderna (vol. II, 2004). Donald N. Levine è titolare della cattedra di Sociologia “Peter B. Rizma” dell’Università di Chicago, dove insegna da 35 anni ed ha ricoperto incarichi di grande prestigio, contribuendo alla riforma e riorganizzazione dei corsi in un’ottica influenzata dalla visione pedagogica simmeliana. Studioso di Georg Simmel di fama mondiale, è anche esperto di questioni africane e consulente del governo statunitense per la questione Etiopia. Tra le sue opere principali Wax & Gold: Tradition & Innovation in Ethiopian Culture (UCP, Chicago 1972), The Flight from Ambiguity: Essays in Social and Cultural Theory (UCP, Chicago 1985), Visions of the Sociological Tradition (UCP, Chicago 1995), Greater Ethiopia: The Evolution of a Multiethnic Society (UCP, Chicago 2000). A Simmel ha anche dedicato numerosi saggi, tra i quali Simmel as Educator: on Individuality and Modern Culture (in “Theory, Culture and Society”, 3/1991),

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comparso in traduzione italiana in M.C. Federici (a cura di), Georg Simmel e la sociologia omnicomprensiva (Morlacchi, Perugia 2001), e Simmel Reappraised, in C. Camic (ed.), Reclaiming the Sociological Classics (Blackwell, London 1997). Lucio Napoli, docente a contratto di “Sociologia dell’Ambiente e Territorio” nel corso di laurea in Coordinamento delle Attività di Protezione Civile di Foligno, è dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi del Molise – Dipartimento di Istituzioni Giuridiche ed Evoluzioni Economico Sociali. Collaboratore, in qualità di cultore della materia, con la cattedra di Sociologia della prof.ssa M. Caterina Federici (Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Perugia) dal 1994. Ha altresì partecipato alla realizzazione di ricerche per il CNR, il MURST e per l’Università degli Studi di Perugia. È autore, per i nostri tipi, di diversi saggi in volumi collettanei e del libro Organizzazioni e comunicazione. L’incidenza della comunicazione nella Pubblica Amministrazione. Ricerca nel Comune di Perugia (2003). Angelo Zotti, laureato in Giurisprudenza presso l’Università “Federico II” di Napoli, è dottore di ricerca in Sociologia giuridica, titolo conseguito presso l’Università degli Studi del Molise. Ha proseguito la propria formazione scientifica con un corso di post-dottorato in Antropologia e Scienze sociali presso il CRIE (Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa), con il quale ha successivamente collaborato. Attualmente è professore a contratto di “Sociologia del Diritto” presso l’Università degli Studi del Molise.

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